DELL’ ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI t B1 ÌAT181I SERIE SECONDA — TOMO XX. CATANIA STABILIMENTO TIPOGRAFICO DELL’ ACCADEMIA GIOENIA DI C. GALATOLA nel Reale Ospizio di Beneficenza 1865 CARICHE ACCADEMICHE l'Elt L’AMO XXXIX DA LUGLIO 1863 A GIUGNO DEL 1864 P.0 Direttore Prof. Cav. Carlo Gemmellaro. 2.° Direttore Prof. Andrea Aradas. Segretario Generale — D.r Carmelo Sciuto-Patti. Segretario della Sezione delle Scienze Naturali — D.r Giuseppe Galvagni. Segretario della Sezione delle Scienze Fisiche — Prof. Cav. Aga- tino Longo. Cassiere — Prof. D.r Salvatore Nicolosi Tirrizzi. Direttore del Gabinetto — D.r Paolo Berretta. Direttore delle stampe — Prof. Cav. Agatino Longo. MEMBRI DEL COMITATO Prof. Giuseppe Zurria. 2. Prof. Michele Fallica. 3. Prof. Michelangelo Bonaccorsi. 4. D.r Bartolomeo Rapisardi. 5. D.r Mariano Zuccarello Patti. 6. D.r Antonino Somma. CATALOGO DEI SOCII ELETTI DA GENNARO A DICEMBRE 1865 UECX « 5 © "e *— ■ « NOME E COGNOME PATRIA GRADO A CCADEMCO 1 O es O co w 3 © a ^ ri w Q i — - . DATA dell’elezione Seduta 12 marzo i Sava D.r Giovanni . . . Beipasso Onorario 261 1865. 2 Meneghini Prof. Giuseppe . Pisa » 262 » 3 Cav. Savi Prof. Paolo . . id. » 263 » 4 Savi Prof. Pietro . . . id. » 264 » 5 Cav. Cocchi Igino . . . Firenze » 265 » 6 Conte Finocchietto Deme- trio id. ’» 266 » 7 .Tassinari Prof. Paolo . . Pisa » 267 » 8 De Luca Prof. Sebastiano . Napoli » 268 » 9 Prof. Pessina Errico . . id. » 269 y> 10 Prof. Capuano Luigi. . . id. » 270 » 11 Prof. Pepere Francesco id. » 271 » 12 Pagano Prof. Vincenzo . . id. » 272 » 13 La Rosa Prof. Gaetano . . Caltagironc » 273 7> 14 Amato Vetrano Calogero . Sciacca «» 274 » 15 Messina Monsig. Gaetano . Messina > 275 » 16 Chines Borrello Sebast. Catania » 276 » 17 Fouquè Ferdinand . . . Paris » 277 » 18 Guiscardo Guglielmo. . . Napoli » 278 » 19 D’ Ancona Cesare . . . Firenze » 279 » 20 Verneuil B Paris » 280 » 21 Arcidiacono Avv. Carmelo . Catania » 281 15 giugno 1865 22 Coppola Pietro Antonio . j id. » 282 25 giugno » 23 Gravina Cav. Luigi . . . id. » 283 y> 24 Tenerellì Francesco . . . | id. » 284 > 25 Cali Michele Aci Reale Corrispondente 745 12 marzo 1865 26 Musumeci D.r Antonino ,| id. » 746 » 27 Ursini Faraone D.r Angelo . Catania » 747 » 28 Raffaele Prof. Giovanni Palermo » 748 25 giugno 1865 29 Raiiieri Bellini Prof. . .'Firenze 1 1 » 749 7> • . V- - .• ' . SOSTENUTI NELL’ANNO XXXIX DELL’ ACCADEMIA GIOENIA m SCIENZE NA11R.1U IN CATANIA LETTA NELLA TORNATA ORDINARIA DEL DÌ 18 DICEMBRE 1861 dal SEGRETARIO GENERALE SOCIO ORDINARIO DELLA DETTA ACCADEMIA, CORRISPONDENTE DELLA SOCIETÀ ECONOMICA DELLA PROVINCIA DI CATANIA, DELL’ACCADEMIA DEI FISIOCR1TICI DI SIENA, DELL’AGRARIA DI PESARO, DELLA SOCIETÀ MALTESE DI SCIENZE E LETTERE, DELLA SOClÉTÉ DÈMULATION DII DIPARTIMENT DES VOSGKS (SPINAI,), DELLA SENCIIENBERGiSClIE DI FRANCKOUT SUL ME- NO, DELLA SOClÉTÉ DOVALE DES SCIENCES DE I.lÉGE, SOCIO ONORARIO DELL’ACCADEMIA CENTRALE DELLE BELLE ARTI DELLA EMILIA IN BOLOGNA EC. EC. ATTI ACC. YOL. XV. f > • ' ( . -v. . ‘ v • ' • * V**1 » j *JL ■ I •' i ' . • ‘ • i» <■ r ‘ . . ■ r 1 ■ V . • -• ■ ■ « . . . . nil dulcius est quam bene munita « tenere edita doctrina Sapientuin tempia < serena. Licbet. Caro. — De rerum Jictt. lib. //. Ou. xiv. Ea quae ab aliti omino eunt trattare Miuboltcxs. introduzione. Da questo rinomato Consesso Gioenio i pre- clari nostri consociali professori C. Gemmellaro, Alessi, e Mara- vigna, dietro le loro particolari osservazioni volcano-geologi- che opinarono, che il nostro Etna emerse dal fondo del mare sin da remotissimi secoli (1) ; ed in quel periodo geologico, a mio credere, in cui si stabili lo impero de’ volcani sulla raffred- data crosta del nostro pianeta: in quell’epoca l’uomo non era comparso ancora sul globo. Quando, dopo il corso di lunghi secoli, i Ciclopi al ri- ti) Gemmellaro, Saggio sulla cost. fisic, d.Etna, Atti Gioenii, Ser. sec. T. 3. Idem, Vulcanologia dell’Etna, Atti Gioenii Ser. sec. T. 14, Cap. II. § 30, e seg. Alessi, Stor. Crit. delle eruz. dell’Etna, Discorso I, e seg. Atti della Gioenia Voi. 3. e seguenti. Maravigna, tavole Sinottiche dell’Etna, Tav: I. Parigi 1838. - 621 - ferir di Omero, di Euripide, e del Siracusano Teocrito (1), e con più certezza storica, secondo Tucidide, Diodoro Sico- lo, Giustino, Cluverio ed altri, (2) i Sicani, ed indi i Si- coli vennero a stanziarsi successivamente in queste meridio- nali ed orientali contrade dell’isola da remote epoche incol- te e selvagge, Mongibello erasi elevato tant’alto, ed aveva sì esteso le larghe sue falde che di poco differiva da quello che oggi è. Ed infatto si alto ce lo dipinsero gli antichi scrit- tori per quanto Pindaro lo chiamò Columna coelestis (Pytior: Oda I.); ed Igino altresì favoleggiò, che Deucalione e Pirra dal Diluvio salvaronsi sull’Etna; il più alto monte conosciu- to dall’antichità (3). Quanti secoli dovettero scorrere per formarsi questo co- (1) Omero, Odissea lib. IX. Hinc ultra navigavimus, tristes corde; Cyclopumque ad terram superborum ex legumque. Venimus - Euripide nella l’avola del Ciclope. Impulit nos ad liane Aetnmm rupem; Ubi monoculi fila marini dei Cyclopes habitant antra vasta homeidee . • • • •••«•••••••• Teocrito, Idillio XI. Sic apud nos Cyclops commode vixit Priscus ille Polyphcmus quum amaret Galateam , (2) Tucidide, lib. VI. Diodoro Siculo, lib. VI, Cap. I e II. Giustino, lib. IV. Cluverio, Sic. Ant. lib. I. Cap. II. (3) Hyginns, Cap. 153. Clataclysmus , quod nos diluvium vel irrigationem dicimus, quum factus est ; omne genus humanum intereit , preeter Deucalionem et Pyrrharn; qui in montem Aetnam, qui altissimus in Sicilia esse dicitur, fugerunt. lessale volcano, dimoiando migliaja di lave sopra lave per arrivare a tanta altezza, e formarsi una base di circa cento cinquanta chilometri di circonferenza ! L’ immaginazione la più fervida si smarrisce nel contemplarlo. Quanto più esso si è esteso sullo Jonio mare con le ignee sue lave, tanto più il suo vertice si è allontanato da’ nostri lidi. Tutta questa regione dell’Etna da noi chiamata piemon- tana è ingombrata di lave, molte delle quali terrificate e da più secoli coltivate; secondo Cicerone e Plinio, si presentano ubertose d’omnigena vegetazione, e producono bene ogni sor- ta di piante fruttifere, fra le quali l’olivo, il mandorlo , gli agrumi, la vite ed i cereali, che, secondo le recenti ricerche de’ dotti, furono appo noi portati da’ Fcnicii al dir di Brunet De Presle (1). Àbbenchè Omero, Aristotile, Cicerone, Diodo- ro Sicolo nel suo quinto libro, e Silvaggio asseriscono, che il frumento e la vite in Sicilia nascevano spontaneamente , donde ci pervenne la favola di Cerere e di Bacco (2). (1) Brunet De Presle, Recherches sur Ics établissemcnts des grecs cn Sicilc, Troisième partie, § V. Paris 1845. (2) Omero, loco citato. Sed ime inseminata inarataque omnia proveniunt, Triticum et ordeum atque vites quee ferunt Vinum maquis uvis; et ipsis Jovis imber incrementum dal. Cicerone, in Verro. Vetus est Ime opimo; quee constai antiquissimis groecorum literis at- que monumentis; insulam Siciliani esse totam Cereri et Liberai consa- cratavi, hoc cum cadenti gentes sic arbitranti^, tum ipsis Siculis tam persuasum est, ut animis eorum insitum atque innatum , . esse videa- tur , navi et natas esse has in his locis deas, et fruges in ca terra rc- pertas arbritrantur. Aristotile, De Admir. And. n. 8. Triticum quoque hoc in loco (Aetna) reperire affirmant. E Silvaggio nella descrizione di Mongibello riferisce, che Aristeo ritrovò la vite sull’Etna. - 64 Ed inoltre altre lave del pari esistono in massa nella su- perficie e sotto il suolo che calpestiamo i di cui corsi sono visibili ancora. Dal che ne siegue, che noi non solo abitiamo, ma pu- re in cocchio ci dimeniamo, e fra breve sulla ferrovia, in queste contrade divenute ora il .delizioso giardino della Si- cilia, ed un tempo non ancora apparse al disopra del mare; talché ci possiamo appropriare quell’osservazione di Buffon e di talun’ altro, cioè, che noi viviamo in un luogo che un tempo era sotto le onde marine. Si vede bene che delle migliajadi eruzioni primitive nien- te del tutto ne possiamo conoscere; nè tampoco possiamo aver notizia in mezzo alla oscurità dei secoli di quel nume- rosissimo cumolo di lave vomitate dall’ Etna posteriormente. Fu ben tardi che incominciossi ad annoverare taluna del- le eruzioni indistintamente da Tucidide, e da Diodoro Si- colo: malgrado gli sforzi durati di un dotto nostro socio nel- la sua Storia Critica dette Eruzioni dell’ Etna , che volle rintracciarle, con l’immensa sua erudizione, nelle favole degli antichi poeti, e negli scrittori posteriori d’ ogni sorta. Noi non possiam prestar fede ai racconti immaginati dai poeti; dapoichè le eruzioni dell’Etna erano credute antica- mente presagio di strani e funesti avvenimenti; così i poeti finsero eruzioni etnee nelle sventure da loro raccontate: ed in prova di ciò , si potrà richiamare in mente il Ratto di Proserpina in Claudiano ; in Silio Italico la rotta di Canne, ed altre in poetici componimenti di simil tempra. Però è a confessarsi che una delle tante vetuste lave tramandataci dalla storia fu quella appellata d e’ Fratelli Pii. Gli antichi scrittori Greci e taluni Romani che la menziona- rono, nessuna notizia sull’epoca e sul luogo della sua sca- turigine seppcr precisarci: nò poscia, Carrera , De Grossi , Amico, c gl’illustri volcanologi Recupero, Ferrara, Alcssi, Maravigna, C. Gemmellaro, ed altri nostri numerosi patri i autori clic ne tennero parola, se ne sono punto occupati. Solo taluni han creduto emettere delle azzardate congetture, fissando l’epoca, e designando il luogo dell'eruzione; ma nè la storia, nè la topografìa de’ luoghi sorreggono le fatte congetture. Dietro di che mi è venuto in mente di assumerne il difficile incarico; e per venirne a capo , ho creduto indi- spensabile dar prima un breve sguardo alle lave su di cui è fondata questa nobile ed antica nostra città, ed a quelle altre che le sono accosto: proponendomi di procedere per via di negazione e di eliminazione. In seguito farò pure menzione degli antichi monumenti di Catana. Ed infine mi occuperò della Leggenda dei Pii Fratelli . Sì, o Signori, assoggettando le mie poche conoscenze in fatto di Volcanologia, d’ Archeologia , e di patria civile storia sul propostomi argomento, e posto altresì tutto in disamina, alla fin fine mi ho avuta la convinzione sul tem- po e sul luogo in cui quella lava de’ Fratelli Pii sbucò, e sul lungo corso da essa tenuto. E queste mie osservazioni, comunque esse siano, ho l’onore di sottoporle all’alta vo- stra intelligenza, onde giudicarle. Paragrafo I.° Dapprima adunque farò breve rassegna del- le lave corse fin qui. Primariamente osservasi una lava pro- veniente dalle alture dell’Etna corsa fin dove abitiamo; e di cui si potrà percorrere il lungo cammino da nessuno, per quan- to io sappia, interamente descritto. Presenta il suo fronte di colossali rupi che fanno argine al mare lungo la spiaggia, a cominciare dalla chiesetta del Santo Salvatore a costo il nostro molo, ed a por termine allo Spelinghetto. Apparisce nella Civita-, in tutto i novelli quartieri deì Crocifisso della Buonamorte, e di San Berillo; in S. Cristoforo; in gran parte della città, come nei Quattrocantoni , nei contorni di questa Regia Università, e del Marchese S. Giuliano; nella - 66 — Chiusa e quartiere del Carmine , presso i Cappuccini , al Rinazzo , al Borgo. Nelle alture fuori città, si vede ancora al Petraro ; sopra i ciglioni del Fasano, della Licatia , e Canalicchio ; ove vedonsi in quelle prominenze le molti- plici stratificazioni allindali sottoposte al corso di questa lava come nel 1845 tenni discorso in una illustre Accademia (1). Inoltre questo torrente di lava sale per Battiati, Trappeto, San Giovanni La-Punta, e giunge a Viagrande. Perlocchè la origine da cui esso scaturì scorrendo press’ appoco chilo- metri ventiquattro con un fronte di circa quattro chilome- tri, sembra probabile doversi collocare in quel cratere de- nominato Laserra , sito a cavaliere dell' accennato villaggio di Viagrande: mentre sono al disopra gli altri vecchi volca- ni laterali della Cava, dell’ Ilice, e dell’ima; le di cui lave si precipitarono dalla parte orientale dell’ Etna , e sembra fossero arrivate sin al mare di A ci. Su di questo corso di lava, che scaturì dal cratere suc- cennato, due terzi della nostra città è fabbricata: c certo è che quando quell’ igneo torrente, fin qui pervenne, ciò che accadde in un’ epoca anteriore alla venuta de’ Sicoli, comeo- pino, Catana a quei remotissimi tempi non si era ancora innalzata. Lungo quelle spiagge, ingombrate dalla menzionata an- tichissima lava esisteva, al riferir di Omero, ed indi di Vir- gilio e Plinio, il porto Ulisseo, la di cui esistenza vien ne- gata con prove di fatto e sagge riflessioni dal Cluverio e dall’ Ab. Ferrara. Di più, all’oriente di Catania ritroviamo in Ognina un corso di lava sopravvenuto in tempo d' assai posteriore al- (1) Degli Zelanti di Aci-Reale nella tornata del 4 settembre 1845; sulle stratificazioni alluviali del Fascino e della Licatia; Cenno Geologico inserito nel nostro giornale Giocnio , T. XI. Bimestre III, 184G. - 67 — 1’ anzidetto. S'internò di poco in mare. Scaturì diti Montar- si in S. Maria al nord del Municipio di Gravina, come è noto. Minacciò di sepellire Catania allacciandosi dalle sue al- ture ; ma l’acclività di quella valle sottostante alla Licatia a se la inclino, facendole traversare in parte quella vecchia la- va summenzionata. Checché ne dicano taluni interpetri della cronica di Si- mon Scontino, inclino a creder con 1* Ab. Amico, Ferrara, e Cordaro Clarenza, essere questa lava quella menzionata da Orosio , avvenuta nel Consolato di L. Cecilio Metello e Q. Flaminio nell’anno di Roma 637, cento ventidue anni avan- ti G. C. e non nel 1381 (1). Fu siffatta eruzione funesta a Catania, ed il suo cratere tal copia ingente eruttò di lapilli, scorie, e ceneri incande- scenti che i tetti di tutte le case di questa città, non poten- do resistere al grave peso di quel materiale cumolatovisi, sprofondaronsi. Pcrlocchò il Senato Romano commiscrando tal disastro, esentò i Catanesi per dieci anni di pagare ida- zii a quella potente Repubblica. Eodem tempore, (Orosio enumera quattro eruzioni suc- cesse in diciotto anni) Aetna mons ultra solitum exarsit, et torrentibus ignieis super fu-sis lateque circum fluenti bus, Ca- tanam urbem fìneisque ejus oppressit; ita ut teda cedium ca- iiclis cineribus preusta et pr aggravata, corruerent ; cujus le- vandae cladis causa , Senatus (Romanus) decem annorum vec- tigalia Catanensibus ranisti : Orosius, lib. V. Cap. XII I . Infine, a ponente di Catania, vedonsi resti di lave corse in epoche remotissime, e che perdonsi nella notte de’ tempi . (1) Amico, Cat. 111. T I. lib. II, Cap. IV. § XXIII. Ferrara, Atti della Gioenia , T. X. pr. ser. Sopra l’eruzione se- gnata da Orosio nel 122 innanzi G. C. Cordaro Clarenza, Osservazioni sopra la storia di Catania, Tom. I. Cap. 3, Sezione prima articolo 71. ATTI ACC. VOL. XX. - 68 - Paragrafo II .Catana, malgrado l’oscurità della sua prima epoca, ebbe origine da’ Sicoli passati dall’ Italia nelle nostre contrade dopo d’essere state abbandonate da’ Sicani per causa non solo delle eruzioni dell’Etna, ma pure per le sostenute guerre con i Sicoli stessi, come leggesi in Diodoro Sicolo, libro quinto, capitolo secondo. I Sicani, vinti, ritiraronsi nelle par- ti meridionali ed occidentali dell’Isola, come dice Tucidide nel sesto libro , e Fazello nella prima Deca, libro secondo, capitolo quarto. I Sicoli qui si stanziarono ottant’ anni pri- ma della guerra di Troja, al riferir di Dionisio di Alicarnasso, come egli aveva attinto da Filisto; Rom. Hist. lib. I. Dopo tempo, settecentotrent’ anni avanti G. C., secondo Duruy [Chronologie universale Paris 1864). Catana, abitata in quel tempo da’ Sicoli al rapportar d’Àmico: Catanamurbem aSi- colis inhabitatam , ricevette una Colonia de’ Calcidesi della nostra Nasso; ed Evarco ne fu il capo; e da lì a poco città greca divenne. Questa felice circostanza fu la causa della sua coltura e della sua grandezza : mentrecchè pria della venuta de’ Greci non era Catana, per quanto riferisce Bo- charto, che una borgata. Ad Amenani ostium Catana ; Ca- tana parvam sonat; nempe Catana erat oppidulum, antequam Naxii illud auxissent ; colonia eo deducta, Evarco Dace, quos proinde Graeci suo more habuere prò Catanoe conditoribus ; Bochart, Geogr. sac. lib. I. cap. 27. Il suo sito fu sempre ove attualmente s’erge il più no- bile corpo della città allato dell’ Amenano, ricordato da Pin- daro nella prima ode pizia, e da Strabone nel quinto libro; celebrato da Ovidio, e dalle catanee medaglie: e tutti i mo- numenti della prisca età Greca e Romana tuttora qui in gran parte esistenti lo dimostrano chiaramente; sicché pel mio soggetto non è fuor di luogo se io rammentarveli ardisco. Ed infatti un complesso grandioso di monumenti ancor s’ammirano in piedi. 69 - Si presenta primo il teatro greco, ove da Frontino elice- si aver perorato Alcibiade al popolo Cataneo. E credesi dal Musumecb che 1’ annessovi Odeo fu innalzato dagli Atenie- si in occasione che eglino furono qui di guarnigione per tre anni, nel tempo della guerra da loro sciaguratamente intra- presa contro Siracusa (1). Questo nostro magnifico monu- mento è unico restato in tutta l’ antichità, come rapporta il benemerito Principe di Biscari (2)\ A qualche distanza di questo pregevole monumento vedonsi gli avanzi del colos- sale Anfiteatro sottostanti alla piazza Stesicorea (3) . I ba- gni pubblici restano in parte: lo Achilleo sotto del Duomo; e T altro denominato Ninfeo , i di cui avanzi formano la chiesa di S.a Maria della Rotonda. Bagni particolari se ne contano alquanti ; e basterebbe soltanto notare quello inte- ro del Convento dell’ Indrizzo. Se nonché mesi or sono i murifabri ribassando la strada dietro il Monistero di S.a Chia- ra, scoprirono un pavimento a mosaico costruito, che pro- babilmente era un bagno di larga estensione: imperciocché a pochi passi di distanza da questo luogo, nella casa del Sig. Sapuppo si osservano gli avanzi di non piccolo bagno divi- so in più stanze, i di cui pavimenti erano di mosaico, co- me rapporta il Principe Biscari: Viag. della Sicilia. I due larghi pezzi del ritrovato mosaico lunghi più di tre metri, e larghi due da quel luogo esattamente svelti per cura dello zelante socio Professor Reina, vedonsi in questa regia Università depositati . Inoltre, un Rudere scoperto nello stradone del Corso (1) Musumeci, Illustrazioni dell’ Odeo di Catania. Ved. Opere Archeo logiche ed Artistiche, voi. I. Catania 1845. (2) Biscari, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia. (3) Musumeci, Dell’ Anfiteatro di Catania. Ved. Op. Archeologiche ed Artistiche Voi. II. * 70 nel 1818 fu illustrato dal distinto nostro socio Mario Mssu- meci (1). Bolano pure descrive V antico Foro di Catania, i di cui avanzi si vedono nel cortile di S. Pantaleo. Il prin- cipe di Biscari, loco citato , rapporta che parte del Conven- to di Sant’ Agostino è fabbricata sopra grosse antiche mura- glie ; ed opina essere quivi stata la Curia, la Basilica, e le carceri. Egualmente il Ferrara vide tra il teatro ed il Foro cimeli i di robusti edificii, colonne infrante, portici c pavi- menti di rotti marmi: per cui porta parere, che la Curia, la Basilica , egli altri pubblici edificii ivi esistevano secondo il divisamente di Vitruvio (2). Catana addippiù aveva il Ginnasio come le altre più re- putate città greco-sicole, eretto nei tempi di Stesicoro ante- riore a Caronda, come crede aver provato il nostro concit- tadino Giacinto Bonaiuto nella sua Trascorsiva Disamina : Palermo 1770; indi fu ristorato da M. Marcello, secondo Plutarco nella vita di lui. Come altresì aveva il Circo, e la Naumachia; gli avanzi dei quali monumenti sono stati ve- duti da Maurolico, Fazello, Bolano, Carrera, c Grossi. Essa Naumachia riceveva l’acqua dall’attuale Licodia e Vaicor- rente per un acquidotto di chilometri ventiquattro, dallo stesso M. Marcello ristorato, ed osservansi tuttora in varii luoghi alcuni archi su de’ quali fluiva. Questi tre pregevoli monumenti esistevano cominciando dalla porta della Decima sino ai dintorni del castello Ursino al riferir de’ nostri patrii scrittori, e furono sepolti dalla la- va 1669; la quale s’introdusse più d’ un chilometro e mez- zo entro mare. Indi i Catanesi vi aprirono una lunga e lar- ga strda , che in principio denominarono della Vittoria , (1) Musumeci, Sopra uno Rudere scoperto in Catania sotto la stra- da del Corso, Ibid. Voi. I. (2) Ferrara, Storia di Catania, parte terza. Monumenti antichi , art . Foro. Catania 1829. — 71 oggi appellasi del Gal lazzo, ove un bel quartiere di città si è innalzato adorno di sontuosi palazzi. Ed infine il Sepolcreto degli antichi Catanei non è a tra- sandarsi. Esso vedovasi da settentrione a levante, fuori del- la città. Cominciava dall’attuale Selva di S.a Maria di Gesù, ove tuttora esiste allo impiedi Ipogeo in salda fabbrica co- lossale descritto dal Musumeci (1). Due colombarii esi- stono, uno nella Mecca, e V altro più in basso in un fon- do dei PP. Minoriti della Concezione, ove in entrambi ve- donsi nicchie per contenere vasi cinerarii. Esso Cimitero scendeva in S.a Agata La Vetere in cui vedeasi il mausoleo di Caronda, per quanto rapporta Fazello nella prima Deca lib. 3, cap. I; camminava sin sotto i Cappuccini, in San Euplio , e si prolungava sin al largo del Carmine, ove in- nalzavasi sontuoso sepolcro a Stesicoro, rammentato da Sui- da, e da Pausania, i di cui ruderi furono veduti vicino la chiesetta di S.a Maria di Betleem da Grossi, da Fazello, e da Maurolico. Paragrafo III. Premesse le addotte osservazioni archeolo- giche onde giovarmene, non che osservati i corsi di lave vicino Catania, vengo adesso a ricercare nella caligine della storia, in qual luogo e tempo avvenne V eruzione etnea dei Fratelli Pii : la di cui descrizione si compendia cosi : che un tor- rente di lava penetrato in Catania, i suoi abitanti sen fug- girono, caricandosi delle cose loro più stimate. Però i due Fratelli Ann pio ed Amfìnomo d’ un’altro pregevole tesoro ca- ricandosi, indossarono uno il padre e l’altro la madre da veccbiaja spossati, e li sottrassero seco loro all’igneo tor- rente. Perlocchè dopo tempo, come opino, i Catanei conia- ron medaglie loro esprimenti l’accaduto fatto, e statue pu- tì) Musumeci , Disamina di Un Ipogeo esistente nell' orto de’ Rifor- mati di S.a Maria di Gesù di Catania. Ivi Voi. II. — 72 — re e sontuosi sepolcri innalzarono a questi Pii Fratelli, per immortalar la loro memoria non solo, ma per promuovere anche presso il popolo la pietà filiale. L’ accennata eruzione viene menzionata da sommi scrit- tori antichi ; Aristotile, Strabone, Plutarco, Pausania, Vale- rio Massimo, Seneca, Claudiano, Cornelio Severo cc: fi). (1) Aristotile, o Teofrasto, De Mundo, T. III. oper. ar. p. 390. Parla del fatto de’ Fratelli Pii senza però nominarli. Quo tempore , qui e mortalium genere pietate erant imbuti, ii a minime divino eximio honore. ingentique affecti sunt. Siguidem ju- venes , et robore valentes quum parentes suos retate jam confectos hu- meris suslulissent , igneo flamine jam jam opprimendo in eo erant ipsi, ut interirent: quum ecce flumen ipsum ita se scidit, ut bue et illue diversi flustus digredirentur , juvenesque intactos cura senibus transmit- terent. Strabone, lib. VI. Aetna mons maxime Cutanee superne imrninet: eorumque, qua; cra- teres montis cfficiunt , potissimam partem urbs e a percepii, nam et i- gnis fluxus fervidi proxime in Catanensem agrum deferuntur; et faci- nus piorum filiorum Amphinomi et Anapice, qui ingruente ejusmodi malo parentes, humeris sublatos eripuerunt, isti loco adsignatur. Pausania, in Pliocicis. Prisci mortales prce cunctis rebus plurimo dignabantur honore Pa- rentes, quod cum ex aliis exemplis colligas, tum vero ex eourum , qui apud Catanam Pii sunt appellati. Quum enim igneus rivus in eam ur- bem devolver etur , nulla vel argenti habita ratione , fugientes , matrem hic, patrem ille humeris substulcrunt. Scd enim quum haudquaquam festinanteis incendimi urger et; neque illi Parentes propterea dimitterent; ita igneum torrentem in duas, ajunt, partics discessisse, ut per medios igneis cum ipsis Parcntibus adolescentes incolumes evaserint. Valerius Maximus, lib. V. Gap. IV. Notum est fratrum par, Amphinomus et Anapius ; quod patrem et matrem humeris per medios igneis Aetnee portarunt... Plutarco nella Consolazione ad Apollonio menziona il glorioso fatto de’ Pii, ma ne tace i nomi. — 73 - Viene inoltre calendata da tutti i nostri patrii scrittori; co- me altresi da Fazello, dal Padre Massa. Ottavio Gaetano nel- la collezione di Burmanno, Cluverio , Carlo Dati , e da ta- lun’ altro illustre Italiano. Il preclaro Can. Alessi la tiene per certa, come lo è, abbenchè egli dice involta nella fa- vola, che io farò prova di distrigare. Soltanto si è ignora- to sin’ ora il donde e il quando questa lava sia scaturita. Seneca, De Benef. 1. 3. c. 37. Viceré Siculi juvenes, cimi Aetna majore vi peragitata in urbes, in agros, in magnani insulse partem effudisset incendium, vexerunt pa- rentes suos. Discessisse creditum est ignes, et utrinque recedente fiam- ma. tramitem adapertum, per quem trans currerent juvenes dignissimi, qui magna tufo auderent. Claudiano, Elegia 35. De Amphinomi et Anapii piorum fratum statuis. Adspice sudantes venerando pondere fratres Divino meritos semper honore coli. Ista quibus rapidee cessit reverentia flammee, Et mirata vagas rcppulit Aetna faces. Complexi manibus fultos cervice parentes, Attollant vultus, accelerentque gradus. Grandeevi gemina sublimes prole feruntur. Et cara natos implicucre mora. Nonne vides ut seva scnex incendia monstret? Ut trepido genitrix invocet ore Deos? Erexit formido comam, perque omne metallum Fusus in attonito palluit ore color. In juvenum membris animosus cernitur horror. Atque oneri metuens, impavidusque sui. Cornelio Severo, De Aetna. Ruptis excanduil Aetna cavernis ; . ; ac nullis parsura incendia pascunt, Vel solis parsura piis, namque optima proles , - 74 Or dalle osservazioni falle sulle riferite lave etnee chia- ro emerge, che nessuna di quelle potrà essere questa dei Fratelli Pii ; giacché sovra essa torreggiano i monumenti ac- cennati, tuttora esistenti in Catania, che sono stati tutti in- nalzati nel periodo greco ; abbenchè taluno di essi sia sta- to costruito o modificato da’ sopravvenuti Romani. Ne consegue inoltre, che quella eruzione de1 Fratelli Pii fu certamente anteriore alla venuta della Colonia Greca da Nasso; imperciocché in nessuno di questi monumenti anti- chi si vede corso di lava che rabbia invaso nella minima parte; e per lo contrario taluni di questi ripetuti monu- menti Greci furono innalzati sopra quella lava antica pene- Amphinomus fraterque, pari sub miniere far ics. Quinti jam vicinis strepcrent incendia tcctis, Adspiciunt pigrumque patroni matremque senemque, Eìieu defessos posuisse in limine membra. Farcite avara inanus diteis atlollere praìdas ; ìllis divinai solae materque paterque. Mane rapiunt praedam, mediumque exire per ignem Ipso dante fidem properant.. 0 maxima rerum , FA merito, pietas, homini Ultissima virtus! Erubuére pios juveneis attingere flammae; Et quacumquc ferunt illi vesligia, ceduta. F elix illa dics, illa est innoxia tcrrac. D extra saeva tenent, levdque incendia fervetti: llle per obliquos igneis fraterque triumphans, Tutus uterque pio sub pondero sufficit illa: Et circa geminos avidus sibi temperai ignis. Incolumes ab eunt tandem ; et sua numina seenni Salva ferunt, illos mirantur carmina vatum. llleque se posuit cium sub nomine Ditis. Alee sanctos juvenes attingunt sordida fata: Sed vere cessero domus, et jura piorutn. - 75 — trata in Città. E siccome Catana fu fondata ecl abitata dai Sicoli, ed indi passò sotto la condotta dell’Eolico Xhuto, per quanto leggesi nel libro quinto , capitolo sesto del nostro Diodoro, ne consegue che verso tale epoca sia stata avve- nuta quella formidabile eruzione. E maggiormente ne sono accertato dalle scoperte im- portanti di antichi monumenti, fatte a caso al disotto di una lava, e dai nostri scrittori rapportate: scoperte delle quali mi avvalgo e profitto in questa congiuntura. Tali minimi fatti acquistano importanza in Archeologia non solo, ma pure dilucidano la storia dell’eruzione in pa- rola; onde mi fa d’uopo richiamarveli alla mente. In primo, per quanto sia a mia notizia, si presenta il Carrera : egli asserisce nelle sue Memorie Storiche di Cata- nia, avere scoperto in più luoghi di questa città edificii ed antichità sepellite da una lava antica. Ved. Voi. I, lib. I, cap: LY, e LVI. Catania 1639. L’ Abbate Amico rapporta, che in alcuni scavi praticati nel largo di questo Duomo ritrovaronsi avanzi d’ edifìcii ed acquidosi coperti di lave; ed opina, che queste colarono ai tempi de’ Sicani ; ed addippiù soggiunge, che dopo di esse nessun’ altra antica lava qui se ne vede : per urbem enim mediani post Sicanos ignem aliquando grassatum nullibi le- go. Cat. 111. T. I, lib. I, Cap. III, § XI. Catanae 1740. Inoltre Mario Musumeci nella lllus.tr azione dell ’ Odeo di Catania, rapporta nell’ultima sua nota « che scavandosi le fondamenta della nuova scala al parlatorio delle monache di S. Benedetto a molta profondità dovendosi rompere una debole lava che s’incontrò, con istupore vi si rinvenne im- pastata una colonnetta di mattoni cilindrici ». Osserva pure, che sopra una porzione di quella lava è fabbricato il Rudere menzionato, da lui scoperto ed illustrato coi Cenni Critici, come altresi tutta la porzione orientale del Greco teatro. Il canonico Alcssi, dopo d'aver segnato il sito dell’an- ATTI ACC. VOL. XX. 10 - 76 tica Catana sulle rive dello Amenano, soggiunge « dove se- pelliti dalle lave etnee superbi avanzi dell’ antica città ri- trovansi ». Storia Critica di Sicilia, voi. 2, parte I, pag : 70 Catania 1836. Ferrara fa pure menzione di antiche fabbriche coperte delle lave. Storia di Catania parte terza monumenti antichi . Catania 1829. Il professor Di-Giacomo parlando dell’ Amenano dice « scorre oggi profondato là dove gli avanzi si discavano del- l’antica Catana ». Idrologia deW Etna nei nostri Atti Gioenii prima serie tomo IX. Il Duca di Serradifalco riconosce, che la moderna Cata- nia sorge sopra il colmo degli antichi cdifìcii. Le antichità della Sicilia , Voi. V. Parte seconda. Monumenti di Catania. Palermo 1842. Ed infine i sommi Italiani nella classica loro opera Usi e costumi di tutti i popoli dell’Universo , hanno annunziato, che l’attuale nostra città s’innalza sulle macerie degli anti- chi monumenti. E pei* maggiormente esserne convinti osservate meco Si- gnori, clic l’Amenano scorreva anticamente allo scoperto ed a’ fianchi della città, come ce lo descrivono gli antichi sto- rici e poeti che ne tennero parola in molte occasioni: Theo- clis chalcidensis navis in Amenanum /lumen ascendit; men- tre adesso, e da più secoli col nome di Giudicello , da Bola- no chiamato fìumicello, fluisce di sotto la città moderna; e - sce fuori nella spiaggetta, e transita per la recente piccola villa della marina. Il teatro greco ed i menzionati monu- menti della prisca età, non esclusi quelli dell’epoca sicola, so- no fabbricati paralclli all’alveo di questo fiume. Laonde è certezza, che la città era fabbricata sotto il suolo della mo- derna, la quale si è innalzata sull’antica per lo immenso di- moio delle macerie prodotte da’ disastri fìsici toccati a que- — li- sto suolo, per cui sepolta rimase l’antica Catana per tanto avvicendarsi d’ infortunii. Or l’importanza de'sicoli ruderi un tempo sepolti da un corso di lava irrompente nel centro di Catana, mi sembra il più bell’ argomento per inferirne, che questa città si era in- nalzata pria dell’irruzione di quella lava. E tostocchè nes- suno altro corso lavico anteriore o posteriore a questo sin dalla fondazione di Catana non vi avvenne, come ho rileva- to superiormente dall’ abate Amico: è giocoforza riconosce- re indispensabilmente l’accennata lava per quella così detta de’ Fratelli Pii , sotto la quale furono sepolti i monumenti os- servati da’ detti Carrera, Amico, Musumeci, Alessi, Ferrara, e Di-Giacomo. E siccome per innalzare siffatti monumenti abbisognava un tempo necessario; porto parere, che la cit- tà sepolta sotto un mare di fuoco si era compita dopo il las- so di molti anni; non potendo facilmente precisare la data di quella lava. Forse le perdute opere dei nostri storici Ti- meo, Filisto, Antioco, e talun’altro ne avrebbero tenuto pa- rola: però a me basta avere segnato 1’ epoca sicola , nella quale avvenne l’eruzione. In fatto passo a percorrere il suo lungo corso da qui ove si arrestò sin al cratere di sua eruzione. Facendo os- servare all’opportunità, che in varii luoghi questa lava dei Pii vien coperta dalla lava del 1669; liberata dalla quale, chiara ed evidente appare sempre per tutto il suo lungo te- nuto cammino. E cominciando la descrizione dal sottostante terreno del largo di questo Duomo ve l’ abbiamo veduta per quanto riferisce il citato Ab. Amico. Il Musumeci ha pure asserito, come si sa, che su di que- sta lava è fabbricato il surriferito da lui illustrato Rudere, come altresì la porzione orientale del Greco Teatro. Quindi da questi locali io fìsso i punti di mia partenza. Si estende essa lava sotterranea sin allo Indrizzo, piazza — 78 - S. Filippo, Ospizio di Beneficenza, largo del monastero dei Casinesi, ed ospedale di S.a Marta; in tutto il quartiere dei- fi Itria a nord di Catania, e sparisce alla Bottedellacquct sotto la lava del 1669. Indi salendo si presenta allo scoperto: si vede nella con- trada Santunuddu ; fiancheggia essa all’ occidente Citali: s’in- noltra lungo la strada ed i larghi fianchi dell’ exfeudo del ca- valiere Gravina, ed in S. Giovanni di Gaiermo che su di es- sa è fabbricato; di lì viene essa interrotta dalla menzionata lava del 1669; ed al di là di questa ad occidente e mezzo- giorno riapparisce evidentemente nella contrada Vignenuove, .fiancheggiando fi altra contrada di S. Antonio il Romito. Salisce poi sin al territorio di Mascalucia in quella este- sa contrada chiamata Pampiu. Tal nome all’ opinar dell’e- simio nostro socio Mario Gemmcllaro è corrotto; dice egli provenir da Campopio (1). A questo luogo il Duca di Car- caci allude quando asserisce che « un gran tratto di lava a miglia quattro (chilometri sei) da Catania porta sin’ oggi il nome di Campo de’ Fratelli Pii » (2) . Abbcnchò lo storico Ab. Amico aveva detto essere il Campo de’ Fratelli Pii distante tre miglia (chilometri quattro e mezzo ) a settentrione dal tempio di Cerere, esistente un tempo in Catana, rammentato da Ci- cerone in Vcrre; ed avere in esso i Catane! innalzato statue e sontuosi sepolcri a quei virtuosi Fratelli. Differiscono però gli altri autori sul sito del Campo Pio. Cluverio lo pone da quella parte della città che conduce a Leontini ; Arcangelo, Carrera, e Grossi sotto il colle di Ce- rere oggi S.a Sofia circa passi 1500 distante dalla città; e fi- nalmente, Filoteo lo ripone fuori la porta Stesicorca. In tan- (1) Vcd. Carlo Geminellaro Saggio sulla costituzione fisica dell’Etna , pag. 398. Atti dell’Accademia Giocnia, serie seconda T. III. Idem, La vulcanologia dell’Etna, Cap. III. § 39, pag. 257. Vedi Atti dell’ Acc. Gioenia serie seconda T. XIV. Catania 1859. (2) Descrizione di Catania, Voi. 2, pag. 27. Catania 1847. - 79 - ta discrepanza di opinioni, inclino a credere piuttosto esse- re il Campo Pio nel vicino contorno di Catana ; poiché era usanza generale presso l’antichità innalzare i sepolcri fuo- ri le porte di città, come abbiamo veduto sul sepolcreto ca- taneo suddescritto; e non così lontano chilometri quattro e mezzo, o sei lasciare lungi dallo sguardo de’ cittadini, e dal- l’ammirazione de’forastieri quei monumenti rizzati alla pie- tà fdiale. Da Pampiu prosegue la lava il suo corso nella Chiusa di S.a Margherita; nella Olivaarsa ; nella Sciar arene a cava- liere di Pampiu , e salisce per tutto il municipio di S. Pie- tro Clarcnza. Indi percorre verso tramontana di questo villag- gio le contrade Nitto, Aleatori, e T impazza. E per oriente e nord in altro territorio di Mascalucia, nelle contrade de- nominate della Santaspera, e Soccorso sin al cratere di sua eruzione, Mompilieri, da più tempo coltivato a vigna ed al- beri fruttiferi, alle di cui falde trovasi per un breve tratto coperta dalla menzionata lava del 16G9. La larghezza massima di quest’unico corso della succen- nata lava de’ Pii è miglia tre, eguali a chilometri quattro e mezzo, e la minima di chilometri tre. Inoltre mostra essa dapertutto i medesimi ed identici fisici caratteri. Siffatto corso lungo press’ appoco chilome- tri diciotto produce bene 1’ olivo, e come un gran bosco an- noso di olivi può adesso considerarsi, cominciando dalle por- te di Catania sin quasi alla sua scaturigine. Ferlocchè sembrami aver chiaramente provato , che la lava in discorso sbucò dal volcano laterale Mompilieri, ed in quel tempo che la nostra Catana era abitata da’ Sicoli; e perciò anteriormente alla venuta Colonia greca. Pare ac- certato essere i Sicoli passati in Sicilia ottant’ anni prima del- la guerra di Troja, secondo il nostro Fi listo citato da Dio- nisio, la quale a sua volta cadde distrutta da’ Greci 1183 anni avanti G. C., al dir di Eratostene seguito da Clinton. - 80 - Per ultimo non può rivocarsi in dubbio, che la Colonia greca condotta da Evarco occupava Catana 730 anni prima della nostra Era, come abbiamo veduto nella cronologia uni- versale di Duruy. Onde i Sicoli che innalzarono questa cit- tà, ne ebbero forse il possesso per anni 533; durante i quali avvenne l’eruzione or ora descritta. Mancandoci date cer- te, non posso precisare il secolo: nè tampoco fissar posso 1‘ origine di Catana dalla venuta de’ Sicoli in Sicilia; non a- vendosi storici che ci servissero di guida in tale assunto. Paragrafo IV. Vengo a dir ora parola sulla Leggenda de’ Pii Fratelli: la quale compendiasi , come ho detto, dal maggior numero degli autori in questo modo: che Ànapio ed Àmfinomo caricaron i loro omeri de’ genitori decrepiti, onde salvarli dal corso di quella rovente lava penetrata in città. I tempi nei quali si rapporta esser questo fatto acca- duto, e le circostanze varie che V accompagnano, secondo gli scrittori che ce lo tramandarono, ci farebber sospettare della veridicità dello stesso: molto più che era costume pres- so i popoli antichi inventare cotante favole sulla esistenza d’uomini allegorici; e si conosce da tutti che l’antichità si spiegava quasi sempre in allegorie, e con queste creava la propria storia e la religione. Infatti i celebri poemi di Non- no e di Apollonio sopra Bacco, sopra Ercole, sopra Osiride ed Iside, e sopra Giasone, famosi Eroi dell’ antichità per i loro viaggi, le loro conquiste ed avventure non sono altro, secondo Dupuis, che la storia del cielo scritta con la for- ma di una storia d’uomini. Il fatto dei Fratelli Pii sarebbe uno di quelli clic potrebbe incitare lo scetticismo di Sesto Kmpirico, Bayle, Montaigne, Freret, Diderot, ed altri ? Ciò nonpertanto non può non far peso a noi la testi- monianza che ci danno di quel fatto molti scrittori (comec- ché venuti in epoca posteriore, c non tutti di accordo nei 81 - loro racconti), i quali ebbero ad esser convinti che qualche cosa di straordinario fosse avvenuta nei tempi della Sicola dominazione; e quindi fo a voi Signori rassegna di quanto essi ne pensarono e ne dissero. Or dunque, come ho premesso, e mi pare incontrover- tibilmente dimostrato, l’eruzione del nostro Etna, che ebbe nome di quei due Fratelli , avvenne allorquando questa no- stra città era da’ Siedi abitata. Allora poca la civiltà, e po- co o nullo il sapere; avvegnacchè nessuno elemento di let- teratura o storia è pervenuto a noi di quei tempi. Più tardi, come si è detto, i Greci l’cbbcr vinta sopra i Siedi; e da qui comincia l’epoca della civiltà, e delle filo- sofiche discipline, che in prosieguo tanto sublimarono i Gre- co-Sicoli in tutto l’uman sapere d’allora quanto questi emu- larono lo stessa culta Grecia. Questi novelli ed istruiti occupatori, che assoggettarono i Siedi pure nella lingua e nei loro costumi al dir del nostro Diodoro, di Cluverio, e di Brunet De Presle, senza verun dub- bio ebbero a trovar viva nel conquistato Siedo popolo Cuta- neo la tradizione.de’ Fratelli Pii ; e pieni di poesia, comee- rano i Greci, se ne vollero occupare nei loro scritti; poiché in quella Leggenda trovavano un latto laudabile e tale da moralizzare i popoli: e che inoltre illustrava un tratto di storia, che ai loro dominati spettava. Però son convinto, che la tradizione variava alquanto: e siccome è avvenuto sempre che le città si sono disputate i natali di qualche insigne per- sonaggio; così gli antichi scrittori che de’ Fratelli Pii si oc- cuparono, non sono d’accordo tutti nel dare i nomi e la patria di quei virtuosi figli. E di vero eccomi a dire come pensano i primi scrittori che de’ Pii Fratelli s’intrattengono. Solino dice che i Siracusani contrastano ai Catanei i na- tali de’ due Fratelli , che ei chiama Emanzia ed Eritone. Inter Catinam, et Syracusas certamen est de illustrium ATTI ACC. VOL. XX. — 82 fratrum memoria , quorum nomina sibi diversce partes ado - plani. Si Catanenses audiamus , fuit, e£ Ampliino- mus; si quod malunt Syracusce, Emantiam putabimus , et E- rilonem. Catanensis tamen regio causavi dedit facto, in quam se quum Aetnoe incendia protuiissent, juvenes duo sublato s parentés evexerunt inter flammas illcesi ignibus . Horumme- moriam ita poster itas numerata est ut sepulcri locus nomi- nar elur Campus Piorum. Solino, cap. 5. Stobeo vuole essere quei Fratelli Catanei, e li segna col nome di Filemono e Callia. — Olympiade octogesima pri- ma Aetànam igne fluxisse ajtin t{\) quo tempore Pliilonomus et Callias Cutanee i patres silos apprehensos per mediam ftam - mani extulerunt, spretis opibus reliquis: quamobrem auxilium divinitus ipsis callatum est. lgnis etenim currentibus ipsis ea parte divulsus est J qua ingrediebantur . Ioannis Slobei, Sentenzile. — Sermo LXXVII. Igino, cap. 254, li chiama Damone e Pizia; quum Aetna mons primum ardere ccepit ; Damon matrem suam ex igne rapuit, item Pythia patrem. Tiraquello e Scandio, citati dall’ Abate Amico, dicono essere stati quattro i Fratelli— Amico, Cat. Ill.i. \. Cap. V. Cat. sub Groecis, pag. -149. L’oratore Licurgo, nella orazione contro Leocrate (co- me leggesi nella raccolta di oratori Greci di Enrico Stefani;) dice essere stato un solo il figlio e non due; donde dal pa- dre e dal figlio ne venne il Campo Pio. Ed inoltre reputa favoloso questo fatto; Cluverio, E Ab . Amico, e Recupero a- deriscono a quest’ultimo pensamento del Greco oratore (2). (1) Stobeo erra 1’ epoca dell’eruzione ricavata delle varie Storie di Ebano; quandoché essa avvenne secoli prima dell’Olimpiade ottantuna. (2) Philippus Cluverius, Sicilia Antiqua lib. 1. Cap. IX. Amico, Cat. III. T. 1, lib. 1. Cap. V. § XXV. Catanae 1740. Gius. Recupero, Storia Naturale e gen. dell'Etna, T. II, Cap. IL pag. 17. Catania 1815. - 83 - È pure da porsi mente, che alcuni degli accennati au- tori raccontano , che tutti i Catanei fuggitivi vennero da quella lava bruciati, e salvi i due Fratelli solamente ed i loro vecchi genitori che pietosamente portavano sugli ome- ri. Coeteros (Cataneos) interim fiamma adurcns extinxit. Co- none presso Fozio, in Bibliot. nar. 43. In mezzo a tanta discrepanza di opinioni, e nella not- te de" tempi in cui il fatto avvenne, quale sarà la giusta i- dea da formarsi? Come di sopra ho accennato, de’ secoli ebbero a tra- scorrere dall’ apertura del cratere Mompelieri alla venuta dei Greci in questa nostra città, e gli storici non poterono al- trimenti fondare la di loro opinione che sulle tradizioni o Leggende che trovavano ardenti nel popolo Cataneo con- quistato. È giuocoforza convenirsi ancora, che quella Leg- genda de’ Pii Fratelli che si ebbe a tramandare nei Sicoh per molte generazioni si alterava e scostava dal puro fatto a misura che il tempo allontanavasi dal fatto medesimo. Quindi vario il nome, ed il numero de' Fratelli Pii : e di- sputato il luogo che li vide nascere. E a tale giunse la Leg- genda che si dissero morti tutti i Catanei fuggitivi ed in- goiati dalla lava; locchè è un impossibile; sol che si osser- vi per un momento il come accadono le eruzioni etnee, ed il corso e natura delle lave che ne scaturiscono. I Greci però vollero far loro prò di quella Leggenda; e comunque non tutti convengano sulla stessa identica idea, sono di accordo poi tutti nel dire che il fatto avvenne. II nome de' Pii era incerto; e bene: i Greci battezzaro- no i Fratelli dando ad essi due nomi della propria lingua allusivi allo accaduto, che ad essi da’ Siedi racconta vasi . Costume che non è nuovo nelle storie antiche: avvegnacchè la più parte degli uomini celebri dell’antichità, compresavi la Leggenda dell’epoca degli Eroi, nella più parte favolosa, - 84 venivano appellati con vocaboli esprimenti le gesta in cui eransi segnalati. Di fatto, nel caso nostro, Anapio o Anape è un compo- sto di due vocaboli greci ava. (ana ) che ha il significato di a traverso eiJcmo (pióo) fo , opero; e quindi esprime il fatto d’ avere Anapio impreso operazione attraversando la torrente lavica che minacciava la vita de’ cadenti genitori; ed Amfì- nomo costa di due altre parole greche (énfi) che ha il significato d’intorno, d’ogni parte e ovopa (onorna ) nome o fama ; e non ad altro può alludere se non alla rinomanza non peritura che si ebbero quei due Fratelli per aver li- berato i proprii genitori dall’igneo torrente. Pel fin qui detto io penso adunque che un’avvenimento estraordinario vi sia stato nella eruzione per me descritta riguardante la santa pietà de’ figli verso i loro genitori , e tale da restarne viva ed impressa la memoria nelle popola- zioni allora esistenti, e da tramandarla per Leggenda alle successive generazioni. Credo inoltre che i Greci, che nei secoli posteriori sog- giogarono e dominarono queste contrade, furono aneli’ essi commossi da quella tradizione; la pubblicarono per tutta la Grecia prima assai di Alessandro Magno sotto due nomi gre- ci, come altresì ce la tramandarono nelle catanee medaglie, nelle statue, e nei sepolcri. E conchiudo infine che quei Pii Fratelli dovevano es- sere Catanei; poiché tutti gli scrittori concordano in questo vero, tranne del Solino che per quanto io ne sappia, è stato il solo a far ricordo che i Siracusani disputassero a Catana i natali di quei Pii e generosi Fratelli. MEMORIE GEOLOGICHE DEL (5ac. dWja tino i^iujo PROCESSORE 1)1 FISICA SPERIMENTALE SELLA R. UNIVERSITÀ RI CATANIA. SOCIO VÒNDATORP! K SEGRETARIO DELLA SEZIONE DI SCIENZE NATURALI DELL'ACCADEMIA GIOENIA, SEGRETARIO PERPETUO DELLA SOCIETÀ ECONOMICA DI QUELLA CITTÀ , E SOCIO DI VARIE ACCADE- MIE NAZIONALI E STRANIERE. T.KTT13 CII' Accndonila Gioenln di Scienze Xatus-nli In Catania nel IO no»eml»rc 8QC3 atti acc. vol XX. II ' . < Dans Ics ncienccs fi’ obseryalion , la premiere roncll- « lion de tonte discussimi . c’est la consideratimi im- « partial des faits ; la seconde, e’ est la logique et la t bonne foi dnns Ics objections. Du moment «tu' un e eonlrsdictrur , réfusant d’ examincr les faits , -e i borne à nier par srntiment oli par préjugé , 1* <ìi- « scussien doit »’ arrcter, ear elle cesserait d'aroir un c earoctèr» scienlinqtic. > TjYeli. L’anciannotc de rhomme, dans le» Notar. Uno degli oggetti primarii della nostra Accademia é di dare la descrizione geologica ed orittognostica de’ terreni del- la Sicilia, principalmente dell’ Etna e de’ locali che vi han- no rapporto. Ora ad un grande Vulcano che giganteggia sopra tutti i monti , da cui sono scaturiti in numerabili torrenti di lava infuocata , che arde di continuo e ci atter- risce colle sue frequenti eruzioni , altri se ne sono aggiunti di picciola mole ma non di picciola estensione, che intitolansi Vulcani estinti del Val di Noto , regalo fatto alla scienza dal Com- mendatore Dolomieu.E questi dicesi aver bruciato in epoche remotissime, di cui le più recenti, dirò anzi di fresca data, con- tano almeno 3o secoli di esistenza. Perlochè bisogna essere un geologo ed un geologo formidabile per saperli riconosce- re, e risalire all’ epoca precisa di quelle antichissime eru- zioni (1). E la fama di queste Bocche-di-fuoco di antichissi- (1) La scienza non è mai così frivola e gli scienziati non sono mai cotanto ridicoli come quando , avendo fissato un concetto nella loro mente ed osservando attorno a loro una profonda ignoranza ed 88 - ma data è cosi divulgata presso i naturali di quei luoghi da Scordia a Vizzini, e da Palagoniaa Caltagirone, che con- tinuamente si hanno in bocca da cotestoro i termini di pie- tre nere, di pietre vulcaniche, di vulcani, di lave, e ne par- lano a un di presso come i geologi (1). Era ben conveniente che questi luoghi assegnati ai Vul- cani estinti del Val di Noto non essendo molto distanti da Catania, ed avendosi il beneficio delle strade rotabili, io cu- rioso di vedere le cose incomprensibili della natura, rendute ancora più incomprensibili dalla scienza quand'è destitutadi logica, mi fossi portato, se non sopra tutti i punti contro- versi, almeno sopra i principali; giacché non si trattava di determinare qualche punto interessante di storia vulcanolo- gica, verificare il numero de’vulcani estinti, i centri di eru- zione, le primarie correnti che ne hanno colato, osservare quante volte una corrente lavica è alternata con strati di calcareo conchigliare, fenomeno geologico affatto nuovo nei fasti della scienza; trattavasi sol di sapere se cotesti vul- cani estinti erano reali o immaginari!, se vi sono effettiva- mente lave, correnti laviche, arene vulcaniche, scorie , ra- una credulità senza pari, si danno a stabilire epoche c a rimontare al- l’origine ed alla costituzione primiera del globo. Precisare l’epoca di un sogno geologico-mineralogico c cosa che muove a pietà. La scien- za è piena delle nostre illusioni, che si spacciano con aria di assolu- ta certezza. (1) Fu cosa da ridere, trovandomi a Militello, la premura di un cotale per condurmi in un vicino locale dove avrei veduto con certez- za un cratere vulcanico, e le pomici c i rapilli di un vulcano estinto di recente. Essendomi arreso a lalc invito, fui condotto in una loca- lità a fianco della strada rotabile, dove avean fatto un ingrottato per cavarne il materiale ad uso della stessa strada. Il quale come vecchio stravecchio si era in parte decomposto e preso avea un colore rossastro. La vergogna fu tale che oggi a Militello si ha meno facilità a parlare di lave , di vulcani estinti c di-bocche-di fuoco. — 89 pilli, terreni bruciati, termantidi ; se vi fosse ancora qual- che cratere che esalasse fumo, od avesse nelle sue vi- cinanze qualche polla di acqua termale ; insomma se si avesse indizio di esservi stata una volta la presenza del fuoco (1). Ed ecco imperlante lo scopo del mio viaggio, della mia peregrinazione, cominciata il giorno 3 e chiusa il giorno 10 ottobre 1864. Era mio divisamente fermarmi pri- ma a Scordia e percorrere le sue adiacenze; indi recarmi a Militello e visitare i suoi monti non meno che la famosa sua valle; poscia passare a Yizzini e salire il monte Lauro. Di là tornando indietro portarmi a Palagonia sino a Mi neo , e visitare il lago Naftia, clic sta nel confine de’ due territorio Giunto però in Militello , c vedute le sue adiacenze, e per- corsa quasi per intero la Valle di Loddicro, ed esaminati i suoi scoscendimenti, c visitati i vicini torrenti, il cui letto in- gombro di sassi provenienti da punti lontani, fio conosciuto che poteva il Naturalista limitare a quel ricinto le sue diligenti osservazioni per persuadersi di che si trattasse , cosa quei terreni dicessero, cosa dovesse pensarsi di loro, qual con- cetto dovremo formarci della loro costituzione geognostica, della loro antichità, della loro relativa importanza perla in- telligenza de’ fatti e de’ prodotti , che quelle contrade pre- sentano all’occhio dell’ intelligente Geologo. Cominciando da Provvisore, Bonvicino, Scordia, Mili- ti) Nel passaggio del Capo ili Buona Speranza alle Indie Orientali n’incontrano le isole S. Paolo c Amsterdam, affatto deserte c spopola- te a cagione della qualità vulcanica del loro terreno. La prima di es- se è rimarchevole singolarmente per la speciale qualità delle sue a- cque termali, le quali sono talmente calile c vaporose, che i pescatori le adoperano per immergervi entro il pesce, c così cuocerlo : vestigi evidenti del fuoco sottomarino clic le fece venire all’ esistenza. Alla Solfatara di Pozzuoli il vapor d’ acqua esce bollente, c deposita insie- me alla fanghiglia il solfo che tiene in sospensione. - 90 — fello, e continuando al di là sino a Santacroce lungo la stra- da di Vizzini ho io avuto luogo di osservare la carriera ba- saltica in continuazione, ora a nudo, ora interamente rico- verta dal calcario grossiere, ed ora fatta palese nel taglio della strada. Questa veduta geologica si offre spontanea, e si ripete con una specie di monotonia, giacche in tutto quel tratto non s’ incontrano altre formazioni, meno qualche ban- co di argilla plastica, di cui si fan mattoni, embrici ed al- tri articoli di argilla cotta nelle fornaci ad uso de’ fabbri- cieri . La valle di Loddicro dal suo principio al suo termine è un’ opera meravigliosa della natura, fatta, oserei dire , a bella posta per mostrarci la composizione del terreno per un buon tratto di essa. L’acqua che scorre nel fondo della valle è ad una profondità dirò spaventevole. La sua lunghezza è poco men di due miglia. Io 1’ ho percorsa più volte ne’pun- ti più interessanti, in compagnia de’ miei amici, che han vo- luto essere a parte delle mie fatiche ed anche de’ miei pe- ricoli; ho veduto le formazioni onde risulta, e mi sono per- suaso di talune verità, che forse saranno nuove nella scien- za. Io ho veduto il basalto, e nient’ altro che il basalto: il basalto di forme svariatissime sino a prendere lo aspetto di vera lava. Ho veduto il basalto amorfo, in massa compatta ovvero cellulare sparsa di punti luccicanti di felspato lami- nare: diresti «È lava» (1). Ho veduto il basalto a fior di terra, simile ad una scoria rossastra, semi-decomposto, che si sgretola e cade divenendo una specie di terra soffice ed al- quanto glutinosa. Ho veduto il basalto in grossi macigni cadu- to dall’ alto de’ciglioni, ed il basalto che si divide facilmente (1) A Serravalle ve n’ erano tre pezzi che mi parvero effetti vatnen- te lava di Mongibello. Li mostrai al calessiere il quale mi diceva clic erano pietre nere della montagna portate là per uso di fabbrica ; ma essendosi informato, vista la mia renitenza a credervi , venne a rap- portarmi clic quei pezzi erano pietre di quei dintorni, c perciò basalti. 91 — in pezzi prismatici irregolari di varia grossezza. Ho vedu- to il terreno proveniente dal disfacimento del basalto amor- fo, dove allignano i cardi , gli asfodeli , le mandragore , il ciclamen europeum, talune gigliacee, la sedia ec., e lo stes- so basalto ridotto dalle acque in una specie di ghiaja , nel cosi detto peperino. Ho veduto il basalto tabulare ed il ba- salto a palle d' ogni grandezza (1), il basalto con iscorza ve- trosa ed il basalto a più bucce e senza scorza vetrosa (2) . Ho veduto il basalto ricomposto colore rosso acceso, con punti luccicanti, avente l’aspetto di una marna indurita, e lo stesso basalto ricomposto di color bruno, senza punti luc- cicanti, con conchiglie neldinternoo le impronte delle me- desime. Ho veduto il basalto a due strati ed il basalto a un solo strato, il basalto amorfo inferiormente ed il basalto pseu- do-cristalizzato superiormente. Ho veduto il basalto amor- fo ricoverto del calcario terziario stratiforme, ed il calcario terziario stratiforme ricoverto in alcun luogo dal basalto pseudo-cristalizzato divisibile in prismi di varia figura. Ho veduto il basalto nudo ed il basalto vestito di licheni, talu- ni bianchi da sembrare in distanza una roccia di pietra cal- carea, taluni rossastri da sembrar lava della Xiara di Villa (1) Il maggior globo che mi abbia veduto è nella strada che da Palagonia conduce a Catania. È a dritta di chi scende poco dopo di avere sorpassato la colonna miliaria di nuin. 29. Le palle per lo più sono schiacciate, e prendono la forma ellis- soidale più o meno allungata. (2) Altro è formarsi alla superficie del basalto una scorza vetrosa, una scorza che rassomiglia al vetro nero di bottiglia, e che cade a sfogli; altro è essere quella un vetro basaltico, come 1’ ossidiana è con cer- tezza un vetro vulcanico. In tutta la carriera basaltica da Bonvicino a Santacroce rare volte incontra di vedere qualche basalto con iscorza vetrosa: sembra di essere una prerogativa delle palle basaltiche di Ca- stelforte, di cui quella rupe è formata, non senza eccitare un senso di maraviglia in chi la guarda. scabrosa, taluni bigi o verdastri da comparire macigni ro- tolati dalle colline del Fasano o della Licatia. Ho veduto il basalto pseudo-cristallizzato incastrato nelle fessure del ba- salto amorfo, segno evidente di essere l’uno posteriore all’al- tro, e la calce carbonata insinuata in mezzo alle screpolature del basalto a guisa del mesotipo che s’infiltra nella breccia di Castclforte, tutta formata di frantumi basaltici. Ebbene! Ito visto tutto questo, e non ho visto niente di più. Ho visto, come dissi in principio, basalto e poi basalto e poi basalto sotto tutte le forme, sotto tutti gli aspetti, in tutti gli stati , per grandi estensioni di terreno, senza crateri, senza correnti ,. senza strati alternati di calce carbonata c basalto , senza scorie, senza rapidi, senza ghiaja, c senz’arena vulcanica. Che il basalto non sia lava, nè la lava basalto, ed in che differisca lava da basalto e per quali note differenziali si possono facilmente distinguere questi due prodotti della natura, lo ha detto e lo ha insegnato stupendamente il no- stro Socio Direttore Cav. Carlo Gemmellaro nella sua dotta Memoria sul Basalto e sulla sua decomposizione, stampata nel Voi. II, prima Serie, de’ nostri Atti accademici. Laonde non ho d’ uopo affaticarmi a mostrare che da Provvisore sino a Santacroce non esistono lave ma basalti , tostochò tutti i segni ci portano a conchiuderc essere basaltico, non vul- canico il terreno. E se i basalti non sono lave per senten- za di Gemmellaro, e le lave ci vengono da’ Yolcani e non d’altronde per sentenza di tutti i Vulcanologisti, i basalti che non sono lave, non ci vengono da’ Yolcani. È dunque un pregiudizio, una follia, una contradizione manifesta spac- ciare l’esistenza de’ vulcani estinti dal Val di Noto non per altra ragione clic quella di esservi carriere basaltiche ad ogni passo, sopra tutti i punti, e fuori dirò d’ogni nostra aspettazione : pensare così è un dichiararsi non esser geo- logo, è un dichiararsi non esser nemmeno logico. Parlare alla maniera del Naturalista che descrive superficialmente — 93 le cose non è esser geologo ; parlare da geologo perchè gli altri han parlato lo stesso linguaggio non è esser logico. Frattanto l’errore dalla bocca del sapiente passa in quella del volgo, il quale chiama lave le pietre nere che osserva, in fede del dotto di cui rispettale opinioni, meno la perti- nacia e la ostinazione clic ha costui nel sostenere la sua opi- nione con tanto più di calore quanto è più falsa; proprietà tutta esclusiva e caratteristica della nostra razza. La valle di Loddiero , una delle più celebri vallate di Europa, eh’ è stata l’ammirazione di tutti i viaggiatori, mi ha presentato un’osservazione interessante, ed è d’ammette- re due formazioni di basalto, uno aulico inferiore, l’altro moderno superiore. L’antico sembra coevo alla formazione del globo, il moderno più superficiale è con certezza poste- riore al basalto antico. Non mai il basalto prismatico o glo- bulare o di altra forma qualunque si vede sottostare al ba- salto amorfo: si vede bensì quest’ultimo essere costantemen- te ricoperto dal calcario terziario conchigliare o dal basalto pseudo-cristallizzato; questo poi essere ricoperto dal calca- rio conchigliare sfrati ficaio, o addossato qualche fiata al calcario anzidetto; ma siccome l’adesione tra basalto, e cal- cario ne’ punti di contatto è troppo superficiale, così è lecito supporre che il calcario siasi insinuato in mezzo al basalto secondario in modo da sembrare averlo preceduto nel tem- po, e non mai di essere a quello posteriore. Esaminando più attentamente l’uno e l’altro basalto, troviamo il primo in massa compatta o cellulare ; il secondo di varia configurazione, divisibile in piccoli prismi a super- ficie liscia. Il primo color bleu se fìtto, rossastro se sco- riforme; il secondo di grana fina, compatta, molto pesan- te, di color turchiniccio o tendente al bigio. Il primo che da enormi profondità si eleva alle maggiori altezze, il secondo superficiale, facile a romperlo e a frantumarlo. — 04 - Il basalto è dunque doppio: uno aulico, inferiore, a- morfo ; 1’ altro moderno , superiore , pseudo-cristallizzato. Chiamo il primo paleobasalto ed il secondo neobasalio. Il paleobasalto appartiene alle prime epoche ; esso sembra coevo al granito ed al porfido : il neobasalto appartiene ad un’epoca meno rimota; sembra di esser coevo allo gneiss ed al micascisto. Potrebbe anche darsi clic il paleobasalto appartenga al periodo di transizione, ed il neobasalto al pe- riodo secondario. Del primo se ne fanno grosse macine da mulino, d’una grana fina c d'una bellezza straordinaria, o pure si rompe in pezzi di figura irregolare , al pari della lava ; il secondo si adopera per brecciame a riparo delle strade da ruota. Il basalto paleotcrico o basalto primitivo giunge alle mag- giori sommità; il basalto neoterico o basalto secondario gli giace al di sopra, ed c egli stesso ricoverto dal calcario con- chigliare. Così a Santacroce, il punto più eminente di Mi- litello, si lavorano le più belle macine di basalto antico pre- cisamente nel suo cocuzzolo. La scorza vetrosa propria del basalto antico non meno clic del moderno , consiste in un cangiamento sostanziale negli elementi del basalto probabil- mente sotto l’azione dell5 acido carbonico contenuto nell’ umi- dità atmosferica. Non ho in alcun luogo del vai di Noto veduto nelle cel- lule del basalto alcuna concrezione cristallina, come il me- sotipo, la tompsonite , e l’analcimo vetroso tanto facili ad incontrarsi nell’ isola di lei Trezza, in mezzo ai suoi basalti, ed alla marna schisiosa che li ricuopre. Sarebbe forse ne- cessaria l’acqua marina perche fossero fluidificati gli elementi del basalto, e posti in grado di dar origine a delle sostanze cristallizzate ? Nella valle di Loddiero si vede il basalto secondario adagiarsi sul basalto primitivo in modo da formare due strati ben distinti , i quali scendono sopra un piano inclinato , — 95 simili a due correnti di lava che hanno colato l’una sopra 1’ altra: eppure ciò non c che un’apparenza. I due strati non fanno che toccarsi, ma non aderiscono. Il fenomeno è diffi- cile a spiegarsi, ne convengo: tuttavo Ita esso nulla conchiude a favore del fuoco. La genesi ne è oscura, come quella che è avvenuta nelle epoche antistoriche quando l’isola, ne’ pri- mordi i di sua formazione, dimorava ancora in seno delle ac- que in tutto o in parte. Giacche, bisogna ripeterlo o Signo- ri , il fuoco è un elemento distruttore, è un elemento che non ha nulla di stabile, nulla di (isso, nulla di regolare; che distrugge e consuma, nò vi presenta che i rcliquati di ciò che ha consumato c distrutto (1). Il fuoco suppone la massa infuocata; esso non è che semplice forma. Frattanto i Geo- logi ed i Fisici ancora ne fanno una sostanza coni’ è 1’ ac- qua; c siccome F acqua non è clic acqua, così per essi il fuoco non è che fuoco ; eglino lo materializzano, la fan sus- sistere da se come ogn’altra sostanza, lo chiudono nell’interno della terra dove sta a loro disposizione, per Io più disimpie- gato, ozioso , senza far nulla ; ne fanno infine il quarto elemento, ad imitazione degli antichi Fisici tanto bistrat- tati, scherniti e sbeffeggiati da’ moderni gran dottoroni , che sanno il di dentro ed il di fuori di questa palla mon- diale (2). (1) Il fuoco propriamente non distrugge nulla; sono le sostanze che riscaldate ad un dato segno, fuse o volatilizzate, reagiscono vicen- devolmente e si trasformano in altri prodotti. Ma quando devono espri- mersi dallo scienziato gli effetti sensibili, uopo è che il suo linguaggio si accommodi più alla fantasia che alla ragione. Ora i dotti nell’espri- merc ciò che comparisce ai sensi, credono clic il loro linguaggio ab- bia la convenienza necessaria per esprimere e significare la realtà so- stanziale della cosa: il che è un errore assai deplorabile. (2) Pel Geologo gli elementi del globo non sono che due, acqua e fuoco: l’aria per lui è come se non fosse, cd in quanto alla , terra ossia alle rocce ed ai terreni, essi sono il prodotto o dell’ acqua, o del Le conchiglie marine sono nel calcario; il basalto non ne contiene, tanto se sia di prima, quanto di seconda for- mazione. La pasta dell’ uno e dell’altro sembra omogenea; essa risulta degli stessi elementi ed ha perciò la medesima essenza: tutta volta potrebbe darsi clic nel basalto seconda- rio manchi qualche elemento che si rinviene nel primario. D’altronde il basalto secondario riducendosi più facilmente in polvere ed in frantumi, è più adatto a costituir delle brec- ce c a ricomporsi. Voi sapete o Signori clic il basalto si ri- compone in un conglomerato che racchiude alle volte con- chiglie, ed anche balani ; che il basalto ricomposto im- pregnato del succo zeolitico è stato dal nostro socio cav. Gemmcllaro chiamato Ciclopite o Analcimile , e che lo stes- so basalto ricomposto senza succo zeolitico , rosso o nera- stro clic sia, con punti luccicanti o no, è stato da me chia- mato GemmellarUe, omaggio dovuto al Nestore de’ Geologi Siciliani ed al più operoso Naturalista fra quanti n’esistono fuoco, dell’acqua all’esterno negli strati superficiali, del fuoco all’inter- no negli strati sotterranei. Secondo la moderna Geologia , guai per noi se le acque del mare penetrassero nella parte incandescente del globo , se giungesse- ro sino al suo nucleo tuttora fuso dal calore centrale. Un dotto di- chiarava una volta alla dotta Europa clic il diluvio mosaico era ap- punto avvenuto per l’apertura di una valvula di sicurezza che aveva permesso il contatto delle acque sotterranee al fuoco sotterraneo. Due sotterranei fecero uno sconquasso generale; fecero salire le acque sino alle cime dell’ Ararat, ed anche 30 cubiti al di là, rispettando la sola barca di Noè, uccidendo tutti gli animali , e lasciando intatti i pe- sci, malgrado il vapore dell’acqua bollente sufficiente per prepararli in allesso. Che fecondità d’ immaginazione 1 Clic giustezza di criterio I Il p. Secchi colla sua Unità delle forze fisiche avrebbe potuto ar- rischiarsi a spiegare tutti i fenomeni geologici c ad accordare tutti i sistemi di geologia, come sembra averlo fatto per via di trasi-esci coi fenomeni fisici e coi sistemi di fisica. — 97 presso noi (1). Il basalto, l’ho detto sin dal 1833, è il gero- glifico della natura, è il Proteo de’ minerali, ed è fatto a bel- la posta per ingannare non solo l’ignorante ma anche il dot- to che lo scambia per lava, e lo spaccia un prodotto del fuo- co, tutto che si cangi in un terreno che s’ impiastriccia alle vo- stre scarpe e v’ impedisce di camminare spedito su di esso. Io ho fatto una piccola raccolta del Basalto ne’ suoi varii stati tanto in Militel lo che in Palagonia , per accertarvi o Signori che ho proceduto dietro ai fatti e che non ho aper- to gli occhi per vedere solamente le cose che favorivano i miei anticipati giuclizii , c li ho chiusi per non veder quel- le che li avrebbero potuto indebolire o distruggere. Un’al- tra raccolta far si dovrebbe delle lave dell’Etna appartenen- ti all’ epoche antiche ed antistoriche, come altresì all’ epo- che moderne di recentissima data. Così potrebbero notarsi le analogie e le differenze tra basalto e lava, tra le decom- posizioni del basalto e le decomposizioni della lava, c si ve- drebbe che mentre la lava altera tutto ciò che tocca nel terreno sopra cui scorre, niente di tutto questo si osserva nelle rocce a contatto del basalto , che si vuole sorto dal seno della terra nello stato d’incandescenza (2). (1) Il basalto ricomposto color rosso è una pietra problematica pei signori Vulcanologisti : gli scarpeliini la chiamano lava rossa; ma sic- come essa rinviensi nelle carriere basaltiche, così non è che una va- rietà di basalto ricomposto, e costituisce il minerale da ine chiamato Gemmellarite rossa 1 per distinguerla dalla Gemmellarilc bruna, che provie- ne dalla ricomposizione del basalto pseudo-cristallizzato con fossili, o no. (2) La lava candente scorrendo sopra un letto di argilla la cuoce e la cangia in termantidc; essa si adopera per farne malta mischiata alla calce viva. Questa dicesi da noi ghiaja rossa , ed è un misto di scorie, rapido, ecl argilla cotta, con molto ossido di ferro. Quella che nasce dalla lava macerata dal tempo diccsi ghiaja azzuola. Esiste in taluni punti della Città, dove pare sia scoppiato un Vulcano quando il terreno era anco- ra fondo di mare. Tale a me sembra il compreso de'Benedettini, il Tindaro. — 98 - v E qui mi giova istituir di passaggio un lieve confronto tra il basalto e la lava. La lava si macera, il basalto si de- compone; la lava macerata diviene ghiaja, il basalto decom- posto perde intieramente la sua forma cangiandosi in un terreno semiargilloso. La ghiaja volcanica fa presa colla cal- ce ed è una malta eccellente per fabbricare; non così il ba- salto ridotto in forma di peperino. La lava contiene nel- la sua pasta disseminati cristalli di olivina, di felspato , di pirosseno, di leucite ec. ; il basalto non contiene che punti lucidissimi di felspato laminare e cristalli di pirosseno se antico, nulla di tutto ciò o cristalli affatto microscopici se mo- derno. La lava terrificandosi non dà origine ad altri minerali; il basalto par che somministri gli elementi alle zooliti, oggi distinte in analcimo cubico, analcimo trapezoidale, mesotipo, tompsonite, herscel lite, ec. Queste note differenziali sono sufficienti a persuadere i più schivi della enorme distanza che passa tra lava e basalto, tra lava basaltina e basalto laviformc. t Percorrendo le contrade di Scordiaedi Militello, io non sono andato in cerca che della verità. Era per me indiffe- rente trovare ne’terreni di Militello o di altra contrada la- ve o basalti, vulcani estinti o carriere basaltiche , correnti di lava alternate con strati di calce carbonata, o non ve- Santa Marta, la Providenza, la Purità, i Crociferi, s. Giuliano, s. Fran- cesco, Trinità, s. Agata le Xiarc, s. Barnaba, s. Barbara cc. La stessa lava comparisce tra s. Chiara, s. Giuseppe il Transito c s. Maria del- 1’ Ajuto, dove tuttora è ricoverta da banchi di argilla c di arena silicea. Finalmente avvi l’arena vulcanica, quella che cade c si ammonta quasi in tutte le eruzioni di Mongibello; è una sabbia nera c ruvida al tatto , secca quanto mai, anch’essa buona per cemento. Ne’ terreni basaltici nul- la di lutto questo: ciò che domina è l’argilla: niente di ruvido c di secco. — 99 - der niente di tutto questo (1) , calcario conchigliare con- vcrtito in dolomite, o rimasto inalterato a contatto del basal- to. La Natura è grande così nell’una come nell’altra ipotesi; ma siccome la Natura è sempre sapiente e l’uomo non sempre lo è, perciò diffido degli umani giudizii, consulto più la na- tura clic i libri, e giudico da per me delle opere da lei fatte. Ed è così eh’ essendo entrato, dietro l’analisi de’pro- dotti, nel fondato sospetto, anzi nella morale certezza di es- sersi i Naturali bruttamente ingannati quando asserivano Re- sistere nel Val di Noto indubbie pruove di estinti Arolcani , ed esser le lave riconoscibili a colpo sicuro, dopo aver com- battuto simile asserzione ammessa generalmente in Europa in diverse mie Opere e Memorie stampate, e denunciato lo sproposito a più Congressi scientifici, ho voluto portarmi sul- la faccia del luogo per non lasciar adito all’ ignoranza di sogghignare c al dotto di allegar controdi me il pretesto di non aver io veduto co’ miei propri occhi i minerali nella loro giacitura, quasi che ci volesse molto a distinguere an- che da lontano lava da basalto, corrente di lava da carrie- ra basaltica, cratere vulcanico distrutto dal tempo da ciglio- ne accessibile per ogni lato. Al certo, nella Geologia l’ im- (•1) Il Prof. Roberto Sava in una sua Memoria sul basalto di Pa- lagonia ammette i sollevamenti e la protrusione di tufi e breccie vulca- niche minutissime, c di quel gres stesso prolruso e sollevato per la medesima roccia « clic, infiltrandosi (sono le sue parole) fra il terreno « terziario de’ contorni, o sivvero tra gli strati di marna argillosa, come « ben si osserva nella cima orientale della montagna ove torreggia Mi- « neo, ha dato la falsa nozione dell’ alternanza fra il terreno di sedi- « mento c quello di fusione, ripetuta anco in giornata da coloro che « si contentano ricopiare gli altrui scritti senza veruno esame, e con « tutti gli errori di stampa ». Così avveniva ne’ tempi andati clic i sol- dati di un medesimo esercito rivolgendo le armi gli uni contro gli al- tri si uccidessero reciprocamente, senza clic all’esercito nemico costas- se una goccia di sangue. magi nazione ama spaziarsi più che la ragione, e siccome la poesia ò in discredito nè ha più argomenti a trattare, r im- maginazione si c rivolta alla Geologia, e ne ha fatto un poe- ma mitologico ed un romanzo dilettevole al pari de’ famosi romanzi di Gulliver e di Sancio Panza. Perlochè, chi legge un trattato di geologia moderna bisogna che aguzzi gli oc- chi della mente, penetri nelle profonde viscere della terra, discenda fino al suo nucleo, e vegga il fuoco che bolle e ribolle laggiù tino a presentare il fenomeno dell’alta e bassa marea ( \ ), fuoco che a malgrado del suo peso specifico s’in- nalza sino alla cima di Mongibello, delle inde, c del Picco di TenerilTa per canali ininvestigabili che non si ostruiscono mai, ma rimangono netti e permeabili per cura degli spaz- zacamini a tale ufficio destinati, affili di mantenere libera la comunicazione dell’esterno coll’interno del globo. Il che se non sempre sodisfa la fredda ragione pochissimo arren- devole agli slanci dell’immaginazione, lusinga bensì il no- stro amor proprio e titilla la fantasia a correr dietro lo stra- no ed il maraviglioso, il fantastico ed il paradossale. Su di che ho fatto sempre le mie grasse risa, ed i geologi e i dotti mi hanno sembrato de’ ragazzi impertinenti che vo- lessero canzonarmi in ciò che veggo e posso vedere me- glio ancora di loro. A buoni conti, i terreni de’ contor- ni di Militcllo sono là all’aperto , e tutti possono visitarli , e tutti godere dello spettacolo che offrono o al sapere gui- (1) Non è por ischerzo clic si fa succedere l’alta e bassa marea nell’Oceano di fuoco esistente sotto la scorza del nostro Globo; sono i fisici clic ne parlano e ne trattano ne’ loro libri, come di cosa della quale non è lecito dubitare. Il sistema di Newton e quello di Hutton si danno reciprocamente la mano per accecarci dell’intutto e farci bran- cicar nelle tenebre — I dotti sono d’ una credulità senz’ esempio. 11 Mu- sulmano che crede alle sciocchezze del Corano è meno credulo di loro. IO! dato dalla ragione o al sapere traviato dall’ immagina- zione (1). La presenza de’ fossili organici nella parte supcriore del calcario terziario stratificato ci fa accorti che quei luo- ghi furono un tempo inondati e sommersi, fintantoché si ab- bassò il livello del Mediterraneo al punto in che oggi lo ve- diamo. Questo fatto è innegabile, ma è un fatto d’acqua e non di fuoco. 11 basalto primitivo, antico , paleoterico non è il prodotto nè dell’acqua nè del fuoco; il calcario terzia- rio con le conchiglie residenti alla sommità del banco è un lavoro delle acque, e non può esser nato che dal disfacimen- to di altre rocce o dallo stritolamento di un numero incal- colabile di conchiglie marine e c!i foraminiferi. Il basalto secondario , moderno, neoterico ignoro se sia un prodotto dell’acqua o del fuoco, ma più probabilmente dell’acqua, giacché non ho veduto alterazione di sorta nel calcario con- chigliarc su cui il neobasalto riposa; ed io ho sempre tenu- te per favola le rocce metamorfiche, le quali sono una con- seguenza del sistema: dapoichè se il granito, lo gneiss ed il trapp sono rocce ignee e non avessero alterato col loro contatto o la loro vicinanza le attigue rocce, l’ incoerenza (1) La Geologia non è per sè stessa un romanzo; se lo è, ciò è colpa de' Geologi, che alle realtà somministrate dalla pura osservazione ag- giungono i concepimenti immaginarli della loro alterata fantasia. In Chimica sono realtà l’antimonio, 1’ oro, il rame, lo zolfo, il fosforo, la soda, il marmo, gli acidi ec. ; ma la teoria del flogisto non fu che un romanzo. Così del pari realtà sono il granito, lo gneiss, 1’ argilla, il basalto, lo scisto, il marmo statuario, ma romanzi sono il fuoco centra- le, la teoria de’ sollevamenti, e le rocce metamorfiche. Ora vi hanno ingegni che danno al fuoco centrale la stessa esistenza clic al granito ed allo gneiss, c vi furon chimici che credevano il flogisto così vero e reale come il carbone che bruciavano, la storta che maneggiavano, e lo zolfo che sublimavano. sarebbe saltata agli occhi de’ meno accorti , ancorché fosse sfuggita dalla vista acutissima de’ signori Geologi e de’ loro innumerabili seguaci, armati il naso de’ loro occhiali di ve- tro colorato. Il basalto essendo una roccia di prima formazione non è suscettibile di genesi alcuna , nò si può render ragione delle sue svariate apparenze; il basalto di formazione poste- riore può dar luogo a conghietture, ed essere attribuito al- T azione del fuoco ovvero a quello dell’acqua. Conciosiachè passa questo divario tra le rocce di prima e quelle di secon- da formazione, che sulle ultime possono formarsi delle ipo- tesi, non mai sulle prime. Ora il basalto di seconda forma- zione a me sembra avere una configurazione diversa c ri- conoscersi di epoca posteriore alle rocce cristalline, alle roc- ce azoiche, in quanto esso sembra di esistere alla superfi- cie della terra, ma in modo differente delle rocce di span- di mento, ossia delle lave. Il basalto de’ terreni del Val di Noto è stato descritto dal prof. Roberto Sava nella sua mcmoriuccia sul Sidero- sio nel Basalto di Palagonia, Messina 1857. Il linguaggio che adopera l’Autore c in parte vero ed in parte immaginario, perchè veduto attraverso del sistema che vuole il basalto as- solutamente per roccia ignea. Egli lo vede «in correnti ben determinate ed estese, nel quale stato costituisce vaste spia- nate, o invece masse isolate, collinette allineate in mezzo a quelle fertili pianure tra loro distanti, e lontane da ogni altra apparente formazione dello stesso genere » ; lo vede « in filoni di vario spessore, ora incassati nel terreno che li ricetta, ed ora elevati qua c colà come argini o muraglie, ma di cui la base si perde sempre entro ammassi di sabbie e di rottami che impediscono di riconoscere ciò che si tro- va al di sotto». Entrando nel midollo dell’argomento egli si esprime cosi. — 103 — « Questo basalto è una dolerite compatta, nella quale la labradorite e il pirosseno sono intimamente commisti e non distinguibili dall’ occhio. Vi si trovano ben vero disseminati, in alcuni compartimenti, cristallucci di pirossena augi te, tal- volta di mica nero, ma più sovente di pcridoto granulare. « Si presenta mai sempre questa roccia sotto forme glo- bulari più o meno sferiche, più o meno voluminose. 11 len- to e tranquillo loro trabocco dà la certezza dello stato pa- stoso in cui era allora quella rammollita materia, non già della candente fusione completa delle odierne lave tefrini- che, che scaturiscono dagli ardenti vulcani; nè tumultuosa erane la ejczionc e disordinata per le larghe fratture del suo- lo simili a vallate. . . « Oltracciò gli spazii più considerevoli frammezzo l’un globo e r altro del descritto basalto si scorgono infarciti, con- temporaneamente all’ignea formazione, di quel tufo o me- glio ancora di quella breccia vulcanica, però minutissima, d’epoca anteriore al sollevamento medesimo, probabilmen- te in esito ad incendimento sottomarino, o in mezzo a la- go, a centro profondamente situato... « Per la descritta configurazione globulare de’ basalti di Palagonia, tranquillamente emersi da una gora melmosa, e per gl’ interstizi i fra loro rimasti pel disgiunto contatto succedendosi rapido il raffreddamento all’esteriore superfi- cie, questa fu rivestita di ossidiana nera, a frattura omoge- nea, c l’interno del gruppo è una massa litoide, di struttu- ra granulare o cristallina, per essersi con lentezza operata la decalorifìcazione; quindi i cristalli si formano in cellette e -nella massa stessa ove sono impastati. » Checché ne sia delle vedute geologiche dell’Autore, noi non ravvisiamo per tutta la estensione della carriera basal- tica che l’azione degli agenti naturali che non sappiami de- terminare; se non che a me pare sieno troppo deboli gli ar- gomenti per mettere in iscena il fuoco superficiale o centra- - 104 — le che sia (1), i caratteri del basalto secondario essendo a- pertamente tali da non vedervi che una delle più misterio- se opere della natura quando procede, senza consultarci, al- la composizione delle rocce ed alla formazione de’ terreni. Portando un occhio scrutatore su tutta la perife- ria dell’isola, io vi ravviso tre sorta di terreni, uno pri- mitivo e costituisce la sua fronte settentrionale, l’altro se- condario o di transizione e si estende dalla banda di Paler- mo, volgendo a ponente. Sono queste le duel grandi forma- zioni alle quali seguì la terza di calcario terziario e di ba- salto dal lato orientale, volgendo a mezzogiorno. Quest’ ulti- ma formazione fu lungo tempo sommersa nelle acque del mare, e non ne uscì che quando il mare portossi al suo at- tuale livello, sia che le acque scolarono, diffondendosi in uno spazio maggiore, sia che il terreno sollevossi. La qua- le ultima ipotesi è portentosa quasi altrettanto che la teori- ca del fuoco centrale, di cui non è che una specie di mes- siticcio (2). (1) L’ipotesi del fuoco centrale è troppo vecchia per farne onore ai moderni. Essa fu quella del p. Casati e del p. Kirker, amendue Gesuiti, Ne parla con molta distinzione il p. Regnault ne’ suoi Trattenimenti di Fisica, Voi. 2. Tratten. 3.° Venezia 1740. (2) Gli Autori de ’Cahiers d’Iiisloire naturelle, Geologie, nella terza edizione parlano de’ sollevamenti, e ce ne vogliono convincere co’ fat- ti. Essi pretendono che si dia un movimento lento di elevazione o di abbassamento di alcune parti della crosta solida del globo, c ciò ab- bia luogo al tempo d’oggi nella Scandinavia e nel Chili, quasi che si trattasse di due scogli in vicinanza del mare. Essi credono questa elevazione e questo abbassamento più facili a concepirsi che non l’i- potesi che il mare abbia invaso il continente, oche l’abbia al contra- rio abbandonato. « L’ una c l’altra di queste ipotesi sono false, essi « dicono. Infatti è impossibile per le leggi dell’equilibrio de’ liquidi, * che il livello del mare cangi in un luogo senza cangiare nello stes- * so tempo in tutti i punti della stessa regione ; ora vi sono punti — 105 — Vi sono dunque in tutto tre formazioni, una primitiva, una secondaria, ed una sottomarina, e queste tre formazio- ni si scorgono ai tre promontorii, di modo che la Sicilia potrebbe dividersi in tre valli geologiche, come dopo i Nor- manni fu divisa in tre valli politiche e militari. Chiamerei il Val Demone la Valle delle montagne primitive, il Val di Mazzara la Valle delle montagne di transizione, ed il Val di Noto la Valle de’ terreni di sedimento e delle carriere ba- saltiche. La carta geologica della Sicilia far si dovrebbe sot- to questo profilo. Patti p. e. è nel terreno primitivo, Cal- « ove un tal livello non ha variato da’ tempi istorici, nell’ atto che si « è modificato sopra altri che sono poco distanti da’ primi: bisogna « dunque conchiudere, che il mare non cangia di livello, e che i con- « tinenti, al contrario, malgrado la loro immobilità apparente , sono « alle volte agitati da movimenti correlativi di sollevamento e di ab- « bassamento. » Di questa maniera, guardando le colonne del tempio di « Serapide vicino Pozzuoli, e qualche scoglio sul littorale della Svezia « venghiamo a stabilire, che la terra è mobile, e l’acqua del mare è « fissa». Queste idee sono pienamente adottate dal Sig. Montagna nella sua nuova Opera « Generazione della Terra » li b . 3. capo Vili, e IX. Torino 1805, malgrado tutto ciò che io ne avessi detto in contrario nelle mie precedenti Opere, le quali sembra di non essere giunte alle mani dell’ illustre Autore. La teoria dei sollevamenti rassomiglia perfettamente alla teo- ria delle attrazioni , le quali non possono concepirsi senz’ ammettere la idea contraria delle ripulsioni: così la teoria de’ sollevamenti va com- pagna a quella degli abbassamenti. Ma siccome le ripulsioni sono nella teoria Newtoniana poca cosa rispetto alle attrazioni , così del pari gli abbassamenti nella teoria Huttoniana sono poca cosa rispetto ai sol- levamenti. I quali sono stati anche calcolati, talché nel golfo di Bot- nia tale elevazione pare essere in media di 4 piedi per secolo. L’am- miraglio Smith assicura che nel Mediterraneo vi ha un alti-piano sot- tomarino da lui chiamato il « Banco dell’Avventura » che unisce la Si- cilia coll’Africa per una successione di creste, che non sono a più di 25 a 30 metri al di sotto dell’acqua. La velocità del sollevamento iu .ITTI ACC. VOI. XX. 14 - 106 — tavuturo nei secondario, Caltagirone nel terziario. La de- scrizione topografica de’ terreni ci darebbe la cognizione completa delle formazioni c delle rocce di epoca posteriore. Comprendo che le mie vedute saran guardate con stu- pore da’ vicini e da’ lontani, cui sembrerà impossibile aver io col fatto trovato ciò che aveva colla mente preveduto ; ma non v’è ignoto, o Signori, aver io preceduto Leverrìer nella scoverta del pianeta Nettuno; dapoichò io il primo po- si il vero principio delle perturbazioni nella mia Opera « E- lemcnti di filosofia naturale» stampata in Napoli nel 1841, opera clic fu tanto gradita in Francia da essere stata coro- nata con medaglia d’ oro dal re de’ Francesi Luigi Filippo I, e tanto bene accolta in America da procurarmi il titolo di Cavaliere dell’Ordine Imperiai della Uosa a Rio Janeiro. Nel- l’ opera anzidetta si lesse per la prima volta che il pianeta se perturbato, lo era da un pianeta a lui superiore come Urano rispetto a Saturno, non da un pianeta a lui inferiore come Saturno rispetto ad Urano. Ed oggi si conviene da tut- ti gli Astronomi clic se venisse col tempo a scoprirsi una per- media è di 75 centimetri per secolo: laonde da qui a 35 altri secoli potremo, a Dio piacendo, portarci da Marsala a Capo Iton in carrozza od anche sulla ferrovia. Vedi Lycll L' ancienneté de l' homme prouvee par la Geologie, pag. 183, 185. Paris 1864. Lo leggi fisiche sono invocate da’ Geologi Uuttoniani quando loro aggrada, c cosi pure fanno i Geonomi newtoniani. I quali nell’atto che nelle loro straordinarie ipotesi capovolgono c distruggono tutte quante le leg- gi naturali da loro stesse confessate c riconosciute, si mostrano in talune circostanze rigidi osservatori delle stesse; e mentre non possono legger- si i loro libri senza strabiliare alla impudente sicurezza con che si e- nunciano le più strambalatc proposizioni, c senza inorridire alla vista della logica conculcata nelle sue leggi più vitali, siamo poi avvertiti del rispetto che bisogna portare all’osservazione ed al ragionamento, quando non sono in opposizione alle loro idee favorite di attrazione, di ripul- sione, di endosmosi, di polarità, di calorie, e di equivalenti meccanici. 107 — turbazione in Nettuno, questo solo fatto è sufficiente ad as- sicurarci esservi sopra a Nettuno un altro pianeta, clic gra- vitando sopra di lui fosse capace a produrre la perturbazio- ne di cui è parola (1). T pezzi da me raccolti più per divertimento che per i- studio (la natura studiandosi sul luogo e non già nei libri o ne' gabinetti di mineralogia e di geologia) sono qui esposti alla vostra ispezione o Signori. Ciò che manca non è di- verso di quel ch’esiste o è scritto in questa Memoria abboz- zata in Militello sulla faccia de’ luoghi e perfezionata dopo il mio ritorno da Caltagirone. La valle di Loddiero oh èdes- sa cotanto deliziosa e stupenda ch’io vi passerei i mesi di maggio e giugno d’ ogni anno per istudiarla a dovere, ed in quell’ amena solitudine sarei forse tentato a scrivere un poe- (1 ) Non è una vana ostentazione la mia a credermi il vero sco- pritore del pianeta Nettuno; è una realtà per chi conviene che lo sco- pritore delle Indie occidentali fu Colombo, ahbenchc il Vespucci fosse stato il primo a metter piede nel continente di America. Così avendo io detto nel 1841 che un pianeta inferiore non ha nessuna influenza sul pianeta a lui superiore, ne discende per naturai conseguenza che il pianeta Urano essendo perturbato nella sua orbita, doveva cercarsi su- periormente a lui il pianeta perturbatore. Questa deduzione era na- turalissima e facilissima a fare: il forte era stabilirne il principio. Non- dimeno essa non mi sovvenne quando stampava in Napoli il §193 dei mici «Elementi di filosofia naturale», ma poteva benissimo saperlo il Sig. Levcrrier , quella mia Opera essendo stata mandata all’Istituto e premiata con medaglia d’ oro da S. M. Luigi Filippo 1 . La mente sco- pre meglio che Y occhio. Io sapeva non esservi volcani estinti nel Val di Noto dall’esame de’ prodotti, e mi sono portato fin là non per vede- re i Volcani che non esistevano, ma per convincere i dotti del loro er- rore, e i nuovi venuti nella scienza a non dar credito alle altrui asser- zioni. Il resto sarà fatto nelle Opere filosofiche prossime a pubblicarsi, e precipuamente ne’ Prìncipii Ontologici della filosofia naturale che ne fan- no il secondo volume. —.108 ma geologico interessante non meno per la materia che per- le immagini e i colori della poesia. Ma non mi fu dato dal- la Provvidenza avere a mia disposizione un angolo di quel- la deliziosa contrada; altri di me più fortunato sottentri al- l’impresa, a cui non mi accingo perchè manchi di volontà, ma per deficienza di opportunità e di mezzi . COLPO D’ OCCHIO GEOLOGICO SUL TERRENO DI CALTAGIRONE MEMORIA II-' letta all' Accademia Giocala li IO Novembre 1004 ili seguito alla precedente SIGNORI Dopo aver visitato Militello e Palagonia per istudiarvi ii terreno , sono andato sino a Caltagirone , 50 miglia di- stante da Catania, passando per Mineo, e mi sono ferma- to cinque, giorni in quella cospicua Città, che si noma a buon dritto la Regina delle montagne. Come da Mineo si progredisce verso Caltagirone, la formazione basaltica più non si vede; un altro terreno si presenta all’ occhio del Geo- logo, o a meglio dire del Geognosta, che si occupa a prefe- renza de’ terreni e delle rocce, che o sono alla superfìcie del suolo o coronali le vette de’ monti o si abbassali nelle ime valli, ultimo termine delle sue deboli e superficiali in- vestigazioni (fi. (1) Che differenza passa tra terreno c roccia? La stessa differen- za che tra roccia e minerale. Una roccia si compone di piu minerali ed il terreno si compone altresì di più rocce. Così p. c. il terreno ba- saltico del Val di Noto si compone di basalto antico c di basalto mo- derno , ed insieme del calcario conchigliarc che gli è subordinato e de’ banchi di argilla disseminati in taluni punti della formazione Dalla cima del monte sopra cui è fabbricata Caltagirone e dall’ alto de’ suoi campanili è superba la vista che si pre- senta allo sguardo del Geologo osservatore. Egli vede a po- nente nel lontano orizzonte il mare Africano tra Terranova e Licata; volgendo a Maestro si scoprono in distanza i monti di Piazza; a Tramontana avete in fondo le Madonie, le antiche Ebrodi; a Nord-Est l’Etna maestoso inalza la sua cima erut- tante fumo e pietre roventi, e coperta di neve la maggior parte dell’anno; indi a Levante il mar di Catania e lo spa- zioso suo golfo; poi comincia la gran catena de’ monti Iblei, che van degradando a misura che l’occhio si porta in giro dal Sud-Est al Sud-Ovest, finche ricomparisce il mare di Ter- ranova, da cui ebbe cominciamento la nostra rapida occhiata. Da due parti è osservabile il terreno di Caltagirone, dal- la parte del Nord e da quella del Sud. Le formazioni di que- sti due lati sono alquanto diverse, e forse corrispondono ad epoche differenti nella cronologia del nostro globo. L’arena- ria stratificata che si osserva al mezzogiorno della Città é certamente posteriore alla formazione dell’ argilla bleu, che si osserva a Ponente ed a Maestro sopra una grande scala. basaltica. La formazione poi è relativa all’ epoche; cosi il terreno gra- nitico è anteriore al terreno cretaceo , ed il cretaceo è anteriore al terreno terziario ed al quaternario. Inoltre la parola formazione, dice Lyell , esprime in geologia un insieme di rocce che hanno alcuni ca- ratteri comuni, sia di origine, sia di età, sia di composizione, È co- sì che noi diciamo formazioni stratificate e formazioni non stratificate, formazioni marine o d'acqua dolce, acquee o volcaniche, antiche o mo- derne, metallifere o non metallifere. Un minerale che costasse di un solo elemento mineralogico, e non avesse in combinazione altre sostanze minerali od organiche, non sa- rebbe roccia. Così roccia è il basalto ma non il sai gemma, rocce sono lo gneiss e la lava, ma non l’argilla ed il marmo statuario. Ciò tuttavia non si osserva nel linguaggio per lo più arbitrario de’ Geologi. — 113 Bisogna dunque dare uno sguardo geologico cosi alle roccie arenarie di Mezzogiorno, come ai banchi di argilla ed al cal- cario marnoso che si stendono fuori dell’ abitato dal Nord- Ovest al Nord-Est a grande distanza. Dalla Città andando ai Balatazzi per la strada che con- duce a Santa Maria di Gesù, luogo sacro ove si ammira la statua di marmo bianco dell’ immortale Gagini, rappresen- tante la Vergine santissima col suo divino Figliuolo, si vede il taglio fatto da’ picconieri nella roccia per cavarne il mate- riale opportuno alla costruzione degli ediflzii, che sorgono maestosi ne’ varii punti di queir illustre Città. Io vi sono andato in compagnia del cav. Emmanuele Taranto e del D.r Vincenzo Ingo, che han voluto essermi di guida nelle mie osservazioni, e anticiparmi la conoscenza di quei terreni, che difficilmente avrei potuto acquistare da me stesso nel breve tempo di mia dimora colà, contrastando col cielo per lo più piovoso e ingombro di nebbia (1). Ho dunque vedu- to quale sia la composizione del terreno da quel lato, ter- reno che si prolunga andando a mezzogiorno ed a po- nente, dove costituisce un altipiano di vastissima estensio- ne. Tre strati successivi si osservano in quella roccia, uno profondo, solido, compatto di arenaria conchigliare colorata in giallo, ed intersecata da strisce o macchie color turchino, un secondo intermedio di morbida finissima arena, ed il terzo superficiale, ed è un terreno evidentemente allindale pei molti ciottoli che contiene, di colore rossastro e ben proprio (1) Il cielo di Caltagironc non è tale per sè stesso, essendovi P aere purissimo, elastico, ed esposto a tutti i venti. Ma siccome nel- l’anno i giorni nuvolosi sono più de' giorni di pioggia, così, atteso la sua elevazione, le nuvole soggiornali più spesso in quella Còtta di quel che l’acqua non la visiti : ed ecco perchè il cielo di Caltagirone ha la mala voce di essere nebbioso. iti ATTI ACC. VOI. XX. alla vegetazione che prosperosa vi vigoreggia. Questo terreno è analogo e quasi identico a quello che i Francesi chiamano Diluvium rouge, e che si trova a Fontainebleau e nei dintor- ni di Parigi, giusta i saggi di là recatine nel 1859 dal Dottor Ingo, che si conservano nel Gabinetto di Storia Naturale fon- dato dal cav. Taranto nel locale dell’antica Accademia degli Studii, oggi convertito in Liceo, Ginnasio e Scuole elementari. Osservando la giacitura del secondo e terzo strato, si ve- de che il Diluvium rouge è sovrimposto allo strato di arena, la cui spessezza è variabile, giacche dovendosi adattare a tutte le ineguaglianze ed irregolarità della sottoposta arena- ria svanisce in alcuni punti, mentre il terreno alluvialc con- serva quasi da pertutto lo stesso spessore di 1 ,m 50 a 2,m e ricuoprc tutta quanta la superficie del suolo, sotto a cui gia- ce F arenaria. La quale per lo più è di tale consistenza da resistere fortemente al piccone ed alla mazza quando si vuol rompere e farne pietra d’intaglio o pietra da murare. L’arenaria di cui si tratta comparisce in taluni luoghi stratificata e mezzo corrosa dagli agenti meteorologici. Al- lora si rende evidente la sua struttura granellosa e la sua meccanica composizione. Per vederla in tutta la 'sua inte- grità bisogna essere ai Balatazzi dove la roccia è stata sca- vata a qualche profondità, insignificante se si ha riguardo alla potenza della carriera, la quale probabilmente riposa sopra l’argilla, che è il substratum di quella grande formazione (1) . i • (1) Il pregiudizio ò così forte che un naturalista portatosi a visi- tare quella roccia assicurava i suoi colleghi che vi si conteneva il man- ganese, e che sotto di essa sentiva T odore del basalto, che col suo ca- lore, quand’era ancora in istato di fusione, aveva cagionato non so qua- le alterazione e cambiamento nella roccia. E con questa credenza in corpo ben salda perchè fondata sulla predicazione di Cordier, di Omalius d’ Halloy, di Elia di Beaumont, di Leonhard, e di tanti altri Apostoli del plutonismo lasciò Caltagironc, dove aveva in più rami dato di sè magnifiche pruove. 115 — Il colore della roccia è doppio: giallo nella massima parte, ed alcune volte turchino. Tra 1’ uno e l’altro colore non si osserva soluzione di continuità; la sostanza è la stes- sa, il colore diverso. Qual’ è il principio a cui si deve il co- loramento del conglomerato io non lo so, e mi par difficile potersi conoscere anche col sussidio dell’ analisi chimica (1) . Le conchiglie marine di cui si compone gran parte di quell’ arenaria, sono in tale stato di stritolamento che rie- sce assai difficile, per non dire impossibile, ravvisare le spe- cie de’ molluschi che vi abitarono, meno di qualche rara con- chiglia non frantumata che si trova di quando in quando nel conglomerato, come ciò avviene nel basalto ricomposto di Militello. L’arenaria prende in taluni luoghi l'aspetto di quella che chiamiamo pietra giurgiulena , di cui si fanno i gradini delle scalinate, e con questo stesso nome viene quella roccia indicata dai murifabbri di Caltagirone. L’una e l’altra han- no probabilmente una comune origine. In altri luoghi 1’ a- rcnaria diviene una vera pscimmite. Dal lato opposto, cioè a Nord-Ovest della Città voi ve- dete grandi banchi di argilla, che colle loro creste formano elevazioni montuose per lo più accessibili daun lato, disco- scese e ruinose dall’ altro. Io salii insieme ai sullodati Cav. Taranto e prof. Ingo, ed in compagnia del Sig. Luigi Patti nelle cose naturali istruito, la elevazione più prossima all’a- bitato , detta Molino a vento, dalla cui sommità 1’ orizzonte è sgombro sino a’ suoi estremi confini, ed ivi ebbi 1’ agio di osservare la natura di quel terreno franoso, che si scre- pola a grandi falde e precipita nella sottoposta valle, dove (1) È molto probabile, secondo il parere di un dotto Chimico, clic quel colore turchino si debba alla reazione cbe la materia animale ha fatto sul sesquiossido di ferro, che dà alla roccia il colore gialliccio. — 416 i l’argilla è solcata dalle acque piovane in modo assai bizzarro da ingenerarti, se guardi in giù da quell’ altezza ed in vici- nanza de’ suoi orli, orrore e diletto. In tutto quel tratto le conchiglie sono superficiali: esse o giacciono sul suolo o re- stano aderenti all’argilla sino a che sono distaccate e volte in giù dalle acque piovane. Io ebbi il piacere di raccoglie- re colle mie mani sopra luogo un Dentatimi , una Turritel- la ed una Venus gallina L. Lo stesso è delle altre conchiglie fossili di cui si ha l’elenco sistematico nel Catalogo stampa- to nel 1844 dal Cav. Emmanuele Taranto Rosso, dove tu trovi tutte le conchiglie marine, fossili, terrestri e allinda- li, che si conservano nel Gabinetto di storia naturale da lui fondato . L’argilla bleu di cui è parola, è lavorata in un gran numero di officine ove si fanno lavori di terra cotta: dalle opere più grossolane per uso di fabbrica alle più fine, qua- li le stoviglie intonacate di stagno per renderle impermea- bili all’acqua. Di quest’argilla servivasi il vecchio Buon- giovanni per fabbricare i suoi stupendi gruppi di costumi siciliani, dei quali si ha un certo numero nel Palazzo di Città insieme al ritratto del celebre Artista, industria che si continua al giorno d’oggi con buon successo da’ signori Bo- nanno e Buongiovanni il giovine, come viene attestato dal- le continue dimande che di questi lavori si fanno dagli E- steri, e dalle medaglie di onore guadagnate da’ loro Autori nelle Esposizioni di Belle Arti tenute in Palermo, in Londra ed a Firenze. Dal lato Nord-Est il monte S. Ippolito è per intero di solfato di calce idrato: esso abbonda in seleniti della più perfetta trasparenza, ed in cristalli a ferro di lancia. Que- sto monte è di figura regolare, ed ha la forma di cupola. Da esso si ricava il gesso crudo, detto gesso della montagna o della rocca, del quale, deacquifìcato per mezzo del fuoco, polverizzato e mischiato colla calce viva, si compone lo stuc- co, che serve allo intonaco delle stanze de’ pubblici e pri- vati edifìzii. Scavandosi un pozzo in un podere del sig. Barletta vi- cino ai Cappuccini vecchi si rinvennero, non sono che po- chissimi anni, in un terreno argillo-arenario alluviale, alla profondità di 24 palmi, gli avanzi di un grosso animale, che si conobbe dover essere YElephas primigenius Blumenbach, o Mammouth de’ Paleontologisti. Io ho veduto questi avan- zi nel Gabinetto di storia naturale: sono le difese una delle quali pressoché intera, ed alcuni pezzi della mascella in- feriore, i cui denti ritengono ancora la lucidezza e lo smal- to dell’ avorio. Nel giorno appresso alla visita da me latta a quello stabilimento (14 ottobre 1864) si ebbe notizia di esser- si in una possessione del sig. Luigi Patti sopramentovato, Contrada della Pietra, rinvenuti alcuni frantumi di ossa e due denti di un animale sconosciuto in occasione di essersi sca- vato un condotto alla profondità di cinque palmi. Questi denti dal proprietario donati al cav. Taranto appartengono, secondo ogni verisimiglianza, all’ Hìppotherium Kaup, di cui rimangono pochissimi avanzi, appena sufficienti per deter- minarne la famiglia ed il genere (1). Ho io dunque avuto (1) Il Mammouth si rinviene fossile in moltissime parti dell' Eu- ropa ed anche in Siberia, dove fu trovato intero sepolto sotto i ghiacci e ricoperto de’ suoi peli. Questa circostanza fa conoscere quel cataclismo essere stato generale e violentissimo. Forse in quel tempo furon pie- ne di ossa di animali le grotte di s. Ciro, di Maccagnone, e di s. Teodoro in Sicilia. I denti di cui si è fatto sopra parola, sono stati dal Dottor Ingo ri- conosciuti di essere i molari superiori appartenenti dilYHippotherium Kaup, dietro a quel che ne dice il sig. A. d’ Orbigny nel suo Cours e'ié- mentaire de Paleontologie et de Geologie stratigraphique t. 1. p. 184, ove si legge: « Cet animai, s’ il appartient hien réellement à la famil- « le des Solipèdes, était caracterisé par la structure dcs ses molaires « doni la lame d’ email forme, dans l’ inlérieur de la dent, des plies noni- — H8 — nel mio breve soggiorno in Caltagirone la fortuna di osser- vare i resti di due animali di specie perduta, vissuti in tem- pi remotissimi, appartenenti all’ordine de’ PACHIDERMI, uno della famiglia de’ Proboscidei, genere Eleplias, e l’altro della famiglia de’ Solipedi, genere Equus L. E questi due animali del vecchio mondo han dovuto essere trascinati colà dalla vicina Àfrica in una di quelle tremende alluvioni che tra- sportò seco T argilla e le conchiglie in essa avviluppate , e forse tanti altri animali, di cui si sono rinvenute le ossa ne’ nostri terreni di trasporto, o che saranno per Scoprirsi in appresso (1). Guardando dal colle Mulino a vento le catene de’ monti che sono a distanza da questo e da quel fianco, mi surse all’impensata un pensiero geologico affatto nuovo. La parte meridionale del continente dell’ Isola in rapporto a Caltagi- rone è separata dalla parte settentrionale per una gran val- « breux en zig-zag, et par la nature du pieci interieur, cpii présen- « tait les rudiments d’ un quatrième doigt. » Or i denti esistenti of- frono la struttura qui sopra indicata , la quale è disegnata in Lyell Manuel de Geologie éle'mcntaire t. 1. fig. 139 quinta edizione ed in Pi- ctet Traile de Paleontologie, Atlas, tav. XII. n. 5. Parigi 1853-57. Pochi giorni dopo la mia partenza si rinvennero nello stesso lo- cale due ossa di metatarso forse dello stesso animale, che è l’ llippo- therium gracile Kaup, il quale è stato trovato fossile a Eppelsheim. Il terreno è a un di presso lo stesso che in Sicilia, il miocene supcriore. (1) Nel Gabinetto zoologico del prof. Aradas ho io veduto lo sche- letro quasi intero d’un enorme ippopotamo disseppellito alla profondità di 4 metri mentre si faceva nel terreno post-pliocenico a libeccio di Catania il taglio per la costruzione della strada. Altre ossa di Elefante, di Cinghiale e di Mastodonte egualmente fossili, non che varii denti di Hippotherium esistono nel Gabinetto del cennato Professore, il quale darà quanto prima un lavoro interessante all’ Accademia Gioenia intor- no alle ossa fossili dei terreni diluviali di Sicilia. — 119 — le che si distende da Est ad Ovest. À me parve di vedere in quella gran valle internato il mare che bagna le coste meridionali dell’ Isola, e che s’ interpone tra il continente Africano e Sicilia nostra. A me parve di vedere le due la- terali opposte catene di montagne essere divise dal golfo intermedio, e presentare una barriera al suo straripamen- to. I monti Iblei da un lato e quei di Piazza dall’ altro op- ponevano al mare una barriera insormontabile, ed una meno distante dalla linea di mezzo c di minore elevazione era costi- tuita dalle carriere basaltiche che da Scordia vanno sino a Viz- zini dal lato Sud, e da’ monti di Aidone e Ramacca di cal- cario marnoso dal lato Nord. Era questo lo stato della Si- cilia dopo l’ universal cataclismo. Nell’intervallo tra Mineo ed Aidone giace un basso fon- do, che a ponente sbocca nel mare di Terranova, ed a le- vante si prolunga sino al golfo di Catania. Il mare Africano potè dunque essere meno distante dal mare Jonio, e que- sto poteva addentrarsi fin presso a Palagonia. Quando un se- condo parziale straordinario cataclismo avvenne. Un allu- vione proveniente dalle parti interne dell’ Africa settentrio- nale dirimpetto Terranova e Licata trascinò seco immensi banchi di argilla mista a conchiglie, lasciò nell’interno del- f isola un forte deposito di arena silicea e di conchiglie frantumate da costituire un conglomerato solidissimo, ed ir- rompendo impetuosamente nel mare Jonio riempì tutti i bas- si fondi e formò le pianure di Mineo e di Palagonia , e la vasta Piana di Catania, la quale ultima pianura a me sem- bra una evidente conquista fatta sul mare dall’ ultima so- pravvenuta inondazione (1). Alla quale dovette immediata- (1) La pianura di Catania, detta Piana, è la più grande pianu- ra ch’esiste in Sicilia, come il Golfo di Catania è il più gran Golfo dell’ Isola, e come il Simeto che l’attraversa e che si scarica nel gol- fo è il più gran fiume di Sicilia. È apertamente costituita di un ter- — m mente succedere l’abbassamento del Mediterraneo al punto in che oggi lo vediamo. Il qual concetto è tutto al rove- relle» alluviale, il quale è un intreccio di arena, di argilla, di ciottoli, di calcario, e di fossili organici sepolti in mezzo al sabbione ed all’a- rena. La estensione si fa ascendere a centoventi miglia quadrate di Si- cilia, pari ad Ettari 2G521.10. Il suo livello non è appieno orizzonta- le. specialmente accostandosi al perimetro de’ lati Nord, Sud, Ovest, formati dalle colline terziarie della catena Iblea. Il prof. Tornabene ne ha dato di recente la definizione geologica. » Il geologo, egli dice, ri- leva nella pianura di Catania un bacino formato dagli antichi e dagli attuali trasporti del Simeto co’ materiali incontrati nelle formazioni terziarie plioceniche di calce, argilla ed arena nella catena Iblea , di quelli della secondaria formazione di calce, sienite e resti organici tra- sportati dalla catena delle Nebrodi o Caronie, e di quelli vulcanici co- me sono le scorie, le pomici, le arene ed i pezzi di lava smussati ed arrotonditi derivati dal trasporto delle colline Etnee ; cotalchè tutto il bacino è uno alluviale del periodo quaternario. E siccome questo allu- viale è stato formato in epoche diverse con materiali ancora diversi , così il geologo trova il bacino costituito d’ una serie di stratificazioni distinte verso Fondaco -nuovo e nel taglio delle colline eseguito per lo incanalamento del Simeto. Le stratificazioni superiori sono tal- volta costituite di soli elementi vulcanici misti a poca argilla ed of- frono un colore bruno: quelle successive ora sono composte di piccoli ciottoli vulcanici, e di calcareo con arena ed argilla; indi ne sottentrano delle altre più inferiori formate di masse calcaree rotondate di maggiore volume, miste ad arena ; più in giù dei massi assai potenti con argilla ed arena tutti in vario modo commisti sempre tendenti dal colore giallo al bianco ed inchinati gli strati ad angoli di vario grado giusta la ten- denza del suolo sottostante. » Sull’ arginazione del Simeto nel Giornale di Agricoltura , Industria e Commercio del prof. Botter, anno \. voi. \\. n. 22. Bologna, novembre 18G4. In questa descrizione noi rileviamo due] idee che non ci quadrano: 1 . clic la pianura di Catania sia 1’ opera del Simeto e de’ suoi confluenti, che vi han trasportato i materiali incontrati nelle formazioni terzia- rie plioceniche della catena Iblea; giacché a mala pena possiamo attri- m scio dell’opinione invalsa che la Sicilia fosse stata un tem- po riunita all’Italia ed anche all’Africa. «La rimembranza « del cataclismo che portò seco, dice ilsig. Lagneau, la for- « mazione dello stretto di Messina non si è perduta com- « pletamente nella notte de’ tempi: dapoichè gli scritti di « parecchi autori dell’antichità, tra gli altri di Straberne, di « Pomponio Mela, di Silio Italico, fan menzione o della conti- « nuità della Sicilia con il Bruzio, o della sua brusca separazio- « ne. All'appoggio di tale asserzione, senza nominare gli auto- « ri citati da F. Cluverio, i signori Fradin e F. Bourque- « lot, basterà riportare il passo di Plinio il naturalista, che buire al Simeto e a quant’ altri torrenti solcano la superficie di quel- F immenso bacino, la sabbia del mare che costituisce la cosiddetta Plaja, e le Dune adiacenti; e 2. la presenza delle materie vulcaniche, le quali probabilmente altro non sono che ciottoli di basalto globulare, ed arena formata dello stesso basalto stritolato e decomposto. Il terreno della Piana di Catania, come quello delle Terre-forti è un terreno allindale per certo, un terreno di trasporto , un terreno di formazione quaternaria, ma questa formazione non è quella pacifica che tuttora continua, e fa che il fango s’ inoltri vie più nel mare e la spiag- gia si estenda e si prolunghi; bensì fu quella dovuta ad un catacli- smo particolare che più non si ripete, e che precedette o seguì da presso lo stabilimento del Mediterraneo nel suo attuale livello, catacli- smo che sembra essere stato posteriore al grande cataclismo che è scolpito nella mente degli uomini e la cui memoria si tramanda di generazione in generazione. Del resto il terreno sabbioso ed argilloso della Pianura di Cata- nia può esser visitato da chi vuole , può essere descritto come piace ad ognuno, e può essere considerato sotto quel punto di veduta, che più alletta la fantasia e si presta più al mirabile mercè l’impasto dei pro- dotti dell’acqua con quelli del fuoco, non del fuoco vero e sostanziale come quello dell’ Etna, ma del fuoco ideale ed immaginario di sotterra saliente sino alla sommità de’ monti, e formante il nucleo centrale del nostro globo. ATTI ACC. VOL. XX. 16 « parlando della Sicilia aggiunge: Quondam Brutto agro « cohaerens, mox inter fuso mari avulsa XV. M. in longilu- « dinem f reto . Lib. Iti. cap. XIV. « Quanto alla continuità della Sicilia colla costa barbe- « resca, alla quale è congiunta anco attualmente per mez- « zo di creste, sembra verisimile, dapoichè nella grotta di « s. Teodoro, a piè del monte San Fratello, vicino il villag- « gio di Acqua-dolce, al Nord dell’ Isola, il sig. F. Anca ha « trovato delle ossa fossili di jena macchiata , d’ ippopota- « mo e di elefante africano, di già osservate in quella di « Olivel la (1 ) ». Se ciò fosse vero, il mare che bagna le coste di Sicilia ha dovuto essere più basso di quel che è, mentre che sia stato lo stesso sopra un più elevato livello, concordemente lo dimostra una moltitudine di fatti, de’ quali citeremo sol- tanto la grotta di S. Ciro sotto il monte Grifone, ripiena di ossa fossili, la roccia calcarea di Monte Pellegrino corrosa da’ Mitili litofagi, la marna calcarifera che cuopre il cucuz- zolo del Faraglione grande di Aci-Trezza , le conchiglie ma- rine inviluppate nell’argilla del poggio di Cifali e di altre e- minenze più considerevoli nell' interno dell’isola. Tal’ è la veduta geologica che hammi suggerito un rapi- do fuggevole sguardo dato a quelle catene di monti, a quelle ampie valli, a quelle carriere di basalto antico e di basalto mo- derno in mezzo al calcario terziario conchigliare, a quegli enor- mi ammassi di argilla plastica e di argilla sabbiosa, ai mon- ti in fine di calcario marnoso, ove parecchie sorgenti di a- cqua solfurea e d’ argnoni di zolfo puro accennali vicine, a quel che pare, le miniere di quel prezioso combustibile. Le ossa fossili dell ' Eleplias primigenius e dell’ Hip p o l her inni gran- de Kaup, ci fan poi conoscere quei terreni essere stati 1 ?o- (l)Lagneau Instructions sur l’ anthropologie de la Sicile. pera delle acque e de’ cataclismi avvenuti posteriormente al- l’esistenza e moltiplicazione di quegli animali. « È impos- « sibile, dice A. d’Orbigny, di percorrere un punto qual un- « que della Francia senza scorgere evidenti tracce di que- « sti movimenti superficiali delle acque, che non possono « in alcun modo spiegarsi per via delle cagioni attuali . Per- « corcatisi le pianure di Chartres, della Champagne, ed anche « del Poitou; noi vi vediamo alla superfìcie del suolo le selci « tolte alla creta, provenendo da profonde denudazioni. I « dintorni di Parigi, al bosco di Boulogne, al Point-du-Jour, « a Ncuilly, mostrano delle antiche alluvioni proporzionate « alle denudazioni operate sopra quel punto, senza dubbio, « da parecchie perturbazioni geologiche successive, d’una « grande potenza; dapoichè vi si trovano riuniti i frantumi « delle rocce plutoniche, quali sono le rocce granitiche e por- « Piritiche, portate da’ Yosgi e dal Plateau centrale della Fran- « eia, misti a rocce stratificate, dipendenti dal piano cretaceo « senoniano, e da tutti i piani terziarii dello stesso bacino (1) ». Se io fossi dimorato più a lungo in Caltagirone, se mi fosse stato concesso d' inoltrarmi sino a Piazza e a Caltanis- setta, avrei forse fatto tesoro di altre conoscenze, e metten- dole in iscritto avrei potuto presentarvi altri lavori. Ma con- tentatevi, Socii ornatissimi, delle notizie che, acquistate nel corso di quindici giorni (2), mi son fatto un dovere di cornu- ti) D’Orbigny Cours élément. de Paleontologie t. 1. p. 835. (2) A chi sembrasse breve il tempo della mia dimora a Militello cd a Caltagirone per poter fare tante belle osservazioni, e poterne de- durre tante importanti conseguenze, diremo che per noi sono stati sufficienti, ed anche sovrabbondanti i quindeci giorni clic vi abbiamo speso , e che un tempo maggiore avrebbe potuto servire per con- tinuare ed estendere la serie delle nostre osservazioni mineralogiche e geologiche in altri punti della Sicilia. Se Iddio ci darà vita, ci pro- ponghiamo di continuare il nostro travaglio dalla parte di Piazza, Cal- tanissetta e Girgenti. — 124 — nicarvi in questa e nella precedente Memoria. Chiuderò la serie de’ miei pensieri con un Saggio di Geologia filosofica , che sarà l’ argomento della terza ed ultima Memoria acca- demica . I pezzi da me raccolti sono qui esposti alla vostra vista per convalidare i miei detti, e restano a far parte delle no- stre geologiche collezioni, menoi due denti dell’ Hippotherium che, dopo di essere stati osservati, dovrò restituire per essere conservati nel Gabinetto di Storia Naturale di Caltagirone a fianco delle ossa fossili dell’ elefante primigenio. CATALOGO DEI MINERALI RACCOLTI IN APPOGGIO DELLE MEMORIE ACCADEMICHE MI I, STELLO 5 SCORDI!, PiLlGOlll N. d’ord. 1 . Basalto compatto primitivo — Santacroce Basalto laviforme con punti luccicanti di felspato lami- nare—Calvario 3. Basalto con scorza vetrosa — Valle di Loddiero 4. Basalto secondario sovrimposto al calcareo terziario — Militello 5. Basalto primitivo dove s’incastra il basalto seconda- rio—Palagonia, Contrada Faccibianca 6. Basalto secondario incastrato nel primitivo — Ivi 7. Basalto primitivo compatto di Santacroce, di cui si fan le macine da mulino — Santacroce 8. Basalto cellulare— Militello 9. Basalto rossastro— Ivi 10. Basalto cavernoso a grandi cellule— Ivi 1 1 . Basalto sconferme indicante il passaggio del basalto pri- mitivo allo stato di decomposizione— Militello 12. Basalto cellulare con scanalature nell’interno piene di - 126 - N. d’ord. polvere gialla, di basalto decomposto, e vuote nell’e- sterno— Valle di Loddiero 13. Basalto a sfogli concentrici che ricuoprono il nucleo del basalto globulare— Ivi 44. Basalto poroso in decomposizione — Ivi 45. Basalto bucherato alla superfìcie dagli agenti meteoro- logici— Ivi 16. Neobasalto sovrapposto al basalto antico— Ivi 47. Basalto terrificato color rosso— Torrente s. Filippo a Militello 4 8 . Breccia basaltica grossolana nel confine della roccia ba- saltica moderna ed il calcario terziario conchigliare— Valle di Loddiero. 49. Breccia basaltica a piccoli frantumi— Scordia 20. La stessa— Palagonia 21 . Basalto cellulare colle cellule rivestite da un velo di carbonata calcareo— Militello . 22. Basalto rivestito di lichene bianco 23. « « « bigio 24. « « « verdiccio 25. « « « rosso 26. Basalto ricomposto rosso con punti luccicanti, Gemmel- larite rossa— Serravalle 27. Basalto ricomposto nerastro con conchiglie ed impres- sioni di esse, Gemmellarite bruna— Militello 28. Marna dendritica — Contorni di Militello 29. Una serpula fossilizzata— Ivi 30 . Un pettine fossilizzato attaccato al calcario terziario — Ivi 34 . Calcario terziario compatto, pietra d’intaglio— Militello 32. Calcario conchigliare alla sommità del banco— Valle di Loddiero 33. Calcario conchigliare sottoposto al Neobasalto— Ivi - 127 — €ILT4«IHOÌir N. d'ord. 34. Arenaria conchigliare, con conchiglia intiera— Balatazzi 35. « « gialla — Ivi 3G. « « turchina Ivi . 37. « « a due colori— Ivi 38. Psammite— Caltagirone 39. Arena marina sovrapposta all’arenaria conchigliare — Balatazzi 40. Terreno alluviale rossastro, Diluvium rouge— Ivi 41 . Argilla plastica — Caltagirone 42. Selenite cristallizzata— Monte s. Ippolito 43. Conchiglie fossili diverse— Militello e Caltagirone. \ ' SULLA INFLUENZA DEI MACERATOJ DELLA GAZZENA NELLA INSALUBRITÀ’. DELLE TRE BORGATE MARITTIME FRA CATANIA ED A CI «REA LE RAGIONAMENTO DEL SOCIO tcxitceóco (D.r 5- ilici IiETTO nella seduta Ordinarla del dì ti novembre ISSI ATTI ACC. VOL. XX. . SIGNORI Invitato da questo Sig. Prefetto li 18 settembre ora scor- so ad accedere insieme al Corpo della Deputazione di que- sta Provincia nelle contrade adiacenti all’ opificio di macera- zione del Canape e Lini di Àci-Reale; fatta la conveniente inspezione, mi si richieggono da quella tre quesiti spettan- ti la pubblica salubrità di quelle regioni. La prima quistione che mi si richiede sta nei termini: « Quali influenze malefiche può spiegare sull’ atmosfera del- « le vicine Contrade V opifìcio di macerazione e prosciugamen- « to dei canapi e lini di Aci-Reale ? » Le influenze malefiche della macerazione dei canapi e li- ni, e consecutivo prosciugamento nelle Bonache della Gaz- zena di Aci-Reale, considerata nella scienza come stagno ar- tificiale, sono comuni a quelle delle acque morte delle palu- di, pantani, maremme provenienti sia dalle acque pluviali, odi sorgenti, o di straripamenti, non escluse le acque ma- rine e le coltivazioni in acqua , allorquando però si trove- ranno nelle condizioni fisiche necessarie allo svolgimento fer- — 132 — mentativo: c queste condizioni indispensabili sono quattro; 1.° un suolo poco permeabile argilloso, marnoso, torboso, o roccoso, o reso tale per muratura; 2.° acque immobili, a basso fondo sino al fango; 3.° contatto con l’aria atmosferi- ca a temperatura non meno di gr. 19 del Centigrado, con radiazione solare, e 4.° infusione o macerazione di sostan- ze organiche vegeto-animali morte ivi ritenute naturalmen- te, o artificialmente, come condizioni indispensabili. Or le sopradette fìsiche condizioni si rinvengono nei maceratoj della Gazzena in agosto e settembre di ogni anno, come in altri stagni ove la sorgente di ogni fenomeno fisico sta riposta nelle materie organiche morte, che soffrono la metamorfosi fermentativa: ed ecco ciò che avviene in quel tempo. Le acque morte riscaldate per la loro scarsità dall’alta temperatura dell’atmosfera ove stanno in contatto, sottostanti alla luce diffusa disciolgono dapprima le sostanze solubili del- le piante morte ivi giacenti, come le mucilaginose, le albumi- noidi, le acidule, le saccarine, le saline, e quindi si produ- ce il fermento che attacca e scompone non solo le parti ve- geto-animali disciolte, ma sippure i tessuti cellulare, vasco- lare che attorniano i fili tessili tubulosi, fino a che rimangono isolati onde distaccarsi completamente dall’ organismo vege- tabile, e che si isolino facilmente gli uni dagli altri; e prima di esser detti fili ( proseguendo la fermentazione putrefatti- va) attaccati di destruzione, la macerazione artistica si for- ma, tirando fuori le piante tessili per il disseccamento. E studiando i moderni chimici giusta l’attuale scienza accu- ratamente il fatto fermentativo, vi considerano tre classi di fenomeni che riguardano 1.° Le produzioni chimiche. — La chimica organica mortuaria. %.° Le produzioni organiche mi- croscopiche. — La zoonomia microscopica; c3.° Le produzio- ni morbifiche.— La patologia medica delle malattie paludane. Fenomeni chimici — Spettano alla chimica, durante la fermentazione, un assorbimento del gas ossigeno che giun- ge sino a 61 per 100; con esalazione da quelle acque del gas acido carbonico, gas idrogeno carbonato , solforato, e qualche volta fosforato, ed infine del sottocarbonato ammo- niacale : oltracciò cacciasi un gas speciale nauseabondo di maremma, e monta alla superfìcie una schiuma simile, dice Payen, al lievito di birra, e nell’ultimo periodo dell’ estra- zione delle piante tessili fermentate si esala un odore disag- gradevole di fermentazione alcoolica, ed acida riflessibile: ma importa oltre i detti gas tener presente la quantità di vapori a- cquosi che trascinano da quelle acque palustri sostanze ve- geto-animali, anch’esse putrescibili, riguardate di natura del fermento, inquinanti l’atmosfera, della massima importanza sullo stato sanitario: e tutti siffatti prodotti chimici palustri son riguardati come un processo di decomposizioni moleco- lari, delle sostanze organiche immerse, prive di vita. Ippocrate detto il Divino chiamò questi vapori d’ignota na- tura morbifìca, Miasmi, sporchezza a cui i moderni leggermen- te hanno sostituita come d’un progresso, la parola signifi- cativa d’ intossicazione palustre, senza riflettere, che i ve- leni tutti non presentano incubazione , non intermittenze, non polimorfismo di manifestazioni, nè mai si riproducono per recidive: caratteri assolutamente miasmatici: quel neologi- smomedico non è dunque ammissibile, benché tanto vanta- to dal prof. La Roche nel giornale dei progressi sin dal 1834 fin oggi. Intanto, diversamente opinarono alcuni antichi sulla na- tura dei fenomeni maremmani, che sulla comparsa del gran numero dei moscherini ed insetti visti ad occhio nudo sul- le acque morte e suoi contorni Vitruvio, Columella, Var- rone, ed indi il cel. Linneo, ed il veterinario Grognier, a cui si unì Raspail, ammisero che probabilmente invisibili a- nimalculi svolti dalle acque fermentanti delle paludi, e per — 134 — evaporazione sospesi e trascinati dall’atmosfera ne fossero la special cagione: ma quel pensamento mancante di pro- ve si fu abbandonato, e riprodotto il principio chimico di un fermento albuminoide sviluppato in ogni decomposizione fer- mentativa, e rinvenuto nei vapori delle risaje della Lombar- dia dal Prof. Moscati, nei vapori fioccosi delle paludi vicino Roma dal conte Brocchi, e confermate dal Sig. Rigaudde- l’Isle, Vauquelin, e successivamente da, Giulia Fontanelle, da Herpin fino al prof. Liebig. Laonde siffatto fermento a - zotato agente per catalisi dando luogo a nuove composizio- ni e decomposizioni dà l’interpretazione dei fenomeni fer- mentativi, come parimente le varietà dei chimici fermenti danno spiegazione della varietà dei prodotti. Ma qui la scien- za non si ferma, e stante fincessante progresso delle fìsiche scienze, per diligenti e speciali ricerche microscopiche, che hanno tanto illustrato l’istologia anatomica, riportandosi al- l'esame dei fluidi in fermentazione il Sig. Cagnar La Tour per il primo nel 1839 discoperse che il ‘preteso fermento non era costituito già da una sostanza amorfa, agente chimica- mente per catalisi, e per promosse trasformazioni molecola- ri compositive e decompositive, ma consistere essenzialmen- te in una produzione d’infusorj nei varii liquidi, e nelle ac- que maremmane da più generi, e specie di corpi organici viventi, translucidi, invisibili all’occhio nudo, tanto vegeta- bili microfili per spore di Criptogami mucedinati, alghe, cel- lule, ee.; quanto animali, per ovuli di microzoari di Bac- teridi, Vibrioni c Monadi a miliardi, talché in una stilla di vapori paludati condensati in acqua, ve se ne rinvengono più centinaja: e successivamente i naturalisti di rinomanza, intenti allo studio degli organismi della natura invisibile, con- fermarono di allora in poi l’importante scoperta di Latour Cagnard, e fussi conclamato uniformemente il fatto dal Sig. Pouchet, Joly, MoulTè, Dumas, Turpin, Lemaire, Bechamps, Pastoret e socii spettare il fenomeno fermentativo allascien- — 135 — za della fisiologia vegeto-animale microscopica , con respi- rar quei minimi organismi l’osigeno ed esalar il gas acido carbonico, funzione generale della vita, benché non esclu- desi la coesistenza di una sostanza albuminose forse alimen- tati va. E frattanto le varietà tutte delle fermentazioni, compre- se del pari nelle varietà dei prodotti chimici, devesi alla va- rietà degli infusori fermentanti come Petit Tour, Pastorete socii hanno dimostrato c rappresentato per le piancie: tal che gli infusori della fermentazione del vino differiscono da quelli dell’aceto, della Birra, del latte, del Burro, della pu- trefazione, e da quello del miasma paludano, detto ora or- ganico. Ciascheduna specie d’infusorj secondo Lemaire è co- stante nel suo prodotto specifico in modo di non scambiarsi Cuna per 1’ altra. E dopo tutto ciò, che ha cambiato la scien- za dei fermenti , è d’importanza aggiungere altri problemi sul valore delle scoperte zoonomiche nei fenomeni fermen- tativi, e già risoluti; non rappresentare la comparsa di detti infusorj nè effetti , nè accidenti concomitanti della fermen- tazione, ma come inizio e prima cagione d’ogni fenomeno chimico. Solamente restano a risolversi tre quistioni di fat- to, Cuna spettante la provenienza di tali organismi micro- scopici fermenti, se originati per spontanea generazione in condizioni fisiche specifiche sconosciute detta dal prof. Pou- chet Eterogenia: se per citoblastione in un liquido albuminoi- de secondo Fremy e Baudrimont, o pure per la legge della riproduzione generale degli esseri organici, per preesisten- za ovulare o di sporange ovunque sparse, e quinci detta per Panspermia da Pastoret, presunzione antica quanto la filo- sofia naturale nel tempo. Ma la scienza in conflitto innanzi P Accademia delle Scienze di Parigi sulla origine dei micror- ganismi, fin’ ora non ha detto l’ultima parola. La seconda quistione di fatto si è come detti organismi fermenti danno luogo alla specialità dei prodotti della fermentazione? Altri opinano per funzioni respirative, digestive o escrementizie: altri poi come Bechamps che ciò avvenga mediatamente per umori speciali segretorj di detti organismi dette zimosi, producenti per la loro solubilità quelle chimiche metamor- fosi caratteristiche, e quindi su di ciò trovando dell' oscuri- tà attendiamo ulteriori sperimenti. Fenomeni patogenici — La terza classe dei fenomeni fer- mentativi che presentano esclusivamente le acque morte spet- tano alla patologia umana essendo nocive alla buona sa- lute. In questo stato le acque della fermentazione dei ma- ceratoi se venissero a mescolarsi a quelle ove trovansi dei pesci o molluschi o crostacei vi troverebbero per la insalu- brità la morte: ed all’ uomo parimenti qualora usasse per be- vanda delle acque pantanose, ancorché limpide, come av- venne nei miei vigneti di Motta pochi anni fa, in cui per pigrizia tutti quelli vendemmiatori circa otto, che bevette- ro l’acqua stagnata della finaita si ammalarono di febbri intermittenti, locchè non avvenne alla ciurma intera, che usava l’acqua del pozzo; ed un caso simile si produsse in un eqnipaggio proveniente dall’Algeria che adoperando l’acqua imbottata da uno stagno, come sbarcò a Tolone si ammalò di febbri accessionali, ma in quelli equipaggi provveduti di acque salubri non ne fu colto neppur uno, quantunque pro- venienti dalle medesime regioni africane. Ma non tutte le fer- mentazioni fansi dannose alla salute inquinando l’ atmosfera dei loro differenti esalamenti, come quelle del vino, dell’aceto, della Birra, del latte e simili. Le fermentazioni putride del- le sostanze animali fanno una sezione speciale di esalamen- ti malefìci: ma le acque morte per le macerazioni di sostan- ze vegetabili fansi maggiormente dannose alla salute degli abitanti dei contorni per quei vapori esalati , che trasci- nano nell' aria i miasmi di cui inquinano la purezza di sostanze speciali, riconosciuti febrigeni dopo Lancisi, e che si fanno più nocive nelle notti per la discesa della tempe- ratura che precipita e condensa detti vapori, locchè avvie- ne ugualmente nei mutamenti atmosferici per raffreddamen- to. E fa d’uopo che si sappia che 1’ esistenza dei vapori con- tenenti organismi microscopici non importa odoramento al- cuno assai vivo, per credersi inoffensivo, e d’altronde le puzzolcnze che alle volte svolgonsi da quelle acque debbon- si riferire alla putrefazione delle sostanze organiche animali immersevisi. Ed applicando la natura degli esalamenti pantanosi a quelli delle provenienze estive dei maceratoi della Gazzena, che è assai più ferace di qualsiasi naturai palude, tenendo presente la gran massa delle piante tessili morte immerse- vi in ristretto volume d’acqua che se ne va saturata in po- chissimi giorni, procacciando fortissima fermentazione, e cor- rispondente evaporazione miasmatica che vi si sprigiona, e tanto più per quanto quelle acque addivengono fangose, e che non cessano al sortire dei maceratoi dei canapi e lini riposti in quelle vicinanze, finche la secchezza non è acqui- stata: a cui bisogna aggiungere una nuova considerazione riguardante i canapi per quel principio deleterio del suo spe- ciale alcaloide che disciolto nelle acque vi si esala nell’at- mosfera come nuovo elemento venefico, VAciscina che già adoperasi in medicina come stupefaciente. E dopo uscita fuori la carica delle piante tessili a capo di giorni otto o dieci, e cacciata via quella prima infusione pei smaltitoj, ridotto il suolo fangoso riproduce il maximum dell’evaporazione mia- smatica, finché vi si appone la successiva carica di acqua e nuove piante da macerarsi, e ciò per tante volte si ripro- duce col maximum d’infezione atmosferica, per quante vol- te nel corso di mesi due i più calorosi dell’anno, simili o- perazioni avvengono in continuazione. Ed internandosi la patologia medica per qual condizio- ne fisica speciale le acque morte fermentanti addivengono febricose lussi ammessa la sorgente, da prima dalla maggio- — 138 ranza dei medici nei gas permanenti clic sv.olgonsi, come gas acido carbonico, gas idrogeno carbonato, solforato, fosfora- to, ammoniacale; dal prof. Roche si ripose nelle vicissitu- dini costanti del massimo e minimo, del caldo e freddo ed umidità nictemerale; da Collin all'azione elettro-fermentati- va; da Boudin all’esalazione di alcune piante palustri Cara Vulgaris Rizoforo , Calamus. Ipotesi tutte contradette da ul- teriori riprove, per cui si convenne nella scienza per espe- rienze dei chimici Moscati, Giulia Fontanelle, Malagutti ed ultimamente dal celebre Liebig, sulla specialità dei vapori pa- ludani, arrecante una sostanza albuminose fermentativa e putrescibile riconosciuta dalla condensazione dei vapori en- tro i palloni a ghiaccio. Tale si era la opinione fermata sul miasma paludano come agente di fermentazione chimica ca- talitica, allora quando il microscopio addimostrando nei fer- mento la pullulazione d’ organismi minimi , come condizio- ne essenziale primordiale , e questi microzoarii e microtìti trascinati per mezzo dei vapori acquosi neU’atmosfera cir- convicina infettandone la composizione, il miasma organico è già riconosciuto, che penetrando per le vie della respira- zione per endosmosi nel sangue; e da un’ altra parte per l’atto della deglutizione dei boli nelle vie digerenti nel san- gue della vena delle porte (Bcgin) vi si producono quei di- sturbi morbosi speciali e caratteristici, per la specialità del- la fisica cagione produttiva. E che tal si sia l’efficacia dei fermenti vivi delle esa- lazioni dei pantani, il Sig. Lemaire viene a provarlo speri- mentalmente col fatto che destrudendo per mezzo dell’ acido fenico siffatti microfìti e microzoarii , quelle arie così depu- rate rendonsi respirabili impunemente e del tutto inoffensi- ve. Sarebbe in tal caso la dottrina del fermento del prof. Leibig come febrigeno mantenuta invece da una sostanza speciale azotata, promossa dagl’ infusorii che susciterebbero le metamorfosi fermentative nel sangue attaccando i suoi — 139 globuli ed il plasma, e consecutivamente i nervi ganglionarì d’indole speciale l'ebrigena; e così il fermento da inorga- nico è divenuto vivo, e parasitario. Se tale scoperta va con- fermata, le interpretazioni insolubili della incubazione, in- termittenze, polimorfismo, e recidive troveranno plausibile spiegazione nella covatura riproduzione degl’infusorj e per le consecutive Cachessie paludane, ed Idropi. Nò priva di fatti patologici va quella scoperta di micro or - ganismi , dapoichè la presenza dei microzoarii nel sangue vivente in alcune malattie, come nelle Carbonose, Antraci, pu- stula maligna, febbri tifoidi, diarree coleriche, alcune flern- masie bronchiali, vomito nero della febbre gialla; ed oltre a ciò inoculagli in altri animali sani costituiti daBacteridi, Vibrioni, Monadi Colpodi è stata osservata recentemente dai Microscopisti Pouchet Devain Tigri Raimbert Hessling Deau- perthuy. Attendiamo i progressi della Ematologia microsco- pica dietro la spinta del premio del Dot. Briand. Circa poi all’estensione diffusiva nei miasmi provenien- ti dai maceratoj della Gazzcna, i tre villaggi del Capo Trez- za e Castello e casamenti intermedi, oltre che trovansi com- presi entro Cambilo proibito dalla legge sanitaria, giusta la misurazione costituita dai periti a ciò richiesti, una secon- da principal circostanza consiste nell’essere sottoposti alla tirata dei venti che in està, quasi costantemente spirano da Nord-Est, e quindi trovandosi i tre paesi sottovento della Gazzcna soffrono una corrente miasmatica quasi senza po- sa: Come pure ne partecipano tutti quelli che transitano per la strada Provinciale vicinissima a quella spiaggia popolata di giorno e di notte per il gran commercio che vi stassi : Ed il potere diffusivo dei venti a trasportare i vapori miasma- tici che tiene in sospensione va tant’ oltre da fare eccezio- ne alle distanze legali foggiate su medie proporzionali, sen- za tener conto dei venti dominatori di certe regioni. Così Lefeburha visto estendersi le influenze miasmatiche da sette ad otto chilometri, e similmente nelle nostre contrade quan- do i venti di estate spirano con costanza dal Sud-Ovest cac- ciando i miasmi pestilenziali della piana di Catania si tra- scinano non solo sui quartieri occidentali della Città, For- tino, Citali, Santa Maria di Gesù, Borgo, Consolazione, ma spingonsi nei paesi circonvicini siti ben lungi alle falde oc- cidentali dell’Etna, benché stanzianti sulle lave aride, e di- stanti dai focolari infetti più che dieci miglia, ove recano le malattie specifiche delle febbri maremmane. Quale sia l’ influenza miasmatica sulle popolazioni dei tre paesi Capo Trezza e Castello basta osservare 1’ aspetto degli abitanti pallido, infingardo, apatico, ventruto. Bastano i certificati dei medici ivi praticanti che non vi curano che febbri intermittenti recidive, fisconie addominali di lungo cor- so tanto in autunno che in inverno e primavera, comecché estinte e chiuse siensi le Bonache della Gazzena, e per le quali infermità sono debitori alla scoperta della China della loro benché misera sussistenza travagliata dai Cronicismi, conseguenze miasmatiche. Moltiplici e multiformi sono le malattie paludane tanto a forma acuta che cronica, che si possono ripartire in tre classi, 1 . attaccano le vie gastriche per nove decimi le feb- bri a tipo intermittente che sono le più frequenti, meno le re- mittenti senza mancare le continue. Per 2. classe in grado quelle che interessano la circolazione capillare come le conge- stioni parenchimatose, le emorragie, ed i flussi per diaree, dis- senterie, sudori profusi, epatirree, flussi urinosi non escluse le flemmasie; ed in terza classe le neurosi di senso c di moto della vita animale ed organica: e per conseguenza le fisco- nie, le discrasie, l’Anemia, edemi, idropi ed in ultimo il ma- rasmo come termine della consunzione. Ed é a sapere per conchiusione che tutta la coorte del- le malattie paludane va a costituire in quelle regioni la me- tà delle malattie Umane e per dar conto di siffatta multipli- cita d’ infermità dipendente dal miasma paludano lasciando da parte gli scettici perchè sconosciuto da Àrmand, Folcili, Brocchi Minzi e Parent du Chatelet si è mosso il dubbio se l’agente miasmatico sia unico come pensa la gran maggio- ranza dei patologisti, spiegando la varietà delle forme sin- tomatiche, per il fatto della sua intensità, varietà di resi- denze negli organi, e per fine per variata costituzione indi- viduale. Mentre alquanti moderni studiando questo punto di dottrina ed il celebre Rochoux, Jaquot, Dutruleau a cui io mi soscrivo del pari, pensano doversi ammettere la va- rietà dei miasmi, perche la comparsa delle febbri pernicio- se non ha relazione con quelle dette benigne, nè lespecia- lità delle diarroiche, emetiche, deliranti, comatose, spasmo- diche o predominanti a preferenza in certe stagioni dell’an- no: e più viene ad afforzarsi l’ammissibilità dei miasmi mol- tiplica per la multiplicità dei fitozoarii, come pure dei mi- crofìti che secondo la reazione acida del liquido fermen- tante favorisce i microfiti mucedinati a danno dei microzoarii cd al contrario avviene se l’acescenza manca, e 1’ alcalimità in predominio. Ma su di ciò si attendono ulteriori schiarimenti. Fatto sta che sotto il dominio pestilenziale dei miasmi pa- lustri la vecchiaja è ivi anticipata, e la popolazione non so- lo non progredisce come ovunque in questo secolo d’incre- mento delle produzioni e quindi di ricchezza, ma va a di- minuire, e tutto ciò in comune come altrove in cui la po- polazione si trova posta in simile fisica infelice condizione: e tutto ciò è una conseguenza necessaria delle infezioni insalubri dell’ aria atmosferica, che è il primo ed il più es- senziale elemento della vita: in modo tale che se il cibo è bisognevole due o tre volte in 24 ore, Faria atmosferica fa d’uopo nell’uomo che s’introduca nei pulmoni, equindi nel sangue per ben 900 volte per ogni ora contando al mi- nimum n.° 15 respirazioni per minuto, per media propor- zionale : come pei calcoli medii delle capacità del pulmone U2 — in un uomo adulto s’ intromettono nelle cellule del paren- chima pulmonale 40 pollici cubici di gas atmosferico in ogni inspirazione, e ne sortono 38 nella espirazione, rimanendo il dippiù se puro o infetto nel sangue, che assorbisce tutti i gas.- E senza dire che la umidità delle regioni maremmane nuoce altrimenti alla salute poiché diminuisce la traspira- zione cutanea depurativa del sangue, intormentisce la su- scettibilità nervosa della pelle, e mette la traspirazione bron- chi ca neH’obbligo di accrescre le sue funzioni supplimentarie o pure i reni. Ed ecco cosa producono imaceratoj. — Sulla seconda quistione indirizzataci. « Ammessa l’alterazione del- « l’aria proveniente dalla macerazione, è dessa una causa « unica ouna concausa di malsania per tutti, o per porzione « di quelle contrade. » Comecché i tre paesotti Capo, Trezza, e Castello , tro- vansi tutti e tre in ripa al mare e quindi in situazione iso- latamente salubre, i terreni circonvicini però di natura ar- gillosa benché sparsi di rocce basaltine, non lo sono certa- mente; dapoichè 1’ argilla di sua natura, e come poco per- meabile all’acqua dà luogo a lente fermentazioni miasmatiche per le sostanze organiche morte esistenti alla superficie inu- midita, quando non altro dalla rugiada, e quinci nelle con- dizioni appropriate, danno esalamenti benché scarsi ma mia- smatici di sua natura. Ma oltre il carattere geologico del ter- reno poco salubre vi si debbono aggiungere dei piccoli ri- stagni di acque provenienti da scoli di piccole sorgive so- prastanti, fra Trezza e Castello, ed al di là di Trezza al di dietro la Barriera, in modo che siffatte collezioni di acque immobili, perenni o temporale, mercè le sostanze organi- che, che naturalmente vi si macerano, e le piante palustri e le conserve che sviluppatisi alla superfìcie aggiungono nuo- vo alimento alle esalazioni miasmatiche del terreno arido , che rendono più insalubre: perlocchè si dee confessare es- 143 — servi sorgenti naturali malsane spettanti la topografia dei pae- si indicati, oltre quanto ci arrecano i maceratoj artificiali della Gazzena nei tempi stabiliti ogni anno; è quindi doppio il concorso della insalubrità atmosferica per tutta quella re- gione, e per i paesi più o meno avvicinati ai focolari fer- mentativi e quindi più il Capo, meno Trezza, ed ultimo Ca- stello: attesocchè la vicinanza dei 3 paesi per la misurazio- ne fattane dai periti incaricati, dai maceratoj alla chiesa del Capo la distanza consiste in canne siciliane 194, alla Chiesa di Trezza miglio siciliano uno, e canne 257 ed alla chiesa di Castel- lo miglia due e canne 154. E cosiffatte distanze non sono da tanto da neutralizare la diffusione degli effluvj miasmatici delle bonachc: come neppure le piccole colline possono fare o- stacolo a disseminarsi oltre, come ne convennero i periti elet- ti; per cui tutte e tre le popolazioni vengon comprese nel perimetro della infezione, che la legge sanitaria proibisce di fissarvi l’industrie palustri di qual siasi natura. Finalmente è da aggiungere, oltre il calcolo delle distanze vietate, che latirata dei venti dominanti in tutta quella regione si è di Est, e Nord-Est che vi trascinano per mancanza di ostacoli suf- ficienti i morbifici vapori miasmatici dei Maceratoj della Gaz- zena, su tutta quella regione sottostante ove riposano i tre paesi sudetti, e quindi dominati per la rispettiva posizione topografica inevitabilmente. « In ultima quistione. Dato che la macerazione deica- « napi e lini sia una concausa, è questa di maggiore o mi- « nor forza delle altre naturali concause che esercitano in- « fluenza sull’alterazione di quella atmosferica? » Eccoci giunti alla disamina della maggiore importanza sulla quistione della prevalenza nella infezione atmosferica miasmatica, se da parte della topografia argillosa naturale di quella regione, o pure da parte dei maceratoi artificiali del- la Gazzena. A questo punto il giudizio severo risulta dagli effetti paragonali dei due focolari, diffuso quello naturale, e ristretto quello dei maceratoj e limitato al periodo da settem- bre ad ottobre di ogni anno E considerando in primo luo- go che gli esalamenti topografici del suolo sono constanti più o meno nei nostri caldi climi: e che per sua mitezza dan luo- go all’ attuazione, che mentre neutralizza gli effetti nocivi sino a certo punto, non cessa di manifestare l’ impronta del- f acclimatizzazione delle regioni insalubri in tutti i paesi in condizioni consimili: mentre gli effluvii dei maceratoj avven- gono dopo dieci mesi d’intervallo, nel fìtto della stagione estiva, e che annienta la legge dell’ abito, che ha di bisogno costanza ed uniformità di azione. Considerando in secondo luogo circa la potenza de- gli effluvii che sta riposta essenzialmente nella massa delle sostanze vegetabili o animali morte, immerse entro le ac- que stagnanti: le acque non avendo altro ufficio clic dissol- venti le parti solubili, conduttori dei vapori acquosi che contengono i microfiti e microzoarii miasmatici e mortiferi dell' atmosfera circonvicina: c la massa fermentativa stassi assolutamente in proporzione della massa delle materie or- ganiche che si macerano; e computando le quantità impo- nenti di quintali di canapi e lini clic in continuazione si ma- cerano nelle 16 vasche dei maceratoj, nel corsodi mesi due, zeppi, e nei tempi più calenti, in confronto della macera- zione naturale del suolo, panni superar troppo quell’ assai scarsa quantità di erbe morte che naturalmente rimangono sul suolo, o cadono nei piccoli naturali guazzi di acque im- mobili, da non poter vincere il malefìcio delle macerazioni artefatte della Gazzena. Considerando per terza riflessione potentissima, quella nascente dai siti rispettivi: dapoichè sof- fiando i venti denominati da Est e da Nord Est i detti paesi che trovansi situati in ripa al mare sono sopravento alle pa- ludane infezioni terrestri, per cui ne sfuggono le influenze miasmatiche: mentre all’opposto per il sito i tre paesi trovan- si sotto vento dei maceratoj della Gazzena, e non possono — 145 — sfuggire a quei malefìci effetti. E considerando per quarta ed ultima perentoria riflessione, a cui nulla può opporsi, poi- ché è fatto notorio che 1’ azione malefica non solo miasma- tica, ma sì pure venenata essendosi minima è tollerabile ed inoffensiva, perchè la forza vitale conservatrice ne neutra- lizza gli effetti nocivi: così i più potenti veleni, l’ arsenico, il sublimato, l’ acido idrocianico, l’oppio in dosi assai fra- zionate, noi) solo non sviluppano sintomi venenati, anco pic- coli, anzi producono giovamento eminente nelle malattie, ove opportunamente sono adoperati: se però le dosi si sbi- lanciano al di là di quelle indicate, dall’esperienza medicatri- ce, allora i sintomi venefìci sono pronti a comparire e minac- ciar la vita. Cosi colgo 1' occasione avvertire circa l’uso dei sigari delle foglie di tabacco, che una moda inriflessa usa giornalmente, qual soavissimo lezzo in bocca, clic solamen- te è per la dose omiopatica della Nicotina ivi contenuta che appare inoffensiva quella sostanza narcotico-acre, ma che per le analisi accurate del Sig. Richardson dopo dodici ore di quell’uso si è rinvenuta nel sangue sensibilmente altera- to: che nei ragazzi si procaccia facilmente la cloro-anemia: ed anche nei vecchi prisatori di tabacco le ricerche chimi- che hanno rinvenuto per reattivi la Nicotina, nella sostan- za del polmone c nel parenchima del fegato: ma ove per un cieco furore si consumasse più di oncia una di prediletti eccellenti sigari, allora i fenomeni tossici apparirebbero por- tando negli adulti un principio di stupefazione nelle fun- zioni nervose della vita vegetativa ematogenica ed intellet- tuale, offendendo specialmente la memoria, e la facoltà ge- nerativa. Così sotto l’impero delle quantità, che esagerano gli effetti degli agenti fìsici sulla vita, non puossi impune- mente aumentare, con imponenti masse fermentanti nei ma- ceratoi della Gazzena quella massa di vapori miasmatici pro- venienti dalla insalubrità naturale dei terreni argillosi, ove sta usi i tre villaggi in quistione, senza ripetere, che il foco- ATT( ACC. VOI. XX. — 146 — lare delle vasche maceranti è paragonalmente assai più po- tente produttore di miasmi. Per chi conosce la pratica me- dica dei paesi paludani sa che le febbri accessionali spora- diche nel corso dell’anno si fanno epidemiche, egravinel- l' avanzarsi della stagione estiva ed autunnale: e cheagl’in- verni piovosi succedendo calori estivi elevati, per maggiore estensione di stagni, e di evaporazioni miasmatiche le febbri fansi perniciose e ferali, prova il valore più venefico febri- geno per l’estensione e gravezza dei miasmi, per la sola e- stensione fermentativa delle acque morte. Così parimenti ai tempi della Repubblica Romana esi- stevano nella regione dei Volsci e del Lazio ventitré fiorenti città con Suessa Pometia ricca capitale; e le città di Pollu- sca, Velitrc, ai tempi di Turno, città tutte agricole e com- mercianti poste nel versante meridionale degli Appennini, costituenti una cintura alle maremme: ma quelle popolazio- ni durarono finché la cura degli Edili teneva espurgate in gran parte a grandissime spose quelle acque miasmatiche, ma non erano del tutto disseccate, dapoichè in certi luoghi quelle paludi servivano ai Romani per supplizio di morte: e che Orazio Fiacco viaggiando ivi pervenuto al foro Appi non po- tè dormirvi tutta la notte per le grandi punzecchiature dei moschcrini, e per il continuo gracidar delle ranocchie come egli riferisce nelle satire. Ma sin dacché Alarico, Potila, ed i Goti invasero con i Barbari la città eterna, per l’incuria di mantenere espurgati i canali fluenti nel mar fìnittimo la gran parte delle acque appantanate, queste invasero tutta la con- trada c sino alle porte di Roma, ed i popoli di quelle pe- stifere contrade fuggirono, c perirono ammiseriti da quelle esalazioni micidiali, e la celebrità di cui godevano i Pomen- tini, e le fertili pianure pomentine furono sostituite dalle va- stissime e rinomatissime paludi pontine per celebrità morti- fere, che hanno annientato più vite che la guerra la più di- struggitricc. 147 — Ed a questo proposito applicando il principio delle quan- tità addizionali venefiche di miasmi, alla condizione attuale della Piana di Catania, che à un posto nelle malarie italiane, dopo l’impresa dell’ incanalamento delle acque del Simeto che inaffìar dee più di 4000 salme di terra argillosa è da com- piangere la condizione sanitaria di Catania, poiché a capo di anni dieci d’inaffiamento moltiplicatore di miasmi la sta- tistica mortuaria del nostro paese e nei contorni Motta san- ta Anastasia , Misterbianco, Ramacca, Paterno ci dimostrerà con la diminuzione numerica, colla malsania crescente, la vita media degradata, qual prò se ne sia cavato in confron- to alla ricchezza agricola: desidero esser falso profeta. CONCLUSIONE \ Soddisfatto il mio debito di sommettere alla saggezza ed alla filantropia dei componenti questa Deputazione Pro- vinciale, sotto la presidenza di questo illustre Sig. Prefetto, le mie risposte corrispondenti alle tre inchieste fattemi sul- la sulubrità della contrada abitata dai tre paesi Capo, Trez- za, e Castello esistendo in vigore le 16 vasche dei macera- to,] della Gazzena, e ciò secondo lo stato attuale della scien- za delle fermentazioni paludane, e le sue influenze sulla pub- blica salute di quelle popolazioni vicine, non mi resta a di- re che sul destino di quelli abitanti, che non hanno appog- gio ai loro reclami, che quello di ufficio confidato alle au- torità costituite: e che qualora questo lor venisse meno, non gli resterebbe altro che un ultimo sforzo ardito, che con- siste nel fuggire da patrie infauste, ed andare a colonizzarsi in regioni salubri. Ma vi è poco da sperare da quella riso- luzione disperata, dapoichè il maggior numero di quelli a- bitanti consiste in miserrimi pescatori di un mare ingrato per- chè poco pescoso, e quindi senza possidenza e senza age- — 148 — votazioni , non possono che trascinando una vita infelice soc- combere al loro destino crudele. Non così avvenne quando la terribile eruzione dell’Etna nel 1669 ricoperse di lave brucianti i ridenti villaggi di Bei- passo, Mompelieri, e le Guardie, i di cui abitanti sloggian- do fuggirono verso Catania e Misterbianco , ma quelli di Bei- passo si colonizzarono nelle vistose pianure di Vaicorrente: ma gli augurii non precedettero; il terreno tiovossi argillo- so, ed ai fianchi perenni acque stagnanti. Che ne avvenne da quel fallo? che dopo ingenti spese di fabbricati ben soli- di a calce di casamenti e piazzette regolarmente allineati, di palazzini e chiese rispettabili, dopo mezzo secolo di di- mora , infestati dalle febbri accessionali , e malsanic cro- niche, che facevano ampia messe della colonia che si am- miseriva via via, a vista di ciò le famiglie più agiate i si- gnori Bufali e Sava alla testa trascinarono ragionevolmen- te quel popolo alla dura risoluzione di abbandonare sempre quei tristi luoghi, ed accettare le generose offerte del Sig. de Moncada Principe di Paterno, che li accolse e beneficò nelle sue terre delle falde occidentali dell’ Etna, ove pro- sperano attualmente, abbandonando alla vista dei passaggieri nella strada Provinciale delia Contrada Vaicorrente i tristi casamenti sparsi in piedi, palazzini, chiese senza tetti, come se i turchi avessero debellato il paese , passando a fìl di spada gli abitanti: attualmente quelle strade sono date in cul- tura, ed i casamenti in parte ricovero agli animali domestici. Finalmente sul conto delle paludi infette bisogna ripro- durre alla memoria che una delle più famose fatiche di Er- cole da cui trasse gran fama nell’ antichità, si fù l’avere ucciso il tremendo mostro, l 'Idra delle selle leste clic vi- veva divorando vìa via gli abitanti di Perno : In questa al- legoria poetica dei greci non si trattò di uccidere il crudo Mostro, che non ha mai esistito, ma per essersi queU’Eroc accinto al prosciugamento del morbifero stagno pantanoso — 140 — (. Idros ) che recava coi suoi miasmatici esalamenti la morte agli abitanti dei contorni , che liberati da tanta calamità pubblica, ne lasciarono rinomanza storica al suo filantropico Liberatore. Così parimenti il pestifero mostro della Gazze- tta Idra delle 46 teste che quale antropofago per essenza, di- vora annualmente alquanti infelici clic hanno la sorte di es- ser prediletti al Capo, a Trezza, e Castello come vittime, sen- za contarvi gli abitanti di quelle vicinanze ; mostro che dopo 10 mesi di sonno si risveglia con la sua Bulimia bi- mestrile alzata dal calore della stagione, attende un altro Ercole al 1864 che combatta le Idre micidiali. Eccomi fi- nito : ma a compiere f argomento non fummi richiesto se avvi oggi un metodo artistico compatibile all’ industrialismo agricolo, col minimum d’insalubrità nell’ estrarre i filamen- ti isolati delle piante tessili, e se ne presenterebbero due, oltre la macerazione ad acqua corrente. In primo luogo impiegando il metodo detto Americano del Sig. Chenck diffuso agli Stati Uniti, in Irlanda ed a Bel- fast, esponendo ad una corrente di vapore a 32 gradi centi- gradi per| ore 90 le piante tessili, e poscia sortite dall'ac- qua, dovuta alla condensazione dei vapori, si espongono a seccare per 3 giorni . 0 pure adoperare il metodo di Clausen del Belgio per ebullizione delle piante tessili di 3 in 4 ore in un lissivio di soda caustica, e da cui quindi ottiettsi la neutralizza- zione con l’acido solforico allungato, e dopo fatta l’estra- zione e la disseccazione ripassarsi le piante sudette in un secondo lissivio di carbonato di soda, ed indi con acqua acidula solforica lavato si trasforma la filaccia tessile con- forme al cottone, e dicesi Lino Cottone che imbianchito dal sotto clorato di magnesia si ottengono dei filamenti brillanti e setosi, simili all’ ovatta, che senza altro treillagc si possono trasformare in fili e tessuti . Ma siffatte operazioni sono eco- nomiche in faccia ai maceratoi naturali? Certo che nò. • . . f • * 1 * 9 V » SAGGIO D I GEOLOGIA FILOSOFICA DEL SOCIO Ctu>. cAp^ahito ivoucj r MEMORIA III. I*i cscn) della cavità posteriore della valva in parola, in cui la faccia corrispondente del dente anteriore della Caprina Doderleini presenta una pronunziata superfi- cie articolare. Nell’esemplare rappresentato (Tav. 1 f. 7) non si osser- vano cavità o fossette vicino la cresta legamentare ; ma in altri esse sono chiarissime, come del pari si vedono nella Caprina Aguilloni D'Orb. (1). Esse non potevano servire che per l’ inserzione delle fibre del ligamento interno. Molte valve superiori della Caprina communi s , nelle quali l’ultima loggia del mollusco è superficialissima, pre- sentano l’apparecchio cardine-muscolare modificato di trop- po dalla sua primitiva disposizione. In esse il dente ante- riore vedesi spinto verso il margine cardinale ; le due la- mine interne tanto portate verso lo stesso margine cardi- nale da far scomparire in gran parte le due cavità laterali interne, e l’apofisi muscolare anteriore più o meno con- torta. Ciò addimostra che il mollusco di questa Caprina, variando il punto d’ attacco, su cui era aderente la sua val- va inferiore, era capace di muovere, come fanno leOstree, la valva superiore sopra se stessa, e quindi modificare più o meno V apparecchio cardine-muscolare a seconda l’esposi- zione. 3. GENERE SPHAERUCAPRINA, GEMM. 1865. Conchiglia irregolare, inequivalve, aderente. La valva inferiore è imbutiforme e aderente per l’ apice , la valva (1) Vedi (Tav. III. fìg. 4.) — 213 — superiore grande, obliqua e ad apice laterale. Ha il margi- ne quasi retto. La sua superfìcie è ornata da lince d’ac- crescimento e da un solco ligamentare, che estesi da un a- pice all’altro della conchiglia camminano lungo la sua fac- cia cardinale. Epidermata. La struttura della sua valva inferiore è identica a quel- la della valva omonoma delle Caprine, quella della sua val- va superiore a quella delle Caprinelle. Essa presenta pari- mente le lamine interne di accrescimento. Apparecchio cardine-muscolare della Sphaerucaprina Woodward, Gcmm. 1865. ci — Valva inferiore (Tav. 1 . f. 3) Dal margine cardina- le e giusto dal lato anteriore della cresta legamentare sorge una gran piastra dentaria (a), che è regolarmente scannellata al fianco anteriore, formando una gran doccia dentaria (b) in cui articolasi il dente della valva superiore (1). Da’ suoi lati anteriore e posteriore, di cui Y ultimo è più spesso e ro- tondato, mentre il primo sottile, partono due grandi e spes- se apofisi (dd') che, contornando ad una certa distanza il margine libero della valva, si arrestano al suo lato pallia- re. Queste due apofisi servivano per 1’ attacco de’ due mu- scoli adduttori anteriore e posteriore (2). L’ apofisi muscolare posteriore, che in tutti gli esempla- ri è meno spessa dell’ anteriore, alla base della piastra den- taria presenta una leggera sinuosità simile a quella, che abbiamo notato nelle Caprine. Vicino la faccia esterna di questa sinuosità si stacca una spessa lamina, che arrestasi a poche linee di distanza dal lato posteriore della cresta ligamenta- (1) Vedi (Tav. E fig. 4. a) (2) La figura 3. tav. 1. rappresenta un esemplare mancante del lato posteriore o dell’ omonoma apofisi muscolare. Nel Museo ne abbia- mo un buon numero, in cui le due apofisi muscolari sono intiere; però ho scelto questo esemplare, perchè ha la piastra dentaria interna. ATTI ACC. VOL. XX. 28 re, formando un forame, o cavità per l’ impianto de) lega- mento interno. b — Valva superiore (Tav. 1, f. 2) ad una certa distan- za del margine cardinale di questa valva si alza un dente piuttosto laminare, ad apice troncato, e con superfìcie e- sterna molto convessa c l’ interna concava. Da' due lati di questa piastra dentaria si distaccano, come nelle Caprine e Caprinelle, le due solite lamine. L’anteriore cammina paral- lelamente al lato cardinale terminando al lato anteriore del- ia valva, in cui forma una apofisi a superfìcie forata per l’inserzione del muscolo adduttore anteriore (1). Nè in questa valva, nè in altre della stessa specie, ho potuto rinvenire vestigio d’ impressione muscolare poste- riore; però attesi i suoi rapporti con quella omonoma delle Caprinelle e Caprine pare che questo muscolo dovesse in- serirsi nello stesso sito, in cui abbiamo osservato le impres- sioni muscolari in questi ultimi fossili. Nel principio delle mie ricerche su queste pietrefatte credeva che la valva in esame dovesse avere due denti come le Caprine e Caprinelle. Ma avendo avuto degli esem- plari , in cui ho potuto di leggeri osservare tutto il loro margine perfettamente conservato, mi son convinto che man- cano assolutamente di dente posteriore. In essa non ho potuto ancor constatare forami o cavi- tà ligamcntare. 4. GENERE CÀPROTINA, D’ORB.1842. Le conchiglie appartenenti a questo genere sono irre- golari, inequivalvi, aderenti, cpidermate (2). La valva infe- riore conica o poco obliqua e a cornetto, fìssa per V apice (1) Vedi (Tav. 1. fig. 4.) (2) Nel calcario ippuritico di S. Maria di Gesù ho trovato alcune valve 'superiori di Caprotine cpidermate. — 215 solcata. La supcriore è generalmente più piccola dell’ op- posta, piana o convessa, con apice laterale o marginale, or- nata da linee d’accrescimento. Solco legamentare esteso da un apice all’ altro della conchiglia. Struttura delle valve simile a quella della valva infe- riore delle Caprine e Sphaerucaprine . L’apparecchio cardine-muscolare delle Caprotine si co- nosce. La diagnosi generica di queste conchiglie data dal Sig. Woodward (1) è esattissima. Qui do la descrizione dell’ apparecchio cardine-musco- lare della valva superiore d’una Caprotina , che presenta qualche leggera differenza da quello delle altre specie fin’ora descritte. Apparecchio cardine-muscolare della Caprotina, Kòemeri Gemm. 1865. a — Valva superiore (Tav. IV, f. 7). Questa valva pre- senta due denti molto prominenti. L’anteriore (a) ha la for- ma d’ una piramide triangolare, che si eleva da una certa distanza del suo lato cardinale secondo una direzione paral- lela all’asse della conchiglia. Esso è grande, ad apice acu- to, e sulla sua faccia esterna ha una piastra un pò rileva- ta, di forma irregolarmente triangolare. Da’ suoi lati inter- ni si distaccano le due solite lamine. La lamina anteriore portandosi al margine della valva, lascia esternamente una cavità più grande di quella, che già abbiamo notato nelle Capri- nelle, Caprine c Sphaerucaprine. Questa lamina sulla sua faccia esterna porta un’apofisi (d) semilunare, a superfìcie levigata e lucente, che estendesi, occupando la corrispon- dente faccia del dente anteriore, alla regione cardinale del- la valva. In questa apofìsi attaccavasi il muscolo adduttore anteriore. La lamina posteriore divide l’ interno della cavi- tà della valva in due cavità, delle quali la più grande (c) * (1) Op. cit. p. 289. — 216 — i serviva principalmente per il mollusco, mentre nella por- zione cardinale (b) dell’altra andava ad articolarsi la piastra dentaria della valva inferiore. Il dente posteriore (a'), quasi tanto prominente quanto l’anteriore (1), è compresso d’ avanti in dietro. Esso non è laterale, come quello che abbiamo osservato nelle Capri- nelle e Coprine, ma viene sostenuto da due lamine , una che va alla regione palliare, in cui confondesi con quella posteriore del dente anteriore , e 1’ altra che portasi al mar- gine posteriore della valva, dividendo la cavità, che sta tra la faccia esterna del dente e il lato posteriore della valva, in due fossette secondarie. Il muscolo adduttore posteriore inscrivasi nella più grande di queste due fossette e su quel- la specie d’apofìsi. La cresta legamentare è diretta e termina verso il la- to interno del dente posteriore, anzi che verso il suo lato esterno, in cui trovasi la pìccola fossetta posteriore. Ciò prova che il legamento non impiantavasi in questa fossetta, ma piuttosto nello stesso sito, in cui abbiamo trovato i fo- rami o cavità legamentari nelle conchiglie che fin' ora ab- biamo esaminato. Dopo la fedele descrizione di questi quattro tipi di con- chiglie bisogna vedere se siano delle specie riferibili ad unico genere , oppure incompatibili, e quindi forme speci- fiche da costituire generi distinti, e naturalmente circoscrit- ti. E per non andare alle lunghe, mettendo da bandai loro caratteri secondari, fissiamoci su quelli essenziali , che si riattaccano alla organizzazione di questi molluschi, quale è il loro apparecchio cardine-muscolare. Il facies de’ denti della valva superiore delle Caprine e Caprinelle presenta molta analogia. Esse hanno un dente anteriore sviluppatissimo, ed uno posteriore piccolo e latc- (1) Vedi Tav. IV. fig. 8.) — m — rale. Nelle Caprotine il dente posteriore è quasi così pro- minente come l’anteriore, non è laterale, e si avvicina un poco per rimpianto a quello omonomo delle Radiolitcs. Nel- le Sphacrucaprinc cessa ogni analogia; esse mancano com- pletamente del dente posteriore e il solo che hanno, è la- minare come quello delle Oliarne. Diverso è in questi fossili V apparecchio della loro val- va inferiore. Le Caprotine hanno una piastra dentaria fra due profonde fossette articolari. Le Caprinelle e Caprine presen- tano una piastra dentaria fra una doccia ed una fossetta den- taria, ma le seconde hanno un dente anteriore, che seb- bene rudimentare, manca nelle Caprinelle. Nelle Sphaeru- caprine si trova una piastra dentaria , che porta sul lato anteriore una sola doccia articolare. Passando al sistema muscolare della loro valva supe- riore non vi ha dubbio, che vi è grande analogia con quello delle Caprinelle, Caprine e Sphaerucaprine; ma essa svani- sce nelle Caprotine, in cui ha tutto altro aspetto e rappor- to da richiamare piuttosto alla mente quello delle Radiolites e delle Sphaerulites. Le relazioni di questo sistema cessano nella loro valva inferiore. Nelle Sphaerucaprine trovasi una fedele ripetizio- ne di ciò, che notasi nelle Sphaerulites, ossia due grandi e sviluppate apofisi muscolari, nelle Caprine vi ha Capotisi mu- scolare posteriore grandissima, l’anteriore piccola; nelle Ca- prinelle all’ incontro 1' anteriore sviluppatissima, e la poste- riore rappresentata d’ un leggiero rigonfiamento della loro lamina interna, e finalmente nelle Caprotine una sola apo- fisi per il muscolo adduttore posteriore, mentre l’altro mu- scolo attaccasi direttamente sulla superfìcie interna della valva . Prendendo ora di mira i generi de’ lamellibranchi, che hanno gran quantità di specie, per vedere se vi si osserva- no simili differenze nell’ apparecchio cardine-muscolare, esse non vi si trovano. Le Chame, che sono delle conchiglie la- mellibranchie dimiarie fisse, per cui variabili di forma, non presentano le differenze , che si notano nelle Caprinelle , Caprine, Sphaerucaprine e Caprotine, ma hanno costante- mente , siano destre o sinistre, lo stesso stampo nell’ appa- recchio cardine-muscolare. Oltre a ciò l’osservazione ha fatto conoscere, che se per poco varia la disposizione dell’appa- rato cardine-muscolare d’una conchiglia, che abbiagli altri caratteri comuni ad un dato genere, 1’ organizzazione del mollusco si rinviene talmente differente da quella delle al- tre specie di quel dato genere, da dovere necessariamente allontanare da esso la conchiglia , e riferirla a tutto altro tipo. Dal confronto de’ loro caratteri principali resulta evi- dentemente che, sebbene queste pietrefatte ne presentino comuni, le loro affinità non son tali da far loro considerare come specie appartenenti ad unico genere, ma anzi che no costituiscono quattro generi ben distinti e circoscritti. Queste conchiglie mostrano delle affinità con le Hip- purites, Radiolites e Sphaerulites da farle considerare fin ora come appartenenti alla stessa famiglia delle Iiudiste ; in fatti hanno a un di presso come le vere Rudiste l’appa- recchio cardinale molto grande, le apofìsi muscolari più o meno sviluppale, le lamine interne d’ accrescimento e una certa analogia ili struttura. Ora però che conoscesi l’organiz- zazione di tutte queste pietrefatte si possono ben valutare i limiti delle loro affinità. Così, mettendo in rapporto i loro caratteri, si vede che nelle Hippurites , Radiolites e Sphae- rulites i denti sono tutti cardinali, e al numero di 2 a 3 e- sclusivamente nella valva superiore , mentre la loro valva inferiore non ha che delle fossette articolari destinate a ri- cevere i denti della valva opposta. Le Caprinelle, Caprine, Sphaerucaprine e Caprotine presentano invece de’ denti e delle fossette articolari in ambo le valve, c nella superiore — 219 (Caprine e Caprinelle) de’ denti cardinali e laterali. Dalla configurazione del loro apparecchio cardinale il movimento di apertura delle valve dovea essere simile a quello delle conchiglie lamellibranchie dimiarie fisse, lo che per la loro disposizione cardinale non potca aver luogo nelle Rudiste , in cui la valva superiore veniva sollevata direttamente nel senso della valva inferiore (1). La lamina interna posterio- re delle conchiglie in esame, la quale divide la loro cavità interna in due grandi cavità fa supporre che il lobo supe- riore del loro mantello fosse bilobato, mentre nelle Hippu- rites, Radiolites e Sphaerulites non fa d’ uopo supporre que- sta configurazione del loro mantello. Tutte queste essenzia- li differenze delle pietrefatte in parola con le Rudiste , che nascono dall’intima loro organizzazione mi portano a divi- dere le Caprinelle, Caprine e Caproline dalle Rudiste , e u- nendovi il nuovo genere Sphaerucaprina, stabilire la fami- glia delle Caprinellidae . La opinione di ravvicinare le R udiste alle Chaìiiidae og- gi è più che altra generalmente ricevuta, però esistono del- le lacune di rapporti ancor non colmate, mentre conside- rando le Caprinellidae come un anello intermedio tra le Ru- diste, a cui si uniscono per V estremo genere Caprotina , e alle Cha?nidae, cui si avvicinano per l’altro genere Sphae- rucaprina , si notano di leggieri i loro passaggi, e viene e- videntemente dimostrato che tutti questi fossili sono dei la- mellibranehì dimiarì fìssi. Si metta in vero in confronto l’apparecchio cardinale delle Caprinellidae con l’altro del- le Chamidae e particolarmente quello della Sphaerucaprina W'oodward e della Chama gryphoides L., che nel pliocene recente di Sicilia mostrasi con colossale sviluppo, e subito si vedono chiare le loro analogie. In questo esame però fa (4) Vedi Bayle— Journ al de Conchyologie ec. par Ticlicr et Ber- nardi n. 4. Paris 4 857— Noie sur le Radiolites angulosus D’Orb. palleo-cardinale . . » antero-posteriore . . Descrizione — Conchiglia grande, molto inequivalve, si- nistrorsa, epidermata, depressa lateralmente , carenata lun- 234 — go il margine anteriore. Valva inferiore conico-depressa , allungata, ornata da pronunziate e distanti linee d’ accre- scimento, aderente a’ corpi marini per l’apice. Valva superiore obliquamente diretta a sinistra, con apice depresso e a ma- la pena curvato a spira, provvista da finissime linee d’ac- crescimento, fra le quali alcune più prominenti e grandi ri- saltano viemaggiormente sulle prime. Canali marginali gran- di, irregolarmente ovolari divisi da setti verticali, alcuni dei quali dividendosi verso 1’ esterno formano altri canali molto più piccoli. Solco legamentare stretto e superficiale. Osservazioni — Questa specie è la più grande del gene- re. Nel Museo di Mineralogia e Geologia della R. Univer- sità di Palermo ve ne è una valva superiore , la cui mag- giore lunghezza è di 265mm, ed una valva inferiore della stessa specie lunga 480mra, di modo che considerando queste due valve, come appartenenti allo stesso esemplare, avrebbe il diametro maggiore di circa 745mm. In tutti gli esemplari di qualunque età è sempre costan- te la forma della sua valva superiore. In uno molto giova- ne si vede ancora la superficie esterna epidermata. La epi- dermide, non troppo spessa, e composta di lamine trasver- se le une imbricate sulle altre, e più o meno longitudinal- mente solcate. Anche l’esemplare rappresentato dalla figu- ra 5, G ha sul dorso e sulla faccia cardinale alcune piastre d’ epidermide; però quella clic gli si trova sul dorso ha la stessa disposizione di quella, di cui testò abbiam fatto pa- rola, mentre l’altra esistente sulla sua faccia cardinale è più fortemente solcata longitudinalmente. Rapporti e differenze — Questa specie ha qualche lonta- na analogia con la Caprinella caput-equi , da cui distinguesi alla forma più depressa, alla posizione della carena esisten- te sul lato anteriore, alla forma c direzione della valva su- periore, alla disposizione de’ canali marginali. — 235 Collezione — Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo. Provenienza — Trovasi in gran quantità nel calcario ip- puritico di contrada Valdesi. Spiegazione delle figure — Tav. Ili, Fig. 5. Caprinella Gigantea vista dalla sua faccia cardinale e anteriore, e ri- dotta a metà. Fig. 6. Lo stesso esemplare visto dal lato po- steriore e ridotto a metà. Fig. 7. Frammento di valva in- feriore per mostrare la disposizione de’ canali marginali. Fig, 8. Epidermide ingrandita. Sp. Caprinella Sharpei, Gemm. 18G5. Tav. IV. fig. % a 4. Dimensioni: Valva superiore Diametro palleo-cardinale . . 68mm. » antcro-posteriorc . . 77mm. Valva inferiore Diametro palleo-cardinale . . 85mm. » antero-posteriore . . 76ram. Descrizione — Conchiglia grande, spessa, molto inequi- valve, sinistrorsa, epidermata, carenata lungo l’unione dei due lati dorsale anteriore. Valva inferiore conico-allungata, liscia, o con linee d’accrescimento, aderente a’ corpi mari- ni per il lato anteriore. Valva superiore avvolta regolar- mente a spira con un giro, provvista da distanti e rilevate linee d’accrescimento. Canali marginali piriformi con l’api- ce in fuori. Essi vengono divisi da setti verticali, che al- f esterno si sfioccano dando nascita a due o tre canali se- condari. Solco legamentare superficiale e fino. Osservazioni — In una valva superiore d’esemplare gio- vane di questa specie ho avuto la fortuna di trovarvi an- cor aderente la piastra dentaria della valva opposta. Aven- dola limata e poscia pulita si vede l’ apice della piastra den- — 230 — taria della valva inferiore, che occupa semplicemente la por- zione cardinale della sua cavità interna posteriore. Il car- dine ha la stessa disposizione di quello della corrisponden- te, valva della Caprinella caput-equi, però in questa ultima* specie ho potuto osservare due sole tessette ligamentari , mentre nella Caprinella Sharpei se ne osservano altre. L’a- pofisi muscolare anteriore è assai più piccola. Rapporti e differenze — Questa specie ha qualche lonta- na affinità con la Caprinella gigantea, da cui distinguesi per la forma più rotondata, per la direzione spirale della val- va superiore, e per essere aderente con il lato. Collezione— Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo. Provenienza — Trovasi nell’ ippuritico della contrada Valdesi. Spiegazione delle figure — Tav. IV. fìig. 2, Valva supe- riore della Caprinella Sharpei ridotta a metà. Fig. 3. Val- va inferiore ridotta a metà. Fig. 4. Frammento. di valva superiore per mostrare la dispozione de’ canali marginali. Sp. Caprinella bicarinata. Gemm. 1865. Tav. IV, f. 5. 6. Di questa Caprinella ho trovato soltanto due frammenti di valva inferiore. Li descrivo, come appartenenti ad una nuova specie, perchè han tali caratteri distintivi da non po- ter loro confondere con frammenti di Caprinelle fin’ora co- nosciute. Quello rappresentato dalla figura 5 ha la forma d’ un cilindroide curvato ad arco leggermente contorto sul pro- prio asse. Esso presenta due prominenti carene, la sua su- perficie è liscia, e in alcuni punti ornata da finissime linee cF accrescimento, che distinguonsi con forte lente d’ ingran- — 231 — dimento. L’interno, come vedesi dalla sezione dell’ altro e- semplare (fig. 6), mostra una gran quantità di lamine in- terne d'accrescimento; i canali marginali ad eccezione di pochissimi, che vedonsi un po’ grandi, sono tutti capillari. Rapporti e differenze— Questa Caprinella non ha specie affine. La presenza delle due carene la distingue di leggieri dalla Caprinella triangularis (Ichthyosarcolites) Desm., con l’analogia di struttura. Collezione— Museo di Geologia e Mineralogia della R.i Università di Palermo. Provenienza— Si rinviene nel calcario ippuritico della contrada Valdesi. GENERE CAPROTINÀ D’ ORB. 4865.: Sp. Caprotina Roemeri, Gemm. Tav. IV fig. 7 a 8. Dimensioni: Valva superiore Diametro palleo-cardinale. . . 40ttm. » antero-cardinale. . . 44mm. Valva inferiore Diametro palleo-cardinale. . . 39mm. » antero-posteriore . . 41n”n. Descrizione — Conchiglia irregolare, molto inequivalve. Valva inferiore conica ornata da solchi longitudinali uguali e superficiali. Valva superiore, triangolare, con apice mar- ginale diretto in sotto, leggiera depressione dorsale ed or- nata da finissime linee d’accrescimento, fra cui alcune pro- nunziatissime. Solco legamentare profondo. Rapporti e differenze — Questa specie è vicina della Ca- protina semistriata D’Orb.,da cui si distingue per avere la i \ - 238 valva inferiore solcata ugualmente e profondamente, e la superiore triangolare, depressa sul dorso, con cavità interna anteriore e denti molto distanti. Collezione — Museo di Geologia e Mineralogia della li. Università di Palermo . Provenienza— Si trova nel calcario ippuritico di contra- da Serradifalco ne’ dintorni di Bagaria. Spiegazione delle figure — Tav. IV, fig. ì . Valva superio- re della Caprotina Ròemeri ( a ) dente anteriore (aT) dente po- steriore ( b ) cavità articolare per la piastra della valva infe- riore (c) cavità interna principale (d) apofìsi muscolare ante- riore. fìig. 8. La stessa valva vista dalla faccia cardinale. Fig . 8 Fig ■ < TAV 1 % Fig. 'IO Fig & Fig. 3 h Fig -S Fig. 7 Zìt FrauenfslcLcT, Faltrmo TÀVUI. ' ,;Vv G Tamliuscio dis Lit Trauenfelder ,? aiermo TAV. III. G Tamtuscio <3is. 1 . i t. Fx auenf e I d er , Pai ermo TAV.IV lit.TrfflgffiÉWr .Palermo. MEMORIA SULLO PSORIASIS PER a ucjtfo Otótwt alcione DOTTORE IN MEDICINA K CHIRURGIA DELLA FACOLTÀ DI MEDICINA DI CATANIA SOCIO CORRISPONDENTE DELL'ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI DI CATANIA I. etta nella tornata del 7 Agosto ATTI ACC. VOI. IX, 31 SIGNORI, Durante la mia dimora in Parigi, frequentando le sale del- l’Ospedale S. Luigi per apprendere a conoscere le svariate manifestazioni cutanee cui dà luogo la sifillide costituziona- le, ebbi ancora la occasione di osservare un infinito numero di malatie cutanee di svariata forma e natura; e surse nella mia mente il pensiero di raccogliere diligentemente le sto- rie di quei casi più importanti e più rari, che si presenta- vano nelle vaste cliniche dei professori Hardy e Bazin,che sono presentemente i capiscuola della dermatologia moderna: di modo che alla fine mi trovai con un sufficiente numero di osservazioni, capaci di potere servirmi in avvenire co- me documenti e guida alla pubblicazione. Ritornato oggi in patria dopo molti anni, di assenza, ho creduto giovevol co- sa coordinare e riunire quelle sparse storie di malatie cu- tanee, e farne il soggetto di diverse memorie, che mi per- metto presentare alla sapiente riunione di questa illustre Ac- cademia, pregando voi dottissimi Membri di essermi cor- tesi del vostro compatimento e della vostra attenzione. ♦ 242 — In dermatologia, come diceva il professore Hardy nelle sue lezioni orali, tutto sta in una buona classificazione onde lo studio ne diventi facile. — I dermatologi sembra che poco hanno curato di classificare le malatie cutanee a seconda della loro differente natura, attaccandosi più da vicino a classi- ficarle per le differenti forme di lesioni elementari, o pure considerandole come dcrmatidi; — al certo lo elemento infiam- matorio esiste in quasi tutte le malatie della pelle, ma bi- sogna ricercare se desso sia causa od effetto della lesione, e se sia puramente locale ed accidentale o pure dovuto a condizioni morbose interne. La ricerca della natura nelle singole malatie è obbligo di ciascun pratico, poiché sconoscendo la natura del mor- bo, la terapeutica da mettere in uso non può essere che fallace ed empirica: or riguardo le malatie cutanee in quan- to alla loro natura credo potersi distinguere in tre grandi gruppi : cioè le malatie cutanee accidentali e puramente locali, come lo zoster, il prurigo, ec: le malatie cutanee pa- rassitane animali e vegetali, come la scabbia, il sicosis , l’erpete circinnato, nelle quali basta distruggere il paras- sita per far scomparire la malatia; — infine le malatie cu- tanee diatesiche o costituzionali come le sifìllidq le scrofu- lidi, i dartri, in cui la malatia della pelle non è che la ma- nifestazione di un morbo che risiede nell’ organismo tutto. — Quest’ultimo gruppo di morbi cutanei al certo è quello che più di frequente si osserva in pratica attesa la frequen- za con cui s’ incontrano gl’ individui sifillitici , scrofulosi, ed erpetici, ed infatti le sale dell’Ospedale S. Luigi riboc- cano quotidianamente di tal genere di malatie; le parassi- tane ancora sono frequenti e talvolta per la loro facile tra- smissione per contatto diretto od indiretto, una moltitudine d’ individui possono esserne affetti in breve tempo, cosi la scabbia, il sicosis, co. ec. Incomincio queste pubblicazioni dal gruppo delle ma- — 243 — latie cutanee diatesiche, che come ho detto sono più fre- quenti ad incontrarsi ed a fine di cogliere più nel segno il dartro ovvero l’erpete è il genere per il primo scel- to ; appunto perchè egli non è raro sentire denominare dai pratici poco versati in tale studio , quasi tutte le malattie cutanee come erpeti. Per chi ha letto le opere dell’ Hardy, conosce che questo dottissimo Professore e mio maestro, con la parola dartro od erpete comprende un .gruppo di affezioni cutanee di differente lesione elementare, ma tutte dipendenti dal vi- zio erpetico— esse sono lo psoriasis, lo ptiriasis , lo ecze- ma, e l’impetigine, ed il lichene; — queste cinque affezioni della cute sono per lo Hardy sempre di natura dartrosa. — Il Professore Bazin che nel gruppo dei morbi radicali oltre alla sifìllide, alla scrofula ed all’erpete, ammette l’artrite, opina che non poche malatie cutanee dallo Hardy ritenute come accidentali o dartrose, sono di natura artritica: non è mio assunto discutere qui se il Bazin dice bene o male, ba- sti soltanto averlo cennato, rimandando chi vuol più saper- ne alle pregevolissime e dottissime pubblicazioni di questo illustre dermotologo. Lo psoriasis è la prima affezione dartrosa che presen- to al vostro giudizio. — I molti e svariati casi osservati nel- lo Ospedale S. Luigi nei differenti servizi clinici del Bazin, Hardy e Devergie mi diedero 1’ opportunità di poterlo bene apprezzare, quindi incomincerò col rapportare la storia di quattordici osservazioni di psoriasis, che ho creduto esse- re i migliori esempi tra quanti ne osservai, interessandomi poscia della sua storia patologica e clinica non che della te- rapautica ; — tralasciando di dire delle classificazioni fattene dei differenti autori, perchè avrebbero reso più confusa la presente scritta: come pure ho tralasciato la sua bibliografia, perchè nissun giovamento ne avrebbe ricavata la pratica. OSSERVAZIONE PRIMA PSORIASIS CAPITIS Giacomo B. artigiano, di anni 50, temperamento san- guigno, costituzione robusta, entrò il 17 giugno 1863 nello Ospedale S. Luigi di Parigi, servizio del professore Bazin, affetto da malatia al cuojo capelluto , che fu facilissima ad essere diagnosticata per uno psoriasis capitis; era la terza volta che ne veniva affetto, sempre alla testa e nella sta- gione estiva: suo padre fu durante vita più volte affet- to in varii punti del corpo da una malatia che gli produ- ceva molto prurito, c che appariva con piccole vescichette, che rompendosi lasciavano scorrere un liquido che sporca- va la biancheria, eczema probabilmente: nessuna causa oc- casionale sensibile accusava l’ ammalato per lo innanzi, tranne delle tre manifestazioni morbose al cuojo capelluto , nulla aveva sofferto, e giammai era stato affetto da qualsia- si malatia venerea. L’eruzione era limitata al cuojo capelluto e sulla fron- te di qualche linea oltrepassava il bordo del capellizio: i ca- ratteri dello psoriasis erano chiari e tali da non farlo con- fondere con altra malatia : giacché il colore rosso bruno dell’ aureola che circondava le placche al bordo frontale, le squami piccole, secche, argentine, soprapposte le une alle al- tre ed aderenti, il prurito e la sollevazione della crosta dal livello della cute sana, chiaro ci mostravano la placca psoriaca, che per riguardo alla sede diciamo essere uno psoriasis del cuojo capelluto. Sulla testa si contavano tre o quattro plac- che, irregolari di forma e confondentisi le une nelle altre in taluni punti; sul rimanente del corpo nessun’altra mani- festazione squamosa tale che ai ginocchi ed ai gomiti ove ordinariamente suole manifestarsi lo psoriasis. 245 — A guarire tale malatia si prescrisse: tagliare i capelli quanto più corto si poteva, ungere la superfìcie della plac- ca con una pomata composta, di sugna lavata 30 grammi , catrame 7 grammi e mezzo; bagni sulfurei; internamente l’u- so delle preparazioni arsenicali (liquore di Fowller) . La malatia migliorò in pochi giorni, le croste caddero prontamente, lasciando una superficie secca, rossa ed alquan- to calda, che poi gradatamente scomparve; e dopo 20 gior- ni di dimora nell’Ospedale, l’ individuo sortiva guarito dalla manifestazione dartrosa. Considerazioni — Devesi rimarcare che la malatia esi- steva al cuojo capelluto solamente, senza che i gomiti e le ginocchia ne fossero affetti; più che suo padre soffrì molte volte di eczema probabilmente, lo che è interessante, e dimo- stra essere lo psoriasis una forma secca della diatesi dar- trosa come diremo in appresso. OSSERVAZIONE SECONDA PSORIASIS CAPITIS Francesco X, di anni 32, tintore, temperamento sangui- gno, entrò il 24 giugno 4863 nelle sale del servizio clinico del professore Hardy affetto da un psoriasis capitis , simi- le al precedente, però meno diffuso; ma esistevano contem- poraneamente delle placche ai gomiti, ed una eruzione di eczema semplice in ambedue le gambe: nessuna causa oc- casionale aveva influito alla comparsa della malatia al cuo- jo capelluto, in quanto a quella delle gambe siccome era obbligato a tenere le gambe immerse in liquidi più o meno irritanti, questi potevano avere influito alla comparsa dello eczema. La cura per lo psoriasis fu simile a quella messa in uso nella precedente osservazione per lo eczema, siccome era — 246 — al primo periodo, si prescrisse, localmente cataplasmi di fa- rina di patate, bagni tiepidi ammollienti; bevande diluenti: tale cura sino alla line del primo periodo, poscia ammi- nistrare le preparazioni arsenicali ed i bagni solfurei.— Usci- va dall’ospedale quasi completamente guarito dello psoriasis e con lo eczema delle gambe al terzo periodo o di desqua- mazione, dopo 212 giorni di dimora nella sala. Considerazioni — Rimarchisi la coesistenza dello psoria- sis con lo eczema che per varie volte aveva affetto V indi- viduo: laddove che nel caso precedente l’ eczema aveva esi- stito in persona del padre. OSSERVAZIONE TERZA PSORIASIS PALMARE Giovanni N. cantiniere, di anni 36, temperamento san- guigno, costituzione robusta ed atletica entrò il 29 luglio 1863 nelle sale della clinica del professore Hardy affetto di psoriasis, limitato solamente alla palma delle mani: squami spesse, dure, secche, bianche: il libero esercizio delle dita difficile atteso la durezza e lo spessore delle squami, che obbli- gavano Tinfermo a tenere le dita nella semiflessione, nei pun- ti corrispondenti alle articolazioni esistevano delle fenditure che facevano vedere un fondo rosso-bruno, per dove geme- va poco liquido sieroso: i gomiti e le ginocchia intieramen- te esenti da qualsiasi minima squame. — Per molte volte ne- gli anni scorsi era stato affetto da tale malatia , ma sem- pre limitata alle palme delle mani ed alle dita, e ci assi- curava non avere mai sofferto alcuna malatia venerea, in efletti sintomi d’ infezione siflllitica non se ne osser- vavano:—come causa predisponente, l’abuso delle bevande alcooliche. — Soffriva ancora di un leggiero reumatismo mu- scolare, e su questo fatto di coesistenza del reumatismo con v — 241 — lo psoriasis palmare, a fine di verificare la teoria del pro- fessore Bazin, che ritiene simili psoriasis di natura artriti- ca e non dartrosa, fu sottoposto alla cura alcalina: bicar- bonato di potassa ed acqua di Seid litz: dopo 17 giorni di tale trattamento la malalia non migliorò affatto, di manie- ra che tolta tal medicazione fu soitoposto alla cura ordi- naria dello psoriasis, cioè unzioni di pomata di olio di gi- nepro, e le preparazioni arsenicali internamente , e sotto tale trattamento le squami caddero prontamente, lasciando scoperte le superficie palmari e digitali, di colorito rosso bruno, con ragadi superficiali che mano mano nel corso della cura scomparvero. L’individuo lasciava l'ospedale do- po 48 giorni di cura, quasi totalmente guarito. Considerazioni— È questo uno dei casi rari di psoria- sis, per riguardo alla sede limitata solamente alle mani. Lo diciamo raro, non già che gli psoriasis palmari siano rari ad incontrarsi nella pratica, ma questi siccome per lo più sono di natura sifillitica, lo psoriasis palmare dartroso è raro; e nel caso che ci occupa la natura sifillitica non po- teva ammettersi per essere l’infermo esente di sifìllide. Il professore Bazin pretende che simili psoriasis pal- mari siano di natura artritica, molto più quando si accom- pagnano di reumatismo: ma lo Hardy opina ben diversamente, egli non ammette che lo psoriasis possa essere di natura artri- tica, giacché la diatesi artritica non la ritiene capace di pro- durre manifestazioni morbose cutanee, e lo crede sempre dartroso o sifìllitico: ed in effetti il trattamento curativo mes- so in uso chiaro ce lo dimostrò; che ove fosse stato di na- tura artritica, avrebbe ceduto o migliorato sotto l’uso degli alcalini, cosa che non avvenne; ed invece la cura antidartro- sa lo fece quasi scomparire, c se le placche non scompar- vero completamente, devesi ciò attribuire all’ antichità della rnalatia piuttosto che alla cura. ATTI ACC. VOL. XX. 2 — 248 OSSERVAZIONE QUARTA PSORIASIS PALMARE Giovanni B. sarto, di anni 29, temperamento nervoso , costituzione gracile, entro il 15 maggio nell’ospedale à. Lui- gi, clinica del professore Bazin, affetto da psoriasis palma- re, ma più pronunzialo alla mano sinistra che alla destra: delle squami di psoriasis esistevano pure alle ginocchia ed ai gomiti. Ci raccontava avere sofferto altre volte simile ma- latia, per la quale era stato anni addietro nella clinica del professore Devergie. — Giovanissimo ebbe una ulcera al ghian- de con bubone inguinale che non supporò, delle macchie rosse alla cute pochi mesi dopo (roseola sifìllitica) , ed in allora fu curato nell’ospedale del Mezzogiorno di Parigi: quan- do l’osservammo non presentava alcun sintomo d’infezione sifìllitica; raccontava inoltre che sua madre era stata affetta più di una volta di una eruzione pustolosa del cuojo capel- luto (impetigine). Era per la terza volta che nello spazio di otto anni ne veniva affetto, e sempre nella stagione esti- va. Siccome non potè vasi ammettere menomamente la na- tura sifìllitica per difetto di sintomi d’infezione, fu sottopo- sto alla cura comune anticrpetica, che riuscì a meraviglia a guarire le manifestazioni dartrose della mano e del gomi- to, e l’infermo lasciava l’ospedale dopo 17 giorni di cura. Considerazioni — Questo secondo caso di psoriasis pal- mare ci offre la trasmissione per eredità della diatesi dartro- sa o erpetica sotto differente forma; giacché nella malatia del capellizio della madre, come l’ infermo ci raccontava, a forma pustolo-crostosa, non possiamo ammettere che un impettigine, la quale altro non è clic una manifestazione della diatesi erpetica, e se nella prima osservazione abbiamo tro- vato l’cczema del padre dare lo psoriasis nel lìglio, qui è 249 — i’impettigine della madre che probabilmente!’ ha trasmesso. L’ esercizio della sua arte poteva avere influito alla com- parsa della malatia? non possiamo dirlo. OSSERVAZIONE QUINTA PSORIASIS PLANTARE E DEL GINOCCHIO Giacomo F. murifabro, di 44 anni, temperamento san- guigno, costituzione atletica, entrò il 9 luglio 1 862 nell’o- spedale S. Luigi servizio del professore Devcrgie. — Ci rac- contava essere stato più di una volta contagiato di mala- tie veneree, per curarsi di che, era stato due volte nell’ o- spcdale del Mezzogiorno, servizio del professore Cullerier , e per tre o quattre volte era stato affetto dalla malattia per la quale era entrato nell’ospedale. Era ben facil cosa dia- gnosticare tale affezione cutanea per uno psoriasis limitato ai piedi ed alle ginocchia; ai piedi le placche erano irre- golari quasi fuse le une nelle altre, con squami spesse e dure, alle ginocchia di forma rotonda quasi; giammai reu- matismo, e non presentava alcun sintomo di sifìllide secon- daria, di modo che fu considerato come uno psoriasis pu- ramente dartroso: non seppe dirci nulla dei suoi genitori perchè giovanetto abbandonò il paese natio e nulla più seppe di loro. — Fu sottoposto alla cura comune della pso- riasis, e migliorò di molto e forse si sarebbe guarito se non avesse lasciato l’ospedale troppo precocemente. Considerazioni — È questo il solo caso di psoriasis plan- tare da me osservato nell’ospedale S. Luigi; di modo che in rapporto con gli altri, possiamo dire che questa sede è rara, così ancora si legge in tutte le opere di dermatologia c lo Hardy dice che è molto ribelle alla terapeutica. — 250 — OSSERVAZIONE SESTA, SETTIMA ED OTTAVA PSORIASIS PALMARE SIFILLITICO Riunisco in una sola la descrizione dei tre casi di pso- riasi palmare sifillitico osservati sopra tre donne in preda alla sifìllide costituzionale , perchè tutte tre sebbene va- riano per la forma differente della sifìllide concomitante con lo psoriasis, pure per questo erano tutte e tre le stesse. Queste tre donne entravano nell’ ospedale S. Luigi ser- vizio del professore Hardy, sala delle donne, nella prima quin- dicina di luglio 1863, non già per essere curate della ina- lala che portavano alla palma delle mani, ma sibbene per le manifestazioni sifiliitiche che avevano alla pelle ed alle mucose. La prima di esse offriva ancora qualche sparuto avan- zo di roseola sifillitica, che essa ci raccontava essere stata generale a tutto il corpo, e che le aveva durato per più settimane; T infezione datava da quattro mesi circa: ingor- go ai gangli posto-cervicali, placche mucose alla vulva al- l’anomalia faringe, alopecia marcatissima, sifìllide papulosa e vescicolosa alla cute: lo psoriasis limitato alle palme delle mani, squami poco aderenti, di modo che facilmente pote- vansi staccare ed esfoliare; esse poggiavano su di un fondo rosso-bruno, poco rilevate ed indolenti cioè senza prurito, carattere patagnomonico delle eruzioni cutanee sifiliitiche. Nella seconda lo psoriasis era limitato ad una sola ma- no, in essa mancavano le placche mucose e la roseola sifil- litica, ma la eruzione vescicolosa c papulosa della pelle e- ra in modo rimarchevolissimo sparsa al petto allo addo- me ed agli arti, le papule prevalevano sulle vescicole. La terza non presentava che l’ingorgo ganglionarc in- » dolente, l’alopecia e lo psoriasis alla palma delle mani po- co sviluppato ed indolente. Era facilissimo diagnosticare lo psoriasis palmare nella sua natura sifillitica, ai sintomi concomitanti della lue sifìl- litica; e ad onta di ciò lo psoriasis quando è limitato alle palme delle mani ordinariamente è sifdlitico, i casi in con- trario sono ben rari: la cura in simili casi deve essere tut- ta rivolta a combattere la sifdlide piuttosto che lo psoria- sis, il' quale altro non è che una delle svariate manifestazioni sifdlitiche: ed in effetti il trattamento adoperato fu l’antisifìl- litico, pillole di Sedillot. -Tutte tre uscivano dall’ospeda- le guarite dalle manifestazioni sifdlitiche cutanee e dello psoriasis dopo 40 giorni di cura mercuriale. Considerazioni— Egli è frequente osservare in pratica dei casi di sifdlide squamosa palmare, detto psoriasis pal- mare, e spesso accompagnantesi con altre manifestazioni si- fdlitiche squamose, così la sifdlide circinnata o lepre volgare; ma sempre sarà facile diagnosticare simili affezioni nella lo- ro natura come diremo altrove; solo qui facciamo osserva- re che lo psoriasis palmare sifdlitico raramente esiste solo ma sempre si accompagna di altre affezioni sifdlitiche, co- me nelle tre osservazioni in esame, di maniera che la sua diagnosi in natura diviene facilissima; diciamo in fine che es- so va sempre scompagnato da qualsiasi prurito, cosa che mai si osserva nello psoriasis dartroso. OSSERVAZIONE NONA PSORIASIS GENERALE A FORMA NUMMULARE Maria X. di anni 32, temperamento nervoso sanguigno, costituzione mediocre, di condizione domestica, entrò il 2 agosto 1863 nelle sale del professore Hardy, affetta da una eruzione sparsa sù quasi tutta la pelle.— Ci raccontava es- — 252 sere stata molti anni addietro affetta da simile malatia, ma in modo mite, e che le scomparve sotto l’uso dei bagni solfurei. — La malatia datava da un mese circa, nessuna cau- sa occasionale, mancanza d’infezione sifillitica, ed assenza di altri morbi diatesici. — Sul petto, sull’addome, sugli arti si contavano una ventina di placche cpiasi circolari ed ova- li, grandi quanto una moneta di cinque lire di argento, qual- cuna si univa con la vicina, coperte da denso strato di squa- mi bianche, argentine, secche, fine, aderenti e sopraposte le une alle altre; raschiandole con l’unghio cadevano in fina polvere bianca: il prurito poco risentito che l’ammalata assomigliava piuttosto ad un senso di bruciore.— Oltre a queste grandi placche ve ne erano ancora delle altre piccole quanto una testa di grosso spillo, sparse sulla cute. — Dia- gnosticammo uno psoriasis generale a forma nummulare e puntata del Devergie.— Fu sottoposta alla cura ordinaria dello psoriasis e dopo 22 giorni usciva guarita compieta- mente dalla manifestazione erpetica. Considerazioni • — Lo psoriasis nummulare, che per altro è molto frequente, si accompagna quasi sempre della varietà puntata e la differenza in queste due forme ammesse dai Devergie non consiste in altro che nel minore o maggiore dia- metro della placca e nulla più. — Il Professore Iiebra di Vien- na‘dice che ogni psoriasis incomincia per la forma puntata; la qualcosa non è vera a rigor di termine. OSSERVAZIONE DECIMA, UNDECIMA, E DUODECIMA PSORIASIS GENERALE DIFFUSO Sono queste tre osservazioni di psoriasis diffuso a qua- si tutto il corpo, pochi punti della cute rimasti sani. — Due di esse, di psoriasis cronico, il terzo acuto; in tutte tre la testa e la faccia erano esenti di placche, sul corpo le squa- — 253 — mi erano poco spesse, superficiali , e facili a farle cadere , ' il prurito poco marcato; la cura proposta fu 1’ antipsoriaca comune, per i due casi di psoriasis cronico, e le squami cad- dero prontamente sotto 1’ uso della pomata di catrame ed i bagni alcalino-solfurei, lasciando la pelle rosso-bruna, calda, e poco sollevata nei punti ove esistevano le placche; usci- vano dall’ ospedale dopo 25 a 30 giorni di cura. Il terzo individuo era un giovane di 25 anni di tempe- ramento sanguigno, e ne era alletto per la prima volta, co- me ci assicurava; la cute era quasi tutta coperta di squa- mi allo infuori della testa, il prurito intenso, le squami su- perficiali e poco aderenti. Si prescrisse la cura del tartaro stibiato internamente a forte dose , come in questi ultimi tempi è stato praticato dalla scuola di Berlino ; si ammini- strarono 15 centigrammi di tartaro stibiato in soluzione da darsi epicraticamente nel corso della giornata, da principio si ebbe il vomito, ma poscia la tolleranza si stabilì e potè continuarsene l’uso; la desquamazione era marcatissima al terzo o quarto giorno di cura c l’ ammalato migliorava sen- sibilmente; però a causa di una mia indisposizione non po- tei proseguire ad osservare le ulteriori fasi della cura, di modo che quando ritornai a frequentare le sale dell’ ospe- dale, T individuo se ne era partito : ma mi si assicurò dai miei compagni e dal D.r Raynaud allora interno di servi- zio, che l’ammalato usciva dalla clinica conia pelle pulita dalle squami, però la cura interna fu coadiuvata dai bagni solfuro-alcalini. Considerazioni — Diciamo che lo psoriasis diffuso è una Varietà rara ad osservarsi, e noi poche volte l’abbiamo os- servato in tutti due i servizi clinici dell’ Hardy e del Bazin: e che ordinariamente diviene diffuso progressivamente col ripetersi degli attacchi, ma pure la terza di queste osservazioni è uno di quei casi troppo rari , per riguardo alla sua origine, che fu diffuso sin dalla prima manifesta- — 254 zione. — Dobbiamo inoltre fare osservare il resultato del- la cura che fu felice, ma circa questo' punto è mestieri ripetere le esperienze, prima di pronunziare un giudizio diciamo solo , che sembra il tartaro stibiato giovi nei psoriasis freschi e non nei cronici, sopratutto quando non sono limitati e circoscritti, così ancora opina il professore Hardy. OSSERVAZIONE TREDICESIMA PSORIASIS VIOLACEA? HARDY La denominazione di psoriasis violacea farà benissimo comprendere che trattasi di una varietà novella di psoriasis, la quale finora non è stata descritta dai dermatologi, e che dal professore Hardy le è stato imposto il nomedi violacea, denominazione che in qualche modo indica il colorito del- la placca:— però diciamo che dal Signor Hardy non vie- ne ritenuta come un vero psoriasis, ma probabilmente co- me una malatia cutanea nuova , così egli opina e diceva nelle sue lezioni orali del 18G3; ma siccome finora non é stata ben definita clinicamente la noveriamo tra le varietà di psoriasis. Giacomo M. di anni 40 temperamento sanguigno, costi- tuzione robusta, entrò il 17 Luglio 1863 nelle sale del Pro- fessore Hardy; egli godeva perfetta salute , solo al terzo in- feriore della gamba sinistra offriva una eruzione tutt’ affatto particolare, consistente in una ventina di placche rosso-bru- ne, violacee, poco sollevate dal livello della cute sana, co- perte al centro da un leggiero strato di squami sottili maa- derenti, della grandezza di un due centesimi di franco, senza alcun prurito, poco distanti le urie dalle altre, e limitate soltanto alla parte anteriore della gamba; — nessuna causa 255 — occasionale, assenza di qualunque sospetto d'infezione sifil- itica. La diagnosi di questa malatia era dubbia se di una si- fìlide o di un psoriasis trattavasi , giacche la mancanza di prurito, la forma circolare, la scarsezza delle squami , ed il colorito violaceo inclinar facevami che si avesse a fare con una manifestazione sifilitica; ma d’altro canto la mancanza di altre manifestazioni sifilitiche, e l’assertiva deli infermo di non essere stato giammai affetto dal benché minimo mor- bo venereo, mi spingevano ad ammettere uno psoriasis:— per la qual cosa la diagnosi rimase dubbia, e lo stesso Hardy non potè ammettere l’una ed escludere l’altra; — onde si stabilì in tale dubbio , di attendere dal criterio terapeutico la conferma della diagnosi; in effetti da prima fu sot- toposto alla cura mercuriale, e dopo 16 giorni di tratta- mento non se ne ebbe alcun vantaggio, di maniera che l’idea di una sifilide fu bandita, ed il vocabolo Psoriasi ? fu scrit- to nella cartella della diagnosi, si sottopose quindi per mol- te settimane alla cura antierpetica, ma non se ne ebbe al- cun risultato, la malatia rimase sempre qual’era in sul prin- cipio, per la qual cosa l’infermo volle abbandonare l’ ospe- dale, molto più che tale affezione alla gamba non lo mole- stava per nulla. Considerazioni — È questa una varietà di psoriasis o pure una malatia cutanea finora non descritta? non io sappiamo. Il Professore Hardy durante la sua lunghissima pratica, ci diceva di essere questa la terza volta, che incontrava simile malatia e sempre imitata alla parte inferiore della gamba, avente sempre gli stessi caratteri detti di sopra, ed ognora ribelle a qualunque trattamento curativo ; per la qual cosa lo Hardy è portato a credere, che sia una malatia cutanea non ancora descritta; e le ha dato il nome di Psoriasis violacea , aspettando ulteriori fatti per stabilirne la noso- grafia. Nessuno dei dermatologi ne parla e dallo stesso il- ATTI ACC. VOI.. XX. 3J — 256 — lustre Bazin, non è stata finora osservata, quindi noi sia- mo portati ad opinare al pari di Hardy , e se Y abbiamo ri- portata parlando dello psoriasis , lo è stato dietro V avviso dello stesso Hardy, che nelle sue lezioni orali del 1863 la comprese nelle malatie erpetiche squamose. OSSERVAZIONE QUATTORDICESIMA PSORIASIS SCROTALE E PREPUZIALE Francesco M. di anni 32, temperamento sanguigno, co- stituzione mediocre, fallegname, entrò il 7 Agosto nell’Ospe- dale S. Luigi servizio del Professore Devergie, affetto da uno psoriasis delle parti genitali ; le squami poco aderenti e non molto spesse ricuoprivano porzione del sacco scrotale, del- ia verga e si estendevano sul pube, prurito molesto sopra- tutto nella erezione, che diveniva vero dolore e gli rendeva il euito difficile; mancavano le fenditure della pelle, come ordinariamente suole osservarsi, quando lo psoriasis siede alla verga; — delle placche con croste esistevano ai ginocchi. Ci raccontava che ne era affetto per la seconda volta; nes- suna causa occasionale capace di dar luogo a tale malatia, per il passato non aveva sofferto che delle lievi affezioni feb- brili, e due volte era stato affetto da blennoragia semplice— Dei suoi genitori nulla seppe dirci, non avendoli mai cono- sciuti. Fu sottoposto alla cura comune, come nei casi prece- denti e le squami caddero e diminuirono, lasciando la pel- le rosso-bruna, calda e secca, che poi andò mano mano ri- tornando al suo stato normale; però lo scroto rimase alquan- to ipertrofizzato. Usciva dalla sala dopo 28 giorni di tratta- mento, quasi completamente guarito dell’ affezione erpetica. Considerazioni — Bazin considera lo psoriasis scrotale e prepuziale, come di natura artritico piuttosto che dartroso, e quantunque lo novera tra le affezioni erpetiche, pure dice — 251 - che tale varietà appartiene più frequentemente all’ artri- tici che al dartro. Hardy lo considera" come puramente dartroso , non ammettendo questo illustre dermatologo l’artrite come morbo radicale di affezioni cutanee; — Lo è il solo caso osservato da me nelle sale dell’ Ospedale S. Lui- gi nello spazio di cinque mesi, e sembrami che tale varietà di sede è alquanto rara in paragone con le altre. Ecco così descritte quattordici osservazioni di psoriasis che ho creduto essere i più interessanti fra i molti casi di tale malatia, osservati nelle sale dell’ Ospedale S. Luigi, cli- niche del Bazin, dell’ Hardy e del Devergie: — da queste os- servazioni mi propongo desumere qualche idea, che valga a schiarire la patologia e la clinica dello stesso ; però per le varietà di sede e di forma che non ho potuto osservare bisogna uniformarmi a quanto dicono di esse gli autori , e sopratutto lo Hardy ed il Bazin che attualmente sono i ca- piscuola della dermatologia moderna. PARTE ANATOMICO-PATOLOGICA ETIOLOGIA DELLO PSORIASIS Nello studio di qualsiasi malatia; Ittiologia è sempre uno dei paragrafi più importanti, potendo essa sola talvol- ta schiarire molti punti della patologia del morbo; e noi in questo primo paragrafo cercheremo di esporre quanto si sà sulla etiologia dello psoriasis. Eredità — L’eredità è forse una delle cagioni che hanno maggiore importanza nella genesi delle psoriasis, infatti in se, sia in forma di dartro secco, (psoriasis) o di dartro umido (eczema, impetiggine); ed a questo riguardo facciamo osservare, che essendo lo psoriasis una malatia eminente- mente dartrosa, non sono rari i casi in cui la stessa diate- si dartrosa o erpetica si manifesta sotto differenti forme , vale a dire restando sempre la stessa la natura della malatia, si mctamorfìza. La metamorfosi ereditaria di talune mala- tie oggi è cosa ben stabilita in patologia, essa è frequen- te nelle nevrosi, cosi continuamente si osserva in pratica V epilessia dei genitori dare la mania , l’ isteria o 1’ atassia loco-motrice nei figli, per poi ritornare di bel nuovo epiles- sia nei discendenti, in simili casi nulla è cambiato riguar- do alla natura del morbo, solamente la forma morbosa è differente; la nevrosi di moto si è metamorfizata in nevrosi di intelligenza / e nulla più: — noi abbiamo inteso molte volte propugnare questo principio di patologia dall’ illustre professore Trousseau nelle sue lezioni orali, fatte all’ Hotel Dieu, e lo ripete ancora nella sua Clinica medica, parlan- do dell’epilessia e dell’ atassia loco-motrice. Or quello che suc- cede per le nevrosi, avviene ancora per la diatesi dartrosa e quindi per lo psoriasi s. Il professore Hardy comprende nella diatesi dartrosa quattro affezioni cutanee , differenti per la forma, ma identiche per la natura, e che richiedono quasi la stessa terapeutica, cioè lo eczema e l’impetiggine, 10 psoriasis, lo ptiriasis, ed il lichene; quindi non deve re- car meraviglia se da un genitore eczematoso p: e: nasce- rà un figlio che porterà lo psoriasis od altrimenti, non es- sendo ciò che una modificazione nella forma, a seconda del- le condizioni organiche dell’ individuo su cui viene trasmes- sa la diatesi dartrosa. La eredità quindi è una causa ben stabilita dai patologi, che può dar nascita allo psoriasis, sia direttamente o per metamorfosi d’ una altra affezione erpe- tica; e noi l’abbiamo fatto rilevare nelle precedenti osser- vazioni. Temperamento — Il temperamento sanguigno sembra es- sere un terreno fertilissimo allo sviluppo dello psoriasis, ed 11 professore Hardy dice , che esso è il dartro delle perso- ne che godono la miglior salute del mondo: nelle pre- cedenti osservazioni abbiamo sempre trovato lo psoriasis in persone sanguigne, se togliamo i tre casi di psoriasis pal- mare sifìllitico. Esso non c una malatia propria degli in- dividui linfatici a quanto sembra, in costoro quando la dia- tesi dartrosa inguina il loro sangue, le manifestazioni cutanee - 200 — non sono a forma secca squamosa, ma piuttosto é lo ecze- ma, la impetiggine che si manifesta. Sesso. In generale si dice che gli uomini sono più pre- disposti che le donne allo psoriasis: e noi siamo ancora di tale avviso, infatti sopra quattordici casi surriferiti, quattro volte solamente l’ abbiamo trovato nelle donne, e se toglia- mo ancora le tre donne sifillitiche, possiamo dire che una so- la volta abbiamo osservato lo psoriasis puro dartroso: mentre che la cifra degli uomini è di gran lunga maggiore:— probabil- mente ciò dipende dal perchè nelle donne il temperamento puro sanguigno non tanto predomina, mentre è il contra- rio per gli uomini, ed essendo le donne ordinariamente lin- fatiche e nervose, è lo eczema od il lichene tra le affe- zioni erpetiche che le si manifesta; negli uomini l’eczema impettigginoso, lo psoriasis, lo ptiriasis. Età. L’infanzia ne è quasi esente, giacché nei bambi- ni la diatesi erpetica si manifesta piuttosto sotto forma di eczema o d’ impetiggine dal cuojo capelluto principalmente, che di squami. L’età adulta è quella propria alla comparsa della malatia, e le nostre osservazioni ci danno che esso è frequente da 20 a 50 anni. Cazenave dice, che è rarissimo vederlo comparire dopo i 50 anni per la prima volta, e che la età propria per la sua prima comparsa oscilla dai 15 a 25 anni. Stagioni. — La primavera è più propria alla comparsa dello psoriasis, al pari di ogni altra affezione erpetica, nelle altre stagioni è raro, anzi ordinariamente suole scomparire spontaneamente in inverno, purché la malatia non sia molto invecchiata; forse ciò dipende dalla maggiore attività fun- zionale che la pelle ha nelle stagioni calorose, e quindi sotto l’ influenza del calore, la malatia diatesica trova una circostanza più atta alle sue manifestazioni cutanee: ciò val- ga per lo psoriasis dartroso non già per quello silìllitico , — 201 — che essendo una sifìllirìe squamosa, può benissimo manife- starsi in qualunque stagione. Clima. — Riguardo alla influenza etiologica che potreb- bero avere i climi, nulla si conosce di preciso; ma se de- vesi ammettere che ne possono avere qualcheduna , al certo i climi caldi sembra dover essere più atti allo svilup- po dello psoriasis ; e ciò lo deteggiamo non per paragoni fatti, perchè la statistica nulla ci dice a questo riguardo , ma sibbene dal perchè vediamo che esso è più frequente nelle stagioni calde, e che, se si osserva frequente nei climi freddi, ciò puossi attribuire a ben altra condizione etiologi- ca, sopratutto alla vittitazione molta azotata ed alcoolicau- sata dagli abitanti del settentrione. Cibi e bevande. — Lo psoriasis, dice il professore Hardy, è il dartro di coloro che godono perfetta salute, quindi del- le persone che fan uso di cibi molto nutritizi^ di bevande alcooliche, di sostanze eccitanti aromatiche — in effetti dal- le nostre osservazioni risulta di averlo trovato più di una volta in individui bevoni. Professioni ecl arti. — Tutte le professioni ed arti che espongono l’individuo a lavori duri e fatigosi, predispongo- no alla malatia in esame, infatti è frequente nelle classi ar- tigiane della società, meno nei ricchi i quali fanno poco o nulla di lavoro fisico. Le professioni che espongono la pel- le a contatto di materie irritanti, come nei tintori, murifa- bri, fabriferrai, minatori, ec.; come ancorale professioni che obbligano a tenere la pelle esposta ai raggi solari o di una sorgente di calore qualunque, possono predisporre allo psoriasis. Animopatemi . — La paura può essere una cagione occa- sionale capace a farlo manifestare. Hardy cita un caso di un individuo che fu affetto di placche psoriache in segui- to allo spavento avuto cadendo nel fiume, ove era per an- negarsi. Le veglie protratte, le afflizioni di animo si dice possono influire a far nascere questa malatia, però diciamo che bisogna sempre che la diatesi dartrosa esista nell’orga- nismo. Azioni meccaniche. — Il professore Bazin dice aver vi- sto apparire lo psoriasis sul luogo ove erano state applicate delle ventose, non solo, ma talune leggiere punture e scor- ticature produrre anche lo stesso effetto; noi le riteniamo come cagioni occasionali determinanti la manifestazione er- petica. DELLA NATURA SEDE E CARATTERI ANATOMICI DELLO PSORIASIS È questo un paragrafo molto oscuro della storia pato- logica dello psoriasis , giacche il dire, esso è di natura dia- tesica, quando ancora non si conosce cosa sia una diatesi, è lo stesso che confessare la nostra ignoranza , giacché fi- nora l’ematologia patologica non ci ha dimostrato in che consiste la modificazione speciale degli umori, che forma la diatesi ; di modo che attualmente conosciamo le diatesi dal- le manifestazioni cliniche che ci offrono attuandosi, mane ignoriamo la loro intima essenza morbosa. Il professore Carlo Robin definisce così la diatesi — una disposizione ge- nerale in virtù della quale unindividuo è attaccato da invi- te affezioni locali della stessa natura : T alterazione pato- logica risiede nei principii immediati che formano i tessuti e gli umori del nostro corpo, di modo che per lui, ciò che si disegna col nome di diatesi, non indica altro, che una di- sposizione novella dei tessuti ed umori, la quale si manifesta per tale o tale ordine di prodotti morbosi; ma tralasciamo di cercare di sapere cosa è la diatesi, perchè ciò spetta al- l’anatomia patologica generale e contentiamoci per ora, che lo psoriasis è un’ affezione di natura diatesica. ho Hardy, come abbiamo detto di sopra, considera sem- pre lo psoriasis come puramente dartroso, ed iochcsieguo 263 — le teoriche sue, sono dello stesso avviso , avendomele con- fermate la esperienza terapeutica; ma perii Frofcssor Bazin lo psoriasis oltre alla natura erpetica può essere artritico; ed infatti alla osservazione seconda abbiamo detto quello che su tale argomento ne pensa giustamente lo Hardy, il quale non ammette punto la diatesi artritica come sustrato di af- fezioni cutanee, e ciò non per spirito di teorica, ma per- chè i fatti clinici ed i resultati terapeutici Onora non glielo han- no dimostrato. — Riguardo poi alla natura sifìllitica dello pso- riasis palmare, diciamo solo, che siccome esso in tal caso non è che una delle svariate forme con cui si appalesa la siflllide costituzionale, non possiamo a rigor di termine rite- nerlo come un vero psoriasis, ma piuttosto come una sifìl- lide squamosa, e sarebbe meglio denominarlo siflllide squa- mosa palmare, che psoriasis. Il Professore Hebra di Vienna, come ancora quasi tutta la scuola dermatologica di Germania, niega la natura diate- sica dello psoriasis; per tale illustre Professore, non è che una malatia accidentale e puramente locale , una derma- tide. Noi qui non vogliamo scendere a combattere la teori- ca della scuola tedesca; solo facciamo riflettere, che seve- ramente lo psoriasis fosse una malatia locale, unadcrmati- de, come crede ancora il Professore Devergie, come poter spie- gare allora le sue ripetute manifestazioni cutanee in epoche più o meno lontane ed in differenti punti del corpo? Che essen- do una dermatide, una volta guarita, non avrebbe nessuna ragione a ricomparire spontaneamente a capo di un dato tempo, e senza che una cagione diretta alla cute vi avesse dato nascimento. Sicuramente un morbo cutaneo accidentale non nasce spontaneo , nò si ripete come lo psoriasis. Per tali ragioni non possiamo ammettere le idee della scuola vien- nese, perchè in opposizione ai fatti ed alla sana patologia. Riguardo alla sede dello psoriasis, è necessario distin- guere che desso, ai pari di ogni morbo diatesico, ha doppia si ATTI ACC. VOI. XX. — 264 — sede, vale a dire, la sede di manifestazioni morbose che è sulla pelle, e la sede propria della malatia che è nel san- gue, e costituisce la modificazione speciale qualitativa dei principii immediati , c forma la diatesi erpetica, come si è detto; noi qui ci occuperemo solamente della sede locale di manifestazione. — Lo psoriasis si manifesta più di frequen- te alle ginocchia ed ai gomiti, questi due punti della pelle sembrano essere nella generalità dei casi le sedi di predi- lezione, ma lo psoriasis diffuso è ancora frequente e noi lo abbiamo osservato spesso nelle sale dell’ospedale S. Luigi; — il palmare poi è molto frequente per la sua natura ordina- riamente sifillitica: le altre varietà di sede sono più o meno rare. — Bazin ritiene, che la sede deli’ alterazione patologica sia nelle papille epidermiche , mentre che per lo Hardy sarebbe il corpo mucoso di Malpighi; sembra più probabile la sede ammessa del Bazin. I caratteri anatomici proprii della manifestazione dello psoriasis ordinariamente non consistono in altro, che in una papula rossa, appiattita , simile a quelle sifilitiche, la qua- le si ricuopre di squami piccole, bianco-argentine, soprapo- ste le une alle altre, c fortemente aderenti fra di loro : la papula gradatamente guadagna in circonferenza e s’ingran- disce: però dobbiamo dire, che allorché la papula s’ingran- disce, perde completamente i caratteri di papula , se pure essa in principio può chiamarsi una papula: la pelle s’i- pertrofìzza e la placca che ne risulta di alquanto supera il livello della cute sana. Ma non vogliamo con ciò dire, che la lesione elementare dello psoriasis siala papula, ma sibbe- ne la squame che la ricuopre, la quale è la sua caratteristica. — Taluni pretendono avere trovato nelle squami della placca psoriaca dei globoli di pus , ma delle osservazioni micro- scopiche minuziose non hanno menomamente altro fatto ve- dere che cellule epidermiche: soltanto in talune ricerche microscopiche da me fatte sulle squami dello individuo che — 265 — forma il soggetto della seconda osservazione, assieme alle cellule epidermiche, trovai molti leucociti, ma essi certa- mente provenivano dall’umore che gemeva dalle ragadi , che portava alle mani e non altro.- Le squami aumentandosi sempre più, arrivano talvolta a formare un denso strato squamoso, che se siede sulle articolazioni, non è raro ve- dere formarvisi delle fenditure, delle vere ragadi, dalle qua- li geme sierosità e talvolta sangue, come spesso si osserva nello psoriasis palmare. — La forma della placca ordinaria- mente è rotonda, di grandezza variabile, come diremo par- lando della sintomatologia. Infine dobbiamo dire che talvolta lo psoriasis non incomincia con la papula, ma per la placca squamosa. CLINICA DELLO PSORIASIS SINTOMATOLOGIA Dobbiamo distinguere nella sintomatologia dello psoriasis i sintomi propri della malatia e quelli offerti per le sue va- rietà di sede e di natura. I sintomi propri sono quasi tutti locali ed accessibili alla vista, infatti la placca squamosa ha per suoi caratteri , una grandezza variabile da una testa di spillo (psoriasis pun- tato) ad una intiera regione del corpo. Le placche sono di co- lore rosso-bruno, che rassomigliano di molto a quelle sifili- tiche , sono sempre sporgenti dalla pelle sana e si termina- no a bordo preciso, di modo che vi è un limite marcatis- simo tra la pelle sana e la placca : questa è sempre coper- ta di squami fine, bianco-argentine, secche, lucide, picco- le ed incollate le une sulle altre; raschiandole con le unghia cadono in fina polvere: qualche volta sono molto aderenti e non cadono facilmente, o se cadono raschiandole, produco- no delle leggiere scorticature sanguinose. Non è raro ve- fH* — 266 — dére due o più placche che piccole erano distanti, ingran- dendosi poi finire col riunirsi e formare una grande placca. Le squami ordinariamente sono al centro della placca, di mo- do che alla periferia rimane un bordo rosso bruno a guisa di aureola, che fà risalto sulla 'pelle sana. — Delle fenditure più o meno profonde c lunghe vi si trovano talvolta, spe- cialmente quando la placca è dura e siede sulle articola- zioni, dalle quali geme umore sanguinolento, che sporca il colorito bianco delle squami.— In simili casi quando le raga- di sono molto profonde, e le squami molto spesse, lo eserci- zio libero delle articolazioni può essere più o meno distur- bato, così noi abbiamo osservato degli individui affetti da psoriasis palmare o plantare con ragadi profonde, che non potevano chiudere la mano nè camminare bene. La placca è sempre sede di prurito più o meno inten- so, questo carattere viene negato dal Devergie, ma tanto lo Hardy che il Bazin lo ritengono come immancabile e pato- gnomonico dello psoriasis. In taluni il prurito è molto in- tenso, che li forza a grattarsi fortemente con le unghia , e prodursi delle sgraffiature c delle profonde lacerazioni alla pelle, in altri è appena avvertito; però sempre si aumenta con lo strofinio e col grattuggiamento. — Lo psoriasis palmare sifillitico è esente di prurito, come lo è ogni altra affezione cutanea sifillitica. Tali sono i sintomi propri dello psoriasis, del resto gli individui godono ordinariamente perfetta salute , mangiano e digeriscono bene, tutte le funzioni si esieguono normal- mente; però in taluni casi, quando la malatia è molto an- nosa e troppo estesa, la digestione si può alterare, sia come conseguenza della disturbata perspirazione cutanea, sia an- cora per la mancanza del sonno cagionata dal forte prurito, ed andare lo individuo gradatamente deteriorando in salute fino a che una malatia intercorrente, ordinariamente la pol- monite, lo spinge al sepolcro. — 261 Lo psoriasis nella sua sintomatologia offre delle varie- tà a seconda la forma della placca ed a seconda la sua se- de. Le varietà di forma sono le seguenti quelle ammesse dallo Hardy. 1 . ° Psoriasis guttato. 2. ° Psoriasis circinnato o lepre volgare. 3. ° Psoriasis girato. 4. ° Psoriasis diffuso. Il Professore Bazin oltre alle precedenti varietà , am- mette lo psoriasis puntato, il nummulare. e l'inveterato; ma possiamo togliere quest’ ultima varietà, che in nulla dif- ferisce dagli altri psoriasis tranne per il lungo tempo di sua durata, e ci contentiamo di aggiungere alla divisione fatta dallo Hardy, la varietà nummulare , giacché lo psoriasis pun- tato altro non è che la forma iniziale dello psoriasis guttato. 1. ° Psoriasis guttato. — È caratterizzato da macchie del- la grandezza di un pezzo di 20 centesimi di lira, sporgenti, arrotondite, bianche per le squami che vi sono sopra , e somigliano molto a delle stille di candela stearica fatte ca- dere sulla pelle, donde le venne il nome di guttato. Questa è la forma per la quale ordinariamente s’ inizia la malatia e siede spesso ai gomiti ed ai ginocchi, sullo ad- dome, al petto. — Dal Devergie fu distinto in puntato e num- mulare, che altro non sono, che sole differenze nella gran- dezza della placca: se piccola quanto la testa di uno spillo e sparso sul corpo si dice psoriasis puntato , che ingran- dendosi e riunendosi più macchie, formano la varietà gutta- ta : il nummulare è allorquando le macchie hanno acquista- to la grandezza di una moneta di cinque lire di argento. 2. ° Psoriasis nummulare — L’ abbiamo detto or ora che altro non è, se non la forma guttata la quale ha raggiunta la grandezza di cinque lire di argento : è rotonda ordinaria- mente, ed è molto frequente ad osservarsi in pratica: non è raro trovare sullo stesso individuo tutti tre gradi —cioè, puntato guttato e nummulare, sparsi in diversi punti della cute . 3. ° Psoriasis circinnato o lepre volgare — Questa è la varietà di forma più importante a studiarsi ed a conoscersi, giacche offre molte difficoltà nella diagnosi , potendosi confondere benissimo con l’erpete circinnato, che come si sa è una malatia parassitarla. Io ne ho osservato un solo caso nelle sale del Professore Dcvergie, ma con mio dispia- cere non ne ho potuto riferire la storia non avendola rac- colta, nella speranza che altri casi ne avessi potuto osservare e studiare meglio, ma così non fù. Come lo dimostra bene la denominazione che ha ricevuto, questa varietà si presenta in forma di cerchi, 'il di cui centro è sano : questi cerchi sono regolari o pure a segmenti di cerchio o a ferro di ca- vallo, in tutto molto somiglianti a prima vista a quelli del- l’ erpete circinnato. — Hardy ne ha osservato un caso i cui cerchi somigliavano perfettamente alla carta geografica della Gran-Brettagna , motivo per cui da taluni dermatologi se ne è voluto fare una varietà distinta, dicendola psoriasis figu- rato o geografico. — [caratteri della macchia sono quelli del- le altre varietà. — I cerchi sono di grandezza variabile, e si possono formare in tre modi differenti, sia che sin da prin- cipio nascono realmente tali, ma piccoli e poi mano mano il cerchio s’ ingrandisce ; sia che si formano da una mac- chia di psoriasis nummulare che si guarisce al centro, e re- sta il bordo soltanto della placca a formare il cerchio : sia infine che si formano per la riunione in giro di più mac- chie di psoriasis puntato o guttato. 4. ° Psoriasis girato— Questa, varietà differisce dalla pre- cedente perchè la placca invece di formare cerchi arroton- dati, dà luogo alla formazione di cordoni squamosi, rossi e sporgenti, che descrivono ora delle linee rette o delle si- nuosità capricciose sui membri o sul tronco, che qualche — 269 volta sembrano cingere come una cintura più o meno com- pletamente. 5.° Psoriasis diffuso — È costituito da larghe placche irregolari nella grandezza e nella forma, sparse sul tronco e sugli arti, senza che si potessero riferire ad alcuna varie- tà distinta; spesso varie di queste placche irregolari si riu- niscono assieme, ed allora una intiera regione del corpo può esserne coperta. Questa varietà è la forma propria dello psoriasis invecchiato e cronico, ed è molto ribelle alla te- rapeutica. Le varietà che ci offre a studiare lo psoriasis per ri- guardo alla sede, sono le seguenti. 1 . ° Psoriasis capitis o del cuojo capelluto — Come si comprende facilmente esso siede alla testa e propriamente al cuojo capelluto, in forma di placche squamose più o meno rotonde, ma più secche e squamose che altrove, le quali han- no per effetto di far seccare i capelli e farli cadere , però siccome i follicoli pilosi non sono attaccati, così i capelli ri- nascono prontamente, spesso si estende sulla fronte. Noi ne abbiamo riportato due osservazioni. - Ordinariamente coesi- ste con macchie di psoriasis ai gomiti ed alle ginocchia. Quan- do invade la faccia le squami sono linee superficiali da so- migliare quelle dello ptiriasis. 2. ° Psoriasis palpebrale — Offre delle squami leggiere e sottili e dà alle palpebre un’aspetto di rudezza, qualche volta può produrre anche l’ ectropion e determinare una epifora molto incommoda: si vede talvolta propagarsi alla mucosa palpebrale e produrre blefaritidi croniche ed erpe- tiche. 3. ° Psoriasis plantare e palmare— Sono frequenti i ca- si di questo genere, le placche sono più o meno larghe e talvolta comprendono tutta la mano ed il piede, sono spesse c molto squamose, e frequentemente accompagnate da fen- ditureprofonde, che lasciano vedere un fondo rosso-bruno — 210 — da dove geme un umore sieroso, che si concreta in croste sulla superficie. La preensione degli oggetti ed il cammino possono essere profondamente disturbati per effetto della ru- dezza delle squami, che impediscono di flettere completa- mente e facilmente le dila; e la malatia può arrivare a tale, che l’individuo non potendo più chiudere le mani , è co- stretto farsi servire per mangiare. — Questa varietà è molto ribelle alla cura, e quando esiste sola, per lo più è un ca- rattere d’infezione sifìllitica. 4. ° Psoriasis delle unghia— Quando è mite ed isolato, passa inavvertito; ma se coesiste col palmare, ed è di qual- che intensità, allora si osserva che le unghia sono inegua- li, rugose e cadono lasciando una crosta squamosa a gui- sa di scaglia. — Se è ben curato l’unghio rinasce. None ra- ro veder confondere dai medici lo psoriasis delle unghia, con l’onixis sifìllitica, ma con un poco di attenzione, e rian- dando alla cagione della malatia sarà facile differenziarli : lo che è molto necessario atteso che la cura in ambidue è differente. 5. ° Psoriasis prepuziale e scrotale — Quando le placche siedono sulla verga o sullo scroto costituiscono questa varie- tà; talvolta la malatia occupa ancora il ghiande. — Questa se- de è molto pericolosa per le quistioni cui può dar luogo, più ancora perchè rende doloroso ed anco impossibile il coito e la erezione. Le squami sono molli e separate da screpolature: quan- do tutta la verga ne è presa, offre qualche rassomiglianza con la malatia detta delle Barbade. 6. ° Psoriasis generale— Si dice così quando la malatia si estende a quasi tutta la superficie cutanea: esso è carat- terizzato da squami poco spesse, poco aderenti e non so- prapposte, che ricuoprono una superficie rosso-bruna. Noi ne abbiamo osservato tre casi, dei quali uno ne era affetto per la prima volta. Ordinariamente è tenace e ribelle alla — 211 — terapeutica sopra tutto se molto annoso : in taluni casi di psoriasis generale invecchiato, quando le squami sono mol- to spesse, e con delle fenditure, allora la pelle rassomiglia molto alla scorza degli alberi vecchi coperti di lichene. Queste sono le varietà, che bisogna ammettere nelio stu- dio clinico dello psoriasis, e noi le abbiamo brevemente de- scritte . ORIGINE DELLO PSORIASIS La origine di questa affezione cutanea è lenta, appari- sce graduatamente , nel maggior numero dei casi sono i gomiti e le ginocchia che ne sono affetti per i primi, e spes- so rimane per molti anni limitato in tali punti, ma può be- nissimo sia nella stessa durata della manifestazione, sia nel- le successive estendersi e guadagnare terreno, affettando al- tre regioni del corpo. É raro che incomincia a sede gene- rale , noi ne abbiamo avuto un solo caso, ed Hardy rac- conta il caso di un individuo, che cadde nella Senna ove era per annegarsi, e pochi giorni dopo fu coperto di squami di psoriasis, però tace se ne era per la prima volta affetto. CORSO È cronico, quantunque Bazin ammette che può essere acuto, ammettendo questo illustre dermatologo la varietà scarlattiniforme artritica. Devergic ammette ancora che può essere acuto ma solo nel senso della eruzione , perchè egli stesso poi dice, che lo psoriasis è una malatia ribelle e di lunga durata. La durata della malatia è lunga e per lo più dura tutta la vita, come succede per talune diatesi, che la terapeutica può solamente modificare, ma non guarire. La manifesta- zione ha una durata varia, per lo più di poche settimane, ATTI ACC. TOL. XX. ^ — 212 poi sparisce, ma per ritornare a capo di un certo tempo; talvolta passano molti anni prima che ritorni per la secon- da volta; ma alla fine col ripetuto succedersi, le squami fi- niscono per restare perenni , si domiciliano sulla cute e non svaniscono più, anche sotto le più energiche cure. ESITI Al pari di ogni altro morbo diatesico dobbiamo distin- guere gli esiti della diatesi, e quelli della manifestazione : questa dopo essere durata per qualche tempo scompare , la pelle ritorna ad essere pulita dalle squami, restando leg- germente ipertrofizata; ma scorso un tempo variabile, tal- volta di molti anni, la placca apparisce di bel nuovo spon- taneamente sullo stesso punto o altrove.— Poscia col ripe- tersi degli attacchi finisce col perennarsi, di modo che l’e- sito per guarigione della manifestazione è temporaneo; nei casi di percnnamento la salute dell’ infermo può mano ma- no alterarsi, ed uno stato cachettico incominciare, che com- prometterà la vita. In quanto agli esiti delia diatesi dartrosa possiamo di- re, che è molto ribelle alla terapeutica, e che semplici mi- glioramenti si possono avere, ma giammai la guarigione ; perchè si manca di un rimedio specifico, quindi il peren- namento è l’esito della diatesi erpetica. DIAGNOSI La diagnosi dello psoriasis è facile in moltissimi casi, giacché i caratteri della placca sono speciali, di maniera che incontrando una placca di colore rosso bruno , coperta di squami fine, bianche e soprapostc, più, il rilievo che fà la placca dalla cute sana, ed il prurito più o meno intenso che l’accompagna; costituiscono i segni per cui la diagnosi del- — 213 — lo psoriasis sarà facile. Ma pur non di meno sonvi dei ca- si in pratica la cui diagnosi è molto diffìcile, c che spesso spesso vengono scambiati con altre affezioni cutanee , che per lo più richiedono tutt' altro trattamento curativo : noi su di tali affezioni cutanee cercheremo di portare la dia- gnosi differenziale. Con quali malatie cutanee si può confondere lo pso- riasis? In generale diciamo con le malatie squamose, essen- do esso il tipo delle malatie, che hanno per lesione elemen- tare la squame. Ed in primo luogo troviamo la sifiliide squamosa det- ta sifillide circinnata dei sifilliografi moderni, o lepra sifil- litica, la quale si può confondere con lo psoriasis circinna- to o lepra volgare. — La diagnosi differenziale si avrà ai seguenti caratteri; l’eruzione cutanea sifillitica è sempre in- dolente, cioè senza prurito, inoltre la sifillide cutanea sem - pre si accompagna di altri fenomeni secondari non solo, ma ancora sulla pelle si osservano differenti forme, così con la sifillide squamosa si accompagna la papulosa, la vescicolo- sa; mentre che per lo psoriasis circinnato, esiste il pruri- to, e sulla pelle non vi sono altro che placche squamose a cer- chi o a segmenti di cerchio; le squami in questo sono più spesse, e più aderenti, nella lepra sifillitica sono superfi- ciali e pochissimo aderenti. In quanto poi allo psoriasis pal- mare sifillitico sarà facilissimo differenziarlo dal dartroso , ai fenomeni concomitanti di sifillide costituzionale. Lo psoriasis circinnato si può confondere ancora con l’erpete circinnato, che come si sà da chiunque, è una ma- latia parassitala, dovuta al trico/ìto, al pari del sicosis ed erpete tonsurante. I caratteri differenziali sono, il bordo del cerchio nell’ erpete circinnato è poco marcato e poco rile- vato, segna spesso una semplice linea curva senza squami; mentre che nello psoriasis il bordo è marcatissimo, solleva- to, e molto squamoso. Il corso della malatia serve benis- * 214 — simo a differenziare queste due affezioni, giacche l’erpete eircinnato si estende rapidamente in senso centrifugo , in modo che guadagna in pochi giorni una vasta superficie cutanea , laddove che lo psoriasis cammina lento o resta stazionario, finalmente nei casi ove la diagnosi sarà ancora dubbia, il microscopio deciderà; poiché se trattasi di un erpete eircinnato, il parassita trico/ìto non mancherà mai; se poi è un psoriasis eircinnato, non si osserveranno altro che cellule epidermiche. Il lichene quando è circoscritto e dura da molto tem- po, si può confondere con lo psoriasis; ma se si riflette be- ne alla lesione elementare si troverà, che nel lichene è la papula e nello psoriasis la squame, e se nel lichene si tro- vano delle squami, queste non sono mai così spesse, e la pelle non diviene mai sì rude come nello psoriasis: il luo- go di predilezione ancora ci servirà alla diagnosi , laddove che nello psoriasis d’ ordinario sono i gomiti e le ginocchia, nel lichene sono gli altri punti della pelle : infine il colorito rosso bruno della placca di psoriasis manca nel lichene. Per queste ragioni sarà facile la diagnosi. Lo ptiriasis cronico si differenzia dallo psoriasis, perle squami che in quello sono poco spesse, non argentine, nè stanno sù placca rosso-bruna e sollevata dalla cute sana , come si osserva nello psoriasis; in tutti i casi basterà esa- minare i ginocchi ed i gomiti per togliere ogni quistione , e dimandare qualche cosa sull’ origine e corso della mala- tia, per avere la diagnosi differenziale. Lo stesso dicasi dello eczema lichenoide al periodo di desquamazione : la lesione elementare in esso è stata la vesci- cola o la papula, che per le fasi proprie della malatia òdi- venuta semplice squame : le squami sono piccole , superfi- ciali, non aderenti, nè sopraposte, sporche , c non sedenti sù placca rosso-bruna; più non hanno quella aridità carat- teristica delle squami psoriache. Finalmente le squami ecze- matose si staccano facilmente non in polvere ma unite a lembi, come le membrane della cipolla; nè siedono mai al- le ginocchia ed ai gomiti, come si osserva nello psoriasis. PROGNOSI Lo psoriasis non è una malatia che compromette la vita dell’ infermo, solo è una malatia seccante ed incomoda per la sua lunga durata e perchè disturba talvolta il libero e- sercizio di talune funzioni, così quando è alle mani, ai pie- di, alla verga, al prepuzio: quindi la sua prognosi non of- fre nulla di gravità; solo quando dopo molti anni di dura- ta incomincia ad alterare le funzioni organiche dello indi- viduo, soprattutto nei vecchi, perchè li rende più suscetti- bili alle influenze morbifere, ed impotenti a resistere alle af- fezioni intercorrenti, allora la prognosi acquista della gravità. Nei primi tempi delle manifestazioni psoriache il pra- nostico è felice, perchè sarà facilissimo farle scomparire in breve tempo; ma quando per le ripetute comparse la placca si stabilisce cronicamente, allora il pronostico diviene riser- bato, non essendo facil cosa far scomparire le placche an- nose. Il pronostico varia a secondo delle varietà, come ab- biamo fatto rilevare parlando di esse, varia ancora a secon- do della età dell’ individuo, che se giovane sarà facile otte- nere la guarigione temporanea della manifestazione squamo- sa; ma se vecchio sarà con piu difficoltà che si potrà rag- giungere questo scopo. PARTE TERAPEUTICA Eccoci arrivati alla parte più importante della malatia in esame, quella cioè di saperla curare, e guarire se fia possibile, giacché il saper bene diagnosticare un morbo non basta, bisogna saperlo guarire. — 216 — Igienicamente si sottrarrà l’infermo da tutte quelle ca- gioni che potrebbero favorire il perennamento della mala- tia, bandire 1’ uso delle bevande alcooliche, sottrarre dalla tavola le sostanze aromatiche; insomma sottoporre l’indivi- duo ad una vittitazione regolare, mantenere la pulitezza del corpo e della biancheria, evitare infine P umidità. * I mezzi locali messi in uso dei pratici sono svariatis- simi, quasi ogni medico ne crea uno a sè. Noi non passe* remo in rassegna tutti gli unguenti e pomate adoperate per- chè lo crediamo inutile , non avendone costato la efficacia terapeutica: quindi* ci contenteremo soltanto a dire della cura locale dello psoriasis che si fà nell’Ospedale S. Luigi dal professore Hardy, perchè è sempre riuscita a meraviglia. I mezzi terapeutici locali si riducono in pomate, in fri- zioni con olii irritanti, e nei bagni. Dal professore Hardy si usa a preferenza la pomata di catrame, della quale ne dà tre forinole, che chiama pomata al decimo, al quarto, al terzo e sono cosi formolate. P. Sugna lavata 30g.mDU Catrame 3g.mm‘ M . esattamente P. Sugna lavata 30g.mm‘ Catrame 7g.mmi50c.n“D' M. esattamente P. Sugna lavata 30g.mml Catrame. ....... 10g.mmi M. esattamente Queste pomate egli le usa a seconda della suscettibilità della pelle, ma preferisce quasi sempre la pomata al quar- to, frizionandola sulla placca. Della stessa pomata mi sono servito io in molti casi con sommo vantaggio. Hardy si serve ancora della pomata di olio di ginepro cade,) ma vale meglio adoperarlo solo in frizioni come u- sa Bazin, e se ne ottengono felicissimi risultati anche nello m — psoriasis invecchiato. Bazin dice, che le frizioni con l’olio di ginepro si devono fare fortemente e prolungate fino a de- terminare la comparsa di una eruzione artificiale, che egli chiama sicosis caclique, la qual cosa si ottiene strofinando rudemente l’olio essenziale di ginepro con una pezzuola di flanella, due o tre volte al giorno. I bagni sono un mezzo giovevolissimo nella cura dello psoriasis. Nell’ospedale S. Luigi contro questa affezione si adoperano a preferenza i bagni a vapore, gli alcalini ed i sol- furei, i quali sono sempre riusciti a meraviglia e noi non pos- siamo fare altro che raccomandarne l’uso. Bastano questi mezzi esterni per fare cadere le squami ed a capo di qualche settimana fare scomparire la macchia rossa, specialmente se lo psoriasis non è invecchiato; però non impediscono che a capo di un certo tempo più o me- no lungo non comparisca di bel nuovo; quindi la necessità di aggiungere alla cura locale l’uso di taluni mezzi interni, che varranno a correggere la diatesi, e che devesi prose- guire per molto tempo, dopo che è scomparsa la placca. I mezzi trovati più efficaci a correggere la diatesi dar- trosa, possonsi ridurre alle preparazioni arsenicali ed alla tintura di cantaridi; ma siccome questa cagiona erezioni do- lorose cosi non sempre puossi adoperare; e vale meglio sem- pre servirsi delle preparazioni arsenicali soprattutto se lo psoriasis siede all’asta virile. — Tanto dallo Hardy che dal Bazin le preparazioni arsenicali sono amministrate sia in forma pillolare, o pure in soluzione (liquore di Fowlleij o pure con la formola seguente: P. Acqua distillata 250g.ran” Arseniato di soda 0,05.a0,10 amministrandone da prima un cucchiajo al giorno, poi due; per le pillole rimane la stessa la dose dello arseniato di so- da, che si unisce allo estratto di dulcamara:— ma vale me- glio la soluzione che le pillole. * - 218 Dal Professore Hardy si è adoperato ancora il balsamo di copaive, ed infatti dei buoni risultati se ne sono ottenuti, i quali sono registrati in una memoria scritta dal Dr. Du- puy, in cui descrive tre casi di psoriasis guariti con l’uso interno del copaive: — ma osservazioni posteriori fatti dallo Hardy e dal Bazin hanno dimostrato, chetale metodo cura- tivo non sempre riesce. Dal Bazin è stato pure adoperato l’uso interno dell’ o- lio essenziale di ginepro, in dose frazionata, ma egli stesso confessa che i resultati ottenuti sono al pari di quelli del copaive fallaci ed incerti. Abbiamo descritto l’osservazione di un individuo affetto da psoriasis generale diffuso, curato col tartaro stibiato in- ternamente e che se ne ebbe felice successo; egli è deside- rabile che tale metodo venga sperimentato, onde bene stu- diare i suoi vantaggi terapeutici, affinchè trovatolo giove- vole al pari dello arsenico, della tintura di cantaridi, la te- rapeutica dello psoriasis e delle altre affezioni dartrose pos- sa arricchirsi di un altro agente terapeutico. In Germania abbiamo detto che lo psoriasis è ritenuto da quasi tutti i dermatologi, 1’ Hebra in capo, come una ma- latia locale ed accidentale della cute, e quindi i mezzi te- rapeutici adoperati sono puramente locali. La cura che il Professore Hèbra adopera è la seguente: Prescrive una so- luzione alquanto allungata di solfuro di calcio, ed unge con essa ogni punto affetto da psoriasis, strofinando con pezzuo- la di flanella, sino a che le squame sono cadute, ed il cor- po papillare rimane scoverto e nudo: poscia mette lo am- malato in un bagno caldo ove lo fa dimorare per un’ora, indi asciuttatolo, unge le parti prima affette da psoriasis con sostanze grasse, olio di fegato di merluzzo ec. ec. ed anco con unguento di catrame. Il Niemeyer adopera la soluzione di sublimato per il trattamento locale dello psoriasis limitato e non antico. — Dal Veiel poi si associa al trattamento esterno del Professo- re Hébrà l’uso interno delle pillole asiatiche. Ecco quanto mi proponeva dire sullo psoriasis, c che sebbene il presente lavoro sia manchevole in molti para- grafi, pure visto il difetto di Ospedali speciali per le mala- tie cutanee che esiste in questa città, mi auguro che tro- verà un compatimento, e qualche vantaggio potrà arrecare alla pratica di chi si addice a curare simili affezioni. * • ' ‘ ; DESCRIZIONE DI ALCUNI RESTI FOSSILI GRANDI MAMMIFERI RINVENUTI IN SICILIA PRECEDUTA DA ALCUNE CONSIDERAZIONI SUI MAMMIFERI VIVENTI E FOSSILI IN GENERALE E SU QUELLI DELLA SICILIA IN PARTICOLARE Pei il Socio 2.° Direttore LETTA nella seduta del 94 Aprile 1801, 36 ATTI ACC. VOL. XX. - , Il est sensible, en e(Tet, que les ossemens des quadrupedes peuvent conduire, par plusieurs raisons a des resul tats plus rigoureux qu’au- cune aulre depouille de corps organisès — Cuv. Le ossa fossili di grandi mammiferi hanno mai sempre for- mato oggetto di maraviglia e di curiosità per gli uomini del volgo ed argomento di diligenti ricerche , d’ indefesso stu- dio e di profonde meditazioni per i cultori della storia na- turale. In gran copia sono state esse rinvenute in vari tem- pi ed in luoghi diversi della superficie del globo, ora riu- nite ed affastellate in naturali grotte e caverne ed or qua e là disseminate. Il suolo dell’ Isola nostra non si può dir privo di questi avanzi preziosi, ed ha al pari di molti altri le sue caverne ossee, che travagliarono le menti dei natu- ralisti nostrani, in guisa da far sorgere tra loro le più aspre contese in un tempo in cui la storia naturale , e segnata- mente la paleontologia, quivi erano sul nascere. Le ricer- che che sono state fatte in varie regioni della terra degli organici fossili di cui è parola ed il loro studio, hanno apportato vantaggi inestimabili alla zoologia ed alla geologia, e sono state feconde di utilissimi risultamcnti, sopratutto per la po- — 284 — tenza del genio dell’ immortale Cuvier , che con un muc- chio di ossa dislocate, frammischiate e spesso in gran par- te quasi frantumate creava degli scheletri interi di animali non mai conosciuti, perchè estinti , e. dei quali giungeva sinanco a fissare i caratteri ed il modo di vivenza. È a que- sto grande e sublime studio che la scienza degli animali deve la scoverta dei Marnmuth, dei Mastodonti, dei Mega- terii, dei Dinoterii, degli Ànaploterii, degli Àntracoterii, dei Cherepotami , dei Lofiodonti, degli Adapi , degl’ Ileosauri , degl’ Ittiosauri, dei Plessiosauri , dei Pterodattili e di molti altri che costituiscono un piccolo mondo di esseri animati, che dopo aver vissuto sul nostro globo, finirono con dispa- rire interamente. Grande è l’ importanza dello studio delle ossa fossili ove si guardi alla influenza che esercita sulla parte della geo- logica scienza, che assegna ai varii terreni, i quali costitui- scono la scorza solida del globo, l’epoca della loro forma- zione, sulla parte, vale a dire, che è la più importante e sublime della geologia, potendosi di leggieri riconoscere, che esse sono, come tutti gli altri fossili organici, un mezzo po- tente per riuscire in tali diffìcili investigazioni . Che se il mo- do con cui i varii terreni giacciono e fra lor si consertano ed i rapporti, le affinità e discordanze che manifestano, e tut- t’ altri elementi di che risulta il loro modo di stratificazione sono da riguardarsi come mezzi che conducono il geologo alla loro determinazione, non perciò lo studio dei fossili , che sono, come le tante volte si è detto, le medaglie del- la natura, dee considerarsi da meno di quello, il metodo stratigrafico ed il paleontologico essendo entrambi di u- gualo importanza, ed il geologo che vuole riuscire in quel- le investigazioni dovendo far tesoro indubitatamente del- l’uno e dell’ altro, anzi del primo avvalersi, quando l'altro manca, o, meglio, quando i terreni son poveri di resti or- ganici, o, come può avvenire in certi punti , del tutto ne manchino. Però, mi si permetta una volta il dirlo, se sommo ed ammirevole è lo impegno che nel tempo attuale da tutti i zoologi si pone nella ricerca degli organici fossili, accurato e necessario il loro studio e non poco l’utile che ne ritrae la geologica scienza, questo non deve far meno apprezzare il vantaggio che alla zoologia ritorna dallo studio di essi, al segno di dichiararsi quasi inutile la loro descrizione, ove non sia dalle considerazioni geologiche accompagnata. Al certo questo opinare, che non è quello dell’ universale, è falso od esagerato; perciocché studiare gli organici fossili è essenziale alla scienza degli esseri organizzati, non solo per poter rintracciare le leggi che regolano il loro collocamen- to antico o attuale sulla superfìcie della terra, o la loro di - stribuzione geografica, ma perchè conduce immancabilmen- te, come in parte si è avverato, al rinvenimento di molte specie che più non vivono, e che mano mano van colman- do le lagune, che, sebbene oggi in minor numero, esistono però tuttora nella serie degli esseri viventi medesimi. Si è perciò, e per altre ragioni che tralasciamo di dire, che i lavori riguardanti i fossili, ancorché considerati sol- tanto dal lato zoologico senza il soccorso delle geologiche osservazioni, non son per questo da riputare di poca o nes- suna utilità. Come nell’economia della natura vivente è un fatto il frazionamento del lavoro fisiologico, talché, se nelle orga- nizzazioni molto semplici pochi strumenti possono a un tempo riunire molte deputazioni fisiologiche, che è lo stes- so di andar forniti di più facoltà , queste diventando più complesse, il loro numero deve necessariamente andar cre- scendo; così avviene per qualsiasi altro lavoro, e per l’in- tellettivo a preferenza. Allorché talune scienze sono sul na- scere e troppo ristretti i loro confini, la mente di un uomo può abbracciarle, impadronirsene, professarle. Ma esse elar- gancio il loro dominio, nuovi rapporti venendosi fra loro a scoprire, spiegando sulle altre maggiore influenza, il frazio- namento del lavoro intellettuale è indispensabile, perchè un solo uomo non è più atto a sostenerlo, ed affin di ottenere utili prodotti, più uomini vi debbono concorrere, associan- dosi, e prestandosi mutui soccorsi. Quanto sia grande , estesa , importante la zoologia , quanto utile nelle sue applicazioni, e quali rapporti si ab- bia colle altre scienze fisiche e naturali, potrebbe soltanto ignorarlo colui che del tutto estraneo ai misteri di questa scienza , che dovrebbe formare, secondo quel che dice il Sig. Milne-Edwards, la base di ogni civile e liberale educa- zione, non sappia nemmeno che a più di centoquaranta mila assommano le specie animali sinora conosciute. Ed in quanto alla geologia, sebbene essa sia una scienza moderna, tuttavia ha preso in questi ultimi tempi un tale incremento, è cosi ardua difficile ed elevata la sua parte geogonica, ha d'uopo di esercita- zioni così lunghe e laboriose, clic bisogna sagrifìcarvi intera una vita per potere occupare un posto tra i suoi degni ed ono- revoli cultori. Aggiungiamo a ciò, che, attesa la vastità della zoologia, i na- turalisti, è raro, clic in tutti i suoi rami riescano eccellenti , ed ognun sa che il Lamarck, più che in altro, si distinse nella co- noscenza degl’invertebrati ; Geoffroy-Saint Hylaire c Federico Cuvier furono insigni nella mammologia; Temminck , Savi, Vievillot ed altri nelEornitologia; Cuvier e Valenciennes nell’it- tiologia, ed Àgassiz nello studio dei pesci fossili a preferenza; il Latreille fù celebre nella entomologia; nella malacologia il Deshaycs, il Lamarck ec: nello studio degli echinidi Àgassiz e Desor; in quello dei zoofiti e protozoarii Dujardin, Ehremberg ed altri. Analoghi esempi ci offre la storia de’ dotti clic hanno coltivato la geologia. Ed è altresì da osservare, che i fossili orga- nici, non appartenendo solamente alla zoologia, ma eziandio alla botanica, il geologo per fare tutto da se, è mestiere sia al 2H1 — pieno possesso delle conoscenze zoologiche c fìtologiche al tempo stesso. E diciamo al pieno possesso, perciocché a nulla vale una superficiale istruzione di zoologia c di botanica fossili per determinare i resti organici con quella precisione che ri- chiedono i giudizii geologici; giacché moltissime specie fos- sili, clic sono state credute identiche ed anche analoghe al- le viventi, dopo più seria disamina si sono trovate da que- ste molto diverse, d’onde la necessità di uno studio seve- ro sulle unc e le altre per farne un compiuto confronto. Ora chi è quell’uomo che sia tanto profondo nella geologia quanto nelle due altre mentovate scienze? Noi sappiamo per altro, che i più grandi geologi ricor- rono spesso agli esperti zoologi e botanici per ottenere da loro precisa determinazione dei fossili animali c vegetali che rinvengono nei varii terreni, che eglino con tanta cu- ra c ardore esplorano. Sir Carlo Leyll difatti, questo som- mo geologo dell' Inghilterra, nel produrre 1’ ultimo suo la- voro sull’Etna, si giovò delle osservazioni di zoologia e bo- tanica fossili di alcuni naturalisti catanesi, e principalmen- te delle mie sui fossili di Nizzeti, di cui in quell’opera pub- blicò il catalogo, per determinare la natura e l’epoca di for- mazione de’ terreni su cui si elevò il famoso vulcano clic ci domina, c per maggior sicurezza sottopose le specie da me rinvenute all’esame del primo fra i malacologi della Fran- cia, il Sig. Deshayes, il quale restò contento della determi- nazione delle specie. Del pari consultò in Londra un celebre botanico per la sicura specificazione di talune piante fossi- li ritrovate nei citati terreni. Per conchiudcrc su questo argomento è a dire, che nello stato attuale di rapido progresso dell’umano sapere, in cui le scienze camminano con celere passo verso il loro perfe- zionamento, c varii rami di una stessa scienza dalla scienza madre si emancipano, il lavoro intellettuale dee sempre più frazionarsi, ed il concorso di più forze intellettive renderà v - 288 assai più facile lo scoprimento della verità, cui debbono ten- dere tutti i nostri sforzi. E tornando al nostro primario argomento, giova ripete- re , che gli organici fossili zoologicamente , botanicamen- te o geologicamente studiati, riescono sempre di un interes- se scientifico cosi certo ed eminente, che è cosa molto dif- ficile, clic essi passino inosservati sotto l’occhio del natu- ralista; ed io, che ne ho sempre mai formato uno degli ar- gomenti delle mie ricerche e delle mie lucubrazioni, mison proposto descrivere talune ossa fossili di grandi mammiferi ritrovate in punti diversi del suolo siciliano. A questo lavo- ro mi hanno in certo qual modo determinato le parole che si contengono nella pregevole memoria letta alla nostra So- cietà dall’ ili. Cav. prof. Carlo Gcmmellaro nella tornata or- dinaria del 20 giugno 1861, che porta per titolo— Sulla pos- sibilità dell ’ esistenza di elefanti indigeni in Sicilia nel perio- do quaternario, — e che racchiude grandi vedute, e conside- razioni importanti. Le parole, di cui si tratta, sono le se- guenti: « Di altri resti che esistono in Sicilia, trovati nello in- « terno dell’Isola, nei terreni e non già nelle grotte, ionul- « la posso dire, non avendoli mai veduti: ed è desiderabi- « le, che i possessori di essi ne pubblichino i rendiconti, « per meglio assicurarci della loro giacitura (1).» A me sembra, che i fossili organici che saranno da me descritti, possano fino ad un certo punto colmare la lacuna indicata da quel dotto geologo, e servire a me di occasione a dare maggiore svolgimento a qualcuna delle quistioni che ven- gono con molto accorgimento elevate in quella memoria. Le ossa fossili di grandi mammiferi, di cui mi occupe- rò, sono: un palco di cervo rinvenuto nelle circostanze di Nissoria; due mascellicri di elefanti trovati nel terreno che (1) Memor. citai, pag. 8 — Atti Accad. voi. XVII. scr. 2.a — 289 forma il suolo su cui è fabbricato il nostro Castello Ursino; un altro nelle vicinanze di Carlentini, donatomi dall’egre- gio nostro Collega prof. Francesco Filici; una piccola dife- sa elefantina ed un dente d’ippopotamo scoverti nella col- lina argillosa di Cifali; un dente di mastodonte trovato nelle nostre Terre-forti; una grande difesa elefantina , sebbene non intera, rinvenuta nella nostra piana e dall’ottimo D.r Giu- . seppe Castorina donata alla nostra Università; i numerosi resti di scheletri di ippopotami, fra i quali un teschio quasi intero, che furono non ha. guari rinvenuti a quattro miglia e mezzo da Catania verso il Sud-Ovest nel fondo così detto diserraci; ed infine varii denti di cavallo ec. cc. E perchè non riesca sterile questo mio lavoro e torni utile alla zoologia ed alla geologia della Sicilia, non che al- la diffusione dei più sani principii di queste scienze fra noi cui sono stato mai sempre intento, ho divisato far prece- dere alla descrizione dei mentovati fossili, talune considera- zioni sui mammiferi viventi e fossili in generale e sù quelli della Sicilia in particolare. Per lo che ho diviso questo la- voro, che leggerò in più sedute, in due parti; nella prima delle quali, dopo averdetto alcune parole sulle classificazio- ni dei mammiferi e su quella che ho prescelto da molto tem- po a norma delle mie osservazioni, sulla distribuzione geo- grafica di essi e degli altri animali, e sulla creazione ed im- mutabilità delle specie, darò un’ indicazione delle specie fos- sili, di mammiferi che sono scomparsi dalla superficie del- la terra; e segnatamente di quelle di cui i resti sonosi in Sicilia rinvenuti. Nella seconda parte mi occuperò principalmente della descrizione delle ossa fossili di mammiferi da me sopra men- zionate colla indicazione dei terreni in cui sono siate trova- te, fermandomi alquanto sul modo con cui crescono, ca- dono e si riproducono le corna dei cervi, e sul’ modo di ATTI ACC. VOt. TX. Si — 290 — sviluppo e di accrescimento dei denti degli elefanti; indi tratterò brevemente la storia delle ricerche che sono state fatte in Sicilia dei resti fossili in esame, presentando per ultimo la loro enumerazione, ed un catalogo delle specie che vivono nel suolo siciliano. PARTE PRIMA CAPITOLO I. Lìa classe dei mammiferi è la più importante fra quante compongono il mondo zoologico, sia perchè questi ani- mali, avuto riguardo al grado massimo di lor complessivi- tà organica, allo sviluppo ben grande delle lor facoltà ed al- le enormi dimensioni cui alcuni fra loro posson giungere, facendo dell’uomo astrazione, stanno al di sopra degli altri esseri viventi, e sia anche per l’ utilità immensa che l’uomo da essi ritrae. Si è perciò che hanno sempre attirato l’at- tenzione dei naturalisti, clic ne han fatto in ogni tempo lo scopo precipuo delle loro ricerche e dei loro studii. Nella più remota antichità si trovano infatti delle curio- se osservazioni sul modo di vivere di questi animali nelle opere di Ebano, Erodoto, Plinio, Ateneo, Galeno éc., e prin- cipalmente negli scritti del sommo' Aristotile, che fu il crea- tore della storia naturale. I mammiferi dell’ Europa orien- tale e meridionale, quelli di una parte dell’Asia ed alcuni dell’Africa erano molto conosciuti dagli antichi. I Romani vi- dero ne’ giuochi del Circo i leoni , le pantere, gli elefanti, i rinoceronti, la girarla e le zebre, che Plinio chiamava Hip- potigri, e l’ippopotamo eziandio, che dalle armate spedizio- narie venivano scoverti nei loro paesi natii, presi e condot- ti alla città eterna. Il Tribuno del popolo Cni.Aufìdius fece revocare dal Senato un’ordine antico che proibiva l’intro- duzione in Italia delle pantere d’ Africa. Scaurus inviò il pri- mo a Roma centocinquanta di questi animali ; in seguito Pompeo il grande ne fece venire quattrocento dieci , ed Augusto quattrocento venti. In quel tempo l’Europa era as- sai più ricca di quando lo è adesso di mammiferi, e se non in ordine al numero delle specie, a quello però degli indi- vidui indubitabilmente. Le vaste e dense foreste che offriva la vecchia Europa, servivano di opportuno e comodo abituro ad innumerevoli torme di ruminanti, di carnivori e di al- tri animali. Secondo la testimonianza del padre della storia naturale nella Grecia vivevano dei leoni. I bovi selvaggi di Polonia (Bosurus), e Telano, che, secondo rapporta Ce- sare nei suoi Commentarii, vivevano in Germania, oggi non si rinvengono che nell’ Europa boreale, ed il loro nu- mero va ogni giorno dcscrescendo. I diboscamenti, la col- tura delle terre, il numero ad oltranza accresciuto delle u- mane abitazioni, ed i varii modi di una caccia persecutrice ed ostinata, di cui per i tempi antichi ci ha lasciato un trat- tato speciale Oppiano, hanno respinto e ridotto questi ani- mali nelle montagne e nelle foreste ghiacciate. Venendo agli autori che si sono occupati de’ mammi- feri, noi possiam dire, clic da Aristotile sino ad Alberto il gran- de e Gesner, non troviamo alcun lavoro che sia superiore a quelli del sommo naturalista della Grecia e T opera in fo- lio di Gesner sui mammiferi, che egli, come gli antichi, chia- mò quadrupedi vivipari, e quella in seguito di Jonston, mo- strano come la mammologia non aveva ancora assunto il carattere scientifico, ciò che doveva avvenire in tempi a noi vicini. Le descrizioni degli animali riboccano di relazioni esa- — 203 — gerate, e di notizie ipotetiche, false, assurde e fastose. Era il tempo in cui si credeva che la jena fosse maschio efeminaalter- nativamente e si potesse trasformare in bel garzoncello dagli occhi affascinanti e tale da innamorare perdutamente le gio- vanette, per farne poi comodamente suo pasto ; in cui si ammetteva 1’ esistenza del lepre cornuto , del lio-corno , delle sirene dal corpo di donna e coda di pesce ec: animali mostruosi, che l’ immaginazione degli antichi aveva creato e che le ricerche dei moderni hanno rilegato nel mondo delle chimere. In quel tempo, e molto dopo ancora, non si a- veano che delle classificazioni artificiali , imperfette, erro- nee pure, fondate su taluni caratteri esteriori , secondari , di poca importanza e variabilissimi, che, non possono mai riguardarsi come atti a rivelare le modificazioni dell’ inter- no congegnamento degli esseri viventi, e solo si potè giun- gere a stabilire un metodo di classazione naturale degli a- nimali, allorquando il non mai lodato abbastanza B. Cu- vier fissò la gran legge della subordinazione dei caratteri. In quei primi tempi quindi troviamo i cetacei clas- sati tra i pesci, i pipistrelli tra gli uccelli, ed i quadrupedi vivipari riuniti ai rettili a due paja di zampe, sol perchè for- niti d’ un ugual numero di membri locomotori. É a dire però, che sebbene il Cuvier abbia statuito di un modo incontradittibile la legge da noi sopramensionata della subordinazione dei caratteri, dividendoli in culminanti o dominatori ed in secondarii o subordinati, legge che dee porsi a fondamento di ogni classificazione naturale, non bi- sogna però ricusare la lode che giustamente compete a due grandi uomini, che rilevando f imperfezione delle classifi- cazioni artificiali, che oltre di non poter condurre ad una esatta distribuzione degli animali, non potevano somministra- re delle nozioni esatte sulla organizzazione ed il modo di vivere degli stessi, e sul posto che ciascuno di essi deve occupare nella serie zoologica, si sforzarono, per quanto po- — 294 — terono, di dare ai mammiferi una classificazione razionale e naturale. Ray (1) e Bernardo Jussieu sono gli uomini di cui intendo parlare. Il primo divise i quadrupedi vivipari in unguiculati ed ungulati, divisione che fu per lungo tempo abbracciata principalmente in Inghilterra, e tuttora molti dei caratteri sui quali poggia la sua classificazione sussisto- no. E se egli lasciò i cetacei a capo dei pesci, fu più per tema di esser riputato troppo ardito innovatore, che per esser convinto della rassomiglianza degli uni cogli altri, mo- strandosi invece contrario a questa idea ed ammettendo che i cetacei hanno l’organizzazione de’ quadrupedi. Bernardo Jussieu, a cui la botanica deve i primi saggi di un metodo naturale, versando anche le sue ricerche sui quadrupedi vivipari, fu il primo a riunire con questi i cetacei, riunio- ne che fu adottata da Linneo, il quale nella prima edizio- ne del suo Systema, aveva formato di questi ultimi animali un ordine della classe dei pesci, e diede, primo fra tutti, il nome di Mammalia (d’onde mammiferi) ai quadrupedi vivi- pari ed ai cetacei, chiamando quest’ultimi Mammalia cete. Erroneamente poi alcuni autori avevano classato le foche tra i cetacei, mentre che Linneo le aveva, collocate di costa ai cani, essendo dei veri carnivori. Per ciò che si è detto, la classificazione data da Linneo nella prima edizione del suo Sy stema , differisce di gran lun- ga da quella che si trova stabilita nella tredicesima. La pri- ma divideva i mammiferi in cinque ordini, cioè: 1.® Qua- ' drupedia Anthromorphae ; 2.° Ferae ; 3.° Glires ; 4.° Aumen- ta; 5.° Pecora ; e i cetacei, fra i quali, in onta alle osserva- zioni di Ray, si trova il Manatus , formavano il primo or- dine dei pesci, quello dei Plagiuri. L’ultima classificazione aumentava il numero degli ordini, che distribuiva nel mo- do seguente : 1 .° Anthropomorphae o Primotes , tra i quali (1) Synopsis methodica animalium. — 295 — venne compreso il galeopthecus, sebbene Bontius ne avesse fatto il suo vespertilio ammirabilis, che oggi è collocato tra i Chirotteri; i2.° Bruta; 3.° Ferae ; 4.° Glires; 5.° Pecora; 6.° Belluav; l.° Cete. Ma dal 1735, in cui venne alla luce la prima edizione dell’opera Linneana sino al 1789 in cui comparve la deci- materza, molti ed insigni naturalisti avevano tentato miglio- rare la classificazione dei mammiferi, fra i quali Brisson, Erxleben , Pennanti Storr , Boddaert, Vicq-d’ Àzyr, Blume- mbach ec. Brisson (1) crea tra i quadrupedi molti generi naturalmente stabiliti, e descrive molte specie con ammira- bile esattezza; Erxlebon arricchisce di specie la mammolo- gia; Pennant figura con diligenza molti mammiferi; Storre Boddaert stabiliscono alcuni rapporti e legami di questi ani- mali fra loro; il Vicq-d’ Azyr li distribuisce in quindici grup- pi primarii, dei quali il primo è costituito dai piedimani, che Boddaert aveva primo chiamato quadrumani, ed il Blumen- bach per la prima volta divide l’uomo dalle scimmie, e fa seguire i quadrumani ai bimani. Vengono dopo quest’epoca le classilìcazioni dei celebri Geoifroy Saint-Hylaire e Federico Cuvier, quella di Giorgio Cuvier, l’altra del Blainville, senza contarvi quella di Illi- ■ger, che tralasciò di togliere a norma del suo lavoro la leg- ge della subordinazione dei caratteri, da cui i botanici ave- van cavato infiniti vantaggi, ed alla quale avevano dato il nome di dignità dei caratteri. In quanto ai due primi na- turalisti, autori di un’opera sui mammiferi, che sarà sem- pre riguardata come un monumento imperituro di gloria scientifica per la bellezza ed esattezza delle figure, e per la verità, la precisione delle descrizioni scritte con istile pom- poso e sublime in cui riluce la più grande filosofia, come si sà, distribuiscono quelli animali in quattordici ordini , (I) llegne anima! divise en ncuf classcs — Paris in 4.° 1754. — 296 — cioè: 4 .° Quadrumani ; 2.° Chirotteri ; 3.° Plantigradi ; 4.° Per- miformi ; 5.° Carnivori ; 6.° Piedimani; 7.° Rosicchianti ; 8.° Sdentati ; 9.° Tardigradi; 10.° Pachidermi) 1 1 .° Ruminan- ti; \%.° Solipedi ; 13.° Anjìbii; 14.' 0 Cetacei. Diversa è la clas- sificazione emessa dal Sig. Blainville; egli divide anzi tutto i mammiferi in Monodelfi e Didelfi, separando così questui- ti mi dai primi , coi quali erano del tutto confusi. Questa divisione che fu argomento di disputa scientifica tra il suo autore e Federico Cuvier, mi spinge a fare su essa talune considerazioni, le quali, sebbene non arguiscano a novità, possono giovare alla diffusione, come dissi a principio, delle conoscenze zoologiche fra noi, ed a mostrare le ragioni per cui siamo spinti ad abbracciare una tale classificazione, in- vececchè un’ altra. La classificazione del Sig. Blainville poggia su caratteri che sono stati desunti dal modo di sviluppo dei varii mam- miferi e sulla loro conformazione osteologica. L’altra dei Sig. Cuvier e Geoffroy sulla conformazione deir apparecchio dentario. Ora quale tra queste due condizioni organiche im- portanti deve scegliersi per punto dipartenza di una clas- sificazione naturale dei mammiferi? Quale di esse potrebbe, stando a fondamento di una tal classificazione, offrire quel graduale scemamente» di complicazione organica, che qual- siasi gruppo di animali quasi generalmente appresenta? Per rispondere a questi quesiti è giuocoforza ricercare quali siano i fatti che rivelano delle differenze intorno al mo- do di svilupparsi dei mammiferi. E qui è a dire, che seb- bene la loro plasmazione avviene senza eccezione nell’ ute- ro materno, molti però tra essi vengon fuori in grado di completo sviluppo, e durante la loro vita intrauterina sono intimamente legati coll’organismo della madre mediante un nesso organico, che dicesi la placenta, e per il quale avvie- ne tra essa ed il feto uno scambio di clementi sanguigni, che la nutrizione e la vita del feto istesso sostiene. Altri- — 291 — menti accade per altri, i quali vengono alla luce, imperfetti, impotenti anche al succhiamento e deboli tanto, che è me- stiere, che la madre li alloghi in una borsa che porta nel- l’imo ventre, prodotta dal comune tegumento e sostenuta dai due ossi, che si articolano col bacino e che diconsi mar- supiali, entro cui son site le mammelle, che vestite di una tonaca muscolosa, che si contrae a volontà della madre stes- sa, versano il latte nella loro bocca. Ed oltre a questo ciò che più monta, si è che durante il corso della loro breve vita intrauterina son privi di quel nesso organico o della placenta sopramensionata. Una grande differenza esiste dunque tra il modo di svi- luppo degli uni e degli altri, che si potrebbe dire normale nei primi ed abnorme nei secondi con alcuni autori, se si potesse ammettere, come aberrante dalla legge di normalità, un’operazione della natura così costante e regolare, quale si è quella cui abbiamo accennato. Ora si potrebbe un di- delfo, sol perchè mancante di denti incisivi e di canini, col- locare tra i monodelfì sdentati di cui il modo di evoluzione è tanto diverso? Vero è, che la conformazione dell’apparato dentario è la significazione del congegnamentoj organico del- l’apparecchio digerente, il quale sta anche in rapporto colla manieradi vivere delfanimalo; ma il modo con cui un’ani- male si sviluppa non è anche più importante? Tutto ciò che influisce sulla primitiva sua formazione ed il modo di sua plasmazione non debbono imprimere sur esso dei caratteri originarli di organicità tutti proprii e speciali, avvegnacchò non sempre perfettamente conosciuti? Vero è ancora, da un altro canto che nel classificare gli animali, bisogna te- ner conto dei sistemi principali dell’organismo di cui le mo- dalità varie possono solo somministrare i tipi delle prima- rie divisioni, e principalmente quelle che offre il sistema nervoso, che è il vero dominatore e regolatore della vita, e che l’apparecchio generativo non potrebbe fornire elementi ATTI ACC. YOL. XX. 38 298 adatti ad una naturale classificazione, tanto è svariato il con- gegnamento organico di tale apparecchio e quasi in poca o nessuna correlazione con il vario grado di organica com- plessività, ciò che si rende facilmente palese in varii ani- mali, e specialmente ne' vermi, in cui esso trovasi forse più complicato di quanto nei mammiferi; ma ò da riflettere, che se l’apparecchio generativo e le modalità generative varie non sono in rapporto coi varii gradi della organicità ani- male, non è però così del modo con cui gli animali vengon plasmati, o meglio con cui l’embrione si forma, talché noi possiamo ammettere un modo di formazione distinto e ti- pico per ogni ramo dell’albero zoologico , se non nella so- stanzialità di detta formazione, in quanto però all’ordine ed al modo con cui le varie parti dell'embrione si formano. Per questo riguardo dunque la generazione inservir potrebbe, se non a statuire le divisioni primarie e le classi zoologiche, almeno con certezza, allo stabilimento di talune sotto-classi. Il Sig. Blainville formò, oltre alle due sotto-classi dei mo- nodei fi, cioè, e dei didelfi, che secondo me dovrebbero piuttosto chiamarsi placentarii ed aplacentarii , una terza sotto-classe che comprende i monotremi, questi curiosi a- nili ma dell’Australia che forniti dei caratteri piu differenti ed opposti, stanno quasi isolati nella classe dei mammiferi, ai quali poco si rassomigliano per analoga struttura, e che in- tanto offrono lo stesso modo di evoluzione dei marsupiali. Questa classificazione, così concepita mostra tra i mammi- feri, come da noi si accennò, un graduale decrescimento della loro organica complessività, significazione importantis- sima che non si potrebbe affatto ottenere, classificando que- sti animali secondo la conformazione del loro apparecchio dentario. Così in prirn’o posto vengono i mammiferi placen- tarii che apprescntano il massimo grado di complicazione organica, che si pronuncia primitivamente con una evolu- zione uguale a quella dell’ uomo; indi gli aplacentarii mar- — 299 — supiali , di coi lo sviluppo è imperfetto, che nel resto poco diversificano dai placentarii, sebbene il loro cervello pre- senti rudimentario o quasi nullo il mesolobo; e da ultimo gli aplacentarii monotrcmi, dai piedi c becco di uccello, forniti di cloaca, che manca a tutti gli altri animali della classe, e di cui vanno provveduti gli uccelli ed altri animali, ragion per cui io li chiamerei mammiferi orniiomorfì ; per- chè stanno di mezzo ai mammiferi ed agli uccelli, stabilen- do, a dir così, il passaggio degli uni agli altri. A me pare, che la divisione dei mammiferi in sotto-clas- si del Sig. Blainville sia veramente naturale. Essa è stata abbracciata dai moderni zoologi. Le varie conformazioni del sistema dentario riescono interessanti per istabi lire i carat- teri, come si è fatto, di varii ordini. In quanto a quest’ul- tinii noi abbiamo seguito la distribuzione ammessa dal ce- lebre Milne Edwards nei suoi elementi di zoologia , che comprende gli ordini di appresso, e che ci facciamo ad in- dicare, perchè ci servirà di norma, in progresso del no- stro lavoro, alle classificazioni delle specie mastologiche viventi e fossili della Sicilia. \ divisione — Mammiferi monodelfi, secondo noi, pia- centarii. Ordine 1.° Bimani — L’uomo solo è compreso in que- st’ordine, che per noi dovrebbe essere abolito. Questo ca- po d’opera della divina creazione non può ne dev’essere riguardato come un’ animale. Esso costituisce un mondo, una sfera a se. Volerlo considerare come specie animale e lo stesso clic attentare, dice il Carus, alla sua dignità e de- gradarlo. Le piante formano la sfera della vegetarività; gli animali quella dell’animalità, e 1’ uomo rappresenta la sfe- ra della razionabilità che comprende la suità, la sociabilità la perfettibilità, il libero arbitrio c tutte le altre doti della Psiche. Se dal lato dell’ organico congegnamento offre delle rassomiglianze coi più perfetti mammiferi, da quello però 300 — della spiritualità è da essi disgiunto da una distanza immen- surabile, e ciò conduce a credere clic nella intima sostan- zialità del suo essere materiale esistano eziandio delle dif- ferenze grandissime: clic non è stato ancora dato a noi di scorgere. Ordine 2.° Quadrumani , clic comprende le Scimmie, gli listiti ed i Lemuri. Ordine 3°. — Carnivori . Ordine 4.° — Ànfibii . Ordine 3°. — Chirottcri. Ordine 6.°- Insettivori. Ordine 7.° — Rosicchiami . Ordine 8.° — Sdentati. Ordine 9.° — Pachidermi . Or di ne 1 0.° — Ru mi nan ti . Ordine 11 .° — Pesci formi o Cetacei. 2. a divisione — Aplacentarii marsupiali (secondo noi) ; di- delfi marsupiali degli autori. Ordine unico — Marsupiali . 3. a divisione — Aplacentarii ornitomorfì — Didelfi mono- treni i degli autori. Ordine unico— Monotremi. Continuando le nostre considerazioni generali, diremo, che oltre degli autori metodisti, che si sono occupati della classificazione dei mammiferi, sonvenc molti altri, clic si sono applicati con molto vantaggio della scienza, alla ricer- ca, alla descrizione ed alla caratteristica di questi animali. A capo di tutti stanno il celebre Buffon, a cui si deve la gloria di aver reso popolare la zoologia, ed il suo insigne collaboratore Dunbenton, in seguito a cui vengono il conte Lacepede, il Sonnini, il Lesson, e Federico Cuvier, che han- no pubblicato la continuazione della grand’ opera di storia naturale intrapresa da quel grand’uomo e rimasta incomple- ta. La mammologia (o meglio Mastologia secondo Blainvil- — 301 — le) è stata arricchita d’innumerevoli articoli, monografie, relazioni di viaggi cc: mercè cui il numero delle specie dei mammiferi è di gran lunga aumentato , completate le loro descrizioni, meglio conosciuti i costumi di questi animali, talché non si possono senza lode ricordare i nomi di Ihan, I. 13. Fischer, Temmingk, Lichtenstein , Desmarets , Tsid : Geoffroy, Bennctt, Gray , Diard c Duvaucel, Bruce , Ilem- prich ed Ehremberg , Dclalandc , Molili c d’ Azara , Spix , Humboldt, Alcide d' Orbigny, Peron e Lesueur, Quoy e Gai- mard, Garnot e Lesson, Sennerat, Leschenaulte Dussumier, Al. Ricard, Siebold, Milne-Edwards; Bonaparte, Pictct ec. Non fa meraviglia dunque, se dopo tante. ricerche e così indefessi lavori, le specie mastologiche, clic vivono sulla su- perficie della terra oggi assommino a più di due mila, mentre nell’ anno 1788 Gmclin editore del Systcma di Linneo ne an- noverava sole 434; perocché è ai sopra citati autori clic si dee questo straordinario aumento, il quale non si fermerà certamente a questa cifra, rimanendo ancora molte contra- de ad essere esplorate. Essi troyansi distribuiti sui varii punti della superficie terrestre. Questa loro distribuzione , non che di tutti gli altri animali , considerata sotto varii rapporti, è di tale un interesse per la scienza, che dovreb- be formare per i naturalisti Y argomento più serio e più im- portante delle loro ricerche e delle loro lucubrazioni. Ep- pure la geografia degli esseri animati è stata alquanto tra- scurata, ed è ancor troppo lontana da quel grado di per- fezionamento , che render la potrebbe atta a dare degli u- tili risultamenti , ed a farle assumere il carattere di scien- za. Bisogna per altro confessare, clic essa racchiude dei problemi, che non è agevole almeno per ora di risolvere. Essa dovrebbe essere studiata sotto diversi aspetti : sotto quello, cioè, del loro collocamento geografico, sia attuale, sia di altri tempi , in quanto al loro rapporto colle condi- zioni di suolo e di clima, o in una parola dell’ ambiente in — 302 — cui vivono, alla loro naturalizzazione cd altro. In riguardo al loro collocamento geografico, esso può essere naturale o artificiale, dipendere, cioè da cause intrinseche, o da cau- se estranee alla loro individualità. Sul loro collocamento naturale è mestiere dire, che sebbene molti fatti siansi con accorgimento ed esattamente studiati, tuttavia non han si- nora fornito i dati necessarii allo stabilimento delle leggi , che regolano un tal collocamento. Si può, è vero giungere a comprendere la diversità delle specie secondo i mezzi in cui vivono, l’aria o l’acqua. Gli acquatici non potevano es- sere conformati al modo dei terrestri. Respirare l’aria libe- ra, o l’aria contenuta nell’acqua, non vale lo stesso : e se non in quanto alla essenza della funzione respiratoria, che non può rimutare sostanzialmente, in riguardo peròalcon- gegnamento organico degli strumenti deputati ad esercitar- la, debbono originarne delle differenze rilevantissime e da queste ne scaturiscono poi delle altre ; perciocché il siste- ma circolatorio dee modificarsi secondo le modalità dell’ap- parccchio respiratorio. E gli organi digerenti, essendo che il nutrimento non può sempre esser lo stesso nei due ele- menti geologici, e variar dovendo gli organi di preendimcn- to, debbono anco modificarsi, e così similmente gli organi locomotori essendo tutt’ altro il nuotare del camminare , o strisciare c strascicare sul suolo, o volare per l’aria. Aggiun- giamo a tutto ciò, che la respirazione dev’ esser meno atti- va negli animali acquatici che nei terrestri , avendo biso- gno di una quantità minore di ossigeno, e conseguentemen- te la termogenesi assai più debole, molto accasciato il mo- vimento circolatorio , e più molle esser deve e fragile la compage organica dei primi, c qualche volta gelatinosa, servendo ad essa l’acqua di sostegno, quasi nulla la loro e- vaporazione e minore il loro peso specifico. In somma tutti questi dati anatomici e fisiologici possono render ragione delle grandi differenze di organizzazione che si rilevano tra — 303 — gli animali, secondo l’elemento geologico nel quale sono destinati a vivere. Ma quando, ponendo da parte tutto che riguarda la ri- partizione degli animali ne’ due elementi geologici summen- tovati, e passando in rassegna tutti questi esseri che vivono nelle regioni terrestri e marittime, si vengono a rilevare le differenze che presentano fra loro le varie faune, e di con- seguenza le specialità di ciascheduna: allora gli sforzi del tisiologo c del naturalista diretti ad indovinare di tali diffe- renze le cagioni e le leggi da cui vengono regolate, riesco- no del tutto vani : ed ogni conghiettura, ogni ipotesi, ogni teorica annientate dal più duro disinganno , mostrano 1’ impotenza dello spirito umano a disvelare taluni dei misteri della creazione. Solamente è da ammettersi, ove non si voglia andar fantasticando , che sin dalla origi- ne delle cose ogni specie sia stata creata perii luogo in cui avrebbe potuto trovare le condizioni più opportune alla sua esistenza ed alla sua moltiplicazione. I germi degli esseri viventi furono dall’ Autore supremo sparsi in tutti i punti della terra e distribuiti con quella sapienza infinita e con quel- l’ordine prestabilito che formano l’economia e l’armonia del Creato. Vi furono specie destinate a vivere in qualche luo- go soltanto ed altre in varii punti ad un tempo. Se si potesse impertanto porre in rapporto il colloca- mento primitivo degli animali coll’attuale, si potrebbero ri- levare delle sensibili differenze, perchè il primitivo fu tutto naturale, e l’attuale è in parte naturale ed in parte acci- dentale ed anche artificiale, operato, cioè, dalla mano del- l’uomo. Molte specie poterono portarsi, o esser trasportate da un luogo in un altro, come sopra si disse , per cause fisiologiche o estranee al loro organismo, di che si hanno moltissimi esempii. Laonde le specie delle diverse faune si sono disseminate e frammischiate al punto di non po- tersi tutti riconoscere nello stato presente i centri zoologi- — 304 — ci primitivi . Ne rimangono però tuttora molti e considerevo- li, perchè in onta alle molteplici e svariate cause che ten- dono a disseminare le specie, molti ostacoli tuttavia incon- tra la loro diffusione, ostacoli che sono ora meccanici ed ora fisiologici. Tali idee vengono confermate dalle belle pa- role del Sig. Milne Edwards che io mi pregio di trascrive- re. « È molto più naturale, egli dice, supporre che ciascu- « na specie sia stata a principio collocata dall’Autor d’ogni « cosa nella regione in cui era destinata ad abitare perma- « nentemcnte, e che, movendo da un certo numero di centri « di creazione distinti, i diversi animali si siano dissemi- « nati su tutta l’estensione di quella parte del globo che forma « oggidì il dominio di essi. Nell'attuale stato delle co- « se riesce impossibile riconoscere tutti questi focolaj zoo- « logici, perchè si concepisce la possibilità di scambii sì mol- « tipi icat i tra due regioni di cui le faune erano primitiva- « mente distinte, che possono oggi non offrire altro che « specie comuni all’una ed all’altra, ed in tal caso nulla « denunzierà agli occhi del naturalista la loro originaria se- « parazionc; ma allorché una contrada si mostra popolata « di un numero considerevole di specie, che non si rincon- « frano altrove, anche laddove le circostanze locali siano « le più somiglianti, si è autorizzati a credere, clic questa « regione sia stata il teatro di una creazione zoologica par- « ficolare, e si dovrà considerare come una regione di- « stinta. » I germi delle specie viventi uscirono dunque dalle ma- ni del Creatore. Mano mano essi si svolsero, come in altro lavoro abbiamo detto, sotto l’ influenza delle condizioni ne- cessarie al loro sviluppo, ed in epoche diverse. Ciò rende ragione dell’ apparizione graduale degli esseri viventi sulla superficie della terra, se ciò fosse del tutto provato, non es- sendo ancora ogni terreno esplorato, mentre ehe i catacli- smi che la sua crosta ha subito, ne bau fatto disparire un — 305 certo numero. A. chi volesse poi a tale credenza opporre la di • struttibilità dei germi, e quindi l’impossibilità di durare inalte- rati per un lunghissimo periodo d’incubazione, a traversoi mille sconvolgimenti che hanno cambiato la faccia del globo, io risponderei, che a Colui, che ebbe la potenza di formarli, non poteva al certo mancare la forza di conservarli. Rigettando questa credenza, 1’ unica che si possa e deb- ba ammettere, ogni altra opinione non offre che errori ed assurdità. Tali sono il panteismo materialista, la generazio- ne spontanea c la trasformazione graduale delle specie. La generazione spontanea ed il panteismo materialista sono così strettamente fra lor congiunti, che Cuna non può aver luogo senza dell’altro. Senza ammettere le molecole organiche, universalmente sparse, indistruttibili, che si com- binano e si disciolgono , assumendo ora una forma ed ora un’altra sotto l’influenza di molte e svariate cause, non sarebbe possibile sostenere la genesi spontanea di un esse- re organizzato, cioè senza un altro essere a lui simile che ne sia stato il procreatore. Queste molecole, in cui la vita è sparsa c diffusa, s’ incontrano, casualmente, ed ingenera- no un essere vivente. Ecco, o Signori, la generazione spon- nea o l’ eterogènia,* questa teorica che non si appoggia ad alcun fatto, che avversa la legge costante ed inalterabile della natura e che conduce alle più strane conseguenze. Noi lo abbiamo detto altrove c dimostrato, che il principio della vita non si trova,. nè si può trovar libero, ma unica- mente costituito negli organismi viventi; e, come dice l’im- mortale Cuvier: « La vita non nasce clic dalla vita, ed al- « tra vita non esiste, se non quella trasmessa dai corpi vi- « venti ai corpi viventi per una non interrotta successione. » Ma i fautori stessi di quelle assurde teoriche. Rapila, Epicuro, Lucrezio, Plinio, nei tempi antichi, Robinet, de Tal- liamed, de la Métrie, Buffon, Lamarck, Bory, Saint-Vincent, Perre, Leroux, Burdach, Goethe, Spix, Okcn cc: nei tem- 39 ATTI ACC. VOL. XX. — 30G pi moderni e molti altri, accorgendosi di non poter soste- nere l’idea che gli animali tutti siano stati a principio ete- rogenicamente formati, poiché la sarebbe riuscita incredi- bile c ridicola ancora, come coloro, che per riparare ad un errore, altro più grave ne commettono , altra teorica fab- bricarono colla vana fiducia di potere ovviare al T insuffi- cienza della prima, cioè , la graduale trasformazione delle specie, restando l’altra a base di questo miscuglio informe di ipotetici concetti, illogici e ad oltranza umilianti per la ragione umana. « La natura, ecco il loro ragionamento, ha « creato e crea ogni giorno nei tempi e luoghi più favore- « voli direttamente gli animali più semplici. In virtù di que- « sto facoltà di accrescimento e di riproduzione, che sono « essenzialmente proprie ai primi periodi della vita, essa ha « potuto, per la complicazione graduale della organizzazio- « ne nelle circostanze convenevoli, c per la progressione « ereditaria dei progressi acquisiti, creare, non mica diret- « famcntc, ma progressivamente degli animali di più in più « perfetti ; c nel lungo corso dei secoli e con f infinita di- « versità delle condizioni esteriori, ha prodotto questa mol- « titudine enorme di specie, di cui la serie , abilmente ad « ordine crescente disposta, rivela ancora oggidì , in onta « ad alcune irregolarità e ad alcune lacune una manifesta « comunanza di origine » (1). Se da menti volgari e bislacche, eccitate da presuntuosa ignoranza, fossero stati figliati questi strani concetti , clic mirano a travolgere certe grandi quistioni, che da piùmi- gliaja d’ anni sono state risolute dal senso comune di tutte le generazioni : ohi allora certamente non sarebbero riusci- ti ad altro che a muovere il riso e ad attirare lo sprezzo; ma è un gran dolore il vedere uomini di genio e degni del rispetto e dell’ ammirazione dell’ universale, per la smania (1) Encyclopedic nouvcllc, art ic. Animai. — 307 — di tutto spiegare, dominati da un orgoglio funesto, traviare dal diritto sentiero della ragione, e creare insussistenti si- stemi, deplorabili e pericolosi a un tempo 1 « La scienza, come diceva l’immortale La Place, ha « avuto le sue folli temerità, ed il suo orgoglio empio; es- « sa ha bestemmiato Dio, ed ha osato chiamarlo un’ipotesi ». Nò si dee credere, ornatissimi Consocii, che il mio dire sia esagerato , o mosso dal solo sentimento religioso e dal rispetto che si deve ai libri sacri: che io ricerco la verità dovunque possa trovarla e senza alcuna preoccupazione dello spirito: ed io parlo scientificamente; e scientificamente par- lando, credo di poter dire c sostenere, che la generazione spontanea non è un fatto, nè un’ipotesi sussidiata dai fatti e dall’analogia, ma una vera supposizione, che ai fatti si oppone, come si è detto, ed alla sana ragione. I germi de- gl’infusorii, che si svolgono nelle varie infusioni , proven- gono dall’ aria atmosferica, di cui il pulviscolo è stato con tanta accuratezza esaminato dall’ ili. Ehremberg, e le in- gegnose esperienze del Pasteur hanno comprovato di un mo- do incontrodittibile questo fatto. Il numero prodigioso di questi esseri e la loro rapida apparizione in date circostan- ze , che sembra per alcuni militare in favore della genera- zione eterogenica, non sono più un mistero, dacché lo stesso Ehremberg ha fatto conoscere, che un solo infusorio può nel lasso di ventiquattrore generarne non meno di cento- quaranta bilioni, a motivo della brevissima vita di questi animaliculi, che appena formati generano e spariscono, scom- parendo simultaneamente la loro individualità, riproducen- dosi ordinariamente per scissione di parti. « Quando si con- « templano, dice il De Filippi, questo dotto professore di « Zoologia dell’Università di Torino, in una goccia d’acqua « miriadi d’ infusorii della stessa specie, non si deve cre- « dere di aver sott’ occhio tanti individui di una stessa « famiglia, legati fra loro dall’istesso grado di parentela. — 308 — « tutti provenienti da una madre comune ; ma piuttosto « un assembramento di generazioni, per le quali i minuti « contano come gli anni nelle generazioni umane (1).» Non si sa poi comprendere perche questi semplicissimi animali e microscopici, che si riproducono costantemente colla legge generale ed invariabile della omogenia, abbiano d’uopo di un altro modo di generazione interamente da quel- lo diverso, che sfugge alla legge di normalità, la quale e- sige che il simile produca il simile. Simile semper par it sui simile. (Linneo) (2). Inoltre la generazione alternante, questo grande e me- raviglioso fatto fisiologico, di cui la scoverta sideveaCha- misse, per lunghi anni rimasto nell’ oscurità , e ai dì no- stri riprodotto, illustrato e comprovato da Kroon, Streen- strup, Huxley ed altri, fatto che ha costretto i zoologi a ri- mutare del tutto la storia degli animali inferiori , e la mi- grazione di quest’ ultimi in diversi altri animali, hanno del tutto disvelato il mistero della generazione degli elminti, che si adduceva in favore della teorica dcll’etcrogenia. Se tutf altro, che quello di discutere tali quistioni non fosse Io scopo di questo mio lavoro, io mi farei a trattare l’argomento della generazione spontanea, in modo da to- gliere ogni dubbio sulla insussistenza e sulla stranezza di (1) Delle funzioni riproduttive degli animali ec. 2.a edizione pag. 3. (2) Pare a prima giunta, che la generazione alternante abbia in par- te abbattuto questo Linneano apoftegma. Ma quando si ridette al fine che la natura ha voluto raggiungere con questa modalità generativa eccezionale e maravigliosa, che è quello di ottenere il perfezionamento dell’individuo mercè le generazioni intermediarie, che potrebbero rap- presentare delle metamorfosi clic per cflettuirsi abbian d’uopo di un nuovo atto generativo; quando, io dico, si pensi a questo, rimane fer- mo l’enunciato aforismo, essendo che- il tipo della specie ricomparisce costantemente colla seconda generazione. una tale opinione; ma mi arresto ripetendo le parole scrit- te sull’assunto dal sopra lodato prof. De Filippi che espri- mono in modo preciso e senza alcuna avventatezza l’opi- nione della gran maggioranza dei dotti. « Concludiamo, egli « dice, che se la teoria della generazione spontanea fosse « conforme alla verità , essa avrebbe trovato col progresso « delle nostre cognizioni, col perfezionamento dei nostri « mezzi di ricerca, un sempre più valido appoggio dai fatti: « le è toccata invece una sorte affatto opposta, ciò che è « sufficiente a farla respingere, malgrado il fascino che es- « sa può esercitare sulla fantasia dei giovani studiosi e « malgrado l’autorità d’ingegni distinti, che le hanno dato « ne’ tempi passati un passaggero splendore. » Ex niliilo nihil. Omne vivimi ex avo. (1) E se da respingersi è la teorica della generazione spon- nea, perchè non conforme alla verità, non è meno dissen- tanea dal vero, quella della trasformazione graduale della specie. È una stoltezza il credere che un invertebrato si pos- sa trasformare in vertebrato, un pesce in rettile, questo in uccello, ruccello in un mammifero: ed è poi una veraab- berrazione dello spirito umano lo ammettere che l’ uomo altro non sia che una scinda modificata e perfezionata, co- me sosteneva Lamarck. « Tra i diversi sistemi, scriveva il « Cuvier, sopra l’origine degli esseri organizzati non av- « vene alcuno che abbia tanta inverisimiglianza, quanto « quello che fa derivare successivamente i differenti gene- « ri dagli sviluppi e dalle metamorfosi graduali» (2). Senza addentrarmi nell’ esame di tal quistione, mi sia permesso solamente posare i due quesiti di appresso che si presentano al pensiero per così dire spontaneamente. (1) Loc. cit. pag. 107. (2) Ossemcnts fossiles t. 3. pag. 297. — 310 — Quali sono le causo che han potuto produrre la trasforma- zione graduale delle specie? Quali sono i fatti che questa trasformazione addimostrano ? Rispondendo, diremo, che le specie, essendo state create nel luogo in cui erano le condizioni favorevoli al loro svi- luppo ed alla loro moltiplicazione, è chiaro, che la fattura e il modo di vivenza esser dovevano in correspettività colle condizioni predette, quelle, cioè, dell' ambiente. Or si com- prende agevolmente, come, tali condizioni mutando, ed es- sendo gli animali sottoposti ad influenze molto diverse, su- bissero talune modificazioni in quanto alla loro organicità ed all’esercizio dei loro atti vitali. Ma ammettendo questa influenza modificatrice, sin dove la sua attività può giun- gere, e quali modificazioni essa è capace d’imprimere sugli organismi viventi? Che essa possa far variare le abitudini dell’ animale; che le nuove abitudini abbiano il potere di produrre delle lievi modificazioni organiche, agevolando sino ad un certo punto lo sviluppo di alcune parti dell’ organi- smo, e menomando quello di talune altre, è tutto ciò che si può quasi ammettere, poiché pare non ripugni ai fatti ed alla sana ragione; madie, come sosteneva il Lamarck, que- ste esterne condizioni possano condurre la disparizione di taluni organi e crearne dei nuovi, trasformando così f or- ganizzazione ed il modo di vivere dell’ animale, al segno di perdere il carattere specifico primitivo, ed acquistarne uno altro del tutto nuovo, è così inverisimile, è così arbitrario ed insussistente da vincere in erroneità qualsiasi altro con- cetto della mente umana. In parte questo errore è derivato dal non aver dato alla specie quel significato, che veramente le c proprio, considerandola, cioè, in astratto, laddove essa è reale del tutto, ciò che ha fatto eminentemente e con molta filosofìa rilevare il chiarissimo prof. Tommasi. » Questa parola, co- « sì egli si esprime, non significa un’idea astratta, e sol- « tallio collettiva di tutti gl’ individui che si rassomigliano: « essa è reale, c più reale degli stessi individui , perchè « comprende in se virtualmente tutte le forme accidentali, « tutte le razze c le varietà, che sono rappresentate da sin- « goli gruppi d’individui appartenenti ad un medesimo tipo « organico. La realtà della specie si fonda in questa con- « siderazione, che essa deve consistere in una data manie- « ra di essere vivo, in un tal sembiante, in un tal tipo che « gh individui sono destinati a raffigurare concretamente. « Si sa bene che il reale non è sinonimo di concreto e di « materiale: il reale è un’idea esemplare, è 1’ anima infor- « illativa e il vero principio delle cose e dei particolari, e « tale è la specie ; la quale vuol significare una data idea « d’ organismo, che si va specializzando in un certo numero « d’ individui simili » (1). Ora è questa data idea di organismo, questa data ma- niera di essere vivo che l’ambiente, ancorché possa modi- ficare, non ha mai la potenza di trasformare. Essa, allor- ché si trova sotto le stesse influenze, cioè nello stesso am- biente, si conserva in tutto immutabile a traverso infinite generazioni; ed al variare dell’ ambiente, se essa perde qual- cuno dei suoi caratteri , gl’ individui che la rappresentano rassomigliandosi sempre fra di loro in quanto ai loro es- senziali e speciali attributi, come l’esperienza dimostra, è giocoforza convenire che i caratteri essenziali e fondamen- tali della specie non possono unquamai scancellarsi, c l’i- dea reale della specie conserverà sempre 1’ attributo della immutabilità. E se non si può niegare, che la serie delle specie zoo- logiche presenta un certo graduale progresso, sebbene in- terrotto da alcuni punti di parallelismo, a partire dal po- lipo insino all’ uomo: ciò però non depone in favore della (1) Istituzioni di fisiologia edizione 3. pag. 457. teorica della trasformazione delle specie. Non puossi una specie qualsiasi considerare come un aumento di sviluppo di quella clic nella serie la precede , o come un soffermo di esso rimpetto all’ altra che le sta dietro. Un grado mag- giore o minore di sviluppo non valgono a determinare una nuova idea di organismo o una nuova maniera di essere vi- vo, da che risulterebbe una nuova specie. Se talune delle formazioni organiche c delle vitali facoltà delle specie inferiori si ripetono nelle superiori , come quelle di una sfera organata in una altra, della vcgetatività, cioè, nell’ a- nimalità , e dell’ animalità , nella razionalità, che rappre- senta la sfera dell’uomo: queste ripetizioni hanno luogo sempre coll’aggiunzione di nuovi strumenti e di nuove fa- coltà, tale da modificare tutto 1’ essere dell’ animale, e sta- bilire quella nuova maniera di essere vivo, che sarà raffi- gurata da tutti gl’ individui che ne debbono portare la im- pronta, come appartenenti alla stessa specie. Si è preteso combattere queste idee ben giuste e con- fermate dai fatti, ed appuntellare la malfondata ipotesi del- la trasformazione graduale delle specie coll’ altra teorica dell’ unità di composizione c di piano organico, messa avan- ti c sostenuta da Geoffroy-Saint-Hylaire , teorica che la mente di Aristotile aveva due mila e ducento anni fa prodotta, cd alla quale il francese zoologo diede maggiore e più am- pio sviluppo. Son note le forti dispute tra lui ed il Cuvier lungamente durate nell’ Istituto di Francia. Era troppo pre- tendere voler dare ad intendere ad uomini consumati nel- le zoologiche discipline e ad un Cuvier, che fissò un’ epo- ca nella storia di queste scienze, che passi tale rassomiglianza tra i molluschi cefalopodi e i vertebrati, da poterli ravvi- cinare, come sostenevano arditamente Laurens c Mayranx supponendo che i primi fossero piegati in due sopra se stessi per il lato posteriore, bastando il raddrizzarli col pen- siero, per dare ai loro organi lo stesso allogamento che — 313 — presentano nei mammiferi. E il Cuvier abbattè queste erro- nee opinioni, e senza annientare del tutto il principio del- T unità, esagerato dai fautori, in una delle sue memorie sull’ argomento, mostrò il vero significato di quella parola, dimostrando che per unità di composizione organica e di piano organico si debba intendere non mai identità, ma so- miglianza di composizione e di piano organico. Nulla si trova poi di irragionevole e d’inverosimile nel credere che l’Autore supremo nel creare gli animali si sia servito di pochi ed anco di un solo elemento. Mercè la sua onnipotenza poteva, volendolo, con un sol mezzo ottenere una sterminata pluralità di fini, e produrre un numero in- terminabile di maniere di organismi vivi, che dovevano rap- presentare le specie, ed avvivarle con un principio di vita, unico ed infrazionabile nella sua essenza, che doveva se- condo quei vari tipi assumere delle significazioni differenti e con un sol piano originario crearne migliaja, e tutti que- sti diversi tipi coordinare fra loro con un’ armonia ammi- rabile ed incomprensibile, che non ha mai smentito la sua origine suprema. A lui solo era riserbato, e non al causale accozzamento di molecole immaginarie ed alle influenze e* steriori accidentali e variabili, l’attuazione di questo grande pensiero, che le sue opere tutte rivelano ad ogni istante. « La storia naturale, come ha detto un dotto naturalista, è un « mondo di meraviglie in cui si scorge da per tutto il dito « di Dio, e ciò ci fa comprendere il rispetto e il raccogli- « mento abituale di molti grandi naturalisti, che non poteva- « no, senza abbassare e scovrire il capo, sentir pronunciare « il nome del Creatore» (1). « Tutto nella natura, dice il sig. Flourens è intendi- le mento, arte, saggezza, previggenza e scopo: ad ogni (1) L. F. Jéhan — Dictionaire de zoologie— Epigrafe. atti acc. yoi, xx. 40 3H — •? « passo la perfezione dell’ opera ci rivela l’ abilità dello « artefice. » Per me questa stessa unità, che si potrebbe ammettere in forma originaria dei tessuti viventi nella cellula e nel principio della vita, che, diversificandosi ad oltranza, si ri- solve in una molteplicità così perfettamente ordinata , non può mai servir di sostegno al panteismo materialista, prin- cipalmente, perchè 1’ ordine che stà nella creazione, univer- salmente ammesso , e che non possono negare i panteisti medesimi , senza che possano coi loro principii renderne adeguata dimostrazione , ad essi non permette di giungere ad alcuna positiva e rigorosa conclusione. «In effetto, dice « il sig. Jèhan , ogni ordine è necessariamente sottoposto « a leggi sicure e stabili, senza cui punto non esisterebbe; « ma ogni legge , per essere riconoscibile ed intelligibile , « dev’ esser suscettiva di dimostrazione. Or nessuna dimo- « strazione può darsi senza un principio che serva di cri- « torio alla ragione umana, che è essenzialmente logica per « eccellenza, racchiudendo in se stessa le leggi e laragio- « ne del tutto , coordinate da un principio che sta nella « sua essenza: bordine eterno. « Il panteismo, rigettando ogni principio, si è tolta o- « gni possibilità di soluzione » (I). E sia come, movendo dalla tesi di Goethe , pensava l’Oken, cioè che la natura debba essere riguardata come un solo essere vivente e tutte le sue parti come organi di esso; che un animale superiore debba racchiudere, quel che si trova negli animali inferiori: ciò però, a mio avviso non giova alla ipotesi della trasformazione graduale delle specie, ma serve solo a constatare sempre più la valentia dell’ Ar- tefice Supremo, che seppe unire 1’ unità alla molteplicità , la somiglianza alla più estesa diversificazione. Che il re- (1) Refutasion du systeme panteiste etc. 313 — gno animale non abbia potuto raggiungere il suo perfezio- namento ed il totale completamento, se non se aggiungendo un organo a quelli che possedeva nella sua origine 1’ ani- male tipo, e che questa aggiunzione e questo sviluppo av- vengano per lo mezzo dell’ ambiente soltanto , secondo gli alemanni, o a questo unendo come altre cause le tendenze e i bisogni giusta il Lamarck ; questo è quello che non si può ammettere, non solo, perchè, come si è detto, l’ordi- ne non avrebbe potuto mantenersi , ma perchè non av- vi un fatto, chea quella ipotesi venga in appoggio, ipo- tesi strana, che ha potuto supporre essere il cedro del Libano originariamente un Lichene, e l’Elefante un’O- strica. Il Cuvier discusse nell’ Istituto con grave serie- tà la quistione della composizione organica, ma quando intese un giorno il Lamarck , che svolgendo le sue teo- rie, si faceva a sostenere che « non sono gli organi, ossia « la natura e le forme di un animale che hanno dato luo- « go alle sue abitudini ed alle sue peculiari facoltà ; maal- « l’incontro, le sue abitudini, la sua maniera di vivere, e « le circostanze nelle quali si sono trovati gl’ individui dai « quali egli è provenuto, hanno col tempo costituito la for- « ma del suo corpo, il numero e lo stato dei suoi organi « ed infine le facoltà di cui esso gode» (1); allora non po- tè astenersi di spargere il ridicolo su quell' opinare ; tiran- do di tasca il moccichino, e, servendosene, sciamò. « Si si; « è soffiandosi che V uomo ha formato il suo naso ». Ponendo da parte le teoriche, e venendo ai fatti, pos- siamo asserire, che essi, non solo non ajutano il sistema della trasformazione graduale delle specie, ma potentemente l’av- versano e lo distruggono del tutto. Nessun caso di amme- lioramento, di perfezionamento o di trasformazione si è po- tuto osservare, che sia riuscito a cambiare il tipo della spe- * (1) Philos. zool. t. 1. pag. 237. — 316 — eie. Gli animali, che furono conosciuti, figurati e descritti in tempi rimotissimi, conservano tuttora le loro forme , i loro costumi , lo stesso grado d’ intelligenza, e, come Io fu- rono a principio, sono tuttora privi dell’ attributo eminente della perfettibilità, che è la dote esclusiva dell’ uomo. Non parliamo delle razze e delle varietà ; esse non fanno perde- re alla specie i suoi caratteri originarii e reali , ed essa è stata e sarà sempre riconoscibile. E se accade, sebbene più che spontaneamente per la mano dell’ uomo , che talune specie perdano alcuni dei loro caratteri, e subiscano delle modificazioni, che dovrebbero piuttosto ritenersi come de- viamenti dalla linea di normalità , sempre però mostrano la loro costante, e spesso infrenabile tendenza a riacqui- starli. Spesso anche nessuno sforzo operato dalla mano del- 1’ uomo, nessuna influenza esteriore possono riuscire a far variare quei caratteri. « Il lupo, dice Cuvier, e la' volpe « abitano dalla zona torrida sino alla glaciale, ed in questo « immenso intervallo essi altra varietà non offrono che po- « co più o poco meno di beltà del loro mantello. Una cri- « niera più ricca è la sola differenza che appresenta la jena « di Persia da quella del Marocco. Si prendano gli elefan- « ti più dissimili, e si vedrà, che non avvi la menoma di- « versità nel numero delle ossa e nelle loro articolazioni, « o nella struttura dei loro denti. » Ed in altro luogo « Vi « sono negli animali taluni caratteri che resistono a tutte « le influenze, sia naturali, sia umane, e nulla rivela, che « il tempo abbia in quanto ad essi più potere del clima e « della domesticità. » Un fatto, che meglio di ogni altro addimostra la veri- tà di tali assertive è la coesistenza delle specie , che si dicono trasformate colle trasformabili. « Come va, dice un « esperto naturalista (1), che in circostanze perfettamente (I) Jéhan de 1’ origine des ètres organisés ec. pag. 38. - 311 - « uguali una parte degl’ individui spettanti alla specie uran- « go abbia subito questa trasformazione (cioè si siano can- « giati in uomini), mentre che tutti gli altri non hanno su- « bito alcun cambiamento? Come le circostanze che han- « no influito sopra alcuni individui sono riuscite senza ef- « fetto sur altri ? È almeno questa influenza riconoscibile a « qualsiasi grado, e come un principio di modificazione nel- « 1’ organismo o nella facoltà istintiva di questo bruto pas- « sando allo stato di uomo? Non si è potuto, nè si può « provare alcun che di simile». Su questo argomento io non potrei al certo, o Signori, trovare parole che abbiano tanta forza e tale significazione di verità, quanto quelle del celebre Wiseman, e che piace- mi tanto ripetere. « L’ esperienza di molte migliaja di anni « ha confutato abbastanza questo sistema. Come rendere ra- « gione con esso del non essersi mai scoverto alcun esem- « pio di simili sviluppi nel lasso di questa lunga osserva- ci zione ? L’ ape ha lavorato con ardore e senza interruzio- « ne, e ha dato sempre il suo dolcissimo prodotto sin dai « giorni di Aristotile; la formica non ha lasciato di costrui- « re i suoi laberinti da che Salomone ne raccomandava lo « esempio; ma dall’ epoca in cui furono descritte dal filoso- « fo e dal savio, sino alle belle ricerche degli Huber , noi « siamo sicuri di non avere esse acquistato alcuna nuova « percezione o un’organo nuovo per migliorare i loro tra- » vagli. L’Egitto, che, come benissimo ha fatto osservare « la commissione dei naturalisti francesi, ci ha conservato « un museo di storia naturale, non solamente nelle sue pit- « ture, ma ne’ suoi animali mummificati, ci presenta cia- « scuna specie, dopo tre mila anni perfettamente identiche « a quelle che dei nostri giorni. Quali sforzi l’uomo non « ha adoperato, e non adopera ancor più, e specialmente « ai dì nostri / per procurarsi nuove risorse, scoprire delle « forze meccaniche nuove, e per offrire un campo assai più - 318 « vasto ai suoi sensi ! E frattanto, ohimè ! alcun nuovo « membro non ha egli acquistato, alcun organo non si è « sviluppato, alcuna nuova via di percezione non si è aper- « ta, per darci la speranza di raggiungere dopo altri mi- « gliaja d’anni un più alto grado nella scala del perfeziona- « mento progressivo, e d’ allontanarci alcuni passi di più « dalla nostra consanguineità col chimpanzé» (1). Nè vale il dire del Lamarck, per abbattere 1’ argomen- to tratto dalle mummie egiziane, che le specie, cioè, che esse raffigurano si siano conservate identiche ai loro discen- denti, sol perchè il clima e la configurazione delle sponde del Nilo non hanno subito alcun cangiamento in questi ul- timi trenta secoli: poiché noi possiamo distruggere questa oggezione solo elevando il quesito di appresso. Perchè al- tri individui di questa specie conservano i medesimi carat- teri in un grande numero di regioni in cui il clima e mol- te altre condizioni sono così differenti ? A chi poi volesse porre innanzi l’idea della insufficienza dello spazio di tempo indicato per attuare la pretesa tra- sformazione, io risponderei colle parole del Cuvier. « Io so « che molti naturalisti contano molto sulle migliaja d’anni, « che eglino accumulano con un tratto di penna; ma in « tali materie noi non possiamo mica giudicare di ciò che « un tempo lungo produrrebbe, se non che, moltiplicando « col pensiero ciò che produce un tempo minore. » (2) Infine se la trasformazione graduale delle specie che non può aver luogo per le addotte ragioni, e perchè il mo- dificarsi degli esseri creati successivamente secondo le con- dizioni variabili della superfìcie della terra, è incompatibile coll’ idea di rivoluzioni del globo , fosse possibile, noi non (1) Discours sur les rapports cntre la Science et la religion révélé t. 1. p. 192. — 193. (1) Discours sur les rivolutions de lasurface du globe — pag. 126. — 319 — sapremmo spiegare il come gli animali più semplici, i zoo- fiti a cagion di esempio, dai primi tempi della creazione vivente, abbiano potuto attraversare tutti i periodi geologici senza trasformarsi in molluschi, in articolati , e pervenire anco a più elevati posti, dovendo solamente esistere attual- mente sul globo i vertebrati. Ma i rami dell’ albero zoolo- gico non si sono ancora confusi: e non avvi animale fossile che appena scoverto, non trovi il suo posto nella serie del- le classi zoologiche. Concludiamo, ripetendo, che gli esseri viventi furono creati dal Supremo Fattore, che con ammirabile ordine li distribuì sulla superfìcie della terra. Egli fissò le leggi della loro esistenza , facendo servire gli uni agli altri con istu- pcnda armonia; Egli stabilì quelle della loro riproduzione; che le specie, come disse il Buffon, sono immutabili, ed è « la stessa mano, la mano del Padrone del mondo, che le « ha tutte create ». E se uno dei fatti che la Geologia offre come positivo si è quello che mostra la creazione degli esseri organizza- ti, essersi fatta in più tempi, la scienza, non potendo per ogni modo rendere sufficiente ragione di questo fatto, sia- mo costretti ad ammettere , o che i germi degli esseri vi- venti, come altrove abbiam detto, per la potenza del Fat- tore Supremo si siano svolti in epoche diverse, o che Egli abbia in più volte fornito la sua grand’opera. » Si spiega « facilmente, ecco le parole di uno dei primi geologi d' I- « talia, come le rivoluzioni del globo distruggessero la mag- « gior parte delle specie che vivevano durante il periodo « antecedente ; ma nè le osservazioni geologiche, nè le teo- « riche fondate su quelle osservazioni , possono spiegare « come dopo ciascuna rivoluzione apparissero specie di a- « nimali e di piante che prima non esistevano, specie icui « avanzi si trovano sepolti negli strati più antichi delle nuo- « ve formazioni; onde il geologo è costretto ad ammettere, 320 — « che dopo ciascuna rivoluzione del globo, un nuovo atto « di quella Volontà che nel principio aveva creato il cielo » e la terra , abbia successivamente popolato i mari ed i « continenti di erbe ed alberi , di rettili, uccelli ed animali « d’ ogni sorta, finché coronando l’opera della creazione « vi collocasse V uomo fatto a sua immagine , secondo la « sua somiglianza . In qual modo, in quante volte, con qua- « li intervalli siasi operata la creazione del mondo inorga- « nico, ed organico, sono ricerche estranee alla storia na- « turale. À noi basti l’aver dimostrato; che lo studio del- « la terra conduce 1’ uomo a riconoscere 1’ esistenza neces- « saria di una Volontà superiore a ogni cosa creata. Or dopo il sopradetto, così noto all’universale, niuno saprebbe rendersi ragione dello impegno che taluni natura- listi pongono nel sostenere l’assurda teorica della trasfor- mazione, sforzandosi provare, ma invano, il legame di pa- rentela che suppongono esistere tra l’uomo e le scimmie da loro indicate col nome di antropoidi, come l’orang-outan di Bornèo, il chimpansé di Guinea, ed il corilla del Gabon. Possibile che 1’ uomo, quest’essere formato ad immagine del Creatore, che tra le sue più elevate ed esclusive facoltà quel- la possiede della perfettibilità; che sente e comprende, anche no ’l volendo la propria dignità, e di cui 1’ orgoglio, spes- so immensurabile, giunge talvolta a traviar di modo la ra- gione da fargli concepire l’ idea assurda di potersi rendere superiore al Creato ed al Creatore istesso; possibile dicevo io, che egli ponga ogni opera, si affatichi e si arrabbatti per degradare la nobiltà del suo essere, la sublimità del fine cui tende, ed avvilire insomma ogni suo pregio, cercando osti- natamente ogni maniera di rassomiglianza che possa rav- vicinarlo alle scimmie ! Eppure è così, ed oggi più che mai ! Linneo, ponendo l’ uomo tra i primati, non curò confon- derlo colle scimmie. Cuvicr c Blumembach separarono l’uo- mo dalle scimmie per la prima volta, costiuendo l’ordine bimani. Il Sig. DcLamarck fu il più avventato sostenitore della trasformazione delle specie. Geoffroy Saint- II ilaire si impegnò a rafforzare la falsa teorica del Lamarck. Owen per i caratteri notomici che ha creduto riscontrare nella testa dell’uomo, e che lo distinguono dalle scimmie, ha creato per esso bordine degli Archincefali. Il celebre Carus, e lo abbiamo detto altre volte , non crede sufficiente per f uomo un ordine, nè una classe , ma una sfera , un mondo per convenientemente collocarlo. Però Huxley , a cui sembra star molto a cuore la quadrumana origine, lotta con tutte le sue forze contro coloro che ne lo vor- rebbero privare, e Darwin con una teorica quanto inge- gnosa, altrettanto ipotetica, che mostra l’elevatezza della sua mente e l’estensione non ordinaria delle sue cono- scenze, ma al tempo stesso un’ immaginazione feconda nel creare le più insussistenti personificazioni e le più vane idealità, giovandosi dei principii emessi sulla variabilità del- le specie dallo zio Erasmo, dal Goethe, dal Geoffroy-Saint- Hilaire, dal Lamarck ec. con un sistema cui ha dato il no- me di variazione delle specie, per selezione naturale, ha se- condato le aspirazioni di quelli che amano meglio di esser derivati direttamente dalle scimmie, invece che dal fiato me- desimo del Creatore. Il sistema cui abbiamo accennato, si contiene in un li- bro, cui l’autore ha dato il titolo di origine delle specie , e delle leggi del progresso degli esseri organizzati. Questo Vi- bro è stato letto con avidità, ed ha menato grande rumore. Ma gli uomini veramente illuminati, dotati di uno spi- rito sodo e scrutatore, per nulla immaginosi , o tendenti per natura al sistema, non potranno mai plaudirlo, perchè altro che parole ben dette , e stile seducente , altro che i- potesi ardite annunziate coll'apparenza della convinzione, fa d’uopo per affascinare la mente di tali uomini. Noi non appartenghiamo a questa classe privilegiata, ma non siamo ATTI ACC. VOI. XX. 41 ncanco di quelli che son disposti a prestar credenza, e cie- camente, a ciò che si vuol loro far credere, e imporre dal- l’autorità. Noi abbiamo i nostri princi pii dal fatto sanzionati, e che la vera logica non può smentire; princi pii che non ism ette- remo giammai. Per noi tutte le ricerche sulla origine de- gli esseri organizzati son vane: perchè gli esseri viventi non possono avere altra origine che la mano del Creatore, ed un’altra che loro è stata assegnata, quella, cioè, della ge- nerazione spontanea, è nient’ altro che una chimera. Per ciò stesso riputiamo a priori vani gli sforzi del Darwin per iscrutarc l’origine degli esseri organizzati; pure avvi di più, cioè, che nel libro di questo autore di tutto si tratta meno della origine degli esseri. Difatti, riducendoli primitivamente a tre o quattro stipiti, resterebbe sempre a conoscere la derivazione di questi stipiti fondamentali. Noi non possiamo a lungo occuparci di tali argomenti, c lo abbiamo altrove detto; ma ci permettiamo talune bre- vi riflessioni sull’assunto. E primamente diremo: che niu- no potrebbe niegare la variabilità delle specie; è questo un fatto che la formazione di nuove razze ha del tutto san- zionato. Le variazioni però delle specie avvengono più per l’o- pera della mano dcU’uomo, che spontaneamente. Queste va- riazioni possono in taluni casi perpetuarsi ancora: ma si è veduto dopo lungo tempo scancellarsi e ristabilirsi i carat- teri primitivi delle specie nella loro totalità, quando le con- dizioni che le variazioni produssero venner di poi a man- care. Nè le variazioni tendono costantemente a migliorare le specie. Non troviamo quella tendenza che il Darwin am- mette negli esseri organizzati a migliorarsi. Gli anima- li non ci hanno mai offerto alcuno esempio di questo progressivo miglioramento, nè in quanto al loro organico congegnamento, nò in quanto ai loro costumi, essendo essi costantemente privi della facoltà di migliorare la loro con- dizione. È solamente l’uomo che mostra questa tendenza, non in quanto al fisico, ma in quanto al morale; così il pro- gresso è attributo dell’umanità. Ed ove fosse vera quella naturale tendenza al miglio- ramento, che forma uno de’ principii fondamentali del si- stema di Darwin, d’onde deriva, io chiederei, quella ten- denza ? Qual potere la dirige ? Come va che questo potere non devii mai dallo scopo cui mira, il miglioramento, cioè, degli esseri? Questa potenza, risponde Darwin, è la selezio- ne naturale oj utata dalla concorrenza vitale,* che sta nella lotta perpetua che s’ impegna tra gli animali per la loro sus- sistenza. La selezione naturale sceglie ciò che è utile per il miglioramento dell’individuo, ed elimina il nocevole per mezzo della mentovata concorrenza vitale. Ma questa risposta non risolve il quesito. La selezione naturale è dunque un potere, ed un potere illimitato, immensurabile, secondo il Darwin, le di cui espli- cazioni non tendono che ad un solo scopo , ed il quale mentre, secondo il citato autore, è incosciente, pure è sa- piente (vedi contraddizione!) al segno di servirsi d’ ogni mezzo per raggiungere quello scopo unico che è il miglio- ramento degli esseri organizzati, e sino a giovarsi (cosa ve- ramente maravigliosa ! ) della distruzione di molti fra essi. Ma dove risiede questo potere ? Chi possiede un tal potere? Si risponde la natura. La natura! Ma che cosa è la na- tura se non una parola che serve a tutto indicare senza nulla esprimere ! Una parola vuota di senso , una ridicola personificazione fuori d’ uso, ove non si voglia con essa significare la mano Creatrice che formò dal nulla il mon- do. Sì la natura è Dio, ed Egli creò le specie, le quali so- no fìsse, sono immutabili, non soggette a trasformazioni, e le quali appunto per questa stessa immutabilità, che riem- pie l’animo di sorpresa e di stupore, splendidamente rivela- no la sua onnipotenza. Le specie, ripetiamo, sono variabili, ma non sono muta- 324 — bili. Il Darwin avrebbe dovuto far questa distinzione, ed avrebbe dovuto segnare i limiti di questa variabilità, che son molto ristretti, laddove egli li crede immensurabilmen- te estesi. La variabilità delle specie può ingenerar delle raz- ze, ma mai dar luogo a formazione di nuove specie. E il Darwin, scrivendo un libro sull’ origine delle specie, avreb- be dovuto prender le mosse dal definire la specie, lo che non ha fatto, ed è perciò che il suo sistema non ha alcun fondamento. Nè vale il dire, essere impossibile una deter- minazione fisiologica della specie, perchè si ha una norma sicura colla quale distinguerla, e questa norma ci vien som- ministrata dalla generazione, e particolarmente dalla atti- tudine a procreare, che può aver limiti, oppur nò. Quan- do le specie son ben definite , non vi ha più luogo a confonderle colle varietà; e quando questa distinzione ha avuto luogo, le specie artificiali e le incipienti sparisco- no come vere illusioni, e rimangono le specie naturali create a principio col carattere dell’ immutabilità. I fautori della trasformazione delle specie si meraviglia- no al vedere uno stuolo immenso di dotti che si ostinano a negarla; ma è perchè un’ esempio solo di trasformazione non è mai occorso. Come si può dunque asserire che l’uo- mo sia originato dalle scimmie antropomorfe, e queste dal- la trasformazione di altri quadrumani, come il conila dal babbuino, il l chimpansé dal macaco e l’orang-outang dal gib- bone? Ma perchè le scimmie dell’ America non hanno anco- ra dato genesi a nuovi chimpansé, a nuovi conila ec. ? Perchè mentre alcuni chimpansé si sono perfezionati tra- sformandosi in uomini, altri sono rimasti incommutati? E quale tra le scimmie antropomorfe, che sono almeno tre, non volendo contare le quattro specie di urang di Blyth, le due di chimpansé di Duvernoy ec. quale, dicevamo, ha dato origine, trasformandosi, alla specie umana? Tali que- siti non ci potranno certamente risolvere nè i Darwin, nè — 325 — gli Huxley, nè gli Asa Gray, nè i Vogt e tutti quelli che vo- gliono sostenere così paradossali teorie. Nè si può dire che la rassomiglianza che passa tra le scimmie antropomorfe e l’uomo, possa deporre in favore di quelle teorie: poiché se vi ha rassomiglianza, questa '.tutto al più riguarda il materiale organico congegnamento dello uomo e della scimmia, ma non la parte più nobile che è la ragione e tutte le facoltà morali ed intellettive che in essa si riassumono. Ed in quanto all’organico e materiale con- gegnamento molte differenze esistono, che non è qui il luo- go di enumerare; e noi potremmo dire che se nei primordii dell’organico sviluppo il cranio della scimmia antropomorfa somiglia a quello dell’ uomo, nel compimento dello svilup- po quest’ultimo rimane coi suoi caratteri primitivi, e quello della scimmia, pei cambiamenti che subisce acquista la for- ma permanente di quello degli animali Aerini; potremmo ancor dire, che è vano tentar di stabilire una perfetta ras- somiglianza tra i piedi dell’ uomo e 1’ estremità degli arti addominali delle sci mie; potremmo aggiungere, che nessuno anello intermediario si è rinvenuto che potesse congiunge- re l’uomo alla scimmia, nè in i stato di vivenza, nè in quel- lo fossile; chè se qualche cranio abbia potuto accennare a quel preteso passaggio, è però a dire, che molte cause di difformità esistono, tali da far variare la conformazione cra- niana; potremmo dire tante altre cose, le quali tutte avremmo mezzi di dimostrare, ma ce ne astenghiamo, perchè siamo certi che quest’ epoca di sogni e di delirii avrà durata bre- vissima, e l’uomo vergognandosi del suo morale decadi- mento, riconoscerà la propria dignità, e renderà grazie al- l’Altissimo di non averlo voluto confondere con le bestie. ' DESCRIZIONE ALCUNI RESTI FOSSILI GRANDI MAMMIFERI RINVENUTI IN SICILIA PRECEDUTA DA ALCUNE ÒONSIDERAZIONI SUI MAMMIFERI VIVENTI E FOSSILI IN GENERALE E SU QUELLI DELLA SICILIA IN PARTICOLARE LAVORO DIVISO IN PIU’ MEMORIE Per il Dr. in Medicina Professore di Zoologia, Incaricalo dell’ Anatomia comparata, e Direttore del Gabinetto Zoologico della JIcgia Uniyersità di Catania; Socio attivo e Direttore dell’ Accademia Giocnia; e socio di varie altre Accademie nazionali e straniere. MEMORIA 2.a Letta all’ Accademia suddetta nella seduta del 15 febbraro 186» PARTE PRIMA CAPITOLO II." Conformemente al piano tracciato nella introduzione a que- sto lavoro , noi ci faremo onorevoli Consoci i, in questo 2. 0 capitolo ad esporre un quadro in cui saranno delineati i principali mammiferi fossili, che sono stati rinvenuti in alcuni dei varii terreni che costituiscono la crosta del glo- bo, c dei quali taluni resti si sono trovati in Sicilia E que- sto quadro ci è forza offrirvi, perchè dovrà servirci indi- spensabilmente di norma negli studii storici, paleontologici e paleozoografici, che in progresso intraprenderemo sui mam- miferi fossili dell’Isola nostra e particolarmente su quelli di cui numerosi avanzi abbiamo noi stessi ritrovato. In questa rapida, ma importante esposizione, noi pro- cederemo in ordine alla classificazione abbracciata. Ordine i.° Bimani Quando il naturalista Broockes (1) fù fortemente rimpro- verato dal principe regnante d’Inghilterra di avere avvilito la dignità della specie umana , riguardando V uomo come un animale, e classandolo tra le scimie, egli, qual’uno dei (1) Systcme d’ histoire naturelle. — 330 — caldi sostenitori della pretesa naturai colleganza di questi esseri, cotanto peraltro fra lor diversi, rispose colle seguen- ti parole, che non lasciano dubbio sul di lui intendimento d’ illudere la mente di quel principe, restando fermo nelle sue credenze. « Monsignore, egli disse, i vostri argomenti « e le ragioni da voi addotte hanno avuto tal presa sul- « F animo mio da farmi cedere alle vostre opinioni. Io « dunque cangerò il mio piano, ed invece di collocar « T uomo tra le scinde, collocherò le scinde tra gli uo- « mini. » Noi al certo non faremo nè l’uno nè T al- tro ; noi non degraderemo l’ uomo al segno di porlo a livello della scinda, nè questa innalzeremo alla dignità di uomo. Anzi, essendoci nel precedente capitolo spiegati di un modo, per quanto chiaro, altrettanto categorico, sull’ assun- to, e ligii essendo ai nostri sentimenti ed alle nostre convin- zioni, avremmo dovuto nella rassegna che imprendiamo a fare dei primarii mammiferi fossili, escludere 1’ ordine dei bimani, che abbiamo creduto doversi abolire; ma conside- rando T uomo come tutt’altro che un animale, non possia- mo tuttavia dispensarci di dire alcune parole sulle ricerche degli avanzi fossili dell’ umana stirpe e sulla scoverta di al- cuni di essi nei terreni del periodo quadernario , scoverta che ha sollevato grande rumore nei mondo scientifico , e che è stata per i dotti feconda sorgente di ripetute osser- vazioni, di gravi discussioni e di congressi scientifici, e per alcuni tra loro che rispettano le sacre carte, argomento di sospetti, di timori, d’incredulità e di corruccio, senza che se ne possa agevolmente indovinare il motivo, eccetto che tutto questo sia avvenuto per un primo impulso e per di- fetto di serie e pacate considerazioni. All’ annunzio della scoverta dell’ uomo fossile , resa di pubblica ragione nell’anno 1863 come di un fatto, per quanto sorprendente, inatteso altrettanto, coloro che la storia igno- rano della scienza del globo, avran potuto credere, che nei 331 — tempi andati alcuna traccia fossile di umana carcassa non sia stata rinvenuta nei terreni che formano la scorza della terra. Ma invece è a dire, che varie ossa fossili appartenenti alla specie umana furono già trovate in varii punti della su- perficie terrestre, e la importanza della scoverta di cui è pa- rola deriva piuttosto dalla natura, o meglio, dal posto che i terreni in cui si son rinvenute occupano nella serie degli strati terrestri e dall’epoca delle rivoluzioni da cui han trat- to la origine. Molte ricerche sono state .dirette a scoprire avanzi della specie umana in quei terreni, che essendo il prodotto dei diluviali sconvolgimenti, nei quali esistono re- sti di grandi mammiferi estinti, avrebbero potuto provare resistenza dell’uomo antidiluviano. In tutte queste ricerche, per quanto ardue e difficili, altrettanto interessanti, tentate e condotte con alacrità ed ostinata perseveranza, si sono im- pegnati oggi i primi geologi dell'Inghilterra e della Francia, e primo fra tutti Boucher de Perthes distinto coi nomi di Apostolo dell’antichità dell’uomo, e di Profeta di Àbeville. Molto tempo è che si cerca giungere allo scoprimento di umane relique in terreni, come si disse, che potrebbero mostrare la contemporaneità dell’uomo e di alcuni mammi- feri, che più non vivono sulla superficie della terra. Senza dire dell’ Antropolitus di Linneo, del Zoolitus hominis di Ge- sner e dei cranii fossili di Àpelius e di Henckal, prova ne è l’ homo diluvii testis di Sheuchzer, che egli credè aver tro- vato in OEningen nel 1726, che fu da Camper nei 1787 ri- conosciuto per un rettile, e dal celebre Cuvier classato tra le salamandre di una maniera indubitabile, dopo che in Har- lem potè scoprire per lo mezzo di Yan Marum tutte le al- tre parti nascoste nella pietra in cui esiste quel fossile. Que- sto disinganno ammorzò Y ardente brama dei naturalisti, al segno di credere per lo innanzi vana qualunque perquisizio- ne, e farli inclinare ad ammettere, almeno secondo alcu- 4 ni, quasi impossibile il rinvenimento di ossa umane ne- gli strati regolari della terra. Ma il barone Cuvicr non propugnò tale impossibilità, come lo accertano alcune sue parole che si contengono nel discorso sopra le rivoluzioni della superficie del globo, e riferite da varii autori; solo ne scrisse delle altre in quello stesso lavoro, le quali accer- tano, clic diverse ossa fossili umane erano state scoverte in varii terreni, che quelli però non sono in cui sogliono rin- venirsi gli avanzi di quei grandi mammiferi, di cui 1‘ esisten- za antidiluviana non è da porsi in dubbio. « Iodico, ecco « le sue parole, clic non si sono trovate giammai ossa u- « mane tra i fossili, beninteso, tra i fossili propriamente « detti o, in altri termini, negli strati regolari della superfi- « eie del globo; perchè nelle torbiere, nelle alluvioni, co- « me nei cimiteri si potrebbero trovare delle ossa umane, « del pari clic le ossa di cavalli, o di altre specie volgari; « se ne potrebbero trovare ugualmente negli spacchi delle « rupi, nelle roccie in cui la stalattite si sarebbe accumu- « lata sur esse; ma nei letti clic ricettano le antiche razze, « tra i paleoteri , ed anche tra gli elefanti e i rinoceronti, « non si è giammai trovato il menomo osso umano; I ed « in altro luogo « d’onde è chiaro che non si può trarre nè da « queste ossa stesse» (rinvenute cioè nei luoghi suindicati), « nè dagli ammassamenti di pietre o di terra che le rico- « prono, alcun’argomento in favore dell’antichità della spe- « eie umana in queste diverse località. » (2) Si comprende agevolmente, elio tutte queste circostan- ze, cioè la smentita data da Camper e da Cuvier a Sclie- uchzer, il non essersi trovato sino a quell'epoca alcuno a- vanzo fossile di specie umana in terreni che avrebbero po- tuto constatarne l'antichità e per alcuni la pretesa ma falsa (1) Recherch. sur Ics osscm. ecc. t. 1. png. 66 e segu. (2) L. c. pag. 69- im possibilità di trovarsene, influirono moltissimo a ritarda- re il cammino delle ricerche dei dotti per raggiungere lo sco- po indicato. E fu perciò che dal 1 726, in cui venne fuori l’uomo testimonio del diluvio in sino al 1823, in cui fù resa di ra- gion pubblica la grande opera del dotto geologo inglese Bu- ckland sulla caverna di Kinklake, la scienza non conta in- torno a questo argomento, che le osservazioni del Camper, i grandi stridii c le ricerche del Cuvìer sugli animali fossili, i quali però in quanto all’ uomo fossile, come abbiamo ve- duto, risultarono del tutto negativi, le scovcrte di ossa ri- mane frammiste a resti di orsi e di altri mammiferi estinti da I. F. Espcr nella caverna di Gaileureuth in Franconia nel 1774, e le altre di John Ercre di armi in selce con ossa fossili di specie perduta in istrati non smossi nella caverna di Sulfolk nel 1797. Ma dal 1823 in poi, le ricerche si sono celeremente mol- tiplicate, e la storia della scienza ci offre sull’assunto una ricca serie di osservazioni e di fatti tendenti a risolvere la grande quistione dell’antichità dell’umana stirpe. Or tutti questi fatti osservati in diverse epoche con più o meno di accorgimento e di esattezza , in varii punti ed in terreni diversi, sono stati da taluni autori cronologica- mente riferiti. Essi, però, dovrebbero essere in certo modo ravvicinati, ordinati , pria distintamente e poscia comples- sivamente considerati per rilevare da ultimo , se nell’ uno o nell’ altro modo possano condurre allo scioglimento della questione. Imperciocché spesso avviene, che pochi fatti sle- gati e parte a parte studiati non possano, fornire degli ele- menti sufficienti a sani e decisivi giudizi, laddove poi posti in rapporto fra loro e nel loro insieme valutati riescono sen- za fallo a questo fine. E tutto ciò forse emergerà dall’esame che imprendiamo a fare sopra codesta delicata ed importante quistione, ten- tando, non collo scopo di avversare l’opinione da alcuni — 334 — primarii geologi ammessa, e che afferma resistenza dell' uo- rno antidiluviano, ma colla massima imparzialità, di dare, per quanto permetteranno le nostre forze, il giusto valore alle prove che si adducono in sostegno di tale opinione, e principalmente per darle fra noi quella publicità che essa merita per la sua importanza; collo scopo eziandio di dis- sipare i dubbi che potrebbero insorgere nella mente di ta- luni da far loro credere che una tal novità possa offendere l’integrità delle loro religiose credenze. Or anzi tutto crediamo utile, per arrivare allo sciogli- mento di questione siffatta, posare i dati che potrebbero for- nire le prove irrefragabili dell’ antichità della specie umana. E queste, secondo la nostra opinione, sarebbero lo scopri- mento di ossa umane in terreni di data anteriore a quello di recente formazione, che contengano perciò resti di mam- miferi di specie perduta e lo rinvenimento di quest’ ultimi misti a monumenti della industria umana primitiva, peroc- ché quando esistono tali monumenti poco importa che le ossa umane manchino, essendo quelli non meno indubii e reali rappresentanti dell’esistenza dell’ uomo. Se si giungesse dunque a provare, che mercè le ricer- che paleontologiche ed archeologiche isolatamente e com- plessivamente considerati, questi due elementi di fatto siano stati irrevocabilmente assodati, si potrebbe in tal caso con- chiudere, che l’uomo è assai più antico di quanto si è po- tuto credere, e che ha dovuto apparire sulla superficie del- la terra pria elio fossero avvenuti gli ultimi grandi mondiali sconvolgimenti , che accaddero pria della formazione del terreno recente e posteriormente a quella del pliocenico. Ed è fra questi due che interponesi il terreno, il quale considerato da taluni come quello del diluvio, è stato da altri chiamato quadernario, e che oggi il chiarissimo Lyell ha distinto col nome di post-pliocenico. Ora se egli fosse vero, che l’uomo sia vissuto non solo — 335 nei periodo recente, ma eziandio nel post-pliocenico , noi potremmo senza fallo considerare questi due periodi come formanti una lunghissima epoca che con alcuni autori si dovrebbe contemporanea addimandare; epoca che qualcuno ha creduto poter ripartire in più periodi, come l’epoca ter- ziaria è stata divisa nei periodi Svessoniano, Parigino, Fa- luniano e Subappennino. In quanto a quelli dell’epoca contemporanea che si vo- gliono fissare a cinque, ecco quel che si dice. « Il primo « o più antico in cui compivasi il sollevamento delle Alpi « occidentali, è paleontologicamente contrassegnato dall’e- « stinsione dell’ursus splcus, e questo volentieri Io chiame- « remmo periodo dell’orso spelèo. Il secondo, che potrebbe « intitolarsi periodo del mastodonte, è reso notevole per « f emigrazione del mastodonte dalla Siberia nell’ Europa « occidentale ove presto si cstinse. Il terzo, che è il pe - « riodo delle renne, in cui le Cordigliere su cinquanta gra- « di di longitudine, raggiunsero l’attuale elevatezza è pa- « leontologicamente distinto nell’Europa occidentale per la « comparsa delle renne. Il quarto (periodo dell’ ursus e « dell’uroco) è forse l’era della immersione dell’ Atlantide , « ed è segnato dall’ estinsione dell’Uroco o Bisonte euro- « peo e dell’Urus o Bos primigenius di cui alcuni super- « stiti ancora vivevano ai tempi di Giulio Cesare. Il quinto « finalmente che è il periodo odierno, sarebbe contrasse- « gnato dalla estinsione di due ordini di augelli, gl’inerti e « gli Struzionidi, quali Nothornis, Epyornis, Dinornis, Ala- « pterix, ec. (1) Non è questo il luogo di discutere se un tal modo di ripartizione sia o no esatto ; perciocché una tal disamina troppo c’ isvierebbe dal proposito nostro . Però tornando al- ti) P. Lioy— Rivelazioni della paleonlologia e dell'Archeologia— Nel Politecnico voi. XXI. fase. 2.° maggio 18C4— pag. 223. 336 — l'argomento, e ritenendo la divisione dell’epoca contem- poranea nelle due formazioni recente c post-pliocenica, di- remo, che ossa, umane e monumenti dell’ industria umana primitiva , come si assevera, sonosi rinvenuti nel terreno recente e nel post-pliocenico. Laonde sarebbe necessità il distinguere gli umani resti, non che i prodotti primitivi della mano dell’ uomo che si rinvengono nel terreno recente, da quelli che si contengo- no nel post-pliocenico, senza che, ogni altra ricerca ed ogni altro studio riuscirebbero vani. E sul proposito crediamo, che in quanto alle reliquie di umano scheletro che non dif- feriscono fra loro gran fatto in ordine a forme anatomiche, potrebbe una tal distinzione ottenersi mercè un’attento stu- dio del vario Ior grado di fossilizzazione e della natura del terreno in cui si trovano; ed in quanto agl’ istrumenfci va- ri ed altro forniti dalla mano dell’ uomo primitivo essi po- trebbersi distinguere sia per la condizione geologica del ter- reno in cui con resti di animali fossili coesistono, sia per il grado di perfezione con cui furon lavorati e sia per la natura del materiale impiegato a fabbricare. E qui o Signori pria d’ inoltrarci nell’esame delle ri- cerche clic sono state fatte di ossa umane e di monumenti dell’ industria primitiva dell’uomo nei due precitati terreni, non sarà certamente inopportuno dire qualche parola di volo sopra questi monumenti, e principalmente sugli strumenti lavorati in tempi antichissimi dalla mano dell' uomo. Le varie ricerche fatte sui diversi punti della superficie del globo nel vecchio e nel nuovo continente, e specialmen- te eseguite in Danimarca, hanno spinto i celebri naturalisti ed Archeologi Svedesi e Danesi a stabilire una successione cronologica di alcuni periodi che hanno chiamato l'età di pietra, quella di bronzo e l’altra di ferro, secondo le materie che hanno inservito alla costruzione degli strumenti e di al- tri oggetti di cui l’uomo in varie epoche ha fatto uso. ' — 331 — Così si potrebbero riferire secondo questi autori, alla pri- ma età i frammenti dell’industria umana composti di pietre, oggetti di terra non cotta e grossolanamente lavorati ; alla seconda o al periodo di bronzo, strumenti costruiti con que- sto metallo; ed all’età di ferro, le armi con questo fabbricate, ed ornamenti di diverso e più ricco metallo. In quanto poi alle varie forme di questi testimoni della industria umana primitiva, noi ci limiteremo a riferire, non potendo dirne di meglio, quanto ultimamente ne scrisse il Sig. P. Lioy in un suo lavoro inserito nel Giornale il Politecnico e che porta per titolo — Rivelazioni della Paleontologia e dell’ Archeologia intorno alle epoche antichissime dell’ u- manità (1). « Gli utensili, egli dice, dei terreni diluviali, veneran- de do monumento della primitiva industria, principio di quel- « la serie di atti con cui 1’ uomo andò accrescendo la sua « potenza, sono gli stemmi del lavoro; gli operaj primitivi « valevansi della selce per comporne pugnali, coltelli, pun- « te di lancie, freccio, ma preferivano altre pietre dure co- « me trappi e diaspri per fabricarne accette e martelli. Le « armi costruite di selce hanno ordinariamente forma di o- « voide piatto, manico rude, punta arrotata a taglio, ora in « foggia di stiletti, ora di piramidi triangolari. La grandez- ze za media ò di IO a \t centimetri; il minimum 8, il ma- « ximum 24 centimetri. A Saint-Achcul se ne scoprivano di « sì informi che solo il grande numero impedisce di poterle « considerare come un lasus naturae. « Aspetto più singolare presentano le pietre dure taglia- le te a maniera di triangoli che Noulet disotterrò vicino a « Tolosa. Si è discusso fra gli Archeologi dell’ uso di altri a sassi, evidentemente lavorati, dissepelliti nelle sabbie di- « luviali dell’ America del Sud e nei depositi quaternari del (1) Voi. XXI. fase. 2.°— maggio i86i-pag. 225. ATTI ACC. YOL. XX. 42 — 338 « cantone di Vaud vicino a Morges e in altri luoghi della « Svizzera, e risguardati come amuleti o come idoli, ovve- « ro come strumenti da giuoco analoghi ai transterici dei « Romani. Forma hanno sferoidale con un solco più o me- « no profondo in sul mezzo, ed ormai non v’ ha chi dubi- « ti a riputarli sassi da fionda che nelle caccie antidiluviane « furono scagliati. I Maoris della nuova Zelanda anche ai « dì nostri impugnano utensili di pietra c gli americani sel- « vaggi armansi di formidabili thomavali di sasso. « Armi di osso seguirono quelle di macigno. Punte di « freccio costruite d’osso comparvero sepolte ad Àrgenton « sur Creuse, nelle grotte di Arcy , di Bise c di Savignò. « V’ hanno strumenti ossei primitivi con sembianza di pun- « tali certamente per uso di ferire; avvene di rassomiglianti « ai lisciatoi descritti da Steinhaver che i moderni abitatori « della Lapponia impiegano per domare le grossolane cuci- « ture con cui rattaccano le pelli di renne. GL islandesi ma- « neggiano qualche cosa di simile nei loro baers, e di uno « strumento analogo si fa motto negli annali chinesi, attri- « buendonc la scoperta a Tehin-Sang in epoche antistoriche. « La maggior parte ditali attrezzi sono tratti da scheletri cer- « vini. » A tutto questo è mestiere, Signori, aggiungere, per nul- la omettere in questo rapido esame, la scoverta di vari al- tri oggetti, che armi non sono o altri strumenti d’industria ma con osso costruiti. Così un dente canino di Orso Spe- lèo lavorato in modo da rappresentare la testa di un uc- cello secondo la maniera di vedere del Lartet, così i meta- carpi ed i metatarsi di ruminanti e di pachidermi fossili dis- seppelliti al Lussemburgo, ed in modo tagliati da non po- tersene rintracciare il nucleo, e due altre porzioni centrali di metacarpi o metatarsi forati da pertugi rotondi come in zufoli pastorali (1). E questo non è tutto. « Altri saggi di « primitiva scultura la terra nasconde nelle sue profon- (1) P. Lioy — 1. c. pag. 226. — 339 — « dità, come gli strani arzigogoli intagliati su corna elicervi, « e il metatarso cervino su cui miransi scolpiti due profili « di animali. » E far si dee menzione ancora delle stoviglie e delle ceneri e polve di carbone in varii luoghi rinvenute, come quelle che intorniano la caverna ossifera dell’alta Ga- ronna; e degli avanzi di cucina e, rimasugli di cibi di po- poli di data antistorica, e di cui la scoverta è tornata in tan- to onore ai dotti della Scandinavia. Diremo in progresso qual- che parola sulle antiche abitazioni lacustri e sui monumen- ti della industria primitiva tra i resti di quelle abitazioni rin- venuti . Ed ora, che abbiamo dato un’ idea, sebbene ristretta, dei varii monumenti fabbricati dalla mano dell’uomo primitivo, tanto necessaria per la facile intelligenza di quanto in pro- sieguo esporremo, e collo scopo che utilissimo crediamo di diffondere fra noi tali conoscenze, è necessità venirne alla esposizione dei principali fatti c scoverte che alla questione in esame si riferiscono, e che si possono in due categorie ripartire, l’una spettante al periodo recente, al quaternario o post-pliocenico l’ altra. I fatti compresi nella prima categoria rivelano re- sistenza di ossa umane e di monumenti dell’industria uma- na primitiva in terreni posteriori al gran cataclisma mon- diale—il diluvio. Questi terreni sono strati di alluvione che si possono formare alla giornata, che sono costituiti di ciot- toli, ghiaje, sabbie c fanghiglie, che somigliano in qualche modo a quelle materie che si dicono argille, e di tritumi di conchiglie, zoofiti ed altri resti organici che spettano a spe- cie viventi. Questi strati si formano grado grado per la so- vrapposizione successiva delle materie, acquistando un con- solidamento che offre diversi gradi, e che non solo dipende da questa stessa sovrapposizione di materiali, che agiscono per il loro peso, ma eziandio per lo infiltramento di acque — 340 — cariche di calce carbonata, e, quando calde, di una certa quantità di selce e di altri principii; sostanze tutte che, fram- mischiandosi in diversi modi ed in varie quantità, costitui- scono quei depositi, che sogliono contenere diversi avanzi organici, ed a cui si è dato da alcuni geologi il nome di stra- tificati. Questi depositi devono quindi riguardarsi come ef- fetti deir azione attuale delle acque, non solo nello stato li- quido, ma eziandio in quello di ghiaccio, non potendosi por- re in dubbio gli sconvolgimenti eie alterazioni di suolo che le ghiacciaie son capaci a produrre. Questi depositi possono essere ingenerati dalle acque del mare (depositi marini), o dalle alluvioni fluviatili. Ed al- l’influenza dell’ acqua bisogna aggiungere quella dell’aria, principalmente dei venti, quella dei tremuoti, dei vulcani ec. Àncora tutti questi stessi depositi costituiscono i terre- ni dell' epoca essenzialmente moderna, posteriore, comesi è detto, alla quaternaria, la quale soprastà ai terziari! d’ogni or- dine, e che ebbe fors’ anche origine dalle stesse cause che tuttora agiscono, ma non colla possa, la violenza e la uni- versalità d’una volta. Le breccie, le torbiere, le dune, i tufi ed altro appar- tengono a questo terreno recente, nel quale come si disse, si rinvengono resti organici vegetali ed animali, che tuttora vivono ed anche delle ossa umane, non che i monumenti di antichissima industria. Così gli avanzi dell’ industria umana e quelli dell’uomo stesso si ritrovano nelle alluvioni prodotte dal mare sulle co- ste, le quali contengono del pari gli avanzi terrestri c fluvia- tili, che vi recano i fiumi, come nella costa della Cornova- glia. Nella pietra arenaria calcare della Guadalupa compo- sta di frantumi di polipai, di conchiglie terrestri e fluviatili, e di sostanze rigettate la maggior parte dal mare, c cemen- tate da un succo calcareo, si rinvengono oggetti lavorati dalla mano dell' uomo ed umani scheletri. Nel modo stesso ossa — 341 — umane sono state trovate nelle torbiere, in talune grotte e nelle sabbie vulcaniche che inabissarono Pompei cdErcola- no. Si rinvengono anche avanzi eli specie umana in ter reni, che, avendo dapprima appartenuto all’ ultima rivoluzione del globo, hanno in seguito servito di sepoltura all’ uomo. Così si vide che le ossa umane trovate presso Alais nel 1844 in uno strato marnoso, probabilmente del terreno su- bappennino, provenivano da un cimitero del tempo delle Crociate. Il gruppo delle ossa fossili che lo Spallanzani avea portato dall’isola di Gerico, e da questo celebre naturalista riguardati come appartenenti alla specie umana, esaminato dal Cuvier, nulla offrì a questo dotto che potesse condurre a tal giudizio. « Tra le ossa trovate a Cronstadt , dice lo « stesso Cuvier, si vedono alcune opere della mano del’uo- « mo, ed un frammento di mascella umana; ma si sa che « il terreno fu smosso senza precauzione, e non si tenne « alcun conto dell’ altezza alla quale ogni cosa fu trovata » (1) Ed in altro luogo. « Recentemente ancora si è preteso « essersene discoperte a Marsiglia in una pietra lungo tempo « trascurata: queste erano dei tubi marini »; giudizio che da lui fu dato sulle figure che gli furono inviate dal sig. Got- tard professore al Collegio di quella città. « Le vere ossa « umane, prosieguo lo stesso autore, appartenevano a ca- « daveri caduti negli spacchi delle rupi, o rimasti nelle an- « fiche gallerie delle miniere, coverti d’incrostazioni: ed io « estendo questa assertiva sino agli scheletri umani sco- perti alla Guadalupa» (2). Si trovarono delle ossa umane presso Kowstriz, e si credettero appartenenti a terreni an- tichissimi; ma il chiarissimo Schlotheim fece conoscere quan- to poca fede meritasse quell’ assertiva. Ma, lasciando da parte (1) Recherches sur les ossemens fossiles- Discours sur le révolu- tions de la surface du globe pag. 66. (2) L. c. pag. 66. tutte altre osservazioni che riferir si devono ad un’ epoca in cui la scienza povera oltremodo di fatti sull’esistenza del- l'uomo fossile anche nel periodo recente, con malogevolezza i pochi che possedeva avrebbe potuto adeguatamente inter- petrare, fermiamoci un istante, Signori, sulle scoverte di cui essa in questi ultimi tempi si è arricchita, come si è detto per le laboriose ed ostinate ricerche dei paleontologi e de- gli archeologi moderni. (1) Ed è giusto accennare anzitutto ad alcuni crani umani che sono stati rinvenuti nella torba, la quale secondo Lyell è una sostanza che cresce e si accumula nei luoghi setten- trionali ed umidi, e nei monticelli costituiti dalla maggior parte di ostriche, cardii ed altri molluschi di specie identi- che alle viventi, che si osservano pressoché in tutte le isole danesi e nel Massachussetts, non clic nella Georgia negli Stati Uniti di America, e veduti dal mentovato scrittore. Questi monticelli sono antichissimi, e quei cranii sono piccoli e ro- tondi; e secondo lui « presentano un rilievo prominente so- « pra le orbite, c mostrano appartenere ad un’antica razza « di piccola taglia a testa rotonda, e sopracciglia salienti, a- « vente grande rassomiglianza coi Lapponesi moderni. I cra- « nii umani dell’età di bronzo trovati nella torba della Da- « nimarca, e quelli dell’età di ferro sono al contrario di « forma allungata e di più grande dimensione. Sembra aver « quivi pochissimi esempii veramente autentici riferibili al « periodo di bronzo» (2). Dopo gl’ indicati monticelli è a dire qualche parola del- le antiche abitazioni lacustri della Svizzera, di cui la prima descrizione storica è quella che ci ha lasciato Erodoto di una tribù della Francia che abitava nell’anno 520 avanti Cri- (1) Le seguenti notizie sono state tratte dalla ricca c preziosa ope- ra del celebre Lyell — L’ancienneté de l'homme. (2) Lyell op. cit. pag. 16. 343 sto il lago di Prasia, che trovasi raccolto tra le montagne della Peonia, paese che oggi fa parte della Rumelia mo- derna. Fa nell’inverno oltremodo secco del 1853-54 che le a- bitazioni lacustri della Svizzera formarono per la prima vol- ta oggetto di ricerche e di osservazioni . Le riviere ed i la- ghi si abbassarono tanto da raggiungere il più basso livello che siasi mai veduto; e mercè i lavori di drenaggio fatti da- gli abitanti di Meilen sul lago di Zurigo, si scoprirono iresti di quelle abitazioni, fra i quali molti martelli, asce cd altri strumenti, che appartengono tutti all'età di pietra. « I fram- « menti di stoviglie grossolane lavorate a mano, dice il Lyell, « vi si trovano in grande quantità, ugualmente i pezzi di le- « gno carbonizzati, avendo probabilmente formato parte dcl- « la piattaforma sulle quali poggiavano le capanne di legno. « Questi pezzi di legno da sostegno, carbonizzati, si trova- « no in tanta quantità in quel luogo ed in altri esplorati « inseguito, che si è condotti a conchiudere che la maggior « parte di quegli stabilimenti sia stata distrutta dal fuoco (1) » . Molti uomini insigni hanno lavorato su questo argomento, e sono perciò molte le opere consagrate esclusivamente alla descrizione delle abitazioni lacustri della Svizzera. Sono di alto interesse le memorie del dottor Ferdinando Keller da Zurigo, e non è giusto perder di vista quella del Sig. Troyon che vide la luce nel 1860. * Rilevante è il numero di queste antichissime abitazioni innalzate per mezzo di palafitte sulle acque dei laghi. Si riscontrano ne’grandi laghi di Costanza, di Zurigo, di Gine- vra e di Neufchàtel, e sulla maggior parte degli altri picco- , 11 laghi. Se ne contano più di 20 sul solo lago di Ginevra, 12 in quello di Neufchàtel e 10 sul piccolo lago di Brienne. Quelle enumerate dal dottor Keller assommavano a 162 nel (1) Op. cit. pag. 18. 344 — giugno del 1863. Alcune appartengono all’età di pietra, al- tre a quella di bronzo. A tutte queste bisogna aggiungere quelle scoverte nel Lago di Fimon dal chiarissimo Sig. Lioy, e nell’ Italia ancora, tanto bene illustrate dai signori Keller e Stoppani. Istru menti di pietra, di corno e di osso furono dissep- pelliti nel piccolo lago di Moosseedorf presso Berna, e nes- suno di metallo. Vi si trovano gl’ istrumenti di pietra in tale una profusione da esser forzati ad ammettere che sia ivi esistita una fabbrica di questi strumenti, « quantunque la « selce di cui si serviva, abbia potuto provenire, dice il Lyell « probabilmente dal sud della Francia ». Si sono trovati in questo luogo degli strumenti, cioè, delle accette e dei cunei eli una specie di pietra, che, dicesi, non trovarsi nè in Sviz- zera, nò nelle parti vicine di Europa, e che taluni mineralo- gisti vorrebbero far derivare dall’ Oriente. Delle scuri di serpentina e di diorite con delle teste di freccio di quarzo sonosi riscontrate a Wangen presso Stein, nel lago di Costanza, in un’ altra delle più antiche abitazio- ni lacustri. In questo luogo stesso sonosi rinvenuti i rima- sugli di una specie di stoffa, che si crede di lino, e che non è stata tessuta ma invece intrecciata (Lyell). Il prof. Heer vi ha riconosciuto frammenti carbonizzati di steli di frumen- to (Triticum vulgare), di grani di un’altra specie (Triticum dicoccum), di orzo (Hordeum distichon) ; delle focacce ro- tonde c piatte; e a Robbenhausen ed anche altrove, delle belle spighe di Hordeum hexassicon, che è la stessa specie di orzo che si trova nelle mummie di Egitto. « Il tutto mo- « stra chiaramente, che durante il periodo di pietra, tutti « questi cereali erano coltivati dagli abitanti dei laghi , c « clic d’altronde avevano ridotto allo stato di domcstichcz- « za il cane, il bove, il montone e la capra (Lyell) » (1). (1) Op. cit. pag. 21. I / — 345 — Un illustre paleontologo, il prof. Rutimeyer di Bàie, ha dato alla luce delle memorie di molto interesse sui resti di vertebrati disseppelliti nelle predette località. « Queste os- « sa sono agli abitanti primitivi della Svizzera, ciò che qucl- « le degli ammassi e dei resti della Danimarca sono alle an- « tiche tribù di pescatori e di cacciatori che vivevano sulle « rive del Baltico ». (1) Non rfteno di 24 specie di mammiferi selvaggi, oltre ai domestici, vengono enumerate nell’ importante lavoro del Rutimeyer. A queste bisogna aggiungere 18 specie di uccelli, 3 di rettili e 9 di pesci. Queste specie vivono tuttora in Eu- ropa, eccetto il toro selvativo (Bos primigcnius) , che però ha vissuto ancora durante i tempi storici. È però sorprendente che in mezzo a tutti questi rima- sugli di animali ed al numero tragrande di strumenti di pie- tra ed altro non si siano rinvenute delle ossa umane, eccetto un cranio disseppellito a Meilen nel lago di Zurigo, che ap- partiene al primo periodo dell’ età di pietra, e che ha for- mato serio argomento di studio. Leggiamo nella più volte « citata opera del Lyell, che « il professore Ilis osserva che « invece della forma piccola e arrotondita propria ai cra- « nii delle torbiere della Danimarca, il precitato offre un « tipo molto più ravvicinato a quello dominante in Svizze- re ra, il quale sta di mezzo alle forme brevi ed a quelle « allungate » (2). Più calcoli sono stati fatti da uomini insigni per valu- tare l’età dei periodi di pietra e di bronzo; calcoli appros- simativi e possiamo anco dire incerti ed imperfetti secon- do la dichiarazione stessa dei loro autori, Il Sig. Morlot , ammettendo che il periodo romano si posi a 16 o 18 seco- li addietro, attribuisce all’ età di bronzo un’ antichità di 3000 (1) Lyell Op. Cit. pag. 23. (2) Op. cit. pag. 27. ATTI ACC. VOI. *1. 44 a 4000 anni. Troyon crede poter fissare la data approssi- mativa dell’ età di bronzo di un antico accantonamento fab- bricato sopra palafitte immerse in un terreno torboso a Chamblon presso J verdun sul lago di Neufchàtel, a 3300 an- ni; ed il Sig. Vittore Gilliòron di Nauveville fa rimontare un’abitazione lacustre di cui le ossa di mammiferi sono sta- te descritte da Rutimeyer, e che appartiene alla prima e- poca dell’età di pietra, a 6750 anni addietro. In quanto poi alle abitazioni lacustri dell’ Irlanda, di- versamente costrutte di quelle della Svizzera, esplorate col- lo stesso zelo, possiamo dire di essersi in esse rinvenuti degl’ istrumcnti di pietra, di bronzo e di ferro, ma nessun resto umano. Sono delle isole artificiali codeste di cui si contano non meno di quarantasei. Altri strumenti a punta di corno di daino, all’ uno dei quali aderiva ancora un pezzo di manico in legno, che do- veva la sua conservazione alla torba in cui era seppellito, e che ora trovasi nel museo di Edimburgo, furono trovati vicino a due scheletri di Balena nel 1819 c 1824 a Blair Dru mmond. In Cornovaglia molti cranii umani ed altri oggetti la- vorati sepelliti furono scoverti in una carriera di sabbia sta- gnifera a Pcrtuan, e menzionati dal Sig. II. de la Bèche. Tra i monumenti dell’ industria umana primitiva sono da noverarsi alcuni canot o piccoli battelli di antichissima data, ciascuno dei quali formalo di un sol tronco di quercia, scavati con istrumcnti probabilmente di pietra c col soc- corso del fuoco, sebbene alcuni offrano degl’intagli senza dubbio fatti da strumenti metallici. Essi sono stati ritrova- ti nel distretto centrale della Scozia in alcune linee di strati obbliqui, sollevati, e contenenti delle conchiglie marine, di cui le congeneri abitano ancora il mare vicino, c che si credono posteriori al periodo umano. Il celebre archeologo Sig, Johon Buchanan scriveva nel — U1 — 1855, che nel corso di 80 anni se ne erano estratti 17 , e varii tra essi sotto le strade di Glasgow, che navigavano un tempo nei luoghi su cui si eleva oggi questa città. Le ricerche e le osservazioni dei sommi non si sono però limitate al solo vecchio mondo, ma si sono estese al nuovo continente. Si conoscono le celebri perquisizioni fatte dai Signori Seguier e Davis sopra gli antichi monumenti delia valle del Mississipi. Esistono nel bacino di questo gran fiu- me dell’America settentrionale, e particolarmente lungo le valli deU’Ohio e dei suoi affluenti centinaja di tumuli, dei quali alcuni hanno servito di tempii, altri di posti di os- servazione, cd altri ancora di difesa o di sepoltura. Costrut- ti da un popolo sconosciuto, madie sembra dai molti cra- nii che vi si sono disseppelliti avere appartenuto alla razza messicana, queste opere di terra sono di grandissima mole e tali da occupare una superfìcie di 20 a 40 ettari. Il volu- me di uno di questi tumuli è stato valutato a 550,000 me- tri cubi. » l)a molti di essi sono stati cavati, dice il Lyell , « delle stoviglie, degli ornamenti scolpiti e diversi oggetti « in argento e rame, delle armi di pietra, delle quali molte « fabbricate con selce cornea, e di una forma assai simile « a quella degli antichi strumenti di selce trovati ad Àmiens « ed in altri luoghi di Europa » (1). Ossa umane e qualche cranio umano con ostriche e serpule sono state ritrovate in una. roccia solida a Santos nel Brasile, le quali, dovendo stare alla memoria del dottor Meigs, da cui fu convinto il Lyell, costituiscono un tumu- lo, che può benissimo non essere più antico di quelli siti nella valle dell’ Ohio. Ma il Delta del Mississipi, che, se non in tutto, almeno in parte spetta al periodo recente, e che offre in quanto a questo periodo le circostanze più favorevoli per determinar- * (1) Op. cit. pag. 41 . — 348 — ne in anni 1’ antichità, è per noi principalmente da men- zionarsi per essersi in esso scoverto uno scheletro umano , che, sotto un certo riguardo, ha formato argomento di studio, ed ha attirato la più seria attenzione. Ci facciamo quindi a riferire talune parole sull’ assunto scritte dal Sig. Lyell , che sono, a creder nostro, sufficienti a dare un’ idea adequa- ta e precisa di questo singolare deposito. « Io ho. fatto vedere dietro il mio viaggio nel nord del- « 1’ America, che i depositi che costituiscono il Delta ed il « piano di alluvione del Mississipi risultano di una materia « di sedimento che si estende sur una superfìcie di 77,000 « chilometri quadrati, ed avente in certi punti lo spessore « di 100 e più metri. Noi non possiamo valutare con esat- « tezza quanti anni abbian dovuto scorrere, perchè il fiu- « me abbia potuto trasportare dalle contrade vicine una sì « grande quantità di materie terrose, i documenti per un « tal calcolo essendo tuttora troppo incompleti; ma noi pos- « siamo valutare il minimum di tempo che è stato neces- « sario a codesta operazione, misurando sperimentalmente « lo scaricamento annuale del Mississipi, c la quantità me- « dia annuale di materia solida che quell’ acqua contiene. « La più ristretta valutazione del tempo a ciò necessario ci « conduce ad assegnare all’esistenza del Delta una remota « antichità, di molte diecine cioè, di migliaja d’ anni, più « di 100,000 probabilmente». « Io non pretendo mica decidere , prosiegue lo stesso « autore, se tutta questa formazione, o solamente una par- « te di essa, che farebbe d’uopo valutare, appartenga al pe- « riodo recente, come io 1’ ho caratterizzata. Ma in un pun- « to delia moderna, vicino la nuova Orleans, si è scavata « una gran fossa per gaz, ed è stata attraversata una suc- « cessione di letti quasi interamente composti di materia « vegetale, pari a quella che si vede ora formarsi nelle pa- « ludi, ricche di Cipri delle vicinanze, in cui la Cipride ca- — 349 « dendo , (Taxadium distichum) con le sue forti e salienti « radici occupa il primo posto. In quella fossa, alla profon- « dità di 5 metri , e al di sotto di quattro foreste scpelli- « tee sovrapposte 1’ una all'altra, gli artefici, secondo rap- « porta il dott. B. Dowler, trovarono del carbone di legno « ed uno scheletro umano di cui il cranio dicesi apparte- « nere al tipo originario della razza indiana rossa. E sic- « come la scoverta, di cui si fa cenno, non era stata anco- « ra fatta, quando nel 1848 vidi lavorare a quello scava- « mento, io non posso formarmi un’opinione sul valore del « calcalo cronologico che ha fatto il dottor Dowler per as- « segnare un’ antichità di 50,000 anni a quello scheletro » (1). Sebbene noi non possiamo negare l’influenza delle cau- se lente sul prolungamento della durata presumibile delle epoche geologiche; sebbene Darwin abbia creduto con cal- coli, che taluni credono ben fondati, assegnare al periodo Wealdiano una durata di trecento milioni di anni; quantun- que Bischoff abbia calcolato dal raffreddamento di una sfe- ra di basalto fuso la perdita che la terra farebbe di un cen- tigrado di temperatura in cinquecentomila anni , e conse- guentemente, trovandosi la temperatura delle più recenti e- poche terziarie all’ incirca cinque volte superiore all’ attua- le, esse dovrebbero portare un’ antichità di due milioni e cinquecentomila anni; e non ostante i calcoli di Morlot, Tro- yon e Gillieron sull’ antichità delle vetuste abitazioni lacu- stri cui abbiamo sopraccennato ; tuttavia siamo rimasti molto sorpresi dell’epoca che il dottor Dowler ha assegnato allo sche- letro in esame, il di cui calcolo, sul valore del quale, come si riferì, non potè formarsi un’ opinione il Lyell, deve appar- tenere a quelle valutazioni, le quali dicono i signori H. Mil- ne-Edwards e Èd. Lartet raramente poggiano « sopra basi « assai solide per riuscire sodisfacenti ». (Appendice) pag. 189. (1) Op. cit. pag. 44, e segu. — 350 — Aggiungiamo1 per ultimo alle riferite osservazioni, che altri fossili umani sono stati rinvenuti dal Conte Portales in un conglomerato calcareo faciente parte della serie dei re- cinti di coralli, che formano principalmente, secondo le osservazioni del celebre Àgassiz, una porzione della peni- sola Florida, formazione alla quale, giusta i calcoli di questo ultimo autore, sono stati necessari centotrcntacinque mila anni, e dicci mila a quella del conglomerato antidetto. Or dalle scoverte sopra esposte eh e cosa può inferirsi o Si- gnori? Che tutte al periodo recente si debbono riferire; che il pe- riodo recente appresenta , come si disse , l’età di pietra, di bronzo c di ferro; che ossa umane e monumenti della indu- stria primitiva dell’uomo appartengono a questo periodo : che in onta alla incertezza dei calcoli che si sono tentati per misurare il tempo dalla sua primitiva formazione ad og- gi trascorso, è giocoforza ammettere che esso è stato lun- ghissimo ; che 1’ uomo è assai più antico di quanto negli scorsi tempi si è universalmente creduto, non ostante che i suoi resti non si trovino in questo periodo stesso frammi- sti ad ossa di mammiferi estinti, come il mammohut, il ri- noceronte ticorino, il mastodonte, 1’ orso e la jena delle ca- verne ed altri; queste e molte altre interessantissime con- clusioni, come quelle che riguardano il progresso e la dif- fusione dell’umana industria e della civilizzazione nelle va- rie regioni del mondo, e i costumi dell’ uomo primitivo ed altro, si possono dagli accennati fatti dedurre; ma essi tali non sono da poter risolvere la questione in esame : peroc- ché in nulla provano che 1' uomo sia stato coevo agli ani- mali clic abbiamo citato, e che scomparvero dalla superficie della terra; che 1* uomo in somma abbia esistito prima dei- fi ultima rivoluzione del globo. Ma la scienza possiede oggi altri fatti e numerose sco- verte le quali fanno inclinare ad ammettere , clic fi età di pietra del periodo recente non appartenga a questo periodo — 351 soltanto, e che essa non rappresenti in quanto ad esso che la sua finale apparizione; e secondo quel che si assevera, monumenti dell’ industria umana primitiva di una data più antica, si ritrovano associati ad ossa di animali antidiluvia- ni ed anco a reliquie di umani scheletri; scoverte che, giu- sta il parere di molti geologi insigni, dimostrano l’esistenza dell’uomo avanti il diluvio. Hanno intanto queste scoverte quel valore e quella significazione di certezza da non lascia- re nella niente di coloro che sono atti a comprendere i gran- di fatti della natura alcun dubbio, e crearvi quel convinci- mento profondo che non può esser seguitato da alcun dolo- roso disinganno? Sono esse a breve dire delle prove irrefra- gabili dell’esistenza dell’ uomo antidiluviano? Eccola ricerca nella quale ci siamo impegnati collo spi- rito scevro di qual siasi prevenzione , e libero d’ ogni in- fluenza che sur esso per avventura potrebbe esercitare l’au- torità degli uomini collocati in cima alla piramide scientifi- ca, non credendoci obbligati costantemente di giurare sulle parole dei nostri maestri. Per altro i fatti sono conosciuti; epperò ciascuno è in dritto di dare sur essi il suo giudizio; qualunque sia per esserne il valore. I primi di questi fatti son quelli riuniti dal celebre Bu- ckland nelle sue Reliquiae diluviance, dei quali taluni da lui medesimo osservati nella caverna di Kinklake, tendenti a constatare la coesistenza delfuomo e degli animali anteriori al diluvio, incitarono, come si accennò, i geologi a continua- re indefessamente e con maggiore attività queste interessanti ricerche, onde potere una volta decisivamente risolvere la quistione lungamente agitata. Selci, intanto, ed altri oggetti la- vorati dalla mano delfuomo primitivo trovaronsi in mezzo ad ossami di mammiferi di specie perduta e ad ossa umane, rinvenute, come si afferma, negli stessi siti. Ed oltre alle scoverte di oggetti di un’antichità minore relativamente ad altri, come quelle fatte nel calcare oolitico di Nancy daGaif- — 352 - ie e Benoit; da Noulet vicino Tolosa; daSpringeChauvaux a Na- rrili r; da Ponzi nei travertini di Tivoli e di Monticelli; da De Fi- lippi negli altipiani della Persia e in altri punti dallhnstancabile Lund; è giusto accennare a quelle diBoucherde Pertcs nelle sabbie di Menchecourtedi Abeville, tanto nel 1838, quanto l’al- tre in maggior numero, che si contengono nel primo volume delle sue — Antiquites celtiques et antediluviennes ; di God- win Austen nel Kent-Hole; di Rigollot nei depositi di Saint- Àcheul; di Noulet nel vallone delTInfernat (Haute-Garonne) nel 1853; negli strati inferiori della caverna di Baumann nel- 1’ Harz dai geologi inglesi Prestwich , Falconer , Penguelly ec : nel 1858; di Paudry negli strati del diluvium’, di Goss tìglio nelle sabbie di Grenelle e della Motte-Piquet a Pari- gi, in cui si trovarono selci lavorate frammiste ad ossa di Mammouth, di bove fossile ed altro; di Alfonso Milne-Ed- wards nella grotta di Lourdes (Torn) a lato di ossa fossili della più alta antichità nel 1861 ; ed altri oggetti lavorati dalla mano dell’ uomo a Pruy sur-Oise e nel deposito dilu- viano di Giorye di Dcsnoyers sui contorni di Chartres in un terreno che si dice più antico di quelli di trasporto qua- ternarii delle valli della Somma e della Senna, di De Vi- bray nel diluvium di Loir-et-Cher; dei signori LarteteChri- sty nel centro della Francia ad un’epoca in cui questa con- trada, secondo l’assertiva di questi autori, era abitata dalla Renna c da altri animali che ivi più non vivono oggidì, e nelle grotte della Combe-Granal, di Puy-de-PAzé, di Liveire, di Moustier, de la Gorge d’ Enfer, nella stazione della Mad- dalena, e di Laugcrie-Hante ec.; di Cazalis de Fondouze in una caverna dell’ età di pietra situata presso Saint-Jean-d’Al- cos; di Garricou, Martin e Trutat di due frammenti di ma- scelle umane nella caverna di Bruniquel; di Alfredo Fon- tan nelle caverne della montagna di Kaer a Massait; di Bou- tin nelle caverne di Ganges, da Paolo Gervais nelle caverne della bassa Linguadocca ec. ec. E tutti questi oggetti sco- — 353 — verti in varii luoghi, sono degFistru nienti di selce, ed oggetti di terra cotta ed altro frammisti a resti di grandi mammiferi tra i quali alcuni di quelli che' più non vivono, Anche io tra le ossa fossili d’ippopotami in grande numero dissepellite ultimamente nel gres argilloso delle nostre Terre-Forti, che ho la fortuna di possedere, e di cui ho promesso accurata descrizione in questo lavoro, ho trovato un pezzo di ma- nico di terra cotta, incastonato in mezzo aduno strato dello stesso gres, attaccato ad un grosso frammento della mascella inferiore di un Ippopotamo che forse appartiene al piccolo fossile. E qui cade in acconcio riferire, come cosa che a Sicilia si appartiene, una scoperta del Sig. Falcone!*, som- mo nella Paleontologia, che , trovandosi in Catania alcu- ni anni addietro, ebbe premura visitare il mio gabinetto in compagnia dei signori Godwin Console inglese a Palermo, D.r Enrico Haffield e Carlo Daubeny illustre professore di Botanica nella Università di Oxford. Il Sig. Falconcr, a cui donai un dente fossile di Orso, che, se mal non ricordo, apparteneva all’ Ursus spaeleus, comunicavami alcune idee sulle grotte ad ossame, che ritrovansi al Nord di Sicilia, e principalmente sulla caverna di Maccagnone. In questa ultima rinvenne dei coltelli di selce in una breccia di con- chiglie , di frammenti ossei, di oggetti di terra cotta, dì carbone e di coproliti dijena cementati da infiltrazione sta- lagmite. In quanto agli oggetti di selce, secondo che egli mi disse, e poscia venne da lui pubblicato, alcuni di essi, ed in maggior numero, presentano forme definite. Lunghi, stretti e sottili somigliano, secondo l’assertiva del sullodato autore, in tutte le particolarità della loro forma ai coltelli di ossidiana del Messico, a quelli di Stonelonge di Arabia e di altre località ; ed egli pensa, che siano stati fabbricati, tagliando in lamine gli angoli dei lunghi prismi di pietra. Questo insigne uomo però ha fatto vedere, e ciò crediamo interessante al nostro argomentò, che nulla può far supporre ITTI ACC. VOI. 45 — 334 che i differenti oggetti trovati nella breccia della voltasia- no stati, in quanto alla loro origine, contemporanei gli uni agli altri, perche ad un'epoca più recente la contrada è sta- ta fortemente tormentata, di modo che la direzione delle sorgenti sotterranee è stata modificata , e la porzione del contenuto della caverna, che non si era ancora solidificata col cemento stalagmitico, è stata trascinata fuori delle acque. Ma è già tempo di manifestare i nostri pensamenti sui fatti rapportati. E prima di tutto, noi non crediamo, o Signori, che si pos- sa dare molto peso alle strie, alle compressioni ed agl’ in- tagli che si sono rilevati sulle ossa di animali antidiluviani. Questi segni, anche secondo i più ardenti fautori dell’ anti- chità della specie umana, costituiscono una prova troppo debole in favore di questa opinione. Possono essere stati pro- dotti da varii accidenti: ed anco per gli uomini più esperti non è diffìcile ingannarsi in tali osservazioni, principalmente quando la mente trovasi preoccupata da preventive idee; talmentechè in tai casi non di rado accade che si veda ciò che non è, c non si osservi quello che realmente esiste. Io non intendo sostenere che tutti siansi illusi; dico solo che questi fatti a me sembran dubbiosi, come il colpo di freccia, di cui credè aver rinvenuto le traccio sopra un cranio di orso delle caverne il prof. Jolis nella caverna diNobrigues, e che non potrebbero conseguentemente somministrare pro- ve sufficienti della contemporaneità dell’uomo e degli ani- mali di specie perduta. Queste strie, per altro , e questi intagli che rappresen- tano anche degli animali, chi ci assicura che non siano stati fatti sulle ossa di tali animali in epoca posteriore alla loro estinzione? Il Sig. Lyell medesimo discutendo sul valore delle incisioni ed altri segni che aveva il Sig. Desnoyers os- servato sulle ossa fossili degli animali estinti, dice quanto appresso. « Senza più oltre continuare la discussione, io ter- 355 — « minerò confessando, che considero l’arte di riconoscere « le incisioni ed altri segni esistenti sulle ossa fossili in « tale uno stato d’infanzia da farmi esitare molto pria di « dare il mio assenso alla proposizione del Sig. M. I. De- « snoyers, che i fossili di Saint-Prest dimostrano l’alta pro- «t babilità dell’ esistenza dell’uomo avanti il periodo glaciale. » In quanto poi alle selci ed altre pietre lavorate dalle mani dell’ uomo, di cui si è parlato, alcune, come si accen- nò, sembra che molto apertamente non rivelino la loro pre- tesa provenienza, e si potrebbero per avventura considera- re come dei sassi che accidentalmente abbiano preso tale una configurazione da illudere sulla loro origine; molte al- tre però non lasciano al contrario alcun dubbio, c sono real- mente il prodotto della industria primitiva dell’uomo. Laon- de pare a prima giunta che il rinvenirsi di questi oggetti coesistenti con gli avanzi di animali estinti potrebbe risolvere la quistione in esame. Ma qui sorgono dei dubbii. Sono stati essi rinvenuti con tutta la certezza, che in tal caso è de- siderabile , nel terreno quaternario o post-pliocenico, che, solo, dopo il recente , potrebbe constatare 1’ esistenza an- tidiluviana della specie umana? 0 meglio, gli oggetti di cui si tratta, sono contemporanei ai resti di animali di specie perduta, fra i quali essi si rinvengono, o sono di data po- steriore? In quanto all’epoca del terreno che li contiene, possiam dire , che sebbene tra uno strato ed un altro della crosta del globo i geologi abbiano fissato delle sensibili differenze, e cercato di segnare delle linee di separazione quasi nette e recise; tuttavia qualche fiata si osserva il confondersi di tai limiti, perocché gli strati sudetti non si trovano sempre gli uni agli altri sovrapposti e dovunque ordinati colla stes- sa regolarità e con ugual misura, avendo in alcuni luoghi subito tali rivolgimenti ed essendo stati siffattamente tormen- tati da trovarsi scontorti, e diciamo ancora confusi fra loro. * E sebbene non sia infrequente per i sommi nella geologica scienza il caso di distinguerli in onta alla loro sturbata ed irregolare giacitura, nulla di manco non è raro il caso con- trario in cui rifesca diffìcile assegnare ad un terreno ed anche ad un periodo il posto che ad esso appartiene nella se- rie delle formazioni geologiche; non ostante il soccorso del- la stratigrafia e della paleontologia. Noi sappiamo difatti che mentre un congresso di geo- logi giudicava non ha guari come quaternario il terreno in cui fu trovata la branca della mascella umana tanto famosa che li ha spinti ad emettere finale e decisiva sentenza sul- la quistione dell’antichità della specie umana, il celebre Elie de Beaumont dichiarava non appartenere al periodo qua- ternario il predetto terreno, quantunque i signori Hebert e Garrigou si siano sforzati di provare il contrario. . Se ciò che abbiamo nella nostra pochezza ardito di ma- nifestare non fosse vero, avremmo però il dritto di chiede- re, perchè se la scoverta di una sola e non intera mascel- la umana e di qualche dente sulla carriera di sabbia di Mou- lin-Quignon nel 18G3, come si è annunziato, ha formato l’argomento delle più animate discussioni ed è stata procla- mata qual prova incontrovertibile dell’ antichità dell’ uomo; perchè, dicevamo noi, due cranii umani mischiati a denti di rinoceronte, di elefante, di orso, di jena ed altro nel 1838 «coverti nelle caverne di Engis e di Enghihoul dal Sig. Schmer- ling, non fecero sull’animo dei dotti che passaggiera impres- sione? Eppure quel terreno si dice non rimosso ! Ma, lasciando da parte l'epoca del terreno sulla quale possano insorgere moltissimi dubii, si potrebbe dire, che essendosi trovate ossa umane e monumenti dell’ industria primitiva sepolti nello stesso terreno in cui giacciono le os- sa di mammiferi estinti, non siavi più luogo a rivocare in dubbio la loro contemporaneità, che risulta dalla loro coe- sistenza, e conseguentemente la certezza di esser l’uomo — 351 — vissuto in un tempo in cui vissero quei mammiferi, che nel- l’ultima rivoluzione del globo sparirono dalla sua superficie, come sostengono molti insigni geologi, fra i quali il Conte di Archiac. Ma, signori: la coesistenza delle ossa umane, dei mo- numenti dell’industria umana primitiva e delle ossa di mam- miferi estinti conduce forse inevitabilmente ad ammettere la loro contemporaneità? Noi non crediamo che si possa sostenere in modo assoluto siffatta opinione. Chi ci assicura che il de- posito dei resti dell’ uomo e della sua industria non siasi avverato in epoca posteriore a quello delle ossa fossili di animali estinti, e che una causa qualunque non ne abbia in progresso di tempo operato il miscuglio? Il terreno può es- sere stato scommosso e scombuiato in epoca posteriore a quella in cui si formò il primo deposito, c molto tempo a contare dallo scommovimento, mentire qualche volta, adir così, un terreno vergine. Così in quanto alla celebre stazio- ne di Àurignac sappiamo essere stata riguardata dal Sig. Lartet come umana sepoltura contemporanea al Mammouth, al rinoceronte ticorino e ad altri grandi mammiferi dell’e- poca quaternaria. Che sia una sepoltura, è chiaro: ma è ben certo che la non sia di epoca posteriore? Si potrebbe dire con un nostro italiano geologo che « Quando si trovano os- « sa umane vicino a quelle di carnivori estinti, si ricono- « sce sempre che il suolo della grotta era stato smosso per « introdurvi cadaveri umani, e si può conchiudere che quelle « grotte abitate prima dell’ ultima rivoluzione da animali ora « esistenti, hanno servito di sepoltura all’uomo. (1) Ed in altro luogo. « Egli è vero che sono state citate <( certe caverne del Belgio e della Francia come contenen- « ti a un tempo scheletri umani ed ossa di animali la cui « specie è estinta oggigiorno ; ma le circostanze nelle qua- tti Collegno— Elementi di Geologia pratica e teorica pag.193. - 358 — « li si sono trovate le ossa umane in quelle caverne non « indicano punto che l’uomo vivesse contemporaneamente « a quelli animali estinti» (1). Sono ancora degne di considerazione, o Signori, le pa- role dettate dal celebre Beudant circa l’assunto». Sembra « che alcune di queste caverne , egli dice, tanto in Euro- « pa quanto in America, abbiano, posteriormente servito di « sepoltura all’uomo, di cui vi si trovano talvolta gli avan- « zi, come si trovano ancora quelli di un’ industria nascente, « in contatto ed anco misti cogli avanzi di tutto ciò eliclo « precedette sulla terra. Il semplice contatto non trae ad « alcuna conseguenza quanto all’età relativa; e quanto al « miscuglio, non può essere avvenuto che l’uomo stesso « abbia talvolta rimestato il suolo di queste caverne, sia « per renderne l’abitazione più comoda, sia per farne dei « cimiteri ? Non può esser sopraggiunta qualche inondazio- « ne locale che abbia rimescolato tutto il deposito, confuso « in uno stesso mucchio l’antico ed il moderno, edataco- « si una falsa apparenza di contemporaneità ad esseri se- « parati da migliaja di secoli? Il numero delle caverne che <( contengono questi avanzi è pochissimo considerabile re- « lativamente a quelle in cui non se ne trova punto. Non « se ne citano che tre in Inghilterra, ed in una sola di es- « se siasi operato il miscuglio. Alcune si trovano nelle Cè- « vennes, e specialmente quelle di Lunelviellee di Miatet. « In più di ottocento caverne esplorate al Brasile, appena « sei contengono ossami umani: ed in una soltanto il mi- « scuglio era evidente; nelle altre gli avanzi trovavansi nel- « lo strato superficiale». (2) E passando oltre, è a dire o Signori, che fra le ossa di (1) Loc. oi t. (2) Corso elementare di storia naturale— Geologia e Mineralogia — 3.a edizione italiana sulla nona parigina— Milano 1861 pag. 277. — 359 — mammiferi estinti , che si son trovate frammiste a monu- menti di nascente industria ed a resti di umano scheletro , quelle si trovano che alla Renna si appartengono, la qua- le vive tuttora, ma in remotissime regioni : e non è diffì- cile che abbia abbandonato le regioni europee in epoca non molto antica. In quanto alle ossa del Mammouth, del Rino- ceronte ticorino , della Jena, dell’Orso delle caverne ec: non si potrebbe ammettere che 1’ uomo sia venuto sulla ter- ra nell’ ultimo periodo della loro estinzione? Per altro co- me assevera il sig. Vibraye « le razze alle quali si vedeas- « soeiata la spoglia dell’uQmo non han mica sin oggi un mez- « zo sufficientemente definito, perchè si possano apprezza- « re le fasi della loro esistenza normale; non si può con- « statare che gli effetti delle perturbazioni che le hanno di- « strutto; esse non hanno punto , a propriamente dire, di « abltat, se io possa permettermi di togliere in prestito dal- « la scienza botanica un’ espressione che traduce con molta « precisione il mio pensiero (1)». E nello stesso luogo egli dice « La spoglia dell’ uomo si « associa da una parte ad alcune razze estinte in epoche in- « determinate, e dall’altra a delle specie che hanno opera- « to nelle stesse condizioni d’incertezza la loro migrazione « in luoghi meglio appropriati alle esigenze biologiche. Que- « sta associazione nulla prova in favore dell’ antichità del- « 1’ uomo nel senso assoluto di questa parola» (2). Ma dopo tutto ciò si potrebbe domandare qual si è mai l’opinione del celebre Sir Carlo Lyel sull’antichità dell’uo- mo, di questo grande geologo che ha pubblicato sull’assun- to un’ opera che si può riguardare come prezioso deposito d'importanti conoscenze? Signori, l’opinione di questo dotto (1) Appendice all’antichità dell’ uomo: pag. 1 1 5— Nota dello stesso autore. (2) Loc. cit. pag. 114. — 360 — e stata varia; pensava cioè di un modo in altri tempi e di un altro nell’attualità; e secondo le sue dichiarazioni abban- donò la prima opinione costretto dalla forza dei fatti. Ecco come Egli ragionava un tempo. « Persuaso del carattere « reale degli argomenti del Sig. Desnoyers e degli scritti « del D.r Buckland sopra lo stesso soggetto , c visitando « io stesso molte caverne in Allemagna, fui condotto a « credere clic le ossa umane c quelle degli animali estin- « ti che con esse erano mischiate nelle breccie ossee e le « melme delle caverne delle diverse parti di Europa, non « erano probabilissimamente della stessa età — Le caverne « erano state ad una certa epoca il rifugio delle bestie sel- « vagge, poi in altro tempo avean servito all’ uomo di luo- « ghi di abitazione, di culto, di sepoltura, di asilo e di di- « fesa; si poteva dunque facilmente supporre che le os- « sa dell' uomo e quelle di questi animali sparse sul suo- « lo di queste caverne sotterranee o cadute nelle tìssure « tortuose comunicanti colla superficie, sieno state dalla for- « za delle correnti ridotte e confusamente frammiste nella « stessa massa di melma o di breccia (1) ». Questa è la prima opinione dell’Autore; ma nelle paro- le di appresso si scorge chiaro com’egli abbia in seguito mutato parere. « Non si può negare che talune caverne « abbiano presentato simili miscele, e che in alcune occa- « sioni i geologi siansi ingannati assegnando lo stesso pe- « riodo a dei fossili ivi introdotti in epoche successive. Ma « in questi ultimi anni noi abbiamo acquistato delle prove « convincenti, come lo vedremo in progresso, che il Mam- « mouth e molte altre specie estinte di mammiferi abbon- « dantissimi nelle caverne, si riscontrano ne\ diluvium non « rimestate e nella loro giacitura associate ad oggetti lavo- (1) L’Ancienneté de 1' homme pag. 64. 30 1 « rati, c tutto in modo da non permettere il dubbio sulla « contemporaneità dell’ uomo e del Mammouth » (1). Oltre a ciò ecco quel che scrive il sig. Figuier sul con- to del sig. Lyell « In un altro viaggio l'atto dai signori Pre- « stwicli, Falconer ed Evans in compagnia dei signori Flo- « ver, Milne e Godwin Austen, estrassero eglino stessi dalle « carriere di Saint-Àcheul delle ossa fossili e delle asce in « selce. Finalmente il Sig. Lyell si portò sui luoghi indicati, « e questo celebre geologo potè dire: veni, vidi, victus fui. « Al cospetto dell’associazione britannica riunita in Aber- « deen il 15 settembre 1855, Sir Lyell si dichiarò partigiano « dell’uomo quaternario , c questa dichiarazione del presi- ci dente della Società geologica di Londra aggiunse un gran <( peso alle nuove teorie » (2). Ma per le ragioni che precedono, e per altre ancora cui accenneremo, questa dichiarazione autorevole ed imponen- te non è tale da poter dissipare i dubbii che insorgono nel- la nostra mente. É però necessità dire qualche cosa in par- ticolare sulla scoperta fatta della mascella umana nella car- riera di sabbia di Moulin-Quignon, che rimpetto ad ogni al- tra si è creduta di una importanza infinitamente superiore. « Nel 23 marzo 1863 (ecco come riferisce il fatto il Sig. « Figuier) l’artefice Halàtre, che lavorava nella carriera di « sabbia di Moulin-Quignon, recò in Abbevillc al Sig. Bou- « clier de Perthes un’ascia in selce ed un piccolo fram- « mento d’osso che aveva in quel luogo rinvenuto. Averi - « dolo spogliato della ganga terrosa che lo rivestiva, Bou- « cher de Perthes riconobbe in quest’osso un molare uma- <( no. Egli si porto sul luogo, c si assicurò che lo strato, in « cui quegli oggetti erano stati trovati, era una vena argil- (1) Loc. cit. pag. 64. (2) A nana ire Mathieu (jde la Di-urne ) puu;- 1864— p.ig. 248. atti acc. VOL. XX. 4C « Io-ferruginosa impregnata di una materia colorante che « sembrava contenere dei resti organici. Questo strato face- « va parte di un terreno vergine, senza alcuna infiltrazione « o introduzione secondaria. « Il 28 marzo un altro artefice riportò al Sig. Boucher « de Perthes un altro dente umano, aggiungendo di aver « veduto apparire nella sabbia qualche cosa che accennava « ad un osso. Boucher de Perthes, sollecito di veder tutto <( coi propri occhi, si trasferì immediatamente al luogo indica- « to, ed al cospetto dei signori padre e figlio Dimpréedi al- « cuni membri della società di emulazione di Àbbeville, e- « strasse dal terreno la metà di una mascella inferiore umana , « vestita di una ganga terrosa. Ad alcuni centimetri di di- « stanza dal punto in cui fosso era stato ritrovato si rin- « venne un’ascia in selce, coverta della stessa patina ne- « ra della mascella. La giacitura trovossi quattro metri e <( cinquantadue centimetri al disotto del livello del suolo». « Air annunzio di questo avvenimento un grande nu- « mero di geologi accorsero ad Àbbeville verso la metà del « mese di aprile. I signori Abate Bourgeois, de Pontlevoy, « Brady-Buteux, Carpenter, Falconer ec., si recarono l’un « dopo l’altro sul luogo per verificare lo strato in cui era « stata diseppellita la mascella fossile. Tutti furono convinti « dello stato vergine del terreno e dell’antichità della ma- « scella» (I). Il Sig. de Quatrefages nella seduta del 20 aprile 1863 annuncia all’ Istituto Imperiale di Francia il grande trovato. La nuova giunge in Inghilterra, e vi suscita commozione grandissima. Essa è sulle prime male accolta dai geologi inglesi. Il sommo paleontologo Falconer dichiara in un ar- ticolo inserito nell’ Àtheneum e nel Times, che molte asce in selce provenienti dalla carriera di Àbbeville erano di re- (1) Figuicr 1. c. pag. 257. 3G3 cente fabbricazione, e che un dente in quel luogo rinvenuto conteneva ancora della gelatina. Dei dubbi sorgono nella mente del grand’uomo sull’ autenticità della mascella. Ciò nulla ostante, il profeta d’Abbeville continua a sostenere la sua opinione, poggiandosi sopra uno studio esatto della in- dicata mascella. L’antichità di questa umana reliquia fu ri- conosciuta dai signori Quatrefages, Desnoyers, Delesse, de Vibraye, Pictet, Limann ed altri. In questo frattempo i si- gnori Lartet e de Quatrefages invitarono i dotti inglesi a re- carsi in Francia. Ivi giunti si riunirono tutti, cioè, i signori Falconer, Carpenter, Busk e Prestwich da un lato, ed i si- gnori Lartet, Desnoyers, de Quatrefages e Delesse dall’altro ne), giardino delle piante: le loro conferenze durarono senza interruzione tre giorni ; alcuni dubbii perduravano ancora; ma finalmente, trasferendosi in Àbbeville, dopo nuove os- servazioni, ad esclusione di alcune riserbe fatte dai signori Busk e Falconer su certi punti, tutti proclamarono l'auten- ticità della mascella, e l’epoca quaternaria del terreno in cui era stata trovata. Ma vedi, « Come spesso erran i giudizi umani ! Appena pronunciato il solenne verdetto , che colmò di sor- presa il mondo scientifico, « il sig. Evans, dice il Sig. Lyell, ed « il Sig. Keeping che era stato dal primo e dal Sig. Prestwich « incaricato di ricercare nelle sabbie di Moulin-Quignon, met- « tono fuor di dubbio 1’ abitudine acquistata da taluni artefici « di fabbricare e sepellire degli strumenti veramente antichi, « in maniera, che noi abbiamo fondate ragioni a porre in « dubbio il verdetto dei molti sapienti che hanno visitato « Àbbeville nel 1863 » (1). La mascella era stata fraudolentemente incastonata nel- le sabbie di Moulin-Quignon, ed apparteneva probabilmente (1) Appendice pag. 15 * ad uno dei due scheletri trovati a Mosnier da un artefice por nome Mautort clic aveva avuto delle relazioni frequen- ti con una persona di Moulin-Quignon, il che può render ra- gione di un certo grado innegabile di antichità che mostra- to avea la mascella in esame. Ma con tutto ciò, o Signori, possiamo noi ridurre a nul- la tutte le ricerche ed i ritrovamenti che abbiamo avuto lo onore di esporvi? L’antichità dell’uomo, che si è fatta ri- montare al periodo post-pliocenico, è dunque una chimera, un vano desiderio? Noi non crediamo dover proferire un giu- dizio così categorico. Se il disvelamento di una frode ordi- ta con molta abilità ha potuto smentire questa volta il con- cetto che molti uomini sommi si eran formati dell’ antichità e dell’ autenticità della mascella trovata a Moulin-Quignon, ed ha cagionato un disinganno tanto più doloroso quanto meno atteso e per nulla temuto: avrà essa la forza di an- nientare ogni altra osservazione? Se l’abilità di taluni ar- tefici, fors’anco soccorsa dalla scienza, da quella scienza però che per disavventura veggiamo talvolta riposta in mani impure, sia giunta ad imitare i monumenti dell’industria umana primitiva: siamo perciò in dritto di proclamarli tutti senza eccezione falsi, quando dei molti 1’ autenticità è inne- gabile, tra per il non potersi imitare ciò che non si conosce e per l’oculatezza di sommi uomini che hanno il talento di distinguere i veri dai falsi? No o Signori: perocché l’ auten- ticità di questi rappresentanti dell’uomo primitivo e la loro coesistenza cogli ossami fossili degli animali antidiluviani è innegabile. Vero è, da un canto come abbiamo manifestato che questa coesistenza non implica necessariamente contem- poraneità di deposito: ma dall’altro possiamo ritenere che ogni terreno in cui esiste un tal miscuglio, non escludendo i resti umani, che a quando a quando vi si trovan frammisti, sia stato smosso, rimestato c sconvolto, quando geologi di alta fama hanno creduto trovare nel maggior numero questi — 305 — depositi per nulla scommossi e tormentati ? Lo stesso Elie de Beaumont clic non ha voluto ammettere la contempo- raneità dell’uomo, del mammouth, del rinoceronte ticorino ec. non è stato costretto a riconoscere quella dell’ uomo eu- ropèo colla renna, che, sebbene continui a vivere nelle re- gioni dei geli eterni, c da tempo incalcolabile sparita dalle nostre contrade? Se è probabile che alcuni geologi siansi il- lusi nel giudicare la natura di taluni terreni , riguardando come quatcrnarii o post-pliocenici quelli che al periodo re- cente debbono riferirsi, trarremo forse da ciò la poco ragio- nevole conclusione che tutti siansi ingannati a partito? In tal caso saremmo costretti a riguardar la Geologia non come vera scienza, ma qual disordinato accozzamelo di vane sup- posizioni, di mal costrutte ed insussistenti teorie perchè non afforzate dai fatti, senza veri e ben fondati principii c senza norma di sorta alcuna: il che è da rifiutarsi assolutamente. In tanta lotta di opinioni, o almeno fra tante dubbiezze, qual sarà il nostro giudizio? Signori, se come dice il Bacone « è difficile sorprender « la natura nei suoi segreti procedimenti»; e se « le sole « proposiziori di evidenza diretta o rigorosamente logica es- « ser possono definitivamente accolte quali verità novelle» categoricamente diremo, che resistenza dell’ uomo antidilu- viano (s* intende scientificamente parlando) non è ancora una certezza. La scienza non ha sinora fornito su questo argomen- to quelle prove irrefragabili ed evidenti, che, dissipando ogni dubbio, conducono a pieno e totale convincimento. Ma se non è certo, è però molto probabile che 1’ uomo sia stato coe- vo al mammouth, e ad altri mammiferi estinti, e che egli sia apparso sulla terra quando questi si avvicinavano al pe- riodo della loro estinzione, c prima dell' ultima rivoluzione del globo. Così non crediamo molto lontano iltempo incui questa grande probabilità si cangerà incertezza. Non il giu- dizio, non l’opinione di un uomo solo, non un sol fatto nè 36G — una sola osservazione ci han condotto ad acquistare questa probabilità: ma il giudizio di molti uomini sommi nella scien- za, ma un numero incredibile di fatti e di osservazioni. Questa credenza non deesi riguardare come il pensiero di un giorno, ma come il risultato di lunghi anni di ricerche e di meditazioni fatte da uomini di scienza e di coscenza. Questo lungo periodo ci mostra, che l’ impossibilità di trovar l’uomo fossile proclamata a principio, cedette il po- sto alla possibilità, e questa in progresso alla probabilità, che per molti è divenuta certezza. E questa ricca messe di fatti e di osservazioni ha mo- strato ancora in quanto ai vari crani i umani ed altri resti di umano scheletro, rinvenuti in terreni di data più o me- no antica, che la specie umana non ha subito quelle tra- sformazioni che hanno invano cercato taluni per sostenere la stramba ed avvilente opinione che V urang-otano, il chim- panzè ed il Gorilla sono da riguardarsi come gli antenati dell’uomo. Molte cose su di ciò io scrissi nel primo capito- lo di quest’opera, ed accennai allora ad un fatto, molto im- portante, quello cioè, che se nell’epoca dello sviluppo il cranio del corilla e quello dell’ uomo offrono molta rassomiglianza, questa và del tutto a scomparire al termine del loro com- pletamento: ed allora, il cranio dell’ uomo, rimanendo nel- la sua forma primitiva, quello del corilla, come di ogni al- tra scimmia antropomorfa, subisce tali trasformazioni da pre- sentare ogni carattere di quello delle bestie fierine. E mi gode infinitamente l’animo nel veder confermate le mie i- dee, non che i miei principi!, ed estesamente e dottamente svolte dall’ egregio mio collega ed amico Cav. Gian-Giusep- pe Bianconi professore di storia naturale nella Università di Bologna in una sua pregevolissima dissertazione contro la pretesa derivazione dell’ uomo dalle scimic antropomor- fe, letta il 17 marzo 1864 all’ Accademia delle scienze del- f Istituto di quella città. jj 3G'I — Aggiungiamo da ultimo per esaurire del tutto il nostro argomento che noi non sappiamo renderci ragione della e- mozione profonda che la notizia della scoverta dell’ uomo fossile suscitò nell’ animo dei credenti e degl’ inglesi prin- cipalmente, e dei loro dubbii, delle loro perplessità e del loro corruccio, come a principio da noi si disse. Impercioc- ché, ove resistenza dell’uomo nel periodo post-pliocenico fosse una certezza, invececchè una probabilità, essa dovreb- be riguardarsi come un altro trionfo che la Bibbia ha ripor- tato per la scienza, stando nella Genesi che l’uomo fu an- teriormente al diluvio creato. E diciamo un’ altro trionfo : perchè un primo stà nell’ assoluta corrispondenza tra la suc- cessiva creazione dei viventi che la scrittura ci presenta e 1’ ordine con cui questi esseri apparvero nei varii terreni che la scorza del globo compongono, ed il quale è stato dai geologi e dai paleontologi evidentemente fissato. Così la prima ad apparire fù la sfera della vegetatività, indi quella dell’animalità e da ultimo quella dell’Uomo. Altro trionfo infine per la Bibbia è stata la generale conferma del dilu- vio, che alcuno non osa più rivocare in dubbio. Queste prove solenni ci portano, o Signori, ad esclu- dere qualunque sistema riguardante la creazione successiva degli esseri che non sia di accordo colla cosmogonia del sa- cro Cronista. « La storia di tutti i sistemi immaginati, dice « il sommo Beudant, per ispiegare 1’ origine del mondo e « della terra in particolare potrebbe forse offrire qualche at- « trattiva alla curiosità; ma oltrecchè ciò sarebbe un perder « troppo tempo in puri romanzi, è forse meglio, perl'ono- « re dell’umana specie, abbandonare ad un perpetuo oblio « tutte le abberrazioni mentali che dovremmo far conosce- « re. Una sola geogenia merita la nostra attenzione, ed è quel- « la che si trova esposta nel libro di Mosè, e che, dopo più « di tre mila anni, si presenta ancora, per una parte co- « me 1’ applicazione più netta delle teorie meglio stabilite , — 3G8 « e per 1’ altra, come il riassunto più succiato dei grandi « fatti geologici » (1) . È errore dunque il dire che 1’ accordo della scienza e della Bibbia è impossibile, che questi due luminari , co- me qualcuno li ha chiamati, sono incompatibili. Che an- zi questo ragguaglio si è fatto senza che la Bibbia sia sca- duta dal carattere di verità clic è il suo distintivo e che ha divina la sua origine. Essa non ha di che temere dalla vera scienza c dai suoi progressi, bensì dall’ ignoranza o da quella falsa scienza che erra nel mondo delle illusio- ni e dei sofismi, figlia di un amor proprio esagerato, cie- camente scettica c duramente egoista, che la mercimonio di menzogna, di ostentazione e di presuntuosa baldanza. La vera scienza non può condurre che al vero, e la Bibbia è il sacro deposito delle più preziose e fondamentali verità; laonde 1! una non può trovarsi in discordanza coll’ altra, al- meno nei punti di maggiore importanza. Se vi hanno ta- lune differenze di tempo, questo poco importa, perchè da un lato gli avvenimenti concordano esattamente, c dall’al- tro, come scriveva non ha guari il nostro egregio Cav. Prof. Carlo Gemmellaro , le epoche della creazione non si contano in anni. La fusione della scienza colla Bibbia non è ancora fatta del tutto, c ciò è vero: ma questo deriva da alcune o- scurità che nei sacri libri s’ incontrano, c dalla debolezza dei nostri lumi, o meglio dallo stato d’imperfezione in cui an- cor si trovala scienza. Si lasci questa liberalmente progre- dire, senza frapporvi ostacoli di sorta alcuna per un panico timore dannoso sempre, senza rinnovare i tempi di Galileo, e si vedrà, se ci sarà dato condurre la scienza al più al- to grado di perfezionamento, avverarsi la mentovata fusione, Se vi è qualcuno a cui sembri esagerato il mio dire, a- scòlti le parole del più grande sapiente italiano dei nostri (1) Loc. cit. 169 — tempi, l’illustre Gioberti nel suo soprannaturale. « Ri- « spetto a coloro che reputano l’autorità della Bibbia in- « compatibile colle moderne scoverte geologiche e colle teo- « riche scientifiche sulla formazione primitiva del globo , « giova il fare un’ osservazione. Per quanto crescano e si « perfezionino le scienze , e specialmente la geologia, si tro- « veranno sempre in esse molte lacune , molte oscurità , « molte cose apparentemente contradittorie , molte esplica- « bili diffìcilmente o assolutamente inesplicabili, essendo que- « sta la condizione necessaria del sapere umano in ogni sua « parte, atteso la piccolezza e la debolezza della nostra men- « te, la brevità della vita, 1’ imperfezione degli strumenti e « delle osservazioni, la grandezza e quasi immensità di ogni « oggetto reale (chi non voglia scambiarlo da quel che è « in natura), l’impenetrabilità delle essenze e V oscurezza « che si riverbera da queste nelle proprietà, e rende sovra- « tutto tenebrosa la quistione delle generazioni e delle ori- « gini. Dall’altra parte la narrazione biblica essendo scrit- « ta in modo molto conciso e in una lingua antichissima, « dee contenere molte oscurità tanto malagevoli a dissipare, « quanto quelle che s' incontrano nel gran libro della na- « tura. Egli è adunque chiaro che, quando si paragonino e « riscontrino insieme la natura e la Bibbia, 1’ imperfetta co- « gnizione che abbiamo dei due testi dovrà ostare al per- « fetto ragguaglio dell’uno coll'altro: tantoché le apparenti « ripugnanze di molti particolari e le difficoltà insolubili non « mancheranno ; ma quando la concordia abbia luogo nella « sostanza degli eventi enei punti più principali, ogni uomo « assennato ne dovrà essere sodisfatto. L’ esigere di più è « tanto ragionevole, quanto la pretensione di chi volesse co- « noscere la formazione primigenia della terra così perfet- « tamente come quella di un oriuolo; e intendere la lingua « ebraica, il genio delle antichissime scritture d’oriente, e « il racconto della cosmogonia e dei diluvio istcsso in quei- « r idioma e in quello stile come si comprendono le lingue « moderne d’ Europa, e come si capisce la descrizione stes- « sa di un terremoto o di un uragano contenuta in una gaz- « zetta italiana o francese » (1) . (4) Gioberti — Teoria del soprannaturale pag. 426 — nota 64. ELOGIO BIOGRAFICO DEL PADRE GREGORIO R.4RNARA LA VIA GASS1NESE scritto CASSINESE Socio Ordinario della detta Accademia, e della Società Economica dolla Provincia di Catania, Corrispondente dell’ Accademia dei Fisiocritici di Siena, dell’ Agraria di Pesaro, della So- cietà Maltese di Scienze , e lettere, della Società d’ Emulation du Dipartiment des Yosges ( Epinal), della Senehebergichc di Francfort sul Meno, del Gabinetto di Storia naturale di Siracusa, dei Zelanti di Aci-Reale, della Società Medico Chirurgica di Bologna ec. ec. OGETTO odia Tornata ordinaria dell’Accademia Gioenia del 1G Luglio 1§6* ATTI ACC. VOL. XX. ♦5 r- \ icende delle umane cose ! Non é ancora un mese, o Gioe- n'G quando in questa nobile sala atteggiata a festa raduna- va voi T onorevole nostro 1.° Direttore per tributare una me- moria perenne di gloria al nostro esimio Concittadino Mae- stro Pietro Antonio Coppola mercè dell’ egregio professoree %° Direttore Andrea Aradas (1); ed oggi per adempiere ad altro nobile ufficio vi appella di nuovo per richiamare alla vostra mente mediante la mia tenue voce le virtù e le o- pere del fù Gregorio Barnaba La Via nostro rinomatissimo collega. — La solennità di questo giorno, Socii egregi, che una viva immagine mi presenta dell’ egizia celebrità, ed i volti vostri acconciati a mestizia, ahimè ! mi danno di leg- gieri a significare, che quantunque trascorsi sono più di due lustri, (2) pure ne lamentate ancora la .perdita di colui, che educato tra noi, e che possedeva in massimo grado l’arte di adattare la scienza alla capacità di ogni intelletto, di co- lui che fece signoreggiare le scienze naturali in Sicilia mer- cè questa rinomata accademia gioenia, di cui fu uno dei fon- ' 314 — datori, (3) di colui, che vedeste laborioso faticare in questa società, e l’ammiraste, e lo amaste di cuore per le sue belle cittadine virtù, di colui in somma, che alla patria nostra venne ad accrescere colle sue lucubrazioni agronomiche quel patrimonio di gloria, che ad ornamento vi splendono. Si è vero, grave è la soma, che in me si addossa, pure il tri- buto della riconoscenza, animoso mi sospinge a scrivere pa- role di laude su Gregorio Barnaba La Via, mio amico, mio confratello, mio maestro. Gregorio Barnaba La Via nacque in Nicosia da Giovanni e Rosalia Palermo in su lo spirare del secolo scorso , cioè a dire il 18 aprile 1793. Educato Egli con molta cura si mostrò per tempissimo di mente svegliata, e grandemente desideroso di e- rudirsi. Mancatogliene il destro nella patria sua, ed osservato dai genitori l’ animo suo mansueto, ed il temperamento alieno alle distrazioni secolaresche lo consegnarono ai padri Cas- sinosi del monastero di Catania, in cui vestiva l’abito di S. Benedetto nell’ anno 1809. Ivi cominciò la mente a nutrirsi di matura sapienza. Studiò principalmente le belle lettere, e la lingua del Lazio sotto lo insegnamento del Nestore della nostra classica letteratura Can.° Giovanni Sardo; ed appre- se eziandio la filosofìa; in pochi anni Egli avea fatto, ciò che molti vecchi non fecero, non fanno, c forse non faran- no mai. Le ore che altri soleva dedicare ai balordi passa- tempi, per lui eran sacre ai severi studii filosofici, di cui tanto fu vago. La filosofìa del secolo XIX. questa, che oggi ha cacciati di sede gli antichi sistemi, questa che ha mutate le condizioni della letteratura, e delle arti, era la prima cura del suo cuore intemerato, il primo oggetto del suo desto e solerte ingegno. Ne avea scrutate le vicissitudini a traverso la notte dei tempi, e i vaneggiamenti degli uomini, nc avea veduto i rovesci, e i trionfi, l’obblio, ed il rinascimento, le verità — 375 e gli errori. Con questo bel corredo di scienza nel 1813 fe- ce i giuri solenni della monastica professione nel monastero di S. Niccolò l’Arena. Nell’ anno 1815 dopo essersi ancora rivolto alle teologiche dottrine, in cui la sua valentia fu spe- rimentata ben a sufficienza da non pochi, ascese al più su- blime dei ministeri, il sacerdozio. Sin d'allora la fama del La Via divenne nei cenobi del suo ordine altissima, ed i su- periori gli davano da per tutto segni di onoranza e di amo- re. Ed ora veniva chiamato in Roma a leggere filosofia nella Badia di S. Paolo, ora in quella di Monte Cassino, ed ora in quella di S. Pietro di Perugia, e per ogni dove il nostro Gregorio lasciava desiderio di sé. Il volere della religione, che tutto puote presso la monastica disciplina richiamava in Caltanissetta nel 1830 il La Via per reggentare quel picco- lo monastero da Priore Claustrale, ed ivi per anni sette fece dimora, e rivestito di sovrana fiducia, addossate si ebbe in- cariche gelose e rilevanti. Si offriva di buon grado media- tore a quanti invocavano il suo ministero nei dissidii di fa- miglie, c quasi sempre gli avvenne di restituire all’amicizia, quei che ne aveano rotti i legami per ascoltare le voci dell’inte- resse. Nè per questo inorgoglivasi, e davasi vanto; chè, na- to con un cuor generoso, c benevolo, sua gloria riponeva nel fedelmente servire, ed operare ii bene. Ma in lui vedo- vasi Y uomo nato anzi alla scienza, che a reggere la cosa pub- blica; quel suo temperamento elastico, impetuoso a quando a quando’, facile a prestar credito a chicchesia , lo faceva alieno dal governo; ma invece quell’attività allo studio, quello amore alla quiete e alla solitudine, quell’ operosità nelle ricer- che scientifiche lo costituivano per natura sacerdote della scienza. Le fatiche quindi più che gli anni, e i durati servigi più che le sceme forze reclamavano per lui un posto di riposo e di quiete; ed ecco che Gregorio Barnaba nell’anno 1837 si restituiva fra noi. Oh ! per me fu quello di certo il giorno più felice della vita mia, quando a lui per la prima volta mi appressai, e con costante amicizia fino all’estremo suo re- spiro mi tenni legato. Nessuno poteva farsi a lui da vicino, e non essere affascinato dalla efficace qualità dei suoi gen- tili modi. Una vivacità, un brio, ed una semplicità nel trat- tare, e conversare, una vena squisita di genio satirico, e critico, incapace di contristare veruno animo ragionevole , un ingegno pieghevole, e flessibile, che poteva adattarsi ad ogni società, e farsene l’idolo, io rendevano così familiare da attirarsi la benevolenza di non pochi. Affabilissimo non solo agli stranieri, bensì agli sconosciuti , amico agli amici con fede, e tenerezza singolare. Ingrandiva ogni più pic- colo servigio, che ricevesse , e alla riconoscenza non po- neva termine, compativa a tutte le afflizioni, avrebbe volu- to soccorrere tutti i bisogni; amava e favoriva tutti i me- riti ; e della grazia, che giustamente godette presso i potenti cercò profitto non per se stesso, ma per altrui. — Or queste belle qualità del nostro Socio estinto venivano assorellate agli alti doveri del vero Sacerdote di Cristo , ed in mezzo agli svariati suoi studii sapea trovar tempo per diffondere, dirò così, fuor di sé, e comunicare altrui quello spirito di religione, e di pietà, onde era pieno. Quindi lo vedeste or nel tribunale della penitenza savio moderatore delle coscien- ze, ed ora dalla cattedra di verità esercitar l’ apostolico mi- nistero. Miratelo di volo, in Caltanissetta a queir epoca tri- ste a Sicilia nostra, io voglio dire, quando la morte batte- va senza riguardi e la magione dei grandi , ed il tugurio dei tapini, quando i cittadini pria eran spenti, che amma- lati. Fu allora, ch’egli divenne l’angelo dell’umanità, ani- mando col suo esempio molti all’ eroico disinteresse della vita nel servizio dei colerosi. Ma a queste virtù cristiane e- ran congiunte quelle cittadine. Adorno di un sano giudizio, di sentimenti di tempra generosa , accoppiati con sodo e svariato sapere, robusta fermezza, e pietà sincera. Per co- siffatte doti più volte gli fu offerta la reggenza del nostro Cuteliiano Collegio, come a colui, che solo poteva organiz- zare quel convitto, che reclamava in quell’ epoca un uomo di sapere, di prudenza, e di esperienza, ma vane furono ed inutili le inchieste, e le premure, perchè il La Via più che la gloria e l’onoranza amava i suoi prediletti studii nel ritiro e nella pace del chiostro. — Ricordatelo finalmente nel- l’anno 4848, epoca di trambusto politico. Nei primi giorni di un rivolgimento qualunque, il popolo è rotto all’anarchia, sbalzate le antiche autorità fa mestieri sostituirvi dell’ altre prese dagli uomini di azione per tutelare la tranquillità del paese; ma nei momenti di transizione gli animi dei cittadi- ni palpitano e tremano sulla scelta dei soggetti. Or in questa epoca la Patria chiamava e desiderava fra gli uomini che tenevano la somma delle cose il nostro La Via; ma egli con quel retto acume di vista suo proprio seppe distinguere cosa da cosa. Ben conosceva che la politica non è sempre la scienza del Frate, chè la vita monastica è vita di abnegazione, e di cari- tà cristiana; ma non ignorava ad un tempo, che l’amor di pa- tria ha un seggio altresì nel cuore del Frate. Quindi bellamen- te studiossi di sposare questi due principii, servendo la pa- tria nostra, che lo reclamava, e rimanendo fermo al carat- tere che vestiva; ed ecco perchè voi lo vedeste Preside del comitato dei pubblici soccorsi. E qui sì, che il suo cuore si espandeva soccorrendola vedova, il pupillo, l’artigiano senza lavoro, le famiglie nascoste ed obbliate, il tapino, il ferito, ed in somma ogni bisognoso; ed io ben ricordo come il no- me del La Via in quella stagione iva benedetto sulle labbra di tutti, perchè tutti consolava, perchè a niuno sapea far diniego. Se fin qui, Socii ornatissimi, abbiamo brevemente con- siderato il trapassato nostro Socio nelle sue virtù morali e cittadine, or è tempo di rimirarlo nel suo vasto sapere, e nella sua profonda scienza. Compiti adunque i suoi studii — 318 chiesastici, come dianzi vedemmo, si provò a studiare le scien- ze naturali nella nostra patria per rendersi sempre più utile alla repubblica letteraria, sotto la direzione dei sommi Gioeni, e Recupero, i due grandi, cui, la scienza va debitrice di quel gran movimento dato alla storia naturale fra noi, la quale fin allora era stata V occupazione dei pochissimi, perchè si era tenuta come un soprappiù, come se noi non facessimo parte di questa natura, nè fossimo di naturai composizione costituiti, nè in mezzo ad esseri naturali ci aggirassimo. Il nostro La Via predilesse tra le varie branche di questi stu- dii la mineralogia, come quella tanto necessaria a profon- dasi nella Geologia. A quella adunque si applicò di propo- sito, perchè considerava, che un tale studio arrecar poteva vantaggi rilevantissimi al nostro paese, e per molti rispetti. Perciocché è noto a tutti, o Signori, che i prodotti del regno naturale sono semi perenni ed inesauribili di ricchezze alla società , purché si sappian conoscere con accomodarli ai pubblici bisogni; e nessuna vergogna è maggiore ad un pae- se, quanto il possedere beni di tal fatta, e farli marcire nel luogo dove son nati. E per quello che riguarda le produzio- ni minerali, chi di voi non sa, che nella Sicilia, esse non sono da meno, che le altre dovizie naturali; che se il no- stro suolo ha difetto di metalli nobili, se non è ferace di gemme e pietre preziose, contiene in cambio minerali di altra sorta, che certo per le nostre condizioni economiche sopravanzano in valore le più ricche miniere di oro e di gemme, che si conoscono. L’isola nostra è il grande ma~ gazzino di zolfo del mondo intero, le miniere di sai gemma provvedono ai bisogni di buona parte dei nostri paesani, i diaspri e le nostre agate fanno lor vista in tutte le offi- cine di pietre dure , i marmi di Sicilia nostra abbelliscono le reggie, ed i tempii deU’Altissimo, e quel gigantesco mon- te, che perennemente ci sta in faccia, che reca la distru- zione , e ad un tempo la fertilità , quel vecchio monte , — 319 — io dico, è meraviglia del mondo intero, non pure per la grandezza dei suoi fenomeni, ma sì ancora per la immen- sa copia di minerali bellissimi , curiosissimi, svariatissimi che vomita dal suo cratere, i quali sono avidamente ricer- cati da tutte le parti della terra, e fanno di se mirabile mo- stra , ovunque è un museo di mineralogia. Ecco i princi- pali motivi, che indussero il La Via a fornirsi di conoscen- ze esatte in questa branca di umano sapere, e sotto i pre- cetti, che attinse nelle opere di quei gran legislatori della mineralogia, e cristallografia, Werner, ed Haiiy si addentrò in questi studii, e si fece strada alle più belle lucubrazioni, non trascurando parimenti nelle sue dimore di Roma , di Perugia, di Napoli, consultare gli uomini i più celebri della materia, ed insieme ad essi studiare dappresso c visitare scientificamente i vulcani estinti del Lazio, e quanto offre di più importante il regno minerale in quella penisola. Si- gnori, se il nostro Socio riuscì in questi studii mineralogici, voi ben lo potrete ravvisare in quelle varie e dotte memo- rie, che ingemmano gli Atti della nostra Gioenia, e che per amor di brevità citerò in apposita nota. Memorie ammirate da uomini dotti nazionali ed esteri tanto per la esattezza delle osservazioni, quanto per la chiarezza dell'esposizio- ne (4). Ma non posso non far cenno della scelta collezione mineralogica, che vi diede mano in Perugia, e poi completò fra noi; collezione che gli fruttò la corrispondenza dei più celebri e dotti naturalisti d’Italia, di Francia, di Germania e sino di America; in essa voi trovate una ricca raccolta di minerali e di rocce del nostro paese, principalmente dcl- LEtna, del Vesuvio, delle Calabrie, delle Puglie, dei vulca- ni delle Isole Eolie, c quelle d’Italia, ed alle patrie colle- zioni vi seppe pure aggiungere le straniere, e siccome non oziosa gli fu la residenza di Caltanissetta, ed ebbe l’agio di studiare le solfaje di quella provincia, così l’ arricchì ben anco dei più rari acquisti di cristalli, di zolfi, di celestine. ATTI ACC. VOL. XX. 48 380 Divisa nel 1841 per effetto dei nuovi regolamenti la cat- tedra di Agricoltura da quella di Economia Politica, il Padre La Via fu chiamato in questa R. Università a sostenere la prima, e per ben dieci anni gratuitamente dettò le sue le- zioni con molto utile della gioventù studiosa, impegnato co- m'era portare a miglior pratiche la nostra agricoltura e pa- storizia. È generale desiderio imparare molto con poca fa- tica, talché veggiarno sovente preferirsi il breve lavoro, a quello di cui temesi, che per la lunga durata si abbia a ri- manerne oppresso. Quindi l’opinione ben fondata di alcuni scrittori di rustica economia, che ai recenti reali e rapidi progressi dell’agricoltura inglese, francese, belgica, tedesca ed italiana, più d’ogni altra cosa abbia cooperato la pub- blicazione di scelti libri elementari di picciola mole, di al- manacchi rurali, e d’istruzioni popolari brevi, e precise, che han preso il luogo delle opere voluminose, dei gran di- zionarii e delle speciose raccolte di memorie agronomiche. Or tali aiuti, che da varii lustri in qua specialmente avean fatto maravigliosamente altrove progredire 1’ agricoltura, la pastorizia, eie industrie campestri, quasi affatto mancavano al Regno della Sicilia. È vero, che ad ovviare un tale incon- veniente furono di qualche soccorso a tali discipline le So- cietà Economiche stabilite in ciascuna provincia; nè possia- mo che commendare il loro zelo in pubblicare istruzioni, Atti e Giornali nella mira indicata; ma l’azione loro era ristret- ta in ciascuna delle proprie provincie, nè procedevano col- lo stesso generale disegno; nè sempre potevano essere ai corrente delle novità e dei progressi della rustica economia. Non avea essa in somma tra noi, benché ramo sì vasto sì utile sì necessario dello scibile, un’opera elementare, che le fosse stata unicamente consecrata. Il perchè con indefesso animo si fece a pubblicare il La Via le sue lezioni di Agri- coltura, e di Pastorizia. Ed acciò meglio potesse ottenere quanto si aveva prefìsso stimò espediente procedere piutto- sto con un disegno ordinato, che alla rinfusa. Quindi per riuscire alla gioventù apprendente più convenevole e van- taggioso, fu di parere dare un corso teorico-pratico di cose agrarie raggruppate, e coordinate con metodo. Per il che apprestandosi a trattare delle cose campestri diede princi- pio dal terreno, lo esaminò sotto tutti i riguardi che costi- tuiscono la primaria ed indispensabile condizione per l’e- sercizio dell’ agricoltura; le diverse sostanze di cui deve es- ser composto, e la giusta proporzione tra loro, perchè sia buono per la coltivazione, e non che i mezzi per riconoscer- le, e saperlo ben emendare; e qui si fa strada a trattare de- gl’ ingrassi con accurate, e sane teorie. — La maggior parte degli Agronomi volendo stimare il valore relativo degli in- grassi hanno stabilito « che l’attività di una sostanza fer- tilizzante determinar debbesi dalla quantità di materia solu- bile, ch’essa contiene, e dalla rapidità con la quale scom- ponesi completamente » (5). Per la qual cosa tra le sostan- ze annoverate nella lista degl’ingrassi, che servono all' a- gricoltura si è dato sempre il primato a quelli edotti, o pro- dotti degli animali. Dopo che i signori Liebig, Dumas, ed altri celebri moderni chimici han fatto conoscere la grande influenza, che ha l'azoto sulla vegetazione, i signori Bus- singault e Payen portano opinione, che la principale diffe- renza, tra gl’ingrassi che provengono dagli animali, e quelli, che derivano immediatamente dalle piante trovasi nella pro- porzione rispettiva dell’azoto. Riguardavansi non è molto tempo, (fino ai principii del secolo attuale,) come nocivi al- la vegetazione i primi prodotti spesso i più ricchi di azoto della putrefazione dei residui animali, e dei letami immaturi; per la quale ragione si è data da molti la preferenza ai le- tami vecchi, ed alle materie animali trasmutate in terriccio dalla invecchiata loro scomposizione. Ed in questo errore fu avviluppato il dotto agronomo Rose. Or il nostro La Via conoscendo, che gl’ingrassi valgono tanto più quanto mag- giore sia la proporzione della sostanza organica azotata gri- da contro 1’ uso de’ nostri coloni di ammontacchiare i leta- mi esposti all’aria, senza por mente, che in cosiffatta gui- sa la maggior parte dei prodotti azotati della putrefazione sa- rebbero dispersi nell’ atmosfera. Ardua e veramente filosofica impresa è quella di ri- muovere una gente tenace anziché nò delle sue usanze in- veterate, e fargliene adottare delle nuove. Quindi l’À. si fa a discorrere gli strumenti agrarii, e le macchine inventate di recente, e conosciute come le migliori per lavorare la no- stra terra. Ma perchè i coloni nelle rurali faccende privi sempre della necessaria istruzione non possono raggiunge- re lo scopo dei loro sforzi, e delle loro cure, ed insufficienti allo esercizio dell’ arte, che professano, così il nostro Socio si traduceva spesso nel vicino podere dell’egregio Cav. D. Vincenzo Bonajuto, nominato la Bicocca, ed ivi pratticamente insegnava i coloni, ed i giovani apprendenti a guidare il tar- do bue, ed a trattare gli strumenti villarccci, e della pub- blica prosperità; in quella guisa che il soldato sui campi di Marte si esercita alle militari evoluzioni, ed al maneggio delle armi omicide. Trattando in seguito della coltivazione delle piante utili, non omise di toccare delle nozioni generali di botanica, in- di i differenti modi di seminare, le medicature dei semi, le putagioni, ed innestamenti delle piante legnose, le praterie, i boschi, gli artificii che vanno usati per difendere le piante dagli insetti, ed animali nocivi ec. Non trasandò altresì di far parola di alcune piante particolari, o di alcun loro pro- dotto, ad esempio del frumento, della patata, e del frumento- ne; della barbabietola, del trifoglio, della sulla, della lupi- nella, della robbia, del canape, del lino, del gelso, del pe- sco, dell'arancio, dell’ulivo, del melo, della vite cc. non che del miglior modo di fare l'olio ed il vino ec. Con cosif- fatto metodo nel secondo volume, o Signori, e con mano — 383 maestra tratta la parte, che riguarda la pastorizia, (6) ac- cennando ora come perfezionare le razze tutte del bestiame, ora come meglio governare quelle dei cavalli, dei buoi, del- le pecore, dei porci. Disse come migliorare le lane ed i for- maggi, come bene ingrassare gli animali pel macello, e co- me garentirc il bestiame dalle malattie, nò trascurò gli ani- mali domestici, le api, e l’industria della seta. Chi di Voi, Ornatissimi Socii , non conosce che la industria della seta nel nostro regno rappresenta un ramo molto importante di economia, e risguarda più persone di varie classi. La pro- duzione però della seta grezza trovasi quasi interamente af- fidata alla gente piuttosto povera, ed ai piccioli agricoltori, i quali ordinariamente nelle loro pratiche non conoscono altre regole se non quelle dettate dal solo empirismo. Non abbiamo punto tra noi, o ben poche bigattiere dirette da ric- chi, e colti proprietarii, come doviziosamente se ne Dova- no, e continuamente ne sorgono in moltissimi dipartimenti della Francia, nelle provincie del Piemonte, e della Lom- bardia. Quale vergogna per la nostra Provincia, che fu la prima tra le tante del regno a conoscere simile industria per opera di Ruggero re di Sicilia, il quale nel 1 130 fece veni- re dalla Grecia in Palermo i bachi da seta, e gli artefici, che sapeano trarla, ed operarla! Il nostro socio quindi nel suo bel trattato dei filugelli per far progredire siffatta indu- stria insegna la conoscenza precisa della temperatura in cui debbono stare i bachi da seta nelle differenti età, poi scen- de a trattare sul calore, sull’umidità, sulla necessità dell’a- ria nelle bigatterie , e si fa a proscrivere quella usanza di bruciare erbe odorifere riguardandola come effetto del pre- giudizio e della ignoranza; capace di accrescere anziché to- gliere l’impurità dell’aria, poiché in tal modo si consuma l’ossigeno, si aumenta l’acido carbonico, gli altri gas nocivi, e l’umidità, oltre che il fumo prodotto dall’ abbruciamelo di dette sostanze, può in un istante soffogare tutti i bigatti. 384 — Raccomanda finalmente ia luce ai bachi da seta, come quel- la che li rianima, come fa per tutti gli altri esseri viventi, e grida contro l’errore popolare di tenerli all’oscuro. Vuo- le inoltre che la foglia alimentatrice dei filugelli non sia ba- gnata dalla pioggia, e dalla rugiada, ed il nutrimento lor ■ sia apprestato ad ogni sei ore, acciò abbiano il tempo di mangiarlo per intero e digerirlo. Signori, in questi suoi studi sull’ agricoltura, e sulla pa- storizia il nostro socio ebbe particolare premura scegliere e trattare più alla distesa quelle materie, delle quali opi- nava essere maggiore bisogno nella nostra isola l’avere più ampie e speciali nozioni. Ed acciocché questa maniera di istruzione, fosse tutto popolare, onde più sicuramente pro- durre il salutare effetto del miglioramento della nostra ru- stica economia ebbe sennatamente la destrezza di usare un linguaggio facile ad essere inteso da ognuno che si diletti di faccende campestri, o che per necessità vi attenda. Sem- pre sobrio per quanto poteva di pure teoriche, c religio- so in riferire i fatti e riportare minutamente le pratiche e- seguite altrove, o consigliate dai migliori coltivatori a qua- lunque tempo, o nazione essi appartengano. Dopo tante laborate elucubrazioni doveva il La Via rimanere inosservato agli occhi dei suoi contemporanei ? Nò, o Signori ! l’apprez- zò il Reai Governo quando lo elesse a primo Presidente della Società Economica della Provincia di Caltanissetta , carica che esercitò per ben sei anni con plauso dei dotti, evi les- se importanti memorie; il conosceste ancor voi, quando lo chiamaste a sedere da Segretario generale in questa Acca- demia Gioenia per gli armi 1839, e 40, e lo confermaste in tale ufficio nei due seguenti, e poscia lo assumeste al posto di secondo Direttore, che si ebbe di nuovo nel 1830. Lo tenne altresì a caro la nostra Società Economica, di cui era uno dei più solerti e laboriosi soci, e replicate volte il creò suo Vice-Presidente, e gli addimostrò tutto il suo affetto di — 385 — onoranza, quando nei 1845 essendo ella invitata a deputa- re uno dei suoi membri a far parte della settima riunione degli scienziati italiani tenuta in Napoli, la scelta non fu dub- bia, e il mandato se l’ebbe il nostro compianto socio, come quello da non disgradare la sua rinomanza, e se vi riuscì il contestano i suoi scritti presentati in quel congresso, il dia- rio delle sedute, e la biografìa compilata dal Sig. Giucci. II conobbero per ultimo tutte le Accademie nostrane , ed estere, che si ebbero ad onore di annoverare nel loro con- sesso il nome del La Via (7) . Ma Ohimè! il sipario della vita al nostro emerito socio calò, mentre ancora avea forza suffi- ciente a rappresentare la sua parte sulla scena scientifica di questa terra. Lode degnissima a voi o Gioenii ornatissimi, l’ordinare radunanza di oggi a memoria di lui. Chè queste veramen- te mi sembrano di quelle esequie degne e desiderabili all uo- mo grande, le quali non facendosi per pompa ed arrogan- za di parenti, nè per superbia di successori nel fasto, o nelle ricchezze, ma con sincera ed affettuosa ricordanza delle virtù, e delle opere dell’estinto, si celebrano per libero e riverente amore dei Gioenii. Nel che parmi di vedere un’utilità non dispregevole in questo articolo dei nostri statuti. Poiché a moltiplicare gli esempii del virtuoso vivere, chi negherà , che giovi ricordarli spesso in comune, e magnificarli di glo- ria, onde altri si senta incitato a volerli seguire? E per ve- ro molto imitabile esempio e di forti studii e di cari costu- mi noi ci siamo oggi proposti, riducendoci alla mente Iafor ma di vita espressa dall’ottimo nostro Socio P. La Via, nel quale si vide uno scienziato amabile un egregio profes- sore un utile cittadino. NOTE (1) Il giorno 25 giugno 1865 il Prof. Aradas leggeva in seduta straordinaria dell’ Accademia Gioenia una sua memoria titolata — Studi di Biotassia, ovvero ricerche tendenti a migliorare la classificazione zoo- logica attuale; ed indi aggiungeva di proposito una nota in onore del- l’ illustre Maestro Coppola presente alla radunanza, e con bel pensiero gli dedicava una nuova specie di conchiglia del genere Cerithium no- minandola Cerithium Coppolae. (2) All’alba del 2 giugno 1854 Gregorio Barnaba La Via spirava nel bacio del signore. (3) Nel 1821 nella stanza del Padre La Via radunavansi per la pri- ma volta varii scienziati della nostra città per fondare l’accademia Gioe- nia, fra i quali primeggiavano il Cav. Gioeni, Commendatore Borgia, Recupero, ed altri egregi che non sono più. Dei fondatori soli soprav- vivono 1’ onore delle scienze naturali chiar.mo Prof. Cav. Carlo Gemmel- laro, Prof. D. Michele Fallica, Cav. Prof. Agatino Longo, e Prof. Fran- cesco Filici. 4 (4) Descrizione geologico-mineralogica dei dintorni di Caltanissetta. Per Lipomi 1823 — Geognostiche osservazioni fatte nei contorni di Sommatino. Palermo 1 832— Geognostiche osservazioni fatte nei dintorni di Caltanissetta. Per Lipomi 1 832— Geologiche osservazioni fatte nei din- torni di Nicosia. Alti della Gioenia Voi. 1. — Descrizione di una nuova sor- gente di petrolio in Nicosia— Atti della Gioenia Voi. VII. — Sopra due pezzi di ossa fossile trovati in Caltanissetta. Atti della Gioenia Voi. XIX.— Noti- zie sulla pietra litografica scoperta dall’ autore in Sicilia. Giornale del Gabinetto letterario in Catania Voi. VI. Bim. 1, e ristampate nel gior- nale di Agricoltura. — Sulla potatura degli Ulivi . Caltanissetta 1835. Me- moria encomiata dal R. Istituto d’ Incoraggiamento di Palermo — Sulla propagazione dei boschi in Sicilia. Idem. — Cenni pratici sulla na- tura dei terreni, e modo di migliorarli — Sulla qualità dei terreni per esser fertili — Delle disposizioni da darsi al terreno per esser fertile, e dei lavori da farvisi. — Cenni sugli ingrassi semplici, e sugli ingrassi composti— Cenni pratici sugli innesti 1843, e vari articoli di agrieoi- — 381 — tura pratica letti nella Società Economica della Provincia di Catania , encomiati da parecchi ministeriali di S. E. il Ministro dell’Interno , e dubbi icati in vari giornali di Sicilia — ^Prolusione alla seduta generale del 30 maggio 1833, della Società Economica della Provincia di Calta- nissetta, riguardante la rotazione agraria, gli stromenti agrari, gli in- grassi, la cultura della vite, gli ulivi, e la necessità di formarsi un ca- techismo agrario. Pubblicata nel giornale di scienze, lettere, ed arti di Palermo 1833 — Prolusione alla seduta del 30 maggio 1834,=sulla ne- cessità di migliorare con gli esempii e con la diffusione dei lumi i pro- gressi agrari. Effemeridi 1834 — Elogio funebre per la morte di Fran- cesco I. Re del Regno delle due Sicilie. Per Lipomi 1830 — Relazioni Accademiche per gli anni XV. XVI. XVIII. dell’Accademia Gioenia. Atti della Gioenia — Sul miglioramento della Cultura delle vigne in Sicilia, memoria comunicata alla VII riunione degli Scienziati italiani in Napoli 1846 — 2. edizione 1830 -Lezioni di Agricoltura teorico-pratica per la Sicilia 1845 — 2. edizione riveduta e corretta dall’ autore 1853 — Miscellanea di agri- coltura e pastorizia 1850 — Lezioni di pastorizia teorico-pratica per la Sicilia. Catania 1 855 = Catechismo agrario per gli agricoltori siciliani. 1853-54. (5) Bourger, Cours complet d’Agric. prat. (6) Le lezioni di pastorizia teorico-pratica per causa imprevista non furono date alla luce dall’autore, ma furono rese di pubblica ragione dal chiaro ed ottimo Dottore Giuseppe Sapuppo Amato , il quale tro- vandosi possessore dell’autografo, e sendo amicissimo all’autore, per riconoscenza e per rispetto allo stesso volle dare alle stampe a tutte sue spese 1’ accennata opera. Si abbia dunque non poca lode 1 emerito Sa- puppo per aver con proprio disinteresse fornita alla patria nostra un libro di molta utilità. (7) In quante Accademie appartenesse il Padre La Via non è a dire. Notiamo a preferenza di essere stato socio attivo fondatore del- l’accademia Gioenia di Catania. Corrispondente della Senkesbergiana dei Curiosi della Natura di Francfort sul Meno*, dell Istituto stoiico degli stati Uniti di America residente in Nuova York ; dell Istituto di Bolo- gna; dell’Istituto Cosentino; delle Scienze, ed Arti di Viterbo, dell E- conomico-Agrario di Perugia: della Aretina del Petrarca; dei Fisiocri-, tici di Siena; dell' Agrario di Pesaro ; dell’ Economico-Agraria di Malta, delle Accademie delle Scienze, e degli Istituti d’ Incoraggiamento di Na- — 388 - poli, e di Palermo; della Peloritana di Messina; dei Zelanti di Aci Rea- le; delle Società Economiche delle Provincie di Calabria ultra, e del 1 Abruzzo; del gabinetto di Storia naturale di Siracusa; delle Conferen- ze agrarie dei Fattori di Pesaro ; Onorario della Società medica d’ in- coraggiamento di Malta , e della Società Economica della Provincia di Caltanisselta : Membro della Società geologica di Francia, e del VII Con- gresso degli Scienziati italiani alla sezione di Agronomia qual Deputato della Società economica di Catania ecc. I Relazione dei lavori Scientifici sostenuti nell anno XXX IX del- l' Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania letta nella tornata ordinaria del dì 1S dicembre 186i dal se- gretario generale Carmelo Scinto-Patti . . pag. VII i\ota sopra una nuova Pinzetta per rendere agevole V escis- sione degl' integumenti palpebrali , comunicata all' Accade- mia Gioenia di Scienze Naturali nella tornata ordinaria del dì 27 luglio 1863 per Paolo Berretta Giuffrida. » 1 Di Fisiologia Fisica Memorie due per il socio Prof . Cav. Aga- tino Long o presentate nella seduta del dì 2i aprile 1861. » 9 Sul luogo e tempo in cui avvenne l’ eruzione dell' Fina ap- pellata de{ Fratelli Pii e sulla costoro leggenda osserva- zioni del Socio attivo e membro del comitato Dottor D. Antonino Somma Iella nella tornata ordinaria del cà -7 settembre 1861. . . ... . . )) 39 Memorie geologiche del Cav. Agatino Bongo, lette all’ acca- demia Gioenia di Scienze Naturali in Catania nel 10 no- vembre 1861 . . . . . . » 83 Consultazione d'igiene pubblica sull’ influenza dei maceralo j della Gazzella nella insalubrità delle tre borgate marit- tima fra Catania ed Aci- Reale, ragionamento del Socio Prof. Francesco Dottor Falci letto nella seduta ordina- ria del dì 27 novembre 1867 .... » 129 Saggio di Geologia Filosofica del socio Prof. Cav. Agatino Bongo Memoria III presentata nella seduta accademica de’ 9 febbraro 1863 . . . . . » 131 / — 300 — Nota sui Vulcani estinti del Val di Noto tetta nella seduta or- dinaria del dì 19 febbraro 18 (io dal Prof. Cav. Carlo Gemmellaro 1 Direttore dell ’ accademia . . » 185 Sulle Capnnellidi dell ' ippuritico de dintorni di Palermo per il socio Gaetano- Giorgio Gemmellaro. . , « 181 Memoria sullo Psoriasis per Angelo Orsino Faraone letta nel- la tornata del 1 agosto 186Ì .... » 239 Descrizione di alcuni resti fossili di grandi mammiferi rin- venuti in Sicilia , preceduta da alcune considerazioni sui mammiferi viventi e fossili in generale e su quelli della Sicilia in particolare ,» per il socio 2.° Direttore Prof. Dottor Andrea Aradas , letta nella seduta del Ve aprile 18U )) 281 Elogio biografico del P. D. Gregorio Barnaba La Via Cassinese scritto dal P. D. Giovanni Cafici Cassinese letto nella tor- nala ordinaria dell Accademia del 16 luglio 1863. » 311 NOTIFICAZIONE L: Accademia non si rende affatto responsabile delle opinioni e delle asserzioni , emesse dagli autori nei lavori che essa pubblica , e lascia questa responsabilità agli autori medesimi. «