\ / I ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI ♦ P> < tò y, A - //> & f V 1 DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE' NUOVI LINCEI PUBBLICATI CONFORME ALLA DECISIONE ACCADEMICA del 22 dicembre 1850 E COMPILATI DAL SEGRETARIO TOMO XXII. - ANNO XXII. (1868-1869) v H I U( ,, / i/'à; & \.}y) ROMA 1869 TIPOGRAFIA. DELLE BELLE ARTI Piazza Poli n. 91. ELENCO DEI SOCI ATTUALI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LÌNCEI DAL 3 LOGLIO 1847, EPOCA DEL SUO RISORGIMENTO, FINO A TOTTO DICEMBRE DEL 1868. soci obdiiìabi EPOCA DELLA ELEZIONE 9 gennaio 1853 2 febbraio 1862 2 giugno 1867 3 luglio 1847 4 gennaio 1863 2 giugno 1867 3 luglio 1847 5 gennaio 1862 3 luglio 1847 ASTOLFI abate OTTAVIANO, professore d’in- troduzione al calcolo sublime nella univer- sità di Roma , e di fisico-matematica nel collegio Urbano. AZZARELLI dot. cav. MATTIA , professore di meccanica e idraulica nella università di Roma. BETOCCHI cav. ALESSANDRO, ingegnere in capo onorario nel corpo di acque e strade, professore di meccanica pratica nella univer- sità di Roma. RONCOMPAGNI Don BALDASSARRE dei principi di PIOMBINO. CADET dott. SOCRATE, professore di fisio- logia umana nell’università di Roma. CASTRACANI degli ANTELMINELLI, abate conte FRANCESCO. CHELINI rev. p. DOMENICO delle Scuole Pie, professore di meccanica nell’ università di Roma. CIALDI Comm. ALESSANDRO. COPPI cav. ANTONIO. VI EPOCA DELLA ELEZIONE 1 febbraio 1863 2 marzo 1856 2 giugno 1867 3 giugno 1866 3 aprile 1864 3 luglio 1847 6 febbraio 1859 3 luglio 1847 — 3-ajJnfe-1864 — 11 maggio 1848 22 aprile 1849 4 febbraio 1866 3 aprile 1864 DIORIO doti. cav. VINCENZO, professore di zoologia nell’università di Roma. FIO RINI-M AZZ ANTI contessa ELISABETTA, botanica. GIORGI cav. FEDERICO, presidente del con- siglio d’ arte, professore di architettura sta- tica e idraulica nella università di Roma. GUGLIELMOTTI rev. p. ALBERTO, de" pre- dicatori, teologo della biblioteca Casanatense. JACOBINI LUIGI, professore di agraria nella università di Roma. MASSIMO duca Don. MARIO. NARDI monsignor FRANCESCO, geografo fìsico. PIERI dott. GIULIANO , professore emerito d" introduzione al calcolo sublime nell’uni- versità di Roma. -POfcETTI comm. LUIGI, -ispettore di acque- e — strado, -membro del ootisiglio d*~arter~ — PONZI dott. cav. GIUSEPPE, professore di geo- logia, e mineralogia nell’università di Roma. PROJA D. SALVATORE, nominato professore di elementi di matematica nell’ università di Roma. RESPIGHI dott. cav. LORENZO, professore dì ottica e di astronomia nell’università di Roma. ROLLI dottor ETTORE, direttore del giardino botanico dell’università di Roma. ■ # li VII EPOCA DELLA ELEZIONE 30 giugno 1850 3 luglio 1847 3 dicembre 1854 3 luglio 1847 2 aprile 1867 1 febbraio 1863 SECCHI rev. p. ANGELO, d. C. d. G., diret- tore dell’osservatorio astronomico nel colle- gio romano. TORTOLINI dott. canonico monsignor D. BAR- NABA, professore di calcolo sublime nell’uni- versità di Roma. VIALE dott. cav. BENEDETTO , professore emerito di clinica medica nell’ università di Roma. VOLPICELLI dott. PAOLO, professore di fisica sperimentale nell’università di Roma. Cav. prof. dott. BENEDETTO VIALE. M(DMM Duca Don MARIO MASSIMO. ’.V'' f v, ", " ; • " • 1 £& EPOCA DELLA ELEZIONE 7 gennaio 1866 » )) » » » » — vili — summit mi (BQinittpjiatD Mmmstiim Prof. Dott. SOCRATE CADET. R. P. DOMENICO CHELINI. Prof. dott. VINCENZO cav. DIORIO. Prof. dott. GIUSEPPE cav. PONZI. summit mi m (bqsisiiissikdsiik m mot&ìi 8 -aprile-iSOG — Boa— B. BQN COMPAGNI , dei principi di dicembre 1864 . Piombino. — > IVufodull. G1U3EPPE 10 luglio 1853 LIEBIG barone GIUSTO , professore di chi- mica in Monaco. LITROW, direttore dell’ I. e R. osservatorio astronomico in Yienna. EPOCA DELLA ELEZIONE XIV 4 febbraio 1849 10 luglio 1853 30 luglio 1865 10 luglio 1853 » » » » 17 novembre 1850 10 luglio 1853 10 luglio 1853 2 maggio 1858 3 aprile 1864 10 giugno 1860 2 maggio 1858 30 luglio 1865 MALAGUTI M. J. , professore di chimica in Rennes. MALMSTEN dott. C. G., professore di mate- matica nell’università di Upsala. MORIN, generale, ARTURO GIULIO, membro dell’ accademia delle scienze dell’ I. Istituto di Francia. MURCHISON cav. R., presidente della società geologica in Londra. NEUMANN, dott. professore di matematiche, e fisica nell’università di Kònisberg. OHM dott. M., professore di matematiche nel- l’università di Berlino. QUETELET cav. A., segretario perpetuo della R. accademia delle scienze, lettere, e belle arti del Belgio in Brusselle. REGNAULT V., membro dell’accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. ROBERTS G. , professore di matematica nel collegio della Trinità in Dublino. SABINE, fisico e membro della R. Società di Londra. SALDANHA (Duca di). SORET LUIGI, fisico in Ginevra. THOMSON G., professore di filosofia naturale nell’università di Glasgow. VAILE ANT , maresciallo conte GIOVANNI BATffeTA FILIBERTO dell’accademia delle scienze deli’I. Istituto di Francia. EPOCA DELLA ELEZIONE XV 2 maggio 1858 WEHLBERG , segretario della R. accademia delle scienze di Stockolm. 17 novembre 1850 WHEATSTONE, membro della R. società di Londra. SOCI ONORARI 12 gennaio 1849 CAETANI Don MICHELANGELO , duca di Sermoneta. 1 marzo 1868 CAVALLETTI march. FRANCESCO, Senatore di Roma. (Primo fra i soci onorari ). 3 luglio 1847 GRIFI commend. LUIGI, segretario della com- missione generale consultiva di antichità, e belle arti. 16 gennaio 1856 RATTI dott. FRANCESCO, professore di chi- mica, e di farmacia nell’università di Roma. — XVI — EPOCA DELLA ELEZIONE SOCI AGGIUNTI 25 maggio 1848 CUGNONI IGNAZIO, ingegnere. 1 aprile 1855 DELLA PORTA conte AUGUSTO. 3 luglio 1847 DES-JARDINS do». FELICE MARIA. 1 aprile 1855 FABRI do». RUGGIERO. 25 maggio 1848 PALOMBA do». CLEMENTE. » » VESPASIANI abate D. SALVATORE, già sup- t i I v> piente alla cattedra di fisico-chimica nel se- minario romano. CUSTODE DELLA BIBLIOTECA 1 Marzo 1868 FABRI ERASMO. MACCHINISTA N. SOCI DEFUNTI POUILRET/C., nel 13 di SERENlVomm. CARLO, nel SANGj^NETTI dott. PIE FOJ/CHI co^m. CLEM F 1ES ELIAi » WjVi ATTI DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE |.a DEI 6 DICEMBRE 1868 PRESIDENZA DEL SIG, CAV. BENEDETTO VIALE PRELA’ MEMORIE E COMUNICAZIONI DEI SOCI ORDINARI E BEI CORRISPONDENTI Sulla Cladophora viadrina del Kutzing. Nola della sig. conlessa Elisabetta F/orini-Mazzanti . SUA FRASE SPECIFICA « Cladophora Viadrina Kùtz. Phvc. germ. et sp. Alg. Trichomatibus dense intricati, flaccidis, ramosissimis; ramis omnibus elongatis, '160-1/35'' cras- sis; articulis tenuissime membranaceis, diam. 3 longioribus. Hab. In aquis stagnantibus viadrinis prope Yratislaviam , ubi post re- fluxas aquas stratum papyraceum latissime expansum, superfìcie saepe expal- lidum format ». Sovra questa specie siami permesso notare com’ella vegeti eziandio presso di noi. Esiste in Terracina una mola, non di continuo lavoro, perchè messa in movimento dall’acqua di ritorno della pubblica fontana, che quivi sotterra allacciata per mezzo di un canaletto in opportuno serbatojo ricinto, del quale il suolo è lastricato. Di rimpetto giace il piccolo edilizio della macina messa in moto da altro idraulico congegno ; ed allorché cessa il suo lavoro , ordi- nariamente in estate , rimanendo vuoto esso serbatojo , sulla superficie del- l’umidiccio suolo si manifesta dopo alquanti dì una materia fosco-verdognola, che più tardi s’ informa a filamenti; e tutta intiera la ricopre a modo di tap- peto. Esso è costituito dalla menzionata Cladophora viadrina che durante 1 l’uinidità del suolo (1) vegeta a strati sovrapponendo ed intessendo sovra se gli uni agli altri in guisa da formarne un fitto tessuto della spessezza talora di due centimetri. Gli strati superiori sono di un verde lurido-sporco, sparso di particelle arenicole (2). Sovente i mezzani volgono ad un colore aureo, e gl’ inferiori ad un bianco sporco per contatto del lastricato. Allorché si vuole spurgare esso serbatojo si toglie a gran pezzi il fìtto strato della Cladopliora , e si getta sull’ adjacente terreno, ove all’ azione del sole gl’ infimi strati di- vengono al tutto bianchi; e ben taluno vi ha ovattato il suo vestito; e ben tal’altro pensa imbottirvi una coperta; nè certo può mancargliene l’estensione, qualora non gli spiaccia l’odore disaggradevole del salmastro. E sul suo modo di prodursi c vivere in colai luogo ne farei la seguente frase diagnostica. Longe et late expansa in stratis super impositis compactis ; superiori- bus lurido-viridibus, particulis arenicolis conspurcatis, inferioribus expallidis, saepe rubro-maculatis; trichomatibus dense intrigatis, flaccidis, ramosissimis; articulis chlorophillosis cylindraceis, aut inaequaliter urceolatis; utroque fine, lateribusque hyalinis ; diametro 0mm 024 ad 0mm 043 , 2-5 pio longioribus ; stratis infimis decoloratis exsuccis papyraceis. Hab. Terracinae in receptaculo molae tappeti instar extensa. (1) Si noti che il suo prodursi si è non al ritorno dell’acqua, bensì al suo ritiro. (2) Derivanti dal condotto scialbato di calce cementata con arena, che al per coir i- mento dell’ acqua si scioglie in gran parte , e ’ la trasporta al serbatojo ove le particelle aderiscono ai filamenti. Sulle pareti poi umide del medesimo serbatojo, l’ istessa pianta si con- forma in istrati più sottili, ricoprendosi della Hijpheolhrix rufescens Eabenh, e qua e -là vi si viene anco annidando lo Schizosiphon rupeslris. — 3 — Dell'uso del diamante nero nella lavorazione dei marmi e del}/' pietre dure . Nota del prof. cav. Alessandro Betocchi. ÌF ra i vantaggi» che possono trarsi dalla visita e dall’esame delle grandi espo- sizioni internazionali , mi sembra , o Signori , che il principale debba essere quello di conoscere» e di popolarizzare le pratiche più importanti e più eco- nomiche adottate dall’ estere nazioni nei diversi rami delle arti e delle in- dustrie. Convinto di questa verità, io mi sono studiato nelle visite fatte a que- sti grandi tornei industriali di notare quei sistemi, che mi parvero degni di essere introdotti fra noi. Permettetemi dunque , o Signori , che fra questi io vi faccia motto di un solo, relativo ad una industria, che io credo possa dirsi in eminente grado Romana ; Vo’ dire dell’arte di lavorare le pietre ed i marmi. Voi ben sapete, o Signori, con quanto ingegno, e maestrìa, e con quanta squisitezza di gusto i nostri scalpellini trattino il marmo e le pietre dure, e come dagl’ informi avanzi di questa preziosa materia, di cui tanto è ricca la nostra Roma, sappiano trarre oggetti di sì belle forme, e sì ricercato lavoro da crescerne di mille tanti il valore, e renderne oltremodo ghiotti quei do- viziosi stranieri, che in tanto numero convengono ogni anno in questa nostra Metropoli. Ma voi sapete altresì, o Signori, quanto tempo e quanta fatica i nostri artisti spendano attorno ad un masso di pietra dura prima di poterlo ridurre alle forme, che deve assumere, e sopratutto prima di portarlo a forza di smeri- glio a queU’ultimo grado di pulimento, a cui deve pure esser condotto. Tempo e fatica, che rendono o presso che impossibile, o per lo meno di un costo esorbitante il trattamento di blocchi di grande dimensione. Or bene questo tempo e questa fatica si può ridurre di moltissimo, solo che si conosca e s’ introduca fra noi la pratica adottata per primo da M.r Bigot-Dumaine di Parigi, mediante la quale le pietre dure di grande portata si lavorano al torno con ogni facilità; ed il tempo occorrente a condurle al perfetto pulimento è ridotto brevissimo. — 4 — I prodotti di questo sistema figurarono per la prima volta alla esposi- zione universale di Parigi del 1855, e valsero all’autore la ricompensa di una delle medaglie di 1.“ classe. Ecco in brevi parole il sistema di che si tratta. M.r Bigot-Dumaine il quale di sua professione si occupava del pulimento delle pietre preziose, e che per conseguenza conosceva perfettamente l’azione del diamante ordinario sulle pietre più dure, considerando che se non era stato ancora applicato al pulimento di quelle da costruzione ne era causa il so- verchio costo, e la difficoltà somma di averne grossi pezzi, pensò di trai* pro- fitto dalla scoperta fatta pochi anni innanzi a Bahia nel Brasile, del così detto diamante nero: che è veramente un diamante, ma del tutto opaco; alcuna volta verde o bruno : trovasi fra le breccie convogliate dal fiume di detto nome ; è inservibile come giojello ; ha però la struttura, e la durezza del diamante ordinario. Difatti dopo varii cimenti raggiunse felicemente il suo intento, adope- rando diamanti neri della lunghezza di uno o due decimetri, solidamente in- cassati in una spranga di ottone, di ferro, o di acciajo. Con questo sistema il blocco di granito, di porfido, o di selce da lavo- rare al torno può avere qualsivoglia dimensione; nè altro si richiede all’uopo, fuorché sgrossarlo prima a scalpello, e dargli presso a poco la forma defini- tiva, che deve prendere. Lo scalpello di diamante avvicinandosi al blocco che gira sul torno, gli toglie in virtù della invincibile sua durezza tutte le scabrosità, che incontra, e la pietra per dura e grande che sia, si lascia lavorare colla massima facilità. 1 vantaggi di questo sistema sono molti e grandissimi. Le superficie riescono ad una nettezza e precisione molto maggiore, che ool sistema ordinario : l’oggetto levato dal torno ha già conseguito un puli- mento quasi compiuto, e si ottiene un risparmio di tempo e di spesa consi- derevole. Oltre a ciò non è a temere che, durante il lavoro, si distacchino più o men picciole scheggie, come non di rado avviene col sistema ordinario. Fi- nalmente non vi ha consumo di strumenti, avendo dimostrato l’esperienza, che il diamante nero non si spezza all’urto delle resistenze più forti, e dopo un anno di servizio non ha perduto che qualche milligrammo di peso. Fra le diverse pratiche da me notate siccome degne di essere introdotte nelle nostre arti ed industrie, ho dato a questa, o Signori , la preferenza; poi- chè l’arricchirsi che fa oggi Roma in modo quasi non dissi prodigioso di marmi antichi dei più pregevoli e duri, mercè la scoperta dell’ antico emporio, mi sembra una ragione di più per dover migliorare ed agevolare il modo di ri- durre questi preziosi massi a quelle forme , che il gusto e l’arte Greco-Ro- mana , sì degnamente conservata dai migliori nostri Architetti si proporrà d’ improntarvi. COMUNICAZIONI Il sig. prof. Proja presentò in dono, l’opera del eh. D.re sig. Zappali,. colla quale l’ sautore medesimo illustrò i busti dei medici più celebri, collocati sulla facciata principale dell’arcispedale di S. Spirito. L’accademia gradì questo dono, massime perchè fra i busti medesimi, vi sono quelli di parecchi Lincei della recente accademica ripristinazione, come ancora quello di Gio. Fabri di Barn- berga, uno dei più operosi fra i lincei della istituzione primitiva. Il sig. prof. cav. G. Ponzi presentò alcune armi di pietra silicea, provenienti dalla Inghilterra, e dalla Danimarca. Il prof. Volpiceli! aveva già comunicato alP accademia tredici lettere ine- dite di Federico Gesi, fondatore della medesima, ritrovate da esso nella biblioteca Barberina; aveva rettificato pure il tempo in cui successe la morte di questo illu- stre patrizio romano (1) ; ed aveva presentato all’accademia l’ inventario auten- tico dei beni posseduti da Federico prima della sua morte, compresovi anche il catalogo dei libri, e de’ suoi strumenti (2).. Oggi dal professore stesso fu- rono comunicati ali’ accademica , i documenti delle seconde nozze , contratte dal Federico medesimo, con Donna Isabella Salviati, parente del Gran Duca di Toscana, figlia di Lorenzo marchese di Giuliano, e di Maddalena Strozzi. Questi documenti consistono come siegue : 1 . ° Nella cedola di promessa, compilata nel 25 di luglio 1 61 6, e sottoscritta dalla marchesa Salviati, da Anton Maria Salviati, dal duca di Acquasparta pa- dre di Federico, dal principe di S. Angelo (Federico suo figlio), dal cardinale Scipione Borghese, e da Piero Guicciardini ambasciadore in Roma pel Gran Duca di Toscana. 2. ° Nella nota del corredo, coi relativi prezzi, portato in dote dalla sposa. 3. ° Nella copia di fede bancaria del Sacro Monte di Pietà, di scudi ven- tiseimila, dote della Salviati. 4. ° ‘Nel breve pontificio, che approva dette nozze, eoi quale anche si di- spensano i coniugi dalla osservanza delle prescrizioni statutarie. (1) t. 16, p. 267 di questi atti. (2) t. 19- p. 203. ibidem. 7 — 5.* Nella composizione fra il duca di Acquasparta con suo figlio Federico, in virtù della quale questo principe, assume il governo di una gran parte dei feudi della sua famiglia, e riceve facoltà di comporne i debiti. In quest’ atto è inserita la nota dei creditori, ed una copia del breve di Paolo V, che proroga di tredici anni l’estinzione del monte Cesi. Gli ultimi fra i riferiti documenti, furono sottoscritti di mano propria dal Duca di Acquasparta , colle testimonianze di Gio. Ant. Grimaldo , e di Fa- brizio Tranti : dal principe Federico Cesi, colla testimonianza di Angelo de Fi- liis (3) : dal cardinale Cesi, essendo testimoni Cornelio Benedetti, e Pietro Co- (3) Secondo uno scritto inedito del Cancellieri, esistente nella biblioteca vaticana , questo Angelo de Filiis ebbe Terni per patria , ed Anastasio per fratello : fu il decimo quarto ascritto fra i Lincei nel modo seguente « Ego Angelus de Filiis Lynceus, Palili /ilius Interamnas , comes palatims, aetalis mene anno XXIX, salutis 1612, die 23 aprilis, Romae, manu propria scripsi. Si trova ripetuta questa sua sottoscrizione nel 2,° nel 3,e nel 5, °e nel 6 “ catalogo dei lincei, ove trovasi anche il suo sigillo, come nel primo, in cui soltanto ò in dicala la città nella quale si fece la sottoscrizione stessa. Egli, nell’adunanza dei 7 di luglio del 1612, fu eletto bibliotecario delfaccademia, e gli si affidò la cura della stampa dei lavori di essa. Quindi, a nome delfaccademia, procurò la stampa dell’opera di Galileo sulle macchie solari, e la intitolò a Filippo Salviati, che amicissimo del Galileo, frequentemente lo accoglieva nella sua Villa delle Selve. L’ opera medesima fu pubblicata colle stampe di Giacomo Ma- scardi, e fu distribuita fra i Lincei nel 20 di febbraio del 1613 dallo Stelluti, che supplì al de Filiis, allora caduto malato. In un lungo avviso al lettore da lui premesso, egli attesta in questa opera, che il Ga- lileo mostrò a diversi personaggi, sino dall’aprile del 1611 in Roma, le macchie solari. L’ opera stessa coll’ avviso medesimo, fu ristampala da Carlo Marolotti in Bologna, per gli eredi del Cozza nel 1836, e comparve nella prima collezione delle opere del Galileo, de- dicata al Gran Duca Ferdinando ìl.° ; e l’avviso fu riprodotto dal Venturi, T. 1. p. 189. Il de Filiis Angelo alla edizione sua, premise due epigrammi in lode del Galileo, dei quali uno di Luca Valerio, l’altro di Gio. Fabri; inoltre la nobilitò col ritratto del Galileo stesso, inciso da Francesco Villamena. Col medesimo rame, fu adornala l’edizione del Saggiatore nel 1624 in Roma, ed altresì la indicata prima collezione, pubblicata in Bologna nel 1636. Colla riferita in- cisione il Venturi decorò la prima parte delle memorie da esso pubblicate, avendo fregiata la seconda parte delle medesime, col rame dell’altro ritratto del Galileo, dipinto per sua com- missione dal Subtermann, e spedito in dono dal Galileo stesso al suo amico Elia Diodati, che glie lo aveva richiesto da Parigi. Dopo la morte del donatore, ad istanza del Viviani, si fece un pregio il Diodati, spedire il ritratto medesimo in dono al nominato Gran Duca, il quale lo fece collocare nella galleria, ove gelosamente si conservava (Venturi, t. 2.° pref.) Essendo stato costretto il de Filiis partire da Roma per salute, furono le incombenze sue definitivamente attribuite allo Stelluti. lucci : da Monsignor Angelo, e dal sig. Gio. Cesi, testimoni Giulio Olivello, e Valerio Montani. Questa serie di documenti è resa inoltre pregievole, dagli autografi che in essa ritrovansi tanto del nostro fondatore, di cui non è facile trovare manoscritti, quanto del Guicciardini , che fu ambasciadore in Roma pel Gran Duca di Toscana ; e che con un dispaccio del -4 di marzo 1616, avvisò il suo sovrano, essere Galileo molto in pericolo continuando a dimorare in Roma. Per questo avviso il Gran Duca medesimo, fece dare ordine, col 23 di maggio 1 816, che il Galileo subito si portasse in Firenze, perchè già Paolo V aveva proibito l’o- pera del Copernico donec corrigatur. Il prof. Volpicelli ricordò la perdita irreparabile, fatta non ha guari nel novero dei soci ordinari , per la morte dei seguenti nostri chiarissimi soci : com. Clemente Folchi, com. Carlo Sereni, e prof. Pietro Sanguinetti. COMMISSIONI La commissione composta dei Sigg. cav. prof. Ponzi, cav. Fed. Giorgi, cav. prof. Viale, prof. Volpicelli, e p. A. Secchi ( relatore ) incaricata dal ministero del commercio, di suggerire ad esso, qual premio dovevasi attribuire all’opera del sig. com. Aless. Cialdi, sul moto ondoso del mare, lesse il suo rapporto, nel quale si concludeva, che il premio stesso, non doveva essere minore di tre mila scudi. Dopo questa lettura il prof. Volpicelli, facendo sempre i dovuti elogi all’opera del Cialdi presente, ammise doversi ad esso un premio, ma opinò, che quella precettiva numerica conclusione dell’ indicato rapporto, non si dovesse adottare 11 Duca Don Baldassarre Odescalchi, nella sua pregievole opera, che ha per titolo Me- morie istorico-critiche dell'accademia dei Lincei (Roma 1806, p. 284) ha congetturato, che ad Angelo de Filiis debbano attribnirsi le Praescrìptiones Lynceae , benché stampate in Terni nel 1624 a nome di Gio. Fabri, che I’ Odescalchi crede autore delle sole correzioni, fatte alle medesime, e dal Fabri stesso comunicate in una lettera al principe Federico. Adunque il socio Linceo Angelo de Filiis, può reputarsi uno dei più benemeriti dell’Ac- cademia, la quale si regolò secondo le sue leggi, stabilire nelle Praescriptiones , che fecero le veci del Linceografo, non ancora pubblicato. — ■ 9 — dall’ accademia , perchè non credeva egli conveniente, limitare, la generosità del governo, quando si tratta di premiare; come ancora perchè, se il governo avesse creduto attribuire all’opera suddetta, un premio minore di quello sug- gerito dall’accademia, non poteva questa rimanerne soddisfatta. Il signor cav. Ponzi, ed il p. Secchi si opposero alle indicate osserva- zioni del preopinante ; perchè il Ponzi credeva non esservi alcun limite in quella conclusione, e perchè il p. Secchi riconosceva essere dal citato dispac- cio ministeriale richiesto un premio definito nel quantitativo. Dopo questa discussione fu proposto di passare a voti « se il citato rap- porto doveva o no modificarsi ». I votanti essendo ventidue, perchè il sig. com. Gialdi presente, si astenne dal votare, si ebbero dieci voli per la modificazione del rapporto, e dodici a favore del rapporto medesimo; cosiccchè mediante la la maggioranza di due voti 1’ accademia decise : yhe il merito dell’ opera del sig. com. Cialdi, doveva retribuirsi con una somma non minore di scudi tre mila. CORRISPONDENZE L’ Emo e Rmo sig. Cardinale De Angelis, protettore dell’accademia col- l’onorevole suo dispaccio del 19 giugno 1868, N.° 4518, communica l’appro- vazione superiore del consuntivo accademico, che si riferisce al 1867. Il segretario perpetuo della R. Accademia delle scienze di Rruxelles, sig. Quetelet, accompagna in dono diverse opere della medesima, che sono registrate nel bulìettino bibliografico posto in fine. Il segretario perpetuo della R. Accademia delle scienze di Madrid , sig. Antonio Aguilar , ringrazia a nome della medesima, per le pubblicazioni dei Lincei da essa ricevute. La biblioteca di Oxford, col mezzo del sig. Coke, ringrazia, per Io stesso motivo. » 2 La reale accad. delle scienze di Lisbona , per mezzo del suo segretario generale sig. Latino Coelho, invia lo stesso ringraziamento. Il sig. prof. Ànt. Villa ringrazia per gli atti nostri da esso ricevuti, ed accompagna in dono alcune sue opere, che si trovano registrate nel bullettino bibliografico in fine. L’ officio delle ricerche geologiche della Svezia, residente in Stockholm, fa giungere in dono, per mezzo del suo direttore in capo sig. A. Erdmann, alcune pubblicazioni della carta geologica della Svezia, e ringrazia per gli atti dell’ accademia nostra da quell’ officio ricevuti. La I. e R. accademia delle scienze di Vienna , spedisce in dono parec- chie sue pubblicazioni, registrate nel bullettino bibliografico posto in fine. L’ Accademia riunitasi alle 2 pomeridiane, si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. Salv. Proja. — Ottaviano Astolfi. — Ettore Rolli. — B. Tortolini. — A. Coppi — A. Cialdi. — * P. A. Guglielmotti. — M. Azzarelli. — P. Secchi — prof. Diorio — L. Respighi — Fed. Giorgi. — L. Poletti. — G. Ponzi. — E. Fiorini — F. Nardi — L. Jacobini — F. Castracane — Aless. Betocchi — Socrate Gadet. — D. Chelini — P. Volpicelli — - B. Viale. OPEKE TEMUTE IM DOMO Rassegna mensile statistica , degli Ospedali di Roma, pubblicata per ordine di S. E. Rina Monsig. A. M. Ricci, commendatore di S. Spirito , e Presi - dente della commissione degli Ospedali . — Anno I. fase. Maggio - Settem- bre 1868. Corso Elementare di Agricoltura teorico-pratica del D. Giuseppe Besi. — - Opera corredata di Tavole. Voi. 3 ; Roma, 1863, 1864, 1866. Secondo rapporto sugli studi e sulle scoperte Paleoetnologiche nel bacino della Campagna Romana ; del Cav . Michele Stefano De-Rossi (Luglio 1868). Roma ; un fase, in 8.° Ballettino Meteorologico dell ' Osservatorio del Collegio Romano. — Maggio, Ottobre 18G8. Atti dell ' oi'z.z./? Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli. — Yol. II. Napoli, 1865; un Voi. in 4.° Rendiconto dell Accademia suddetta. — ■ Maggio, Ottobre 1868. Memorie delV Accademia delle Scienze dell ' Istituto di Bologna. Serie II. Tomo VII — fase. 3, e 4 ; e Tomo Vili ; fase. l.° Rendiconto delle Sessioni dell' Accademia suddetta — Anno Accademico 1867, 1868. Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di scienze , e lettere. Serie II. Yol. 1 ; fase. 10 — 16. 1868. Solenni adunanze dell'Istituto suddetto (del 7 Agosto 1868). Annuario del R. Istituto suddetto pel 1868. Del Paratartralo Ammonico -Sodico per Arcangelo Scacchi. Napoli 1865 ; un fase, in 4.° Della Polissimetrìa e del Polifermismo dei Cristalli. Memoria 2.“ per il sudd.° un fase, in 4.° 1865. Sulle combinazioni della Litina con gli acidi tartarici per il sudd. un fase, in 4,° 1 866. Dei solfali doppi di manganese e potassa , per il suddetto ; un fase, in 8.° 1867. Prodotti chimici cristalizzati spediti alla esposizione universale di Parigi ; del suddetto ; un fase, in 4,° 1867. Sulla scambievole soprapposizione di solfato potassico appartenente a diversi sistemi ; per il suddetto ; un fase, in 4.° 1862. Sull' altezza e sulla estensione del rigurgito che cagionerebbe un nuovo ponte sull ' amo entro Firenze , Memoria del prof. comm. Maurizio Brighenti. - — Bologna, 1868 un fase, in 8.° Le Stelle Cadenti del Periodo di novembre osservate in Piemonte nel 1867. Memoria III , del P. Francesco Denza Barnabita. — Torino, 1868 ; un fase, in 12.° Euclide e la Logica naturale. Critiche riflessioni di Sebastiano Purgotti. — Perugia 1868, un fase, in 8.° Lezioni di Geometria descrittiva del cav. Giusto Bellavitjs. — - 2a Edizione Radova, 1868; un fase, in 8.° Vita ed Elogio di Giambattista Morgagni con alcune particolari notizie ignote ai più, raccolte dal prof. cav. Camillo Versari. — Bolena, 1868. Un fase, in 8.° Dei Caratteri della Tromba terrestre accaduta nel Friuli il 28 di luglio 1867. Delazioni del prof. cav. Francesco Zantedeschi ; un fase, in 8.° Della necessità di nuovi studi meteorologici per determinare quale relazione possa avere la variazione di colore delle cartoline ozonoscopiche coll' inva- sione o sviluppo del Cholera morbus ; del suddetto. — 1868. Della differenza di distribuzione delV elettrico negli strati aerei delle atmo- sfere elettriche, e nei conduttori isolali immersi nei medesimi. Terza nota del suddetto; un fase, in 8.° 1868. Bulleltino Meteorologico dell ’ Osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto in Moncalieri N. 4 — 10, 1868. Atti del R. Istituto d’ incoraggiamento alle scienze naturali, economich e, e tecnologiche di Napoli ; — 2* Serie ; Tomo IV. Giornale di Scienze naturali ed economiche, pubblicato per cura del Consi- glio di perfezionamento annesso al R. Istituto Tecnico di Pulermo. — Anno 1867. Voi. Ili ; fase. IV. Mamorie del R. Istituto Veneto di Scienze , Lettere, ed Arti. — ■ Volume XIV. — Venezia, 1868. Atti del R. Istituto suddetto. — Dispensa 5a — 9a del 1867-1 86S. Vittorio Alfieri. — Giornale letterario - Artistico - Teatrale — Settem- bre 1868. Memoires . . . Memorie della Società’’ Imperiale delle Scienze, dell'Agri- coltura, e delle Arti di Lilla. — Anno 1867. — III. Serie. — Voi. 4, e Voi. 5° (Memorie coronate, o pubblicate per decisione speciale della Società). Memoires .... Memorie coronate, e memorie dei dotti stranieri pubblicate dalla R. Accademia delle Scienze , delle Lettere, e delle Belle-Arti del Belgio. — Tomo XXXIII — 1865-1867. Memoires . . . Memorie coronate, ed altre memorie delV Accaeemia suddetta. Collezione in 8.° — Tomo XIX e XX. — Brusselles, 1867. Bulletins. . . . Bullettini delV Accademia suddetta; — 3bmo Anno — 2a serie , Tomo XXIV, 1867. Annuaire . . . Annuario dell ’ Accademia suddetta pel 1868. — 13 — Mecnoire .... Memoria sulla temperatura dell ’ aria a Bruxelles per Erx. Quetelet. — Un fase, in 4.° 1867. Mémoires . . . Memorie della Società ’ delle Scienze fisiche e naturali di Bordeaux. — Tomo 1 — 2° (2 fase.)» 8° (2 fase.), 4° (8 fase.), e 5° (4. fase.). Bordeaux; 1855, 1867. Bulletin Ballettino della Società ’ Imperiale dei Naturalisti di Mo- sca. — Anno 1867 — N.° lì. e III. Siderum Nebulosorum Observationes Haunienses, auctore Dr H. L. D' Arrest. Hauniae, 1867. — Un Voi. in 4.° Exposé .... Esposizione delle formazioni quaternarie della Svezia per A. Erdmann — con Atlante. Compléments Complemento di geometria per M. Poudra , con 17 piante. — ■ Paris 1868. un (Voi. in 8.°) Galilée. . . . Galileo, i diritti della scienza, e il metodo delle scienze fisiche , per T. E. Martin. — Parigi, 1868; un Voi. in 12.° Sur la dilatation .... Sulla dilatazione dei corpi solidi per il calore ; per II. Fizeau. — - • Parigi 1868. Notice Notizia storica sul Duca di Clermont-Tonnere , traduttore , e commentatore delle opere d’ Isocrate; per E. Erger. — ■ Parigi 1868, un fase, in 8/ Venise .... Venezia, e il Basso Impero. — Istoria delle relazioni di Ve- nezia con P Impero di Oriente, dalla fondazione della repubblica fino alla presa di Costantinopoli al XIII secolo; pel suddetto — - Parigi, 1868 ; un fase, in 8.° Mémoire Memorie su questa questione : Se gli Ateniesi hanno cono- sciuto la professione di Avvocato; pel suddetto — Parigi, 1860 ; un fase, in 8.° Sur une Sopra una trasformazione ortogonale, applicabile all' equa- zioni della dinamica ; per B. Radau — Parigi, 1868. Théoreme .... Teorema sulV equazioni differenziali di primo ordine ; pel suddetto — Parigi, 1868. Sur Sopra un teorema di meccanica ; pel suddetto. — Parigi, 1868. Remarques ..... Rimarchi sul problema dei tre corpi ; pel suddei'to» — Parigi, 1868. Memoires. . . . Memorie dell' Accademia Imperiale delle Scienze di S. Pie- troburgo. Tomo XI. N. 9 — 18; 1867 — 1868. Bullettin Bullettino dell'Accademia suddetta. Tomo XII ; N. 2 — 5. 1867 — 1868. Report .... Rapporto della 86“ adunanza dell' Associazione britannica per l'avanzamento delle scienze , tenuto a Nottingham. Un Voi. in 8,° 1866. Philosophical .... Transazioni filosofiche della Reale Società ' di Londra. Voi. 157 — Parte II — Londra, 1867. Proceedings .... Atti della Reale Società' suddetta. Voi. XVI, N. 95 — - 100; 1867—1868. Proceedings . . . Alti dell ' Istituto reale della Gran Brettagnia — Voi. V, parte II, e I ; N. 46 e 45. The journal .... Giornale della Società' Geografica di Londra. Voi. 36 ; un voi. in 8,° 1866. Proceedings. . . . Atti della R. Società' Geografica di Londra. Voi. XI, N. Ili— VI; e Voi. XII, N. I. 1867—1868. Sitzungsberichte . . . Contoresi della I. Accademia delle Scienze di Vienna. Classe matematica-naturalista. Prima Sezione. Voi. XVI; fase. 3 — Luglio — Dicembre 1867. Idem Idem .... Seconda Sezione — Voi. LVI — fase. 2. — Ot- tobre-Dicembre 1867. Idem Idem Classe filosofìco-storiea. Voi. 17° — Luglio e Ottobre 1867. Archi v Archivio per la Storia austriaca. Voi. 38 e 39°. Vienna 1867. Jahrbuch . . . Annuario dell' Imperiale Istituto Geologico di Vienna. Voi. 18,° 1868 — fase. I. — Aprile — Giugno. Verhandlungen .... Memorie e comunicazioni della Socirta' dei Natura- listi in Hermanstadt — Anno XVII — 1866. Monatsbericht .... Conloreso mensuale della R. Accademia delle Scienze di Berlino. Gennaio — Luglio 1868. Mittheilungen .... Comunicazioni della Società' Geografica di Vienna. — Nuova Serie 1868. XI Jahres-Bericht . . . Undecimo rapporto annuale dello Stabilimento Me- dico-ginnastico a Brema ; del D. A. S. Ulrich. — Brema, 1868 ; un fase, in 8.° 1 5 — Berichte Rapporti della R. Accademia di Sassonia. Classe matema- tica-fìsica 1866. Gegenbericht . . . Contro-rapporto alla Commissione permanente per la mi- sura del Grado terrestre europeo di P. à. Ransen. Gotha, 1868. Nachtrag .... Appendice alle ricerche geodetiche ; del suddetto. Idem. ... — Appendice alla Memoria : Sviluppo del prodotto di una po- tenza del raggio vettore ; del suddetto. Regesten. . . . Registro della storia dei documenti dei Duchi austriachi della Casa Brandenburg ; di A. di Meiller. Vienna 1850; un Voi. in 4.° Genesis und Exodus. . . . Genesi ed Esodo di Milelàt ; per Giuseppe Die- mer. Voi. 2. Vienna, 1862. Die . ... La lingua Kechua per I. Ischudi. Due Volumi; Vienna, 1853. Geschichte Wassaf s . . . Storia di Wassaf , pubblicata in lingua persiana , e tedesca da Uammer-Purgstall. Vienna, 1856 ; un Voi. in 4.° Fortgesetzte geodatische Untersuchungen .... Continuazione delle ricerche geodetiche, consistente in dieci supplementi alla Memoria dei minimi qua- drati di P. A. Hansen. Lipsia, 1868. Von der Methode Sul metodo dei minimi quadrali in generale , e sulla sua applicazione alla geodesia ; del suddetto. Lipsia, 1867. Tafeln der Egeria .... Tavole di Egeria, del suddetto. Lipsia, 1867. Die Grotten. ... Le grotte di Adelsberg, Lueg , Planino , e Laas ; del Dr. Adolfo Sciimidl. Vienna, 1854 ; un Voi. in 8.° con Atlante. Sveriges. . . . Carta Geologica della Svezia ; di A. Endmann. fase. 22 — 25. Das Verbruderungs-Buch ... Il libro di affratellanza del Capitolo di S. Pietro a Salisburgo di T. G. Karajan. Vienna, 1852 ; un Voi. in sesto grande. Die Cinque-cento-cameen. . . . I carnei del 500, ed i lavori di Benvenuto Cellini, e de’ suoi contemporanei, esistenti nell ’ Imp. Gabinetto delle monete e di antichità a Vienna; descritti da Giuseppe Arneth. Vienna, 1858 ; un Voi. in sesto grande. Die antiken . ... I carnei antichi dell' I. Gabinetto suddetto , descritti dal medesimo. Vienna, 1849 ; un Volume in sesto grande. Idem . ... I monumenti in oro ed in argento esistenti al Gabinetto descritto dal medesimo (con una mappa). Vienna 1850; un Voi. in sesto grande. Comptes . . . Contoresi dell ’ Accademia delle Scienze dell ’ Imperiale Isti- tuto di Francia in corrente. 11 Dante Ebreo, ossia il picciol Santuario - poema didattico in terza rima , — 16 contenente la filosofia antica e tutta la storia letteraria giudaica fino all' età sua del Rabbi Mosè, medica di Rieti, che fiorì nel principio del secolo XV ; ora per la prima volta, secondo un manoscritto rarissimo dell'Augustissima biblioteca Palatina in Vienna , confrontato con un' altro privato non men raro pubblicato dal Dr I. Goldenthal. Vienna, 1851 ; un Voi. in 12.° Recueil .... Raccolta d' itinerari della Turchia europea etc. per Ami Boub. Voi. 2. Vienna, 1854. Monumenta Linguae Palaeoslovenicae, e Codice Suprasliensi ; edidit F. Miklo- sich. Vindobonae, 1851 ; un Voi. in 8.° Oversigt . . . Prospetto dei lavori della R. Società' Scientifica di Copena- ghen (del 1865, fase. I — or del 1866, fase. 1 — 7: del 1867, fase. 1 — 5). Det Kongobìge .... Memorie della Società' danese delle Scienze a Co- penaghen (scienze matematiche e naturali). Due Voi. — 1867 e 1868. Brevi illustrazioni di busti dei medici celebri posti nell ' Attico dell' Arcispe- dale di S. Spirilo in Sassia ; per Antigono Zappoli. Seconda edizione corretta e completa - — Pubblicato il 1 6 aprile pello spontaneo festeggiamento di Sua Santità' Papa Pio IX, felicemente regnante. — Roma, 1868 ; un fase, in 8.° Il matrimonio — • le relative leggi, e la pubblica igiene ; pel prof . Davide Toscani. Roma, 1866 ; un fase, in 8.° Roma, 1861. Attossicamento per lo sciroppo Jodo-ferralo dopo ingerimento di mandorle ama- re ; del prof . suddetto. Roma, 1861. Lettera del prof, suddetto all' Eccellentissimo signore professore Francesco Ratti in risposta ai rilievi fatti alla sua relazione sul Cholera Asiatico in Roma nel 1867 ; un fase, in 4.° Relazione del Cholera Asiatico in Roma nell' anno 1867 ; del perito sanitario del Comune di Roma, Davide prof. Toscani. — un fase, in 4.° Necrologia del prof. cav. Francesco Valori, scritta dal suddetto. Rivista urbinate di scienze, lettere ed arti, compilata da alcuni amici della scienza, nelT intento di cooperare all' avanzamento de' buoni studi , e alla dif- fusione del sapere. Anno I. — Ottobre 1868 — fase. IV. Las historias . . . Istoria dell' Origine degl ' indiani di Guatimala di F. Xi~ menez, tradotta in lingua spagnola dal Dr C. Scherzer. Vienna,. 1857 un voL in 8.® , ATTI DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIOSE II-' DII 3 GENNARO 1869 PRESIDENZA DEE SIC, CAV. BENEDETTO VIALE PRELA’ MEMORIE E COMUNICAZIONI DEI SOCI ORDIXARI E DEI CORRISPONDENTI Sopra una medaglia onoraria del principe Federico Cesi. — Parole del socio ordinario Salvatore ab. Proja. Accompagno con poche parole di schiarimento il piccolo presente che oggi ho l’onore di fare all’Accademia di un’antica medaglia onoraria in bronzo (1) dell’ inclito nostro protoparente Federico principe Cesi. Dico piccolo ma non ispregevole, dove si consideri che 1’ ingrata posterità non seppe meglio ono- rare quel valentuomo dopo il volgere di 38 anni sopra due secoli, e dobbiamo andar paghi di questi tuttoché meschini ricordi già resi rarissimi , traman- datici dai contemporanei (2). Come d’ ordinario è uso nelle medaglie onorarie, così in questa evvi nel diritto il ritratto dell’ esimio Signore, dalla cui fronte spaziosa traspare la po- ti) È di mezzana grandezza, eioè del diametro di 0," 0M. (2) Non credo che voglia ritenersi per un monumento condegno il grossolano busto eret- togli or ha pochi anni nel giardino del Pincio. Quando il Senato Romano volle onorare la memoria di Virginio Cesarini, altro luminare del sodalizio Linceo, non un busto al rezzo delle ombrose piante, ma uno splendido monumento gli eresse nelle sale stesse di sua residenza in Campidoglio, dove tuttora si ammira presso le statue marmoree di M. A. Colonna, e F. Àldobrandini generali di S. Chiesa, quasi a significare che un grande letterato non è meno stimabile di un grande capitano dove regna la vera civiltà. 3 18 tenza della mente, e dalla serenità del volto l’ imperturbabilità dell’animo suo nell’ ondeggiamento dei casi , e tra i ludibri della sorte. Egli è in assisa di accademico o piuttosto di principe dell’ Accademia, e non di duca come as- serì Gio : Bianchi da Rimini, più conosciuto sotto il nome di Giano Planco (1). Il suo abito consiste in una specie di veste talare con sopravi una mozzetta di ermellino tigrato e una goletta ricascante intorno allo scollo. E appunto con quest’ abito , sotto del quale gli pendeva sul petto la Lince sospesa ad una collana di oro, egli arringò la prima volta i suoi accademici e li fregiò della medesima insegna, (2) tramutata in processo di tempo in un anello a smeraldo incisavi parimenti la Lince, coll’ obbligo ad ogni accademico di por- tarne sempre adorna la mano, e di riprovvedersene a proprie spese, dove per qualunque cagione lo avesse smarrito (3). In simil guisa si vede raffigurato nelle altre medaglie, delle quali farò menzione in appresso. La leggenda scolpita nel contorno, già registrata a caratteri d’ oro nella storia delle scienze, nella sua brevità è più che bastevole a testimoniare che Federico Cesi fondò in Roma e mantenne del suo con liberalità pari al su- blime suo ingegno la prima Accademia scientifica (4) sorta in Europa, a cui debbe la filosofia dell’ osservazione e dell’ esperienza il suo vero e primitivo risorgimento : ecco come ella è concepita, supplitevi le sigle (5) - Federicus Caesius Ltjnceorum Princeps Et Inslitutor , Princeps I. (primus) Sancti An- geli Sancti Poli, Marchio II. (sccundus) Monlis Caelii , Baro Romanus. Questi accessorii titoli di nobiltà sono cornici che adornano il quadro come dice un volgare , o piuttosto trofei che tragge appo il suo carro la virtù trionfante. Sotto questo aspetto io giudico che vi furono opportunamente ricordati, mas- sime per il buon uso che fece il Cesi della sua condizione sociale, e delle sue dovizie a prò delle scienze e de’ suoi cultori. Del resto i patrizi potranno me- li! V, lani Piatici Lynceorum Notitia premessa al Fitobasanos di F. Colonna pag. XIII. Firenze 1744 in 4 0 (2) V. Memorie istorico-cr itiche dell’accademia dei Lincei, e del principe Federico Cesi ec. raccolte e scritte da D. Baldassare Odescalchi duca di Ceri, Roma 1806, stamperia di Luigi Pereto Salvioni, pag. 28. (3) V. Praescriptiones Academiae Lynceae, Interamnae 1624 ristampate dall’ Odescalchi sul (ine dell’ opera cit. (4) Dico scientifica strettamente parlando, eh è di Accademia poetiche e di ciance ca- nore nate-fatte per ingannare il tempo ve n’ erano anche soverchie. (5) Nella medaglia è scritto: Fed. Caesius Lvnc. Princ. Et Inst. P. 1. S. A. S. P. M. II. M. Caci. B. R. nar Tanto che sia surto dall’ ordine loro così fulgido astro , ma non isperino di esserne rischiarati se non ne imiteranno le virtù e i fatti esresi. Vengo al rovescio tutto pieno di allegoriche figure . . . Campeggia nel bel mezzo una leggiadra figura di Pallade, la dea della sapienza, delle scienze, e delle arti della pace, conosciuta più comunemente sotto il nome di Minerva, e non la guerriera uscita armata di tutto punto e minacciosa dal cervello di Giove secondo la favola. Coperto il capo dell’ elmo sormontato dal Pegaso , (altri disse sfinge , o drago) precinta di tunica e guardacuore, ella brandisce colla destra la lancia in atto di percuotere la terra perchè ne sbucci il paci- fico olivo, onde le venne titolo e culto di pacifera : ha nella sinistra lo scudo sul quale è scolpita l’impresa de' Cesi (1): la circonda il motto a caratteri maiuscoli Caesia Pallas , vale a dire Pallade dagli occhi azzurri , altra deno- minazione data dai gentili a questa divinità, e costantemente da Omero. E chiaro che con questa figura si volle simboleggiare la molla sapienza di Federico, il patrocinio che egli accordò alle scienze ed alle arti che no di- pendono, la pace a cui agognava, ma non potè mai ottenere da’ suoi maligni e perfidi nemici, nonché dal secolo che camminava a ritroso dalla via eh’ e’ gli veniva additando. Ovidio cantò « qui bene placuerit Palladi, doclus eril : » or noi sappiamo che dottissimi furono coloro che godettero il favore e l’ami- cizia del Cesi ed appartennero alla sua Accademia. Tanta è 1’ analogia che passa in questo emblema tra la figura ed il figurato 1 Porto opinione che Fabio Colonna ne desse il concetto, e da lui l’ im- prontasse chi fece coniare la medaglia. 11 massimo botanico da Napoli non mai pago di retribuire delle giuste lodi la sapienza e le virtù del suo mece- nate, collega ed amico , prese a ribadire il chiodo in occasione che intitolò del suo nome la rarissima pianta messicana Tuzpallis appellandola Caesia dalle radici cerulee. E poiché non gli parea abbastanza espressivo il linguaggio or- dinario, ricorse al poetico dicendo : quod si antiquo mythologico quidem more ejus laudes esprimere velis , nientissime Caesius alter, quasi Jovis fìlius , et Caesiae Minervae frtiter dici posset , ad quem adeo hujus versus scribendi causam olim habuimus : (1) Un albero fusato al naturale sotto corona civica, che sorge da un cumulo di sei mon- ticelli argentei a mo’ di piramide. La medesima famiglia avea per cimiero una leonessa col motto o omnibus idem ». — 20 — « Dux libi Lynceidum Cesi, Lynx, Caesia Pallas » « Cedunt : mente, oculis nam tibi cuncta patent. » (1) Qualche cosa di simile scrisse anche Francesco Stelluti nel suo Persio tradotto (2). Chi vede in questo rovescio gli altri emblemi o figure che vi sono scol- pite, potrebbe per avventura prenderle per un bizzarro accozzamento di poe- tica fantasia; ma a ben considerarle sono il portato di matura riflessione- 11 serpente avviticchiato alla lancia , e il gufo o civetta ritto sulle sue gambe pennute, oltreché meglio fanno conoscere che 1’ effigiata dea è una Minerva- Pallade, ricordano il primo la grande prudenza da Federico usata per condurre a buon termine in mezzo alle contradizioni 1’ ardua opera della sua Accade- mia , e l’ altro la chiaroveggenza della sua mente in mezzo alle tenebre che spesso avvolgono la verità. Nè è superflua quella lucerna che sta sotto del gufo per accennare alle lunghe veglie da lui durate sopra i libri degli antichi filosofi, e più ancora sul gran libro della natura, e le pergamene dei cieli. E quel cigno che « vagolando esulta sulle larghe ale » (3) quasi voglia fender le nubi, e Mi- nerva rimira con compiacenza, non ti richiama forse alla mente il famoso motto « Et plus ultra » ovvero « Sagacius ista » col quale il principe Cesi volle avvertiti i suoi Accademici che nella ricerca del vero e nell’ acquisto del sa- pere non bisogna mai restare, ma sì spingere ad oltranza le ali dello ’nteiletto? II qual motto scolpito nell’ impresa dell’ Accademia fu poi ripetuto nel magni- fico frontespizio del Libro Messicano (4). . . . Tra i tanti, non poteva man- care un emblema che alludesse alla somma pietà del religiosissimo Principe, il quale mentre studiavasi di penetrare il più addentro che per lui si potesse nei secreti della natura, da Dio soltanto ogni lume ed ogni scienza attendeva : e questo simbolo io ravviso nel quadrupede che sta rimpetto a Minerva colla testa in suso, a lei rivolto quasi supplichevole sostenendosi su’ talloni, mas- sime se non è un cane come a me sembrava, ma la Lince, come è sembrato all’ illustre collega che mi siede a fianco’ (S) , argomentandolo principalmente (1) V. Recchi, Rerum medicarum novae Ilispaniae thesaurus Romae 1630 — 31 pag. 374. (2) Roma 1630, pag. 193. (3) Monti V. Traduzione dell'Iliade ; Lib. II. (4) Così chiamata per antonomasia Y opera « Rerum medicarum novae Hispaniae the- saurus ec. sopra cit. (5) D. cav. Vincenzo Diario prof, di zoologia nell’ università romana. — 21 dalle orecchie acuminate e terminanti in fiocco più appariscenti nell’ incisione a stampa, che nel rilievo della medaglia alquanto logoro dal tempo. Così prendendo gl1 2 3 4 indicati animali come miti ; ma nulla vieta di consi- derarli semplicemente come oggetti naturali allusivi agli studi degli accade- mici Lincei, e quasi direi come i rappresentanti delle tre categorie o classi denominate dai zoologi volatili, rettili , mammiferi, sopra le quali si travagliò con tanta sua lode, e utilità della scienza il dottissimo Linceo da Bamberga Gio : Fabri nella sua Sposizione degli animali messicani (1). Nè altra che una consimile spiegazione può darsi alla pianta in fiore che vedesi scolpita dal lato stesso della civetta : dessa non è certamente 1’ olivo, sola pianta sacra a Mi- nerva, alla quale perciò non può alludere : resta che simboleggi la molta sa- pienza botanica di Federico, e de’ suoi commilitoni, quali un Fabio Colonna, e un Gio : Terrenzio massimamente. Ma con qual nome appellarla, e a qual classe e genere riferirla ? A me pare una lilliacèa, ma se poi sia veramente un giglio, un giacinto, o altrettale non oso affermarlo. Se fosse, come sospicò il Vandelli (2) la pianta prediletta del Colonna (Tuzpatlis) , della quale poco sopra ho fatto menzione, T allusione sarebbe più manifesta ; ma fatto sta che tra le due piante non corre rassomiglianza di sorta. Arroge che il Recchi nel descrivere (3) 1’ esotica pianta , novera tra’ suoi caratteri, benché a detta al- trui, la infecondità » flos, ut ajunt nullus, mentre la nostra è manifestamente fiorifera. Invito coloro che in ispezieltà coltivano e professano tra noi la scienza botanica a volersene occupare. Questa medaglia ebbe una sorella, ma è dubbio se sia primo o secondogenita, mancando ad ambedue la data che d' ordinario suol porsi nell’esergo. Ad ogni modo io la direi spuria non avendo i distintivi di legittimità, cioè nello scudo di Pallade non vi è punto l’ impresa de’ Cesi, e nella scritta intorno al ritratto di Federico è detto solamente de’ suoi titoli ducali e baronali, non di quello so- prammodo necessario e caratteristico di Principe e fondatore dell' Accademia dei Lincei. Essa è inoltre di minore dimensione, e vi sono nel rovescio parecchie altre varianti. Ambe furono più volte edite, e principalmente dal Gaetani nel Mu- seo Mazzucchelliano (4), e dal Planco nella sopra citata sua opera. Bellissima (1) Stampata nella sopra cit. opera del Recchi, e anche a parte colla data Romae 1628. (2) Considerazioni sopra la Notizia degli Accademici Lincei scritta dal sig. Gio : Bian- chi. Modena, Sogliani pag- 45. (3) loc. cit. (4) Venetiis, Zatta, 17G3 Voi. 2. in fol. — 22 — infra tutte è la incisione della nostra medaglia posta in fronte (benché itnmer ita- mente (1) ) con altri emblemi accademici alla vita del Tassoni premessa dal Muratori alla magnifica edizione della Secchia rapila di questo rinomato poeta, fatta in Modena dal Sogliani nel 1744. Perchè io non comprendo come il Litta ricercatore così perspicace e sapiente dei monumenti riguardanti le più illu- stri famiglie italiane, potesse in certo modo sperare di essere stato il primo a pubblicarle, dicendo delle una e dell’altra « questa forse è inedita. (2). Porterei vasi a Samo se qui dir volessi della terza medaglia (prima per ordine cronologico) colla quale il medesimo principe Cesi segnalò a’ posteri l’anno 1603 in cui ebbe istituita la sua Accademia (3): rivolgerò piuttosto le mie ultime parole a que’ barbassori i quali fanno le maraviglie come da noi siasi ricopiata dalle impronte lasciateci dagli antichi Lincei in quella medaglia e nei loro libri anziché dalle opere dei moderni naturalisti, la figura della Lince im- pressa nel nostro stemma e nella medaglia commemorativa della nostra pon- tificia istituzione (4). Cotestoro non sanno, o fìngono di non sapere che niuno forse nè prima nè dopo di Gio : Fabri descrisse con tanta erudizione e peri- zia scientifica il proverbiale animale dall’acuta vedere (5) ; e niuno lo raffigurò con tanta naturalezza e verità, quanta se ne vede nella incisione onde adornò il suo Persio tradotto Francesco Stelluti, (6) traendola da due linci vive e vere fornitegli dal dottissimo cardinale Francesco Barberini , ed incisa dal famoso bulino di Matteo Greuter. Laonde noi non dovevamo nè avevamo bisogno di buscare da libri stranieri l’ immagine di una lince per farla imprimere nei nostri emblemi ; e se 1’ arte non raggiunse la perfezione e la finezza deside- rabile in questi lavori, non a noi , nè al prototipo che prescegliemmo se ne dee far colpa. Non debbo passarmi dal farvi osservare che le due linci studiate dallo Stelluti provenivano, come narra egli stesso, (7) dai nostri non lontani Appen- (1) L’ Odescalchi (loc. cit.) prova evidentemente che il Tassoni non fu mai ascritta, tra gli accademici Lincei. (2) Y. Litta, Famiglie italiane illustri ec. Articolo Cesi. (3) La si vede incisa nella prima pag. dell’opera cit. dell’Odcscalchi (4) Dico pontificia, avvegnaché dal 1793 al 1849 fu di privata istituzione, cioè stabi- lita diretta e mantenuta dalla eh. meni, del prof. d. Feliciano Scarpellini. Vedi nel Voi. V. di questi Atti l’elogio da me dettone nella chiesa di S. M. in Ara-Coeli adì 24 marzo 1832. (5) Loc. cit. pag. 519 e seg. (6) Satira 1. pag. 36. (7) Loc. cit. Nota (2), — 23 — nini, e propriamente dai monti Abruzzesi. Da questa preziosa notizia lasciataci dall’ illustre Fabrianese si raccoglie 1 .° che s’ ingannerebbe a partito chi pre- tendesse trovare nella effigie da lui tratta da quelle linci le forme più carat- teristiche della lince africana ( felis caracal ) ; 2.° che la lince europea, o vo- gliamo dire la felis lynx già indigena dell’ Italia centrale all’ epoca quaterna- ria (1) non era estinta nè affatto emigrata dalle nostre contrade volgendo la prima metà del secolo XVII. Le poche cose, alle quali di volo ho fin qui accennato, si rannodano colle molte di genere analogo , di cui discorsi nella mia lettera all’ eruditissimo cav. Gaetano Moroni sopra Urbano Vili e gli Accademici Lincei (2), e nelle mie Ricerche critico-bibliografiche intorno alla Storia naturale del Messico di Fr. Hernandez ec. (3). Laonde, durando in questo compito, spero di entrare quandochessia nel novero di coloro che il nostro eh. collega prof. Volpicelli nella sua qualità di segretario più volte giustamente lodò (4) come solerti cercatori (dei quali egli stesso è uno) di cose e memorie relative a Federico Cesi , e all’ antica Accademia dei Lincei, a cui la nostra quasi è nipote . (1) « V. Discorso sugli animali fossili che precedettero l’uomo nell’ Italia centrale « del prof. Giuseppe Ponzi. Stampato nel Giornale Arcadico Tomo XXVI della nuova serie, Ro- ma 1862. (2) Giornale Arcadico Tomo VII. della nuova serie. (3) Ivi, Tomo XXI, e Tomo XIII. di questi Atti, Sess. del 10 giugno 1860, (4) V. Voi. XVI. pag. 267 e seg., Sess. 1. del 7 Decembre 1862. . ■ ... ■ - ! . ' " • - : ■ ' ■ : ' ■ : ■ ■ ; . ■ , &; ~ - 1 . H A, nJ « J ■ ' ' ■ ■ >' i SULLA ELETTROSTATICA INDUZIONE OD ELETTRICA INFLUENZA. MEMORIA ISTORICO-CR1TICA Del Prof. PAOLO VOLPIGELLI INTRODUZIONE Multa renascentur, quae jara cecidere, cadenlque Quae nunc sunt in honore . . . Horat- art. poet. I. L’ oggetto di questa memoria, nella quale adottiamo la ipotesi ed il lin- guaggio dei dualisti, e supponiamo nei lettori una perfetta cognizione dell’elet- trostatiche dottrine, consiste : nell’ esporre i lavori dei fìsici, che analizzarono, e spiegarono il fenomeno, detto elettrostatica induzione , od influenza elettrica; nell’ esaminare gli argomenti, e le conseguenze dei fìsici medesimi, per la spie- gazione dell’ indicato fenomeno ; da ultimo nel dimostrare, che, per le attuali cognizioni fìsiche, la elettricità indotta, cioè contraria della inducente, non pos- siede tensione di sorta. Ciò vuol dire che la indotta, finché tale rimane, non può decomporre 1’ elettrico neutrale; non può respingere i corpi caricati con elettri- cità omologa; non può liberamente distribuirsi sui conduttori, e scorrere lungo i medesimi ; non può escire dalla superficie loro, e neppure dalle parti acu- minate dei medesimi ; non può neanche scorrendo portarsi verso la inducente, sebbene attratta da essa ; non può repellere se medesima, o le sue molecole; non può neutralizzarsi colla eteronoma, omologa cioè della inducente, colla quale coesiste sull’ indotto. Tutto ciò si oppone ai trattati di fisica, non esclusi quei più recenti, salvo qualche rarissima accezione di cui parleremo. Non posso dispen- sarmi dall’ avvertire, che questa mia memoria, sebbene contenga quanto già da me fu pubblicato sull’argomento in proposito, lo contiene con ordine diverso, con assai maggiore sviluppo, ed unitamente a molta storia, molte sperienze, molti ragionamenti, molte analisi, e ricerche non ancora pubblicate; cosicché ognuno, anche fra i più mal disposti, converrà doversi la memoria stessa riguardare, come un trattato nuovo, e completo di elettrostatica induzione. Prima però di 4 26 — entrare in materia, credo almeno utile , se non necessario , mandare innanzi alcune riflessioni, ed alcuni principii, per disporre i lettori di questa memoria nello stato di perfetta imparzialità , quale fa d’ uopo a conseguire un vero qualunque. Una esatta esposizione cronologica della storia, che riferiscasi, od alla sco- perta delle verità fìsiche, od alla teorica di esse, od in fine al perfezionamento di qualche dottrina, è sempre utile cosa, che generalmente non si pratica, ed in ispecie nelle istituzioni, sebbene ciò torni a danno degli allievi. Per tanto nello esporre la teorica della elettrostatica induzione, od influenza elettrica, non dovrà omettersi la esposizione istorica , tanto dell’ antica e comune , quanto della nuova sua dottrina , come appunto dovrebbe praticarsi nello esporre la capillarità, il calorico, la luce, il magnetismo, ec. , in cui non si dovrebbe omettere dare un cenno, anche di quelle teoriche, le quali oggi, dal progresso della scienza, si riconoscono errate. Questi errori, posti sottocchio degli allievi , servono a preservarli dai falsi ragionamenti nell’ esercizio della scienza, ed a far loro conoscere, quanto sia facile prendere abbaglio nell’ eser- cizio medesimo : « saepe enim plus prodest errores , in quos eliam exercilatis » incidere conlingit , conservavi , quo melius harum rerum studiosi addiscant , » quanta circumspectione cavendum sit , ne in ratiocinando hallucinemur (1) ». Qui non si tratta di una critica vana ; poiché il nostro lavoro consiste nell’ esame dei ragionamenti, e dei fatti sperimentali, relativi al comune an- tico, ed al moderno concetto sulla elettrostatica induzione, per giungere a sta- bilire sopra basi , che non potranno scuotersi menomamente, il concetto me- desimo, dal quale tutta si comprende la elettrostatica scienza. È tanto grande la stima che nutro, verso alcuni degli oppositori alla dot- trina da me sostenuta in proposito; che più di una volta mi venne meno il coraggio nel continuare a sostenerla, quasi dubitando sulla verità di essa. Ma le mie sperienze, eseguite per moltissimi anni, ripetute in presenza di per- sone competenti, fatte con ogui cautela, e precisione; inoltre le discussioni a voce sull’argomento controverso, avute più volte con vari fisici, non favore- voli alla dottrina che sostengo ; in fine la insufficienza degli sperimenti pro- dotti contro la dottrina stessa , mi hanno sempre fornito nuove convinzioni della verità sua. Gli oppositori s’ ingannano , ed è questo quello che princi- palmente mi propongo dimostrare ; ma non esito punto ad ammettere , che (1) Euler, Institulionnm calculi integrali, Voi. secundum, 1769. pag. 429, lin. 4, salendo. — 27 — 10 splendore dei loro nomi, non potrà essere oscurato da un errore, comune anche a molti di quelli che li hanno preceduti, fin dall’epoca in cui fu scoperto 11 fenomeno detto elettrica influenza. Il genio più elevato, quand’anche vada con- giunto ad una dottrina la più estesa, non giunge sino alla infallibilità, per la quale fa d’uopo una sapienza infinita. Tutti sanno quanto i vecchi errori sono tenacemente conservati , tanto in alto come in basso, ed in ogni grado della umana intelligenza. Non mi fo illusione a questo riguardo ; ma quando si ha per se la evidenza, quelli er- rori si possono affrontare senza temer punto , e si può credere a buon di- ritto , che il tempo farà prevalere la verità : poiché la luce si fa vedere an- che a quelli che vorrebbero evitarla. Quattro sono le difficoltà da vincere, quando si voglia rettificare, come nel caso nostro, una falsa dottrina, che trovasi accettata comunemente. La prima consiste nel far dubitare delle idee ricevute sulla causa dei fenomeni ; la se- conda è il bisogno di modificare il linguaggio, che hanno esse prodotto; la terza consiste nel presentare una teorica nuova, che spieghi meglio dell’antica i fe- nomeni conosciuti : teorica che incontrerà sempre opposizioni, qualunque me- rito abbia , poiché obbliga lo spirito a nuove meditazioni, dalle quali esso è è dispensato, per la fiducia che ha nell’ antica comune; finalmente la quarta è prodotta dall’ amor proprio degli autori , che avendo colle stampe seguita 1’ antica comune teorica, trovano, per la umana fragilità, una repugnanza nel- T ammettere la nuova. Le prime tre difficoltà furono già superate per la nuova teorica, da noi sostenuta della influenza elettrica, il che si vedrà chiaro in ap- presso ; ma la quarta non lo fu, e neppure lo sarà, fuorché dopo molto tempo. Le mie sperienze, come si vedrà nel seguito , mi hanno svelato dei fatti nella influenza elettrica, opposti del tutto a quelli asseriti da ognuno dei fìsici moderni, che si occuparono del fenomeno in discorso ; lo che mi sgomentò, e mi fece temere, di essere in opposizione colle altre vere dottrine regnanti. Aspettai per tanto, che nuove riflessioni mi rischiarassero, sopra la interpetra- zione del fenomeno indicato. Inoltre mi persuasi , che qualche anno di ri- tardo alla completa pubblicazione di quelle mie ricerche , sopra un argo- mento di tanta importanza, dovesse giovare a conseguire la verità dei fatti, che costituiscono la indicata influenza , ed il vero concetto di essa. Ed è accaduto che il tempo, quattordici anni circa, mi ha permesso di meglio svol- gere i raziocini, e gli sperimenti ; di raggiungere l’evidenza delle mie conclu- sioni ; di applicare i fatti da me ottenuti a spiegare, meglio che non si è — 28 praticato sino ad ora, molti altri fenomeni elettrostatici; ed a stabilire contezza, che la indotta non tende, lo che sarà dimostrato ad evidenza. Rassicurato a questo modo, aspettavo il momento di pubblicare la presente completa memo- ria, nella quale si tratterà, con molto sviluppo, della influenza elettrica, tanto sotto il punto di vista istorico, quanto sotto il teoretico ; ed ognuno sa che qualunque scientifica quistione, ha 1’ ora ed il momento conveniente, per essere discussa e propagata : momento che la volontà di un solo non può, nè acce- lerare , nè ritardare ; ma quest’ ora , e questo momento mi sembra che sia giunto. II sostenere la indicata mia dottrina, sempre più divenne per me un do- vere, in quanto che le obbiezioni contro la medesima , si possono evidente- mente respingere, e niuna fino ad ora se ne produsse, che abbia potuto in- gerire nell’ animo mio qualche dubbio, benché minimo, sulla verità della dot- trina stessa. Non basta opporre la nota memoria di Poisson, la quale, se pongasi bene mente in essa, non contraddice, come vedremo, alla nuova dottrina; ma fa d’uopo ribattere una per una le sperienze, da me prodotte nel dimostrare vero quello che sostengo. Forse qualcuna di queste sperienze, potrà essere sembrata in- sufficiente ; ma basta che una fra le tante pubblicate, e da pubblicarsi, rimanga non abbattuta, perchè la nuova teorica si debba ritenere per vera. L’ obbligo di chi è destinato ad insegnare una scienza , consiste in due parti, cioè nell’ istruire di quanto già si conosce in essa ; e nel procurare il più possibile di far progredire la scienza medesima, specialmente se questa sia la fisica, o la chimica ; le quali tanta messe presentano, ancora non mietuta, e tanto vantaggio arrecano alla società civile. La seconda parte di questo do- vere, non è ammessa, da chi non ha lena per eseguirla ; ma sia detto con sua pace , niuno converrà in così meschina ed ingiusta opinione , che of- fende il più nobile carattere dell’ uomo, cioè la perfettibilità umana. Fa di me- stieri che smettiamo , e per sempre , la grettezza delle meschine individuali opinioni , tutti sommettendoci devoti soltanto al vero. Se io di fatto prendo la penna, non è per contraddire vanamente all’antica e comune teorica sulla induzione elettrostatica, e molto meno per una irragionevole ostentazione, da cui rifugge l’animo mio ; ma solo perchè discettando, si faccia la luce nella sua pienezza, pel grande vantaggio della scienza, e per la pubblica istruzione. Dichiaro che cercherò sempre appoggiarmi all’ autorità dei fatti, e pre- munirmi contro le idee preconcette , invitando nel tempo stesso , colla insi- — 29 stenza la più valevole, i fisici, a farmi non solo delle osservazioni, ma ezian- dio delle obbiezioni. Convinto come sono della utilità di sottoporre le idee teo- retiche, non che i sistemi, all’ analisi leale delle nuove sperienze, accordate con quei fatti, dei quali la scienza non può dubitare; attenderò pazientemente l'e- poca in cui la verità, sul modo col quale debbano intendersi gli effetti della influen- za elettrica, sia da tutti riconosciuta, e che i miei lavori, principiati fin dal 1854, su questo interessante argomento elettrostatico, i quali tutt’ ora continuano, sieno senza prevenzione alcuna presi coscenziosamente ad esame. Sostengo la mia opinione con tutto quell’ ardore, che viene dall’essere profondamente con- vinto della sua verità, e dal vivo desiderio che la teorica sulla elettrostatica induzione, riducasi conforme ai fatti, dai quali essa è costituita, spogliandola di tutto ciò che si oppone ai fatti stessi. Mi stimerò assai fortunato delle critiche , alle quali questo mio lavoro darà luogo; sia che io trionfi delle obbiezioni, sia che gli errori, giustameute riconosciuti, mi obblighino a correggerli. Però prego i miei giudici a non di- menticare, che questo medesimo lavoro è frutto di 1 4 anni di sperienze , e di meditazioni; e che senza esattamente ripeter quelle , e senza logicamente analizzar queste , le obiezioni loro non possono aver forza. Gradirò assaissi- mo ehe mi si faccia conoscere, non con espressioni vaghe, come sono la mag- gior parte di quelle, adoperate fìn’ora contro la nuova teorica ; ma con ter- mini positivi, speciali, e concreti, l’errore nel quale sono caduto, per poterlo emendare. Si deve sempre mettere in pratica l’eccellente pensiero di Leibniz, il quale diceva: « Ho sempre amato le ingegnose obbiezioni contro i miei sen- » timenti, e le ho esaminate sempre con frutto. » Sebbene in questa memoria, le conclusioni alle quali giungo, tanto per via di sperienze, quanto per forza di ragionamento, si allontanino da quelle ricevute, ed accettate oggi , dalla maggior parte di coloro che professano la fìsica; tuttavia le mie convinzioni mi obbligano a pubblicare questo mio scritto, per sottoporlo alla prova, ed alla sanzione del tempo, che giunge sempre a separare dalla verità l’errore, per mezzo dei dotti coscenziosi e competenti , cui l’attuale mia pubblicazione viene specialmente indirizzata, con preghiera di confutarla, o di approvarla mediante la stampa. Provocando la discussione sulla essenza della elettricità indotta, intendo far uso del diritto naturale, dell’incontrastabile diritto, che ha la umana ragione, di esaminar tutto quello che ad essa è soggetto, e di avere per certo soltanto quel- lo che fu dimostrato. A me costa di essere in opposizione con uomini , — 30 — dei quali onoro il sapere , non meno che il carattere : alcuni di loro sono miei amici; ma la ricerca della verità, deve passare innanzi all’amicizia, questa è la mia professione di fede. Se dalle mie ricerche non si ottenesse altro , fuorché la possibilità di spiegare il fenomeno della elettrostatica induzione, ugualmente bene colle due teoriche, cioè con quella che comunemente viene professata, e coll’altra che io di- fendo; già si avrebbe un risultamento molto interessante per la scienza. In fatti da questo nascerebbe la necessità di studiare, onde poter decidere, quale delle due teoriche debba preferirsi; appunto come fra la teorica dei dualisti, e l’altra degli unitari, perciò che riguarda la essenza della elettricità. Quindi si avreb- be un eccitamento nuovo a meditare sul fenomeno principale della elettro- statica dottrina : ma non è così ; poiché la comune antica teorica, viene dimo- strata del tutto falsa. Mostrandomi difensore della nuova teorica sull’induzione, adempio coscien- ziosamente un dovere, quello cioè che incombe ad ogni cultore della scienza, e che consiste nel sostenere la verità, chiudendo le porte all’errore; il quale diviene tanto più nocivo, quanto è più grande l’autorità da cui deriva. Non abbandonerò mai questa difesa, se non quando la sperienza, ed il raziocinio mi avrà mostrato evidentemente, che la comune antica teorica sulla induzione , deve preferirsi alla nuova ; ma questa dimostrazione fin’ ora non esiste. Gli errori che vengono dall’alto, si debbano più degli altri combattere, a preservarne la gioventù, che nel sentiero della scienza, prende le sommità per guida. Però non è mai da sperare che gli educati nell’errore, se l’abbiano professato , e molto più se l’abbiano difeso, lo abbandonino per adottare il contrario; seb- bene sieno convinti questo essere il vero. Ciò disgraziatamente si verifica nella storia della scienza; ed è una debolezza umana, sostenuta dall’orgoglio, e dall’amor proprio disordinato. L’antica teorica, comunemente ricevuta di questo fenomeno, è in relazione, sia colla memoria di Poisson, sia con quella di Plana, sia coll’altra di Murphy sull’elettrostatica ; però la teorica medesima non rappresenta nè veramente , nè completamente il fenomeno della induzione, come bene lo rappresenta la nuova, senza opporsi punto alle dottrine elettrostatiche di Poisson e di Plana, contro quello che pensano gli oppositori ; le quali dottrine non negano, che sull’estremo dell’ indotto, il più prossimo alla inducente, siavi pure la omologa di questa, come in appresso vedremo. Fino ad ora non altro si è operato da me, fuorché stabilire dei fatti , — Si- che sodo negati dalla comune teorica ; cioè primieramente che la elettricità omologa della inducente, si trova sopra qualunque punto dell’indotto, senza po- tersi neutralizzare colla contraria, durante la induzione; secondariam ente che la indotta non tende; in terzo luogo che la sezione neutra non esiste sull’in- dotto durante la induzione ; finalmente che la induzione si propaga eziandio per linee curve. Questi fatti sono negati dagli oppositori, e la comune antica teorica, non può assolutamente piegarsi ai medesimi. La mia sperienza cardi- nale del piccolissimo piano di prova , non può , come vedremo , spiegarsi affatto colla comune dottrina. Le punte applicate in qualunque estremo del- l’indotto, non disperdono altro che la omologa della inducente; verità fon- mentale, che neppure può spiegarsi colla teorica comunemente adottata. Per ora non si tratta di stabilire una nuova ipotesi, ma solo di mettere in evidenza dei fatti, che non sono comuni alle due dottrine in quistione. Se occorrerà una nuova ipotesi , questa dovrà venire dopo i veri fatti , che co- stituiscono il fenomeno di cui parliamo, sui quali cade unicamente la contro - versia. Sarebbe certo precoce stabilire una nuova ipotesi di un fenomeno , se prima non siansi dimostrati quali sono i fatti che lo costituiscono. La que- stione cade unicamente su questi , e se quelli che noi sosteniamo sono veri, non possono esserlo gli altri sostenuti dagli avversari. La teorica di taluni antichi fìsici tedeschi, riprodotta da Melloni, da me per- fezionata, e dimostrata vera, spiega bene ogni fatto della induzione ; ma non così la teorica comune, perchè i fatti ammessi da questa sono falsi. Non si tratta per ora di rovesciare totalmente questa teorica comune; ma solo di mo- fìcarla in conseguenza di taluni fatti, che noi dimostriamo veri, e che gli av- versari credono falsi. Non bisogna dunque fuggire dal campo della quistione attuale, per intavolarne un’altra, sulla quale nessuno ci chiama. Sarà poi fa- cile introdurre una nuova ipotesi, dopo aver dimostrato quali sono le verità che costituiscono il fenomeno, soggetto della nostra discussione. Quando sarà dimostrato che la indotta non tende , 1’ uso dei diaframmi, già praticato dal Melloni, per mettere in evidenza le verità nuove, che accompagnano la elet- trostatica induzione , e che fu tanto disapprovato , dovrà certo riconoscersi come un mezzo senza eccezione , per dimostrare le verità stesse. La vivacità, che i lettori forse riconosceranno, in qualche brano di questo lavoro, dimostra da un lato, che le mie dottrine non hanno ancora convinto tutti quei , che , non avendo voluto ripetere le mie facilissime sperienze , parteggiano per le contrarie, comunemente adottate ; dall’ altro dimostra , — 32 — che i miei risultamenti, sono giustificati da lunghe sperienze, e da continue meditazioni, contro le quali non si è ancora niente prodotto, che sia valevole a distruggerle. La vivacità nel dire, deriva talune volte, dalla profonda convin- zione, appoggiata sulla evidenza dei fatti, la quale sola mena diritto alle ve- rità naturali. IL Dal 1854 in poi si è sempre, più o meno, discusso intorno la nuova teo- rica della elettrostatica induzione; tuttavia niuno dei corsi di fisica, pubblicati a questo tempo , fa menomamente menzione della nuova maniera di ricono- scere il fenomeno indicalo, lo non credo che la causa di tale oblìo, consista nel desiderio di allontanare dagli annali della scienza, quei nomi che sosten- nero questa nuova dottrina; neppure credo che sia l’invidia, di vedere sorgere nuove riputazioni; e nè uno spirito di consorteria, pel quale si ammette solo quello che viene dai consorti, e dagli amici. Queste cause appartengono alla debolezza umana, ed io non voglio credere che da esse provenga l’oblìo sopra indicato. Credo invece che ciò derivi, o dal timore di riferire dei fatti, creduti non abbastanza dimostrati, o dal non voler troppo ingrandire i volumi delle fìsiche istituzioni , lo che per altro deve cedere al dovere di propagare le verità nuove. Anche per ciò rieonosciam necessario , pubblicare la presente memoria , che comprende quando fa d’ uopo a dileguare ogni dubbio. D’ al- tra parte si possono esporre le nuove scoperte, i nuovi fatti della scienza, non prendendone la responsabilità, lasciandola interamente agli autori, e re- stringendo in poche righe le novità scientifiche; così non si è costretti a fare opere troppo voluminose. A questo modo si mantengono le istituzioni a livello della scienza pei dotti che ricercano, e per quelli che debbono istruirsi. Quei fìsici che, sul principio del nostro secolo, hanno data per vera in tutto la teo- rica di Volta sull’elettromotore, forse hanno essi diminuita la riputazione loro, perchè oggi si è riconosciuta insufficente ? Il dotto conte Th. Du Moncel, giu- stamente dice, « che a forza di essere timidi, si diviene retrogradi » ed in al- cuni casi, è utile penetrarsi di questa verità, senza però abusarne. La comune antica teorica della elettrostatica induzione, non solo sorprenderà i posteri per la sua falsità; ma eziandio farà maravigliare i contemporanei, non irremovibili dagli errori tradizionali, tanto delle scuole, quanto degli uomini di partito, i quali non di rado stimano solo quello che loro fa comodo, e che alle — 33 - aspirazioni loro soddisfa. Deve certamente venire un’epoca, e questa non può es- sere lontana, in cui qualunque fisico si maraviglierà, che per ammettere nella in- dotta la mancanza di tensione, siavi abbisognato un tempo tanto lungo, ad onta di ragionamenti della evidenza la più manifesta, e di sperienze le più convincenti. Chiunque, senza prevenzione di sorta, porrà mente alla seguente istoria, come pure ai seguenti raziocini, e ricerche sperimentali; dovrà trovare assai ridicolo, che siasi dovuto insistere tanto, e sì lungamente, per convincere, che la indotta non tender ma leggendo la ostinata e lunga opposizione, a questa verità importan- tissima oggi divenuta evidente , fatta da taluni fisici antichi e moderni, di merito grande; troverà in vece che il difetto cade tuttosu gli oppositori, e che coloro i quali difesero la indicata verità, senza verun timore, debbono riguardarsi co- me benemeriti deila scienza. I dotti competenti non debbono incontrare difficoltà, nel confessare al cospet- to del ragionamento, e della sperienza, che si sono ingannati; perchè la scienza che ha per fine la verità, ed il progresso, abbraccia volentieri la verità di oggi, e ripudia l’errore di ieri. Vero è che Cicerone disse: Errare malo cum » Piatone , quam cam aliis vera sentire »; ma questa sentenza, certamente non è filosofica , la quale fu a me ripetuta da taluno, forse il meno com- petente, degli oppositori alla teorica elettrostatica che io sostengo. Invece deve professarsi la sentenza opposta ; ognuno cioè deve associarsi coi me- diocri , e non coi sommi , quando la verità si trova con quelli , e non con questi. Il tempo fa giustizia , e la verità col tempo si fa sempre più ma- nifesta: il merito cresce col tempo , e le vere riputazioni col tempo non si annullano, ma bensì le false scoperte. La verità è forza invincibile : può es- sere compressa e combattuta; ma il suo trionfo sempre avverrà, e tanto più splendido, quanto più ritardato. I1L Fu e sarà sempre l'autorità, scrisse a suoi giorni Toaldo (1), uno dei più grandi ostacoli al progresso delle scienze filosofiche, in quanto che, o all’ombra di un gran nome , vengano ciecamente, e senza esame, ricevuti e tramandati, principii e dogmi di niuna sussistenza; o sulla semplice contrad- dizione di un uomo di fama, riggettate vengono le dottrine, per avventura le (1) Giornale enciclopedico di Vicenza, 1." semestre 1782, pag. 93. 5 meglio fondate. Proveniente del pari dalla debolezza della umana fantasia, re- gna pure un altro pregiudizio, ed è che l’uomo valente in una materia, venga di leggieri creduto poter pronunciare, e decidere anche in ogni altra. In fatto di autorità fa d’uopo riflettere, che questa non è l’unico mezzo, per giungere alle cognizioni delle verità naturali, e che non mancano esempi nella storia delle scienze sperimentali, ove s’incontra essere stata l’autorità, cagione di ritardo nell’acquisto del vero, negato dall’autorità stessa. La scienza non permette queste autocratiche forme. Alcune vecchie dottrine, quantunque in opposizione coi fatti, esercitano sulle opinioni, tale una influenza , che sembrano condurre i dotti, anche i più distinti , a non volerle abbandonare, unicamente perchè si trovano esse favorevoli alle dottrine, di cui furono imbevuti nelle scuole. Dice Galileo (1) « l’autorità dell’opinione di mille nelle scienze, non vale » per una scintilla di ragione di un solo. » In quanto alle autorità si deve dire col Terquem (2) « en théologie il faut peser les aulorités ; mais en phi- » losophie il faut peser les raisons ». Ad ogni cultore della scienza incombe il dovere di aprire le porte alla verità, di cui si è convinti , e di chiuderle all’errore , il quale diviene tanto più nocivo , quanto è più grande l’autorità da cui deriva. La riforma contro l’abuso delle autorità scientifiche, non si la- scia più desiderare; ad onta dei vecchi pregiudizi, è venuto il tempo, in cui la scienza giunge ovunque , ed i dogmi filosofici non dimostrati, cedono ad essa il posto. Il fenomeno della elettrostatica induzione, fu trattato molto leggermente, da scienziati assai considerevoli, e le opinioni loro erronee, furono troppo spesso riprodotte nei libri didascalici , e furono disgraziatamente resi comuni. Per tanto noi dobbiamo qui combattere ad un tempo un errore scientifico, ed un pregiudizio popolare; cioè di quei fìsici, che accettano tutte le opinioni delle autorità, senza esaminarle diligentemente. IV. I pregiudizi e gli errori, ebbero ed avranno sempre tale un impero sulle menti umane, anche le più rischiarate dalla filosofia , che il più delle volte un’antica credenza, sebbene dimostrata oggi falsa, tuttavia resiste alla certezza dei fatti, ancora per molti anni. Questo è un tributo che gli uomini debbono (1) Le opere complete di Galileo, T. 3°, pag. 474, lin. ultima. (2) Nouvelles Annales , T. 20, an. 1861. Bulle t. de bibl., pag. 66, li. 8. — 35 — pagare a quel complesso di circostanze , parte sociali , e parte naturali, che ove più ed ove meno, rallenta per tutto e sempre, il progresso della umana intelligenza, senza però del tutto impedirlo. Nello stabilire il corso annuale, si errò sulla lunghezza dell’ anno , e ci vollero dodici secoli, perchè questo errore fosse riconosciuto. Ci volle un tempo ancor più lungo , perchè il moto della Terra fosse accettato. I discepoli di Pitagora che !’ insegnarono, furono accusati d’empietà dai sapienti del tempo loro. Leggasi nell’ Almagesto come Tolomeo beffava Pitagora , ed i Pitagorici; leggasi nell’Almagesto nuovo, il P. Riccioli deridere Copernico, ed i coper- nicani: quanta eloquenza fu impiegata per difendere l’erronea immobilità della Terra ! La verità non ha bisogno nè di eloquenza, nè di agitazione per trion- fare: sicura essa delle sua vittoria, si avanza lentamente con tranquillità, e spesso in silenzio: l’errore invece corre velocemente con grande strepito, s’im- padronisce degli spiriti deboli, cioè della maggioranza del genere umano, fin- ché il tempo colla falce non lo abbia reciso, mettendo la verità in suo luogo. Que- sta è assistita dal tempo, dal consenso universale, dalla scienza: l’errore poi viene spesso sostenuto dal pregiudizio, dalla ipocrisia, dalla mala fede, e dalla in- tolleranza. I pitagorici furono perseguitati come innovatori perniciosi alla re- ligione: la guerra durò quindici secoli, ma la verità pitagorica , nel decimo- settimo secolo, ebbe il suo gran trionfo, sostenuta da quel grande, che per lei non temette perdere libertà, ed incontrare persecuzioni. Tolomeo quando insegnava che la Terra è immobile , e che il Sole gira intorno ad essa, non ignorava il sistema contrario dei pitagorici , perchè di- eéva questo essere del tutto redicolo, avendo quello in suo favore l’autorità del tempo, della scienza di allora, e della ragione universale. Dovettero pas- sare dei secoli prima che Copernico, Galileo, Keplero, e gl’innumerevoli disce- poli di Tolomeo, riconoscessero l’errore da questo tenacemente professato: Multi pertransibunty et augebitur scientia. I dotti chimici contemporanei di Lavoisier, non volevano ammettere, che i gas sono materia; perchè credevano essere materia soltanto i solidi, ed i liquidi , cioè tutto quello che allora cadeva sotto i sensi. Secondo i re- trogradi tenaci delle vecchie dottrine, la materialità dei gas, esisteva solamente nella immaginazione dei progressisti. Xenofonte, ed altri fisici greci affermavano, che l’aria conteneva l’elemento del fuoco , e della vita ; e questa verità restò più di mille anni contrariata. Il chiarissimo sig. F. Hoefer ha ritrovato, che Moitrel d’Elément, fisico fran- -36- cese, povero e sconosciuto, fu trattato da visionario, d’allucinato, e da pazzo, per aver chiesto agli accademici 1’ approvazione del suo metodo di rendere l’aria visibile, ed assai sensibile per misurarla , e per mostrare che tutto è pieno d’aria , che noi siamo circondati dall’aria da ogni parte, come i pesci Io sono dall’acqua. Il medesimo pubblicò il suo lavoro, dedicandolo alle dame, nel 1713 nella tipografìa Thiboust , Palais de justice. L’opuscolo si vendeva tre soldi a profitto dell’autore, che abitava in una soffitta, in via Saint-Hyacin- the Saint-Michel. Così, secondo il sig. Hoefer, fu contrariata una scoperta, senza la quale sarebbe stata impossibile la cognizione scientifica dei fluidi elastici. Plato- ne credeva impossibile conoscere la composizione della luce; però questa impos- sibilità, creduta dal capo dello spiritualismo, fu smentita da Newton dopo ventitré secoli. Per tanto ripetiamo qui a proposito le seguenti parole, pubblicale dal P. A. Secchi, cioè: Esempio è questo pur troppo non unico , in cui autorità somme , e osservazioni imperfette , ritardarono infaustamente il progresso della scienza (1). Dice il medesimo P. Secchi: Non voglio più dissimulare che alcuni non si sono mostrali persuasi delle mie conclusioni : ma non me ne maraviglio. E questa la sorte di tutte le cose nuove, rincontrare difficoltà, sopralullo se la verifica non sia facile e semplice .... non deve omettersi che nelle bilance di molli , pesano assai le antiche gravi autorità , e vari pregiudizi teorici (2). Pietro Collinson lesse alla Società reale di Londra le lettere, che Franklin gli aveva scritte, sulle sue sperienze di elettrostatica ; ma la Spcielà mede- sima non le credette meritevoli di comparire pubblicate nelle sue Transazioni filosofiche. « Avevo scritto, dice Franklin, per Kinnersley, un saggio sulla iden- » tità del fulmine colla elettricità: Io mandai a Mitchel, mio amico e socio » della Società reale, mi rispose, che era stato letto in una seduta di questa, « e che i conoscitori se ne risero. » Franklin ebbe perciò la sorte di tutti gl’inventori, e fu molto ristretto il numero di quelli, che in principio dettero importanza alle sperienze di questo grand’uomo; e quelli che subito lo segui- rono , certo non furono tra le persone della maggiore scientifica riputazione. 11 fisico Nollet fu degli oppositori alle nuove dottrine elettrostatiche di Franklin, uno de’ più tenaci; ma questo filosofo amò meglio impiegare il tempo in fare nuove sperienze, di quello che in rispondere agli avversari. Per me non posso (1) Giornale Arcadico, T. 38 della nuova serie, Roma 1864, fase, maggio e giu- gno 1863, p. 170, li. 12. (2) Ibidem, p. 174, li. 11, salendo; e pag. 175, li. 3. imitarlo in tutto; giacché stimando assai la dottrina di coloro, che si oppon- gono alla nuova teorica sulla elettrostatica induzione, non posso dispensarmi dal rispondere ai medesimi; però non tralascio nel tempo stesso far nuove spe- ranze, a conferma della verità che sostengo, nella quale non ho certo l’onore della scoperta, ma solo quello di averla completata , ed in più guise dimostrata vera, e difesa dalle obbiezioni antiche, e moderne. Avvi un teorema, relativo al calcolo delle probabilità, dimenticato in lutti quei trattati di questa scienza, pel quale possiamo in qualche modo spiegare: perchè alcune proposizioni trovino molta difficoltà nell’essere accettate. Ciò è perchè, secondo il teorema ora indicato. « La probabilità dell’adozione di una teo- v rica, è in ragione inversa della quantità di buon senso contenuto in essa. » Questa è la causa, per la quale non si trovano ancora bastantemente intro- dotte nell’insegnamento elementare, l.° le frazioni continue, che sono indi- spensabili per trovare il rapporto n, cognito anche agli artigiani, indispensa- bili per la interpolazione gregoriana, e così pel commercio, e per la riduzione delle frazioni; 2.° le funzioni simmetriche, le quali sono il fondamento della teorica dell’equazioni, e della geometria segmentare; 3.° il metodo delle pro- iezioni del sig. Poncelet , ed il metodo omografico del sig. Chasles , i quali permettono di scoprire facilmente molte proprietà delle curve, e superfìcie di ordine superiore; 4.° la eloquente rappresentazione delle coppie, per la quale i principj più elevati della dinamica , ed i fenomeni del nostro astronomico sistema, sono resi facili ad ognuno; 5.° la mancanza di tensione nella elettri- cità indotta, per la quale mancanza, tanti fenomeni elettrostatici assai meglio si spiegano, e molti altri si rettificano, in quanto alla causa che li produce. La voisier per lo spazio di 10 anni, progredì sempre verso il suo scopo, cioè la composizione dell’aria, e la teorica della combustione; istituendo sperienze precise , e giungendo a conclusioni sempre conformi ad un ragionamento il più rigoroso. Ciò nulla ostante niun chimico in tutta quell’epoca lo secondò, e niuno lo soccorse acconsentendo alle sue scoperte (1). Fra le verità, che sono state per molto tempo contrariate, si deve ag- giungere anche la teorica del moto dei gravi cadenti, data Galileo , e com- battuta per lungo tempo; giacché sempre vi furono uomini talmente nocivi , che amavano stendere una nube, sopra i raziocini più concludenti. In prova di ciò basta ricordare , che la scoperta classica di Galileo sull’ accelerazione (1) Chevreul, Comptes Rendus , t. 60, an. 1865, p. ol2. — 38 — dei gravi cadenti, fa contraddetta da molti, ma in ispecie da! gesuita Gasreo; uomo, al dire di Montucla, privo di solide cognizioni fisiche e matematiche, cui rispose, confutandolo, il celebre Gassendi. II P. Cristoforo Scheiner gesuita, sotto il nome di Apelle (1), reputò mac- chie pure i satelliti di Giove , per negare a Galileo la gloriosa scoperta dei medesimi (2). Le verità scientifiche, oggi più certe, hanno incominciato per essere delle ipotesi, prodotte da un solo, e respinte da tutti. La certezza di quest’accoglienza , ritarda spesso le comunicazioni di certe vedute, che l’au- tore non è sempre nella possibilità di delucidare solo ; mentre pubblican- dole, ciascuno apporterebbe la sua pietra sul nuovo edificio, sia per compierlo, sia per abbatterlo, e ciò sarebbe un progresso ; poiché la distruzione di un errore, o la conferma di una verità, possono considerarsi come due scienti- fici equivalenti. Galileo per questo motivo non pubblicò il suo concetto , da esso lasciato manoscritto , e da me pubblicato , cioè cbe i pianeti eserci- tano una influenza sulle macchie solari. Tuttavia questa influenza oggi , da parecchi astronomi, è dimostrata vera. Le idee grandi subbiscono troppo spesso la sorte che alle piccole appartiene. Dice Galieo: « Dai nimici della novità, » il numero dei quali e infinito, è invaso l’uso, che meglio sia errar coll’uni- » versale, che essere singolare nel rettamente discorrere » (3). Le difficoltà per ottenere l’accettazione di una nuova teorica, già vedemmo che sono molte; fra le quali deve anche annoverarsi quella, che riguarda la lettura delle opere, fatte dall’autore della teorica stessa, e pubblicate. Sovente av- viene che le produzioni, non sono lette, o non lo sono con sufficente attenzione; allora più difficile riesce, che la nuova dottrina sia ricevuta. Però in tal caso il difetto non è tutto sempre dei lettori; ma è in parte dell’autore, che non sep- pe riunire nelle sue produzioni, quanto era necessario, per interessarli a leg- gerle , ed a ripetere le sperienze. Però se la dottrina nuova è vera, l’au- tore di essa deve insistere, finché non abbia vinto ogni difficoltà, perchè sia ricevuta. V. Se una dottrina per la spiegazione di qualunque naturale fenomeno, ven- ga con argomenti meritevoli, da taluni adottata, e da tali altri controversa o (1) Opere complete di Galileo, T. 3." p. 372- (2) Ibidem, pag. 496. (3) Ididem, pag. 381, li. 6, salendo. — 39 — respinta; deve, affinchè tutti si accordino in essa, o per accettarla o per es- cluderla, essere profondamente discussa, ed in tutte le sue parti presa in esame. Affinchè dunque si ottenga questo accordo , riguardo alla nuova dottrina per ispiegare la elettrostatica induzione, dottrina che conta pochissimi sostenitori, e molti valevolissimi avversari , fa d’ uopo che le sperienze , istituite o per sostenerla o per abbatterla^ sieno discusse profondamente, con imparzialità e con chiarezza, non già di volo, e superficialmente. 11 vero filosofo nel discu- tere, deve avere un solo scopo, cioè la ricerca della verità, non deve magni- ficare le pretese altrui scoperte, sebbene ad evidenza false, col fine di arre- care dispiacere a taluno; deve tosto abbandonare le sue idee, quando sieno dimostrate false ; deve conservare sempre quella dignità ed urbanità, che ad un suo pari si addice; non deve cercare il favore dei scioli, onde vadano buc- cinando le sue lodi; e deve ripetere con Orazio: Non ego ventosae pleblis suf- fragio, venor. I problemi scientifici, debbono essere discussi per mezzo di argomenti scientifici: la scienza deve coltivarsi con attività, lealmente seguendo il progresso , e non dimenticando essa consistere nelle teoriche suggerite dai fatti , non già dai sogni , e dalle illusioni. La discussione riesce pro- fìcua sempre alla scienza, e rende 1’ errore utile al progresso della medesima, togliendo anche ogni disgusto, a chi può essersi momentaneamente ingannato: Veritas ventilata clarescit (S. Agostino). - Et refelli sine pertinacia, et refellere sine iracundia parati sumus (Cicerone). Dalla discussione nasce la luce ; so- no i pretesi dogmi scientifici quelli che la estinguono. La misura della forza viva, fu il soggetto di un dibattimento memora- bile negli annali della scienza, fra Leibnitz, e i discepoli di Descartes. Si uni- rono a Leibnitz i fratelli Giovanni e Danielle Bernoulli, oltre a Wolff, s’Gra- versande, Camus, Muschenbroeck, Papin, Germann, ecc. ì principali opposi- tori loro furono Maclaurin, Clarke, Stirling, Désaguliers , Robins , e Mairan. Questa discussione durò trent'anni ; ma d’ Alembert, profittando delle idee nate dalla discussione medesima , vi pose fine , mostrando che il principio delle forze vive, consiste nella esistenza di un integrale, comune a tutti quei pro- blemi della dinamica, nei quali vengono i legami espressi mediante uguaglianze indipendenti dal tempo. A questo modo, cioè per mezzo di una lunga discus- sione, la dinamica guadagnò un principio fecondo molto, specialmente per le tecniche dottrine. A quelli che non amano la discussione, possono replicarsi questi versi di Voltaire : — 40 — « La dignitè, souvent rnasque 1’ insuffisance, Qn s’ eufemie, avec art, dans un noble silence Mais qui sait bien repondre encourage à parler ». La prima condizione affinchè una teorica sia valevole , cioè possa gui- darci alla verità, consiste nel rispettare i fatti, che costituiscono il fenomeno cui la teorica si appartiene ; in secondo luogo nell’ esaminare, se renda essa completamente dei medesimi plausibile spiegazione. Ora non avvi un fatto , non una fase della influenza elettrica , che non sia spiegata evidentemente dalla dottrina che io sostengo; mentre moltissimi ve ne sono, cui l’antica, e comu- ne dottrina non soddisfa punto. Da una parte invoco la indulgenza per que- sto mio lavoro, dall’altra chieggo che sia giudicato, dietro un esame coscien- zioso : ed in questo caso rispetterò in ognuno il diritto deila critica giusta e leale; perchè questa è la necessaria conseguenza delle pubblicazioni , e per- chè nel caso medesimo, fautore giudicato, non ha verun fondamento per la- gnarsi del giudizio. Chi è convinto della verità da esso riconosciuta, deve avere il coraggio nella discussione di restare solo, ed io sento di averlo, evitando qualunque influenza di opinioni preconcepite, o dettate da spirito di parte. Chi ha que- sto coraggio, che nasce dalla convinzione stessa, potrà essere contraddetto dalla maggioranza; che, generalmente parlando, non è mai la più competente nel giu- dicare. Però viene f ora in cui la verità trionfa, non già per soddisfazione di chi l’ha dimostrata, contro la maggioranza stessa, perchè costui non esisterà più; ma bensì per l’avanzamento della scienza: la storia dei progressi dello spirito umano, in ogni epoca ce lo insegna. Giova molto al perfezionamento ed all’ incremento delle umane cognizioni, discutere, alla opportunità, sopra i principii ammessi nella scienza. Per questo Faraday dubitando sulla differenza di costituzione molecolare fra i gast repu- tati permanenti, ed i vapori, fino a quel tempo ammessa ; dimostrò che que- sta non esisteva , riducendo in liquidi molti gas , creduti allora permanenti. Similmente avviene che la dottrina, comunemente ricevuta sulla influenza elet- trica, si è trovata, come vedremo, erronea in alcune sue parti. Fo voti che coloro i quali, essendo competenti, non ammettono la nuo- va teorica sulla elettrostatica induzione , facciano conoscere pubicamente, e chiaramente le difficoltà contro essa. Nella discussione consiste l’unico mezzo per avere la luce, che io sono ben lontano di volere spegnere; anzi mi pres- terò sempre a tutte quelle sperienze, che si vorranno da chiunque fare, per mostrarmi, essere la teorica da me sostenuta non vera; ed io stesso darò i mezzi per la esecuzione di esse. A me sembra che niuna cosa in elettrostastica sia tan- to importante, quanto quella di portar luce nell’attuale quistione. La sorte di que- sta nuova dottrina sulla elettrostatica induzione, da me dimostrata vera, è tale, che a ciascuna difficoltà sollevata contro la medesima, una nuova conferma si è ottenuta dalla sua certezza; ed in ciò consiste il più sicuro criterio delle verità naturali. Le frasi indeterminate : si è detto, dice taluno, hanno risposto, sa- grifìcano la chiarezza del discorso; perciò le adopreremo il meno possibile, pre- ferendo citare i nomi propri, quando si creda espediente. VI. Quei fisici che sostengono la indotta essere fornita di tensione , si mo- strano prodighi troppo della riputazione loro, ed altresì non cale ad essi : « perder vita fra coloro » Che questo tempo chiameranno antico ». La talpa nega la luce, ma senza sua colpa, giacché non ha mezzo di vederla ; però non così per quedi che la negano , avendo buona vista: giacché i medesimi, potendo, non vogliono vedere. Avvi un certo numero di dotti, che proibiscono qualunque idea nuova, i quali si oppongono a tutto quel- lo che non è parto della mente loro. Questi sono persuasi seriamente , che gli altri debbono solo ascoltarli , ed ammirarli. L’ umana debolezza si compiace contrariare, ed innalza delle statue agli uomini di genio , che ha fatto morire di fame ; riguardando poi come benefattori del genere umano quelli, che quando vivevano, erano giudicati come impostori. Da ciò si rivela, per chi ben rifletta, che la morte dell’individuo è provvidenziale, pel progresso delle umane cognizioni; giacché per essa dalla specie umana si vanno eliminando i pregiudizi, e le false dottrine. Quando lo spirito umano si è investito di una idea , quando si è fatto dominare da una opinione, non ascolta verun altro fuori di se stesso: tutti gli argomenti si dileguano rispetto ai suoi , che trova egli essere i più conclu- denti, fossero anche i più deboli, ed i più difettosi. Nel caso nostro si tratta di fatti, contrari a quelli che furono accreditati dalla falsa comune dottrina; or be- 6 ne i fisici, specialmente quelli, che pei loro scritti, si trovano in opposizione coi fatti medesimi, e colle spiegazioni date ad essi, hanno messo a tortura (inu- tilmente) lo spirito, per sostenere la comune inesatta , e tradizionale teo- rica, sulla influenza elettrica; ed alcuni si dispensano di leggere i lavori, pri- ma di averli giudicati. Giova perciò ripetere ad essi col divino poeta: « A voce più ch’ai ver drizzan li volti, E così ferman sua opinione, Prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti ». Ma le sperienze sono tante contro gli ostinati di tal fatta, i quali vogliono, chiudere gli occhi, e le orecchie alla verità ; che i medesimi debbono rav- volgersi fra continui cavilli e contraddizioni , con danno della scienza , di cui viene per questo modo , ritardato il progresso , cioè la riforma delle principali elettrostatiche dottrine. Si preferisce piuttosto scrivere lunga- mente, a provare che una scoperta non può esser vera, di quello che stu- diare o leggere soltanto un-’ ora, onde convincersi, che la medesima non è falsa. Ma ciò non deve sgomentare, chi è convinto essere in possesso della verità; perchè il medesimo finirà per trionfare. Quando non si pone verun’ am- bizione sopra le proprie scoperte, si può tranquillamente aspettar la giustizia del tempo. La indifferenza dei contemporanei , non vale ad amareggiare le soddisfazioni di chi , sicuro del suo convincimento , ha il piacere di vederlo sempre più confermato, allorché più lo coltiva. Ognuno sa quanto è facile per- suadere colla evidenza del vero gli animi retti, e quanto è diffìcile aver vit- toria degli ostinati. Il tempo solo è quello che certamente conduce a que- sta vittoria ; perchè il medesimo è implacabile nemico del falso. Deve qui ripetersi ciò che Galileo disse , circa le obbiezioni fatte contro la sua scoperta delle macchie solari : « Solo mi dispiace , che quelli , che se » ne burlano, giuocano, come si suol dire, al sicuro; e certi di non perdere, » e con rischio di guadagnare assai; perchè se quanto io affermo et loro ne- » gano si trovasse esser falso, loro senza fatica nessuna havrebbono il vanto » di haver meglio inteso, che altri doppo molte e laboriose osservazioni ; e » quando si venga in certezza che quanto io dico, sia vero, essi restano scu- » sati dal non bavere prestato l’assenso a cose tanto inopinate » (1). (1) Pieralisi, Breve discorso, ecc. con otto lettere , e nove disegni delle macchie solari, di Galileo Galilei. Roma 1858, pag. 200, lia. 15. — 43 — Esempi di ostinazione contro la verità, s’incontrano anche presso uomini di grande ingegno; per esempio, Buffon riguardò il platino per una lega d’oro e di piombo , allorché questo metallo , portato in Europa, si dimostrò essere nuovo dai signori Watson, Lewis, e Schoeffer. Si ostinò Buffon, ciò nulla os- stante , in sostenere quella opinione sua ; così confermando , che lo spirito umano abbandona più difficilmente una idea falsa , di quello che una vera. Quindi è giusto dire ad essi con Oratio (1), che la ragion sufficiente di que- sto loro spirito, consiste : « Vel quia nil rectum, nisi quod placuit sibi , ducunt ; Vel quia turpe pulant parere minoribus, et quae Imberbes didicere , senes perdendo f aieri. » ì quali vèrsi, dal Yiviani, nella vita di Galileo, furono riprodotti a questo modo: « Stimano infamia il confessar da vecchi, Per falso quel che giovani apprenderò » (2). Vii. Quando si è severi per gli altri, bisogna esserlo anche più per se stessi ; e perciò vogliamo qui dichiarare, che l’attuale quistione, non la solleviamo pun- to pel piacere di criticare, e che noi siamo guidati solo dall’ amore della ve- rità, seguendo il metodo sperimentale, 1’ unico che conduce al sentiero della medesima: sentiero difficile a seguire, perchè richiede abilità, destrezza, abi- tudine, e circospezione, per evitare gli errori. Se non vi fossero che i sensi per ingannarci, sarebbe già molto ; ma vi sono inoltre le illusioni dell’ intel- letto, i pregiudizi, e le passioni, che possono portare fuori del sentiero della verità, gli spiriti anche più penetranti. Quando uno è nato nell’ errore, se la coscienza vuole che n’ esca, 1’ amor proprio chiede che vi resti ; ed è il più delle volte 1’ amor proprio quello che ascoltano i dotti. E un effetto naturale, e costante dell’ amor proprio, di contrariare ciò che molto tempo si è igno- rato , e sopprimere le altrui verità quando nascono ; ma queste trionfano (1) Epistole , lib. 2.°, versi 83-85. (2) Le opere complete di Galileo. Firenze , 1856, toni. 15. pag. 33L sempre, tanto dei volgari, quanto degli avversari. Allorché si analizza bene la natura dell’uomo, si trova spesso nelle azioni sue, tanto intellettuali, quanto morali, un sentimento di egoismo; pel quale disprezza egli tutto quello che viene dagli altri. Questo sentimento germoglia , e sviluppasi ancor più nelP uomo di scienza ; e ciò si verifica in ragione inversa del numero di quelli, che bat- tono la stessa di lui carriera. Voltaire disse : « Souvent notre amour propre étaint notre bons sens. » Vili. Per giungere a conclusioni positive, tali che non si possano più mettere in dubbio, si deve cedere , da chi ama la verità ed il progresso scientifico , all’ invito di sperimentare. Colui che ricusa questo mezzo , assai semplice , dimostra di aver paura della luce, dichiarandosi al tempo stesso battuto. Nes- suno potrà certo dubitare, che io non abbia messo in opera tutto quanto era in me, per promuovere una discussione su questo argomento; ne sono prova tutte le pubblicazioni , che ho fatte in molti anni sul medesimo , e l’ in- vito continuato agli scienziati competenti , onde vogliano con me veri- ficare le mie sperienze , e comunicarmi sulle medesime i loro lumi. Vero è che questo invito non ha prodotto l’effetto desiderato; giacché niuno de’ miei concittadini volle mai secondarlo. Non mi sono limitato ad astratti ragionamenti, ed a semplici citazioni di autorità, ed a sole parole; ma ho sperimentato, e sui nuovi fatti da me trovati, ho appoggiata la nuova teorica sulla elettrostatica induzione. In conseguenza, quelli che vogliono a questa opporsi, e sostenere la teorica comune, debbono fare lo stesso. Ab- bandonino essi le autorità, e le mere asserzioni , producano nuovi esperi- menti, ed analizzino quei da me pubblicati. Le verità fisiche, sieno pur belle, sieno pur grandi, sono condannate alla sterilità , fino a tanto che non abbiano ricevuto il suggello della sperienza ; la quale sola può loro permettere, di entrare nel dominio della filosofia posi- tiva. Taluni, sebbene opinino contro la nuova teorica, tuttavia rimangono in silenzio; ma certo costoro non servono, come dovrebbero, al progresso della scienza che professano; giacché non danno luogo a veruna discussione, unico mezzo nelle quistioni controverse, per giungere alla verità, ed il silenzio non ammette discussione. Hanno sdegnato taluni , vedere quello che non hanno scoperto essi; ed altri quello che non hanno essi nè scoperto , nè creduto. — 45 — Quindi è che si sono astenuti , dal ripetere gli sperimenti miei , come an- cora dall’arrendersi all’invito da me loro fatto, per mostrarli ad essi. Dirò a costoro con Galileo « perchè ricusare la discusione dei fatti; se voi siete più » forti e meglio fondati su queste materie, quanti vantaggi avete voi sopra di me, se li studieremo insieme ! . . . « (1). I principii teoretici, e fondamentali delle scienze fìsiche, sono sempre sfuggiti all’attenzione, ed alla gratitudine degli uomini. La quistione d’ulilità pratica, la domanda degl’ ignoranti à quoi bon ? si fa continuamente, anche dalle persone istruite, non meno che da coloro, cui sono affidati gl’interessi della nazione. La storia e le sperienze, avrebbero dovuto insegnare a costoro, che quei principii sono la vita, e l’industria; come ancora che gli uomini dai quali sono coltivati con successo , debbono riguardarsi per veri benefattori , non solo del paese loro, ma di tutta la umana famiglia. Termino questa introduzione dichiaran- do, non io pretendere affatto, che le due seguenti parti di questa memoria, comprendano tutto quello, che si riferisce alle diverse opinioni dei fisici sul- l’argomento di cui parliamo; però credo avere portato in esse, non solamente il più, ma di aver dato altresì un suffìcente stimolo agli altri, perchè facciano il resto. PARTE PRIMA DAL 1753 SINO AL 1854. $• i. La induzione elettrostatica, od influenza elettrica, fu per la prima volta osservata da Canton nel 1753 (2). Continuò Franklin queste ricerche; ma Wilke edEpino dettero a cosi fatta scoperta un maggiore sviluppo (3). Canton osservò per la prima volta il fatto, che due globetti di sughero , sospesi a due fili conducenti, divergono quando ai medesimi si presenta un corpo elettrizzato (4). Egli sperimentò pure coi globetti medesimi, sospesi a fili isolanti, e vide che (1) Les fondateurs de V astronomie moderne , par J. Bertrand. Paris, pag. 229, li. 12. (2) Trans, filos., t. 48, p. la, pag. 350 — Giovanni Canton fu direttore di una scuola par- ticolare in Londra, nacque nel 1718, e morì nel 1772 a Londra. Pubblicò più scritti fisici, particolarmente sulla eletricità, e sul magnetismo (Poggendorff, Biog., Voi. 1., pag. 372). (3) Storia delle arti e scienze di Fischer. Gottinga 1804, Yol. 5, pag. 726. (4) Opera citata, pag. 726, lin. 15. questi divergono, in parità di circostanze, meno di quelli appesi ai fili non iso- lanti. Questo medesimo fìsico (1), comunicò ai globetti isolati una carica, ed avvicinando ad essi un corpo elettrizzato , vide che i pendolini divergevano meno o più di prima, secondo che la natura dell’elettrico del corpo avvici- nato era contraria, od omogenea di quella dei pendolini. Da tutto ciò risulta che Canton osservò per la prima volta i fenomeni della induzione, anche cur- vilinea, indicando alcune delle circostanze, da cui dipendono i fenomeni stessi. Queste ricerche furono da Franklin (2) ripetute, ed anche modificate. Ma tanto Canton quanto Franklin, parlano n elle spiegazioni loro, di atmosfere elettri- che, le quali circondano i corpi inducenti. Wilke (3) osservò pel primo, che sottoponendo un corpo all’elettrostatica induzione, si ritrova, dopo sot- tratto alla medesima , nello stato neutrale , purché non vi sia stata di- spersione. Epino (4) sperimentò pel primo col piano di prova, dicendo egli, aver sospeso un piccolo corpo ad un filo diseta, e portando questo corpo in contatto coi diversi punti dell’indotto, vide come lo stesso piano si caricava di elettricità contraria, od omologa della inducente, secondo la diversa posizione del punto di contatto. Inoltre lo stesso fìsico istituì pure delle ricerche, so- pra l’influenza elettrica nei corpi coibenti. Wilke ed Epino (5) si associarono, ed a loro si deve in fondo la dimo- strazione della non esistenza delle così dette atmosfere elettriche; perchè pri- ma di essi credevasi, che la induzione si effettuasse per mezzo dell’aria, la quale (1) ìbidem, pag. 727, lin. 13 salendo. ( 2) Ibidem pag. 731. — Beniamino Franklin, nato nel 1706 a Boston, era prima di- rettore delle poste anglo-americane. Nel 1776 prese gran parte per la guerra d’indipendenza, e firmò nel 1782 il trattalo di pace coll’Inghilterra, morì nel 1790 in Filadelfia. Egli è autore di molli scritti tìsici (Poggeudorff, Biog. Voi. 1. pag. 793). (3) Storia citata, pag. 731. — Giovanni Carlo Wilcke, o Wilke, nacque nel 1732, fece i suoi studi a Wismar: nel 1784 era segretario perpetuo dell’accademia delle scienze aStocol- ma,ove morì nel 1796. Egli è l’autore di un gran numero di scritti sulla fisica, ed anche sul- la storia naturale. Tracciò pel primo una carta della inclinazione magnetica (Poggendorff, Biogr. Voi. 2., pag. 1323). (4) Storia citata, pag. 735 — 11 vero nome di famiglia di questo scienziato è Huch, Huck, o Hoeck ; ma già uno dei suoi antenati mutava questo nome in Aepinus. Francesco, Uleri- co, Teodoro Aepinus nacque nel 1724, e morì nel 1802; insegnò prima nella università di Rostock, dal 1755 — 1757 fu professore in Berlino di astronomia , e dopo professore di fisica in Pietroburgo; morì a Dorpat. Egli è l’autore di molti scritti di fisica, di astro- nomia, e di matematica, quasi tutti latini. (Pogg. Biogr. Voi. 1., pag. 14).. (5) Storia citata, pag. 737. — 47 circonda il corpo inducente: vale a dire si credeva, che la carica elettrica di un corpo , trovavasi al di fuori di esso, circondandolo come un’ atmosfera , sino ad una sensibile distanza. Questi fìsici dimostrarono eziandio, che il fe- nomeno del quadro frankliniano, è identico a quello della induzione; perchè giunsero essi, dopo lunghe spevienze, a rimpiazzare con uno strato di aria, la lastra di vetro, che separa le due armature metalliche. E siccome la spe- ranza, in questo caso, riusciva egualmente; così non si poteva ritenere, che l’effetto dipendesse da una proprietà moleculare del vetro , come credeva Franklin (1). §• 2- 11 primo ad asserire chiaramente, che f elettrico indotto non tende , fu Lichtenberg (2). Questo fisico pubblicò più edizioni dell’opera di Erxleben, in- titolata: Elementi di Fisica, e nella edizione sesta del 17 94 (Gottinga), tro- viamo a pag. 520, un interessante brano, che secondo il Kiess (3) , già era inserito in una edizione anteriore di quest’opera, pubblicata nel 1784, pure a Gottinga. Ragionando in questo brano, sopra la teorica della elettricità, è ram- mentando nel medesimo tempo la teorica del calorico (pag. 519, lin. 13 salendo) domanda egli: « sarà giusto considerare anche una elettricità speci- fica, un’assoluta, una sensibile, ed una latente ? » Dopo ciò ragiona come se- gue « si elettrizzi, egli dice, un disco metallico, in modo, che un elettrosco- pio applicato al medesimo, segni una divergenza di 00 gradi, e si sospenda il medesimo con fili di seta, in gran distanza, sopra un tavolino conducente orizzontale. Avvicinando il disco al tavolino, la divergenza dell’ elettroscopio diminuisce, ed allontanandolo dal medesimo, l’elettroscopio mostra di nuovo 60.° Posto che questi 60.° sieno la carica massima, che può contenere il di- sco senza disperdere, allora il med esimo avvicinato al tavolino, finché mostri soltanto 40.° , potrà nuovamente ricevere elettricità dalla macchina; la quale aumenterà la divergenza dell’elettroscopio fino a 60.° Dunque se tutta la elet- (1) Ibidem, pag. 739, lin. 6, salendo. (2) Lichtenberg fu professore di fisica a Gottinga, nacque nel 1744, e morì nel 1799; egli è l’autore di parecchi scritti sopra la fisica, la matematica, e l’astronomia (Vedi Pogg. Biogr. Voi. 1., pag. 1452). (3) Poggendorff, Annalen der Physik, Voi. 73, an. 1848, pag. 370, li. ultima. tricità, che contiene ora il piatto, divenisse improvvisamente sensibile, questo dovrebbe avere una elettricità di 80.°, ed i 20.° si disperderebbero. Adunque 20° di elettricità, erano vincolati nel piatto, senza essere perduti. Da ciò si rileva che l’atmosfera, la quale circonda il disco, respinge la omologa, ed at- tira l’altra. Quella parte dell’atmosfera elettrica del piatto, la quale produce que- sto effetto, perde la sua sensibilità, ed è per l’elettroscopio morta (latente); come ancora è morta per la macchina, la quale deve mandare nuova elettricità sul disco. 11 medesimo autore, spiega la manovra dell’elettroforo, a questo modo (1). « Mettendo, egli dice, lo scudo sopra la resina che possiede - E, allora una parte 4- E dello scudo medesimo viene attratta, ed il suo ■ — E viene re- spinto. Toccando lo scudo, il suo — E libero , si compone col 4- E del dito, e da questo 4- E — risulta 0, cosicché tutto riposa. Però quando si alza lo scudo, allora viene libera la 4- E dello scudo, che restò fino ad ora vinco - lata dalla — E dalla resina, colla quale non può combinarsi, non ostante che vi si trovi a contatto. Dunque pei1 2 la edizione citata dal Riess, anche pri- ma del 1784, fu riconosciuto da Lichtenberg, che la indotta non tende ». §. 3. Il brano di de Lue, dal quale sembra potersi concludere, che, secondo questo autore, la indotta non possiede tensione alcuna, è il seguente (2). « Impiego, egli dice, due dischi . . . l’uno dei quali, che nomino A , sarà » elettrizzato, e l’altro B sarà in comunicazione con dei globetti, sui quali si por- » terà l’influenza del disco A , ed anche nel medesimo tempo sul disco B. » Nella prima sperienza che vado a descrivere, suppongo eziandio, che il di- » sco B sia elettrizzato, ma in un senso che ignoro. Vedo che il medesimo » è elettrizzato, perchè il pajo di globetti che ho descritti, posti a comuni- » nicare con esso, in una delle sue facce, sono divergenti. Il mezzo per co- » noscere quale sia l’elettrico che fa divergere i globetti , consiste nell’elet- » trizzare il disco A in un senso conosciuto , e nell’osservare il movimento (1) Vedi opera citata di Lichtenberg, pag. 523. (2) ldées sur la météorologie par J. A. De Lue. Tome I. seconde partie, page 334, §.360 e 361. Paris 1787 —Giovanni Andrea de Lue (non deve confondersi con uno dei suoi nepoti dello stesso nome, il quale era geologo) nacque nel 1727 a Ginevra. Nel 1798 fu nominato professore di fisica e geologia nella università di Gottinga , e morì nel 1817 a Windsor. Scrisse molte opere di fisica, e di geologia (Pogg. Biogr. Voi. I, pag. 545.) » che faranno essi all’avvicinarsi di quello. Ma il lato pel quale il disco A w si avvicini al B non è indifferente; giacché per questo avvicinamento, i glo- » betti si potranno muovere in sensi opposti. La regola però è questa : se w il disco A, presentato a quella delle due facce del disco B, sulla quale si » trovano i globetti, fa diminuire la divergenza di questi, ovvero se la fa » crescere presentandolo alla opposta faccia , il disco B avrà la medesima » specie di elettricità che il disco A : se questi movimenti sono inversi, le » elettrizzazioni dei due dischi saranno contrarie fra loro. » Il riferito esperimento , al quale i principianti debbono porre grande » attenzione, mostra già la causa immediata dei movimenti elettrici. Da qua- » Iunque lato del disco B si presenti ad esso il disco A ( ad una medesima » distanza), il cangiamento della forza espansiva del suo fluido elettrico sarà » lo stesso, ed uniforme in ogni sua parte, comprese le palline o globetti : )) ma non sarà cosi riguardo al suo grado di densità; perchè il rapporto di 5) questo grado fra il disco e le sue palline, cangerà in senso contrario nelle » due posizioni del disco A , e da ciò risultano i movimenti contrari delle » palline. Suppongo che i due dischi siano elettrizzati positivamente. 11 disco )> A approssimato al disco B per l’una o l’altra delle facce , produrrà un au- lì mento uniforme della forza espansiva del fluido elettrico in tutte le sue » parti, comprese le palline; ciò hanno mostrato le sperienze precedenti. Ma » non sarà lo slesso della densità di questo fluido : la quale diminuisce sempre i) nelle parli vicine di un corpo positivo , ed aumenta nelle parti che sono » da esso lontane; ciò che fu dimostrato dalle sperienze precedenti. Presen- » tando dunque il disco A alla faccia del disco B, ove si trovano le palline, » queste, poiché più prossime al primo, ricevono per ciò più del fluido deferente » ( il che in questo caso corrisponde alla elettricità , che oggi si dice indotta , ovvero, secondo il Biess, indotta di seconda specie ) « ed il fluido loro elet- » trico perde nella sua densità, quindi la divergenza diminuisce. Ma quando » si presenta il disco A alla faccia opposta del disco B , le palline si tro- » vano allora in quella parte, che riceve meno fluido deferente : aumenta dun- » que la densità del fluido loro elettrico, per quello che ad esse viene dal di- sco, ed aumenta eziandio la divergenza di esse. Non si può negare , che alcuni tratti di questo ragionamento di De Lue , mancano della necessaria chiarezza , ed imbarazzano alquanto ; e così dicasi del suo concetto, che s’incontra sovente nella citata opera di questo au- ture, di paragonare cioè l’elettricità col vapore acquoso. Però certo è, che il 7 50 riferito periodo «Ma non sarà lo stesso. . . , ecc. (1), non può intendersi fuorché col dire, che la indotta non tende; perchè nel medesimo si ammette, non mancare del tutto 1’ elettrico positivo nelle parti dell’ indotto le più vicine all’inducente; coesistono adunque il -4— 0 col — °, senza fra loro neutraliz- zarsi. Ciò si rileva pure da un altro brano dell’ autore medesimo, ed an- cora con più evidenza ; dicendo egli (2) « Vado qui a riprendere la » spiegazione, che ho cominciata nella sezione precedente , di questa par- » te rimarcabile dei fenomeni della influenza elettrica ; cioè che i cangia- » menti di densità del fluido elettrico , i quali sono 'gli effetti di queste in- » fluenze, non si manifestano per mezzo di cangiamenti proporzionali alla » forza espansiva , eccetto quando le influenze, dalle quali furono prodotti, » hanno cessato ». A bene intendere questo autore, dobbiamo ricordare, che per esso la densità dell’elettrico, coincide colla accumulazione nostra; e che la forza espan- siva corrisponde alla tensione , come si rileva evidentemente dalla pag. 325, §. 353 dell’opera citata. Ci porterebbe poi molto in lungo, se volessimo qui riferire tutti gli sperimenti, e le idee tutte dell’autore medesimo, sulla influenza elettrica, le quali si trovano esposte nelle pagini 291-328 dell'opera stessa, ma- nifestando sempre il concetto, che la indotta non è libera, non potendo essa esercitare la sua forza espansiva, ossia la sua tensione. §• 4. Anche Volta, come chiaro apparisce da quanto segue, ammetteva il non tendere della indotta; imperocché, parlando egli del condensatore, così si espri- me (3): « S’egli è vero, come abbiamo supposto, che questa (cioè l’indotta) nella » parte più vicina a detto disco elettrico, per l’azione della di lui atmosfera, si » compone ad un elettricità contraria, vale a dire che il fuoco ivi si dirada, qualor (1) Vedi sopra, pag. 49, lin. 20. (2) Opera cit. , pag. 319, §. 349. (3) Collezioni delle opere del cavaliere Conte Alessandro Volta* Tomo 1°, Parte Ia. Firenze 1816, pag. 258, li. 4. Alessandro Volta nacque nei 1745 a Como, fu dal 1774 al 1779 professore in questa cit- tà, e dal 1779 in poi lo fu in Pavia. Nel 1801 andò a Parigi, ove fu da Napoleone nominato Conte e Senatore del regno d’Italia. Nel 1815 fu direttore della facoltà filosofica in Pa- dova, e morì nel 1827 a Como, [ diversi suoi scritti sono raccolti nella « Collezione delle opere del cavaliere Conte Alessandro Volta, edizione di V. Antinori, Firenze 1816. — ai » l’incombente elettricità sia in più , o vi si condensa qualor sia in meno ; » dovrà dunque nascere l’istesso equilibrio accidentale, l’istesso compenso, e » alleviamento alla tensione elettrica del disco (inducente), lo stesso abbatti- » mento dell’elettrometro, come appunto si osserva: quindi l’accresciuta capa- » cità di esso disco, quindi la maggior dose di elettricità che potrà ricevere ». In un altro brano dello stesso autore (1), troviamo quanto segue: « La ten- » sione, ossia azione elettrica del disco, la quale come abbiamo veduto va dimi- » nuendosi, a misura che egli si affaccia più davvicino ad un piano deferente non » isolato, è portata a un tale decadimento quando si arriva quasi al contatto, » il compenso od equilibro accidentale essendo allora quasi perfetto, che dove » l’elettrometro era teso a 60, SO, 100 gradi, si vedrà ora disceso a un » grado solo, ed anche meno. Quindi se il piano o disco inferiore, opponga » solo una piccola resistenza al trapasso della elettricità, o per la interpo- » sizione d’ un sottile strato coibente, o per la natura sua propria d’im- » perfetto conduttore, qual è il marmo asciutto, il legno secco, ecc., tale » piccola resistenza, congiunta a quella della distanza comunque piccolissima, » non potrà essere superata da tale debolissima tensione del disco elettrico; » il quale perciò non ^scaglierà scintilla al piano (salvo che fosse dagli orli » non ben rifondati, e nel caso che possieda una gran copia di elettricità) » anzi conserverà tutta, o quasi tutta la sua elettricità, di modo che rialzan- » dolo, il suo elettrometro ascenderà quasi al grado di prima. Più: potrà il » disco senza gran detrimento della sua elettricità, giungere fino al contatto » del piano imperfetto conduttore, e restarvi qualche tempo applicato : nel » quale contatto la tensione elettrica trovandosi presso che ridotta a nulla , » non ha forza il passare dal disco al piano che combacia, se non lentissi- » inamente » , ecc. In un terzo brano, considerando il Volta la dissimulazione parziale dell'elet- trico inducente, cui corrisponde l’aumento di capacità , così egli si esprime (2): » Sarebbe ora superfluo il fare ulteriori combinazioni di questa sorta; ed io vo- » lentieri lascio a voi, signore, moltiplicarle, e variarle a grado vostro, colla soddi- » sfazione di veder sempre i risultali rispondere all’aspettazione, cioè a quanto » dalla considerazione delle respettive capacità eguali o disuguali, e della ten- » sione sempre eguale a cui sorger deve l’elettricità nel comunicarsi dal cari- li) Ibidem, pag. 260, li. li. (2) Ibidem, p. 200, & 6 salendo. » duttore alla boccia, o da questa a quello, potete anticipatamente dedurre e » pronosticare. » Da tutto ciò, come anche da molti altri brani delle opere del gran fisico di Como(l), si vede che il medesimo, nel suo concetto relativo alla influenza elettrica, riteneva che questa si esercitava mediante la dissimu- lazione parziale nella inducente , e totale della eteronoma indotta , lo che si verifica sempre. §• 3. Sembra che la questione , se la indotta possa tendere o nò , fu per la prima volta discussa fra Lord Mahon (2), e Volta, circa il 1787, come si rileva dal DeLuc, il quale dice (3): «Mentre Volta si occupava di queste influenze reciproche » dei conduttori diversamente elettrizzati, e che ne applicava le conseguenze ai » fenomeni, già da me descritti, Milord Mahon studiava i cangiamenti, che un » conduttore elettrizzato, produce nelle diverse parti di un medesimo condut- » tore isolato, il quale si trova sotto la sua influenza; ed egli aveva trovato : » che se presentasi al primo conduttore di una macchina elettrica un con- » duttore lungo , isolato, e posto sulla medesima linea con esso , durante il » tentpo della sua influenza, la estremità del secondo conduttore, la più vi- » cina è negativa; che la estremità opposta è positiva; e che avvi un certo » punto intermedio, nel quale lo stato di questo conduttore non ha punto » cangiato ». « Quando Volta venne in questi paesi, dice De Lue, conosceva egli già » l’opera di Mylord Mahon ; ma non ammetteva l’interpetrazioni , che dava » l’autore ai fenomeni, dai quali aveva egli dedotta la proposizione sopra » menzionata. Volta concluse al contrario di Mylord Mahon, cioè: che durante » l’inflenza del primo conduttore , l’effetto prodotto sul secondo , era della » medesima intensità in tutta la sua estensione; vale a dire che questo con- » duttore, aveva per tutto un medesimo stato elettrico ». Il De Lue (§. 328, pag. 296) continua, col dare un significato, a suo modo, delle due proposizioni sopra citate, dicendo (4) « Ecco dunque in che (1) Ibidem. Del condensatore, p. 222 . . . 277. (2) Lord Carlo Mahon assunse, dopo la morte del suo padre, cioè nel 1786, il titolo di Lord Stanhope; era Conte, Pari, e membro della camera dei deputati d’Inghilterra. Nac- que nel 1753 a Ginevra, fin dal 1772 era membro della Royal Society , e morì nel 1816 a Kent. Scrisse più memorie di fisica, e di pubblica economia (Pogg. Biogr. Voi. 2°, pag. 985). (3) Idées sur la météorologie. Tom. l.°, Première partie, pag. 292, §. 324, e 325. (4) Ibidem, §. 328. » consiste, la proposizione di Lord Mahon. Essendo un conduttore cilindrico » isolato, posto nella medesima linea col primo conduttore di una macchina » elettrica, in modo che subisca la sua influenza , però fuori della distanza » fulminante ; la densità del fluido elettrico, proprio del secondo conduttore, » diminuisce al suo estremo più vicino al primo conduttore, ed aumenta in « contrario alla estremità opposta; vi sarà un punto intermedio, nel quale la » densità del fluido elettrico, non subisce alcun cangiamento. La proposizione » differente di Volta corrisponde a questa, cioè: Quando un secondo conduttore » si trova nella posizione ora descritta , il cangiamento che prova la forza » espansiva del suo fluido elettrico, è eguale in tutta la sua estensione ». Inoltre , Ohm trattando la medesima questione della elettricità indotta , così si esprime (1). « Al fisico che studia la storia delle questione in pro- » posito, interessa vedere come nei nostri giorni si manifesta quasi la mede- » sima divergenza di opinioni, che un tempo esisteva fra Lord Mahon e Volta, » la quale volle De Lue sperimentalmente conciliare col suo sistema : però » i ragionamenti, e le sperienze, fatte da De Lue a questo fine, lasciano mol- » tissimo a desiderare ». $• 6- Fra i fìsici di rinomanza, i quali hanno professata la dottrina che la elettri- cità indotta non tende, prima che lo fosse dal Melloni nel 24 di luglio 1854, dobbiamo annoverare anche l’ illustre E. G. Fischer (2). Ciò apparisce leggendo (1) Ved. Neues Jahrbuch di Schweigger-Seidel, T. 5.°, pag. 134, an. 1832. (2) Nacque E. G. Fischer nel 1754 in Hoheneiche, e morì nel 1831 a Berlino, dopo essere stato professore a Halle, ed a Berlino, membro dell’accademia delle scienze di que- sta capitale, professore di matematica e di fisica in un collegio di Berlino, professore di fi- sica nell’ istituto delle mine di Prussia, e di matematica nella scuola di commercio, ecc. Diede in luce, oltre alla fisica meccanica nel 1805, anche le altre seguenti opere : — l.° Consi- derazioni sulle comete, in occasione dell’ aspettato ritorno di una cometa del 1789, Berlino 1789, in 8.° — 2.° Teorica di un genere nuovo di segni, chiamati segni di dimensioni, che rappresentano i coefficienti di una serie , oltre le potenze loro , con applicazione dei me- desimi a molte materie di analisi, Halle, 1792, due voi. in 4.° (secondo il traduttore Biol). Quest’ opera contiene un metodo generale, tanto per trovare la radice di ciascuna equazione, quanto per assegnare ciascuna potenza di una serie infinita : da ultimo contiene anche un me- todo generale pel regresso delle serie, con ulteriori applicazioni a problemi di analisi. — 3.° Teorica del segno di divisione, 2 voi. in 4.°, Halle 1794 (secondo il dizionario di Pog- la teorica medesima nella fisica meccanica di questo autore , pubblicata nel 1797 a Jena, la quale fu tradotta dal tedesco in francese da Biot nel 1806, con varie note. La traduzione stessa fu riprodotta dal medesimo per la quarta volta nel 1830, con aggiunte alle note precedenti, e con un’appendice sugli anelli colorati, la doppia refrazione, la polarizzazione della luce, ed il magne- tismo, tanto in riposo, quanto in movimento. Crediamo utile mettere sotto gli occhi dei nostri lettori, la indicata dottrina del Fischer, cui Biot non con- traddisse punto nel tradurla ; e vedremo come quel dottissimo fisico della Ger- mania, insegnava che la indotta non tende, cinquantasette anni almeno prima, che la stessa verità fosse comunicata da Melloni all’accademia delle scienze, tanto di Napoli, quanto dell’ istituto di Francia. Nel riportare qui appresso la dottrina medesima, continueremo a far uso del carattere corsivo, per quelle frasi, o pa- role, dalle quali si deduce chiaramente, che la indotta non tende ; così potremo alla brevità servire meglio. Per tanto dice il Fisker (1): « Se il conduttore « della macchina elettrica sia caricato di elettricità vitrea, il conduttore iso- « lato che gli si avvicina, porta seco le due elettricità combinate. La elettricità « sua resinosa è attirata dalla elettricità vitrea del conduttore (della macchi- « na), però essa non è affatto perciò portata via , ma dissimulata ; cosicché <( l’effetto della medesima sulla elettricità vitrea del conduttore (isolato e indotto) » viene diminuito. Questa ultima elettricità (la vitrea naturale dell’ indotta )> isolato) è dunque libera fino» ad un certo grado , e tanto più lo diviene , » quanto più il corpo (isolato) avvicinasi al conduttore (della macchina). . . )) Ma se il corpa conduttore (isolato) si tocca, mentre sta vicino alla macchina, gli » si toglie solamente la sua elettricità vitrea, la quale allora non è che im- » perfettamente combinata, e la sua elettricità resinosa resta, perchè la me* » desima è ritenuta, ed è dissimulata dalla elettricità vitrea del conduttore (della » macchina); per modo che non può partire. Se in seguito si allontana il corpo gendorff). — 4.° Trattato di aritmetica elementare, 2 voi. in 8.° Berlino 1797, e 1799. — 6.° L’ allievo in aritmetica, opera per la prima istruzione dei giovani, della quale comparvero in Berlino due edizioni, una nel 1788, l’altra nel 1806. — 6.° De disciplinanm physicarum notionibus , finibus legitimis, et nexu systematico, Dissertano , Berolini 1797, in 8° — 11 me- desimo autore ha pubblicato ancora delle idee sulla istruzione delle scuole scientifiche ; delle importanti traduzioni, e molte memorie di matematica, di fisica, di chimica e di filosofia, che si trovano registrate nel dizionario biografico di Poggendorff. (1) Physique raécanique par E, G. Fischer traduite par Biot, quatrième édition,. Paris- 1830, pag. 238—242. d conduttore isolato , ciò che gli resta della elettricità sua vitrea naturale » » non basta più per saturare la sua resinosa elettricità ; per conseguenza » questa diviene di più in più libera , producendo a questo modo il solito » effetto .... « Se una delle due elettricità, la vitrea p. es., resti accumulata sopra » un corpo qualunque, attirerà T elettrico resinoso, contenuto nella combina- » zione delle due elettricità dell’aria circostante; nel medesimo tempo re- » spingerà l’elettrico vitreo : così, per questa influenza doppia, si diminuirà » 1’ azione mutua, che prima rendeva senza effetto 1’ elettricità vitrea combi- » nata colla resinosa. Perciò la elettricità vitrea, dello strato d’aria il più » vicino, diviene quasi del tulio Ubera , e produce un effetto simile , ma più » debole sulla combinazione delle due elettricità degli strati d’aria circostanti; » e questa influenza si propaga per tal guisa da strato in istrato, ad una di- » stanza più o meno grande, secondo che la forza della elettricità vitrea, la » quale ha cominciato tutto l’effetto, sia più o meno grande (i). Dietro tale (1) Il modo qui espresso, col quale Fischer immaginò la sfera di azione induttiva fin dal 1797 , corrisponde in parte all’ altro, posteriormente immaginato dall’ illustre Faraday, col quale questo gran fisico, escluder volle 1’ azione dell’ elettrico a distanza; però il primo differisce dal secondo circa la indotta , giacche per Fischer questa non avrebbe tensione alcuna in tutta la sfera d’induzione, mentre per Faraday non è apertamente bene dichiarato che non l’abbia, In vece apparisce implicitamente ritenuto, sia da questo autore, sia da quelli che ripeterono la sua dottrina, essere la indotta sempre fornita di tensione. A noi pare che, adottando la ipotesi di Faraday, si debba la indotta riguardare priva di tensione, af- finchè dalla ipotesi medesima si possa in qualche modo, giungere a spiegare il fenomeno della elettrica influenza. Vedremo che la ipotesi medesima, non raggiunge la conseguenza, per la quale fu immaginata, di escludere cioè 1’ azione a distan/.a; e che incontra tali dif- ficoltà, da non potersi adottare. Onde meglio riconoscere la verità di questi nostri pareri, crediamo utile dare qui una esposizione breve della indicata ipotesi, già preveduta in parte, solo per 1' aria, da Fischer. Come l’azione delle misteriose forze della natura si propaghi a distanza, è ricerca di grande interesse, o si riguardi la forza di gravitazione , che alla distanza di più milioni di leghe governa il planetario sistema, o si riguardi la forza di elettricità, che a distanze as- sai minori produce la induzione. Questo fatto è il principio generale di tutte le azioni elettriche, la sorgente immediata di tutte le forze elettriche, l’azione preliminare da cui di- pendono 1’ attrazione e la repulsione fra due corpi, la essenziale funzione di ogni sviluppo elettrico, il fenomeno generale della elettrostatica. Imperocché uno stato elettrico, fuori del neutrale, non può esistere in un corpo, senza essere accompagnato da un altro stato di elettricità opposta, nei corpi che lo circondano, conduttori, o coibenti prodotto dalla induzione. Per tanto è chiaro che non si può progredire nello studio della elettricità, senza farsi una idea teorica, e pratica, intorno alla natura della forza elettrica inducente. » spiegazione, non si trova in tutta la sfera di attività, nè 1’ uno, nè 1’ altro » elettrico in istato naturale, ma uno dei due (quello indotto) è allo stato di » legame ; e questo legame sarà tanto più forte, quanto più (l’ indotto) sarà » vicino al corpo elettrizzato realmente (vale a dire all’ induttore) ». Secondo Faraday la causa della elettrica influenza, consiste in un’azione fisica, che si propaga fra le molecole di forza contigue, cioè che non sono fra loro in contatto. Per que- st’azione le opposte elettricità, sono separate in ciascuna delle molecule del dielettrico, posto fra l’ indotto e 1’ inducente; in guisa che le medesime si dispongono in serie, presentando i poli di elettricità omonoma , rivolti ognuno dalla stessa parte. Ciò costituisce il fenomeno chiamato polarizzazione molecolare elettrostatica , mediante la quale può 1’ azione induttiva Fig. 1. esercitarsi a distanze finite. Se P (fig. 1) rappresenta un corpo inducente positivo, ed N un idotto, la polarizzazione delle molecole interposte, verrà indicata delle sfere a, 6, c, d,...., ognuna delle quali, colla parte bianca indicherà l’ elettrico eteronomo,, e colla oscura l’omonomo. deir inducente P. Affinchè le molecole pos- sano conservare Io stato di polarizzazione, dovranno essere isolate; ma se co- munichino fra loro, si scaricheranno l’una coll’altra, e si produrrà in tutta la se- rie, interposta fra Pel’ indotto N, una neutralizzazione delle elettricità contrarie. Quelle molecole, che nello stato naturale non sono affatto polarizzate, lo di- ^ © q vengono sotto la influenza delle contigue ed elettrizzate. Allora esse acquistano uno stalo di tensione più o meno grande, che le sollecita verso la posizione loro normale. Poiché le molecole sono più o meno conduttrici , esse perciò possono comunicarsi le forze loro elettriche più o meno facilmente : quindi si caricano di o in massa, o per polarizzazione. Se la indicata comunicazione non sia facile, do- vrà la polarizzazione pronunciarsi maggiormente, da cui nasce 1’ isolamento : se poi sia fa- cile, allora nascerà la conduzione. Dunque tanto i conduttori, quanto i coibenti, sono corpi, di cui le molecole più o meno posseggono la facoltà di comunicarsi le forze di elettricità da cui sono animati; e la influenza elettrica consiste nell’azione di un corpo elettrizzalo (l’in- fluente), sopra un corpo isolato (influito dielettrico), di cui le molecole si trasmettono le forze medesime assai debolmente. Nei corpi metallici, e negli altri buoni conduttori, la polarizzazione delle molecole inter- medie, non sussiste che per un istante : poiché le molecole si comunicano fra loro le forze op- poste; lo che distrugge lo stato di polarità, e costituisce una scarica da molecola in mole- cola, che dà origine alla conduzione. Da ciò deriva che i metalli, e gli altri conduttori, pre- sentano soltanto la polarizzazione in complessa, e indipendente affatto dalla loro massa, senza esigere che questa possegga una ertezza sensibile. In fatti una foglia d’ oro la più sottile , diviene per induzione, da una faccia positiva, e dall’ altra negativa, senza che le due forze elettriche possano confondersi menomamente fra loro. Dopo ciò chiaro apparisce, che la elet- tricità deve trovarsi necessariamente alla superficie dei corpi conduttori ; poiché da questa superficie comincia l’azione del dielettrico ambiente e resistente, capace di ricevere la in- duzione, da cui dipende la carica dell’ indotto. L’ effetto immediato che un corpo carico di elettricità produce, consiste nel forzare le molecole che lo toccano, a ricevere una nuova distribuzione di forze elettriche, le quali per- d Q |® e' elettricità » Quando un conduttore isolato è posto nella sfera di attività, l’elettrico » resinoso del suo stato naturale, si trova combinato (a distanza) per un certo » grado coli’ elettrico vitreo della sfera di attività, e consequentemente l’elet- » trieo suo vitreo diviene sensibile per un corrispondente grado. ciò si dispongono in una certa nuova posizione, riguardo al corpo elettrizzato. Le molecole stesse, modilicate cosi elettricamente, debbono agire sulle contigue ; queste similmente agi- scono sulle altre, sino a che le forze di tutto il sistema, sieno disposte simmetricamente; cioè sieno polarizzate, formando una serie di punii positivi e negativi , da cui si propaga mediata- mente la forza iniziale, ad una distanza finita. Il primo effetto adunque di un corpo elettrizzato, sopra un mezzo isolante, si riceve imme- diatamente da quelle molecole del mezzo stesso, che sono al corpo medesimo contigue. Queste agiscono in modo simile sulle seguenti più prossime, sino a che l’azione raggiunge qualche corpo lontano; e forse non avvi distanza bastantemente grande, a difendere i corpi da questa propagazione di forza. Tuttavia per la medesima intensità, la polarizzazione si produce più facile in una piccola, che in una estensione grande ; poiché nel primo caso meno molecole trovatisi nella linea di azione, quindi minore deve riescire la resistenza, contro lo stato di polarizzazione, che fa d’uopo riguardare come un equilibrio, cui le molecole sono costrette dalla elettrica forza inducente. Nei corpi conduttori, due sezioni di molecole polarizzate, non possono restare conti- gue, senza neutralizzare immediatamente le loro elettricità di nome contrario. Da questa facir lità delle molecole metalliche contigue, di scaricarsi le une sulle altre, nasce, che lo stato di polarizzazione delle intermedie sezioni di un conduttore, sottoposto alla induzione, sparisce mentre si produce; ma le molecole delle sezioni estreme conservano uno dei loro poli, co- sicché le elettricità contrarie si manifestano solamente alla esterna superficie dei conduttori. A questo modo viene stabilito lo stato definitivo elettrico di un corpo metallico isolato , e sottoposto alla induzione. Quando un corpo isolante, qualunque sia lo stalo suo fisico, è in presenza di un corpo elettrizzalo, le sue molecole si polarizzano, come quelle di un conduttore; ma il passaggio della elettricità da una molecola qualunque ad un’altra contigua, si opera molto difficilmente. Fintanto che la tensione non supera certi limili, che variano col potere isolante della so- stanza dielettrica, queste molecole polarizzate non si scaricano I’ una sull’altra. Da ciò ri- sulta, che, persistendo la influenza del corpo elettrizzato, lo stato polare delle molecole, per- siste ancor esso in tutta la estensione del dielettrico. Il grado di tensione polare, che possono ricevere le molecole di un qualunque corpo, e conservare, quando sia sottoposto alla induzione, dipende dalla resistenza che incontra la elettricità, per passare da una molecola alla contigua, ovvero dipende dal suo potere isolan te . Questo essendo molto debole nei buoni conduttori, come sono i metalli, permette un facile pas- saggio alla elettricità sulla superficie dei medesimi, ove le diverse tensioni si fanno equilibrio. 11 potere indicato essendo massimo nei coibenti, come nello zolfo, e nella gomma lacca, questi c*rpi resistono mollo al passaggio dell' elettrico per essi, dal che nasce lo stato di polari’z- zaz!one molecolare nei coibenti, e la sua persistenza. 8 » Quando al contrario un conduttore non isolato, è posto in questa me- » desima sfera di attività, sebbene abbia luogo Io stesso, però 1’ effetto è di- » verso ; perchè la elettricità vitrea fugge pel conduttore che le viene offerto, » ed a questo (non isolato) resta soltanto la elettricità resinosa, ma in uno « stato di combinazione (a distanza) .... » Se tolgasi per contatto la elettricità dalla superfìcie inferiore (di un » quadro magico) prima di allontanare la elettricità dalla superfìcie superiore, )) e se quindi si avvicini a quest’ ultima superfìcie una punta, quella inferiore Dicasi A un conduttore (fig. 2.), caricato positivamente, sia B un conduttore neutro, Fig. 2. posto a distanza dal primo, ed a b c d e sieno le mo- lecole del dielettrico interposto. Si avrà una serie di forze alternativamente positive e negative , disposte in simmetria fra i corpi A, B, cominciando dalla fac- cia positiva dell’ inducente A, e terminando colla negativa dell’ indotto B, sulla quale, a ca- gione della serie, si vede comparire una forza simile a quella esercitata dalla faccia di A, ma opposta di natura e direzione, cioè negativa. E siccome F isolamento delle molecole di forza, non può esistere nel conduttore B , perciò lo stato di polarizzazione si ottiene sol- tanto in tutto lo spazio che occupa il dielettrico ; quindi mentre questo è polarizzato mole- cola per molecola, il conduttore che da una parte lo limita, cioè l’indotto, lo è nell’insieme suo, vale a dire complessivamente, non già molecolarmente. L’isolamento risulta dalla persistenza dello stato di polarità, cioè di tensione; quando la tensione supera il potere isolante, la scarma brusca fa terminare il fenomeno. Secondo Farada}r lo stalo delle molecole dei dielettrici, necessario alla induzione, ed all’ isolamento, è ugualmente necessario pér produrre la scarica brusca, mediante la quale viene distratta la polarizzazione del dielettrico. La teorica del nominato fisico non ammette, che tutte le molecole posseggono la medesima tensione; la scarica non si produce quando tutte le mo- lecole hanno acquistato una certa tensione, ma quando quella di una certa molecola, da cui dipende F equilibro, ha superato un certo grado, e può allora cedere. In questo caso tutte le altre molecole debbono cedere ancora esse, perchè concorrendo tutte nel produrre la indu- zione, F isolamento viene cagionato dalla somma delle singole resistenze. La distanza della scarica complessiva, corrisponde alla distanza della scarica moleco- lare, che determina una rottura di equilibrio, nello stato di polarizzazione di tutta la serie delle molecole del mezzo dielettrico, che separa i due corpi, fra i quali succede la scarica complessiva. L’ effetto delle scariche molecolari si concentra, per propagare e continuare la scarica, del punto in cui principia a cessare l’isolamento. Le molecole dalle quali parte la sca- rica, sono in generale quelle vicine ad uno dei conduttori estremi. La tensione delle molecole del dielettrico nelle vicinanze dei conduttori , essendo più grande di quella che appartiene alle molecole, poste nel mezzo della serie, si comprende facilmente, che da quelle molecole deve cominciare la scarica brusca. Quando i conduttori sono terminati da punte, o da pic- cole superficie, la tensione si aumenta eccessivamente sulle molecole del dielettrico in con- tatto colle punte, o superficiette stesse ; perchè tutte le linee di forza induttrice, possono con- » indica una elettricità crescente , ma opposta Se la superfìcie » superiore si carichi di elettricità vitrea, neutralizzerà l’elettricità resinosa » naturale della superficie inferiore , ed allora la elettricità vitrea di questa » diverrà libera. Se tolgasi la elettricità vitrea della superficie superiore , la » elettricità resinosa della superfìcie inferiore si combinerà nuovamente colla siderarsi come concentrate sopra un conduttore terminato in punta. In fatti, essendo A il globo che termina !’ estremo di un conduttore isolato (fig. 3), sia P la punta che termina un al- tro conduttore B, carico di elettricità; le linee di forza induttrice si con- centrano sulla punta P, la quale di- viene allora 1’ origine di una forza, che agisce sempre, per la quale, sca- ricandosi continuamente I’ elettrico accumulalo, questo non può domi- nare sulla parte del conduttore, situato dietro alla punta. Si producono allora delle correnti d’ aria, per effetto della elettrizzazione ricevuta dalle medesime, che in questi movimenti , sono favorite dalla forma, o dalla posizione di quella parte del conduttore, collocata dietro la punta. Le molecole del dielettrico interposto fra i due conduttori, dopo successa la sca- rica complessiva, ritornano alla posizione loro iniziale, seguendo un andamento, contrario del lutto a quello già seguito da esse, nell’ abbandonare la posizione primitiva. Si deve concludere, che secondo la ipotesi di Faraday, s’ influisce direttamente dall’ in- ducente, soltanto sulle molecole di quella superficie dell’indotto, la più vicina all’ indu- cente, e non adatto su quelle contigue ad esse, le quali sono influenzale da queste, non già dall’ inducente; quindi agiscono influenzando le contigue seguenti, e così la induzione si va propagando sino alle ultime. Perciò la induzione della sorgente, cioè quella che parte dal- l’ induttore, non opera sulle molecole interne, ognuna delle quali agisce sulla sua contigua, ma non sulle altre. Dunque non può dirsi, che in questa ipotesi, la induzione iniziale, traversa immediatamente la massa dell’ indotto ; e sebbene tale conclusione venga confermata dalla sperienza pei corpi conduttori, non per ciò viene confermala la ipotesi di cui parliamo, con- tro la quale vi sono molte valevoli obiezioni. Esponemmo qui brevemente il concetto dell’ illustre Faraday (1) sulla influenza elettrica, seguendo gli autori che lo hanno più o meno sviluppato, fra i quali dobbiamo nominare prin- cipalmente i signori W. Snow Harris (2), De la Rive (3), e Gavarret (4). Lasciando a parte le obbiezioni, giustamente fatte (b) a questo ingegnoso concetto dell’Illustre fisico di Londra, è poi vero che abbia conseguilo egli lo scopo principale, per cui fu immaginato, quello cioè di togliere la difficoltà, che s’incontra nel concepire l’azione dell’ elettrico a distanza? Se la Fig.Q , (1) Exprimeutal researches, t 1°, p. 539. (2) Lecons etèrne nlaires d’ étèelricilé. Paris 1 857, p. 18, 50, 129, 178. (3) Traile d’ étèelricilé. Paris 1S54, T. l.°, p. 1-10. (4) Traile d’ éleclricité. Paris 1857, T. l.°, p. 93. .99. (t)i De la Rive. Traile d’ étèelricilé. Paris 1834, T, l.° p 146. )> elettricità vitrea della medesima superfìcie, cosicché questa non comparirà » elettrizzata. Ma se prima si tocchi la inferiore superficie, togliendo ad essa la » elettricità vitrea divenuta libera, vi resterà soltanto la elettricità resinosa, ma » dissimulata , e ridotta senza effetto dalla elettricità viirea della superficie » superiore , finché questa elettricità vitrea rimarrà ivi fissata ; in fine subito immaginata polarizzazione molecolare permette, che l’azione a distanza'finita, riducasi a distanza infinitesima; non per questo si elimina del lutto la difficoltà, di dover concepire un’azione a di- stanza. In fatti se troviamo difficile concepire l’azione a distanza finita, la stessa difficoltà in- contreremo per doverla invece concepire a distanza infinitesima, quale appunto è quella che intercede fra due molecole contigue. Il difficile in questo concetto, non è di quantità , ma bensì di qualità-, e fino a tanto che avvi distanza nell’azione, rimane sempre la difficoltà di con- cepire 1’ azione medesima, comunque piccola sia la distanza stessa, la quale però è grandis- sima fra una molecola e l’altra contigua, rispetto l’estrema picciolezza delle molecole stesse. Del resto certo è, che la elettro-polarizzazione molecolare, oggimai, per le sperienze di Faraday, e di Matteucci, viene introdotta nel rendersi conto del fenomeno della influenza elettrica , cioè in ogni fatto relativo alla elettrostatica , di cui la detta influenza e fonda- mento (1). Tutto ciò riferito, vediamo quale debba essere lo stato della elettricità indotta nelle molecole polarizzate; se cioè questa elettricità debba o no essere fornita di tensione; poi- ché in ciò tutto consiste il fine principale, per cui sviluppammo in questo luogo, la ipotesi di Faraday, sulla elettrica influenza. Prima di decidere la quistione ora proposta, riflettiamo che nella fig. la le molecole polarizzate, si rappresentarono molto grandi, ma in realtà esse debbono riguardarsi così piccole, da ridursi a tanti 'punti , o centri di azione, in ognuno dei quali risiedono due forze di elettricità opposte, costituenti la elettro-polarità molecolare. Da ciò discende che, se in ciascuna molecola, tanto la indotta, quanto la inducente possedesse tensione, 1’ effetto complessivo della stessa molecola, sopra la contigua, sarebbe nullo ; perchè procedente da due forze uguali e contrarie, ciascuna delle quali agirebbe alla stessa distanza sulla molecola contigua. In fatti il sig. Riess parlando della indicata teorica di Faraday (2) conclude dicendo: Ex ist also hier die Ansicht iiber die Unthaetigkeit der gebundenen Elek- tricitàt als Grundsatz angenommen .... lo che significa : Adunque l'opinione della man- canza di attività (ossia di tensione) della elettricità indotta , viene qui (da Faraday) ammessa come un principio Perciò s’ ingannarono quei fisici moderni, che, dopo la indicata comunicazione di Melloni all’ Acca'1 2 ernia delle scienze dell’istituto di Francia, ricorsero all’au- torità di Favaday, asserendo che, per la teorica riferita di questo gran fisico, doveva, contro il parere di Melloni, essere la indotta fornita di tensione. Infatti la ipotesi del fisico inglese, per chi bene vi riflette, conduce necessariamente ad ammettere che la indotta non tende. Volendo che dalla immaginata polarità si ottenga un effetto , quale (appunto è quello che si verifica , dobbiamo volere che in ogni molecola , sia priva di tensione la indotta ; dobbiamo cioè volere, che la inducente di una qualunque molecola, decomponga solo essa (1) Idem, T- l.° p. 149, li. G salendo. (2) Repertorium der Physik, t. 6. Berlin 1842, pag1 129. lin. 4. salendo — 61 » che tolgasi quest’ ultima, la elettricità resinosa della inferiore superficie do- » vrà libera divenire Toccando solamente la inferiore superfìcie del » piatto , non si sperimenta nulla ; poiché la sua elettricità libera è potula » passare nel suolo .... l’elettrico neutrale della molecola contigua, vincoli nella medesima la contraria della inde- cente, cioè la indotta, la quale per questo vincolo sarà priva di tensione, rendendo libera in pari tempo la omologa della inducenle, sulla contigua molecola stessa. Dunque se vogliasi, me- diante la ipotesi prodotta da Faraday, spiegare la influenza elettrica, bisogna che anche in questa ipotesi la indotta sia priva di tensione. Ciò si conferma per mezzo del seguente spe- rimento. Ricuoprasi con una rete metallica, di maglie sufficientemente strette, un clettrosco- pio’a pile secche; se la ipotesi di Faraday fosse vera, si dovrebbe vedere quello che non succede, cioè che anche quando la rete metallica, sotto la induzione, comunica col suolo, l'elettroscopio dà segni di elettricità, cioè che la foglia d’oro diverge. Poiché non può negarsi che sulla esterna su- perficie della rete medesima, deve trovarsi la contraria della inducente, la quale tuttavia non in- fluisce sull’elettroscopio, finché continua la induzione; però appéna questa è tolta, subito agisce producendo la divergenza della foglia d’oro. Da ciò rilevasi che la indotta non possiede ten- sione anche nella ipotesi di Faraday. Ma oltre queste obbiezioni, che possono farsi alla riferita ipotesi, di Faraday, vi sono an- che le altre seguenti. E primieramente, secondo la medesima ipotesi, le molecole contigue di un conduttore, sottoposto alla elettrostatica induzione, si scaricano l’una sull’altra, per cui la polarizzazione delle molecole , appartenenti alle intermedie sezioni del conduttore medesimo, sparisce mentre si produce; ma le molecole delle sezioni estreme, conservano uno dei loro poli. Se così fosse, il piano di prova, purché piccolo a sufficienza , dovrebbe dare la elettricità contraria della inducente, quando si applichi su quella superfìcie dell’indotto, che più trovasi all’ inducente stessa vicina. Ma invece si verifica il contrario, cioè questo piano di prova, ovunque applicato sulla superficie dell’ indotto, manifesta sempre la elettricità omologa della inducenle. In secondo luogo, viene asserito nella ipotesi di Faraday, che una foglia d’oro anche la più sottile, diviene per induzione, da una sua faccia positiva, e dall’altra negativa. Ma ciò non si verifica punto ; poiché fatta bene questa sperienza, cioè con un piccolo piano di prova, si vede che la foglia d’oro, manifesta in ognuna delle sue facce la elettricità omologa della inducente, senza che questa possa neutralizzarsi colla indotta contraria, la quale coesiste colla prima sulla foglia stessa. In terzo luogo, secondo la ipotesi medesima, la superficie laterale di un cilindro in- dotto, quella cioè compresa fra gli estremi del cilindro stesso, non dovrebbe manifestare al- cuna elettricità, ma ciò non si verifica, tanto se il cilindro si ponga isolato, quanto se co- munichi col suolo ; perchè il piano di prova piccolissimo, nel primo caso manifesta la elet- tricità omologa della inducente, nel secondo la contraria. In quarto luogo, un cilindro non isolato, abbia separata quella sua base, che più si av- vicina all’ induccnte; quindi con essa bene al cilindro applicata, sottopongasi all’ induzione, ma senza essere isolato, e poscia sottraggasi a questa il cilindro, lasciando al suo posto la indicata base. Per la teorica di Faraday, dovrà il cilindro mostrarsi nello stato di elettricità « È ancora una circostanza rimarchevole, che questa elettricità accumu- » lata (inducente) non agisce sull’ elettrometro, come la elettricità libera (cioè » come quando non induce) Poiché malgrado la grande quantità di » elettricità accumulata, l’elettrometro non indica fuorché una debole tensione, » a causa dell’azione attraente della elettricità opposta (indotta), che si trova » distribuita sull’ altra superfìcie del piatto ». Da quanto abbiamo riportato fin qui, riguardo alla dottrina del Fischer, sulla elettrostalica induzione, si rileva chiaramente, che questo autore, ha nella sua fìsica meccanica riconosciuto, e professato esplicitamente, che la indotta non tende. La elettricità che da indotta diviene libera, fu da noi chiamata di ab- bandono (C. R. t. 41 p. 555, e t. 44, p. 919). S- 7. 11 fisico Pfaff trattò egli pure la questione in proposito, cioè se la in- dotta possegga o no la facoltà di tendere ; ma in questa ricerca non man- tenne sempre la stessa opinione , come vedremo nel riparlare di questo autore. In tanto giova osservare, che il primo suo concetto fu per la mancanza di tensione, riguardo alla indotta. « Le elettricità della medesima natura , egli dice (1), si repellono, e quelle di natura contraria si attraggono; la distanza cui si estendono queste azioni , determina il campo d’ azione delle medesime. La =±= E , ovvero quella porzione di questa =2= E (indu- cente), impiegata in attrarre la sua contraria (la indotta), secondo la legge delle azioni e reazioni, viene anche attratta da questa, che non può natural- mente esercitare alcun' altra azione. Tale elettricità dicesi vincolala. Ces- sando l’ attrazione , ( ovvero la induzione ) allora si dice che la vincolata diviene libera o sensibile , cioè riceve allora il potere di agire al di fuori, e di palesarsi , mediante i diversi fenomeni di attrazione e repulsione. neutrale; perchè le sezioni tutte del medesimo, tranne la base indicata, debbono essere neu- trali. Ma ciò non si verifica, perchè invece la sperienza insegna in questo caso, essere il ci- lindro, carico di elettricità contraria della inducente. In quinto luogo, per la teorica medesima, dovrebbero due cilindri, uno di lunghezza dop- pia dell’altro, ma colle medesime basi, e sottoposti alla stessa influenza isolati, manifestare sempre la medesima quantità di carica. Ma si verifica sempre il contrario, perchè il cilindro più lungo, manifesta sempre una carica maggiore, di quella del cilindro più corto. (1) Gehler physikalisches Wòrterbuch. Voi. III. pag. 311. Lipsia 1827, pag. 1. — Chri- stiano Enrico Pfaff nacque in Stuttgard nel 1773, e dal 1810 in poi fu professore di fisica, chimica, e medicina a Kiel, ove morì nel 1852 (Pogg. Biogr. Voi. 2,° pag. 425). Un corpo avendo più positivo che negativo , allora la sua -+• E attrae tutta la — E, che si trova nel suo campo d’ azione , respingendo la -+- E tanto più, quanto è più vicina. Ponendo dunque in questo campo d’azione un conduttore isolato, allora la — E di questo viene attratta, e vincolala nella parte vicina ; mentre la -+- E viene respinta nella parte lontana , restando libera , poiché fu abbandonata dalla — E , colla quale prima era neutralizzata. La -H E libera (nell’ indotto) lascerebbe il corpo (indotto) , e si neutralizzerebbe colla — E (della Terra), quando non fosse impedita d al - l’isolamento. Mettendo però il corpo in comunicazione col suolo, la sua -+- E attrae tanto di — E, quanto le occorre per produrre un zero, ed il con- duttore non mostra piÌL fenomeni elettrici. Interrompendo la comunicazione , ed allontanando il corpo dal campo d’azione, allora viene libera la — E (del- l’indotto); poiché trova la -+- E ridotta allo zero » (1). Da queste ragioni esplicitamente risulta, che , secondo Pfaff, la indotta non tende, finché rimane, sotto la influenza della inducente; ma subito ricu- pera la sua facoltà di tendere, cioè d’ indurre, di propagarsi, e di respingere se medesima, quando cessa di agire la influenza della inducente. Oltre questo ragionamento , scrisse 1’ autore medesimo ancora una me- moria , intitolata « Sullo stato elettrico di un conduttore isolato , ed » esposto all’ azione decomponente di un corpo elettrizzato » (2). L’ autore incominiia la indicata memoria, dicendo : » In tutte le opere fìsiche, partico- larmente in quelle dei francesi di somma autorità, come Biot, Pouillet, ecc., e nei più diffusi corsi tedeschi di fisica, come Parrot, Paumgartner, Schmidt, ec. troviamo una esposizione dello stato elettrico di un conduttore isolato , che riceve l’induzione di un altro corpo elettrizzato, la quale mi sembra essere in evidente contraddizione coi principii fondamentali della elettrica dottrina. Perciò mi pare, che una rettificazione della teorica degli autori indicati, me- diante una esposizione esatta dei fenomeni riguardo a questo argomento , e una vera spiegazione di tali fenomeni, basata sopra i principii generalmente riconosciuti , non sia senza interesse per la scienza ; e ciò tanto più poiché Terrore è molto diffuso, e confermato da distinti autori ». Egli poi dà la teorica della induzione, riportata nel Traile de Physique ihéorique et malhémalique di Biot, tradotto da Fechner, ed asserisce quanto sie- (1) Geliler luogo citato, p. 311, lin. penultima. (2) Neues Jahrbuch der Chemie und Phvsik von Schweigger-Seidel , Voi. 1. , Pag. 393. an. 1831. gue. « Chiaro si manifesta, che l'equilibrio elettrico naturale di un conduttore isolato, venendo turbato dalla elettricità positiva di un corpo P, ed essendo tolto il legame fra le due elettricità, costituenti la naturale del conduttore stesso, la elettricità negativa di questo, non può acquistare uno stato più libero di quello, nel quale si trovava prima della induzione. Se dunque la elettricità negativa era prima vincolata, lo dovrà essere anche dopo la sua separazione dalla po- sitiva , ed anzi lo dovrebbe essere ancora maggiormente. Infatti quando la -+- E dell’inducente, abbia tensione bastante, per decomporre la elettricità na- turale del corpo indotto ; è chiaro che allora la — t— E dell' indueenle agiva con maggior forza sulla — E dell’ indotto, che la -+- E del conduttore. Ma sic- come ogni vincolazione in genere, od anche ogni stato latente, dipendono da un’attrazione, e siccome tali stati sono in uno stretto rapporto colla intensità di questa attrazione; così dobbiamo concludere, che l’attrazione e lo stato latente del — E in B (indotto), abbia luogo con maggiore intensità, che quella di prima, per l’attrazione più forte da parte della H- E di A (inducente).(l) Per questa ragio- ne si rende anche impossibile , che l’estremo del cilindro indotto, più vicino all’in- ducente, possegga elettricità negativa libera, e tutta la elettricità accumulata in questo punto, è intieramente vincolata ; i pendolini messi a comunicare con questo punto, non possono divergere ; o quando divergono, allora la loro divergenza dipende da quella elettricità, con la quale divergono i pendolini all’estre- mo opposto del cilindro ; tale elettricità è omologa a quella del corpo indu- cente (2). Ma Biot, ed altri fisici, riguardo a questo fatto, riportano spe- ranze, per la dimostrazione della dottrina loro, delle quali abbiamo parlato (1) Questi concetti giustissimi, furono già manifestati dal Delue, come precedentemente abbiamo riferito; e sono in una relazione intima con alcuni fenomeni, prodotti dall’aflinità chimica, per la quale un corpo vincolato con un secondo, abbandona questo, per vincolarsi con un terzo. (2) Quando Pfaff scriveva, non era cognita la induzione curvilinea, messa in campo da Faraday; perciò lo stesso Pfaff, per ispiegare la divergenza dei pendolini, ricorreva senz’al- tro alla omologa della indueenle, che giustamente, secondo questo fisico si trova pure sui pen- dolini stessi. Però se il fisico medesimo avesse considerato che, quando si fa comunicare col suolo l’indotto, questo perde tutta la omologa della inducente, e tuttavia quei pendolini divergono maggiormente, avrebbe veduto, che per ispiegare questa divergenza, non basta ricorrere alla omologa della inducente, ma fu d’ uopo riconoscere la esistenza della induzione curvilinea, per la quale unicamente, quando 1’ indotto non è isolato, si produce la divergenza stessa. Tuttavia meritò molta lode il Pfaff, quando, senza il soccorso della induzione curvilinea, ciò nulla ostante seppe conoscere, che la indotta non len de. dando un risultamento del tutto contrario, ed allorché ne forniscono uno si- mile a quello da me trovato, allora i risultamene furono da essi male inter- petrati. Molte volte ho variato le dimensioni dei corpi, ed in più guise. Ponevo i diversi punti del cilindro indotto in comunicazione, tanto con elettroscopi a foglie d’ oro, quanto a pagliette , od a pallio e di sambuco ; ora col bottone dell’ elettroscopio immediatamente, ed altre volte mediante corti fili di ottone; ma tutte le volte, quando avvicinavo un conduttore elettrizzato al cilindro, in modo, che questo riceveva una influenza sensibile, vedevo che i pendolini diver- gevano colla elettricità omologa di quella dell ’ inducente', e ciò avveniva tanto pei pendolini lontani dall’ inducente, quanto per quelli ad esso vicini. Ordina- liamente mi servivo di un cilindro, gli estremi del quale terminavano in emisferi, ovvero anche in sfere intere. La natura di questa elettricità dotata di tensione libera, fu esaminata nel modo solito, mediante 1’ avvicinamento di un tubo di vetro, o di un pezzo di ceralacca strofinato; e qui non eravi differenza ve- runa, se i pendolini , o le foglie d’ oro (che stavano rinchiusi in opportuni cristalli) rimanevano in contatto col corpo indotto o nò ; nell’ultimo caso con- servavano la loro elettrica tensione, almeno ancora per qualche istante. Quanto spetta alla intensità di questa elettrica tensione, la quale si trovò, come già fu detto, della medesima natura in tutti gli elettroscopi, dobbiamo dire, che la medesima dipende dalle circostanze, le quali determinano la intensità del- 1’ azione induttiva, che ha per conseguenza una decomposizione della elettricità neutra, un’attrazione e vincolazione dell’elettricità contraria, ed una liberazione di quella omologa della inducente. Supposta costante la intensità della inducente, le indicale circostanze dipendono dalla distanza, e dall’angolo sotto il quale si esercita la elettrica influenza. La elettricità possiede sempre la tendenza, di re- spingere la omologa il più lontano possibile; e quando il cilindro non è molto lungo, si osserva realmente, che la maggiore divergenza è mostrata dall’elet- troscopio, posto all’estremo del cilindro più lontano dalla inducente. Ma nel caso di un cilindro molto lungo, si osserva, che 1’ elettroscopio, posto sull’estremo il più vicino alla inducente, manifesta una divergenza eguale, e qualche volta mag- giore di quella, che appartiene all’estremo più lontano. La ragione di ciò è chiara; poiché in questo caso, prevale il vantaggio della vicinanza maggiore, al disvan- taggio che nasce dalla obbliquità, colla quale agisce 1’ elettrico sopra il fluido neutro dell’elettroscopio ; ed il risultamento è che la maggiore tensione, ovvero la divergenza maggiore, abbia luogo all’elettroscopio più vicino. Non ho mai potuto trovare un punto veramente d ’ indifferenza , vale a dire un punto ,; 9 nel quale un elettroscopio non accusava veruna elettrica tensione ; in vece di questo, trovai sempre, che gli elettroscopi mostravano la medesi- ma elettricità in ogni punto sul cilindro ; e come già fu detto , questa elettricità è omologa della inducente. Il fatto che un pendolino neutro viene attratto da tutti i punti del cilindro indotto, come giustamente osservò Biot, si spiega con eguale facilità in ambedue le ipotesi ; cioè con quella di Biot, che suppone le due elettricità indotte (cioè Vattuata e la indotta) separate, e colla mia, che ammette la omonoma della iuducente distribuita sopra tutta la superficie del cilindro indotto. Però non ho mai potuto osservare , che un pendolino, caricato e isolato, fosse attratto da una metà del cilindro, e respinto, dall’ altra ; invece di ciò sempre osservai, che il pendolino fu da ambedue le metà del cilindro o attratto o rispinto, secondo la elettricità, colla quale fu caricato , e secondo quella dell’ inducente. È un fatto generale , che il pen- dolino isolato, viene respinto da tutti i punti del cilindro indotto, quando esso è caricato di elettricità omologa dalla inducente; e nel caso contrario ha luogo l’attrazione. La ragione di ciò è chiara, essendo la elettricità libera, distribuita su tutta la superficie del cilindro indotto. Il motivo che indusse Biot alla espo- sizione inesatta dello stato elettrico, in cui si trova l’indotto, è senza dubbio, la interpetrazione inesatta di una sperienza col piano di prova. Toccando con questo piano la parte del cilindro, che non riguarda l’ inducente, vale a dire un punto, che si trova molto lontano dalla azione inducente, il piano di pro- va medesimo riceverà soltanto, una parte della elettricità libera, corrispondente allo stato dell’equilibrio, ed allontanandolo dal cilindro indotto, allora mostrerà la elettricità di questa metà. La cosa succede in un modo del tutto differente, quando si tocca col piano di prova, un punto del cilindro, che si trova nella metà dell’ indotto, che alla inducente più si avvicina. In questo caso il piano di prova, esposto a una induzione maggiore, può in un certo modo considerarsi collocato nelle medesime condizioni, come l’elemento della superficie che tocca. La sua elettricità neutra si decompone , la omologa dell’ inducente passa nella parte opposta del cilindro, e solo la elettricità di natura apposta della inducente rima- ne, col divenire vincolala. Rimanendo il piano di prova in contatto col cilindro, la sua elettricità è intieramènte latente, cioè senza tensione alcuna ; ma to- sto che lo stesso piano viene isolatamente allontanato, e posto al di fuori del campo di azione del corpo inducente, la sua elettricità , finora vincolata , si libera; e siccome la comunicazione col cilindro è interrotta, non può essa più partire ; perciò si manifesta ora colla tensione libera, e il piano di prova mo- — 67 — stra chiaramente una elettricità, opposta di quella del toccato luogo. Questa elettricità in fatti esiste tanto nel cilindro, quanto nel piano di prova; ma essa è latente, e viene soltanto libera, quando si allontana il piano di prova. Que- st’ azione sarà tanto più sensibile , vale a dire la tensione della elettricità svincolata , sarà tanto più forte , quanto il sito toccato col piano di prova, sarà più vicino al corpo inducente ». « In un modo al tutto differente si comportono i pendolini, le pagliette, e le foglie d’ oro. Questi elettrometri posseggono al capo loro superiore, la me- desima specie di elettricità come il piano di prova, che tocca questo sito, ed è ancora latente come in esso; ma la elettricità libera, che si sviluppò, omologa a quella del corpo inducente, la quale passa nelle parti lontane, devesi necessa- riamente accumulare anche nelle inferiori parti dei pendolini ; ed ivi produrre una divergenza. Mettendo l’estremo del cilindro conduttore, che non riguarda l’ inducente, in comunicazione con un altro conduttore, in modo che il cilin- dro medesimo, perda una parte della sua elettricità libera, si osserva un au- mento di divergenza, nei pendolini di quella metà del cilindro, che riguarda 1’ inducente, ed una diminuzione negli altri della parte opposta. Questo fatto è perfettamente conforme alle nostre viste, ed è una conseguenza necessaria delle medesime, come si rileva dal ragionamento seguente. Essendo indebo- lita la elettricità, che si trova nella metà del cilindro opposta, all’ inducente, la quale poneva per la sua azione un certo limite alla influenza; la elettricità del corpo inducente, può nuovamente produrre una decomposizione del fluido neutro nel cilindro indotto. In conseguenza di ciò, si decomporrà ancora una certa quantità del fluido neutro , contenuta nei pendolini che riguardono il corpo indotto ; si libererà una certa quantità di quella elettricità, dalla quale dipendeva prima la tensione libera, e dovrà crescere perciò la divergenza loro. Però non ho mai potuto vedere che, quando il cilindro è messo in comuni- cazione col suolo, si aumenti la divergenza dei pendolini, che riguardano 1’ in- ducente ; in vece si chiudevano sempre i pendolini medesimi nel momento, in cui veniva stabilita la comunicazione col suolo , e rimanevano anche in tale stato, dopo che la detta comunicazione si toglieva. (1) Allontanando il (1) Il fatto qui asserito dal Pfafif, non si verifica punto, ed invece tutti sanno, che ha luogo il contrario ; cioè che quando il cilindro indotto si fa comunicare col suolo, i pendo- lini accrescono la divergenza loro. È causa di ciò l’aumento della induzione curvilinea, che il citato fisico non conosceva, non già 1’ aumento della indotta ; la quale sebbene pur essa cresca, tuttavia, per essere priva di tensione, non può produrre la divergenza dei pendolini. cilindro, in così fatte circostanze, dall’azione inducente del corpo elettrizzato, i pendolini mostrano nuovamente una divergenza, però colla elettricità oppo- sta a quella colla quale divergevono prima ; cioè questa divergenza è dovuta alla elettricità che prima era latente , divenuta liberà in conseguenza de’.l’al- lontanamento dell’indotto ». Le riferite dottrine di Pfaff dimostrano che questo fìsico, quando le pub- puhlicò, era convinto che la indotta non tende. S- 8. Il celebre Ohm, in uno scritto intitolato: Sopra una proprietà mal cono- sciuta delV elettricità vincolala (i), critica la memoria di Pfaff, concludendo non essere vero, che la indotta non possegga tensione, Io che deduce dai suoi speri- menti, eseguiti a tale scopo, pei quali si serviva egli di un congegno, simile alla bilancia di torsione. Un estremo della leva portava isolatamente l’ indot- to A, mentre il corpo inducente C, era posto nella direzione di equilibrio dalla leva stessa. Ponendo egli poi un altro conduttore B isolato vicino alla leva da un Iato, vale a dire in modo che la retta BA formasse un angolo retto con essa leva, questa lasciava tosto la sua posizione iniziale, e si allontanava dal corpo B. In un secondo sperimento i due corpi A e B erano in comunicazione colla Terra, lo che produce un piccolo aumento della distanza fra 1’ estremo A e l’altro B. L’autore conclude da questi risultamenti , che i due corpi A e B si repellono per forze intrinseche , e perciò asserisce quanto se- gue (2): u Egli è vero che la elettricità perde per induzione la sua forza espan- » siva , cioè il suo poter di propagazione , ma essa non perde ugualmente » le sue altre proprietà ; e sebbene sia per esterne forze condannata alla (1) Neues Jahrbuch der Chemie und Physik voti Schweigger Seidel. Tom. 5.° 1832, pag. 129. — Giorgio Simone Ohm, nato nel 1787, morì a Monaco nel 1854, e pubblicò molti scritti di fisica , dei quali è certo assai rimarchevole quello intitolato « Teorica matematica delle correnti elettriche » Quest’ opera pregievolissima, fu tradotta dal tedesco in francese dal sig. J. Gaugain, Paris 1860. 11 sig. Kirchhoff, negli annali del Poggendorff, riprese analiticamente la indicala teorica di Ohm, e la corredò di sperienze. (2} Questa falsa conclusione di Ohm, dipende unicamente dal non aver egli conosciuta la esistenza della induzione curvilinea , per la quale in questo caso il fatto della repulsione viene spiegato. Imperciocché il corpo B, diretto perpendicolarmente alla leva, impedisce la induzione curvilinea sulla medesima dalla parte del corpo stesso, quindi la leva deve obbedire alla induzione curvilinea dalla parte opposta, e perciò deve allontanarsi dal corpo B, laonde questo allontanamento è un effetto di attrazione, non già di repulsione, come credeva Ohm. — 69 » quiete , non perde affatto perciò la influenza sua d’ indurre altri corpi al » movimento. » (i) Ma esaminando bene le indicate sperienze dell’autore, facilmente si ri- leva, che rappresentano esse in fondo il medesimo caso dei pendolini , ap- plicati all’estremo del cilindro indotto, e più vicino all’ inducente. La causa che produce la divergenza di questi pendolini, cioè l’indnzione curvilinea , spiega bene anche l’allontanamento fra loro dei corpi A e B l’uno dall’altro, in modo che le indicate sperienze, non possono decidere la quistione. Inoltre giudica Ohm, che Pfaff e De Lue si contraddicono fra loro, facendo egli ammettere a quest’ultimo, che la indotta tende. Per provare tale asserzione, cita Ohm il seguente brano di De Lue (2) : « Credo dunque aver dimostrato, che gli stati » positivi e negativi, di cui le diverse combinazioni producono le circostanze » sensibili , alle quali si trovano legati i movimenti elettrici , sono soltanto » la densità del fluido elettrico, e non la sua forza espansiva. E siccome di- » pende la densità di questo fluido, dalla quantità della materia elettrica, in » un modo simile come la densità del vapore acquoso dipende dalla quantità » d’ acqua; perciò credo finalmente che sarà giusto concludere, dall’ insieme » di questi sperimenti , che soltanto alla materia elettrica , debbonsi attri- » buire i movimenti elettrici ». Lo stesso Ohm fa perciò l’osservazione seguente (3) « Questo periodo, se- » condo il linguaggio di De Lue, niente altro dice, fuor che le attrazioni, e le » ripulsioni elettriche, esercitate da due corpi uno sull’ altro, dipendono sol- » tanto dalla quantità di elettrico, che i medesimi contengono ; dicendo egli » ancora in modo esplicito, che i movimenti elettrici succedono nella stessa » guisa, indifferentemente dalla circostanza, se l’elettricità si trovi nello stato » latente o libero. » Osserviamo riguardo a questo punto, che l’autore interpetra De Lue, in un modo non esatto, quando gli attribuisce, che la indotta tende. Anche dalla teorica nostra si ammette, che i movimenti elettrici debbonsi attribuire soltanto (1) Noi vedremo colla maggior evidenza, che la indotta, non solo perde la sua forza espansiva, cioè la sua facoltà di propagarsi; ma che anche perde ogni altra qualità, inclusiva- mente quella di d^nporre feleltrico neutrale, ovvero d’indurre sui corpi ad essa vicini, e L Cp di respingere se stessa. (2) Opera citata, pag. 133. — Idées sur la météorologie. Tom. l.#, seconda parte, pag. 356. (3) Neues Jahrbuch citato, p. 133. — 70 — all’ elettrico, e non ad altre cause: ma ciò non dipende affatto dall’ammettere, che l’ indotta possegga o no tensione. Un caso a questo simile, sarebbe certa- mente quello del calorico:; poiché ogni fìsico dirà, che la causa dell’aumento di temperatura nei corpi, unicamente consiste nel calorico; ma ciò non include, che calorico produca sempre un aumento di temperatura : ed in fatti, passando un corpo da solido in liquido, il calorico necessario per questo passaggio, non pro- duce aumento di temperatura. ( Continuerà ) CORRISPONDENZE L* astronomo sig. H. Wild, membro dell’ accademia delle scienze di Pie- troburgo , direttore dell’ osservatorio fisico centrale di Russia , con un foglio circolare a stampa , diretto all’ accademia nostra , fa conoscere quali sieno i suoi progetti, nell’assumere la direzione dell’ osservatorio stesso, e prega per- chè si continui a corrispondere con questo scientifico stabilimento. Si è ricevuto da Monaco l’annunzio, della perdita deplorabile dell’ illustre scienziato sig. dottore Carlo Federico Filippo de Martius, il quale morì a Monaco nel 13 dicembre del 1868. Questo celebre viaggiatore naturalista, era nato nel 1794 in Erlangen, e dal 1817 al 182Q egli accompagnò la spe- dizione scientifica, che 1’ Austria e la Baviera diressero al Brasile. Tornato a Monaco, gli venne affidata la direzione del giardino delle piante ; inoltre dal 1842, fu segretario perpetuo deT accademia delle scienze di Baviera. Al me- desimo si debbono molte opere e memorie di botanica, fra le quali è rimar- chevole la sua Flora del Brasile (1829), e sopra tutto la sua Monografia delle palme (1823-1845); esso pervenne a descrivere 582 specie di quella fami- glia, tanto caratteristica delle regioni tropicali , della quale Linneo conosce- vano 15 soltanto. La società delle scienze fìsiche e naturali di Bordeaux, col mezzo del suo segretario sig. A. Serre, ringrazia per avere ricevuto, mediante il sig. principe Don B. Boncompagni, le pubblicazioni dei Lincei, da essa già richieste. L’ accademia di Breslau invia, per mezzo del presidente, il suo rendiconto annuale quarantacinquesimo , con tre altri fascicoli de’ suoi scientifici lavori. L’ accademia riunitasi legalmente alle 2 pomeridiane, si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. Mons. B. can. Tortolini. — - S. Proja — P. Volpicelli. — F. Castracane. — P. A. Guglielmotti. — A. com. Cialdi. — > Federicocav. Giorgi. — S. Cadet. — A. Secchi. — M. cav. Azzarelli. — A. cav. Coppi. — E. Rolli. — • A. cav. Betocchi. — L. Jacobini. — M. Massimo. — D. Chelini. — G. cav. Ponzi. — L. cav. Respighi. — V. cav. Diorio — E. Fiorini. r: . ■■ .. ' ‘ 1 - : ■ * J ■ : -1 • M . • , 4 r * • » r v - ' ' . . . — . . ì ■ ATTI DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE III.* DEL U FEBBRARO 1869 PRESIDENZA DEL S1G, CAV. BENEDETTO VIALE PRELA MEMORIE E COMUNICAZIONI DII SOCI OBBin ARI E BEI O O & H 1 8 V O N S S N T I Su i diversi metodi di misurare oggetti microscopici. Memoria del Conte Ab. Francesco Castracane degli Antelminelli . iVon è soltanto a chi contempla 1’ immensità dei corpi celesti o la mi- rabile armonia degli astri e dei loro movimenti che sia dato il sentirsi ra- pito da stupore nel riflettere alla infinita sapienza del Creatore. La terra e il mare sotto qualunque aspetto si riguardi e in qualunque benché minimo dettaglio dà prove evidenti che tutto procede dalla stessa infinita Mente or- dinatrice. Che anzi, quantunque tuttociò che procede dalle mani del sommo Artefice non possa non essere egualmente stupendo in se stesso , l’uomo si sente portato forse a magior maraviglia nel riflettere alla organizzazione del più umile fiorellino del prato o alla struttura del più piccolo moscherino di quello che alla vista di annosa quercia o della mole di un elefante. Quindi è che sarei per dire non esservi più inneffabile e più puro piacere di quello che è dato a chi con Fajuto del microscopio và investigando le maraviglie del microcosmo, le quali sono eminentemente ordinate per innalzare la mente ad adorare l’ infinita Sapienza creatrice. Però non è che l’osservatore micrografo abbia da godere gratuitamente di tale soddisfazione, dovendo incontrare spesse volte difficoltà da superare e nojosi inevitabili dettagli da sopportare. Certamente fra quelle vuoisi no- verare la necessità, nella quale continuamente ritrovasi il micrografo e spe- lo cialmente quegli che attende allo studio delle Diatoinee , di prendere e re- gistrare le misure degli oggetti, che ha avanti agli occhi, e di calcolare la minutezza dei dettagli, i quali non di rado sono tali, che nello spazio di un millimetro se ne conterebbero più migliaja. Per prendere tali misure e computare la stupenda picciolezza delle par- ticelle, molteplici sono i mezzi a disposizione dello studioso, il quale con di- versi metodi e per vie diverse può raggiungere lo scopo prefissosi con mag- giore o minore facilità ed esattezza; e di questi intendo raggionare. Non è però che su tale argomento io pretenda dire cosa alcuna di nuovo ; riunirò soltanto in pochi cenni quanto ho potuto raccogliere dai migliori trattati, che hannosi su tale argomento: ma ne discorrerò per l’esperienza fattane da me stesso, con aggiungervi quelle particolari pratiche, che di mano in mano ho riconosciuto essere più opportune. Spero pertanto che non riuscirà del tutto inutile che io ne ragioni, facendo conoscere i mezzi , dei quali faccio uso , agevolando così la via a chi volesse intraprendere simili ricerche e a chi in- tenda addestrarsi all’uso del Microscopio. Fin dai primi momenti che intrapresi lo studio delle Diatomee fui con- dotto ad occuparmi delle misure di quelle come uno dei dati da poter ser- vire alla determinazione delle specie e alla identificazione dei soggetti che ave- vo sott’ocehio con le specie descritte nella sinopsi delle Diatomee Brittanni- che di Smith , e nelle opere di Kùtzing di Rabenhorst e di alcuni altri. 11 sistema più facile a prendere tali misure è quello fondato su l’uso della Ca- mera lucida, invenzione la quale devesi al celebre fisico Inglese Wolaston nel 1807 , la quale venne in seguito modificata e perfezionata dall’ illustre anatomico Tedesco Soemering , dagli ottici Francesi Chevallier e Nachet , e dall’ Italiano Professore Gio. Batt. Amici, il di cui nome va congiunto quasi con tutti i perfezzionamenti del Microscopio. La Camera lucida consiste essenzialmente in una superfìcie riflettente , che forma un’angolo di quarantacinque gradi con l’asse del Microscopio, la quale superficie deve essere tale da permettere all’occhio la visione simultanea del- l’oggetto disposto nel campo dell’ istrumento, e del piano sul quale viene riportata la stessa immagine. Riesce estremamente facile a chiunque abbia la mano educata all’ impiego della matita il disegnare con tal mezzo l’oggetto in osservazione, ripassandone con quella tutti i contorni, eseguendone così un lucido. Talvolta però incontrasi qualche difficoltà a vedere contenporaneamente con sicurezza l’ immagine riflessa, il contorno già calcato, e la punta della ma- tita che compie il disegno. Tale incoveniente nasce dal non giusto capotto che spesso si ha fra la illuminazione del campo del Microscopio e quella del piano sul quale si disegna. Cosi se quello sia molto luminoso e la carta in ombra, diffìcilmente si avrà la visione simultanea dell’oggetto e del disegno, che se ne eseguisce. A tale inconveniente sarà agevole cosa l’ovviare dimi- nuendo la concentrazione della luce nel campo o scegliendo una posizione, nella quale il piano su cui si disegna sia meglio illuminato. Eseguito con tal mezzo il disegno dell’oggetto o semplicemente indica- te le estremità l’apposizione di una misura metrica ne darà al momento le di- mensioni ingrandite precisamente in proporzione dell’ ingrandimento del Mi- croscopio ; per cui la grandezza reale dell’ oggetto è eguale alla grandezza apparente divisa per la cifra dell’ ingrandimento in diametri del Microscopio. E però essenziale cosa il ricordare , che ad ottenere con la Camera lucida un disegno corrispondente nelle misure al 1’ ingrandimento ottenuto nel cam- po di visione , la distanza dal punto riflettente al piano sul quale si disegna deve essere precisamente eguale alla distanza dal punto istesso all’oggetto in osservazione; mentre il disegno e la misura che se ne ritrae riuscirà ma- giore o minore della dimensione, con la quale l’oggetto viene presentato nel campo dell’ istrumento, secondo che l’altezza della Camera lucida sul piano del disegno sia adeguatamente magiore o minore del giusto. Tale è il mezzo più pronto e più pratico a rilevare le dimensioni degli oggetti, che osservatisi con il Microscopio. Però tale cognizione è cosa di mi- nima importanza, se non voglia dirsi ancora una mera curiosità. Non può per altro dirsi lo stesso del novero delle strie o ordini di punti o di cellule, che possono occupare un dato spazio su la superfìcie dell’oggetto osservato. Quantunque fino ad ora non si sia in accordo fra quelli che si occuparono dello studio delle Diatomee nel riconoscere l’importanza di tale dato in ordi- ne al valore, che possa avere come carattere diagnostico, pure generalmente si ritiene, che almeno dentro certi limiti di variabilità, il numero delle strie che ricoprono la valva di una Diatomea, è uno dei mezzi di identificazione della specie alla quale appartiene. Però è inutile l’affidarsi al mezzo della Ca- mera lueida per determinare la spessezza delle strie per poco che queste siano ravvicinate e sottili ; pe.i il quale scopo vuoisi ricorrere a mezzi di molto più squisita delicatezza. Un processo meglio rispondente allo scepo si ha nell’uso del microme- tro oculare, il quale non è che una misura qualunque disposta al foco della — 76 — lente oculare, della quale misura si determina il valore in ordine all’ingran- dimento impiegato con un millimetro inciso sul vetro e diviso in centesimi e posto sotto 1’ oggettivo. La forma più comune è quella di una sottile lami- netta di vetro, la quale ha incisa una serie di divisioni eguali, che a facili- tarne la lettura sono di cinque in cinque e di dieci in dieci più protratte delle altre. Tali divisioni fissate al foco della lente oculare verranno a tra- versare il campo del Microscopio in modo da vedere contemporaneamente e con la massima finezza e distinzione l’oggetto che vuoisi misurare e la divi- sione. Suppongasi che quello abbia delle linee traversali, delle quali vogliansi conoscere gli intervalli in modo da dedurne qual numero se ne richiederebbe ad occupare l’estenzione di un millimetro. Ad ottener questo dispongo l’og- getto sotto la misura oculare, in guisa che le strie siano parallele alle divi- sioni del micrometro, e facendo sovraporre e coincidere una delle divisioni ad una delle strie determino qual numero se ne abbia dentro lo spazio di una o più divisioni, avvertendo, che di tanto più si avvicineranno al vero secon- do che l’osservazione si porterà su magior numero di quelle. Conosciuto il va- lore delle divisioni oculari in raporto aH’ingrandimento usato, con una sem- plicissima equazione si otterrà il numero delle strie nell’oggetto corrispondente ad un millimetro. Così, per esempio, prendo ad osservare una Diatomea in forma di na- vicella, nella quale il nodulo centrale vedesi dilatato traversalmente, e la ri- conosco per un Stauroncis Phoenicenleron , Ehrbg. Le valve di questa Dia- tomea presentansi ornate di finissime strie moniliformi, ossia di file di gra- nuli: ne voglio conoscere la spessezza, o il numero di quelle corrispondente ad un millimetro. A ciò fare 1° adatto al Microscopio un micrometro oculare; 2° ne faccio sovraporre la divisione alle linee dello Stauroncis , combinando esattamente una di quelle con una di questo; 3," conto lé strie che vengono comprese fra cinque divisioni del micrometro , e riconosco essere appunto otto. Adesso devo ricercare il valore della unità nella divisione del microme- tro oculare, e la ottengo con sostituire alla preparazione sottoposta al Micro- scopio un micrometro objettivo, cioè un millimetro diviso in cento parti, ed inciso su un vetro sottile; e riconosciuto che nell’ ingrandimento adoperato quarantanove divisioni del micrometro oculare corrispondono a sei centesi- mi di millimetro, stabilisco la proporzione: 49: 0,""”06 :: 1 : x. Dunque 0 ""”06 x = - ’y = 0, ""”001 224 , che è il valore della unità nel caso nostro. Ora dunque se otto era il numero delle strie, che contavansi in cinque unità del micrometro oculare, dovremo dire: se in 5 x 0,mm001224 sj avevano % g strie, in 1 millimetro quante se ne avranno? ed il risultato finale sarà 4 0,n'te00612 = 1307. Dunque le strie dello Stauroncis Phcenicenteron sono di tale finezza che in un millimetro se ne contarebbero 1307. Per quanto però tale metodo per prendere piccole misure sia giusto in teoria, ed in moltissimi casi si riscontri ancore il più pratico, pure in molte circostanze nel riconoscere finissimi dettagli riesce di un impiego malagevole ed incerto. E questo specialmente avviene allora che si ha da fare con le Diatomee le più diificili, lo studio delle quali richiede i più poderosi ometti- vi, e la direzzione della illuminazione la più accurata. Chi si è famigliariz - zato con lo studio di quelle può bene farmi testimonianza come la percezzione di finissime strie esigga una sostenuta tensione della facoltà visiva, in modo che si esiti molto ed alle volte non si possa arrivare a riconoscere senza esitazione e con certezza il numero di minutissime strie, le quali vengono comprese in un intervallo, il quale relativamente all’ ingrandimento inpiegato ed alla infi- nita piccolezza dei dettagli appare considerevole. A tale inconveniente mi è dato in parte ovviare con l’uso di micrometri oculari variabili. Io ne ho due, l’uno così detto a filo di ragno costruito app ositamente dal sig. Nachet di Parigi, l’altro a punte variabili di Hartnack. Le due linee o fili del primo e le due punte del secondo vengono scostate l’uno dall’altro ad una data di- tanza, la quale si determina dal principio con il confronto di un micrometro ohjettivo. Ricondotta pertanto al mezzo del campo di visione la Diatomea, e sottoposta al micrometro variabile , si determina il numero delle strie , o a colpo d’occhio, o pure facendo lentissimamente avanzare una delle linee o una delle punte ponendo tutta l’attenzione alla punta o alla linea in movi- mento, e al traversare che fa successivamente le strie, delle quali si viene così a determinare il numero. Ma anche questo mezzo incontra una grave difficoltà per l’oscillazione che inevitabilmente si imprime all’ istrumento, in modo che più strie vedonsi passare inanzi o indietro al punto mobile di mira, per cui di nuovo mi ri- trovo nell’ incertezza e nel timore di errare. Simile difficoltà non la riterrei eliminabile se non che rendendo il micrometro oculare indipendente dal corpo del Microscopio con adattarlo su di un piede o sostegno distinto dalla montatura di questo. In mancanza di tale disposizione allorquando devo occuparmi at- torno le Diatomee più difficili per 1’ estrema delicatezza di striazione , della quale vanno adorne, sono solito di ravvicinare moltissimo le due punte del micrometro di Hartnack, in guisa da poter abbracciare neH’intervallodi quelle sol- tanto una o due strie, il quale giudizio può portarsi facilmente a colpo d’occhio. In seguito sostituito nel piano del porta-oggetti alla preparazione microscopica il mi- crometro objettivo, ossia micrometro inciso sul vetro, con la Camera lucida di- segno l’ intervallo delle due punte, e quello di un centesimo di millimetro amplificato dal Microscopio; e riconosciuto il numero delle volte che questo è superiore a quello, e moltiplicatolo per il numero delle strie osservate fra le due punte, ottengo di conoscere quante strie noverarebbonsi in nn cente- simo di millimetro, e conseguentemente il numero contenuto in un milli- metro. Tutti questi sistemi danno bensì una i lea approssimativa delle misure, ma non se ne può sperare una determinazione esatta e precisa, e questo tanto più quanto che la base del calcolo sarà più piccola: mentre quel qualun- que errore che vi sarà primitivamente ancorché di una frazione di stria, nel venire moltiplicato tante volte quanto quel piccolissimo spazio si comprende nella misura del millimetro amplificato dal Microscopio, potrà portare ad una differenza dal vero abbastanza notevole. E tale vado pensando che possa es- sere l’origino delle divergenze nel numero delle strie, che viene riconosciuto nelle Diatomee dai più distinti micrografi che di proposito e specialmente o soltanto accidentalmente si occuparono di Diatomee in ordine alla determina- zione delle specie, alle quali appartengono. Essendomi pertanto proposto a pre- cipuo scopo di geniale occupazione lo studio di un ordine di esseri così in- teressante ho dovuto pensare a qualche mezzo, il quale, nel mentre che fa- cilitasse l’operazione, mi conducesse ad una estimazione più esatta con rendere possibile non solo ma relativamente facile il numerare le strie e riconoscere in conseguenza la misura di quelle e dei loro intervalli. Un tale scopo io raggiungo nell’uso abituale della Fotomicrografia, con il qual mezzo riproduco le forme diverse che mi si presentano nelle mie ricerche. Essendomi proposto di rediggere una Iconografìa fotografica la più completa dell’ intero ordine delle Diatomee, la quale ho fino ad ora condotto a presso che mille tipi, adottai l’ingrandimento di 535 diametri per la riproduzione di quelli perchè si possa tener conto approssimativo della relazione di grandezza fra l’un tipo e l’altro. Le immagini, che ne ottengo direttamente e che so- glionsi chiamare dai Fotografi negative , con le quali ho agio di ritrarre qua- lunque numero di prove identiche , si ottengono in lastre di vetro. Queste presentano con la maggor finezza e fedeltà non solamente la forma della Diatomea ma ancora i più fini dettagli, i quali spesso apena con dubiezza e grave stento si arrivano a vedere nella osservazione diretta a mezzo del Mi- croscopio- E così fosse dato di ottenere eguale risultato di finezza nella po- sitiva che si imprime sopra carta, la quale per la imperfezzione della super- ficie presentante piccole asperità di punti elevati e depressi non comportando una perfetta ed eguale aderenza con il vetro della negativa è ben lontana dal presentare l’ istesso grado di finezza ! Avendo adunque a mia disposizione la rappresentanza la più fedele ed autentica della Diatomea sopra un cristallo, su questo porto la mia attenzione e su lo stesso seguisco l’enumerazione delle strie. Però a facilitare l’enumerazione conto le linee che corrispondono ad un centesimo di millimetro moltiplicato cinquecento trentacinque volte, e vedo quante linee si noverino in uno spazio della negativa uguale a 5,mm35. Que- sta misura intagliata in una laminetta metallica e sopraposta alla negativa o matrice con l’ajuto di uua lente presenta la più grande facilità ad ottenere quel numero che moltiplicato per cento darà per risultato finale il numero preciso delle strie o ranghi di punti che ricuoprono le valve della Diatomea. Quelli però che non sono alla portata di ricorrere alla Fotomicrografia, la quale inoltre offre l’incalcolabile vantaggio di avere così una riproduzione autentica degli oggetti che si vanno studiando, ad avvicinarsi per quanto è possibile al vero dovranno ricorrere a replicate misurazioni seguendo ancora metodi diversi, assumendo per risultato finale il numero medio ottenuto nelle replicate operazioni. Il P. Secchi, presentò ancora il sunto delle sue osservazioni spetroscopìche sul Sole e sulle stelle fisse. Lasciando da parte per ora quelle cose che spettano alla semplice verifica delle scoperte di Janssen e Lockyer, riassumo le mie osservazioni come cosa propria di scoperta indipendente e sono le seguenti. 1. ° Che lo strato d’ idrogeno che circonda il Sole è di una spessezza va- riabile da 10" a 15" , per ciò che si rivela dalle linee rovesciate dello spet- tro ordinario spettante all’idrogeno. Ma inoltre ho trovato che questa atmosfera può riconoscersi dal semplice sparire della linea nera C, o F dell’idrogeno. 2. ° Profittando di questa circostanza ho cercato ancora la presenza delle medesime protuberanze nell’interno del Sole , e vi sono riuscito a trovarne frequenti esempi,, specialmente l.“ nelle vicinanze delie macchie, 2.° nelle loro code formate di piccole macchie disposte attorno alle macchie prin- cipali. 3. " Oltre questa scoperta ho veduto che vi sono tracce non dubbie del vapor d’ acqua. La scoperta è delicata assai , ed ecco come l’ ho condotta. Mi era accorto che nelle vicinanze delle macchie vi era la for- mazione di certe zone nebulose parallele. La ricognizione dell’origine di que- ste zone fu favorita dal fatto che passando alcuni cirri semidiafani avanti all’obiettivo del refrattore, si videro comparire le medesime zone. Era dun- que evidente che quelle zone erano dovute al vapor d’acqua. 4. ° Finalmente devo annunziare la scoperta di una stella la quale ha uno spettro eccezionale e importantissimo. Questa è la variabile R dei Gemelli, la quale presenta le spettro dell’idro- geno perfettamente rovesciato. La F è assai lucida e sembra fiancheggiata da due oscure. Yi è una zona viva coincidente con una zona oscura del ma- gnesia in a Orione, e un’altra zona viva nel giallo, meno viva della prece- dente, la qual zona corrisponde altresì alla nera del giallo nella stella « Orione. La stella parmi così una combinazione del 4a tipo da me scoperto con lo spettro dell’idrogeno diretto, la quale cosa è finora dimostrata solo in due stelle pure da me scoperte, cioè y Cassiopea e ot Lira. È da sperare che questa stella cresca in grandezza e arrivi come si presume — Si — fino alla 6a grandezza almeno. Se così sarà noi potremo riconoscere le fasi per cui passano questi corpi singolari di cui avemmo un esempio nel 1866 nella stella temporaria della Corona, la quale ha collo spettro della presente una grande rassomiglianza. Le osservazioni sono finora assai diffìcili essendo la stelletta solo di 8.a Spero che crescendo si potrà fare di più. Determinazione della differenza di longitudine tra Roma e Napoli per segnali elettrotelegrafìci. Nel decorso del testé passato Gennaio un’operazione di grande importanza astronomica è stata compiuta tra l’Osservatorio del Collegio Romano e l’Os- servatorio Reale di Napoli a Capodimonte, che da lunga pezza desidera vasi vedere eseguita. Questa è stata la determinazione della differenza di longitudine tra i due Osservatorii mediante la trasmissione reciproca di osservazioni meridiane per mezzo telegrafico, e con registro cronografìco. La determinazione delle longitudini consiste, come è noto, nel determi- nare con esattezza la differenza de’ tempi locali de’ due Osservatorii, ossia la differenza di tempo a cui passa uno stesso astro ai due meridiani. Questa si era conclusa fino a quest’ultimi tempi in varii modi, cioè con osservazioni di ecclissi, con occultazioni di stelle dietro la Luna, colla distanza della Luna alle stelle con essa culminanti, con trasporto di cronometri, e finalmente in alcuni pochi casi con segnali artificiali visibili dalle due stazioni. Questi mezzi sono tutti lunghi e laboriosi assai, e per ciò che spetta il risultato sono soggetti ad incertezze notabili, talché Taverne la quantità cercata entro un secondo è già una cosa più ambita che sicura. E infatti le longitudini assegnate tra gli Osservatorii del Collegio Romano e di Napoli differiscono fra di loro di più di due secondi in tempo. Non appena vennero stabilite le linee telegrafiche elettriche, si conobbe l’immenso vantaggio che si poteva tirare dalle trasmissioni di questi segnali per lo scopo delle longitudini ; e i primi esperimenti fatti in America nel 1848, che mi fece vedere il prof. Rendali di Filadelfia, vennero presto se- guiti in Europa dalle determinazioni di varie stazioni astronomiche principali in Inghilterra, Francia e Germania. Benché io avessi sempre insistito che anche fra noi tale determinazione si riducesse ad atto nei numerosi Osser- vatorii italiani , pure non sono riuscito a concludere, fuorché in questi ultimi tempi, verun risultato. Il Ma il ritardo non ha per ciò punto pregiudicato allo scopo; anzi possiamo asserire che esso ha giovato, perchè nel frattempo si sono venute segnalando le cautele che dovevansi avere per determinare con precisione quello che si cerca, e per evitare certi inconvenienti, che se non davano risultati così di- vergenti come i metodi antichi, tuttavia lo lasciavano lungi da quel perfetto ideale di cui è suscettibile. Basti qui dire che i primi osservatori costretti a prendere degli appulsi telegrafici isolati avanti a un pendolo, si trovavano spesso in errore di grosse frazioni di secondo, e solo si poteva diminuire Ter- rore con osservazioni assai numerose. Noi adesso siamo esenti da questo inconveniente perchè in questo frat- tempo si sono inventati gli strumenti cronografie!', cioè macchine in cui me- diante l’elettricità e il telegrafo può registrarsi in un sito qualunque T osser- vazione fatta in un altro colla precisione materiale del centesimo di secondo. In questo frattempo è pure sorta una circostanza che ha data l’ultima spinta a questo lavoro. La Prussia ha risoluto di fare una misura di Grado Europeo internazionale che passando per Berlino e quasi toccando Roma ve- nisse a traversare tutta l’Italia. Perciò era progettata una triangolazione ge- nerale nel senso del meridiano controllata dalle determinazioni più numerose che fosse possibile di latitudini e longitudini, e il Gen. Bayer m’invitò a prender parte a questi lavori, e le longitudini era già fissato , che sarebbero state tutte determinate telegraficamente. La Santità di Nostro Signore informata di questi progetti tra gli Astro- nomi, non ha voluto che si fosse da meno degli altri, nè che a noi venis- sero meno tali mezzi , e fino dal 1887 per mezzo di S. E. il Sig. Card. Segr.0 di Stato diede ordine che venisse l’Osservatorio del Collegio Romano provveduto della macchina cronografica. L’assenza mia dall’Osservatorio, du- rante l’Esposizione di Parigi per quell’anno, e la necessità di completare altri apparati accessorii con esso cronografo indispensabili, ha portato a differire fino al principio di quest’anno l’esecuzione del lavoro che è cominciato tra Ro- ma e Napoli per seguire poscia negli altri Osservatorii della penisola. Il Ministero del Commercio ha dato piena facoltà alla direzione de’telegrafì di assisterci in questa operazione: dal sig. Dirett. Mingazzini, pieno di impegno per questo lavoro, fu incaricato il Sig. Ispettore lacobini di stabilire in Roma ii sistema di macchine e de’conduttori , che meglio potevano servire al bisogno degli astronomi. Il piano fatto da lui in Roma fu messo in opera pure a Na- poli con pieno successo e ottimo risultato. Nelle singole sere di osservazione poi oltre il detto Sig. Ispettore che avea ogni premura onde le linee fos- sero in ordine perfetto nello stato nostro, per l’ora dell’osservazioni, veniva anche a coadiuvare il Sig. Retrosi Capo di Uffizio. Si ebbe dai due Governi la liberale concessione di eguali favori, e la linea fu ogni sera dal 2 al 25 Gennaio a nostra disposizione dalle 7 alle 10 della sera. Si fissò pure tra i due Astronomi una norma di pratiche da tenere nel- l’attualità delle osservazioni. Finalmente si confrontò il metodo relativo di pren- dere i passaggi delle stelle al Cannocchiale meridiano di alcune stelle ar- tificiali con una macchina per ciò inventata appositamente. Si convenne prin- cipalmente che le stesse stelle sarebbono osservate nei due Osservatori, e che gli strumenti meridiani sarebbero rettificati coi metodi più pricisi, ed usando medesime stelle. Disposte così le cose, ai 2 di Gennajo si diede principio alle osservazio- ni, e fino dalla prima sera si ottennero già buoni risultati. Nei giorni se- guenti si proseguirono costantemente salve alcune interruzioni causate ora dall’influenza del vento sulle linee telegrafiche, che facevano toccare i fili, ora dal tempo cattivo, o da qualche imperfezione de’ cronografi nei primi giorni. Esse furono finite al 24 Gennajo. In questo intervallo si potè raccogliere una copiosa serie di oltre a un centinajo di osservazioni complete di passaggi di identiche stelle, ciascuna delle quali da sè sarebbe già sufficiente a dare una longitudine più esatta che tutti i metodi anteriori. Inoltre si hanno molte stelle non complete, ma che pure potranno riuscire utili. Ogni osservazione completa consisteva I ,° nella trasmissione del tempo indicato dai rispettivi orologi: 2° nella trasmissione de’ passaggi della stessa stella. Ogni passaggio osservato a Napoli era segnato nel cronografo di Na- poli e su quello di Roma dalla stessa corrente: indi il passaggio della stessa stella veniva osservato a Roma e registrato sul cronografo di Roma e su quello di Napoli pure dalla stessa corrente, sempre diretta e senza nessun re- lais. Questo doppio registro ha per iscopo di eliminare il tempo che 1’ elet- trico impiega a percorrere la linea e quello che impiegano le ancore a muo- versi, il quale benché brevissimo pure non è insensibile, e quel che è peggio non è costante. Esso ancora ha per iscopo di rendere le discussioni indipen- denti pei due osservatori, e così scevra dai difetti ed errori di calcoli ac- cidentali. Siccome si è avvertito dagli Astronomi che non in tutti gli osservatori è eguale la prontezza di segnare le osservazioni degli istanti delPapparir delle 84 — stelle attraverso i fili del reticolo, così oltre i confronti già detti fra i due astronomi osservatori, in ciascun Osservatorio si è costruita la dianzi indicata per macchina avere tale errore direttamente. Ogni osservazione completa consta di 19 appulsi a Roma e 17 a Napoli ossia 36 in tutto: di più in media si sono dati sempre prima e dopo recipro- camente non meno di 1 5* di tempo ai rispettivi orologi : sicché le stelle , computando le sole complete essendo state 107, e altrettanti almeno gli ap- pulsi degli orologi formano in lutto una somma di sopra 5000 segnali distinti. Questa massa di confronti si deve rilevare nei due cronografi al 100mo di secondo e fare inoltre i debiti calcoli per la rettifica dei rispettivi strumenti meridiani, i cui elementi sono stati diligentemente determinati nel corso delle serate di osservazioni. Un sì vasto lavoro non può eseguirsi in pochi giorni; i confronti rela- tivi non meno importanti porteranno un tempo non tenue, quindi il risul- tato non sarà si presto all’ordine. Per ora possiamo però assicurare che la differenza di longitudine non disterà molto da lm 5% */2, ma che la frazione difìnitiva del secondo sarà il ri- sultato della discussione non essendo più controverso il secondo. Questo ri- sultato è già tale che corregge le più accreditate effemeridi: perchè Berlino mette 7m 2% e l’Alm. Nautico 7m 4/ Per giudicare fin d’ora della precisione diremo che in 110 stelle ridotte l’errore medio non supera i centesimi di secondo , e non saremo pre- sontuosi a dire che nella massa possiamo arrivare a un risultato in cui i centesimi siano per ciò che spetta le osservazioni dirette affatto assicurati. — 85 Sulla scintillazione delle Stelle Nota II. del Prof. Lorenzo He spighi. I risultali ottenuti da una serie di osservazioni, da me fatte nello scorso anno sugli spettri delle stelle in riguardo alla scintillazione, mentre mi con- dussero a stabilire i principali caratteri di questo importante fenomeno, m'au- torizzarono poi a dedurre alcune interessanti conseguenze relativamente alla sua origine ; e mi parve fin d' allora di ravvisare in queste la base della vera teoria del fenomeno stesso. La discussione di queste osservazion formava l’oggetto di una Nota sulla scintillazione delle stelle, che io lessi in questa Accademia nella Sessione del IO Maggio 1868 , e che venne poscia pubblicata negli atti dell’Accademia stessa del medesimo anno. I risultati delle osservazioni sugli spettri delle stelle in riguardo alla scin- tillazione, erano compendiati in questa Nota nel seguente modo. 1. ° Negli spettri delle stelle vicinissime all'orizzonte si osservano delle bande o strisele oscure e chiare trasversali, più o meno larghe e decise, che sembrano più o meno rapidamente scorrere lungo lo spettro, più spesso dal rosso al violetto, e talora dal violetto al rosso, e non di rado oscillanti daì- 1’ uno all’altro colore : e ciò avviene in qualunque direzione dello spettro dalla orizzontale alla verticale. 2. ° In condizioni atmosferiche anomarli queste apparenze rimangono pre- dominanti, quantunque nella forma delle bande e nel loro movimento si pre- sentino irregolarità più o meno sensibili. Osservando stelle successivamente più elevate sull’ orizzonte, lo spettro presenta le seguenti apparenze. 3. ° Disponendo il piano di dispersione orizzontalmente, e quindi rendendo lo spettro orizzontale, si veggono sul medesimo dei rigoni o delle bande oscure, e delle luminose, inclinate colla verticale, o colla trasversale allo spettro di un angolo che cresce rapidamente col crescere dell’altezza delle stelle ; i quali rigoni scorrono sullo spettro più spesso dal rosso al violetto , e non di rado in senso inverso, e talora oscillano dall’ uno all’ altro colore. 4. ° L’ inclinazione delle righe, o 1’ angolo da esse formato colla trasver- sale allo spettro , dipende dall’altezza delle stelle, riducendosi a 0.° all’ oriz- zonte, aumentando molto rapidamente col crescere dell’altezza, fino a diven- tare di 90° ad altezze non maggiori di 40.° 5. ° Nelle maggiori altezze i rigoni o bande diventono longitudinali , ma ognora più deboli e mal definite. 6°. In generale poi queste bande sono tanto più marcate e distinte, quanto minore è 1’ altezza delle stelle. 7. ° Queste bande o rigoni mobili sono inclinati colla trasversale allo spet- tro, o colla verticale dal zenit verso la parte più refrangibile dello spettro. 8. ° Girando il prisma e quindi lo spettro, l’ inclinazione delle bande va successivamente diminuendo, diventando queste trasversali, quando lo spettro ha preso una certa posizione, che nelle condizioni atmosferiche normali poco diversifica dalla verticale; e col diminuire dell’inclinazione delle righe o bande, esse si rendono ognora più deboli. 9. ° Continuando a girare lo spettro sino a renderlo orizzontale, ma dalla parte opposta, le bande si dispongono in posizioni simmetriche a quelle' pre- sentate nel primo quadrante. IO.0 Questi caratteri dello spettro sono tanto decisi e costanti, che si mostrano sensibilmente predominanti anche nelle condizioni atmosferiche le più anormali. 11. ° Nella stessa ora osservando stelle in differenti azimut, quantunque gli indicati caratteri si mostrino sempre predominanti, pure non appariscono sempre egualmente marcati e decisi ; mentre nelle diverse parti del cielo i rigoni appariscono più o meno regolari di forma e di movimento. Finora però non ho potuto rilevare , se queste diversità di apparenze nei diversi azimut abbiano una determinata relazione cogli azimut stessi, o se esse siano pura- mente accidentali ; ma sembrami doversi considerare le medesime sotto que- st’ultimo aspetto, e come dovute alle speciali condizioni delle masse aeree at- traversate dai raggi luminosi provenienti dalle diverse direzioni ; tanto più che simili anomalie si presentano nelle stelle osservate in ore successive nella stessa parte del cielo.. 12. ° La frequenza e la rapidità del movimento delle bande è minore or- dinariamente nelle stelle più basse, e per una stessa stella ad una data al- tezza, girando Io spettro, la frequenza e la rapidità media delle bande rimane sensibilmente costante.. 13. ° Le righe caratteristiche degli spettri restano poi visibili e sensibil- mente immobili, anche in mezzo alla più forte scintillazione; e non ha luogo alcuna reale sovrapposizione di una parte dello spettro all’altra, ossia nessuna sovrapposizione di un colore all’ altro. II che prova che durante la scintilla- zione nelle condizioni normali L’ immagine delle stelle non va soggetta a sen- sibili spostamenti od oscillazioni. Non si esclude par altro, che specialmente in condizioni anormali lo spei* tro e le sue varie parti , e i’ imagine totale della stella non possano andar soggetti a piccoli spostamenti. Oltre a questi principali caratteri della scin- tillazione, aveva inoltre notate alcune particolarità sulle apparenze del feno- meno, in relazione alle varie circostanze di osservazione; sti nai prudente però di non pubblicarle, se non quando da una più lunga e più accurata serie di osservazioni avessi potuto ottenere una valida conferma delle medesime. Da questi caratteri o leggi della scintillazione, fui condotto ad escludere, almeno come causa principale del fenomeno, le interferenze ammesse da Arago, ed a considerare il medesimo, come effetto di reali e momentanee sottrazioni o deviazioni dei raggi luminosi dall’ obbiettivo dei cannocchiali o dalla nostra pupilla, colle quali potevano benissimo spiegarsi tutte le apparenze osservate. Avuto riguardo alla diversa refrangibilità dei raggi luminosi nell’ atmo- sfera, si deduce incontestabilmente, che il fascio di raggi che in ogni istante entra nell’ occhio, o negli obbiettivi dei cannocchiali per formare l’ immagine delle stelle vicine all’ orizzonte, è costituito di raggi di diverso colore, prove- nienti da fasci primitivi diversi ; e cioè i raggi rossi da un fascio di luce primitiva più basso di quello dei raggi aranci ; gli aranci da un fascio più basso di quello dei gialli, e così di seguito sino ai raggi violetti o più refran- gibili , che provengono da un fascio più elevato di quello degli altri colo- ri ; e si può ammettere che all’ ingresso dell’ atmosfera, o nelle parti supe- riori della medesima, il complesso di questi raggi occupava nel senso verti- cale un’ estensione non minore di 1 0 metri per le stelle poste a pochi gradi sull’ orizzonte. Cosicché colla nostra pupilla o coll’obbiettivo dei nostri cannocchiali ab- bracciamo a queste grandi distanze un’estensione, o un fascio luminoso, od una specie di spettro alto molti metri, nel quale sono separati i varii colori; e quindi può accadere che un’ onda, o strato atmosferico irregolarmente condensato o rarefatto agisca in un dato istante sopra un colore e non sugli altri, e che porti negli istanti successivi la sua influenza successivamente e regolarmente sugli altri colori; e cioè dal rosso al violetto e viceversa, secondo che il moto di queste onde si effettua dal basso all’ alto , o dall’ alto al basso. Ammet- tendo poi che questi strati , o onde atmosferiche siano capaci di deviare , o per potere rifrattivo diverso da quello dell’atmosfera circostante o ambiente, o per effetto di riflessioni totali, o finalmente per assorbimento i raggi dei va- rii colori da esse incontrati , allora sottratti questi raggi allo spettro si pre- — 88 — senteranno al loro posto delle righe scure, le quali seguiranno sullo spettro l’ andamento delle onde aeree sul fascio luminoso ; e ciò avverrà in qualun- que direzione dello spettro. Per le stelle più elevate sull’orizzonte, per la diminuita dispersione del- l’atmosfera non potendosi ritenere i raggi dei diversi colori completamente se- parati anche alle grandi distanze , allora l’ influenza delle onde salienti o di- scendenti si produrrà sopra una specie di spettro imperfetto con sovrapposi- zioni di colori, e quindi le righe scure potranno abbracciare più colori, e conse- guentemente presentare nello spettro delle apparenze diverse, secondo l’esten- sione di esse onde, seco ndo il loro moto, e secondo la sovrapposizione più 0 meno innoltrata dei fasci dei varii colori. Avuto riguardo a questa circostanza, ed all’ effetto prodotto dalla lente cilindrica dello spettroscopio, ossia al modo con cui sono da questa stratificati 1 raggi dei diversi colori, ed ammesso nelle onde atmosferiche un moto ascen- sivo o discensivo, io mostrava in detta Nota, come dovevano risultare neces- sariamente nello spettro le inclinazioni delie righe oscure in corrispondenza alle varie altezze delle stelle ed alla direzione del piano di dispersione del pri- sma, quali venivano dalle osservazioni presentate. Riguardo poi alla causa di queste momentanee deviazioni dei raggi lu- minosi dall’ occhio o dall’ obbiettivo dei cannocchiali, mi parve dalla regola- rità del fenomeno nelle condizioni atmosferiche normali esclusa la riflessione totale sulle onde atmosferiche, ammessa dal Montigny ; e pur concedendo che ciò possa ammettersi per le circostanze anormali, e specialmente per la scin- tillazione durante il giorno , per la scintillazione notturna mi sono creduto nella necessità di ammettere, che queste deviazioni siano prodotte da varia- zioni di potere rifrattivo nelle varie parti dell’ atmosfera e specialmente in vicinanza all’ orizzonte. L’ immobilità delle righe dello spettro, anche in mezzo alla più forte scin- tillazione, e la localizzazione sullo spettro dei varii colori, conducono necessaria- mente alla conclusione, che le deviazioni angolari dei raggi luminosi succes- sivamente sottratti all’ obbiettivo dei cannocchiali siano piccolissime , e che perciò 1’ azione delle onde si produca sui raggi stessi a grande distanza dal- 1’ osservatore ; ossia ohe 1’ operazione della scintillazione si compia in regioni a noi molto lontane ; e non è certo esagerato il dire, che la deviazione dei raggi luminosi sia prodotta, almeno per le stelle presso all’arizzonte, a distanze non minori di 100 chilometri. — 89 — Ciò posto si deduce che i raggi di un dato colore, per essere portati fuori dell’ obbiettivo, richieggono che un’onda o strato atmosferico produca una ri- frazione straordinaria in più o in meno di pochi decimi di secondo : il che certamente non è improbabile per chi considera, che specialmente in vicinanza al suolo, o nelle regioni non molto elevate dell’ atmosfera , questa deve tro- varsi in uno stato di eterogeneità assai forte, sia per la diversità di tempe- ratura, sia per gli ineguali condensamenti del vapore acqueo; onde deve ac- cadere che i raggi luminosi, incontrando questi strati eterogenei sotto una grande obbliquità, vadano soggetti a piccolissime rifrazioni straordinarie, quali sono richieste, perchè essi siano portati fuori dei nostri obbiettivi. Nell’ indicata Nola non dubbitava quindi di conchiudere, in base alle os- servazioni spettrali della scintillazione, che questo fenomeno, anziché ad elfetti di interferenza, doveva invece attribuirsi a reali e momentanee deviazioni pro- dotte dall’atmosfera sui raggi dei diversi colori, onde sottratti questi alla no- stra pupilla ed agli obbiettivi dei nostri cannocchiali , ne risultano nelle im- magini delle stelle continue variazioni di intensità e di colore ; ammettendo poi come assai probabile, se non certo, che queste deviazioni siano prodotte da eterogeneità del potere rifrattivo delle masse atmosferiche incontrate dai raggi luminosi a grandi distanze dall’ osservatore. Poneva poi termine alla Nota, dichiarando come da più profonde osserva- zioni spettroscopiche, fatte secondo il metodo del sig. Wolf, non solamente era a sperarsi una definitiva soluzione di questa questione, ma che inoltre potevamo lusingarci di scoprire una connessione tra le varie apparenze degli spettri delle stelle e le condizioni atmosferiche dominanti nelle regioni attraversate dai raggi luminosi; e di trasformare cosi lo spettroscopio in uno strumento meteorolo- gico di grande importanza; co! quale potremo studiare lo stato dell’ atmo- sfera, non già, come succede cogli altri strumenti, soltanto nella speciale lo- calità occupata dall’osservatore, ma eziandio nelle regioni a noi circostanti, e sottoposte a tutta la calotta atmosferica che sovrasta i nostri orizzonti. 11 fenomeno dalla scintillazione è senza dubbio assai complesso , e sol- tanto da numerose e diligenti osservazioni può sperarsi di ricavare i dati ne- cessari per istabilirne una vera teoria, e le relazioni del medesimo colle va- rie condizioni atmosferiche. Non può negarsi che molte sono le osservazioni già fatte , ma bisogna confessare che la maggior parte di esse sono di poco profitto alla questione, perchè fatte con mezzi imperfetti , e in modo troppo vago e complesso. Le 12 osservazioni spettroscopiche sono quelle , che a mio parere sole meritano il nome di osservazioni, ed è a queste principalmente che noi dobbiamo ora ri- volgere la nostra attenzione , perchè esse sole penetrano nella vera essenza del fenomeno. I risultati, che ebbi la fortuna di ricavare dalla prima serie di osser- vazioni , furono troppo importanti , perchè io non fossi sollecitalo a conti- nuare queste ricerche , allo scopo di confermare i già ottenuti caratteri del fenomeno , e rintracciarne altri più speciali e dettagliati, onde meglio accer- tarne l’origine, e completarne la teoria. Nel principio di Ottobre dello scorso anno incominciai pertanto una nuova serie di osservazioni, che venne protratta sino al 12 Febbrajo corrente, principalmente allo scopo di studiare certe par- ticolarità del fenomeno, e le sue relazioni colle condizioni atmosferiche domi- nanti ; e quantunque in parte soltanto abbia raggiunto questo scopo , pure credo opportuno di comunicare fin d’ ora i principali risultati ottenuti, per- chè mi si presentano come assai interessanti per la teoria del fenomeno. Lo strumento usato in queste osservazioni è quello stesso usato nelle pri- me, e cioè l’equatoriale di Merz di pollici 4 1/3 di apertura, munito di spet- troscopio a visione diretta, formato di un prisma multiplo di Hoffman con lente cilindrica posta fra il prisma e 1’ oculare. Mentre questo strumento è di forza sufficiente per dare gli spettri delle stelle sino alla 4.“ grandezza abbastanza luminosi, per rimarcare i principali caratteri del fenomeno, presenta poi per le sue piccole dimensioni il vantaggio di essere facilmente e con prestezza di- retto nei varii azimut ed alle varie altezze, e di prestarsi cosi a raccogliere un materiale di osservazione più ricco di quello, che potrebbe ottenersi con uno strumento di grandi dimensioni. Le osservazioni furono regolarmente cominciate nella sera del 4 Otto- bre e protratte con qualche interruzione sino alla notte del 12 Febbraio. In ogni sera di osservazione venivano osservate varie stelle in diversi azimut dal- l’orizzonte sino alla altezza di 40° circa ; determinando per ognuna l’ inclina- zione dei rigoni sullo spettro , tanto orizzontale che verticale , il senso del moto dei rigoni, ed altre particolarità relative al fenomeno. II numero delle sere di osservazioni e 61 ; il numero totale delle osser- vazioni 720. Dal complesso di queste osservazioni vengono pienamente confermati i risultati ottenuti dalla prima serie , e rilevati nel fenomeno nuovi caratteri, — Di- che sembratimi molto importanti per la spiegazione del medesimo, e tali da togliere qualunque dubbio intorno alla sua origine. Questi caratteri riguardano principalmente il moto dei rigoni, al quale si è specialmente diretta la mia attenzione, e possono compendiarsi nel seguente modo. 1 Il moto dei rigoni sullo spettro procede, nelle condizioni atmosferiche normali, dal rosso al violetto per le stelle all’Ovest, e dal violetto al rosso per le stelle all’ Est. 2. ° Presso al meridiano, tanto al Sud quanto al Nord, il moto è gene- ralmente oscillante dall’ uno all’ altro colore , e talora i rigoni sembrano sta- zionari, o scorrono soltanto una parte dello spettro. 3. ° 11 moto dei rigoni è più regolare e meno celere in vicinanza all’ o- rizzonte , mentre nelle maggiori altezze il moto è più irregolare e più ra- pido. 4. ° Sullo spettro verticale il moto dei rigoni si effettua nello stesso senso come nello spettro orizzontale , ma i rigoni sono meno decisi , e quasi tra- sversali sino all’ altezza di 30.° : mentre nelle altezze superiori essi diventano successivamente più indecisi, trasformandosi in rigoni longitudinali, e talora in semplici masse scure e chiare mobili , e non di rado in semplici cambia- menti di splendore. 5. ° I rigoni o le masse lucide sono più rare, e meno regolari delle oscure e soltanto si presentano in vicinanza all’ orizzonte. 6. ° Non di rado nelle stelle basse, oltre ai rigoni regolari e quasi lon- gitudinali, si presentano altre serie di rigoni meno regolari e più inclinati, e talora anche longitudinali. 7. ° Nelle condizioni atmosferiche normali le stelle vicine presentano gli stessi fenomeni. 8. ° Nelle condizioni atmosferiche anormali i rigoni sono più deboli, più irregolari di forma e di moto. 9. ° Quando dominano venti forti, i rigoni sono assai deboli e indecisi , e talora si rimarcano sullo spettro dei semplici cambiamenti di splendore, an- che nelle stelle prossime all’ orizzonte e molto lucide. 10. ° Quando le immagini delle stelle sono molto diffuse, i rigoni sono de- bolissimi e indecisi. 1 1 . ° Quando i rigoni sono regolari di forma e di moto, ordinariamente continua il buon tempo , e in generale sembra che la regolarità dei feno- 32 meni di scintillazione sia un mezzo probabile di pronosticare il proseguimento della buona stagione. 12.° 1 fenomeni di scintillazione sono più decisi e marcati nelle serate di maggiore umidità atmosferica. Se i risultati, già da me pubblicati in base alle prime osservazioni spet- trali della scintillazione, mostravano probabile la spiegazione del fenomeno per mezzo della dispersione atmosferica e delle rifrazioni irregolari subite dai raggi trasmessi dalle stelle sugli obbiettivi dei nostri cannocchiali e sulla nostra pupilla , questi ultimi risultati rendono la spiegazione stessa certa; mostrando il fenomeno ognora più in accordo con essa, ed escludendo qualunque dubbio potesse ancora rimanere sulla verità della medesima. La costanza del senso del moto dei rigoni rispetto al meridiano, e cioè i moto dei rigoni dal rosso al violetto per le stelle all’ Ovest, e il moto in senso opposto per le stelle all’ Est, mostra primieramente, che la causa di tale moto non può ravvisarsi nel moto interno ascensivo o discensivo delle masse atmosferiche attraversate dai raggi luminosi; poiché in questo caso, nelle con- dizioni atmosferiche normali, tale moto dovrebbe estendersi nello stesso tem- po a tutte le regioni circostanti; e quindi il moto dei rigoni dovrebbe effet- tuarsi nello stesso senso, e prossimamente colla stessa velocità negli spettri di tutte le stelle in qualunque azimut, e di più il senso di questo moto do- vrebbe essere più incostante, e variare da giorno a giorno , o almeno nelle varie ore della notte. La costanza delle leggi di questo moto è incontestabile , poiché anche nelle condizioni anormali esse si mostrano predominanti, almeno per le stelle vicine all’ orizzonte. Bisogna quindi ricorrere ad una causa costante, generale o tellurica, e questa è appunto il moto rotatorio della terra. Infatti le leggi sopra esposte possono formularsi anche nei seguenti termini, cioè : » Quando una stella si abbassa, i rigoni procedono dal rosso al violetto, » quando si innalza , invece dal violetto al rosso » od anche in quest’ altro modo, e cioè: » Quando i raggi luminosi delle stelle sono attraversati da parti succes— » sivamente più basse dell’ atmosfera, i rigoni procedono dal rosso al violetto, « ed al contrario procedono dal violetto al rosso , quando sono attraversati » successivamente da parti più elevate dell’ atmosfera. » Questo fatto è in pieno accordo col moto diurno dell’ atmosfera , e per — 93 — la sua grande importanza merita di essere pienamente dilucidato, non poten- dosi così facilmente rilevare, come il moto rotatorio della terra possa avere tanta influenza, tanta parte nel fenomeno della scintillazione. Supponiamo una stella prossima all’orizzonte e vicina al primo verticale, e cerchiamo in modo approssimativo la via percorsa dai raggi luminosi nel- 1’ atmosfera prima di arrivare al nostro occhio , od agli obbiettivi dei nostri cannocchiali , non tenendo conto del loro incurvamento per effetto della ri- frazione, ciò che al nostro scopo poco interessa di considerare. Calcolando la distanza dall’osservatore, alla quale questi raggi penetrano nell’ atmosfera all’ altezza di un centesimo, di un millesimo e di un diecimil- lesimo de! raggio terrestre, si trova per un centesimo 904 chilometri ; per un millesimo 285 chilometri, e per un diecimillesimo 90 chilometri circa. Onde si può in via di approssimazione stabilire, che i raggi, trasmessi a noi da una stella prossima all’ orizzonte , penetrano nella parte più elevata dell’ atmosfera alla distanza di circa 900 chilometri , e che alla distanza di 300 chilometri circa si trovano elevati dal suolo di chilometri 6, 5, mentre alla distanza di 90 chilometri passano all’altezza di 0, 64 chilometri, ossia a poco più di mezzo chilometro, avvicinandosi ognora più al suolo nelle distanze minori prima di giungere all’ osservatore. Questi dati sono sufficienti a farci comprendere a quante vicende debbano andare soggetti questi raggi luminosi, prima di arrivare a noi, rasentando quasi la superficie del suolo per una distanza tanto forte, e attraversando l’atmo- sfera nella parte più bassa, e soggetti quindi a tutte le influenze dipendenti dallo stato di eterogeneità, che deve necessariamente dominare nelle basse re- gioni dell’ atmosfera, anche nelle condizioni le più normali, in causa special- mente dei disequilibrii di temperatura, e della ineguale distribuzione e con- densamento del vapore acqueo. Se poi consideriamo che nelle condizioni atmosferiche normali, e special- mente quando l’aria è tranquilla , questo stato di eterogeneità deve ordina- riamente ridursi a strati circoscritti, più o meno estesi, e pressoché orizzon- tali , facilmente comprendiamo come un raggio luminoso, incontrand o molto obliquamente questi strati, possa andar soggetto a rifrazioni o deviazioni suf- ficienti a portarlo non solo fuori della nostra pupilla o dell’ obbiettivo dei nostri cannocchiali , ma ben anche a distanze molto maggiori ; e che perciò a distogliere questo raggio dalla sua normale trajettoria, di quanto basti per involarlo momentaneamente al nostro occhio, si richiegga in questi strati uno stato di condensamento o di rarefazione ben limitato, a produrre il quale sa- rebbero sufficienti anche tenui disequilibrii termometrici. Osservando poi che il cono di luce, che in ogni istante perviene alla no- stra pupilla od all’ obbiettivo dei nostri cannocchiali, a queste distanze in forza della dispersione è esteso nel senso verticale di molti metri, essendo alla di- stanza di 90 chilometri non meno esteso di 10 metri, facilmente vediamo quanto grande è la massa d’ aria da esso attraversata prima di giungere a noi; e quindi quanto varie debbano essere le vicende di rifrazione subite dalle varie parti di esso cono luminoso, e perciò in quale stato di alterazione e di disor- dine debbano le medesime concorrere in ogni istante alla formazione dell’ im- magine della stella. Essendo poi in questo cono luminoso, per effetto della dispersione atmo- sferica, stratificati orizzontalmente i raggi luminosi in ordine alla loro refran- gibilità o colore, deve ordinariamente accadere, che nello stesso istante le va- rie parti dello spettro vadano soggette a speciali e diverse modificazioni. Supposta la stella in prossimità all’ equatore, calcolando per le nostre la- titudini la grossezza verticale dello strato di atmosfera, che pel moto rotatorio della terra nell’ intervallo di un secondo attraversa ogni punto del cono luminoso alle distanze superiormente considerate, si trova, che alla distanza di 900 chi- lometri scorre sul fascio luminoso in senso verticale uno strato d’aria della spes- sezza di 50ra circa, per la distanza di 300 chilometri uno strato di 17,TO e finalmente per la distanza di 90 chilometri uno strato di 5"1 circa di gros- sezza. Da ciò si deduce, che mentre in ogni istante il cono luminoso abbraccia nel senso verticale una grande estensione , e quindi le varie parti di esso cono e i colori corrispondenti sullo spettro possono andar soggetti a diverse influenze atmosferiche , per effetto poi del moto rotatorio della terra , cam- biandosi successivamente e molto rapidamente la massa d’aria attraversata dai raggi, dovranno continuamente variare le condizioni di rifrazione in ogni parte del fascio luminoso, e conseguentemente le apparenze presentate nelle varie parti dello spettro della stella. Onde il moto della terra produrrà sul cono luminoso un effetto analogo a quello che sarebbe prodotto da un vento abbastanza impetuoso e costante, che regolarmente portasse su di esso cono una grande massa atmosferica, senza alterare menomamente la costituzione di questa, ossia la densità delle sue di- verse parti. — 95 — Quindi se uno strato condensato o rarefatto, in un dato istante, agirà in una data parte del cono luminoso, o sopra i raggi di un dato colore, pel moto rotatorio delia terra esso porterà successivamente e regolarmente la sua in- fluenza sulle altre parti di esso cono ; e quindi sullo spettro della stella ve- dremo la modificazione risultante passare regolarmente da una parte dello spet- tro stesso all’ altra, e nello stesso senso secondo cui le masse atmosferiche attraversano il cono luminoso, e colle stesse velocità relative. La regolarità dei fenomeni presentati dallo spettro delle stelle in pros- simità all’orizzonte, e specialmente in vicinanza al primo verticale, e nelle con- dizioni normali dell’ atmosfera , quando cioè l’aria è assai tranquilla, è in pieno accordo con questa influenza del moto rotatorio della terra; mentre ben difficilmente potremmo spiegarla come effetto di movimenti intestini dell’ at- mosfera, per 1’ impossibilità di conciliare la regolarità e costanza di questi mo- vimenti colla velocità richiesta; la quale non potrebbe ottenersi altro che per mezzo di venti impetuosi, che mancano nelle condizioni atmosferiche normali, quando cioè più marcato è il fenomeno. Basterebbe quindi la sola regolarità del fenomeno per farci riconoscere come causa principale del medesimo il moto rotatorio della terra, pel quale soltanto può ottenersi il moto regolare e costante delle masse atmosferiche sul cono luminoso. Ma ciò viene evidentemente dimostrato dal senso di questo movimento e dalla sua velocità. Per le stelle all’ Ovest il movimento dell’ atmosfera è ascensivo, e perciò sul cono luminoso le masse atmosferiche passano dal rosso al violetto ; quindi se uno strato atmosferico eterogeneo , o uno strato assorbente viene per la rotazione dell’ atmosfera portato sul rosso, in modo da deviare i raggi dalle loro trajettorie normali, o da distruggerli, il rigone nero, che allora apparirà nello spettro sul rosso, negli istanti successivi pel moto ascensivo di quello strato passerà successivamente sugli altri colori sino al violetto; onde il moto dei rigoni si effettuerà sullo spettro dal rosso al violetto. Per le stelle all’ Est il movimento dell’ atmosfera sul cono luminoso essendo invece discensivo, e cioè dal violetto verso il rosso, i rigoni corrispondenti dovranno scorrere sullo spettro dal violetto al rosso, e cioè in senso opposto a quello spettante alle stelle all’Ovest. Ciò è dimostiato dalle osservazioni, dalle quali si rileva co- stantemente, che il moto dei rigoni si effettua per le stelle all’ Ovest dal rosso al violetto , e per le stelle all’ Est dal violetto al rosso ; di modo che nelle notti tranquille il senso del moto dei rigoni sullo spettro può quasi servire a determinare la posizione del meridiano. In quanto alla velocità dei rigoni sullo spettro, essa risulta dello stesso ordine di quella dovuta al moto rotatorio della terra. Nelle notti tranquille quando i rigoni sono ben decìsi, e regolari , si trova che in 1 J circa un ri- gone scorre tutto lo spettro. Ora se noi supponiamo che la dispersione dei raggi per una stella prossima all’ orizzonte corrisponda ad un angolo misurato dall’osservatore di 11", il che poco può allontanarsi dal vero, siccome di al- trettanto è 1’ angolo descritto dalla terra nello stesso tempo, così un punto del- P atmosfera, e quindi uno strato della medesima impiegherà anch’ esso un se- condo a scorrere tutto il cono luminoso, e quindi in egual tempo scorrerà il rigone corrispondente tutta la lunghezza dello spettro. Supponendo la stella a maggiori elevazioni sull’orizzonte, l’estensione ver- ticale del cono luminoso, per la diminuita dispersione, andrà aneli’ esso dimi- nuendo ; e perciò andrà scemando successivamente anche la massa d’aria at- traversata ; mentre i raggi dei diversi colori tenderanno a rendersi ognora più uniti e confusi insieme in solo fascio luminoso. Perciò mentre diminuirà il numero di questi rigoni scorrenti nello stesso istante sullo spettro , perchè diminuito il numero degli strati èterogenei che possano intercettare il cono luminoso, essi si renderanno eziandio più deboli e indecisi; perchè diminuendo P obbliquità di questi strati coi raggi luminosi, meno sensibile diventerà la loro influenza sulla direzione di questi. Contemporaneamente poi questi rigoni, invece di scorrere trasversali lungo lo spettro, prenderanno quelle inclinazioni, che dipendentemente dall’ altezza della stella, e dalla direzione del piano di dispersione del prisma rispetto alla verticale, si dimostrarono già nella prima Nota necessariamente risultanti dal— l’influenza esercitata da uno strato, od onda atmosferica contemporaneamente agente su più colori limitrofi. L’ osservazione nostra, che nelle maggiori altezze il moto dei rigoni di- venta ognora più rapido ; ed anche questo carattere della scintillazione è in pieno accordo coll’ influenza esercitata dal moto rotatorio della terra. Infatti aumentando 1’ altezza delle stelle sull’orizzonte, il cono di luce di- vergente e disperso, che arriva al cannocchiale, viene ognora più assottigliandosi, finché all’altezza di non molti gradi, non più di 40° sicuramente, esso diventa sensibilmente cilindrico, e di sezione eguale a quella dell’obbiettivo. Onde suc- cede che gli strati eterogenei, trasportati dal moto rotatorio della terra su questo — 97 cono, lo attraversano in un tempo ognora più piccolo, e per conseguenza il moto dei rigoni sulla lunghezza costante dello spettro diventa ognora più rapido. Che anzi, quando l’estensione dello strato perturbatore è piccola, o non avver- tiamo per la breve durata il fenomeno , o ne abbiamo soltanto 1’ apparenza di momentanee trepidazioni di luce nelle varie parti dello spettro, o in tutta la sua lunghezza. Le leggi superiormente stabilite pel moto e per l’ inclinazione dei rigoni sullo spettro, e che nelle condizioni normali si verificano non solo nelle stelle vicine all’ orizzonte, ma anche a maggiori altezze, e cioè almeno sino a 30°, mentre per le stelle basse rimangono predominanti anche in condizioni atmo- sferiche anormali, nelle stelle più elevate vanno soggette a più forti pertur- bazioni; e molto facilmente il moto dei rigoni diventa irregolare nella velo- cità e nel senso , rendendosi i rigoni stessi ordinariamente più inclinati colla trasversale allo spettro, ed assumendo forme assai complesse ed irregolari. Anche questo si spiega facilmente osservando che per le stelle basse, in forza della grande estensione del cono luminoso e della maggiore efficacia degli strati eterogenei , il moto dei rigoni sullo spettro diventa lento, i rigoni più decisi, e quindi più facilmente visibili, anche quando per moti intestini del- l’ atmosfera vengano a mescolarsi con rigoni irregolari. Al contrario per le stelle più elevate i rigoni dipendenti dal moto rota- torio della terra, per la diminuita intensità e per la grande rapidità con cui scorrono sullo spettro, riescono ognora più deboli ed indecisi, e quindi pos- sono essere almeno temporariamente assorbiti nelle irregolari apparenze pro- dotte sullo spettro da condensamenti temporanei, o da trasporti di masse at- mosferiche per movimenti intestini. Non di rado si veggono scorrere sullo spettro delle stelle anche vicine all’o- rizzonte più serie di rigoni, di diverse velocità e di diversa inclinazione; ma non è difficile di ravvisare fra questi, quelli dovuti al moto rotatorio della terra, per la loro regolare e costante inclinazione, e per l’uniformità del loro movimento. Qualche volta ai rigoni trasversali, o quasi trasversali si sovrappongono ir- regolarmente rigoni molto obbliqui e quasi longitudinali ; questi ultimi rigoni anormali sono dovuti a strati eterogenei, che hanno attraversato il cono lu- minoso a distanze piccole dall’ osservatore, dove i raggi dei diversi colori si erano già notevolmete avvicinati. In vicinanza al meridiano il moto dell’ atmosfera essendo quasi orizzon- tale, gli strati o masse eterogenee traversano il cono luminoso sensibilmente 13 — 98 — paralleli alle linee di separazione dei colori; e perciò la loro influenza deve 11= mitarsi ad una parte soltanto del cono stesso, e quindi dar luogo sullo spet- tro a rigoni trasversali temporali fìssi, o scorrevoli soltanto per una parte di esso spettro ; onde a seconda dello stato di eterogeneità dell’ aria questi ri- goni dovranno apparire irregolarmente, e più o meno distinti nelle varie parti dello spettro, presentando 1’ illusione di un moto oscillatorio più o meno ir- regolare e più o meno celere. Che se per un moto intestino delle masse aeree questi strati si innal- zeranno, o si abbasseranno sul cono luminoso, potranno allora presentare nello spettro dei rigoni mobili lungo il medesimo dal rosso al violetto o viceversa, secondo che il moto dell’ atmosfera sarà ascensivo o discensivo , e con una velocità dipendente da quella del movimento stesso. Che anzi potendo questo moto ascensivo o discensivo essere assai lento, il moto dei rigoni potrà riescire anche più lento di quello dovuto al moto ro- tatorio della terra nelle parti lontane dal meridiano. In generale però i feno- meni, presentati degli spettri dalle stelle prossime al meridiano, dovranno rie- scire assai incostanti, per riguardo al senso del moto dei rigoni ed alla loro velocità , mantenendo però sempre nelle condizioni atmosferiche non molto anormali una posizione prossimamente trasversale allo spettro. E questo è appunto quanto si osserva nelle stelle prossime al meridiano; poiché nei loro spettri i rigoni, rimanendo trasversali, appariscono e scompaiono ordinariamente nella stessa parte dello spettro, dando luogo ad un apparente moto di oscillazione dall’ uno all’ altro colore. Talora però lo spettro appa- risce percorso da rigoni scuri e chiari più o meno lenti, ora però dal rosso al violetto, ora in senso contrario. La debolezza, o 1’ assoluta mancanza di rigoni durante le grandi agita- zioni atmosferiche, ossia durante i venti impetuosi, deve principalmente at- tribuirsi al continuo rimescolamento delle masse aeree, pel quale l’atmosfera si rende meno eterogenea, e le rarefazioni o i condensamenti della medesima riescono più circoscritti, e quindi atti soltanto a produrre deboli e troppo momentanee alterazioni nelle varie parti, o nell’ insieme dello spettro. In que- sti casi le immagini delle stelle appariscono diffuse ed oscillanti, perchè l’ in- fluenza delle masse eterogenee si distribuisce su tutto il cono luminoso, ed ha luogo anche a piccole distanze dall’ osservatore ; ma non si ravvisano varia- zioni sensibili di colore. Finora si è parlato soltanto dei rigoni scuri che si presentano sugli spet- tri delle stelle, e si è resa ragione delle varie apparenze da essi prodotte, tna in eguale maniera si può rendere ragione dei rigoni lucidi e delle apparenze da essi presentate sullo spettro stesso. Come uno strato od onda atmosferica può deviare dalla nostra pupilla o dall’ obbiettivo del cannocchiale i raggi di un dato colore, che naturalmente vi sono diretti; così può eziandio portare sull’obbiettivo dei raggi dello stesso co- lore, altrove diretti, e quindi dar luogo a momentanei rinforzamene di que- sto, ossia ad un rigone rinforzato o più lucido. Per esempio, se uno strato saliente è capace di deviale i raggi dal basso all’ alto per una zona limitata del cono luminoso, potrà benissimo nello stesso istante involare dall’ obbiettivo i raggi di un colore meno refrangibile, e portare invece sul medesimo dei raggi più refrangibili , e quindi produrre sulla parte dello spettro corrispondente ai primi un rigone scuro, e un rigone lucido invece sulla parte corrispondente agli ultimi; così p. e. lo stesso strato potrà produrre un rigone scuro nel rosso e un rigone lucido in un colore più refrangibile p. e. nel verde. La distanza dei due rigoni dipenderà poi dalla deviazione angolare pro- dotta dalla rifrazione straordinaria dello strato eterogeneo o dell’ onda atmo- sferica ; ma siccome questa deviazione nelle condizioni atmosferiche normali è assai piccola, così i due rigoni ordinariamente saranno assai vicini e spesso contigui. Se per contrario lo strato saliente devierà i raggi luminosi dall’ alto al basso, potrà apparire il rigone scuro nella parte più refrangibile dallo spettro e il rigone chiaro nella parte meno refrangibile. Per gli strati o onde discendenti si avranno poi fenomeni in senso op- posto. In generale però i rigoni scuri dovranno presentarsi più frequentemente e più regolarmente , essendo maggiori le probabilità perchè i raggi luminosi siano degli strati eterogenei deviati dall’ obbiettivo, anziché portati sul mede- simo; e perchè i rigoni scuri possono essere prodotti anche da assorbimenti. Non è raro il caso in cui i caratteri della regolare scintillazione si mo- strino molto marcati in alcuni azimut, poco distinti e irregolari in altri ; ciò prova, che le condizioni atmosferiche nelle regioni a noi lontane sono diverse nelle diverse direzioni, e più normali nelle parti verso le quali meno irregolare apparisce il fenomeno. Onde sotto questo riguardo lo spettroscopio diventa uno strumento meteorologico di grande importanza, come quello che ci avverte delle — i 00 - — perturbazioni atmosferiche che hanno luogo in regioni a noi molto lontane ; e non è improbabile, che lo studio di queste anomalie ci possa condurre a sta- bilire dei criterii, pei quali pronosticare con probabilità delle vicende che si stanno preparando anche per noi. Ma per istabilire le relazioni fra i fenomeni presentati dagli spettri delle stelle e le vicende atmosferiche dominanti nelle regioni lontane a noi circo- stanti, e prevedere le influenze che ne potranno derivare nella regione da noi occupata, si richieggono ancora molte e diligenti osservazioni. Quello però che fin d’ ora sembrami convenientemente provato si è, che la regolarità generale dei fenomeni di scintillazione è un indizio molto proba- bile di stabilità nelle condizioni atmosferiche, e un mezzo abbastanza sicuro per pronosticare la continuazione della buona stagione; e che al contrario l’ ir- regolarità parziale o generale di essi fenomeni sembra indicare prossime per- turbazioni atmosferiche; essendo questi i risultati finora ottenuti da osserva- zioni da me fatte a questo scopo, e che spero verranno confermati da ul- teriori e più sistematiche osservazioni, che mi propongo di intraprendere con questo speciale intendimento. Dipendendo la frequenza e la grossezza dei rigoni, e la loro distribuzione sullo spettro dallo stato di eterogeneità dell’atmosfera, facilmente si comprende, che anche nelle condizioni atmosferiche normali i fenomeni di scintillazione po- tranno variare da un’ ora all’ altra della notte, per le successive variazioni igro- metriche e termometriche dell’ aria; e che anche nella stessa ora potranno va- riare da un azimut all’ altro, per la diversità della costituzione atmosferica, di- pendentemente dalle locali condizioni del suolo o della superficie terrestre nelle varie regioni circostanti al luogo di osservazione. E tali differenze saranno tanto più marcate nei luoghi, dove più variate sono le accidentalità del suolo e la sua fìsica costituzione ; dove 1’ orizzonte sensibile è parzialmente terminato da estese pianure, da catene di montagne, da grandi stagni di acqua. Ma queste particolarità, e questi caratteri secon- darii del fenomeno non possono essere determinati altro che per mezzo di lunghe sarie di osservazioni fatte nelle condizioni atmosferiche normali ; e per- ciò le osservazioni, da me fatte in proposito, sono ancora insufficienti per ista- bilire le relazioni speciali fra i fenomeni di scintillazione e le condizioni to- pografiche del luogo di osservazione. I fenomeni di scintillazione debbono poi nello stesso luogo variare di in- tensità nelle varie stagioni dell’ anno, dipendentemente dalle diverse condizioni — 101 termometriche ed igrometriche dell’ atmosfera; e le osservazioni conveniente- mente protratte ci condurranno a stabilire anche a questo riguardo gli speciali caratteri della scintillazione. Indipendentemente da queste circostanze, i fenomeni di scintillazione do- vrebbero apparire più marcati e regolari nelle basse latitudini o presso all’ e- quatore, dove più predominante è l’ influenza del moto rotatorio della terra, e il moto generale ascensivo o discensivo più prevalente sui moti intestini e acci- dentali dell’atmosfera; meno decisi poi e più irregolari in vicinanza al polo, dove l’ influenza del moto rotatorio della terra diventa meno sensibile, e quindi più facilménte può essere paralizzata ed assorbita dagli effetti dovuti ai moti intestini dell’ atmosfera. 1 fenomeni spettroscopici della scintillazione dipendono principalmente dalla dispersione dei raggi luminosi, e quindi dalla estensione in senso verti- cale del cono di luce trasmesso sugli obbiettivi dei nostri cannocchiali, e per- ciò debbono presentarsi cogli stessi caratteri fondamentali in qualunque can- nocchiale indipendemente dall’ apertura dell’ obbiettivo. Ma non egualmente riesciranno distinti e marcati questi fenomeni , perchè ciò dipende anche dall’estensione trasversale del cono luminoso, ossia dall’ apertura dell’ obbiet- tivo ; in relazione alla quale l’ influenza di un’ onda o strato eterogeneo può estendersi ad una parte più o meno grande dei raggi trasmessi sull’obbiettivo stesso, e agire più o meno decisamente sui raggi dei varii colori, a seconda della loro più o meno completa separazione nel luogo, dove sono attraversati da quest’ onda o strato atmosferico. E in relazione a ciò facilmente si comprende che ordinariamente questi fenomeni dovranno riescire più distinti , più marcati e più regolari nei can- nocchiali di minore apertura, fino però ad un certo limite; oltre il quale l’ in- debolimento troppo forte dello spettro contribuirà a rendere apparentemente indeboliti anche i fenomeni di scintillazione : e ciò appunto viene confermato dalle osservazioni da me fatte a questo scopo ; le quali mi hanno mostrato che diminuendo fino ad un certo limite 1’ apertura dell’ obbiettivo , malgrado 1’ indebolimento dei rigoni, questi si presentano meglio definiti e più regolari di forma e di moto. Ma per questa ricerca sarebbe stato necessario di poter usare grandi ob- biettivi, per ottenere risultati più generali e più concludenti ; ma ciò non mi è stato possibile, non avendo a mia disposizione altro che cannocchiali di pic- cola apertura. Quantunque per le osservazioni finora discusse non possa ritenersi com- piutamente esaurito lo studio della scintillazione delle stelle, è fuori di dubbio però che per esse sono già stabiliti incontestabilmente i caratteri fondamentali del fenomeno, accertata la loro origine, e gettata la base di una teoria non più probabile, ma evidente. Quello che ancora rimane a studiarsi riguarda piuttosto le modalità del fenomeno, anziché la sua essenza ; e dirigendo le ulteriori e più speciali os- servazioni secondo le norme indicate della già abbozzata teorìa, non riescirà difficile di rilevare le più minute particolarità di esso fenomeno, e le sue speciali relazioni colle varie circostanze locali e colle varie condizioni atmosferiche. Anche la luce riflessa dai pianeti è senza dubbio soggetta alla scintilla- zione, e ne abbiamo una prova manifesta nell’ oscillamento e nelle deforma- zioni continuamente presentate dal bordo delle loro immagini , specialmente quando sono vicine all’ orizzonte. Che se nel complesso dell’ immagine ordina- riamente non si rimarcano cambiamenti sensibili di splendore e di colore, ciò dipende come già altri hanno mostrato dall’ estensione del disco planetario , per la quale gli effetti delle scintillazioni parziali dei varii punti trovandosi in fasi opposte vengono in gran parte a compensarsi fra loro, lasciando all’im- magine un’ apparente uniformità di splendore. Soltanto in circostanze eccezionali, ossia quando gli effetti della scintil- lazione nelle varie parti del disco non presentano questa contrarietà e questo compenso , la scintillazione diventa sensibile per mezzo di variazioni più o meno forti di splendore. E ciò principalmente si verifica al bordo dell’ imma- gine, dove 1’ oscillamento e il cambiamento di splendore nei singoli punti da luogo a quella marcata ondulazione, che a guisa di corrente serpeggia attorno al disco del pianeta; ciò pure si verifica quando sul disco del pianeta si tro- vano punti molto lucidi in campo poco luminoso, come sono le cime delle montagne lunari illuminate che si projettano nell’ombra, le quali presentano sensibili oscillamenti, e marcati cambiamenti di splendore accompagnati sovente da sensibili variazioni- di colore. Allo spettroscopio la scintillazione dei pianeti si presenta in modo assai complesso, e i fenomeni cromatici diventano meno sensibili, specialmente per la poca intensità della luce riflessa dai singoli punti, e per 1’ estensione della superfìcie luminosa ; in forza delle quali mentre le variazioni di colore sono per se stesse piuttosto deboli, ordinariamente poi sono rese molto meno sen- — 103 — sibili per la compensazione più o meno completa che si verifica negli effetti corrispondenti alla varie parti del disco. Quando però il pianeta è molto vicino all’orizzonte, e quando la sua luce è abbastanza viva, come in Venere, e quando F influenza degli strati si estende ad una gran parte del cono lnminoso, allora si rendono marcate nello spettro le variazioni di colore per mezzo di rigoni scuri e lucidi, simili a quelli che si osservano negli spettri delle stelle; e ciò mi si è presentato non rare volte in Venere. D’ ordinario però nello spettro del pianeta la scintillazione si rende sensibile per mezzo di semplici variazioni di intensità di luce nelle varie parti dello spettro stesso. Qualche volta nello spettro di Venere, vicinissima all’orizzonte, la scintillazione cromatica mi si è presentata così intensa che si vedevano per qualche tempo totalmente involati dallo spettro e in modo sue- cessi vo i raggi dei varii colori. Lo studio di questi fenomeni richiede però un cumolo conveniente di osservazioni speciali, fatte in modo diverso da quello usato per le stelle ; ed a queste principalmente verrà diretta la mia attenzione, onde stabilire anche nella scintillazione dei pianeti i caratteri o le leggi fondamentali ; le quali ri- tengo si mostreranno anch’ esse in pieno accordo colla spiegazione data alla scintillazione dello stelle. — 105 — COMUNICAZIONI Il prof. Betocchi ha presentato 1’ efemeridi del fiume Tevere nell’anno 1868, col confronto della pioggia caduta in Roma nello stesso anno, misurata all’ Udometro dell’ osservatorio del Collegio Romano. Dai risultamenti di que- ste osservazioni ha dedotta la seguente STATISTICA DEL FIUME TEVERE ANNO 1868. 14 ANN ALTEZZE OSSERVATE METRI LINEARI PORTATE METRI CUBI PIOGGlj M1LL1METR Gennaro 243, 00 13610, 13 127, 00 Febbraio 183, 50 7498, 64 6, 30 Marzo 196, 60 8086, 45 36, 40 « Aprile 190, 70 7880, 88 57, 50 Maggio 194, 10 7802, 24 62, 90 Giugno 194, 30 8250, 02 92, 30 Luglio 202, 10 8743, 68 72, 70l Agosto 198, 30 8440, 01 33, 00 Settembre 179, 60 6714, 88 133, 50 Ottobre 184, 60 6817, 26 118, 70 Novembre 199, 20 . 8921, 63 126, 00 Dicembre 199, 90 8127, 50 37, 00 IP 10 50 PO Sommano Mei : lin: 2365, 90 Mei: Cub : 100893, 32 Millim : 910, 30 Altezza media Met : lin : Portata media Met : Cub : 2365, 90 366 100893, 32 Pioggia media Millimetri 366 910, 30 = Met: lin: 6, 46 == Met : Cub: 275, 66 Afe 366 = Millim: 2, 48 Quantità di acqua caduta sull’intero bacino 481, 4412 X 366 X86400. JGG 1 -l'JESS T a a in : E Z Z a MINIMA met: lin: DIFFERENZA met: lin: POR' MASSIMA met: cub: FATA MINIMA met: cub: DIFFERENZA met: cub: ;,tl y 0 6, 30 4, 10 777, 43 255, 30 522, 13 U ’ »0 6, 00 0, 90 321, 15 223, 87 97, 28 u ) IO 6, 00 2, 30 490, 58 223, 87 266, 71 ", 5 ì, J 0 5, 90 2, 20 465, 03 213, 49 251, 54 io 6, 00 1, 50 391, 24 223, 87 167, 37 *’ l 0 6, 00 1, 60 403, 21 223, 87 179, 34 0 5, 80 2, 70 516, 31 203, 82 312, 49 •], § > 0 5, 70 6, 20 1002, 19 193, 93 808, 26 3, 3 > 0 5, 60 i, 70 367, 43 184, 34 183, 09 u y 0 5, 70 1, 30 332, 48 193, 93 138, 55 U > 0 5, 80 4, 70 791, 94 203, 82 588, 12 M > 0,3 ti 0 5, 90 1, 60 391, 24 213, 49 177, 75 Altezza massima dell’ intero anno Met: lin: 11, 90 » minima » » 6, 90 Differenza massima Mei: lin: 5, 00 Portata massima dell’ intero anno Met: cub: 1002, 19 » minima » » 321, 15 Differenza massima Mei: cub: 681, 04 108 — AMO 1868. Distinta dei giorni nei quali l'altezza del livello del Fiume Tevere all' Idro- metro di Ripetta oscillalo fra Gennaro 5 e 6 metri 6 e 7 metri 7 e 8 metri 8 e 9 metri 9 e 10 metri 1 0 e 1 1 metri 1 1 e 1 2 metri '2 o g CO 10 9 5 5 2 » )) » » )> » 31 Febbraro » 29 » » » )> w » » » » » 29 Marzo » 29 1 1 » » )> )) )' » » » 31 Aprile 1 26 2 1 » » » )) » )) » )> 30 Maggio » 30 1 » » » » )) )> ì) » » 31 Giugno » 27 3 » » » » )) » )> » n 30 Luglio 8 17 3 3 )> » » )) » )) » » 31 Agosto II 16 3 » » » 1 )) » )) » » 31 Settembre 20 9 1 » )) » » » )> » » » 30 Ottobre 19 11 1 )) » )) » )) » )> » )) 31 Novembre 7 16 4 2 » 1 » )) » » » » 30 Dicembre 10 14 7 » » )) » w )) » » 31 76 234 3o 12 5 3 1 )> » » » » 366 II Fiume Tevere è stato 1/6 dell’ anno in stato di magra, 2/3 dell’ anno in stato ordinario o normale, i/6 dell’ anno in stato di piena. — 109 — Il sig. prof. Cadet, offerse in dono, da parte del sig. prof. cav. Davide Toscani, una copia della relazione di questo autore , intitolata : I bagni animali nello stabilimento di mattazione in Roma nel 1868. Nella tornata precedente il prof. Cadet presentò in dono una pubbli- cazione del sig. dottore Ernesto Hallier, della università di Jena, intorno al fungo creduto produttore del Colera indostanico. La pubblicazione indicata è di 40 pagine in 8°, con una incisione in rame colorata, rappresentante le vicende del detto fungo; ed ha per titolo: Das cholera contagium. Botanische untersuchungen aerzten und naturforschern mitgetheilt, Leipzig 1867. COMITATO SEGRETO Si procedette per ischede alla nomina di tre soci ordinari, onde com- porre la commissione, incaricata di riferire all’accademia, tanto sul consunti- vo del 1868, quanto sul preventivo pel 1869. Da questa votazione risul- tarono eletti , a formare la indicata commissione, i sigg. professori : cav. Azzarelli, cav. Respighi, e cav. Diorio. L’accademia riunitasi alle 2 pomeridiane, si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione F. Castracane. — F. mons. Nardi. — - A. cav. Coppi. — B. cav. Viale. — A. comm. Cialdi. — A. Secchi. *— M. cav. Azzarelli. - — B. mons. Tortolini. — L. cav. Respighi. — E. Rolli. — P. A. Gugliel- motti. — - G. Pieri. V. cav. Diorio. — P. Volpicelli. — G. cav. Ponzi. — HO — — - F. cav. Giorgi. — S. Cadet. — L. Iacobini. — A. cav. Betocchi. — D. Chelini. — M. Massimo. Pubblicato nel 20 di maggio del 1869 P. V. ATTI DELL’ ACCADE™1 h PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE lV a DEL 7 MARZO 1860 PRESIDENZA DEE SIC, CAV. BENEDETTO YIAEE PREA MEMORIE E COMUNICAZIONI SEI SOCI ORDIKAHI E BEI CORB.ISPOBJBEWTI Su V'uso delle linee di Nobert, e delle preparazioni di Dialomee , a valuta- re V efficacia dei Microscopi , del Conte Ab. Francesco Castracane DEGLI ANT ELMI NELLI . Sono trascorsi di già tre anni, da che la squisita gentilezza del sig. Giorgio Nor- man, distintissimo naturalista micrografo di Hull, nel prestarmi una prepara- zione delle linee di Nobert a trenta fasci di strie, mi offerse agio di verificare la possibilità di risolvere con il mio microscopio le linee di tutta la serie non solo con la illuminazione monocromatica, ottenuta dalla decomposizione di un raggio solare, ma ancora con la luce bianca e indecomposta. Quelle incisioni così delicate, che davano il millimetro diviso in tremilacinquecentoquaranta- quattro parti, sembrarono quanto di più maraviglioso potesse giungere a pre- sentare l’arte meccanica in fatto di divisione. E pure l’ istesso abilissimo ar- tefice eseguì altre simili preparazioni di linee distribuite in diecianove gruppi, nell’ultimo dei quali spinse la divisione del millimetro frno a quattromila quattrocentotrenta parti. Io non ho ancora avuto P occasione di potere sot- tomettere a tale prova gli obiettivi dei quali dispongo: però ho tale fiducia e su la eccellenza di quelli, e più su l’efficacia della osservazione a illumina- zione monocromatica, da non dubitare del felice successo. Però sono bene lontano dal credere, che un simile maraviglioso prodotto dell’arte possa sostituirsi con vataggio alle valve di alcune Diatomee nell’ in- 112 — tento di cimentare l’efficacia di un microscopio» appunto come suol praticarsi dagli astronomi, che determinano il grado di perfezzione di un telescopio, dal potere che questo ha di risolvere le stelle doppie e le nebulose. Io non po- trò mai persuadermi che il sig. Nobert con tutta la sua abilità, possa garan- tire, che la profondità e la purezza della linea incisa sul vetro sia eguale in tutte le preparazioni che esso ha eseguito; mentre quella verrà modificata dalla durezza del vetro, dall’eguaglianza della superfìcie, dallo stato del taglio dell’ istrumento che incide, e da mille altre circostanze. Perciò ho creduto preferibile a quelle una magnifica preparazione di Diatomee-test graduate , quali in numero di venti il sig. Moler di Wedel ha saputo disporre in una sola linea, preparandole al balsamo di Canadà; e di tali preparazioni ne acqui- stai una nella scorsa estate in Parigi del sig. Hartnak. In quella le Diatomee sono distribuite in serie progressiva, in modo da presentare i dettagli strut- turali dai più facili ai più difficili, e questo su i dati forniti dal esimio mi- crografo sig. Grunow. La serie è la seguente: 1. Triceratium Favus, Ehrbg. 2. Pinnularia nobilis, Ehrbg. 3. Navicula Lyra, Ehrbg. var. 4 . della forza motrice , esso si diporta contro quest’azione precisamente come se fosse animato dalle due du du \ azioni opposte ^ ■ dt dt ) ) eguali fra loro ed all’azione <9. Onde può dirsi che, ad ogni istante dt , la comunicazione del moto nella materia del mobile si compie per le tre azioni contemporanee du du dt ’ dt l’ultima delle quali è la forfà d'inerzia che il mobile ritiene in sè, mentre le prime due sono l’azione e la reazione che si contrabilanciauo , l’azione cioè della forza sollecitante e la reazione della materia. Ciò stabilito, possiamo enunciare il seguente teorema che è fondamentale nella dinamica: Nel moto di un punto materiale, la forza d'inerzia è , ad ogni istante r uguale in grandezza e in direzione alla forza motrice, e viceversa; ovvero in altri termini: l’azione della forza motrice è, ad ogni istante, contrabilanciata dalla reazione del punto materiale* essendo questa reazione eguale ed opposta alla corrispondente forza d’inerzia. Proprietà ' fondamentali degli assi coniugati di rotazione. Nel pendolo composto di qualsivoglia forma , il piano determinato dal- l’asse di sospensione e dal centro di gravità verrà chiamato piano centrale. In questo piano le linee parallele all’asse di sospensione (infinite di numero) sono conjugate a due a due per modo che, se l’una si prende per asse di sospensione , l’altra è, come sappiamo. Tasse de' centri oscillazione ; e nel pas- sare dall’uno all’altro pajo di questi assi conjugati, le loro distanze al centro di gravità variano in proporzione inversa. Inoltre se, oscillando il pendolo, cerchiamo qual sia in un dato istante la posizione deU’asse centrale delle quantità di moto elementari, troveremo che, qualunque sia la velocità angolare 6 , quest’asse attraversa ad angolo retto il piano centrale sempre in un medesimo punto , punto che si dirà (per an- tonomasia) il centro di oscillazione corrispondente a quell’asse intorno a cui oscilla il pendolo. Ciò dichiarato, si hanno i seguenti teoremi notabili: 1° Se nel piano centrale le rette parallele all'asse di sospensione si ri- guardano successivamente come altrettanti assi di sospensione conjugati a due a due, ciascuno di questi assi tiene sopra di sè il centro di oscillazione del- l'asse conjugalo ; e tutti i centri di oscillazione si trovano sopra una retta che passa pel centro di gravità. 2. ° Il prodotto delle distanze che da due centri conjugati di oscillazione corrono al centro di gravità (posto sempre frammezzo ad essi) é costante. 3. ° Se i centri di oscillazione si projettano sopra i corrispondenti assi di sospensione, il luogo delle projezioni è una iperbola equilàtera , simme- trica intorno al centro di gravità, e corrente in mezzo a due assintoti l'uno parallelo e l'altro perpendicolare ai detti assi. N. B. Qualunque sia il solido che si considera,, l’esposte proprietà ap- partengono ad ogni sistema di rette parallele situate in un piano che passi pel centro di gravità del solido , riguardate successivamente come assi di — 151 rotazione. Egli è unicamente per fissar meglio le idee e per render più si- gnificative le denominazioni, che il solido si è riguardato come un pendolo oscillante. Dimostrazione Sia AA, la retta condotta pel centro di gravità 0 perpendicolarmente agli assi conjugati A s , AiSi. Posta in 0 l’origine delle coordinate rettangole x, y, zy l’asse positivo 0& sia parallelo all’asse di, sospensione A s; l’asse positivo Oij correndo secondo OAx , l’asse positivo Oz sarà l’asse clelVangolo x 0 A, =ang.(;ry). Ciò fissato , supponiamo che nel- 1’ istante dt la rotazione del pendolo si faccia colla velocità 0 nel senso dell’angolo yOz, e trasportiamo in 0 le quantità di moto elementari per comporle quivi in una sola forza F ed in una sola cop- pia G, rappresentate dalle rette OF, OG. La forza F, essendo eguale alla quantità di moto che avrebbe il centro dì gravità se la massa m del sistema vi fosse concentrata, sarà F = m.A0.9, ed avrà la direzione di Oz perpendicolare al piano centrale. Quanto alla cop- pia di moto OG, designate per L^, M0, N$ le coordinate del suo polo, estre- mità di OG, avremo L (y2 H- z2)dm, M = — J' xydm , N = —■£ xzdm , e di più s C A P AO.OA. = , 1 m supponendosi per definizione che il prodotto delle distanze AO, OAt al centro di gravità è costante per ogni pajo ( « , st ) di assi conjugati , Per trovare adesso l’asse centrale di queste forze F, G , conforme alla regola stabilita: 1 Conviene decomporre la retta OG che rappresenta la coppia di moto, in due : l’una diretta secondo F od Cte; e l’altra perpendicolare ad Oz. La 1* è = NS, e la 2* sarà OB cadrà nell’angolo a;OAi ovvero nell’angolo xOA, secondochè la sua compo- nente M sarà positiva o negativa; e che, posto OB =h, avremo 2.® Ciò fatto, conviene prendere sull’asse dell’angolo (FG), che è pur l’asse dell’angolo (zb), il segmento Il punto Ci, dove l’asse centrale delle quantità di moto elementari s’ innalza perpendicolarmente sul piano centrale, sarà il centro di oscillazione corrispon- dente all’asse di sospensione A s- E poiché, per costruzione, e retto 1 angolo BOCi, ossia (posto OCt=p) l’angolo ( bp ), si ha 5 costo) = sento = L = K *Dg(ff) = JL . } sen (yp) = cos (by) == M : b, ^ e per conseguenza di che segue che, siccome OA4 è la proiezione di OC4 sopra 0 y , così il punto C.4 appartiene ad A4 s4, asse conjugato di As. Inoltre il triangolo rettangolo 0 A4 C4 dà Quest’equazione tra le coordinate rettangole OA4, A4 C4, si riferisce eviden- Gsen(zG) = ris.(L0, M0) che rappresento con OB.5, essendo OB=ris(L,M). È manifesto che la retta _ Gsen(zG) __ b F "" m.OA ' — 153 — temente ai punti della retta 0C1, cosicché, prolungando CA0 sino ad incon- trare in C l’asse A s si avrà eziandio — M — AC = -j— OA ; ed i triangoli rettangoli OAC, OA^ daranno M2 CO = AO e conseguentemente V( L2 OC, = OA, y'Iì + ~ j , CO . oc. = — ( L m M2 Queste formole fanno palese che ciascuno degli assi di rotazione tiene sopra di sè il centro di oscillazione del conjugato; che il luogo di tutti i centri conjugati è la retta CC, che passa pel centro di gravità; e che il prodotto delle distanze che da due centri conjugati (C,C4) corrono al centro di gravità è costante. Finalmente, projettando il centro di oscillazione C4 in F sul corrispon- dente asse di sospenzione As, viene M AP=AaC4 = 1-J donde, moltiplicando per OA, 0 T . AP = — OAa , M m equazione tra le coordinate rettangole OA, AP dei punti P, la quale significa che, se i centri di oscillazione si projettano sopra i corrispondenti assi di so- spensione, il luogo delle projezioni è un’ iperbola equilatera, avente per as- sintoti gli assi Ox, 0 ij. Degli assi permanenti di rotazione Quando le quantità di moto elementari dm , dm, dm ) del so- ' dt dt dt ' lido equivalgono ad una forza unica F, questa forza F sarà (com’ è noto) rap- dy dz 20 f presentata da un segmento dell’asse centrale, perpendicolare nel punto C4 al piano centrale. In questo caso il centro C4 di oscillazione si chiama centro di percossa , perchè, ove il solido rotante intorno ad A s percuotesse con que- sto punto contro un ostacolo fìsso, ogni suo moto si estinguerebbe. Prendiamo adesso per centro di riduzione delle forze il punto P, pro- iezione di C4 sull’asse di rotazione A s. Trasportando la forza F da Cl in P, avremo in P la stessa forza F, perpendicolare al piano centrale, ed una coppia di moto G il cui polo cadrà sull’asse di rotazione A s. Supposta uniforme la rotazione, si concepiscano trasportate in P anche le forze d ’ inerzia de ’ punti materiali ( dm , -4-v dm , dm \ per ' ar dt 2 dt 1 ) r comporle quivi in una forza F4 ed in una coppia Gr La coppia G4 essendo rappresentata dalla velocità del polo della coppia di moto , che è nulla, sarà nulla. Onde le forze d’ inerzia equivarranno alla forza unica Fr che, essendo rappresentata dalla forza d’ inerzia del centro di gravità supponendovi con- centrata la massa m del sistema, sarà F4 = — m AO.02 , ed avrà la direzione della retta CjP. Le forze centrifughe del sistema, siccome eguali ed opposte in questo caso alle forze d’inerzia, equivarranno alla forza unica = AO. 02, che agirà secondo PCr Laonde , ove il punto P fosse ritenuto fermo da un cardine, la resistenza di questo cardine solo basterebbe a tenere in equilibrio perma- nente le forze centrifughe intorno ad A s. Per questa proprietà l’asse A s si è chiamato asse permanente di rotazione , ed il punto P centro di permanenza. Affinchè adunque una retta sia un asse permanente in un punto qua- lunque P dello spazio, è necessario e sufficiente che, presa questa retta per asse P# , ed in P come origine condotti ad arbitrio due altri assi P y , Pz perpendicolari a P# , risultino nulli i momenti complessi : Imperocché, verificandosi queste condizioni, se in P preso per centro di ri- duzione delle forze , la coppia di moto G si decompone in tre L0, M£, N0, le due ultime componenti riuscendo nulle , il polo di essa coppia cade sul- l’asse di rotazione Vx, e non ha velocità. Questo criterio per conoscere se una retta Pa: è o no un asse permanente, ne costituisce la definizione anali- tica o geometrica. La definizione dinamica può esprimersi così: Una retta Vx sarà un asse permanente rispetto al punto P se, nella rotazione intorno ad essa, le forze centrifughe equivalgono ad una forza unica che passa per P. Le forze centrifughe, siccome equivalenti alla forza m.AO.92, si faranno tra loro equilibrio intorno ad un asse Ox che sia permanente ri- spetto al centro di gravità 0. Quando l’asse di sospensione è parallelo ad uno degli assi permanenti re- lativi al centro di gravità , come avviene ne'pendoli che servono alla misura del tempo, la retta CCA si confonde colla retta AAt perchè, essendo in que- r M sto caso M =Jxijdm—o, l’equazione AC—— OA mostra che il punto C si confonde con A. In questo caso adunque la definizione generale del centro di oscillazione, quale si è data più sopra, coincide colla definizione in uso. Il Pesce Luna sul mercato di Roma. Comunicazione del Prof. Cav. Vin- cenzo Diorio. Poiché in una delle Sessioni passate (1) ebbi l’onore di richiamare l’atten- zione dell’Accademia sopra un pesce raro assai nei nostri mercati cioè sopra il Labrus luvarus di Rafinesque ; credo utile lo accennare nella presente, come nella scorsa settimana sullo stesso mercato abbiamo avuto straordinaria- mente un esemplare del Pesce Luna ( Telrodon mola di Linneo , Cephalus mola di Shaw, Lune meule. v. Muollo di Risso ) di oltre 80 centimetri di lunghezza sopra 60 circa di larghezza. Questo curioso pesce ellitico per la sua forma, è tutto fosforescente in mare durante la notte. Non è raro nei mer- cati dell’oceano Europeo, e riscontrasi pure nei grandi golfi del Mediterraneo: adulto però ed ingrandito sembra che non si avvicini che rare volte a terra. Forse la scarsezza del nutrimento a lui conveniente, ne limita l’incoiato e le corse. Secondo il Risso (2) questo pesce era colto in aprile alle Mandraghe nizzarde, e veniva pescato nel Luglio più vicino a terra. La carne ne è ribut- tante ; il fegato solo ritiensi per mangereccio. L’esemplare ora accennato, fà parte delle collezioni universitarie del museo di zoologia. (1) Sessione IV. del 7 Marzo. (2) Ichthyologie de Nice pag. 61. — 1 57 COMITATO SEGRETO Il defunto prof. Nicola comm. Cavalieri San Bertolo, avendo istituito erede de’ suoi beni l’accademia nostra, diede alla sua nora, sig. Giulia di Paris, un mensile assegno di scudi venticinque, a condizione della vedovanza. I Lincei, secondando la preghiera della nominata signora, decisero di accordare alla me- desima la stessa pensione, sua vita naturale durante, quand’anche andasse a seconde nozze. L’accademia decise altresì, di erigere un busto in marmo, al defunto suo benemerito presidente Nicola comm. Cavalieri San Bertolo; e ne affidò la esecu- zione allo scultore sig. Luigi Aureli, che lo aveva già presentato in gesso. L’ accademia riunitasi alle due pomeridiane, si sciolse dopo due ore di seduta. t Soci ordinari presenti a questa sessione A. comm. Cialdi. — P. Volpicelli. — B. Tortolini. *— M. cav. Azza- relli. — D. Chelini. ■ — • A. Secchi. — B. cav. Viale — V. cav. Diodo. P. A. Guglielmotti. ■ — G. Pieri. — L. cav. Respighi. — F. cav. Giorgi. S. Proja. — M. Massimo. — S. Cadet — B. Boncompagni. — ■ G. cav. Ponzi. • — A. cav. Betocchi. Pubblicato nel 30 di giugno del 1869 P. V. OPERE VEHIflE IN DONO Giornale di Scienze naturali ed economiche , pubblicalo per cura del Cmisiglio di perfezionamento , annesso al R. Istituto tecnico di Palermo. — Anno 1868 — Voi. IV. fase. 1, II, III, e fase. IV. "55S 1 58 — Atti del R. Istituto d' Incoraggiamento alle Scienze naturali , economiche e tecnologiche di Napoli. — 2a serie — Tomo V. De' lavori accademici del R. Istituto suddetto nell' Anno 1868. Relazione del segr. perp . comm. Francesco Del Giudice. — Un fase, in 4" — 1869. Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze , e Lettere. — Serie V — • voi, II — fase. Ili — IV del 1869. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze r Lettere , ed Atti — Disp. 3.°, e 4.“ del 1869. Ballettino meteorologico delV osservatorio del Coll.0 Rom«. di Febbraio e Marzo 1869. Intorno al magnetismo trasversale alla direzione della corrente elettrica. Esperimenti dei professori Francesco Zantedeschi a Pisa nel 1839, e di Emilio V illari nel 1864 e 1868 a Firenze — Padova, 1869, */2 fogl. Rassegna mensile Statistica degli Ospedali della Città di Roma, pubblicata per ordine di S. E. Rma Mgr. Achille Ricci — Commendatore di S. Spirito, e Presidente della Commissione degli Ospedali, Anno I. — Dicembre 1868. Intorno ad un teorema di calcolo differenziale, per Angelo Genocchi, Torino 1869 — un fase, in 8.° Intorno ad una dimostrazione di Davi et de Foncé n ex , pel suddetto. To- rino 1869 — un fase, in 8°. Le pene, e le ricompense nella vita futura. Riflessioni dell ' Ingegnere Archi- tetto Gaetano Pi con e. — Siracusa 1868 — un fase, in 12." D’ une . ... Di un nuovo metodo per determinare la paralasse del Sole , del capitano Cesare Settimanni. — Firenze, 1869 — un fase, in 8.° Tabulae auxiliares ad transitus per pknum primum verticale reducendos in- servientes — - edidit Otto Struve , speculae Pulcovensis director. — Petro- puli , 1868. Bulletin . . . Ballettino del! Accademia Imp. delle Scienze di S. Pietro- burgo. Tomo XIII. — Voi. 3. Memoires . . . Memorie dell'LìiPE ri ale Accademia Suddetta. Tomo — N.* 1-3 del 1868. Bulletin . . . Bullettino della Società 1 Imperiale de ’ Naturuisti di Mosca — Anno 1868 — N.° 1. Sitzungsberichte . . . Atti della Imp. Accademia delle Scienze di Vienna — ( Classe matematico- naturale — Sezione 2® ) — Voi. 57° — fase. 1-3 del 1868. — 159 — Idem .... Atti della Imp. Accademia Suddetta — (Sezione 1.) di Gen- naio, Febbraio, e Marzo 1S68. Idem . . . Atti della hip . Accademia Suddetta ( Classe filo so fico -storica) - — Novembre, e Dicembre 1867; e da Gennaio a Marzo 1868. Almanach .... almanacco della hip. Accademia Suddetta pel 1868. Archiv . . . Archivio per la Storia Austriaca — Voi. 89° — 2. metà — 1868. Jahrbuch . . . Annuario del hip. Istituto Geologico di Vienna — ■ Anno 1868 — da Luglio a Settembre. Abhandlungen .... Memorie della Società' Slesiana per la coltura della Patria ( Sezione di Scienze mediche e naturali) — 1867 - 1868 coll' indice generale dal 1804 al 1863. Idem . . . Memorie della Società' Suddetta ( Sezione filosofico - storica del 1867 ). Monatsbericht . . . Contoreso mensile della R. Accademia di Berlino — dall’Agosto a Dicembre 1868 — e Gennaio 1869. Iahresbericht .... Rapporto annuale dell' Osservatorio Astronomico di Pietroburgo del 1867 e 1868. Verhandlungen .... Atti e comunicazioni della Società ' delle Scienze Naturali di Hermanstad — Anno 18.° Philosophical . . . Transazioni filosofiche della Reale Società' di Londra — Voi. 158 — parte I. Proceedings of . . . . Atti della R. Società ' Sudetta — Voi. XVI — N.° 101 - 104. Proceedings of thè . . . Atti della R. Società ' Geografica di Londra — Voi. 13°, fase. 1° del 1869. Bullettino meteorologico dell' osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto in Moncalieri — Febbraio 1869. Comptes .... Contiresi dell' Accademia delle Scienze dell' hip. Istituto di Francia , in corrente. Preliminary .... Rapporto preliminare del D.r Guglielmo B. Carpenter sopra le operazioni fatte nei mari del Nord dell' Islanda britannica. Londra 1868, fase, in 8. Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze Matematiche, compilalo da B. Boncompagni. Ottobre e Novembre 1868. — 160 — Annunzio del Cav. Genocchi , relativo al principe Don. Baldassare Boncom- PAGNI. Sur les rouletles .... Sulle curve prodotte dalla rotazione di un'altra , e sulle pedane, di E. Catalan Bruxelles 1869. IMPRIMATUR Fr. Raph. Arch. Salini Ord. Praed. S. P. A. M. Socius IMPRIMATUR Joseph. Angelini Arch. Corinth. Yicesg. ATTI DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE VII-’ DEL 6 GIUGNO 1869 - PRESIDENZA DEE S1G. CA¥. BENEDETTO NIAEE PRELA' MEMORIE E COMUNICAZIONI BEI SOCI O H D IK AEZ £ 3) E X OOBBISFOIfBEHII Se la corrente del Golfo abbia influenza sui climi d'Europa. Comunicazione di Mons . Fr. Nardi . Era non solo comune opinione, ma un principio accettato dalla scienza, clie la corrente del Golfo messicano , il celebre Gulf-stream , esercitasse un’ azione benefica sui climi dell’ Europa del Settentrione, e che a lei dovessero la tem- peratura assai più alta, che non comporterebbero le loro latitudini, Irlanda, Inghilterra , Olanda , e Norvegia. Anzi se le navi poteano correre libere da ghiacci dall’ estrema Scandinavia alla Spitzberga , e sino verso 1’ ottantesimo grado, era tutto merito del Gulf-stream, le cui calde acque vedeansi traver- sare maestosamente il vasto Oceano , avviandosi a intiepidire que’ mari , e quelle spiaggie, alle quali il sole è nemico. Senonchè il Sig.r Findlay nell’Accademia reale geografica di Londra venne testé a esaminare più da vicino questo fatto, e a sottoporlo alle più severe indagini della scienza , e conchiudeva che poco o nessun effetto potea pro- durre la famosa corrente sulle terre europee. Scandagli, ed esperimenti ter- mometrici lo condussero a queste eonchiusioni, che esposte nel seno dell’ Ac- cademia, eccitarono viva sorpresa, e veementi contradizioni. Invero, se il Fin- dlay ha ragione, tutti i libri più recenti di Geografia fisica, tutti gli atlanti idrografici e fisici , le stesse carte marittime americane ed inglesi , quelle di Maury, di Johnson, e di Berghaus, quella stessa bellissima di Stulpnagel,, che 21 — 162 — ho 1’ onore di presentarvi, sarebbero contradette, perchè tutte tracciano ac- curatamente la via al gran fiume traverso l’Oceano, tutte lo fanno giungere alle sponde settentrionali d' Europa , dandogli su di esse quell’azione che di- cemmo. E certo, o Signori, é voi lo sapete, e provate voi stessi ogni giorno, che la scienza non deve arrestarsi dinanzi a nessuna autorità, e se occorre dee saper tranquillamente rifare, od anche rovesciare i suoi canoni. Però noi fa senza gravi e prevalenti ragioni. Sentiamo quelle del Sig.r Findlay. Esse, lo confesso, mi danno molto a pensare, così che io stesso che insegnai per tanti anni, e stampai tante volte, intorno ai benefici influssi dèi gran fiume caldo messicano sui climi europei settentrionali, sento vacillare la mia fede. Il Sig.r Findlay prende la cor- rente alla sua origine, eh’ è tra Florida e Cuba, e la segue quanto può es- ser seguita. Larghezza e profondità furono esattamente misurale all’occasione che la fune elettrica dovea deporsi tra 1’ isola e il continente, cioè più pro- priamente tra Florida -Key, e Avana. L’esatta distanza tra i due punti estremi, Sandkey, e Moro Castle d’Avana, in linea diagonale , è 82 1/4 miglia inglesi , eh’ è dunque la totale ampiezza di quello stretto. Lo scandaglio del resto mostrò, che il di lui fondo è ben altro che uniforme; a Nord verso Florida, scende gradatamente a scaglioni, o rialti, così che a 2 | mig. dal lido floridiano il fondo è a 8024' ingl. , a 39 mi- glia a 4122' , e la massima profondità, eh’ è di 5070' , incontrasi oltre la metà dello Stretto, a 45 § miglia dal Continente. Di là verso Cuba il letto è montuoso e ripido a modo, che alcuni colli sottomarini s’alzano sino a 2400' dal fondo. La catena di queste alture parallele all’ asse dello Stretto segue sino alla sponda Cubana, così che presso a lei negli avvallamenti, detti colà canons , abbiamo ancora acque assai profonde. Ed è precisamente sopra que- ste alture sottomarine del lato Cubano, che l’acqua muovesi a vera corrente, mentre sui rialti o scaglioni settentrionali della sponda floridiana ella sta quasi immota. La corrente calda , la vera corrente del Golfo , non occupa dunque che la metà circa dello Stretto , e nella sua massima ampiezza non misura che circa 40 miglia, scendendo a circa un terzo della totale profon- dità cioè a 1600' o 1700' ingl. Più sotto la temperatura si fa più bassa, così che mentre alla superficie varia da 25° a 27° C.° , a 2000' di fondo non è più che di 15° 3' C.°, e più sotto scende a 6° o 7° C.°, anzi presso il fondo il Commodoro Maury la giudicava di poco più che 1° C.° 163 Tutta la massa cT acqua calda, che compone la corrente in largo e pro- fondo, il Findlay la stima in superficie da 5 -r— 8 miglia inglesi quadre. Di là muove il gran fiume, e com’ è naturale, subito entralo nell’Oceano s’ allarga, così che centoventi miglia più all’ Est, tra il fanale di Sombrero, e Saltkey, il Comm. Craven degli Stati Uniti, nell’Aprile 1859, gli trovò un 45 miglia di largo, e 3600' di fondo ; più avanti tra il fanale di Carysport, e il gran Banco di Bahama, 63 miglia di largo, e 3000' di fondo. La cor- rente qui ripiega verso Nord, rade la costa americana sino al Capo Hatte- ras, di là torcesi a N. E. verso l’isola di Nantucket, poi rivolta aifatto al- 1’ Est avviandosi ai Banchi di Terranova , dei quali lambe le sponde me- ridionali. Dal Colfo ai Banchi corre per 3500 miglia, crescendo sempre in larghezza superficiale, la quale lungo le Coste della Virginia in faccia a Char- leston , già è di 70 miglia , al Capo Hatteras di 120, presso Nantucket di 300. Invece la sua velocità, com’era ad attendersi, procede in ragione in- versa, e mentre all’origine, nel Canale della Florida, la media proporzionale annua era di 65 \ miglia al giorno, ne’ paraggi di Charleston non è più che 56, presso T isola di Nantucket 36, e al sud di Terranova solo 28, così che la corrente ha d’ uopo di 20 — 25 giorni per giungere a Nantucket, di 50 a Terranova. Intanto col progredir verso Nord, la temperatura della sua su- perfìcie s’abbassa sempre, così che da 25° a 27° C.°, scende a meno di 15.°, e scema altresì lo spessore dello strato caldo, che non è più che di 100 piedi presso Nantucket , e di 50 a Terranova. Qui poi presso Terranova accade un fatto gravissimo. Un’ enorme corrente fredda discende dalla Baja di Baffin, e dalle gelate coste del Groenland, e del Labrador, portando sul suo dorso monti di ghiaccio, e s’ incrocia a questo punto colla corrente del Golfo, si mescola ad essa, la frastaglia, e la intercide a modo che a qualche mezzo chilometro di distanza la nave passa da una corrente calda alla fredda, e di nuovo alla calda e alla fredda, così rapidamente, che i marini paragonano quell’ intrec- ciamento alle inserzioni delle dita delle due mani. La corrente fredda scende sino a 150 e 200 miglia a sud di Terranova, onde taglia affatto nel suo corso la corrente del Golfo. Ora ecco il ragionamento del Sig.r Findlay. Come mai questa corrente scemata di temperatura sino a sotto 15.° C.° al suo arrivo a Terranaova, sce- mata di profondità sino a 50 piedi inglesi, scemata di velocità sino a non per- correre più che un miglio all’ora, onde ( anche supponendo , che conservi intero quel suo moto) avrà d’uopo di oltre 200 giorni per giungere sino alle spiaggie settentrionali d’ Europa, questa corrente , io dicea , tagliata , impe- dita e mescolata nel tragitto colle acque fredde della corrente artica , come mai potrà essa al suo giungere , se pur giunge , alle spiagge europee conservare ancora alcun grado della sua alta temperatura d’origine , così da potere esercitare alcuna influenza sui climi del Settentrione d’Europa ? Queste del Sig.r Findlay non sono vane asserzioni ; tenea là dinanzi i diagrammi, le sezioni traversali, le misure, gli scandagli, le prove termome- triche dei Capitani Craven, Hilgard, Chimmo, onde non era facile a conchiu- dere la cosa con un no. Dall’ altro canto si trattava di rovesciare un dogma di fede geografica; poiché come dicemmo, Humboldt, Maury, Berghaus, Johnson, e quanti scris- sero sulla famosa corrente, tutti s’accordavano nell’attribuire ad essa il mi- glior clima europeo. Onde potrà credersi facilmente, quante contradizioni le parole del Sig.1' Findlay suscitassero nel seno della Società reale geografica Britannica. Come spiegate voi, gli chiesero uomini competenti, le noci di coco, le felci, l’erbe e le piante tropicali recate dall’ Atlantico sino ad altissime lati- tudini d’Europa, e persino in alcune terre polari ? È noto realmente , che questi vegetabili delle terre tropicali pervenuti alle Canarie fecero presagire a Colombo le Indie occidentali. Il Sig.r Findlay rispose: non esser sola nell’ Atlantico la corrente del Golfo, e altre correnti, o le tempeste, aver potuto trasportare questi vegetabili ai lidi europei. — Invero anche qui non mal s’ apponeva il Sig.r Findlay , che l’Atlantico è tutto trascorso da correnti diverse e contrarie, che sembrano far centro co- mune nel tranquillo mar di Sargasso, solo immobile in mezzo a questa immen- sa e assidua circolazione. Però gli si opponeva di nuovo: ebbene, e in tal caso, come potete spiegare la temperatura così mite dei climi europei settentrio- nali? Ed egli rispose, esserci una ragione piana e chiarissima ne’venti Contro- Alisei , che sono come un rimbalzo degli Alisei stessi. Gli Alisei, come tutti sanno, fra i tropici spirano da levante , ma nelle zone temperate rigirano verso Ponente, e soffiano verso Europa , conservando ancora buona parte dell’ alta temperatura delle loro origini. Anche qui il Sig.r Findlay non ha torto; tutta l’Irlanda, la Germania Settentrionale, la Scandinavia stessa, nei venti da ponente hanno, durante l’inverno, correnti atmosferiche umide e cal- de, perchè oceaniche. Nè può altrimenti spiegarsi come le coste occidentali, non solo europee, ma asiatiche ed americane, delle zone temperate abbiano climi in comparabilmente più miti che non le coste orientali degli stessi Continenti sotto le stesse latitudini poste ad Oriente. Basti a saggio 1’ or- rido inverno di Nova-York confrontato col mitissimo di Napoli che stan- no entrambe sotto il medesimo paraiello, ed entrambe sul mare. Nè potrei accettare 1’ obbiezione mossa dall’illustre Rawlinson, che pre- siedeva l’adunanza, ed è, che se il mite clima si dovesse alla sola azione dei venti, questa non sarebbe sensibile che lungo le coste; poiché ben più addentro delle coste penetrano i venti oceanici. Nè ardisco accettare dall’altro canto la spie- gazione del Sig.r Findlay, che vorrebbe ripetere la corrente del Golfo dal moto rotatorio della terra, stante chè egli dice, l’acqua non essendo mossa verso oriente con eguale velocità della terra solida, rimarrebbe indietro, e verreb- be dai lidi occidentali risospinta verso oriente a forma di corrente. Poiché a me pare che un fatto così speciale e ristretto non possa attribuirsi a una causa così generale. Yi sono invero, oltre la corrente del Golfo, delle altre correnti calde anch’ esse dirette da occidente verso oriente, qual’è nel mare arabico quella dal Capo Guardafui a Bombay, e nel mar Cinese quella dalla Cina al Giappone; ma io credo doversi queste piuttosto allo squilibrio di temperatura più elevata in un sito, che in un’altro, e alla tendenza che han- no fluidi a mettersi a livello. L’ enorme calore del Golfo messicano , quello dell’ardente costa Africana, e delle coste cinesi meridionali, spiegano o alme- no danno alcuna ragione di questi fatti, senza ricorrere al moto diurno, che secondo me , non può aver nessuna azione , e in verun caso un’azione così speciale e limitata. Stimai, o Signori, non indegna della nostra attenzione questa difficile e bella ricerca, intorno alla quale sarebbe per me temerità il pronunziare. Confesso scossa la mia fede ne’buoni effetti della corrente del Golfo sui climi europei. Ma prima di rinunziare ad una teorìa seguita per tanti anni, da uomini così benemeriti della scienza, credo sia necessario di aspettare nuovi schiarimenti, che o confermino o modifichino le asserzioni del Sig.r Findlay , al quale in ogni caso apparterrà l’onore d’aver richiamato l’attenzione del mondo scien- tifico su questo argomento. Io credo che un giudizio sia ora prematuro, ma che le ragioni del Sig.l> Findlay siano tutt’altro che spregevoli. L’oceano è un gran libro, del quale sinora si sono svolte appena po- che pagine, prodigiose invero per le scoperte già fatte, ma appena compa- rabili con quello che resta a farsi. Soluzione di un Problema relativo alV equazioni del terzo e quarto grado. Del Prof. Barnaba Tortoli ni. ì .° Ritrovare un’ equazione completa di terzo grado , della quale l’ultimo suo termine rappresenti il discriminante di un’ equazione generale del quarto grado. * La soluzione di questo problema si rende assai facile con richiamare tanto per 1’ equazioni del terzo grado, l’equazione ai quadrati delle differenze delle sue radici , quanto col formare per 1’ equazioni del quarto grado una nuova equazione ridotta di terzo grado, la quale soddisfi alle condizioni del problema, come si vedrà da quanto siamo ad esporre. 2.° È noto che in un’ equazione generale di questo grado (1) axK 4 bx* -+- 6 ex1 -+- 4 dx e — 0 il suo discriminante A è espresso per A = P — 27j2 ove 1 e j sono i due Invarianti fondamentali quadratico e cubico, e per essi si ha 1 = 3c2 — 4 bd ae, j = ace — ad 2 — eb2 — c3 *+• 2 bcd. Di più esso rappresenta l’ultimo termine dell’ Equazione ai quadrati delle dif- ferenze delle radici. Ponendo b c d e si avrà (2) xK 4px3 -t- 6 qx h- 4r -+- s — 0. Nei differenti metodi per la risoluzione dell’equazioni di quarto grado s’incon- trano delle Equazioni di terzo grado, che diconsi ridotte, delle quali le radici sono collegate con le radici della proposta in diverse maniere : così se siano x', x", x1", xlV le quattro radici dell’Equazione (1) o (2), e si ponesse inoltre u' — x'x"' -t- x"xiv, u" — x'x" x"'xiy, u'" — x'xlV -+- x"x'" è noto che u', u", u"1 saranno le radici dell’ equazione di terzo grado. — 167 — (3) u3 — ■ Gqu2 -+- 4(4 pr — s)u — 8(2 p2 — 3 q)s — 1 6 r2 = 0 Possono consultarsi i diversi corsi di Algebra superiore come 1’ Opera di La- grange Résolutions des Équations, e per altre questioni relative agli Invarianti, e discriminanti due mie Memorie, una inserita nel tom. 6. degli Annali di Scienze Matematiche e Fisiche pel 1855, e l’altra nel tom. i.° degli Annali di Matematica pura , ed applicata pel 1858. Sostituiamo nella (3) i valori di p, q, r, s si avrà (4) a3u3 — 6 a2cu2 -4- 4(4 bd — • ae)au — 8(2 h2 — 3 ac)e — - 1 6 ad2 — 0. Si formi ora per l’equazione (3) o (4), l’equazione ai quadrati delle diffe- renze delle sue radici; di questa nuova equazione di terzo grado le tre radici saranno %' = (u' — u")\ z" = (ur — u'")2, z"' = (u" - u'")2 ed il loro prodotto per la sostituzione dei valori di u', u" u'", diverrà z'z"z"' = [ (x'— x") [x'-~ x"') {x"-~ x"') {x' — xiv) {x" — x'y) (x"' — xIV) ]2 e come ognun vede rappresenterà il discriminante dell’ Equazione generale di quarto grado : Ecco adunque rinvenuta l’equazione del terzo grado, che risolve la questione propostaci. Aggiungiamo ora gli sviluppi algebrici relativi. 3.° Un’ equazione generale di terzo grado e completa sarà (5) A u° -4- 3 Bit’2 -4- 3Cw -4- D = 0. Volendone formare la equazione ai quadrati delle differenze, è noto essere una nuova equazione di terzo grado della forma (6) A4z3 —t- 1 8 A’2 (AG - B2)z2 -4- 8 1 (AC -+- B2)2z -4- 27A = 0 ove A ne rappresenta il discriminante della (5), e per il quale si ha A2A = (A2D -4- 2B3 — 3 ABC)2 — 4(B2 — AC)3 è sviluppando queste potenze, si ottiene A = A2D2 — 3B2C2 -4- 4 DB3 4AC3 — 6 ABCD. — 168 — Paragonando la 6 con la (4) avremo e quindi A == a3 , B — — 2 a2c , 3C = 4 (Abd — ae)a 1) — — 8 (2 b2 — 3 ac)e — 1 6 ad2 , B2 — AG = —a4 (3c2 — 4 bd -+- ae ) O A2D -t- 2B3 — 3ABC = — 1 6a6 (b'2e — ace -+- ad2 -+- c3 — 2 bcd). Nei secondi membri ci si trovano e l’ Invariante quadratico I, e l’ invariante cubico j : per cui il valore di A dopo la divisione per A2 = a6 diviene 27A = 4.64a6 (27j2 — l3). Fatte tali sostituzioni nell’ equazione (6) otteniamo a6;3 — 24a4 Iz2 144a2 I2z — 4.64(l3 — 27 p) = 0 ove nell’ ultimo termine ci si trova evidentemente il discriminante dell’ Equa- zione di quarto grado : Essa potrà anche scriversi sotto la forma (ah — 12al)2z -- 4. 64 (I3 — 27 j2) = 0. Lagrange ha indicato un metodo per formare l’equazione ai quadrati delle differenze delle radici, e si riduce ad un problema di eliminazione. Esso riesce laborioso anche per 1’ Equazioni complete di terzo grado : viene diminuita la lunghezza dei Calcoli per 1’ Equazioni di terzo grado mancanti del secondo ter- mine ; ma si può far dipendere il primo caso dal secondo, come ha praticato il sig. M. Blerzy in un suo articolo sopra gl’ Invarianti nel tomo XVIII degli Ànnales de M.r Terquem , pag. 420 e seg. an. 1859. Per l’ Equazioni del quarto grado, la equazione ai quadrati delle differenze ascende al sesto grado e sono assai lunghe le operazioni del calcolo ; ma si può consultare un ele- gante metodo del Sig. Mica. Robgrts di Dublino indicatomi in forma di let- tera fin dal 30 decembre 1859 ed inserito nel tomo 2.° de’ miei Annali di Matematica per l’anno 1859, pag. 330. Roma 31 Maggio 1868. Nuove ricerche Spettrali del P. A. Secchi. La brevità necessaria non mi permette che di annunziare per prender data alcune scoperte importanti nella spettrometrìa. La 1 .“ è che avendo esaminato con misure la distribuzione della luce nelle stelle del 4.° tipo ho trovato in esse la riga del Carbonio: nel verificare più minutamente questo fatto sono riuscito colla benzina ( mediante la scin- tilla elettrica scaricata nel suo vapore misto aH’aria) ad avere lo spettro com- plementario di queste stelle. 2. ° In quanto alle stelle di 3.° tipo come a Ercole pare che la riga nera del verde non sia il Magnesio, ma ancor essa sia forse del Carbonio. Ho analizzato molti vapori di idrocarburi e trovato una grande difficoltà in ciò che i loro spettri sono variabilissimi e danno righe differentissime secondo la concentrazione e la densità de’ vapori, e la combustione più o meno viva. 3. ° Ne! sole ho avuto la fortuna di rincontrare una viva pretuberanza che dava tutte le righe lucide scoperte da Rayet nell’ ecclise dell’Ag. p. p. Ma ho con tutto agio potuto verificare che le due da lui segnate h non sono ambedue del Magnesio: ma una coincide con la 3.a più separata di questo metallo, mentre l’altra è giustamente nell’ intervallo tra le due altre più vicine. Ciò non è facile capire, perchè se sè ne rovescia una perchè non le altre? Le altre due righe luminose sono poste tra la b e la F e non hanno nera corri- spondente , la 3.° parrebbe del ferro, ma esse erano meno lucide di quelle del gruppo h. 4. ° Le protuberanze si trovano a colpo sicuro nelle facole , ma finora non trovo legge sul verso in cui sono voltate le colonne ripiegate, solo fi- nora trovo la latitudine delle protuberanze maggiore che quella delle macchie. 5. ° Le righe spettrali che soffrono dilatazione dentro i nuclei, ne sof- frono una proporzionale nelle penombre delle macchie onde sono terminate in punte (così — - - ) e non sfumate. Sono sempre più dilatate quelle del calcio che del ferro. Nel nucleo pure ho veduto sparire la nera dell’ idrogeno C, rna ciò avviene sempre nelle facole circondanti le penombre. 6. ° Tenendo conto non solo dell’altezza ma anche dello splendore delle righe della cromosfera esse sono più vive all’ equatore che ai poli, e raggiun- gono un massimo d’ intensità luminosa nella zona delle macchie , anche quando l’altezza resta la stessa. 22 — (70 — Rettificazione alla memoria presentata alla sessione IV, su l'uso delle linee di Nobert e delle preparazioni di Diatomee, a valutare V efficacia dei Microscopj , del Conte Ab. Francesco Castracane degli Antelminelli. IVella sessione dei 7 Marzo di questo anno ebbi l’onore di presentare al- cune osservazioni su l’uso comparativo delle linee di Nobert e delle prepa- razioni di Diatomee come test ossia nell’ intento di cimentare la bontà e le qualità di un Microscopio quale mezzo di osservazione. Da quelle io mi cre- detti autorizzato a sostenere che la preferenza sotto ogni aspetto doveva ac- cordarsi alle Diatomee e alle loro valve come quelle dalle quali potevasi at- tendere madore regolarità e finezza di dettadio. CO cj A conferma di che posi innanzi l’esempio d e\V Amphipleura pellucida, Kg. della magnifica preparazione Mòleriana, che possiedo. Dissi di averne perfet- tamente risoluto le minutissime strie, delle quali và distinta, e di averle ri- soluto con tanta chiarezza da poterne calcolare ancora il numero; ed a con- ferma di questo citai la testimonianza del Naturalista Doti. Licopoli , con il quale mi trovai in perfetto accordo nella estimazione di detto numero. Al- lora io non riputai oportuno il precisare il numero verificaio con il mezzo del micrometro oculare a punte mobili, mentre aggiungevo che « un tal me- li todo io non saprei riguardare come interamente esatto, ma soltanto come » approssimativo », rimettendo il far conoscere il numero ottenuto allora che avrei eseguito 1’ immagine fotografica della Anfipleura: mentre in altra circostanza avevo stabilito che il solo mezzo per fissare con precisione il nu- mero delle strie nei casi più difficili si e quello della enumerazione fattane sopra una data estensione della negativa ottenuta sopra vetro. Nè è molto tempo che mi provai a portare la cosa ad atto, profittando di una impressione fotografica che ottenni sopra vetro dell’ Amphipleura pellu- cida, Kg. della preparazione di Mòler, la quale impressione non è riescita della forza che si richiede a dare delle buone positive, ma presenta una ma- ravigliosa finezza di dettaglio. Ma quale non fu la mia sorpresa allora che nel sopraporre alla immagine negativa un intaglio corrispondente ad un cen- tesimo di millimetro moltiplicato per seicenloquaranta , che era 1’ ingrandi- mento lineare della immagine ottenuta, non enumerai altro che quaranta strie! così che mi fu forza il dedurre che il numero delle strie della Diatomea suin- dicata non era maggiore di quattromila in un millimetro. E pur io non avevo dubitato di asserire il numero da me verificato nelle strie dell’ Amfipleura della preparazione di Mòler « superiore a quello » che fu calcolato dal sig. Sollitt di Hull su l’istessa Diatomea, il quale esti- » mò a centotrentamila il numero di quelle strie in un pollice Inglese (inch) » che corrisponderebbe a cinquemila cento quindici al millimetro ». Questo valga a dimostrare quanto poca fiducia si debba accordare ai metodi di mi- sura comunemente usati, almeno nei casi, nei quali si tratti di misure estre- mamente piccole, e perciò la necessità che ne segue, di ricorrere alla Foto- micrografìa per conoscere le misure esatte delle Diatomee e delle loro strie, e così appurare le dubbiezze che si hanno su l’ importanza del numero delle strie in ordine alla determinazione specifica delle Diatomee. Ad onta però di un risultato nel nostro caso tanto inatteso, io non credo poter variare di sentimento in riguardo alla preferenza da dovere accordare alle valve di alcune Diatomee piuttosto che alle linee di Nobert per cimen- tare la forza e le buone qualità di un Microscopio; e tanto più sento di non potere cambiare di aviso mentre ritengo che potranno rinvenirsi esemplari di Diatomee forniti di strie ancora più fine e numerose, le quali sono auto- rizzato a sperare di poter risolvere con i miei mézzi di osservazione avendo con tanta nitidezza distinto le strie del tipo più difficile della preparazione di Diatomee test graduate di Mòler. 172 Sopra un nuovo sistema di variabili , introdotte dal sig. Ossian Bonnet , nello studio delle proprietà delle superficie curve. Nota del prof. Barnaba Tortolini. (Liouville journal toro. V. 2a serie, pag. 153, anno 1860.) I.°Ije variabili introdotte dal Sig. 0. Bonnet in questa bella e lunga Me- moria sono quelle che vengono a fissare la posizione del piano tangente una superficie curva : richiamiamo brevemente quanto nei preliminari della Me- moria espone il eh. Autore. Sia una superfìcie S riferita a tre assi rettangolari, e consideriamo uno de’ suoi punti M di coordinate vj, £. Se si chiamino «, [3, y gli angoli, che la normale condotta alla superfìcie S pel punto M fa con i tre assi, e § la distanza dell’ origine al piano tangente, si avrà X cos a — t- Y cos (3 -t- Z cos y = § ove X, Y, Z sono le coordinate di un punto qualunque del piano tangente : in luogo degli angoli j, C del punto M : in fatti la precedente equazione sarà pur verificata pel punto X = Y = vj, Z = £ : di più avranno luogo le derivate parziali dell’ equazione 5 cos x vj sen x -\~Zi sen i y = — 2 rapporto ad x, y , 2 prendendo come costante g, vj, £ per un punto infinita- mente vicino : ponendo adunque per le derivate parziali d2 d2 avremo ? sen x- — >j cos x = p, £ cos i y = q. Queste due aggiunte alla precedente servono alla determinazione di H, o, £ : così si avrà ? cos x -+- vj sen x = — 2 — i tang i y. q % sen x — vj cos x — p, ? cos i y = q — 174 — e dall’eliminazione i* = p sen x — z cos x — i cos x tang i y. q q >3 = — p cos x — 2 sen x — i sen x tang i y. q , £ — — ?-r- cos zy Il Sig. Bonnet introduce di più con le derivate di ordine secondo della 2, tre altre quantità tt, v , iv , e delle quali ne fa costantemente uso nella ci- tata Memoria. 3.° Mostriamo ora brevemente, come le nuove variabili introdotte dal Sig. Bonnet racchiudono necessariamente la considerazione di quelle super- fìcie, che secondo le denominazioni del Sig. W. Roberts si chiamano super- fìcie derivate di sistema positivo , e superficie derivate di sistema negativo : queste superfìcie da lungo tempo furono da me prese in considerazione nella risoluzione di differenti problemi relativi alle superficie del secondo grado , ed al calcolo integrale : tali sono alcune note da me pubblicate nella Rac- colta Scientifica di Roma nel 1846 , e più estesamente in due Memorie in- serite nel tomo 3 1 e 84 del Giornale di Creile : per meglio riconoscere la mutua dipendenza, sarà utile di richiamare brevemente la genesi di tali su- perfìcie. Se da un punto fisso preso nello spazio si abbassino delle perpen- dicolari sui piani tangenti di una superfìcie curva data , il luogo geometrico dei piedi di queste perpendicolari sarà una nuova superfìcie curva dipendente dalla scelta della prima ; se con la stessa legge si faccia derivare una nnova superficie, e così di seguito noi otterremo una serie di superficie curve derivate del sistema positivo, ed anche superfìcie curve positive , come già fece il S?g. W. Roberts da lungo tempo per una serie di curve piane. Immaginando ora una superficie curva , che sia costantemente toccata da piani perpendicolari condotti all’ estremità dei raggi vettori di una superfìcie data, e supponiamo che dalla nuova superfìcie se ne faccia derivare una terza per un modo si- mile di generazione, e così di seguito : noi otterremo altrettante superficie curve, che come il Sig. W. Roberts ha praticato per le curve piane , chia- meremo superfìcie curve del sistema negativo , 0 semplicemente superficie curve negative. Ciò posto come nel sistema positivo una qualunque delle su- perfìcie è una derivata positiva dalla sua antecedente , così essa stessa sarà una superfìcie derivata negativa della sua consecutiva , viceversa come una qualunque delle superfìcie nel sistema negativo è una derivata positiva della — 175 — sua antecedente , così essa stessa sarà una superficie derivata positiva della sua consecutiva : così, per esempio, la superficie di elasticità è la prima de- rivata positiva dall’ ellissoide ; viceversa 1’ ellissoide è la prima derivata ne- gativa della superficie di elasticità : Il Sig. Bonnet nella citata Memoria alle coordinate di una data superficie, sostituisce quelle della prima derivata po- sitiva. 4.° Siano x, y, z le coordinate ortogonali di un punto qualunque di una superfìcie curva u = F (x, y , z) = 0. Conducendo per il punto (x, y, z) un piano tangente, e chiamando X, Y, Z le coordinale di un punto qualunque di questo piano, si avrà per la sua equazione (X — a;)D^u -+- (Y — y) Dru -t- (Z — z)Dau = 0 ove Dxu, Dyu, DjU sono le derivate parziali della superficie u — 0: dall’ori- gine delle coordinate si abbassi una perpendicolare sulla direzione del piano tangente, le sue equazioni saranno _X JV z Ì)XU \)yll D-lt Nella coesistenza di queste equazioni per i medesimi valori di X, Y, Z tro- vasi l’equazione della nuova superfìcie luogo geometrico della proiezione or- togonale dell’origine delle coordinate sui piani tangenti : in altri termini l’eli- minazione dei valori di x , y , z fra le precedenti equazioni ci farà restare una relazione fra X, Y, Z, e che rappresenterà l’equazione della prima derivata positiva. Nelle applicazioni resta per lo più difficile eseguire una tale elimi- nazione, per cui si risolvono differenti problemi col determinare X, Y, Z in funzione delle x, y , % e delle derivate parziali della superficie u = 0 : così è chiaro che dalle equazioni della normale si trae X Y Z XI), u -+- YDvm h- ZD zu I)xw D yìi D zu (D*n)2 -+- (D yii)2 -+- (D;u)2 od anche per l’equazione del piano tangente X Y Z __ #Dxw -f- yD yii h- zD- u D^u D yU D zu (D^u)2 -+- (Drw)2H- (Dzw)2 — 176 — d’onde X T)xii(xDxii -+- tjDyii -+- zD.w) Dyii(xDxu -+• yDru -4- zD3m) (D xuf -f- [Dyii)'2 -4- (Dzw)2 * Y “ (D.n)2 -4- (D,u)2 -4- (D,m)2 Z = \)zii(x\)xu -hyJ)yu -+- zD*m) (Dxu)2-4- (Drit)2 h- (D,u)2 A questi valori si può aggiungere quello del raggio normale R = |/'(X2 H- Y2 -4- Z2) , e si otterrà R = =±=. xDrit -+- f/Drrt -t- zl)r?t [/*[(Dxm)2 -h (Drn)2 -4- (Da«)2] Se 1’ equazione della superficie fosse data da una funzione esplicita della forma u = f(x,y) — z — 0 si avra dz . _r^ dz _ Dxu ~ ~~ = z , Vyii = — = z, , \jzu = — 1 dx dy e si avrà tanto per le X, Y, Z quanto per R x vzi — *) y — zi(xz' ^ yzi ~ 2) 1 -4- z'2 4-Z2, ’ 1-4- Z 2 -t- Z2, 7 __ _ •“ 2) _4_ (**' -+* !/Zl — 2) 1 -4— Z*2 -4— Z2j ’ y{\ -4- z'2 -4- Z\) ‘ Con questi valori si hanno le coordinate delle superfìcie prima derivata espresse per x, y, z ossia le coordinate della superfìcie z della f(x, y, z) — 0: viceversa risolvendole precedenti equazioni rapporto ad x, y, z si otterrebbero le coordinate della superfìcie negativa f[x, y, z) = 0 espresse per le coordinate della

allora le precedenti equazioni si trasformeranno in (x2 — i/2 — z2)z' — 2x4/z, — ■ 2xz y (*/2 — ^2 — ^^-f-^xi/z' — 2 yz xz' -4- t/z, — z ’ xz' -4- j/z, — z z (s2 — x2— y2)-4-2yzz1-4-2xzzf R __ (x2— 4-?y2-4— Z2) |/" ( 1 -4-z'2-4-Z2,) XZ Vzi xz y% i — Conforme a quanto si è detto di sopra questa prima superficie derivata ne- gativa avrà per sua prima derivata positiva la stessa u = 0, e perciò sup- posto Z funzione di X, Y, ed indicando con Z', Z, le derivate parziali rap- porto alle stesse X, Y, si dovrà avere come al N.° 4 ; Z'(XZ'-+- YZ, — Z) 14-Z,24- Z2, ’ (XZ' -4- YZ, — Z) l+z,24- z2, ’ Z.fXZ' -4- YZ, — Z) y— i z'2 -*-z2, ’ (XZ' + YZ.-Z) |A(l-+-Z'2-t-Z\) 180 — . d’oude ne segue che questi valori sostituiti nei secondi membri delle X, Y, Z, le renderanno necessariamente identiche : per diflerenti applicazioni si possono consultare le due Memorie inserite nel to. 31 e 34 del Sig. Creile. 6.° Introduciamo le coordinate polari r, p , q per mezzo della sostituzione x = r cos p , y = r sen p cos q , z = r sen p sen q otterremo facilmente i nuovi valori v i v , r. sen q a = r cos p — r sen », Y = r sen p cos q -4- r cos » cos q - , r sen p Z = r sen p sen q -t- r' cos p sen q rt cos q sen p , R = =t= y/r2 -+- r'2 -i- r24 . Da queste ora si traggono le altre Y cos q- 1- Z sen q = r sen p -4- r' cos , Y sen q — Z cos q ~ — sen p X = r cos p — r' sen p. Mutiamo q in 9, e p in 0, scriveremo ancora Y cos f + Z sen rp = r sen 0 -f- r' cos 0, ove 7 Y sen 9 — Z cos o = 1 — , sen 9 dr dr X = r cos 9 — r' sen 9 V d0 ’ ri àp Ponendo adunque come sopra i = \J — 1 , ed insieme sen 9 — 1 a d» r- , coso1 =• tang «a, — , cos i w cos ! a * b ’ d0 avremo pel cangiamento di variabile indipendente dr dr dw d0 dw d0 ’ , dr ovvero r = — — cos i & . dw Pongasi inoltre == — p — r cos i w sen — 181 per cui dr drc dalla quale dr d&> od anche dr da ed in fine x- ei tang £ a do * dw 1 ( . dp r i sen i a f- dw 1 / p i sen i co dp cos 1 a\ cos i w d& p i sen i ) ) COS l 0) + 3 1 djo , , ovvero X = , cos 1 w\ cos i « dw J COS la clw Mella slessa guisa osservando che dr dp 1 dp r* dp dp cos £ « dp si avranno le due equazioni Y cos o -+- Z sen p 7-7— — £ tang £ o> r cos^ i w _ f _ dp dp p £ sen ia ^ dp cos £ cj doj ) ’ Y cos p — Z sen p = ovvero per la riduzione r. . dp „ _ dp Y cos p -+* / sen p = — p — * lang * a . — , Y cos p — Z sen p = — Se ora mutiamo p, p, « in z, a?, y come anche mutare Y, Z, X in g, >j, £ le precedenti formole coincideranno con quelle del Sig. Bonnet riportate alla fine del parag. 2.° 7.° Facciamo un’applicazione per le superficie del second’ordine dotate di centro : è noto che la superficiale pedale dal centro dell’ ellissoide è una su- perfide di quart’ ordine , e che si chiama la superfìcie di elasticità : la sua equazione in coordinate ortogonali è (X2 -+- Y2 h- Z2)2 = a2X2 62Y2 -4- c2 Z2 Sostituendo primieramente Z = R cos 0 , X = R sen 9 cos 9 > Y == R sen Q sen 9 ed R2 = X2 -4- Y2 -4- Z2 si avrà R2 = a2sen2$cos2y -h ò2sen2£sen29 -4- c2cos20. Poniamo ora con le notazioni del Sig. Bonnet sen 9 si otterrà P equazione 1 cos i y 9 = x , z = R cos i y z2 a2cos2x -h b2 sen2# — c2sen2 i y la quale equazione viene riportata dal Sig. Bonnet come rappresentante l’equa- zione dell’ ellissoide riferita alle nuove coordinate x, y , z, ed in fatti è molto facile il dimostrare, che le g, >3, £ verificheranno 1’ equazione di un’ ellisoide di semiassi a, b, c : differenziando il valore di z2 per trovare le derivate par- ziali p, q, avremo a2eos x sen x -+-b2 sen x cos x i c2sen i y cos i y z d’ onde i valori di g, >3, >3 == 1 c sen 1 y dalle quali si trae immediatamente a2 b2 il=, c2 e che appartiene all’ ellissoide : in altri casi può accadere che data 1’ equa- zione della superfìcie in coordinate x, y, z, non sia facile trovare l’equazione della medesima in coordinate H, >3, come lo mostrerò tuttora. — 183 8.° Per un’ altra applicazione, consideriamo nuovamente un’ellissoide con 1’ origine al centro, condotti dal medesimo centro altrettanti semidiametri, im- maginiamo dei piani perpendicolari all’estremità di questi semidiametri, l’ in- viluppo di tutti questi piani darà origine ad una nuova superfìcie, e che sarà la prima derivala negativa dall’ellissoide : l’equazione di questa nuova super- fìcie fu determinata fra le coordinate rettangolari per la prima volta dal Sig. Cayley in una Memoria pubblicata nel tomo II de’ miei Annali di Malema- lica pag. 168, anno 1859, e dimostrò che l’ordine ascende al decimo; ma sarà pur vero che la prima derivata positiva dal centro di questa superficie del decimo ordine sarà un’ ellissoide ; quindi è che mediante l'equazione del- l’ellissoide in coordinate polari potremo riconoscere l’equazione della superficie ritrovata dal Sig. Cayley, ed espressa per le nuove coordinate del Sig. Bon- net ; infatti se prendiamo un’ ellissoide X2 Y2 Z2 —j H — rj H 2 — 1 a 1 bl cL sarà essa la superfìcie pedale dal centro della superficie del Sig. Cayley : ciò posto facendo al consueto Z = R cos 0 , X = R sen 9 cos ? , Y = R sen 0 sen ? si avrà a2b2c2 P2 __ . a262cos20 -+- a2c2sen2$ sen2? -+- b2c2 sen20 cos2? Poniamo al solito ? = x, si avrà sen 9 = : — , z = R cos i y cos l ÌJ a2b2c2casAiy a2c2senix -+• b2c2 cos2x — a2b2seiì2i y la quale rappresenterà l’equazione della superficie del Sig. Cayley , riportata alle nuove coordinate x, y, z del Sig. Bonnet: sarebbe infine facile il determi- nare i valori |, vj, £ delle coordinate ortogonali della superficie del Sig. Cayley espressi per le nuove variabili x, y , z col prendere le formolo riportate alla fine del parag. 2.° : differenziamo il valore di z2, otterremo dz a2b2c2(a2c 2 — b2c2) sen x cos x cos4? y da; ^ (a2c2sen2a; -+- b2c2cos2x — a2b2sen2iy)2z dz rt262c2cos3ij/ sen iy [a2à2(l -+- sen 2iy) — 2a2c2sen2x — 2ò2c2cos2arj d y q = (a2c2sen2x -+- b2c2cos2x — a2b2sen2iy)2z quindi pel valore di Z — — si avrà a riduzioni eseguite, e sostituzioni cos i y ù3sen iy[a2b2( 1 -+- sen 2iy) — 2a2c2sen2x — 2à2c2cos8#] a2b2c2co&Hy Espressioni simiglianti si avrebbero per £, vj. Eliminate da questi tre valori le variabili x, y , z si otterrebbe l’equazione di decimo ordine fra £, vj, £ del Sig. Cayley; di più i valori di ?, >7, ? coincideranno con le forinole da me date nel tomo 34 del Sig. Creile, ove espressi le coordinate delle superfìcie del de- cimo ordine per le coordinate ortogonali dell’ ellissoide : ritenendo infatti il il precedente valore di £ trasformiamo nuovamente x in cp , sen 9 = cos 1 y z — R cos iy, cos 9 = i tang iy, si troverà R3cos0 9f \ , — a2b2c2\ a2^2(sen2® — cos25) — 2a2c2sen2ysen20 — 2à2c2cos2psen20 | . Decomponendo R3 in R, e R2 con moltiplicarne il quadrato R2 i termini en- tro la parentesi, e ponendo per le coordinate xt , , zl dell’ ellissoide zt = R cos 9 , xi == R cos

. _ Vi b2( 2c2 — a2)x2l -+- a2(2c2 — b^y/'j . a2b2c2 ^-^a2c2 y2i c2( 2&2 — a2)x2{-+- a2(2b2 — 2)czt2^ ■O = a|l c2(2«2 — 62)y2i •+• è2(2ft2 — c2K2) Questi valori sono coincidenti con quelli da me ritrovati nel principio del pa- ragrafo 8.° della mia Memoria inserita nel tom. 34 del Sig. Crellet le me- 185 — desime rappresentano un’applicazione alla ricerca della superfìcie negativa dal- l’ellissoide : applicazione che si poteva eseguire direttamante con le formole generali da me riportate verso la fine del parag. 6° di questo articolo. 9.° Indicate le sopra esposte applicazioni veniamo a far menzione di al- tre quantità introdotte dal Sig. Bonnet, e da esso notate con le lettere u, v , ivf qnali hanno una grande influenza per lo studio delle superfìcie curve. Rite- nute sempre le formole, e le notazioni adottate alla fine del parag. 2.° il Sig. Bonnet cerca l’elemento ds lineare fra due punti infinitamente vicini a questo oggetto ponando primitivamente per le derivale parziali d2z d2z d2z dxz ’ S dxdy ’ * dy2 avremo dalla differenziazione delle tre penultime equazioni del parag. 2.° d| cos x -+- d'4 sen x = i tang iy [sda; -+- (t -+- i tang iy.q)dy] d£ sen x — d»? cos x= (r -+- i tang iy.q z)dx -4- sdy 1 = — — [sdx tang iy.q)dy] . CUb 0 */ Facendo la somma dei quadrati si avrà ds2 = [(r + i tang iy.q -4- z) dx -+- sdy]2 -4» [sdx ( t -+- i tang i.q)dy]2 quindi ponendo r + i tang iy.q -t- z = u , s = v , t -\~i tang iy.q = w si avrà ds2 = (udx vdy)2 -+■ (vdx -4- ivd y)2 od anche ds2 — (u2 -+- v2)dx2 -4- 2 v{u *4™ iv)dai dy -4- ( v 2 -h ia2)dy2. Calcolando 1’ elemento lineare è assai facile per una formola data da Gauss ritrovare 1’ elemento superficiale, e si ha per la detta formola dA = [ (u2 -4- v2)(v2 -4- w2) — v2(u -4- w)2]1 dxdy e che si ridurrà a dA = (uw — v2)dx dy. Espressione priva di irrazionalità , come fa rimarcare il Sig. Bonnet , e che può giovare il problema della quadratura delle superficie. 24 186 — IO.0 Per mostrare una qualche applicazione riprendiamo l’equazione z2 = a2cos2x -4- b2sen2x — c2sen2iy la quale appartiene all’ ellissoide riferita alle nuove coordinate x, yi z : dalla derivazione parziale ricaviamo zp = ( b 2 — a2)sen x cos x , zq — — cH sen iy cos iy (b2 — a2)2 sen2# cos2# zr zs — ( b 2 — a2)cos2# — (b2 — a2) sen2# — c*(b2 — a2)i sen iy cos iy sen x cos x a2cos2# -+• à2sen2# — c2sen2iy a2 cos2# -+- b2sen2x — c2&en2iy zi = czcos2iy — c2senhy cAsenny cos 2iy a2cos2# -H b2sen2x — c sen2 iy quindi i precedenti valori di u , v , w del parag. 9.° diverranno a riduzioni eseguite a2b2 — c2sen2iy(b2cos2x -+- a2 sen2#) zu zv zw d’ onde Z2(llW — V2) ed infine uw — v = a2 cos2# -+- ò2sen2# — c2sen2iy c2(b2 — a2)*sen iy cos iy sen x cos x) a2cos2# è2sen2# — c2sen2*y c2cos2%(a2cos2# H- b2 sen2#) a2cos2# -t- b2 sen2# — c2sen2iy ci2b2c2cos2iy(ascos2x -+- b2sen2x — c2sen2iy) (a2 cos2# -+- 62sen2# — c2sen2iy f a2b2c2cos2iy [a2 cos2# •+- b2sea2x — c2sen2iy)2 Di qui per l’elemento superficiale ilei f ellissoide si avrà a2b2c2cos2iy d y d# dA = ( a 2 cos2# -+- 62sen2# — c2sen 2iy)2 187 — Se in queste formola si sostituisse nuovamente 1’ angolo 9 , per mezzo 1 della formola sen 0 = ed integrando fra i limiti 0 = 0, 9 == § n , cos ly x — 0, # = - re, si otterrebbe 1’ ottava parte della superficie ellissoidale , e si troverebbe tanto per la formola differenziale razionale, quanto per l’ inte- grazione, ciò che io già esposi nella mia Memoria pubblicata nel tomo 31 del Sig. Creile ; ed ove per 1' integrazione mi proponeva di rendere razionali le forinole differenziali per ultimare tutte quante le operazioni analitiche prove- nienti dagl’ integrali definiti ; aggiunsi di più, che le sostituzioni per rendere razionali tali formole differenziali erano in particolar modo indicate dal Ja-- cobi nel tomo 10 del Sig. Creile: quel sommo geometra osserva che la so- stituzione proviene dal porre a profitto i coseni degli angoli che la normale all’ elemento ellissoidico forma con i tre assi principali: di qui si scorge che la sostituzione indicata dal Jacobi per l’elemento superficiale ellissoidico, viene estesa dal Sig. Bonnet ad un elemento di una superfìcie qualunque : il pro- seguimento dell’ interessante Memoria del Sig. Bonnet versa sopra estese ri- cerche riguardanti lo studio delle superfìcie curve : Io scopo di questo mio scritto consiste nel confronto di alcuni risultati trovati dal Sig. Bonnet con analoghi risultati da me ottenuti in alcune mie precedenti memorie. Boma 24 Decembre 1868. — 188 — Sulla causa della inversione delle cariche di elettricità, nei coibenti armali ; e sulla influenza elettrica nei gas rarefatti. Memoria del prof. P. Vol- PICELI!. S- *• Ne. bullettino meteorologico dell’ osservatorio del collegio romano, voi. 8.° N.° 4, del 30 aprile 1869, p. 25; ed anche nel Nuovo Cimento, serie 2.a, t, 1°, pubblicato nel 5 maggio 1869, p. 259, si trova una dotta nota del chia- rissimo prof, di fisica nel collegio medesimo, il R. P. Provenzali , che ha per titolo - Sulla inversione delle cariche nei condensatori. - In questa pub- blicazione l’autore, dopo avere enunciato le sue sperienze sul proposito, de- duce tre proposizioni, colle quali si dichiara convinto , essere l’uso dei con- densatori, nelle sperienze di precisione, per lo meno molto pericoloso, anche quando l’aria faccia le veci di coibente, fra le armature di metallo. Da ultimo l’autore medesimo, estende in generale questi suoi convincimenti sull’ indicato molto pericolo, anche alle sperienze di elettrostatica induzione, o di elettrica influenza. Essendomi occupato non poco della elettrostatica induzione, come anche del condensatore, tanto riguardo alla sua teorica, quanto riguardo alla sua pratica, specialmente nelle sperienze delicate, come appunto sono quelle relative alla elettricità dell’atmosfera; ho dovuto considerare seriamente l’ in- dicato lavoro del eh. p. Provenzali, tanto per mia istruzione, quanto per esser egli molto autorevole in così fatte materie. Quindi è che questo interessante scritto, non mi potè trovare indifferente; perciò fui condotto a stendere la pre- sente memoria, che risulta di due parti. La prima di queste parti, ed è la principale, quella cioè che ha dato motivo a tutta la mia memoria, prende per oggetto mostrare: 1° che le tre indicate proposizioni erano già cognite in elet- trostatica; 2° che allora soltanto ha luogo la inversione delle cariche nei coi- benti armati, quando le armature non combaciano perfettamente col coibente, lo che mi sembra essere una osservazione nuova, ed utile nella elettrostatica; 3" che niun dubbio può mai venire in animo per questa. inversione, sulla ve- rità dei risultamenti, che si ottengono dall’ uso del condensatore, se a dovere sia costruito, e bene adoperato. La seconda parte prende per oggetto, l’analisi degli effetti luminosi, che si ottengono dalla elettrostatica induzione, sul gas rarefatto, e chiuso in tubi di vetro. PARTE PRIMA $• 2* Premesse alcune dottrine, il eh. autore stabilisce la seguente proposizione: Dopo che le armature di un conduttore hanno ricevuto una certa carica elei - trica , se vengono in comunicazione fra loro, o col suolo, le cariche si trovano invertite; e la tensione delle cariche invertite è maggiore nel primo caso che nel secondo. La inversione di cui parla il eh. autore, è un fenomeno ben conosciuto, e trattato già da molto tempo. Sembra che Wilcke sia stato il primo ad os- servarlo nel 1762 (1); Beccaria ripeteva le indicate sperienze di Wilcke, fa- cendone delle nuove ; Belli trattò per esteso di questo fenomeno (2) , e re- centemente poi di ciò molto si è occupato il eh. prof. Cantoni , prima del chmo Provenzali (3). Inoltre la proposizione mede sima è troppo generale; poiché allora soltanto, quando il contatto fra le armature ed il coibente riesce imperfetto , ed an- che quando è abbastanza erto lo strato coibente, la inversione delle cariche si verifica, sperimentando come tutti sanno. Però quando il coibente si trovi, e poco erto, e benissimo applicato alle armature metaliche, in guisa che il suo contatto con queste sia perfetto , come appunto nei buoni condensatori , e nelle bottiglie di Leida colle armature di stagnuolo, incollate sul vetro; allora, benché si operi nel modo indicato da parecchi fisici, e dall’autore, tuttavia non si verifica punto la inversione di cui parliamo. In queste condizioni ottenni sem- pre, che le cariche delle armature, sino alla estinzione loro, rimangono della stessa natura, di quelle ricevute da esse in principio. Un buon condensatore, nel quale lo strato coibente dev’ essere sottilissimo , e deve combiaciare perfettamente coi metalli , non presenta mai le cariche invertite ; lo che ho verificato più e più volte, adoperando con ogni diligenza le cautele prescritte, per ottenere questa inversione. Al contrario nella boccia di Leida, con armature mobili , come quella che si trova nei gabinetti di fisica , la inversione delle cariche (1) Gehler, voi. 3, p. 728. (2) Corso elera. di fisica sperimentale, t. 3.° pag. 403 . . . 410. (3) Rendiconti del R. Istituto di scienze e lettere, serie 2.a, voi. 2.° fase. 2., adunanza del 21 gennajo 1869, p. Ili, e p. 118; vedi anche Lès Mondes, 2.a serie, t. 29, livraison da 27 mai 1869, p. 143, VI. ha sempre luogo; perchè il coibente in questo congegno, non combacia per- fettamente colle armature di esso. La distinzione fra i coibenti ad armature, che non combaciano perfettamente col dielettrico , e quelli che posseggono questo perfetto combaciamento, è sfuggita, mi pare, a tutti quelli, che hanno trattato la inversione delle cariche nei coibenti armati. Con questa distinzione si spiega bene, perchè abbia luogo nei primi la inversione delle cariche, e non avvenga nei secondi. Ed infatti quando le armature metalliche, non combaciano bene coll’in- terposto coibente, questo, anche dopo che si neutralizzarono le cariche iniziali, può indurre dalle sinuosità sulle armature stesse, perchè il contatto indicato non è perfetto ; quindi le relative omologhe delle inducenti pure si neutraliz- zano, sia per le comunicazioni loro fra esse, o col suolo, sia per mezzo dell’aria. Dopo ciò chiaro apparisce, che in ogni armatura vi resterà la indotta, cioè la contraria della inducente, lo che dà luogo alla inversione delle cariche rispetto alle iniziali; e le cariche invertite debbonsi perciò chiamare, cariche indotte dal coibente. Ma se questo combaci perfettamente colle armature, oltre ad essere sottile, quanto fa d’ uopo, e ben levigato nella esterna sua faccia; in tal caso non potrà, dopo essersi neutralizzata la carica iniziale, verificarsi alcuna indu- zione, atteso che il supposto combaciamento è perfetto. Perciò nel caso mede- simo, le armature daranno sempre la stessa natura di carica; la quale, comu- nicata, ed anche infiltrata nel coibente , sarà per molto tempo, ad onta delle successive scariche, manifestata dall’ elettroscopio di Bohnenberger. Da ultimo vede ognuno, che la pratica necessaria, per ottenere la inver- sione delle cariche, non ha che fare con quella necessaria, per valersi a do- vere di un buon condensatore, nelle delicate ricerche di elettrostatica. Perciò questa prima proposizione dell’autore, quand’anche la inversione delle cariche, si ottenesse in ogni caso dai coibenti armati, cosa che noi neghiamo; tuttavia non può dare motivo alcuno a temere, nè dell’uso del condensatore, nè della sperienza fondamentale sulla elettrostatica induzione. Una prova diretta della bontà del condensatore, specialmente nelle sperienze delicate, l’abbiamo dal conoscere , che adoperando una debole sorgente di elettricità cognita , come p. e. la si ottiene da una debolissima pila secca, quell’ istromento sempre con verità la manifesta. Un’ altra prova diretta della bontà di questo congegno preziosissimo , 1’ abbiamo dal vedere , che i suoi risultamene , annunziano sempre il vero, facendo comunicare la sorgente di elettricità, una volta col suo piattello superiore, un’altra coll’inferiore. 191 Ci permettiamo inoltre osservare, che nell’ uso comune dei coibenti ar- mati, quando una cioè delle armature comunica col suolo, e l’altra colla elet- trica sorgente, le armature stesse non possono riguardarsi come due condut- tori carichi di elettricità uguali, e contrarie fra loro; ma bensì numericamente diseguali. Poiché la carica dell’ armatura inducente, risulta sempre maggiore di quella contraria, posseduta dall’ armatura indotta. §• 3. La seconda proposizione dell’autore, consiste nell'asserire quanto siegue. Se dopo caricato un condensatore, si abbandona a sé stesso colle armature isolale, le cariche di queste, passalo qualche tempo, si trovano spontaneamente invertite. Questa proposizione in sostanza è contenuta nella prima, perciò già cognita come quella ; ed è anche troppo generale. Inoltre neppur essa può dar luogo a du- bitare del condensatore ; poiché la neutralizzazione, o dispersione delle cariche iniziali, si raggiunge non solo facendole comunicare una coll’altra, o ciascuna col suolo, ma eziandio con abbandonare il condensatore a se stesso, per un tempo suf- ficiente. Però certo è, che sebbene tali circostanze, non possano aver luogo nel- l’uso del condensatore; tuttavia per quanto lungo sia questo tempo, se il coibente del condensatore medesimo fu bene applicato, cioè combaci perfettamente coi suoi piattelli, e sia ben sottile , non avverrà mai la inversione delle cariche iniziali nei piattelli stessi. Finalmente ognuno vede, che il buon uso del con- densatore, non include affatto di lasciare per molto tempo questo istromento a sé stesso ; ma invece prescrive che il suo maneggio, sia fatto colla solle- citudine maggiore. Per avere questa prontezza, si è congiunto al condensatore l’elettrometro, e per averne una eziandio più grande, si è congiunto il con- densatore all’elettroscopio a pile secche; il quale senz’ altro mezzo, manifesta direttamente la natura dell’elettrico, accumulato nell’uno, e nell’altro piattello. In conferma di tutto ciò riferiamo, che il sig. prof. Kohlrausch (4), per determinare la legge, da cui dipendono i residui nella boccia di Leida, si valse delle armature liquide, cioè del mercurio, ed anche delfacqua acidulata (5); cosic- ché a questo modo, il contatto delle armature cl coibente, rieseiva certamente perfetto. II nominato fìsico sperimentò eziandio nei modi riferiti dal eh. Pro- li) PoggendorlT Annalen, voi. 91, p. 56, an. 1854. (5) Ibidem, p. 58, li. 4. — 192 — venzali, nelle precedenti due proposizioni; ma non trovò mai (6), che in questo caso, le cariche si rovesciavano, sebbene fosse molto lunga la durata delle sue sperienze. Così vedesi dalla tavola b, pag. 59 dell’opera citata, che scarican- dosi una boccia di Leida spontaneamente, la sua carica diminuì, nel tempo di 5870 secondi, vale a dire in un’ora e mezza circa, nel rapporto di 1,4968: 0,5266; cioè dopo questo tempo, la carica era divenuta circa 4/3 della primi- tiva. Pel caso delle scariche ripetute, troviamo un altro esempio numerico a pag. 64 dell’opera stessa (tavola b') essendosi adoperata una carica molto de- bole. Ivi si vede che in tal caso la carica della bottiglia, nel tempo di 73140 secondi, vale a dire in poco più di 20 ore, si ridusse da 0,1131 a 0, 0107, ovvero in questo tempo si ridusse ad 4/10 della carica iniziale. Anche il sig. Bezold, comecché non si accordi col Kohlrausch, riguardo alla sua teorica del residuo nella bottiglia di Leida; tuttavia non incontrò egli mai nelle sue sperienze, che le cariche delle armature, bene combacianti col coibente, giun- gevano a rovesciarsi (7). §• 4. Con la terza proposizione Fautore si esprime a questo modo: I condensatori conservano per un tempo molto lungo le cariche invertite , sia che V inver- sione abbia luogo spontaneamente , sia che venga promossa col far comunicare assieme le armature. Niente abbiamo anche in questa proposizione, che non sia noto; la quale implicitamente si trova essa pure contenuta nelle due precedenti. Però dob- biamo ripetere, che la inversione delle cariche, si verificherà nel condensatore, solo quando il suo coibente non sia da una parte perfettamente in contatto coi piattelli, e dall’altra non sia perfettamente piano, e levigato, oltre ad essere abbastanza sottile. Del resto vedrà facilmente ognuno, che da questa medesima proposizione , non può aver luogo il convincimento dell’ autore , cioè che sia molto pericoloso 1’ uso dei condensatori nelle sperienze delicate. Poiché quando anche nel condensatore, fatto a dovere, potessero invertirsi le cariche, lo che viene dalla sperienza negato ; ciò nulla ostante 1’ uso di questo istromento, non include, nè la scarica spontanea, nè la scarica promossa col fare, che in- sieme comunichino le armature, o ciascuna col suolo. (6) Ibidem, p. 60, li. 12. (7) Poggendorff, voi. 114, p. 404, an. 1861; ed anche voi. 125, an. 1865, p. 132. — 193 li eh.'”0 p. Provenzali, descrivendo la sperienza col quadro Frankliniano, ad armature mobili, dice (8) che dopo averlo scaricato, e dopo trascorso qual- che tempo , le faccie dello strato coibente , si trovano elettrizzate di quella elettricità stessa , che avevano le armature. Soggiunge poi. « Questo fatto » non si può spiegare altrimenti , che ammettendo una lenta penetrazione » dell’ elettricità nell’ interno del coibente, durante la carica delle armature, » ed un egualmente lento ritorno della stessa elettricità alla superficie del » coibente, dopo scaricate le armature. » Ciò si accorda in tutto colle viste nostre , per le quali bene si com- prende, come le cariche delle armature, non possono invertirsi, nel caso di un combaciamento perfetto. Imperocché quando si attribuisce al coibente tanto po- tere conduttivo, che l’elettrico possa penetrare nella sua massa, ed anche uscire fuori dalla medesima, fino alla sua superficie; a fortiori deve ammettersi, che giunto alla superfìcie di squisito contatto, continui l’andamento suo, comunican- dosi al metallo che forma le armature; perchè questo ha un potere di conduzione assai più grande, rispetto quello del coibente. L’illustre De la Rive dopo aver esposto la teorica del condensatore, così si esprime (9) « Nous sommes entrés » dans les détails minutieux sur le condensateur,. parce que c’ est un des ap- » pareils les plus usuels et en méme temps les plus delicats de l’eléctricité » e crediamo difficile, che questo autore cangi opinione, per secondare i dubbi esternati dal eh. p. Provenzali, contro l’uso del condensatore stesso, bene ado- perato. §• Il fatto riferito dall’autore, cioè che i coibenti difficilmente si possono pri- vare della elettricità, da essi acquistata durante le sperienze, si conosce da mol- tissimo tempo. In fatti a togliere questo inconveniente, Lichtenberg, Mayer, e Cavallo (1 0) immaginarono prendere due semplici lamine metalliche nude, e ben piane, tenute a piccola distanza 1’ una dall’ altra , per mezzo di goc- cioline di cera lacca, od altro dielettrico, ed anche tenute affacciate con par- ticolare meccanismo, senza porre fra le medesime alcun solido coibente. Ca- vallo già fin dal 1788, si servì dall’aria come coibente (11), ed i condensa- (8) Elementi di fisico-chimica, Roma 1865, voi. 2, pag. 45. (9) Traité d’electricité theorique et appliquée, Paris 1854, tona. 1, pag. 103. (10) Belli corso elementare di fisica, Milano 1838, t. 3, p. 379. (11) Gehler, Vocabolario fisico, voi. 2, p. 230, an. 1826, 25 194 — tori a questo modo costrutti, hanno pure il vantaggio, che in essi ogni attrito, ed ogni contatto si evita, e così anche si evita il fenomeno detto di Libes , come ancora ogni pressione sul coibente, questo essendo aria. I moderni elettricisti reputati, si valgono tutti di così fatto condensatore ; anche Riess, il quale moltissimo adoperò il condensatore nelle sue numerose ricerche di elettrostatica , procurò col medesimo, a coibente d’ aria fra i due piattelli, di assegnare come varia il potere condensante, colla distanza fra i piattelli stessi (12). Questo dotto fisico dice, che fuso del condensatore si è mostrato di una utilità generale, quando si tratti di riconoscere piccole cariche di elettricità (13). Anche il sig. Bauschinger si valse del condensatore, a fine di stabilire una formula empirica, la quale assegnasse il coefficiente di conden- sazione, per mezzo della distanza fra i due piattelli (14). li sig. Haukel si servì esso pure del condensatore senza coibente solido; ma con aria soltanto posta fra i due piattelli, per le sue sperienze molto de- licate sulla forza elettromotrice (là). II sig. Kohlrausch dette a questa specie di condensatori una costruzione assai comoda, ed esatta (1 G), mediante la quale riesci a verificare numerica- mente, quella parte della legge di Ohm, che assegna la distribuzione della elet- trica tensione, anche nel circuito voltaico : ricerca di estrema difficoltà, per- chè quelle tensioni sono così tenui, che molti le negarono del tutto. Supponendo per un momento vera la inversione delle cariche, anche nei coibenti armati, aventi le armature perfettamente connesse col coibente solido, cosa da noi negata; certo è che niuno ammetterà potersi verificare l’ indicato rovesciamento nei condensatori ad aria. Poiché la mobilità grandissima delle molecole di questo mezzo fluido elastico, non permette che si formi nel me- desimo uno stato di elettricità persistente, x^bbiamo una prova lampante di ciò nel venticello , il quale nasce dalla repulsione dell’ elettrico , acquistato dalle molecole dell’ aria. Nei condensatori a coibente solido , e ben connesso colle armature, il difetto non è la pretesa inversione delle cariche, poiché questa (12) Riess, elettrostatica, voi. 1, pag. 307. (13) Ibidem, p. 333. (14) Poggendorff Annalen. voi. 104, p. 58; an. 1858. (15) Poggendorff, Annalen. , t. 115, an. 1862, pag. 57. (16) Poggendorff Annalen, voi. 75, an. 1848, p. 88 ; ed anche voi. 88. an. 1853, p. 464 - Lehrbuch der Experimentalphysik von Wullner, Leipzig. 1865, voi. 2.°, sezione 2», p. 737 - Wiedemann, die Lehre Yom Galvanismus, voi. 1°, p. 124, an. 1863. — 195 — in tal caso non può verificarsi; bensì è la difficoltà conosciutissima, di elimi- nare l'elettricità, da essi acquistata, sia per comunicazione, sia per infiltrazione, ottenuta da una carica precedente; ma questo difetto non può falsare il risul- tarnento della prima carica in quanto alla natura dell’elettrico, e solo in quanto alla sua misura. Dice Riess : egli è cosa chiara, che in un condensatore senza coibente solido, non si può formare verun residuo, e che questo dipende in genere dalla natura del coibente stesso (17). §• 6. Quantunque siasi molto sperimentato dai fìsici, sulla inversione delle ca- riche nei coibenti armati, a niuno venne in mente, dedurre da tali sperienze dei dubbi sull’uso del condensatore, costrutto esattamente, cioè colle armature che a perfezione combaciano col coibente non molto erto ; perchè in realtà la indicata inversione, non si verifica punto in questo caso. Ed ancorché si verificasse, non potrebbe certamente offrire alcun diritto a dubitare dell’uso del condensatore; giacché il modo col quale questo deve adoperarsi, esclude affatto quelle condizioni, che si debbono verificare, affinchè il rovesciarsi delle cariche avvenga. Se fosse ragionevole avere il convincimento del Provenzali, che l’uso cioè del condensatore ben costrutto, e bene adoperato, possa nelle sperienze di precisione, per lo meno essere mollo pericoloso; già la scienza dell’elettrico perde- rebbe la certezza di molte scoperte, che hanno servito al suo progresso. Ma ciò deve reputarsi assurdo, perchè tali scoperte furono riconosci ute vere; lo che for- ma la più sicura difesa di questo preziosissimo istromento. Togliete il micro- scopio alle scienze naturali, riguardando l’uso di esso per lo meno molto peri- coloso, e quelle perderanno il più bello delle dottrine loro. Similmente, poiché il condensatore non è altro, fuorché un microscopio per la elettricità; se lo toglierete, riguardando l’uso di esso per lo meno molto pericoloso, tutte le ri- cerche delicate di elettricità , per le quali questa scienza ebbe tanto incre- mento, si annulleranno. Certo è che quando l’uso del condensatore, non si faccia colle debite cau- tele, può indurre in errore, trattandosi di sperienze delicate, nelle quali esso indispensabilmente abbisogna; ma ciò riguarda un istromento qualunque. Se nel- l’usare il condensatore si adoperino le dita, per operare le scariche, o per porre (17) Elettrostatica, voi. 1°, Berlino 1853, p. 307. 196 — i piattelli a comunicare col suolo, od anche per comunicarli fra loro, allora è possibile ottenere le cariche rovesciate ; ma non sarà mai che questo av- venga, scaricandolo con un metallo eguale, a quello de! piattello, isolato dalla mano , e comunicante coll’ interna superfìcie di un conduttore. Inoltre , per la esattezza di tali sperienze , si deve badare che il coibente dei piattelli , non abbia ricevuto alcuna influenza; come avverebbe se avesse agito una mac- china elettrica, non abbastanza lungi dal coibente stesso. §• 7- Se il coibente posto fra le armature non è abbastanza erto, e se il suo perimetro, non coincide in tutto con quello delle armature , ma le lascia in parte scoperte ; allora, purché 1’ indicato contatto non sia perfetto , si potrà verificare il rovesciamento di una sola delle cariche iniziali, cioè quella indut- trice; poiché in questo caso la elettrica polarizzazione, può mancare nel coi- bente. Più volte verificai questo fatto, che non fu ancora osservato. Se fra i piattelli di un condensatore, s’ interponga una lastra di vetro verniciata, ma senza che la superficie sia perfettamente piana e levigata , le asperità sole della vernice, basteranno a produrre la in versione delle cariche, la quale sarà eziandio più manifesta, se la placca di vetro sia pure ondulata. Allorché dalla bottiglia di Leida con armature mobili, e posta sopra un isolante, siasi ottenuto il rovesciamento delle cariche iniziali, si verificherà ezian- dio per queste cariche rovesciate, ciò che si verifica per quelle iniziali; e vale a dire che toccando una delle armature, la carica dell’altra si manifesterà con tensione maggiore, e vice versa. Imperocché l’armatura toccata, diviene in- dotta, e l’altra diviene assolutamente induttrice: in ciò consiste la spiegazione del fenomeno indicato. L’ uso dell’ elettroscopio a pile secche , con un piano di prova oppor- tuno, come quello formato dalla testa di una spilla, di cui la punta è intro- dotta in un manico isolante, offre un mezzo il più speditivo, ed il più delicato, per le ricerche dei fenomeni di cui parliamo. Quando le sinuosità del coibente, permettono fra esso e le armature, una facile circolazione all’aria; in questo caso non è punto necessario, separare le armature dal coibente, per manifestare il rovesciamento delle cariche. Se facciansi prima comunicare fra loro le armature , per un tempo sufficiente , quindi se tolta questa comunicazione, si aspetti quanto è necessario, perchè — 197 — nelle armature la elettricità indotta di prima specie, sia messa in libertà, e perciò possa indurre; allora il semplice piano di prova indicato, basta per mostrare il rovesciamento delle cariche iniziali. La temperatura molto elevata, nuoce alla esattezza di queste ricerche, in fatti Priestley trovò che il vetro diviene buon conduttore, quando siasi ri- scaldato, e lo stesso risultamento fu trovato dall’Achard (18): ciò si verifica eziandio per le resine. §• ». Termina il eh. Provenzali la sua nota con ripetere, che la efficacia del rovesciamento delle cariche, si trascura spesso nella teorica dei coibenti armati, aggiungendo, che si trascura eziandio nella teorica della elettrostatica indu- zione in generale. Noi non facciamo veruna distinzione fra queste due teori- che; poiché tutto quello appartenente ad una, deve necessariamente appartenere anche all’altra. Fu dimostrato precedentemente, che mai nei condensatori ad aria si può verificare il rovesciamento delle cariche ; perciò nella induzione elettrostatica, ove l’aria opera come dielettrico, fra l’ indotto e l’ inducente , non può neppure verificarsi la influenza del rovesciamento indicato. A questo proposito mi sia permesso diriggere al chiarissimo p. Proven- zali la preghiera, di spiegarsi più estesamente sull’ ultimo suo riflesso : giac- ché per esser egli molto competente, a giudicare sulla esattezza della teorica da me sostenuta, circa la elettrica influenza, ed avendomi anche fatto l’onore di vedere le mie sperienze relative alla teorica medesima ; potrebbe molto egli giovarmi co’ suoi lumi, colla imparzialità de’ suoi valutabilissimi giudizi, e dirò anche col suo modo nobile, pacato , e gentile di ragionare. Le sperienze del dotto autore, come anche quelle dei fìsici che lo pre- cedettero, nel ricercare il fenomeno del rovesciamento delle cariche nei coi- benti armati, sono una conferma che questo fenomeno, non può falsare i ri- sultamenti del condensatore, anche nelle ricerche molto delicate. La nota del eh. Provenzali non mi poteva trovare inattivo, giacché, come in principio dissi, la teorica, e la pratica del condensatore, mi occupa da mol- ti anni , specialmente nelle sperienze sulla elettricità dell’ atmosfera, che rac- colgo mediante un condensatore ad aria di Kohlrausch, fatto da me costruire a Ginevra, e che riconosco eccellente sotto qualunque rapporto. Questa nota (18) Gehler, voi. 6, p. 152. — i 98 — mi ha condotto a portare in elettrostatica una verità, non ancora introdotta in questo ramo della elettricità ; cioè che la inversione delle cariche nei coi- benti armali, la quale si manifesta dopo la scarica di questi, ottenuta od ar- tificialmente o naturalmente, avviene solo quando il coibente non combacia be- nissimo colle armature metalliche; ma non allorché questo combaciamento è perfetto, come nei condensatori costruiti a dovere : nè potrà mai verificarsi nei condensatori ad aria , nè perciò potrà mai concepirsi che avvenga nella sperienza fondamentale della elettrostatica induzione. PARTE SECONDA $■ 9. 11 primo a conoscere che nel vuoto boileano, si produceva la elettrica lu- ce, e che nell’aria molto rarefatta, chiusa in un recipiente di vetro, e stro- picciato, si producéra il medesimo fenomeno, fu Hawksbee nel 1709 (19). Inoltre si conosceva già, che facendo traversare dalla elettrica corrente , ot- tenuta da una macchina ordinaria , il gas rarefatto, e chiuso in un tubo di vetro, si produceva una luce variamente colorata, secondo la maggiore o mi- nore rarefazione del gas (20). Conoscevasi altresì prima del 182^, chela elet- trostatica induzione, sopra tubi contenenti gas rarefatto, sviluppa la elettrica luce (21). Questo secondo fenomeno fu recentemente studiato dai signori Co- vi (22), Geissler (23), e Le Roux (24). Ricerche molto estese furono istituite da Davy, relativamente alla luce sviluppata dall’elettrico, quando traversa un gas molto rarefatto. Egli osservò, sperimentando sopra diversi gas, che il colore di questa luce, dipendeva dal- la natura del gas, dalla sua pressione o densità, e dalla sua temperatura (25). Da tutto ciò si rileva che i fenomeni modernamente manifestati, coi tubi con- fi 9) Physico-mechanical experimenls, Lond. 4 - Fischer Vocabolario fisico, 1. 1, pag. 901. (20) Gehler vocabolario di fisica, t. 3.°, an. 182^ p. 289, e p. 290. (21) Ibidem. (22) Gazzetta officiale del regno d’ Italia, an. 1865. n. 49. - vedi anche Les Mondes, r sèrie, t. 20, an. 1869, p. 183-186. (23) Poggendorff annalen, voi. 135, p. 333, an. 1868. (24) Comptes rendus, t. 68, an. 1869, p. 1104, et p. 1265. (25) Gehler vocabolario fisico, voi. 3.°, p. 292. - Annali di Gilbert, voi. 12, an. 1822, p. 362. 199 — tenenti gas rarefatti, non sono nuovi a rigore di termine, e soltanto rigorosa- mente nuovo si deve riguardare il fatto della dipendenza, che si manifesta fra la sezione del tubo, ed il colore della luce, prodotta dalla corrente , mentre traversa il gas rarefatto nel tubo istesso. Riguardo ai fenomeni di cui parliamo, è da riflettere che il sig. Masson nel 1851, aveva riconosciuto la non conducibilità del vuoto barometrico, lo che fu anche concluso, secondo il sig. Wullner, da taluni fìsici della Germania nel 1857. ("26) Nell’ ottobre del 1856, ricercai se nel vuoto, quale può farsi con una buona macchina pneumatica, si poteva ottenere la elettrostatica induzione cur- vilinea. Trovai che questo fenomeno era tanto più manifesto, quanto più la rarefazione dell’aria avvicinavasi al vuoto perfetto, e che lo stesso accadeva per la induzione diretta (27). Da questa sperienza discende chiaramente , che il vuoto è coibente perfetto ; è cioè quello che offre la resistenza maggiore al passaggio dell’elettrico. Siccome poi questa resistenza cresce anche coll’aumen- tare la densità del gas; così è chiaro che nei gas, deve potersi giungere ad una tale rarefazione , cui corrisponda un minimo di resistenza al passaggio della corrente. Ma dobbiamo riconoscere che la non conducibilità del vuoto torrieelliano, fu prima di tutti ottenuta sperimentalmente, nel 1774, dal fìsico inglese Walsch poiché il fìsico ginevrino de Lue, si esprime a questo modo: « L' e^^vìjnce r> provue que le vuide lorricellien bien fait, celui qui nous fourni la plus grande » absence de toute substance sensible, cesse alors d’ètre conducteur. Je l’avois » supponile depuis quelques tems en ne voyant produrne aucune lumière à » ceux de mes baromètres, dans lesquels j’avois fait bouillir le mercure avec » le plus de soin; et ce fait fut démonlré par une expe'rience de M. Walsch, » à laquelle jv assista!, et qui fut publi^en 1774 par le D.r Priestley, dans » la sect. Vili, de la 2/e pari, du 1 / voi. de ses Expériences sur différenles » sorles d'airs. L’instrument étoit un gran syphon de verre, formai) t deux ba- » romètre qui avoient un vuide commun. Ce syphon ayant été d’abord rempli « de mercure à l’ordinaire, on vit passer le fluide électrique , brillant d’ une » lumière violette, dans le grand are vuide d‘air, et l’on tira des étincelles de » la cuvette du second baromètre, isolée cornate celle qu’on électrisoit : mais (26) Cosraos 3e sèrie, t. V, an. 1869, ^p. 730 - Association scientifìque, t. V., N.° 126, del 27 giugno 1869, p. 416. - Poggendorfl', annalen, voi. 133, an. 1868, p. 509. (27) Comptes rendus, t. 43, p. 721. — 200 — » après que le mercure eut boriili dans le syphon, Tare ne devint plus lu- » mineux et le second baromètre, ne re^ut plus de fluide éleelrique. M. Mor- » gan a répété depuis la mème expérience, dans des baromètres simples, dont » le sommet étoit gami de feuille d’étain. Ce sommet se chargeoit , par du » fluide éleelrique , qui passoit dans le vuide sous une forme lumineuse, quand » le mercure n’ avoit pas bouilli dans le tube ; mais il ne se chargeoit plus » quand le mercure avoit bouilli. Ces expériences publiées dans les Trans. » Phil. de 1783, ont complétée la démonstration de ce qu’on avoit déjà con- )> elu de la précédente , savoir ; que le fluide éleelrique ne se comrnunique » pas au travers d’un espace vide d’ Air » (28). §• io= Quando i gas hanno presso a poco raggiunto quella rarefazione , corri- spondente ali’ indicato minimo di resistenza ; in essi allora manifestansi , per influenza elettrica, quei curiosi fenomeni di elettrica luce, dei quali ora pas- siamo a descrivere le varie fasi, e le corrispondenti cagioni. I.° Si tenga sospeso, e fissato convenientemente un tubo cilindrico di Geis- sler, mediante fili di seta in ciascun anelato di platino , col quale termina ognuno degli estremi del tubo stesso, e questi sieno spalmati di cera lacca. La camera della sperienza dev’ essere totalmente priva di luce ; oltre a che il tubo non deve contenere, nella esterna superfìcie sua, vapore acquoso di sorta. Finalmente si procuri, che il tubo stesso, non sia troppo approssimato ad altri corpi, affinchè questi non partecipino sensibilmente alla induzione, operata so- vra esso, e non possano perciò diminuirne gli effetti. Se al tubo così disposto si avvicini molto, e celer^mente un induttore ; vale a dire una lamina rettangolare di gomma lacca indurita, ed elettrizzata per attrito, si avrà una manifestazione luminosa; la quale proviene dalla ten- sione, che acquista nel gas rarefatto la indotta di seconda specie, vale a dire la omologa della inducente, per essersi nel gas medesimo, decomposto l’elet- trico suo neutrale, a cagione della elettrica influenza, operata sullo stesso gas quell’ induttore. (28) Idées sur la météorologie par De Lue, Paris 1787, t. 1. seconde partie, p. 520, §. 51G. - Gehler, vocabolario di fisica, anno 1827, voi. 3.\ p. 291. - Walsch Gio. cavaliere inglese, fu membro del parlamento, e della R. Società di Londra : morì nel 1795, e si oc- cupò anche delle proprietà elettriche della torpedine. 2. ° Si mantenga questo induttore al suo luogo , e si faccia comunicare col suolo, l’anellino metallico dell’estremo inferiore del tubo; si avrà un’ altra manifestazione di elettrica luce , che proverrà dalla omologa della inducente, la quale per essere libera, si dissipa nel suolo. 3. ° Si allontani celeramente, ovvero si scarichi l’induttore; la elettrica luce tornerà nel tubo medesimo , e ciò per la libertà o tensione ricuperata dalla indotta di prima specie , vale a dire dalla eteronoma della inducente , che prima dell’ indicato allontanamento era tenuta latente, o dissimulata dal- l’ induttore stesso. 4. ° Pongasi una seconda volta, l’anellino metallico inferiore del tubo, a communicare col suolo ; apparirà di nuovo la luce nel tubo, perchè la indotta di prima specie, divenuta libera, si dissiperà nel suolo. 5. ° Quando il tubo è sottoposto alla induzione, riceve nella sua superfìcie una parte della elettricità, che procede per trasporto dall’inducente, la quale sarà maggiore adoperando la macchina elettrica per indurre. Quindi è che se con un corpo conduttore, od anche colla mano, si faccia comunicare una qualche parte del tubo stesso col suolo ; allora in quella parte specialmente, appa- rirà la elettrica luce. Perchè dissipandosi la elettricità che si trovava su quel- la parte del tubo, fatta comunicare col suolo, si libera la corrispondente in- dottala quale prima era mantenuta dissimulata dalla elettricità, e che ora fu dispersa per l’ indicato contatto : ed anche perchè la induzione, a motivo del contatto medesimo, è diminuita su quella parte del tubo , corrispondente al contatto stesso; quindi è che specialmente in quella parte, si libera la indotta di prima specie, con syiìuppo di luce. 6. ° Dopo ciò se nuovamente il tubo si faccia comunicare, per uno degli estremi anellini metallici suoi, col suolo; si avrà da capo una manifestazione luminosa, per la elettricità che già fu indotta , e che ora divenne libera, la quale si dissipa nel suolo. 7. ° Nella prima sperienza , la luce sarà maggiore , se il tubo invece di essere isolato in ambo gli estremi suoi, sarà comunicante col suolo, per uno di questi estremi. 8. ° Se nella seconda sperienza, si avvicini molto all’induttore, già fissato presso il tubo, un corpo deferente non isolato, si vedrà uno sviluppo di luce nel tubo stesso. Ciò avviene perchè ravvicinamento di questo corpo, dimi- nuisce sul tubo, la primitiva induzione, dovendo partecipare a questa eziandio quel corpo avvicinato ; quindi è che si libera nel gas , una corrispondente 26 — - 202 — parte della elettricità indotta di prima specie, la quale libertà è accompagnata sempre da luce. 9. ° Nella prima sperienza, sia fissato vicino molto al tubo un induttore, che dev’essere cilindrico di gomma elastica indurita, e deve avere un diametro alquanto minore di quello del tubo indotto. Inoltre, dopo aver fatto comuni- care col suolo, l’anelletto metallico inferiore del tubo stesso, resterà in questo la indotta di prima specie , non ostante la continuata comunicazione dell’a- nellino medesimo col suolo. Se, così essendo le cose, un altro tubo, eguale al primo , contenente aria rarefatta , e comunicante col suolo per uno de’ suoi estremi, si avvicini rapidamente al primo, ed ivi si fissi ; non vedremo, per questo avvicinamento , veruno sviluppo di luce nel secondo tubo , sebbene siasi moltissimo appressato al primo. Però se dopo fissato questo secondo tubo, si allontani dal primo assai rapidamente il cilindro inducente , si vedrà nel secondo tubo uno sviluppo di luce. Da questa delicatissima sperienza concludiamo , che fino a tanto che la elettricità indotta di prima specie, rimaneva tale nel primo tubo, cioè vi ri- maneva dall’ inducente vincolata, o resa latente ; non aveva essa facoltà ve- runa d’ indurre nel secondo tubo, sebbene vicinissimo al primo, ed a questo appressato rapidamente. Però quando l’ inducente fu rapidamente allontanato, allora cessando nel primo tubo la dissimulazione, od il vincolamento, della elettri- cità, esso potè induce sul secondo tubo, perciò si liberò in questo la omologa della inducente con sviluppo di luce: la quale sarà eziandio maggiore, se men- tre si allontana l’ inducente, si faccia comunicare col suolo il primo tubo, che ne! tempo medesimo diviene inducente sul secondo. Dopo tutto ciò riceviamo, tra le tante, un altra luminosa prova, che la indotta di prima specie, men- tre rimane tale, non può indurre ; quindi non possiede tensione di sorta, e solo allora la ricupera, quando l’ induttore si allontana, vale a dire quando l’ influenza cessa. 10. ° Noi crediamo che lo sviluppo di luce, nei diversi fenomeni ora in- dicati, provenga da quel minimo di resistenza, che i gas opportunamente ra- refatti nei tubi di vetro, oppongono allo smuovimento dell’elettrico, da qua- lunque siasi cagione prodotto. Imperciocché nei conduttori solidi, nei quali può riguardarsi essere nulla sensibilmente la resistenza dì cui parliamo, l’elettrico si può smuovere senza le manifestazioni luminose; le quali allora soltanto si manifestano nei conduttori sòlidi, qu andò viene grandemente nei medesimi , con opportuni mezzi, accresciuta la resistenza. — - 203 — Sulla Elettrostatica Induzione, od Influenza Elettrica. Memoria ìstorico-critica , Del Prof. Paolo Volpicela. §• 9. { Continuazion ^ ^ ' 'Z-X Mohr (1) critica Pfaff, dicendo (2) « che ne’ suoi sperimenti, ebbe luogo un trasporto di elettricità dall’ inducente all’indotto, e che questa fu la causa, per la quale si trovò, su tutta la superfìcie del cilindro indotto, la elettricità omo Ioga della inducente ; conclusione che Mohr trae dalle sue proprie sperienze ». Adoperò questo una sferetta di prova in ottone, avente otto linee in diametro, e 1’ elettrometro era quello di Bohnenberger a pile secche. Ci sembra che tale sferetta di prova, sia troppo grande, per potere esplorare con esattezza, lo stato elettrico dell’indotto. Del resto non neghiamo, chele obbiezioni dell’autore siano, almeno in parte, ben fondate; però esse come vedremo, non contraddicono affatto la teorica nostra. Abbiamo altrove dimostrato, e torneremo in questa pubblica- zione a dimostrarlo, che un piano di prova, messo in contatto coll’estremo del ci- lindro indotto più vicino all’inducente, può mostrare, dopo allontanato dall’indot- to, una carica positiva o negativa, secondo le circostanze dello sperimento; ed in particolare secondo la forma e le disposizioni in genere del piano di prova . Dobbiamo qui ripetere, che quando il piano di prova, mostra una elettricità contraria di quella inducente, allora non si deve affatto ritenere, che questa elettricità, sia comunicata dall’ indotto al piano di prova stesso ; ma invece di ciò si deve ritenere, che la medesima proviene, dalla influenza dell’ in- ducente, sul medesimo piano di prova. Il Mohr fece pure molte ricerche sopra la linea neutra, e combattè Biot, il quale, secondo il primo, asserisce che tale linea, divide il corpo indotto in due parti eguali. L’autore stesso trovò invece, che la linea neutra, è sempre più vicino all’ estremità che riguarda 1’ inducente. La posizione precisa della medesima dipende, in parità di circostanze, secondo Mohr, (3) da tre cause; cioè (1) Carlo Federico Mohr. farmacista a Coblenz, nacque nel 1806, e fu autore di molti scritti sulla chimica e fisica. (Pogg. Biog. Voi. 2.° pag. 171). (2) Vedi Poggendorff Annalen der Physik, uud Chemie, voi. 36, au. 1835 ; pag. 224. (3) Ibidem, pag. 228 204 — i.# dalla distanza fra i due corpi ; 2.° dall’intensità dell’ elettrico inducente; 3.° dalla quantità di elettrico all’ indotto comunicata. Osserviamo riguardo alle riferite conclusioni dell’autore, primieramente che Biot, sia nel suo Traité de physique expérimentale et mathémalique , t. 2.% Paris 1816, p. 280; sia nel suo Précis élémentaire de physique expérimentale, t. lr., Paris 1824, p. 509, non ha punto asserito, che la linea neutra sull’indotto, si trova nel suo mezzo ; invece ha dichiarato esplicitamente , che il punto neutro varia di posizione, col variare la distanza dell’indotto dall’inducente. Secondaria- mente conveniamo in quanto che la linea neutra, non si trova nel mezzo del corpo indotto; però bene inteso che questa denominazione di linea neutra, si prenda nel senso, da noi stabilito, in altre pubblicazioni. Abbiamo ivi dimo- stralo , e dimostreremo nella seconda parte di questa memoria , che sul- F indotto esiste certa sezione , o linea , per cui le due elettricità in- dotte , una di prima , l’ altra di specie seconda , coesistenti , sono nu- mericamente eguali fra loro , e contrarie; coesistenza, che trae seco la ne- cessità, del dover essere la indotta di prima specie, priva onninamente di ten- sione. Per quanto poi riguarda le tre condizioni sopra indicate, dalle quali l’au- tore fa dipendere la posizione di questa linea, riflettiamo: non essere giusta la seconda , nella quale si asserisce, che la diversa intensità della inducente, produce uno spostamento della linea stessa. Ciò si rileva con facilità, riflet- tendo, che la distribuzione della elettricità, sopra l’ insieme dei due corpi, uno indotto, l’altro inducente, viene determinata dal dover essere nulla, Fazione del sistema elettrico, sopra un qualunque punto nell’ interno dei corpi stessi. Ora, in un primo caso, abbiasi la carica dell’inducente uguale alla unità, dovrà corrispon- dere a questa carica una determinata accumulazione, tanto sopra F inducente, quanto sopra l’indotto, in guisa formate, che Fazione del sistema elettrico totale, sopra un qualunque punto nell’interno dei due corpi, sia zero. Ammettendo poscia che, in un secondo caso, si raddoppi F accumulazione iniziale in ciascun punto delFinsieme stesso, chiaro apparisce, che l’azione totale sopra qualunque punto interno, dovrà essere ancora zero. Da ciò discende, che anche questa seconda distribuzione, appartiene ad un caso di equilibrio elettrico, prodotto dalla indu- zione. Riflettendo inoltre, che un accumulazione doppia, corrisponde ad una carica doppia nell’inducente, e che l’accumulazione sopra un insieme qualunque di corpi conduttori, dolati di certe cariche, dev’ essere unica ; chiaro appa- risce, che la supposta distribuzione di questo secondo caso, rappresenta in — 205 — realtà quella, che appartiene alla induzione , per una carica doppia. Ma un raddoppiamento dell’ accumulazione sopra qualunque punto dell’indotto, non produce alcun effetto sopra i punti, che possiedono l’accumulazione zero; per- ciò la linea neutra, non si potrà spostare sull’ indotto, quando accrescasi la intensità, o la carica dell’ inducente, come abbiamo asserito di sopra (1). (1) Possiamo, anche con generalità maggiore, dimostrare altrettanto, valendosi dell’ana- lisi elementare, nel seguente modo. Qualunque sia la carica elettrica, posseduta da un con- duttore inducente, questa si deve riguardare sempre formata da uno strato, posto in su- perficie del conduttore stesso , e di ertezza infinitesima : dicasi altrettanto delle cariche sviluppate dall’inducente sull’ indotto. La sola condizione analitica per l’elettrico equilibrio, consiste nell’essere zero la risultante di tutte le azioni, sopra un punto qualsiasi, nell’in- terno dell’insieme dei due conduttori ( Poisson, Mémoires de V Istituì. Imp., année 1811, pag. 7 ); inoltre sappiamo essere unica la elettrica distribuzione per 1’ effetto indicato ( Vedi Belli, Memorie di mal. e di fìs. della Società italiana, t. 22. Parte fisica, p. 174. Vedi anche Liomille , Additions d la connaissence des temps, 1845; ed eziandio Volpiceli, Comptes rendus, t. 68, p. 976. Stabiliamo che sieno a' , a" , a'" , , iam\ . „ . . le respettive accumulazioni elettriche, su tutti gli elementi superficiali dell’inducente, per la sua carica f; inoltre sieno b> , b ” , bul , . b(n), .... le rispettive accumulazioni elettriche, su tutti gli elementi superficiali dell’indotto. Questa elettrica totale distribuzione, viene supposta essere quella unica, per la quale si aunulla l’azione sua complessiva, sopra un qualunque punto interno, sia neH’inducente, sia nell’in- dotto; per tanto sarà f = a' a'f -t- a1'1 ...-+- a -+- ... . Ora supponiamo che per un’altra carica ft dell’ inducente, sieno ha' , ha" , ha'n ,...., ha . hb' , hb" , hb'" , ..., hb ln\ ... . le relative accumulazioni sugli elementi superficiali dei due nominati conduttori, uno indu- cente 1’ altro indotto. È cosa evidente, che anche queste ultime due diverse distribuzioni, — 206 — Conveniamo perfettamente coll’autore, quando egli dice (1) « Sospefr- » dendo nei diversi punti del cilindro indotto dei pendolini , e producendo » 1’ induzione , allora cominciano tulli a divergere ; quelli più vicini al corpo » inducente, e perciò pure quelli, che stanno sulla linea neutra, si avvicina- » no all’inducente medesimo; laonde non si può trovare a questo modo il » punto neutro. Dal disegno di questa sperienza, che si trova nel Traité de » physique di Biot , apparisce chiaro; che la medesima non fu mai ese- » guita; essa è invece combinata secondo la probabilità soltanto. Anche l’at- )> trazione sopra un pendolino elettrizzato , esercitata da una metà del cilin— » dio, e la repulsione del pendolino stesso, esercitata dall’ altra metà , è » piuttosto inventata che dimostrata. Nella vicinanza del conduttore indu- » cente, la pallina obbedisce solo alla influenza di questa elettricità, molto » efficace, senza lasciarsi turbare dalla elettricità meno efficace dell’ indotto: » neppure per tal modo si può trovare la linea neutra ». Dal come Riess (2) giudica questa memoria di Mohr, si vede che il fisico di Berlino, attribuisce ad essa poco valore , sebbene Mohr sia del medesimo dovranno, come le prime, soddisfare all’ analitica condizione sopra indicata ; perchè la massa di ogni elementare accumulazione, ha cangiato proporzionalmente alla quantità co- stante h; e perchè, dall’essere infinitesima 1’ ertezza degli strati elettrici, la distanza del centro di azione di ciascun elemento elettrico, da qualunque punto interno sul quale agisce, varia soltanto per un infinitesimo. Da ciò discende, che pure ogni elementare azione elet- trica, cangiò soltanto proporzionalmente ad h, per la nuova carica fi, attribuita all’ indu- cente; laonde avremo fi = ha' 4- ha" -+- ha -f- .... ha fwV -t- . . . . Riflettendo inoltre, che la elettrica distribuzione, corrispondente ad una qualsiasi carica, è unica; chiaro apparisce, che le distri buzion irelative alla seconda carica fi, non possono essere altro, che quelle sopra indicale. Abbiamo dunque dimostrato, che cangiando la cari- ca /' dell’ inducente in fu cangeranno le differenti accumulazioni elettriche, sopra un ele- mento superficiale qualunque , tanto dell’ inducente , quanto dell’ indotto , nel medesimo rapporto, nel quale ha cangiato la carica dell’ inducente ; cioè nel rapporto di 1: h. Da ciò siegue ad evidenza, che la linea neutra nel caso della carica f , non potrà cangiare di luogo, quando la carica divenga fi , come volevamo dimostrare. (1) Vedi pag. 230. (2) Pietro Teofilo Riess nacque nel 1805 in Berlino, ed ivi presentemente professa la fisica. Diede in luce molti scritti, fra’ quali citiamo principalmente l’opera, che ha per ti- tolo: Die Delire von der Reibungs-Electricitàt; due volumi in 8.° Berlino 1853. — 207 — suo parere, intorno la tensione della indotta. Poiché, parlando Riess del fatto da Pfaff osservato , il quale asserisce, che i pendolini tutti, sopra il cilindro indotto, divergono colla elettricità omologa della inducente , così dice (1). » Si tratta qui delle sperienze d’ induzione col piano di prova , le » quali non ha negato nè Pfaff, nè alcun altro fisico. L’ autore Mohr com- » batte ancora la opinione, che la linea neutra si trovi nel mezzo del cilindro » indotto; ma tale asserzione, da rnuno si fece finora, e neppure da Biot, dal » quale pretende l’autore che sia stata prodotta. 1 risultamenti di Pfaff vengono » poi spiegati (da Mohr) col dire, che il cilindro indotto abbia ricevuto elettricità y> per comunicazione, la quale fu da Pfaff trascurata. Non ci opponiamo » a questo ragionamento, come ad ogni altro che ci sembra erralo ; ina » non possiamo scusare il linguaggio dell’autore (Mohr) contro Pfaff, e Biot, » neppure nel caso in cui 1’ autore medesimo avesse più inerito, di quello » che ha realmente ». §• io. Passiamo a riferire un estratto della memoria di Pfaff, colla quale questo fìsico risponde a Mohr, inserita nel Poggendorff Armalen (voi. 44, pag. 332, an. 1838) Dice Pfaff « La vera causa del modo equivoco di vedere di Mohr, deve at- » tribuirsi alla circostanza, che la quistione non può decidersi col piano di » prova, come avevo già detto nell’altra mia memoria (2). Ma il piano di prova » fu in fatti adoperato da Mohr, servendosi esso di una pallina isolata di » ottone, avente 8 linee di diametro, colla quale ricercò il cilindro indotto, nei » diversi suoi punti, determinando la linea neutra, e la estensione delle zone « delle due elettricità; le quali, secondo 1’ autore, sono libere ugualmente. » Ma Mohr ha dimenticato, che si tratta di provare la libera tensione ; cioè » 1’ azione attrattiva e repulsiva delle due elettricità, mentre che sono esse nelle » posizioni loro iniziali. E siccome l’autore esplorava la elettricità della pallina, » dopo allontanata dal corpo indotto; così rilevasi, che la strada presa dall’autore « medesimo , non conduce al fine (3). L’andamento della sperienza è solo (1) Repertorium der Phvs., voi. 2°, pag. 33, an. 1838. (2) Nella seconda parte vedremo invece, che il piano di prova, purché sia 'piccolo a ba- stanza, decide in più modi la quistione; cioè dimostra in più modi che la indotta di prima specie non tende affatto. (3) Non conduce al line, anche perchè il piano di prova era eccessivamente grande. ■ — 208 — » questo : Toccando colla sferetta di prova quei sito del cilindro indot- » to, in cui 1’ autore trovò elettricità di natura contraria alla inducen- )> te, allora questa elettricità, esercita la sua influenza sopra il fluido » neutro della sferetta ; essa respinge la omologa della inducente , in un » estremo del cilindro , e per attrazione fìssa la opposta nell’ altro. Dun- » que si trovò effettivamente la elettricità di natura contraria nella sferetta. » Ma 1’ esperimento non poteva in nessun modo decidere, se la medesima era » libera; vale a dire, se poteva influire al di fuori, o se fosse latente. Poiché an- )» che la elettricità della sferetta, è del tutto vincolata, mentre si trova in contatto » col cilindro indotto; essa perciò doveva divenire libera, cioè agire al di fuori, » tosto che la sferetta medesima togiievasi alla influenza inducente, e vincolante » del corpo induttore. Un fatto del tutto simile ha luogo , quando si libera » nello scudo la elettricità, indubitatamente vincolata nella resina dell’ elet- » troforo, mentre lo scudo medesimo si allontana L’ autore (Mohr) trova » un argomento per sostenere la tensione della indotta, nel fatto che due » pendolini, tenuti con mano, ed avvicinati a un conduttore caricato di elettrico, » divergono per la elettricità contraria della inducente; però le mie sperienze con- )> traddicono a questo fatto decisamente. Ho adoperato le foglie d’oro, le pa- li ghette, le palline di sambuco , secondochè il corpo inducente, più o me- li no era elettrizzato. Avvicinando tali elettrometri all’inducente stesso, men- » tre toccavo col dito 1’ estremo dell’ asta , cui questi erano sospesi , ho « sempre trovato , che i medesimi divergono per la elettricità omologa del— » la inducente (1), come mostrava l’analizzatore di vetro, od anche di resina. La )> discussione di Mohr dunque, non fece progredire la quistione. Più deci- » sivi furono i risultamenti delle sperienze ingegnose di Ohm , le quali ci » mostravano ia proprietà misteriosa della elettricità, di esercitare un azione » attrattiva e repulsiva , senza che la elettricità medesima si togliesse dal » corpo inducente. Però era desiderabile , poter eseguire simili sperienze , » coi soliti apparecchi, quali occorrono ad ogni elettricista , per le sue spe- li rienze comuni ; queste furono in realtà eseguite da Riess , ed hanno » dato risultamenti decisivi » (2). (1) Ciò è vero, purché la divergenza, in questo caso manifestata dall’elettrometro, s’in- tenda prodotta dall’ influenza curvilinea della elettricità iuducente: cosicché se Pfaff avesse inteso ciò, mostrato avrebbe di conoscere di così fatta induzione. (2) Però noi vedremo qui appresso, ed anche nella seconda parte di questa memoria, chei risultamenti di Riess, non valgono a negare, che la indotta di prima specie, cioè la con- traria della inducente, ovvero dell’ attuata, sia priva di tensione. — 209 — §• M- Il sig. Riess con una sua nota , che ha per titolo - Sopra il potere di propagazione della elettricità indotta- inserita nel Poggendorff (Annalen., voi. 44, an. 1838, p. 624) produce delle osservazioni sulla precedente memoria di Pfaff contro Mohr, le quali ora dobbiamo analizzare. Egli asserisce (luogo citato) che non Ohm, e neppure De Lue hanno ammesso pei primi, che la indotta pos- segga un’ azione repulsiva ; ma che Canton ammetteva tale azione : » il Sig.r Pfaff ha (dice Riess) ultimamente enunciato la seguente pro- » posizione « La elettricità che si trova nell’estremo del cilindro indotto, il più » vicino al corpo inducente , la quale è di natura opposta di questa ultima, « agisce al di fuori, tanto per attrazione, quanto per repulsione; ma la me- li desima perdette il suo potere di propagarsi , ed essa non può to~ » gliersi dal corpo; quindi è in un certo senso libera, ed in un altro vinco- » lata. Siccome P illustre autore di questa proposizione, riconosce colla me— » desima, un fatto che non si può spiegare , mediante la comune teorica della « induzione ; così credo necessario manifestare su quella i miei dubbi. » Credo anche che il paradosso del riferito teorema sparisca, quando si ricordi » che la espressione - potere di propagazione - data empiricamente non si » deve in questo caso prendere nel suo proprio senso. » Si immagini un conduttore A » elettrizzato (fig.4),e fornito di due pen- » dolini; si tocchi esso in un qualun- » que suo punto, con un altro con- » duttore B. Essendo questo condut- » tore B non caricato, allora il corpo A, » per quel contatto, perderà una certa » dose di elettricità , qualunque sia la » sua forma e grandezza; ed i suoi pen- » dolini divergeranno meno di prima » In questo fenomeno, dicesi che la » elettricità di A possegga un potere « di propagazione; ovvero che il cor- » po B, ha scaricato in parte il corpo A. 27 — 210 — « Ma si elettrizzi per induzione un » conduttore verticale A , mediante » una sfera C, posta sotto al medesi- » ino (fìg.5). La espressione potere di » propagazione, non è in questo caso » più applicabile nel suo indicato senso, » alla elettricità della parte inferiore » del conduttore A; poiché il riferito » sperimento, dal quale fu dedotta la » medesima espressione, non può certo » qui eseguirsi. Facilmente si vede, che )) ogni conduttore portato in contatto » con A, si elettrizza già per influenza )) della sfera C , prima che si stabi- li lisca il contatto; ed abbiamo in que- » sto caso , quello di due conduttori )) elettrizzati fra loro indipendentemen- « te , i quali vengono messi a con- » tatto. w Ora, se invece di asserire, che il pendolino negativo cala, vogliasi dire » che la elettricità del medesimo è partita, in virtù del suo potere di propa- li gazione, si troverà che questo potere cangia colla forma, colle dimensioni )> del conduttore toccante, e colla inclinazione di questo corpo nell’atto di » toccare (1). Nel caso in cui B sia grandissimo rispetto ad A, ed anche quando » si toccano in guisa, da formare un angolo retto fra loro; allora si trova , )) che il pendolino negativo non cala, dopo l’allontamento di B: anzi qualche (1) 11 potere di propagazione, considerato in se stesso, procede unicamente dalla forza repulsiva, che l’elettrico esercita sopra se medesimo , cioè fra le sue particelle. Conside- rando poi questo potere, in quanto all’effetto, esso è dipendente della conducibilità del corpo, sul quale deve aver luogo la effettuazione del potere indicato. Inoltre, per ciò che riguarda il modo, col quale nei corpi conduttori si effettua la propagazione, deve ricono- scersi che dipende, a parità di circostanze, unicamente dalla forma del conduttore, sul quale deve la elettricità propagarsi, ed ivi equilibrarsi. 11 potere di propagazione appartiene soltanto alla elettricità libera, e non alla indotta di prima specie, nella quale la forza repulsiva , causa originale della propagazione, rimane, attutita dalla elettrica influenza, finché questa dura ; perciò , completamente trattandosi di elettricità indotta , non può concedersi alla medesima il potere di propagarsi. Fig. 5. » volta sale. Però essendo il conduttore toccante piccolissimo, come un piano )> di prova, fatto con carta dorata, e isolata, il pendolo negativo allora calerà » dopo il contatto, e l’allontanamento del disco. Egli è facile ottenere, che spa- li risca tutta la divergenza di questo pendolino, per mezzo di alternativi tocco- » menti, e scariche dello stesso piano di prova (1). Ho riportato questo semplice » sperimento, su cui si appoggia Pfaff, il quale dovrebbe dunque concedere, » che la elettricità indotta possiede un potere di propagazione almeno in » certi casi (2). Però credo che poco si sarebbe con ciò guadagnato; e mi sem- » bra che, riguardo a questa specie di sperimenti, sia più semplice il seguente « concetto. » Si consideri l’insieme dei conduttori, uno fìsso, e l’altro mobile, nel momento » del contatto fra loro , come un solo conduttore ; e si cerchi la elettriz- » zazione , che subisce questo conduttore composto, per parte di un corpo (1) Ciò sarà vero a condizione, che il piano dì prova nel contatto coll’ indotto, per avere anch’esso ricevuta la induzione, lasci sull’ indotto stesso, maggior dose di elettricità omologa della inducente, di quello che ne tolga, quando si allontana da esso; poiché nel caso contrario, dovrà il pendolino negativo accrescere la sua divergenza. Riguardo all’innalza- mento, ed abbassamento dei pendolini, cioè riguardo al variare della diverenza loro, avvi- cinando il corpo B all’indotto A, sino anche al contatto fra questi due corpi, dobbiamo riflettere quanto siegue. Vedremo nella seconda parte di questa memoria, l.° che la indicata divergenza del pendolino inferiore b negativo , è cagionata principalmente dalla induzione curvilinea dell’ inducente C. 2.° Inoltre la energia di questa induzione, quindi anche la divergenza dei pendolini, dipende non solo dalla carica di C, ma eziandio dalla indotta di seconda specie nel conduttore A, cioè dall’attuata in esso, ed omologa della induttrice; poiché se questa si fa diminuire, cresce la divergenza del pendolino stesso, e giunge al massimo, quando tolgasi del tutto. 3.° Finalmente poiché il corpo B , avvicinandosi ad A, impedisce in parte la induzione curvilinea sul corpo A indotto, ed inoltre anche B, riceve la induzione; per ciò la riferita divergenza dei pendolini, deve pure dipendere da queste due circostanze, relative al corpo B. Posti questi tre fatti, che niuno può negare, non è difficile comprendere, che la divergenza dei pendolini potrà variare , crescendo talune volte , o diminuen- do tali altre. Cosi p. e. quando il corpo B, posto in contatto con A, tolga da questo la omologa della iuducente in parte, o in tutto, aìlora dopo l’allontanamento di B, dovrà il pendolino inferiore salire, e quello superiore discendere ; perchè in questo caso la indu- zione si è rafforzata; sarà poi facile, immaginando altri casi, risolverli come questo, valendosi dei tre fatti sopra enunciati. Se il piano di prova sia piccolissimo a bastanza, esso applicato su qualunque punto dell’ indotto, riceverà sempre una carica omologa della inducente; cosicché replicando questi contatti, dovrà crescere, non già diminuire, la divergenza del pendolino inferiore. (2) Vedremo in seguito, che la indotta non possiede affatto il potere di propagarsi, e che la indotta mostrata dal piano di prova, quando non sia piccolissimo, non è altra fuorché ouella tissata sul piano stesso dalla influenza elettrica, e non è punto comunicata dall’ in- doro al piano medesimo pel contatto fra loro. 212 — » inducenle, di una certa grandezza, e collocato in una certa distanza. Suppo- » nendo risoluto questo problema, saia facile trovare la elettrica distribuzione )> sopra l’indotto, quando il corpo mobile sia rimosso. Tutto dipende adunque « dal risolvere T analitico problema, sulla induzione reciproca , fra più con- » dottori elettrizzati. » Ma la soluzione generale del problema stesso, non può sperarsi per ora, » stante le analitiche difficoltà insuperabili, che sono ad essa congiunte. Per » 1’ attuale ricerca però , la indicata soluzione riesce di poca importanza ; » poiché ciascuna sperienza , che dipende dalla induzione, può spiegarsi die- » tro la ipotesi di una certa distribuzione sul conduttore composto. Anzi nel » maggior numero di casi, tale distribuzione può dedursi anche senza questa » ipotesi, per mezzo di alcuni noti problemi, relativi alla induzione stessa (1). » Del resto poi, quando un caso particolare desta, per talune circostan- » ze, maggiore interesse; allora sempre si può risolvere il problema em- » piricamente. In questo modo trattai , tempo fa , il caso di un condut- » tore verticale (fig.5), elettrizzato per induzione, allorché ne’suoi diversi punti )) viene orizzontalmente toccato da un altro, di variabile lunghezza. » Osservo da ultimo, che il ragionamento riesce più semplice , quando il » punto di contatto sul conduttore A, si trova nella parte superiore del mede- )> simo conduttore, che si oppone a quella di prima. Siccome B riceve in tal » caso , non solo una induzione dalla elettricità positiva della sfera C , ma )) bensì anche dalla elettricità negativa della parte inferiore del conduttore » verticale ; così può considerarsi B come privo di elettricità , e la spe- » rienza si riduce a quella del primo caso » (2). Osserviamo qui, che Pfaff ha tutte le ragioni , per negare alla elettricità indotta il potere di propagarsi. Le obbiezioni riportate dal Riess , contro la mancanza di questo potere, non sono vere ; poiché si ammette da esso, contro la verità, che T apertura dei pendolini, applicati all’indotto, debbasi alla sua (1) Non possiamo convenire coH’autore, nel riconoscere di poca importanza la solu- zione di un problema, che si è dall’ autore stesso riconosciuto, come I’ unico mezzo di risolvere la quistione. Inoltre non si comprende, perchè l’autore accenni una ipotesi sulla in- fluenza , da cui là dipendere la soluzione dell’ indicalo problema , e non dichiari la ipolesi medesima. Dicasi lo stesso, riguardo ai problemi relativi a questo fenomeno, indicati dall’au- tore , ma non da esso dichiarati. (2) Questo ragionamento essendo basato sul falso supposto , che cioè la indotta di prima specie possa indurre; perciò pur esso è falso ; giacché non possiamo ammettere, che la parte negativa del conduttore verticale induca, essendo essa priva di tensione. — 213 — elettricità indotta di prima specie; ma invece si produce, in tenue parte , dalla sua elettricità libera, ed in grandissima parte dalla induzione curvilinea del corpo inducente. Ammettendo tal fatto, da molti oggi ricevuto , e che noi porremo in maggior luce nel seguito, non s’incontra veruna difficoltà , secondo la teorica nuova sulla elettrostatica induzione, per ispiegare i fenomeni riportati dal Riess. Quanto poi spetta circa 1’ asserzione di questo autore , che cioè Canton abbia scoperta 1’ azione repulsiva della elettricità indotta, osserviamo : che avrebbe invece dovuto egli dire, che questo fìsico vide pel primo, soltanto il fatto della divergenza dei due pendolini non isolati , sottoposti alla indu- zione. Poiché il brano di Canton, riguardo a questo argomento, riportato da Riess (1), dice unicamente: » Canton sospese nel 1753 due sfere metalliche al » solaro della sua camera, per mezzo di due fili sottili di argento, e pose un » tubo di vetro strofinato sotto i medesimi. Egli vide che le sfere diver- » gevano con elettricità negativa, quando stavano sotto 1’ influenza dell’ indi- » calo tubo di vetro , e con elettricità positiva, quando adoperò la cera di » Spagna, invece del vetro)). Riguardo al riferito fatto della divergenza, non esiste verun dubbio fra i fìsici ; ma per quanto alla spiegazione appartiene , non si vede se Canton abbia realmente da quella sperienza concluso, che la indotta possegga tensione. S- 12. Riess (2) dà in generale un riassunto della questione di cui si tratta, cioè della elettrostatica induzione , ragionando nel modo seguente « Rai fin )) qui detto risulta , che non si possa parlare delle proprietà della elettricità >> indotta, come di una cosa distinta. Questa elettricità possiede le mede- » sime proprietà della elettricità in genere , ma sperimentando sulla me- » desima, si giunge a risultamene diversi; poiché vengono in azione contem- » poraneamente due elettricità di natura apposta. Sulla elettricità libera, pos- » siamo in generale sperimentare col medesimo successo, in tutte le dire- » zioni dello spazio; ma trattandosi della indotta , non dobbiamo perdere di » vista, essere qui la direzione della linea di congiungimento dei due condut- (1) Repertorium der Plivsik, voi. 2°, pag. 30. - V. anche Franklin, Exper. and. observ. 5 th. edit. p. 51. (2) Reperlorium der Physik, Berlin 1828, voi. 2. pag. 29. 214 » tori di elettriche nature contrarie, quella cui sono i fenomeni legati fra loro. )> 11 risultamento dalle sperienze può riuscire molto diverso, secondo la po- » sizione, che hanno i corpi circostanti, rispetto alla indicata linea. Per questo )> motivo tali sperimenti sono complicati; ma essi hanno soltanto interesse » dal punto di vista, di poterli spiegare colle proprietà fondamentali delia » elettricità in genere. Recentemente una sperienza fu male interpetrata, e » siccome la sua interpetrazione metteva in dubbio uno dei più importanti » principi! della elettrostatica ; perciò l’esperimento stesso acquistò importanza » tale , da essere oggetto di questioni molto estese. Per chiarire meglio w tutto ciò , mi si permetta ricordare qualche fatto antecedente ». In seguito 1’ autore riferisce la sperienza di Canton, ora da noi consi- derata ; poscia parla di Epino , il quale sperimentò pel primo , che le due parti del cilindro indotto, posseggono elettricità opposte; dicendo che per tale scopo, si servì egli di un pezzo di metallo isolato, che lo portò in contatto coll’ indotto, e trovò che le indicate parti, erano caricate di elettricità fra loro contrarie. Abbiamo già più volte asserito, che questo fatto non prova niente; poiché in esso fu esplorata l’elettricità, quando la medesima non si trovava più esposta alla induzione; vale a dire, quando essa era divenuta libera, ed aveva perciò riacquistate le sue proprietà. Coulomb fece lo stesso, ma soltanto prendeva meno grande, il pezzo di metallo indicalo; però non mai piccolo bastantemente. Par- lando poi l’autore di Biot, confessa egli essere difficile, che il suo sperimento dei pendolini, sospesi nei diversi punti del cilindro indotto, riesca nel modo come questo fìsico asserisce; termina il Riess però col dire , che in astratto le asserzioni di Biot sono vere. II Riess, per quanto appartiene a Pfaff, si esprime nel modo seguente: (pag. 31 li 13 salendo) « Le sperienze (di Pfaff) sono soltanto descritte in generale ; ma » in appresso dimostrerò che, supposte certe disposizioni della sperienza, si » ottiene in realtà un risultamento, che sembra in apparenza parlare chiaro, a » favore della opinione sua ( cioè che la indotta non tenda ). il motivo che » indusse Pfaff, a così opinare inesattamente sulla elettricità indotta, sareb- » be dunque soltanto una interpetrazione falsa di uno sperimento vero ». Osserviamo, che ciò deve dirsi ai sostenitori della comune teorica, ma non al Pfaff. Continua Riess la sua analisi dicendo « Ohm riporta certi speri- » menti di De Lue, dai quali risulta, che ambedue l’elettricità indotte ( una — 215 — » di prima, l’altra di seconda specie) abbiano azione tanto attrattiva, quanto » repulsiva ». Osserviamo noi, che in questo caso, le parole del De Lue ri- portate da Ohm, non sono chiare abbastanza, per giustificare tale asser- zione : abbiamo riferiti altri brani del De Lue (§ 5 di questa nostra memoria ) i quali parlano decisamente in favore nostro, cioè che la indotta non tende. Del resto analizzammo già la memoria di Ohm nel suo luogo (§ 8) , ed ivi esponemmo, che la influenza curvilinea, spiega tutte le obbiezioni sue. Segue ( pag. 33 ) la critica riguardo a Mohr, che abbiamo già riferita. (§. 9), Il medesimo Riess in seguito riporta eziandio (pag. 34) talune altre spe- ranze poco concludenti, e crede, che colla posizione verticale del cilindro indotto, sia levato qualunque dubbio, favorevole a persuadere, che i pendolini si aprono per la tensione della elettricità indotta, contraria della inducente, posseduta da essi. Ma ciò non è affatto vero; poiché la causa principalissima di tale aper- tura, consiste nella induzione curvilinea, la quale non è impedita nella spe- ranza del cilindro verticale, istituita dal Riess. Del resto non possiamo affatto comprendere la scelta di un indotto, posto verticalmente ; al quale senza veruna buona ragione, il Riess ha data la preferenza, per dimostrare i fenomeni della elettrostatica induzione: perchè questi sono sempre gli stessi, e si spiega- no ugualmente nell’ indotto, sia verticale, od orizzontale. § 13 Diamo qui appresso 1’ analisi di due memorie , pubblicate da Knoche - nhauer(l), negli annali del Poggendorff; la pfima delle quali tratta esplicita- mente della indotta, negando che questa possegga tensione alcuna , e ne- gando altresì, che la elettrostatica induzione, possa traversare i conduttori; tutto ciò conforme alla nostra maniera di vedere. La seconda sua memoria poi, tratta del potere induttivo dei coibenti; argomento che ha stretta rela- zione colla elettrica influenza. Nella prima delle indicate due memorie (Pogg. 47, an. 1839, p.445. ) si (1) Carlo Guglielmo Knochenhauer nacque nel 1805 a Potzdam, fu professore in di- versi luoghi, ed ora lo è a Meiningen. 216 considera (fig. 6) un corpo C, sottoposto all’in- fluenza di un altro A , in modo , che fra i medesimi s’ interponga un disco metallico B , comunicante co! suolo. Quindi esamina l’autore, se gli effetti di tale sperienza, si possano spie- gare , o no, col dire che le azioni di A e B, sono eguali e contrarie fra loro. Egli giudica , che allora queste due azioni si potrebbero sol- tanto compensare, per una certa posizione di C (1) ; non però in una qualsiasi. Quindi ritiene , che l’azione di A non si estenda oltre il corpo B, ritenendo eziandio , che questo non eserciti azione alcuna sopra C ; ovvero , parlando in altri termini , esso giu- stamente ritiene , che 1’ azione induttiva non traversa i metalli , e che la indotta non tende. Però 1’ autore stesso ammette , che due pendo- lini possano divergere , avendo elettricità indotta; e ciò spiega ingegnosa- mente (pag. 449. li, 11 salendo) col dire: « Quando i due pendolini si trovano » sopra un disco coibente , negativamente elettrizzato ; allora la elettricità » negativa di questo, vincola in ambedue i pendolini una elettricità positiva , » la quale vincola nuovamente una parte dell’elettricità negativa nel disco » coibente. Questa induzione diminuisce, co- )> me è noto, crescendo la distanza. Si rap- » presenti ora (fig. 7), col circolo At A2 A3 A4 » il limite del campo d’ azione reciproca del » pendolino a , sopra il coibente disco ; e sia » Bt B2 B3 B4 il limite del campo di azione » reciproca, corrispondente al secondo pendo- )> lino b. Ciascuno di questi circoli, esercita una » azione vincolante sopra le palline, le quali vin- » colano sul disco coibente medesimo una certa (1) Secondo 1’ autore , se la influenza di A traversasse B , allora le azioni contrarie di A, e B si dovrebbero compensare in uu solo punto. Certo però è che la virtù inducente non traversa i conduttori, sieno questi o no isolati; ed in ciò siamo, ci sembra, in accordo coll’autore. Dobbiamo pure aggiungere, che se in alcune posizioni di C, questo riceva la in- fluenza elettrica, dovrà certo riceverla per via curvilinea, non già per influenza rettilinea. Poiché se così non fosse, ci troveremmo in contraddizione col fatto indubitato, che cioè la elettrostatica induzione non traversa i corpi conduttori. Fig. 7 A, 0 B2 — 217 — v quantità di elettrico negativo : questo vincolamento mutuo , produce an- « cora un’attrazione mutua. (1) » Ma tenendosi due elettricità fra loro vincolate, non esercitano esse » azione veruna* sopra un altro corpo, come ho detto di sopra; ora mentre )) che si trova At A2 À3 A4 con a , e B2 Bs B4 con b , in questo rap- » porto di vincolamento, i due campi d’azione non agiscono uno sull’ altro. » E siccome i due circoli Ai A2 A3 A4 , e Bt B2 B3 B4 si intersecano , » perciò lo spazio comune B4 0 As D non vincolerà esclusivamente nè a, » nè b , ma per parte l’uno, e per parte l’altro. I! pendolino a riceve soltanto » dalla parte 0 A2 A4 D Bt un’azione totale , similmente come il pendolino b » dalla parte 0 B2 B3 D Ar In un modo simile del tutto alla mutua vin- » colazione, avviene anche l’attrazione mutua; perciò sarà il pendolino a più » attratto dalla parte 0 A2 At D Bt , ed il pendolino b io sarà più dalla » parte 0 B2 B3 D A3. Le due palline obbediscono all'azione più forte, perciò » divergono; ma col divergere si separano i loro campi di azione, e le palline » corrispondenti si allontanano maggiormente l’una dall’altra. Questo effetto può » anche rappresentarsi col dire, che le due palline produrranno tale diver- » genza, in cui la quantità di elettrico indotto sarà un massimo ; cosicché » questa circostanza, unitamente alla gravità, determina la posizione loro di » equilibrio » . La seconda memoria di Knochenhauer, (Pogg.Ann., t. S 1 , p. 125, an. 1840) tratta della influenza, che produce una lastra dielettrica, interposta fra l’indot- to e l’inducente. Abbiamo citato questa memoria, perchè si rileva dalla me- desima, che Knochenhauer, quantunque non sia persuaso assolutamente, almeno è inclinato a concludere, che l’indicata influenza, sia prodotta dalle elettricità, de- composte per induzione sopra il coibente. Ciò secondo noi si deve intendere co- me segue : Rappresenti A il corpo inducente, B la dielettrica lastra, e C il corpo indotto (fìg. 6) ; in tal caso agisce A sopra B, separando in esso le due elettricità opposte.Ora se ambedue queste potessero agire sopra C, l’effetto loro complessivo sarebbe sensibilmente nullo. In fatti la influenza di A sopra B, polarizza elettri- camente ciascuna sua molecola. Inoltre ognuna delle medesime deve conside- rarsi, come se fosse un punto, immerso nel campo influente. Da ciò discende (l) Questi circoli si debbono intendere descritti sopra il disco coibente, carico di elet- tricità uniformemente. Però la indicata spiegazione manca di generalità, perchè non è di- pendente dalla induzione curvilinea; laonde non è applicabile ad ogni caso. 28- — 218 — che le due contrarie elettricità risiedono coincidenti sopra ogni molecola di B, e quindi si trovano in ciascuna egualmente distanti da qualunque punto dell’ indotto C. Inoltre non può supporsi , che la tensione della indolla , venga per influenza elettrica simulata o vincolata non in tutto, ma solo in parte. Im- perocché le forze naturali ‘ debbono sempre completamente raggiungere lo scopo delle appettenze od affinità loro, -quando non vi sieno impedimenti ef- ficaci. Perciò se la induttrice, abbia per iscopo il dissimulare la tensione della indotta, dovrà completamente raggiungerlo; perchè nulla si oppone al consegui- mento di questo suo fine. Se poi l’affinità od appetenza della medesima, non ab- bia l’ indicato scopo, la indotta manterrà completamente la sua tensione, anche durante la influenza. Dunque la indotta, durante la induzione, dovrà compieta- mente o dissimulare, o manifestare la sua tensione, ma non mai parzialmente. Premesso tutto ciò, se vogliasi che la indotta possegga tensione, ovve- ro influisca, bisognerà volere, per le riflessioni precedenti, che questa influen- za sia eguale e contraria a quella esercitata dalla omologa della inducente ; perciò bisognerà eziandio volere, che l’azione complessiva di queste due in- fluenze sia nulla. Da ciò discende che se la indotta di prima specie non fosse priva di tensione, la influenza sopra 1’ indotto, sarebbe minore di quella che ha luogo senza la coibente lastra B: cioè sarebbe dovuta soltanto a quella parte della influenza, non impegnata in polarizzare, da cui la dielettrica lastra è traversata. Ma il fatto dimostra, che questa lastra coibente, rafforza l’ intensità della induzione sopra C, rispetto quello sarebbe senza essa (1); perciò dobbiamo con- cludere che agisce sopra C , solo quella elettricità di B , la quale ha la medesima natura , dell’altra di A : cioè la omologa della inducente soltanto induce. Dunque la contraria non ha tensione, perchè se l’avesse, allora l’effetto induttivo sopra C sarebbe minore, di quello assegnato dalla sperienza. Tutto ciò nella seconda parte di questa memoria, sarà maggiormente sviluppato. § 14. Feehner (2) dopo avere brevemente accennato le memorie di Ohm, e di Riess , le quali rispondono alle sperienze di Pfaff , giudica quella di (1) De la Rive, Traitè d’electricilè thèorique et pratique, voi. t., pag. 137, Paris 1854, - v. anche Archives des scien. phys. et nat. de Genève, t. 31, Ann. 1856, p. 66. (2) Gustavo Teodoro Feehner nacque nel 1801, e dal 1834 in poi fu professore in Li- psia; scrisse molto sulla fisica, e sulla chimica. ( Pogg. Biog. voi. 1., pag. 728 ). — 219 — Knochenhauer ( Poggendorff Annalen., voi. 51 , pag. 321 , an. 1840) come siegue: « Senza vermi dubbio, dice Fechner, sarebbe dispiacevole vedere, che » il fatto avviene così come asserisce Knochenhauer ; poiché la chiarezza » riacquistata da poco, sopra un punto principale della elettricità (mediante le » indicate due memorie di Ohm e di Riess, che noi precedentemente analizzam- » mo ) sarebbe di nuovo perduta ; e le belle ricerche di Poisson diver- » rebbero inservibili, ecc. Ma fortunatamente la cosa riesce in altro mo- li do; e non dubito che ciò sarà concesso anche da Knochenhauer , quando » possa dimostrarsi, che le sue osservazioni sono giuste; però non eseguite » con apparrecchi sensibili bastantemente. Mi sembra, dalle viste combat- » tute di Knochenhauer, che possa rilevarsi, anche per mezzo della teorica, esser » soltanto gli elettroscopi più sensibili, quelli che possono manifestare segni » di elettricità in circostanze, nelle quali etano i medesimi mancati a Knochen- » hauer, (per la poca sensibilità de’suoi strumenti). » E’ in verità molto sorprendente vedere, come l’azione intensa, eserci- » tata da un bastone di cera-lacca, o dal bottone di una bottiglia di « Leida, sopra una pallina di sambuco non isolata , o sopra una foglia di » oro, sparisca del tutto, quando s’ introduca una larga lastra metallica, non » isolata, fra il corpo elettrizzato e l’elettroscopio, in modo che se il primo » fosse un corpo luminoso , P altro si troverebbe nell’ ombra della lastra, lo » che in seguito esprimerò, per più brevità, colla denominazione ombra elrt- » trica. Lasciando anche da parte la spiegazione di questo fenomeno, egli » è certo che il medesimo fornisce per la pratica, un mezzo utilissimo a » neutralizzare, in certi sperimenti, la presenza di corpi elettrizzali, lino al- » 1’ inpercettibile ; ed io stesso mi valsi, nelle mie ricerche, soventi volte » di tale mezzo. » Questo fatto era già noto da molto tempo, come ho trovato più tardi. » Dufay (1) fondava sul fatto medesimo, un mezzo per distinguere le superfìcie » non conducenti dalle conduttrici, lo che si può leggere nelle Mem. dell’accade- » mia delle scienze di Parigi. Un esperimento riguardo a questo punto, è il » seguente. Si strofini fortemente un bastone di cera-lacca, e si avviluppi (1) Carlo Francesco Dufay, nato nel 1698 a Parigi, e morto nel 1739, fu capitano nel- f armata francese, e membro dell’ accademia delle scienze di Parigi. — 220 — » con una foglia di stagninolo. Ora tenendo il bastone di cera lacca per lo » stagninolo , esso non manifesta azione veruna elettrica ; questa però torna )> colla sua intensità iniziale , quando si allontani lo stagnuolo. » Poiché mi sorprendeva molto sul principio tale fenomeno , perciò feci la » riflessione che segue: La elettricità inducente agisce con un'inlensilà mag- » giore sopra i! corpo elettroscopico, e la indotta di natura contraria vi agisce » da una distanza minore. Quantunque non sia conciliabile con alcuna » legge di attrazione , che queste due forze si compensino esattamente « per tutte le distanze, come a buon diritto fu osservato da Knochenhauer; sa- » rebbe ancora possib le , che tale compenso esistesse per tutte le di- » stanze , almeno approssimatamente , in modo che 1’ azione potrebbe sol- » tanto manifestarsi con elettroscopi più delicati. E noto che Poisson ha di- » mostrato , appoggiandosi ai principi! combattuti ( dalla nuova teorica ) , )) che un corpo , il quale si trova chiuso nell’interno di uno strato sferico, » isolato e conducente, non riceve azione alcuna da un altro elettrizzato , » che si trova fuori di esso. Immaginandosi la sfera grandissima , in tal caso » una sua calotta, che si trovi fi a il punto interno , ed il corpo elettriz- » zato esterno, può considerarsi come sensibilmente piana. La elettricità in— » dotta di natura contraria, si accumulerà su questa calotta, mentre la omo- » Ioga della inducente si distribuirà sulla parte che resta dello sferico invi- » luppo. Chiaro apparisce che, una lastra interposta fra i due corpi, emessa )) in comunicazione col suolo , la quale comunicazione compensa V effetto » della parte rimanente dell’inviluppo sferico , produce un’ accumulazione , » sebbene non identica , per lo meno approssimata molto , a quella dello strato » sferico: e perciò anche questa produrrà una compensazione approssimata fra » le due forze (cioè fra la forza inducente, e quella indotta). Siccome però » la compensazione non può aver luogo con tutta 1’ esattezza , lo che si » verifica solo per una sfera intera; così fa d’uopo dimostrare la differenza delle » forze; per la quale non può succedere la indicata compensazione ». L’autore poi dice (pag. 324, fin. 13 salendo) » che Knochenhauer non poteva vedere » alcun segno elettroscopico dall’armatura esterna di una bottiglia di Leida, » e da ciò (Feehner) conclude, che i suoi elettroscopi erano poco sensibili, o » almeno che le sue sperienze, non furono variate a dovere; poiché in realtà » si veggono questi segni, ed anzi forti, adoperando le necessarie precau- » zioni ». 221 Osserviamo qui, che tali segni, non dimostrano affatto la falsità delle os- servazioni di Knochenhauer; poiché i segni medesimi sono prodotti unicamente dall'azione curvilinea dell'armatura interna, e ciò rilevasi chiaro, quando si rifletta, che i medesimi aumentano, coll’ avvicinare 1’ elettroscopio all' orlo della bottiglia medesima , come asserisce lo stesso Fechner ( pag. 325 , lin. 8 salendo). Le ricerche sperimentali di questo autore, si riferiscono prin- cipalmente, ai caso di due dischi paralleli fra loro, il primo caricato positi- vamente , ed il secondo in comunicazione col suolo ; quindi egli ricerca se un piano di prova, od un elettroscopio, posto nell’ombra elettrica del se- condo disco , riceva o nò una elettrica induzione. Dai risultamenti ottenuti, egli conchiude, che tale azione ha luogo sempre, cioè che l’elettroscopio toc- cato , mostra elettricità negativa ; ma la sua massima intensità , si trova in una certa distanza dal secondo disco, e non in contatto col disco medesi- mo : tutto ciò conforme ai risultamenti di Faraday , sopra lo stesso argo- mento. Ponendo poi 1’ elettroscopio, fuori dell’ asse del sistema, però ancora nell’ombra elettrica,, l’azione ancHe si aumentò ; e l’autore (Fechner) ne con- clude quanto siegue (pag. 328, lin. 3 ) « Queste sperienze sono tanto più » concludenti, per la esistenza dell ’ azione in proposito (cioè per la pretesa » tensione della indotta) in quanto che la carica del disco, non era molto forte, » atteso che per una carica forte, il disco si sarebbe scaricato mediante » una scintilla ». Però dobbiamo qui osservare , che il fatto del piano di prova , od elettroscopio, che si carica ne! Y ombra elettrica, non è certamente contro la teo- rica nuova; poiché il medesimo, deve spiegarsi colla induzione curvilinea della inducente, la quale induzione inoltre spiega, molto meglio della comune teorica, l’azione crescente, quando si avvicina il piano di prova all'orlo del disco. Dice inoltre l’autore, (pag. 332, li. I 1) che l’unico fatto, il quale potrebbe giustificare la denominazione di elettricità vincolata , sarebbe quello , in cui la elettricità non può in certe circostanze togliersi da un corpo , messo in comunicazione col suolo ; e non può influire sopra un piano di pro- va. Da ciò si rileva, che Fechner ammette anch’ esso , fino ad un certo punto, essere la indotta priva di tensione. L’autore medesimo riferi- sce , nel resto della memoria , gli sperimenti suoi , sopra la linea neutra di un corpo indotto , i quali si estendono a un grande numero di casi. Abbiamo noi delucidalo precedentemente (§ 9), quale sia il vero significato della espressione - lìnea neutra -, essa cioè comprende quella sezione sul- — 222 l’influenzato, in cui la elettricità indotta, eguaglia la inducente. Quante volte s’in- tenda l’autore in questo senso, non possiamo negare, che le sue ricerche sieno di molto interesse; atteso che l’abilità del medesimo nell’eseguire gli elettrostatici sperimenti era molta. Deve qui osservarsi avere il Fischer, molto prima di Pfaff, e di Kno- chenhauer , professato che la indotta non tende , come già dimostrammo nel § 6 di questa memoria. Quindi reca maraviglia, come nè Fechner, nè Piess, abbiano mai preso a considerare la fìsica di Fischer, sotto il punto di vista della elettrostatica induzione. Il fatto riferito da Fechner, ed ora da noi riportato, cioè che la influenza, elettrica, viene impedita da una lastra conducente, a sufficienza larga, e co- municante col suolo , del qual fatto, dice Fechner, si valeva Dufay per di- stinguere i conduttori dai coibenti; fu scoperto dagli accademici del Cimento, prima del 1667. Che anzi questi fìsici italiani, tanto benemeriti delle scienze naturali, riconobbero 1’ indicato impedimento, non solo in una lastra condu- cente, ma pure in un reticolato di sostanze conduttrici; poiché i medesimi si espressero a questo modo « Finalmente perchè /’ ambra e tutte le altre so- stanze elettriche non tirino ( cioè non inducano ) basta un sottilissimo velo che si frapponga fra esse e 7 corpo d ' attirarsi. Anzi , essendo da noi stale fatte , in un foglio di carta , alcune piccole finestrelle , la prima fatta a foggia di gelosia , con capelli spessamente reticolati , la seconda velala con sottil peluria , rastiala gentilmente da una tela finissima , e la rimanente chiusa da una foglia d'oro da doratori , la virtù dell' ambra non vi penetrò » (1). Cosi fatta sperienza fu dimenticata, sino a tanto che l’illustre Faraday, senza conoscere forse le precedenti ricerche degli accademici del Cimento , la ri- produsse, utilizzandola per difendere dalla influenza elettrica, gli elettroscopi, ed i piani di prova,, neU'eletlrostatiche ricerche (2). {.Continuerà) (1) Saggi di naturali sperienze, fatti nell’accademia del Cimento. Firenze 1667, p. 232. (2) De la Rive, Trailé d’élec. Paris 1854, t. 1, p. 69, nota (1). COMUNICAZIONI Fu letta la partecipazione della morte dell’ onorevole Sig. Filippo Maria Guglielmo Yan der Maelen, fondatore dello stabilimento geografico di Bruxelles, avvenuta nel 19 maggio 1869, e comunicata dalla Signora Yan der Maelen sua vedova, e da’ suoi parenti. CORRISPONDENZE Fu comunirato l’onorevole dispaccio del 12 maggio 1869, di Sua Em. Rma il Signor Cardinale Reisach, prefetto della S. Congregazione degli stu- di, col quale questo illustre porporato, approva completamente il consuntivo accademico pel 1868. Si comunicò la rinunzia del socio ordinario e bibliotecario, Don Baldas- sare Boncompagni , dei principi di Piombino, alla carica di uno dei quattro componenti l’accademica censura. 11 Sig. Littrow, direttore dell’ osservatorio astronomico di Vienna, rin- grazia per gli atti dell’accademia nostra, da esso ricevuti. Venne lo stesso ringraziamento, da parte del sig, A. Quetelet, segretario perpetuo della R. accademia di Bruxelles; il quale contemporaneamente annunziò l’invio delle pubblicazioni di essa, relative al 1869, indicate nel seguente bi- bliografico bullettino. 5T La signora Giulia vedova di Giovanni Cavalieri San-Bertolo , nata De Paris, ringrazia l’accademia, per averla favorita nella sua preghiera (vedi p. i 57) . 224 — COMITATO SEGRETO Il signor presidente fece conoscere, che il periodo triennale in cui, se- condo le prescrizioni accademiche, deve durare la carica di commissario della censura, era decorso; quindi furono invitati dal medesimo, i suoi colleghi, a nominare per ischede quattro soci ordinari, onde comporre nuovamente la commissione indicata. I votanti essendo ventidue , risultarono eletti a maggioranza relativa di voci Monsignor F. Nardi 9 Prof. Cav. V. Diorio 9 R. P. A. Secchi 9 Prof. Cav. L. Respighi IO. L’ accademia nell’approvare questa elezione, decretò, che fosse invocata sulla medesima la sovrana sanzione. 11 periodo biennale della presidenza, prescritto dagli statuti, essendo già decorso, il sig. presidente propose, che si procedesse dai soci ordinari alla nomina di chi doveva subentrare a questa carica. Mediante la votazione per ischede, i votanti essendo ventuno, per l’as- senza del prof. cav. B. Viale-Prelà, risultò esso eletto a maggioranza rela- tiva di voci. Non si credette da taluni soci, che questa elezione fosse valida; perchè non era ottenuta per assoluta maggioranza di voci. Però altri soci, fra’quali anche il prof. Don S. Proia, ed il prof. Volpicelli, appoggiati sulle precedenti votazioni, e su quanto viene prescritto dagli statuti , sostenevano il contra- rio, dimostrando valida la seguita conferma del prof. Viale-Prelà nella carica di presidente, conferma che ognuno dei suoi predecessori aveva sempre ottenuta. Ciò nulla ostante si dovette procedere ad una seconda votazione , per la quale il signor Cav. B. Viale-Prelà ottenne dodici voci favorevoli ; perciò — 225 — fu egli nella presidenza confermato, anche ad assoluta maggioranza di voci, previa la sovrana sanzione. L’ accademia riunitasi a un’ ora pomeridiana , si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione P. Volpiceli. — A. com. Cialdi — F, mons. Nardi — G. cav. Ponzi — A. cav. Betocchi. — 'Mons. B. can. prof. Tortolini. — P. A. Guglielmotti. — E. Fiorini. — B. cav. Viale Prelà. — P. A. Secchi. — M. cav. Azzarelli. — ■ F. Castracane. — Federico Cav. Giorgi. — S. Cadet. — - V. cav. Diorio. — L. Cav. Respighi — S. Proja — D. Chelini. — 0. Astolfì. — B. Boncom- pagni — M. Massimo. — G. Pieri. Pubblicato nel 12 di ottobre 1869. P. V. OPERE VENUTE IN DONO Rassegna mensile statistica degli Ospedali, e della città di Roma, pubblicata per ordine di S. E. Rina Monsig. Achille Maria Ricci , Commend. di S. Spirito, e Presidente della Commissione degli Ospedali — Anno IL — Gen- naio 1869. Sulle leggi che seguono in Modena le correnti atmosferiche inferiori, dedotte da un biennio di osservazioni, eseguite con Vanemometrografo elettrico — Memoria del prof . D. Ragojva. — Un fase, in à.° gr. Résumé .... Riassunto delle osservazioni sulla meteorologia, fatte aW Os- servatorio Reale di Modena, del medesimo — Arino 1867. — Cherbourg — 1868 — Un fase, in 8.° Esposizione e discussione dei risultati del barometro registratore del R. Os- servatorio di Modena, del medesimo . — Un fase, in 8°. — 1869. 29 — 226 — Incertezza della livellazione barometrica e geodotica — Nota del Prof. Cav. F. Zantedeschi — Un ottavo di foglio. La magnete e i nervosi — Centuria di os servazioni del Prof. Carlo Mag- giorami — Volume unico — Milano 1869. — - Flora fossilis formationis oolithicae — Le piante fossili dell ’ oolite , descritte ed illustrate dal Barone Achille De Zigno — Voi. I. (con XXV. tavole) Puntata V. — Padova 1866 - 1868. in 4.° gr. Besoconto degli atti dell' Accademia del Progresso in Palazzolo-Acreide per Vanno primo di sua istituzione — 1868 — redatto dal segretario gene~ rate Dott. N. Zocco — - Siracusa, 1869. Un fase, in 8.° Memoria della B. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Modena. — Tomo IX. — 1868. Rendiconto della B. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Na- poli. — Marzo,, e Aprile 1869. Memoria dell' Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna — Serie II. — - Tomo VHS. — fase. 3°. 1869. Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e lettere — Serie II. — Voi. II. — Fase. VII. . . .IX. — 1869. La Palestra Letteraria artistica scientifica . — Periodico edito a spese e per opera di una società di giovani azionisti collaboratori. Anno II. — fase. IV. — • Aprile 18 69. Bullettino Meteorologico dell ’ Osservatorio del Collegio Romano — Aprile 1869. - Voi. Vili. N. 4. Bullettino Meteorologico dell ’ Osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto in Moncalieri. — - Marzo 1869. Annual report . . . Rapporto annuale del Museo di zoologia comparata, in Cambridge — 1866. - 1 867. Proceeding .... Alti della Società ’ filosòfica di Filadelfia. — Voi. X, N. 77. Ueber Sistemo .... Sopra sistemi di funzioni di più variabili di Krone- ber. — Berlino 1869 — Un fase, in 8.° Offenes Schreiben .... Lettera diretta al sig. Francesco Maurer contro il suo pasquillo intitolalo « Nicobamane » dal sig. Frauenfeld. — Ber- lin. 1868. Die Vegetationsverhàltnisse ... Le condizioni della vegetazione della Cro- azia, del Doli. A. Neilreich. — Vienna 1868. — Un fase, in 8.° Die zoophyten . . . / zoofiti e gli echinodermi del mare Adriatico, del prof. Com. Heller. — Vienna 1868.. — Un fase, in 8.° — 227 — Monatsbericht. . . . Contoreso mensile della R. Accademia delle Scienze di Berlino — Febbraio 1869. Abhandlungen . . . Memorie della Reale Accademia suddetta pel 1867. — Un voi. in 4.° Lunds universitats-bibliotekscatalog .... Catalogo della Biblioteca di Lund. — 1868. Verhandlungen . . . Atti della Imperiale Società ' zoologica-botanica di Vi- enna. — Yol. XVIII. fase. I. in 4.° Proceeding . . . Atti della R. Società ’ Geografica di Londra. — Voi. XIII. N. 2. Aprile 1869. Monthly report . . . Rapporto mensile del dipartimento di Agricoltura per gli anni 1866. e 1867. — Washington. 1866. 1868. — 2. voi. in 8°. Report. . . . Rapporto dei Commissari eli Agricoltura peri' anno 1866. — Washington. 1867. — Un voi. in 8.° Smithtonian . . .Contribuzioni smitsoniane alla Scienza. — Voi. XV. — Washington, 1867. — • Un voi. in 4.° grande. Ànnual report Rapporto annuale dell' Istituto suddetto per V an- no 186 6. Comptes . . . Contiresi dell ' Accademia delle Scienze, dall' Imperiale isti- tuto di Francia , in corrente. Acta E niver sitati?, Lundensis, 1837. The fossil . ... Il fossile cefalopide del Musco di zoologia comparata. — di A. IIyatt. — • N . 5. Contributions . . . Contribuzioni della Fauna del Gulf Steam — di L. F. De Pourtales — N. 6. Mémoires . , . Memorie della Soc r et a' delle Scienze Fisiche e Naturali di Bordxaux. — Tomo VI. l.° fase. 1869. Les Sciences ... Le Scienze e la filosofia. — Saggi di critica filosofica, e religiosa , di T. Enr. Martin. — Parigi, 1869. — Un voi. in 12.° Mémoire .... Memoria sulla data storica di un rinnovamento del periodo sotiaco, l'antichità, e la costruzione di questo periodo egiziano, del mede- simo. — Parigi, 18 69. — Un fase, in 8.° Mémoire . . . Memoria su questa quistione : « La precessione degli equino- zi è stata conosciuta dagli Egiziani, o da qualche altro popolo , avanti Ipparco? » del medesimo. — Parigi 1869. — Un fase, in 8.° Sur une . . . Sopra una formola di Leibniz , del prof. G. houel. — Bor~ deaux, 1869 — Un fase, in 8.° — 228 — Dimostrazione di una formola di Leibnizio e Lagrange , e di alcune formole affini , di Angelo Ge nocchi. — Torino, 1869. — Un fase, in 4.° Sulla epistola di Pietro Peregrino di Maricourt , e sopra alcuni trovati, e teorie magnetiche del secolo XIII. — Memoria seconda del P. D. Timoteo Bertelli Barnabita. — Roma, 1868. — Un fase. 4.° Ballettino di Bibliografia , e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche , pubblicato da B. Boncompagni. — Tomo I. — Dicembre 1868 , e Tomo li. Gennaio 1869. — 229 — rapili pini manale DEL XXII VOLUME (1868-69) Elenco dei soci attuali dell’ accademia , sino a tutto il dicem- bre 18 . . pag. v-xvi Soci defunti . » xvì MEMORIE E COMUNICAZIONI Fiori ni-Mazzanti contessa Elisabetta dei soci ordinari - Sulla Cladophora viadrina del KìUzing •. » 1-2 Betocchi prof. cav. Alessan dro - Dell ' uso del diamante nero , nella lavorazione dei marmi, e delle pietre dure .... » 3-5 Proja prof. Ab. Don Salvatore - Sopra una medaglia onoraria del principe Federico Cesi » 17-23 Volpicelli P. - Sulla elettrostatica induzione, od elettrica influenza. » 25-70 Castracane degli Antelminelli Ab. conte Francesco, socio ordina- rio. — Su i diversi melodi per misurare oggetti microscopici. » 73-79 Secchi r. p. Angelo, socio ordinario. - Sunto delle sue osservazioni spettroscopiche sid sole » 80-84 PiESPigiii cav. prof. Lorenzo, socio ordinario - Sulla scintillazione delle stelle ; Nota 2.a » 85-103 Castracane degli Antelminelli Ab. conte Francesco , socio ordi- nario - Su l' uso delle linee di Norbert , e delle preparazioni di Dialomee , per valutare V efficacia dei microscopi. . . » 111-114 Secchi r. p. Angelo, socio ordinario — Osservazioni spettroscopiche sul sole )> 115-120 Diorio prof. cav. Vincenzo , socio ordinario - Su di un pesce , mollo raro pei mercati di Pwma . . » 121-123 Piespighi prof. cav. Lorenzo, socio ordinario - Osservazioni degli spettri delle stelle , per mezzo di un grande prisma , applicalo alV obbiettivo dell' equatoriale dell' osservatorio del Campidoglio. » 124-126 * — 230 — S/ì'cc/// r. p. Angelo , socio ordinario - Sullo spettro delle macchie solari , . . . » 129-133 Nardi monsignor Francesco, socio ordinario - Ricerche sui limiti della vita nel mare profondo » 134-137 Cast pacane degli Antelminelli Ab. conte Francesco, socio ordinario - Osservazioni sopra un Dialomea del genere Podosphenia Ehrb. » 138-142 Fiorini-Mazzanti contessa Elisabetta, dei soci ordinari - Cenno sul- la vegetazione della caduta delle Marmore, in una rapida escur- sione di luglio , » 143-144 Chelini r. p. Domenico, socio ordinario, e membro del comitato - Nuova dimostrazione elementare delle proprietà fondamentali degli assi permanenti » 147-155 Nardi Monsignor Don Francesco, socio ordinario, - Se la corrente del Golfo abbia influenza sui climi di Europa » 161-165 Tortolini monsignor Don Barnaba, socio ordinario - Soluzioni di un problema relativo all' equazioni di 3° e 4° grado. . . » 166-168 Secchi R. P. Angelo, socio ordinario - Nuove ricerche spettrali. » 169-171 Tortolini Monsignor Don Barnaba - Sopra un nuovo sistema di variabili introdotte dal sig. Ossian Bonnet nello studio delle proprietà delle superfìcie curve » 172-187 Volpi celli prof. Paolo, socio ordinario, e Segretario - Sulla causa della inversione delle cariche di elettricità, nei coibenti armati ; e sulla influenza elettrica nei gas rarefatti )> 188-202 Il medesimo - Sulla elettrostatica induzione, od influenza elettrica (Continuazione, Y. pag. 25) » 203-222 COMUNICAZIONI Proia Ab. prof. Don Salvatore, presenta l'opera del D. Zappòli. » 6 Ponzi prof. cav. Giuseppe, presenta delle armi di pietra silicea. » id. Volpicelli P. , presenta alcuni autografi di Federico Cesi , re- lativi alla vita domestica » 6-8 Il medesimo ricorda la perdita di alcuni soci ordinari. . . » 8 Betocchi prof. cav. Alessandro, socio ordinario - Efemeridi del fiume Tevere » 105-108 Dono del prof. Toscani, presentato dal prof. S. Cadet. . . » 109 — 231 Dono del D.r E. Haller, presentalo dal prof. Cadet . . . « 109 Nota del prof. cav. Zantedeschi, socio corrispondente italiano, pre- sentata dal prof. cav. Betocchi » 127 Dono del prof. Betocchi » id. Ringraziamento dell ' accademia Gioenia - dell ' accademia zoologica botanica di Lund - della R. accademia delle scienze di Berlino. » 1 43 Si annunzia la morte del corrispondente italiano , prof. Antonio com. Bertoloni » id. Annunzio della morte del prof. Tommaso Ant. cav. Catullo . » id. Dono del sig. D.r Carpenter, presentato dall' Ab. sig. conte Fran. Castracane degli Antelminelli )) id. Il prof. Diorio cav. Vincenzo , socio ordinario, e membro del co- mitato - Intorno al pesce Luna nel mercato di Roma . . » 136 Si notifica la morte di M. G . Van der Mae le n « 223 COMMISSIONI Conclusione del rapporto sull'opera del sig. com. A. Cialdi . » 8 Il commissario Volpicelli riflette contro questa conclusione . . » id. I commissari Ponzi e Secchi sostengono la indicata conclusione. » 9 L'accademia, con due voti di maggioranza, approvò la conclusione stessa . . » id. CORRISPONDENZE Dispaccio dell' Emo e Buio sig. Cardinale De-Angelis, protettore dell' accademia » 9 Dono dell' accademia delle scienze di Bruxelles » id. Ringraziamento della R. accademia delle scienze di Madrid. . a id. La biblioteca di Oxford ringrazia » id. La R. accademia delle scienze di Lisbona ringrazia .... » 10 Il sig. prof. A. Villa ringrazia » id. L'officio delle ricerche geologiche di Svezia ringrazia ...» id. Dono dell' I. e R. accademia delle scienze di Vienna ...» id. Lettera circolare dell' astronomo sig. IL Wild. ...... 70 Si annunzia la perdila del dot. Martius ........ id. La Società delle scienze di Bordeaux ringrazia » 70 Dono delV accademia di Breslau )> 7 1 Circolare dell' Istituto Smilhsoniano » 127 Approvazione superiore del consuntivo » 223 Rinunzia del Bibliotecario alla carica di censore .... » id. Ringraziamento del sig. Littroiv » id. Ringraziamento del sig. A. Quetelet » id. Ringraziamento della sig. Giulia vedova di Gio. Cavalieri San— Bertolo » id. COMITATO SEGRETO Nomina della commissione, incaricala di riferire sul consuntivo del 1868, e sul preventivo pel 1869. . » 109 Approvazione del consuntivo del 1868 » 145-146 Si annuisce ad una preghiera dalla sig. Giulia Paris, vedova di Giovanni Cavalieri San Bertolo » 157 Busto in marmo decretato al defunto prof. Nicola, com. Cavalieri San Bertolo » id. Nomina di quattro soci ordinari, per comporre la nuova commis- sione di censura » 224 Nomina del nuovo presidente » id. Soci ordinari presenti a questa sessione. » 10,71, 109,127, 146, 157,225 Opere venute in dono .... » 10-16,127-128, 157-160,225-228 Indice delle materie contenute in questo volume XXII ...» 229-232 Errori e correzioni ..... .. — . . . . . » 233 — 233 ERRORI CORREZIONI 8 Iin. 10 Capernico Copernico 69 5 (salendo) demporre decomporre 26 16 conoscere conoscere 198 17 1820 1827 » 8 (salendo) 1820 1827 199 21 esperiénce expérience » 10 (salendo) publié publiée 200 17 aneletto anelletto » 11 (salendo) celeramente celeremente 203 3 ( Continuazione ) ( Continuazione , v. p. 25) IMPRIMATUR Fr. Marianus Spada Ord. Pr. S. P. A. Magister. IMPRIMATUR Joseph Angelini Yicesg. !