^w* WM ,t^:r '?' x ** .. *<* ^ w* ' < ,: ** v -<Ì '" v** .***; Mj.f m pbrarg of % fftuscum OF COMPARATIVE ZOÒLOGY, AT HARVARD COLLECE, CAMBRIDGE, MASS. JFounbeO bn prfbaU subscrfptfon, fn 1861. The gift of I ' * i t ce No. tt ■ ATTI «eli; ii:i: iiiehi i DI SCIENZE NATURALI IX CATANIA SERIE TERZA — TOMO XV. CATANIA, TIPOGRAFIA Dr C. CALATOLA nel R. Ospizio di Beneficenza. S~. 1881. CARICHE ACCADEMICHE PEPV L'ANNO LV DA L-UGLIO 1879 A piUGNO 1880. 1° Direttore Prof. Comm. Andrea Aradas. 2° Direttore Prof. Comm. Giuseppe Zurria. Segretario Generale Prof. Cav. Carmelo Scinto Patti. MEMBRI DEL COMITATO 1. Cav. Prof. Salvatore Toraaselli '2. Prof. Ardini Giuseppe. 3. Prof. Michelangelo Eonaccorsi. 4. Prof. Cav. Paolo Berretta. 5. Dott. Cav. Antonino Somma. 6. Rev. P. Giovanni Ganci. Prof. Cav. Mario Distefano — Direttore del Gabinetto Gioenio Prof. Cav. Salvatore JSTicolosi Tirrizzi — Cassiere. Prof. Cav. Agatino Longo — Segretario della sezione di Scienze Fisiche. Prof. Cav. Uff. Lorenzo Maddem — Segretario della sezione di Scienze Naturali. OIIIRO MICROCEFALI FI I CUNOCEFALO IN UNA FAMIGLIA MEMORIA letta all'Accademia Gioenia nella seduta del di 4 Aprile 1880. DAL SOCIO Cav. Prof. Salvatore Nicolosi Tirrizzi Una volta che gli Antropologi, i quali nei tempi attua- li con inestinguibile ardore si affannano a scovrire, con qua- lunque mezzo die può fornire l'umano intelletto , sia con probabilità di riuscita, oppur nò, l'origine dell'uomo, han fermato il principio, che la maggiore o minor quantità di materia nervea centrale colloca 1' uomo in un grado or su- periore e ora inferiore della serie zoologica, e cercano avi- damente ogni menoma osservazione e qualunque accidenta- lità, e far tesoro anche delle più insignificanti particolarità morfologiche dell' encefalo , onde poter dimostrare e porta- re all' evidenza altro più grave principio , cioè: l'uomo tro- varsi tale, perchè in lui gli organi psichici raggiunsero mag- giore sviluppo , il quale venendo meno , egli scende dal po- sto eminente , che gli accordò natura , a livellarsi colle be- stie; dopo tutto ciò, sia per convalidare le loro assertive, sia per avversarle , è necessità, che gli scienziati, coglien- do le favorevoli ed opportune occasioni, si facciano a ricer- care ogni fatto die , ben studiato, possa influire al disvela- mento del vero in simili vitali quistioni. Le ricerche sulla Microcefalia son quelle che maggior- ATT1 ACC. VOL. XV. 1 2 QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO mente vengono nell' attualità incoraggiate ed apprezzate: e in casi di questa natura, non solo si studia accuratamente lo stato del microcefalo durante la vita cioè, la sua espres- sione , il suo incesso e tutti i suoi movimenti, gli atti della sua intelligenza , i sentimenti di lui e i suoi istinti , ina an- cora , dopo morte , la conformazione del suo cranio, la mor- fologia dei centri nervosi , il peso dell' encefalo, il suo volu- me ec. ec. Si è perciò, che è giusto , tener conto di qualsia- si fatto che possa occorrere relativo a tanto e sì grave argo- mento, perchè in ogni caso, sia che se ne inducano con- seguenze favorevoli, o contrarie agli indicati principii, una cosa è certa cioè , che la scienza in genere ne profitta, va innanzi, e si arricchisce sempre più il tesoro delle umane conoscenze. Si è per cotesto, illustri Consocj che, essendomi imbat- tuto in quattro individui microcefali , due dei quali viventi e gli altri estinti , non ho voluto passar sotto silenzio que- sti casi, ma ne ho formato obbietto di mia seria disamina, la quale sottopongo al vostro savio giudizio. Quattro individui microcefali che furono generati tre l'uno dopo l'altro, posteriormente ad un altro, e ad un clino- cefalo dallo stesso padre e dalla madre istessa, in unica fa- miglia insomma, in cui pare esservi stata qualche influenza ereditaria, che sarà bene seriamente studiare, costituiscono un caso ben singolare e prezioso per gli Antropologi; men- tre quegl'esseri infelici sono obbietto di commiserazione, di ridicolo e ancora di disprezzo per i volgari che sovente as- sociano alla ignoranza la malignità. I quattro microcefali annunciati son Domenica, Giuseppe, Giuseppa e Grazia ed il clinoeefalo Carmelo figli di Dome- nico Chiarenza e Agata Randazzo, nati e residenti in Cata- nia. Noi ci occuperemo anzitutto del secondo, di cui notere- mo la conformazione del corpo, i suoi movimenti, le condi- zioni dei suoi sensi, e tutto ciò che valga a dare una com- IN UNA FAMIGLIA pietà descrizione di questo eccezionale individuo, e ciò ten- teremo anche di fare per il terzo, mentre per gli altri morti in tempo in cui non era stato ancora il mio spirito impres- sionato dalle condizioni di vita in cui trova van si i sudetti individui, avrò nulla o poco da dire. Giuseppe conta sei anni di vita. La sua testa presenta un positivo rilievo delle arcate sopra-orbitali, le quali sono cosiffattamente sviluppate e prominenti, e pria d'ora ancor più, da far parere gli occhi infossati nelle orbite. La fronte stretta ai lati, è fuggente in dietro: e nei primi tre anni presentava, giusto nel punto della fontanella mediana an- teriore , seguendo i bordi anteriori dei parietali , un solco laddove oggi un semplice avvallamento si ravvisa alla parte sinistra della testa: lo che ci fa credere , che sino a quel* l' epoca , le ossa non si erano ancora ingranati coi ri- spettivi dentelli del frontale. La sua testa brachiocefala è coverta di abbondanti , lisci e neri capelli bene regolar- mente impiantati; dritto e ben conformato il naso; le labbra turgide e alquanto sporgenti in avanti. Gli occhi di color nero ; regolari le palpebre ; poco alti e prominenti gli zi- gomi; sferico l' osso occipitale e arrotondito il mento ; le orecchie nulla offrono di anomalo; i denti son tutti perpen- dicolarmente piazzati, e le loro corone offrono il più per- fetto diastema. La colonna vertebrale mostrasi più sporgente dell' ordi- nario, e un po' curvata dal lato sinistro. Il petto e lo addome son bene conformati; gli arti supe- riori ed inferiori arrotondati e lunghi come nell'ordinario. È difficile che Giuseppe stia un po' a lungo fermo in una posizione; anzi mostrasi irrequieto; cammina ordinariamente bassa la testa e curvata in avanti, rarissimamente dritto, e specialmente quando vuole imitare l' incesso grave di qual- che persona d'importanza. I suoi passi sono pesanti, ed alle volte nel camminare pone le punte dei piedi volte in den- QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO tro o all' infuori. Accade a lui talvolta, camminando, per bene equilibrarsi, allargar di troppo gli arti inferiori e vacillare, e far temere che gli avvenga qualche sinistro accidente. Però la corsa per lui è il moto più usitato, meglio gradevole e ben vi riesce. In tal caso curva il corpo in avanti, abbassa la testa, e serra i pugni coll'intromettere il pollice tra il dito indice il medio, e fortemente appoggiandovelo, per tendere co- siffattamente le braccia, e trovar così quasi un punto di ap- poggio allo slancio che dà per correre e sostenerlo nella corsa. Se la persona che lo accompagna e lo sorveglia cada in distrazione egli corre sempre colla stessa velocità, sia che nella via incontri carrozze, e carri e altri ostacoli, che cerca di evitare, non tenendo retta la linea da percorrere , ma mutando direzione quasi ad ogni istante, al par di un cane; e se non venisse arrestato nella corsa dal suo sorveglia- tore, continuerebbe ben alla lunga a correre, e sino al di là della casa paterna, come se non la riconoscesse. Se imbattesi in luoghi in cui vi ha raccolta di acqua, come nelle vasche in cui soglionsi lavare i panni e che non man- cano nel cortile della sua abitazione, egli vi si tuffa, come se un forte istinto , a cui non può resistere gliene dia la spinta. E se non trova dell' acqua, ma invece sul suolo del fango, prende allora con piacere a maneggiarlo, imbrat- tandosene dal capo alle piante. Se gl'istinti in lui sono svi- luppati, non gli mancano però i sentimenti, e 1' animo suo non è estraneo a quello dell' affetto e dell'odio. Se amiche- volmente trattato e accarezzato da ragazzi suoi coetanei e compagni, vi risponde con affetto e gratitudine e vi si pone ai fianchi e lor fa delle moine; e se tenghi in mano delle chicche o altro da mangiare ai compagni ne fa parte, come del pari ricevendone dalla madre, vuol che essa ne dia ai compagni la metà, significandole con gesti il suo desiderio. Ma se all'incontro vedesi deriso, o in qualsiasi modo offeso da qualche ragazzo, entra allora in fortissimo sdegno, e IN UNA FAMIGLIA tanta ira in lui si accende, da renderlo furibondo e inveire contro di cui e di ogni modo colpirlo e gettarlo a terra con tale una forza, da far sorpresa che la si trovi in quella meschina persona. Contradetto in ciò che vuole ostinatamente eseguire , dà in furore; e allora piange disperatamente; batte forte- mente il suolo, saltando coi piedi giunti, o curvando il cor- po; nel colmo della rabbia inveisce contro se stesso , colpen- dosi coi pugni la testa e la faccia , e la testa dà contro i muri, al segno da riportarne non solo delle contusioni, ma non pure delle lacerazioni , che rimarginate e talvolta an- cora recenti si osservano sulla regione occipitale. Giuseppe , come si accennò , rarissimamente riposa , stando seduto: perchè egli gesticola sempre, or colle brac- cia ed ora con le mani, e più spesso ancora coi soli due diti indici. Quando siede accavalca una gamba sull'altra ; serra i pugni , consertando le braccia al ventre ; ma dopo un istante lascia quella positura repentinamente si alza, e corre per la stanza come spiritato in cerca di qualche og- getto , su cui poter disfogare, e non potendo altro trovar prontamente se non se qualche sedia, violentemente la stramazza sul pavimento. Questo sventurato fanciullo dorme pochissimo: e per l' addietro più d'una volta durante la notte lasciava il Ietto, e girovagando per la stanza, spesso scambiando il pitale per il boccale o al converso e molte luride e schifose opera- zioni eseguiva, come se non avesse avuta la menoma fa- coltà di distinguere ciò che faceva. Rimproverato dal padre o dalla madre per la sua indomabile irrequietezza, va subi- to a nascondersi in un angolo o dietro qualche mobile della casa, ovvero sen fugge scendendo precipitosamente le sca- le. E la sua irrequietezza è tale che, onde vestirlo in ogni mattino, è necessario che la madre lo tenga a se stretto e fermo d'ogni maniera per poter conseguire lo scopo. 6 QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO Se qualcuno gli reca qualche cosa da mangiare , sor- ride di compiacenza e si frega le mani in mostra di vero contento. Pronunzia pochissime parole ed incomplete. Di commestibili ciò che vede vuole; e quando per caso di casa sua passa qualche venditore di frutta , egli non perde un istante, correndo a raggiungerlo e di colpo afferragli qual- che frutto , che pone subito fra i denti , dandosi alla fuga onde ridursi in casa al più presto. È anche da dirsi che trovandosi solo in casa si dà spesso alla masturbazione. Volendo dire qualche cosa su gli organi dei sensi del Giuseppe, è da avvertire anzi tutto, che i di lui occhi so- no integri, ma in continuo movimento come la sua -testa e le sue braccia, Le sue orecchie ben conformate esternamente e tali debbono essere nel loro interno congegnamento, poi- ché 1' udizione è squisitissima , tanto , quanto , chiamato a distanza non breve e con voce non molto forte, ode ciò che gli si dice , ed esegue ciò che gli s' impone di fare. L' olfatto in condizioni normali, avverte gli odori e di- stingue gli odori gradevoli dai dispiacevoli, prediligendo i primi, e gli altri ostinatamente rifiutando. La pelle dev' essere nella condizione di normalità, poi- ché la sensività tattile non è per nulla accasciata o viziata almeno secondo tutte le ricerche che si son fatte. Del pari possiamo dire in quanto al gusto, distinguendo bene i grati sapori dai cattivi. Le funzioni tutte della vita organica esercitansi secon- do il tipo di normalità. Ed ora occupiamoci della sorella eli Giuseppe , ossia Giuseppa. La testa di questa fanciulla di anni quattro mostrasi un po' più lunga di quella di suo fratello, e del pari ricca di neri e lisci capelli regolarmente impiantati e distribuiti; stretta ai lati, e pochissimo sporgente in avanti la fronte. IN UNA FAMIGLIA Le arcate sopraciliari poco rilevate; ampia la glabella , re- golare il naso ; i zigomi in fuori diretti ; piccole e turgide le labbra e corta la loro rima ; i denti perpendicolarmente piazzati; il mento e 1' osso occipitale rotondi. Bassa è la sua statura; piccolo il di lei corpo, rimpetto all' età, ma tutto in regolari proporzioni conformato. In quanto ai movimenti della predetta fanciulla, ai suoi istinti, ai suoi sentimenti, alla sua intelligenza e al suo ca- rattere morale, ecco quanto abbiamo potuto raccogliere. Abbiamo noi osservato nel di lei fratello, del quale or ora ci siamo occupati, l'irrequietezza, il moversi senza posa e un carattere pronunciatamente reazionario, ma avendo dei lungiii intervalli di pace e di contento, quando non viene contradetto e contrastato ne' suoi desiderii. Nel ca- rattere della Giuseppa troviamo all' incontro , la calma e quasi l'inerzia ne' suoi movimenti: poiché essa non corre mai, non salta, non fa quasi alcun moto. Indifferente a tutto che vede fare ai suoi compagni, non prende parte al loro baloccare, e ai giochi della loro età , se non rarissimamen- te; e ciò che non è da omettersi, si è che essa passa gior- nalmente piangendo lunghe ore: né valgono a calmare il di lei pianto qualsiasi giuochetto e qualunque trastullo il quale avendo in mano , senza por tempo in mezzo , manda in pezzi e distrude. Mezzo solo a calmare i suoi pianti è la compagnia dei suoi coetanei delle di cui trastullarmi ri- mane muta, indifferente spettatrice. Essa mangia con appetito, digerisce bene, e tranquilla- mente dorme. Nulla posso dire in riguardo alla prima e terza figlia del Domenico, stante che esse sono morti una nello scorso anno nell'età di un anno e mesi sette, di bronchite capilla- re e l'altra assai prima di questa. Ho da notare solo , che la terza figlia ossia Grazia a- veva tutte le fattezze della sorella Giuseppa, e la statura 8 QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO cortissima, non che piccolissimo il corpo. Quando la visi- tavo, non vi era modo a tastarle il polso , tanti erano gli sforzi che operava per respingere la mia mano , dando in gridi e dirottissimo pianto, mentre il corpo di Domenica, come mi rapportano i suoi genitori, era cortissimo e gra- cilissimo. Una parola è ancora a dire del padre di questi infe- lici fanciulli. La di lui testa è estremamente piccola, e tale che un cappello per coprirla dev'essere appositamente ma- ni fatturato; molti capelli neri e lisci la rivestono. Infine diremo una parola di Carmelo, il quale presenta il suo corpo regolarmente sviluppato, salvo la testa, che offre la fronte di forma conoidea, che con il suo apice ar- rotondato sorpassa il livello normale della stessa, sporgen- do in avanti più dell'ordinario. L'altezza della fronte, mi- surata dalla radice del naso all'impianto dei capelli segna nini. 53; il suo maximum mm.97,ed il suo minimum mm. .72. Il diametro antero posteriore della testa misura nini. 180; il trasversale nini. 155 e la circonferenza orizzontale mm. 850; sicché Carmelo per avere la fronte sporgente in avanti è Clinocefalo. L' avo paterno , per nulla trascurare , diremo , avere anch'esso hassa la statura; piccola la testa; bassa la fron- te; le labbra turgide; curvo il tronco; mentre l'ava paterna presentava alta la statura, la testa in giusta misura, co- verta di Inondi capelli; il viso regolare e bianca la pelle. L'avo materno era di mediocre statura, non offrente nella conformazione del suo corpo alcuna irregolarità; men- tre 1' ava materna porta occhi piccoli neri e ricci capelli, (tome la madre dei fanciulli che abbiamo or ora descritti. Ho creduto necessario prendere le misure delle varie parti del corpo dei due fanciulli microcefali di cui ho dato la storia. Le predette misure sono state prese colla maggiore possibile esattezze sul carpo della Giuseppa perchè, docile IN UNA FAMIGLIA 9 piuttosto, o almeno quieta , si è prestata alle necessarie operazioni senza opporre ostacoli : laddove il fratello , che non istà mai un momento in riposo , incessantamente agi- tandosi, non ci ha offerto il destro di poter ottenere una misurazione del suo corpo esatta quanto quella eseguita sulla, sorella, e perciò è da riguardarsi come soltanto appros- simantesi alla realtà. Misure di Giuseppe Statura C. 91, '/, Lunghezza presa dal tallone al condotto auditorio esterno » » dal piede al mento » Diametro longitudinale della testa, mm. » trasversale ...» » . . » Circonferenza orizzontale » » . . » Misura dalla radice del naso ai capelli » Dalla radice del naso al centro della su- tura lambdoidea » Dalla sutura lambdoidea alla nuca. . » Dal forame auditorio esterno al vertice » Dal vertice al mento » Dall' angolo interno dell'occhio allo ester- no » 22 Larghezza della pometta » 23 Dalla mastoide alla omonoma dell' altro lato » 78 Dalla mastoide al naso » 39 Della radice del naso al bordo alveolare del labbro superiore . . . » 60 Dalla radice del naso alla cima degli in- cisivi superiori » 66 81, 7, 77- 138 — 105 — 390 — 38 — 140 — 132 — 105- 163 — Misure di Giuseppa . . . C. 86 . . » 78 » 72 mm. 156 • * 106 » 380 » 50 » 140 » 132 . » 110 » 162 . » 20 » 14 . » 34 » 39 • » 50 • » 75 Onorevoli Signori, L' impegno con cui nell' attualità vari dotti studiano il fatto della Microcefalia, dipende dall' ardente brama di tro- vare in essa delle prove inappuntabili dell'antichità dell'uo- mo e della teoria trasformistica. Noi non possiamo com- ATTI ACC. VOL. XV. 10 QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO prendere come l'antichità dell'uomo possa servire di mezzo a convalidare , o almeno ad appoggiare la successiva tra- sformazione degli esseri viventi e conseguentemente quella della scimmia in uomo. Certo, che l'uomo è assai più an- tico di quanto lo si è creduto nei tempi passati. I monu- menti dell'industria umana primitiva; la coesistenza delle u- mane reliquie e dei monumenti sudetti con i resti di ani- mali del tutto estinti, rinvenuti in un terreno con tutta cer- tezza quadernario, se non ancora più antico, han dimostrato che T uomo viveva nel periodo del diluvium, se non si vo- glia ammettere con taluni, lo che non è provato , in un periodo anteriore, cioè nella più recente formazione del ter- ziario. Questa, che non può oggi più riguardarsi come una concessione sfornita di prove, non è andata esente di con- testazioni ; e molti credono , che non si è ancor giunti , e non si perverrà mai, a porre come vero e inappuntabile che, 1' uomo abbia esistito da un'epoca remotissima, e che i sei mila anni che si contano dalla creazione del mondo a questa parte costituiscono un tempo troppo breve e tale, da non poter spiegare tutti i cambiamenti e le trasforma- zioni che la terra ha subito. Si sono fatte delle misurazioni e dei calcoli per valutare il tempo necessario, perchè si sia formato il terreno in cui contengonsi quei rimasugli degli animali, che in quel tem- po vivevano ed oggi son specie perdute, come il Mamhout, il Pùnoceronte ticorino , l' Orso e la Jena delle caverne e vari Ippopotami ancora, e i monumenti della industria pri- mitiva dell'uomo ed anche le sue reliquie; ma i calcoli fatti da differenti naturalisti non hanno tutti avuto il medesimo risultato , specialmente in (pianto , come si sa al progres- sivo aumento verticale del Delta prodotto dalle annue inon- dazioni del Nilo . che Lepsius calcola a tre pollici e mezzo per secolo, Dolomieu due piedi in ogni 120 anni, e Girar- din 126 min: in ogni anno. Ma poniamo che sia passato IN UNA FAMIGLIA 11 un lunghissimo corso di secoli, o anche di migliaia di seco- li, certo è però che cotesto non può per nulla deporre in favore della trasformazione della scimmia in uomo, perchè potrebbesi giustamente ritenere che, egli sia rimasto come lo è stato per sei mila anni, anche per un decorsa di tempo mille volte più lungo. Chi può asserire e constatare che egli abbia dovuto subire delle trasformazioni per giungere all'ac- quisto delle forme che or veste e degli attributi che egli possiede '. Vi è tale una distanza tra la scimmia e l' uomo; vi è tale tra l'uno e l'altro un vuoto, non solo dal punto di vista fisico ma più ancora per quello psicologico, che, qualsia- si la lunghezza del tempo, una così grande meravigliosa e misteriosa trasformazione non avrebbero potuto compiere, ne anco iniziare. E se in seimila anni egli non ci ha offer- to alcuna modificazione neh' essere suo , quanto tempo ci avrebbe voluto perchè si fosse iniziata ed effettuata del tutto ? Or se fosse questione , come alcuni vogliono di un grado più o meno superiore di sviluppo del suo organismo e delle sue facoltà ; se gli animali avessero tutti gii attri- buti dell'umanità, sebbene in grado minore di svolgimento e di attività , senza cambiare in natura ed in sostanzialità, forse in tal caso nascerebbe un qualche dubbio sulla real- tà di quanto noi sosteniamo. Ma quando all'incontro, tro- viamo nel]' uomo delle facoltà di cui gii animali superiori e le scimmie antropomorfi1 vanno in assoluto difetto ; quan- do nessun anello intermediario che possa l'uomo mettere in serie con i predetti animali : anello di cui si va in trac- cia inutilmente, allora è da dirsi o Signori, che il trasfor- mismo sia, come disse il celeberrimo Agassiz, una con- cezione a 'priori per nulla dimostrala dai risultati (iella scienza moderna. Ma lasciando da banda queste riflessioni, perchè alla fine delle Ani, trattandosi di non altro che di ipotesi , ciascu- no ha il diritto di abbracciarle o rifiutarle, andiamo a dir 12 QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO qualche cosa di più intorno alla Microcefalia, e ricercare se questa difformità del cranio possa venire in sostegno del trasformismo. La Microcefalia sta principalmente in certe condizioni, come si sa, relative alla conformazione del cranio, condizio- ni che si allontanano dallo stato di normalità di questa sca- tola ossea, che racchiude e difende l'organo dell'intelligenza. Tali condizioni sono principalmente la piccolezza della testa, la fronte fuggente in dietro e l'apofisi orbitaria ester- na sviluppatissima. E siccome è il cranio che si modella sull' encefalo e non al converso, le condizioni predette mostrano un certo arresto di sviluppo in generale del cervello , principalmen- te dei suoi emisferi, ed in particolarità della parte anterio- re dei sudetti emisferi , che la fisiologia ci apprende di es- sere inaffiati di sangue, più delle altre parti, e si credono devoluti a preferenza allo esercitamento delle facoltà dello spirito ; atteso cotesto , si è creduto questo arresto di svi- luppo , che a prima giunta, e come si vedrà meglio in segui- to, si deve considerare come una semplice mostruosità, es- sere una indubia rivelazione della forma primitiva dell'uo- mo, che siasi poi di molto migliorato e diventato quel che oggi egli è. Ciò viene dimostrato dai fatti? E nell'afferma- tiva quali sono questi fatti e quale il loro valore? Ricerca o Signori, è questa malgevole ad oltranza, e assai più di quanto si potrebbe credere. Né io esagero : e perciò mi servo delle parole stesse del Vogt, uno dei seguaci e sostenitori del Darvinismo. La Microcefalia, egli dice, è un enigma, che ci pone in una questione molto profonda e assai diffìcile a risolversi, non conoscendosi sinora le cause che producono simili defor- mità. I fatti , che si riportano per sostenere la trasforma- zione della scimmia antropomorfa in uomo, son pochissimi e IN UNA FAMIGLIA 13 di nessun valore, non solo agli occhi nostri, che valgono ben poco, ma a quelli di dotti eminenti, i quali parchissimi ne' loro giudizi, moderati nelle loro conghietture, vedono le cose come stanno, senza ingrandirle, esagerarle e trasformarle, in virtù di concetti ipotetici , a cui certuni lasciano libero il freno, per la passione che concepiscono per essi, e per- chè sforniti d'imparzialità nei loro giudizi. Quando la mente é prevenuta, si giunge a non iscorgere ciò che realmente esiste, e si niega ciò che veramente ha luogo. Si stabilisce infatti un' ipotesi, questa a fondamento si pone di molte altre, e si crea così una teoria , a cui si dà l'importanza che presentano i principii tratti dai fatti, laddove quella teoria ha trasformato i fatti per accommo- darli ad una maniera di vedere tutta preconcetta e ipotetica. Ora i trasformisti ricorrono alla sterminata lunghezza di tempo per spiegare le avvenute trasformazioni da essi loro ammesse: giacché dai sei mila anni a questa parte gli uomini non hanno in nulla cambiato, ciò che per essi riu- scirebbe a diffìcultà insuperabile, senza il soccorso di una antichità quasi senza misura. Ma chi ci può render certi della smisurata lunghezza del tempo scorso dalla origine dell'uomo sin'oggi ? Possia- mo noi poggiare sopra un dato così incerto, e per il quale non può addursi una prova così inconfutabile , da non la- sciar dubbii in una questione di tanta importanza? E frat- tanto è su questo dato, per nulla provato, che si è fabbri- cato un edificio di ipotesi e di concetti, che per quanto si crede incrollabile, per altrettanto è vacillante e privo di fondamento. Il Bunsen coi suoi calcoli sull'antichità dell'uomo, che non possono ritenersi non eminentemente esagerati , crede che le umane razze non potevano derivare da una sola primitiva coppia, ma da varie, perchè in caso diverso la formazione delle diverse razze avrebbe dovuto esigere un corso di tempo immensurabile, lo che non è necessità 14 QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO di ammettersi , perchè noi non possiamo valutare l'influen- za modificatrice del mondo esteriore sugli organismi viven- ti, e il tempo che essa deve impiegare per produrre in essi talune modificazioni, le quali poi, in ultimo risultamene, non son tali da rimutare il tipo della specie, ma tutt' al più ta- lune varietà , che si trasmettono e costituiscono le così dette razze. Dopo questa breve digressione che ci è sembrata ne- cessaria , torniamo alla Microcefalia. Essa non può consi- derarsi, secondo che vogliono sostenere i trasformisti, come una riproduzione di antico scimmiotico stipite e una prova di atavismo. Né si può asserire che la Microcefalia costi- tuisca la forma umana primitiva, e che perciò l'uomo in principio della sua esistenza sulla terra sia stato di piccola testa e di piccola e corta statura , e perciò una scimmia passata ad uomo, ma non ancor perfezionata, come inseguito poi lo divenne. Quali sono però, noi domandiamo, le osser- vazioni e i fatti in sostegno di tale assertive ? Gl'individui di piccola statura, di corpo deforme, di testa piccola con la fronte fuggente in dietro, come nei casi da me descritti, si trovano in varii luoghi, e accadono di quando in quando, e non sono che delle mostruosità che dipendono da generale arresto di sviluppo; né possono mai costituire un tipo umano normale , né una riproduzione del supposto tipo primitivo dell'umanità. Si ricorre come prova a tal supposto alla for- ma di alcuni pochissimi cranii e parte di essi rinvenuti allo stato fossile. Ma, io domando, è forse facil cosa, distinguer bene a qual forma spetti un cranio dissotterrato dalle viscere del- la terra, dopo esservi rimasto lunghissimo tempo? Nò cer- tamente, o Signori. Imperciocché oltre che un cranio po- trebbe essere deformato per anomalia , originaria riamente, e poco sviluppato, la stessa sua giacitura avrebbe potuto deformarlo, perchè assoggettito a lunga pressione, e senza IN UNA FAMIGLIA 15 infrangersi, come avviene anco a un recipiente di vetro, che si piega senza rompersi sotto quella lunghissima ed unifor- me pressione. Ma oltre a ciò: la è una cosa facile il distinguere in un cranio di tal natura il sesso, l'età e tante altre condizioni normali o morbose? A questo quesito risponderemo non colle nostre pa- role, ma con quelle imponenti, e direm quasi inappellabili degl' Hyrtl, degli Ilenle, e dello stesso Broca, che più d'o- gni altro si è occupato di craniologia. E l' Hyrtl dice, che classificare un cranio, in modo da potersi giudicare, se esso appartenga al tipo dolicocefalo, o brachiocefalo non è agevol cosa, perchè in una razza d'uomini, s'incontran cranii dell'una e dell'altra forma; e Henle a questo proposito, inculca quanto appresso. Non stiamo a cercare le varietà di forma del cranio nelle razze diverse; dappoicchè le varietà caratteristiche di razza straniera, si veggon pure nei nostri paesi. Così essendo, come si può assegnare ai primi uomini la testa piccola come caratteristica di origine bestiale ? E ciò rendesi più difficile di affermare, tenendo in calcolo quante condizioni devono porsi in considerazione , come innanzi si è accennato, cioè l'età, il sesso, lo stato delle ossa e delle loro suture ed altro, le quali danno luogo ad importanti va- riazioni. E oltre a tutto ciò che si è detto delle modifica- zioni che gli antichissimi cranii presentano , e che sono il risultato delle anomalie e difformità congenite, e dell' azione che il terreno in cui sono stati lungamente sepolti ha o- perato sur essi . fa d' uopo aggiungervi o Signori , quelle prodotte dalla mano dell' uomo, nel principio della vita estra- uterina di taluni individui, dirette a cangiar la forma della testa. Il Broca disse alla Società Antropologica di Parigi che , numerose popolazioni americane ebbero un tempo ed hanno tuttavia 1' abitudine di sconciare con pressioni meto- diche i cranii infantili, ed è manifesto che, tal barbaro co- 16 QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO stume che sostituisce alle forme naturali delle forme fitti- zie e arbitrarie , toglie o scema valore e significato alla determinazione craniologica. Le difficoltà sorgenti da que- sto pessimo costume per gli studii craniologici sono ezian- dio accresciute dal fatto, che alcune malattie dell'infanzia possono produrre deformazioni naturali , che possonsi con facilità confondere con quelle artificiali. A ciò possiamo aggiungere le osservazioni del Giralclès sopra i trovatelli di Parigi e quelli di Davis, che fanno ri- levare, quanto la difformità dei crani inducano in errori i craniologisti , specialmente quelle prodotte da morbosa ca- gione: le quali possono accadere tanto nell'infanzia, quanto nella virilità e vecchiaia dell'uomo. Si può quindi da tutto il fin qui detto, inferire, che non può darsi come certo, né come probabile la piccolezza del corpo e il poco sviluppo dell' uomo primitivo, come non si dee, che riguardar come favola, P esistenza dei giganti nella primitiva epoca dell'uma- nità, come moltissimi e volgari han potuto credere, concios- siachè i fatti non sian tali a condurre a schiarimenti in una si intralciata questione. E i casi di Microcefalia da noi rapportati non sono che delle anomalie, che nulla han che fare collo atavismo e col trasformismo. Veggiano tutto dì tali anomalie o mostruosità in individui nati da genitori ben conformati, e questi qual- che volta dar normali prodotti. Il primo di questi casi è dunque una degradazione e P altro è un progresso ? Sono queste di quelle contradizioni, e di quelle opinioni precon- cette e sistematiche, che uno spirito imparziale, logico , ed abituato al realismo della osservazione, non può affatto am- mettere. E quand'anche si rinvenissero degli scheletri umani di piccolissima statura, chi ci assicura che essi non siano dei nani per i quali ebbe luogo un soffermo di accresci- mento, come nel caso opposto un sviluppo assai più rapido e precoce? In tal caso lo scambio tra i resti di un uomo IN UNA FAMIGLIA 17 adulto rimasto poco svolto, con quelli di un fanciullo avanzi tempo sviluppato e cresciuto, potrebbe nel modo più facile accadere, come ci attestano il Cuvier e il Geoffroy Saint' Hi- laire. Adunque non possiamo convenire che la Microcefalia con i fenomeni che l'accompagnano sia la forma e la carat- teristica dell' uomo primitivo , come asserisce il Vogt , il quale dice che essa è una formazione atavica, che si pro- duce nelle circonvoluzioni del cervello , che porta come conseguenza uno sviluppo embrionale deviato, il quale ri- conduce per i caratteri essenziali alla sorgente dalla quale il genere umano si è partito. Ma perchè invece di considerare questo deviamento dal tipo di normalità come una mostruosità, si vuol ritenere come un ritorno al tipo primitivo dell' umana ,organizza- zione ? Ma allora come questa riproduzione va a scompa- rire di nuovo ? Né possono chiamarsi in appoggio di questa strana opinione la generazione alternante, scoverta la pri- ma volta dallo Chamisso , dimenticata totalmente dopo , e riprodotta dal Grohon; né la metagenesi e la partenogenesi; perchè in tali atti della natura non è Atavismo che trovia- mo, né ritorno a tipi primitivi che si sono, come si vuole, per lunghissimo tempo trasformati, ma piuttosto una breve serie di metamorfosi, che si avverano sotto forme diverse, ritornando costantemente al tipo primitivo , il quale non è deviamento, ma soltanto procreazione che si compie sotto quel graduale sviluppo e quella serie di modificazioni sempre regolari, e che si avverano con leggi costanti. Riguardare le anomalie, le mostruosità umane che pos- sono avere luogo in varie parti dell' organismo, e sotto la influenza di un gran numero di cause fìsiche e morali, ester- ne, ed interne, come ritorni a tipi primitivi, sarebbe lo stesso che ammettere tanti di questi tipi primitivi, quante le mo- struosità che possono accadere , e un mostro a due teste ^8 QUATTRO MICROCEFALI ED UN CLINOCEFALO potrebbe far credere che In principio gli uomini cosiffatta- mente apparirono, lasciando in seguito per trasformismo una delle due primitive teste. Finalmente a noi sembra esser fatto di molto interesse 1' essere avvenuti nella stessa famiglia , i casi da noi sur- riferiti, non solo che qualcuno dei figli presenta la più re- golare conformazione del corpo, non potendosi comprendere perciò stesso, perchè 1' atavismo non abbia avuto luogo in tutti: ma ciò che più monta è di trovare nella stessa fami- glia quattro individui microcefali ed uno clinocefalo. Si po- trebbero considerare queste anomalie come ripetizioni di forme umane primitive ? E quante allora queste forme pri- mitive? Si scorge agevolmente l'assurdità di un tale concetto. Signori, questi sono i nostri principii. Noi non ammet- tiamo né trasformismo, né panteismo, né materialismo. Ci si dia del vieto e del rancido poco a noi importa, e sappiano che, uomini sommi e molto serii son del nostro avviso. E sino a quando fatti ben osservati ed accertati, e prove irrefraga- bili non ci si porgeranno in sostegno di tali sistemi , noi non devieremo di un passo dalla linea che ci siamo trac- ciata. Certo che non vogliamo opporre limiti alla umana intelligenza , nulla sappiamo di ciò che potrà scovrirsi nel tempo avvenire; ma per ora non crediamo né possiamo cre- dere che 1' uomo, il capo d' opera della creazione sia deri- vato dalla scimmia. STUDI PATOLOGICI E CHIMICI FUNZIONE il ATOPOETICA COMUNICAZIONE PREVENTIVA G. TIZZONI e M. FILBTI. (l) Avendo avuto l'occasione di praticare delle splenotomie sui cani per risolvere alcune questioni chimiche e patologi- che riguardanti il sangue e gli organi ematopoetici, ci tro- vammo neh' opportunità di studiare le variazioni nella quan- tità di emoglobina dopo la detta operazione; esse, rappre- sentate con delle curve, mostrano con molta evidenza alcu- ni dei fatti che esporremo nelle seguenti conclusioni. Nelle condizioni favorevoli, e mentre si teneva l'animale sempre nello stesso regime di vita osservammo: 1. Che subito dopo la splenotomia cresce per poco tempo la quantità di emoglobina tanto negli animali vecchi che nei giovani. 2. Dopo questa prima fase negli animali vecchi la quan- tità di emoglobina diminuisce molto e progressivamente si- no ad arrivare in alcuni casi al di sotto di 50, se si rap- presenta con 100 la quantità normale; in una terza fase fi- nalmente si osserva in questi animali un aumento lento e (1) Furono presentati all'Accademia le curve delle variazioni nella quan- tità di emoglobina, ed alcuni dei cani smilzati. ATTI ACC. vol. xv. 3 20 STUDI PATOLOGICI E CHIMICI progressivo dell'emoglobina, la quale poco a poco arriva e sorpassa la quantità normale. 3. Negli animali giovani , a differenza dei vecchi , è molto meno sensibile la diminuzione nella quantità di emo- globina, la quale si mantiene poco al di sotto della norma- le, ed ora vi si accosta, ora vi si allontana Ano a che la raggiunge e la sorpassa. 4. Quanto più l'animale è giovane tanto meno sensibile è la diminuzione di emoglobina, e tanto più presto raggiun- ge e sorpassa la quantità normale. Si noti che le nostre esperienze vennero praticate in animali di varia età, comin- ciando cioè da cani appena spoppati e aventi ancora milza con globuli rossi nucleati, andando fino ad animali vecchis- simi. 5. Negli animali smilzati la diminuzione nella quantità di cibo e alcuni processi patologici si fanno molto risentire sulla quantità di emoglobina, la quale diminuisce rapida- mente per ritornare poco a poco alla cifra primitiva quan- do le cagioni sudette vengano remosse. 6. In tutti i casi il peso dell'animale non diminuisce anzi aumenta considerevolmente, forse per le buone condi- zioni igieniche e alimentari nelle quali vennero tenuti i ca- ni operati. 7. Nel cane e nel coniglio normali i due organi ema- topoetici principali della vita extrauterina, milza e midollo delle ossa, contengono degli elementi che si colorano in azzurro coli' acido cloridrico e il ferrocianuro potassico ; questi elementi sono : a, le cellule globulifere ; b, globuli di color rosso carico che sarebbero i globuli sanguigni più vecchi destinati a distruggersi; e, pigmento libero in pic- cola quantità; d, cellule bianche di varia grossezza a pro- toplasma ora jalino ora granuloso. Questi fatti si osserva- no solo nel midollo rosso ; nella milza la reazione azzur- ra avviene esclusivamente nella polpa. SULLA FUNZIONE EMATOPOETICA 21 8. Di tutti gli altri organi solamente le glandule lin- fatiche interne, e sopratutto quelle toraciche in vicinanza dello sbocco del dutto toracico, presentano, a preferenza nei seni , delle cellule bianche più grosse degli ordinari elementi linfatici, che danno evidente reazione coll'acido clo- ridrico e il ferrocianuro potassico. 9. Nel sangue normale manca la reazione azzurra ; solo P osservammo in qualche caso nel quale P esame successivo della milza ci fece constatare lesione cronica di quest' organo. 10. Il sangue dopo la splenotomia offre la reazione az- zurra : a, in ammassi di pigmento il quale si trova nel sangue degli animali smilzati in quantità maggiore della normale ; b, in pochi globuli rossi ; e, in pochissimi globuli bianchi; d, in piccoli coaguli albuminosi del siero. Alcune volte si videro chiaramente delle cellule globulifere colorate pure in azzurro , altre volte queste non erano così facil- mente caratterizzabili, tanto da far sospettare che molti degli ammassi pigmentari colorati in bleu non fossero altro che cellule globulifere in disfacimento. Questa reazione del sangue diminuisce progressiva- mente dall' epoca della praticata splenotomia ; e dalle no- stre osservazioni risulta che può mancare talvolta per poco tempo, per tornare di poi nuovamente a comparire, come risulta ancora che spesso prevalgono colorati solo alcuni dei sopradetti elementi. 11. Il fatto più rilevante che abbiamo osservato nei cani smilzati sottoposti sino ad oggi all' esame anatomico si è che non solo nei giovani, ma anche negli animali vecchi si trova midollo rosso nelle ossa lunghe e specialmente nei femori e negli omeri. 12. Il midollo rosso delle ossa lunghe negli animali smilzati e di qualunque età, mostrò sempre la presenza di globuli rossi nucleati. Col solito reagente si ebbe colora- zione : a, nelle cellule globulifere ed in ammassi di pigmento; 22 STUDI PATOLOGICI E CHIMICI b, nei globuli sanguigni di color rosso carico ed in alcuni dei globuli rossi che per i loro caratteri si considerano co- me giovani; e, in una grande quantità di cellule midollari di varia grossezza , aventi alcune protoplasma granuloso , altre protoplasma liscio, nucleo piccolo, atrofico spesso ri- cacciato da un lato; a causa della loro colorazione non si è potuto sinora con certezza stabilire se queste ultime fossero globuli rossi nucleati, come potrebbero far sospettare alcuni dei sopradetti caratteri. Dal su esposto emerge chiaramente che , asportata la milza, il midollo delle ossa ne compensa la funzione. Dippiù crescendo nei primi momenti la quantità di emoglobina e non potendosi ammettere un aumento reale nella sua pro- duzione come effetto della splenotomia, si è portati neces- sariamente a concludere che in quel breve periodo l'as- senza della milza si fa più risentire sulla distruzione che sulla produzione della materia colorante del sangue ; la prima di queste due funzioni viene di poi più prontamente compensata, come risulta anche dall' esame istologico, e si ha diminuzione graduale nella produzione di emoglobina come conseguenza diretta della mancanza della milza. Que- sta diminuzione è tanto più forte quanto meno il midollo è atto a funzionare, cioè quanto più vecchio è 1' animale. Quando finalmente la funzione ematopoetica della milza viene ad essere completamente compensata dal midollo delle ossa, la quantità di emoglobina ritorna alla cifra normale e può sorpassarla. La reazione azzurra negli organi ematopoetici ci sta a rappresentare distruzione o neoformazione di globuli rossi a secondo della qualità degli elementi nei (piali avviene. Dopo presentata questa Nota all'Accademia abbiamo ritrovato in un animale giovane smilzato da circa quattro SULLA FUNZIONE EMATOPOETICA 23 mesi , ed in un animale vecchio operato da due mesi , la riproduzione della milza; si erano formati dei noduli , spe- cialmente nel foglietto anteriore del grande epiploon, che dalla grossezza di piccoli punti arrivavano fino a quella di una lenticchia e di un pisello; dei noduli più grossi se ne potevano contare oltre ottanta, e ciascuno aveva neir interno uno o piii corpuscoli di Malpighi. Tali noduli contenevano globuli rossi nucleati e gli altri elementi normali della mil- za; davano nella polpa reazione azzurra coli' acido clori- drico e prussiato giallo. La formazione di questi noduli era identica a quella embrionale; si producevano dapprima co- stantemente i corpuscoli di Malpighi , dei quali moltissimi si osservavano sparsi sul grande epiploon come piccole mac- chiette bianche che potevano per intero esser sottoposte al microscopio ; questi si formavano per accumulo di piccoli elementi rotondi attorno alle pareti di un'arteria, che an- dava poi a formare l'arteria corpuscolare. Le cellule proprie del tessuto dell' epiploon prendevano parte attivissima alla neoformazione di questi noduli di milza. Laboratori di Anatomia Patologica e di Chimica della R. Università di Catania. Aprile 1880. INFLUENZA DELLA LUCE PRODUZIONE SULLA \ MOGLOBINA COMUNICAZIONE PREVENTIVA G. TIZZONI e M. FILET1 Dopo i lavori eoi quali è stata messa in chiaro la parte che la luce prende nella formazione della clorofilla, e pen- sando all' analogia tra la sostanza verde delle piante e la ma- teria colorante del sangue, ei siamo proposti di studiare a fondo e sperimentalmente l'argomento dell'influenza della luce sulla produzione dell'emoglobina, poiché, per quanto noi sapessimo, quel poco che si conosce sul riguardo risulta in massima parte e molto vagamente da osservazioni cli- niche. Sono queste delle esperienze lunghissime e che abbia- mo cominciato alcuni mesi or sono; la presente 'comunica- zione preliminare non ha perciò altro scopo che quello di prender data, poiché i risultati ai quali pare ci conduca il nostro lavoro sono molto più complessi di quanto a prima vista potea prevedersi. Ci limiteremo per ora ad accenna- re, che in generale nei nostri conigli (età 23 giorni) tenuti perfettamente al bujo, ma in buone condizioni, la quantità di emoglobina decresce; il peso dell'animale dapprima è aumentato e poscia diminuito, sino a che è sopravvenuta ATTI ACC VOI,. XV 26 INFLUENZA DELLA LUCE ECC. la morte la quale, nei nostri casi, si è verificata entro i due mesi dal principio dell'esperimento. Conigli di confronto della stessa età, anzi della stessa covata, lasciati alla luce, ma nelle stesse condizioni di vitto e di vita, mostrarono invece costantemente aumento di emo- globina e di peso. L'autopsia degli animali tenuti al bujo dette i seguenti risultati : — Midollo delle ossa lunghe gelatinoso, che non dà reazione azzurra con l'acido cloridrico e prussiato giallo. Nelle parti meno degenerate si trova qualche cellula con nucleo in gemmazione, abbondanti cellule midollari, pochi globuli rossi e mancanti assolutamente le cellule globuli fere e i globuli rossi nucleati. — La milza piccola e pallida (piasi trasparente ai bordi; corpuscoli di Malpighi assai grossi; nella polpa dà la reazione azzurra. — Le glandule linfatiche esterne, ed in particolar modo le poplitee le ascellari e le inguinali considerevolmente ingrossate per iperplasia dei globuli bianchi e dilatazione dei seni; presenza, specialmente in questi ultimi, di cellule linfatiche più grosse delle ordinarie a uno o più nuclei, a protoplasma ricco di goccioline di gras- so e che danno la reazione del ferro; inoltre infiltrazione di globuli bianchi nelle pareti dei vasi sanguigni, e mancanza di una vera neoformazione di tessuto glandulare, come nei casi d'ingrossamento delle glandule poplitee per lesioni spe- rimentali del nervo ischiatico. Noi ci asteniamo per ora dal fare qualsiasi conside- razione. Laboratorio di Anatomia Patologica e di Chimica della R. Università di Catania. Aprile 1880. CAUSE DETERMINANTI LA unum del u SRI PER Sebastiano Consiglio Ponte AVVERTENZA Nel pubblicare alcune mie idee sulla indagine delle Cause determinanti la riproduzione del calore terrestre, non voglio sostenere ch'io abbia dato pieno sviluppo al concet- to che costituisce il nucleo di tale importante quistione. Intendo solo dare una spinta perchè i Geologi riconoscendo la tesi di seria importanza, ritornino coi loro abili sforzi a trarne un vero il quale sarebbe la chiave della storia del passato e l'indirizzo della Geologia dell' avvenire. È molto probabile ch'io in appresso con migliori studii e con fatti di non minore importanza ritornerò sullo stesso argomento o dichiarando qualche errore e correggendolo,, o confermando sempre più le mie vedute, che credo fon- date sui fatti. Dovendo intanto portare una parola di critica sulla ipotesi proposta dal Prof. Stoppani riguardo alla quistione di cui è cenno, credei un dovere dargliene preventiva co- ATTI ACC. VOL. XV. 28 AVVERTENZA noscenza, sia per non meritare la giusta censura di fana- tico, sia per rispondere all'obbligo di relazione, di cui il Prof, mi ha onoralo diverse volte. L' esimio Geologo vestendo di generosa modestia la sua dignità mi onorò di familiarissima risposta. Eccola « Senza avere al mo- « mento sottocchio il capo XI del Corso (di Geologia) a « cui lei allude, non dubito però di aver parlato sempre « delle cause della riproduzione del calore centrale in « modo affatto dubitativo, o meglio interrogativo, come « di cosa in somma che va studiata e in cui si è assolu- « tamente da capo. Io credo che nessuno prima di me ab- « bia emesso l'idea (affatto contraria all'ipotesi del La- « place ammessa universalmente) della perennità del calore « interno del globo. Io ho emessa e sostenuta questa idea « come quella di un fatto necessario per spiegare il com- « plesso dei fatti geologici: come un fatto che si deduce « logicamente dai fatti già stabiliti. Spiegare questo fatto, « indicarne le ragioni, è un'altra cosa. Una spiegazione « fui ben lontano dal volerla dare. Io ho detto agli stu- « diosi: badate; ci sarebbe questo, ci sarebbe quello « Ci sarebbero da osservarsi le combinazioni chimiche co- « me sorgente di calore ec. ec. Ma nulla di affermato e « molto meno di dimostrato.— Lei ha sempre libero il cam- « pò di contraddirmi in tutto e per tutto; e se lo può far « bene, sarà sempre bene il farlo. Qui poi, s' imagini , il « campo è liberissimo ma spinoso. Sono curioso di ve- « dere come lei se la prende con questo diavolo di calor « centrale. Ci vuole già del coraggio a trattare seriamente « di quella mia idea, che da altri, credo da quasi tutti , « è ritenuta come la più pazza delle mie pazzie. Ma io « sono persuaso che in natura tutto è circolo. Anche il € calore centrale deve appartenere ad un sistema circolato- « rio. Tutto mei dice. Il non avere ancora scoperto come « il circolo si attui, non è ragione sufficiente per respin- AVVERTENZA 29 « gere V idea eh' esso esista. V idea di Laplace mi pare « ima delle idee più grette, contraria a tutte le conseguen- ti ze che si traggono dallo studio filosofico della natura. « Non so se lei conosce l'ultima mia opera: La purezza « del mare e dell' atmosfera ec. È un'opera in cui ho cer- ti cato di mettere in evidenza alcuni dei circoli più fon- ti dementali della vita tellurica. Beato lei se riesce a sta- ti Mitre il circolo più fondamentale di tutti, quello del ca- li lore centrale. » Certo che le mie poche idee non possono dare facil- mente pieno sviluppo alla tesi proposta, ma sento che non sarà per la geologia opera perduta, perchè richiamo l'at- tenzione su certi fatti, pei quali mi pare che nessuno an- cora si sia data la pena o la cura di coordinarli a tale scopo onde tentare a poterne scoprire quella importante verità. — Ad ogni modo se la mia debole opera varrà a ri- chiamare queir attenzione, sento conseguito lo scopo pro- postomi. Cause determinanti la ripdnzione del calore terrestre. i. Uno dei più imponenti fenomeni geologici si è riscon- trato sempre nelle svariate manifestazioni , per cui la ter- ra perde continuamente calore. La irradiazione terrestre il calore rapito alla terra per- la evaporazione delle acque: l'attività vulcanica e tutte le secondarie manifestazioni del vulcanismo, sono tuttti feno- meni che determinano continue perdite di calore. Considerando queste; anzi la sola irradiazione terre- stre, non si è mancato di voler determinare il tempo del totale raffreddamento della terra poggiando sulle idee di Descartes, adottate da Newton e Leibintz e completate da Laplace. Cosicché in ordine a tali idee la terra trovasi in corso di raffreddamento fino a quando perduta la potenza di un calore iniziale supposto, si ridurrà a muto cadave- re privo di qualunque segno di vita. Ma dietro la spinta del Poisson con la thèorie matèmatique de la chaleur e il moderno progresso delle scienze fìsiche, oggi siamo in un campo affatto diverso. Il calore terrestre non si ripete più dal fuoco centrale, ma dalla interna proteiforme attività che di continuo trasformasi in calore. 32 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE I moderni geologi volgendo i loro più accurati studii sulla interna attività della terra, hanno positivamente ri- scontrato eh' ella per nulla accenna ad alcuna diminuzione: che gli effetti del passato non la vincono sul presente, e che la temperatura interna del gloho , al contrario di co- me falsamente credevasi, non si abbasserà giammai, o per lo meno fino a quando si conserverà la costituzione dell' at- tuale nostro sistema solare. I geologi studiando con tale indirizzo trovano tutte le necessità di fatto per dovere ammettere la continua ripro- duzione del calore interno succedentesi alle continue perdi- te. — E di vero la costanza della intensità degli effetti ac- cenna a qualche cosa che si riproduce per mantenere la energia della causa ; e tale riproduzione è un fatto che si raggranella alla grande legge universale, a cui è informa- ta la natura, cioè al perenne circolo, pel quale mentre tut- to si trasforma e pare che si distrugga, tutto si ripara e si ricrea. La storia della terra è una catena di perenni alterna- tive vicende ; ogni cosa e ogni epoca, in cui la geologia è potuta penetrare, non mostra che incessanti oscillazioni pro- gredienti: tutto cammina con intermittenza: ad un periodo di sosta relativa succede un movimento sensibile e a que- sto sopravviene la calma apparente, per ricominciare poi r attività manifesta. Che non dicono le colossali altalene che si attivano nella terra sotto l' impulso d' una vita interna ? Quanto a lungo e di qual linguaggio non ci parlano tutte le rocce metamorfiche interne che devono le loro alterazioni alla po- tenza idrotermale? Da quante manifestazioni non si rileva essere eguale e non affievolita quella vita interna? Quanti fatti non ci mostrano il predominio del calore neh' attivare questa vita ? — Ebbene , se il globo risente continue perdi- te di calore, deve certamente aversi un elemento riparato- DEL CALORE TERRESTRE 33 re: deve essere sotto V influenza di circostanze che ridan- no ciò che perde; deve esservi insomma una causa com- pensatrice che provveda a non rallentare il vorticoso cam- mino per il perenne circolo della conservazione. Il calore perduto adunque debba riprodursi per alimentare il circo- lo speciale dell' attività calorifera del globo. IL Dopo la ipotesi di Davy sulla ossidazione del nucleo metallico, richiamata in vita oggi (con qualche modifica) da Daubrée, abbiamo quella del nostro insigne italiano Prof. Stoppani, il quale per accennare alle cause determinanti la riproduzione del calore terrestre si esprime così : « Si può « egli negare a priori una forza, una legge, per cui il cir- « colo delle combinazioni si chiuda per ricominciare come « vediamo parzialmente verificarsi di tanti fenomeni tel- « lurici? Nqì vediamo per esempio come il mare continua- « mente svapori. Arrestandoci al semplice fenomeno della « evaporazione, potremmo fissare il giorno , in cui il mare « rimanga intieramente asciutto. Ma sappiamo che ciò non « può avvenire , perchè l' acqua evaporata si condensa « nelle regioni aeree e ricade principalmente sulle terre, ove « i fiumi la riportano al mare. Se a noi fosse ignoto questo « meccanismo della circolazione delle acque superficiali , « eppur vedessimo il mare , che di continuo evapora , « mantenere inalterato il proprio livello , non dovremmo « ammettere ugualmente che esiste una legge , per cui « l'acqua marina si rifa continuamente delle proprie per- « dite? Io non veggo come alla terra che di continuo ir- « radia, ritorni il calore perduto; veggo però come la « terra non dà segno di raffreddarsi, di spegnersi; come an- « zi mostri il bisogno di sollevarsi da uno eccesso di calore « tendente a determinare una generale conflagrazione. Io 34 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE « debbo dunqne ammettere una riproduzione di calore, un « calore perenne. Anzi noi siamo già sulla via di scoprire « le ragioni di questo che si potrebbe chiamare circolo del- « l'attività calorifica del globo. Non vediamo infatti come « ritorni alla terra il calore perduto ; vediamo però come « ritorni quello che vuol chiamarsi il primo agente calori- « fico, l'acqua. Di continuo ripulsa dall'interno per le vie « delle sorgenti e dei vulcani, di continuo ritorna per oc- « eulte vie, filtrando fin dentro i camini vulcanici. « È troppo più probabile che il calore sia in continuo « sviluppo. — Per confermare ciò prosiegue « Nella volga- « rissima esperienza, già da noi accennata come similitudi- « ne, della produzione dell'idrogeno, io piglio un'ampolla « d' acqua e vi butto della limatura di ferro o di zinco , « quindi una certa dose di acido solforico. Vedo allora che « 1' acqua fredda si riscalda, e riscalda l'apparato, la cui tem- « peratura si mantiene in eccesso ad onta della irradiazione « in un ambiente freddo. — Potrei anzi con facile congegno « ottenere una serie di eruzioni gassose che si riproducano « con uguale intensità alternando con periodi di riposo.— « In questo semplicissimo apparatoli calorico e l'attività « chimica si riproducono si perennano precisamente nel « senso che io dico in continua riproduzione il calore cen- « trale. — Va bene che nel mio apparato cesserà ogni svi- « luppo di calorico e di gaz , quando ogni atomo di zinco « abbia trovato il suo atomo di ossigeno. — Vi ha intanto « però un tempo, in cui r attività dell' apparato e lo svolgi- « mento sono perenni. Mi basta : io non sostengo altro che « questo, la terra essersi trovata e trovarsi finora in que- « sto periodo di attività perenne , il quale non accenna « a voler chiudersi tanto presto. Tutto si ridurrebbe dun- « que ad attribuire alle combinazioni chimiche degli elementi, « uno sviluppo di calore continuo, finché dureranno, i di- « sequilibri degli elementi, in luogo di ammettere soltanto DEL CALORE TERRESTRE 35 « una quota iniziale che va diminuendosi per irradiazione (1). « E, ciò finalmente mi pare anche più consono colle idee « ora accettate sulla natura del calorico, il quale cessan- « do di essere un fluido che si perde e si diffonde, non « è che un modo vibratorio delle molecole, non è che un « modo di essere della materia in date condizioni: modo « di essere che continua, cessa, si riproduce, ogni vol- « ta che continuano, cessano . si riproducono le condizio- « ni. Finalmente io non nego la esistenza di un calore ini- « ziale, anzi lo credo necessario come condizione della pro- « duzione originaria dei fenomeni tellurici; ma considero « come causa immediata di essi fenomeni, nominatamente « dei. fenomeni vulcanici e delle oscillazioni della crosta « terrestre, il calore che si sviluppa per le incessanti com- « binazioni di tutti gli elementi tellurici (2) e da lui ripeto « le vicissitudini della terra considerate dalla geologia po- « sitiva, il cui campo credo assai limitato verso il passato « e quasi assolutamente chiuso verso 1' avvenire. (3) In questa ipotesi abbiamo dunque che la riproduzione del calore interno debbasi alle continue reazioni chimiche attivate per la circolazione intestina del primo agente ca- lorifico , V acqua , e le quali dureranno fino a quando i disequilibrii degli elementi non avranno fine , cioè fino a quando non si ultimeranno tutte quelle combinazioni che dovranno produrre composti tali da riuscire inetti tra loro come nel citato esempio dell'ampolla ad idrogeno. — Quindi per analogia ultimate le combinazioni chimiche nell' interno del globo e dispersa queir ultima quantità di calorico svi- (1) Da questi ultimi periodi sembra doversi rilevare, che l'autore ammetta trovarsi nelle combinazioni chimiche, agevolate dall'acqua, la causa della ri- produzione del calore terrestre non in modo dubitativo o interrogativo, ma in modo da proporre una spiegazione del fenomeno. (2) Come sopra. (3) Stopparli, Corso di Geologia voi. Ili, cap. XI. ATTI ACC. VOL. XV. 6 36 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE luppato e accumulato, la terra assumerà la temperatura del- l' ambiente, ossia la bassissima degli spazii celesti. Tanto più poi si dà importanza alle combinazioni chi- miche per lo sviluppo di calorico, quanto più si riconosce in questo non un fluido speciale, ma un movimento vibra- torio delle molecole. Cosicché in quel caso di ultimazione dei disequilibrii degli elementi, cesserà il movimento vibra- torio in parola o almeno si stabilirà un equilibrio tra po- tenza e resistenza, e la materia sarà perfettamente mor- ta.—Può ciò ammettersi?!... Per quanto io v' abbia meditato sopra: per quanto con la possibile attenzione io vi abbia studiato, non ho potuto trovare abbastanza completa la esposta ipotesi, né tutta fon- data sui fatti. Di vero è certo che le combinazioni chimiche sviluppano calore e l' acqua vi è di potente ausiliario , ma per completare la esposta ipotesi bisogna ben rilevare: se le combinazioni chimiche siano creatori di forza manife- stata in movimento calorifico, oppure mezzo, condizione a trasformare una data forza in calore : se ad esse solamen- te debbasi il calore interno; e in qual modo nell'acqua deb- ba riconoscersi il primo agente calorifico. Io non sto a credere che le combinazioni chimiche pos- sano essere creatori di forza manifestata in movimento ca- lorifico, ma sibbene condizioni per far manifestare una for- za in calore. Non sto a credere che tutto il calore interno sia dovuto alle combinazioni chimiche, invece ne ripeto gran parte da altre condizioni determinate da diverse influenze esterne, come vedremo allo sviluppo della mia ipotesi. Non credo nemmeno finalmente che l' acqua sia un mezzo ripa- ratore diretto che riportasse col suo ritorno all'interno la forza perduta dalla terra in calore. — Se ammettesi tale idea sostengo che 1' acqua invece di essere un mezzo riparatore, è per me in quel senso, uno espoliatore, un depauperatore una ragione di più a sperdere l'interna attività; giacché DEL CALORE TERRESTRE 37 maggior parte dell'acqua entra fredda e riesce calda tra- sportando fuori calore rapito alla terra come ci mostrano le manifestazioni vulcaniche e le tante sorgenti termali co- nosciute e le molte ignorate. Nella esposta ipotesi adunque mentre si ammette la necessità del ritorno del calore all'interno della terra per mantenere l'intestina attività come ci dicono tutti gli effetti, non si spiega poi il come e per quali vie ritorni questo ca- lore perduto non avendosi mostrato come le combinazioni chimiche e l' acqua ( riconosciuti i soli mezzi riparatori ) ri- chiamino e trasportino dallo esterno allo interno quella for- za necessaria riparatrice delle continue perdite non poten- dosi all' interno creare la forza perdutasi per le diverse ma- nifestazioni calorifere. Cosicché , come vedremo , quei due fattori considerati quali cause riparatrici, piuttostochè dir- si tali, sono condizioni perchè la forza che ritorna alla ter- ra per altre vie, si trasformi in calore. Non basta poi dirsi che le combinazioni chimiche svi- luppano calore : esse come questo sono l' effetto di una for- za unica manifestatasi a quel modo, e una volta perdutasi, non ritornando, anche le combinazioni chimiche dovrebbero venir meno. Giacché ammesso, com' è, che il calore non sia un fluido speciale che si perde e si diffonde, ma un moto vibratorio delle molecole, pare che dobbiamo rivolgerci alla meccanica per interpretare bene i fenomeni. Dicendosi moto, dicesi applicazione d'una forza viva utilizzata in lavoro mecca- nico, il quale arrestato, non potendosi la forza distruggere de- ve impegnarsi in altre manifestazioni. Ora tanto vale combi- nazione chimica, quanto calorico; perchè entrambi hanno un valore costante nel loro reciproco equivalente, e l'uno è complementario dell' altro e viceversa. Infatti le composizio- ni e decomposizioni chimiche non sono che spostamento o meglio reciproca sostituzione di gruppi atomici, i quali so- no messi in moto o trattenuti in equilibrio da una forza * 38 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE viva impegnata in quel lavoro meccanico: ma se parte di essa si estrinseca, allora si svolge calore, e in contempo si ha combinazione chimica e sviluppo di calore. Riportate le cose a quest'unità, colla continua perdi- ta di calore si ha continua dispersione di forza, la quale venuta meno, devono indebolirsi le combinazioni, che alla loro volta dovranno rallentare la sviluppo di calore. Se in- vece si trovasse una causa che di cotinuo ridonasse forza quei fenomeni sarebbero costanti e 1' attività non verrebbe per nulla a menomarsi. La geologia ha constatato col fatto che la terra essendo passata attraverso milioni e milioni di secoli dopo di es- sersi costituita non ha lasciato per nulla un segno dal quale possa dedursi che si accenni allo aftievolimento della in- terna attività; al contrario ha trovato tutte le positive pro- ve per doverne dedurre la perenne vita intestina del globo, e lo stesso autore dice che « la terra non dà segno di raf- « freddarsi o di spegnersi , che anzi mostra il bisogno di « sollevarsi da un eccesso di calore tendente a determina- « re una generale conflagrazione. » Ciò importa che man- ca il fatto per potere ammettere la possibilità della fine dei disequilibri degli elementi ; invece debba vedersi la peren- ne riproduzione dell' interna attività e l' incessante svilup- po del calore intestino. In quella vaga ipotesi che il dotto Prof, ci ha voluto dare di primo getto, io credo che gli esempi chiamati a spiegarla non. siano molto bene in accordo tra loro. Giac- ché nella prima parte onde provare il necessario circolo ca- lorifico, sebbene si dichiara che non vedesi come ritorni alla terra il calore perduto, pure stando agli effetti geolo- gici se ne ammette il ritorno allo stesso modo come vedia- mo avverarsi per 1' acqua perduta dal mare in evaporazio- ne e restituita in piogge. E si aggiunge che siamo già sul- la via di scoprire le ragioni di quel circolo calorifico. Dùn- DEL CALORE TERRESTRE 39 que abbiamo calore che si perde dalla terra, e che ad essa ritorna dallo esterno per cause tuttora quasi ignote. Nella seconda parte invece , ove si dà l' importanza della riproduzione alle combinazioni chimiche attivate dal- l' acqua, si chiama in esempio 1' ampolla ad idrogeno, nella quale 1' attività è temporanea; e una volta Anita perchè di- spersa quella forza, di cui parte è impegnata nella combi- nazione e parte manifestata e dispersa in calore, 1' attività non ritorna più. E perciò conformemente si dichiara che ciò basta, e non si vuol sostenere altro se non che la terra « essersi trovata e trovarsi finora in questo periodo di at- « tività perenne, il quale non accenna a voler chiudersi « tanto presto » cioè durerà fino a quando dureranno i di- sequilibri degli elementi. Dunque abbiamo che calore non ritorna, ma si sviluppa nella terra stessa fino a quando non si equilibri tra gli elementi, o non si disperda in calore la forza iniziale. Ora io credo, che se si ammette come nella prima parte il circolo calorifico; non si può ammettere come nella se- conda la chiusura di esso: a meno che si fosse trovato che quelle cause, le quali determinano il circolo calorifico ven- gano ad estinguersi. Ma come potrebbe ciò dirsi se nella prima parte si è dichiarata che se ne ignorano tuttora le cause determinanti e non si vede come « ritorni alla terra « il calore perduto ? » In conchiusione io credo, che la ipotesi proposta dallo insigne geologo italiano, stia nella sua maggior parte, ab- bisognando però di essere completata per trovare più vi- sibili e diretti i mezzi riparatori , ed essere spogliata del- l' ammessa possibilità di ultimarsi lo sviluppo di calorico. Simili idee sulla stessa ipotesi sono anche ammesse da Scrope nella sua opera Les Vulcans, ma come scrive lo Stoppani, piuttostochè dirsi corrispondere vi si appros- simano, perchè veramente non può dirsi che il concetto di 40 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE quell'autore sia assolutamente definito. — Difatti mentre si di- chiara esplicitamente propugnatore della riproduzione con- tinua del calore interno, passa a mettersi in dubbiosa con- dizione per piegare quasi verso la teoria di Laplace. — Ecco alcuni tratti riportati dallo Stopparli. «Il a été demondré, que « les pliénomènes des volcans en activité indiquent 1' ac- « croissement continuel du ealorique provenant de quel- « que source inconnue. » Ponendo la quistione se queir at- tività dalla quale si devono ripetere le oscillazioni del glo- bo operò in maniera uniforme e andò progressivamente de- crescendo ammette che 1' attività vulcanica non ha subito nessuna diminuzione fin dalle epoche più antiche, per cui 1' attività interna, generatrice le oscillazioni della crosta terrestre, pare essere stata ugualmente uniforme. « Nulla, « egli dice infatti, e' impedisce ragionevolmente eli pensare, « che le successive operazioni di fusione di cristallizzazione, « di sollevamento, di depressione, di sedimentazione siano « succedute da tutta t 'eternità. Questo supposto implica l'al- « tro che la trasmissione esteriore del calore dell' interno « del globo ( il primo motore di tutta quella serie di feno- « meni ) ha dovuto continuare senza diminuzione nel corso « dei tempi. Ma a questa prima ipotesi si oppone queir al- « tra, divenuta così popolare, che il globo si raffredda len- « tamente dopo essersi trovato già in uno stato di fusione « ed eziandio di gas o di nebulosa. Io non preferirò nessun « argomento né prò ne contro; je me contenterai cepen- « dant de dire que la seconde thèorie me semble prèsén- « ter la solution la plus probable sur la source de la clia- « leur interieure du globe, solution que de rest semble en- « core étayée de considerations tirées de 1' ordre astrono- « mique. » Or io credo che concetti così laconici possano solo con- cepirsi quanto per certi fatti s' intravede una nuova verità ma non trovandosi presenti tutti i dati necessari, si emet- DEL CALORE TERRESTRE 41 tono ipotesi che restano incomplete : e lungi dall' essere controllate dalla osservazione e dalla esperienza destano il più amaro dubbio nell' animo del lettore. La ragione per cui si ammette la riproduzione conti- nua dell'interna attività calorifica fu solo intraveduta nelle manifestazioni e negli effetti, i quali colla loro costanza e colla inalterata intensità accennano alla costanza della cau- sa — Ebbene per quanto io mi sappia, i geologi fino a og- gi oltre di questa osservazione, non hanno spinto le loro indagini più avanti: non hanno sfidato colf abnegazione che li distingue, il misterioso segreto di quei fenomeni: non han- no pensato, mi pare , ancora positivamente a quali reali rapporti possano e debbano esistere tra la natura del calo- rico e le cause della continua riproduzione di quella inter- na attività: non badato ad accompagnare fin quanto è pos- sibile le dispersioni coloriti che che manifestano tanta per- dita di quell' attività genetica e metamorfica: non tentato d' intravedere in che possa impegnarsi quel calore perduto e quali vie percorra la energia proteiforme di quest' agen- te universale Arresto tale serie di riflessi per non prevenire sulle idee eh' io dovrò in proseguo svol- gere onde rilevare, a mio credere, dove stia il grande se- greto della natura per cui ha stabilito dei mezzi che pe- rennemente sono deputati alla riparazione delle perdite del calore interno, e a fermare ornai l'eterno circolo della atti- vità che proscrive qualunque timore di futuro esaurimento. III. Il calore non essendo, come prima crede vasi, un fluido speciale, ma essendo invece la manifestazione di una forza che determina un movimento vibratorio nella materia, è facile riscontrarsi là dove produconsi movimenti di qua- lunque specie — La termodinamica ha mostrato come esso 42 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE può trasformarsi in applicazione meccanica e viceversa, trovandosi con reciprocanza la perfetta equivalenza. Ma gli studi più inoltrati nelle scienze fisiche non arrestarono il fatto al solo calore bensì identificarono tutte le forze fisi- che, e invece di trovare in esse tanti agenti diversi hanno trovato diverse manifestazioni di un solo principio, di una sola forza, la quale per i varii movimenti originati, dà luogo alla manifestazione di diversi agenti fisici creduti di natura affatto differenti. Tutte le forze fisiche si possono riportare al solo principale fatto del movimento ; ed i fenomeni chi- mici stessi che sembrano del tutto estranei al dominio della meccanica , sono puri effetti meccanici tra quelle piccole particelle che entrano in giuoco nelle svariate reazioni. — Tutto entra nel dominio della meccanica , e quel eh' è più le leggi da essa trovate per le grandi masse valgono a reg- gere la meccanica molecolare e atomica. A rigor di ter- mine oggi non avvi più essenziale differenza tra fenomeni fisici e chimici, perchè entrambi s' identificano e si riferi- scono alla meccanica, ossia a questo o a quell'altro genere di movimento. Non avvi alcun fatto manifestato da qualunque feno- meno per le forze che reggono la materia, il quale non sia originato da un movimento, oppure non r origini; anzi la prima manifestazione è un movimento regolato dalle leggi universali di meccanica. — Tutto è movimento, e a secondo il modo diverso di applicazione di quell'unica forza che l'o- rigina , si hanno le diverse manifestazioni delle differenti forze e agenti fisici. — Gli energici sforzi delle scienze attuali per l'universale loro tendenza a scoprire la grande legge dell'unità neh" universo , sono sempre più fecondati e inco- raggiati da felici resultati che mostrano il perfetto indirizzo dei moderni studii. — A giusta ragione quindi i chimici per darci un' imagine delia costituzione della materia ci fanno osservare i grandi sistemi celesti facendone risultare la per- DEL CALORE TERRESTRE 43 fetta analogia. — Essi infatti mostrano gl'intimi rapporti e comunanza di principi] tra la teoria atomica annunziata per la prima volta dagli antichi filosofi greci e siculi Anassa- gora, Empedocle, Leueippo indi sviluppata dai moderni chimici, e il grandioso sistema della meccanica celeste. — Cosicché neh' immensamente grande si ha la perfetta ima- gine dell' immensamente piccolo e viceversa. Essendo il calore nient' altro che manifestazione o tra- sformazione di movimento, è in questo che dobbiamo trova- re l'origine di quello; e tutti gli agenti fisici, i quali oggi sono entrati nel dominio della meccanica, possono essere sorgenti di calore come quelli che al par di questa traggo- no la loro origine anche dal movimento. — E se ci riesce di riscontrare fenomeni meccanici che si compiano fuori della terra: che con essa abbiano intimi rapporti, e siano prodotti da causa non esistente nella terra medesima, pos- siamo dire di aver trovato uno di quelle fila che ci addi- teranno la strada, per la quale il calore o i suoi equivalenti ritornano alla terra.— Tutte le forze fisiche ci possono dare effetti meccanici, e viceversa ogni fatto meccanico può tras- formarsi in manifestazioni di agente fisico. — Tutti i fatti meccanici quindi, tutte le forze fisiche ridotti alla unità di movimento, ci possono originare una sorgente di calore. — In effetto, l' urto l' attrito di due o più corpi in movimento sviluppano calore: la percussione, la caduta di un corpo manifestano calore. — Son cause meccaniche, le quali non avendo da utilizzare in lavoro meccanico parte della forza che genera il movimento nelle masse, questa forza si estrin- seca e si manifesta a quel modo che produce il calore. — Le combinazioni chimiche sono sorgenti di calore, perchè parte di quella forza che mette in attività meccanica le mo- lecole o gli atomi della materia, si sviluppa allo stato di calore. — L' elettricità è sorgente calorifera, perchè le resi- stenze in genere che si oppongono alla libera circolazione ATTI ACC. VOL. XV. 7 44 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE progressiva della corrente elettrica, impedendo che la forza fosse intieramente utilizzata al lavoro del movimento mecca- nico costituente la corrente , si sviluppa allo stato di calo- re.— La luce è sorgente calorifica sia pel calore che seco trasporta, sia perchè ostacolata nella sua regolare propaga- zione e quindi arrestata nel suo lavoro meccanico del mo- vimento etereo, parte della forza in questo non utilizzabile si manifesta in calore. — In somma tutti i movimenti mec- canici arrestati danno per conseguenza la manifestazione dell'unica forza in calore non scompagnato però dagli al- tri agenti fisici. Nessuno certamente vorrà negare o mette- re in dubbio la meritata importanza di questi fatti, perchè non faccia bisogno provarli essendo già passati nel domi- nio dell' universalità. Richiamando ora le cause che ingenerano nella terra tanta perdita di energia, tentiamo di rilevare in che essa utilizzasi: e se ritornaoppur no in seno alla terra stessa. — Nell'affermativa rilevare poi per quali vie essa ritorni: e se oltre, il globo riceva -altra forza nuova, IV Il calore perduto per l'irradiazione terrestre: quello sot- tratto alla terra per l'evaporazione delle acque, e quello che irradia da tutte le sorgenti che manifestano l'attività interna, è direttamente utilizzato a dilatare l'aria, il vapore acqueo in essa contenuto e ad elevarne la temperatura. — Cioè parte si utilizza in lavoro meccanico e parte si con- serva in temperatura sensibile. Quell'aria dilatata insieme al vapore acqueo compre- sovi, è quella stessa che compie il grande fatto della circo- lazione atmosferica, — In questo viaggio l'aria dilatata che dalle alte regioni scende in basso si condensa e sprigiona quantità di forza viva che si trasforma in calore. — I venti DEL CALORE TERRESTRE 45 stessi che dai paralleli maggiori passano a quelli minori si concentrano ed emettono calore, — Infatti sempre che l'aria si comprima costantemente sviluppa calore: Y accia- rino pneumatico non è che un mezzo per rendere sensibile questo fatto. — Lo esperimento di Tyndall poi nel condensare l'aria con soffietto a mantice ordinario diriggendone la corrente condensata verso una pila termo-elettrica in comu- nicazione con un galvanometro, è un fatto che più si avvi- cina alla condensazione dell'aria per la discesa dalle alte alle basse regioni e per il passaggio dei venti dai paralle- li maggiori a quelli minori. — E qui bisogna considerare le differenze di proporzioni che passano tra le masse in mo- vimento dell'aria di cui può esser capace un soffietto e le grandi masse ci' aria che si muovono con le correnti atmo- sferiche in genere. — Vedremo come questa forza viva messa in libertà nell'atmosfera possa ritornare alla terra sotto forma di vita elettrica. Nel movimento dell' aria poi e massime nel caso dei venti, oltre la condensazione , può studiarsi un altro feno- meno che dovrà manifestare calore , cioè 1' attrito che le enormi masse d' aria esercitano alla superfìcie della ter- ra.—Ogni attrito genera calore; è in ragione diretta della velocità, della superfìcie e dello sforzo comprimente dei cor- pi che strofinano. — Ora vediamo se nel movimento d' aria possiamo riscontrare quelle opportune condizioni perchè si produca calore. L'aria è una grande massa gassosa che avviluppa il globo e sovr' esso esercita l' enorme pressione uguale al peso di 1033 grammi per ogni centimetro quadrato, cioè di 10330 chilogrammi per ogni metro quadrato. Essendo stata la su- perfìcie terracquea calcolata per la estensione di 5 milioni di miriametri quadrati e la terra asciutta per poco più di un quarto, ijuesta porzione sopporta l'enorme peso di circa 1342900 milioni di tonnellate. 46 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE Sappiamo intanto dalla geografìa fìsica, e principalmente dietro la divulgazione degli studi di Maury per quasi esclu- sivo merito del nostro insigne Stopparli, che 1' aria si muo- ve perennemente sia in modo regolare che irregolare.— La circolazione atmosferica è l'esempio del primo movimento. In quelle correnti regolari e costanti 1' aria per la sua vorticosa marcia si muove con grande velocità, anche in senso opposto al moto rotatorio della terra, ma ordinaria- mente seguendo una spirale risultante da due forze che in differente senso agiscono sulla massa atmosferica. L' aria che colla sua enorme massa e coll'impeto del vortice striscia alla superfìcie terrestre dovrà certo eserci- tare un attrito considerevole , nel quale per la distruzione del moto (urtandosi le masse che s' incontrano) dovrà svi- lupparsi calore o altre correnti trasformabili in calore, che daranno vita a tanti fenomeni meteorici, e saranno assor- bite dalla terra in compenso alle perdite subite per altre vie. Una chiara pruova della imponente forza con la quale spesso F aria viene a urtare la superfìcie terrestre, l'abbia- mo nell' impeto dei venti, che infuriando ora in questa o in quella contrada , lasciano sensibili tracce di devastazioni meccaniche. — Gli uragani e i cicloni , i qual si muovono con tale sviluppo di forza meccanica da schiantare i più solidi baluardi contro cui invano si è lanciata la palla del cannone e la bomba devastatrice, non sono che grandi mas- se d'aria condensate sotto la pressione di forze meteori- che. L'aria comprimendosi per urti e ostacoli sviluppa ca- lore , come avviene in noi , che non potendo talvolta mal- grado gli sforzi possibili camminare in opposizione alla cor- rente del vento, sentiamo svilupparci all' interno un aumen- to di calore da attribuirsi al nostro sforzo eliso dalla resi- stenza meccanica del vento, cioè da una resistenza che an- DEL CALORE TERRESTRE 47 nulla il nostro moto e lo trasforma in calore. Né la trop- pa elasticità dell'aria impedisce la elisione del movimen- to o lo sviluppo di calore e di altri agenti. Giacché parte del moto è trasformato per 1' urto, il resto per cui si veri- fica il rimbalzo della massa aerea si trasformerà ancora , perchè questa dovrà muoversi in senso opposto alle cor- renti di vento successive che sopravverranno già di ritorno, e quindi in opposizione a potenza maggiore non avendo an- cora le successive , perduto parte di moto nell' urto colla terra. In questo fatto 1' aria di rimbalzo dovrà fortemente comprimersi e sviluppare calore, come hanno mostrato gli esperimenti di Tyndall, nella compressione dell'aria. Non varrebbe il dire che quella quantità di calore svi- luppato potrà essere appena assorbito dagli strati terrestri superiori e forse non arriverà a penetrare nell' intimo, ove si agita tanta attività geologica.— L' attrito non genera so- lamente calore, ma elettricità e magnetismo, die sono alla loro volta due manifestazioni, le quali facilmente vanno a raggiungere gì' interni laboratori del globo. Anche da fatti ovvi possono trarsi pruove di alte ve- rità.— Limando io per caso un pezzettino di ferro, ebbi ad osservare che oltre di svilupparsi tanto calore da non po- ter quasi più reggerlo fra le dita, il ferro erasi trasformato in perfetta calamita attirando la propria limatura con gran- de energia.— La terra quindi sotto la influenza di quel po- tente attrito, oltre del calore deve pure acquistare correnti elettriche e magnetiche, alle quali toccherà la stessa sorte di tutte le correnti simili che serpeggiano nell' interno della terra.— Il resto della forza non restituita direttamente alla terra si conserverà dall' atmosfera , la quale , come vedre- mo, la ridarrà sotto aspetto di diverse correnti. 48 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE L' acqua che scappa a temperatura elevata dalle sor- genti termali, dalle stufe, da tutte le manifestazioni secon- darie del vulcanismo e dai vulcani stessi, i quali son capa- ci di inondare con torrenti d' acqua calda; per due vie rida alla terra maggior parte del calore rapitole. Lo rida diret- tamente perchè scorrendo l' acqua calda sul suolo circostante che trovasi a temperatura più bassa, questo assorbe calore fino a quando si stabilisce la uguaglianza giusta l'equilibrio mobile di temperatura.— L' altra porzione di acqua che si slancia neh' atmosfera e vi rimane in correnti gassose uti- lizza in lavoro meccanico di dilatazione e di moto ascen- sionale la forza viva comunicata dal calore perduto dalla ter- ra. E fino a quando la forza di gravità ed altri ostacoli e- sterni non fanno equilibrio alla forza comunicata dal calore al vapore acqueo, la forza viva resterà impegnata in quei lavori. Ma anche per ciò avvi un limite e il vapore con- densandosi e cedendo parte di forza all' atmosfera per dar luogo ad altri fenomeni meteorici, come vedremo, ritorna alla terra precipitandosi in pioggia e alimentando torrenti e fiumi.— Or la meccanica ci apprende che un corpo solle- vato in alto per compiere l' ascensione deve fare un lavoro e quindi assorbire forza viva che si utilizza in quel moto. — Tornando a cadere e arrestandosene la caduta , il moto pri- mitivo si trasformerà in calore.— Infatti nell' urto di un peso che cade si produce calore.— In ogni caduta d' acqua si pro- duce calore, ed è perciò che le acque in moto gelano me- no facilmente che le stagnanti.— Pare quindi che quella for- za viva assorbita sotto apparenza di calore nella emissione e nel moto del vapore acqueo, sia parte restituita alla terra per la caduta e pel movimento delle acque alla sua super- ficie, e parte conservata nell' atmosfera per consegnarla a suo tempo. — Non v'ha dubbio però che tali restituzioni siano assai piccola cosa di fronte alle ingenti perdite, ma non scordiamo il principio che segna il progresso attuale DEL CALORE TERRESTRE 49 della filosofia naturale , cioè azione incessante e minimo di azione. L'atmosfera è il serbatoio universale di tutta quella forza perduta, della quale parie si utilizza in movimenti dell' etere negli spazii celesti , e parte concorre a determi- nare quella serie di fenomeni meteorici che si mettono in relazione con la terra e alla quale ridanno forza e prodot- ti.— Le nubi sono ammassi di vapori condensati che si agi- tano cariche e sotto l' influenza di correnti elettriche svi- luppate in parte per quella forza viva impegnata primitiva- mente a determinare e mantenere lo stato vaporoso dell'ac- qua.— A testimone di tanta energia posseduta dall'atmosfe- ra chiamiamo il fulmine, le aurore boreali e tutti gli esqui- libri elettro-magnetici che mettono in comunicazione la terra e P aria. Nessuno al certo vorrà negare il ritorno di forza alla terra pel fatto delle induzioni e delle ricomposizioni e- lettriche. Or P elettricità atmosferica è forza viva perduta per diverse vie dalla terra, e per diverse vie e con diverse ap- parenze ad essa nuovamente ritorna.— « In queste trasfor- « inazioni, dice Secchi, conchiudiamo col signor Lereux: l'e- « lettricità essendo un modo di movimento come il ralore « e la luce, essa subirà diverse modificazioni secondo i di- « versi lavori, siano essi di genere meccanico, di luce o di « calore : e in essi non potendosi il moto ne perdere né « creare il lavoro stesso si dovrà trovare in tutte le tra- « sformazioni.» — In tal modo parte del calore perduto dalla terra va a trasformarsi nell'atmosfera in movimento elet- trico e magnetico, il quale tornerà a rianimare la vita nella terra stessa. Inoltriamoci intanto a svelare le cause riparatrici di maggiore importanza. 50 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE L' atmosfera non è affatto estranea a comunicare diret- tamente alla terra quantità considerevoli di forza viva sotto l'aspetto di elettricità; cosicché siamo al caso di poterne studiare gli effetti riportandoli alle generali conoscenze che la fisica ci apprende sul proposito , specialmente pel fatto della trasformazione in calore. Comunicatasi l' elettricità atmosferica alla terra , vi determina tutti quegli effetti che sono proprii delle sue cor- renti. Nelle relazioni che hanno luogo tra la terra e 1' at- mosfera abbiamo perfettamente un circuito continuo pel quale le correnti elettriche circolano perennemente in pro- porzioni gigantesche rapporto a quelle dei circuiti delle no- stre pile. — Il telegrafo ci dà chiara imagine di ciò che av- viene tra 1' atmosfera e la terra. — Due stazioni telegrafiche comunicanti costituiscono un solo circuito come quello delle pile, in cui il polo carbonio è unito pel filo metallico al po- lo zinco. Quelle stazioni hanno una sorgente elettromotrice che invia un filo di linea per stabilire la prima comunicazione, e un filo di terra che chiude il circuito. — Ebbene quest'ul- timo non è come il primo un filo metallico lungo quanto la di- stanza che separa le due stazioni telegrafiche, ma è un bre- ve filo che partendo dal polo negativo della pila si mette in comunicazione con la terra, la quale per mezzo della ma- teria di cui essa è costituita trasporta la corrente ad un altro brevissimo filo che mette in comunicazione la terra con la seconda stazione chiudendo così il circuito come fac- ciamo nelle nostre pile. L' atmosfera per tutti quei fenomeni che la caricano di elettricità, mette in comunicazione le sue correnti con la terra formando un perfetto circuito e servendosi dell' aria più o meno umida per filo di linea e della terra stessa (co- me nel telegrafo) per filo di terra. Trovato tale perfetto riscontro siamo già al caso di ve- DEL CALORE TERRESTRE 51 dere compiersi con queste correnti tutti quei fenomeni che si compiono con le correnti sviluppate dalle nostre pile ; e quindi manifestazioni meccaniche, luminose, calorifiche, chi- miche, ec. con tutte le accidentalità che in quelle si mani- festano.— Quella forza adunque, che si è accumulata nell'at- mosfera e che vi determina le correnti elettriche si attua in diversi modi, per le diverse condizioni del mezzo, ma non lascia giammai di manifestarsi in calore. — « Quando « questa forza attuante arriva a certa energia, e supera la « pressione del mezzo circostante , essa può allora farsi « strada attraverso di esso , e quando vi riesce , allora « cessa tutto lo stato di tensione violenta che si avea e « nasce lo spostamento ossia la corrente, si mette la mas- « sa in vihrazione, e si ha calore » (1). — Ciò per tanto avviene per quanto vi si riscontrano gli stessi accidenti delle correnti sviluppate nelle pile. — Così la corrente e- lettrica che circola dal polo positivo al negativo non con- siste in altro , secondo le nuove idee sulle forze fisiche , se non in progressive condensazioni di onde eteree sotto la pressione della forza elottromo-trice , e propagantesi verso la massa eterea non condensata , che costituisce la parte negativa della corrente. — Perchè tale movimento progressivo abbia luogo bisogna che il mezzo in cui de- ve propagarsi , sia continuo. — La costituzione moleco- lare del mezzo influisce quindi essenzialmente a permet- tere che il movimento si compia con maggiore o mino- re facilità dando luogo a questa o a queir altra manife- stazione. La corrente elettrica che attraversa il filo conduttore è simile al movimento che si propaga in un corso di acqua, il quale scorra in un tubo verso quella parte di esso ove incontra minore resistenza. Ma se lungo il corso frani- ci) Secchi — Unità delle forze fisiche voi. II pag. 48 e seg. ATTI ACC. VOL. XV. >{ 52- CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE méttiamo un ostacolo, la corrente sarà modificata: in quel punto risentirà maggiore resistenza e vi si formerà un cu- mulo di liquido che è sottratto al resto non turbato nel proprio corso. Per le correnti elettriche si verificano gli stessi fenomeni. La condensazione dell' etere propagandosi a ondata sotto l'impulso della forza elettromotrice incontra spesso degli ostacoli che arrestano la sua regolare propa- gazione, e in quel punto di ostacolo si verifica un accu- mulo di forza che ordinariamente si manifesta in calore. I fisici intendono questo fatto dicendo che nella corrente si è sviluppata una resistenza, appunto perchè in realtà il mo- vimento etereo determinato dall'attuazione della forza elet- tro-motrice, incontra un ostacolo che resiste e si oppone alla propagazione di esso, e quindi parte di quella forza viene deviata e si manifesta con altro aspetto che non è l'elettri- cità. Quindi a secondo la natura del mezzo, la corrente in- contra resistenze di differenti intensità. Per le varie leggi che regolano la resistenza elettrica i fisici hanno trovato che, essa è proporzionale alla lun- « ghezza dei conduttori: e che è in ragione inversa della « conducibilità elettrica delle diverse sostanze che compon- « gono il circuito ». Ma al fatto della resistenza è legato queir altro importantissimo della trasformazione della for- za elettro-motrice in calore che si estrinseca nel circuito della corrente, per cui Joule in Inghilterra e Edmondo Bec- querel in Francia, tra le leggi che regolano queste trasfor- mazioni, verificarono la seguente, cioè che « la quantità di « calore è in ragione diretta della resistenza del filo al pas- « saggio della elettricità. » Infatti col Secchi diciamo « che « così può riassumersi la teoria della produzione del cali >- « rico (nel circuito della corrente ). La sostituzione dello « zinco all' idrogeno (nel caso /Iella pila ordinaria) rende « disponibile una quantità di potenza viva esprimibile in « calorie , che è la potenza motrice. — Questo movimento DEL CALORE • TERRESTRE 53 « si trasmette al circuito sotto forma di moto-elettrico. — « Questo flusso trovando delle resistenze , 1' effetto che ne « deriva è di agitare il mezzo e convertire la forza viva « dell'elettrico in calorico, ossia una porzione di moto tras- « latorio dell'elettrico in vibratorio calorifico dell' etere e « della materia ponderabile » (1). Son tutte manifestazio- ni dovute alla condizione della resistenza opposta al mo- to etereo e alla trasformazione della forza viva rapita in parte a questo. Nelle nostre pile ordinarie la corrente cir- cola per un filo di rame rosso , il quale oppone alla sua volta una resistenza da potersi determinare in rapporto al- l' unità di Siemens ; ma se chiudiamo il circuito con un filo di platino , osserveremo che mentre il rame non si ri- scalda sensibilmente, il platino diviene incandescente; e au- mentando la potenza elettro-motrice arriva a fondersi. — Quest' alta temperatura è dovuta alla maggiore resistenza da esso opposta , per cui arrestato in parte il moto elet- trico, la forza viva utilizzata prima in lavoro, si manifesta in calore per la trasformazione in moto vibratorio dell' ete- re e della materia ponderabile del filo. — Si è perciò che oltre il lavoro meccanico ordinario, qual' è quello dei con- duttori o dei liquidi messi in agitazione, ha luogo sempre nel circolo un' azione termica, la quale talora spinge i cor- pi all'incandescenza e volatilizzazione. Tutti i fenomeni che abbiamo accennato e che si ri- scontrano nelle correnti elettriche in genere, possiamo an- cora riscontrarli nelle molteplici correnti che circolano tra l' atmosfera e la terra, mettendo anche in considerazione che la forza viva immagazzinata neh' atmosfera non è sola quella proveniente dalle perdite della terra ma è sempre aumen- tata in modo considerevole, come vedremo, dalla vita che le comunica il sole. (1) Secchi loc. cit. pag. 69 e seg. 54 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE Trovato adunque che tra 1' atmosfera e la terra esiste una perenne relazione elettrica, mantenuta dalle circostan- ze accennate e principalmente dal sole, e che si può ridur- re a serie indefinita di correnti elettriche le quali anima- no moltissimi circuiti (in tutti i sensi diretti) di cui possia- mo vedere risultare il nostro globo; mi pare esser facile riscontrarvi in larghe proporzioni tutto ciò che possiamo studiare in piccolo sulle correnti che con artificio ci appre- stano analoghi apparecchi. Così abbiamo una potenza viva che viene comunicata alla terra sotto forma di correnti elettriche da regioni che ad essa non appartengono. Abbiamo che quelle percorrono circuiti formati dalla immensa varietà delle diverse sostan- ze costituenti il nostro globo , e perciò mille e mille modi- ficazioni nel loro andamento, avendo specialmente osserva- to che la maggiore o minore conducibilità elettrica dipen- de dalle diverse sostanze, delle quali è composto il circui- to. Abbiamo infine che le correnti si muovono in circuiti , i cui conduttori sono tanto lunghi quanto le dimensioni del- la terra e più. In tutti questi casi le resistenze saranno innumerevoli e di grande potenza, e quindi in ragione di- retta immensa debba essere la quantità di calorico svilup- pato.— Giacché se per la resistenza opposta da un sempli- ce filo alla potenza viva sviluppata da parecchie coppie di Bunsen, si può ottenere tanto calore da fondere il platino, cioè aversi la temperatura di circa 2000, e, quale tempe- rie non si deve sviluppare nell' interno della terra, ove in- numerevoli e potenti resistenze si oppongono a innumere- voli e potenti flussi elettrici che sempre e da ogni parte le arrivano ? Quella potenza viva poi che alimenta il mo- vimento elettrico superando le resistenze, non va a per- dersi in moto inutile, invece va a determinare tale movi- mento nelle molecole dei corpi a contatto . da produrre parte di quei fenomeni che diciamo combinazioni chimiche: DEL CALORE TERRESTRE 55 ebbene allora parte di essa manifestasi anche in calore che comunica tanta energia all' attività interna della terra. Ma le correnti elettriche, che animano i diversi circui- ti nella terra sotto la influenza della forza elettro-motrice dell'atmosfera e del sole non hanno per filo più o meno conduttore le sole sostanze solide. — I liquidi e massime l' acqua che circola all' interno in torrenti e fiumi come all' esterno , fan parte dei circuiti per i quali si muovono le correnti elettriche ; e si noti spesso 1' acqua carica di sostanze saline. — Ora la fisica ci apprende che le resi- stenze opposte dai liquidi sono considerevoli, specialmente quando carichi di sostanze saline. — Le esperienze di Pouillet in fatti trovarono che la resistenza delle disso- luzioni saline è 16 milioni di volte maggiore di quella del rame. Ma 1' acqua mentre agevola le combinazioni chimiche perchè corpora non agunt nisi solala, riceve alla sua vol- ta da esse, parte di potenza viva sotto manifestazione di ca- lore e di elettricità, che in ricambio valgono ad attivare le combinazioni chimiche. — V acqua adunque , che circolando neh' interno fa tanta rapina di sostanze saline nel suo pas- saggio, deve opporre grande resistenza alle correnti e deve contribuire principalmente a sviluppare queir alta tempera- tura che anima le combinazioni chimiche generate e genera- trici del calore, e queir attività interna che si manifesta in po- tenti e svariati fenomeni geologici. Studiata l'acqua sotto tali rapporti, trovo molto serie le ragioni per cui in essa riscontrasi forse il primo agen- te calorifico dell'attività interna; non pel solo fatto del suo circolo dall' interno all' esterno e viceversa , ma perchè in questo corso movendosi sotto le opportune influenze acqui- sta quelle condizioni, per le quali trasporta elementi ripa- ratori e trasforma tanta forza viva in manifestazioni calori- fiche. Infatti l'acqua evaporata dai mari e ricaduta in forma 56 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE di pioggia è quasi pura: scorrendo sui continenti incomincia a far rapina di sali formatisi per l'energia atmosferica e solare, per indi proseguire il suo corso e le sue rapine nel- lo interno della terra. In tale stato col suo passaggio s' ini- zia l' opera delle combinazioni chimiche, che alla loro volta aumentano la sua capacità solvente cedendole calore per così essa ancora rispondere allo aumento di quelle combi- nazioni trasformatrici di potenza viva in calore. Intanto l'acqua si satura di sostanze saline e aumenta la sua re- sistenza elettrica, per la quale il flusso etereo di tali cor- renti viene spogliato di considerevole quantità di forza vi- va che manifestasi in calore. Così presentasi quell'agente che infonde tanta vita all' attività interna del globo. Ma se l'acqua per tali considerazioni potrebbe chiamarsi il primo agente calorifico, lo si deve accettare non come fattore o diretto depositario di quella potenza viva ; piuttosto come condizione, come mezzo trasformatore di una forza, la cui provenienza debba ripetersi d'altrove. Perchè sia nelle combi- nazioni chimiche che favorisce, sia nella grande resistenza che oppone alle correnti elettriche, determinando sempre sviluppo di calore, non fa altro che trasformare la potenza in que- sto agente fisico.— Essendo così, nell'acqua, non abbiamo in verità un fattore primario assoluto che riproduce neh' in- terno della terra la forza equivalente al calore perdutosi , ma la condizione più opportuna perchè la potenza viva, ri- donata alla terra per diverse vie, possa essere trasformata in calore compensatore.— E infatti se fosse il contrario; nel- 1' acqua che ritorna alla terra si dovrebbe trovare quella energia potenziale equivalente al calore da quella riacqui- stato, perchè col Secchi diciamo « che senza entrare nella « quistione metafìsica sulla possibilità o no della distruzio- « ne del moto e della forza, questo però può sempre pra- « ticamente dimostrarsi che si conserva, ed è sempre rin- « tracciabile nei suoi effetti e nelle sue origini, anche dove DEL CALORE TERRESTRE 57 « sembra sparire o crearsi repentinamente » (1). — Se nel- l'acqua che penetra dallo esterno allo interno presa isolata- mente non si è trovato, per quanto io ne sappia, il depo- sito di quella potenza equivalente al calore , bisogna cer- carla altrove e in essa invece vedere una delle essenziali condizioni per cui quella forza che ritorna alla terra per diverse vie, possa essere trasformata in calore. Ma non basta: vi sono ancora altre cause d' annove- rarsi tra i più potenti mezzi compensatori della forza per- duta dalla terra. — Anzi fin d'ora asserisco che basterebbero esse sole a ridarla in proporzioni maggiori. La terra è un pianeta che perennemente è sotto la e- nergica influenza del sole, il quale da solo può comunicare per diverse vie tanta potenza viva da richiamare in vita il globo , quand' esso venisse a morire per le continue perdite. Il sole direttamente ci dà calore e luce, e con questi ci comunica moto e attività proteiforme; ci comunica sem- pre forza nuova. Di quale temperatura possa disporre il sole, non fa d' uopo venirne ad esame, basta rilevarlo dalla cocente sferza che dardeggia la zona torrida e mummifica con queir afa bruciante: basta solo ricordare che metalli e altri corpi, i quali da noi non si possono volatilizzare nemmeno colla fiamma d' ossi-idrogeno , cioè con la più alta temperatura di cui possiamo disporre e che possiamo considerare quasi superiore alla potenza termica del vulcano, nel sole trovan- si perennemente allo stato gassoso e di dissociazione, come ci ha mostrato l'analisi spettrale. A noi dunque arrivano di (1) Secchi op. cit. voi. I, pag. 137. 58 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE continuo i' raggi caioriferi emanati da tale sorgente; e notisi essersi calcolato, che solo un quarto della radiazione ter- mica solare diretta arriva alla superfìcie terrestre attraverso l'atmosfera, e questo può dirsi quasi tutto assorbito dai corpi e dalla massa atmosferica più bassa, la quale perciò forma come un mantello al globo terrestre e ne impedisce il raffreddamento. Cosicché porzione degli altri tre quarti che non arrivano alla terra, si utilizza nell'atmosfera e negli spazi superiori, per concorrere a determinare la manifestazione di quei fenomeni meteorici che abbiamo accennato e di altri forse sconosciuti, i quali tutti non sono estranei a far giun- gere alla terra per diverse vie altra forza considerevole. Di quella parte ricevuta dai bassi strati atmosferici e dalla terra che ne avviene ? Certo che parte è assorbita dagli es- seri viventi e utilizzata nella trasformazione dei corpi che stanno alla superficie terrestre : parte è assorbita diret- tamente dalla terra in apparenza di calore , per cui le perdite della irradiazione terrestre trovano un compenso ed un elemento riparatore. Si potrà opporre che tale com- penso non può forse direttamente influire sulla interna at- tività calorifica perchè la sua azione non si estende oltre gli strati superficiali, le cui oscillazioni trovano limite allo incominciamento degli strati a temperatura costante. In pri- ma rispondo che è sempre un elemento riparatore perchè può ritenersi quasi di potenza maggiore a quella perduta dalla terra sotto forma d' irridiazione, la quale è anche re- lativa agli strati superiori. In secondo ricordo che l'azione del calore non dà soli effetti termici, ma determina combizioni chimiche, nelle quali impegnandosi parte della sua potenza viva, si formano corpi che messi in altre condizioni sotto l'influenza di altri reagenti, sprigionano porzione di quella forza sotto aspetto di calore. Addippiù in quelle combinazioni si determinano correnti elettriche, che serpeggiando nello interno della terra risentono di quelle condizioni, per le quali DEL CALORE TERRESTRE 59 si trasformano in calore. Finalmente ricordiamo che anche direttamente quel calore debba promuovere correnti termo- elettriche, oltre le correnti prodotte per la elisione del moto vibratorio nell' incidenza con la terra; quali correnti incon- trando nello interno di essa le solite resistenze , cambiano il loro moto in calore e il globo riceve parte di quell'at- tività termica perduta. Insomma sebbene il calore solare riscaldi solamente gli strati superiori della terra, pure non piccola parte della potenza viva s'interna per le diverse vie onde ritornare a manifestarsi in calore allorché incontrerà le oppurtune condizioni. La terra ancora, oltre il calore, riceve dal sole luce. Non troppo facilmente può calcolarsi in preciso quanta e- nergia potenziale può disporre la luce; ma non siamo lontani dal potercene formare un'imagine approssimativa, la quale per quanto sbiadita in rapporto al fatto reale, credo che valga molto allo scopo per cui l'applico alla mia tesi. I fisici nello studiare i raggi luminosi, vi hanno riscon- trato tre diverse manifestazioni della potenza viva che a- nima il movimento dell'etere per dar luogo a quei raggi: manifestazioni che esprimono dicendo avere la luce tre spet- tri cioè il luminoso, il calorifico e il chimico. Volendo trovare la natura della differenza tra essi, non si riscontra che nella diversa manifestazione per cui si estrinseca la forza deter- minante quel movimento etereo e sempre accompagnato da manifestazioni calorifiche. Unifico queste idee con parecchi brani del Secchi , il quale nell' opera citata, in modo generale ha riassunto quan- to sul proposito possa dirsi, e ne trarrò in prosieguo le necessarie conseguenze per trovarvi le intime relazioni con la tesi proposta. ATTI ACC. VOL. XV. 9 60 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE « Da tutto questo (dice Secchi) risulta manifestamen- « te che la distinzione fatta finora delle radiazioni è stata « piuttosto desunta dalla suscettibilità delle sostanze su « cui esse agiscono, che non dalla loro vera natura: che uno « è il principio di tutte, ma che questo si manifesta in mo- « do illuminante se sia omologo alla nostra retina, in modo « chimico se trovi sostanza che si decomponga, ma in gene- « re che tutte hanno azione riscaldante; e se pure si cre- « dette di aver trovato qualche luce priva di calore, ciò « non fu che inganno nato dalla poca sensibilità dei nostri « strumenti, ma luce e calore sono inseparabili — e la luce « non consiste che in certa serie di radiazioni calorifiche « sensibili all'organo della vis fa, o viceversa: che leradia- « zioni di calore oscuro (o di azione chimica) sono radia- « zioni insensibili di luce. » (Melloni) « Inversamente il moto dell' etere produce mo- « ti nella materia pesante, quindi troviamo che la luce si « estingue cadendo su di essi e si trasforma in calore ; e « più si riscaldano i corpi meno riflettenti e più neri. » « Le radiazioni chimiche e le calorifiche so- « no così una cosa sola e una sola potenza meccanica — E « da ciò apparisce quale immensa forza viva venga comu- « nicata dal sole alla terra e all' etere in essa compreso — « Le radiazioni solari sono l'origine principale della forza « meccanica sul globo e ancora della forza fisiologica » (1). Esaminiamo per poco a quali fenomeni danno luogo quegli spettri arrivando la luce solare alla terra. La luce, non v'ha alcun dubbio, è un movimento vi- bratorio dell' etere, le cui oscillazioni sono percepite dal no- stro organo sotto quella impressione che abbiamo detto luce e che determina il fenomeno della visione. — Lo spettro lu- minoso della luce solare arriva alla terra con la velocità di (1) Secchi loc. cit. pag. 248 282 307 e seg. DEL CALORE TERRESTRE 61 308000 chilometri per secondo— essa può darci chiara idea della potenza viva utilizzata dal movimento vibratorio del- l' etere. — La terra adunque arresta nel loro corso i raggi luminosi emessi dal sole e precisamente quando essi arri- vano a quel punto con la velocità or detta. — Questo fatto genera la riflessione della luce. — Ma non tutta la luce in- cidente viene a riflettersi sia in modo regolare che irrego- lare, essendosi trovata la riflessa minore della incidente — Dunque e' è stata una perdita, cioè parte del movimento etereo è stato distrutto.— Si rintracci ora in che si utilizza quella forza che generava il movimento distrutto. I corpi hanno tutti un potere riflettente che varia con la loro natura; ma per quanto al massimo voglia portarsi in alcuni, essi non arrivano mai a riflettere intieramente la luce incidente, assorbendone sempre porzione, cioè ap- propriandosi V equivalente potenziale di quella forza viva che prima determinava il movimento etereo costituente quella quantità di luce che rappresenta la differenza tra la incidente e la riflessa.— In tal fatto il corpo acquista forza viva che non avea, e questa vi determina fenomeni calo- rifici, chimici, elettrici, magnetici che vicendevolmente si possono trasformare gli uni negli altri. — Per tali fatti si è osservato che parte della luce cadendo sui corpi si estingue e si trasforma in calore, e che i corpi meno riflettenti, cioè i più assorbenti, si riscaldano maggiormente, donde ne viene che i corpi neri, nei quali trovasi il massimo potere assor- bente e il minimo riflettente, si riscaldano al massimo. II fatto semplicissimo della combinazione dell'idrogeno col cloro formandosi l'acido cloridrico, è una chiara pruo- va della forza sottratta alla luce dai corpi che ne sono per- cossi. — Per determinare la combinazione in un miscuglio d'idrogeno e di cloro bisogna che siano sottoposti alla influenza o del calore o della corrente elettrica — ciò im- porta che abbisognano di una forza da essi non posseduta.— 62 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE Ma se si espone alla luce diretta quel miscuglio gassoso, istantaneamente si determina la combinazione con innalza- mento di temperatura e con la violenta rottura della boc- cetta di cristallo, ove può trovarsi contenuto — La potenza che ha determinato la combinazione, l' innalzamento di tem- peratura e il violento fatto meccanico , è stata rapita alla luce, che fu la condizione determinante. Ora allargando le proporzioni dei fenomeni che abbia- mo osservato in tutti i corpi percossi dalla luce solare, tro- viamo che la terra ricevendo continuamente quella luce , riceve forza viva, la quale o presti o tardi, o direttamente o indirettamente , si risolve sempre in calore — Né debba temersi d' essere tanto poca da non riscontrarvi una causa potentemente riparatrice alle perdite di calore della terra — Si ricordi con quale velocità arriva a noi la luce solare e quale effetto termico ne debba seguire dalla elisione del suo moto per l'incidenza nella terra — Si ricordi quale as- sorbimento di forza viva non manifestino tutti i fenomeni determinati dalla influenza della luce solare — Si ricordi che la terra in metà è perennemente illuminata da quell'astro, e dal calore e luce solare vivificata — Si ricordi in fine che la luce solare comprende lo spettro calorifico e chimico, cioè altri poteri che direttamente danno calore alla terra e vi producono continue combinazioni chimiche, nelle quali dob- biamo vedere importanti sorgenti di calore — Tutti questi fenomeni che hanno principio alla superficie della terra , non lasciano di penetrare all' interno sotto i diversi aspetti in cui possono trasformarsi vicendevolmente gli agenti fisi- ci, mentre fanno serpeggiare quella potenza viva che la terra riacquista. A valutare poi in complesso la potenza di che può es- sere capace la luce solare ricordo il fenomeno della respi- razione delle piante. Sappiamo che queste respirano sotto l'influenza della DEL CALORE TERRESTRE 63 luce solare e hanno il potere di decomporre l' acido carbo- nico (sottratto principalmente all'atmosfera), fissarne il car- bonio ed emettere l' ossigeno; compiendo così una funzione inversa a quella degli animali — L' esperienza ha tentato di potere determinare il valore di quella forza che la luce cede in quel fenomeno e ha trovato essere potentemente enorme. I chimici volendo decomporre al pari delle piante l'a- cido carbonico, iniziarono le loro esperienze poggiando sulla grande affinità chimica dei metalli alcalini, sodio e potassio, per l'ossigeno — Quasi qualunque corpo lo contenga ne re- sta privo pel solo contatto di uno di quei metalli — L' ac- qua ad esempio ne è istantaneamente decomposta perdendo 1' ossigeno, fissato dal metallo, e lasciando in libertà l'idro- geno , il quale si accende per lo innalzamento di tempera- tura che si manifesta in quella reazione. Ebbene se voglia- mo la sintesi dell' acqua non basta il solo contatto del mi- scuglio di ossigeno e idrogeno, bisogna che un agente fisico comunichi quantità considerevole di forza viva per deter- minare la combinazione di quei due gas; ciò che ottiensi o col calorico o con la corrente elettrica — E ancora; se vo- gliamo decomporre 1' acqua con l' influenza del calore ab- biamo di bisogno o di elevatissima temperatura capace a determinare la dissociazione, o di un metallo incandescente ( che non sia sodio o potassio ) per sottrarne l' ossigeno. Ma il sodio o il potassio al solo contatto, senza bisogno di au- mento di temperatura, istantaneamente rapisce 1' ossigeno, distruggendo quella combinazione che assolutamente richie- se l' influenza del calore o della corrente elettrica — Ora certo potrà supporsi che il sodio o potassio si comporterà allo stesso modo con l' acido carbonico facilmente decomponi- bile dalla luce solare — Eppure non è così: 1' acido carbonico in presenza di quei metalli non subisce la menoma alterazio- ne ; e perchè essi possano giungere a sottrarvi F ossigeno bisogna che siano portati alla temperatura incandescente. 64 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE La luce solare adunque che ha tale equivalente di po- tenza viva, quale forza non deve comunicare alla terra con la sua perenne moltiforme influenza? Ognuno potrà dedur- lo da sé. — Ala i fisici non hanno risparmiato lavori per determinare in numeri la potenza necessaria alla decompo- sizione dell' acido carbonico, ed hanno trovato che un chi- logrammo di carbone per liberarsi dal suo ossigeno col quale possa trovarsi combinato , bisogna che assorba la potenza viva equivalente a 8080 calorie, cioè tanta quantità di calore, quanta ne abbisognerebbe a far bollire circa 81 chilogrammi di acqua. E chi può asserire che la luce non sia capace di produrre effetti richiedenti potenza viva mag- giore ? Aspettiamo che le scienze fisiche rispondano coi loro portentosi progressi. — Il mio Prof. Orazio Silvestri traspor- tato dallo incantevole e sublime spettacolo che si presenta all' osservatore seduto sull'alta cima dell'Etna allo spuntar del sole , esclama: « Oh ! luce , manifestazione speciale di « quella immensurabile forza che dalla face attiva del mondo « si trasmette nello spazio ; forza che dà e sostiene la esi- « stenza di ogni essere vivente ; forza di cui i fuochi, per « quanto formidabili, del vulcano terrestre ove siamo, non « ci offrono che un minimo , incomparabile esempio nella « sua entità e nei suoi effetti; noi che da questa eminente « protuberanza della superficie terrestre già sentiamo gli « effetti del benefico raggio, mentre regnano tuttora le te- « nebre per i sottostanti nostri simili Noi per i « primi ti salutiamo come fonte di gioia e di vita! » (1). Ma la terra e 1' atmosfera sotto la potente influenza del sole ricevono direttamente altra forza viva con apparen- za di elettricità e magnetismo, i quali alla loro volta tro- vate le opportune condizioni, si risolvono in calore. (1) Silvestri — Un viaggio all' Etna pag. 73. DEL CALORE TERRESTRE 65 Gli studi sulle perturbazioni magnetiche alla superficie terrestre per influenze di aurore boreali, di mutamenti cli- matologici, di periodi temporaleschi e di altri fenomeni del tutto meteorici, ci fanno apprendere quale rapporto non ci sia tra l'atmosfera e la terra, tra esse e i varii fenomeni che influiscono sul loro stato magnetico. La terra fu considerata da Gauss come il risultato di 8464 trilioni di sbarre di acciaio, ciascuna del peso di una libra e calamitata a saturazione. Per rilevare ora a quali effetti ci conduce il dover considerare la terra come una potente calamita, basta ricordare direttamente le manifesta- zioni calorifiche delle calamite medesime. Coli' accostarle o scostarle dai circuiti spirali e col magnetizzare o smagne- tizzare, o turbare in qualunque modo lo stato magnetico dei ferri si hanno correnti assai energiche utilizzabili come le ordinarie a generare luce e calore colle solite leggi ab- bastanza note. — La terra stessa operando come una cala- mita induce queste correnti. Tali fatti rilevati in piccolo nei piccoli mezzi di cui i nostri artiflcii possono disporre, facciamo di applicarli alla grandezza relativa della terra e rileveremo direttamente quale causa compensatrice non siano i fatti magnetici che si compiono nel nostro globo sotto l' influenza solare. Tutte le induzioni magnetiche infatti danno sviluppo di calore per qualche solo intermedio meccanico e rammente- remo soltanto come queste induzioni esercitate sulle masse deferenti ci diano il modo di trasformare la potenza ma- gnetica in effetto calorifico mediante l'intermedio meccani- co. — Nessun altro mezzo certamente meglio che la terra potrebbe valere a determinare quella trasformazione, con- siderando la sua natura nei differenti aggregati costitutivi e nelle perenni accidentalità che il circolo delle cose impo- ne alla proteiforme esistenza di quella. Ora l'influenza del sole sulla elettricità e sul magne- 66 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE tismo terrestre non è una deduzione, ma un fatto positiva- mente osservato anche durante il fenomeno dell' eclisse totale di sole in Sicilia nel 22 dicembre 1870 (1). Il prof. Francesco Maugini (allora a Girgenti) per co- statare P influenza del sole sulla elettricità, sperimentò con una pila di Granét, la cui intensità elettrica segnava alla bussola costantemente tre gradi di deviazione verso ovest — Al momento della eclisse la deviazione diminuiva in ragione che il sole oscuravasi, e nell' istante della totalità P ago si avvicinò di 1 3/4 al'° zero — Al ricomparire della luce l'ago cominciò a muoversi in aumento d' intensità con una pro- gressione uguale a quella con cui era disceso nell'oscurarsi del sole , aumentando collo scoprirsi dello stesso in modo che al termine della eclisse l'ago era di nuovo ritornato ai suoi primitivi tre gradi. ColPoccultarsi del sole adunque l'intensità elettrica sotto la cui influenza trovavasi l'ago della bussola era diminui- ta, aumentando nuovamente col riapparire della luce — Se la luce solare (e diffusa si noti essendo stato l'apparecchio sottratto alla luce diretta) concorre in tal modo nell'aumen- tare gli effetti della forza elettromotrice sviluppata da una pila; quale energia elettrica non debba comunicare e accu- mulare nella terra il sole che direttamente e perennemente la colpisce in metà? Lo stesso Maugini osservò P influenza del sole sul ma- gnetismo usando una bilancia di Coulomb — Lo strumento alle ore 10 ■ 72 fu riparato sotto una tenda militare e, dopo livellato, fu posto a 0' — Ad lh 41m p. m. deviò di un grado verso Ovest fino ad lh 53m p. m. arrivando a 2° nel mo- mento della totalità, durante la quale rimase in questa de- viazione. Al ricomparire della luce l'ago cominciò a muo- versi verso 0°, finché terminata P eclissi ritornò a 0°. (1) Vedi Kapporti sulle osservazioni dell' eclisse totale di sole del 22 dicembre 1870. DEL CALORE TERRESTRE (37 Contemporaneamente il prof. Palmieri otteneva gli stessi resultati, confermando così le osservazioni già eia lui stesso fatte neH'ecclisse del 18 luglio 1SG0. Nella stazione di Terranova di Sicilia intanto, Diamilla Muller e Luciano Serra incaricati a tali osservazioni, costa- tavano lo esperimento mondiale dell' agosto 1869, cioè che le variazioni diurne del magnetismo si ripetono sulla super- fìcie della terra secondo 1' ora del tempo locale. L'ago magnetico dello strumento, con cui sperimenta- vano, a misura che il disco solare ecclissavasi, invertiva la sua direzione dell' Ovest, ove rivolgevasi normalmente, re- trocedendo verso Est finché il sole oscurossi. — Il minimo di declinazione in quel periodo fu appunto il massimo di oscu- rità del sole , e a misura che il disco solare riappariva , l'ago magnetico tornava a riprendere la sua direzione ascen- dente occidentale. In tutte le altre stazioni più o meno lontane dalla zona di totalità del fenomeno solare si ebbero gli stessi risultati, essendosi ancora constatato che la diminuzione regolare del- l'angolo di spostamento dell'ago magnetico fra Est e Ovest fu a secondo dell'allontanarsi della stazione medesima dalla zona di centralità. — In tal modo fu pienamente confermato il fatto della influenza solare sul magnetismo terrestre. Questa influenza poi elettro-magnetica del sole sulla terra, si ripete anche per l'atmosfera, la quale trovandosi in comunicazione col nostro globo, gli comunica potenza viva trasformabile in calore, ricevuta precedentemente dal sole medesimo. ATTI ACC VOL. XV. 10 68 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE CONCHITJSIONE È un fatto che la terra, per la continua irradiazione, per la evaporazione delle acque alla sua superficie e per tutte le manifestazioni in genere del vulcanismo, perde ca- lore.— È un fatto che un corpo perdendo calore deve raf- freddarsi lino a quando non si stabilisca un equilibrio di temperatura tra esso e i corpi circostanti che ne ricevono il calore. — Dunque la terra perdendo calore si deve raffred- dare, e siccome è circondata dagli spazi celesti, dovrebbe ridursi alla temperatura di essi, che è voluta centinaia di gradi sotto zero; cioè più fredda che una massa di ghiac- cio, e in cui si dovrebbe spegnere ogni traccia di vita e fors' anche di movimento. Moderni geologi però dando maggiore importanza alla scuola di osservazione, hanno trovato che la terra malgra- do quelle perdite non ha giammai dato né dà alcun segno di agonia; anzi hanno trovato tutti i possibili dati per do- vere ammettere necessariamente che la sua interna attività non è in diminuzione, come da taluni si teme. Trovati questi due fatti tanto opposti, cioè perdita sen- za diminuzione, furono portati ad ammettere la continua riproduzione, la continua restituzione di cièche perdesi. — Queste idee hanno trovato la conferma quasi nella univer- salità, essendone pruova principale la intermittenza di quei fenomeni che determinano le più importanti perdite di ca- lore. Si è formulata qualche ipotesi per ispiegare le cause determinanti quella riproduzione, e abbiamo riportato quella dello Stopparli, il quale ne trova le cause nelle interne com- binazioni chimiche attivate dalla circolazione dell'acqua. È innegabile che le combinazioni attivate dall' acqua sviluppano calore, ma osservo però ch'esse sono per me DEL CALORE TERRESTRE 69 una causa secondaria, giacché considerando oggi che tutti gli agenti fisici e le combinazioni chimiche ancora, non so- no che diverse manifestazioni di moti meccanici determinati da una data e unica forza, per prodursi quelle combina- zioni bisogna ch'essa venga loro apprestata per essere poi trasformata in calore. — Ora se questa forza è somministrata dalla terra stessa, importa che sempre giungerà ad esau- rirsi perchè continuamente si perde. Io invece credo e ammetto che le combinazioni chimi- che e l'acqua siano condizioni principali perchè la forza restituita per altre vie alla terra venga trasformata in ca- lore: che questa forza venga ridata alla terra da influenze, le quali trovano sede fuori di essa, le restituiscono in parte la stessa forza perduta, e in parte le danno forza nuova. Ecco in riassunto le cause che, secondo me, determi- nano quelle influenze compensatrici. Sappiamo che oggi non si fa più differenza tra moto meccanico e agenti fisico-chimici, ma che tutto debbasi al- l' applicazione di una sola forza determinante diversi generi di movimenti. — Dunque volendo rintracciare cause che pos- sano dare calore, basta trovar moti da modificare. — E vi- ceversa per perdersi calore, non ha da farsi che produrre moti. — Ora la terra col calore perde forza la quale si dif- fonde e si utilizza negli spazi che la circondano, cioè prin- cipalmente viene data all'atmosfera che è l'involucro più contiguo alla terra. Ma l'atmosfera è sede di grandi feno- meni prodotti dall'unica forza ed è in relazione intima con la terra stessa; dunque bisogna vedere se f atmosfera può restituire alla terra la forza ricevuta per concorrere a man- tenere l'unità nel perenne circolo delle cose. La massa gassosa atmosferica che riceve il calore per- duto dalla terra , si dilata , e la forza viva equivalente a quella quantità di calore viene così utilizzata in lavoro mec- canico di dilatazione. Ma 1' aria compie un sistema di cir- 70 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE colazione per cui le grandi masse atmosferiche scendono dalle alte alle basse regioni, si comprimono e sprigionano in contatto con la terra quantità di calore, come lo svilup- pano tutte le masse gassose che si coprimono. — Ciò si ren- de principalmente sensibile calcolando la forza meccanica dei venti e degli uragani che lasciano effetti portentosi. — Questi anche provano quale attrito esercitano le masse atmosferiche sulla terra con f enorme loro peso calcolato a circa 1342900 milioni di tonnellate. — Ma nell' attrito si sviluppa calore, correnti elettriche ed altri agenti fisici, che facilmente vanno a trasformarsi in calore. — Dunque la ter- ra riceve dall' atmosfera forza e calore. Tutta l'acqua delle pioggie è acqua evaporata in par- te a scapito del calore terrestre, e si è sospesa nell' atmo- sfera utilizzando quel calore in lavoro meccanico ascensio- nale. Condensandosi quei vapori in pioggia, la forza viva è consegnata in parte all'atmosfera per determinarvi tutti quei fenomeni elettrici e magnetici di cui faremo parola, e parte viene restituita alla terra per la caduta dell' acqua ; perchè la meccanica ci apprende che un corpo sollevato in alto assorbe forza viva ; questa , cadendo il corpo, si tras- forma in calore pel solo arresto della caduta, compiendo- si così la trasformazione di moto in calore. La maggior parte di forza che 1' atmosfera rende alla terra, la dà sotto apparenza di correnti elettriche e magne- tiche, le quali producono in essa tutti i fenomeni che noi studiamo nelle comuni esperienze. — In queste rileviamo la produzione di effetti meccanici, calorifici, ec. perchè sappia- mo che una corrente elettrica, incontrando una resistenza, si trasforma in calore : che le resistenze sono in ragione diretta della lunghezza del filo conduttore, e che la quan- tità del calore sviluppato è in ragione delle resistenze in- contrate.— Ora nelle correnti, che, provenendo dall'atmosfe- ra, serpeggiano nella terra, abbiamo tutte le favorevoli con- DEL CALORE TERRESTRE 71 dizioni perchè l' elettricità si trasformi in calore, avendo per Ali tutte le dimensioni della terra e incontrando resisten- ze potenti per la varia natura dei fili. Considerevole ancora dev' essere il calore prodotto da quelle correnti che passano pei liquidi carichi di sostanze saline nello interno della terra. — Pouillet trovò che le dis- soluzioni saline hanno una resistenza 16 milioni di volte maggiore che quella del rame. Or l' acqua attiva le combinazioni chimiche e circolan- do nello interno si carica di sostanze saline. — È per questi fatti che i due fenomeni accennati, ossia combinazioni chi- miche e circolazione di acqua acquistano importanza nella riproduzione del calore interno; perchè le prime trasformano in calore la forza ritornata alla terra per diverse vie; la se- conda compie anche tale fatto per le resistenze energiche che oppone a tutte le correnti. — Dunque piuttostochè le com- binazioni chimiche e 1' acqua dirsi cause compensatrici, so- no condizioni per trasformare la forza in calore. Ma la forza che si rida alla terra sia con 1' aspetto di calore sia con altro per essere sempre trasformata in quel- 1' agente, non devesi ripetere solo dall' atmosfera. — Io am- metto che principalmente devesi alla influenza solare pel ca- lore e luce da esso emananti; anzi affermo che da solo ba- sterebbe a mantenere perenne e forse crescente l'interna attività della terra. Tutti apprezziamo il calore che somministra alla terra il sole, e più di noi possono calcolarlo quelli che trovansi nella zona torrida ove sono mummificati dall' afa brucian- te— La terra perennemente in metà è sotto la diretta in- fluenza solare, quindi perennemente riceve calore — Ma que- sto non s' interna solo come calore o per gli effetti che co- me tale produce; ricordiamo che determina correnti termo- elettriche , le quali aumentate da altre correnti prodotte dalla elisione del moto calorifico neh' urto che i suoi raggi 72 CAUSE DETERMINANTI LA RIPRODUZIONE subiscono incontrando la terra, e per gli effetti delle com- binazioni chimiche eh' esso determina, tutte vanno a tras- formarsi in calore trovando nell' interno le condizioni op- portune. La luce poi anche scompagnata dallo spettro calorifico; non esercita minore influenza. — Si sa che la luce è manife- stazione di moto , il quale si propaga con la velocità di 308000 chilometri per secondo. — La terra incontrando tali raggi e arrestandone il moto, deve assorbire forza per la eli- sione prodotta, e quindi ricevere calore e altre correnti tras- formabili in calore. — Infatti per quanto spinto si voglia il potere riflettente di un corpo, la luce riflessa non è uguale d'intensità alla incidente; perchè l' equivalente di forza viva di quella differenza è stato assorbito dal corpo che riflette la luce: la terra è in tale condizione. Ma la forza della luce possiamo anche desumerla dalle combinazioni alle quali dà luogo, e per le quali senza la luce bisogna o una sorgente considerevole di calore o la corrente elettrica. — Si rileva anche per la forza che utilizza nelle piante decomponendo l' acido carbonico dell' aria men- tre esso non è affatto decomposto dal sodio o potassio, che anche a temperatura ordinaria sottraggono l'ossigeno a moltissimi corpi che lo contengono, e i quali possano solo prodursi per l' influenza della energica forza della corrente elettrica o altra equivalente. — I fisici infatti hanno calcolato che un chilogrammo di carbonio per liberarsi dal suo os- sigeno col quale può trovarsi combinato, bisogna assorbire la potenza viva equivalente a 8030 calorie; cioè tanto ca- lore quanto ne bisognerebbe a far bollire circa 81 chilo- grammi di acqua. — E chi può asserire che la luce non si abbia maggiore energia di quella manifestata nel fenomeno della respirazione delle piante? La terra riceve ancora dal sole direttamente elettricità e magnetismo, come si confermò fondatamente nella eclissi DEL CALORE TERRESTRE 73 totale di sole avvenuta in Sicilia nel 1870 — elettricità e ma- gnetismo che per le resistenze e pel turbamento magnetico per intermedio meccanico, si trasformano in calore. — Così la terra, oltre la forza che le si restituisce, riceve sempre forza nuova per l' influenza perenne del sole onde non in- debolirsi la sua proteiforme attività interna. Certo che le accennate cause compensatrici non sono tutte quelle, per le quali si rida alla terra il calore perduto, ma è certo ancora che bastano a sufficienza per poterle ri- conoscere agenti riparatori di quelle perdite. Invece di fan- tasticare cercando fuori della natura le sorgenti di com- penso o disperare di rinvenirle, o temere e calcolare 1' ul- timo giorno di vita della terra, possiamo trovare naturali le leggi del minimo mezzo e riscontrare le vie eli compenso in fenomeni semplicissimi, per confermarci sempre nel fatto del perenne circolo, a cui si informa la natura, la quale ne invecchia ne si distrugge, ma stando all'ordine attuale solo si trasforma per ricomparire la stessa, tracciando così un circolo indefinito senza principio e senza fine. Terranova (Sicilia), gennaio 1880. SULLE ARMI DI PIETRA E DI BRONZO RINVENUTE IN VARII SITI DELI/ ETNA MEMORIA LETTA IL 27 SETTEMBRE 187o ALL'ACCADEMIA GWENIA Dal Socio attivo e membro del Comitato di essa D.' ANTONINO SOMMA Cav. dell'Ordine 'della Corona d'Italia e Socio Corrispondente di varie Accademie Scientillco-Letterarie nazionali ed estere. e L'uomo dimora in Europa da un'epoca tanto re- o mota, elle la tradizione e la storia non ci danno la ci menoma luce intorno alla sua origine ed al modo di ■• vivere.» Vedi Lubbock. I Tempi preistorici e l'origine dell'incivilimento. Capitolo I, con un capitolo intorno all'Uomo preistorico in Italia del Professore Arturo Issel. Torino 1874. <■ Noi abbiamo una serie di fatti, I quali possono ic darci un'idea abbastanza completa dello stato del- l'l'uomo primitivo e dei suoi lentissimi progressi at- ei traverso alle miriadi di anni verso un graduale per- ii fezionamento. » Buchner. L' uomo, parte prima, pagi- na 79. n'onrt<> veniamo ? Milano 1871. In questo solenne giorno in cui riuniti ci siamo in se- duta straordinaria allo scopo di celebrare il cinquantesimo anno di vita della nostra preclarissima Società, e nel quale quasi ognuno dei Soci è in dovere di concorrere giusta le proprie forze . ad accrescere lustro a questa grave e scien- tifica solennità con qualche lavoro che sia degno di essa : io, ultimo fra tutti i miei illustri Consoci per dottrina , non ho voluto però , in onta alla debolezza della mia mente , rimanermi inerte in tanto movimento scientifico , che tale dee riguardarsi una festa accademica : ed ho scelto qualche argomento di attualità, il quale non credo sia per riuscire i- ATTI ACC. VOL. XV. 11 76 SULLE ARMI DI PIETRA E DI BRONZO nutile o disadatto alla circostanza ; perocché non offre delle semplici idee, ma i risultati di talune ricerche da me da qualche tempo intraprese, ed alcuni ritrovamenti che ri- guardano l'antichità dell'uomo etnèo e taluni monumenti dell'industria primitiva di lui. Prescindendo di occuparmi anche in piccola parte delle grandi questioni che attualmente si agitano in Antropologia sull' origine degli animali e principalmente dell' uomo : sì perchè non havvi ancora un cumolo di fatti evidenti e in- contrastabili e di ciliare dimostrazioni atte a risolvere quelle importantissime controversie, e perchè non son da tanto da penetrare nel caos di questa lotta di contrarie e oppo- ste opinioni : le ricerche , alle quali mi son limitato , son puramente archeologiche, e riguardano 1' antichità dell'uo- mo e a preferenza alcuni monumenti dell' industria umana primitiva, Per altro son convinto , che, ove senza addurre fatti novelli e nuove osservazioni si volesse da qualcuno prender parte a tanta lotta, altro far non potrebbe che copiare e ripetere idee e parole divenute ora assai comu- ni: e cotesto, quanto inutilmente e vanamente , ognun può immaginare. Niuno sconosce o Signori, nell'attualità del sapere i ser- vigi resi alla scienza della Terra e all' Antropologia dal- l'Archeologia preistorica, la quale alla sua volta, illuminata dalla Geologia , ha potuto oramai stabilire alcuni dati di somma importanza , per lo addietro sconosciuti , dissipare vari dubbi, e risolvere talune grandi questioni. Così si è giunti a stabilire che, l'antichità dell'uomo, confermata o- ramai da migliaia di osservazioni, risale molto al di là di quanto comunemente credevasi : i costumi e il modo di vivere dell'uomo primitivo sono stati ampiamente disvelati dal profeta di Abbeville, l'ardente apostolo dell' antichità dell' uomo, da Boucher-de-Perthes , e dagl' illustri signori RINVENUTE IN VARII SITI DELL' ETNA 77 Lartet, Crysty , Eduardo Dupont , Darwin, Huxsley , Fi- quier, Buchner, Lubbock, Issel, Stopparli, Omboni, Gastaldi, Marinoni , e da tanti valorosi ingegni contemporanei che hanno preso distinto posto nella scienza del nostro secolo in riguardo cioè, all'antichità dell'uomo. E chi avrebbe potuto vaticinare un tanto e sì rapido volo dei summentovati sublimi rami del sapere , quando Boucher-de-Perthes , chiamato giustamente il Profeta d' Ab- beville , 'avendo presentato all' Istituto di Francia i primi saggi della industria umana primitiva, le armi cioè di pie- tra da lui scoverte , venner dichiarate, piuttostochè lavori usciti dalla mano dell' uomo , accidentali conformazioni e configurazioni del tutto illusorie ì Eppure, le posteriori ri- cerche di quel dotto illustre, condotte colla più ammirevole perseveranza , e quelle ancora di altri sommi naturalisti , convinsero gì' increduli più ostinati, e generalmente fu resa giustizia alle scoverte del primo fortunato esploratore. I monumenti dell'industria dell' uomo primitivo; la coe- sistenza di tali monumenti con i resti di animali , oramai estinti da lungo tempo , tali che il Mammhout , il Rinoce- ronte tricorino, la Iena e l' Orso delle caverne, non che al- tri, e taluni resti di umana carcassa in terreni che appar- tengono al pleistocenico , dimostrano, che l' uomo visse in quella stessa epoca , la quale, sebbene noverasi tra le re- centi, rimpetto a quelle dalle quali venne proceduta, tutta- via segna d'allora allo stato attuale della Terra tale una distanza, da misurare più centinaia di migliaia di secoli ; che se ancora una tal misura di tempo non si è potuta precisare, si è perchè i calcoli che si son fatti non sono che approssimativi, lo che deteggesi dai risultati molto diversi di tali calcoli: e sebbene vi ha chi non creda a tal lunghezza di tempo ; tuttavia , opiniamo non esservi alcuno, a meno che non sia del tutto della scienza geologica ignaro, che pos- 78 SULLE ARMI 1)1 PIETRA E DI BRONZO sa ammettere essere scorsi soltanto sei mille anni dalla crea- zione del gioito sin oggi (1). Si può dunque oggi affermare, l'uomo esser molto an- tico, e ancora, (2) che egli, sia stato tutt'altro di quello che è, nei primitivi tempi del suo apparire sulla Terra , e se non in quanto, forse, all'essere suo materiale e alla spe- ciale sua caratteristica, bensì certamente in riguardo alla coltura del suo intelletto, al suo modo di vivere, ai mezzi di mantenere la sua esistenza e a tante altre condizioni. Imperciocché, egli era l'abitatore delle caverne; ignaro, co- me dice l'egregio Stopparli, della edelizia, dell'agricoltura; (1) Le osservazioni geologiche fatte dal chiarissimo professore Issel l'an- no rimontare 1' esistenza dell' uomo al periodo pliocenico per la casuale sco- perta fatta da lui in Savona nello scavare le fondamenta della chiesa delle Suore della Misericordia nel 1852 di uno scheletro umano rinvenuto nella marna pliocenica. - Vedi Issel , L' Uomo Preistorico In Italia. Versione dell' opera di Lubbock. E il prelodato autore in progresso dice (loc. cit.) che nei terreni post- « pliocenici gli esempi di fossili umani sono meno rari che nei pliocenici , « e la giacitura loro fu accertata più d' una volta con tutto il rigore della « scienza. » E addippiù. « Un cranio umano trovato nella località detta dell' Olmo « presso Arezzo, il quale a quindici metri di profondità in letto di argilla « turchina fu messo allo scoperto da mi taglio eseguito per la costruzione « della ferrovia Aretina. » (2) 11 sommo geologo Sir Carlo Lyell considera il terreno di alluvione della valle di Somme, il quale contiene strumenti di selce e gli avanzi del Mammoni e della Iena, come con un calcolo moderatissimo non sia meno antico di cento mila anni. Vedi Lyell . /' Ancienneté de V Homme prowoé par la Geologie. Paris 1864. Però il signor Luigi Bùchner, (Scienza e Natura, capitolo X M. Stefa- noni, Milano 1868,) cita Brone, il quale fa ascendere «a 100000 anni P an- « tichità del periodo di alluvione ultimo della formazione della terra, e nel « quale ci troviamo anche attualmente: cifra di una metà superiore a quel- « la di 100,000 anni fin qui ammessa. Parimenti in Egitto, asserisce il signor Volger, furono scoperti a tren- RINVENUTE IN VARI] SITI DELL'ETNA 79 ignaro dell' uso dei metalli ; vivente fra le belve come bel- va, ecc., Corso di Geologia Voi. II § 13S2. Egli, come anco dice la Genesi, trovavasi in principio, nudo, e senza protezione. Inerme, stando incontro all'av- versa natura e circondato di perigli e di bestie feroci, egli dovette man man trovare i mezzi acconci alla difesa, i quali ebber poi col lungo attraversare dei secoli il necessario perfezionamento. Se egli apparve sulla Terra nelle più mi- serabili condizioni di esistenza, si aveva però quella grande facoltà fornitagli dalla natura, a suo esclusivo attributo, la perfettibilità: mercè cui, se 1' animale rimane sempre al me- desimo posto, l'uomo progredisce sempre e sempre più perfezionasi. « Considerando, dice il Darwin, lo stato at- « tuale (dell' uomo), è impossibile non prevedere con grande ta piedi sotto lo strato limaccioso del Nilo desìi strumenti di pietra die fanno rimontare l' incivilimento egiziano a 17 mila anni prima della no- stra era. Altresì Davide F. Straus porta 1' origine dell' uomo a centinaia ed a migliaia di anni. Vedi F. Straus — L' antica e la Nuova Fede. Milano 1876. Il conte di Pourtalès ha trovato nella conglomerazione calcaria della spiaggia del mar di Monroe, nella Florida, parte di uno scheletro umano, la di cui antichità è da Agassitz valutata a dieci mila e più anni. Scavimelo il terreno nel letto del Mississipì per stabilire le fondamenta dell' usina del gas di Nuova Orleans sotto sei differenti strati, si trovarono dei cranii e degli ossami umani della razza americana , la di cui età si calcola in 57,000 an- ni. Vedi Luigi Bjiichner , Scienza e Natura, versione di Stefanoni Milano 1868 a pag. 110. Il professore signor Bongartner asserisce come un fatto pienamente pro- vato, « che il mondo animale, nei varii periodi creativi e per il lasso di « parecchi milioni d'anni, ha progredito per diverse serie, procedenti con « cammino parallelo verso l'apice dello sviluppo, per modo che è ora addi- « venuto materialmente più perfetto di quanto era in origine. » Vedi Bùch- « ner, Scienza e Natura, saggi di filosofia e scienza naturale, versione di Luigi Stefanoni. Milano 1868, pag. 196. 80 SULLE ARMI DI PIETRA E DI BRONZO « aspettazione il futuro progresso di quasi tutto l' Uni- « verso. » (1) La più importante delle scoverte dell' uomo primitivo fu quella del fuoco. « Egli è certo,, dice il chiarissimo Fi- « quier, (L' uomo primitivo , Capitolo 2.° — Traduzione di « M. Marinoni — Milano 1873), che la conquista del fuoco « deve figurare fra le più belle e preziose scoperte dell' u- « inanità. Col fuoco, furono dissipate le tenebre degli antri « e delle caverne, dove V uomo cercava il suo riparo. Col « fuoco il più rigido clima diventò abitabile. Il fuoco dimi- « nui il pericolo delle bestie feroci, poiché un istinto gene- « rale porta gli animali selvaggi a temerne la luce ed il « calore. In mezzo a paesi infestati dalle fiere i primi uo- « mini poterono dunque col mezzo di un fuoco acceso du- « rante la notte riposarsi e dormire senza temere gli attac- « chi dei grandi animali selvaggi, che ronzavano , e rosic- « chiavano ad essi vicino. » (1) Quel barbaro e selvaggio uomo era nudo; l'illustre inglese viaggia- tore e naturalista signor Wallace ha detto pure che l'uomo era nudo e sen- za protezione. Inerme trovandosi incontro all'avversa natura e circondato da- gli animali feroci che gl'insidiavano la vita in ogni momento, per garentir- si dai loro attacchi si fabbricò le armi ; la stessa natura gli offrì i primi mezzi; fu la pietra che adoperò rozzamente abbozzata in varie forme, tali co- me in mazzuoli, mazze , martelli , ascie , che dopo lungo tempo queir uomo perfezionò inventando altri litici strumenti. Indi rinvenne il modo d'immanicar la pietra entro bastoni fessi in pun- ta, legandola fortemente con tendini di animali od anche con legaccia vege- tale, onde a man salda colpire l'avversario. Poscia inventò l'arco , e fabbri- cò con la selce la freccia per uccidere gli animali nella loro rapida corsa. Ed alla fin fine pel corso dell'indefinito numero dei secoli quell'uomo con la lenta e progressiva intelligenza da barbaro e selvaggio qual fu nei primordii di sua esistenza; si parva Kcet coniponere magnis, la sua mente pervenne a tanta altezza di pensare, per quanto arrivò a dominare la stessa Natura, e giustamente fu chiamato il Re della Terra. Vedi Giorgio P. Marhs. La superficie terrestre modificata dall'Uomo. Firenze 1870. RINVENUTE IN VAKII SITI DELL' ETNA 81 E questo solo mezzo non bastando, 1' uomo se ne pro- curò degli altri, non solo per la sua difesa, ma non pure per attaccare gli animali minacciosi che lo circondavano , onde poter da loro ottenere nutrimento e modo a coprire le sue carni ignude. Certo, che sulle prime di foglie di piante vestissi, ma in seguito di pelli di animali. « Le tradizioni « cinesi, così leggesi nel Fiquier, ci raccontano che 1' uomo « dapprima visse nudo sugli alberi, e senza conoscere l'uso « del fuoco. Più tardi esso si coperse di foglie e di scorze « di alberi ed infine di pelli » . (Vedi Fiquier opera citata.) Queir uomo si vestì delle pelli di animali, indossandosele prima ammorbidite col grasso degli animali stessi, e cucite con tendini col mezzo del punterolo di osso o di pietra al suo modo rozzo e grossolano. Dalle ossa lunghe spezzate ne succhiò il midollo : deli- zioso manicheremo per queir uomo bestiale. Era intanto per lui preciso bisogno fabbricarsi delle armi : ma egli non conosceva ancora i metalli ; non aveva fatto cioè , ancora , e sì che dovette passar lungo tempo , la scoverta del bronzo e del ferro; e perciò si rivolse sulle prime alla pietra : ma la pietra non poteva altro sommi- nistrargli che la materia soltanto per la fabbrica delle sue armi ; strumenti non poteva averne per dare alla pietra le desiderate configurazioni all' uopo: ed è perciò eli a per lavorare la pietra fu necessità servirsi della pietra istessa. Gli uomini primitivi furono per questo i precursori dei moderni classici scultori. Il primo uomo, così si esprime, Boucher-de-Perthes, il « primo uomo che battè un sasso contro un altro per dargli « una forma, ha dato il primo colpo di scarpello che ha fatto « la Minerva e tutti i marmi di Partenope. » ( Vedi Boucher de-Perthes, De l'homme antediluvien et des ses ouvrages. Paris 1860). È perciò che le prime armi di pietra ci offrono un la- 82 SULLE ARMI DI PIETRA E DI BRONZO voro cosiffattamente grossolano da sembrar piuttosto, come si accennò, accidentale, che uscito dalle mani dell' uomo . ovverosia una vera arma. E fu per ciò, come si disse, che gì' illustri Membri dell'Istituto francese, s'illusero sulle pri- me sulla vera natura delle pietre come armi primitive presentate dal celebre Larthes. E non solo della pietra si servirono gli uomini primi- tivi per fabbricare le loro armi, ma pure di ossi , denti e unghia di animali, come cantò uno dei più sublimi poeti, il Lucrezio Caro : Arma antiqua manna , ungnes , dentesque fuenmt et lapidea. (Vedi Lucrezio Caro. Ite rerum Natura]. V.) Il Lucrezio C. in questo quinto libro tratta, come si sa dai letterati, della storia della Creazione : essa contiene una rimarchevole digressione sullo sviluppo progressivo del ge- nere umano e del suo incivilimento. Egli così descrive i primi uomini. « Più forti e più violenti degli uomini attuali; i nostri « primi antenati vivevano come gli animali, nudi nelle ca- « venie e nelle foreste. Poco a poco eglino appresero a « vincerli ; si vestirono delle loro pelli; fecero uso del fuoco, « ed andarono progredendo. » L'accennato uomo preistorico, Troglodito chiamato da Plinio seniore, abitò le grotte; specus er ani prò domibus, al dir dello stesso Plinio. E lentamente progredendo nello incivilimento, quell'uomo arrivò a scoprire il fuoco, ed in quelle abitate grotte si accese il primo focolare di famiglia, che gli fu di salutare utilità, allontanando da lui le feroci belve. Dopo le armi di pietra, l'uomo , avendo fatta la sco- verta del bronzo , fabbricò con questa lega metallica le armi e in seguito col ferro, molto più tardi discoperto. Ed è RINVENUTE IN TARII SITI DELL' ETNA 83 per codesto, che si sono distinte tre diverse e successive età: l'età cioè, della pietra , 1' altra del bronzo , e 1' ultima del ferro. Il professore Issel osserva a questo proposito: « che « gii abitatori d'Italia nell'età del ferro fecero poco uso di « questo metallo in confronto al bronzo; ed Omero asseri- « sce che, i soldati delle armate Greche e Troiane erano ar- « mate di ferro, mentre i comandanti e i grandi guerrieri « delle belligeranti parti contrarie guerreggiavano con le « armi di bronzo, come più antiche e pregevoli. » (Vedi Is- sel, L'uomo preistorico in Italia, — Versione dell'opera di Lubbock). E per ciò che esporremo in prosieguo del nostro ra- gionamento, è uopo ricordare, qualmentechè, l'età della pie- tra puossi dividere in due epoche, sebbene questa divisione a noi sembra aver del fattizio, non potendosi recisamente assegnare il fine dell'una e il principio dell'altro; perchè dall'inizio dell'età della pietra alla sua fine fuvvi un gra- duale perfezionamento. Intanto appartengono alla prima e- poca, archeoìitica, quelle armi, che grossolanamente fabbri- cate, non presentano che informi configurazioni, né alcun pu- limento e regolare disegno: laddove quelle che alla secon- da epoca o neolitica si riferiscono , son tutt' altre , e pre- sentano un lavoro esatto e forme regolari. Alcune , come due che ho l'onore di presentarvi son così finite, da sem- brare un'opera, piuttostochè antica, recente. Facendo qualche considerazione sulla natura della pietra, di cui gii uomini primitivi si servirono per fabbrica delle loro armi, possiamo dire anzi tutto , che, la natura della pietra predetta non è la stessa nelle diverse armi di pietra sebbene la selce sia la più comune; si servirono in gene- rale delle pietre più dure che riusciva lor di rinvenire nei luoghi ove abitavano, come di lava, o di basalto nei luoghi prossimi ai vulcani, e di serpentino altrove. Prima che l'arte avesse scoperto le armi in selce del- ATTI ACC. VOL. XV. 12 84 SULLE ARMI DI PIETRA E DI BRONZO l'epoca primitiva dell'età della pietra, quelle della seconda epoca ovverosia, le ascie di pietra, si conoscevano; ma non come strumenti venivano riguardate dai volgari: i quali spiegavano in vari modi la loro origine e la loro signifi- cazione, e conseguentemente il loro uso. Alcuni credevano esser piovuti dal Cielo; altri un resto di fulmine sprofondato nel suolo, chiamati così Cugna di trono ; ed altri ancora ammettevano che questi corpi abbiano la potenza di allon- tanare il fulmine; e queste sciocche e superstiziose idee do- minano tuttora nelle menti volgari, e possonsi citare an- cora uomini degni di considerazione che sono incorsi in tali errori. Tanto è vero che dai pregiudizi e dalle superstizio- ni non sono stati esenti talvolta le menti più elevate ! Ed ecco in conferma di quanto diciamo ciò che scrisse il Lubbock. « La credenza che le ascie e le saette di pietra « cadessero dal cielo fu professata da Paracelso, da Gesner « e da altri filosofi dell' antichità : e tuttora è dominante « nel volgo da un'estremo all'altro della penisola come in « molte parti di Europa. « Si venne a conoscere poco tempo addietro come lo « stesso pregiudizio fosse in pieno vigore al Giappone. I « nostri contadini; e massime i montanari, sono persuasi « che abbiano il potere di allontanare il fulmine: per la « qual cosa le conservano preziosamente nelle loro case. « In Liguria e in Piemonte pretendono di sperimentare « la virtù di quelle pietre, avvolgendo loro intorno alquan- « to Alo, e ponendole al fuoco; che le pietre del fulmine « priedutrum ( in dialetto ligure ) essi dicono , fanno im- « pedimento alla combustione del filo. » ( Vedi Luhbock — Opera citata). Oggi sulla significazione di tali oggetti non cade più dubbio di sorta; sono armi e strumenti di cui servivasi, co- me si è detto, 1' uomo primitivo, e se ne trovano di varie RINVENUTE IN VARII SITI DELL' ETNA 85 forme e qualità in moltissimi luoghi. Un giorno mi surse in mente 1' idea di rintracciare alcune di queste armi di pietra nel perimetro etnèo; ed ecco che ne ebbi rinvenuta qualcuna: ma la maggior parte le vidi nel ricco gabinetto di storia naturale e archeologico del pregevole mio amico, l'illustre Commendatore professore signor Andrea Aradas sommo nostro presidente, che mi permise benevolmente di farne argomento di mio studio. Tutti questi strumenti di pietra trovati nella regione piedimontana dell' Etna e nel primo principio della boschiva, appartengono più all'epoca neolitica, che all' archeolitica, e quelle poche che spettano a quest' ultima, debbono ri- ferirsi a quel tempo, che si può riguardare come un pe- riodo di mezzo tra la prima e la seconda epoca: periodo ben lungo, di transizione, diremo noi, in cui l'uomo progre- dendo, incominciava a lavorare questi strumenti di pietra in modo da avvicinarsi al grado di perfezionamento che mostrò nell'epoca assolutamente neolitica. E così io vidi esser delle ascie di pietra rinvenute nel circondario etnèo dal signor Ingegniere Antonino Calabro presentate e descrit- te in una da esso lui data pubblica conferenza, non è molto tempo. Or, se si volesse profferir giudizio sugli strumenti di pietra trovati nella predetta regione, in riguardo alla loro antichità, potrebbesi trarre la conseguenza, che l'uomo etnèo sia stato meno antico degli altri; ma un tal giudizio sarebbe mal sicuro e di mera probabilità, perchè poggiato sopra dati incerti; e per altro potrebbe venir meno per Io scoprimento che potrebbe in appresso avverarsi di stru- menti ed armi di pietra appartenenti all' epoca archeoliti- ca, e in conseguenza, di antichità molto maggiore. Dopo tutto ciò, scendiamo a dare il catalogo degli stru- menti ed armi di pietra da noi rinvenuti , aggiungendovi 86 SULLE ARMI DI PIETRA E DI BRONZO da ultimo la descrizione di alcuni oggetti antichi di bron- zo ritrovati nelle stesse località. Elenco e descrizione degli strumenti ed armi di pietra e di bronzo rinvenuti in varie regioni dell'Etna. PIETRA Fig. 1. — Martello di basalte rinvenuto in Mascali appartenente alla prima epoca dell'età della pietra cioè archeolitica. Presenta ra. 0, 25 in lunghezza; m. 0, 125 in larghezza, e 0, 10 di spessore. Yig. 2. — Mazzuolo (citasse tété) di basalte dell'epoca archeolitica , trovato nelle vicinanze del camposanto di Mascalucia. Misura in lunghezza m. 0, 19 e in spessore m. 0, 07. Fig. 3. — Ascia di basalte ritrovata nei dintorni di Trecastagne, apparte- nente all' epoca archeolitica. Essa è lunga m. 0, 13; larga m. 0, 6 e m. 0, 04 di spessore. Fig. 4. — Mazza di basalte, trovata in Cifali, appartenente alla stessa epoca archeolitica. Essa è lunga m. 0, 14; larga m. 0, 15, e m. 0 , 05 in spessore. Fig. 5. — Ascia di travertino verde, appartenente all' epoca neolitica , rin- venuta nei dintorni di Biancavilla. Lunghezza m. 0, 11; larghezza m. 0, 055, e m. 0, 045 in spessezza. Fig. 6. — Ascia anche di travertino verde trovata nella precedente località riferibile all'epoca archeolitica. Lunga m. 0, 11; larga m. 0, 045, e m. 0, 045 in spessore. Fig. 7. — Altra ascia di basalte, appartenente all'epoca neolitica , ritrovata nelle vicinanze di Belpasso. Lunga m. 0,09; larga m. 0, 055, e spessa m. 0, 62. Fig. 8. — Punta di freccia in selce, trovata nelle vicinanze di Biancavilla , appartenente all'epoca neolitica. Lunga m. 0, 07; larga ni. 0, 04, e spessa m. 0, 02. Fig. 9. — Altra punta di freccia appartenente all'epoca neolitica e rinve- nuta negli stessi dintorni di Biancavilla, Lunga m. 0, 10, e larga m. 0, 045. Fig. IO. — Punta di freccia trovata presso Mascali, spettante all'epoca neoli- tica. Lunghezza m. 0, 035; larghezza m. 0, 025 e spessezza m.O. 01. Fig. 11. Ornamento che l'uomo primitivo usava portare attaccato al collo, RINVENUTE IN VARII SITI DELL' ETNA 87 appartenente all'epoca neolitica, trovato nel villaggio di Torregrifo. Lun- ghezza m. 0. 035; larghezza m. 0, 035, e spessezza m. 0, 03. Fig. 12. -- Altra punta di freccia rinvenuta nelle vicinanze di Adernò ap- partenente all'epoca iirnlitica. Lunghezza m. 0, 045; larghezza m. 0, 023 e spessezza ni. 0, 028. BRONZO Strumenti rinvenuti nelle contrade di Biancavilla e di Adernò. Fig. 1. -- Ascia lunga m. 0, 210; larga m. 0, 048; occhio m. 0, 045. Fig. 2. — Ascia lunga ni. 0, 175; larga m. 0, 046; occhio m. 0, 040. Fig. 3. -- Ascia lunga in. 0, 192; larga m. 0, 35; occhio m. O, 38. Fig. 4. - - Ascia lunga ni. 0, 075; larga ni. 0. 065; occhio ni. 0, 050. ///////. VKC. 0,2*4 // / ///./// ,' /'/■'/. ,t ///.!.//-// /ss ,> //S //s/S/s sss ss /., / {'./.i. ,///,./. sss /' 6>2 , PIETRA /ss SSS/. SS/ /' /'/ ,////,/ ss/ ss SS/ ///ssr/ sss s- /./. /,si //. ss/ s- /////// SSS -s // /,////. SSS SS 6>£5~. .///, J. SS/ /> sii,'/. ///////. SSS S'. /'/' //////. /// /' tì£ . yst ■>. SS/ /> (s-P. //Ss///, ss.- si // /,/,. ///■/. ■///,./. /// 0, 04Ó ///////. 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XV. 13 92 RICERCHE SUL TASSO BACCATO tutti i caratteri dell'alcaloide sopracennato cioè : ha reazio- ne alcalina sulla carta di tornasole, spande fumi bianchi in presenza dell' acido cloridrico , ha odore di muffa che perde quando viene neutralizzata con un acido, precipita in giallo coll'acido fosfo-molibdico , e contiene dell' azoto. Si sono preferite le cristallizzazioni nel!' acqua a quelle nel- 1' alcool o neh' etere, perchè in questi due solventi è trop- po solubile; però è necessario svaporare 1' acqua alla tem- peratura ordinaria, perchè la sostanza sembra alterarsi per l'azione del calore e per la concentrazione. Parleremo delle sue proprietà alla fine della presente memoria. Il residuo, rimasto sul fondo del pallone e separato dalFaqua acida, fu sciolto nell'acool e filtrato. Distillata la maggior parte di questo solvente e lasciato il residuo a se stesso, si depositò una massa abbondante, nera e molto dura, questa massa venne decolorata col carbone animale e depurata per ripetute cristallizzazioni neh' alcool. Siccome questo metodo di depurazione sembra in sul- le prime non confacente, noi crediamo opportuno dame qui i ragguagli. Si scioglie la massa nera neh' alcool concentrato e si tratta con una piccola quantità di carbone animale, si scal- da a bagnomaria in apparecchio a ricadere per venti mi- nuti di seguito, e si filtra a caldo procurando di lasciare nel pallone il residuo carbonoso; a questo residuo si ag- giunge nuovo alcool e si torna a scaldare a ricadere per- altro venti minuti, indi si filtra come sopra; si ripete il trat- tamento con alcool del residuo carbonoso finché l'alcool passato per filtrazione dopo raffreddamento, lasci deposi- tare sostanza; il che avviene dopo venti o più trattamen- ti di seguito. Se la massa venisse trattata con maggiore proporzione di carbone animale, non si riescirebbe a nul- la, perchè sembra che quest'ultimo corpo abbia una certa affinità con essa e che la ceda diffìcilmente all' alcool. RICERCHE SUL TASSO BACCATO 93 Si riuniscono tutte le porzioni di materia depositata in seno all'alcool, sopra un filtro aspiratore, e quando tutto l'alcool è sgocciolato, si scioglie in un'altra porzione dello stesso liquido, appena necessaria a tenerla in soluzione, e si torna a trattare con carbone animale e ad estrarla con alcool, tenendo i medesimi procedimenti che furono detti sopra. Il trattamento col carbone animale si ripete sulla sostanza altre due o tre volte, quattro o cinque volte in tutto, ed allora si ha perfettamente bianca, ma essa non ha ancora raggiunto il suo massimo di purezza. Per depurarla completamente si scioglie nell'alcool pu- ro e si scalda a ricadere col bagnomaria. In sulle prime il liquido si colora e lascia separare una materia fusa che va al fondo ; si tiene a ricadere per due o tre giorni , ed allora si vede che la parte fusa diminuisce sensibilmente di volume e finisce collo sparire quasi completamente, la- sciando dietro di se un incrostamento nel fondo del vaso di nessuna importanza, mentre che l'alcool s'intorbida co- me se si andasse soprassaturando di nuova sostanza, ed è veramente così. In questo caso bisogna aggiungere altre porzioni di alcool, tanto per tenere la soluzione trasparen- te, ma non bisogna eccedere. Finita questa operazione si decanta si lascia cristallizzare per raffreddamento, si rac- coglie sopra un filtro aspiratore ed in seguito si depura per cristallizzazioni nell'alcool puro. Dopo cinque o sei di que- ste cristallizzazioni la sostanza sarà perfettamente pura ed appunto di fusione eostante. Essa è la sostanza alla quale si vogliono attribuire le virtù emmenagoghe. Delle sue pro- prietà parleremo pure alla fine della presente memoria. Le foglie die furono spossate con etere vennero poi spossate con alcool. L'estratto alcoolico, trattato nel modo che abbiamo detto per l'estratto etereo, non diede olio es- senziale, ma diede dell'altro alcaloide ed una nuova porzio- ne di sostanza bianca. 94 RICERCHE SUL TASSO BACCATO Le foglie, spossate con alcool, si spossarono con acqua distillata, e l'estratto acquoso fu diviso in due parti. Una parte fu trattata con soda caustica ed estratta con etere, il quale portò via una discreta quantità di alcaloide, che fu riconosciuto all' odore ed ai densi fumi che dava in presen- za dell'acido cloridrico. L'altra parte fu trattata con acido solforico allungato ed agitata con etere ; P etere diede un residuo acido , che doveva essere certamente 1' acido con cui era combinato 1' alcaloide. Si depurò quest' acido preparan- done prima il sale di piombo e scomponendo questo sale, mercè una corrente d'idrogeno solforato. Svaporata l' acqua l'acido cristallizzò. Le foglie, già spossate con acqua, vennero spossate con acqua acida ad 7*0 di acido solforico e per cinque o sei volte di seguito. Ne risultò una soluzione colorata di un bel rosso. Da questa soluzione l'etere non estrasse nulla né prima, né dopo avervi aggiunto dell'ammoniaca. L' ammoniaca neutralizzando P acido , riduceva all' az- zurro il coloramento rosso; ma un eccesso di quest' alca- li decolorava ogni cosa. Questa sostanza colorante non sem- brò tale da meritare la nostra attenzione. Le diverse acque acide concentrate a bagnomaria la- sciarono depositare una grande massa di cristalli bianchi e finissimi che analizzati si trovarono formati di solfato di calce. Si filtrò, ed il liquido filtrato concentrato ed estrat- to con etere, diede una materia cristallina molto nera. Que- sta depurata per espressioni fra carta sugante e per cri- stallizzazioni nelP acqua si trovò formata di acido ossalico. Estratto con etere, questo liquido fu saturato presso a neutralizzazione con poltiglia di calce ed infine con leg- giero eccesso di soda, nel quale caso si avvertì P odore ca- ratteristico dell' alcaloide; quest' alcaloide fu ricavato mer- cè P etere e depurato come sopra. RICERCHE SUL TASSO BACCATO 95 PROPRIETÀ E REAZIONI DELL ALCALOIDE. Sostanza azotata, bianca cristallina, di odore di muf- fa, solubile nell' alcool e Dell' etere, poco solubile nell' ac- qua, di reazione alcalina sulle carte di tornasole, ed emet- tente densi fumi bianchi in presenza di una bacchetta ba- gnata di acido cloridrico diluito. Le sue reazioni in soluzione acquosa sono le seguenti: Coli' acido fosfo-molibdico precipita in giallo canarino. Coir acido tannico precipita in bianco ed il precipitato dopo ventiquattr' ore diviene cristallino. Coli' acido picrico precipita in giallo. Coll'acido jodidrico jodurato e col joduro di potassio jodurato precipita in rosso bruno, ed i precipitati dopo ven- tiquattro ore divengono cristallini. Col bicloruro di mercurio precipita in bianco. Col bicloruro di platino precipita in giallo poco abbon- dante. Col cloruro d' oro precipita in bianco ed il precipitato dopo poco tempo diviene amatista. Col joduro mercurico potassico precipita in bianco. Col bicromato di potassa non dà nulla, ma aggiunto- vi dell' acido solforico, dà un coloramento verde. Con acido jodico precipita in bianco, ed il precipitato non si colora né col calore, né per aggiunzione di acido solforico. Le sue reazioni a secco sono le seguenti: Coll'acido solforico concentrato, a freddo dà un colo- ramento giallo, il quale imbrunisce a caldo volgendo al rosso violaceo; lasciato a se stesso diviene rosso ciliegia e dopo due ore circa si scolora. Col reattivo di Fròhde dà un coloramento giallo pal- lido, tendente al verdognolo, il quale a caldo imbrunisce. 96 " RICERCHE SUL TASSO BACCATO Col reattivo di Erdmann dà un coloramento giallo pa- glia istantaneo. Con acido solforico concentrato ed acido jodieo un co- loramento pure paglia. Col cloruro d' oro un coloramento azzurro violaceo do- po pochi minuti. Con acido solforico concentrato e pezzetti di bicromato potassico dà un bel verde che a caldo diviene violaceo. Con acido nitrico di densità 1, 40 si scioglie senza co- lorarsi , e la sostanza conserva tutte le proprietà dell' al- caloide. Ora osservando che quest' alcaloide coli' acido fosfomo- libdico, col cloruro d' oro, col bicromato potassico, e coll'a- cido jodieo non dà indizio di riduzione specialmente a freddo e che coli' acido nitrico concentrato rimane inalterato, noi possiamo conchiuderne eh' esso è un prodotto abbastanza resistente. Questo alcaloide è lo stesso della tassina di Lucas e Marne ? è una questione che risolveremo in seguito, cioè quando l'avremo meglio studiato, ed è per questo che per ora ci asteniamo dal dargli un nome. Faremo l' analisi elementare , determineremo il peso molecolare e la basicità di quest'alcaloide e vi faremo agire sopra gli occorrenti joduri di radicali alcoolici in ulteriori studii. PROPRIETÀ DELLA NUOVA SOSTANZA Materia bianca cristallina non azotata , i cui cristalli sono microscopici, ma se si fanno depositare con cura pos- sono ottenersi grossi così da essere visibili ad occhio nudo; i suoi cristalli sono degli aghi aggregati in forma stellata , ne daremo qui il disegno (vedi tav. la). È poco solubile nel- l'alcool freddo ma molto solubile nell'alcool bollente; è solu- RICERCHE SUL TASSO BACCATO 97 bile nell' etere e pochissimo solubile neh" acqua ; si fonde alla temperatura di 86-87°. Se viene scaldata sopra una la- mina di platino in sulle prime si fonde senza colorarsi e poi brucia con fiamma senza lasciare residuo. Sospesa nell'acqua e scaldata a lungo con alcune gocce di acido sol- forico non riduce il liquido cupropotassico di Fehling; di- stillata a secco ed in presenza del sodio metallico, ovvero scaldata con acido jodidrico dà come prodotto di decom- posizione 1' olio essenziale delle foglie. Questa sostanza sarà in seguito studiata per conoscerne la sua composizione elementare e la natura chimica. Intan- to volendo sin d'ora darle un nome noi proponiamo quello di Miìossina da milos nome del Tasso secondo Teofrasto. La scoperta di questa sostanza è un fatto importante per la chimica non solo ma ancora per la terapia, poiché sin ad ora non si conosce una sostanza emmenagoga che sia un principio chimico unico e ben definito. Degli estratti come quello della segala cornuta, ergoti - na, ne abbiamo parecchi, ma gli estratti, o signori, voi lo sapete meglio di me, non sono che miscugli di principii diversi e mal definiti. Sono sostanze emmenagoghe la Sabina, l'erba di Tuja la radice di Aletris, la segala cornuta ed il Tasso bacoato; e da queste, se togliamo la sabina dalla quale fu ricavato un olio che somiglia alla essenza di trementina nell'odore e nella composizione C10H8 , e al quale non si è ancora certi se vi si debbano attribuire le proprietà emmenagoghe della sabina, quantunque si conosca che tutti gli olii essen- ziali godono proprietà emmenagoghe, non è stato ricavato alcun principio attivo. Nei consigli del volgo figurano come sostanze emme- nagoghe pure la ruta, il rosmarino, l'issopo, la mirra lo zafferano, le colonquitidi, la gomma gutta, 1' aloe, l' olio di 98 RICERCHE SUL TASSO BACCATO ricino, P ellebero, il tartaro borassato, e varie altre ancora, ma di queste ci sembra inutile occuparsene. Chiudiamo la presente notizia coli' annunziare ancora che le foglie disseccate, trattate coi medesimi processi con cui furono trattate le foglie verdi, diedero i medesimi pro- dotti, colla sola differenza che queste cioè, le foglie secche, nel trattamento con etere lasciarono separare un abbon- dante strato denso sciropposo e dolciastro, il quale, deco- lorato col carbone animale e svaporato a secchezza nel vuoto delle macchina pneumatica , e quindi spossato con alcool assoluto, diede due sostanze, una delle quali godeva tutte le proprietà e le reazioni del glucosio, mentre l'altra godeva quella della gomma arabica. Laboratorio chimico della R. Università di Catania li 20 Giugno 1880. Lil Zitrn.i LABORATORIO FISIOLOGICO DI CATANIA JIJ INDAGINI COMPARATIVE IMSMIIMH KtU » PER AZIONE DELLA SALIVA UMANA L. SOLERÀ Memoria letta all'Accademia Gioenia nella seduta del I' agosto 1880. Nessuno sa meglio di me , che allorquando un cul- tore di questi nostri studi , dopo di avere già più di una volta intrattenuti i benevoli confratelli di un circoscritto ed affatto speciale argomento vi torna ancor sopra , si me- rita e non a torto la qualificazione di monotono e poco versatile indagatore. Penso però d'altra parte, che si ab- bia anche a tener conto, e con qualche indulgenza, di que- sta perseveranza nel continuare indagini lasciate a mezzo e dirette allo scopo di conseguire nuove risultanze a con- ferma delle precedenti e di rendere così meno incompleta la disamina dell' argomento in questione. Non ho perciò creduto di spender male il mio tempo, proseguendo alcune ricerche, le quali furono argomento di alcuni miei preceden- ti lavori. Queste ricerche si riferiscono alla diversa sacca- riflcabilità di alcuni amidi alimentari per 1' azione del fer- mento diastasico che si contiene nella saliva; o, per espri- ATTI ACC. VOL. XV. 14 100 SULLA TRASFORMAZIONE DEGLI AMIDI mermi più chiaramente, sono indagini comparative, le qua- li mirano a stabilire la diversa proporzione di glucosio, che quantità eguali in peso di amidi di varia provenienza, for- niscono in tempi eguali per l'azione della diastasi salivare. Sembra strano e dirò anzi paradossale, che una so- stanza ritenuta chimicamente identica e sempre eguale a se stessa quale si è l'amido, sia pur esso ottenuto da ve- getali differenti, sottoposta che sia all' azione di uno tra i suoi menstrui digerenti com' è la saliva, a proporzioni e- guali di peso ed a parità di condizioni, non abbia da pro- durre, quale effetto della propria trasformazione, una quan- tità eguale in peso di glucosio; eppure 1' esperienza con- traddice alla induzione , poiché questo che dirò variante grado di saccariflcabilità degli amidi mi risultò un fatto di evidente certezza. È abbastanza noto anche a chi possiede cognizioni af- fatto superficiali di fisiologia, in che modo avvenga pel pro- cesso digestivo P assimilazione dell' amido introdotto cogli alimenti. Si sa infatti, come P amido di per se insolubile, si converta mercè l'azione di alcuni tra gli umori digerenti, prima in destrina e di poi nel solubile glucosio e come ta- le possa quindi venire assorbito o sottostare nel tubo ga- stro enterico ad ulteriori trasformazioni; e sono ormai cin- quant' anni che per inerito di Leuchs si riconobbe nel pro- dotto di secrezione delle ghiandole salivari questa proprie- tà di trasformare l'amido in glucosio. Trattando infatti 1' amido con saliva mista umana e mantenendo la mescolanza a temperatura animale, si assi- ste a questa trasformazione zuccherina della sostanza ami- lacea; trasformazione che riesce chiaramente manifesta per questi due fatti che sono: il rapido comparire nel miscuglio del glucosio che vi è riconoscibile con varii mezzi e la gra- duale scomparsa della reazione dell'amido per l'iodio, poi- ché la proprietà dell'amido di presentare, se trattato con PER AZIONE DELLA SALIVA UMANA 101 iodio, la caratteristica colorazione azzurra, viene a mano a mano scemando quanto più progredisce la trasformazione di esso amido in glucosio, ed allora quando la saccarificazione è compiuta, aggiungendo iodio più non si ottiene la indicata colorazione, ma la mescolanza piglia il colore giallo del- l'iodio che vi rimane diffuso (1). L'ammirabile studio che fece il Naegeli sulla costitu- zione dei corpuscoli che compongono la materia amilacea ci difnostra: come ogni granulo risulti da due sostanze che egli chiamò cellulosa e granulosa. La prima in proporzio- ne molto più scarsa dell'altra, limita all'esterno il granulo di cui forma l'orditura e per così dire lo scheletro; è in- solubile nell'acqua e trattata coll'iodio non si colora in az- zurro. La seconda molto più abbondante costituisce il con- tenuto del granulo, è molto solubile nell'acqua ed è ad essa che si deve la caratteristica reazione azzurra che presen- ta l'amido pel trattamento coll'iodio. Successive ricerche dirette a stabilire quale di questi due costituenti sia quello che per azione del fermento diastasico salivare si converte in glucosio, hanno messo in chiaro essere la granulosa, ossia la sostanza che si colora in azzurro per l'iodio quella che subisce la trasformazione zuccherina. Egli è perciò che se noi trattando colla saliva, a pa- rità di condizioni, amidi di diversa provenienza, avessimo a rilevare qualche differenza nel tempo che si richiede per- chè scompaja in ciascuno di essi la proprietà di reagire all'iodio; o potessimo stabilire una diversità nella propor- (1) La trasformazione dell'amido in glucosio non è l'unica causa per la quale nelle mescolanze di saliva e di amido viene a mancare la colorazione azzurra in seguito ad aggiunta di iodio , come ebbi a dimostrare in altro mio lavoro e come indicò pure M. di Vintschghmi. Vedi M. di Yintscliglmu Considerazioni intorno alla proprietà che possiede la saliva umana di scolora- re la salda d'amido iodurata. Atti dell'Istituto Veneto T. III. e L. Solerà Nuove ricerche sull'attività chimico-fisiologica della saliva umana. — Pavia 1878. 102 SULLA TRASFORMAZIONE DEGLI AMIDI zione del glucosio prodotto a trasformazione compiuta, sa- rebbe ragionevole e logico il pensare, che la causa di ta- li differenze fosse da ascriversi al variante rapporto pon- derale delle due sostanze in cotesti amidi sperimentati. Pe- rò da numerose esperienze che io instituii, onde chiarire tale argomento, mi risulta che le cose non stanno precisa- mente in questi termini, perchè il variante rapporto quan- titativo tra le due sostanze nei differenti amidi presi in esame, non mi spiegava abbastanza bene la diversa cele- rità di loro saccarificazione e la diversa proporzione totale del glucosio che essi producevano per l' influenza del fer- mento salivare. Così, per citare un solo fatto, risulta dalle determina- zioni di Dragenclorff, (1) che la cellulosa si trova neh' a- mido del frumento nella proporzione del 2 , 3 % e del 5 , 7 °/o in quello del pomo di terra ; ma questa debole pre- valenza della cellulosa neh' amido del pomo di terra e la conseguente minor proporzione della granulosa in ragione del 3. 4 °/o m confronto dell'amido del frumento, non danno sufficiente ragione della assai palese e molto rilevante dif- ferenza che l' esperienza mi dimostrò esistere sia nel tempo che si richiede per la trasformazione completa di quantità eguali in peso di questi due amidi, sia nella proporzione del glucosio che essi producono a trasformazione compiuta. Mi sembra quindi che codeste risultanze sperimentali , escludendo che 1' unica causa del diverso grado di sacca- riflcabilità degli amidi sia il variante rapporto ponderale tra le due sostanze, mettano in evidenza quest' altro fatto, che cioè la sostanza saccarifìcabile ossia la granulosa non abbia nei diversi amidi una eguale proclività a convertirsi per l'azione del fermento diastasico salivare in glucosio, (1) Handbuch der Experimental Pliysiologie der Pflanzen voi) Julius Sachs Leipzig 1865. PER AZIONE DELLA SALIVA UMANA 103 che questa trasformazione sia più pronta per alcuni amidi che non per altri, e che si abbia perciò da ammettere come cosa sicura questo differente grado di saccariflcabilità che dirò salivare dei diversi amidi che vengono introdotti col- r alimento. I procedimenti sperimentali la cui mercè mi venne fatto di giungere a questa conchiusione , mi sembrano tali da presentare sufficienti guarentigie per ciò che spetta alla loro esattezza, e da rendere in conseguenza accettabili i risulta- menti che ne ottenni. Il mio modo di operare fu quale mi faccio a descrivere. Mi preparai anzitutto alcuni amidi di ben accertata omogeneità e purezza, provenienti da vegetali diversi e li lasciai essiccare nella stufa per lo stesso periodo di tempo e ad egual grado di temperatura. Con quantità ben deter- minate in peso ed assolutamente eguali tra di loro di co- desti differenti amidi, aggiungendo a ciascuna la stessa pro- porzione di acqua stillata e riscaldando fino all' ebollizone, ottenni altrettante salde d' amido nelle .quali erano perfet- tamente pareggiati i rapporti ponderali dell' amido e del- l' acqua. A quantità eguali tra di loro di queste diverse salde io aggiungeva poi proporzioni pure eguali di saliva mista umana recente, e mantenendo codeste mescolanze a temperatura animale , di tanto in tanto e ad intervalli conosciuti di tempo io cimentava dei saggi levati da cia- scuna infusione con tintura di iodio o con acido iodico , e dalla maggiore o minore intensità della reazione azzur- ra mi era dato giudicare del più o meno avanzato grado di trasformazione zuccherina, che 1' azione della saliva ave- va prodotto in ciascun amido, e mi era pur concesso sta- bilire il diverso tempo che si richiedeva perchè quantità e- guali in peso di amidi differenti fossero perfettamente con- vertite in glucosio ed avessero perciò perduta la proprie- 104 SULLA TRASFORMAZIONE DEGLI AMIDI tà di presentare la caratteristica colorazione pel tratta- mento collo iodio (1). A questa constatazione io ne associava un'altra, mer- cè della quale mirava a stabilire : se la causa della più o meno celere conversione in glucosio dei diversi amidi , fosse da attribuirsi ad ineguale proporzione nei medesimi della sostanza sacearifìcabile, oppure alla più facile e sollecita sua trasformazione. Il mezzo d' indagine che mi parve più opportuno a chiarire codesto punto, fu quello di ricercare nelle stesse mescolanze, mano a mano che andavano per- dendo la proprietà di reagire allo iodio e più tardi a tra- sformazione compiuta, la proporzione quantitativa del pro- dottosi glucosio. Mi valsi all' uopo di un liquido di Feliling titolato in guisa che una determinata proporzione di esso fosse completamente ridotta da una proporzione conosciu- ta in peso di glucosio (2) e di tal guisa operando, ho potu- to convincermi, che parti eguali in peso dei diversi amidi presi in esame, non si convertivano per azione del fer- (1) Aggiungendo ad una mescolanza di amido e saliva acido iodico , per azione del solfociamiro potassico salivare 1' acido iodico viene decompo- sto e si libera iodio, il quale, a questo stato nascente, agisce con maggiore intensità, che non faccia l' iodio aggiunto direttamente, sull' amido che anco- ra esistesse non trasformato nella mescolanza, e producendo la caratteristica reazione azzurra ne scopre le minime traccio, come ho dimostrato nei miei la- vori : Indagini sulle manifestazioni obbiettive citi sólfocianuro potassica sa- livare e Ricerche chimico fisiologiche sulla saliva umana. (2) Il reattivo di cui mi valsi si prepara sciogliendo in gr. 14 di acqua stillata gr. 3, 71 di solfato purissimo di rame; sciogliendo d'altra parte in gr. 52 pure d'acqua stillata gr. 11, 32 di soda caustica e gr. 13,01 di tar- trato neutro di potassa ; quando le sostanze sono perfettamente disciolte , si mescolano le due soluzioni e si aggiunge tanta acqua stillata da portare il liquido a 100 cent, cubici. Siccome il grado di idratazione del sale di rame può influire sul titolo del liquido, prima di adoperarlo bisogna procedere al- la esatta sua titolazione. PER AZIONE DELLA SALIVA UMANA 105 mento cliastasico salivare in proporzioni eguali in peso di glucosio, che la trasformazione zuccherina avveniva più ra- pidamente per alcuni amidi che non per altri, e che Anal- mente questa più rapida trasformazione poteva andare o non andare consociata ad una maggior produzione assoluta di glucosio, compiuto che fosse il processo di saccarificazione. Quando, or fanno quasi due anni, io intrapresi per la prima volta codeste ricerche comparative, le indagini fu- rono rivolte agli amidi provenienti dal frumento, dal maiz, dal riso e dal pomo di terra; e ripetute esperienze mi pro- varono, che trattando codesti diversi amidi colla saliva ed a parità di condizioni, la proprietà di reagire all'iodio ve- niva sempre a mancare molto più presto nelT amido del pomo di terra che non in quelli provenienti dai tre cerea- li, mentre anche tra questi si potevano stabilire delle dif- ferenze, però meno appariscenti e nel senso che l' amido del maiz si trasformava più celeremente di quello del frumen- to e questo più presto di quello derivante dal riso. Proce- dendo quindi col metodo sovra indicato alla ricerca quan- titativa del glucosio, ebbi a convincermi, come per l' amido del maiz ad una più rapida trasformazione andasse congiun- ta una lieve ma pur apprezzabile maggior produzione as- soluta finale di glucosio, mentre gli amidi del frumento e del riso, producevano un eguale quantità di glucosio ma in tempi diversi, più presto cioè pel frumento che pel riso. Del resto queste differenze considerate rispettivamente ai tre cereali furono assai leggere, mentre palesemente diver- se furono le risultanze ottenute dall' amido del pomo di ter- ra, il quale si trasformava molto più rapidamente di quelli ricavati dai tre cereali, mentre però, a proporzioni eguali in peso, forniva una minor quantità assoluta finale di glu- cosio. Ho creduto perciò che le risultanze ottenute mi au- torizzassero a cavarne questa legittima conclusione , che cioè l'amido del pomo di terra, per azione della saliva, tra- 106 SULLA TRASFORMAZIONE DEGLI AMIDI sformandosi più rapidamente ma producendo meno gluco- sio, fosse da considerarsi come più prontamente assimila- bile, ma anche come meno nutritivo di quello proveniente dai tre cereali. Allo scopo di rendere più completa la disamina di co- desto argomento, pensai di estendere quest'anno le mie in- dagini ad altri amidi, scegliendoli ancora tra quelli che nel- la ordinaria alimentazione sono di uso più comune : aven- do quindi già sperimentato sull'amido proveniente da cerea- li diversi e da un tubero, ho rivolte queste mie nuove ri- cerche a quello ottenuto da legumi e da frutta, scegliendo i fagiuoli, le fave e la castagna, Anche questa volta le ri- cerche comparative furono instituite su mescolanze diverse sia per la densità della colla, sin por le proporzioni sue ri- spettivamente a quelle della saliva: però per semplicità e per avere un giusto termine di confronto colle antecedenti esperienze, mi limiterò ad esporre anche qui le risultanze degli esperimenti eseguiti impiegando colla d'amido molto tenue cioè all'uno per cento e saliva in parti eguali. In queste nuove esperienze ho seguito quello stesso procedimento di cui mi ero valso nelle precedenti. Prepa- rai le diverse salde stemperando un grammo di ciascun amido in cento grammi di acqua distillata e riscaldando poi tino all'ebollizione. Ad una quantità ben determinata in peso di ognuna, io aggiungeva una quantità pure eguale in peso di saliva umana recente, dopo di essermi per bene assicurato clic tanto la salda che la saliva fossero affatto inattive sul reagente di Fehling. Venivano coteste mesco- lanze di amido cotto e saliva mantenute a temperatura a- nimale ed agitate di tempo in tempo, onde favorire l'unio- ne delle due sostanze; quindi ad intervalli conosciuti di tem- po levava da ciascun miscuglio un centimetro cubico e vi aggiungeva una goccia di acido iodico, e la maggiore o minore intensità della colorazione azzurro violetta che si produceva, PER AZIONE DELLA SALIVA UMANA 107 mi indicava di quanto vi fosse progredita la conversione dell'amido in glucosio, e quanto tempo si richiedesse per la sua trasformazione completa della quale poteva essere certo , allorché l' aggiunta dell' acido iodico non induceva più nel liquido cimentato la benché minima sfumatura roseo violetta, ma questo pigliava invece il colore gialliccio dello iodio che vi rimaneva diffuso. Con questo procedimento io giungeva a formarmi un criterio sulla diversa celerità di trasformazione dei diversi amidi per azione della saliva; e, per chiarire l'altro fatto, della proporzione cioè del prodottosi glucosio . ricorreva alla determinazione quantitativa di questa sostanza nelle di- verse mescolanze, valendomi di un reattivo eli Fehling tito- lato in guisa da corrispondere 5 cent. cub. di esso a 0. 025 di glucosio, ossia da esigersi gr. 0, 025 di glucosio per ri- durre completamente allo stato di sott'ossido insolubile il sale cuprico contenuto in 5 centimetri cubici del reat- tivo. Per passare a questa determinazione, io versava le indicate mescolanze di amidi e saliva in una buretta gra- duata a decime parti di centimetro cubico e vi aggiunge- va rimescolando esattamente un eguale volume di acqua stillata. La scala segnata sulle pareti della buretta mi per- metteva di valutare facilmente una differenza nel livello del liquido corrispondente alla metà di ciascun spazio interpo- sto alle linee, e di rilevare quindi una differenza di volume corrispondente ad un ventesimo di centimetro cubico, di cui una metà soltanto era rappresentata dal liquido zuc- cherino, il resto dall'acqua aggiuntavi; l'estremità poi della buretta da cui doveva uscire il liquido, sottile ed ap- puntata com'era, mi permetteva di regolarne il versamento a scarse goccioline. Preparato così il liquido nella buretta, con una pipetta pure graduata io introduceva cinque cen- timetri cubici del reattivo in un piccolo matraccio di vetro e riscaldava fino all' ebollizione. Al reattivo che si manteneva ATTI ACC. VOL. XV. 15 108 SULLA TRASFORMAZIONE DEGLI AMIDI trasparente, aggiungeva a poco a poco con molta cautela il liquido della buretta, interrompendo di tanto in tanto la ebollizione < inde poter giudicare, quando il precipitato di sot- t'ossido di rame si fosse deposto, dal colore del liquido il gra- do dell' avvenuta riduzione (1). Quando il reattivo era stato perfettamente ridotto, mi riusciva facile il rilevare dalla graduazione della buretta il volume di liquido impiegato, e conoscendone il grado di diluzione, la proporzione rispet- tiva della colla, ed il suo grado di concentrazione, con un semplicissimo calcolo poteva determinare quale fosse la quantità in peso di amido che in un dato tempo per azio- ne della saliva aveva prodotto gr. 0, 025 di glucosio. Passando ora ad esporre le risultanze ottenute, ope- rando co] metodo testé indicato, sugli amidi del fagiuolo bianco, della fava e della castagna di Calabria, devo pre- mettere che ho contemporaneamente ripetute le prove an- che sull' amido di frumento, onde avere un termine di con- fronto, colle mie antecedenti esperienze; riferisco quindi nuovamente i risultati ottenuti dall'amido di codesto ce- reale, risultati affatto concordi del resto con quelli esposti nel mio precedente lavoro. lOsucricnza siili' amido ili fru mento. — Preparo la colla stemperando gr. 1 ci' amido in cent. cnb. 100 di acqua stil- lata, riscaldando e lasciando bollire per 30 secondi. Ogni cent. cub. di questa colla contiene all' incirca gr. 0, 01 di amido. Unisco la colla a quantità esattamente uguale in volume di saliva e man- tengo la mescolanza a temperatura animale. Trattando di tempo in tempo dei saggi di questo miscuglio con tintura di iodio ed acido (1) Non volendo fondare il mio giudizio unicamente sull'apparente com- pleto decoloramento del reattivo, non ho mai smesso di aggiungere liquido zuccherino finche, filtrando qualche goccia del liquido bollente, previa acidi- ficazione non ottenessi più per l'aggiunta di prussiato giallo di potassa la reazione del ferro cianuro di rame. PER AZIONE DELLA SALIVA UMANA 100 nitrico, oppure con acido iodico, mi accorgo che la proprietà di colorarsi in azzurro violetto va lentamente scemando, e che soltanto dopo tre ore è del tutto scomparsa. Dopo 30 minuti, un cent. cub. della mescolanza, trattato con una goccia d' acido iodico si colora fortemente in violetto; ne metto una parte nella buretta graduata, allungando con altrettanto volume di acqua stillata; passo alla prova col reagente titolato e trovo che 5 cent. cub. di esso vengono com- pletamente ridotti da 24 cent. cub. del liquido della buretta ossia da cent. cub. 12 di liquido zuccherino, i quali composti essendo per metà di saliva, contengono cent. cub. G di colla e quindi gr. 0, 06 di amido; quindi dopo mezz' ora di contatto colla saliva, gr. 0, 06 di amido si sono convertiti in gr. 0, 025 di glucosio. Ripeto la prova colle stesse norme quando la mescolanza non reagisce più all' iodio, quando cioè è dato presumere che la trasformazione dello amido siasi compiuta. I cinque cent. cub. del reattivo, vengono allora completamente ridotti da 18 cent. cub. del liquido della buretta , ossia da 9 cent. cub. del liquido zuccherino; questi corrispondono a gr. 0, 045 di amido. Adunque a trasformazione compiuta gr. 0, 045 di amido di frumento, per azione della saliva hanno fornito gr. 0, 025 di glucosio. Esperienza nuII' amido ilei l'inclusilo hsanc». — La preparazione della colla ed i diversi processi operativi vengono eseguiti colle stesse norme indicate nell' antecedente esperienza. E da avvertirsi, che un saggio della colla trattata prima di essere unita alla saliva con tintura di iodio si colora fortemente in azzurro carico. Trattando di tempo in tempo la mescolanza di amido e sa- liva con acido iodico, mi accorgo che la proprietà di reagire allo iodio va scomparendo più presto che per 1' amido di frumento, e che dopo ottanta minuti non vi ha più traccia di reazione. Scorsi trenta minuti dalla unione della colla alla saliva, un cent. cub. della mescolanza trattato con una goccia di acido iodico prende una tinta violetto chiara molto meno palese di quella presentata da una eguale proporzione del miscuglio salivare di amido di frumento trattata nella stessa maniera; e trovo che trascorso questo tempo il reattivo viene completamente ridotto da cent. 22 del liquido della buretta ossia da cent. cub. 11 di liquido zuccherino i quali corri- 110 SULLA TRASFORMAZIONE DEGLI AMIDI spondono a gr. 0, 055 di amido; quindi in mezz'ora gr. 0,055 di amido di fagiuolo hanno prodotto gr. 0, 025 di glucosio. Quando dopo un' ora e mezza è affatto scomparsa nella mescolanza la pro- prietà di reagire all' iodio, ripeto la prova e trovo che il reattivo viene ridotto da cent. cuh. 20, 2 del liquido della buretta, ossia da cent. cub. 10, 1 di liquido zuccherino , i quali corrispondono a gr. 0, 0502 di amido: quindi a trasformazione completa gr. 0, 0502 di amido hanno fornito per azione della saliva gr, 0, 025 di glucosio. Esperienza sali' agnati:» tifila fava. — Meno una leg- gera differenza nel tempo richiesto per la totale scomparsa della proprietà della mescolanza di reagire all' iodio, tempo che per l'a- mido della fava mi risultò alquanto più breve che per 1' amido del fagiuolo, le risultanze, per ciò che spetta alla produzione del glu- cosio , non differirono punto da quelle testé indicate , mi astengo quindi dal riferirle per esteso. Esperienza) siili' amiti» della eastagna. — L'espe- rienza viene eseguita in tutto e per tutto nel modo sopra indicato. La colla prima di essere mescolata alla saliva reagisce fortemente all' iodio, ma per azione della saliva, questa proprietà va scompa- rendo ancora più presto che per 1' amido dei legumi . dimodoché dopo un' ora di tempo non è più rilevabile. Dopo 30 minuti aggiun- gendo acido iodico si ottiene una leggerissima colorazione violetta ed il reattivo viene ridotto da cent. cub. 20 del liquido della bu- retta ossia da cent. cub. 10 di liquido zuccherino che corrispondono a gr. 0, 05 di amido. Rinnovata la prova quando la proprietà di reagire all'iodio è del tutto scomparsa, mi risulta che il reattivo è ridotto completamente da cent. 19 del liquido della buretta ossia da cent. cub. 9, 5 di liquido zuccherino al quale corrispondono di amido gr. 0, 0475 e che quindi a trasformazione compiuta gr. 0, 0475 di amido di castagna hanno prodotto per influenza della saliva gr. 0, 025 di glucosio. I risultamenti ottenuti dalle esposte esperienze, dimo- strando che l'amido proveniente dai due legumi e dalla ca- stagna, si trasforma per opera della saliva umana più ra- PER AZIONE DELLA SALIVA UMANA 1 1 1 pidamente di quello ricavato da un cereale, mentre anche tra la castagna ed i legumi fu dato osservare delle diffe- renze nel senso clic l'amido della castagna oltre al trasfor- marsi più rapidamente produceva anche una maggior pro- porzione liliale di glucosio, sono una conferma ai fatti da me antecedentemente indicati; ond'èchemi sento vieppiù auto- rizzato ad ammettere questa die ho detto variante sacca- rificabilita salivare degli amidi alimentari. Se, come ebbi ad esprimere in altra occasione, la deli- catezza somma di codesti esperimenti, potesse destare qual- che diffidenza sulla accettai >il ita dei risultamenti che se ne hanno, non è men vero, che la constatazione dei fatti da me accennati è accessibile a chiunque abbia qualche dime- stichezza con codesto genere di ricerche, ed esige soltanto pazienza ed esattezza nell'operare. Io m'auguro perciò che queste indagini vengano ripetute, fiducioso come sono, che tolto forse qualche lieve divario nei dettagli, i fatti capitali da me indicati troverebbero conferma. LABORATORIO FISIOLOGICO DI CATANIA SUGLI EFFETTI PARZIALE ASPORTAZIONE DIGLI EMISFERI CEREBRALI NOTA DI L. S O L E R A. Presentata all' Accademia Gioenia iella Seduta del 1. Agosto 1X80. Non solamente i cultori della fisiologia , ma in gene- rale tutti coloro i quali consacrano la propria attività a quegli studi , che vanno progredendo colla guida della osservazione e dello esperimento, si possono nettamente di- stinguere in due categorie, che io chiamerei volentieri: de- gli ottimisti l'una, dei molto circospetti per non voler dire dei pessimisti 1' altra. I primi , per quanto possano essere solerti ed instancabili investigatori , sono però anche , di- rò così, di facile accontentatura; e, larghi nella interpreta- zione dei fatti che a loro offrono 1' osservazione e 1' espe- rimento , sono molto proclivi a cavarne le conclusioni ed a teorizzare. I secondi procedono più guardinghi, hanno cu- ra, con prove e riprove, di riconoscere per bene un fatto, ma , assodato che sia , non corrono poi così facilmente ad illazioni avventate o premature. Agli ottimisti dobbiamo le seducenti spiegazioni e quelle brillanti teorie , che fatto un po' di chiasso al loro primo apparire , dopo una vita ATTI ACC. VOL. XV. 16 114 EFFETTI DELLA PARZIALE ASPORTAZIONE più o meno lunga, cadono per non più risorgere ; 1' opera degli altri procede più modesta, più lenta ma altresì più sicura, ed aggiungendo fatti a fatti e verità a verità, pre- para continuamente materiali stabili e duraturi all' edifìcio scientifico. Questa considerazione mi viene molto bene in accon- cio, se ne faccio applicazione ai miei compagni di lavoro, e ad un capitolo tanto importante quanto oscuro della fisio- logia sperimentale, quello cioè che si occupa delle funzioni del sistema nervoso centrale. Non mancano anche qui in- duzioni e teorie a spiegarci risultanze sperimentali tuttora incerte e contraddittorie; però i fisiologi cauti, prudenti ed un tantino meticolosi, ai quali , ultimo fra tutti , pur mi pregio di appartenere, hanno questo convincimento , che cioè la fisiologia dei centri nervosi sia tuttora un campo di dottrina piuttosto ipotetico che positivo, un' aspirazione anziché una vera conquista della scienza. La verità di questa affermazione risulta tanto più chia- ra ed indiscutibile, se vogliamo fermare particolarmente la nostra attenzione sulle funzioni del cervello propriamente detto, argomento del quale appunto si occupa questa mia breve comunicazione. Né potrebbe essere altrimenti, in quan- tochè mentre quivi ci manca più che mai quello stabile fondamento anatomico, il quale solo può essere guida sicu- ra alle indagini fisiologiche, le stesse risultanze sperimen- tali, per quanto chiare possano essere , lasciano sempre delle gravi incertezze sulla loro interpretazione. Così, a mò d' esempio, fenomeni di movimento conseguenti alla eccita- zione di una circoscritta regione del centro cerebrale, non ci autorizzano punto a cavarne la illazione che siano state eccitate fibre motrici , in quanto che , prescindendo anche dalla possibile trasmissione della eccitazione ad elementi vi- cini a quelli direttamente stimolati , resta sempre il dub- bio, che si tratti di un movimento riflesso per eccitazione DEGLI EMISFERI CEREBRALI 115 di fibre sensitive , oppure che si abbia destata una sensa- zione, dolorosa, alla quale l'animale reagisce volontariamen- te col movimento. Di mezzo alle molte incertezze, vi hanno però alcune vedute generali, nelle quali i flsiologisti sono d' accordo, ed una tra queste è quella che ammette: essere negli animali superiori, il cervello e più propriamente gli emisferi cere- brali la sede delle facoltà psichiche. Questa opinione si appoggia a fatti , l' importanza dei quali non può essere messa in dubbio. Sebbene in termini soltanto generali e non costanti, pure numerose osservazioni dimostrarono maggiore del normale il peso del cervello in uomini distinti per intelligenza superiore, quali furono, per citarne alcuni , un Cuvier il cui cervello pesava chilgr. 1 , 829, un Cromwel 2, 231, un Byron 2, 238. L'anatomia com- parata poi ci svela, come nei diversi animali il grado di lo- ro intelligenza si tenga in rapporto diretto col peso del cervello relativamente al peso del corpo; nell' uomo questo rapporto raggiunge il massimo di 1: 30, 1: 35 (1). Anche la sperimentazione recò il proprio tributo di conferma alla su- indicata induzione. Gli sperimentatori, a partire dal Flou- rem, si studiarono di chiarire questo punto di dottrina, a- sportando nell' animale vivente gli emisferi cerebrali e stu- diando poi le alterazioni che 1' animale così operato presen- tava nelle sue facoltà intellettuali. L'esperienza dimostrò che gli uccelli resistono assai bene a codesta operazione e che possono vivere a lungo senza emisferi, sempre quando siano opportunamente sor- vegliati ed assistiti; dimodoché polli, colombi, corvi, ed uc- celli di rapina pagarono un largo tributo a questo ramo della tisiologia sperimentale, mentre le risultanze ottenute si accordano nel dimostrare, che la asportazione degli emi- (1) Oehl Manuale di Fisiologia. 116 EFFETTI DELLA PARZIALE ASPORTAZIONE sferi , produce come conseguenza profonde perturbazioni nelle facoltà intellettuali. Gli uccelli di tal guisa operati sopravvivono infatti in uno stato di sopore e di ottundi- mento, perdono i loro caratteristici istinti di mansuetudine o di ferocia, pare che vedano, ma non sanno evitare gli ostacoli, né beccano il grano che loro si mette dinanzi, di- modoché per mantenerli in vita bisogna alimentarli artifi- cialmente; si scuotono allo sparo di un'arma da fuoco, ma non riconoscono il pericolo che li minaccia , ne si danno alla fuga; sembra insomma che percezione e volontà siano in essi completamente abolite. L' esperienza ha messo però in chiaro anche quest' altro fatto, che cioè il quadro feno- menologico testé indicato, non è poi così costante come da taluni si vorrebbe, e che gli effetti derivanti dall' asporta- zione degli emisferi possono variare di guisa, che in taluni casi non è dato di osservare perturbazioni cotanto pro- fonde, e che talvolta gli animali vanno poco a poco riacqui- stando quelle facoltà che in seguito alla operazione avevano perdute. Queste risultanze si spiegano ammettendo che in codesti casi gli emisferi non siano stati asportati com- pletamente; ma si potrebbe anche riconoscerne la causa , nella minore gravità di quelle lesioni, che per l' operazione vanno estendendosi ad altre parti della massa encefalica che non sono gli emisferi, e che il riacquistare che fa l'a- nimale col tempo di facoltà perdute all' atto dell' operazione inclinerebbe a far credere come pure interessate allo svol- gimento di azioni psico-volitive ( 1 ). Lasciando da parte que- st'ultima eventualità, e prendendo in considerazione soltanto la prima, degli effetti cioè derivanti da una asportazione parziale degli emisferi, mi è accaduto di osservare in pro- posito un fatto che mi sembra degno di nota e che credo perciò opportuno di riferire. (1) Oehl Loc. cit. DEGLI EMISFERI CEREBRALI 117 Dovendo nel corrente anno scolastico espone il trat- tato della vita di relazione, di cui fa parte la fisiologia dei centri nervosi, ebbi cura di prepararmi un pollo scerebrato da mostrarsi a tempo debito ai miei scolari. L' asportazione degli emisferi fu praticata il giorno primo di aprile in un pollo giovine di sesso femminile e riusci benissimo, con scarsa emorragia. Se non che, dal volume della sostanza cerebrale levata , m'accorsi che l' asportazione degli emi- sferi non era stata completa, ma che si era limitata a po- co più di una metà di ciascun emisfero. Avrei perciò do- vuto naturalmente aspettarmi alterazioni funzionali meno gravi di quelle che si osservano quando l'asportazione degli emisferi è completa, ma però abbastanza chiare e palesi ed in relazione colla massa sottratta dall'organo. Con mia maraviglia le risultanze furono invece intieramente negati- ve. Ventiquattr' ore dopo l'operazione, il pollo si mostrava già vispo ed in buone condizioni; dopo quarant'otto ore era completamente rimesso, mangiava e beveva da se e per tutto il tempo che continuò a vivere non differì punto da un ani- male perfettamente integro e sano. Considerando l' operazione come intieramente fallita per lo scopo che mi era prefisso, qualche giorno dopo e fu il cinque di aprile, operai un altro pollo pure di sesso fem- minile, ma questa volta ebbi cura che l'asportazione de- gli emisferi fosse completa. Questo secondo animale mi pre- sentò in un modo che direi tipico, il quadro fenomenologico più sopra indicato. Sempre accosciato , in uno stato di continuo sopore, incapace ad azioni che avessero carattere volitivo, dovette essere sempre alimentato artificialmente. Mi campò in questo stato circa due mesi, ma poi la de- glutizione del cibo che gli veniva introdotto nella bocca, cominciò a diventare difficile, il grano si arrestava nello esofago paralizzato e disteso né, accompagnato anche da pressioni esterne, poteva scendere nell' ingluvie; 1' animale 118 EFFETTI DELLA PARZIALE ASPORTAZIONE andava mano mano deperendo e prima che mi morisse pensai di ucciderlo. Levata la cute, al posto della volta cranica asportata, trovai un tessuto fibroso molto resisten- te; tolto questo, al disotto vi era un po' di sostanza cere- brale rammollita e spappolata ed uscirono da dieci a do- dici goccie di un liquido torbido, alcalino e coagulabile. Preparato diligentemente il cervello, potei convincermi che meno un piccolo lembo in corrispondenza della linea me- diana, gli emisferi erano stati completamente asportati, per cui erano perfettamente allo scoperto i sottoposti lobi ottici. L' altro pollo ad emisferi asportati incompletamente , si mantenne, come indicai, in condizioni pienamente fisio- logiche, né mostrò mai la benché minima perturbazione nella intelligenza. Anzi non è cosa comune 1' osservare un ani- male della sua specie tanto vispo e brioso; era sempre in moto, girava di qua e di là per la stanza, si arrampicava su certe casse che vi erano onde cercarvi il luogo più op- portuno al suo riposo; quando entrava la persona incari- cata di portargli da mangiare le andava incontro; esaurita la porzione di grano che gli era stata messa davanti, esplo- rava diligentemente tutti i cantucci in cerca di qualche granello disperso, viveva in piena dimestichezza con alcu- ni conigli suoi compagni di prigionia, si permetteva di ru- bar loro l'erba e la crusca quando stavano mangiando, ma sapeva difendere a beccate il suo grano. 11 rapido ritorno alle condizioni normali e la assoluta mancanza di qualsiasi alterazione funzionale, mi inducevano quasi a sospettare di una sollecita e del resto non credibile riproduzione dell' organo asportato; 1' autopsia mi mostrò l'insussistenza di un tal dubbio. Dopo tre mesi dalla ope- razione, uccisi l'animale impaziente di osservarne il cervello. Anche qui sotto la cute rinvenni un robusto tessuto fibroso che sostituiva le ossa; incisolo, uscirono tre goccie di un DEGLI EMISFERI CEREBRALI 119 umore che aveva i caratteri del liquido cefalo spinale, il cervello, che conservai, presentava la mancanza dei tre quinti superiori degli emisferi e la superficie di sezione si mostrava ben chiara e netta per tutto l'ambito dei mede- simi e d'ambe le parti. Diligente e scrupoloso osservatore , per quanto me lo concedono le mie facoltà, vado molto cauto nel venire a conclusioni; d'altronde un fatto non basta a stabilire un principio, mi astengo quindi per ora da qualsiasi induzione; sono però convinto che il fatto da me osservato meriti di fermare 1' attenzione degli studiosi, come quello che di- mostra che T asportazione di più che una buona metà degli emisferi cerebrali , ossia di questo presunto organo della intelligenza, possa farsi senza che l'animale presenti la ben- ché minima alterazione nelle sue facoltà intellettuali. E tanto più l'osservazione mi sembra degna di nota, in quantochè la porzione asportata degli emisferi e che naturalmente era la superiore e periferica, comprendeva la massima parte di quella sostanza corticale cinerea, la quale secondo le idee generalmente e ragionevolmente professate dovrebbe essere il vero centro della eccitazione psico-volitiva. Qui, prima di finire, mi corre obbligo di accennare che già lo Schiff aveva osservato che l'asportazione a strati delle parti più superficiali degli emisferi non toglie punto alla intelligenza; però le condizioni sperimentali nel fatto che io menzionai, sono affatto diverse da quelle indicate dall'esimio sperimentatore, in quanto die nel caso mio non si tratta punto di asportazione a strati ma della sottrazione in una sol volta di più che una metà di ciascun emisfero. Ripeto che riservandomi di raccogliere altre osserva- zioni in proposito , mi astengo per ora da qualsiasi indu- zione, pago di aver indicato un fatto da non trascurarsi, in un argomento nel quale c'è ancora tanto da fare e da dire. LABORATORIO FISIOLOGICO DI CATANIA GASO DI CHIUSURA SPONTANEA DELLA FISTOLA GASTRICA IN UN CANE PER L. SOLERÀ Memoria letta all'Accademia Gioenia nella seduta del 1° agosto 1880. ( Con una Tavola) Alcuni casi di fistola dello stomaco osservati nell' uo- mo per cause patologiche , fra i quali primeggia quello a cui dobbiamo le classiche osservazioni del Beaumont sul- la digestione gastrica, suggerirono ai fisiologi l' idea di pro- durre artificialmente codesta anomalia negli animali, ed og- gi giorno la istituzione della fìstola gastrica a scopo spe- rimentale, è una delle operazioni più frequenti che si pra- ticano nei laboratorii di fisiologia. Primo a tentarla con buon successo nel cane, animale che meglio d' ogni altro si presta a codesta operazione, fu il russo Bassow nell' an- no 1842, al quale tenne dietro con metodi operativi diffe- renti una numerosa serie di sperimentatori. Non è qui il caso di riferire come si proceda per ot- tenere la fistola gastrica, né in qual modo gli sperimenta- tori se ne valgano per ricavare il succo gastrico, per istu- diare i fenomeni che accompagnano le trasformazioni della sostanza alimentare nella cavità dello stomaco o per altre ATTI ACC. VOL. XV. 17 122 CASO DI CHIUSURA SPONTANEA osservazioni; sono cose codeste troppo note a tutti coloro i quali, anche per poco si occupano di fisiologia e che del resto non fanno al caso nostro. Scopo di questa breve co- municazione quello si è: di esporre un caso abbastanza cu- rioso, che ebbi 1' opportunità di osservare nel nostro labo- ratorio di fisiologia, di un cane operato di fistola gastrica, il quale, al contrario di quanto ordinariamente succede, spon- taneamente e senza verun ajuto terapeutico ne guarì; caso questo abbastanza raro e che credo perciò degno di nota. Un cane operato di fistola gastrica, quando l'operazione sia riuscita a dovere, quando cioè le pareti gastriche si sia- no saldate per bene alle addominali e non vi abbia passag- gio di sostanza dalla cavità dello stomaco all'esterno , tra le pareti del canale fistoloso e quelle metalliche della can- nula introdottavi , può conservarsi prosperoso per tempo indefinito, né differisce punto da un animale perfettamente sano. Ma generalmente avviene , che dopo qualche tempo 1' apertura fistolosa si dilati e che il succo gastrico ed il contenuto dello stomaco si facciano strada all' esterno; la cute circostante alla fistola allora si irrita e si infiamma , gli animali per la perdita continua che fanno di succo nu- tritizio e di porzione dell'alimento, dimagrano, deperiscono e vanno a male, per cui riuscendo inservibili allo scopo al quale erano stati destinati si dedicano ad altre esperienze oppure si uccidono. Qualche volta però riesce di ottenere la guarigione per- fetta della fistola , ed a questo proposito l' illustre nostro Albini riferisce un caso molto interessante verificatosi nel suo istituto fisiologico di Napoli (1). In un cane fistoloso che si trovava appunto nelle cattive condizioni più sopra- accennate, egli si propose di ottenere la guarigione e vi (1) Rendiconto della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, Fascicolo 11.0 Novembre 18(57. DELLA FISTOLA GASTRICA IN UN CANE 123 riuscì col seguente procedimento, che io riferisco valendo- mi delle sue stesse parole. Ampliata la ferita levò la can- nula; la fistola si restrinse e 1' animale ne ottenne un pron- to miglioramento nello stato generale e locale; però la fi- stola sebbene ristretta e con bordi meno tumefatti pure ri- maneva aperta, essendo la cicatrizzazione impedita dal succo gastrico che usciva quasi costantemente ma in maggior abbondanza ad ogni pasto. Per ottenere questa cicatrizza- zione, il chiaro sperimentatore si propose di impedire più che fosse possibile il flusso del succo gastrico e di neutra- lizzare quel poco che si faceva strada per la fistola. Riuscì al primo intento, obbligando il cane a starsene più volte al giorno e specialmente dopo il pasto, che era scarso ed a- sciutto, in posizione supina; per neutralizzare poi il succo gastrico, la sostanza che meglio corrispose fu la magnesia usta introdotta in polvere finissima nella ferita. Di tal gui- sa operando per due o tre settimane, la fistola completa- mente si chiuse. Il caso che mi è occorso di osservare e che qui rife- risco, procedette in modo affatto diverso. Nell'animale ab- bandonato intieramente a sé stesso, la fistola non guarì per avvenuto coalito delle pareti della ferita, ma anche sen- za di questo si chiuse perfettamente in guisa che dalla cavità dello stomaco non usciva più la benché minima par- ticella né di sostanza alimentare né di succo gastrico. Si tratta di un grosso cane, come dicono in Lombardia da pagliajo; la resistenza di codesta razza di cani alle o- perazioni cruente che su di loro si praticano è veramente qualcosa di meraviglioso; mi ricordo che neh' Istituto fisio- logico di Pavia, in uno di codesti animali, in tutto simile a quello del quale ora mi occupo , si instituì per ben due volte la fistola enterica col metodo del Thiry e che Y ani- male potè sopravvivere per molti mesi con due tratti di in- testino perfettamente isolati dal resto del canale alimentare- 124 CASO DI CHIUSURA SPONTANEA Io praticai , nel cane in discorso la fistola gastrica il giorno 28 Marzo 1879, 1' operazione riuscì benissimo ma l'animale indocile non tollerava la cannula e per ben tre volte riuscì a levarsela , per cui dovetti ad ogni volta ri- metterla a posto e cruentare i margini della ferita per rinnovarne il coalito. Applicai quindi per qualche tempo una fascia all' addome, onde impedire che coi denti si to- gliesse di nuovo la cannula; l'animale parve finalmente ras- segnato alla sua condizione e visse così per sei mesi in perfetto stato di salute, ed anzi nella sua qualità di fiero e vigilante guardiano, prestò buoni servigi come custode notturno dei materiali e degli attrezzi da lavoro che i mu- ratori lasciavano nel cortile dell'università quando si sta- vano rifabbricando i locali terreni. Ma ai primi di novembre tornò al mal vezzo di fare continui tentativi per togliersi la cannula ; un bel giorno m' accorsi che gli era riuscito di levarsela quasi per inte- ro, perchè il bordo saliente della medesima, destinato a stare nello stomaco, si mostrava tra i margini dell'aper- tura esterna, rivestito come da un cuscinetto turgido e rosseggiante di parete gastrica, che l'animale colle continue trazioni esercitate sulla cannula per levarsela era riuscito a trar fuori. Vedendolo proprio incorreggibile, non volli occuparmene più oltre e lo abbandonai al suo destino. La cannula si mantenne per alcuni giorni nella posizione testé indicata, cioè col bordo saliente interno uscito a mezze dell' aper- tura esterna, quindi uscì del tutto. Caduta la cannula, era visibile F apertura esterna della fistola, però molto ristretta e dalla quale non usciva che qualche scarsa goccia di li- quido; e in pochissimi giorni il canale fistoloso si ristrinse in guisa da non permettere la benché minima uscita dallo stomaco né di sostanze alimentari, né di succo gastrico. Al posto d' onde era uscita la cannula, rimase come lo in- DELLA FISTOLA GASTRICA IN UN CANE 125 dica 1' unita figura che devo alla cortesia del Doti G. B. Ughetti , quel bottone carnoso rosseggiante formato dalle pareti gastriche, al cui centro corrispondeva 1' apertura esterna della fistola, la quale però ripeto fino dai primi giorni si restrinse al punto da non riuscir quasi più visi- bile e eia non permettere 1* introduzione nemmeno di un sottilissimo specillo. L'animale campò in questo stato per altri cinque mesi, sempre in perfette condizioni di salute; dalla fistola durante questo tempo non vi fu mai uscita di sostanza alimentare e neppure di succo gastrico . come lo dimostrarono le frequenti esplorazioni con carta azzurra , merco le quali non si ebbe mai a constatare reazione acida e lo stato perfettamente normale della cute circostante alla fìstola: il bottone carnoso che circondava l'apertura fisto- losa esterna andò mano mano avvizzendo, diventando più pallido ed acquistando alla sua superfìcie j caratteri di cute piuttostochè di mucosa. Dopo una persistenza di ben cinque mesi, era lecito l'am- mettere che questo stato di cose avrebbe potuto prolun- garsi indefinitamente, e che quanto agli effetti, il cane po- teva considerarsi come perfettamente guarito dalla sua fi- stola, e non per via di coalito, ma per una naturale coar- tazione dei tessuti che aveva prodotto un tale restringi- mento del canale fistoloso da equivalere alla sua completa chiusura. Dedicai l' animale ad altra esperienza per la quale ebbe a morire , e , levato lo stomaco , potei consta- tare che la fistola era stata praticata in corrispondenza della grande curvatura verso la porzione pilorica; spacca- to il viscere lungo la piccola curvatura e messa allo sco- perto la sua interna superficie, la trovai in condizioni per- fettamente normali, mentre 1' apertura interna della fistola era ridotta ad un punto .quasi impercettibile tra le ripie- gature della mucosa. SUL SITO DELL'ANTICA CITTA DI SYMAETUS NOTA DEL SOCIO ORDINARIO CARMELO SCIUTO PATTI Tolomeo nella sua Geografìa, fra le città mediterranee della Sicilia, indica, fra Centuripe e l' Etna, la città di Di- me tus, che correttamente va letto Symaetm (1). Plinio fra le altre genti dell' Interno dell' Isola nota più chiaramente i Symaetii (2). Il preciso sito di questa città è stato però sin ora va- gamente ricercato. D'altro canto il silenzio tenuto da tutti gli altri scrittori, che degli antichi popoli della Sicilia trat- tarono, ne ha quasi messo in forse 1' esistenza. Cluverio nella sua Sicilia Antiqua , in un passo, ove il luogo non è dubbio, come nota il chiar. Ad. Holm (3) , con molto ardire suppone siavi corruzione riguardo al nome della città Ameseion, che surse tra Agyrion e Kenturipa, come trascritto erroneamente per Symaetus , indicata da (1) Ptolomeus Bimetum inter Centuripes et Aetnam locat oppidum, sed coiTuptum esse vocabulum a genuino Symaetus docet Cluverius — Amico — Le- xicon Topographicum Siculum — v. Simaetum oppidum. (2) C. Plinii Secundi. Not. Hist. lib. IV cap. Vili. (3) Bella Geografia Antica di Sicilia di Adolfo Holm. — Prima ver- sione italiana dall'originale tedesco di P. M. Latino Paler. 1871 pag. 20. ATTI ACC. VOL. XV. 18 128 SUL SITO dell' antica città di symaetus Tolomeo ; e però la suppone edificata nel sito ove sta 1' odierna Regalbuto. Carrera però con più sano discernimento , su tale ri- guardo, scrive: « Tocchiamo altre pertinenze del Simeto; « questa voce, oltre la significazione del Fiume, è nome « ancora di un villaggio i cui cittadini sono chiamati Sy- « marta, V asserisce Plinio: Pe trini, Paropini, Phintienses, « Semel ìli ani , Scheerini , Symaetii ec. 11 Cluverio vuole « che questo villaggio sia Racalbuto, terra presso Centu- « ripe, valendosi di quel luogo della Historia di Diodoro « nei frammenti del 22 libro: Hyero Mylis vi expugnatis « mille quingentos milìtes in potestatem redegit , et con- « festini aliis quoq. locis subactis Ameselum versus con- « tendit, quod Inter Centuripinos et Agyrinenses situili est. « E giudica che la parola Ameselum sia depravata in vece « di Symaetum; il che a me par cosa dura non vi essendo « niuna conformità tra Symaetum ed Ameselum ; v' ag- « giungo di più 1' autorità di Tolomeo, la quale porta Di- « meta terra nei mediterranei, e questa dizione egli non « giudica scorretta in loco di Simeto, nel che posso accor- « darmi con esso lui, ma non in quella che perciò Simeto, « terra , sia Recalbuto per addursi mediterranea da To- « lomeo, imperocché mi giova di credere che il villaggio « Simeto sia stato nella contrada Simeto, della quale poco « prima trattammo, situato nel rilevato colle che sta quasi « due miglia discosto dalla destra riva del fiume Simeto , « e mancato il villaggio sia rimastoli nome alla contrada, « né per questo io m' oppongo a Tolomeo, perciocché que- « sto colle è due miglia rimoto dal mare, ragionevolmente « dir si può mediterraneo, anzi è costume di Tolomeo di « chiamare mediterranei quei luoghi di Sicilia che sono « per poco spazio discosti dal mare » (1). (1) Memorie Misteriche della Città di Catania. Tom. I. p. 218. SUL SITO DELL' ANTICA CITTÀ DI SYMAETUS 129 Il chiar. Ab. Amico nel suo Lexicon Topograficum Si- mlv/m, rapportando tutte le notizie ed opinioni di sopra esposte , sulla considerazione che il sito indicato da Car- rera è troppo vicino al mare, e discosto circa venti miglia da quello designato da Cluverio , non ardisce di indicare segnatamente il luogo (1). Il Parthey pone , con segno dubitativo , i Symaetii al confluente del fiume detto di Mazzarella, l'antico Erice, con quello di Gabella o di Canne, ed alla distanza di XXIII miglia romane da Catania (2). Tra tanta divergenza di opinioni sul sito probabile di questa antica città di Sicilia, il Carrera è il solo che abbia quasi colpito nel segno. Però la mancanza assoluta di an- tichi ruderi nel sito da esso designato, o nelle vicinanze di esso, che accennino ad una stabile dimora, è stata, a vero dire, la ragione potente di non essere stata accolta da nes- suno la esistenza, nelle vicinanze del fiume Simeto , della antica città e terra dello stesso nome. Però una fortunata scoperta in questi giorni avvera- tasi, ha confermata, a mio avviso, non solo la esistenza di questa antica città , indicata da Tolomeo e da Plinio , ma ne ha puranco accennato con maggiore precisione il sito ov' essa sorgea. Esso però non è precisamente quello desi- gnato da Carrera, ma non ne è neanco molto discosto. La comparsa in quest' inverno di una necropoli sulla destra sponda del fiume Simeto, sebbene fosse 1' unico indi- zio che sin ora abbiamo, vale però molto ad additarci con (1) n Sed Me situs ab eo, quern Pfcolomeus designat, procul XX saltem pass. M. abest; decernere ideirco signanter locum non ausim. » — Amico Op. cit. V. Symaetum Opp. (2) Siciìiae Antiqme Tabula emendata Auctore G. Parthey. Beni. 1834 20 pag. in 8. ed una carta. Questa Carta è stata pure accettata dal Brunet de Presle. 130 SUL SITO dell' antica città di symaetus precisione il sito, ove questa antica città era edificata. Ciò credo non lasci più verini dubbio, non solo dell' esistenza, ma ben anche del sito ov' essa sorgeva. Gli scoscendimenti successivi della destra sponda del fiume, prodotti dalle straordinarie piene di quest' inverno, hanno posto allo scoverto un considerevole numero di se- polcri in terra cotta, con altre opere di arte, che le piene medesime hanno poi, col successivo franamento delle terre, travolto e distrutto; e tutt' ora, come io stesso ho verifica- to, altri ne rimangono ancora visibili (1). Né rare sono state le idrie, i vasi cenerarii, le lucerne e qualche antica mo- neta, che sono state raccolte dai villici (2). Stando alle re- lazioni di questi, il numero significante di sepolcri, che so- nosi , col successivo scoscendimento della sponda , sco- verti, non lascia dubbio alcuno sulla estensione considere- vole di questa necropoli, lo che non può altro che accer- tare la esistenza in quel sito dell' antica città o terra di Symaetus. Questi sepolcri però osservansi impiantati ad una pro- fondità di oltre a due metri dall'attuale superfìcie delle terre; lo che dimostra come gli avanzi di questa necropoli fossero da lungo tempo scomparsi sotto le successive col- mate del Fiume, al che devesi, con la totale scomparsa dei ruderi della preesistita città, la dimenticanza del sito pre- ciso ove essa sorgeva. Il sito ove sonosi scoperti i cennati sepolcri, è nel ter- ritorio di Catania , nella contrada denominata Passo-Mar- tino , indicata nella Carta dello Stato Maggiore con la de- (1) La notizia della comparsa di questi sepolcri la devo allo egregio Prof. Sac. Francesco Sorge, il quale ebbe pure la cortesia d' accompagnarmi nella visita da me fattavi. (2) I connati oggetti sono andati tutti dispersi, ne mi è stato possibile di rintracciarne alcuno. SUL SITO DELL' ANTICA CITTÀ DI SYMAETUS 131 nominazione generica di Passo Cavaliere, compreso fra il corso del fiume Simeto e quello del Gurnalonga, e preci- samente nella Tenuta o podere denominato Tur razza, di proprietà un tempo della Mensa arcivescovile di Catania , posseduta oggi dal signor Carmelo Porto. Il sito preciso è dai villici denominato spedale , e risponde a chilometri due e mezzo, a valle, dal ponte detto di Passo-Martino sul- la, linea Catania Siracusa ed a chilometri due circa ad oriente dalla stazione omonima. La denominazione del podere, ove gli avanzi di questa necropoli sonosi scoperti, è anche, a mio avviso, di qual- che importanza. La voce siciliana Turrazza non altrimente suona- che avanzi di antica e grandiosa torre , o di altro edificio considerevole per la grossezza dei muri , che di >- vette esistere nei tempi andati in quel luogo, il che accen- na chiaro la esistenza, in quel sito di qualche importante edifìcio. Un villaggio portante ancora il nome di Simeto noi troviamo alla fine del secolo XI quasi nel sito in parola ; talché gli avanzi dell' antica città designata da Tolomeo e da. Plinio par che siano sino a quel secolo ancora esistenti. Un diploma di Tancredi Conte di Siracusa , figlio di Guglielmo il normanno (1), portante la data dell'anno 1093 (2), indica chiaramente il villaggio Simeto, come punto di confine dei latifondi che quel pietoso Conte donava alla Chiesa di Catania. Quest' atto di donazione indica tutto quanto il territo- rio compreso fra il corso del fiume di Lentini, altrimenti detto di S. Leonardo, l' antico Terias, ed il Simeto. avente (1) « Tancredus Willelmi Ferrabracliii filius, Syracusarum Comes. — V. Amico. — Catana Tllustr. Pars. II. p. 19. ad armimi 1093. ;; (2) Pirro e De-tìrossis segnano per questo diploma invece la data del- l' anno 1105, che Amico corregge. 132 SUL SITO dell' ANTICA CITTA di symaetus per confine ad oriente il mare e ad occidente la via che da Lentini, in quel tempo, conduceva a Paterno. Vasta esten- sione di terre posseduta in gran parte , sino a pochi anni or sono, dalla Mensa Vescovile di Catania. In questo documento al Casale Simeto si dà la deno- minazione di Sumete (1) come al fiume Simeto quello di Musa dal saracenico Musai (2). L' autografo di questa donazione , giusto a quanto ne scrive De Grossis (3), scritto in greco idioma , veniva tra- dotto in latino l'anno 1210, e conservasi nell'Archivio della Chiesa, trascritto nel Registro dell'anno 1381, fog. 107, sul cui dorso leggonsi le seguenti parole: Charta Tancredi filii Comitis Guìllelmi nepotis Comitis Rogerii de dono terrarum, quas donavit Ecclesiae S. Agathe de Catania, a Flumine Magno usque ad Flumen et confinia Leonfini, et ab eodem magno Flumine usque ad praedictum Flumine Leon/ini. Ecco quanto leggesi in questo diploma, la cui versione italiana devo alla cortesia del distintissimo Prof. Salvatore Cusa. « Ciò tenendo bene a mente io Tancredi, unitamente « alla mia consorte Mariella, dò al venerabilissimo Mona- « stero della SS.ma Madre di Dio e della S.a gran martire « di Cristo Agata, ed a te Ansgerio SS.m0 Vescovo di Ca- « tania , Abate del Monastero sudetto , la medietà a me « spettante del fiume Musa (Simeto) come anche della « Carrera (Giarretta). Similmente il lago Bullèth unitamen- « te ai terreni seminatori che lo circondano; epperò ne ho (1) Carreva vi legge Ximet — Op. cit. Tom. I. p. 218. (2) « .... quem Musai saracenico vocabulo dicit » Amico — Cat. Illustr. — Huelmuse etiam alibi dicitur, et flumeu Patemionis, ubi Iarrccfa qua? scapila est homines alveo trajiciens — Amico — Op. cit. Tom. IL p. 20. in nota. (3) Op. cit. p. 61. SUL SITO DELL' ANTICA CITTÀ DI SYMAETUS 133 « segnato i confini. La delimitazione in giro di detti ter- « reni incomincia all'oriente dalla parte del mare, e va « sino al punto eletto Ucùt Ezembùtz, dove trovasi il fonte « dolce; passa indi a traverso il piccolo lago: poscia taglia « la strada e va giù alla grotta del villaggio Sumete, ria- « scende poi, seguendo una via retta, la valle, e va per « mezzo del monte che vi ha a mezzogiorno e discende in « seguito sino alla Chiesa, che si trova nel luogo detto « Geren EJacàf; indi va dritto alla sommità del fiume Uèt « EH aia, al passaggio di S.Anastasia, ritornando allo stesso « fiume Musa. » Or secondo la riportata conflnazione 1' antico villaggio Sumete sarebbe corrisposto alquanto al sud. del sito, ove so- nosi scoperti gli avanzi della necropoli succennata, e però non lungi dal sito designato da Carrera, il quale sarebbe la estrema collina indicata nella Carta dello Stato Maggiore con la denominazione di Grotte. Ciò rende anche oltremodo chiaro, e conferma la locuzione di essere il cennato villaggio prossimo alla via che in quel tempo conduceva a Lentini; la quale via risponderebbe all' odierna detta di Passo-Mar- tino ; la sola , al certo , in quei tempi transitabile fra il mare e la piana, impedendo di percorrerne altra i terreni paludosi, detti pantano di Catania, che fra esso ed il mare si frappongono. Da questo documento quindi chiaro emerge la esi- stenza in un sito prossimo a quello eia noi indicato , alla fine del secolo XI, di un villaggio o casale portante ancora il nome di Simeto, succeduto alla antica città omonima. Il silenzio però tenuto da tutti gli scrittori relativa- mente agli antichi Symaetii, e' induce a credere come la loro città esser dovette di poca o nessuna importanza. Que- sto popolo per nulla figura nelle antiche storie , e solo in Diodoro trovasi ricordo del campo symetio, furtivamente tolto dai Siracusani ai Catanesi amici. L' aere pestilenziale. 134 SUL SITO dell' antica città di symaetus che nella calda stagione vi si respira, e che tale pure esser dovea nell' evo antico, fu al certo la causa prima ed unica del poco sviluppo preso da questo popolo , non ostante la proverbiale ubertosità dei suoi campi. Questa, e non altra, fu parimente la cagione del lento decrescimento, sino alla totale scomparsa della borgata che vi succedeva. Indi le colmate successive, prodotte dagli straripamenti del fiume, ne fecero dal tutto disparire gli avanzi , e con essi la ricordanza del sito ove essa esisteva. È solamente oggi che il franamento della sponda destra , per lo inse- namento verso cui tende in quel punto il corso del fiume, ce lo ha manifestato. Attentamente poi studiata la postura di questa antica città, chiaro rilevasi com' essa veniva impiantata, in origine, poco a monte dal sito ove al presente confluisce il Gurna- longa, il quale nei tempi andati sembra che corresse altri- menti. Il sito ove F antica Symaetus sorgeva, misura oggi la distanza di chilometri sei dalla spiaggia del mare , il che induceva Tolomeo ad annoverarla fra le città mediterranee dell' Isola. Lo stabilimento di una città in tale sito , che rispon- derebbe allo imbocco dei vasti campi Leontini , o Laes trì- gona , sulla via Catania-Lentini , e nel confluente di due fiumi, sarebbe stato in quei tempi , in quanto all' agricol- tura, della più grande importanza. Nulla quindi di strano die fosse colà surta , nell' epoca romana , una stazione o colonia agricola, la quale avrebbe fatto assumere ai suoi abitanti il nome di Symaetii, come Plinio li chiama, ed alla loro città o stabilimento quello di Symaetus , indicato da Tolomeo, dal fiume sulle cui sponde veniva eretta. Colonia che lungi dal progredire, come si è detto, per la malaria che vi predomina , veniva mano mano scemando sino a scomparire affatto nei secoli posteriori al mille. SUL SITO DELL' ANTICA CITTÀ DI SYMAETUS 135 Il detto fin qui vale a dimostrare l' importanza archeo- logica della scoperta in ordine alla geografia antica della Si- cilia. Di non minore importanza, a mio avviso, risulta tale scoperta per lo studio geologico del bacino idrografico del Simeto. Questo Fiume, il più considerevole fra tutti quelli esistenti in Sicilia, pel suo lungo corso, lo è anche per la estensione vasta del bacino ov' esso scorre ; firmando an- che parte del sistema fluviatile del Simeto, gli altri che vi confluiscono, cioè: il Crysa o Dittamo ed il Gurnalonga con le sue multiplici diramazioni ; abbenchè sembri indu- bitato che quest' ultimo sino all' anno 1620, mettesse foce direttamente in mare (1). La profondità, alla quale i cennati sepolcri osservansi edificati , presenta un dato importante per valutare , nel- P epoca storica , i mutamenti avvenuti neh' estrema parte del bacino idrografico del Simeto, in ordine alle colmate ; offrendo un dato certo e non equivoco, relativo alla valu- tazione della sua lenta formazione; lo che ci offre ad un tempo il destro di estendere le nostre investigazioni alle epoche precedenti. (1) Stando a quello che ne scrive 1' A. Amico , sino all' anno 1620 il Gurnalonga, passando pel ponte detto di S. Agata, metteva foce direttamente in mare. Lexicon Tqpog. Sicul. voce Gurnalonga. L' abbandonato letto porta ancora il nome di &urnalungazza. Gli avanzi dell' antico ponte sul Gurna- longa detto di S. Paolo, che 1' ab. Amico nelle note al Fazzello afferma, e poi nel Lexicon correggendosi dice di non essere mai esistito, in quest'ulti- mi anni, con 1' escavazione del detto fiume , sonosi di già manifestati , e vi si osservano enormi massi di pietra calcarea che ne attestano 1' esistenza ed il sito. Questi ruderi sono al confine opposto della tenuta Twrazza, ov'essa confina col Gurnalonga. Questo antico ponte sembra di essere andato in ro- vina da molti secoli, dappoiché leggesi che verso 1' anno 1389 il vescovo Si- mone del Pozzo faceva costruire in quel sito un ponte in legno. Pons UH finitimus tabulis trabibusq. compag hiatus. De Grossis Cab Sac. p. 173. Questo ponte era sulla via Catania-Lentini e prendeva il nome dalla antica Chiesa di S. Paolo, indicato pure nel cennato diploma del Conte Tancredi. 136 SUL SITO dell' antica città di symaetus È perciò che ho creduto conveniente di richiamare sin da oggi , l' attenzione di questa illustre Accademia su tale scoperta; nella speranza ancora, tostochè saranno man- dati ad effetto i discavi da me proposti, i quali sono stato di già autorizzato dal R. Governo di praticare, di poter me- glio constatare quanto interessa ai nostri studi; e così of- frirvi, sullo assunto, il risultamento dei miei studi geologici in una a quelli archeologici che, per dovere di officio, m'in- eumbe di praticare (1). (1) Il Governo ha disposto che venisse effettuito qualche discavo per meglio accertare l'esistenza di questa necropoli. Omissione A pag. 132, lin. 19, alla parola italiana si aggiunga: dall'originale diploma in greco LABORATORIO FISIOLOGICO DI CATANIA SULL A DOSE TOSSICA BELL' ACIDO ARSEMIOSO NOTA A. CAPPARELLI Nel laboratorio fisiologico di questa nostra Università, ebbi campo, or fanno pochi giorni, di osservare un fatto che panni degno di nota; credo perciò non inutile di ren- derlo di pubblica ragione. Per farne applicazione ad un caso di medicina forense, che qui è affatto inutile di riferire, ci importava di assodare per bene questo fatto: Se cioè, dato il caso di un animale morto in seguito ad ingestione di acido arsenioso, la esistenza di questa sostanza si dovesse verificare nelle pareti ga- striche dell' animale avvelenato, mercè 1' analisi instituita sulle medesime , con quei mezzi che la chimica possiede per iscoprire la presenza anche di minime tracce di ar- senico. Per chiarire ogni dubbio in proposito, si pensò di am- ministrare ad un cane una dose di acido arsenioso tale che egli avesse a morirne, per poi morto che fosse levarne lo stomaco, vuotarlo dalle materie che eventualmente potesse ATTI ACC. VOL. XV. 19 138 SULLA DOSE TOSSICA contenere e procedere alle operazioni chimiche sulle sue pareti. Fu assoggettato a codesta esperienza un cane maschio, bracco bastardo di media taglia, e una mattina essendo V animale digiuno, involto in alcuni pezzi di carne battuta gli venne somministrata una dose enorme a parer nostro di acido arsenioso, vale a dire 34 centigrammi. Ci aspetta- vamo di vedere insorgere in breve tempo i sintomi dello avvelenamento e susseguirne la morte, ma con nostra sor- presa, il cane non presentò per tutto quel giorno alcuno dei fenomeni propri dell' avvelenamento acuto dell'arsenico bianco. É da notare, che il cane oltre quel po' di carne, insie- me colla quale era stato amministrato il veleno, non aveva preso cibo di sorta. Ventiquattro ore dopo dell'amministra- zione del veleno, il cane si mostrava vispo ed apparente- mente in buone condizioni di salute. Durante tutto questo tempo fu sorvegliato con cura: non ebbe vomito, il che fa escludere la possibilità che aves- se per codesta via eliminato il veleno. Non emise urine, non defecò; il veleno in somma non è a supone che per que- ste vie avesse trovato un mezzo di pronta eliminazione dal- l' organismo, e che a ciò si dovesse l' assenza totale dei fe- nomeni che sogliono accompagnare la ingestione del vele- no. All'indomani fu propinata una nuova dose di 30 centig. di acido arsenioso, misto a pane e carne, e per sei ore di seguito, l'animale non presentò che un leggiero senso di prostrazione; chiamato, mostrava accorgersene si alzava ma da lì a poco si accovacciava di nuovo. — Del resto nessun altro fenomeno degno di nota, non segni di esaltazione o di depressione marcata, dal lato del sistema nervoso centrale. Durante la notte , vomitò parecchie volte porzione dei cibi amministrati , ma poco dopo tornò a mangiare tutte dell' acido arseìnioso 139 le materie vomitate, e con esse l'arsenico che per avven- tura avrebbe potuto rinvenirsi ai cibi mescolato. Al vomito seguirono dello scariche ederiformi, le ma- terie evacuate, erano mollicce colorate in rosso per sangue commistovi, di aspetto quasi icoroso. Il giorno successivo questi fenomeni però cessarono; gra- do grado l'animale si andava rimettendo era allegro e mo- sti-ava il bisogno del cibo. Persuasi che né anche 1' aggiunta della seconda dose fosse stata sufficiente a provocare la morte dell'animale lo sagridcammo per strangolamento, ed un'ora dopo ne ese- guimmo la sezione cadaverica. I fatti più notevali riscontrati furono i seguenti: Nella cavità addominale ed entro lo stomaco si rin- venne 50 grammi di un liquido bruno verdastro, sufficiente- mente denso. La mucosa gastrica tumefatta, arrossita uni- formemente; in vicinanza della regione pilorica , sul basso fondo dello stomaco si trovarono 3 soluzioni di continuità poco discoste fra loro , la più grande aveva un diame- tro massimo di 5 min. e la più piccola , di 3 mm. I bordi tagliati a picco ed un poco ringonfìati, di forma irre- golare; sul fondo di essi si vedeva uno straterello di san- gue rappreso. Gli indestini non molto distesi da gas, erano piuttosto iperemici; iperemia semibile in corrispondenza della muco- sa. Esisteva un invaginamento dell'ultima porzione del tenue entro il cieco. Invaginamento di data recente inquantochè non vi erano aderenze , il turgore dei tessuti non era massimo, il colorito bruno rossastro non era quello tanto caratteristico degli invaginamenti di antica data. Del resto nulla di notevole esisteva negli altri organi. II fatto per se stesso ci sembrò strano perchè contra- sta singolarmente colle opinioni che generalmente si pro- fessano intorno alla dose di acido arsenioso atta a produr- 140 SULLA DOSE TOSSICA re l'avvelenamento nell'uomo. — È generalmente ammesso che 10 centig. secondo alcuni , secondo altri 15 ed al più 18 centig. sono sufficienti per produrre la morte in un uo- mo, il quale pesando in media sei volte più di un cane per questo animale dovrebbe bastare una dose sei volte più I liei 'ola. Dovremo noi inferirne che il cane presenti una parti- colare resistenza all'azione dell'acido arsenioso? Si ammette- va una volta che le pecore andassero affatto immuni del- l' avvelenamento per arsenico; ma questa asserzione fu ret- tificata dall'esperienze del Magendie il quale dimostrò che cotesta immunità così assoluta non esisteva, ma che le pecore però resistessero maggiormente all' azione del ve- leno. Però da questo fatto non si può trarre argomento per ammettere: come possibile una eguale tolleranza anche nei cani : poiché sono notevolissime le differenze dell' appa- rato digestivo tra la pecora ed il cane ; il cane invece dopo la scinda è 1' animale che per le condizioni organiche delle vie digerenti, più si avvicina all' uomo. Sorpresi dai risultati ottenuti ci nacquero dei dubbi sulla natura della sostanza da noi somministrata per arsenico e perciò ab- biamo sottoposto al regolare giudizio di un uomo compe- tentissimo 1' arsenico impiegato, ed il Prof. D. Amato che gentilmente si prestò a questo schiarimento potè constatare non solo 1' entità del prodotto ma la sua discreta purezza. Abbiamo inoltre ricercato dopo la morte doli' animale l' arsenico nello stomaco vuoto; questo con le debite cautele, nel laboratorio di chimica farmaceutica diretto dal Prof. D.' Amato e con l' aiuto del mio collega Gr. Gaglio sottoposto a regolare analisi, seguendo il medoto proposto di recente da Gauthier che ci diede i più splendidi risultati positivi. Sottoponendo ad un' analisi accurata l' accaduto non si trova causa alcuna, che possa rendere conto del fatto. dell' acido arsenioso 141 Come mai la dose letale di 64 centigrammi non abbia pro- dotto la morte dell' animale. Non si può con questo solo esperimento abbattere l'o- pinione generalmente professata sulla dose di acido arse- nioso necessaria a produrre l'avvelenamento nell'uomo, è però a. notarsi che le indagini sulla dose di arsenico inge- sta nei casi di veneficio non possono essere condotte in generale in modo molto esatto; dovendosi formulare il giu- dizio sull' asserzione di gente per lo più estranea alla scienza o su dati poco attendibili come sarebbero le rivelazioni di chi tentò od eseguì un avvelenamento , oppure sul fonda- mento dei risultati quantitativi dell' analisi chimica i quali devono essere assolutamente sempre inferiori al vero, per la dispersione del veleno nei recipienti nei quali si ammi- nistrò, per 1' eliminazione del veleno in parte per il vomito e per le secrezioni. Vi è un dimoio di circostanze in som- ma , che è facile prevedere come questi dati conducono a risultati inferiori al vero. Non autorizzati da questo unico esperimento a conclu- sioni assolute abbiamo reso volentieri di pubblica ragione questo caso strano che potrebbe portare nuova luce su questo argomento ed aprire il campo ad una nuova serie di ricerche molto interessanti per la loro applicazione alla medicina. SOPRA UNA NUOVA ESPERIENZA DI ATTRAZIONE MAGNETICA NOTA DEL SOCIO EMILIO PIAZZOLI Nei Comptes rendus de l'Acadèmie des Sciences del 12 aprile di quest' anno vi è una nota del signor Ader , presentata all'Accademia dall'illustre fisico du Moncel, nella quale l'Autore dice di essersi imbattuto in un corpo che, fra tutti quelli ch'egli ha provati, sembra godere al più alto grado la proprietà di essere attirato da una calamita. Questo corpo è il midollo di sambuco. E 1' Autore « osserva già il fenomeno con delle cala- mite ordinarie quando si fanno reagire su questa sostan- za i loro poli ravvicinati; ma con calamite potenti l'effetto assume grandi proporzioni. Così con una calamita Jamin che possa sostenere un peso di 100 Kg. e provveduta di due piccole armature polari separate l'una dall'altra dallo intervallo di 2 mm., ha potuto attirare ad una distanza di 3 cm. una sfera di midollo di sambuco di 5 mm. di dia- metro, sospesa ad un filo come pendolo. Ha anche potuto sollevarla ad una distanza di 4 mm. e, una volta attirata, ATTI ACC. VOL. XV. OQ 1-1-1 SOPRA UNA NUOVA ESPERIENZA restava aderente alla calamita, malgrado le scosse che vi si imprimevano. » Curioso di osservare io medesimo lo strano fenomeno indicato dal signor Ader, volli ripeterne l'esperienza. Non potevo disporre di una calamita Jamin potente quanto quel- la usata da lui, ma in cambio, per svelare l'attrazione, mi servii di un mezzo molto più sensibile: Sospesi orizzontal- mente un sottilissimo filo di vetro che faceva da asse, ad una leggera e lunga pagliuzza nella quale era infitta ad una estremità una pallina di sambuco di 5 mm. di diame- tro; dall'altra un cavalierino di carta manteneva l'orizzon- talità di questa specie di giogo di bilancia. Attaccato alla pagliuzza, quindi orizzontale anch'esso, e nella sua parte di mezzo, stava un leggero vetro coprioggetti da microscopio, inargentato da una parte, che faceva da specchio. La pal- lina di sambuco era posta a tre, poi a due, poi ad un mil- limetro di distanza dai due poli di una potente calamita Fa- raday, messa in azione con cinque pile Bunsen grande mo- dello. Un raggio di sole batteva obliquamente sullo spec- chio e veniva a riflettersi sul soffitto della stanza, in modo che la sua immagine percorresse lo spazio di parecchi metri, quando venisse, di pochissimo anche , ad inchinarsi il Alo di paglia. Così disposta l'esperienza, feci passare la corrente at- traverso al filo che circondava le due elettrocalamite Fa- raday, i cui poli distavano appena un millimetro l'uno dal- l'altro. Ma l'immobilità quasi completa dell'immagine solare, mi dimostrò che l'attrazione subita dal sambuco non era maggiore di quella subita dal legno, dal sughero, dalla carta, dalla cenere e da altre materie leggere che vi sostituivo, risultato opposto a quello a cui era venuto il signor Ader. Operai con midollo di sambuco ben secco e ne ebbi di parecchie qualità, e da provenienze diverse. Umettando il midollo di sambuco con una soluzione di IH ATTRAZIONE MAGNETICA 145 cloruro ferrico (Fé2 CI6) (1) la pallina veniva atti-atta a quasi due centimetri di distanza dai poli delle calamite. Attaccan- dovi, alla parte inferiore, più prossima alle calamite, un pez- zetto di t'erro di meno di un milligrammo di peso, la pal- lina veniva fortemente e rapidamente attratta appena si chiudeva la corrente, anche a 7 centimetri dai due poli. - Verificata così la sensibilità dell'apparecchio, dalle mie numerose esperienze sono condotto a concludere che il mi- dollo di sambuco non presenta nessuna notevole proprietà magnetica, e, se dovessi attribuire a qualche causa il fe- nomeno osservato dal signor Ader, potrei supporre che il midollo di sambuco adoperato da quel fisico avesse aderente qualche piccolissima particella di l'erro proveniente forse dal coltello col quale lo si tagliò, mentre io ne adoperai sempre uno d'avorio, o che contenesse dei sali di ferro in un modo qualunque penetrativi. Dal Laboratorio di Fisica della Regia Università. Catania, Luglio 1880. (1) La pallina assorbiva mezzo grammo di soluzione concentrata di cloruro ferrico, ed era poi esperimentata quando tutto il liquido erasi evaporato. RICERCHE CHIMICHE SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA indicate nella Carta Geologica di sciuto patti D; LEONARDO RICCIARDI L'Etna, quel maestoso ignivomo monte che torreggia alle spalle della ridente Catania, fu oggetto di cantici dei poeti Greci, e l'occupazione dei viaggiatori naturalisti di tutte le epoche. Ardua impresa sarebbe la mia se volessi riassumere quanto si è scritto sul re dei vulcani europei e principal- mente dopo le dotte pubblicazioni dei soci di questa Gioe- nia (1) e di Waltershausen (2). Quindi per non portare acqua al mare, il presente mio lavoruccio se riguarda il sommo monte per le sostanze vo- mitate in epoche diverse , lascia intatto il campo ai vul- canologisti che con tanta dottrina si occupano del nostro monte ardente. Il Chiarissimo Professore Carmelo Sciuto Patti con (1) Vedi tutti gli atti dell'Accademia Gioenia, specialmente il volume XIV Serie II — La vulconologia dell' Etna ecc. ecc. del Prof. Carlo Gem- mellaro , volume I. serie III. — I fenomeni Vulcanici presentati dall'Etna nel 1863-64-65^66 del Prof. Orazio Silvestri , Voi. VII Serie III. — Carta Geologica della Città di Catania e dintorni di essa del Prof. Sciuto Patti. )2) Der Aetna Waltershausen -Lasaulx Leipzig 1880. 148 RICERCHE CHIMICHE squisita gentilezza, di cui lo ringrazio sentitamente, mi fa- vorì i campioni di lave con tutte le indicazioni, e gli riu- scì facile accontentarmi perchè già nell'Agosto dell'anno 1869 in occasione della IV Riunione dei Naturalisti Italiani tenuta in Catania , aveva presentato all' Illustre consesso una carta Geologica della Città di Catania e dei suoi din- torni. Nel pregevole suo lavoro Sciuto Patti oltre a molte dotte considerazioni; fa un'accurata descrizione del corso di alcune lave, che egli così classifica: / Lava S. Sofìa. 1.' Lave preistoriche ] » Larmisi. ( » dell' Ognina. 2." Epoca oscura . . Lava dei Fratelli Pii. ( Lava della Carvava 122 anni A. G. C. 3." Epoca Romana . ,. ^., ,. , , OCn 1 ( » di Cifali del 252. 4." Epoca del Medio ( Lava del Rotolo. Evo. ( » del 1381. 5.a Epoca moderna . Lava del 1669. A queste lave per le mie ricerche aggiunsi quella del- l' eruzione dell' anno 1852 che raccolsi nelle vicinanze di Zafferana, e dell'ultima eruzione 1879, raccolta a Passo Pisciaro. Il mio obbiettivo neh' intraprendere delle ricerche sulla composizione delle diverse roccie, è stato quello di comple- tare da una parte il lavoro dello Sciuto Patti dal lato chi- mico, e di studiare possibilmente se dalla composizione chimica delle lave eruttate in epoche differenti, si potesse trarre utile conseguenza per l'Agricoltura del paese. La parte fondamentale delle lave eruttate dall'Etna, secondo Carlo Gemmellaro (1) consta di due principali mi- ci) L. e. § 36-88 pag. 50, 206. SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 149 nerali feldspato e pirosseno. Infatti in alcune delle lave da me esaminate predomina il feldspato Labrodorite, in al- tre il Pirosseno Augite. Oltre agli indicati minerali si riscontrano pure in quan- tità limitate, cristalli di Olivina di Isirena e di Apatite (1). Secondo Waltershausen (2) l'Etna non ha che cinque minerali propriamente detti che prendono parte nell'im- pasto lavico di tutte le correnti, e questi sono il Labrado- rite, l'Augite, la Magnetite, P Olivina e P Apatite e solo più raramente l'Horneblenda e molto di rado la Mica. L'Illustre descrittore dell' Etna è d' accordo col Gem- mellaro nello ammettere che la varia composizione delle lave dipende quasi esclusivamente dalle differenti quantità di Labradorite ed Augite che vi si contengono. Però invece di dividere le lave in pirosseniche ed au- gitiche le divide come segue: I. Lave ricche «li Labradorite. Li questa categoria ne fa due classi. A) Augite ed olivina segregati in grani maggiori — La massa fandamentale molto povera di Augite. B) Augite non isolato ma esistente soltando nella massa fondamentale. — In questa classe sono comprese le seguenti lave che fanno parte delle mie analisi. a) Lava Fratelli Pii. (1) Il Chiarissimo Prof. Cossa in seguito a ricerche microscopiche fatte su molte roccie Italiane, vi ha rinvenuto dell'Apatite in piccole quantità (Reale Accademia delle Scienze di Torino — Serie II Tomo XXVIII). Ulti- mamente ne rinvenne nelle ceneri dell' Etna eruttate nel Giugno. 1879. — Reale Accademia dei Lincei Voi. Ili Serie 3 Transunti. (2) 1. e. pag 485. 150 RICERCHE CHIMICHE b) Lava del 1381 e del Crocifisso. e) Lava del 1879. Come tipo di composizione chimica delle suindicate, Waltershausen fece analizzare da Ioy di Boston la lava della Carvana ed eccone la composizione chimica: SiO2 49, 17 Aro3 15,91 FeO 11,97 CaO 10, 26 MgO 4,77 Na20 4,23 K20 2,23 98,54 Peso specifico 2,87. IL Labradorite ed Augite esistenti in quantità quasi uguali tanto nella massa fondamentale ohe isolatamente. Labradorite ed Augite esistenti in quantità quasi u- guali tanto nella massa fondamentale che isolatamente. — Questa è la forma che si trova più spesso e ne fa parte la lava del 1669 della quale fu eseguita l'analisi su vari campioni tolti dalla parte inferiore e superiore della cor- rente senza che vi fosse notevole differenza. Della lava del 1669 esiste già una analisi antica di Lòwe (1) ed una moderna di Roth. (2) (1) Ann. pogg. XXXVIII pag. 151. (2) Gest-Analys. 1. fascicolo pag. 42. SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 151 I. IL SiO2 48, 83 51, 89 A1203 16, 15 17, 92 MnO 0,54 — FeO 16, 32 11, 16 CaO 9,31 10,28 MgO 4,58 6,90 Na20 3,45 1,73 K20 0,77 0,39 99,95 101,09 Peso specifico 2, 852 (Waltershausen) A questa lava secondo Waltershausen si possono pa- ragonare quelle del 1852, del Rotolo presso l'Ognina e del monte Santa Sofìa. (1) Composizione chimica della lava del 1852 analizzata da C. Von Hauer (2). (1) Bunsen — Recherches sur la formation des Roches volcaniques eii Islande Ann. de Chini, et de Phy. Serie III. Tom. XXXVIII anno 1853- pag. 236. Tanto 1' autore per i sollevamenti dell' Islanda quanto Abich per 1' al- ta Armenia, danno le seguenti composizioni per quelle roccie tipo-pirosse- che: Bunsen Abich Acido silicico 48,47 48,47 Ossido ferroso Ossido alluminio 14,45 } 15.71 ) 31,97 Ossido di calcio 11,87 11,56 Ossido di magnesio 6,89 4,72 Ossido di potassio Ossido di sodio 0,65 j 1,96 \ 3,28 100,00 100,00 (2) 1. e. voi. II pag. 457. 152 RICERCHE CHIMICHE SiO2 49,63 A1203 22,48 FeO 10,80 MnO 0,64 CaO 9,05 MgO 2,68 Na20 3,08 K20 0,98 99,34 Peso specifico 2, 86. III. Lave ricche di magnetite e di Augite. A questa categoria non appartiene alcuna di quelle da me analizzate. IV. ■jave ricche di vetro. Prima di esporre i risultati analitici della composizione complessiva delle lave da me analizzate, provai colla mas- sima cura di scomporre qualche roccia nei suoi componenti cioè Labradorite, Pirosseno e Olivina, riuscendomi difficile isolare gli altri minerali. Ed ecco intanto la composizione chimica dei principali minerali che compongono le lave dell'Etna, composizione che confronto con analisi antecedentemente eseguite da Il- lustri chimici. SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 153 1 iti 1» rari or ■ile dell' Etna. I. II. III. IV. V. SiO2 52,221 53,560 55,835 53,48 53,33 A1203 28,372 25,821 25,313 26,46 26,13 Fc203 1,795 3,407 3,635 1,60 2,87 CaO 12,782 11,684 10,490 9,49 10,34 MgO 0,912 0,526 0,735 1,74 1,64 Na20 1,370 4,000 3,517 4,10 3,97 K20 1,418 0,536 0,826 0,22 0,51 H20 0,576 0,949 (MnO) 0,89 (MnO) 0,59 acqua 0,42 acqua 0,84 99,446 100,483 100,351 p.s, 2,771 p.s. 2,618 p.s. 2,633 98,40 100,12 p.s. 2,628 I. IL III. Waltershausen-Vulcan.-Gesteine pag. 24, 23—1853. IV. Biscof. Etements of. Ch. and. Phg, Geo. London 1855 voi. IL pag. 210. V. Ricciardi. Augite. L IL (1) III. (2) Augite dei Monti Rossi, Augite nero di Mascali. Augite dei Monti Rossi p.s. 2,886 p.s. 3,228 p.s. 2,935 SiO2 47,630 50,012 48.48 AL'O2 6,739 5,256 7,02 FeO 11,392 10,819 12,87 MnO 0,210 0,65 CaO 20,871 18,565 19,08 MgO 12,898 14,834 11,08 H20 0,285 0,515 0,17 100,025 100,00 99,35 (1) I. II. Waltershausen Lasaulx Voi. IL pag. 490. (2) III. Ricciardi. 154 RICERCHE CHIMICHE Olivinti dell' BOlna. I (1) II (2) III (3) SiO2 41,01 40,952 41,06 A1203 0,64 0,643 0,68 FeO 10,06 10,530 10,13 MgO 47,27 46,805 46,83 NiO .... ' | CoO ( H20 1,04 0,890 1,33 100,02 100,017 100,03 Peso specifico 3,410 Magnetite. Peso specifico 4, 43 Acido titanico 11, 14 Sesquiossido di ferro 58,86 Protossido di ferro 30, 00 100, 00 (4) Caratteri generali delle Lave dell'Irina. Il colore delle lave è variabilissimo dal grigio oscuro al cenerino chiaro. Esse ridotte in finissima polvere, messe sulla carta rossa di tornasole ed umettate , lasciano una marcata co- lorazione bleu. Tutte le lave dell'Etna da me analizzate, ridotte in (1) Waltershausen-Vulkanisclien Gestein pag. 111. (2) Waltershausen-Lasauls Voi. II. pa4. 491. (3) Ricciardi. (4) Waltershausen-Lasauk 1. e. pag. 491. SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 155 polvere ed esposte per mezzo di un Alo di platino al dardo del cannello ferruminatorio , si fondano facilmente , in un vetro nero omogeneo, che fortemente è attirato dai poli della calamità. Le lave porferizzate sono più o meno attirate dalla calamita prima e dopo la calcinazione. (1) Per P azione del calore subiscono lievi perdite da at- tribuirsi ad acqua di combinazione e non a fluoruri per- chè in queste lave non se ne riscontrano. Gli acidi cloridrico, nitrico e solforico intaccano facil- mente le lave. Le cimentai pure con acqua distillata a caldo e con acqua satura di anidride carbonica, e per risultato ne ebbi che in piccola quantità le lave venivano disciolte. Trattate con acidi, alcune venivano intaccate con leg- giero svolgimento di gas che riconobbi per anidride car- bonica, ma in così piccola quantità da poter essere trascu- rata. Sictmlo scsBQBtf» iieBl'aBBJBlisà. Siccome non si disgrega che incompletamente cogli aci- di la roccia doleritica che compone le masse eruttate dal- l'Etna in epoche differenti, io ricorsi quasi sempre al me- todo Deville (2) e alla mescolanza di carbonato sodico po- tassico, tanto per la disgregazione, quanto per la determi- nazione dei componenti ad eccezione dei soli alcali nel de- comporre la roccia col secondo metodo. Prefissomi di prendere le medie di tre analisi eseguite sui campioni di ciascuna lava, ricorsi ad altri metodi d'a- nalisi suggeriti da illustri analisti — Provai p. e. con P acido fluoridrico proposto dal Berzelius per attaccare i silicati , (1) Annales de Cliim. Phy. Voi. XLI pag. 236 Kennedy Lave de Cata- nia— Ses proprietes physiques; son analyse. (2) H.Saint Claire-Deville— Ann. Oh. Phy. Serie in. tom. XXXVIII 1853. ATTI ACC. VOL. XV. 22 156 RICERCHE CHIMICHE come anche con quello dettato da Fellemberg-Rivier che con- siste nel mescolare il silicato con quattro parti di cloruro di calcio ed una di idrato di bario; esperimentai pure il me- todo di Smith per la disgregazione, di mescolare cioè, il si- licato nella proporzione di una di silicato con 3 o 4 parti di carbonato di bario e due parti di cloruro di bario. Non trascurai neanche il metodo di Deville con le mo- dificazioni suggerite dal Chiarissimo Prof. Alfonso Cossa che qui riproduco: « Si fonde la roccia silicea finamente polverizzata, e cal- cinata a temperatura elevata a segno da espellere l'acqua e l'anidride carbonica , con poco più di un terzo del suo peso di carbonato calcico puro e preparato artificialmente. Si scioglie il prodotto della fusione nell'acido nitrico avente una densità di 1. 25. Si evapora a secchezza la soluzione acida e si lascia il residuo esposto per alcune ore alla tem- peratura di circa 250°. Quindi si fa bollire il residuo con una soluzione di nitrato ammonico a cui siansi aggiunte alcune goccie di ammoniaca. « La calce, la magnesia, gli alcali passano nella soluzione ammoniacale, mentre gli altri componenti rimangono nel re- siduo insolubile. Facendo digerire il residuo con acido ni- trico alla temperatura di circa 60°, si separa la silice dagli ossidi di ferro e di alluminio. Si fonde la silice con bisol- fato potassico per separare quella porzione d' acido titanico che per avventura può contenere. « Dalla soluzione acida si precipitano insieme l'allumina e 1' ossido di ferro; si fonde il precipitato con bisolfato po- tassico. Alla soluzione acquosa del prodotto della fusione precedente si aggiunge un eccesso di idrato di potassio ; quindi si scioglie 1' ossido ferrico nell'acido nitrico e lo si precipita nuovamente con ammoniaca. Quindi con carbonato ammonico si prova se l'allumina precipitata dalla sua so- luzione alcalina contiene glucina o altre sostanze. SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 157 « La soluzione di nitrato ammonico contenente in solu- zione la calce, la magnesia e gli alcali viene diluita con acqua e quindi trattata alla temperatura ordinaria con os- salato ammonico — L' ossalato calcico ridiscìolto e quindi nuovamente precipitato onde sceverarlo da ogni traccia di ossalato magnesiaco, viene convertito alla temperatura del calor bianco in ossido di calcio. Si conosce la quantità di calce contenuta nella roccia sottraendo dalla quantità di calce ottenuta nel modo ora descritto quella porzione corrispon- dente al corbonato calcico impiegato per scomporre la roccia. « Nella soluzione separata dall' ossalato calcico si espelle col calore la maggior parte dei sali ammoniacali; si de- compone il residuo con un'eccesso di acido ossalico, e con acqua si separano i carbonati alcalini dalla magnesia ; si convertono i carbonati in cloruri e Analmente col cloruro platinico si isola col solito metodo la potassa dalla soda (1). È vero che Deville non ha compreso l'acido fosforico nel metodo originale da lui proposto, ma questo, trovandosi nelle roccie, resta unito al ferro e all'allumina, quindi se- parando il ferro dall'allumina (2) l'acido fosforico resta con quest'ultima. Seguendo il metodo suggerito da Rivot per la separa- zione del ferro dall'allumina (3) l'acido fosforico va calco- lato con 1' allumina e per conseguenza diventa causa d'er- rore nell'analisi. Oltre questi due metodi ne ho seguito altri indicati dal Fresenius (4) dal Girard (5) dal Rose (6) e dal Dero- (1) A. Cossa — Ricerche di chimica mineralogica sulla Sienite del Biellese — Atti della R. Accademia delle scienze di Torino. Serie II. Tomo XXVIII. (2) Deville, 1. e. pag. 21 e 22. (3) Rivot. Ann. de Oh. et de Phy. Serie III. Tomo XXX. (4) Fresenius. Traite d'analyse Ch. quant. 1873 da pag. 348 a 353. (5) Girard. Comptes Rendus LIV, 468. (6) H. Rose. Chi. Analyt. Analyse quant. da pag. 724 a 732. 158 RICERCHE CHIMICHE me (1) ( con quest'ultimo metodo si ha perdita di calce e magnesia trattenute dal precipitato di ferro, di allumina e di fosfati terrosi ). Ma nessuno dei metodi suaccennati mi ha dato risultati comparabili a quelli ottenuti, determinan- do direttamente 1' acido fosforico col metodo di Sonnen- schein (2). Ho provato seguendo il metodo d' analisi di Deville, di sciogliere l'allumina dopo la separazione del ferro nell'i- drato potassico, di rendere acida la soluzione con HNO3 e di precipitare l' acido fosforico col reattivo molibdico — I risultati che ne ho ottenuto sono abbastanza soddisfacenti. Seguendo il metodo Deville il ferro 1' allumina e l' a- cido fosforico si separono perfettamente dalla calce e dalla magnesia, mentre ciò non avviene quando si disgrega una roccia con carbonato sodico-potassico. Costantemente ho avuto occasione di osservare che assieme al precipitato ot- tenuto con cloruro d' ammonio ed ammoniaca vi restavano sempre traccie non trascurabili di calce e di magnesia. Questo fatto non è nuovo (3), però seguendo Fresenius (4) non basta la doppia precipitazione; ma ne occorrono almeno cinque. Dopo la quinta precipitazione, sciogliendosi l'allu- mina ed il ferro nell'acido cloridrico si aggiunge alla so- luzione acida eccesso di potassa caustica per separare il ferro dall'allumina. Poi si raccoglie il ferro sul filtro e al liquido filtrato si aggiunge cloruro d' ammonio, per preci- pitare 1' allumina. Quest'ultima viene anch'essa raccolta sul filtro. Ora aggiungendo al liquido filtrato, separata l'allumina, dell'os- (1) P. Derome. Comptes Rendus. Secondo semestre 1879 pag. 952. (2) Journal f. prakt. Chem. LUI, 343. (3) Eose. 1. e. vedi separazione dell'allumina dalla calce e magnesia a pag. 65, 69, 72. (4) 1. e. pag. 474, 482, 487, 78. SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 159 salato ammonico, persino dopo la quinta precipitazione del ferro e l' allumina, si raccoglieva non di meno dopo un certo tempo in fondo al bicchiere un leggiero precipitato che riconobbi per calce e magnesia. Ad evitare questo inconveniente che potrebbe causare delle perdite di sostanza e quindi dati analitici inesatti ho operato nel seguente modo : Disgregavo la roccia con car- bonato sodico potassico poscia separata la silice, precipi- tavo con cloruro d'ammonio ed ammoniaca il ferro l'allu- mina e i fosfati dalla soluzione cloridrica; raccoglievo il precipitato sul filtro e mettevo da parte il liquido filtrato e così per due volte di seguito. Indi scioglievo il precipitato con acido cloridrico e alla soluzione aggiungevo eccesso di potassa caustica, racco- glievo il ferro precipitato, lo ridiscioglievo con acido clori- drico e poscia lo precipitavo di nuovo con la potassa a caldo avendo cura di agitare continuamente. Raccoglievo di nuovo il precipitato lo ridiscioglievo in acido cloridrico e da que- sta soluzione lo precipitavo con ammoniaca (1). Il liquido filtrato dopo 1' ultimo trattamento del preci- pitato con la potassa poteva contenere ancora allumina , quindi l'univo all'altro che ne conteneva la maggiore quan- tità; allora con cloruro d' ammonio precipitavo l' allumina a caldo, poscia la raccoglievo sul filtro. Il liquido separato dall' allumina per filtrazione, lo aggiungevo alla soluzione (1) Il ferro così pesato contiene sempre acido fosforico , ma non tutto quello che si era precipitato col ferro e coli' allumina; perchè nella separa- zione di questi due corpi con la potassa, una porzione di acido fosforico viene disciolto. — Per avere dati esatti, dopo la pesata del ferro esso deve scio- gliersi in acqua regia. La soluzione poi deve essere portata a secco e il re- siduo, ripreso con acido nitrico, si filtra. Indi nel filtrato si precipita l' acido fosforico col reattivo molibdico, e determinatane la quantità si sottrae dal ferro. 100 RICERCHE CHIMICHE che conteneva la principale quantità di calce e magnesia che venivano in seguito precipitate coi noti metodi. Le lave dell'Etna contengono il ferro allo stato ferroso per la massima parte; per determinarlo ricorsi al metodo di Mitscherlich, cioè di riscaldare in tubo chiuso a + 200° una parte della roccia finamente polverizzata con una me- scolanza di tre parti di acido solforico ed una d'acqua — Disgregata la roccia, col permanganato potassico determi- navo la quantità del sale di ferro al minimo — Nei prospetti d'analisi metto traccie di sesquiossido di ferro perchè è in quantità trascurabile. ■ ijavss ijai'BtRàsi. La corrente lavica denominata Larmisi consta di una massa di color grigio scuro, porosa, disseminata di piccoli cristallini di Olivina; i cristalli di Labradorite sono aghi- formi. La lava ridotta in polvere è di color piombino chiaro che per l'azione del calore prende una tinta piombino chiaro rossastro. BìciBsilà. Con la boccetta con Quantità Temperatura Peso specifico grammi 1,251 19° C. 2, 786 » 1,148 » » 2, 773 » 1, 350 » » 2,793 » 0,932 » » 2,778 » 3, 115 » » 2,776 Media 2, 781 SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 161 Coiiiposizioioe eoHigilessiva delira Iravra ffljai'aiiiSR. Anidride silicica 46, 05 Anidride titanica 0,47 Anidride solforica 0,23 Anidride fosforica 2, 65 Cloro traccie Ossido ferroso (tracce, ferrico) 11, 18 Ossido d'alluminio 19,29 Ossido di manganese k 0,59 Ossido di calcio 10, 81 Ossido di magnesio 3,69 Ossido di potassio 0,73 Ossido di sodio 3,55 Perdita per calcinazione 1,03 100, 27 liiiva dell' ugnimi. La massa di questa lava è piuttosto porosa e lascia distintamente discernere i minerali che la compongono. Essa è di color bigio, mentre polverizzata è di color cenere , il quale per la calcinazione acquista una tinta cenere rossa- stra leggiera. Densità. Presa con la boccetta con : grammi 0, 875 16° C. 2, 805 » 0, 998 16° C. 2, 812 » 1,234 16° C. 2,803 » 1, 045 16° C. 2, 822 0,879 16° C. 2,815 Media 2,811 162 RICERCHE CHIMICHE Composizionic complessiva della lava fieli' 4&£iiina. Anidride silicica 50, 23 Anidride titanica 0, 31 Anidride fosforica 3, 16 Anidride solforica 0, 08 Cloro tracci e Ossido ferroso 10, 48 Ossido di manganese 0, 52 Ossido di alluminio 15, 55 Ossido di calcio 11, 73 Ossido di magnesio 5,09 Ossido di potassio 0, 51 Ossido di sodio 2, 78 Perdita per calcinazione 0, 45 100, 89 Aulica lava sottoposta a quella del Itotolo — Pro- babiluieute appartiene alla lava dell' Oguiua — ( Scinto Patti ). L' impasto di questa lava è piuttosto omogeneo e com- patto, e si discernono i componenti mineralogici. In massa la lava è di color grigio chiaro, ridotta in finissima polve- re è di color cenere, mentre per l' azione del calore la tinta diventa più oscura tendente al rossastro. Densità. Presa con la boccetta con: grammi 0, 837 a + 15° C. 2,812 » 1,743 > > > > 2,817 » 2,041 » » » » 2,816 » 0, 839 » » > » 2,813 » 1, 309 > > » » 2,809 Media 2, 813 SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 163 Composizione complessiva «Iella lava sottoposta a quella del Rotolo Anidride silicica 50,30 Anidride titanica 0,38 Anidride fosforica 3,21 Anidride solforica 0,11 Cloro traccie Ossido ferroso (tracce, ferrico) 12, 05 Ossido di manganese 0,49 Ossido di alluminio 14,67 Ossido di calcio 10,72 Ossido di magnesio 5,35 Ossido di potassio 0,56 Ossido di sodio 2,63 Perdita per calcinazione 0,21 100, 68 Lava Fratelli Pii. La lava denominata Fratelli Pii è compatta, di color grigio semichiaro , ridotta in finissima polvere è di color terra d' ombra naturale, la quale per la calcinazione passa al piombino che si avvicina ai grigio. ' Densità. Venne presa con boccetta con : grammi 0, 811 17° C. 2,689 » 1, 124 » 2, 687 * 1,331 » 2,676 > 2,896 > 2,674 0, 927 . 2, 680 Media 2, 681 ATTI ACC. VOL. XV. 23 164 RICERCHE CHIMICHE Composizione complessiva della Lava Fratelli Pii. Anidride silicica 51, 73 Anidride titanica 0, 54 Anidride fosforica 3, 65 Anidride solforica 0, 21 Cloro traccie Ossido ferroso (tracce ferrico) 11,23 Ossido di manganese 0,71 Ossido di alluminio 14,68 Ossido di calcio 9,78 Ossido di magnesio 4,11 Ossido di potassio 1,24 Ossido di sodio 2,98 Perdita per calcinazione 0,48 101, 34 Lava del ponte dell'agnina. Giudicata coeva a quella dei Fratelli Pii di Catania. Essa consta di una massa compattissima nella quale per la grande omogeneità non si discerne altro che qualche feld- spato aghiforme, con rarissimi e piccoli cristalli di pirosseno. La lava è di color cenerino chiaro; ridotta in polvere è di color cenere rossastra leggiera il quale pel calore passa al cenerino rossastro leggiero. Densità. La densità venne presa con la boccetta. Quantità Temperatura Peso Specifico grammi 0, 522 a 16° C. 2,649 » 0, 733 » » 2,668 » 2, 537 » » 2,655 » 0, 986 » » 2,661 » 1, 024 » » 2, 659 Media 2, 658 SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 165 Composizione complessiva «Iella lava del Ponte dell' Ogninn. Anidride silicica 55, 66 Anidride titanica 0, 33 Anidride solforica 0, 06 Anidride fosforica 3, 67 Cloro traccie Ossido ferroso 10, 83 Ossido di manganese 0, 43 Ossido di alluminio 11,03 Ossido di calcio 11, 13 Ossido di magnesio 4, 76 Ossido di potassio 0,48 Ossido di sodio 2, 37 Perdita per calcinazione 0, 26 101,01 Lava Carvana, 133 a. A. G. V. In massa questa lava è piuttosto compatta , si discer- nono distintamente i componenti mineralogici con predo- minio di Labradorite. Il color della lava Carvana è grigio chiaro, se polve- rizzata è di color cenere che per la calcinazione prende una tinta più oscura rossastra. Densità. Col metodo della boccetta con: grammi 3, 041 a + 19° C. 2, 830 2,841 2,843 2,838 2,847 > 1, 765 » > » 0, 893 » » » 2, 004 » > > 1, 437 > > Media 2, 835 166 RICERCHE CHIMICHE Composizione complessiva «Iella lava Carvaua. Anidride silicica 49, 63 Anidride titanica 0,47 Anidride fosforica 3.07 Anidride solforica 0,17 Cloro traccie Ossido ferroso (tracce ferrico ) 10, 93 Ossido di alluminio 15, 27 Ossido di calcio 10,87 Ossido di magnesio 4,65 Ossido di manganese 0,36 Ossido di potassio 1,49 Ossido di sodio 2,82 Perdita per calcinazione 0,35 100, 08 Lava di C'ifali «53. Questa lava in massa è di color grigio chiaro , con bellissimi cristalli di Augite che si vedono disseminati in gruppi. Ridotta la lava in fina polvere è di color piombino chiaro rossastro che per Y azione del calore diventa più oscuro. Densità. Presa con la boccetta con : grammi 1, 395 a + 20° C. 2, 784 0,943 » » 2,757 » 2,137 » » 2,773 0,842 » » 2,767 2,049 » » 2,765 Media 2, 769 SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 167 Composizione complessiva della lavu di Cifuli. Anidride silicica 49,43 Anidride titanica 0,62 Anidride fosforica 3,00 Anidride solforica 0,29 Cloro traccie Ossido ferroso (tracce ferrico) 12, 09 Ossido di alluminio 16, 83 Ossido di manganese 0.39 Ossido di calcio 9,57 Ossido di magnesio 3,91 Ossido di potassio 0,88 Ossido di sodio 2,43 Perdita per calcinazione 0,69 100, 13 Lava del Rotolo 1381. La corrente di questa lava è piuttosto compatta e nella massa si discernono nitidi cristalli di olivina e pirosseni con predominio di feldspato. Vista in massa è grigia chiara, polverizzata è di color cenere che prende una tinta più scura pel calore. Densità. Venne presa con la boccetta: Quantità Temperatura Peso Specifico grammi 1,098 19° C. 2,795 2,283 > 2,796 » 0,828 » 2,788 1, 174 » 2, 795 > 1,068 » 2,794 Media 2, 793 168 RICERCHE CHIMICHE Composizione complessiva della lava «lei Rotolo. Anidride silicica 52, 09 Anidride titanica 0,37 Anidride fosforica 3,22 Anidride solforica 0,16 Cloro traccie Ossido ferroso (tracce ferrico) 11,61 Ossido di alluminio 16,58 Ossido di manganese 0,32 Ossido di calcio 9, 13 Ossido di magnesio 3, 13 Ossido di potassio 0,89 Ossido di sodio 2,47 Perdita per calcinazione 0,64 100, 61 Lava del Crocifisso 1381. Questa lava è di color grigio scuro screziata in bianco dai cristalli di Labradorite; la sua polvere è più chiara della massa compatta, mentre calcinata acquista una tinta cenericcio rossastro. Densità. Presa con la boccetta con: grammi 1, 075 a + 16° C. 2,665 » 1, 403 a + 16° C. 2,667 » 0, 823 a + 16° C. 2,659 2,013 a + 16° C. 2,664 » 1,832 a + 16° C. 2,665 Media 2, 664. SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 169 Composizione complessiva della lava del Crocifisso. Anidride silicica 50, 61 Anidride titanica 0, 41 Anidride fosforica 1, 80 Anidride solforica 0, 15 Ossido ferrOSSO (tracce ferrico) 10. 67 Ossido di manganese 0, 52 Ossido di alluminio 15, 67 Ossido di calcio 11, 35 Ossido di magnesio 5, 10 Ossido di potassio 0, 67 Ossido di sodio 3,42 Perdita per calcinazione 0, 10 100, 57 Lava «Iella grande eruzione dell' anno 1669. Di questa eruzione lo Spallanzani (1) così ne scrisse: « Se poi fermeremo lo sguardo alla superfìcie del suolo Catanese , incontreremo per ogni dove immense congerie di lave , tra le quali è famosissima quella che nel 1669 squarciato un fianco dell'Etna inondò con infinita rovina uno spazio di quattordici miglia di lunghezza, sopra tre o quattro in larghezza, e soperchiata le mura di Catania, e coperta una parte di lei , andò infine a precipitarsi nel mare. » La massa complessiva della lava è piuttosto compatta e lascia discernere bellissimi cristalli di pirosseni, di Labra- dorite e qualche granello di olivina. Secondo Abich (2) questa lava può considerarsi come (1) Spallanzani — Viaggio alle due Sicilie Tomo 1 Milano MDCCCXV. (2) Abich Annal. des Mines 4 Serie Voi. 2 pag. 610, 611, anno 1842. 170 RICERCHE CHIMICHE costituita da 54, 80 di Labradorite, 34, 16 di Augite (piros- seno), 7, 98 di Olivina e 3, 06 di Ossido magnetico. Un campione di lava da me raccolto presenta un prin- cipio di decomposizione dalla parte esposta agli agenti at- mosferici; ma l' alterazione non è tale da lasciar discernere un pollice dì roccia disgregata, come fin dal 1766 scrisse di avere osservato il conte Borch. Come rilevasi dalla fi- gura I.a la parte della lava dell'anno 1669, esposta all' aria presenta un principio di disfacimento. Questo è più mar- cato nei cristalli di Augite perchè hanno perduto il loro aspetto cristallino e al loro posto non si osserva altro che una macchia rossastra; mentre i cristalli di Labradorite hanno resistito di più all'influenza atmosferica, poiché essi hanno perduto il loro splendore. Ma ad occhio nudo si discernono le faccette prismatiche ricoperte da leggero strato opale- scente. La presenza di cristalli di olivina è rivelata da macchiette gialle. Nella figura IP si vede un campione di lava non espo- sta alle influenze atmosferiche. La massa lavica è di color grigio chiaro ; polverizzata , è di color piombino chiaro che per la calcinazione prende una tinta più oscura. Densità. La densità venne presa col metodo della boccetta con : grammi 1, 155 a + 20° C. 2, 813 » 2, 078 a + » 2, 821 > 1,258 a 4- » 2,840 0, 803 a + » 2.809 > 1,087 a + > 2,787 Media 2, 812 SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 171 Composizione complessiva della lava del 1669. Anidride silicica 49,27 Anidride titanica 1,02 Anidride fosforica 3,47 Anidride solforica traccie Cloro traccie Ossido ferroso (tracce ferrico 0 11,08 Ossido di alluminio 15,06 Ossido di manganese 0,41 Ossido di calcio 11,28 Ossido di magnesio 4,51 Ossido di potassio 0, 51 Ossido di sodio 1, 59 Perdita per calcinazione 0, 76 100, 96 Lava dell' eruzioni» del 1§58 raccolta dalla cava in vicinanza dei nioliui di Zaftcrana. La lava della grande eruzione del 1852 è compatta e nella massa si discernono facilmente i principali minerali che la compongono. — In massa è di un colore piuttosto gri- gio oscuro, polverizzata è di color cenere. Densità. Col metodo della boccetta con: grammi 1, 310 a + 16,° C. 2, 799 » 1, 300 a + » 2, 815 » 0, 727 a + » 2, 820 2, 129 a + » 2, 803 2, 897 a + » 2, 807 Media 2,809 » ATTI ACC. VOL. XV. 24 172 RICERCHE CHIMICHE Composizione complessiva della lava del 1853. Anidride silicica 49, 17 Anidride titanica 0,49 Anidride solforica 0,09 Anidride fosforica 3, 21 Cloro traccie Ossido ferroso (tracce ferrico) 10, 64 Ossido di alluminio 20,53 Ossido di manganese 0,58 Ossido di calcio 9,81 Ossido di magnesio 2,21 Ossido di potassio 0,88 Ossido di sodio 2,89 Perdita per calcinazione 0,22 100, 72 Lavn dell' eruzione del 1899 raccolta a Passo Pisciaro. La lava deir ultima eruzione dell' Etna è compatta di color grigio chiaro ceruleo, polverizzata è di color grigio chiaro il quale per la calcinazione prende una tinta terra d' ombra chiara rossastra. Densità. Col metodo della boccetta con: grammi 0, 906 a + 20,° C. 2, 687 » 1,227 » » 2,647 » 2,562 » > 2,676 » 1,007 » » 2,668 » 1,210 » » 2,674 Media 2, 670. SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 173 Composlziouc complessiva dell a lava «lei 1S99. Anidride silicica 49, 66 Anidride titanica 0,67 Anidride solforica 0, 11 Anidride fosforica 1,71 Cloro traccie Ossido ferroso (tracce fenice ) 12, 07 Ossido di manganese 0,63 Ossido di alluminio 18, 08 Ossido di calcio 9, 60 Ossido di magnesio 4,21 Ossido di potassio 0, 84 Ossido di sodio 2, 49 Perdita per calcinazione 0, 37 100, 44 La ridente posizione di questa Città favorita della na- tura, è resa ancora più amena dalla lussureggiante vege- tazione delle piante che ne popolano i dintorni. Sulla fertilità dei terreni Catanesi ecco ciò che ne scrisse l'Illustre Spallanzani. (1) « Non occorre quasi ch'io il dica, perchè è notizia « troppo trita, che la regione inferiore dell' Etna montagna « che attraversai, e che dal Catanese lido ascende dodici « miglia verso la sommità, è sopra ogni credere ricchis- « sima di pascoli e d' alberi fruttiferi d'ogni maniera. In appendice all' istessa pagina si legge. « La fertilità di questa regione è stata decantata dalla « maggior parte degli autori che scritti hanno dell'Etna, trai « quali si distinguono Stabone e Fazello, ma sopra ogni al- (1) Lazzaro Spallanzani — Viaggi alle due Sicilie Tonio 1 pag. 164 Milano MDCCCXXV. 174 RICERCHE CHIMICHE « tro Pietro Bembo , che dopo V aver visitato quel monte « ne compose un graziosissimo Dialogo. « Dietro a sì numerose descrizioni di tal regione, e dopo « che il Borelli, ha più d'un secolo, credette cosa affatto « superflua il descriverla egli, non sappiamo per chi abbia « voluto scrivere il Brydone nel raccontare i prodigj di « quel fertilissimo suolo. » Brydone dunque prese a scrivere di un fatto che fu omesso dall' Illustre descrittore della eruzione del 1669, ed io, un secolo e più dopo Brydone, sono tentato a dire di cose conosciute fin da remotissimi tempi. Il certo si è che neh' avvicinarsi a Catania chi giunge da Messina, resta stupefatto della lussureggiante vegetazione di piante svariatissime, e quel che più mi colpì si fu il ve- dere che su strisce scure e tetri ove diffìcilmente allignano altre piante, vegeta in modo sorprendente l'ulivo, mentre questa pianta in generale per attecchire bene, richiede ter- reno piuttosto calcareo argilloso. Però sulle lave eruttate dell'Etna essa si contenta di una semplice fenditura, o a picco o nella informe massa (1). Questa pianta se fa meraviglia pel modo rigoglioso in cui si sviluppa non agevola affatto la disgregazione della roc- cia colle sue radici come fa portentosamente il fico d'india. Bastano pochi anni, perchè una lava occupata dai fichi d' india cominci ad avere uno stratarello di terreno , ove senza indugio Y Agricoltore siciliano semina lino, frumento o qualche leguminosa (2). (1) Nel Veronese l'ulivo non attecchisce bene su terreni formatisi perla disgregazione di roccie vulcaniche eruttate sul luogo per deficienza di calce. — Bullettino N. 4 Anno 1875 -- Stazione Agraria di Verona — pag. 52. (2) Spallanzani 1. e. pag. 163. Accennando alle esperienze fatte dal Prin- cipe Biscari sulla lava del 1669 scrisse. « I soli fichi opunzia (cactus opuntia Linn.) lussureggiano copiosamente. « Ma è troppo noto che cotal arbusto è amatissimo delle lave, senza la- sciar di appigliarsi e di sorgere a grandi altezze, e di fruttificare largamente sulle più sterili. » SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 175 All'utile effetto dei fichi d'india si uniscono gli agenti atmosferici e questi uniti, agiscono in modo che dopo una serie di anni piuttosto limitata, rendono a coltivazione zone che mettevano melanconia a vederle. Tra le lave vomitate dall' Etna ve ne sono di quelle che diffìcilmente sono attaccate dagli agenti atmosferici e che non danno asilo alle piante, mentre ve ne sono altre in cui avviene il contrario; come per esempio quella della eruzione del 1852 che nelle vicinanze di Zafferana è ricoperta di ginestre e fra non molti anni, sarà certo resa coltivabile. Riguardo alla produttività i terreni di Catania e elei suoi dintorni sono classati tra i più fertili d'Europa, ma nes- suno che io sappia ha dato finora una spiega di questo fatto. Esaminando i quadri indicanti la composizione chimica complessiva delle lave Etnee, non sfuggirà a chicchessia la quantità di anidride fosforica e di sostanze alcaline. Mi pare strano come molti analisti che si sono occupati della chimica composizione delle correnti laviche, abbiano potuto trascurare di ricercare l'acido fosforico mentre tutti sanno che quest' acido contenuto o introdotto in un terreno (che certo risulterebbe dalla disgregazione delle lave suddette) darebbe a questi terreni un valore valutabile con una data quantità di sostanze alimentari. Il Chiarissimo Prof. 0. Silvestri accennò nella sua dotta pubblicazione sull'eruzione dell'Etna del 1863-65, al fatto che in quelle lave , egli aveva trovato tracce di anidride fosforica. Pure il Waltershausen parlando dei componenti delle lave Etnee; dice che il fosforo (allo stato di fosfato di calce) vi si trova in piccola quantità (1). Però egli osserva di aver trovato apatite in tutte le lave, e specialmente nelle lave 1669 e del 1852 (2). (1) 1. e. pag. 485. (2) 1. e. pag. 492. 176 RICERCHE CHIMICHE Nelle lave da me analizzate non si tratta di traccie, ma di quantità piuttosto rilevante qualora la si confronti con quella che si riscontra nei terreni considerati come fertili. La quantità da me rinvenuta in tutte le lave si può calcolare che ascende in media a circa il 3 per cento, quantità che si rende rilevante qualora noi consideriamo V Italia meno fortunata di altri paesi come la Spagna, la Francia, V Inghilterra, ec. ecc. che hanno depositi di apa- tite, fosforite o nodoli fosfatici. In Italia però secondo il Prof. Capellini vi sono alcune Provincie dove le terre ci- miteriali per la loro ricchezza in fosfati sono vantagiosa- mente utilizzate come ingrassi. Anticamente la Sicilia e la Sardegna erano considerati come i granai di Roma, mentre oggi forse non producono neanche quanto basti alla popolazione che le abita. E ciò avviene non solo nella Sicilia e nella Sardegna, ma ancora in molte regioni dell'Asia minore e dell' Africa Settentrionale anticamente fertilissime ed ora sterili. Arrogi che le immense pianure degli stati dell' Ame- rica settentrionale in altri tempi rinomate per la loro fer- tilità, oggi sono isterilite senza che da alcuno se ne sappia dire la ragione. La sterilità dei terreni situati nelle contrade suaccen- nate., deve attribuirsi alla continua coltivazione di cereali la quale esaurì completamente il terreno, togliendogli senza nessuna restituzione ciò che ne formava la ricchezza. Il popolo Inglese che per coltivazione non ha chi l' u- guagli, venti anni fa da un ettaro di terreno ricavava 30 ettolitri di cereali, ed oggi ne ricava più di 35 ettolitri, ed i Mecchy, i Law, i Kednedy raggiunsero nientemeno che circa 70 ettolitri per ettara. (1) (1) La media della produzione dei cereali in Italia non oltrepassa gli undici ettolitri per ettara e scende fino a 6, 20 (Sondrio). SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 177 Quest' aumento spiega che la produzione dei terreni è sempre in rapporto coi fattori immediati e mediati della vegetazione di cui possono alimentarsi le piante. Le piante per mezzo delle loro radici ed organi ap- pendicolari assorbono gli alimenti dell' aria e del terreno senza riguardo allo stato chimico -dell' alimento che loro deve servire di nutrizione, esse per esempio si assimilano con le loro radici l'acido fosforico delle apatite, delle fo- sforite come si assimilerebbero l' acido fosforico contenuto nel guano e nel letame. GÌ' Inglesi convinti di questo importante fatto, cioè che l'acido fosforico introdotto nel terreno ne aumenta la pro- duzione, principalmente dei cereali, si dettero a cercare le sostanze che ne contenevano in tutte le parti del mondo , senza neanche tralasciare le ossa umane. Basta ricordare, che non li disgustò il pensiero di toccare ciò che più sa- cro si ha al mondo, gli avanzi dei morti, tanto che ilLie- big li chiamò vampiri dell' Agricoltura. Gli ossuari gloriosi di Waterloo, di Iena e Austerlitz servirono agli Inglesi per produrre pane e carne ! Essi esaurirono i depositi guaniferi elei Kinkas e i de- positi di fosforite della Svezia, e tutt' ora investono milioni tutti gli anni per acquistare i residui delle ossa che ven- gono adoperati per la purificazione dello zucchero. (1) Ora disaggregandosi col tempo le lave vomitate dal- l'Etna tutto ciò che oggi offra un aspetto triste sarà tanto terreno guadagnato all'agricoltura, come dimostra l'esem- pio di altri terreni della medesima costituzione e che un (1) In Italia non solo è poco conosciuta l'industria dei concimi fosfatati, ma ne esportano tutti gli anni le ossa all'estero. Nel 1865 la esportazione delle ossa raggiunse la cifra di oltre 4 milioni di chilogrammi, ed il valore di queste ossa tradotto in granaglie corrisponderebbero a 100 milioni di frumento Pavesi, i concimi all'Esposizione di Londra nel 1862 Voi. IV pag. 186. 17* RICERCHE CHIMICHE giorno sterili campi di lave , oggi compensano lautamente il lavoro dell'agricoltore. E questo splendido risultato si deve per 1' appunto alla cpiantità di acido fosforico contenuto prima nella lava stessa e poi nel terreno formatosi in seguito alla sua di- sgregazione. Se all'acido fosforico dò la massima importanza, non devo trascurare che vi sono altri composti come quel del ferro e dei sali potassici i quali come tosto dirò pure au- mentano la fertilità dei terreni. Il ferro allo stato ferroso forma circa 1' ottava parte delle roccie dell'Etna, questo sale per la disgregazione ed ossidazione passa a sesquiossido. Il sale ferroso, se è causa di sterilità nei terreni paludosi e di quei terreni in cui abbonda , invece nella formazione del terreno dei dintorni di Catania non può arrecar nessun danno. Imperocché il sale ferroso contenuto nella lava, nell'atto della disgregazione passa allo stato di sale ferrico perdendo ogni effetto nocivo sulle piante. Ed i fatti confermano que- sta osservazione giacché i terreni formatisi per la disgre- gazione delle roccie dell'Etna sono tutti ubertosi. I sali ferrici contenuti in un terreno nelle quantità suac- cennate riescono di vantaggio all'Agricoltura, perchè essi si prestano a far da veicolo per alcuni materiali molto u- tili per le piante. I carbonati alcalini e quelli di calce e magnesia, possono scambiare la base dando origine a sali più diffusibili e quindi più facilmente assimilabili dalle piante offrendo inoltre il ferro che è tanto necessario per la for- mazione delle piante stesse. Oltre le suaccenate reazioni che avvengono nell' interno del terreno, i sali ferrici si appropriano l'ammoniaca del- l' aria atmosferica la quale una volta assorbita formano sali che trattengono energicamente l'acqua igroscopica. I sali ferrici riescono ancora vantaggiosi nei terreni; SULLE LAVE DEI DINTORNI DI CATANIA 179 perchè essi ne modificano le proprietà fisiche, non solo pel colore e quindi per la tendenza ad assorbire il calore sola- re ma anche pel grado d' igroscopiche, e per la permeabi- lità all' acqua e all' aria , tanto da rendere i terreni silicei più consistenti e più caldi in primavera e in autunno, ma più freschi in estate. La potassa quantunque si trovi in piccola quantità nelle roccie Etnee, basta per lo sviluppo delle piante che si col- tivano nei terreni di Catania e dei suoi dintorni. Della im- portanza capitale che ha la potassa in agricoltura nessuno credo, oserà dubitare dopo gli splendidi risultati ottenuti da W. Knop, F. Nobbe, Schroeder, R. Erdmann e confer- mati da Grandeau e Fliche. Conchiudo dunque ripetendo che anzitutto Y anidride fosforica i sali ferrici e la potassa, sono i componenti che impartiscano ai terreni di questi dintorni un grado eli pro- duttività cosi considerevole; ed un evidente e splendido e- sempio di questa mia asserzione forniscono i terreni della piana di Mascali, i quali formati da detriti di lave prove- nienti dalla valle del Bove, danno un reddito netto da su- perare quello dei terreni dei dintorni di Parigi. Laboratorio Chimico dell' Istituto Tecnico di Catania— Febbraio 1881. CARTA GEOLOGICA D_EI DINTORNI DI CATANIA. PROF. CARMELO SCIUTO PATTI SISafìk ZartruofOpnùt* /-h?/ /}, ggAtUk ?SJ. fjfz /,},?/ ' ' &69 /%wa*w! /■//•/■// ^fueMi ?;'„''„,./, □ \ " ■ ' Bó. r p i Ci ft 1 '"..\ i ^ V tf ;"! ' '• A *." ,v>. ,-r * l§ f A 'l *■ *& »««# -■-'-•<*.' -■fi ,( l *V 1* .**\ •-,: ^ y %*- A/ RICERCHE CHIMICHE SUI BASALTI DELLA SICILIA PER L. RICCIARDI E S. SPECIALE ( Nota Preliminare ) A compiere gli studi sui basalti della zona dell' Etna, fatti da Sartorius von Waltershausen (1), abbiamo intrapreso lo studio chimico di queste rocce. In questa breve nota che abbiamo 1' onore di presen- tare , daremo i risultati analitici solo di due basalti , dei quali uno specialmente per le particolari condizioni in cui si trova mostra maggiore interesse. Le rocce di cui intendiamo tener parola, appartengono al gruppo basaltico di Paterno, e secondo la distinzione che ne fa il Waltershausen , uno appartiene al banco su- periore e l' altro all' inferiore. Il basalte appartenente al banco superiore , è quello di cui fa menzione 1' egregio Prof. Silvestri in una sua Memoria: Sopra alcune paraffine ed altri Carburi d'idro- geno omologhi che trovami contenuti in una lava del- l' Etna (2). Noi chiamiamo basalto , e non una vera lava (1) Der Aetna— Nach den manuscripten des D.r W. Sartorius von Wal- tershausen — von D.r Arnold von Lasaulx, Leipzig 1880. II Band. (2) Atti Accad. Gioenia Scienze Naturali. Serie III. Voi. XII. ATTI ACC. VOL. XV. 25 182 RICERCHE CHIMICHE dell' Etna , la roccia dalla quale 1' egregio Prof. Silvestri estrasse le paraffine , perchè il Waltershausen la dice un basalte la cui natura geologica è indipendente dall'Etna. Il basalte petrolifero, mostra una struttura omogenea, senza alcuna distinzione netta dei suoi componenti minera- logici, vi si scorgono solo dei piccoli grani di olivina sparsi per la massa che ne è piuttosto ricca, e delle rare lam inette, sottilissime., bianche di labradorite. La massa è accidentata di cellette talvolta grandi, alcune delle quali tappezzate di piccoli cristallini di aragonite, altre piene dell' olio mine- rale, il quale, appena vien rotta la roccia , si spande con apparenza oleosa e si volatilizza spandendo un odore for- temente bituminoso. Presa allo stato naturale ha il suo peso specifico = 2,85 ( temp. 15° C. ); dopo fusione = 2,47. Avvicinata ad un ago calamitato lo devia pochissimo dalla sua posizione normale; mentre dopo fusione è attirata for- temente dalla calamita. Per fusione la roccia allo stato na- turale perde il 3,16%» mentre dopo esaurimento con etere perde solo 1,72 %• L'analisi dopo avere eliminati gli idrocarburi ha dato : Si02 49, 93 P.O. 1, 66 AIA 17, 72 Fe2Os 7, 44 con tracce di manganese FeO 3, 61 CaO 10, 64 MgO 3, 49 K20 1, 87 Na20 2, 66 Perdita per calcinazione 1, 72 100, 74 L' altra varietà di basalte da noi analizzato appartiene SUI BASALTI DELLA SICILIA 183 agli ammassi che trovansi nel torrente S. Biagio. Esso presentasi con struttura compatta ed omogenea, lasciando scorgere solamente rari cristalli di olivina. Le poche cavità che sono sparse nella massa contengono spesso aggruppa- menti di cristalli d' aragonite ; altre sono tappezzate com- pletamente da una sostanza color rosso scuro , che guar- data con una forte lente appare formata di microscopici cristalli; la poca quantità che si aveva non ci permise una analisi completa; ci riserviamo però darne la composizione quando completeremo il lavoro sui basalti della Sicilia. Il basalte non ha alcuna azione sull'ago-calamitato, la sua polvere dopo fusione è fortemente attirata dalla cala- mita. Una scheggia al dardo della fiamma fonde emanando vivissima luce. L' analisi quantitativa della roccia dopo calcinazione ci ha dato : SiO, 51, 25 PA 0, 63 Fe203 8, 35 con tracce di manganese FeO 5, 28 AIA 13, 96 CaO 13, 55 MgO 2, 19 K20 2, 63 Na20 2, 65 100,49 Peso specifico 2, 45 temperatura 15° C. La roccia per la calcinazione perde 6,11 % cu' cui 4,87 % rappresentano anidride carbonica. Laboratorio dell'Istituto Tecnico. Catania, Febbraio 1881. DETERMINAZIONE DELL'ACIDO ACETICO NEL VINO MEMORIA LETTA ALL' ACCADEMIA GIOENIA NELLA SEDUTA ORDINARIA DI FEBBRAIO 1881 dal Sodo Attivo Prof. G. BASILE Una delle difficoltà nell' analisi chimica del vino è sem- pre stata quella della determinazione dell' acido acetico, il quale vi si può trovare sia libero, ovvero anche in combi- nazione, formando acetati di calce o potassa solubili; questi acetati sono interessanti atteso il posto che possono occu- pare, specialmente quando si à per le mani un vino ges- sato; il gesso di cui si fa uso per l' ingessamento del vino, contiene sempre una certa quantità di carbonato di calce, che allorquando viene in contatto con 1' acido acetico, forma ace- tato di calce solubile, che resta nel vino e ne diminuisce la quantità di acido acetico , che più o meno vi si trova allo stato normale. Ora la determinazione dell' acido acetico si sa di quan- to interesse sia all' enologo ovvero all' analista, tanto che molti chimici vi anno rivolta 1' attenzione e trattandosi di lavorare sopra un liquido molto complesso si sono incon- trate difficoltà serie, perlocchè molti metodi si sono inven- tati e succeduti, senza che ancora può dirsi averne uno esatto e contemporaneamente di facile applicazione. ATTI ACC. VOL. XV. 26 186 DETERMINAZIONE DELL' ACIDO ACETICO Il metodo primitivo ( che ancora molti rispettano, ) fu quello di distillare il vino e nel liquido distillato determina- re volumetricamente 1' acido acetico. Questo metodo lascia a desiderare, imperocché 1' acido acetico bolle circa a + 120", il vino bolle al massimo a+ 100°, quindi è impossibile otte- nere tutto 1' acido per distillazione. Lefebvre mise in pratica il metodo seguente : deter- mina prima 1' acidità totale del vino, una porzione uguale del vino fa evaporare a secco, nel residuo estrattivo deter- mina F acidità, la differenza acidimetrica della prima e se- conda esperienza, calcola come acido acetico, supponendolo tutto evaporato. Questo metodo è forse più difettoso del primo, attesocchè tutto l'acido carbonico che in buona quantità si trova disciolto nel vino, mercè F evaporazione viene a scacciarsi e determinando F acidità nel residuo estrattivo, F acido carbonico viene a calcolarsi come acido acetico, perlocchè anche vini poverissimi in acido acetico, con tal metodo ne compariscono ricchi; non tenendo conto inoltre delle trasformazioni che possono subire, mercè F a- zione del calore, le altre sostanze e specialmente F acido tartarico e succinnico, generandosi acidi diversi di titolo acidimetrico differente. Kissel ne propose uno ingegnoso, ma credo che meriti ancora poca fiducia. L'autore opera della maniera seguente: prende un voi. di 100 e. e. di vino, al quale aggiunge acqua di barite fino a tanto che non si forma più preci- pitato, così si separano il bitartrato potassico, le sostanze al- buminoidi ec. ec, mentre F acido acetico combinandosi con la barite forma un acetato solubile, si filtra e si lava il pre- cipitato con acqua distillata calda , il liquido filtrato si evapora tanto per scacciare l'alcole e diminuire il volume del liquido, si lascia raffreddare, si aggiunge acido fosforico glaciale, il quale con la barite forma un fosfato baritico e l'acido acetico si mette in libertà, si distilla aggiungendo NEL VINO 187 acqua distillata, fino a tanto che il liquido che distilla non dà reazione acida ed allora si può determinare volume- tricamente l' acido acetico. Questo processo à vari incon- venienti ; primieramente non è un' operazione facilmente accessibile a tutti richiedendo un grande esercizio di labo- ratorio nell'operatore, con questo mezzo il vino si sotto- mette a reazioni dalle quali non si sa cosa risulta , una grande quantità di liquido che si ottiene come risultato Anale della distillazione e finalmente può darsi benissimo clie nel vino ci siano acetati in soluzione, cosa certa spe- cialmente quando sono vini gessati. Questi acetati vengono ad essere decomposti in seguito, mercè 1' azione dell' acido fosforico; l' acido acetico degli acetati allora viene determi- nato come acido acetico libero e si avrà un risultato er- roneo, attesocchè può risultare ricchissimo di tale acido un vino che allo stato libero ne contiene poco. Robinet propone un altro metodo ed è il seguente: Prende 100 e. e. di vino, li mette a distillare a bagno d'olio regolando con un termometro la temperatura sino a + 125° raccoglie il prodotto della distillazione in una bot- tiglia di Woulf a due gole, in una delle gole s'impegna il tubo dal quale distilla il liquido, neh' altra gola un tubo di sicurezza che si fa pescare in un bicchiere contenente acqua di calce. Si mette a distillare quando si vede che niente passa più con la distillazione e che il residuo del pallone è compatto, si arresta 1' operazione e si passa a titolare il prodotto della distillazione nella maniera se- guente. I prodotti della distillazione si raccolgono nella bot- tiglia di Woulf, se per caso scappano vapori acidi allora passano a gorgogliare nel bicchiere contenente acqua di calce, dove 1' acido carbonico forma un carbonato di calce quasi insolubile che precipita, se è scappato acido acetico formerà acetato di calce solubile. Si determina volumetri- camente l'acido acetico del bicchiere con acqua di calce 188 DETERMINAZIONE DELL'ACIDO ACETICO che già à assorbito i prociotti scappati alla condensazione. Il liquido acido della bottiglia di Woulf conterrà acido acetico e piccole quantità d' acido carbonico, si prende il ti- tolo acido di questo liquido non si deve fare altro che moltiplicare i cent, cubici per 0, g. 060, peso di 1/1000 di equivalente d'acido acetico idrato, corrispondente ad 1/1000 l' equivalente di soda, e così si à il peso d' acido acetico determinato, salvo ad aggiungervi quello che si è trovato nell'acqua di calce del bicchiere, che si analizza così: Si precipita la calce allo stato di carbonato per mezzo di una corrente d' acido carbonico, nel liquido resterà l' acetato di calce che si evapora e si ottiene secco. Si deduce dal peso trovato il piccolo peso di carbonato di calce solubile nel volume d'acqua impiegato; questa proporzione è 1/3000. Si può semplificare questa operazione sopprimendo il bic- chiere contenente acqua di calce, mettendo invece acqua di calce nella bottiglia di Woulf finita la distillazione si versa il latte di calce in una capsula, si evapora a secco in una stufa alla temperatura di 70°, o 80° gradi, poi si riprende il residuo secco con grande eccesso d' alcole a 90 gradi. L' acetato di calce solubile nell' alcole si separa dal carbonato di calce con la filtrazione, si evapora il liquido e si ottiene l'acetato di calce che si pesa, dal qual peso si deduce l'acido acetico. Anche questo metodo è difettoso primieramente non si ottiene mai tutto l'acido acetico, in fatti ò provato come aggiungendo altra acqua e ridistillando viene acida; le so- stanze estrattive condensate mantengono sempre acido a- cetico, che diffìcilmente cedono e poi si è obbligati aduna lunga serie di operazioni, specialmente quando si tratta di raccogliere l' acido acetico sopra 1' acqua di calce e pesar- lo allo stato di acetato, fra il quale si trova anche bicar- bonato di calce, che si dosa come acetato e poi si sa co- me facilmente con il calore si decompongono gli acetati. NEL VINO 189 Pasteur determina 1' acido acetico distillando diretta- mente il vino ecco un esempio delle sue esperienze: prende un litro di vino che distilla a bagno di cloruro di calcio e raccogliendo 500 e. e. di liquido, poi seguitando e rac- cogliendone altri 400 e. e. si aggiungono sul residuo 400 e. e. di acqua, ridistillando sino ad ottenere il mede- simo volume; ora l'autore verificò che il rapporto fra gli acidi volatili, partendo dalla terza distillazione , è a un di presso quello di 2:1, fra due distillazioni successive, quin- di si può dedurre, dice 1' autore, approssimativamente da- gli acidi contenuti nei 500 cent, cubici della prima distil- lazione e nei 400 raccolti appresso per due volte, la quantità di acido acetico esistente in un litro di vino: cosi si à che l' autore impiegò per neutralizzare i primi 500 e. e. 26 cent, cubici d'acqua di calce, nei seguenti 400 cent, cubici prodotto della distillazione impiegò 44 cent, cubici d'acqua di calce nei 400 cent, cubici d'acqua aggiunta e ridistillata 20 cent, cubici d' acqua di calce , che sommando tutto as- sieme si à un totale d' acqua di calce impiegata uguale a 90 cent cubici e proseguendo per calcolo quanto acido acetico si troverà nel residuo abbiamo, come ammettendo sempre 1' aggiunzione dei 400 cent, cubici di acqua si anno 10cc+ 5CX+2C-C-, 5 ecc. di acqua di calce che formerebbe un to- tale di 20 e. e. di acqua di calce, che sommata con i 90 cent, cubici trovata prima, forma un totale di 1 10 cent, cu- bici di acqua di calce e siccome 1' acqua di calce corri- spondeva che 27 e. e. erano =z0-r-> 06125 d' acido solforico e quindi = 0sr> 035 d' acido acetico , se ne deduce che 110 cent, cubici d' acqua di calce equivalgono a 0sr-> 30 di acido acetico, che vale lo stesso di 3 decigrammi di acido acetico contenuto in un litro di vino. Questa operazione del Pasteur vera sino ad un certo punto lascia molto a desiderare , atteso che o si viene a dedurre la quantità d'acido acetico per mezzo del calcolo 190 DETERMINAZIONE DELL'ACIDO ACETICO e allora si resta sempre nell' approssimazione e mai nel reale se si opera tutta la distillazione ed allora si otterrà una quantità tale di liquido da riuscire difficile 1' esattezza acidimetrica. L. Weiger distilla in un pallone di 250 e. e, 50 cent, cubici di vino, il refrigerante comunica con una bottiglia di Woulf a doppia gola , dove si raccoglie il prodotto della distillazione, congiunge il 'tutto con un aspiratore Bunsen, il matraccio contenente il vino riscalda a bagno d' acqua salata a 109° e distilla nell' aria rarefatta. Questo processo non raggiunge lo scopo , atteso che l'acido acetico non si ottiene tutto restandone sempre nel residuo estrattivo e poi vengono a perdersi vapori d' acido acetico , mercè 1' aspirazione e non si ottengono i vapori eterei acidi che sfuggono per i primi. Nessler invece prende l' acidità totale del vino, poi me- scola 25 e. e. di vino con polvere di quarzo puro e lavato scalda la miscela a + 100° per un buon tratto di tempo poi la tratta con acqua e titola di nuovo, la differenza della prima determinazione e la seconda calcola come acido a- cetico. Questo processo è quasi simile a quello di Lefebvre e come quello possiede le inesatezze. Maumenè porta un altro processo. Si prende un peso di carbonato sodico seccato a + 200°, si raccoglie su di esso il prodotto della distillazione, si evapora, in fine si fa disseccare di nuovo sino a + 200°, si pesa e la differenza si calcola come acido acetico; invece del carbonato sodico si può usare il carbonato di piombo seccato a + 110°. Per dimostrare 1' erroneità di tale processo, basta cen- nare come facilmente con il calore si decompongono gli acetati. Dietro adunque gì' inconvenienti ed erroneità nei pro- cessi maggiormente noti per la determinazione dell' acido NEL VINO 191 acetico nel vino, sin da quando fui aggregato alla R. Sta- zione enologica d'Asti impresi le ricerche necessarie onde attuare un metodo possibilmente esatto ed abbreviativo, ed allorquando mi trovava insegnante nella scuola profes- sionale di Viterbo clava termine alle mie ricerche, che se non mi inganno mi pare abbiano raggiunto lo scopo; ed ecco il metodo che io adopero e primieramente passo per maggiore chiarezza alla spiega dell' apparecchio rappresen- tato neh" annesso disegno. A) Bagno ad olio con termometro. a) Pallone che contiene il vino da distillare. B) Tubo ad angolo retto che porta un rubinetto e va a congiungersi con il tubo C. C) Tubo in U pieno in e' di cloruro di calcio in e" di potassa caustica, (1) D) Refrigerante Liebig. E) Palloncino che serve a raccogliere il prodotto della distillazione. F) Tubo di Geissler ricurvo in f dove porta un budello di gomma. G) Tubo ad imbuto. Per fare agire 1' apparecchio prendo 50 e. e. di vino, che agito un poco per fare sfuggire l'acido carbonico sciolto nel vino, si mettono in seguito nel pallone a che si attacca al refrigerante, si mette a posto il pallone E de- stinato a raccogliere il prodotto della distillazione e s' in- comincia la distillazione mantenendo la tem. del bagno ad olio a + 100°, ottenuto quasi tutto il liquido, quando si vede che il vino acquista la consistenza di estratto, si spinge (1) È necessario mettere il cloruro di calcio, per spogliare l'aria di ti- midità che per se stessa non nuocerebbe all' operazione, ma si usa tale pre- cauzione per evitare che la potassa dell' altro ramo assorbendo troppa timi- dità, possa liquefarsi ben presto e così obbligati a mutarla spesso. 192 DETERMINAZIONE DELL'ACIDO ACETICO la tem. del bagno a + 120°, dove si fa arrestare sino alla totale distillazione che finita si toglie il palloncino E e si mette da parte con tappo e si attacca in f il tubo di Geissler , nel quale preventivamente si è introdotta acqua distillata e 4 cent, cubici di soluzione normale di soda, l'altro ramo del tubo a bolle si attacca con tubo di gomma ad un aspiratore Bunsen di cui si aprono i rubinetti e così si prosegue nel vuoto la distillazione, l'acido acetico allo- ra che viene ad essere trattenuto dall' estratto, passa quasi tutto nel tubo di Geissler e si scioglie nell'acqua, combinan- dosi con la soda, la quale è necessaria per fissare imme- diatamente tutto l'acido acetico, evitando così che per mezzo dell'aspiratore scappino vapori d' acido acetico. Dopo 5 mi- nuti si aprono i rubinetti del tubo in U allora entra 1' a- ria, che si spoglia dell' umidità nel ramo del tubo conte- nente cloruro di calcio spogliandosi dell'acido carbonico nel ramo contenente potassa caustica e così pura giunge sino al fondo del pallone e viene aspirata dall' aspiratore, in questa aspirazione trascina T acido acetico, il quale senza tale operazione resterebbe sempre nel pallone e va com- pletamente a sciogliersi nel tubo di Geissler, quando il tubo distillatore del pallone a tiene l'estremità asciutta priva cioè di quella goccetta condensata, allora si chiudono le chia- vette del tubo in U e quelle dell' aspiratore, si stacca il tubo di Geissler e si introducono 50 e. fi. d'acqua distillata calda per mezzo dell' imbuto G e si distilla ; quando si è ottenuto nuovamente tutto il liquido, si saggia con carta reattiva se viene acido, in caso negativo si sospende l'ope- razione , neh' affermativo si aggiungono altri 50 e. e. di acqua distillata e se ripetendo come sopra viene acida si ripete ancora con 25 e. e. d' acqua distillata ; a questo punto, nelle mie esperienze, non ci sono arrivato, bastando semplicemente una volta al massimo due , 1' aggiunzione dell' acqua distillata , per ottenere completamente tutto NEL VINO 193 l'acido acetico; anzi quando si tratta un vino più o meno bianco e poco estrattivo, allora basta anco una sola volta aggiungere acqua distillata , come moltissime volte ò pro- vato con i vini di Montefìascone e di Viterbo, mentre con i vini rossi come il Barbera e 1' Aleatico, bisogna ripetere 1' operazione, lo cbe prova come difficilmente distilla l'acido acetico misto alle sostanze estrattive. Per provare l' esattezza dell' apparecchio, ò eseguite le seguenti esperienze. Ho fatta una soluzione d' acido acetico cristallizzabile, 50 e. e. di detta soluzione richiedevano per neutralizzarsi e. e. 14, 5 di soluzione normale, ò distillato nelP apparec- chio, dopo l' aspirazione nel tubo di Geissler, senza aggiun- gere acqua distillata nel pallone distillatore , bisognarono 14 e. e. di soluzione di soda, dopo aggiunta una sola volta l'acqua, e proseguendo a distillare , bisognavano e. e. di soluzione sodica = 14, 5 in altri termini, ottenni tutto 1' a- cido acetico, perlocchè ò ripetuta detta esperienza per dieci volte ed ò ottenuto, per cinque esperienze una piccola per- dita rappresentata da e. e. 0,1 di soluzione sodica, per tre esperienze una perdita rappresentata da ce. 0,2 di soluzione sodica, per due esperienze ò ottenuto completamente tutto 1' acido acetico; non è fuor luogo avvertire come la solu- zione acetica era allungata in maniera da rappresentare in media 1' acido acetico del vino, infatti V esperienza fatta distillando Aleatico, richiedeva e. e. 13,5 di soluzione sodi- ca, dietro che la perdita può dirsi incalcolabile. Ma un miscuglio d' acido acetico neh' acqua distillata può facilmente ottenersi tutto con la distillazione , anche con mezzi ordinari, quindi mi sono preparato un miscuglio di sostanze diverse, che entrano nella composizione del vino; il miscuglio era composto di albumina pura , acido tarta- rico, acido tannico, acido succinico, bitartrato potassico, nelle approssimative proporzioni che possono trovarsi nel vino , ATTI ACC. VOL. XV. 27 194 DETERMINAZIONE DELL'ACIDO ACETICO a tutto questo stemperato nell' acqua distillata ò aggiunto 50 e. e. della soluzione precedente di acido acetico ed ò ri- petuto ancora per dieci esperienze , ò trovato necessario aggiungere due volte acqua distillata, e poi in 0 esperienze una perdita rappresentata da e. e. di sol. sodica = 0,1 , in tre esperienze una perdita rappresentata da e. e. = 0,2 in una sola ò ottenuto tutto 1' acido acetico. Finalmente ò creduto provare ancora preparando e- stratto di vino scevro di acido acetico, servendomi di quello stesso residuo di distillazioni che non dava più acidi vola- tili, a tale estratto ò aggiunto 50 e. e. di soluzione acetica, e rifatte le esperienze per 10 volte ò ottenuto per sette esperienze la perdita di e. e. = 0.2 di soluzione sodica ; una con la perdita di e. e. = 0,3; una con la perdita di e. e. =0,1 di soluzione sodica, una mi à dato tutto l'acido acetico. In ultimo ò provato distillando un volume di 50 e. e. 5 volte vino Barbera e 5 volte Aleatico, ed ò trovato, per il Barbera essere necessaria in tre esperienze soluzione sodica=c. e. 15,5, in una=c. e. 15,4, in una = c. e. 15,6. Per 1' Aleatico ò trovato , che abisognavano e. e. in due esperienze di soluzione sodica = 13,2, in due espe- rienze e. e. = 13,3 , in una esperienza soluzione sodica e. e. = 13,4. Da tutte queste esperienze chiaro adunque si rileva come le differenze sono tanto lievi da una esperienza al- l'altra, che si può dire essere inapprezzabili. Riassumendo adunque abbiamo. 1° che tutti i metodi conosciuti per la determinazione dell' acido acetico sono più o meno imperfetti. 2° Che il metodo migliore è quello di distillare a di- rittura il vino. 3° Che il vino non si altera spingendo la temperatura Ano a + 120 gradi. NEL VINO 105 4° Che con le esperienze stabilite si ottiene tutto P acido acetico. 5° Che T estratto del vino a quella temperatura cede solamente tutto 1' acido acetico libero, restando nelF estratto quello che vi si trova in combinazione. 6° Che il metodo da me adottato pare sia esatto e raggiunge perfettamente Io scopo. R. Istituto Tecnico di Viterbo 1878. — < P o z > w Z o u u < o p u u Q H z a < Z : GINOCCHIO VARO OPERATO E GUARITO COLI/ OSTEOTOMIA DEL FEMORE Memoria letta nella seduta ordinaria del di II luglio 1880 DAL Dott. G. CLEMENTI PROF. ORDINARIO DI CLINICA CHIRURGICA E MEDICINA OPERATORIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA. Signori, Sulla convenienza dell' osteotomia del femore nella cura del ginocchio varo e valgo, la clinica non ha pronunziato ancora il suo verdetto, imperocché non si hanno ancora raccolti molti fatti in proposito. Lo stesso Billroth, che tanto ha contribuito alla ortopedia operativa, nel Luglio del 1878 manifestava nei seguenti termini la sua opinione « le operazioni sul femore richiedono ancora una prova ulteriore, e sino a che non saranno raccolti fatti sufficienti sulle me- desime, le operazioni alla tibia meritano la preferenza » (1). A me sembra quindi importante il presentare a questo illustre Consesso un giovinetto di 13 anni affetto prima di ginocchio varo, operato e guarito coli' osteotomia sottocu- (1) D.r I. Mikulicz — Die seitlichen Verkrùmmungen am Knie, und de- ren Heilungsmethoden — Arcliiv f. klinische Chirurgie 1879. 23 Bd. S. 766. ATTI ACC. VOL. XV. 28 198 GINOCCHIO VARO OPERATO E GUARITO tanea del femore, non perchè dall' esito favorevole di un sol caso io voglia dedurne 1' utilità e 1' innocuità dell' atto operativo, ma per contribuire alla raccolta di quel numero sufficiente di fatti richiesti da Billroth per giudicare defi- nitivamente questa operazione. Molto più che mentre la frattura cruenta ed incruenta delle ossa si esegue di sovente in Germania, in Inghilterra ed in America, dalla discus- sione, che ebbe luogo nella Società di Chirurgia di Parigi il 10 Febbraio 1876 (1) risultò , che nessuno dei chirurgi francesi avea ardito sin allora di praticare 1' osteotomia, e che pochissimi mostravansi inclinevoli a praticarla in av- venire; ed in Italia del pari r ortopedia operativa non ha finora molti fautori. Io ho praticato 1' operazione nella Clinica Chirurgica di questa R. Università il 13 Dicembre dello scorso anno (1879); ed in verità credea di essere stato il primo in Italia a pra- ticare l' osteotomia sottocutanea del femore per correggere le deviazioni laterali del ginocchio, giacché così risultava dalle ricerche fatte non solo da me, ma anche dall' egregio D.r Ceccherelli, che oltre all' avere pubblicato un lavoro pre- gevolissimo su questo argomento (2) avea a sua disposizione un gran numero di giornali medici. Seppi dopo con piacere che mi aveano preceduto Billroth in Germania (3) e Pa- rona in Italia (4). Il primo avea eseguito nel mese di feb- braio del 1878 con 1' intervallo di tre settimane 1' osteoto- mia doppia dei due femori per ginocchio valgo (5) ; 1' ope- (1) Bulletins et Mèmoires de la Sociètè de Chirurgie de Paris Tom. IL 1876. p. 167. (2) Intorno agli incurvamenti delle ossa per rachitide ed al loro trat- tamento. — Lo Sperimentale maggio 1878. (3) Archivio f. kl. Oh. loc. cit. p. 762. (4) Annali universali di Medicina, voi. 249. (5) Il processo operatorio messo in pratica dal Billroth differisce dal mio avendo questi fatto la sezione dell' osso col perforatore e collo scalpello. coli/ osteotomia del femore 199 rato morì 3 mesi e mezzo dopo 1' operazione in seguito ad erisipela flemmonosa; 1' operazione del D.r Parona prati- cata il 27 marzo 1879 fu seguita da completo successo. Le storie di questi due casi furono pubblicate non so se poco tempo prima o dopo di quando io eseguii l'operazione, ed io ne sono ora contento, perchè non so se conoscendo l'e- sito infausto dell' operazione eseguita da Billroth, non mi fosse venuto meno il coraggio di seguirne 1' esempio. Ecco la storia clinica del caso in parola, raccolta da Marchese Biagio, uno dei più distinti giovani del 5° anno. Nicolò Nicosia di anni 13 da Mascalucia è figlio di ge- nitori sani tuttora viventi. Godè buona salute sino al 6° anno di età, quando per una caduta gli si fratturò la ti- bia sinistra; della frattura si guarì completamente sino al grado di poter camminare benissimo. All' età di 8 anni soffrì di dolori intensi in tutte le regioni del corpo; il più piccolo tentativo di movimento gli era impossibile, e rimase in questo stato per 18 giorni; i dolori poscia diminuirono, ma per lo spazio di due anni non potè muoversi; le sofferenze continuarono sebbene la loro intensità fosse varia ed incostante. Il processo decor- se senza manifeste apparizioni febbrili, e la guarigione av- venne quasi spontanea. Verso il 10° anno soffrì la rosolia e poi l'angina difterica. Per altri due anni i bruschi can- giamenti di temperatura gli facevano risentire leggeri do- lori in tutto il corpo; da un anno in qua non ha più soffer- to nulla. La deviazione dell' arto sinistro si manifestò nei primi tempi, quando cominciò a muoversi coli' aiuto del bastone e sorretto da altre persone. Stato attuate ( dicembre 1879 ). Sistema scheletrico e muscolare mediocremente sviluppati. Temperamento linfa- tico. — Pelle bianca e sollevabile in larghe piaghe, panni- culo adiposo poco sviluppato; le funzioni della digestione, respirazione e circolazione normali. 200 GINOCCHIO VARO OPERATO E GUARITO Tralasciasi la descrizione minuta della deformità del- l' arto, imperocché la si può meglio comprendere dall' an- nessa fotografia: (V. infine flg. la). La deviazione dell' arto sinistro è quella che costituisce il ginocchio varo ; l' incurvamento esiste a preferenza nel femore poco al di sopra dei condili , dei quali f interno è più alto dell' esterno ; l' incurvamento della tibia è relati- vamente insignificante. La misura della lunghezza dell' arto, presa dalla spina iliaca anteriore — superiore alla linea interarticolare del ginocchio e da questa al centro del malleolo esterno, risulta 5 centimetri meno di quella dell' arto destro ; per tal ra- gione il bacino del piccolo infermo presenta un considere- vole grado di torsione intorno all' asse antero-posteriore. Ottenuto il consenso dei parenti dell' infermo, il giorno 12 Dicembre, il Professore pratica l' osteotomia sottocutanea nel modo seguente. Reso anestetico 1' operando, 7 Cm. a di sopra della linea interarticolare del ginocchio al lato esterno, ove corrisponde 1' angolo di incurvamento del fé- ' more, fa una incisione lunga un centimetro in senso tran- sversale all' asse della coscia da interessare Ano al periostio. Per evitare , che ritirando il coltello si perdesse il paral- lelismo delle incisioni dei diversi strati di tessuti, il Professore abbracciando con una mano 1' estremo inferiore della coscia dalla parte interna, tende e fissa contemporaneamente le parti molli. Ritirato il coltello introduce lo scalpello osteotomo , modello Billroth, e con piccoli colpi di martello dirigendo in vario senso il tagliente dello scarpello , vien tagliato nella massima parte del suo spessore il femore ; ritira quindi lo scarpello, e ricovrendo con garza antisettica la piccola ferita, completa colla forza delle mani la frattura del femore. — L' operazione dura in tutto 15 minuti. Dalla ferita esce poca quantità di sangue. Ridotto 1' arto nella coli/ osteotomia del femore 201 posizione normale , applicata la medicatura antisettica, si immobilizzano i frammenti con un apparecchio ingessato esteso dalla radice della coscia al piede. Quando i fram- menti avessero la tendenza a spostarsi, il Professore con- siglia di comprendere nell' apparecchio ingessato il bacino, ed anche la parte superiore dell' altra coscia; in ogni caso è necessario che V apparecchio in sopra poggi stabilmente sulla tuberosità ischiatica. DIARIO Gioeno — Temperatura dell' oper. M. S. 1 37 Dolori intensi alla regione operata. Iniezione ipodermica di morfina. 2 37 37 Continuano i dolori — si somministra l'idrato di cloralio. 3 37 38 1. 4 37 4. 37 1. La notte precedente ha dormito pochissimo, i dolori sono alquanto diminuiti. — Leggera diarrea. — Si sfenestra 1' apparecchio in corrispondenza della ferita facendo un'aper- tura lunga 15 cent, larga 8. La stoffa della medicatura è inzuppata di sangue. I tes- suti della regione dell' operazione legger- mente tumefatti. Dalla ferita esce colla pressione qualche goccia di siero sanguino- lento; sulla medesima si applica uno strato di cotone inzuppato di collodion ; si ripete la medicatura antisettica. 5 37 4. 38 1. Ha dormito durante la notte. Dolori molto diminuiti. Continua qualche evacuazione li- quida. Ai brodi si aggiungono due torli di uovo al giorno. 6 37 1. 37 3. Avverte dolore piuttosto intenso all' articola- zione del ginocchio. Ha dormito poco. 7 37 4. 38 3. Dolori leggeri. 202 GINOCCHIO VARO OPERATO E GUARITO Giorno — Temperatura dell' oper. M. S. 8 37 3. 37 9. Si rimuove lo strato di cotone al collodion, che avea completamente aderito. — Pre- mendo sulle parti circostanti alla ferita non esce nulla; la ferita pare riunita nelle parti profonde. Allargando vieppiù 1' aper- tura dell'apparecchio, si vede gonfia e al- quanto arrossata la parte anteriore dell'ar- ticolazione del ginocchio. Si somministra la razione ordinaria di vitto. 9 37 1. 37 7. Dolori durante la notte; stamane sono un poco alleggeriti. 10 37 5. 37 8. Eimosso il cotone al collodion si trova la fe- rita quasi cicatrizzata. Colla palpazione non si suscitano più forti dolori. Sulla ferita si applica una listerella di seta protettrice. 11 37 7. 37. 7. Come il giorno precedente. 12 37 1. 37 6. Si rimuove 1' apparecchio perchè molto indebo- lito e sudicio. Tutta l' articolazione del gi- nocchio è tumefatta ; la pressione risveglia forte dolore al lato interno della medesima. Si riapplica l'apparecchio ingessato continuando la rigorosa medicatura antisettica. Dal 13° al 24° giorno — Temperatura normale — Do- lori all' articolazione cessati. Negli ultimi giorni si lagnava di forte bruciore verso la parte inferiore della radice della coscia, e si fu costretti a rimuovere l'apparecchio. Si tro- va la ferita solidamente cicatrizzata; 1' articolazione gonfia ancora, ma poco dolente; la consolidazione della frattura bene avviata. Verso la parte alta della regione posteriore della coscia si è sviluppato 1' eczema prodotto non di rado dall' irritazione della tela antisettica. Si applica sulla superficie eczematosa della pomata di ossido di zinco, spalmata sopra una pezzuola di tela e si rifa 1' apparecchio al silicato di potassa. Dal 25° al 50° giorno nessuna sofferenza nella regione COLL' OSTEOTOMIA DEL FEMORE 203 operata, l'eczema fu però alquanto ostinato; dove era più intensa P irritazione della cute si sviluppò un grosso forun- colo che guarì in poco tempo. Al 46° giorno comincia a muoversi colle grucce. Al 53° si rimuove completamente l'apparecchio, e cam- mina discretamente col solo bastone. Al 67° giorno P articolazione del ginocchio sinistro non è ritornata del tutto allo stato normale; è ancora un poco tumefatta. La rotula è però mobilissima; la circonferenza del gi- nocchio sinistro è non pertanto un centina, meno di quella del ginocchio destro. La cicatrice della ferita praticata è appena visibile, il femore perfettamente diritto. L' arto sinistro è 4 centina, più corto del destro, il rad- drizzamento dell' incurvamento del femore ha fatto guada- gnare solo 1 centi m. Facendo flettere l'arto operato, il pa- ziente avverte un po' di dolore, la flessione non è comple- ta, la gamba arriva a formare colla coscia un angolo di 45 gradi. La differenza in lunghezza dei due arti viene compen- sata in parte dalla maggiore spessezza della suola, e del tallone della scarpa sinistra. I condili interni dei femori, che prima restavano di molto allontanati, possono essere messi a contatto dalla vo- lontà del paziente. Per proteggere la regione operatasi fa portare per qualche tempo al paziente una stecca laterale articolata. Ed ora, o signori dopo 6 mesi son lieto di presentarvi cogli arti diritti quel giovanetto raffigurato nella fotografia I, che senza questa operazione sarebbe rimasto un uomo storpio. Quantunque P operazione da me praticata sia stata seguita dal più completo successo, credo utile il giustificare perchè io mi sia appigliato al partito di correggere la deviazione 204 GINOCCHIO VARO OPERATO E GUARITO del ginocchio del mio piccolo paziente con una operazione, che presso di noi desta un senso di raccapriccio. Le deviazioni laterali del ginocchio possono corregersi con due metodi raddrizzamento graduale — o rapido. Il primo metodo riesce più facilmente nei bambini, ed in ca- si di leggero grado di deviazione. Negli adolescenti e quando il grado di deviazione è considerevole come nel mio paziente, la correzione gradua- ta fatta anche con gli apparecchi ortopedici più perfetti, o non riesce affatto, o non se ne ottiene un risultato soddi- sfacente, dopo moltissimo tempo. Fra le tante difficoltà che bisogna superare, non ultime sono quelle di trovare un o- peraio che sappia costruire un apparecchio ortopedico, e di aver dei malati che abbiano la pazienza di farsi curare per molti mesi di seguito. Il fatto di vedere da per tutto moltissime persone colle gambe torte è la prova più con- vincente, che la cura chirurgica di queste deformazioni non viene intrapresa facilmente. Per tali ragioni mi deter- minai di curare il mio infermo con il metodo del rad- drizzamento rapido, che può eseguirsi in tre modi: dividen- do i legamenti articolari con o senza 1' aiuto del tenotomo operando sulla tibia, ovvero sul femore. Il raddrizzamento forzato, Redressement force, prati- cato secondo le norme di Delore (1) nei bambini dà ottimi risultati, non così negli adolescenti. Gli effetti del raddriz- zamento forzato non sono sempre gli stessi; talvolta si la- cerano uno dei legamenti laterali e i legamenti crociati, il che avviene più facilmente negli adolescenti., tal' altra si staccano le epifisi, avvenimento frequente nei bambini ; in altri casi si incurva la dialisi del femore , ed è stato os- servato anche lo schiacciamento del condile più sporgente. (1) Du geuon en dedans, de son mécanisme et de son traitement par le décollement des épiphyses — Gaz des hòpitaux. 1874 — 151. coli/ osteotomia del femore 205 La guarigione avviene in conseguenza in modo diverso, secondo le lesioni anatomiche verificatesi per l'atto opera- tivo. Il caso più favorevole è quello del distacco dell'epi- fisi; per l'immobilizzazione dell'arto avviene la guarigione della frattura nel modo ordinario , e la cura è completa, quando è tale la consolidazione dei frammenti ossei. Non si ha nulla a temere per l' allungamento ulteriore dell'osso rotto, essendo stato dimostrato, che il semplice distacco di un' epifisi non disturba il naturale accrescimento del- l'osso (1). Nel mio paziente dell'età di 13 anni, 1' avvenimento più probabile sarebbe stato la lacerazione più o meno e- stesa dei legamenti. In questo caso il tempo necessario per aversi la guarigione è molto lungo, dovendo non solo rafforzarsi i legamenti lacerati , ma modificarsi alquanto la conformazione delle superficie articolari; altrimenti si ot- tiene un arto capace di estesi movimenti di lateralità; ri- sultato infelicissimo per la disturbata funzione dell'artico- lazione. Con questo modo di raddrizzamento si corre inoltre il pericolo di stirare e contundere il nervo peroneo, e sono già avvenute delle paresi temporanee. Nel paziente, che ho l'onore di presentarvi, l' incurva- mento più pronunziato esisteva all' estremo inferiore del femore; la deviazione della tibia , era proporzionatamente a quella del femore, come può vedersi tuttora, insignifi- cante. Essendo l'osteotomia della tibia un'operazione più fa- cile e meno grave di quella del femore, io avea visto ese- guire la rottura della tibia anche ne' casi nei quali la de- (1) P. Vogt — Die traumatische Epiphysentrennung und deren Einfluss auf das Langenwachsthum der Rohrenknochen Ardi. f. FI. Ch. XXII-343. ATTI ACC. VOL. XV. OQ 206 GINOCCHIO VARO OPERATO E GUARITO viazione laterale era dovuta principalmente ad incurva- mento del femore; e lo stesso Billroth sino al 1878 (1) avea tenuto questo sistema, In questo modo però si con- serva l'incurvamento del femore in una direzione, incur- vando in quella opposta la tibia, e l'arto prende la forma di una bajonetta e di zig-zag, che nell' uomo deve essere mascherata da un largo calzone. Volendo io nel raddrizzare 1' arto far scomparire del tutto la deviazione del femore mi decisi ad operare su que- st' osso. Non era il caso di applicare l' osteoclasta del Rizzoli, perchè dovendo produrre la frattura in grande vi- cinanza dell'articolazione mancava la distanza necessaria per potere applicare gli anelli dell' osteoclasta. Dei varii pro- cessi di osteotomia mi appigliai a quello di Billroth, poiché durante la mia non breve dimora a Vienna potei convin- cermi, che con un certo esercizio si può arrivare ad ese- guire 1' osteotomia sottocutanea come si pratica la tenoto- mia sottocutanea, vale a dire senza far penetrare aria nello interno della ferita e senza contundere eccessivamente i tessuti. 10 fui presente a buon numero di osteotomie della ti- bia praticate da Billroth, e potei osservare l' imbarazzo di questo abilissimo operatore nei primi casi. Qualche volta lo scalpello si incuneava così fortemente in mezzo all'osso, che per estrarlo si richiedevano sforzi con- siderevoli, e nell' impeto della trazione usciva fuori dell'in- cisione cutanea e bisognava introdurvelo di nuovo. In un caso, il tagliente dello scalpello si ruppe restando in mezzo all' osso. 11 piccolo paziente dell' età di 5 anni guarì di questa prima operazione dopo una profusa suppurazione ; guarì del pari dell' osteotomia praticata più tardi sull' altra tibia; (1) AtcMt. f. Kl. Ch. loc. cit. coll' osteotomia del FEMORE 207 ma quando già stava per lasciare la clinica gli si sviluppò il vaiuolo, e ne morì. All' autopsia le ossa si trovarono so- lidamente riunite, e il piccolo frammento dello scalpello si rinvenne incapsulato di tessuto connettivo. Affinchè l'operazione riesca veramente sottocutanea, e guarisca come una ferita sottocutanea delle parti molli, oltre 1' uso d' una rigorosa medicatura antisettica è impor- tante di non maltrattare troppo le parti molli intorno al- l' osso e P osso istesso, e procurare di compiere P operazio- ne senza ritirare e introdurre di nuovo lo scalpello attra- verso P incisione delle parti molli. Nei ripetuti esercizi fat- ti da me sul cadavere prima di eseguire l'operazione sul vivente, io mi proposi di studiare il modo di potere evita- re P accidente che avvenne a Billroth, cioè P incuneamento dello scalpello in mezzo all'osso, perocché (piando ciò av- venga bisogna adoperare grandissima forza per estrarnelo, e il tessuto osseo viene fortemente contuso. Dopo varie prove, mi è parso che il miglior modo di operare sia il seguente: indrodotto lo scarpello e fissatone il tagliente sull' osso, si danno parecchi colpi di martello , ma così leggeri da far penetrare lo strumento per 3 o 4 min. appena nel tessuto osseo , indi con un leggero movimento di va e vieni, senza ritirare completamente lo scalpello dal- la incisione fatta sull' osso , se ne sposta il tagliente in modo, che una terza parte di questo resti nella prima in- cisione, e due terzi vengano ad incidere il tessuto osseo vicino, dando sempre dei leggerissimi colpi di martello. Ri- petendo questa manovra , si fa una prima incisione della mezza circonferenza dell'osso, che poi si approfondisce sem- pre più collo stesso modo di spostare lo scalpello. Con questa manovra si può arrivare ad evitare P in- cuneamento dello strumento , e il bisogno di ritirarlo ed introdurlo più volte. Nel mio operato infatti ini riuscì di introdurre una sola volta lo scalpello, e di ritirarlo allor- 208 GINOCCHIO VARO OPERATO E GUARITO quando credei divisa una parte notevole dello spessore dell' osso, in modo da riuscire poscia facile la rottura della parte illesa. Accade talvolta che l' operatore s' inganni sulla resistenza della parte d'osso non diviso, e che colla sola forza delle mani non si riesca a completare la frattu- ra. In simile circostanza, di solito si introduce di nuovo lo scalpello per indebolire vieppiù l'osso intatto. A me questa seconda manovra per le inevitabili contusioni e la- cerazioni, che deve produrre sui tessuti del traggitto della ferita e sull' osso , sembra sfavorevole alla riunione per prima intenzione, deve anzi facilitare la suppurazione. In tale circostanza io ricorrerei piuttosto all'aiuto dell'osteocla- sta del Rizzoli; e malgrado la brevità del braccio di leva, trattandosi di un piccolo ponte osseo, credo che si riuscirà sempre a romperlo; e se mi si presenteranno altre occasio- ni io mi propongo di adoperare in due tempi prima, l' osteo- tomia sottocutanea e poscia l' osteoclastia strumentale. Nel soggetto della presente relazione non mi avvalsi dell' osteoclastia strumentale, perchè con questo mezzo non è possibile di produrre con precisione una frattura del fe- more 7. Cm. distante dalla linea interarticolare del ginoc- chio; e avvenendo la rottura più in alto, la correzione dell' in- curvamento riesce imperfetta , e ne risulta un arto a zig-zag. Così avvenne nell' arto sinistro del suo operato a Billroth, che temendo di avvicinarsi troppo all' articolazione , praticò l'osteotomia troppo in alto. (1). Dopo svariati esperimenti sui cadaveri mi son con- vinto, che intaccando una piccola porzione della circonfe- renza dell'osso a una data altezza, malgrado la brevità del braccio di leva dell'estremo articolare dell'osso, ap- plicando poi l' osteoclasta la frattura avviene nel punto in- debolito artificialmente. (1) Archiv. f. kl. Chir. 23 Bd. S. 764. coli/ osteotomia del femore 209 Sebbene nel mio operato l'infiammazione dell'artico- lazione del ginocchio non arrecò alcun danno , pure ope- rando in vicinanza di una grande articolazione . volendo rendere più sicuro l'esito della cura, io mi propongo di incidere l'osso in piccola parte e dopo la cicatrizzazione della ferita ricorrere all' osteoclastia. Resta però il dubbio. se colmandosi con tessuto di cicatricola incisione dell'osso la frattura avverrà poscia nel punto desiderato; la rispo- sta non può essere data che dalla clinica. Siccome il valore terapeutico di questa operazione non è ancora ben determinato, io son lieto di aver potuto ar- recare questa piccola contribuzione al materiale clinico, che si cerca raccogliere , e fo voti affinchè gli egregi Col- leghi di queste provincie siano fra i primi a dare il loro tributo, come l' illustre vostro Socio e mio predecessore il prof. Reina fu ai suoi tempi il primo in Sicilia a praticare la tenotomia sottocutanea. 4C<* *e > i Fig. 1, prima, dell' osteotomia. Fig. 11. cinque mesi dopo V osteotomia. I BASALTI DELLA SICILIA RICERCHE CHIMICHE PER L RICCIARDI E S. SPECIALE Memoria letta all' Accademia Gìoenia nella seduta ordinaria del di 5 Giugno 1881. I basalti della Sicilia attirarono altra volta l' atten- zione di Dolomieu, F. Hoffmann, Lyell , Scroope e d' altri illustri scienziati ; — Waltershausen per ultimo, nella sua classica opera Der Aetna, si intrattenne estesamente sulla genesi di quei gruppi basaltici che trovansi nel perimetro dell' Etna ; ed oltre allo studio geologico di queste rocce , l'autore se ne occupò dal punto di vista microscopico, corredando il suo lavoro con qualche analisi chimica, che noi compareremo ai risultati ottenuti analizzando le stesse rocce. I nettunisti, e primo il Werner, attribuivano all'acqua la formazione di tutte le rocce, compresi i basalti. I plutonisti, con Hutton a caposcuola, ne ripetevano l'origine dall'azione esclusiva del fuoco. Noi non intendiamo indagare la data in cui compar- vero le prime formazioni basaltiche; sarebbe troppo arduo ATTI ACC. VOL. XV. 30 212 I BASALTI DELLA SICILIA tema per noi voler rintracciare nella oscurità dei secoli , 1' epoca precisa in cui eruttarono per la prima volta , il Vesuvio , l' Etna ed altri ignivomi monti. Quello che oggi si è affermato dai più riputati geologi, si è , che i basalti rinvengonsi nei terreni giuresi, Ano ai post-terziari , pren- dendo un massimo grado di sviluppo tra i terreni cretacei ed i terziari. Nei centri in cui si rinvengono in Sicilia le forma- zioni basaltiche cioè , negli Scogli dei Ciclopi , Aci-Ca- stello, Motta, Valcorrente, Paterno, Agnone, Melilli, Buc- cheri, Lentini, Vizzini, Merineo e Cattolica, ad eccezione degli Scogli dei Ciclopi, in tutte queste località, come rile- vasi dagli scritti del Di-Giacomo (1). Lyell (2), F. Hoff- mann (3), Waltershausen (4), vi sono indizi incontestabili di antichissimi vulcani. Il Prof. C. Gemmellaro (5), sin dal 1827, descrivendo i centri vulcanici della Valle di Noto, scrisse: « In nove punti principalmente, per quanto le no- « stre osservazioni ci han mostrato, 1' eruzioni dell' epoca « prima fan riconoscere i loro antichi crateri, i quali non « conservando più la loro antica forma per tali non pos- « sono veramente definirsi, e mi contento meglio chiamar « centri di eruzione. Le lave basaltiche globolari, il pepe- « rino, i tufi vulcanici, ed in alcuni le lave frammentarie « a strati concentrici, li palesano bentosto. » Fuchs (6), volendo spiegare l'origine dei basalti, dice: « Quando l'attività vulcanica si spegne gradatamente può (1) Atti Gioeni S. I. T. I. (2) Philosophical Transactions— Eoyal Society London. Voi. 148 Parte IL (3) Geognostiche Carte von Sicilia 1839. (4) Ueber di Vulkanischen Ansbriiche in der Tertiar Formation des Val di Noto. (5) A. G. S. I. T. III. (G) Vulcani e Terremoti— Milano 1881. I BASALTI DELLA SICILIA 213 « anche avverarsi un altro caso. Se la lava non è esau- « rita ma i vapori non posseggono più forza espansiva « sufficiente per innalzare la rimanente fino al vertice del « monte, e tuttavia questa basta per riempire la cavità « interna, allora col solidificarsi di questa lava, entro il « mantello costituito dal monte si forma un nocciolo mas- « siccio. « Tali vulcani sono proprio spenti definitivamente , ed il « canale eruttivo è chiuso per sempre. Gli strati disaggre- « gati di cui è formato il monte sono facili a distruggere, « e o vanno sfasciandosi, nel corso dei tempi, o sono por- « tati via a poco a poco per 1' azione delle acque; il nu- « eleo interno, più difficile ad essere distrutto, è messo a « nudo. Esso ha la forma di un cono, di una cappa, o di « un duomo, e spesso i suoi fianchi sono ancora coperti di « resti di strati di tufi e di ceneri. » Con ciò gli antichi basalti e le trachiti si rannodano « coi veri vulcani. I vulcani attivi neh" epoca terziaria e « spenti prima del principio dell' epoca presente, erano in « balìa già da lungo tempo all' azione distruggitrice del- « l'acqua e dell' atmosfera in modo che furono distrutti « completamente quei monti vulcanici che erano costruiti di « soli materiali disaggregati, e degli altri non rimase che « il nucleo massiccio coperto qua e là da un piccolo strato « di tufi e di scorie. Perciò i basalti e le trachiti si pre- « sentano ordinariamente come coni massicci, sebbene non « siano che i residui degli antichi vulcani dell' epoca ter- « ziaria. » Le idee del Fuchs furono antecedentemente sostenute dal Prof. Stoppani, (1) portando ad esempio i basalti di Aussig, Siebengebirge, dell' Alvernia e della Romagna; e (1) Corso di Geologia V. III. Milano 1873. 214 I BASALTI DELLA SICILIA a noi ci è dato aggiungere: i basalti della Sicilia, special- mente quelli degli scogli dei Ciclopi delle Timpe Rosa ed Ignazio. Del resto, queste idee, svolte recentemente dallo Stop- pani, e dal Fuchs, furono dal Bertrand, prima del 1833, ma- nifestate, in ispiegare la formazione di una rupe basaltica, nella Francia centrale, detta Roche rouge, credendola «un'an- tica bocca di vulcano, un fondo di cratere, spogliato dalle acque del suo inviluppo granitico. » In seguito il Burat (1) rivolgendo la sua attenzione su quel gruppo basaltico, tro- vava giusta la spiegazione data dal Bertrand, ed aggiungeva, che quella ipotesi « si accorda in effetto benissimo, col fa- cile disgregamento del granito, in confronto alla tenacità della roccia basaltica, e con la forma cilindroide della massa, che ben rappresenta quella, che prenderebbe la lava che vi si modella, oscillando dentro la gola di un vulcano. » SCOGLI DEI CICLOPI. Dei quattro scogli giganteschi, che con graduata mole si elevano a varie altezze dal mare, lungo la spiaggia di Aci-Trezza, quello che per la sua grandezza, e per l'ap- pianamento della sua superfìcie distinguesi dagli altri tre, vien chiamato, da que' del paese, Isola ; gli altri tre son detti Faraglioni. Essi son costituiti eli roccia puramente basaltica , ad eccezione del maggiore , la cui parte supe- riore è formata di roccia simile all' argilla , che dal Prof. C. Gemmellaro fu detta Ciclopi le. L' Isola poi risulta di tre distinte rocce , cioè del ba- salte propriamente detto, dell' analcimite, e della Ciclopite. (2) Description des terreins volcaniques de la France centrale — Paris 1833. I BASALTI DELLA SICILIA 215 Queste rocce sono distribuite in modo che il basalto e l'analcimite vengono a formare il letto della ciclopite, la quale vi sovrasta formando un piano inclinato, da S. 0. verso N. E.; di modo che, all'estremità S. 0. la Ciclopite trovasi a grande altezza, mentre all' opposta ripa va a per- dersi in seno alle acque. Il Gemmellaro disse la ciclopite un prodotto di decom- posizione del basalte, e corroborava quella sua idea, pre- sentando al congresso tenutosi dagli scienziati in Napoli nel 1845, alcuni campioni di basalti in graduata decomposi- zione a fin di mostrare il passaggio tra il basalte propriamente detto e la ciclopite. A noi non è riuscito di osservare que- sto graduale passaggio, abbiamo invece notato un deciso distacco nel punto di contatto di queste due rocce. 11 Wal- tershausen pare che non divida la opinione del Prof. Gem- mellaro sulla ciclopite, poiché a pag. 55 ( Der Aetna ) dice: « Un'attenzione speciale merita la roccia gialla argillosa che « sopragiace al basalte. In origine senza dubbio, era una « formazione simile alla creta, ma per 1' azione del basalte « che vi penetrava, perdette completamente la qualità di « argilla plastica, divenne più dura , ed alterò il suo colore « da grigio che era in giallo pallido. » iSasaltc deli" is«ha. — Questo basalte si presenta in massa compatta, accidendata da geodi tappezzate da bellis- simi cristalli della varietà limpida di analcime. Il colore della roccia è grigio oscuro; ridotta in finissima polvere è color grigio; dopo calcinazione prende una tinta terra di tripoli. La polvere è in parte attirata dalla calamita; al can- nello fonde in un vetro nero, opaco, fortemente magnetico; trattata con acido cloridrico dà una leggera effervescenza, umettata sulla carta rossa di tornasole lascia una leggera colorazione in bleu. 216 I BASALTI DELLA SICILIA Composizione centesimale Si02 45, 06 traccie di Ti PA 3,63 A1203 13,45 Fe203 8, 70 traccie di Mn FeO 2,86 CaO 11,81 MgO 9,33 K20 2,84 Na20 2,07 99,75 Peso specif. 2 76 temp. 20°. Perdita per calcinazione 3 51 %• Ciclopite.— La polvere di questa roccia è di color tortorella; dopo calcinata prende una tinta terra di Siena giallastra; umettata dà una leggera reazione alcalina; fonde facilmente al dardo del cannello ferruminatorio in un vetro verdognolo trasparente non magnetico; con acido cloridrico dà leggiera effervescenza. Composizione centesimale. Si02 51,15 P205 1,43 aia 16,58 Fe,03 7,58 tracce Mn FeO 1,36 CaO 12,79 MgO 3,42 K20 3,08 Nà20 3,13 100,52 Perdita per la calcinazione 2 91 %• Confrontando la composizione chimica del Basalte del- l' Isola dei Ciclopi, con quella della Ciclopite osservasi in quest' ultima un aumento di silice , di allumina , di calce , di potassa e soda; nonché una diminuzione di anidride fo- I BASALTI DELLA SICILIA 217 sferica, ferro e magnesia. — In tutte le rocce decomposte, come si vedrà in seguito, si ha un aumento nella silice e nell' allumina , ma non si è verificato mai la diminuzione del ferro. — Del resto, se la Ciclopite ripetesse dalla de- composizione del Basalte, nello stato in cui si trova non dovrebbe contenere neanche tiracele di ossido ferroso, men- tre noi ne rinvenimmo 1, 36 per cento. Come si spiegherebbe poi l'aumento della potassa e della soda, mentre costantemente nelle rocce decomposte abbiamo ottenuto sempre quantità inferiori a quelle rinve- nute nelle rocce indecomposte?— Tutti questi fatti ci confer- mano, che la Ciclopite non si è formata in seguito alla de- composizione del Basalte. Termantide. — Con questo nome il Prof. Gemmel- laro intendeva indicare una roccia che si rinviene nell'isola dei Ciclopi, e che lui credeva fosse Ciclopite alterata dal fuoco, come scrisse in una memoria, sul basalte decom- posto « è evidente che essa ( Fanalcimite ) è venuta « nello stato d'ignea fusione attraverso la ciclopite, e vi « si è introdotta in filoni , in vene , ed in tutti i sensi , ri- « ducendo a roccia più solida, ad una specie di terman- « tide, quella parte che vi sta in contatto; » Composizione centesimale. Si02 46,47 PA 1,55 AIA 18,05 FeA , 1,64 FeO 4,81 CaO 10,17 MgO 2,47 K20 2,88 Na20 2,22 100,26 so specifico 2. 42 temp. 20°. 218 I BASALTI DELLA SICILIA Comparando i dati analitici della termantide , con quelli della ciclopite, rilevasi, che la prima contiene una maggiore quantità di silice, di anidride fosforica , di allu- mina, e di ossido ferroso, mentre trovasi in quantità mi- nore il sesquiossido di ferro , la calce , la magnesia e gli alcali. Innanzi tutto fa smettere qualunque idea, che la ter- mantide fosse derivata dalla ciclopite, il fatto, che in questa ultima la quantità di ossido ferroso corrisponde a 1,36, mentre che la termantide aumenta a 4,81 per cento. Non solo questo fatto, ripetiamo, non ci fa credere che la termantide fosse ciclopite alterata dal fuoco , ma un' altra prova più elo- quente , ce l' ehbimo in analizzare il basalte della rupe di Aci-Castello, che fu investito dalla lava dell'Etna del 1169, trovammo: che la composizione chimica del basalte alterato dal contatto della lava, differiva dal basalte non alterato, per la completa scomparsa del protossido di fer- ro— Essendo dunque impossibile 1' aumento di ossido fer- roso in una roccia investita dal fuoco, noi lasciando pure il nome di termantide alla roccia analizzata, non consen- tiamo però, che questa rispondesse alla ciclopite alterata dal fuoco. Sulla termantide dell' Isola dei Ciclopi rinvenimmo una incrostazione mammellonare, ricoperta da uno strato opaco. La massa liberata da questo strato è traslucida vetrosa. La sostanza polverizzata è bianca; per la calcinazione prende una tinta grigio rossastra. La polvere è infusibile al dardo del cannello ferrumi- natorio ; fonde perfettamente col sale di fosforo e borace dando la perla del ferro. I BASALTI DELLA SICILIA 219 Composizione centesimale CaO 50, 96 Fe203 (con traccie di Cr) 2, 46 A1203 1<80 MgO 2,62 SrO traccie spettroscopiche CO2 41,90 SO3 traccie CI traccie H20 0,33 100,07 Analcime — Questo minerale trovasi in isplendidissimi esemplari, nelle geodi del basalto dell'Isola dei Ciclopi. I nitidi cristalli, finamente polverizzati, per V azione del calore subiscono una perdita corrispondente a 8. 18 per cento. Di questo minerale si conoscono due analisi, una ripor- tata dal Bombicci, (1) l'altra dal Waltershausen. (2) Eccole comparate : I. IL III. Si02 55,2 53,72 54,39 AIA 23,1 24,03 22,86 Na.,0 12,2 7,92 2,00 K2Ó 1,5 4,46 10,56 CaO 0,2 1,23 1,67 MgO » 0,05 0,38 ILO 7,7 8,50 8,18 99,9 99,91 100,04 iflco . . . . » 2,23 2,21 I. Analisi del Bombicci. IL Waltershausen. III. Ricciardi e Speciale. I dati analitici riportati dal Bombicci , si avvicinano molto alle quantità per cento, die domanda la formola ge- (1) Mineralogia. Voi. 2 parte 2 pag. 936. (2) Der Aetna. Waltershausen— Lasaulx. ATTI ACC. VOL. XV. .jj 220 I BASALTI DELLA SICILIA ruralmente adottata per questo minerale; quelli del Walter- shausen se ne allontanano di molto, specialmente negli al- cali, in cui pare che la potassa vada a sostituire parte della soda; nel nostro caso poi, la soda è stata quasi com- pletamente sostituita dalla potassa. Questo fatto ci fece ri- petere più volte I' analisi, e ci ebbimo sempre gì' identici risultati; e possiamo affermare di avere operato su cam- pioni perfettamente limpidi, e di considerevole grossezza. RUPE DI ACI-CASTELLO. Questa rupe si eleva superba perpendicolarmente, su di una larga base di forma ovale, che di continuo è battuta dalle onde del mare. Essa porta nella sua parte superiore i ruderi di un antico castello. La base cade a picco nelle acque , e sino a considerevole profondità , se si tien conto della vicinanza della spiaggia. Nella parte che guarda l'Est essa offre un prolungamento a scarpa, che si inoltra in seno al mare. La curva ellittica che delinea la base, è solo interrotta dal lato 0, dalla lava dell'Etna eruttata nel 1169. Questa corrente investì da quel lato la rupe , ricoprendone in parte la base, e producendo nel basalte che le sta in con- tatto, un' alterazione per uno strato di circa 25 centimetri, senza formazione di ossidiana. Oltre il basalte, la rupe è costituita di un tufo pala- gonitico, ricco in zeoliti, che il Gemmellaro chiamò peperi- no, avente un magma di color rossastro, che cementa pezzi di basalte e di ossidiana. Il basalte costituente la rupe, offre importanti partico- larità, tanto per la forma, quanto per la superfìcie e la sua giacitura. Esso presentasi in masse sferoidali di varie gran- dezze, del diametro variabile dai 40 ai 90 centimetri; compo- ste di prismi pentagoni, articolati a breve distanza, i quali I BASALTI DELLA SICILIA 221 convergono al centro, e sono rivestiti di uno strato comune di ossidiana. itasnltc globulare.— Questo basalte non arriva alla durezza di quello degli Scogli dei Ciclopi, il quale resiste abbastanza al martello; la sua polvere è in parte attirata dalla calamita; fonde facilmente al cannello in vetro nero, opaco, magnetico; ha reazione alcalina quando viene umet- tata sulla carta rossa del tornasole. Allo stato naturale la polvere è di color grigio, che per forte calcinazione si muta in terra di Siena rossastra. Composizione centesimale Si02 49,42 tracce Ti PA 1,25 A1203 13,41 Fe203 13,34 tracce di Mn FeO 0,96 CaO 11,05 MgO 6,30 K20 1,09 Na20 3,48 100,30 Peso specif. 2, 34 temp. 20°. Perdita per la calcinazione 7,07 per cento. Ossidiana.— Alcune delle masse globulari, che costi- tuiscono la rupe, son ricoperte, come abbiam detto, di uno strato di ossidiana , dello spessore di circa un centimetro. È di struttura compatta ed omogenea; ridotta in polvere piglia un color grigio-verdastro , mutandosi per la calcina- zione in caffè; fonde al cannello riprendendo il suo aspetto naturale; la polvere dà leggiera reazione alcalina. 222 I BASALTI DELLA SICILIA Composizione centesimale Si02 51,34 p2o5 1,05 A1203 14,36 Fe203 10,00 FeO 6,46 CaO 6,21 MgO 5,77 K20 1,46 Na20 3,97 100,62 Peso specifico 2, 653 temp. 18°. Perdita per calcinazione 2. 08 per cento. Basaltc alterato dalla lava. — Questo basalte, al- terato dal contatto della lava dell' Etna, ha conservato la sua forma prismatica; la sola differenza che ci è dato no- tare apparentemente si è, il colore rossastro acquistato a quel contatto. In massa agisce leggermente sull' ago calamitato ; ri- dotto in fina polvere fonde al cannello in vetro nero, opaco, magnetico. Ha reazione alcalina. La sua polvere, terra d'om- hra rossastra, non subisce alcun cambiamento per la cal- cinazione. Composizione centesimale. Si0? 50,09 PA 1,17 A1,0S 13,50 Fe203 13,05 CaO 11,20 MgO 7,05 K.?0 1,03 Na20 3,11 100,20 Peso specifico 2. 56. temp. 20.° Perdita per la calcinazione 3,12 per cento. I BASALTI DELLA SICILIA 223 Tufo palagonitico. — Il tufo palagonitico costituisce circa un decimo dell' intera, rupe, e le sta addossato dalla parte S.E; nello insieme ha un colore rossastro ; ma pol- verizzato piglia una tinta terra di Siena, che per r azione del calore si fa più scura; è attaccata in parte dagli acidi con leggera effervescenza; ha reazione debolmente alcalina. La composizione di questo tufo è variabilissima, e noi ri- portiamo la media di cinque analisi. Composizione chimica. Si02 46,08 P.O. 2,25 aia 12,23 Fe203 8,63 tracce di Mn FeO 2,73 CaO 6,32 MgO 10,43 K20 2,58 Na20 9,20 S03 tracce 100,45 Peso specifico 2, 43 temp. 20°. Philipsitc. — Fra i vari minerali contenuti nel tufo pa- lagonitico di Aci-Castello, la Philipsite è il più abbondan- te. Di questo minerale, che si presenta in piccoli mammel- loni , si conoscono due analisi ; una del Waltershausen e 1' altra di W. Fresenius. 224 I BASALTI DELLA SICILIA Eccole : I II III Si02 48,53 48,67 48,16 A1203 19,88 22,20 23,92 Fe203 2,64 0,16 tracce Ca.0 2,92 3,57 2,81 MgO 1,60 0,07 0,95 K20 3,82 2,76 4,50 Na20 6,18 7,47 2,03 H20 14,76 15,17 17,18 100,33 100,25 99,55 I. Waltershausen. II. "W. Fresenius III. Ricciardi e Speciale. TIMPA ROSA, E TIMPA IGNAZIO. Le colline terziarie, che si estendono a Nord della rupe di Aci-Castello sino ad Aci-Trezza, sono in alcuni punti at- traversate da formazioni basaltiche in inoltrata fatiscenza. Tanto negli Scogli dei Ciclopi , che nelle due timpe Ignazio e Rosa, che costituiscono questa formazione basal- tica, non si osservano tracce di crateri, o di altro materiale caratteristico dei vulcani subaerei. Lo stesso non può dir- si per la rupe di Aci-Castello, della cui genesi così ne par- la il prof. C. Gemmellaro: « Un altro gruppo serve di ba- « se alla rupe di Aci-Castello e quivi , come ho ripetute « volte osservato e descritto, una nuova azione di fuoco « ha vivamente attaccato la roccia, e ne ha convertito i pri- « smi in basalto globulare, spingendoli attraverso una gola « di cratere, di cui non resta al dì d' oggi altro vestigio « che un materiale di frantumi, analogo più presto ad un « peperino, che altro materiale vulcanico. Alla base della I BASALTI DELLA SICILIA 225 « rupe l' antica roccia basaltica si trova in posto , tutta « costituita di prismi regolari, di cui le articolazioni hanno « il carattere di reciproca convessità e concavità. » (1) Secondo il Waltershausen i basalti costituenti le due timpe Ignazio e Rosa, sotto il punto di vista petrograflco, pare che siano identici a quelli di Motta e di Paterno. iiasnlic di (impa Btosn. — Sino a quasi metà del- l'altezza della collina si osservano fra la roccia basaltica, alcuni strati di arragonite , dello spessore di circa un centimetro. Questi piccoli filoni, che tali possono conside- rarsi, sono costituiti di due strati della stessa arragonite amorfa, che serve di ganga a quella cristallizzata. Essi stanno come le salbande dei filoni propriamente detti. Il basalte di timpa Rosa è più che gli altri in avanzata fatiscenza; la parte poi non alterata, in massa è di color grigio-scuro, ridotta in polvere è di color piombino; fonde facilmente al cannello in vetro nero, opaco, poco magnetico. Per calci- nazione la polvere acquista una tinta terra d' ombra ros- sastra. Ha leggiera reazione alcalina. Composizione centesimale Si02 49,95 P-A 1,92 A1203 13,86 Fe203 13,48 FeO 1,37 CaO 10,04 MgO 5,62 K20 0,72 Na20 3,30 100,26 Peso specifico 2. 59 temp. 20.° Perdita per calcinazione 5. 55 per cento. (1) Ulteriori considerazioni sul basalto. A. G. S. II. Voi. XVI. 226 I BASALTI DELLA SICILIA Itasalte alterato di timpa Rosa. — Polverizzato è di color piombino giallastro, fonde in vetro nero, opaco, ma- gnetico. Ha leggiera reazione alcalina; per l' azione del ca- lore la polvere acquista una tinta terra d'ombra rossastra. Composizione centesimale Si02 50,78 P.0, 1,34 AIA 14,33 Fe203 14,61 FeO tracce CaO 9,67 MgO 5,59 K20 0,49 Na20 3,29 100,10 Perdita per la calcinazione 6,00 per cento. Basalte della tiiupa Ignazio. — Questa collina è costituita completamente di basalti prismatici, coverti da uno strato poco potente della formazione cretacea, che for- ma i terreni circostanti. La disposizione di questi prismi è talvolta a ventaglio, e tal' altra perpendicolare, come stu- pendamente si osserva in un taglio artificiale fatto per la costruzione della strada ferrata Catania-Messina, che divide in due parti la collina. Questo basalte è allo stato di minor fatiscenza di quello della timpa Rosa, e ciò rilevasi dai rapporti dei risultati analitici ottenuti, nonché dai prodotti della loro decomposizione. La timpa Rosa, dà un detrito poco coerente, di color rossastro, a cui forse si deve il nome dato alla collina , proveniente dallo stato di sopra- ossidazione del ferro; mentre che il prodotto di decompo- sizione del basalte della timpa Ignazio , è grigio, e meno I BASALTI DELLA SICILIA 227 sciolto, forse, per la maggior quantità di allumina che contiene rispetto al sesquiossido di ferro. In quanto alla fertilità del terreno che si forma dalla decomposizione di queste rocce, dobbiamo osservare, che è molto diversa nelle due colline; difatti vediamo che la timpa Rosa ad altro non dà vita che a\Y avena hyrsuta ( Roth ), mentre che sul prodotto di decomposizione della timpa Ignazio attecchiscono svariate piante, fra cui la vite. L'ani- dride fosforica in più, che trovasi in questo basalte, ci spie- ga la maggiore fertilità del terreno. Il basalte non alterato, ridotto in polvere è di color piombino, fonde facilmente al dardo della fiamma in vetro nero, opaco, magnetico; per calcinazione prende una tinta terra di Siena. Dà reazione alcalina. Composizione centesimale Si02 49,52 P.O. 2,87 A1203 14,07 Fe203 5,80 FeO 5,86 CaO 10,27 MgO 7,14 K20 2,15 Na,0 3,15 100,83 Peso specifico 2.75 tem. 20.° Perdita per calcinazione 3. 04 per cento. Basalte alteralo della iimpa Iguaxio.— I prismi basaltici costituenti la timpa Ignazio, hanno uno strato esterno di basalte alterato , che spesso arriva a circa un centimetro e mezzo. Polverizzato è di colore verde oliva- ATTI ACC. VOL. XV. 32 228 I BASALTI DELLA SICILIA stro, fonde in vetro nero, opaco, magnetico; per 1' azione del calore cambiasi in tortorella giallastro. Dà leggierissima reazione alcalina. Composizione centesimale. Si02 52,01 PA 1,60 A1203 15,04 Fe20;i 12,87 FeO 0,68 CaO 8,53 MgO 6,12 K20 1,18 Na20 1,70 99,73 Perdita per calcinazione 3,82 per cento. MOTTA S. ANASTASIA. I basalti di Motta S. Anastasia appartengono alle formazioni più antiche; (1) e mostrano importanti partico- larità allo studio geologico. La formazione cretacea, che co- stituisce tutte le colline di questo distretto e si allarga quasi su tutta la Piana di Catania; essa è attraversata in questo pun- to dall'eruzione di basalto. La formazione basaltica giace so- pra uno strato di tufo e di conglomerato, costituito di fram- menti di basalte, ciottoli quarzosi, ed argilla. Questo gruppo basaltico consta di tre masse; la più grande è quella su cui s' innalza il castello, e parte del paese; le altre due minori si osservano al disotto del sentiero che circonda la rupe, e son disposte con essa sopra una comune screpolatura che (l) Der Aetna etc. pag. 48. II Band. I BASALTI DELLA SICILIA 229 è diretta da S E a N 0, indipendente perciò dall'asse cen- trale dell' Etna. Il Waltershausen parlando di questi basalti accenna solo ad una varietà; noi invece abbiamo osservato, che la rupe è costituita di due varietà molto distinte. L'una ha un colore grigio verdastro, mentre l'altra piombino giallo- gnolo; ne questa variazione di colore può attribuirsi ad alcu- na decomposizione, dappoicchè sono due varietà distinte, come ce lo dimostrano le analisi, e la differenza dell'idra- tazione; difatti noi vediamo, nella varietà chiara, che potreb- be esser considerata come decomposizione della varietà scura, una quantità maggiore di alcali e protossido di ferro. Varietà chiara. — Questo basalte, in blocco agisce de- bolmente sull' ago calamitato. Finamente polverizzato fonde al cannello in vetro nero, opaco, magnetico. La polvere co- lor piombino giallognolo, calcinata, si cambia in rosaceo amarentino. Dà leggiera reazione alcalina. Composizione centesimale Si02 53,36 P.O. 0,58 A1,0S 11,47 Fe203 9,99 tracce di Mn FeO 3,18 CaO 10,01 MgO 6,89 K20 2,81 ' Na20 1,40 99,69 Peso specifico 2,85 temp. 19°. Perdita per calcinazione 0,72 per cento. Varietà scura. — Agisce sull' ago calamitato , polve- rizzata fonde al dardo del cannello in vetro nero, opaco, ma- 230 I BASALTI DELLA SICILIA gnetico; colora la carta rossa leggermente in bleu. La pol- vere in massa è di color grigio verdastro, che per l'azio- ne del calore si muta in mattone nerastro. Di questo basalte ci abbiamo un' analisi di Lasaulx, che noi riproduciamo. Dalle osservazioni microscopiche ese- guite dal Waltershausen, su questa roccia , risulta la pre- senza di cristallini di apatite, però il Lasaulx nella sua ana- lisi ha trascurato la determinazione dell'anidride fosforica. Composizione centesimale. I II Si02 47,63 52,10 PA tracce 0,62 AIA 14,78 13,46 Fe203 8.32 11,70 tre FeO 5,03 2,49 CaO 10,52 10,55 MgO 5,43 6,14 K20 j 6,31 0,93 Na20 | 1,78 H20 1,41 co2 0,36 99,79 99,83 Peso specifico 2,85 28,27 Perdita per calcinazione 2,83 per cento I. Lasaulx. II. Ricciardi e Speciale. BASALTE S. BIAGIO. A partire da Motta, prima di giungere a Paterno, sulla sinistra della strada presso Valcorrente, la formazione basaltica viene allo scoperto, attraversando il terreno ar- 1 BASALTI DELLA SICILIA 231 gilloso ; essa continua così sino al torrente San Biagio presso la salinella, dove abbiamo raccolti i nostri cam- pioni. La roccia presentasi con struttura compatta ed omogenea lasciando scorgere solamente rari cristallini di olivina. Le cavità che sono sparse nella massa, contengono spesso ag- gruppamenti di cristalli d' arragonite; altre sono tappezzate completamente da una sostanza color rosso scuro, che guardata con forte ingrandimento , appare formata di microscopici cristalli. Nella nostra nota preliminare (1) non ci fu dato pubblicarne V analisi; ora in darne la composi- zione, dobbiamo ricordare che essa aveva già attirata l'at- tenzione del Prof. Maraviglia, (2) il quale in una sua me- moria letta all' Accademia Gioenia, nella seduta del feb- braio 1829, intitolata : Materiale 'per servire alla compi- lazione della orittognosia Etnea, parlando di questa so- stanza, disse: « Il carbonato di calce ferrifero si trova in « una lava antica di Aci-Reale, e giace nelle cellule di essa « o solo od unitamente all' arragonite. La seconda varietà « si trova in una lava di Paterno delle Salinelle. Le cellule « di essa sono intonacate di una crosta giallognola, o d'un « rosso oscuro, che guardate con la lente presentano dei « turbercoli o dei mammelloni, su di essi giaciono ordinaria- « mente l' arragonite aciculare libera o raggiante e lapri- « smatica. » In una nota a questo capitolo l'autore disse: « Il carbonato di calce ferrifero non è stato pria d' ora né « osservato nò descritto da altri che ban voluto occuparsi « delle nostre cose vulcaniche. » Il basalte non ha alcuna azione sull'ago calamitato, mentre fuso è fortemente magnetico. Una scheggia al dar- do della fiamma fonde con subbollimento, emanando vivis- (1) Gazz. Chimica t. XI. 1881. (2) A. G. S. I. t. V. pag. 155. 232 I BASALTI DELLA SICILIA sima luce. La polvere umettata sulla carta rossa di tor- nasole dà leggiera reazione alcalina. Composizione centesimale SiO, 51,25 PA 0,63 AIA 13,96 Fe203 8,35 tracce di Mn FeO 5,28 CaO 13,55 MgO 2,19 K20 2,63 Na20 2,65 100,49 Peso specifico 2, 45 temp. 15.° Perdita per calcinazione 6,11 per cento, di cui 4,87 C02. Incrostazione rossa, —Il colore rosso mattone della polvere di questo minerale non è alterata menomamente per F azione del calore. È completamente solubile nell' acido cloridrico, con forte effervescenza e separazione di alcuni flocchi di silice. Composizione centesimale Si02 PA 4,20 tracce AIA Fe203 CaO 6,36 34,66 tracce di Mn 52,91 tracce di Sr. MgO 1,23 K20 ) Na2o ) CuO 0,15 0,53 100,04 I BASALTI DELLA SICILIA 233 Per la calcinazione perde 34,80 per cento, di cui solo 23,13 rappresentano anidride carbonica. La calce dunque pare che non esiste tutta allo stato di carbonato. A rragonite.— Questo minerale trovasi in bellissimi campioni nelle geodi del basalte del torrente S. Biagio; è perfettamente limpido ed incolore, la sua polvere bianca, per la calcinazione , prende una tinta rossa , dovuta alla sopraossidazione di una piccolissima quantità di protossido di ferro. Composizione centesimale CaC03 96,26 SrC03 3,22 FeO 0,04 H20 0,48 100,00 BASALTI DI PATERNO. (1) I basalti di Paterno in rapporto a quelli di Motta si trovano nelle identiche condizioni geologiche; anche la rupe di Paterno si innalza dalla pianura come massa isolata, ap- poggiandosi dalla parte Nord sugli estremi contrafforti delle correnti di lava dell' Etna, dalle quali non è separata che per mezzo di un piccolo tratto di terreno cretaceo— Essa mostra come base uno strato di tufo bruno, che sembra so- praggiacere alla creta, e che contiene dei ciottoli e pezzi di argilla. Dalla parte S. E. della roccia, a destra del sentiero che dal paese conduce alla piccola chiesa della Consolazione, si estende un conglomerato, formato di scorie e piccole bombe, (1) Di questo gruppo basaltico ci serviamo della descrizione datane dal Waltershauseu. 234 I BASALTI DELLA SICILIA le quali fan testimonianza dell' esistenza di un cratere, ora scomparso. Questi avanzi di una formazione essenzialmente scoriacea non si trovano nei tufi di Motta S. Anastasia. Il Waltershausen per ispiegare la formazione dei basalti di Paterno dice: La formazione dei basalti di Paterno av- venne dopo la deposizione degli strati di ciottoli, quindi in tempi postdiluviali. La qualità dei suoi tufi, e la formazio- ne porosa e scoriacea dello stesso basalte, che si assomiglia alle lave dell' Etna, fa supporre che il basalte di Paterno sia ancora più moderno di quello di Motta S. Anastasia. La eruzione che formò la rupe di Paterno cominciò con poten- te eruzione di cenere la quale cementata dall' acqua diede luogo alla formazione di strati di tufo. Noi. riportando quanto scrisse il Waltershausen, non intendiamo né affer- mare, né combattere le sue vedute ; vivissime discussioni si sono fatte su questo argomento, fra Lyell ed altri illu- stri scienziati. A noi non è dato entrare nell'ardua quistione. Nelle vicinanze della chiesa della Consolazione, in un luogo detto mulinazzu, si trovano ammassi irregolari di basalte. Il magma di questa roccia mostra una struttura omogenea, senza alcuna netta distinzione dei suoi com- ponenti mineralogici; solo vi si scorgono dei piccoli grani di olivina sparsi per la massa, e delle laminette sottilissi- me di labradorite. Essa è accidentata di cellette talvolta grandi, alcune delle quali tappezzate di piccoli cristallini di arragonite, altre piene di un olio minerale, il quale, ap- pena vien rotta la roccia, si spande con apparenza oleosa, e si volatilizza spandendo un odore fortemente bituminoso. Dello studio di questo olio se ne occupò il Prof. 0. Silvestri in una sua dotta memoria : Sopra alcune para/fine ed altri carburi d'idrogeno omologhi che trovami contenuti in una lava dell' Etna. (1) (1) A. G. S. III. T. XII. I BASALTI DELLA SICILIA 235 La roccia presa allo stato naturai ha una densità = 2.85 (temp. 15°); dopo fusione il suo peso specifico scen- de a 2.47. Allo stato naturale è leggermente magnetica , mentre dopo fusione è fortemente attirata dalla calamita. L'analisi chimica della roccia, dopo avere eliminati gli idrocarburi, ha dato: Si02 50,29 PA 1,67 A1203 17,84 Fe203 7,49 tracce Mn. FeO 3,63 CaO 10,72 MgO 3,52 K20 1,88 Na20 2,68 99,72 Per la calcinazione perde 3. 16 %; dopo completo esau- rimento con etere perde solo 1. 72. Scendendo dalla parte occidentale della rupe, per il sen- tiero che va verso il Simeto, presso la piccola chiesa di San Marco , trovasi un deposito di tufo bruno a grossi gra- ni, alterato dal tempo, il quale , come dalla parte opposta della rupe, giace sopra strati di creta ; un po' verso S. 0. appare la formazione terziaria coperta di masse isolate di basalte. Questa roccia è compatta, e lascia vedere chia- ramente, ad occhio nudo, i componenti mineralogici, spe- cialmente dei grossi grani di olivina di cui è molto ricca. Finamente polverizzata viene attirata dalla calamita, prima e dopo la calcinazione. La polvere esposta al dardo del cannello ferruminatorio fonde in vetro nero, fortemente ma- ATTI ACC. VOL. XV. 34 236 I BASALTI DELLA SICILIA gnetico. La polvere è di color piombino ceruleo, che dopo calcinazione si cambia in amarante ; dà reazione alcalina. Composizione centesimale. Si02 50,44 ?A 1,13 AIA 12,35 Fe203 7,10 traccie di Mn FeO 5,68 CaO 10,82 MgO 8,07 K20 1,15 Na20 3,12 99,86 specifico 2. 89 temp. 18.° 11 basalte S. Marco , come abbiamo detto , è ricchissi- mo in olivina, che ci è stato facile separare dalla massa, e' sottoporla ad analisi; essa non differisce in altro da quella delle lave dell'Etna, che per un po' di allumina in più che contiene. Composizione centesimale. Si02 40,77 MgO 47,27 FeO 10,05 AIA 1,21 NiO ) CoO j 0,32 H20 0,34 99,96 Peso specifico 3. 36 temp. 18°. A Nord-Ovest della rupe si trova un gruppo basaltico che dai paesani vien distinto col nome Rocca di S. Pietro. L' aspetto di questo basalte è molto somigliante a quello di S. Marco, solo i costituenti mineralogici sono meno I BASALTI DELLA SICILIA 237 distinti. La sua polvere è in parte attirata dalla calamita; esposta al dardo del cannello fonde in vetro nero, opaco, fortemente magnetico; dà reazione alcalina; per calcinazione cambia il suo color piombino-verdastro in mattone nerastro. Composizione Chimica. SiOs 54,20 P.0, 1,53 A1203 11,89 Fe20s 4,53 traccie di Mn FeO 5,53 CaO 10,43 MgO 6,93 K20 1,65 Na,0 3,60 100. 29 Peso specifico 2. 78 temp. 18.° Perdita per la calcinazione 1. 81 per cento. DA VALSA VOIA A BRUCOLI. (1) Lungo la strada ferrata che da Catania porta a Sira- cusa, e proprio nel tratto compreso fra la casa cantoniera N. 95, e la trincea Arcile, si rinvengono diversi gruppi ba- saltici che noi distinguiamo come segue : I. Basalte della trincea Carmodo o Carmitu. IL » presso la casa cantoniera N. 96 che precede la galleria Valsavoia. III. » della Galleria Valsavoia, imbocco Nord. IV. » della Galleria Valsavoia, centro della mon tagna. V. » della trincea Basalti. VI. » » > Cipelletti. VII. » » » Cannitello. Vili. y> » » Arcile. (1) Di questi basalti e degli altri compresi nella Val di Noto vedi Atti Gioeni S. I. T. I. 238 I BASALTI DELLA SICILIA Basalte della trincea < 'annodo (o Carmitu). — Questo basalte in massa è di color grigio chiaro, di strut- tura compatta ed omogenea, lascia vedere delle laminette di labradorite, e rari cristallini di olivina. Agisce debolmen- te sull' ago calamitato, anche dopo la fusione. Dà reazione alcalina. Composizione centesimale. Si02 42,42 PA 1,82 A1203 12,53 Fe203 11,52 traccie di Mn FeO 1,08 CaO 18,73 MgO 9,11 K20 2,28 Na20 0,82 100,31 Peso specifico 2,79 temp. 20.° Perdita per la calcinazione 9,26 per cento. Basalte presso la Casa cantoniera V 96' — Que- sto gruppo basaltico fu messo allo scoperto della costruzio- ne ferroviaria; la roccia in posto non offre nessuna forma prismatica, come osservasi nella maggior parte degli altri gruppi basaltici. Questo basalte presenta un principio di fatiscenza, tanto che i piccoli cristalli di pirossene sono sostituite da pic- cole macchie rossastre. Fonde al cannello in vetro nero, opaco, magnetico; dà reazione alcalina. I BASALTI. DELLA SICILIA 239 Composizione centesimale Si02 52,49 P205 1,66 A1203 13,10 Fe203 12,21 traccie di Mn FeO 1,66 CaO 11,50 MgO 3,82 K20 0,77 Na20 2,89 100, 10 Peso specifico 2,66 temp. 20°. Perdita per calcinazione 1,80 per cento. Basalle della Galleria lalsavoia , imbocco Nord. — Questo basalte in massa è di color rossastro. Le molte geodi che vi si osservano , sono alcune ta- pezzate di arragonite. Fonde al cannello in vetro nero, opa- co, magnetico; dà reazione alcalina. Composizione centesimale. Si02 51,35 PA 1,73 aia 11,58 Fe203 12,15 tracce di Mn FeO 1,68 CaO 12,03 MgO 6,07 K20 1,64 Na20 1,68 99,91 Peso specifico 2,77 temp. 20°. 240 I BASALTI DELLA SICILIA Basalte della Galleria Valsavoia, centro della montagna — il basalte dell'interno della galleria di Valsa- voia è di colore bigio-oscuro; e sebbene d'aspetto compatto ed omogeneo; pure va facilmente in decomposizione. Fonde al cannello in vetro nero, magnetico; dà reazione alcalina. Composizione centesimale Si02 50,40 PA 1,91 A120S 13,52 Fe20s 20,62 tracce di Mn FeO 1,75 CaO 11,12 MgO 7,13 K20 1,05 Na20 2,46 99,96 specifico 2,77 temp. 20.° Basalte della trincea Basalti. — La trincea Basalti è costituita completamente di stupende colonne prismatiche di rocce basaltiche. Questo basalte presenta le parti esterne in inoltrata fa- tiscenza che si avanza rapidamente verso il centro della massa, tanto vero che solo in meno di quindici anni che questi basalti furono messi allo scoperto dalle costruzioni ferroviarie, la crosta alterata ha acquistato in alcuni punti sino a circa tre centimetri di spessore. La roccia non alterata è di color grigio oscuro, compat- ta ed omogenea ; agisce debolmente sull' ago calamitato, anche dopo la fusione; ridotta in polvere è di color grigio; gli acidi l'attaccano parzialmente ; dà leggiera reazione al- calina. I BASALTI DELLA SICILIA 241 Composizione centesimale Si02 47,40 P,06 1,78 A1203 11,50 Fe203 7,17 FeO 3,90 CaO 14,65 MgO 8,45 K20 1,22 Na20 4,16 100,23 Peso specifico 2.89 temp. 20.° Perdita per calcinazione 0.92 per cento. Basalte alterato. — Questa parte decomposta del basalte N. V. è friabile , e si risolve facilmente in un ter- reno piuttosto fertile. Il colore grigio oscuro della polvere non prova nessun cambiamento per la calcinazione ; fonde facilmente in vetro nero, opaco, debolmente magnetico. Composizione centesimale. Si02 54,08 PA 1,25 A1203 11,14 Fe203 9,31 traccie di Mn FeO 1,01 CaO 12,69 MgO 5,57 K20 1,15 Na2o 3,75 99,95 ita per calcinazione 4.27 per cento. 242 I BASALTI DELLA SICILIA Basitile «Iella trincea CIpellettl. — Questo basalte presenta un principio di decomposizione in tutta la massa, dappoiché in diversi punti al posto dei piccoli cristallini di pirosseno si vedono delle macchie di color ruggine, dovute all'alterazione del minerale. In polvere è di color rossastro; fonde facilmente in vetro nero, opaco, magnetico; dà rea- zione alcalina. Composizione centesimale Si02 52,53 P205 1,08 A1203 11,38 Fe203 9,17 traccie di Mn. FeO 3,88 CaO 12,58 MgO 4,57 K20 1,61 Na20 3,53 100,33 Perdita per calcinazione 4.74 per cento. Basalte «Iella trincea Cannitello. — La trincea di Cannitello è formata di due distinte varietà di basalte, l'una chiara e P altra scura , e come quelle di Motta S. Ana- stasia , queste due varietà sono affatto indipendenti 1' una dall' altra. La varietà chiara è molto compatta però , pare che si lasci attaccare facilmente dagli agenti atmosferici , ciò che non avviene per la varietà scura ; essa trovasi sempre rivestita di uno strato più o meno spesso di ba- salte decomposto. Varietà ciiiara. — Questo basalte di struttura com- patta lascia vedere in minuti cristallini tanto 1' olivina che il labradorite. I BASALTI DELLA SICILIA 243 La sua polvere è di color grigio chiaro, che passa al grigio-oscuro per la calcinazione. Agisce sull' ago magnetico anche dopo la fusione; dà leggiera reazione alcalina. Composizione centesimale Si02 52,49 P.O. 1,29 A1303 11,67 Fe203 9,51 traccie di Mn. FeO 2,91 CaO 9,83 MgO 7,49 K20 1,26 Na20 4,08 100.53 Peso specifico 2,81 temp. 20°. Perdita per calcinazione 1,33 per cento. Varietà chiara, decomposta — Lo strato esterno decomposto, che riveste il basalte, ridotto in polvere ha un colore terra di tripoli; fonde facilmente in vetro nero, magne- tico; ha leggiera reazione alcalina. Composizione centesimale s2o2 53,37 p2o5 0,94 MA 13,08 Fe203 10,88 traccie di Mn. Feo 2,06 CaO 9,17 MgO 6,12 K20 0,71 Na20 3,81 99,94 Perdita per calcinazione 4,49 per cento Varietà scura. — in massa è di color grigio oscuro, compatto ed omogeneo, lasciando vedere solamente qualche raro cristallino di olivina ; spesso le geodi che si trovano ATTI ACC. VOL. XV. 34 244 I BASALTI DELLA SICILIA nella massa sono tappezzate di aragonite. In polvere è grigio chiaro; fonde in vetro nero, opaco , magnetico; dà leggiera reazione alcalina. Composizione centesimale SiO2 44,00 p;A 2,01 AIA 13,28 FeA 9.83 traccie di Mn FeO 2,70 CaO 14,07 MgO 9,13 K20 1,15 Na20 2,24 100,41 Peso specifico 3,07 temp. 20°. Perdita per calcinazione 3,57 per cento. BASALTE DELLA TRINCEA ARCILE. Basalte iudecomposto. — Questo basalte in massa ha calore nero asfalto; di struttura compatta ed omoge- nea, non lasciando scorgere ad occhio nudo nessun com- ponente mineralogico. In polvere è di colore piombino ce- ruleo; per F azione del colore prende una tinta tortorella oscura; ha reazione leggermente alcalina. Composizione centesimale Si02 47,51 PA 2,39 AIA 12,03 Fe203 7,95 tracce di Mn. FeO 6,81 CaO 10,07 MgO 8,15 K20 2,26 Na20 2,60 99,77 Perdita per calcinazione 2,39 per cento. I BASALTI DELLA SICILIA 245 BasaHe decomposto.— In massa è di colore asfalto verdastro ; ridotto in polvere è di color piombino ceruleo; per la calcinazione prende una tinta tortorella oscura. Fon- de facilmente in vetro nero, magnetico; ha reazione legger- mente alcalina. Composizione centesimale SiO, 48,52 P,0. 1,81 AIA 12,90 Fe203 16,19 tracce di Mn. FeO 0,82 CaO 7,64 MgO 8,13 K20 1,09 Na.O 2,19 99,29 Perdita per calcinazione 9,41 per cento. BASALTE DI LENTINI. Lungo la strada che da Lentini porta al piccolo fiume del Molinello, si trovano delle masse globulari di basalte , a struttura omogenea, di color simile all' asfalto. La pol- vere è di color grigio oscuro; attaccabile parzialmente dagli acidi ; umettata sulla carta rossa del tornasole, la colora leggermente in bleu. Composizione centesimale SiO, 45,61 p,o8 1,99 Alf0, 12,09 FeA 8,94 FeO 3,58 CaO 13,28 MgO 9,13 K,0 1,72 Na,0 3,63 99,97 Perdita per calcinazione 2,28 per cento. 246 I BASALTI DELLA SICILIA BASALTE DI PALOGONIA. Questo basalte è in oltrata fatiscenza; la massa è spar- sa di cellule, e molte di esse contengono bellissime zeoliti; non ha alcuna azione sull' ago calamitato; fonde facilmente in vetro nero, opaco. Composizione centesimale. Si02 50,50 PA 1,30 A1203 13,03 Fe203 12,47 FeO 1,40 CaO 12,24 MgO 6,04 K20 1,47 Na20 1,50 99,95 Peso specifico 2,45 temp. 20°. Perdita per calcinazione 6,19 per cento. Tufo palagouiiico «ti Patagonia.— Questo tufo tie- ne cementati dei pezzi, talvolta grossi, di ossidiana, insieme a molte zeoliti. La composizione chimica di questa roccia è variabilis- sima, e noi diamo qui la media di quattro analisi. La polvere è color terra d' ombra giallognola, che per la calcinazione si fa più scura. I BASALTI DELLA SICILIA 247 Composizione ceni esimale Si02 40,57 PA 1,59 A1203 11,99 Fe,0, 5,67 FeO 3,35 CaO 30,26 MgO 3.25 K20 2,87 Na20 0,75 100,35 Per la calcinazione perde il 20, 40 per cento di cui 14, 45 rappresentano anidride carbonica. Ossidiana.— I pezzi di ossidiana, che sono contenuti nel tufo palagonitico, hanno tutti una forma tondeggiante come se avessero subito, prima d' essere stati cementati , una lunga azione di trasporto. Essi sono ricoperti di un leggiero velo giallognolo. In polvere sono di color bigio-scuro, che per la calcinazione si cambia in terra d' ombra. Composizione centesimale Si02 51,83 PA 1,36 aia 11,81 FeA 13,45 FeO 2,19 CaO 9,00 MgO 6,93 K20 2,37 Na20 1,37 100,27 Peso specifico 2,75 temp. 20°. Perdita per calcinazione 1,34 per cento. 248 I BASALTI DELLA SICILIA BASALTE DI MILITELLO. Questo basalte in massa non ha alcuna reazione sul- F ago calamitato; fuso però, è attirato leggermente dalla calamita. È di struttura omogenea e compatta, e lascia solo ve- dere piccolissime laminette di labradorite. In polvere è di color cenere, che passa ad una tinta più scura per la cal- cinazione. Composizione centesimale Si02 51,31 PA 1,41 A1203 13,15 FegQ3 10,79 FeO 1,20 OaO 10,58 MgO 7,21 K20 1,28 Na20 2,20 100,13 Peso specifico 2,82 temp. 20°. Perdita per calcinazione 1,05 per cento. BASALTI DI PACHINO. Il gruppo basaltico di Pachino, è costituito di due va- rietà di roccia molto distinte. L'una presentasi con strut- tura compatta, e lascia vedere i suoi principali componenti mineralogici, fra cui vi predomina l'olivina in avanzata decomposizione. Questa varietà fu raccolta nella contrada Cozzo dì S. Lucia, presso gli avanzi di un antico cratere che formò questo gruppo basaltico. I BASALTI DELLA SICILIA 249 L'altra varietà raccolta nella contrada Tiganello non lascia vedere nessun componente mineralogico, eccetto qual- che raro cristallo di olivina. Varietà a componenti mineralogici visibili. — Questo basalte, in blocco agisce sull' ago magnetico. La sua polvere è in parte attirata dalla calamita; fonde facilmente al cannello in vetro nero, opaco, magnetico; dà reazione alcalina. Composizione centesimale SiQ< 53,13 PA 1,21 ALO, 13,28 FeA 8,89 FeO 2,61 CaO 12,63 MgO 3,16 K80 1,34 Na20 3,81 100,06 Perdita per calcinazione 3,19 per cento. Varietà compatta. — Questo basalte in blocco agi- sce sull'ago magnetico anche dopo fusione. La polvere fon- de facilmente in vetro nero, opaco, magnetico; dà reazione alcalina. Composizione centesimale SiO, 52,03 PA 1,51 ALO, 13,24 FeA 7,71 FeO 3,81 CaO 11,38 MgO 5,24 K,0 1,12 Na20 3,61 99,65 Perdita per calcinazione 3,05 per cento. 250 I BASALTI DELLA SICILIA CONCLUSIONE. 1. I basalti della Sicilia sono tutti idrati. (1) L' acqua d' idratazione è variabile nei basalti indecomposti da 0, 72 a 9, 26 per cento; questa quantità aumenta certamente in quelli decomposti, difatti abbiamo, cbe oscilla da 3, 82 a 19, 08 per cento. 2. I basalti decomponendosi formano un terreno pla- stico argilloso, fertile. (2) La fertilità di questi terreni deve attribuirsi alla grande quantità di anidride fosforica ed agli alcali, che costantemente abbiamo rinvenuti nelle rocce. Dolomieu (3) descrivendo a Faujas de Saint-Fond i basalti dei dintorni di Lisbona, concbiude, cbe il detrito della roccia basaltica del Portogallo, forma i migliori terreni per l'agri- coltura di quelle contrade. La fertilità dei terreni basaltici compresi nel distretto vulcanico di Val di Noto, ce ne dà una incontestabile prova. 3. I basalti decomposti differiscono da quelli indecom- posti, perchè costantemente nei primi si rinviene una mag- giore quantità di silice, come rilevasi dalle analisi eseguite sui basalti decomposti della timpa Rosa , timpa Ignazio , della trincea Arche, Cannitello e Basalti. Fa eccezione il basalte decomposto di Aci-Castello, il quale contiene una quantità di silice inferiore a quella trovata nel basalte in- (1) Zirkel — Lehrbucli der Petrographie — Bonn 1866. Deduce da sette analisi eseguite su diversi basalti, che la minima di acqua è 0, la massima 2, 35— Bischof Chem. Geol. voi. Ili pag. 247, e seg. riporta diverse analisi di basalti, dalle quali risulta, che l'acqua d'idratazione è pure variabilissima. (2) P. de Gasparin — -Traitè de la dètermination des terre s arables dans le Laboratoir — pag. 140 e 147 — Paris 1872 — Dice che sono celebri pa- la loro fertilità i terreni basaltici. (3) Faujas de Saint-Fond — Recherches sur les volcanos éteints du Vi- arais et du Velais — Paris 1778 pag. 441 e seg. I BASALTI DELLA SICILIA "25 J decomposto; questo fatto può spiegarsi con la scomparsa, quasi completa, delle zooliti, di cui è tanto ricca la roccia indecomposta. 1. La quantità di anidride fosforica e di calce diminuisce nella roccia decomposta. Diminuiscono pure la magnesia e gli alcali, ed a preferenza la potassa. 5. Il sesquiossido di alluminio e quello di ferro au- mentano nei basalti decomposti — L' ossido ferroso invece in alcuni diminuisce sensibilmente, ed in altri scompare del tutto. Della Carla Qeo gnostica «Iella Sicilia del Prof. FHoffmann Dune e piani argilicu. Boa ulto IH ■Ltt Ztqi->ì fi Tri /*_' > vii in J;to ba^att-a, Strati idi «tlmre --, Calcar* <& Siraaua cotuSug&aHédeytté, Gc-w CaUan*UJbUMtu> '■'Ml'il'i: .8 s I s SULLA PROPRIETÀ DEPOLARIZZANTE DELLE SOLUZIONI SALICE RISPOSTA del PROF. D. MACALUSO al Sig. G. LIPPMANN Nel Journal de physique di quest'anno , toni. X, pag. 167 il signor Lippmann fa una breve rivista, o meglio una critica, di un mio lavoro (1), nel quale io contraddico i co- rollari, eh' egli avea ricavato da alcune sue esperienze, se- condo me incomplete. Il signor Lippmann avea trovato (2) che un elettrodo negativo di un metallo A, il quale può polarizzarsi energi- camente in una soluzione qualunque di uno o più sali, di- venta inpolarizzabile se la soluzione contenga delle traccie di un sale del metallo stesso A (3). — Da quel fatto traeva (1) Atti dell' Accademia Gioenia di Se. nat. (3) 14 , pag. 261-310. Nuovo Cimento, (3) tom. 7, pag. 225. (2) Journal de physique tom. 8. p. 48 — Comp. rend. Anno 1880 tom. 86 p. 1541. (3) A pag. 48 il Sig. Lippmann parlando della depolarizzazione del rame nel solfato di zinco, che è il caso da lui con più cura esaminato, dice : « La presence de ces quelques gouttes de sei de cuivre empèche le fil de cuivre de se polariser. » Ed appresso : « L' addition d' une quantité minime de sulphate de cuivre ( moins d' iokr non seulement ramène aussitót l'électromètre au zero , mais fait ATTI ACC. VOL. XV. 35 254 SULLA PROPRIETÀ DEPOLARIZZANTE poi la conseguenza, avvalorata secondo lai da altri criteri sperimentali, che il lavoro elettrico impiegato per produrre la polarizzazione è accumulato, non sotto forma di ener- gia chimica , ma sotto forma di energia elettrica , come in un condensatore. Io ho trovato invece che la polarizzazione di un metallo A, adoperato come catodo nella soluzione del sale di un metallo C, viene sempre diminuita dalla presenza di un sale di un terzo metallo B, se il metallo C (che secondo me è la causa della polarizzazione) tenda a sostituirsi a B nella soluzione, e tanto più rapida è questa diminuzione quanto più energicamente C tende a sostituirsi a B. — Siccome fra i sali che possono adoperarsi in presenza di A son quelli di A appunto che più energicamente fra tutti si sostituiscono ai metalli , che dall' elettrolisi potrebhero essere depositati sul catodo, così sono i sali del metallo stesso A non i soli, ma quelli che più facilmente producono la sua depolariz- zazione, senza che del resto tale virtù depolarizzante sia specifica di questi sali — La differenza fra essi e gli altri non è che quantitativa e non qualitativa. Nella sua critica il Signor Lippmann non dice netta- mente se accetti o meno le conchiusioni del mio lavoro , ma fa degli appunti sopra alcuni particolari delle mie esperienze, appunti che io non posso accettare. 1°) Il mio metodo di misura pei tentativi che richiede sarebbe meno comodo e preciso di quello da lui impiegato qu'en fermant de nouveau le courant on voit l'électromètre restcr au zero.» Nella rivista che adesso fa del mio lavoro invece dice: « J'avais observé qu'une lame de cuivre , d'argent etc. acquiert dans un liquide , qui ne contient pas de cuivre ni d' argent , une polarisation du- rable, e' est-à-dire encore très sensible au bout de plusieurs minutes , tandis que 1' addition d' une petite quantité de cuivre ou a 0,807); con questa differenza però che nel secondo caso la corrente primaria avea un'intensità tripla di quella che essa avea nel primo. Siccome il signor DELLE SOLUZIONI SALINE 257 Lippmann non fa la misura dell'intensità e durata della sua corrente primaria, non credo possa dirsi se in questa parte le mie esperienze siano o no in contraddizione colle sue. Io non saprei poi come si possa veramente formare e restare del sale di rame sur un elettrodo di questo metallo, immerso per qualche secondo in acido solforico molto di- luito e puro ( pag. 275 lin. 3 ), lavato quindi abbondante- mente con acqua distillata ed asciugato fra carta da filtro; e come la soluzione, con la quale si era lungamente lavo- rato, e nella quale un elettrodo era stato immerso moltissi- me volte, e ciascuna volta sottoposto allo stesso trattamen- to, non presentasse la più lieve traccia di coloramento az- zurro trattata in un lungo tubo con ammoniaca (pag. 279). Questa reazione secondo il Lassagne rivelerebbe una parte di rame in 100000 parti di solvente. Confesso poi che capisco poco il metodo dal mio chia- ro contraddittore suggerito per la preparazione della su- perfìcie degli elettrodi da impiegarsi. Egli dice : « Il faut réduire cette surface par l'action d'un courant électrique, e' est-à-dire, il faut les laisser ( les électrodes ) plongés dans une dissolution exempte de cuivre en les te- nant attachées au pòle nègatif d'une pile jusqu'à ce qu'elles acquièrent la propriété de se polariser d'une facon du- rable. » Venendo al caso particolare in esame mi pare che con ciò debba intendersi che per polarizzare durevolmente 1' elettrodo di rame bisogna farlo servire da catodo in una soluzione di solfato di zinco priva di rame , fino a che acquisti una polarizzazione durevole, cioè per un tempo relativamente lungo. Quantunque questa mi pare che sia la interpetrazione più naturale delle sue parole, pure io non credo che il si- gnor Lippmann intenda veramente dir ciò; infatti così ope- 258 SULLA PROPRIETÀ DEPOLARIZZANTE rando, sopratutto se la corrente primaria non è molto de- bole, si capisce bene che lo strato di zinco depositato debba esser causa di una polarizzazione , che a circuito aperto, secondo i casi, potrà durare, non solo per parecchi minuti, ma anche per un tempo assai più lungo e le mie esperienze ( vedi tav. Ili ) anche mostrano ciò. Dippiù in tal caso il catodo di rame nella stessa soluzione aggiunta di un po' di sale di rame dovrebbe esser trattato identicamente, cioè sot- toposto all' azione di una corrente della stessa intensità e per l' istesso tempo che nell'altro caso. La sua polarizzazione però allora non solo sarà sensibile per una frazione di secondo, ma anche per parecchi minuti, e sparirà lentamente a causa del rame che alla superficie si sostituirà allo zinco elettrolitico. È vero eh' io ho osservato essere la polarizzazione più duratura ( non 1' elettrodo più polarizzabile ) se si sotto- pone parecchie volte il catodo all' azione della corrente senza ripulirlo, ed aspettando che la polarizzazione prodotta cia- scuna volta fosse sparita; ma ciò non dipende dalla for- mazione dell' invisibile strato di sale di rame, e per spiegare questo fatto non bisogna dimenticare che ciò avveniva lasciando il liquido perfettamente in riposo, e che bastava agitarlo perchè non solo la polarizzazione non fosse più, ma anzi diventasse meno duratura di quella che si ave a nel caso che l'elettrodo fosse stato subito prima ripulito ed immerso nel liquido non agitato; mentre inversamente il ri- mescolamento , facilitando l' allontanamento del supposto sale di rame, avrebbe dovuto anche essere favorevole al prolungarsi della polarizzazione del catodo. 3.) Se io non ho esaminato l' azione dei sali di argento sull'argento, come fa rilevare il signor Lippmann, 1' ho fatto perchè non dubitavo, come non dubito, di dover trovare, conformemente ai resultati del signor Lippmann stesso, che i sali di argento sono quelli che in una soluzione acida o DELLE SOLUZIONI SALINE 259 salina qualunque, meglio di qualsiasi altro sale, depolariz- zano il catodo di argento. Ma ciò non prova nulla nella nostra controversia. Però per 1' argento ho trovato che adoperandolo come catodo in una soluzione di zinco viene depolarizzato per la presenza di una piccola quantità di sale di rame con la stessa facilità con la quale nelle stesse condizioni vien depolarizzato un catodo di rame, e tanto più energicamente quanto maggiore è la quantità del sale di rame in presenza. Il quale fatto mi pare molto più in- teressante, anzi decisivo, nella nostra questione. 4.) In quanto ai risultati da me ottenuti col cobalto , che la presenza cioè del suo proprio sale in una soluzione salina qualunque lo depolarizzi diffìcilmente, crede il signor Lippmann possano dipendere da un' alterazione rapida della superfìcie di questo metallo. Egli aggiunge quindi che bi- sogna operar presto, cioè in un tempo più breve di un minuto dacché la superficie è stata preparata per via gal- vanoplastica , e che il metodo galvanometrico da me im- piegato mi avrebbe diffìcilmente permesso di operar tanto rapidamente. Anzitutto 1' alterazione rapida della superfìne del co- balto non so come possa dimostrarsi. Io ho riveduto ora, vale a dire, dopo un anno e mezzo 1' elettrodo di cobalto adoperato nelle mie esperienze, conservato senza nessuna cura speciale e 1' ho trovato colla superficie ancora perfet- tamente lucida e specchiante. Inoltre, come è detto a pag. 295 del mio lavoro, prima di ciascuna misura il cobalto era strofinato lungamente con una pelle di daino e smeriglio finissimo, che avrebbe dovuto allontanare quest' ossido invisibile , lasciando la superficie pura. Qualunque alterazione della superfìcie del resto, se que- sta fosse stata dallo smeriglio ripulita incompletamente , sarebbe stata causa di risultati incerti e discordanti, mentre 260 SULLA PROPRIETÀ DEPOLARIZZANTE al contrario per i diversi metalli da me cimentati fu il cobalto quello che mi diede dei risultati perfettamente con- cordanti nelle diverse misure, come è detto a pag. 295. Il tempo poi che intercedeva tra l' istante in cui si finiva di ripulire 1' elettrodo di cobalto e la misura, come sopra è detto, era assai piccolo ed inferiore ad un minuto. Però è appunto in tal caso che non si manifestava la virtù depolarizzante dei sali di cobalto, la quale si fa apprezza- bile invece, quantunque sempre debole, sol quando il tempo trascorso tra la misura e l' istante in cui avveniva la po- larizzazione diventava molto maggiore. 5.) Se molti fisici, tra i quali l'Helmholtz, han fatto un paragone tra il voltametro polarizzato ed il condensatore, nessuno, per quanto io sappia, ha mai sostenuto: che il lavoro elettrico impiegato a produrre la polarizzazione sia im- magazzinato, non sotto forma di energia chimica, ma sotto forma di energia elettrica, come in un condensatore; ed è solo questa ipotesi che io ho combattuto in tesi generale, ammettendo del resto, non solo il semplice paragone tra il voltametro ed il condensatore, ma che possano esservi dei casi in cui veramente il primo si comporti come il secondo, la qual cosa mi par di aver detto nettamente nelle ultime righe del mio lavoro in discorso. Catania Maggio 1881. Sulla somma delle potenze simili di numeri Qjialunajie in pgresssione aritmetica, e sopra alcuni coefficienti analoghi ai numeri BERNULL1AN1 clie si presen- tano in tale somma, ROF. N OT A V. MOLLAME Indicando con sm la somma delle potenze m-esime (m in- tero e positivo) dei numeri naturali da 1 fino ad s, G. Ber- noulli nella sua « Ars conjectandi » diede l'espressione generale di sm, ed Euler nelle sue Istituzioni di Calcolo stabilì anche in più modi l'espressione di sm in funzione di s. m e dei numeri bernulliani. Fin ora. ch'io sappia, non v'è alcuna forinola generale che, come quella per i numeri naturali, dia lo sviluppo della somma Sm delle potenze m-esime di s numeri qualunque , interi o fratti, in progressione aritmetica. Scopo principale di questa nota è di stabilire la forinola in discorso , cioè di assegnare lo sviluppo di S„, in funzione degli elementi della progressione necessari alla determinazione di tale somma , e ciò senza ricorrere necessariamente al calcolo differenziale ed integrale. Posto Slr = a'; + a';-[ h<, (il neh' uguaglianza a,. — a,._1 + d, ATTI ACC. VOL. XV. 3(J a 262 SULLA SOMMA DELLE POTENZE SIMILI la quale esprime che i numeri a sono in progressione arit- metica, si faccia successivamente, r=2, 3, . . . ,s: indi ele- vati a potenza ;;?-esima ambo i membri di ciascuna delle uguaglianze così ottenute , si sommino queste membro a membro, dopo ciò, tenendo presente la (i) si avrà : - or = (T) (sm-1-ar1)d+ (?) (sm_s - «r2 ) tf '+■ • ■ +(£) (s0-« v dalla quale , dietro facili riduzioni , si ottiene successiva- mente c-«r= (?) ^., + (?) d*sm_>+- ■ ••+(;;;) ers0. (2> Quest'ultima può scriversi anche simbolicamente nel modo che segue a7+1-a? = (S+d)m-Sm cn dove si conviene che gli esponenti 0 , 1 , 2 , ecc. di S pro- venienti dallo sviluppo del binomio , passino a fare da in- dici della medesima S. La (21) è applicabile alla somma delle potenze w-esime di s numeri della serie . . . . Clu. Qi1 , . . . , Qis -, ds+\ , . . . . a cominciare da «, : se invece della serie precedente si con- sideri l'altra .... as+ì , a. d\ , a( DI NUMERI QUALUNQUE, ECC. 263 per cercare la somma S',n = a'" + a"'_i + - ■ .+a?=Sm, l'u- guaglianza analoga alla c-v» si otterrà da questa mutando d in — d, a,+1 in a0, ed a, in a3: sarà quindi a?-aP = (S-d)r-Sm. (3) Sommando o sottraendo la (2') con la (3) si hanno poi le altre due più semplici (a?+1+a?)-(a?+aT)=(S+d)m+(S-d)m-2Sm j (a?n-a?)+(aT-a?)=(S+d)m-(S-dyn. (4) Volendo intanto trovare il valore di una delle S, indi- pendentemente da quelle che precedono, cangisi nella (2)m in m— 1 , m— 2, . . . , 2, i, successivamente, e si risolva quindi rispetto ad S,,,^ il sistema lineare formato dalla (2) e dalle dedotte, con ciò si ottiene m!d'"S„,_,- ds+i "1 (?) d2 (?)# • U-i)*" Od" a^-aV ("'7 V (VK (E=J) 1. Dalla (io) poi, per m=l, si ha— (Bt— B0)+B1 = l, e quindi B0=l. La (7) mostra che Bp può avere un'infinità di valori, corrispondenti agli infiniti valori che si possono attribuire al numero" m intero, positivo e non minore di p (*). in particolare per p = m — 1, la (7) dà (*) Il prof. A. Genocchi ha dato anche uno sviluppo di Bn in funzione di n e di un numero qualunque m maggiore n, intero e positivo. V. Annali di Tortolini, 1852, pag. 398. 266 SULLA SOMMA DELLE POTENZE SIMILI (-l)m-'m!Bm^= 0 0 0 0 0 0 in \ fm\ -l) \m) M ("v1) (V) ■ (s=3 t"=D (?) (?) (!) (12) Le relazioni (io) ed (il) e la precedente espressione dei numeri bernulliani sono state già indicate dal sig. Lucas (*). Si può trovare però un altro determinante più semplice del precedente come espressione generale dei nu- meri bernulliani con indice pari, quelli con indice dispari essendo tutti nulli, salvo B1, come verrà qui presso pro- vato. Dalla (il), fatto m=2k e sviluppando, si ha f1fc)fl^+f3>^+--+(s^8)£,+(^1)sl=-4, questa dà i>\=-i e con l'introduzione di tal valore in essa si ricava 1' altra (*) Nouvelles Annales de Mai 1877, pag. 22. Uno sviluppo dei numeri Bernulliani, espresso in l'unzione del loro in- dice , come pure una forinola per il calcolo approssimato di essi numeri hi data anche dal prof. Zurria nella sua « Memoria sulla determinazione dei coefficienti nelle forinole a differenze-differenziali ecc. » Catania 1855. DI NUMERI QUALUNQUE, ECC. 267 la quale, per k=2, 3, ecc. mostra che B3=B6 = ecc.=&, sicché in generale B2W = Q, (k>0). (13) Dalla stessa (il) poi, fatto m=2k+l , sviluppando e te- nendo conto che B0 = l, risulta Questa relazione permette di calcolare abbastanza agevol- mente le B, Y una in seguito dell'altra. In particolare si ha B=l, B1=-4-; B=\, B= -ì B,= * ecc. (15) 4? Nella relazione (14) mutando, successivamente, h in h — 7, h — 2,...,1 e risolvendo rispetto a BVi il sistema lineare for- mato dalla d4) e dalle dedotte, si avrà una nuova espres- sione dei numeri bernulliani e precisamente .3.5.7.... {2k + l)Bu.= 2k— 1 ra m (B±3 e±j) 2 A' — 3 fr1) (V) (SU) (5=J) 21; — 5 0 fri • (I-?) (S=3 3 0 0 (!) (I) 1 0 0 0 (?) (16) 268 SULLA SOMMA DELLE POTENZE SIMILI Il determinante qui innanzi è di un ordine eguale alla metà dell'indice di B, mentre l'altro (12) è di un ordine eguale a quell'indice. Col determinante (16) si possono calcolare direttamente le B: esso intanto mostra che il prodotto 2.3.5.7....(2/,-+l)#2, è un numero intero, e che nel denominatore di B2ll non vi ha più di un solo fattore 2. Ritornando ora all' espressione di S,„^ , la (6') può scriversi mdSm^ = [a, + d(B + l)]m - (a, + Bel)'" , cioè m^m_1=(54-l)°<+p)(B+l)1^r1+(?)(5 + l)^Xnt-ì + - +(%)(B + l)mdm-(a1 + Bd)m ; intanto (B+l)° = B0, (B+1)1=B1+B0=j, sostituendo que- sti valori nella precedente uguaglianza, e tenendo presenti le (13) e (9) risulta -{a. + Bd)'"- (17) ovvero , sviluppando 1' ultimo binomio , e ponendo poi in esso — \ in luogo di B{ , mdS^ = ™ «-'-+- a"'-1 )d DI NUMERI QUALUNQUE, ECC. 269 +B0(a? - flT)+ (?) Bì{a"r~-a,ryiì+['l) BXa'r{-a,ri)di + -- ■ (17') Quest' ultima dà lo sviluppo di #„,_, in funzione di m, av as e d. La («) può scriversi anche mdSm_1=(sd+a1-\-Bd)m—(a1H-Bd)m : ,(i8) sviluppando secondo le potenze di sd ed osservando che (a1+Bd)°=B0, la precedente diviene mdSm_1=B0(sd)m+(fl(a1+Bd)\sd)m-1+(™)(a1+Bd)Xsd)m-"+-'- +(m-i){a1+Bdy^(8d)t . (i9j e questa esprime lo sviluppo di Sm_, , in funzione di a1 . s e d. La precedente per «, = ^=7, tenendo presente la (9), dove m > 1 . diviene wm_, =yyn.v'" +("/)(#+ y )' s^+j?) /i/"-+ ('£) Bism~i+- ■ e poiché .ff0=i, (B+iy = Bl + BS)^-,. introducendo questi valori nell' ultima relazione, e cangiando in essa m in m+1, la medesima, dividendo per m+1, si riduce all'altra la quale costituisce la forinola che si legge nell'opera sopra citata di Euler. Se si pone (a, + Zto?r = 6'„, (21) ATTI ACC. VOL. XV. 37 (20) 270 SULLA SOMMA DELLE POTENZE SIMILI + • \^Cm^{sd) (22) (22') la (19) potrà scriversi mdSm^=C0(sd)m+^) Ci(8dr-l+['S) C,{8d)r ossia mdSn^ = (sd + cr-Cm, e questa paragonata con l'altra ms^=(s + B)m-Bm che si trae dalla (&) nell'ipotesi di a1=d=l, mostra che nella somma Sm_t le quantità C sono quelle che sostituiscono i numeri bernulliani nella somma sm_1. Il calcolo delle C si può fare direttamente , senza cioè ricorrere ai numeri bernulliani. Difatti la (8) in virtù della (2i) può scriversi mda?-l=(d+ C)m- Cm; (23) questa può servire al calcolo diretto delle C. Volendosi poi trovare 1' espressione generale delle C , si cangi nella relazione precedente m in m — 1, m. — 2,...,1, successiva- mente e si risolva rispetto a Cm_x il sistema lineare for- mato dalla (33) e dalle dedotte: con ciò, dopo facili ridu- zioni , si trova che m/CL ,= maxm~x (J) (m-2)d2a1m-3 0 m — 1\ [m — \ ni \ fm\ -l) \m) im— \\ /m — 1\ \m — 2) \m—l] lm — 2\ lm—2\ lm—2\ \ 1 / • Im — 3) \m — 2l 2dm-2a, d" 0 0 0 0 0 (1) (!) DI NUMERI QUALUNQUE, ECC. 271 Ciascuna delle relazioni (21) , (22) e (23) mostra che le C sono funzioni del loro indice della differenza d e del primo termine at della progressione, quindi esse rimangono costanti per una medesima progressione , qualunque sia il grado a cui si elevino i suoi termini e qualunque sia il numero di questi che si prendono a sommare. Nell'ipotesi di ax=d=l, le C, da m=2 in poi, diven- tano i numeri bernulliani, come si rileva dalle (21) e (9). In particolare, da ciascuna delle tre ultime uguaglianze si ha , _ . _ 2al — d _6a,2— 6a,o!+da ^o * j ^i — •> ' * — ~" 6 r _2a*—Za*d+aìd,> , _ SOa,*— QOa^d-iSOa^d2— rf' 3 ~1T~ "' 4 30 _' ecc- Per m=2, 3, 4 dalla (19) mediante i numeri B, o dalla (22) mediante le C, si ha S2 = -|- \2s* d' + 3 ( 2«, — d) sd -+- v,'.! l'i ta ( ci « ■■ d C_'(0<'<" ini ,' i^ t'I I .. \ •• >|' i i .>' nn.i' il e rl.-l' C'V„;.VlV.. ,,,..IV Ct -( >n (Vinti .-Mìo ;<\*|,irM\M(ine Inguini.- A&i. f-Oultyte /■ l */ / Ct ft ..liVlilli J<'? in.'.J.' .' ' mi niL-l'.- .J.«|v ,. cK'l rn.i in,-iili' . .'!• 'Im'umi- SULLA NUOVA LEGGE ELETTRO-FISIOLOGICA RELATIVA ALL' ELETTROTONO INTERPOLARE Scoperta dal D.« DOMENICO MUCCI BREVI CONSIDERAZIONI SULL INTERPRETAZIONE DEL FENOMENO pel D/ A. CAPPARELLI Nota presentata nella seduta del 3 Luglio 1881. Nel fascicolo 9° Settembre 1880, del giornale lo Speri- mentale, il dottor Mucci, rendeva conto di certe sue espe- rienze, sulle decomposizioni elettrolitiche, che per azione di correnti continue, avvengono nei liquidi organici; e che riassumo brevemente.— Egli conficcava 4 aghi di acciajo, in serie continua e che chiamava ciascuno con il numero pro- gressivo, in un uovo di recente data; riuniva gli aghi in- termedi con un filo di rame sottile, passato per le crune degli aghi medesimi, e gli aghi estremi n. 1 e n. 4 con i poli di pile Daniel, 12 piccoli elementi. Faceva agire la corrente per un' ora circa, dopo indu- riva l'uovo per la cozione ed osservava; ossidati gli aghi n. 1 e n. 3 — tersi quelli corrispondenti ai numeri 2 e 4. Osservava inoltre, al posto dell'ago n. 1, corrispondente al polo positivo ed anche al posto dell'ago n. 3, che l'albume erasi colorato in rosso per gli ossidi di ferro staccati dagli aghi di acciajo, mentre al posto degli aghi n. 2 e n. 4, lo albume aveva acquistato una trasparenza riconoscibile a prima giunta. Dagli effetti riscontrati nei quattro aghi, e dovuti alle decomposizioni operate dal passaggio delle correnti, era ap- ATTI ACC. VOL. XV. «n 286 SULLA NUOVA LEGGE parso al dottor Mucci di osservare una corrente principale che circolasse nel liquido per i poli immersi nell' uovo, cor- rispondenti ai numeri 1 e 4; ed un' altra che decorreva nel tratto interpolare, ovvero nel circuito formato per gli aghi n. 2 e 3 con direzione inversa e che 1' autore considera co- me corrente indotta. Egli ripetè questi esperimenti su tessuti vivi, con iden- tici risultati, ed anche collocando gli aghi n. 2 e n. 3 non neh' istesso piano passante per gli aghi n. 1 e 4, ma in piani differenti; venne sempre a conclusioni concordi; con la sola differenza che nel caso in cui collocava in piani dif- ferenti, i due aghi interpolari gli effetti erano di minore intensità. Dalle quali esperienze, riportate con più ampi partico- lari, nell' indicato giornale, veniva alle seguenti conclusioni che formolava nella seguente legge. « Durante il passaggio della corrente costante, nei tes- « sufi o liquidi organici, gli elementi chimici influenzati « dalla elettricità, compresi nello spazio interpolare subi- « scono uno spostamento inverso a quello che subiscono « gli elementi chimici sottoposti all'azione diretta dei poli. » Prima di discutere il valore reale di questa legge poco chiara, che compendia una nuova teorica, sulle decomposi- zioni elettrolitiche, giova notare, che i fenomeni osservati dal dottor Mucci e che lo hanno condotto ad ammettere una nuova dottrina, non sono nuovi, ma fanno parte già da molto tempo del patrimonio scienti lieo. Supponiamo infatti di avere un vase con un liquido qualunque, liquido capace di essere decomposto da una cor- rente elettrica, e due elettrodi A e D; legato il primo con il polo positivo, ed il secondo con il polo negativo di una pila. Per il passaggio della corrente il liquido verrà de- composto, accumulandosi sull' elettrodo A gli elementi così detti elettro-negativi e sull' altro D gli elettro-positivi. Se ELETTRO -FISIOLOGICA 287 ora fra A e D si immergono due altri elettrodi B e C le- gati fra di loro da un filo metallico, allora C e A, B e D si comporteranno identicamente; cioè; se sopra A si svilup- pava prima dell' ossigeno, o del cloro, o qualunque altro elemento elettro-negativo, anche dell' ossigeno e del cloro si svilupperà sopra C, e viceversa se dell'idrogeno, o anche un metallo si depositava sopra di D, gli stessi elementi si depositano sopra di B. Avremo quindi: A. B. C. D. + — H Disposizione eguale a quella osservata dal D.r Mucci, che perciò stesso non ha quell'impronta di novità segnalata dall'autore. — La interpretazione del fenomeno poi è assai semplice. — Noi sappiamo che i conduttori liquidi oppongono al passaggio della corrente una resistenza incomparabilmente maggiore dei metalli, e che nel caso in cui 1' elettricità può per dir così, scegliere la sua via tra un conduttore metal- lico ed uno liquido, presceglie sempre il primo. Nell'espe- rienza dunque della quale sopra si è parlato avremo: che introducendo l'arco interpolare la corrente passerà nel li- quido tra A e B quindi tra B e C circolerà quasi esclusi- vamente attraverso il conduttore metallico interpolare, per tornare ad attraversare il liquido tra C e D. Si capisce hene allora che l' esperienza si è quasi ridotta a sostituire ad un solo due apparecchi di decomposizione. In A ed in C la corrente entra nel liquido in B ed in D essa esce dal liquido; dunque A e C trovandosi relativamente alla dire- zione della corrente nelle medesime condizioni, devono com- portarsi identicamente. L'istesso può dirsi di B e D. Evidentemente qui trattasi di una sola corrente e della sua naturale direzione, che di necessità deve tenere nel 288 SULLA NUOVA LEGGE liquido elettrolitico, non trattasi dunque di una corrente di induzione, come ammette Y autore che si sviluppi nell' arco interpolare; la quale del resto come sarrebbe assai facile dimostrare, non potrebbe presentarsi nelle condizioni della esperienza del Mucci che per un tempo piccolissimo ed ap- pena apprezzabile. Se poi dai fatti vogliamo passare a delle teorie, invece di ricorrere alla, per me, poco chiara e semplice del Mucci, ricorriamo piuttosto a quella generalmente accettata, che dice: in qualunque composto organico od inorganico capace di essere decomposto dalla corrente uno degli elementi è elettro-positivo ed uno eletto-negativo. Or sotto l' influenza dell'elettricità opposta dei poli di una pila avviene una serie alterna di decomposizione e ricomposizione, e solo all' estremo in corrispondenza dei poli gli elementi elettricamente di nome contrario si mettono in libertà. In altri termini al polo positivo viene attratto l'elemento elettro-negativo e respinto quello elettro-positivo, che si combina con la parte elettro-negativa della molecola vicina, la cui parte elettro- positiva, si unisce alla parte elettro-negativa della molecola seguente, e così di seguito fino al polo negativo dove lo elemento elettro-positivo viene attratto e messo in libertà. Conformemente a questa teorica, se invece che nelle condizioni semplici di due elettrodi, ci mettiamo nelle con- dizioni più complicate del Mucci, avremo sempre nelle mo- lecole del liquido sottoposto alla decomposizione unica orien- tazione, unica disposizione degli elementi, tanto in quelli posti in contatto diretto dei poli estremi, che nell'arco in- terpolare; modo di vedere evidentemente contrario a quello riferito dal Mucci nella sua legge. In conformità a queste idee puramente teoriche è venuta l' esperienza che io ho voluto ripetere a quel modo identico che il Dott. Mucci ha praticato, con la sola variante che in vece di ricongiungere con un arco metallico i due ELETTRO • FISIOLOGICA 289 agili posti nello spazio interpolare, li ho ricongiunti per mezzo di albume di uovo; e perchè questo presentasse presso a poco l' istessa resistenza che il materiale organico sotto- posto, fu preso un po' di abume dell' uovo medesimo, sotto- posto all' esperimento per un foro sullo stesso praticato ed ostruito con della cera. Quest'albume fu versato in una vaschettina, fatta con un cilindretto di vetro, aperto ad un estremo e chiuso all' altro da un turacciolo di sughero perforato dalle crune dei due aghi interpolar!, n. 2 e n. 3 del nostro autore, che per tale disposizione erano immersi per le punte neh" albume dell' uovo sottoposto all' esperi- mento,, e per le crune neh' albume dell' uovo contenuto nella vaschetta. L' albume adunque teneva nel mio caso il posto del filo metallico conduttore passato attraverso le crune dei due aghi n. 2 e n. 3 compresi nello spazio interpolare. Per tale disposizione, incontrando la corrente, che nel mio caso era data da una pila Bunsen, modello medio, presso a poco una resistenza eguale a quella che sotto incontrava, la corrente sceglierebbe quest' ultima via perchè più breve, e con minore resistenza. L'esperienza fu conforme alla previsione; si rinvenne, dopo un'ora ossidato solamente 1' ago corrispondente al polo positivo del circuito principale e portante il n. 1 mentre gli altri tre aghi presentavano la primitiva lucentezza. Così sull'uovo indurito per la cozione si potè osservare in corrispondenza dell'ago n. 1 il solito deposito di ruggine, al polo negativo portante il n. 4 l'albume era divenuto trasparente, e in corrispondenza dell'arco interpolare non si riscontravano tracce manifeste del passaggio della corrente. Il fatto stesso osservato dal Mucci, cioè nel caso che egli collocava il circuito interpolare, non nella direzione della retta che congiunge i due aghi estremi, n. 1 e n. 4 ma in un piano formando un certo angolo, con il piano che 290 SULLA NUOVA LEGGE passasse per i due aghi estremi, od un po' più distante, in tal caso, il fenomeno acquistava proporzioni minori. E ciò in conformità con quanto io sostengo perchè in tal caso la corrente per recarsi all' arco interpolare doveva percorrere uno spazio maggiore, incontrar quindi maggior resistenza onde avveniva che la magggior parte della cor- rente passava là dove il cammino era più breve e la re- sistenza minore. Ed io ho ripetuto 1' esperienza del dottor Mucci collo- cando, i due aghi interpolari, secondo un piano che incon- trasse quello passante per i due aghi estremi, quasi ad angolo retto, e tale che la distanza che separa i due aghi interpolari n. 2 e n. 3 fosse maggiore della" somma delle distanze che intercede tra il n. 1 ed il n. 2, e dal n. 4 al n. 3, che tale sarà il cammino che la corrente dovrà per- correre; ed anche in questo caso non trovai tracce del pas- saggio della corrente su gli aghi interpolari, ne segni ma- nifesti di decomposizione avvenuta neh' uovo nei punti cor- rispondenti agli aghi interpolari. E ciò, dopo la cozione del- l' uovo medesimo. Non nego quindi 1' utilità reale che le modifiche del dottor Mucci hanno apportato al metodo del Ciniselli, ed allo incontrastabile vantaggio introdotto nella pratica, per la cura degli aneurismi e delle varici con il metodo indicato. Fu mio solo intendimento di assegnare al fenomeno una interpretazione conforme ai principi della scienza general- mente accettati., e dimostrare che non si tratta di una nuo- va legge, ma di applicazione di fatti già conosciuti e con- formi a principi già noti e fondamentali. La vera interpretazione del fenomeno permette anche di fare una conclusione non sprovvista di materiale utilità, così nel caso in cui verrà adottata la modifica del Mucci al metodo del Ciniselli, verrà preso in considerazione il fatto, che se gli aghi interpolari n. 2 e n. 3 sono situati ELETTRO - FISIOLOGICA 29 1 ad una distanza tale, che la somma delle distanze che in- tercede tra il n. 1 a 2, e tra 3 a 4. è maggiore di quella che intercede tra 1 e 4, 1' effetto sarà nullo e la modifica diventerà completamente inutile. Dal Laboratorio di Fisiologia di Catania, Novembre, 1880. INTORNO ALLA INFLUENZA RECISIONE DEL PS SULLA VELOCITÀ DELLA CORRENTE ARTERIOSA NOTA. SPERIMENTALE Del Prof, L. SOLERÀ e del Dott- A. CAPPARELL1 U' Che la recisione del pneumogastrico, quando sia fatta al di sopra del punto di uscita da esso nervo delle sue fibre cardiache, debba essere causa di rilevanti modifica- zioni nella velocità della corrente sanguigna in generale , ed abbia poi in ispecial modo da influire sulla velocità di movimento del sangue nelle arterie, la è cosa tanto chiara e così generalmente accettata, che non fa proprio bisogno di spendere parole per dimostrarla. Nulla riesce più facile, che il convincere gli altri di un fatto del quale devono es- sere di già persuasi ; e noi avremmo perciò troppo buon giuoco, se ci proponessimo di dilungarci nella esposizione di tutti quegli argomenti, che sia nel campo di una retta induzione, sia in quello delle risultanze sperimentali , po- tremmo facilmente invocare a sostegno della suesposta as- serzione. Ci basti di accennare soltanto a quel fatto capitale , dal quale risulta , e come naturale sua conseguenza , che la recisione del pneumogastrico debba di necessità influire sulla velocità di movimento del sangue ; al fatto cioè della dipendenza in cui da cotesto nervo si tiene la meccanica cardiaca. È una delle verità più accertate in fisiologia co- atti ACC. VOL. XV. 40 294 INTORNO ALLA INFLUENZA testa : che per la via del nervo vago si trasmette dal cer- vello ai centri di eccitazione del cuore, una particolare in- fluenza capace di modificare la loro attività ; influenza la quale trova la sua manifestazione obbiettiva nel fatto: che la recisione del pneumogastrico aumenta il numero delle rivoluzioni cardiache , mentre la eccitazione del nervo in- tegro, oppure del suo moncone periferico e comunicante col muscolo cardiaco, le fa più rare e può giungere al punto di arrestare il cuore nella sua fase diastolica, ovverosia di ridurlo a perfetto riposo. Non sarebbe qui il caso di addentrarci in codesto ar- gomento ; noi non ci occuperemo perciò distesamente , né del modo nel quale furono interpretate le modificazioni de- rivanti all' azione cardiaca dalla eccitazione e dalla paralisi del pneumogastrico , né della dottrina formulata in propo- sito da E. Weber e generalmente professata , secondo la quale il nervo vago è riconosciuto trasmissore ai centri motori del cuore di una influenza centrale che ne modera l'attività, per cui è considerato appunto quale nervo mo- deratore del movimento cardiaco. Quanto ci importa di ricordare è soltanto questo: che cioè, se a proposito della influenza del pneumogastrico sul cuore vi è ancora tra i fisiologi qualche discrepanza di vedute, questa non riguarda tanto gli effetti derivanti dalla paralisi , quanto quelli pro- venienti dalla eccitazione di esso nervo. Autorità infatti ri- spettabilissime, quali sono quelle di un Molescholt e di un Schiff, richiamarono 1' attenzione dei fisiologi sul fatto: che eccitando il pneumogastrico con correnti deboli, non si ot- tiene punto rarefazione, ma sibbene acceleramento nei mo- vimenti del cuore; ed essi giunsero perciò alla conclusione: che i nervi vaghi fossero da considerarsi non come mode- ratori, ma piuttosto come eccitatori dell' azione cardiaca , la quale verrebbe a rallentare in seguito all'applicazione ai nervi medesimi di una corrente ordinaria , pel solo fatto DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 295 che questa corrente, invece di eccitare, avrebbe per effetto di paralizzare i pneumogastrici, nervi molto facilmente esau- ribili. A queste nuove vedute ed ai fatti sperimentali sui quali appoggiano, furono mosse successivamente, da Bezold, da Pffùger e da altri ancora obbiezioni , le quali si riferi- scono specialmente al dubbio che gli effetti osservati in seguito a stimolazione dei vaghi, potessero essere attribuiti a contemporanea eccitazione dei rami del simpatico ; ma , lo ripetiamo, non ci addentreremo nella disquisizione dello argomento, poiché non è punto un tributo all' una o all' altra di codeste due opposte dottrine intorno agli effetti derivanti al cuore dalla eccitazione del pneumogastrico che noi inten- diamo di portare col presente lavoro. Noi prendiamo per punto di partenza il fatto, che re- cisi che siano i nervi vaghi nel loro tratto cervicale , ed il cuore venga perciò sottratto a quella influenza centrale che gli deriva per la via di codesti nervi, aumenta la fre- quenza delle pulsazioni cardiache. Intorno al costante av- verarsi di questo fenomeno non corrono dubbi , e vi ha tutt' al più qualche discrepanza nello spiegarne le cause. Mentre infatti la generalità degli sperimentatori ascrive l' acceleramento dei battiti cardiaci, in seguito alla paralisi del pneumogastrico, alla soppressa influenza moderatrice che per la via di codesto nervo si trasmette ai centri motori periferici del cuore, Moleschott e Schiff, in omaggio alle loro convinzioni sull' azione cardiaca motrice dei vaghi , spiegano 1' acceleramento dalla irritazione arrecata col ta- glio al moncone periferico; fatto questo, il quale nell'ordine dei fenomeni che generalmente susseguono alla recisione dei nervi motori sarebbe piuttosto eccezionale , in quanto che, per tutti gli altri muscoli, il taglio del loro nervo motore produce paralisi, né si suole osservare, come conseguenza di esso, una esaltazione duratura, dell' azione muscolare , quale la si ottiene pel cuore in seguito alla recisione dei 296 INTORNO ALLA INFUENZA vaghi. Ma, prescindendo da tutto questo, resta sempre as- sodato il fatto, che la recisione dei pneumogastrici al collo ha per effetto di accelerare 1' azione del cuore, di aumen- tare cioè il numero delle pulsazioni cardiache. Che questo acceleramento dell' azione cardiaca in se- guito alla paralisi dei vaghi , abbia poi da influire sulla celerità di movimento del sangue circolante, e che la mo- dificazione della velocità debba rendersi particolarmente manifesta neh' albero arterioso, sono fatti codesti dei quali risulta troppo naturale 1' evidenza, quando appena si pen- si a quella condizione fondamentale alla quale è dovuto il movimento circolante del sangue ed alle cause che princi- palmente concorrono a mantenerla. Si sa infatti, che il mo- vimento del sangue dalle arterie verso le vene è dovuto alla costante differenza di pressione alla quale è sottopo- sto il liquido sanguigno in queste differenti sezioni del si- fone vascolare, per cui esso si dirige da quella sezione ove maggiore è la pressione, ossia dalle arterie , verso quella altra in cui è minore, ossia verso le vene; e si sa pure che i movimenti del cuore rappresentano la principale at- tività che concorre a mantenere codesto squilibrio. Sappia- mo d' altra parte, che ad ogni loro sistole i ventricoli car- diaci spingono nelle arterie, che sono già distese dal san- gue, una nuova quantità di liquido, la quale oltre al man- tenere quello squilibrio di pressione a cui è dovuta la cor- rente, desta nelle arterie un'onda liquida positiva, la qua- le accelera il movimento centrifugo del sangue arterioso; e nella corrente arteriosa abbiamo in conseguenza degli ac- celeramenti periodici , i quali coincidono colla sistole dei ventricoli. Ciò posto, egli è ben naturale che il succedersi più o meno frequente di questi periodici acceleramenti , ovvero sia che il più o meno frequente ripetersi delle sistoli ven- tricolari debba influire sia sul movimento generale del san- DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 297 gue, sia ed in modo ancora più evidente sulla velocità del- la corrente arteriosa, fin dove si fa sentire l'acceleramento dovuto all' onda liquida destata nelle arterie dalla contra- zione ventricolare. E se la paralisi del pneumogastrico au- menta la frequenza delle rivoluzioni cardiache e quindi produce un più rapido succedersi di onde acceleranti , si dovrà già a priori inferirne , che la recisione dei vaghi avrà per effetto 1' acceleramento della corrente arteriosa. Così infatti dovrebbe essere , e sarebbe, lo ripetiamo, di buona logica ammetterlo già a priori, se non sorgesse in proposito un dubbio , il dubbio cioè che la diminuita forza delle sistoli ventricolari avesse a scemare gli effetti derivanti dall' aumento del loro numero in seguito alla re- cisione dei nervi del decimo paio. Ben di leggieri si com- prende, che allora quando si mantenesse eguale la energia delle contrazioni ventricolari, 1' aumento del loro numero dovrebbe avere per necessaria conseguenza di accrescerne gli effetti; mentre se una diminuzione della forza delle sistoli fosse contemporanea all' aumentata loro frequenza, potrebbe- ro essere compensati gli effetti dell' accresciuto numero delle pulsazioni , o potrebbe venirne anche il risultato , per ciò che spetta alla corrente arteriosa, di una velocità minore di quella che si verifica nelle condizioni normali di non al- terata innervazione cardiaca. Questo punto di dottrina, così come in poche parole lo abbiamo esposto, è abbastanza conosciuto e non ci sa- rebbe certamente venuta l' idea di farne oggetto di studio da parte nostra, se non avessimo avuta la fiducia di poter giungere a risultanze di qualche valore , mettendo in pra- tica un procedimento sperimentale nuovo, assai semplice , che noi crediamo esatto, e che ci presentava il grande van- taggio di instituire sulla velocità della corrente arteriosa , prima e dopo il taglio dei pneumogastrici , determinazioni comparative che si estendevano a periodi di tempo relati- 298 INTORNO ALLA INFLUENZA vamente lunghi; condizione questa che non avremmo cer- tamente potuto conseguire impiegando 1' emodrometro , e fors' anco usando di quegli altri mezzi ai quali si potrebbe ricorrere per constatazioni di siffatta natura, e che sono rappresentati da apparati ingegnosissimi per vero dire, ma non scevri affatto di mende , e qual più qual meno, tutti però abbastanza complicati, né di molto facile impiego. Il procedimento al quale abbiamo ricorso, è invece semplicis- simo, ma la massima semplicità sua non nuoce affatto alla esattezza della operazione, come abbiamo avuto campo di convincerci mettendolo in pratica le molte volte. Codesto nuovo procedimento per determinare la velocità della cor- rente sanguigna, fu da noi reso di pubblica ragione or fa- ranno quasi due anni; (1) ma qui crediamo opportuno, per la migliore intelligenza dei risultamene che ne abbiamo ot- tenuto, applicandolo alla constatazione delle variazioni del- la velocità arteriosa in seguito alla recisione dei pneumo- gastrici, di darne ancora qualche ragguaglio. Il nostro procedimento si fonda sul metodo così detto della portata, applicazione del principio di Torricelli sullo efflusso dei liquidi e di cui i fisici si servono per deter- minare la velocità colla quale un liquido esce da un foro praticato nella parete del vaso che lo contiene. Volendo mettere in pratica codesto metodo, si misura la quantità di liquido fuori uscito dal vaso neh' unità di tempo e si divide poi questa quantità, il cui valore è espresso in cen- timetri cubici, per la sezione del foro di efflusso, ed il quo- ziente ottenuto rappresenta la velocità del liquido al mo- mento della sua uscita dal vaso. Chiamando P la portata ovverosia il liquido uscito dal vaso in un dato tempo e (1) Nuovi Procedimenti sperimentali per determinare la velocità della corrente sanguigna proposti dal Prof. L. Solerà e da A. Capparelli. Atti dell'Accademia Gioenia Tom. XIV, Catania 1879. •" DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 299 raccolto in un repiciente graduato a cent, cub., v la velo- cità che è il termine ignoto ed s la sezione del foro di ef- flusso, la quale è un fattore conosciuto , si ha la forinola P=vs. Da questa equazione essendo conosciuti due termi- ni, si può ricavare il valore di v ignoto. Risolvendo 1' e- p quazione relativamente a v si ha v = — , si ha cioè che la velocità del liquido è eguale alla sua quantità uscita in un tempo dato, divisa per la sezione della bocca di efflusso. A stabilire con questo metodo la velocità con cui scor- re il sangue nei vasi, altri avevano pensato prima di noi, senza punto preoccuparsi però di una circostanza di fatto della massima importanza; senza cioè tener calcolo della resistenza che incontra la colonna sanguigna nel sistema di vasi minori che stanno al di là del punto esplorato. Gli sperimentatori ai quali intendiamo qui di accennare , ta- gliavano un' arteria, misuravano la quantità di sangue fuo- ruscita in un tempo determinato dal suo moncone cardiaco e da questo dato e dall'altro del conosciuto lume dell'ar- teria, credevano di poter desumere la velocità della cor- rente arteriosa. Con codesto metodo non si potevano rag- giungere risultanze esatte; le cifre ottenute dovevano di necessità indicare una velocità superiore alla vera, poiché tagliata che fosse l' arteria , diminuivano le resistenze al movimento del sangue, il quale non più sottoposto alla sua normale pressione, aveva da superare soltanto la ordinaria pressione atmosferica. Noi abbiamo cercato il modo di impiegare il metodo della portata, evitando codesta causa di errore, mantenendo cioè il sangue nelle sue normali condizioni di pressione ; e crediamo di aver raggiunto il fine che ci eravamo proposti costruendo il semplicissimo apparato che qui ci facciamo a descrivere. Il nostro apparecchio consiste in una semplice provetta 300 INTORNO ALLA INFUENZA di vetro , cioè in un' usuale tubo da prova della lunghezza di circa 16 centimetri e del diametro interno di cent. 3,5. Alla bocca della provetta viene adattato un turacciolo di gomma elastica che la chiude esattamente, e questo turac- ciolo ha due fori pei quali passano due tubicini di vetro in direzione parallela all' asse longitudinale della provetta. Alla loro uscita dal turacciolo i due tubicini si piegano ad angolo retto ed il braccio orizzontale di ciascuno, che pre- senta un rigonfiamento ad oliva , va introdotto nei due monconi centrale e periferico di un vaso sanguigno, che nel caso attuale mettiamo sia un' arteria. Al braccio che penetra nella provetta di quello dei due tubetti che va in- trodotto nel moncone cardiaco del vaso, si lega una ve- scichetta o borsetta di gomma elastica a pareti sottilissi- me; prima di applicare il turacciolo si comprime la vesci- chetta in modo da espellere l'aria in essa contenuta, e quindi si riempie la provetta di una soluzione di carbonato di soda della densità di 1,050 nella quale, applicato che sia il turacciolo di gomma elastica, sta naturalmente immersa la vescichetta e viene a pescare liberamente l'altro tubetto di vetro, quello cioè il di cui braccio orizzontale fuori del turacciolo è destinato ad essere introdotto nel moncone pe- riferico dell' arteria. In tal guisa disposto l' apparecchio, si mette allo scoperto e si isola pel tratto di alcuni centimetri un'arteria nell'animale vivente, applicandovi alla maggior possibile distanza tra di loro due pinzette a pressione. In- cise poi le pareti arteriose in due punti, si introduce nel vaso verso il cuore il braccio orizzontale di quel tubetto che mette nella borsetta, e verso i capillari l' altro tubetto quello cioè che pesca liberamente nel liquido della provetta; si fissano i tubicini alle pareti vasai i con legatura e quindi si esporta il breve tratto di arteria intermedio alle due incisioni. Fatto questo, un operatore si impossessa delle due pinzette, mentre 1' altro riconduce allo zero l'indice di DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 301 un conta secondi , quale i fisici adoperano per valutare esattamente la durata di un dato fenomeno e col polpa- strello del dito pollice ve lo tiene fisso. Ad un dato istante, il primo operatore avverte con un segno che sta per aprire le pinzette, mentre 1' altro, osservando la porzione esterna del tubetto introdotto del moncone cardiaco, appena la vede arrossare per l' ingresso del sangue, alza il pollice dimodo- ché l'indicatore incomincia la propria escursione sul qua- drante. Trascorso che sia un periodo di tempo in tal guisa esattamente determinabile, si applicano nuovamente al vaso sanguigno le due pinzette a pressione, si liberano da esso i due tubicini, e levato dalla provetta il turacciolo colla bor- setta nella quale si è raccolto il sangue fluito durante il tempo dell' osservazione dal moncone cardiaco dell' arteria, la si immerge in un vaso di vetro graduato a centimetri cubici e contenente un liquido di cui è rilevabile il volume. Il livello del liquido nel tubo naturalmente sale, e la diffe- renza tra il livello primitivo e quello raggiunto per l'im- mersione della vescichetta, esprime in centimetri cubici il volume del sangue raccolto nella vescichetta medesima som- mato con quello delle sue pareti, le quali perù, attesa la estrema loro sottigliezza, vengono a dare una cifra affatto trascurabile. Volendosi però ottenere una più esatta deter- minazione della quantità di sangue raccolto, si potrebbe procedere in quest'altra maniera. Levata la vescichetta contenente il sangue fluito dall'arteria, vi si introduce una quantità determinata in centimetri cubici di una soluzione di carbonato di soda, questa scioglie i coaguli; si raccoglie quindi con cura in un vaso graduato tutto il liquido con- tenuto nella vescichetta e sottraendo da questo la quantità conosciuta della soluzione alcalina aggiunta , si ottiene e- sattamente il volume del sangue raccolto. Si comprende facilmente il modo di agire del nostro apparecchio. La provetta è completamente ripiena di liqui- ATTI ACC. VOL. XV. 41 302 INTORNO ALLA INFLUENZA do, e la vescichetta o borsetta eli gomma elastica immer- sa in questo liquido e comunicante per mezzo del tubicino di vetro col moncone cardiaco dell' arteria, è affatto vuota, o contiene tutt' al più un'inconsiderevole volume di aria. La vescichetta accogliendo il sangue e gonfiandosi nella pro- vetta, sposta del liquido in essa contenuto una quantità esattamente eguale a quella del sangue che viene a disten- derla, e questo liquido spostato, per la via dell' altro tubi- cino in esso pescante, penetra nel moncone periferico della arteria e viene portato in circolo; i due tubicini introdotti nei monconi del vaso avendo un lume perfettamente eguale, la pressione entro il sistema non viene modificata ed è appunto come se il sangue continuasse a scorrere nell'ar- teria non interotta. Uno dei termini conosciuti dell' equazione è fornito dalla quantità di sangue raccolta nella vescichetta in un tempo determinato, 1' altro termine necessario, ossia quello della sezione del tubo di efflusso, si può determinarlo con suf- ficiente esattezza col procedimento seguente. Tolti che sia- no dai due monconi del vaso i tubicini di vetro e levato l' apparecchio, alla pinzetta a pressione che chiude il mon- cone cardiaco si sostituisce una legatura con filo di seta; 1' arteria oltre il laccio viene naturalmente gonfiata dal san- gue; sulle pareti del vaso turgido e tutto all' intorno di esso si applica una poltiglia di gesso di Parigi, la quale in poco tempo si solidifica; con una leggera trazione si estrae al- lora il moncone arterioso dall' intonaco di gesso che lo cir- conda, e in questo, al posto dell'arteria rimane scolpito un canale a pareti solide. In questo canaluccio si fa colare della cera liquefatta, la quale una volta che sia solidificata per raffreddamento, e che sia liberata dall'intonaco di gesso che la riveste, ha la forma di un cilindretto del diametro del- l' arteria, e sottraendo da questo lo spessore delle tonache arteriose misurate col microscopio fornito di micrometro s DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 303 sovra sezioni dell' arteria medesima , si arriva a determi- nare con approssimativa esattezza il lume del vaso. Come ebbimo già ad indicare in altra occasione , a questo nostro metodo si potrebbe muovere un appunto ; potrebbe cioè essere messa in dubbio l'esattezza delle no- stre determinazioni pel fatto , che il sangue non passa di- rettamente nella vescichetta dal lume del vaso la di cui sezione rappresenta uno dei termini conosciuti della nostra equazione, ma sibbene vi entra per l'intermezzo del tubetto di vetro introdotto nel moncone arterioso e di un diametro alquanto inferiore al medesimo. Questa obbiezione sarebbe giusta e noi non ce ne vogliamo punto dissimulare l' im- portanza ; il suo valore però viene a scemare per questa circostanza, che cioè noi non abbiamo considerato per foro di efflusso lo sbocco del tubetto di vetro nella vescichetta ma bensì il lume arterioso al di là del punto di introdu- zione del tubo medesimo ; quest' ultimo non faceva quindi parte per noi del capiente da cui fluiva il sangue, ma sib- bene del serbatoio in cui veniva raccolto. E qui si potreb- be dire : che avendo il tubicino di vetro un lume un po' minore di quello dell' arteria, 1' aumentata resistenza pote- va essere causa di un rallentamento della corrente mede- sima; noi però con questo sistema abbiamo ottenuto sem- pre per risultato una velocità superiore a quella indicata dall' emodrometro; il che vuol dire che questo rallentamen- to o non avveniva, oppure che si riduceva a ben poca cosa. Neil' antecedente nostro lavoro, in cui abbiamo per la prima volta data comunicazione di quest' apparecchio, ab- biamo pure riferite alcune esperienze relative all'applica- zione che ne abbiamo fatta sui cani, ottenendo, come ab- biamo testé indicato, quale costante risultamento una velocità superiore a quella constatata coli' emodrometro, che noi im- piegavamo contemporaneamente a titolo di paragone; co- me appunto dovevamo aspettarci, per le minori resistenze 304 INTORNO ALLA INFLUENZA che il nostro sistema presentava in confronto a quelle op- poste dall' apparato eli Volkmann. Successivamente ebbimo campo di metterlo in pratica parecchie altre volte, ed i soddisfacenti risultati sempre ottenuti, ci incoraggiarono ad impiegarlo per determinare le variazioni della velocità della corrente sanguigna nelle arterie in seguito alla recisione dei nervi vaghi. Gli esperimenti diretti a questo fine furono eseguiti nel modo che stiamo per indicare. Nell'animale si isolavano un' arteria per un certo tratto ed i pneumogastrici alla re- gione cervicale, e sotto ciascuno di questi si faceva passare un filo. Quindi recisa 1' arteria, se ne mettevano i due mon- coni in rapporto coli' apparecchio e si raccoglieva sangue dal moncone cardiaco per un tempo determinato. Levata poi la borsetta, se ne sostituiva un' altra vuota, ed in que- sta si raccoglieva il sangue per lo stesso periodo di tempo, dopo di aver tagliato uno dei vaghi; tolta anche questa, se ne sostituiva una terza, si tagliava 1' altro pneumogastrico e si lasciava fluire il sangue per un periodo di tempo eguale a quello delle due antecedenti esperienze. Levato quindi T apparecchio, si passava a determinare coi metodi che ab- biamo indicato il volume del sangue raccolto in tempi eguali nelle tre borsette, cioè nella prima a vaghi integri, nella seconda dopo la recisione di uno e nella terza dopo la re- cisione di ambedue i nervi. Conosciuto quindi il lume del- l' arteria , si avevano i termini per le nostre equazioni e si poteva stabilire dal differente volume di sangue raccolto, la diversa velocità di corrente prima e dopo il taglio dei nervi. Allo scopo di rendere più spedita 1' operazione, e di poter ottenere misurazioni successive della velocità della corrente arteriosa in tempi poco lontani l'uno dall'altro, ab- biamo pensato di modificare il nostro apparecchio nel se- guente modo. Alla branca che penetra nella provetta di quello DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 305 tra i due tubicini che va introdotto nel moncone cardiaco del- l'arteria e che è destinato a tradurre nella borsetta il sangue, abbiamo aggiunto là ove prima venivano legate le pareti di questa, un tubetto di ottone lungo all' incirca un centi- metro, il quale si adattava in modo concentrico al tubetto di vetro e veniva assicurato al medesimo con del mastice; questo tubetto di ottone portava scolpita sulla esterna sua superfìcie una vite, sulla quale poteva scorrere in modo concentrico una piccola madrevite a cui veniva legata la bor- setta. Di tal guisa il sangue era condotto come per lo addie- tro nella borsetta passando unicamente attraverso il tubi- cino di vetro, ma questa nuova disposizione presentava il notevole vantaggio di poter eseguire speditamente sul me- desimo animale e con un solo apparecchio più esperienze successive. Bastava infatti preparare un certo numero di bor- sette assicurate ciascuna ad una madre vite che potesse adattarsi alla vite maschio fissata concentricamente al tubi- cino di vetro introdotto nel moncone cardiaco. Fatta la pri- ma esperienza; raccolto cioè il sangue nella borsetta per un determinato periodo di tempo, si applicavano ai due mon- coni arteriosi, al di là del punto a cui arrivavano i tubi- cini di vetro che vi erano introdotti, due pinzette a pres- sione; quindi non era punto neccessario di togliere di posto tutto l'apparecchio, ma si poteva levare la borsetta lascian- do i tubicini di vetro in sito neh' arteria. Per ciò fare si toglieva il turacciolo di gomma elastica che chiudeva la provetta e questa veniva messa da parte; si svitava la ma- dre vite e così si poteva levare la borsetta contenente il sangue raccolto; si ripulivano quindi i tubetti di vetro dal sangue che potessero contenere, iniettando in ciascuno eli essi soluzione alcalina per mezzo di una siringa, al cui bec- co si aggiungeva un sottile tubetto di gomma elastica che poteva essere avanzato nei tubicini e superare 1' angolo che formano usciti che sono dal turacciolo, di modochò il liquido 306 INTORNO ALLA INFLUENZA alcalino dilavava per bene tanto i tubetti medesimi quanto i monconi arteriosi fino al punto in cui erano compressi dalle pinzette. Fatto questo, si adattava alla vite una nuo- va madrevite con un' altra borsetta vuota, si rimetteva il turacciolo alla provetta ripiena di liquido alcalino, e, leva- te le pinzette che stringevano 1' arteria, si passava ad una seconda raccolta di sangue. L' operazione poteva essere spe- ditamente ripetuta una terza, una quarta volta, ed era da- to di tal guisa instituire sullo stesso animale e sullo stesso vaso sanguigno diverse determinazioni a brevi intervalli di tempo l'una dall' altra. Per ovviare poi all' inconveniente che ci era accaduto qualche volta, che cioè la vescichetta gal- leggiasse sul liquido, che le sue pareti aderissero a quelle della provetta e che diventasse perciò meno spiccia l'ope- razione, abbiamo versato nella borsetta medesima pochi pallini di piombo facendo una legatura per impedirne il contatto col sangue. Con questo semplice espediente la bor- setta veniva tirata verso il fondo della provetta e riusciva anche più facile vuotarla dell' aria che conteneva. Mettendo in pratica il suddescritto procedimento , ab- biamo eseguito sui cani buon numero di esperienze, dalle quali se ebbimo a rilevare per la medesima arteria, sen- sibili differenze . nella velocità di corrente da animale ad animale, ci fu dato però di ottenere risultanze molto con- cordi tra di loro, per ciò che spetta alla modificazione, che la constatata velocità normale veniva a presentare in se- guito alla recisione prima di uno , poi di entrambi i ner- vi vaghi. Rinunciando per amore di brevità a descriverle tutte, ne riferiremo soltanto alcune. Il giorno 5 di luglio venne sottoposto all' esperienza un cane da caccia di sesso femminile, del peso di circa dieci chilogrammi, abbastanza ben nutrito, il quale presen- tava-98 pulsazioni cardiache al minuto. Furono messi allo scoperto i due nervi vaghi e la carotide di sinistra. Adat- DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 307 tato ai due monconi dell' arteria il nostro apparecchio, in venti secondi ottenemmo 10 cent. cub. di sangue , il che vuol dire, che prolungando l'esperienza ad un minuto pri- mo ne avremmo raccolto cent. cub. 30. Levata la borsetta contenente il sangue, se ne sostituì una vuota; si tagliò il nervo vago di sinistra e le pulsazioni salirono a 130 al minuto. Si raccolse sangue per venti secondi nella proporzione di cent. cub. 13; in un minuto ne avremmo quindi ottenuto cent. cub. 39. A questa seconda borsetta se ne sostituì un' altra vuota e si recise 1' altro pneumogastrico. Le pul- sazioni diventarono 204 al minuto ed il sangue raccolto in venti secondi fu nella proporzione di 19 cent. cub. ovve- rosia di cent. cub. 57 al minuto primo. Il lume dell' ar- teria, determinato coli' indicato metodo, ci risultò essere di miH. quad. 1,7. Sostituendo quindi nella nota equazione p fl= — .. a P e ad -si dati conosciuti, ed esprimendo con x la velocità v termine sconosciuto, avremo: prima del 30 taglio dei pneumogastrici x= — , dopo il taglio di un ner- 39 vo # = — e dopo la recisione di entrambi x— 2L _ rl. Iv 1,7 ducendo i centimetri cubici a millimetri cubici avremo: nel primo caso ^=3-^, nel secondo x=^^ , nel terzo x~^tr '■> e Perciò la velocità constatata fu all' incirca: a pneumogastrici intatti di mill. 17647 al minuto primo e quindi di mill. 294 al minuto secondo; dopo la recisione di un nervo fu di mill. 22941 al minuto primo e di mill. 382 al secondo, e dopo quella di ambedue ebbimo all' incirca una velocità di 33529 al minuto primo e di mill. 558 al secondo. Il giorno 12 luglio fu ripetuta la stessa esperienza , colle medesime norme, su di una cagna bastarda del peso di dodici chilogrammi, fresca di parto e denutrita; il di cui 308 INTORNO ALLA INFLUENZA cuore pulsava irregolarmente 120 volte al minuto. In trenta secondi si raccolsero: a vaghi intatti cent. cub. 18 di san- gue; dopo la recisione di un nervo vago cent. cub. 23, e dopo quella di entrambi cent. cub. 35; mentre il lume del- l'arteria ci risultò essere di mill. quad. 1,9. Riducendo i cent. cub. a mill. cub. avremo quindi le tre equazioni : 36,000 40,000 70,000 . , , , . ... ^ = — V, #=-' - e tt=—n-, e risolvendole si ottie- ne all' incirca, una velocità di mill. 315 al minuto secondo a vaghi intatti, di mill. 403,5 dopo la recisione di uno, e eli mill. 614 dopo quella di tutti e due i pneumogastrici. In questo animale, quindici minuti dopo il taglio dei due nervi, abbiamo raccolto nuovamente sangue, applicando una quarta borsetta vuota; e dal volume del sangue otte- nuto nello stesso periodo di trenta secondi, abbiamo po- tuto convincerci, che la velocità di corrente che era stata raggiunta colla recisione non si era punto modificata. Si operò il giorno 16 di luglio su di un cane mastino maschio, del peso di sedici chilogrammi robusto e ben nu- trito, il di cui cuore batteva regolarmente 100 volte al minuto. In quindici secondi, a vaghi intatti si raccolsero cent. cub. 11 di sangue e quindi cent. cub. 44 al minuto primo. Si recisero contemporaneamente i due nervi e le pulsazioni salirono a 210; in queste condizioni si raccolsero in quindici secondi cent. cub. 21 di sangue e quindi cent. cub. 84 al minuto primo. Il lume dell' arteria, sempre la carotide sinistra, era di mill. quad. 2,2 Ripetendo le sud- descritte operazioni, ci fu dato quindi di costatare in que- sta esperienza, una velocità di 330 mill. al minuto secondo prima, e di mill. 636 dopo la recisione dei due nervi va- ghi. Anche in questo caso, una nuova raccolta di sangue eseguita dopo venti minuti ci dimostrò: che la velocità di corrente nell'arteria, si manteneva tal quale la avevamo constatata appena avvenuta la recisione dei vaghi. DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 309 Dalle suddescritte e da altre consimili esperienze , ri- sultano i seguenti fatti, che noi qui esponiamo quali con- clusioni di codeste nostre ricerche: 1. La recisione dei nervi pneumogastrici aumenta in- dubbiamente la velocità della corrente arteriosa. 2. In seguito al taglio di uno dei due nervi si ottiene un aumento di velocità che corrisponde all' incirca ad un quarto della velocità primitiva. 3. Dopo la recisione di tutti e due i nervi la velocità aumenta quasi del doppio. 4. Possiamo dire che 1' aumento di velocità raggiunto colla recisione si mantiene tale, dopo di questa, per un pe- riodo di tempo non inferiore ai venti minuti. Dobbiamo per altro avvertire, che queste conclusio- ni che noi fermamente crediamo legittime, le reputiamo per ora applicabili solamente alle modificazioni che subisce la velocità di corrente in quel vaso sanguigno sul quale fu- rono instituite le nostre ricerche, cioè dire neh' arteria ca- rotide primitiva; ne crediamo di poter estendere questi con- cetti alla generalità dell' albero arterioso. Questa nostra cir- cospezione è ben naturale, né sfuggiranno le buone ragioni per le quali in codesto argomento procediamo guardinghi. Si sa infatti che Y onda accelerante destata nelle arterie dalla contrazione dei ventricoli, per le crescenti resistenze che incontra, procedendo dai tronchi verso le diramazioni arteriose, va mano a mano scemando di forza, per cui gra- datamente affievoliscono i periodici acceleramenti della cor- rente , dovuti all' impulso sistolico. Neil' arteria carotide primitiva, che è una tra le prime diramazioni dell' aorta e assai vicina al cuore, gli effetti acceleranti della sistole ven- tricolare vi sono molto sentiti, e quindi, il più rapido suc- cedersi delle sistoli , in seguito alla recisione dei vaghi , è naturale che abbia per conseguenza di accelerarvi la cor- rente del sangue; ma non sarebbe di buona logica , appli- ATTI ACC. VOL. XV. 42 310 INTORNO ALLA INFLUENZA care i risultati ottenuti sulla carotide ad arterie, le quali per essere più lontane dal cuore si trovano in condizioni, sotto codesto rapporto, ben diverse. Là dove gli effetti dell'onda destata dalla contrazione dei ventricoli sono meno mani- festi ; potrebbe , o meglio anzi dovrebbe essere: che il più frequente succedersi delle sistoli che sussegue alla recisione dei vaghi, massime se consociato alla diminuita loro forza, non producesse le indicate modificazioni nella velocità della corrente , o almeno le producesse in grado minore. Non abbiamo per ora un numero sufficiente di risul- tanze sperimentali da poterci pronunciare su codesto ar- gomento con piena cognizione di causa ; qualche tentativo però lo abbiamo fatto. Così in una delle suddescritte espe- rienze, abbiamo applicato il nostro apparecchio , oltrecchè alla carotide primitiva anche all' arteria femorale dello stesso lato, nell'intento di determinare comparativamente le modificazioni di velocità, che la recisione dei vaghi avrebbe prodotto sulla corrente sanguigna nei due vasi. Dopo di avere determinata questa velocità nelle due arterie a nervi intatti , e di aver rilevata , come doveva essere , nella fe- morale una velocità minore, si recisero i vaghi. I risultati ottenuti, per ciò che spetta alla corrente carotidea, li ab- biamo indicati; quanto all' arteria femorale, ci avvenne: che per una. causa di anormale soverchia resistenza che non abbiamo potuto con certezza determinare , probabilmente per qualche coagulo formatosi nel moncone periferico del- l' arteria , non ci fu dato di raccogliere sangue nella bor- setta. Allora, tanto per riuscire a qualcosa, abbiamo pen- sato di variare le condizioni dell' esperienza , e , levato il tubicino che stava nel moncone periferico dell' arteria , lo abbiamo introdotto nel moncone centrale della vena femo- rale. Il volume del sangue raccolto nella borsetta in un periodo di tempo determinato e in siffatte condizioni fu tale , da indurre in noi la convinzione , che neh' arteria DELLA RECISIONE DEL PNEUMOGASTRICO ECC. 311 femorale l'acceleramento della corrente prodotto dalla pa- ralisi dei pneumogastrici, non è meno rilevante di quello che sia nell' arteria carotide. Ma, come facilmente si com- prende, le condizioni fondamentali dell' esperienza , erano in questo caso troppo mutate , perchè si potesse cavarne giuste e legittime conclusioni. Infatti il liquido della pro- vetta , spostato dal sangue che fluiva dall' arteria nella borsetta, trovava a penetrare nel tronco venoso, resistenze molto minori di quelle che avrebbe incontrato a passare nel moncone periferico del vaso arterioso. Il più facile sfogo, il richiamo diremmo quasi di questo liquido da parte della vena, ci spiegava la maggiore quantità di sangue raccolto ed il conseguente corollario che avremmo potuto ricavarne dell' aumentata velocità di corrente. Del resto la femorale, per essere una derivazione quasi immediata dell' aorta, non si trova in condizioni così dif- ferenti dalla carotide primitiva, da doversi a priori ammet- tere risultanze sensibilmente diverse per ciò che spetta alle modificazioni che la velocità di corrente vi avrebbe a subire per la recisione del pneumogastrico. Codeste differenze bisognerebbe andarle a cercare in altre sezioni dell'albero arterioso; ed è esprimendo il desiderio che nuove esperienze si facciano con questo indirizzo, e manifestando il proposito da parte nostra di continuare nello studio di questo argomento , che noi diamo fine a questa comuni- cazione. Un' ultima parola ci resta a dire. L' argomento del quale ci siamo occupati, comprende alcuni punti di dottrina fisiologica, i quali furono già da tempo discussi e svisce- rati; in conseguenza la parte storica e critica di questo nostro lavoro avrebbe potuto avere uno svolgimento ben più ampio di quello che abbiamo creduto opportuno di darle. Noi invece ce ne siamo quasi interamente astenuti e crediamo di doverne dire il perchè. Non abbiamo punto intraprese 312 INTORNO ALLA INFLUENZA ECC. queste indagini coli' idea preconcetta di trovare qualche cosa di nuovo ; il fine che ci siamo proposti era ben più umile, quello cioè unicamente di mettere in evidenza coi fatti, i buoni servigi, che in ricerche di questo genere po- trebbe prestare alla tecnica sperimentale l'impiego del pro- cedimento fondato sul metodo della portata, da noi sugge- rito per determinare la velocità di corrente del sangue nei vasi; procedimento che accoppiando alla esattezza la mas- sima semplicità, noi non crediamo immeritevole di qualche considerazione. Tale essendo lo scopo al quale da noi si mirava, non era il caso di diffonderci nella esposizione . di cose che avevano soltanto un rapporto indiretto coll'argo- mento che ci prefiggevamo di trattare; e così abbiamo fatto, anche perchè non si avesse poi a dire, che colla ricchezza della cornice abbiamo cercato di nascondere la modesta semplicità dell'intento che col presente lavoro ci eravamo proposti. Dal Laboratorio Fisiologico di Catania — Agosto 1881. INDICE Quattro Microcefali ed un Clinocefalo in una famiglia — Memoria del Prof. Cav. S. Nicolosi Tirrizzi . . . Pag. 1 Studi Patologici e chimici sulla funzione ematopoetica — Comu- nicazione preventiva di G. Tizzoni e M. Fileti . „ 19 Influenza della luce sulla produzione dell' emoglobina — ■ Comu- nicazione preventiva di 0f. Tizzoni e M. Fileti . „ 25 Cause determinanti la produzione del calore terrestre per Se- bastiano Consiglio Ponte ,,27 Sulle armi di pietra e di bronzo rinvenute in vari siti del- l' Etna — Memoria del Dott. Antonino Somma . „ 75 Ricerche sai Tasso Baccato pel Prof. D. Amato e Cappa- relli „ 89 Indagini Comparative sulla trasformazione degli amidi per azione della saliva umana — Memoria del Prof. L. Solerà. „ 99 Sugli effetti della parziale asportazione degli emisferi cerebrali — ■ L. Solerà. „ 113 Caso di chiusura spontanea della Fistola gastrica in un cane — L. Solerà ,, 121 Sul sito dell'" antica città di Symaetus — Nota del Prof. Car- melo Sciuto Patti ,,127 Sulla dose tossica dell' acido arsenioso — Nota di A. Cap- parelli „ 137 Sopra una nuova esperienza di attrazione magnetica — Nota del Socio Emilio Piazzoli „ 143 Ricerche chimiche sulle lave dei dintorni di Catania — Memoria del Dott. Leonardo Ricciardi ....... 147 Ricerche chimiche sui basalti della Sicilia per L. Ricciardi e S. Speciale Pag. 181 Determinazione dell' acido acetico nel vino memoria del Prof. a. Basile . ,,185 Ginocchio varo , operato e guarito coir osteotomia del femore memoria del Prof. Gr. Clementi . . . . „ 197 1 basalti della Sicilia — Ricerche chimiche per L. Ricciardi e S. Speciale ,, 211 Sulla proprietà depolarizzante delle soluzioni saline — Ri- sposta del Prof. D. Macaluso al sig. G. Lippmann. ,, 253 Sulla somma delle potenze simili di numeri qualunque in progressione aritmetica , e sopra alcuni coefficienti ana- loghi ai numeri Bernulliani che si presentano in tale somma — Nota del Prof. V. Mollame ., 261 Sopra uri alterazione osservata nella selce piromaca — Nota di L. Ricciardi ,,273 Di nn apparecchio per lo studio della respirazione nei piccoli animali pel dott. A. Capparelli , 275 Sulla Nuova Legge Elettro-Fisiologica ecc. — Nota del Dottor A. Capparelli ,.285 Intorno (dia influenza della recisione del pneumogastrico sulla velocità della corrente arteriosa — Nota sperimentale del Prof. L. Solerà e del Dott, A. Capparelli . . „ 293 3 2044 093 259 513 •*v - *£br Vw tW/-t '.- ~**v> ^•^ fó".TT ^ : T^W ^e f *r-«. A *. ' ,. — • - . • • -;• C JU-i* •! Kv. : - ■V