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EFovolay tyw yuoTioer zed cb PobAopar, tds xatà tov dAiwy afwyàs txyw-
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d) L'interpretazione più larga del diritto d’uso, secondo cui il titolare
ha facoltà di locare una parte della casa, purchè egli vi coabiti, di per-
cepire dal fondo frutti, sia pure in modica misura, non che gli alimenti
per i bisogni proprii e della sua famiglia, di avere poco di latte dal gregge,
di ricavare mercede per le opere del servo o degli animali dei quali avesse
l’uso, è opera di Giustiniano 5. Tra i frammenti interpolati a tal uopo
63 I caratteri formali della interpolazione non mancano ; così l’uso del verbo com-
pellere, la frase introduttiva ita demum che serve ai compilatori tante volte per saldare
un'aggiunta nel mezzo di un periodo; il comparativo neutro dustius.
64 La dimostrazione più completa è data dal Bortolucci in Bullettino IDR. vol. 17,
p. 314 e seg. Confr. anche Fabro, Ration. ad h. 1., il quale ‘esagera attribuendo tutto il
fr. a Triboniano; ma bene egli richiama la Nov. 99. che mette in piena luce la ten-
denza del diritto giustinianeo.
6 Ma nello scolio 1, Cirillo dà la versione del testo. giustinianeo.
66 Cf. il mio scritto negli studi in onore di V. Scialoja I, pag. 581 e seg. La tesi
da me sostenuta è stata nel frattempo messa in dubbio dal Perozzi |Inst. p. 503 n. 2;
cf. anche Bonfante Inst. p. 299] il quale ritiene quella dimostrazione più abile che
vera. Non è qui il luogo di chiarire l’equivoco in cui il Perozzi incorre nel manifestare
i suoi dubbii; perchè da essi attingo il convincimento che noi, nel secolo X.X e dopo
tante elucubrazioni sull’uso e usufrutto, non abbiamo ancora un concetto, nemmeno
approssimativo, del valore dei termini uti e frui presso i Romani. Così può spiegarsi
il fatto che il Perozzi colloca tutti gli esempii che dànno le fonti in unica fila, am-
mettendo tutt'alpiù fra essi una progressione quantitativa: recipere hospitem e pensio-
nem accipere; uti stercore e lacte; uti pomis, floribus, aqua etc. e frugibus, frumento, oleo
ete., formano unica categoria; e soltanto così può arrivare il Perozzi a conchiudere :
che già i giureconsulti del primo secolo concedevano all’usuario una certa partecipa-
zione ai frutti, e che conseguentemente la interpretazione più larga del contenuto
dell’ uso non può essere giustinianea.
Or appunto in ciò consiste l’errore, nel ritenere che la coabitazione con la moglie e
i servi, l’accogliere ospiti in casa, l’utilizzare il concime, il godere dell’acqua e dei fiori,
il passeggiare o farsi trasportare in lettiga, l’uso di strame, sarmenti e frutta da ta-
vola, e cose simili costituiscano utilità annoverate dai romani in fructu, siano cioè nel
significato tecnico fructus. Il Perozzi dovrebbe anche oggi, con le nostre progredite
condizioni economiche, trovarsi imbarazzato ad annoverare in fructu parecchie delle
voci soprariferite !!
L'argomento merita quindi di essere meglio considerato nella direzione qui di volo
toccata, e quanto prima vi ritornerò io stesso.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS 19
spicca nei Digesti il fr. 12 $ 1 (7-8) che contiene i seguenti periodi: sed
Sabinus et Cassius et Labeo et Proculus hoc amplius etiam ex his quae in
fundo nascuntur, quod ad victum sibi suisque sufficiat sumpturum et ex
his quae Nerva negavit e più oltre: sed melius est accipere et in oppidum
deferenda, neque enim grave onus est horum, si abundent in fundo. Questo
accordo solenne dei corifei delle due scuole, relativamente alle facoltà più
larghe attribuite all’usuario, riesce inesplicabile; perchè già nel tratto che
precede Sabino e Cassio, ed in correlazione anche Nerva, discutevano le
singole voci di cui l’ usuario potesse trar profitto; discussione del tutto
vana, se veramente la formula più comprensiva ora trascritta: ex Ris quae
in fundo nascuntur, fosse stata già approvata dagli stessi giureconsulti.
Ulpiano invero riferisce la trattazione di questo punto di diritto da parte
dei giuristi del primo secolo nei termini seguenti:
Sabinus et Cassius et lignis ad usum cottidianum et horto et pomis et
holeribus et floribus et aqua usurum, non usque ad compendium, sed ad
usum, scilicet non usque ad abusumi: idem Nerva, et adicit stramentis [et
sarmentis] 5 etiam usurum, sed neque foltis neque oleo neque frumento neque
frugibus usurum.
A chi legga questo brano non può sfuggire l'osservazione, che se Nerva
stimò dovere aggiungere ancora due voci: strame e sarmenti, vuol dire
che le medesime erano da Sabino e Cassio escluse 0, perlomeno, omesse
nella loro trattazione; quell’adzectto presuppone di nuovo e necessariamente
che Nerva non conobbe la formula più comprensiva attribuita nel seguito
del fr. a Sabino, Cassio, Labeone e Proculo. La struttura logica del passo
è quindi condannata in maniera irreparabile.
E se si procede avanti nei confronti, in base agli esempî genuini che
troviamo nel fr. 12 in esame, i risultati sono conformi e nella stessa mi-
sura invincibili.
Nelle Inst. II, 5, 1 sì dice di chi ha Vuso: nihil wlterius habere intel
legitur, quam ut oleribus, pomis, floribus, foeno, stramentis, lignis ad usum
cottidianum utatur.
Il brano è ricavato da Gaio rer. cott. il quale riproduce la dottrina di
Sabino, Cassio e Nerva, con gli stessì esempii, se ne togli il fieno, che
sì leggono nella parte genuina del passo dei Digesti.
6° Ho voluto mantenere nel testo le parole et sarmentis che mancano in tutti i libri
latini; ma Stefano nello Sch. 18 a questa legge (B. 16, 8, 12) le riporta: xaì 7oîs ggb-
yavors, e ciò dimostra che effettivamente Nerva ne aveva fatta menzione. Ma non per
questo si è autorizzati, come ha creduto il Mommsen, ad inserire la voce nel testo uf-
ficiale di Giustiniano ; il lettore troverà in seguito , nell’ esame dello sch. cit., ragioni
decisive per escluderle.
20 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
Or Gaio non avrebbe potuto ignorare la formula più larga attribuita ai
più grandi giureconsulti del primo secolo, tra i quali figurano i suoi mae-
stri ed i suoi autori: nè l’ avrebbero in modo alcuno potuto ignorare gli
esemplari dai quali traeva le dottrine, dovunque si vogliano ricercare, a
qualsiasi tempo far risalire.
Teofilo non va preso in considerazione, per ora, perchè riproduce il
passo delle Istituzioni: e così pure non si può tener conto di uno scolio
applicato al cap. 46 dei Bas. 60, 12 “: perchè esso deriva come prova
un segno rivelatore, cioè la voce yégtov = foenum. da una summa assai
stringata delle Istituzioni, di cui si hanno varie tracce nelle fonti greche.
Ma un termine di confronto assai prezioso per la determinazione genuina
del diritto di uso è fornito dallo scolio seguente: # dì yp7ots porn peerzi)
Eotw, olov è AapPadvew Xayava, Î Grbpas 7) 05) ia, î Egedv Eiov, di
Drov. 89
Questo testo non coincide, nè per la forma nè per gli esempî, con la
summa delle Istituzioni di sopra ricordata, ed è pure indipendente da Teo-
filo; esso ha invece riscontri significanti con la trattazione ulpianea di
questo punto di diritto nell'opera ad Sabinum. Soltanto Ulpiano nel fr. 10
$ 4 D. 7. $ adopera rispetto all'usus una frase che ci è conservata per
metà. ma che differenziava, come sembra, il nostro diritto dall'usufrutto
per la quantità ed insieme per la qualità del godimento. Scrive infatti
Uipiano: minus utique esse quam fructum longeque [aliud ?]; il pe01f del
passo greco potrebbe rispondere a quest'ultimo concetto. Nello stesso squarcio
poi dell’opera di Ulpiano seguivano gli esempi riportati nel fr. 12 $ 1
sopra trascritto: e come qui non è ricordata la voce foenum così essa
manca nello scolio: laddove le Istituzioni imperiali, Teofilo, e l’altra summa
del testo giustinianeo la comprendono ?°.
Ancora, un altro scolio per dar ragione dell’indivisibilità dell’usus arreca
due esempî ricavati dal fr. 12 $ 1. e cioè dal tratto genuino: lo scoliaste
osserva: où yàp divatai cis peprn®s inrdlteohar, i) reprrarsiy “1
Ma sopratutto poi è rimarchevole l'Indice di Stefano ? nel punto cor-
rispondente al fr. 12 $ 1. La parte genuina del testo ulpianeo è resa alla
lettera, con perfetta misura, con tutti i nomi dei giureconsulti che vi oc-
corrono, ampliata di un esempio #630t5 7vY6v apposto alla parola flor2bus
68 Sch. 4 (Heimb. vol. 5 p.- 489).
69 B. 16, 8, 2, sch. 1 (Heimbach 2.. p. 201).
70 Nello scolio fa difficoltà la voce g5)}x la quale è riferita male. come io credo,
invece di gu))4dx = stramenta.
71 B. 16, 8 c. 19 sch. 1 (Heimb. 2 p. 204).
72 B. 16, 8, 12. Sch. 18 (Zacharià p. 118).
PER LO STUDIO CRITICO DEL © CORPUS IURIS CIVILIS , 21
e di una nota per dar ragione della voce folla di cui Nerva negava al-
l’usuario il godimento: tadte yàp eîs drotpovily fwoy te rai tOv 4AXwy
Opeppatwy zo:eî. Invece i periodi giustinianei sono riferiti liberamente : or
sono omessi i nomi dei giureconsulti: twvég pévtos; or il testo latino è am-
pliato con ripetizioni inutili; ripetuti sono gli esempî di Nerva senza al-
cuna necessità; la proposizione latina: ex his quae in fundo mnascuntur,
è resa, per dare un esempio della versione faticata, nel modo seguente :
ÙTI HaÙ TOÙsi TIMTOLEVOLGI KATÀ TÒV dypòv.... nel pijapovov Tote tixto|pévoe TÀ.
Come mai possono giustificarsi queste disuguaglianze nella versione di uno
stesso tratto ? Perchè mai Stefano, in presenza del testo legale giustinia-
neo, che accordava all’ usuario anche la facoltà di servirsi delle foglie,
avrebbe sentito il bisogno di dar ragione della esclusione sostenuta da
Nerva, ricordando che esse sono adoperate per mangime del bestiame ?
Le difficoltà si appianano e la spiegazione corre svelta ove noi suppo-
niamo che l’Indice di Stefano in quel punto risulti costituito da due strati
diversi; uno pregiustinianeo, che si riferiva al testo genuino di Ulpiano,
e conteneva in più le parole et sarmentis, omesse da Triboniano ?;
l’altro sovrapposto da Stefano, che confronta e interpreta la nuova reda-
zione del passo nella raccolta ufficiale.
E l’esperienza nel senso ora indicato non è fatta da me la prima volta;
chè lo Zacharià 7 aveva già osservato in altri scritti lo stesso fenomeno.
Nell’ esame dell’opera di Taleleo al Codice egli notò che la versione e
l'indice delle costituzioni più antiche differiscono in ogni rapporto dalla
versione delle leggi di Giustiniano ; infatti le più recenti, come egli av-
vertiva, rendono liberamente il senso della legge, mentre le antiche rap-
presentano il testo latino alla lettera e con precisione. Nelle paragrafe ri-
conobbe le stesse disuguaglianze e in misura più rimarchevole. Dunque,
se, come s'è visto avanti, non può essere dubbio che Taleleo trasse dalle
collettanee più antiche traduzioni e paragrafe che inseriva nelle sue elabora-
zioni al Codice, lo stesso sistema dovette pure essere seguito da Stefano per
rendere in greco e illustrare le Pandette. Nè questo è tutto; chè i rima-
neggiamenti di esemplari più antichi, operati dai coevi di (Giustiniano,
nemmeno sfuggirono all'analisi acutissima dello Zacharià, il quale a pro-
posito dell’Indice di Isidoro al Codice vi riconobbe “tracce evidentissime
di aggiunte di nuovi precetti nel testo di costituzioni più antiche, che
fanno ritenere probabile il rifacimento di una redazione più antica , ??.
78 Cfr. nota 67.
74 Zeitschrift SS. vol. 8, pag. 25, 39.
7 L. c. p. 62. S' intende poi che lo Zacharià tira in campo quella solita infelice spie-
gazione, del rifacimento dei lavori compiuti sulla 1% edizione del Codice.
22 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
Noi ci troviamo quindi di fronte ad un metodo di lavoro non partico-
lare ad uno scrittore, ma comune ai primi interpreti della compilazione
di Giustiniano ; la dissimiglianza nel rappresentare i testi latini in una
stessa opera, non dipende dal capriccio dello scrittore ma svela l’indole di-
versa e la ineguale capacità degli autori di due epoche distinte.
Per l’opera di Stefano poi in particolare. e per il punto disopra esami-
nato. bisogna richiamare alla memoria che i libri di Ulpiano ad Sabmum
furono nelle scuole orientali studiati e comentati con predilezione; è quindi
molto probabile che ne esistessero versioni letterali utilizzate poi con van-
taggio nel secolo VI dai coevi di Giustiniano.
E se così è, non può arrecare meraviglia che le fonti greche abbiano
sull'argomento dell’uso copiosi elementi classici. che escludono qualsiasi fa-
coltà dell’usuario a trarre profitto dei fructus della cosa; chè anzi, se bene os-
serviamo, cotali sopravvivenze attestano, quanto fosse ancora larga presso i
Greci del secolo VI la sconoscenza di quella trasformazione sostanziale,
che il diritto d'uso aveva subito nella compilazione di Giustiniano.
Ma se i redattori delle Istituzioni latine ignorano la riforma. se la ignora
Teofilo e l’altro epitomatore greco, si ha motivo di ritenere che essa
non fu nota alla scuola d'Oriente. Non è concepibile attribuire al solo
Gaio l’ attardarsi per sei secoli. fino nei libri di Giustiniano, e fuori di
questi. d'una dottrina che si pretende già superata da Labeone e Sabino.
Non è possibile che gli “eroi beritesi. nutriti alla scuola di Ulpiano, che
certamente conoscevano il testo originale del fr. 12 $ 1. proveniente dal
commento ad Sabinum. non abbiano poi esercitata un'influenza decisiva
nella tradizione giuridica orientale, conforme al testo classico.
+. Interpolazioni giustinianee trasportate nelle versioni o
sunti greci.
Con l'esame di quest'ultima categoria la dimostrazione che qui si vuol
dare deve attingere il colmo dell’evidenza. Poichè i coevi di Giustiniano,
se è vero che ebbero per le mani le elaborazioni fatte dai loro predeces-
sori sui libri dei giureconsulti, dovettero poi necessariamente sforzarsi, e
nel comporre nuovi manuali e nella revisione di essi, a ridurre gli elementi
vecchi in armonia con i testi ufficiali. Gl’interpreti quindi dovettero per
conto loro ripetere sulle fonti greche. quanto già Triboniano con i suoi
colleghi avevano in larga misura operato negli scritti latini: e cioè per via
di aggiunte, di ampliamenti dei sunti più antichi o di innovazioni dei
testi, tentarono ristabilire quella concordanza troppo spesso turbata da Tri-
boniano.
Or relativamente ai passi greci. come già per i latini. varî segni possono
soccorrere per mettere in luce siffatti rimaneggiamenti: qui sarà la strut-
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ,, 23
tura ineguale del passo indizio sicuro ; altrove sarà il contrasto tra due
periodi consecutivi, vieppiù insopportabile in un sunto o in una annotazione;
in un altro punto il brano addiettizio conserverà ancora l'impronta d'una
nota marginale; ed infine altre anomalie o semplici inconcinnità possono
avviarci a riconoscere nei passi greci varie stratificazioni.
Nelle pagine che precedono, furono già esaminati, per connessione di
argomento, parecchi esempî che presentano l’una o l’altra delle caratteristi-
che enumerate; nel paragrafo presente quindi l’analisi, diretta di proposito
a porre in evidenza i casi più salienti di quest'ordine, può essere più breve.
a) Riattaccando il discorso sull'argomento dell’uso, merita attenzione
il cap. 12 $ 2 B. 16, 8 ” ricavato dall’Indice di Stefano, così concepito:
"Eàyv dying Tpopdmwy ypmows pon Amnyatevbf, siyontar ci xérpw Teù
\
,r
t
TÒ Xotpica:: où iujv to Eplw 7) to yaXaxt, [TAV perpiws: tàstàe yvbpas
TOY TedeviWyTwy od det otevosg Ecunvevety].
L’esemplare latino forma nei Digesti il fr. 12 $ 2, VII, 8, dove è ri-
conoscibile l'aggiunta giustinianea del seguente tenore : Hoc amplius etiam
modico lacte usurum puto: neque enim tam stricte interpretandae sunt vo-
luntates defunetorum 7.
Nella versione greca intanto le parole zAv patois si riferiscono a tutte
le voci che precedono nel testo, e l’eccezione stabilita da Triboniano solo
per il latte si estende, per una legatura mal fatta, anche alla lana ed
agli agnelli. Ciò prova secondo me che il sunto greco, nella sua prima
redazione, fu estratto dal passo originale di Ulpiano, cui fu adattato in
seguito, mediante una glossa marginale, il periodo giustinianeo. E il lega-
mento sversato, che nel nostro caso poi offende il contenuto del testo
latino, contrasta vivamente con la summa che precede, misurata nelle pa-
role e precisa.
b) Speciali divieti di matrimonio conosce il diritto romano, stabiliti
per motivi di dignità e per rapporti di ufficio. Ai Senatori è inibito il
matrimonio con liberte, donne di teatro o inonorate: tutori e curatori non
possono contrarre nozze con la pupilla; magistrati delle provincie non pos-
sono sposare una donna nativa o domiciliata nel territorio amministrato.
Ma il divieto per sè non colpisce gli sponsali. E la ragione sta in ciò, che
la promessa di futuro matrimonio non costituisce un vincolo giuridico; ma
ha, perlomeno nell’età della giurisprudenza classica, prevalentemente, im-
portanza etico-sociale. Il diritto se ne occupa riguardo ad alcuni effetti
particolari, in quanto la promessa già mira a preparare e porre in ordine
il legame giuridico del matrimonio.
#% Heimbach II p. 202; (Zacharià p. 118).
© Cf. il mio scritto citato sull’usus p. 597.
24 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GiURIDICHE BIZANTINE
Il divieto quindi di contrarre nozze. se la causa ne è transitoria, non
ha influenza sugli sponsali. Ciò è attestato per gl’impuberi. ed espressa-
mente da Paolo per i magistrati delle provincie ‘5. Che se l’impedimento
al matrimonio è permanente. gli sponsali sono inutili, come affermò la giu-
risprudenza riferita da Ulpiano, rispetto ai divieti stabiliti per le persone
dell'ordine senatorio ?9.
Tracciata questa norma, la quistione della possibilità degli sponsali dei
tutori, curatori o loro figli. con la pupilla è decisa. Tra tutte queste per-
sone l’inibizione del matrimonio è temporanea, determinata non da motivi
etici. sibbene dalla responsabilità che incombe al tutore per l’amministrazione
dei beni della pupilla. e non induce la impossibilità degli sponsali.
La prova di quest’affermazione, per quanto attiene alla giurisprudenza
classica. si ricava da quegli stessi testi che furono da Giustiniano modificati;
ed infatti soltanto Giustiniano, procedendo in questa materia con maggiore
miticolosità, estese il divieto anche alla promessa di futuro matrimonio.
Tra i passi interpolati a tale effetto 3° merita speciale considerazione
un testo di Modestino che riferirò in confronto conla versione greca che
ne danno i Basilici.
D. 23.1,15. Tutor factam pu- | B.28,1,13.°0 yevépevos èritponos
pillam suam nec ipse uxorem | cò divata: yapety tijy dr adrod Ere
ducere nec filio suo in matri-
monio adiungere potest. sczas fa-
men quod de nuptiis tractamus. et ad
si
sponsalia pertinere
#8 D. 23. 2, 38 pr.... quamvis sponsare non prohibeatur; il seguito del testo 7fa scili-
cet... acceperat è interpolato.
79 D. 23. 1, 16: “ Oratio imperatorum... de sponsalibus nihil locuta est: recte tamen
dicitur, etiam sponsalia in his casibus ipso iure nullius esse momenti, ut suppleatur
quod orationi deest. Il testo in verità è sospetto per la forma, la sanzione è troppo
solenne ed è certamente bizantina: ipso iure nullius esse momenti, ed io ritenni. altra
volta, tutto il brano interpolato; ma dichiaro ora, dopo più matura riflessione, che la
sostanza del passo, perlomeno, è ineccepibile.
80 Il fr. principale in proposito è il 60 $ 5 D. 23. 2, Paul. 1. sing. ad Orationem divi
Antonini et Commodi: Quamvis verbis orationis cautum sit, ne uxorem tutor pupillam
suam ducat, famen intellegendum est ne desponderi quidem posse; nam cum qua nuptiae
contrahi non possunt, haec plerumque (?) ne quidem desponderi potest, nam quae duci potest
iure despondetur. La forma di questo brano è indegna di Paolo, la motivazione è falsa
(cf. Paolo D. 23, 2, 28 pr.) e va intorno al concetto saltellone: si può anche dubitare
che il giureconsulto avesse appunto in questo luogo proposta la quistione. Cf. Studî in
onore di Fadda, vol. 1, p. 306.
8! La interpolazione del brano riprodotto in corsivo fu da me dimostrata nel L. c.,
in base all’indizio della forma scias tamen adoperata di frequente dagli scoliasti greci=
i9:. mai dai romani giureconsulti.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS . 25
La versione è tratta dall’Anonimo, probabilmente discepolo di Stefano,
ed è notevolissima ai fini della presente dimostrazione ; poichè , come il
lettore vede, il testo genuino è tradotto alla lettera, riproduce i due verbi
latini che esprimono il concetto di sposare, laddove il periodo addiettizio
assume nel brano greco spiccato il carattere di una nota marginale, appli-
cata all'ultima parola del testo, senza alcun verbo : idem de sponsalibus.
Questa disuguaglianza del testo greco rispetto all’ esemplare latino sa-
rebbe altrimenti inesplicabile.
Ed altri esempi sono più rimarchevoli e, vorrei dire, infallibili.
c) Le più importanti riforme relative all'istituto della dote, annunziate
da Giustiniano in una costituzione dell’anno 530 8, furono riportate assi-
duamente nei frammenti dei Digesti.
Così, per le spese voluttuarie fatte dal marito sulla dote Giustiniano
aveva disposto nel $ 5 della c. citata : quod si voluptuariae sunt, licet vo-
luntate eius (sc. mulieris) expensae, deductio operis quod fecit, sine laesione
tamen prioris speciei, marito relinquatur.
Da questo esemplare fu formato per i Digesti un intiero frammento,
giusto il sistema seguito da Triboniano, almeno nei primi 34 libri del-
l’opera, di riprodurre con larghezza le nuove prescrizioni del suo Signore,
decorate con i nomi dei giureconsulti. Ebbe origine in tal maniera il fr. 9
D. 25-1, che figura estratto dal 1. 36 di Ulpiano ad Sab. Ma, per somma
ventura, quel che Ulpiano aveva scritto effettivamente in quel punto del-
l’opera, fu accolto pure nella collezione giustinianea, certamente per inav-
vertenza, e noi lo leggiamo nel principio del fr. 11 eod. nei termini se-
guenti: In voluptariis autem Aristo scribit nec si voluntate mulieris factae
sunt exationem parere.
Il confronto di questi testi insegna, che per le spese voluttuarie la giu-
risprudenza romana non accordò al marito alcun compenso; insegna pari-
menti .che lo 2us tollendi — affatto sconosciuto ai classici, perchè in con-
83 — fu creato da
traddizione .con norme fondamentali dello 4us civile
Giustiniano, che ne fece la prima e più cospicua applicazione nell’istituto
della dote. Tutti i testi latini, esaminati a dovere, concordano mirabil-
mente a confermare cotesti risultati.
Vediamo ora se tali esperienze trovano riscontro nelle fonti greche.
82 Const. un. 5.13; confr. la più particolare dimostrazione di quanto segue nel testo
in Bullettino I. D. R. vol IX p. 238 e seg., 281 e seg.; vol. 18 p. 213 e seg.
88.Alcune decisioni dei Proculiani, che interpretavano la legge de tigno iuneto più
liberamente (ef. Cuiacio, Observ. X, 4), offrirono ai compilatori l'occasione di creare il
mostruoso istituto; cfr. Archivio Giuridico vol. 53 p. 521 e seg.; vol. 54 p. 265 e seg.
Bullettino IDR. vol. 9 p. 239 e seg. ed autori ivi citati.
26 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
a) Schol. Sinaitica 20: [tà] pevzo: voluptaria IS dì a[rartei addì Xo]yt
(97)
S)
tal]
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ta]
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(97)
(S)
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XEW aDEd M yLvI, Se
abtà pi Pidrtovar cy dapratav d[b]w].
8) Schol. Anonymi 8: Tadra dì cà BodovrtApIa, driva ratà VOLA TÎS
) ,
mR Gara Get Ò Albi o)
Y) mena IV, 10.55 89: Kay yvopn cis yuvamòs yeybvaor tà reds
tepuuw daraviuata, cda drartodbvaai.
mot fenomeno. se si dovesse prestar credito a quella * absoluta
iuris antiquioris omniumque ommnino quae extra corpus iuris posita essent
ignoratione ,. La tradizione classica di questo punto di diritto è arrivata
attraverso una serie di vicende, che noi non possiamo particolarmente
indovinare. fino ad Armenopulo: il quale ci rappresenta, in due paragrafi
consecutivi (55 e 56), la dottrina pura dei giureconsulti riguardo al com-
penso delle spese utili e voluttuarie.
Lo scolio dell’Anonimo si parte dal fr. 11 pr. di Ulpiano, che come fu
detto è genuino: riproduce inopportunamente una frase classica, %xovoav
aòtiv che noi leggiamo in un testo latino di Paolo 3%; e dopo tutto ciò
chiude con 7 parole: îv © &viyeta: adtij eprarpsîiv adtà fPovAbpevov che
toccano , alla svelta, I aggrovigliato e prolisso fr. 9, onusto della grave
riforma giustinianea.
Lo scolio Sinaitico presenta l'identica struttura ; il fr. 11 di Ulpiano
precede, rinforzato, nella veste greca, con due negazioni odéè — oddé, che sono
immediatamente annientate da un'aggiunta : eî pi) doa — dbw, abbastanza
pedestre nella forma, insopportabile per la complessione logica del passo.
Dopo tutti questi riscontri. voler negare che il fr. 9 dei Digesti fu for-
mulato di pianta dai compilatori per far posto alle nuove disposizioni
emanate nel 530 da Giustiniano ; voler negare che nello scolio Sinaitico,
come nella nota dell’Anonimo i periodi finali, applicati al contenuto del
fr. 11 pr., siano semplicemente, nel primo un adattamento del fr. 9 alla
versione già esistente del testo classico ulpianeo, nella seconda una glossa
84 B. 28, 10. 11. Sch. 1; (Heimbach, 3 p. 298).
85 Coincide con il c. 11 dei B. 28,10; Synopsis 7, 39, 66; ma cf. Bullettino cit.
vol. 18 p. 215.
86 D. 50, 16. 79, 1: querum nomine onerari mulierem ignorantem vel invitam non
oportet. Ma il giureconsulto si riferiva qui alle impernsae utiles, e soltanto per queste la
voluntas mulieris era decisiva nel diritto classico. Ne segue, in maniera incontrovertibile,
che le parole ix0v72v 20777 furono inserite nel testo dopo, insieme ed in correlazione
al periodo finale, per rappresentare alla meglio la riforma di Giustiniano.
(i)
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS TURIS CIVILIS 27
marginale inserita al medesimo scopo, è lo stesso che negare la luce del sole.
Ma, mi si dirà, che osta, per lo meno, la credenza ferma della genni-
nità del documento Sinaitico, il quale, essendo un prodotto della scuola
antegiustinianea, non può mai contenere i freschi rivoli della sapienza le-
gislativa che erompono nel sec. VI. Or cotesta credenza, nella sua esclu-
sività, non ha per fondamento che il vecchio motivo, quel cotale pregiu-
dizio che ho voluto disfare in queste pagine. Se si ritiene invece, quel che
è poi più ragionevole, che gl’interpreti della compilazione non ebbero l’au-
dacia di affrontare %/otis manibus i grossi volumi di Giustiniano; se si
ritiene che essi non ebbero la semplicità supina di riporre tra i ferri vecchi,
come ciarpame inutile, tutte le illustrazioni dei “ maestri dell'universo ,,
sulle fonti romane, allora anche il documento Sinaitico, che porta la tra-
dizione della scuola orientale, si ravviva di nuova luce.
I fatti del resto non si discolorano nè s’arrestano di fronte a deduzioni
metafisiche. Gli scolii Sinaitici hanno altre tracce di elementi giustinianei;
il $ 18, formula la distinzione tra le impensae in rem e quelle in fructus
ed è ricavato dal fr. 3$ 1 D. 25, 1 che è fattura di Triboniano 57; le pa-
role della chiusa del $ 2: xaì peygì tod èurA0d sono una semplice versione
delle parole usque ad duplum che si leggono nella c. 5 Cod. V. 1; la quale,
se nel Codice porta la data del 472 ed è attribuita all’imperatore Leone,
in verità, per quanto si attiene alla mitigazione della pena al duplum e
per le altre riforme più salienti, è una legge di Giustiniano messa insieme
con pochi elementi Leoniani 8°.
Tutto ciò prova semplicemente che i Bizantini non solo si avvalsero
delle collezioni antegiustinianee per comporre i loro Indici o le Paragrafe;
ma, in perfetto riscontro, dovettero tenere per le mani, assiduamente, gli
studî dei maestri della scuola di Oriente sui libri de’ classici, adoprandosi
come meglio potevano per ridurli in concordanza con la compilazione uf-
ficiale.
IV.
1. Il vecchio pregiudizio è sfatato. Gruppi di esempî, i più varî, ricavati
da tutte le fonti, da Teofilo ad Armenopulo, mettono in luce il metodo
adoperato dagli scrittori greci del sec. VI, nei primi studi sull’opera legi-
slativa di Giustiniano. I quali, come abbiamo visto, non si limitarono a
ST Cf. Bullettino cit. vol. IX p. 230 e seg.; Archivio Giuridico vol. 58 p. 78 e seg.
88 Cf. Pel 50° anno d’insegnamento del prof. F. Pepere, 1900, pag. 139 e seg.; le
osservazioni del Kalb, Iahresbericht iiber die Fortschr. der class. Altert. vol. 99 n. 183,
e del Girard, Textes p. 578 su questo scritto dicono niente in contrario.
28 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
consultare nei punti difficili o per curiosità scientifica gl’insegnamenti dei
maestri più antichi, ma ne utilizzarono con assiduità i lavori, traendone
la versione dei passi e la sapienza delle loro paragratfe. E tutti cotesti ma-
teriali, estratti e collazionati furono poi, per quanto era possibile, combi
nati con i luoghi corrispondenti della compilazione, per via di ritocchi o
di ampliamenti o di aggiunte marginali. La produzione giuridica dei coevi
di Giustiniano si fondò quindi essenzialmente e largamente su quella let-
teratura sviluppata dai maestri greci sui libri dei giureconsulti romani.
Il sussidio che quei lavori offrivano era in verità di grande momento,
perchè anche la semplice versione dei testi latini importa di continuo l'im-
terpretazione in un senso o in un altro di termini giuridici, decisioni di
giureconsulti o delle figure degli istituti.
Di conseguenza le tracce, appariscenti o più occulte, degli elementi pre-
giustinianei sono nelle collezioni bizantime piuttosto numerose. E se si
tien conto della dispersione di tutta quella produzione, la quale, all'infuori
della parafrasi delle Istituzioni, a noi pervenne in forma frammentaria,
dopo un processo di selezione e di studi durato più di tre secoli, per opera
di privati e di commissioni ufficiali, tendenti a porre in evidenza i precetti
legislativi quali risultavano dalla compilazione di Giustiniano: se tutto ciò
sì consideri, le vestigia pregiustinianee, superstiti ancora in quelle raccolte
più tarde, appariranno sotto ogni aspetto notevoli e soverchianti.
Gli è che l’adattamento del vecchio al nuovo dovette farsi grado a grado,
più intimo nelle revisioni posteriori; perfetto non lo fu mai. I primi studi
sui libri di Giustiniano dominarono tutte le cognizioni degli scrittori po-
steriori; e gli elementi da quelle sorgenti si trasfusero ‘in molti punti
ancora integri, nelle nuove collezioni.
E di cotal metodo di studi e di lavori si ha pure la riprova. Gli scolii
Sinaitici, residui lacunosi di un comentario insigne ai libri di Ulpiano ad
Sabinum, formatosi nella scuola fiorente avanti Giustiniano, ricco di con-
fronti con tutte le opere giuridiche del ciclo Severiano, cospicuo per for-
mulazioni solide e fedeli, fu sicuramente utilizzato dopo il 534 in un mo-
mento anzi, come dobbiamo supporre, assai vicino a quella data, riveduto
ed in alcuni punti messo in armonia con il nuovo testo ufficiale 5°.
Gli elementi confermativi dunque della opinione qui sostenuta sono co-
stanti, come debbono essere, in tutte le fonti; visibilissimi sopratutto per
la disuguaglianza di contenuto e di forma dei prodotti delle due epoche.
Si è osservato infatti che le aggiunte dei coevi di Giustiniano appaiono
nella lingua madre più misere che nei testi latini. Il contrasto è sensibile.
89 Cfr. Bullettino IDR. vol. IX p. 217 e seg.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS , 29
La intelligenza e la rappresentazione greca del testo nei brani derivati
dai maestri antichi è perfetta; in contrapposto le riforme introdotte da
Giustiniano sono annunziate con fretta, fiaccamente, con contorcimenti
del pensiero penosi.
Quel che il Fitting * osservò nel 1870 rispetto alla Glossa Torinese
delle Istituzioni è meravigliosamente confermato da queste indagini più
estese. Infatti nella produzione giuridica del periodo giustinianeo si distin-
guono agevolmente due strati; uno più profondo, formato di brani limpidi,
solidi, perfettamente intonati ai modelli latini; l’altro sovrapposto dai coevi
di Giustiniano, i quali, nel riprodurre le riforme introdotte dal loro Si-
gnore, si mostrano impacciati e goffi come principianti.
2. La sorprendente attività di Teofilo, Doroteo e Taleleo, i quali tutti
im poco tempo, e quasi simultaneo alla compilazione, poterono apparec-
chiare manuali completi su singole parti dell’opera di Giustiniano , trova
nel sistema dei loro lavori la spiegazione più naturale.
Il contenuto dell’opera di Giustiniano vi si prestava egregiamente. Que-
sta, nel fondo, risultava di quelli stessi materiali notissimi alla scuola
d'Oriente e ivi studiati con diligenza, cioè delle opere dei giuristi del ciclo
Severiano. E di riscontro, il nuovo ordine di studi disposto da Giustiniano
non rappresentava che un adattamento dell’ antico, con leggieri sposta-
menti, alle nuove fonti
1 I commenti più antichi quindi sulle opere dei
giureconsulti nulla avevano perduto del loro valore intrinseco, nè per la
scuola nè ai fini della pratica. Certo è che l’unico comentario a noi per-
venuto, lacunoso ed esiguo, offre tuttavia in un punto una corrispondenza
impressionante con i Digesti; si confrontino gli scolii Sinaitici 17-20 con
i D. 25,1 ®2. Che quel documento della scuola del IV e V secolo si ritenga
prettamente genuino o riveduto in prosieguo di tempo, importa poco; anzi
esso deve riuscire più significativo a chi voglia mantenere ferma la cre-
denza della sua genuinità; perchè attesta, in ogni caso, che gli studi pre-
giustinianei si adattavano meravigliosamente a guidare la nuova genera-
zione d’interpreti e di docenti nella intelligenza e illustrazione dei libri
ufficiali.
3. Le composizioni giuridiche dell’ epoca avanti Giustiniano dovettero
avere nel secolo VI grande diffusione, se gli elementi riboccano in tutte
le raccolte, in Oriente come in Occidente. Giovanni Lido ° fa menzione
9% Ueber die sogenante Turiner Institutionen Glosse etc. p. 13 e seg.
% Const. Omnem $ 1.
? Vedi lo specchio in Bullettino I. D. R. vol IX p. 238.
93 De mag. 2,10.
©
30 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
di una legge di Arcadio esistente èîv uèîv 76 miie: Oe0To012v6. e sa dire che
fu omessa èîy cò veag0®; se il Mommsen * inclina a diffidare di questa
notizia, ciò dipende principalmente da quella sua particolare convinzione,
che il Teodosiano nella parte orientale dell'Impero fosse stato. anche prima
del 529. scarsamente adoperato.
Una citazione del 1. III quaestionum di Papiniano nella sua forma ge-
nuina, potè pervenire, per il tramite di Giuliano di Ascalona, fino ad Ar-
menopulo °°, ma il contenuto di essa s’ era già dileguato. per far posto
ai nuovi precetti dell'edilizia bizantina.
Nell'Occidente è la Glossa Torinese delle Istituzioni che riproduce gl’in-
segnamenti antegiustinianei, nella identica forma e forse dagli stessi mo-
delli greci.
Nulla di singolare in tutto ciò. Lo stesso fenomeno si ripete in ogni
tempo ed in ogni luogo. per la stessa natura della scienza del diritto, e più
generalmente per la tenacia della tradizione di scuola, in tutti i rami del
sapere.
In Roma sono le istituta di Gaio, che immettono già profonde radici
nella letteratura del 1° secolo dell'Impero; e suntate, diluite o tradotte do-
minano la scuola. in Occidente come in Oriente, fino a Giustiniano.
Negli scritti giuridici del primo medioevo °. in Occidente. la tradi-
zione della scuola sì mantiene per quanto affievolita, e per mille fili sì
riattacca all’antichità classica, per congiungersi poi ai Glossatori.
Passando a considerare le forme del diritto nell’età nostra. nè il codice
napoleonico in Francia, nè la codificazione del 1865 in Italia, nè quella
del 1900 in Germania poterono rompere i legami con la letteratura giu-
ridica preesistente. In Italia, malgrado gli sforzi fatti dai commissarii del
Codice civile per chiarire molti punti, ed evitare le controversie dibattutesi
su varie formulazioni del codice napoleonico. tuttavia la dottrina e la giu-
risprudenza restarono per buon tratto attaccate ai commentatori francesi,
e le difficoltà si riprodussero e le controversie continuarono negli stessi
termini, inconturbate. come nella giurisprudenza e nella dottrina francese.
E sotto i nostri occhi il fenomeno si ripete in Germania dopo la codi-
ficazione del 1900: il più celebre manuale di diritto romano. quello del
Windscheid, assunse, in seguito a quell’avvenimento, nuovo atteggiamento;
e per via di appendici. opportunamente aggiunte, ha potuto tener conto delle
nuove modellazioni dei precetti giuridici: i trattati autorevolissimi del
% Prolegomena în Theod., p. XXXI.
® II, 4, 51; cfr. Studî in onore di Carlo Fadda, vol. L p. 289 e seg.
% Cfr. Fitting, Iuristische Schriften des friiheren Mittelalters, 1876. p. 38 e seg.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ,, 31
Dernburg sulle Pandette e sul Diritto Prussiano apprestarono allo stesso
scrittore la base larga, per comporre, in breve tempo, un terzo trattato
sul diritto civile dell'Impero.
Supporre che il corso fatale della storia si sia per un momento arre-
stato, per comando di un legislatore, è una ingenuità solenne, divenuta
per difetto di esame un pregiudizio storico.
4. Dalla dimostrazione che precede seguono due corollari per 1’ apprez-
zamento più conveniente delle collezioni giuridiche bizantine :
a) esse possono prestare un sussidio non trascurabile per lo studio
delle dottrine della giurisprudenza romana, o, delle volte, per stabilire la
struttura genuina dei testi latini;
b) dove i frammenti latini riportati da Giustiniano non si accordano,
per un verso o per un altro, con gli elementi greci, questi non possono
ogni volta indurre a correzioni o integrazioni dei passi ufficiali; perchè il
supposto che i tratti greci derivino in complesso dalla stessa raccolta di
Giustiniano è erroneo ‘’”.
N Cfr. anche Zachariti, Zeitschrift SS. vol. 8 p. 25.
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nell'adunanza del 50 Luglio 1905.
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DI
FRANCESCO PETRARCA
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tpcdo cecinit digna Petrarca Deis.
LAZ. BONAMICI, Carm.
Notava il mio sempre desiderato amico Adolfo Bartoli che lo scriver
oggi di. messer Francesco Petrarca è reso difficile assai, non solo dalle
molte opere di lui, ma ancora dalle moltissime, e forse troppe, che in-
torno a lui furon vergate, e delle quali si potrebbe comporre una bi-
lioteca di migliaia di volumi. Fra le troppe, o Signori, mettete fin da
ora queste mie incondite parole, con le quali, fidente della cortese gra-
zia vostra, v’intratterò il meno che io possa.
Ed omettendo quel che mi porterebbe ad empire pagine soverchie,
mi è d’uopo accennare di fuga quanto dissi altra volta, cioè che l’amor
verso Laura, per farsi degno agli occhi di donna sì bella, gli accese
amore alla gloria; a raggiunger la quale diessi allo studio del latino,
donde gli venne amore all’Italia, ed alla regina del mondo — Roma.
L’anima dunque del divino poeta, (come ebbe a chiamarlo il rigidis-
simo Tommaseo) può in due aspirazioni ammirarsi : Laura e Roma;
sintesi maravigliosa, che lo fece parere, e fu davvero, miracolo di virtù
e di sapienza a quella generazione.
In mezzo alla quale vivendo, scrisse in una delle sue Lettere Varie,
che «nel cuore dell’uomo, maraviglia a dirsi, avvi un non so che di
4 PER IL CENTENARIO
« mistero, che sveglia l’amore e sollecita l’ amante. Senza cagione non
«vi ha chi ami; se bene ad altri, che ad amare sia meno inchinevole,
«la causa stessa a tanto amore apparisca forse diseguale » (Var. 64).
Verità quest’ultima, che egli ripetè nei versi:
...E quel che in me non era
Mi pareva un miracolo in altrui. (Nel dolce tempo).
Or poi che le cose venienti da: natura sono le più schiette, e la
schiettezza pura è bellezza, ad essa questa nativa sensitività vola con
ardore di desiderio, come a suo candido bene: la quale penetrando
entro i sacri aditi della coscienza, la fa giubilante nell’ordine interno;
e, da vivida luce irradiata, riveste la fiorente bellezza d’ una serenità
di cielo, tra i fulgori della quale trasumanata grandeggia e di sempre
nuove grazie accresce la sua beltà divina. Nè questo è innaturale, per-
chè bellezza è certa perfezione, che contemplata in pace dall’intelletto
porta ammirazione; e chi nega questo amore spirituale nega ogni amore
umano, il cui obbietto è bellezza e bene, che, secondo Plotino, sono
vittoria della forma, 0, come la chiama il Rosmini, della prima virtù
attiva, sulla materia inerte.
E questa mirabile bellezza apparve agli occhi del poeta, e gl’investi
l’anima di violenza amorosa il dì sesto di aprile del ‘527 nella chiesa
di Santa Chiara in Avignone.
Da « Amor che solo i cor leggiadri invesca » ebbe un impeto di cuore
per tanta venustà eccellente, un senso vivissimo di maraviglia e di
affetto, che, ispirandogli fin d’allora soavità di versi, così continuò fino
agli anni più tardi, di che si compiacque tanto, che scrisse :
Quel foco ch'io pensai che fosse spento
Dal freddo tempo, e da l’età men fresca
Fiamma e martir ne l’anima rinfresca.
perchè Laura fu per lui l'incarnazione del bello ; ed. in essa il poeta
adorò sempre la divinità dell'amore, giacché
Niente in lei terreno era o mortale. (Vidi fra mille).
Da quel dì benedetto il giovane amante divenne ben altro da quel
di pria e lo ripete egli più volte nel Secretum al 3° dialogo, che io più
brevemente dirò con le parole del 15° paragrafo della Vita Nuova:
« Buona, è la signoria di amore, perocchè .trae lo intendimento del suo
«fedele da tutte le vili cose ».
È saputo che la bellezza muove il sentimento, che da questo sorge
e.si crea l’imagine candida, vivace, corruscante , perchè nata da ciò
DI FRANCESCO PETRARCA DD)
che più agita la mente e il cuore dell’uomo. Or questa imagine non è
che il piacere del godimento, fatto più soave dal dolore, e dalla mite
speranza di conservarlo accresciuto. Questa memoria del bene e del
male passato, e questa speranza del bene avvenire, dà luogo alla poe-
sia, che è visione imaginosa dell’anima; la quale dalle reali appren-
sioni si solleva alla possibile idealità, senza di che l’arte rimane ingof-
fita dall’arido vero. Chi mai alla vista di un’opera d’arte, chi mai ha
creduto che la bellezza tutta stesse riposta nell’armonia delle linee,
nel degradar dei colori, nel paesaggio, che, come sfondo, si perde lon-
tano, lontano; nelle figure ben disposte e varie di movenza e di forme?
Però questa visione esteriore risveglia nel rigunrdante una vigile dol-
cezza, che intendere non può chi non la prova, quella dolcezza, che
muove, è verissimo, dalle tinte, dalle linee, dal paesaggio, ma che è
superiore a questi aspetti sensibili, e infiamma sempre più di desiderio;
perchè di sotto, dirò quasi, la trasparenza dei colori, raggia una luce
divina, l’intelligibilità del concetto, entro agli splendori della quale
l’anima nostra queta il suo volo, s'appunta, e sovraneggia il finito,
lietissima inebriarsi nel Bello infinito, che è luce celestial piena d’ a-
more. Che cosa era in sua vita Madonna Laura? Una donna mortale,
bellissima nelle sue fattezze, più nella pudica soavità dell'anima , tra-
lucente dai rai degli occhi belli. E qual maraviglia, al primo vederla,
non venne al poeta, che l’esca amorosa al petto avea ? al mirabile por-
tento esclama :
Costei per fermo nacque in paradiso !
Nè mentiva a sè stesso, se nello inceder della persona gli appariva,
e manifestavasi più vereconda d'una Dea, se nel moto degli occhi era
un dolce lume, che dischiude la via che al ciel conduce.
Non istarò a raccogliere dalle Rime del solenne d’amor mastro pro-
fondo versi ed emistichj a rifarvi Laura, quale egli a noi amorosi l’af-
figura nei suoi canti: ma chiamo in ajuto alla mia insufficienza l’arte
potentissima d’un valoroso poeta, che, nel silenzio romito di sua stanza,
vede comparirsi innanzi le donne amate dai quattro poeti, tra le quali
è Laura di Valchiusa :
Lungo sospir della più dolce musa.
A dir qual’era il suo valor, vien manco
Ogni umano parlar. Nel suo mortale
Di vero angiol sembianza ella tenea ;
Tal che in mirarla ognun mirava al bianco
Omero, attento a riguardar se l’ale
Mettean la punta. E ognor ch’ella movea
6 PER IL CENTENARIO
Il bel fianco. parea
Spiccar suo volo al regno onde discese.
Colpa dunque non fu se. come santa
Cosa adorolla. e in tanta
Fiamma d’amore il suo fedel s’accese:
Colpa era non amarla. ed in sì vago
Volto sprezzar del suo Fattor l’îmago.
Ed ei l’amò sempre; e perchè nell’ anima presa da amore virtuoso
l’imagine dell’obbietto amato è ognora presente, ancor che lontano si
stia, onde verissimo quel di Virgilio absens absentem auditque videtque,
a mostrarvi la continuità della sua adorazione. omettendo quel che c’è
nelle Familiari, sceglierò da una bellissima Epistola metrica, indirizzata
dai silenzj di Valchiusa, a Giacomo Colonna, così lodata da Sant’ Ago-
stino nel 3° dialogo del Secretum, sceglierò, io dicevo, taluni luoghi tra-
sferiti in versi italiani :
celato
Tra questi colli al fin pianger mi è dolce.
E memorar la corsa età nel pianto.
Ma che? Qui pur coleìî mi vien compagna.
Qui pur suo dritto mi addimanda, e agli occhi,
Se io veglio. mi si affaccia. e i lievi sonni
Con paurose imagini conturba.
Spesse fiate ancora. oh maraviglia !
Entra la chiusa stanza in su la mezza
Notte. e mi sta davanti ombra leggiera.
E mi desto. e mi piovono dagli occhi
Le prorompenti lacrime. in piè balzo
Esterrefatto: ed al venir dell'alba
To dal sospetto penetral m'involo:
E le balze dei monti. e le foreste
Cerco ansioso e qua e là m’aggiro.
E dietro. e intorno volgo gli occhi. incerto
Se ella. che venne a turbar la quiete
Del sonno. al passo mi facesse inciampo.
A stento il crederai. Io pur la vidi,
Io pur la vidi nell’elci del bosco.
O sorger dalla queta onda del rivo:
Or tra le nubi e il liquid'aere apparve
Radiosa di luce agli occhi miei;
Or dal sen dei macigni io la rividi
Bella e spirante comparirmi innanzi.
Ond’io pien di spavento arresto il passo!
Queste d'amor son l’arti, e nulla speme
Ho di riposo in questo eremo asilo.
Concitato lo spirito in tal guisa, egli, che tanta poesia alimentava
DI FRANCESCO PETRARCA î
nell'anima, non ristavasi dal significare in versi quello amore per la
sua Donna, la cui imagine gli era sempre compagna.
E di poesia e di amore un’eco dolce, se non vivamente affettuoso,
gli veniva agli orecchi, chè per tutta la Provenza
Era un inno di amore e cortesia;
E i fioriti giardini e l’aure e l’onde
Iteravan dei canti ogni armonia.
Ma dei trovatori egli conserva la parte più pura, che è nell’ ardore
«dell’anime loro. Però da quei canti, da quei tumulti di affetti, dagli
affanni, dalle speranze, dai queruli dolori, nessuna memoria è rimasta
d'una sola delle giovani castellane, celebrate con melodie di voci e di
liuti. Sarà il Petrarca più possente di loro; il nome di Laura travali-
cherà regioni e frontiere; e tutta la famiglia umana la benedirà, come
‘colei che ispirò i più bei carmi dell’affetto universale. Messer France-
sco veramente mostrò quai tesori accoglie il cuore dell’ uomo; e libe-
randosi dalla trascendenza della mistica idealità, la quale fa Dante
unico ancora in quest'ordine di lirica, egli c'innamora col suo purissimo
canto, perchè il suo fu amore, proprio amore, tutto amore, come la
luce, proprio luce, non ha mistura d’ombra.
E questa varietà d’arte è anche un portato della vita progrediente
delle nazioni. Il poeta, al pari di ogni artista, nell'opera sua si mani-
festa come individuo, ed è quasi il centro della società umana in mezzo
alla quale ei vive, e della quale sente l’azione nella dottrina ricevuta,
nei costumi, nella religione, in una parola nella civiltà; ma in tutto
questo egli accenna la ragion progressiva, cioè che l’ umanità non si
arresta nel suo cammino; e, se immutabile è la bellezza, supremo ter-
mine dell’arte, questa si modifica, piglia nuove apparenze, sviluppa
nuovi germi, che daranno novelli aspetti all'arte medesima con la ge-
nerazione successiva, che la sempre giovane natura prepara a se stessa,
della guisa che dal Guinicelli e da Cino venne il Petrarca col suo ma-
raviglioso idillio d'amore. E idillio è veramente! O ch'egli vagheggi i
dolci colli, ove nacque Laura; o miri l’acque lucide e fresche del fiume;
o pensi in qual parte del cielo era l'esempio della beltà di Laura; ella,
benchè incerto lasci l’innamorato cantore, è sempre agli occhi di lui
uno spirito celeste, il fior dell’altre belle, quella che sola agli occhi
suoi par donna. E termine a’ quadretti che ci dipinge con arte singola-
rissima, un cielo limpidamente azzurro, e poi, per accennar tutte le
note idilliache con un verso artificioso del poeta :
Fior, frondi, erbe. ombre. antri, onde. aure soavi.
lo) PER IL CENTENARIO
Nelle canzoni, nei sonetti egli ritrae della sua vita un’ora, un istante
fuggitivo; ed ei ne arresta la fuga, lo ferma e ce lo ripete in un ritmo:
immortale di poesia, comune ai platonici, i quali careggiano con im-
pazienza di affetto quel che cupidamente han raccolto nel cuore, e vi-
vono di speranze, che a breve andare saranno memorie; onde il nostro
esclama : « Amor col rimembrar sol mi mantiene ». Sovente nella ombrosa
solitudine di Valchiusa, quando il cor trangosciato cercava un'ora di oblio
o almanco di riposo, quel luogo solingo, quegli antri, e le balze del
monte Ventoso pendenti a rovina, e la fragorosa scaturigine della Sorga,
tutto lo allontanava dal mondo; però d’un tratto quasi fosse in estatica
visione rapito, rivede la sua Laura « L'adora e inchina come cosa santa »
e dalla circostante natura gli viene, come per incanto, un eco di cele-
stiali accordanze da gentili spiritelli di amore, che gli ripetono :
L'acque parlan d’amore, e l’ora e i rami,
E gli augelletti e i pesci e i fiori e l’erbe
Tutti insieme pregando ch'io sempre ami.
Al tornar della mente rièccolo poeta, che canta con palpito di spe-
ranza e di pena; e la sua voce malinconica, come profumo evaporante
dalle rive fiorite del Sorga, si espande per l’Italia festante, per tutta la
Francia, valica i Pirenei; e Ja Spagna e la Lusitania plaudiscono al
nuovo canto, come venisse modulato da un genio invisibile, soffermato
sui cerchi della terra silenziosa, cantante quelle elegie soavissime ; e
questo insieme, mite ed affettuoso, questa temperanza d’imagini, signi-
ficata da un linguaggio comune al cielo ed alla terra, ha dell’uomo la
passione e il dolore, ha dei cieli la speranza e la serenità.
Questo, che è poema dell’anima amaute si chiude con un inno alla
Vergine. La storia d’amore cominciata nella chiesa di Santa Chiara,
sì compie nella chiesa invisibile : il consorzio delle anime, non consen-
tito in questa rea valle di pianto, si eterna «Nel ciel dell’umiltà dov'è
Maria ».
Queste cose tra me e me ripensando mi han fatto maravigliare alla.
grande sicurezza, con cui taluni critici han creduto che il Petrarca non.
avesse in pregio le sue Rime, solo perchè in due lettere a Pandolfo Ma.
latesta, che sono la nona delle Varie, e la decima della Senili, simi-
gliantissime in più luoghi, solo perchè, io dicevo, in esse lettere, e sin-
golarmente in quella delle Senili, scrive: «Se rozzo è lo stile, e tu
accagionane l’età mia, perocchè la più parte di quelle io dettai negli
anni miei giovanili. Che se magre ti sembrano queste mie scuse, pensa
che sei tu che quelle mie bazzecole hai volute. A malincuore te lo con-
fesso, or che son fatto vecchio, io veggo divulgarsi queste mie inezie-
DI PRANCESCO PEPRARCA D)
composte nella mia giovinezza, le quali, non agli altri, vorrei fossero
ignote ancora a me; perchè se lo stile non disdice all’ingegno di quella
età, troppo per lo subbietto si disconvengono all’ età senile. Ma come
impedirlo ? Girano già da gran tempo per lo mani di tutti; e sono lette
assai più volentieri delle cose, che scrissi più tardi maturo degli anni
e del senno ». E qui Messer Francesco conviene con Dante, che scrive
nel Convivio: « Certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che
sono sconci e biasimevoli ad altra ». E che il Petrarca così giudicasse
-di se stesso, ce ne vien prova dalla data delle lettere, ai 4 di genna-
ro 1372; quando a lui infermiccio a 68 anni, al freddo, che apporta
l'età, si aggiungeva quello della stagione, che gli aggranchiva le dita
(algentibus digitis). Ma chi vorrà credergli ? Non io di sicuro, il quale
non son riuscito a capacitarmi ch'egli, avvinto di amore ardentissimo
per Laura, non ispendesse nei suoi versi quella cura e quella diligente
sollecitudine per cui dirò « forma qui s'accorda veracemente all’ inten-
zion dell’arte» e che fece esclamare quell’ austero intelletto dell’ AI-
fieri: « Per cui Laura ebbe in terra onor celesti». E dirò di più che
il poeta, sollevando in onore la bellezza e le virtù di Laura per eter-
narla negli avvenire, sollevava ancor sè per vivere nella continuità
dei secoli ancora con la gloria di sommo lirico, oltre.a quella di insi-
gne e magnanimo cittadino.
Che il poeta aspettasse immortalità di fama anche dalle Rime, ad
esser breve vi addurrò taluni luoghi dei molti che potrei; e rifacen-
domi dall’epistola metrica, poco innanzi accennata, ivi io leggo :
Tempo già volse, per virtù, per sangue
Nobilissima, illustre una donzella
Con i miei carmi a onor tanto levai
Che lontana ne va la nominanza.
Della imperfezione dell’arte sua negli anni primi, ce ne dice il poeta:
medesimo:
Ed ebbi ardir, cantando, di dolermi
D’amor, di lei, che sì dura m'apparse ;
Ma l’ingegno e le rime erano scarse
In quell’etade ai pensier nuovi infermi. (Mentre che ’l cor ecc.
E nella prima epistola metrica a Marco Barbato di, Sulmona, man-,
dandogli le Rime, lo prega di tenerle nascoste, perchè quantunque la-
voro giovanile, piacciono a tutti gli amanti, cui par leggere i casi pro-
pr) leggendo gli altrui, e per ogni città sono udite con plauso popolare.
E tu, cui sempre, non men dei gravi, piacquer miei tenui studj, abbili
in gran conto benchè rugae, e finchè io non ti dia cose maggiori
Hune tibi devoveo studii juvenilis honorem.
10 PER IL CENTENARIO
Nel notissimo sonetto: Se Virgilio ed Omero, con quel che sèguita,
il poeta ci dice la beltà di Laura degna d’esser cantata da questi due
sommi; ma il fato volle che come di Scipione Ennio, così di lei can-
tasse un rude poeta.
Però udite la chiusa:
Ennio di quel cantò ruvido carme,
Di quest’altr’io; ed oh! pur non molesto
Gli sia il mio ingegno, e il mio lodar non sprezze.
E nei giorni del disinganno riconfortavasi scrivendo :
Forse avverrà che il bel nome gentile
Consacrerò con questa stanca penna.
e notiamo che il corsacrerò è qui forma latina, che vale rendere sacro-
ed immortale,
Notevolissima pare a me la chiusa del sonetto: « Lasso ch’io ardo »
nella quale l’amoroso cantore scrive :
I vostri onori in mie rime diffusi
Ne porian infiammar forse ancor mille,
Ch’ veggia nei pensier, dolce mio foco,
Fredda una lingua, e due begli occhi chiusi
Rimaner dopo noi pien di faville.
E mi piace soggiungere per l’ultimo terzetto le parole d’un amoroso-
interpetre :
To preveggo, o Laura, mio dolce foco d’amore, che la mia lingua,
quando sarà fredda, e i vostri occhi belli, quando saran chiusi, riter-
ranno ancora dopo noi moltissime faville; che è quanto dire, secondo.
il Leopardi, voi per virtù delle mie rime, vivrete nella memoria degli
uomini ancor dopo morte.
A. volte ricorre ancora alla mitologia, e ricorda l'aquila rapitrice di
Ganimede,
E fu luccel, che più per l’aer poggia
Alzando lei, che nei miei detti onoro. (Nel dolce tempo).
Ma lasciando il pincerna Jovis, è bene notare che se il nome della
donna amata volava d’una in altra terra; se anche morta avrebbe avuto
gloria dai venturi; se tutto questo avveniva per lo splendore dei versi
del poeta, l’arte, da cui tanto bene impromettevasi, non potea esser pic-
cina, ma larga, geniale; e doveva tenersene, se scrive :
gta e solo del suo nome
Vo empiendo l’aere, che sì dolce suona. (Ahi bella libertà)
Nè egli tace il fervore dell’animo, che lo sospinge; e leggesi :
Quella che al mondo sì famosa e chiara
Fé la sua gran virtute e ’l1 furor mio. (Soleano è miei)
DI FRANCESCO PETRARCA 11
E Laura si compiace del bene, venuto dal suo amore al poeta:
Salito in qualche fama
Solo per me, che il suo intelletto alzai,
Ove alzato per sè non fora mai. (Quell’antico)
Ed altrove, nel secondo capitolo del Trionfo della Morte :
...@ piacemi il bel nome
Che lungi e presso col tuo dir m’acquisti ;
e ne aveva ben donde, poichè il poeta le aveva detto :
E se mie rime alcuna cosa ponno
Consacrata fra i nobili intelletti
Fia del tuo nome qui memoria eterna.
A non riuscir di troppo nojoso con queste pur necessarie citazioni,
ometto altri luoghi: non sì però che di pochi altri mi taccia, che a me
pajono opportunissimi. In uno di essi il poeta, esclama :
E benedette sien tutte le carte
Ov'io fama le acquisto; e ’l pensier mio
Che è sol di lei, sì ch’altra non vi ha parte. (Benedetto sia)
E nella canzone bellissima « Perchè la vita è breve » scrisse :
L’amoroso pensiero
Che alberga dentro, in voi mi si discopre,
Tal che mi trae del cor ogni altra gioja:
Onde parole et opre
Escon di me sì fatte allor, ch'i’ spero
Farmi immortal, perchè la carne moja.
Mi sia consentito che un altro sonetto vi ricordi, nel quale il poeta
invita le sue Rime: «Ite, rime dolenti, al freddo sasso », uno tra quelli
che più dirittamente pigliano la via del cuore, perchè preghino Laura
di chiamarlo a sè. Alla seconda quartina continua :
Ditele ch'io son già di viver lasso,
Del navigar per queste orribil onde;
Ma, ricogliendo le già sparte fronde,
Dietro le vo pur così passo passo,
Sol di lei ragionando viva e morta
Anzi pur viva, ed or fatta immortale,
A ciò che il mondo la conosca et ame.
E il mondo conobbe Laura e l’amò, perchè il poeta effuse tutta la
sentimentalità dell’anima sua nei versi, che sono lacrime e preghiere,
son canti di pace, che si compiono con tenerezza di pianto; sono ispi-
razioni amorose, come tintinno d’arpe solitarie; e fece di Laura poten-
D)
112 PER IL CENTENARIO
zialità di tipo di candida bellezza e vereconda, e del poeta dal cuore
affettuoso il cantore d’una visione mirabile, in cui cielo ed anima si toc-
cano, e sentesi profondamente l'armonia della bellezza nella creatura
di Dio, e della bellezza nell’opera dell’uomo.
Noi di Sicilia abbiamo il vanto d’aver dato al Petrarca uno dei più
cari amici, Tommaso Caloria da Messina, che gli fu compagno nello
Studio di Bologna, la morte del quale pianse nelle Familiari, e poi con
versi latini; e di lui scrisse con amor diligente il prof. Letterio Lizio
Bruno, nè so di altri che abbia fatto meglio. E la corona d'alloro, me-
ritata da messer Francesco, accese di desiderio per eguale onorifi-
cenza il messinese Jacopo Pizzinghe, al quale scrivendo, così il Boc-
caccio ben augura !!.. « Ora con migliori auspicj abbastanza prevedo
che tu, dall’altro corno d’Italia sorgendo, come un tempo Teocrito Si-
racusa, così tu farai illustre Messina; provati con ogni vigore. alla sa-
lita, già già sei vicino alla vetta, assai valoroso nel canto, e cose mi-
gliori promettendo. Per la qual cosa, affinchè per quello, onde comin:
ciai, così progredisca la mia speranza, e si accresca il mio gaudio,
per il decoro dell’insigne tuo nome, ti prego, o coltissimo uomo, che
nulla fatica risparmi a raggiunger la gloria. Con animo virile perdur:
nell'impresa : aperta, apparecchiata e lastricata ti si offre la via». (BOcc.:
epist. Jacobo Pizzinghe). Ed eccoci un terzo messinese, fiorito circa il
1610, Mario Bonafede, che tutte volse in latino le Rime, come riferisce
Pier Angelo Spera nel Lib. 4° De Nobilitate professorum grammaticae,
«amores Laurae latino carmine donavit », — La palermitana Pellegra
Bongiovanni, valente nella pittura, e nella musica, la facilità dell’ in-
gegno poetico manifestò singolarmente nelle « Risposte a nome di Ma-
donna Laura alle Rime di Messer Francesco Petrarca in vita della me-
desima, composte da Pellegra Bongiovanni Romana, Roma 1762 ». Per-
ché siasi appellata Romana non so, forse perché moglie dell'avv. Gia-
como Rossetti, e per la lunga dimora fatta nell’eterna città, dove morì.
Chi guarda alla difficoltà dell'impresa, se pur loderà 1’ ardimento, non
accoglierà con buon viso quel lavoro, reso ancora più difficile dalla
perfetta rispondenza del metro, e dal chiudersi ogni verso con la pa-
rola medesima, che chiude quel del Petrarca. Forse è soverchia la lode
che ne fa il Borghi, serivendo :
Quella è Pellegra, che parlò d’ amore
In meste rime degli amori al padre,
E parve Laura, e pur ne finse il core.
Io conobbi nella mia giovinezza un vecchictto di casata Salvo, che
le Rime del Petrarca rivolse in degnissima poesia latina, che. tale giu-
DI FRANCESCO PETRARCA 13
dicolla Giuseppe De Spuches principe di Galati di sempre acerba e
gloriosa memoria. Nel 1870 il prof. Giuseppe Bozzo pubblicava le Rime
col suo commento, e con quattro discorsi; lavoro lodato dal Carducci.
Ed ora è sotto ai torchi una nuova edizione delle Rime, condotta sugli
autografi della vaticana, che con gusto squisito e perizia singolare ne
prepara il cav. Giuseppe Salvo Cozzo, meritissimo Bibliotecario della
nostra Nazionale.
Ogni periodo della progrediente civiltà umana ha le sue forme; e
quelle del tempo del Petrarca son chiuse. Ma è di quei tempi e di ogni
tempo l’arte ammiranda di concepire, sentire, significar vivo ed eletto:
e quest'arte, dirò col Tommaseo, va imparata e studiata, se pure in
questo sgorgo di fogna pestilente, in tanto frastornio di lodi alle più
melmose ranocchie, non debba esser vero :
Exoritur nova lux, veteres migrate coloni.
Se l’amore per Laura concitò il giovane poeta a raggiunger la glo-
ria, questa, nuovo amore e potentissimo, invogliandogli anima ed in-
gegno agli scrittori latini, gli fece apparir Roma quale Dante nel se-
condo della Monarchia la disse «nata fatta a imperare su tutto il mon-
do ». Ad appagare il desiderio lungo, tenacemente assiduo di visitarla,
lascia, sullo scorcio del ‘36, il romitaggio di Valchiusa, ed a quella
città savvia, che fu appellata da Ateneo « compendio di tutto il mondo ».
Ma gliene ritarda il cammino la mente, che è piena, e il core, che
sussulta, alla memoria della prisca grandezza.
Sul venire dell’anno successivo entra innanzi le antiche mura ed in
compagnia dei Colonna, e di Paolo Annibaldi si aggira non dentro la
città soltanto, ma pei dintorni ancora, e spesso spesso arrestasi, vinto
da un senso di maraviglia e di affetto, a quanto gli si apre alla ve-
duta, che a meditare ed a parlare lo eccitava. Qui la reggia di Evan-
dro, la casa di Carmenta, la spelonca di Caco, la lupa nutrice. Qua i
giochi circensi, il ratto delle Sabine, la palude Caprea, nei pressi della
quale Romolo disparve. Ecco là i convegni di Numa e di Egeria; e
l’arena degli Orazj e dei Curiazj. Ecco la via Sacra; e i colli Celio,
Quirinale, Viminale, Esquilino; più in fuori il Campo Marzio. Qui Lu-
crezia liberamente si uccise; di qua fuggiva l’adultero; qui alla pudici-
zia offesa Bruto apparecchiò la vendetta. Ma perchè devo io ischeletrire
la stupenda lettera, che è la seconda del libro sesto delle Familiari,
che è viva nella memoria degli amorosi del Petrarca, se tanta via an-
cora mi resta, e non vorrei improvvidamente stancare la vostra gen-
tile pazienza?
14 PER IL CENTENARIO i
Leggo nel Sublime di Longino al capitolo 15, (e mi sia tollerata que-
sta vecchia reminiscenza platonica in grazia di esser sempre nuova,
freschissima) « Le anime grandi di quei pochi, cui la natura creò poeti,
sono come sollevate dallo spirito degli antichi a quel modo che narrasi
dalla Pitia. Quando siede sul tripode si apre una fenditura sul suolo,
spirante un alito, che dicon divino, per cui la profetante tutta piena e
commossa da quella virtù, versa dal petto gli oracoli. Così dalla pro-
fonda sapienza degli antichi, quasi da un cupo luogo s'inalzano spiriti,
i quali muovono e levano le anime dei vati, e seco le rapiscono alla
cima della bellezza ». Or che questo alito divino dovè agitare l’anima
del nostro poeta, nessun vi ha che ne dubiti.
Nella lettera ai posteri ei dice: « Piacquemi sopra ogni altro lo stu-
dio dell’antichità: da poi che la presente età nostra ebbi io sempre in
fastidio per tal modo, che, se non fosse l’amore dei miei più cari, in
tutt'altro tempo da questo esser nato io vorrei, del quale cerco a tutt'uo-
mo di farmi dimentico, e vivo con l'animo in mezzo agli antichi ».
In tanto sublime spettacolo di. eroi, di simulacri, di tempj, che gli si
agitavano nel pensiero, un senso di vergogna dovè aspreggiargli la
dolcezza delle glorie latine, quando scorse quelle venerande reliquie
sozze di sangue sparso per odj sempre ribollenti, concitati gli animi
dalla peste, più mortifera delle altre, dell’ire cittadinesche. E forse al.
lora, pulsandogli il core un vivo desiderio di bene, gli sovvenne con
sospiro di animosa esultanza la figura di Scipione Africano, come di
colui, che aveva saputo, in tanta desolazione della patria , travagliata
da Annibale, ritornarla, dopo Zama, vincitrice da ogni funesta prepo-
tenza di barbari, e signora dei popoli; quel glorioso Scipione, com’egli
ricorda nella lettera ai posteri, «il cui nome, maravigliando il ram-
mento, fin dalla fanciullezza mi ebbe preso di amor singolare ». Che
maraviglia se l’animo fervido del giovinetto Francesco ne innamorasse,
quando tanto lo venerava il suo maestro Convenevole da Prato; ed
ancor prima di costui, Dante, che nel Convivio, al capitolo quinto del
quarto trattato, scrive: « E non pose Iddio le mani, quando, per la
guerra di Annibale, li Romani vollero abbandonare la terra, se quello
benedetto Scipione giovane non avesse impresa l'andata in Affrica per
la sua (di Roma) salvezza 2» E a questa impresa provvidenziale accenna
nel sesto e nel ventisettesimo del Paradiso, e nel trentunesimo dell’ /n-
ferno, e nel secondo del De Monarchia. E qual guerriero più di lui auda-
cemente ‘ardito, che
SRO simile a baleno
Fiaccò de la vittrice Affrica il seno ?
DI FRANCESCO PETRARCA 15
Amico di Ennio lo volle effigiato nei monumenti della gente Cornelia.
Combatte e vince Antioco, che rimase pieno di. ammirazione, quando
riebbe libero e con doni il figliolo, già prigione dei cavalieri romani.
A Literno accorre numerosissima gente a visitarlo, bacia la destra al-
l’esule eroe, e depone sulla soglia della casa ricchezza di offerte, quali
ai Numi si consacravano. A retribuirne i meriti i Romani gareggiano
nell’onorarlo; onde la statua di lui sorse nel Comizio, nel Foro, nel Sa-
crario di Giove Ottimo Massimo; ed un’altra con ornamenti di trionfo
nei Lettisternj Capitolini. Nulla accettò per legge di popolo, nè per or-
dini del Senato; e tanto adoprossi nel rifiuto quant’erasi per opere de-
gne meritato gli onori. Assai gli fu cara, e santa la doppia corona, che
ottenne, giovane a diciassette anni, quando alla funesta battaglia presso
il Ticino salvò da morte secura il padre sanguinante di ferite. Qual
maraviglia se al poeta, voglioso di tentare un canto epico, la figura
d’un eroe, venuto a tanta altezza di virtù, balenasse con guizzo di luce
sì raggiante da invogliarlo a metter mano all’opera ?
« Sulle prime ore di un venerdì santo, scrive egli ai posteri, a me
errante a sollazzo per i colli, ond’è ricinta Valchiusa, sorse in mente
di dettare un poema intorno al primo Scipione Africano; e trasportato
«da interno impeto misi subito mano al lavoro, che poi, distratto da
mille cure, lasciai interrotto , e che dal subbietto Africa intitolai. La
quale non so per qual sua 0 mia ventura, prima che alcuno la cono-
scesse, destò di sè tanto amoroso desiderio ». E. subito tutti ne comin-
ciarono a cantar le lodi, sì che Zanobi de Strada, inteso com’ era
a simile argomento, smise ogni cura, plaudendo al nascituro dal so-
lenne ingegno di tale, che sapea dell’arte e dell’Italia amorosissimo.
Si dubita oggi se l’amore a Roma ed all’ Italia sia stato in messer
Francesco un sentimento od un fantasma. Io penso, e me ne rafferma
sempre più.lo studio delle sue opere latine, che lamore «al nostro
capo, Roma » sia stato così immutabile come quello per Laura. Leggete la
prima del decimo delle Lettere Familiari a Carlo TV imperatore : è la
lettera, che parla al monarca: « Di noi tu dunque, e, se sia lecito il
dirlo, di te medesimo sei fatto immemore, e dell’ Italia tua ogni pen-
siero hai tu deposto ? E mentre dal cielo a noi mandato ti crediamo, e
della nostra libertà sperammo avere ottenuto un pronto difensore, tu
il tempo in lunghissime deliberazioni consumi? Non sai tu dunque come
un breve momento basti a decidere di cose grandissime ? e come, so-
venti volte, un giorno solo compia le imprese per molti secoli apparec-
chiate ? E fra tante cure sante e nobilissime, che ti gravano, nessuna
è al certo più importante, e più grave che ricomporre l’Italia in pace...
16 PER IL CENTENARIO
Cerchiamo nei nostri annali un esempio, se pur lo vuoi, e valga a te
per tutti Arrigo Settimo di gloriosa memoria, avolo tuo serenissimo, il
quale, se bastata gli fosse la vita a porre in opera i santi disegni della
sublime sua mente, dispersi i nemici, avrebbe lasciato al mondo mutata
la faccia, liberi e gloriosi gl’Italiani, e, regina di tutti, Roma ». E non
sarebbe male leggere un’altra lettera al medesimo Carlo nel ventesimo
terzo delle Familiari; e, fra quelle al Tribuno, l’oratoria, che è splen-
dida glorificazione di Roma e dell’Italia. Ma non so passarmi, nè lo
devo, d’accennare alla fervida epistola prima del ventesimo terzo delle
Familiari.
Quando la Grande compagnia nemica di Dio, di pietà, di misericordia,
e le bande successive contristavano di empie scelerità e di violenti ra-
pine la povera Italia, l’indomito poeta, disconsolato a tale jattura, scri-
veva ad un ignoto : « Parlo perchè parlare mi è forza; perchè l’amore:
mi sprona, e l’affannoso petto per modo mi accende, che il tacere mi
è del tutto impossibile. Io parlo, nè so a chi parli. O della libertà. e
della pudicizia vindice egregio, che dal soglio precipitasti gli autori
del vergognoso servaggio, e con la spada ultrice costringesti a inab-
bissar nell'inferno gl’infami maestri delle turpitudini, oh! vivo tu fossi,
magnanimo Bruto, sì che a te la parola potessi io rivolgere! O glorioso
Cammillo, che dal sangue nostro sozza e spumante la oltramontana.
rabbia tra le fumanti ceneri della patria estinguesti, oh! vivo tu fossi,
sì che a te le parole potessi io rivolgere ! O massimo degli eroi, che
discacciato a viva forza Annibale dall’Italia, cui diciassette anni tenuto:
avea sotto il giogo, e dentro i confirii della sua patria respintolo, con
invitto valore secondato dalla fortuna mirabilmente lo debellasti, oh!
fossi tu vivo, perchè a te la parola potess’io rivolgere ». E continuando
ad invocare gli altri eroi di Roma, soggiunge: « Di che mi lagno, di
che tanto gemendo piango e sospiro? Ahi che un vil pugno di ladri da
sozzi covi sbucato e raccolto, l’Italia, già regina del mondo, percorre e
passeggia, e a sè provincia e suggetta vuole e pretende colei, che fu
di tutte provincie donna e signora. Chi sarà che ci salvi dalla vergo-
gna, poichè dal servaggio è vano lo sperare che alcun ci salvi. Chi
potrà farci o sordi o ciechi ai mali nostri, poichè camparci da quelli
alcuno non può ? Deh! questo almeno ci sia dato, che la coscienza di
tal onta, e la veduta delle luride piaghe nostre tolta ci sia». Ma che
starò io a fastidirvi di vantaggio? Dirò, non per odio di altrui nè per
disprezzo, che gli adusati a leggere, od a sentire concioni comiziali ro-
boanti e canore, piglian questi santissimi affetti come esercitazione re-
torica, non:qual’è nel-fatto,: slancio caldissimo d’anima cittadina. Tanto.
DI FRANCESCO PEPRARCA LT
si fa male a giudicar gli uomini grandi, senza farci contemporanei di
loro e nel bene e nel male. Forse il Petrarca non ebbe nel riordina
mento civile dell’Italia saldezza di proposito, come l incrollabile Ali
ghieri, ma che questo desiderasse in qualche deliquio platonico non è
quel che viene dalle opere di lui; il quale, riconoscentissimo ai suoi amici,
scriveva: «Non vi ha famiglia che io ami più dei Colonna; ma Roma,
ma la Repubblica, ma l'Italia mi sono ancora più cari ». Desiderava la
salvezza della terra nostra, e la vedeva possibile per virtù italiana,
...@ fia il combatter corto
Chè l'antico valore
Negl’italici cor non è ancor morto.
Venisse questa salute da un Cesare o da un Tribuno mon gli fa. Gli
tardano la speranza di giorni sì desiderati le cruenti e insane discordie
civili, ond’egli sempre fedele alla patria, va gridando : Pace, pace, pace.
E non é tutta l'Africa un canto d’ amore gagliardo, generosissimo,
glorificante l’Italia, inneggiante la Magna Roma? Non si sprigiona da
essa il fuoco dell’anima del poeta, che arse mai in petto di cittadino
onesto e tenero delle più nobili virtù, senza la vita delle quali si di-
sonesta qualsiasi sentimento ? Ma, parmi di sentire, essa non ha, nell’an-
dare dell’azione, la compostezza virgiliana, e manca fra le parti quel
non so che d’armonico, per cui certe digressioni, o episodj che si di-
cano, appajono assai slegati. Per la seconda colpa ogni uomo prudente
si persuaderà che ove il poeta avesse avuto agio di tempo e serena
tranquillità d'animo, ovvero sicurezza che l’opera sua era degnissima
dei tempi, questa menda, se pur c’è, sarebbe scomparsa, perchè egli
non aveva bisogno delle nostre avvertenze a riguardar meglio il. suo
lavoro. Come siam facili noi pigmei a crederci più alti del gigante,
sol perché ci solleviamo sulle spalle di lui! Alla prima poi risponderà
il Petrarca medesimo con le parole scritte in una epistola al Boccac-
cio: « Vuolsi sapere quale io mi sia? Tale son’io che mi studio batter
la strada, tenuta dai padri nostri, ma non servilmente mettere il piede
sull’orme loro. E se talvolta mi giova servirmi dei loro scritti, non per
rubarli, ma per farne a tempo opportuno uso precario; più assai mi è
grato, ov’io possa, servirmi dei miei. Tale son’io che della imitazione
mi' piaccio, non della copia, anzi nello imitare fuggo il soverchio, e
cerco che si paia non cieco o losco, ma veggente pur esso; l'ingegno
dell’imitatore. Tale son'io che meglio vorrei non aver guida di sorta,
di quello che dover sempre mettere il passo ove lo mise il Duca mio.
Duca io non voglio che mi tragga alla catena, ma sol che vada in-
nanzi, sì ch'io lo segua; nè so acconciarmi in grazia di lui a perder
18 PER IL CENTENARIO
gli occhi, la libertà, il giudizio; nè mai sarà che alcuno mi vieti mo-
vere il passo dove mi aggrada; fuggir quel che mi spiace, provarmi a
cose non tentate finora, avviarmi, se mi talenta, per sentiero più age-
vole o più breve, affrettarmi, posare, divertir dalla via, volgermi in-
dietro ». Guai a lui, guai a tutti, grandi o piccini, se s’ avesse a te-
ner dietro il consiglio degli improvvidi consulenti: quanto meglio seguir
ciò che il cor vuole, come disse un siciliano antico :
« Cantet amet quod quisque, levant et carmina curas ».
L'Africa è l’inno a Roma, la quale non poteva avere, secondo il nostro,
perennità di gloria senz’essere regina d’Italia; nè questa splendore e
vita senz’essa. Mi sia conceduto leggervi la protasi, che è tutta bel-
lezza d’ispirazione e, nell’incesso, epica maestà.
E a me l’eroe per opre inclito, e in guerra
Tremendo, o Musa, ora ricorda, al quale,
Franta dall’armi italiane, un tempo
Diede eterno l’insigne Africa il nome.
Libar questa sant'acqua a me fia dato
Da l’esausto Elicona, alme sorelle,
Cura mia dolce, .perocchè mirande
Cose a voi canto. Già d’amica villa
E prati e fonti, e di campagne aperte
Muti silenzj e fiumi e collinette
Mi concesse fortuna: al vate i carmi
Voi concedete, voi spirito agli estri.
Lasciando ripetervi l’altra invocazione a Gesù Cristo , e le ragioni
della seconda guerra punica, imagina il poeta che, al farsi dell’ alba,
x
Scipione vede apparirsi in sogno un’ombra illustre, che è il padre suo
...ostendens caro proecordia nato
Et latus, et multa transfixum cuspide pectus,
che addita al figliolo Cartagine, ultima meta al suo valora. A stimolarlo-
di più gli narra (e la narrazione piglia i primi due libri, che sono due-
sogni) i fatti e le gesta gloriose dei Romani. Dicono ch’ ei si tenne al
sogno di Scipione di Marco Tullio, o a quel di Boezio nel De Consolatione
philosophiae. Sia pure; ma son due libri belli, fervidi, agitati da un
vivo calore poetico, che, specialmente in taluni quadretti o macchiette,
come direbbe un pittore, danno figure di singolare bellezza. Del resto
chi nel prezioso libro di Pio Ràina ha studiato le fonti dell’Or/arzdo di
L. Ariosto; o le lunghe annotazioni e i discorsi, che il genovese Giulio
Guastavini appose alla Gerusalemme del Tasso, et similia, vedrà come-
sia verissima la sentenza di Ugo Foscolo, il quale scriveva: non è il
nuovo che ha a cercarsi in arte, ma l'aspetto nuovo, o la novità con
DI FRANCESCO PETRARCA 19
cui un’imagine si rappresenta. Basta fare una capatina in qualche pi-
nacoteca a veder la varietà immensa nelle molteplici Sacre Famiglie;
basta richiamare al pensiero che numero di Sofonisbe, di Meropi ecc.,
ci han dato i tragici, senza che l’un l’altro rubi, ma che solo nello ar-
gomento si somigliano.
Non mi soffermo all’altra accusa degli episodj, perchè è chiaro più
della luce meridiana che tutti i poemi del mondo risultano da un con-
serto di azioni accessorie alla principale: che maraviglia se il Petrarca
volle giovarsene ? Ma non si sarà mai critico fine, acuto, originale se
non si cerca modo, o via di scalcinare lo zoccolo o piedistallo che si
voglia dire sopra al quale si aderge
Vincitor di Cartago
Di Scipione la superba imago.
Qui non son buono ridirvi qual senso di pena all’ anima ebbi io,
leggendo un giudizio, che scese a noi da oltralpe, e che sarà stato ac-
colto come oracolo, venuto fuori dagli aditi augusti della sapienza! Ma
spesso avviene che « Tal biasma altrui che sè stesso condanna » ! Gior-
gio Voigt nell’opera dottissima « Il Risorgimento dell’antichità classica »
scrivendo del poema petrarchesco, così sentenzia: «che cosa è mai la
sua Africa, della quale egli si prometteva tante cose, e della quale
parla sì spesso nei suoi libri e nelle sue Lettere ? Non è proprio il caso
del ridiculus mus? Certo è che essa anzichè giovare, nuoce alla di lui
fama ». (vol. 1°, pag. 581). Nuoce alla fama di chi giudica senza aver
alito o spirito di arte; ma non al Petrarca ed al suo canto! Nel quale,
per continuare il primo detto, è mirabile l’incontro di Lelio con Siface,
quando il Romano voleva trarre alla sua l'animo venale del re di Cirta;
la di cui reggia è descritta con vera grandezza; ed è assai bello, al
termine d’un desinare, il canto di un giovane sulle fortune della Libia
dalle mitiche tradizioni di Atlante sino ai giorni in cui era vivo An-
nibale. Stupendo pare a me il racconto che fa Lelio dei fasti gloriosi
di Roma; sempre quella Roma della quale i nobili fatti rammemorando,
ridesta a pace le anime discordi perchè raggiungano il nobile fine della
canzone all'Italia :
Vostre veglie divise
Guastan del mondo la più bella parte.
E non mi arresterò al felicissimo episodio del re Siface prigione dei
Romani, che è d’una verità nuda, sincera. E me ne passerò presto della
Sofonisba, altra infelice regina Africana che muore invitta a non ac-
crescere la prossima gloria del trionfante Scipione; e non mi fermerò
20 PER IL CENTENARIO
nemmanco alle smanie di Massinissa. Qui suppergiù tutti convengono,
ch’essendo il poeta nella sua beva, cantò passionatamente di amore: e
dipinse con mirabil magistero la morte della povera reina. Manco male
che degnano il poeta di tanta virtù poetica. Nè mancano gli Elisi, i quali,
giurano alcuni, son quelli di Virgilio maniati: e pure han tanto di
proprio che solo, a mente fredda, pensandoci su, ci rammentiamo del
Mantovano. Al Zumbini par troppa l'ira di Annibale nel lasciare VIta-
lia, quasi che il Sidonio guerriero non presentisse perdute tutte le sue
vittorie, appena dalla penisola fossesi trasferito a Cartagine. Stupendis-
simo l’episodio di Magone, con cui si chiude il sesto libro, unico fram-
mento di 54 versi, conosciuto, vivente il. poeta; e del quale i fiorentini
e i beneficati dall’insigne scrittore, more solito, fecero tanto strazio, da
meritare una solenne difesa che il Petrarca dettò in una delle Senili,
diretta al Boccaccio. Per quel che guarda poi la squisitezza dell’anima
del fratello di Annibale, e del dispregio delle cose terrene, qual mara-
viglia? Donde Eraclito ed Egesia appresero che nel mondo maggior
copia c'è di male, e poca e rara assai quella del bene? L'anima be-
nigna e pia del vate aretino tutta traboccò nei dolcissimi versi, messi
in bocca al moriente Cartaginese, e la poesia è d'una insuperabile bel-
lezza. La battaglia di Zama, dicono, è cavata da Livio; e chi può ne-
garlo ? Certo in un poema storico, lì appunto dov’entra la storia, non
si può rifiutare quel che da essa ci viene; e se qualche forma liviana
si suggellò nella mente del poeta così vivamente da farla rivivere nei
versi, è poi tal colpa da far gridare al plagio, quando altri pensa, e
pare a me con tutta ragione, ch’ei seppe ben ‘congiungere il vero ar-
tistico al verismo storico ?
Chi legge l'ottavo libro chiuderà spesso il volume e gli occhi, per
rifare con la fantasia la maestà delle cose cantate dal poeta. Asdrubale,
mandato da Scipione a Roma per far dal Senato approvare la pace,
guidato da un cittadino visita la superba città vincitrice; e quantun-
que la materia sia la stessa della 22 delle Familiari al Lib. 6°, che arte
é quella del poeta, che impeto di affetto e di gioia ad ogni monumento
della prisca e nuova grandezza! E pare il poeta abbia voluto accre-
scerne le bellezze per far più pietoso il contrasto con i miseri carta-
ginesi, gementi entro orride prigioni, sotto il pesantissimo carico delle
catene !! Ha splendidi luoghi anche il 9° ch'è l’ultimo libro : l' entrata
di Scipione nella nave del ritorno ha un luogo ‘che non so temperarmi
dal non riferirlo i
TI non rauca ‘procellis
Aequora fervebant, ventisque silentibùs, undas
Victorem sensisse putes.
DI PRANCESCO: PETRARCA 21
Lungo il cammino Ennio predice all’eroe, come nel corso dei secoli
un giovane toscano canterà questa solenne impresa in un poema che
avrà per titolo Africa, e che varrà al poeta l onore della laurea in
Campidoglio. Il trionfo di Scipione e di Ennio pon fine al canto. Altro
che il topolino nato da una montagna!
Del resto il mio giudizio non ha valore alcuno di fronte alla storica
sapienza d’un sì dotto scrittore. È bene che io confessi che
Per avverso latrar non io mi muto
e me ne sto con l’autorità di tale che nota: « Prepongo a Silio, a Lu-
cano, a Stazio il Petrarca in quanto alla disposizione della favola; ed
all’ordine, che egli tenne nell'Africa, lasciando agli altri il giudizio della
lingua e dell’elocuzione: ma negli affetti amorosi è maraviglioso ». Il
lustre professore Voigt, dalla cattedra di Lipsia, o nei regni eterni, in-
chinatevi umilmente; chi scrisse questa nobile sentenza è Torquato
Tasso, cui nomini nullum par elogium !
L'Africa fa per molti socoli negletta, come negletto il pensiero d’Ita-
lia. Risorse con l’entusiasmo nazionale, vigoreggia al trionfo dell’Italia
nostra nella sua unità; scemano i detrattori, ed ogni giorno crescono
gli ammiratori pur ammettendo vi sieno imperfezioni.
Ma il trionfo dell’ammirazione fu solenne agli 8 di aprile del 1541.
Il dì primo settembre dell’anno innanzi eran pervenute al Petrarca
due lettere, che lo chiamavano alla laurea poetica a Parigi ed a Ro-
ma; e questa, a consiglio del cardinale Colonna, fu degnamente pre-
scelta. Incerto di sè, o meglio del suo merito, sull’ uscire di febbraio,
vola a Napoli. Roberto di Angiò per tre giorni lo esamina: e, dichia-
randolo degnissimo dell’onorificenza, lo regala d’una clamide. La sera
del 6 di aprile è a Roma, invanamente cercando del Barili, segretario
dell’Angioino, che di corsa era rientrato a Napoli, fuggendo le astuzie
dei briganti; ed il giorno 8, che fu domenica di Pasqua, è pronta la
festa.
Non mi perderò in descrizioni; tolgo ogni nota dalla prima epistola
metrica al medesimo Barili, che così suona: « Di subito alla chiamata
i potenti di Roma si adunano. Il Campidoglio echeggia di romore fe-
stevole; e veggio o parmi che la mole antica esulti di lietezza. Squillan
le trombe; il popolo, desideroso di vedere, gareggia nell’ accalcarsi. Io
stesso, io stesso vidi più di un ciglio degli amici accorsi tremolante di
lacrime di tenerezza. Ascendo il sommo; taccion le squille, e il mor-
morio si tace: e la corona, che fu ai mieiinvidi segnale di colpevole
invidia, posò sulla mia fronte reclina, e con l’anima tumultuante prego
e piango ».
22 PER IL CENTENARIO
Al cantore soave dell’onesta bellezza, al cittadino amorosissimo d’ogni
glorioso bene d’Italia, richiamandola dal sonno neghittoso alla splen-
dida vita dell’antico viaggio, s'ispirino gli animi nostri; questo è il de-
bito nostro verso di lui. « Viva egli nel cielo, e, finchè noi viviamo,
viva nella memoria nostra: ma dopo noi, viva nella memoria dei po-
steri; i quali, se lo conosceranno, dovranno averlo caro; nè l’amore in
questo m’inganna ». (SENIL: Lib. 3, Lett. 1%).
LA CONTRADIZIONE AMOROSA
IN
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LAVORO
Del Prof. LIBORIO AZZOLINA
Presentato dal Socio Prof. Alfonso Sansone
nella tornata del 19 Novembre 1905
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EEE ONIITRI
1. Le rime di F. PerrARcA, ed. G. Mestica, Firenze, 1896.
2. Le rime di F. PerRARCA, commendate da G. Carducci e S. Ferrari,
Firenze, 1899.
3. F. Prrrarca, Lettere delle cose famigliari, volg. da G. Fracassetti, Fi-
fenze, 1863.
4. F. Petrarca, Lettere semi, volg. da G. Fracassetti, Firenze, 1892.
5. L’autobiografia, il Secreto e Dell’ignoranza sua e d’altrui di messer F. Pe-
TRARCA, a cura di A. Solerti, Firenze, 1904.
6. G. A. CrsarEo, Su le “ Poesie volgari , del Petrarca, Rocca S. Cascia-
no, 1898.
7. F. De SanorIs, Saggio critico sul Petrarca, Napoli, 1892.
8. F. De Sanctis, Storia d. lett. ital., Napoli, 1879, vol. I.
9. L. Azzorina, Il “ dolce stil nuovo ,, Palermo, 1903.
10. B. ZumBini, Studi sul Petrarca, Firenze, 1895.
11. C. Seark, Studi petrarcheschi, Firenze, 1903.
12. La vita italiana nel trecento, Milano, 1897.
13. G. Carpucct, 12 Petrarca alpinista, in Opere, X, 151 sgg, Bologna, 1893.
14. I. BuroxHarDt, La civiltà del sec. del Rinascimento in Italia, trad. da
D. Valbusa, Firenze, 1876.
15. De NorHac, Petrarque et Vhumanisme, Paris, 1892.
16. G. Vorar, Il risorgimento dell’ anticlatà classica , tradotto da D. Val-
busa, Firenze, 1888, vol. I, 25-158.
17. L. Gricer, Rinascimento e Umanismo in Italia e în Germania, trad.
da D. Valbusa, Milano, pp. 31-60.
18. A. BarroLi, I primi due secoli d. lett. ital., Milano, pp. 433-554.
19. A. Gaspary, Storia d. lett. ital., trad. da N. Zingarelli, Torino, 1887,
vol. I, pp. 347-413.
20. G. VoLpi, 1 trecento, in Storia d. lett. ital., Milano, pp. 23-83.
LA CONTRADIZIONE AMOROSA
IN
RIT IRIZIRIRZNIROA
___rPTr_rP———m
Se dai trovadori provenzali a Dante è chiaro ed innegabile, nella lirica
amorosa, un processo essenzialmente evolutivo ; invece, da Dante al Pe-
trarca si sente come un’impreveduta rivoluzione.
Uguale in tutti lo scopo ultimo : il perfezionamento morale; uguali gli
elementi precipui: la donna, l’amore, l’anima del poeta; uguale il contrasto
tra l'ideale e il reale, tra la mente e il cuore, tra la ragione e il senso e,
quindi, la intonazione di dolore prevalente ; uguali tanti altri particolari,
‘che hanno dato modo di ravvicinare ai versi scritti per Laura ora quelli
ispirati da Beatrice o da Selvaggia, ora quelli informati alla rigidezza della
Castellana d’oltr’ Alpe o di Madonna.
Ma in Petrarca è un modo di considerare e di sentire tutto codesto dia-
metralmente opposto a quello degli altri: conseguenza della sua diversa
educazione intellettiva, del suo particolare temperamento, di quel determi-
nato ambiente morale, che agì su di lui. L'amore e la donna nei Rerwn
vulgarium fragmenta hanno tanta parte al conseguimento della vera per-
fezione dell’ anima amante, quanta nella lirica d’arte precedente, specie
nello sti! nuovo; sennonchè , là entrambi rispecchiano ben altro giudizio,
ben altro sentimento, ben altro principio estetico, essendo affatto mutati
i criteri e le norme morali del filosofo, diverse le potenze affettive del-
l’uomo, nuovo il fine artistico del poeta.
Ciò è quanto ho in animo di esaminare il meglio possibile, e so, fin
troppo, che al mio lavoro deriverà, assai spesso, conforto e lume da pre-
cedenti trattazioni su alcuni punti dell'argomento, che la critica ha già
scrupolosamente giudicate e favorevolmente accolte.
6 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
L'amore. al quale i poeti stilnovisti attribuirono virtù sovrannaturali,
anzi divine, chi legga il son. Voz ch'ascoltate del Petrarca, par già lontano
di secoli. Non è più una spirazione di Dio e, quindi, un mezzo di rigene-
razione cristiana, ma un vareggiar ; non procura più gentilezza, ma ver-
gogna; non è faro luminoso dell'intera vita, ma finisce presto in un pew-
tersi compunto. La sua sofferenza, ch'era d'aiuto al servante, è già van
dolore, e son vane speranze quelle stesse con cui prima sollevava dalle vol-
garità della terra l’anima innamorata. Prima i suoi piaceri erano scala al
cielo , ora son breve sogno ; il sentimento di esso negli uomini costituiva
un bene e. invece, non merita perdono ma. in certo qual modo, pietà; l’e-
saltarlo senza tregua era una missione, ed è un rendersi favola al popol tutto.
E il son. Voi ch'ascoltate trova nelle rime seguenti largo riscontro e de-
terminazioni integranti. Nella canz. Io vo pensando Amore è quello
Che la strada d’onore
Mai non lassa seguir, chi troppo il crede,
mentre il Cavalcanti l'aveva segnalato a Dante giovane quale
IITTENLE 43 ISEE segnor valente
che segnoreggia il mondo de l’onore 1.
Nel son. Voglia mì sprona Amore è la cieca e disleale scorta per cui
Regnano i sensi, e la ragione è morta,
quando nello sti nuovo Amore operò anche al trionfo della ragione sul
senso 2. Nel son. Come va il mondo, il ceco Amor, fattasi compagna la
sorda mente del poeta , fa andar per viva forza quest'ultimo ov'è morte
morale, morte completa dell’anima, e per Dante Amore era unimento spi-
rituale dell'anima a Dio 3. Nei Trionfi. poi, Amore è. senz'altro.
ROTTI SRREI ROLION ar un garzon crudo
Con arco in mano e con saette a’ fianchi...
Fatto signore e Dio da gente vana,
è mostro, che sopra la mente rugge, e ogni ragion indi discaccia , che si
circonda di errori, di false opinioni, di lubrico sperar, che procura
Chiaro disnor e gloria oscura e nigra,...
Sollecito furor e ragion pigra,
1 Son. Vedesti, al mio parere, ed. Ercole.
? Cfr. Azzorina, Il dolce stil nuovo, pp. 112-830.
3 Conv.; III, cap. II
Cos |
IN F. PETRARCA
onde
Poco ama sè chi ’n tal gioco s’arrischia.
Eppure, qua e là, non mancano nei Fragmenta le lodi di Amore. Di
fatto, ora è dichiarato che l’amoroso perszero... al sommo Ben... invia; * ora
dell'anima di un amico tornato a vita amorosa è detto ch'al dritto camin
D)
là Dio rivolta; ®? ora nel mover degli
Occhi leggiadri, dove Amor fa nido,
è visto un dolce lume Ohe... mostra la via, ch'al ciel conduce. 3 Poi lo stesso
Amore si vanta d’aver procurato al Poeta
Quanto à del pellegrino e del gentile,
d’avergli indicato la via di levarsi @ l'alta Cagion prima, d’averlo salito
in qualche fama, alzandogli l'intelletto
Ov'alzato per sè non fòra mai,
d’aver nobilitato così il dire di lui che
RIA de’ suoi detti conserve
Si fanno con diletto in alcun loco. 4
E il Poeta non ischiva di rivolgersi ad Amore perchè porga mano al-
laffannato ingegno,
, ed a lo stile stanco e frale,
Per dir di quella ch’è fatta immortale
E cittadina del celeste regno!?
Come raccapezzarsi ? Ma se badiamo alla lineazione ideale delle “ Poesie
volgari ,, quale la determinò incomparabilmente il Cesareo 5 precisandone
netto il carattere morale nelle tre parti principali, si può di leggieri trovar
il bandolo della matassa. Di fatto, la spiccata ed esplicita esaltazione della
virtù amorosa, che fa lo stesso Poeta, dando così tutta l'apparenza di con-
(14
tradirsi, è nella prima parte ove ancora l’ animo è * volto qua e là dal
soffio delle passioni ,, ove l’uomo appunto “ brancolando nella selva del-
1 Son. Quando fra l'altre donne.
2 Son. Amor piangeva.
3 Canzz. Perchè la vita è breve e Gentil mia donna, è veggio.
Canz. Quell’antiquo mio dolce empio signore.
5 Son. Deh porgi mano.
6 V. Su le “ Poesie volgari ,,..., pp. 261 seg. e G. GroeBER, Von Petrarca’s Laura in
Miscellanea di studi critici edita în onore di A. Graf, pp. 15-6.
00)
LA CONTRADIZIONE AMOROSA
l'errore, ricerca se stesso .. ! E il vanto della propria potenza messo in
bocca d’ Amore e l’invocazione a quest'ultimo perchè agevoli l'ingegno e
lo stile del Poeta, hanno luogo nella seconda parte, ove “la commedia
dell'anima è presso al suo scioglimento ., ma non è del tutto compiuta.
ove l uomo © si trova fuori d’ ogni passione , è vero, ma non è ancora
“ superiore a ogni passione .. come sarà poi nei Trionfi. *
L'ondeggiare tra pensieri opposti, il rimanere spesso sospeso tra un giu-
dizio e l’altro, che gli agitavano. discordi ed esclusivi tra loro. la mente.
era, lo san tutti. proprio del Petrarca, che non mutò mai. In li l’alto
concetto d° Amore derivato già dai Provenzali e dai precedenti poeti to-
scani in genere, aveva urtato, a un certo punto . contro l’ abominazione
dello stesso Amore rilevata in S. Agostino e, dopo una lotta ostinata.
aveva ceduto. Il Secretum è là a dar larga attestazione di quel primo urto
e di quella prima lotta tra le due teorie contrarie e del trionfo dell'una
sull'altra. Ma come il Poeta continuò a tener dietro alle mille lusinghe
della gloria. anche dopo che da S. Agostino s'era fatto quasi imporre :
“Tu hai adunque ad osservare questa legge. ama la virtù e dispregia la
gloria. E nientedimeno in questo mezzo, come si legge di Mario Catone,
quanto meno la domanderai, più conseguirai quella .. ? e come non riuscì
mai a liberarsi dalla “ tristizia dell'animo, la quale, come una pestilentis-
sima ombra, occide li semi della virtù e tutti li frutti dello ingegno .. *
pur tentando tutti i rimedi suggeriti dallo stesso vescovo d’Ippona ; così
non seppe sacrificar completamente certi lati buoni d'Amore ad una con-
danna recisa di esso ed esitò a lungo tra il prò e il contro. Il che dà spie-
gazione della canz. Quell’antiquo, posta la penultima dei Mragmenta, nella
quale Amore. citato al tribunale della Ragione, si discolpa con forza e con
efficacia delle accuse del Poeta, e la Ragione al Poeta e ad Amore. che
attendono la sentenzia, dice sorridendo :
Piacemi aver vostre questioni udite,
Ma più tempo bisogna a tanta lite.
E il tempo opportuno giunse e la sentenza esplicita, severa fu data —
l'abbiam visto—nei Trionfi. Qui ogni ondeggiamento cede ad un giudizio
1 V. Cesareo, Su le * Poesie volgari ,,.... p. 244.
2 Ivi, pp., 268-69. G. AppeL ha Fipreso recentemente (in Rivista d’Italia, a. VII, fase.
VII. pp. 54-67) la questione già sostenuta da G. MetLopra (in Studio su i Trionfi del
Petrarca, Palermo, 1898, pp. 71-80) su le relazioni che i Trionfi abbiano col Car zoniere.
In proposito v. L. Azzoma, I Trionfi del Petrarca, in Giorn. dant., a. XIII (1905), q. IL
3 Il Secreto... ed. cit.. dial. IMI, p. 168.
4 Ivi, dial. II, p. 110.
IN F. PETRARCA 9
freddo e immutabile; il pensiero, che ha analizzato, distinto ed affermato
tra un'alternativa penosa di dubbi e di convincimenti, alfine appar libero
e sicuro ; il nuovo concetto d'Amore , abbozzato nel sonetto-proemio Vo?
ch’ascoltate , ma qua integrato e là , invece, quasi contradetto nelle altre
poesie, trova le sue linee precise, il suo giusto tono, la sua definitiva de-
terminazione.
Sennonchè , nei Fragmenta , oltre al concetto , c'è anche il sentimento
d'Amore.
Nello sti! nuovo, preso nella sua vera essenza, Amore non afferra e pe-
netra, agita, infiamma la parte affettiva dell'anima, sì da renderla tutt'uno
con sè e farla vivere della sua vita, gioire delle sue gioie, soffrire delle
sue pene. Esso si accorda con la ragione e dà le ali all’ intelletto; la sua
prima origine è fuori dell’uomo e la sua vera stanza è nella mente; è idea,
non è sentimento : idea , che punisce e corregge i traviamenti del cuore,
che combatte e ammorza e deprime i sensi, che illumina e dirige le fa-
coltà intellettive, che aliena l’uomo dal vizio per accenderlo della virtù e
lo strappa alla terra per rivolgerlo al cielo e lo distacca dal mondo per
metterlo nella grazia di Dio, che uccide il male e fa trionfare il bene,
che compone il disordine morale e civile in un ordine perfetto e salutare 1.
Ma nei Fragmenta il sentimento amoroso è tutto l’amore, e ciò che più
sopra è stato chiamato concetto d'Amore non è se non il giudizio di quel
sentimento medesimo , formulato al lume d’un dato principio morale. Il
Poeta, con espressione breve insieme e densa, lo definisce un dolce affanno *
e ne dà, come ognun vede, il tono unico e pieno, senza però dimenticare,
o far dimenticare, che quella piena unità risulta dalla compenetrazione di
due note, per natura, discordi e stridenti e, invece, compagne inseparabili
per destino. Poi, volendo distinguere nettamente, lo dice ora foco, fiamma,
e martir, 3 un
. +... Sospirare e lacrimar mai sempre,
Pascendosi di duol, d’ira e d’affanno,
un arder da lunge ed agghiacciar da presso ;* ora un languir dolce, un
desiar cortese, ® un abbagliamento così soave che fa incuranti di qualsi-
1 Cfr. AzzoLina, Il dolce stil nuovo.
2 Son. Benedetto sia ’l giorno.
3 Son. Quel foco ch'i’ pensai.
4 Son. S'una fede amorosa.
> Tui
to
10 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
voglia danno ; * quindi , tornando a riunire le due qualità in antitesi, lo
apostrofa :
O viva morte o dilettoso male.
dopo essersi domandato :
S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento?
Ma s’egli è amor, per Dio, che cosa e quale ?
Se bona, ond’è l’effetto aspro mortale ?
Se ria, ond’è sì dolce ogni tormento? ?
Intanto, nel Secretum , egli sè fatto osservare da S. Agostino: * Nes-
suna cosa è che tanto partorisca la oblivione, il dispregio di Dio, quanto
quest'amore delle cose temporali, e precisamente questo , il quale per un
certo suo proprio nome è detto amore ..;... e dopo: “ Queste e simili miserie
sono nell’amore:.... quella miseria è sopra le altre precipua, la quale par-
turisce di Dio e parimente di sè medesimo oblivione. Perchè non so in che
modo l'animo piegato da’ pesi di tanti mali, ondeggiando pervenga a questo
unico e purissimo fonte di vero bene . 3.
Sicchè, per il Petrarca Amore è soprattutto sentimento forte, invadente.
tremendo; è violenta passione, la quale, mentre tormenta il cuore e strugge
il corpo, nello stesso tempo trascina l'anima e l’ allontana dalla sua vera
felicità, ch'è riposta in Dio. L'uomo lo prova e lo soffre, il moralista lo
analizza e lo giudica: ed uomo insieme e moralista si trovano, così, in un
mondo assolutamente nuovo rispetto a tutti i predecessori nel genere.
IL
Nello sti! nuovo Dio è il primo amore, l'eterno amore, opera di amore
la sua creazione, amori le sue creature: gli angeli e, quindi, amore la
donna-angelo e amore la virtù operatrice di lei, la sua spirazione ; poi.
amore quello delle creature al creatore e, quindi , amore quello del poeta
alla donna-angelo e, per lei, a Dio. Tutto è emanazione graduale di Dio
e tutto è scala diritta a lm.
Ma nei Fragmenta codesto ordine di cose cessa, e mentre Amore allon-
tana dal cielo, invece, appunto al cielo guida la ispiratrice di quello, Laura.
Onde, la contradizione par chiara ed innegabile. Soltanto, il Poeta non la
vide mai.
Son. Come tal ora.
2 Son. Sfamor non è.
3 Dial. III, ed. cit., pp. 131 e 135.
IN F. PETRARCA 11
Egli esalta in tutti i suoi particolari la bellezza della sua donna e dice
e ripete in tutti i toni che il suo cuore, la sua mente, tutta l’anima sua
è presa di tal bellezza e la fa sua luce, suo mondo, sua vita. Ella supera
Venere e Marte, scolora il Sole , vince con Giove... ogni altra stella; * ri-
tratta in carte, fa subito pensare a un’opera
di quelle che nel cielo
Si ponno imaginar, non qui tra noi,
Ove le membra fanno a l’alma velo; ?
ammirata in tutta la sua gloria, maggiore di quella del sole
Quando ’1 ciel fosse più de nebbia scarco,
e di quella del celeste arco quando si vede dopo pioggia
Per l’aere in color tanti variarsi,
accende tosto la fiamma amorosa, che prende, avvolge, consuma:
I’ vidi Amor ch’e begli occhi volgea
Soave sì, ch’ogni altra vista oscura
Da indi'in qua m’incominciò apparere.
Sennuccio, il vidi, e l’arco che tendea;
Tal che mia vita poi non fu secura,
Ed è sì vaga ancor del rivedere. 3
Poi, negli occhi, mirando fiso, s'impara
Come s’acquista onor, come dio s'ama,...
Se ei gualfespiustanivia
Di gir al ciel. 4
Soltanto, non è tutto. Ecco che il Poeta, pieno d’un pensiero che lo
disvia dagli altri, lo fa solitario e di quando in quando lo invola a se
stesso, ha l’oscura coscienza di dover fuggire la sua amata mentre la cerca,
e se la vede passare, la trova dolce e ria, se vuole giudicarla, la chiama
Questa bella d’Amor nemica e mia. 5
Quindi, pensa , riflette sugli sdegni insistenti di lei e v’intravede un am-
monimento, che rivela netto a sè e al proprio cuore, senza perdersi nei
soliti lamenti o raffreddarsi in vane considerazioni:
Sforzati al cielo, o mio stanco coraggio,
Per la nebbia entro de’ suoi dolci sdegni
Seguendo i passi onesti e ’1 divo raggio.
1 Son. Quest'anima gentil.
2 Son. Per mirar Policleto.
3 Son. Nè così bello ’l sol.
4 Son. Qual donna attende.
5 Son. Pien d'un vago penser.
5 Son. Anima, che diverse cose tante.
192 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
In seguito, coglie un dialogo tra una donna attempata e Laura sull’ o-
nestà femminile: quella antepone, per pregio. la vita alla
Vera onestà, che ’n bella donna sia.
l’altra volge l'ordine, sentenzia. in tesi generale. che
Se CARBONIO E io
Senza onestà mai cose belle o care,
conclude che
qual si lascia di suo onor privare,
Nè donna è più, nè viva;
e il Poeta rincalza l'opinione di Laura e magnifica lei :
Vengan quanti filosofi fur mai
A dir di ciò: tutte lor vie fien basse;
E quest'una vedremo alzarsi a volo. 1
Dopo, è tutto un inno al modo di vedere di Laura. a cui dì nulla cale,
se non d’onor; che non teme visco o lacci o reti d'amore: che disprezza
perle. robini ed oro, quasi vil soma; che tiene a noia
L'alta beltà, ch'al mondo non è pare.
, se non quanto il bel tesoro
Di castità par ch’ella adorni e fregi. ?
Oramai, i rapidi ma frequenti baleni, che attraversano la coscienza del
Poeta, rompono bruscamente le tenebre. che l’avvolgono ancora, e la ve-
rità, già nascosta e nè manco presentita, fa di quanto in quanto capolino,
scuote i primi inganni. getta il seme del dubbio. La bellezza corporea,
che sempre affascina e infiamma ed incatena, già cede il primo posto alla
castità, anzi. intanto essa ha valore in quanto è ornamento dell’altra; gli
sdegni, che ancora sconvolgono e tormentano, hanno ora un senso riposto,
distraggono dalle mondanità, mirano a qualcosa di più alto ; l’amore trova
una nemica in colei che l'ispira, spunta in lei i suoi dardi, sfrutta con lei
le sue arti. Come governarsi ?
Nelle sue confessioni al vescovo d'Ippona il Poeta, conducendosi ancora
incerto tra’ veri benì e i falsi, aveva ragionato prò e contro l’azione eser-
citata da Laura su di lui e infine. per via di sottili considerazioni e nel
fervore dei pensieri celesti dominanti, aveva con Terenzio esclamato :
O indignum facinus ! nune ego et
Ilane scelestam et miserum me esse sentio !
Eun., se. I.
Poichè Laura. più che altro, rivolgeva tutte le facoltà di lui alla sola
1 Son. Cara la vita.
Son. Arbor vittoriosa.
19
IN F. PETRARCA 18
sua persona e i desideri di lui “ dal Creatore alla creatura , così che “ con-
siderato che ogni cosa creata si debba amare per amore del Creatore ,,
«egli, “ pel contrario, preso dalle lascivie d’una creatura, non amava il Crea-
tore per quel modo e via che si conviene ,, e si meravigliava “ dell’arte-
fice, come non avesse creato cosa più formosa, e niente di meno la forma
corporea è l’ultima fra tutte quante le altre bellezze ,, *.
Ora, dopo cinque anni, nella canz. Zo vo pensando, lo stato d’ animo
non muta e nemmeno mutano i giudizi sfavorevoli ; soltanto, ricompaiono
sotto il velo d'una melanconia molle e spontanea, che da un lato ne at-
tenua le tinte e, dall'altro, lascia quasi indovinare la lotta intima e dispe-
rata, che li suscita. Qui è un pensiero che dice alla mente :
Già sai tu ben quanta dolcezza pòrse
Agli occhi tuoi la vista di colei,
La qual anco vorrei
Ch'a nascer fosse per più nostra pace ;
là, è un altro voler che invade il campo e fa sì che il Poeta, come pre-
.sago del vero, sino allora sconosciuto, dichiari a sè che
...mortal cosa amar con tanta fede,
Quanto a Dio sol per debito convénsi,
Più si disdice a chi più pregio brama;
infine, è lo sgomento del Poeta medesimo, il quale comprende che ha
smarrito la giusta via, sente che è troppo lontano dal cielo mentre tena-
cemente, e senza più volerlo, è legato alla terra, osserva che invecchia e
«che la morte l’incalza, cerca invano del viver suo nuovo consiglio e con-
stata che, mentre vede il meglio, s'appiglia al peggio.
Ma un passo più avanti è fatto. Agli occhi del Poeta Laura non è più
una bellezza unica, sovrana, infinita, in cui non sa che primeggi, o il pre-
gio del corpo o la virtù dell’anima; da cui scocca il dardo amoroso, che ac-
cende i sensi e offusca la ragione, e per cui, nello stesso tempo, si cono-
scono le vie del cielo. La necessità di distinguere cosa da cosa già si pre-
sente; i dubbi vanno risolvendosi; le contradizioni accennano a scompa-
rire. L'amore ch’arde nelle vene del Poeta, è nato dalla bellezza corporea
di Laura, la quale è l’ultima delle bellezze, è cosa mortale e cede, di gran
lunga, al paragone con la castità per cui solo la donna è vera donna ®.
Laura casta, onesta non seconda codesto amore, che è un errore, un va-
neggiar, un'estrema insania, ed è causa di morte morale certa e irrepara-
bile; ma lo combatte sn dalle origini, lo disdegna con erudezza implaca-
bile. Il Poeta ama e soffre e si lamenta; ma, a un certo punto, dubita
1 Dial. III, ed. cit., p. 126.
2 Son. Arbor vittoriosa.
14 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
dell’ essenza del suo amore, giustifica le sue sofferenze, muta il tono e
l'indirizzo ai suoi lamenti.
Frattanto, nell’incalzarsi di pensieri e di sentimenti così diversi, Laura
muore. In primo, ne seguono lacrime e disperazioni, rimpianti e invoca-
zioni alla morte; poi, è un rmnovare alla memoria, con dolorosa insistenza,
tutto un passato, e un magnificarlo, desiderandolo invano; quindi, suben-
trano la riflessione, l'esame d’ogni particolare, il giudizio sereno; infine, la
verità si mostra nella sua piena luce e conclude e determina sicura. Il
Poeta si conferma nell'opinione, prima appena abbozzata, che negli sdegni
di Laura pel suo amore era la salute di lui:
Or comincio a svegliarmi, e veggio ch’ella
Per lo migliore al mio desir contese,
E quelle voglie giovenili accese
Temprò con una vista dolce e fella.
Lei ne ringrazio e ’1 suo alto consiglio,
Che col bel viso e co’ soavi sdegni
Fecemi, ardendo, pensar mia salute.
Oh leggiadre arti e lor effetti degni! 1!
E sì compiace di quello stesso. per cui prima aveva levato la voce que-
rula e benedice a Laura e all'opera santa di lei :
Come va ’1 mondo! or mi diletta e piace
Quel che più mi dispiacque; or veggio e sento
Che per aver salute ebbi tormento,
E breve guerra per eterna pace.....
Oh quant’era il peggior farmi contento
Quella ch’or siede in cielo e ’n terra giace!
Benedetta colei ch'a miglior riva
Volse il mio corso, e l’empia voglia ardente,
Lusingando, affrenò, perch'io non pera! !
Poscia, nettamente, distingue in Laura la bellezza dall’ onestà e in ef-
fetto ritiene quella la sola ispiratrice delle amorose punte e questa, invece.
l’unica guida al cielo :
Due gran nemiche inseme eran aggiunte,
Bellezza ed Onestà, con pace tanta,
Che mai rebellion l’anima santa
Non sentì, poi ch'a star seco fur giunte;
Ed or per morte son sparse disgiunte :
L'una è nel ciel, che se ne gloria e vanta;
L'altra sotterra, ch'e begli occhi amanta,
Onde uscir già tant'amorose punte. >
-
Son. L’alma mia fiamma.
1 Son. Come va ’1 mondo!
Son. Due gran nemiche.
19
IN F. PETRARCA 15
E mentre all’una attribuisce anche la beatitudine eterna di Laura :
Ella ’1 se ne portò sotterra e ’n cielo,
Ove or triunfa ornata de l'alloro,
Che meritò la sua invitta onestate ; *
nello stesso tempo, giudica recisamente caduca e fragile l’altra :
Questo nostro caduco e fragil bene,
Ch'è vento ed ombra ed à nome beltate,
Non fu già mai, se non in questa etate,
Tutto in un corpo: e ciò fu per mie pene; ?
e si pente d’averla tanto amata :
I’ vo piangendo î miei passati tempi,
I quai posi in amar cosa mortale,
Senza levarmi a volo, abbiend’io l’ale
Per dar forse di me non bassi esempi.
Sopraggiunge il tempo dei 7”%0rfi, in cui il Poeta, come scampato da
una tempesta che ha minacciato di sommergerlo, guarda dalla riva le
onde ancora sconvolte, con occhio fermo, sovrastante, e con la mente
chiara, investigatrice. E come Amore gli è apparso nella sua vera qua-
lità: artefice d’inganni e di dolori, cagione di traviamenti e di perdizioni
per l’uomo, che tenta al sommo Bene; così Laura la vede nella sua piena
gloria e nel trionfo delle sue infinite virtù, tutte di cielo :
. +. + +. eran con lei tutte le sue
Chiare Virtuti (oh gloriosa schiera! );
E teneansi per mano a due a due.
Onestate e Vergogna a la front’era,
Nobile par’ de le Virtù divine,
Che fan costei sopra le donne altera;
Senno e Modestia a l’altre due confine;
Abito con Diletto in mezzo ’1 core ;
Perseveranza e Gloria in su la fine;
Bell’Accoglienza, Accorgimento fòre;
Cortesia intorno intorno a Puritate;
Timor d’infamia e sol Desio d’onore ;
Pensier canuti in giovenil etate,
E (la concordia ch’è si rara al mondo)
V'era con Castità somma Beltate.
E la vede armata, più pertinace che in vita, contro Amore, il quale
1 Son. Passato è ’l tempo.
2 Son. Questo nostro caduco.
3 Son. I° vo piangendo.
16 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
ancora non ha smesso il proposito di tentarla e di assalirla per farla della
sua schiera. Già l’uno, con tutti è suoi argomenti, muove terribile, lo strale
nella destra, nell’altra l'arco e la corda all’orecchia :
Non corse mai sì levemente al varco
Di fuggitiva cerva un leopardo
Libero in selva o di catene scarco,
Che non fosse stato ivi lento e tardo;
e l’altra è
più presta assai che fiamma o venti,
pronta a schivare il colpo. I presenti,
Ciascun per sè si ritraeva in alto
Per veder meglio, e l’orror de l'impresa
I cori e gli occhi avea fatti di smalto ;
il Poeta, che assiste trepidante, sta
oggi con gli occhi attento e fiso
Sperando la vittoria ond’esser sòle;
E per non esser più da lei diviso.
Il colpo d'Amore parte, ma va a vuoto, chè si estinguono in fredda
onestate
I dorati suoi strali accesi in fiamme
D’amorosa beltate e ’n piacer tinti;
Laura, con catena di diamante e di topazio, lega l’ avversario e ne fa
quello strazio, che basta a mille vendette; il Poeta ne è contento e sazio.
Ma come, in parte, lo smentiscono le parole poco prima rivolte ad Amore,
avanti che la lotta fosse decisa! Con un sospiro, mal represso, dell’animo
gli ha detto intimamente, ma non così che non si leggessero
Ne gli occhi e ne la fronte le parole:
“ Signor mio, se tu vinci,
Legami con costei, s'îo ne son degno,
Nè temer che già mai mi scioglia quinci ,, *
È inutile. La mente del moralista si sforza a dar corpo al suo concetto
prestabilito e riesce, di fatto, allo scopo, mostrando, nel complesso , che
Amore è passione, suscitata dalla parte più caduca della donna, la bel-
lezza corporea, e nemica al bene dell’uomo, il quale dalle miserie del
mondo voglia elevarsi alla pace e alla gioia del cielo; passione che la
1 Trionfo della Pudicizia.
IN PF. PETRARCA 17
donna medesima, però, può aiutare a vincere, se in essa al di sopra dei
pregi del corpo sta l’ onestà, che sola spunta i dardi amorosi, distacca
dalle apparenze di diletti terreni e rivolge l’anima a Dio, fonte unica di
bene vero, eterno. Ma il cuore dell’uomo sempre cede alle passioni e ama
la bellezza sensibile ; non sordo affatto agli ammonimenti della ragione,
nondimeno esclama ancora una volta con Terenzio :
Et tedet et amore ardeo, et prudens sciens
Vivo, vidensque pereo nec quid agam scio ; *
compreso d’ ammirazione delle virtù celesti di Laura, gode però che in
essa, anche tra’ beati, splende
con Castità somma Beltate.
E quando , levatosi col pensiero al terzo cerchio, la rivede più bella e
meno altera, compassionevole con lui e di lui desiderosa, lieta del bene
sommo, di cui è fatta partecipe e che mente umana non riesce a conce-
pire, gode al sentirla, fra l’altro, sospirare le sue belle membra, forse più
che al vederla in tanta gloria :
Te solo aspetto e, quel che tanto amasti
9
E là giuso è rimaso, il mio bel velo. ?
E per la morte di lei crede d’ aver perduto ogni dolcezza della sua vita
e il mondo ciò che di più bello avesse e di cui potesse gloriarsi:
Poscia ch’ogni mia gioia,
Per lo suo dipartire, in pianto è volta,
Ogni dolcezza de mia vita è tolta.....
Ahi orbo mondo ingrato !
Gran cagion ài di dover pianger meco ;
Chè quel bel, ch’era in te, perduto ài seco.
Caduta è la tua gloria, e tu nol vedi. 8
Poichè indarno chiede
. +. . a Morte incontr’a Morte aita,
egli s'acqueta nel suo dolore, soltanto per la speranza che le sue rime
dolenti possano eternare sulla terra la memoria di lei:
E, se mie rime alcuna cosa pònno,
Consecrata fra i nobili intelletti,
Fia del tuo nome qui memoria eterna. 4
1 Il Secreto, ed. cit., dial. III, p. 186.
2 Son. Levommi il mio penser.
3 Canz. Che debb'io far ?
4 Son. L’aura e l'odore. a
Il
D
LA CONTRADIZIONE AMOROSA
Stanco di vivere ed anelante a lei nel cielo, vuol, fino all’ultimo istante,
ragionare della sua bellezza, perchè sia conosciuta pienamente al mondo
e degnamente amata :
Ite. rime dolenti, al:duro sasso
Che ’1 mio caro tesoro in terra asconde :...
Ditele ch’? son già di viver lasso,
Del navigar per queste orribili onde ;
Ma, ricogliendo le sue sparte fronde,
Dietro le vo pur così passo passo,
Sol di lei ragionando viva e morta;
Anzi pur viva ed or fatta immortale,
A ciò che °l1 mondo la conosca ed ame !.
Diremo questa una delle tante incertezze e contradizioni del Poeta. Ma
forse non ha anch’essa le sue cause e le sue giustificazioni ?
1008
Venuto su non propriamente bello, “ma tale che sul fior degli anni
poteva piacere ; di bel colore tra il bianco e il bruno, d’occhi vivaci e di
vista che si serbò per lungo tempo acutissima , >, il Petrarca nel 1325
portava nella splendida e licenziosa Avignone la sua smania smodata di
godere per sè e di piacere agli altri, nonchè la sua passione dello studio,
che la modesta scuola di Convenevole da Prato aveva fatto manifestare
in Carpentras e aveva alimentato, in Bologna, il contrasto intimo ed an-
goscioso in lui tra il fascino della grand’arte dei Romani e il disgusto
delle barbare formole dei giureconsulti. Entrava tosto nello stato ecclesia-
stico, ma soltanto per provvedere ai bisogni della vita: le mondanità e
l’antichità classica non lo lasciavano distrarsi. E si dava cura di mutar
vesti sovente e di profumare la guarnacca, d’arricciare i capelli e di cal-
zare elegante; cercava ansioso le conversazioni, i conviti, le belle donne e
le loro grazie e l'ammirazione della folla al suo passaggio, in quell'epoca
ancora votata al disprezzo del mondo ed alla mortificazione della carne.
D'altro canto, con Vergilio e con Cicerone appagava il sentimento della
bellezza della forma, che nel Medioevo era andato interamente perduto e
che in lui, invece, s'era manifestato potente sin dall’adolescenza, quando
aveva mostrato gran diletto della maestà e del ritmo delle parole latine;
si esaltava della piena conoscenza del mondo antico, sino allora o abor-
1 Son. Ife, rime dolenti.
2 F. Petrarca aì Posteri in Lettere d. cose fam., ed. cit., vol. I, pp. 201-2.
IN F: PETRARCA 19
rito o franteso per le mire della chiesa signoreggiante a conciliare le au-
torità discordi su cui si fondava, a ridurre semplici anelli del suo sistema
così gli scrittori profani come i sacri ; si gloriava di rivelarsi poeta e di
apprendere l’arte oratoria, opponendo, a quanti ripetevano non aver la
poesia altro ufficio se non quello di spacciare menzogne , che per essa si
salva qualsiasi nome dall’oblio, si acquista il. privilegio dell’ immortalità,
ed ai contemporanei, educati fra le pastoie della Scolastica e ligi ai det-
tami inesorabili della logica, provando, con 1’ esempio, la superiorità del
parlare come detta l'intimo sentimento.
Nel 1327 conosceva Laura e, invaghitosene, nel nuovo amore metteva
tutta la fiamma del suo sangue ardente, la febbre del desiderio vivo ma
inappagato, l'entusiasmo della mente accesa dalla sensualità della lirica
provenzale.
Accompagnando il Colonna a Lombez nel 1330 e, tre anni dopo, visi-
tando la Francia settentrionale e le Fiandre, all’ anatema troppo assoluto
gettato sulla natura dal cattolicesimo medievale, al gusto dell’ abietto e
dell’ignobile, all’ apoteosi del dolore e del patimento di tutto un popolo
malato e consunto da continui rapimenti in contemplazioni celesti, con-
trapponeva, a poco a poco, un concetto più umano della vita, un senso
vero della realtà delle cose, un diletto sommo delle varie bellezze fisiche,
un sentimento della natura, che, per lui, rinnovava e rendea mirabili le
relazioni fra lo spirito e il mondo esteriore.
Egli poteva già dirsi un vero anacronismo nell’età sua, un'anticipazione
completa e inaspettata d’un mondo a venire; quando, nel 1335, in com-
pagnia del fratello Gherardo, compì la vagheggiata ascensione sul monte
Ventoux.
Improvvisamente, in lui, al nuovo si sovrappose il vecchio coi suoi geli
e i suoi terrori, col suo antagonismo tra materia e spirito, col suo anne-
gamento del finito nell’infinito e dell’uomo in Dio. Quindi, a Cicerone e
a Vergilio fu opposto S. Agostino, fatto subito l’unico idolo, l’unico eroe;
al culto dell’eloquenza fu sostituita l’ aspirazione alla salute dell’ anima,
allo studio della poesia quello della scienza divina. E l’amore cocente della
gloria e della donna intiepidì nell’ansia opprimente d’una triste espiazione;
e impressa a neri tratti nell’ anima pesò , ognora e dovunque , l’ imagine
della morte.
Parea l’annientamento d’un’esistenza sino allora così rigogliosa e bella;
pareva il tramonto improvviso e doloroso d’una grande coscienza, la quale,
dopo aver lanciato nella tetraggine d'un cielo caliginoso un fascio di luce
foriero del sereno, azzurro e fulgido, lasciava al suo scomparire più fitte,
dietro a sè, le tenebre e l’aria più uggiosa.
20 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
Ma l'antico fuoco non si spense sotto la cenere che il passato, rea-
gente, vi accumulava sopra per distruggerlo, e vivide scintille, mandate
fuori ad ora ad ora, testimoniavano la sua persistenza. Il Petrarca, che
se ne avvide, ne fu accorato e, come da un amuleto, non si staccava mai
dal suo S. Agostino, e la notte recitava salmi penitenziali. si batteva il
petto, piangeva raccomandando fervorosamente l’anima a Dio. Soltanto,
sentì presto in sè prendere proporzioni smisurate la lotta tra il vecchio e
il nuovo e, ch'era peggio, a lui mancava la potenza di dare all’ uno la
palma su l’altro. Dante, natura equilibrata di sensitivo-attivo, avrebbe su-
bito deciso e seguito, senza tentennare, la via scelta. Al Petrarca faceva
ostacolo il suo temperamento di sensitivo-contemplativo-emozionale, e Vin-
tima lotta, non saputa dominare, trascinò lui per un avvicendarsi ininter-
rotto di luce e di tenebre. d’esaltazioni e di terrori, di gioie e di pene,
dove lo spirito, anelante invano alla pace, trovò le torture dell’acedia: se-
greta e perenne melanconia, dovuta a qualcosa d’insodisfatto, che sentiva
in sè e non gli dava mai requie.
Nessun fatto della vita seguì, che non riflettesse codesto particolare
stato d'animo, come nessuna concezione della mente, che non ne fosse
compenetrata. Venne il tempo dell'ordinamento dei Fragmenta e le cose
non erano mutate: quelli ebbero quindi il carattere. il tono, il colorito
che dovevano avere. L'ambiente ne determinò l’intendimento morale; la
duplice educazione intellettiva vi aggiunse uno scopo artistico, ne collocò
l’azione in un paesaggio campestre prima e poi nel cielo, e ne rese so-
vente opposti i pensieri, i sentimenti, i giudizi: il temperamento proprio
ne cagionò le incertezze, i tentennamenti, la melanconia soave. E l’amore
e la donna rispecchiarono alternativamente il giovine elegante di Avi-
gnone assetato di piaceri terreni. avvezzo alla sensuale espressione arti-
stica d’oltr'Alpe e il fedele seguace del vescovo d’ Ippona, nemico delle
passioni : l’uomo nuovo avido di gloria nel mondo, affascinato da ogni
bellezza sensibile. entusiasta degl’incanti della natura e l'uomo vecchio ri-
volto al cielo, innamorato delle virtù dell'anima, anelante all’annegamento
completo nella gloria divina; il poeta orgoglioso di procacciar plauso a
sè e agli altri, studioso di dar maggiore efficacia e attrattiva ai propri
pensieri mediante il prestigio della forma, vago della vita, dell’aria armo-
niosa, profumata, delle piagge fiorite, ridenti e il moralista indifferente
di ammirazioni passeggere, ingarbugliato in un arruffio di astrazioni, di
allegorie, di simboli, preoccupato sempre di espiazioni terribili, di morti
paurose.
La meravigliosa armonia, ideata dalla filosofia tomista, tra terra e cielo,
tra la creatura e il creatore. tra il sensibile e l’ intelligibile era oramai
IN P. PETRARCA 21
rotta. Il Petrarca non conobbe S. Tommaso, anzi lo evitò; e con la guida
degli scrittori religiosi più antichi, e specie di S. Agostino, ritornò all’or-
rore del mondo e all’estasi per l'invisibile, al disprezzo della carne e al-
l’esaltazione dello spirito. Sennonchè, il mondo e la carne, che lo avevano
attirato e conquistato nell’età delle impressioni più potenti e degli affetti
più tenaci, non perdettero per intero agli occhi suoi il fascino primitivo,
ed egli, privo di forte volontà e incapace di risoluzioni recise, rimase, come
lo Stilita, sospeso tra il cielo e la terra.
Poichè, la religione del Petrarca non uscì mai dal campo delle idee,
mai fu un sentimento vero e profondo. Avverso al sistema filosofico, per
cui Dante, pur non perdendo nulla della sua individualità e della sua fi-
sionomia speciale, trovò le vie del paradiso e giunse alla misteriosa visione
della trinità, il Petrarca si accostò piuttosto alla corrente mistica dell’e-
poca e la ritrasse in sè. Ma come scolorita, mutata! Per averne un'idea,
basta considerar lui quando il Giubileo del 1350 lo chiamò a Roma per
far penitenza. Le turbe dei romei, tutte compunte e disciplinandosi, an-
davano salmodiando per le vie e parlando di prodigi e di reliquie, ed
«egli, nella sua stanza, al tavolino solitario, evocava gli eroi dell'antichità
e a Varrone, quasi rapito dalle sue memorie , scriveva, palpitando: * A
venerarti, ed amarti, la tua virtù singolare, la tua dottrina e del tuo nome
la chiarissima fama mi astringono , * Era il conforto, che l'animo, pieno
della passata gloria latina, trovava in mezzo alle manifestazioni varie e
deliranti della fanatica devozione d’una folla, a cui un pensiero ascetico
l’aveva unito più col corpo che con lo spirito.
La sua vera fede non era per il cristianesimo, che nondimeno difendeva
contro gli Averroisti, ma per quanto egli aveva derivato dai suoi primi studi
e dalla vita giovanile. L’ascensione sul Ventoux apportò una rivoluzione nelle
sue idee, ma poco o punto influì sui suoi sentimenti. E come i sentimenti e
le vergogne non . riuscirono mai a mutare in lui l’uomo fatto alle gioie,
pur brevi e caduche, del mondo, non impedendo che cercasse sempre la
protezione dei grandi per assicurarsi i comodi del buon vivere, che tante
volte tornasse ai rumorosi allettamenti della società quante volte aveva
deliberato di evitarli, che invano facesse resistenza agl’ inviti insistenti
della carne e agli occhi innamorati, i quali—secondo una sua espressione —
non cessarono di essere i condottieri della sua rovina, che giudicasse am-
biguo se la morte sia un bene o un male, che mai si sentisse spinto a
sacrifizi di sorta per conquistare il bene eterno, che la mattina, dimen-
tico dei terrori notturni, desse il saluto festante al sole e alla natura; così
1 Lett. d. cose fam. XXIV, 6.
19)
9, LA CONTRADIZIONE AMOROSA
lo scopo morale, voluto raggiungere, poco agì sul suo modo di rappresen-
tare e l’amore e Laura.
La mente fredda e giudicante incatenò nel tempio della Pudicizia il
comune nemico Amore e soddisfatta inneggiò al trionfo dell’onestà di Laura,
ma il concetto non soffocò il sentimento e nulla la ragione tolse ai fremiti
del cuore. Ciò che attraversa, dal principio alla fine, i Fragmenta, e li co-
lorisce, li riscalda. li anima, è sempre il sentimento amoroso, che disprezza
la ragione :
Chè "1 fren de la ragione Amor non prezza, !
esulta dell’impotenza della ragione stessa contro gli occhi invaghiti :
Gli occhi invaghiro allor si de’ lor guai
Che ’1 fren de la ragione ivi non vale, ?
gode del predominio dei sensi sull’estinta ragione :
Regnano i sensi, e la ragione è morta; 3
che freme sotto l’ansia del Poeta di liberarsi dal foco delle passioni, e-
nelle invocazioni di lui a Dio perchè lo illumini della sua luce, lo conforti
della sua grazia, lo esalti nella sua pace, e nelle fervorose preghiere a
Laura beata che lo chiami a sè, nella sua gloria celeste :
Oh felice quel dì, che, del terreno
Carcere uscendo, lasci rotta e sparta
Questa mia grave e frale e mortal gonna;
E da sì folte tenebre mi parta,
Volando tanto su nel bel sereno,
Ch’ veggia il mio Signore e la mia Donna !; 4
D5 te) b)
che trema nei lamenti lacrimosi per le durezze di lei e nella speranza
vederla un giorno buona ed arrendevole :
Vivo sol di speranza,.....
Non è sì duro cor, che, lagrimando,
Pregando, amando, talor non si smova,
Nè sì freddo voler, che non si scalde; >
che tripudia della felicità di potere contemplar lei in questo mondo :
Sì come eterna vita è veder Dio, >
Nè più si brama, nè bramar più lice,
Così me, Donna, il voi veder felice
Fa in questo breve e fraile viver mio; *
1 Son. Come talora al caldo tempo.
2 Son. Ahi, bella libertà.
3 Son. Voglia mi sprona.
4 Son. E° mi par d’or in ora.
> Son. Aspro core e salvaggio.
5 Son. Sì come eterna.
di
IN PF. PETRARCA 23
che geme in un dolore senza nome per l’immatura dipartita di lei, per
l'improvviso scomparire della sua bellezza infinita :
Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,
Oimè il leggiadro portamento altero!
Oimè il parlar, ch'ogni aspro ingegno e fero
Facevi umile ed ogni uom vil gagliardo!
Ed oimè il dolce riso, onde uscio il dardo,
Di che morte, altro bene omai non spero! !
e che si sublima nel sospiro bramoso rivolto alla terra, la quale copre il
corpo di lei; a quella terra felice :
E tu, che copri e guardi ed àî or teco,
Felice terra, quel bel viso umano,
Me dove lasci, sconsolato e cieco,
Poscia che ’1 dolce ed amoroso e piano
Lume degli occhi miei non è più meco? ?
D'altro canto, il moralista sciolse il suo voto rappresentando la gloriosa
schiera delle virtù, che a Laura facean corona in cielo e magnificando
quest’ultima come bella vincitrice di Amore, tra il plauso di quelli
Ch’avean fatto ad Amor chiaro disdetto; 3
ma la vera Laura, che irradia della sua luce tutte le rime, apparirà sem-
pre colei che, con le belle membra, accese e fe’ divampare il fuoco d’amore,
ora ammirata
quand’ella parla o ride,
Che sol se stessa e null’altra somiglia,
6 quando tra l’erba
Quasi un fior siede! o ver quand’ella preme
Col suo candido seno un verde cespo,
nonchè per quel suo
bel seren de le tranquille ciglia; 4
ora contemplata mentre ha % capei d’oro a laura sparsi e avvolti da que-
sta in mule dolei nodi. mentre ha suffuso il volto di pietosi color: e incede
con un andar che non è
LORO ASI RS LEGA. So cosa mortale,
Ma d’angelica forma ; ?
1 Son. Oimè il bel viso.
2 Son. Poi che la vista angelica.
Son. Trionfo della Pudicizia.
Son. Amor ed io.
> Son. Erano i capei d’oro.
24 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
ora esaltata su tutte le più belle donne d'ogni età e ritenuta come gloria
grande di natura; ! e sempre amata e desiderata dal Poeta, pianta dopo
morte e domandata ai luoghi diversi che la conobbero, sognata nelle notti
dolorose, invidiata al freddo sasso che la coprì, cercata fin lassù, nel cielo.
che ne accolse lo spirito con l'apparenza, però. della passata sua beltà
corporea.
Lo sti nuovo conobbe pure le gioie e le pene d’amore e sotto le forme
dell'angelo sentì spesso la donna: ma rivolse tutto allo scopo voluto e
tutto interpretò alla stessa stregua. Per esso Amore e la donna tormen-
tavano il poeta perchè potesse per la via del dolore giungere al sommo
bene: e tormentavano la parte sensitiva di lui, che conduceva al peccato
e quindi alla morte morale. per agevolare e far trionfare la parte intel-
lettiva, la sola adatta ad apprezzar la virtù e a procacciare la vera feli-
cità. Così doveva essere e così avveniva. Poichè lo st! nuovo, collocato il
suo punto d'osservazione nella mente, vide tutto traverso a quella sua de-
terminata teoria filosofica, su tutto proiettò quelle sue idee dominanti e
fisse. Quindi anche il cuore umano riguardò dal di fuori e giudicò le tem-
peste di lui dalla rocca serena della ragione, come dalle sfere dell’ ideale
considerò la bassa e palpitante realtà, come dalle beatitudini del cielo va-
lutò le miserie della terra.
Ma il Petrarca sentì tutto se stesso sempre nel suo cuore, e di là ri-
guardò il mondo circostante, di là rivolse l’attenzione verso l’alto. Ne se-
guì che, pur peregrinando assai volentieri nei campi luminosi dell’ idea e
dando alla ragione. all'astrattezza sistematica e ai concetti morali la loro
parte nella sua vita e nelle sue opere. nondimeno egli si trovò più in
centro nei regni del sentimento, e del mondo e delle cose soprattutto ri--
levò e considerò altamente il lato umano. Fece lo stesso per il suo amore
e per Laura, i quali, per ciò, lasciando tra le celesti Intelligenze del Me-
dioevo moralizzante e dottrinale, già chiuso dalla Comedia, più che ogni
altra. Beatrice e la sua divina spirazione amorosa, colorarono entrambi il
crepuscolo d’un’epoca nuova, di cui il loro Poeta era il primo uomo.
Ed ora, come procedettero nei Fragmenta l’uomo insieme e l'artista ?
IV.
Da alcuni passi delle opere del Petrarca s'è arguito ch'egli avesse della
poesia lo stesso concetto del Medioevo : la ritenesse. cioè, anche lui, come-
Dante. una veste della verità. ® Ma sappiamo ch'egli medesimo a Giovanni
1 Son. In tale stella.
5
2 Cfr. Voier, Il risorgimento... pp. 34-6.
IN F. PETRARCA 25
Colonna di San Vito scrisse: “ E molto io parlo, e serivo molto, non tanto
per giovare a questa età di disperata miseria, quanto a sfogare la bile e
a disacerbare scrivendo l'animo mio .,; ! e che nella Prefazione alle fami-
gliari contessò che per lui era tutt'uno scrivere e vivere. Egli visse so-
prattutto una vita di sensazioni e di sentimenti, ed esprimendo questi
nella loro pienezza e sincerità, come poteva contemporaneamente nei suoi
scritti collocar sempre una verità astratta, ideale? E c’è di più.
Dante vide in Dio la suprema verità e in Dio la suprema bellezza; per
lui vero e bello avevano la stessa fonte e quindi la stessa essenza: il bello
era l'apparenza del vero. Questo era proprio della parte intellettiva del-
l’anima umana, era nelle idee, le quali, perciò, risultavano le sole suscet-
tive di bellezza. E la poesia, banditrice del vero, derivava da quest’ultimo
il suo valore estetico, perchè dato appunto dal fondo morale, dalla pro-
porzione, dall'ordine, dall’armonia, dalla claritas e dalla èntegritas o ma-
gnitudo, presi tutti insieme, di esso ®.
Il Petrarca, invece, il quale non vide nell'universo codesto ordine pre-
fetto d’una filosofia, che non conobbe, e netta segnò una linea divisoria
tra il mondo affettivo e quello ideale, collocò anche lui il vero nella mente,
ma non tutto il vero; non escluse la bellezza dell’intelligibile, ma ammirò
e amò più quella, che i suoi sensi percepivano. Di fatto, furono ugual-
mente verità reali per lui i piaceri mondani, l'entusiasmo per l’ antichità
classica, la sete di gloria tra gli uomini, la passione per Laura, l’amore
della natura, la paura della morte, la melanconia lacerante dell’anima. E
a lui parvero specialmente belli la vita tra il plauso dei contemporanei e
l'ammirazione dei posteri, gli spettacoli del mondo esteriore, la corrispon-
denza e compenetrazione dello spirito con le cose, la solitudine delle
piagge fiorite, i capelli e il viso e gli occhi e il corpo di Laura. Sen-
titelo :
Tutte le cose, di che ’1 mondo è adorno,
Uscir buone de man del Mastro eterno;
Ma me, che così a dentro non discerno,
Abbaglia il bel. che mi si mostra intorno. 3
CIO
Dov'è qui l’ansia medievale di penetrar a ogni costo nell’ intimo delle
cose per scoprirne la verità nascosta e godere soltanto della scoperta ?
L’apparenza sensibile basta, e se è veramente bella, l'occhio se ne diletta
e vi riposa, lo spirito vi sì appaga.
1! Lettere d. cose fam., VI, 4.
2 V. AzzoLina, Op. cit., 195 segg.
3 Canz. Lasso me.
26 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
Im arte, poi, giudicò somma e principale bellezza quella della forma, la
sola capace di soddisfare il suo senso dell’armonia e del ritmo, di ripro-
durre lo splendore e la dignità dell’ eloquenza ammirati in Cicerone, la
melodia e la dolcezza sentite in Vergilio, di rispecchiare la forbitezza e
l’eleganza del viver suo. Accortosi del pregio, in cui eran tenute le sue
rime volgari, dubitò dell’eccellenza del loro stile e avrebbe voluto limarle
assai più; ma non potendolo, perchè tardi, manifestò sinceramente il suo
cordoglio :
S'io avessi pensato che sì care
Fossin le voci de’ sospir miei in rima,
Fatte l’avrei dal sospirar mio prima
In numero più spesse, in stil più rare.
Morta colei che mi facea parlare,
E che si stava de’ pensier mie’ in cima,
Non posso (e non ò più sè dolce lima)
Rime aspre e fosche far soavi e chiare. *
O dunque? Ammettiamo pure che anche per quanto riguardi il concetto
della poesia il Petrarca tentennasse tra il vecchio e il nuovo, ma è inne-
gabile che in tutto codesto, testè rilevato, c'è tanto da far pensare a pr0r2
che il problema estetico dei Fragmenta, se non diametralmente opposto,
si presenta però molto diverso da quello dello st: nuovo. Poichè, si hanno
forti elementi per ritenere che non sempre nell’intenzione del Poeta una
stessa espressione dovesse rendere l’idea pura e la forma, il simboleggiato
e il simboleggiante, come per gli stilnovisti, i quali, però, per forma in-
tesero la fictio rettorica, la veste, il segno.
Nei Fragmenta il concetto, l’allegoria, il simbolo non potevano manca-
re, essendo imposti dall’epoca e dall’ambiente, e non mancano. Ma come
nell’amore del Poeta il mondo delle idee influì soltanto sul severo giudi-
zio di esso, che poco o punto interessa, così nei ragmenta il valore
astratto, ideale è secondario e i più non vi badano. L'idea pura non vi
appare nello sforzo incessante di penetrare in ogni parola, in ogni verso,
in ogni componimento poetico, perchè il lettore la noti, l’apprezzi e la
ritenga bene, come in ispecie nella Vita nova. Essa rimane piuttosto nella
mente del Poeta e attende all’unico ufficio di presiedere all’ ordinamento
definitivo dell’opera e di condurlo con quel dato fine morale. Quando essa
cerca un’espressione sua propria, non trova la vivezza dell'immagine o la
fiamma del sentimento, come spesso in Dante e nei suoi compagni d’arte.
Perchè, mentre da questi ultimi è sovente considerata non in sè ma nei
suoi effetti, col Petrarca non va al di là della sua essenza e del suo luogo
1 Son. S'îo avessi pensato.
IN F. PETRARCA 27
d'origine ; e la sua espressione, quindi, che negli uni ritrae, inconsapevol-
mente, la sincerità e l'efficacia delle impressioni suscitate, nell’ altro , in-
vece, rispecchia sè sola fedelmente e freddamente. Pertanto, l’amore e la
donna ideali, nello st nuo9vo ispirano ammirazione, meraviglia, adorazione.
gioia serena e contemplativa, tristezza, dolore, e si muovono, palpitano,
vivono in queste emozioni diverse, e si rivestono, così, di poesia vera, e
danno il tono, le determinazioni , il carattere alla scuola; nei Pragmenta
restano astrazioni, s'imternano nell’analisi, s'inviluppano di sentenze, si raf-
freddano con declamazioni, costituiscono il lato difettoso, secondario e ge:
neralmente trascurato.
Soltanto, se non commuovono il poeta, interessano anch'essi l'artista e
il magistero della forma li adorna sempre, e talvolta così altamente da
abbagliare, ingannare e far dire poesia spontanea ciò ch'è rettorica pura.
Certo, nessuno li ammira nei versi, portati alla massima chiarezza ed
eleganza, dei 7r;onfi, ove l'uno e l’altra non sono che nomi, contemplati
dalla ragione e dalla riflessione filosofica, guardati nel passato e colti fuori
dell’azione, mutati da sentimento in idea, da individuo in genere; ove il
loro trionfo è nello stesso tempo la loro dissoluzione, la loro morte. E
nessuno riconosce Laura, tra I altro, nel son. Due gran nemiche, in cui
ella si sdoppia, s'innalza nella luce e sprofonda nelle tenebre, splende
nella gloria eterna e s’oscura nel ricordo delle amorose punte suscitate:
non è tutta astrazione nè tutta realtà, non ispira il solo bene o il solo
male, non guida recisamente al cielo nè lascia affatto sulla terra. Sono
tutti concetti, generalità, antitesi che non sfuggono, perchè troppo tra-
sparenti sotto il velo della tecnica perfetta.
Ma non è così in altre rime, come, p. es., nel son. Passa la nave mia,
che a molti assai facilmente par d’essere un’ espressione d’ arte sincera e
potente. Tutti convengono ad ammettere che intendimento del Poeta fu
di paragonarvi a una nave in mare tempestoso l’ animo suo in balia dei
tormenti d'Amore e degli sdegni di Laura. E la struttura del verso, la
dignità della frase, la precisione della parola, il chiaroscuro delle tinte,
dei toni, del movimento fanno credere ben riuscito il paragone e giudicar
sorprendente 1’ effetto. È, però, una pretta illusione dovuta all’abilità som-
ma dello scrittore. Di fatto, a chi noti bene, il sonetto accarezza l'orecchio.
abbaglia la fantasia e soddisfa il gusto estetico, ma lascia freddo il cuore
e non suscita emozioni di sorta. Perchè ? perchè dovrebbe essere espres-
sione di sentimenti forti e contrari, ma il sentimento manca affatto: do-
vrebbe rappresentare in azione l’amore tormentoso e la donna oltremodo
schiva, ma l'uno è generalizzato in n/nvco circondato di sospiri, di spe-
ranze, di desideri, di lacrime e di errori, l’altra è rimpicciolita e immobi-
LO
(0 0)
LA CONTRADIZIONE AMOROSA
lizzata in due dolci segni, che si celano; dovrebbe mettere a nudo l'animo
del Poeta e ritrarne lo scompiglio. le pene, le lotte del senso contro la
ragione, e lo sconforto disperato, ma la visione della nave prevale ed oc-
cupa il campo. Infine. tutto anche qui è guardato dal di fuori e idealiz-
zato : tutto rivela che il cuore è freddo e che la mente subisce il fascino
d'una bella immagine, a cui l’artista si studia di dar forma e ci riesce.
mentre il poeta tace.
Sennonchè. tutto codesto riguarda la parte limitata che il moralista ha
nei Fragmenta; ma l’uomo. che vi predomina, va più in la e con l’artista
trova anche il poeta. L'amore e la donna reali vengono ad avere un'e-
spressione nuova e più efficace: quella tale. però, che poteva e doveva
dare il particolare temperamento dell’autore.
Come tutti i sensitivi - contemplativi- emozionali . il Petrarca subita-
mente passava. o soltanto tendeva, all’azione sotto l’impeto d'un’impressio-
ne, d'un sentimento. ma di lì a poco si raffreddava e impigriva nell’ana-
lisi e nella contemplazione di quell’impressione e di quel sentimento me-
desimi. Così procedette in tutti i casì della sua vita complessa e varia;
così fece nel suo amore per Laura. Ella lo accendeva con le sue beltà.
lo inebbriava col suo fascino, lo sconvolgeva coi suoi ritegni: ma egli poi
e beltà e fascino e ritegni di lei faceva argomento di studio e vi s’indu-
giava estatico. Parimenti, il sentimento amoroso gli procurava ora gioie
sovrumane e ora dolori profondi, ora dolci inganni e speranze soavi, ora
delusioni amare e penosi sconforti: ed ecco, a un certo punto, egli met-
tersi come dirimpetto alle sue stesse emozioni per distinguerle bene e mi-
nutamente esaminarle e spiegarsele appieno.
L'espressione artistica non poteva non rispecchiare codesto processo, e
lo rispecchiò, infatti, fedelmente. Ebbe quindi due toni, o meglio, due
aspetti dello stesso tono: l'uno, più raro e più poetico . colorito nel mo-
mento breve e fugace dell’emozione viva: l’altro, assai più vario e ricco
ma non tanto poetico quanto artistico. dato dal momento contemplativo
sopravvenuto. Ne sono una riprova piena moltissime rime, e le migliori,
specialmente quelle riferentisi a uno stesso avvenimento o a un'impressione
stessa, che il Poeta raggruppò non senza una determinata intenzione. Io
ne contemplerò un solo esempio e varrà per tutti.
Laura piangeva e il Poeta innamorato , che la vide e la udì, n’ebbe
IN F. PETRARCA 29
pietà e dolore insieme e vaghezza e commozione immensa. In quel punto
espresse così le sue impressioni :
Non fur ma’ Giove e Cesare si mossi
A fulminar colui, questo a ferire,
Che pietà non avesse spente l’ire,
E lor de l’usate arme ambeduo scossi.
Piangea Madonna, e ’1 mio signor ch'i’ fossi
Volse a vederla e suoi lamenti a udire,
Per colmarmi di doglia e di desire
E ricercarmi le midolle e l’ossa.
Il senso di pietà, di cui nei primi quattro versi non si sa ancora l’ori-
gine, ma che è tale da spegnere l’ ira di Giove fulminante e di Cesare
devastatore, dà subito l'impressione d’una potenza non comune, sconfinata,
la quale in tanto afferra e stupisce, in quanto sta, immobilizzandoli , al
di sopra delle divine saette e d’una spada indomabile. Il pensiero già ri-
corre a qualcosa d'inconcepibile, quand’ecco le singhiozzanti parole: Pian-
gea Madonna , che illuminano e chiariscono, ma senza attenuare l’effetto
primitivo, anzi accrescendolo. Già si sa d’essere davanti a una creatura
terrena, ma il suo pianto, che ispira infinita pietà e sulla terra e nel cielo,
appar un che di divino, non mai conosciuto. È un’esagerazione ? Ma così
parve al Poeta e così par a chi legge; la poesia vera non attinge alle
fonti della critica, e tanto è più grande quanto più è ingenua. Il pianto
di Laura, nella pietà che universalmente suscita, si sente così come in
quel particolare dolore del Poeta compenetrato d’ una dolcezza che lo fa
quasi desiderabile, come nel turbamento nuovo che al Poeta medesimo
agita midolla ed ossa. E non s’arresta qui. Poichè, rimasto scolpito nel
cuore, esso non perde nulla e muta soltanto negli effetti: è sempre il
dolce pianto, che ora, però, fa piangere spesso e a lungo e gravemente
sospirare :
Quel dolce pianto mi dipinse Amore,
Anzi scolpio, e que’ detti soavi
Mi scrisse entro un diamante in mezzo ’l core;
Ove con salde ed ingegnose chiavi
Ancor torna sovente a trarne fore
Lagrime rare e sospir lunghi e gravi.
Corrispondenza più completa tra impressione ed espressione non potrebbe
ricercarsi; chi legge rifà in sè, integralmente , il particolare stato senti-
mentale dell'autore; ciò ch'è solo dell’opera d’arte sincera e spontanea.
Ma sopraggiunge il momento della contemplazione, che sposta cose e
sentimenti, li colloca nel campo dell’analisi, li singolarizza, li scolorisce.
30 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
La conseguente e naturale immediatezza tra il lagrimare e il lamentarsi
di Laura e la pietà di chi la vede e ascolta, si dissolve in particolari di-
sgregati e gelidi: il pregio degli occhi piangenti e delle parole lamente-
voli, la rispondenza della pietà ispirata col senno e col valore di Laura.
con l’amore e col dolore del Poeta :
E vidi lagrimar que’ duo bei lumi,
Ch’àn fatto mille volte invidia al sole,
Ed udì, sospirando. dir parole,
Che farian gire i monti e stare i fiumi.
Amor, senno, valor, pietate e doglia
Facean piangendo un più dolce concento
D'ogni altro, che nel mondo udir si soglia.
Solo la dolcezza del pianto ne acquista per la immobilità della natura
circostante, che n'è incantata :
Ed era il cielo a l'armonia sì intento,
Che non se vedea ’n ramo mover foglia :
Tanta dolcezza avea pien l’aere e ’1 vento!
Poi, l’effetto mirabile, che faceva quel pianto scolpito nel cuore del
Poeta, impallidisce e quasi si perde nell’insufficienza dell'ingegno e dello
stile a ritrarlo :
Quel sempre acerbo ed onorato giorno
Mandò sì al cor l’imagine sua viva,
Che ’ngegno o stil non fia mai che ’1 descriva;
Ma sempre a lui con la memoria torna;
e le lacrime e il lamenti di Laura non valgono ad altro che a muover
dubbi sulla vera natura di lei:
L'atto d’ogni gentil pietate adorno
E ’1 dolce amaro lamentar. ch’'i’udiva,
Facean dubbiar se mortal donna o diva
Fosse. che ‘1 ciel rasserenava intorno,
e lacrime e lamenti, come gli occhi e le labbra da cui si partono, passano
a rivestirsi di rettorico abbigliamento :
Perle e rose vermiglie, ove l’accolto
Dolor formava ardenti voci e belle;
Fiamma i sospir. le lagrime cristallo.
Infine, anche il primitivo desiderio di veder sempre Laura piangente, pur
IN F. PETRARCA SI
soffrendone : desiderio vago ma tanto significativo ed efficace, si nasconde
dietro uno nuovo ma sforzato :
Ove ch'i’ pòsi gli occhi lassi o giri
Per quetar la vaghezza, che gli spinge,
Trovo chi bella donna ivi depinge
Per far sempre mai verdi i miei desiri;
e la pietà del pianto si restringe ai soli cuori gentili :
Con leggiadro dolor par ch’ella spiri
Alta pietà, che gentil core stringe ;
e la dolcezza di esso e dei lamenti passa interamente nel mondo dei fatti
logici e si neutralizza nella misurata concissione d’un giudizio :
Amor e ’1 ver fur meco a dir che quelle,
Ch’? vidi, eran bellezze al mondo sole,
Mai non vedute più sotto le stelle.
Nè sì pietose e sì dolci parole
S’udiron mai, nè lagrime sì belle
Di sì belli occhi uscir mai vide ’l sole. 1
È un proceder lento ma continuo dal sentimento al concetto, dall’osser-
vazione immediata all’apprezzamento riflesso ; ciò che costituisce la carat-
teristica dell’arte petrarchesca e ne spiega i pregi e i difetti. Ed è così
in tutto: anche nella ricostruzione del paesaggio che fa da sfondo alla
rappresentazione dell'amore e della donna, anche nella espressione della
malinconia indomabile, che di quella rappresentazione è nota dominante.
Lo sti nuovo coglie talvolta quelle tinte della natura, le quali possano
lumeggiare la bellezza meravigliosa della donna, e tocca assai spesso la
mestizia indefinita d’un amore ideale, che non può mai realizzarsi. Ma
nei Fragmenta il paesaggio campestre è il mondo ove Laura si muove in
vita e dopo morte, ove l’amore del Poeta si svolge, si alimenta, permane;
e la melanconia è tutta l'essenza di codesto amore reale e potente, ma
inappagato ed angoscioso. Sicchè, specialmente quando l’uno e l’altra tro-
vano l’espressione sincera che li ritrae nella loro pienezza e verità, come
nelle canzz. Ohiare, fresche e dolci acque e Di pensier in pensier, di monte
im monte, concorrono con le altre determinazioni, già notate, a dare e al-
l’amore e alla donna, in arte, un carattere di novità repentina e impre-
veduta.
È appunto la rivoluzione, a cui accennavo nel principio della tratta-
zione e che mi proponevo di dimostrare.
1 V. i sonn. CXXII-CXXV., ed. Mestica.
32 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
Laura non è ancora la donna che, mentre ispira amore, ama anch'essa e-
soffre, come più tardi faranno Erminia, Armida, Silvia, Ermengarda; ma
non è più la donna - angelo, che ella dimentica nella vaporosità mistica d'un
simbolismo campato fuori della vita, per rispecchiare tutta la sua bellezza
corporea nella natura, che se ne riveste, nel mondo, che se ne gloria, nel Poe-
ta,che se ne accende e la esalta e la immortala col verso. L'amore del Petrarca
non sfugge interamente al misticismo moralizzante del tempo, ma è già
tutto l’ opposto dell'amore di Dante e degli altri della sua scuola. come
quello che non ha più la sua sede nella mente, ma nel cuore, non è più
idea, ma sentimento, non è essenzialmente astratto, ma soprattutto umano.
L'espressione artistica e di codesto amore e di Laura, più specialmente
ispirata alla verità dell’osservazione e alla vivezza dell’ emozione, e pla-
smata nell’assiduo aspirare a una tecnica perfetta, a una bellezza di forma
sovr’ogni altro apprezzata. è già fuori dall’ estetica tomista, alla quale
Dante s'attenne, e fa già pensare all’Ambrogini e all’ Ariosto. E il tono.
di mestizia che in codesta espressione predomina, non richiama atffatto-
gli stilnovisti. punti e accorati, di quando in quando, dal presentir vano-
ogni sforzo rivolto a dar concretezza alle astrazioni vagheggiate, dal ri-
maner delusi nella ricerca dell'idea pura in seno alla realtà palpitante.
ma rivolge il pensiero al Tasso, al Leopardi e a quanti, nelle età seguenti,
sentirono l'immensa sproporzione tra quello che si vuole e quello che si
può, si logorarono negli spasimi della loro impotenza, soggiacquero alle
torture da sè procuratesi. E il sentimento della natura, che qua e là co-
lorisce variamente quell’espressione medesima, separa e distingue, in modo
netto e indiscusso, dallo st nuovo i Fragmenta, i quali. perciò, preludono
alla schiera infinita di poeti ed artisti di tutte le nazioni, che sì fmge-
ranno con la natura una sincera comunione di sentimenti e di vita, o l’a-
meranno nella solitudine con intero abbandono, o le tributeranno un af-
fetto ora impetuoso e ora tenero, ora tragico e ora ditirambico.
Insomma. la contradizione amorosa in Petrarca potrà riconoscersi o no,
ovvero ammettersi in tutto o in parte. secondo che si giudichi da un punto-
di vista più o meno diverso da quello del Poeta, o conforme. Mà è chiaro
che la maniera particolare di lui di trattare e la donna e l’ amore, getta
imprevedutamente le basi del Rinascimento il quale al comune sonnam-
bulismo ascetico e al freddo simbolismo dottrinale del Medioevo sosti-
tuirà il culto delle bellezze sensibili nella vita e in arte l'eccellenza della
forma per sè presa e ammirata; e irradia ancora più in là la sua luce.
nei secoli posteriori, i quali, senza trascurare il mondo esterno, volgeranno-
però l’attenzione piuttosto all’intimo dell'anima, per iscrutarne le pieghe,
analizzarne i movimenti diversi e rivelarne gl’infiniti misteri.
—--
COMMEMORAZIONE
EFEUIGI,SAMPOEO
letta nel’adunanza del 18 Febbraio 1906
I DAL SEGRETARIO GENERALE
PROF. SABVATORE RICCOBONO
CON NOTE
DI
GAETANO SCANDURRA SAMPOLO
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COMMEMORAZIONE
DI
LU IA RSTE NIETO
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La commemorazione in questa Reale Accademia ad onore di Luigi Sam-
polo, mancato ai viventi il 24 febbraio dell’ anno scorso , si celebra solo
oggi; ma essa ritrova gli animi ancora commossi; e come il giorno di
quel tristissimo evento l'Accademia, l'Ateneo, il Circolo Giuridico — i mas-
simi istituti scientifici di Palermo—videro un consenso così pieno levarsi
d’ogni parte intorno al loro lutto, e largo e schietto compianto suscitarsi
fra tutti gli ordini di cittadini, così la manifestazione odierna non è sol-
tanto accademica ma è cittadina, perchè Egli lasciò profonde tracce della
sua attività prodigiosa in tutti i rami della vita pubblica.
N 26 febbraio dell’anno scorso, una giornata triste, senza sole, il corteo
funebre che attraversava lento la via Maqueda, era seguito da una eletta
schiera di cittadini, da cento e cento alunni di istituti di beneficenza, da
tutto un popolo (1).
Sin da quel momento si potè valutare il prestigio che l’uomo che scom-
pariva aveva acquistato, nella sua città natale, con l'esempio di un tenace
lavoro, con la luce di una vita intemerata.
Peregrine virtù di cuore, candore d’animo congiunte con le doti più co-
spicue della mente facevano di Luigi Sampolo una personalità eletta pur
tra le migliori della vita comune, una personalità tutta vibrante di idea-
lità e di purezza.
Nessuno può averlo conosciuto senza rimanere, dinanzi ad un così raro
esempio di facoltà squisite, compreso di ammirazione e riverenza. Chi gli
4 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
abbia parlato ben difficilmente può dimenticarlo. Chi ebbe secolui fami-
liarità, ne porterà in cuore lutto perenne.
Questo illustre magistrato accademico volle a me conferire l’alto onore
di ricordare Luigi Sampolo dinanzi a così nobile consesso (2).
Ed io rispondo all’ invito con animo grato; poichè questo tributo di
onore a L. Sampolo, per quanto a me, non è solo rivolto al predecessore
nell’ufficio di Segretario Generale di questa R. Accademia, sì ancora al
Maestro venerato.
Nel compiere il doveroso ufficio, io vi porrò quindi, se non altro, l’at-
fetto di un discepolo sempre devoto, che ebbe intima, continua conoscenza
del maestro, che ricambiò ognora con animo grato e riverente la benevo-
lenza resasi negli ultimi anni amichevole.
Ma di L. Sampolo , appena mancato ai vivi, dissero degnamente , con
parola affettuosa e sincera , in forma nobilissima , la Signorina Annetta
Cerri nell’Educatorio Whitaker, l’avv. Stefano Giardina nella sede del Cir-
colo Giuridico; l'avv. Gioacchino La Vecchia, nella Rivista del Circolo (3).
Il mio dire può quindi restringersi in termini più brevi e proprî per
questo Consesso , illustrando più da vicino l’ opera di Lui nel magistero
della cattedra e come scrittore nell’arringo delle scienze giuridiche.
Egli ebbe nella sua famiglia la prima ispirazione all'amore degli studî,
in particolare delle lettere, chè il padre, Francesco di Paola, ebbe cultura
classica e visse tra gli studî severi ed ameni (4), il fratello maggiore Pietro
fu professore di Codice e Pandette nella nostra Università (5).
Appena novenne perdette il padre, fu accolto nel semimario arcivescovile
ove ebbe maestri insigni in Filosofia e nelle lettere, quali: Benedetto
d'Acquisto, Nicolò Di Carlo, Giuseppe Castiglione, Gregorio Ugdulena.
Compiuti gli studî classici, s’iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza,
quivi pure segnalandosi con molto onore.
Conseguì la laurea il 10 luglio 1845, appena ventenne; e già nell’anno
successivo sì cimentava al concorso per il premio istituito da Monsignor
Di Giovanni con esperimenti in lettere greche, latine e storia (6). Non ne
riportò la palma ; ma ne ebbe onore ed il vanto singolare di essersi mi-
surato con Maurizio Polizzi (7), vera gloria della scuola monrealese, cono-
scitore profondo delle lettere latine-greche, e gran signore dell’ idioma
gentile.
-
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO )
To m’inchino riverente dinanzi alla memoria di quest’ altro Maestro, i
cui meriti insigni rimasero nascosti quasi da un fitto velo di modestia.
Si era già iniziato, e sempre con encomio, all’esercizio dell'avvocatura (8),
ed il 28 gennajo 1850, con magnifico ardimento, difese il giovane pensa-
tore Nicolò Garzilli, nuovo martire della libertà, della religione, della
patria (9).
E poco dopo, seguendo la sua vocazione imperiosa , lo vediamo rivol-
gersi allo insegnamento, Infatti, noto per la eletta coltura, sebbene sprov-
visto di titoli accademici, ebbe nel 1853 la supplenza nella cattedra di
Codice e Pandette, di cui il fratello Pietro era titolare.
Il 26 maggio 1857 fu autorizzato a dare lezioni private di Diritto Ci-
vile e penale. E ben presto, il 3 novembre 1860, sale la cattedra come
straordinario di Codice Civile col confronto delle leggi romane. E nella
stessa qualità gli vien conferita, 11 ottobre 1861, la cattedra di Diritto Ro-
mano.
L’anno appresso, con Decreto del 5 dicembre 1862, è di nuovo trasfe-
rito al Diritto Civile; la quale cattedra il 17 aprile 1863 ebbe come ordi-
nario, in seguito a concorso, (10) e tenne poi fino alla morte.
Ma nel frattempo fu chiamato ad altri insegnamenti, che tenne come
incaricato o supplente. Così dal 1860 al 1867 supplì il Musmeci per il Di-
ritto Commerciale.
Dal 1879 al 1881 insegnò Pandette come incaricato; nel 1885 la Storia
del Diritto italiano; e di nuovo il Diritto Commerciale per due anni, nel
1887 e 1888.
Il corso di esegesi sul corpus iuris civilis imparti come insegnamento
libero sin dall'anno 1880 e 1881, è poi come corso complementare, retribuito
dal Consorzio Universitario, dal 1889 fino agli ultimi giorni di sua vita.
In tutti cotesti insegnamenti Egli portò le doti della sua mente versa-
tile; li disimpegnò tutti con quella coscenziosità singolare, quasi rara, che
era a Lui propria.
Ma per la cattedra di Diritto Civile e di Esegesi sulle fonti romane,
che Egli tenne come più particolarmente proprie, noi avremo a conside-
rarlo di proposito.
Così Egli trascorse tutta la vita nella sua diletta città natale. Qui ebbe
educazione, qui conseguì gli onori accademici, qui vide succedersi elette
schiere di giovani, che poi nella palestra del foro o negli altri uffici hanno
tenuta alta la bandiera della scienza.
Ognuno di noi seppe del Sampolo quale uomo privato: della sua atti-
vità prodigiosa, varia e intensa, indice di una vita esuberante, che lo in-
duce ad agire, a scrivere, a lavorare.
6 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Per lui il riposo non era l’ozio, ma cangiare di occupazione.
Spirito semplice, modesto, la sua parola è calma, il suo giudizio tem-
prato sempre da una grande bontà, da un’ elevata aspirazione di pace e
serenità per tutte le cose, per tutti gli uomini.
Pace e serenità che si riverberano nella signorilità dei modi, nella con-
versazione bonaria, animata spesso da una festività eletta per cultura
varia, per conoscenza di tempi, di vicende, di persone dell'ambiente paler-
mitano: alla quale associava sempre una ingenua curiosità e amichevole
interessamento.
Era credente. di una fede illuminata, profonda, sinceramente religiosa.
Il precetto fondamentale della dottrima di Gesù: l’amore dei deboli. la
protezione dei caduti, il conforto delle umane sciagure: in una parola la
carità, era per lui la grande forza viva rigeneratrice del mondo, il faro
della nostra civiltà, che sola rende l’esistenza sublime.
Fu quindi sempre largo di aiuti a tutti che richiedessero l’opera sua. o
consiglio alla sua esperienza, al suo sapere.
Dei giovani studiosi in particolare fu la guida amorevole. il mecenate.
Di sensi liberali. temperamento entusiasta. quando tutto intorno era azione
intensa di vita, in un momento in cui tutti i cuori pulsavaro del mede-
simo ardentissimo palpito, nel 1848, lo troviamo milite della legione sici-
liana guidata da Giuseppe La Masa contro gli Austriaci.
E nel declivio dell'età, nel 1903, presidente del V. Congresso Giuridi-
co-Forense (11). lo rivedemmo acceso di nuova fede, di nuovi entusiasmi,
gareggiare con i giovani nell’ascendere il colle di Solunto, con negli occhi
cerulei un inno di gloria (12).
Difatti quella solenne festa della scienza fu tutta opera sua.
Di lui può dirsì che possedette una di quelle anime sempre pronte a
vibrare in tutte le stagioni della vita: dalla prima infanzia attraverso la
giovinezza, la maturità fino alla vecchiaia. Egli non conobbe dolorosa e
stanca vecchiaia.
Nella tarda età conservò freschezza di pensiero. energia di mente e pronta
iniziativa: il portamento prestante. pieno il volto di coscienza dignitosa.
Amò la patria. e cogli interessi generali del paese ebbe poi in particolar
modo a cuore quelli dell’isola nostra, della sua diletta Palermo.
Sua nobile ambizione fu sempre di tener alto il nome della Sicilia, di
Palermo. Di tutto ebbe vivo assiduo interessamento. Con legittimo orgo-
glio ricordava le nostre più belle tradizioni, le glorie antiche e recenti della
nostra storia: gl’'illustri figli che a questa terra diedero onore e fama.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO ti
E l’uomo ha nei fasti di Palermo e della scienza una pagina d’oro; che
nessuno mai potrà cancellare.
L'istituzione del Circolo Giuridico, che ha sede nella nostra Università,
tu tutta opera sua; opera di fede, di quella fede che in determinati am-
bienti appare una forza divina (13).
Le spoglie mortali cadono, passano; l’istituzione sta ed è immortale.
Il nome di Luigi Sampolo è indissolubilmente legato al Circolo Giuri-
dico (14). Della nostra Accademia fu pure in sommo grado benemerito.
Segretario Generale fin dal 1884, vi trasfuse mirabilmente il suo spirito,
tutte le sue doti, adoperandosi con amore per la floridezza dell’Istituto.
Ne sono documento prezioso le relazioni annuali (15) e le letture (16) e
gli studii sull’origine, le vicende, il risorgimento di essa (17).
Fu egli insomma uno di quegli uomini onesti, operosi che pregiano un'età;
puro riflesso della vita del mondo antico, fatta di fede, di idealità, di la-
VOTO.
Una morte serena chiuse quella nobile esistenza.
Come insegnante il Sampolo ebbe le doti del cattedratico in grado sin-
golare.
Animava il suo corso con parola sobria ma efficace e colorita, infon-
dendovi calore ed entusiasmo.
Nell’insegnamento del Diritto Civile portò chiarezza, precisione, concate-
nazione lucida di ragionamento, eleganza di forma, esponendo la materia
con semplicità; che è parsa perfino eccessiva a chi reputa non inutile sti-
molo allo studio un po’ di oscurità.
Nei tempi migliori l’aula VI, la più vasta della nostra Università, non
poteva contenere gli studenti che s'affollavano alle sue lezioni.
Nel suo lungo magistero espose tutte le parti del Codice Civile, ma pre-
ferì la trattazione del Diritto di famiglia, successione, proprietà.
Educato e cresciuto nella vecchia tradizione fu ben lungi dallo aver di-
sdegno delle cose e dei metodi nuovi.
Ma Egli rimase rappresentante della vecchia scuola, la quale per la
scienza del Diritto Civile aderiva ai Francesi.
. I Codici dei singoli Stati dell’Italia divisa, prima, quello del 1865, poi,
dopo l'unificazione furono fatti ad imitazione francese.
Il Diritto romano o meglio il Diritto comune ricevette una formulazione
legislativa dalla scienza francese.
Non vi fu mai tempo a meditare sul diritto, quando questa nostra Italia
8 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
sì moveva e agitava per l'unificazione: e quando, rinata, tutti i problemi
pel riordinamento della nuova famiglia si presentavano con carattere di
urgenza.
Insieme al Codice i commenti della dottrina francese, fra i quali alcuni
certamente insigni, invasero la penisola.
Ma il sistema della scuola francese fu meramente pratico.
L'insufficienza di quei commenti come trattazione scientifica del diritto
e evidente. Essi distendono attraverso gli articoli del codice le fila di una
minuta analisi, sparsa in poderosi volumi, sicchè lungo la via non s'incon-
trano che gli articoli del codice.
Vi manca quella veduta complessiva. quella sintesi coordinatrice che
ponga in rilievo, connetta e assommi i principî regolatori degli istituti,
formandone un organismo perfetto, un sistema in ogni sua parte armo-
nizzante.
La scuola più recente Italiana ha superato con la modernità dei metodi
e con i nuovi indirizzi quello stadio: ravvivata, come già altrove, dalla
scuola storica, fecondata dalla corrente di vita che viene dagli studii sulle
scienze morali, politiche e sociali. Essa ha dato già ottimi frutti e più ne
promette per l'avvenire.
D'altro lato la lotta, fra le diverse idee e tendenze che si disputano il
terreno, ferve viva fra coloro che vogliono tutto riformare ab imis funda-
mentis ribbattezzando il diritto civile al fonte dell’evoluzione con vedute
nuove, con spirito moderno.
La missione delle scienze giuridiche , si dice, non è di costringere le
nuove creazioni sociali nei vecchi quadri dei sistemi giuridici, infrangen-
done violentemente il loro carattere e la loro essenza: ma di penetrare le
nuove creazioni col nuovo spirito e di compenetrarsi del loro spirito.
Queste dispute nulla hanno a vedere con la nostra quistione, perchè
quello di cui si sente forte bisogno è una trattazione scientifica di tutto
il nostro diritto civile.
L'indagine poi se questo organismo del diritto vigente risponda ai bi-
sogni, alla coscienza moderna, è ben altra quantunque non meno impor-
tante quistione.
A noi interessa notare, di fronte a questo risveglio che si è mostrato
nella scienza Italiana degli ultimi tempi, il fatto che ancora non abbiamo
una trattazione sistematica del diritto civile, compiuta con intendimento e
metodo scientifico.
Alcuni tentativi di pregio non vanno oltre le dottrine generali e singole
parti del sistema.
Il Sampolo non restò estraneo a questo movimento febbrile della gio-
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 9
vine scienza civilistica. Egli conobbe i pregiati lavori ispirati al nuovo
indirizzo; molti tra i valorosi autori lo ebbero giudice nei concorsi univer-
sitarii, nè disdegnò i nuovi orizzonti.
Nel discorso di chiusura del Congresso giuridico ripeteva * che l'ideale di
una scienza del diritto deve rispondere efficace ai moderni nascenti biso-
gni che si levano imperiosi dai campi e dalle officine ...
Egli diede alla luce pregiate monografie e commenti ad articoli del co-
dice (18).
Fra questi lavori meritano speciale menzione le prolusioni ai corsi di
diritto civile e di diritto romano : Sul progresso del diritto civile (1860);
Sul matrimonio civile (1865); Sull’unità del diritto in Italia (1867).
oltre le monografie : Statuto personale rispetto agli stranieri secondo
le leggi civili del regno delle due Sicilie (1570); Sull' interpretazione del-
Vart. 67 del codice civile (1875); Sulla capacità degli ammoniti (1877); Sul-
affinità; le api in rapporto al diritto.
Per circa 20 anni tenne il corso complementare di Esegesi sul Corpus
iuris civilis. Egli considerò quindi quella cattedra come propria. Si rilevò
gia che Egli esordì nell'insegnamento in Pandette e comentò il fr. 5 Dig.
de aqua cott. et aestiva, rimettendo in onore l’interpretazione datane dal
Culacio.
Conobbe il diritto romano come un tesoro di regole tradizionali, di prin-
cipî astratti quali una secolare elaborazione delle fonti romane avea posto
alla luce.
La scienza più recente, precisa, formidabile nella vertigine luminosa di
ipotesi felici, delle volte ardite, di ricerche pazienti, fu estranea al suo
ordine di studi e di conoscenze. Ma tutto questo apparato di critica non
è per quel corso indispensabile.
Il Corpus juris è come il mare, che ha vortici profondi e perigliosi, ma
ha pure superficie calme e azzurre; ciascuno vi può attingere secondo le
proprie forze e attitudini tutto il meglio.
Ed il suo insegnamento riuscì profittevole ai giovani ; perchè stimò
ognora di dover tenere rivolta la mira alla intelligenza del testo, sforzan-
dosi di ottenere una traduzione esatta pel concetto, quanto possibilmente
letterale e consona al genio della nostra lingua.
10 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Anche qui portava tutta la sua coscenziosità d’imsegnante nella prepa-
razione che io potei negli ultimi anni constatare ed ammirare ; confronti
della glossa, delle migliori edizioni, principalmente della momseniana; studio
dei commentatori in primo luogo del Gliick, e poi delle illustrazioni a sin-
goli titoli del Digesto del Roby, del Muirhead, ricche di copiose notizie fi-
lologiche e storiche.
E con vero eroismo, nel declivio dell’età , affrontò le astruserie della
lingua tedesca per il vivo desiderio di tener alto il suo insegnamento.
Ora io credo di essere nel vero rilevando , che per la gran massa dei
giovani e per una prima e proficua conoscenza delle fonti , l’obbiettivo
precipuo era così raggiunto.
E questo giudizio dovrebbe avere tanto più valore in quanto chi lo pro-
nunzia conosce i tormenti della critica, li manifesta spesso nella scuola,
e sa pure per esperienza che la massa dei giovani vi resta indifferente,
delle volte atterrita, per usare una frase robusta di Giustiniano.
Noi dimentichiamo spesso che i nostri giovani vengono a scuola pronti
d’ingegno, ma non forniti di bastevole cultura classica per indagini sottili
o difficili.
Dimentichiamo che l’Università è essenzialmente una scuola, ove bisogna
cominciare dall’impartire ai giovani i primi elementi di discipline gra-
vissime.
Un nome glorioso nella scienza italiana, C. Ferrini(19), l'amato Collega che
nel fiore degli anni immerse nel lutto la scienza, scriveva : “ l’esperienza
mi ha dimostrato che nell’imsegnamento devesi tendere alla massima sem-
plicità di esposizione e che la continua menzione... di controversie minute
ed erudite, genera spesso confusione ed impedisce la chiara comprensione
delle cose fondamentali. Per cui, concludeva, il mio insegnamento si è
sempre venuto rendendo più chiaro e modesto ,,.
Ecco perchè l'insegnamento semplice, castigato di Luigi Sampolo riu-
sciva di giovamento.
I giuristi romani sono per la scienza del diritto ciò che per la poesia
sono i poemi di Omero, per l’arte le statue divine, i monumenti maestosi
della Grecia. Contemplando le opere dei grandi maestri, diceva il Savigny,
noi afferriamo il segreto della loro superiorità, esercitiamo le facoltà che
l’arte o la scienza richiedono, ed apprendiamo a ben dirigere i nostri sforzi.
Quindi in presenza del Corpus duris noi ricaviamo nella scuola tutto il
profitto , se maestro e discepoli restiamo ad ascoltare quasi le parole dei
grandi maestri del diritto che ci obbligano a lavorare e pensare con loro.
E questo faceva il Sampolo con profitto dei giovani. Ripeterlo giova,
perchè quel corso fu avversato in seno alla Giunta del consorzio univer-
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO ll
sitario che lo retribuiva, per ostilità alla materia, e anche all'insegnante
perchè non era romanista di professione.
Il fatto sarebbe meraviglioso se non fossimo abituati già da tempo a
siffatte ostilità. D'ordimario chi ha proposito di muovere un attacco si
procura esatta conoscenza delle forze del nemico, per mirare ai punti de-
boli, prenderli di fronte e schiacciarli.
Tutto al contrario rispetto al diritto romano. In ogni tempo gli attacchi
son venuti da persone che conoscevano appena la leggenda dei decemviri
e qualche episodio clamoroso di Roma repubblicana o di Roma imperiale.
Il diritto romano appare quindi una cosa arcaica, da relegarsi nei musei,
con grande onore.
E nella Giunta del consorzio si vagheggiò l’idea che con quel fondo si
retribuisse l'insegnamento di una disciplina moderna, viva. E si pensò alla
sociologia.
Strana coincidenza. La scienza indicata, con parola nuova, intende allo
studio dei fatti sociali. Ma non si è osservato che appunto per questo ri-
guardo il corpus juris è un monumento di primo ordine.
Esso difatti aveva fornito alla scuola il più meraviglioso strumento di
logica deduttiva, perchè offre i fatti più svariati, con una selezione già
compiuta di tutti i fenomeni sociali, bisogni materiali, idee, tendenze che
formano la vita; esso quindi può iniziarci ai procedimenti del metodo spe-
rimentale meglio che non potrebbero farlo tutti gl’insegnamenti della pra-
tica moderna o di scienze ancora pargoleggianti.
Esso ci fa conoscere ciò che è caratteristico del fenomeno giuridico, ciò
che è sopravvissuto , le ragioni che determinarono il trionfo di una data
idea, di una decisione.
E queste ragioni, se bene vi guardiamo addentro , corrispondono quasi
sempre ad una manifestazione più netta della giustizia del mondo.
Gli è che i giuriconsulti romani, vissuti nei primi tre secoli dell’impero,
sì trovarono nella condizione privilegiata d’ avere come campo d’osserva-
zione la vita febbrile di una grande metropoli, che era il centro del com-
mercio di tutto il mondo, e presentava quindi un'immensa varietà di rap-
porti, di atteggiamenti del pensiero, di bisogni materiali.
In deffinitivo quello che diciamo diritto romano non è il diritto di un sol
popolo; ma porta in sè compenetrato tutto il patrimonio delle più fiorenti
civiltà del mondo antico. E questi varî elementi furono per circa un mil-
lennio in continua elaborazione, determinando un progresso incessante del
fenomeno giuridico; che si formò così sempre a contatto con la vita, in
maniera del tutto naturalistica.
Se tutto ciò si consideri, l'affermazione innanzi fatta è spiegata.
12 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Il corpus juris, altro a parte, resta un’opera cospicua anche dal punto
di vista sociologico; come già accanto alla Bibbia è stato il libro più influente
e venerato del mondo.
Mi si dirà forse che la sociologia non mira soltanto all'indagine del fe-
nomeno giuridico, e che ha più vasti orizzonti.
Ma la risposta è facile in doppio senso :
1° Un corso di una facoltà di giurisprudenza deve aver riguardo in
primo luogo all'elemento giuridico ed economico per trovarsi in armonia
nell’organismo delle varie discipline.
2° Che tra i fenomeni sociali senza dubbio il giuridico è il più saliente,
quello che ben presto si presenta nelle società primitive disciplimato, e
rende allo storico la sintesi di tutte le forze sociali:
una feroce
Forza il mondo possiede e fa nomarsi*
Dritto
Se quindi la sociologia, rivolta allo studio dei fatti sociali, non può re-
stringersi al fenomeno giuridico, questo deve sempre costituirne l’obbietto
più cospicuo.
Mi sono indugiato sull'argomento forse oltre il dovere; ma non ne chiedo
venia ai cortesi uditori, perchè a me incombeva l'obbligo di sfatare una
legenda; a me che frequentai con assiduità e con amore il corso di Ese-
gesi del Sampolo.
Del resto si poteva parlarne con calma oggi, chè il Consorzio ha isti-
tuito il suo corso di sociologia, e l’Esegesi sulle fonti rimane, su proposta
della facoltà, inclusa nel numero degli insegnamenti a carico dello Stato.
L'attività di Luigi Sampolo come scrittore fu meno intensa.
Questo giudizio da me pronunziato su la bara del maestro ha bisogno
di spiegazione. Certamente i suoi lavori sono svariatissimi ed innumerevoli,
riuniti formerebbero una bella serie di volumi.
Io intendevo quindi riferirmi alla produzione più strettamente scientifica
della materia professata.
I suoi migliori scritti, e di gran lunga i più numerosi, sono storico-let-
terarii (20). Nè noi ci dorremo di questo, perchè gli uomini sono per le atti-
tudini del pensiero e del sentimento assai più diversi e disuguali che non
per i caratteri fisici.
Luigi Sampolo ebbe temperamento d’azione e senso d’arte.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 13
Come uomo d’azione riesce a superare ogni difficoltà con la tenacia del
volere, con il lavoro costante.
Ma le molteplici sue occupazioni mai lo distolsero dallo studio, dai libri,
dal comporre.
Principalmente gli studî letterarî ebbero per il suo spirito una grande
attrattiva, formavano il suo più gradito diletto. Chi lo conobbe sa che
Egli provava un vero godimento nei suoi lavori, che leggeva con visibile
gioia agli intimi amici.
La sua prosa eccelle nella forma narrativa, snella, vivace, cospicua nel
disegnare ritratti e nel rappresentare con garbo avvenimenti.
Della sua cultura letteraria, del gusto educato ai migliori esempi sono
documento la più parte dei suoi scritti; necrologie. discorsi, lavori di sog-
getto storico.
Nel ricordare uomini illustri diede nobile esempio di sentimenti elevati,
di memore affetto e devozione, perchè ciò fece, per lo più, per impulso del-
l’animo che per dovere di ufficio. In quelle ricordanze trasfondeva nel
modo più perspicuò un senso squisito delle cose , una nota delicatamente
poetica, che vibrava per ogni sentimento pietoso. per ogni forma di lavoro,
di attività, di grandezza ; per ogni atto di sacrificio, per tutte le arcane
armonie della natura, per ogni cosa, in breve, che commuove lo spirito.
suscita entusiasmi, nobili esempi o allieta la vita: e commemorò tutti i
grandi, i migliori: Emerico Amari, Giuseppe Ugdulena, Nicolò Musmeci,
Luigi Mercantini, Vincenzo Di Marco, Gaetano Deltignoso, Raffaello Bu-
sacca, Antonino Turretta e poi il Pacifici Mazzoni, il Pisanelli ed altri,
“ perchè possano 1 giovani, Egli diceva, ritemprarsi guardando ed ammi-
“rando le virtù d’insigni trapassati, perocchè la virtù ha il suo fascino,
“ che eccita i volenterosi a farsene seguaci ...
Celebrò le memorie patrie, e coglieva opportuna ogni occasione per ri-
cordare i periodi luminosi della storia dell’isola nostra, che fu modello di
sapienza civile e politica; per magnificare i monumenti superbi di tutte le
civiltà, che s'ergono solenni o stanno, immani giganti, prostrati sui monti,
nel piano o nelle valli, dove tutto intorno brilla e sorride; e quei ricordi
rievocava religiosamente, con intensità di affetto illuminato dal prestigio
dell’arte.
Questa la nobile figura, o illustri colleghi, che la mia parola disadorna
ma affettuosa ha tentato ravvivare alla vostra mente.
14 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
E tale uomo meritava fosse qui ricordato ed onorato: perchè nella furia
con cui si combatte oggidì la battaglia della vita, esistenze così operose
e tranquille divengono più che mai rare; ma esse spandono una luce can-
dida sulla terra, operando il bene in misura maggiore di tante vite ru-
morose e vanesie.
Da Lui, che visse operoso, si parte un monito paterno alla gioventù,
che è pregio ripetere con le sue parole: un ammonimento “ad operare
con valore. con costanza e con la forza antica.
CCI
NO]
0° =———__6
(1) Salutarono la bara con affettuosi discorsi il Rettore dell’Università pro-
fessore cav. L. Manfredi, il dott. comm. G. Pitrè presidente della R. Accademia
di scienze, lettere e belle arti, il prof. cav. S. Riccobono per la Facoltà giu-
ridica, l'avv. cav. F. Enea per il Consiglio della Pia Opera degli Asili rurali
ed urbani e dell’Educatorio Whitaker, l’avv. comm. G. Accardi vicepresidente
del Circolo Giuridico ed il laureando sig. Rosario Crea a nome degli stu-
denti universitarii. Il nipote cav. uff. F. E. Scandurra ringraziò a nome della
famiglia. V. sui funerali: Giornale di Sicilia 26-27 febbraio 1905, n. 58; L'Ora
27 febbraio 1905, n. 58.
(2) L'Accademia nell'adunanza del 19 marzo 1905 dopo affettuose ed elevate
parole del presidente Pitrè deliberò di fare la solenne commemorazione, di
prendere il lutto per sei mesi e di inviare le condoglianze alla vedova. V. pro-
cesso verbale: Bollettino R. Accademia 1903-906, pag. 24.
(3) L’Elogio scritto dall’avv. cav. G. La Vecchia, la Commemorazione letta
dall’avv. Stefano Giardina nella solenne adunanza del Circolo Giuridico ai
26 di marzo 1905, quella detta dalla signorina Annetta Cerri nell’Educatorio
Whitaker ai 4 di aprile del 1905 insieme ai discorsi pronunziati allo seio-
gliersi del corteo furono pubblicati nella rivista // Circolo Giridico (XXXVI
1905, 1,43) ed estratti, a cura dei nipoti Scandurra, insieme col ritratto a
fototipia (Roma, Stab. Danesi) per i tipi dello stab. Virzì, 1905.
(4) Di Francesco Sampolo (n. in Palermo 20 febbraio 1774, { ivi 16 agosto
1834) fu fatta all'Accademia la solenne commemorazione nell'adunanza del 30
novembre 1834 con un discorso del ch. letterato Agostino Gallo e con un
sonetto di Giuseppe Lanza Principe di Trabia che ne era il presidente. V. il
giornale Za Cerere 5 dicembre 1834, n. 268.
16 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Il ritratto di Francesco Sampoio, opera di Giuseppe Patania, fu dal figlio,
insieme coi manoscritti, legato alla Biblioteca Comunale, «ove è la preziosa
raccolta dei ritratti degli nomini illustri siciliani ».
La « preziosa raccolta» fu iniziata da Agostino Gallo « con intenzione di
farne morendo generoso dono a questa Biblioteca Comunale » e gli eredi di
lui soddisfacendo al suo voto con atto 28 marzo 1874, rogato da notar Leonardi
da Palermo, fecero deposito perpetuo dei 152 ritratti da lui raccolti. V. Bz/-
lettino della Biblioteca Comunale di Palermo n.3. settembre 1873 - maggio 1874.
Una iscrizione dettata del prof. V. Di Giovanni, che fu presidente dell’Ac-
cademia dal maggio 1891 al dicembre 1902, essendo stato poi nominato Pre-
sidente onorario, fu murata nella scala della Biblioteca a ricordare il gene-
roso dono.
La raccolta va ogni giorno accrescendosi a cura della Biblioteca o per
doni di privati.
Del padre il Sampolo nel 1868 pubblicò il sonetto Pi 2a morti di Ginvanni
Meli in occasione del mezzobusto eretto nella Villa Giulia all’illustre poeta,
facendolo precedere da queste parole: « Ricorrendo la solenne dedicazione di
un busto a Giovanni Meli queste lodi al poeta palermitano pubblicava Luigi
Sampolo, XXIII giugno MDCCCLXVIII ».
Il sonetto fa pubblicato ne Zo Scià, giornale letterario per la Sicilia,
anno I, 1868. 12 e fu tradotto in francese da Antonio Lo Monaco. V. Per
l imangurazione del busto di Giovanni Meli, discorso e poesie letti il 23 giu-
gno 1868. Palermo, Gaipa, 1868, p. 29.
Col detto sonetto chiuse l'illustrazione di Una lettera inedita di Giovanni Meli
che fu letta all'Accademia nell'adunanza dei 17 aprile 1904.
Una notizia di Lui diede nell’appendice al lavoro Sw la origine, le vicende
e il rinnovamento dell’Accademia di scienze. lettere e belle arti. e nell’altro sul-
l'Accademia Siciliana.
Pubblicò poi il carme latino per la morte di Giuseppe Piazzi e nuove no-
tizie diede nell’illustrare Vr Canto [di Francesco Sampolo] 27 dialetto siciliano
per le nozze di Carlo Felice di Savoia con M. Cristina Borbone.
(5) Di Pietro Sampolo (n. in Palermo 10 febbraio 1807, ivi 17 maggio 1861)
tessè l'elogio funebre Carmelo Pardi. V. ParpI: Sceriffi variî, Palermo, tip. del
Giornale di Sicilia, 1874, vol. I, 299.
(6) Il concorso ebbe luogo il 21 aprile 1846.
Mons. Paolo di Giovanni, Abate di S. Anastasia, per atti 5 dicembre 1825
e 13 agosto 1826, rogati Lo Bianco Zito, istituì un premio di L.5100 da as-
segnarsi in rate uguali per 8 anni ad un giovane dai 16 ai 24 anni, che
avesse superato un concorso di lingua latina (traduzione in italiano di autore
classico latino ed in latino di un tratto di autore classico greco), storia sacra
e storia di Sicilia sino a Carlo III.
Il premio veniva conferito dalla Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo
Neri di Palermo, amministratrice del legato.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO IL
Di seguito al decreto dittatoriale 9 giugno 1860. che assegnava i legati di
incerto genere all’Azienda dei danneggiati dalle truppe borboniche, la fonda-
zione Di Giovanni fu travolta ed il Sampolo, lamentandolo nella Commemora-
eione di Giuseppe Ugdulena, auguravasi che «fossero rivendicate le rendite
destinate a promuovere nella gioventù l’amore agli studii classici ed alla
storia patria ».
Il voto di Lui fu adempiuto col R. Decreto 12 febbraio 1885 che affidò
l’amministrazione del legato all’Università ed oggi la Facoltà di filosofia e
lettere. sotto la presidenza del Rettore, conferisce il premio. « Così, esclamò,
gli studi classici torneranno ad avere un validissimo eccitamento » V. Za R. Ac
cademia degli studi, pag. 131.
Il primo concorso dopo il 1861 ebbe luogo il 6 giugno 1887. V. Ze due pen
sioni di studio fondate dall’'Abate Paolo Di Giovanni. Breve storia e documenti,
Palermo, Amenta, 1887.
{7) Maurizio Polizzi (n. in Monreale 3 marzo 1827, < ivi 12 maggio 1904) fu
canonico della Collegiata, Vicario generale dell’ Archidiocesi e Cameriere se-
greto del Papa Leone XIII.
Insegnante di lettere italiane, latine e greche nelle scuole dei PP. Benedet-
tini e nelle scuole arcivescovili di Monreale, poi prefetto degli studi nel Con-
vitto arcivescovile dei chierici rossi, fondatore del convitto Guglielmo (1876)
tenne alte le tradizioni della scuola monrealese e venne in fama come let-
terato e latinista. Fu nominato socio dell’Accademia V11 aprile 1875. V. Dar
DONE can. prof. GiroLamo: /r memoria di Mons. Maurizio Polizzi. Elogio fu-
nebre detto nella insigne Chiesa Collegiata di Monreale il giorno 17 mag-
gio 1904, Palermo, Tip. Sciarrino, 1905.
Prese parte al concorso Giuseppe Montalbano (n. in Piana dei Greci 24
dicembre 1824, + in Palermo 28 aprile 1903) Canonico della Collegiata di Mon-
reale, professore di lettere italiane e latine nel Seminario dei Chierici di Pa-
lermo, poi in quello di Cefalù, insegnante di morale nella Scuola normale
femminile di Palermo, e poi nella Scuola superiore Giuseppina Turrisi Colonna.
Venne in fama come latinista e grecista e fu socio di quest’ Accademia dal 25
marzo 1862. Il Montalbano tradusse alcune poesie del Sampolo.
(8) Fu allo studio di Francesco di Paola Scoppa e di Antonio Agnetta.
Di Antonio Agnetta, v. 'Z/ogio funebre letto da Frrippo Evora nei solenni
funerali celebrati a cura del Foro il 7 settembre 1860, nella chiesa di S. Matteo.
Palermo, Lao, 1860.
Di Francesco di Paola Scoppa il Sampolo tessè brevi cenni in occasione del
ritratto di lui donato dai nipoti al Circolo Giuridico nella Re/uzzone sull’an-
damento del Circolo Giuridico nell’anno 1901, Circolo Giuridico, 1902, pag. 9.
(9) Nicolò Garzilli (n. in Napoli + novembre 1830) dopo la restaurazione del
1849 meditò una novella riscossa ed insorse il 27 gennaio 1850 nella piazza
della Fieravecchia con Rosario Ajello, Giuseppe Caldara, Paolo De Luca, Giu-
seppe Garofalo, Vincenzo Mondini. Sottoposti a giudizio furono moschettati
. nella stessa piazza della Fieravecchia il domani 28. 3
15 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Il Sampolo narra la « formalità» della difesa nell’Appendice IV del discorso
Il 12 gennaio 1848 e poi nell’illustrare il ricordo del Garzilli posto rell’arcata
centrale del portico posteriore dell’ Università. V. /serzzioni e ricordi dei più
illustri professori dell’ Università di Palermo, p. 99.
(10) Pel concorso alla cattedra di diritto civile il Sampolo serisse la mono-
grafia: Sulla nullità delle alienazioni di immobili fatte dagli eredi apparenti.
Nella lezione orale trattò il tema: Se 907 stranieri residenti nel Regno pos-
sano esercitare i diritti politici e civili e sotto quali condizioni.
Prima di dedicarsi del tutto all’insegnamento era stato magistrato; giudice
supplente del circondario (mandamento) Tribunali di Palermo per decreto del
18 giugno 1860, fu il 3 agosto 1860 giudice (pretore) del circondario Ortobota-
nico di Palermo ed il 21 aprile 1802 sostituto avvocato dei poveri, poco dopo
optò per la cattedra.
(11) Il V. Congresso giuridico nazionale forense fu inaugurato il 20 aprile
1903 e chiuso il 27 di quel mese. V. Per l’inangurazione del V Congresso na-
zionale giuridico-forense e per la sua chiusura. Discorsi di Luigi Sampolo Pre-
sidente del Comitato esecutivo. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1903. (Estratto dal
Circolo Giuridico, parte 1°, XXXIV, 1903) pag. 121.
I due discorsi sono inseriti negli 4% [del] V Congresso nazionale giuridico
forense, Palermo, tip. F. Barravecchia e figlio, 1904.
(12) Sulla gita a Solunto (23 aprile 1903) v. 477 del V Corgresso, Appen-
dice: / festeggiamenti. Giornale di Sicilia 23-24 aprile 1903, n. 114; L'Ora 24-25
aprile 1903, 2% ediz., n. 114.
(13) fl Circolo Giuridico sorse sullo scorcio del 1867 nella mente di alcuni
studenti dell’Università per fare esercitazioni di dritto e per la cura che
ne assunse subito il Sampolo che gli diede l’autorità del nome ed una direzione
sicura divenne un istitutc scientifico di pubblica utilità che unisce in bell’ar-
monia avvocati, magistrati, professori e studenti, ai quali appresta una ricca
biblioteca che fa onore a Palermo ed all’Università ove ha sede ed a cui
è indissolubilmente legato il nome del fondatore.
In aprile del 1870 « per far noto al pubblico ed al mondo scientifico l’e-
sistenza della Società » iniziò la pubblicazione di una Rivista di legislazione
e giurisprudenza cui diede il nome di essa. nel 1876 fu istituita la sezione
dei soci studenti.
Fu eretto in ente morale con R. Decreto 16 maggio 1889.
Al Circolo Giuridico il Sampolo volse il pensiero nel suo testamento. legan-
dogli i suoi libri, eccetto quelli che la Società possedesse. -
Discorsi e relazioni sul Circolo Giuridico.
Degli studi che si possono coltivare nel Circolo Giuridico. Discorso letto il 10
novembre 1868, inedito.
Il Circolo Giuridico di Palermo [Notizia]. Circolo Giuridico INI, 1872, 1, 3.
Discorso [/zforno allo stato cd all'andamento della Società] letto nella tornata
del 26 dicembre 1873. Czreolo Giuridico 1874, 1, 7.
Pel decimo anniversario della fondazione del Circolo Giuridico. Discorso letto [il].
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 19
28 aprile 1879, seguito dalla Bibliografia dei primi otto volumi del giornale
Il Circolo Giuridico, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1879. [Estratto dalla rivista
Il Circolo Giuridico, X 1879, I, 73].
La bibliografia è inserita a pag. 17.
Relazione della Commissione nominata dal Circolo Giuridico sul VII concorso
del giornale « Il Notariato Italiano ». Tema: Può il notaio ricevere in de-
posito il testamento olografo che il testatore gli avrebbe affidato chiuso, non
però con le formalità prescritte per la consegna dei testamenti segreti, ma
con quelle stabilite pel deposito di ogni altro documento ? Notarzato Italia-
no VII, 1883, 212.
Il Notariato Italiano, pregevolissimo giornale che si pubblica dal ch.mo
notaro cav. Pietro Moscatello, indice concorsi a premii ed il giudizio ne è de-
ferito al Circolo Giuridico.
A chi legge [Prefazione alla seconda serie]. Circolo Giuridico XI, 1880, 1,3.
Notizia intorno al Circolo Giuridico di Palermo, Palermo, tipografia dello
Statuto, 1884. Fu scritta in occasione dell’ Esposizione Nazionale di Torino.
Segue Bibliografia dei primi 14 volumi del Circolo Gridico, pag. 14.
Elenco degli istituti e dei giornali con cui il Circolo Giuridico è in rela-
zione, pag. 24.
In occasione del XXV anniversario dell’istitazione, ad eccitamento del Sam-
polo, fu redatta dal dott. Luigi Siciliano Villanueva, oggi professore di storia
del diritto italiano nell’ Università di Sassari, la bibliografia delle vere e
proprie monografie inserite nei primi 23 volumi del Crreolo Ginridico; « a di-
mostrare, diceva nel Dyzscorso per l andamento del Circolo Giuridico nel-
l’anno 1893 (pag. 4), quanta sia stata 1’ operosità dei soci, e quanto il con-
tributo del Circolo Giuridico, nel grande rinnovamento degli studi giuridici
in Italia ».
Lavori pubblicati nei primi 23 volumi del Circolo Giuridico (Contributo alle
scienze giuridiche, politiche e sociali, Ozrco/o Giuridico XXIV,1893, 1,113 e 157).
Per la inaugurazione della nuova sede del Circolo Giuridico, Discorso letto il
7 febbraro 1886. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1886. Estratto dalla rivista // Cà-
colo Giuridico, anno XVII, fasc. III, [1886, 1, 37].
Parole di ringraziamento pel collocamento del suo ritratto nella sala del Oir-
colo Giuridico dette nell’adunanza del 24 giugno 1886.
Allegato 2 al processo verbale dell'adunanza, Circolo Giuridico XVII, 1886,
TRINLO DÌ
Il collocamento del ritratto fu deliberato dal Consiglio direttivo, a proposta
del vicepresidente avv. coum. Luigi Testa nell'adunanza del 31 maggio 1886.
V. Allegato 4 al detto processo verbale.
L'assemblea ne prese atto con compiacimento nella detta adunanza del 24
giugno, ed in occasione della lettura di quel processo verbale, nell’adunanza
del 1° agosto 1886. l’avv. comm. Leonardo Ruggieri, cui si associò il consigliere
comm. Emanuele Basile, oggi Presidente di sezione della Corte di Cassazione
20 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
di Roma, propose un ordine del giorno che fu votato per acclamazione, col
quale l'assemblea deliberò un voto di esplicita lode all’ iniziativa del Consi-
glio direttivo e fece suoi i motivi di essa a conferma della propria gratitu-
dine verso il suo Presidente. V. il processo verbale: Circolo Giuridico, XVII,
1886, 1, 197.
Relazione sulla proposta di erezione del Circolo Giuridico ad ente morale, letta
nell'adunanza dell’ii settembre 1887.
Allegato A al processo verbale dell'adunanza, Circolo Giuridico, XVIII, 1887,
1, 308.
Per la erezione ad ente morale del Circolo Giuridico di Palermo. Parole lette
il di 30 giugno 1889 nella sala del Circolo Giuridico. Palermo, Stab. tipo-
grafico Virzì. 1889. [Estratto dal Circolo Giuridico, XX, 1889, 1, 161].
La visita dell'onorevole Guardasigilli Zanardelli al Circolo Giuridico il 16 ot-
fobre 1889. Palermo, Stab. tip. Virzì, 18S9.
Onoranze all’on. Guardasigilli Zanardelli nel Circolo Giuridico. pag. 3.
Parole del prof. Luigi Sampolo. pag. 5.
Parole dell’on. Guardasigilli Zanardelli, pae. 15.
Il Circolo Ginridico [Prefazione alla] Terza serie. Circolo Ginridico, XXI,
1890, 1, 5.
Discorso di ringraziamento per la nomina a Presidente a vita. Letto nell’ a-
dunanza del 21 settembre 1890.
Allegato 4 al processo verbale dell'adunanza. Circolo Giuridico, XXII, 1891,
1, 18.
La nomina a Presidente a vita proposta dall'avv. comm. Gaetano Spina nell’a-
dunanza del Circolo Giuridico del 4 agosto 1889, (v. processo verbale Circolo
Giaridico, XX, 1889, 2, 281) fatta propria dalla commissione per la riforma dello
Statuto, (relatore l’avv. cav. Giuseppe Falcone) fu approvata ad acclamazione
a proposta dell’avv. comm. Alfonso Siragusa, nell’adunanza del 3 agosto 1890.
(V. processo verbale, Circolo Ginridico. XXI, 1890, 1, 294). divenne l'art. 63
dello Statuto approvato con R. D. 7 dicembre 1890.
Tra le altre onoranze disposte dal Consiglio direttivo del Circolo Gia-
ridico il domani della morte fu la erezione di un mezzo busto in marmo. Il
dott. Enrico Santangelo propose che sia fatto a contribuzione fra i soci sia per
non aggravare il Circolo di spese che per rendere maggiore omaggio all'uomo
che si vuole onorare e l'assemblea approvò nell'adunanza del 14 maggio 1905.
V.il processo verbale dell'adunanza. Circolo Ginridico. XXXVI, 1905, 1, 315.
Per la inangurazione dei nuovi scaffali della Biblioteca del Circolo Giuridico
(21 dicembre 1890). Discorso, Circolo Ginridico, XXII, 1891, 1, 3.
Relazione intorno ai corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte nel-
Panno 1886 [nel] Circolo Giuridico (sezione degli studenti). Palermo. Stab. tip.
Virzì. 1886. [Letta nell'adunanza del 1° agosto 18S6.] Estratto dalla rivista //
Circolo Ginridico, ann. XVII, fase. VIII, [1886 1, 181].
Seconda relazione intorno aî corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 2
nell’anno 1887 [nel] Circolo Giuridico (sezione degli studenti). Palermo, Stab.
tip. Virzì, 1887. [Letta nell'adunanza del 29 maggio 1887]. Estratto dalla ri-
vista // Circolo Giuridico, ann. XVIII, fase. VI, [1887, 1, 115].
Terza relazione intorno ai corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte
nel Circolo Giuridico nell'anno 1887-88, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1887. [Letta
nell'adunanza dell’11 novembre 1888.] Estratto dalla rivista Z2 Circolo Giuridi-
co, anno XIX, [1888, 1, 327].
Segue: Programma dei corsi esegetici e delle esercitazioni pratiche che si da-
ranno nell'anno 1888-89.
Intorno ai corsi di esegesi delle fonti del diritto ed alle esercitazioni pratiche
fatte nel Circolo Giuridico nell’anno 1888-89. Quarta relazione, Palermo, Stab.
tip. Virzì, 1890. [Letta nell'adunanza del 1° settembre 1889. Estratto dalla rivista
Il Circolo Giuridico, anno XXI, 1890, 1, 81].
Relazione intorno al concorso del Circolo Giuridico pel biennio 1885 - 86. —
Tema: Del giurì in materia civile, correzionale e commerciale, Palermo,
Stab. tip.Virzì, 1889. Estratto dalla rivista // Circolo Ginridico, XVIII, 1887, 1,245.
Il tema fu messo nuovamente a concorso tra gli stessi concorrenti.
[Seconda] relazione intorno al concorso del Circolo Giuridico pel biennio
1885-1886, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1889. (Estratto dalla rivista 22 Circolo Gia-
ridico, vol. XX), [1889, 1, 214].
Relazione del Presidente sull'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1891,
Palermo , Stab. tip. Virzì, 1892. (Letta nell’ adunanza del 7 febbraro 1892.
Estratto dalla rivista // Circolo Giuridico, vol. XXIII), [1892, 1, 53].
Col nuovo Statuto approvato con R. D. 7 dicembre 1890, il Presidente è
tenuto a fare nell’ultima adunanza di ogni anno la relazione sull'andamento
della Società.
Relazione sull'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1892, Palermo, Stab.
tip. Virzì, 1893. (Letta nell’ adunanza del 29 dicembre 1892. Estratto del C7r-
colo Giuridico, vol. XXIV, parte 1%), [1893, 1, 26].
Per l'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1893, XXV anniversario della
sua fondazione. Discorso [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1894. [Letta
nell'adunanza del 24 dicembre 1893.] (Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXV,
parte I, 1894), [25].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1894, XXVI della sua fonda-
zlone. Relazione [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1895. (Letta nell'a-
o del 23 dicembre 1894. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXVI, parte
, 1895), [3].
Mo Mei del Circolo Giuridico nell'anno 1895. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1896. Letta nell'adunanza del 22 dicem-
bre 1895. Estratto dal Circolo Giuridico, parte 1%, vol. XXVII, 1896), [3].
SulPandamento del Circolo Ginridico nell'anno 1896. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1897. (Letta nell'adunanza del 22 dicem-
bre 1896. Estratto dal Cyrcolo Graridico, vol. XXVIII, parte 1%, 1897), [3].
99, COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Segue : Allegato A, [Sfafistica dei frequentatori della Biblioteca da ottobre 1895].
La statistica fu aggiunta poi ad ogni relazione, manca solo nell'ultima re-
lazione pel 1904.
Sull'andamento del Circolo Giuridico nell'anno 1897. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1898. (Letta nell’ adunanza del 27 di-
cembre 1897. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXIX, parte 1%, 1898), [3].
Sull'’andamento del Circolo Giuridico nell'anno 1898 ed esposizione del bilan-
cio 1899. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1899.
(Letta nell'adunanza del 29 dicembre 1898. Estratto dal Circolo Giuridico,
vol. XXX, parte 1%, 1899), [3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1899. Relazione [del] Presidente,
Palermo, Stab. tip. Virzì, 1900. (Letta nell’ adunanza del 7
Estratto dal Czrcolo Giuridico, vol. XXXI, parte 1%, 1900), [3].
Sullandamento del Circolo Giuridico nell'anno 1900. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1901. (Letta nell'adunanza del 23 dicem-
bre 1900. Estratto dal Circolo Giuridico, XXXII 1901), [1, 3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1901. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1902. (Letta nell’adunanza del 26 dicem-
bre, 1901. Estratto dal Orcolo Ginridico, vol. XXXIII, parte 1a, 1902), [7].
Sull'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1902. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1903. (Letta nell'adunanza del 28 dicem-
bre 1902. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXIV, parte 12, 1903), [3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1903. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1904. (Letta nell'adunanza del 27 dicem-
bre 1903. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXV, 1904), [1, 3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1904. Relazione [del] Presi-
dente. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1905. (Letta nell’adunanza del 30 dicembre
1904. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXVI, 1905), [3].
Questa fu l’ultima letta al Circolo Giuridico, ma il Sampolo non arrivò a
gennaio 1900.
correggere le prove di stampa.
Della rivista // Circolo Giuridico , sì pubblicarono sotto la direzione del
Sampolo, XXXV volumi dal 1870 al 1904. Ogni 10 volumi formano una
serie.
Il Sampolo, oltre gli articoli e le recensioni portanti la firma o la sigla S, vi
scrisse numerose note bibliografiche, necrologie e la Cronaca giuridica.
(14) Per unanime voto dell’assemblea del 30 dicembre 1906, del quale si at-
tende la sanzione sovrana, la Società assumerà il nome di « Circolo Giuridico
Luigi Sampolo ».
(15) Relazione accademica per gli anni 1889, 1890,1891,1892,recitata alla R. Ac-
cademia di scienze, lettere e belle arti nell'adunanza dei 19 febbraio 1893. Pa-
lermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1895. [Estratto dal vol. III della Terza
Serie degli Atti della R. Accademia].
Relazioni accademiche per gli anni 1893, 1894, 1895, recitate alla R. Accademia
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 23
di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1897.
Estratto dal vol. IV della Terza Serie degli Atti della R. Accademia.
La prima fu letta il 15 aprile 1894, la seconda il 17 aprile 1895, la terza
il i5 marzo 1896 e furono insieme pubblicate in estratto.
Ielazioni accademiche per gli anni 1896, 1897 recitate alla R. Accademia
di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio 1898.
Estratto dal vol. V della Terza serie degli Atti della R. Accademia.
La prima fu letta il 21 febbraio 1897, la seconda il 19 giugno 1898 e fu-
rono insieme pubblicate in estratto.
Ielazione accademica per l’anno 1898 letta [il 25 luglio 1899] alla R. Ac-
cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e fi-
glio, 1900. Estratto dal vol. V della Terza Serie degli Atti della R. Acca-
demia. .
Itelazione accademica per l’anno 1899, letta [il 18 marzo 1900] alla R. Ac-
cademia di scienze lettere e belle arti, inedita.
Relazione accademica per l’anno 1900, letta [il 17 novembre 1901] alla R. Ace-
cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio,
1902. Estratto dagli Atti dell’Accademia, Terza Serie, vol. VI.
Irelazione accademica per l’anno 1902, letta [il 14 febbraio 1903] alla R. Ac-
cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio,
1903. Estratto dagli Atti dell’Accademia, Vol. VII, Terza Serie.
Riguarda anche l’anno 1901.
Relazione accademica per gli anni 1903-4 letta [il 20 novembre 1904] alla
R. Accademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia
e figlio, 1906. Estratto dagli Atti della R. Accademia di scienze, lettere ed arti,
Serie Terza, vol. VIII.
Fu stampata dopo la morte.
(16) /2 IV Centenario della scoverta d’ America. discorso [letto] per il IV Cen-
tenario della scoverta d’ America, [nella] Solenne adunanza della R. Accademia
di scienze, lettere e belle arti (30 ottobre 1892). Palermo, Tip. F. Barravecchia e
figlio, 1893. Estratto dal vol. II della Terza Serie degli Atti della R. Accademia.
Sulla vita e sulle opere di Antonio Veneziano (lettura). Pel III Centenario
di Antonio Veneziano, 22 agosto 1893.
Dei centenari celebrati dalla R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti e
di Torguato Tasso [lettura]. Per il III Centenario della morte di Torquato
Tasso [nell'|]adunanza del 19 maggio 1895, tenuta dalla R. Accademia di scien-
ze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1895. [Estratto
dal vol. IV della Terza Serie degli Atti dell’Accademia].
Appendice: Soretto del signor Torquato Tasso all'illimo signor Don Giovanni III
conte di Ventimiglia marchese di Geraci.
Lesse nell'Accademia il 20 novembre 1882 l’ Elogio di Vincenzo Di Marco,
il 30 dicembre 1883 ed il 24 agosto 1884 il lavoro: / primi 25 anni dell’ Uni-
versità, il 19 marzo 1893 la Commemorazione di Raffaello Busacca, il 21 no-
d4 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
vembre 1897 la Commemorazione di Vincenzo Errante, il 16 giugno 1901 il
Ricordo di Vincenzo Crisafulli che lo avea preceduto nell’ Ufficio di Segre-
tario Generale.
L'ultima lettura fu quella dei 17 di aprile del 1904 presentando una Lettera
inedita di Giovanni Meli.
(16) Sx Za origine, le vicende e il rinnovamento dell’Accademia di scienze, let
tere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1891. [Estratto del
vol. I della Terza Serie degli Atti dell’Accademia].
Contiene un appendice con documenti.
Letta pel 1° centenario del trasferimento dell’ Accademia dal palazzo del
principe Filangeri di S. Flavia in quello del Municipio, celebratosi il 5 lu-
glio 1891.
Studi giuridici.
(18) Prolusione al corso di diritto civile. [Sul progresso del diritto civile), letta nel
1860 da Luigi Sampolo già professore straordinario di diritto civile ed ora di
diritto romano nella R. Università di Palermo, Stamperia e legatoria Clamis
e Roberti, 1862.
Prolusione al corso di diritto romano. |Sull importanza del diritto romano),
letta in novembre 1861 da Luigi Sampolo professore straordinario di diritto
romano nella R. Università di Palermo, Palermo, Clamis e Roberti, 1862.
Sulla nullità delle alienazioni di immobili fatte dagli eredi apparenti. Diser-
tazione per il concorso alla cattedra di diritto civile col confronto delle leggi
romane nell'Università di Palermo, Tip. Morvillo, 1862.
Il matrimonio civile. Prolusione al corso di diritto civile, letta il 7 di-
cembre 1865 nella R. Università di Palermo. Palermo, Stamp. Perino, 1866.
[Estratto dalla Rivista Nazionale di scienze, arti e lettere, anno I, 1866, 5].
Dell’Unità del diritto in Italia. Discorso inaugurale agli studi letto il 13
gennaro 1867 nella R. Università di Palermo. Palermo Tip. Morvillo, 1867.
Dei lavori preparatorii del codice civile e particolarmente di quelli della Com-
missione legislativa di Palermo, Circolo Giuridico, I, 1870, 1, 17.
Premise un breve cenno sui lavori e si proponeva di pubblicare nel C7-
colo Giuridico tutti i verbali della Commissione di Palermo, allora posseduti
dal senatore Pietro Castiglia Primo Presidente della Corte di Cassazione di
Palermo che ne avea fatto parte e poi da lui depositati nella Biblioteca Comu-
nale. Ne smise il pensiero perchè la mole di essi avrebbe occupato molti vo-
lumi del Circolo Giuridico e non avrebbe potuto darsi posto ad altri scritti :
furono pubblicati soltanto i verbali delle adunanze del 17 maggio 1863 .Sz/
titolo preliminare del progetto Miglietti e del 31 maggio 1863 sul titolo I
cap. I Dei modi di acquistare e di perdere la cittadinanza, ed il Sampolo vi
fece annotazioni e raffronti.
Nel detto articolo si augurava « che I’ esempio spingesse altri a lavori di
tal fatta: ma nessuno vi si accinse. i
I lavori preparatorii furono pubblicati dal Ministero di Grazia e Giustizia
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 25
edi verbali della Commissione di Palermo costituiscono VIII volume della Rac-
colta Lavori preparatori del codice civile del Regno d'Italin, parte IV, Roma,
Stamperia Ripamonti, 1889, che venne però infarcito di grossolani errori,
lamentati dal Sampolo in una recensione, C7rcolo Giuridico XXI,1900, I, 283,
nella quale dà notizie degli illustri giureconsulti che componevano la Com-
missione.
Della Commissione di Palermo il Sampolo era stato nominato segretario,
ma ricusò l'ufficio. Furono segretarii G. B. Pagano allora sostituto Procura-
tore del Re in Palermo, oggi, Primo Presidente illustre della Corte di Cas-
sazione di Roma e socio onorario dell’Accademia e gli avv. Simone Cuccia
poi professore di Storia del diritto nell'Università e deputato al Parlamento
morto il 9 febbrajo 1894 e Francesco Fortunato morto presidente del Consi-
glio dell'Ordine degli avvocati il 4 ottobre 1902.
Lo statuto personale rispetto agli stranieri secondo le leggi civili del Regno
delle Due Sicilie. Lettera al chiarissimo sig. cav. Giuseppe Saredo —- [Estratto
dal Circolo Giuridico, I, 1570, 1, 159].
Lo statuto personale rispetto agli stranieri secondo le leggi civili del Regno
delle Due Sicilie. Seconda lettera al chiarissimo sig. cav. Giuseppe Saredo. —
Circolo Giuridico, II, 1871, 1, 5.
Scritta in seguito alla risposta del Saredo, Circolo Giuridico, 1870, 1, 193.
Sulla interpretazione dell’ art. 67 del codice civile italiano, Stadio, Palermo
tipografia del Grorzale di Sicilia, 1875. [Lettura fatta al Czrcolo Giuridico il 6
dicembre 1874]. Estratto dal Circolo Giuridico volume V. [1875, 1, 257].
La Corte di Cassazione di Palermo e il Demanio, Palermo, tipografia del
Giornale di Sicilia, 1874. (Estratto dal Czrcolo Ginridico volume V,) [1874, 1, 227].
Date due successive donazioni, delle quali l’ultima sola trascritta, il primo do-
natario ha diritto di essere rivaluto dal donante dei danni interessi? Lettura
fatta al Circolo Giuridico nell'adunanza del 5 giugno 1877 (inedita).
Sull’ammonizione e specialmente sullu capacità degli ammoniti. Considerazioni.
Palermo, Stab. tip. Virzì, 1878.— [Estratto dal Circolo Giuridico, VIII.1877,1, 267].
A proposito della sentenza della Corte di appello di Palermo 24 agosto 1877
che dichiarò gli ammoniti nè elettori nè eligibili.
Un errore giudiziario. Commento dell’art. 688 cod. di proc. penale, Palermo
Stab. tip. Virzì, 1880. [Letto nell’adunanza del 21 dicembre 1879]. (Estratto dal
Circolo Giuridico di Palermo, anno XI, 1880), [1, 21].
Affinità nel Digesto Italiano. Enciclopedia metodica di legislazione, dottrina
e giurisprudenza, vol. II, parte 1°, pag. 345-51, 1884.
Cenni intorno all’Ordinamento giudiziario nell'impero germanico riscontrato con
quello d’Italit : (Code d’organisation general allemand. 27 janvier 1877. I. In-
troduction par L. Dubarle. II. Traduction et notes par L. Dubarle, Paris, 1885)
Circolo Giuridico, 1885, 1, 235.
Il frammento 5°, T. XX, L. XLIII del Digesto (De aqua quotidiana et aestiva).
Saggio esegetico con raffronti col codice civile, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1887.
[Estratto dal Crrcolo Giuridico, XVIII, 1887, 1, 73]. 4
26 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Della capacità del fallito dopo la chiusura delle operazioni per mancanza di
attivo. Brevi osservazioni sopra una sentenza della Corte di Cassazione di
Palermo, [7 febbraio 1888, c. Giudice-Di Blasi], Circolo Giuridico, XIX, 1888,
1,89. Riprodotto nel Monzfore delle Leggi di Genova, IV, 1888, 169.
La donna maritata parte civile nei giudizi penali, Circolo Giuridico, XXII, 1891,
[1, 50].
L’apicoltura e il diritto civile, Circolo Giuridico, 1895, 1, 249.
Pubblicati i soli cap. I De/la natura delle apî e II Le api materia a varii
rapporti di diritto.
Una lettura S7/e api avea fatto il Sampolo al Circolo Giuridico il 9 dicem-
bre 1883; poi varii capitoli col titolo: Ze api considerate nei rapporti di diritto
sino al cap. V. « Del danno recato dalle api» avea pubblicato nel giornale
La Sicilia Agricola, anno 1885, 443, 583, 747, 927; anno 1886, 63, 83, 683,703;
anno 1887, 3. Il lavoro rifatto ed ampliato pubblicò nel Circolo Giuridico e
sì proponeva di compierlo.
Il codice civile ed il suo giubileo secolare. Discorso letto al Circolo Giuridico
l’11 dicembre 1904 (inedito).
Note di giurisprudenza.
[.Sull’art. 2187 delle leggi civili del 1819. Se lart. 2187 nel ridurre a 30 anni
il periodo della più lunga prescrizione, interrotta sotto l’impero di leggi anteriori
ha compreso neî 30 anni il tempo trascorso sin dall'inizio della prescrizione me-
des'ma). Nota alla sentenza della Corte di appello di Palermo, 16 aprile 1883,
c. Pandolfina-Gattinara, Circolo Giuridico, XIV, 1883, 2, 113.
(Sulla perenzione del precetto e dell’ istanza di espropriazione). Nota alla sen-
tenza della Corte di Cassazione di Palermo 12 dicembre 1882, c. Siragusa-
Bagnasco, Circolo Giuridico, XIV, 1583, 2, 361.
[Degli effetti di un ordine în derrate nel quale la denominazione <« cambiale » man-
casse nel contesto e fosse solo nella epigrafe). Nota alla sentenza della Corte di
appello di Palermo, 25 aprile 1885, c. Dainotto-Barrile, Circolo Giuridico, XVII,
1886. 2, 66.
[Sull’art. 543 del codice civile). Nota alla sentenza della Corte di Cassazione di
Palermo, 15 ap.ile 1886, c. Cappellani-Multisanti, Circolo Giuridico , XVII,
1886, 2, 244.
[Il vizio del consenso per violenza fatta dal padre alla figlia). Nota alla sentenza
della Corte di appello di Palermo, 10 settembre 1886, c. Cipollina-Genuardi —
Banca Nazionale, Czrcolo Giuridico, XVII, 1886, 2, 317.
[Da chi sono dovute le spese dell'offerta reale, non preceduta da quella amiche-
vole, prima rifiutata e poi accettata dal creditore). Nota alla sentenza della Corte
di Cassazione di Palermo, 20 febbraio 1890, e. Gargano-Bonaccorso, Crcolo
Giuridico, XXI, 1890, 2, 242.
[Se lantorizzazione ai corpi morali serva per integrare la loro capacità giuridica
ad acquistare o solo per la presa di possesso]. Nota alla sentenza della Corte di
Cassazione di Roma 8 luglio 1890, c. Finanze-Mosella, Czcolo Giuridico, XXII,
1891, 2, 74.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 7
(9)
[
[Za conferibilità dell’usufrutto). Nota alla sentenza della Corte di Cassazione
di Palermo, 29 maggio 1900, c. Cusenza-Majorana, Circolo Giuridico, XXXI,
1900, 2, 298.
[Sulla personalità giuridica delle Unicersità Siciliane]. Nota alla sentenza del
Tribunale di Palermo, 16 febbrajo 1903, c. Università e Comuni di Palermo,
Catania e Messina.—Ministeri delle Finanze e del Tesoro, Czcolo Giuridico,
XXXIV, 1903, 2, 67.
Traduzioni.
MarcapÈ V. Spzegazione teorico-pratica del Codice Napoleone contenente l’ana-
lisi critica degli autori e della giurisprudenza e seguita da un riassunto alla fine
di ciascun titolo. Versione italiana sulla 5% ed ultima edizione di Parigi, ac-
cresciuta dall’A. di molte quistioni e di leggi e decisioni recenti, col confronto
degli articoli del Codice per lo Regno delle Due Sicilie e con tutte le dispo-
sizioni governative emanate sin’ oggi sotto ciascun titolo. [Dal libro 3° Delle
successioni], Palermo, Stab. Tip. dei Fratelli Pedone Lauriel, 1857-65, vol. II-IV,
[il IT e il III in due parti, il IV in tre parti].
HèLie FaustINn. Trattato della istruzione criminale o Teoria del codice di istru-
zione criminale. Traduzione italiana e annotazioni. Palermo e Napoli, Pedone
Lauriel 1863-67, vol. I-IV.
DunxING MacLEOD E[NRIC0]. Sulla moderna scienza dell’ Economica. (Conferenza
letta il 16 marzo 1881 all’Istituto dei banchieri di Londra. (Estratto dal Czrco/o
Giuridico, [XI, 1881, 217].
Periodici.
Giurisprudenza teorico-pratica comparata della Corte Suprema di Palermo e
della Gran Corte civile e criminale di Palermo, Palermo, 1852.
Collaboratori: Salvatore Salafia avvocato, Luigi Sampolo avvocato, Gaetano
Scandurra avvocato, Placido Civiletti, Salvatore Crisafulli, Pietro Galifi,
alunni di giurisprudenza [uditori giudiziarii].
Se ne pubblicarono soltanto sette fascicoli contenenti le decisioni fino a
giugno 1822.
Nel 1857 il Sampolo, Placido Civiletti e Gaetano Scandurra si erano ripro-
posti la continuazione del giornale, ma questa non ebbe luogo.
Salvatore Salafia si spense immaturamente nel 1854.
A Gaetano Scandurra, morto Presidente di Corte d'Appello a riposo il 6 di-
cembre 1898, il Sampolo consacrò affettuose parole nella Relazione sull’ anda-
mento del Circolo nel 1898 (V.le parole pronunziate dal cons. Giuseppe
Eugenio FuRrITANO per salutarne la salma, Czrcolo Giuridico, 1899, 1, 32.
Salvatore Crisafulli, morto Consigliere della Corte di appello di Palermo
il 16 novembre 1592, fu socio di questa Accademia, ed il Sampolo ne scrisse
un breve cenno necrologico, Bo//ettino Accademia, 1892, 55.
Placido Civiletti e Pietro Galifi sono Primi Presidenti di Corte d’appello a
riposo. ;
(19) Contardo Ferrini fu socio onorario di quest’ Accademia, eletto nel gen-
28 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
naio 1900 ed il Sampolo lo ricordò con affetto nella Relazione Accademica
per l’ anno 1900. Ne commemorò la morte nella e/azione Accademica per
l’anno 1902.
(20) Studi sulle vicende dell'Università.
L° Università di Palermo e il suo passato. Discorso inaugurale per la ria-
pertura degli studi nell’anno scolastico 1878-79 nella R. Università di Pa-
lermo letto [il 17 novembre 1878]. Palermo. Stab. Tip. Lao. 1875.
Rassegna degli ultimi 100 anni dell’Università. Segue un’ Appendice con do-
cumenti ed iscrizioni.
I primi 25 anni della È. Università degli studi di Palermo. Letture fatte nelle
tornate di dicembre 1883 [30] e agosto 1884 [24] alla R. Accademia di scienze,
lettere ed arti, Palermo, Tip. del Grorna/e di Sicilia. [Estratto dal vol. IX della
Nuova [2*] Serie degli Atti dell’ Accademia].
Riguarda le prime leggi del 1772, la biblioteca, il museo, la stamperia,
la fondazione Gioeni, la cattedra di diritto canonico e quella di diritto pubblico.
Segue un'Appendice con documenti.
La R. Accademia degli studi di Palermo. Narrazione storica. Palermo, Ti-
pografia dello Statuto, 1888.
Dagli inizii al 1805 quando ebbe dignità e nome di Università.
Segue una copiosa appendice con XXX documenti, la Bibliografia delle
opere riguardanti l'Accademia, quella dei professori. le leggi riguardanti
l'Accademia e prospetti statistici.
Contributo alla storia della R. Università di Palermo. Palermo Tipografia
Lo Statuto, 1895. [Lettura fatta alla Società Siciliana di Storia Patria il 12
maggio 1894]. (Estratto dall’ Archivio Storico Siciliano N. S., anno XIX, fa-
scieolo III-IV), 1895 [329].
Si intrattiene delle cattedre di diritto e procedura civile, di diritto e pro-
cedura penale, di medicina forense, di diritto nautico e commerciale istituite
nel 1841.
Il Sampolo uno dei fondatori della Società di Storia patria, ne fu più volte
Consigliere.
Iscrizioni e ricordi dei più illustri professori della R. Università di Palermo.
Omaggio al V Congresso nazionale giuridico-forense 20 aprile 1903. Palermo.
Tip. F. Andò, 19053.
Sono raccolte le iscrizioni riguardanti i più illustri professori dell’ U-
niversità che si leggono nel portico e nelle aule e le altre che si leggevano
prima del 1860 nel portico anteriore e che egli si augnrò vi fossero nuova-
mente murate. Sono aggiunti i profili biografici dei professori e di Nicolò
Garzilli.
Monsignor Giuseppe Gioeni e la cattedra di filosofia morale nell’ Università di
Palermo. Messina, Tip. D'Angelo, 1904 (Estratto dal volume in onore del pro-
fessore Vincenzo Lilla pel suo XL anno d'insegnamento).
Seguono in appendice tre documenti.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 29
Studi sugli Istituti di beneficenza e previdenza.
La Casa di lavoro e l° Istituto delle Artigianelle di Palermo. Cenni. Milano,
Tip. editrice Lombarda già D. Salvi e C., 1874. Estratto dal giornale Rivista
della beneficenza pubblica, (fascicolo di gennaio) [16].
Nel 1869 fu membro del Comitato eletto dal Prefetto (Medici) per la uni-
ficazione dell’Istituto delle Artigianelle con la Casa di lavoro.
L’Orfanotrofio Ardizzone in Palermo. Milano, Tip. editrice Lombarda già
D. Salvi e C., 1874. Estratto dal giornale vista della beneficenza pubblica,
(fase. di marzo) [264).
Nel 1867, essendo assessore municipale, era stato incaricato dal Sindaco
{(Balsano) di visitare l’Istituto e riferire sullo stato di esso.
Sugli istituti di emenda della città di Palermo dal secolo XVI al XIX, Studi,
Palermo Tip. Bernardo Virzì di Francesco, 1874.
Seguono in appendice IX documenti. (Estratto dall’Arcliv70 storico siciliano),
{II, 289]:
La Casa d’ Istruzione ed Emenda con un Cenno sugli antichi e recenti istituti
congeneri. Palermo, Tip. dello Sfazzto, 1884.
Segue l’Elenco dei deputati della detta Casa dal 1749 al 1884.
La Casa d'Istruzione e dEmenda di Palermo con un Cenno sugli antichi e re-
centi rifugi per le ravvedute, 2% edizione riveduta. Palermo, Tipografia dello
Statuto, 1892.
Appendice: Elenco dei deputati della detta Casa dal»:1749 al 1890. Lapidi
commemorative; iscrizioni ed epigrafi. Notizie statistiche.
La Casa d'Istruzione ed Emenda negli anni 1898-1902. Relazione [del] Pre-
sidente della Deputazione. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1902.
Fu deputato della Casa dal 1867 al 1872 e poi dal 18/7 in avanti. Nel 1598
assunse la Presidenza che gli fù dopo conferita dal Consiglio Comunale nel 1899:
in questa Relazione rende conto dell’opera sua di Presidente.
Alla Casa d’Istruzione ed Emenda, che insieme al Circolo Giuridico fu og-
getto delle sue più indefesse cure, volse il pensiero nel suo testamento: le-
gandole la Cappella ed i quadri sacri, una Madonna antica ad olio ed un
quadro rappresentante la Madonna di Raffaello della Reggia di Napoli.
Per la premiazione nella Casa d'Istruzione ed Emenda ricadendo il XXV an-
niversario dell'entrata in essa delle snore del Buon Pastore. Parole. Palermo, Ti-
pografia F. Barravecchia e figlio, 1903.
Per opera di Lui l’Istituto fu affidato alle suore della Congregazione del
Buon Pastore di Angers, ed il XXV anniversario del loro ingresso nella
Casa volle festeggiare con un discorso letto il 20 agosto 1903.
Per l’inangurazione dell'Asilo rurale Margherita in S. Giovanni dei Leprosi,
15 giugno 1869. Palermo, Gaudiano, 1869. Corrzere Siciliano, 16 giugno 1869,
N. 169.
L'Opera degli asili rurali fu fondata nel 1868 da Francesco Enrico Scan-
durra. Il Sampolo fu sin dalla fondazione Presidente del Comitato, che con
lo statuto dell'11 giugno 1896 assunse il nome di Consiglio di Amministrazione.
30 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Per l’inaugnrazione dell’ Asilo rurale J. FP. Favier in Mezzomonreale, XVIII
ottobre MDCCCLXXIV. Parole. Palermo, Tip. del Giornale di Sicilia, 1874.
Segne in appendice la Relazione dell'Assessore di I. P. (Deltignoso) sulle se-
zioni di asilo.
Questi due discorsi furono poi pubblicati insieme senza appendice:
Per la inaugurazione degli Asili rurali di S. Giovanni dei Leprosi e di Mez-
zomonreale. Parole. Palermo, Tip. del Grorzale di Sicilia, 1874.
Per la inaugurazione dell'Asilo Garibaldi [18 settembre 1881| Parole. Paler-
mo, Ufficio dell’ Archivio di Pedagogia e della Biblioteca pedagogica, 1881.
[Estratto dall'Archivio di Pedagogia e scienze affini, 1881, 179].
Za Cassa di Risparmio V. E. di Palermo. Origine, progresso, stato pre-
sente. Notizie e documenti. Palermo, Tip. dello Sfafufo. 1891.
Nominato membro del Consiglio di amministrazione il 10 novembre 1864
in sostituzione del deputato avv. Francesco Crispi Genova durò nell’ ufficio
sino al 1892.
La memoria, della quale fu incaricato. fu scritta in occasione dell’Espo-
sizione Nazionale di Palermo del 1891.
Studi e discorsi letterari e storici.
Una scena del bombardamento di Palermo. |La morte di Maria Sampolo e
di Giuseppino Scandurra Sampolo]. (Estratto dal Giornale officiale di Sicilia
n. 39), [26 luglio 1860].
Sulla vita e sulle opere di Rosina Muzio Salvo.
Genero di Rosina Muzio Salvo curò l’edizione postuma delle sue opere
in 2 volumi:
I. Racconti di Rosina Muzio Salvo con alcuni scritti morali preceduti da
un discorso sulla vita dell’autrice. Palermo, Tip. del Grorzale di Sicilia, 1869.
II. Versi, Palermo, Tip. del Gzornale di Sicilia, 1870.
Palermo e Bologna dal secolo XVI al XVII Lettera di Domenico Schiavo
ripubblicata ed annotata. Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1888.
Questa lettera di Domenico Schiavo, insigne letterato del secolo XVII
(1719-1773) che fu direttore dell’Accademia del Buon Gusto nel 1753 e nel
1758, inserita nelle Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia (I, parte IV.
Palermo, Bentivenga, 1748) fu ripubblicata ed annotata in occasione dell'VIII
centenario dell’Università di Bologna, « perchè ci fa conoscere alcuni dei si-
ciliani che andarono a studiare in essa ed alcuni degli isolani che con l’in-
segnamento in quell’Ateneo e con la predicazione in quella città si chiari-
rono uomini dotti e eloquenti ».
In appendice il Sampolo da notizia di M. Antonio Vogli (1736-1821) bolo-
gnese che insegnò filosofia morale nell'Accademia degli studi di Palermo, di
Ugo Bassi (1800-1849) bolognese che predicando in Palermo la quaresima
del 1837 vi destò tante simpatie, di Carlo Gemelli (1811-1886) messinese che
fu vicebibliotecario della Biblioteca di Bologna.
Questa lettera fa parte del volume: 42 Università di Bologna. Ricadendo
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 51
P8 centenario della sua fondazione. Omaggio del Circolo Giuridico di Palermo.
Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1888, pag. 119-138.
Il 12 gennaro 1848. Discorso recitato la sera del 12 gennaro 1890 al ban-
chetto dei Veterani del 1848-49. Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1890.
Segue un’Appendice con documenti.
Per la inaugurazione del busto di Giuseppe de Spuches principe di Galati
alla Villa Giulia il 21 giugno 1891. Bollettino Accademia 1891, 66; In memoria
di Giuseppe de Spuches principe di Galati. Supplemento straordinario al Cor-
riere di Steilia. Palermo, giugno 1891.
Per la premiazione della Scuola Superiore femminile Giuseppina Turrisi Co-
lonna nell'aprile del 1895. (Discorso letto il giorno 21 di aprile 1895) Palermo,
Stabilimento Tip. Virzì, 1895.
Il Sampolo fu per parecchi anni membro del Consivlio di vigilanza della
Scuola.
Per la inaugurazione del mezzobusto a Giuseppina Melazzo nei Gramignani
nella Villa Giulia (13 ottobre 1895). Supplemento straordinario alla Szezlia
Musicale.
Accademia Siciliana. Nuove ricerche. [1790-1818]. (Lettura fatta alla Società
di Storia Patria il 14 gennaro 1895), Tip. Zo Statuto , 1896. (Estratto dal-
l'Archivio Storico Siciliano, N. S., anno XX, fase. IIL-IV), 1895, [317]. Con
appendice.
Cenno su Enigi Terranova.
Premesso alle Nozizze sopra Iccari e Carini di Licei TERRANOVA (n. 15 giu-
gno 1817 + 30 giugno 1876) coi programmi editi nel 1854 che erano rimaste
inedite, pubblicate a sua cura nell'Archivio Storico Siciliano ed annotate.
Si pubblicarono sino al V. capitolo, pagine 112: vol. XVIII, 1893,1, XIX,
1894, 65, e XXI, 1896, 97 (numerazione separata).
Per la inaugurazione del busto di Giacomo Leopardi alla Villa Giulia il 4
aprile 1899. [Discorso] (con la fotografia del busto). Palermo, Stab. Tipogra-
fico Virzì, 1899.
Era Presidente del Comitato che promosse l’erezione del monumento.
Carini ebbe mai vescovado ? La Sicilia Sacra, I, 1899, 481.
Riporta il tratto del Terranova che afferma essere stata Carini sede di ve-
scovado e la nota da lui apposta.
Giuseppe Piazzi ed alcuni versi latini di Prancesco di Paola Sampolo. Pa-
lermo, Stab. Tip. Virzì, 1901.
Precedono notizie di Giuseppe Piazzi e di. Francesco Sampolo. Seguono :
IJosepho Platio astronomo celebratissimo Exametri Francisci de Paula Sampolo e
la Traduzione italiana del prof. Ugo Antonio Amico.
Un canto in dialetto siciliano per le nozze di Carlo Felice di Savora con Maria
Cristina Borbone. Palermo, Stab. Tip. Lo Casto, 1902. Estratto dall’Anzo/ogia St-
ciliana, fasc. VII-VIII [621].
Illustra il canto scritto da Francesco Sampolo; seguono il canto ed alcuni
documenti che si riferiscono alle nozze.
32 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
4 Vincenzo Lilla pel XL anniversario del sno insegnamento 15 ottobre 1903.
Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1903.
Lettera înedita di Giovanni Meli. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio,
1903. [Lettura fatta all'Accademia ai 17 aprile 1904]. (Estratto dagli Atti della
k. Accademia di Scienze. lettere e belle arti, serie 3%, vol. VII).
Traduzioni.
TrivoLzio DE’ BeLeIoJoso Cristina. La rivoluzione e la repubblica di Vene-
zia. Traduzione dal francese. Palermo, Clamis e Roberti 1849.
Za mimica siciliana (Brano di un lavoro: S2/ linguaggio dei segni tra gli
Indiani dell'America del Nord di GarRICK MALLERY pubblicato nel Primo rap-
porto annuale dell'Ufficio etnografico dal Segretario dell'Istituto Smitsoniano
(First annual Report of the Bureau of Ethnology to the Segretary of the Smithso-
nian Institution 1879-80). Archivio per le tradizioni popolari III, 1884, 445.
Ne fece una comunicazione all'Accademia nell'adunanza del 25 novembre 1883.
Bollettino Accademia, 1884, 7.
Periodici.
Za Favilla, Palermo 1856-59.
63 Carmelo Pardi e Francesco Salesio Scavo pubblicarono la seconda
serie de Za Favilla ed il Sampolo vi scrisse parecchie recensioni.
Poesie. .
Alle cnlie e gentili giovanette Luigia ed Eleonora Codemo. Treviso 1° giugno 1848.
Il Sampolo era in Treviso con la Legione Siciliana guidata da Giuseppe
La Masa e alla firma è apposto « Milite delia Legione Siciliana ».
42 prof. can. Ginseppe Montalbano. In morte del fratello Vito: Un conforto.
V. In morte del Pretore avv. Vito Montalbano. Poesie di varì autori. Palermo,
Natale, 1873, pag. 33.
Il 19 luglio 1812 o l'abolizione della fendalità. Dipinto di Francesco Pado-
vani, settembre 1874.
Segue la traduzione latina del can. Giuseppe Montalbano.
Un salnto ad Acireale. Sonetto. 1874 (Palermo, Tip. dello Sfafnfo). [1874].
Contiene il detto sonetto e la traduzione latina del can. Giuseppe Montal-
bano. due sonetti di Lionardo Vigo: « A L. Sampolo >» ed uno di Ernesto
Corti « Al cav. Lionardo Vigo ed al cav. prof. Luigi Sampolo ».
Fu ristampato nello stesso anno 1874 dallo Stab. Tip. Virzì.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 33
A S.M. Margherita di Savoia Regina d'Italia che nel gennaro 1881 degnavasi
visttare l'Educatorio Whitaker e lAsilo rurale Principe Scordia. Versi messi in
musica dal marchese Antonio de Gregorio.
L’Educatorio per le istitutrici della infanzia e della puerizia fu fondato
nel 1876 da Francesco Enrico Scandurra, col 1° gennaro 1881, in omaggio
al suo maggiore benefattore Giuseppe Whitaker, assunse il nome di Educa-
torio Whitaker.
All’illustre signor Giuseppe Whitaker pel suo giorno onomastico (19 marzo 1882).
Le alunne dell’Educatorio Whitaker.
Iscrizioni.
Fer Carmelo Pardi in Elogio di Carmelo Pardi, pag. 26.
Per la solenne commemorazione di Giuseppe Whitaker [nel| Educatorio Whitaker.
Iscrizione. XVII novembre MDCCCLXXXIV.
Per Gaetano Deltignoso in FALCONE avv. Giuseppe. Elogio di Gaetano Delti-
gnoso. [letto al Circolo Giuridico il 14 novembre 1886], Palermo , Tip. dello
Statuto, 1887.
L'iscrizione è a pag. 47.
L’apertura del Liceo nel Regio Conservatorio di Musica in Palermo. Palermo,
Stab. Tip. Virzì, 1890.
L'iscrizione è a pag. 5.
Commemorazioni.
Commemorazione di Emerico Amari, letta il 29 novembre 1870 nell’Univer-
sità di Palermo. Palermo, Tip. del Grornale di Sicilia, 1871. [Estratto dal
Circolo Giuridico, 1870, 1, 133].
Ficordanza di Nicolò) Musmeci e Luigi] Mercantini, letta il 15 dicembre 1872
nella grande aula della R. Università di Palermo, Palermo, Tip. Morvillo, 1873.
La commemorazione riguardante il Musmeci fu inserita nel Crrcolo Giur:
dico III, 1872, I, 231.
In morte del prof. Paolo Morello. Parole lette nel chiostro di S. Antonino
il 12 luglio 18783. Palermo. Tip. del Giornale di Sicilia, 1873.
Segue Elenco delle opere del prof. Paolo Morello, pag. 17.
ljesse allo sciogliersi del corteo funebre queste parole, poi nel 1888 fece
un discorso per l'inaugurazione del monumento nel cimitero di Santa Maria
di Gesù.
Giuseppe Pisanelli, Commemorazione letta [al Circolo Giuridico il 4 mag-
gio 1879] nella grande sala dell’ Università ricorrendo l’undecimo anniver-
sario della fondazione del Circolo Giuridico. Palermo Stab. Tip. Virzì, 1881.
Estratta dal Czrcolo Giuridico di Palermo, [XI, 1880, I., 197 e 257].
Di Giuseppe Ugdulena e di Emidio Pacifici Mazzoni. Commemorazione letta
[nell’anno scolastico 1880-81 pel riaprimento del corso di diritto civile] nella
R. Università di Palermo. In Palermo coi tipi di P. Montaina e C. 1881.
(Estratto dalle Nuove Effemeridi Siciliane, vol. X), [Serie III, 241].
Comm. avv. Vincenzo Dî Marco (Palermo, Virzì 1881).
Ut
34 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Poche parole pel comm. avv. Vincenzo Di Marco. Palermo. Stab. tip. Virzì. 1881,
2* edizione. Inserite nel Circolo Ginridico, XII. 1881, I. 58.
Elogio di Vincenzo Di Marco, letto nella solenne tornata dei 20 novembre
1881 all'Accademia di scienze, lettere ed arti. Palermo tip. del Gzorna/e di
Sicilia, 1882, (con ritratto). Estratto dal vol. VIII della Nuova [2*] Serie degli
Atti dell’Accademia.
Precede il processo verbale dell'adunanza p. 3.
Commemorazione di Isidoro La Lumia, letta alla Società Siciliana di Eco-
nomia politica nell'adunanza del 5 ottobre 1879. Grornale ed Atti della Società
Siciliana di Economia politica 1879, IV, 120.
Commemorazione di Gaetano Deltignoso, letta [il 24 aprile 1887] alla Società
Siciliana di Economia politica. Palermo. tip. Militare, 1887. (Estratta da Gzor-
nale ed Atti della Società Siciliana di Economia politica). [Nuova Serie, vol. II,
anno XIII, 1SS7, 11).
Per la inangurazione del monumento a Paolo Morello. Discorso letto il 10 lu-
glio 1888 nel Cimitero di S. Maria di Gesù. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1889.
(con la fotoincisione del monumento).
Elogio di Carmelo Pardi. letto il 27 luglio 1890 nella sala della R. Scuola
normale maschile G. A. De Cosmi. Palermo. Stab. tip. Virzì. 1890.
Della vita e delle opere di Raffaello Busacca. Palermo, tip. F. Barravecchia
e figlio, 1895. [Estratto dal vol. IMI della 3% Serie degli Atti della R. Aeca-
demia].
Lesse alla R. Accademia il 19 marzo 1903 l'elogio di Busacca . il lavoro
pubblicato è assai più ampio e più particolareggiato.
Di Antonino Turretta e dei suoî tempi. In occasione del ritratto di lui donato
al Circolo Giuridico. Discorso letto il 28 luglio 1896. Palermo, Stab. tipogra-
fico Virzì, 1896. (Estratto dal Circolo Giuridico vol. XXVII. parte I, 1896) [296].
Commemorazione di Vincenzo Errante. Palermo tip. F. Barravecchia e figlio.
[Letta alla R. Accademia il 21 novembre 1897]. Estratto dal vol. VI della 3
Serie degli Atti della R. Accademia.
Ricordo dello Abate Vincenzo Crisafulli, letto nella tornata [della R. Acca-
demia di Scienze lettere e belle arti] del 16 giugno 1901, Palermo tip. F. Bar-
ravecchia e figlio, 1901. [Estratto dal vol. VI della 8% Serie degli Atti della
R. Accademia].
Necrologie.
Giovannina Sampolo in Lacrime e fiori sull’ urna di Giovannina Sampolo
Manzella. Palermo, Clamis e Roberti 1852.
Necrologia di Salvatore Madonia. Palermo. tip. del giornale /2 Tempo, 1881.
È inserita nel Circolo Giuridico 1SS1, I, 190.
Cenno necrologico dell'avv.Giovanni Ferlazzo. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1885.
Estratto dalla Rivista Il Circolo Ginridico, anno XVI, fase. XII [18$85, I. 300].
Luigi Testa vicepresidente del Circolo Giuridico (Letta al Circolo Giuridico il 5
febbraio 1899). Estratto dal Circolo Ginridico parte I, vol. XXX, 1899, [71].
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 35
Salvatore Sangiorgi Di Maria. Parole lette al Circolo Giuridico nella tor-
nata del 6 maggio [1900]. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1900 (Estratto dal 077:c0/0
Giuridico vol. XXXI, parte I), 1900, [147].
Elogio di Giuseppe Eugenio Furitano vicepresidente del Circolo Giuridico
[Letto al Circolo Giuridico il 16 giugno 1902] Palermo, Stab. tip. Virzì, 1902.
(Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXIII, parte I, 1902, [309].
Profili e cenni biografici.
Guristi ed Economisti.
Filippo Orlando, Consigliere della Cassazione di Palermo, Circolo Giuridico,
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Bartolomeo d’Ondes Rau, Czrcolo Giuridico, IX, 1578, I, 183.
Salvatore Iannelli, Circolo Giuridico, X, 1879, I, 158.
Diego Orlando, Circolo Giuridico, X, 1879, I, 217.
Michelangelo Raibaudi, Circolo Giuridico, X, 1879, I, 219.
Pietro Castiglia, Primo Presidente della Corte di Cassazione di Palermo,
Circolo Giuridico, XI, 1880, I, 38.
Nicolò Uzzo, Circolo Giuridico, XI, 1880, I, 64.
Luigi Mazza, Circolo Giuridico, XI, 880, I, 94.
Gaetano Parisi, Presidente di Sezione alla Corte di Cassazione di Palermo,
Circolo Giuridico, XI, 18S0, I, 95.
Antonio Fulci. (Parole lette il 16 gennaro 1883 nella scuola di diritto civi-
le), Circolo Giuridico, XIV, 1883, I, 3.
Agostino Invidiato, Bollettino Accademia, 1884,39.
Giovanni Demolombe, Czreolo Giuridico, XVIII, 1887, I, 64.
Francesco Laurent, Circolo Giuridico, XVIII, 1887, I, 69.
Paolo Maltese, Circolo Giuridico, XX, 1889, I, 157.
Giovanni Bruno, Bo//ettino Accademia, 1891, 79.
Francesco Nobile, Bo//etfino Accademia, 1891, X, 52.
Ignazio Abrignani, Circolo Giuridico, X.XII, 1891, I, 80.
Agostino Todaro, Bollettino Accademia, 1892, 28.
Salvatore Crisafulli, Bo//e/tino Accademia, 1892, 55.
Francesco Saluto, Czrcolo Giuridico, XXIII, 1892, I, 32.
Leone Larombière, Circolo Giuridico, XXVI, 1893, 1, 184.
Nicola De Crescenzio, Circolo Giuridico, XXVI, 1895, I, 78.
Francesco Saverio Caiazzo, Circolo Giuridico, XXV, 1894, I, 119.
Antonio Pertile, Circolo Giuridico, XXVI, 1895, 1, 79.
Ludovico Fulci, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 73.
Giovanni Costantini, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 77.
Francesco Auriti, Parole lette nell'adunanza del Circolo Giuridico del 26
aprile 1896, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 131.
Giuseppe di Menza, Parole lette nell'adunanza del Circolo Giuridico del
26 aprile 1896, Czrcolo Ginridico, XXVII, 1896, I, 133.
Gaetano Feri, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 78.
36 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Filippo Serafini, Parole dette agli studenti di diritto civile addì 18 maggio
1897, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 147.
Luigi Goldschmidt, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 235.
Giuseppe Ceneri, Circolo Giuridico, XXIX, 1898, I, 166.
Domenico Viti, Circolo Giuridico, XXIX, 1898, I, 168.
Carlo Dionisotti, Czrcolo Giuridico, XXX, 1899, I, 99.
Vito La Mantia, Circolo Giuridico, XXXV, 1904, I, 164.
Letterati, storici e scienziati.
Vincenzo Tineo, La Favilla, 1856, 18.
Giuseppe de Spuches, principe di Galati. Parole pronunziate [a nome del-
l'Accademia], innanzi al feretro il 14 novembre 1884. Lo Statuto, 15 novembre
1884, n. 315; Bollettino Accademia, 1884, 44.
Simone Corleo, Bollettino Accademia, 1890, 16.
Seguono le Parole pronunziate (a nome dell’Accademia) innanzi il corteo
che accompagnava la salma del prof. Corleo al cimitero di S.Orsola(2 mar-
z0 1890) Giornale di Sicilia, 3-4 marzo 1890, n. 62; Bollettino Accademia, 1890, 19;
La filosofia, anno II, fase. I, luglio - agosto 1891, pag. 47; Za memoria del
prof. Simone Corleo, Palermo, Amenta 1891, pag. 47.
Nicolò Cervello, Bo//ettino Accademia, 1890, 24.
G. B. Filippo Basile, Bollettino Accademia, 1891, 112.
Francesco Perez, Bollettino Accademia, 1892, 21.
Giuseppe Albeggiani, Bollettino Accademia, 1892, 53.
Giovanni Fraccia, Bollettino Accademia, 1893, 27.
Salvatore Cusa. Parole lette [a nome dell’Accademia] nella piazza del Po-
liteama [innanzi al feretro] addì 1° dicembre 1893, Bo//effino Accademia, 1893, 29.
Innanzi al feretro del prof. Saverio Cavallari. [Parole pronunziate a nome
dell’Accademia il 30 agosto 1896], Bollettino Accademia, 1896, 41.
Nei funeri del sac. prof. Giuseppe Orlando. | Parole pronunziate a nome
dell’ Accademia dinanzi al feretro il 27 marzo 1896]. La Siezlza Cattolica 28-29
marzo 1896 n. 72; Bollettino Accademia, 1896, 43.
Tutti i profili e cenni biografici pubblicati nel ZBod/ettino dell’ Accademia,
sono ‘seguiti dalla Bibliografia delle opere degli estinti.
RIASSUNTO
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE
Nel R. Osservatorio di Palermo (Valverde)
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| Medio. . . .. » annuale del barometro <$ ‘(56.11 | Escursione barometrica annua = mm. 38,10 |
| Minimo. ... ) | 733,40 i
|
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Altitudine della Stazione m. 72,2
Latitudine.
—= 982.6”.
PIOGGIA GIORNI CON
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8 GIORNI PIOVOSI LE VENTO FORTE TUONI NEVE È
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DN
24,6 || 2.3.4.5.8.9.16. MASFORIZZZO 127,04 | 7.9 29 —_ =
28,9 || 1.2.3.4.5.6.7.8.9.10.12:13.14.15. | 183,80 | 1.6.10.12. 1.10.12 10 1.10
16.17.21.22.23.24.25 |
50,6 || 1.12.24.25.27.28.29.30.31 43,05 | 10.12.22.26 _ — =
44,8 || 1.5.6.7.9.25.27.28 23,55. || 18.25.27 _ _ _
48,1 || 2.9.10.11.15.16.17.20.22 30,32 = 22 = —
59,3 || 13.14.15 10,05 | 15 20 —_ —
73,1 13 0,25 || 14.15 = = noi
81,0 || 29 13,95 | 10.20 29 —_ —_
59,0 | 26.27.30 18,80 | 11.12 xi 2 ad
44,5 || 1.7.12.13.15.16.17.19.29.80.31 56,09 | 15.16.31 (.11.12.14.15.16 — —
45,8 || 1.2.12.13.14.15.18.20.21.29 78,60 | 3.19.29 19.20 = O RNNI
31,0 | 2.3.4.5.10.11.12.13.14.15.16.17.18.| 208,00 | 5.6.9.10.15.14.15.27.28.30 5.11.15.16.30 11.15.16.30 11.15
19.20.21.22/24.25.26.27.29.30.31 16.17
49,2 = (93,50 = _ = Sa
Massimo . . . 39, 1
Medio annuale del termometro < 17,78 Escursione termometrica annua = 889,1.
Minimo. . . . | 1,0
Massima forza del vento = Km. 55 alle ore 15 del giorno 6 febbraio
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUIT E |
Î
| BAROMETRO | Termometro centigrado | VENTO
| |
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53 2 | = 3 | [at sai È
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| | mm. mm. mm. | | km km
| |
Gennaio Ss | (70,60. | 25. | 759.79 | 745,80 | 31 || 181 2 946| 0,0 9 | SSW 44 45
| Febbraio... ... | 6240| 28 | 5178| 3850) 8 | 164| 24 | 970] oo | 24| ssw | 52] 85
EMATZOR Ot rate | 63,80| 22 50:99) 455012 184 | 20 |10,62|—04| 16 | ENE 4,8 35
(FA priletstar az | 61,30 | 30 50,98 | 38.30 | 18 2854 | 2% | 1447] 5,0 10 | WNW 93 33
| | | |
Maggio... 61,90 | 3-4 56,08 | 4800 | 18 | 27,8) 17 |18:90| 60 1 | ENE 3,8 23
EEE dì | 60,20, || 22 55,86 | 49.80 2 30,6 | 13 |21,92| 10,6 00 E 5,2 28
Imnagos e ov000 e | 61,20 | 10 56,23 | 51,50 2 32,9 | 122 || 24,92] 135 | 8-12 | E 4,5 24
[PA\C:OStO MENSE | 61,00 td DION MIO | 34,4 | 13-16 | 2652| 15,9| 25 | ENE 4,7 28
| |
Settembre. . ... | 61,70 8 DI(548 MI 5250029 34,0 | |l23w0)| 143 | 250] CENE 3A 34
Ottobre. | 6320| 11 56,24 | 46,80| 25 | 308| 16 |2123| 94 29 | S 4,5 53
Novembre. . ... | 63.40. | 29 57,22 | 4390 SI 31:52 EL6:93]|M5:8 20 | NW 5,0 34
Dicembre... ... || ‘70,50 | 18 58,20 | 46,60 | 29 | 20.6) 1i |13.33| 1,0 18 | S 6.5 34
| |
Medie , estremi e | I
totali annui ..| (0,60 — | 56.32 | 738.30) — | 344| — |1764|-04| — ENE 5.1 53
Ì l Il
Massimo . . . (0,60
Medio. . ... annuale del barometro (56,52 | Escursione barometrica annua = mm. 32,50
Minimo. . .. | (38,30
| OSSERVATORIO DI VALVERDE IN PALERMO DURANTE L'ANNO 1907
Altitudine della Stazione m. 72,2
Latitudine.
389.6”.
Massima forza del vento = Km. 53 alle ore 5 del giorno 25 ottobre
PIOGGIA GIORNI CON
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32,7 || 1.4.5.6.7.8.9.10.11.12.13.14.18.20. | 133,95 ‘| 25.26 8 6.7.8.24.31 8
22.23.27.28.30.31 |
19 | 29,1 || 1.3.4.5.7.8.9.10.11.12.14.15.16.17. | 135,58 || 8.13.21.22.25 4 1.4.7.26 4,5.22.
21.29.25:26 | 26
id | 44,6 | 6.8.9.10.12.13.14.15.16.24.25.27. 74,65 || 11.21.22 13.15 13.29 13
28.29.30
3) | 39,5 | 2.3.4.5.6.13.14.15.16.17.18.19.20. | 160,55 | 2.4.5.7.10.11.15.16.19.27 13.18.19 _ =
29
18 | 51,7 | 2.3.6.18.19.29.31 15,85 —_ —_ = de
38 | 69,7 | 14.15.16 20,60 = 15.16 —_ _
30 | 81,0 = = = = —- —
s9l (89; i —_ 110.22 - = 2a
3) | 48,5 | 11.16.17.18.19.21.22.23 66,70 = 11.18.20.22.23 = —
39 | 41,0 || 5.6.7.14.18.19.25.26.27.28 57,25 || 17.25.30 6.28 — —_
,6 | 34,4 || 3.4.5.7.8.10.15.17.18.19. 20.21.22. 58,35 || 3.9.10.12 3 — =
23.25.26
,2 | 43,8 | 2.3.4.5.7.8.13.14.15.16.27.28.29 69,35 || 3.4.7.15.29 4.8 = 4
39 | 50,5 - (92,83 = — = —
Massimo . . . | 34, 4
Medio. . ... annuale del termometro 17,64 Escursione termometrica annua = 349,8.
Minimo. . . . Î — 0, 4
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