a Ì Ì | || | | | | | | FOR THE PEOPLE | | I FOR EDVCATION FOR SCIENCE | LIBRARY OF THE AMERICAN MUSEUM oF NATURAL HISTORY . | QAR DELLA RERLE ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI DIMPALERMO NI E A TINI REALE AGGADEMIAO MO e SCIENZE ET ERE È DebLEZARI,I DI PALERMO TERZA SERIE (Anni 1904-5-6-7) Volume VIII. PALERMO Stabil. Tip.-Litogr. dell'Impresa Generale d’Affissione e Pubblicità GIÀ F. BARRAVECCHIA E F.® 1908 L'Accapema, ai termini del suo Statuto, non si rende responsabile delle opinioni. dei sistemi e delle dottrine comprese nei discorsi dei suoi compo- nenti qui pubblicati. 35 | Ra VAIO Tavola delle materie — o Magistrato Accademico. Samporo Pror. Lurer — Relazione Accademica per gli anni 1903-4. Riccosono Pror. SaLvatore — Relazione Accademica per gli anni 1905-6. CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE VextuRrI Pror. ApoLro — Relazione sulle misure di gravità relativa eseguite in Sicilia nel triennio 1904-6. SoLer Pror. EmmanueLE — Determinazione della iatitudine dell’Osservatorio Meteoro- logico Geodinamico dell’Andria in Messina. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE Pagano Pror. Giacomo — Popoli scomparsi : Il popolo Sicano-Sicolo. Besta Pror. Exrico — Il contenuto giuridico della Summa Perusina. Riccosoxo Pror. SaLvarore — Il valore delle collezioni giuridiche bizantine per lo studio critico del “ Corpus iuris civilis .. CLASSE DI LETTERE ED ARTI Pirrè Pror. Giuseppe — Il viaggio di Goethe a Palermo nella primavera del 1787. Amico Pror. UGo AntoxIo — Per il centenario di Francesco Petrarca. AzzoLina Pror. Ligorio — La contraddizione amorosa di F. Petrarca. COMMEMORAZIONE Riccosono Pror. SALVATORE e Scanpurra Samporo Avv. Gaetano — Luigi Sampolo. COMUNICAZIONI Riassunto delle osservazioni Metereologiche eseguite nel R. Osservatorio di Palermo (Valverde) negli anni 1904-5-6-7. PATRONO IL MUNICIPIO DI PALERMO PROMOTORE Il Sindaco di Palermo: Comm. FRANCESCO PAOLO TESAURO SOCIO ONORARIO S. A. R. LUIGI AMEDEO DI SAVOIA Duca desli Abruzzi MAGISTRATO ACCADEMICO Presidente Pirrì Comm. Giuseppe. Vice-Presidenti Venturi Comm. Adolfo, Professore di Geodesia Teoretica nella R. Uni- versità. Segretario Generale Riccopono Salvatore, Professore di Istituzioni di Diritto Romano nella R. Università. Classe di Scienze Naturali Direttore Macaruso Comm. Damiano, Professore di Fisica nella R. Università. Anziani CerveLLo Comm. Vincenzo, Professore di Materia Medica e Farmaceu- tica sperimentale nella R. Università. Borzi Cav. Antonino, Professore di Botanica e Direttore dell'Orto Botanico. VII Segretario della Classe GersaLpI Francesco, Professore di Geometria analitica e projettiva nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri. Classe di Scienze Morali e Politiche Direttore Ricca Sarerxo Comm. Giuseppe, Professore di Economia Politica nella R. Università. Anziani Romano Carania Dott. Giuseppe. Segretario della Classe Papa D’Axmgco Lucio, Professore di Diritto Commerciale nella R. Uni- versità. Classe di Lettere e Belle Arti Direttore Sarmmas Comm. Antonino, Professore di Archeologia e Direttore del Museo Nazionale. Anziani Paorucci Prof. Cav. Giuseppe. Amico Prof. Cav. Ugo Antonio. Segretario della Classe SacLomone-Marixo Cav. Salvatore, Libero docente di Patologia speciale medica e Propedeutica clinica medica nella R. Università. Segretario aggiunto Russo-GirBerTI Prof. Antonino. Tesoriere Zoxa Prof. Temistocle, Primo assistente all’ Osservatorio Astronomico. RELAZIGNE ACCADEMICA PER GLI ANNI 1903-4 Letta dal Segretario Generale PIRIORERZIMUMIGiSAASNBRIOHSNO® nella tornata del 20 Novembre 1904. Mii si Î TTI | b-r001 1044 4 Rss dl È _ _ | " na È n Lat mer I ù __—r—rrFTTTyooeoyo t(] .. « « <« “«« « « « « «.«.«..«.-.-.--.««..--.-.-.-.-..--. ;..-.r-:;:--;---------------- Relazione per gli anni 1903-4 SOMMARIO : Fondazione di Studî Sensales—Congresso Zoologico in Rimini — Congresso petrarchesco in Arezzo — Congresso dell’ Associazione artistica e letteraria in Marsi- glia — Letture: Capitò, Le foreste în Montagna; Sampolo, Una Lettera inedita di Gio- vanni Meli; Pitrè, Sulle Condizioni del Senato di Palermo cento e più anni fa; A. De Gregorio, Degli Aborigeni d'America; G. De Gregorio, Notizie dei risultamenti del Congresso degli Orientalisti nell’'Aja — Solenne tornata per il VI Centenario della nascita di Petrarca in Arezzo — Lizio Bruno, Della Vita e delle opere di Marco An- tonio Canini — VII volume degli Atti dell’ Accademia — Ricordo dei Soci trapassati : Mr. V. Di Giovanni; Prof. Francesco Randacio; Can. Giuseppe Montalbano ; Mr. Maurizio Polizzi; Prof. G. Gemmellaro; Mr. Michelangelo Celesia; Vito La Mantia. Il fatto più notevole nello anno che corre è il decreto del 26 giugno 1904 con cui è eretta ad ente morale la Fondazione di Studî Sensales, af- fidandone l’amministrazione alla nostra Accademia. Nell ultima mia relazione, commemorando il socio Giuseppe Sensales, parlai di quella Fondazione di studî e augurai che presto fosse riconosciuta come ente morale. Il fondatore incaricò di stenderne lo Statuto tre funzionarî: il primo Presidente della Corte di Cassazione di Roma, il Sindaco di Roma e il Rettore di quella Università. Il Primo Presidente G. B. Pagano Guarnaschelli, siciliano e palermitano, pensò che l’amministrazione della Fondazione dovesse affidarsi alla nostra R. Accademia, come la sola dal Sensales nominata, e prima chiamata a indire il concorso. Il premio triennale sarà conferito da quattro Accademie : 4 RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 La nostra R. Accademia; La Società Reale di Scienze di Napoli; La R. Accademia dei Lincei; TN R. Istituto Lombardo. Quanto pregio verrà da ciò alla nostra non occorre dire. La nostra, che ha goduto buona riputazione fra le consorelle, assurgerà ora a maggiore importanza, e per essa il primo concorso sarà un fatto grandissimo. Dal curatore della eredità, Senatore Calcedonio Inghilleri, è stato reso il conto della sua gestione e fatta consegna degli effetti del fondatore. Il concorso deve bandirsi un mese prima del triennio, ossia in dicembre. Dell’ onore che ci è stato conferito daremo lode all’ illustre Presidente della Cassazione di Roma e all’On. V. E. Orlando, Ministro per la pub- blica Istruzione: siciliani e palermitani entrambi, non hanno inteso rendere un favore, ma un atto di giustizia. Il Presidente della R. Società di Scienze di Napoli scriveva a noi: “Con le rendite disponibili il primo sarà già un bel premio, e dopo estinti i le- gati, diverrà addirittura un premio cospicuo ,. Dal Presidente del Real Istituto Lombardo si ebbe una bella lettera di cui piacemi rilevare il principio : “ Accuso a V. S. ricevuta della di Lei lettera in data 26 scorso agosto, e a nome dell’ Istituto Lombardo esprimo anzitutto il plauso degli scien- ziati italiani al rimpianto Senatore Giuseppe Sensales che con nobile pen- siero istituì una fondazione di studî per lo incremento del sapere in Italia ,,. La Giunta Amministrativa della fondazione è così composta: il Presi- dente G. Prtrè, il Segretario Generale L. Sampolo; e i tre membri elettivi nominati, per deferente incarico vostro, dal Presidente, il Vice-presidente A. Venturi, il Direttore della Classe di Scienze Naturali professore D. Ma- caluso, e il Prof. Salvatore Riccobono, anziano della Classe di Scienze morali. La nostra Accademia, che è delle più antiche e si tiene in corrispondenza con molte di Europa e di America, riceve sempre inviti per prendere parte a Congressi ed a feste letterarie. In Rimini, città famosa per ogni ragione di studi e per la sua impor- tante storia, celebravasi nel 1903 il IV Congresso Nazionale Zoologico. Noi vi abbiamo fatto adesione. La tessera dei soci rappresenta da una parte la pianta di Rimini con ai quattro angoli l’arco trionfale eretto in onore di Augusto, il ponte co- struito sul Marecchia tutto di marmo a 70 metri di lunghezza e cinque RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 5 archi, incominciato ai tempi di Augusto e terminato sotto Tiberio, il teatro, un’antica porta della città. Dall’altra parte sono i ritratti di Giano Ranco, di Francesco Bonsi, di Giovanni Antonio Battarra, valente botanico che scrisse con molta sapienza sulla crittogama del territorio riminese (1). Il quinto Congresso avrebbe dovuto aver luogo quest'anno in settembre, ma coincidendo col Congresso internazionale di Berna fu rimandato alla primavera del 1905. Infatti nel passato agosto si tenne ad Interlacken nel Cantone di Berna il VI Congresso zoologico internazionale; che per l'Italia ha avuto uno speciale interesse, essendosi riconosciuta la nostra lingua fra le ufficiali del Congresso. Nel 1904 festeggiavasi in Arezzo il VI Centenario della nascita di Fran- cesco Petrarca, che per avventura avvenne in quella città. Ci rappresentò nella festa il prof. Plinio Pratesi, letterato toscano, R. Prov- veditore agli studî. “ L'adesione all’insigne Congresso—scrivevaci il Pratesi —della nobilis sima Sicilia, culla della nostra poesia, fu assai accetta alla città nativa del Petrarca ed a quanti erano lì convenuti. Nella sezione italiana il Presidente Attilio Hortis, insigne erudito veneto, noto per alcuni lavori sul Petrarca, dopo avere rivolto un caldo saluto al- l’Accademia Petrarca di Arezzo, cedette la presidenza al Petrarchista fran- cese De Nolhac, che sali al seggio tra vivissimi applausi. Dopo la comunicazione di numerose adesioni, si lessero relazioni critiche sulla vita e sulle opere del Petrarca. Monsignor Enrico Salvatori annunziò la pubblicazione dei codici petrar- cheschi vaticani particolarmente illustrati e riprodotti in eliotipia. Attilio Hortis presentò le iconografie della Biblioteca Rossettiana di Trieste. Il Congresso si chiuse approvando un voto di plauso, su proposta del Prof. Pizzini, ad un personaggio non voluto farsi conoscere che offrì un premio di L. 2500 pel miglior lavoro sul Petrarca in Toscana. Nel pomeriggio s’inaugurò alla R. Accademia Francesco Petrarca la lapide commemorativa colla seguente iscrizione dettata dal Presidente Commen- datore G. F. Gamurrini archeologo toscano : (1) I convegni della Unione Zoologica italiana s’iniziarono in Bologna nei giorni 24-27 settembre 1900; secondo fu quello di Napoli 10-13 aprile 1901, il terzo seguì in Roma 31 ottobre-3 novembre 1902. a 6 RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 “ A Francesco Petrarca — Il più gentile poeta d’amore — All instaura- “ tore delle antiche lettere — Che francando la luce del pensiero — Di- schiuse all’Italia e al mondo — L’odierna civiltà — Che evocato l’italico valore — Mosse primo a libertà il bel paese con suo capo Roma— Nel 20 luglio 1904 — Secentesimo dal suo natalizio — La R. Accademia Pe- “ trarca — Commemorando poneva ,,. Nel 26° Congresso dell’Associazione letteraria ed artistica internazionale di Marsiglia, fondata nel 1878 da Victor Hugo, congresso che si è tenuto in settembre, noi siamo stati rappresentati da Giulio Lermina, Segretario perpetuo di quella Associazione. Mirò quel Congresso a far trionfare presso tutte le nazioni civili le sante idee della Convenzione di Berna intorno alla tutela della proprietà lette- raria ed artistica; idee di progresso e di giustizia che quell’Associazione spera recare in effetto. Parecchie letture sono state fatte nei due anni 1903-1904. Di esse dirò poco. Voi tutti le ricorderete; le mie parole potranno non rendervi esattamente i concetti degli autori, onde mi son proposto darvene un cenno quanto più breve. Il prof. M. Capitò con quella competenza che il lungo magistero e la larga esperienza gli hanno fatto acquistare, trattò: Le foreste in montagna (1). Svolse il tema con profonda conoscenza della storia antica e moderna sull’argomento. Rilevò le cause, onde derivò il disboschimento. Fecero allora commendevole eccezione gli ordinamenti forestali della Repubblica di Ve- nezia. Sorta a nazione l’Italia si diè l’ultimo crollo alla tutela dei boschi con le istruzioni forestali del 1867. Toccò lA. la legislazione della Svizzera, della Spagna, della Russia e della Francia, la quale ottenne grande risultamento con la legge del 4 aprile 1882. In Italia si proposero parecchi ritocchi alla legge del giugno 1877. Chiuse il suo bel lavoro augurando una nuova legge che riconosca quale uno dei più elevati doveri dello stato l’imboschire i bacini ibriferi dei corsì d’acqua e il tutelare le foreste esistenti e le nuove che sorgeranno. (1) Adunanza del 15 novembre 1903. SI RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 La presente relazione sull'andamento dell’Accademia vi ha ricordato spe- cialmente la Fondazione di Studî Sensales di cui sopra abbiamo fatto cenno. Io leggevo poi e illustravo una lettera inedita di Giovanni Meli, posse- duta dal nostro illustre socio Prot. Gabriele Torelli, lettera che descrive l’unico viaggio fatto dal Meli nel 1815, l’ultimo anno di sua vita (1). Il Prof. Pitrè c’'intrattenne Sulle condizioni del Senato di Palermo cento e più anni fa, facendo utili raffronti col presente stato di cose. Egli, au- tore di Palermo cento e più anni fa, molto versato nella storia del nostro paese, ha saputo raccogliere con la maggior cura le notizie più importanti della vita municipale di quel tempo (2). Antonio M.se De Gregorio trattò : Degli aborigeni di America. Questa questione è ancora insoluta. Nell’antico mondo i monumenti ricor- dano la gloria di popoli antichi. Alcuni riferiscono l’origine delle Tribù Indiane ai Fenici ovvero ad altro popolo antico marittimo ; altri scorgono pure delle loro parentele con gli Egizi e gli Indiani; altri trovano i loro precedenti nelle Tribù di Israele che divisarono andare in lontane contrade ove nessuno era mai stato traversando nell’America per la Islanda e dallo stretto di Bering, dall'Asia nord orientale. Il Marchese De Gregorio divide il suo tema in tre parti. Nella prima parte esamina i disegni di due petroglifi del Chili e di un'antichissima iscrizione. I petroglifi rimontano ad epoca arcaica ed hanno rassomiglianze con altri petroglifi di America e della Oceania. L'iscrizione è di epoca assai più recente, però molto anteriore alla sco- perta di Colombo. Nella seconda parte l’ autore dà un cenno de’ costumi e dello stato di ordinamento sociale degli abitanti di America al tempo del Colombo. Nella terza dà un ragguaglio della navigazione degli antichi abitanti del vecchio continente riportando molti brani di autori greci e romani, dai quali egli ritrae che gli antichi arrivarono in America, specialmente i Fenici. (1) Adunanza del 17 aprile 1904. (2) Adunanza del 14 febbraio 1904. RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 (00) Il Prof. Giacomo De Gregorio, che rappresentò nel Congresso degli Orien- talisti nell’Aja la nostra Accademia, ci diè esatta notizia dei risultamenti di quel Congresso (1). Solenne fu la tornata in cui celebravasi il 6° Centenario del nascimento di Francesco Petrarca. L'’illustre socio Prof. Ugo Antonio Amico innanzi eletto e numeroso udi- torio fece una splendida conferenza, bella pel contenuto , elegante per la forma. Ed era egli degno dell’alto argomento perchè aveva fatto lunghi e severi studî sul Petrarca e brani non pochi avea tradotto dal poema De Africa. Rileggendo alla nostra Accademia il suo bel discorso dettato per il Liceo V. E. rispose al vivo desiderio di quanti non lo ebbero udito e qui riscosse unanime plauso. Il Prof. Letterio Lizio Bruno trattò: Della vita e delle opere di Marco Antonio Camini. Nel lavoro nutrito di concetti e di sentimenti, egli riguardò la vita e le opere del Canini, in relazione ai principii estetici, di cui toccò le quistioni più importanti. Tratteggiò le fortunose vicende di lui, uomo di pensiero e di azione che trascorse tanta parte della sua vita fuori d’Italia, in Grecia, in Costanti- nopoli. Discorse delle sventure che specialmente negli ultimi tempi egli sofferse; e dei nobili aiuti che gli prodigò l’insigne indianista piemontese Gaspare Gorresio. Fece particolarmente un esame estetico delle opere poe- tiche, ponendole in relazione ora coi classici Greci e Latini, ora collo Schil- ler, col Geibel, col Moore, coll’Hugo. Evocò verso il fine la splendida figura di F. P. Perez, di cui citò alcune elo- quenti parole tendenti a scuotere dal torpore la gioventù, conchiudendo che le nobili e grandi idee nella vita pratica sono azioni generose e nel campo del pensiero opere d’arte (2). (1) Adunanza del 18 aprile 1903. (2) Adunanza del 17 luglio 1904. RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 9 È uscito in questo anno il volume VII dei nostri Atti, nel quale sono importanti lavori della Classe di Scienze naturali, e delle altre due di Scienze morali e politiche e di Lettere. Vi si leggono due lavori notevolissimi, l'uno : La prima lotta di Federico II di Svevia col papato. Le finanze, e la Corte di Federico II di Svevia, dell’illustre prof. Giuseppe Paolucci, che con queste e con le precedenti me- morie lette nella nostra Accademia ha egregiamente illustrato i tempi di quel grande imperatore; ed uno del prof. Carlo Garufi: I diplomi purpu- rei della Cancelleria normanna e Elvira prima moglie di Re Ruggero. La morte in questi due anni 1903-4 ha assottigliato le nostre file. Il mio discorso non è una commemorazione di soci trapassati; è invece una notizia di ciò che è avvenuto durante il biennio e non possono tacersi i nomi di coloro che in vita onorarono con le loro opere il nostro Istituto. Io non posso ritrarre appieno dei parecchi che ci sono mancati, lieto se potrò di tutti bene tratteggiare le nobili figure. È morto il 29 luglio 1903. nella natia Salaparuta M.r Vincenzo Di Gio- vanni, ma anni prima le sue facoltà mentali erano mano mano declinate ed oscurate. Professore di Filosofia nel Seminario Arcivescovile e nel Liceo Vittorio Emanuele, passò infine all’ Università. Studiosissimo della storia siciliana, promosse la conservazione di antichi monumenti. Letterato, filosofo, teologo, i suoi scritti si dividono in letterari, filoso- fici e di apologia e archeologia cristiana. Notevoli sono i lavori sulla storia della filosofia in Sicilia e gli altri sul Miceli, Hartman e Miceli: Il padre Giuseppe Romano e l’ ontologismo în Sicilia; Pico della Mirandola; Giordano Bruno. Seguiva le teorie del Gio- berti. ì Ilustrò con svariati scritti non pochi monumenti della città di Palermo, narrò la storia delle Accademie degli Accesi e dei Riaccesi e del Buon Gusto. L'opera che gli dà più fama è la Topografia antica di Palermo dal se- colo X al XV, per la quale meritò due medaglie d’oro. Socio corrispondente dell'Istituto di Francia e di quello del Belgio, ve- 9 di 10 RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 scovo di Teodosiopoli, il suo nome sarà ricordato con molta lode nei fasti della letteratura siciliana del secolo XIX quale insigne erudito, valente fi- losofo e apologista e qual Presidente di questa nostra Accademia. Il prof. Francesco Randacio. nato in Cagliari, ebbe per seconda patria Palermo, ove dimorò per oltre quaranta anni. Mentre i suoi discepoli gli preparavano solenni feste per il cinquanten- nio del suo insegnamento, egli spegnevasi serenamente nel febbraio del 1903. Valoroso professore di anatomia formò nel nostro Ateneo un gabinetto anatomico, degno di esso. Durante la funesta invasione colerica del 1866, nominato dal Municipio Direttore dei servizî sanitarî, adempì l’ufficio con la maggior cura e col maggior coraggio dovendo vincere i pregiudizi del popolo intorno alla ori- gine del fatale morbo. Il Municipio lo decorava di una medaglia con questa leggenda: “ Per l’esimia assistenza durante il colera del 1866 .. I suoi lavori scientifici e letterari lo chiariscono valente nella scienza anatomica e valente letterato. A_ 28 aprile 1903 morì il Can. Giuseppe Montalbano da Piana dei Greci. Alunno del celebre Seminario di Monreale, professore di umane lettere in quello Arcivescovile di Palermo, professore di. rettorica e prefetto di studi in Cefalù, direttore del nostro Ginnasio Umberto I, poi della scuola magistrale maschile, indi della femminile, insegnò infine morale nella Scuola Superiore femminile Giuseppina Turrisi Colonna. Dettò versi latini e greci e italiani e bellissime iscrizioni, ed erano sue quelle che in questa Accademia si lessero nelle solenni tornate: Centenarzo del trasferimento dell’Accademia nel Palazzo Pretorio ; Cristoforo Colombo; Filippo Parlatore. Maurizio Polizzi. alunno del Seminario Monrealese, vinse nel 1844 il con- corso di M.r Paolo Di Giovanni. | Insegnò in quel religioso Seminario lettere italiane, latine e greche, nelle Scuole dei pp. Benedettini e del Seminario Arcivescovile, ed il ma- gistero fu la carriera gloriosa della sua vita. Per lunghi anni tenne la prefettura al Convitto Arcivescovile dei Chierici Rossi. RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 11 Più tardi verso il 1878 fondò il Convitto Guglielmo Secondo; ritiratosi di là, tenne la direzione delle Scuole Arcivescovili. Scriveva con finitezza di gusto nella lingua italiana, latina e greca. E doloroso che di lui ci re- stino pochi lavori (1). Moriva nel volgente anno l'illustre G. G. Gemmellaro, socio fin dal 1869, anziano della Classe di scienze naturali, Vice-presidente e infine Presidente onorario. Professore di geologia e mineralogia nella nostra Università, seguì il no- vello indirizzo delle ricerche speciali. Versatosi nello studio analitico degli strati mesozoici della Sicilia, ne portò la conoscenza a grande altezza. Son vanto di lui la scoverta della fauna parmiana di Palazzo Adriano e l’altra della grotta ad ossami e armi di pietra nei dintorni della Grazia di Carini. Il Museo geologico del nostro Ateneo è degno di essere posto a raffronto delle collezioni paleontologiche del British Musaeum. Lasciò parecchie opere, delle quali la più importante : Fauna dei calcari con Fusulina della Valle del fiume Sosio nella Provincia di Palermo, e ri- masta incompiuta. i Il Cardinale Michelangelo Celesia, nostro socio onorario, fu Abate di Monte Cassino, Vescovo di Patti, Arcivescovo di Palermo. Stimato dal Pon- tefice Leone XIII, dotto nelle scienze sacre, ha lasciato parecchi volumi in cui sono raccolte tutte le sue pastorali di Monte Cassino, di Patti e di Palermo (2). Destò ammirazione la sua condotta nel colera del 1885, quando Egli sì vide im mezzo ai colerosi porgere parole di conforto e di speranza e prestare aiuti pecuniari. In tanta gara di abnegazione l’ insigne Prelato profferivasi degno dell’alto suo ufficio. Nel secolo XVII, gli Arcivescovi di Palermo erano i protettori eccle- (1) Nel 1897 uscivano per la scuola tipografica del “* Boccone del Povero , : Esercizi di poesia latina e italiana fatti dagli alunni della Scuola Arcivescovile di Monreale sotto la direzione di M.r Maurizio Polizzi. (2) Vedi Opere pastorali edite ed inedite del Cardinale Michelangelo Celesia, Arcive- scovo di Palermo, pubblicate per cura del Can. Giuseppe Ferrigno, e morto lui, dal Canonico Cascavilla. — Vedi Cascavinra: Vita di Michelangelo Celesia. 12 RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 siastici dell’Accademia. E primo fu nominato Mons. Domenico Russo. Suc- cedette a lui Mons. D. Giuseppe Melendez e poi Mons. Marcello Papiniano Cusani. A costui seguì D. Serafino Filingeri Cassinese, patrizio Napoletano, e poi Mons. Don Ferdinando Severino. Secondo i nuovi ordinamenti dell’Accademia gli Arcivescovi possono es- sere iscritti nell'Albo dei Soci onorari. Non posso chiudere questi brevi cenni senza un ricordo di Vito La Man- tia, Presidente onorario di Corte di Appello. Egli spese tutta la sua non breve vita nello studio della storia del diritto di Sicilia e anche d’Italia, e venne in altezza di fama fra i cultori più dotti della storia del diritto, specie della medioevale per le molteplici sue opere. Indagatore diligentissimo, ricercò , raccolse il nostro antico diritto. Lasciò ai suoi degni figli non di tesori eredità, ma l’esempio di una vita altamente operosa di studi (1). Ho finito. Parrebbe che dopo l’onore che alla nostra Accademia è venuto dalla Fondazione di Studî Sensales, di cui siamo gli amministratori, mettendosi la nostra accanto a quelle di Napoli, di Roma e di Milano, parrebbe, dico, che la nostra dovrebbe ottenere il pareggiamento con quella di Torino. (1) Vedi nel Circolo Giuridico, Rivista, a pag. 164-5, anno 1904: Vito La Mantia. RELAZIONE ACCADEMICA PER GLI ANNI 1905-6 Letta dal Segretario Generale PROF. SALVATORE RICCOBONO nella tornata del 5 Mgosto 1906. LAO 0a $ Ni un Sii drei une o MRUT È a) Mi Sa] 1 RI i li i AFRIVIVIELTORMATIVIINIEUXHHMUTVNIRIOTUMATENIECOVMILOTMVOCKAEOOCOMODEVIRETCUMENIOIRETMONCQMROCOEMORCCMALTORCMALOLI Amii OVAE VIRUS AMMMIMUA ICT IU TAINCCO MUCH ONCOTNCCO RUN ID CONCOMIDUCEMOTAINGPMR IF MU TACCO MESE OOSINTAMINCCMOACIOrnanini mentine Relazione per gli anni 1905-6 TTD SOMMARIO : Ringraziamenti — Elezioni del magistrato accademico e di soci — Fonda- zione di Studî Sensales — Primo centenario dell'Ateneo palermitano — Dotazione del Municipio all'Accademia — Bollettino per gli anni 1903-5; VIII volume della IIL serie degli Atti — Letture: G. Pitrè, Sul Viaggio di Goethe a Palermo nella primavera del 1787; L. Azzolina, La contraddizione amorosa del Petrarca; A. Borzì, Della biologia della germinazione dei semi di araucaria; G. B. Siragusa, Di una probabile rappresen- tazione dell'Aula regia o sala verde; S. Riccobono, Il valore delle interpolazioni nel Corpus iuris civilis per la conoscenza del diritto classico; G. Pagano, Popoli scomparsi; il popolo sicano-siculo; G. Savagnone, Sui Concili e Sinodi di Sicilia; E. Besta, Sulla Summa perusina — Ricordo dei soci defunti: Luigi Sampolo; Raffaele Starrabba; Augusto Conti; Fedele Lampertico ; Matteo Ardizzone; Michele Russo Onesto ; Salvatore Di Bartolo; Francesco Di Chiara — Per il pareggiamento dell’Accademia. Nell’adempiere ad un dovere così onorevole, di riferire sull’ andamento della nostra Accademia negli anni 1905 e 1906, permettete che la mia prima parola sia di ringraziamento a Voi, illustri Colleghi, che mi voleste elevare all’ufficio di Segretario Generale. Io non mi riconosco al- cun titolo per meritare in questo eletto consesso un grado così eminente; e come il più umile studioso non posso che dirmi grato di un attestato così lusinghiero di stima, che mi viene da Voi, Maestri provetti, che ri- schiarate il cammino in ogni ramo del sapere. Ma di tanto onore ricevuto, null’altro sento di poter dare in contracam- bio se non la promessa di adoperare tutte le mie forze per rendermi degno della Vostra benevola fiducia. 4 RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 Nella tornata del 17 dicembre 1905 Voi rinnovaste le cariche accademi- che: confermaste Presidente il Comm. G. Pitrè, che con le sue opere ge- niali. vibranti di vivo amore cittadino, ha dischiuso nuovi orizzonti ed è salito al più alto grado di popolarità. Nominaste Vice Presidenti il Barone Raffaele Starrabba e l'illustre Comm. Prof. Adolfo Venturi; Direttori di classe: il Prof. Comm. Damiano Maca- luso: il Prof. Comm. G. Ricca Salerno; il Prof. Comm. Antonio Salinas: nomi tutti preclari nel mondo scientifico che tengono alte le insegne glo- riose della scienza. Altri mutamenti vi piacque fare tra gli Anziani delle varie Classi e i Segretari. Socii onorari furono eletti: nella tornata del 18 giugno 1905, Arturo Graf. Rodolfo Renier, Pagano Guarnaschelli, ed inoltre i soci corrispon- denti senatori Graziadio Ascoli e Paolo Lioy. Nella tornata del 21 gennaio 1906, infine, il sen. Alessandro D'Ancona i quali tutti, pervenuti per altezza d’ingegno ai fastigi dell’arte e della scien- za, onorano la patria. Il 18 giugno 1905 furono promossi alla categoria di soci attivi : il prof. Giuseppe Cosentino. il Comm. Rosario Salvo di Pietraganzili, il Prof. Let- terio Lizio Bruno: eleiti soci collaboratori: il Prof. Oreste Zureitti e il Prof. Enrico Besta. Nella tornata del 21 gennaio 1906 passaste il Prof. G. Federico-Pipitone alla categoria dei soci attivi: eleggeste soci collaboratori: il Prof. Nicola Zingarelli. il Prof. Guglielmo Savagnone ed il Prof. Giacomo Pagano. La fondazione di studi Sensales, eretta ad Ente morale con Decreto 26 giugno 1904. non è ancora entrata nel periodo di sua attività. Una lite molesta. suscitata da chi pretende aver diritto ad una quota del patrimonio Sensales. ha impedito ogni azione per il conferimento del premio triennale. La nostra Accademia, cui è affidata l’amministrazione, vigila, per mezzo della Giunta amministrativa da Voi nominata, perchè quel patrimonio ri- manga integro per il nobile fine, secondo la volontà del testatore. La lite, che già nell’inizio ha subito alterne vicende, segue il suo corso ed è ancora nella sua prima fase. Auguriamoci che l’intoppo possa ben RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 5) presto esser rimosso, e che quel patrimonio destinato alla scienza dia i migliori frutti per l'alta cultura nazionale, per la gloria d’Italia. Nel maggio ora scorso l'Ateneo Palermitano celebrò il suo primo cen- tenario. L'Accademia vi prese parte, rappresentata dal Presidente. Le feste si svolsero solenni, degne del nostro massimo Istituto di scienza, mercè l’opera illuminata del magnifico Rettore, Prof. Luigi Manfredi e la cooperazione degli studenti, che con l'entusiasmo della giovinezza e con nobile spirito goliardico conferirono alla solennità una nota altissima. L’avvenimento era degno fosse ricordato, perchè esso segna pure il prin- cipio d’una nuova éra per il nostro Studio, iniziandosi il secolo secondo di sua vita con lieti auspici, con nuove forze per le nobili battaglie della scienza, per la maggior gloria del pensiero e del sapere. La vita della nostra Accademia è stata fiorente più che mai in questi due anni. Ma per fatale contrasto lo stato finanziario, che mai fu prospero, ebbe di recente un colpo inaspettato. Il Municipio che fin dal 1791 aiutò l’Istituto con una tenue dotazione, che nel 1883 si era elevata a L. 2000, la negò nell’anno 1905. Il danno che siffatto provvedimento avrebbe arrecato alla Accademia è evidente; ma il disastro potè essere scongiurato dall’opera energica e so- lerte del nostro beneamato Presidente, che cooperato da illustri cittadini, tra i quali a titolo d’onore ricordo il Comm. Avv. Leonardo Ruggiero ed il Prof. Comm. Vincenzo Cervello, ottenne che la dotazione fosse ripri- stinata. Ed il Consiglio comunale di Palermo fece opera civile, mostrandosi consapevole della missione e dei doveri che nell’orientamento dei popoli moderni ha lo Stato ed il Comune. Essi non possono esaurire il loro còm- pito provvedendo soltanto ai bisogni materiali o spiegando semplicemente la loro azione giuridica; perchè la gloria civile delle nazioni e delle città singole è data dal sapere, da tutte le manifestazioni del pensiero. Negl'istituti scientifici tutta la vita di una città è concentrata e riflessa come in uno specchio; da essi può misurarsi fim nei più piccoli particolari il grado di civiltà raggiunto, il posto che nel consorzio civile compete ad una città o nazione. 6 RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 Or ora si è pubblicato il Bollettino per gli anni 1903-5 che dà contezza della composizione del magistrato accademico, quale lo voleste nel triennio 1903, 1904, 1905, e contiene insieme il catalogo degli Atti delle Accade- mie e Istituti scientifici che riceviamo in cambio dei nostri. Sono circa 200 Accademie e Istituti scientifici, nazionali e stranieri, che hanno relazione con la Nostra. Ed ora vi si aggiunge l'Accademia di Porto ed altri sodalizi di cultura, i quali ci hanno richiesto il cambio degli Atti. In corso di stampa è il vol. VII della serie III degli Atti, che conterrà la Relazione per l’anno 1904, letta il 20 novembre dello stesso anno e che fu, purtroppo, l’ultima presentata a Voi da Luigi Sampolo; conterrà poi comunicazioni e pregevoli scritti su vari argomenti. Le letture si sono seguite senza interruzione. Le troverete raccolte nel volume degli Atti che vedrà la luce sullo scorcio dell’anno; qui mi piace ricordarvene gli argomenti, tutti di grande interesse storico e scientifico ed al cui svolgimento mostraste vivo gradimento. Il nostro Presidente v’intrattenne nella tornata del 30 luglio 1905: Sul Viaggio di Goethe a Palermo nella primavera del 1787, ed altri chiari- menti sul geniale argomento aggiunse nella seduta del 19 novembre dello stesso anno. Una memoria del prof. Liborio Azzolina dal titolo : La contraddizione amorosa del Petrarca fa presentata nella stessa seduta del novembre dal socio Prof. Alfonso Sansone. La memoria giudicata favorevolmente vedrà la luce negli Atti. Il Prof. Antonino Borzì disse nella seduta del 16 aprile 1905 della bio- logia della germinazione dei semi di araucaria. Il socio Prof. G. B. Siragusa trattò: Di una probabile rappresentazione dell'Aula regia 0 sala verde in una mimiatura del Codice 120 della Biblio- teca civica di Berna. Data una notizia sommaria del ‘codice predetto, contenente il Carmen o Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli, Egli richiamò gli accenni RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 Ti che della così detta Aula Regia 0 sala verde si leggono in Ugo Falcando, in Ibn Gubayr, nel poeta Abd-er-Rahman, nel cronista catalano Muntaner etc., e da questi accenni ricavò che l'Aula predetta dovette essere vastis- sima, annessa e sottostante al Palazzo Reale di Palermo e limitata, almeno da due lati, da portici e colonnati. Presentò quindi la riproduzione di una delle 53 miniature del codice di Berna, la quale rappresenta una specie di cortile fiancheggiato da portici e da colonne collegate da archi vaga- mente intrecciati, nel cui centro zampilla la Fons Arethuse e che dalla leggenda esplicativa è chiamata: Zeatrum imperialis palacti. Dopo avere ricordato che l’Aula Regia del Palazzo reale di Palermo è da Abd-er-Rah- man denominata con un vocabolo arabico che l Amari traduce Teatro, che il Palazzo reale di Palermo potè essere chiamato imperiale sotto En- rico VI di Casa Sveva in cui onore Pietro da Eboli dettò il suo carme, e che questo poeta conobbe certamente la città di Palermo, i suoi edificii, i suoi quartieri, dei quali dà cenni assai precisi, e, infine, che le peculia- rità della miniatura corrispondono a quelle dateci da altre fonti coeve, Egli chiude la sua interessante comunicazione dicendo che in quella miniatura del sec. XII si volle probabilmente rappresentare l'Aula Regia e che quindi essa ha una singolare importanza. Nella stessa seduta, io v’intrattenni sul tema: 17 valore delle interpola- zioni nel Corpus iuris civilis per la conoscenza del diritto classico. Il socio Prof. Giacomo Pagano nella tornata del 25 marzo 1906 lesse un lavoro dal titolo : Popoli scomparsi; popolo sicano-siculo. Due comunicazioni furono fatte nella seduta del 22 aprile 1906, dal Prof. Guglielmo Savagnone l'una, dal Prof. Enrico Besta l’altra. Il Savagnone diede contezza di un suo lavoro: Sui Concili e Sinodi di Sicilia, nel quale, in una prima parte tratta largamente della storia dei Concilî provinciali, dei Sinodi e delle conferenze episcopali; e dà poi no- tizia di due Sinodi inediti, di Messina il primo dell’anno 1398, l’altro di Malta del 1668 ; nella seconda parte si occupa della struttura del Sinodo e del problema della maggiore o minore partecipazione del basso clero nella discussione ed approvazione delle costituzioni sinodali, venendo infine all'esame d’un problema gravissimo, cioè l’importanza delle norme conte- nute nelle costituzioni sinodali per lo sviluppo del diritto canonico e del diritto ecclesiastico siculo. Il Prof. Besta comunicò i risultati d’uno studio critico sulla Summa pe- yusina. Movendo dal concetto che la Summa più che come un monumento 8 RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 di coltura romanistica, debba considerarsi come opera rivolta alla pratica ed alla pratica inspirata, Egli esamina sistematicamente il suo contenuto per riguardo al diritto pubblico, processuale e privato, riprendendo infine le quistioni relative all’età ed alla patria della stessa compilazione. Del resto l’attività intellettiva dei nostri colleghi non va soltanto guar- data nei nostri Af. Alle pubblicazioni periodiche di Sicilia e del conti- nente italiano i nostri consocî affidano i frutti del loro ingegno e delle loro sapienti indagini: e, fuori di quelle, han dato e danno alla luce opere a parte che onorano il senno e gli studî non pur della Sicilia ma della na- zione tutta. Io mi astengo dal fare nomi per non offendere la loro modestia. Lutti gravissimi hanno funestato la nostra famiglia accademica nel bien- nio trascorso. Il 24 febbraio 1905 perdemmo Luigi Sampolo che tenne lungamente l’ufficio di Segretario Generale dell’Accademia. Nella tornata del 19 marzo il nostro Presidente disse di Lui nobili e sentite parole e tolse in segno di lutto la seduta; indi il 18 febbraio 1906. nel primo anniversario di sua morte , ne fu fatta solenne commemora- zione. Pochi mesi addietro, il 12 maggio scorso, spegnevasi il Barone Raffaele Starrabba, che avevate eletto vice Presidente nell’ ultima formazione del magistrato accademico. Altri dirà di lui come paleografo di grande valore, ‘ come storiografo di non comune diligenza: io non posso qui non ricordare le singolare benemerenze di Lui come erudito nelle discipline storiche del- l'isola, e come patriotta nel miglior significato della parola. Dei socî onorarî perdemmo Augusto Conti e Fedele Lampertico , l’uno e l’altro scrittori limpidi ed eloquenti, spesero nobilmente la vita per la scienza e per l'umanità, lasciando i loro nomi legati alla storia. Perdita dolorosa è stata quella di Matteo Ardizzone, antico nostro con- socio, che alla profondità degli studî filosofici accoppiava fme gusto per le lettere, larga conoscenza delle lingue classiche e straniere, che esercitò traducendo nella nostra in eletti metri poesie di sommi scrittori. L'Avv. Michele Russo Onesto, da Segretario aggiunto dell’Accademia era stato molto attivo e solerte ; promosso ad alti gradi nella magistratura, RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 9 abbandonò Palermo rimanendo pur sempre affezionato al nostro Istituto. An- che lui abbiamo perduto in Civitavecchia; e con lui in Palermo un dotto ecclesiastico, mons. Salvatore Di Bartolo, uno dei socî ordinarî componenti il nostro Magistrato accademico, e negli ultimi del mese di luglio ancora il D.r Francesco Dichiara, abile chirurgo nei suoi tempi ed autore pre- giato di una guida all’anotomia chirurgica delle regioni. Signori, Il mio predecessore, che ebbe sempre per la nostra Accademia vivo in- teressamento, soleva chiudere le sue relazioni esprimendo, con tenacia Ca- toniana, il voto che la nostra Accademia possa ottenere il pareggiamento con le altre maggiori, onde aver con esse comuni i privilegi. Ripetere questo voto forse potrà giovare, perchè noi non chiediamo un atto benevolo dal Governo, ma la riparazione d’una ingiustizia compiutasi a danno della Sicilia, che per questo riguardo, come in tanti altri, fu con- siderata come una -accessione delle provincie vicine continentali. Si volle così disconoscere e la storia e la gloria intellettuale di questa isola, che in ogni tempo fu uno dei più puri focolari del pensiero, di ci- viltà superiore. 0E:SSEIDIS CIENZE TUR APRSDAESA NE Ae, DIE mme RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA eseguite in Sicilia nel triennio 1904:06 e 00 —. Lettura fatta dal Vice-Presidente PROF. ADOLFO VENTURI nell'adunanza del 1S Novembre 1906. Go Do RIZICAZIONIA SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA eseguite in Sicilia nel triennio 1904-06. Signori, Or compiono esattamente sette anni dal giorno in cui ebbi 1’ onore di intrattenere questa insigne Accademia sui primi risultati delle operazioni di gravità che nell'Isola nostra venivano istituiti per una scientifica intesa fra l'Osservatorio di Catania e l’Istituto di Geodesia affidato alle mie cure. Io mi limitai in quel giorno a riferire ai Colleghi ciò che più interessava conoscere in riguardo alle determinazioni che io, col personale dell’Istituto geodetico, aveva compiute nelle piccole isole che, quasi satelliti immobili, circondano l’isola madre, da tramontana a mezzogiorno. Quelle prime ri- cerche erano state condotte a termine mediante gli ajuti che agli scarsi mezzi del Gabinetto erano stati apprestati e dal Ministero della Marina, e dalla munifica azione che il Comm. Florio volle esercitare sulla Navi- gazione Generale Italiana in ordine ai trasporti marittimi. Ma quella prima campagna valse ad attirar su questi lavori 1’ attenzione benevola della Commissione reale che presiede alla Geodesia italiana; e da allora in poi, questo Istituto geodetico fu messo in grado di compiere altri lavori del genere, senza ricorrere alla privata cooperazione, non sempre pronta, non sempre adeguata, e mi si lasci dire, mai decorosa a chiedersi da un Isti- tuto scientifico di Stato. Non v'intratterrò di nuovo, o Signori, su quanto nella seduta del 14 no- + RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA ‘vembre 1599 ebbi ad esporvi sul problema internazionale che mira a rico- noscere la vera forma della Terra in base, fra altro, alle misure del valore che assume la costante di gravità su tutta la superficie del globo. E quando dico superficie del globo, intendo, come vuole la teoria, tanto la superficie solida che la liquida, che insieme limitano all’esterno la massa del nostro pianeta. Intanto, considerate, o Signori, la sicurezza audace della scienza. Quando i geodeti volsero l'animo al gran problema di cui vi parlo, si era in grado bensì di far determinazioni di gravità sul suolo rigido delle terre, ma nessun mezzo si aveva di affrontare simili ricerche sulla superficie mobile dei mari, sui quali, evidentemente, il metodo pendolare possibile solo sopra sostegno rigidamente saldo, era affatto inapplicabile. Eppure i geodeti non, esitarono ad intraprendere i lavori, allora solamente possi- bili, di Terra ferma, che pure è la minor parte della superficie del globo, confidando, con balda fiducia, che si sarebbe trovato un adatto metodo per esplorare anche le vaste ed instabili superfici dei mari, senza il cui contributo sarebbero state le altre misure terrestri pressochè inservibli. E come la fortuna giova agli audaci, così l’ invocato mezzo di studiare la gravità su plaghe interamente marine, venne acquisito alla scienza per merito degli illustri uomini Helmert ed Hàckel. Il principio a cui que- st'ultimo informò il suo metodo, era stato già accennato da Mascart; ma ad Hzckel va il merito di averlo reso praticamente efficace. Quel principio consiste nel confrontare una tensione con un peso; la prima non dipende dalla gravità, il secondo, invece, è ad essa soggetto; se ora il peso e la tensione si equilibrano, questa, quando sia nota, dà la misura di quello, e fa. quindi conoscere l'intensità della gravità, la quale, com'è noto a parità di massa, è proporzionale al peso. La tensione, nel metodo di Hiàckel è quella dell’ atmosfera, determinabile direttamente coll’ osservazione della temperatura a cui bolle l'acqua: il peso di cui sopra è parola, è quello della colonna barometrica; l’istromento, l’ipsometro. Il risultato dei primi studî relativi, è stato questo notevole, che dà nuova forza alle celebri ipo- tesi di Faye e di Pratt, cioè che la gravità oceanica segue molto da vi- cino la legge teorica, dalla quale, invece, più o meno si discostano i va- lori che di essa grandezza vanno determinandosi sui continenti e sulle isole. Ma non è già dei risultati di Hickel ch'io venni ad intrattenervi, Signori, sibbene di quelli più modesti che io ebbi a conseguire in Sicilia; e se dei primi fui portato a far cenno, gli è perchè i fatti cospicui e uni- versali assorbono di più la nostra attenzione, e lasciano in una tal quale penombra quelli elementi o quelle circostanze che son d’indole più locale e particolare. Dopo la campagna del 1899, distratto da altri uffici, non ebbi agio di ESEGUITE IN SICILIA NEL TRIENNIO 1904-06 D riprendere il lavoro se non nella estate del 1904. Occorre ricordare. che alla fine del 1899 le misure gravimetriche esistenti in Sicilia erano quelle poco prima eseguite dal Direttore dell’Osservatorio di Catania, Prof. Riccò, sulla costa orientale dell’Isola e attorno all’Etna, e quelle da me compiute oltre che a Palermo e a Trapani, nelle piccole isole Ustica, Favignana, Pantelleria: e di queste detti conto a questa illustre Accademia. Nel ripren- dere, dopo quattro anni il lavoro, si disegnava indispensabile un triplice programma, affin di giungere a distendere su tutta l'isola, una ben con- testa ed uniforme rete gravimetrica. I tre rami di questo programma dove- vano essere : 1° Esplorare 1 interno dell’ Isola, poichè sino allora non si avevano che determinazioni costiere, ed estendere queste ultime, sia ope- rando lungo tutta la costa Sud, affatto inesplorata, sia completando lo studio della costa Nord da Termini a Milazzo; 2° Eseguire una nuova deduzione della gravità a Palermo, che per noi è stazione fondamentale, affine di esser maggiormente assicurati sul valore di quella costante che serve di sostegno a tutte le altre misure gravimetriche ; 3° Effettuare uma opera- zione comune in un luogo determinato, fra il Prof. Riccò e me, onde con- statare se i due gruppi di misure, eseguite con istromenti diversi. con provenienze varie, e con metodi non interamente conformi, fossero compa- rabili, ossia, se potessero i due gruppi di misure venir riuniti in un sistema unico, uniforme, omogeneo, tale insomma da potersi considerare come il sistema gravimetrico siciliano, interessante assai il mondo geodetico, poichè la nostra sarebbe la prima grande isola completamente esplorata dal punto di vista gravimetrico. Voi intendete, o Signori, come un tal programma fosse di non poco momento, e non privo di cause emozionanti; chè anche la scienza ha le sue emozioni, e non solo l’arte; ogni volta che la mente si approssima al vero, sì sente compresa da un senso di riverenza che è identico a quella che prova il credente a piè dell’altare. Ma nel mio caso l’emozione nasceva anche da ragioni subbiettive. Si trattava di saggiare i risultati da me ottenuti confrontandoli con altri omai sicuri, fuori di qui determinati con notevoli mezzi di precisione e di competenza. L'alea corsa era quella, o di avere assicurata, una volta per tutte, l'attendibilità delle mie determinazioni, o di veder vacillare 1’ edifizio con tanta fatica morale e materiale elevato. Chi conosce l'estrema delicatezza delle misure gravimetriche, sa che spesso basta un imprevedibile nonnulla, un decimo di secondo di dubbio nell’accertamento del moto diurno del pendolo, un’in- finitesima flessione insospettabile del piano d’agata dell'apparato di Sterneck, e simili cause evanescenti, per compromettere irrimediabilmente anche la più coscienziosa ed accurata di tali operazioni. Era dunque naturale una certa preoccupazione: ma non trattenuto da questa, bensì solo curando la 6 RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA severità del cimento, scelsi a controllo l’ Osservatorio di Padova poiché l'illustre Direttore Lorenzoni è il più competente in materia che vanti l'Italia. E la doppia investigazione fu compiuta nell’estate del passato anno, riuscendo a risultati concordantissimi, quali posson dirsi quelli che diffe- riscono fra loro di quantità inferiori alla tolleranza ammessa, che è di c.m 0,005. Questo risultato confortante conferisce alle quantità gravimetriche del- l'Isola una sicura attendibilità, la quale non potetti così recisamente at- fermare la prima volta che di questi studi vi diedi notizia, o Signori; imperocchè allora i pendoli di Sterneck non avevano subito che la iniziale campionatura di Vienna. La verifica di Padova, toglie omai ogni dubbio in proposito. Ma, come sopra ho accennato, occorreva ancora concatenare le osserva- zioni orientali eseguite dal Prof. Riccò, con le occidentali, di mia compe- tenza, affine di assicurarci che le une e le altre potessero riguardarsi come pertinenti ad una stessa famiglia. Fu scelto Milazzo come luogo di allac- ciamento ed insieme di verifica: in quella città il Riccò aveva stazionato nel 1898; io vi operai nell’agosto decorso... ed anche stavolta il coordina- mento risultò più che soddisfacente, poichè la differenza fra i nostri due risultati non superò c.m 0,006 ; sempre vicinissima, quindi, alla tolleranza sopra dichiarata. Da quanto ho esposto si rileva, quindi, che la rete gravimetrica della Sicilia è da considerarsi quale uniforme, omogenea, e poggiata sopra base sicura. Questi risultati importanti era opportuno di mettere in evidenza, anche senza rispettare l’ordine cronologico secondo cui si sono svolte le operazioni di gravità nel triennio 1904-5-6; ma dopo questa piccola infra- zione, che spero sarà perdonata, vengo a dar breve conto, in ordine suc- cessivo, degli altri lavori eseguiti, e che al piano generale sì riconnettono. Nel 1904 le investigazioni furono di preferenza istituite nel massiccio centrale dell'Isola ove era interessante accertare se il fatto generalmente osservato della diminuzione di gravità nell’ interno delle terre, trovasse, anche presso di noi, nuova conferma. A questo scopo, furono scelti tre punti configuranti un triangolo pressochè equilatero assimilabile al cuore dell'Isola, e a distanze non grandi, sì da poter reciprocamente sostenersi nella concatenazione dei risultati: Villalba (Vicaretto), Caltanissetta, Castro- giovanni. Come si prevedeva, risultò luminosamente provata la deficienza di gravità, in quel triangolo: e precisamente, a Villalba fu di c.m 0,018, a Castrogiovanni di c.m 0,027, a Caltanissetta di ben c.m 0,067. In que- st'ultimo luogo si è dunque riscontrata la maggior deficienza di gravità sinora offerta dalle varie contrade della Sicilia, non esclusa la regione ESEGUITE IN SICILIA NEL TRIENNIO 1904-06 [ Etnea, la cui anomalia negativa è di circa c.m 0,013. Ora, siccome ai di- fetto di gravità, corrisponde un difetto di massa nel sottosuolo rispettivo, e tal difetto può esser dovuto a cavità, a materie disgregate, o poco dense, etc. si può, con gran probabilità di esser nel vero, affermare che il sotto- suolo dell'Etna, per quanto solcato dalle gallerie di dejezione vulcanica, deve esser più pieno, più omogeneo, più denso dei terreni sottostanti al centro dell'Isola. Ed è, infatti, questa un'affermazione che non deve pro- durre meraviglia, se si osserva che Caltanissetta è nel bel mezzo di una regione solfifera, la quale, secondo i canoni della geologia, dato il suo modo di formazione, non poteva costituirsi che in seno di terreni frazionati e leggieri. E ciò è confermato anche dalla determinazione fatta a Girgenti l’anno dopo (1905), ove si riscontrò pure un difetto sensibile di gravità, ammontante a c.m 0,027: ed è noto come anche il territorio di Girgenti sia come quello di Caltanissetta, ricco di depositi solfiferi. Ma nello stesso anno 1904, per essere in grado di fare dei confronti istruttivi, si operò anche in altro punto, che pure essendo interno non ap- partiene più al grosso del distretto minerario; intendo nonrinar Corleone. Qui la gravità si trovò in eccesso, quasi a confortar le vedute precedenti: ed esattamente fu l anomalia positiva di c.m 0,059, tuttavia minore di quelle che si erano riscontrate sino allora sulle nostre coste, orientali e nord-occidentali, e di cui ebbi l'onore di intrattenervi nella precedente mia comunicazione. Ed anche questo fatto depone in favore delle teorie omai da tutti accettate; le quali assumono che l'eccesso più forte di gra- vità si debba verificare , salvo eccezioni specifiche, come quella che ve- demmo a Girgenti, lungo le coste marine. E senza neppure ricorrere alle misure precedenti, dette saggio di ciò l’ultima stazione fatta nella frut- tuosa campagna di quel medesimo anno (1904), nella città di Termini; ove l’eccesso di gravità salì a c.m 0,068, superiore, quindi, a tutte le altre ano- malie scoperte in quella campagna. Nell’ anno successivo, nuovi fatti interessanti venivano messi in luce. Il programma consisteva nella esplorazione di tutta la costa Sud, da Maz- zara a Vittoria, lungo la quale nulla si sapeva delle anomalie gravime- triche, ma che poteva presentare dei fatti singolari, in relazione alla strettezza del canale marino siculo-africano. E che la speranza non fosse insana, si assunsero di provarlo i notevoli risultati che dalle esperienze si trassero. Si è sopra ricordato, come le anomalie costiere sogliono essere forti perchè le linee littoranee si considerano quali plaghe di condensa» zione dovuta al formarsi della concavità marina: lungo la costa sud, in- vece, furono riscontrati eccessi di gravità assai deboli, rispetto a quelli congeneri della costa settentrionale ed orientale; poichè partendo da Tra- RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA (0 è) pani con c.m 0.092 si giunge a Milazzo con c.m 0,120, e uscendo da Mes- sina con c.m 0.108 si arriva a Pachino con c.m 0.147. Tali eccessi risul- tarono invece di c.m 0.039 a Mazzara; c.m 0.055 a Sciacca, c.m 0.012 a Licata, c.m 0.049 a Terranova. Di Girgenti ho già parlato : ed anzi, per esso, anzichè un debole eccesso, abbiamo un difetto di gravità, che può in parte connettersi alla natura del suolo. A Vittoria, invece. l’ eccesso ritorna conforme agli altri. caratteristici dalle stazioni costiere. cioè c.m 0,110: ma si consideri che tal località. tiene tanto alla regione meri- dionale, quanto alla orientale dell'Isola : e in quest’ultima le anomalie son forti: avendosi p. e. c.m 0.187 a Pachino. c.m 0,155 a Siracusa, c.m 0.147 a Noto, ete. luoghi questi. tutti vicini a Vittoria, la quale. quindi, rientra nel sistema di questi ultimi. Ma discutendo i risultati ottenuti sui rimanenti punti della costa meri- dionale, si può trarne. colla prudente riserva che mai deve scompagnarsi da argomentazioni siffatte. qualche lume che possa portar contributo a chiarire una celebre controversia geologica. Fu mai. in età indicibilmente remote. l'Africa congiunta colla Sicilia, e si venne da questa lentamente distaccando per abbassamento graduale del suolo ? Argomento a tal con- gettura fu dato dalla piccolissima profondità del mare nel braccio più stretto del Mediterraneo. cioè da Mazzara a Tunisi. Quel canale può chia- marsi, un bassofondo. poi che la massima profondità che s'incontra al largo non arriva ai cento metri, mentre lungo le altre coste dell'Isola, il mare rapidamente si sprofonda in abissi, che raggiungono i 2000. 2500 metri, a poche miglia dalla costa. Una scuola di geologi esteri, con a capo il Suess, quella stessa scuola catastrofica, che ha intravisto l’inabissarsi della favolosa 7rrenzde. vuole ora predire la stessa sorte alla perla del Mediterraneo. Essa, basandosi sopra presunte analogie di ordine prevalentemente biologico, pone a base dei suoi criterî l’ipotetica unione dell’ Africa colla Sicilia : e considerando il fondo marino da Mazzara a Tunisi, come un istmo sommerso, profe- tizza il graduale abbassamento di tutto il sistema insulare Siciliano. sino alla sua lenta scomparsa sotto gli azzurri flutti di quel mare che ora ne lambe i contorni, e che si aprirebbe per inghiottire quella terra che per lungo volgere di secoli esso. sempre infido, accarezzò col suo lieve riflusso, poi che le sue furie si fransero contro le rupi salde ed incrollabili. che dell'Isola sono i baluardi potenti. Questa la previsione triste: e di questi giorni pure ne sentiste un eco, o Signori, nell’ insistente preoccupazione di alcuni, sul presunto affondare di Malta. Invano i geologi italiani. non per sentimento, ma per validi argomenti, han combattuto e combattono tali teoriche... non perciò cessa la scuola avversaria di profetare un tempo, ESEGUITE IN SICILIA NEL TRIENNIO 1904-06 9 in cui il navigaute passando colla sua nave sul luogo ove ora Castrogio- vanni estolle al cielo le torri del suo castello normanno, abbia melanco- nicamente ad esclamare: “ Hic olim Trinacria fuit; comechè ad esso la lontanissima tradizione avrà dovuto portare all’ orecchio le meraviglie di questa classica terra. Ma le misure gravimetriche della costa sud, debbono poter dire una parola al riguardo: parola né assoluta né definitiva, non dovendo noi ol- trepassare, nell’interpretarli, il significato dei fenomeni, che la scienza ci svela; ma sempre parola che potrà orientare la nostra mente in un senso determinato. Ora, il significato della debole anomalia riscontrata sulla costa sud rispetto alla settentrionale e ancor più alla orientale, è che sotto il fondo del mar africo vi debbono essere delle deficienze di densità molto maggiori che non sotto i fondali delle coste rimanenti; e ciò tanto più, che questi essendo molto più profondi del braccio siculo-africano, dovreb- bero meno agire sui pendoli-misuratori della gravità, mentre avviene il contrario. Stabilito questo criterio che corrisponde a leggi fisiche determinate, ne discende a fil di logica essere difficilmente ammissibile che il letto del mare africano fosse una volta allo scoperto; poichè coll’abbassarsi di esso, la materia ond’'è composto, avrebbe dovuto provare un addensamento, an- zichè un’ attenuazione od una costituzione cavernosa o frammentaria, alle quali circostanze par che accennino le misure gravimetriche sopra ripor- tate. Anzi, volendo andare sino al fondo di queste deduzioni, si potrebbe anche azzardar l'ipotesi opposta a quella del Suess, ed opinare che il fondo del predetto mare vada lentamente sollevandosi: opinione che al dire del Di Stefano, è caldeggiata da varî geologi, che per altri criterî di inve- stigazione, trovano dei segni certi di sollevamento nella stessa costa sud dell'Isola nostra. Questi risultati già sono stati utili in altri rami di studio: citerò la Comm. geod. italiana, e le dotte ricerche sugli antichi porti della Sicilia isti- tuite dal Ch.mo Prot. Columba. Voi, vedete quindi, o Signori, qual prezioso contributo portino le mi- sure di gravità nello studio della distribuzione delle masse costituenti la crosta solida del nostro pianeta; quale ajuto valido esse porgono, quindi alla geologia, e, sotto certi aspetti anche alla geodinamica; senza contare poi lo scopo intrinseco e generale che tali studî hanno in se stessi: intendo, la ricerca della vera forma della superficie meccanica della Terra, cioè di quella superficie riassumente nella sua configurazione l’ effetto combinato delle forze nevotoniane e centrifughe che agirono al principio delle cose, 10 RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA sulla massa fluida che allora costituiva il nostro pianeta. Quale problema terrestre più gigantesco e grandioso di questo ? Esso è ben degno di at- faticare tutte le nazioni civili; e nell’altezza del compito ben è facile ai singoli, attinger le forze bisognevoli per concorrere efficacemente, ad onta di fatiche ed ostacoli, alla soluzione di un problema che sarà onore pe- renne della Scienza e del secolo che l’ha concepito. DETERMINAZIONE pon LATITUDINE dell Osservatorio Metereologico Geodinamico dell’ Andria IN MESSINA Comunicazione fatta all’ Accademia Prof EMMANUELE SOLER 4 ar È ia DR: (SE br pag t e. n" ancarata ‘T : CERTI 243UMA I ) si si n ti MEET TC CO OO TO cIoo roc SON CO OC OCON Oo roc ico Oc, eStTSttSZt Essendosi costruito in Messina un nuovo Osservatorio Metereologico Geodinamico, detto dell’Andria *, stimammo assai opportuno sotto vari punti di vista, la determinazione della sua latitudine astronomica. Esso difatti, sorgendo sopra un rialzo di terra ed in luogo isolato, è visibile da molti punti della Città e da tutte le alture circostanti alla stessa, e quindi è adatto a successivi lavori d’indole geodetica ed astro- nomica; oltrechè per lo scopo scientifico, cui è destinato, può sempre riuscire utile la conoscenza della sua posizione esatta. Si aggiunga che in Messina non esiste, per quanto sia a nostra conoscenza, alcun punto determinato astronomicamente. Per la operazione accennata ci avvalemmo di uno strumento Univer- sale Ertel, che ci era stato sin dal 1903 gentilmente concesso dalla Com- missione Geodetica Italiana. Esso era stato da noi sottoposto a minuto esame, e già nella estate del 1903 avevamo fatto collo stesso alcune osservazioni di latitudine in una loggetta astronomica appartenente allo Istituto Tecnico e Nautico, e sito nello ex-Convento di S. Filippo Neri. Di tali osservazioni non ci potemmo valere per la determinazione della latitudine dell’ Osservatorio, giacchè questo dista dalla loggetta circa 1 Km., e non ci fu possibile, per ragioni d’indole economica e topografica, eseguire tra i due punti un riattacco, cui si potesse prestare sufficiente fiducia pel trasporto della latitudine. Si riconobbe quindi necessario di stazionare sopra luogo, e solo nella estate di quest’ anno ci fu possi- bile avere ne’ locali dello Osservatorio una stazione adatta alle nostre osservazioni. * L'Osservatorio dell’Andria fu fabbricato dalla Provincia e dal Comune, e la sua dire- zione è stata da qualche tempo affidata al Prof. di Fisica Terrestre della R. Università. Mn __——;«-<_r_- SIIIASIISISSASISSSISSSISISSISSII SSIS 4 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE Nello spiazzato, che circonda il fabbricato, si scelse un punto adatto perchè la roccia, su cui si voleva fondare il pilastro di sostegno dello strumento, non fosse soverchiamente profonda rispetto al livello del suolo; e quivi sopra una solida base di calcestruzzo , si elevò un pilastro di mattoni alto m. 1,20 sul suolo e del diametro di cm. 60. Intorno ad esso si costrui un solido capannone di legno di figura qua- drata (m. 2,20 di lato), con apposita fessura nel meridiano , difesa da sportelli mobili intorno a cerniere. Una pedana di legno, alta m. 0, 14 sul suolo, sostenuta dalle pareti del capannone e da sottostanti sostegni in muratura, lasciava il pilastro completamente isolato. L'altezza della faccia superiore del pilastro sul mare risultò di m. 54, 10, la quale altezza si determinò mediante la misura del dislivello tra la detta faccia ed il pozzetto del barometro dell’Osservatorio, essendo già nota l'altezza di detto pozzetto sul mare da una livellazione eseguita nella Città dallo Ufficio Tecnico Comunale. Intanto noi nel giugno di quest’ anno ci occupammo di rivedere lo strumento nella detta loggetta dello Istituto Tecnico; e nel luglio, agosto e settembre facemmo nella nuova stazione dell’Osservatorio una deter- minazione di latitudine, di cui diamo in seguito esteso resoconto. Crediamo doveroso rendere vive grazie alla Commissione Geodetica Italiana, che gentilmente ci concesse lo Universale Ertel, ed al Prof. Gi- glio, Preside dello Istituto Tecnico di Messina, che ci permise di stazio- nare a più riprese nella loggetta di detto Istituto. Messina. Ottobre 1905. ——- =_= _ = e HUIVIBINKAMAVITRIVOHTMRHISAMASNNROVITRTEJOMIETIVISINCLMOMSAMIGNEMOVOJMCHOKMISKMULOOROOVOMIOTOMATOTROCO TAM SONOMONOVIOGIOMOMASMANIVMENIVIOTASMRONOO MANNARO n AATITIMIINIIMANIKMAVIARITI}MI{VIMALLVITIVDKH(MILIVMACKTOISAVMIVNKA0NITMAIOTIRIONAROALKMIIO MISTA NINIONN DUCK TINIRO IMITA (MANKIRITIt O EZARIESI Studio dell’Istrumento Lo strumento Universale Ertel adoperato è a cannocchiale spezzato. Il cerchio azimutale, non reiteratore, è diviso sino ai 3‘, leggibile con nonio sino ai 6”, e mediante due microscopi micrometrici sino al 1’. Il cerchio zenitale, non reiteratore, è diviso sino ai 15’, leggibile con nonio sino al 1’, e mediante due microscopi micrometrici sino al 1”. I detti due microscopi sono portati da un sostegno fisso all’ asse , e che porta la livella zenitale. Ecco le dimensioni principali dello istrumento : Diametrogdelifcerchiogazimutale e e e 100 » » ZENICA LC N n a O TI IO » 250 INITEZZA SINO RA CUSCINI OO » 500 Dieimero cdealloboemivas de ae 0 » 50 Distanza focale del cannocchiale... 0/0... » 510 Luni:hezza gu DORObDIECtto RO 230 Lunghezza albero orizzontale fra i cuscinetti . . . . >» 200 Diametro albero orizzontale. \\/G./ G/L » DI Lo strumento è provvisto di due oculari, con ingrandimento di 30 e di 40. Si adoperò sempre il primo. Il campo s'illumina da un estremo dell’albero orizzontale. Non dispo- nendo di lampadine elettriche, per non riscaldare lo strumento durante 6 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE le osservazioni, ci servivamo per la illuminazione del campo di lam- pade a petrolio fisse alle pareti del casotto. Esponiamo qui sotto lo studio dell’istrumento per le parti che interes- sano le osservazioni di latitudine. Studio dei microscopi micrometrici - Error periodico delle viti I microscopi micrometrici del cerchio zenitale , segnati con A e 5, portano una seghetta con 15 denti. Lo intervallo della graduazione ze- nitale visibile ai microscopi è di 5’, e comprende 5 denti. La vite mi- crometrica, per un intero giro di tamburo (la cui testa è divisa in 69 parti) sposta i fili da un dente all’altro. Ogni parte di tamburo vale quindi approssimativamente 1’. Per istudiare lo errore periodico delle viti adoperammo la solita for- mula binomia acosl+ bsin ? (1) dove 2 è la lettura del tamburo; 4a e è incognite da determinarsi. È noto che la determinazione di dette costanti può aversi per mezzo di successive misure di un intervallo ben definito, p. e., di quello com- preso tra i due fili micrometrici mobili. Pertanto, scelto un tratto ben distinto della graduazione, collimavamo le stesso con uno dei fili mobili; quindi, dopo fatta la lettura del tam- buro, lo collimavamo coll’altro; e poi, usando la vite micrometrica ze- nitale, portavamo il tratto sul filo precedente, e così via via finchè re- stava coperto lo spazio di 5 denti, incluso tra due tratti consecutivi della graduazione. A partire da un dato punto del tamburo l’ operazione si rifaceva quattro volte; e per ogni microscopio, e-per uno spazio an- zidetto, si ripetè 16 volte, iniziando con letture diverse del tamburo. Inoltre, poichè era nostra intenzione adoperare nelle osservazioni il metodo del ru2, e quindi leggere due tratti includenti uno degli zeri della seghetta, così ripetemmo l'operazione per due spazi di cinque denti, quelli cioè entro cui sarebbero potuti cadere i tratti della graduazione nelle letture zenitali. Si procedeva nel senso crescente delle letture del tamburo. DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 7 E noto che detto è il valor vero dello intervallo compreso tra i due fili mobili, è, il valor medio delle misure fatte nelle varie regioni della vite, e posto di i + k dove 7 è incognito, la (1), opportunamente trasformata, dà lo errore re- siduo di lettura, mediante la A=k+42asin (4, — 2) sin na (+ 2) — 2bsin LI (la — 2) cos DI Lo (=) (2) dove ?, ed /, sono le due letture effettive del tamburo, collimando il tratto prescelto coi due fili; e è, — (4,-- 4) = © lo scostamento dalla media di una data misura dello intervallo lineare. Mediante la (2) si stabiliscono le varie equazioni per le varie regioni della vite esplorata, partendo da punti diversi del tamburo, e col me- todo dei minimi quadrati se ne ricavano a, db, &. Nei quadri seguenti riportiamo, pei due microscopi, le medie degli intervalli misurati nei due spazi anzidetti, corrispondenti a letture ini- ziali, che si tenevano ogni volta possibilmente identiche pei due spazi. Tali medie potemmo adottare per la poca diversità dei valori dello intervallo rispondenti a letture iniziali vicine. In detti quadri L, è la media delle letture iniziali; /Z il valore dello intervallo; v lo scostamento della media segnata a piè del quadro. DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE Microscopio A Microscopio 5 za î era I v Î Î | p P p | D D D__| 0, 03 34 44 | 148 | 45,45. || — 500 4,70 Milg | Li gi | 6,17 46,32 | — 1,99 | 10; 12 34, 80 4 107 11, 15 di, 45 — 0},22 12, 51 84,99 | + 0,88 12, 62 43,78 | -- 0,55 15, 20 54, 85 + 1, 02 15, 45 44, 92 — 0 56 20, 00 36, 15 | — 0,28 19, 19 44,23 | — 0,10 24, 19 35, 19 + 0, 68 23, 02 9, 43. | La, € 28, 00 36, 53 | — 0,66 27, 30 49; 50 | -- 1, 83 31, 28 Ma = 189 28, 60 3 | — 02 | 36, 02 ST. 48 | — 1,69 33, 30 44,92 | — 0, 59 40, 20 35 = 088 37, 62 3 | 135 43, 46 35, 64 | + 0,28 41, 22 MES | 0 47, 81 37,52 | — 1,65 49, 65 44/62 — 0,129) | | || 51, 18 36, 57 2. (70 44, 67 45,03. | — 0,70 | 54, 51 35, 4 | + 0, 43 50, 45 Mat 59 olt19 | | | 57,24 36, 40 | — 0, 54 56, 95 43, 67 | -4 0, 66) | Media : 35, 87 | Media : 44, 33 Dalla (2) precedente si cavano per ciascun microscopio le equazioni : Microscopio A Microscopio 5 A=k-+-1,89a-+0,450-+1,43 A=k+-0,95a+ 1,000 — 1,12 di 48 1,97 di 9 410,00), La — 100) 1-10 0 -Li1,63 Li 0g = SL189) — 0,22 140,00 -+1,98 -+0,88 1— 0,68 1,33 0,55 059 Lie Lio Loi 04 +0 — 059 = «Li —0,93 1— 1,36 40,55 -+0,10 11,82 +0,64 -+0,68 = 59 =10,13, «L1,685 il=1,88 =03 —0689 i=:2%9 —0,59 «Li, E iL 0 187 = ii —084 — 08 1-00 —15 = 1- 0,61 —1,28 — 0,59 10m — 167 =0,93 Op oi Li, 1-4 0,26 — 1,89 --0,23 LOGO = 89 LO. 23 161,17 — 120 — 1,6 100,7 =1,33 —0,29 tes =1,0 —G790 1-09 2109 =070 1-41,84 —0,55 --0;48 l-{4-1,40 —0,34 — 0,19 a) LO ai 1-4 1,39 -+0,58 +0,66 DELL'OSSERV. MEDEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 9 Da questi quadri si ebbero le seguenti equazioni normali : Microscopio A Microscopio £ 16%X+2,10a4+0,590 —0,12=0 164%X—2,50a4— 1,006 —0,04=0 29, 51 4 +0, 620+ 6,99 =0 — 16,45a—1,988— 5,67 =0 — 29,170+15,40=0 ——__ —17,686—3,88=0 da cui, rispettivamente, i valori delle incognite : Micros. A: & = +0, 057 a= — 0,230 e=0 24 Micros. B: &X = + 0,080 @= POS DIE=ITZON26A I valori veri degli intervalli sono quindi dati rispettivamente da : ) I! P 3 — 35,93 è = 44,41 La correzione periodica, data dalla (1), si può presentare noti i valori di « e bd, mediante. le P P Correz. A=-+- 0, 57 sin (2 + 23°, 41°) Correz. B=+ 0, 47 sin (2 + 55°, 30°) Esse servirono alla correzione delle letture zenitali relative alla la- titudine, sebbene restino inferiori agli errori temibili nelle osservazioni stesse. JUS Valore del passo delle viti micrometriche Per determinare il valore del passo delle viti micrometriche misu- rammo degl’ intervalli di graduazione del cerchio zenitale, distribuiti di 5° in 5° sullo stesso. Si ripeteva ogni misura tre volte, e si partiva sempre dallo zero del microscopio. Per le ragioni dette al $ precedente, tale ricerca si fece, in ogni punto prescelto del lembo, per due intervalli consecutivi visibili al microscopio, partendo per ogni intervallo dallo zero relativo. Delle due tavole seguenti la prima si riferisce al primo intervallo che diremo I-II, la seconda al secondo intervallo che diremo II-IILL In ciascuna son registrati sotto il simbolo Z lo eccesso algebrico delle medie delle determinazioni fatte in ogni punto su 300, e sotto il sim- bolo v gli scostamenti di esse dalla media determinata per lo intervallo medesimo. 2 E DELLA LATITUDINE )N DETERMINAZIO 10 Ieri 008 PE OP8 (SRO 088 quae 068 008 166 068 986 088 GLe 026 IIa 098 IG 098 ve Ove O([U9r] GHE 088 deg (0rere] IIa 018 406 008 461 061 981 081 (721 OLI SOI 00) II 041] (4) OVI Of] dl 06] OqUuIor] "N 0°9 CCNI gI1 0°0 v‘0 01] DAT iT 4 | 90] Ly L'&-4 | 001 L'8 98 46 0° VE 06 3‘0 90 48 ET | OT -+ | 08 8‘ Va 9) 6‘0 8% OL ira 6% 99 657 88 09 N] (010) LG Tg 09 051 Vi] Gp iI 8% Op qui se 6% (STE 0g 99 08 0‘ b'I 4 8‘ 6 0E 0° 9 gl 0'g = Pg 01 30 90 q ‘0 CAO) 0 «dl «dl tt) () di LUO] Vv "80, ‘TI-I OI[LBAA1OpUI 1l SSINA EODINAMICO DELL'ANDRIA IN ME ‘ T ICO G x ERV. METEREOLO( RI ’ DELL OSS Boise gra] «8 | Jaeger ee ae [ee] ai | |a co 4 | 0°0 GA GIS MOSS ei ae oi = | Bre e = oa ear | &r= | 004 |og= | ie gie | eg |a Aia Sigla | ie] ea goa to = 04 |Zo=| o Raro |a | 00 rele |gbo= | 70) 3 Opel|egzap|&z= |IASP| 001 de rar 004 | OE G‘04 | 0°0 Fe | 04 | 16 bo letra eg | 682. Bar |Ou= |ost ar | pos QUar|on Gt | Sig 01 Go ip O |a 08 E- [Er |a ae eta 6E-|#3E+|#'0—- | 00 GOG ok | | + |a =| 98 ‘0 GIO | e | 661 4 | 1038 Oca NCR ET ITA M00 Og | ear eos Ve || 08 0 sP 7032 ear Le | Ue GLOR2 NOM NOR] STAMI MECGIE 9T= ||| T=|2 Tara |O0G4 | 08 ||leg ae lid LE | Ok | ere | 0 = ISCR |M 6e= | ear | 0% 9T4+|0% SI OUaP | PT OT4 | 99 Tar|20= ema = | 0 Galant 1 OR=2 PO SISI MOST go |&T3p|gt= era] e TE Rare | Eh a TP. 0t= |a | = | i 07= |a | aero | SI 8T+4+ | #04 | 80 = | 063 Gap = | è | ao 0 F| Ea 88 | 00 ‘0 oops | «e || 2% 6404 | 81 SII CROSS PAT MONTA EGR ICT, tà ear |Oorg = | OI] e Tasto Noe ENER 09] PO | 6086 | 7 Fet|eps—- |\8E4 | o deb leG=| tipo. gi vu = | era iesr ag= | e = Gar ae |] Va 604 | #0 |8°T 4 | ef = | 09% 00= pia |a = | 6414 || 08 @ap | 0 TRE 26 tr | (996 0 lieta | st | Lg= |0@Gar|ito= || 8o=| seat CON CONTEA 097 bt applies Vetro |a @dgaploa=|e&4lek= | 0a bi |L0Tarlaeg = ata |a L0= || ose (| re =|06ar|2Ei=| 6871 | Dar @0arlEE= | 843 | ear |a BEI] 0% 0ET eTd-|aG+|9T+|o%=- | 07 OLO aper |0Gi = |a TE 9% Oa 70 cgI #0 4ar | 804P| 764 | BE =] 0 ‘0 So4|#0— |0°%0 a Te4+|9T-|0%0 Pa 022 MIOgI Oo | Tse 8 = gar | 0 da d d di o d d d d o d d d d o a ET; a T a T 0) T Q T a T OquIarg OQuIarTT OQuIOT T (SOIN Po SOIIN q_ SQMOTN P_ISOIDIT gT SOIN P_SOI9ITNT *III-II OIIBA1903UI 12 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE p Media ZL pel microscopio A = — 0, 38 » ». » » B=4+ 1,28 Intervallo I-II 1 parte di tamburo di A vale 1’, 001 > dici » 2 BD 04998 Media £ pel microscopio A = + 0,44 » » » » BEE 0, 46 Intervallo I-II. 1 parte di tamburo di A vale 1’,001 SS » > MO 998 Quindi il valore angolare di una parte di tamburo, ricavata dalla solita formula » 300 8004 può ritenersi pel microscopio A = 1”,001 » » 13 =: 007 Si ha inoltre Error medio unitario = Versi = 2,08 Micros. A 1 » della £ media = ===.2,08 = 0,25 V 72 Intervallo I-II. ( Error medio unitario = — RIA Micros. B ; | » della Z media = = 0% P na DI ( Error medio unitario = 32,18 TR ( » della Z media = = 025 Intervallo I-II. i n B ( Error medio unitario = Ao SRO dale meal = — 0,25 Si ha quindi in media : Error medio unitario per A: 2 B » » » » DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 13 III. Errori accidentali di graduazione I risultati del $ precedente sceverati dallo errore personale di colli- mazione, possono valere a determinare la diversità di grandezza degli intervalli di graduazione. Per determinare il detto errore personale si ripetè per 12 volte il puntamento di un tratto della graduazione con ciascuno dei due micro- scopi, e si ebbe come media delle due determinazioni Poichè i dati della tavola precedente provengono da collimazioni ai due tratti estremi di un intervallo, e ciascuno è la media di tre pun- tate, così si può avere lo error medio degli intervalli medesimi dalla Ciò posto, lo errore di graduazione del cerchio risulterà dalla mg=V Mm; — mp dove m; è lo error medio unitario, determinato nel $ precedente. Si ha quindi pel Microscopio A: my = 2”, 08 » » B: » = IO 98 Questo errore, abbastanza sensibile, si cercò di eliminare in parte te- nendo, come si accennò nei $$ precedenti, nelle osservazioni il metodo del run, ed inoltre disponendo opportunamente, come diremo nel Ca- pitolo seguente, le osservazioni stesse. 14 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE IV. Sensibilità della livella Questa determinazione fu fatta mediante un provalivelle a leva e vite micrometrica della casa Salmoiraghi, posseduto dal Gabinetto di Geo- desia della R. Università di Palermo. Il passo di vite, secondo determinazioni fatte nel Gabinetto di Fisica della stessa Università, vale 100", ed il tamburo è diviso in 100 parti numerate di 5 in 5’; e gl’intervalli sono così larghi da potere con piena sicurezza stimare il decimo di una parte. Una prima determinazione del valore della parte della livella fu fatta nello ottobre del 1903. Come si vede dalla tavola relativa, si fecero di- verse serie di prove. Nelle prime quattro si faceva scorrere la bolla da un capo all’ altro circa del tubo, che porta una graduazione continua da 0 a 60, provando in regioni diverse della vite del provalivelle. Nelle altre quattro la corsa della bolla si tenne più ristretta, e si provò sempre in regioni diverse della vite. Nello aprile del 1905 lo esame fu ripetuto, tenendo gli stessi criteri *. Come vedesi alle tavole relative, il valor della parte, arrestato ai decimi, si era nello intervallo di tempo mantenuto costante. Noi adottammo per detto valore 03) * Trovandoci noi occupati a Messina, questo secondo esame fu eseguito dal D.r Mineo, assistente nel Gabinetto di Geodesia della R. Università di Palermo. Ci è grato rin- graziare vivamente il detto D.r Mineo ed il Prof. Venturi, che ci permise l’uso del provalivelle. DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 15 (Ottobre 1903) Sensibilità della livella zenitale Lettura | Centro | Diffe- | Lettura | Centro | Diffe- | Lettura | Centro | Diffe- TCA | sensibilità Sensibilità Sensibilità tamburo] bolla | renza tamburo | bolla | renza tamburo | bolla | renza | ” | p p 55 36,3 p DO | 50 41,5 p DÒ 50 40,5 p di 6) 1,69 | 5,1 | 1,96 5,5 | 1,81 | 65 | 30,4 | 60 | 36,4 60 | 35,0 Ae Mae a mq 926 R È LI; (9) | 1128 6,0 | 1,66 6.1 | 1,63 | 70 | 28,5 70 | 29,0 85 | 19,4 | SUOI MEDIA 8 | 150 3,4 | 2,94 | 80 24,9 80 2250 (o 20 77 | 1.29 | 6,1 1,693 3,8 2,63 65 30.8 O 7 90 | 18,8 90 | 18,9 7,0 | 1,42 4,1 | 2,48 4,9 | 2,04 | 55 | 37,5 O |a Ou 9 9 4,1 | 2,48 5,0 | 200] 85 | 368 90 | 18,8 90 | 19,0 6,4 | 1,56 4,7 | 2,12 5,8 | 1,72 | 95 | 30,4 5 (3 80 | 23,5 80 | 248 AE Ge ee 5,3 | 1,89 2 | SE e ue 70 | 28,8 70 | 30,0 15 | 20,2 8,4 | 1,19 5,9 | 1,69 2,2 | 3,54 60 | 37,2 60 | 35,9 CA | / 9 e o 4 || 4,0 | 2,50 6,1|1,63 | 95 | 30,0 i 50 | 41,2 50 | 41,0 6,3 | 1,59 85 | 36,3 15 | 35,3 O | 41,0 0 | 40,9 5,9 | 1,69 6,1 | 1,64 gi es 2 PEC 10 | 34,9 10 | 35,5 35 | oa” dr 6,9 | 1,45 6,5 | 1,58 3,6 | 2,77 20 | 28,0 20 | 29,0 45 | 18,8 | 6,1 | 1,63 0 oi ea 30 | 21,9 30 | 22,1 yo 4,9 | 2,04 41 | 2,48 | 25 | 30,4 40 | 17,0 40 | 18,0 5,6 | 1,78 | 3,1 | 3,22 Za, | agg | 800 | 50 | 13,9 50 | 13,9 SISM MON63 3,5 | 2,85 | 45 | 36,5 40 | 40 | 17,4 6,5 | 1,54 4,8 | 2,08 GIO MET TO2N | NEGO REC CAI EA TO SON 2235 30 | 22,6 a lag dad 6,2 | 1,61 5,8 | 2,32 b;21 11:92 | 20 | 28,7 20 | 27,9 75 | 19,0 | 68147 SOA Lato | Pair 925 ai | 10 35, td) 10 35, 9 6, 0 Il 66 5,4 | 1,85 5,1 | 1,96 | 55 | 30,6 0 | 40,9 DU | 6,0 7,0 | 1,43 | 45 | 37,6 | 16 (Aprile 1905) DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE Sensibilità della livella zenitale | Lettura | Centro | Diffe- liamburo) bollo | renza fà Lettura | Centro | Diffe-| ——JLettura| Centro | Diffe- É Sensibilità | Sensibilità | Sensibilità Tamburo | bolla | renza | tamburo | bolla | renza | | p 80 | 25.5 P | 2.6 | 28.1 | 3,0 10 31,1 94 | 65 | 33.5 | 3,5 60 | 37,0 3,5 55 | 40,5 | Ipo) 50 | 42.4 | | | alza | 55 | 40,7 | | DD | 60 | 38,5 | 5,1 | 65 | 33.4 | 2,9 | 70 | 31.2 | | DI | 75 | 29,0 | | 3.4 [EDO 258 (LI [TO F593 | 10.1 | 80 | 25,4 | 12.0 60 | 37.4 | (11,7 80. | 25.7 | | 10,5 O | 15,2 | Sensibilità della livella (det. 1903 » Ì [Wap oe | 1,92 | eee oli ont i 3 10 | 30,7 | 4,3 | 2,32 | 1,66 | | bxde | 14,85 40 25,4 | 20 | 25.38 | 5,9 | 1,69 | 2,08 5,0. | 2,00 30 31,3 30 | 20,3 | | 7,0 | 12 1,43 5,4 | 1,85 20 38,3 40 | 14,9 8,7 | 1,15 | 1,48 | 44 |.2,27 | 30.| 29,6 | | SOMMO) | | 4,2, | 2,88 2, 63 | 5,0 | 2,00 40 25,4 20 | 24,8 | 6,2 | 1,61 | 2,94 | | 5,6 | 1,78 | 50 | 19,2 | 10 | 29,9 | 2,27 6,7 | 1,49 | 0 | 36, 6 | 0.98 | | 80 | 13,2 | 12527 ON STO 3,9 | 2,56 | | 3i6al2/2val ro azi 2.27 | 90 | 21,8 4,9 | 2,04 | | 7,2 | 1,39 | 60 | 22,0 | 1,47 80 29,0 Do) 169 | | 5012/00 50 ZIO) | 70 | 34,0 | 6,0 | 1,66 | | 6,2 | 1,61 | 40 | 33,9 | 60 | 40,2 5,2 | 1,92 1,98 | 6,3 | 1,58 | 50 | 28,7 110) 33,9 Did Lo | 1,67 5,8 | 1,89! 60 | 23,0 80 28, 6 4,6 | 2,17 1,70 | 62/61 70 18,4 90 | 22.4 | 5,1 | 1,96 1,90 3IOM2456 80 13,53 0 | 18,5 | ): 1°, 9410”, 041 > » (det. 1905): 1”, 863 +0”, 059 Sensibilità media dedotta dalle due serie di determinazioni : 1’, 902 + 0,005 PARIDE DI. Determinazione della Latitudine dell’Osservatotio dell’Andria . Determinazione del tempo Il tempo fu determinato mediante un cronometro Weichert N. 2153, regolato a tempo medio. Per lo stesso già da parecchio si seguiva allo Osservatorio l’ andamento mediante appulsi con un pendolo siderale, solidamente installato in una torretta in muratura, e la cui marcia è determinata dal personale dell’Osservatorio con uno strumento di pas- saggi Ertel, collocato in meridiano nella torretta stessa. Tali determi- nazioni, oltre che per gli usi dello Osservatorio, servono a dare il mez- zogiorno alla Città. Per quanto l’andamento del cronometro fosse sempre risultato abba- stanza regolare, pure noi determinammo seralmente il tempo, mediante os- servazione dei passaggi di due stelle orarie per il verticale della Polare nelle due posizioni del cerchio Est ed Ovest. Essendo l’oculare provvisto di 6 fili, il passaggio della polare si determinava ad uno dei due fili centrali. Le stelle orarie che si accoppiavano alla polare, si facevano passare pei sei fili, e poi le osservazioni relative si riducevano allo ideale filo di mezzo, mediante la formula i ove è è la declinazione serale *0S 0 della stella, ed f lo intervallo, ridotto in tempo, tra ciascuno dei fili ed il filo di mezzo. Per le distanze dei fili, le quali erano state già determinate nel 1903 mediante osservazioni azimutali terrestri ed osservazioni stellari, e fu- 9 ta) 1 rono nuovamente determinate nel giugno 1905 nella loggetta dello Isti- DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE (e 2) tuto Tecnico, si ebbero, come media, i valori seguenti : Fili II MI-IN II-IV IV-V V-VI Nan. d SISMI OLA Sosio sona Per la grande livella sovrapposta allo asse orizzontale il valor della parte fu determinato col provalivelle Salmoiraghi, con metodo simile a quello già precedentemente segnato per la livella zenitale, e si ebbe da 96 determinazioni da noi fatte nel 1903 : 3,067 +0, 026 e da altra serie di determinazioni fatte nel 1905 : Si d50==0N066: Si tenne per valore della parte: SI: La collimazione si rivedeva seralmente, adoperando una delle lanterne del Porto di Messina visibile da una finestra del casotto, e si correggeva, occorrendo. Pei calcoli della correzione del cronometro si adoperarono le formule relative dello Albrecht, Huljstafeln fiir geographische Ortsbestimmungen, Leipzig, 1894, pag. 26. vi Per controllo di tali determinazioni, si pigliavano seralmente degli appulsi col pendolo siderale anzidetto. Nella tavola seguente riportiamo le correzioni medie serali dedotte dalle due stelle orarie accoppiate alla Polare, e lo andamento giorna- liero ed orario del cronometro. DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL'ANDRIA IN MESSINA | Nome Correzione media Marcia Data delle stelle serale diurna N Gio iene 13 Luglio 1905 |? OPhiuchi | _L 0,49,26,80 Ì b}) S + 4,60 19m i sup detail 3 49, 54, 40 ; 4,63 SNNGINNS 8 e 43, 03, 69 i 4,30 ( v 4E a RO 4 ul D n Serpentis #5,16,99 4,30 OR v. Ophiuchi A GE 26 G D n Serpentis 45, 25,19 4,32 ” v. Ophiuchi TRECELIA i i Ù 1 Serpentis SEE 5,09 v. Ophiuchi 42 49 19 si p D n Serpentis e 5, 07 2 Agosto ) Aquilae 43, 59,27 Ù 5,10 Lage ”» 44, 09, 48 o ) | 4, 68 ° ” » 2 Ù LL 23, 54 ; ò ; 4,36 e aa na ) ; 44, 32,26 4,30 o nà 44, 36,56 i 4,30 12 di È ” 44, 45,16 Hi î 2) ” 4,71 0 Aquilae 48.9 2 7 P 62 Capricorni ZO 4,70 993 62 Capricorni 45.37.05 sa TE tE 3 Acquarii 199.40 4,50 6 f? Capricorni E E NE 29 9 PO 3. Acquarii SEL 4,63 96 62 Capricorni 45.50. 67 È. Da 3 Acquarii ein d 5,08 ? ce Sagittarii > 05.9 DE 46, 05, 91 5, dl G e Sagittarii 316 But i SIA 46, 16, 14 5.10 e Sagittarii 2 Settemb. Aquilae 46, 26, 34 Il Marcia oraria | | | | | Î | + 0,191 | 0,193 | 0,179 0,179 0, 180 0, 212 0, 179 0,179 0, 196 0, 199 0,211 0, 213 20 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE NÈ Osservazioni di latitudine Dati gli strumenti di cui disponevamo , credemmo opportuno tenere per la determinazione della latitudine il metodo delle distanze zenitali circummeridiane. Come stelle cirecumpolari tenemmo l'x e la è Ursae Minoris. Per attenuare l'influenza della rifrazione atmosferica , scegliemmo le stelle australi colla intelligenza che la media delle loro zenitali corri- spondesse all'incirca a quella delle Polare o della è Ursae Minoris, se- condo che si accoppiavano all’una od all’altra. E qui è bene avvertire che disponendo di un circolo zenitale non reiteratore, e nel quale si era verificato, come si vide al $ III del Cap. I, un errore di graduazione sensibile, credemmo di tenere delle stelle au- strali di declinazioni molto diverse, perchè le osservazioni relative ca- dessero in regioni discretamente lontane del circolo. Cercammo sempre, per quanto ci fu possibile, affine di eliminare lo errore del cronometro , di distribuire le osservazioni simmetricamente rispetto al meridiano, e di non superare per le australi negli angoli orari i 10%. Per la è Ursae ci spingemmo sin verso i 20", data la lentezza del suo movimento in prossimità del meridiano. Cercammo pure di tenere nei vari puntamenti degl’intervalli regolari di tempo, per quanto ciò fosse permesso dalle condizioni metereologi- che locali, giacchè per la prossimità dello Stretto si hanno delle pro- duzioni rapide di vapori, che spesso durante le osservazioni ci impedi- vano di seguire la stella con la regolarità desiderata. E per diverse sere le osservazioni ci riuscirono incomplete, e dovemmo quindi eli- minarle. i In quanto ai calcoli, ci valemmo delle formule contenute nello Albrecht, cioè per la Polare delle : o = 90° —z—xcost+Msin? t+N 1 SE SCO M= sinto d 1 «2 q// 9 . INC= 6 23 sin? 1” (14-3 tg? 7) sin? # cos # dove, com’è noto 2 è la distanza zenitale vera, = il complemento della DELL'OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 21 declinazione della Polare nell’ora della osservazione, lo angolo orario nello istante della stessa, ed M ed N son date dalle tavole 26 dello stesso Albrecht. In quanto alla è Ursae ed alle australi adoperammo la : q= dè Ez-Am+ A°cotg(o— 3). n bi per le australi ) — per la è Ursae , nella quale tenemmo: poichè si osservava con cronometro a tempo medio; ed 1 1 2 sin? — 9 sini — 2 sin gii 2 sin 9 iù = = 10== sin 1’ sin 1” avvalendoci delle tavole 28 e 29 del detto Albrecht. La rifrazione si calcolò mediante la formula di Bessel data dallo Al- brecht sotto la forma: log ff = logxtgz+ log B+1log 7+logy avvalendoci delle tavole 34 a — 7. In detta formula 2 è la zenitale apparente della stella, 2 la lettura del barometro, 7° la temperatura indicata dal termometro annesso allo stesso, e À log y è il termine correttivo per la temperatura esterna, che nelle tavole s’indicò con f. I dati barometrici e termometrici si determinavano varie volte du- rante la serata *. Quelli inscritti nelle tavole seguenti rispondono allo istante medio delle osservazioni per ciascuna stella; e le osservazioni barometriche sono ridotte a 0° ed al centro dello strumento. Le tavole seguenti hanno una disposizione abbastanza chiara, perchè siano necessarie lunghe spiegazioni. Accenneremo solo che le zenitali apparenti provengono dalla media delle letture fatte ai due microscopi tenendo sempre, come si disse avanti, il metodo del run, e corrette opportunamente degli errori di cui al Cap. I * Tali dati si ricavarono da un barometro a mercurio Fortin e da un termometro al decimo grado, posseduti dall’Osservatorio, e già campionati. 22 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE e della livella, che si teneva sempre possibilmente centrata, e di cui si adottò per valor della parte : I CO A piede di ciascuna serie di osservazioni si trova la media delle la- titudini singole inscritte nella ultima colonna delle tavole. Le posizioni apparenti delle stelle per le sere di osservazioni, e per l'ora media delle stesse relativamente all’« Ursae, furono cavate dalla O (es In quanto ai periodi delle osservazioni diremo che dopo un primo pe- riodo dedicato alla Polare, dovemmo espletare quelle relative alla è Ur- sae, giacchè questa già nella prima metà di agosto passava al meri- diano nelle primissime ore della sera. Nella seconda metà di agosto tor- nammo alle osservazioni della Polare e di stelle australi di declinazioni diverse di quelle tenute nel primo periodo. DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 25 Tempo medio Posizione cerchio | DENISE S 8,12, 42,0 14,02,0 h m SÌ x= 17,53, 50, 32 9, 42,22,2 45,28, 5 47,36, 3 51,31,3 54,01,2 56, 34,5 000 BHE56b In m N a=18, 16, 26, 10 10,04, 43,1 06, 14,2 08, 04,5 13,29,2 15,41,9 17.827 000. Be | Ì Distanza zenitale Riduzione Rifrazione Latitudine apparente al meridiano 15 Luglio 1905 x Ursae Minoris m/m = 1889, 470, 444 06 B= 1910 (= O, ‘4 IVINZI, ‘ ‘i o UU 52, 39, 45, 5I 1, 11,85 5243, 15 38, 11, 45, 79 BINZ2IA3: 83 52, 25,,90 44, 34 58, 48, 35. 81 51, 44,50 44, 36 38, 18, 45 79 51, 14,09 43, 85 3,45, 52 76 50, 40, 16 42,88 8,13, 25 5 50, 11,37 46,37 36,17, 69 68 49, 16, 18 46, 81 35, 39, 68 65 48, 38, 69 47,36 35, 08, 47 63 48, 08, 13 48, 03 34, 23,24 59 47,24,95 50, 12 33, 48, 65 57 46, 48, 71 48, 49 32, 54, 98 53 45, 58, 05 51, 54 g= 389, 11’, 467,66 y Ophiuchi m/m a ne ae oa 47,57, 04, 61 1,00, 84 0, 44, 09 38, 11, 47,00 56, 26, 57 82 0, 04, 99 48, 04 56, 20, 02 81 0, 00, 62 45, 85 57,02, 6L 84 0, 40, 21 48, 88 58, 04, 59 87 1, 37,68 53, 42 59, 27, 04 98 3,02, 41 51,20 g= 38°, 11°, 497,06 n Serpentis mim 5; Db) = 20, DO 3, 60 Bb a 191, 3 t= 20°, 2 41,07, 08, 89 06, 36, 82 06, 15, 49 06, 50, 67 07, 41, 56 08, 47,19 0, 47,85 82 81 83 84 89 oz 38°, al”, 47”, DI (i \vK O] SS O Q252 9 > 00 CASTO, (SS DI DI 00 Ol (0 0) [\0X(cp} 92,29, 19 49, 04 47,78 52,,29 bo 4 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE 2 Distanza zenitale | Riduzione ‘3 | Tempo medio Rifrazione Latitudine 2 apparente al PISTA Posizione 21 Luglio 1905 v Ophiuchi h m S tu/u x= 17,53, 50,31 3= — 99,45,337,92. B= 759,6 t=239,4 h_m s 070007, GI dI zo E 9, 11, 36,5 47,56, 44. 16 101,42 | 0,22,89 | 38,11,48.77 E 13, 35,4 56, 25, 03 40 0, 03.81 48,70 E 15, 35,7 56, 23, 75 40 0.00.76 | 50, 47 0) 19, 06, 3 56, 54, 99 » 0, 34,20 48,29 0) 21,356 57, 45,20 45 1.27.92 44 81 0) 23,275 58, 44,47 49 224,25 47,79 9 = 38°, 11’, 487,14 “ Serpentis h iù 3 mm x = 18,16,26,11 è=— 2°,55,127,84 B=7596 +=230,2 E 9,32,26.5 | 41,07,23,37 | 0,48,34 1,08,91 38, 11, 49, 96 E 34,294 | 06.33,22 | 31 | 0,21,58 47,11 E 36, 20.9 | 06,14,67 | 30 0,03, 28 46,85 O 39,22,6. | 06, 18, 96 30 0,08, 15 46,27 0) 41,22, 4 06, 44,27 31 0, 35.05 44,69 O 43, 18,5 07,31, 54 34 1.19, 02 48.02 « Ursae minoris h mim 231,99, è = 880, 47, d4”,87 B= "159,6 t= 23,0 E 10,01, 22,5 52, 01, 49, 45 1,11,10 14, 40, 88 38, 11, 40,33 E 03, 55,0 01 04, 49 07 13) 53. 68 38.12 E 06, 20, 5 00, 15,28 03 18, 12) 54 46,23 E 08, 20, 5 51,59, 41.92 01 12 31,19 38, 26 E 10, 07,5 59, 05, 22 10, 98 11.57,91 41,71 E 192, 33,5 58,20, 65 | 95 11.12.44 40. 84 0) 1RE35. | 57,07,49 | 89 9,55, 81 37,43 0) 18) 30,5 56, 31,01 86 9, 20, 90 39.03 0) 20, 13,6 55,56, 80 84 848,55 40,91 O 29 03,0 55, 23, 50 81 8,14,21 39, 90 O) 24 13,5 54,42. 77 78 7, 30,97 37,42 0) 26, 26.5 54) 01, 55 75 6,51, 43 39 13 di = 95 US O DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 25 Îa e | 52 Distanza zenitale Riduzione | S'S | Tempo medio Rifrazione Latitudine o 5 ® apparente al meridiano A 24 Luglio 1905 x Ursae minoris h mos mim E ZIRZOZONZII do = 889,400, 40°, 18 = TO (= Z5P0) | | | ms Udi 0 / ‘i Vo Ù 0) si IO, 8, 26, 57,5 52, 25, 41, 11 1, 11,21 38,40, 67 | 38,11,48,35 49 29, 16, 5 26:07, LL 13. | 38,01,04 42,75. | | E 32, 58,5 24, 08, 17 14 | 37,01,30 41,99 E 34, 48, 6 23, 36, 96 12 | 36,31,51 43, 43 | 19) 36, 46, 0 23,01, 68 09 35, 59, 56 46,79 | 0 42, 28,5 21, 40, 58 03 34, 41, 92 50, 31 | 0 45, 10,2 20, 44, 43 00 | 33,40,50 45,07 INNO. 50, 42, 5 19, 12, 73 10,92 32, 07, 36 43, 71 LO 52, 55,3 18, 32, 93 89 31,29,87 | 46,05 IO 55, 16,0 17,54, 12 86 30/4981 | 44 83 g = 380, 117,457, 33 ) Aquilae h mos A m/m a=19,01,159,06 è=— 5901/,17,00 B=#95,1 t=2490 E 10, 02, 16,5 43, 14, 35, 87 0, 51, 61 2,21, 6% 38, 11, 48, 81 E 04, 48,5 13,17, 12 57 1, 05, 59 46, 10 E 06, 48, 1 12,,35, 12 55 0, 26, 05 43, 62 E 08, 49, 4 12, 14, 13 D4 0, 04, 27 44, 40 (0) 12, 07,2 12,17, 19 54 0, 08, 32 43, 41 (0) 14,24, 4 12, 48, 41 56 0, 39, 95 43,02 (0) 17,00, 0 13,51, 98 59 1, 44, 33 42,24 (0) 19, 10, 5 15,09, 55 65 3,01, 71 42, 47 5 = 389, 11/, 44”, 26 28 Luglio 1905 x Ursae: minoris h DERE m/m S a=1, 25130, 52. è = 880, 47,45%,76 B=757,7 t= 259,0 | | E 7,56, 05, 6 52, 29, 37, 17 1, 11,63 42, 31,21 38;11,41,81 | E 58, 33, 4 28, 59, 84 59 41, 53, 52 42,09} E. | 8, 01, 56, 2 28, 09, 87 56 41,01, 25 39,82 | Bi 04, 33, 4 27,28, 35 53. |, 40,19,36 39,48. | IRR 06, 39,0 26, 55, 75 5I 39, 47, 50 40, 24 (0) 14, 11,0 24,52, 71 45 3,40, 54 43, 40 (0) 16, 35, 2 24, 14,21 40 37,07, 83 49, 22 0) 18.50, 0 23, 36, 81 37 36, 32, 19 44,01 (0) 20, 54,3 29259, 31 4 35, 58, 39 AT, T4 (0) 23, 18,0 22,20, 26 dI 35, 18, 83 47,26 a=1359, 1a}, 427,80 4 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE | Tempo medio | | | Distanza zenitale | Riduzione | Rifrazione I apparente al meridiano 009°. HE UE (ie) ONU Q Ut LO Ot i h m Ss o— 025) 33, 49 Ca - (MIMO MOI =1 100 (Ub) n SER UNO. 0% DIVO ODO AFRO 99? (2 000000. BHEBbBEE h ms 19019107 9,32. 12. 34, 25. 36, 36. 38.31. dA OLIVO 00000 bHEBEBEHE i 5 (He) 28 Luglio 1905 (segue) ì Aquilae mim de 591010 6: 168 IMA | | | 48,18.48.07 | 0:5167 | 141,30 | 19:55,99 | 65 | 0.48.12 12.25.56 | 64 | 01814 | I | 15:3440 | 73 | 3,25,41 | 17.21.86 | 78 | 5.09.89 | 18.51.72 | 83 6.38.81 | o= 88°, 11°, 44,35 81 Luglio 1905 x Ursae minoris mim è = 86°, 477, 46”, 33 BI_RDSIO IT DONOISS CIANI RI S1S33 | | 39,34.928 | 26, 03, 93 31 | 38.56.79 | | 95:37013 | 29. | 38.29.86 | | 924. 57,713 26 | 37.50.72 | 24 20, 33 Dall 31:42 | 201 18 | 36,17,63 | 20,37.48 | 05 | 33.35. 74 | 20.01.90 | 03. | 33,01,28 19.926,72 | 00. | 32,18,61 | 18.43.71 | 10.97 | 31.41.69 | 18.10.14 9. | 31,05.02. | 17, 01,21 90 | 29.59.77 | o =389, 11043”, 86 ì Aquilae è=— 5°,01’,16”,46 B=757,9 |eb43:35352125" | 05151 3061 | 14.26.41 47 92.14.33 | 13,23. 98 44 | 1,09,04 | | 12.39.50 49) | 0,2941 (| | 12. 16.00 41 | 0005:44 | 12, 14.49 41 0.05.52 | ; 12. 35. 01 49 0,29.23 | 13.21. S9 44 1.12.88 14 56.63 4T 247.75 | 15.38.17 51 3.32. S7 = 389,11’, 44”, 5I Latitudine DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 27 sa El Distanza zenitale | Riduzione ‘S| Tempo medio Rifrazione Latitudine i ® apparente | al meridiano [a | 4 Agosto 1905 è Ursae minoris h m m/m a =18:08, 04,112)01 è 86°, 37', 10 401. \B:=:756,3 t= 26°, 2 hm Ss Od IG ‘i 0000, E 8,10, 28,2 48, 25, 05, 80 1,01, 58 37,76 38, 11, 40, 78 E 13, 46, 4 24, 53,05 57 24,90 40, 68 E 16,.55,3 24, 43, 06 56 15,12 40,90 E 20, 49,5 24, 33, 11 56 6,37 42, 10 E 24, 98, 4 24, 29,65 55 1,42 40, 62 E 28,55, 2 24, 32, 68 55 0, 09 36, 26 (0) 33, 28,2 24, 36, 95 55 3,60 35,50. | O 36, 56,3 24, 40, 94 56 9, 67 37,57 (0) 41,11,3 24, 50, 95 57 21510 39, 00 (0) 45,263) 0: 25,04, 03 58 36, 99 41,78 (0) 49, 14,4 25,28. (2 59 ,54,,92 35, 01 O 51,01,2 25, 43. 71 60 1, 16,23 41,32 g= 38, 11°,39”,27 6 Aquilae m/m h ms .= 20,06, 26,89 è = — 19,05/,55”,90 3 — 756,4 t= 259,8 E 10, 22, 18,0 39, 20, 08, 34 0,44, 79 309,05 | 88,11, 48,18 E 24) 55,3 18,29,21 75 1733/08 44. 98 E 27264 17135, 60 73 0) 32) 58 51/85 O) 33,48,9 i 19,60 72 0, 18,22 48, 16 O 36 13/6 18/0375 74 1) 04. 67 47,92 O 38/08, 5 18) 57, 47 76 20184 44 49 = 999, DI 60) 5 Acquarii h Mo Ss , _/m ui = 20/42, 46,23 è = — 5922//15;66° B= 756,4 #=/950,9 ID 11,00, 43,5 43,34,51,37 | 0,52;72 1,37,17. | 088,11,51,26 | io) 02, 42,3 34,00, 52 70 04758 50, 08 | E 04: 33/8 33/29/18 | 69 0, 16,92 19,29 | O 10, 40,3 35,36, 10 69 0,25, 32 47,81 | O 12 81,2 3411055 70 1700, 82 IT | (0) 14, 39,9 35,,13, 22 13 2:01, 22 49,07 | | 28 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE = Distanza zenitale Riduzione | Tempo medio Rifrazione Latitudine | | apparente al meridiano | | 7 Agosto 1905 è Ursae minoris h m s È _ Dm o eli 03N0SS2H S= 1099977 BE 310 = TDI = 20 0) | higan ge S NO ZNI Pil RI O zzz, E 0,45.07,2 48, 26. 28, 00 1.02, 25 1, 56, 47 88; 11, 31,32 E | 48,23,2 26, 07. 01 24 1,33,16. | 35. 01 Bisi 52, 20,2 95, 38,29 93 1,08, 44 39, 02 E | 56.15,1 | 25, 16. 69 99 0.47, 07 39,26 Bi | 8,00, 10,0 25, 02. 04 21 0, 30, 65 3,50 E 04.14.92 24. 44,74 20 0, 16.93 41,09 04 21,48.0 24. 99,27 18 0,04, 11 43,76 O) 25, 36,5 24,39, 74 19 0, 11,29 40, 46 (0) 29. 08, 4 24. 48, 03 20 OZ 41,98 0) 33,02, 2 25, 02, 34 21 0, 35, 48 42,03 (0) 36, 16,2 253119,,99 22 0,50, 22 Beal i (0) 39,59, 0 25, 38, 66 23 1, 10,29 40,50. 4 a = 1319 9 Aquilae h ms mim a = 20,06, 26, 90 è = — 1°, 05‘, 55”, 60 BERIO =#23 ART Î E | 10,13,05,5 | 39, 18,925, 42 0, 45,15 1,27,15 38,11,47,82 | E | 14,48,5, | 17,41,51 13 0, 44, 17 46,87 | E 16.318. | 17, 14,45 12 0, 15.65 18,32 | o | 20, 59,6 17, 06, 13 12 0,09.18 | 46,47 | O | 23,319 17, 54,40 4 0, 49,03 | 5491 | O | 95,27,2 18, 37.26 16 1,40, 18 46,64 | = 38°, 11°,,48”, 50 3 Acquarii È h mo s la mm a = 20, 42, 46, 25 è = — 59, 22‘, 151,39 =TOG9 = DIG | | | Il E | 10, 49, 19,2 43, 34, 33, 91 0, 52, 48 RO RESSE 19) : DIELIsO 33, 46, 10 46 ONSTAS5OI 45,82 | E | 63, 16, 6 33, 20, 23 45 0, 09,00 | 48, 29 | i (0) 56, 30, 6 33, 18,35 | 45 0,03, 38 | 52, 03 | O | 58,415 33, 39, 76 46 0, 26,07 | 50,76 | O.4Ì 1100.3690 de 341411 | 48 103,52 | 7,68 DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 29 ua vr Il | Distanza zenitale Riduzione | 89 ISI E Tempo medio Rifrazione Latitudine | © 2 | apparente | al meridiano | e] | il Î 9 Agosto 1905 è Ursae minoris h mos m/m a = 18,03, 02, 60 DI=S0RTON00 B= 60,0 t= 249,4 homo s 0444 ‘ ‘i ‘i 0106/100877 Il E 7,46, 02, 3 48, 25, 26, 51 1,02, 28 58, 85 38,11,41,66 | E 49, 19,3 25, 20, 61 20 47,55 36,20 | E 52, 48, 4 24, 54, 41 26 28, 15 43, 08 E 57, 48,2 24, 44,91 25 12, 60 3°, 11 E 8,02, 32,7 24, 32, 51 24 3,09 39, 94 E 06, 01, 5 24, 30, 61 24 0, 46 39,21 (0) 09, 43,8 24, 29, 65 24 0, 37 40, 08 (0) 14, 04,2 24, 34, 81 D4 4,58 39,08 (0) 19, 45,9 24, 46,92 25 16,95 39, 38 O 24, 12,5 25, 04, 28 26 32,20 37,26 (0) 28, 12,2 25, 20, 07 20 49,99 39,25. || (0) 32, 12,3 25, 37, 26 29 A 43,82 | g= 389, 11’, 39”, 68 0? Capricorni h mos m/m 2120) 143, 31 Sl la = 150, 04)37449 01 B_ 760100 Sit — 239,8 E 10, 11, 32,5 58, 17, 48, 57 1, 14,26 2,32, 22 38, 11, 53, 12 E 13, 33,2 16, 36, 20 21 1, 24, 98 40,94 _E 15, 14,3 15, 58, 60 19 0, 47,82 47,48 E 17,27,1 15, 24, 10 17 0, 15, 13 45,65 | (0) 24, 01,3 15, 36, 68 18 0,25, 93 4,44 | (0) 26, 13,8 16,22, 09 20 1,05, 79 534010) (0) 28, 12,3 17,10, 58 23 1, 56,88 50,39 | (0) 29, 50,2 17,59, 67 29 2, 50, 08 46,39 | g= 38°, 11°, 48”, 98 SO ©) DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE | | Distanza zenitale Riduzione | Tempo medio Rifrazione Latitudine al meridiano Posizione cerchio | apparente 10 Agosto 1905 3 Ursae minoris h Livi S mm SI = 99030 B= 159,2 t= 259,0 | h IMIMS, Wi ai VIZI, si 0 4 di E 7,53, 13,2 48, 24, 50, 84 1,02. 07 14,13 38, 11, 33, 02 E 57.303 94. 37,15 06 5,11 37,70 E 8, 01, 14, 8 24, 31 69 06 0,91 38, 96 E 04, 45,5 24 31, 47 06 0, 08 38, 35 O 09,31, 4 24, 34, 65 06 PNLACA 38, 86 (0) 14,13,9 24, 40, 40 07 12, 87 42,20 0) 18. 05,2 24. 52, 37 08 24, 36 41,71 O) 21,06, 2 95.03, 31 09 35, 88 49,98 = DIE? 2 6? Capricorni h mos um x= 20, 15,43,31. è =— 159,04,37”, 48 B= USA Ui=R2400) E 10, 10, 40,2 53, 16, 11, 63 1, 14, 06 0,59, 18 38, 11, 49,03 E 12, 51,5 15,30, 82 04 0,22, 05 45,33 E 14, 42,8 15, 14, 78 03 0, 04, 66 46, 67 O 18,42,9 15, 25, 68 03 0, 10, 96 51,27 O 20, 46,7 15, 50,75 05. | * 0,37,60 49,72 O) 99. 41,3 1633; 34: 08 1,16, 43 53,51 SOMMO = Î © u Acquarii mm h ms a = 20; 47,34, 59 di 98 20,06”, 70 T5}= T36) 0 = 29 © E 10, 42, 23,2 47,32, 01,02 1,00, 41 1,06, 81 38,11,47,92 E 44, 43,4 31, 15, 60 39 0, 23,12 46,17 E 46, 31,6 30, 56,21 38 0, 04, 88 45.01 O 52, 15,8 31, 32, 42 40 0, 36, 68 49,44 O 54.25,3 32,24) 12 49 1,23,95 53, 89 0) 56. 43,4 33, 34, 36 46 2. 35,67 52.45 g= 389, 11°, 497, 14 DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 3 l (o) BIO | Distanza zenitale Riduzione ‘iN'® | Tempo medio Rifrazione | È 2 | apparente | al Di i eee Ì 12 Agosto 1905 è Ursae minoris m Ss m/jm h a= 18,03, 01,50 è= $6°,37/,12”,20 B= 757,6 h m DI o 4 44 ‘ LZA dI E 7,34, 20, 3 48, 25, 28, 32 1, 02,00 57,09 E 30,11,3 25, 16,12 01,99 45, 04 E 40, 04,2 25, 00, 28 98 30, 84 E 44. 10,5 24. 47,08 97 16,96 | | E 48, 32,3 24, 37,14 96 6, 72 | E 53,20; 2 24. 31, 98 96 0, 84 0) 59, 39,9 24, 32, 44 96 1,68 0) 8,03, 12, 2 24° 36,44 96 6,66 (0) 07, 03.8 I 24. 47,83 97 15,10 O 10, 40, 1 24, 56, 13 98 26, 48 O 13) 43,3 25,10, 23 99 38, 60 IO 16, 46,0 25, 22, 13. 02, 00 52, 95 o =1859, 11,39%, 46 * Capricorni Ù mos mjm ARONA RINVIA BERO E 10, 01, 47. 6 53, 16, 31, 69 1,13, 18 IIFIRSHZE) E 03, 37,6 15, 53, 38 76 0, 40, 58 E 05, 52.5 15927(4:99 5 0, 10, 87 (0) 10, 37,8 15, 23, 70 6) | 0, 10, 26 O 13, 18,2 15. 58, 16 76 | 047,04 ON 15,21.7 16, 41, 67 TO aLe u Acquarii h mos m/m a = 20, 47, 34, 60 è= — 9°, 20‘, 06”, 60 BERIO | | E 10,32, 25, 1 47,32, 57, 64 1,00. 16 2, 00, 66 E 34, 56,5 31,57, 61 192 1,01, 54 E 38, 04, 6 31,03, 46 09 0,08, 11 (0) 45,24, 0 31, 51,93 12 0, 59, 30 (0) 47,16. 6 32, 45, 56 15 1, 48,25 (0) 49, 45,2 34, 08, 47 20 3,15, 07 g= 38°, 11’, 487, 49 Latitudine t= 249,8 DA 38, 11/38/97 37,13 40, 78 40, 11 39, 82 39, 10 39, 48 40, 46 37,50 40, 57 38,58 41,02 38, 11, 49,22 4910 53) 41 49,73 47, 42 44.45 58, 11,50, 54 49, 59 46, 15 48, 86 47,00 I (29) DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ® AS | Distanza zenitale | Riduzione SS | Tempo medio Rifrazione Latitudine Z © | | apparente al meridiano 29 23 Agosto 1905 c Sagittari ho mo Ss x ELE, pe z m/m a = 19; 96, 92,02 è — — 27°, 58, 14,05 AOSNO A=324005 h_m s Di (4%) U 1240 Ong E 8,55, 05,0 66, 10, 32, 69 205,05 2,38/38. | 38,11,45,31 E 57,33,2 09, 26, 29 04 94 1:31 47 4571 E 9,00, 00, 1 08, 44, 40 87 0, 43, 16 52, 06 E 02, 12,5 08, 11,97 81 0,14 96 47.77 O 08, 07,5 08, 08, 98 81 0,11,38 48,36 O 10, 15,0 08, 36, 42 86 0, 35, 69 51,54 O 13/00, 0 09, 25, 57 95 127,22 49,25 O 15,08, 2 10, 16, 67 05, 04 929, 89 44777 e = 389, 115, 48,09 x Ursae minoris h mos n im. EIA = 099 AT DI, 16 = 1.0 t= 249,4 E 10,00, 20, 1 51,21, 09, 46 1,08,97 | 25,56,94 | 38,11,44,63 E 02, 59,0 20, 27,59 94 | 2643/71 39, 69 E 04, 48, 3 19, 58, 20 91 27, 15,86 37,03 E 06, 44 2 19) 23, 86 89 | 274986 37,39 E 08, 52, 3 18) 45, 54 87 | 28,27,23 38/36 E 10, 46,8 18/08, 10 84 | 29 00,44 49. 62 (0) 14, 05,0 IU 80 29, 50, 07 41, 52 O 16,36/0 è 16) 31/97 78_| 80/40/14 3811 O 18480 15, 50, 28 75 | 8118,87 49, 10 O 2102,2 algo 73 | 8156198 36, 58 O 23, 35,0 14) 29 58 70 | 323938 49, 34 O 26, 35,0 13) 40, 50 Ga Mi35 ro 39) 78 9 SIMUAOA OI DELL'OSSERV., METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 33 Il ® 53 Distanza zenitale Riduzione ‘S| Tempo medio Rifrazione Latitudine È 2 apparente al meridiano | |A 25 Agosto 1905 z Ursae Minoris h EISIOST mj/m a= 1,25, 55, 88 DIS SOMAT MARTA BEM Get | h_m s O RCA 27, dd ARR] Or 827 E 9, 56, 05,8 51, 19,55, 88 108,61 | 27,07,86 | 88,11,47.65 E 58, 10,2 19/28/28 59 27,39 41 43077 E 10,01, 12,0 18) 35, 14 56 | 28,32/25 44,05 E 03, 07,8 18.07.29 54 | 29,00,97 43,20 E 05, 28,8 17) 1974 52 | 294675 44, 99 E 07,331 16, 49) 45 50. | 30/22/53 39, 52 O) 11,32,2 15, 36,08 45 31,30, 94 44,53 0) 13,340 15, 05, 88 43 | 8205/97 39,72 O 15/412 14) 30, 54 41. .| 32/4155 39, 50 O) 18, 05,0 13, 47) 48 38 | 33,22.05 42° 09 O) 20, 03,0 13, 17,28 36 | 33/54/27 40,09 O 23, 02,0 12) 21,22 39. | 34/4499 45, 47 g=:38°, 11°, 42”, 88 è Capricorni h m S { m/m } x= 21, 41, 50, 76 è. — 169, 33%, 127,27 BEM a=2595 0) ? 2? 7? r 2 | E 10, 36,04, 2 54, 44, 53,25 1,17,72 1.05,05 | 38,11,53,65 | E 37,390 44,20, 53 70 0, 35,21 50, 75 LE 39, 05, 8 43,56, 93 68 0. 15,85 46, 49 | E 40, 46, 4 45, 47,05 67 0, 02, 95 49, 50 (0) 44, 42,6 44, 00, 64 68 0} 1291 593, 14 || 0 46, 53,2 44, 23, 57 (0) 0, 42, 65 46, 35 | 0 49,00, 0 45,05, 45 73 1,29, 02 48, 89 ll © 51, 48,4 46, 35,25 80 2° 53, 43 47,385 g= 38°, 11’, 49”, 51 (311 VI HS DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE Tempo medio Posizione cerchio I Riduzione Latitudine Distanza zenitale Rifrazione apparente al meridiano sil! h m 8 a == 19, 56, 52, 00 LAS 8, 46,52, 6 49) 01,4 5I, 11,9 55,19,2 57,50,0 9,00, 22, 3 095 HE h m s CAMINZINIO] 73 9, 50, DO 59, 19,2 54, 11,0 56, 15,2 58, 95, 3 10, 00, 35, 0 05, 14,2 07,38, 0 09, 32, D) 122470 14,230 16, 59,2 o00000 EEE LE LOT 10, co00. BEE 26 Agosto 1905 c Sagittarii ET MI 3 Toi t =%259, D OM 444 A] 0008/77 O 0/7, 66, 09, 03, 31 2.04, 31 1,01, 68 38, 11, 51,68 08, 29, 04 26 0, 27, 98 51, 06 08, 05, 93 23 0,06, 93 48,97 | 08,04, 09 23 0,05, 84 48,22 08,31, 61 26 0, 30, 16 51,45 09, 10,00 32 1, 13,98 46,13 g = 389, 11°, 49%, 58 « Ursae minoris m/m è. — 880 47%, 020103 B= 755,0 li=0290N01: 51,20, 39, 09 1,08, 61 26,29, 36 38, 11, 42,94 20, 06, 44 59 27,04, 55 40, 42 19,31, 99 57 27,39, 38 40, 04 18,55, 76 55 28, 10, 52 45,17 18. 16 46 52 28, 53, 45 41,57 17, 42,28 50 29, 31,21 38, 01 16, 22, 94 45 30; 51,27 31,94 15, 42, 62 42 31,32, 35 36, 61 15, 05,93 40 32, 07, 06 38, 61 14) 1885 37 32, 53, 43 39,35 13,45, 41 85 32, 26, 36 39, 88 12,58, 94 32 34; 10, 60 49,14 g = 38°, 11°,40”, 17 ò Capricorni m/m è = — 16°, 33°, 12”, 28 B = 758,0 Gi=R2.0000 54, 44,27, 65 1,17,70 0, 43, 96 38, 11,49, 11 43,55,70 | 68 0,09, 39 51,71 43,42,20 | 67 0,00, 15 AT, 44 I 43, 52, 96 68 0, 11,99 46, 37 | 44,23, 11 70 0, 47,55 40, 98 45,11,82 74 1,32,94 44,34 g = 389, 11’, 46”, 66 DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 39 ati | © EL | Distanza zenitale | Riduzione | | STO Tempo medio i Rifrazione | Latitudine | 8 apparente al meridiano i pr ° | 00000 BEE” m h S a=9IL ZL gol o 005 Eee NH ivo | IS 11,30, 40,0 | E 39, 31,3 | E 34, 12,5 | 0 40, 06,0 NO 42, 06,7 | © 43, 47,9 29 Agosto 1905 4 Ursae minoris pa * — 889, 47,5 = go 94 03,87, Uri ‘ “i 51,30, 55, 00 108,16 29,38, 21 11 28, 43, 29 08 28, 02, 20 05 21,23, 98 03 25,21.76..| | 07,55 24, 36, 09 52 94. 01,90 50 93, 30, 64 48 29, 30, 80 44 EIZO { Capricorni — 999, 497,05”, 36 61,00, 25, 37 1,37,81 60, 59, 49, 76 78 59,29, 37 76 59, 35,32 iti 61,00, 04, 27 79 00. 40, 62 82 9g = 389,11, 47,01 « Piscis austr. == 020N DI ,,60 68, 17,31, 92 2, 16,21 17,06, 35 18 16, 50, 67 17 17,02, 38 18 17,31, 19 I 18,09,03. | 97 13 CMIZAR]00 m/m B= 752,1 16, 12,85 17,38, 46 18,29,25 19, 05, 47 19,49. 11 21, 49,71 29, 29,29 23, 08, 05 23, 42, 66 24) 36, 43 m/m B= 752,3 How ICAO DOO I H_Èoo IIMDO (Xeryvii ITSSì SISlz Mpar (er) 22, 49,16 03 24, 16,04 45,77 (0) 21, 35,0 20, 49, 91 08, 55 26, 18, 14 43, 40 (0) 26, 06,0 19, 30, 09 50 27, 37,68 43, 73 g= 389, 11,43”, 26 ‘ Capricorni h sm 8 3 m/m a=21,21,17,60 3=—22,49,057,60.. B=757,2 i=239 E 9, 41, 59,0 61, 00, 43, 97 1,39, 60 1,30, 10 38, 11, 47, 87 E 44, 15,0 60, 59, 54, 83 55 0, 43, 49 45,29 E 46, 00, 1 59, 35, 34 53 0, 18, 96 50, 31 (0) 52, 49,1 59, 34,99 53 0, 19, 02 49,90 (0) 54, 32, 4 59, 58, 30 55 0, 43, 06 49, 19 (0) 56, 42,0 61, 00, 41, 48 59 1, 26,92 48, 55 g= 38°, 11’, 48”, 52 x Piscis austr. h mos m/m a—22,52,27,04 > 8=— 309,07,147,00 B=75770 #=239,9 E 11, 12, 10,0 68, 18, 22, 36 2, 18,75 1,36, 31 38, 11, 50, 80 E 16,01, 5 17,10, 29 61 0, 26, 81 48, 09 E 18,02, 1 16, 47,05 57 0, 07, 63 43, 99 (0) 23, 01,2 16, 50, 52 5° 0, 10, 42 44, 67 (0) 24, 56,0 17, 11, 26 61 0, 30, 56 45,31 (CE 28, 24,5 18, 19, 38 75 1,34, 16 49, 97 o= 389, 11° 47%, 14 38 - DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE Quadro riassuntivo Latitudine media | Ì Numero Data Stelle delle doppie Latitudine per osservazioni ciascun giorno 0 , "I | 18 Luglio 1905)| ®Rose nuinoris È 38,11, ni si 38 11/47/49 i ea x Fieno Lo i x — o. | 4 Agosto Rea î DE 43,88 i Di 1133 È e I du x (Mpa LS gu È ee Ollio EE Dose GROE È DS 45,54 | | | | } DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DE LL’ANDRIA IN MESSINA 9 Dal quadro precedente si cava: x Ursae min. (media di 28 osservazioni doppie) « = 38°, 11°, 43%, 72 1° periodo Stelle Sud ( >» >» 24 » DAS Ae) è Ursae min.(_» » 28 » DN = SIA 2° periodo Stelle Sud ( — “» >» 28 » DSS? « Ursae min. (_» >» 395 » >) 389, 11, 420,02 3° periodo Stelle Sudî (att 82 » De E de 20 Si ha quindi: 1° periodo (media di 52 osservazioni doppie) 380, 11’, 44”, 77 +0", 634 RI -e Il 2° periodo (media di 56 osservazioni doppie) q= 38°, 11, 44”, 13.-+ 0", 080 3° periodo (media di 67 osservazioni doppie) 38°, 11°, 457, 14 +0”, 398. (7 Dalla « Ursae si cava quindi come media delle 119 osservazioni doppie dei due periodi relativi : IS MZINO piatal0 685716 dI e dalla x e dalla è Ursae si ricava, come media di 175 osservazioni doppie, per valore della Latitudine dell’Osservatorio (pilastrino di osservazione) : e = 88°, 117, 44”, 54 con un errore sulla media di +0”, 280. Volendo poi determinare la latitudine di un punto dell’ Osservatorio più facilmente visibile, scegliemmo Vasta del parafulmine, situato sulla torre, che porta il pendolo sismografico. 40 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE La distanza del pilastrino all’ asta e lo azimut della direzione pila- strino-asta, ricavato con osservazioni della Polare, risultarono: e= 16", 75 2= 469, 127, 25,2 Dalla formula e e COS x Li ? sin 1° si cava Ag= — 0,376 T quindi la latitudine di tal punto sarebbe : g= 389, 11°, 447,16 x E da avvertire però che per mancanza di strumenti adatti non po- temmo eseguire una piccola triangolazione per la misura della distanza anzidetta, e che essa risulta quindi solo da misure dirette. Non ci fu possibile determinare la deviazione locale in latitudine, perchè mancano punti di 1° ordine della Rete Geodetica dello Stato visi- bili da Messina, e quindi non è possibile avere la latitudine ellissoidica dell’Osservatorio con sufticiente sicurezza. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE P “RIRSION AN vane POPOLI SCOMPARSI IL POPOLO SICANO-SICOLO CONFERENZA DEL SOCIO PROFIT ANCONIOMNPEANGIANNIO nell'adunanza del 25 Marzo 1906. AN Ser ee ] LAME TESTASTO dd rn l ODINO LITI POPOLI SCOMPARSI Il popolo sicano -sicolo Uno dei più notevoli avvenimenti storici, che attira l’ attenzione degli studiosi per rendersi ragione delle cause del fenomeno che appare miste- rioso, è senza dubbio quello per il quale, in epoche relativamente recenti, popoli che ebbero una storia spariscono a un tratto, quasi che, sulla scena della vita, fossero stati inghiottiti da un trabocchetto. L'indagine sul passato trova accresciute a dismisura le difficoltà dell’in- dagine sul presente. Precipua tra le tante cause quella della facilità gran- dissima di dimenticare la maggior parte delle circostanze normali vissute. Se nella storia della vita la esperienza delle circostanze anormali attraver- sate si fissa nello istinto, con la costituzione di movimenti riflessi quasi istantanei individuali, nella storia della psiche, che si sviluppa prodigiosa- mente nelle specie sociali, il distacco dall’animalità avviene lentissimamente, e, nell’Umanità, con la costituzione sociale di suoni e di segni, sui quali si appoggia la facoltà della memoria organizzata attraverso un numero stragrande di generazioni, del quale, prima del secolo XIX, l’Umanità non aveva neanco il sospetto. Il fascino contenuto nella concezione unitaria della creazione dal nulla, leggenda assiro-ebraica, impediva di riconoscere che la Cronologia non è la Storia, dapoichè la Cronologia è prodotto di civiltà e gli uomini la usa- rono migliaia di secoli dopo che, a piccoli passi inavvertiti e dimenticati, i loro pensatori misero in relazione il tempo con le vicende lunari e solari. Il racconto dei casi umani pericoli ed eroismi, gesta gloriose e vigliac- cherie e tradimenti, passioni profonde e intense, lirismi e imprecazioni, 4 POPOLI SCOMPARSI nenie e splendori—scritto o tradizionale, mascherava un fondo di consimili vicende circonfuse nei nebulosi contorni di miti e di leggende senza tempo tinte. Quando l’Umanità, nel faticoso suo cammino, vagheggia come Progresso la sopraelevazione della Morale e non il maggior consenso sociale umano ai suoi precetti regolatori di convivenza, essa corre dietro a una chimera che sconforma la realtà. Il fondo di affettività umana, sin dall’ apparire della specie (l’ investigazione scientifica lo accerta) fu quello che è oggi, egoistico ed altruistico insieme , ritmico , morale, amorale ed immorale, e neanco la potenza filosofica di Platone, come le altre di Budda e di Con- fucio, lo mutarono di un ette (1). Figurarsi se scrittori pigmei, contemporanei a noi, che hanno proclamato pomposamente 2) fallimento della Scienza, faranno passar per buona la loro pretesa che il sapere dovesse rifare a nuovo la natura umana! Il Progresso è una verità incontrastabile se lo si comprende come campo sconfinato di adattamento umano all’Infinito, mercè la complicazione della psiche. Sotto lo impulso ereditario ed irriducibile dei sentimenti e delle passioni. malgrado lo scatto delle loro aberrazioni, che si ripetono gene- razione per generazione, l’uomo si districò dalle condizioni primitive del- l’animalità con la organizzazione del linguaggio parlato, e, dopo lunghis- simo percorso di secoli, scritto. Le forme di movimento, lo sappiamo appena adesso ed in modo incom- pleto e imperfetto, non arrivano alla coscienza umana, con la medesima velocità di onda attraverso i sensi corporei. Ci son differenze di percorso fisiologico tra le percezioni tattili, olfattive, di gusto e le percezioni sonore e visive, e ci son pure tra esse profonde differenze di intensità e di esten- sione (2). Ciò spiega perchè, nella storia degli avvenimenti umani, l'accento e il colorito mascherano non solo tutte le percezioni che si confondono nel con- cetto dell’utzle. radicato nella coscienza per mezzo dello istinto, ma impe- discono o rendono difficilissimo lo avvertire la lentissima e graduata costi tuzione dei sensi psichici (Bene, Bello. Giusto e Vero) nelle vicissitudini di quella parte dello ambiente sociale, che è il linguaggio. Nella vita degl’individui, come in quella degli aggregati sociali, piccoli (1) Il corrispondente errore deriva dalla sublimazione della solidarietà umana, la quale, invece di restringersi per mancanza di comunicazioni e di contatti ai primitivi e pic- coli aggregati sociali, oggi si estende all’intera specie: l’Umanità. (2) Ciò che costituisce quell’elemento variabile di percezione e di osservazione che si chiama l'equazione personale. IL POPOLO SICANO-SICOLO 5 o grandi che essi siano, le vibrazioni di sentimento originate dall’attraenza o dalla repulsione (1) sono assai più rapide delle vibrazioni di coscienza determinanti il consenso sociale. Lo scoppio di quelle, accompagnato com'è da scintillio o bagliore, investe e sorprende la convivenza priva dell’orga- nizzazione di nessi inibitori. Le più nobili espressioni, come la gloria, l’onore, la fede, oppure le più brutali come la violenza e il terrore, s° imprimono nella memoria individuale e tradizionale, con la energia di fascino o di prestigio che accompagna le azioni non comuni o anormali. Non avviene lo stesso nel lento acquisto delle imagini di relazione, ge- neralizzazione e distinzione, e nelle applicazioni delle facilitazioni di mo- vimento (2). La corrispondente invenzione, preparata da una inavvertita elaborazione di assai intelletti non comuni di generazioni precedenti, è un passo in avanti, una evoluzione (nei tre aspetti noti di complicazione, re- trogradazione o stazionarietà apparente), progresso e civiltà. Queste con- quiste, incruente nel loro diffondersi, dolorose soltanto per il logorio psi- chico dei loro autori e per lo strascico neurastenico nella loro discendenza, richiedono per avverarsi tempo grandissimo, incomprensibile finchè durò lo errore della leggenda della creazione dal nulla, che fu formola sempli- cista delle prime ipotesi umane. Ma in tutta la Storia dell’ Umanità, sin dal suo apparire, ciò che ha grandissimo interesse è il determinare con approssimativa certezza il di- stacco della specie umana dalle condizioni di vita, per dir così, semplice- mente animali, e il modo come, qua e là, per latitudini e longitudini di- verse, questo distacco si accentuò più o meno rapidamente col costituirsi del capitale mentale ed economico, attraverso le fasi tipiche costanti dei contrasti sentimentali e passionali. Sta in ciò il segreto della Storia, custodito gelosamente dal fatto posi- tivo e indiscutibile della dimenticanza, delle ombre e delle penombre, che coprono le nostre azioni e le corrispondenti battaglie psicologiche che le prepararono e le accompagnarono. Chiunque degli umani voglia aver vaghezza di chiedere alla propria me- moria le ricordanze di tutta la catena logica degli avvenimenti ai quali ha preso parte, anche se dotato di memoria prodigiosa, si accorgerà di leggieri che egli non può rivedere con la imaginazione tutte le circostanze nei loro particolari ma solo le più salienti che lo impressionarono. E que- ste medesime circostanze, chiare, nette, ben distinte nel loro insieme ca- ratteristico, sono suffuse in tale indeterminatezza di contorni da lasciar (1) Emotività. (2) Tranne le risultanze associatrici del fenomeno di coincidenza. 6 POPOLI SCOMPARSI luogo a varietà d’interpetrazioni. Questa condizione si accresce a dismisura allorchè, invece d’interrogare le proprie ricordanze, si voglia rivedere con l’imaginazione il corso degli avvenimenti contemporanei oppure quello dei nostri genitori e progenitori. Lo stato abissale in cui si profondono i fatti e, più che i fatti, 1 motivi ei particolari di essi, ottenebra e cancella le im- pressioni memoriate, quasi come, nelle profondità dell'Oceano, la mancanza di diffusione della luce impedisce di vedere il fondo del mare e le specie vi- venti vegetali ed animali che esso contiene. Questa similitudine, delle indagini oceonografiche e delle indagini stori- che, giova assai per comprendere la importanza e i limiti dello ammae- stramento della Storia, la quale non può arbitrariamente contenersi, come altra volta supponevasi, entro i confini dei miti, delle leggende, e forsanco delle tradizioni e dei documenti scritti. Per investigare i misteri del mare adoperiamo la sonda e la draga che ne rivelano l’orografia e l’attività bio- logica, ma per investigare la profondità del passato della nostra specie la guida più sicura la ricaviamo dalle testimonianze dell’attività umana nei periodi sino a pochi anni addietro ignorati, e dalle idee più precise che abbiamo del tempo e dello spazio. Indubbiamente la Storia è un campo ed un museo di esperienze fatte. Positiva dal punto di vista che i fatti avvenuti sono immutevoli, non è però suscettiva di sperimentazione per il giuoco del libero arbitrio, assicu- rato dalla ignoranza delle cause e degli effetti, e dalla varietà stragrande dei temperamenti, dei caratteri, delle attitudini e delle tendenze. Per i contrasti perenni tra 1’ eredità e l’ ambiente, una legge naturale domina i processi storici: il ritmo incessante, continuo, più o meno avver- tito, tra l’attività funzionale degl’individui e la forza d’inerzia delle masse. Siccome però nel movimento antropologico delle geneologie nessuno ha saputo, nè probabilmente saprà mai, prevedere dove e quando si manife- steranno, nè con quale espressione, energie individuali, così, nei varî mo- menti storici, non è facile nè forsanco possibile riconoscere le leggi per le quali le conquiste psicologiche, e perciò il Progresso e la Civiltà, proce- dono più lente o più rapide o in ordine retrogradante in questo o quel- l’altro momento. Ciò che però si può riconoscere è: che questa andatura ondulata, in complicazione di cause ed effetti, è, per eccellenza, il processo delle mani- festazioni universali del movimento , e che, nella natura di tutte le cose, non avvengono salti nè linee diritte e rigide. La storia della variazione delle specie, anteriore alla storia delle varia- zioni etniche della specie umana , narra in tutte le sue fasi l'evoluzione, sopra un fondo comune e tipico , del concorso e dell’ intreccio di cause nuove operanti. IL POPOLO SICANO-SICOLO 7 Lo sviluppo prodigioso , sebbene apparentemente lento attraverso mi- gliaja di secoli, della psiche umana, per virtù di convivenza in aggregati radi e piccoli, che, si fecero gradatamente densi e grossi, per vicende cli- matiche ed economiche e per fatti d’industria , di commerci e di guerra, addimostra che sul fondo primitivo e comune persistente dei canti gio- condi e lieti dell’ amore o delle nenie tristi del dolore, s’'innesta, più o meno coltivato e ricco di frutta, il ramo delle generalizzazioni e delle idee astratte, materiate in suoni sillabici e poi in segni grafici, che permettono la sopraelevazione continua e indefinita delle costruzioni ideologiche. Generazione per generazione l’uomo di tutte le latitudini e longitudini, e poi di tutte le altitudini alle quali si adatta, sente le strette o il rigoglio delle esigenze fisiologiche e l’attraenza più o meno squisita degli splendori e dell’ armonia delle forme , ma la causa sostanziale delle sue variazioni civili sta nello accumolo di una ricchezza mentale, che facilita e tra- sforma continuamente la sua attività conquistatrice sulle forze della natura. Nel movimento accelerato moderno, dovuto principalmente alla compe- netrazione maggiore vicendevole tra le varietà umane, non scompajono, e probabilmente non scompariranno mai, le cause accascianti o deprimenti della salute e della vita, ma i loro effetti si renderanno meno sensibili per l'aumento delle correnti di pensiero e d’idealità. L'attività scientifica quindi—che si svolge sempre più nello indirizzo di ricavare dalla vasta ‘analisi degli avvenimenti storici naturali ed umani, le poderose visioni sintetiche delle leggi che governano le varie organiz- zazioni sociali — è condotta ad applicare le affermazioni dell’ Energetica alla interpretazione dei fatti di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo. Nei contrasti pacifici o violenti tra i varî aggregati sociali, l'egemonia o il predominio di un aggregato sull'altro raramente diviene annullamento antropologico o linguistico, ma, per lo più, fondendo nelle generazioni ele- menti disparati, dà luogo a trasformazioni di fisonomie e di tipi, deter- minate dalla vittoria di superiorità psichiche dovute a sopraelevazioni rag- giunte in seno dei varî aggregati in contrasto. Come, nelle esplorazioni sotterranee delle ricerche minerarie, cessa a un tratto il giacimento metallico o metalloide che si coltivava, e permette la classificazione in filoni, ammassi o lenti, isolati nelle originarie infiltrazioni o nei depositi in depressione e spezzati in seguito per faglie e scontorci- menti, così pure è accaduto nel corso delle vicende umane. Le differenze grandissime appariscenti tra le razze e varietà umane, e Ss POPOLI SCOMPARSI determinate dal clima e dalla topografia, e dalla flora e dalla fauna, coi quali è in contatto qualsiasi aggregato sociale, sono oggi assai più com- prensibili di una volta, poichè, dietro il sipario gigantesco della elabora- zione mentale della civiltà romana, ellenica ed ebraica, si vengono lumeg- giando le civiltà anteriori: assira ed egizia, e quelle dell’Iran e del Turan, dell’mdia e della Cina, e le altre ancor più remote, che, il primo senti- mento di sorpresa e di meraviglia, alcune diecine di anni fa, chiamò im- propriamente prezstoriche, quasi che l’antichità dell’apparizione della specie umana e le fortunose vicende della sua disseminazione su tutta la super- ficie della Terra, per singolare attitudine allo adattamento , potessero se- pararsi e distinguersi dal periodo, imprecisato e indefinito cronologica- mente, dei documenti grafici. Come anche oggi avviene nelle contrade poco esplorate e perciò estranee al movimento di onda delle popolazioni, ci furono periodi lunghissimi nei quali fu elementare e scarsissimo il patrimonio mentale , e la vita delle società umane non lasciò traccia di se che nei residui o rifiuti delle ali- mentazioni, nei ricoveri degli abitati e nei prodotti delle industrie pri- mitive. Il correlativo accertamento scientifico lo abbiamo dagli studî specializ- zati di Linguistica e di Antropologia, che ci hanno permesso di ricono- scere gli effetti della legge sociologica per la quale: gli aggregati sociali che prima occuparono una contrada e ci si adattarono—e che sì chiama- rono aborigeni od autoctoni—acquistarono caratteristiche condizioni di re- sistenza organica alle innovazioni foniche e fisiologiche, ed alle influenze patogeniche del proprio ambiente (immunità organica). Nelle ignorate vicissitudini di miglia]ja di secoli, i gruppi sociali, isolati dalle distanze, non ebbero e non si diedero un nome, perchè mancò l’ec- citazione necessaria a costituire l’ imagine della convivenza. Perchè una banda, un’orda, e, in prosieguo di tempo, un clan e una tribù , avessero un nome fu necessario avvenisse contatto pacifico o violento tra gruppi diversificati. La lotta vitale per l’esistenza, allorchè, per progresso civile, prende lo aspetto di concorrenza e contrasto tra gruppi sociali, assicura la preva- lenza psicologica al gruppo più forte mentalmente per ricchezza d’imagini, dovuta a esperienze meglio avvertite, ed il suo nome sì estende ai gruppi più omogenei per consanguineità vicina o di poco remota. IL POPOLO SICANO-SICOLO 9 Non ci è dato però, per difetto di documentazione, di seguir passo passo lo avverarsi della sparizione di alcuni dei gruppi speciali primitivi. Ci è più agevole invece togliere ad esame le ragioni per le quali, nei ricordi graficamente documentati , si fa il silenzio e il mistero attorno a popolazioni le quali riempirono con le loro gesta 1° attenzione del mondo conosciuto. I tipi classici di questo fenomeno sono : a) Gl'Ittiti (o Kittei) e 1 Fenici. Degl'Ittiti si parla nel vecchio Testamento. Se ne è tornato a parlare recentemente nei tentativi fatti per lumeggiare la storia dell’alfabeto. Dove sono adesso gl'Ittiti ? b) L'Africa australe. Qui non abbiamo ricordo di nome. Non abbiamo che rovine di monu- menti colossali, a 3300 piedi sul livello del mare, nella regione del Ma- scionaland, centro di una coltivazione mineraria che esaurì il suo ciclo so- ciale , senza influenzare la vita di popolazioni indigene sopravvissute, e che, se furono in contatto col popolo che la tradizione ancor vivente tra i Mascioni dice bianco di pelle, non appresero i metodi industriali, la lingua, nè la virtù organizzatrice di quella civiltà scomparsa che lasciò, sola orma di se, fortezze, che sono nello stesso tempo, tempî e palazzi, e custodia dei tesori auriferi strappati alle viscere della terra. Il primo che ne parlò (1), il portoghese de Barros nella prima metà del secolo XVI, e per relazioni probabilmente avute con viaggiatori arabi, scrisse che gli indigeni chiamavano questi edifici Z2mbaoé , che per essi equivaleva a residenza regale. E avvertiva che Tolomeo avea dato all’A- frica australe il nome di Ag:24mba, forse, più che semplice coincidenza fo- nica, ricordo che l’antichità classica avea sentito l'eco lontana che sì riat- taccava a siffatti monumenti misteriosi (2) di un popolo sin da allora scomparso e del quale non si hanno più traccie. (1) Da un articolo di Ta. HoLLer: Zoao pe Barros, Asia Portughese, 1% decade, I WILDE Gi We (2) Il nome con il quale sono oggi indicati dagli indigeni è: Zimbabié ; vagamente se ne avea notizia, nei racconti per informazioni raccolte da Tomas Bayxes, IonN SwIx- BURN, Burton e LivinestoNE, con precisione nella relazione entusiastica del mineralogo CarLo Mavc® nel 1871, e assai di più nella publicazione: The ruined cities of Masho- noland, Londra 1893, di Taropore Bent. La descrizione di queste rovine architettoniche diè fondamento alla ipotesi che i loro costruttori possedevano una organizzazione reli- D) 10 POPOLI SCOMPARSI c) Qualche cosa di simile rivelano le ruine monumentali in alcune contrade dell’Imdia e della penisola Maja nell’America centrale (queste forse più recenti delle ruine indiane posteriori in data alle africane). Anche in esse, come nell'Africa Australe, la flora tropicale, invadente le rovine e i ruderi, ha contribuito potentemente a conservarli come documenti storici di vita sociale. Ignoriamo completamente le sorti de’ popoli che abbandonarono le città distrutte, e nascoste adesso dalle foreste e dalle liane. d) I Tasmaniani. L'ultimo degli abitanti trovati nella Terra di Van Diemen è morto verso la metà del secolo XIX. Se potesse, al concetto di varietà etnica umana, estendersi la imagine di specie, potremmo dire che ci troviamo in pre- senza di una specie estinta. Nulla, antropologicamente, sopravvive di quella razza. e) I mounts della immensa vallata del Mississipì. Alla parola mounts gli Americani moderni hanno sovrapposto il signi- ficato della imagine di quelle colline alle quali popoli scomparsi diedero forme animali gigantesche e che contengono tombe e vestigia di civiltà e di condizioni agricole vissute, là dove sopravvenne non solo il silenzio ma la scomparsa misteriosa dell’ agricoltura, poi che le popolazioni occu- panti il territorio, all’epoca della colonizzazione europea, erano nomadi e dedite alla caccia (1). Le vestigia imponenti di una convivenza civile sono rimaste. Ci man- cano i mezzi per constatare l'elemento etnico che le fabbricò; è evidente la rivelazione che gli aggregati umani che vissero attorno ad esse, aveano giosa animata dal simbolo solare, e perciò trovavansi aver raggiunto uno stato di ci- viltà assai avanzato. È però da avvertire che recentemente l’archeologo Randall-Maciver nel suo libro Me- dieval Rhodesia, eseguendo una missione affidatagli dalla Società ènglese per il progresso della scienza, ha ricondotto queste costruzioni a tempi posteriori all'XI secolo e ad un popolo indigeno e barbaro. (1) Appartengono pure a questo tipo (m20unts) sebbene dinotano una civiltà più avan- zata per l’uso murario della pietra: Le mura ciclopiche (in Grecia; nelle isole di Pantelleria e di Lumpedusa col nome di sesì); I Nuraghi o Nur-aghe in Sardegna; Le Sperchie o i trulli in Terra d’Otranto; I Beehive-houses in Irlanda; I Bothan nelle isole Ebridi; I Castellieri in Istria; Talayoti nelle Baleari. IL POPOLO SICANO-SICOLO al già una economia da proteggere insieme alla propria esistenza, e che perciò si era già costituito l'organismo politico della difesa contro possi- bili offese di altri aggregati sociali. La scienza che studia il fenomeno sociale deve seguire passo passo, sin dalle sue origini, i fatti relativi alle convivenze umane. Sotto questo aspetto ci è lecito affermare che essa sia scienza positiva e sperimentale. Senonchè, la sperimentazione non potendo mai essere volontaria, perchè non può ri- fare gli avvenimenti nè le condizioni loro, essa può lavorare efficacemente soltanto sopra le esperienze, cioè sul passato, il quale, con imagine vivace, possiamo rassomigliare ai pozzi e ai sotterranei delle miniere nei quali quanto più cresce la profondità tanto più diminuisce la possibilità della penetrazione della luce, anche se artificialmente prodotta dall’ uomo. Ag- giungi, nel servirci della imagine di relazione, che le manifestazioni del- l’attività umana — dal momento in cui essa cominciò a distaccarsi dalle con- dizioni puramente animali della ricerca di cibo, e dalla conseguente ri- cerca sessuale e di ricovero —si complicarono sempre per una evoluzione psicologica la quale si annida nei documenti materiati delle varie convi- venze umane e per un corso finora insospettato di generazioni. Ora è questo appunto , della entrata in azione dell’elemento psicologico che si combina col fisiologico, ciò che dà alla scienza sociale il carattere induttivo e sintetico, che la conduce a vivificare le risultanze storiche dei fatti po- sitivi, che, con laboriosità crescente, e con critica rigorosa , e prudente riserva di facili generalizzazioni, vengono continuamente in luce. Qualsiasi documento umano, e specialmente l’archeologico e l’altro che si trova depositato nelle stratificazioni geologiche del periodo quaternario e forse del pleistocene, non è più, come gli altri fenomeni anteriori della storia naturale, un argomento di prova di semplici condizioni di esistenza zoologica, ma costringe a indagare con la massima approssimazione pos- sibile, lo stato d’animo e degli scambî mentali di ognuno degli stati so- ciali che legittimamente possono attribuirsi a un determinato periodo preso nel suo insieme. Risalendo dal noto all’ignoto, riesce di grandissimo vantaggio la com- parazione tra le condizioni delle società più evolute in civiltà , cioè in azione di adattamento all’Umanità delle cose e della energia in esse con- tenute, con le condizioni delle società meno progredite, col racconto vivo del passato che ci rivelano i nostri bambini, con lo stato mentale delle 12 POPOLI SCOMPARSI stratificazioni inferiori esistenti nelle nostre società contemporanee ci- vili (1). X% * Da queste considerazioni generali ritornando all'argomento che trattiamo, e allo stato attuale delle cognizioni umane, siamo in grado di affermare che il fenomeno storico della scomparsa di popoli si può attribuire nelle sue cause a tre grandi categorie : a) Scomparsa del nome; 5) Scomparsa dell’autonomia politica per fusione antropologica e sociale; c) Scomparsa per cause naturali: climatiche, economiche e patologiche. A) Nella evoluzione civile di tutte le genti umane ci è sempre un mo- mento storico in cui, l’aggregato sociale numericamente limitato, viene in contatto con un altro aggregato scarso, anche per mezzo di qualcuno degli appartenenti all’aggregato. Il caso rv, origina una imagine, e un fenomeno di coscienza , che si precisa nella formazione di uno speciale suono articolato, che diviene un nome. Generalmente parlando, il fenomeno linguistico della creazione della parola è fenomeno di vita. Nasce, si svi luppa tenace più o meno, si deforma o si complica, deperisce, muore. Tra i due aggregati in contatto apparisce, per quanto embrionale, la coscienza sociale della propria compagine in relazione a un’ altra compa- gine prima ignorata. Questa relazione, governata dal ritmo occasionale di simpatia di congenere e di occasionali antipatie, dà origine ad attraenza sessuale, a scambio d’imagini ed a scambio di prodotti, mot.w: d’'intreccio di condizioni, differenziate più o meno : fisiologiche, psicologiche ed econo- miche insieme. La banda si trasforma in orda, e questa si riorganizza, attorno ai suoi individui meglio dotati, in elans e in tribù. Ognuna di queste aggregazioni anch'essa prende o riceve un nome. Sotto un certo punto di vista si può ben dire che la storia della civiltà umana s’inizia ed evolve sulla costruzione dei nomi e del riflesso del movi- mento: ciò che grammaticalmente chiamiamo sostantivo e verbo, statica e (1) È questo uno dei capitoli più importanti degli studî di sociologia. Giova però avvertire che la grande massa umana, sul fondo comune della vita emo- tiva e passionale, svolge principalmente la propria attenzione sulle relazioni personali di sentimento-pensiero e d’interessi-pensiero. Da ciò la facilità grandissima dello sper- pero di forze nella chiacchiera, nel pettegolezzo—occuparsi dei fatti e delle azioni della gente. Da ciò la lentezza relativa della penetrazione sociale delle idee astratte e della rapidità relativa dello apprendimento delle loro applicazioni, che chiamiamo praticità di vivere. IL POPOLO SICANO-SICOLO 13 dinamica del linguaggio. Su questa base sicura è avvenuta la grande compli- cazione delle imagini di relazione qualitative e quantitative, concernenti le persone e le cose. Questo è il fenomeno generale, ossia sociale: visto nel suo insieme. E siccome, nella realtà delle cose, esso è il prodotto mentale di un individuo adatto che lo trasmette immediatamente alla propria convivenza, questa, adattandosi a farne uso e, apprerdendolo, se ne avvale inconscientemente per plasmare l’anima delle generazioni sopravvegnenti. In tal modo, invece della precedente organizzazione bio-psicologica nello istinto, si realizza nella specie umana la organizzazione della obbiettivazione delle imagini nella parola parlata e poi scritta. Questa formazione o creazione continua ed incessante è, quasi contemporaneamente, individuale e sociale, e perciò diviene, diversamente dallo istinto, ambiente sociale , dotato della singo- lare energia di radiare sul presente e sull’avvenire. Il paragone col fatto positivo attuale della scoperta dei raggi X, del polonio e del radio, cade opportuno. Con generale sorpresa, perchè sconvolge completamente le nostre cogni- zioni sulle proprietà della materia, che sarebbe meglio dire sulla realtà delle cose, la scoperta del radio ci mette in presenza di un elemento com- misto intimamente con la sostanza di altri elementi e difficile a separare e ad isolare da essi, che emana luce e calore senza nulla perdere, a quanto sembra, del proprio volume e del proprio peso. Non altrimenti avviene con l’obbiettivazione d’imagini nella parola par- lata o scritta, mezzo sociale acquistato ed accresciuto di continuo attra- verso stenti infiniti da un numero sterminato di umane generazioni. L'i- solamento e la precisione della sua virtù radiante, fanno sì che questa virtù, eminentemente diffusiva, nulla perde della propria efficacia per il sopravvenire di onde di popolazioni contemporanee o future. Insegnata la sua tecnica, ossia acuìta la facoltà visiva del suo significato, la sua forma materiata, 0, con altro modo di esprimerci, la sua statica si trasforma in dinamica, cioè, in eccitazione di movimento emotivo e intellettuale, in fenomeno di coscienza individuale e sociale. Ora, per tornare al nostro argomento, il nome che riceve o che assume un aggregato sociale primitivo che viene a contatto con altro aggregato, ha in se il carattere precario e transitorio della propria convivenza e sot- tostà alle vicissitudini e perciò alle condizioni storiche della stessa. Nella lotta per la vita, per lo più pacifica, tra i vari aggregati sociali ancor poveri di obbiettivazioni d’imagini, si avvera anche la lotta psicologica tra 1 loro nomi. La ineguaglianza naturale delle loro dotazioni di energia, dà egemonia o prevalenza all’aggregato meglio dotato. Il nome di uno 14 POPOLI SCOMPARSI degli aggregati scompare, attratto come è od assorbito da un nome che significa energia maggiore o facilitazione di movimento. B) Da questo primo caso a carattere spiccato psicologico , possiamo, nella storia della civiltà, passare all’altro della entrata in azione dell’ ele- mento politico nella forma primitiva di forza militare organizzata per fini già prevedibili o preveduti della offesa o della difesa. La compagine so- ciale, in tal caso, ha cessato di esser sentita soltanto nel fatto del convi- vere. Sotto la pressione del pericolo , o sotto 1’ altra delle cupidigie vio- lenti, si è manifestato il fenomeno corrispondente della maggiore adesione degli elementi sociali, e perciò della disciplina di essi attorno a un Capo e a gerarchie che ne organizzano o ne dirigono le azioni. Sul fatto quasi inorganico ed amorfo del convivere, cominciano a rivelarsi le tendenze sociali all’organizzazione politica. Al sentimento vago e confuso del fatto del convivere succede il sentimento sempre più chiaro, della lenta forma- zione di un organismo vero e proprio che, per il nome che assume o riceve di clan, tribù, e poi civitas e Stato, si distacca, come imagine, dal fatto sociale di massa e si precisa nei suoi contorni, in quell’associazione d’ima- gini che i.popoli civili chiamano autonomia. Il vincolo sociale di una convivenza organizzata a imprese di caccia e di guerra, dal fatto necessario (incosciente che diviene cosciente) di disci- plina, trasformò lo stato sociale di banda e di orda e lo fece divenire clan prima, tribù poi. La loro autonomia però essendo un carattere secondario acquisito — il politico — sottostà a quelle vicende di lotta politica, che, per molti pensa- tori, e per tanto tempo e con sopravvivenza avvertibili, furono credute il fondo o il canevaccio della storia. Perlochè, in relazione alle circostanze, può durare e può anche scomparire. Il giorno in cui un'autonomia politica scompare si è avverata già una azione politica e militare che ha soffocato nella dimenticanza il nome. Ed è sembrato che col nome sia stato annullato il popolo che lo possedeva e siasi distrutta la sua stirpe. Se questa è la parvenza tutt’ altra è la realtà. Nel corso suo vitale l’uomo, meno come individuo e più come convivenza sociale, dimentica assai più cose di quello che impari. Nella catena genealogica, invece, la successione è ininterrotta, malgrado le parziali lacune delle morti senza discendenza. Qualsiasi entrata di un elemento qualitativo diverso nello incrocio delle geneologie animali non si sperde più, e, in proporzione della. sua quantità iniziale, riapparisce in quel fenomeno che si chiama ritorno atavico, che eccita le cure eliminatrici degli allevatori e dei giardinieri, ma sul quale si arresta l attività umana , che non può esercitare facoltà eliminatrici incapaci di acquistare carattere giuridico. IL POPOLO SICANO-SICOLO 15 Allorchè gli studî antropologici saranno progrediti così da vivificare e condurre a nuove e precise classificazioni le tabelle statistiche demogra- fiche, la scienza avrà il mezzo di constatare la sopravvivenza e le quan- tità d’incrocio dei varî elementi etnici penetrati in epoche più o meno remote in una massa sociale. Ed allora si saprà dove sono i Kittei, i Fenici, i Goti, i Vandali, che lampeggiarono sul fondo annuvolato della nostra atmosfera storica. C) Ha però carattere di vera sparizione di popoli quella che è stata cagionata dalla soccombenza nella lotta vitale contro le circostanze am- bientali della flora e della fauna. L'organismo vegetale è intimamente collegato, oltre che al suolo che gli fornisce gli elementi nutritivi, alla gamma climatica (temperatura e umidità). Se le variazioni di questa gamma sono in eccesso nei minimi o massimi precedenti, le condizioni di accu- molo ereditario, e perciò di resistenza, trovandosi impari al bisogno dinanzi alla variazione improvvisa o brusca, soccombono, mancando loro, forse, il tempo necessario allo adattamento —la specie scompare. Così anche av- viene per le specie animali alle prese, per necessità alimentare, con l’am- biente vegetale od animale. La sparizione del pasto abituale; o la soprav- vegnenza di nuova alimentazione contenente particelle fisico-chimiche dan- nose alla propria organizzazione; oppure il contatto con specie o varietà nuove apportanti colture microbiche patogeniche contro le quali queste hanno acquistato per adattamento una relativa immunità , fa avverare le condizioni storiche che chiamiamo : deficienza alimentare, avvelenamento alcoolico, epidemie o endemie diffuse. La mortalità grandissima e rapida, prima negli infanti e nei vecchi, e in prosieguo negli adulti; la natalità diminuita, alterano profondamente lo stato demografico sino a distruggere completamente la varietà etnica impreparata alla resistenza. L'esempio dei Tasmaniani a questo riguardo è luminoso. Nell’ evo remoto la disseminazione della specie umana, dovuta alla energia espansiva dei gruppi sociali, contribuì potentemente a distanzarli e, nello isolamento dell’ abitato nuovo, ad imprimer loro differenziazioni fisiologiche ed anatomiche, per le quali furono rese immuni o predisposte a tutto quel gruppo di malattie, che soltanto adesso sappiamo derivare dall’attività per noi morbosa di assai microrganismi. Sotto questo aspetto la certezza scientifica è stata raggiunta, e non si annoverano più tra i castighi di Dio le virulenze delle invasioni microbiche che, per le grandi e frequentate vie di comunicazioni mondiali, hanno tratto tratto infestato, atterrito e distrutto assal convivenze umane. L'uomo civile moderno si difende con intelligenti barriere sanitarie, con la ricerca del microrganismo patogenico e delle sue condizioni vitali, con 16 POPOLI SCOMPARSI la profilassi e l’igiene— quando il fatalismo orientale ancora fa accasciare altre razze innanzi alla inesorabilità del destino. Ma così, per mancanza di cognizione. non poteva farsi dall'uomo quanto più sì risale col pensiero il suo lungo. stentato e faticoso processo storico. Contro la tisi e la tubercolosi. contro gli avvelenamenti aleoolici favoriti dal piacere dell’ebbrezza. contro la disciplina delle abitudini sedentarie, i Ta- smaniani rapidamente e totalmente , le Pelli rosse più lentamente e par- zialmente, spariscono (1). lasciando grandi lacune nella storia dell’Umamtà. che non saranno mai più riempite, quasi fossero salti o spezzature, appa- renti e non reali, nella catena delle esistenze umane. Tolto a questo esempio il fattore alcool. che è moderno, le altre cennate cause di sparizione com- pleta. è assai probabile. dovettero avverarsi nel remoto passato, e. allo stato attuale delle conoscenze umane. si presentano alla nostra intelligenza come la soluzione dell’intricato problema. II Non appartiene però a queste categorie di popoli scomparsi o dimen- ticati il popolo sicano-sicolo, del quale Omero e gli scrittori greci s’intrat- tennero, nei vaghi ricordi di leggende e di miti. che dimostrano, nel primo loro apparir letterario , la mancanza di contatti marittimi diretti, quasi eco affievolita di qualche rara impresa cipriota o cretese, o della vaga pe- neirazione del segreto che i Fenici mantenevano intorno alle loro colonie dell'Occidente del Mediterraneo. Per l'isola maggiore di questo mare, felicemente situata tra le correnti di scambio con la costa africana. e come punto di espansione e di approdo per l'Occidente e l'Oriente del vasto bacino marittimo, si è avverato quel fenomeno di allucimazione visiva, che, per cause varie, altera i contorni e le sembianze delle cose. Grandissima analogia ci è tra il fenomeno storico del miraggio orientale delle relazioni etniche eurasiane contro il quale si è ribellata la critica storica moderna, e l’altro fenomeno storico dello studio delle popolazioni sicano-sicole attraverso il materiale letterario raccolto dagli scrittori greci. Senonchè , come dietro il sipario delle vicende dei Celti e degli Arìì vennero in luce, per le scoperte da sessant'anni im qua. stati di civiltà anteriori, che impropriamente furon dette presstoriche quasi che la Storia dell’ Umanità avesse una Cronologia sicura , come narrava il Libro moderno della Genesi, e non si riattaccasse indissolubilmente alla zoologia, alla paleontologia. alla geologia — semplice episodio della storia 1) E così anche altre popolazioni delle isole del Pacifico. IL POPOLO SICANO-SICOLO 17 della Terra e dell’Universo— così pure per la Storia delle popolazioni si- cane, dietro il sipario greco è stata , da un trentennio appena, messa in luce una civiltà ignorata. I pochi geroglifici della stele egiziana scoperta dall’attività archeologica di Maspero, continuatore dell’operosità di Mariette, e che io in copia in- grandita (1) sottopongo alla vostra attenzione, narrano, con la pomposità solita alle Monarchie orientali, la vittoria riportata, sui Libî alleati con altre popolazioni ai Sardi e ai Sicoli, dal Faraone Thoutmes II (Miframutosi). E questi due ultimi popoli sono indicati provenienti su navi. In una nota di Vittorio Spinazzola, letta all'Accademia Reale di Napoli nella tornata del 10 giugno 1902 (2), col titolo: Di alcune antichità sarde, trovansi armonizzate le risultanze degli scavi fattisi dalla metà del se- colo XIX in Sardegna con l’affermazione storica che è venuta fuori dalla scoperta più recente, di questa stele egiziana che risale all'anno 1625 a. O. Forse, a mio modo di vedere , lo Spinazzola fu timido (e forse per la influenza delle idee dominanti la nostra prima abitudine di pensare) nel fissare la data dei monumenti archeologici sardi tra il XII al VII secolo a. C., quando invece la data della stele induce a ricondurre la fiorente età del bronzo in Sardegna prima del XVII secolo. Lo stesso può indursi per la corrispondente civiltà sicano-sicola. Oggi, che la influenza di relazioni tra l'Egitto, l’Asia Minore, la Grecia, e le isole di Sicilia e Sardegna non è più un mistero , il quesito storico che si presenta all’ attenzione dello studioso è questo : È evidente che la base di esse relazioni fu marittima —espansione commerciale e politica — ma l'Egitto non fu mai, e principalmente nella durata delle sue prime dinastie di Faraoni, una potenza marinara. Glielo vietava la sua posizione geogra- fica, dominata da un mare interno e dall’estuario del Nilo, che ritardò la trasformazione sociologica della pagaia in remo (3). Sembra invece che (1) E ne ringrazio pubblicamente il signor Francesco Lionti. (2) Società Reale di Napoli. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di Archeologia, lettere e belle arti. Nuova Serie. Anno XVI, maggio a dicembre 1902, pagg. 217 a 334. (3) Cfr. gli studî sulla marina degli antichi fatti dell’ ammiraglio IuRIEN DE LA GRra- VIÈRE. La eccitazione sociale che viene dall'ambiente fluviale o da mari interni poco vasti, è meno vivace dell’altra del mare che apparisce come imagine di cosa che non abbia confini. Nella corrispondente tempra di temperamenti e di caratteri—lentamente fornita 3 1 le popolazioni costiere dell'Asia Minore e del mare Egéo, come quelle di (00) POPOLI SCOMPARSI Sicilia e di Sardegna, siansi lentamente adusate ad allenare la loro energia sul mare (per un processo storico forse indipendente ma simile) sia nel bacino orientale che nell’ occidentale del Mediterraneo. È assai probabile che scorrerie e commerci partissero verso l'Egitto, anzichè dall'Egitto verso l’Asia Minore e l'Egéo, oppure verso Sicilia e Sardegna, assai distanti, mentre queste, per affinità etnica e per prossimità marittima e facilità di correnti (e poi di venti dominanti riconosciuti per esperienza), ebbero con- tinuità di relazione coi Libî. Confermerebbero questa induzione i mo- numenti egizî, che mettono in evidenza i prigionieri fatti sulle popolazioni costiere del mare Mediterraneo designate con nomi scomparsi, e che, in un periodo storico di avventure. è probabile dovettero essere attaccanti più che attaccate, e perciò in inferiorità numerica come combattenti. Nel processo storico dell’evoluzione psicologico-sociale umana, le imagini concrete precedono di molto le imagini astratte. L'Impero Egizio, attratto dall’immediato , svolse la sua operosità sociale-politica al mezzogiorno e all’oriente , dove la sua situazione continentale la facilitava per terreni pianeggianti. Non si spinse mai oltre la catena libica che gli nascondeva i tramonti del Dio solare (1). Invece. per le popolazioni costiere del Me- diterraneo, il mare fu il campo naturale dell'energia espansiva sociale, con le audacie che questa suggerisce. Quando, all’ epoca neolitica , succedette l’eneolitica per la comparsa del bronzo, questo non fu in Sicilia e Sar- degna prodotto territoriale (2). ma prodotto d’° importazione e perciò di commerci o di bottino di guerra. Per la potenza suggestiva del contatto col fatto nuovo — bronzo — assai più utile dell’arme e dello strumento di pietra levigata, esso divenne l’imagine di metallo prezioso, oggetto di de- siderî, di cupidigie, che poi, nei secoli posteriori, portò a violare le tombe, vincendo financo le già inveterate credenze sul culto dei morti. Le sco- perte archeologiche seguitesi in Sardegna da più di mezzo secolo, e quelle che, con geniale evoluzione di singolari attitudini e scrupolosa applicazione di metodi scientifici, ha iniziato , con mezzi assai limitati, il Prof. Paolo dalle imagini dei pericoli che si sperimentano e che, rimanendo nel cervello con la memoria, dànno luogo a fenomeni di coscienza accumolati o concentrati nelle genera- zioni e nei racconti di vita vissuta — le popolazioni che si organizzano politicamente, cioè con formazioni di gerarchie e con propositi espansivi, nel mare, hanno nella loro compagine sociale elementi più avventurosi e audaci di quello che siano gli altri, delle compagini sociali viventi in un vasto territorio continentale che abbia poca zona marittima. (1) Cfr. il Libro dei morti. (2) Per la mancanza dello stagno necessario alla lega col rame. IL POPOLO SICANO-SICOLO 19 Orsi a Siracusa (1) nel campo inesplorato delle terre siciliane, lumeggiano una civiltà fino a pochi anni fa ignorata , e che è anteriore alla premi- cenica, scoperta dallo Schliemann e che scombussolò tutta l'archeologia classica. La stele egiziana del 1625 (2) a. C. irradia questa civiltà di luce nuova. Come ebbi già ad osservare qualche anno fa, a proposito di questa breve enunciazione di una vittoria riportata da un Faraone sui Libî alleati ai Sicoli e ai Sardi, lo studioso trovasi in presenza di un atto politico-mili- taro federativo , accompagnato dal trasporto marittimo di guerrieri, par- titi dalle due maggiori isole del Mediterraneo verso le sponde libiche. Ora è assai probabile che in Sicilia come in Sardegna, debbano esistere. in tombe inesplorate ancora, assal più documenti storici di quelli finora raccolti, per l’operosità intelligente di pensatore, nel Museo di Siracusa (3). Tutti sanno, o dovrebbero sapere, che ci fu un lunghissimo stato sociale di civiltà umana, in tutto il mondo, in cui l’ armamento guerresco e in- dustriale dell'Umanità si esplicò sul proprio ambiente petrografico. È prova evidente di questo fatto la scoperta continua che si fa di armi o stru- menti apparecchiati sui materiali geologici delle proprie contrade. Questi materiali sono : per lo più la selce, la giada , il basalto e l’ossidiana (4). In Sicilia, finora, l’ossidiana si è trovata soltanto a Pantelleria (Cossyra) e nel gruppo delle isole Eolie. Nel Museo di Siracusa , per tombe esplo- rate dal Prof. Orsi e che risalgono al periodo Sicano—e forse quando an- cora non erano sopravvenuti il fatto e la dizione di Sicoli—sonosi ritro- vati armi e strumenti di ossidiana di epoca paleolitica. È perciò da pre- sumere che sin da quell'epoca remota c’era una navigazione che permet- teva gli scambî tra il territorio di Siracusa e quello , assai distante per allora, di Pantelleria e Lipari. Ora il quesito storico che s'impone agli studiosi è questo: C'era tra i Sicani, come tra i Sardi è stato acclarato, uno speciale allenamento mili- tare nelle due divisioni combattenti di lancia, spada e pugnale, e arcieri ? (1) In quel Museo nazionale che, per lo indirizzo moderno ricevuto, può a buon di- ritto considerarsi come una sua creazione. (2) Cfr. il mio studio su Le forme di Governo e la loro evoluzione popolare. Palermo, 1900, vol. 2°, pag. 230, e la monografia La Sicilia, elemento di civiltà italiana, nell’Ar- chivio storico siciliano 1901. (8) Degli altri Musei di Sicilia grandi o piccoli, non è ancora il caso di parlare, man- cando ancora in essi lo spirito di ricerca, di classificazione e di diffusione scientifica. (4) Di giada e di basalto trovasi nel Museo geologico e nel Museo nazionale di P a- lermo qualche campione dell’epoca neolitica. I campioni di ossidiana sono assai più antichi. 20 POPOLI SCOMPARSI Che nello stato sociale dell'età del bronzo, quando si maturò I’ alta con- cezione di una guerra federata, di popolazioni familiarizzate col mare, contro il più potente organismo politico di quel tempo. è cosa assai pro- babile. Ma precedentemente, nelle età neolitica e paleolitica, una simile preparazione a quali avvenimenti diè luogo? È prudenza aspettare il responso delle rivelazioni archeologiche. Per il sociologo però rimane aperto il campo delle investigazioni. Non ci sono, nella Storia dell’ Umanità, imprese di guerra, anche allo stato primitivo di razzia, che sì spingano sull’ignoto. Perchè avvenga tra due gruppi sociali, piccoli o grossi, un urto violento, è di mestieri sian prece- duti un contatto e una cognizione. e perciò una organizzazione scientifica. Sia per terra che per mare, qualsiasi spedizione in contrada distante dal proprio abitato, è preceduta dal fatto, casuale nei periodi primitivi e pre- meditato (psicologico) nella susseguente evoluzione civile, di uno (0 pochi individui) di un aggregato sociale che, per vaghezza di avventure od anche per semplice azzardo, siasi spinto al di là del territorio solitamente sbattuto e vi abbia trovato un aggregato sociale sconosciuto, e sia tornato tra i suoi a darne contezza, infiammando la loro imagimazione col racconto delle differenze con lo stato sociale proprio che lo colpirono, e destando l’amor del nuovo o il desiderio di cose che la fantasia riveste spesso di forme assai più seducenti del vero. Per il sociologo — che sfugge le astruserie metafisiche che distraggono dallo esame attento della realtà delle cose, che conduce alla lenta e così stentata cognizione delle cause dei fenomeni della Natura — l'esempio di Cristoforo Colombo e l’ altro più recente dei celebrati esploratori dell’ A- frica, è radioso per rifare la storia dell’ Umanità primitiva, malgrado la enorme differenza che qualifica il moderno movimento pensato e volontario e lo distingue dai primitivi movimenti accidentali e involontarî, che, assai lentamente, divennero organizzazioni psicologiche e sociali. Per quanto scarso e debole, sin dall’ età paleolitica — e le prove archeologiche oramai sono evidenti—il distacco insensibile dalle condizioni di vita delle altre specie animali, gli aggregati sociali umani aveano iniziato la evoluzione civile della loro espansione (commerciale per lo più e belligera tratto tratto), che permise i contatti e gl’incroci tra genti, diverse per lunga azione di ambiente climatico e topografico. Come per gli studî geologici l' Umanità ha acquistato la certezza: che i periodi storici sì sono susseguìti in durata decrescente, massima essendo la primitiva nella quale la vita organica non era ancora apparsa e minima la fase attuale che si percorre da noi, così avviene negli studî biologici, psicologici e sociali. IL POPOLO SICANO-SICOLO 21 Le stesse leggi naturali che organizzano, per l’azione combinata dell’ere- dità (1) e dell'ambiente, l'istinto, agiscono alla base dell’ organizzazione della psiche nelle specie animali, sino a che e dopo che apparisce la specie umana. La leggenda di popolazioni già civili. che governò dispoticamente il pen- siero umano sino a poco tempo fa, e per la quale l’uomo nacque di gitto, armato di parola e investito di supremazia monarchica sulle cose e sulle specie di questo mondo, quella leggenda è oramai distrutta. Lo esame dei fatti ha provato, che essa non era altro che una ipotesi semplicista venuta da osservazioni assai più incomplete di quelle che oggi trovansi raccolte. Se dell’uomo primitivo non abbiamo traecie che possano darci la cer- tezza delle sue condizioni anatomiche, ciò è dovuto al fatto indiscutibile: che esso appari (come tutte le altre specie animali) nell’ordine zoologico nè armato nè usante un linguaggio articolato capace di fissare in un uomo associazioni d’imagini nelle parole che costituiscono la organizzazione di am- biente mentale e sociale. Animale, come gli altri, egli dovea provvedere soltanto alla sua alimentazione, riparandosi alla meglio dalle intemperie, difendendo se, la sua donna, i figliuoli (2) dalle offese della fauna selvaggia; impulsivo e passionale; incapace di ovviare alle condizioni deleterie delle malattie, e alla mortalità grande degl’infanti, dei vecchi e dei deboli, abban- donati al loro destino. Nè sepolture nè tombe. Queste sono già indizio di ci- viltà. Le ossa, quindi, disseminate sul suolo, esposte all’aria e al sole che le dissolve in cenere. Casualmente la inondazione o lo interrimento le rico- prono, e l’incosciente Natura le conserva nelle stratificazioni geologiche allo azzardo delle scoperte, sulle quali gli studiosi potranno chiarire lenta- mente i particolari di una storia che l'Uomo ancora non conosce. Dei documenti umani, il più remoto è quello che prese nome di avanzz di cucina (3). Io qui espongo ai vostri occhi uno dei tre pezzi di conglo- merato che si conservano nel Museo di Geologia nell'Università di Palermo, e che, insieme a questi cartoni ai quali sono attaccati armi di pietra scheg- giata, coltelli, punte di freccia, perforatori, appartengono al primo periodo della lunghissima epoca paleolitica. (1) Successione delle generazioni. (2) L’altruismo sin dalle origini. (3) Kjokken mòddings, illustrati per il primo dal danese Svendrup, e che sonosi ritro- vati dapertutto. Bisogna però avvertire che siffatta parola composita, come la frase avanzi di cucina, indica un fatto generico della storia dell’ Umanità. I casi e i tempi nei quali essi si avverarono furono svariatissimi. Sono i conglomerati e le serie di stratificazioni per inondazioni sopravvenute che, in modo approssimativo, dànno indizî delle loro remote formazioni. 292 POPOLI SCOMPARSI I tre frammenti provvengono dalla grotta dell’Addaura, qui presso le falde del Montepellegrino. Contengono , com'è facile vedere, conchiglie. pezzetti di ossa di animali, armi di selce e, ciò che è più notevole, pezzetti di legno brucicchiato o allo stato di carbone. Le armi e gli strumenti, qua e là trovati, sono simili a quelli che oramai son raccolti nei moltissimi Musei publici e privati del nostro mondo civile. La ipotesi finora incontrastabile, che si presenta alla nostra attenzione, è questa: quei nostri rerooti progenitori, derivanti da una specie che avea saputo usare soltanto il bastone e il ciottolo. aveano già acquistato, quando occuparono le spiaggie e le caverne siciliane, il maneggio delle armi e degli strumenti di selce e l’uso del fuoco? La presenza delle conchiglie e delle ossa rivela la condizione altruistica della convivenza primitiva: provve- dere all’alimentazione delle femine e dei nati nel ricovero della caverna. Sono queste popolazioni il primo sostrato, gli autoctoni, che gradata- mente si sparsero per tutta l'isola, vi prolificarono con crescente adattamento all'ambiente, addomesticarono animali, trovarono e mantennero poi l’addo- mesticamento delle piante, per arrivare a quell’età del bronzo col nome di Sicani e Sicoli, con un processo storico di centinaja di secoli ajutato dalla navigazione a remi, così efficace per osare di spingersi sul mare ? Noi sogliamo chiamare autoctone oppure indigena, la popolazione stori- camente abbarbicatasi a un territorio, nel quale ignoriamo se e quando vi pervenne. Per risolvere il grosso ed oscuro problema delle origini, lo spi- rito umano scientifico procede sulla traccia delle seguenti ipotesi : a) La successiva e continua espansione per via dei continenti della specie umana, seguente per latitudini e longitudini le linee di minore resi- stenza ed arrestandosi perciò al mare largo, perchè non avea acquistato ancora il mezzo di traversarlo con galleggianti. E questa ipotesi dà origine alla teoria monogenetica, cioè dell’unico pri- mitivo centro d’irradiazione demografica, e dell'unica prima coppia gene- ratrice, sia sotto lo aspetto ipotetico di essere stata creata di scatto, oppure sotto l’altro aspetto ipotetico più recente di due individui differenziati per caratteri acquisiti simili. e che nel loro accoppiamento li trasmisero ai loro discendenti formando una varietà di una specie precedente. Questa ipotesi monogenetica è la più seducente, perchè corrisponde allo imperioso bisogno dello spirito umano di partire da una unità intravve- duta per arrivare ad una unità più perfetta ed elevata, per composizione d'imagini armonizzanti. E questa ipotesi ha a favor suo il lunghissimo IL POPOLO SICANO-SICOLO 23 allenamento mentale della civiltà eurasiana (1), che si adagiò nella con- cezione assiro-ebraica del Libro della Genesi, e costituisce l’intimo e pro- fondo sentimento-pensiero della fratellanza e solidarietà del genere umano. 5) Sta di contro alla detta ipotesi l’altra della poligenesi, cioè dei vari centri geografici di apparizione della specie umana, che permisero la co- stituzione, sotto somiglianti influenze ambientali, di una varietà 7omo sa- piens, derivata da specie antropomorfa anteriore , della quale ancora non sonosi trovati campioni anatomici indiscutibili. Per la prima ipotesi il problema delle razze si risolve col mettere in evidenza la legge della trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti pri- marî, che costituiscono il fondo tipico Umanità, in contrasto con la legge delle influenze ambientali, che costituiscono i caratteri secondarî differen- ziatori che formano le diversità etniche. Per la seconda ipotesi si sop- prime l’azione della eredità, oppure si trasporta ad epoca geologica ante- riore, cioè a specie antropomorfe in evoluzione, e si dà la prevalenza alle influenze ambientali formatrici dei tipi umani diversi per colorito, forme di cranio, statura, tendenze psicologiche. Una enorme difficoltà si oppone ancora a districare il problema, in en- trambe le ipotesi, ed è quella naturale della gamma (2), limitata nei suoi estremi, delle forme di tutte le specie viventi vegetali od animali. Le stesse forme craniche umane , divenute tipiche anche per opera d’in- crocio , sono «di numero limitatissimo; la loro varietà tonale fluttua tra poche unità ossia pochi gradi quasi come le note musicali. Eppure la combinazione e l'intreccio di poche note, lo sappiamo tutti, da luogo ad espressioni musicali infinitamente variate! (3). Tutte queste considerazioni ci conducono a ritenere: che, allo stato at- tuale delle conoscenze umane, il problema della monogesi o della polige- nesi non può ancora avviarsi a soluzioni di approssimativa certezza. Limitando la discussione al popolo sicano-sicolo , il quale appare nella storia col documento avanzi di cucina, che per la cortesia dei professori Giu- (1) Cioè europea ed asiatica. (2) Gamma di temperatura, di colori, di suoni etc. espressa nelle sue imagini com- posite dalla parola tonalità. (3) Questa verità assoluta, ha avuto recente conferma dagli studii antropometrici. Le impronte delle linee della palma della mano sono la rivelazione caratteristica della individualità, meglio della fotografia che, raccogliendo la imagine individuale nel suo insieme, può dar luogo alle incertezze della somiglianza. Nelle impronte della mano si avverte la inesistenza d’identità e perciò la variazione tra individuo e individuo, indice sicuro di personalità. 24 POPOLI SCOMPARSI seppe Di Stefano ed Emerico Carapezza del nostro Gabinetto di geologia mi è dato sottoporre alla vostra attenzione, e che, oltrelanota grotta dell’Addaura, è assai probabile possa raccogliersi in altre grotte o spiagge di Sicilia, è facile discutere il tenore di vita che il documento racconta e che rivela popolazioni fissate al suolo. Erano esse immigrate in epoche anteriori per facilità scomparse di co- municazioni terrestri (1), oppure erano esse il prodotto evolutivo di specie antropomorfa precedente ancor essa scomparsa ? Atteniamoci per prudenza d’imvestigatori alla ipotesi della emigrazione per passaggi di popolazioni differenziate per sesso e per età. In questo caso la soluzione approssimativa del quesito storico è costretta ad eliminare lo elemento marittimo. In quel momento, periodo od epoca, l’uomo non avea imparato ancora la navigazione. E, così ristretto il campo delle ricerche, ci troviamo in presenza di due ipotesi: o la immigrazione diffusiva stessa che occupò le spiagge settentrionali africane e per la linea geografica segnata oggi dalle emergenze isolane di Lampedusa e Pantel- leria (comunanza di tipo libico). oppure la' immigrazione del tipo ibero-li- gure, avvenuta in assai decorso di secoli per diffusione lungo le coste ita- liche e transitanti lo stretto di Messina. In poche parole : o un movimento demografico dal Sud al Nord o quello inverso da Nord a Sud. Pur convenendo che gli studî in proposito siano appena iniziati e assai incompleti, nel campo antropologico ed archeologico (2), io debbo far note le mie impressioni visive provate a Girgenti in occasione di una proces- sione religiosa, durante la quale sfilavano innanzi a me congregazioni laiche di artigiani indossanti il sacco bianco col cappuccio, che non suole ivi coprir la faccia ma la contorna e permette di osservare il tipo delle fisonomie, che a me apparì berbero. Ciò avvalorò in me la ipotesi—rac- colta sul vivo e senza preconcetti sopra un gruppo sociale poco inero- ciato — dell’affinità del tipo sicano-sicolo col tipo berbero o libico. Questa affinità darebbe valore alla lunga durata di scambî mentali e commerciali tra le isole maggiori del Mediterraneo ed i Libî — che si manifestarono poi luminosamente nell’alleanza politico-militare del XVII secolo a. C. contro l'Egitto. Però altrì dati positivi occorrono , e special- (1) Come indurrebbero a pensare i bassi fondi colleganti le spiaggie siciliane alle africane, e sui quali sembra si avveri un movimento di nuova emersione. (2) Le stesse difficoltà sonosi presentate per la tanto dibattuta, e insolubile forse, quistione del miraggio orientale (SaLomone RernacH informi), della diffusione umana dall’altipiano centrale dell'Asia. Resistono ogni giorno più alla ipotesi asiatica le con- tinue scoperte di documenti archeologici nella vallata del Nilo. IL POPOLO SICANO-SICOLO 25 mente indagini linguistiche e glottologiche, per avvalorare o respingere la ipotesi. A tal riguardo mi sembra non dubbio il fenomeno del carat- tere italico delle popolazioni sicule, calabre, dei meridionali e dei Laziali fino alla sponda sinistra del Tevere, dove è ancor vivo il ricordo di Sicoli. Dalla sponda destra del Tevere verso il Nord l'elemento sicano-sicolo non apparisce più prevalente, per la quantità soverchia di elementi etnici so- pravvenuti e sovrapposti (per la legge naturale delle facilità migratorie sui continenti) e, in maggior parte, celti ed arii. A me però non sembra dubbio, che, la forte vitalità organica di questa razza, sicano-sicola, sia quel fondo tipico comune che domina la costitu- zione del suo linguaggio e la salda coscienza sociale che si manifestò nelle tendenze irresistibili alla costituzione politica recente dalla nazionalità italica. La navigazione primitiva nacque — moltissimi secoli dopo dell’appari- zione dell’uomo, e perciò quando questo era già entrato da un pezzo in evoluzione civile—dall’osservazione di un tronco d'albero galleggiante, ca- pace di sostenere un individuo che coi suoi arti inferiori gl’imprime mo- vimento e direzione. Le prime forme rudimentali, poichè storicamente non sì possedevano altro che strumenti di pietra scheggiata, capaci come scal- pelli di scavare un vuoto nei tronchi d'albero, furono (e son sopravvissute) le piroghe. Per osservazioni lentamente fatte e lentamente raccolte e or- ganizzate da individui più adatti, appariscenti tra le popolazioni costiere o ripuarie, fu applicata alla piroga la forma della prora fendente e della poppa serbatojo di provvigioni. Noi, che viviamo in epoca di movimento accelerato, per il capitale mentale ed economico raccolto e accumolato in un decorso di secoli in- sospettato, abbiamo il dovere di rendere nota, e di diffondere, la cogni- zione della somma immensa di sforzi muscolari e di abilità manuale che occorsero, a molte generazioni umane susseguentesi, per arrivare alla in- venzione della sega e all'applicazione al legno della costruzione della ta- vola, che permette di fabbricare, per giunture imperniate e impeciate, la barca, e, coi lisciatoi e laminatoi, il remo. Come bene avvertì il IurtEN DE LA GRravIÈRE, barca e remo, indici di civiltà, sono l’inizio di un periodo nuovo di attività umana , mezzo pos- sente di espansione dell’onda di popolazione — nelle forme, commerciale, coloniale, politica e militare, tutte commiste insieme. Ma il fenomeno , universale per le popolazioni costiere , sebbene non sincrono, cioè contemporaneo, nelle varietà etniche, per legge costante sto- rico-sociologica, non si può comprendere se non quando, con analisi accu- rata e scrupolosa, si fa chiara all’intelletto umano la visione del periodo d 26 POPOLI SCOMPARSI lungo e dimenticato, degli sforzi enormi muscolari e manuali che occorsero ad una qualsiasi popolazione costiera, per arrivare ad organizzare nella sua psiche la cognizione dell’uso della nave e, per assai esperienze, governate dal principio naturale del tentativo e del brancicare sull’ignoto, dar luogo alla formazione lenta della previsione di relazioni umane fuor dalla propria cerchia di convivenze. Ecco perchè, nella storia dell'Umanità, il concetto di fime o di scopo, dovuto ad associazioni d’imagini trasmesse ed accumulate per eredità ed esempio, è un carattere secondario acquisito per progresso civile. La piroga prima, la barca poi, sono un abitato ristretto di convivenza umana. L’ azione del navigare deve obbedire a tre esigenze basilari: il motore, l’approvvigionamento, la capacità di trasporto per la mercanzia e le armi. Il primo motore storico è l'individuo umano adulto agitante la pagaja e poi il remo, con movimento ritmico e cadenzato per riuscire più efficace. Il ritmo e la cadenza sono fenomeni psicologici che animano l’applicazio- ne sociologica dei movimenti combinati: canto, danza, azione marinara, e perciò regole o norme di condotta. Con la pagaja (1) la piroga può esser maneggiata da un solo individuo, ma con raggio d’azione assai limitato. Invece con il remo, i rematori, se sì propongono di superare in barca distanze maggiori della piroga, e in vista delle coste (2), accoppiano il movimento dei due remi laterali con un’azione disciplinata, cioè organizzata dal principio che chiamiamo mec- canico : ottenere il massimo rendimento col minimo sforzo possibile. Al- lorchè, in periodi storici remoti, la barca, ingrandite le sue proporzioni, divenne nave mossa da più coppie di remi,irematori aumentarono di nu- mero, disciplmati sotto la guida di un capitano e di un pilota, occupanti uno spazio notevole dello scafo. Non essendoci distinzione (3) tra marina mercantile e marina militare, l'equipaggio si trasformava facilmente, per le armi che portava con se, in manipolo di combattenti, e, per le neces- sità alimentari della propria convivenza, teneva a bordo, oltre le mercan- zie pei traffici le provviste indispensabili alla propria sussistenza. Per l’argomento che tratto innanzi alla vostra benevola attenzione , io sento il dovere di farvi constatare le condizioni delle prime navi in rela- (1) Sopravvive anche oggi nelle nostre società civili nell’uso limitatissimo del sando- lino come mezzo di sport. (2) Non manca qualche raro esempio, come quello del capitan Fondacaro, di naviga- tori in barca che affrontano l'Oceano. Ma trattasi di un caso di eccezionale tempra di carattere, accompagnato dalla vasta intellezione moderna delle leggi del navigare. (3) Avvenuta solo in tempi a noi vicini. IL POPOLO SICANO-SICOLO 27 zione al fenomeno demografico, ben diverso tra popolazioni isolate dal mare — delle quali si espande fuor del proprio abitato la sola parte maschile adulta e animata da spirito avventuroso — e popolazioni viventi sui con- tinenti che possono muoversi in massa. La ristrettezza dello spazio nelle prime navi, principalmente occupato da un equipaggio di maschi adulti, dotati di forza muscolare e di spirito avventuroso commerciale e qualche volta di bramosia d’imprese di guerra, non permetteva, che raramente, la presenza di qualche donna (1). Tutta la storia remota delle relazioni marinare e coloniali del bacino del Mediterraneo è perciò, come dalle mie continue ricerche sono stato sempre più convinto, governato dal fenomeno demografico della 7nfiltrazione an- zichè della sovrapposizione di elementi etnici nuovi. E conforta la mia co- vinzione lo esempio di colonizzazioni recenti le quali, composte nel mag- gior numero di elementi maschili, si fondono rapidamente per imperiose ragioni fisiologiche con la popolazione abbarbicata in sito e perciò più adatta all'ambiente climatico e topografico (2). Anche in epoche recenti, o relativamente recenti, le incursioni e le in- (1) Cf. la mia monografia: La Sicilia elemento di civiltà italiana a pagg. 27 e seguenti. Virgilio nel canto V dell’Eneide, che narrava avvenimenti anteriori a lui più di un millennio, non era, nè forse per le condizioni del suo tempo poteva esserlo, un critico storico. Da ciò quindi deriva il suo anacronismo del contrasto tra i Trojani di Enea e le colonie greche, ancora non venute all’epoca omerica in Sicilia. Da ciò deriva anche la supposizione fantastica della quantità di donne trojane tro- vantesi a bordo della flottiglia del suo eroe peregrinante sette anni per il Mediterraneo alla ricerca della culla dei suoi padri. Il geniale poeta latino, innamorato della Sicilia da lui percorsa e che dà tanta realità d’imagini ai suoi canti, rende coi suoi versi l’in- canto dei lacci d’amore coi quali per un anno Didone avvince Enea; ma, tutto com- preso della figura del suo eroe, Virgilio non poteva ideare che anche tra i Trojani di quelle navi, approdati alle spiaggie siciliane, lacci d'amore dovevano avvincerli a donne sicano-sicole, alle quali, forse, più che alle poche donne trojane (se la tradizione per- venutagli narrava avvenimenti veri) deve attribuirsi l'incendio a piè del monte Erice appiccato alla sua flottiglia, e il rilascio forzato di una parte del suo equipaggio, av- vinto al suolo siciliano dalla stanchezza del lungo peregrinare e dall’attrattiva possente dei vincoli contratti con attraenti e gelose donne sicano-sicole. (2) Una prova per analogia mi è fornita per la Sicilia dei tentativi d’introduzione di tori svizzeri per modificare sotto il punto di vista dello accrescimento lattifero e carneo la razza bovina. Come mi conferma l’egregio Prof. Griglio di veterinaria, questi ten- tativi fatti con la introduzione o infiltrazione successiva di soli tori hanno dato buoni risultati alla prima ed alla seconda generazione — metà, e un quarto d’inerocio. Gli effetti utili s'indeboliscono alla terza — un ottavo d’incrocio; si annullano e non si avvertono più alla quarta. L'elemento indigeno — vacche — riprende il sopravvento. I tentativi fatti da proprietari allevatori intelligenti sono stati abbandonati sotto la minaccia di un disastro industriale. 28 POPOLI SCOMPARSI vasioni marittime non raggiungono mai le parvenze sociologiche terrestri di una massa intera (mista con donne e fanciulli) che si rovescia sopra un'altra massa. L'esempio della guerra combattuta contro l'Italia nel Tigrè dal negus Menelik è evidente: al cozzo violento di due elementi etnici di- versi, la civiltà meno progredita provvede con una organizzazione militare nella quale la donna accompagna il suo uomo e ajuta a portare i viveri e nello stesso tempo ne consuma. Tutta la storia delle civiltà remote è stata luminosamente illustrata da questo esempio. Il ver sacrum degli Arii e fors ‘anco dei Celti, fu, quasi un'espulsione polare dell’uovo. la uscita dalla massa sociale di un'intera predisposta generazione arrivata allo stato adulto, maschi e femine, per recarsi in altro territorio, abitato oppur no, e perciò pacificamente o violentemente, a fissarvisi in convivenza (1). Una popolazione completa, che si sovrappone a un’altra preesistente n situ, obbedisce ancor essa alle leggi fisio-psichiche dell’attraenza sessuale. Ma alla fusione popolare dei due elementi diversificati, nello accoppiamento naturale o legale esogamico, occorre assai più tempo, e perciò decorso di parecchie generazioni, per produrre la trasformazione in unità tipica nuova. Invece la infiltrazione nelle coste, specialmente delle isole. di adulti se- lezionati per dotazione qualitativa ricevuta dalla loro geneologia, li trova, per imperiose ragioni fisiologiche, meno capaci di resistere all’ attraenza sessuale ed alla simpatia nascente dalle nuove relazioni intersociali, alle quali sono facilmente condotti quanto più ci è affinità o poco distacco di condizioni etniche; ed il loro apporto antropologico, nell’equilibrio instabile dell’aggregato sociale in cui penetrano, rappresenta nel corso delle genera- zioni !/ alla prima, 4/1 alla seconda, 1/s alla terza e così via. Le loro spe- ciali qualità, acquisite nell’aggregato sociale dal quale partirono. modificano, con lo esempio e con le trasruissioni ereditarie, e per sopravvegnenze pe- riodiche di colonizzatori maschi, l'equilibrio instabile della convivenza nuova, e imprimono un movimento, quasi intermolecolare, che agli studiosi è pos- sibile vedere nel suo insieme e approssimativamente, ma che è impossibile seguire con analisi accurata. (1) Questa visione scientifica delle condizioni sociologiche. applicata alla guerra in Abissinia. spiega le ragioni del successo ottenuto dal generale San Marzano contro il negus Giovanni e l'insuccesso del Barattieri ad Adua. È cattivo condottiero di guerra quegli che corre dietro il fantasma delle brillanti fazioni e non vede il vero. Anche l’azion violenta è sottoposta alla lege delle minime resistenze, ed è vittorioso anche l’uomo di guerra che vince senza combattere e sparger sangue, e fa fuggire il nemico sapendone esaurire le risorse. Sono ancora sopravvivenze di stati sociali poco evoluti l'ammirazione pei violenti, e i canti epici. Una società civile vince assai più nobilmente col mettere in opera tutte le risorse della sua aristocrazia democratica, e perciò della sua ricchezza mentale. IL POPOLO SICANO-SICOLO 29 Mi sono un po’ dilungato in queste considerazioni per mettere in rilievo : che il fondo attuale delle popolazioni siciliane è costituito da quel tipo etnico remoto rivelato dagli avanzi di cucina della grotta dell’Addaura, e che in tutta la sua storia fu intaccato o modificato, lentamente e per dnfil trazione, dalla venuta alle coste dell’isola di genti diverse, sempre numeri- camente inferiori alla gente, che fu denominata sicana, e poi sicola, e che, principalmente nelle coste, seguì una evoluzione psicologica e civile propria, con caratteri tipici. Nulla a parer mio contrasta la induzione che questa stirpe sicana, ramo distaccatosi assai probabilmente dal tronco che avea occupato la costa nord africana (1), lentamente sparsasi per l’ isola, così accidentata da colline, montagne e monti, tra i quali l'Etna maestoso, sia divenuta densa nei suoi varî abitati, non avversata ancora dalla malaria, che l’affligge adesso per la distruzione delle sue allora vaste e copiose foreste. Le cosiddette mura ciclopiche (e non cementate), nelle due forme note : o di pietre messe a posto procurando di combaciarle insieme allo stato in cui trovansi nella campagna vicina, oppure di massi squadrati per arte umana in blocchi cubici anche trasportati da lontano, si trovano in una serie lineare da Lampedusa e Pantelleria sino al settentrione dell’isola di Sicilia (2). Queste costruzioni murarie eccitate dall’abbondanza della pietra silicea o calcare-silicea alla superficie del suolo (3), sono indice sicuro di stati di (1) La ricca raccolta nel Museo geologico di Palermo di denti, mandibole ed ossa di elefanti, che sono forse varietà locale (per adattamento all'ambiente) dell’ eleplhas afri- canus e primigenius vissutovi assai tempo per variata e abbondante provvigione di pa- stura vegetale. È tra le cose probabili che la Sicilia non subì come l'Europa continentale, la influenza trasformatrice di clima, fora di uno o più dei periodi glaciali, oppure la risentì in pro- porzioni minime, quasi alla coda delle grandi perturbazioni atmosferiche. Questa ipotesi sarebbe in armonia col fatto della lunga durata della vita della specie siciliana elephas alla quale erano necessarie foreste abbondanti ed erbe alte e folte (cli- ma caldo umido più che adesso), e sarebbe pure in armonia con la ipotesi della evolu- zione pastorale ed agricola siciliana in avanzo sulla corrispondente evoluzione nel rima- nente del bacino del Mediterraneo. (2) Le ricerche e investigazioni intorno ad esse, sono ancora parziali e assai incomplete. (8) È questa abbondanza, ovunque la pietra soverchia, che ostacola la evoluzione civile del mattone, mentre invece nei territorî dove essa difetta è più presto eccitata la co- struzione delle mura a mattoni dove gli aggregati sociali hanno a portata di mano l'argilla. 30 POPOLI SCOMPARSI guerre già lungamente sperimentati attraverso la navigazione, dapoichéè il nemico non poteva venire che dal mare, e la rocca, che lo arrestava nella sua azione scorazzante, gli opponeva ostacoli quasi insuperabili e ne esau- riva più o meno rapidamente le risorse alimentari. Sono esse l'esponente di una evoluzione civile già ricca d’imagini astratte, che permettono di antivedere gli effetti del fenomeno della guerra e perciò di preparare e raccogliere gli elementi della organizzazione della difesa (1). Non abbiamo ancora però trovato indizî sufficienti per attribuire con approssimativa certezza queste costruzioni all’età del bronzo, o alla neoli- tica, od alla paleolitica nelle sue ultime fasi. Senza dubbio concorsero alla raccolta, al trasporto, alla scelta e al dirozzamento di quei massi assai braccia umane, dirette da menti superiori al livello comune, e disciplinate intorno ad esse. Per la legge (anche sociologica) del procedere nel tempo da un movimento impercettibile in principio a un movimento sempre più lentamente accelerato attraverso un numero decrescente di generazioni, le prove archeologiche che sapremo accumolare, se spingeranno più indietro dell'età del bronzo lo stato sociale rivelato dalle mura ciclopiche delle vette sicane, permetteranno di sospettare la durata dello stato sociale da cui vennero fuori. Una induzione importante ci è lecito fare: quelle popolazioni che le edi- ficarono erano affezionate, e perciò radicate, al suolo dell’ isola maggiore e delle isolette vicine da moltissimi secoli e per una convivenza riattac- cantesi a origini comuni, dapoichè il #90 delle loro manifestazioni fisio- psicologiche ci apparisce evidente. La formazione di un tipo etnico—varietà o specie che voglia dirsi—richiede assal tempo, e sopravvive e riprende sempre la sua vitalità organica su- periore, come nei vegetali il ceppo sull’innesto. Poi che è riconosciuto ora- mai come verità, che la missione, conservatrice — biologica o sociale —è affi- data naturalmente al sesso feminile, è la donna delle isole che assimila nella massa sociale le differenze etniche dei relativamente pochi maschi, differenziati da un processo etnico diverso, che approdano con barche a remi. La perduranza della radicale ste (dura nella denominazione fonica di una stirpe con le parole: sicano e secolo, che nella evoluzione civile divenne poi dolce nelle parole: szceltoto e siezliano), e la tenacia conservatrice di usì e costumi, e il carattere, costruttivo, artistico, letterario, a qualità pro- prie, fanno pensare alla lunghissima preparazione del loro costituirsi. (1) E questo il primo fenomeno politico che sussegue all’ altro dell’ autorevolezza e dell'autorità che assume un individuo meglio dotato di un aggregato sociale oppure gli si riconosce inconscientemente e poi coscientemente. IL POPOLO SICANO-SICOLO 31 I miti pastorali ed agrari dell’età preomerica, ricordati nel poema del (e) ’ più famoso degli aédi, dimostrano che la Sicilia, ricca di armenti e di biade, avea una popolazione densa ed attiva. Per acquistare la chiara cognizione del raggiungimento di siffatte con- dizioni, partendo dagli avanzi di cucina della grotta dell’Addaura, la in- vestigazione scientifica, ripeto, deve raccogliere sempre nuovi documenti e tentar di colmare le lacune storiche per le quali ci sembra che il progresso sociale siciliano sia avvenuto a sbalzi. Giova certamente eccitare la critica intorno ai periodi di dominio : greco e cartaginese, romano, musulmano e spagnuolo, che, nella storia dell’isola, furono appoggiati da forze militari più numerose degli altri periodi. Ma giova ancor di più poter seguire storicamente il lento addensarsi e incivi- lirsi della stirpe sicana, che costituisce, nella sua sopravvivenza antropolo- gica, la massa della popolazione dell’isola e che, con gli apporti di ricam- bio tra le convivenze dell’interno e le convivenze costiere, ha sempre po- tentemente contribuito ad assimilare e fondere nel proprio tipo le varie e successive infiltrazioni straniere. Se non è possibile largamente indagare le condizioni di vita del sicano primitivo, dapoichè l’uomo primitivo non avea acquistato ancora articola- zione di linguaggio e obbiettivazione d’imagini astratte nella parola, e perciò mancava di culto e di concezioni religiose e lasciava insepolte per via le sue ossa, è pur possibile ricostruire approssimativamente il suo tenore di vita meno misera e stentata, nella evoluzione della tomba, procurando di seguire la serie delle trasformazioni del culto dei morti. Il passato essendo nella realtà delle cose, tanta parte del presente e dell’avvenire, è bene lu- meggiare il fenomeno storico dello addomesticamento degli animali e poi di quello delle piante, avvenuto nella marcia delle popolazioni sicane, forse, in epoca anteriore che altrove, mentre altrove per favore d’ ambiente, ci fu anteriorità nell’appropriazione e nell'uso dei metalli. Potremo così ap- profondire il problema delle relazioni di mutua dipendenza di questi fatti storici diversi, e la impronta caratteristica delle differenze tra sicani e stra- nieri, quando vennero in contatto e s’'influenzarono a vicenda. Sono perciò le tombe a cupola e poi le altre scavate nella roccia, e il loro contenuto, accuratamente raccolto e con la onestà scientifica di evitare preconcetti e di esaminare scrupolosamente il riferimento alla stratificazione geologica (1), che possono gittar luce sulle condizioni morali e materiali (1) Unica cronologia che è possibile di determinare. 32 POPOLI SCOMPARSI di popolazioni, che, 1625 anni a C., appariscono aver concepito il vasto disegno di muover guerra allo Impero egizio e di averlo attuato, mercè alleanza con altre popolazioni isolane e con le continentali libiche. Questo oramai possiamo affermare per il 17° secolo avanti l’era cristiana : a) che la barca siciliana come la sarda si era resa ardita e capace, quando la greca era ancora prudentissima e forse più piccola (1); 3) che quella era abituata a contenere provvigioni alimentari abbondanti così da permettere al suo equipaggio di affrontare il mare libero e di vivere sulle proprie riserve se i casì la portavano a coste inospitali; e) che lunga consuetudine preesisteva di commerci e di relazioni mentali tra le grandi e piccole isole del Centro e dell'Occidente del Mediterraneo e le coste libiche, mentre erano scarse le relazioni con l'Oriente e infine, d) che le provviste derivavano da una pastorizia pervenuta allo stadio industriale del caseificio o di un’agri- coltura più o meno progredita nella raccolta di semi di piante leguminacee e granaglie. Tutte queste circostanze sono indizi sicuri di uno stato sociale di civiltà, laboriosamente acquistata per via di tentativi, d’insuccessi e di organizza- zioni avvenuti in un corso di generazioni impossibile a sottoporre a calcolo. Allo stato attuale delle umane cognizioni, sono però indiscutibili due fatti: 1.° erano da parecchi secoli prima delle colonie greche (2) venuti in Sicilia i Fenicî a trafficare, ma non vi lasciarono impronta sensibile della civiltà propria, differenziata dalla sicana: 2.° i grecî, invece, in pochi secoli di contatti e di dimora coloniale che permise largamente la loro in- filtrazione antropologica , riuscirono: a dare alla lingua loro carattere di lingua ufficiale in Sicilia; e dare la impronta loro politica alle forme di Governo; ed a lasciare nella storia isolana la potente illusione del nome ellenico ed un periodo di civiltà d’arte e di pensiero, nascondendo fino ad ora i caratteri che differenziarono dalla greca la civiltà siciliana. Ma lo studio di queste differenze è già iniziato e lascia trasparire come verità la ipotesi: che le popolazioni sicano-sicole possedevano una civiltà propria, affine, forse per meno prossima comunanza di origine, alla civiltà greca, ma con andatura e indirizzo in parte diverso. (1) Nel canto V dell’Ereide, Virgilio fa cenno della timidezza del primo pilota della flottiglia di Enea, solita a navigar costeggiando, nel consentire all'ordine di partenza per affrontare la traversata del basso Adriatico. Questa flottiglia, per fantasia di poeta os- servatore della realtà delle cose, è descritta potersi tirare facilmente a secco sulle rive. (2) La prima colonia corinzia nell’isoletta di Thapsos (isola Magnisi) risponde all’an- no 765 A. C. IL POPOLO SICANO-SICOLO 33 Sul riguardo dei due quesiti proposti, le mie indagini conducono ad ipo- tesi, che sottopongo all’attenzione vostra e degli studiosi : 1.° Il carattere psicologico predominante nei Fenicî fu l’attitudine mer- cantile e commerciale, che arrivò ad eccitare la concezione, facilitatrice di relazioni umane, dell’alfabeto e della scrittura fonica, e la loro creazione e diffusione. Non era ancora avvenuta la pressione politico-militare che li condusse a fondare Cartagine ed a renderla possente per imprese militari (1). Or lo spirito mercantile rifugge dalle imprese di guerra, che richiedono spese di energia superiori alla spesa che richiede lo scambio delle merci e delle derrate. Le colonie dei Fenicî sulle sponde del Mediterraneo, ebbero e conservarono il carattere di fattorie di commercianti. La loro influenza sociologica perciò si svolse nel campo dei traffici, e con quei metodi esclu- sivi, che Karl Marx racchiuse nella sua formola semplicista della interpe- trazione della storia. La notevole deficienza psicologica della concezione materialistica delle azioni umane, impedì ai Fenicî lo svolgimento della loro egemonia sull’a- nima delle popolazioni con le quali furono a contatto. Come ebbi nella prima parte di questa conferenza a dirvi, essi sparirono nella storia, non come elemento antropologico perchè questo sopravvive, ma come organismo sociale (corpo politico, arte, credenze, diritto, scienza), che essi non ebbero attitudine a comporre saldamente nei loro contatti coloniali con gli aggregati sociali autoctoni. La stessa ricchezza materiale finanziaria, che seppero rac- cogliere, nocque loro, perchè là dove riuscirono a dominare, per mezzo di reclutamento di truppe mercenarie, uno Stato, la loro superiorità econo- mica li espose alla distruzione per fatti di guerra. Locchè mi conduce ad affermare che non è, esclusivamente, la ricchezza economica che permette agli Stati ed alla civiltà di durare a lungo senza SCOSSE. L'anima Fenicia non vibrando all'unisono o con leggieri antagonismi con l’anima sicano-sicola (2), dei Fenicî in Sicilia non rimase traccia di nome. (1) È evidente in questa evoluzione di civiltà fenicia a Cartagine la influenza di esem- pio delle sventure patite per fatto di guerra. L’ organizzazione originaria economica, mercantile e commerciale, sociologicamente, tende a trasformarsi in politico-militare, col mezzo noto: assoldamento di mercenari. Questa impronta caratteristica della potenza cartaginese, fu la ragione della sua forza prima dell’urto con la potenza romana, e la causa dei suoi insuccessi quando si scontrarono sui campi di battaglia eserciti di mer- cenari e legioni di cittadini. Le diversità dell'elemento morale, fattore di vittoria, nelle coscienze sociali delle due compagini in contrasto, determinò il successo dell'elemento più evoluto di convivenza civile. (2) Con altre parole potremmo dire: la diversità del genio dei due popoli. 5 34 POPOLI SCOMPARSI 2 Tutt’'altra fu la evoluzione della stirpe ellenica nelle varie fasi della sua storia, e malgrado il periodo d’ arresto delle invasioni doriche , come gli altri periodi dell'esodo delle sue classi dirigenti e intellettuali attratte a Roma e in Italia e della enorme pressione del dominio turco. Il carat- tere greco fu composito, fu contemporaneamente trafficante, marinajo ed oplite, artista e filosofo sino all'esagerazione o aberrazione del sofisma. Il suo territorio, così frastagliato dai meandri del suo arcipelago, eccitò quel carattere di astuzia e furberia che domina le sue relazioni mercantili, e che somiglia a quello degli ebrei e dei cinesi, eccitato da condizioni am- bientali diverse. La sua lingua melodiosa, innamorata delle armonie delle proporzioni; la precedenza storica sua mei conflitti tra le oligarchie e le demagogie, che spingevano fuori delle sue città gli elementi sociali più raffinati, quando vennero in contatto con popolazioni, come le sicano-sicole, non troppo di- stanzate da civiltà e condizioni etniche diverse, rivelavano uno stato sociale così ricco di vertù di esempio da irradiare potentemente, quasi come vernice sopra un piano di legno, di tela o di metallo. Con la complicità incosciente dell’imitazione e della moda, con la cooperazione del carattere etnico sicano- sicolo così ospitale, non è da meravigliare se la vernice greca coprì le ma- nifestazioni della operosa vita politica, estetica e letteraria dei sicano-sicoli. Ebbi già ad osservarlo (1) a proposito di Empedocle (a parer mio, più che greco, sicano-sicolo-greco), non sono sufficienti otto o dieci generazioni per trasformare del tutto un ambiente sociale con la entrata di un elemento catastrofico maschile in una convivenza fortemente conservatrice per l’at- traenza anabolica feminile. Supporre la prevalenza dell’uno maschile im- portato contro il parecchio feminile assorbente in territorio, vale lo stesso che cozzare contro la realtà delle cose. La concezione empedoclea della Divinità si differenzia di assai dal pensiero dei filosofi greci del suo tempo perchè rivela una mente non asservita alle organizzazioni dominanti delle credenze politeistiche. Empedocle, come la società sicano-sicolo-greca del V secolo a C., non avea contatti diretti con la società ebraica, e perciò con le organizzazioni mentali monoteistiche della razza semitica. 19) quindi lecito supporre: che egli impersonava influenze d’incrocio di razze affini, influenze che trovavansi diffuse e sparse nella coscienza sociale di parec- chie generazioni precedenti, sopra un sostrato indigeno di preesistente evo- luzione mentale. Come l’individuo, per gli studi svariati e complessi sulla vita organica, è l'esponente #pico di assai variazioni lentamente avveratesi in un numero (1) Cf. nella mia monografia: La Sicilia elemento di civiltà italiana, pag. 33. IL POPOLO SICANO-SICOLO 39 indeterminabile di generazioni, così anche appare nelle umane convivenze (1). Ciò che sembra genio, ingegno o qualità fuor del livello mediocre o comune di una determinata convivenza in un determinato momento storico, non è che un lento accumolo organico o psichico condensato per elabora- zione ereditaria ignorata. In fondo, e il paragone giova, il fenomeno è lo stesso del lampo e del tuono, che, nella realtà delle cose sono avvertiti generalmente come fatti improvvisi per lo incontro di due correnti elet- triche a tipo diverso, l'una positiva e l’altra negativa; mentre le cognizioni oramai acquisite mettono in grado di riconoscere: che essi sono cagionati nell’involucro atmosferico del nostro pianeta, da una grandissima quantità di emanazioni elettro-magnetiche del nostro globo. diffuse per lo spazio. Nelle umane società, gli elementi impercettibili e imprecisabili di migliaia di osservazioni confuse ed incerte, preesistono alla mente meglio preparata e perciò più adatta a cavarne fuori una sintesi, o associazione d’imagini, che si costituisce nelle forme d'ipotesi, le quali, appunto perchè per la massa sociale sono confuse e non chiare, come nella mente che le organizzò, acquistano, quanto più è basso il livello psicologico dello stato sociale, il ca- rattere di credenza. Sento adesso il dovere di sottoporre a voi le risultanze delle mie inda- gini intorno al fenomeno storico del pregiudizio, che ebbe così lunga du- rata, sulla parvenza greca, che si sovrappose alla sostanziale attività civile della stirpe sicano-sicola. Ed anzitutto una considerazione storica e perciò positiva: Allorchè una impresa coloniale — invece di rimanere nel campo esclusivo delle relazioni commerciali per l'accoglimento pacifico delle relazioni stesse da parte delle popolazioni preesistenti — sotto la pressione del sentimento di cupidigia e delle velleità disoneste e ingiuste di dominio (2), si trasforma in organismo politico-militare, il mezzo più comune che adopera è sempre quello clas- sico cartaginese : assoldare nella popolazione indigena truppe mercenarie. Dimodochè alla influenza psico-sociale, e all’altra antropologica degli ac- coppiamenti sessuali, si aggiunge la nuova dello allenamento e dell’attra- zione al maneggio di armi più perfezionate, sieno essi di pietra levigata (1) Cf. il mio lavoro: Individui e società nella storia. (2) Il fenomeno perdura ossia sopravvive nella storia contemporanea delle nazioni civili, che non sanno districarsi dalla ipocrisia di formole convenzionali che mascherano propositi iniqui od ingiusti. All’attività etica dei pensatori, non sono pochi gli uomini di Stato che rispondono giustificando azioni di conquista col pretesto: diffondere la civiltà! 36 POPOLI SCOMPARSI oppure fucili a ripetizione. Inconsciamente, e per la trafila di abusi, miserie e dolori, la guerra è stata, e probabilmente sarà sempre, una grande le- zione di cose, e perciò una espressione di energia sopraelevante il livello psico-sociale. Alle preesistenti deficienze mentali di associazioni d'imagini nell’elemento indigeno provvede naturalmente, con lenta penetrazione , lo scambio. In- vece l'allenamento militare ha energia diffusiva più rapida. Per legce na- turale, e perciò incosciente e più operosa, l'aggregato sociale politico-mili- tare, prepara con l'attrazione e l'educazione di mercenarî la costituzione di forze sociali, che, fatalmente, nello avvenire si volgeranno bene orga- nizzate contro i dominatori. L'esempio sicano-sicolo di Ducezio, organiz- zatore politico-militare di una riscossa contro l’imperio di Siracusa, prova la verità di quella legge, come la provarono recentemente le ribellioni co- lomiali. Nè, sul rigmardo, gl’insuecessi di condottieri sono prova contraria, dapoichè spesso cotali insuccessi sono dovuti alla mancanza storica di forti gerarchie secondanti il Capo (1). e perciò di deficienza casuale di sueces- sori suoi, diretti o indiretti, capaci di continuarne le imprese. Lo allenamento militare dei mercenarî, preparato da elementi etnici più progrediti per maggior copia di suoni e di segni facilitanti l’umana atti vità. e perciò godenti una maggior ricchezza di simboli. diffonde nella loro massa la lingua di comando, ed assicura ancor di più il fenomeno sociologico della coesistenza di due lingue. una, per dir così, ufficiale, per le relazioni politico-militari, giuridiche e commerciali, e l’ altra dialettale per le tenaci sopravvivenze delle relazioni familiari, consanguinee, dei pie- coli abitati e dei gruppi d’arte e mestieri. In questa lotta per la esistenza tra espressioni foniche diverse. l'interesse economico delle relazioni con l'elemento etnico colonizzatore e meglio or- ganizzato prevale. ed agisce come pressione o plasmatura sociale, con la forza coercitiva dell'uso, e senza azion diretta di potere politico (2). La (1) La grande energia sociologica della cooperazione di forti gerarchie all’azion poli- tica ha la sua massima espressione storica (classica) nell’ esempio egizio delle dinastie di Faraoni. (2) Non deve far meraviglia la differenza sensibile tra questo processo sociologico co- loniale e 1° altro che avviene nelle sovrapposizioni etniche dei continenti, in qualsiasi periodo storico. Nei continenti il movimento è inverso. La stratificazione etnica sopraw- venuta rifugge, per le sue condizioni mentali avvalorate dalla coscienza che dà la forza muscolare e il simbolismo della vittoria, dal consentire cooperazione alcuna. alla stra- tificazione sottoposta indicena. nelle azioni di guerra. Non le richiede (anche nella sua evoluzione feudale) altro principalmente che cooperazione economica di vettoragliamento e di arredamento militare. Perlochè avvengono i fenomeni seguenti: a) l’elemento do- minatore, specie dove e quando è numericamente inferiore al dominato. progredisce in IL POPOLO SICANO-SICOLO 37 forma linguistica più facile nell’ espressione sonora e grafica, e più ricca d’imagini e di associazioni d’imagini fissate nelle parole o nei segni, e per- ciò meglio dotate di energia simbolica, non soffoca, è vero, la vitalità dia- lettale precedente, ma la confina in un rango inferiore al suo, e diviene mezzo o strumento di vita di relazione politica, artistica e giuridica. È assai probabile che nel 765 a. C., data della fondazione della prima colonia greca a Thapsos, i Corinzi fossero già pervenuti a quello stato so- ciale che si chiama età del ferro. Ed è pure probabile che la loro evolu- zione civile fosse già arrivata al grado o livello di usare una scrittura, o abilità grafica di trasmissione del pensiero, che i sicani-sicoli non posse- devano. Fra poco ritornerò su questo grosso quesito storico, sottoponendo alla vostra facoltà visiva una dimostrazione appoggiata a fatti positivi. La frase fondare una città, e perciò una convivenza, per le civiltà pe- lasghe o mediterranee , come per le Arie, ha un significato assai diverso dell’altra : costruire un gruppo di abitazioni per una convivenza. L' anima del fatto positivo fondazione è costituita dalla concezione idealistica di at- fermare il vincolo di convivenza con il culto alla divinità protettrice del- l’aggregato, distinto dal culto alle divinità familiari. Da ciò il rito del solco sacro segnante i /./#2 della e;vitas, organizzazione mista religiosa e politica. Invocare una Deità è espressione di uno stato civile assai avanzato. L'uomo primitivo e l’uomo dei periodi susseguenti sino all'età del bronzo, che furono lunghi in durata decrescente mentre il periodo, primitivo fu lunghissimo, non erano stati ancora capaci di organizzare una così potente associazione d’imagimi. La fondazione di una città o di una colonia per le forme solenni del rito, sia per gli attori che per gli spettatori, era un fatto nuovo dotato di una energia simbolica eccezionale. È lecito quindi supporre che il gruppo fondatore, prevalentemente se non totalmente formato di adulti maschi, venuto a contatto in un’ isola con popolazioni indigene nella condizione demografica ordinaria di parità numerica di maschi e femine, avesse ecci- tato attraenza o simpatia sopra una parte di queste popolazioni, allo stesso modo come è probabile avesse eccitato repulsione o antipatia sull'altra. Con queste vedute sociologico-storiche gli avvenimenti di Sicilia dall’ot- inferiorità numerica per le continue perdite demografiche che subisce sui campi di bat- taglia anche se vittorioso; 6) l’elemento dominato invece, per la energia economica che spiega a soddisfare le esigenze dei dominatori e per la organizzazione o riorganizza- zione delle sue associazioni d’arti e mestieri e mercantili, esercita (con il suo fondo lin- guistico che rivela la sua attività psicologica più progredita, e per mezzo anche delle sue donne) una influenza assimilatrice, nella propria massa, dell'elemento dominatore. Bis POPOLI SCOMPARSI tavo al terzo secolo a. C. si rischiarano di luce nova, anche sulla guida dell’imperfetta documentazione archeologica e scritta che è in possesso no- stro. Tra la pochezza dello apporto feminile dalla madre patria (per insu- perabili difficoltà opposte dai mezzi di navigazione del tempo) e l’abbon- danza feminile dei gruppi sociali fissati da centinaia di secoli nelle isole. è verità assoluta l’assimilazione antropologica e psicologica dell’ elemento etnico sopravvenuto nella massa sociale completa. Senonchè, per la stessa legge naturale di fusione popolare, la virtù di esempio di forme più elette e più facili in associazioni d’imagini. parlate o scritte. agente sulle donne attratte dall’amore e sui figli nati dall’accoppiamento, imprime socialmente un movimento che modifica la vita di relazione : usi, costumi, abitudini, che si differenziano con caratteri misti derivati dai due elementi in incrocio. prevalendo il sentimento-pensiero dell'elemento autoctone nella espressione morale, allo stesso tempo che prevalgono le concezioni astratte dell'elemento etrico sopravvenuto , se entrambo gli elementi trovansi adatti alla evolu- zione civile in complicazione. E lo stesso avviene nelle manifestazioni ar- tistiche. L° arte sicano-sicola . subì modificazioni dalla sopravvegnenza di esempio di artisti greci, ma conservò il tipo proprio di espressione. che differenzia i monumenti e la produzione artistica siciliana da quella greca. Ed ora permettetemi che io sfogli innanzi a voi e presenti ai vostri occhi l’album che illustra uno dei più curiosi Musei privati, raccolto in Francia da Edouard Pierre nella grotta del Mas d’Az:l (Ariège) (1) sulla riva sini- stra dell’Arise (affluente della Garonna). Procedendo con esattezza coscienziosa, il Pierre, apri nella grotta una trincea che, nella sua sezione. mise in luce le varie stratificazioni dovute ai depositi pluviali ed alle inondazioni della riviera, che, nelle sue vicissi- tudini climatiche, raggiunsero fino a 14 metri d’altezza sul livello attuale. Tra le altre cose riguardanti le convivenze umane, che successivamente per moltissimi secoli occuparono la grotta del Mas d'Azil, questa racconta la sparizione, per ragioni climatiche, delle popolazioni dell'età della renna ricche di attitudini artistiche, che non poterono perciò trasmettersi alle sopravvegnenti dopo la cessazione del più recente periodo glaciale. La grotta del Mas d’Azil rivela nove stratificazioni o assise di periodi (1) L’ album è stato publicato nel supplemento al N. 4 (luglio-agosto 1896) della ri- vista L’Anthropolugie. La memoria esplicativa fu publicata nei N.i 8 del 1895 ed 1 e 4 del 1896. Seguì nel N. 6 lo studio di H. Fischer sulle conchiglie della grotta. IL POPOLO SICANO-SICOLO 39 diversi. Nella quinta stratificazione a partire dalla roccia di base, il Pierre ha scoperto i ciottoli colorati, dei quali, i fogli dell’album che io vi mostro vi offrono una imagine visiva assai tangibile. Con prudenza assai notevole il Pierre lascia agli studiosi il compito di confermare, modificare oppure completare le prime interpetrazioni. Ci troviamo in presenza forse di un materiale scolastico o simbolico importantissimo , del quale la parte che accenna al culto solare manifesta la costituzione di un elemento jeratico. Non sono più, per civiltà raggiunta, segni semplici pittografici o ideogra- fici. Rappresentano quella fase storica, apparsa da scavi fatti ad Hissarlik, a Creta e in altri siti, che precede la formazione dell’alfabeto fonico. Non è più, come anche oggi tra popolazioni non progredite in civiltà, l’éra dei messaggi formati con treccie a vari colori, o con conchiglie colorate va- riamente disposte. Rivive invece quella fase civile che sa esprimere coi segni le imagini e le associazioni d’imagini, e che ne usa e ne insegna la tecnica, col mezzo scolastico primitivo che, forse, fu l'iniziazione. Noi, scopritori, adesso che la tecnica è dimenticata, e l'iniziazione non è più possibile, stentiamo a comprendere la virtù ascosa in quei segni, che furono una volta di facile intelligenza, e ci proviamo uno stento mag- giore di quello che risentiamo nel trovarci alle prese con una lingua vi- vente per suoni e per segni, che l'orecchio e l'occhio nostro ancor non per- cepisce negli elementi loro analitici. La convivenza umana dell’assisa aziliana, come l’ha chiamato il Pierre, sapeva contare e far calcoli, e trasmettere ai contemporanei il suo pen- siero, e frazionare le sue espressioni foniche in elementi costitutivi. Questa luminosa projezione sul passato e con documenti storici ‘adesso scoperti io mi proposi di farvela allo scopo di dimostrarvi l’ intima con- nessione tra i fenomeni di convivenza e gli altri di continua organizzazione complessa della psiche umana. Noi non possiamo abbracciare col pensiero la poderosa sintesi del progresso umano, se non arriva chiara al nostro cervello la percezione: che il suolo, che permette al viandante di posar si- curo il piede mentre si spinge avanti o in sù con l’altro, è la obbiettiva- zione delle imagini o delle associazioni d’imagini sentite nella sua coscienza, e comunicate alle coscienze dei conviventi, e depositate in queste (senza saperlo) per trasmettersi alle venture generazioni col mezzo di suoni e segni di comune intesa. Una delle più gloriose conquiste della Scienza è stata la proclamazione della verità: che nello studio dei fenomeni bisogna eliminare la concezione umilaterale del tempo, che non ha importanza alcuna se si mette in rela- zione con la durata vitale di una qualsiasi generazione. Nella realtà delle cose ìî numeri, come gli anni e i secoli, sono un termine di paragone, un 40 POPOLI SCOMPARSI mezzo, uno strumento, per fissare in modo simbolico la successione degli avvenimenti. Ma la quantità stragrande delle onde di movimento. inaffer- rabile dalla nostra mente, opera sempre in modo impercettibile al di fuori e al di sopra della personalità umana, anche se, come imaginò Dante, il cammin di nostra vita sì svolga nella media di settant'anni, ciò che non è. Era assai comoda, conveniamone pure. la ipotesi della leggenda assira, cioè di un popolo civile che, invertendo l’ ordine paleontologico dell’ ap- parizione dei sessi, mise il primo uomo a conversare tu per tu con la Di- vinità e con idee astratte, o associazioni d’imagini per le quali invece fu- rono necessari lunghissimi lassi di tempo. Ma con le moderne esperienze che abbiamo raccolte di vocabolari limi- tati a due o trecento parole. e di lenta costruzione sillabica nei nostri bam- bini, noi abbiamo acquistato la convinzione che il linguaggio, parlato o scritto, come tutti i fenomeni della vita e dell'Universo, si è organizzato lentissimamente , e con esso si è contemporaneamente organizzata la co- scienza individuale e sociale. Una popolazione, o convivenza primitiva, che comincia a percepire l’al di là, e il disopra del suo abitato e delle sue relazioni sociali di sentimento con associazioni d'imagini fissate in una parola nuova, sopraeleva il proprio livello mentale, ed acquista una energia di disquilibrio verso altri aggre- gati sociali che non hanno percorso lo stesso cammino. Il fenomeno si ripete sempre sotto i nostri occhi per le continue appli- cazioni scientifiche. Una invenzione, una scoperta, una trovata, una teoria più evidente, dovunque appaja, si diffonde per il nostro mondo e diviene egemonia mentale, economica, politica. Lo scambio quotidiano tra le na- zioni moderne, agevolato dalle rapide comunicazioni, accelera il movimento della civiltà, per la medesima ragione del movimento iniziale remoto: la scoperta delle linee di minore resistenza. Allorchè, nell’ottavo secolo a. C., i Greci vennero in contatto con le po- polazioni sicano-sicole, è assai probabile che essi, per le armi e gli stru- menti di ferro, per l’organizzazione linguistica parlata e scritta, si trovas- sero in condizioni di dislivello mentale sugli aggregati sociali dell’isola. Le poche scoperte archeologiche finora fatte in quest’ultima, nulla hanno rivelato che somigli ai tesori aziliani. TL POPOLO SICANO-SICOLO 4] ‘ La trasmissione del pensiero era ai Greci più facile, e la energia loro colo- nizzatrice si diffuse in Sicilia come virtù di esempio e funzione educatrice. E assai probabile che la svegliatezza d’ingegno siciliano, il carattere ospi- tale e simpatizzante per # forestiero , le sparse tendenze alla sopraeleva- zione mentale, ricevessero in pieno la spinta del genio ellenico, recata per il tramite dell’elemento più avventuroso che sfidava le vicende della navi- gazione. Dimodochè non è da meravigliarsi se, mentre l’elemento ellenico veniva antropologicamente attratto e assimilato dalla massa sicano-sicola, le par- venze dello incrocio di due tendenze civili in parte diverse furono greche, e greco divenne il nome delle nuove organizzazioni politiche. A. prova però che ci troviamo dinanzi a un fenomeno di parvenza, 0, come dissi per servirmi d’imagini tangibili, di semplice vernice, stanno i fatti indiscutibili della graduata cancellazione della impronta greca nei tempi posteriori, e malgrado la ripresa storica delle influenze bizantine. Così poderoso era il ceppo sicano-sicolo, dopo la riscossa contro il dominio musulmano, da mostrare il suo rigoglio etnico e nazionale con lo elevare a dignità di lingua il parlar dialettale, comune nel suo fondo organico alla espressione del pensiero di tutta la stirpe italica. La dimostrazione storico-sociologica che ho avuto la fortuna di sotto- porre alla vostra attenzione, mi conduce naturalmente a tener conto dello stato attuale della documentazione archeologica e delle esigenze sociali ri- guardanti le ricerche interessantissime sulla civiltà sicano-sicola. Per vie diverse durante il corso della mia vita sono sempre pervenuto allo stesso crocicchio : la Sicilia è un campo ancora quasi intatto di ricer- che e di esplorazioni. Le sue remote abitazioni costiere e montanare, ce- lano nel loro suolo, nelle prossime grotte e caverne, nelle tombe ancora intatte sfuggite alle ingordigie predatrici, materiali storici preziosi. La breccia aperta in questo campo dal prof. Orsi — alla mente del quale, al- lenata ad altri indirizzi, balenò il sospetto che la civiltà sicano-sicola igno- rata avesse caratteri di grandezza rivaleggianti con altre civiltà del periodo quaternario — se in lui animò una fede e mise in evidenza le sue non co- muni qualità di classificatore e di organizzatore, nel publico colto , posto a contatto dei fatti positivi raccolti nel Museo di Siracusa, eccitano facoltà integratrici di idealità a raggiungere. Gli altri Musei dell’isola, publici e privati, seppure hanno un qualche 6 49 POPOLI SCOMPARSI valore come semplice raccolta di poche armi di selce o di ceramica pri- mitiva, non impressionano il visitatore per la mancanza di spirito critico e di studio coscienzioso di ricerche, messe in armonia con le stratificazioni e diffuse nel pubblico con monografie opportune. La dotazione per gli scavi. che era scarsa in principio, divenne assolu- tamente irrisoria quando la politica finanziaria della /esina — oggi divenuta un anacronismo — pesò come una coppa di piombo sulle Biblioteche e sui Musei, che sono il punctum di Archimede per muover la Terra. Meglio assai delle precedenti generazioni noi siamo armati per le inve- stigazioni scientifiche. Le comunicazioni migliorate facilitano nell’isola no- stra le escursioni podistiche sui terreni accidentati. Sotto la sapiente orga- nizzazione di una forte volontà, che abbia a sua disposizione mezzi oppor- tuni, i miracoli fatti a Siracusa, per metter su e rendere evidente la le- zione di cose che nasce dalla rivelazione di una civiltà vissuta, sarebbe relativamente facile attrarre giovani animosi e ricchi di fede, che vadano per le nostre montagne raccogliendo le fotografie (unico formato ed unico criterio dirigente) dei varî siti dove trovansi costruzioni ciclopiche. Questo manipolo di giovani potrebbe, con pazienti cure, raccogliere e classificare in fotografia tutte quelle figurine in terracotta che manifestano le foggie e gli usi delle età diverse, ponendole in luce di comparazione. Otterremmo così l’inizio di quegli studî di antropologia e di sopravvivenze etniche, i quali in Sicilia, centro d’infiltrazioni e d’meroci popolari, è assai probabile debbano dare risultati meravigliosi. Così soltanto sì vivifica la Storia, che se, da un punto di vista, è scien- za assolutamente passiva per il carattere sperimentale di racconto di av- venimenti sui quali nulla od assai poco può la volontà dell’uomo, è però dotata dello elemento radiante e perciò dell'energia di movimento, impressa nel simbolismo dei suoni, dei segni e di tuttii prodotti dell'umana attività. Noi abbiamo il dovere di eccitare le latenti forze sociali dei giovani ari- stocratici, che son contenute nella nostra compagine democratica, ad uscirne fuori con energia di lavoro mentale. Ci sia di sprone lo esempio della no- stra emigrazione, che, in ambienti nuovi e con facilità di movimento, ri- duce la percentuale della delinquenza al disotto della media delle popola- zioni con le quali viene in contatto; adatta all'agricoltura, all'industria ed al commercio la svegliatezza dell'ingegno, e impingua la ricchezza della patria italiana col rapido accumolo dei suoi risparmî, frutto delle condizioni etniche — sobrietà e parsimonia — qualità fondamentali di una forte razza, che riattiverà il movimento di espansione mentale ed economica, per il IL POPOLO SICANO-SICOLO 43 quale la Sicilia divenne celebre coi suoi migliori, nelle epoche più gloriose della sua storia. E lasciatemi terminare con l'augurio che io faccio a me stesso, già avanti negli anni, che mi sia dato di veder cominciato lo studio sociologico della vita dei nostri Padri, così lontani da noi nel tempo, ma dei quali siamo eredi e successori. saio IL CONTENUTO GIURIDICO D SUMMA PERUSINA Comunicazione fatta dal socio PROF. ENRICO BESTA nella tornata del 22 aprile 1906 FASI Il contenuto giuridico della Summa perusina. —.o.— Indole della Summa perusina e suo scopo. Nel rifarmi a studiare la c. d. Summa perusina in base all'ottima edi- zione del Patetta, muovo da un punto di vista un po’ diverso dal solito: (1) non la considero infatti come indice di studio delle fonti giustinianee e come monumento dottrinale di coltura romanistica, bensì come opera, che, tendendo a scopi pratici più che scientifici, mirava effettivamente a ser- vir di norma per i rapporti giuridici vigenti nel tempo, nel luogo e nella società in mezzo a cui l’autore viveva. Che l'autore delle adnotationes codicum (2) sia stato cattivo esegeta del diritto giustinianeo, cui spessissimo fraintendeva in tal modo da ren- (1) Adnotationes codicum domini Tustiniani (Summa perusina), Roma 1900, estr. dal Bull. dell’Ist. di dir. rom. XII. La nuova edizione, condotta con soda dottrina e con impeccabile diligenza, ha reso antiquata quella dello Heimbach, Anecdota, Lipsiae 1840, II, p. 1-144. Per brevità indico le adrotationes con la sigla S. P. (2) Il Parerra p. XIII ha inconfutabilmente dimostrato che il collettore dei som- marii così chiamati fu persona diversa dal loro autore e che dal primo va pur distinto l'’amanuense cui si deve il ms. delle Summa ora conservato: distanza di secoli potè divider l’uno dall’altro. Pur decisive mi sembrano le sue critiche all'ipotesi che la Summa fosse volgarizzamento di sommarii redatti precedentemente, e forse a più ri- prese, con migliore latinità e con maggiore esattezza sostanziale (NieBunr, Zettsch. f. gesch. Rechtsw. III, 391) o una spropositata versione catapodistica di oùvtouor greci (Ta- Massia in Arch. giur. X.C, p. 266-267 e Atti R. Ist. Ven., Ser. VII, vol. IX) : che l’autore dei summaria lavorasse direttamente sulle fonti si trae, più ancora che dal ritorno sporadico di locuzioni proprie di esse (PateTTA p. XXVI), da certe papere che possono spiegarsi + IL CONTENUTO GIURIDICO der difficile il cogliere un nesso sicuro tra il riassunto e il testo compen- diato, è cosa indiscutibile: ma, se lo storico del diritto romano può limi- tarsi a constatare la scarsa familiarità col linguaggio delle fonti e la con- seguente inettitudine a dominarne il contenuto, lo storico del diritto ita- liano deve andar più oltre ricercando la causa di quegli errori. E così la struttura e il valore di quel lavoro, che a un giurista moderno può parere a tutta prima un monumento di madornale insipienza (1), appariscono sotto meno obliqua luce: l'ignoranza non fu l’unica ragione di tali e tanti tra- viamenti ed ebbe ragione il Conrat (2) astenendosi dal pronunciare una troppo recisa condanna contro quell’interessante documento della nostra vita giu- ridica medioevale. 1 Le lacune e le scorrezioni del manoscritto perugino non furono tutte nel- l'archetipo e spesso non all'autore sono da imputarsi, ma all’amanuense inetto a vincer le difficoltà della scrittura originaria (3) o alle vicende subite del codice cui questi attinse che, forse per una smarginatura troppo pro- fonda, già presentava i sommarii più o meno gravemente mutilati (4). Per spiegar poi le papere di cui realmente si può accagionar l’autore convien ri- soltanto con erronee lezioni del ms. o con falsa lettura di parole o frasi delle fonti stesse. L’unità dell’autore appare poi incontestabile per l’unità dello stile e pel ricorrere di locuzioni caratteristiche in tutte le varie sue parti: moltissime altre prove di questa uniformità di linguaggio si addurranno nel corso del lavoro; qui, come una delle più si- gnificative, ricordo l’uso del nihil esse in S. P. 1. 22. 5; 1.23.4; 2.4.13, 23; 2.22.2: 2.55.6; 3.3.1; 3.6.1; 3.11.92; 4.1.5; 4-2. 1; A. 19. 5, 6; £ 20.3; 4; 4. 29.3, 15, 16; 4.36-1; 4. 38:2! 3; . 12.13; 5.14.15; 5.16..5;15..59. 2: 5.0 1. 8. 10); 6:21-4; 6. 25. 4; 6.26.55; 631.5; 637.6; -40.3; 6.44.1; 7.10.4, 6, 7; T. 11.5; 7.14.13; 7.33.6, 8; 7.45.1; 7.73.6; 8.15.7; 8.16.4; .38.1; S.41.3. Quanto allo stile osservo essere a mio avviso caratteristico dell’autore D O l’esporre la protasi delle singole disposizioni, come l’apodosi, in forma positiva con l’indi- cativo e non ipoteticamente col condizionale: adottato questo criterio la punteggiatura dovrebbe essere leggermente modificata in più luoghi per distinguere l’una dall’altra con un punto e virgola. (1) Parertà p. XXVI. (2) Coxrar, Gesch. d. Quell. u. Lit. d. ròm.Rechtsim ilteren Mittelalter, Leipzig 1889. (3) PareTTA p. XIV. L'editore dimostrò all’evidenza che l’archetipo del ms. peru- gino dovette essere un codice a scrittura longobarda continua; di qui l'imbarazzo del- l’amanuense nella divisione delle parole e nella interpretazione di alcune lettere o nessi di lettere. (4) Si può dire che ben pochi sono i sommarii giunti in forma completa. Lacunose sono pur le leggi riportate testualmente : ond’io sarei tratto a supporre che queste fosse- ro talvolta segnate marginalmente per supplire alle lacune di un ms. epitomato in modo analogo a quello che si riscontra nel ms. pesarese descritto dal PatETTA, Di un nuovo ma- noscritto del codice epitomato, Roma 1895. estr. dal Bull. dell’ist. dî dir. rom., a. VIL Le c. 1-15; 1-130:35 113215 100352 136-1710372; 139-135; 5029; 41 3 58 23.25; 2.443; 2.716, 1; 2. 11 10) 17; 2. 17.4; 3.12. 5; 3:34 225; 3.34. 9-12; 3 36.1-3. 7, DELLA SUMMA PERUSINA D) corlare che la visione del presente, anche là dove la deviazione dal testo non fu voluta, potè ottenebrargli la intuizione del passato. Movendo in- fatti fra leggi in molta parte dissuete ei non seppe emanciparsi dal modo con cui i varii istituti giuridici erano configurati e regolati intorno a lui e dalle accezioni nuove che nella favella volgare avevano assunto le voci giuridiche e le frasi già classiche : evitare codeste influenze era troppo dif- ficile per chi, pur conoscendo accanto al Codice le Istituzioni (1) e le No- velle (2), difettava di quel serio corredo di nozioni giuridiche e storiche che sarebbe stato necessario per poterle scientificamente dominare. L’an- gustia delle sue idee corrispondeva alla involuzione che intorno a lui era avvenuta nella vita giuridica: sotto il linguaggio volgare intese forme e concetti giuridici volgari. Or qui appunto comincia il compito dello storico del diritto italiano : fattosi padrone della caratteristica latinità della Summa, egli, cercando a dovere per quali cause e per quali vie sieno sorte le difettose interpreta- zioni che meritarono le giuste critiche dei romanisti, deve cogliere e segnare le linee di quello ch’era allora il diritto attuale. Data la mancanza d’ogni traccia d’influenza germanica (3), le deviazioni ch’essa presenta dal tipo giustinianeo vanno sicuramente considerate come indici di usi volgari per quest’aspetto la Summa non è men degna di studio della Lex romana curtensis (4). Checchè si sia pensato o scritto la Summa perusina non è il prodotto d'una scuola; nel cap. 5. 17. 8 si legge bensì: £x quibus causis detur repudius prese[n]s lectio declarat, ma la voce lectio qui, come nei Swn- maria capitum all’Epitome di Giuliano (5), non equivale punto al nostro 12-13, 16-18, 22-24; 3. 37. 5; 4.2.3; 4.8.2; 4.30. 12; 4. 82. 11; 4.35.21; 5.1.3; 5.18. 4; 5.25.32; 5.44.3,4;5. 58. 1; 5..62/25; 5. 65..2;6.2/ 19; 6.21 11; 6.22/15;6.123.126; 6.24.15, 12; 6.25..0,,6; 6.37. 4; 6.37.26; 6.38.3; 6. 41.1; 6.42.20, 30; 6.53.2; 6.53.5, 6, 8; 6.54,7; 7.1.3; 7.5.1; (16.38; 727.2; 10. 56.23; 72: 8; V. 74. 1; 81 16.3; 8.35..6; 7, 8,9) 10, 11,12,13) 16; 8..39..2; 8.41.77; 8.46.2; 8. 47.2 mancano in generale nei manoscritti epitomati. (1)UCfr S.P. 4271 Ist 20985: (2) Cfr. S. P. 5.12 e 20; 5.14 10 e Epit. Iul. XC. (3) La dimostrazione del ParettA p. XXXIII deve considerarsi come esauriente : ed è quindi inutile ch'io torni ad insistere su di essa. (4) Da quest’aspetto l’importanza della L. r. c. fu ben rilevata dal BrixnER, Deutsche Rechtsgeschichte, Leipzig 1887, I. 361 segg. e dallo SoruPrer nelle quattro memorie in- serite nelle Mem. Acc. Lincei Cl. scienze morali ser. IIT vol. VII e X, ser. IV vol. III e vol. VI: alla conoscenza di quel diritto volgare ho cercato anch'io di contribuire nella nota critica su la stessa legge pubblicata nella Riv. ital. per le scienze giuridiche a. 1901 ed ora altro contributo e assai più largo ci viene dal Merer, Die Entstehung der Lex utinensis in Mittheil. d. Instituts fur dsterreichische Geschichtsforschung XXVI. (5) Summ. ad cap. 314. 6 IL CONTENUTO GIURIDICO “lezione ,. Piuttosto la rivelano opera di un pratico la tendenza a ridurre in precise formole notarili (1) o processuali (2) certe norme delle fonti e il suo rivolgersi come consigliera ai giudicanti. Caratteristico è per questo riguardo il cap. 3. 1. 13: hoc et de pedaneo indice liceat indicare. Un maestro, per quanto di poca levatura, avrebbe probabilmente stu- diata un po’ più la forma: al pratico invece, curante più del contenuto che d’altro, bastava farsi capire. E in fatti non mise troppo impegno nel non lasciar scorgere sotto il velo d’una latinità superficiale le linee del volgare in via di formazione : esso fa capolino non solo nella capric- ciosa anarchia dei casì e in certe forme verbali, ma pur nell'uso di alcune locuzioni e nella costruzione sintattica irregolare ricca di espressivi anacoluti. Fornito poi di una cultura a pena mediocre il nostro summator non avendo il sussidio di opere che gli agevolassero il suo lavoro d’interpretazione, perchè appena si giovò di qualche rara glossa esplicativa di singoli vo- caboli (3) o tutt'al più di qualche notabile (4) o di qualche regola (5), capì naturalmente delle fonti solo quel tanto che gli riuscì di capire. E dove, non potendo intendere, non ricorse ad uno sbrigativo require legem (6) e volle cavare un costrutto della sua lettura, necessariamente sbaglio. Ma codesti fraintendimenti sono interessantissimi. In alcuni casi sì potrebbe dubitare che la norma risultante da essi non fosse valida come per esempio là dove, per aver interpretato con troppo frettolosa lettura lupanar il lubrico lapsa d’una costituzione dioclezianea negò la suc- cessione del figlio alla madre corrotta (7) o dove, interpretando per advo- (1) S. P. 3:28. 192; 6.20.20; 6. 23. 10, 11; 6. 23. 27; 6.25. 7; 6. 42: 10; 6. 44. 1; 7.4.9; 74-14; 8.16.9; 8. 40. 19. (2) SPA 6:96; 110013312717 /6513; 75.15. (3) S. P. 1.5.81 dampnationem quatuor sinodorum; 2.40.3 v. legatas; 2.58.2 v. patro- nus; 3.22.24 v. postliminium; 4.44.83 v. palatini; 3.9.7 v. obesse; 6.30.18 v. delata; 6.35. 9 v. clam; 6.46.6. v. peremptum; 6.50.4 v. abolitio; 7. 63.1 v. apostolos hoc est literas ad in- dicem. Un riflesso di qualche definizione tradizionale può scorgersi in 8. 4. 11 per la voce e in 3.15.2 per il plagiarius. Da una glossa deriva fors’'anche la locuzione guvernantes rebus venerabilibus in S. P. 1.3.5 con cui son rese le voci archigerontes et dioecetae er- gasiotanorum. (4), S' P. 1.26.15; 131.1; 2.,6.%;-2. 44.2; 4.32.25; 5. 12.101; 15. 17-85 161:29.19; 1. 15.122; ‘0.35.15; 10.162. 23; 101821186; ‘0 /62!38;,18./85. 14° È (5) ISEE N23 I 2012: 82 91/8895 2 SOT IO (6) S. P. 3.36.4, 15-25; 3. 37.2; 7. 56.2, 3; 8.39. 2. Cfr. Zege îpsam legem [S. DB. 3. 36.4; 6.50. 1; 5, 6; 6.53. 6, 8; 7.25. 1; 7.51.16; 8.35.13, 14, 16] ab isto loco utere legem [6, 20. 18]; ipsa lege relegit [7.25.1]; presens lectio declarat [5. 17.8]. (7) S. P. 2. 834.2. Nel glossario del Cod. Vat. 1459 Cfr. Corp. gloss. V. 1904 dissertos- scolasticos. DELLA SUMMA PERUSINA 7 catus il desertor della fonte, attribuì la libertà al servo nominato avvocato. Per altre invece la realtà della norma è indubitabile (1) e fu proprio la di- versa figurazione del caso che trasse il compilatore a pensare ad una regola diversa da quella presupposta dal testo. Appunto per ciò mi è parso opportuno l’esporre sistematicamente il con- tenuto della Summa perusina in quanto si attiene al diritto pubblico, alla procedura e al diritto privato: meglio che non dal sistematico riassunto delle epitomi delle fonti (2), che pur contenevano sempre larga parte di norme inapplicabili, potremo per tal via raggiungere una giusta idea della pratica giuridica im un paese che avrebbe dovuto essere di diritto giustinianeo. II L'organizzazione amministrativa e giudiziaria. Incomincio dalla determinazione del significato che l’autore della S. P. potè aver dato alle voci civitas e provincia. È uno dei pochi punti in cui mi scosto dalle conclusioni cui giunse con sottile procedimento critico il Pa- tetta: mentr’egli infatti non sospettò che i due vocaboli abbiano mutato contenuto di fronte all’ accezione tecnica delle fonti a me pare e forse parrà anche ad altri che in realtà così fosse avvenuto. Notevole è anzitutto che l’autore di solito non parla di e.vitates in plurale, ma singolarmente di una civitas (3) a cui contrappone a mo’ (1) Nelle S. P. 4.61.12 il carcere devesi senza dubbio ad una scorrezione del ms. che leggeva così invece di carere; in S. P. 5.6.7 l’ ignis interdictione ad una falsa lettura di ignis iniectione; in 6.5.6 il cororis a una falsa lettura di colonis. Altre papere de- rivanti dalla incapacità di afferrare il contenuto delle norme si colgono in S. P. 1.3.5 dove il compilatore non capì che cosa fossero i rationales; in S. P. 1.3.7 dove non com- prese che cosa fosse la quaestio ; in S. P. 1.4.6 in cui scambiò i sinoditae coi dannati dal sinodo; in S. P. 2.3.39 ove prese la promessa di non uti fori prescriptione per una promessa ut secretum non publicaretur; in S. P. 3.26.7 dove intese gravitas per angaria; in S. P. 4.61.11 dove attribuì alle voce manceps il significato di mancipium; in S. P. 5. 30.2 ove confuse la capitis deminutio con l’infamia e in 4.10.2 e in 7.53.5 ove non arrivò @ comprendere che cosa fossero i nomina ete. Cfr. Paremta p. XXIII e segg. (2) Cfr. Coxrar, Die Lex romana canonice compta (Ròmisches Recht in frilmittelalterli- chen Italien) in systematischer Darstellung, Amsterdam 1904, lavoro che secondo l’inten- zione dell’autore, dovrebbe far da noi riscontro all’altro Breviarium alaricianum (Rò- misches Recht im frinkischen Recht) in systematischer Darstellung, Leipzig 1903. (3), S. P. 1. 48.1; 2.4: 19; 3.43.12; 4.44. 17; 4.63. 6,; 6.23. 32,; 6.25.11; 8. 10.3, 6, &; 8. 11.6. Il plurale si trova però in S. P. 8. 11,11. 8 IL CONTENUTO GIURIDICO di pertinenze o appendici dei castra (1), delle v2Zae (2), dei loca: (3) si di- rebbe, sol per questo, ch'egli normalmente non abbia spinto 1’ occhio più in la del distretto amministrativo in cui viveva, un distretto che non do- veva poi esser tanto ampio se non conteneva che una civitas o un grosso centro amministrativo urbano in antitesi a quello che oggi chiameremmo il contado (4). Dove poi quella voce indicò presso lui l’aggregato dagli edifici che ne costituiva la base materiale della c2vtas (5) allora, se non m’inganno, civitas e urbs (6) ebbero per lui il medesimo contenuto (7) e civitas fu una determinata città, ove già le rovine cominciavano a diffondere intorno a sè l’imeubo melanconico della decadenza, ma abbondavano ancora e si volevano difendere contro il vandalismo privato (8) i monumenti gran- diosi, che con le forme decorose del publicus aspectus ne costituivano l’or- natus (9), e vera un'ampia cerchia di mura, che si voleva oggetto di circo- spetta vigilanza (10) per assicurarne la difesa. Al di là della cwtas gli stessi consudditi apparivano a lui come exteri (11), come extrane: (12): la civitas era pei singoli la vera patria (13). In relazione al mutato significato della civitas va poi figurata la provincia. Sembra infatti che con tal voce abbia generalmente inteso il territorio rustico in contrapposizione al centro urbano (14): certo provineialis appar spesso sino- nimo di rusticus. Così in S. P. 1.54 4 il gravamen rusticorum del testo si cambiò in un gravamen provinciae, in S. P. 4. 62.4 gli onera provincialium furono intesi come onera ruri facta e nella S. P. 1.54. 5 finalmente il pro- vinciales del compendio rese la plebs delle fonti. È troppo azzardata dopo ciò l’ipotesi che le provinciae, cui voleva alludere il compilatore, fossero di solito i castra o i loca dipendenti dalla civztas ? (15) La civitas con le provinciae formava un tutto amministrativo a sè: (1) S. P. 6. 23. 32. — (2) S. P. 8.10. 6. — (3) S. P. 5. 40.2. — (4) S. P. 1. 48. 1; 4. 44 17; 4.63.6 (consuetudo negotii della civitas). — (5) S. P. 3.43.12; 4. 63.6; 8. 10.3, 6; 8.11.11. — (6) S. P. 5.33. 1; 8. 44.8. — (7) D’ altronde la civitas era giuridicamente considerata come un organismo fornito di capacità propria, ond’è che la S. P. 4.44.17 parla di pecunia civitatis spesa per la provvisione di vettovaglie dal di fuori. Cfr. 2. 4. 12; 4. 63. 6. — (8) S. P. 8.10. 6, 85; 8:11.5, 14. — (9) S. P! 8:10.2, 6, 7. — (0)S. P 8.10.19;8! 10-10, 11, 13. Curioso è che, dove le fonti parlano di publicae aedes, il compilatore fa sempre parola di publica mura: parrebbe dunque che questi fossero per lui le publicae aedes per eccellenza. — (11) S. P. 4. 44. 17. — (12) S. P. 6.24 11.I cives [4. 62. 12] sono contrap- posti agli advenae anche in S. P. 7. 72.1. Sinomina di advena parrebbe esser stata la voce peregrinus in S. P. 6.24. 7. — (13) S. P. 2.11.9.— (14) S. P. 2.7.6, 9 3.8.1; 3.11.1; 3.24. 1; 5. 33. 1; 5.38.29; 5.629; 7. 33. 12; 8. 10. 10. — (15) In S. P. 5.40. 2 i Zoca corrispon- dono alla provinciae delle fonti. In. 5.32.1 si parla significantemente d’un ordo curie provincie. DELLA SUMMA PERUSINA 9 non era però illimitatamente autonoma e ne persisteva la subordina- zione alla unità politica dell'impero. Contro coloro che pensassero esser gli accenni all’autorità imperiale pure reminiscenze storiche suggerite e sor- rette dalla autorità delle fonti protesterebbero i luoghi in cui il compilatore ne fa parola indipendentemente da esse: di qui infatti bisogna dedurre che, quand’anche il vincolo ond’eran soggette all'imperatore fosse molto rilassato, nondimeno l’autorità imperiale non fosse ridotta ad un’ ombra senza sog- getto (1). L'oraculum imperiale non era muto (2) e i reseripta (3) uscivano tuttavia frequenti per dispensare dignità ed onori, per autorizzare l° e- sercizio dell'avvocatura (4), per rimeritare i servigi resi all'impero (5), per ordinare dislocamenti di eserciti (6). Ancora intorno all'imperatore vi era una ressa di petitiones (7), di preces (S), di suggestiones (9) dirette ad otte- nere privilegi e dispense magari in modo surrettizio (10); a lui si rivol- gevano i funzionari che volevano aver licenza d’ assentarsi dalle loro sedi (11) o di fare acquisti in provincia (12), e i privati che desideravano aver concessa la esportazione dei publici ornatus della città (13) o la occu- pazione di terreni ed opere pubbliche (14) o quelli che aspiravano ad otte- nere straordinarie dilazioni giudiziali (15) o volevano essere autorizzati ad ado- zioni eccezionali (16) od a testare con numero di testimonii inferiore al lega- le (17) o quelli che comunque intendessero ottener doni e benefici (18). Era il giudice supremo che con la propria tacitava ogni altra giurisdizione ema- nando sentenze che avevano virtù di legge ne’ casi analoghi (19) e veran cause riservate a lui come forse quelle delle vedove e de’ pupilli (20): a lui anda- vano gli appelli da’ giudicati dei giudici locali del prefetto, degli arbitri (21). Dov'egli non poteva giungere delegava le sue funzioni ai vicarz) (22). Anche era il supremo legislatore che con le sue 7usstones emanava disposizioni nuove e interpretava e modificava le vecchie (23). Le statue, che riproduce- (1) Cfr. ParemtA, op. cit. Princeps fu costantemente sinonimo di imperatore: Cfr. principalis iussio in S. P. 1.52. 1. e 1.39.3, 15; 8.48. 6; 3.11.2; QI MILA (2) S. P. 1.19.8.— (8) S. P. 1.15.1; 1.19.2; 6.23.19; 7. 39.3; 8.47. 6. Sacra semplice- mente son detti in S. P. 1.23.1, 2, 3; 7.39.3; 8. 47.6. Altrove anzichè sacra, son detti auctoritates [1.23.4] o constitutiones [1.15.1; 7. 51.6] o iussiones [1. 14.3; 1.22. 5; 1.39. 9; 1.52. 1; 1.24. 5]. — (4) S. P. 2.6.8.— (5) S. P. 6. 60.7. — (6) S. P. 1.28. 4 — (7), S. P. 1.14. 3. — (8) S. P. 1.19.2.— (9) S. P. 7.61.2. Cfr. l’uso della voce interpellare in S. P. 1. 19. 6; TO iO) ie (MSI Ai = SI dei (19) SI lee) azzo = (14) Si Bio he (o) SI bieb (16) S. P. 8.47. 6. Altrove si avverte invece [8.48.6] che il rescritto del principe non era necessario per l’ emancipazione. — (17) S. P. 6.23.9.— (18) S. P. 7.37.39; 7.39. 5; 7.51.6.—(19) S. P. 1. 14. 11.—(20) S. P. 3. 14. 1.—(21) S. P. 1.36. 2; 1. 39. 3; 3.11.2.—(22) S. P. 1.26. 2; 2.26.3. — (23) S. P. 1. 14.3, 10, 11. 10 IL CONTENUTO GIURIDICO vano la sua imagine, erano sempre oggetto di venerazione (1) e fonte di protezione a chi cercava rifugio appo loro (2): i sudditi riputavano ancora onorevole per se il lasciare a lui e all’augusta i propri beni (3). Ma qual era l’imperatore cui il compilatore avea riguardo ? Senza dubbio il bizantino. Egli era infatti conscio dei vincoli che già aveano legata la sua civitas con altre provincie orientali come l'Egitto (4) o l'Illirico (5) e volentieri ricordava Costantinopoli. È dubbio invece che ancora intendesse per bene il complicato conge- gno di alte cariche amministrative che si rispecchia nella legislazione giustmianea (6). La S. P. accenna ripetutamente ad un quaestor (7) e al suo officium(S): ma, se potrebbe parere a prima vista che si dovesse identificare col quaestor sacri palato (9) poichè da esso sì facevano dipendere i veri devoti in sacro sernvio militantes (10) e numerosi chariularti (11), d'altro canto la S. P. 1. 30.4 subordina i questores ai rectores provinciarum e al prefetto: a questo do- vevano trasmettersi gli appelli interposti presso di loro (12) o presso i loro chartularti (13) che fanno capolino anche nella S. P. 7. 63.5 corrispon- dendo agli epistulares delle fonti. Neppur la distinzione fra il laterculum minus e il mars era più compresa dal compilatore, il quale ci dà la no- tizia rilevante che i quaestores erano preposti ai laterculi minores e che i med dipendevano dal magister militum (14). Mentre poi dalla S. P. 3.13.6 potrebbe parer probabile la persistenza del magister officiorum poichè ad un magister officiorum pensò appunto il compilatore interpretando la magisterza potestas della corrispondente costi- tuzione teodosiana, il modo con cui trattò il titolo 1.31 induce a credere che, se v'era tuttavia un magistrato di tal: nome (15), avesse altra impor- tanza e più ristrette funzioni. Lo stesso è a dirsi ne’ riguardi del comes rerum privatarum. La S. P. 3.26.6 accenna bensì a un comes privatorum che giudicava tra gli homines fiscales: ma codesto comes che attendeva ai commoda fiscalia (16) doveva essere qualche cosa di diverso da quello poichè dalla S. P. 7. 62. 26 si trae ch’ ei stava 77 provinetis, che cioè non apparteneva all’ amministrazione centrale. Forse il comes prvatorum della S. P., che in materia fiscale pare (1) (Sì (Pi di al4-27 3; 0062: dle: — (2) SÌ Pi 1.244. — (3) SÒ È (6022-6165 33, 16 (4) S. P. 1.20. 1. Cfr. S.P. 4.23. 4; 4. 61.9. — (5) S. P. 1.28. 4. — (6) Cfr su. questo punto il Canisse, Storia del diritto italiano, Firenze 1903, II, p. 16 e segg.; il Dren, Etudes sur Vadministration byzantine dans l’erarchat de Ravenne, Paris 1888; lo HartMaNnN, Untersu- chungen zur Geschichte d. byzantinischen Verwaltung in Italien, Leipzig 1889, p. 35 e seg. — (1) S. P. 1.30.4; 7. 62.32,37 — (8) S. BP. 1.30.4. — (9) MomuseN, Disegno del dir. pubblico romano (vers. Bonfante), 1904, Milano. — (10) S. P. 1.30.83. — (11) S. P. 7. 62. 37. — (12) S. P. 7.62.37. — (13) S.P! 7. 62.37 — (14) S. P. 1.30. 1, 2. — (15) Potrebbe anche trattarsi di una glossa che il compilatore fece passar nei sommarii. — (16) S. P. 1. 32 [83] 1. DELLA SUMMA PERUSINA 1l avesse una competenza indipendente da quella del praefectus, era preposto a singole circoscrizioni fiscali. Da lui non saprei distinguere il comes sa- crarum cui allude la S. P. 3.27.11. Non più esatta è la figurazione dei vicari, che, lungi dell’ essere in- tesi come i preposti alle diocesi dell’impero (1), appariscono ufficiali giu- dicanti nelle cause civili vice principis (2) e quelle dei legati (3), dei procon- soli (4) e dei consoli, dignità ridotte probabilmente a semplici titoli onori- fici. Anche i pretores, se pur v’ erano ancora, erano ben diversi dai ro- mani costituendo dei magistrati giudiziari locali (5) subordinati al prefetto (6). Neppure, mi pare, visono indizi decisivi della continuità della prefettura del pretorio. Sostenendo l'opinione contraria il Patetta (7) si fondò sopratutto sulla S. P. 1.26.3 che parla dell’ ordinatio dei rectores provinciarum da parte di un praefectus; e certo, se le provinciae intese dal compilatore fos- sero state le provincie romane, non poteva trattarsi che del prefetto del pretorio. Ma la prova non risulta perentoria ove si ammetta che la voce provincia abbia avuto anche il significato già posto in evidenza: allora ac- quista invece maggior peso il fatto, che non distinguendosi più i caratteri differenziali delle singole praefecturae, l’autore di solito parla di un prae- fectus in modo generico (8). Il praefectus, cui il compilatore allude pare sia stato essenzialmente il praefectus urbi 0 il magistrato supremo della evitas ch’ei teneva di mira (9) intermediario ‘diretto fra essa e l’imperatore. Non solo provvedeva alle ne- cessità amministrative (10), all’annona (11), alle opere pubbliche (12), alla po- lizia interna e alla difesa dai nemici esteriori (13), ma esercitava funzioni giudiziarie di prima e di seconda istanza giudicando gli appelli dalle sen- tenze dei giudici locali (14). Su questi aveva poi poteri di controllo assai lati: ed era anzi egli stesso che li nominava (15) o almeno ne confermava la nomina con le sue probaturzae (16). Da lui, che aveva intorno a sè un proprio consistorium (17) o un proprio officium (18) o comitatus (19), ove entravano (DST 3692= (2)ESE282613) (3) Se MIST (62419582718; 2. 11.5. — (5) S. P. 1.37 1,2. — (6) S. P. 7. 62. 17. Notisi che la voce praetarium fu usata a indicare ogni tribunale. Cfr. S.P. 3.22. 6; 1.39. — (7) PAarETTA p. LXII. — (8) In S. P. si parla di più prefectì : ma la locuzione indices vel prefecti è sempre equivoca. — (9) Cfr. C. I. 2.7.5, € e il corrispondente sommario. — (10) S. P. 1.27. 3. — (11) S. P. 1. 26. 5. — (12) S. P. 1.27.1. I curatores operum pubblicorum erano spariti. — (13) S. P. 1.27. 4 — (14) S. P. 1.19.1.2.6. 1; 7. 65.5. Nell’urds egli nominava i tutori [1. 49.2; 5. 33.1]. — (15) S. P. 1.25. 3: ordinabat; 3.3. 17: dirigebat in provinciam.—(16) S. P. 1.31.2, 3, 1. 26.2. — (17) S. P. 1.50.2. Forse appunto questi obsequentes del prefetto furono chiamati pa- latini nella S. P. 2.31.16 benchè altrove a traverso l’uso d’una glossa i palatini siano esattamente definiti come ufficiali in exactione pubblica. Cfr. S. P. 1.39.16 e 4. 44.18. — (LE)NSPA:2/42 (119) (S-CEN2N0425: 101958: 12 IL CONTENUTO GIURIDICO specialmente in buon numero gli advocati (1), dipendevano altresì il magister census che era preposto ad un vero ufficio di cancelleria e di registrazione (2) costituito da parecchi notarz7 serznii aventi un proprio trbunus (3) e il pre- fectus vigilum addetto alla polizia urbana (4) e il prefectus annonae incari- cato dell’approvvigionamento della civitas (5): da lui dipendeva anche in qualche modo lo stesso ezereztus (6). Il limite della dipendenza di questo è però segnato nella S. P. 1. 82.1 “prefectus in milites non abeat potestatem..: il prefetto poteva richiedere cioè l’aiuto delle m/litia e delle sue scRolae (7) quando fosse parso mestieri, ma non dovea ledere quel privilegio d’ autonoma organizzazione e di separata giurisdizione che godevano i mltes sotto gli ordini dei #r2bunz, dei comites o duces (S) e dei magistri militum (9) che, posti alla loro testa, aveano anch'essi il proprio officzzun e. i proprit apparitores (10), i proprii quaestores (11). Che nella civ/àas vigesse ancora un senatus potrebbe poi argomentarsi dalla S. P. 1.14.9 che con tal voce rese il patres conseripti della costituzione originale fissando la norma che la lex que in senatum non est recepta nec valere liceat e dovrebbe altresì ammettersi che pretendesse tuttavia di fun- zionare come organo legislativo, se non direttamente con la promulgazione di norme nuove, con la receptio delle norme promulgate da altri (12) poichè l’autorità dei senatus consulta doveva essere inconcussa ed era delitto il cercar di eliderli con privilegi imperiali (13). Anche nella S. P. 3.24.2 si fa parola di senatores. Ma uscendo fuori della c.v/tas non s'incontrano indici sicuri della persi stenza dell’antica costituzione municipale: l'autonomia locale, se pur non era del tutto soffocata (14), avea già fatto generalmente luogo ad un re- gime accentratore che legava le amministrazioni periferiche alla centrale subordinandole al reggimento di persone preposte dall'imperatore e gover- nanti in suo nome. L'autore delle Adnotationes codicum era sì poco familiare con l’ ufficio dei duoviri che, mentre la c. S. C. I. 6.9 richiedeva il loro intervento a certi atti, egli accenna solo alla necessaria presenza di duo testes. (1) SIP R2AN 5 2)AS ERIN 16823412 AVIIIE (5) S'UP- dl (6) SP 26: de 17 AM)ISTE: CNIT ARS ME SEMI parla di commilitones.—(8) Comites [S. P. 1.44 2.4): duces (1. 44. 4:1. 50. 6). In 1.44. 4il due ha preso luogo del comes delle fonti: e quindi parrebbe che i due titoli si corrispon- dessero nongià che vi fosse un dux preposto ai comifes. — (9) S. P. 1.30.2; 1.28.2. — (10) S.P. 1.28.2. — (11) S. P. 1. 30.2; 6.21. 16. — (12) Ad affermare la pofestas praecipiendi del seratus poco giova invece la S. P. 1. 37.2. — (13) S. P. 1. 16.1. — (14) I cîves compaiono nella S. P. 4. 62.2 autorizzati alla determinazione ed assunzione di un cersus. DELLA SUMMA PERUSINA 13 Nè, come ben notò il Patetta (1), conosceva meglio la carica del defernsor civitatis: non parla mai al singolare di un defersor, ma sempre, al plurale, di più defensores (2), e poi spesso, dove le leggi parlano di defensores civitatis aut loci, ei parla di curzales (3) o di curia (4). Per lui i defensores erano dun- que dei curiales e forse erano dei curiales pur i municipes con cui nella S. P. 3. 1.15 rese il defensores locorum vel duumviri principales delle fonti. Anche nelle S. P. 7.9. 3 il Ybertus municipum è diventato un Wbertus curialis. Ma esisteva almeno la curia? Il Patetta, apparentemente suffragato dai numerosi luoghi in cui di curia (5) o curiales (6) si fa parola mentre le fonti discorrevano di magistra- tus municipales, atfermò che sì: io mi sentirei portato ad un maggior scetticismo. Più che ai capitoli in cui le sue parole possono avere una accezione compatibile con la romana, mi sembra infatti debbasi badare a quelli in cui vi è un’ assoluta incompatibilità con essa (7). Or nel maggior numero dei casì i curzales, che non contavano certo fra i più abbienti ed erano anzi spesso censu minimi (8), figurano come l- beri (9) soggetti verso il fisco ad una condizione di dipendenza che ne inve- stiva anche la prole (10). Administrabant publico (11), 0, poichè nella S. P. administrare tanto vale quanto servire (12), servivano al fisco pei beni da loro posseduti e goduti dovendo ad esso dei census e delle anga- riae (13): pur quando il curiale diventava #nluster e personalmente non administrabat, dovea dare quod competebat curiae (14). Era dunque un homo fiscalis (15), un colonus publicus (16). E appunto il vincolo verso il fisco o il publicum impediva che i curiales potessero scostarsi dalle terre in cui risiedevano per sociare se in alia terra (17): da veri pertinentes erano revocati e mantenuti a forza su quelle (18). Ma, se così è, la curia non poteva essere alla sua volta se non l’organismo economico da cui dipende- vano i curiali, i quali, per la stessa loro subordinazione, si trovavano in una condizione sociale inferiore che li rendeva inetti a certi uffici come al giudicare (19) e a certe professioni come quella dell'avvocato (20). Cwa fu cioè sinonimo di curs e che i curiales fossero dei curtenses si deduce (1) Parertà p. LIMI. — @) S. P. 1.54, 2.56. — (3) S. B. 1.3. 16. — (4) S. P. 740.2. — (DISTESO AE 5 NARA (0)S ERAMO N20 (7) ParemtA p. XILTX. —(8) S.P 1.2. 16. — (9) Sì P. 7. 16.28. — (10) S. P. 7.9.3; 7. 64.8.— (11)S. (PI 15:07; 31233.— (12)S.P. T 16.10; 7. 62.7; 8.46.5.— (13) S. PD. 1.22, 150.9. Curiales debitori in S. P. 2.53. 3; 4. 13.3; 7.9.3; 7.64, 3, 4,8; 7.66.4 —(14) S. P. 1.2.21. — (15) S. P. 3.26.6.—(16) S.P. 2. 16.7: cf. 7.9.3.—(17) S. P. 3.23.2.— 18) S. Pi 7. 64.3, 4, 8. Caratteristico è per questo aspetto lo ad curiam pertinore della S. P. 1.2.12 che assimila la pertinentia curiae alla pertinentia ad patronum si habuit. — (19) S.P. €. — (20) S. P. 2.7.2.3. Anche non potevano essere defensores [1. 54. 2] dipendendo anzi dai defensores [1.54.5] che venivano da loro eletti [1. 54. 7]. 14 IL CONTENUTO GIURIDICO infatti anche da ciò che v'erano pure dei curiali appartenente a privati : i curiali dei cattolici doveano essere cattolici (1), quelli degli ebrei ebrei (2). Nel loro comune vincolo di soggezione i curiali pubblici trovavano una ragione di vicendevoli diritti e doveri: in difetto di propingui doveano as- sumer la tutela dei figli del loro compagno (3) e a lui succedevano man- cando gli eredi legittimi (4). Ma la voce curzalis ebbe pure un altro significato: data la sinonimia tra curia e curs indicò non solo il soggetto, ma anche il preposto all’ammi- nistrazione della curia. E precisamente come nella Lex romana curiensis, che accanto a dei curiales qu? fiscum dabant (5) ne presentava altri qu? fiscum vel publicum actum exrigebant (6), nella Summa perusina a lato ai curiales censuales (7) sì trovano dei curiales eractores. Per questi ebbe ragione il Patetta attribuendo loro il compito dell’esazione dei tributi (8); esattori furono senza dubbio i curzales cui periculum exactionis imminebat della S. P. 4.46.2 e 4.46.3 e cui doveasi dare solacium pro exigendam canonem vel aliam utilitatem (8) e gli altri cui la S.P. 1.54.1 facea ob- bligo di adnruntiare eractionem ante tres menses e la S.P. 5.71.13 con- cedeva di poter mettere in vendita i beni altrui vincolati al fisco propter censum (9). Tali, avendo 72 suo obsequio varii dipendenti, devono pur esser stati 1 curzales che nei singoli loca figuravano come defensores delle deiectae personae (10). Ma qui non sì esauriscono tutti i significati della voce cura; vi hanno capi- toli della S. P. in cui questa appare non già come un organismo econo- mico, ma come un organismo giudiziario-amministrativo che ai suoi com- ponenti era di onore, non di onere (11). Alla curia ricorreva l’assente per far valere i suoi privilegi in ordine alla prescrizione (12): ricorreva il figlio del freneticus per esser autorizzato alle nozze (13): ricorreva il pupillo per aver un tutore (14): ricorreva il privato per esser autorizzato a manumis- sioni solenni (15) e ad altri publici acts (16). (1) S. P.1.4.16. — (2) S. P. 1.9.S ut iudei curiales sint inter eos. Sarebbe banale il sup- porre che curzalis qui valesse quanto humanus : fa migliore assai la congettura del Pa- tetta che curialis significasse exactor e che codesto frammento volesse dire riservato agli ebrei la facoltà di esiger tributi fra i loro correligionarii. — (8) S. P. 1.3.20; 5.33.1. Il Patetta p. LII pensa che i curiales qui indicati lungi dall’essere dai pertinentes elusdem curiae, fossero i partecipi dell’ordo municipalis. — (4) S. P. 6.61.5 — (5) L.r.c. 4.1.2. — (6) L. r. c. 12.2.1.— (7) La voce decurio appare in due luoghi soltanto: S. P. 1.2. 12; 3.23.1 e il Patetta p. XLIX ha già acutamente pensato che dov’essa è usata, il com- pilatore può aver attinto a glosse più antiche. —(8) Parerra p. XLIX. — (9) S. P. 4. 61.10 non erano soggetti a fustigazione [2. 11, 5]).—-(10) Cf. S. P. 5. 71. 14. — (11) S. P. 1. 54. 3. — (12) S. P. 7. 71.5; 7.40.2.— (13) S. P. 1.3.20. — (14) S. P. 7.40.29. — (15) S. P. 7.1.4 — (16) MS: Po d1L2417 DELLA SUMMA PERUSINA 15 Tutto ciò non implica però che nel fatto codesta curia fosse proprio l’ordo municipalis. Come ben avvertì anche il Patetta la curia poteva essere in codesti luoghi il tribunale locale : il summator che rese in S. P. 7.16.24 V’apud acta delle fonti con un apud curiam, anche nelle S. P. 4. 1.12 pensò alla curza là dove le fonti richiedevano una actorum testificatio: l’actum fu sempre posto da lui in relazione con l'esercizio della funzione giudiziaria (1) e per que- sto tramite appunto ricollegato alla cw-a (2). D'altronde, se come organismo municipale la curia era scomparsa, ne avevano forse preso il luogo altri consigli o accolte di cives cui il giudice rispondeva della sua gestione e il vescovo dava conto della amministrazione delle pie cause (3), consigli che deliberavano forse nei singoli loca la preleva- zione di censi straordinarii per supplire a straordinari bisogni (4). Alla testa dell’amministrazione locale stavano del resto nelle terre minori dei ministri del potere centrale che la S. P. designò appunto come reetores (5) o moderatores (6) o praesides(T)orudices provinciarum(8). Giudiciordinarii nelle cause civili e penali dei loro provineiales (9) erano a un tempo degli ufficiali am- ministrativi procedendo o sorvegliando alla esazione dei pubblici tributi, sollecitando la prestazione delle angarie o dei servizi personali e ruoli do- vuti per costruzione di mura, di torme, di ponti, di acquedotti ecc. (10). Eletti o ordinati dal prefetto erano a lui subordinati come al mazor du- dex (11): da loro alui sì appellava ed a lui (12) o al principe (13), essi, che avevano a proteggere i minores contro le oppressioni dei potertes (14) erano tenuti a trasmettere i reclami dei provinciali senza adontarsene (15). Non doveano esercitar la mercatura nel luogo di loro reggimento (16) nè potevano assentarsi senza licenza. imperiale (17). Del principe erano ritenuti in qualche modo procuratores o vicarti : certo nella S. P. 3.34.7 fu reso con iuder provinciae il procurator noster delle fonti (18). Anch’essi avevano il loro officium composto da consiliari (19), da adses- (1) S. P. 7.62. 6.24 — (2) Nel Goetz, Corp. gl., V, p. 348 la curia è definita domus consilii. — (3) S. P. 1.230. — (4) .S. BP. 4.62.2. — (5) S. P. 1,96.3:; 1.39. 1,2,3,4 — (O) SMP 9 958 OE) SERI: MS SASA (012; (629508082: il decretum presidis si mutò in dussus dudicis. — (8) S. P. 3.3.5; 3. d4. 7; 7.53.9; 7.37 e spesso si parla di iudices senz'altro intendendo sempre i medesimi funzionari. — (9) S. P. 1.39.3. — (10) S. P. 3.12, 3, 6; 8. 11.6, 11, 16. — (11) S. P. 1. 26.3. — (12) S. P. 1.39.4. — (13) S. P. 1.39.3. — (14) S. P. 1.39.2. Invece di si potest minorem obprimere va natu- ralmente letto “ si potens minorem obprimat ,,. — (15) S. P. 1.39. 5. — (16) S. P. 1. 39. 8. 10; 4, 44. 18. — (17) S. P. 1.39. 15. — (18) Cfr. S.P. 3. 13. 1; 3. 26.3. — (19) S. P. 1.50.1, 12; 1.52. 1; ‘7.62.21; 7. 65.3. 16 IL CONTENUTO GIURIDICO sores (1), da domestici (2), da cancellarti (3), da apparitores (4), da executores (D). Codesti giudici sono appunto quelli che la S. P. chiama publici (6) per distinguerli dagli 2udices privati (€) che traevano la loro facultas iudi- candi (8) dalla delegazione d’altri giudici o dall’accordo delle parti e quindi dagli 2udices compromissari (9) o arbitres (10) e dagli 2udices extraordina- ru (11) o pedane (12). Presso gli 2udices publici era la plena legis actio: gli sudices privati avevano invece una più limitata competenza (13). Alle modificazioni dell’ordinamento burocratico dell'impero ne corrispon- devano del resto altre non meno profonde nel sistema delle funzioni cui era destinato: e già un'idea viva di quelle mutazioni sì può ricavare dell’ e- same dell’ordinamento tributario. Il compilatore della S. P. distingueva bene il patrimonio delle civitas che pur aveva le sue yes publicae e le sue pecuniae (14) e i suoi cen- sus (15), da quello dello impero che costituiva il fiscus (16) o il publi- cum (17) per eccellenza risultante anch'esso: a) da beni mobili e immobili, la cui proprietà spettava all’ impera- tore (18); (1) (SO Pi 246.8. (2) SUP. 521 (3), SP 521 = (ASP IST. 1.44.92; 1.3.2, 31; 1. 47. 1; 6.21.16. — (6) S. P. 2. 46. 3; 7. 45.14; 7. 62. 31; 8. 47.1; 8.47. 4. Così di dudicium publicum si parla in S. P. 1.2.31; 5.71.18; 7.20.2. — (7) S. P. 2. 46.3; 2.58.2; 7.45. 14. Di dudicium privatum discorre la S. P. 5.71.18. Il privatus è contrappo- sto al miles in S. P. 1.44. 1, 2 e la persona privata alla publica in S. P. 3. 11.6. — (8) S. P. 2.46. 3. — (9) S. P. 2 55.2 e 2.46. 3. I compromissarii dati a iudicibus erano qui di- stinti da quelli ex comuni sententia partium electi. Cfr. pure in relazione alle fonti la S.P. 4.20.18. — (10), Sì P: 3.3.3, 4; 3. 11.2; 7. 45.14 — (11) S. P. 311.2. — (19) Sì D. 3.1.13 e in relazione alle fonti 3. 3. 4,5. — (13) In S. P. 3. 3.2, 3, 5 figurano come arbitri deputati propter occupationem iudicis: e parrebbero quindi eletti del giudice stesso, che li poteva all’ uopo sostituire [8. 3. 4]. La loro autorità derivava quindi dalla commissio di questo e doveva contenersi entro i limiti della commissio stessa [3.2.1]: ma d’altro canto v’erano cause non suscettibili di delegazione come le liberali [3. 11. 2]. Nelle cause penali parrebbe che avessero solo podestà di inquirire e udir la causa [3.8.3]. Spesso la loro attività si risolveva in una aestimatio [b. 11.3]. Dalle loro sentenze v'era ap- pello [3. 3. 66]. — (14) S. P. 4. 44. 17. — (15) S. P. 4.62.2. — (16) S. P. 2. 17. 1, 3, 4; 2. 86. 1, 9181; 2.505; 4. 46.171.157 113.2; 811802]; 8025.8; 18. .42:2llete. — (1M)NSi 217095 7.65.8; 8. 11.1, 5; 8.13. 6; 8. 17.3, 4; 8.18. 4; 8.25.3 etc. Cfr. il fisco sociari della S. P. 3.46.1 col publico sociari della S. P. 6.1.3. — (18) Res fiscales [S. P. 7.37. 1,2), res pu- blicae (8.11. 5]: solidi publici [8.11.7]. Numerosi dovevano essere ancora i serv? fiscales [7.11.6] i quali non devono essere confusi con gli Romines fiscales [8. 26.2, 11] che po- tevano essere anche semplicemente dei liberi conditionales. " DELLA SUMMA PERUSINA 17 5) da beni demaniali, della cui proprietà era già soggetto la respublica, ma che ora erano, non meno dei precedenti che costituivan quasi la lista civile dell’imperatore, nell’amministrazione e nella disposizione di questo; c) da beni di proprietà dello stato, ma devoluti a pubblici usi (1); d) da redditi e prestazioni dovute dai cittadini in generale o in ispecie da alcune categorie di essi obbligate verso il fisco da speciali condizioni; e) dal gettito di certi monopolii (2); f) dal provento delle confische (3) e delle multe (4). Non solo più non si distingueva tra aerarium e fiscum poichè nella S. P. 7.37.2 l’erario delle fonti è reso appunto con fiscus, ma non si scernevano nemmeno i bona patrimonialia dai bona rei privatae poichè nella S. P. 4. 61.13 i vectigalia patrimonialia delle fonti si mutarono in vectigalia publica senz'altro. Il fisco era diventato dunque a un tempo e la cassa generale dell'impero e quella speciale dello imperatore (5). Che si avessero ancora imposte dirette parrebbe potersi dedurre della esistenza di delegatores (6), i quali precisamente distribuivano tra le varie città e borghi il censo imposto all’ unità provinciale o fra i cittadini il censo assegnato alle città o al castello (7): ma potrebbe parere che la capi fatio terrena tendesse già a trasformarsi in un onere reale gravante sui be- nifondi, in un tributum (8) o fiscum (9) o canon (10) o census (11) che se- guiva la terra in tutti i suoi passaggi pesando sul proprietario (12) o sul- l’enfiteuta (13) in misura ormai consuetudinaria e immutabile (14) che, (1) Praetoria [8. 11.2], portae civitatis [8.11.6], palatia e portica [8.11. 16, 17,19], mura o mocnia fiscalia o publica in S. P. 1.11.5 e 8.10, 9-11, 13. — (2) S. P. 4.6, 1, 11. Sali- ne e 6.61.5; fabri fiscales. — (3) Cfr. S. P. 1.5.10: fiscus substantiam eius occupet e S. P. 1.7.1; 1.14.1; 2.6.8; 8. 10.6 (infiscari). — (4) La multa è sempre concepita come un fisco dare [S. P. 1.39.6, 14; 1.41.9; 1.44.92; 1. 48.1; 1.53.10; 2.6.7; 4. 69.2]. Altre frasi, in cui il fiscus appare come persona, sono le seguenti fisco dare [2. 18. 16], reddere [2. 17.3; 7. 73.5, 7; 8.18.2], vindicare [8.11:2), deputare [2. 17. 2], vendere [2. 36.2, 3], pro- ficere [6.1.8], obligare [7.8.2; 7.73.4; 8.21.8], obnoxiare [7. 73. 6], obponere [8. 18.4], sol- vere [1.11.8], sociari [3. 26.2], publico administrare [1.5.7; 6.61.1] e obligari |8.17.4; 8.25.38], contra fiscum agere [2. 36.1], cum fisco litigare [B.11.6], a fisco tolli [T.11.5] o dari (7.13.2] o exeludi [6. 61.1], fisci esse [1.50.3], publico addici [4. 62.29]. Di erarium publicum si parla in 4.61.13.— (5) Cfr. Parprra p. LIX. Le pubbliche terre erano solita- mente sfruttate per mezzo di locazioni dietro il pagamento di census [S. P. 8.14. 1] o di publicae pensiones [4.31.13], onde il nome di censuales [6. 23. 18; 8. 14.1] e di tributari [5. 41.1] ai cessionarii. Conductores fiscales in 4. 8. 3; 5. 62.9. — (6) S. P. 3. 11. 3. Cfr. ParerTA p. LI che connette questo luogo colla deputatio per pittacia ricordata da Cassiodoro Var. I. 18 e III. 35 e dall’Ed. Theod. 126. — (7) Harmrann. Biz. Verf. p. 93.— (8) S. P. 4.46. 1-3. — (9) S. P. 7. 62. 18: — (10) S. P. 4. 61.5, 10; 7.65. 4. — (11) S. P. 1.9. 15; 440. 1-3.—(12) S. P. 7.39. 1,2; 4. 47. 1-3.--(13) S. P. 4. 47. 1-3.—(14) S. P. 4. 62. 1-3. 18 IL CONTENUTO GIURIDICO insoddisfatto il publicum debitum (1), conduceva all’espropriazione dei beni per pubblica vendita (2); invalida era l’ alienazione della terra senza il corrispondente onere del cersus, il quale non era dovuto in denaro ma in generi (3). I milites non ne erano esonerati (4); vi sfuggivano invece i negotiatores (5) che però erano soggetti ad altri tributi sentendo, forse più che tutti, il peso delle imposte indirette. Che queste dovessero essere gravose, si può facilmente desumere dalla S. P.: ma indarno vi cercheremmo una precisa indicazione delle varie loro forme e del loro ammontare. Accanto ai veri tributi c'erano poi altri commoda fiscalia (6) o altre Immunitates (©) come 1° hospitiwm o l'obbligo di dar quartiere alle milizie (8) e angarzae che non erano men gravemente sentite perchè consistevano, anzichè in prestazioni di denaro o di generi, in prestazioni di lavoro (9). Tante actiones fiscales (10) rendevano naturalmente ancora necessaria una schiera numerosa di delegatores (11), di exactores (12), di acceptores pu- blici (13), di curzales (14), di actores e procuratores fisci (15) che assicurassero l’entrata delle rendite monetarie e in natura (16) entro le casse o nei magaz- zini pubblici. Alla verificazione dei rattociria pare attendessero gli serinia (17) ricordati dalle S. P. 2.1.2 e 1.26.1, dai quali emanavano ai contribuenti le ricevute per cui doveva risultar soddisfatto il loro debito verso lo stato. Alla eventuale difesa giudiziaria delle ragioni fiscali (18) badavano poi gli (1) S.P. 5.71.12, 13: 7.65. 4. Codesti crediti fiscali avevano pur sempre dei privilegi che rendevano più critiche [S. P. 4.9. 1; 7. 63. 1-8] le condizioni dei debitores fisci [T. 11. 5] o dei debitores fiscales [7.1.2]. — (2) S. P. 2.50.5; 4.46. 1, 2. Che esistessero ancora dei poliptica o catasti per la ripartizione dei census potrebbe dedursi dalla S. P. 4. 62. 4; ”. 16.33; 8. 53. 7 vi si considerano le conseguenze che pel servo aveva la scriptio censi. Cfr. 4. 61.1. — (3) S. P. 4. 61. 7. — (4) S. P. 4. 61.5. Pel census degli ebrei cfr. 1.9. 15.— (5) S. P. 1.2.25; 2.7.23.— (6) S. P. 1.50. 11; 2.7. 19. La vera immunità fu invece indi- cata con la voce excusatio |2.7.19,20].— (7) S. P. 1.2.1; 2.7, 20. L’ lospitium corri sponde qui al metatus delle fonti. Per gli ebrei cfr. 1.9. 3. —(8) S. P. 1.2.2; 1. 33.2; 3.26. 7; 4.33.4. Dalla S. P. 4.33.4 si ricava che argaria era anche la requisizione delle navi da parte del fiscus e dalla S. P. 3.26.7 che dalle angariae erano esenti i colori publici. L’ordinare le angherie spettava allo iudex provinciae [3.12.3] il quale però non do- veva far lavorare la domenica [3.11.2, 3, 6]. — (9) S. P. 7.45.5. — (10) S. P. 3.11.3.— (11) S. P. 4.45.3.— (12) S. P. 3.26.10. — (13) Cfr addietro a p. 13. —(14) S. P. 3.26.1 con giurisdizione sui servi publici {3.26.1], non su altri [3.22.2; 3.26.3] a meno che non fossero scelti a compromissarii. Actor publicus era naturalmente colui cui toccava di actiones fiscales tenere [T.45.5). — (15) Prestazioni in natura furono forse i capita cui ac- cenna la S. P. 1.26.2; 1.51.1.—-(16) Orrea publica in S. P. 8.10.11; publica frumenta in 4.40.92; fritica publicain 1. 39.14; anmonae in 1.26.14; 1.20.1.—(17)S P. 2.1.2; 2.07.21. (18) S' P. 218.4. DELLA SUMMA PERUSINA 19 alwocati fisci scelti di solito frai consiliari del prefetto (1). Di nomina bien- nale (2), oltre agli emolumenta di cui godevano durante la carica (3), allo scader di essa, che superiori fruebatur gradu (4), godevano ancora ampie immunità e per sè e per le famiglie loro (5); però, come pel loro ufficio do- veano prima vegliare perchè il publicum non fosse gravato, poi non pote- vano agire contro di esso (6). JOE Ordinamento giudiziario e procedura Ad una regolare costituzione del giudizio occorreva non solo che le parti fossero capaci ad agire (7), ma che la causa venisse promossa dinanzi al giudice per legge chiamato a deciderla (3). Sull’ attribuzione della competenza influiva anzi tutto la condizione delle persone impetite. Non solo cioè i milites avevano proprii giudici negli 2udices bellatores (9), ma pur il clero fruiva d’una giurisdizione speciale: pei clerici infatti, sì nelle cause civili (10) sì nelle penali (11), giudice naturale era il vescovo, cui solevano ricorrere anche i privati ottenendo sentenze che costituivano senz’ altro delle res iudicatae escludenti l'appello (12) e, pur quando erano tratti innanzi ai tribunali comuni, gli ecclesiastici avevano una posizione privilegiata in quanto non poteano esservi coartati dall’erecutor (13), erano esonerati dal giuramento (14), testimoniavano cum Ronore (15). Forse avevano un proprio foro costituito da arbitri mercatores anche i mercanti (16). Nel conflitto tra varie competenze ratione personarum vigeva la regola, d’altronde ge- nerale, che l’attore dovesse seguire il foro del convenuto (17). Non essendovi invece nella persona una causa di deviazione dalla normale attribuzione di competenza, questa soleva esser fatta in base al rapporto di cittadinanza o d’incolato con un dato territorio (18) o eccezionalmente in (1) S.P.2.7.10.— ().S. P. 2.7. 192, 25. — (8) S. P. 27.15. Nella Sì P. 27.22 i loro emolumenta erano fissati ancora in sessanta libbre d’oro. — (4) S. P. 2.97.21; 2.7. 24; 2.7.925.— (5) S. P. 2. 7.19; 2.8.3. Erano esenti da fributa e dagli ospitia e, soggiunge il compilatore, dalle sportulae: forse anche le sportulae, lungi dall’ essere il compenso per l’esercizio delle funzioni giudiziarie, erano dei tributi. Cfr. S. P. 2. 7.20. — (6) SME 2.8. 1, 2. — (7) S. P. 3.6. 1-3. — (8) Altrimenti la sentenza doveva e/fectum non habere [SP 7.484; 3.3.1] — (9) S. P. 3.13: 5, 6, 7.—(10) S.P. 1.3..13.—(11), Sì P. 1.83.12. (12) S.P. 1.3.7, 8— (13) S.P. 1.2: 2, 32. — (14) S. P: 1.1.25. — (15) S. P! 1.1.8. Ne era esonerato il vescovo [1.1.7]. — (16) S. P. 3.3.5. — (17) S. P. 3.13. 5. Cfr. 3. 22.2. — (18) S. P. 3.15.1. Il servo s'impetiva ond’era fuggito [3. 22. 1, 4, 5]: altrove però si dice che si poteva agire în omni preturio contro chi pretendesse a libertà [3.22. 6). 20 IL CONTENUTO GIURIDICO base al luogo del delitto (1) o del contratto o quasi contratto (2) o della sede della cosa controversa (3) o in base al mutuo accordo delle parti (4). La competenza poteva anche derivare dalla continenza delle cause perchè le cause convenzionali e riconvenzionali dovevano essere s1mul finitae (5) e le cause pregiudiziali dovevano essere definite là dove si trattava la prin- cipale (6). Cause pregiudiziali erano quelle di stato o le cause sul genus e sulla condizione di libertà o di servitù di una delle parti (7). Adito un giudice non era lecito, nemmeno per scambievole consenso, il ricorrere ad un altro e su questa misura il compilatore calcò con singolare insistenza (8) rivelando una delle più frequenti e gravi magagne del tempo. Naturalmente il divieto aveva luogo soltanto quando la causa fosse già stata incominciata (9). L’ordo iudiciarius (10) era poi in via normale il seguente. La lite o la causatio (11) si apriva con la petitio (12) o la reclamatio (13), con l’enunciazione cioè delle pretese o de’ reclami dell’attore innanzi al giudi- ce (14): l’uso del Wbellus conventionalis, se pur non era del tutto scomparso, non era più assolutamente necessario (15). Nè più occorreva la specificazione dell’azione che s’ intendeva muovere contro il pulsatus o il convenuto (16) : tutto porta a credere che, non distinguendosi delle più fisse categorie di actiones (1) Provincia o locus. Cfr. p.8. Provincia è usata nell’accezione amministrativa romana in (7.162.283. e 124241. — (2) S.P. 3021.d— (3) S.P 301751; 30193 — (A) Cfr. S.P. 3.18.1 per chi prometteva certo loco restituere pecuniam. Se la restituzione non era fatta sopra luogo poteva agirsi altrove. — (5) S. P. 4.31. 6, 14. — (6) S. P. 3.8.2.— (7) S. P. 3.32. 10, 13; 6.17.1; 7.19. 2, 3, 5-7. Liberum se clamare [T.16.2]0 pro libertate clamare [7.17.2; 7.18. 3; 7. 19.7] dicevasi l’agire da parte di chi voleva constatare il proprio status libertatis [7.16.40]: servum dicere [7.19.5] ad servitutem petere [7.18.3; 7.19.1) o pul- sare [7.19. 4] da parte di chi pretendeva rapporti di dominium:su altri. Il servo do- veva dare fideiussione o prestare cautio iuratoria di stare al giudizio [T. 17.1]: e anche il rivendicante doveva cavere [7.18.83]. A questi spettava poi la prova del dominium se era attore [7.19.1]: a quello la prova della libertà che si raggiungeva in via principale con lo scritto e solo sussidiariamente coi testes. — (8) S. P. 3.1.10; 3.13.4. — (9) Cepta lite [S. P. 3.1.10]: inchoata lite [S. P. 3.13.4). Era consentito invece il dicere ad maiorem iudicem se il giudice già adito non avesse comprehensum iudicare [S. P. 3.8.1] o si fosse rifiutato a giudicare.-— (10) S. P. 7. 45.4. — (11) S. P. 4. 49. 15; 6.37.20. Cfr. causare in S. P. 4. 14. 6; 7.32.10. — (12) Cfr. l’uso di petere per agere in 2.18.15; 4. 16.6; 7.35.2; 7.58.1; 8. 40. 18. Corrispondentemente l’attore si disse petitor in S. P. 2. 1. 8; 2. 52. 6; 7. 45. 14; 8.35.10. — (13) Cfr. l’uso del verbo clamare in S. P. 7.20.1. Invece troviamo il verbo postulare in 1.19.3; 2.30.4 e appellare in più luoghi. — (14) Ambdulare ad iudicium è a questo proposito la frase tecnica [S. P. 3. 1. 15, 5 e 7. 62. 5]. Cfr. L. r. e. 1.9.2.—(15) S. P. 1.40.2.—(16) Gli esempi dell'uso della voce pulsare per impetire son tanti che non val la pena di moltiplicare le citazioni. Avverto che altre locuzioni usate nel senso di DELLA SUMMA PERUSINA 21 si desse solo una generica «ct70 (1), che, nel momento stesso in cui era pro- mossa, dovea essere fondata con una sommaria allegazione di prove (2). La plus petitio importava sempre la perdita dell’azione (3): la minus petitio poteva sanarsi con un’actio 2 supplementum (4). Alla petitio dell’attore seguiva la citazione del convenuto (5) fatta di pubblica autorità in conseguenza a quella: d’ una convenzione stragiudi- ziale la S. P. nulla dice nè offre argomenti indiretti per lasciarne arguire l’esistenza di fatto (6). Al marito non era lecito l’impetire in giudizio la moglie senza l’autorizzazione del giudice (7) e il figlio non emancipato non doveva convenire il padre (8) nè il liberto il patrono (9). Nel giorno fissato per la udienza, prima ancora d’ iniziare il giudizio, l’attore prestava giuramento di calunnia (10) con la formula se per calum- mam non petere (11) e il convenuto dava la cautio iudicatum solvi. Quindi si iniziava tra le due parti otra i due causatores (12) ovvero causidici (13) 0 causatici il dibattito giudiziale, la causae dictio (14). L'attore tornava ad espor- re le sue ragioni e i fondamenti giuridici su cui poggiavano (15); il convenuto rispondeva allegando i propri diritti od opponendo le eccezioni (16) onde potevano essere elise le pretese avversarie. Alle repliche succedevano le convenire sono nella S. P. ad causam provocare [4. 49.1], in ius vocare [2.2.1], in iudicio vocare [2.2.2], ad iudicium o în iudicio petere [1.2. 22; 2.2.3; 7.16.9]; ad iudicium plicare [1. 28. 2]; contestare |4. 30. 14; 7.32.10] e forse ad iudicium delegare [3. 13.5]. La pulsatio [6. 47.4; 7.33.2] o contestatio [T. 40.2) si risolveva in un inquietatio e quindi inquietari nella S. P. tanto valse quanto esser soggetto ad azione [3.42. 9; 4. 12.2; 6.17.2; 6.33. 3: (ARAN IZI SER AIA ASINO N MMI (83842985: TAATIS19]e= (1) Cfr. 2.1.4; 3.37.1; 3. 88.7; 5. 51.4; 7.33. 1; 8.27. 19, 20; 8.44. 4, 27. Il compilatore distingueva nondimeno fra azioni reali e personali [8.13.14; 6.43.1; 2.18.23], civili e criminali [3. 35.3] e parla di actiones ex pacto [2. 3.13] e legis aquilie [3.35.1]. L’actio praescriptis verbis si è mutata presso lui in un actio in scripturam. Agere perperam [1.39, 11, 12) valse presso lui quanto proponere actionem calumniosam [1.37.6]. Non impedit disse egli d’un atto che non toglieva 1’ azione [6. 23, 1,4, 12,23; 2.57.1]; preiu- dicium facit o preiudicat di quello che la toglieva [2. 18.8; 2. 21.5; 3.37.92; 3. 82. 22 etc.].— (2) S. P. 8.47.3. — (3) S. P. 3.10.1.— (4) S. P. 3.1.2.— (5) Denuntiatio è detta in S. P. 7.43. 2. — (6) I poteri discrezionali del giudice sono presentati come una facul- tas praevidendi [S. P. 3.385; 5.24. 1; 5.34. 6; 5.49.1; 5.51.2; 5.53.5; 6.42.7; 811.3; 8:46. 1]..—(d) S.P. 13.101. — (8), S.P. 22.8. — (9) S.P. 2:2/2.— (10), (S.P. 801-125; ASI (1) ISTRIA) IS ERO ONTARIO Cfr L ric. 4. 19.5; Reg. farf. n. 197 e n. o, a. 81L-e-1098:— (13) S.P. 2. 12.25; 2: 55.4; 5.58.1; 6133:3; 1 45.16; (DINASTIA SBICAZA NGN: 1883593: T. 16-13; 18127.3. Cin. Lr c. 4.193 e Reg. farf. n. 46 a. 750. — (15) S. P. 21.4; 3.1.2. — (16) La S. P. 8.35.6 ricorda l’exceptio de dolo; la S. P. 8.35.7 e 4.30.14 quella de non numerata pecunia. la S. P. 8.35.8 quella de prescriptione. 29 IL CONTENUTO GIURIDICO controrepliche fino a che la causa fosse pienamente chiarita (1). L' azione era immutabile nel corso del processo (2). Delle eccezioni quelle tendenti alla ricusazione del giudice (3) o a decli- nare il foro (4) dovevano essere proposte in principio della lite: le dila- torie invece erano sempre opponibili fino alla sentenza (5). Così se ambo le parti fossero stati presenti al giudizio: se una delle due non fosse comparsa si procedeva alla 2nclamatio dell’ assente (6) per tre volte e. se dopo le tre chiamate non compariva, incorreva nelle con- seguenze della contumacia. Se contumace era l'attore veniva spogliato dei suoi diritti d’agire (7): se il convenuto sì procedeva contro lui per here- modicium. Nè poteva sottrarsi agli effetti della condanna che ripresentan- dosi in giudizio (8) dopo aver rifuso alla parte avversa le spese incon- trate e aver dato ampia garanzia di stare al giudicato. Ambe le parti potevano valersi normalmente dell’opera di advocati (9) o scholastici (10) che. eletti dal prefetto (11) con vincoli di giuramento (12). solevano fare del #ractare causas (13) la propria professione (14) eserci- tando l’ufficio di patroni causarum (15) dietro compenso (16): per munirsi (1) Lo schema processuale è chiaramente offerto dalla S. P 4.2.9. dove troviamo l'attore che mutuas pecunias postulabat restitui e il convenuto obbligato aut soluta osten- dere aut reddere. Se questi eccepiva il dolo l'attore doveva dimostrarne l'assenza [4.30. 3]; se la zon numerata pecunia il pagamento effettuato [4. 30.5]. Se il debitore non ne- gava il debito si reputava quale convinto [4.15.3] e si costringeva a saldarlo [4. 15.4; 4 21.1] o si surrogava il creditore nell’ azione contro i debitori di lui [4.15. 2, 5]. — fermare che il compilatore abbia rettamente comprese le costituzioni riassunte. A lui la prescriptio fori parve altrove come una inscriptio în foro. Cfr. 1.2.39. Più caratteri- stico è il cap. 2.3.30 dove il patto di non usare della praescriptio fori sì mutò in un patto ut secretum non publicetur. La esplicazione dell’errore può trarsi dall’uso della voce praescriptio in 3.43.6.— (5) S. P. 3.1.11.— (6) S. P. 7.17.1; 7.43. 2, 5. Se absen-- tare era la locuzione tecnica per indicare la latitanza del contumace. Cfr. Reg. farf. n.105.— (7) S. P. 3.1.13.—(8) S. P. 3.1.13 [redire ad iudicium).—(9) S. P. 2.6.10.—(10) S. P. 1.3.14; 2.7.1.— (11) S. P. 2.7.5.7.— (12) Giuravano di non suscipere malum negotium; di non agire iniuriose, di non suscitare e alimentare i litigi [S. P. 2. 6.6]: non potevano . negare senza ragione il loro patrocinio [2. 6. 7]: dovevano essere cristiani [2. 6.8]. non potevano cumulare l'ufficio dell'avvocato con quello del giudice [2.7.6] o quello di miniîster in provinciîs [2.7.9] o di curialis (2.7. 2, 3). — (13) S. P. 2.7. 1, 6. O del de- fendere. Cfr. .43.3.— (14) Professione altamente pregiata che li voleva onorati @ prefecto [2. 7.5, |: spesso erano assessori |2. 6.8; 2.7.11] e da loro si toglievano tal- volta il prefetto o altri dignitari [2. 7. 18]. — (15) S. P. 2.6.4; 2.7.1. — (16) S. P. 2.6.7: non potevano esigere per compenso una quota litis [2.6.5]. Il loro onorario era consi- derato come un castrense peculium [2. 7. 4, 8]. DELLA SUMMA PERUSINA 28 del loro consiglio (1) le parti potevano chiedere ed ottenere speciali 2ndu- ciae (2). Accolto senza limitazione il principio della rappresentanza (3) le parti potevano anche agire e rispondere per mezzo di altri che o si trovavano con loro in certe personali relazioni di parentela da supporre una quasi identità di interessi (4) o erano instituiti procuratori (5) con regolare man- dato (6). Agire per procuratore era imposto agli honorati e ai dignitarii (7) : libero agli altri (8). Istituito il procuratore, prima o durante il corso della causa (9), la parte non poteva a lui sostituirsi (10) salvochè la revocazione del man- dato fosse giustificata da sopravvenuta inimicizia (11) o dalla infermità del mandatario (12). Questi, che non dovea essere un rewus criminis (13) e non poteva esser tolto fra i milites (14), ante omnia era tenuto a prestar cauzione per la ratifica da parte del mandante (15), e del suo doloso operato rispon- deva verso il mandante (16): nulla era la causa che alcuno avesse soste- nuto in vece altrui eccedendo i limiti del proprio mandato (17). A prescindere dalla confessio in iudicto (18), la quale non pare fosse conside- rata come prova, l’argumentum (19) principe era lo scritto (20). Pieno valore probatorio avevano gli atti di pubblici ufficiali muniti di fides publica (21) e i do- .cumenta(22) 0 instrumenta redatti e completi(23) da serbae(24) o tabelliones (25) (1) Quel che l’advocatus allegava era come fosse stato detto dalle parti [2.9.1]; dei consigli mal dati esso era responsabile verso le parti [2. 7.1] che dovevano essere in- dennii [2.9.3]. — (2) S. P. 3.11. 1, 4, 6. Il giudice poteva del resto supplire alle allega- zioni delle parti [2. 10. 1]. — (8) S. P. 2.12. 2, 26. — (4) Così il figlio agiva pel padre [S. P. 2.12.11] coll’assenso di lui o per la madre [2.12.12] e il marito poteva agere causam uxoris |2.12.13, 21]. Agere causas per indicare la attività del procuratore ad lites è termine tecnico : cfr. 2.12. 5, 13; 2. 18. 14. Nessuno era tenuto per forza a far da procuratore ad altri [2.12.16]. — (5) La locuzione instituere procuratorem trovasi nella SEPA 212,319 10,19 —:(6)) Sì (2 12002) 12,21 — (SP? 2.12), 8,025. — (0) Sì. 2.12..26. — (9) Sì P. 2.12.19. — (10), S.P. 2112.,23); 7..45.2. — (I), Si P. 12.12.22. — (12) S. P. 2.12.22. — (13), S. P. 2. 11. 6. — (14) S. P. 2. 11.7, 12. Doveva anche esser li- bero, pare, argomentando a cortrariis dalla S. P. 2.6.2 che ammette il liberto ad es- .sere procurator cause. Dalla procuratio erano escluse le donne e i pupilli [2.12.17]. — (15) S. P. 2.12. 5, 21. Era ciò imposto anche al marito che avesse agito sine mandato ux0is. — (16) S. P. 211.9. — (17), S.P. 2.11.9. — (18) Dalla, S. P. 1.59. 1: “ quod @n iudicio confitetur negari non potest ,, e dalla S. P. 4.21.6 sembrerebbe che la confessio fosse poi inattaccabile: ma dalla S. P. 7.16.24 parrebbe che potesse inficiarsi dallo stesso con- fidente con una prova contraria e lo stesso risulta dalla S. P. 7.16.41 che dà fede alla confessio in quanto è avvalorata dai testes. — (19) Cfr. S. P. 4.19.4. — (20) Per provare l’età si ammetteva ancora l’ înspectio corporis [S. P. 4.19. 9]. — (21) Cfr. S. P. 4.21. 4. Cfrsiigesta N (5240-22) 89 3992519] 393853 AD AN OA ST0Ì 4.21, 3, 8, 13, 15, 20; 4.34..5; 4.50. 1, 5; 5.12. 15; 6.42.24; 7. 16. 25, 26;:7.33.7;,7. (5.6; 8.16.3; 8.44.9. — (23) S. P. 4.21. 17. — (24) S. P. 4.21.17; 6.923, 4, 23; 6.22.8 [scriba publicus]. — (25) S. P. 6.23. 7; 8.40, 4. DA IL CONTENUTO GIURIDICO pubblicamente autorizzati (1): le scritture private sembra dovessero invece essere corroborate da altri elementi. Dello instrumentum o del preceptum doveva di regola presentarsi in giudizio l'originale (2), ma all’originale era pareggiata la rinnovazione, che in caso di smarrimento (3), fosse stata fatta di esso giudizialmente dopo l’ audizione dei testimoni che erano intervenuti ed avevano sottoscritto all’atto (4). L'esibizione dei documenti (5) non poteva essere imposta al convenuto nell’interesse dell’attore e viceversa (6). Intorno alle forme dei documenti la S. P. dà scarse informazioni: solo sono bene individuate la cautio con cui alcuno spondebat se debere soli- dos (7), e la securitas con cui si rilasciava quitanza al debitore (8). Se la stipulatio corrispondesse in tutto alle cautto non ben si vede (9). Una annotazione fatta a proprio favore non era provante (10) e nemmeno si dava efficacia probatoria ad un testamento per ciò che concerneva l’ob- bligazione o la situazione giuridica di un terzo (11). Qualora il documento fosse stato accusatus (12) o sospettato di falsità (13) se ne appurava la fides (14), vale a dire la sincerità, con la manus conlatio (15) o con la comparazione delle scritture. Era tuttora in vigore la querela non numeratae pecuniae per inficiare le dichiarazioni d’una cautio (16): ma è dubbio il termine (17) entro cui do- vea farsi valere oscillando esso apparentemente fra il mese e il biennio (18). Veniva in secondo luogo la prova testimoniale (19) per la cui validità 1 testi doveano essere di buona fama (20), non interessati direttamente nella causa (21), non legati da parentela o da vincolo di soggezione per- (1) S. P. 6.22. 8. Le semplici scedae non avevano tale efficacia [S. P. 4.21.17]. Nella S. P. 7.52. 6 il gestis inserire non indica altro probabilmente se non la redazione in un atto notarile.—(2) S. P. 1. 23. 3; 1.19.8.La copia è detta exemplar.— (3) S. P. 4.19, 12, 20, 21. — (4) S. P. 4.19.21.— (5) Proferre documenta [2.1.2]: ostendere documenta [2.1.7]: edere [2. 1.6]. — (6) S. P. 4.19.23; 4. 20. 7; 2. 1.4, 7-8. Contro apparentemente 2. 1. 6, ma invece di iustum deve leggersi iniustum. — (1) S.P. 2.4.2. —(8) S.P, 2.4.4; 4.20. 15.—(9) S.P. 2.2.41; 2.4.40. — (10) S. P. 4.19. 6. 7. Per l’esistenza di titoli al portatore non autorizza ad una negazione recisa la S. P. 4.19.20 ove è detto che alla proprietà non dà titolo il possesso del documento, ma bensì l’aver causa da chi già era padrone della cosa. — (11) S. P. 3.38.9.— (12) S. P. 4.11.3. — (13) Già n'erano argomento le cancellature [S. P. 8.42. 22).-—-(14) S. P. 3. 42. 6.—(15) S. P. 4. 21. 19, 20.—(16) S.P. 4.30. 1. 2, 3, 4,7. — (17) Intra certum tempus [S. P. 4.30. 7-9]. — (18) S. P. 4. 30. 14. Dubbia è l’interpreta- zione della S. P. 4.30.16. Dalla S. P. 4.30.1 parrebbe che la datio pignoris non la escludesse.—(19) Consignificare S. P. 3.28. 30. Cfr. il consignare del Reg. farf. n. 97 e 103.— (20) S. P. 4.20.5: bone opinionis. — (21) S. P. 4.20. 10.11. Non doveasi testificare 2 rem: propriam ma în extraneis causis. i DELLA SUMMA PERUSINA 25 sonale al producente (1), non a lui malaffetti per inimicizia (2). Dove- vano essere almeno due (3), ma due bastavano (4) se pure le leggi non ne richiedevano caso per caso un numero maggiore (5). Per produrli erano concesse induciae che erano naturalmente varie secondo la distanza, secondo cioè che si potevano cercare intra od extra provinciam e trans mare (6). Essi doveano essere addotti al giudizio sine dispendio o delle spese erano indennizzati (7): non potevano rifiutarsi alla testimonianza e se vi si opponevano eran tratti all’udienza per forza (8). Del valore delle loro deposizioni che, si badi, doveano essere rese cvzliter o sine armis (9) (parrebbe dunque che da certuni s’ usasse un diverso costume) era ar- bitro il giudice (10). Il giuramento in fine, ammesso solo in mancanza di scritto e di testi- monianze (11), dovea essere prestato 2 curia (12) su formula data dal giudice (13); di solito era deferito (14) alla principalis persona (15) che la poteva riferire all’ altra parte. Accettato o ceduto il giuramento non era lecito un’ ulteriore replicatio (16) o una impugnazione di esso, salvo che il giuramento fosse stato estorto per violenza dal giudice o ex necessitate iudicis (17) o che fosse stato prestato da chi non lo potea prestare (18). Allorchè le parti avevano finito di esporre le loro ragioni e alla zrterlo- cutio del giudice se avessero altro ad aggiungere (19) avevano data risposta negativa, si avverava la contestatio ltis. Ritenendosi ormai piena la co- gnizione della causa (20), si poteva far luogo alla sentenza o alla denun- tiatio (21) che di regola non era pronunciata singolarmente dal giudice che dirigeva il processo, ma era suggerita da tutto il complesso dei (1) S. P. 4.19.5: domestice probationis nichil est e 4.20.3: domestici testes nichil est. Cfr. poi S. P. 4.20. 6, 8. Il liberto non poteva testificare contro il patrono [4. 20. 12]. — (2) S. P. 4.20. 16. — (3) S. P. 4.20. 4: “ umius testimonium michil est,, e 4.20.9: “ umius testis fides non amittitur ,.—(4) Per la prova del pagamento di un debito, restando integra la cautio, si esigevano cinque testimoni [S. P. 4.20.15). — (5) S. P. 4.20.15. — (6) I termini sono presi dalle costituzioni giustinianee senza modificazione variando così dai tre ai nove mesi [S. P. 3.11.1, 3, 7]. Dovevano essere dati causa cognita [3. 11.4) e in contrad- dittorio delle parti qualora si riconoscesse giusta la domanda di rinvio [8.11.5] anche ne’ riguardi del fisco [3. 11.5]. — (7) S. P. 4.20.17. La spesa era probabilmente soste- nuta dalla parte soccombente. — (8) S. P. 4.20.17. Ricordisi però che ciò era vietato per i preti [1. 2. 8] e che il vescovo era esonerato dal testificare [1. 2. 7].—(9) S. P. 4. 20. 14.— (10) S. P. 4.20. 18. — (11) S. P. 4.1.10. Il giuramento è detto sovente fides. S. P. 3. 41. 3; 2.1.5; 4. 1.5. Altrove fides è sinonimo di probatio: cfr. 3.8.2; 7.16.15; 2.1.2; 2.4.10.— (12) S. P. 4. 1. 12. — (13) S. P. 4.1.12. — (14) Obdicere o subiicere sacramentum 3.32.20; 3.42. 4]. — (15) S. P. 4.1.10. — (16) S. P. 4.1. 2, 8. — (17) S. P. 4.1.3. — (18) S. P. 4.1. 4, è. — (19) S. P. 3.1.9; 3.9.1. Il giudice doveva tener conto delle allegationes sì del petitor che del pulsatus [S. P. 8. 35. 10]).— (20) S.P. 7.45.14; 7.57.5.—(21) S. P. 3. 30. 3. 4 26 TL CONTENUTO GIURIDICO suoi auditores (1) e pubblicata in nome di tutta l’audientia (2). Non sem- pre era necessario lo scritto sia che si trattasse di sentenze interlocutorie emanate ante finem litis (3) sia che si trattasse di sentenze definitive (4): quando poi lo scritto era redatto dovea essere munito della sottoscrizione del giudice (5). Essenziale era che la sentenza, pronunciata in giorno feriale (6) e non in periodo di vacanze (7) col vangelo sott’occhi (8), fosse letta in udienza alla presenza delle parti (9). Di regola doveva esser proferita nel preto- rium (10) o in publico (11): ma si faceva eccezione per cause che potevano esigere un sopraluogo come le possessorie (12). La sentenza (13), che non poteva essere 7 suspenso o condizionale (14), soleva contenere fra l’altro la condanna del succombente o addietus (15), alle spese processuali (16) per viaggi, trasferte (17) e forse per le sportulae (18) da darsi al giudice. Pronunciata la sentenza era irretrattabile (19) dal giu- dice che l’ avea proferita (20): non però era tolto alle parti ogni mezzo di sottrarsi alla sua esecuzione qualora non fosse stata emanata secondo le leggi e la giustizia. Erano invalide absque appellatione (21) e quindi, parrebbe, eliminabili con semplice eccezione di nullità (22) le sentenze infette da corruzione (23), da violenza (24), da dolo (25) o prodotte dietro una insufficiente istruttoria (1) Scelti di volta in volta dal giudice stesso [S. P. 1. 41.1]. — (2) S. P. 7.72.2. In S. P. 1. 50.1 è detta corcistorium; in 7. 45. 6; 7. 62. 21; 7. 65.3 officium.—(3) S. P. 7. 45. 16.— (4) S.P. 7.44. 1. — (5) S. P. 7.57.3.-- (6) Per rapporto alle ferie la S. P. si attiene fondamentalmente al Codice. — (7) I tribunali tacevano l'ottava prima e l'ottava dopo la Pasqua [3.12. 7] e la Quaresima [3. 12.8]: dubbio è invece se fossero osservate an- cora le vacanze per la raccolta delle messi e delle uve [3.12.4]. — (8) S. P. 2.58.2. — (OS REA AARRT N A(10) MSNIR3221 6022111) IS PAT ZO) ISP 983 (13) Di regola aveva effetti solo per le parti contro cui era stata pronunciata [S. D. 10-06: 1.4—"-60: 1, 12: — (14) S.P. 7.-45:3:— (15) Addictio in S.P. 1.181; 1.211; 119.5; 20-15 206115 13161; 73842; 65 401512; 016013) BI A; 1 43° 806); 74603; 52 4005; 1(.53.4; 7. 54.3; 7.55.1; 7.57.4; 7.58. 2, 4; 7.62.29; 7.64. 3, 10; 7.67.1.— (16) Il giu- dice stesso poteva estimare o arbitrare il danno subito dalle parti [S. P. 3.43.1]. Dove però era tenuto a emanare un iudicium non poteva arbitrare [7.61.1]: qui il si- gnificato della parola è oscuro; forse qui significa piuttosto: condurre ad una amiche- vole composizione. — (17) S. P. 7.51. 1-3. — (18) Dubbio è se le sportulae fossero an- cora rettamente intese. Cfr. :S. P. .2.7.20. Nella S. P. 1.2.25 lo sportulum è però contrapposto al commodum o all’ onorario del procurator evidentemente perchè an- dava invece al giudice. —(19) S. P. 7. 44. 2. Pel significato della voce retractari cfr 1. 18.13; 2.4. 35; 7. 43.4; 7. 44.2; 7.45. 9, 13; 7.50. 1; 7.61.1; qui parrebbe sinonima di resolvi [1.18.1; 1.52.1; 2.439; 7.27.92] o rescindi. In 7.62.15 corrisponderebbe invece al nostro ritrattare, riprendere indietro, revocare. —(20) E tanto meno dal giudice inferiore. — (21) S. P. 7.48.29; 7.64. 1, 6, 7, 8. — (22) Con prova della causa nullitatis [T. 58: 31/4]. (23) S. P. 7.49.1; 7.64. 7. Sanzioni penali si aggiungevano e contro la parte corruttrice [7.49. 1] e contro il giudice corruttibile [7. 47.2]. — (24) S. P. 7. 45. 4. — (25) S.P. 7.52.1. DELLA SUMMA PERUSINA 27 e cognizione della causa (1) o su documenti e allegazioni false (2) o senza sufficiente motivazione (3) o nella assenza delle parti (4) o contro chi, come il minore (5), non aveva la persona agendi o in giorni feriali (6) e in luogo diverso da quelli legalmente fissato all’ esercizio della giu- risdizione (7) o da giudice incompetente (8) o in antitesi alla lettera le- gale (9). Nell'ambito procedurale rientra anche la restitutio in integrum la quale, per decreto del giudice (10), toglieva efficacia ad atti che per se stessi sareb- bero perfetti. Essa era concessa ai minori per annullare gli effetti delle vendite immobiliari (11), delle donazioni (12), delle manomissioni (13), delle transazioni (14), dellericuse d’eredità (15), delle pignorazioni (16), dei pagamenti indebiti (17), dei giudicati pronunciati contro loro in assenza del tutore (18), delle prescrizioni (19) e per supplire a mancata adizione d’eredità (20) o a mancata querela da er0fficioso testamento (21); ai militi contro la prescri- zione (22) o contro gli atti eseguiti per omissione di pagamenti imputabile alla loro assenza per causa pubblica (23); ai maggiori impiegati in pub- blici affari per le ragioni stesse (24); ai captivi (25). L' actio de minori atate (26) o, in generale, l’actio de restitutione (27) era perenta se non fosse stata promo ssa dall'interessato o dal suo procuratore entro un anno dal congedo (28) o entro un quadriennio del raggiungimento della maggiore età (29). Ma il berefictum (30) non cadeva per la morte del minore o del mzles o di colui cui direttamente spettava e l’azione poteva esser promossa dai suoi eredi (31): a questi si accordava allora una proroga di termini. Indipendentemente dall’azione di nullità o di reintegra chi si sentiva gra- vato (32) da una sentenza poteva poi cercar di resolvere il giudicato (33) per mezzo di un appello all’autorità giudiziaria immediatamente superiore a quella (1), S.P. 1.50.5; 7. 44.2. — (2) Sì P. 7.52. 4; 7.58. 1-2. — (3) S. P. 7.50.07. — AS. .43.17,11; 764.1; 312.4. — (5) S. P. 7.43.6; 7.64.8.— (6) S. P. 7.43.4— (0) S. 7.48.5; 7.64. 6. — (8) S. P. 3.3. 1; 7.48. 1-4— (9) L’agire per nullità era indicato col verbo replicare [S. P. 1.18.29; 2.4.5, 25, 34, 36; 2.11.18; 2.20.5; 2.29.1: 2.42. 1; 888 «1, 3; 6,8; 4.7.5; 4.29.29; 4.:80.2; 432) 113, 26; 6-25.:363;,8.:25. 11]{ Im. 2.31,,,1,,2 parlasi di revocare în irritum. —(10) Sì giudice pubblico che privato [S. P. 2. 46. 3]. — (11) S. P. 2.27.1-2. Anche se la vendita era fatta per debiti fiscali [2. 36. 1-3]. Contro mutui [2. 37.2]. —(12) S. P. 2.29. 2. — (13) S. P. 2.30. 1-4. —-(14) S. P. 2.31. 1-2; 2.46.2. Contro la dote [2. 33. 1].—(15) S. P..2. 38,2; 2. 29, 1.2.—(16) S.P. 2.28. 1-2. — (17) S. P. 2.32.2.—(18) S. P. 2.24.2; 2.26. 4, 5.—(19) S. P. 2.48, 1, 2.—(20) S. P. 2.21. 2; 2. 40.3.— b IE P. 12% (21) S. P. 2.40.2. — (22) S. P. 2.50. 1, 4, 8; 2.52.2. — (23) S. BP. 2.50. 5, 6. — (24) S. P. 2.53.13. — (25) S. P. 2.53.5, — (26) S. P. 2.42.3.— (27), S DD (3 12024. dn (28) S. P; 2.50. 1.2. — (29) S. P. 2.50.4, — (80); Beneficium legis [S. P. 2.88. 1; 2. 40.1], aurilium [2.42.2]. — (31) S. P. 2.50.3. — (32) Sull’uso di gravare cfr. S. P. 1.18.3. — (33) S. P. 7.62. 4. 28 IL CONTENUTO GIURIDICO che l’aveva emesso (1). Da giudizi minori, pare, si appellava di regola al rector provinciae (2), da questo al praefectus (3), dal praefectus al- l’imperatore (4): non ben chiara è la facoltà di appellationem suscipere spettante al questor (5) o al comes rerum privatarum (6). In ogni caso non erano ammesse più di due istanze (7), più di due 2u4ic/a (8). La Summa perusina insiste ripetutamente, indizio di tempi, sulla liceità dell'appello (9) dato iudicato (10) senza che in esso dovesse scorgersi al- cunchè di ingiurioso per chi aveva data la sentenza (11). Ed era ammesso sì per le cause interlocutorie sì per le definitive (12). Doveva interporsi per iscritto od a voce (13) dalla parte che si sentiva gravata o dal suo procuratore (14) entro il termine legale (15): dopo di che altri termini erano dati perla consegna degli atti (16) e per il ritiro degli apostoli (17) o delle literae al giudice che doveva ricever l'appello (18). Entro il biennio l’appellante dovea, sotto pena di decadenza, presentarsi al se- condo giudizio da lui promosso (19) e reddere rationes (20). Se moriva nel frattempo, non perciò si arrestava il corso dell’appellazione (21) sostituen- dosi a lui di regola l’ erede (22): a vantaggio di questo il biennio era allora prorogato di quattro mesi (23). (1) Invece di appellatio è usata qualche volta, nel medesimo senso, la voce irterpellatio. Cfr. S. P. 1.22. 1-2. Per appellare la S. P. 3.1.15 parla di ad maîorem iudicem am- bulare. Cfr. 7.62.5. — (2) S. P. 7.62. 5, 19 — (3) S. P. 1.19.1; 7. 62. 33, 17. Questi ultimi due sommarii riescono molto oscuri. Il primo parrebbe dire che nei reclami con- tro il rector provinciae per gravami tributarii il prefetto [p. p.] dovesse sedere col ma- gister militum. — (4) S. P. 1.19.3; 7.62: 15. 34 — (5) S. P. 7.62. 32, 30.— (6) S. P. "0.62.26. — (7), Sì P. 7. 70.1. — (8) S. P. 7.16.3: 7.32.38:— (9) S.P. 3.11. 5. Appelli non ammessi contro gravami fiscali non provati [7.65.4, 8]. — (10) S. P. 1.18.13; 7.45.16; 7.62. 2, 7, 22. Il che si intende per la proibizione dell’appello ante iudicium [T. 65. 1, 7. (11) S. P. 3.11.5; 7.62. 12. 19, 20, 25; 7.67.1,2. Pene contro il giudice rifiutante l’ac- coglimento dell’appello [7.62.20]. — (12) Appello da sentenza per errore commesso n iudicio [1.18.7 e a contrariis 1.18.9]; per falso computo i iudicio [2. 5.1; 7.62.10]; per false allegazioni [1.22.3; 7.58. 1-4]; per mancata condanna feratorato nelle spese [7.64.10]; per retractatio di precedente sentenza [7. 61.1]. L'appello interposto da uno dei condannati non giovava ai soci nella condanna che fossero stati minori [T.68, 1-2]. — (13) S. P. 7. 62. 14. — (14) S. P. 7. 62. 6; 7. 65. 10. Se la prima causa era data sostenuta per procuratore l’assenza di questo non impediva che nella seconda agisse direttamente la parte principale. — (15) Intra certos dies [S. P. 3.17.1]: ‘entro due o tre secondo che la causa era trattata dalla parte solo o per mezzo di procuratore [7. 62. 6]. — (16) S. P. 7.62. 6, 25: trenta giorni. — (17) S. P. 7.63.1: due mesi. — (18) 7.63.1; 7.62. 5. 31. Il giudice publico avea sei mesi per dar gli apostoli, il privato quattro. — (19) Come pe- tere indicava la prima azione, repetere indicava l’agire in appello nella seconda causa. STEPIISISA (250 249822 PO TIRO 695 0836881 585 AO rr secundo îudicio agere [2.51]; în alio iudicio causam dicere [7.62.28] e causam redicere (1. Di 11] (20) S.P. 7. 62.36; 1(-63.-3, 5 — (21)ISTP: 6225. — (22) S.P. 163.2; 7.66, 1. 2-45. (23) S. P. 7. 66.6. DELLA SUMMA PERUSINA 29 Nel secondo giudizio non era lecito mutar 1 azione o il de alia causa tractare (1): ma ben si poteva riparare alle omissioni del primo processo con prove suppletive (2). Se poi la sentenza non era appellata o intrinsecamente nulla passava in giu- dicato (3) nè più era concesso all’addietus di sottrarsi alla sua esecuzione o alle conseguenze che da essa derivavano (4). Egli dovea conservare du- dicium (5) e forse alla osservanza di essa poteva obbligarsi qntentione de- cisa con una apposita sporsz0 (6). L’ eseguire la sentenza (7) spettava su precetto del giudice (8) all’ exe- cutor (9): questi, eletto dal giudice e soggetto al suo controllo (10), pro- cedeva ai varii atti esecutivi per costringere alla soluto del debito giudi- ziale il condannato (11) o i suoi debitori (12), per procedere in caso ch'ei vi si rifiutasse ad apprensione (13) e subastazione di pegni (14), per im- mettere nel possesso tediale de’ beni del contumace la parte diligente (15), per procedere a sequestri conservativi (16). Salvo rarissime eccezioni non era ammesso che l’ individuo si rendesse giustizia da sè: anche 1° occu- patio pignorum in seguito a sentenza o a confessione giudiziale doveva avvenire per decreto del giudice (17) e col ministero dell’esecutore (18) o per officium (19). Procedendosi all’esecuzione era anzitutto privilegiato il fisco per le spese giudiziali (20): poi i debitori pignoratizi o ipotecarii aveano privilegio di fronte ai chirografarii (21). L’ ipoteca per ragione dotale andava innanzi (1) S. P; 7.63. 4.— (2) S.P. 7. 62. 6; 7. 63. 4.—(3) S. P. 7. 45. 5, 8; 7. 46. 4; 7.50.1, 2; 7.62. 7. Cfr. 2.6.1.— (4) S. P. 7.52. 3. Anche se la condanna era stata ingiusta [T.62. 8]. — (5) S. P. 7.64.6.— (6) S. P. 2.4.27. — (7) Compellere in S. P. 5. 37.9, 15; 5.11. 4. Exse- qui significa invece conseguire in 8.44.35; 3. 16.1. Dalla S. P. 7.54. 2, 3 parrebbe che l'esecuzione dovesse esser fatta entro quattro mesi: la mora nel pagamento del debito giudiziario importava l’onere degli interessi [7.54. 1]. — (8) S.P. 7.53. 6, 9; 7.57.2. — (9) S. P. 7. 53.8; 1.3. 2, 30. All’executor corrispose forse il discussor della S. P. 7. 65.8. — (10) S. P. 8.2.2: — (11) S. P. 4.15. 3, 4; 7.53, 8.— (12) S. P. 4. 15.5. — (13) S. P. 8. 16.7. (14) S. P.7. 54. 1-3; 7.53.9.—(15) S. P. 8.13. 3. — (16) S. P. 7. 19.7. — (17) S. P. 8. 13.3, 11; 8.21. 1, 2. Le cose mobili erano prosignatae [S. P. 2. 16.2]: alle immobili si applicava il titulus [2.14; 2.15] — (18) S. P. 8.22. 1, 2, 3. — (19) S. P. 2.1.1. Il procedere all’ese- cuzione è indicato spesso col verbo erigere usato transitivamente [2.18.12, 20, 22; 2.19. 1; 3.42.8; 4.2. 15; 4.5.2; 4.10.8;. 4.35. 6, 10; 5.11. 4,6; 5.16. 1, 11; 5.18.9; 5.37.10; 5.39.3; 5.56.3; 7.54.3; 7.55. 1; 7.62.8; 7.67.1; 8.38.5; 8.39. 1, 4; 8. 40. 5; 17, 24; 8.44.21; 8.58.2]). E il diritto del vincitore era considerato come un dus recipiendi. Cfr. l’uso di reciperein 2. 18. 3, 10, 13, 14, 18; 2. 19.3; 2.32. 2; 3. 31. 4; 3.32. 5, 9, 17; 3. 33. 16; 3.43.3; 4.29. 9, 18; 4.35. 4,11; 5.12.10; 5. 18.9; 7.33. 3; 7.75.1; 8.2.1; 8,3.9; 8.25.9; 8.27.5; 8.40. 11, 15; 8.44. 9.1.2. La persona non era pignorabile [8. 16.6]. Il credi- tore pignoratizio aveva privilegio sugli altri [7. 72. 6]. — (29) S. P. 8.17.2.— (21) S. P. 8.17. 5, 7-9; 8.19.38. 30 IL CONTENUTO GIURIDICO alle altre (1): l’ipoteca generale prevaleva poi sulle speciali e tra ipote- che di uguale estensione la graduatoria era determinata dal tempo dell’ ac- censione (2). Della procedura civile doveva differire di poco la penale. Solo qui in- vece che una reclamatio da parte dell’offeso si aveva una accusatio o una suggestio (3) o una contestatio (4) che poteva anche esser mossa da parte di autorità investite comei difensores civitatis di funzioni di polizia (5), e nel sistema delle prove sì poteva ricorrere alla tortura per estorcere una confessione. VI. I soggetti dei diritti e la capacità giuridica. Cause generali e normali di limitazione nella capacità giuridica erano il sesso , l'età, l’ infermità mentale: cause speciali la professione , la classe sociale, la schiavitù, la religione. Conforme al diritto giustinianeo la donna non poteva garentire per al- tri (6) neppure pel marito (7): era però autorizzata alla gestione del pro- prio patrimonio e al compimento di tutti gli atti che a quella si riferi vano (8). Neppure le era conteso di amministrare quale tutrice il pa- trimonio dei figli quando fosse premorto il marito (9). Invece ciò era rigidamente negato al minore (10) o parvulus (11) o adul- tus (12) e al furiosus (13). Costoro, senza l’assistenza di altre persone (14), non potevano alienare per vendita (15) o permuta (16) o donazione (17) o ma- numissione (18), i propri beni; nè darli in pegno (19); nè costituirvi usu- frutti a favore d’altri (20), nè procedere a divisioni (21), a compromessi e transazioni (22), a fideiussioni (23), a liti sia come attori sia come conve- nuti (24), a procure (25). (1) S. P.8. 17. 10; 12. — (2) S. P. 8.176. — (3) S. P. 1.54. 4; 761.2. — (4)S. Pi 7.26.1; 7.62.2.— (5) S. P. 1.53.5; 1.54. 5, 6, 8. defensores civilatis; 1.40.1: praefectus vigilum.— (6) SUP. 4.291. 3, 9, 16,20; 22. — (4) S. PD: 4.29. 14. — (8) S.P. 4. 29:25; 4.32.23. (9) S. P. 4.29 [gerere pro filio]. Cfr. 5.35.2; 5.45.1; 5.46. 1-3; 8.14. 6. — (10) La legiti- ma etas si raggiungeva ai 25 anni [S. P. 2.21. 3]. — (11) S. P. 6.21.6 Cfr. Liurp. 129. Tale dovette esser considerato chi: era sotto i duodecim annos [5.28.33]. — (12) S. P. 2.18.17; 5.81.1:; 5.341; 5.36.2; 5. 71.4. Costui corrisponde al puber delle fonti. — (13) S. P. 5. 70.2, 6, 7.— (14) O. tutori o curatori. — (15) S. P. 2.23.1. — (16) S. BP 5.1.4 — (17) S. P. 7. 32.3. — (18) S. P. 7.4.5; 7.10. 6; 7.11. 4, 6, salvo che avesse avuto i servi sotto tale condizione [6.21.4]. — (19) S. P. 5.71. 1; 8.13.13. — (20) S.P. 3.82.16. — (21) S. P. 3! 37: 453.38..8. — (22), S. P. 3.13.3; 231.1. —(23) S.P. 8:37.%; 8.38.1. — (24) S. P. 7. 62.8. — (25) S.P. 2. 12. 13. DELLA SUMMA PERUSINA Sl Degli atti formati a suo danno il minore poteva, vedemmo, riparare le conseguenze con l'ottenimento di una restitutio in integrum che la S. P. con- siderò essenzialmente come un bereficium minoris (1): per esso in suo statu reportababur causa (2). Ma, a prescindere dai casi in cui era negato per pu- nizione di frode, come quando il minore si fosse finto maggiore e ciò avesse giurato (3), o per ratifica del minore stesso (4), a tal beneficio non poteva pretendere chi avesse chiesto od ottenuto dal giudice (5), la verza actatis onde il minore era autorizzato ad agere utilitates suas cioè all’ammi- nistrazione del suo patrimonio escluse le alienazioni (6) e le manumis- sioni (1). Uno ius singulare avevano pel loro ufficio i mulites e gli ecclesiastici. Il cingulum militare (8) distingueva appunto i militi dai provati, da quelli che noi diremmo i borghesi, ma post cingulum (9) o post expleta militia (10) rientravano nell’ orbita del diritto comune. Il maggior privilegio stava nell’avere un foro speciale (11) che naturalmente supponeva anche 1° esi- stenza di uno speciale diritto le cui particolarità singole ci sfuggono (12): il beneficio di testar senza osservanza delle forme legali (13) e il bene- ficio di aver sospeso a proprio vantaggio il corso delle presunzioni (14) erano limitati al tempo in cui erano 7 erpedito 0, come oggi si di- rebbe, in servizio attivo di guerra (15). D'altronde la qualità del milite generava anche delle incapacità come quella d’esser procuratori per altri (16) o conduttori (17) su fondi altrui. Maggiori novità si riscontrano rispetto al diritto giustinianeo nei riguardi delle persone e delle cose ecclesiastiche. Dei privilegi delle chiese e del clero (18) l’autore della S. P. infatti fu piuttosto tenero insistendo ripe- tutamente sulla necessità di loro osservanza (19): e, coscientemente o in- coscientemente, ebbe tendenza a spingerli oltre i confini legali avocando (i) S. P. 2.27.1. Che la voce dereficium possa qui avere, come il Conrat dubita, il significato di una concessione reale, mi sembra escluso. Cfr. anche 2. 40.1; 2.52. 1. Era una subventio minori aetati [2. 44. 1,2; 2.12.13]. Contro il fisco doveva chiedersi intra quadriennium [2. 50.5; 2.52. 7]. — (2) S. P. 2. 49.1. La reintegratio si esplicava sovente in una introductio possessionis [2.40. 1; 2. 43. 3]. — (3) S. P. 2. 42. 1-3. — (4) S. P. 2.45: 1, 2. — (5) S. P. 2.44. 4; 2.52.5. — (6) S. P. 2. 44.2. — (7) S. P. 7.4.5. — (8) S. P. 3.21. 2; Militia acquistata per danaro [S. P. 3.128: 30; 4.7.3]. — (9) SUP. 1.50.3.— (10) S. P. 1. 2. 25%; 3.21.9.—(11) Iudices bellatores [S. P. 3.8. 4; 78. 4.2].—(12) S. P. 3. 28.30, 4. 28/74. 61.3.— (113) IS. P4 6:21 157,8) 15, 17; 3158159) — (14) S0P.12 152 ded 25112; 2050. 1, 3. (15) S. P. 6.21.13; 7.35.1. D'altronde non è detto che il miles fosse sempre dedito alle armi: si ebbe anche uno wmilitio civile, con cui forse è da esplicare la S. P. 1. 26.4. — (16) S. P. 1. 65.31, 35. — (17) S. P. 4. 65.31. Non parrebbe che fosse più vietato il ma- trimonio [6. 21.10; 6. 26. 8]. — (18) Gli ecclesiastici sono detti talvolta religiosi [1. 1.25, 32] e religiositas il loro stato [1. 3.22]. — (19) S. P. 1.2. 33. 32 IL CONTENUTO GIURIDICO p. es. alla chiesa invece che allo stato la successione del celerico tornato alla vita laica e la successione ai pagani o agli eretici. (1) Insieme alla esenzione dai publica e dalla prestazione delle angarzae (2) volle salvaguardato il privi legio del foro ecclesiastico con ampia competenza: al vescovo assegnò come propria funzione la tutela dei debzles (3), la sorveglianza all’ esecu- zione delle ultime volontà (4), alla amministrazione degli orfanotrofi (5), alla dazione de’ tutori a chi non ne aveva già di legittimi e dativi (6). Ben si vede tra le righe che l’importanza del clero e sopratutto dell’alto clero era andata crescendo e che con l’ aumentar della potenza forse già inco- minciava una maggior corruttela onde il compilatore stesso sentiva la ne- cessità di ribattere sulla convenienza di affidare il ministero spirituale @ persone sine querela o bonae opinionis (7) e di combattere la simonia (8). Lo voleva alieno dalle faccende mondane; un po’ men presto a bazzicare nella curia coi laici (9), un po’ meno politico; e riprovava che le case dei vescovi fossero sede di conventiculae non destinate sempre a pio scopo (10). Alle limitazioni che già le leggi romane ponevano all’ attività giuridica del religiosus che, regolare, dovea avere il suo erede nel monastero (11) e, secolare, non poteva testare che sui beni venutigli dai parenti (12), ag- giungeva quella ch’ ei non potesse legalmente ammogliarsi (13). Ebbe in- vece il privilegio di non esser coatto al giuramento (14). Che vi fosse già anche un diritto speciale per la nobiltà invece non risulta benchè i mobiles, distinti dalle dignitas natalium (15) e dalla /%o- nestas (16) si trovino contrapposti ai minores (17), ai debiles (18), ai deiecti (19). La schiavitù vigeva sempre e, poichè le file degli schiavi vieppiù si as- (1) S. P. 1.5.9. — (2) S. P. 1.2.2. — (8) S. P. 1. 2.40. Pel significato della voce de- biles cfr. 1. 2.18. — (4), S. P. 1.2. 28, 37. — (5) S. P. 1.2.80. — (6) S. P. 13.20. — (7) S. Pi 1-26. — (8) SÌ PD: 12:29: — (9), Sì PI 1.217. — (0), SP. 1.215: —()NS- PI 1.2.29.—(12) S.P. 1.2.838. Gli acquisti per ragion del beneficio [1.2. 32,38] andavano alla chiesa dove aveva servito [1.2.20]. Si faceva eccezione pel vescovo [1.2.32]. — (13) S. P. 1. 2. 18. Contro 1. 2.19 dove parrebbe che la proibizione fosse limitata nei riguardi delle vedove. — (14) S. P. 1.2.25. Per quanto concerne la costituzione della chiesa è notevole che accanto ai presbiteri, diaconi, suddiaconi, exorcistae, lectores, ostiarici [1.2. 7] la S. P. ricordi ancora le diaconesse [1.2.9] e ancor più che i chierici solessero essere ordinati ex ipso vico [1. 2.11]. Quisi tratta naturalmente di plebano o vicarii o par- roci. —(15) S. P. 8.50. 7; 4. 63.3. — (16) S. P. 2. 12.8. Tenevano luogo tra codesti mag- giorenti gli iMlustres [6. 56.5]. Cfr. 1.2.21. Delle titulature bizantine nella S.P. 2. 7.11 riesce l’eminentissimus attribuito al prefetto, in 2. 7. 20 l’illuster attribuito all’ advocatus fici. In 2. 7. 21 si parla di spectatilis, in 2. 24.1 di clarissimi. — (17) S. P. 6.56.5.— (18) S. P. 1.2.18; 1.2.40. — (19) S. P. 1.54.3. Tra i mobiles erano i milites [8.13.27]. DELLA SUMMA PERUSINA 33 sottigliavano, s'eran fatti più preziosi e più aspra la lotta per mantenerli. Tant'è vero che, mentre dall’un canto il compilatore insisteva sui mezzi con cui il dominus poteva reclamare ai suoi vincoli il servo fugace (1) o quello cha avesse cercato di sottrarsi alla sua padronanza coll’entrare nella carriera delle dignitates e degli Ronores (2), dall’altro sentì poi il bisogno di difendere la libertà riaffermando che il libero per nascita non si po- tesse asservire per lungo servigio prestato come dipendente su terre altrui (3) nè per prescrizione (4) nè per allevamento (5), che il ritardo della manu- missione non dovesse nuocere ai figli della statu libera (6); che libero re- stasse il figlio della donna la quale per un quinquennio fosse vissuto in libertà (7) o colui che manomesso in buona fede, da un terzo, avesse go- duto pacificamente la libertà per un quinquennio (8) o colui che, li- bero di nascita, avesse sposata una schiava (9) e che la manumissione non potesse esser ritrattata (10) salvo il concorso di cause intrinseche di nul- lità come la frode (11) o di cause legali sopravvenute post factum come l’ingratitudine verso il patrono (12). Il commercio servile (13) ingrossava ancora le file degli schiavi indigeni, cui la macula libertatis (14) derivava dal rapporto di figliazione da donne schiave (15); e parrebbe fosse anche ammessa una servitù convenzionale (16) che però differiva sempre dalla schiavitù originaria per ciò che agli schiavi volontarii si facilitava il ritorno alla libertà (17). (1) S. P. 4. 55. 5; 4. 58. 3; 3.22. 1. Spesso erano constituti in actionem o proposti all’a- zienda o a qualche ramo dell’azienda padronale [4. 25. 1-6; 8.37.1; 8.42. 4]. — (2) S. P. ‘1.16.11; 7.38.16. —(3) S. P. 7. 14. 6. 13; 7. 16. 16.36. — (4) S. P. 7.2. 13; 7.14. 6; 7.16.10; 7.22.3. — (5) S. P. 1.83.18; 7.14. 2; 8.51. 1-3. Nè per consuetudine di concubinato [7.16.34]; cfr. pure 7.14. 4,7; 7.16.39. — (6) S. P. 7.4.3, 4, 9; cfr. 4.19. 17; 6.56.6. — (7))S! P. 7.21.1-2, 5,6. — (8) S. (Dì .21.4 — (9) S. Pi 7.16.4 — (10) S. Pi 7 14.9; 1.16.7, 9, 19, 20, 22, 25, 27, 30, 33; 7, 19.1; 7. 30.2. — (11) Sia a danno del proprietario per parte dei terzi [S. P. 4. 6.6; 4. 36.1; 449.7; 7.2.9; 7.4.6, 8; 7.10, 1, 5, 7; 7.11.92, 5; 10.12. 2; 7. 18.3; 8. 29. 2, 3] sia per parte del proprietario a danno di terzi [1.2.5; 7. 8.2, 3, 4; 7.11.1, 5). — (12) S. P. 4.6.4; 6.7. 1-4; 7.16.30. L’azione di rivendicazione è indicata nella S. P. con le locuzioni ad servitium pulsare [T. 16.14; 7.19.4; 3.22. 3]; ad servitium petere [6. 17.1; 7.18.3; 7.19.1), ad servitium replicari [7.14.9; 7.16.21, 80], în servitio vocare o revocare [1.2.4; 7.8.5; 7.14.5,:10; 7.16.20, 28, 31; 7.21.92; 7.38. 1]. Le frasi ad servitutem trahi [T.17.1) o în servitio detineri indicano piuttosto uno stato di fatto che di diritto.—(13) Pel prezzo degli schiavi cfr. S. P. 6. 43.3. — (14) S. P. 7. 16. 36. — (15) S. P. 4.19.17; 7.16.29. 42; 7. 30.2; 7.38. 1. — (16) Essa parrebbe esclusa dalla S. P. 4.10.12 ove dicesi: liber pro debito servire non licet e dalla S. P. 7.16.12; 7.14,1,2: ma poi in S. P. 7.14, 10 si parla di una mulier libera che se vendi permisit, nè qui si [a9) Do tratta di una vendita di sè pro pretio partecipando come in S.P. 7.18. 1.— (17) S. P. 7.16.1. Cfr. pei figli venduti dai genitori 4.43. 1-2; 7.16.37. Pei servi originarii il vin- colo era invece così saldo che neppure la captivitas lo spezzava [8.50.10]. Liber vendi- tus invitus in 7.16.5, 6 e 7.14. 7. 5 34 IL CONTENUTO GIURIDICO I servi continuavano ad essere oggetto di dorninio e di condominio (1), di locazione (2), di commodato (8), di pegno (4), di alienazione per dona- zione (5) o vendita (6): ma la loro personalità giuridica era ormai incon- trastata e nel campo del diritto civile e nel campo del diritto penale. Anche in stato di servitù l’uomo aveva, con la facoltà di acquisire ed ob- bligarsi (7), quella di agire in proprio nome (8); e possedendo in proprio avea facilitata la via del riscatto con denari propri o mutuati da altri (9). E se pur quà e là si vede responsabile il padrone per le obbligazioni (10) e i delitti del servo (11) non può farsene una regola assoluta: era neces- sario a tal effetto che il domunus avesse partecipato direttamente o indi- rettamente all’atto con una 9 DELLA SUMMA PERUSINA DI Egli conosce e descrive come solita una forma di testamento, che, svol tasi dal noncupativo, presentava in confronto ad esse dei caratteri diffe- renziali assai notevoli di cui il più spiccato è forse questo che le dichia- razioni d’ultima volontà doveano essere redatte in iscritto da un publicus scriba (1) o tabellio (2): la carta così redatta era poi munita delle sotto- scrizioni (3) e dei sigilli dei testimonii (4) che regolarmente doveano es- sere sette (5) ad otto (6) in città e cinque in campagna. Solo in caso di epidemia e di mortalitas (7) era concesso di usare di un numero inferiore al legale (8). I testi poteano essere tratti da ogni condizione sociale, purchè fossero liberi (9): e doveano esser consci del contenuto del testamento potendo esser chiamati ad attestarlo un giuramento (10) in giudizio quando occor- resse supplire o rettificare la dichiarazione dello scriba. Non è ben chiaro se fosse necessario che tutti gli atti or ricordati avvenissero wn0 contextu (11); e forse non lo era: ciò che più importa notare è del resto che mentre il testamento nuncupativo romano era sempre un testamento privato la nuova forma, per l'intervento del notaio, già aveva assunto un carattere pubblico. Privatamente si poteva provvedere alle dichiarazioni delle pro- prie ultime volontà con testamento olografo. Delle altre forme speciali di testamento parrebbe che continuasse ad essere in uso il testamento militare (12) libero da ogni formalità; ma, caduti di già alcuni dei privilegi ad esso concessi, si era avvicinato al tipo nor- male. Così, per quanto alcuni capitoli della S. P. escludano a suo ri- guardo la querela de inofficioso testamento (13), anche ad esso fu esteso l’obbligo di riservare agli eredi la falcidia (14). Seguire le consuetudo mi- litaris testandi era poi concesso solo ai milites che erano 2 expeditione 0 in attività di servizio. La S. P. parla ancora di un codicWlum che, a differenza dal testamento, non poteva contenere istituzione (15) o sostituzione d’ erede (16) e che, (1) S. P. 6.23.4. In S. P. 6.23.23 si parla di scriba dove il testo riassunto accennava semplicemente al testamentum conscribere; che lo scriba dovesse esser publicus risulta dalla S. P. 6.22.8. — (2) S. P. 6.23.8. — (3) S. P. 6.23.32. — (4) S. P. 6. 23. 20,32. — (5) S. P. 6.11. 2; 6.23. 15, 21, 25, 26, 32. — (6) S. P. 6.22. 8; 6.23, 11, 21. In questi due ultimi capitoli l’otto è sostituito al sette delle costituzioni originali : l'aggiunta dell’ot- tavo testimonio si aveva quando il testatore fosse illetterato. — (7) S. P. 6.23. 8. — (8) S. P. 6.23.8,9; 6.32.2: a meno che non vi fosse un rescritto imperiale che lo con- cedesse in via di privilegio. — (9) S. P. 6. 23. 1, 20. — (10) S. P. 6.23. 32. — (11) La S. P. 6.23.32 dice però che i testimoni erano chiamati a sottoscrivere post expletum testa- mentum. — (12) S. P. 6.21. — (13) S. P. 3.28.9, 24. Il cap. 3.29-37 aggiunge però che non dicitur de inofficioso testamento si non abent filios. — (14) Contro S. P. 6.49. 7. — (15) S. P. 6.35. 4. — (16) S. P. 6.37.6. La S. P. 6.36.7 parrebbe dir l'opposto, ma forse cadde la negativa. (Dx i 2 IL CONTENUTO GIURIDICO supponendo un testamento (1), avea a scopo il modificarlo e comple- tarlo (2), ma non poteva supplirlo (3) benché la clausola codicillare gio- vasse tuttavia a reggere in piedi un testamento invalido (4). D° altronde è dubbio che realmente l’autore dei sommarii ne raffigurasse per bene la struttura perchè intendeva il codicillo come un parvum seriptum (5) re- datto e roborato con l'intervento di cinque testimoni (6). Il testamento continuò a mantenere la caratteristica romana della revo- cabilità: appunto per omaggio a quel principio furono nulle le clausole penali ad esso aggiunte (7). E doveva poter esser revocato anche se scritto a favore dell’ imperatore (8). La revocazione dovea però esser fatta con certe forme almeno davanti a tre testimoni (9). Dati più testamenti fra loro contrarii il più recente annullava il più vecchio (10): salvo che non fosse possibile l’accordarli fra loro traendo il più recente al più vecchio (11). Del resto convien notare che, accanto al testamento la Summa perusina, pur ripetendo qua e là i divieti romani (12), parrebbe aver anche cono- sciuta una successione convenzionale ammettendo patti de substantia eius qui prius moreretur (13) tra madre e figlio (14), tra fratelli (15) e forse tra estranei (16). Come distinse fra legatario ed erede così la S. P. fece, pare, distinzione tra legatarii e fidecommissarii, tra legata (17) e fidecommissa (18): ma è difficile il determinare le differenze tra questi. Sembrano entrambi concepiti come delle 2usstores a pio scopo (19): e solo potrebbe qua e là sospet- tarsi che il legatarzus fosse veramente il beneficato (20) e il fidescommissa- rius invece un executor supremae voluntatis (21). Però la costruzione non è sicura. Naturalmente legati e fidecommessi , istituiti per testamento, per codi- cillo, per noncupazione (22), erano esigibili solo alla morte del de cuius (23) (1) S 6. 36.4, 5. — (2) S. P. 6. 36.1, 2, 7, 8.— (8) S. P. 6. 36.3. — (4) S. P. 6. 36.8; Ti D ui — (5) ig: 1%, 64 42. 22. — (6) S. P. 6.23.21; 6.36.8. Il più recente codicillo annul- lava di regola il pre eno [6. 36. 3]. — (7) S. P. 6.41. 1. — (8) S. P. 6.22. 6,7. —(9) S.P. 6.23.27, 30. — (10) S. P. 6.23.21. — (11) S. P. 6:37.22. ma S. P. 2.3! 15.-- (13) S. P. 2.3.1. — (14) S. P. 2.4. 6. — (15) S. P. 2. 8. 19. — (16) S. P. 2. 3. 31. Vietata era la rinuncia all’eredità futura [6. 31. 3]. Contro 6.57.8 dove si ammette un repudium successionis paterne patre vivente. — (17) S. P. 4.1.13; 4.2.1; 4.11, 1; 6.37.13, 14, 17-19; 4.81.5 6142, 25,129; AA) 35 6115215 CER 21 [legati d’ annualità). — (18) S. P. 3.17.1 [si chiedono ubi facultas est]; 4.5.7; 6.42.25; 6.42.29 [seguono le sorti del testamento; 6.31.5 i ex I 6. n 30. — GS) S. P. 6.42.14. — (20) S. P. 6. 36.1; 6.37.5, 6; 6.37.20, 25; 6. 38. 1; 6.42. 61.24, 32; 6. 43.2, 2; 6.49. 4; 6. 49. 1. 50. 15; 6. 52. 1, 3; TATO cla allo i In Goetz. Corp. gloss. V, 507 il legatarius è reso con dispensator, distributor. — (21) S. P. 6.37.25. Cfr. distribuere [S. P. 1.5.3]. — (22) S. P. 6.42.22. — (23) S. P. 6.37, 14, 19; 6. 42.8. Con riduzione della falcidia. Legati non si ammettevano ove non si avesse erede [6. 47. 3]. DELLA SUMMA PERUSINA 53 se pure, essendo condizionali, la loro esigibilità non dipendeva anche dal- l’avverarsi delle condizioni (1). Erano validi i legati di cose altrui o di cose date in pegno intendendosi che 1 erede dovesse al caso comperar quelle (2) e riscattar queste (3): non era ammessa invece per riguardo ai legatarii la sostituzione (4). Il pagamento di legato era un dovere dell’ erede o del sostituto o dei loro aventi causa (5) che avessero preso legalmente possesso dell'eredità (6), anche se questa era soggetta ad una condizione (7). Perdutosi il testa- mento l’ammontare del legato si determinava con giuramento deferito dal legatario all’erede (8). Dopo la interpellazione l’erede era tenuto agli interessi moratorii (9). La accettazione della eredità come quella dei legati (10) era facoltativa, non coatta (11): onde la persistenza delle necessità di un’ adito haeredi- tatis (12) che determinasse la persona dell’ erede e lo abilitasse ad agire contro gli 72%usti detentatores (13) e a trasmettere i proprii diritti ai po- steri (14). Con un prestito fatto alla procedura romana per la donorum possessio, che ormai ‘era del tutto confusa con l'eredità (15), parrebbe che si fosse intensificata in una ?ntromissio ope iudicis (16) la quale era spesso subordinata ad una cautio adimplendi legem (17). La adizione, che nel caso di istituzione condizionale (18) era subordinata all'adempimento della condizione (19) poteva avvenire, contro il termine legale (20) da parte dell’istituito stesso se aveva superato i dodici anni (21) o altrimenti dal padre pel figlio (22) e dal tutore pel pupillo (23): la mancata adizione di uno dei coeredì non nuoceva agli altri (24). Correlativa alla necessità dell’ad:tio0 per il trasferimento della eredità in capo all’erede instituito fu la facoltà di rinunciare all’ eredità con un re- pudium che per lo più era motivato dal desiderio di sottrarsi per tal modo (1) S. P. 6.37.6, 6.46.1-6.— (2) S. P. 6.37. 1; 6.53.3. — (3) S. P. 6.37.3; 6.42. 6.— (4) S. P. 6.37. 6. — (5) S. P. 6.42.92, 5; 6. 48.2. — (6) S. P. 6. 39-1. 3; 6. 42. 23; 6.37. 10; 21; 6.43.29; 6.47.2; 6.42.21; 4.2.1; 4.11.1; 4.16.7; 7.72.1. Se l’erede rinunciava non vi era naturalmente tenuto [6.42.27]: la negligenza dell’ erede nell’ accettazione invece non doveva nuocere al legatario. — (7) S. P. 6.25.8. — (8) S. P. 6.42.31; 41.13. — (9) S. P. 6.47. 1, 2.10) S. P. 6. 47. 36. — (11) S. P. 6.30. 13, 16, 21.— (12) S. P. 6.30.8.— (13) S. P. 6.30. 4. — (14) S. P: 6.30. 7. — (15) S. P. 1. 18.2. — (16) S. P. 8.3.1. — (17) S. D. 8.3.1. — (18) S. P. 6.25.3: — (19) S. P. 6.25.1, 2, 7. —.(20) S. P. 6.30..3.. Per la fa- cultas deliberandiì op. 6.37.11; 6.42.16. Dalla S. P. 6.54. 1 parrebbe che il termine fosse di cento giorni pei propinqui. Pei figli non v'era alcun termine [6.9.5 6.30..9; 6.9.1, 4, 7. 8] se non emancipati [6.9.5]. Per questi il termine era d’un anno. — (21) S. P. 6:17.2.— (22) S. P. 6.30; 4, 18. — (23) S. P. 6.30.12, 18; 6.9.7. — (24) S. P. 6.10. 1. DÌ IL CONTENUTO GIURIDICO alle passività esorbitanti della facultas a lui deferita (1). Parrebbe per ve- rità da qualche capitolo della S. P. che l'erede rispondesse di solito solo intra vires hereditatis (2): ma non per ciò l'istituto cadde. La rinuncia o l’abstentio a successione (3) impediva ogni ulteriore aditio (4) e ogni atto dispositivo sull’eredità (5). Che poi dovesse essere scritta non risulta (6): bastava una dichiarazione di non voler adire (7). L'azione con cui sì facevano valere i proprii diritti successorii era l’leredi- tatis petitio che sostanzialmente non differiva gran che dalla re% vindicato. Oggetto di essa era l’ ottenimento dell’hereditas cum fructibus (8): impre- scrittibile, pare. di sua natura (9) poteva muoversi contro chiunque detenesse l'eredità salvo a questo un diritto di retenzione per le spese fatte (10). Il foro competente era in codeste liti quello nelle cui giurisdizioni si tro- vavano i beni in questione (11). VIDI. I diritti reali Dei varii diritti reali cercheremmo indarno una definizione nella S. P.: ma possiamo ben credere che le traduzioni si mantenessero fedeli al dritto romano. Dei modi d’acquisto originari delle proprietà la S. P. contempla spe- cialmente l’usucapione della quale distingue due forme (12); l'una che basata sull’esistenza vera e ipotetica d’un titolo (13) sì compieva, secondo che le parti erano o no presenti in una stessa provincia, in un decennio o in (1) Come l'erede succedeva nell’attivo [S. P. 31.1.2; 8.30.1. etc.] così succedeva nei debiti del de cuius, [6. 30. 10; 6. 31. 1-2; 6.24. 6; 4.2, 1.9; 4.10.14; 4. 11.1; 4.18.1; 4.19.3; 4. 26.2, 4, 8; 4.35.8:; 6.42.27; 7.30.38: 7.72.1; 8.30, 1, 3; 8.37.8, 13, 15; 8. 40.6; 8.44. 24. 30]. — (2) S. P. 4. 26.2. Il figlio pagava i debiti paterni solo in quanto avesse presso di se dei beni del padre [6.31.1,2],i debiti gravavano sull’erede pro portione he- reditatis (6.49. 2; 4.17. 1]; le usure non si potevano chiedere per mora se non era pul- satus l° erede. — (3) SP. 7.2.3. I verbi solitamente usati per indicare il rifiuto del- l’ eredità furono facultatem repudiare [1.18.2; 2. 11.7; 2. 38.2; 2. 39. 1] o substantiam renuntiare [6.30.11; 6.42.27] — (£ S. P. 3. 31.9. — (5) S. P. 6.30.11. — (6) Di scriptis repudiare si parla però in S. P. 3. 31.9. — (7) Il repudium era irrevocabile [S. P. 6.19. 2]; nè poteva annullarsi se non perchè fatto in frode [6.19.2; 6.31. 4; 6.42.19] o compiuto dal minore sine tutore [6.31.5]. — (8) S. P. 3.31.2. Receptio possessionis dopo la prova del titolo a succedere [8.2. 1]. — (9) S. P. 2.31. 7: 6.9.4; 6.30.9. — (10) S. P. 3.31. 6. Muovendosi contro l’erede prima questo doveva essere immesso nel possesso dell’ ere- dità [6.33.2. 3]. — (11) S. P. 3.17.1. — {12) Arrositas [cfr. S. P. 4 52. 1] e prescriptio. — (13) S. P. 3.32.23; 726.1, 2, 9; 7.33.4, 5; 29.4; 7.32.6; 4 1.2. pro emptore, pro do- nato, pro herede. pro dote, post transactionem. Cîr. €.32. 11. DELLA SUMMA PERUSINA 55 un ventennio per gli immobili (1) o in un triennio per i mobili (2) e l’altra che, prescindendo dall’esistenza del titolo si maturava in trenta o quarant'anni (3) di 2usta (4) o recte possessio (5) vale a dire di un pos- sesso non infetto da pervasto o violentia (6) o clandestinità e diuturna- mente pacifico (7). Usucapire non si poteva a danno di minori (8), d’ as- senti (9), di militi (10), di cattivi (11), di socii (12). La anmositas (13) co- stituiva un munimento pel possessore (14) e produceva una exelusio del pro- prietario negligente dando fondamento ad una oppositio legittima contro le sue tardive rivendicazioni (15). Accanto all’usucapione la S. P. contempla l’accessione nella forma della alluvione (16) e in quelle della raedificatio 0 della plantatio in suolo altrui pel caso in cui un extraneus all'insaputa del dominus terre si fosse collo- cato nei suoi terreni e v’ avesse eretto edifici e fatte piantagioni (17). Del primo istituto si occupa per determinare che sui nuovi incrementi del suolo dovessero gravare i censi imposti al fondo principale come nel caso di bonifica (18); dal secondo per salvaguardare i diritti del proprietario in confronto a quelli dell’inquilino che vi si era onappesto 21 suo domzno (19). Dei modi di acquisto derivativo non conta il parlare a lungo poichè poco di nuovo v'è a notare (20). Anche in ordine alle limitazioni della proprietà (21) la S. P. si attenne in generale alle norme romane: e di esse tocca d'altronde fugacemente per afferrnare nell’urbs l'obbligo di demolire e ricostruire (22) le case senza ledere il publicus aspectus (23); per vincolare alle case urbane le colonne, (DISTINTA? SO 13998: 16003302) STP28 La SSIS 7.39. 1-2. — (4) S. P. 3. 6.1. — (5) Per il significato di recte e duste possidere ctr. 8.4.1; 8.6.1; 8.19.2; 8.27.18; 8.44.22. Forse era necessaria la bona fides [T.33. 6, 7, 9; 7.35.7).— (6) La voce occupare è usata spesso nel senso di staggire da parte del fisco [S. P. 3.31.12; 8.3.5, 7; 8.5.1]. — (7) Diuturna possessio [S. P. 7. 33.4] senza usurpazione [7. 33.2, 9, 10; 7.32.10] o pulsatio [7.32. 5]. — (8) S. P. 7.35.3.; 2.21.5.— (9) Sì P. 7.35.1, 2. — (10), S. Pi 7.35. 8. — (11), S. P. 3.32.23. — (12) S. P. 7. 29. 1-3; ‘.34.3.— (13) S. P. 5.73, 1; 5.74.2; 6.2.8; 6.9.7; 6.30.8.; 726.7; 7.27.1. La stessa locuzione si trova nel napoletano come ben notò il Patetta. — (14) SPARA 526 6.30.8. — (15) S. P. 6.9.3. — (16) S. P. 7. 41.1-2. — (17) S. P. 3. 32.2, 11. — (18) S. P. 7.41.1-2.— (19) Si applicava qui la massima ?raedificatio solo coedît. — (20) Il cessiona- rio doveva essere dntroductus in possessionem dal cedente: e l’introductio in possessionem era legale solo coll’auctoritas domini [T. 32.2, 4; 7. 53.3; 7.82.6; 7.73. 7; 7. 65. 6] chè, altrimenti si mutava in un’invasio. — (21) Dominium [S. P. 3.32.1], proprietas [4. 65. 25; 8.12. 4], possibilitas [2. 3.20; 3.32.27; 7.35.2; 8.11.11] erano considerati come sinonimi per indi- care quod competebat alicui |5.12.2; 8.25.2; 8.29. 2; 8.88. 2, 3. Per indicare il condomi- nium si usò spesso la voce commune [3. 37.5) e coheres fu sinonimo di condominus [4. 52.2; 4.38.14]. — (22) S. P. 8.10.8. — (23) S. P. 8.10. 2. 3. 56 IL CONTENUTO GIURIDICO i marmi e gli ornatus (1); per far osservare la voluta distanza dagli horrea (2) e dalle mura della città (3); per mantenere una zona intermedia di confine tra i varii fondi (4); per concedere al proprietario il diritto di ‘estirpare l'albero del vicino che ledesse le fondamenta del suo edificio (5); per accordar al primo occupante il diritto di edificare sulle murala de- serta (6). Dalla S. P. 8.11.17 parrebbe potersi anche trarre che lo stato avesse un diritto d’espropriazione forzata dietro compenso al privato. Il principio che il condominio non dovesse essere mantenuto a forza si ripete poi nella S. P. 3.33.17. Le costruzioni fatte sul suolo comune s’in- tendevano comuni salvo naturalmente al. socio costruttore il diritto di farsi rifondere le spese dall’ altro (7): trattandosi di riparazione di casa se il rifacimento delle spese non avesse avuto luogo entro il quadrimestre il condomino riparatore ne acquistava la proprietà (8). Negli sura in re aliena parrebbe che si distinguessero ancora le servitù personali e le prediali. L'usufrutto, che poteva essere costituito per convenzione e per testa- mento (9), era assolutamente personale e si spegneva con la vita del- l'usufruttuario (10) che naturalmente non poteva appropriarsi per usuca- pione la cosa posseduta (11): a lui incombeva l'obbligo di riparare le, case godute (12), ma aveva d’altro canto il diritto di farsi rifondere le spese che rappresentavano un incremento del loro valore (13). E come. non po- teva alienare i beni soggetti ad usufrutto, così non poteva neppur locarli quando, come rispetto ai servi, la locazione o 1’ obse quium alterius dare rappresentava un rischio troppo grave per l'integrità degli oggetti stessi, (14): era tenuto a dar di ciò cauzione (15). | Distinta dall’ usufrutto era l’habitatio che come comprendeva un diritto di manere nella casa lasciata in uso, così comprendeva quello di locarla (16): anche lo zus Rabitandi cessava colla morte dell’utente (17). Delle servitù prediali la S. P. ricorda le servitù lumirnis immittendi (18), ne luminibus officiatur (19), oneris ferendi e altius non tollendi (20) tra (1) S.P. 8.106, 7. (2) S. Pi 810.11: — (8) S.P 8-10:90= (4) S. Pi 30395. (5) S. P. 8. 1.1. — (6) S. P. 8.10. 10. Evidente qui muralia corrisponde ai casalini dei do- cumenti. — (7) S. P. 3.32.16.— (8) S. P. 8. 10.4. Contro 8.10.5: ma 'l’ antinomia si esplica probabilmente perchè in questo caso si trattava di spese voluttuarie e non necessarie. — (9) S. P. 3.33. 1, 5, 13. Perlo più con un lascito di usufrutto il marito provvedeva alle sorti della propria vedova [3. 33.6, 10, 12). In S. P. 1.2. 4 l’usufrutto è detto solacium. Si vedano le locuzioni usufructuarius constitui [S. P. 3.83. 3,4] e wusufructium relin- ‘quere [8.33.1,5, 10) o facere :[3.33. 12]. — (10) S: P. 3.33.83, 14. — (11) S. P. 3.33.8.— (12) S. P. 3.33.7. — (13) S. P. 3.-33.7:— (14) S. P. 3.33:9: — (15) S. P. 3.33. 4 /fideius- sio de non minuendo]. — (16) S. P. 3.32.14.— (17)'S. P. 3.33.11. — (18) S. P. 3.34.8. — (19) S. P. 3.34.1. — (20) S. P. 3.34.15, 8,9. DELLA SUMMA PERUSINA DI le urbane e quelle di passaggio (1), d’acquedotto (2) e di presa d’acqua (3) e di non toglier il vento all’aia (4) tra le rustiche. Era generalmente am- messo che le servitù potessero acquisirsi anche per prescrizione decennale o ventennale (5). Le disposizioni più interessanti per noi sono del resto quelle che si ri- feriscono alla tutela delle proprietà e del possesso: importanti modifica- zioni s'erano avverate a questo riguardo tanto che gli nterdieta non erano assolutamente più compresi dall’autore della S. P. (6). Per riguardo alla proprietà egli non conosceva che la rivendica (7) il cui effetto era un recipere (8): prescrittibile solo in un trentennio (9) essa poteva muoversi contro ognuno che detenesse ingiustamente (10) la cosa altrui per ottenere colla restituzione della 2r2usta possibilitas quella dei frutti (11). Il possessore di mala fede non aveva diritto a compenso per migliorie o spese (12). Naturalmente la restituzione era subordinata alla prova del proprio diritto acquistato originariamente con la prescrizione o con l’occupa- zione o con l’accessione oppure derivativamente (13) per qualche titolo trasla- tivo di dominio: a dimostrare l’esistenza di questo in mancanza di scritto (14) si ammettevano anche le testimonianze (15). Prima di decidere in petitorio si discuteva il possessorio (16): e anche il proprietario che avesse spogliato il possessore doveva anzi tutto inte- igrar questo nel possesso. La S. P. 4. 65.25.26 dice chiaramente “ prius redde et sic proponis de proprietate .,, rivelando meglio d’ogni altra fonte quanto antiche sieno le origini della actio spolt. Azione possessoria per eccellenza fu l’ actto de momento (17) con cui si costringeva l’ingiusto possessore ad restituendam possesstonem (18): dovea muoversi entro l’anno dalla ezpulsio (19) o dalla occupatio violenta (20) 0 (1), S. Pi 3.84.11. — (2), S. P. 3.34.2;.3) 7, 12. — (8), S. P. 3.34. 6,10. — (4) S. P. 3.34.13. — (5) S. P. 3.34. 1, 13, 14. — (6) S. P. 8.1. 1-4. — (7) Actio în rem [S. P. 3. 34. 2].— (8) S. P. 3.32.5, 9. — (9) S. P. 8.4. 11; 3.39. 6. — (10) S. P. 3. 32.5 /iniduste rem tenere]; 3.32.9 [tenere]; 3.32.4 [mala fide tenere].—(11) Coi fruges retro tempore [S. P. 3. 32. 5, 28; 8.4.4; 4,32. 12; 4.51. 7; 3.32. 1,17, 21]. Quindi il servo e le sue operae 0 meglio la mercede delle sue opere [3. 32. 1.] e il fondo con le pensiones [3. 32. 5]. — (12) S. P. 3.32. 5.— (13) S. P. 4.19.15, 16; 4.21.8.—- (14) S. P. 3.32.19. Il possesso della carta di per sè non diceva nulla [4.19.21]: l’esibitore dovea mostrare che egli era appunto colui che avea acquistato il diritto in forza di essa o un suo avente causa. — (15) S. P. 3. 82. 10. Indici di proprietà erano anche i tituli [2. 15. 1-2). — (16) S. P. 8.6.1. — (17) Ben di- stinta dall’actio de proprietate [S. P. 8. 6. 1; 8. 35. 5). Pel significato della voce momentum cîr. il momentum reddi della S. P. 8.5.1. Implicava la restituzione della cosa e il rifaci- mento del danno attestato con giuramento [8. 4,9). — (18) S. P. 3.31.11: cfr. 8.4.8; 8.5.2. — (19) S. P. 8.4.2. — (20) S. P. 8.4.3. 8 58 IL CONTENUTO GIURIDICO dalla pervasio (1) giacchè non pare che per l'actio de momento fosse ne- cessario uno spoglio violento (2). La violazione dell’altrui proprietà o dell’altrui possesso era anche tute- lata con disposizioni penali collegate all'ultimo stadio del diritto romano che obbligava il violento occupatore dell’altrui proprietà a render la cosa e un fantundem (3) e al proprietario che volesse farsi ragione da se stesso con una violenta espulsione dell’invasore comminava la perenzione del proprio diritto di agire (4). Che accanto alla actio in rem fossero poi conosciute distintamente due azioni communi dividundo e familiae herciscundae non pare: bensì 1° actio finium regundorum parrebbe accennata nella S. P. 3.38.39 che farebbe credere la segnatura dei confini fosse fatta con l'intervento di un agri MENSOr. VAUDE Le obbligazioni. Più largo riguardo ebbe nella S. P. la materia delle obbligazioni: e anche qui sono evidenti le traccie delle concezioni e delle pratiche vol- gari. Il compilatore non penetrava più o credeva superflue le distinzioni della scienza giuridica romana nè ciò avvenne soltanto per quelle che erano suffragate sopratutto da ragioni storiche, ma anche per quelle che, non legate a cause contingenti, paiono sgorgare dalla indole stessa di codesti rapporti. Così non solo nell'opera sua non v'è un’eco neppur lon- tana dell’antico divario fra pacta e contractus e fra pacta nuda e pacta vestita poichè già forse dinanzi alla sua mente vi era un tipo generico di contratto: ma neppur vi si distingue tra contratto di stretto diritto e di buona fede e tra obbligazioni civili e naturali. La buona fede dominava ormai tutta la materia contrattuale ed era principio generale che ogni promessa dovesse essere adempiuta (5): d’altro canto poi la repetitio èn- debiti non era più consentita se non quando un debito inesistente era stato pagato per ignoranza o per errore 0 per dolo (6) credendo p. es. tuttora acceso un debito estinto o di aver una veste giuridica, p. es. quella di erede importante con sè debiti che non aveano ragione d’ essere nel- l'individuo indipendentemente dalla successione (7) o adempita una scondi- zione che invece non lo era. (1) S. P. 8.4.9. Per l’uso di pervadere cfr. S. P. 8.3.6, 9. — (2) S. P. 8.4.8. — (3) S. P. 844. — @S. P. 8:47, 10. —(5) S. P. 23.13; 4.7.7; 418.3 [de quacumque re homo spondiît tenetur]. — (6) S. P. 4.3.1: 46, 8; 4.11, 4. 6; 8.40.15. — (7) S. P.4.3.5. DELLA SUMMA PERUSINA 59 Naturalmente una valida obbligazione (1) non sorgeva se, esistendo nei sog- getti la capacità a contrarre, non vi fossero state anche nella prestazione che dovea formarne l’oggetto i requisiti della possibilità, della liceità (2), della determinabilità (3). Ilecita era la compra delle liti (4) e la cessio 2 po- tentioremi (5) 0 al fisco allo scopo di fatigare il proprio avversario (6): in qualche modo era altresì riguardata come frodolenta la simulazione volen- dosi rigorosamente applicata la regola che #4 valet quod gestum est (€). La rescissione per lesione enorme era però ancora limitata alla vendita. In ogni contratto era sempre insita la clausola di tacita risoluzione se l’altra parte avesse mancato alla sua promessa (8). Anzi se, adempiuta la pre- stazione da una delle parti, 1’ altra agisse in modo da far pericolare la controprestazione si accordava alla prima il diritto di esigerla ante tempus o prima del termine (9). V’era anche tendenza a limitare la responsabilità individuale al fatto (10) proprio (11): e ciò si avverava pur nei rapporti fra padrone e servo chè il padrone già non rispondeva se non in quanto il servo avesse agito per or- dine suo (12). Omai di fronte al principio per ertraneam personam adquiri non posse che escludeva il contratto a favore di terzi vi era quello per extraneam personam obligari non posse: Vuna e l’altra possibilità non na- sceva se non quando vi fosse di mezzo una procuratio pel libero (13) o una in actionem constitutio pel servo (14). Il fondamento della obbligatorietà del contratto era posto nella voluntas dei contraenti (15): e sul requisito del consenso la S. P. ripetutamente insiste. Il consenso dovea essere libero e il negozio giuridico compiuto dal- l’ invitus (16) non avea consistenza. Or, come una vera volontà non s'ha laddove si agisce sotto la pressione del terrore o del raggiro (17) (1) Per le obbligazioni condizionali cfr. S. P. 4.6.1, 2, 3, 4, 5,9 ove indipendente- mente dalle fonti si afferma il principio delle repetibilità del datum sub conditione ove l'adempimento di questa non fosse stato reso impossibile da un caso fortuito [4. 6. 10].— 2) S. P. 8.37.5.— (3) Per le obbligazioni alternative cfr. S. P. 4.5.10. — (4) S. P. 8.36. — (5) S. P. 2. 13.2. La cessione dei crediti genericamente era ammessa [4. 10. 6] e la traditio cartulae era una delegazione di credito [4. 39. 7]. — (6) S. P. 2. 17. 1-2. — (7) S. P. 4. 22. 1, 3-5; 4. 38.3. — (8) S. P. 2. 6.3.— (9) S. P. 4.9. 1.— (10) Atto lecito: [S. P. 3. 35. 1-3; 5.41. 1-3]; voluto e non voluto, ma provocato o non saputo sfuggire con la propria ne- gligenza. Giova qui avvertire che nella S. P.la mnegligertia, ben distinta dall’ ignorantia |5.38.5] e distinta anche del dolus [5. 43.4] o dalla fraus [5. 43.9], veniva spesso a con- tenere in sè un qualche elemento di frode accanto a quello della culpa [4. 6.10; 5.14.11; 5.37.19; 5.37.26; 5.88. 1; 5. 44.5; 5.51.7 megligere et fraudare). — (11) S. P. 4. 10.5 /de- bitum contrai ex voluntate, non aliter]. Però cfr. 3.41. 1-4; 5. 42.2. — (12) S. P. 4. 25.2, 5, 6.— (13) S. P. 4.27.1, 2. — (14) S. P. 4. 25. 1, 3, 4. — (15) Debitus ex voluntate contraîtur [S. P. 4. 10.5). — (16) S. P. 4.539.3 etc. — (17) Circumuentio [S. P. 2,3. 3]. 60 IL CONTENUTO GIURIDICO o dell’ ignoranza (1), così dal vizio del consenso per violenza (2), per dolo (3), errore (4) od ignoranza (5) deriva la nullità dell’ atto: non solo le convenzioni viziate non davano valide azione al creditore, ma il debi- tore avea anche azione per ripetere l’indebito (6). Ma non sempre per la validità: dell’ atto era del resto necessaria una espressa dichiarazione del proprio assenso: questo poteva risultare anche dal fatto stesso, onde pur il silenzio poteva obbligare quando si fosse taciuto là dove, conoscendo l’atto compiuto, nell’ ipotesi di un dissenso la parte avrebbe dovuto rea- gire (7). Per quanto poi concerne il vincolo contrattuale in sè è notevole che la S. P. non faceva dipendere il suo nascimento da un eccessivo formalismo : e cautela più che elemento essenziale del negozio giuridico fu anche la serit- tura (8). E nondimeno la carta era di prammatica e la stessa stipulatio ro- mana, come ben vide il Patetta (9), diventò una sereptura : il documento cuì si appoggiava aveva finito con l’assorbirla in sè e da contratto ver- bale si mutava in letterale. Confrontando il sommario della c. 16. 4.47 parrebbe che la stipulatio e la cautio fossero una medesima cosa, ma forse la stipulatio non fu che il genere di cui la cautio o il chirographum (10) fu la specie. Se una stessa cosa era stata ceduta a due e cioè oralmente all’uno e per scrittura all’altro, ove non fosse intervenuto l’elemento della tradit10, questo prevaleva a quello (11). Con la cessione dei propri diritti sulla cosa il cedente soleva consegnare anche i documenti, in cui essi potevano trovare la loro prova: solo nel caso che questi ancor gli giovassero li tratteneva con sè rilasciando una cautio in cui si obbligava ut quando necesse fuerit manifestaret iWlas (12). L’obbligazione sì estingueva normalmente col pagamento (13) che do- veva esser fatto al creditore o a chi per suo espresso mandato (14) o per le proprie relazioni di dipendenza verso di lui (15) fosse autorizzato a ricevere per lui. Era valido anche se compiuto da un terzo per conto del debitore: e in tal caso di fronte a questo quegli si surrogava nei di- ritti e nei privilegi del creditore. Il pagamento riceveva legge dal con- tratto : se doveva farsi in moneta il mutamento del valore era a carico del debitore (16). All’atto del pagamento, se il debito fosse risultato da una carta, il de- (1) S. P. 1. 18.10; 5.38.5.— (2) S. P. 2.19. 2. 12; 8.37.9; 8.38.4, 5.— (3) S. P. 4.5.3. — (4) S. P. 4.5.3, 7) 11; 8.40.15. — (5) Si Pi 4.5; 4, 6.— (6), S.P. 4:29.5.— (7) S. P. 2.83.29. — (8) ParettA p. 347.—:(9) S. P. 3.29.21. — (10) S. P. 2.23.21. — (11), S. P. 6.42. 24.— (12) S. P. 4.26.13 /debitum reddere].— (13) S. P. 8.42. 5.— (14) S. P. 8. 42. 5. — (15) S. P. 4.10. 1; 8.18..4; 8.19.3. — (16) S. P. 4.2.8. DELLA SUMMA PERUSINA 61 ‘bitore avea diritto di chiederne e il creditore avea dovere di farne la restituzione (1), 0, quando questa non fosse possibile, o anche accessoria- mente a quello, di rilasciare una dichiarazione di quitanza, un desuscep- tus (2) o una securitas (3). Con ciò venivano a sciogliersi le garanzie accessorie dell’obbligazione (4). Alla dazione in pagamento si hanno accenni nella S.P. 4. 44. 9; 8. 42. 20, 24 che provano come fosse sempre ammessa: di notevole v'è poi questo che la S. P. la considerava come una compensatio. La compensazione (5) poi è concepita come una reciproca elisione di mutue petitiones (6) 0 di mutue ragioni di debito e credito (7): nella coesistenza di un debito verso il debitore il credito del creditore agente si riduceva alla differenza fra il loro ammontare e solo su questa si dovevano al caso le usure moratorie (8) che si potevano evitare con l’offerta reale di essa. La compensazione, ammessa solo per debiti liquidi (9), avea luogo anche in riguardi del fisco (10): era esclusa di fronte a debiti derivanti da ven- dita (11). Dalla S. P. non parrebbe che la compensazione fosse 7pso dure operativa di effetti: conveniva che fosse offerta dal debitore al eredi- tore (12). Ancor più sformati appariscono i caratteri della novatio; colla designa- zione di innovatio, che prese il luogo di quella, la S. P. intese generalmente la rinnovazione delle cautiones che periodicamente si faceva per sfuggire alla prescrizione (13) o la documentazione di un debito prima verbalmente contratto (14). Naturale quindi che per essa fosse nulla la novatto di un debito insussistente e necessaria una piena rispondenza tra il documento rinnovato e l’antecedente (15). Dal principio che l'obbligazione dovesse essere eseguita precisamente nel (1) S. P. 3.42.9; 4.9.2. Di fronte al cautionem emittere del creditore al momento dell'accensione del debito sta dunque il cautionem recolligere del debitore all’ atto della sua estinzione. Restituire il documento tanto valeva quanto riconoscere svincolato il debitore da ogni impegno : e il legato che imponeva all’erede di consegnare le cautiones ad alcuno dei suoi debitori fu appunto concepito come un legato liberatorio [8. 25. 7[. Se uguali effetti avesse la conscissio cartae non è chiaro [5. 70. 4). — (2) S. P. 4.2. 17; 4.5.11; 4.30,14; 6.9.7. Doveva esser redatto con almeno tre testimonii e in esso do- veva esservi le dichiarazione del creditore nil sibî amplius deberi [2.4. 24). — (8) S. P. 4.21.15; 4.30.14. — (4) S. P. 8.13.21, 22. — (5) Sulla compensazione nella S. P. cfr. CuturI, La storia e la teoria della compensazione nel diritto civile italiano negli Annali delle Univ. di Perugia, VII. fasc. 4. — (6) S. P. 4.31. 6. — (7) Sî invicem sibi debeant [S. P. 4.31. 4]. Cfr. 4. 16.5. — (8) S. P. 4.31. 4. — (9) S. P. 4.81.1, 3, 13. — (10) S. P. 4.31.9.— (11) S. P. 4.81.9, 10. — (12) S. P. 8.41. 13. — (13) S. P. 8.41.1. — (14) S. P. 8.41.2, 8. In 8.41.4 la innovatio parrebbe valere quanto dilatio. — (15) S. P. 8.42.13; 4.2. 6; 8.40. 1. 62 IL CONTENUTO GIURIDICO tempo e nel modo prestabilito implicava che la fardatto (1) all'esecuzione importasse sempre il pagamento delle usure moratorie da parte del debi- tore (2) purchè naturalmente l’ indugio non fosse invece. imputabile al creditore. In questo caso il debitore sfuggiva agli effetti della mora con la offerta reale (3), su cui la S. P., fin qui trascurata, dà informazioni co- piose e precise. Quando il creditore fosse stato assente o non avesse vo- luto ricevere il pagamento il debitore si liberava depositando il danaro in un sacchetto sigillato (4) presso un terzo (5) o presso una chiesa (6): è appunto questo il deposito che la S. P. indica costantemente con la voce sequestrum (7). Con ciò cessava il corso delle usure (8) e cadeva da parte del creditore ogni diritto di pegno (9). L’obbligazione continuava anche. a perimersi col tempo (10): l’annositas spogliava il creditore dal suo diritto d’agire purchè naturalmente la tac: turnitas (11) non avesse avuto una scusante nell’expeditio publica (12), nel- l'assenza per occupatio o legatio publica (13), nell'età (14). Il termine di prescrizione era da 30 a 40 anni (15). Tra le garanzie delle obbligazioni non richiedono lungo discorso da noi il giuramento e la clausola penale (16): più meritano riguardo il pegno -e la fideiussione che avevano assunto caratteri diversi dai giustinianei. L'’insistenza con cui la S. P. batte sul dovere del creditore pignora- tizio di vendere il pegno al pagamento del debito (17), sul diritto del debi- tore di riscattare il pegno pagando (18) e sul divieto al creditore di occupare sine indice le res sibi oppositae (19) fa credere che la pratica avesse opposte tendenze e che o per fatti implicanti la cessio pignoris in caso di mancato pagamento (20) o per consuetudine si ritenesse insita la clausola commis- soria nell'istituto del pigrus che volgarmente conservava parecchio della fiducia. Il debito aveva tanta tendenza a immedesimarsi col pegno che la perdita di questo per colpa del creditore perimeva l'obbligazione (21). (1) S. P. 7.4.4, 15. — (2) S.P. 4. 32. 16; 4.49.4, 10, 12; 4. 65.2, 17. — (3) S. P. 4.31.12; 4.4.1. — (4) S. P. 4. 32. 6; 8.13.20. — (5) S. P. 4.31.12. — (6) S. P. 7.72.10. — (7) S. PB. 4.4.1; 431.12; 4.326.119); 8.13.20,;. 8:30..3;;,,8.127..8);,8..42..9. — (8) SP. 4.32.6.— (9) S. P. 8.27..8; 8.28.92; 8.30.3.—(10) S. B. 7.36.1, 2; 7. 39.3, 7,9.— (11) S. BP. 736.1. — (12) S. P. 2.50. 1, 4, 8; 2. 51.1, 2; 2.52. 1-3. Il privilegio si estendeva anche alle mogli del meiles [2.51.1-2). — (13) S. P. 4. 53.1, 3.— (14) Cfr. quanto fu osservato a proposito del trattamento giuridico fatto ai minores. — (15) S. P. 7.39.3.— (16) S. P. 2. 3.14; 4.32.15. — (17) S. P. 4.24.11, 12; 8.13.21. — (18) Cfr. recolligere pignus in 4.24. 4. Il riscatto del pegno poteva esser fatto dall’erede [8.13.12]. — (19) S. P. 8. 13. 12. — (20) S.P. 8.13.1, 2; 8.34. 4.— (21) Così spesso, contro S. P. 8.13. 25. In ogni caso poi è strana l’usucapibilità del pegno da parte del creditore [4.24.10; 8.13.5] negata però in 8, 13.8. DELLA SUMMA PERUSINA 63 Legalmente però il creditore non avrebbe dovuto avere altro diritto che quello di vendere il pegno o nell'intero (1) o in una parte corrispondente al suo importo (2) per soddisfarsi sul prezzo ricavato da esso (3) e la ven- dita avrebbe dovuto esser fatta con intervento del giudice. Nella pratica doveano essere invece assai usitate le clausole che permettevano una ven- dita stragiudiziale : ut sè certo die pignum debitor non recolligeretur ven- deretur (4). Nella vendita giudiziale, che era lecita solo se dai frutti del pegno il creditore non avesse già cavato tanto da soddisfarsi (5), l’auto- rità pubblica stessa manteneva securus il compratore di fronte al debi- tore (6). Di regola il pegno era posseduto dal creditore (7) che con patto anti- cretico se ne appropriava i frutti imputandoli 2 debitum in quanto ecce- devano le usure pattuite (8): ma talvolta restava nelle mani del debitore _ avendosi in questo caso una obligatto bonorum affine all’ipoteca (9). Questa obligatio (10) poteva essere generale e speciale (11): per essa il creditore acqui- stava un actio in rem sulla res obligata che gli permetteva di. seguirla nelle mani di ogni possessore (12) senza perciò elidere nel debitore ogni diritto di dominio sulla cosa stessa tanto che eragli lecito pur 1’ alienarla (13). Se il pegno (14) restava presso il creditore (15) questi rispondeva dei de- terioramenti che in esso avvenissero (16): aveva d’altronde diritto a com- penso per le migliorie o per le spese fatte in dipendenza da esso (17). Il pegno poteva esser dato in suppegno dal creditore (18). Più rigorosa si era fatta anche la fideiussione che si contraeva indiffe- rentemente con lo scritto o con la parola (19): invece di fideiubere la S. P. usa la voce sporndere (20) e fidem dicere e qualche volta anche chiama mandator il fiderussor (21) quasi che questo fosse stato un mandatario al (1) S. P. 8.27.2. — (2) S. P. 8.27. 6. — (8) Il ricavato oltre l’importo del debito dovea esser reso al debitore [8. 29. 1]: chè se il ricavo era inferiore a quello il creditore manteneva, per la differenza, delle ragioni di credito contro il debitore e gli eredi [8. 27.3]. — (4) S. P. 4.24. 4. — (5) S. P. 8.27.1. — (6) S. P. 8.27.13; 8.29.5.— (7). S. P. 8.13.5; 8. 19.2; 8.23.1; 8.27.2, 3.— (8) S. P. 8.24. 2.— (9) S. P. 4.24.9. — (10) Obligare, pi- gnorare in S. P. 8.13. 16, 14; 8.14.1, 4; 8.15.3.5, 8; 8.16.3. Invece si usa opponere in S. P. 7.32. 9; 8. 13.9, 12, 13; 8. 14. 6; 8.15. 1. L’ipoteca appare in S. P. 7.72. 10.—(11) Obli- gare omnem substantiam [S. P. 8.13.2. cfr. 4.18.2; 8.25.3]. Ipoteche tacite in S. P. 4.14. 6 [dei figli sui beni delle madre tutrice], [del locatore pei beni del locatario in caso di mancato pagamento dei fitti]. — (12) S. P. 8.13.24, 15; 8.28. 1. Il debitore non poteva costringere il creditore alla persecutio rei [8. 13. 14]. — (13) S. P. 8. 18. 14. Il punto è dubbio. — (14) Erano inpignorabili le res religiosae [S. P. 8.16.1]; le cose altrui [S. P. 8.16. 2.5], le persone libere [8. 16. 6]. Il pegno dei documenta agri si risolveva in pegno dei fondi stessi [8. 16.3]. — (15) Fino a pagamento del debito [S. P. 4.10.10; 4.39.8; 8.23.1. — (16) S. P. 4.24 5, 6.— (17) S. P. 8.13.6. —.(18) S. P. 8.23.2.— (19) S. P. 8.40.12, 27.—(20) S. P. 8. 40. 12; 8. 41.1; sponsiofideiussio in 4. 65. 7.—(21) S. P. 8. 40.22. 8. 64 IL CONTENUTO GIURIDICO pagamento. La posizione sua s'era infatti aggravata molto di fronte a quella che aveva per diritto giustinianeo : se non era sostituito al debitore principale esso ne diventava quasi un correo (1); eil creditore poteva ri- volgersi indifferentemente a quello e a questo (2). E per tal guisa era sì rafforzata la garanzia personale che con essa si riscattava il pegno (3). V’era d’altronde nel debitore l’ obbligo di conservare fidesussorem (4) e il fideiussore pagato il debito avea contro di lui un diritto di regresso (5). Prestar fideiussione era negato non solo alle donne, ma ai mltes (6) e, cosa notevole, ai curzales (7). La solidarietà non sì presumeva (8), ma doveva essere tassativamente convenuta dalle parti (9): nel caso di solidarietà passiva il debitore soli- dale aveva regresso verso i suoi colligantes o condebitori (10). Il debitore insolvente poteva essere coatto giudizialmente al pagamento, e, se non pagava, era carcerato: volendo sfuggire alle 222uria carceris o alla custodia (11) poteva però ottenere ai creditori la 2nduciae quinquenna- les (12) o procedere alle cessio bonorum. E si può ora passare all’esame dei contratti speciali. La vendita, che, come ogni altro contratto, per esser valida dovea essere immune da violenza (13) e dolo (14) e liberamente contratta (15) tra sog- getti capaci di diritto (16), diventava perfetta con lo scambio tra il prezzo e le merci (17): non era più un contratto essenzialmente consensuale, ma uno scambio diretto che solo con patti accessorii poteva scindersi in più momenti concedendosi p. es. delle dilazioni nel pagamento del prezzo (18) o nella consegna della cosa. Dal momento del pagamento del prezzo il compratore era considerato come il domznus rei (19) sì che a lui andavano i frutti della cosa stessa (20) e il venditore non poteva di questa ulterior- mente disporre con alienazioni (21) o manumissioni (22): fino al momento della traditio questi, che per la mora era tenuto al quod è@nterest verso il (1) S. P. 8.40.11. I più fideiussori non erano però solidali fra loro [8. 40. 3, 10, 20, 26]:-— (2) S. P. 8. 40. 5. Non solo nel caso che il debitore fosse assente [8. 40. 3].—-(3) S. P. 8. 40.2.— (4) S. Pi 2.192.1.— (5) S. P. 4.35.10, 18; 8.40.11. — (6) S| P. 4 65.81. — (7) Si Di 4. 65.30. — (8) S.P. 4.2. 5; 2.3.27. — (9) S. P. 4. 18.2; 4.2. 5; 4. 65. 14. Parrebbe poi che la formula della obbligazione solidale fosse questa: singulî et în solido cavere [4.2. 5; 17.55.1].— (40) S. P. 4.2.12. — (11) S. Pi 7.17.19; 1207014. — (12) S. PI Mov do- vevano essere concesse dall’ assemblea dei creditori. — (13) S. P. 4.44.1; 4.45.1.— (14) S. P. 4. 44. 5; 4. 48.3. — (15) S. P. 3. 38.11, 13. L’actio de dolo doveve farsi valere intra annum [7.5.6]. — (16) Cfr. quanto ebbi a dire parlando dei minori, degli infermi di mente; delle donne. — (17) S. P. 4.99. 4. Cfr. Arnò. La Const. 2 Cod. 4.48 nella Sum- ma Perusina, Modena 1902 estr. dall’Arch. giur. — (18) S. P. 4. 54.2. — (19) S. P. 4.49.5. — (20) S. P. 4.49, 13,16 [i parti delle pecore]. — (21) Il verbo alienare è sinonimo di ver- dere in'Si iP. .3:37-dl: — (22) ST! 4049) 11. DELLA SUMMA PERUSINA 65 compratore (1), rispondeva dei deterioramenti o della perdita della cosa venduta e la sua responsabilità era sì rigorosa che comprendeva persino le perdite derivanti dalle incursioni o dai saccheggi dei nemici (2). La vendita poteva effettuarsi anche per mezzo di rappresentanti ed era quindi ammessa fra assenti (3): pur se fatta con denaro altrui si inten- deva conclusa in nome di colui che forniva i denari (4). Il procuratore però non poteva vendere senza mandato speciale (5) e la vendita o la com- pera fatta dal negotiorum gestor non si validava se non colla ratifica(6). Continuava ad essere vietata la vendita della cosa altrui (7) od obbli- gata altrui (8) e della cosa litigiosa (9) e si mantenevano pure i divieti per la vendita delle vestes regales (10), dei publica frumenta (11), per la compera degli eunuchi (12) e per la vendita di merci (13) e sopratutto di armi (14) ai nemici (15). Nella vendita di servi od animali si ammetteva la rescissione per vizii redibitorii (16): la S. P. sì occupa anzi specialmente dal servo wztiosus e sopratutto del servus fugax (17). Il venditore non rispondeva per la fuga se già prima non avesse conosciuto questo vizio e se si fosse appurato oltre I’ anno della consegna (18): ricorrendo gli estremi della redibizione il compratore avea diritto alla restituzione del prezzo e al quod costituzione della ipoteca [4. 2. 14).—(22) S. P. 4. 6 3.4; 4.9.4; 4.30.2, 13, 15. — (23) S. P. 4.28.2. DELLA SUMMA PERUSINA 69 un'eccezione per riaver la cautzo (1) ed annullare il negozio giuridico già con- cluso (2). Codesta querela de non numerata (3) o non tradita (4) pecunia dovea però esser fatta valere entro un certo termine (5) che ora era di un mese (6), ora si estendeva ad un’intero biennio (7): trascorso quel tempo la cautio faceva piena prova (8). Ma tale eccezione, che si poteva muovere e contro il mutuante e contro il suo fidezussor (9) o il suo actor (10), non era più ammessa se già il debitore avesse cominciato la restituzione del suo debito (11). Dal mutuo la S. P. distingue bene il conmodato o praestitum (12) stabilendo che della perdita della res comodata il comodatario non rispon- desse se derivava da caso fortuito (13): ma l’avvicinò invece alla locatio è UsUM. Più a lungo s’intrattiene sulla commerdatio o sul deposito che conobbe nella doppia forma del deposito irregolare e del deposito regolare. Nel primo caso, che si verificava generalmente quando oggetto del deposito fosse del denaro (14), v'era solo 1° obbligo di rendere il tantundem della cosa depositata: nel secondo invece dovea rendersi precisamente la cosa stessa (15), nè era permesso l’usarne per utilità del depositario. Altrimenti questi era tenuto a pagare il quod interest al depositante (16) o a rifondere il doppio valore della cosa (17). Anche il depositario non rispondeva del caso fortuito: bensì della culpa lata e levis. Sottospecie di deposito indi- viduato per caratteri proprii figurano nella Summa il sequestrum e il de- posito delle carte in cui il depositario era obbligato all’ esibizione di esse ogni qualvolta occorresse al suo avente causa (18). Qualche norma a sè speciale aveva il mutuo marittimo, di cui pur si occupa la S. P. mostrando di esser stata redatta in un luogo dove la navigazione a scopo commerciale non era del tutto caduta e forse accanto ad una navigazione di piccolo cabotaggio ve n'era ancor una che si av- venturava in alto mare sopratutto verso la costa africana (19). Essa con- templa specialmente il rischio delle merci o denari spedite per mare : in- combeva di regola al creditore (20), ma si riversava poi sul nauelerius 0 sull’assuntore del mutuo se la nave teneva una rotta diversa da quella fissata quand’anche la perdita del carico derivasse da forza maggiore (21). (1) S. P. 4.30. 1. — (2) Ciò si desume dall’ uso del verbo replicari in S. P. 4.30.2.— (3).S. P. 4.30. 4,5, 6.— (4) S. P. 4.30.1. — (5) Intra certum tempus [S. P. 4. 30. 7, 8, 16]. 2 (6) S'P; 480/14 — (7) S. Pi 4.30.14. — (8) S. P: 430.7. — (9) SP. 4.30.11. — (10) S. P. 4.30.16. — (11) S. P. 4.30.4. — (12) S. P. 4.23.1. — (13) S. P. 4.23.2. — (14) S. P. 4.35.7,8.—(15) S. P. 4. 84. 1.10. —(16) S. P. 4. 34.3, 4. —(17) S. P. 4.34.3. — (18) S. P. 4. 34.5, 6.— (19) S. P. 4.33. 4. — (20) S. P. 4. 33.2. — (21) S. P. 4. 33. 4, 5. 0 IL CONTENUTO GIURIDICO Delle società la S. P. tiene sopratutto presente la forma in cui alcuni soci contribuivano col capitale (1), altri coll’opera: e forse quella appunto intese col nome di collegium (2). Qui scorgeremmo dunque una forma analoga alla colligantia veneziana : mentre piuttosto si potrebbe ravvisar la compagnia nel consortium (3) in cui i soci contribuivano tutti al capitale sociale di- videndo communiter le cose communiter acquisite (4). Tipo della societas om- nium bonorum dovea essere la società fraterna poichè la S. P. parla ripe- tutamente di fratres laddove le fonti parlano di soci? (5). Notevole è poi che la S. P. considerò come causa di rescissione della società Il infermità del socio (6) e senti il bisogno di chiarire che non la scioglieva invece il raggiungimento degli Ronores da parte del socio (7). Interessantissimo è anche l’accenno che al contratto di soccida si trova nella S. P. 3.3.8. tra i più antichi che di esso si parlino; la divisione dei frutti soleva qui farsi ope iudicis. Il mandato era variamente concepito ora come una mandatio actionis (8), ora come una procura ad lies, ora come una commissio negotit (9) che poteva farsi anche per litteram (10). Il mandatario doveva curare diligentemente gli interessi del mandante rispondendo del dolo e della colpa (11): e gli acquisiti fatti da lui si consideravano fatti senz’altro dal mandante (12) che. se quello tardava nella consegna delle case per lui comperate, avea diritto a ripeterle (13) cogli interessi (14). Il mandatario aveva d’altronde azione verso il mandante per recipere expensas (15) vale a dire per farsi indennizzare delle spese (16). Anche il negotiorum gestor fu considerato come un quasi actor (17)i cui atti traevano validità dalla ratifica di colui per cui avesse amministrato (18): la sua frode non nuoceva al domznus (19). Il mandatum come institutio ad agendam actionem si confonde invece colla locatio (20): l’actor in tal caso non era che un conductor, cui natu- (1) S. P. 4 37.1.— (2) S. P. 4. 66.1. Altrove significa corpus [6.24 8]. Collega socius È 35: 1: socius in 8.20.1; 8.40.11. — (3) S. P. 438.1. — (4) S.P. 4.37.3. — .(.— (6) S. P. 4.37.6.— (7 S. P. 4.37.7. Agendo pel socio conveniva dare E cautio de ratihabitione (3.40.22). — (8) S. P. 4. 35.3:4,5,6,22; 8.40.14 — (9) S.P. 4 50.7. — (10) S. P. 4 35.7. Il mandato si scioglieva con la morte del susceptor 4. 35. 15.— (11) S. P. 4.35.13; 6.10.13. Senza mandato non si poteva esigere l’altrui credito 8.42. 5]. Per mandatum obligari [8.42.13]. — (12) S. P. 4. 50.7. — (13) S. P. 4. 35.14 (14) S.P. 4 35.18. — (15) S-P. 4. 35.4. 11. — (16) S.P. 4 35.4, 6,10, 11,18. —(17) S. D. 8.37.3. Aveva diritto a rifusione delle spese [2. 18.3, 10, 12, 14, 16, 17]. — (18) Utili- tatem agere [S. P. 2.18.24) senza proprio interesse [2.18.20] pro bora voluntate, bona fide [2.18.18]. — (19) S. P. 8.42.19. — (20) S. P. 2. 20. 5. Sul significato di actio ad- ministratio vedi S. P. 5.48.1; 4. 25.1. DELLA SUMMA PERUSINA tal: ralmente non era concesso di vendere o di transigere senza l’assenso del padrone (1). I doveri di codesto acceptor o susceptor actionis (2) sono ben definiti nel doc. farf. 45 del 757 in cui l’actor si assumeva appunto di actionem in curte tenere et sine omne meglecto vel fraude laborare et quales- cumque cause agende essent in ipsa erunt tam de terris quam et de fami- lis et casis peragere conservando il tutto fideliter tamquam proprias cau- sas etc. Quindi esigeva i censi, fermava il suo fuggitivo etc. Dalla S. P. 4.7.5 potrebbe dedursi che fosse in uso e considerato come giuridicamente lecito il contratto di prossenetico: non si comprenderebbe diversamente la necessità di affermare valida la dati0 pro accipienda urore mentre la costituzione riassunta e fraintesa fa parola della mercalis uxor a meno che non sì ritenesse così indicato il prezzo del mundio. L'atto della transazione (3), che era caratterizzato sempre dall’aver per oggetto una res dubia (4) sia che avvenisse in giudizio o fuori (5) dalla S. P. è solitamente indicata col verbo pactuare (6), ma qualche volta anche con il verbo finire (7), il che suppone una sinonimia tra la voce transactio e le altre pactum e finis (8). Essa poteva essere stabilita con lo scritto e con la parola (9): ed era di solita implicita nella securztas (10). La S. P. inculca ripetutamente lo stretto dovere di attenervisi (11): ma per affermarla solevasi pur ricorrere a clausole penali (12) con l' in- terposizione della stipulatio aquiliana (13) o al giuramento (14). Non si potea transigere per azioni penali (15) nè, nel campo civilistico, per liti alimentarie (16). Un elemento transattivo era pure insito nel contratto divisorio che per essere inattaccabile (17) doveva essere redatto in iscritto (18) o affermato con giuramento (19). La ripartizione dell’asse ereditario in quote soleva forse esser fatta privatamente tra fratelli o soci (20) quando tutti fossero maggiori: ma essendovi in giuoco l’interesse di minorenni era certo neces- sario l’intervento del giudice (21). La S. P. conferma ripetutamente l’obbligatorietà del compromesso (22): (1) S. P. 2.4.7; 2.12.18. Il dominus poteva pur dicere contro la compera fatta dal- l’actor in suo nome [4. 39. 3]. — (2) S. P. 4. 35.5. — (3) Non poteva naturalmente tran- sigere chi non poteva obbligarsi come il furioso. Cfr. S.P. 4. 38.2. — (4) S. P. 8. 42. 6. — (5) Si 24.20. — (6), S.P. 3.46;.9;,7..60:.3; 2.31.23. — (0) Sì P. 2.24. 4 (8) S.P. 2.4.37.— (9) S. P. 2.4. 6,28, 33.—(10) S. P. 2. 4. 4, 24, 25.— (11) S. P. 2. 4,2, 4.5, 15, 19, 22, 26, 27, 28, 29, 80 salvo naturalmente la frode [2.4. 12,19, 21] e l’errore essenziale [ 19].—(12) S. P. 2. 4.40.—(18) S. P. 2.4.3. — (14) S.P. 2.4. 41; 2.12.18. — (15) S. P. 4.18. — (16) S. P. 2.4.8. Fatta la transazione non era lecito cercar di annullarne l'efficacia con la contestazione di stato con la dictio de fide generis. Cfr. S.P. 2.4. 10.— (17) S.P. 3. 38. 18; 3.37.38. — (18) S. P. 3. 38. 6. — (19) S. P. 3. 38. 6. — (20) Naturalmente anche il contratto divisorio era infirmato se doloso o frodolento [3. 38. 3; 4. 21. 9].—-(21) S. P. 3.37.1-5; 3.38. 5, 10. — (22) S. P. 2. 55.3. Almeno se era fatta o cun scriptura [2. 55. 4). 4 4 72 IL CONTENUTO GIURIDICO il lodo dei compromissarti (1) a differenza di quello degli dudices arvitres (2) era inappellabile (3). Si soleva corroborare con una penale da pagarsi dal contravventore (4). Non si poteva compromettere nelle mani di una donna (5). IX. Diritto penale. Alla larga massa di notizie che la S. P. ci offerse intorno al diritto privato non risponde quella che se ne può trarre ne’ riguardi del diritto primitivo: la parte che di questo trattava ex professo andò infatto per- duta. Ma qualche dato non trascurabile si può ricavare anche da ciò che è rimasto (6). Intorno alla imputabilità e alla responsabilità di chi commise un reato (7) la S. P. non si ferma presupponendo un sistema già fissato per comune con- senso: la S. P. 2. 34. 1, 2 potrebbe a tutta prima interpretarsi nel senso che la minor etas non costituisse una discriminante, ma in realtà vuol dir solo che al minore il quale avesse avuto l’animus nocendi non si accordava la restituzione in integrum. Piuttosto è notevole l'affermazione del tutamen inculpatae tutelae per chi uccideva il ladrone sul fatto (8) o il mdles sul l’atto stesso della violenza (9). Il complice era punito come il reo prim- cipale (10). La responsabilità criminale veniva d’altronde considerata come un quid personale : non si trasmetteva all’erede (11) e non risaliva più dal servo al padrone in quanto la responsabilità civile del padrone non faceva sfuggire il servo alla punizione legale (12). Il sistema penale stesso, quà mitigato là inasprito, non era precisamente il giustinianeo. La deportatio era andata in disuso e veniva confusa o con (1) Pareva fossero legati da giuramento [S. P. 2. 55.4]. — (2) Cfr. p. 16.— (8) S. P. 2.55.5; 3.11.2; 3.13.1. — (4) S. P. 2.55.5. — (5) S. P. 4.55.6.— (6) Fissato il prin- cipio che qui contra legem agit penis subiacebit la S. P. si rimette appunto alle leggi per le singole determinazioni di esse [6.2.9]. In più luoghi si limita ad indicare che un'azione dovea tenersi per delittuosa senza richiamar la pena. Cfr. S. P. 22.28.33 [interdizione altrui della facoltà di testare]; 3.1.10 e 3.12.13 [conven- zione ad un secondo giudizio dopo aver già adito un primo giudice]. — (7) Cfr. la dizione criminalis udmissio in S. P. 3.41.4 e le altre crimen admittere [3. 24. 1, 3), aliquid mali admittere [3. 26. 9] e l’admissum della S. P. 3.41.38. Per la violazione della legge la S. P. 3.26.8 usa praeter facere in generale: il crimen denotava una violazione grave. Notevole è anche la frase dn crimine iacere [7.16.37]. — (8) S. P. 3.27.1. — (9) S. P. 3.27.2.— (10) S. P. 1.2.41.— (11) S. P. 6.2. 14. — (12) S. P. 6.2.21. DELLA SUMMA PERUSINA 73 l’exilium (1) che importava la perdita dei diritti civili (2) o una deminu- tio capitis (8). Della pena di morte le forine più frequenti erano la susperszo (4) o la decollatio (5): in qualche raro caso la crematio (6). Alle condanne capitali (7) conseguiva poi normalmente la confisca (8) definita come un’amiss.0 sub- stantiae (9) o rerum (10). Che si ricorresse al carcere perpetuo (11) non pare: il carcere più che una pena a sè era un mezzo per costringere a soddisfare le pene pecu- niarie (12). Invece, benchè usati per lo più come strumenti di costrizione alla confessione (13), furono anche pene a sè i tormenta (14) così come la fustigatio (15) o la corporalis disciplina (16). (1) S.P. 6.24. 1. — (2) S.P. 7. 12. 1; 7, 66, 3; 3. 36. 5. L'esilio comminavasi contro l’apostata [S. P. 1.7.6], ei matematici oi maghi [1. 3. 10], contro l’ebreo che circoncidesse il cristiano [1.9. 14], contro il giudice che violasse le consuetudini locali [4. 63.6]; contro il pre- fetto che non osservava le norme di legge pel libellus cornventionalis [1.50. 2], contro chi mutuava danari al giudice per compere illecite [4. 2. 16], contro il tutore che si appro- priava i beni del minore {8. 4.6], contro chi usava di titoli abusivi [2. 14.1; 2.15. 2]. — (3) S. P. 6. 54.9. — (4) Più rara della decapitazione. — (5) Contro lo stupratore di monache [S. P. 1.2. 41], contro il giudice militare che si ingerisse nel civile [3. 13.5]. — (6) S.P. 1.9.2 contro l’ ebreo che ostacolasse la conversione del correligionario. La pena del rogo fu invece soppressa dalla S. P. 3.26. 9.—(7) Le frasi generiche capite puniatur {S. P. 1.2.5, 10; 1. 47. 1] od occidutur [1.10.1; 1.12.5] o ad supplicium veniat [1. 12.4] o poena supplicii consequitur [1.21.3] o supplicîis adfligatur [1.8.1] non permettono di stabilire il genere di morte inflitto a chi ingiuriava gli ecclesiastici nell'esercizio delle loro funzioni [1.2.10], a chi fa- ceva tumulti in chiesa [1.12.74], a chi vendeva i pubblici frumenti [4. 40. 3. 4], ai malefici [1.10. 1], ai manumissori dei servi altrui [4. 55. 4], ai violatori dell’ asilo ecclesiastico [1.12.5], al giudice che traesse al giudizio una matrona [1. 47.1], a chi segnava la croce in luoghi turpi [1.8.1], a chi appellava a lite non finita [1.21.3]. — (8) Comminata contro chi carpiva surrettiziamente un rescritto [S. P. 2.6.8], contro l’ uccisore del servo fiscale [2.26.2], contro il dissipatore dei public ornatus [8.16.6,7; 8.10. 99], contro chi abusava dei tituli publici [2.15.1), contro il servo che non difendesse il padrone [6.35.12], contro chi non vendicava il de cuius [6.35.3].—(9) S. P. 1.5.6; 1.39.8. — (10) S. P. 1.5.8; 1.12. 6. O bororum [1.32.4]. Anche trovasi detta preseriptio bonorum [1.50.10], infiscatio [1. 7.1; 2. 6.8], adfiscatio [1.32. 4; 2. 6.8], publicatio [1.7.2]. V’era pure una confisca speciale consistente nella perdita del grado o dell’onore [2. 7. 15; 3.13.7; 2.7.14; 1.11.1; 1.2.30] o di singoli negotia [2. 1.24; 2. 5.5; 3.15. 6] o cause [6. 35. 3]. — (11) S. P. 7.2. 11. Mitigazioni del carcere in 1. 3. 4, 9. — (12) Codeste multe, concepite come dationes al fisco [S. P. 1.39.14; 1.41.2; 1.44.2; 1.48. 1; 1.50. 3; 1. 53. 1. ete.] vanno nella Summa Perusina dalle 3 [1. 30.4; 1.47.3], alle 5 [8.2.1], alle 6 [8.11.12], alle 10 [1.50.5,6, 13; 4.65.32], alle 20 [2.12.25; 7.65.6], alle 30 [1.41.2; 1.54.10], alle 50 [1.2.13; 1.9. 16; 132.2; 1.39.14; 1. 44.2; 1. 48.1; 1. 22. 3; 2. 7. 65.8. 11.8, 19; 8:12..1; 7. 65. 5], alle 100 [1.3.14; 2.6.8], alle 150 |1.39.6], alle 300 lire [1. 2.22; 2.15.2]. Lo ius multandì [1. 50.12; 1.39. 9, 15; 1.53. 1; 8.11.8, 9] par negato al procurator fisci [1.53.2]: il pre- fectus pare l'avesse sino a 50 lire [1. 53.4]. — (13) S. P. 4.62.12. — (14) S. P. 1.6.4; 8.16.7. — (15) S. P. 1.39.12; 1.74.12. N’erano esenti i curiales (2. 11. 3, 14]. — (16) S. P. 3.2.1. Servitù come pena in 4.61.11 per chi esportava sale. 10 T4 IL CONTENUTO GIURIDICO L’infamia o la decoloratio (1). oltre al conseguire alle sentenze capi- tali (2) e alle condanne per ingiurie ai magistrati (3) o per calunnia (4) o per peculato (5) era pena a sè per il giudice prevaricatore (6) o dene- gante giustizia (7). pel senatore violento (8). per l’elettore simoniaco del vescovo (9), per il compratore doloso di refurtiva (10), per il dilapidatore di sostanze a lui affidate (11). per l’ usuraio (12), pel violatore di patti giurati (13). pel litigatore temerario (14), per la monaca scostumata (15). per la vedova che violava l’anno del lutto (16), per chi dava ludibrio di se stesso (17). Dei reati contro lo stato la S. P. combatte anzitutto il reato di lesa maestà assimilato ancora al sacrilegio (18) con l’ offesa alle statue impe- riali (19), il temerario ingresso nel cubiculun dell’imperatore (20), la negata obbedienza alle 2ussiones amperatorum (21) e i reati contro la si- curezza dello stato come il porto d'armi ai nemici (22). Quindi gli atten- tati alla publica prosperità come la vendita dei pubblici frumenti o di terre pubbliche (23): la renitenza al pagamento dei tributi (24); le com- binazioni monopolistiche (25); l'usurpazione dei pubblici edifici e statue (26). Poi l'abuso nell’ esercizio delle pubbliche funzioni da parte di ufficiali come l'assenza dalla loro sede (27). la prevaricazione (28), la. violazione della competenza altrui (29), le pignorazioni arbitrarie (30), le negligenze nell’ammimistrazione (31), le esazioni indebite (32), le multe eccessive (33), le convenzioni arbitrarie (84), il rifiuto di accogliere appelli e reclami (35), le sentenze ultronee (36) e d’altro canto le manovre per deviare i giudici e gli amministratori dal loro ufficio con appelli abusivi (37) e corruttele (38). Infine l’usurpazione di pubblici uffici (39) e l'esercizio di pubblici poteri allo scader delle cariche (40). Di reati contro la religione e la chiesa la S. P. contempla in primo (1) S. P. 1. 2.29; 1. 24. 1; 1. 53. 1; 5. 30.2; 2.19.6.—(2) Non però al carcere [2. 11. 1] o alle fustigatio (2.11.15] se non era accompagnata da una clamatio preconis, nè all’ am- monitio [2.11.19]. — @) S. P. 2.11.5.— 4) S. P. 2.11.10. — (5) S. P. 2.11.6,9. — (6), S.P. 21116; 15301 — (0) SD. 1762) 19.21. — (8) S°P! 2:19.65 — (9) SP 12829) — (10) S. P. 2.11.8.— (11) S. P;2.11.12. — (129) S. P. 2.11.20. — (13) S. P. 2.11.18, 22 e pel violatore di testamento [4. 55.4], non per chi rifiutava l’ eredità paterna, [2. 11. 7, 11).—(14) S. P. 2. 14. 1.-— (15) S. P. 1.3.3. — (16) S. P. 6. 55. 4; 2.11. 15.—(1%) S.P. 2. 11.21. —(18) S. P. 1.23.5.— (19) S. P. 1.24.2,3.—(20) S. P. 1.47.3.—(21) S. P. 1.39.1.— (22) S. P. 4. 41.9. — (23) S. P. 4.40.3, 4 — (24) S. P. 4.61, 4 — (05) S. DB. 4.592. — (6) S. P. 1.24 1.— (27) S. P. 1.39.15; 1.44.12. — (28) S. P. 1.26.3._ (29) S. P:1.32.2; 1.44.2. — (80) S. P. 8.16. 7; 9.3.2.1.— (31) Perperam agere [S. P. 1.39.12, l'7].— (82) S. P. 1.39, 0,8; 1.4. 15; 1.50.3. — (33) S. P: 1.53. 1. — (34) S. P. 1. 47.1. — (35) S. Pi 1.223; 1.41.2. — (36) 1.50.2. 11. L’ordinar viaggi in stagioni vietate [S. P. 1. 39. 6]. —(37)S. P. 1.21.3. Quindi fu mantenuto per essi il sindacato [1. 48.1; 1.50. 3]. — (88) S. P. 49.1,2; 8.1. 10. — (39) S. P. 1.31.4. — (40) S° Pi 1.397. DELLA SUMMA PERUSINA (19) luogo l'eresia (1) e l’apostasia (2), poi l'esercizio della matematica o della fattucchieria (3), il disprezzo della croce (4), la simonia (5), l’impedimento al sacerdote nell’esercizio delle sue funzioni (6), la violazione della giurisdi- zione ecclesiastica (7). Una speciale protezione fu data alle persone degli ecclesiastici e specialmente del vescovo o alle proprietà della chiesa (8): e certi delitti furono puniti più gravemente (9) se commessi contro o da per- sone ecclesiastiche. De’ reati contro le persone si ricorda il plagio (10) o la vocatto di per- sona libera è servitutem (11), l eunuchizzazione (12): de’ reati contro la libertà individuale la coazione al testamento (13); de’ reati contro la fa- miglia la mancata vendetta del parente ucciso dai servi (14): de’ reati contro la persona e l’onore lo stupro e il ratto aggravato se si trattava di donna sacrata (15), e le ingiurie al clero o al magistrato (16). Il furto, concepito come un’occulta delatio rei alienae (17), era general- mente punito nel quadruplo (18) così come il peculato (19) e il furto ca- lamitoso (20). Al furto fu assimilata l'assunzione di danaro da un servo altrui (21) e l’impiego abusivo del denaro dato in accomandita (22): il ricettatore era punito come il ladro (23). Il duplum si pagava invece pei danni recati alle proprietà altrui (24), per la morte colposa di animali (1) S. P. 1.3. 6; 1.6.2. Confisca ai nestoriani [1.5.7]; tormenta ai religiosi che non fossero ossequenti ai loro presules [1.6.4]. — (2) S. P. 1.7.6 con pena capitale; 1. 9.2 pena del rogo al giudeo che vieta al giudeo di farsi cristiano; 1.9.13 esilio al giu- deo che circoncide il cristiano; 1.7.1,2,5 confisca al cristiano che si fa giudeo, 1.10.1 pena capitale a chi cerchi di convertire il servo. Gli ebrei conservavano le loro sinagoghe [1.1.6], ma una multa di lire 50 era imposta a chi ne edificasse di nuove [1.9. 16]. — (8) S. P. 1.11.1,3 pena capitale ai maleficî, 1.3.3 esilio ai mathematici. — (4) S. P. 1.8.1: pena capitale a chi segnasse la croce în turpibus locis. — (5) S. P. 1.2. 29. — (6) Pena capitale contro chi inquietava il vescovo nelle sue funzioni [1.2.10) o mentre sedeva in sacrario [1.2.14|. — (7) Multa di lire 50 al chierico appel- lante dal vescovo al giudice pubblico [S. P. 1.3.24]. — (8) Qui si notano molte dispo- sizioni nuove come quelle che multavano in 300 lire d’oro l’accusatore ingiusto del ve- scovo [S. P. 1.2.22] e in lire 50 chi violava i privilegi ecclesiastici e che condannavano alla confisca e alla perdita del grado l’ executor che convenisse malamente il vescovo {1.2.31].— (9) Stupro di monache punito con pena se [1.2.5]. Turpitudini mo- nacali 1.3.2. — (10) Definizione in 3. 15.2. Cfr. 7. 16. 6,37; 7.49. 1, 2.— (11) S. P. 7.14. 5. — (12) S. P. 4.42.1.— (13) S. P. 6. A 1-3; 2.28. 23. Un S. P. 6.35. 3,12. Concubinato punito in 7. 15.3. — (15) S. P. 1.2.41. — (16), S. P. 1.2.10. — (17) S. P. 4. 20.3. Sociare sibi rem alienam è sinonimo di ci in S.P. 1.24. 1. Il furtus è contrapposto alla vio- lentia in 2.19. 1. — (18) S. P. 3.41.4; 1.2. 11. Dalla S. P. 4.8.1 parrebbe che in caso di complicità il quadruplum non si esigesse singolarmente dai correi, ma una volta per tutti. — (19) Il quadruplum si dava anche per le vendite imposte con la violenza se agivasi entro l’anno. Furto e occultatio di servi in S. P. 6.2.6, 10, 14, 20. — (20) S. P. 6.2. 16. — (21) S. P. 1. 16.1. — (22) S. P. 6.2.1. — (23) S. P. 6. 2.12. — (24) S. P. 3.35. 4. 76 IL CONTENUTO GIURIDICO indebitamente catturati (1), per l’uso della cosa comodata (2) o deposi- tata (3) o del servo affidato per la nutrito (4), per l'invasione violenta delle proprietà altrui (5), per la eccedenza nell’ esazione dei tributi (6), pel rifiuto di rendere la cosa presa in conduzione (7). La manumissione del servo altrui era punita nel duplo se il servo era di privati, nel triplo se del fisco (S). La rimozione dei confini era punita colla perdita della res (9): la ven- dita frodolenta di sè stesso colla perdita della libertà (10). Dei delitti di falso, che si ricordano nelle fattispecie della falsificazione di documenti (11) e degli incendi dolosi non si specificano le pene (12). (1), S. P. 3.35.5. — (2) S. P. 6.2.18. — (8) S.P. 4.34. 3. Per la vendita della cosa altrui cfr. 8. 44. 63; 4. 52.5: essa è raffigurata come furtumin7.26.7.Ilduplum si doveva anche nelle predationes a danno di giudei e pagani [1. 11. 6].— (4) S. P. 6.2. 15. — (5) S. P. 8.4.5, 7, 10, 15. — (6) S. P. 2. 11.2. — (7) S. P. 4.65.33.— (8) S. PB. 7.10.7. Cfr. pure 2.30.3. — (9) S. P. 3.39.4. — (10) S. P. 7. 13.5; %. 18.5. — (11) S. P. 4.20.2, 30; 4.42.22. Falsificazione della subscriptio imperatoris in 1.23.6. La frodolenta richiesta di rescritti contrarii ai senatusconsulta era punita con la confisca del terzo degli averi [1.17.1] e con piena confisca punivasi se per essi si nominava avvocato un non cristiano [2. 6.8] comminandosi insieme la confisca della metà dei beni al giudice che 1’ avesse preso quale assessore. — (12) S. P. 3.35. 2. z 004 2 E x * perc 14 peo: ) + 0 <=» + + ===» | + Cn» + + <=» + + cus è MUMMIA MSM MM UM UAMASUMAASAMSANSSAMNAS TA AMAMI SI STIT VT APPENDICE I. Età e patria delle Adnotationes. L'esame or compiuto, richiamando nel fiotto della storia viva un monumento troppo spesso trascurato come irrilevante o incomprensibile, conferma essenzial- mente in rapporto alle questioni dell’età e della patria sua le conclusioni del Conrat e del Patetta. La immunità dall’ influenza del diritto longobardo ac- certa invero che fu redatto fuori del regruz largobardoram e malgrado alcune note stilistiche grecizzanti, come l’uso del verbo al singolare col soggetto al plurale (1), e malgrado il ricorrere di termini specialmente usati nel raven- nate (2), poichè nè l’uno nè l’altro fatto può considerarsi assolutamente pecu- liare di quella regione, convien pensare che la origine romana sia sempre la più probabile come quella che già è suggerita da ciò che sotto il nome di ca- pitula iustinianae legis le Adnotattones Codicum furono spesso allegate in carte romane (3). A questa ipotesi dà appoggio il fatto che il manoscritto origina- rio delle «drofationes fu probabilmente scritto in caratteri longobardi (4) e d’altronde anche il contenuto intrinseco della Sum: la corrobora. L'organizzazione giudiziario-amministrativa deila civ//4s, a cui appartenne il suo compilatore, corrisponde infatti sufficientemente a quella che Roma ebbe nel medio evo. (1) Cfr. Arch. giur. XI, p. 266-267. — (2) Di causidici si parla anche in Roma. Cfr. Lib. pont. [ed. Duschesne] I.330, 359. — (3) Cfr. il CONRAT. Geseh. d. Quellen u. Lit. d. ròm Rechts im friih. Mittelalt. Leipzig. 1889, che cita i doc. del 999 e del 1014 del Reg. farf. n. 437-492, e il PATETTA, p. XLV, che alle testimonianze addotte da lui ne aggiunge un’altra del 996 desunta dallo Hart manu. S. Mariae in Via lata tabularium n. 24. I capitoli citati sono la S. P. 4.21.19, 20, di cui potremmo seorger l'influenza anche in Reg. farf. 658 [n. 1012], ela S. P. 7. 43. 8-9 di cui potremmo pur veder traccie nel Reg. farf. 535 [a. 1021] e 657 [a. 1011]. —(4) Donde il nou rado sostituirsi del t all’a e dell'a all’u e dell’r all’s. Cfr. PArETTA, p. XV. Nessuna speciale conclusione può trarsi dal fatto che l’e si sia frequentemente mutato in i [potis, abis, dedbis] e l'i in e [p. solves] nè dall’anarchia dei casi onde spesso l’aceusativo si è messo al posto del nominativo e fin dell’abla- tivo solo esteriormente confondendosi con questo per la caduta della » finale. IL CONTENUTO GIURIDICO 06 78 Se pur non è noto quale sia stata realmente la sorte della prefectura urbîs dopo il 600 poichè dal 597 in poi i documenti tacciono a suo riguardo, non si può tuttavia concludere senza più alla suna caduta. E già il Cohn (1) pensò che l’antica magistratura fosse sopravissuta mutando forse natura e impor- tanza: certo è che sotto Adriano I (772-795) il praefectus urbis ricompure (2) con ampie funzioni giurisdizionali, nè sembra che fosse di recente risuscitato (3) e più d’un indizio farebbe credere che appunto il praefectus #rbis, non l’esarca, nominasse gli 72d/ces, gli ufficiali del territorio che, forse non a caso, pur il Liber pontificalis designò talvolta come provincia. Come nella Summa nel ter- ritorio romano troviamo anche dei comzfes proposti a singole borgate (4). Nè a Roma mal s’attaglia quello che la Sua perusma lascia scorgere intorno all’attività del senafzs. L'opinione dello Hegel il quale, movendo da una troppo letterale accezione delle lamentele gregoriane sulle rovine di Roma e degti ordini suoi avea creduto che il senato romano fosse già spento agl’inizii del secolo settimo ha perso terreno dopo le obbiezioni del Cohn, del Patetta e recentemente del Meyer (5): il Liber pontificalis II, È e il Codex carolinus 24 e 131 offrono invece buon argomento a sostenere che esistesse ancora un corpo senatorio distinto dalla 2/?7a, dal clerus e dalla plebs nè è inverosimile che avesse tuttavia qualche parte nell’amministrazione urbana esplicando magari qualche funzione legislativa per mezzo dei suoi sezazus consulta (6). Neppure fa ostacolo il ricordo di un cersor: di un magister cernsus si ha men- zione sotto Paolo I (757-767) e appare ancora nell’ 822 e nell’ 850 e in tempi a noi più vicini con funzioni rispondenti a quelli che la 772724 gli attribui- sce: a lui mettevano capo le varie sfafzores di fabelliones (1). E pur quel che sappiamo intorno all’ ewerezlus romanus non contrasta con ciò che la Sumza dice: in Roma si mantenne lungamente la organizzazione in danda dipendenti nel loro complesso dal magister melitum o dal dux. Uf- ficiali subalterni erano i comzfes e i #ribuni (8). E distintivo dei 722/fes, legati forse da apposito giuramento e stipendiati dal pubblico, fu in Roma come in Ravenna, il cirgulum che veniva smesso dopo la 7275570. (1) Conn, Die Stellung d. byzantinischen Statthalter in Ober und Mittel Italien, Berlin 1889, p. 39 seg. — (2) Lib. pont., ed. Duschesne, p. 490. Cfr. anche ArmBRUST, Dieterritoriale Politik d. Piipste vom 500 bis 800, Gottingen 1885, p. 29 e il KELLER, Die sieben ròmischen Pfalzrichter im byzantinisehen zeibatter, Ssuttgast 1904, p. 12, n. 3.—(3) Di iudices publici contrapposti eviden- temente ai privati è cenno in Cod. dipl. cajet., n. 285 a 1109 e in Neap. Arch. Mon. n. 228 & 992 e n. 567 a 1117. — (4) Cfr. GreGoROVvIUS, Storia della città di Roma, Roma 1901, I, p. 381, 590, 634 e seg. — (53) MevER, Die Schenkungen Constantins u Pipins, Tiibingen 1904, p. 20, n. 20. Cfr. KELLER, p. 135. — (6) Il KeHR, Papsturkunden in Mailand in Nachrichien A. Gesell. d. Wiss. von Gottingen (1902), p. 83 n. 4 riporta una decretale falsificata che dovrebbe essere del 932-942 e che ricorda esplicitamente un caput seralus. — (7) Vedi la prefazione delle Hartmann al Z'adu- larinus d. Mariae în via lata ; e il Tab. S. Mariae nove n. 9 in cui nel 1038 una donazione appar redatta coram conspectui subnotatis prudentissimis et sollertissimis censoribus. — (8) Il Cod. car. ricorda nell’ottavo secolo duces, cartularii, comiles, tribunenses. DELLA SUMMA PERUSINA 79 Ma anche altri argomenti di diversa natura potrebbero suffragare l’origine romana. La civzfas, in cui l’autore viveva, era centro di una certa naviga- zione (1), ma d’altronde non si trattava di una navigazione di lungo corso e il magister navis delle fonti si tramutò in un «ar//ex naviîs, ciò che difficil- mente sarebbe avvenuto p. es. in Ravenna (2). Poi era anche sede di cul- tura: al magister studiorum liberalinmie delle fonti la Summa Perusino sostituì il gramaticus (3) rivelando l’esistenza di usi che si propagarono poi fino all’età irneriana (4) e gramatici non mancarono mai in Roma (5), dove, sebbene il greco non fosse molto diffuso, v'era pur chi poteva valere della lingua greca nei testamenti e nei giudizi (6). Per quanto riguarda la patria della Summa perusina son dunque piena- mente d’accordo col Patetta. Se qualche divario d'opinione vi potesse essere fra noi questa concernerebbe soltanto la questione dell'età: io tenderei a crederla alquanto più recente di quel ch’'ei non pensi appunto per il fatto che la prefettura del pretorio era sparita. Secondo lo Zachariae, in base alle fonti bizantine, dovrebbe ammettersi che ciò fosse avvenuto già nella prima metà del secolo settimo e sotto Eraclio (610-641) o sotto il suo successore (7); ma secondo l’Hartmann (8), il Diehl (9), il Cohn ‘10) e il Patetta (11) stesso, avrebbe vissuto un pò più a lungo, benchè non oltre la fine del secolo. An- cora nel 681 si fa menzione di un praefectarins e, scartata giustamente l’ipotesi del Duchesne (12) che fosse con tal vocabolo indicato un ufficiale addetto alla prefettura, si deve certamente ammettere col Patetta (13) che, come nelle epistole di Gregorio magno (14) denotasse lea praefectus, 1 270 erXo5y00 (15) poichè il documento, in cui è rammentato (16), esclude che la parola possa essere stata semplicemente usata, come nel glossario cassinense (17), ad indi- (1) E anche d'un certo commercio. Cfr. S. P. 4. 60.1; 4. 63.1, 3,5. Negotium nella S. P. val spesso quanto merces [3. 38.4; 7.48.1; 1.3.2; 4. 41.1; 4. 63.2; 4.32.23; 4. 61.5; 4. 63.1]. — (2) S. P. 4. 25. 4. — (3) S. P. 3. 28. 37. — (4) Pier Damiani Sun. 39 parla di contubernales in li- beralium artium studiis e ancora nelle glosse d’Irnerio al Digestum wvetus si ricordano le scole di grammatica come tipo di società. Nel Corp. gloss. il gramatieus è spiegato appunto come un doetor liberalium literarum. — (5) S. P. 7.2.14; 7.45.11. — (6) Si aggiunga a tutto ciò che alcune voci e frasi usate nelle Adnotationes non furono da me incontrate che in documenti meridionali come annositas=praeseriplio [efr. Mon. neap. arch. n. 863 e Zid. Pont. I. 213 a.1116] e rationalis=conducetor [cfv. Reg. farf. 114 a 778 e 147 a. 789]. Altro argomento potrebbe essere offerto dalla relazione con le glosse all’Zpitome Iuliani di cui parla il Conrat a p. 194 e segg., per cui efr. special- mente le esplicazioni di dos, usufructarius, privalus, magistratus, fulcidia, administrare, eque, sponsalia, fisco, civitutem, prelorium, curialis, obponere, e con ì glossarii sorti nell'Italia meridionale col cassinese 402 p. es. dove son notevoli le esplicazioni di censorius, decoloratio, obnoxius, pre- fectorius e col vaticano 3321 ove meritano riguardo le esplicazioni di u@ministrat, di advena, di adoptivus, di adsertor, di aerarium, di causatur, di elam, di censores, di censum, di census, di contumax, di commodat, di collegium, Ai depositum, di duces, di emancipet, di exsul, Ai igmnomi- niosus, di induciae ete. — (7) ZACHARIAE, v. Lingentlal, Geschichte d. griechisch-rom. Reehts, p. 353. — (8) HARTMANN, p. 41. — (9) Drenr, p. 157-166. — (10) COHN, p. 10. — (11) PATETTA, p. LXIII e segg. — (12) DucHesNne, Lib. pont., I. 519 n. 76. — (13) PaTETTA, p. LXIII, n. 4. — (14) Greg. I Zp., IX, 15. — (15) Cfr. ScurumBerGER, Syygillographie de U empire byzantin, 1886, p. 211. — (16) Cfr. MarINI, Pap. dipl. 132; FAnTUZZI, Mon. rav., VI, 263-264; Trova, Cod. dip. long., 347. — (17) Corpus glossariorum latinorum ed. Goetz, V. p. 850. (00) (0) IL CONTENUTO GIURIDICO , care colui qui preeret urbi, accezione che si sviluppò nell'Italia meridionale lungo i secoli nono e decimo (1): però ove ciò si ammetta non v'è necessità di escludere che i suumaria perugini, i quali in 3.11. 3 considerarono come sinonimi le voci praefectus e praefecturins applicandole al praefectus ur- bis, possano essere anche pur della fine del secolo settimo. E forse sono anche un pò posteriori poichè, laddove si accenna ad una diretta dipendenza del praefectus urbis dall'imperatore, non si trova traccia della sua dipendenza da alcun altro più alto ufficiale imperiale p.es. dall’e- sarca. Il Patetta osservò con ragione che il non trovare esplicitamente ri- cordata questa dignità non basterebbe ad escluderne l’esistenza, poichè, data l’origine dei sumzaria che furono in origine una esplicazione riassuntiva della legislazione giustinianea e non volutamente un manuale del diritto dal tempo, era ben spiegabile che l’autore non vi inserisse il ricordo di un di- gnitario che nel Codice non figurava: tuttavia, poichè è innegabile ch’egli mo- dernizzò spesso inconsciamente la materia che avea per le mani, il fatto or rilevato ha sempre molta importanza. Ma si sa che nel principio del secolo ottavo Roma tendeva già a scindersi da Ravenna opponendo all’esarca un pro- prio duca-patrizio. L'età più recente della Szm74 dovrebbe parer tanto più probabile a quelli che nella comzzerdatio della 4. 8. 8. S. P. volessero scorgere una emancipatio per commendationem e nella zxor mercalis volessero ravvisare un accenno ai matrimoni con l’acquisto del mundio, ipotesi però che non sono per me trop- po sicure. (1) CiccAGLIONE, Ze istituzioni sociali e politiche dei ducati napolitani, Napoli 1892, p. 108. APPENDICE II. Proposta di correzioni e supplementi 8 Lo studio minuzioso della Adrotationes mi ha fatto parer probabile, accanto a quelle acutissime del Patetta, le altre emendazioni che seguono (1); segno in corsivo le lettere o le parole aggiunte e fra parentesi quadre quelle che le- verei : 1.1.1 lin. 9 sub pari; lin. 12 motus animi; 1.2.1 lin. 1 pecundiariis, ab ospites; 1.2.2 ab executore, rogatione, proficiat; 1.2.6 et ostiariis et gerentes, vel bona; 1.2.9 dia- conissa; 1.2.13 auri pena; 1.2. 14 si quis est ibî ad; 1.2.15 de domum; 1. 2.16 et honera privilegiis; 1.2.9 nam ad; 1.2.20 si decesserint, 1.2.21 dat quod; 1.2.22 aliquem ad iudicium, salvertur; 1.2.23 abolita 1.2.25 pro sportulo, pro commodo; 1.2.27 quietus in ministerio; 1.2. 28 si reliquerit, 1. 2.19 iudicio, decoloratus sit, orphanotrophus, uni versitati civium; 1.2.35 ad aliam; 1.2.87 ecclesiasticus, ad pauperes, ab episcopis fit, 1.2.39 non potest uti his; 1.2. 40 debeant impendere; 1.2.42 se deum, et post ad; 1. 3.2 sî ab episcopo; 1.3.7 fuerint; d. 3.8 @ definitione episcopi; 1.3.10 conducendi; 1.83.14 vel alia; 1.3.17 sì cuì debuerat erogari; 1.3.18 etsi, proposita evangelia; 1.3.20 ipse spondeat; 1.3.21 Contra pupillum debitorem, ad episcopum; 1.5.9 ad heretica; 1.5. 10 hereticis, hereticos; 1.5.12 testamenta valeant; 1.6.4 presulibus non; 1.7.5 qui, fidei doctrinam etiam imperii amissione; 1.8.1 turpidus; 1.9.6 iudecis; 1.9.9 festivitatis so- lemnia; 1.9.13 eius concrement; 1.9.15 presidibus ; 1.9. 16 officîo murzatur; 1.11.5 vin- dicet [ur] christiana; 1.11.7 audeant; 1.11.8 locus sacro; 1.12.1 propter crimen; 1. 12.3 et requisitus, culpe fugisse, defendit; 1. 12.5 Uti, in sacrosanctis, possint; 1. 14.2 non in; 1.14. 3 cause cognitione; 1.14.5 que, sacramenta confirmata; 1. 14.9 hac dn urbe; 1.15.17 (1) Mi è rimaste in tutto o parzialmente indecifrata la S. P. 1.2.1, 27; 1.3.9; 2.53.24; 2.11. 4, 2,129) 2: 130242: 13.136. 19; 3:98.10; 19/42 476; 20 485 40050045 4007 3; AOL 11; 4200 195, 4.030 16); 4.34. 9; 4. 397.4; 4.38.13; 4. 44, 14: 4,49. 6; 4. 61.8; 4,63. 6; 5. 2 ME DR9NA2S0 5798, 60548915;15. 4306: 5054. o nb701 68211; 162/352; 74 A 12 TL; 1729) 1571002377 EER ERA ERRO GRECHE So LR i REL eEL o ER Ebreo 11 82 IL CONTENUTO GIURIDICO late leges, prohibet; 1. 18.1 et addictus es; 1.18.9 factus est; 1.18.13 subveniatur ut possit id in; 1.19.2 non valeant, ledent; 1.19.4 quisquis; 1. 19.5 secundis causîs; 1.19. 7 preter quam; 1.19.8 oraculum datîs, 1.22.1 imperzalibus rescriptis; 1. 23.3 ab impera- tore; 1.23.4 leguntur; 1. 23.5 alicuîus, obviari audet, sacrilegus; 1. 23.6 purpura; 1.24.38 imperatorum; 1. 24. 4 imperatori dicatas fuerint; 1.26. 3 et ipsi, egerint 1. 26. 5 que ad mini- strationem; 1.26.1 facit annonarum, capitum, ne provinciales; 1. 27.1 qui debeat; 1. 27.2 advocandas sint; 1.27.4 corporatorum; 1.28.83 placitare; 1.28.3 tributariorum; 1.30. 4 si quis sua, dignitatem et; 1.31.2 resideat; 1.31.3 cuiquam; 1.30.5 aliquem sine; 1.32.2 rerum privatarum, penam inferat; 1.37.3 inquisitionem vel, a patre liberandi vel eman- cipardi; 1.39.2 obprimere audeat; 1.39.4 ut qui, maior nec: 1.39.7 gerit sì futura; 1.39.8 gesserit, substantiam et officium eius; 1.39.17 in eum qui; 1. 40.1 mamifestet ut puniatur; 1. 41.1 casum quaererdì; 1. 41.2 exigenda; 1.44. 3 pregesserit et; 1.44.4 com- morari debeant; 1.46.1 sustineantur; 1.47.2 sì quis de honoratos, ingressus est si; 1.49. 1 vicarius, 1.50.83 iudicis, eîs quos gravaverint; ei quem; 1.50.6 domestici, retinentur; quì retinet penam; 1.50.10 sì fuerit; J. 52.1 prettum qui, absque veste, edificari facere; 1.53. 6, efficit, uri rector provinciae multetur; 1.53.10 afb]usu; 1.54.2 facultatem Rhabeant 1.55 rub. iuridici; 2.1.1 [t]ra[di]tiones; 2.1.5 et de; 2.16 #riustum; 2.2.3 autem non; 2.3.1 eius quì; 2.3.2 pulsatus fenetur de re; 2.3.3 Restifuto; 2.3.5 propter beneficia; 2.3.7 faeta, esse debeant; 2.3.8 ct fetus; 2.3.15 ut filîa moriente; 2. 3.16 cedat wvalet; 2.3.19 alterius; 2.3.20 traditione et, fi[elt; 2.3.21 pactum Rabent; 2.3.27. debitoris, exigat; exigere; 2.3.29 quod dicat; 2.83.30 ?s cui; 2.93.31 pacisci, hominis viventis 2.4.1 cum tertio; 2.4.2 per cautionem; 2.4.9 dedit; 2.4. 11 est pater; 2. 4.12 quod admi- nistratus es[t], sì. post gravamen; 2.4. 20 extra; 2.4.23 si post; 2.4.24 post tradi- tas; 2.4.25 ad abunculos, remisisti; 2.4.28 in verbo facta; 2.43,1 pacto sunt si; 2.4.33 scriptura; 2.4.35 transactione; 2.4. 41 post posita; 2.4.42 de servili; 2.5.1 plus reddere; 4.6.1 a prefecti, iussione; obtemperabis; 2.6.5 si exinde, extra dudicium; 2.6.6 quod sî, suscepisse cognoscit, suscepto negotio, post sedere; 2.6.8 christianos ad- vocatos, si quis, ei qui; 2.7.1 [si], per sententiam; 2.7.5 probaturia recepta; 2.7.6 auri libras; 2.7.7 dignitate f[ie]vui; 2. 2.10 consiliarius fwit; 2. 7.11 advocatos habere; 2. 7.14 si in; 2.7.17 advocationem fori; 2.7.18 et honores; 2.7.20 biennio trarsacto, ab sportulis immunes sint; 2.7.21 sint sine; 2.7.24 fisci patroni; 2.7.2 commeatu|m]; 2.8.1 post actionem, 2.8.3 advocatus; 2.8.4 finiantur; 2.9.1 est velud; 2.9.3 iam dato non licet; cause litigatorum; 2.10.1 sì quod; 2. 11.1 fuerint, fiunt; 2. 11.2 plus debito; 2.11.5 pro consuli[s]; 2. 11.6 pertinuerit dudex; 2. 11. 11 sibi obvenit; 2.11.13 pater filium; 2. 12.19 designavit auctorem; 2. 12.1 mandator; 2. 12. 2 per procuratores; 2. 12. 3 ipse litigat; 2. 12.8 procuratorem; 2. 12.10 constituurt; 2.12.14 suscipere; 2. 12. 15. Sî a procuratore quis;2.12 17 per procurationem, pupillo procuratio licet; 2.12.18 actori dominum; 2.12. 21 sicut; 2 12.21 nisi crimen aut inimicitia, casus éntervenerit; 2.12.23 domini litis; 2.12.24 si procurator; 2.12. 25 si per; 2. 13.2 creditores cau[sajtionem habdentes; 2.14. 1 poena.....; 2.15. 1 sì qui, res publice; 2.15.2 poena multertur; 2.16.1 adversarii; 2.18.4 gubernandum suscepît; 2.18.6 ei qui, filioram: 2. 18.7 abes actionem reliquit; 2.18.11 pro filiis, recipiet; 2.18.13 pro- pter funus; 2.18.14 causa eorum; 2.18 16 si quod, censum fisco; 2. 18. 17 a successoribus cu- ratoris; 2. 18.19 coher[ed]es tuus ratum; 2. 18. 21 rationes ederndas; 2. 18. 22 sî quod; 2.18.23 si qui, quid danni, reputari debet; 2.19. 1 per vim; 2.19.4 in simplo; 2. 19.5 rem petat; 2.19.9 volente; 2.20.4 et promisit, quos abet; 2.20.5 instituisti patrem; 2.20.6 ex insi- diis dolus; 2. 20.7 Rhereditatem fratris; 2. 21.2 in hereditatem, eam impedit; 2. 21. 4 contra emptorem, si quod, potest; 2. 21.7 si male egit; 2.21.8 si que; 2.22. 2 propter patrem; 2. 23. 1 DELLA SUMMA PERUSINA leto) hereditatis, evictione non; 2.24.1 minoris; 2.24.92 si minores praesente tutori; 2. 24. 4 quod; 2.26.1 et tibi, potes[t]; 2.26.2 si que contra; 2.26.3 sententians, post per; 2.26. 4 in integrum: 2.26.5 si contra; 2.27.2 propter fraudulentas; 2.28.1 ea si; 2.29.1 potes[t|; 2:29.2 in fe et; în alium trasferendo nihil, ed patre; 2. 30.1 libertatem non, liberti a curatoribus; 2.30.3 vi- ginti quinque, potesit], talibus; 2. 31.1 quod; 2.32. 2. non sunt; 2. 33.1 minoribus amris, omnes res, potes[t]; 2. 34.4 filiis; 2. 36.2 vel privatis; 2.37.1 sciens; 2.37.8 alicui pro; 2.38.1 propter illum non; 2.38.1 si qui, es[t], etatem salvatur; 2. 39.1 paterna; 2.40. 3 tempus non; 2.40.5 repetitioni tempus, aliter quam; 2.41.2 familiaritatis causa; 2. 42.3 potes[t]: 2.42. 4 utique, iudicis; 2. 43.1 es[t]; 2.44. 1 illis; 2.44.2 pro agendas, [hoc], propterea; 2. 44.3 quoad, 2. 44.4 quod, infirmum; 2 45.1 quod; 2.45.2 quod, si ratum; 2.46.1 imperatoris; 2.47. 1 restitutione si 2.48. 1 restitutioris causa; 2.50.1 restitutio militi: 2.50. 4 restitutioris in, 2.50. 6 restituitur, debitor; 2. 51.1 si in, eius, vel post; 2. 53.2 restitutio, cum esses in, occupatus eras; 2. 52.3 debita fuerit, e[s]); 2.52.4 tuis restitutio, per restitutionem, successio; 2. 52.5 restituitur; 2.52. 7 post annum post, intra quadriennium; 2. 53.1 sì quis; 2.53.2 si quis; 2.53.83. si curialis, moratus est; 2. 53.4 annuitur civitati; 3.53.5 opponitur; 2. 54. 1 si quis; 2. 55.3 observaveris; 2. 55.4 sine, ut, (a causedicum, arte iudicium ; 2.55.5 appellare non licet, quod; 2 55.6 iudicare susceperit; 2.56.1 pro se causatorem; 2. 57.2 ante quemcumque; 2. 58.2 quod si causa; illam, prestent ante; procuratore eius presente, 3.1.2 condicere potes[t]; 3.1.3 abes; 3.1.7 tibi; 3.1.9 requirat causificos; 3.1. 10 si exinde; 3.1.10 de expensas reddendas; 3.1.18 inde 7udex; 3.1. 14 iudices a[u]dire, licet; 3.1.15 et si que; 3.3.1 si que; 3.3.2 [et]; in 3.3.4 muneris absenfes sint; 3.4.1 conventio; 3.8.3 audiunt [et]; 3.8.4 i personam; 3. 11.1 precem offeret; 3.11.3 datur; 3.11.5 oblata; 3.12.1 si apellationem, fecerit; 3.12.6 factum; 5.12.9 fiant; 3. 13. 14 iudicis 2udicio ; 3. 13.5 decolle[n]tur; 3.13.6 militis; 3.15.1 admis- sum; 3.22. 3 constitutus est; 3. 22. 6 agitur causa; 8. 26.2 sociertur; 3.26.3 Procurator|i]; 3.26.4 a procuratore; 3.26.8 non petis sed per; 3.26.10 publicus si preter fecit; 3.26.11 si quid mali; 3.27.1 in horis nocturnis, et occisus; 3.27.2 sî mortuus; 3.28.3 si alio; 3.28.10 publico; 3.28. 11 de inofficioso; 3. 28.12 si ille; 3.28.14 quum; 3.28.20 et uxo- rem; 3.28.21 de inofficioso; 3.28. 22 si filia; 3.28.25 ad providendum; 3.28.26 filium heredem; 3.28.27 frater heredem; 3.£8.29 scriptis si; 3.28.30 suo si, eo; 3.28.31 prefer quam in; 3.28.32 [non]; 3.28.38 si heres; 3.28.36 annum adiet, [propter]; 3.2).1 aliis; 3.29.2 potes[t];3.29.4 exheredavit; 3.29.5 emancipat[i]o[nem]; 3.29.7 condicere; 3.31.2 et ex; 3.31.4 expendisti; 3.31.5 quum; 3.31. 6 potes[t|]; 3.31.7 remota; 3. 31.9 potesit); 3.31.11 confitea[n]tur; 3.31.12 edant; 3.32.4 in emptorem; 3.32. 6 ad suum; 3. 32.8 militis, illius; 3.32.10 Zibello dotali; 3.32. 11 inscio domino; 3.32.12 praetio dici; 3.32.14 sine consensu; 3.32.20 in tuum, si obiecto; 3.32.23 [si]; 3.32.25 quia; 3.33.1 indemnem; 3.33. 7 quid accepit, expensas recipiunt ; 3.33.10 certam praestationem; 3.33.14 in do- mum; 3.33.16 expendit; 3.34 1 temporis spatium, propter vim ; 3.34.13 sì usum, pre- sentes nor utitur; 3.34. 14 tamen rebus, personas usus acquiritur 3.35.2 incendio con- cremat, is; 3.35.39 legis aquilie vel; 3.36.10 constituit. «t; 3.36.%1 non designavit; 3.37.3 dividebis; 3.37.4 cum dividisti, etate est; 3.38.3 facta est; 3.38.4 de res; 3.38.9 re[m]; 3. 39.3 ostendat possessionem ; 3.39. 5 vacent; 3.40.1 excausare, socio non; 3.41.1 et posteus; 3. 41.4 et dominus; 3.42.2 presentare; 3.43.3 pulsari si cepît; 3.42. T si non; 3.42.8 a debitore, sis; 3.43.3 consentiente, donari licet; 3.43.3 expendisti; 3.43.4 corpus sepuleri; 3.43.5 iussione; 3.43.13 si leres; 4.1.1 consensu partium ; 4.1.2 finito dudicio; 4.1.4 iurasti; 4.1.5 iuramento accepto; 4.1.10 absque scriptura; 4.1.11 mon volueris, suscipere; 4. 1.13 et heres; 4.2.1 legatarzîs; 4.2.2 ad suum, cu- S4 IL CONTENUTO GIURIDICO ius; 4.2.4 tuo nomine; 4.2.7 et spondisti; 4.2.9 restitui tibi; 5.2.10 in solidum reci- pere; 4.2.12. a colligante; 4. 2.15 [s]petivit; 4. 2.16 sè quis; 4. 2.17 sé cautio, facta est; 4.3.1 documentus fiat; 4.4.1 Quum ; 4.5.1 sì probaveris; 4 5.2 si quis; 4.5.3 sì in- debita, soluta est; 4. 5. 4, si dndebite ; 4.5.5 here[de]s 4.5.6 reddidisti pecuniam; 4.5.9 creditoris procuratore, potest; 4.5.9 son potest; 4. 6.3 res tibi datas; 4.6.6 mon manu- misit; 4.6.8 potest; 4.6.9 dedit uf, dominus amonetur; 4.7.1 quod non, a creditores; 4.7.5 potes[t]; 4.8.1 furtum, a duobus; 4. 10.1 potes a creditore; 4.10.2 si de; 4.10.5 contraitur, 4.10.6 tuo nomine ; 4.10.7 creditor dominus; 4.10.8 non potes; 4.10.10 creditor refundat; 4. 11.1 debitoris; 4.13.1 sine dussu contraxit; 4.13.83 curialis, pro eo pater; 4. 14. 1 ex co quod; 4. 14.2 qui in; 4.14.3 promissa tibi; 4. 14.5 domino, debebat; 4. 14.6 de anteriores; 4. 15.1 pecuniam de; 4.15.2 persona debitoris; 4.15.3 negat de- bitum; 4.15.4 solutionem debiti; 4. 15.5 debitores debitoris; 4.16.1 potes[t]; 4.16.83 co- stringitur reddere, non eius; 4. 16.7 legata; 4. 19.6 sî in; 4.19.10 defendunt; 4.19.11 in te, sé casu, 4.19.12 perdito est; 4.19.19 initia Vitis; 4.19.20 vel conditionalis; 4.19.21 eis utendum; 4.19.23 si nen; 4. 20.2 documenta proferantur; 4.20. 3 testis dic- tum; 4.20.6 non veniunt; 4. 20.7 non compellit ; 4.20. 11 cuique testium; 4. 20.12 pro- ducitur; 4.20.15 debiti; solutio per scripta; 4. 20. 16 redemptor exhibens: 4.20.17 inqui- rantur; 4.21.83 accusato[r] documento; 4. 21.5 sè debito; 4. 21.6 prebita; 4.21.6 solutus es[t]; 4.21.11 emancipationis chartula si; 4.21.15 quod; 4.21.18 petitori; 4.21.20 alte- rius documenti editio fiat; 4.21.20 si eam accusare; 4.22.1 seriptum est; 4. 22.2 sì mu- lier ses 4. 23.1 si ab, suum esse, de comparatas; 4 23.2 si quod; 4. 23.3 sequestre; 4. 23.4 debitor, ut si infra certum; 4. 24.2 dedit, 4.24. 2 in debitum reputetur; 4. 24. 4 debitor sì, ut infra certam; 4. 24.5 si debitoris pignus; 4. 24.6 si pignus, 4. 24.7 colendi; 4.24.10 de positum ; 4.24. 11 reddito creditori; 4.24.12 totum non; 4.25.2 ad opus, experdit; 4.25.6 a libero; 4. 26.2 si pater, domino sî, # domini; 4.26.5 maior vigintiquinque, si pro; 4.26.11 ancille dominus reddet; 4.26.12 debitum domino; 4. 27.3 si ab uno; 4.27.2 sî in, pater tenetur; 4. 29. 5 et tacebas; 4.29. 6 sî quod; 4.29. 7 suas obligavit non; 4. 29.8 patris debito, 4. 29.30 si pro; 4. 29.11 conductionem uxorîs; 4. 29. 14 heres mariti; 4.29.23 et scriptis; 4.29.24 libertatem; 4.29.25 abentes si; 4 30.1 dato et, sibî de; 4. 30.2 debi- tor; 1.30.3 de dolo; 4. 30.4 non potes[t]; 4.30.5 de pecunia, agitur, 4. 30.9 si debitum, 4.39.10 querela; 4.30.10 de non, non potest; 4.30.11 pecunie questio ; 4.30.12 non po- tes[t]; 4.30. 14 Nullam exceptionem non numerate pecunie, si habetur securitas, pecunie questione; debitor ante iudices; 4.30.15 creditoris; 4.30.16 etsî sacramentus legatur; 4.1.2 pecunia soluta ; 4. 31.3 qua, persolves; 4. 31.7 procuratori; 4.31.8 qui a te; 4.31.10 Quum; 4.31.11 ab eo quod, experdit; 4.31.12 sequestrare debet; 4.3.13 et nichil, sol- vebis; 4.11.14 ut solvat et; 4.32.1 de usuras; 4. 32.2 sì pretium; 4. 32.2 si eas; 4.32. 4 et conventa; 4. 32.5 propter maiorem; 4. 32. 5 et si, alibi; 4. 32.7 cautioribus; 4. 32.8 sti- pulatus es, cogî non potes[t|; 4. 32.9 debitas; 4.32.10 per tempora; 4.31.14 dedit, usuris domum inhabitaret valeti 4.32.15 ut sì in diem, quadruplus de usuras; 4. 32.16 dn certum; 4.32.17 fund; 4.32.18 pro capitanea; 4.32.20 tardius pulsatus ; 4.32.25 pro usuras; 4. 32.26 si dudicium finitum, propter usuras; 4. 33.2 creditoris, quod; 4. 33.3 non exigitur, constitutum; 4.33.4. si[et]; 4.33.5 feneratas, si perierit navis; 4.34 1 communes sì; 4. 34.3 si usuaverit; 4. 34.7 ad restituendum; 4.34. 11 unusguisgue; et si; 4.35.2 pro reddendas; 4.35.6 mandata; 4.35.7 potesit]; 4.35.8 et iam servus mu- tuasset, here[de]s; 4.35.10 potest; 4.35.12 a dominum ra tum; 4. 35.14 sì quas; 4.35.18 ad id quod; 4.35.17 finito opere; 4.35, 19 a debitore; 4.35.20 mandati; 4. 35.3 communiter divide[n]tur; 4.37.5 tempus quod; 4.37.7 unfi]us in; 4.38.9 retractatur DELLA SUMMA PERUSINA 85 quia illa; 439.5 sibi; 4.39.7 accepta; 4.39.8 creditori[s]; 4.40.2 inimicas; 4.40. 4 transmittuntur; 4. 41.2 punia[n]tur; 4. 44.2 minori pretio, restituto; 4. 44. 7 iuste venditas; 4. 44.8 aut pretium adimplere; 4. 44. 14 obnoxias; 4. 44.17 civitatis, ipse; 4.4T.1 è dotem; 4.47.2 Possessio sine 4. 47.3 censum reddat; 4. 48.2 venditoris periculum ; 4.47.4 [emptori erit res]; 4.47.5 et casu; 4.49.2 pervasfi]or; 4.29.3 vidertur; 449.9 |preponi]; 4.49.12 si ex eo; [et] emptoris, venditoris; 4.49.16 si apud; 4.50.3 pe- cunias datas, nec tu; 4. 50.6 solidos; 4.50.1. longi temporis, quod alienas; 4.50.2 longi temporis; 4. 51.6 filié; 4.52.1 de eo, venditore abet; 4. 53.1 tutori vel curatori; 4. 54.1 si intra; 4.54.3 si dnfra; 4.514 sed petat; 4.55.2 manus iniectio; 4.55.83 si venditor; 4. 56.1 per iudicem eam liberam; 4.57.3 efficiatar, eque, filius si; 4.57.5 ut non, retollit; 4. 58. 1 inlatum; 4.58.4 reddere possit; 4.59.2 dent; 4.61.2 illi lis; 4. 61.6 communiter; 4. 61.10 « curiales. dertur; 4.61.10 per preces; 4.62.4 si nova; 4 63.5 negotiatorum; 4. 63.6 Qui annosam; 4. 64.7 [at] si; 4.65.1 si quod; 4. 65.8 conductor expelli; 4. 65.8 lucri divisione; 4.65.11 rem colere; 4.61.13 repellit ; 4. 65.15 tempus corstitutum te; 4.65.24 scriptura valet ; 4. 60.25 reddas; 4. 66.28 casu[s]; 4. 65. 35 si egerit; 4. 66.3 potest vendere misi nuntiet, alias; 5.1.2 que uni, iudicare dn; extra- neos; 5.11.4 accipias, 5.11.5 asocero; 5.11.6 sibi est, exigitur; 5.12.1 seriptis pro- missa, sî evictione ; 5.12.2 s7 filia 5.12.3 patre testata est; 5.12.5 estimatione ; 5. 12.6 dotem #0li; 5.12.8 quam; 5.12.9 quam, et decessit; 5.12.10 ad reddendum estima- tionem; 5.12.11 leguntur verba, parente si, [et]; 5.12.12 predium, /we.dus dotalis; 5.12.13 in fe, [non]; 5.12.15 quam, scriptura, amissionem coniugis; 5.12.18 de dotem- quam, persio non; 5.12.19 unum 5.12.21 quam, restituere dederet, [et]; 5.12.22 quem; 5.11.23 quam; 5.12.26 tenentur; 5.12.27 absente; 5.12 28 wxori, sponsalia /labeat; 5.12.29 mulieri; 5.12.30 mulieri; 5.12.81 que[m]; 5.13.1 et per aliam, propinquos uxoris, si intra mortem uxoris; 5.14.5 si sine ; 5. 14.6 7 dote; 5.14.7 quum ; 5. 14.8 sì quod, sed licet tenere; 5.14.9 relictis filiis; non convenit; 5.14 10 partem dedit, maiore; 5. 14.11 dotem aliquid, exigere permiserit; 5.15.2 ab heredes; 5.15. 3 sì in- tra 5.16.5 suo, replicare potes, retractari non, actum 5.66.6 sed dos. ipsius [ei]; 5.16.7 si ex, potes|t], 5. 16.9 repetere potes[t]; 5.16.10 eas tolli; 5.16.11 quod; 5.16.14 si in; 5.16.15 posterioribus creditoribus; 5.16.16 heredes restituunt, pretium recipis; 5.16.19 es[t]; 5.16.20 mulieris; 5.16.22 uxoris; 5.16.24 sî usque; 5.16.25 z0n memo- rarert [non], partem laberent; 5.16.27 si donatio intercessit ; 3. 16.28 si donatio, 5. 17.5 genero cet filiam; 5.17.70 prefecti; 5.17.10 non amittat dotem; 5.17.11 is per; 5.18.1 impleartur, sua reddantur; 5.18.2 potes[t]; 5.18.3 quam, recipit; 5.18.5 potert; 5.18.10 propter ruptias; 5.21.3 remotum; 5.22.1 omnia, în eis que; 5.23.1 eligat no) habeat ; 5.23. 2 propter hoc; 5.24. 1 previderi; 5. 25.3 [in]certum, se expelli?, sibi; 5. 24.4 sibi; 5.28.1 miscuit ereditati, 5. 28.1 novissimus valet festaumentus; 5.28.4 si per, si, ille facit; 5.28.5 libertare ; 5.28.8 erecis literis; 5.29. 1 ex c[a]usare ; 5.29. 3 legiti- mus nor est; 5.29. 4 heredem; 5.30.3 excusare se; 5.31.1 adulti[s], indice dari; 5. 31.4 abe[n]t; 5.35.7 alium tutorem, administrationibus ; 5. 31.8 neglegentia; 5.31.11 tutorem naturalibus filiis mater petat; 5.32. 1 licet tutorem petere ; 5. 33.1 decernimus ut; 5.39.5 agud iudicem aut curia; 5.34. 7 persone; 5.34.8 debitoris; 5.35.10 licet et si; 5.35. 15 curator vel; 5.35. 1 potes[t]; 5.35.5 tactis evangeltis; 5.36.5 alius subiungi; 5.937.1 si que; 5. 37.2 creditur illius; 5.37. 4 ration[al]es; 5. 37.7 sic administret, 5. 37.8 et alius; non egistis; 5.37.9 ab administratione se; 5.37.15 sed compellitur ; 5.37.16 Per 57.18 nec; 5.87.19 cogi debet, 5. 37.20 debito efsi; 5.37.22 mancipia, ad usuras; 5.37.24 faciat pupilli[s], servertur, 5.37.25 ita ut; 5.38.83 consumptas sà; administratores ; 5. 19 86 IL CONTENUTO GIURIDICO 5.38.4 tutori; 5.40. 2 tutelam diviserunt ; 5. 41.1 pro fundo fiscali; 5.42.1 causas; 5.42.2 si... vel si; 5. 42.4 propinquis pupilli [tutori]; 5.48.6 extraneis corcedit; 5. 43.8 ad admi- nistrandum; 5.44.1 abent; 5. 42.2 possit; 5. 44.5 suz; 5.47.1 ordinatus est; 5.50.1 ali- menta si, pro sumptus; 5. 51.2 iudicis; 5.51.5 quam; 5. 51.8 obstat; 5.51.10 feneus; 5.51.11 si tutelam, curatione[s]; 5.51.13 periculo; 5.583.2 de tutores; 5.52.83. [et]si; 5.53.2 iudicis; 5.53.3 quantum, iurare[t], fuisse; 5.58.5 iudicis; 5.55.1 pretermiserint, potes[t]; 5. 56.3 sibi; 5. 58.2 contra tutorem; 5.58.2 pupilla; 5.59.53 pupillo; 5 59.4 Mi- noribus; 5. 60.1 adultis; 6. 62.3 potes|t]; 6. 62.4 potesit], es[t]; 6.62.5 libertis. patrona- rum: 6.62.6 a parentes; 6.62.11 es[t]; 6.62.12 tutor[is]: 6.62.16 confessus es[t] ali- qufija; 6.62.17 nutricem; 6.62.22 presidis; 6.63.1 ald|; 6.63.2 tutele occasione excu- sare se; 6.65.1 vetranus; 6.68.1 excusatur; 6.70.2 « tutore vel curatore; 6.70.3 ameus est; 6.70.5 ab emancipatis; 6.70.6 inchoationem morbi; 6.71.2 quod; 6.71.3 tutorem; 5. 71.4 pupillis, adults; 5. 71.5 iudicis iussionem; 5. 71.6 procurator res; 5.1.9 et si; 5.71.10 quum; 5.71.11 minori[s] pretio; 5.71.12 iudicis; 5.71.13 curialis, 5.71.15 quam; 5.71.16 iudicis, recipiet; 7.71.17, a[d|]minore[m]), venit; 5. 72.1 et possessionem, iudicis iussionem interrogare [restituire]; 5. 72.2 necessitatur interrogare; 3.73.2 alienum fun- dum; 5.74.3 qui; 5. 75.1 quos illi; 5.75.5 post tempus; 6.1.1 prescriptionem; 6.1.2 solidos det; 6.1.5 fugitivum recipit; 6.1.6 recipit; 6.1.7 coniunxerit ipsa ancilla et fili fisco proficiant ; 6.1.8 proficiant; 6.2.2 quam; 6.2.6 domino eius; 6.2.7 furti[m]; 6.2.8 ; 6.2.10 quod, furti[m]; 6.2.9 poenae; 6.2.12 furti[m]; 6.2.13 a domino de furto transactione; 6.2.14 avctoris; 6.2.15 1.2 si eum, furti; 6.2.21 li- bertus; 9.2.21 si furtum; 6.2.22 cuius; 6.3.1 [non]; 6.3.7 libertis; 6.3.9 potes[t]; 6. 3.10 factus est; 6.3.11 libertus, abita|n]t, în servitutem redigi; 6.4.2 iura; 6.4.3 honore ei; furti[m); 6.2.9 furti[m 6.5.2 liberos vel parentes; 6.6.1 [in]dammnietatem; 6.6.4 libertus; 6.6.6 reservatas; 6.6.7 libertum; 6.7.1 iussu, propter culpas; 6.7.2 iniuria fecit, fili? eius, nascuntur servi sint, [non]; 6.7.3 sî contra, heredes, egeri[n]t; 6.8.1 si male; 6.9.1 filio petertem; 6.9.2 Propinquus sî, centum; 6.9.3 petertes:; 6.9.4 intestato sit, tempus ius sidî; 6.9.6 petere potest; 6.9.7 successionem, adivit; 6.9.8 opponitur; 6. 11.1 falsus accusatus, suc- cessorem; 6. 11.2 per septem, roborato debetur; 6.12.1 invicem legata praestare licet; te]stato; 6.19.1 repetere; 6.20.1 heredem; 6.20.3 a parentes, è hereditate, mixta[s]; 6.20. 5 mu- lier refundat; 6.20.7 quam; ut facultates; 6.20.8 nunc; 6.20.9 aliter non; 6.20.10 ra- tum, filius; 6.20.13 equune; 6.20.19 reliquid dividant 6.20.20 [non]; 6.20.21 adquisitio- nes; 6.21.1 ex successione parentum ; 6.21.2 rebus énstituit; 6.213 per testamentum; 3.21.5 militis; 6.21.6 ut; 6.21.7 et; 6.21.9 heredem; 6.21.10 z0n ignorat; 6.21.12 mi- litis; 6.21.1 unusquisque 6.22.2 qui; 6.22.7 si posteus; 6.22.8 publicus subscridbart; 6.14.2 heredes; 6.15.1 consubrizo; 6.17.1 è minori, et ille, accipitis; 6. 17.2 6. 25.1 inventus est; 6.23.4 aliud nomen pro, heredis; 6.23.5 quod, dfirmum ; 6. 23.8 necessitafe, numerus testimoniorum ture 6.23.9 sacro imperiz; 6.23.11 a|u]t; 6.23.12 ’ i? 3 > 99 ab, legatarzis ; 6.23.13 fuerit firmum est; 6.23.14 octo [u]tune, fuerint; 6.23.16 sint, ea solvat; 6.23.16 sé minus; 6.23.18 testamenta[m]; 6.23.19 sev, distante factum; 6.23.21 atestatore, [voluntate], relecto, si septem, firmaverint validum est, subseriba[n]t, signe[n]t, sine scripto; 6.23.23 non legibus; 6.23.24 Nunc, sicut; ut testatoris; 6.23.25 positi omnem, testatoris; 6.23.27 si testatos, revocare licet; 6.23.23 congregationem...; 6.23.30 si testator vel testes; 6.23.32 Im civitate septem testes subseribant testamentum et in castris quinque, qui et, heredis; 6.24.1 deporta[n]tur; 6.24.8 [heres) sine; 6.24.10 he- redem; 6.24.11 incolae; 6.24.13 de certas; 6.24. 14 nomen voluit; 6. 25.3 emancipationis heredes; 6.25.4 non erant, es[t]; 6.25.8 Qui sub; 6.25.9 ut si; 6.26.1 substitutus fe- DELLA SUMMA. PERUSINA ST cerit; 6.26.3 heredem; 6.26.83 tune per; 6. 26.4 iussit u/; 626.8 substitutos ; 6. 26.10 vt si; 6.27.1 momine pignoris; 6.27.2 libertà: 6.27.58 et lucrat; 6. 27.4 e 5 heredem ; 6.27.5 vel sì; 6.27.6 sò a; 6.28.2 patrem fua, si te; 6.28.3. alifer, masculos; 6.29.1 aliquzs; 6.30.1 zon succedit, defuncti; 6.30.3 tw si, petere non neglegas; 6. 30.4 adire debet: 6.30.5 tutor adire; 6.30.9 potes[t|; 6.30.18 infanti, delato; 6.30.20 siat w, repudiare debeat ; 6.30. 21 testatoris, [quod], 6.30.22 annos adeat, LXta, legatariis, legatarii[s], abeant, id quod reserationem, abert, heredis; 6.81.1 nomine, [ajut, [in]venditione[m], pro debitum; 6.31.2 potest; 6. 31.6 patris; 6.38.2 sibi; 6.33.83. causitici[s], inquiefetur; 6.34.2 heredes, est reus; 6.35.6 offendit; 6.835.7 succedit; 6.35.8 est similis causa, ei quem; 6.35. 9 auctoris, interpraetatur; 6. 35. 10 propinqui[s]; 6. 36.1 si postumum, si que; 6.36.6 ab invito [invitus]; 6.36.8 esse constet, valent; 6.37.8 [relict]; 6.37.9 accusa tur, iudex iubebit legata; 6.37.10 legato reliquid; 6.37.12 quem, a legatariis; 6.37.13 testatori; 6,37. 14 testatore[m] vivente; 6.37.15 si quod; 6.37.16 nomine, precipiet dari; 6.37.19 consequa[n]tur; 6.37.22 testatoris; 6.37.24 transigere: 6.38.1 dare non, si s0î; 6.38.5 ad eos, ante filios, eîs legata; 6.38.6 substantiam, iudici providendum ; 6.39.2 adirent|e], prestet ; 6.39.3 persolvitis; 6.40.1 uxori[s], migraret; 6.40.2 de sub- stantiam; 6.40.3 li maritus, superst[it]es: 6.42.1 ea sibi; 6.42.2 proherades; 6.42. 5 non succedis 7 ei sed; 6.42. 6 rem obligatam, legsatariis; 6.42.10 etsi festamentum; 6.42.16 ade[m]pta; 6.42.17 accedere; 6.42.18 alicui; 6.42.19 es[t]; 6.42.23 et adibisti, posses- sionum: 6.42.29 sed ipsi heredes tune; 6.43.1 legatarios @b exactiore, que; 6. 43. 3 DI minor [decem] decem annorum [decem]; ccmate si optio; 6.44. 1 probata fuerint; 6.44.2 querdam ; 6. 44.3 fuisse[t]; 6.44. 4 si dotem quam, significas quod; 6.44.5 accepisse et eam reddidisse; 6.46. deseru[i]eris; 6. 46.3 deseru[i]eris; 6.46.4 [et]; 6.46.5 «cor tua[m]; 6.46.7 testator si; 6.49.1 institutus est, tollet et, legati nomine, ab illis; 6.49. 4 propin- qui[s]; 6.49.4 inde rovem; 6.49. 5 heredes; 6.49.5 deliberaverint ; 6.49. 8 leres scriptus, heredem, accipere, potes[t]; 6.49. 14 quam, ei qui pro falcidia; 6.49.16 heredem; 6.49. 18 heredibus; 6.51.1 sibi debitam; 6.52.1 legatarii[s]; 6.52.2 legatarzis, derelictus, eorum; 6.52.4 uxor a, accipere deberet ; 6.52. 6 iussus es[t]; 6.53.3 distracta; 6.53.4 adversus debitores ; 6. 54.3 fratris, ab intestato; 6.54.4 naturales adulterinus; 6. 54.9 succedît; 6.55.2 ab intestato; 6. 55.4 donet, patrimonio; 6. 55.5 filiî, secundas ruptias; 6. 55. 6 si ad [et]; 6.55.7 in usumfructum; 6.56.2 mortuus est; 6.56.5 alios filios; 6.56.6 matri; 6.57.1 patris; 6.57.3 fratri suecedit [moritur]; 6.57.4 intra quattuordecim; 6. 57. 9 ille; 6.54.11 aditio nec; 6.54.12 patris; 6.57.17 nutritor eò; 6.57.18 tratre [et]; 6.59.3 tune sunt, e[s]t, servandum, avo; 6.59.4 sive, [non] an; 6.60.1. Quod filius, patris; 6.60.2 quorumeumque casu db; 6.60. 3 filivm; 6. 60.4 adquisitiorum, distraxerint; 6.60.5 patris [primum]. quod ipsa, sibi a patre atque, patris, 6.60.1 omnium adquisitionum, computertur; 6.60.8 patris est, autem filio, rolmerit, quod, et filius, 7» hoc, facere #e- stamentum; 6.61.2 militans; 6.61.3 constitutus est; 7.2.2 testatori; 7.2.3 reddes; 7.2.6 heredi; 7.2.8 lberum fecit; 7.2.9 heredem; 7.2.11 valeat; 7.2.12 si recte factus est; (.2.13 replicari; 7.2.15 ipsis libertis; 7.2.16 libertus; 7.4.2 libertus, neglexi[s]t is; 7.4.3 ut intra certum; 7.4.4 partus; 7.4.6 legatum; 7.4.8 uxoris; 7.4.9 ante adim- pletam:; 7.4.10 propter hoc; 7. 4.11 ade iudicem; 7. 4.13 quam: 7.4.14 qui; 7.4.15 li- bertatem, et iudex; 7.4. 16 si Reres moratus, poste[i]us: 7.4.17 libertatem Nabere, pre- tium servi servo, di) menses; 7.6.1 sint, vel sì dominus, sì ante lectum, heredis, [a] pilleati, consensisti, dixerit “filius meus es,, mox; 7.7.1 cohere[de]s, manumissori ita ut reddat; 1.7.2 liber factus fuit; 7.8.1 eidem non; 7.8.4 creditoris; 7.8.5. pignori[s]; 7.8.6 sibi de; 7.8.7 de dotem [non]; 7.9.1 ef. sì fuga, qui manumissus, mon redit: 88 IL CONTENUTO GIURIDICO 7.9.2 quam, in servitium; 7.10.2 alterius, fuit datum: 7.10.13 non adimpletur; 7. 11.2 manumitti; 7.11.4 minori viginti; 7.11.5 [non] est; 7.11.6 servus in servitio; 7.11.7 replicatur; 7. 13.1 domin[u]i, vindicatur Viberatur; 7. 13.3 servus eius qui, domizi, [eius] manifestaverit; 7. 14.1 liberatus; 7. 14.2 propter nutrimenta dominzium; €. 14.3 si postea; T.14.4 factus servus; T.14.8 statu(i]; 7. 14.4 in obsequium; 7.15.1 si quis, sed sunt, do- mino; 7.15.3 si ancilla sua concuba; 7.16.2 in éudicio, condempnatum, pro vi[n]den- dum; 7.16.4 nec se; 7. 16.5 servus; 7.16.10 Liberi si quamcumquae; 7.16.11 servi[s]; 7.16.13 potes[t]; 7. 16.18 potes[t]; 7. 16.19 sibi; 7. 16.21 potes[t]; 7.16.24 illius; 7.16.17 non impedit; 7.16.27 here|de]s; 7.16.29 servum te z0n redemit; 7.16.31 te liberum, filii[s]; 7.16.32 adversus te; 7.16.34 potes[t]; 7.16.36 pro Loc quod in obsequio; 7. 16. 39 adpellentur; 7.16.31 Que, apud te per; 7.17.1 mortuus; 7.18.2 hominem liberum, a[d]}mit- tit; 7.19.1 servum probet, servum esse; 7. 19.4 [et], potes[t]; 7. 19.7 clama[n]t; 7.19.8 repetat[ur], quam; 7.20.1 servisse, permanes; 7.21.1 et quinque; 7.21.2 sit filius; 7.21.83 sibi propter; 7. 21.8 efsi; 7.22.1 faciunt; 7.22.3 Sì homo; 7.23. 1 et peculium; 8.24.1 amputata[m]; 7.26.1 Sè servus; 7.26.2 emptori, non adiuvat; 7.26.3 quam; alienam esse; 7.24.4 quam, cuius; 7.26.2 ex par[en]te; 7.26.7 emptori[s]; 7.26.8 tran- sactione ; 7.24.9 rem comparavit; Y.27.1 vel qui; 7.29.2 heredî; 7.30.1 domino adiu- cat: 7.30.3 potes[t]; 7.31.1 adquisita sì ex; 7.82.2 tuum, in possessione, sciente, po- tes[t]; 7.32. 3 [a], minor|e] res tibi; 7. 32.4 adquisita erat; 7.32. 5 iustum Radet ; 7.32.10 Pro possessionem quam; 7.32.12 procurator res; 7.33.1 actione si; 7.33.3 he res, intercesserizt ; 7. 33.4 possessio sine ; 7.33.12 provincia usucapitur ; 7.34.1 quam, pre- scriptiore ; 7.34. 4 aliquo ; 7. 834.5 possit; 7.34.7 possessori possessio, condici[o]; 7.36.2 etsiî; 7.37.83 Si ab, et si non; 7.38.38 [in]; 7.39.2 non inquietetur, ius proprietatis; 7.39.3 actiones; 7.39.5 prescriptio quadraginta annis; 7.39.8 anni[s], 7.39.8 etsà, si postea ; 7. 39.9 aliguem; 7.39.2 rogare debet ita ut, Si cui; 7.41.2 in eum absentem; 6.41.4 în te absentem; 7.41.5 iudicariîs te absente[s]; 7.41.9 contumacem vocatum; T-41.10 quod; 7.41.11 et si non; 7.45.1 quam se; 7.45.2 liber[i]; 7. 45.3 quod indica- vit; 7.45.5 quod; 7.45.7 [non], potes[t]; 7.45.10 posse; 7.45.11 non dixit; 7.45.16 nec; 7.46.1 non dixit; 7.47.3 potest dici; 7.47.3 adimples; 7.47.1 quod, iudicis; (.59.1 per premium, reddat ei; 7.50.2 ante finem ; 7. 51.3 Ir litis, addicere licet; 7.52.5 potest]; 7.52. 6 fides ; 7.53.3 quod supra: 7.53.5 contra quem ; 7.53.7 remorata ; 7. 34.2 reddat ; 7.34.3 a[d]; 7.55.2 quisque; 7.57.3 iudicato a iudice; .57.6 terrores inter- porit; 7.58.1 allegata; 7.53.3 quod; 7.58.4 allegationibus; 7.£0.2 de sua; 7.60.3 in facultate 7.62. sì noluerit ; 7.62.5 et mortuus; 7.62.7 în administrationem ; 7. 62.9 po- test; 7.62.10 adultus, et litigavit ; 7. 62.18 et intra: 7.62.19 iusta causa habet appellat; 7.62.24 pars accipiat ; 7.62.35 72 omnibus; 7.62.27 « iudicato ; 7.62.30 ab omnibus; 1.62.34 quam, iudicis, quales ; 9.62.36 ei qui; 7. 63.1 conquiesca[n]t, peta[n]t; 7.64.2 si dixit, infirmum esse; 7. 64.3 esses; 7. 64.7 quod; 7.64.10 vietori[s] 720r liceat ; 7.66.3 cause ; 7. 66.6 heredi, augeantur ut possit; .T1.1 cesserit; 7.71.2 non compelleris; 1.1.3 quod; aufferri; 7. (1.4 cesserit; 7.1.5 debitum obroxia sint ; 7.72.4 susce- pi[s]t[i] 3 7. 72.6 pignus Hadet, equalesque ; 7. 72.9 potest]: 7.72.10 possurt qui; 7. 74.6 obnoxius ; 7. 74.6 quam; 7. 75.2 potes[t]; 7.75.5 furdum; 8.1.3 fundum esse; 8.2.1 sî te; 8.3.1 scriptus es, legatarius, sed...., mumquan; 8.4.2 restitutio detur ; 8.4.3 do- min? 7us ; 8.4. 5 vim eas; 8.4.6 si dolo ; 8.4.7 sî alienam; 8.4.9 si iuraverit ; 8. 4. 10 possessioris ; S.4. 11 în presenti; 8.5.1 sed sibi; 8.6.1 nunc; 8.8.1 comendati aliis ; 8.8.2 ut presentet filium ; 8.9.1 repetere potes ab eo qui res tenet quia; 8.9.2 restitu- tionem petere ; 8.10.1 edificari 7; 8. 10.7 curiales domum, possessores domus; 8.10.9 DELLA SUMMA PERUSINA SO quindecem : 8.10.11 quindecem ; 8.10.12 loco valent; 8.10.13 addictus; 8.1L.4 ve- tere Roma, de suum ; 8.11.7 ab una ad alia, si valet usque ad q. 1. arg.; 8: 11.9 si sub; 8.11.10 redituum sumptibus ; 8.11.11 iuata possibilitate ; 8.11.12 vel nova, vel vetera, pro multa; 8.11.14 domos ruinatas; 8.11.15 distructas; 8.11.18 murium restauratione; 8.11.19 in totum vel; 8.11.20 neque nuptias, 8. 12.1 pro ratiociniis, sî fraudem ; 8.13. 4 reddito debito; 8.15.6 creditor in publico; 8. 13.7 detinentes pignus; 8.13.9 a debitore tibi venditurs 8.13.10 definire licet per iudicem ; 8.13.12 ab uxore[s]; 8.13.14 actionem exercere ; 8.13.15 fidecomisso retinquere; 8.13.16 cuius, eius qui. restituì debes ; 8.13.20 debitor[e|; 8.13.21 debito[r]; S. 13.22 ereditor concreditori; 8.13.25 mortuus; 8.13.27 post contractum i 8.14.5 pignoris causa; 8. 14.7 bona; 8.15.83 obligare; 8.15.4 obligare; 8.15.5 aliquam; 8.15. 7 etsi; 8. 16.2 et ceteras res; 8.16.83 de agros; 8. 16.7 executor s7; 8. 16.8 dnstrumenta unde agra; 8.16.9 nec non que abiturus; 8.17.1 cre- ditori[s]; 8.17.4 qui generaliter; 8.17.7 preponitur posterioribus; 8.17.8 priori[s]; 8.17.10 ei; 8.17.11 è» secretis; 8. 11.2 censum; 5. 18.3 solvat qui; 8.19.2 si vindicet; 8.22.1 obligasti; 8.22.3 sed; 8.23.1 pignus quem; 8.25.1 contra te a[d]misit; 8.25.9 si ipse; 8.25.10 creditoris, oppositas; 8.25.6 si fiet; 8.27.3 si quot; 8.27.4 fraudem debitoris; 8.27.5 a debitore noleret; 8.27.11 creditor vendere; 8.27.13 a creditore vendito; 8.27.15 st a; 8.27.16 unius; 8.27.17 obligatas creditori; 8.27.19 uxoris, illi mulier, potest ; 8.27.20 de superfluo non; 8.29.2 qui; 8. 29.4 superfuum petere; 8.29. 5 a debitore; 8.3.2 here- dis; 8.31.1 debitor solserit; 8.32.1 probas; 8.33.2 substartiam sui[s]; 8.33.3 iuret; 8.34.4 caufsaltio; 8.35.1 unusquisque de portione; 8.35.2 de domo portionem; 8. 35.4 defensio integra; 8.35. 5 cotio de, post de proprietate; 8.35.7 contra debitorem; 8.35.8 obici, posteus; 8.35.10 petitoris; 8.35.11 pretermussa exceptione; 8.35.14. intra spa- tium unius; 8.35.21 prescriptionem dilatoriam pretermiserit; 8.36.3 sed litem; 8.36.4 qui sciens, sf qui, dotem in nuptias; 8.37.1 epistolam servo; 8.37.2 si quod; 8.37.6 sî fuerit; 6.37.8 et moritur post; 8.37.9 vel timorem mortis; 8.37.10 non solemniter, pro perfecta; 8.87.14 quod; 8.37.15 sé non; 8.38.2 e? qui; 8.39.3 mutuam; 8.40.1 unusquisque unicuique; 8. 40.2 fideiussorem det; 8.40.33 absentia; 8.40. 4 sì mon fiat; 8.40.5 relicto debitore: 8.40.7 pecunias recipit; 8.40.1 sì spondit; 8.40.7 sî tibi pignus; 8.40.11 ab alio non recipit, potest; 8.40.14 mandata; 8.40.15 quod; 8.40. 16 tenere licet, postea; 8.40.17 creditori omisso; 8.40.18 minore; 8.40. 19 poteslt]; 8. 40.23 debitore exigit; 8.40.24 pro reliquo; 8.40.26 debitor, nor absolvitur; sî vult; 8.40.27 occupatio; 8.40.28 de duobus; 83.41. 4 creditoris; 8.42.1 qui, capitaneam; 8.42. 6 [6]; 8.42.7 debito rem, pro usuras; 8. 42.9 sequestratus, es[t]; 8.42. 11 cogî non potest; 8.42.11 exigit; 8.49.12 reddit alii; 8.42.10 ron licet; 8.42.18 es[t]; 8.42.19 aliquo instrumento; 8.42.21 ita ut; 8.42.24 el de plus; 8.48.1 here[de]s pro debito ; 8.44. 2 s7 quod; 8.44. 4 .S7 debitor res alterifus]; 8. 44.6 reddit etsi; 8.44.6 et perdit; 8.44.9 si in, et victus; 8.44.9 alienos esse; 8.44.10 quam; 8.44 11 recipis; 8.44. 18 sî eas; 8.44.14 contra patrem; 8.44.15 pignus evzetionis; 8.14. 16 de reditibus; 8.44. 17 quam; 8.44.19 per legitimum; 8.44.20 et emptor; evictionis; 8.44.21 he, quem ; 8.44.25 si evictus heredes; 8.44.24 esse constiterit; 8.44.27 alienum fundum; 8.44.28 venditcris, quod; 8.45. 1 a publicus ; 8. 46. 1 judicis; 8.46.3 vendat; 8.46.5 ergate; 4.47.1 sibi Zicet; 8.47.9 non Weet, publico fiat; 8.47.11 fieri debet ; 8.48. 1 emancipatur: 8.48.83 emancipatioris: 8.48. 4 ad, emancipatur; 8.50. 1 si de, heredes ; 8.50.2 coniuge: 8.504 nec... nec, distrahantur; 8.50.7 filia, sì in prostitutionem ; 8.50.8 qui natus est Ziber est; 8.50.9 hereditaze, fraudetw:; 8.50. 10 dominis; 8.50.12 retulit captivos; 8.50.19 captivus non excheredatur sed, tenentur, 8.51.2 serve vel; 8.52.2 concordans ; 8.55.62 absente: 8.54. l si est. ‘3 AGGIUNTE E CORREZIONI Correzioni. — A_p. 5 1. 19 leggasi: “ volgarie.,; a p6n 311 “1 UÈ 1:19::33. 281300 619 diriudicemi za \jp(6- 0441 ee 542 MZ n 6243655 a p.- 71. 1 “disertor,,; a p. 7 n. 11.2 sopprimasi “1.52.15, leggendo invece “in corrispondenza col]a imperialis iussio della S. P. 1.24.5 e 1.28.4,.;ap. 7 n. 3 1.4 leg- pasi 12376, a) p-. (mx 2201-3623; a pi6 16, 11216:15040- a p18n 120102 “ sinonima,.; a p.9 n. 1 sopprimasi “1.52.15,.; a p. 10 n. 1 leggasi “1.24.2,3.,,; a p. 10 n. 2 #1.25.1,,; a p. 10 n.3 #6.23.3,16,: a p. 10 n.4leggasi #1.26.1 Cfr. S.P. 1.35.1, 2.7.13,,; a p.11 n. 6 leggasi “ praetorium., “e 21.39.14..: a p.11 n.8 suiudices; sap lin-pLiMe 1-26 a pol ee a pallfns16; Adina Cis 425.2i ap in 413991 6; a po 28515 tap 241 MO sop- primes l’e; a p. 12 ]. 22 leggasi > 3.24.2: 5.6213,,; a p. 12 n. 6 leggasi “1.25.4_ e sopprimasi “1.7.7,,; a p. 12 n. 8 leggasi “144. 1,4.,,; a p. 12 n. 10 trasportisi il “6.23.16, segnato alla n. 11; a p. 13 n. 5 sopprimasi il “5.46.1,,: a p.13, n.11 leg- asi 3.22.3; a p. 13 n. 13 “1.2.2,,;a p. 13 n.16 “3.26.7, e “(.9.1,,; a p.13 n.18 2 pertinere,,.; a p. 13 n- 19.%2.%-2,; a \p-d& n. 1.13.16, a p--14 n.213 “riservata .; a p. 14 n. 4 “6.61.4..: a p. 14 essendosi nel testo ripetuto per errore il richiamo (8) la n..9 risponde al secondo (8). la n. 10 al richiamo (9), l'11 al (10), e la n. 12 al (11) dandosi la segnatura (12) al richiamo “*7.40.2.,,; a p. 15 l. 4 leggasi “nella ,,; a p. 15 l. 18 leggasi “reali. e a 1. 19 “terme. ; a p. 15 n. 15 “#1. 26.3: a p- 15 n. ( “In 5.70.2; a p. 15 n.8 “In (.57.2,8, 6 e altrove_; a p.16 1.13 “ della; a p. 16 n. 4 pongasi il richiamo © 6.21.16 che fu posto invece alla n. 5..; a p. 16 n.5 leggasi “1.2.2. 31,.; a p. 16 n. 13 in fine “3.3.3..; a p. 16 n. 171.3 3.26.2..: a pi d00- 18 falla; a probl n_-40M192 5810598 1A api e L61 saline ,, e “6.61.5,.; a p. 10 n 41 2%1.54.10; 2.6.8,,; a pin 413 %2.17.4, e “deputari [2.17.3],, a p.10 n.414 8.21.2,.; ap.-17n.41. 7, invece di “7.11.5,, “5.16.14; a p. 10. 1.8 *7.62.29..; a p. 17 n. 5 l. 3 sopprimasi “6.23.18..: a p. 17 n. 5.]. 4 sopprimasi “ 4.8.3, e leggasi “5.62.8; a p. 17 n. 12 tolgasi il ©, 2,.; a p. 18 manca fra le note la 3 “S. P. 4. 61.8, e le n. 3-17 corrispondono ai richiami 4-18 mentre la n. 18 si riferisce a ciò ch'è detto nella prima linea della pagina se- guente; a p. 18 n. 2 I. 3 leggasi “ove si..: a p. 18 n.91. 4 “3.12.2.3.6..: a p. 19 n.d “dai. a p-19 n.14 #1.2.25,;; a p-19 n. I *3.13-2,,; a p. 200.1 © 3.2£1,; a p. 20 n. 1.4 *servitium.,; a p. 20 n. 11 tolgasi © 7.35.2_,,; a _p. 20 n. 14 soppri- masi “, 5,,: a p. 20 n. 15 leggasi = (.40.2_.; a p. 211 24 $7.21.1,5-(..;ap-21 n.1 sopprimasi quanto si legge da Agere perperam a 1.37.6 poichè sta invece che perpe- ram agere valse quanto abusare dei proprii poteri nell'esercizio delle funzioni a sè com- petenti; a p.21 n.7 “2.2.1..; a p.21 n.11 “3.1.12,.; a p.21 n. 131.2 tolgasi ©7.16.3,, elegoasi “8.27.4.,; a p.22 1.6 “state..; a p.22 n.2 “2.29.2..; a p.22 n.5 “4.19.19; a p- 20 n. 6.1.1 *7-43.8,9.,; a p 22 n.9 #2.6-10....; ap. 23 n.1 1-3 “indenni, a p: 23-10 (45.1 apt 20) n.25 88: 4745; ap: 212 falla 0a pa24na05 COSTA ape 4 n 49243581 ap 924 IO REA 1925, PIO ASTI aXp-26; n: 1901 3101844 28 taipa 26 n 22413) 1-6), api DELLA SUMMA PERUSINA 91 1. 9 “sarebbero stati,,.;; a pi 27 n. 4%8.1.11,,; a p.28 1.6 “dei,,; a p. 28 n. 8 ANCO 22/00 a SS eZ 2 ROIO O TINA RN api 20019 I. 4 invece di 2.51 leggasi “4.20.18 e 7.16.3,,; a p.29 n.9 “7.65.7,,; a p..29 n. 17 (9, 16. .1,2,,5 a p. 29 n. 19 1. 8 ©8.44.9, 12/,,; a p. 80/n. 5 “civitatis,,; a p. 80) n. 6 <4.21.1,2,3,9, 10, 16,5 a p. 30 n. 7 ©4.29.7, 14,,; a p. 31 1..9 “aetatis,,; a p. dI Ji 18 “ prescrizioni,,; a p.31 n.1 *2.27.1; 2.88.1,,; a p.81 n.5 “2.44.3,4,,, a p.3 n. dl “7.48.2,,; a p. 81 n. 12 “3.28. 30; 4.28.7;,,; a p.80 n. 13 “3.28.24,,; a p.31 n. 151.2 “una militia ,; a p. 31 n. 16 “4.65.31,,; a p. 31 n. 18 “1.2. 17,20 e NAZIO Da PE RO 2 ANO ap: 92 En LAN ostia: tape 32m 0108! 20; 21.,,; a p. 32 n. 15.1. 4 “fisci,, e spectabiles; a p. 83 1. 4 “e che,,; a p. 83 1. 18 UEAIONE 9 819 Bi ST oe Oa e) i a eo TICO a p. 38 n. 6 1. 2 sopprimasi “5.39.1,,; a p. 40 1.17 leggasi “iudex,,; a p. 40 n. 7 TRO Alberta Rap 2 28 Ra pe pace 2 (645/2161, ta epy 48fm 16/7102 003,294; a pi 49) n dA 238; 11/8000); e 6.21.2,5; 6.49.3.6; 8.49.3.,; a p.49 n.1 1.8 “due,,; a p.49 n.1 1.8 “1.2.1, 38; 1.18.5; e 6.21.35,,; a p.49 n.1 1.9 ©8.36.25.,,; a p. 49 n. 2 “6.26.10, 11,.; a p. 49 n. 21..3.*3.28.3.,,,; ® p. 49 n. 71. 4 invece di 6.28.4 leggasi “6.39.1,,; a p. 49 n.9 “6.34.1,,; a p.50 n.7 “6.24.1,,; a p.50 n.9 “6.56.5 ,,; a p. 50 n. 13 “6.24.14,;; ‘a p.50 n. 15 1.4 “6.27.4,,; a p. 50 n. 15 1.6 “6.40.1-3,,; a p. 50 n. 16 levisi “10.3,,; a p. DI 1. 7 leggasi “da sette, ; a p. DI n. 2 “6.23.7,,; a p. 51 n.5 “6.23.14,,; a . 51 n. 12%6.21.9.,.; a p. 52’ n. 3% 6.36.2.,,; a p. 52 n. 161.2.*6.57.2,,,; a p. 52 n. 20]. 2, ‘6.42: 6, 24,32; 6.43.2/,, e 6.49.9; 16..; a p. 53.1. 6 “del,; a p. 53.1. 15 “iniusti ,,; a p. 53 1.2 “entro, a p. 53 n.1 “6.37.6,,; a p.53.n. 5 tolgasi “6.48.2.,,; :a p. 53 n. 9 “6.47.14,,; a p. 53 n. 12 “6.30.8,13,;,; a p. 53 n. 20 “cfr.6.37.11,,; a p. 54 l. 16 “tradizioni ,,; a p. 541. 18 “della ,,; a p. b4 1. 20 “vera e,,; a p. D4 n.d ‘48:81.1, 2; a pib4 nil 1.3 .£6.4221,-#8.80:1,,21,; a p.54 n. Vi 1.12 #642.27,,; a p. 55 1. 3 “recta,; a p. 55 n. 4 “8.6.1,,; a p. 55 n. 61.1 “da parte di terzi o del fisco.,,; a p. 55 n. 7 “2.32. 25,,; a p. 55 n. 21 tolgasi ‘“8.38.2.3,,,; a p. 56 n. 9 1.3 “usufructuarium ,,; a p. 56 n. 16 “3.33.11 ,,; a p. 57 1. 21 “4. 65.25, 26,,; a p. 58 n.6. 4.8.1.5,,; a p.58 n.7 “45.5,,; a p. 59 n.1 1.2“ della,,; a p. 59 n.17 ©2.3.9,;; a p. 60 alla n. 8 leggasi S. P. “2.3.17,, e alla n.9 “Patetta p. 347,,; a p. 611.7 “8.42. 10} 20; a p. 61 1. 8 “S. P. 8.42.7.,,; a p.61 n.21. 2 “6.49.7.,,; a p. 61 n. ll #4.31.7. 10); a p- 61 n. 12 ‘8:31.13..; a p. 61 n. 14 ‘8.41.2.8; 8.43.2.,.; a p. 61 n. 15, invece di 8.40.1 *8.41.8,,; a p. 62 1. 21 “rendere,,, a p. 62 1. 24 “ patti ,,; a p. 62 n. 12 “alla moglie ,,; a p. 62 n. 20 “8.3£.3,,; a p. 62 n. 21 “8.13.7,,; a p.63 n. 21 n. 10 “obligare=pignorare ,; a p. 63 n. 12 *8.13.4,, e “8.15.24 ,,: a p. 63 n. 16 “4,23.3,7,,; a p. 63 n. 21 “4.830.11,,; a p. 63 n. 20, “ sponsio=-fideiussio ,, ; «a p. 64 n. 17 “4.49:4.,,; a p. 65 n. 20 “4.38.6,,5 a p. 65 n. 24 “4.54. 1,7,,; a p.66 n. 2 48.44. 17,25 ,,; a p. 66 n. 12 “4.3.4, 7,,: a p. 66 n. 16 “4.64.2-5,,; a p.67 n.1 4.65. 4,,; a p. 67 n.3 “4. 65.3, 28; a p. 67 n.5 “4. 65.13, 15,,; a p. 67 n. 21 “3.26.4; .2.12.15,,; a p. 67 n. 24 “conductor= actor,, e “2.12.18; 4. 55.5; 8.42.19,,; a p. 68 n.1 “merces=stipendium,,; a p. 68 n. 5 “4.2.8; 4.23.2.,; a p. 69 n. 5 “4.30. 7,8,9,16,,; i uo) «& p. 70 1. 13 “2.3.8,,; a p. 70 n. 2 “ collega=socius,,;; & p. 70 n. 20 “actio= admi- nistratio ,,: a p. 71 n.11 “2. 4.2, 4, 5, 15. 16, 17, 19, 22, 23, 26, 27, 28, 29, 30, 39.,; a p. 71 n. 4 tolgasi “2.12. 18,,; a p. 7L n. 17 leggasi “3.37.4,,; a p. 72 n.6 1. 5 “6.28.53, Citazioni da aggiungere. — A p. 19 n. 8 in principio “S.P. 3.4.1,,; a p. 20 n. 1 in principio MrSsP.ns 5A; pan 258 HE, a pi 230 20 Cir 29421450 99 TL CONTENUTO GIURIDICO p- 24 n. 11 “6.44.1-5,,; a p. 24 n. 14 “4.19.24 .,,; a p. 20 n. 1 in fine “5.62.13,,; a p. 25 n. 4 in principio “ Arg. S. P. 6:42:32,,,; a p. 25 n. 13) Cfr. 7.45.11 .,,; 0a p. 25 ni 16 © Contro 421.7, 2 pi 26 n. 13 Cfr. 2 nl AE p320Nì di SAGian, 7.57. IM6: a p.27 n.4 “7.43.10,,; a p. 27 n.9 in principio “S. P. 1.226; 8.1.8; 7. 45.13; 7.64.5,,; a p. 28 I. 6 n. 16 “Per gli acta legitima cîr. 2.57.2,,; a p. 28 n. 19 IDR PL GLASER: TT. 42 1 15 avp: 129)! 018/8023432; 431127, a ip-129/ n. 4 in dine LCHA2NAT alpr29 ino CI SAC ito ao O 2 Ch ZI 3 00 IV 0) cappa a SE QNOTRAEOZAIRO 5 IE EP NSOE AZAR Cir 226810 a PASINI CTZ a p. 32 n. 1 “ Cfr. 1.2.42,,; a p. 49n. 12 in fine © Cfr. 6.57.4,,; a p. 49 1. 34 “6.30.21 6.23: 24 ..; a p. 50 n. 8 in principio “S.P: 6.42.10.,,; a p. 50 n. 15 1. 4 “6.23.24. a prro0 mE dos 6 N29 ap dA Rage SPAZIO a pi APR: 6.21.9,,; a p. 52 ni 16 «Cfr. pure 6.5 15.,,; a p. 53 n.9 Cfr. 3531.1,,; a p. 53014 IGfr. 65/9, 0a p. 54 n. L'in'pro SISP. 6:42.17; a p. 54 n. 2linifimet è Cfr. 38141,5 a p. 54 n. 4 in fine “Cfr. 6.42.26,27; 6.39.2,,; a p. 55 n. 4 ©“ Cfr. 73.29; a p. 55 DIL RICiTAR(A 356 a pi 56 in 20 infine Cfr SOSIA pad Ente lt 8.44.16,,; a p. 17 in fine “ Cfr. pure 7.69.1,,; a p. 58 n. 15 in fine “ Cfr. 4.10.4,,; A 195 88) Bim Gi LE}: A o 3 0 0) Dt, AMS TPACO SLA Cr 2A PA CORRA Cr SHOE Map COR Chra 8.25.4,,; a p. 62 n. 2 in fine “4.34.2.,,; a p. 63 n. b aa 8.29.4,,; a p. 63 n. 8 < o ANDA 8143 ap. 63 2 infine Chi 891 a pa 63613 RS 8.25. 10; vedi anche “8. 27.2, 15, 17,,; a p.64 n.2 “Cfr. ‘8 13 SEAN! SE Taio. (9) #4 (Cioe, 92 uo ; a p. 64 n. 16: pcs 2.9. 4,5.9; 4.188. 11, 13},; a p. 64 n. 20 er 8.44. 1 e 3.32.12,,; a p. 65 n. 4 “ Cfr. anche 4. 50.8; 8.13. 17; 3.32.6,,; a p. 66 n.8 “Cfr. anche 8. 25. 4; 7. 75.4; 6.42.11,,; a p. 65 n. 16 “Cfr. 4.9. 14 e 8.44. 17 ,,;a p. 66 n. 3- “Cfr. 8.44.28)..;'a p. 66 n. 6 “Cfr, 3.19.1-; a p. 69 n. 4 Cfr. 3042.8,; a pi 69 To Ihr Che2o 89 © Vla Gi 3 0939 dd Til 18 (Ci di Aggiunte— A. p. 9 n. 19: I rescritti imperiali a differenza dalle leggi [1. 14.1] non erano suscettibili di estensione a persone diverse dai destinatarii chè solo il giudicato ìmperiale poteva esser di base ad applicazione analoghe [1.14.11]. Essi erano irretrat- tabili [1. 14.11). — A p. 19 n. 1: Il giudizio dovea essere aperto a tutti coloro che vo- lessero adirlo [3.1.3] senza che però vi fosse coazione ad agire [3.7.1].-- A p. 15 n. 16: Un foro speciale aveano anche. pare, gli acceptores MID — A p. 20 n. 6. La causa pregiudiziale precedeva la principale. — A p. 21 n. 1 1. 28: In S. P. 2.20. 1, 2.3, 4.8 e in 8.44.11 si parla anche di un actio ex dolo proponibile entro il biennio dall’ atto doloso. — A. p. 21 n. 1 in fine: Proponere actionem leggesi anche in 3.42.5. Propor l’azione utilmente non poteasi dopo una quiescenza o una taciturritas più che trenten- nale [2.21.1; 7.39. 7) salvo che non si trattasse d'un detto ipotecaria per cui occorreva la quadragennale [7.40.11] o che la prescrizione non fosse sospesa per minore età [2.21.1.8,9] o per assenza [2-53.5]. — A p: 23 1. 17: Che la prova incombesse all’ at- tore risulta come regola dalla S. P. 4. 29.8. 14, 15. A p. 253 n. 4 1. 26: Non la mo- glie pel marito [2.12 4] nè il consorte pel consorte [3.40.11]. — Ap. 23 n. 4 in fine: “ Parrebbe che anche il procuratore dovesse giurare non malam causam defendere [2. 58.2]. A p. 24 n. 28 in fine: Che la forza probatoria della scrittura potesse essere annullata da testimonianze contrarie si dedurrebbe da 4.21.14: ma forse il frammento è guasto. In 4. 25.2,5 e in 4.25.11 la prova testimoniale si sostituisce alla scritta solo per la perdita della, cartula. — Ap. 25 n. 15: Possibilità di prestar giuramento per altri col costui volere in 3.1.7. — A p. 26 n. 18: La sentenza era valida anche se pronunciata DELLA SUMMA PERUSINA 93 in greco [9. 45. 12]. — A_p. 26 n. 15: “La condanna dovea essere in una misura certa o almeno determinabile [7.46 2]. Non era nulla la sentenza in cui il giudice avesse omesso le usure [7. 46. 1-2; 7. 47.1),. — A p. 26 n. 22: Il giudice non dovea temere i patrocinia potentum [2.13.1]. Dovea esser libero [5. 45.7]. — A p. 27 n. 6. “Dalla S. P. 7.45.1 parrebbe nulla la sentenza pronunziata nell’assenza del procuratore benchè fos- sero presenti le parti, — A p. 27 n. 9 “a tal caso deveriferirsi la facoltà di resecare la sentenza perperam facta cui si allude in 1.39.17. Sulla interpretazione delle leggi cfr. 1.14. 1-8 e 1.17.1-2 e sull’efficacia delle consuetudini 8.52. 1.3: sulla retroattività delle leggi 4.32.36,,.-- Ap. 27 n. 30 “Potea chiedersi pur per procuratore [2. 48.1], — A p. 28 n. 15. “ Trascorso il termine nemmeno ricorrendo all’imperatore era possibile di sospendere gli effetti della sentenza [1.21.2] e di sottrarsi alla condanna [6.62.12] ,,. — Ap. 28 n. 21 “ Anche se moriva in esilio [7. 62.5] ,,, — Ap. 29 n. 3 “ Finis dudicati in 7.52.2.— A p. 29 n. 9. “Le esecuzioni erano vietate le domeniche [3.12.9]. — Ap. 29 n. 17. “ Alla pignorazione sfuggivano gli strumenti di lavoro [8. 16. 7-8). — A_p. 30 n.7. “Ma poteva garentire per sè [4.29.1| e forse a favor delle figlie per la dote |4. 29.12]. Anche poteva prestar cauzione per l’ esercizio della tutela [4.29.6],.— A p. 30 n. 8. “Pur non dovea esserle facile il factum suum retractare se agiva con dolo [1. 18.13] ,,.— Ap. 80 n. 25. “L’atto nullo pel minore non lo era per chi scientemente lo garantiva [2.23.2],. — A p. 81 n. 6. “Potea ottenersi a diciott’'anni per le donne, a venti pei ma- schi,. — A_p.81 n.17. “La milizia poteva ancora acquisirsi per denaro [4. 7.3: 8.13. 27]. Nè poi era lecito abbandonarle per altre professioni: p. es. excepto militia principilarum il milite non potea chiericarsi senza esser revocato al suo ufficio [1.2. 27,. — A p. 33 n. 13. “ Pel prezzo degli schiavi cfr. 6.1.3; 4.43.3; 7.7. 1,. — A p. 37 n. 1. “ Per la sem- plice promissio dotis e pei suoi effetti cfr. 5. 11.3,6; 5.12.2,6,7,25. Se nel prometter la dote non ne fosse stato fissato precisamente l'ammontare la commisurazione di essa era fatta da arbitri (5. 11.3], — A_p. 39 n. 24: “Le seconde nozze, malgrado la S. P. 6.40.3, parrebbe che importassero sempre limitazioni di diritti per riguardo alla vedova come la perdita dell’usufrutto legatole dal marito [5.10.1; 6.40. 1]. E il vedovo che si rimaritasse non peteva d’altronde lasciar alla seconda moglie più d’una quota figliale [5.1.1-2). — A_p. 49 n. 4: “ Parrebbe che reserare testamentum tanto valesse quanto testamentum scribere. Cfr. S. P. 6. 22.2; 6.23.18; 6.32.1-4; 7. 65.6. — A p. 49 n. 12: Vedi anche 7.64.2. “Altrove vediamo figurare come termine minimo d’età per le donne maritate i diciassette anni [6.26.7]. Per la manumissione ne occorrevano venti (7.2.1; 7.11.4; 7.16.5]). A p. 50 n. 15. “ Parrebbe che l’inadempimento della condizione posta ad un atto concernente più persone dovesse nuocer solo a quelli da cui esso era dipeso [6. 46.7]: i legati che pel non verificarsi della condizione diventavano ine- sigibili andavano a favor dell’erede [6. 32.5]. — A. p. 51 n. 11. “ Se in 6. 23. 29 si alluda a un vero testamento olografo è dubbio. — A. p. 52 n. 23. “La falcidia dovea esser de- tratta prima del soddisfacimento dei legati. — A. p. 52 n. 23. “ La S. P. 6.37.18 dice che l’esazione dovea esser fatta non cum iniuria e direttamente: ciò può esser posto forse in rapporto con la c. 5 h. t, dov'è detto che da parte dei legatarii ad iudicium non est provocari. — A p. 52 n. 19. “Il concetto del legato come una dussio accipiendi è in 6.52. 4; 6.53. 1; 6.37.12 e come una dussio faciendi è raffigurato in 6.37.12. Se un fondo era legato a più ne nasceva un rapporto di condominio [6.52. 2]. — A_ p. 53 n.3. “ Vietata la disposizione testamentaria avente per oggetto la quota indivisa del socio (S. P. 6.42. 15). A p. 54 n. 9. “In S. P. 6.9. 3 la prescrizione pare veramente vietata solo nei ri- guardi dell’infans, il quale, se pur avesse rifiutata l'eredità, potea ripeterla entro il quadrien- 94 IL CONTENUTO GIURIDICO nio dal raggiungimento dell’età maggiore [6.31.6]. La S. P. 6.11.1 non tronca il dubbio per- chè vuol dir solo che l’impugnazione del testamento interrompeva la prescrizione a danno dell’erede ,,.—-A p. 54 n. 1: “I coeredì erano solidali attivamente e passivamente [8.31.2].— Ap. 54 n. 8: “ Chi si fosse in buona fede portato da erede poteva riavere quel che avesse sborsato in tal veste [3.31.5],. — A p. 54 n. 13: “ Per l’unione dei possessi cfr. 7.32.1,2,.,— A p.55 n. 7: “ L’imperscrittibilità delle cose furtive è affermata in 7. 26.7 e quelle dei beni male acquisiti in 7.26.1,4,9 e 5.73.3,4,.— A p. 55 n. 17: “ Pel concetto della pertinenza cfr. 6.38.2,,. — A p. 56 n. 8: “ Le alienazioni doveano quindi esser fatte di comune accordo [2.18.19]; altrimenti non erano valide. La manumissione arbitraria del servo comune non dovea però nuocere alla costui libertà: i soci qui aveano solo il diritto alla rifusione del prezzo del servo,,. —- A p. 57 n. 12: “Il possessore di buona fede anche pel servo avea diritto alla rifusione delle spese [8. 51.1]. — A. p. 57 n. 5. “Sulle res religiosa ctr. S. P. 3.43.2,4.9. I sepulchra diventavano res mullius solo in mancanza d’eredi [3.43.13]: dal titolo di erede e non dalla qualità di parente nasceva il diritto ad usarne [3.43.8],. — Ap. 57 n. 16. “Il possessore non avea l’ob- bligo di provare il proprio diritto |4.19.2],,.-- A p. 58 n. 6. “ Così pure quando si fosse fatta una inutilis remissio 8.25.9,.— A p. 60 n. 13. “Se il pagamento non era provato diventava necessario il soddisfacimento dell’obbligazione |8. 42, 23, 25; 8.41.3,,. A p. 61 n. 1. “ Naturalmente la restituzione della carta dovea esser stata fatta libera- mente [8. 42.5], — A p. 61 n. 4. “Il creditore che offriva il pagamento al conere- ditore poziore si surrogava a lui [8. 17.1; 8.26.4]: ma da 8.41.4 parrebbe che 1’ ac- cettazione della sua offerta non fosse necessaria ,,. — A_p. 61 n. 12. “Il debito per esser compensabile dovea esser liquido [4. 31.9, 10], la compensazione opponibile al cre- dito per legato [4. 31.8], non lo era al credito per vendita [4.31.7]. — A p. 63 n. 4. “ Per la vendita giudiziaria cfr. 7. 53.1, 3; 8.21.1, 2; 8.27.14. Annullabilità della vendita frodolenta in 8.27.4,.—A p. 63 n. 13. “La vendita del pegno da parte del debitore si validava in ogni caso se costui offriva il pagamento [8. 27.9] o se l’alienazione fosse avvenuta a scienza del creditore [8.27.10],, — A p. 63 n. 19. “Parrebbe da quest’ ul- timo capitolo che l’occupatio publica esonerasse dalla fideiussio. — A. p. 64 n. 1. “ L’erede rispondeva pei debiti del suo autore nascenti da fideiussione [8. 41.5; 8.44. 30]. La pro- messa in misura più larga dell'ammontare effettivo del debito non mutava l’ obbligazione del debitore principale [8.40.42]. La fideiussione non nasceva di per sè dal man- dato [8. 40.7]. — Ap. 64 n. 3. “Però nella S. P. 8.40.21 è detto che prima d’ agire verso i fideiussori bisognava. valersi della garenzia reale ,,. — A_p. 64 n. 11. “ Conte- standosi l'ammontare del credito il creditore dovea provarlo [4. 17.1; 4.19.1),. — A p. 64 1. 16.“ Per la cessio bonorum ctr. 7. 71.1-7,,. — A p. 64 n. 10.“ Dalla S. P. 8.39.3 parrebbe che la solidarietà venisse meno se di più condebitori uno solo avesse profilitato delle somme mutuate: ma potrebbe esser caduta la negativa ,,.—A p. 65 1. 6 dopo “in nome di colui ,, leggasi: “che figurava come acquirente nel documento e non in nome di colui,,.-- A p. 65 n. 4. “Dalla S. P. 3. 32.8 parrebbe pure che dei beni comperati con denari del milite costui diventasse proprietario per metà: ma è sospettabile che una tal pratica realmente esistesse ,,, — A_p. 65 n.7 “ La S. P. vieta in è. 25. 22, 23 la vendita delle actiones. Rela- tivamente illecita era il contratto di compravendita tra chi era in exactione publica e i suoi soggetti [4. 44. 18] ,,, — A_p. 65 1. 22. In caso di vendita o donazione doppia pre- valeva chi avesse avuto effettuata la traditio a favor suo [S. P. 3.32.15]. Sull’efficacia della traditio cfr. pure 3.32.26 e 4.7.2. Compratore costituito procurator în rem suam a venditore [4.39.2],,.— A p. 65 n. 29. “ Altro patto in 4.54.3 (risoluzione della ven- DELLA SUMMA PERUSINA 95 dita per tardato pagamento del prezzo): in casi normali il ritardo non importava che le usure moratorie ,,. — A_p. 66 1. 11. “La rescissione per lesione enorme è pre- sentata nella S. P. come un’actio de minori praetio [4.44.2,11,12,15,16; 4.45.2; 4. 49.2; 6.8. 42,29] intesa ad ottenere la restitutio praetii [4.54.6] o il supplemento del prezzo: non era quindi accordata ancora al compratore contro il venditore [4. 49. 9]. La lesione parrebbe dovesse essere almeno della metà del valore [4. 44. 4, 8] quantunque qualche dubbio nasca dal fatto che ripetutamente s’insiste sulla irretrattabilità di una iusta venditio [4. 44.3, 6, 7; 4. 47.2; 4. 51.3]. La rescissione non era ammessa per com- pere fatte a pubblico incanto, — A p. 66 n. 2. “Il compratore qui rem male emit non era esonerato dall’ obbligo della restituzione [6.2.2] se avesse ceduto la cosa ‘a terzi [4. 4410], — A p. 66 n. 8. “ Parrebbe però che il recursus ad anctorem non fosse ammesso da parte del venditore conoscente il vizio della vendita [8.44.2]. — A p. 66 n. 11. “ Diritto di agire per aver la cosa donata [8.583.1] o il duplo in caso di evizione [8. 44.2] ,,., — “A p. 66 n. 16. “ L'onere delle prestazione dell’evizione rispetto alla permuta è attestato della S. P. 8.44.3,,. — A p. 67 n. 21 “tanto meno era lecito il donare [8. 53.4], — A p. 67 n. 9. “ D'altronde il conduttore non era tenuto a col- tivar la terra oltre il termine prefisso [4.65.11]. La vendita risolveva la locazione [4. 65.2], — A p. 69 n. 2. “Il mutuatario era proprietario delle pecuniae mutuate on- degli agiva contro il ladro [6.2.22]: a lui andavano i frutti delle somme stesse [4.2.2]. Cfr. 4. 2.7. Circa l’obbligo delle restituzione cfr. 4. 2.13 e 4.7.6, — A_p. 69 n. 7. “Era ammessa anche contro la transactio [4. 30. 10,.12],,., — Ap. 69 n. 9. “ Chi pregava altrui per un mutuo ne diventava garante [4.2. 15],,, — Ap. 79 n. 1. “ Ad tempus [4. 37. 4.5] ,,= Ap. 71 n. 15. “Non giovava che ai contraenti [4.2.1]. Con queste aggiunte crederei che nessun capitolo della S. P. sia sfuggito al mio esame. Con ciò non presumo d’aver tutto ben capito e ben esposto: l’assunto era, oltre che faticoso e fatigante, difficile e insidioso. Ma l’opera mia paziente potrà servire d’indice e di guida al lavoro altrui: se non m’inganno essa dimostra per lo meno che c’è da lavorare utilmente. Ni lei cre Li i SOSTA LR A == Nar Ri GP boo bisi el o ira i BUR} attcià alii meta Dati I = a i Joi cher rodi elit al e) resist a: “tea MANDO AA gh E bi digie dint i er MORI Ù pt “ii pain Sr apra ITIORRA Di da piro ate rali PRO “Ng ti fia dp CA Ù darci > RA veneti Viana dre sig dre enni: a ano pa & bp STI afie a EI TNtITI É tato Set (oniby #64 gt nel abi STATO in ven | ieri Nea sila ubi Mi sul aio tob vl + dille droit ché Red tr È de. fdt J [NISEPTOROTI ù ) Ra î hate 4 È tà wi Sa * \ i l1 Ù VI "i » Î PART) a È f "e è i ì i » 7a Tae N ceo tec Gip fd Lo à "eo Le kl P % - ‘ ; ì “DÀ P # Vebc iazi boh conii SI ve A Ùi ISTE dà ‘ x MISERI n bd Ea pot j e pal i 1:44] x ” pai, es Al Lo? “ivi } Li bio ti ida ‘£ O d y e 44 kb . Pg 5A dia a ua; 7 SÉ { ny » P, L) dr 3 . > =: . ® i As IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE PER LO STUDIO CRITICO DEL: “ CORPUS IURIS GIVILIS,, COMUNICAZIONE FATTA ALL’ACCADEMIA dal Segretario Generale PROF. SALVATORE RICCOBONO nella tornata del 16 Aprile 1905 oa IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE PER bO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVIBIS,, L'opinione dominante insegna che gli scritti degl’interpreti greci sulla compilazione di Giustiniano hanno altissimo valore per restituire î testi perduti, per controllare o ristabilire, ove il bisogno lo richieda, la lezione dei mss. latini dei Digesti e del Codice !, come, in altra direzione, ne ap- prezza convenientemente l’utilità per la conoscenza delle dottrine giusti- nianee ?; ma nega invece a tutte quelle fonti qualsiasi autorità per le investigazioni sullo stato del diritto avanti Giustiniano. Cotesti canoni di critica poggiano su un apprezzamento generale di tutta la produzione dei Greci, in quanto la questione preliminare, relativa al me- todo ed all’origine dei singoli lavori bizantini sui libri di Giustiniano, è risoluta nel senso che essi derivino in complesso dalla compilazione uffi- ciale, senza altri sussidi di sorta. Così pianamente e senza sforzo si è pervenuti ad affermare, che gl’in- terpetri del sec. VI misero nello studio della compilazione ogni diligenza, la quale mirabilmente accoppiarono cum absoluta iuris antiquioris omnium- que ommnino quae extra corpus iuris posita essent ignoratione : le parole sono 1 Il contenuto dell’articolo di E. Heimbach, “ Ueber den Nutzen der Basiliken und der sogen. alten Scholien fiir die Kritik des Digestentextes ,, in Zeitschrift f. Rechtsg. II (1863) p. 319 e seg. si limita a porre in rilievo l’utilità dei Basilici per la correzione e la integrazione dei passi dei Digesti. ? Cf. Kriiger, Geschichte ete. p. 364; Ferrini, Il Digesto p. 78. e specialmente C. Longo, Natura actionis nelle Fonti Bizantine in BIDR. 17, p. 34 e seg. 4 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE del Mommsen, ma il giudizio ha radici profonde e domina incontrastato nella nostra scienza E l'opinione dominante, bisogna riconoscerlo, si trova a suo agio, pro- tetta da difese formidabili; da una parte stanno gli ordini severi dell’Im- peratore, che, per la pace dell'umanità, vietò per tutti i secoli i comenti ai testi delle leggi, ai contemporanei in particolare, e l’uso delle raccolte e degli studi più antichi e la collazione con i mss. originali; d’altra parte sta la tradizione costante sull’efficacia reale di quei precetti, documentata dalle forme esteriori dei primi manuali greci, che figurano appunto come versioni, indici e confronti dei testi legali. Escluso quindi ogni sospetto d’infrazione agl’ordini imperiali, poteva anche scansarsi qualsiasi indagine in proposito e ogni discussione. Ma gli studiosi di altri secoli come i moderni hanno visto benissimo che le versioni, gl’indici e le annotazioni dei Greci alle leggi del Corpus iuris si distaccano assai di frequente dal testo latino, in quanto in alcuni punti offrono elementi più copiosi, in altri contengono meno, ed in non pochi tratti, infine, divergono essenzialmente dai libri ufficiali. Ragionevolmente, cotali divergenze suscitano difficoltà gravi. Possono elle accordarsi con la credenza di sopra mentovata, dell’ origine pura di tutti i lavori bizantini del tempo di Giustiniano ? Così è posto il problema nei termini più semplici, e credo che il vero discernimento e la vera serietà scientifica consistano non già nel fuggire senz'altro ogni indagine e discussione, per un motivo formale, qual’è quello dei precetti di Giustiniano, ma invece nell'affrontare l’ una e l’altra con prudente libertà, studiando attentamente caso per caso, per trarre dai fatti le conseguenze legittime. Il contenuto di quelle fonti, come s'è detto, non consente pertanto alla opinione dominante una tranquillità beata; quelle divergenze sono mo- leste. E difatti i migliori critici, poste in rilievo le anomalie più appari- scenti, hanno tentato darne una spiegazione, che fosse nello stesso tempo in armonia con i divieti del grande legislatore. Si dice che i Greci contemporanei di Giustiniano dovevano avere 8 Mommsen, praef. p. LX; Kriiger, praef. p. XVIII; Bruns-Lenel, Holtzendorff's Enc. p. 160; Dirksen, Hinterlass. Schrift. II p. 145, che nondimeno, mentre afferma che la produzione bizantina è in complesso misera cosa, una stentata elaborazione dei libri di Giustiniano, ammette negli autori la conoscenza e l’uso delle raccolte pregiu- stinianee; Eckard, Hermen. iuris civilis, dissertatio VI $ 268; VII, 292, il quale tuttavia riconosce ($ 300) che i Greci: iurisprudentiam suorum temporum veteri iurisprudentiae passim miscuerint. E. Heimbach nello articolo sopra cit. p. 340 ammette soltanto per Doroteo l’uso di vecchi esemplari. PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS & DD] fresca memoria dello stato del diritto anteriore, e, molti di essi, anche della forma degli scritti dei romani giuristi; si attribuiscono di conseguenza le notizie particolari che offrono nelle loro elaborazioni a semplici remi- niscenze *. Ovvero si afferma, come ha fatto lo Zachariti, che alcuni degli inter- petri del Codice, specialmente Taleleo, compirono le loro versioni e gl’in- dici sulla prima edizione del 529. Ma più generalmente si insegna, infine, che tutte le anomalie o i nuovi tratti che si leggono in quei comenti, derivino dagli studi fatti dai Greci sulla compilazione nel corso del secolo VI risalendo fino a Teofilo; il frutto di cotali studi si sarebbe manifestato in aggiunte inserite nei testi e nella sapienza sparsa nelle annotazioni ?. Queste spiegazioni, per quanto diverse, convergono ad un medesimo punto : nel dichiarare cioè le raccolte dei Greci prive di ogni valore per la cognizione del diritto antico. Il corollario è legittimo. Chi suppone che i Greci interpetri non avessero altro conosciuto che i libri di Giustiniano, deve necessariamente ritenere inservibili tutti i prodotti di quell'epoca ai fini di un’imdagine critica diretta a porre in luce la struttura dei testi ge- nuini dei giureconsulti classici e delle costituzioni imperiali, o ad investi- gare, viceversa, le modificazioni introdottevi da Giustiniano. Or tale insegnamento non risponde alla realtà delle cose, ed è in sommo grado pregiudizievole. L'errore fu denunziato nel 1865 da un insigne maestro, 1’ Alibrandi, che in una lettura tenuta nell’ Accademia romana di Archeologia , affermava, in base a copiosi elementi ricavati dai Basilici, “che i greci commentatori ebbero sussidî utilissimi che a noi in gran parte mancano ,,5 ; ed il Ferrini, che, per questo riguardo, non si seppe discostare tante volte dalle orme dello Zachariti, e dagl’insegnamenti del Mommsen e del Kriiger * dovette riconoscere senza esitanza che “ l'autorità de’ bizantini deriva dalle fonti, di cui poterono valersi: tali fonti non sono direttamente le opere classiche, bensi le loro elaborazioni antegiustinianee ,,°. 4 A parte le contraddizioni dell’ Eckard e del Dirksen di cui sopra nella nota 3, cfr. Zacharii ZSS vol. X p. 285; Ferrini in BIDR vol. 3 p. 63. 5 Cfr. Mommsen, praef. p. LXXIII e segg.; Kriiger, Gesch. p. 361; v. specialmente n. 12; Lenel, ZSS. vol. 2 p. 72 e segg. 6 Opere p. 49 e seg. ® Cfr. per es. in B. IDR. vol. IV, p. 9. 8 Per l’ VIII centenario della Università di Bologna, p. 85; e già in forma più decisa nei Proleg. alla graeca Paraphr. p. XIV scriveva: Is igitur fuit, ut patet, aetatis Iustiniani imperatoris mos, ut libri ex berutiensi schola profecti, cum fieri posset, ad nova studia aptarentur; cf. il Digesto, p. 81, 180. 6 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE Ecco un apprezzamento adeguato, che l'esame di tutta la produzione giu- ridica del sec. VI può confermare e porre in una luce migliore. E se in questo luogo non è consentita una indagine larga a quello scopo, tuttavia ritengo possibile, in grazia specialmente agli studi anteriori, mettere in evi- denza le linee direttive delle ricerche onde avviare il problema ad una so- luzione deffinitiva. Per quanto riguarda le Istituzioni imperiali, gli studi del compianto Ferrini ® misero in chiaro il metodo seguito da Teofilo nella formazione della cosidetta “ parafrasi greca delle Istituzioni .. Il maestro costantino- politano si rese agevole il compito, adattando al nuovo libro imperiale una antica versione greca, forse beritese, del testo gaiano. L’opera così condotta doveva necessariamente contenere molte sconcordanze col dettato latino e portare copiose tracce del vecchio esemplare in forma di notizie storiche, argomentazioni o interi tratti. E gli elementi disarmonizzanti con il titolo e la natura del lavoro sono così numerosi e appariscenti che, già avanti la scoperta del Gaio veronese. eruditi scrittori 1° avvertirono che la para- frasi in molti punti si adattava meglio all’ epitome gaiano che al testo ufficiale. Per questa parte della compilazione quindi la prova è completa, nel senso contrario all'insegnamento che corre rispetto alla formazione ed al contenuto dei lavori greci. ll. Versioni e paragrafe relative alle leggi del Codice furono sotto questo punto di vista studiate dallo Zacharià 1, il quale pervenne, quanto alla constatazione del fatto, al medesimo risultato. L'interprete massimo del Codice specialmente, Taleleo, rende spesso nel z2%à 766, 0 presuppone nelle annotazioni un testo che non coincide con quello ufficiale; ma contiene in certi punti elementi più copiosi, in altri è ° Il quale riprodusse da ultimo il confronto dei testi in Byz. Zeitschrift, VI p. 457 e seg.; un nuovo elemento efficacissimo vi aggiunge il Bonfante (Studi in onore di V. Scialoja vol. 1 p. 547, 548) rispetto alla terminologia costantemente usata nella pa- rafrasi: adquisitio per universitatem, resa più di frequente con la frase xm7jow xa’ sudda, in contrapposto alla costruzione giustinianea : successio per universitatem. 10 Mylius “ historia Theoph.,, p. 25 (in Reitz vol. II p. 1052); Zuichemus ‘“ praefat. Theoph.,. $ 32; Eckard, Dissert. VII. $ 300. 1! Cf. Zeitschrift SS. vol. 8 pag. 1 e seg. PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS , ti offre meno, o presenta infine, in varii luoghi, divergenze nelle frasi o nel contenuto delle costituzioni. Qui intervengono i codici pregiustinianei, il Teodosiano particolarmente, a toglier di mezzo ogni dubbio; poichè, ove le costituzioni conservate dai codici più antichi consentono il confronto, si osserva che il testo tradotto o annotato da Taleleo collima appunto col dettato che si legge in quelle collezioni. L’ esistenza poi di versioni e studi compiuti sui codici più antichi in Oriente, attestata dagli scolii Sinaitici e dalle stesse citazioni dei contem- poranei di Giustiniano !, non può esser messa in dubbio; se ne deduce, quindi, naturalmente che il primo interprete del Codice dovette utilizzare, come appunto fece Teofilo, materiali pregiustinianei. Altre congetture, per spiegare tutte le disarmonie delle elaborazioni greche sul Codice, sono vane; nè riuscì, in particolare, lo Zachariti a rendere nemmeno probabile la sua asserzione, che cioè in tutti quei casi la versione, l’epitome o le note fatte sulle costituzioni si riferissero alla prima edizione del Codice di Giustiniano, poichè, conoscendo noi della raccolta del 529 un bel nulla, quella spiega- zione poggia nel vuoto. I confronti intanto fatti dallo Zachariîi sono tutti a vantaggio della dimostrazione che qui si vuol dare !; noterò quindi pochi esempî che mi sembrano caratteristici. a) La costituzione di Gordiano riportata nel C. III 32,5 ha nella chiusa un periodo, certamente aggiunto dai compilatori, del seguente tenore : 7257 necessarios sumptus fecerint: sin autem utiles, licentia eis permittitur sine laesione prioris status rei eos auferre. Questo brano addiettizio manca nel- l’epitome del rescritto che leggiamo in Armenopulo : II, 1, 35: 0 xaxf) mioter Eévoy oîxov npatv rai veunbeis aTodidwor T@ zupim totov adrtòv petà TdvIwy, bs cis feAtiwow Toù otxov To Er adro eE0dovs od Aapfdver. È quindi accertato che cotesto sunto fu tratto dall’ esemplare genuino della costituzione. Ma lo stesso Armenopulo, nel medesimo titolo del ma- 12 Cf. Sin. 1,2,5,9, 59; B. 11, 2, 60 sch. 1. (Heimb. 1, p. 726): u%)iota ey co ot \syovevm “Eppoyevavi xbdwtr Aeyobozs; B. 11, 2, 35 sch. 1. (Heimbach 1 p. 704): Teodoro: uxbs, KATÀ TOÙS Tal aods vomzods xal TÀS Ev LIT) “Eguoyeviav$ xa Tonfopiavo dixt4iz1s. Cf. Fer- rini, Proleg. alla Paraplr. p. XIV; l’opinione del Mommsen (Proleg. ud Theod. p. XXXI) che ritiene il Teodosiano poco noto, o almeno poco usato, in Oriente prima di Giusti- niano è più singolare che dimostrata. 13 E già lo stesso Zacharià, ripetutamente accennò alla possibilità che i coevi di Giustiniano avessero adoperato versioni preesistenti dei codici antichi; cfr. Kritische Vier- teljahresschrift vol. XVI p. 228 e seg.; Geschichte des Griech. ròm. Rechtes p. 6 e altri scritti. (09) IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE nuale, riferisce altro epitome del testo, e questa volta con l'interpolazione giustinianea : II, 1, 6: ‘0 7dvy dXAX6rgov cîxov 42%7) (42% Harm.) atorer vepnbaig'aro- èibwer uiv adtòv petà 10y cisyovoniwy ail ravtòs Etipov: tà èè a oò Xapfaver, [ci pù dpa avayzaià ciov cà èì Enwpe)i divata: wi) PAdr a dcyatav dbwy àdoerecbar]. Osservando i due sunti si vede che essi differiscono di poco nella forma e nella concisione del dettato, coincidono poi perfettamente nella chiusa, in quanto corre parallela nei due testi, nelle parole èì..... cd XauSdvet il nr è: ha qui forza nettamente avversativa ed io ne deduco che i due sunti ll dovettero essere tratti dalla costituzione originale di Gordiano: entrambi chiudevano nel punto indicato. negando al possessore di mala fede qual- siasì compenso per spese fatte sulla cosa altrui. Ma l’interpolazione giu- stinianea dovette essere applicata da uno degli interpreti del codice a quell’estratto che passò poi nei Basilici !* e quindi nella Sinopsi !, dalla quale raccolta il testo venne nel Manuale di Armenopulo. Altri esempî dello stesso genere ci occorreranno più oltre; per ora noti il lettore quale distacco si avverte pur nel testo greco tra il sunto più antico, breve e pregnante, e la versione quasi letterale, sciatta dell'aggiunta giustinianea. b) Il patto in favore di un terzo fu reso efficace da Triboniano anche nella c. S Cod. 3. 42. nella quale la decisione originale fu modificata con l'aggiunta delle parole: strscto dure..... utilis autem tibi propter acquitatis rationem dabitur depositi actio. L'interpolazione è ammessa oggi senza con- trasto 15: ed a confermarla può ben richiamarsi la versione greca del rescritto accolta nei Basilici 1. dove il periodo addiettizio manca. La spiegazione preferita dall’Eisele, che i commissarî dei Basilici avessero ricondotto il testo alla forma primitiva, è destituita di fondamento. Infatti quella commissione coordinatrice non apportò modificazioni sostanziali alla raccolta giustinianea; e più direttamente poi. nella quistione che qui inte- ressa, i Basilici riproducono costantemente il diritto giustinianeo 1. Inoltre dI (Cn 1 B. 15, 1. 85, Zacharià, Suppl. p 15 Ediz. Zacharià A, 1, 5 p. 168. 16 Cf. Eisele. Beitrige zur ròm. Rechtsg. p. (9 e seg. : Pacchioni, I contratti a fa- vore di terzi p. 52. I° B. 15, 4, 28 (Heimbach II. p. 178). 18 Cf. B. 25, 1, 13 (Heimb. III. p. 60) corrispondente a D. 13, 7, 13 pr.: per l’inter- polazione giustinianea v. anche Fabro, Coniect. 19 c. 19. — B. 32, di 10 (Heimb. 5 p. 105) corrispondente a D. 44, 7. 11; per l’interpolazione v. anche Wlassak, Geschichte der Cognitur p. 33. PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS 9 Taleleo ha cognizione piena di analoghe riforme introdotte da Giustiniano, C. 5, 14, avverte alle parole accordato contro la regola generale e chiude la ed a proposito della e. 7 odiriia dÈ Appòcer che il rimedio è nuovo, nota con la solita frase: ®g l(diuòv xaì Févov onpermmoaohar 19. Il rescritto dioclezianeo quindi sopra citato, potè arrivare nella sua forma genuina fino ai Basilici perchè la versione greca proveniva dal codice Br- mogeniano. I primi interpreti del codice giustinianeo utilizzarono normal- mente le antiche collezioni, e in questo punto, come tante altre volte, non avvertirono che la decisione nella raccolta ufficiale era stata mutata in senso contrario. Ed è ancora significativo lo scolio 2 applicato al testo dei Basilici 2%, alle parole obèepixv &ywyKy che è del seguente tenore: Atà TOV dvova Toy Xéyavta, di dA Xotpiov Tposòérau daywyri tv od Tpoctopitetat. Qui lo scoliaste richiama la regola del diritto classico nella sua forma più pura ?1 Ma la regola se poteva ben servire per illustrare la decisione di Diocleziano, non poteva mai più adattarsi al testo modificato di Giu- stiniano; ne segue che anche l'annotazione deve avere origine pregiusti- nianea: germogliata dal medesimo ceppo insieme alla versione del rescritto, ne seguì le vicende attraverso i vari manuali e collezioni. c) Theod. IT, 1,4 (a. 383). Quisquismalor aetate atque administran- disfamiliarum sua- rum curis idoneus comprobatus prae- dia, etiam procul posità distraxerit, etiamsi praedii forte totius quolibet casu mini- me facta distractio est, repetitionis in re- liquum, pretii nomi- ne vilioris, copiam mi- nime consequatur etc. B. 19, 10, 84 (Zac- charià p. 282). Ht tue NÉ EVIAUTOY UAÙ ÈTUTI- mc peltwy TOòy A Ti)y (Olav doxrpaoheis r nTiuata, el xa Tipdw ; OVOpati ? E Tpadevtos pay 8 Ca) (e) ai I) U Topiav |pNdcpoc da Taobu. Cod. Iust. IV, 44, 15. Quisquis maior aeta- te praedia etiam pro- cul posita distraxerit, paulo vilioris pretii no- mine repetitionis ez venditae copiam mini- me consequatur ete. 19 Cod. 5, 14, 7=B. 29, 1, 37 (Heimb. III, 483); Taleleo schol. 2 2xit, (Eos 100 00) 21 Cf. Gaio II, 95 nè può ritenersi il nostro scolio derivato da Theoph. II, 9, 5 perchè qui la regola è . vulgo dicitur, per extraneam personam nobis adquiri non posse; tradotta diversamente: dì eiwrixod TEOTwTIL UNIV Tpostoo! iCacdxt divacda:. Cf. del resto Bonfante, Inst. p. 74 n. 1. 2 10 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE Riportati i testi paro a paro il commento può essere breve. Il lettore osserva infatti con un semplice confronto che i compilatori estrassero dalla prima parte della legge di Valentiniano un sunto e modi- ficarono inoltre alcune parole: essi sostituirono la frase in reliquum con le parole rei vernditae ; aggiunsero 1’ avverbio paulo, che richiama le nuove prescrizioni giustinianee circa la Zaesio erormis, regolata da Tribo- niano nello stesso titolo con le note modificazioni apportate ad un resceritto 99 di Diocleziano 2°; ed infine invertirono l’ordine della frase : pretii nomine vilioris, per dar maggior risalto all'avv. paulo. La versione greca, all'opposto, riproduce più integralmente il testo ori- ginale, e senza quei ritocchi formali fattivi dai compilatori; in essa manca inoltre l’accenno alla laesio erormis, che nella nuova redazione della legge, da parte di Triboniano , aveva importanza saliente riguardo alla stessa decisione. Non può essere quindi dubbio che il sunto greco, ricavato dal codice Teodosiano, sia stato poi nel sec. VI utilizzato per i nuovi manuali sul codice di Giustiniano ?3. La copia degli esempii di questo stampo che le fonti greche otfrono, raccolti, come si disse, ed esaminati dallo Zachariî, autorizzano l’afferma- zione precisa che Taleleo, cioè l’ autore che meglio conosciamo, seguì in tutta l’opera sua d’interprete del codice siffatto metodo. Nelle annotazioni poi egli usa ogni cura nel porre in evidenza le riforme introdotte da Tri- boniano nelle leggi del codice; e attesta così, nella maniera più esplicita e diretta, che egli teneva dinanzi agli occhi insieme al testo ufficiale le col- lezioni più antiche dei rescritti e delle leggi; e da queste collezioni egli aveva già ricavato, in buona parte, la materia prima per la formazione del xxtà x6èz;, completato immediatamente dopo la pubblicazione della raccolta ufficiale >. In quanto al confronto dei testi fatto da Taleleo nelle paragrafe riporto due soli esempii. Egli rende conto di una aggiunta inserita da Triboniano ad un vrescritto di Diocleziano e Massimiano in Cod. 2, 12, 17; e scrive: Tobro is ÈxxANtoy pi) mposzellevoy: ti tadari diatdtzi Tpocebynzay vò ot Tepipavectato: xwiwmevizi 2. Viceversa, a proposito della c. 1 Cod. 2, 9 (10) rileva dal contronto le parole che furono omesse dai compilatori nel riferire dal Gregoriano il rescritto di Alessandro, e nota ?%: tadt) dratage: cè 2 Cod. 4, 44, 2; confr. Gradenwitz, Bull. Ist. D. R. II p 14. 23 Heimbach II. p 317 riporta in B. 19, 10, 77 il sommario del testo dal Tipucito. 2Cf B 8,1,28sch allac. 160 2,7. Heimbach, vol. 1p.347; Kriiger, Geschichte p. 364. 2 B. 8, 2, 91 sch. (Heimbach 1 p 411). 26 B. 8, 1, 40, sch. (Heimb, 1 p. 355). PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS 11 5 , 55) DA = ATA , e > DS TA ALY TOICEKELTO..... XAANK TTEPLELAOY VUV TOLTO TO favo 0) RIOVIAVELS VWOL- Le versioni greche dei passi dei Digesti, e le paragrafe relative, non fu- rono finora esaminate da questo punto di vista; ma è noto altresi, per ripetute esperienze, che esse, di frequente, diversificano dal testo latino ufficiale per le medesime disuguaglianze notate nei lavori al Codice. La constatazione questa volta è fatta dal Mommsen, il quale, ai fini dell’accertamento del testo latino ufficiale e senza approfondire oltre l'esame 25: sane qui temere admittit che riconosce estraneo al suo compito, scrive apud Graecos reperta quae non leguntur aliterve leguntur in libris latinis, etsì per se probabilia et fortasse optima, ne is vidcat, ne Graccorum commentis latina corrumpat magis quam corrigat; e più oltre satis enim constat tam Oyrillum quam Anonymum ante oculos habuisse praeter archetypum etiam versionem plenioren ct multa inde retinuisse, ut consensus interpretum licet raro fallat, tamen fallere possit; ed a proposito della versione stefaniana soggiunge : quae ex versione petita leguntur apud Stephanum num ipse Graece fecerit ex Latinis an traxerit ex versione antiquiore, quod magis crediderim, quaecrent quorum interest ?9. S’intende che per il Mommsen quelli esemplari più antichi da cui i contemporanei di Giustiniano avrebbero ricavati molti elementi, non pote- vano essere che i prodotti dei primissimi interpreti delle Pandette: e lo Zachariti, rigidamente fedele a quel cotale domma della derivazione, me- diata o immediata, di tutte le fonti greche dalla collezione ufficiale, si appigliava a tre indizi, ben lievi in verità, per dichiarare effettivamente un rapporto di parentela tra l’opera di Stefano e l’Indice di Teofilo. Ma il preteso rapporto potè ben presto essere dimostrato privo d’ogni base da una accurata indagine del Ferrini, che mise in rilievo il carattere spic- catamente diverso, per struttura e indole, dell’Indice di Stefano °. Per Teofilo e Doroteo, già primissimi nella interpretazione del testo ufficiale, la questione non poteva ragionevolmente nemmeno porsi in quei termini; in quanto poi alle fonti usate da Cirillo e dall’Anonimo lo stesso Zacharizi tornava dalle sue peregrinazioni attraverso le fonti contemporanee a mani 2° Altri esempii v. in Alibrandi o. c. p. 53 e seg. Cfr. anche Kriiger, Geschichte 363, 364. 23 Praef. p. LXXV. 22) ID6 (Cojo ADOOS ak 30 Bullettino I. D. R. III p. 64 e seg. uo] P. 12 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE vuote 31. Non potrebbe essere cotesto un segno del falso cammino fatto da un così potente signore nei suoi regni? Io lo credo: e credo pure che te- nendo lo stesso metro, come s'è proceduto nell'esame dei lavori relativi alle Istituzioni ed al Codice, si possa pervenire, anche rispetto ai manuali greci composti sui Digesti, a sciogliere il problema e con le risultanze me- desime. Ma qui l'ampiezza del materiale impone limiti rigorosi nelle investigazioni, le quali ad ottenere il massimo effetto debbono esser coordinate e dirette sul punti più salienti. saggiando per così dire la materia, e ponendo più che altro in evidenza il metodo delle indagini. E pertanto — non tenendo conto degli argomenti che potrebbero cavarsi dal vocabolario e dallo stile dei vari tratti greci. la cui valutazione sfugge alla mia competenza—giova distinguere in quattro categorie gl’indizi dai quali possiamo con buon fon- damento argomentare l’uso di materiali pregiustinianei da parte degli in- terpreti bizantini dei Digesti. Le categorie sono le seguenti : J° Disuguaglianze tra i testi latimi e greci per elementi nuovi e diversi riportati dai greci scrittori. 2° Passi che non hanno riscontro nelle fonti latine. 3° Frammenti greci immuni dalle interpolazioni tribonianee. 4° Passi greci che portano tracce visibili di aggiunte posteriori, inserite delle volte per mezzo di semplici note marginali. Su questi gruppi intendo fermare la mia attenzione. I. I greci comentatoririportano testi con elementi nuovi o di- versi che non si leggono nel tratto corrispondente latino, o vi sì riferiscono integrandone il contenuto. Ciò avviene. come è noto. molto di frequente: questa categoria anzi com- prende una gran copia di casi, in cui le disuguaglianze sono appariscenti e come tali segnalate in ogni tempo. Doroteo indica più volte Servio come autore dei responsi riferiti da Al- feno nei libri digest.; segna il nome di Giuliano nelle trattazioni esposte da Africano: e quelle indicazioni. soppresse nei libri di Giustiniano, sono corrette. Tuttavia questo argomento .da solo non avrebbe gran forza. per- chè anche gli scrittori antichi, col solo sussidio dei materiali di confronto 8° 31 Zeitschrift der SS. vol. X p. 271 e seg. 82 Cfr. già Antonio Augustino. De nominibus ete.: così anche il Mommsen, Zeitschrift f. RG. vol. IX p. 90 e seg. Praef. p. LX n. 4. che attribuisce tutte quelle nuove indi- cazioni e correzioni a stulî diligenti compiuti dai bizantini sui Digesti nel corso del Sar IL PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS 13 che porgono i Digesti intuirono il giusto rapporto tra autori e discepoli in quei casi; ma esso acquista ogni vigore alla luce di nuove correzioni dei testi latini che si rinvengono presso i Greci. Così Stefano riporta correttamente il fr. 22 D. 3,2 a Marciano ?9, laddove gli altri Greci e la Florentina lo attribuiscono a Marcello. Lo stesso interprete in B. 16, 8, 10, corrispondente a DD. 7, 8, 10, 2 riferisce i nomi di due giuristi Proculus et Neratius ?* ed anche qui i libri latini presen- tano una variante erronea: Priscus et Neratius. La versione letterale del fr. 4 pr. D. 41, 10 di Pomponio XXXII ad Sabinum, riportata da Ar- mencpulo ?°, ha il nome di Neratius in luogo di quello di Trebatius che si legge nei libri latini. Or la citazione del tratto greco risponde meglio alla dottrina esposta nel passo, ed acquista poi uno speciale valore ove si avverta che la versione greca riferita da Armenopulo è la più antica in confronto dei sunti greci noti relativi a quel passo; da essa anzi Doroteo ricavò la summa del fr. pomponiano che ci è conservata nel ms. parigino graec. 1851 fol. 238; e questo fatto insieme ad altri indizi precisi, che ebbi occasione di porre in rilievo altrove 3, portano a conchiudere che la versione è indipendente dal testo ufficiale latino e che essa con tutta probabilità è pregiustinianea. E che i nostri interpreti abbiano di fatto trovato nei lavori degli * eroi beritesi ,, un poderoso sussidio, anche perla interpretazione delle fonti giu- stinianee, si avverte di continuo nelle paragrafe ed in varie direzioni. Così Taleleo nell’annotare la c. 4 Cod. 11, 11 (12) combatte una dottrina e si richiama all'autorità di Patricio in questa forma: diedeyÉw dì odx ix 16 oîmelwy pov Tévwv, XX Ex toy tod fjpwos IMarprxiov 37: che lo scoliaste avesse per le mani autori antichi si ricava dalla chiusa di questa stessa paragrafe, in cui da Eudossio trae una citazione dell’opera di Ulpiano de officio proconsulis che riporterò più oltre. Stefano attesta in più luoghi di aver sott’ occhio un vecchio autore, tov madatòy 88, e dello esemplare pregiustinianeo passarono nei suoi lavori 83 Bas. 22, 5, 13 (Heimb. II p. 542). Cf. Lenel, Pal. 1, c. 679 n. 1; così anche il Mommsen, il quale, dal suo punto di vista, sente il bisogno di notare: recte quidem, sed contra archetypum cum pars greecorum cum Florentino libro in falsa lectione consentiati praef. p. LX, n. 4. Suppl. Zacharià p. 116; sch. 11. SSR 392) * Cfr. Studî Senesi, in onore di Luigi Moriani a. 1905, vol. I, p. 335 e seg. 87 Bas. 21, 3, 4 (Heimb. II, p. 454), 88 B. 21, 2, 6 (Heimbach 2, p. 438); altri esempi in Ferrini, Per l’ VIII centenario della Univ. di Bologna p. 85 e seg. 14 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE elementi notevoli; tra questi merita speciale menzione il richiamo che in una annotazione egli fa del fr. 32 fr. D. 15, 1, con le parole : divatar rat Tod diXov peoxiscopiay xuveiv, ®g 6 odAttavòs év to AB dry. puoi tod ma- pévtos ti. 39. Il brano di pergamena di Strasburgo, decifrato dal Lenel, ci ha conservato i residui del passo genuino ulpianeo, cui lo scoliaste si riferisce, e dal confronto emerge che Stefano, pur notando la collocazione che il testo aveva nella raccolta ufficiale, riportava le parole originali del passo, traendole evidentemente da una versione antegiustinianea !°. Esem- pio lucidissimo cotesto per la dimostrazione che qui si vuol dare. Ed esso trova perfetto riscontro nella doppia citazione che si legge in B. 21, 3, 4, sch. 1 4, dove lo scoliaste, Taleleo, così si esprime: &Aià todo pv ò avayvwcpa darò tod 8° pi. tv de officio proconsulis où povov abtéc, dAXÈ nat 6 fpws Eddozos avraye: neîtar dè Bi, |M. tut. de poenis 7 du. TOÙ TLT. Qui è evidente che l’ interprete traeva il passo ulpianeo da Eudossio, il quale, riferendosi all’ opera genuina del giureconsulto, doveva citarla in modo completo; Taleleo vi aggiunge la collocazione che il passo aveva nella raccolta ufficiale xettar de cet. E in fatto i Digesti contengono quello squarcio nel libro 48, 19, 8, 7 #, ma lo riportano con tali rimaneggia- menti * che a stento vi si può riconoscere il contenuto originale riferito dai Greci. II. Le versioni dei greci, o elementi essenziali in esse contenuti, non trovano in alcuni casi riscontro diretto nelle fonti latine. a) L'esempio più celebre è fornito, anche per questa categoria, da Ste- fano e riguarda la formula prohibitoria, richiamata alla attenzione dei ro- H#. Come è noto, il nostro interprete in un’annota- manisti dallo Zacharià zione al fr. 5, $1 D.7, 6 riferisce 1’ AIA ENI YUE. PÒ LoNIer, . 2% 5 du Eày ToXXots piobmow 7) rWXIw czorò tod Exaotov eîs 6AbzANpoy èveyeodat, r EFovolay tyw yuoTioer zed cb PobAopar, tds xatà tov dAiwy afwyàs txyw- pov adto 0. d) L'interpretazione più larga del diritto d’uso, secondo cui il titolare ha facoltà di locare una parte della casa, purchè egli vi coabiti, di per- cepire dal fondo frutti, sia pure in modica misura, non che gli alimenti per i bisogni proprii e della sua famiglia, di avere poco di latte dal gregge, di ricavare mercede per le opere del servo o degli animali dei quali avesse l’uso, è opera di Giustiniano 5. Tra i frammenti interpolati a tal uopo 63 I caratteri formali della interpolazione non mancano ; così l’uso del verbo com- pellere, la frase introduttiva ita demum che serve ai compilatori tante volte per saldare un'aggiunta nel mezzo di un periodo; il comparativo neutro dustius. 64 La dimostrazione più completa è data dal Bortolucci in Bullettino IDR. vol. 17, p. 314 e seg. Confr. anche Fabro, Ration. ad h. 1., il quale ‘esagera attribuendo tutto il fr. a Triboniano; ma bene egli richiama la Nov. 99. che mette in piena luce la ten- denza del diritto giustinianeo. 6 Ma nello scolio 1, Cirillo dà la versione del testo. giustinianeo. 66 Cf. il mio scritto negli studi in onore di V. Scialoja I, pag. 581 e seg. La tesi da me sostenuta è stata nel frattempo messa in dubbio dal Perozzi |Inst. p. 503 n. 2; cf. anche Bonfante Inst. p. 299] il quale ritiene quella dimostrazione più abile che vera. Non è qui il luogo di chiarire l’equivoco in cui il Perozzi incorre nel manifestare i suoi dubbii; perchè da essi attingo il convincimento che noi, nel secolo X.X e dopo tante elucubrazioni sull’uso e usufrutto, non abbiamo ancora un concetto, nemmeno approssimativo, del valore dei termini uti e frui presso i Romani. Così può spiegarsi il fatto che il Perozzi colloca tutti gli esempii che dànno le fonti in unica fila, am- mettendo tutt'alpiù fra essi una progressione quantitativa: recipere hospitem e pensio- nem accipere; uti stercore e lacte; uti pomis, floribus, aqua etc. e frugibus, frumento, oleo ete., formano unica categoria; e soltanto così può arrivare il Perozzi a conchiudere : che già i giureconsulti del primo secolo concedevano all’usuario una certa partecipa- zione ai frutti, e che conseguentemente la interpretazione più larga del contenuto dell’ uso non può essere giustinianea. Or appunto in ciò consiste l’errore, nel ritenere che la coabitazione con la moglie e i servi, l’accogliere ospiti in casa, l’utilizzare il concime, il godere dell’acqua e dei fiori, il passeggiare o farsi trasportare in lettiga, l’uso di strame, sarmenti e frutta da ta- vola, e cose simili costituiscano utilità annoverate dai romani in fructu, siano cioè nel significato tecnico fructus. Il Perozzi dovrebbe anche oggi, con le nostre progredite condizioni economiche, trovarsi imbarazzato ad annoverare in fructu parecchie delle voci soprariferite !! L'argomento merita quindi di essere meglio considerato nella direzione qui di volo toccata, e quanto prima vi ritornerò io stesso. PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS 19 spicca nei Digesti il fr. 12 $ 1 (7-8) che contiene i seguenti periodi: sed Sabinus et Cassius et Labeo et Proculus hoc amplius etiam ex his quae in fundo nascuntur, quod ad victum sibi suisque sufficiat sumpturum et ex his quae Nerva negavit e più oltre: sed melius est accipere et in oppidum deferenda, neque enim grave onus est horum, si abundent in fundo. Questo accordo solenne dei corifei delle due scuole, relativamente alle facoltà più larghe attribuite all’usuario, riesce inesplicabile; perchè già nel tratto che precede Sabino e Cassio, ed in correlazione anche Nerva, discutevano le singole voci di cui l’ usuario potesse trar profitto; discussione del tutto vana, se veramente la formula più comprensiva ora trascritta: ex Ris quae in fundo nascuntur, fosse stata già approvata dagli stessi giureconsulti. Ulpiano invero riferisce la trattazione di questo punto di diritto da parte dei giuristi del primo secolo nei termini seguenti: Sabinus et Cassius et lignis ad usum cottidianum et horto et pomis et holeribus et floribus et aqua usurum, non usque ad compendium, sed ad usum, scilicet non usque ad abusumi: idem Nerva, et adicit stramentis [et sarmentis] 5 etiam usurum, sed neque foltis neque oleo neque frumento neque frugibus usurum. A chi legga questo brano non può sfuggire l'osservazione, che se Nerva stimò dovere aggiungere ancora due voci: strame e sarmenti, vuol dire che le medesime erano da Sabino e Cassio escluse 0, perlomeno, omesse nella loro trattazione; quell’adzectto presuppone di nuovo e necessariamente che Nerva non conobbe la formula più comprensiva attribuita nel seguito del fr. a Sabino, Cassio, Labeone e Proculo. La struttura logica del passo è quindi condannata in maniera irreparabile. E se si procede avanti nei confronti, in base agli esempî genuini che troviamo nel fr. 12 in esame, i risultati sono conformi e nella stessa mi- sura invincibili. Nelle Inst. II, 5, 1 sì dice di chi ha Vuso: nihil wlterius habere intel legitur, quam ut oleribus, pomis, floribus, foeno, stramentis, lignis ad usum cottidianum utatur. Il brano è ricavato da Gaio rer. cott. il quale riproduce la dottrina di Sabino, Cassio e Nerva, con gli stessì esempii, se ne togli il fieno, che sì leggono nella parte genuina del passo dei Digesti. 6° Ho voluto mantenere nel testo le parole et sarmentis che mancano in tutti i libri latini; ma Stefano nello Sch. 18 a questa legge (B. 16, 8, 12) le riporta: xaì 7oîs ggb- yavors, e ciò dimostra che effettivamente Nerva ne aveva fatta menzione. Ma non per questo si è autorizzati, come ha creduto il Mommsen, ad inserire la voce nel testo uf- ficiale di Giustiniano ; il lettore troverà in seguito , nell’ esame dello sch. cit., ragioni decisive per escluderle. 20 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE Or Gaio non avrebbe potuto ignorare la formula più larga attribuita ai più grandi giureconsulti del primo secolo, tra i quali figurano i suoi mae- stri ed i suoi autori: nè l’ avrebbero in modo alcuno potuto ignorare gli esemplari dai quali traeva le dottrine, dovunque si vogliano ricercare, a qualsiasi tempo far risalire. Teofilo non va preso in considerazione, per ora, perchè riproduce il passo delle Istituzioni: e così pure non si può tener conto di uno scolio applicato al cap. 46 dei Bas. 60, 12 “: perchè esso deriva come prova un segno rivelatore, cioè la voce yégtov = foenum. da una summa assai stringata delle Istituzioni, di cui si hanno varie tracce nelle fonti greche. Ma un termine di confronto assai prezioso per la determinazione genuina del diritto di uso è fornito dallo scolio seguente: # dì yp7ots porn peerzi) Eotw, olov è AapPadvew Xayava, Î Grbpas 7) 05) ia, î Egedv Eiov, di Drov. 89 Questo testo non coincide, nè per la forma nè per gli esempî, con la summa delle Istituzioni di sopra ricordata, ed è pure indipendente da Teo- filo; esso ha invece riscontri significanti con la trattazione ulpianea di questo punto di diritto nell'opera ad Sabinum. Soltanto Ulpiano nel fr. 10 $ 4 D. 7. $ adopera rispetto all'usus una frase che ci è conservata per metà. ma che differenziava, come sembra, il nostro diritto dall'usufrutto per la quantità ed insieme per la qualità del godimento. Scrive infatti Uipiano: minus utique esse quam fructum longeque [aliud ?]; il pe01f del passo greco potrebbe rispondere a quest'ultimo concetto. Nello stesso squarcio poi dell’opera di Ulpiano seguivano gli esempi riportati nel fr. 12 $ 1 sopra trascritto: e come qui non è ricordata la voce foenum così essa manca nello scolio: laddove le Istituzioni imperiali, Teofilo, e l’altra summa del testo giustinianeo la comprendono ?°. Ancora, un altro scolio per dar ragione dell’indivisibilità dell’usus arreca due esempî ricavati dal fr. 12 $ 1. e cioè dal tratto genuino: lo scoliaste osserva: où yàp divatai cis peprn®s inrdlteohar, i) reprrarsiy “1 Ma sopratutto poi è rimarchevole l'Indice di Stefano ? nel punto cor- rispondente al fr. 12 $ 1. La parte genuina del testo ulpianeo è resa alla lettera, con perfetta misura, con tutti i nomi dei giureconsulti che vi oc- corrono, ampliata di un esempio #630t5 7vY6v apposto alla parola flor2bus 68 Sch. 4 (Heimb. vol. 5 p.- 489). 69 B. 16, 8, 2, sch. 1 (Heimbach 2.. p. 201). 70 Nello scolio fa difficoltà la voce g5)}x la quale è riferita male. come io credo, invece di gu))4dx = stramenta. 71 B. 16, 8 c. 19 sch. 1 (Heimb. 2 p. 204). 72 B. 16, 8, 12. Sch. 18 (Zacharià p. 118). PER LO STUDIO CRITICO DEL © CORPUS IURIS CIVILIS , 21 e di una nota per dar ragione della voce folla di cui Nerva negava al- l’usuario il godimento: tadte yàp eîs drotpovily fwoy te rai tOv 4AXwy Opeppatwy zo:eî. Invece i periodi giustinianei sono riferiti liberamente : or sono omessi i nomi dei giureconsulti: twvég pévtos; or il testo latino è am- pliato con ripetizioni inutili; ripetuti sono gli esempî di Nerva senza al- cuna necessità; la proposizione latina: ex his quae in fundo mnascuntur, è resa, per dare un esempio della versione faticata, nel modo seguente : ÙTI HaÙ TOÙsi TIMTOLEVOLGI KATÀ TÒV dypòv.... nel pijapovov Tote tixto|pévoe TÀ. Come mai possono giustificarsi queste disuguaglianze nella versione di uno stesso tratto ? Perchè mai Stefano, in presenza del testo legale giustinia- neo, che accordava all’ usuario anche la facoltà di servirsi delle foglie, avrebbe sentito il bisogno di dar ragione della esclusione sostenuta da Nerva, ricordando che esse sono adoperate per mangime del bestiame ? Le difficoltà si appianano e la spiegazione corre svelta ove noi suppo- niamo che l’Indice di Stefano in quel punto risulti costituito da due strati diversi; uno pregiustinianeo, che si riferiva al testo genuino di Ulpiano, e conteneva in più le parole et sarmentis, omesse da Triboniano ?; l’altro sovrapposto da Stefano, che confronta e interpreta la nuova reda- zione del passo nella raccolta ufficiale. E l’esperienza nel senso ora indicato non è fatta da me la prima volta; chè lo Zacharià 7 aveva già osservato in altri scritti lo stesso fenomeno. Nell’ esame dell’opera di Taleleo al Codice egli notò che la versione e l'indice delle costituzioni più antiche differiscono in ogni rapporto dalla versione delle leggi di Giustiniano ; infatti le più recenti, come egli av- vertiva, rendono liberamente il senso della legge, mentre le antiche rap- presentano il testo latino alla lettera e con precisione. Nelle paragrafe ri- conobbe le stesse disuguaglianze e in misura più rimarchevole. Dunque, se, come s'è visto avanti, non può essere dubbio che Taleleo trasse dalle collettanee più antiche traduzioni e paragrafe che inseriva nelle sue elabora- zioni al Codice, lo stesso sistema dovette pure essere seguito da Stefano per rendere in greco e illustrare le Pandette. Nè questo è tutto; chè i rima- neggiamenti di esemplari più antichi, operati dai coevi di (Giustiniano, nemmeno sfuggirono all'analisi acutissima dello Zacharià, il quale a pro- posito dell’Indice di Isidoro al Codice vi riconobbe “tracce evidentissime di aggiunte di nuovi precetti nel testo di costituzioni più antiche, che fanno ritenere probabile il rifacimento di una redazione più antica , ??. 78 Cfr. nota 67. 74 Zeitschrift SS. vol. 8, pag. 25, 39. 7 L. c. p. 62. S' intende poi che lo Zacharià tira in campo quella solita infelice spie- gazione, del rifacimento dei lavori compiuti sulla 1% edizione del Codice. 22 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE Noi ci troviamo quindi di fronte ad un metodo di lavoro non partico- lare ad uno scrittore, ma comune ai primi interpreti della compilazione di Giustiniano ; la dissimiglianza nel rappresentare i testi latini in una stessa opera, non dipende dal capriccio dello scrittore ma svela l’indole di- versa e la ineguale capacità degli autori di due epoche distinte. Per l’opera di Stefano poi in particolare. e per il punto disopra esami- nato. bisogna richiamare alla memoria che i libri di Ulpiano ad Sabmum furono nelle scuole orientali studiati e comentati con predilezione; è quindi molto probabile che ne esistessero versioni letterali utilizzate poi con van- taggio nel secolo VI dai coevi di Giustiniano. E se così è, non può arrecare meraviglia che le fonti greche abbiano sull'argomento dell’uso copiosi elementi classici. che escludono qualsiasi fa- coltà dell’usuario a trarre profitto dei fructus della cosa; chè anzi, se bene os- serviamo, cotali sopravvivenze attestano, quanto fosse ancora larga presso i Greci del secolo VI la sconoscenza di quella trasformazione sostanziale, che il diritto d'uso aveva subito nella compilazione di Giustiniano. Ma se i redattori delle Istituzioni latine ignorano la riforma. se la ignora Teofilo e l’altro epitomatore greco, si ha motivo di ritenere che essa non fu nota alla scuola d'Oriente. Non è concepibile attribuire al solo Gaio l’ attardarsi per sei secoli. fino nei libri di Giustiniano, e fuori di questi. d'una dottrina che si pretende già superata da Labeone e Sabino. Non è possibile che gli “eroi beritesi. nutriti alla scuola di Ulpiano, che certamente conoscevano il testo originale del fr. 12 $ 1. proveniente dal commento ad Sabinum. non abbiano poi esercitata un'influenza decisiva nella tradizione giuridica orientale, conforme al testo classico. +. Interpolazioni giustinianee trasportate nelle versioni o sunti greci. Con l'esame di quest'ultima categoria la dimostrazione che qui si vuol dare deve attingere il colmo dell’evidenza. Poichè i coevi di Giustiniano, se è vero che ebbero per le mani le elaborazioni fatte dai loro predeces- sori sui libri dei giureconsulti, dovettero poi necessariamente sforzarsi, e nel comporre nuovi manuali e nella revisione di essi, a ridurre gli elementi vecchi in armonia con i testi ufficiali. Gl’interpreti quindi dovettero per conto loro ripetere sulle fonti greche. quanto già Triboniano con i suoi colleghi avevano in larga misura operato negli scritti latini: e cioè per via di aggiunte, di ampliamenti dei sunti più antichi o di innovazioni dei testi, tentarono ristabilire quella concordanza troppo spesso turbata da Tri- boniano. Or relativamente ai passi greci. come già per i latini. varî segni possono soccorrere per mettere in luce siffatti rimaneggiamenti: qui sarà la strut- PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ,, 23 tura ineguale del passo indizio sicuro ; altrove sarà il contrasto tra due periodi consecutivi, vieppiù insopportabile in un sunto o in una annotazione; in un altro punto il brano addiettizio conserverà ancora l'impronta d'una nota marginale; ed infine altre anomalie o semplici inconcinnità possono avviarci a riconoscere nei passi greci varie stratificazioni. Nelle pagine che precedono, furono già esaminati, per connessione di argomento, parecchi esempî che presentano l’una o l’altra delle caratteristi- che enumerate; nel paragrafo presente quindi l’analisi, diretta di proposito a porre in evidenza i casi più salienti di quest'ordine, può essere più breve. a) Riattaccando il discorso sull'argomento dell’uso, merita attenzione il cap. 12 $ 2 B. 16, 8 ” ricavato dall’Indice di Stefano, così concepito: "Eàyv dying Tpopdmwy ypmows pon Amnyatevbf, siyontar ci xérpw Teù \ ,r t TÒ Xotpica:: où iujv to Eplw 7) to yaXaxt, [TAV perpiws: tàstàe yvbpas TOY TedeviWyTwy od det otevosg Ecunvevety]. L’esemplare latino forma nei Digesti il fr. 12 $ 2, VII, 8, dove è ri- conoscibile l'aggiunta giustinianea del seguente tenore : Hoc amplius etiam modico lacte usurum puto: neque enim tam stricte interpretandae sunt vo- luntates defunetorum 7. Nella versione greca intanto le parole zAv patois si riferiscono a tutte le voci che precedono nel testo, e l’eccezione stabilita da Triboniano solo per il latte si estende, per una legatura mal fatta, anche alla lana ed agli agnelli. Ciò prova secondo me che il sunto greco, nella sua prima redazione, fu estratto dal passo originale di Ulpiano, cui fu adattato in seguito, mediante una glossa marginale, il periodo giustinianeo. E il lega- mento sversato, che nel nostro caso poi offende il contenuto del testo latino, contrasta vivamente con la summa che precede, misurata nelle pa- role e precisa. b) Speciali divieti di matrimonio conosce il diritto romano, stabiliti per motivi di dignità e per rapporti di ufficio. Ai Senatori è inibito il matrimonio con liberte, donne di teatro o inonorate: tutori e curatori non possono contrarre nozze con la pupilla; magistrati delle provincie non pos- sono sposare una donna nativa o domiciliata nel territorio amministrato. Ma il divieto per sè non colpisce gli sponsali. E la ragione sta in ciò, che la promessa di futuro matrimonio non costituisce un vincolo giuridico; ma ha, perlomeno nell’età della giurisprudenza classica, prevalentemente, im- portanza etico-sociale. Il diritto se ne occupa riguardo ad alcuni effetti particolari, in quanto la promessa già mira a preparare e porre in ordine il legame giuridico del matrimonio. #% Heimbach II p. 202; (Zacharià p. 118). © Cf. il mio scritto citato sull’usus p. 597. 24 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GiURIDICHE BIZANTINE Il divieto quindi di contrarre nozze. se la causa ne è transitoria, non ha influenza sugli sponsali. Ciò è attestato per gl’impuberi. ed espressa- mente da Paolo per i magistrati delle provincie ‘5. Che se l’impedimento al matrimonio è permanente. gli sponsali sono inutili, come affermò la giu- risprudenza riferita da Ulpiano, rispetto ai divieti stabiliti per le persone dell'ordine senatorio ?9. Tracciata questa norma, la quistione della possibilità degli sponsali dei tutori, curatori o loro figli. con la pupilla è decisa. Tra tutte queste per- sone l’inibizione del matrimonio è temporanea, determinata non da motivi etici. sibbene dalla responsabilità che incombe al tutore per l’amministrazione dei beni della pupilla. e non induce la impossibilità degli sponsali. La prova di quest’affermazione, per quanto attiene alla giurisprudenza classica. si ricava da quegli stessi testi che furono da Giustiniano modificati; ed infatti soltanto Giustiniano, procedendo in questa materia con maggiore miticolosità, estese il divieto anche alla promessa di futuro matrimonio. Tra i passi interpolati a tale effetto 3° merita speciale considerazione un testo di Modestino che riferirò in confronto conla versione greca che ne danno i Basilici. D. 23.1,15. Tutor factam pu- | B.28,1,13.°0 yevépevos èritponos pillam suam nec ipse uxorem | cò divata: yapety tijy dr adrod Ere ducere nec filio suo in matri- monio adiungere potest. sczas fa- men quod de nuptiis tractamus. et ad si sponsalia pertinere #8 D. 23. 2, 38 pr.... quamvis sponsare non prohibeatur; il seguito del testo 7fa scili- cet... acceperat è interpolato. 79 D. 23. 1, 16: “ Oratio imperatorum... de sponsalibus nihil locuta est: recte tamen dicitur, etiam sponsalia in his casibus ipso iure nullius esse momenti, ut suppleatur quod orationi deest. Il testo in verità è sospetto per la forma, la sanzione è troppo solenne ed è certamente bizantina: ipso iure nullius esse momenti, ed io ritenni. altra volta, tutto il brano interpolato; ma dichiaro ora, dopo più matura riflessione, che la sostanza del passo, perlomeno, è ineccepibile. 80 Il fr. principale in proposito è il 60 $ 5 D. 23. 2, Paul. 1. sing. ad Orationem divi Antonini et Commodi: Quamvis verbis orationis cautum sit, ne uxorem tutor pupillam suam ducat, famen intellegendum est ne desponderi quidem posse; nam cum qua nuptiae contrahi non possunt, haec plerumque (?) ne quidem desponderi potest, nam quae duci potest iure despondetur. La forma di questo brano è indegna di Paolo, la motivazione è falsa (cf. Paolo D. 23, 2, 28 pr.) e va intorno al concetto saltellone: si può anche dubitare che il giureconsulto avesse appunto in questo luogo proposta la quistione. Cf. Studî in onore di Fadda, vol. 1, p. 306. 8! La interpolazione del brano riprodotto in corsivo fu da me dimostrata nel L. c., in base all’indizio della forma scias tamen adoperata di frequente dagli scoliasti greci= i9:. mai dai romani giureconsulti. PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS . 25 La versione è tratta dall’Anonimo, probabilmente discepolo di Stefano, ed è notevolissima ai fini della presente dimostrazione ; poichè , come il lettore vede, il testo genuino è tradotto alla lettera, riproduce i due verbi latini che esprimono il concetto di sposare, laddove il periodo addiettizio assume nel brano greco spiccato il carattere di una nota marginale, appli- cata all'ultima parola del testo, senza alcun verbo : idem de sponsalibus. Questa disuguaglianza del testo greco rispetto all’ esemplare latino sa- rebbe altrimenti inesplicabile. Ed altri esempi sono più rimarchevoli e, vorrei dire, infallibili. c) Le più importanti riforme relative all'istituto della dote, annunziate da Giustiniano in una costituzione dell’anno 530 8, furono riportate assi- duamente nei frammenti dei Digesti. Così, per le spese voluttuarie fatte dal marito sulla dote Giustiniano aveva disposto nel $ 5 della c. citata : quod si voluptuariae sunt, licet vo- luntate eius (sc. mulieris) expensae, deductio operis quod fecit, sine laesione tamen prioris speciei, marito relinquatur. Da questo esemplare fu formato per i Digesti un intiero frammento, giusto il sistema seguito da Triboniano, almeno nei primi 34 libri del- l’opera, di riprodurre con larghezza le nuove prescrizioni del suo Signore, decorate con i nomi dei giureconsulti. Ebbe origine in tal maniera il fr. 9 D. 25-1, che figura estratto dal 1. 36 di Ulpiano ad Sab. Ma, per somma ventura, quel che Ulpiano aveva scritto effettivamente in quel punto del- l’opera, fu accolto pure nella collezione giustinianea, certamente per inav- vertenza, e noi lo leggiamo nel principio del fr. 11 eod. nei termini se- guenti: In voluptariis autem Aristo scribit nec si voluntate mulieris factae sunt exationem parere. Il confronto di questi testi insegna, che per le spese voluttuarie la giu- risprudenza romana non accordò al marito alcun compenso; insegna pari- menti .che lo 2us tollendi — affatto sconosciuto ai classici, perchè in con- 83 — fu creato da traddizione .con norme fondamentali dello 4us civile Giustiniano, che ne fece la prima e più cospicua applicazione nell’istituto della dote. Tutti i testi latini, esaminati a dovere, concordano mirabil- mente a confermare cotesti risultati. Vediamo ora se tali esperienze trovano riscontro nelle fonti greche. 82 Const. un. 5.13; confr. la più particolare dimostrazione di quanto segue nel testo in Bullettino I. D. R. vol IX p. 238 e seg., 281 e seg.; vol. 18 p. 213 e seg. 88.Alcune decisioni dei Proculiani, che interpretavano la legge de tigno iuneto più liberamente (ef. Cuiacio, Observ. X, 4), offrirono ai compilatori l'occasione di creare il mostruoso istituto; cfr. Archivio Giuridico vol. 53 p. 521 e seg.; vol. 54 p. 265 e seg. Bullettino IDR. vol. 9 p. 239 e seg. ed autori ivi citati. 26 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE a) Schol. Sinaitica 20: [tà] pevzo: voluptaria IS dì a[rartei addì Xo]yt (97) S) tal] N ta] eì e (ny Qi < (97) (S) hi N (S) TO 3 a XEW aDEd M yLvI, Se abtà pi Pidrtovar cy dapratav d[b]w]. 8) Schol. Anonymi 8: Tadra dì cà BodovrtApIa, driva ratà VOLA TÎS ) , mR Gara Get Ò Albi o) Y) mena IV, 10.55 89: Kay yvopn cis yuvamòs yeybvaor tà reds tepuuw daraviuata, cda drartodbvaai. mot fenomeno. se si dovesse prestar credito a quella * absoluta iuris antiquioris omniumque ommnino quae extra corpus iuris posita essent ignoratione ,. La tradizione classica di questo punto di diritto è arrivata attraverso una serie di vicende, che noi non possiamo particolarmente indovinare. fino ad Armenopulo: il quale ci rappresenta, in due paragrafi consecutivi (55 e 56), la dottrina pura dei giureconsulti riguardo al com- penso delle spese utili e voluttuarie. Lo scolio dell’Anonimo si parte dal fr. 11 pr. di Ulpiano, che come fu detto è genuino: riproduce inopportunamente una frase classica, %xovoav aòtiv che noi leggiamo in un testo latino di Paolo 3%; e dopo tutto ciò chiude con 7 parole: îv © &viyeta: adtij eprarpsîiv adtà fPovAbpevov che toccano , alla svelta, I aggrovigliato e prolisso fr. 9, onusto della grave riforma giustinianea. Lo scolio Sinaitico presenta l'identica struttura ; il fr. 11 di Ulpiano precede, rinforzato, nella veste greca, con due negazioni odéè — oddé, che sono immediatamente annientate da un'aggiunta : eî pi) doa — dbw, abbastanza pedestre nella forma, insopportabile per la complessione logica del passo. Dopo tutti questi riscontri. voler negare che il fr. 9 dei Digesti fu for- mulato di pianta dai compilatori per far posto alle nuove disposizioni emanate nel 530 da Giustiniano ; voler negare che nello scolio Sinaitico, come nella nota dell’Anonimo i periodi finali, applicati al contenuto del fr. 11 pr., siano semplicemente, nel primo un adattamento del fr. 9 alla versione già esistente del testo classico ulpianeo, nella seconda una glossa 84 B. 28, 10. 11. Sch. 1; (Heimbach, 3 p. 298). 85 Coincide con il c. 11 dei B. 28,10; Synopsis 7, 39, 66; ma cf. Bullettino cit. vol. 18 p. 215. 86 D. 50, 16. 79, 1: querum nomine onerari mulierem ignorantem vel invitam non oportet. Ma il giureconsulto si riferiva qui alle impernsae utiles, e soltanto per queste la voluntas mulieris era decisiva nel diritto classico. Ne segue, in maniera incontrovertibile, che le parole ix0v72v 20777 furono inserite nel testo dopo, insieme ed in correlazione al periodo finale, per rappresentare alla meglio la riforma di Giustiniano. (i) PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS TURIS CIVILIS 27 marginale inserita al medesimo scopo, è lo stesso che negare la luce del sole. Ma, mi si dirà, che osta, per lo meno, la credenza ferma della genni- nità del documento Sinaitico, il quale, essendo un prodotto della scuola antegiustinianea, non può mai contenere i freschi rivoli della sapienza le- gislativa che erompono nel sec. VI. Or cotesta credenza, nella sua esclu- sività, non ha per fondamento che il vecchio motivo, quel cotale pregiu- dizio che ho voluto disfare in queste pagine. Se si ritiene invece, quel che è poi più ragionevole, che gl’interpreti della compilazione non ebbero l’au- dacia di affrontare %/otis manibus i grossi volumi di Giustiniano; se si ritiene che essi non ebbero la semplicità supina di riporre tra i ferri vecchi, come ciarpame inutile, tutte le illustrazioni dei “ maestri dell'universo ,, sulle fonti romane, allora anche il documento Sinaitico, che porta la tra- dizione della scuola orientale, si ravviva di nuova luce. I fatti del resto non si discolorano nè s’arrestano di fronte a deduzioni metafisiche. Gli scolii Sinaitici hanno altre tracce di elementi giustinianei; il $ 18, formula la distinzione tra le impensae in rem e quelle in fructus ed è ricavato dal fr. 3$ 1 D. 25, 1 che è fattura di Triboniano 57; le pa- role della chiusa del $ 2: xaì peygì tod èurA0d sono una semplice versione delle parole usque ad duplum che si leggono nella c. 5 Cod. V. 1; la quale, se nel Codice porta la data del 472 ed è attribuita all’imperatore Leone, in verità, per quanto si attiene alla mitigazione della pena al duplum e per le altre riforme più salienti, è una legge di Giustiniano messa insieme con pochi elementi Leoniani 8°. Tutto ciò prova semplicemente che i Bizantini non solo si avvalsero delle collezioni antegiustinianee per comporre i loro Indici o le Paragrafe; ma, in perfetto riscontro, dovettero tenere per le mani, assiduamente, gli studî dei maestri della scuola di Oriente sui libri de’ classici, adoprandosi come meglio potevano per ridurli in concordanza con la compilazione uf- ficiale. IV. 1. Il vecchio pregiudizio è sfatato. Gruppi di esempî, i più varî, ricavati da tutte le fonti, da Teofilo ad Armenopulo, mettono in luce il metodo adoperato dagli scrittori greci del sec. VI, nei primi studi sull’opera legi- slativa di Giustiniano. I quali, come abbiamo visto, non si limitarono a ST Cf. Bullettino cit. vol. IX p. 230 e seg.; Archivio Giuridico vol. 58 p. 78 e seg. 88 Cf. Pel 50° anno d’insegnamento del prof. F. Pepere, 1900, pag. 139 e seg.; le osservazioni del Kalb, Iahresbericht iiber die Fortschr. der class. Altert. vol. 99 n. 183, e del Girard, Textes p. 578 su questo scritto dicono niente in contrario. 28 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE consultare nei punti difficili o per curiosità scientifica gl’insegnamenti dei maestri più antichi, ma ne utilizzarono con assiduità i lavori, traendone la versione dei passi e la sapienza delle loro paragratfe. E tutti cotesti ma- teriali, estratti e collazionati furono poi, per quanto era possibile, combi nati con i luoghi corrispondenti della compilazione, per via di ritocchi o di ampliamenti o di aggiunte marginali. La produzione giuridica dei coevi di Giustiniano si fondò quindi essenzialmente e largamente su quella let- teratura sviluppata dai maestri greci sui libri dei giureconsulti romani. Il sussidio che quei lavori offrivano era in verità di grande momento, perchè anche la semplice versione dei testi latini importa di continuo l'im- terpretazione in un senso o in un altro di termini giuridici, decisioni di giureconsulti o delle figure degli istituti. Di conseguenza le tracce, appariscenti o più occulte, degli elementi pre- giustinianei sono nelle collezioni bizantime piuttosto numerose. E se si tien conto della dispersione di tutta quella produzione, la quale, all'infuori della parafrasi delle Istituzioni, a noi pervenne in forma frammentaria, dopo un processo di selezione e di studi durato più di tre secoli, per opera di privati e di commissioni ufficiali, tendenti a porre in evidenza i precetti legislativi quali risultavano dalla compilazione di Giustiniano: se tutto ciò sì consideri, le vestigia pregiustinianee, superstiti ancora in quelle raccolte più tarde, appariranno sotto ogni aspetto notevoli e soverchianti. Gli è che l’adattamento del vecchio al nuovo dovette farsi grado a grado, più intimo nelle revisioni posteriori; perfetto non lo fu mai. I primi studi sui libri di Giustiniano dominarono tutte le cognizioni degli scrittori po- steriori; e gli elementi da quelle sorgenti si trasfusero ‘in molti punti ancora integri, nelle nuove collezioni. E di cotal metodo di studi e di lavori si ha pure la riprova. Gli scolii Sinaitici, residui lacunosi di un comentario insigne ai libri di Ulpiano ad Sabinum, formatosi nella scuola fiorente avanti Giustiniano, ricco di con- fronti con tutte le opere giuridiche del ciclo Severiano, cospicuo per for- mulazioni solide e fedeli, fu sicuramente utilizzato dopo il 534 in un mo- mento anzi, come dobbiamo supporre, assai vicino a quella data, riveduto ed in alcuni punti messo in armonia con il nuovo testo ufficiale 5°. Gli elementi confermativi dunque della opinione qui sostenuta sono co- stanti, come debbono essere, in tutte le fonti; visibilissimi sopratutto per la disuguaglianza di contenuto e di forma dei prodotti delle due epoche. Si è osservato infatti che le aggiunte dei coevi di Giustiniano appaiono nella lingua madre più misere che nei testi latini. Il contrasto è sensibile. 89 Cfr. Bullettino IDR. vol. IX p. 217 e seg. PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS , 29 La intelligenza e la rappresentazione greca del testo nei brani derivati dai maestri antichi è perfetta; in contrapposto le riforme introdotte da Giustiniano sono annunziate con fretta, fiaccamente, con contorcimenti del pensiero penosi. Quel che il Fitting * osservò nel 1870 rispetto alla Glossa Torinese delle Istituzioni è meravigliosamente confermato da queste indagini più estese. Infatti nella produzione giuridica del periodo giustinianeo si distin- guono agevolmente due strati; uno più profondo, formato di brani limpidi, solidi, perfettamente intonati ai modelli latini; l’altro sovrapposto dai coevi di Giustiniano, i quali, nel riprodurre le riforme introdotte dal loro Si- gnore, si mostrano impacciati e goffi come principianti. 2. La sorprendente attività di Teofilo, Doroteo e Taleleo, i quali tutti im poco tempo, e quasi simultaneo alla compilazione, poterono apparec- chiare manuali completi su singole parti dell’opera di Giustiniano , trova nel sistema dei loro lavori la spiegazione più naturale. Il contenuto dell’opera di Giustiniano vi si prestava egregiamente. Que- sta, nel fondo, risultava di quelli stessi materiali notissimi alla scuola d'Oriente e ivi studiati con diligenza, cioè delle opere dei giuristi del ciclo Severiano. E di riscontro, il nuovo ordine di studi disposto da Giustiniano non rappresentava che un adattamento dell’ antico, con leggieri sposta- menti, alle nuove fonti 1 I commenti più antichi quindi sulle opere dei giureconsulti nulla avevano perduto del loro valore intrinseco, nè per la scuola nè ai fini della pratica. Certo è che l’unico comentario a noi per- venuto, lacunoso ed esiguo, offre tuttavia in un punto una corrispondenza impressionante con i Digesti; si confrontino gli scolii Sinaitici 17-20 con i D. 25,1 ®2. Che quel documento della scuola del IV e V secolo si ritenga prettamente genuino o riveduto in prosieguo di tempo, importa poco; anzi esso deve riuscire più significativo a chi voglia mantenere ferma la cre- denza della sua genuinità; perchè attesta, in ogni caso, che gli studi pre- giustinianei si adattavano meravigliosamente a guidare la nuova genera- zione d’interpreti e di docenti nella intelligenza e illustrazione dei libri ufficiali. 3. Le composizioni giuridiche dell’ epoca avanti Giustiniano dovettero avere nel secolo VI grande diffusione, se gli elementi riboccano in tutte le raccolte, in Oriente come in Occidente. Giovanni Lido ° fa menzione 9% Ueber die sogenante Turiner Institutionen Glosse etc. p. 13 e seg. % Const. Omnem $ 1. ? Vedi lo specchio in Bullettino I. D. R. vol IX p. 238. 93 De mag. 2,10. © 30 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE di una legge di Arcadio esistente èîv uèîv 76 miie: Oe0To012v6. e sa dire che fu omessa èîy cò veag0®; se il Mommsen * inclina a diffidare di questa notizia, ciò dipende principalmente da quella sua particolare convinzione, che il Teodosiano nella parte orientale dell'Impero fosse stato. anche prima del 529. scarsamente adoperato. Una citazione del 1. III quaestionum di Papiniano nella sua forma ge- nuina, potè pervenire, per il tramite di Giuliano di Ascalona, fino ad Ar- menopulo °°, ma il contenuto di essa s’ era già dileguato. per far posto ai nuovi precetti dell'edilizia bizantina. Nell'Occidente è la Glossa Torinese delle Istituzioni che riproduce gl’in- segnamenti antegiustinianei, nella identica forma e forse dagli stessi mo- delli greci. Nulla di singolare in tutto ciò. Lo stesso fenomeno si ripete in ogni tempo ed in ogni luogo. per la stessa natura della scienza del diritto, e più generalmente per la tenacia della tradizione di scuola, in tutti i rami del sapere. In Roma sono le istituta di Gaio, che immettono già profonde radici nella letteratura del 1° secolo dell'Impero; e suntate, diluite o tradotte do- minano la scuola. in Occidente come in Oriente, fino a Giustiniano. Negli scritti giuridici del primo medioevo °. in Occidente. la tradi- zione della scuola sì mantiene per quanto affievolita, e per mille fili sì riattacca all’antichità classica, per congiungersi poi ai Glossatori. Passando a considerare le forme del diritto nell’età nostra. nè il codice napoleonico in Francia, nè la codificazione del 1865 in Italia, nè quella del 1900 in Germania poterono rompere i legami con la letteratura giu- ridica preesistente. In Italia, malgrado gli sforzi fatti dai commissarii del Codice civile per chiarire molti punti, ed evitare le controversie dibattutesi su varie formulazioni del codice napoleonico. tuttavia la dottrina e la giu- risprudenza restarono per buon tratto attaccate ai commentatori francesi, e le difficoltà si riprodussero e le controversie continuarono negli stessi termini, inconturbate. come nella giurisprudenza e nella dottrina francese. E sotto i nostri occhi il fenomeno si ripete in Germania dopo la codi- ficazione del 1900: il più celebre manuale di diritto romano. quello del Windscheid, assunse, in seguito a quell’avvenimento, nuovo atteggiamento; e per via di appendici. opportunamente aggiunte, ha potuto tener conto delle nuove modellazioni dei precetti giuridici: i trattati autorevolissimi del % Prolegomena în Theod., p. XXXI. ® II, 4, 51; cfr. Studî in onore di Carlo Fadda, vol. L p. 289 e seg. % Cfr. Fitting, Iuristische Schriften des friiheren Mittelalters, 1876. p. 38 e seg. PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ,, 31 Dernburg sulle Pandette e sul Diritto Prussiano apprestarono allo stesso scrittore la base larga, per comporre, in breve tempo, un terzo trattato sul diritto civile dell'Impero. Supporre che il corso fatale della storia si sia per un momento arre- stato, per comando di un legislatore, è una ingenuità solenne, divenuta per difetto di esame un pregiudizio storico. 4. Dalla dimostrazione che precede seguono due corollari per 1’ apprez- zamento più conveniente delle collezioni giuridiche bizantine : a) esse possono prestare un sussidio non trascurabile per lo studio delle dottrine della giurisprudenza romana, o, delle volte, per stabilire la struttura genuina dei testi latini; b) dove i frammenti latini riportati da Giustiniano non si accordano, per un verso o per un altro, con gli elementi greci, questi non possono ogni volta indurre a correzioni o integrazioni dei passi ufficiali; perchè il supposto che i tratti greci derivino in complesso dalla stessa raccolta di Giustiniano è erroneo ‘’”. N Cfr. anche Zachariti, Zeitschrift SS. vol. 8 p. 25. o 7 rile rate n alia % i par se "i solfa» call hp ainiviztovi (ag C go e ada d na alieni pine cas % 1 nti ni apt ctbjisiianin bemh iù ivi ì Dee Fa aereo i ha “alien sapri Inoqudisiape fuasa bia Hivte sf " ia TELI Lala pesa È Boi. 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Notava il mio sempre desiderato amico Adolfo Bartoli che lo scriver oggi di. messer Francesco Petrarca è reso difficile assai, non solo dalle molte opere di lui, ma ancora dalle moltissime, e forse troppe, che in- torno a lui furon vergate, e delle quali si potrebbe comporre una bi- lioteca di migliaia di volumi. Fra le troppe, o Signori, mettete fin da ora queste mie incondite parole, con le quali, fidente della cortese gra- zia vostra, v’intratterò il meno che io possa. Ed omettendo quel che mi porterebbe ad empire pagine soverchie, mi è d’uopo accennare di fuga quanto dissi altra volta, cioè che l’amor verso Laura, per farsi degno agli occhi di donna sì bella, gli accese amore alla gloria; a raggiunger la quale diessi allo studio del latino, donde gli venne amore all’Italia, ed alla regina del mondo — Roma. L’anima dunque del divino poeta, (come ebbe a chiamarlo il rigidis- simo Tommaseo) può in due aspirazioni ammirarsi : Laura e Roma; sintesi maravigliosa, che lo fece parere, e fu davvero, miracolo di virtù e di sapienza a quella generazione. In mezzo alla quale vivendo, scrisse in una delle sue Lettere Varie, che «nel cuore dell’uomo, maraviglia a dirsi, avvi un non so che di 4 PER IL CENTENARIO « mistero, che sveglia l’amore e sollecita l’ amante. Senza cagione non «vi ha chi ami; se bene ad altri, che ad amare sia meno inchinevole, «la causa stessa a tanto amore apparisca forse diseguale » (Var. 64). Verità quest’ultima, che egli ripetè nei versi: ...E quel che in me non era Mi pareva un miracolo in altrui. (Nel dolce tempo). Or poi che le cose venienti da: natura sono le più schiette, e la schiettezza pura è bellezza, ad essa questa nativa sensitività vola con ardore di desiderio, come a suo candido bene: la quale penetrando entro i sacri aditi della coscienza, la fa giubilante nell’ordine interno; e, da vivida luce irradiata, riveste la fiorente bellezza d’ una serenità di cielo, tra i fulgori della quale trasumanata grandeggia e di sempre nuove grazie accresce la sua beltà divina. Nè questo è innaturale, per- chè bellezza è certa perfezione, che contemplata in pace dall’intelletto porta ammirazione; e chi nega questo amore spirituale nega ogni amore umano, il cui obbietto è bellezza e bene, che, secondo Plotino, sono vittoria della forma, 0, come la chiama il Rosmini, della prima virtù attiva, sulla materia inerte. E questa mirabile bellezza apparve agli occhi del poeta, e gl’investi l’anima di violenza amorosa il dì sesto di aprile del ‘527 nella chiesa di Santa Chiara in Avignone. Da « Amor che solo i cor leggiadri invesca » ebbe un impeto di cuore per tanta venustà eccellente, un senso vivissimo di maraviglia e di affetto, che, ispirandogli fin d’allora soavità di versi, così continuò fino agli anni più tardi, di che si compiacque tanto, che scrisse : Quel foco ch'io pensai che fosse spento Dal freddo tempo, e da l’età men fresca Fiamma e martir ne l’anima rinfresca. perchè Laura fu per lui l'incarnazione del bello ; ed. in essa il poeta adorò sempre la divinità dell'amore, giacché Niente in lei terreno era o mortale. (Vidi fra mille). Da quel dì benedetto il giovane amante divenne ben altro da quel di pria e lo ripete egli più volte nel Secretum al 3° dialogo, che io più brevemente dirò con le parole del 15° paragrafo della Vita Nuova: « Buona, è la signoria di amore, perocchè .trae lo intendimento del suo «fedele da tutte le vili cose ». È saputo che la bellezza muove il sentimento, che da questo sorge e.si crea l’imagine candida, vivace, corruscante , perchè nata da ciò DI FRANCESCO PETRARCA DD) che più agita la mente e il cuore dell’uomo. Or questa imagine non è che il piacere del godimento, fatto più soave dal dolore, e dalla mite speranza di conservarlo accresciuto. Questa memoria del bene e del male passato, e questa speranza del bene avvenire, dà luogo alla poe- sia, che è visione imaginosa dell’anima; la quale dalle reali appren- sioni si solleva alla possibile idealità, senza di che l’arte rimane ingof- fita dall’arido vero. Chi mai alla vista di un’opera d’arte, chi mai ha creduto che la bellezza tutta stesse riposta nell’armonia delle linee, nel degradar dei colori, nel paesaggio, che, come sfondo, si perde lon- tano, lontano; nelle figure ben disposte e varie di movenza e di forme? Però questa visione esteriore risveglia nel rigunrdante una vigile dol- cezza, che intendere non può chi non la prova, quella dolcezza, che muove, è verissimo, dalle tinte, dalle linee, dal paesaggio, ma che è superiore a questi aspetti sensibili, e infiamma sempre più di desiderio; perchè di sotto, dirò quasi, la trasparenza dei colori, raggia una luce divina, l’intelligibilità del concetto, entro agli splendori della quale l’anima nostra queta il suo volo, s'appunta, e sovraneggia il finito, lietissima inebriarsi nel Bello infinito, che è luce celestial piena d’ a- more. Che cosa era in sua vita Madonna Laura? Una donna mortale, bellissima nelle sue fattezze, più nella pudica soavità dell'anima , tra- lucente dai rai degli occhi belli. E qual maraviglia, al primo vederla, non venne al poeta, che l’esca amorosa al petto avea ? al mirabile por- tento esclama : Costei per fermo nacque in paradiso ! Nè mentiva a sè stesso, se nello inceder della persona gli appariva, e manifestavasi più vereconda d'una Dea, se nel moto degli occhi era un dolce lume, che dischiude la via che al ciel conduce. Non istarò a raccogliere dalle Rime del solenne d’amor mastro pro- fondo versi ed emistichj a rifarvi Laura, quale egli a noi amorosi l’af- figura nei suoi canti: ma chiamo in ajuto alla mia insufficienza l’arte potentissima d’un valoroso poeta, che, nel silenzio romito di sua stanza, vede comparirsi innanzi le donne amate dai quattro poeti, tra le quali è Laura di Valchiusa : Lungo sospir della più dolce musa. A dir qual’era il suo valor, vien manco Ogni umano parlar. Nel suo mortale Di vero angiol sembianza ella tenea ; Tal che in mirarla ognun mirava al bianco Omero, attento a riguardar se l’ale Mettean la punta. E ognor ch’ella movea 6 PER IL CENTENARIO Il bel fianco. parea Spiccar suo volo al regno onde discese. Colpa dunque non fu se. come santa Cosa adorolla. e in tanta Fiamma d’amore il suo fedel s’accese: Colpa era non amarla. ed in sì vago Volto sprezzar del suo Fattor l’îmago. Ed ei l’amò sempre; e perchè nell’ anima presa da amore virtuoso l’imagine dell’obbietto amato è ognora presente, ancor che lontano si stia, onde verissimo quel di Virgilio absens absentem auditque videtque, a mostrarvi la continuità della sua adorazione. omettendo quel che c’è nelle Familiari, sceglierò da una bellissima Epistola metrica, indirizzata dai silenzj di Valchiusa, a Giacomo Colonna, così lodata da Sant’ Ago- stino nel 3° dialogo del Secretum, sceglierò, io dicevo, taluni luoghi tra- sferiti in versi italiani : celato Tra questi colli al fin pianger mi è dolce. E memorar la corsa età nel pianto. Ma che? Qui pur coleìî mi vien compagna. Qui pur suo dritto mi addimanda, e agli occhi, Se io veglio. mi si affaccia. e i lievi sonni Con paurose imagini conturba. Spesse fiate ancora. oh maraviglia ! Entra la chiusa stanza in su la mezza Notte. e mi sta davanti ombra leggiera. E mi desto. e mi piovono dagli occhi Le prorompenti lacrime. in piè balzo Esterrefatto: ed al venir dell'alba To dal sospetto penetral m'involo: E le balze dei monti. e le foreste Cerco ansioso e qua e là m’aggiro. E dietro. e intorno volgo gli occhi. incerto Se ella. che venne a turbar la quiete Del sonno. al passo mi facesse inciampo. A stento il crederai. Io pur la vidi, Io pur la vidi nell’elci del bosco. O sorger dalla queta onda del rivo: Or tra le nubi e il liquid'aere apparve Radiosa di luce agli occhi miei; Or dal sen dei macigni io la rividi Bella e spirante comparirmi innanzi. Ond’io pien di spavento arresto il passo! Queste d'amor son l’arti, e nulla speme Ho di riposo in questo eremo asilo. Concitato lo spirito in tal guisa, egli, che tanta poesia alimentava DI FRANCESCO PETRARCA î nell'anima, non ristavasi dal significare in versi quello amore per la sua Donna, la cui imagine gli era sempre compagna. E di poesia e di amore un’eco dolce, se non vivamente affettuoso, gli veniva agli orecchi, chè per tutta la Provenza Era un inno di amore e cortesia; E i fioriti giardini e l’aure e l’onde Iteravan dei canti ogni armonia. Ma dei trovatori egli conserva la parte più pura, che è nell’ ardore «dell’anime loro. Però da quei canti, da quei tumulti di affetti, dagli affanni, dalle speranze, dai queruli dolori, nessuna memoria è rimasta d'una sola delle giovani castellane, celebrate con melodie di voci e di liuti. Sarà il Petrarca più possente di loro; il nome di Laura travali- cherà regioni e frontiere; e tutta la famiglia umana la benedirà, come ‘colei che ispirò i più bei carmi dell’affetto universale. Messer France- sco veramente mostrò quai tesori accoglie il cuore dell’ uomo; e libe- randosi dalla trascendenza della mistica idealità, la quale fa Dante unico ancora in quest'ordine di lirica, egli c'innamora col suo purissimo canto, perchè il suo fu amore, proprio amore, tutto amore, come la luce, proprio luce, non ha mistura d’ombra. E questa varietà d’arte è anche un portato della vita progrediente delle nazioni. Il poeta, al pari di ogni artista, nell'opera sua si mani- festa come individuo, ed è quasi il centro della società umana in mezzo alla quale ei vive, e della quale sente l’azione nella dottrina ricevuta, nei costumi, nella religione, in una parola nella civiltà; ma in tutto questo egli accenna la ragion progressiva, cioè che l’ umanità non si arresta nel suo cammino; e, se immutabile è la bellezza, supremo ter- mine dell’arte, questa si modifica, piglia nuove apparenze, sviluppa nuovi germi, che daranno novelli aspetti all'arte medesima con la ge- nerazione successiva, che la sempre giovane natura prepara a se stessa, della guisa che dal Guinicelli e da Cino venne il Petrarca col suo ma- raviglioso idillio d'amore. E idillio è veramente! O ch'egli vagheggi i dolci colli, ove nacque Laura; o miri l’acque lucide e fresche del fiume; o pensi in qual parte del cielo era l'esempio della beltà di Laura; ella, benchè incerto lasci l’innamorato cantore, è sempre agli occhi di lui uno spirito celeste, il fior dell’altre belle, quella che sola agli occhi suoi par donna. E termine a’ quadretti che ci dipinge con arte singola- rissima, un cielo limpidamente azzurro, e poi, per accennar tutte le note idilliache con un verso artificioso del poeta : Fior, frondi, erbe. ombre. antri, onde. aure soavi. lo) PER IL CENTENARIO Nelle canzoni, nei sonetti egli ritrae della sua vita un’ora, un istante fuggitivo; ed ei ne arresta la fuga, lo ferma e ce lo ripete in un ritmo: immortale di poesia, comune ai platonici, i quali careggiano con im- pazienza di affetto quel che cupidamente han raccolto nel cuore, e vi- vono di speranze, che a breve andare saranno memorie; onde il nostro esclama : « Amor col rimembrar sol mi mantiene ». Sovente nella ombrosa solitudine di Valchiusa, quando il cor trangosciato cercava un'ora di oblio o almanco di riposo, quel luogo solingo, quegli antri, e le balze del monte Ventoso pendenti a rovina, e la fragorosa scaturigine della Sorga, tutto lo allontanava dal mondo; però d’un tratto quasi fosse in estatica visione rapito, rivede la sua Laura « L'adora e inchina come cosa santa » e dalla circostante natura gli viene, come per incanto, un eco di cele- stiali accordanze da gentili spiritelli di amore, che gli ripetono : L'acque parlan d’amore, e l’ora e i rami, E gli augelletti e i pesci e i fiori e l’erbe Tutti insieme pregando ch'io sempre ami. Al tornar della mente rièccolo poeta, che canta con palpito di spe- ranza e di pena; e la sua voce malinconica, come profumo evaporante dalle rive fiorite del Sorga, si espande per l’Italia festante, per tutta la Francia, valica i Pirenei; e Ja Spagna e la Lusitania plaudiscono al nuovo canto, come venisse modulato da un genio invisibile, soffermato sui cerchi della terra silenziosa, cantante quelle elegie soavissime ; e questo insieme, mite ed affettuoso, questa temperanza d’imagini, signi- ficata da un linguaggio comune al cielo ed alla terra, ha dell’uomo la passione e il dolore, ha dei cieli la speranza e la serenità. Questo, che è poema dell’anima amaute si chiude con un inno alla Vergine. La storia d’amore cominciata nella chiesa di Santa Chiara, sì compie nella chiesa invisibile : il consorzio delle anime, non consen- tito in questa rea valle di pianto, si eterna «Nel ciel dell’umiltà dov'è Maria ». Queste cose tra me e me ripensando mi han fatto maravigliare alla. grande sicurezza, con cui taluni critici han creduto che il Petrarca non. avesse in pregio le sue Rime, solo perchè in due lettere a Pandolfo Ma. latesta, che sono la nona delle Varie, e la decima della Senili, simi- gliantissime in più luoghi, solo perchè, io dicevo, in esse lettere, e sin- golarmente in quella delle Senili, scrive: «Se rozzo è lo stile, e tu accagionane l’età mia, perocchè la più parte di quelle io dettai negli anni miei giovanili. Che se magre ti sembrano queste mie scuse, pensa che sei tu che quelle mie bazzecole hai volute. A malincuore te lo con- fesso, or che son fatto vecchio, io veggo divulgarsi queste mie inezie- DI PRANCESCO PEPRARCA D) composte nella mia giovinezza, le quali, non agli altri, vorrei fossero ignote ancora a me; perchè se lo stile non disdice all’ingegno di quella età, troppo per lo subbietto si disconvengono all’ età senile. Ma come impedirlo ? Girano già da gran tempo per lo mani di tutti; e sono lette assai più volentieri delle cose, che scrissi più tardi maturo degli anni e del senno ». E qui Messer Francesco conviene con Dante, che scrive nel Convivio: « Certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra ». E che il Petrarca così giudicasse -di se stesso, ce ne vien prova dalla data delle lettere, ai 4 di genna- ro 1372; quando a lui infermiccio a 68 anni, al freddo, che apporta l'età, si aggiungeva quello della stagione, che gli aggranchiva le dita (algentibus digitis). Ma chi vorrà credergli ? Non io di sicuro, il quale non son riuscito a capacitarmi ch'egli, avvinto di amore ardentissimo per Laura, non ispendesse nei suoi versi quella cura e quella diligente sollecitudine per cui dirò « forma qui s'accorda veracemente all’ inten- zion dell’arte» e che fece esclamare quell’ austero intelletto dell’ AI- fieri: « Per cui Laura ebbe in terra onor celesti». E dirò di più che il poeta, sollevando in onore la bellezza e le virtù di Laura per eter- narla negli avvenire, sollevava ancor sè per vivere nella continuità dei secoli ancora con la gloria di sommo lirico, oltre.a quella di insi- gne e magnanimo cittadino. Che il poeta aspettasse immortalità di fama anche dalle Rime, ad esser breve vi addurrò taluni luoghi dei molti che potrei; e rifacen- domi dall’epistola metrica, poco innanzi accennata, ivi io leggo : Tempo già volse, per virtù, per sangue Nobilissima, illustre una donzella Con i miei carmi a onor tanto levai Che lontana ne va la nominanza. Della imperfezione dell’arte sua negli anni primi, ce ne dice il poeta: medesimo: Ed ebbi ardir, cantando, di dolermi D’amor, di lei, che sì dura m'apparse ; Ma l’ingegno e le rime erano scarse In quell’etade ai pensier nuovi infermi. (Mentre che ’l cor ecc. E nella prima epistola metrica a Marco Barbato di, Sulmona, man-, dandogli le Rime, lo prega di tenerle nascoste, perchè quantunque la- voro giovanile, piacciono a tutti gli amanti, cui par leggere i casi pro- pr) leggendo gli altrui, e per ogni città sono udite con plauso popolare. E tu, cui sempre, non men dei gravi, piacquer miei tenui studj, abbili in gran conto benchè rugae, e finchè io non ti dia cose maggiori Hune tibi devoveo studii juvenilis honorem. 10 PER IL CENTENARIO Nel notissimo sonetto: Se Virgilio ed Omero, con quel che sèguita, il poeta ci dice la beltà di Laura degna d’esser cantata da questi due sommi; ma il fato volle che come di Scipione Ennio, così di lei can- tasse un rude poeta. Però udite la chiusa: Ennio di quel cantò ruvido carme, Di quest’altr’io; ed oh! pur non molesto Gli sia il mio ingegno, e il mio lodar non sprezze. E nei giorni del disinganno riconfortavasi scrivendo : Forse avverrà che il bel nome gentile Consacrerò con questa stanca penna. e notiamo che il corsacrerò è qui forma latina, che vale rendere sacro- ed immortale, Notevolissima pare a me la chiusa del sonetto: « Lasso ch’io ardo » nella quale l’amoroso cantore scrive : I vostri onori in mie rime diffusi Ne porian infiammar forse ancor mille, Ch’ veggia nei pensier, dolce mio foco, Fredda una lingua, e due begli occhi chiusi Rimaner dopo noi pien di faville. E mi piace soggiungere per l’ultimo terzetto le parole d’un amoroso- interpetre : To preveggo, o Laura, mio dolce foco d’amore, che la mia lingua, quando sarà fredda, e i vostri occhi belli, quando saran chiusi, riter- ranno ancora dopo noi moltissime faville; che è quanto dire, secondo. il Leopardi, voi per virtù delle mie rime, vivrete nella memoria degli uomini ancor dopo morte. A. volte ricorre ancora alla mitologia, e ricorda l'aquila rapitrice di Ganimede, E fu luccel, che più per l’aer poggia Alzando lei, che nei miei detti onoro. (Nel dolce tempo). Ma lasciando il pincerna Jovis, è bene notare che se il nome della donna amata volava d’una in altra terra; se anche morta avrebbe avuto gloria dai venturi; se tutto questo avveniva per lo splendore dei versi del poeta, l’arte, da cui tanto bene impromettevasi, non potea esser pic- cina, ma larga, geniale; e doveva tenersene, se scrive : gta e solo del suo nome Vo empiendo l’aere, che sì dolce suona. (Ahi bella libertà) Nè egli tace il fervore dell’animo, che lo sospinge; e leggesi : Quella che al mondo sì famosa e chiara Fé la sua gran virtute e ’l1 furor mio. (Soleano è miei) DI FRANCESCO PETRARCA 11 E Laura si compiace del bene, venuto dal suo amore al poeta: Salito in qualche fama Solo per me, che il suo intelletto alzai, Ove alzato per sè non fora mai. (Quell’antico) Ed altrove, nel secondo capitolo del Trionfo della Morte : ...@ piacemi il bel nome Che lungi e presso col tuo dir m’acquisti ; e ne aveva ben donde, poichè il poeta le aveva detto : E se mie rime alcuna cosa ponno Consacrata fra i nobili intelletti Fia del tuo nome qui memoria eterna. A non riuscir di troppo nojoso con queste pur necessarie citazioni, ometto altri luoghi: non sì però che di pochi altri mi taccia, che a me pajono opportunissimi. In uno di essi il poeta, esclama : E benedette sien tutte le carte Ov'io fama le acquisto; e ’l pensier mio Che è sol di lei, sì ch’altra non vi ha parte. (Benedetto sia) E nella canzone bellissima « Perchè la vita è breve » scrisse : L’amoroso pensiero Che alberga dentro, in voi mi si discopre, Tal che mi trae del cor ogni altra gioja: Onde parole et opre Escon di me sì fatte allor, ch'i’ spero Farmi immortal, perchè la carne moja. Mi sia consentito che un altro sonetto vi ricordi, nel quale il poeta invita le sue Rime: «Ite, rime dolenti, al freddo sasso », uno tra quelli che più dirittamente pigliano la via del cuore, perchè preghino Laura di chiamarlo a sè. Alla seconda quartina continua : Ditele ch'io son già di viver lasso, Del navigar per queste orribil onde; Ma, ricogliendo le già sparte fronde, Dietro le vo pur così passo passo, Sol di lei ragionando viva e morta Anzi pur viva, ed or fatta immortale, A ciò che il mondo la conosca et ame. E il mondo conobbe Laura e l’amò, perchè il poeta effuse tutta la sentimentalità dell’anima sua nei versi, che sono lacrime e preghiere, son canti di pace, che si compiono con tenerezza di pianto; sono ispi- razioni amorose, come tintinno d’arpe solitarie; e fece di Laura poten- D) 112 PER IL CENTENARIO zialità di tipo di candida bellezza e vereconda, e del poeta dal cuore affettuoso il cantore d’una visione mirabile, in cui cielo ed anima si toc- cano, e sentesi profondamente l'armonia della bellezza nella creatura di Dio, e della bellezza nell’opera dell’uomo. Noi di Sicilia abbiamo il vanto d’aver dato al Petrarca uno dei più cari amici, Tommaso Caloria da Messina, che gli fu compagno nello Studio di Bologna, la morte del quale pianse nelle Familiari, e poi con versi latini; e di lui scrisse con amor diligente il prof. Letterio Lizio Bruno, nè so di altri che abbia fatto meglio. E la corona d'alloro, me- ritata da messer Francesco, accese di desiderio per eguale onorifi- cenza il messinese Jacopo Pizzinghe, al quale scrivendo, così il Boc- caccio ben augura !!.. « Ora con migliori auspicj abbastanza prevedo che tu, dall’altro corno d’Italia sorgendo, come un tempo Teocrito Si- racusa, così tu farai illustre Messina; provati con ogni vigore. alla sa- lita, già già sei vicino alla vetta, assai valoroso nel canto, e cose mi- gliori promettendo. Per la qual cosa, affinchè per quello, onde comin: ciai, così progredisca la mia speranza, e si accresca il mio gaudio, per il decoro dell’insigne tuo nome, ti prego, o coltissimo uomo, che nulla fatica risparmi a raggiunger la gloria. Con animo virile perdur: nell'impresa : aperta, apparecchiata e lastricata ti si offre la via». (BOcc.: epist. Jacobo Pizzinghe). Ed eccoci un terzo messinese, fiorito circa il 1610, Mario Bonafede, che tutte volse in latino le Rime, come riferisce Pier Angelo Spera nel Lib. 4° De Nobilitate professorum grammaticae, «amores Laurae latino carmine donavit », — La palermitana Pellegra Bongiovanni, valente nella pittura, e nella musica, la facilità dell’ in- gegno poetico manifestò singolarmente nelle « Risposte a nome di Ma- donna Laura alle Rime di Messer Francesco Petrarca in vita della me- desima, composte da Pellegra Bongiovanni Romana, Roma 1762 ». Per- ché siasi appellata Romana non so, forse perché moglie dell'avv. Gia- como Rossetti, e per la lunga dimora fatta nell’eterna città, dove morì. Chi guarda alla difficoltà dell'impresa, se pur loderà 1’ ardimento, non accoglierà con buon viso quel lavoro, reso ancora più difficile dalla perfetta rispondenza del metro, e dal chiudersi ogni verso con la pa- rola medesima, che chiude quel del Petrarca. Forse è soverchia la lode che ne fa il Borghi, serivendo : Quella è Pellegra, che parlò d’ amore In meste rime degli amori al padre, E parve Laura, e pur ne finse il core. Io conobbi nella mia giovinezza un vecchictto di casata Salvo, che le Rime del Petrarca rivolse in degnissima poesia latina, che. tale giu- DI FRANCESCO PETRARCA 13 dicolla Giuseppe De Spuches principe di Galati di sempre acerba e gloriosa memoria. Nel 1870 il prof. Giuseppe Bozzo pubblicava le Rime col suo commento, e con quattro discorsi; lavoro lodato dal Carducci. Ed ora è sotto ai torchi una nuova edizione delle Rime, condotta sugli autografi della vaticana, che con gusto squisito e perizia singolare ne prepara il cav. Giuseppe Salvo Cozzo, meritissimo Bibliotecario della nostra Nazionale. Ogni periodo della progrediente civiltà umana ha le sue forme; e quelle del tempo del Petrarca son chiuse. Ma è di quei tempi e di ogni tempo l’arte ammiranda di concepire, sentire, significar vivo ed eletto: e quest'arte, dirò col Tommaseo, va imparata e studiata, se pure in questo sgorgo di fogna pestilente, in tanto frastornio di lodi alle più melmose ranocchie, non debba esser vero : Exoritur nova lux, veteres migrate coloni. Se l’amore per Laura concitò il giovane poeta a raggiunger la glo- ria, questa, nuovo amore e potentissimo, invogliandogli anima ed in- gegno agli scrittori latini, gli fece apparir Roma quale Dante nel se- condo della Monarchia la disse «nata fatta a imperare su tutto il mon- do ». Ad appagare il desiderio lungo, tenacemente assiduo di visitarla, lascia, sullo scorcio del ‘36, il romitaggio di Valchiusa, ed a quella città savvia, che fu appellata da Ateneo « compendio di tutto il mondo ». Ma gliene ritarda il cammino la mente, che è piena, e il core, che sussulta, alla memoria della prisca grandezza. Sul venire dell’anno successivo entra innanzi le antiche mura ed in compagnia dei Colonna, e di Paolo Annibaldi si aggira non dentro la città soltanto, ma pei dintorni ancora, e spesso spesso arrestasi, vinto da un senso di maraviglia e di affetto, a quanto gli si apre alla ve- duta, che a meditare ed a parlare lo eccitava. Qui la reggia di Evan- dro, la casa di Carmenta, la spelonca di Caco, la lupa nutrice. Qua i giochi circensi, il ratto delle Sabine, la palude Caprea, nei pressi della quale Romolo disparve. Ecco là i convegni di Numa e di Egeria; e l’arena degli Orazj e dei Curiazj. Ecco la via Sacra; e i colli Celio, Quirinale, Viminale, Esquilino; più in fuori il Campo Marzio. Qui Lu- crezia liberamente si uccise; di qua fuggiva l’adultero; qui alla pudici- zia offesa Bruto apparecchiò la vendetta. Ma perchè devo io ischeletrire la stupenda lettera, che è la seconda del libro sesto delle Familiari, che è viva nella memoria degli amorosi del Petrarca, se tanta via an- cora mi resta, e non vorrei improvvidamente stancare la vostra gen- tile pazienza? 14 PER IL CENTENARIO i Leggo nel Sublime di Longino al capitolo 15, (e mi sia tollerata que- sta vecchia reminiscenza platonica in grazia di esser sempre nuova, freschissima) « Le anime grandi di quei pochi, cui la natura creò poeti, sono come sollevate dallo spirito degli antichi a quel modo che narrasi dalla Pitia. Quando siede sul tripode si apre una fenditura sul suolo, spirante un alito, che dicon divino, per cui la profetante tutta piena e commossa da quella virtù, versa dal petto gli oracoli. Così dalla pro- fonda sapienza degli antichi, quasi da un cupo luogo s'inalzano spiriti, i quali muovono e levano le anime dei vati, e seco le rapiscono alla cima della bellezza ». Or che questo alito divino dovè agitare l’anima del nostro poeta, nessun vi ha che ne dubiti. Nella lettera ai posteri ei dice: « Piacquemi sopra ogni altro lo stu- dio dell’antichità: da poi che la presente età nostra ebbi io sempre in fastidio per tal modo, che, se non fosse l’amore dei miei più cari, in tutt'altro tempo da questo esser nato io vorrei, del quale cerco a tutt'uo- mo di farmi dimentico, e vivo con l'animo in mezzo agli antichi ». In tanto sublime spettacolo di. eroi, di simulacri, di tempj, che gli si agitavano nel pensiero, un senso di vergogna dovè aspreggiargli la dolcezza delle glorie latine, quando scorse quelle venerande reliquie sozze di sangue sparso per odj sempre ribollenti, concitati gli animi dalla peste, più mortifera delle altre, dell’ire cittadinesche. E forse al. lora, pulsandogli il core un vivo desiderio di bene, gli sovvenne con sospiro di animosa esultanza la figura di Scipione Africano, come di colui, che aveva saputo, in tanta desolazione della patria , travagliata da Annibale, ritornarla, dopo Zama, vincitrice da ogni funesta prepo- tenza di barbari, e signora dei popoli; quel glorioso Scipione, com’egli ricorda nella lettera ai posteri, «il cui nome, maravigliando il ram- mento, fin dalla fanciullezza mi ebbe preso di amor singolare ». Che maraviglia se l’animo fervido del giovinetto Francesco ne innamorasse, quando tanto lo venerava il suo maestro Convenevole da Prato; ed ancor prima di costui, Dante, che nel Convivio, al capitolo quinto del quarto trattato, scrive: « E non pose Iddio le mani, quando, per la guerra di Annibale, li Romani vollero abbandonare la terra, se quello benedetto Scipione giovane non avesse impresa l'andata in Affrica per la sua (di Roma) salvezza 2» E a questa impresa provvidenziale accenna nel sesto e nel ventisettesimo del Paradiso, e nel trentunesimo dell’ /n- ferno, e nel secondo del De Monarchia. E qual guerriero più di lui auda- cemente ‘ardito, che SRO simile a baleno Fiaccò de la vittrice Affrica il seno ? DI FRANCESCO PETRARCA 15 Amico di Ennio lo volle effigiato nei monumenti della gente Cornelia. Combatte e vince Antioco, che rimase pieno di. ammirazione, quando riebbe libero e con doni il figliolo, già prigione dei cavalieri romani. A Literno accorre numerosissima gente a visitarlo, bacia la destra al- l’esule eroe, e depone sulla soglia della casa ricchezza di offerte, quali ai Numi si consacravano. A retribuirne i meriti i Romani gareggiano nell’onorarlo; onde la statua di lui sorse nel Comizio, nel Foro, nel Sa- crario di Giove Ottimo Massimo; ed un’altra con ornamenti di trionfo nei Lettisternj Capitolini. Nulla accettò per legge di popolo, nè per or- dini del Senato; e tanto adoprossi nel rifiuto quant’erasi per opere de- gne meritato gli onori. Assai gli fu cara, e santa la doppia corona, che ottenne, giovane a diciassette anni, quando alla funesta battaglia presso il Ticino salvò da morte secura il padre sanguinante di ferite. Qual maraviglia se al poeta, voglioso di tentare un canto epico, la figura d’un eroe, venuto a tanta altezza di virtù, balenasse con guizzo di luce sì raggiante da invogliarlo a metter mano all’opera ? « Sulle prime ore di un venerdì santo, scrive egli ai posteri, a me errante a sollazzo per i colli, ond’è ricinta Valchiusa, sorse in mente di dettare un poema intorno al primo Scipione Africano; e trasportato «da interno impeto misi subito mano al lavoro, che poi, distratto da mille cure, lasciai interrotto , e che dal subbietto Africa intitolai. La quale non so per qual sua 0 mia ventura, prima che alcuno la cono- scesse, destò di sè tanto amoroso desiderio ». E. subito tutti ne comin- ciarono a cantar le lodi, sì che Zanobi de Strada, inteso com’ era a simile argomento, smise ogni cura, plaudendo al nascituro dal so- lenne ingegno di tale, che sapea dell’arte e dell’Italia amorosissimo. Si dubita oggi se l’amore a Roma ed all’ Italia sia stato in messer Francesco un sentimento od un fantasma. Io penso, e me ne rafferma sempre più.lo studio delle sue opere latine, che lamore «al nostro capo, Roma » sia stato così immutabile come quello per Laura. Leggete la prima del decimo delle Lettere Familiari a Carlo TV imperatore : è la lettera, che parla al monarca: « Di noi tu dunque, e, se sia lecito il dirlo, di te medesimo sei fatto immemore, e dell’ Italia tua ogni pen- siero hai tu deposto ? E mentre dal cielo a noi mandato ti crediamo, e della nostra libertà sperammo avere ottenuto un pronto difensore, tu il tempo in lunghissime deliberazioni consumi? Non sai tu dunque come un breve momento basti a decidere di cose grandissime ? e come, so- venti volte, un giorno solo compia le imprese per molti secoli apparec- chiate ? E fra tante cure sante e nobilissime, che ti gravano, nessuna è al certo più importante, e più grave che ricomporre l’Italia in pace... 16 PER IL CENTENARIO Cerchiamo nei nostri annali un esempio, se pur lo vuoi, e valga a te per tutti Arrigo Settimo di gloriosa memoria, avolo tuo serenissimo, il quale, se bastata gli fosse la vita a porre in opera i santi disegni della sublime sua mente, dispersi i nemici, avrebbe lasciato al mondo mutata la faccia, liberi e gloriosi gl’Italiani, e, regina di tutti, Roma ». E non sarebbe male leggere un’altra lettera al medesimo Carlo nel ventesimo terzo delle Familiari; e, fra quelle al Tribuno, l’oratoria, che è splen- dida glorificazione di Roma e dell’Italia. Ma non so passarmi, nè lo devo, d’accennare alla fervida epistola prima del ventesimo terzo delle Familiari. Quando la Grande compagnia nemica di Dio, di pietà, di misericordia, e le bande successive contristavano di empie scelerità e di violenti ra- pine la povera Italia, l’indomito poeta, disconsolato a tale jattura, scri- veva ad un ignoto : « Parlo perchè parlare mi è forza; perchè l’amore: mi sprona, e l’affannoso petto per modo mi accende, che il tacere mi è del tutto impossibile. Io parlo, nè so a chi parli. O della libertà. e della pudicizia vindice egregio, che dal soglio precipitasti gli autori del vergognoso servaggio, e con la spada ultrice costringesti a inab- bissar nell'inferno gl’infami maestri delle turpitudini, oh! vivo tu fossi, magnanimo Bruto, sì che a te la parola potessi io rivolgere! O glorioso Cammillo, che dal sangue nostro sozza e spumante la oltramontana. rabbia tra le fumanti ceneri della patria estinguesti, oh! vivo tu fossi, sì che a te le parole potessi io rivolgere ! O massimo degli eroi, che discacciato a viva forza Annibale dall’Italia, cui diciassette anni tenuto: avea sotto il giogo, e dentro i confirii della sua patria respintolo, con invitto valore secondato dalla fortuna mirabilmente lo debellasti, oh! fossi tu vivo, perchè a te la parola potess’io rivolgere ». E continuando ad invocare gli altri eroi di Roma, soggiunge: « Di che mi lagno, di che tanto gemendo piango e sospiro? Ahi che un vil pugno di ladri da sozzi covi sbucato e raccolto, l’Italia, già regina del mondo, percorre e passeggia, e a sè provincia e suggetta vuole e pretende colei, che fu di tutte provincie donna e signora. Chi sarà che ci salvi dalla vergo- gna, poichè dal servaggio è vano lo sperare che alcun ci salvi. Chi potrà farci o sordi o ciechi ai mali nostri, poichè camparci da quelli alcuno non può ? Deh! questo almeno ci sia dato, che la coscienza di tal onta, e la veduta delle luride piaghe nostre tolta ci sia». Ma che starò io a fastidirvi di vantaggio? Dirò, non per odio di altrui nè per disprezzo, che gli adusati a leggere, od a sentire concioni comiziali ro- boanti e canore, piglian questi santissimi affetti come esercitazione re- torica, non:qual’è nel-fatto,: slancio caldissimo d’anima cittadina. Tanto. DI FRANCESCO PEPRARCA LT si fa male a giudicar gli uomini grandi, senza farci contemporanei di loro e nel bene e nel male. Forse il Petrarca non ebbe nel riordina mento civile dell’Italia saldezza di proposito, come l incrollabile Ali ghieri, ma che questo desiderasse in qualche deliquio platonico non è quel che viene dalle opere di lui; il quale, riconoscentissimo ai suoi amici, scriveva: «Non vi ha famiglia che io ami più dei Colonna; ma Roma, ma la Repubblica, ma l'Italia mi sono ancora più cari ». Desiderava la salvezza della terra nostra, e la vedeva possibile per virtù italiana, ...@ fia il combatter corto Chè l'antico valore Negl’italici cor non è ancor morto. Venisse questa salute da un Cesare o da un Tribuno mon gli fa. Gli tardano la speranza di giorni sì desiderati le cruenti e insane discordie civili, ond’egli sempre fedele alla patria, va gridando : Pace, pace, pace. E non é tutta l'Africa un canto d’ amore gagliardo, generosissimo, glorificante l’Italia, inneggiante la Magna Roma? Non si sprigiona da essa il fuoco dell’anima del poeta, che arse mai in petto di cittadino onesto e tenero delle più nobili virtù, senza la vita delle quali si di- sonesta qualsiasi sentimento ? Ma, parmi di sentire, essa non ha, nell’an- dare dell’azione, la compostezza virgiliana, e manca fra le parti quel non so che d’armonico, per cui certe digressioni, o episodj che si di- cano, appajono assai slegati. Per la seconda colpa ogni uomo prudente si persuaderà che ove il poeta avesse avuto agio di tempo e serena tranquillità d'animo, ovvero sicurezza che l’opera sua era degnissima dei tempi, questa menda, se pur c’è, sarebbe scomparsa, perchè egli non aveva bisogno delle nostre avvertenze a riguardar meglio il. suo lavoro. Come siam facili noi pigmei a crederci più alti del gigante, sol perché ci solleviamo sulle spalle di lui! Alla prima poi risponderà il Petrarca medesimo con le parole scritte in una epistola al Boccac- cio: « Vuolsi sapere quale io mi sia? Tale son’io che mi studio batter la strada, tenuta dai padri nostri, ma non servilmente mettere il piede sull’orme loro. E se talvolta mi giova servirmi dei loro scritti, non per rubarli, ma per farne a tempo opportuno uso precario; più assai mi è grato, ov’io possa, servirmi dei miei. Tale son’io che della imitazione mi' piaccio, non della copia, anzi nello imitare fuggo il soverchio, e cerco che si paia non cieco o losco, ma veggente pur esso; l'ingegno dell’imitatore. Tale son'io che meglio vorrei non aver guida di sorta, di quello che dover sempre mettere il passo ove lo mise il Duca mio. Duca io non voglio che mi tragga alla catena, ma sol che vada in- nanzi, sì ch'io lo segua; nè so acconciarmi in grazia di lui a perder 18 PER IL CENTENARIO gli occhi, la libertà, il giudizio; nè mai sarà che alcuno mi vieti mo- vere il passo dove mi aggrada; fuggir quel che mi spiace, provarmi a cose non tentate finora, avviarmi, se mi talenta, per sentiero più age- vole o più breve, affrettarmi, posare, divertir dalla via, volgermi in- dietro ». Guai a lui, guai a tutti, grandi o piccini, se s’ avesse a te- ner dietro il consiglio degli improvvidi consulenti: quanto meglio seguir ciò che il cor vuole, come disse un siciliano antico : « Cantet amet quod quisque, levant et carmina curas ». L'Africa è l’inno a Roma, la quale non poteva avere, secondo il nostro, perennità di gloria senz’essere regina d’Italia; nè questa splendore e vita senz’essa. Mi sia conceduto leggervi la protasi, che è tutta bel- lezza d’ispirazione e, nell’incesso, epica maestà. E a me l’eroe per opre inclito, e in guerra Tremendo, o Musa, ora ricorda, al quale, Franta dall’armi italiane, un tempo Diede eterno l’insigne Africa il nome. Libar questa sant'acqua a me fia dato Da l’esausto Elicona, alme sorelle, Cura mia dolce, .perocchè mirande Cose a voi canto. Già d’amica villa E prati e fonti, e di campagne aperte Muti silenzj e fiumi e collinette Mi concesse fortuna: al vate i carmi Voi concedete, voi spirito agli estri. Lasciando ripetervi l’altra invocazione a Gesù Cristo , e le ragioni della seconda guerra punica, imagina il poeta che, al farsi dell’ alba, x Scipione vede apparirsi in sogno un’ombra illustre, che è il padre suo ...ostendens caro proecordia nato Et latus, et multa transfixum cuspide pectus, che addita al figliolo Cartagine, ultima meta al suo valora. A stimolarlo- di più gli narra (e la narrazione piglia i primi due libri, che sono due- sogni) i fatti e le gesta gloriose dei Romani. Dicono ch’ ei si tenne al sogno di Scipione di Marco Tullio, o a quel di Boezio nel De Consolatione philosophiae. Sia pure; ma son due libri belli, fervidi, agitati da un vivo calore poetico, che, specialmente in taluni quadretti o macchiette, come direbbe un pittore, danno figure di singolare bellezza. Del resto chi nel prezioso libro di Pio Ràina ha studiato le fonti dell’Or/arzdo di L. Ariosto; o le lunghe annotazioni e i discorsi, che il genovese Giulio Guastavini appose alla Gerusalemme del Tasso, et similia, vedrà come- sia verissima la sentenza di Ugo Foscolo, il quale scriveva: non è il nuovo che ha a cercarsi in arte, ma l'aspetto nuovo, o la novità con DI FRANCESCO PETRARCA 19 cui un’imagine si rappresenta. Basta fare una capatina in qualche pi- nacoteca a veder la varietà immensa nelle molteplici Sacre Famiglie; basta richiamare al pensiero che numero di Sofonisbe, di Meropi ecc., ci han dato i tragici, senza che l’un l’altro rubi, ma che solo nello ar- gomento si somigliano. Non mi soffermo all’altra accusa degli episodj, perchè è chiaro più della luce meridiana che tutti i poemi del mondo risultano da un con- serto di azioni accessorie alla principale: che maraviglia se il Petrarca volle giovarsene ? Ma non si sarà mai critico fine, acuto, originale se non si cerca modo, o via di scalcinare lo zoccolo o piedistallo che si voglia dire sopra al quale si aderge Vincitor di Cartago Di Scipione la superba imago. Qui non son buono ridirvi qual senso di pena all’ anima ebbi io, leggendo un giudizio, che scese a noi da oltralpe, e che sarà stato ac- colto come oracolo, venuto fuori dagli aditi augusti della sapienza! Ma spesso avviene che « Tal biasma altrui che sè stesso condanna » ! Gior- gio Voigt nell’opera dottissima « Il Risorgimento dell’antichità classica » scrivendo del poema petrarchesco, così sentenzia: «che cosa è mai la sua Africa, della quale egli si prometteva tante cose, e della quale parla sì spesso nei suoi libri e nelle sue Lettere ? Non è proprio il caso del ridiculus mus? Certo è che essa anzichè giovare, nuoce alla di lui fama ». (vol. 1°, pag. 581). Nuoce alla fama di chi giudica senza aver alito o spirito di arte; ma non al Petrarca ed al suo canto! Nel quale, per continuare il primo detto, è mirabile l’incontro di Lelio con Siface, quando il Romano voleva trarre alla sua l'animo venale del re di Cirta; la di cui reggia è descritta con vera grandezza; ed è assai bello, al termine d’un desinare, il canto di un giovane sulle fortune della Libia dalle mitiche tradizioni di Atlante sino ai giorni in cui era vivo An- nibale. Stupendo pare a me il racconto che fa Lelio dei fasti gloriosi di Roma; sempre quella Roma della quale i nobili fatti rammemorando, ridesta a pace le anime discordi perchè raggiungano il nobile fine della canzone all'Italia : Vostre veglie divise Guastan del mondo la più bella parte. E non mi arresterò al felicissimo episodio del re Siface prigione dei Romani, che è d’una verità nuda, sincera. E me ne passerò presto della Sofonisba, altra infelice regina Africana che muore invitta a non ac- crescere la prossima gloria del trionfante Scipione; e non mi fermerò 20 PER IL CENTENARIO nemmanco alle smanie di Massinissa. Qui suppergiù tutti convengono, ch’essendo il poeta nella sua beva, cantò passionatamente di amore: e dipinse con mirabil magistero la morte della povera reina. Manco male che degnano il poeta di tanta virtù poetica. Nè mancano gli Elisi, i quali, giurano alcuni, son quelli di Virgilio maniati: e pure han tanto di proprio che solo, a mente fredda, pensandoci su, ci rammentiamo del Mantovano. Al Zumbini par troppa l'ira di Annibale nel lasciare VIta- lia, quasi che il Sidonio guerriero non presentisse perdute tutte le sue vittorie, appena dalla penisola fossesi trasferito a Cartagine. Stupendis- simo l’episodio di Magone, con cui si chiude il sesto libro, unico fram- mento di 54 versi, conosciuto, vivente il. poeta; e del quale i fiorentini e i beneficati dall’insigne scrittore, more solito, fecero tanto strazio, da meritare una solenne difesa che il Petrarca dettò in una delle Senili, diretta al Boccaccio. Per quel che guarda poi la squisitezza dell’anima del fratello di Annibale, e del dispregio delle cose terrene, qual mara- viglia? Donde Eraclito ed Egesia appresero che nel mondo maggior copia c'è di male, e poca e rara assai quella del bene? L'anima be- nigna e pia del vate aretino tutta traboccò nei dolcissimi versi, messi in bocca al moriente Cartaginese, e la poesia è d'una insuperabile bel- lezza. La battaglia di Zama, dicono, è cavata da Livio; e chi può ne- garlo ? Certo in un poema storico, lì appunto dov’entra la storia, non si può rifiutare quel che da essa ci viene; e se qualche forma liviana si suggellò nella mente del poeta così vivamente da farla rivivere nei versi, è poi tal colpa da far gridare al plagio, quando altri pensa, e pare a me con tutta ragione, ch’ei seppe ben ‘congiungere il vero ar- tistico al verismo storico ? Chi legge l'ottavo libro chiuderà spesso il volume e gli occhi, per rifare con la fantasia la maestà delle cose cantate dal poeta. Asdrubale, mandato da Scipione a Roma per far dal Senato approvare la pace, guidato da un cittadino visita la superba città vincitrice; e quantun- que la materia sia la stessa della 22 delle Familiari al Lib. 6°, che arte é quella del poeta, che impeto di affetto e di gioia ad ogni monumento della prisca e nuova grandezza! E pare il poeta abbia voluto accre- scerne le bellezze per far più pietoso il contrasto con i miseri carta- ginesi, gementi entro orride prigioni, sotto il pesantissimo carico delle catene !! Ha splendidi luoghi anche il 9° ch'è l’ultimo libro : l' entrata di Scipione nella nave del ritorno ha un luogo ‘che non so temperarmi dal non riferirlo i TI non rauca ‘procellis Aequora fervebant, ventisque silentibùs, undas Victorem sensisse putes. DI PRANCESCO: PETRARCA 21 Lungo il cammino Ennio predice all’eroe, come nel corso dei secoli un giovane toscano canterà questa solenne impresa in un poema che avrà per titolo Africa, e che varrà al poeta l onore della laurea in Campidoglio. Il trionfo di Scipione e di Ennio pon fine al canto. Altro che il topolino nato da una montagna! Del resto il mio giudizio non ha valore alcuno di fronte alla storica sapienza d’un sì dotto scrittore. È bene che io confessi che Per avverso latrar non io mi muto e me ne sto con l’autorità di tale che nota: « Prepongo a Silio, a Lu- cano, a Stazio il Petrarca in quanto alla disposizione della favola; ed all’ordine, che egli tenne nell'Africa, lasciando agli altri il giudizio della lingua e dell’elocuzione: ma negli affetti amorosi è maraviglioso ». Il lustre professore Voigt, dalla cattedra di Lipsia, o nei regni eterni, in- chinatevi umilmente; chi scrisse questa nobile sentenza è Torquato Tasso, cui nomini nullum par elogium ! L'Africa fa per molti socoli negletta, come negletto il pensiero d’Ita- lia. Risorse con l’entusiasmo nazionale, vigoreggia al trionfo dell’Italia nostra nella sua unità; scemano i detrattori, ed ogni giorno crescono gli ammiratori pur ammettendo vi sieno imperfezioni. Ma il trionfo dell’ammirazione fu solenne agli 8 di aprile del 1541. Il dì primo settembre dell’anno innanzi eran pervenute al Petrarca due lettere, che lo chiamavano alla laurea poetica a Parigi ed a Ro- ma; e questa, a consiglio del cardinale Colonna, fu degnamente pre- scelta. Incerto di sè, o meglio del suo merito, sull’ uscire di febbraio, vola a Napoli. Roberto di Angiò per tre giorni lo esamina: e, dichia- randolo degnissimo dell’onorificenza, lo regala d’una clamide. La sera del 6 di aprile è a Roma, invanamente cercando del Barili, segretario dell’Angioino, che di corsa era rientrato a Napoli, fuggendo le astuzie dei briganti; ed il giorno 8, che fu domenica di Pasqua, è pronta la festa. Non mi perderò in descrizioni; tolgo ogni nota dalla prima epistola metrica al medesimo Barili, che così suona: « Di subito alla chiamata i potenti di Roma si adunano. Il Campidoglio echeggia di romore fe- stevole; e veggio o parmi che la mole antica esulti di lietezza. Squillan le trombe; il popolo, desideroso di vedere, gareggia nell’ accalcarsi. Io stesso, io stesso vidi più di un ciglio degli amici accorsi tremolante di lacrime di tenerezza. Ascendo il sommo; taccion le squille, e il mor- morio si tace: e la corona, che fu ai mieiinvidi segnale di colpevole invidia, posò sulla mia fronte reclina, e con l’anima tumultuante prego e piango ». 22 PER IL CENTENARIO Al cantore soave dell’onesta bellezza, al cittadino amorosissimo d’ogni glorioso bene d’Italia, richiamandola dal sonno neghittoso alla splen- dida vita dell’antico viaggio, s'ispirino gli animi nostri; questo è il de- bito nostro verso di lui. « Viva egli nel cielo, e, finchè noi viviamo, viva nella memoria nostra: ma dopo noi, viva nella memoria dei po- steri; i quali, se lo conosceranno, dovranno averlo caro; nè l’amore in questo m’inganna ». (SENIL: Lib. 3, Lett. 1%). LA CONTRADIZIONE AMOROSA IN Robb blrRAaRcA LAVORO Del Prof. LIBORIO AZZOLINA Presentato dal Socio Prof. Alfonso Sansone nella tornata del 19 Novembre 1905 Ca ——_—_—___—_—.—.-F---'-rcrt——1À1k1Àk1h1À1l1l——@1@@‘——@—@—<111111111———@2 oONcoIceotco tro Ico Icon Ico teo teo Ire NcSiceno CICoMcoMSeSEE==o CNIcoo ONIcc Ie IrONRc o IcoOMeoI _——mmmmmrm—mT——r—._._._._._ i e e=— EC EEE ONIITRI 1. Le rime di F. PerrARcA, ed. G. Mestica, Firenze, 1896. 2. Le rime di F. PerRARCA, commendate da G. Carducci e S. Ferrari, Firenze, 1899. 3. F. Prrrarca, Lettere delle cose famigliari, volg. da G. Fracassetti, Fi- fenze, 1863. 4. F. Petrarca, Lettere semi, volg. da G. Fracassetti, Firenze, 1892. 5. L’autobiografia, il Secreto e Dell’ignoranza sua e d’altrui di messer F. Pe- TRARCA, a cura di A. Solerti, Firenze, 1904. 6. G. A. CrsarEo, Su le “ Poesie volgari , del Petrarca, Rocca S. Cascia- no, 1898. 7. F. De SanorIs, Saggio critico sul Petrarca, Napoli, 1892. 8. F. De Sanctis, Storia d. lett. ital., Napoli, 1879, vol. I. 9. L. Azzorina, Il “ dolce stil nuovo ,, Palermo, 1903. 10. B. ZumBini, Studi sul Petrarca, Firenze, 1895. 11. C. Seark, Studi petrarcheschi, Firenze, 1903. 12. La vita italiana nel trecento, Milano, 1897. 13. G. Carpucct, 12 Petrarca alpinista, in Opere, X, 151 sgg, Bologna, 1893. 14. I. BuroxHarDt, La civiltà del sec. del Rinascimento in Italia, trad. da D. Valbusa, Firenze, 1876. 15. De NorHac, Petrarque et Vhumanisme, Paris, 1892. 16. G. Vorar, Il risorgimento dell’ anticlatà classica , tradotto da D. Val- busa, Firenze, 1888, vol. I, 25-158. 17. L. Gricer, Rinascimento e Umanismo in Italia e în Germania, trad. da D. Valbusa, Milano, pp. 31-60. 18. A. BarroLi, I primi due secoli d. lett. ital., Milano, pp. 433-554. 19. A. Gaspary, Storia d. lett. ital., trad. da N. Zingarelli, Torino, 1887, vol. I, pp. 347-413. 20. G. VoLpi, 1 trecento, in Storia d. lett. ital., Milano, pp. 23-83. LA CONTRADIZIONE AMOROSA IN RIT IRIZIRIRZNIROA ___rPTr_rP———m Se dai trovadori provenzali a Dante è chiaro ed innegabile, nella lirica amorosa, un processo essenzialmente evolutivo ; invece, da Dante al Pe- trarca si sente come un’impreveduta rivoluzione. Uguale in tutti lo scopo ultimo : il perfezionamento morale; uguali gli elementi precipui: la donna, l’amore, l’anima del poeta; uguale il contrasto tra l'ideale e il reale, tra la mente e il cuore, tra la ragione e il senso e, quindi, la intonazione di dolore prevalente ; uguali tanti altri particolari, ‘che hanno dato modo di ravvicinare ai versi scritti per Laura ora quelli ispirati da Beatrice o da Selvaggia, ora quelli informati alla rigidezza della Castellana d’oltr’ Alpe o di Madonna. Ma in Petrarca è un modo di considerare e di sentire tutto codesto dia- metralmente opposto a quello degli altri: conseguenza della sua diversa educazione intellettiva, del suo particolare temperamento, di quel determi- nato ambiente morale, che agì su di lui. L'amore e la donna nei Rerwn vulgarium fragmenta hanno tanta parte al conseguimento della vera per- fezione dell’ anima amante, quanta nella lirica d’arte precedente, specie nello sti! nuovo; sennonchè , là entrambi rispecchiano ben altro giudizio, ben altro sentimento, ben altro principio estetico, essendo affatto mutati i criteri e le norme morali del filosofo, diverse le potenze affettive del- l’uomo, nuovo il fine artistico del poeta. Ciò è quanto ho in animo di esaminare il meglio possibile, e so, fin troppo, che al mio lavoro deriverà, assai spesso, conforto e lume da pre- cedenti trattazioni su alcuni punti dell'argomento, che la critica ha già scrupolosamente giudicate e favorevolmente accolte. 6 LA CONTRADIZIONE AMOROSA L'amore. al quale i poeti stilnovisti attribuirono virtù sovrannaturali, anzi divine, chi legga il son. Voz ch'ascoltate del Petrarca, par già lontano di secoli. Non è più una spirazione di Dio e, quindi, un mezzo di rigene- razione cristiana, ma un vareggiar ; non procura più gentilezza, ma ver- gogna; non è faro luminoso dell'intera vita, ma finisce presto in un pew- tersi compunto. La sua sofferenza, ch'era d'aiuto al servante, è già van dolore, e son vane speranze quelle stesse con cui prima sollevava dalle vol- garità della terra l’anima innamorata. Prima i suoi piaceri erano scala al cielo , ora son breve sogno ; il sentimento di esso negli uomini costituiva un bene e. invece, non merita perdono ma. in certo qual modo, pietà; l’e- saltarlo senza tregua era una missione, ed è un rendersi favola al popol tutto. E il son. Voi ch'ascoltate trova nelle rime seguenti largo riscontro e de- terminazioni integranti. Nella canz. Io vo pensando Amore è quello Che la strada d’onore Mai non lassa seguir, chi troppo il crede, mentre il Cavalcanti l'aveva segnalato a Dante giovane quale IITTENLE 43 ISEE segnor valente che segnoreggia il mondo de l’onore 1. Nel son. Voglia mì sprona Amore è la cieca e disleale scorta per cui Regnano i sensi, e la ragione è morta, quando nello sti nuovo Amore operò anche al trionfo della ragione sul senso 2. Nel son. Come va il mondo, il ceco Amor, fattasi compagna la sorda mente del poeta , fa andar per viva forza quest'ultimo ov'è morte morale, morte completa dell’anima, e per Dante Amore era unimento spi- rituale dell'anima a Dio 3. Nei Trionfi. poi, Amore è. senz'altro. ROTTI SRREI ROLION ar un garzon crudo Con arco in mano e con saette a’ fianchi... Fatto signore e Dio da gente vana, è mostro, che sopra la mente rugge, e ogni ragion indi discaccia , che si circonda di errori, di false opinioni, di lubrico sperar, che procura Chiaro disnor e gloria oscura e nigra,... Sollecito furor e ragion pigra, 1 Son. Vedesti, al mio parere, ed. Ercole. ? Cfr. Azzorina, Il dolce stil nuovo, pp. 112-830. 3 Conv.; III, cap. II Cos | IN F. PETRARCA onde Poco ama sè chi ’n tal gioco s’arrischia. Eppure, qua e là, non mancano nei Fragmenta le lodi di Amore. Di fatto, ora è dichiarato che l’amoroso perszero... al sommo Ben... invia; * ora dell'anima di un amico tornato a vita amorosa è detto ch'al dritto camin D) là Dio rivolta; ®? ora nel mover degli Occhi leggiadri, dove Amor fa nido, è visto un dolce lume Ohe... mostra la via, ch'al ciel conduce. 3 Poi lo stesso Amore si vanta d’aver procurato al Poeta Quanto à del pellegrino e del gentile, d’avergli indicato la via di levarsi @ l'alta Cagion prima, d’averlo salito in qualche fama, alzandogli l'intelletto Ov'alzato per sè non fòra mai, d’aver nobilitato così il dire di lui che RIA de’ suoi detti conserve Si fanno con diletto in alcun loco. 4 E il Poeta non ischiva di rivolgersi ad Amore perchè porga mano al- laffannato ingegno, , ed a lo stile stanco e frale, Per dir di quella ch’è fatta immortale E cittadina del celeste regno!? Come raccapezzarsi ? Ma se badiamo alla lineazione ideale delle “ Poesie volgari ,, quale la determinò incomparabilmente il Cesareo 5 precisandone netto il carattere morale nelle tre parti principali, si può di leggieri trovar il bandolo della matassa. Di fatto, la spiccata ed esplicita esaltazione della virtù amorosa, che fa lo stesso Poeta, dando così tutta l'apparenza di con- (14 tradirsi, è nella prima parte ove ancora l’ animo è * volto qua e là dal soffio delle passioni ,, ove l’uomo appunto “ brancolando nella selva del- 1 Son. Quando fra l'altre donne. 2 Son. Amor piangeva. 3 Canzz. Perchè la vita è breve e Gentil mia donna, è veggio. Canz. Quell’antiquo mio dolce empio signore. 5 Son. Deh porgi mano. 6 V. Su le “ Poesie volgari ,,..., pp. 261 seg. e G. GroeBER, Von Petrarca’s Laura in Miscellanea di studi critici edita în onore di A. Graf, pp. 15-6. 00) LA CONTRADIZIONE AMOROSA l'errore, ricerca se stesso .. ! E il vanto della propria potenza messo in bocca d’ Amore e l’invocazione a quest'ultimo perchè agevoli l'ingegno e lo stile del Poeta, hanno luogo nella seconda parte, ove “la commedia dell'anima è presso al suo scioglimento ., ma non è del tutto compiuta. ove l uomo © si trova fuori d’ ogni passione , è vero, ma non è ancora “ superiore a ogni passione .. come sarà poi nei Trionfi. * L'ondeggiare tra pensieri opposti, il rimanere spesso sospeso tra un giu- dizio e l’altro, che gli agitavano. discordi ed esclusivi tra loro. la mente. era, lo san tutti. proprio del Petrarca, che non mutò mai. In li l’alto concetto d° Amore derivato già dai Provenzali e dai precedenti poeti to- scani in genere, aveva urtato, a un certo punto . contro l’ abominazione dello stesso Amore rilevata in S. Agostino e, dopo una lotta ostinata. aveva ceduto. Il Secretum è là a dar larga attestazione di quel primo urto e di quella prima lotta tra le due teorie contrarie e del trionfo dell'una sull'altra. Ma come il Poeta continuò a tener dietro alle mille lusinghe della gloria. anche dopo che da S. Agostino s'era fatto quasi imporre : “Tu hai adunque ad osservare questa legge. ama la virtù e dispregia la gloria. E nientedimeno in questo mezzo, come si legge di Mario Catone, quanto meno la domanderai, più conseguirai quella .. ? e come non riuscì mai a liberarsi dalla “ tristizia dell'animo, la quale, come una pestilentis- sima ombra, occide li semi della virtù e tutti li frutti dello ingegno .. * pur tentando tutti i rimedi suggeriti dallo stesso vescovo d’Ippona ; così non seppe sacrificar completamente certi lati buoni d'Amore ad una con- danna recisa di esso ed esitò a lungo tra il prò e il contro. Il che dà spie- gazione della canz. Quell’antiquo, posta la penultima dei Mragmenta, nella quale Amore. citato al tribunale della Ragione, si discolpa con forza e con efficacia delle accuse del Poeta, e la Ragione al Poeta e ad Amore. che attendono la sentenzia, dice sorridendo : Piacemi aver vostre questioni udite, Ma più tempo bisogna a tanta lite. E il tempo opportuno giunse e la sentenza esplicita, severa fu data — l'abbiam visto—nei Trionfi. Qui ogni ondeggiamento cede ad un giudizio 1 V. Cesareo, Su le * Poesie volgari ,,.... p. 244. 2 Ivi, pp., 268-69. G. AppeL ha Fipreso recentemente (in Rivista d’Italia, a. VII, fase. VII. pp. 54-67) la questione già sostenuta da G. MetLopra (in Studio su i Trionfi del Petrarca, Palermo, 1898, pp. 71-80) su le relazioni che i Trionfi abbiano col Car zoniere. In proposito v. L. Azzoma, I Trionfi del Petrarca, in Giorn. dant., a. XIII (1905), q. IL 3 Il Secreto... ed. cit.. dial. IMI, p. 168. 4 Ivi, dial. II, p. 110. IN F. PETRARCA 9 freddo e immutabile; il pensiero, che ha analizzato, distinto ed affermato tra un'alternativa penosa di dubbi e di convincimenti, alfine appar libero e sicuro ; il nuovo concetto d'Amore , abbozzato nel sonetto-proemio Vo? ch’ascoltate , ma qua integrato e là , invece, quasi contradetto nelle altre poesie, trova le sue linee precise, il suo giusto tono, la sua definitiva de- terminazione. Sennonchè , nei Fragmenta , oltre al concetto , c'è anche il sentimento d'Amore. Nello sti! nuovo, preso nella sua vera essenza, Amore non afferra e pe- netra, agita, infiamma la parte affettiva dell'anima, sì da renderla tutt'uno con sè e farla vivere della sua vita, gioire delle sue gioie, soffrire delle sue pene. Esso si accorda con la ragione e dà le ali all’ intelletto; la sua prima origine è fuori dell’uomo e la sua vera stanza è nella mente; è idea, non è sentimento : idea , che punisce e corregge i traviamenti del cuore, che combatte e ammorza e deprime i sensi, che illumina e dirige le fa- coltà intellettive, che aliena l’uomo dal vizio per accenderlo della virtù e lo strappa alla terra per rivolgerlo al cielo e lo distacca dal mondo per metterlo nella grazia di Dio, che uccide il male e fa trionfare il bene, che compone il disordine morale e civile in un ordine perfetto e salutare 1. Ma nei Fragmenta il sentimento amoroso è tutto l’amore, e ciò che più sopra è stato chiamato concetto d'Amore non è se non il giudizio di quel sentimento medesimo , formulato al lume d’un dato principio morale. Il Poeta, con espressione breve insieme e densa, lo definisce un dolce affanno * e ne dà, come ognun vede, il tono unico e pieno, senza però dimenticare, o far dimenticare, che quella piena unità risulta dalla compenetrazione di due note, per natura, discordi e stridenti e, invece, compagne inseparabili per destino. Poi, volendo distinguere nettamente, lo dice ora foco, fiamma, e martir, 3 un . +... Sospirare e lacrimar mai sempre, Pascendosi di duol, d’ira e d’affanno, un arder da lunge ed agghiacciar da presso ;* ora un languir dolce, un desiar cortese, ® un abbagliamento così soave che fa incuranti di qualsi- 1 Cfr. AzzoLina, Il dolce stil nuovo. 2 Son. Benedetto sia ’l giorno. 3 Son. Quel foco ch'i’ pensai. 4 Son. S'una fede amorosa. > Tui to 10 LA CONTRADIZIONE AMOROSA voglia danno ; * quindi , tornando a riunire le due qualità in antitesi, lo apostrofa : O viva morte o dilettoso male. dopo essersi domandato : S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento? Ma s’egli è amor, per Dio, che cosa e quale ? Se bona, ond’è l’effetto aspro mortale ? Se ria, ond’è sì dolce ogni tormento? ? Intanto, nel Secretum , egli sè fatto osservare da S. Agostino: * Nes- suna cosa è che tanto partorisca la oblivione, il dispregio di Dio, quanto quest'amore delle cose temporali, e precisamente questo , il quale per un certo suo proprio nome è detto amore ..;... e dopo: “ Queste e simili miserie sono nell’amore:.... quella miseria è sopra le altre precipua, la quale par- turisce di Dio e parimente di sè medesimo oblivione. Perchè non so in che modo l'animo piegato da’ pesi di tanti mali, ondeggiando pervenga a questo unico e purissimo fonte di vero bene . 3. Sicchè, per il Petrarca Amore è soprattutto sentimento forte, invadente. tremendo; è violenta passione, la quale, mentre tormenta il cuore e strugge il corpo, nello stesso tempo trascina l'anima e l’ allontana dalla sua vera felicità, ch'è riposta in Dio. L'uomo lo prova e lo soffre, il moralista lo analizza e lo giudica: ed uomo insieme e moralista si trovano, così, in un mondo assolutamente nuovo rispetto a tutti i predecessori nel genere. IL Nello sti! nuovo Dio è il primo amore, l'eterno amore, opera di amore la sua creazione, amori le sue creature: gli angeli e, quindi, amore la donna-angelo e amore la virtù operatrice di lei, la sua spirazione ; poi. amore quello delle creature al creatore e, quindi , amore quello del poeta alla donna-angelo e, per lei, a Dio. Tutto è emanazione graduale di Dio e tutto è scala diritta a lm. Ma nei Fragmenta codesto ordine di cose cessa, e mentre Amore allon- tana dal cielo, invece, appunto al cielo guida la ispiratrice di quello, Laura. Onde, la contradizione par chiara ed innegabile. Soltanto, il Poeta non la vide mai. Son. Come tal ora. 2 Son. Sfamor non è. 3 Dial. III, ed. cit., pp. 131 e 135. IN F. PETRARCA 11 Egli esalta in tutti i suoi particolari la bellezza della sua donna e dice e ripete in tutti i toni che il suo cuore, la sua mente, tutta l’anima sua è presa di tal bellezza e la fa sua luce, suo mondo, sua vita. Ella supera Venere e Marte, scolora il Sole , vince con Giove... ogni altra stella; * ri- tratta in carte, fa subito pensare a un’opera di quelle che nel cielo Si ponno imaginar, non qui tra noi, Ove le membra fanno a l’alma velo; ? ammirata in tutta la sua gloria, maggiore di quella del sole Quando ’1 ciel fosse più de nebbia scarco, e di quella del celeste arco quando si vede dopo pioggia Per l’aere in color tanti variarsi, accende tosto la fiamma amorosa, che prende, avvolge, consuma: I’ vidi Amor ch’e begli occhi volgea Soave sì, ch’ogni altra vista oscura Da indi'in qua m’incominciò apparere. Sennuccio, il vidi, e l’arco che tendea; Tal che mia vita poi non fu secura, Ed è sì vaga ancor del rivedere. 3 Poi, negli occhi, mirando fiso, s'impara Come s’acquista onor, come dio s'ama,... Se ei gualfespiustanivia Di gir al ciel. 4 Soltanto, non è tutto. Ecco che il Poeta, pieno d’un pensiero che lo disvia dagli altri, lo fa solitario e di quando in quando lo invola a se stesso, ha l’oscura coscienza di dover fuggire la sua amata mentre la cerca, e se la vede passare, la trova dolce e ria, se vuole giudicarla, la chiama Questa bella d’Amor nemica e mia. 5 Quindi, pensa , riflette sugli sdegni insistenti di lei e v’intravede un am- monimento, che rivela netto a sè e al proprio cuore, senza perdersi nei soliti lamenti o raffreddarsi in vane considerazioni: Sforzati al cielo, o mio stanco coraggio, Per la nebbia entro de’ suoi dolci sdegni Seguendo i passi onesti e ’1 divo raggio. 1 Son. Quest'anima gentil. 2 Son. Per mirar Policleto. 3 Son. Nè così bello ’l sol. 4 Son. Qual donna attende. 5 Son. Pien d'un vago penser. 5 Son. Anima, che diverse cose tante. 192 LA CONTRADIZIONE AMOROSA In seguito, coglie un dialogo tra una donna attempata e Laura sull’ o- nestà femminile: quella antepone, per pregio. la vita alla Vera onestà, che ’n bella donna sia. l’altra volge l'ordine, sentenzia. in tesi generale. che Se CARBONIO E io Senza onestà mai cose belle o care, conclude che qual si lascia di suo onor privare, Nè donna è più, nè viva; e il Poeta rincalza l'opinione di Laura e magnifica lei : Vengan quanti filosofi fur mai A dir di ciò: tutte lor vie fien basse; E quest'una vedremo alzarsi a volo. 1 Dopo, è tutto un inno al modo di vedere di Laura. a cui dì nulla cale, se non d’onor; che non teme visco o lacci o reti d'amore: che disprezza perle. robini ed oro, quasi vil soma; che tiene a noia L'alta beltà, ch'al mondo non è pare. , se non quanto il bel tesoro Di castità par ch’ella adorni e fregi. ? Oramai, i rapidi ma frequenti baleni, che attraversano la coscienza del Poeta, rompono bruscamente le tenebre. che l’avvolgono ancora, e la ve- rità, già nascosta e nè manco presentita, fa di quanto in quanto capolino, scuote i primi inganni. getta il seme del dubbio. La bellezza corporea, che sempre affascina e infiamma ed incatena, già cede il primo posto alla castità, anzi. intanto essa ha valore in quanto è ornamento dell’altra; gli sdegni, che ancora sconvolgono e tormentano, hanno ora un senso riposto, distraggono dalle mondanità, mirano a qualcosa di più alto ; l’amore trova una nemica in colei che l'ispira, spunta in lei i suoi dardi, sfrutta con lei le sue arti. Come governarsi ? Nelle sue confessioni al vescovo d'Ippona il Poeta, conducendosi ancora incerto tra’ veri benì e i falsi, aveva ragionato prò e contro l’azione eser- citata da Laura su di lui e infine. per via di sottili considerazioni e nel fervore dei pensieri celesti dominanti, aveva con Terenzio esclamato : O indignum facinus ! nune ego et Ilane scelestam et miserum me esse sentio ! Eun., se. I. Poichè Laura. più che altro, rivolgeva tutte le facoltà di lui alla sola 1 Son. Cara la vita. Son. Arbor vittoriosa. 19 IN F. PETRARCA 18 sua persona e i desideri di lui “ dal Creatore alla creatura , così che “ con- siderato che ogni cosa creata si debba amare per amore del Creatore ,, «egli, “ pel contrario, preso dalle lascivie d’una creatura, non amava il Crea- tore per quel modo e via che si conviene ,, e si meravigliava “ dell’arte- fice, come non avesse creato cosa più formosa, e niente di meno la forma corporea è l’ultima fra tutte quante le altre bellezze ,, *. Ora, dopo cinque anni, nella canz. Zo vo pensando, lo stato d’ animo non muta e nemmeno mutano i giudizi sfavorevoli ; soltanto, ricompaiono sotto il velo d'una melanconia molle e spontanea, che da un lato ne at- tenua le tinte e, dall'altro, lascia quasi indovinare la lotta intima e dispe- rata, che li suscita. Qui è un pensiero che dice alla mente : Già sai tu ben quanta dolcezza pòrse Agli occhi tuoi la vista di colei, La qual anco vorrei Ch'a nascer fosse per più nostra pace ; là, è un altro voler che invade il campo e fa sì che il Poeta, come pre- .sago del vero, sino allora sconosciuto, dichiari a sè che ...mortal cosa amar con tanta fede, Quanto a Dio sol per debito convénsi, Più si disdice a chi più pregio brama; infine, è lo sgomento del Poeta medesimo, il quale comprende che ha smarrito la giusta via, sente che è troppo lontano dal cielo mentre tena- cemente, e senza più volerlo, è legato alla terra, osserva che invecchia e «che la morte l’incalza, cerca invano del viver suo nuovo consiglio e con- stata che, mentre vede il meglio, s'appiglia al peggio. Ma un passo più avanti è fatto. Agli occhi del Poeta Laura non è più una bellezza unica, sovrana, infinita, in cui non sa che primeggi, o il pre- gio del corpo o la virtù dell’anima; da cui scocca il dardo amoroso, che ac- cende i sensi e offusca la ragione, e per cui, nello stesso tempo, si cono- scono le vie del cielo. La necessità di distinguere cosa da cosa già si pre- sente; i dubbi vanno risolvendosi; le contradizioni accennano a scompa- rire. L'amore ch’arde nelle vene del Poeta, è nato dalla bellezza corporea di Laura, la quale è l’ultima delle bellezze, è cosa mortale e cede, di gran lunga, al paragone con la castità per cui solo la donna è vera donna ®. Laura casta, onesta non seconda codesto amore, che è un errore, un va- neggiar, un'estrema insania, ed è causa di morte morale certa e irrepara- bile; ma lo combatte sn dalle origini, lo disdegna con erudezza implaca- bile. Il Poeta ama e soffre e si lamenta; ma, a un certo punto, dubita 1 Dial. III, ed. cit., p. 126. 2 Son. Arbor vittoriosa. 14 LA CONTRADIZIONE AMOROSA dell’ essenza del suo amore, giustifica le sue sofferenze, muta il tono e l'indirizzo ai suoi lamenti. Frattanto, nell’incalzarsi di pensieri e di sentimenti così diversi, Laura muore. In primo, ne seguono lacrime e disperazioni, rimpianti e invoca- zioni alla morte; poi, è un rmnovare alla memoria, con dolorosa insistenza, tutto un passato, e un magnificarlo, desiderandolo invano; quindi, suben- trano la riflessione, l'esame d’ogni particolare, il giudizio sereno; infine, la verità si mostra nella sua piena luce e conclude e determina sicura. Il Poeta si conferma nell'opinione, prima appena abbozzata, che negli sdegni di Laura pel suo amore era la salute di lui: Or comincio a svegliarmi, e veggio ch’ella Per lo migliore al mio desir contese, E quelle voglie giovenili accese Temprò con una vista dolce e fella. Lei ne ringrazio e ’1 suo alto consiglio, Che col bel viso e co’ soavi sdegni Fecemi, ardendo, pensar mia salute. Oh leggiadre arti e lor effetti degni! 1! E sì compiace di quello stesso. per cui prima aveva levato la voce que- rula e benedice a Laura e all'opera santa di lei : Come va ’1 mondo! or mi diletta e piace Quel che più mi dispiacque; or veggio e sento Che per aver salute ebbi tormento, E breve guerra per eterna pace..... Oh quant’era il peggior farmi contento Quella ch’or siede in cielo e ’n terra giace! Benedetta colei ch'a miglior riva Volse il mio corso, e l’empia voglia ardente, Lusingando, affrenò, perch'io non pera! ! Poscia, nettamente, distingue in Laura la bellezza dall’ onestà e in ef- fetto ritiene quella la sola ispiratrice delle amorose punte e questa, invece. l’unica guida al cielo : Due gran nemiche inseme eran aggiunte, Bellezza ed Onestà, con pace tanta, Che mai rebellion l’anima santa Non sentì, poi ch'a star seco fur giunte; Ed or per morte son sparse disgiunte : L'una è nel ciel, che se ne gloria e vanta; L'altra sotterra, ch'e begli occhi amanta, Onde uscir già tant'amorose punte. > - Son. L’alma mia fiamma. 1 Son. Come va ’1 mondo! Son. Due gran nemiche. 19 IN F. PETRARCA 15 E mentre all’una attribuisce anche la beatitudine eterna di Laura : Ella ’1 se ne portò sotterra e ’n cielo, Ove or triunfa ornata de l'alloro, Che meritò la sua invitta onestate ; * nello stesso tempo, giudica recisamente caduca e fragile l’altra : Questo nostro caduco e fragil bene, Ch'è vento ed ombra ed à nome beltate, Non fu già mai, se non in questa etate, Tutto in un corpo: e ciò fu per mie pene; ? e si pente d’averla tanto amata : I’ vo piangendo î miei passati tempi, I quai posi in amar cosa mortale, Senza levarmi a volo, abbiend’io l’ale Per dar forse di me non bassi esempi. Sopraggiunge il tempo dei 7”%0rfi, in cui il Poeta, come scampato da una tempesta che ha minacciato di sommergerlo, guarda dalla riva le onde ancora sconvolte, con occhio fermo, sovrastante, e con la mente chiara, investigatrice. E come Amore gli è apparso nella sua vera qua- lità: artefice d’inganni e di dolori, cagione di traviamenti e di perdizioni per l’uomo, che tenta al sommo Bene; così Laura la vede nella sua piena gloria e nel trionfo delle sue infinite virtù, tutte di cielo : . +. + +. eran con lei tutte le sue Chiare Virtuti (oh gloriosa schiera! ); E teneansi per mano a due a due. Onestate e Vergogna a la front’era, Nobile par’ de le Virtù divine, Che fan costei sopra le donne altera; Senno e Modestia a l’altre due confine; Abito con Diletto in mezzo ’1 core ; Perseveranza e Gloria in su la fine; Bell’Accoglienza, Accorgimento fòre; Cortesia intorno intorno a Puritate; Timor d’infamia e sol Desio d’onore ; Pensier canuti in giovenil etate, E (la concordia ch’è si rara al mondo) V'era con Castità somma Beltate. E la vede armata, più pertinace che in vita, contro Amore, il quale 1 Son. Passato è ’l tempo. 2 Son. Questo nostro caduco. 3 Son. I° vo piangendo. 16 LA CONTRADIZIONE AMOROSA ancora non ha smesso il proposito di tentarla e di assalirla per farla della sua schiera. Già l’uno, con tutti è suoi argomenti, muove terribile, lo strale nella destra, nell’altra l'arco e la corda all’orecchia : Non corse mai sì levemente al varco Di fuggitiva cerva un leopardo Libero in selva o di catene scarco, Che non fosse stato ivi lento e tardo; e l’altra è più presta assai che fiamma o venti, pronta a schivare il colpo. I presenti, Ciascun per sè si ritraeva in alto Per veder meglio, e l’orror de l'impresa I cori e gli occhi avea fatti di smalto ; il Poeta, che assiste trepidante, sta oggi con gli occhi attento e fiso Sperando la vittoria ond’esser sòle; E per non esser più da lei diviso. Il colpo d'Amore parte, ma va a vuoto, chè si estinguono in fredda onestate I dorati suoi strali accesi in fiamme D’amorosa beltate e ’n piacer tinti; Laura, con catena di diamante e di topazio, lega l’ avversario e ne fa quello strazio, che basta a mille vendette; il Poeta ne è contento e sazio. Ma come, in parte, lo smentiscono le parole poco prima rivolte ad Amore, avanti che la lotta fosse decisa! Con un sospiro, mal represso, dell’animo gli ha detto intimamente, ma non così che non si leggessero Ne gli occhi e ne la fronte le parole: “ Signor mio, se tu vinci, Legami con costei, s'îo ne son degno, Nè temer che già mai mi scioglia quinci ,, * È inutile. La mente del moralista si sforza a dar corpo al suo concetto prestabilito e riesce, di fatto, allo scopo, mostrando, nel complesso , che Amore è passione, suscitata dalla parte più caduca della donna, la bel- lezza corporea, e nemica al bene dell’uomo, il quale dalle miserie del mondo voglia elevarsi alla pace e alla gioia del cielo; passione che la 1 Trionfo della Pudicizia. IN PF. PETRARCA 17 donna medesima, però, può aiutare a vincere, se in essa al di sopra dei pregi del corpo sta l’ onestà, che sola spunta i dardi amorosi, distacca dalle apparenze di diletti terreni e rivolge l’anima a Dio, fonte unica di bene vero, eterno. Ma il cuore dell’uomo sempre cede alle passioni e ama la bellezza sensibile ; non sordo affatto agli ammonimenti della ragione, nondimeno esclama ancora una volta con Terenzio : Et tedet et amore ardeo, et prudens sciens Vivo, vidensque pereo nec quid agam scio ; * compreso d’ ammirazione delle virtù celesti di Laura, gode però che in essa, anche tra’ beati, splende con Castità somma Beltate. E quando , levatosi col pensiero al terzo cerchio, la rivede più bella e meno altera, compassionevole con lui e di lui desiderosa, lieta del bene sommo, di cui è fatta partecipe e che mente umana non riesce a conce- pire, gode al sentirla, fra l’altro, sospirare le sue belle membra, forse più che al vederla in tanta gloria : Te solo aspetto e, quel che tanto amasti 9 E là giuso è rimaso, il mio bel velo. ? E per la morte di lei crede d’ aver perduto ogni dolcezza della sua vita e il mondo ciò che di più bello avesse e di cui potesse gloriarsi: Poscia ch’ogni mia gioia, Per lo suo dipartire, in pianto è volta, Ogni dolcezza de mia vita è tolta..... Ahi orbo mondo ingrato ! Gran cagion ài di dover pianger meco ; Chè quel bel, ch’era in te, perduto ài seco. Caduta è la tua gloria, e tu nol vedi. 8 Poichè indarno chiede . +. . a Morte incontr’a Morte aita, egli s'acqueta nel suo dolore, soltanto per la speranza che le sue rime dolenti possano eternare sulla terra la memoria di lei: E, se mie rime alcuna cosa pònno, Consecrata fra i nobili intelletti, Fia del tuo nome qui memoria eterna. 4 1 Il Secreto, ed. cit., dial. III, p. 186. 2 Son. Levommi il mio penser. 3 Canz. Che debb'io far ? 4 Son. L’aura e l'odore. a Il D LA CONTRADIZIONE AMOROSA Stanco di vivere ed anelante a lei nel cielo, vuol, fino all’ultimo istante, ragionare della sua bellezza, perchè sia conosciuta pienamente al mondo e degnamente amata : Ite. rime dolenti, al:duro sasso Che ’1 mio caro tesoro in terra asconde :... Ditele ch’? son già di viver lasso, Del navigar per queste orribili onde ; Ma, ricogliendo le sue sparte fronde, Dietro le vo pur così passo passo, Sol di lei ragionando viva e morta; Anzi pur viva ed or fatta immortale, A ciò che °l1 mondo la conosca ed ame !. Diremo questa una delle tante incertezze e contradizioni del Poeta. Ma forse non ha anch’essa le sue cause e le sue giustificazioni ? 1008 Venuto su non propriamente bello, “ma tale che sul fior degli anni poteva piacere ; di bel colore tra il bianco e il bruno, d’occhi vivaci e di vista che si serbò per lungo tempo acutissima , >, il Petrarca nel 1325 portava nella splendida e licenziosa Avignone la sua smania smodata di godere per sè e di piacere agli altri, nonchè la sua passione dello studio, che la modesta scuola di Convenevole da Prato aveva fatto manifestare in Carpentras e aveva alimentato, in Bologna, il contrasto intimo ed an- goscioso in lui tra il fascino della grand’arte dei Romani e il disgusto delle barbare formole dei giureconsulti. Entrava tosto nello stato ecclesia- stico, ma soltanto per provvedere ai bisogni della vita: le mondanità e l’antichità classica non lo lasciavano distrarsi. E si dava cura di mutar vesti sovente e di profumare la guarnacca, d’arricciare i capelli e di cal- zare elegante; cercava ansioso le conversazioni, i conviti, le belle donne e le loro grazie e l'ammirazione della folla al suo passaggio, in quell'epoca ancora votata al disprezzo del mondo ed alla mortificazione della carne. D'altro canto, con Vergilio e con Cicerone appagava il sentimento della bellezza della forma, che nel Medioevo era andato interamente perduto e che in lui, invece, s'era manifestato potente sin dall’adolescenza, quando aveva mostrato gran diletto della maestà e del ritmo delle parole latine; si esaltava della piena conoscenza del mondo antico, sino allora o abor- 1 Son. Ife, rime dolenti. 2 F. Petrarca aì Posteri in Lettere d. cose fam., ed. cit., vol. I, pp. 201-2. IN F: PETRARCA 19 rito o franteso per le mire della chiesa signoreggiante a conciliare le au- torità discordi su cui si fondava, a ridurre semplici anelli del suo sistema così gli scrittori profani come i sacri ; si gloriava di rivelarsi poeta e di apprendere l’arte oratoria, opponendo, a quanti ripetevano non aver la poesia altro ufficio se non quello di spacciare menzogne , che per essa si salva qualsiasi nome dall’oblio, si acquista il. privilegio dell’ immortalità, ed ai contemporanei, educati fra le pastoie della Scolastica e ligi ai det- tami inesorabili della logica, provando, con 1’ esempio, la superiorità del parlare come detta l'intimo sentimento. Nel 1327 conosceva Laura e, invaghitosene, nel nuovo amore metteva tutta la fiamma del suo sangue ardente, la febbre del desiderio vivo ma inappagato, l'entusiasmo della mente accesa dalla sensualità della lirica provenzale. Accompagnando il Colonna a Lombez nel 1330 e, tre anni dopo, visi- tando la Francia settentrionale e le Fiandre, all’ anatema troppo assoluto gettato sulla natura dal cattolicesimo medievale, al gusto dell’ abietto e dell’ignobile, all’ apoteosi del dolore e del patimento di tutto un popolo malato e consunto da continui rapimenti in contemplazioni celesti, con- trapponeva, a poco a poco, un concetto più umano della vita, un senso vero della realtà delle cose, un diletto sommo delle varie bellezze fisiche, un sentimento della natura, che, per lui, rinnovava e rendea mirabili le relazioni fra lo spirito e il mondo esteriore. Egli poteva già dirsi un vero anacronismo nell’età sua, un'anticipazione completa e inaspettata d’un mondo a venire; quando, nel 1335, in com- pagnia del fratello Gherardo, compì la vagheggiata ascensione sul monte Ventoux. Improvvisamente, in lui, al nuovo si sovrappose il vecchio coi suoi geli e i suoi terrori, col suo antagonismo tra materia e spirito, col suo anne- gamento del finito nell’infinito e dell’uomo in Dio. Quindi, a Cicerone e a Vergilio fu opposto S. Agostino, fatto subito l’unico idolo, l’unico eroe; al culto dell’eloquenza fu sostituita l’ aspirazione alla salute dell’ anima, allo studio della poesia quello della scienza divina. E l’amore cocente della gloria e della donna intiepidì nell’ansia opprimente d’una triste espiazione; e impressa a neri tratti nell’ anima pesò , ognora e dovunque , l’ imagine della morte. Parea l’annientamento d’un’esistenza sino allora così rigogliosa e bella; pareva il tramonto improvviso e doloroso d’una grande coscienza, la quale, dopo aver lanciato nella tetraggine d'un cielo caliginoso un fascio di luce foriero del sereno, azzurro e fulgido, lasciava al suo scomparire più fitte, dietro a sè, le tenebre e l’aria più uggiosa. 20 LA CONTRADIZIONE AMOROSA Ma l'antico fuoco non si spense sotto la cenere che il passato, rea- gente, vi accumulava sopra per distruggerlo, e vivide scintille, mandate fuori ad ora ad ora, testimoniavano la sua persistenza. Il Petrarca, che se ne avvide, ne fu accorato e, come da un amuleto, non si staccava mai dal suo S. Agostino, e la notte recitava salmi penitenziali. si batteva il petto, piangeva raccomandando fervorosamente l’anima a Dio. Soltanto, sentì presto in sè prendere proporzioni smisurate la lotta tra il vecchio e il nuovo e, ch'era peggio, a lui mancava la potenza di dare all’ uno la palma su l’altro. Dante, natura equilibrata di sensitivo-attivo, avrebbe su- bito deciso e seguito, senza tentennare, la via scelta. Al Petrarca faceva ostacolo il suo temperamento di sensitivo-contemplativo-emozionale, e Vin- tima lotta, non saputa dominare, trascinò lui per un avvicendarsi ininter- rotto di luce e di tenebre. d’esaltazioni e di terrori, di gioie e di pene, dove lo spirito, anelante invano alla pace, trovò le torture dell’acedia: se- greta e perenne melanconia, dovuta a qualcosa d’insodisfatto, che sentiva in sè e non gli dava mai requie. Nessun fatto della vita seguì, che non riflettesse codesto particolare stato d'animo, come nessuna concezione della mente, che non ne fosse compenetrata. Venne il tempo dell'ordinamento dei Fragmenta e le cose non erano mutate: quelli ebbero quindi il carattere. il tono, il colorito che dovevano avere. L'ambiente ne determinò l’intendimento morale; la duplice educazione intellettiva vi aggiunse uno scopo artistico, ne collocò l’azione in un paesaggio campestre prima e poi nel cielo, e ne rese so- vente opposti i pensieri, i sentimenti, i giudizi: il temperamento proprio ne cagionò le incertezze, i tentennamenti, la melanconia soave. E l’amore e la donna rispecchiarono alternativamente il giovine elegante di Avi- gnone assetato di piaceri terreni. avvezzo alla sensuale espressione arti- stica d’oltr'Alpe e il fedele seguace del vescovo d’ Ippona, nemico delle passioni : l’uomo nuovo avido di gloria nel mondo, affascinato da ogni bellezza sensibile. entusiasta degl’incanti della natura e l'uomo vecchio ri- volto al cielo, innamorato delle virtù dell'anima, anelante all’annegamento completo nella gloria divina; il poeta orgoglioso di procacciar plauso a sè e agli altri, studioso di dar maggiore efficacia e attrattiva ai propri pensieri mediante il prestigio della forma, vago della vita, dell’aria armo- niosa, profumata, delle piagge fiorite, ridenti e il moralista indifferente di ammirazioni passeggere, ingarbugliato in un arruffio di astrazioni, di allegorie, di simboli, preoccupato sempre di espiazioni terribili, di morti paurose. La meravigliosa armonia, ideata dalla filosofia tomista, tra terra e cielo, tra la creatura e il creatore. tra il sensibile e l’ intelligibile era oramai IN P. PETRARCA 21 rotta. Il Petrarca non conobbe S. Tommaso, anzi lo evitò; e con la guida degli scrittori religiosi più antichi, e specie di S. Agostino, ritornò all’or- rore del mondo e all’estasi per l'invisibile, al disprezzo della carne e al- l’esaltazione dello spirito. Sennonchè, il mondo e la carne, che lo avevano attirato e conquistato nell’età delle impressioni più potenti e degli affetti più tenaci, non perdettero per intero agli occhi suoi il fascino primitivo, ed egli, privo di forte volontà e incapace di risoluzioni recise, rimase, come lo Stilita, sospeso tra il cielo e la terra. Poichè, la religione del Petrarca non uscì mai dal campo delle idee, mai fu un sentimento vero e profondo. Avverso al sistema filosofico, per cui Dante, pur non perdendo nulla della sua individualità e della sua fi- sionomia speciale, trovò le vie del paradiso e giunse alla misteriosa visione della trinità, il Petrarca si accostò piuttosto alla corrente mistica dell’e- poca e la ritrasse in sè. Ma come scolorita, mutata! Per averne un'idea, basta considerar lui quando il Giubileo del 1350 lo chiamò a Roma per far penitenza. Le turbe dei romei, tutte compunte e disciplinandosi, an- davano salmodiando per le vie e parlando di prodigi e di reliquie, ed «egli, nella sua stanza, al tavolino solitario, evocava gli eroi dell'antichità e a Varrone, quasi rapito dalle sue memorie , scriveva, palpitando: * A venerarti, ed amarti, la tua virtù singolare, la tua dottrina e del tuo nome la chiarissima fama mi astringono , * Era il conforto, che l'animo, pieno della passata gloria latina, trovava in mezzo alle manifestazioni varie e deliranti della fanatica devozione d’una folla, a cui un pensiero ascetico l’aveva unito più col corpo che con lo spirito. La sua vera fede non era per il cristianesimo, che nondimeno difendeva contro gli Averroisti, ma per quanto egli aveva derivato dai suoi primi studi e dalla vita giovanile. L’ascensione sul Ventoux apportò una rivoluzione nelle sue idee, ma poco o punto influì sui suoi sentimenti. E come i sentimenti e le vergogne non . riuscirono mai a mutare in lui l’uomo fatto alle gioie, pur brevi e caduche, del mondo, non impedendo che cercasse sempre la protezione dei grandi per assicurarsi i comodi del buon vivere, che tante volte tornasse ai rumorosi allettamenti della società quante volte aveva deliberato di evitarli, che invano facesse resistenza agl’ inviti insistenti della carne e agli occhi innamorati, i quali—secondo una sua espressione — non cessarono di essere i condottieri della sua rovina, che giudicasse am- biguo se la morte sia un bene o un male, che mai si sentisse spinto a sacrifizi di sorta per conquistare il bene eterno, che la mattina, dimen- tico dei terrori notturni, desse il saluto festante al sole e alla natura; così 1 Lett. d. cose fam. XXIV, 6. 19) 9, LA CONTRADIZIONE AMOROSA lo scopo morale, voluto raggiungere, poco agì sul suo modo di rappresen- tare e l’amore e Laura. La mente fredda e giudicante incatenò nel tempio della Pudicizia il comune nemico Amore e soddisfatta inneggiò al trionfo dell’onestà di Laura, ma il concetto non soffocò il sentimento e nulla la ragione tolse ai fremiti del cuore. Ciò che attraversa, dal principio alla fine, i Fragmenta, e li co- lorisce, li riscalda. li anima, è sempre il sentimento amoroso, che disprezza la ragione : Chè "1 fren de la ragione Amor non prezza, ! esulta dell’impotenza della ragione stessa contro gli occhi invaghiti : Gli occhi invaghiro allor si de’ lor guai Che ’1 fren de la ragione ivi non vale, ? gode del predominio dei sensi sull’estinta ragione : Regnano i sensi, e la ragione è morta; 3 che freme sotto l’ansia del Poeta di liberarsi dal foco delle passioni, e- nelle invocazioni di lui a Dio perchè lo illumini della sua luce, lo conforti della sua grazia, lo esalti nella sua pace, e nelle fervorose preghiere a Laura beata che lo chiami a sè, nella sua gloria celeste : Oh felice quel dì, che, del terreno Carcere uscendo, lasci rotta e sparta Questa mia grave e frale e mortal gonna; E da sì folte tenebre mi parta, Volando tanto su nel bel sereno, Ch’ veggia il mio Signore e la mia Donna !; 4 D5 te) b) che trema nei lamenti lacrimosi per le durezze di lei e nella speranza vederla un giorno buona ed arrendevole : Vivo sol di speranza,..... Non è sì duro cor, che, lagrimando, Pregando, amando, talor non si smova, Nè sì freddo voler, che non si scalde; > che tripudia della felicità di potere contemplar lei in questo mondo : Sì come eterna vita è veder Dio, > Nè più si brama, nè bramar più lice, Così me, Donna, il voi veder felice Fa in questo breve e fraile viver mio; * 1 Son. Come talora al caldo tempo. 2 Son. Ahi, bella libertà. 3 Son. Voglia mi sprona. 4 Son. E° mi par d’or in ora. > Son. Aspro core e salvaggio. 5 Son. Sì come eterna. di IN PF. PETRARCA 23 che geme in un dolore senza nome per l’immatura dipartita di lei, per l'improvviso scomparire della sua bellezza infinita : Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo, Oimè il leggiadro portamento altero! Oimè il parlar, ch'ogni aspro ingegno e fero Facevi umile ed ogni uom vil gagliardo! Ed oimè il dolce riso, onde uscio il dardo, Di che morte, altro bene omai non spero! ! e che si sublima nel sospiro bramoso rivolto alla terra, la quale copre il corpo di lei; a quella terra felice : E tu, che copri e guardi ed àî or teco, Felice terra, quel bel viso umano, Me dove lasci, sconsolato e cieco, Poscia che ’1 dolce ed amoroso e piano Lume degli occhi miei non è più meco? ? D'altro canto, il moralista sciolse il suo voto rappresentando la gloriosa schiera delle virtù, che a Laura facean corona in cielo e magnificando quest’ultima come bella vincitrice di Amore, tra il plauso di quelli Ch’avean fatto ad Amor chiaro disdetto; 3 ma la vera Laura, che irradia della sua luce tutte le rime, apparirà sem- pre colei che, con le belle membra, accese e fe’ divampare il fuoco d’amore, ora ammirata quand’ella parla o ride, Che sol se stessa e null’altra somiglia, 6 quando tra l’erba Quasi un fior siede! o ver quand’ella preme Col suo candido seno un verde cespo, nonchè per quel suo bel seren de le tranquille ciglia; 4 ora contemplata mentre ha % capei d’oro a laura sparsi e avvolti da que- sta in mule dolei nodi. mentre ha suffuso il volto di pietosi color: e incede con un andar che non è LORO ASI RS LEGA. So cosa mortale, Ma d’angelica forma ; ? 1 Son. Oimè il bel viso. 2 Son. Poi che la vista angelica. Son. Trionfo della Pudicizia. Son. Amor ed io. > Son. Erano i capei d’oro. 24 LA CONTRADIZIONE AMOROSA ora esaltata su tutte le più belle donne d'ogni età e ritenuta come gloria grande di natura; ! e sempre amata e desiderata dal Poeta, pianta dopo morte e domandata ai luoghi diversi che la conobbero, sognata nelle notti dolorose, invidiata al freddo sasso che la coprì, cercata fin lassù, nel cielo. che ne accolse lo spirito con l'apparenza, però. della passata sua beltà corporea. Lo sti nuovo conobbe pure le gioie e le pene d’amore e sotto le forme dell'angelo sentì spesso la donna: ma rivolse tutto allo scopo voluto e tutto interpretò alla stessa stregua. Per esso Amore e la donna tormen- tavano il poeta perchè potesse per la via del dolore giungere al sommo bene: e tormentavano la parte sensitiva di lui, che conduceva al peccato e quindi alla morte morale. per agevolare e far trionfare la parte intel- lettiva, la sola adatta ad apprezzar la virtù e a procacciare la vera feli- cità. Così doveva essere e così avveniva. Poichè lo st! nuovo, collocato il suo punto d'osservazione nella mente, vide tutto traverso a quella sua de- terminata teoria filosofica, su tutto proiettò quelle sue idee dominanti e fisse. Quindi anche il cuore umano riguardò dal di fuori e giudicò le tem- peste di lui dalla rocca serena della ragione, come dalle sfere dell’ ideale considerò la bassa e palpitante realtà, come dalle beatitudini del cielo va- lutò le miserie della terra. Ma il Petrarca sentì tutto se stesso sempre nel suo cuore, e di là ri- guardò il mondo circostante, di là rivolse l’attenzione verso l’alto. Ne se- guì che, pur peregrinando assai volentieri nei campi luminosi dell’ idea e dando alla ragione. all'astrattezza sistematica e ai concetti morali la loro parte nella sua vita e nelle sue opere. nondimeno egli si trovò più in centro nei regni del sentimento, e del mondo e delle cose soprattutto ri-- levò e considerò altamente il lato umano. Fece lo stesso per il suo amore e per Laura, i quali, per ciò, lasciando tra le celesti Intelligenze del Me- dioevo moralizzante e dottrinale, già chiuso dalla Comedia, più che ogni altra. Beatrice e la sua divina spirazione amorosa, colorarono entrambi il crepuscolo d’un’epoca nuova, di cui il loro Poeta era il primo uomo. Ed ora, come procedettero nei Fragmenta l’uomo insieme e l'artista ? IV. Da alcuni passi delle opere del Petrarca s'è arguito ch'egli avesse della poesia lo stesso concetto del Medioevo : la ritenesse. cioè, anche lui, come- Dante. una veste della verità. ® Ma sappiamo ch'egli medesimo a Giovanni 1 Son. In tale stella. 5 2 Cfr. Voier, Il risorgimento... pp. 34-6. IN F. PETRARCA 25 Colonna di San Vito scrisse: “ E molto io parlo, e serivo molto, non tanto per giovare a questa età di disperata miseria, quanto a sfogare la bile e a disacerbare scrivendo l'animo mio .,; ! e che nella Prefazione alle fami- gliari contessò che per lui era tutt'uno scrivere e vivere. Egli visse so- prattutto una vita di sensazioni e di sentimenti, ed esprimendo questi nella loro pienezza e sincerità, come poteva contemporaneamente nei suoi scritti collocar sempre una verità astratta, ideale? E c’è di più. Dante vide in Dio la suprema verità e in Dio la suprema bellezza; per lui vero e bello avevano la stessa fonte e quindi la stessa essenza: il bello era l'apparenza del vero. Questo era proprio della parte intellettiva del- l’anima umana, era nelle idee, le quali, perciò, risultavano le sole suscet- tive di bellezza. E la poesia, banditrice del vero, derivava da quest’ultimo il suo valore estetico, perchè dato appunto dal fondo morale, dalla pro- porzione, dall'ordine, dall’armonia, dalla claritas e dalla èntegritas o ma- gnitudo, presi tutti insieme, di esso ®. Il Petrarca, invece, il quale non vide nell'universo codesto ordine pre- fetto d’una filosofia, che non conobbe, e netta segnò una linea divisoria tra il mondo affettivo e quello ideale, collocò anche lui il vero nella mente, ma non tutto il vero; non escluse la bellezza dell’intelligibile, ma ammirò e amò più quella, che i suoi sensi percepivano. Di fatto, furono ugual- mente verità reali per lui i piaceri mondani, l'entusiasmo per l’ antichità classica, la sete di gloria tra gli uomini, la passione per Laura, l’amore della natura, la paura della morte, la melanconia lacerante dell’anima. E a lui parvero specialmente belli la vita tra il plauso dei contemporanei e l'ammirazione dei posteri, gli spettacoli del mondo esteriore, la corrispon- denza e compenetrazione dello spirito con le cose, la solitudine delle piagge fiorite, i capelli e il viso e gli occhi e il corpo di Laura. Sen- titelo : Tutte le cose, di che ’1 mondo è adorno, Uscir buone de man del Mastro eterno; Ma me, che così a dentro non discerno, Abbaglia il bel. che mi si mostra intorno. 3 CIO Dov'è qui l’ansia medievale di penetrar a ogni costo nell’ intimo delle cose per scoprirne la verità nascosta e godere soltanto della scoperta ? L’apparenza sensibile basta, e se è veramente bella, l'occhio se ne diletta e vi riposa, lo spirito vi sì appaga. 1! Lettere d. cose fam., VI, 4. 2 V. AzzoLina, Op. cit., 195 segg. 3 Canz. Lasso me. 26 LA CONTRADIZIONE AMOROSA Im arte, poi, giudicò somma e principale bellezza quella della forma, la sola capace di soddisfare il suo senso dell’armonia e del ritmo, di ripro- durre lo splendore e la dignità dell’ eloquenza ammirati in Cicerone, la melodia e la dolcezza sentite in Vergilio, di rispecchiare la forbitezza e l’eleganza del viver suo. Accortosi del pregio, in cui eran tenute le sue rime volgari, dubitò dell’eccellenza del loro stile e avrebbe voluto limarle assai più; ma non potendolo, perchè tardi, manifestò sinceramente il suo cordoglio : S'io avessi pensato che sì care Fossin le voci de’ sospir miei in rima, Fatte l’avrei dal sospirar mio prima In numero più spesse, in stil più rare. Morta colei che mi facea parlare, E che si stava de’ pensier mie’ in cima, Non posso (e non ò più sè dolce lima) Rime aspre e fosche far soavi e chiare. * O dunque? Ammettiamo pure che anche per quanto riguardi il concetto della poesia il Petrarca tentennasse tra il vecchio e il nuovo, ma è inne- gabile che in tutto codesto, testè rilevato, c'è tanto da far pensare a pr0r2 che il problema estetico dei Fragmenta, se non diametralmente opposto, si presenta però molto diverso da quello dello st: nuovo. Poichè, si hanno forti elementi per ritenere che non sempre nell’intenzione del Poeta una stessa espressione dovesse rendere l’idea pura e la forma, il simboleggiato e il simboleggiante, come per gli stilnovisti, i quali, però, per forma in- tesero la fictio rettorica, la veste, il segno. Nei Fragmenta il concetto, l’allegoria, il simbolo non potevano manca- re, essendo imposti dall’epoca e dall’ambiente, e non mancano. Ma come nell’amore del Poeta il mondo delle idee influì soltanto sul severo giudi- zio di esso, che poco o punto interessa, così nei ragmenta il valore astratto, ideale è secondario e i più non vi badano. L'idea pura non vi appare nello sforzo incessante di penetrare in ogni parola, in ogni verso, in ogni componimento poetico, perchè il lettore la noti, l’apprezzi e la ritenga bene, come in ispecie nella Vita nova. Essa rimane piuttosto nella mente del Poeta e attende all’unico ufficio di presiedere all’ ordinamento definitivo dell’opera e di condurlo con quel dato fine morale. Quando essa cerca un’espressione sua propria, non trova la vivezza dell'immagine o la fiamma del sentimento, come spesso in Dante e nei suoi compagni d’arte. Perchè, mentre da questi ultimi è sovente considerata non in sè ma nei suoi effetti, col Petrarca non va al di là della sua essenza e del suo luogo 1 Son. S'îo avessi pensato. IN F. PETRARCA 27 d'origine ; e la sua espressione, quindi, che negli uni ritrae, inconsapevol- mente, la sincerità e l'efficacia delle impressioni suscitate, nell’ altro , in- vece, rispecchia sè sola fedelmente e freddamente. Pertanto, l’amore e la donna ideali, nello st nuo9vo ispirano ammirazione, meraviglia, adorazione. gioia serena e contemplativa, tristezza, dolore, e si muovono, palpitano, vivono in queste emozioni diverse, e si rivestono, così, di poesia vera, e danno il tono, le determinazioni , il carattere alla scuola; nei Pragmenta restano astrazioni, s'imternano nell’analisi, s'inviluppano di sentenze, si raf- freddano con declamazioni, costituiscono il lato difettoso, secondario e ge: neralmente trascurato. Soltanto, se non commuovono il poeta, interessano anch'essi l'artista e il magistero della forma li adorna sempre, e talvolta così altamente da abbagliare, ingannare e far dire poesia spontanea ciò ch'è rettorica pura. Certo, nessuno li ammira nei versi, portati alla massima chiarezza ed eleganza, dei 7r;onfi, ove l'uno e l’altra non sono che nomi, contemplati dalla ragione e dalla riflessione filosofica, guardati nel passato e colti fuori dell’azione, mutati da sentimento in idea, da individuo in genere; ove il loro trionfo è nello stesso tempo la loro dissoluzione, la loro morte. E nessuno riconosce Laura, tra I altro, nel son. Due gran nemiche, in cui ella si sdoppia, s'innalza nella luce e sprofonda nelle tenebre, splende nella gloria eterna e s’oscura nel ricordo delle amorose punte suscitate: non è tutta astrazione nè tutta realtà, non ispira il solo bene o il solo male, non guida recisamente al cielo nè lascia affatto sulla terra. Sono tutti concetti, generalità, antitesi che non sfuggono, perchè troppo tra- sparenti sotto il velo della tecnica perfetta. Ma non è così in altre rime, come, p. es., nel son. Passa la nave mia, che a molti assai facilmente par d’essere un’ espressione d’ arte sincera e potente. Tutti convengono ad ammettere che intendimento del Poeta fu di paragonarvi a una nave in mare tempestoso l’ animo suo in balia dei tormenti d'Amore e degli sdegni di Laura. E la struttura del verso, la dignità della frase, la precisione della parola, il chiaroscuro delle tinte, dei toni, del movimento fanno credere ben riuscito il paragone e giudicar sorprendente 1’ effetto. È, però, una pretta illusione dovuta all’abilità som- ma dello scrittore. Di fatto, a chi noti bene, il sonetto accarezza l'orecchio. abbaglia la fantasia e soddisfa il gusto estetico, ma lascia freddo il cuore e non suscita emozioni di sorta. Perchè ? perchè dovrebbe essere espres- sione di sentimenti forti e contrari, ma il sentimento manca affatto: do- vrebbe rappresentare in azione l’amore tormentoso e la donna oltremodo schiva, ma l'uno è generalizzato in n/nvco circondato di sospiri, di spe- ranze, di desideri, di lacrime e di errori, l’altra è rimpicciolita e immobi- LO (0 0) LA CONTRADIZIONE AMOROSA lizzata in due dolci segni, che si celano; dovrebbe mettere a nudo l'animo del Poeta e ritrarne lo scompiglio. le pene, le lotte del senso contro la ragione, e lo sconforto disperato, ma la visione della nave prevale ed oc- cupa il campo. Infine. tutto anche qui è guardato dal di fuori e idealiz- zato : tutto rivela che il cuore è freddo e che la mente subisce il fascino d'una bella immagine, a cui l’artista si studia di dar forma e ci riesce. mentre il poeta tace. Sennonchè. tutto codesto riguarda la parte limitata che il moralista ha nei Fragmenta; ma l’uomo. che vi predomina, va più in la e con l’artista trova anche il poeta. L'amore e la donna reali vengono ad avere un'e- spressione nuova e più efficace: quella tale. però, che poteva e doveva dare il particolare temperamento dell’autore. Come tutti i sensitivi - contemplativi- emozionali . il Petrarca subita- mente passava. o soltanto tendeva, all’azione sotto l’impeto d'un’impressio- ne, d'un sentimento. ma di lì a poco si raffreddava e impigriva nell’ana- lisi e nella contemplazione di quell’impressione e di quel sentimento me- desimi. Così procedette in tutti i casì della sua vita complessa e varia; così fece nel suo amore per Laura. Ella lo accendeva con le sue beltà. lo inebbriava col suo fascino, lo sconvolgeva coi suoi ritegni: ma egli poi e beltà e fascino e ritegni di lei faceva argomento di studio e vi s’indu- giava estatico. Parimenti, il sentimento amoroso gli procurava ora gioie sovrumane e ora dolori profondi, ora dolci inganni e speranze soavi, ora delusioni amare e penosi sconforti: ed ecco, a un certo punto, egli met- tersi come dirimpetto alle sue stesse emozioni per distinguerle bene e mi- nutamente esaminarle e spiegarsele appieno. L'espressione artistica non poteva non rispecchiare codesto processo, e lo rispecchiò, infatti, fedelmente. Ebbe quindi due toni, o meglio, due aspetti dello stesso tono: l'uno, più raro e più poetico . colorito nel mo- mento breve e fugace dell’emozione viva: l’altro, assai più vario e ricco ma non tanto poetico quanto artistico. dato dal momento contemplativo sopravvenuto. Ne sono una riprova piena moltissime rime, e le migliori, specialmente quelle riferentisi a uno stesso avvenimento o a un'impressione stessa, che il Poeta raggruppò non senza una determinata intenzione. Io ne contemplerò un solo esempio e varrà per tutti. Laura piangeva e il Poeta innamorato , che la vide e la udì, n’ebbe IN F. PETRARCA 29 pietà e dolore insieme e vaghezza e commozione immensa. In quel punto espresse così le sue impressioni : Non fur ma’ Giove e Cesare si mossi A fulminar colui, questo a ferire, Che pietà non avesse spente l’ire, E lor de l’usate arme ambeduo scossi. Piangea Madonna, e ’1 mio signor ch'i’ fossi Volse a vederla e suoi lamenti a udire, Per colmarmi di doglia e di desire E ricercarmi le midolle e l’ossa. Il senso di pietà, di cui nei primi quattro versi non si sa ancora l’ori- gine, ma che è tale da spegnere l’ ira di Giove fulminante e di Cesare devastatore, dà subito l'impressione d’una potenza non comune, sconfinata, la quale in tanto afferra e stupisce, in quanto sta, immobilizzandoli , al di sopra delle divine saette e d’una spada indomabile. Il pensiero già ri- corre a qualcosa d'inconcepibile, quand’ecco le singhiozzanti parole: Pian- gea Madonna , che illuminano e chiariscono, ma senza attenuare l’effetto primitivo, anzi accrescendolo. Già si sa d’essere davanti a una creatura terrena, ma il suo pianto, che ispira infinita pietà e sulla terra e nel cielo, appar un che di divino, non mai conosciuto. È un’esagerazione ? Ma così parve al Poeta e così par a chi legge; la poesia vera non attinge alle fonti della critica, e tanto è più grande quanto più è ingenua. Il pianto di Laura, nella pietà che universalmente suscita, si sente così come in quel particolare dolore del Poeta compenetrato d’ una dolcezza che lo fa quasi desiderabile, come nel turbamento nuovo che al Poeta medesimo agita midolla ed ossa. E non s’arresta qui. Poichè, rimasto scolpito nel cuore, esso non perde nulla e muta soltanto negli effetti: è sempre il dolce pianto, che ora, però, fa piangere spesso e a lungo e gravemente sospirare : Quel dolce pianto mi dipinse Amore, Anzi scolpio, e que’ detti soavi Mi scrisse entro un diamante in mezzo ’l core; Ove con salde ed ingegnose chiavi Ancor torna sovente a trarne fore Lagrime rare e sospir lunghi e gravi. Corrispondenza più completa tra impressione ed espressione non potrebbe ricercarsi; chi legge rifà in sè, integralmente , il particolare stato senti- mentale dell'autore; ciò ch'è solo dell’opera d’arte sincera e spontanea. Ma sopraggiunge il momento della contemplazione, che sposta cose e sentimenti, li colloca nel campo dell’analisi, li singolarizza, li scolorisce. 30 LA CONTRADIZIONE AMOROSA La conseguente e naturale immediatezza tra il lagrimare e il lamentarsi di Laura e la pietà di chi la vede e ascolta, si dissolve in particolari di- sgregati e gelidi: il pregio degli occhi piangenti e delle parole lamente- voli, la rispondenza della pietà ispirata col senno e col valore di Laura. con l’amore e col dolore del Poeta : E vidi lagrimar que’ duo bei lumi, Ch’àn fatto mille volte invidia al sole, Ed udì, sospirando. dir parole, Che farian gire i monti e stare i fiumi. Amor, senno, valor, pietate e doglia Facean piangendo un più dolce concento D'ogni altro, che nel mondo udir si soglia. Solo la dolcezza del pianto ne acquista per la immobilità della natura circostante, che n'è incantata : Ed era il cielo a l'armonia sì intento, Che non se vedea ’n ramo mover foglia : Tanta dolcezza avea pien l’aere e ’1 vento! Poi, l’effetto mirabile, che faceva quel pianto scolpito nel cuore del Poeta, impallidisce e quasi si perde nell’insufficienza dell'ingegno e dello stile a ritrarlo : Quel sempre acerbo ed onorato giorno Mandò sì al cor l’imagine sua viva, Che ’ngegno o stil non fia mai che ’1 descriva; Ma sempre a lui con la memoria torna; e le lacrime e il lamenti di Laura non valgono ad altro che a muover dubbi sulla vera natura di lei: L'atto d’ogni gentil pietate adorno E ’1 dolce amaro lamentar. ch’'i’udiva, Facean dubbiar se mortal donna o diva Fosse. che ‘1 ciel rasserenava intorno, e lacrime e lamenti, come gli occhi e le labbra da cui si partono, passano a rivestirsi di rettorico abbigliamento : Perle e rose vermiglie, ove l’accolto Dolor formava ardenti voci e belle; Fiamma i sospir. le lagrime cristallo. Infine, anche il primitivo desiderio di veder sempre Laura piangente, pur IN F. PETRARCA SI soffrendone : desiderio vago ma tanto significativo ed efficace, si nasconde dietro uno nuovo ma sforzato : Ove ch'i’ pòsi gli occhi lassi o giri Per quetar la vaghezza, che gli spinge, Trovo chi bella donna ivi depinge Per far sempre mai verdi i miei desiri; e la pietà del pianto si restringe ai soli cuori gentili : Con leggiadro dolor par ch’ella spiri Alta pietà, che gentil core stringe ; e la dolcezza di esso e dei lamenti passa interamente nel mondo dei fatti logici e si neutralizza nella misurata concissione d’un giudizio : Amor e ’1 ver fur meco a dir che quelle, Ch’? vidi, eran bellezze al mondo sole, Mai non vedute più sotto le stelle. Nè sì pietose e sì dolci parole S’udiron mai, nè lagrime sì belle Di sì belli occhi uscir mai vide ’l sole. 1 È un proceder lento ma continuo dal sentimento al concetto, dall’osser- vazione immediata all’apprezzamento riflesso ; ciò che costituisce la carat- teristica dell’arte petrarchesca e ne spiega i pregi e i difetti. Ed è così in tutto: anche nella ricostruzione del paesaggio che fa da sfondo alla rappresentazione dell'amore e della donna, anche nella espressione della malinconia indomabile, che di quella rappresentazione è nota dominante. Lo sti nuovo coglie talvolta quelle tinte della natura, le quali possano lumeggiare la bellezza meravigliosa della donna, e tocca assai spesso la mestizia indefinita d’un amore ideale, che non può mai realizzarsi. Ma nei Fragmenta il paesaggio campestre è il mondo ove Laura si muove in vita e dopo morte, ove l’amore del Poeta si svolge, si alimenta, permane; e la melanconia è tutta l'essenza di codesto amore reale e potente, ma inappagato ed angoscioso. Sicchè, specialmente quando l’uno e l’altra tro- vano l’espressione sincera che li ritrae nella loro pienezza e verità, come nelle canzz. Ohiare, fresche e dolci acque e Di pensier in pensier, di monte im monte, concorrono con le altre determinazioni, già notate, a dare e al- l’amore e alla donna, in arte, un carattere di novità repentina e impre- veduta. È appunto la rivoluzione, a cui accennavo nel principio della tratta- zione e che mi proponevo di dimostrare. 1 V. i sonn. CXXII-CXXV., ed. Mestica. 32 LA CONTRADIZIONE AMOROSA Laura non è ancora la donna che, mentre ispira amore, ama anch'essa e- soffre, come più tardi faranno Erminia, Armida, Silvia, Ermengarda; ma non è più la donna - angelo, che ella dimentica nella vaporosità mistica d'un simbolismo campato fuori della vita, per rispecchiare tutta la sua bellezza corporea nella natura, che se ne riveste, nel mondo, che se ne gloria, nel Poe- ta,che se ne accende e la esalta e la immortala col verso. L'amore del Petrarca non sfugge interamente al misticismo moralizzante del tempo, ma è già tutto l’ opposto dell'amore di Dante e degli altri della sua scuola. come quello che non ha più la sua sede nella mente, ma nel cuore, non è più idea, ma sentimento, non è essenzialmente astratto, ma soprattutto umano. L'espressione artistica e di codesto amore e di Laura, più specialmente ispirata alla verità dell’osservazione e alla vivezza dell’ emozione, e pla- smata nell’assiduo aspirare a una tecnica perfetta, a una bellezza di forma sovr’ogni altro apprezzata. è già fuori dall’ estetica tomista, alla quale Dante s'attenne, e fa già pensare all’Ambrogini e all’ Ariosto. E il tono. di mestizia che in codesta espressione predomina, non richiama atffatto- gli stilnovisti. punti e accorati, di quando in quando, dal presentir vano- ogni sforzo rivolto a dar concretezza alle astrazioni vagheggiate, dal ri- maner delusi nella ricerca dell'idea pura in seno alla realtà palpitante. ma rivolge il pensiero al Tasso, al Leopardi e a quanti, nelle età seguenti, sentirono l'immensa sproporzione tra quello che si vuole e quello che si può, si logorarono negli spasimi della loro impotenza, soggiacquero alle torture da sè procuratesi. E il sentimento della natura, che qua e là co- lorisce variamente quell’espressione medesima, separa e distingue, in modo netto e indiscusso, dallo st nuovo i Fragmenta, i quali. perciò, preludono alla schiera infinita di poeti ed artisti di tutte le nazioni, che sì fmge- ranno con la natura una sincera comunione di sentimenti e di vita, o l’a- meranno nella solitudine con intero abbandono, o le tributeranno un af- fetto ora impetuoso e ora tenero, ora tragico e ora ditirambico. Insomma. la contradizione amorosa in Petrarca potrà riconoscersi o no, ovvero ammettersi in tutto o in parte. secondo che si giudichi da un punto- di vista più o meno diverso da quello del Poeta, o conforme. Mà è chiaro che la maniera particolare di lui di trattare e la donna e l’ amore, getta imprevedutamente le basi del Rinascimento il quale al comune sonnam- bulismo ascetico e al freddo simbolismo dottrinale del Medioevo sosti- tuirà il culto delle bellezze sensibili nella vita e in arte l'eccellenza della forma per sè presa e ammirata; e irradia ancora più in là la sua luce. nei secoli posteriori, i quali, senza trascurare il mondo esterno, volgeranno- però l’attenzione piuttosto all’intimo dell'anima, per iscrutarne le pieghe, analizzarne i movimenti diversi e rivelarne gl’infiniti misteri. —-- COMMEMORAZIONE EFEUIGI,SAMPOEO letta nel’adunanza del 18 Febbraio 1906 I DAL SEGRETARIO GENERALE PROF. SABVATORE RICCOBONO CON NOTE DI GAETANO SCANDURRA SAMPOLO U IRA I % Rn N) y “eg RIA y i di T% 0 Fap Nt it dai I i 4. po Z feilia, fniiacio Meri anita i ua Ls LA i Ci SSTTRI FI CRI SUR eni Ea | Er ata ii COMMEMORAZIONE DI LU IA RSTE NIETO D+ La commemorazione in questa Reale Accademia ad onore di Luigi Sam- polo, mancato ai viventi il 24 febbraio dell’ anno scorso , si celebra solo oggi; ma essa ritrova gli animi ancora commossi; e come il giorno di quel tristissimo evento l'Accademia, l'Ateneo, il Circolo Giuridico — i mas- simi istituti scientifici di Palermo—videro un consenso così pieno levarsi d’ogni parte intorno al loro lutto, e largo e schietto compianto suscitarsi fra tutti gli ordini di cittadini, così la manifestazione odierna non è sol- tanto accademica ma è cittadina, perchè Egli lasciò profonde tracce della sua attività prodigiosa in tutti i rami della vita pubblica. N 26 febbraio dell’anno scorso, una giornata triste, senza sole, il corteo funebre che attraversava lento la via Maqueda, era seguito da una eletta schiera di cittadini, da cento e cento alunni di istituti di beneficenza, da tutto un popolo (1). Sin da quel momento si potè valutare il prestigio che l’uomo che scom- pariva aveva acquistato, nella sua città natale, con l'esempio di un tenace lavoro, con la luce di una vita intemerata. Peregrine virtù di cuore, candore d’animo congiunte con le doti più co- spicue della mente facevano di Luigi Sampolo una personalità eletta pur tra le migliori della vita comune, una personalità tutta vibrante di idea- lità e di purezza. Nessuno può averlo conosciuto senza rimanere, dinanzi ad un così raro esempio di facoltà squisite, compreso di ammirazione e riverenza. Chi gli 4 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO abbia parlato ben difficilmente può dimenticarlo. Chi ebbe secolui fami- liarità, ne porterà in cuore lutto perenne. Questo illustre magistrato accademico volle a me conferire l’alto onore di ricordare Luigi Sampolo dinanzi a così nobile consesso (2). Ed io rispondo all’ invito con animo grato; poichè questo tributo di onore a L. Sampolo, per quanto a me, non è solo rivolto al predecessore nell’ufficio di Segretario Generale di questa R. Accademia, sì ancora al Maestro venerato. Nel compiere il doveroso ufficio, io vi porrò quindi, se non altro, l’at- fetto di un discepolo sempre devoto, che ebbe intima, continua conoscenza del maestro, che ricambiò ognora con animo grato e riverente la benevo- lenza resasi negli ultimi anni amichevole. Ma di L. Sampolo , appena mancato ai vivi, dissero degnamente , con parola affettuosa e sincera , in forma nobilissima , la Signorina Annetta Cerri nell’Educatorio Whitaker, l’avv. Stefano Giardina nella sede del Cir- colo Giuridico; l'avv. Gioacchino La Vecchia, nella Rivista del Circolo (3). Il mio dire può quindi restringersi in termini più brevi e proprî per questo Consesso , illustrando più da vicino l’ opera di Lui nel magistero della cattedra e come scrittore nell’arringo delle scienze giuridiche. Egli ebbe nella sua famiglia la prima ispirazione all'amore degli studî, in particolare delle lettere, chè il padre, Francesco di Paola, ebbe cultura classica e visse tra gli studî severi ed ameni (4), il fratello maggiore Pietro fu professore di Codice e Pandette nella nostra Università (5). Appena novenne perdette il padre, fu accolto nel semimario arcivescovile ove ebbe maestri insigni in Filosofia e nelle lettere, quali: Benedetto d'Acquisto, Nicolò Di Carlo, Giuseppe Castiglione, Gregorio Ugdulena. Compiuti gli studî classici, s’iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza, quivi pure segnalandosi con molto onore. Conseguì la laurea il 10 luglio 1845, appena ventenne; e già nell’anno successivo sì cimentava al concorso per il premio istituito da Monsignor Di Giovanni con esperimenti in lettere greche, latine e storia (6). Non ne riportò la palma ; ma ne ebbe onore ed il vanto singolare di essersi mi- surato con Maurizio Polizzi (7), vera gloria della scuola monrealese, cono- scitore profondo delle lettere latine-greche, e gran signore dell’ idioma gentile. - COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO ) To m’inchino riverente dinanzi alla memoria di quest’ altro Maestro, i cui meriti insigni rimasero nascosti quasi da un fitto velo di modestia. Si era già iniziato, e sempre con encomio, all’esercizio dell'avvocatura (8), ed il 28 gennajo 1850, con magnifico ardimento, difese il giovane pensa- tore Nicolò Garzilli, nuovo martire della libertà, della religione, della patria (9). E poco dopo, seguendo la sua vocazione imperiosa , lo vediamo rivol- gersi allo insegnamento, Infatti, noto per la eletta coltura, sebbene sprov- visto di titoli accademici, ebbe nel 1853 la supplenza nella cattedra di Codice e Pandette, di cui il fratello Pietro era titolare. Il 26 maggio 1857 fu autorizzato a dare lezioni private di Diritto Ci- vile e penale. E ben presto, il 3 novembre 1860, sale la cattedra come straordinario di Codice Civile col confronto delle leggi romane. E nella stessa qualità gli vien conferita, 11 ottobre 1861, la cattedra di Diritto Ro- mano. L’anno appresso, con Decreto del 5 dicembre 1862, è di nuovo trasfe- rito al Diritto Civile; la quale cattedra il 17 aprile 1863 ebbe come ordi- nario, in seguito a concorso, (10) e tenne poi fino alla morte. Ma nel frattempo fu chiamato ad altri insegnamenti, che tenne come incaricato o supplente. Così dal 1860 al 1867 supplì il Musmeci per il Di- ritto Commerciale. Dal 1879 al 1881 insegnò Pandette come incaricato; nel 1885 la Storia del Diritto italiano; e di nuovo il Diritto Commerciale per due anni, nel 1887 e 1888. Il corso di esegesi sul corpus iuris civilis imparti come insegnamento libero sin dall'anno 1880 e 1881, è poi come corso complementare, retribuito dal Consorzio Universitario, dal 1889 fino agli ultimi giorni di sua vita. In tutti cotesti insegnamenti Egli portò le doti della sua mente versa- tile; li disimpegnò tutti con quella coscenziosità singolare, quasi rara, che era a Lui propria. Ma per la cattedra di Diritto Civile e di Esegesi sulle fonti romane, che Egli tenne come più particolarmente proprie, noi avremo a conside- rarlo di proposito. Così Egli trascorse tutta la vita nella sua diletta città natale. Qui ebbe educazione, qui conseguì gli onori accademici, qui vide succedersi elette schiere di giovani, che poi nella palestra del foro o negli altri uffici hanno tenuta alta la bandiera della scienza. Ognuno di noi seppe del Sampolo quale uomo privato: della sua atti- vità prodigiosa, varia e intensa, indice di una vita esuberante, che lo in- duce ad agire, a scrivere, a lavorare. 6 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Per lui il riposo non era l’ozio, ma cangiare di occupazione. Spirito semplice, modesto, la sua parola è calma, il suo giudizio tem- prato sempre da una grande bontà, da un’ elevata aspirazione di pace e serenità per tutte le cose, per tutti gli uomini. Pace e serenità che si riverberano nella signorilità dei modi, nella con- versazione bonaria, animata spesso da una festività eletta per cultura varia, per conoscenza di tempi, di vicende, di persone dell'ambiente paler- mitano: alla quale associava sempre una ingenua curiosità e amichevole interessamento. Era credente. di una fede illuminata, profonda, sinceramente religiosa. Il precetto fondamentale della dottrima di Gesù: l’amore dei deboli. la protezione dei caduti, il conforto delle umane sciagure: in una parola la carità, era per lui la grande forza viva rigeneratrice del mondo, il faro della nostra civiltà, che sola rende l’esistenza sublime. Fu quindi sempre largo di aiuti a tutti che richiedessero l’opera sua. o consiglio alla sua esperienza, al suo sapere. Dei giovani studiosi in particolare fu la guida amorevole. il mecenate. Di sensi liberali. temperamento entusiasta. quando tutto intorno era azione intensa di vita, in un momento in cui tutti i cuori pulsavaro del mede- simo ardentissimo palpito, nel 1848, lo troviamo milite della legione sici- liana guidata da Giuseppe La Masa contro gli Austriaci. E nel declivio dell'età, nel 1903, presidente del V. Congresso Giuridi- co-Forense (11). lo rivedemmo acceso di nuova fede, di nuovi entusiasmi, gareggiare con i giovani nell’ascendere il colle di Solunto, con negli occhi cerulei un inno di gloria (12). Difatti quella solenne festa della scienza fu tutta opera sua. Di lui può dirsì che possedette una di quelle anime sempre pronte a vibrare in tutte le stagioni della vita: dalla prima infanzia attraverso la giovinezza, la maturità fino alla vecchiaia. Egli non conobbe dolorosa e stanca vecchiaia. Nella tarda età conservò freschezza di pensiero. energia di mente e pronta iniziativa: il portamento prestante. pieno il volto di coscienza dignitosa. Amò la patria. e cogli interessi generali del paese ebbe poi in particolar modo a cuore quelli dell’isola nostra, della sua diletta Palermo. Sua nobile ambizione fu sempre di tener alto il nome della Sicilia, di Palermo. Di tutto ebbe vivo assiduo interessamento. Con legittimo orgo- glio ricordava le nostre più belle tradizioni, le glorie antiche e recenti della nostra storia: gl’'illustri figli che a questa terra diedero onore e fama. COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO ti E l’uomo ha nei fasti di Palermo e della scienza una pagina d’oro; che nessuno mai potrà cancellare. L'istituzione del Circolo Giuridico, che ha sede nella nostra Università, tu tutta opera sua; opera di fede, di quella fede che in determinati am- bienti appare una forza divina (13). Le spoglie mortali cadono, passano; l’istituzione sta ed è immortale. Il nome di Luigi Sampolo è indissolubilmente legato al Circolo Giuri- dico (14). Della nostra Accademia fu pure in sommo grado benemerito. Segretario Generale fin dal 1884, vi trasfuse mirabilmente il suo spirito, tutte le sue doti, adoperandosi con amore per la floridezza dell’Istituto. Ne sono documento prezioso le relazioni annuali (15) e le letture (16) e gli studii sull’origine, le vicende, il risorgimento di essa (17). Fu egli insomma uno di quegli uomini onesti, operosi che pregiano un'età; puro riflesso della vita del mondo antico, fatta di fede, di idealità, di la- VOTO. Una morte serena chiuse quella nobile esistenza. Come insegnante il Sampolo ebbe le doti del cattedratico in grado sin- golare. Animava il suo corso con parola sobria ma efficace e colorita, infon- dendovi calore ed entusiasmo. Nell’insegnamento del Diritto Civile portò chiarezza, precisione, concate- nazione lucida di ragionamento, eleganza di forma, esponendo la materia con semplicità; che è parsa perfino eccessiva a chi reputa non inutile sti- molo allo studio un po’ di oscurità. Nei tempi migliori l’aula VI, la più vasta della nostra Università, non poteva contenere gli studenti che s'affollavano alle sue lezioni. Nel suo lungo magistero espose tutte le parti del Codice Civile, ma pre- ferì la trattazione del Diritto di famiglia, successione, proprietà. Educato e cresciuto nella vecchia tradizione fu ben lungi dallo aver di- sdegno delle cose e dei metodi nuovi. Ma Egli rimase rappresentante della vecchia scuola, la quale per la scienza del Diritto Civile aderiva ai Francesi. . I Codici dei singoli Stati dell’Italia divisa, prima, quello del 1865, poi, dopo l'unificazione furono fatti ad imitazione francese. Il Diritto romano o meglio il Diritto comune ricevette una formulazione legislativa dalla scienza francese. Non vi fu mai tempo a meditare sul diritto, quando questa nostra Italia 8 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO sì moveva e agitava per l'unificazione: e quando, rinata, tutti i problemi pel riordinamento della nuova famiglia si presentavano con carattere di urgenza. Insieme al Codice i commenti della dottrina francese, fra i quali alcuni certamente insigni, invasero la penisola. Ma il sistema della scuola francese fu meramente pratico. L'insufficienza di quei commenti come trattazione scientifica del diritto e evidente. Essi distendono attraverso gli articoli del codice le fila di una minuta analisi, sparsa in poderosi volumi, sicchè lungo la via non s'incon- trano che gli articoli del codice. Vi manca quella veduta complessiva. quella sintesi coordinatrice che ponga in rilievo, connetta e assommi i principî regolatori degli istituti, formandone un organismo perfetto, un sistema in ogni sua parte armo- nizzante. La scuola più recente Italiana ha superato con la modernità dei metodi e con i nuovi indirizzi quello stadio: ravvivata, come già altrove, dalla scuola storica, fecondata dalla corrente di vita che viene dagli studii sulle scienze morali, politiche e sociali. Essa ha dato già ottimi frutti e più ne promette per l'avvenire. D'altro lato la lotta, fra le diverse idee e tendenze che si disputano il terreno, ferve viva fra coloro che vogliono tutto riformare ab imis funda- mentis ribbattezzando il diritto civile al fonte dell’evoluzione con vedute nuove, con spirito moderno. La missione delle scienze giuridiche , si dice, non è di costringere le nuove creazioni sociali nei vecchi quadri dei sistemi giuridici, infrangen- done violentemente il loro carattere e la loro essenza: ma di penetrare le nuove creazioni col nuovo spirito e di compenetrarsi del loro spirito. Queste dispute nulla hanno a vedere con la nostra quistione, perchè quello di cui si sente forte bisogno è una trattazione scientifica di tutto il nostro diritto civile. L'indagine poi se questo organismo del diritto vigente risponda ai bi- sogni, alla coscienza moderna, è ben altra quantunque non meno impor- tante quistione. A noi interessa notare, di fronte a questo risveglio che si è mostrato nella scienza Italiana degli ultimi tempi, il fatto che ancora non abbiamo una trattazione sistematica del diritto civile, compiuta con intendimento e metodo scientifico. Alcuni tentativi di pregio non vanno oltre le dottrine generali e singole parti del sistema. Il Sampolo non restò estraneo a questo movimento febbrile della gio- COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 9 vine scienza civilistica. Egli conobbe i pregiati lavori ispirati al nuovo indirizzo; molti tra i valorosi autori lo ebbero giudice nei concorsi univer- sitarii, nè disdegnò i nuovi orizzonti. Nel discorso di chiusura del Congresso giuridico ripeteva * che l'ideale di una scienza del diritto deve rispondere efficace ai moderni nascenti biso- gni che si levano imperiosi dai campi e dalle officine ... Egli diede alla luce pregiate monografie e commenti ad articoli del co- dice (18). Fra questi lavori meritano speciale menzione le prolusioni ai corsi di diritto civile e di diritto romano : Sul progresso del diritto civile (1860); Sul matrimonio civile (1865); Sull’unità del diritto in Italia (1867). oltre le monografie : Statuto personale rispetto agli stranieri secondo le leggi civili del regno delle due Sicilie (1570); Sull' interpretazione del- Vart. 67 del codice civile (1875); Sulla capacità degli ammoniti (1877); Sul- affinità; le api in rapporto al diritto. Per circa 20 anni tenne il corso complementare di Esegesi sul Corpus iuris civilis. Egli considerò quindi quella cattedra come propria. Si rilevò gia che Egli esordì nell'insegnamento in Pandette e comentò il fr. 5 Dig. de aqua cott. et aestiva, rimettendo in onore l’interpretazione datane dal Culacio. Conobbe il diritto romano come un tesoro di regole tradizionali, di prin- cipî astratti quali una secolare elaborazione delle fonti romane avea posto alla luce. La scienza più recente, precisa, formidabile nella vertigine luminosa di ipotesi felici, delle volte ardite, di ricerche pazienti, fu estranea al suo ordine di studi e di conoscenze. Ma tutto questo apparato di critica non è per quel corso indispensabile. Il Corpus juris è come il mare, che ha vortici profondi e perigliosi, ma ha pure superficie calme e azzurre; ciascuno vi può attingere secondo le proprie forze e attitudini tutto il meglio. Ed il suo insegnamento riuscì profittevole ai giovani ; perchè stimò ognora di dover tenere rivolta la mira alla intelligenza del testo, sforzan- dosi di ottenere una traduzione esatta pel concetto, quanto possibilmente letterale e consona al genio della nostra lingua. 10 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Anche qui portava tutta la sua coscenziosità d’imsegnante nella prepa- razione che io potei negli ultimi anni constatare ed ammirare ; confronti della glossa, delle migliori edizioni, principalmente della momseniana; studio dei commentatori in primo luogo del Gliick, e poi delle illustrazioni a sin- goli titoli del Digesto del Roby, del Muirhead, ricche di copiose notizie fi- lologiche e storiche. E con vero eroismo, nel declivio dell’età , affrontò le astruserie della lingua tedesca per il vivo desiderio di tener alto il suo insegnamento. Ora io credo di essere nel vero rilevando , che per la gran massa dei giovani e per una prima e proficua conoscenza delle fonti , l’obbiettivo precipuo era così raggiunto. E questo giudizio dovrebbe avere tanto più valore in quanto chi lo pro- nunzia conosce i tormenti della critica, li manifesta spesso nella scuola, e sa pure per esperienza che la massa dei giovani vi resta indifferente, delle volte atterrita, per usare una frase robusta di Giustiniano. Noi dimentichiamo spesso che i nostri giovani vengono a scuola pronti d’ingegno, ma non forniti di bastevole cultura classica per indagini sottili o difficili. Dimentichiamo che l’Università è essenzialmente una scuola, ove bisogna cominciare dall’impartire ai giovani i primi elementi di discipline gra- vissime. Un nome glorioso nella scienza italiana, C. Ferrini(19), l'amato Collega che nel fiore degli anni immerse nel lutto la scienza, scriveva : “ l’esperienza mi ha dimostrato che nell’imsegnamento devesi tendere alla massima sem- plicità di esposizione e che la continua menzione... di controversie minute ed erudite, genera spesso confusione ed impedisce la chiara comprensione delle cose fondamentali. Per cui, concludeva, il mio insegnamento si è sempre venuto rendendo più chiaro e modesto ,,. Ecco perchè l'insegnamento semplice, castigato di Luigi Sampolo riu- sciva di giovamento. I giuristi romani sono per la scienza del diritto ciò che per la poesia sono i poemi di Omero, per l’arte le statue divine, i monumenti maestosi della Grecia. Contemplando le opere dei grandi maestri, diceva il Savigny, noi afferriamo il segreto della loro superiorità, esercitiamo le facoltà che l’arte o la scienza richiedono, ed apprendiamo a ben dirigere i nostri sforzi. Quindi in presenza del Corpus duris noi ricaviamo nella scuola tutto il profitto , se maestro e discepoli restiamo ad ascoltare quasi le parole dei grandi maestri del diritto che ci obbligano a lavorare e pensare con loro. E questo faceva il Sampolo con profitto dei giovani. Ripeterlo giova, perchè quel corso fu avversato in seno alla Giunta del consorzio univer- COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO ll sitario che lo retribuiva, per ostilità alla materia, e anche all'insegnante perchè non era romanista di professione. Il fatto sarebbe meraviglioso se non fossimo abituati già da tempo a siffatte ostilità. D'ordimario chi ha proposito di muovere un attacco si procura esatta conoscenza delle forze del nemico, per mirare ai punti de- boli, prenderli di fronte e schiacciarli. Tutto al contrario rispetto al diritto romano. In ogni tempo gli attacchi son venuti da persone che conoscevano appena la leggenda dei decemviri e qualche episodio clamoroso di Roma repubblicana o di Roma imperiale. Il diritto romano appare quindi una cosa arcaica, da relegarsi nei musei, con grande onore. E nella Giunta del consorzio si vagheggiò l’idea che con quel fondo si retribuisse l'insegnamento di una disciplina moderna, viva. E si pensò alla sociologia. Strana coincidenza. La scienza indicata, con parola nuova, intende allo studio dei fatti sociali. Ma non si è osservato che appunto per questo ri- guardo il corpus juris è un monumento di primo ordine. Esso difatti aveva fornito alla scuola il più meraviglioso strumento di logica deduttiva, perchè offre i fatti più svariati, con una selezione già compiuta di tutti i fenomeni sociali, bisogni materiali, idee, tendenze che formano la vita; esso quindi può iniziarci ai procedimenti del metodo spe- rimentale meglio che non potrebbero farlo tutti gl’insegnamenti della pra- tica moderna o di scienze ancora pargoleggianti. Esso ci fa conoscere ciò che è caratteristico del fenomeno giuridico, ciò che è sopravvissuto , le ragioni che determinarono il trionfo di una data idea, di una decisione. E queste ragioni, se bene vi guardiamo addentro , corrispondono quasi sempre ad una manifestazione più netta della giustizia del mondo. Gli è che i giuriconsulti romani, vissuti nei primi tre secoli dell’impero, sì trovarono nella condizione privilegiata d’ avere come campo d’osserva- zione la vita febbrile di una grande metropoli, che era il centro del com- mercio di tutto il mondo, e presentava quindi un'immensa varietà di rap- porti, di atteggiamenti del pensiero, di bisogni materiali. In deffinitivo quello che diciamo diritto romano non è il diritto di un sol popolo; ma porta in sè compenetrato tutto il patrimonio delle più fiorenti civiltà del mondo antico. E questi varî elementi furono per circa un mil- lennio in continua elaborazione, determinando un progresso incessante del fenomeno giuridico; che si formò così sempre a contatto con la vita, in maniera del tutto naturalistica. Se tutto ciò si consideri, l'affermazione innanzi fatta è spiegata. 12 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Il corpus juris, altro a parte, resta un’opera cospicua anche dal punto di vista sociologico; come già accanto alla Bibbia è stato il libro più influente e venerato del mondo. Mi si dirà forse che la sociologia non mira soltanto all'indagine del fe- nomeno giuridico, e che ha più vasti orizzonti. Ma la risposta è facile in doppio senso : 1° Un corso di una facoltà di giurisprudenza deve aver riguardo in primo luogo all'elemento giuridico ed economico per trovarsi in armonia nell’organismo delle varie discipline. 2° Che tra i fenomeni sociali senza dubbio il giuridico è il più saliente, quello che ben presto si presenta nelle società primitive disciplimato, e rende allo storico la sintesi di tutte le forze sociali: una feroce Forza il mondo possiede e fa nomarsi* Dritto Se quindi la sociologia, rivolta allo studio dei fatti sociali, non può re- stringersi al fenomeno giuridico, questo deve sempre costituirne l’obbietto più cospicuo. Mi sono indugiato sull'argomento forse oltre il dovere; ma non ne chiedo venia ai cortesi uditori, perchè a me incombeva l'obbligo di sfatare una legenda; a me che frequentai con assiduità e con amore il corso di Ese- gesi del Sampolo. Del resto si poteva parlarne con calma oggi, chè il Consorzio ha isti- tuito il suo corso di sociologia, e l’Esegesi sulle fonti rimane, su proposta della facoltà, inclusa nel numero degli insegnamenti a carico dello Stato. L'attività di Luigi Sampolo come scrittore fu meno intensa. Questo giudizio da me pronunziato su la bara del maestro ha bisogno di spiegazione. Certamente i suoi lavori sono svariatissimi ed innumerevoli, riuniti formerebbero una bella serie di volumi. Io intendevo quindi riferirmi alla produzione più strettamente scientifica della materia professata. I suoi migliori scritti, e di gran lunga i più numerosi, sono storico-let- terarii (20). Nè noi ci dorremo di questo, perchè gli uomini sono per le atti- tudini del pensiero e del sentimento assai più diversi e disuguali che non per i caratteri fisici. Luigi Sampolo ebbe temperamento d’azione e senso d’arte. COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 13 Come uomo d’azione riesce a superare ogni difficoltà con la tenacia del volere, con il lavoro costante. Ma le molteplici sue occupazioni mai lo distolsero dallo studio, dai libri, dal comporre. Principalmente gli studî letterarî ebbero per il suo spirito una grande attrattiva, formavano il suo più gradito diletto. Chi lo conobbe sa che Egli provava un vero godimento nei suoi lavori, che leggeva con visibile gioia agli intimi amici. La sua prosa eccelle nella forma narrativa, snella, vivace, cospicua nel disegnare ritratti e nel rappresentare con garbo avvenimenti. Della sua cultura letteraria, del gusto educato ai migliori esempi sono documento la più parte dei suoi scritti; necrologie. discorsi, lavori di sog- getto storico. Nel ricordare uomini illustri diede nobile esempio di sentimenti elevati, di memore affetto e devozione, perchè ciò fece, per lo più, per impulso del- l’animo che per dovere di ufficio. In quelle ricordanze trasfondeva nel modo più perspicuò un senso squisito delle cose , una nota delicatamente poetica, che vibrava per ogni sentimento pietoso. per ogni forma di lavoro, di attività, di grandezza ; per ogni atto di sacrificio, per tutte le arcane armonie della natura, per ogni cosa, in breve, che commuove lo spirito. suscita entusiasmi, nobili esempi o allieta la vita: e commemorò tutti i grandi, i migliori: Emerico Amari, Giuseppe Ugdulena, Nicolò Musmeci, Luigi Mercantini, Vincenzo Di Marco, Gaetano Deltignoso, Raffaello Bu- sacca, Antonino Turretta e poi il Pacifici Mazzoni, il Pisanelli ed altri, “ perchè possano 1 giovani, Egli diceva, ritemprarsi guardando ed ammi- “rando le virtù d’insigni trapassati, perocchè la virtù ha il suo fascino, “ che eccita i volenterosi a farsene seguaci ... Celebrò le memorie patrie, e coglieva opportuna ogni occasione per ri- cordare i periodi luminosi della storia dell’isola nostra, che fu modello di sapienza civile e politica; per magnificare i monumenti superbi di tutte le civiltà, che s'ergono solenni o stanno, immani giganti, prostrati sui monti, nel piano o nelle valli, dove tutto intorno brilla e sorride; e quei ricordi rievocava religiosamente, con intensità di affetto illuminato dal prestigio dell’arte. Questa la nobile figura, o illustri colleghi, che la mia parola disadorna ma affettuosa ha tentato ravvivare alla vostra mente. 14 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO E tale uomo meritava fosse qui ricordato ed onorato: perchè nella furia con cui si combatte oggidì la battaglia della vita, esistenze così operose e tranquille divengono più che mai rare; ma esse spandono una luce can- dida sulla terra, operando il bene in misura maggiore di tante vite ru- morose e vanesie. Da Lui, che visse operoso, si parte un monito paterno alla gioventù, che è pregio ripetere con le sue parole: un ammonimento “ad operare con valore. con costanza e con la forza antica. CCI NO] 0° =———__6 (1) Salutarono la bara con affettuosi discorsi il Rettore dell’Università pro- fessore cav. L. Manfredi, il dott. comm. G. Pitrè presidente della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti, il prof. cav. S. Riccobono per la Facoltà giu- ridica, l'avv. cav. F. Enea per il Consiglio della Pia Opera degli Asili rurali ed urbani e dell’Educatorio Whitaker, l’avv. comm. G. Accardi vicepresidente del Circolo Giuridico ed il laureando sig. Rosario Crea a nome degli stu- denti universitarii. Il nipote cav. uff. F. E. Scandurra ringraziò a nome della famiglia. V. sui funerali: Giornale di Sicilia 26-27 febbraio 1905, n. 58; L'Ora 27 febbraio 1905, n. 58. (2) L'Accademia nell'adunanza del 19 marzo 1905 dopo affettuose ed elevate parole del presidente Pitrè deliberò di fare la solenne commemorazione, di prendere il lutto per sei mesi e di inviare le condoglianze alla vedova. V. pro- cesso verbale: Bollettino R. Accademia 1903-906, pag. 24. (3) L’Elogio scritto dall’avv. cav. G. La Vecchia, la Commemorazione letta dall’avv. Stefano Giardina nella solenne adunanza del Circolo Giuridico ai 26 di marzo 1905, quella detta dalla signorina Annetta Cerri nell’Educatorio Whitaker ai 4 di aprile del 1905 insieme ai discorsi pronunziati allo seio- gliersi del corteo furono pubblicati nella rivista // Circolo Giridico (XXXVI 1905, 1,43) ed estratti, a cura dei nipoti Scandurra, insieme col ritratto a fototipia (Roma, Stab. Danesi) per i tipi dello stab. Virzì, 1905. (4) Di Francesco Sampolo (n. in Palermo 20 febbraio 1774, { ivi 16 agosto 1834) fu fatta all'Accademia la solenne commemorazione nell'adunanza del 30 novembre 1834 con un discorso del ch. letterato Agostino Gallo e con un sonetto di Giuseppe Lanza Principe di Trabia che ne era il presidente. V. il giornale Za Cerere 5 dicembre 1834, n. 268. 16 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Il ritratto di Francesco Sampoio, opera di Giuseppe Patania, fu dal figlio, insieme coi manoscritti, legato alla Biblioteca Comunale, «ove è la preziosa raccolta dei ritratti degli nomini illustri siciliani ». La « preziosa raccolta» fu iniziata da Agostino Gallo « con intenzione di farne morendo generoso dono a questa Biblioteca Comunale » e gli eredi di lui soddisfacendo al suo voto con atto 28 marzo 1874, rogato da notar Leonardi da Palermo, fecero deposito perpetuo dei 152 ritratti da lui raccolti. V. Bz/- lettino della Biblioteca Comunale di Palermo n.3. settembre 1873 - maggio 1874. Una iscrizione dettata del prof. V. Di Giovanni, che fu presidente dell’Ac- cademia dal maggio 1891 al dicembre 1902, essendo stato poi nominato Pre- sidente onorario, fu murata nella scala della Biblioteca a ricordare il gene- roso dono. La raccolta va ogni giorno accrescendosi a cura della Biblioteca o per doni di privati. Del padre il Sampolo nel 1868 pubblicò il sonetto Pi 2a morti di Ginvanni Meli in occasione del mezzobusto eretto nella Villa Giulia all’illustre poeta, facendolo precedere da queste parole: « Ricorrendo la solenne dedicazione di un busto a Giovanni Meli queste lodi al poeta palermitano pubblicava Luigi Sampolo, XXIII giugno MDCCCLXVIII ». Il sonetto fa pubblicato ne Zo Scià, giornale letterario per la Sicilia, anno I, 1868. 12 e fu tradotto in francese da Antonio Lo Monaco. V. Per l imangurazione del busto di Giovanni Meli, discorso e poesie letti il 23 giu- gno 1868. Palermo, Gaipa, 1868, p. 29. Col detto sonetto chiuse l'illustrazione di Una lettera inedita di Giovanni Meli che fu letta all'Accademia nell'adunanza dei 17 aprile 1904. Una notizia di Lui diede nell’appendice al lavoro Sw la origine, le vicende e il rinnovamento dell’Accademia di scienze. lettere e belle arti. e nell’altro sul- l'Accademia Siciliana. Pubblicò poi il carme latino per la morte di Giuseppe Piazzi e nuove no- tizie diede nell’illustrare Vr Canto [di Francesco Sampolo] 27 dialetto siciliano per le nozze di Carlo Felice di Savoia con M. Cristina Borbone. (5) Di Pietro Sampolo (n. in Palermo 10 febbraio 1807, ivi 17 maggio 1861) tessè l'elogio funebre Carmelo Pardi. V. ParpI: Sceriffi variî, Palermo, tip. del Giornale di Sicilia, 1874, vol. I, 299. (6) Il concorso ebbe luogo il 21 aprile 1846. Mons. Paolo di Giovanni, Abate di S. Anastasia, per atti 5 dicembre 1825 e 13 agosto 1826, rogati Lo Bianco Zito, istituì un premio di L.5100 da as- segnarsi in rate uguali per 8 anni ad un giovane dai 16 ai 24 anni, che avesse superato un concorso di lingua latina (traduzione in italiano di autore classico latino ed in latino di un tratto di autore classico greco), storia sacra e storia di Sicilia sino a Carlo III. Il premio veniva conferito dalla Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo Neri di Palermo, amministratrice del legato. COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO IL Di seguito al decreto dittatoriale 9 giugno 1860. che assegnava i legati di incerto genere all’Azienda dei danneggiati dalle truppe borboniche, la fonda- zione Di Giovanni fu travolta ed il Sampolo, lamentandolo nella Commemora- eione di Giuseppe Ugdulena, auguravasi che «fossero rivendicate le rendite destinate a promuovere nella gioventù l’amore agli studii classici ed alla storia patria ». Il voto di Lui fu adempiuto col R. Decreto 12 febbraio 1885 che affidò l’amministrazione del legato all’Università ed oggi la Facoltà di filosofia e lettere. sotto la presidenza del Rettore, conferisce il premio. « Così, esclamò, gli studi classici torneranno ad avere un validissimo eccitamento » V. Za R. Ac cademia degli studi, pag. 131. Il primo concorso dopo il 1861 ebbe luogo il 6 giugno 1887. V. Ze due pen sioni di studio fondate dall’'Abate Paolo Di Giovanni. Breve storia e documenti, Palermo, Amenta, 1887. {7) Maurizio Polizzi (n. in Monreale 3 marzo 1827, < ivi 12 maggio 1904) fu canonico della Collegiata, Vicario generale dell’ Archidiocesi e Cameriere se- greto del Papa Leone XIII. Insegnante di lettere italiane, latine e greche nelle scuole dei PP. Benedet- tini e nelle scuole arcivescovili di Monreale, poi prefetto degli studi nel Con- vitto arcivescovile dei chierici rossi, fondatore del convitto Guglielmo (1876) tenne alte le tradizioni della scuola monrealese e venne in fama come let- terato e latinista. Fu nominato socio dell’Accademia V11 aprile 1875. V. Dar DONE can. prof. GiroLamo: /r memoria di Mons. Maurizio Polizzi. Elogio fu- nebre detto nella insigne Chiesa Collegiata di Monreale il giorno 17 mag- gio 1904, Palermo, Tip. Sciarrino, 1905. Prese parte al concorso Giuseppe Montalbano (n. in Piana dei Greci 24 dicembre 1824, + in Palermo 28 aprile 1903) Canonico della Collegiata di Mon- reale, professore di lettere italiane e latine nel Seminario dei Chierici di Pa- lermo, poi in quello di Cefalù, insegnante di morale nella Scuola normale femminile di Palermo, e poi nella Scuola superiore Giuseppina Turrisi Colonna. Venne in fama come latinista e grecista e fu socio di quest’ Accademia dal 25 marzo 1862. Il Montalbano tradusse alcune poesie del Sampolo. (8) Fu allo studio di Francesco di Paola Scoppa e di Antonio Agnetta. Di Antonio Agnetta, v. 'Z/ogio funebre letto da Frrippo Evora nei solenni funerali celebrati a cura del Foro il 7 settembre 1860, nella chiesa di S. Matteo. Palermo, Lao, 1860. Di Francesco di Paola Scoppa il Sampolo tessè brevi cenni in occasione del ritratto di lui donato dai nipoti al Circolo Giuridico nella Re/uzzone sull’an- damento del Circolo Giuridico nell’anno 1901, Circolo Giuridico, 1902, pag. 9. (9) Nicolò Garzilli (n. in Napoli + novembre 1830) dopo la restaurazione del 1849 meditò una novella riscossa ed insorse il 27 gennaio 1850 nella piazza della Fieravecchia con Rosario Ajello, Giuseppe Caldara, Paolo De Luca, Giu- seppe Garofalo, Vincenzo Mondini. Sottoposti a giudizio furono moschettati . nella stessa piazza della Fieravecchia il domani 28. 3 15 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Il Sampolo narra la « formalità» della difesa nell’Appendice IV del discorso Il 12 gennaio 1848 e poi nell’illustrare il ricordo del Garzilli posto rell’arcata centrale del portico posteriore dell’ Università. V. /serzzioni e ricordi dei più illustri professori dell’ Università di Palermo, p. 99. (10) Pel concorso alla cattedra di diritto civile il Sampolo serisse la mono- grafia: Sulla nullità delle alienazioni di immobili fatte dagli eredi apparenti. Nella lezione orale trattò il tema: Se 907 stranieri residenti nel Regno pos- sano esercitare i diritti politici e civili e sotto quali condizioni. Prima di dedicarsi del tutto all’insegnamento era stato magistrato; giudice supplente del circondario (mandamento) Tribunali di Palermo per decreto del 18 giugno 1860, fu il 3 agosto 1860 giudice (pretore) del circondario Ortobota- nico di Palermo ed il 21 aprile 1802 sostituto avvocato dei poveri, poco dopo optò per la cattedra. (11) Il V. Congresso giuridico nazionale forense fu inaugurato il 20 aprile 1903 e chiuso il 27 di quel mese. V. Per l’inangurazione del V Congresso na- zionale giuridico-forense e per la sua chiusura. Discorsi di Luigi Sampolo Pre- sidente del Comitato esecutivo. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1903. (Estratto dal Circolo Giuridico, parte 1°, XXXIV, 1903) pag. 121. I due discorsi sono inseriti negli 4% [del] V Congresso nazionale giuridico forense, Palermo, tip. F. Barravecchia e figlio, 1904. (12) Sulla gita a Solunto (23 aprile 1903) v. 477 del V Corgresso, Appen- dice: / festeggiamenti. Giornale di Sicilia 23-24 aprile 1903, n. 114; L'Ora 24-25 aprile 1903, 2% ediz., n. 114. (13) fl Circolo Giuridico sorse sullo scorcio del 1867 nella mente di alcuni studenti dell’Università per fare esercitazioni di dritto e per la cura che ne assunse subito il Sampolo che gli diede l’autorità del nome ed una direzione sicura divenne un istitutc scientifico di pubblica utilità che unisce in bell’ar- monia avvocati, magistrati, professori e studenti, ai quali appresta una ricca biblioteca che fa onore a Palermo ed all’Università ove ha sede ed a cui è indissolubilmente legato il nome del fondatore. In aprile del 1870 « per far noto al pubblico ed al mondo scientifico l’e- sistenza della Società » iniziò la pubblicazione di una Rivista di legislazione e giurisprudenza cui diede il nome di essa. nel 1876 fu istituita la sezione dei soci studenti. Fu eretto in ente morale con R. Decreto 16 maggio 1889. Al Circolo Giuridico il Sampolo volse il pensiero nel suo testamento. legan- dogli i suoi libri, eccetto quelli che la Società possedesse. - Discorsi e relazioni sul Circolo Giuridico. Degli studi che si possono coltivare nel Circolo Giuridico. Discorso letto il 10 novembre 1868, inedito. Il Circolo Giuridico di Palermo [Notizia]. Circolo Giuridico INI, 1872, 1, 3. Discorso [/zforno allo stato cd all'andamento della Società] letto nella tornata del 26 dicembre 1873. Czreolo Giuridico 1874, 1, 7. Pel decimo anniversario della fondazione del Circolo Giuridico. Discorso letto [il]. COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 19 28 aprile 1879, seguito dalla Bibliografia dei primi otto volumi del giornale Il Circolo Giuridico, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1879. [Estratto dalla rivista Il Circolo Giuridico, X 1879, I, 73]. La bibliografia è inserita a pag. 17. Relazione della Commissione nominata dal Circolo Giuridico sul VII concorso del giornale « Il Notariato Italiano ». Tema: Può il notaio ricevere in de- posito il testamento olografo che il testatore gli avrebbe affidato chiuso, non però con le formalità prescritte per la consegna dei testamenti segreti, ma con quelle stabilite pel deposito di ogni altro documento ? Notarzato Italia- no VII, 1883, 212. Il Notariato Italiano, pregevolissimo giornale che si pubblica dal ch.mo notaro cav. Pietro Moscatello, indice concorsi a premii ed il giudizio ne è de- ferito al Circolo Giuridico. A chi legge [Prefazione alla seconda serie]. Circolo Giuridico XI, 1880, 1,3. Notizia intorno al Circolo Giuridico di Palermo, Palermo, tipografia dello Statuto, 1884. Fu scritta in occasione dell’ Esposizione Nazionale di Torino. Segue Bibliografia dei primi 14 volumi del Circolo Gridico, pag. 14. Elenco degli istituti e dei giornali con cui il Circolo Giuridico è in rela- zione, pag. 24. In occasione del XXV anniversario dell’istitazione, ad eccitamento del Sam- polo, fu redatta dal dott. Luigi Siciliano Villanueva, oggi professore di storia del diritto italiano nell’ Università di Sassari, la bibliografia delle vere e proprie monografie inserite nei primi 23 volumi del Crreolo Ginridico; « a di- mostrare, diceva nel Dyzscorso per l andamento del Circolo Giuridico nel- l’anno 1893 (pag. 4), quanta sia stata 1’ operosità dei soci, e quanto il con- tributo del Circolo Giuridico, nel grande rinnovamento degli studi giuridici in Italia ». Lavori pubblicati nei primi 23 volumi del Circolo Giuridico (Contributo alle scienze giuridiche, politiche e sociali, Ozrco/o Giuridico XXIV,1893, 1,113 e 157). Per la inaugurazione della nuova sede del Circolo Giuridico, Discorso letto il 7 febbraro 1886. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1886. Estratto dalla rivista // Cà- colo Giuridico, anno XVII, fasc. III, [1886, 1, 37]. Parole di ringraziamento pel collocamento del suo ritratto nella sala del Oir- colo Giuridico dette nell’adunanza del 24 giugno 1886. Allegato 2 al processo verbale dell'adunanza, Circolo Giuridico XVII, 1886, TRINLO DÌ Il collocamento del ritratto fu deliberato dal Consiglio direttivo, a proposta del vicepresidente avv. coum. Luigi Testa nell'adunanza del 31 maggio 1886. V. Allegato 4 al detto processo verbale. L'assemblea ne prese atto con compiacimento nella detta adunanza del 24 giugno, ed in occasione della lettura di quel processo verbale, nell’adunanza del 1° agosto 1886. l’avv. comm. Leonardo Ruggieri, cui si associò il consigliere comm. Emanuele Basile, oggi Presidente di sezione della Corte di Cassazione 20 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO di Roma, propose un ordine del giorno che fu votato per acclamazione, col quale l'assemblea deliberò un voto di esplicita lode all’ iniziativa del Consi- glio direttivo e fece suoi i motivi di essa a conferma della propria gratitu- dine verso il suo Presidente. V. il processo verbale: Circolo Giuridico, XVII, 1886, 1, 197. Relazione sulla proposta di erezione del Circolo Giuridico ad ente morale, letta nell'adunanza dell’ii settembre 1887. Allegato A al processo verbale dell'adunanza, Circolo Giuridico, XVIII, 1887, 1, 308. Per la erezione ad ente morale del Circolo Giuridico di Palermo. Parole lette il di 30 giugno 1889 nella sala del Circolo Giuridico. Palermo, Stab. tipo- grafico Virzì. 1889. [Estratto dal Circolo Giuridico, XX, 1889, 1, 161]. La visita dell'onorevole Guardasigilli Zanardelli al Circolo Giuridico il 16 ot- fobre 1889. Palermo, Stab. tip. Virzì, 18S9. Onoranze all’on. Guardasigilli Zanardelli nel Circolo Giuridico. pag. 3. Parole del prof. Luigi Sampolo. pag. 5. Parole dell’on. Guardasigilli Zanardelli, pae. 15. Il Circolo Ginridico [Prefazione alla] Terza serie. Circolo Ginridico, XXI, 1890, 1, 5. Discorso di ringraziamento per la nomina a Presidente a vita. Letto nell’ a- dunanza del 21 settembre 1890. Allegato 4 al processo verbale dell'adunanza. Circolo Giuridico, XXII, 1891, 1, 18. La nomina a Presidente a vita proposta dall'avv. comm. Gaetano Spina nell’a- dunanza del Circolo Giuridico del 4 agosto 1889, (v. processo verbale Circolo Giaridico, XX, 1889, 2, 281) fatta propria dalla commissione per la riforma dello Statuto, (relatore l’avv. cav. Giuseppe Falcone) fu approvata ad acclamazione a proposta dell’avv. comm. Alfonso Siragusa, nell’adunanza del 3 agosto 1890. (V. processo verbale, Circolo Ginridico. XXI, 1890, 1, 294). divenne l'art. 63 dello Statuto approvato con R. D. 7 dicembre 1890. Tra le altre onoranze disposte dal Consiglio direttivo del Circolo Gia- ridico il domani della morte fu la erezione di un mezzo busto in marmo. Il dott. Enrico Santangelo propose che sia fatto a contribuzione fra i soci sia per non aggravare il Circolo di spese che per rendere maggiore omaggio all'uomo che si vuole onorare e l'assemblea approvò nell'adunanza del 14 maggio 1905. V.il processo verbale dell'adunanza. Circolo Ginridico. XXXVI, 1905, 1, 315. Per la inangurazione dei nuovi scaffali della Biblioteca del Circolo Giuridico (21 dicembre 1890). Discorso, Circolo Ginridico, XXII, 1891, 1, 3. Relazione intorno ai corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte nel- Panno 1886 [nel] Circolo Giuridico (sezione degli studenti). Palermo. Stab. tip. Virzì. 1886. [Letta nell'adunanza del 1° agosto 18S6.] Estratto dalla rivista // Circolo Ginridico, ann. XVII, fase. VIII, [1886 1, 181]. Seconda relazione intorno aî corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 2 nell’anno 1887 [nel] Circolo Giuridico (sezione degli studenti). Palermo, Stab. tip. Virzì, 1887. [Letta nell'adunanza del 29 maggio 1887]. Estratto dalla ri- vista // Circolo Giuridico, ann. XVIII, fase. VI, [1887, 1, 115]. Terza relazione intorno ai corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte nel Circolo Giuridico nell'anno 1887-88, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1887. [Letta nell'adunanza dell’11 novembre 1888.] Estratto dalla rivista Z2 Circolo Giuridi- co, anno XIX, [1888, 1, 327]. Segue: Programma dei corsi esegetici e delle esercitazioni pratiche che si da- ranno nell'anno 1888-89. Intorno ai corsi di esegesi delle fonti del diritto ed alle esercitazioni pratiche fatte nel Circolo Giuridico nell’anno 1888-89. Quarta relazione, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1890. [Letta nell'adunanza del 1° settembre 1889. Estratto dalla rivista Il Circolo Giuridico, anno XXI, 1890, 1, 81]. Relazione intorno al concorso del Circolo Giuridico pel biennio 1885 - 86. — Tema: Del giurì in materia civile, correzionale e commerciale, Palermo, Stab. tip.Virzì, 1889. Estratto dalla rivista // Circolo Ginridico, XVIII, 1887, 1,245. Il tema fu messo nuovamente a concorso tra gli stessi concorrenti. [Seconda] relazione intorno al concorso del Circolo Giuridico pel biennio 1885-1886, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1889. (Estratto dalla rivista 22 Circolo Gia- ridico, vol. XX), [1889, 1, 214]. Relazione del Presidente sull'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1891, Palermo , Stab. tip. Virzì, 1892. (Letta nell’ adunanza del 7 febbraro 1892. Estratto dalla rivista // Circolo Giuridico, vol. XXIII), [1892, 1, 53]. Col nuovo Statuto approvato con R. D. 7 dicembre 1890, il Presidente è tenuto a fare nell’ultima adunanza di ogni anno la relazione sull'andamento della Società. Relazione sull'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1892, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1893. (Letta nell’ adunanza del 29 dicembre 1892. Estratto del C7r- colo Giuridico, vol. XXIV, parte 1%), [1893, 1, 26]. Per l'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1893, XXV anniversario della sua fondazione. Discorso [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1894. [Letta nell'adunanza del 24 dicembre 1893.] (Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXV, parte I, 1894), [25]. Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1894, XXVI della sua fonda- zlone. Relazione [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1895. (Letta nell'a- o del 23 dicembre 1894. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXVI, parte , 1895), [3]. Mo Mei del Circolo Giuridico nell'anno 1895. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1896. Letta nell'adunanza del 22 dicem- bre 1895. Estratto dal Circolo Giuridico, parte 1%, vol. XXVII, 1896), [3]. SulPandamento del Circolo Ginridico nell'anno 1896. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1897. (Letta nell'adunanza del 22 dicem- bre 1896. Estratto dal Cyrcolo Graridico, vol. XXVIII, parte 1%, 1897), [3]. 99, COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Segue : Allegato A, [Sfafistica dei frequentatori della Biblioteca da ottobre 1895]. La statistica fu aggiunta poi ad ogni relazione, manca solo nell'ultima re- lazione pel 1904. Sull'andamento del Circolo Giuridico nell'anno 1897. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1898. (Letta nell’ adunanza del 27 di- cembre 1897. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXIX, parte 1%, 1898), [3]. Sull'’andamento del Circolo Giuridico nell'anno 1898 ed esposizione del bilan- cio 1899. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1899. (Letta nell'adunanza del 29 dicembre 1898. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXX, parte 1%, 1899), [3]. Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1899. Relazione [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1900. (Letta nell’ adunanza del 7 Estratto dal Czrcolo Giuridico, vol. XXXI, parte 1%, 1900), [3]. Sullandamento del Circolo Giuridico nell'anno 1900. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1901. (Letta nell'adunanza del 23 dicem- bre 1900. Estratto dal Circolo Giuridico, XXXII 1901), [1, 3]. Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1901. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1902. (Letta nell’adunanza del 26 dicem- bre, 1901. Estratto dal Orcolo Ginridico, vol. XXXIII, parte 1a, 1902), [7]. Sull'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1902. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1903. (Letta nell'adunanza del 28 dicem- bre 1902. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXIV, parte 12, 1903), [3]. Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1903. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1904. (Letta nell'adunanza del 27 dicem- bre 1903. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXV, 1904), [1, 3]. Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1904. Relazione [del] Presi- dente. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1905. (Letta nell’adunanza del 30 dicembre 1904. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXVI, 1905), [3]. Questa fu l’ultima letta al Circolo Giuridico, ma il Sampolo non arrivò a gennaio 1900. correggere le prove di stampa. Della rivista // Circolo Giuridico , sì pubblicarono sotto la direzione del Sampolo, XXXV volumi dal 1870 al 1904. Ogni 10 volumi formano una serie. Il Sampolo, oltre gli articoli e le recensioni portanti la firma o la sigla S, vi scrisse numerose note bibliografiche, necrologie e la Cronaca giuridica. (14) Per unanime voto dell’assemblea del 30 dicembre 1906, del quale si at- tende la sanzione sovrana, la Società assumerà il nome di « Circolo Giuridico Luigi Sampolo ». (15) Relazione accademica per gli anni 1889, 1890,1891,1892,recitata alla R. Ac- cademia di scienze, lettere e belle arti nell'adunanza dei 19 febbraio 1893. Pa- lermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1895. [Estratto dal vol. III della Terza Serie degli Atti della R. Accademia]. Relazioni accademiche per gli anni 1893, 1894, 1895, recitate alla R. Accademia COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 23 di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1897. Estratto dal vol. IV della Terza Serie degli Atti della R. Accademia. La prima fu letta il 15 aprile 1894, la seconda il 17 aprile 1895, la terza il i5 marzo 1896 e furono insieme pubblicate in estratto. Ielazioni accademiche per gli anni 1896, 1897 recitate alla R. Accademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio 1898. Estratto dal vol. V della Terza serie degli Atti della R. Accademia. La prima fu letta il 21 febbraio 1897, la seconda il 19 giugno 1898 e fu- rono insieme pubblicate in estratto. Ielazione accademica per l’anno 1898 letta [il 25 luglio 1899] alla R. Ac- cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e fi- glio, 1900. Estratto dal vol. V della Terza Serie degli Atti della R. Acca- demia. . Itelazione accademica per l’anno 1899, letta [il 18 marzo 1900] alla R. Ac- cademia di scienze lettere e belle arti, inedita. Relazione accademica per l’anno 1900, letta [il 17 novembre 1901] alla R. Ace- cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1902. Estratto dagli Atti dell’Accademia, Terza Serie, vol. VI. Irelazione accademica per l’anno 1902, letta [il 14 febbraio 1903] alla R. Ac- cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1903. Estratto dagli Atti dell’Accademia, Vol. VII, Terza Serie. Riguarda anche l’anno 1901. Relazione accademica per gli anni 1903-4 letta [il 20 novembre 1904] alla R. Accademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1906. Estratto dagli Atti della R. Accademia di scienze, lettere ed arti, Serie Terza, vol. VIII. Fu stampata dopo la morte. (16) /2 IV Centenario della scoverta d’ America. discorso [letto] per il IV Cen- tenario della scoverta d’ America, [nella] Solenne adunanza della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti (30 ottobre 1892). Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1893. Estratto dal vol. II della Terza Serie degli Atti della R. Accademia. Sulla vita e sulle opere di Antonio Veneziano (lettura). Pel III Centenario di Antonio Veneziano, 22 agosto 1893. Dei centenari celebrati dalla R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti e di Torguato Tasso [lettura]. Per il III Centenario della morte di Torquato Tasso [nell'|]adunanza del 19 maggio 1895, tenuta dalla R. Accademia di scien- ze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1895. [Estratto dal vol. IV della Terza Serie degli Atti dell’Accademia]. Appendice: Soretto del signor Torquato Tasso all'illimo signor Don Giovanni III conte di Ventimiglia marchese di Geraci. Lesse nell'Accademia il 20 novembre 1882 l’ Elogio di Vincenzo Di Marco, il 30 dicembre 1883 ed il 24 agosto 1884 il lavoro: / primi 25 anni dell’ Uni- versità, il 19 marzo 1893 la Commemorazione di Raffaello Busacca, il 21 no- d4 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO vembre 1897 la Commemorazione di Vincenzo Errante, il 16 giugno 1901 il Ricordo di Vincenzo Crisafulli che lo avea preceduto nell’ Ufficio di Segre- tario Generale. L'ultima lettura fu quella dei 17 di aprile del 1904 presentando una Lettera inedita di Giovanni Meli. (16) Sx Za origine, le vicende e il rinnovamento dell’Accademia di scienze, let tere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1891. [Estratto del vol. I della Terza Serie degli Atti dell’Accademia]. Contiene un appendice con documenti. Letta pel 1° centenario del trasferimento dell’ Accademia dal palazzo del principe Filangeri di S. Flavia in quello del Municipio, celebratosi il 5 lu- glio 1891. Studi giuridici. (18) Prolusione al corso di diritto civile. [Sul progresso del diritto civile), letta nel 1860 da Luigi Sampolo già professore straordinario di diritto civile ed ora di diritto romano nella R. Università di Palermo, Stamperia e legatoria Clamis e Roberti, 1862. Prolusione al corso di diritto romano. |Sull importanza del diritto romano), letta in novembre 1861 da Luigi Sampolo professore straordinario di diritto romano nella R. Università di Palermo, Palermo, Clamis e Roberti, 1862. Sulla nullità delle alienazioni di immobili fatte dagli eredi apparenti. Diser- tazione per il concorso alla cattedra di diritto civile col confronto delle leggi romane nell'Università di Palermo, Tip. Morvillo, 1862. Il matrimonio civile. Prolusione al corso di diritto civile, letta il 7 di- cembre 1865 nella R. Università di Palermo. Palermo, Stamp. Perino, 1866. [Estratto dalla Rivista Nazionale di scienze, arti e lettere, anno I, 1866, 5]. Dell’Unità del diritto in Italia. Discorso inaugurale agli studi letto il 13 gennaro 1867 nella R. Università di Palermo. Palermo Tip. Morvillo, 1867. Dei lavori preparatorii del codice civile e particolarmente di quelli della Com- missione legislativa di Palermo, Circolo Giuridico, I, 1870, 1, 17. Premise un breve cenno sui lavori e si proponeva di pubblicare nel C7- colo Giuridico tutti i verbali della Commissione di Palermo, allora posseduti dal senatore Pietro Castiglia Primo Presidente della Corte di Cassazione di Palermo che ne avea fatto parte e poi da lui depositati nella Biblioteca Comu- nale. Ne smise il pensiero perchè la mole di essi avrebbe occupato molti vo- lumi del Circolo Giuridico e non avrebbe potuto darsi posto ad altri scritti : furono pubblicati soltanto i verbali delle adunanze del 17 maggio 1863 .Sz/ titolo preliminare del progetto Miglietti e del 31 maggio 1863 sul titolo I cap. I Dei modi di acquistare e di perdere la cittadinanza, ed il Sampolo vi fece annotazioni e raffronti. Nel detto articolo si augurava « che I’ esempio spingesse altri a lavori di tal fatta: ma nessuno vi si accinse. i I lavori preparatorii furono pubblicati dal Ministero di Grazia e Giustizia COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 25 edi verbali della Commissione di Palermo costituiscono VIII volume della Rac- colta Lavori preparatori del codice civile del Regno d'Italin, parte IV, Roma, Stamperia Ripamonti, 1889, che venne però infarcito di grossolani errori, lamentati dal Sampolo in una recensione, C7rcolo Giuridico XXI,1900, I, 283, nella quale dà notizie degli illustri giureconsulti che componevano la Com- missione. Della Commissione di Palermo il Sampolo era stato nominato segretario, ma ricusò l'ufficio. Furono segretarii G. B. Pagano allora sostituto Procura- tore del Re in Palermo, oggi, Primo Presidente illustre della Corte di Cas- sazione di Roma e socio onorario dell’Accademia e gli avv. Simone Cuccia poi professore di Storia del diritto nell'Università e deputato al Parlamento morto il 9 febbrajo 1894 e Francesco Fortunato morto presidente del Consi- glio dell'Ordine degli avvocati il 4 ottobre 1902. Lo statuto personale rispetto agli stranieri secondo le leggi civili del Regno delle Due Sicilie. Lettera al chiarissimo sig. cav. Giuseppe Saredo —- [Estratto dal Circolo Giuridico, I, 1570, 1, 159]. Lo statuto personale rispetto agli stranieri secondo le leggi civili del Regno delle Due Sicilie. Seconda lettera al chiarissimo sig. cav. Giuseppe Saredo. — Circolo Giuridico, II, 1871, 1, 5. Scritta in seguito alla risposta del Saredo, Circolo Giuridico, 1870, 1, 193. Sulla interpretazione dell’ art. 67 del codice civile italiano, Stadio, Palermo tipografia del Grorzale di Sicilia, 1875. [Lettura fatta al Czrcolo Giuridico il 6 dicembre 1874]. Estratto dal Circolo Giuridico volume V. [1875, 1, 257]. La Corte di Cassazione di Palermo e il Demanio, Palermo, tipografia del Giornale di Sicilia, 1874. (Estratto dal Czrcolo Ginridico volume V,) [1874, 1, 227]. Date due successive donazioni, delle quali l’ultima sola trascritta, il primo do- natario ha diritto di essere rivaluto dal donante dei danni interessi? Lettura fatta al Circolo Giuridico nell'adunanza del 5 giugno 1877 (inedita). Sull’ammonizione e specialmente sullu capacità degli ammoniti. Considerazioni. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1878.— [Estratto dal Circolo Giuridico, VIII.1877,1, 267]. A proposito della sentenza della Corte di appello di Palermo 24 agosto 1877 che dichiarò gli ammoniti nè elettori nè eligibili. Un errore giudiziario. Commento dell’art. 688 cod. di proc. penale, Palermo Stab. tip. Virzì, 1880. [Letto nell’adunanza del 21 dicembre 1879]. (Estratto dal Circolo Giuridico di Palermo, anno XI, 1880), [1, 21]. Affinità nel Digesto Italiano. Enciclopedia metodica di legislazione, dottrina e giurisprudenza, vol. II, parte 1°, pag. 345-51, 1884. Cenni intorno all’Ordinamento giudiziario nell'impero germanico riscontrato con quello d’Italit : (Code d’organisation general allemand. 27 janvier 1877. I. In- troduction par L. Dubarle. II. Traduction et notes par L. Dubarle, Paris, 1885) Circolo Giuridico, 1885, 1, 235. Il frammento 5°, T. XX, L. XLIII del Digesto (De aqua quotidiana et aestiva). Saggio esegetico con raffronti col codice civile, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1887. [Estratto dal Crrcolo Giuridico, XVIII, 1887, 1, 73]. 4 26 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Della capacità del fallito dopo la chiusura delle operazioni per mancanza di attivo. Brevi osservazioni sopra una sentenza della Corte di Cassazione di Palermo, [7 febbraio 1888, c. Giudice-Di Blasi], Circolo Giuridico, XIX, 1888, 1,89. Riprodotto nel Monzfore delle Leggi di Genova, IV, 1888, 169. La donna maritata parte civile nei giudizi penali, Circolo Giuridico, XXII, 1891, [1, 50]. L’apicoltura e il diritto civile, Circolo Giuridico, 1895, 1, 249. Pubblicati i soli cap. I De/la natura delle apî e II Le api materia a varii rapporti di diritto. Una lettura S7/e api avea fatto il Sampolo al Circolo Giuridico il 9 dicem- bre 1883; poi varii capitoli col titolo: Ze api considerate nei rapporti di diritto sino al cap. V. « Del danno recato dalle api» avea pubblicato nel giornale La Sicilia Agricola, anno 1885, 443, 583, 747, 927; anno 1886, 63, 83, 683,703; anno 1887, 3. Il lavoro rifatto ed ampliato pubblicò nel Circolo Giuridico e sì proponeva di compierlo. Il codice civile ed il suo giubileo secolare. Discorso letto al Circolo Giuridico l’11 dicembre 1904 (inedito). Note di giurisprudenza. [.Sull’art. 2187 delle leggi civili del 1819. Se lart. 2187 nel ridurre a 30 anni il periodo della più lunga prescrizione, interrotta sotto l’impero di leggi anteriori ha compreso neî 30 anni il tempo trascorso sin dall'inizio della prescrizione me- des'ma). Nota alla sentenza della Corte di appello di Palermo, 16 aprile 1883, c. Pandolfina-Gattinara, Circolo Giuridico, XIV, 1883, 2, 113. (Sulla perenzione del precetto e dell’ istanza di espropriazione). Nota alla sen- tenza della Corte di Cassazione di Palermo 12 dicembre 1882, c. Siragusa- Bagnasco, Circolo Giuridico, XIV, 1583, 2, 361. [Degli effetti di un ordine în derrate nel quale la denominazione <« cambiale » man- casse nel contesto e fosse solo nella epigrafe). Nota alla sentenza della Corte di appello di Palermo, 25 aprile 1885, c. Dainotto-Barrile, Circolo Giuridico, XVII, 1886. 2, 66. [Sull’art. 543 del codice civile). Nota alla sentenza della Corte di Cassazione di Palermo, 15 ap.ile 1886, c. Cappellani-Multisanti, Circolo Giuridico , XVII, 1886, 2, 244. [Il vizio del consenso per violenza fatta dal padre alla figlia). Nota alla sentenza della Corte di appello di Palermo, 10 settembre 1886, c. Cipollina-Genuardi — Banca Nazionale, Czrcolo Giuridico, XVII, 1886, 2, 317. [Da chi sono dovute le spese dell'offerta reale, non preceduta da quella amiche- vole, prima rifiutata e poi accettata dal creditore). Nota alla sentenza della Corte di Cassazione di Palermo, 20 febbraio 1890, e. Gargano-Bonaccorso, Crcolo Giuridico, XXI, 1890, 2, 242. [Se lantorizzazione ai corpi morali serva per integrare la loro capacità giuridica ad acquistare o solo per la presa di possesso]. Nota alla sentenza della Corte di Cassazione di Roma 8 luglio 1890, c. Finanze-Mosella, Czcolo Giuridico, XXII, 1891, 2, 74. COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 7 (9) [ [Za conferibilità dell’usufrutto). Nota alla sentenza della Corte di Cassazione di Palermo, 29 maggio 1900, c. Cusenza-Majorana, Circolo Giuridico, XXXI, 1900, 2, 298. [Sulla personalità giuridica delle Unicersità Siciliane]. Nota alla sentenza del Tribunale di Palermo, 16 febbrajo 1903, c. Università e Comuni di Palermo, Catania e Messina.—Ministeri delle Finanze e del Tesoro, Czcolo Giuridico, XXXIV, 1903, 2, 67. Traduzioni. MarcapÈ V. Spzegazione teorico-pratica del Codice Napoleone contenente l’ana- lisi critica degli autori e della giurisprudenza e seguita da un riassunto alla fine di ciascun titolo. Versione italiana sulla 5% ed ultima edizione di Parigi, ac- cresciuta dall’A. di molte quistioni e di leggi e decisioni recenti, col confronto degli articoli del Codice per lo Regno delle Due Sicilie e con tutte le dispo- sizioni governative emanate sin’ oggi sotto ciascun titolo. [Dal libro 3° Delle successioni], Palermo, Stab. Tip. dei Fratelli Pedone Lauriel, 1857-65, vol. II-IV, [il IT e il III in due parti, il IV in tre parti]. HèLie FaustINn. Trattato della istruzione criminale o Teoria del codice di istru- zione criminale. Traduzione italiana e annotazioni. Palermo e Napoli, Pedone Lauriel 1863-67, vol. I-IV. DunxING MacLEOD E[NRIC0]. Sulla moderna scienza dell’ Economica. (Conferenza letta il 16 marzo 1881 all’Istituto dei banchieri di Londra. (Estratto dal Czrco/o Giuridico, [XI, 1881, 217]. Periodici. Giurisprudenza teorico-pratica comparata della Corte Suprema di Palermo e della Gran Corte civile e criminale di Palermo, Palermo, 1852. Collaboratori: Salvatore Salafia avvocato, Luigi Sampolo avvocato, Gaetano Scandurra avvocato, Placido Civiletti, Salvatore Crisafulli, Pietro Galifi, alunni di giurisprudenza [uditori giudiziarii]. Se ne pubblicarono soltanto sette fascicoli contenenti le decisioni fino a giugno 1822. Nel 1857 il Sampolo, Placido Civiletti e Gaetano Scandurra si erano ripro- posti la continuazione del giornale, ma questa non ebbe luogo. Salvatore Salafia si spense immaturamente nel 1854. A Gaetano Scandurra, morto Presidente di Corte d'Appello a riposo il 6 di- cembre 1898, il Sampolo consacrò affettuose parole nella Relazione sull’ anda- mento del Circolo nel 1898 (V.le parole pronunziate dal cons. Giuseppe Eugenio FuRrITANO per salutarne la salma, Czrcolo Giuridico, 1899, 1, 32. Salvatore Crisafulli, morto Consigliere della Corte di appello di Palermo il 16 novembre 1592, fu socio di questa Accademia, ed il Sampolo ne scrisse un breve cenno necrologico, Bo//ettino Accademia, 1892, 55. Placido Civiletti e Pietro Galifi sono Primi Presidenti di Corte d’appello a riposo. ; (19) Contardo Ferrini fu socio onorario di quest’ Accademia, eletto nel gen- 28 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO naio 1900 ed il Sampolo lo ricordò con affetto nella Relazione Accademica per l’ anno 1900. Ne commemorò la morte nella e/azione Accademica per l’anno 1902. (20) Studi sulle vicende dell'Università. L° Università di Palermo e il suo passato. Discorso inaugurale per la ria- pertura degli studi nell’anno scolastico 1878-79 nella R. Università di Pa- lermo letto [il 17 novembre 1878]. Palermo. Stab. Tip. Lao. 1875. Rassegna degli ultimi 100 anni dell’Università. Segue un’ Appendice con do- cumenti ed iscrizioni. I primi 25 anni della È. Università degli studi di Palermo. Letture fatte nelle tornate di dicembre 1883 [30] e agosto 1884 [24] alla R. Accademia di scienze, lettere ed arti, Palermo, Tip. del Grorna/e di Sicilia. [Estratto dal vol. IX della Nuova [2*] Serie degli Atti dell’ Accademia]. Riguarda le prime leggi del 1772, la biblioteca, il museo, la stamperia, la fondazione Gioeni, la cattedra di diritto canonico e quella di diritto pubblico. Segue un'Appendice con documenti. La R. Accademia degli studi di Palermo. Narrazione storica. Palermo, Ti- pografia dello Statuto, 1888. Dagli inizii al 1805 quando ebbe dignità e nome di Università. Segue una copiosa appendice con XXX documenti, la Bibliografia delle opere riguardanti l'Accademia, quella dei professori. le leggi riguardanti l'Accademia e prospetti statistici. Contributo alla storia della R. Università di Palermo. Palermo Tipografia Lo Statuto, 1895. [Lettura fatta alla Società Siciliana di Storia Patria il 12 maggio 1894]. (Estratto dall’ Archivio Storico Siciliano N. S., anno XIX, fa- scieolo III-IV), 1895 [329]. Si intrattiene delle cattedre di diritto e procedura civile, di diritto e pro- cedura penale, di medicina forense, di diritto nautico e commerciale istituite nel 1841. Il Sampolo uno dei fondatori della Società di Storia patria, ne fu più volte Consigliere. Iscrizioni e ricordi dei più illustri professori della R. Università di Palermo. Omaggio al V Congresso nazionale giuridico-forense 20 aprile 1903. Palermo. Tip. F. Andò, 19053. Sono raccolte le iscrizioni riguardanti i più illustri professori dell’ U- niversità che si leggono nel portico e nelle aule e le altre che si leggevano prima del 1860 nel portico anteriore e che egli si augnrò vi fossero nuova- mente murate. Sono aggiunti i profili biografici dei professori e di Nicolò Garzilli. Monsignor Giuseppe Gioeni e la cattedra di filosofia morale nell’ Università di Palermo. Messina, Tip. D'Angelo, 1904 (Estratto dal volume in onore del pro- fessore Vincenzo Lilla pel suo XL anno d'insegnamento). Seguono in appendice tre documenti. COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 29 Studi sugli Istituti di beneficenza e previdenza. La Casa di lavoro e l° Istituto delle Artigianelle di Palermo. Cenni. Milano, Tip. editrice Lombarda già D. Salvi e C., 1874. Estratto dal giornale Rivista della beneficenza pubblica, (fascicolo di gennaio) [16]. Nel 1869 fu membro del Comitato eletto dal Prefetto (Medici) per la uni- ficazione dell’Istituto delle Artigianelle con la Casa di lavoro. L’Orfanotrofio Ardizzone in Palermo. Milano, Tip. editrice Lombarda già D. Salvi e C., 1874. Estratto dal giornale vista della beneficenza pubblica, (fase. di marzo) [264). Nel 1867, essendo assessore municipale, era stato incaricato dal Sindaco {(Balsano) di visitare l’Istituto e riferire sullo stato di esso. Sugli istituti di emenda della città di Palermo dal secolo XVI al XIX, Studi, Palermo Tip. Bernardo Virzì di Francesco, 1874. Seguono in appendice IX documenti. (Estratto dall’Arcliv70 storico siciliano), {II, 289]: La Casa d’ Istruzione ed Emenda con un Cenno sugli antichi e recenti istituti congeneri. Palermo, Tip. dello Sfazzto, 1884. Segue l’Elenco dei deputati della detta Casa dal 1749 al 1884. La Casa d'Istruzione e dEmenda di Palermo con un Cenno sugli antichi e re- centi rifugi per le ravvedute, 2% edizione riveduta. Palermo, Tipografia dello Statuto, 1892. Appendice: Elenco dei deputati della detta Casa dal»:1749 al 1890. Lapidi commemorative; iscrizioni ed epigrafi. Notizie statistiche. La Casa d'Istruzione ed Emenda negli anni 1898-1902. Relazione [del] Pre- sidente della Deputazione. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1902. Fu deputato della Casa dal 1867 al 1872 e poi dal 18/7 in avanti. Nel 1598 assunse la Presidenza che gli fù dopo conferita dal Consiglio Comunale nel 1899: in questa Relazione rende conto dell’opera sua di Presidente. Alla Casa d’Istruzione ed Emenda, che insieme al Circolo Giuridico fu og- getto delle sue più indefesse cure, volse il pensiero nel suo testamento: le- gandole la Cappella ed i quadri sacri, una Madonna antica ad olio ed un quadro rappresentante la Madonna di Raffaello della Reggia di Napoli. Per la premiazione nella Casa d'Istruzione ed Emenda ricadendo il XXV an- niversario dell'entrata in essa delle snore del Buon Pastore. Parole. Palermo, Ti- pografia F. Barravecchia e figlio, 1903. Per opera di Lui l’Istituto fu affidato alle suore della Congregazione del Buon Pastore di Angers, ed il XXV anniversario del loro ingresso nella Casa volle festeggiare con un discorso letto il 20 agosto 1903. Per l’inangurazione dell'Asilo rurale Margherita in S. Giovanni dei Leprosi, 15 giugno 1869. Palermo, Gaudiano, 1869. Corrzere Siciliano, 16 giugno 1869, N. 169. L'Opera degli asili rurali fu fondata nel 1868 da Francesco Enrico Scan- durra. Il Sampolo fu sin dalla fondazione Presidente del Comitato, che con lo statuto dell'11 giugno 1896 assunse il nome di Consiglio di Amministrazione. 30 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Per l’inaugnrazione dell’ Asilo rurale J. FP. Favier in Mezzomonreale, XVIII ottobre MDCCCLXXIV. Parole. Palermo, Tip. del Giornale di Sicilia, 1874. Segne in appendice la Relazione dell'Assessore di I. P. (Deltignoso) sulle se- zioni di asilo. Questi due discorsi furono poi pubblicati insieme senza appendice: Per la inaugurazione degli Asili rurali di S. Giovanni dei Leprosi e di Mez- zomonreale. Parole. Palermo, Tip. del Grorzale di Sicilia, 1874. Per la inaugurazione dell'Asilo Garibaldi [18 settembre 1881| Parole. Paler- mo, Ufficio dell’ Archivio di Pedagogia e della Biblioteca pedagogica, 1881. [Estratto dall'Archivio di Pedagogia e scienze affini, 1881, 179]. Za Cassa di Risparmio V. E. di Palermo. Origine, progresso, stato pre- sente. Notizie e documenti. Palermo, Tip. dello Sfafufo. 1891. Nominato membro del Consiglio di amministrazione il 10 novembre 1864 in sostituzione del deputato avv. Francesco Crispi Genova durò nell’ ufficio sino al 1892. La memoria, della quale fu incaricato. fu scritta in occasione dell’Espo- sizione Nazionale di Palermo del 1891. Studi e discorsi letterari e storici. Una scena del bombardamento di Palermo. |La morte di Maria Sampolo e di Giuseppino Scandurra Sampolo]. (Estratto dal Giornale officiale di Sicilia n. 39), [26 luglio 1860]. Sulla vita e sulle opere di Rosina Muzio Salvo. Genero di Rosina Muzio Salvo curò l’edizione postuma delle sue opere in 2 volumi: I. Racconti di Rosina Muzio Salvo con alcuni scritti morali preceduti da un discorso sulla vita dell’autrice. Palermo, Tip. del Grorzale di Sicilia, 1869. II. Versi, Palermo, Tip. del Gzornale di Sicilia, 1870. Palermo e Bologna dal secolo XVI al XVII Lettera di Domenico Schiavo ripubblicata ed annotata. Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1888. Questa lettera di Domenico Schiavo, insigne letterato del secolo XVII (1719-1773) che fu direttore dell’Accademia del Buon Gusto nel 1753 e nel 1758, inserita nelle Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia (I, parte IV. Palermo, Bentivenga, 1748) fu ripubblicata ed annotata in occasione dell'VIII centenario dell’Università di Bologna, « perchè ci fa conoscere alcuni dei si- ciliani che andarono a studiare in essa ed alcuni degli isolani che con l’in- segnamento in quell’Ateneo e con la predicazione in quella città si chiari- rono uomini dotti e eloquenti ». In appendice il Sampolo da notizia di M. Antonio Vogli (1736-1821) bolo- gnese che insegnò filosofia morale nell'Accademia degli studi di Palermo, di Ugo Bassi (1800-1849) bolognese che predicando in Palermo la quaresima del 1837 vi destò tante simpatie, di Carlo Gemelli (1811-1886) messinese che fu vicebibliotecario della Biblioteca di Bologna. Questa lettera fa parte del volume: 42 Università di Bologna. Ricadendo COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 51 P8 centenario della sua fondazione. Omaggio del Circolo Giuridico di Palermo. Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1888, pag. 119-138. Il 12 gennaro 1848. Discorso recitato la sera del 12 gennaro 1890 al ban- chetto dei Veterani del 1848-49. Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1890. Segue un’Appendice con documenti. Per la inaugurazione del busto di Giuseppe de Spuches principe di Galati alla Villa Giulia il 21 giugno 1891. Bollettino Accademia 1891, 66; In memoria di Giuseppe de Spuches principe di Galati. Supplemento straordinario al Cor- riere di Steilia. Palermo, giugno 1891. Per la premiazione della Scuola Superiore femminile Giuseppina Turrisi Co- lonna nell'aprile del 1895. (Discorso letto il giorno 21 di aprile 1895) Palermo, Stabilimento Tip. Virzì, 1895. Il Sampolo fu per parecchi anni membro del Consivlio di vigilanza della Scuola. Per la inaugurazione del mezzobusto a Giuseppina Melazzo nei Gramignani nella Villa Giulia (13 ottobre 1895). Supplemento straordinario alla Szezlia Musicale. Accademia Siciliana. Nuove ricerche. [1790-1818]. (Lettura fatta alla Società di Storia Patria il 14 gennaro 1895), Tip. Zo Statuto , 1896. (Estratto dal- l'Archivio Storico Siciliano, N. S., anno XX, fase. IIL-IV), 1895, [317]. Con appendice. Cenno su Enigi Terranova. Premesso alle Nozizze sopra Iccari e Carini di Licei TERRANOVA (n. 15 giu- gno 1817 + 30 giugno 1876) coi programmi editi nel 1854 che erano rimaste inedite, pubblicate a sua cura nell'Archivio Storico Siciliano ed annotate. Si pubblicarono sino al V. capitolo, pagine 112: vol. XVIII, 1893,1, XIX, 1894, 65, e XXI, 1896, 97 (numerazione separata). Per la inaugurazione del busto di Giacomo Leopardi alla Villa Giulia il 4 aprile 1899. [Discorso] (con la fotografia del busto). Palermo, Stab. Tipogra- fico Virzì, 1899. Era Presidente del Comitato che promosse l’erezione del monumento. Carini ebbe mai vescovado ? La Sicilia Sacra, I, 1899, 481. Riporta il tratto del Terranova che afferma essere stata Carini sede di ve- scovado e la nota da lui apposta. Giuseppe Piazzi ed alcuni versi latini di Prancesco di Paola Sampolo. Pa- lermo, Stab. Tip. Virzì, 1901. Precedono notizie di Giuseppe Piazzi e di. Francesco Sampolo. Seguono : IJosepho Platio astronomo celebratissimo Exametri Francisci de Paula Sampolo e la Traduzione italiana del prof. Ugo Antonio Amico. Un canto in dialetto siciliano per le nozze di Carlo Felice di Savora con Maria Cristina Borbone. Palermo, Stab. Tip. Lo Casto, 1902. Estratto dall’Anzo/ogia St- ciliana, fasc. VII-VIII [621]. Illustra il canto scritto da Francesco Sampolo; seguono il canto ed alcuni documenti che si riferiscono alle nozze. 32 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 4 Vincenzo Lilla pel XL anniversario del sno insegnamento 15 ottobre 1903. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1903. Lettera înedita di Giovanni Meli. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1903. [Lettura fatta all'Accademia ai 17 aprile 1904]. (Estratto dagli Atti della k. Accademia di Scienze. lettere e belle arti, serie 3%, vol. VII). Traduzioni. TrivoLzio DE’ BeLeIoJoso Cristina. La rivoluzione e la repubblica di Vene- zia. Traduzione dal francese. Palermo, Clamis e Roberti 1849. Za mimica siciliana (Brano di un lavoro: S2/ linguaggio dei segni tra gli Indiani dell'America del Nord di GarRICK MALLERY pubblicato nel Primo rap- porto annuale dell'Ufficio etnografico dal Segretario dell'Istituto Smitsoniano (First annual Report of the Bureau of Ethnology to the Segretary of the Smithso- nian Institution 1879-80). Archivio per le tradizioni popolari III, 1884, 445. Ne fece una comunicazione all'Accademia nell'adunanza del 25 novembre 1883. Bollettino Accademia, 1884, 7. Periodici. Za Favilla, Palermo 1856-59. 63 Carmelo Pardi e Francesco Salesio Scavo pubblicarono la seconda serie de Za Favilla ed il Sampolo vi scrisse parecchie recensioni. Poesie. . Alle cnlie e gentili giovanette Luigia ed Eleonora Codemo. Treviso 1° giugno 1848. Il Sampolo era in Treviso con la Legione Siciliana guidata da Giuseppe La Masa e alla firma è apposto « Milite delia Legione Siciliana ». 42 prof. can. Ginseppe Montalbano. In morte del fratello Vito: Un conforto. V. In morte del Pretore avv. Vito Montalbano. Poesie di varì autori. Palermo, Natale, 1873, pag. 33. Il 19 luglio 1812 o l'abolizione della fendalità. Dipinto di Francesco Pado- vani, settembre 1874. Segue la traduzione latina del can. Giuseppe Montalbano. Un salnto ad Acireale. Sonetto. 1874 (Palermo, Tip. dello Sfafnfo). [1874]. Contiene il detto sonetto e la traduzione latina del can. Giuseppe Montal- bano. due sonetti di Lionardo Vigo: « A L. Sampolo >» ed uno di Ernesto Corti « Al cav. Lionardo Vigo ed al cav. prof. Luigi Sampolo ». Fu ristampato nello stesso anno 1874 dallo Stab. Tip. Virzì. COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 33 A S.M. Margherita di Savoia Regina d'Italia che nel gennaro 1881 degnavasi visttare l'Educatorio Whitaker e lAsilo rurale Principe Scordia. Versi messi in musica dal marchese Antonio de Gregorio. L’Educatorio per le istitutrici della infanzia e della puerizia fu fondato nel 1876 da Francesco Enrico Scandurra, col 1° gennaro 1881, in omaggio al suo maggiore benefattore Giuseppe Whitaker, assunse il nome di Educa- torio Whitaker. All’illustre signor Giuseppe Whitaker pel suo giorno onomastico (19 marzo 1882). Le alunne dell’Educatorio Whitaker. Iscrizioni. Fer Carmelo Pardi in Elogio di Carmelo Pardi, pag. 26. Per la solenne commemorazione di Giuseppe Whitaker [nel| Educatorio Whitaker. Iscrizione. XVII novembre MDCCCLXXXIV. Per Gaetano Deltignoso in FALCONE avv. Giuseppe. Elogio di Gaetano Delti- gnoso. [letto al Circolo Giuridico il 14 novembre 1886], Palermo , Tip. dello Statuto, 1887. L'iscrizione è a pag. 47. L’apertura del Liceo nel Regio Conservatorio di Musica in Palermo. Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1890. L'iscrizione è a pag. 5. Commemorazioni. Commemorazione di Emerico Amari, letta il 29 novembre 1870 nell’Univer- sità di Palermo. Palermo, Tip. del Grornale di Sicilia, 1871. [Estratto dal Circolo Giuridico, 1870, 1, 133]. Ficordanza di Nicolò) Musmeci e Luigi] Mercantini, letta il 15 dicembre 1872 nella grande aula della R. Università di Palermo, Palermo, Tip. Morvillo, 1873. La commemorazione riguardante il Musmeci fu inserita nel Crrcolo Giur: dico III, 1872, I, 231. In morte del prof. Paolo Morello. Parole lette nel chiostro di S. Antonino il 12 luglio 18783. Palermo. Tip. del Giornale di Sicilia, 1873. Segue Elenco delle opere del prof. Paolo Morello, pag. 17. ljesse allo sciogliersi del corteo funebre queste parole, poi nel 1888 fece un discorso per l'inaugurazione del monumento nel cimitero di Santa Maria di Gesù. Giuseppe Pisanelli, Commemorazione letta [al Circolo Giuridico il 4 mag- gio 1879] nella grande sala dell’ Università ricorrendo l’undecimo anniver- sario della fondazione del Circolo Giuridico. Palermo Stab. Tip. Virzì, 1881. Estratta dal Czrcolo Giuridico di Palermo, [XI, 1880, I., 197 e 257]. Di Giuseppe Ugdulena e di Emidio Pacifici Mazzoni. Commemorazione letta [nell’anno scolastico 1880-81 pel riaprimento del corso di diritto civile] nella R. Università di Palermo. In Palermo coi tipi di P. Montaina e C. 1881. (Estratto dalle Nuove Effemeridi Siciliane, vol. X), [Serie III, 241]. Comm. avv. Vincenzo Dî Marco (Palermo, Virzì 1881). Ut 34 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Poche parole pel comm. avv. Vincenzo Di Marco. Palermo. Stab. tip. Virzì. 1881, 2* edizione. Inserite nel Circolo Ginridico, XII. 1881, I. 58. Elogio di Vincenzo Di Marco, letto nella solenne tornata dei 20 novembre 1881 all'Accademia di scienze, lettere ed arti. Palermo tip. del Gzorna/e di Sicilia, 1882, (con ritratto). Estratto dal vol. VIII della Nuova [2*] Serie degli Atti dell’Accademia. Precede il processo verbale dell'adunanza p. 3. Commemorazione di Isidoro La Lumia, letta alla Società Siciliana di Eco- nomia politica nell'adunanza del 5 ottobre 1879. Grornale ed Atti della Società Siciliana di Economia politica 1879, IV, 120. Commemorazione di Gaetano Deltignoso, letta [il 24 aprile 1887] alla Società Siciliana di Economia politica. Palermo. tip. Militare, 1887. (Estratta da Gzor- nale ed Atti della Società Siciliana di Economia politica). [Nuova Serie, vol. II, anno XIII, 1SS7, 11). Per la inangurazione del monumento a Paolo Morello. Discorso letto il 10 lu- glio 1888 nel Cimitero di S. Maria di Gesù. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1889. (con la fotoincisione del monumento). Elogio di Carmelo Pardi. letto il 27 luglio 1890 nella sala della R. Scuola normale maschile G. A. De Cosmi. Palermo. Stab. tip. Virzì. 1890. Della vita e delle opere di Raffaello Busacca. Palermo, tip. F. Barravecchia e figlio, 1895. [Estratto dal vol. IMI della 3% Serie degli Atti della R. Aeca- demia]. Lesse alla R. Accademia il 19 marzo 1903 l'elogio di Busacca . il lavoro pubblicato è assai più ampio e più particolareggiato. Di Antonino Turretta e dei suoî tempi. In occasione del ritratto di lui donato al Circolo Giuridico. Discorso letto il 28 luglio 1896. Palermo, Stab. tipogra- fico Virzì, 1896. (Estratto dal Circolo Giuridico vol. XXVII. parte I, 1896) [296]. Commemorazione di Vincenzo Errante. Palermo tip. F. Barravecchia e figlio. [Letta alla R. Accademia il 21 novembre 1897]. Estratto dal vol. VI della 3 Serie degli Atti della R. Accademia. Ricordo dello Abate Vincenzo Crisafulli, letto nella tornata [della R. Acca- demia di Scienze lettere e belle arti] del 16 giugno 1901, Palermo tip. F. Bar- ravecchia e figlio, 1901. [Estratto dal vol. VI della 8% Serie degli Atti della R. Accademia]. Necrologie. Giovannina Sampolo in Lacrime e fiori sull’ urna di Giovannina Sampolo Manzella. Palermo, Clamis e Roberti 1852. Necrologia di Salvatore Madonia. Palermo. tip. del giornale /2 Tempo, 1881. È inserita nel Circolo Giuridico 1SS1, I, 190. Cenno necrologico dell'avv.Giovanni Ferlazzo. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1885. Estratto dalla Rivista Il Circolo Ginridico, anno XVI, fase. XII [18$85, I. 300]. Luigi Testa vicepresidente del Circolo Giuridico (Letta al Circolo Giuridico il 5 febbraio 1899). Estratto dal Circolo Ginridico parte I, vol. XXX, 1899, [71]. COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 35 Salvatore Sangiorgi Di Maria. Parole lette al Circolo Giuridico nella tor- nata del 6 maggio [1900]. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1900 (Estratto dal 077:c0/0 Giuridico vol. XXXI, parte I), 1900, [147]. Elogio di Giuseppe Eugenio Furitano vicepresidente del Circolo Giuridico [Letto al Circolo Giuridico il 16 giugno 1902] Palermo, Stab. tip. Virzì, 1902. (Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXIII, parte I, 1902, [309]. Profili e cenni biografici. Guristi ed Economisti. Filippo Orlando, Consigliere della Cassazione di Palermo, Circolo Giuridico, IR ASTE 70 Bartolomeo d’Ondes Rau, Czrcolo Giuridico, IX, 1578, I, 183. Salvatore Iannelli, Circolo Giuridico, X, 1879, I, 158. Diego Orlando, Circolo Giuridico, X, 1879, I, 217. Michelangelo Raibaudi, Circolo Giuridico, X, 1879, I, 219. Pietro Castiglia, Primo Presidente della Corte di Cassazione di Palermo, Circolo Giuridico, XI, 1880, I, 38. Nicolò Uzzo, Circolo Giuridico, XI, 1880, I, 64. Luigi Mazza, Circolo Giuridico, XI, 880, I, 94. Gaetano Parisi, Presidente di Sezione alla Corte di Cassazione di Palermo, Circolo Giuridico, XI, 18S0, I, 95. Antonio Fulci. (Parole lette il 16 gennaro 1883 nella scuola di diritto civi- le), Circolo Giuridico, XIV, 1883, I, 3. Agostino Invidiato, Bollettino Accademia, 1884,39. Giovanni Demolombe, Czreolo Giuridico, XVIII, 1887, I, 64. Francesco Laurent, Circolo Giuridico, XVIII, 1887, I, 69. Paolo Maltese, Circolo Giuridico, XX, 1889, I, 157. Giovanni Bruno, Bo//ettino Accademia, 1891, 79. Francesco Nobile, Bo//etfino Accademia, 1891, X, 52. Ignazio Abrignani, Circolo Giuridico, X.XII, 1891, I, 80. Agostino Todaro, Bollettino Accademia, 1892, 28. Salvatore Crisafulli, Bo//e/tino Accademia, 1892, 55. Francesco Saluto, Czrcolo Giuridico, XXIII, 1892, I, 32. Leone Larombière, Circolo Giuridico, XXVI, 1893, 1, 184. Nicola De Crescenzio, Circolo Giuridico, XXVI, 1895, I, 78. Francesco Saverio Caiazzo, Circolo Giuridico, XXV, 1894, I, 119. Antonio Pertile, Circolo Giuridico, XXVI, 1895, 1, 79. Ludovico Fulci, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 73. Giovanni Costantini, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 77. Francesco Auriti, Parole lette nell'adunanza del Circolo Giuridico del 26 aprile 1896, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 131. Giuseppe di Menza, Parole lette nell'adunanza del Circolo Giuridico del 26 aprile 1896, Czrcolo Ginridico, XXVII, 1896, I, 133. Gaetano Feri, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 78. 36 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Filippo Serafini, Parole dette agli studenti di diritto civile addì 18 maggio 1897, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 147. Luigi Goldschmidt, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 235. Giuseppe Ceneri, Circolo Giuridico, XXIX, 1898, I, 166. Domenico Viti, Circolo Giuridico, XXIX, 1898, I, 168. Carlo Dionisotti, Czrcolo Giuridico, XXX, 1899, I, 99. Vito La Mantia, Circolo Giuridico, XXXV, 1904, I, 164. Letterati, storici e scienziati. Vincenzo Tineo, La Favilla, 1856, 18. Giuseppe de Spuches, principe di Galati. Parole pronunziate [a nome del- l'Accademia], innanzi al feretro il 14 novembre 1884. Lo Statuto, 15 novembre 1884, n. 315; Bollettino Accademia, 1884, 44. Simone Corleo, Bollettino Accademia, 1890, 16. Seguono le Parole pronunziate (a nome dell’Accademia) innanzi il corteo che accompagnava la salma del prof. Corleo al cimitero di S.Orsola(2 mar- z0 1890) Giornale di Sicilia, 3-4 marzo 1890, n. 62; Bollettino Accademia, 1890, 19; La filosofia, anno II, fase. I, luglio - agosto 1891, pag. 47; Za memoria del prof. Simone Corleo, Palermo, Amenta 1891, pag. 47. Nicolò Cervello, Bo//ettino Accademia, 1890, 24. G. B. Filippo Basile, Bollettino Accademia, 1891, 112. Francesco Perez, Bollettino Accademia, 1892, 21. Giuseppe Albeggiani, Bollettino Accademia, 1892, 53. Giovanni Fraccia, Bollettino Accademia, 1893, 27. Salvatore Cusa. Parole lette [a nome dell’Accademia] nella piazza del Po- liteama [innanzi al feretro] addì 1° dicembre 1893, Bo//effino Accademia, 1893, 29. Innanzi al feretro del prof. Saverio Cavallari. [Parole pronunziate a nome dell’Accademia il 30 agosto 1896], Bollettino Accademia, 1896, 41. Nei funeri del sac. prof. Giuseppe Orlando. | Parole pronunziate a nome dell’ Accademia dinanzi al feretro il 27 marzo 1896]. La Siezlza Cattolica 28-29 marzo 1896 n. 72; Bollettino Accademia, 1896, 43. Tutti i profili e cenni biografici pubblicati nel ZBod/ettino dell’ Accademia, sono ‘seguiti dalla Bibliografia delle opere degli estinti. RIASSUNTO OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE Nel R. Osservatorio di Palermo (Valverde) NEGLI ANNI 1904-5=-6=7 Cao ho RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUITE MW e | —_ _ _ — _—} î | BAROMETRO | Termometro centigrado | VENTO | 0 c) 9 | 2) o | : s S | Ss So © ci i 7 2 | “và S È £ E LI AESI [eretto es ee = s ai E dh | s Duni S z 4a; | = i E a OE @ S E Con a $ Sosta E DI i e = i gigi MES, scio: MCR coloni hac Dl Ce ME | E 2 | E 3 | = 2 2 i | £ 2 | = S| @ E i Ì Ì Il | reca | È || rom mm. mm | | | km km. | Gennaio... ... 765,70 | 29 | 75620] 74360) 4 | 184| 15 11,04 | 25 | 20. || _ SW 54 | 31 SE: | | | | | n Febbraio. . .... | 65,06 | 13 52,69 | 42,10 | 29 | O3ION 13,59| 38 | 21 | SSW 13,0 | 60 ì 3 | | | | di IMEATZO E | 60,10 | 10 53,08 | 42,20 | 234 | 26 | 14,09) 3,0 3 | WNW 8,3 56 SS : | | | | ì Aprile tree 64.00 3 T4 398 A 601|1 626002927 MSI Bi513) 53 4 | ENE 1,8 43 ssi Li | I EGO 00000 62,90 | 17 50,69 | 5210 | 23 | 31,6 | 23 |20,03| 84 4 ENE 6.4 30 7 î Giuen OM 60,80 | 17 | 56,25 | 50,80) 9 | 33,6 | 29 2444] 145 d | ENE 5A 26 | \l MG | | | | | | ImElioo vos 60,60 | 31 55.94 | 51,80 1 | 376) 26 |26.97| 164 6 | ENE 6,7 24 i f | FAID'OSBO=t ne te | 61,23 8 56,97 | 5010| 25 | 34,6] 12 | 26,94] do, | 28 | ENE 6,6 29 SM; Il | | Settembre. . ... | 60,30.| 13 55,73 | 4640| 21 | 336| 1 LL 14.0 | 30 | ENE 6,2 42 di E | | | Il , Ottobre pare: | 63.70 | 20 55AL | 47,00) 27 20:0,] 0 18590] 86 | 120 | SW 6,0 28 US | | Novembre. . . . .| 63,40 | 20 | 56,91 | 45,00| 24 | 25,6 Li 134) 44 19 | SW 7,8 38 5 | | | | Ì | , Dicembre. .... | 68,80 | 22 | 5714| 4420) 31 | 20,2 8 11:98] 2:2 | c9| sw 7,0 51 si | | | | Medie, estremi e | i totali annui ..|68.80| — | 55,70; 741,60 edo, | 18,47| 2,2 — | ENE 1,3 60 Se il | | | | } Ì | | | | | | | Ì I Massimo . . . 768,80. | Ù a Medio. . ... >» annuale del barometro < ‘55,70 Escursione barometrica annua = mm. 27,20 1 Minimo. . .. ) | 141,60 1 rit h )SSERVATORIO DI VALVERDE IN PALERMO DURANTE L'ANNO 1904 Altitudine della Stazione m. 72,2 Latitudine. 380.6”. alt= (©) Serenità media pe PIOGGIA GIORNI PIOVOSI 1.3:4.5.6.7.8.17.18.19.21.22.25. 27.28.31 1.2.5.6.7.8.9. 15.16.19.20. 23.24. 25.28 | 1.4.14.18.20.21.27.28,29.31 1.5.18.23.27.29 -—-— T$È,T,'T>TTd=_—_-" /*—./_T'O.°°°.r--- Quantità in millimetri 113,15 | 66,35 83,20 17,83 14.15 VENTO FORTE GIORNI CON 1.3.4.5.9.10.11.12.14.15.16.17.18. 1.14.25.26.30.31 1.5.19.26 24.25 3 TUONI NEVE GRANDINE Massima forza del vento = Km. 60 alle ore 19 del giorno 4 febbraio )\ 70,0|9. 1,50 | 5 _ — E )| 61,0 | 4.10.12.13.14.15 21,52 | si 10 fi de | 794 | 1.2.7.8.16.30 lio | 1.8 — 80 t| 83,3 | 24.25 14,10. || 23.25.26 25 — = } | 53,2 || 4.5.8.9.16.21.22.26.27.29.30 55,50 1.23 3.4.5.9 = = ) | 87,0 || 1.2.3.5.9.10.15.16.17.18.24.25.27. | 110,85 | 9.24 25 Sa ue 28.29.31 36,9 || 1.3.7.8.9.14.16.17.18.19.24.25.26. | 120,63 15.23.25.26.27 25.26 25 25.26 | 27.28.29.30 | 36,6 || 2.3.4.11.12.13.14.15.16.17.27.28.31 80,90 || 8.10.11.13 - —_ = | | 51,0 - —. | - = = 22 | Massimo . . . 370, 6 Medio. . ... annuale del termometro 18,47 Escursione termometrica annua = 359.4. Minimo. . . . 2,2 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUITE 4 Y | | Î | BAROMETRO | Termometro centigrado | VENTO : | | | Î —T_T_TT_——— __——___—u“sst_m | | | | |a ii 3 | | MESI | $ | E | z z 2 QUE } |_S s e iaezià VIS a © = 3 3 Ea 5 | =: Ei o si = N E S ° S d Ei È $ 9 | ter] 0 Tore e en 5 ed | (a|g|#|a|2|3 |a S| 5 | E Dati s|é|ée ja | | A i | ENO] Q î li — a RS SE S| ANO |A 9 SE | SO) IBEBBaesE GS | Pi i | } È | | | | | i | | mm mm mm | | | km I, Gennaio... ... | 169,40 | 23 | 758.56 | 742,00 | 1 15,6 | 22 9,01| 0,3 15 |NNE-SW| 98 35 SSÌ | | | i ni Febbraio. . . ... | 69,60 | 4-5 58,46 | 48,00) 21 | 1S1| 21 9,67| —05| 15 || SSW 10,7 | 56 Si È Il | | Il | Marzo NRE N 62,40 | 30 55,10 | 46,70) 3 22,6 | 13 | 13,77) 30 6 | E-SSW | 75 36 si Aprile ge 0 i 61,40 1 53,01 | 41,90 | 17 27,9 | 10 | 16,63 [Ml6sc 1 | ENE 9,8 35 "i Il | | | | si | Maggio ...... 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"769,60 8 I Medio. .- .. annuale del barometro $ 756,29 Escursione barometrica annua = mm. 28,95 Li Minimo | 740,65 È Sa a E O OSSERVATORIO DI VALVERDE IN PALERMO DURANTE L’aNNO 1905 Altitudine della Stazione m. 72,2 Latitudine. . . . . = 38%6% | | UVOLE PIOGGIA GIORNI CON e‘9+‘-=«,’r_—_—_/Pt__—_—É _ (Fr __—r — -—°1!1111ll(«€(*{x° _-È-È< E —C_C°cc E GIORNI PIOVOSI 12 VENTO FORTE TUONI NEVE Z L | n | $ | lg 42,1 ERE I I 70,30 | 6.7.8.17.28 2 1.2.4.15.20 20 19 | 58,1 | 9.10.11.12. 18.14.15, 16172021 97,30 || 3.14.15.20.21.22.05.28 21.23.24.25.26 | 13.14.15.16.26 | — W3 | 51,7 | 1.3.4.5.8.9.23.24.25.26 35,50 | 1.17 9 —_ 9 fis | 192 5.17.18.19.2228 4945 | 6.15.17.22 si a au MU | 473 | 9.10.11.13.15.27.28.29 54,45 | 5.8.12.13.28 270 — — | i; 65,4 || 8.13.14.25 39,30 || 11 = — — ; 80,2! 15.25.26.27 10,85. | - 15.25.26 _ sr | i 85,6 | 19 1,35 | 6 - Da fa ID] 67,4 || 2.20.21.27 14,70 = 2.20.21.27 — = \ | 37,9 || 2.3.4.9.10.11.12.13.14.16.17.21. 14920. || 2.3.5.9:21.24.25.26.27 9.90 = 9 | 25.26.27.29.30 | Mi» | 40,5 | 2.6.11.12.13.14.15.16.23.24.25.30 65,70 || 5.6.12.13.14.15.19.22.23.25 2 = ES | | 36,0 || 1.2.3.5.6.7.9.11.12.13.14.15.16.17. | 227,85 | 29.30 6.10 _ — 18.23.24.25.26.27.28.29.30. 31 | 5 | 53,5 = = = = _ — Massimo . . . | 9851 IMEd LO NEO annuale del termometro 13,12 Escursione termometrica annua = 380,6. Minimo. . .. | CIO Massima forza del vento = Km. 56 alle ore 18 del giorno 21 febbraio RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUITE NÌ 1 er | BAROMETRO Termometro centigrado | VENTO ii | | Ì | e Rap n a | | È | È | E | | | È | E) s È pit do E | Mede i E E sE 2° | [Et E ae ERE E E 2 = AI E £ È g o! | Ri e fio a ca et ni eo E = AE 3 SS TA I MS ES Ro slsl| # (sl I |s (alle ad eee . I | [ES | [= |él | [VA hi i | | | | | hi Ada repera perg I desi Forleo sr I | | | | | | | | | | 6 | | mm | | mm mm. | | | | | | km. km. Î | Gennaio. ..... 167,10 | 5 |75848| 74010] 22 | 199| 11 | 1119] 18 | 26 | ssw | co| ss | wall | | | I | i | si Febbraio. . .... 61,90 | 26 | 5128| 3340| 7 | 221] 28 1081] 10 | 12 || SSw | 101| 55 | S { Marzo se 7.50 | 6 | 5632] 4180] 23 | 286| 22 | 1320| 20| 8 | nw | 7z0| 4 È parle so: 6550 | 4 | sz01| 4150] 18 | 27z9| 18 | 15241 22 1 | ENE | 64/| 52 S Maggio ...... 61,15 | 29 | 5768 4350) 16 | 296| 31 | 18.00| 70 | 4 | ENE | 67 | 29 SS) | | | | | Î | | - (Cui sonia 60,50 | 27-28! 55.10 | 47.00 14 30,8 2 22,38 | it all | ENE 5,5 30 v [ipo e 59,90 | 4-17 56.00 50,70 | 29 304 5 25,09) 15.0 17 ENE 5,9 28 SSW | Agosto. ....... 61,20 | 31 | 5657| 5200) 11 | 391) 10 2646] 147] 22 | ENE | 61 | 33 || s$ } | Settembre. . ... 63,50 | 27 | 5753| soso| 1 | 338| 1 |2313| 95 | 29 | ENE | 55| 35 | SS | | | | ; | Ottobre ...... 6230 | 21 | 5681| 4460| 15 | 255|1420]|1946| 95 | 24 |ENE-SW| 43 | 36 | S Ì | | | | | | Novembre. . . . . 66,30 | 24 | 5810| 45,60| 1 | 281| 7 |1661| 60| 27 ENE | 63 | 54 A | Dicembre. .... 61,50 | 13-23 | 52.42 42.69 10 20.9 | 8 | 11.06| 15 |20.23 SSW 9.9 45 SSW | | | | j Medie, estremi e | | | | | | | i fotali annui ..|\ (150| — |"56.11; 3340| — SIA = 10,18) 1.0 — | ENE 6.6 55 SST | | | | SSW | | | | | | I | Massimo 171,50 | J | Medio. . . .. » annuale del barometro <$ ‘(56.11 | Escursione barometrica annua = mm. 38,10 | | Minimo. ... ) | 733,40 i | o_o || Altitudine della Stazione m. 72,2 Latitudine. —= 982.6”. PIOGGIA GIORNI CON __T___——————rr——P—_———— —_m_mPmm______r_r__r_rccerweowaàazÀ4m4jÒm->.:: 8 GIORNI PIOVOSI LE VENTO FORTE TUONI NEVE È o + - bj Ra 5 DN 24,6 || 2.3.4.5.8.9.16. MASFORIZZZO 127,04 | 7.9 29 —_ = 28,9 || 1.2.3.4.5.6.7.8.9.10.12:13.14.15. | 183,80 | 1.6.10.12. 1.10.12 10 1.10 16.17.21.22.23.24.25 | 50,6 || 1.12.24.25.27.28.29.30.31 43,05 | 10.12.22.26 _ — = 44,8 || 1.5.6.7.9.25.27.28 23,55. || 18.25.27 _ _ _ 48,1 || 2.9.10.11.15.16.17.20.22 30,32 = 22 = — 59,3 || 13.14.15 10,05 | 15 20 —_ — 73,1 13 0,25 || 14.15 = = noi 81,0 || 29 13,95 | 10.20 29 —_ —_ 59,0 | 26.27.30 18,80 | 11.12 xi 2 ad 44,5 || 1.7.12.13.15.16.17.19.29.80.31 56,09 | 15.16.31 (.11.12.14.15.16 — — 45,8 || 1.2.12.13.14.15.18.20.21.29 78,60 | 3.19.29 19.20 = O RNNI 31,0 | 2.3.4.5.10.11.12.13.14.15.16.17.18.| 208,00 | 5.6.9.10.15.14.15.27.28.30 5.11.15.16.30 11.15.16.30 11.15 19.20.21.22/24.25.26.27.29.30.31 16.17 49,2 = (93,50 = _ = Sa Massimo . . . 39, 1 Medio annuale del termometro < 17,78 Escursione termometrica annua = 889,1. Minimo. . . . | 1,0 Massima forza del vento = Km. 55 alle ore 15 del giorno 6 febbraio RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUIT E | Î | BAROMETRO | Termometro centigrado | VENTO | | ET" | —T T_—_——_—{1{ssss‘+—+— __ _ | © S © Ci Ss s 2 MESI: cao AS Sell e Oa a esa E 3 | & | E Lo] Z= = Sia 3 Zi S 3. È S e 2 S| & g È =“ S 53 2 | = 3 | [at sai È | A È Ss SÙ ; | | | mm. mm. mm. | | km km | | Gennaio Ss | (70,60. | 25. | 759.79 | 745,80 | 31 || 181 2 946| 0,0 9 | SSW 44 45 | Febbraio... ... | 6240| 28 | 5178| 3850) 8 | 164| 24 | 970] oo | 24| ssw | 52] 85 EMATZOR Ot rate | 63,80| 22 50:99) 455012 184 | 20 |10,62|—04| 16 | ENE 4,8 35 (FA priletstar az | 61,30 | 30 50,98 | 38.30 | 18 2854 | 2% | 1447] 5,0 10 | WNW 93 33 | | | | Maggio... 61,90 | 3-4 56,08 | 4800 | 18 | 27,8) 17 |18:90| 60 1 | ENE 3,8 23 EEE dì | 60,20, || 22 55,86 | 49.80 2 30,6 | 13 |21,92| 10,6 00 E 5,2 28 Imnagos e ov000 e | 61,20 | 10 56,23 | 51,50 2 32,9 | 122 || 24,92] 135 | 8-12 | E 4,5 24 [PA\C:OStO MENSE | 61,00 td DION MIO | 34,4 | 13-16 | 2652| 15,9| 25 | ENE 4,7 28 | | Settembre. . ... | 61,70 8 DI(548 MI 5250029 34,0 | |l23w0)| 143 | 250] CENE 3A 34 Ottobre. | 6320| 11 56,24 | 46,80| 25 | 308| 16 |2123| 94 29 | S 4,5 53 Novembre. . ... | 63.40. | 29 57,22 | 4390 SI 31:52 EL6:93]|M5:8 20 | NW 5,0 34 Dicembre... ... || ‘70,50 | 18 58,20 | 46,60 | 29 | 20.6) 1i |13.33| 1,0 18 | S 6.5 34 | | Medie , estremi e | I totali annui ..| (0,60 — | 56.32 | 738.30) — | 344| — |1764|-04| — ENE 5.1 53 Ì l Il Massimo . . . (0,60 Medio. . ... annuale del barometro (56,52 | Escursione barometrica annua = mm. 32,50 Minimo. . .. | (38,30 | OSSERVATORIO DI VALVERDE IN PALERMO DURANTE L'ANNO 1907 Altitudine della Stazione m. 72,2 Latitudine. 389.6”. Massima forza del vento = Km. 53 alle ore 5 del giorno 25 ottobre PIOGGIA GIORNI CON \_TTe=:.. "* T——0V>F 5TFP> P>P?PrP-2<-| _—_— AAA: ————z————_—€_6 a È SE E 5 d Dr GIORNI PIOVOSI EÉ VENTO FORTE TUONI NEVE È ‘A SHE <* ® Si fsi © E (do) D | | 32,7 || 1.4.5.6.7.8.9.10.11.12.13.14.18.20. | 133,95 ‘| 25.26 8 6.7.8.24.31 8 22.23.27.28.30.31 | 19 | 29,1 || 1.3.4.5.7.8.9.10.11.12.14.15.16.17. | 135,58 || 8.13.21.22.25 4 1.4.7.26 4,5.22. 21.29.25:26 | 26 id | 44,6 | 6.8.9.10.12.13.14.15.16.24.25.27. 74,65 || 11.21.22 13.15 13.29 13 28.29.30 3) | 39,5 | 2.3.4.5.6.13.14.15.16.17.18.19.20. | 160,55 | 2.4.5.7.10.11.15.16.19.27 13.18.19 _ = 29 18 | 51,7 | 2.3.6.18.19.29.31 15,85 —_ —_ = de 38 | 69,7 | 14.15.16 20,60 = 15.16 —_ _ 30 | 81,0 = = = = —- — s9l (89; i —_ 110.22 - = 2a 3) | 48,5 | 11.16.17.18.19.21.22.23 66,70 = 11.18.20.22.23 = — 39 | 41,0 || 5.6.7.14.18.19.25.26.27.28 57,25 || 17.25.30 6.28 — —_ ,6 | 34,4 || 3.4.5.7.8.10.15.17.18.19. 20.21.22. 58,35 || 3.9.10.12 3 — = 23.25.26 ,2 | 43,8 | 2.3.4.5.7.8.13.14.15.16.27.28.29 69,35 || 3.4.7.15.29 4.8 = 4 39 | 50,5 - (92,83 = — = — Massimo . . . | 34, 4 Medio. . ... annuale del termometro 17,64 Escursione termometrica annua = 349,8. Minimo. . . . Î — 0, 4 Pichi da rg faglia Mi PAT e ie ie So ; a spal: ago Fe an = des + esc (E) RE TINA Postale ui ta do "ANGRI Sl lt pi alta tf tp ge e AGE DELLA REALE AGGADEMIA DI SCIENZE LEIITERE E BEER AR DI PALERMO TERZA SERIE (Anni 1904-5-6-7) Volume VIII. n PALERMO Stabil. Tip.-Lit, dell'Impresa Generale d’Affiss. e Pubblicità GIÀ F. BARRAVEOCHIA E F.® 1908 ATTI DELL'ACCADEMIA DI SCIENZE, LEN GdF DI PALERMO che fu già Aecademia del BUON GUSTO —— PRIMA SERIE Saggi di dissertazione dell’Accademia palermitana del Buon Gusto anno 1755. Saggi di dissertazione dell’ Accademia palermitana del Buon Gusto dopo ta VAIL MIO IAN III 0 gno 60) NUOVA SERIE Atti dell’Accademia di Scienze e Lettere di Palermo MOTI AR A o MIRO CR So INFOLINE. e ala OVE TINE GRANI IERI RS) VOI O I O IR INSAE a S0O) VOM RA I SA I I PAR II GEA SCANIA SACE VOLEVA SRO RSI ZA AA SO Mov eo O A AE IR RO o ao /3=00 NEVI RI Ne I ICI MEO e MOT ERA get SRO Se SI NO EAVA BURRI GERE RA A OO Pao a SÌ NONE LI AI O INTE LINE IONI Le) 1 A OR OI SSIO Vol. X PROSA NR ARCI RE IRE RINTO na SCSI, TERZA SERIE Atti della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti NOLA A PO RO E AN III Ri O SOI VOS! AI ERA e SI OI UT O OSO VO ERA e O e a ISO Motivi i E E RI OR O 900 VOLANTE e VO RSI e 009 MONT MR o VM e OOO VINI LC OE e 9022908 Vl VIII RA 07 e SI a eta 000 SATO eee7( e EN DIN MM | » % tao LADA 6 ZZZ ° 4 a de L b Na S ®» \