DELL’ACCADEMIA DI SCIENZE NATURALI IDI CATANIA SERIE TERZA — * TOMO X LUI CATANIA STA BILI MENTO TIPOGRAFICO 1)1 C. CALATOLA noi R. Ospizio di Beneficenza 1869. •CARICHE ACCADEMICHE PER L’ AMO ILIlt DA LI OLIO 1861 A f.HGVO 1868 1. ® Direttore vaea. 2. ® Direttore Prof. Andrea Àradas. Segretario Generale — Prof. Carmelo’ Sciuto-PatCi. Segretario della Sezione delle Scienze Naturali — l).r Giu seppe Gal vagni. Segretario della Sezione delle Scienze Fisiche — Prof'. Cav Agatino Pongo. Cassiere — Prof. Salvatore Nicolosi Tirrizzi. Direttore del Gabinetto — D.r Paolo Berretta. Direttore delle stampe — Prof. Cav. Agatino Pongo. MEMBRI DEL COMITATO 1 . Prof. Cav. Giuseppe Zurria. 2. Prof. Michele Fallica. 3. Frof. Michelangelo Bonaccorsi. h. D.r Bartolomeo Rapisardi. 5. l).r Mariano Zuccarello Pattir • 6. D.r Antonino Somma. » CATALOGO DEI SOCII ELETTI DA GENNARO A DICEMBRE 1868 Numero d'ordine COGNOME E NOME PATRIA GRADO ACCADEMICO O 2 ^ ss S5 o DATA dell’ elezione 1 Prof. Aradas Ferdinando . Catania Attivo 26 Gennaio 1868 2 Prof. C.e Saccliéro Giacomo. )) j » 3 Prof. Toniaselli Salvatore . Nicolosi fi » 4 Dattino Avv. Giambattista . A ci rosso Onorario 2 ottobre 1867 5 Michele Michaele . . . » 1) » 6 De Bosis Francesco . Ancona Gennaio 1868 ** i Benndorf Ottone . . . . Berlino » 8 Scubrienz Dot. Giulius . Dessau 9 )) 9 De Vecchi Ezio . 20 febbraio 1868 io Bustelli Prof. Giuseppe.. . 8 aprile 1868 11 Soringo Prof. Eugenio . Siracusa » » 12 Scalia Avv. Cav. Vito . . Catania » 5) 13 Ciavarini Dott. Ivo . . . fi 19 aprile 1868 n Conte Cesare Bardesono. . é-1 fi 10 Maggio 1868 lo Lanzani Dott. Francesco Milano t » 16 Boltshauser Prof. Adamo . Corrispondente 26 Gennaio 1868 17 Senoner Cav. Adolfo. . .. Vienna » 16 Febbraio 1868 18 Viotti Ing. Giuseppe. . .. Torino » 4 Marzo 1868 19 Oreste Pietro . , . . . fi )> 8 Aprile 1868 20 Falconi Stefano 1 > » 21 Valieri Dot. Raffaele . . . Napoli » fi 2*2 Ljunggren Cav. Gustavo . Lund fi 19 aprile 1868 23 D’ Andrea Gennaro . . . Napoli > » 24 Paola Sac. D. Giuseppe. . Catania fi j •r DEI TRATTATI NELL’ ANNO XLII DELL ACCADEMIA GIOINIA DI §6EgMIE MATURALE LETTA NELL’ ADUNANZA ..GENERALE DI GIUGNO 1887 CDtif Segretario (Seiierafe CARMELO SCroTO-PATTI INGEGNERE-ARCHITETTO Prof, (li Costruzione c Disegno nel R. Istillilo di Agronomia e Agrimensura in Catania Socio di varie Accademie Nazionali cd estere. atti acc. VOL. III. 1 V uotevo È questa la quarta -volta, in cui per dovere di ufficio mi è dato presentarvi il resoconto dei la- vori scientifici dalla nostra Accademia trattati nel- l’anno trascorso che è il XLI1 di vita della stessa. Il benevolo compatimento che vi degnaste im- partire alle mie precedenti Relazioni Accademiche, e più di questo la fiducia che in me riponeste, non ostante la mia pochezza, confermandomi per al- tro biennio nella carica di Segretario Generale mi è conforto grandissimo a sperare la vostra graziosa indulgenza anche oggi, esponendovi per sommi capi gli studi scientifici , che àn forma- to argomento delle nostre accademiche adunan- ze. Se non che ho timore che sotto la triste im- pressione della grave perdita che ci è toccata sof- frire possa io venir meno al compito assegnato- mi. fi vedere ancor vuoto , per singolare e giu- — IV — sta onoranza, il Seggio Presidenziale, ci richia- ma perenne alla mente il doloroso avvenimen- to che ci ha contristati. E mi duole molto esor- dire il mio discorso, che deve intrattenere que- sta generale Adunanza , unicamente destinata a solennizzare Pannila ricorrenza della fondazione della nostra Accademia, con ridestare sì lugubre ricordanza. Tuttavolta è nostro sacro dovere P onorare la memoria dell’illustre trapassato, ed un palpito di riconoscente omaggio tributiamo a Lui, che fu uno dei più chiari ornamenti del nostro scientifico so- dalizio, al nestore dei naturalisti Siciliani, al Cav. Carlo Gemmellaro estinto il 20 Ott. 1866 ! E fu per tanto che in una delle trascorse se- dute straordinarie Voi statuiste, o Signori, facen- do eccezione a quanto i nostri Statuti prescrivo- no, dovere il funzionante da Direttore intesserne P Elogio Accademico, ed adempiuto a sì dovero- so officio, passare alla nomina di colui che lo rimpiazza nella carica, ed indi dell’ altro nel po- sto di Socio Ordinario. Nulla io quindi accenne- rò di quanto compete ai meriti non comuni di virtù e sapere del Gemmellaro. Questo grave argomento sarà completamente svolto dal dotto Socio che ne ha assunto lo incarico^ ed al cer- to luminosamente e conforme alla comune a- spettazione; lo che m’ impone di tacere. Solo per adempiere ai doveri di officio , mi farò a richia- mare alla vostra memoria quanto questa nostra Società deve al Gemmellaro, e coni’ Egli, sin dal- la fondazione della stessa ne abbia concepito non solo tutta quanta la importanza, ma sibbene il vasto piano che comprender dovea gli svariati e — V — multiplici studi che alla stessa s’ appartengono. Infatti, o Signori, chiamato il Gemmellaro di unita al fratello Mario, dai preclari fondatori del- la Gioenia a formar parte dei primi 30 Soci Or- dinari, fu il primo a leggere nella prima torna- ta ordinaria della stessa un suo lavoro che tito- lava : Prospetto di una Topografia Fisica della Etna. In esso T illustre Socio ideava , e svolge- va come in un compendiato programma, i prin- cipali argomenti , su’ quali versar doveansi gli studi e le applicazioni ulteriori della Gioenia; lavoro questo , che, a preferenza d’ ogni altro , del medesimo autore, addimostra ad un tempo la vastità dei concetti ed il positivo sapere del Gem- mellaro. Per quanto poi a lui deve la Gioenia, io non ardisco pronunziare eli’ Egli ne sia stato il solo so- stegno e il principale ornamento, poiché farei tol- to a voi tutti ed a quanti altri zelantissimi Soci ci hanno precesso. Ma nissun di noi potrà non con- siderare il Gemmellaro come colui che più di ogn’ altro vi abbia collaborato e sostenuto il deco- ro; lo die attestano, più che le 76 memorie da esso lui comunicate a questa accademia e- che in- gemmano i nostri Atti, le insigni cariche da lui oc- cupate sin dalla prima sessione nella quale fu eletto membro del Comitato e rieletto per ben cinque volte. (1) poscia Direttore del Gabinetto nel 1828, confermato sino al 1836. (2) Segretario Genera- I giugno ‘ (2) 1 832 - Seduta del 18 maggio 1832 1840 — 14 giugno 1842 — 29 -12 giugno giugno 1847. 1 836 - 1 Seduta del 9 giugno 1828 — 2 maggio 1830 — 28 maggio O C* oo 14 giugno 1836. lo , lì _ hirottoro (2) 1 hirottoro Onorario (3Ì io- tino 1° hirottoro della (ìioonia, omaggio il più di- gnitoso olio abbiasi potuto tributargli , por poco olio si ridotta alla oooo/.iono fatta ai nostri Statu- ti. oonterondogli ima talo ominonto carica a vita. Signori! Noi lo conosceste assai prima o mo- glie di me; lo apprezzaste condegnamente : ren- deste a lui debili e doverosi omaggi in tutti i ino- di possibili ('0; e ciò fa a Voi onore sommo per- ché sapeste rendere giustizia al vero merito. Ma nello apprezzare sempreppiù i distinti pregi di lui non possiamo nel tempo stesso non avvenire più grave la perdita ohe ne abbiamo sofferto. Oli ! possa la memoria illustre del liommolla- ro esserci meta perenne di laboriosità e di zelo!! Adempiuto a questo sacro dovere, passiamo all’ obbietto della presente Vdunanza. Nella mia precedente Relazione faoeami a ma- nifestare come solo pochi lavori di numero avean potuto richiamare Patteuzione vostra, stantechò quasi tutte le tornate Ordinarie della predecorsa sessione accademica, erano state destinate alla comunicazione del vasto ed importante lavoro sul- b ultima formidabile Eruzione dell' Etna del nostro 1 Seduta del 2(1 maggio 1830 — 8 maggio 1 837 — i giu- gno Ì 8-17 — 22 novembre 1840. 2 Seduta del 20 luglio 1831 —23 giugno 1833 — 10 lu- glio 1835 — 4 giugno 1857. 3 Seduta del 0 settembre 1850 nominato a vita, conlerma- to a titolare nelle seduta del 3 gennajo 1851. lutti' le cariche accademiche sono biennali. i II Corpo Vecademieo dopo di avere accompagnato la salma del tiemmellaro assisteva parimente alle solenni esorjuio eolehra- te nella Nen. Chiesa di S. Agata al Carcere. VII — distinto Socio Cav. Prof. Orazio Silvestri; lavoro che per la sua importanza ecl occasione richiamar dovea l’attenzione tutta di questa Accademia, a preferenza d’ ogn’ altro. Pochi altresì di numero, a dir vero, sono stati i lavori trattati anche nell’ or cessata sessione, a causa delle triste crisi sanita- rie che cihan grandemente afflitto, e che ci han im- pedito di tenere le nostre ordinarie riunioni, quin- di sarò per questa volta breve nel mio dire. Non per questo la singolarità e varietà degli argomenti trattati lascia di far chiaro ad un tempo la laborio- sità e la solerzia negli svariati studi che costitui- scono il campo coltivato dai Gioenì. Tale varietà però negli argomenti trattati ren- de più difficile a quest'ufficio di convenevolmente adempiere al suo compito; riuscendo molto difficile collegare in uno argomenti diversi, e presentarli sotto un unico punto di vista, epperò dividendoli secondo le classi alle quali 's’ appartengono passo a ragionarvi brevemente di ciascheduno di essi. CLASSE L SCIENZE NATURALI Il compianto Prof. Cav. C. Gemmellaro in una delle prime tornate dell’or cessata sessione pre- sentava a quest’ Accademia una Carta Geologica della Sicilia, accompagnata da breve ma interes- santissima illustrazione. Lavoro questo che il distin- tissimo Socio aveagiàda molti anni tenuto pronto, coni’ egli accenna, ma che avea sin' allora differita la presentazione sulla ragione di non aver potuto percorrere tutti i te tre ni della Sicilia, e quindi non — Vili — rendessi sicuro della esattezza assoluta del lavoro. Però P infaticabile Professore vedendo ogni giorno allontanarsi tale speranza, e dileguarsi con lo av- vicinarsi delle gravi molestie, compagne della ca- dente età, decidevasi finalmente a presentare P in- dicata Carta. Fortunata idea ! senza la quale sa- rem rimasti privi ed inconscii di questo interessan- tissimo lavoro, che, comunque non completo, co- m’egli lo giudica, è l’unico che siasi fornito da siciliani geologi. E qui mi piace di ripetere le sue medesime parole che valgono altresì ad accennar- ne lo scopo: « Se mi sono prestato a presentar- « la all’Accademia,, ad onta che io stesso ne co- « noscessi la imperfezione, ciò è stato per mo- « strare di non essersi da parte nostra mancato « di mettere in uso tutti i mezzi di cui può fare « uso la nostra capacità per dare adequato posto « ai terreni di Sicilia, formando una carta geolo- « gica disposta dietro le proprie nostre ricerche « e non arrestandoci ad ammirare solamente e chi- « nar la fronte a quanto si è fatto da altri illustri « scienziati. » .Nella illustrazione di tale Carta lo Autore di- chiara di essersi tenuto più alla Stratigrafia che alla Paleontologia, dopo quel tanto, come lui scri- ve, che sotto la scorta della prima gli toccò di os- servare nei suoi viaggi in Italia, in Ispagna, in Ger- mania, in Francia, in Inghilterra e sopratutto in Savoja e nella Svizzera. In quanto al modo di classificare i terreni egli siegue F attuale sistema sui varii periodi, come più analogo ai rispettivi caratteri. In detta illustrazio- ne inoltre si ferma appena su i terreni pirogenici dicendo, di non essere dessi di alcun rilievo inSici- — IX lia, dei metamorfici accenna quelli che potrebbe- ro avere qualche relazione coi paleozoici , e pas- sa gradatamente agli altri come vengono designa- ti in successione dai moderni geologi, notando , per ciascuno periodo, la località ed estensione dei vari terreni, corredando il tutto di opportune os- servazioni; rimettendo il lettore, pel dettaglio di quanto accenna, alla consultazione delle moltipli- ci memorie da lui pubblicate riguardanti la Geo- logia di Sicilia, che fan parte degli Ytti della no- stra Accademia. E conchiude toccando dello sco- po di avere accompagnato tale memoria illustra- tiva alla Carta, quale è quello oltre della maggio- re delucidazione perchè possa venire modificata e corretta da ulteriori più attente osservazioni e da piu dotto esame nello stato attuale della Geologia. È questo, o Signori r ultimo lavoro cheilGem- mellaro presentava alla nostra Accademia e che ben può considerarsi come il complesso, il resul- tato finale dei suoi multiplici e svariati studi geolo- gici fatti in Sicilia; che se non può dirsi totalmen- te completo un tale lavoro, mostra però evidente quanta diffìcile cosa si è la delineazione di una Carta Geologica, ove mai nissuno studio, per la diligenza ed attenzione che si richiede, può dirsi veramen- te sufficiente. Altro lavoro del collagrimato prof. Gemmella- ro mi piace rammentare, quantunque non comple- tamente conosciuto, come dallo stesso fu lasciato. Nella tornata ordinaria del 31 Gennajo 1862 , il prof. Gemmellaro presentava a quest’ Accademia un suo lavoro titolato Sommi Capi di una Storia della Geologia sino a tutto il secolo XVIII pei quali ATTI ACC. VOL. III. 2 X si detege che le vere basi di questa Scienza sono state fondate dagli Italiani. Nella breve prefazione di questo lavoro mo- stra da un canto la difficoltà di completamentè svolgere il tema, dall’ altro ingenuamente dichiara di essersi giovato all’ uopo delle minute notizie che il sommo Italiano Brocchi scrisse nella im- mortale sua opera: Concinolo già fossile sub a p gen- uina e di quelle diligentissime raccolte nella Storia della Geologia premessa ai Principii di Geologia del Cav. Carlo Lyell , nonché di quelle tratte dal Discorso Accademico intorno ai principali progres- si della Geologia del prof. Pilla. Però il nostro Socio ha posteriormente reputato meritevole di note ed illustrazioni questo primo la- voro di lui, e quindi non ha trascurato di segnarle, per servire di aggiunte al caso di una seconda edi- zione e di comunicarle a quest’officio. Valgano questi accenni ad accrescere le noti- zie biografiche del Gemmellaro , e nel medesimo tempo a mostrare lo impegno da lui sposato ad illustrare la patria coi suoi studii, non tralasciando finché visse a fornire notizie che scientificamente la riguardano. Il Socio Prof. Cav. Agatino bongo in altra tor- nata è venuto ad intrattenere l’ Accademia con una Nota titolata « Sul bisogno di determinare il vero e reale perimetro dell’ Etna. In questa nota egli esordisce : U compreso dell’ Etna è così ampio che non è possibile formarne un compiuto concetto , quindi non adequandosi a quanto é stato dai Soci della Gioenia, e da altri illu- stri scienziati, scritto od indicato relativamente alla — XI — estensione in genere ed ai confini che al!’ Etna s’ as- segnino, vorrebbe dettagliatamente precisati 1’ am- bito del monte, i suoi confini continentali ed i punti estremi del suo confine marittimo da Capo Schisò al Simeto. Qui o Signori fa d’ uopo chiarire ciò che il nostro Socio intende per confmazione dell’ Etna. Nella Nota alia quale accenniamo V Autore non vuol arrestarsi a considerare i limiti naturali del- la massa montagnosa, i quali sarebbero ben de- terminati per mezzogiorno, ponente e tramontana dal corso dei fiumi Simeto ed Onobola, e dal ma- re jonio per oriente, ma sibbene pretende che venisse ben determinata la esatta demarcazione del terreno vulcanico di esclusiva pertinenza del- l’Etna, escludendo tutt’ altri terreni che nell’am- bito della base del corpo montagnoso vi sono compresi ^ la quale demarcazione vorrebbe pre- cisata sino nei più minuti particolari , per cono- scersi con tutta esattezza la vera confmazione ed estensione del terreno vulcanico, e ciò in un mo- do determinato e fisso ; richiedendo altresì che venisse determinato con la dovuta esattezza e precisione il confine marittimo, cioè a dire il pe- rimetro delia parte dell’Isola soggiacente alle la- ve dell’Etna; ed in questo secondo esame vor- rebbe indicato di quanto si fosse tal perimetro ingrandito con lo scorrimento delle lave che so- nosi precipitate nel mare, e ciò dai tempi antisto- rici sino a noi. « Lavoro sifatto,, egli scrive, figurerebbe lo stato originario di questa parte orientale che sta alle falde del monte, il suo stato primitivo e coe- vo dirò quasi alla esistenza del grande vulcano , — XII — alfine di determinare se sarà possibile, quale sia stato il terreno conquistato sopra i domimi di Nettuno » ed altrove soggiunge : « Tocca ai Soci della Gioenia precisare i punti di demarcazione dei terreni bruciati, dai non bruciati per osser- varsi dagli avveniri se le eruzioni succedute nelle epoche posteriori abbiamo esteso opur nò rasse- gnato confine ». L’egregio Autore però al certo non ignora i moltiplici lavori dei Soci della Gioenia su tale ri- guardo, nè quelli del distintissimo Barone di Wal- tersausen ; pure non trovando in essi ciò, che^ co- me si è detto, vuol precisare, richiede che i So- ci della Gioenia passino ad eseguire. Oltre a ciò (e qui noi facciamo eco al suo divisamente ) ; egli non richiede solo una semplice ed esatta carta corografico-geologica , ma un lavoro più comples- so, di più utile portata, che oltre alla parte oritto- gnostica si riguardasse insieme alle piante sponta- nee che allignano in mezzo alle lave e vi trovano un luogo adatto alla vegetazione. Sotto questo punto divista, il progetto del prof, bongo diviene importante e vasto, epperò si fa ad in- vocare il concorso di altri Soci al lavoro, scopo della Nota, i quali alle conoscenze geologiche ed orittognostiche, accoppiano il disegno eia scienza geodetica. 1/ autore infine manifesta, di essere le idee in tale nota espresse, comuni con l' onorevole So- cio Dot. Antonino Somma, con il quale eseguiva la prima escursione, ed era il voto di entrambi di avere dei Soci al lavoro per la effettuazione di sì vasto ed importante divisamente. CLASSE II. SCIENZE FISICHE Il Cliiaris. Socio Corrispondente Marchese Raf- faele Pareto— nella tornata ordinaria di dicembre comunicava per mezzo di quest’ Ufficio una Ale- moria titolata Idrografìa e Statistica ; lavoro da lui vergato allo scopo di comunicare al sesto Congresso Internazionale di Statistica da tenersi in Firenze , del quale si è meritamente uno dei preclari e distinti componenti. Però f onorevole Ingegnere pria che un tale lavoro comunicato aves- se a quel generale Congresso spinto da grato animo e di ammirazione insieme pei* la nostra Società, volle anzi tutto a Voi comunicarlo. Tuttoché il con- nato lavoro, fosse scritto per altro scopo, come ho cennato, pure per essere stato pria alla no- stra Accademia presentato , forma per noi parte dei lavori della medesima, e quindi formar de- ve eziandio parte della nostra Rassegna. Il nostro Socio in questo suo lavoro imprende a svolgere il grave argomento come deve venir condotto lo studio della Statistica delle acque. A ben riuscire allo assunto esordisce accen- nando alla importanza della Idrografìa, e mostra ad evidenza quant’interesse avvi nello studiare in un modo completo, uniforme e paragonabile le acque nei vari paesi , indicando lo scopo che deve rag- giungere, quale è quello di far conoscere le acque in tutti gli stati che possono renderle utili o noci- ve sia alla salute pubblica ed agli usi domestici, sia all’ agricoltura, sia al commercio, sia infine al- — XIV — l’industria; stantechè il commercio pei trasporti e l’ industria come forza motrice han saputo sempre trarre gran partito delle acque che trovatisi alla loro portata. « 11 campo della Idrografìa, scrive il dotto Autore., è ben vasto, ma conviene notare che essa può servirsi di dati risultanti da altre ricerche scientifiche e statistiche... Riesce egualmente evi- dente che l’Idrografia non è soltanto parte della statistica, ma che essa rappresenta uno studio scientifico speciale pel quale la Statistica deve for- nire numerosi dati, registrando regolarmente i fatti che devono servire alle descrizioni idrografi- che ed alla ricerca delle leggi che regolano i feno- meni così vari delle acque alla superfìcie del globo. » « Evidentemente l’Idraulica e la matematica sono ad essa egualmente necessarie, come altresì lo sono la fìsica, la chimica eie altre scienze natu- rali, fra le quali certamente le più importanti sono la meteorologia e la geologia. » L’ Autore inseguito passa ad esporre il modo come debbonsi condurre le descrizioni e gli studi idrografici in genere, e quello speciale delle acque, dividendo quest’ ultimo in varie sezioni che com- prendono distintamente: 1° Le acque che servono ad usi domestici ed opifìci. 2° Acque termali e minerali 3° Acque di cloache 4° Acque sotterranee 5° Acque correnti sul suolo, comprendendovi i ghiacciai e le nevi perpetue, che suddivide nei seguenti articoli ~ Corsi d’acqua naturali , cioè : — XY sorgenti, burroni e torrenti, fiumi — Corsi d’acqua artificiali, cioè: canali eli navigazione, ed irrigazio- ne, canali che forniscono la forza motrice. 6. Laghi»- laghi interni, laghi nel littorale. 7. Irrigazioni. 8. Paludi. 9. Sponde del mare, Conchiude il nostro autore, questo lavoro in- dicando alcune principali quistioni scientifiche ed economiche che una idrologia, quale viene da esso lui proposta, potrà ajutare a risolvere. Di quanta dottrina fosse corredato siffatto la- voro dell’ onorevole Marchese Pareto, voi Soci or- natissimi il giudicaste solennemente allorquando statuiste di venire inserto nei nostri annali, tutto- ché non fosse a questo scopo dettato ; quale si fosse poi la importanza del lavoro medesimo sa- rà ben solennemente proclamato dal prossimo Con- gresso Internazioale di statistica , che nel pros- simo settembre sarà tenuto in Firenze, lo che mi impone anche di tacere. Il Prof. Cav. Francesco Zantedeschi da Pado- va nostro Onorevole Socio Corrispondente, il cui nome risplende fra i più illustri d’Italia e bene- meriti della scienza che professa, e che ha me- ritamente acquistata grande rinomanza in Europa principalmente pei suoi positivi studi di fìsica e meteorologia, ha voluto comunicarci un lavoro re- lativo alF azione della Luce Solare sopra dei Cor- pi. In esso il dotto Professore dopo di avere ac- cennato alle osservazioni degli antichi e dei mo- derni sull’ assunto, viene a darci una dettagliata e- sposizione dei suoi positivi studi durati intorno alba- - XVI — zione dei raggi di diversa rifrangibilità dello spet- tro solare; e facendo notare che lungi di limitarsi ad una sola sostanza il cloruro di argento , che secondo Arago , Fabricio nel 1566, sarebbe sta- to il primo ad avvertire il fenomeno del cangiamen- to di colore, in detta sostanza, e come fecero in seguito, i rinomati fisici Schecl nel 1 777, e Sene- bier che ne ripetè lo esperimento, e bitter e Be- rard nei primi anni del presente secolo, furono, tali esperimenti dal nostro Socio estesi ai prepa- rati principali in uso per f arte di Daquer e Talbot. Dopo di avere annotati i resultati dei suoi esperimenti che lungo sarebbe voler qui dettaglia- tamente riassumere, passa V autore ad esporre , quanto Incesi a comunicare in diverse lettere, che rimasero inedite, dirette al Professore Fausto Se- stile, intorno all’azione chimica della luce com- plessa solare sull’ umor porporigeno dei murici, intorno ai cristalli di santonina, ed alf azione chi- mico-vitale della luce solare rifratta dei vetri mi- crometrici nei fenomeni della germogliazione del- le piante e germinazione dei semi. Il prof. Zantedeschi, con tale interessantissi- ma esposizione dei suoi studi , e rendendo di ragion pubblica, quanto sin dal 1846 ave asi fatto a comunicare privatamente al sullodato Prof. Se- stini, ha reso un segnalato servizio alla scienza da esso lui con tanto zelo e successo coltivata, dan- do al tempo istesso maggiore rinomanza, più che al nome di lui, alla grande patria Italiana, facen- do palese al mondo scientifico carne anche in Ita- lia fossero da molto tempo anche intrapresi tali esperimenti; e noi manifestando il nostro plauso ed ammirazione insieme per si interessante lavo- — XYII — ro, rendiamo altresì al dotto Professore di Pado- va i nostri ringraziamenti per la comunicazione che à voluto farci. 11 Socio Corrispondente Cav. Piodolfo de Vi- venot da Vienna, è venuto altresì in quest’ anno a comunicare alla nostra adunanza una Nota re- lativa alla temperatura del Mare nel golfo di Pa- lermo. È noto o Signori come le variazioni termo- metriche del mediterraneo, e principalmente quel- le del littorale della nostra Sicilia, non sono sta- te sin ora oggetto di molte ricerche scientifiche, e che solo dal celebre Scimi erano state , molti anni sono, appena iniziate, h degno quindi della nostra ammirazione che l’onorevole Socio, nella di lui dimora in Palermo si fosse dato alla com- pletazione di tali ricerche, che forniscono un ma- teriale interessante per la scienza, ed in partico- lare poi per la storia fisica della Sicilia. Tali ricerche per la temperatura del mare nel Golfo di Palermo si limitano alla indicazione ter- mometrica del suo livello, e ciò anche particolar- mente per i mesi tralasciati da Scimi. L’ autore ci accerta altresì di avere eseguito le sue osser- vazioni tre o quattro volte al mese in tre siti differenti, da lui giudicati i più adatti allo scopo, la media di tali tre osservazioni sincrone , rica- vata da diversa esposizione solare, è quella che egli ha consacrata nei quadri che presenta, e che ben può ritenersi come la vera media della tem- peratura del mare alla superficie in quel golfo. I resultati che il sullodato Socio presenta co- me dedotte dalle sue osservazioni sono i seguenti: ATTI ACC. VOL. III. 3 — XVIII — 1° La media temperatura annua del livello del mare è 15.°04 R. 2. ° Nell’ inverno la temperatura marina è ia più bassa, in està la più elevata. In primavera essa è meno alta, in autunno però più elevata che la media annua. 3. ° Il minimo mensile avvenire in febbraio, il massimo in agosto. 4. ° Dal mese di febbraio resultare un accre- scimento, continuo della temperatura marina sino ad agosto, e da quel mese un continuo decresci- mento sino a febbraio. 5. ° Piccolissime le variazioni termometriche da dicembre a marzo. Confrontando poi la temperatura marina con quella relativa atmosferica V Autore nota le se- guenti osservazioni: 1. ° La media temperatura annua del mare ol- trepassare quella dell’ atmosfera. 2. ° Solo in està la temperatura marina è me- no alta che quella atmosferica. Nelle altre stagio- ni la prima è più elevata che la seconda. 3. ° La curva annua della temperatura marina cresce ed abbassa in concordanza con quella del- la temperatura atmosferica. 4. ° La costanza notevole della temperatura marina nei quattro mesi da decembre a marzo dar testimonio della costanza della temperatura atmesferica nei mesi indicati. Sono questi, o Signori, i resultati cui condu- cono le osservazioni fatte dal nostro onorevole So- cio in Palermo da novembre 1864 ad aprile 1865; ri ferendosi per gPaltri mesi alle osservazioni fatte dallo Scinà nel 1816-17. A questo punto ci si per- — XIX — metta manifestare il desiderio di vedere effetto ite nel nostro mare simili osservazioni, e vedere riem- piuta la lacuna che esiste su tale riguardo nei resul- tamene fìsici per questa nostra Città, e ini auguro che sarà fra non quari a ciò da taluno di noi con- venevolmente adempiuto . i Eccomi Soci Ornatissimi al termine del mio re- soconto, che questa volta è stato, oltre il consueto, per la causa sopracennata assai breve. Se dal nu- mero delle memorie presentate nello scorso anno accademico giudicar si dovesse per avventura dei lavori della Gioenia, certo che troppo a rilento, dir si potrebbe^ avere essa, contro il consueto, progre- dita; se però alla loro importanza si volesse avere riguardo nessuno vorrebbe tacciarla di lentezza. Comunque sia, astrazion fatta di tale importanza, le poche memorie presentate valgano a dimostrare co- me i Soci della Gioenia, non ostante le avversità, non si sono giammai arrestati nel loro progredimento^ lo che, nel mentre che rende manifesta quella veri- tà, che nelle avverse cose solo allo intelliger e la scienza e lo studio sono conforto e vita, d’altro can- to ciò è arra sicura della lunga esistenza avvenire, che con fondata ragione è a sperarsi per questa nostra Scientifica Adunanza , la quale ha le sue fondamenta poggiate su la vostra laboriosità e zelo; e se per questa volta il nostro Resoconto è stato si breve, per pochezza di lavori , non lo sarà al certo quello da darsi alla fine dell’ anno novello , che oggi, sotto più lieti auspici s’inaugura; essen- do ben molti in pronto i lavori da comunicarsi , dei quali, secondo l’ uso, ne è stata fatta di già la iscrizione in questo Ufficio. Signori ! Noi estendendo in quest’ ultimi anni le nostre scientifiche relazioni; non mi si taccia d’ardimento se oso ripetere ciò che altra volta mi feci a manifestare^ con le primarie Società Scientifiche dei due Emisferi, abbiamo assunto un grande impegno. È nostro dovere quindi di tener- ci dignitosamente a quel posto , al quale siamo pergiunti. Le moltiplici Società dotte, che gene- rosamente ci han posti a parte della loro gloria e dei loro travagli, richiedono egualmente il con- corso al progresso delle scienze. Quindi animosi inoltriamoci nel novello anno e prepariamoci con- cordi a mantenere con i nostri studi la nostra scien- tifica missione e decoro alla altezza dei tempi , e mantenerci degni del nome illustre che abbiamo ereditato dai preclari fondatori della Gioenia. Ho detto. NOTA SULLE COTTI NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA nell5 anno 1_867 Comunicala all'Accademia Gioenia di Scienze Naturali nella seduta del 16 febbraio" 1863 DAI. SOCIO COnlUSPOADEATK DIRETTORE DF.LLr OSSERVATORIO METEOROLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA PROF. INCARICATO DI FISICA IN DETTA R. UNIVERSITÀ ATTI ACC. FOL. III. . 1 9 ■ \ * . . jJa Meteorologìa è di origine antica quanto la Fisica, di cui forma uno dei rami più importanti; ma, sia per mancanza di strumenti di osservazione, sia per difetto di metodo, o sia infine per il poco sviluppo delle scienze naturali in ge- nerale, essa rimase stazionaria per venti secoli e più, a se- gno che quanto si sapeva sul principiare del secolo scorso intorno alla Meteorologia, era già noto agli antichi. La Meteorologia, nel vero senso della parola non data, che dalla seconda metà del secolo XVIII. A quell’ epoca uo- mini di alto ingegno ne posero le basi mediante ricerche di grande importanza. Demaison studiò il fenomeno della congelazione; de Saussure fece osservazioni sulla tempe- ratura, sulla formazione e condensazione dei vapori acquosi c sull’elettricità atmosferica; Voita si occupò della forma- zione della grandine, Dufay di quella della rugiada; e tale fu l’eccitamento destato da questi lavori, che ben presto si videro sorgere, come per incanto, numerosi osservato- ci meteorologici, nei quali zelanti amanti delle scienze fì- siche, muniti di strumenti di precisione, osservarono e re- » gistrarono con ammirabile pazienza la temperatura, l’altezza barometrica, l’intensità eia direzione del vento, la quantità di acqua caduta sotto forma di pjpggia, di neve o di grandine. A ciò spingeva non solo l’amore della scienza, ma pur an- che una vaga speranza di scoprire le leggi, clic presiedo- no i cambiamenti climatologici , onde valersene poi per congetturare, con discreta certezza, i più prossimi e forse anche lontani cambiamenti di tempo. Ma, come tante volte accade nelle ricerche scientifiche, i risultati conseguiti erano ben lontani da giustificare la concepita speranza. Le osser- vazioni di un mezzo secolo dimostrarono essere qualunque cambiamento di tempo un fatto sì complesso e dipendente dal concorso di tanti elementi, da non poter ripromettersi di giungere mai a prevederli tutti, od a valutarne le sin- gole influenze. Ma per tanto non tornarono infruttuose le osservazioni fatte. Esse formarono un tesoro di fatti, i quali, paragonati e discussi, condussero alla soluzione d’ importanti questioni sulla distribuzione del calorico sulla superficie del globo terrestre, sull’ abbassamento della temperatura per altezze crescenti, sul calore interno del globo, sulla variazione dei vapori acquosi nell’ atmosfera, sulla causa dei venti e sulla relazione che essi hanno con altri fenomeni. Questo mede- simo complesso di osservazioni, esteso e completato ha for- nito infine un ricco c svariato materiale di studio a tutti i rami delle scienze naturali, non che i dati a non poche ricerche analitiche e considerazioni speculative. Ma, c non tardiamo maggiormente a dirlo , le stesse osservazioni meteorologiche, dalle quali risultò la presso a poco assoluta impossibilità di congetturare il tempo con qual- che certezza, constatarono però tali coincidenze tra le al- tezze barometriche ed il cambiamento di tempo, che non si poteva non riconoscere, che una intelligente interpreta- zione di queste poteva fornirci indizii, se non certi ed in- I — 5 — fallibili, almeno probabili delle più prossime condizioni di tempo; e d’ allora in poi il barometro diventò lo strumento per eccellenza per i pronostici di tempo. Se non clic l’ uti- lità che ognuno in particolare può ricavare dall’osserva- zione del barometro era suscettibile di ampliazione, di ge- neralizzazione; invece di pronosticare il tempo dietro le in- dicazioni barometriche di una sola località, si potevano rac- cogliere le osservazioni di più luoghi, e giungere, in siffatto modo, a presagi tanto più probabili, quanto maggiore era il numero delle altezze barometriche consultate. Agli Inglesi, sempre prespicaci a scoprire il lato utile di ogni cosa, è do- vuto 1’ onore di avere iniziato un cotal servizio meteorolo- gico. L’ammiraglio Fitz-Roy si valse del telegrafo per riu- nire, ogni giorno, a Londra le altezze barometriche di tutta l’isola, e, paragonando poi le medesime, ne deduceva dei presagi per i più prossimi cambiamenti di tempo, i quali, )vc potevano compromettere gl’ interessi o la sicurezza dei naviganti, furono, quale avviso di precauzione, inviati colla stessa prontezza in tutti i porti del regno. Egli è incontrasta- bile che questo servizio ha impedito molti c gravi danni, e così generalmente ne fu riconosciuta 1’ utilità, clic, anche dopo la morte tragica del suo fondatore, tal servizio si con- servò e forma adesso uno non poco importante ramo di direzione dell’ ammiragliato. Ella fu adunque una felicissima idea del sig. Matteucci, quella d’istituire un servizio simile in Italia, la cui nascente marina ha tanto bisogno dì protezione, di aiuto, di prov- vedimento e d’ incoraggiamento. Taluno, egli è vero, potrà credere che poco si richiedeva per impiantare nel nostro paese un servizio così semplice, ed altrove già avviato e sperimentato; ma chi rifletta alle difficoltà di stabilire nu- merosi osservatomi, di trovare o di formare il personale necessario a codesto servizio, alle differenze di giacitura dell’ Italia rispetto all’ Inghilterra, alla diversità del carat- - 6 — tere fisico-geografico dello varie parti del nostro paese, non che credere il compito facile, sarà anzi incerto sull’ esito della impresa. Sia pure trovato il personale ed il materiale di codesto servizio meteorologico, non se no potrà cavare tutta l’ uti- lità di cui è capace, se non dopo aver fatto uno studio par- ticolare delle condizioni climatologiche dei singoli luoghi di osservazione, affine di sapere interpretare i dati forniti da ciascuno di essi, i quali dati costituiscono naturalmente gli elementi da consultarsi, e da paragonarsi nella compi- lazione dei pronostici sul tempo. Nè è lavoro di poco mo- mento quello di studiare le particolarità climatologiche di una località; imperciocché non havvi altra via di farlo se non quella dell’ osservazione, e dell’accurato paragone dei fatti osservati, il qual paragone però lungo ed imperfetto sempre sarebbe, se si volessero mettere in confronto i va- lori numerici delle osservazioni; perchè così procedendo, l’occhio c la mente non abbracciano ad una volta che po- chi casi particolari, e non giungono che a stento a quei risultati generali, che sono, per l’appunto, lo scopo di sif- fatto studio. Questi, per vero, si ottengono con molto mi- nor fatica e maggior precisione rappresentando graficamente le osservazioni dei singoli strumenti, cioè portando su una retta le ore od i giorni come ascisse, c sulle rispettive per- pendicolari i valori numerici dello osservazioni come ordi- nate di cui infine si congiungono le estremità con una li- nea. Per tal modo rocchio abbraccia le osservazioni di un lungo tratto di tempo, scorge istantaneamente circostanze analoghe ed opposte, mette le indicazioni di uno strumento in relazione con quelle di un altro, e comprendendo in una figura tu t te le condizioni climatologiche di una data epoca le ritrova in tutto o parzialmente in altre epoche. Il vero paragone adunque delle osservazioni meteorologiche non è possibile se non per mezzo di costruzioni grafiche; le cifre 7 - servono meglio a precisare le coincidenze, chea constatarle. Allo studio pertanto, delle speciali condizioni climatolo- giche dei singoli luoghi di osservazione, desideroso, per la debole mia parte, di contribuire aneli’ io, ho costruito graficamente le osservazioni barometriche , termometriche ed igrometriche, fatte nello scorso anno 1867 nella R. U- niversità di Catania, corredando il tutto d’indicazioni sul- la direzione, l’intensità del vento, sulla quantità di acqua caduta, c sullo stato dell’atmosfera, per dedurre poi dal complesso di questo quadro quei fatti, che maggiormente hanno caratterizzato la stazione di Catania nel corso del- l’anno 1867. Sebbene le osservazioni meteorologiche si facciano a Catania due volte al giorno, alle ore 9 a.m. ed a mezzo- giorno, e clic, per ogni genere di osservazione, si abbia a distinguere la linea corrispondente alle ore nove da quella re- lativa alle ore dodici, pure quanto segue si riferisce alle linee di mezzogiorno; e ciò perchè le linee dell’ una e del- l’altra ora non presentano importanti differenze, c perchè infine il mezzogiorno c maggiormente una epoca di equi- librio che non le ore 9 a. ni. Le altezze barometriche, la quantità di pioggia caduta e la tensione dei vapori acquosi, sono espresse in millime- tri, le temperature in gradi centigradi. LINEA DELLE ALTEZZE BAROMETRICHE, Dall’aspetto di questa linea si rilevano i fatti seguenti: 1° L’ altezza barometrica più costante ebbe luogo dal 18 luglio al 19 agosto. Tra la massima altezza (757,9) e la minima (756, ì) la d inerenza è 1 ,5 mm. Una alquanto minore stabilità nella pres- sione atmosferica si osserva dal 25 agosto al 20 settembre. — 8 - Per questo tratto di tempo la massima altezza era 762,8, la minima 757,3, la differenza 5,5 mm. 2° La parte più irregolare della linea è quella dal 22 settembre a tutto dicembre, c più particolarmente dal 22 settembre al 15 ottobre, c dal 1° al 24 dicembre. Pel primo periodo la differenza tra la massima e la mi- nima altezza è 14 mm. pel secondo periodo la differenza a- scende a 21 ,7 mm. ed il livello del mercurio, ncll’inalzarsi ed abbassarsi, percorse una lunghezza di 103,3 mm. cioè una lunghezza media di 4,5 mm. al giorno. 3° le massime variazioni si verificarono dal 4 al 5 gen- naio e dal 2 al 3 dicembre; la prima fu di 11,6 mm., la se- conda di 11 mm. 4° La minima altezza barometrica (746,4) si osservò il 4 gennaio, la massima (773,6) il 15 febbraio; la loro diffe- renza è 27,2, la media 760. La inedia altezza barometrica fu: nel mese di gen magio . . . 758,7 » febbraio . . 766,4 » marzo . . . 755,5 » aprile . . 759,4 » maggio . . 760,8 » giugno . . 759,3 » luglio. . . 759,4 » agosto . . 758,7 » settembre. . . 761,3 » ottobre . . 761,5 » novembre. . . 762,5 » dicembre . . 755,6 nel primo trimestre . . . 760,2 » secondo • » . . 759,8 — 9 — 759.8 759.9 nel terzo trimestre . » quarto » e per l’ anno intero .... 759,9 Il barometro dell’osservatorio trovandosi a m. 31,23 al di sopra il livello del mare, la vera media annua è 7(52,6. Le quasi insensibili differenze tra le medie altezze tr' mostrali accennano evidentemente ad un equilibrio stabile della pressione atmosferica , e dimostrano che ad ogni a- zione perturbatrice di questo equilibrio corrisponde una ri- diale reazione. Non c finalmente senza interesse di notare, come la linea barometrica presenta, in mezzo alle sue irregolarità, non poche inflessioni d’ una sorprendente simmetria; la più notevole fra esse è la seguente: 21 ottobre 757,1 20 ottobre 762,5. . . . 22 ottobre 762,9 19 » 761,6. . (23 • • (24 » » 761,6 761,9 18 » 764,5. . . . 25 ì> 765,6 17 » 767,2. . . . 26 » 766,5 Siffatti casi accennano evidentemente a due cause influenti sulla pressione atmosferica , cioè ad una più prolungata, più o meno costante, e ad un’ altra più breve e di un’azione più limitata, la quale viene non a distruggere la prima, ma a sospenderla , o a modificarla per alcune ore o per pochi giorni . ATTI ACC, VOL. III. 2 LE LINEE TERMOMETRICHE 1° Linea della media temperatura. Per media temperatura intendo qui la media aritme- tica tra la massima e la minima, ma ben si sa , clic essa non è la vera temperatura media (1). La linea della temperatura media è sensibilmente oriz- zontale, c perciò indica presso a poco una costante tem- peratura media di 11/8 dal 1° gennaro all’ 8 marzo, di 26, °9 dal 16 luglio al 25 settembre, di 17/6 dall’ 8 ottobre al 1° dicembre, di 8/5 dal 2 dicembre al 31 stesso. Questa notevole differenza tra la temperatura media del mese di novembre e quella di dicembre, avvenuta quasi tutta in un sol giorno, spiega l’ impressione di rigo- re, che hanno prodotto i primi freddi di questo inverno. La più alta media temperatura (30/2) ebbe luogo il 15 lio; la più bassa (7/4) il 27 e La media temperatura fu: il 28 dicembre. nel mese di gennaio. . . . 11/5 » febbraio. . . . . 12/4 » marzo . . . . 15, °G » aprile . . . . 16/8 » maggio . . . . 19/9 » giugno . 24/2 (1) Mancano tuttora le occorrenti osservazioni per stabilire le quan- tità costanti della forinola, clic dà la temperatura media in funzione della massima e della minima. - 11 nel mese di luglio 26, “8 » agosto 26, °S » settembre .... 25, °3 » ottobre 19, °3 » novembre .... 1C,°8 » dicembre .... 8°, 8 e quella dell’ anno intero . 18, «1 arecchie volte, nel corso dell’ anno, la media tempo- ratura provava un subito inalzamento, per poi trovarsi V in- domani sul punto di prima, o presso a poco. Ciò ebbe luo- go in modo più sensibile TU marzo colla variazione di 5,°4 il 4 aprile » » » 4,°6 il 3 giugno » » » 2,°2 il 15 luglio » » » 3,°1 ed il 27 novembre * » » 2,°4 Non si scorge nessuna dipendenza tra queste variazioni e V altezza barometrica; ma esse coincidono quasi sempre con vento dall’ ovest o nord-ovest. 2° Linee delle temperature massime e minime. Queste due linee presentano sensibilmente lo stesso gra- do d’ irregolarità; però i subitanei inalzamenti della tempe- ratura media, accennati più sopra, provenivano, il più delle volte, da una grande variazione della temperatura massima. Il quadro seguente dà, per ogni mese, la più alta c la più bassa temperatura, ed il giorno in cui esse furono os- servate. massima assoluta minima assoluta gennaio. . . . .19,° .. ..(il S&).... .7,°4 .in 17 e 181 i febbraio . . . . 1 7 , °5 . . .6/5 ,[ii ■i) marzo .26,° .. ••(l’H) .12, °3. . . .(ii 7) aprile .22,° .. ..(il 28).... .10,°5. . . .pi 3 c 4) maggio . . . . .26,° .. ..(il 31).... .13, °3. . ,(ìi 3) giugno .... 9q o „ . . (il 10, i7c 30) 18, °6.. .(il 12) luglio. .36,°6 » . ..(il 13).... .19,°3. . .(ii 1°) agosto .31 ,°2 . . . .(il 3 e 20) . . .22/5. . •(!’ B) settembre . . .31 ,°4 .. ..(il 19).... .16/4. . .(il 29) ottobre . . . . .26,° .. ••[il 3) .13/8. . . .(il 30) novembre . . .28,' “5 .. ..(il 27) ... . . 3/2. . .(il 27) dicembre. . . .27 ,°2.. ..(il 1°).... . 3/8.. ..(il 27) Da questo quadro si rileva: 1° Clic il 27 novembre si verificò una variazione di tem- peratura di 23, °3; 2° Che nel mese di dicembre la differenza tra la più alta e la più bassa temperatura era di 23/4; 3° Che questa differenza era in media di 10, °4 nei dieci altri mesi dell’anno. Se però si prendono in considerazione anche le mini- me differenze tra la temperatura massima c la minima, si trova clic la giornaliera media variazione di temperatura era di circa 13° nei mesi di novembre e dicembre, e 7° nei rimanenti dieci mesi, e questi risultati danno quasi ragione agii abitanti di Cata- nia, che, in generale, si mettono molto in guardia contro le variazioni di temperatura. 3° Linea della temperatura a mezzogiorno. L’esame di questa linea constata i fatti seguenti: 1° Essa è sempre compresa tra quelle della temperatura massima e della minima. - 13 — 2° Frequentissimamente essa taglia la linea della tem- peratura media, o si confonde colla medesima. 3° Essa partecipa piuttosto delle “irregolarità della linea delle temperature minime. 4° Essa è nò più nè meno irregolare di quella della temperatura media. il confronto della media delle temperature a mezzo- giorno colla media temperatura dà luogo al quadro seguente; media temp. media a mezzog. temperatura gennaio. . 13/5. . . . . 11/45 febbraio. . 12, “6. . . . . 12/ 4 marzo .... . 16/3. . . . . 15/ 6 aprile .... . Ì7,°3. . . . . 16/ 8 maggio .... . 20, °2. . . . . 19/ 9 giugno .... . 24, °2. . . . . 24/ 2 luglio .... . 26/8. . . . . 26/ 8 agosto . 27/2. . . . . 26/ 8 settembre . ottobre .... . 19/8. ' . . . . 19/ 3 novembre . . 14/3. . . . . 16/ 8 dicembre . . 10/3. . ... 8,» 8. per 1’ anno intero. . 49,° . . . . 18/ 7 La poca o niuna differenza tra le temperature corrispon- denti induce a credere, clic alle dodici si osservava sensi- bilmente la media temperatura della giornata; però siffatta conclusione è in opposizione con tutte le osservazioni ter- mometriche sinora fatte (1). (1) Ricercando la causa di quest’anomalia, l’ho trovata nelle con- dizioni dello stesso osservatorio, il quale consiste in una assai piceo- — 14 — Paragonando la linea termometrica in questione colla linea barometrica, ho osservato, clic su 16 volte 8 volte i livelli del termometro c del barometro cam- minarono in senso contrario ; 5 volte in modo inconcludente; 5 volte nello stesso senso. LINEE DELLE INDICAZIONI PSICROMETRICIIE 1° Linea della tensione assoluta dei vapori acquosi o dell' umidità assoluta. Questa linea, molto irregolare, indica: minima tensione nei mesi di gennaio di febbraio e di di- cembre; crescente » dal primo marzo sino a luglio; massima » nei mesi di luglio di agosto e di set- tembre; decrescente » da settembre a novembre. Le tensioni più costanti ebbero luogo dal 10 febbraio al 20 marzo, dall’ 8 agosto al 16 settembre, dal 3 dicembre al 31 stesso. la cameretta, esposta a settentrione, non comunicante coll’ esterno se non per una piccola apertura, in parte chiusa da una persiana a giorno. Egli è chiaro che in siffatte condizioni 1’ equilibrio tra la tem- peratura dell’ osservatorio e la temperatura esterna non può stabilirsi che a stento e lentamente, e che la temperatura interna dovrà essere inferiore all’esterna nell’ intervallo della minima alla massima, e superiore nell’intorvallo della massima alla minima. Forse, anche le stesse in- dicazioni del termografo subiscono qualche alterazione. Queste ragioni sono certamente più che sufficienti per indurci a stabilire 1’ osservatorio meteorologico in un altro locale o, almeno, ad ingrandire la finestra del locale attuale. - 15 — La tensione più variabile si verificò dal 16 settembre al 12 ottobre. Paragonando la linea delf umidità assoluta ' colle linee termometriche, e specialmente con quella della temperatura media, si scorge, a prima vista, una grande analogia nella direzione in generale, il che prova, che ad un inalzamento della temperatura corrispondeva sempre un aumento di va- pori. Infatti cercando per ciascun mese la media tensione dei vapori, e mettendola in confronto colla rispettiva media temperatura, si ottiene il quadro seguente: umidità temperatura assoluta media gennaio. . . . . .... febbraio . . . 8,6. .... 12,°4 marzo . . . . 10,4. .... 15, “6 aprile . . . . 11,0. .... 16, °8 maggio . . . . .... 19, “9 giugno . . . . 16,1 . .... 24, °2 luglio . . . . 18,2. .... 26, °S agosto . . . . 18,1. .... 26, °8 settembre . . . . 18,0. .... 25, °3 ottobre . . . . 13,6. .... 19, °3 novembre . . . . 9,5. .... 16,°8 dicembre . . . . 1,6. .... 8,°8 e da questo risulta, 1° Che per i quattro mesi più freddi dell’anno (gen- naio, febbraio, novembre e dicembre) la tensione dei va- pori era più o meno proporzionale alla media temperatura; 2° Che per gli altri otto mesi (i più caldi dell’ anno) la tensione dei vapori era quasi rigorosamente proporzionale alla media temperatura; 3° Clic le variazioni di tensione erano in generale pro- porzionali alle variazioni della inedia temperatura. La massima e la minima tensione osservate in ciascun c sono le seg uenti: massima minima tensione tensione gennaio . 11,7. . . . . febbraio . . 11,0. .' . . . G,0 marzo 13,2. . . . . 8,2 aprile 14,1. . . . . 7,8 maggio . 16,2. . . . . 0,8 giugno . . 20,0. . . . . 10,5 luglio. 21,1. . . . . 14,1 agosto 22, G. . . . . 15,4 settembre 21,8. . . . . 13,7 ottobre . 17,2. . . . . 0,5 novembre . 12,4. . . . . G,8 dicembre 10,1. . . . . 4,4 I giorni però in cui si osservarono la massima e la mi- * nima tensione in ciascun mese non sono quelli in cui si ve- rificarono la massima e la minima temperatura. Prendendo a confrontare infine la linea delle tension assolute colla linea barometrica, ho trovato, che, durante tutto l'anno 1867, sopra 15 variazioni di tensione 7 volte un accrescimento di questa corrispondeva ad un abbassa- mento, ed 8 volte ad un inalzamento del barometro. Chi dunque , secondo la teoria, generalmente ammessa, che ad un aumento di vapori nell’ atmosfera corrisponde una di- minuzione nella pressione atmosferica, avesse preso ciascun abbassamento del barometro come indizio di aumento del- f umidità nell’ aria, si sarebbe ingannato 8 volte su 15 volte. Da ciò risulta, o che a Catania le diminuzioni della pres- - 47 — sìonc atmosferica non sono sempre relative ad accrescimento dei vapori accpiosi, o che gli strati superiori dell’ atmosfera provano variazioni igrometriche, di cui punto o poco parte- cipa lo strato più vicino alla terra. t° Linea dello stato igrometrico dell ’ aria o dell' umidità relativa. Mentre la linea delle tensioni assolute dei vapori, ossia dell’ umidità assoluta, forma nel suo insieme una curva in- dicando minore quantità di vapori nei mesi freddi, e mag- giore nei mesi caldi , quella dell’ umidità relativa è , fatta astrazione delle giornalieri irregolarità , una retta sensibil- mente orizzontale , e con ciò dimostra essere stata quasi costante, durante tutto l’anno 1867, la media dell’ umidità relativa. Infatti il registro dell’ osservatorio meteorologico fornisce, a questo riguardo, il quadro seguente: umidità relativa media massima minima gennaio . . . . 0,75 . . . 0,91 . . . 0,56 febbraio . . . . 0,73 . . . 0,86 . . . 0,50 marzo . . . . 0,73 . . . 0,88 . . . 0,58 aprile . . . . 0,72 . . . 0,81 . . . 0,58 maggio . . . . 0,73 . . . 0,83 . . . 0,53 giugno . . . . 0,70 . . . 0,82 . . . 0,46 luglio . . . . 0,67 . . . 0,82 . . . 0,51 agosto . . . . 0,68 . . . 0,78 . . . 0,58 settembre . . . 0,70 . . . 0,83 . . . 0,47 ottobre . . . . 0,73 . . . 0,90 . . . 0,59 novembre . . . 0,74 . . . 0,95 . . . 0,59 dicembre . . . 0,78 . . . 0,94 . . . 0,52 3 ATTI ACC. VOI,. III. 18 - Avendo di già constatato essere la quantità dei vapori acquosi nell’ aria quasi sempre proporzionale alla media tem- peratura, si è sorpresi di vedere, ciò non ostante, una così grande stabilità nell’ umidità relativa. Ma ciò si spiega os- servando che, tra i limiti nei quali variava la media tem- peratura , varia pure, a un di presso, la tensione massima dei vapori acquosi; sicché 1’ umidità relativa, 1’ umidità as- soluta e la media temperatura sarebbero tre quantità di cui due determinano la terza, e ciò con tanta maggiore precisione , quanto più esattamente 1’ umidità assoluta è proporzionale allo media temperatura. Il paragone della linea dell’ umidità relativa colla linea barometrica conduce ai risultati già riferiti per la linea del- ' l’ umidità assoluta. I VENTI Se le osservazioni termometriche c psicometriche pre- sentano, secondo il luogo di osservazione, maggiori o mi- nori relazioni colle variazioni barometriche , queste però avvengono sempre in modo così irregolare, e, sto per dire, così inaspettato, che ci è assolutamente impossibile di pre- vederle , fosse anche per un solo giorno. Ed è così, per- chè esse alla loro volta dipendono dai venti , i quali, na- scendo e combinandosi in un elemento mobilissimo, e ad una altezza per lo più fuori della nostra sfera d’ osservazio- ne , presentano, per stabilirne anticipatamente la direzione e l’intensità, il problema più difficile della Meteorologia. Egli è ben vero, che conosciamo la causa in generale dei venti, elio sappiamo spiegare la direzione costante dei venti alizei, dei monsoni e delle brezze; ma poco ci è noto intorno ai venti più o meno locali della zona temperata , i quali, di continuo, inalzano od abbassano la temperatura, modificano lo stato igrometrico dell' aria, e perciò rompo- no o ristabiliscono l’equilibrio della pressione atmosferica. Un vento di Nord p. es. è, per la Sicilia, un vento freddo che assorbisce parte dei vapori acquosi ; un vento di ovest, di nord-ovest, e sopra tutto di sud-ovest, riscalda la nostra atmosfera, e la carica di molti vapori. Ma da ciò non risulta , che il vento di nord sia indizio assoluto di bel tempo, e clic il vento di sud-ovest renda il tempo sempre piovoso. Anche col vento più caldo e più umido possiamo avere bel tempo, purché spiri solo; giacché per avere pioggia è d’uopo, che un vento umido sia incon- trato da un vento freddo, che ne condensi una parte più o meno grande di vapori; ed é chiaro che in questo caso non si può chiamare piovosa 1’ una piuttosto che l’altra delle due correnti d’aria. Ma siccome questi venti contrari sono sempre 1’ uno inferiore, radente il suolo , e 1’ altro superiore, di spesso non osservabile, noi chiamiamo erro- neamente piovoso il vento inferiore, che più ordinariamente spira quando piove. Se a congetturare il tempo tutto dipendesse dalla sola direzione del vento , potremmo , alcune volte , farlo con qualche probabilità , giacché le stelle filanti c la direzione del vento che spira, forniscono , in certi casi , indizii sul vento che spirerà. Ma l’intensità del vento è, per i prono- stici sul tempo, un elemento, non meno importante della direzione, e sfortunatamente siamo, intorno a quella, ridotti sinora al solo fatto , che un forte e rapido abbassamento del barometro è , qualche volta, precursore di vicina tem- pesta. Tutto invero concorre a dimostrarci essere lo studio dei venti un problema diffìcilissimo, e, sto per dire, inso- lubile; e sia pure così. Ne risulta forse, che ulteriori ricer- che non ci apprenderanno nulla di nuovo , rimarranno senza utili risultati ? Certo di no ; ma al punto , dove si trova oggidì la questione dei venti , è assolutamente ne- - 20 cessario di estendere le osservazioni a grandi tratti di pae- se, e di paragonarne i casi più straordinarii, come pure il complesso del carattere distintivo di ogni località. Ecco quanto a questo riguardo ci presentano le osservazioni fatte a Catania nello scorso anno 1861. 1° DIREZIONE DEI VENTI Secondo le indicazioni della banderuola , che dà la direzione dei venti inferiori , la frequenza del vento di 2 2 2 o o o c n C/5 C/3 C/5 M H 2 o o o < < c 3 ss C/3 C/3 C/3 o —i P- CU 3 O Cu • o co e-* Q- i CD C/3 e-* Est-nord-cst | Nord-est ii Nord-nord-est giorni completa- mente sereni 3 12 100 19 53 — 8 — 1 1 7 1 19 2 — — giorni nuvolosi senza pioggia — 4 32 7 23 4 2 — 1 — 10 & 16 1 3 — giorni nuvolosi con pioggia — — 10 -| 4 — 5 — — 1 1 1 4 1 2 — Cercando per ogni direzione del vento la probabilità di tempo completamente sereno, di tempo nuvoloso senza pioggia e di nuvoloso con pioggia, si giunge per i venti più frequenti ai resultati seguenti: f probabilità di probabilità di tempo probabilità tempo più o meno di 1 completamente nuvoloso pioggia sereno senza pioggia Con vento di Nord nord-ovest 0,75 0,25 0,00 Nord-ovest 0,71 0,22 0,07 Ovest nord-ovest 0,80 0,20 0,00 Ovest 0,G7 0,28 0,05 Sud-ovest 0,54 0,13 0.33 Sud-est 0,40 0,55 0,05 Est sud-est 0,32 0.6G 0,02 Est 0,49 0,41 0,10 Non tenendo conto dei venti che si osservarono piut- tosto di rado, vi furono in media su 30 giorni 21 sereni— 7 a 8 nuvolosi senza pioggia — 1 a 2 nuvolosi con pioggia per un vento ovest o nord-ovest; 16 sereni — 4 nuvolosi senza pioggia— 10 nuvolosi con pioggia per un vento sud-ovest; 15 sereni — 12 nuvolosi senza pioggia — 3 nuvolosi con pioggia, per un vento est, e perciò la massima probabilità di pioggia corrisponde al vento sud-ovest, la minima ai venti nord o ovest, o ai venti intermediarii a questi. OSSERVAZIONI PLUVIOMETRICHE La quantità di acqua caduta a Catania nell'anno 1867 è, in confronto agli altri anni, straordinariamente piccola, e, da molto tempo, non vi si osservò una siccità così grande e così prolungata. La quantità di pioggia, caduta nell’anno intero, ripartita tra i dodici mesi, e quella di ogni mese tra i venti più fre- quenti a Catania, conducono ai resultati seguenti: PER IL VENTO !2! 0 *“S Q- 1 o -4 CD C/3 e-r Ovest tn 5- 6 < CD e/i Sud sud-est j Sud-est H C/i c-r Est nord-est Nord-est Totale della pioggia caduta cadde in gennaio 29 11 24 64 febbraio 59 20 73 marzo 42 11 55 aprile 29 11 40 maggio giugno luglio agosto settembre 2 23 21 46 ottobre 22 10 4 36 novembre 1 149 1,0 129 289 dicembre — 55 1 5 77 12 159 nell’ anno intero 149 180 128 10 19 217 12 45 760 Le condizioni eccezionali dell’anno 1867, riguardo alla quantità di pioggia caduta, rendono impossibile ogni discus- sione delle osservazioni pluviometriche; giova però notare come anche questi risultati confermano certi fatti già con- statati dalle osservazioni meteorologiche, fatte nell’Europa centrale, ed in parte anche nella meridionale. 1° Il sud-ovest è il vento più caldo ed anche più ca- rico di vapori acquosi, perchè proveniente dalla zona tor- rida, e che nel giungere che fa in Europa, ha serbato in- tatta tutta 1' umidità di cui è portatore. 2° 11 vento ovest, attraversando la penisola iberica, e ATTI ACC. TOL. III. 4 - 26 - gran tratto del mare Mediterraneo , si raffredda, ed i suoi vapori provano in questo tragitto delle condensazioni più o meno notevoli; esso adunque, giungendo in Sicilia, tro- vasi assai meno umido del vento sud-ovest. 3° Quanto si è detto pel vento ovest si applica, ed an- zi in maggior grado, al vento nord-ovest e nord nord-ovest, sicché 1’ umidità di un vento dovrà essere tanto minore, quanto più la sua direzione si avvicina al nord. 4° Il vento sud-est non è un vento caldo nè passa so- pra lungo tratto di mare, esso però sarà meno umido an- cora dei venti sopra citati. 3° L’est c il nord-est sono venti freddi, asciutti e se piove mentre spirano, essi non fanno che condensare i va- pori di un altro vento. 6° Siccome il vento superiore e l’ inferiore spirano in direzioni opposte, o presso a poco, così la maggior quan- tità di pioggia deve corrispondere ai venti più o meno op- posti, dei quali l’uno è il più umido e 1’ altro il più freddo. Infatti distinguendo tutti i venti in umidi c condensanti, e notando la quantità di pioggia proveniente dai vapori di ognuno dei tre venti umidi, si trova per il sud-ovest .... 229 (1) r ovest 328 il nord-ovest .... 203 Dividendo poi, per ciascun vento, la quantità di piog- gia per la frequenza del medesimo, si ottengono per i re- lativi gradi di umidità i valori seguenti. 229 Sud-ovest ----- 12 19 (1) Non tenendo conto della pioggia caduta mentre inferiormente spirava il vento condensante. 27 - n + 328 , 0 Ovest - - = 4,2 Nord-ovest =1,5 132 Come conclusione di questa nota accennerò ancora al- cune relazioni , che, mi sembra , possano constatarsi con qualche certezza tra le variazioni barometriche, la direzione e l’intensità dei venti, lo stato del cielo e la quantità di pioggia caduta. Ad un ben marcato abbassamento del barometro corri- spondevano 91 giorno completamente sereni, 35 nuvolosi senza pioggia, 8 nuvolosi con pioggia. Ad un inalzamento corrispondevano 60 giorni completamente sereni, 47 nuvolosi senza pioggia, 17 nuvolosi con pioggia. Ed infine ad un’altezza barometrica presso a poco co- stante 32 giorni completamente sereni, 6 nuvolosi senza pioggia, 1 nuvoloso con pioggia. Onde risulta 1° Che un’altezza barometrica sensibilmente costante era il più sicuro indizio di bel tempo; 2° Che r inalzamento piuttosto dell’ abbassameDto era indizio di tempo nuvoloso e di pioggia. - 28 - Un inalzamento del barometro coincidente con vento d’est era indizio di pioggia 3 volte su 7 volte Un notevole e subitaneo abbassamento del barometro era, per lo più, precursore di vento forte dall’est. N. B. Ho la soddisfazione di poter dichiarare in fine di questa nota, che il signor Rettore dell’Università, appena istruito delle alquanto sfavorevoli condizioni dell’ Osservatorio meteorologico , vi fece eseguire immediatamente i necessarii lavori, per assicurare tutta l’esattezza de- siderabile alle osservazioni termometriche cd igrometriche. ^tì^TPMIKU®Kffl CBIATOU delle ALTEZZE BAROMETRICHE della MEDIA TEMPERATURA della TEMPERATURA a MEZZOGIORNO dell UMIDITÀ ASSOLUTA e della RELATIVA OSSERVATE urlili -3 i.'lluiumntii M 3 attinia ItO.Pf (MIMO 1)1(17. W v. l* l**f WWW ^ ''T’S •' 1 . ; . *" • ■ Il Vesuvio dopo di avere compito la sua eruzione del de- cembro 1861 celebre per i disastri arrecati alla Torre del Greco e per i fenomeni che l’accompagnarono, quantunque ritor- nato in un periodo di calma sembra che abbia risentito , negli anni immediatamente successivi a quel parossismo , la influenza delle forze eruttive che si sono manifestate al- l’Etna, a Santorino ed alle isole Àzore, presentando una continuazione non interrotta di fatti importanti per la sua storia. Il signor Mauget visitando il Vesuvio nell’ ottobre 1863 trovò alla sommità, in un punto di maggiore attività, delle emanazioni d’ acido cloridrico e solforoso che si sviluppa- vano ad una temperatura di 210°. Nell’agosto 1864 essen- domi portato io pure sul Vesuvio osservai che le emanazioni, specialmente di acido cloridrico si facevano sui bordi e nel- l’interno del cratere da numerose crepature ad una tempera- tura di 150-200 gradi e intorno ad esse si potevano raccogliere abbondanti sublimaziani di cloruro di ferro con cristallini di .solfo. Questo stato pare che si prolungasse fino al febbraio quando scoppiata la grande eruzione dell’Etna, il cratere su- periore del Vesuvio prese un’aspetto minacciante. Dal fondo della cavità imbutiforme lanciò dei blocchi di lava scoriacea incandescente in una proporzione tale che l’ascensione alla sommità del monte divenne impossibile per molte settimane e prese così origine un piccolo cono di scorie— Il Prof. Vom Rath prussiano, che si recò al Vesuvio il 3 aprile 1865, ol- tre di avere osservato da Napoli verso sera e durante la notte alla sommità del vulcano della viva luce che com- pariva a intervalli di circa un minuto, facendo l’ascensio- ne del cono potè avvertire quasi ai medesimi intervalli di tempo delle cupe detonazioni ed osservò che nella cavità • del cratere, la quale poteva avere 1000 metri di circonfe- renza ed una profondità di 65, compariva nella sua parte più bassa un piccolo cono di eruzione il quale gli sommi- nistrò la spiegazione della luce che di frequente aveva ve- duto comparire alla sommità del Vesuvio osservato da Na- poli. Infatti egli vide che di minuto in minuto dopo una specie di tuono sordo, ma forte, succedeva immediatamente una projezionc di scorie e di frammenti di lava vischiosa che ricadevano con qualche strepito nell’interno del grande cratere — Qualche volta da questo cono di scorie si affac- ciava pure una pìccola corrente di lava che andava a ri- versarsi al di fuori. Qualche giorno dopo dello stesso mese di aprile 1865 il signor De Verneuil dell’ Istituto di Francia recatosi al Vesuvio ebbe a notare i medesimi fenomeni osservati dal Prof. Vom Rath. Di più potè notare nel fondo del grande cratere tre aperture disposte sopra una medesima fenditu- ra, due delle quali davano continuamente uscita a delle no- tevoli masse di vapori, la terza che era più grande lascia- va una o due volte per minuto delle masse di pietre di pic- cola dimensione clic col ricadere nella cavità del cratere avevano formato un cono di 15 a 20 metri: queste proje- zioni erano accompagnate da sibili e da detonazioni violente che però solo si avvertivano sulla cima del monte. Il sud- detto geologo De Vcrneuil disceso nella parte più bassa della grande cavità potò valutarne la profondità di CO a 65 metri e non vi trovò che un’ ammasso di scorie spugnose nere e bril- lanti e in qualche punto tutt’ ora incandescenti. Il 1° giugno dello stesso anno 1865 il signor Fouqué visitò pure il Vesuvio: osservò anche egli un cono di 7 a 8 metri con una bocca allungata nella direzione da N. 0. a S. E. e dalla quale scaturivano abbondanti fumi molto acquosi, carichi di acido cloridrico mescolato ad una picco- lissima quantità di acido solforoso. Sopra tutte le lave vi- cine si trovava un’ abbondante deposito di cloruro di ferro e di cloridrato di ammoniaca: sui bordi del grande crate- re il suolo presentava due o tre fenditure parallelle con sviluppo di vapor d’ acqua a 90° e di acido carbonico. Intanto il Vesuvio che come ho detto si era riattivato contemporaneamente all’ Etna nei 1865, sembra di non es- sere stato indifferente alle conseguenze dei movimenti che hanno agitato P Europa meridionale nei primi mesi del 1866. Il 10 o 11 marzo cioè quasi in coincidenza con la com- parsa dell’isola Iteka nella baja di Santorino e con i ter- remoti di Patras e di Dronteim, il piccolo cono di scorie del cratere superiore del Vesuvio riprese, a testimonianza del signor Pignant che lo visitò il 12 marzo di detto anno, la sua attività con una eruzione interna di lave, calma, ma capace di cambiare l’ aspetto del cratere. Infatti un me- se dopo, il 14 aprile 1866, il signor De Verneuil ritornato sul cono superiore trovò che mentre la fase di attività del 10 marzo si era calmata, la profondità del cratere era di- minuita di 15-20 metri. À questa calma si alternarono in seguito altri periodi di attività con fasi diverse tanto che nel giugno 1867 il signor Maugct trovò il grande cratere, qua- si completamente riempito dalle lave uscite a diverse epo- che dal cratere avventizio che ne occupava il centro: que- sto cratere era molto cresciuto in altezza da sorpassare cir- ca di 13 metri i bordi del grande cratere, presentava una cavità profonda non più di 5 metri c la sua parte super- ficiale come le sue adiacenze erano tutte rivestite di clo- ruri e specialmente di cloruro di ferro. Verso la fine del mese di ottobre dello stesso decorso anno 1867 dietro le osservazioni del Prof. Palmieri diretto- re dell’osservatorio Meteorologico vesuviano, le antiche boc- che presentarono un aumento notevole di temperatura e di tanto in tanto uscivano da esse delle notevoli quantità di vapore. Nei primi giorni di novembre gli sviluppi di- vennero continui e maggiormente abbondanti: il suolo co- minciò a manifestarsi agitato da piccole scosse segnalate dal sismografo c dall’ apparecchio di variazione di Lamont clic trovansi situati nelP osservatorio suddetto; e finalmente col mettersi il suolo in movimento continuo il 12 novem- bre alle 6 1/2 di sera le enormi masse di lave compatte che riempivano il cratere rimasero quà e là squarciate , e questo incominciò a presentare dei fenomeni straordinarj con detonazioni fortissime c projezioni di materie accom- pagnate da viva luce. Il signor Diego Franco assistente all’ osservat.ario me- teorologico Vesuviano per rendersi conto di ciò che avve- niva di interessante nel grande cratere tentò e riuscì a fare P ascensione del grande cono il 14 dello stesso mese ed osservò che l’antico cratere era tutto in fuoco nel suo centro. Presentava secondo quanto potè osservare due pro- fondi spacchi (1) (Vedi fig. 1 ) a N.N.E. nella sua parte pe- riferica, prodottisi dalle continue scosse che riceveva il mon- te, e il cono avventizio sopra citato era perforato da nuove aperture. Due di queste aperture (2) si trovavano alla base del cono e non davano alcuna projezione, ma sui fianchi di esso ve ne erano altre tre (3) che vuomitavano lava, la quale — 35 - però abbondantemente scaturiva da un’altra bocca situata sul fianco opposto S. 0. del cono alla cui cima la bocca primitiva detonava fortemente projettando per aria materie infuocate. Riunendo tutte queste aperture 2, 3, 4, 5 si vede che sono quasi comprese in una stessa linea che accenna ad una dire- zione che passa da N. E. a S. 0. La lava dopo essere uscita in quantità da traboccare il bordo del grande cratere prese da prima a scendere in direzione di ovest nelle lave del 1835, ma giunta ad’ un ter- zo del cono si arrestò mentre dalla parte superiore aitre correnti si formavano separate e animate da velocità varia e proporzionata alle successive fasi che presentava la intensità eruttiva. Nei primi giorni di questa attività si sparse nei dintorni del Vesuvio notevole quantità di arena e V insie- me di tutti i fenomeni caratterizzò un nuovo parossismo eruttivo che doveva fare il suo corso (*). Io mi recai a visi- tare f eruzione dopo la metà di decembrc quando essa si trovava al suo massimo d’intensità e potei dimorare qualche giorno presso il teatro eruttivo mercè la obbligante amicizia del Prof. Palmieri che mise a mia disposizione l’osserva- torio da lui diretto. In attesa della relazione che farà il detto Prof, delle osservazioni che giornalmente ha raccolto e raccoglie seguendo con cura tutto l’ andamento della eru- zione, io presento intanto i resultati di alcuni studj che ho avuto occasione di fare in questa circostanza sulla parte chimi- (*) Ai primi di decembre, pochi giorni dopo il principio della eru- zione del Vesuvio, si manifestarono per 1 6 giorni fenomeni eruttivi at- tivissimi in mezzo ad una pianura nello stato di Nicaragua — L'eruzio- ne cominciò con fiamme, fumo ed una gran quantità di cenere e arena da formare un elevato cono a larga base — La città di Corinto rimase coperta da una quantità considerevole di arena (Vedi Lettre de M. Ra- mai! de la Sagra. Compt. rendus de l’Ac. des Scien. Paris 9 mars 1868). * - 3f> — ca della eruzione vesuviana per prevalermene nel paragone con i fenomeni eruttivi che ho studiato sull’ Etna in que- st’ ultimi anni e più specialmente nell’ occasione dell’ ulti- mo incendio (*) . L’ eruzione attuale del Vesuvio non si può dire che re- lativamente ad altre abbia preso proporzioni molto consi- derevoli ed allarmanti: attualmente dopo aver percorso due periodi, uno di massima attività, uno di attività minore , si trova di gran lunga diminuita e accompagnata da quei fe- nomeni che sogliono accennare al termine di una eruzione. Questa volta anche per il Vesuvio tale sfogo si è man- tenuto nei limiti o delle eruzioni che si effettuano dalle sommità dei vulcani che raggiungono delle considerevoli altezze come è l’Etna per l’Italia (alto 3313, m13 sul mare) ovvero di quelle eruzioni che si verificano dai piccoli vul- cani che sono in attività quasi permanente di cui lo Strom- boli (con 868“ soli di altitudine) ce ne offre splendido esempio. Questo ultimo paragone si uniforma alla conclusione alla quale sarebbe condotto il signor Ch. Sainte Claire De- vine dietro la discussione delle sue proprie osservazio- ni e quelle che gli hanno presentato i documenti offertigli da diversi scienziati che il Vesuvio « est revenu aujord’hui à cct état d’ activité strombolienne, alternant avec la pha- se solfatarienne (**),que 1’ on voit bien souvent se repro- duire dans l’histoire du Yésuve et qui, en particulier, en (¥) Vedi 0. Silvestri i fenomeni vulcanici presentati dall’ Etna nel 1 863-64-65-66, considerati in relazione alla grande eruzione del 1865. — Catania 1867. (**) Questa espressione è adottata da Ch. Sainte Claire Deville com- prendendo sotto il nome di solfatara 1’ insieme delle emanazioni se- condarie dietro quanto manifestano le vere solfatare; di cui l’intensità può dare sfogo alla emissione del cloridrato di ammoniaca e dei clo- ruri metallici, del solfo-selcniuro di arsenico ctc. (come a Pozzuoli) fi- — 37 - a été le trait caracteristique entro 1841 et 1849» (Comptes renduscle l’ac. dcs Scie. Seance 25 nov. 1807. Paris). Infatti questa volta senza clic le pendici del Vesuvio si siano rotte da qualche parte, solo la sommità del monte per mezzo di un nuovo cono che è andato continuamente cre- scendo sul riempimento già notato dell’antico cratere, ha ver- sato da tutti i lati delle colate di lava che da questa uscita centrale si sono irradiate in tutte le direzioni ( vedi fìg. 2 e 3). In generale quasi tutte più o meno hanno avuto un corso breve ed è per questa ragione che il nuovo cono ve- nendo circondato di tratto in tratto sul suo contorno este- riore da solidi contrafforti formati dalle colate di lava di già raffreddate, coi soprassalti eruttivi che di tanto intanto si sono verificati pare che sia venuto a rompersi radial- mente in diversi punti del suo giro ed ha dato (senza una fenditura resa manifesta sui fianchi della Montagna, ma solo nel cono avventizio, da quelle bocche già notate comprese in direzione N. E. a S. 0. ) corso quà e là su questo alla massa di materia fluente la quale o non ha oltrepassato o ha oltrepassato di poco la base del grande cono. Undici erano all’epoca in cui io mi trovava al Vesuvio alla fine del dicembre, le colate principali; adesso dietro i rapporti comunicati dal Prof. Palmieri sono aumentate in numero non solo, ma alcune anche si sono ingrossate e allargate per i nuovi materiali sopragiunti ed una ve ne ha che tuttora discende quasi occultamente al di sotto di un cumulo di scorie consolidate che si è formato da se stesso col raffreddamento della sua parte esteriore. Il suolo circostante al Vesuvio si è mantenuto per (piasi tre mesi in continua oscillazione la quale durante il massi- no alle ultime degradazioni dell’intensità eruttiva, formate p. es. da- gli sviluppi di idrogeno carbonato, di azoto ete. (come alle Salse e alle Macai ube della Sicilia), arri acc. vol. iii. 6 — 38 - mo della forza eruttiva non solo veniva indicata dagli stru- menti dell’osservatorio, situato in un’ altura di 637“ sul mare presso la base del grande cono , ma si avvertiva diretta- mente come un tremito continuo del suolo clic accompa- gnava esattamente il ritmo o la fase giornaliera della eru- zione e lo strepito delle rombe e dei boati. La lava di questa eruzione si presenta, come ordinaria- mente, di tutte le forme cioè in forma di lava compatta, di scoria , di arena: la forma scoriacea è però dominante il che si verifica sempre nelle eruzioni clic si effettuano dai crateri principali dei vulcani (come ebbi ad osservare nella piccola eruzione dell’Etna nel 1863) per quanto il cratere del Vesuvio non raggiunga che 1l03m di altitudine sul li- vello del mare. Queste eruzioni infatti riescono in certo mo- do stentate poiché la lava oppone maggiore resistenza allo sforzo dei vapori e dei gas, ossia delle materie elastiche che ne determinano la uscita. La lava è di un colore grigio-scuro quasi nero e qual- che volta verde-scuro o rossastra alla sua superfìcie. In questi colori il verde-scuro si presenta specialmente nelle lave di- vise in blocchi o piccole masse che hanno potuto raffred- darsi bruscamente ed è un colore superficiale che assume uno dei principii costituenti la lava che è il pirosseno. Il colore rossiccio si produce per una sopraossidazione del ferro che contiene la lava. Essa è di una struttura cristallina nel- l’impasto dell’augite camfìgenoo leucite che prevalentemente la formano ed esercita un’azione energica sulla calamita. La sua densità l’ho trovata rappresentata dalle cifre seguenti: Arena • • Temp. H°C. 1V786ÌT Scoria ..... • • 2,4670 Lava compatta nera • • 2,8189 » » verdastra • • 2,6699 Lava compatta dopo la vetrificazione o fusione artificiale . 2,6980 — 39 — Paragonando la densità di questa lava ultima del Ve- suvio a quella ultima dell’Etna del 1865 il cui massimo lo trovai (*) nella lava compatta di 2,815 e il minimo mi si presentò nella cenere =-2,565, si vede che vi è poca diffe- renza ed ò naturale trattandosi di due vulcani clic si trova- no tanto prossimi l’uno all’altro e clic tanto si somigliano, per i loro attuali prodotti. Un fatto però clic rilevo da questo paragone è clic la la- va ultima del 1865 dell’ Etna ridusse con la fusione artificiale il suo peso specifico a 1,972 c quindi ad una cifra molto minoro di quella che ho trovato per la lava del Vesuvio. Facendo 1’ analisi chimica della lava compatta ho tro- vato i resultati qui espressi: Materie solubili nell'acqua in 100 parli Arena . . * 0,293 Scoria . . . ’ . . 0,1 84 Lava compatta .... 0,099 I residui dei trattamenti acquosi fatti sulla lava sono formati da cloruri e solfati a base di soda che rappresentano dietro la quantità dei precipitati di cloruro di argento e di solfato di barite le proporzioni qui sotto segnate di cloro e di acido solforico. Arena 100 p. contengono Scoria » » » (Cloro. . . . (Acido solforico. . 0,0754 . 0,0350 Lava compatta idem (Cloro. . . . (Acido solforico . . 0,0600 . 0,0055 (*) Vedi 0. Silvestri op. cit. pag. 122. \ (cloro. . . . . 0,1014 (Acido solforico . . 0,0712 — 40 — Azione degli acidi sulla lava La lava è lentamente c incompletamente attaccata dagli aeidi.minerali più forti (come quella dell’Etna) eccettuato l’a- cido fluoridrico. Invece però di applicare quest'ultimo perla determinazione della natura c quantità dei principi costi- tuenti chimici di essa, mi sono servito del metodo complica- to, ma più sicuro, proposto dal Sig. E. Sainte Claire Deville, fondendola con un peso determinato di calce purissima e trasformandola in un silicato con eccesso di base c quindi facilmente attaccabile dagli acidi c specialmente dall’ acido azotico. Nel mettere in pratica quest’analisi ho trovato la com- posizione centesimale qui appresso: Silice .... 38,888 Calce . . • . 17,698 Allumina. 14,127 Magnesia. 3,333 Protossido di ferro . 12,696 » manganese. 0,010 Potassa .... 1,190 Soda .... 10,000 Rame .... 0,000 Acido fosforico 0,000 » titanico . 0,000 Acqua .... 2,065 100,007 (* Fra questa composizione espressa che appartiene alla lava compatta nera e quella che ho determinato per la lava (*) I minerali costituenti prevalentemente le lave recenti del Ve- arenacea e scoriacea, non ho trovato, analogamente a quello che mi è occorso di osservare per l’Etna, che delle differen zc minime e insignificanti . In tutti i casi però debbo far no- tare l’abbondanza della soda che è straordinaria e forse que- sto fatto è in qualche connessione con la gran quantità di sublimazioni sodiche presentate dalla lava fin dai primi gior- ni della eruzione. Non mi si ò presentato nella composizione della lava nè jodio, nè fluorc, mavì ho trovato in proporzioni minime (co- me già si può ritenere dal fatto delle materie solubili nell’ ac- qua che la lava contiene) gli edotti c i prodotti dei fumajoli. Fumajoli della lava Poiché l1 eruzione attuale del Vesuvio si è fatta fìn’ora po- co a poco e la lava è uscita molto divisa su tutti i fianchi del cono; all’ epoca in cui io mi trovava sul Vesuvio non potei suvio presentano dietro analisi conosciute la seguente composizione: Ì Silice . Magnesia Calce . Protossido di ferro Allumina . 50.90 14,43 22,96 6,25 5,37 99.9 1 (Kudernatsch) I. r Silice . . 53,750 . [ Allumina . 24,625. 1 Potassa . 21 ,350 . Leucite J Soda . . 0.000 . j Calce . • 0,000 . [ Sesquiossido V di ferro. 0,000 . 99/725 (Klaproth) li. III. IV. 53,50 . . Te.TfT. . 56,05" 24,25 . . 23,10 . . 23,03 20,09 . . 21,15 . . 20,40 00,00 . . 00,00 . 1,02 00,00 . . 00,00 . . traccio 00.00 , . 0,95 . . 00,00 97,84 101,30 100,50 (Arfvedson) (Avdcjev) - 42 - osservare che un piccolo numero di fumajoli sulle correnti già per lo più fredde nelle loro parti inferiori e questi fu- rono anche di breve durata. I fumajoli osservati erano solo quelli che io ho chiamato fumajoli a cloruro eli sodio perchè sono costantemente ca- ratterizzati dalla presenza di questo sale che non si trova nei fumajoli di altra natura. Tali fumajoli presentavano una temperatura che era capace di fondere immediatamente lo zinco, cioè superiore a 500° c davano delle abbondanti su- blimazioni di un notevole spessore che presentavano tre aspetti differenti : erano cioè o bianche o grigio-brune o verdastre. Tutte e tre le ho sottoposte all’analisi ed ho trovato », Sublimazione bianca Cloruro di sodio » di potassio . » di rame 98,683 1,317 0,000 traccio 100,000 Sublimazione grigio-scura Cloruro di sodio » di potassio . Ossido di rame Sublimazione verdastra Cloruro di sodio » di potassio . Ossicloruro di rame — 43 Ilo raccolto una quantità considerevole di sublimazioni provenienti da questi fumajoli a temperatura molto elevata, ne ho fatto a caldo la soluzione che con successive con- centrazioni T ho lasciata ripetutamente cristallizzare fino ad ottenere un piccolissimo volume di acqua madre. Questa non mi ha manifestato la presenza nè del bro- mo nè dell’iodio e sottomessa all’analisi spettrale non mi ha presentato altro che lo spettro del sodio, del potassio e del rame. Ho analizzato ancora sul posto i gas che emanavano da questi fumajoli ed ho ottenuto in media e ciò analogamente ai resultati da me ottenuti sull’Etna che mi hanno dimostrato che l’insieme dei gas di questi fuma- joli non è altro che aria atmosferica disossigenata in parte (vedi op. cit. pag. 145). Dopo avere fatto passare accuratamente con un aspi- ratore in un piccolo apparecchio di condensazione fatto espressamente e che ho circondato di neve, il vapore di questi fumajoli, prolungando l’esperienza per circa trequarti di ora, ho ottenuto la condensazione di una materia salina (cloruro di sodio) che formava una patina bianca sulle pa- reti dell’ apparecchio suddetto, le quali nella parte più bassa presentavano una specie di rugiada o condensazione umida capace di dare una sensibile reazione acida alle carte reat- tive. Questo resultato per quanto non mi abbia dato una materia liquida relativamente abbondante c una reazione acidissima come ho ottenuto sempre sperimentando nei fu- majoli a elevatissima temperatura sull’ Etna (vcd. op. cit. Azoto Ossigeno . Acido carbonico 85,24 13,76 0,00 traccio 100,00 Pag 179) tuttavia non differisco per la conseguenza cui conduce a conferma della mia opinione che cioè i funicoli a cloruro di sodio contengono vapore acquoso c sono acidi (il che comparisce spesso con difficoltà essendo le loro emana- zioni molto rarefatte per l’azione della elevata temperatura) al contrario di quanto ritiene il signor Ch. Sainte Claire Deville che li chiama secchi e neutri . E circa la reazione acida oltre ai fatti naturali da me osservati, citerò che fa- cendo una esperienza semplicissima di fondere del sai ma- rino in luì crogiolo di platino a contatto dell’aria, ho otte- nuto sempre dopo averlo per qualche minuto riscaldato alla elevata temperatura che permette la sua volatilizzazione (come si verifica nei fumajoli della lava) che la superfìcie della massa salina raffreddata dà una fortissima reazione alcalina c ciò per effetto della dissociazione degli elementi del cloruro di sodio a contatto dell’aria esterna in modo che si produce della soda, mentre trai vapori si sviluppa dell’ acido clori- drico. Finalmente ho fatto delle sperienze simili condensando il fumo bianco che si solleva dalla lava mentre si spande sul suolo. Ilo disposto il mio apparecchio condensatore per raccogliere il fumo della più notevole colata di lava che il 24 dicembre discendeva rapidamente con la velocità di un metro e mezzo al minuto sul fianco orientale del Vesuvio e precisamente ai cognoli di Ottajano ed ho trovato (per quanto l’operazione mi sia riuscita difficile per l’enorme calore di questa grande corrente ) che i fumi bianchi che si sollevano dalla superficie della lava in fusione cristallina c fluente possono dare una reazione debolmente acida c sono costituiti dalle medesime sostanze che più tardi su- blimandosi in centri speciali, formati dagli spacchi della lava già esternamente consolidata, vengono a rappresentare i pri- mi fumajoli distinti che presenta la lava, cioè i, fumajoli a cloruro sodico. / t/Z/é'//' ere- SJ///Vf / YS/// •. MS: s/MM/» /// r* e/S /rsr/r/e># &*'"*■ RICERCHE CHIMICHE PER SERVIRE ALLO STUDIO DEI VINI DELLA SICILIA FAXXK Nell Ea&opatept© dE Ghtaìea dolila Ri. tCniversEtè di Catania sotto la dipoziera© deli PRQ,F, ORAZIQ) SILVESTRI DAL D.R GIUSEPPE PULVIRENT1 Leda nella «etiaia del dì 14 aprile JLìa produzione del vino è una delle fonti di maggiore ric- chezza per 1’ Italia, e lo sarà anche più di quello che è al presente quando verranno perfezionati i metodi di vinificazio- ne che si praticano attualmente, in modo da ottenere un mi- glior prodotto, di maggior credito e di più sicura conservazio- ne (1). Il Governo, le Accademie Scientifiche e i Comitati Agra- rii per fare vieppiù prosperare questa industria hanno pre- so e prendono parte attiva col promuovere pubblicazioni, (1) Si calcola che l’ Italia dia appena 30 milioni di ettolitri di vino all’anno, mentre la produzione potrebbe almeno esserne raddoppiata essendo l’unica regione di Europa in cui eccettuata la criniera dell’Ap- pennino e le alte creste del nostro versante alpino, la vite prosperi da pertutto e dia buoni prodotti suscettibili di divenire ricercatissimi all’ estero per le svariate qualità in tutte le regioni. Dei 30 milioni di ettolitri restano utilizzabili 18 o 20 milioni appena, perchè quasi la terza parte va perduta per le alterazioni che subiscono i vini. Il Sig. Pasteur celebre per gli studi i recenti fatti sulle fermenta- zioni e che si è occupato accuratamente per conto del Governo Fran- cese dell’alterabilità dei vini, ha riconosciuto che il loro guastarsi pro- ATTI ACC. VOI. Ili, 7 aprire concorsi (1) istituire premii etc, allo scopo diretto di più facilmente e sollecitamente raccogliere tutti quei dati e cognizioni necessarie per far porgere un ajuto dalla scien- za alla pratica, e giungere alla conoscenza completa e com- parativa dei vini che si ottengono nelle varie parti del Re- gno. Ma la prospettiva di un lavoro faticoso, di analisi mol- teplici c lunghe, necessarie a ripetersi per varii anni di se- guito sopra molti saggi rappresentanti le principali qualità di vini di ciascuna provincia, ha fatto sì che pochi se ne sono occupati e le notizie che abbiamo, anche sopra quei vini nostrani che godono qui come all’estero maggiore re- putazione, sono scarse ed incomplete (2j. La Sicilia, come ognuno sa, è una delle regioni del nostro regno, clic sotto il rapporto della enologia merita la più grande attenzione, ed è sotto questo riguardo, che io mi sono proposto una serie di ricerche chimiche per viene da vegetabili microscopici clic si sviluppano in essi. Egli non ha trovato un sol vino, che non subisca V influenza dei fermenti micro- scopici; per ciò suggerisce con molto profitto, per distruggere questi fermenti , conservare indefinitamente il vino e facilmente trasportarlo ovunque, di riscaldarlo per pochi minuti a GO o 70 gradi di temperatura a bagnomaria. (Vedi Etudes sur le vin, ses maladies etc. par L. Pasteur — Paris '18G6) — (0. Silvestri). pi) La Reale Accademia Economico-Agraria dei Georgofili di Fi- renze ha aperto per il '1868 il concorso ad un premio di fondazione governativa da conferirsi a chi presenterà una serie di analisi chimiche inedite di almeno 50 qualità di vini toscani, composti di uve di qua- lità conosciute ed ottenuti con modi di vinificazione ugualmente noti. (Vedi il programma della R. Accademia dei Georgofili — 18G8). (2) I lavori più conosciuti di analisi fatte recentemente sopra i vini italiani sono quelli di 0. Silvestri c C. Giannelli sui vini della To- scana; di E. Pollacci sui vini della provincia Senese; di P. Tassinari sui vini dell’ Imolese; di Peyrone sopra i vini della provincia di Torino. — 49 - mettere in maggiore evidenza le proprietà dei nostri vini. Lo scopo che mi propongo nel presentare ora i resultati del- le prime osservazioni ed analisi fatte sopra un certo nu- mero di vini non è certamente quello di riempire del tut- to quest' ampia lacuna, ma solo di contribuire fin d’ ora ad arrecare materiali e cognizioni che potranno in avvenire riuscire di grande vantaggio per fare prosperare una in- dustria che si trova tra noi in mezzo agli elementi c con- dizioni più favorevoli. Le qualità di vini che si sono prese a studiare sono in generale le più andanti , cioè quelle clic vengono messe in commercio, e clic formano un articolo di esportazione. L’esame fin qui fatto si è limitato per ora a sole 34 quali- tà di vino di varie località siciliane, nella difficoltà di procu- rarsene i campioni autentici c di sicura provenienza, e con quelle notizie che sarebbe di grande utilità unire a questo lavoro, relative alla natura del suolo, alla esposizione delle vigne , alla pratica tenuta nella fermentazione , nella chia- rificazione ctc. circostanze tutte-- che influiscono grandemen- te nel determinare la bontà dei vini, e l'aroma (bouquet) dei medesimi. Le ricerche chimiche si sono dirette per ora a cono- scere la densità dei vini , le reazioni che essi presentano , a determinarne le quantità di alcoolc, acqua, materie orga- niche fisse, materie minerali o ceneri. La densità dei vini si è trovata pesando un volume de- terminato di ciascuno di essi, riferendo il peso ottenuto a quello di un egual volume di acqua distillata, e tenendo conto' delle varie temperature notate nelle varie sperienzp. Risulta da molte determinazioni fatte, c le cui cifre si trovano e- spresse nell'annesso quadro, che la densità massima dei vini rossi c di 1,0049, la minima c di 0,9898. e la media di 0,9987 1’ acqua distillata pesando 1,000. I vini bianchi sono più leggeri, infatti hanno presentato — 50 - un massimo di 1,0010 un minimo di 0,9887 c una media di 0,9954. La conoscenza della densità dei vini è utile ad; aversi giacche in alcune contrade vinicole si tenta di sostituire con vantaggio nello smercio la misura della quantità dei vini in peso piuttosto che in volume; e sapendone la densità è faci- le potere dal volume dedurne il peso, cioè sapere quale è il rapporto clic passa tra il litro ed il chilogrammo. Si è osservato in secondo luogo che tutte le qualità di vino esaminate sono più o meno acide , e l’acidità provie- ne specialmente da due acidi uno fìsso, e l’altro volatile. L’ acido fìsso c l’acido tannico, che proviene dalle bucce dell’ uva, dai raspi, c comunica ai vini le proprietà toniche e il sapore asciutto, o leggermente astringente, e l’attitudi- ne a cambiare il colore rosso in colore bruno sotto l’influen- za dei sali di ferro. Questo acido è più manifesto nei vini rossi che nei vini bianchi perchè nel primo caso la fermenta- zione del mosto si fà a contatto delle bucce e dei raspi (1). (1) A proposito dell’acidità del vino è necessario far notare come questa abbia anche origine dall’acido tartarico che si produce dall’ uso che in molti luoghi, e specialmente in Sicilia, si è generalizzato d’in- gessare i vini; cioè di trattarli con gesso o solfato di calce durante la fermentazione. Questo trattamento si fa per togliere al vino il cremore di tartaro, che i resultati dell’ antica pratica confermati dagli studii recenti dimostrano costituire colla sua presenza la cagione del guastarsi spontaneamente e facilmente dei vini per la decomposizione cui va sog- getto nella fermentazione tartrica, per mezzo di cui si trasforma in car- bonato di potassa. La separazione del cremore di tartaro o hitar trato di potassa che tiene disciolto il vino si produce col solfato di calce per- chè questi due sali si scambiano le basi, si produce solfato di potas- sa che resta disciolto nel liquido, del tartrato di calce clic si deposita in- solubile in fondo al recipiente, e metà dell’acido tartarico resta pure disciolto nel liquido. Ma con questa manovra del gesso sui vini accade ('he se sono vini bianchi ^ per i quali il mosto si mette a fermentare — 51 — L’ acido volatile è Tacido acetico , e questo proviene dall’azione dell’ossigeno dell’ aria sull’alcoole del vino che passa con leggero grado, anche durante la fermentazione alcoolica, ad ossidarsi, si trasforma in aldeide c quindi in acido acetico. La presenza dell’acido acetico sembra non possa impedirsi nella vinificazione del mosto poiché com- parisce costantemente in tutti i vini. Il Prof. 0. Silvestri nel 1864 la rimarcò per la prima volta in 64 qualità di vini della Toscana, ed in tutti i lavori posteriori sempre si è no- tata questa presenza. Oltre al carattere della volatilità si c riconosciuta la natura di questo acido praticando nel se- guente modo. Il liquido distillato ottenuto per la determi- nazione dell’ alcoolc , di cui appresso c parola , V ho neu- trilizzato con carbonato di soda e quindi l’ho evaporato a secco, il residuo trattato con acido solforico concentrato ha fatto sentire l’odore dell’acido acetico; e distillato con acido solforico ed alcoole in uno stortino di vetro fatto al- la lampada ha dato dell’ etere acetico riconoscibile per il suo grato odore, e per le sue>' proprietà caratteristiche. Nella pratica deve più clic è possibile impedirsi nel vino la produzione dell’ acido acetico, che talvolta si rende separato dalle uve e dai raspi , il gesso giunge solo a decomporre il cremore di tartaro che si trova disciolto nel vino , il quale non po- trà contenere che la metà dell’ acido tartarico totale libero del bi- tarlrato di potassa: il che conduce a migliorare il vino per il colore, e per la sua più facile stabilità; ma se si tratta dei vini rossi nei quali si pone a fermentare il mosto colle uve e coi raspi allora 1’ azione del gesso, se si vuole applicare, deve esser fatta con precauzione, perchè se fos- se troppo prolungata dopo che il gesso ha decomposto il cremor di tar- taro naturalmente disciolto nel mosto, attacca quello dei raspi e quello che si deposita spontaneamente; ed il vino riesce facilmente sopracca- rico di solfato di potassa, c molto acido per una eccessiva quantità di acido tartarico libero che contiene. — 0. Silvestri « — 52 - troppo sensibile al gusto, e spesso, quando la quantità pro- dottasene è notevole, rende alterati i vini facendoli, come si dice , girare o prendere lo spunto. Da ciò si rileva il vantaggio della fermentazione nei tini chi usi , e di tutte quel- le pratiche atte a preservare il più che è possibile il vino dal contatto dell’ aria libera. Volendo correggere il difetto della troppa acidità del vino vi si può aggiungere una base salificabile per neu- tralizzarla, e si può impiegare del carbonato di calce o di potassa, o forse meglio del tartrato neutro di potassa, che produce con 1’ acido acetico dell’ acetato neutro di potassa (che non ha sapore sensibile) e del tartrato di potassa o cremore di tartaro, che precipita. Si è potuto conoscere nei vini la quantità dcll’alcoolc distillando un volume determinato di liquido' rappresentato da 100 centimetri cubici, cioè quasi 100 grammi, prolungan- do la distillazione fino a raccogliere metà del volume del vino impiegato condensandolo per mezzo di un refrigerante di Liebig. In questa operazione tutto 1’ alcoole contenuto nel vino passa nella parte distillata, nella quale immergen- do l’ alcoolometro centesimale di Gay-Lussac si ha diretta- mente indicato il valore alcoolico, la cui metà si riferisce al volume doppio del vino primitivo sottoposto alla distil- lazione. Nel fare questa determinazione non ho trascurato di tener conto della temperatura in cui ho fatto l’esperienze per l’influenza che questa ha sulla densità dei liquidi alcoo- lici. Le indicazioni sul valore alcoolico ottenuto a tempe- rature differenti le ho ridotte alla temperatura dii 5 gradi C. nella quale ò graduato l’areometro di Gay-Lussac; a tale oggetto ho applicato la forinola di Francoeur X=C±0,ìt. Le indicazioni ottenute per mezzo dell’ alcoolometro Gay Lussac non danno clic il valore centesimale di alcool in vo- lume; ma da queste ho dedotto il valore alcoolico dei vini in peso dietro la forinola P=VI). — 53 - I resultati ottenuti sopra il valore alcoolico contenuto nelle 34 qualità eli vini siciliani esaminati mostrano che la quantità di alcoole puro in essi contenuto in 100 parti in volume, non è minore di 8,0, nò maggiore di 17,8: in 100 parti in peso non è minore di 6,43 nè maggiore di 14,14. La media in peso di 34 sperienze è=1 0,030. Per determinare nei vini la quantità di materie orga- niche che si presentano fisse alla temperatura di 100° C., ho evaporato a secco con precauzione il liquido rimasto della distillazione dei 100 cc. di vino che hanno servito alla determinazione dell’alcool. Eliminata così tutta 1’ ac- qua ho ottenuto un residuo sciropposo, spesso granelloso e cristallino, di sapore acido o dolciastro, che nella totalità del peso rappresenta le materie organiche fìsse, e le materie mi- nerali contenute nei vini. Eliminando le prime col farle bru- ciare in un fornello a muffola, si ha una materia ultima rap- presentata da sola cenere, il cui peso, che indica la quan- tità di sostanze minerali, sottratto dal peso complessivo totale suddetto ci dà la quantità di materie organiche fisse. V incinerazione dei residui dei vini c diffìcile e lun- ga e vi occorre una pratica speciale per impedire la fu- sione dei tartrati, che toglie alla materia la sua porosità c ne impedisce il contatto dell’ossigeno dell’aria e quin- di la sua più facile combustione. La quantità di sostanze organiche fisse (rappresentate da zucchero, materia colorante, materia azotata, acido tartarico libero o combinato, ed acido tannico) nei vini esaminati non va al di là in peso del 24,118 per 100, nò trovasi al disotto di 1,507 per 100: la media dedotta da 34 analisi è rappresentata sopra 100 parti in peso da 3, 659. Le sostanze minerali sono contenute in proporzioni piccolissime rispetto alle altre, ed ho trovato chela quan- tità massima in peso è espressa da 0,008 per 100; la mi- nima da 0,051 per 100; la media di 34 esperienze òdi 0,282. Riguardo alle ceneri devo fare osservare che queste si presentano con aspetto fisico differente circa al colore. Spesso sono bianche, ma talvolta hanno un colore rossiccio, tal altra sono di un colore verdastro: se sono bianche o quasi bian- che contengono pochissimo ferro ; se sono rosse il ferro è rappresentato da quantità notevoli; il colore verdastro ca- ratterizza la presenza in esse del manganese. Del resto la com- posizione qualitativa delle ceneri è rappresentata da solfati, silicati, azotati, fosfati, cloruri, bromuri, ioduri, fluoruri, a base di potassa, soda, calce, magnesia, allumina, ammonia- ca, ossido di ferro, ossido di manganese. Ma l’analisi det- tagliata di queste materie minerali, come la determinazione quantitativa speciale delle materie organiche nei vini, for- merà soggetto di altra parte di questo lavoro. Finalmente conosciuto in un peso determinato di vino, il peso dell’alcole, delle materie organiche fìsse, delle mate- rie minerali, è stato facile dedurre il peso dell’acqua il cui massimo si è trovato in 100 partila 91,979; il minimo — a 65,519; e lamedia di 34 sperienze= a 85,420. I resultati speciali di tutte le determinazioni di cui si è dato sopra un cenno sono espressi nel seguente quadro. QUADRO INDICANTE RISXJLT-ATI DELLE AN.AL1SI FATTE SOPRA I VINI \ 3 VfrT* tee. TOt. IIJT. Numero progressivo 56 INDICAZIONE ai o ai t- DELTA PROVINCIA DEL NOME ai e DELLA LOCALITÀ COMUNE ORDINARIO a a Prov. Catania Fontanella del Lupo. Vino andante 1865 Coiti. Paterno Prov. idem Pagania Vino del bosco 1864 Coni, idem ("Propr. Strano) Prov. idem Ragarna (Luocogrande) Idem. 1865 Coni, idem (propr. Moncada) Prov. idem Monte arso Coni, idem (Propr. Signorelli) Idem. 1865 Prov. idem Cavaliere Idem. 1865 Coni. Licodia Prov. idem Arena Coni. Beipasso (Grassura di Luca) Idem. 1865 Prov. idem Campana Vino delle ter- 1863 Coni. Biotta (Prop. Manganelli) re forti. Prov. idem Campana Idem. 1864 Com. idem (Prop. Manganelli) Prov. idem Rinazzi Idem. 1865 Com. idem AZIONE sulle CAUTI! REATTIVE Àcida un pò forte Acida leggiera Acida leggiera Acida leggiera Acida un pò forte Acida un pò forte Acida forte Acida Acida un pò forte Densità riferita al- l’acqua = 1. Temp. media 18° C. Valore alcoolico su 100 parti in volume Q U su 100 ALCOLE ACQ 0,0942 9, 5) 7,1502 1 « J 0,9898 12, 2 9, 6929 CO OO ... s 0,9898 10, 3 8,1833 90. li 0,9905 8, 6 6,4327 91,9 0,9941 11, T> 8,7395 88,01 0, 9898 11, 9 9,4545 88,3i » 0,9951 15, » 11,9175 83,0: 0,9952 14, 3 11,3613 84,1' 0, 9898 15, j 11,9175 34,9? — 57 — li QUALITÀ FISICHE e DEGUSTATI VE OSSERVAZIONI E NOTIZIE sulla pratica TENUTA NELL’ OTTENERE I VINI ANALIZZATI \ Materie inorga- niche (ceneri) 0,5493 Rosso-ciliegia. Sapore leggermente acido. Proveniente da uva assortita insolfata— Mosto in fermenta- zione con gesso per 48 ore. Vino conciato con mele ap- piè e carubbe. Ila lasciato una cenere bianca. 1 0,0633 Rosso-granato. Sapore che tende all’asciutto. Proveniente da uva scelta; completamente matura e insol- fata. Mosto in fermentazione con gesso per 48 ore. Vino concia- to con mele appiè e more di macchia. Ha lasciato una cenere bianca. * 0,1538 Rosso-ciliegia chiaro. Sapore che tende all’asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione con gesso per 48 ore. Ila lasciato una cenere rossiccia. 0,0804 Rosso-giallognolo. Sapore che tende all’ asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione per 48 ore. Vino conciato con iscorze d’ arancio, e carubbe. Ila lasciato una cenere rossiccia. 0,2067 Rosso-giallognolo. Sapore leggermente acido. Proveniente da uva assortita non perfettamente matura. Mosto in fermentazione per 48 ore senza gesso. Ila lasciato una cenere rossiccia. 0,1051 Rosso-giallognolo. Sapore che tende all’asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione per IO ore senza gesso. Conciato con carubbe e scorze d’ arancio. Ila lasciato uua cenere bianca. 0,0510 Rosso-cannella. Sapore leggermente acido. » Vino particolare e fatto con cure speciali. Ha lasciato una cenere rossiccia. 0,1305 Rosso-cupo. Sapore stittico dolciastro. Proveniente da uva scelta posta al sole. Mosto in fermen- tazione senza gesso. Ila lasciato una cenere bianca. (0,1174 Rosso-granato. Sapore amarognolo. Proveniente da uva assortita insolfata— Mosto in fermen- tazione senza gesso— Vino conciato con radici di cardo. Ha lasciato una cenere verdognola. « Numero progressivo 58 io 11 12 13 14 15 INDICAZIONE DELLA PROVINCIA e COMUNE Prov. Catania Com. idem DELLA LOCALITÀ Pomacaro (propr. Benedettini) Prov. idem Com. Giarre Prov. idem Com. idem Prov. idem Com. idem Prov. idem Com. idem Prov. idem Com. idem 16 17 18 19 Prov. idem Com. idem Li nera Linera Piana di Mascali (Tarello) Feudogrande Feudogrande Feudogrande Prov. idem Com. idem Prov. idem Com. idem Prov. idem Com. idem Nunziata DEL NOME ORDINARIO Idem. Vino del bosco Zaccaria Olivi Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. a 'o o o ci a 13,5065 Acida forte 1,0004 13, 6 10,8052 Acida mediocremente 0,9962 13, 4 10,6463 Acida leggermente 1,0025 15, 8 12,5331 Acida leggermente 1,0049 15, 8 12,5531 Acida forte 0,9972 15, 4 12,2353 Acidetta 0,9976 12, 3 9,7723 Acida debole 0,9969 12, » 9,5340 acq 81,8! 83,01 83,711 86,1 |; 86,3; 83,30 82,08 83, li 86,:*$ 87,^ — 59 - i i Qualità fisiche OSSERVAZIONI E NOTIZIE sulla pratica TEMUTA NELL OTTENERE I VINI ANALIZZATI j| Materi inorga ni che 1 ceneri e e degustati VE ) 0,054 0, 277( Cosso-giallognolo. 5 Sapore asciutto. Animante. mmn- Mosi° Ila lasciato una cenere bianca. 3 Cosso-ciliegia. Sapore che tende all’ asciutto. Proveniente da uva scelta. — miscela. | 00,1605 Rosso-scuro. Sapore asciutto - animante. Prge™o pe? 9yòVrani!nS°lfaU- M°S,° in con II Ila lasciato una cenere verdognola. 9), 4403 Rosso-granato.- Sapore asciutto. Proveniente da uva assortita; insolfata. Mosto in fermenta- zione con gesso per 8 giorni. niermenta Ha lasciato una cenere rossastra. •',5033 Giallo-rossastro. Sapore asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione con gesso per 8 giorni. ema Ha lasciato una cenere rossastra. |l .1437 Rosso-cannella. Sapore dolce. Proveniente da uva scelta. Mosto in fermentazione senza gesso; vi si aggiunse dello spi- lla lasciato una cenere bianca. 1 4192 Rosso-granato. Sapore asciutto che tende all’a- maro. — PrrS“ per *10 inS0'fata- M0S‘° in fe‘-menlaz,011e i Ila lasciato una cenere rossastra. 4235 Rosso non tanto limpido. Sapore tendente all’acido. Proveniente da ura assortita; insolfata. Mosto in fermenta- 1 zione con gesso per 24 ore. 1 1 Iema Ha lasciato una cenere bianca. 6608 Rosso-granato, Sapore asciutto. Proveniente da una in serie.- insolfata-Mosto in fermenta- zione con gesso per 24 ore. Ha lasciato una cenere bianca. mo J Rosso-cupo, ìapore asciutto. 1 Moveniente da uva assortita; insolfata. Mosto in fermenta- zione con gesso per 8 giorni, la lasciato una cenere verdognola. ITTI ACC, VOI. III. 9 — 60 - o C/2 CO CD INDICAZIONE ci O o o AZIONE ri la al- Temp. 3° C. — ° £ £ j! sii QV ioti. So o DELLA. PROVINCIA DEL NOME ci sulle r"“< '= Il -5 .ci T-5 O o 'et H i- o o e COMUNE DELLA LOCALITÀ ORDINAR IO CD C3 03 Q CARTE REATTIVE Densi 1; l’acqua mei Valore 100 pa ALCOLE A* 20 Prov. Catania S, Giovanni Vino del bosco 1865 Acida 0,9962 9,2 ] 7,3094 90 Com. Giarre 21 Prov. idem Gurna Idem. 1865 Àcida 1,0005 11,2 8,8984 861 Com. idem leggiera 22 Prov. idem Tagliaborza Idem. 1865 Acida 0, 9974 12,8 10,1696 86 Com. idem — „ | Prov. idem Scorciavacca Acida 0,9991 17,8 14,1421 82 i 23 Com. idem Idem. 1865 debolmente . 24 Prov. idem Carlino Idem. 1865 Acida debolmente 1,0021 15,3 12,1558 83i Com. idem - _ 25 Prov. Siracusa Fontanella Vino delle terre forti. 1865 Acida 0, 9896 13,4 10,6463 86 , Com. Fioridia 2G Prov. idem Com. Comiso Bosco rotondo (Prop. Distefano) Idem. 1S63 Acida debolissima 0,9941 17,5 13,9037 82, ( — — s 27 Prov. idem Bosco rotondo Idem. 1866 Acida 0, 9893 13,1 10,4079 86, , Com. idem (Propr. Distelano) . V 28 Prov. idem Idem. 1857 Acida 0, 9913 15,4 12,2353 8D, Com. Noto leggiera I — 61 i QUALITÀ FISICHE e DEGUSTATI VE OSSERVAZIONI E NOTIZIE sulla pratica TEMUTA NELL’ OTTENERE 1 VINI ANALIZZATI 1 Materie inorga- niche ( ceneri ) 0,2629 Rosso-granato. Sapore non tanto asciutto— leg- giero. Proveniente da uva assortita insolfata— Mosto in fermenta- zione con gesso per 9 giorni. Ila lasciato una cenere verdognola. 0,5540 Rosso-granato. Sapore asciutto stittico. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione con gesso per 8 giorni. Ila lasciato una cenere bianca. 10,4793 Rosso-cupo torbido. Sapore che tende all’ acido. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione con gesso per 8 giorni. Ila lasciato una cenere bianca. f-' (0,5741 Rosso-granato limpido. Sapore asciutto animante. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto io fermenta- zione con gesso per 3 giorni. Ila lasciato una cenere rossastra. 00, 6G86 Rosso-nerastro. Sapore asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione con gesso per 6 giorni. Ha lasciato una cenere rossastra. 09,1672 Rosso-granato. Sapore che tende all’ asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione senza gesso. Ha lasciato una cenere bianca. (0,2430 Rosso-ciliegia. Sapore dolce poco asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione senza gesso. Ila lasciato una cenere verdognola. - ) i,1333 - 1,1853 Rosso-giallognolo. Sapore siittico dolciastro. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione senza gesso. Vi fu aggiunto dello spirito. Ila lasciato una cenere rosso-mattone. Rosso-ciliegia scuretto Sapore asciutto dolciastro. Proveniente da uva assortita insolfata— Mosto in fermenta- zione con poco gesso. Vino di 9 anni con miscela di vi- no più giovine. Ila lasciato una cenere bianca. - 62 - Numero progressivo INDICAZIONE Data della raccolta AZIONE sulle CARTE REATTIVE Densità riferita al- 1’ acqua = I . Temp- media 18° C. Valore alcoolico su 100 parli in volume Q I, sii 1 ooL DELLA. PROVINCIA e COMUNE DELLA LOCALITÀ j DEL NOME ORDINARIO ALCOOLE T AL J 29 Prov. Siracusa Coni. Modica Bugilfezza (Propr. Succes.) Vino delle terre forti 18G5 Acida 0,9954 13,5 10, 7257 84,! 30 Prov. idem Com. idem. Spana (Propr. Corulla) Idem . 1 S65 Acida leggermente 0,9899 13,» 10,3285 87, 65 - 84, 88, 31 Prov. idem Com. Vittoria Idem. 18G3 Acida leggerissima' mente 1,0010 12,8 10,1696 32 Prov. Caltanissetta Com. Piazza Ciavarini (Propr. Pergola) Vino andante 1SG6 Acida 0,9946 14,4 11,4408 33 Prov. idem Com. idem Gruppazzi (Propr. Giorgio) Idem. 18G6 Acida leggiera 0, 9890 11,7 9, 2956 34 Prov. idem Com. idem Ciavarini (Prop. Gullè) Idem. 18G6 Acida 0,9887 8,5 6,7532 91. 63 lì QUALITÀ FISICHE e DEGUSTATIVE OSSERVAZIONI E NOTIZIE sulla pratica TENUTA NELL’ OTTENERE I VINI ANALIZZATI Materie inorga- niche ( ceneri) 0,2651 Rosso-giallastro. Sapore asciutto stiltico. Proveniente da uva assortita completamente matura. Mosto in fermentazione con gesso. Ila lasciato una cenere rossiccia. 0, 2102 Rosso-giallognolo. Sapore asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione con gesso per 24 ore. Ha lasciato una cenere verdognola. 0, 1027 Color il’ ambra trasparente. Dolcissimo. Proveniente da uva moscadella scelta ben matura, un pò appassita al sole. Mosto in fermentazione senza nessuna miscela per 12 ore. Ila lasciato una cenere bianca. 0, 1571 Rosso-ciliegia. Sapore poco asciutto. s Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione senza gesso. Ila lasciato una cenere bianca. 0, 1651 Mosso-granato. Sapore asciutto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione senza gesso. Ha lasciato una cenere rossiccia. (0, 1722 Mosso-torbido. Sapore addetto. Proveniente da uva assortita insolfata. Mosto in fermenta- zione senza gesso. Ha lasciato una cenere rossiccia. , / INTORNO AD UN BAROSCOPIO LIVELLATORE A. COMEEISTSA.ZIO ME MEMORIA LETTA ALL’ ACCADEMIA GIOENIA NELLA SEDUTA DEL APRILE 1868 dal Socio corrispondente INGEG.VIKHE CAPO SEZIONE NELLE FERROVIE CALABRO-SICULE ATTI ACC. VOL. Ili, 9 I." S'TUDJ DELLE FERROVIE IN SICILIA IL*» si trattò dona costruzione dei, ferrovie in Sicilia il Sig. Commendatore Ingegnere Marsano , cui il Governo aveva affidato il difficile mandato di eseguire gli studi, per- corse con viaggi d’ esplorazione tutta risola all' oggetto di esaminare quali erano i punti che meglio si prestavano al passaggio della linea principale Messina-Catania-Palcrmo, c successivamente delle varie diramazioni dall’interno al li- torale—Nelle sue esplorazioni egli doveva tener conto non solo dell’ importanza dei centri di popolazione e delle ri- spettive risorse industriali, che possono alimentare una Fer- rovia, ma anche delle condizioni topografiche e geologiche dei terreni, studio più diffìcile assai del primo— L’ irrego- larità dei terreni che costituiscono quest’isola è tale, che non si può senza accurati studi determinare il passaggio di una linea ferroviaria, come nei terreni piani, ove, quando — 68 - non si voglia tener di mira la spesa, la costruzione è quasi sempre possibile. Ad eccezione della Piana di Catania tutto il resto del- l’isola è costituito di altipiani, valli e monti, prodotti da vulcani estinti, sollevamenti di terreni sottomarini, od avval- lamenti con un tal disordine da scoraggiare a tutta prima il più esperto Ingegnere— La mancanza inoltre di carte topografiche, (salvo quella di Smyth, tutt’ altro che esatta) aumentò le difficoltà di questi studi, c si dovettero percor- rere i terreni palmo a palmo, riservando a tempo oppor- tuno gli studi di dettaglio, per stabilire preventivamente con una certa approssimazione una serie di punti alti metrici coordinati alla posizione dei paesi, c studiare le pendenze, le curve, ed i punti principali da superarsi con dei trafori. II. LIVELLAZIONI BAROMETRICHE Questi studi di massima stante la ristrettezza del tem- po concesso dal Ministero, e l’impossibilità di eseguirli sol- lecitamente con operazioni geodetiche, vennero fatti dal Commendatore Marsano con livellazioni barometriche, ser- vendosi contemporaneamente dei barometri a mercurio, e di quelli metallici. Malgrado le grandi difficoltà che presentano simili ope- razioni in quest’isola, a causa delle frequenti c rapidissi- me variazioni di temperatura c di pressione atmosferica, i risultati ottenuti furono tali, che si potè immediatamente determinare l’andamento generale della linea, e spiegare negli studi di dettaglio, cui presi parte per circa tre anni, quell’attività che sfortunatamente stante la crisi finanziaria, non si può imitare nella costruzione. Le irregolarità del suolo esigevano una serie di punti — 69 — altimetrici o quote , che si determinavano o col livello, o col teodolite contemporaneamente alle operazioni di rileva- mento— Molto sovente poi si presentavano due passaggi differenti tra due punti, ed occorreva studiarli non meno accuratamente 1’ un dell’altro onde poter scegliere il più conveniente. Le operazioni di livellazione furono per conseguenza lunghissime e di considerovole dispendio. La somma di tutte le difficoltà che incontrai nelle mie operazioni coi livelli ordinari, mi indusse a studiar modo di diminuirle, cercando mezzi più rapidi e comodi, special- mente quando si tratta di studi di massima ove non è ri- chiesta la precisione dei tracciati o studi definitivi. Anche l’economia fu per me oggetto di molta consi- derazione poiché vidi per esperienza quanto costino le ope- razioni che richieggono vari 'uomini di servizio , non di- scorrendo del prezzo elevato di buoni stromenti, c dei fre- quenti guasti , per cui spesso si debbono sospendere le ope- razioni. Ricordo a questo proposito che una reticola di livello a cannocchiale ha costato più di 100 lire per viaggi e tem- po perduto, avendo l’ operatore dovuto portare lo stromento dall’ interno dell’isola a Messina ove io stesso ne rimisi una altra. III. BAROMETRO MOLTIPLICATORE Un barometro moltiplicatore più sensibile di quelli di cui possiamo in oggi disporre, era evidentemente lo stru- mento da sostituirsi con vantaggio al livello, potendosi con due apparecchi , di cui uno fisso eseguire le operazioni con economia di tempo e di spese; passai perciò in rasse- 70 — gna i barometri più in uso, e diedi la preferenza a quelli metallici per la loro solidità e facilità di trasporto. Dal pa- ragone dei differenti sistemi, rilevai, che il Barometro Bour- don è più sensibile di quello aneroide altrimenti chiamato olosterico dal Sig. Naudet, non lo credo tuttavia di sensi- bilità sufficiente per essere adoperato con vantaggio tal quale è costrutto attualmente, essendo inoltre difficilissimo l’ in- trodurvi delle modificazioni per la forma particolare della sua scatola pneumatica — La trasmissione delle oscillazioni della scatola alla lancetta si fa per mezzo di un settore den- tato, ed un rocchetto, mentre nell’ olosterico agiscono due semplici leve, ed una catenella d’ acciajo avvolta all’ albero della lancetta. Le ruote dentate per quanto esattamente divise e ripu- lite producono un considerevole attrito e si verifica sovente che la lancetta non obbedisce in modo continuo al movi- mento della scatola, saltando poi d’ un tratto varie divisio- ni per rimettersi come prima in stato di inerzia— Non tor- nerà inutile il fare osservare , come molti finora abbiano descritto in modo più o meno completo il barometro olo- sterico , ma pochissimi abbiano consecrato del tempo per studiarne in modo speciale i difetti. Io vidi generalmente far uso dei barometri metallici anche nelle livellazioni senza tenere strettissimo conto delle cause d’errore prodotte dai cambiamenti di temperatura, arrivando taluni a credere clic lo strumento sia a compensazione, locchè spesso danno ad intendere i venditori per ottenere un prezzo più elevato. Basta esaminarne la costruzione per vedere che la com- pensazione non esiste, essendo le leve metalliche soggette all’influenza del calore , ed il volume d’aria rarefatta ri- masta nella scatola pneumatica , passibile di un tale au- mento da produrre una dilatazione delle pareti ed una de- viazione della lancetta di oltre due millimetri per ogni cinque o sei gradi di calore. — 71 — Nessuno finora ha parlato di questa causa d’ errore che è pur tuttavia molto considerevole. Si dice generalmente , descrivendo i barometri metal- lici, che nella scatola pneumatica si fa il vuoto. Mentre l'a- ria vi è semplicemente rarefatta— Vedasi Compendio di fìsica sperimentale di Giorgio Luvini . Pag. 198. Trattato elementare di fisica e meteorologica di A. Ganot. Pag. 143. La lamina metallica di cui si fanno queste scatole è sot- tilissima c non reggerebbe alla pressione di una, nò di mezza atmosfera — Difatti i barometri ordinari che si ven- dono in commercio , cessano di funzionare all’ altezza di 2000 Metri circa sul livello del mare , perchè la densità dell’ aria rimasta nella scatola viene ad essere eguale a quella che si trova all’altitudine suddetta; Depressioni ri- sultando eguali le pareti della scatola sospendono i movi- menti per effetto dell’ avvenuto equilibrio. Un’ultima osservazione, che è stata fatta pure dal prof. Silvestri a Parigi, è clic tutti i costruttori di Barometri si accordano nel dare a credere a chi li interroga , che le scannellature circolari c concentriche che si vedono sulle pareti parelelle delle scatole, siano impresse per aumentar la superfìcie esposta alla pressione dell’ atmosfera, quando al contrario la loro funzione è di dare alle pareti quella elasticità clic non avrebbero con una forma piana, oppure di una calotta sferica. Nei barometri olosterici attuali un grado della mostra o quadrante corrisponde all’ indicazione di 1 millimetro del Barometro a Mercurio , ed ha approssimativamente l’ampiezza di un millimetro effettivo, o poco più — Se con- servando lo stesso apparecchio di trasmissione, invece di una scatola se ne mettessero due convenientemente colle- gate, la pressione atmosferica esercitandosi contemporanea- mente sulle due scatole, la lancetta percorrerebbe uno spazio di due millimetri, spinta da una dilatazione due volte più grande. Collegandone più di due si otterrebbero delle di- visioni grandissime comodamente divisibili in 10 parti , sempre quando si modificassero convenientemente le fun- zioni delle leve. 10 stava attuando questo progetto e già aveva costrutto varie scatole, quando mi venne in mente un’idea che mi parve migliore, di cui parlerò fra poco , ed ebbi in pari tempo conoscenza di altri sistemi ultimamente suggeriti od adottati per aumentare la sensibilità dei barometri. Sospesi le mie ricerche e volli prima prendere cono- scenza di questi nuovi sistemi, di cui il primo che esaminai fu il Barometro denominato Svizzero. IV. BAROMETRO SVIZZERO. 11 primo modello che ho visto , fu a Torino presso il Commendatore Noè distintissimo Ingegnere Idraulico, clic penetrato per la sua grande pratica dell’utilità d’un baro- metro sensibile per studi di massima tanto di strade quanto di canali in terreni montuosi , aveva rivolto la sua atten- zione a questo barometro, coll’intenzione di perfezionarlo. É formato di un tubo di vetro di due a tre millimetri di diametro , aperto alle due estremità , di cui f estremità inferiore pesca in un recipiente ermeticamente chiuso. Met- tendo dell’ acqua nel tubo scende nel recipiente finché rag- giunge la base del tubo stesso — - L’ aria ivi contenuta si comprime ed acquista una forza elastica , che fa equilibrio alla pressione dell’atmosfera, più a quella prodotta dal peso della colonna d’acqua che prese posto nel tubo. Diminuendo la pressione atmosferica, l’acqua si alza, ed aumentando la pressione scende, e siccome l’ acqua pesa 13 , 6 meno del Mercurio T altezza della colonna risulta - 73 — maggiore di 13, 6 della colonna mercurio nei barometri ordinarli. Se si potesse operare in una temperatura costante, nessun dubbio che questo barometro riuscirebbe utilissimo, e sarebbe di una semplicità insuperabile — Sfortunatamente dovunque si operi , le variazioni di temperatura sono fre- quentissime, e la differenza di un solo grado basta per au- mentare il volume d’ aria contenuto nel recipiente, produ- cendo oscillazioni fortissime nella colonna d’acqua. Costrussi tuttavia aneli’ io 1’ apparecchio, e dopo tre o quattro disposizioni differenti arrivai a sottrarlo quasi in- teramente dalle variazioni della temperatura — Io non esi- terei a servirmene promettendomi buoni risultati, credo però che abbisogni ancora di altri perfezionamenti prima di po- tersi adoperare con pieno successo. V. BAROMETRO CAMPIONE* MOLTIPLICATORE DEL SIG. VECCHI Di un nuovo barometro ultimamente inventato, lessi un’ erudita descrizione nel giornale di Fisica, Chimica, e Storia Naturale, intitolato il Nuovo Cemento, stampato a Pisa, pubblicazione del 31 Gennajo — Il Dottore Vecchi ha cercato di sostituire l’acqua al mercurio, idea che non è originale di lui, ma della quale nessuno si era finora feli- cemente approfittato. Senza darne la descrizione dettagliata, farò breve cenno del principio su cui è costrutto, e degli inconvenienti, che credo potervi scorgere, utilizzandolo nelle livellazioni. Il Barometro del Sig. Vecchi ò formato di un tubo di cristallo ricurvo a forma di U, disposto verticalmente , di cui una branca chiusa l’ altra aperta. Nella prima , e IATT ÀCC. YOL. III. 10 — 74 - parie della seconda havvi del mercurio , come nei baro- metri ordinari i . Nella rimanente parte e sopra il mercurio si trova dell’acqua derivata da una pompa con cui la branca è in comunicazione — Occorrendo una variazione dì pressione atmosferica , che produca un’ abbassamento della colonna di mercurio si fa passare per mezzo della pompa tanta acqua sulla faccia terminale inferiore del mercurio da farla risalire al piano che occupava prima — La densità dell’ ac- qua stando come si è detto a quella del mercurio come 1 : 13,6 le altezze delle colonne rappresentate saranno in- versamente proporzionali c quella dell’acqua sarà 13, 6 maggiore di quella di mercurio. Secondo l’autore questo barometro sarebbe esattissimo, comodo a portarsi c di uso facile , avendo egli ridotto le molteplici forinole di correzione ad una sola abbastanza sem- plice. Essendo ben costrutto non pongo dubbio clic possa funzionare regolarmente — Ammetto, che le forinole di cor- rezione dedotte con molto studio distruggano completamente le differenti cause d’ errore generale dagli effetti della tem- peratura ; concedo ancora che con un pò di attenzione si arrivi a manovrare convenientemente la pompa , ma non posso concedere che sia comodo a trasportarsi avendomi 1’ esperienza dimostrato quanti riguardi ci vogliano per viag- giare coi barometri Fortin, che son pure i più comodi — Lo tre viti poste all’effetto di ottenere la verticalità dello stru- mento richiedono un piano su cui appoggiarsi , quale ra- ramente incontrandosi in campagna, bisogna surrogarlo con un trepiede. Questa sola condizione, a parte la facilità di rompere il tubo, basta per renderlo incommodo nelle livellazioni minute, ove la maggior parte del tempo si perde a met- tere lo strumento in rettifica. — 75 — Del resto poi, finché il barometro, sia anche sensibi- lissimo ed esatto richiede 1’ applicazione di calcoli che as- sorbono un tempo maggiore di quello impiegato nelle ope- razioni ordinarie sarà sempre condannato a domicilio coatto negli osservatori i, o nei gabinetti di studio a segnare la pioggia ed il bel tempo. VI. BAROMETRO RISATI Il Signor Pisati professore di tisica al liceo di Ancona stampò ultimamente pure una nota die leggesi nel giornale suddetto, intorno ad un barometro a due liquidi quasi iden- tico a quello del dottore Vecchi, e che per effetto di una sin- golare combinazione fu ideato quasi contemporaneamente coll'aggiunta in quest’ ultima di un apparecchio elettrico per determinare con precisione la posizione della faccia termi- nale di mercurio nel tubo. Inutile il dire, che questo meno del primo fa il tornaconto degl’ingegneri, pel solito incon- veniente delle numerose cause di errore, della complicazione dell’ apparecchio, e difficoltà di trasporto. Visto che questi ultimi sistemi non risolvevano il pro- blema nell’ interesse delle operazioni di livellazione, deter- minai di ripigliare le mie incominciate ricerche. Il distinto Professore Cav. Silvestri Direttore del Gabi- netto di Chimica all’Università di Catania, m’ incoraggiò a sviluppare il mio ultimo progetto di cui era a conoscenza, dandomi molti preziosi suggerimenti, e mettendo a mia di- sposizione le macchine occorrenti per le esperienze a farsi — Accettai , ed ecco in principio qual’ è lo strumento da me ideato.: * M « 76 — VII. BAROSCOPIO LIVELLATORE Nel misurare la capacità di una scatola cilindrica a pa- reti elastiche, simile a quella del barometro olosterico, os- servai che dopo rarefatta l’aria, la distanza interna delle pareti paralelle diminuisce di circa un quinto senza compro- mettere la solidità, nè l’elasticità della scatola. Riempiendo d’acqua una scatola così costrutta, e com- primendone le pareti, se ne scaccia un volume, che rac- colto in un tubo verticale di piccolo diametro, convenien- temente diviso, indica il valore della pressione applicata alle pareti, e se il tubo ha 1 millimetro di sezione, sortendo dalla scatola 1/2 gramma d’acqua, la colonna liquida risul- tante raggiungerà l’altezza di 50 Centimetri — Alla pressio- ne artificiale sostituendo quelle dell’atmosfera per l’inter- mediario di una scatola a pareti elastiche, in cui siasi rare- fatta l’aria, si avranno delle oscillazioni della colonna li- quida che segneranno esattamente le variazioni della pres- sione atmosferica. Per l’ applicazione di questo principio la scatola pneuma- tica deve avere le pareti robuste ed clastiche ad un tempo, e dimenzioni assai maggiori di quella del liquido, giacché basta un gramma d’acqua per produrre una colonna di un metro di altezza. È di molta importanza che la scatola con- lenga un piccolo volume di liquido al fine di ridurre al minimum le cause d'errore prodotte dagli effetti della tem- peratura, c si vedrà parlando della compensazione quale sia il volume da stabilirsi, dovendo questo essere in rap- porto colle dimensioni di un pezzo particolare dell’ appa- recchio, come si vedrà a suo tempo. Dirò ora come arrivai a priori a determinare queste dimensioni, a conoscere cioè il rapporto tra la dilatazione della scatola pneumatica ed il peso dell’aria. Dopo fatto il vuoto o meglio rarefatta l’aria della sca- tola che chiamo pneumatica per distinguerla da quella del liquido, la posi sotto la campana pneumatica con un ec- cellente Barometro olosterico, costrutto con cura speciale dal Sig. Naudet a Parigi per commissione del Prof. Silvestri. Aspirando una quantità d’aria dalla campana, le due scatole metalliche si dilatarono, quella del Barometro olo- sterico, imponendo il suo movimento alla lancetta, l’altra allargando un compasso così detto di spessore , conve- nientemente applicato alle pareti per questo sperimento — Mentre le pareti paralel le della scatola da me costrutta si dilatavano di 1 millimetro, la lancetta del Barometro ane- roide segnava una diminuzione di pressione corrispondente a 33 Millimetri della colonna di mercurio, ossia ad una co- lonna d’aria dell’altezza di 400 Metri circa sul livello del mare — Dedussi da questo esperimento che per avere una colonna liquida dell’altezza di 1 metro a 400 metri sul li- vello del mare si deve produrre la depressione di 1/2 mil- limetro sulle pareti paralel le di una scatola cilindrica , della capacità di due centimetri cubi, e dell’ altezza interna di 1 millimetro. Supponendo per ora omogenea la densità dell’aria da 0 a 400 Metri, ed essendo come ho detto la colonna liqui- da alta un metro , 1’ ampiezza delle divisioni sul tubo del barometro risulterebbe di Millimetri 2 1/2 per metro. Par- lerò più sotto della diminuzione prodotta dagli attriti nella trasmissione dalle oscillazioni, e dalla resistenza delle pareti della scatola del liquido. Ottenute queste dimensioni approssimative, mi occupai della disposizione meccanica dello stromento onde renderlo comodo , e servibile a qualunque altezza con un tubo di lunghezza non maggiore di 50 Centimetri. — 78 - Disposi la scatola pneumatica sopra due colonnette so- stenute da una lamina di acciajo Fig. 21. —Alla parte ante- riore fissai la scatola del liquido per l’estremità dell’asse A essendo T altra estremità D libera — Sul prolungamento de- gli assi di queste due scatole collocai una vite, clic girando può spingere avanti la scatola pneumatica , e metterla in contatto con la scatola del liquido — Alla minima pressione sofferta dalla parete la scatola diminuisce di volume, e scaccia l’acqua nel tubo C. A metà altezza di questo tubo segnai il zero, punto a cui bisogna far salire la faccia terminale della colonna li- quida prima di mettere lo stromento in funzione. Se dopo questa operazione si sposta lo stromento , e si porta p. e. in alto, la pressione atmosferica diminuisce, e la scatola pneumatica si dilata — Non potendo recedere dalla parte della vite si dilata verso la scatola del liqui- do D e la comprime. Viceversa scendendo dall’alto al basso o diminuendo la pressione atmosferica la scatola pneuma- tica si contrae ed è ricondotta contro la vite E dalla mol- la F lasciando in libertà la scatola del liquido, che riprende la forma c capacità primitiva, ritirando nuovamente l’acqua espulsa. Una tal disposizione permette di far delle livellazioni a grandissime altezze , difatti le operazioni da eseguirsi col barometro essendo le seguenti, dimostrerò come si possono risolvere. /. Ricerca della differenza di livello fra due punti compresi in una zona minore di 200 metri. 2. Ricerca della differenza di livello tra due punti compresi in una zona maggiore di 200 Metri. 8. Osservazione in un punto fìsso delle variazioni di pres- sione atmosferica . — 79 - 1° Per risolvere il primo quesito basta far giungere per mezzo della vite la faccia terminale del liquido a metà del tubo, ossia a zero incominciando la livellazione a metà altezza circa della zona — Se si incomincia ad operare dal punto più alto, si determina il zero all’ estremità superiore del tubo, ed all’ estremità inferiore se dal punto più basso. 2° Nel secondo caso, volendo determinare la differenza di livello tra due pareti compresi in una zona maggiore di 200 Metri si farà una livellazione composta a stazioni di 100 in 100 metri, si mette cioè a zero la faccia terminale della colonna lìquida , e quando per diminuzione della pressione atmosferica giunge all’estremità del tubo, si fa retrocedere la vite, e si rimette a zero , tenendo nota del- l’altezza superata— Se la scatola pneumatica è convenien- temente costrutta, si può giungere mediante la ripetizione di questa operazione ad altezze considerevoli di 4000 a 5000 metri. Per verificare la livellazione dell’alto al basso si fa l’ope- razione inversa col zero disposto all’ estremità superiore del tubo. 3° Se finalmente si vogliono conoscere le semplici varia- zioni della pressione atmosferica in un punto fìsso, basta mettere lo stromento in funzione spingendo per una volta tanto la colonna liquida a zero. Siccome però in questo caso le variazioni di pressione potrebbero essere tali da cor- rispondere tra il massimo e minimo ad una colonna di mer- curio di 55 millimetri, si rende necessario un tubo più lun- go, volendo conservare le grandi divisioni, oppure si ri- ducono queste ad un millimetro per metro, bastando in tal caso un tubo di 60 C.tri di lunghezza. In questo barometro come si è osservato, si può non solamente avere una graduazione differente cambiando i tu- bi, ma si può adottare acqua o mercurio, quantunque le densità siano tanto differenti- É evidente però, che volen- - 80 - do adottare il mercurio si dovrebbe applicare un tubo di minor diametro ed una scatola pneumatica piu grande con pareti più resistenti, o meglio ancora due scatole riunite, come ho esposto precedentemente, parlando del barometro metallico a molteplici scatole— Io provai i due sistemi, ma l’esperienza mi ha dimostrato che le scatole ad acqua sono preferibili a quelle a mercurio , perchè più sensibili , vale a dire più obbedienti ai movimenti della scatola pneumatica. Quanto all’ insieme della disposizione meccanica di que- sto apparecchio, non è di rigore quella che ho descritto, potendosi senza compromettere l1 esattezza o regolarità delle funzioni, disporre le scatole orizzontalmente invece che ver- ticali, e fissare la scatola pneumatica, rendendo mobile quella del liquido. Come ho detto, l’applicazione di lunghe formolo per il calcolo delle quote barometriche non talenta ad una gran parte di viaggiatori ed anche di persone tecniche che ten- gono prezioso il tempo, e fa d' uopo convenire che quan- tunque queste siano basate sui principi! più rigorosi della scienza, poste in applicazione è rarissimo, che corrispon- dono colla dovuta precisione. Nessuno contesterà che in questo strumento la corre- zione per la dilatazione del tubo si può trascurare senza compromettere l’esattezza delle operazioni — Le maggiori cause d’errore si riducono quindi a due, prodotte dall’influen- za della temperatura sul volume del liquido contenuto nella scatola, e sul volume d’ aria rarefatta che rimane nella sca- tola pneumatica dopo fatto il cosidetto vuoto. Per rendermi conto della prima correzione esposi a dif- ferenti temperature lo strumento, unendovi un buon ter- mometro, e dedussi dalle indicazioni di questo le divisioni termometriche da segnarsi sul tubo del barometro, preci- samente come si opera per graduare un termometro ordì- — 81 - nario, colla differenza che in questo caso basta elevare la temperatura a 50. od al più 60 gradi. Conosciuto il valore delle divisioni termometriche non riesce difficile, mentre si opera tener d’occhio un buon ter- mometro e far le opportune correzioni, se vi fu un cam- biamento di temperatura pendente il passaggio da un punto all’altro, col sottrarre od addizionare all’altezza della co- lonna liquida la differenza indicata dal termometro, conve- nientemente riferita alle divisioni come sopra ottenute. La seconda causa di errore prodotta dal cambiamento di volume dell’aria rimasta nella scatola pneumatica, viene corretta contemporaneamente a quella di cui sopra si è parlato, giacche la colonna liquida sulla quale si determi- nano le divisioni termometriche è prodotta dall’aumento di volume del liquido e da quello dell’aria rarefatta nella scatola pneumatica. Credo superfluo il dimostrare l’inutilità di tener conto della diminuzione di liquido prodotta dall’ evaporazione nel tubo giacché, dovendosi mettere la colonna a zero prima di operare, e potendosi a volontà riferire l’altezza di questa ad un punto altimetrico conosciuto, si rendono inutili le corre- zioni. E qui suppongo, che lo strumento si trovi in condizioni normali, giacché se non avesse funzionato da molto tempo o si fosse sottratto del liquido per cause fortuite, la vite di pressione non basterebbe per far salire la colonna a zero, ed ancorché bastasse non converrebbe avanzarla per non comprimere eccessivamente la scatola del liquido a scapito della sua elasticità. Rimarrebbe un’ ultima correzione per gli effetti della temperatura sulla lamina d’acciajo che riunisce le due colonnette, ma siccome questi effetti sono in senso cor- rettivo e su questo appunto riposa il principio della compen- sazione, che applicai al mio baroscopio, mi riservo di ri- tornare su quest’articolo parlando della compensazione. il UTT ACC. VOI. 111. In mancanza eli macchinisti e malgrado i pochi mezzi eli cui ho potuto disporre, costrussi io stesso lo strumento suel- descrilto, e lo provai montando per la strada eli Nicolosi sino all’altezza eli oltre 400 metri, confrontando le indicazioni elello strumento con delle quote altimetriche determinate col livel- lo. Il risultato è stato soddisfacente, e le indicazioni otte- nute corrisposero assai bene alle quote elei punti livellati — Oggetto principale eli questa escursione era la graduazio- ne del tubo per la scala barometrica, che potendo è meglio farla sul terreno, col prendere la media eli una serie di quo- te osservate in varie ascensioni ed a condizioni normali dell’ atmosfera, od altrimenti colla macchina pneumatica ed un buon barometro campione; — Ma trattandosi eli una prova ricorsi al primo mezzo, comodissimo per la grande facilità eli paragonare i risultati coi punti altimetrici di cui è attual- mente tempestata tutta la superficie dell’ Etna per livellazioni dirette ed operazioni geodetiche elello Stato Maggiore. La posizione eli Catania per chi voglia fare degli studi sui barometri , è unica, potendosi in quasi tutto V anno sa- lire sull’ Etna, il solo monte in Europa che raggiungendo un’ altezza eli oltre 3000 metri si elevi con una inclinazione così rapida dal livello elei mare, che ne lambisce la base della falda orientale. In meno di tre ore si può arrivare in carrozza all’altezza eli oltre 700 metri, ed in 10 ore dal li- vello del mare a 3000 metri. Ho eseguito il primo esperimento con un tubo il cui diametro mi ha prodotto elclle elivisioni eli un solo milli- metro per metro, clic però credo più clic sufficiente per una operazione eli prova non solo, ma anche per le opera- zioni eli livellazione, essendo provato come nota il Prof. Pi- sati, che una eccessiva sensibilità in un barometro eia facile campo allo sviluppo eli nuove cause eli errore clic ne distrug- gono il pregio , ed a questo proposito fa osservare come Ituyghcns stesso si limitasse a delle indicazioni undici volte — 83 — maggiori di quelle del barometro a mercurio ordinario, quan- tunque potesse ottenerne delle più grandi dal suo. Dai buoni risultati di questo esperimento fatti con uno strumento di primo getto, riconoscendo 1’ utilità di renderlo completo mediante la compensazione, studiai, e trovai come dimostrerò più sotto, il modo di ottenerla. Parlando della scatola del liquido, ho detto che la sua capacità deve essere di 2 centimetri cubi , e la distanza interna delle pareti paralclle di 1 millimetro— A 50° di calore il volume d’acqua aumenta di 1/46 d’onde un volume to- tale di 2043,48. Questo eccesso di volume sorte dalla scatola c si dispone nel tubo, ma la lamina che porta le due co- lonnette su cui stanno le scatole, dilatandosi essa pure, le allontana , e diminuendo il contatto, la scatola del liquido riprende la capacità primitiva raccogliendo 1’ acqua , che 1’ aumento di temperatura aveva fatto passare nel tubo. In- fatti la dilatazione lineare dell’ acciojo a 100 è di 1/927 o per comodità di calcolo di 1 millimetro per metro. La la- mina essendo di 10 centimetri di lunghezza a 0° si allunga a 50° di 1/20 di millimetro aumentando la capacità della scatola di 1/20 ossia di 50 millimetri cubi, volume maggio- re in apparenza di quello ricercato , ma che si riduce ap- prossimativamente al necessario, se si tiene conto della causa d’errore che produce la dilatazione della scatola pneu- matica per l’aumento di volume dell’aria rarefatta che contiene. Volendo applicare delle scatole contenenti un maggior volume d’acqua, bisognerebbe cambiare la disposizione dello apparecchio di compensazione , perchè quello precedente- mente descritto non sarebbe sufficiente, a meno di allungare la lamina che riunisce le due colonnette, locchè renderebbe incommoda la forma del baroscopio— In questo caso si può aggiungere una seconda scatola piena di liquido in comu- nicazione con la prima su cui si tratta di stabilire la coni- — 84 - sensazione. Questa seconda scatola le cui pareti si sottopon- gono all’ azione eli una lamina di zinco farebbe approssima- tivamente le funzioni della pompa nel Barometro Vecchi, spingendo nel tubo una quantità di liquido, se compressa od aspirandola se per effetto del calore le sue pareti sono al- lontanate . Ho citato questo secondo sistema di compensazione u- nicamente nello scopo di dimostrare come vari modi si presentino per ottenerlo, ma è evidente che il primo mez- zo è assai più semplice, ed è passibile di maggior effetto se si sostituisce alla lamina d’acciajo su cui riposano le colon- nette una lamina di zinco, metallo molto più sensibile agli effetti della temperatura. Un’abile macchinista di matematica a Torino eseguirà questi due sistemi di compensazione con tutti i perfeziona- menti possibili ed appena potrò stabilirne il paragone, mi farò premura di comunicarne i risultati a questa Illustre Accademia , offrendole in pari tempo il primo campione che verrà costrutto secondo il principio che ebbi V onore di esporre . S jil e ó azioni AB om< J.jt iv 'icot-tc I-Ol/ D CO Vl/to liC il l o I 4 ^Divf' 0 oli- ve \lo iyu /C4H-vU.I'VVtCOI^MM-te/ co?£ ll*l-0‘f(V òltlAolc/ll 01/ , B cS^u-tV .> c B i*!.«l!llcv -Ocoi t.ivPcv T 91 U f f. iv X C\i'Cli.Vji> ,C io B/ V,lC.0H-ol n-CM, f li .H' coulto -fot Ml-lo E E E (Po'? o un» H e il «vc-cliv^o I i^lVU VH 1-00 l'iv CVlUM lX-jj o i> d-i- X-liv&O RI t'iv,, ovoli? eivuo n i » c u i «/ /ci-vvcfj i u ò o I I i <• i i lo. Afa / ovco^ncv. 01/ Iir. IV t Il IH I I COI/ 1) «loto,, t; /fo ■>' l.ll K ^ iti vallalo colfo clltUC 11,'uMli inoli lE’l VCVO ) Fin li Syii e ò azioni M ^ftiiuniinl'to o V olivi oai o W cScO/Cft/ ole? iJi) iVXOACO JO-1,0 X'X. SULLA MATURAZIONE DEI FRUTTI DI BANANO ( MUSA SAPIENTUM L. ) RICERCHE 'CHIMICHE DI LETTA ALL’ACCADEMIA GIOENIA NELLA SEDUTA DEL 15 APRLE 1868 ATTI ACC. YOl. 111. 12 JLe varie specie di Banani o Muse di cui nei paesi del Nord anche dell’Italia si coltivano dei rari esemplari dentro le stufe calde ove non giungono mai a fruttificare, si vedono invece nell’Italia meridionale e specialmente nella Sicilia prosperare in piena aria e si trovano diffuse nei giardini come il più bell’ ornamento dei medesimi, dappoiché per le loro lunghe e larghe foglie, per il loro aspetto esotico, danno alla cultura nostra una idea della vegetazione tropicale. È noto come queste piante siano conosciute dalla più alta an- tichità per i loro frutti abbondanti, nutritivi c saporiti, dei quali i più usati provengono da tre specie. Dietro quanto ne fa sapere Plinio alcuni servivano un tempo di nutrimento ai Bramini o Sapienti delle Indie c fecero dare il nomedi Banano dei sapienti o Musa sapientum L. ad una specie. Un’ altra specie fu chiamata Banano del Paradiso o Musa paradisiaca L. perchè si suppone che sia l’albero dell’an- tico testamento. La terza specie più usata per i frutti è il Banano della China o Musa Chinensis Swect. - 88 - Avendo a mia disposizione alcune piante della prima spe- cie, mi è venuto il desiderio di fare qualche ricerca sui cambiamenti che provano durante il processo di matura- zione i frutti nella loro composizione immediata e ne espongo adesso sommariamente alcuni resultati. I frutti o fichi banani di forma ovoide allungata, leg- germente ricurva, hanno una lunghezza compresa fra 0,m08 c 0,m 12: allorché sono maturi sono gialli, si spogliano facil- mente del loro involucro esterno o epicarpo e presentano una polpa (sarcocarpo) molto piacevole al gusto per essere formata da un tessuto molle, di sapore dolce, accompagnato da un aroma soave simile a quello deir ananasso. Il peso dei frutti della specie da me esaminata varia da 12|gr 7 a 78,gr5 secondo la grandezza maggiore o minore che presentano ; in media è di 45,gr6. Il peso dell’involucro esterno epicar- po, rispetto alla polpa interna, sta nel rapporto di 2,gr5 a 10,gr2 nei frutti più piccoli del peso di 12,gr 7; di 15,gr5 a 63 gr nei frutti più grossi del peso di 78,gr5. In media: cllil 100 frutti completi pesano 4,560 rhil di questi i soli epicarpi 0,900 rhil Peso della polpa 3,660 cioè il peso degli epicarpi sta a quello della polpa quasi nel rapporto di 1 : 4. La polpa nei frutti immaturi presenta l’aspet- to di una materia di una densità=0, 8956 temp.14°C. verdastra, composta di tessuto cellulare traversato da vasi proprj latici- feri e tanniferi, come rilevasi dalla osservazione microsco- pica. Immergendo una sezione della polpa in una soluzione di un sale ferrico, i vasi tanniferi si colorano immediata- mente in nero. Sulla natura e disposizione di questi vasi ho trovato perfetta concordanza con quanto ha dimostrato - 89 il recente lavoro del Sig. A. Trecul (1). La polpa dei frutti verdi somministra con la pressione il 38 per °/0 di materie liquide acide della densità 1,0179 (temp. 14° C.) capaci di dare un leggiero precipitato di sottossido di rame col tar- trato cupro-potassico ed evaporate a bagno maria lasciano 1,5 per °/0 di materie organiche fìsse. La polpa dei frutti maturi è molle e quasi butirrosa, bianca o leggermente giallognola e mi ha mostrato alla tem- peratura di 14°C. la densità media di 0,919: densità che in- sieme al colore bianco essa viene ad acquistare solo allor- quando i frutti sono maturi, mentre prima di questa epoca (che suole essere per la Sicilia nel gcnnajo e febbrajo) i frutti sono verdi e la polpa presenta una densità minore. I frutti prima di maturare sono ricchi di principj acidi astringenti che producono al gusto una sensazione spiacevole; ma que- sti diminuiscono in quantità in ragione inversa del pro- cesso di maturazione che è nei frutti di banano come per moltissimi altri una vera saccarificazione, durante la quale i detti principj acidi non solo, ma anche i cellulosi, pas- sano a trasformarsi in zucchero. Fra i principj acidi oltre l’acido tannico ho trovato la presenza dell’acido formico, ma questo vi è contenuto in così piccola proporzione che per metterlo in piena evidenza è necessario sottoporre alla di- stillazione una gran massa di frutti verdi. I principj gelatinosi sono rappresentati da una sostanza amorfa simile alla gom- ma, neutra, che si gonfia a contatto dell’ acqua ove si scioglie e si rapprende in massa gelatinosa (pectina). Tale sostanza bollendo con acqua a contatto delle materie azotate che si trovano nella polpa dei medesimi frutti, acquista proprietà acide e forse si trasforma nei due acidi già conosciuti col (1) Des vaisseaux propres et du tannin dans les Musaceès— Comptes rendus de 1’ Ac. des Scienc. Paris n.° 10-11. — mars 1868. — 90 - nome di acido pectosico e pectico. È a queste materie ge- latinose che devono i frutti la proprietà nutritiva: secondo Humboldt un ettaro di banani produce 184300 chilogrammi di sostanza alimentare. Ecco i resultati dei più notevoli cambiamenti chimici che l’analisi mi ha dimostrato effettuarsi sui frutti di bana- no verdi nel passare allo stato di loro completa maturità (*). Frutti Frutti gialli verdi e maturi Acqua 78TJ . . . . ' . 83,0 Zucchero intervertito. . . . . 0,9 . . ... 8,7 Cellulosa . 3,4 . . ... 2,5 Principj gelatinosi e azotati . . 2,5 . . ... 4,5 Principj tannici astringenti . . 6,0 . . ... 0,8 Acido formico .traccie . • • • " 99,8 99,5 Si vede bene clic nella maturazione i principi tannici astrin- genti quasi spariscono, l’acqua del pari c la cellulosa su- biscono una notevole diminuzione e tutto questo contribui- sce all’aumento notevole nella proporzione dei principi ge- latinosi e specialmente di quella dello zucchero che da 0,9 per °/0 nei frutti verdi, passa alla quantità di 8,7 quasi 9 per °/0 nei frutti maturi. Alla maturità completa dei frutti lo zucchero che si è prodotto è solo zucchero intervertito e l’ ho potuto conoscere cstraendolo dal succo dei frutti ottenuti per mezzo della pressione; neutralizzandone la leggiera acidità per mezzo del carbonato di calce, chiarificandolo con albumina, fil- trandolo su carbone animale ed evaporandolo a secco; ho (*) La maturazione di questi frutti si è effettuata nel periodo di due mesi dopo averne staccate dalla pianta le intere fruttificazioni c sospese nell’ aria. — 91 - ottenuto una materia vischiosa di un’ apparenza di un denso siroppo di colore rosso-scuro quasi insolubile nell’ alcole as- soluto, solubile nell’alcole allungato con acqua, e solubilis- simo nell’acqua. La soluzione esaminata al polariscopio devia a sinistra il piano della luce polarizzata di 37.° Lo zucchero intervento primitivo passa con difficoltà ad assumere delle granulosità cristalline e presentarsi allo stato di glucosio. Una quantità di 250 grammi lasciata a se per un anno ha dato appena mezzo grammo di glucosio. La massa siropposa residuale abbandonala a se per altri 18 mesi si è presentata in gran parte granulosa e cristallina ed ha dato una quantità di glucosio eguale ai due terzi della sua totalità. Questa massa cristallina tenuta per qualche giorno sopra un mattone è divenuta secca ma' presentandomi un colore giallognolo, Ubo disciolta nell’alcole allungato di acqua e l’ho trattata con carbone animale: la soluzione evaporata per ottenere nuovamente cristallizzato lo zucchero non mi ha dato che un residuo siropposo che ha ripreso il colore di prima. Questo residuo però dopo due giorni si è rappreso in massa cristallina, la quale messa ad asciugare sopra un mattone mi ha dato una materia bastantemente pura rap- presentante del glucosio della densità di 1,38 e i cui cri- stalli osservati al microscopio immersi nell’alcool assoluto mi hanno presentato la forma di tavolette esagonali per- fettamente analoghe ai cristalli dello zucchero che si estrae dair uva, dal miele etc. Lasciato a se di nuovo il siroppo tuttora incristallizzabile per altri sette mesi , non ha pre- sentato più possibile cristallizzazione ed è rimasto con quei caratteri che distinguono il levulosio con — 106° di potere rotatorio a sinistra alla temperatura di 15.° # ■ • • • SULLA NATURA DEL COMMUTO % IsTei Frutti del Pomodoro Americano (CYPHOMANDRA BETACEA) ivt ^ iyr opta DEL LETTA ALL’ACCADEMIA GIOENIA NELLA SEDUTA DEL 15 APRILE 1868 ATTI ACC. VOL. III. 13 Trovasi qua e là nei giardini della Sicilia una pianta legnosa originaria della Nuova Spagna o del Messico e di là diffusa nel Perù e in gran parte dell’ America, chiamata dagli indigeni Tornate de la pax e dai botanici Cyphomandra be- tacea. [Sendtn] o più anticamente Solanum belaceum. (Cava- nilles). Si conosce volgarmente col nome di Pomodoro ame- ricano Questo frutice trasportato presso noi al principio del secolo, forse alla venuta dei cavalieri di Malta (1) come pianta officinale, giunge nel nostro clima all'altezza di 4 metri; in America il suo portamento ordinario è di 5 metri e caricasi di molti frutti sincarpi, (Vedi fìg. f jP, Il e IT) carnosi, specie di bacche succose che mature sono di un bel colore rosso arancione, di forma ovoide acuminata, di una gros- sezza poco minore a quella di un uovo di gallina, biloculari nel loro interno, con due placente carnose che sostengono semi reniformi di color biancastro. (1) Nel 1867 ne esistevano già alcune robuste piante nell’Orto Bota- nico di Palermo — - (Vedi Catalogo di Tineo del 1827). — 96 — In America questi frutti sono applicati allo stesso uso al quale da noi si applica il pomodoro o Solanum Lycoper- sicon e forse si è introdotta un tempo in Sicilia la stessa pianta per tentarne la medesima applicazione, trovando quivi condizioni di clima favorevoli al suo sviluppo; ma il sapore dell’ estratto essendo troppo acido al gusto fece temere qual- che nocivo effetto c quasi si rinunziò a questa applicazione. Trovandosi nell’ Orto Botanico della R. Università di Catania una di queste piante carica di frutti ed essendo sta- ta messa a mia disposizione dal Direttore del medesimo Prof. Tornabene, ne feci argomento di qualche ricerca diretta spe- cialmente a scoprire la natura dell’ acido che trovasi nel succo il quale può spremersi in quantità dai frutti summen- tovati. Ciascun frutto prima della maturazione è verde-chiaro traversato longitudinalmente da strie scure (vedi fìg. II) c pesa in media 23 grammi. I frutti maturi di colore arancio (vedi flg. I) pesano invece in media 40 grammi. Per mezzo della pressione que- sti frutti fanno uscire dalla loro polpa un succo che ha una densità=a 1,033 (acqua = 1 ,) e la cui quantità in peso, re- lativamente al tessuto piu solido, è espressa dalle seguenti cifre. 1 000 frutti verdi pesano « 23 chilogrammi di cui chil (18,22 epicarpo e tessuto interno ( 4,77 succo denso chil 23,00 1000 frutti maturi di colore rosso arancio pesano « 30 chilogrammi di cui ridi (15,83 epicarpo e tessuto interno (14,17 succo denso ci hi. 30,00 Da queste cifre si deduce che nei frutti verdi il succo è contenuto nella proporzione del 17,72 per °/0: nei frutti di color arancio e maturi la quantità ne è maggiore e giun- ge fino al 46,72 per °/0. In ambedue i casi il succo è aci- dissimo e specialmente quello che appartiene ai frutti im- maturi poiché una parte di questo acido sembra che con- tribuisca alia formazione di una piccola proporzione di zuc- chero intcrvertito, che comunica all’ estratto dei frutti ma- turi un sapore dolciastro e la proprietà di dare a caldo col tartrato cupro potassico il precipitato rosso del sottossido idrato di rame. Il succo spremuto dai frutti fatto bollire per coagular- ne le materie albuminoidi e filtrato per tela ha dato un liquido di una densità =» 1,048 jacqua = 1) di color giallo- gnolo opalino, molto acido. Operando chimicamente su questo succo filtrato per tentare di separarne 1’ acido mi ha presentato dei caratte- ri tali da farmi ritenere in esso la presenza dell’acido ci- trico. Infatti il succo non precipita con cloruro calcico nè a freddo nè a caldo, ma acquista questa proprietà quando sia neutralizzato con potassa o ammoniaca, e forma allora un precipitato insolubile nella potassa, ma solubile nel clo- ruro ammonico. Trattato con ammoniaca per neutralizzarlo, appena che questa è in leggiero eccesso prende un colore giallo-bruno e fatto bollire anche senza previa concentra- zione, con cloruro calcico dà un precipitato che intorbida no- tevolmente il liquido. Il precipitato raccolto su filtro e lavato ripetutamente con acqua ha un aspetto terroso bianco e rap- presenta la combinazione dell’acido organico con la calce. 1000 grammi di succo danno in media 30 grammi di sale di calce. Per ottenere l’acido separato dalla calce ho preso una piccola quantità del detto precipitato V ho seccato a 100° l’ho pesato c ne ho determinato esattamente la quantità di cal- cc. Riferendomi a questa quantità di calce ho decomposto il precipitato con una proporzione equivalente di acido sol- forico allungato con acqua e così ho potuto avere 1’ acido organico libero sbarazzandolo con la concentrazione e fil- trazione dal solfato di calce che vi resta in parte disciolto. Mentre il liquido era concentrato e denso, messo sotto una campana con aria dissecata per mezzo dell’acido solforico si è rappreso in massa incompletamente cristallina di un aspetto giallognolo, di reazione molto acida e col gusto par- ticolare dell’ acido citrico. 1/ acido così ottenuto facendolo bollire con acetato di rame ha precipitato una polvere cristallina di un bel color verde e oltre a quest’ apparenza ha presentato i caratteri del sottocitrato o citrato basico di rame. Infatti raccolto su filtro questo sale verde e seccato spontaneamente mantie- ne il suo colore e presenta al microscopio una quantità di minuti romboedri, ma tenuto esposto per poco alla tempe- ratura di 100° diminuisce di peso circa del 5 per °/0 perde dell’acqua di cristallizzazione e prende un bel colore az- zurrognolo. Ad una temperatura vicina a 180 gradi si de- compone lasciando dell’ ossido di rame. Mi sono approfittato del citrato di rame per ottenere l’acido libero anche maggiormente puro di quello che non aveva avuto con la decomposizione del sale di calce, per mezzo dell’ acido solforico. Ho decomposto il sale di rame con acido solfìdrico ed ho potuto avere un liquido che mi ha dato con la concentrazione Y acido purissimo. L’acido purissimo neutralizzato con ammoniaca e trat- tato a caldo con nitrato di argento mi ha dato da princi- pio un precipitato bianco fioccoso che con la ebullizionc, ha preso f aspetto di un precipitato bianco pulverulento e pesante. Questo raccolto e seccato si decompone col riscal- damento a elevata temperatura e con deflagrazione lascian- do dell’ argento metallico: 100 parti di sale di argento dei frutti in esame lasciano 62,89 di argento. Il calcolo dareb- be per il citrato di argento 63,15 di argento. I resultati ottenuti con l’ analisi elementare fatta su det- to acido sono i seguenti: Carbonio. Idrogeno. Ossigeno . analisi . 1 . . 4,28 . . 58,47 . 100,00 calcolo . 4,17 . 58,33 100,00 Queste cifre dell’ analisi elementare, insieme alla quan- tità di argento contenuto nel sale argentico ottenuto con l’acido organico di cui trattasi, corrispondono a ciò che da- rebbe il calcolo per l’acido citrico. Da questi dati infatti de- ducendo la formula dell’acido in questione, questa viene rap- presentata da -£gH8-0-7 che è quella assegnata all’acido citrico. Da tutto ciò che precede non vi è dunque dubbio che l’acido della Cyphomandra betacea sia dell’ acido citrico; ma oltre a quanto ho esposto posso aggiungere che sottoposto ad un esame comparativo con le proprietà degli acidi tar- tarico e malico i quali sono pure frequenti nei frutti ed hanno molta analogia con l’acido citrico , ho trovato che differisce dal primo perchè 1° non precipita direttamente con acqua di calce e solo a contatto di questo s* intorbida con prolungata ebollizione; 2° non precipita con la potassa. Dif- ferisce essenzialmente dal secondo per il carattere di poter dare un precipitato bianco con cloruro di calcio dopo la sa- turazione con ammoniaca anche con liquidi diluiti. Finalmente poiché sullo studio dei corpi òdi grande im- portanza il carattere della cristallizzazione, ho preso delle goccie di acido citrico ottenuto dal limone, di acido otte- nuto dai frutti, di acido tartrico e di acido malico: li ho fatti spontaneamente cristallizzare su laminette di cristallo ed osservandoli poi al microscopio ho veduto che i cristalli — 100 — dell’ acido citrico c dell’acido dei frutti erano di forma esa- gonale e perfettamente identici fra loro (vedi fig. Ili e IV) c differenti da quelli di acido malico e tartrico. Riconosciuta così in modo evidente la identità con l’aci- do citrico nel principio acido dei frutti esaminati, ne ho de- terminata la quantità ed ho trovato che questo in media tro- vasi rappresentato da una quantità non inferiore a 10 1/2 per °/0 a seconda del punto di maturazione. Si sapeva già che nel pomodoro ordinario esisteva l’acido citrico (1) con queste ricerche che vengo a presentare si aggiunge un’ altra pianta, appartenente alla stessa famiglia delle solanacee ma a portamento legnoso, i cui frutti contengono il medesimo principio acido. (1) Il Prof. Cesare Bertagnini deli’ Università di Pisa ne fece co- noscere la presenza nella sua memoria Ricerche sulla natura degli a- cidi contenuti nel Solanum Lycopersicon o Cerasus Caproniana — Fi- renze RSoO. IMPORTANZA di h 5SSS22Su ì<& del Socio Univo # accfiete LETTA ALL’ACCADEMIA GIOENIA NELLA SEDUTA DEL IO MAGGIO 1868 ATTI ÀCC. TOL. 111. t % 1 % - * r ra le ammirabili piante che popolano le vergini terre dell’Australia ne giganteggiano talune, le quali, — se per avventura si trovassero accanto al miracoloso monumento che creò in Roma il genio di Michelangelo, — spargereb- bero dell’ombra su quella cupola eccelsa. Questi colossi del regno vegetale, che vivono dei se- coli e che possiedono al medesimo grado maravigliose virtù, sono 1’ Eucalyptus globulus, Labili. , 'VE. colossea e VE.amig- dalina , Labili. Però di queste tre specie noi non possiamo occuparci che della prima soltanto, VE. globulus ; la quale ò naturalizzata fra noi da parecchi anni. Le altre due, de- scritte da poco dal dottor Mueller , direttore del Giardino botanico di Melburno, non esistono ancora in Europa. Chiedo quindi l’onore d’intrattener l’Accademia di questa pianta, che per i suoi pregi straordinarii parmi me- ritare 1’ alto patrocinio della Scienza. L’introduzione dell’ E. globulus non è di data recente, come potrebbe sembrare. Esso fu scoperto dal Labillar- 104 — dière nella ] Tasmania, o isola di Van Diemen, il 6 maggio del 1792; durante il viaggio delle navi la Recherche el 1 E- spérance , che la Republica francese spedì per far ricerca del povero Lapeyrouse. Il Labi llardière lo denominò Eacci- lyptus globulus per la forma dei suoi bottoni florali , co- perti d’un operculo. Tuttavia esso rimase confinato per lun- ghi anni in qualche giardino botanico: e vi sarebbe ancora, se un francese, il signor Ramel , clic fu compreso d’ un senso di profonda ammirazione per l’eleganza particolare di quest’ albero, visitando il giardino botanico di Melburno, non ne avesse portati in Francia dei semi; e impresa la pro- pagazione di esso. E fu per lui che se ne videro nell’ estate del 1861 alcune giovani piante nei giardini publici di Pa- rigi ; le quali furono riguardate da tutti come piante orna- mentali dT un genere nuovo. Nel 1862, io ebbi diverse gramme di semi di esso, ve- nuti dall’ Australia, c ne tentai la coltura, come di piante utilissime. Ma i miei giovani Eucalyptus, educati con lun- go affetto, non ebbero qui ammiratori, nè perla loro ele- ganza, nè per la loro utilità. VE. globulus, appartenente alla famiglia delle mirtacee, è un albero portentoso, destinato a trasformare le condi- zioni economiche, atmosferiche e sanitarie dell’Italia me- ridionale, c segnatamente della Sicilia. Esso, ove diffuso in estese proporzioni pei campi, com- batte e neutralizza le emanazioni miasmatiche delle terre con le emanazioni aromatiche delle foglie. Posto accanto alle abitazioni campestri, favorisce la respirazione con le sue esalazioni, che sono molto salutari ; e che potrebbero forse, secondo rapporta il signor André, guarire i principii della tisi negli individui che vi sono predisposti. Per la sua ru- sticità e per il suo rapido incremento, è l’albero per ec- cellenza per la creazione dei boschi: ed è altresì la pianta — 105 — impareggiabile pei* la formazione dei ripari nei luoghi fla- gellati dai venti. Economicamente parlando , il legno del V Eucaly plus , malgrado il rapido sviluppo, è solidissimo ; e conviene ad ogni genere di costruzioni civili e navali. Questo legno è più forte di qualunque altro; e la sua gravità specifica sorpassa quella del Teck e del Tann delle Indie, che sono considerati come i migliori per la densità delle fibbre lignee. I bastimenti balenieri, costrutti a Hobart-Town, rinomati per la loro solidità, sono di legno di Eucalyptus : e lo sono pure le navi che fanno i viaggi regolari fra la Tasmania e l’ Inghilterra. L’ India, che ha ottimi legni, ne trae di questo dalla Tasmania per la costruzione delle navi, c per le traverse delle ferrovie. I lavori marittimi, come moli , darsine , palafitte ec , sulle spiaggio dell’Australia, sono fatti con esso; essendo riguardato, ed a ragione, come incorruttibile; poiché la durata d’ un legno sta in proporzione della densità delle fibre. Dai suoi tronchi enormi si cavan tavole di proporzioni straordinarie. All' ultima Esposizione di Londra se ne videro lunghe più di 23 metri; larghe 3,m50; e spesse di 8 centimetri; che erano state inviate dal capitano Goldschmith. Un’altra tavola della lunghezza di oltre 50 metri non potè essere spe- dita per difetto di un bastimento abbastanza lungo per po- terla trasportare. Per maggiore facilità, questo legno si lavora quando è ancor verde. Come combustibile è eccellente. E, levigato, presenta sotto la vernice delle macchie sì vaghe, che lo rendono pur prezioso agli stipettai. Negli anni scorsi V esportazione di questo legno, che forma una delle considerevoli sorgenti di ricchezza della — 106 — Tasmania, elevavasi a Hobart-Town a 14 milioni di lire. Le foglie dell’ E. globulus, d’un verde glauco azzurrino, finché la pianta è giovine, sono sessili, opposte e subcor- diformi; quelle clic si mostrano quand’ essa comincia ad e- levarsi, sono alterne, diversamente peziolate, e strettamente lanceolate; le quali pendono verticalmente dai rami per mez- zo dei lunghi pezioli. Queste foglie, generalmente di natura tigliosa, sembra- no organizzate in modo da resistere ai venti d’ ogni forza; e specialmente a quelli di mare e di scirocco; come pure alle tempeste ed alla grandine. Esse racchiudono molte glandolo piene d’ un olio es- senziale, che spande un odore balsamico forte e penetran- te. E si devono a queste emanazioni aromatiche, come ac- cennai, le proprietà benefiche, che favoriscono la respira- zione, e neutralizzano le emanazioni miasmatiche delle ter- re palustri, o dei suoli d’alluvione, ove le formazioni geo- logiche sono di data recente. E queste benefiche proprietà lo rendono in pari tempo l’ornamento più utile ed elegante dei cimiteri; poiché quest’albero maestosamente piramidale a foglie perenni purifica l’aria circostante del lezzo dei ca- daveri. Profano alle scienze mediche, io non cercherò di mo- strare come un’emanazione miasmatica possa essere com- battuta e neutralizzata da un’emanazione aromatica. Dirò semplicemente che in tutti i luoghi dell’ Australia, qualun- que si fosse la natura del suolo, in cui si trovano gli Enea- lyptus in grandi quantità, non havvi vestigio di maisania: e che diffondendolo nelle contrade infestate dalla mal’ aria le febbri sono disparsc. Come é avvenuto in varii territorii del- l’Algeria per l’impulso intelligente del Governo francese, che ne ha favorita la propagazione. 1 fiori del V Eucalyptus sono ascellari bianchi e profu- ♦ — 107 - mati. Le api vanno a banchettarvi con avidità e danno un ottimo miele. Ed incidendo la scorza si ottiene una gomma astrin- gente, detta kino, che è considerata utile per le industrie. Di più, dalle sue foglie si possono cavar prodotti chi- mici di molto valore; come lo provano gli esperimenti fatti in Francia dal dottor Sicard, che ne ha studiato chimicamen- te la composizione intima; ed i cui saggi ottennero all’e- sposizione universale di Parigi una menzione onorevole dal Giurì internazionale. Secondo il dottor Sicard, dunque sottoponendo i giovani rami e le foglie alla distillazione, — poiché il principio fragran- te sta nelle foglie e nella scorza,— si ottiene un’acqua di co- lore opalino, di sapore amaro ma piacevole, e di un profumo particolare; simile a quello delle foglie strofinate nelle mani. L’olio essenziale se ne separa difficilmente. Esso ha un odore soave, pari a quello della lavanda, ma più penetrante. Questa essenza non si può respirare a lungo; poiché dopo una o due forti aspirazioni se ne risentono acute emicranie. Fatta la distillazione, se si levano dalla storta le foglie con r acqua che le bagna, e si passa al buratto spremendo le foglie; ponendo un tal liquido al fuoco in una capsula di porcellana, si otterrà una gomma di colore giallo indiano, d’ un sapore aromatico piacevole, dolce in principio, ma amaro e stiptico dopo un momento. Prendendo delle foglie fresche, e ponendole nell’alcool rettificato, si otterrà, dopo di averle lasciate in infusione per un certo tempo ad una temperatura elevata, un alcolato di colore verde smeraldo, di sapore aspro, resinoso, aromatico ed amaro. E facendo evaporare quest’ alcolato, si avrà per risultamento una sostanza verde-scura, durissima, brillante e di un sapore amaro. Tutti questi prodotti, come ce ne fa fede il dottor Si- card, sono sottoposti in questo momento a studii profondi; — 108 — egli esperimenti clic sono stati fatti in Francia sugli uomini e sugli animali ci fanno sperare, dice egli, di avere trovato nuovi medicamenti di molto interesse. Così quest' albero gigantesco della Tasmania, che sfida le inclemenze delle stagioni e V onta dei secoli, oltre ai tan- ti vantaggi economici ed igienici che ci apporta , sembra destinato, quasi volesse infondere alla razza umana una scin- tilla della sua vita secolare, ad allontanare da noi talune infermità, per le quali la scienza non ha ancora trovati ri- medii efficaci o sicuri. Ora la diffusione di questa, pianta secolare, d’uno svi- luppo rapido e gigantesco e preziosa per mille ragioni, mi pare un bene inestimabile per l’Isola nostra. Generalmente, mancano due cose in Sicilia, come man- cano pure nella più parte dell’Italia meridionale: combu- stibile, e pioggie Il combustibile è scarso; e per questo caro. Le pioggie, a volte a diluvio e mai regolari in inver- no, fan difetto sovente in primavera, e mancan del tutto in estate. Tre anni consecutivi di siccità hanno distrutto gl’ invan sospirati ricolti. Mancando il combustibile, l’esercizio delle industrie e la vita domestica si rendono diffìcili: mancando le pioggie, le coltivazioni si fanno impossibili. Ora un paese che non trova nelle sue viscere miniere di carbon fossile, abbisogna d’alberi per trarne il combu- stibile necessario: ed un paese che è contristato da lunghe siccità abbisogna pur d’ alberi per avere il beneficio delle pioggie: atteso che le piante, ove [riunite in grandi masse, attirano le nuvole, e determinano la caduta delle acque del ciclo. Nessun albero potrà soddisfare meglio dell' E. globulus , ove largamente diffuso, a questi due supremi bisogni. In Sicilia siamo pure desolati da due grandi calamità: — 109 dai venti impetuosi che flagellano specialmente i nostri lidi, c rendono difficili e improduttive talune culture; e dalle c- manazioni miasmatiche che infestano per un sei mesi del- l’anno la più parte delle nostre contrade. Or bene, ele- vando in modo razionale delle barriere vegetali nelle pro- prietà esposte a tali flagelli con quest’albero, che cresce ra- pido e si fa gigantesco; con quest’ albero, che per la costi- tuzione delle sue foglie resiste ai venti d’ogni natura; con quest’albero, che con l’ intralciamento dei suoi rami fa un riparo impenetrabile; si giungerà necessariamente a difen- dere e a rendere prospere e produttive le culture sin’ ora tormentate: e disseminandolo per i campi, per le valli, per i monti, per gli stradali, lungo le sponde dei fiumi, pres- so alle correnti d’acqua e attorno ai villaggi, in tutti i siti malmenati periodicamente dalla mal’ aria, si arriverà senza fallo a disperder col tempo la,, perniciosa azione delle in- fluenze deleterie. Tralascio di far cenno di altre considerazioni non me- no importanti, relative alle condizioni igieniche ed atmo- sferiche di questo paese, le quali potrebbero essere miglio- rate da quest’ albero meglio che da qualunque altro. VE. globulus si propaga per seminagione. I semi di esso sono tenui, e danno in principio pian- tine gracilissime. Per questo non si possono seminare al posto nei campi: la più leggera variazione atmosferica, o il menomo contatto le offendono. Oltre di che in inverno sa- rebbero soffocate dalle erbe; ed in estate arse dal sole. Delicatissimo nella sua infanzia, quest’ albero prende robustezza a misura clic si sviluppa; e, fatto adulto, la sua rusticità diviene più manifesta, quanto maggiori sono state le cure prodigategli nell’ infanzia. Per riuscir nell’intento, quest’albero gigantesco è d1 una longevità favolosa, bisogna seminarlo in vasi od aiuole be- ne esposte c preparate con buon terriccio; e accompagnarlo ATTI ACC. TOL. IH. A — 110 — delle più assidue e diligenti cure ortalizic; affinchè il suolo ove fu confidato mantenga costantemente il necessario grado di freschezza; e gli si rendan propizii gli agenti esteriori della vegetazione. Così se le alterazioni che subirà questo seme, durante Tatto dilicato della germinazione, avranno luogo senza in- terruzione; la giovine pianta si svilupperà in uno stato di salute normale. Ma se per variazioni irregolari di calore od umidità, la germinazione sarà ora accelerata, ora ritar- data; il fragile apparecchio da cui dipende la vita si dete- riorerà, e il seme si perderà; o, quel eli’ è peggio, invece di ottenere alberi altissimi che dovranno sfidare molti se- coli, si avranno piante meschine e di poca durata. Pare che la natura avesse circondato di tante difficoltà T apparizione alla vita di questi giganti del mondo vegetale, nello scopo di tenere nei limiti necessarii la riproduzione di essi: assicurando così a tutte le altre piante la loro parte di terra e di sole. Io ne ho seminati molti invasi, che ho tenuti nella ser- ra del mio Stabilimento d’ orticoltura. Al decimo giorno sono entrati in vegetazione; ed hanno mostrato subito una flori- da vigoria. Però due settimane dopo la germinazione, se- gnatamente quando cominciavano a disegnarsi bene le foglie primordiali, oltre ai cotiledoni, mi sembrarono arrestare il loro sviluppo, e illanguidire. Insofferenti forse della tem- peratura artificiale della serra, pareva anelassero al vivo rag- gio del sole e all’aria aperta. Li posi fuori in un giorno co- perto, e ripresero tosto vigore. L’ E. globulus non si può piantare a radici nude: per que- sto bisognerà educare in vasi le giovani piante, sino a tanto che saranno abbastanza forti per essere collocate a dimora con tutta la zolla: lo che sarà convenevole quando saranno alte da 50 a 60 centimetri. L’ esperienza mi ha fatto rile- vare la necessità di piantarle presto; affine di evitare il ri- curvamente) del fittone nei vasi, la qual cosa nuocerebbe di molto alla prosperità futura della pianta. Il fusto in principio è tetragono; ma crescendo si fa rotondo. I rami ed il tronco sono d’ un colore verde glauco. Pria di piantare i giovani Eucalyptus , bisognerà im- mergere la loro zolla nell’ acqua per un’ora. Si piantano in buone fosse, larghe 1 metro e profonde 80 centimetri; ponendo attorno alla zolla la miglior terra che si ha; e ba- gnandoli copiosamente. Pel primo anno sarà mestieri adac- quarli parecchie volte in estate, ove ne manifesteranno il bisogno. Si piantano in tutti i tempi; ma il momento migliore è l’autunno, da novembre a dicembre, o dopo le prime pioggie; massime in quelle contrade in cui sarebbe mala- gevole bagnarli in estate. Le pioggie autunnali li raffermano al suolo; e fanno sviluppare le loro fronde e radici. Così in primavera potrebbero essere abbastanza robusti per re- sistere alla siccità estiva. Nel primo anno in cui si pianta prende un grande svi- luppo; e, se in buone condizioni, cresce da 40 a 50 centi- metri al mese. Al secondo anno lo sviluppo in altezza si modera; e cresce in diametro. E quando arriverà a 40 me- tri l’estensione dei rami laterali si farà proprio in modo straordinario. Però affinchè 1’ eccezionale celerità dell’ accrescimento in altezza non inforsi 1’ esattezza del mio dire, mi appog- gerò sui fatti. Nel 1861 ne fu collocato uno in piena terra al Bois de Boulogne , presso Parigi; e nei tre mesi di estate si ele- vò a 4 metri e 50 centimetri. Nelle piantagioni fatte nei din- torni di Marsiglia, al primo anno, si sono elevati oltre a tre metri. In Algeria la media è da 5 a 6 metri. E quando P imperatore Napoleone si recò a visitare il Giardino d’ ac- climazione di quella Colonia francese, fu vivamente impres- sionato dallo sviluppo rapido di questi alberi; lino dei qua- li in pochi anni avea raggiunto una elevazione di 40 metri. E ai fatti lontani ne aggiungerò dei vicini. Io ne diedi uno al mio distinto amico, il Cav. France- sco Imbert, che lo piantò nella sua villa di Gannizzaro; c in poco più d’ un anno crebbe da otto metri. Ne inviai un secondo ad un altro mio amico, l’egregio professore Luigi Pellegrino; eh’ egli piantò nella sua terra alla Scaletta pro- prio sulla spiaggia; e crebbe da sei metri nel medesimo pe- riodo. E quelli che fornii pel giardinetto dell’ Albergo dei signori Dilg c Fischetti si elevarono al primo anno oltre ai quattro metri. E si sarebbero forse elevati di più, se il ven- to non avesse loro spezzato, e a più riprese, il tenero ger- moglio terminale. Del resto io sono ben lontano da riguardare come una ventura il rapido incremento che prendono gli Eucalyptus nel primo anno della loro piantagione; poiché sarebbe mestie- ri di apporvi dei lunghi pali, c legarveli gradatamente, a misura del loro individuale sviluppo. Anzi consiglio di rat- tenere al bisogno, nel primo anno, sotto ai tre metri, per mezzo delle svettature, l’elevazione di tali alberi. Cosi a- stringendo ad un periodo di sosta 1’ accrescimento in altez- za, si favorirebbe quello in diametro. V E. globulus non solo cresce rapidamente, malgrado la densità delle sue Libbre; ma prende col tempo dimen- sioni straordinario. Nella Tasmania ne tagliarono uno che presentava 28 metri di circonferenza alla base; c che oltre- passava i 100 metri. Si calcolò che quel colosso avesse var- cato da molto tempo i suoi otto secoli. Ma ordinariamente la sua cima si eleva da 70 metri. Però VE. colossea , secondo il Mueller, supera il prece- dente; poiché taluno di essi raggiungeva i 122 metri: e VE. amigdalina sorpassa ambidue, avendone il dottor Mueller rinvenuto uno della prodigiosa altezza di 152 metri. — 113 — A questo proposito, son lieto di annunziare all’ Acca- demia, che dei primi semi, arrivati da poco in Europa, del- 1’ E. amigdalina, ne ho ricevuto due gramme la settimana scorsa; che ho posti subito in terra; c che hanno comin- ciato di già a germinare. Gli EucalypLus si possono educare ad alto fusto, o a cep- pate; a tenore della natura delle piantagioni, c delle con- dizioni del suolo. Nella Tasmania VE. globulus prospera nelle valli e nel- le chine dei monti, da Apollo-Bay al Capo Wilson; c nella parte centrale di quell’ isola: cresce pure sulle balze sco- scese del littorale; ma colà non dà alberi di forte mole. Tranne nei suoli umidi ed argillosi, fa buona prova in ogni sorta di terreno: naturalmente si troverà meglio ove le condizioni telluriche saranno più favorevoli. Le terre a sottosuolo permeabile e fresco $ono da preferirsi. Il signor Hardy, direttore del Giardino d’ acclimazione d’Algeri, lo raccomanda pei suoli sabbiosi di quel littorale; ed il dottor Mucller, che ha studiato la vegetazione di queste tre specie di Eucalyptus nelle varie stazioni della loro terra natale, sostiene che esse possiedono la facoltà preziosa di re- sistere alla siccità; celie si potrebbero impiegare, vantaggio- samente per coprire di vegetazione le nude lande e i vasti deserti che esistono in Africa, in Asia ed in America. Io da canto mio ritengo che esso potrà bene allignare in tutta la regione mediterranea, che, presa nell’insieme, ha molta analogia climatologica con l’Australia; come pure in tutte le contrade dell’Italia, ove cresce l’olivo. E credo che nella sua qualità di pianta a fittone debba trovarsi be- nissimo in mezzo alle spaccature delle lave; come pure sul- le colline rocciose, ove, se non darà magnifici fusti, edu- cato a ceppate potrà fornire pertiche per pali, preziose per la loro durata. Nei giardini publici di Madrid, quest’inverno, ha re- sistito ad una temperatura di — 9 centigradi; tranne le te- nere cime, clic furono un po' molestate. Sin’ora la propagazione dell 'E. globulus non sic fatta in grandi proporzioni, che semplicemente nei Piantonai go- vernativi dell’ Algeria; ove se ne vendono da 100 mille all’an- no; a L. 75 al cento. Altrove, e segnatamente in Italia, si avrebbe ben della pena a porne insieme qualche centinaio. Profondamante convinto dell’utilità dell’/?, globulus , ne ho impresa quest’ anno la cultura di molte migliaja (1). Così potrò efficacemente contribuire alla diffusione di questa pian- ta, che forma da molti anni V oggetto delle mie indefesse sollecitudini; c quindi al miglioramento delle condizioni e- conomiche, atmosferiche e sanitarie di tutta l’ Italia meri- dionale, e segnatamente della Sicilia. Poiché per un paese come la Sicilia, che, malgrado la ubertosità del suolo e la mitezza del clima, è povero di combustibile e desolato dalla siccità; ed è periodicamente flagellato dai venti e funestato dalla mal’ aria; l’introduzione dell’/?, globulus dovrebbe essere riguardata come un immen- so beneficio sociale. E se lo Stato, le provincic, i comuni, i proprietari! sa- pranno apprezzarlo c propagarlo, ove loro è possibile, le no- stre regioni saranno rallegrate fra pochi anni dal salutare spettacolo di questo principe delle foreste della Tasmania; il quale, —oltre di fornirci un legno prezioso, c di assicu- rarci una ripartizione men disuguale di pioggic, — potrebbe riparare maravigliosamente dai venti distruttori le nostre terre, e preservare noi tutti dalle febbri letali. (I) Gli Eucalgplus globulus saranno disponibili, in vasi, dal mese di settembre in poi, nello Stabilimento d’orticoltura del signor Giaco- mo Sacchéro, in Catania; al prezzo di Lire 50 al cento. NUOVE VEDUTE SULLE FORMAZIONI DEL GLOBO MEMORIA. LUTTI Aid” Accademia Gioerria dii scienze nstaralt nella tornata ordinarla del di ft luglio 1iSS3i DAL SOCIO ORDINARIO E SEGRETARIO ALLA SEZIONE DELLE SCIENZE FISICHE 0 PROFESSORE EMERITO DELL 'UNIVERSITÀ’ DI CATANIA, SOCIO DI VARIE ACCADEMIE «AZIONALI ED ESTERE. atti acc. vol, 111. 16 * ■ ' • . « Mihi vero amicus l’Iato, amicus Aristo- « teles, sed magis amica Veritas. » ClCER. cf Jl3 noti Non sono elio tre in quattro anni che mi ò stata data 1’ oc- casione d’ intrattenervi di argomenti geologici non allo sco- po di aggiungere alle cose altrui le mie, recando legno alla sel- va e vasi a Samo, ma per richiamare a severo sindacato quel che intorno a Geologia ed a Geologia siciliana è stato detto dagli altri. La Geologia filosofica sembra mancare del tutto; alcuno in Germania o precisamente in Olanda ha tentato questo lavoro, ma io non lo conosco. Epperò credo essermi oc- cupato di questo argomento se non il primo, al certo uno do’ primi: se con successo, non so. Gli Atti della nostra Accademia ovunque penetrano , portano de’ Socii gli utili e gl'inutili pensamenti, le verità nuove e le nuove allu- cinazioni, e noi facciamo coll’ estere Accademie, colle So- cietà scientifiche di Europa c di America uno scambio di lumi c di ombre, di verità e di menzogne, di teorie e di ipotesi: che questa è la condizione dell’ uomo sopra la^ter- — 118 — ra, progredir lentamente nel rinvenimento della verità , e tornare indietro ove uno si accorga di avere smarrito la via. Le Opere più classiche di Geologia moderna si reputano a buon dritto quelle di Alcide D’ Orbigny, c del sig. Carlo Lyell, principalmente di quest’ultimo il Manuel de Geolo- gie élémen taire , quinta edizione, tradotto in francese dal sig. Eugard, % voi. in 8°, 1856-1857, ed un Supplimen- to 1857. Il Manuale dell’ illustre Geologo inglese è il libro più sistematico che si conosca, ed a me sembra anche il più paradossale. Contiene XXXVIII capitoli, ed è ricco di eru- dizione ad un’ora e di critica, di osservazioni e di ragiona- menti, di fatti positivi c di fatti immaginarie In esso le roc- ce secondo la loro origine c la loro età sono distribuite in quattro classi, rocce acquee, vulcaniche, plutoniche e me- tamorfiche. Le rocce acquee sono distinte principalmente dall’es- sere stratificate e dalla presenza dei fossili nella loro com- posizione. Diconsi acquee queste rocce perchè la loro for- mazione è dovuta a questo poderoso agente, il quale opera meccanicamente non solo, ma chimicamente ancora , ed è la causa potissima della stratificazione delle rocce sedimen- tarie contenenti resti organici insieme alle sostanze mine- rali, il tutto consolidato dall’evaporazione del fluido e dalla pressione degli strati superiori. Le rocce plutoniche benché prodotte dal fuoco non so- no per Lyell le stesse delle rocce vulcaniche, probabilmente perchè le lave non sono il granito ed il porfido, come il granito ed il porfido non sono Io gneiss, il micaschisto , il marmo statuario, le ardesie, eco. Le rocce metamorfiche poi sono di una data recentis- sima; sono tuttora palpitanti dì attualità: esse non rimon- tano al di là del 1833 quando piacque al prelodato sig. Lyell farne dono alla scienza nella prima edizione de’ suoi Pria- — 119 — eipes de Geologie, opera oramai condotta, dopo la sesta edi- zione originale, a non so quante altre edizioni e ristampe. Io non intendo depreziare i lavori dei grandi Geologi che hanno arricchito la scienza di fatti novelli, c posto a si- stema le produzioni della natura inorganica o dato di esse le più esatte descrizioni con rilevarne la relativa impor- tanza. Lyell è uno tra questi, ed avrà sempre meritato bc- ne della scienza geologica: ma ciò non vieta che l’ illustre uomo tuttoché abbia per ipotesi il sistema da lui seguito , e per tali ritenga ancora i sistemi precedenti, non avesse alle cose di fatto aggiunto le sue concezioni, le sue vedu- te sistematiche, e queste possono essere chiamate a rasse- gna dall’ autore medesimo, come ne ha dato 1’ esempio, c da chiunque altro si facesse a parlare di cose geologiche. Basti per tutta prova quel che l’ autore ha scritto al capi- tolo XXIX dei suo Manuale t.$. pag. 264-265. « Vedremo « (sono le sue parole) ne’ capitoli seguenti (parla del futuro, « non già del passato) eh’ esistono tufi vulcanici di tutte le « età, e che questi tufi contengono delle conchiglie mari- « ne attestanti eruzioni sopravvenute a varie epoche geo- « logiche successive. Queste sorta di rocce, tuttosì che i trapp « che loro sono associati, non saprebbero essere paragonate « alla lava nè alle scorie che sonosi raffreddate all’ aria; fa « d’uopo cercare i loro analoghi fra i prodotti dell’ cru- « zioni vulcaniche sottomarine attuali. Se alcuno obbiet- « tasse che non è possibile studiare queste ultime, noi ri- « sponderemo che, in quasi tutte le regioni a vulcani atti- « vi, i movimenti sotterranei han determinato grandi can- « giamenti nel livello relativo delle terre e de’ mari, e che « questi cangiamenti sopravvenuti ad epoche relativamente « recenti han messo al giorno gli effetti delle operazioni « vulcaniche che hanno avuto luogo sopra il fondo dcl- « p Oceano. « Per esempio, I’ esame delle rocce ignee di Sicilia, i 20 — « specialmente di quelle del Val di Noto ha provato che le « varietà le più ordinarie di trapp di Europa erano state « prodotte sotto le acque del mare ad un’ epoca moderna, « vale a dire a partire dal momento clic il Mediterraneo « fu abitato dal maggior numero delle specie attuali di Tc- « stacci. « Cotali rocce ùjnec del Val di Noto, egualmente che « le masse frappi che più antiche di Scozia e d’ altri paesi « differiscono dalle formazioni vulcaniche subaeree in que- « sto che sono più compatte e più posanti, ed ancora per- « che formano alle volte delle correnti esteso di materie « intercalate negli strati marini , o pure de’ conglomerati « stratificali, di cui i sassolmi rotondali sono tutti del trapp; « finalmente son esse caratterizzate dall’ assenza di coni « e di crateri regolari, come ancora dalla mancanza di con- « formila colla lava ai più bassi livelli delle vallate esi- « stenti. «È assai probabile intanto che coni in forma d’isole esi- ti stettero un tempo sopra alcuni punti del Val di Nolo, c che « furono tolti via dalle onde appunto come il cono dell’ iso- « la Graham, nel Mediterraneo ccc. » Ecco quel diesi chia- ma fantasticare, ipotesizzare, aver per dimostrato quel che doveasi dimostrare, ammettere come fatto ciò clic è una lon- tana conghiettura. É un camminare sui trampoli , ò un pa- scersi di vane illusioni, è asserire, dommatizzarc, parlar per parlare e non dir nulla. In questa e nella susseguente Memoria io non fo che la serie esporvi de’ miei pensieri dietro le mie meditazioni sopra ciò che ho veduto c sopra ciò clic ho letto. Non preten- do imporre agli altri le mie opinioni; mi basta che delle inval- se dottrine niuna pesi sulla mia coscienza; mi basta ch’io non ammetta se non ciò eh’ è dimostrato, clic non pieghi il gi- nocchio dinanzi all’ altrui autorità rinunziando ai lumi della scienza e a quelli del mio scarso ma libero intendimento. E conchiuderò questo preambolo éolle parole dell’illustre De- lambrc, il quale parlando della utilità delle costellazioni in astronomia e della determinazione della estension loro si esprime ne’ seguenti termini. « J’ ai dit, à quelques ména- «gernens près, tout ce que je pense sur ce sujet. Je n’ai « cu la pròtention de convertir personne : peu m’ importo « qu’on adopte mes opinions; mais si l’on compare mes rai- « sons aux róves de Newton, de Herschel, de Baillv, et de tant « d’autres, il n’est pas impossible qu’avec le tcmpson arnve « de se dcgoùter de ccs cliimères, plus ou moins bril- « lantes. » Le rocce geologicamente considerate o sono primitive o formate dalle acque o formate dal fuoco: ciò è inevitabi- le, giacché non si conoscono, dopo Dio, principio e fine d’ ogni cosa, altri agenti naturali stante che Laida, lo me- teore, e L elettricità non vi hanno che una parte seconda- ria. .Non vi sono dunque che tre specie di rocce corri- spondenti a tre periodi, clic diremo gioviano , nettuniano , e plutoniano, ed alle rocce daremo i nomi di rocce primiti- ve, stratificate, e vulcaniche (1 . (1) Le rocce mineralogicamente considerate sono da Brongniart di- vise in due classi, in rocce omogenee o semplici, ed in rocce etero- genee o composte: ciascuna delle quali si suddivide in due ordini e sono : per la prima classe, le Rocce fanerogene o Masse che posso- no essere rapportate a specie minerali conosciute, c le Rocce adeloge- ne o Masse che non possono rapportarsi con certezza ad alcuna spe- cie minerale conosciuta; per la seconda classe i due ordini sono le Rocce di cristallizzazione e le Rocce di aggregazione. Omalius d’ Halloy divide le rocco in tre classi, cioè Rocce pie- trose, Rocce metalliche, e Rocce combustibili. tordier senz’avere riguardo ai minerali eh’ entrano nella loro composizione ci dà quattro classi di Rocce con un’ Appendice: sono le Rocce terrose dislint in li famiglie, le Rocce saline od acidiferc Le rocce primitive sono anteriori alle nettuniane ed alle plutoniane in ordine a tempo. Ciò è evidente, imperocché l’acqua suppone preesistenti le rocce o i terreni su de’ quali ha dovuto agire, ed il fuoco ha dovuto trovare la roccia da fondere come il fuoco delle nostre fornaci ha dovuto tro- vare il legno da ardere. Pensare altrimenti sarebbe un al- lontanarsi dal retto pensare. L’ acqua ed il fuoco sono due elementi che hanno esi- stito contemporaneamente, ed han contemporaneamente mo- dificato la faccia della terra; i terreni plutoniani possono dunque essere posteriori ai nettuniani, ovvero anteriori ai medesimi: ciò è indifferente. Difatti Lyoll prima parla delle rocce acquee e poscia delle ignee, ed altri autori parlan pri- ma delle rocce non stratificate d’ origine ignea, e poscia delle rocce stratificate di origine acquea, secondo la rispettiva lo- ro maniera di vedere, o secondo la libertà del loro arbitrio. Non così delle rocce, metamorfiche, le quali , se esistono, vengono sempre in ultimo luogo, o che il sistema si divi- da in tre o in quattro classi. È impossibile che vi sieno rocce acquee e rocce ignee e non vi sieno le rocce primi- tive da fondersi o da stratificarsi, come è impossibile aversi le rocce metamorfiche e non esservi nè le acquee nè le ignee. È questo un affare di logica ; non riguarda nè la stratigrafia nè la paleontologia. Le rocce primitive formano la parte solida ed interio- non metalliche con 5 famiglie, le Rocce metallifere con 8 famiglie, c le Rocce combustibili non metalliche con 8 famiglie. I Signori Malacarne e Polli dividono le Rocce desumendole dalla loro origine ed età in tre classi: sono le Rocce ignee, le Rocce acquee e le Rocce metamorfiche. Finalmente il sig. C. Lyell ha suddiviso le Rocce ignee in due classi, vale a dire in vulcaniche e plutoniche: tutto il resto è lo stesso. Ignoro se dopo Lyell si sono latte altre classificazioni , o modi- fiche alle precedenti. — 123 - re del globo, perlochò la loro massa è incomparabilmente maggiore delle rocce acquee e delle rocce ignee prese in- sieme, le quali non altrove possono trovarsi che alla su- perficie della terra o poco al di sotto di essa. Dapoichè il fuoco, per sussistere, ha bisogno della materia combustibile e del principio comburente clic è I’ ossigeno, e questo è in grande abbondanza nell’ acqua dov’ è nello stato di combi- nazione, e nell’aria atmosferica dov’ è nello stato di libertà. E quanto all’acqua, essa dalla impermeabilità degli strati terrestri c dal suo peso specifico è astretta a rimanere sulla superficie del terreno ne’ grandi bacini scavati dalla mano stessa dell’ Onnipotente per servire all’economia di questo Globo terraqueo. Alla superficie della Terra c a poca profondità dobbiam dunque incontrare c rocce primordiali c rocce secondarie e rocce vulcaniche scoppiate di sotterra in epoche lontane o recenti, con un treno di fenomeni vulcanici meno o più formidabili. Ho detto alla superficie della Terra, non alla crosta so- lida del globo, giacché questa crosta solida è una invenzio- ne della scienza, un ghiribizzo poetico; è un volere asso- migliare la Terra ad una melagranata avente la sua scor- za, ad un uovo avente il suo guscio, ad un granello di uva avente la sua buccia. Il che è abbastanza ridicolo, per non dire abbastanza sciocco (2). (2) « Per crosta terrestre, dice il prof. Cascio — Cortese, abbiamo « sentito indicare quella specie di solido ammanto , che veste la terra « c può essere accessibile alle investigazioni dirette , ed a quanto si « può arguire intorno al limite presunto di quella maniera di scorza. Partendo da questi dati lo spessore di quella copertura è ben poca « cosa al confronto di tutto ciò che costituisce il nucleo del globo ter- « rostro. Tale crosta è stata a un di presso calcolata nella densità « la quattrocentesima della lunghezza del raggio che è 6000 chilome- » tri giusta Beudant, ed in certa guisa starebbe a pari colla doppiez- ° 17 ATTI ACC. VOL HI. m — Siccome il regno animale suppone avanti a se il regno vegetale, così il regno vegetale suppone già bello e forma- to il regno minerale. E siccome vi vuole un potere infini- to per creare un moscherino; così vi vuole un potere in- finito per creare una pianta bassa come il timo, un vegetale semplice come il musco ed il lichene. Tutto dunque ci an- nunzia resistenza di un potere infinito dal granello di are- na alle Alpi di Europa e le Cordigliere di America, dal più impercettibile insetto al corpulento Elefante ed alla immen- sa Balena: delle quali opere tutte noi non siamo che spetta- tori e non sempre felici osservatori. Ora un potere infinito, un Ente infinito e da sè se opera nel tempo, non impiega di tempo, a compiere le opere sue, che tanto che basti a si- gnificare quelle non essere ab eterno , nè avere coesistito colla Potenza formatrice e coordinatrice della materia come immaginava la stoltezza de’ filosofi pagani, o essersi svolte e succedute in epoche remotissime e indeterminate come im- magina la stoltezza ancora maggiore de’ moderni geologi (3). « za della cute del corpo degli animali. L’ espressione poi di crosta « fu introdotta nella scienza per alludere alla teoria della combustione « della superficie, dietro la quale si congetturò di essere avvenuto un « raffreddamento procedente dall’ esterno alla massa sottostante. Se- « condo questa maniera di opinare la diminuzione di temperatura ìn- « crespò e fece più consistente la faccia della terra. » Istruzione po- polare di Storia naturale, voi. 1 pag. 61-62, Trapani 1865. Se il pen- sare è ipotetico , il modo di esprimersi del prof. Lascio — Cortese è logico, riserbato, modesto, e non punto immaginoso, rimbombante, de- clamatorio. (3) Le opere della terrestre creazione furono compiute da Dio in sei giorni. Questo fatto ci è stato rivelalo, nè poteva altrimenti cono- scersi che per mezzo della rivelazione fattane ad Adamo, e da Adamo trasmessa ai suoi discendenti. È sembralo a taluni troppo corto il tem- po di sei giorni, e credono che si tratti di epoche e non di giorni or- dinarii, sicno giorni solari, sieno giorni siderali, e queste epoche so- — 125 — Le formazioni sono una conseguenza necessaria delle forze esistenti in natura. Quali sono queste forze? Altre fi- siche , altre chimiche, ed altre meccaniche. Il calore, la elettricità, il peso, la congelazione dell’acqua, la sua eva- porazione, le piogge, etc. sono delle forze fisiche; l’azione dell’aria, dell’acqua, delle meteore nella decomposizione dei corpi sono delle forze chimiche; le tempeste, le alluvioni, gli uragani sono delle forze meccaniche. Tutte queste forze ten- dono a modificare , a cangiare la costituzione del globo : noi vi vediamo ora un’ azione violenta ed istantanea , ora un’azione continuata e pacifica, ora in fine un’ azione straor- dinaria ma non istantanea , un’ azione poderosa e tragran- de, ma non universale e sovversiva. Le formazioni poi sono necessarie per essere il terreno confacente a più nature di piante, e le piante confacenti a più, nature di animali. Le formazioni entrano dunque nel piano generale della vita no , a loro intendere, di una durata costante ma indeterminata. Così Iddio tra un fiat ed un altro lasciò passare non una sola rivoluzio- ne della terra sul proprio asse , ma un intervallo di tempo considere- volissimo, lungo alquante migliaia di secoli secondo il beneplacito di dii cosi ordinasse. Scempiaggine siffatta mi pare indegna di Dio e di chi la pronun- zia: si tratta della terra c della disposizione delle sue parti; si tratta di creazioni parziali di piante e di animali, e di distruzioni parziali di certe piante e ili certi animali. La terra ha dovuto girare sul proprio asse sin dal principio; dunque una semirivoluzione è il mattino, e una semirivoluzione è la sera. Se un giorno lo fate durare parecchie mi- gliaja di secoli ed anche più, \\ fiat (\\ Domeneddio avrà avutola durata di parecchie migliaja di anni ed anche più. E addio la sublimità del fiat della Genesi notata dallo stesso Longino. Vedi il mio Discorso sul- la creazione e gli Schiarimenti nella Vera Buona Nocella, Anno 1867, n. 13 e 28, Firenze 1867 , dove si dà l’intelligenza delle parole della Genesi in conformità della scienza astronomica, geologica, fisica e pro- tologica. ^ — 126 — del globo , cioè nelle sue diverse attitudini a prestarsi in vantaggio delle piante, come queste a prestarsi in vantag- gio degli animali, e come questi in fine a prestarsi in van- taggio dell’ uomo, ultimo (ine della terrestre creazione. Le formazioni geologiche non sono che quattro : cosi pure i terreni che ne dipendono. I quali in rapporto alla loro origine o sono terreni primitivi, primordiali, primarii, prima epoca ; o terreni stratificati, fossiliferi, seconda epo- ca ; o terreni di deposito (tufacei, argillosi, gresiformi ), terza epoca; o terreni recenti ( sabbionosi, fangosi, madre- porici), quarta epoca. Non restano che i terreni vulcani- ci, de1 quali alcuni sono antichissimi ed antistorici (terre- ni trachitici), altri moderni cioè formati nelle epoche sto- riche (terreni tefrinici più o meno decomposti). Queste due epoche però non hanno colle quattro formazioni anteceden- ti veruna specie di analogia. Lo stato caotico del globo è stato avvertito da tutti i pensatori dell’antichità sì per ragionamento, come per tra- dizione, e da questo stato caotico il globo terraqueo se n’è uscito felicissimamente , conciosiachè vi è tale copia di mi- nerali e di rocce da eccitare la maraviglia del Naturalista inineralogo, tale abbondanza di animali e di piante da sba- lordire chiunque volesse numerarne non già gl’ individui (che non sarebbe possibile), ma i generi soltanto e le spe- cie. Lo stato caotico impertanto fu una preparazione alla definitiva regolare disposizione delle parti integrali , V aria, l’acqua e la terra, elementi geografici non meno che geolo- gici, il tluido igneo, quarto elemento, trovandosi diffuso ed interposto fra le molecole de’ corpi solidi, liquidi e gazosi (4). (4) Lo stato caotico del globo viene dalla Scrittura accennalo con quelle parole: Terra autem erat inanis et vacua, et tenebrae crani su- per facitm abyssi , et Spiritili Dei ferebatur super ai/uas. In que- ste parole si ha ben disegnata 1’ immagine del Caosse : la Terra un - \n Dallo sialo caotico la Terra passò a quello di Globo per- fezionato ed abbellito, ma la sua attuale costituzione non è la primigenia, come da tutti si conviene, dapoichè nel cor- informe ammasso di materia senza traccia di organizzazione , una massa oscura inviluppata per ogni parte da tenebrosa caligine, e ri- coperta di un fluido, il quale per essere oscuro nou poteva essere della natura del fuoco ma di quella dell’ acqua in forma di densa ed oscu- ra nebbia. Ecco una descrizione meravigliosa dello stato caotico del mondo, infinitamente superiore a tutte le fantasticazioni dello spirito umano in balìa di se stesso, stato caotico dove lo Spirito di Dio do- veva quanto prima far risplendere la sua potenza e la sua ricchezza nell’ architettare ed abbellire questa gran mole a preferimento, che doveva essere abitata dall’ uomo, creatura privilegiata di Dio, e capo d' opera delia terrestre creazione. Non si può parlare dello stato primitivo del globo con assenna- tezza di pensieri senza i lumi rivelati, dapoichè se, stando al buio, lasseremo libero il volo all’ immaginazione , saremo trabalzati in erro- ri palpabili di scienza, e quel eh’ è più inciamperemo in più gravi errori rispetto alle sacre discipline toccanti Dio , l’uomo e la natura. Imperocché , « sebbene 1’ obbietto formale della Fede , dice la Civiltà « Cattolica (Serie VI. voi. Ili pag. 08, Roma 1808), è del tutto di- « verso da quello della Scienza , accade però assai spesso che gli ob- « bietti materiali sono gli stessi. E però coloro i quali nelle quistio- « ni di questo genere, che suno sempre le più gravi, diriggono per ma- « niera il loro intelletto che non debba urtare giammai contro a ninna « delle verità rivelate, ma anzi da queste sia come ammonita del tcr- « mine verso cui battere , sono al sicuro almeno dal pericolo di que- « gli errori che riuscirebbero più fatali. Per contrario olii disconosce, « o se non altro diparte gli occhi da questa fiaccola divina, accesa « da Dio stesso in mezzo alle tenebre che da ogni parte ci circon- « dano , non può essere a meno che presto o tardi non Smarrisca « la via, pur credendo di avanzare trionfalmente verso la meta del vero. » Dobbiamo qui avvertire che l’aria, l’acqua, la terra ed il fuoco diconsi i quattro elementi del globo non perchè siano quattro sostan- ze semplici ed elementari, come forse piacque agli antichi d'immagi- nare, ma perchè ne sono le parti integrali. Non sono elementi chimici so dei tempi un grande cataclisma ed altri forse di minor importanza sopravvennero a cambiare l’antica sua costitu- zione, ed un’altra ne impressero eh’ è quella di oggidì in certo modo consolidata, meno qualche accidentale variazio- ne cagionata da tremuoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni ed altri fenomeni di somigliante natura. Il periodo attuale fa contrasto col primitivo. In questo si hanno le prime formazioni, in quello le ultime formazio- ni. Il periodo terziario più vicino essendo al quaternario è meno oscuro del periodo secondario più vicino al primiti- vo: la luce ci abbandona a misura che dalle epoche moder- ne vogliam risalire alle antiche , dalle epoche in cui pos- siam chiamare in soccorso la tradizione a quelle in cui la tradizione manca assolutamente. Però in Geologia dobbiam camminare cautelosamente c con gran riserbo. Siccome è scienza induttiva questa di cui ragioniamo , e le sue veri- tà sono tutte dell’ordine delle contingenti, bisogna saper ma- neggiare il metodo induttivo ed averlo profondamente stu- diato per non essere sbalzati , come è toccato a più d’ u- no, dal moscherino all’elefante, dalla molecola all’ Univer- so, con grave scandalo della ragione , della filosofia e del buon senso (5) . ma geografici, e quel che più monta geologici. Rimproverando gli an- tichi di avere ammesso i quattro elementi per corpi semplici c inde- componibili dalla cui combinazione venivano a formarsi tutti gli altri corpi composti, è un commettere un evidente anacronismo, non essen- do allora nata la chimica, ed ignorandosi quali corpi prestavansi all’a- nalisi e quali no. (5) Il cattivo uso o abuso della induzione ha rovinato più d' ogni altro la filosofìa naturale ; specialmente 1’ astronomia , la geologia , la fisiologia e la patologia. Abbiamo un gergo astronomico, geologico, me- dico che fa vergogna: è il vero indiceche gli studii filosofici sono stati messi in abbandono dagli astronomi, da’ geologi, e da’ medici, come da’ filosofi sono messi in non cale gli studii astronomici, geologici, e — 129 — La Geologia è la scienza del Globo considerato in or- dine ai terreni ed alle rocce che ne formano dirò lo sche- letro e l’ossatura. Questa veduta presenta, non v’ ha dub- bio , le sue difficoltà , ma non molte ed insuperabili. Le rocce sono pressoché tutte conosciute, sono conosciuti i mi- nerali che entrano nella loro composizione. Ciò s’intende delle rocce accessibili ai nostri mezzi di conoscere e di spe- rimentare. In generale le Rocce o sono semplici o com- poste; dippiù, o sono masse pietrose, o masse metallifere, o masse saline, o masse arenarie, o ammassi di corpi com- bustibili, o il prodotto immediato del fuoco , o il deposito delle acque dell’ antico mare, o quello infine delle acque al- luviali e di quelle che scorrono sopra la superficie del suo- lo. I terreni poi sono alle rocce ciò che le rocce sono ai minerali. Eglino o sono primitivi o secondarii o terziarii o quaternarii. A. questa primaria divisione succedono le di- visioni secondarie, cioè la suddivisione de’ terreni primiti- vi nelle sue specie, come il terreno granitico, porfìrico , felspatico, trappico, basaltico, ecc.; de’ terreni secondarii nelle sue specie, come il terreno cretaceo, oolitico o del Giura, carbonifero, ecc.; dei terreni terziarii nelle sue spe- cie, come il terreno alluvìale, argilloso, marnoso , gresi- forme, ecc .; dei terreni quaternarii nelle sue specie, come il terreno fangoso, arenoso, torboso, madreporico, ecc. Dal che si vede il terreno vulcanico non appartenere a nessu- na delle quattro età succennate , ma costituire una classe a parte, una specie di epigenesi , distinto in terreno tefri- inedicali. Non si può ovviare a tanto danno che riunendo in un sol focolare le sparse cognizioni, e facendole convergere a un sol punto , qual’ è la dimostrazione ed il possesso della verità. - 130 - nicoo vulcanico moderno, ed in terreno (-rachitico o vulcani- co antico (6). I terreni primitivi coevi essendo alla formazione del globo non possono contenere spoglie di animali terrestri o marini e nemmeno impronte di vegetabili. Essi sono dunque tutti azoici . Inoltre possono essere cristallini, semicristallini , fìssili, non fìssili, di forma regolare, amorfi, ecc. Tra i ter- reni primitivi ad elementi cristallini occupano il primo po- sto il granito, la sienite , il protogino, il quarzo ialino, il calcario saccaroide, ecc. Sono rocce semicristalline il por- (0) Ecco quale sia la nostra CLASSIFICAZIONE SISTEMATICA DELLE HOCCE. a) Rocce pietrose. A) cristalline — Granito, Sienite, Protogino, ecc. B) semicristalline — Porfido, Gneiss, Micascisto, eco. C) compatte — Basalto. D) fissili — Scbusto micaceo , Sehisto argilloso, Ardesia ecc. b) Rocce metallifere. c) Rocce saline. A) cristallizzate — Marmo saccaroide. Spato fluore, Quarzo ia- lino, Salgemma eco. B) amorfe — Marmo secondario. Calcario grossiere, Spato pe- sante, ecc. d) Rocce arenarie. c) Rocce combustibili — Solfo, Carbon fossile, ecc. f) Rocce vulcaniche. A) antiche — Trachite. BJ moderne — Tefrina. g) Terreni di sedimento — Argilla, Marna, Pudinga, Breccia, Conglo- merati. h) Terreni di alluvione — Sabbie, Dune, Delta, Brecce ossee. Brec- ce conchiglifere, Tufi calcarei, Tufi vulcanici, ccc. - 131 fido, il serpentino, l’agata, la calcedoni , il fclspato , lo gneiss, il micascisto, ecc. Sono fìssili le rocce formate di foglie o lamine paral- lele che lasciansi facilmente dividere , come Io schisto ar- gilloso, lo schisto micaceo, le ardesie, lo gneiss, ecc.; non fissili o in massa le rocce granitiche, serpentinose , dial- agiche, ecc. Di forma regolare sono il Basalto colonnare, il Basalto globulare, la Diorite, il Quarzo, il Fclspato, ecc. Terreni amorfi primitivi sono il terreno basaltico, schistoso, steatti - tico, felspatico, ecc. Le rocce primitive superano in quanto a massa le roc- ce tutte di seconda e terza formazione riunite insieme: tali sono il granito, il porfido, lo gneiss, il micascisto, il ba- salto, ecc.; e ciò per la evidente ragione che le rocce pri- mitive sono indipendenti ed alle stesse sono subordinate le rocce di seconda e terza formazione. Il periodo primitivo è di sua natura oscuro: siccome l’Uomo è un essere or- ganizzato, un’ intelligenza servita da organi, come si espri- meva Pascal , così la natura inorganica ha dovuto prece- dere di gran lunga la sua comparsa sopra la terra. Niun dubbio perciò che del periodo primitivo non possiamo aver- ne nozione , non dico sperimentale , ma nemmeno razio- nale od induttiva. Perlochè niente possiamo asserir di pre- ciso intorno a tal periodo. Quanto tempo ha egli durato? TI periodo secondario quando ebbe il suo principio? Quando al secondario è succeduto il periodo terziario? Ecco delle do- mande alle quali non può darsi adeguata risposta. Ciò tutta- via non toglie che 1’ ordine di successione non si sappia, e non si conosca, per esempio, quattro essere state le forma- zioni, la primitiva, la secondaria, la terziaria, e finalmente la quaternaria; dopo di che non può procedersi più oltre. I moderni geologi rivolgendo quasi tutta la loro atten- zione all'epoca terziaria non hanno principalmente in ve- rni ACC. VOI. IH. — 132 «luta che la sovrapposizione de’ piani , c la loro divisione in supcriore, medio ed inferiore. Le rocce acquee , vulca- niche c plutoniche sono disposte in linea parallela, c se le metamorfiche han dovuto mettersi dopo le acquee e le ignee, niente fa conoscere se l’acqua fu prima del fuoco o il fuoco prima dell’acqua; dapoichè le rocce acquee ora si antepongono alle plutoniche ed alle volcaniche, ed ora sono collocate dopo le plutoniche , le volcaniche rilegandosi in Appendice, quasi straniere al sistema. Come smarrito il principio di creazione , la filosofìa non è che un tessuto di favole ed un ammasso confuso di sistemi contradittori suH’originc del mondo e sulle relazioni delle creature tra loro e con Dio, così deipari senza la for- mazione primitiva anteriore all’azione decomponente dell’a- ria, dell’acqua e del fuoco, la Geologia è un tessuto di favole spropositate e di ipotesi gigantesche da sorprendere Io menti deboli, e da commuovere l’immaginazione, facendo tacer la ragione. Dividere le rocce in ignee, acquee e metamorfiche, come han fatto i signori Malacarne c Polli , ovveramente in acquee , vulcaniche, plutoniche e metamorfiche , come ha fatto il sig. Lyell , è non avere idea nò di filosofia nò di logica : le formazioni sono successive, non simultanee ; non sono indipendenti le ime dalle altre ; sono quattro e non più; sono di questo e non di altro ordine di succes- sione : la sola durata ne è indeterminata ed incerta. Sic- come le rocce metamorfiche che non sono, suppongono le rocce nett uniche che sono, alterate dalla vicinanza o dal contatto delle rocce plutoniche; così le rocce acquee che so- no, suppongono le rocce ignee che non sono, su di cui l’a- cqua esercitò ed esercita tuttora la sua azion dissolvente per dar nascita alle rocce stratificate o ai terreni di sedimento. Le rocce ignee poi suppongono le primitive che non furono nò plutoniche nò vulcaniche come quelle che somministrar dovettero la materia al fuoco per aver luogo le rocce, vuoi — 133 — plutoniche, vuoi vulcaniche, ovvero all’ acqua per la forma- zione delle rocce stratificate: altrimenti sarebbe il caso di una forza che opera senza che vi sia 1’ oggetto , termine della sua azione: ciò che in filosofia sarebbe un assurdo. Il globo terracqueo pare non sia costituito che della parte solida, la più pesante, della parte liquida, e della parte gazosa la più leggiera di tutte. L’atmosfera non poteva mostrarsi se non dopo la parte solida e la parte liquida: nel primo periodo come la parte gazosa era inviluppata dalla parte liquida, e la parte liquida ricuopriva tutta quanta la parte solida, così tutte e tre parteciparono a un tempo al moto di rotazione c però l’aria nel distaccarsi dalle ac- que e nel costituire 1’ atmosfera conservò il moto di verti- gine che tuttora conserva , moto che fa rivolgere 1’ atmo- sfera in 24 ore nò più nò meno di quel che facciano li ac- que dell’ oceano, e il nocciolo solido del globo. Di che ma- teria sia la parte solida del globo ed il suo nocciolo noi lo ignoriamo; se la massa sia granitica o no, questo ci è igno- to, e questa ignoranza è dotta perchè vera, reale, positiva, come ogn’altra cosa che conosciamo, che pure è vera, rea- le, positiva. Gli elementi minerali di cui si compone la massa del globo sono stati enumerati dal Chimico analizzatore ; essi non ascendono clic a 63 in 66 corpi semplici , ma questo numero non ò completo: la parte del globo che ci ò nota è pochissima parte rispetto a quella che ci è ignota, e co- me ignoriamo quali sicno gli elementi mineralogici che quelle rocce sotterranee costituiscono , cosi pure ignoriamo quali sieno i loro elementi chimici. È molto probabile che al di sotto dello strato superficiale fin dove abbiaci potuto per- venire la natura abbia posto altre sostanze a noi ignote e clic ignoreremo per sempre, dapoichò i Vulcani non sono po- sti che alla superficie della terra e le loro ejezioni non sono che di materiali sepolti a piccola profondità dal grande ca- 134 taclisma, capaci nella loro miscela, a concepire quel gra- do di alterazione , che svolgendo molto calore ne modifica io stato, ne ingrandisce il volume, e ne determina l’ ascen- sione ed il riversamento. Del resto la scienza geologica portando dinanzi a se la fiaccola dell’osservazione e dell’analisi, del ragionamento induttivo e de’ princi pi i generali se non è in grado di pene- trare sino al midollo delle opere della creazione, ci apre f intendimento su tutto ,ciò che cade direttamente sotto i sensi, c può essere oggetto di osservazione c di analisi. Le rocce granitiche anteriori alla nascita de’ corpi orga- nizzati sono state riguardate mai sempre come le prime c più antiche rocce componenti il massiccio della nostra Terra: sono estremamente abbondanti alla superficie di essa, e sembra dover costituire la parte solida ed interiore del globo. Que- ste rocce pochissimo alterabili per propria indole sono in- suscettibili di concepire il fuoco; anzi pare non essere state giammai nello stato di fusione ignea, come a taluni piace di gratuitamente asserire. Il granito è tanto più di antica formazione quanto por- ge meno indizio di stratificazione ed è più ricco di felspato e massime di quarzo , e meno invece di mica. Di qui la distinzione del granito primario dal secondario, distinzione che si applica al Basalte , come risulta dalle mie osserva- zioni (7). Dopo il granito figura tra le rocce primitive il Porfido. È una roccia che presenta la struttura detta porfìroide, nella (7) Il granito è la più solida pietra di quante altre impiegar si possono alla costruzione degli edifìzii , e il non essere diviso a strati fa sì che possa mettersi in opera per ogni verso. Gli Egizii effigiarono col granito quelle statue colossali , quelle Sfingi misteriose , quei Mo- noliti che formarono f ammirazione di tutti i secoli. I Chinesi co- struirono a granito le torri della loro famosa muraglia. — 135 — quale i cristalli di felspato o di altro minerale sono dissemi- nati in una pasta di colore un pò diverso. Nel porfido vi si trovano accidentalmente amfibolo, mica, pirite, ecc. Il porfido è abbondantemente sparso in natura, ed esi- ste in masse non stratificate, in ammassi, in filoni, e forse anche in letti; forma massi enormi in vanii luoghi della terra come nelle Cordigliere di America. I porfidi sono in Europa meno frequenti, ma non può dirsi che vi sia penuria. Gli antichi ricercavano di preferenza il porfido rosso di Egitto eh’ essi traevano dalle montagne che si elevano tra il Nilo e il mar Mosso (8). Alle rocce compatte azoiche primitive appartengono la sienite, il protogino, lo gneiss, 1’ eufotide, ed il trappo. Il Basalto, è una roccia primitiva che , come il granito e lo gneiss, non appartiene nò alle rocce nettuniche nè alle vulcaniche; non alle nettuniche, non avendo il Basalto in- dizio di stratificazione nò vestigio di corpi organizzati nei suo interno; non alle vulcaniche perchè col tempo cade in fatiscenza e diventa una massa terrea, glutinosa , ricca di alcali vegetale , motivo per cui la vegetazione de’ terreni basaltici è ordinariamente abbondante e rigogliosa. Una roccia che non è 1’ opera nè dell’ acqua nè del fuoco, non può essere che una roccia primitiva, anteriore alle rocce sedimentarie ed alle rocce vulcaniche, come del Basalte ne dettano e la sua composizione mineralogica e la sua naturale spontanea decomposizione : roccia a dir vero bizzarra e fino a un certo segno problematica, la quale ha fatto dire ai geologi un mondo di stranezze in sostegno del preconcepito sistema. La tendenza del Basalte a prendere la forma prismati- ca e a disporsi in colonna è sorgente di effetti sorprenden- (8) La più gran massa di porfido egizio che si conosca c 1 Obe- lisco di Sisto V in Roma. — <36 — ti e curiosi. I basalti colonnari producono magnifiche scene in varie contrade del globo, e presso noi niente è più ma- gnifico quanto la rupe di Castel-forte, quella più ardua di Motta S. Anastasia , i Faraglioni di Aci Trezza che torreg- giano nel mare Jonio a poca distanza dal lido, e la celebre valle di Loddiero presso Mi litello Val di Noto, di cui si sono di proposito occupati due Gioenti, il fu nostro Socio prof. Digiacomo, e l’autore di questa Memoria. Niente è più straordinario agli occhi del naturalista fi- losofo che i Faraglioni, la Rupe di Aci Castello (9), e l’isola della Trezza al lato orientale del Faraglione grande , dove rinvengonsi i più bei cristalli di Ànalcime, ed altri cristalli conosciuti prima col nome di Zeoliti ed oggi distinti, dietro l’analisi chimica e cristallografica, co’ nomi di Cabasia , Stilbite, Herschelite , Philipsite , Bcffanite , Mesotipe, ecc. (9) La rupe di Aci-Castello è singolare pei* la sua conformazione, per la sua composizione tutta di basalte globulare a superfìcie vetrosa, ciascun globo formato essendo di coni disposti a raggi co’ vertici rivolti al centro c le basi alla circonferenza, per la sua decomposizione ope- rata dalle acque piovane in una specie di farina fossile , che riempie gl’ interstizi! tra una bomba e l'altra, e finalmente pel grosso blocco d’ una breccia basaltica a cemento mesotipico clic sta a piedi della Roc- ca, sopra la così detta Plaea, o terreno basaltico nudo, camminabile a piedi asciutti quando tranquillo è il mare, inondato e sott’acqua, quan- do il mare è agitato. Così il terreno di Àci Trezza c Castello presen- ta le forme più curiose del Basalte, e i prodotti clic dal Basalte decom- posto in contatto dell’acqua marina e attraverso gli sfogli della mar- na sohistosa provengono. Nel terreno argilloso delle colline di Aci-Castello proveniente dalla scomposizione della carriera basaltica ho visto vegetare la Scilla mariti- ma L. nò più nè meno di quel che faccia ne’ monti arenosi della nostra Plaja, dove il suo bulbo arriva ad una grossezza enorme, motivo per cui in vernacolo la stilla è conosciuta col nome di cipuddazza (grossa ci- polla,). — 137 cristalli de’ quali i più grossi vanno a concrezionarsi nelle cellule del Basalto cavernoso, prendendo la forma trapezoi- dale , e i più minuti rimangono in mezzo agli sfogli della marna schistosa, che tutta ne cuopre la superficie (IO), o dan luogo a quel minerale lucidissimo, che dal nostro so- cio prof. C. Gemmellaro fu detto Analcimite c clic avrebbe dovuto chiamarsi Gemìnellarite (11). (10) La marna che ricuopre l’isola della Trezza ricuopre ancora il cocuzzolo del Faraglione grande ad un'aliena di 60 piedi sul livello del mare. Ciò indica che il Faraglione grande fu un tempo sotto le acque come ne è la sua base , e che tutta la formazione basaltica di quelle contrade ha dovuto essere una formazione sottomarina. Il livello del Mediterraneo fu dunque una volta assai più elevato del livello at- tuale, ed il suo abbassamento ha dovuto essere l’effetto di lino de’ gran- di cataclismi parziali, che ha interessato a preferenza i luoghi una volta inondati cd ora scoverti dell’antico più ristretto continente. Pare che molte isole dell’ Arcipelago greco abbiano avuto esistenza per causa di un tal ‘cataclisma, e i terreni terziari i di Sicilia dal lato di mezzogiorno e libeccio abbiano avuto la medesima origine. L’ isola di Sicilia che ha la forma triangolare non balla acquistata che mercè le grandi al- luvioni, che hanno ricoverto il suo suolo di terreni sedimentarli , di gres conch igliari, di argille, di tufi calcarei, e di diluvium, in mezzo' ai quali terreni di sedimento e di trasporto s’ incontra di quando in quando il corpo di qualche ippopotamo , le mascelle e le difese di qualche elefante, li denti molari di qualche cavallo di razza perduta, cd altre ossa di animali pachidermi provenienti dall’ Affrica setten- trionale, probabilmente trascinati nell’interno dell’ isola da correnti sot- tomarine e poscia deposti in mezzo ai tufi o introdotti nelle caverne de’ monti per ivi convertirsi, mercé il succo calcareo delle rocce sopra- stanti , in brecce ossee di esotici animali. Vedi gli alti Gioenii , e le Opere di Scinà, Ferrara, Calcara, Alessi cd altri. (11) A questa pietra la quale non è clic un ammasso di Zeoliti o A- naleimi vetrose, compete un triplice nome, Analcimite dalla sostanza , Ciclopite dal locale, e Gemìnellarite dal suo primo scopritore ed osser- vatore, il prof. C. Gemmellaro. 438 — Il Basalte ha fatto immaginare presso noi i Vulcani e- stinti del Val di Noto con meno assai di verisimiglianza di quel che sia dell’ Alvergna e del Vivarese (12). Su di che mi sono abbastanza intrattenuto nelle mie Memorie geolo- giche inserite negli Atti accademici voi. XX, serie seconda, I 865 . Le rocce stratificate sono Y opera delle acque e lo sono pure, benché in epoche posteriori, i terreni di terza e quarta formazione. Non è a dire come la superfìcie terrestre è tut- ta coperta di terreni di sedimento, è tutta ingombra di mate- riali, lavoro delle acque non solo dolci, ma ancora marine. II livello del mare essendosi spostato dopo il grande cata- clisma tramandatoci da Mose, ammesso da tutte le nazioni, e nella scienza conosciuto col nome di Diluvio storico (13), fu (12) I vulcani estinti del Val di Noto non sono che carriere ba- saltiche di grande estensione, nelle quali par che manchi il Basalte colonnare , che rinvenghiamo nel li ttorale di Aci Trezza e Castello , e nella Rupe di Motta s. Anastasia — Le Zeoliti essendo patrimonio quasi esclusivo dell’ isola della Trezza , pare vi abbia parte, oltre agli elementi cristallini del Basalte, la marna schistosa che ne ricuopre la superficie. 11 fatto sta che 1’ Ànalcime, la Beffanite, la Thompsonite, la Idoerasia, la Mesotipe, la Philipsite, ecc. non sono che all’Isola della Trezza, dove al tritume basaltico vanno a congiungersi acqua piova- na , marna , acqua marina, sali a base di soda , acido carbonico ed al- lumina — L' analcimite è pure nell’Isola, e pare doversene la forma- zione alla presenza della marna, dove pare che le analcimi si elaborino. (13) « Si è spesso contestato, dice M. de la Beche, che siavi stato « sul globo un diluvio universale, perchè non se ne concepiva la pos- « sibilila fisica: orala geologia non può più ritenere alcun dubbio su « questo soggetto; tutte le osservazioni tendono a provare il passaggio « d’un diluvio sulla terra ». Ed il diluvio mosaico essendo storico, ne avviene che dura ancora presso i popoli tutti della terra la tradizione di questo grande avvenimento , e il modo onde scumponne la umana generazione. — 139 grande il cangiamento avvenuto negli antichi continenti; l’aspetto del globo fu mutato da capo a fondo. «Moltiplica- « ti monumenti, dice il sig. Lycll, attestano sovrabbondan- te temente che la superficie della terra è stata rimaneggiata « più c più volte ; catene intere di montagne sono uscite «dal suo seno, o si sono inabissate nelle sue cavità; delle « vallate sono state violentemente aperte, in seguito colmate, « poi di nuovo scavato ; i mari e le terre han cambiato i « limiti relativi. » Ed abbenchè vi abbia in questi detti non poca esagerazione sul gusto romantico de’ PI utonisti , niun dubbio che forze estraordinarie hanno agito di tempo in tempo e sconvolto la faccia de’ Continenti o quella almeno di talune località. Il terreno secondario è il prodotto delle acque coadju- vate dalle Meteore, di cui è perenne l’azione. Avuto però riguardo alla grande estensione di cosiffatto terreno sem- bra doversi attribuir la sua nascita ad un generai catacli- sma che, fuori l’ordine naturale, abbia dato origine alle rocce stratificate contenenti spoglie di esseri organizzati di cui le specie o sono perdute , o le congeneri esìstono tut- tora nei mari vicini o ne’ lontani. Il periodo secondario , intermedio tra il primitivo ed il terziario, sembra essere stato di assai corta durata , stan- te la estraordinarietà delle cause cosmiche dalle quali è stato prodotto. Le rocce di transizione fra il terreno pri- mitivo ed il secondario non sono da ritenersi nel senso lo- ro attribuito da’ geologi della scuola di Werner : questo nome credo doversi appropriare al periodo che trascorse dalla prima alla terza formazione. Il terreno secondario è E anello che congiunge il periodo primitivo al terziario , mentre il quaternario è l’effetto graduale e necessario del- le cause attuali, ossia delle forze inerenti agli agenti fisi- ci, acqua, aria e meteore, la cui durata è indefinita, e di cui universale è la estensione. 19 . ATTI ACC. VOL, III. - UO — Lo rocce di seconda formazione si riconoscono alla loro stratificazione orizzontale, o inclinata, ossivvero alla struttura fogliettata per cui le rocce suddette sono separa- bili in lamine parallele contenenti impronte di vegetabili , della specie de’ fuchi e delle felci. Di queste rocce secon- darie si hanno lunghe catene di montagne più basse di quelle di prima formazione, con tracce di materie carbonose, e di sostanza organica non riconoscibile, come la nafta e il pe- trolio. Il terreno secondario riposa sul primitivo come il ter- ziario riposa sul secondario. Ciò indica che la formazione primitiva è più antica della secondaria, e la secondaria più antica della terziaria. I terreni di trasporto, le arenarie, le breccie ossee, le breccie conchiglifere, le pudinghe , i tufi calcarei , i tufi conchigliari appartengono al periodo ter- ziario, il quale è il più superficiale di tutti, distinto ne’ tre periodi eocenico, miocenico, e pliocenico, e ciascuno di questi in altri periodi subalterni secondo l’ ordine di so- vrapposizione e i fossili che vi si contengono. Il periodo post-pliocenico è tuttora in vigore: sono le cause attuali che ingenerano l’ultima e più recente formazione, alla quale ci è lecito di assistere. 11 periodo terziario è 1’ opera dell’ acqua, come opera dell’acqua sono le montagne stratificate di formazione se- condaria; ma havvi differenza tra i terreni secondarii e i ter- ziarii , in quanto le rocce secondarie sono più antiche , e la loro formazione è dovuta a cause più solenni , a forze più gigantesche : sembra che la natura le abbia prodotte nel periodo di un generai cataclisma , periodo in cui il globo prese un nuovo aspetto, una nuova configurazione, mentre il periodo terziario è nato da cataclismi parziali , da liquefazione di enormi animassi di ghiaccio, da devia- zione di fiumi, da laghi colmati , da valli scavate, da tre- 9 — 141 — muoti, da eruzioni vulcaniche, ed altri fenomeni di simil fatta (14). Il periodo terziario è separabile in periodi di data più antica e di data più moderna; ha seppellito animali di razze perdute o di razze ancora esistenti, ed ha modificato note- volmente la superficie del globo : esso però non si estende a molta profondità, e nemmeno si eleva a considerabili al- tezze. « Il terreno terziario anteriore al quaternario, ho io detto altrove [Saggio eli Geologia filosofica —Atti dell’ Ace. Giocn. di Scienze natur. t. XX Serie II. 1865) è costituito di terreni dovuti all’ azione corroditrice delle acque in epo- che antistoriche, quando la superficie della terra non era stata ancora esplorata dall’umana generazione ed era uni- camente occupata dai grandi animali e da quelli che pren- ci) Oggi dai Geologi par che si^ammetta di contraccolpo, come di- mostra il sig. Delesse (Recherches sur l’ origine des Roches*= Bulletin de la Soc. Géol. de France 2 serie, t. XV pag. 228), che il granito stesso e le rocce così dette plutoniche devono la loro primitiva liquidità , e la loro plasticità all’acqua come veicolo delle loro particelle cristalli- ne— Un palazzo di ghiaccio pare che sia solido , ma a poco a poco come l’atmosfera si riscalda, si disgela, gronda tutto di acqua, e final- mente cade e si liquefa sparendo dalla faccia della terra : tali sono i sistemi di Newton, di Laplace, di Cordier, di Chevreul, di Flandin , di De-Buch, di Elie de Beaumont, etc. etc. La falsa scienza ci porta alla degradazione di Dio e dell’ uomo , la vera scienza al contrario esalta 1’ uomo come creatura di Dio. La scienza mondana ha per iscoperta la trasformazione delle razze , ed assegna all’uomo per suo tipo generatore la scimia ; ha pure per iscoperta il fuoco centrale, ed assegna al fuoco ciò che gli antichi assegnavano all’acqua, riproducendo le antiche tradizioni de’ titani, de’ ciclopi, e dei giganti, sconvolgitori della terra, cd il sistema fisico-geologico di Em- pedocle di Agrigento, vissuto 400 anni prima di Cristo. Così per molti moderni il progresso consiste nel retrocedere di parecchie migliaja di anni o nell’ asseverare cose che sono più meravigliose de’ conti delle fate, c delle imprese cavalleresche degli Orlandi e de’ signori della Mancia. - 142 - dono incremento e sviluppo nelle acque, quali sono i pe- sci, i molluschi conchigliferi , le madrepore, i coralli e i foraminiferi. Noi possiamo ammettere in tutta quest’ epo- ca strati anteriori e strati posteriori; onde non è da rifiu- tarsi la distinzione del terreno pliocenico dall’eocenico , a cui si vorrebbe mettere per terzo il miocenico. Ammettia- mo pertanto nel periodo terziario duo epoche distinte , e due palchi ancora distinti, /’ eocenico ed il pliocenico, e non sapremmo uniformarci all’ ammissione del terreno miocenico tutt’ affatto sistematico ». Il terreno quaternario che, come abbiam detto, è l’ef- fetto delle cause attuali, non può nascere che dal detritus delle rocce di prima , seconda e terza formazione, e dalla azione incessante degli agenti fìsici, quali sono l’ elettricità, c le meteore. Cosi le spiagge s’ innoltrano nel mare dovun- que i fiumi vi portano i materiali terrosi, i ciottoli e quan- ta altro sono in grado di distaccare e menar via nelle loro piene e nelle loro disalveazioni; i monti d’oggi giorno non sono più elevati di quel che furono un tempo, anzi hanno in parte abbassato le loro creste orgogliose, il sollevamento dei terreni per forza interna residente nel nocciolo del glo- bo essendo uno strano pensamento, come altresì il loro gra- duale abbassamento in altre parti del globo (15). (15) Le montagne sono l’opera della natura, non sono mica l’opera nè dell’acqua nè del fuoco. Il quale da’ suoi scoppii sottomarini o ipo- gei si vede non essere capace di formare che delle isole e de’ coni di assai discreta elevazione. Anche il Vesuvio così basso rispetto all’Etna non v’ha memoria d’uomo che ritenga di essersi alzato per solleva- mento: lo stesso dell’ Elda, benché più basso del Vesuvio. Le cose sono perchè sono , non perchè sono state prodotte al modo da noi voluto , modo il quale per lo più è sì stolto estravagante, che, data la facoltà all’ uomo, per una impossibile ipotesi, di metterlo in esecuzione, non riuscirebbe a fabbricare nè Alpi nè Pirenei nè Ande nè Cordigliere , ma ci darebbe gli esempi della desolazione e del disordine. Manco male - 143 - 11 periodo quaternario ci conduce retrogradando al pe- riodo terziario , come il periodo terziario ci conduce an- cora retrogradando al periodo secondario. Noi troviamo questi periodi in relazione tra loro : e senza i cataclismi essi rientrerebbero l’uno nell’altro. Noi non avremmo che i tufi calcarei operati dalle acque, i terreni provenienti dalla scomposizione de’ basalti e di altre rocce alluminifere , le sabbie silicee, i depositi fangosi, le torbe, i conglomerati , e i terreni mobili prodotti, dalle maree straordinarie, dagli uragani , dalle alluvioni, dalle tempeste ecc. Ora come ac- cidentali sono i terreni vulcanici, così pure i terreni stra- tificati contenenti resti organici di animali e di piante di specie perduta; se non che questi ultimi rimontano ad una epoca remota ed unica , e i primi si van maturando col tempo, e col tempo moltiplicando come per attestare l’ in- terno lavorio del globo. Le mutazioni che avvengono alla superfìcie del suolo non sono mai 1’ opera di forze interne , le quali , se ope- rano , non si manifestano che o per mezzo de’ terremoti e delle onde di fondo, o per mezzo delle eruzioni vulcani- che, 'cose che succedono ben di rado e che sono limitate a determinate regioni e località. Le azioni in grande non sono dovute che all’acqua, alle meteore, ed alle rivoluzio- ni atmosferiche. Il numero tragrande di conchiglie che sono in tutte le rocce sedimentarie, ed in quelle che la scuola di Werner chiamava rocce di transizione accenna che la vita è ope- rosissima negli animali che abitano il liquido elemento , talché dobbiamo la formazione de’ monti calcarei di secon- da formazione all’ esistenza di questi animalctti , che alla che i Geologi posson parlare c non fare , possono scrivere a loro ta- lento nel silenzio dei loro gabinetti , e non operare a loro gusto nel fracasso delle geologiche evoluzioni. — 144 — piccolezza del loro corpo suppliscono colla facilità immensa della loro riproduzione. La calce carbonata è dovuta in gran parte alla spoglia pietrosa di cui sono ricoverti gli animaletti in discorso, spoglia che serve a difenderli dalle agitazioni delle onde, a renderli specificatamente più pesanti, a starsene tranquilli in fondo al mare , in mezzo alle are- ne, attaccati agli scogli , restituendo alla terra quegli ele- menti che loro somministran Y atmosfera e le acque che percorrono il dorso delle montagne e la superfìcie del suolo. Le rocce vulcaniche sono da considerarsi in ultimo luo- go: esse sono l’opera del fuoco, ma intendiamoci bene o Signori: sono l’opera del fuoco, io ne convengo; ma non di un fuoco straniero alla roccia fusa come l’acqua è stra- niera alle sostanze, clic tenute qualche tempo in dissoluzio- ne sono poscia da lei trascinate ed in punti lontani depo- ste. Il fuoco vulcanico è un fuoco denso , pesante , visco- so; costa di materie pietrose, semifuse, incandescenti. Pare che la corrente lavica acquisti quel suo intenso grado di calore per un lavorìo interno , per un processo simile a quello della fermentazione vinosa, della fermentazione ace- tosa, della fermentazione panaria , della fermentazione pu- trida; non sono rocce liquefatte da un fuoco dovuto a bitu- mi , a zolfo, a piriti in combustione , come opinavano i Vulcanologi del secolo passato sino a Davy, e nemmeno da un fuoco originario e sconosciuto, latente nel cupo fon- do di questa nostra terrestre abitazione, c di là evocato a respirare le dolci aure di quassù dalla voce taumaturga del Geologo plutonista. Nella mia maniera di vedere, la volca- nizzazionc non in altro consiste che nel passaggio che la roccia lavigena i di cui elementi terrosi sono capaci di un grado maggiore di ossigenazione, fa a roccia tornea so- vrossigenata, e come tale incapace di concepire nuovamente il fuoco c di nuovamente liquefarsi. Quindi la volcanicità è una' specie di fermentazione minerale, un fenomeno nè / — 145 — tutto meccanico nò tutto chimico né tutto geologico. Po- trebbe intitolarsi fermentazione lapidea , di cui l’acqua sa- rebbe il fermento. Per lo che non è disconveniente di dare a questo liquido il nome di Principio motore de 3 Volcani, come, quasi per vaticinazione, in altra Memoria, di vecchia data io feci (16). La formazione vulcanica non è che una forma spe- ciale della formazione quaternaria; possiamo chiamarla for- mazione anomala , in quanto non è soggetta ad epoca , o a periodo , e non è una conseguenza inevitabile delle leggi generali della natura. Il globo modifica alquanto la sua superfìcie col tempo, e però le dune , i delta , i ter- reni madreporici possono crescere insensibilmente e dopo un grande intervallo di tempo mostrarsi d’ una maniera apprezzabile. I Vulcani non cosi: essi operano istanta- neamente e possono riposare per secoli; ponno anche estin- guersi dell’ intutto. Non è lo stesso dell7 epoca quaternaria. La quale accompagna la terra dopo il Diluvio universale sino al suo totale svolgimento. Le formazioni suppongono i cataclismi. La formazione primitiva è anteriore a qualunque cataclisma , la quater- naria vi è posteriore. I cataclismi sono dunque riserbati per la formazione secondaria, e per la terziaria; la prima domanda un cataclisma più generale e poderoso che non domanda la seconda. L’ epoca terziaria è diversa ne’ diversi luoghi, stante- chè il cataclisma è stato parzialmente prodotto da cause par- ticolari, e non mai da cause generali. Cosi il globo nei differenti luoghi si presenta diverso, e dà capimento al Geo- logo di rintracciare lo stato primitivo e le forze locali che (16) Per un maggiore svolgimento di queste idee vedete la nostra Operetta Delle accensioni videoniche e della ipotesi del calore centrale della Terra , voi. 1. in 4.° Catania 1862. . — 146 — han prodotto il cangiamento più superficiale che profondo in una data regione. Lo studio delle quattro formazioni è ugualmente inte- ressante. La Vulcanologia sembra essere un’ appendice della Geologia piuttosto che una parte integrale di essa. La struttura interna del globo ci è assolutamente ignota: ricorrendo al fuoco centrale, noi concepiamo un tutto omo- geneo, un tutto che non ammette varietà e composizione, una identità di principii e di massa. Siccome le lave, quelle dell’Etna per esempio non ci offrono nelle loro diverse epoche che lo stesso materiale lavico con pochissime diffe- renze, sarebbe cosi del globo se fosse vero che sia fuoco quagliato per effetto di raffreddamento, idea veramente pue- rile c smentita dalle osservazioni climatologiche antiche com- parate alle moderne, dalle quali risulta che non vi è altera- zione che di un decimo di grado nella temperatura del globo da 2000 anni a questa parte. Un’ ipotesi falsa si confuta e si smentisce da se stessa (17). Raccogliendo in breve le cose fin qui dette, si vede che non vi sono in tutto che tre classi di Rocce , quattro formazioni e cinque specie di terreni. Le Rocce sono ap- partenenti ai tre periodi gioviano, nettuniano c plutoniano; esse distinguonsi co’ nomi di Rocce primitive, stratificate , e vulcaniche. Le formazioni sono di quattro età successive, la formazione primitiva, secondaria, terziaria c quaterna- ria. I terreni poi sono di cinque specie, cioè terreni primi- (17) È osservabile clic non vi è ipotesi, per strana che sia, la quale non è ricevuta come le altre ed a cui non si presta per alcun tempo una qualche ammirazione. Non importa se fa a calci con altre ipotesi ammesse: basta essere un nuovo concetto della mente, un nuovo prodotto ancor- ché abortivo dello spirito per aver luogo nel catalogo delle ipotesi, co- me il Dio Stercuzio, e il Dio Priapo avean luogo nel catalogo delle Di- vinità ammesse dall’ informe Politeismo. — 147 tivi, non stratificati , azoici; terreni secondarii, stratificati, fossiliferi; terreni terziarii o di deposito (diluviali, carboni- feri); terreni quaternarii, o moderni (arenosi, fangosi, ma- dreporici); e finalmente terreni vulcanici (18). Le rocce combustibili o sono depositi dell’ antico mare o sono formazioni terziarie, posteriori al periodo seconda- rio. Il Litantrace o carbon fossile pare potersi assimilare al solfo ed al petrolio: sembra però potersi asserire que- gli enormi ammassi di carbon bituminifero non essere materie vegetali alterate dalle azioni che designansi sotto il nome di eremacausia o lenta combustione , come vuole Liebig, nè sono attribuibili a un fenomeno di fermentazione intestina, capace di determinare una reazione simile a quella prodotta dalla combustione ne’ nostri fornelli , come vuole Raspai 1 (19). (18) Noi non ammettiamo che tre specie di Rocce, quattro forma- zioni , e cinque specie di terreni, stando alla più stretta e rigorosa osservazione. I geologi non parlano che di epoche , e ne ammettono cinque : Epoca primitiva, ne’ campi dell’ immaginazione. Epoca di transizione — Periodo silurio, devonico, carbonifero, pcrmico. Epoca secondaria — Periodo triasico, giurese, cretaceo. Epoca terziaria — Periodo eocene, miocene, pliocene. Epoca quaternaria— Periodo diluviale, glaciale. La Geologia progredisce materialmente , come progrediscono tutte le scienze di osservazione, ha retroceduto e retrocede continuamente al- lontanandosi sempre più dalle leggi generali della natura e dello spi- rito umano. Non v’è progresso nelle scienze se ignoriamo le leggi del pensiero , e la teoria ignoriamo e la pratica del sillogismo dialettico , del sillogismo dimostrativo e del sillogismo induttivo. (19) Il carbon fossile è forse di origine vegetale o fa parte del regno minerale ? Il terreno carbonifero è dovuto alla fossilizzazione delle piante e degli alberi di alto fusto, o è un deposito simile a quello del solfo e del salgemma ? Ciascun geologo pensa alla sua maniera; a me sembra più probabile la seconda che la prima opinione. atti acc. vol. hi. 20 148 — Come havvi un olio animale, un olio vegetale, ed un olio minerale, così può aversi un carbone animale, un carbone vegetale, ed un carbone minerale. Il carbone ani- male è dopo il vegetale, ed il carbone vegetale è dopo il minerale. Quando un elemento chimico è mescolato ad altre sostanze organiche o inorganiche , esso è di origine minerale : così nel carbon fossile è da ricercare 1’ origine del bitume piuttosto che del carbone , dapoichè il bitume contiene carbonio non solo, ma è di una composizione più complicata e di una provenienza ancora più oscura dello stesso carbone. Dopo la formazione primitiva , e stabilita che fu sulla terra la produzione vegetale , e la produzione animale , ne nacquero altre sostanze minerali, le quali forse non sarebbero esistite senza le piante terrestri e le produzioni marine. Il solfo, il fosforo, i carbonati di calce di seconda e terza formazione (marmi c calce carbonata amorfa) non sono che il lavoro delle acque e delle forze organiche de- gli esseri viventi nell'atmosfera e nel mare. Non possiamo quindi comprendere con chiarezza il passaggio del periodo primitivo al secondario; soltanto concepiamo che come il fuoco è nemico della organizzazione e della vita, così l’aria e 1’ acqua si prestano all’ una c all’altra, e i depositi del mare e quegli delle acque correnti han dato, per una necessaria conseguenza, origine a de’ prodotti di un’indole speciale e tu tt’ affatto straniera alla semplice natura minerale de’ com- ponenti la massa solida del globo. Le rocce calcaree come il marmo di Carrara, la Dolo- mia, l’ Anidrite, la Karstenite non han nulla di singolare per meritare una particolare considerazione, c perciò la loro denominazione di rocce metamorfiche non è che la conseguen- za del sistema. E siccome il sistema è falso radicalmente, e non ha, come tale, alcun valore scientifico; così il Metamor- fismo deve esser cancellato, e noi lo cancelliamo sinda ora — 149 - dalla scienza geologica, come Brown voleva che dal ruolo delle scienze mediche si fosse cancellata la Nosologia: No- sologia delenda. Sono queste le vedute che un animo non preoccupa- to da preconcette opinioni, un animo libero e indipenden- te che ama osservare ragionando, c ragionare osservando, sono queste, io diceva, le vedute che sulle formazioni del globo ha egli creduto dover sottomettere alla vostra per- spicace intelligenza, ornatissimi Accademici, affinchè esa- minale e discusse imparzialmente dai Dotti ai quali forse per la prima volta si propongono, fosse la Geologia svestila di tutta quella supael lettile clic viene dai sistema fluttuante nel mare delle umane opinioni, di cui fa giustizia il tempo, giusta quella sentenza di Cicerone : Opinionum commenta delet dies, naturae judìci a conftrmat. Le epoche geologiche appartengono alla Geologia filo- sofica. non alla descrittiva, alla Geologia conghictturale non alla positiva. Quella dallo stato presente del Globo vuol ri- salire al suo stato primitivo ed originario; questa si limi- ta a quel che il Globo presenta alla nostra osservazione spon- taneamente e negli scavi delle miniere. La seconda prece- de la prima nell’ordine del tempo, benché siale inferiore nell’ ordine dell’essere. Le formazioni altre sono reali ed altre ipotetiche. 11 sig. Lyell distinguendo i terreni terzia- ri di cui si occupa a preferimento, in post-pliocenici, plio- cenici, miocenici ed eocenici, e loro assegnando piani e fossili differenti ha introdotto nella scienza alcune verità di fatto miste (mi sia lecito il dirlo) ad alcuni errori anche di fatto (20). La Geologia stratigrafica ha molto dell’ ipote- (20) Pel sig. C. Lyell le rocce ignee sono le stesse che le rocce granitiche; i moderni Geologi poi non sapendo dar posto opportuno allo Gfteiss , al Micascisto ed allo Scisto argilloso, si contentarono di - 150 — tico. La Paleontografia è connessa intimamente colla Geo- logia di osservazione e fa conoscere le rivoluzioni a cui il nostro pianeta c stato soggetto; ma rivoluzione non signi- fica che sovversione totale e subitanea dell’ ordine preesi- stente. Non può dunque esservi in tale avvenimento quel- la simmetrica disposizione di parti, quella successione re- golare di strati che si dà come opera della natura, e risul- tato di attente osservazioni e di replicati confronti. « La suc- cessione de’ terreni sedimentarii ( terminerò questa prima « Memoria colle parole del nostro insigne socio prof. Carlo «Gemmellaro) pare ormai sufficientemente dimostrata, se «non che le precoci sistematiche deduzioni che se ne vor- rebbero inferire, mancano ancora di basi certe; c non «sarà difficile che dovessero in appresso modificarsi, se « non rigettarsi del tutto. Noi non possiamo quindi nella « nostra pochezza stancarci dal ripetere « esser dannoso nelle «scienze positive coordinare a piacere i fatti e sottomct- « torli alla velleità di preconcepite e mal fondate teorie »». Ho detto. < * % appellarli, dice il prof. Gemmellaro, rocce problematiche. Pare perciò ehc le quattro classi di rocce secondo Lycll sieno 1° Rocce acquee, 2° Rocce granitiche, 3° Rocce vulcaniche, 4° Rocce problematiche. Ev- viva il progresso ! DELL'ETÀ DELL'ETNA DEI DAL SOCIO OSSIA DEL PRIMO ESORDIO YOLCANI MEMORIA IN APPENDICE ALLA PRECIDENTI ORDINARIO E SEGRETARIO ALLA SEZIONE DELLE SCIENZE FISICHE CAV. AGATINO LOTsTGPO Letta nella stessa tornata nel dì 12 Luglio 1858. u tJi^UOU Due classi di Vulcani la scienza geologica riconosce, i vul- cani subaerei ei vulcani sottomarini. I vulcani subaerei son quelli che noi rinveniamo nell’ interno delle terre e in vicinanza del mare : essi o sono estinti o attivi; tale, fra i primi, è Monte Nuovo presso Pozzuoli nella riviera di Baja, e fra i secondi il Vesuvio le cui radici si stendono si- no al mare nel golfo di Napoli. I vulcani subacquei son quelli che sollevansi dal fondo del mare, e sormontando il pelo delle acque formano un’ isola meno o più spaziosa in corrispondenza alla quantità delle materie eruttate ed al materiale solido che muove di posto il liquido elemento. Di qui T origine di quelle tante isole sparse in mezzo al- le acque dell’Oceano Atlantico, del mar delle Indie, di quel- li della Polinesia e del Mediterraneo, alcune delle quali so- no affatto taciturne, altre non han lasciato di se che il sem- plice nome ed una lontana ricordanza, altre infine eruttan tuttora da’ loro crateri pietre infuocate come Stromboli, o esalan fumo come Vulcano nelle isole Eolie. - 154 - I vulcani subacquei o sottomarini bisogna, per sussi- stere, eh’ emergan dall’ acqua ed apran la loro gola nell’aria atmosferica, in seno alla quale esalar possano le materie volatili e i gas che svolgonsi dal loro interno. Seie acque marine arrivano a penetrare nell’ acceso focolare, effetto immancabile egli è di spegnere assolutamente e una volta per sempre il fuoco. Non è già che un nuovo vulcano non possa scoppiare in quei paraggi se vi esistano materiali ca- paci di concepire il fuoco per la loro fisica e chimica costituzione. Di tali esplosioni sottomarine non sono infre- quenti gli esempi : ne spuntano in tutti i mari , e non è guari tempo una se ne verificò non lungi dalla costa di Si- cilia dirimpetto Sciacca, ed in tempi anoi più prossimi nel- l’arcipelago greco presso Santorino; ma quella che più di tutte ha colpito la fantasia degli uomini , ed ha fissato f attenzione dei Geologi è la tremenda eruzione avveratasi pochi mesi addietro all’ isola Sandwich nella Polinesia au- strale, di cui ci furono comunicati i dettagli dal Messager franco-amèricain di Nuova York. «La più grande eruzione «de’ tempi moderni, vi si dice, avvenne poco fa nell’ iso- « di Hawai. Il Mowna Loa la cui altezza c più che 13000 «piedi ha cominciato a lanciare materie infiammate il 27 «marzo, e Y eruzione continuava ancora in questi ultimi «giorni. In dodici giorni vi furono due mila scosse di ter- « remoto, seguite da spaventevoli colpi dimarea, che han- « no distrutto villaggi interi e causato la morte di cento «persone. Una corrente immensa di lava colava dalla som- « mità sino al mare. La parte superiore d’ una montagna «alta 1500 piedi è stata lanciata da un tremuoto lungi « niente meno mille piedi. Da’ fianchi del Mowna Loa sgor- « gò un getto di liquido che andò a cadere ad una distan- « za di tre miglia, devastando case, uccidendo uomini ed «animali. Si è aperto sulla montagna un nuovo cratere, « la cui larghezza è calcolata due miglia , c che lancia — 155 — «pietre ad un’altezza di mille piedi. Un’isola conica sic « elevata istantaneamente dal seno del mare , a tre miglia ©-5. 7, 4970 W< 0, 0080 ~ 1 1.4821 492-2 0, 9416 3, 0379 0, 0549 0, 1094 100,1613 100, 0072 Stabilita così la composizione elei calcari fa d’ uopo ora vedere cosa risulta di essi dopo la cottura o calcinazione. Questa si fa a Giardini mediante forni continui costruiti con mattoni refrattarj e clic si riempiono con strati alternanti di pietra calcare e di carbon fossile. La calce che ne resulta non è perfettamente bianca, ma di un colore giallo sporco. Estinta con acqua rigonfia po- co e si riscalda molto meno della calce grassa: a contatto dell’ aria stenta a prendere consistenza, ma al di sotto dei- E acqua fa presa c si solidifica prontamente. Sottoposta alle ricerche chimiche ha dato i seguenti resultati . ANALISI CHIMICA DELLA CALCE IDRAULICA DI GIARDINI Le due varietà di calcari danno due specie di calce che si somigliano perfettamente per l’ aspetto esteriore e differì- 183 - scono ben poco come i calcari stessi anche per il carattere della loro composizione chimica. Il metodo d’ analisi tenuto per le calci ha molta ana- logia con quello tenuto pei calcari. Infatti. I.° Nella calce anche appena uscita dalla fornace ho tro- vato delle piccole quantità di acido carbonico e di acqua: la materia organica è scomparsa per effetto del calore. La calcinazione completa della calce effettuata al calor bian- co dà una perdita che rappresenta 1’ acqua e 1’ acido carbo- nico. Determinata a parte la quantità dell' acido carboni- co con il solito apparecchio si ha per differenza quella del- 1’ acqua. 2°. Lavata la calce con acqua si ha un latte di calce molto alcalino per la trasformazione dei cloruri e solfati a base di sodio e potassio ( che dormano le materie solubi- li nell’acqua dei calcari) in soda e potassa caustiche o carbo- nate per effetto del calore e dei silicati dell’ argilla. Nel lat- te di calce precipitando tutta la calce con carbonato di am- moniaca e filtrando si ha un liquido che acidula! » con aci- do cloridrico e evaporato a secco dà un residui- di cloru- ro di sodio e di potassio da cui possiamo determinare la so- da c la potassa per mezzo del bicloruro di platino. 3°. Trattando la calce con acido nitrico allungato con acqua alla temperatura ordinaria , fa una leggiera efferve- scenza c si divide in una parte immediatamente solubile ed in un’altra parte che resiste nel momento all’azione dissolvente dell’acido. Questa parte insolubile raccolta e calcinata si è determinata nel suo peso. Essa forma una sostanza bianca ed è silice che l’acido fluoridrico scioglie con energia e disperde totalmente con l’azione del calore lasciando un residuo appena sensibile di calce ed ossido di ferro. Se la calce a contatto con l’acido nitrico si trattiene per due o tre giorni allora anche la silice da principio insolu- — 184 — bile è resa solubile ed il liquido si rapprende in massa ge- latinosa. 4°. Filtrando la parte della calce solubile direttamente negli acidi e neutralizzandola con eccesso di ammoniaca si ha un precipitato di fosfati di allumina, di calce, di ma- gnesia, di ferro, perfettamente identico a quello dei calcari e che ho sottoposto allo stesso sistema di analisi. 5. Finalmente nel liquido filtrato risultante dal trat- tamento ammoniacale suddetto si trova disciolta la calce e la magnesia ed una certa proporzione di silice proveniente dalla decomposizione dei silicati di allumina, di calce e di magnesia effettuata per mezzo degli acidi. La calce e la magnesia e la silice l’ho determinate in questo liquido nel- lo stesso modo praticato nel caso dei calcari. Nei quadri seguenti sono rappresentati i resultati cen- tesimali dell’analisi diretta e le proporzioni dei componenti immediati dedotte per mezzo dei calcolo. Resultali dell 1 analisi diretta riferiti a iOO parti in peso di calce. 185 — 186 - Composizione qualitativa e quantitativa riferita a iOO parti in peso di calce . Calce del calcare Calce del calcare bigio-scuro bigio-chiaro Calce caustica 67,8133 69,1881 Silicato di allumina (argilla) e acido silicico che formano dopo la cottura, con un eccesso della calce soprano- tata e con la magnesia un silicato at- taccabile completamente dagli acidi . 22,1218 21,4897 Calce allo stato di carbonato. 3,9977 4,5045 Fosfato di allumina, di calce, di ma- gnesia, di ferro 3,7160 2,4178 Potassa, soda, calce 0,1009. ... 0,1809 Acqua 2,3630 2,4040 100,1121 100,1850 Dall’ esame comparativo delle analisi chimiche esegui- te sui calcari c sulle calci che ne derivano, dovendo for- marsi un’ idea di ciò clic accade nei calcari durante la lo- ro cottura o calcinazione si può ritenere che 1’ argilla la quale trovasi nei calcari argillosi di Giardini, disimpegna funzioni importantissime e tanto più per la composizione speciale clic presenta. Infatti abbiamo trovato che essa non solo resulta di silicato idrato di allumina, ma vi è silice li- bera con piccole quantità di calce, magnesia, ossido di fer- ro, e materia organica. Questa argilla dunque impastata con eccesso di carbonato di calce c poco carbonato di ma- gnesia rappresenta i calcari di cui è parola. Per mezzo della calcinazione l’acido carbonico quasi nella totalità se ne va, F acqua pure in gran parte si disperde, la materia organica - 187 - brucia completamente, i fosfati rimangono. La calce ridotta allo stato caustico con la piccola quantità di magnesia rea- gisce sotto T influenza del calore non solo sull’ acido sili- cico libero, ma per il suo grande eccesso reagisce pure sul silicato di allumina dell’argilla impossessandosi di una parte della silice. Si costituiscono così silicati a base di calce, di allumina e di magnesia mescolati con la calce viva in grande eccesso. Quando interviene 1’ acqua le tre sostan- ze si idratano, si uniscono intimamente e la calce perciò diviene completamente insolubile e si produce una massa solida eccessivamente dura c compatta. È su questo miscuglio importantissimo che sta fondato il segreto delle proprietà idrauliche della calce; segreto mes- so in piena evidenza dal celebre ingegnere Vicatcon la sco- perta dichiarata e ricompensata per una delle più utili del secolo presente, perchè ha servito di base alla generale fab- bricazione di calci idrauliche sulla importante applicazione delle quali sarebbe inutile qualunque digressione. Il detto Vicat secondo la quantità di argilla contenuta nei calcari distingue le calci idrauliche che ne derivano in tre ca- tegorie. I. Calci idrauliche medie. II. » » ordinarie. III. » » molto idrauliche La quantità di argilla che comprende queste tre cate- gorie è rappresentata dai 7 al 23 °/0 nelle pietre calcaree. Se la proporzione aumenta dal 27 al 61 °/0 allora si hanno i cementi : e finalmente se ascende a 84 — 98 °/0 si hanno le pozzolane , I calcari dunque di Giardini che contengono da 12,29 a 13,01 di argilla per 100 devono comprendersi tra i calcari pro- priamente destinati alla fabbricazione delle calci idrauliche. Per decidere però quale delle tre categorie di calci idrau- ATTl ACC. YOL. IH. 25 188 lidie essi sono capaci di produrre li metterò in paragone con le analisi conosciute di Berthicr sopra altri calcari le quali conducono ai seguenti resulati: Calcari che danno delle calci mediocremente idrauliche Carbonato Carbonato Carbonato Calcare ili ChaulnayiL^ ~”8~ presso Macon 89,2 .... .3, 0 0,0 7, 8 2° Calcare di Saint Ger- mani (Ain)....‘ 85, 8 0, A 6, 2.... 7, 6 3° Calcare di Bigna 83, 0 2, 0 0, 0 .... 1 5, 8 Calcari che danno delle calci mollo idrauliche Carbonato Carbonato Carbonato , „ ^ , , . i. , .di calce di magnesia di ferro Argilla 4° Calcare dei dintorni ^ -JL- diNimes 82, 5 4, 0 0, 0 13, A 5° Calcare di Senonches. 80, 0 1, 5 0, 0....18, 5 6° Calcare di Lezoux (puy de Dòme) 72, 5 4, 5 0, 0....23, 0 Da queste cifre si vede clic in generale la idraulicità della calce aumenta in ragion diretta dell’ argilla contenu- ta nei calcari, però talvolta come notasi paragonando la com- posizione del calcare N° 3 clic contiene 15 15, 8°/0 di argilla c quella del calcare N° 4 clic ne contiene 13,4 mentre que- st’ ultimo è più idraulico del primo, vi può essere eccezione. L’eccezione, è stato detto da taluno, si verifica quando l’argilla ha una composizione speciale che favorisce seni- — 189 - pre più la idraulicità della calce : nessuno però si è reso conto esatto finora di questo fatto perchè nessuno che io sappia in ricerche di tal genere ha fatto mai 1’ analisi dei- fi argilla che trovasi mescolata con i calcari. Io avendo tro- vato in quest’ argilla un eccesso di silice oltre a quella del silicato d’allumina di formula (3ÀP03,4Si0s) credo di po- tere asserire che provenga appunto da questo eccesso di silice la maggiore idraulicità che può comunicare l’argilla. L’ analisi dimostra che questa circostanza speciale è mol- to rimarchevole nel caso delle due varietà di calcare di Giardini il quale in primo luogo per questa ragione, secon- dariamente per contenere come ho detto dal 12,29 — 1 3,01 di argilla, (clic riferita a 100 parti del prodotto di calci- nazione giunge fino ad essere rappresentata da 21 ,4 — 22. 1); infine per contenere del carbonato di magnesia che contribui- sce pure a favorire fi idraulicità della calce, si può riferi- re senza dubbio alla categoria dei calcari capaci di dare del- le calci molto idrauliche e si può più specialmeu le parago- nare a quello di Nimes che c di grandissimo credito per tale specie di applicazione. Oltre a ciò le esperienze intraprese e sopra tutto la pra- tica già da qualche tempo fatta nel servirsi della calce idrau- lica di Giardini per ponti ed altre costruzioni subacquee hanno dimostrato come questa sia di efficacissimo effetto, come si leghi bene con le ghiaje, con le sabbie a formare dei calcistruzzi e delle malte che ben presto e tenacemente induriscono, per cui dcvesi in conclusione ritenere come di grande utilità l’avere stabilito in Sicilia questa importante industria. % . MALATTIA E RIGENERAZIONE DEI MEMORIA DEL SOCIO ATTIVO e Oa’ • 9 uxcomo Baccfc to Letta all'Accademia dl©@n:la nella ternata del 2 aveste ATTI AHO. VOL HI SERIE HI. 26 r. ORIGINE DEI LIMONI Il regno vegetale è stato sovente alili tto da varie ca- lamità; ma quella che va distruggendo i limoni da qual- che anno mi sembra la più perniciosa di tutte, per la na- tura del male che non si è potuto sopprimere o allonta- nare ; per P estensione di esso, che infesta in Italia tutta la regione degli agrumi, dalla riviera del Garda all' estre- mo lido della Sicilia, come la infesta pure nel rimanente dell’Europa meridionale; c per l’importanza della loro pro- duzione fruttifera, che in altri tempi, tra limoni ed aran- ci, nella sola Sicilia, oltrepassava settanta milioni di lire. Si è scritto e proposto molto su ciò ; ma il male è cresciuto in intensità ed estensione. Contristato da questo doloroso spettacolo, ho ricerca- to i mezzi razionali che potrebbero allontanare questo gran- de disastro; ed ho l’onore di esporvi le mie convinzioni. La malattia dei limoni clic ben può dirsi malattia degli agrumi, — poiché P arancio dolce e P arancio amaro ne sono aneli’ essi attaccati, del pari che altre specie congeneri, — è 194 - una carie accompagnata sovente da scolo gommoso , che si manifesta d’ ordinario al basso del fusto, e che una volta discesa1 alla radice produce la morte. Ciò è quel che si vede. Ma questo male apparente avrà certo una causa, causa forse misteriosa e latente. É quindi siffatta causa che bisognerà investigare, per entrare logicamente nella possibilità di conseguire la solu- zione di quest’ arduo problema. Non essendo i limoni e gli aranci alberi indigeni, mi sembra utilissima cosa di renderci conto pria di tutto del- 1’ origine e delle vicissitudini di tali piante. L’arancio amaro, C-itrus vulgaris, ci è venuto dall’ In- dia nel secolo IX; propagandosi pria nella Siria, poi nella Palestina, e per ultimo nell’Egitto. Nicola Speciale assicu- ra che esso nei 1150 ornava i giardini siciliani; e l’arabo Ebn-el-Avam rapporta che era coltivato in Siviglia verso la fine del XII secolo. L’ arancio dolce, Citrus aurantium , cresce spontaneo nella China meridionale, nelle isole Mariane e in quelle del- l’Oceano pacifico. L’ introduzione di esso si attribuisce al portoghese Giovanni De Castro, che lo recò in Portogallo nel 1520. Però, secondo il Gallesio, pare che dall’Arabia fosse stato introdotto nella Grecia e nelle isole dell’ Arcipe- lago; e che da queste fosse passato in Italia in un’epoca anteriore. 11 limone, Citrus limonimi , ha per patria Y India; da dove gli Arabi lo portarono successivamente in tutte le con- trade sottoposte alla loro dominazione. Il professore Schultz, da Berlino, ci assicura che nelle provincie lungo le sponde del mar Caspio si trovino boschi d’aranci e limoni, nello stato selvaggio, d' un’altezza con- siderevole. Stando a ciò che ne scrive Teofrasto, il limone esiste- va nella Persia e nella Media da tempi remoti. Da lì pas- — 1 95 - sò nei giardini di Babilonia ; e più tardi nella Palestina , nella Grecia ed in Italia. Pare che esistesse nell’ Europa meridionale verso la fine del secondo secolo: in ogni modo è sicuro che fosse coltivato nella bassa Italia sul finire del- l’undecimo secolo. Dunque, e sarà questo il nostro punto di partenza, i limoni e gli aranci son piante esotiche; e la loro introdu- zione data da ben molti secoli. II. CAUSE DELLA MALATTIA. In tutti gli esseri viventi ogni alterazione organica pro- viene da cause complesse, che in fondo, trattandosi di pian- te, potrebbero riassumersi in due. La causa essenziale, o interna; la causa occasionale, o esterna. La causa essenziale tiene alla costituzione dell’ indivi- duo; la causa occasionale è prodotta dalle influenze este- riori. Nel limone, la causa essenziale è la predisposizione ai disordini fisiologici: la causa occasionale si ritrova nelle variazioni atmosferiche, e nelle condizioni del suolo; tenen- do pur conto delle anomalie accidentali delle stagioni, e dei modi di cultura, La causa prima, la chusa interna, la causa essenziale della malattia dei limoni è dunque la predisposizione al di- sturbo delle funzioni dell’ umore ascendente e discenden- te, per l’alterata permeabilità dei tessuti. Nè v’ha da maravigliarsi di ciò. Nel mondo vegetale come nella universalità degli esseri viventi, tutto sì dete- riora e finisce. Le piante nascono vivono e muoiono , passando dalla infanzia alla vecchiezza. Ogni esistenza ha i suoi termini. — 196 La vita scorre continuamente; nè v’ha per essa periodo di sosta , o passo retrogrado. La salute normale è T espres- sione dell’ integrità dell’ energia vitale ; di questa possente eccitatrice degli organi che compiono i miracolosi fenomeni della vita. Sembrami dunque logico , anche per le piante , che, avanzando negli anni, esse dovranno tosto o tardi arrivare al periodo del declinamento ; e da quel giorno , massime per i vegetali provenienti da lontane latitudini, l’energia vitale comincierà a far difetto, ed entreranno gradatamente nel periodo patologico. Seguiamo per poco lo sviluppo della malattia nei limoni. A volte , specialmente nei luoghi umidi, l’azione del sole , nei tepori primaverili , scaldando il fusto, dilata le parti esposte; e Tumore vi si porta in abbondanza. Ma so- praggiungendo un abbassamento di temperatura , i canali umoriferi si ristringono all’istante. L’umore imprigionato nei vasi si altera, fermenta, e si apre un varco, corrodendo la scorza. A volte per la soverchia potenza calorifera del raggio solare, la scorza si dissecca, perde T elasticità, e comprime i vasi umoriferi. Allora la permeabilità dei tessuti del fu- sto, in certo modo strozzati, è disturbata; e Tumore, una volta impedita la circolazione dei fluidi , si corrompe , e disorganizza le libbre clic lo rinserrano. Questa malattia non è nuova; ma non assunse mai pro- porzioni sì disastrose. Per conseguenza, se per tanti secoli i limoni non su- birono mai alcuna simile alterazione dalle influenze cosmo- telluriche ; e adesso la subiscono, con maggiore o minore intensità, dalla riviera del Garda all’ estremo lido della Si- cilia, saremo costretti ad ammettere il seguente dilemma: 0 è deteriorato il clima; o sono deteriorati i limoni. 197 — Determinato questo punto, le susseguenti investigazio- ni ci si renderanno possibili e agevoli. La deteriorazione del clima ha trovato sostenitori in tutti i tempi; ma in fondo i cangiamenti che hanno osser- vati o creduto osservare non tengono a cause cosmiche , ma a circostanze locali, provenienti dal progresso della ci- viltà sociale. Tralascerò naturalmente di far menzione delle antiche epoche geologiche, e mi limiterò agli ultimi due mille anni del periodo posdiluviano, Or bene, secondo 1’ Àrago, da due mille anni in qua temperatura generale della terra non ha cangiato d’ un decimo di grado. E la medesima dimostrazione è stata fat- ta dal Laplace e dal Gasparin. Paragonando le osservazioni termometriche fatte a Fi- renze, dietro le istruzioni della'’ Accademia del Cimenlo , verso la fine del sedicesimo secolo , con quelle notate in questi ultimi tempi, si è rilevato che la media era rima- sta la stessa. E la temperatura dell’ inviluppo terrestre, ad una pro- fondità di 28 metri, che è quella delle cantine dell’ Os- servatorio di Parigi , non è cangiata in un secolo; poi- ché l’osservazione fatta fcdal Messier, nel 1770, dava 11°, 8, e si ha anche adesso la stessa cifra di quella tempera- tura costante. Da Aristotile in qua, il suolo il clima la temperatura so- no gli stessi. Tutto ciò eli’ ei descrisse come vivente, esiste ancora. Se le condizioni geologiche e climatologiche fossero can- giate, non dovremmo rinvenir più nelle medesime latitudi- ni le medesime specie del regno animale e vegetale. E pure noi troviamo costantemente il camoscio sulle balze del Nord; e i leoni nell' Africa. L’aquila percorre ancora i vasti campi dell’aria nel- 198 - le regioni alpine; e la rondine ritorna ogni anno nei no- stri lidi per annunziarci la primavera. Il cedro del Libano ombreggia tutt’ ora il sacro mon- te, che gli diè il nome; e i papiri popolano i margini dei nostri fiumi. La vite cresceva ai tempi dell’imperatore Giuliano V nei dintorni di Lutezia, ove i fichi per conservarli si co- privano con canne; e anche oggi Parigi è compreso nella regione delle vigne , e vi si coltivano i fichi con talune precauzioni. Dunque il suolo, il clima, la temperatura non sono de- teriorati . Se il suolo, il clima, la temperatura sono gli stessi; quel- li che sono deteriorati sono i limoni. I limoni sono deteriorati, perchè vecchi e degenerati ; e ne darò prove più avanti. Per questo, affievolita l’energia vitale, si resero più sen- sibili; e quelle influenze esteriori che tornavano in altri tem- pi poco molesti o indifferenti, adesso riescono loro fatali. Ecco la natura del male, ecco le cause. III. CURA DELLA MALATTIA Per curare radicalmente i limoni ammalati, bisognereb- be guarire la piaga, e distruggere la causa essenziale. Sanare o, per dir meglio, chiudere la piaga non signi- fica guarire la pianta. La piaga è la conseguenza diretta della predisposizio- ne ai disordini fisiologici : e questa causa rimarrà sempre; però che 1’ uomo non potrà far mai clic un essere dete- riorato per gli anni o per altre cause non sia più tale. Di certo l’azione più o meno perniciosa delle influen- — 199 — ze esteriori potrà ritardare o accelerare Y apparizione del male, potrà renderne le conseguenze più o meno fatali; ma, per la deteriorata complessione della pianta, i tristi effetti dovranno tosto o tardi svilupparsi nella generalità. Tuttavia non dovremo lasciare intentato alcun mezzo. Se non possiamo curare radicalmente i limoni esisten- ti; cerchiamo di curarli per quanto è possibile, onde ca- varne il maggior costrutto. Tempo fa, seguendo il vezzo comune , proposi anche io un rimedio; ma giunse tardi. Era forse il meno irrazionale; ma incompleto e insuf- ficiente come gli altri. Lo sperimentai per primo nel giardino del cav. Fran- cesco Imbert, mio egregio amico; e n’ebbi buoni risultati. Ma a lungo andare quei risultati non mi soddisfecero gran fatto: perchè essi variavano a secondo la comples- sione della pianta e le circostanze locali ; perchè guarita una piaga (non essendo distrutta la causa), col tempo se ne mostravano delle nuove in altri punti. Non pertanto vedremo il meglio da farsi, affine di pro- lungare, per come meglio potrassi, la loro esistenza. E pria di tutto dirò che, qualunque si fossero i rime- dii proposti, bisognerà applicarli con cura paziente al pri- mo manifestarsi del male; atteso che quando la carie si dilaterà molto sul fusto, la guarigione è difficile. Anzi con- siglierei di fare osservare di quando in quando i limoni al basso del fusto; ed ove si vedesse la scorza tirare al sec- co o manifestar macchie scure, vi si faranno diverse inci- sioni longitudinali. Manifestandosi lo scolo gommoso, si taglierà sul vivo la piaga f che talune volte si chiude da per sè), scarnan- dola di tutto il guasto, scorza o legno che fosse. Poscia si laverà la ferita con una spugna impregnata d'uri’ acqua preparata ( indico la più semplice) con acido ossalico, nel- ATTI ACC. YOL IH. SEME HI. 27 — 200 - la proporzione di 10 grammo di esso per ogni 500 d’acqua. Contemporaneamente, si praticheranno incisioni longitudi- nali alla parte opposta della piaga. Le bagnature si conti- nueranno finché durerà lo scolo gommoso; e quando que- sto cesserà, vi si applicherà un mastice. In pari tempo si sanificherà la terra, ove troppo umi- da; si emenderà, ove soverchiamente compatta. Si mode- reranno le irrigazioni; si daranno in estate alle piante piog- gie artificiali; e si netterà il fusto dei muschi e dei licheni. Questo è tutto ciò che potrà tentarsi per arrestare alla meglio c temporaneamente il male apparente; e credo be- nissimo che con altri mezzi si possa arrivare a simili risul- tati. Ma tutto questo, lo dico con sincera amarezza, è ben poca cosa. Non potendo distruggere in questo modo nei limoni la causa essenziale della malattia, il male ritornerà. Sarà quindi mestieri cercare uno scampo, seguendo al- tra via. Del resto, ciò che dovrebbe starci più a cuore, oltre a cercare i modi di guarirli per quanto c possibile, sarebbe la sicurezza di poter imprendere nuove culture di limoni e d’aranci senza l’angoscioso timore di perderli. E noi vedremo quali espedienti potranno impedire il ritorno del male nelle nuove piantagioni. IV. ESPEDIENTI PREVENTIVI Per impedire il ritorno del male nelle nuove pianta- gioni bisognerebbe sopprimere o almeno allontanare la cau- sa del male. - 201 Dietro quello che ho avuto V onore di esporre, la cau- sa essenziale, o per dir meglio la predisposizione ai disor- dini fisiologici, deve trovarsi in tutti i membri della pian- ta; c pure la carie non si è manifestata sin oggi nella ge- neralità che al basso del fusto, sia che il limone fosse ot- tenuto da seme , o innestato al piede. Se la deteriorazione è in tutta la pianta, perchè que- sta è attaccata solo al basso del fusto ? Probabilmente, per due ragioni, a parer mio : Perchè il basso del fusto è più vicino alle emanazio- ni telluriche ; e perchè esso è sottoposto all’ azione del calore diretto e riflesso. Nessuno contesterà le emanazioni telluriche, perchè nessuno pone in dubbio le nebbie che si sollevano dal suolo. Ma non si può dir nulla di preciso intorno a tali emanazioni, per la ragione che la scienza non ne ha fat- to ancora analisi particolareggiate. In quanto all’azione calorifera del l'aggio solare dirò con Humboldt, che la temperatura media non può deter- minare il carattere d’ un clima. Le osservazioni termometriche son fatte all’ ombra, e non rappresentano punto il calore diretto e riflesso. Il ca- lore diretto accresce la temperatura di quasi otto gradi; e questa aumentazione è poca cosa in confronto di quella del calore riflesso. Sospendendo un termometro ad un mu- ro all’ombra, e un altro ad un muro esposto al sole; quest’ ultimo darà sempre una temperatura a un di presso doppia di quello collocato all’ombra. Ora condensando nelle varie ore del giorno questa somma di calore, commisto alle emanazioni telluriche, sul basso del fusto di una pianta che trovasi in istato patolo- gico; il disordine nella permeabilità dei tessuti dovrà es- sere inevitabile. Dal momento che il limone si trova per ciò vulnera- bile al basso del fusto, diamogli un fusto, per così dire, artificiale, che possa essere meno suscettibile di attaccarsi. Per dargli un fusto artificiale, bisognerebbe innestar- lo sopra un soggetto più rustico e sano; eì’ innestino dovrà essere collocato sull’alto del tronco. In questo modo sa- rà il soggetto che si troverà esposto all’ azione delle ema- nazioni telluriche e del calore diretto e riflesso. Percorrendo la scala di rusticità delle varie specie di Citrus, si vede che 1’ arancio amaro sia più rustico e ro- busto di qualunque altra specie. L’arancio amaro avrebbe potuto bendare un fusto ar- tificiale al limone ; ma disgraziatamente l’arancio amaro è aneli’ esso attaccato da qualche tempo dal medesimo ma- le ; come pure l’arancio dolce. Ci sarebbe il mandarino, Citrus d eliciosa, meno rustico dell’ arancio amaro e di pochissimo vigore ; il quale non ha presentato ancora, per quanto c a mia conoscenza, alcun indizio di sofferenza ; forse perchè d’ una introdu- zione meno antica. Ma anche questo, a parto il lento c li- mitato sviluppo, non sarebbe che un espediente tempora- neo : poiché preservato artificialmente il limone al basso del fusto, potrebbe essere attaccato più tardi allo ramifica- zioni ; rimanendovi sempre la predisposizione ai disordini fisiologici. Noi non possiamo dunque prevenire con sicurezza i1 ritorno del male nelle nuove piantagioni ; come non pos- siamo curare radicalmente i limoni esistenti. Ma possiamo fare di meglio. Possiamo, senza rinunziare, ripeto , a so- stenere alla meglio la loro esistenza, rendere ancora pos- sibile e prospera la coltivazione dei limoni e degli aran- ci, come nelle condizioni di una volta. Per riuscirvi, ci abbisognerà un rimedio radicale. Questo rimedio l’avremo dalla Rigenerazione. RIGENERAZIONE Ultimamente il chiarissimo professore Daubeney tratto innanzi alla Società britannica della durata delle specie vegetali ; c sostenne eloquentemente che le malattie di ta- lune specie, come viti ece., dovevano essere considerate come segni di deteriorazione di vegetali altre volte pro- speri. E riguardò tali piante come in uno stato d’ ago- nia ; e quindi destinate a sparir tosto dalla terra. - Questa verità iperboleggiata, proferita dal labro d’ un uomo autorevole, destò un generale sconforto. lo accetto il principio, non le desolanti deduzioni de' sapiente professore britanno. I vegetali, è pur troppo vero 1 declinano; e si avvia- no lentamente alla loro fine; ma la loro agonia dura so- vente per ben molti anni. E in questo intervervallo noi possiamo ben preservare le specie agonizzanti dalla loro totale ruina. Profittiam dunque di queste dure lezioni che ci dà la natura; e cerchiamo di riparare alle tante calamità che minacciano il mondo vegetale con la rigenerazione e coi miglioramento delle varietà. Per rendere evidente che la Rigenerazione sia 1’ unico e radicale rimedio della malattia degli agrumi, mi basterà di mostrare le cause efficienti della loro deteriorazione. I limoni, torno a dire, sono deteriorati perchè vecchi, c degenerati. Finché resteranno sotto il peso di questa sciagura, non vi sarà salvezza per essi. E ci sarà agevole rilevarlo. I limoni son vecchi. I vegetali, come dissi, nascono vivono e muoiono , 204 percorrendo i periodi dell’ infanzia, della gioventù , della maturità e della vecchiezza ; e restano sottoposti per ciò alle conseguenze dell’ età, o dei vizi ereditari. Nello stato di natura, tutte le piante provengono da seme. Artificialmente, da seme e moltiplicazione. Una pianta ottenuta da seme, o riprodotta , è una nuova esistenza che ha una individualità propria. Una pianta ottenuta da frazione, o moltiplicata, è il prolungamento dell’esistenza di una data individualità. Quindi per determinar 1’ età di una pianta, dirò: Il principio della vita individuale è nella fecondazione. L’esistenza d’una pianta riprodotta comincia dalla ger- minazione. L’ esistenza d’ una pianta moltiplicata ebbe princìpio quando cominciò quella della specie o varietà da cui fu tol- ta la frazione. Per conseguenza tutte le piante, e segnatamente le stra- niere, nelle lunghe culture, subiscono logicamente degrada- zioni, secondo il modo della loro propagazione. Le riprodotte degenerano; le moltiplicate si deteriorano. La degenerazione è l’alterazione organica nella discen- denza: la deteriorazione è 1’ alterazione organica nell’ indi- viduo. I limoni esistevano ai tempi di Babilonia, ove erano arrivati dalle Indie dopo lunghe emigrazioni. Da Babilonia, col trascorrer dei secoli, giunsero nell’ Europa meridionale, passando per la Palestina c la Grecia. Noi li coltiviamo per conseguenza da ben molti secoli. Naturalmente, nel trascorrere di questi secoli sono sta- ti immensamente propagati; sia riprodotti , o ottenuti da se- me; sia moltiplicati , o ottenuti da frazione. Or bene, se sono stati molto riprodotti, dovranno esse- re degenerati: se sono stati molto moltiplicati, dovranno es- sere deteriorati. — m - La moltiplicazione, ripeto, è il prolungamento dell’ esi- stenza d’ una pianta, nelle condizioni in cui si trova; con tut- ti i pregi e con tutti i vizii organici, compresa V età; atteso che non si posson rinnovare in essa le sorgenti della vita; e ritornarla alla gioventù, ove avesse trascorso questo periodo. Di certo, non oso dire con ciò che la pianta moltipli- cata sia una dipendenza fisiologica della pianta stipite; poi- ché la pianla moltiplicata non subirà le medesime alterazio- ni nel medesimo giorno e nella medesima ora che quella da cui fu tolta la frazione: ma credo poter sostenere chela pianta moltiplicata sia una derivazione costituita sulle medesime basi fisiologiche che quella da cui provenne. E quindi, a parte la quistione di tempo, dovrà subire le medesime degrada- zioni della pianta stipite; le quali degradazioni dovranno e- ziandio accrescersi sempre; per la ragione che più si pro- lunga una vita, più sarà oppressa dalla gravezza al teratri- ce degli anni. La più parte delle eccellenti varietà di limoni, che scr- von di tipo alla moltiplicazione, sono d’origine antichissi- ma c ignota; e quindi deteriorate per vecchiezza. Con es- se sì sono moltiplicate, direttamente o indirettamente, per diversi secoli; e questa lunga moltiplicazione, prolungando la medesima esistenza, ha prolungato ed aggravato la dete- riorazione del tipo. E se le varietà prescelte per le molti- plicazioni fossero per caso di data recente, sarebbero aneli’ es- se deteriorate, perchè discendenti da individui degenera- ti, come vedremo. Nella Francia, nell’ Inghilterra, nel Belgio e nella Ger- mania, ove egregii ingegni si occupano tuttodì delle quatto- ni più elevate d’ arboricoltura, la deteriorazione che subi- scono, per gli anni, le piante fruttifere è stata provata con la maggiore evidenza da Marshal, Bucknall, Cadet-Devaux, Knight, Dici, Van Mons, Puvis, Poiteau, e frai contemporanci dagli illustri signori Baubency e Deboutteville. 206 — La vecchiezza non è un fenomeno locale, ma genera- le; non parte da un organo, ma da tutti gli organi. Col pronunziarsi di essa le forze fisiologiche diminuisco- no a poco a poco; i vasi perdono ogni giorno la loro irritabi- lità; la circolazione degli umori si affievolisce; e la vegeta- zione si rende sempre più languida. Come nella specie umana, le piante vivono delle proprie forze. Finché le loro forze sono intere, resistono a tutto; quando esse sono affievolite, un nulla le offende; poiché al- lora sono sottoposte più facilmente alle conseguenze delle in- fermità e agli attacchi dei parassiti. I limoni son dunque in primo luogo divenuti più sensi- bili all’ azione delle influenze cosmo-telluriche per questa debolezza senile. I limoni son pure degenerati. E dovea essere così. L’esposizione delle norme che regolano, nei vegetali la trasmissione delle qualità ereditarie ce ne additerà le ragioni. Un seme, nel momento in cui — confidato alla terra — dà vita a un nuovo individuo, é, per così dire, come solle- citato da due forze distinte ed opposte, in quanto ai carat- teri della pianta che dovrà nascere. La prima forza e la stabilità ; la quale mantiene inviola- li i caratteri della specie, ed impedisce i distacchi dal tipo. La seconda é la variabilità; la quale, scossa la forza pre- cedente, imprime nella discendenza il principio della varia- zione, o deviazione dal tipo, nei limiti assegnati alla specie. Così la stabilità é la legge fondamentale della specie o pianta tipo; e la variabilità è quella della varietà, o pian- ta deviata dal tipo. Ora, finché una specie rimarrà nei luoghi ove la pose la natura, finché non subirà perturbazioni di sorta per mez- zo d’ una cultura speciale, o per mezzo— mi si permetta 1’ e spressione — d’ una alterazione di sangue, nei momenti della fecondazione; i semi che essa darà, posti in terra, riprodur- ranno identicamente le qualità della pianta che li ha prodot- — 201 - ti: poiché alla forza della stabilità inviolata è rimasta tut- ta la sua energia. Ma se mai i semi di questa medesima specie fossero se- minati in contrade differenti da quella nat ile, e quindi poi sti in condizioni telluriche e climatologiche diverse; se mai fossero sottoposti ad una cultura speciale; se mai, durante la fioritura, il polline d’un altro fiore, appartenente ad al- tra specie- o varietà, avesse contribuito alla fecondazione della sua ovaia; le piante che verrebbero dai semi di essa presenterebbero delle differenze nelle qualità ereditarie : poi- ché quella specie, a causa di quelle circostanze ecceziona- li, che ne hanno scossa la stabilità, ha impresso per sem- pre alla sua discendenza il principio della variabilità. Quindi le piante straniere, ove sottoposte a questo com- plesso di forze perturbatrici, dovranno deviare dal tipo in un modo più sollecito e pronunziato delle piante indigene. Ora i limoni e gli aranci son piante straniere fra noi , e di antica introduzione: c in conseguenza, perché posti in condizioni di suolo e di clima diverse da quelle natali; per- chè sottoposti ad una cultura particolare, qual’ è quella dei giardini; perchè perturbati nella lunga serie delle generazio- ni da fecondazioni artificiali, sono degenerati. Fisiologicamente parlando, degenerare non significa mu- tar di bene in male; ma deviare dal tipo. Però una pianta, in via di deviazione, può variare , per esprimermi nel senso culturale , in peggio od in me- glio. Se varierà in peggio, si chiamerà degenerata o imba- stardità ; se varierà in meglio, si dirà migliorata. Noi la riguarderemo costantemente come degenerata ; poiché quel- le variazioni, di qualunque natura si fossero, sono sempre distacchi dai caratteri del padre diretto. Le piante straniere potranno quindi migliorare in Eu- ropa , per mezzo della cultura intelligente e delle semì- ATTI ACC. VOL. III. 28 208 — nagioni successive, più facilmente delle indigene , perchè più inchinevoli alla deviazione. Ora una volta stabilito il principio che una pianta straniera, riprodotta, devia più facilmente dal tipo , che le indigene; che una volta impressa tale deviazione in una generazione , essa si dilaterà sempre più nelle posteriori ; ne segue che col succedersi delle generazioni, si accresce- ranno le deviazioni; e le deviazioni produrranno logicamente la deteriorazione. Io so benissimo che queste alterazioni, nel mentre co- stituiscono r affievolì mento della costituzione tV una pianta, sono la base del miglioramento delle specie vegetali. Ma so pure, che più una pianta migliorasi, nel senso colturale, più si deteriora, nel senso fisiologico. Il pesco, l’ albicocco, l’ananasse cc. ce ne danno prove non dubbie. Queste piante nella loro stazione natale, ove crcscon spontanee, clan frut- ti mediocri; ma sono sane e robuste. Da noi, migliorate dal- le seminagioni successive, danno frutti squisiti; ma sono divenute scnsibilssimc a tutte le circostanze esteriori. E le varietà migliorate non solo perdono in robustezza ciò che guadagnano in pregi; ma secondo rilevasi dai lunghi studii sperimentali fatti dal benemerito Van Mons, a misura che esse si perfezionano, il loro primitivo vigore si indebo- lisce sempre più, e i termini della loro vita si abbreviano. Dunque una lunga riproduzione è una possente azio- ne, che serve d’ impulso alla variabilità e distacca dalla sta- bilità tipica della specie. Dunque una pianta costretta a vivere e a propagarsi fuori delle sue regioni alla lunga devia dal tipo, e deperisce. Dunque le forze vitali dei limoni e degli aranci sono deteriorate per vecchiezza e degenerazione. Per riparare alle infauste conseguenze di questa dete- riorazione, bisognerà rigenerare limoni ed aranci. La rigenerazione, che nel senso scientifico significa rin- — m — novamento individuale tornato a! tipo , e nel senso nostro rinnovamento individuale tornato alio stato fisiologico , ci darà nuovi, sani e vigorosi individui. Per avere nuovi individui, bisognerà ottenerli da seme. Fcr averli sani e vigorosi, bisognerà domandare i se- mi alla loro terra natale. Certamente si potrebbe giungere a un tale risultato per mezzo delle seminagioni successive, agevolate dalla fecon- dazione artificiale, e dalla elezione. Ma questo sistema, con- venientissimo per le piante indigene, sarebbe lungo e pro- blematico per le piante esotiche. 1 limoni c l’arancio amaro crescono spontanei nelle Indie’; l’arancio dolce proviene dalla China meridionale e dalle isole del Pacifico, ove non furono attaccati mai da si- mile malattia. Si facciano venire semi e piante di limoni e d’ aranci da quei paesi, e la rigenerazione di essi sarà spedita e sicu- ra. Perchè così si avranno varietà preziose e robuste, in- nestate sopra soggetti da seme sani e vigorosi, le quali po- tranno ripopolare in pochi anni d’aranci e limoni rigene- rati i desolati giardini d’ Italia. Ciò ch’io propongo è stato fatto per altre piante, egli esperimenti sono stati coronati di felici resultati. Quando nel 1 834, infieriva nel Belgio la malattia delle patate, si chiese il da fare al celebre Van Mons, e quel be- nemerito padre del miglioramento delle specie vegetali ri- spose: Introducete nuove specie dal luogo d' origine , e alla lo- ro prima declinazione , riproducetele da seme. Difatti si fecero venire patate dal Perù , e la malattia non le offese. E se i consigli di quel venerabile vecchio fossero stati seguiti completamente da per tutto, la malat- tia delle patate sarebbe adesso interamente disparsa. L’egregio signor Gottardo Cattaneo, che, dopo le dotte analisi del Liebig e d’altri, ebbe l’onore di mostrare per il primo ohe la deteriorazione dei bachi da seta era la con- seguenza della deteriorazione delle piante che forniscono ad essi il nutrimento, propose la ri acci dilazione dei gelsi , per elevare lo loro condizioni vitali al primitivo vigore. Il Cattaneo pubblicò queste idee nella civile Milano, solerte fautrice d’ogni ricchezza nazionale; e trovò subito una Società che somministrò i capitali abbisognevoli per in- trodurre i gelsi dalla China. Adesso i nuovi gelsi, mercè l’ intelligente operosità del Cattaneo, sono in commercio; c la produzione serica ha cominciato a sentirne le bene- fiche influenze. La Società imperiale d: orticoltura di Francia fece ve- nire l’anno scorso semi e piante dell’Albicocco di Siria, per ri- parare al deperimento crescente delle nostre varietà. E mol- te altre Società di simil genere si sono proposte di fare al- trettanto per vari i frutti d’origine straniera, che di giorno in giorno declinano. Per venire all’ atttuazionc d’ una impresa che si con- sacrerebbe alla Rigenerazione dei limoni e degli aranci, havvi mestieri d’ una Società, lo mi sono studiato a promuoverla; e nutro speranze che potrò aver la fortuna di preservare dalla totale mina questa preziosa cultura. IV. CONCLUSIONE I limoni e gli aranci sono ammalati, perchè predispo- sti ai disordini fisiologici; Sono predisposti ai disordini fisiologici , perchè dete- riorati; * Sono deteriorati, perchè vecchi c degenerali. Per riparare radicalmente a questa grande sciagura, bi- sognerà rigenerarli. Per rigenerali, bisognerà introdurli di nuovo dalla loro terra natale. Così potremo avere nuove generazioni sane e robu- ste di queste ammirabili piante. La Rigenerazione dei limoni e degli aranci è dunque nelle nostre mani; c dipenderà da noi il conseguirla. . DESCRIZIONE DI UNA NUOVA SPECIE DEL GENERE CORONULA DEDICATA ILLUSTRE UNIVERSITÀ if ©u mm m mmmm E LETTA ALL’ACCADEMIA GIOENIA NELLA SEDUTA DEL 6 GIUGNO 1868 Straordinariamente convocata per partecipare alla festa centenaria della mentovata Università 5af dottor SCttòrea 3C xabw Professore di Zoologia ed Anatomia comparata e Direttore dei Gabinetti di Storia naturale; alla suddetta Università 1.® Direttore dell' Accademia Gioenia di scienze naturali; Presidente onorario dell'Istituto oftalmologie] europeo in Smirne; Vice-Presidente onorario della Società degli Istitutori ed Istitutrici di Marsiglia; Vice-Presidente del Consiglio sanitaria della Provincia; Vice-Presidente onorario benefico cooperatore dell' Associazione dei Salvatori medagliati; membro onorario dell'Istituto Filotecnico nazionale con medaglia d'oro in attestato di alta considerazione; socio fondatore, ono- rario e corrispondente di varie accademie nazionali e straniere. ATTI ACC, VOL. III. 29 Il bisogno potentissimo di dividere il lavoro intellettua- le è stato il motore primo di tutte le associazioni scienti- fiche, che in luoghi vari ed in epoche diverse sorsero , e che van crescendo ogni giorno di numero. Questo vero è stato universalmente riconosciuto, ed il fatto ha constatato quanto la concorrenza di più ingegni , di cui le forze in- tellettive peculiari tendano ad un compito finale unico, ab- bia agevolato il progresso del sapere. E non solo si è ap- prezzato il valore e riconosciuta l’utilità di tali associazio- ni , ma ancora con impegno si è cercato fermar patti di colleganza e stabilir non interrotte ed attive corrispondenze tra le medesime , affin di porgersi scambievolmente aiuti e conforti. Volendo limitare le nostre osservazioni su que- sto riguardo al solo punto della terra in cui abitiamo , la nostra Accademia ci porge, o Signori, le più chiare prove di questo utile proponimento, oramai, con inconfutabil van- taggio del sapere e della umanità universalmente attuato. Anzi è a dire , che questa colleganza vuoisi sempre più — 216 intima, talché diventi piena solidarietà : essendo che qual- cuna di queste scientifiche congreghe ha voluto che le al- tre siano a parte dei suoi lavori e delle sue scoperte non solo, ma ancora dei suoi fasti e delle sue glorie. Un fatto di fresco avvenuto, ed al quale è mio debito dare la maggiore pubblicità, lucidamente conferma le mie assertive. Sono, oramai, scorsi due secoli, da che in questo stesso giorno in Norvegia venne fondata la celebre Università di Lund, alla quale compete eziandio il titolo di Società scientifi- ca e letteraria. Affidata a non ingrato terreno ed allevata con indefessa cura questa fruttuosa pianta si vide ben presto ger- mogliare, rapidamente crescere e tanta robustezza in breve acquistare da potere sfidare la potenza distruggitrice del tem- po: ed in questo stesso giorno essa celebra la festa centenaria che ricorda la sua fondazione, i suoi progressi, le sue glorie. A tal festa, festa letteraria, per lo che d’ogni altra più nobile e di bei prodotti feconda, essa c/ invitava a prender parte, e quanto a noi giungesse grato l’ invito ognun di Voi , o Signori , sa bene. Ciò in quanto a noi però non bastava ; non bastava l’ interno gaudio di cui l’animo nostro è pieno, non le grazie che a quella Società piene si resero; ma era necessità, che i nostri interni sentimenti ed il nostro ope- rato si facesser palesi nel modo più solenne al mondo scien- tifico, c qualche fatto, qualunque esso siasi , ricordasse ai futuri la nostra partecipazione a quella festa secolare. Capo e rappresentante di questa illustre Accademia, incombeva a me il dovere di fare ogni sforzo, perchè un tal proponimento non andasse fallito, lo vi ho perciò con- vocato in seduta estraordinaria nel giorno stesso in cui in Lund gli egregi componenti la Carolina, abbandonandosi a pura c nobile gioja , che mai dà luogo a pentimento o a disgusto, ma fiiiomo sublima, inspirandosi nelle belle ope- re dei loro antecessori, e partecipando alle loro glorie, in esse attingono , come a nuova e feconda sorgente , ardire novello e rinascente forte desio di compiere nuove e gran- di opere, lasciando ai posteri ricca eredità di belli esempli degni di essere imitati, Si, in questo giorno in cui uom non havvi, che, amando di vero amore la coltura dello spirito c il progresso dei lumi , restar possa indifferente a tanto gaudio; imperciocché una festa letteraria non è festa di pochi, nè di un sd paese, ma del mondo intero, i dotti di tutto il globo non formando che un corpo solo, ed il van- taggio clic dabe opere loro ritraesi non su essi soltanto riflettendosi, ma su tutta V umanità, e perchè in somma una tal festa è la tèsta della sapienza umana, è il trionfo dello spirito sulla materia. Auguriamo , dunque , tutti che componghiamo questa giovano ma fiorente Accademia alla Società di Lund nostra consorella un glorioso e brillante avvenire come splendido è stato il suo passato, e tale da corrispondere all’ entusia- smo dei suoi illustri componenti. E perchè le mie parole non vadan sperse, e di questa solenne seduta la memoria non cada in dimenticanza, io offro e dedico alla Universi- tà Lundenense in nome di tutti noi un nuovo fiorellino col- to nel praticello che con tanta cura coltiviamo, un fiorel- lino che, spero, non appassirà, essendo un’indubia novità scientifica. Piccola è la offerta, ma non indegna di quella Società, poiché non è mai spregiabile, qualunque essa siasi, una scientifica novità. È questa una specie zoologica nuova, che spetta alla classe dei Cirropodi ed al genere Coronula, che io chiamerò d’ ora innanzi in onore della mentovata So- cietà Coronala Carolina , e di cui scendo a dare particola- reggiata contezza. Il sig. Barone Cuvier distribuì in sei classi, come ge- neralmente si sa, i molluschi che compongono la seconda - 218 delle divisioni primarie del regno zoologico , i Gefalopodi, cioè, gli Pteropodi, i Gasteropodi, gli Acefali, i Brachiopo- di c i Cirropodi. In progresso di tempo non si credè conve- nevole e naturale disgiungere i Brachiopodi dagli Acefali, differendo tra loro per caratteri che tali non sono da co- stituire differenza di classe; e sui Cirropodi, essendosi fatte delle osservazioni nuove ed importanti, si giunse a cono- scer non aver essi per il loro organico congegnamento al- cuna attinenza coi molluschi, anzi da questi ultimi differire cotanto da trovar posto in altra primaria divisione della se- rie animale, cioè, tra gli Articolati. Le ricerche che in que- sti ultimi tempi sono state fatte intorno alle metamorfosi varie che gli animali subiscono nelle fasi diverse del loro svolgimento, i trovati felicissimi che han coronato quelle preziose ricerche, precipuamente la metagenesi, la genera- zione alternante, la partonegenesi, la trasmigrazione degli animali da organismo in organismo per compiervi le loro trasformazioni progressive o regressive, onde acquistare il loro completo sviluppo, hanno schiarito di molto il vero carattere anatomico c fisiologico di quelli appartenenti alle classi inferiori, han dato agio a più facile e sicura specifica- zione, han rimosso i più saldi puntelli che sostenevano lo edificio crollante dell’ eterogonìa, ed apportato scrii muta- menti nell’ordinamento degli animali inferiori; e per la stes- sa ragione per cui i rettili nudi formano oggi una classe di- stinta tra i vertebrati, laddove pria cogli squamosi non ne costituivano che una sola, i Cirropodi van classati tra i Cro- stacei. Imperciocché le metamorfosi degli animali, allorché perfette, giungono talvolta ad adombrare e ad oscurare an- che completamente il vero carattere della specie, in modo che uno di questi individui osservato nell’apogeo della sua carriera vitale in nulla rassomigli a se stesso, lorchè trovasi al principio dell’ epoca sua evolutiva. Così lo stesso individuo, assumendo forme differenti- — 219 - sime secondo le varie fasi del suo svolgimento, può men- tire diverse individualità e fors' anco differenti tipi specia- li. Quanti animali infatti che si credevano distinti, non so- no stati riconosciuti che come forme diverse dello stesso in- dividuo , dopo essersi attentamente e profondamente stu- diato il polimorfismo della loro specie! Perchè dunque una specie possa venir determinata con precisione e collocata nel suo vero posto nella serie zoologica , è mestieri che essa sia studiata in tutti i periodi della sua vita, e in tutti i mutamenti che essa può subire dallo inizio del suo svi- luppo sino al suo totale completamento. Per tal via i zoo- logi son giunti a scoprire, che i Cirropodi, così chiama- ti dall’ avere gli organi locomotiva in forma di cirri, non sono che Crostacei, i quali in una determinata epoca del- la loro esistenza trasformansi in modo da somigliare a mol- luschi. Eglino infatti nei primi periodi della loro carriera vitale son piccoli crostacei liberi, che vagano in mezzo alle onde, ed in progresso di tempo fìssansi su corpi solidi, si sformano, perdono tutti i caratteri morfologici primitivi, ec- cetto le zampe che rimangono incommutate, e si rivestono di una maniera di mantello che colla sua segrezione fabbrica una conchiglia, che somiglia in certo modo per composizione e struttura a quella dei molluschi, e dalla quale metton fuori i membri locomotori diventati del tutto inutili, es- sendo in tale condizione privi di deambulazione, la loro con- chiglia trovandosi sempre fissa, sia che sessile come nei Ba- lani, nei Pirgomi, nei Ctamali, nelle Coronule, nelle Tubici - nelle oc., sia pedunculata come nelle Ànatife, nei Pollicipi ec. Dei Cirropodi vari sono i generi stabiliti dagli autori dei quali si fece da noi in altro luogo menzione. Ora è a ricordarvi o Signori, che nella monografia del genere Co- ronula da me presentata nell’anno 1853 alla nostra Socie- tà e pubblicata nei suoi atti, e nella quale, come appen- dice, comprendesi In descrizione di varie specie malaco- logiche nuove, io portai a tre le specie siciliane spettanti al mentovato genere , mentre una sola riportata ne aveva il Philippi nella sua enumerazione dei molluschi di Sicilia e di Napoli, cioè la Coronula bissexlobata. Le due altre da me per la prima volta descritte come appartenenti alla Sicilia sono la Coronula testudinaria vi- vente e la Coronula diadema fossile, che in progresso di tempo fu rinvenuta vivente nei mari di Siracusa, giusta la testimonianza del nostro egregio socio Cav. Benoit. In quella stessa monografìa feci rilevare ed apertamente mo- strai il genere Columellina statuito da! celebre B.ne Bivo- na padre sulla specie Coronula bissexlobata dover essere accolto dai naturalisti e senza contrasto rimaner fissato nella scienza, perchè fondato sopra caratteri distintivi netti e recisi; ed ora dopo quindici anni e poscia a reiterate os- servazioni insisto sulla mia antica opinione , la quale ho ragione di credere inappuntabile. Intanto un’ altra specie, e nuova del tutto del gen. Co- ronula è da aggiungere alle summentovate. Questa Coro- nula di cui più individui posseggo, pescati nel mare che bagna il littorale di Aci-Trezza, quando fu veduta da me la prima volta, richiamandomi al pensiero per qualche ca- rattere la Coronula balaenaris o raggiata del Sig. De La- marck, di cui io non aveva che di volo veduto il disegno in qualche opera di malacologia, dubitai in principio non fosse qualche varietà di quest’ultima specie, e principal- mente per avere entrambe le aree maggiori o prominenti solcate dalla sommità alla periferia. Però la descrizione che della Coronula balaenaris dà il Lamarck essendo molto concisa e mancando delle corri- spettive osservazioni, mi fu forza ricorrere alla ispezione delle figure da lui citate e dal Deshayes, che molti e pre- gevoli aggiunte fece all’ opera sugli invertebrati di quel grand’uomo. Osservai la figura riportata negli Annali del museo, l’altra che trovasi nel Dizionario delle scienze natu- rali, ed una terza nella Iconografia del Regno animale del signor Guerin. Queste tre figure destinate a rappresentare la stessa specie, cioè la Coronilla balsenaris, non solo corrispon- dono fra loro, ma anzi sono identiche. Appena io fissai lo sguardo su quelle figure, che non formano se non se una sola per quel che ho detto, declinai la mia prima opinione, ( che altro poi non era che un sospetto), e mi avvidi esser tut- t’ altra della balsenaris, la importante coronula che io ave- va avuto la fortuna di acquistare. Anzi posso dire , pria di venirne a minuta descrizione, che 1’ una e l’altra, co- tanto differiscono, che mentre la Coronula balaenaris of- fre fra tutte le congeneri la più regolare figura ed una scultura che non può esser più esattamente e geometrica- mente disegnata dalla natura, la mia nuova specie è fra tutte la più irregolare e la più ruvida. Il suo ambito è piuttosto ovale ma molto irregolare e per lo più angoloso; la sua figura è più conica che con- vessa. Le aree maggiori e prominenti sono inegualissime e presentano dei solchi raggianti dal vertice alla base, ir- regolari, tortuosi spesso, disuguali di numero e di ampiez- za nelle diverse aree; in alcune son lievi e siffattamente stretti da sembrare strie, laddove in altre appajono come rughe; sono più risentiti verso la base , e nel contorno della conchiglia taluni si estendono di più, altri meno, e differendo ancora in quanto alla direzione, lo fanno irre- golare e come pieghettato e tagliuzzato. Le piccole aree sono ristrettissime, e tanto che alcune di esse a stento ri- levatisi; son tortuose, irregolari e sembrano piuttosto su- ture che altro. Per quanto attentamente abbia potuto esa- minare la loro superficie appena ho potuto scorgervi al- cune strie trasversali nello strettissimo spazio che lascia- no allo scoverto, le quali sono piuttosto solchi e ben di- stinti nella C. testudinaria, distanti fra loro, molto più pro- so ATTI ÀCC. VOL. III. _ fondamente impresso in vicinanza degli spigoli delle aree prominenti e tendenti a svanire verso il mezzo delle aree de- presse, laddove nella nostra specie mostrasi soltanto in que- sto punto, sono esilissime ed impercettibili ad occhio nudò. Le sommità delle grandi aree non terminano in angolo od in punta come nella Cor. testudinaria e nella balaenaris, ma ottusissime, anzi troncate, e formano un’ apertura pro- porzionalmente più ampia di quanto nelle altre specie ec- cettuata la Cor. diadema, la quale da tutte ed in tutto c- minentemente differisce. L’opercolo, secondo la caratteri- stica generica, componesi di quattro valve, le anteriori delle quali sono uguali alle posteriori c terminano ottuse. Ciò clic dobbiamo aggiungere a questa descrizione che ri- guarda la parte superiore della conchiglia, si è che tutta è trasversalmente ed irregolarmente rugosa. Oneste rughe dipendono dallo accrescimento della conchiglia il quale de- ve accadere in un modo mollo ineguale ed irregolare. Le rughe si accrescono e diventai! molto più rilevabili in pros- simità della base, e rendono veramente singolare 1’ abita- zione del cirropode in esame. La base presenta le solite lamelle, che dalla sommità si portano in basso e formano la parete della conchiglia, non però così regolarmente disposte come nella Cor. testu- dinaria, e non giungono distinte al contorno della base: per- lochè la conchiglia molto meno porosa e lamellosa delle altre si presenta. La lamina interna che come a cilindro scende dalla sommità, o meglio, dal contorno dell’apertura alla base è più solida e più spessa di quanto nelle altre specie di Co- ronule. Aggiungiamo a tutto ciò che si è detto, che in uno o due degli esemplari che possediamo abbiami trovato il contorno piuttosto regolare e non tagliuzzato, lo che ha do- vuto dipendere dalla forma dei corpi ai quali si attaccano, talché se a superfìcie piana e levigata, regolare il contorno della base della conchiglia dee risultare ed al converso, I - m - lo elio ci porta ad immettere senza tema di errare che la coronula da noi descritta sia solita impiantarsi su corpi ir- regolari, laddove la testudinaria e la balsenaris debbano ap- plicarsi sopra superfìcie piana e quasi levigata come per- altro si è quella del corpo della Testuggine e deila Balena. Ed ora volendo la nostra specie porre in confronto colla C. Balsenaris, possiamo dire che quest’ ultima specie c piut- tosto convessa, con un contorno regolarmente orbicolare, e l’apertura centrale; le aree uguali e simmetricamente di- sposte; delle maggiori o prominenti ciascuna offre dei sol- chi a mo’ di raggi che partono dalla sommità e vanno alla base, e verso di essa si allargano; sono uguali con molta regolarità disposti, ed allo stesso numero, cioè, di cinque per ciascheduna; il contorno è integro senza esser frasta- gliato; le aree maggiori terminano superiormente in an- golo acuto, le minori uguali fra loro sono ben rilevabili , nessun solco trasversale , niuna ruga , niuna stria eccetto qualcuna finissima, effetto dei varii stadii di accrescimento, altro non si vede sulla superfìcie della conchiglia. Inferior- mente presenta le lamelle con molta regolarità disposte dalla periferia verso il centro e da altre intersecate, di figura se- micircolare, collocate in serie una entro V altra ed appog- giate colle estremità al contorno della conchiglia. Dopo la minuta descrizione che abbiamo dato della no- stra specie e della balsenaris si scorge di leggieri, quanto siano diverse l’una dall’altra, e come sia necessario con- siderarle come due distintissime specie. Ed ora crediamo necessario dar la diagnosi della specie sopra descritta. Coronula C arolina- Aradas (1). «Cor: testa conico-subconvexa, basi subovali, plerum- (1) Vedi tav. annessa, nella quale sono rappresentati alcuni esemplari della descritta specie a grandezza, naturale. 224 — « que irrcgulari, transverse inaequaliter rugosa; areis promi- « nentibus supra truncatis , irregulariter atque inaequaliter « radiati m sulcatis; areis depressis angustis, medio striatis, « striis exilissimis, vix conspicuis; apertura aequaliter trun- « cata; operculo valvis subaequalibus. » I netta seduta epcttnapia dell marse t$&8 DAL PRIMO DIRETTORE PROF. ANDREA A RAI) AB 3:> ATTI ACC. VOI. . IH Ili .1 . ! > Ouc'cevoiióóm i i 3 ICjllOll Abbenchè da più di otto lu,stri io mi abbia avuto 1' ono- re di formar parte di questo illustre Congresso scientifico, occupandone successivamente pressoché tutte le varie ca- riche, e da più anni quella di secondo Direttore, c inge- gnato mai sempre mi sia cogli scritti c con ogni altra ope- ra a sostenerne il decoro e favorirne i progressi , tuttavia, conoscendo di quanto ad altri distintissimi Socii io mi sia inferiore per anzianità e per merito, non ho mai ambito l’al- ta distinzione di vostro primo Direttore, ed in tal nobilis- simo seggio non mi sarei giammai assiso , se il modo be- nevolo e 1’ unanime voto con cui mi vi spingeste non aves- sero vinto in me il sentimento di non mentita ritenutezza che dominava P animo mio per il giusto timore di non po- ter disimpegnare 1’ alta missione che venivami affidata, tan- to lodevolmente e fruttuosamente adempita dal mio illustre predecessore, di cui abbiamo sentitamente deplorato la per- dita a giusta ragione proclamata irreparabile. Però Voi lo voleste, ed io accettai. Piacciavi dunque dall’un canto acco- gliere le grazie più vive che può rendervi il mio labbro, mentre il mio cuore conserverà mai sempre verso di Voi il più profondo sentimento di gratitudine e di riconoscen- za, e dall’ altro accordarmi la vostra cooperazione in tan- ta bisogna, ed esser meco indulgenti, ove che per la de- bolezza mia non sia valevole a rispondere alle esigenze di sì eminente ed importante carica. Intanto, giovandomi di questa favorevole occasione, oso per poco richiamare la vostra attenzione sullo stato della nostra Società, e su tutto ciò che a mio credere potrebbe farsi a conservarne la vigoria e ad accrescerne il lustro. Quando io rivolgo, o Signori, il pensiero da una parte al modo con cui l’Accademia nostra venne fondata, alla dif- ficilezza dei tempi che in quell’epoca correvano, al difet- to assoluto di mezzi per sostenerla, alla penuria di ogni corrispondenza scientifica, ed alle malaugorose vaticinazio- ni che gl’ invidi ed i maligni pronunciavano sulla brevità della sua esistenza, e dall’altra al sommo grado di rino- manza cui in onta a tutto ciò prestamente pervenne, un sentimento di rispetto, di ammirazione e di gratitudine verso gli uomini illustri che ne furono i fondatori si su- scita nell’ animo mio ed un compiacimento misto a patrio orgoglio lo invade e il signoreggia. Tanto vale carità di pa- tria ed amore del sapere per chi ha il bene di averne scal- dato il cuore I E sì che per la possa di questi nobili senti- menti quei magnanimi ogni impedimento rimossero, supe- rarono qualunque ostacolo, gl’infausti auguri sprezzarono, c d’ogni mezzo fecer tesoro per raggiungere lo scopo pre- fìsso; e ponendo insieme i loro sforzi, e notte e dì lavo- rando ad illustrare la Storia naturale patria, quello scopo asseguirono in modo che la Gioenia divenne in breve una delle più rinomate società scientifiche d’ Italia, e, come si lesse in un estero giornale di quei tempi , Catania colla sua Accademia si eresse in centro letterario dell ’ Isola (I) (1) Alessi — Relazione accademica della Gioenia — Anno 9 — Vo- lume X°. pag. 29. • Ed essa, non solo nulla ha perduto dell’ antico suo lu- stro, ma in piu alta onoranza e splendor maggiore è venu- ta in progresso di tempo. Imperciocché la sua riputazione si è più largamente diffusa; le sue corrispondenze oggi si sono a più doppii accresciute; i nostri atti son dall’ univer- sale richiesti ed apprezzati c contracambiati con quelli del- le altre società scientifiche , con cui la nostra è in corri- spondenza, c che assommano a 55, cioè, 50 del vecchio e 5 del nuovo Continente , oltre i doni di altre opere ed opuscoli che ci piovono eia ogni parte. Ma d’ onde tutto ciò? Perchè si cerca la nostra corrispondenza? Perchè la nostra Accademia ha acquistato tanta celebrità? Per i suoi statuti, io rispondo, cioè, per lo scopo che si prefissero i suoi fondatori e per la indefessa attività dei suoi membri. I nostri statuti servirono' di modello a quelli di altre società scientifiche, che posteriormente ad essa venner fon- date; il suo scopo fu quale esser dovea in tempi in cui del- le scienze naturali, progredite di molto, si era riconosciu- ta V importanza non che la utilità, e la storia naturale si- ciliana non essendo ancora bene apprezzata e bui coltiva- ta, era universale desiderio che i dotti della Si dia se ne occupassero di proposito e con ardore, acciò venissero di- svelati agli sguardi del mondo scientifico i tesori naturali che racchiude quest’isola benedetta dal sorriso di Dio, ed i fenomeni vari e sorprendenti che in essa senza interru- zione han luogo. E questo fu lo scopo cui mirò la nostra Accademia prima in Italia che si occupasse di scienze na- turali esclusivamente. L’ attività poi dei nostri socii è stata in tale misura da non poter esser superata. Nessuna interruzione infatti nei lavori dei Gioenii; nessun anno è scorso senza la pubbli- cazione degli atti, oltre di un giornale che 1’ Accademia no- stra ha pubblicato sinora sotto il titolo di Giornale del Ga- m bi netto letterario della Gioenia c che da moltissimi anni ha vita. Se dunque, intralasciando ogni altra considerazione, si è per la natura dei nostri lavori e per la nostra operosità, che l’Accademia Gioenia si è resa celebre, ognuno di Voi 0 Signori, si accorge di leggieri che, ove venisse meno io scopo cui i nostri lavori tender debbano in conseguenza dei nostri statuti, ovvero si accasciasse per poco la nostra alacrità, essa perderebbe il suo splendore, si offuschereb- be forse del tutto e andrebbe confusa con tante altre che perii solo nome conosconsi. Vero è, che il tempo tutto in- volve e distrugge, e che nell7 obbl io cade ogni cosa umana, per quanto sembrar possa durevole e solida: ma i danni che il tempo arreca han diversa misura, c conseguentemente più o men lunga durata le opere umane: ed è perciò che 1 nostri sforzi debbon tendere a ravvivare incessantemente il vigore della Società nostra, ove si mostrasse indebolita la sua vitalità. Or a raggiungere un tanto scopo lo unico mezzo quello si è, o Signori, di non mutar condotta. Quante accademie non han cessato di esistere per aver cangiato di scopo? L’ Accademia degli Etnei in Catania surta con ca- rattere scientifico , per essersi tramutata in congresso di poeti in breve finì di vivere. Si è perciò che i nostri socii fondatori abbonarono mai sempre dall’ estendere la nostra Società, destinata soltanto a coltivare le scienze naturali, ad altri rami del sapere; e l’ estinto nostro ultimo 1° Direttore Carlo Gemmellaro fu più d’ ogni altro su ciò irrevocabilmente fermo; impercioc- ché, è giusto il dirlo, un’Accademia che si occupi di tut- t’ altro che di storia naturale patria in questo suolo , al- meno nell’attualità, oltrecchò non potrebbe facilmente giun- gere ad emulare le altre che in paesi più colti, o con più opportuni mezzi e con un precedente felice vi han figu- rato e vi figurano tuttora con onore; dallo straniero non sarebbe mai apprezzata tanto quanto quella elio compon- ghiamo. Se poi all’Accademia nostra si volesse aggrega- re una sezione distinta e destinata a maneggiare argomenti di natura diversa, che non siano, cioè, agii studii naturali appartenenti, come a qualcuno, non però tra i socii nostri, è piaciuto talvolta di suggerire, si correrebbe in tal caso il rischio sicuro di veder questa sulle altre tale e tanto pre- dominio in breve acquistare, da soverchiarle, ed oscurarle del tutto, o almeno farle con più sicurezza tralignare. Im- perocché gli stuelli letterarii o anco scientifici, ma astratti, spiegano sulle menti un’attività molto seducente c di gran lunga maggiore di quella clic possono esercitare gli studii severi e profondi che richiedono le scienze di osservazio- ni e sperimentali : se non altro, perchè quelli esiggono un più breve tirocinio, offrono una via più facile a percorre- re, danno maggiore agevolezze! alla mente nel formare i suoi concetti e libero campo quasi sempre alla immagi- nazione. Vero è, che gli studii naturali non mane nodi attrat- tive e di allettamento, che anzi talvolta cosiffattamente P anima seducono e rapiscono da eccitare una v : a passione; ma questo può soltanto accadere a coloro i < ali (e son pochissimi ) a coltivarli sian naturalmente e fo: i mente in- clinati c dopo che lungo osservare, penose ricerche e pro- fonde meditazioni li abbiali condotti al punto di poter con- venevolmente valutare ed apprezzare i tesori e le bellezze della natura. Io sono, o Signori, così intimamente persuaso e con- vinto di ciò che mi son fatto un dovere di dirvi, che non parlerò mai abbastanza per raccomandarvi di mantener ter- mo il primitivo proponimento della nostra Accademia, uni- ca sorgente del suo avanzamento e della sua gloria, rispet- tando e religiosamente conservando questo fondamentale articolo dei nostri statuti accademici. Però, riconoscendo il bisogno dì lasciare nella sua ori- ginale integrità il mentovato articolo, ohe racchiude lo sco- po della nostra Società e vari altri ancora, è d’ uopo con- fessare, clic alcuni tra essi , abbenchè di secondaria im- portanza , esigono delle modificazioni , che il volger del tempo, il variar delle circostanze e le novità avvenute han reso indispensabili. E queste modificazioni presenteremo fra non molto e sottoporremo al savio giudizio vostro illu- stri Consocii, io ed il nostro egregio Segretario Generale , che tanto ha meritato dalla nostra Accademia per lo zelo instancabile ed il non ordinario impegno con cui ha adem- piuto i doveri della sua carica. Or se per render durevole, come si c dimostrato , la rinomanza della nostra Accademia, fa di mestieri mirar sem- pre e costantemente allo scopo per cui essa venne fonda- ta, ne vicn di conseguenza, o Signori , che dei nostri la- vori quelli che possono essere in maggior pregio tenuti e meglio propri i all’ assunto son quelli che la storia natura- le riguardano e la siciliana precipuamente, la quale non è stata ancora abbastanza studiata, anzi in gran parte tutto- ra sconosciuta rimane. Che se per alcuni dei suoi rami molti e pregevoli lavori dei dotti nostrali c stranieri ci abbia- mo , negli altri troviamo moltissime lacune a colmarsi ; poiché infinite osservazioni restano a fare o perfeziona- re, molti fatti a scoprire , innumerevoli oggetti a descri- vere e varie ed importanti quistioni a risolvere nella geo- logia, nella mineralogia, nella botanica c nella zoologia: nò è d’ uopo eh’ io vi rammenti ciò che resta a fare, poiché Voi lo sapete meglio di me. Però gli argomenti sui quali è giuocoforza per noi meditare in preferenza a tutti gli al- tri per lo bone ed il vantaggio della nostra Società , sono gli argomenti zoologici, botanici, geologici c mineralogici, tuttavia non sono al certo da porsi in non cale o tenersi in poco pregio tutf altri lavori che quantunque non en- trino nella serie di quelli che ho sopra indicato, apparten- 233 - gono non di meno alle scienze fisiche c naturali , come quelli che alle matematiche, alla fisica ed alla chimica spet- tano, le quali d’ ogni ricerca di storia naturale son princi- pio, e di questo grande e vasto studio si pongono a fonda- mento, anzi e de’ primi e di quest’ ultimi io vorrei che nei nostri atti, non solo non si avesse a deplorare difettò, ma piuttosto ad ammirarsi scelta e ricca copia. Le memorie di medicina io sommamente apprezzo, poi- ché questa scienza è di utilità diretta all’ uomo c più di ogni altra — e l’utile, il benessere dell’uomo e la sua fe- licità debbono formare lo scopo primario di tutte le ricer- che, d’ ogni meditazione e d' ogni sforzo dell’umano in- telletto, e perchè, come le tante volte si è detto, nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. Ma c mio desiderio , avvegnacchè la scienza illustre^di Esculapio abbia formato f argomento primario delle mie elucubrazioni c vi abbia sagrificato la mia vita intiera , c mio desiderio , dicevo , che i nostri volumi non sian sovrabbondanti di memo- rie mediche , come qualche volta è avvenuto, non es- sendo la nostra Società un’ Accademia di medicina ; o che almeno queste memorie versino su argomenti medici af- fini alla storia naturale, come le anomalie, le mostruosità, le lesioni di struttura e le varie neoformazioni morbose , la influenza delle condizioni di località sull’organismo uma- no, le epidemie cc., che contengano delle novità importanti, e non siano delle lezioni buone solo a leggersi su di una cattedra, o delle povere descrizioni di qualche caso isolato su cui si voglia innalzare un edificio scientifico. Tutto questo io dico , o Signori, perchè lo sento, perchè bramo il vantaggio della nostra Società , c perchè è mio dovere che io parli con tutta quella franchezza e sincerità che alla mia carica si addicono. E volendo tutto dire, è necessità manifestare ancora il mio desiderio che molti dei nostri Socii acuì nulla manca per 33 ATTI ACC. VOL. IH - 234 rendersi utili col frutto dei loro stridii alla nostra Accade- mia, e che da qualche tempo si sono abbandonati al riposo, rientrino in quella sfera di attività comandata dai nostri statuti , da cui come da sorgente di vita fluisce l’alimento della Società. Però le mie parole non accennano al più lieve rimprovero. Lungi da me il pensiero di accusare i miei Con- fratelli di inerzia, o mal volere ! Ma è da considerare , che non tutti quelli che la nostra Società compongono son na- turalisti ; il numero di questi ultimi essendo dovunque ri- stretto assai più di quel clic si crede. Arroggi a ciò, che i fatti nuovi, le rarità d’ ogni maniera, gli argomenti speri- mentati di alta importanza non si presentano a noi a grado nostro. I Soci i della Gioenia non mancano di dottrina nè di buona volontà. A taluno fecer difetto gli argomenti talora, e però sarebbe utile il trattare in comune un soggetto da tutti maneggiabile. A creder mio vi sarebbe o Signori, un’ opera utilissima a fare, fruttuosa ed anco necessaria; un’opera che potrebbe fissare Y attenzione di tutti noi, che potrebbe for- nire importanti argomenti di studio a tutti quelli fra noi che di storia naturale, propriamente detta, poco s’ intendono, ed i quali, come dissi, hanno per altri generi di lavori in- tellettuali somma attitudine e gagliardia di mente, un’ope- ra infine che non potrebbe essere il prodotto di un solo , ma di molti ad una volta. Ecco qual si è il mio progetto. Correva l’anno 1838. Molti e belli lavori di scienze fisiche c naturali i dotti della Sicilia avevan reso di pub- blico dritto sin dallo inizio di questo secolo , i quali tra per aver veduto la luce in fogli periodici, in giornali ed in piccole brociure, c per la quasi assoluta deficienza di corrispondenze , giacche appena sapevasi in allora esister la Sicilia, e contate per nulla eran le cose nostre, quei lavori, io diceva, rimanevano inconosciuti allo straniero il quale a torto accusava d’ infingardaggine e d’ inettezza gli abitatori della Trinacria. Fu perciò, che nell’ epoca suin- I dicala sui*se in pensiero ad un’uomo di forte mente c del- l’onor siciliano zelantissimo la bella idea di prospettare la storia critica di quelle scienze in Sicilia, e precipuamente nel secolo XIX.0 Però un solo non avrebbe mai potuto man- dare ad effetto un tanto divisamento; vari dotti furono quin- di a concorrervi chiamati, ed eglino caldi di amor patrio ri- sposero all' appello. L’ opera fu divisa in tante parti quanti i rami delle scienze fisiche e naturali, ed ogni parte dove- va fornire argomento ad un prospetto storico speciale. Co- sì il prof. Algieri Fogliani fu incaricato di scrivere la sto- ria delle scienze mediche, ( s’ intende già in Sicilia, come si è detto, e nel secolo XIX0); il prof. Carlo Gemmellaro prese per se la parte che riguarda la Geologia e la mineralogia; il barone Andrea Bivona la zoologica; Parlatore la botanica, e via via. In questo modo ed in breve tempo quegli in- teressanti storico-scientifici prospetti incominciarono a ve- dere la luce; alcuni di essi venner portati a compimento, molti però rimasero a mezzo. Oneste pubblicazioni, intanto, che avevano un carattere di utilità incontestabile, furono accolte con lode ed apprezzate molto dallo straniero vera- mente avido di sapere ed imparziale, e fecero ricredere co- lui, che invido più che altro ed orgoglioso, ei aveva brut- tato di una macchia che sembrava incancellabile. Ma il mentovato progetto non potè avere piena ese- cuzione, perchè il giornale Effemeridi scientifiche e lettera- rie per la Sicilia , la più utile c pregevole opera periodi- ca che abbia veduto la luce in Sicilia, ed in cui venivano quei lavori pubblicati , fermò il suo corso senza speranza alcuna di riprenderlo nell'anno 1840. E non solo si ebbe a soffrire il dolore di veder incompleti restare tutti quegli importanti prospetti speciali, ma ancor di veder fallita la speranza d’aver sott’ occhio in ogni anno, o di quando a quando , i resoconti generali di tutte le novità e di tutte \ — m ~ ìe pubblicazioni scientifiche die avrebber visto la luce in progresso di tempo. Signori , io non voglio intrattenermi sulla utilità che può immancabilmente derivare da un simi 1 progetto. Voi 10 comprendete appieno; dirò solo, che presentare la sto- ria critica di una scienza vale quanto tarla progredire. Riunire i vari lavori; porli rimpetto gli uni agli altri; por- tar sano giudizio sur essi, sceverando così il vero dal falso ; fissare ciò che vi si possa trovare di utile , di reale e di positivo, sintetizzarli infine è opera tanto pregevole quan- to un’ altra che contenga delle importanti novità. Molti esempii potrei addurre in conferma di ciò: ma mi basta il ricordarvi, clic il signor Visconte d’ Archiac si rese celebre per avere scritto la storia della geologia du- rante il periodo di dieci anni dal i 834, cioè, sino al 1844. Nò la vantaggiosa idea perderebbe gran clic della sua importanza, ove invece di un prospetto storico generale di una scienza, riguardandola in tutto il mondo scientifico, si volesse notare lo stato di essa, non che i suoi progressi ed 11 suo svolgimento, in una sola parte di esso; imperciochè un tal lavoro, non solo potrebbe servire come elemento indispensabile ad una storia generale, ma in esso non può mai mancare quel tanto utile confronto tra il modo con cui coltivasi una scienza in una regione del globo, e le condizioni in cui essa quivi ritrovasi con quelle colle quali essa in altri punti manticnsi ed il grado d’importanza cui sia pergiunta. Io fui siffattamente convinto di tal verità nell’ epoca cui ho accennato, che presi a continuare il prospetto della storia della zoologia nel secolo NIX.0 dal punto in cui ces-, sò il Barone Andrea Bivona, cioè dal 1 840; e se non è an- cor compiuto, ciò si deve attribuire a molte altre serie c spe- rimentali occupazioni, che me ne han sinora senza colpa di- stolto. Ture il tanto che ne scrissi ebbe fevorevole accoglienza dovunque, sono stato incitato a completarlo, ed il chiar.mo prof. Bianconi da Bologna ne pubblicò un estratto in una sua rivista annuale di tutti i lavori di storia naturale italiana. Ed ora, dopo ciò che ho detto, comprenderete agevol- mente o Signori, ciò che era mio intendimento di proporvi: e il lavoro che io indicava come capace di occupare a un tempo ed utilmente le vostre menti, è I’ opera così bene e sotto così favorevoli auspici incominciata da quella congrega di dotti, c che, appena iniziata, ebbe per disavventura ina- spettata fine. Nò vale il dire, che oggi non ci troviamo più nelle condizioni di allora: perchè tuttora le nostre cose non si conoscono altrove del tutto, e i nostri stessi atti acca- demici da poco tempo a questa parte son caduti sott’ occhio dei dotti di oltramarc e di oltramonti: ma non si dee te- ner conto dei soli atti della nostra Società, varie altre opere, memorie, opuscoli ccc.,han veduto la luce nell’ Isola nostra , molte delle quali, degne di considerazione, rimangono igno- rate: e quand’anche noi siano, per le ragioni superiormente addotte e per tutt’ altro, il presentarle ordinate e giudicate con sana critica è sempre utile e laudevole opera. Io dunque propongo, che dal 1840 in qua, e sono scorsi 28 anni, la nostra Società si occupi di scrivere la storia particolare di ogni ramo delle scienze fìsiche e naturali in Sicilia, della matematica, cioè, della Fisica, della Chimica, della Geologia, della Mineralogia, della Botanica, della Zoo- logia, della Medicina, della Chirurgia ecc.; per ciascuna di queste scienze, anzi per ciaschcdun ramo di esse, mostrare i progressi che han fatto, lo stato in cui si trovano, ed ogni mezzo additare che riesca ad accelerarne il cammino verso il loro perfezionamento. È un’accademia soltanto che può mandare ad effetto un tanto proponimento, e la no- stra a preferenza, che di scienze naturali occupandosi può fornire il numero di dotti necessario ad eseguirlo. Nel suo seno noi ci abbiamo illustri matematici , dotti - 238 - naturalisti, egregi medici e chirurgi, ottimi chimici, valenti fisici ed altro, e l’opera, esattamente divisa e conveniente- mente distribuita, diverrebbe di facilissima esecuzione, e di quale e quanto vantaggio ognun se ’l può immaginare. Io il primo mi affretterò a continuare e completare il prospet* (o della storia della zoologia in Sicilia nel secolo XIX.0 Ancora un’ occupazione utile per noi tutti quella sareb- be, come costumasi nelle altre Accademie , di dare il giu- dizio sulle opere importanti che da vari i punti alla nostra Società pervengono: imperciocché, così operando, le co- gnizioni scientifiche diffondonsi fra noi, i lavori altrui ven- gono apprezzati secondo il loro giusto valore, dietro pon- derata disamina, la quale può dare occasione a nuove ri- cerche, a nuovi tentativi, a nuovi trovati. Ed ora un’ ultima cosa, o Signori, mi resta adire. Un tempo la nostra Accademia si avea un gabinetto di storia na- turale. Non ricordo se per manco di locale o per altro motivo, ciò che si era raccolto si donò alla Università. Non disapprovo quel che si fece, perchè questo illustre Ateneo, dal cui seno surse la nostra Società, ha dei diritti incontestabili al nostro rispetto e alla nostra gratitudine, e ciò che l’Accademia pos- siede o potrà acquistare è sempre sua proprietà come i no- stri statuti impongono. Ma la Gioenia dee avere un museo di storia naturale, della di cui necessità e vantaggi non è mestieri ch’io vi parli; solo io dico che Accademia o sem- plice Gabinetto non liavvi , e perfino nell’isola nostra, che non possegga una raccolta qualunque, mentre la nostra non ha neanco un piccol saggio da presentare ai dotti che del- le loro visite la onorano. Aggiungo, che per noi non sareb- be un’opera difficile a realizzarsi: che anzi, io credo, sia fa- ci! cosa raccogliere un numero sufficiente di naturali og- getti e tali da attirar I’ attenzione dei forestieri e servire a noi d’ istruzione. Per altro io non propongo di crearsi un i - 239 - museo da Università, che contenga, cioè, oggetti di ogni luogo, d’ ogni maniera, delle collezioni generali, estese e ricche: ma un museo di storia naturale patria, un museo siciliano, ed anco, volendo restringer di molto la sfera dei miei desideri i , un musco etneo, che racchiuda tutto ciò che presentano in minerali, in piante ed in animali l' intiera zona etnea ed alcuni luoghi circostanti, non esclusi quelli nei quali, come si è asserito, bruciarono un tempo molti vul- cani, che in seguito totalmente si estolsero. Ogni socio con- correrebbe volentieri, io credo, a quest’ opera, che immenso onore rifletterebbe sulla nostra Società, donando al nascente museo qualche oggetto che potrebbe acquistare colle sue ricerche, o qualche parte di ciò che possederebbe a dovizia. Le collezioni fondamentali del nostro museo etneo Gioe- nio conterrebbero le rocce e i- minerali dell’ Etna, degli sco- gli dei Ciclopi e dei vulcani estinti del Val di Noto, e come elementi di confronto le rocce c i minerali delle Isole Eolie; i saggi dei varii terreni sui quali il nostro vulcano si eleva, ed i fossili diversi che vi si rinvengono; le piante che sulle varie regioni etnee e nei suoi contorni germogliano e ve- getano, e queste allo stato secco; i varii animali che vi han- no stanza, escludendo i grandi mammiferi che sono tanto conosciuti, ma principalmente i rettili, gl’insetti, i mollu- schi terrestri cc. e gli animali che vivono nelle acque che bagnano il litiorale etneo, pesci, crostacei, cirropodi, anelidi, molluschi c zoofiti. Ove la mia proposta venisse accolta io darei al certo il primo esempio. Una raccolta di conchi- glie viventi del nostro golfo, di ancllidi , e chinali ed al- tri raggiati; varie conchiglie fossili delle argille pleistoceni- che di Citali, Nizzeti ec., non che alcune rocce c minerali dell’ Etna, del Val di Noto e delle Isole Eolie sarebbero al- L ordine per il nostro nuovo museo. Signori: io spero che le mie proposte ed i miei sug- - 240 geri menti trovino un eco nell’animo vostro propenso al be- ne ed al vantaggio di questa Società, che forma il vanto nostro, il nostro orgoglio —A questo solo fine, io ripeto, ho oggi favellato, e di tanto ardire mi facciano scusa la since- rità dei miei sentimenti e la bontà delle mie intenzioni. i NDICE Relazione dei lavori scientifici trattali nell’anno XLÌI della accademia Gioenia di Scienze naturali letta nella adu- nanza generale 1 giugno 1867 dal Segretario Generale Prof. Carmelo Scinto Palli » I Piota sulle Osservazioni meteorologiche fatte nella R. l'niver- sità di Catania nell' anno 1861 dal Socio corrisponden- te G. A. Jlbllshauser » i Sulla eruzione del Vesuvio incominciata il 12 novembre 1861. Ricerche chimiche eli Orazio Silvestri » 29 Ricerche chimiche per servire allo studio dei vini della Sicilia fatte nel laboratorio eli Chimica della R. Università eli Catania sotto la direzione del Prof. Orazio Silvestri dal Ur. Giuseppe Pulvirenti » 45 Quadro indicante i Risultati delle Analisi fatte sopra i vini eletto stesso autore » 55 Intorno ad un baroscopio livellatore a compensazione. Memo- ria elei Socio corrispondente G. Motti » 65 Sulla maturazione elei Fruiti di Banano (Musa Sapienlum L.) Ricerche chimiche eli Orazio Silvestri » 85 Sulla natura ; del principio Acido contenuto nei frutti elei Po- modoro Americano ( ciphomanelra Betacea) Memoria del Prof. Orazio Silvestri » 95 Importanza di Taluni Eucalyplus. Memoria elei Socio attivo Prof. Giacomo Sacchéro • . » 1 0 1 Nuove vedute sulle formazioni del Globo . Memorivi Iella dal - m - Socio ordinano e Segretario alla Lezione delle Scienze Fisiche Cav. Agatino Longo » 115 Dell ’ età dell ’ Etna ossia del Primo esordio Dei Folcami estin- ti. Memoria in Appendice alla precedente dal Socio ordi- nario e Segretario alla Sezione delle Scienze Fisiche Cav. Agatino Longo » 151 Sopra alcuni Calcari Giurassici di Giardini presso Taormina (in Sicilia) e sulla loro importante utilità per la Fab- bricazione della calce idraulica , notizie Geologiche ed analisi chimiche di 0. Silvestri » 111 Malattia e Ili generazione dei Limoni. Memoria del Socio Atti- vo Cav. Giacomo Sacchéro « 101 Descrizione di una nuova specie del genere Coronula dedicata al- la illustre Università Carolina dì Lumi in Norvegia e letta al- l'Accademia Gioenia nella seduta del G Giugno 1868, straor- dinariamente convocata per partecipare alla festa centena- ria della mentovala Università dal Dottor Andrea Aradas » 213 Discorso letto ali accademia Gioenia dal 1.° Direttore Prof. Andrea Aradas » 225 *