l) in R , e dove su 2 la
uQ e le sue derivate di ordine 1, 2,...., x— ì assumono i valori pre-
fissati, mentre le ut (i>l) e le loro derivate di ordine 1, 2,...., x— ì
si annullano su 2. Costruiamo in R una funzione cp ; questa
funzione, e le sue derivate di ordine 1, 2,...., T_i prendano su 2
i valori prefissati; poniamo poi ?e0 = . Per determinare uQ,
basterà costruire una funzione che su 2 si annulli, insieme alle
derivate di ordine 1, 2, , t — le che in jS soddisfi alla equa-
zione Fi 4) = — Fi (?).
(*) Ciò equivale a dire che si possono prefissare ad arbitrio su Z i valori della « e delle
sue derivate uormali di ordine 1,2, , x — 1.
8
Guido Fubini
Memokia V.]
Osserviamo die il valore nel punto generico A di R di una
funzione X, die in JR soddisfa alla condizione :
(8) Fl (X) = |x (*„ xv x3)
(dove [j. è una funzione di xx , x2 , x.}) e che su ^ si annulla in-
sieme alle derivate di ordine 1, 2, , x — 1 è dato da
(9)
1 =/X IX IX *. JX fi fX, ,lt IL i* «-
dove il segno d1 integrazione
è ripetuto x2- volte. Col simbolo /'j. f (,r, , .r3, x3) (Iti ho indicato
F integrale
0 f + «71 tn AJ} + nr, t,, x\h 4- ai3 t() dt
dove con xf, xf indico le coordinate del punto A{, e con f\
indico quella quantità tale, che xf' -f- «n t°;, xf‘ -f- ai2 tf\ xf -f- /•
sieno uguali alle coordinate xi , x2 , x3 del punto - A. Se si vuole
poi trovare la AA X^ Xr>» (X) (ì\ < x;) basterà sopprimere
nella (7) rt segni d’ integrazione rispetto tv r2 segni di integra-
zione rispetto a t2, ecc.
Posto questo, la determinazione delle successive wt-, e la di-
mostrazione della convergenza uniforme della procede in
modo affatto analogo a quello che si seguirebbe, quando si vo-
lesse applicare il metodo delle approssimazioni successive all’in-
tegrazione dell1 equazione
+ rr
L K
Vm dt,rl dtmrm
— 0 (rc < t ,;)
dove le t fossero considerate come variabili indipendenti, e dove
-Al •••• + rm
la u e le M
Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e di Pieni ann
dovessero annullarsi per tk = 0 ( J> = 1, 2, m),
E così senz’ altro dimostrato il teorema di esistenza :
Scelti su 2, in modo compatibile, i valori della u e delle sue
derivate di ordine 1, 2,...., t — 1, esiste in R un integrale u della
E (u) = 0, che su 2 soddisfa alle condizioni imposte.
Posto questo, passiamo alla funzione v ; la funzione v sui
piani e sugli spigoli del triedro A (A1 , A2, A3,) deve soddisfare
alle condizioni (A), {A') e nell’ interno del triedro deve essere
un integrale dell’equazione 4 fv) = 0 ; in line essa deve essere
tale che si possa applicare 1’ integrazione per parti all’ integrale
Noi dovremo esaminare a una a una le precedenti condizioni
che sono imposte alla v, e comincieremo anzitutto dallo studiare
le equazioni (A), (A') cui essa deve soddisfare sulle faccie piane
e sugli spigoli rettilinei del tetraedro AA1 A., Ar Queste equa-
zioni sono in generale incompatibili : non può cioè in generale
esistere nel tetraedro AAl A2 A3 una funzione y non nulla, fi-
nita e continua insieme alle derivate che occorre considerare,
la quale soddisfi alle equazioni predette.
Noi supporremo d’ ora in poi che ciò non avvenga per le
equazioni F fu) = 0, che noi considereremo.
Noi supporremo cioè che esista una funzione y finita e con-
tinua (con le sue derivate) che sulle faccie e sugli spigoli del
tetraedro soddisfi alle volute condizioni senza essere nulla nel
punto A. Ciò porta a delle equazioni, tra i coefficienti di
$ (v), o, ciò che è lo stesso, tra i coefficienti bVi r,n di F fu) ;
noi supporremo d’ ora in avanti soddisfatte queste equazioni. A
esse daremo il nome di « condizioni di Elemann ». Per mag-
giore chiarezza studieremo due esempii :
1°) Sia m — 4, 1 1 = 1 (i < 4) ; potremo evidentemente sup-
Atti Acc. Serie 4a, A'ol. XVIII - Mera. V. 2
10
Guido Fubini
[Memoria V.]
porre «41 — ai2 — ai3 — 1. Scriviamo, per semplicità di nota-
zione, il polinomio <5 sotto la forma :
$ (v)-
d'‘v
dx dy dz dt 1
d'V
l
dx dt
+ B
d3v
dt dy dz
d'sv ,
dy dt ~r
dv
P —
dx
V-
d*t
+
d3v
c
dt dx dz 1 dt dx dy
d'V , drv> , . dtv
dz dt 1 " I 2
3t_
3,y
i ì = 0
Ad analoghe equazioni la 7 deve soddisfare sui piani y=0, z=0.
Sull’ asse delle « la 7 deve soddisfare alle :
in oh = ( s + b + ^') è + (K + 11 +v+s)
dy
d-f , 3‘f , 37 ,
3l+VS+VS +
dx
-j- (A -|- B -(- c) 7 — 0;
$12
0.
Queste due ultime equazioni danno concordemente :
0) |l + m = °
(sull’ asse delle z).
Analoghe equazioni valgono sugli assi delle x, y ,
La (B) ci determina il valore di 7 su tutti i punti del
Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Biemann
11
segmento AA3, quando sia noto il valore di 7 nel punto A.
L’ equazione (7) diventa
S + <’+«> !" + c T
(e)
9*7
32t
si sostituiscano i valori, che ven-
quando al posto di % }x ^
gono dati dalle equazioni = q>| = 0; le quali equazioni, valendo
rispettivamente nei piani y= 0 continuano a valere anche
sull’asse delle La (e) poi in virtù della (3) diventa
C — £ V —
dz
= 0 A)
(stili’ asse delle z)
Ora, poiché in virtù delia (§) e delle equazioni analoghe si
sanno determinare i valori di 7 sui segmenti AAV AA2i AA3,
le equazioni (P) permetteranno di determinare la 7 entro le aree
piane AAiAv AA2A3, AA3 A{. Ne verranno così in particolare
determinati i valori della sugli assi delle z e della y.
ex
La equazione (a), che si può scrivere sotto la forma :
_A_ (A) 4. „ _A (A)
dzdy \ dx ) 1 dz \dx)
+
A
dy'dz
+ -pp + (* + K- + v + + 1J-
3 ydz
32T
dz*
di
v A +
dy
+ (A + B+ c) |L+(A+ 0+6) |L + p 1 = 0
vy c<-.
ci permetterà quindi di determinare jP sulla faccia A A ., ^13 del
nostro tetraedro.
Considerazioni analoghe valgono per le altre faccie.
In conclusione perciò le nostre equazioni determinano i
valori della 7 e della derivata normale sulle tre faccie piane
del tetraedro. E queste equazioni saranno compatibili, allora e
allora goltanto che sull’ asse delle z valga la (X) e sugli assi
12
Guido Fubini
[Memoria Y.J
delle x, y valgono equazioni analoghe. Ora, poiché la 7 non è
nulla in A, la 7 non sarà (in virtù dell’ equazione l) neppur
nulla su tutto il segmento AA3 e quindi la (1) ci dice che su
questo segmento deve essere c — e v — = 0. Poiché ora A è
un punto generico di JR, avremo che dovrà essere identicamente
(10)
e analogamente
(io')
(io")
Queste sono, (per le equazioni differenziali considerate in
questo esempio) le condizioni, cui io ho dato nome di condizioni
di Iiiemann : quelle condizioni cioè, che esprimono non essere
contraddittorie le (ff), (A'). Un caso notevole, in cui esse sono
soddisfatte è quello, in cui X = 11 =: v = a = b = c — 0.
II.) Tratterò ora un altro esempio. Sia
F (u) ■= Xl X2 Xm ( u ) -|- Mu rr= 0
dove le Xt sono le solite trasformazioni infinitesime, ed M è una
funzione di x, y , z, regolare nel campo, che si considera. Se noi
consideriamo le equazioni (<]>) =r cp^ =0, troviamo tosto che
esse sono soddisfatte senz’ altro, supponendo che 7 sia uguale
all’ unità sui triangoli piani AA2A3, AA3At, AAiAs e che le
sue derivate normali di ordine 1, 2,...., m — 3 siano nulle sugli
stessi piani : le quali condizioni non sono contradditorie alla
condizione che la 7 e le sue derivate siano finite e continue nel
tetraedro AA1 A0 A3 ; per le equazioni in discorso possiamo
dunque asserire che le condizioni di Riemann sono identicamente
soddisfatte. ,
Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Riemann 13
Ritorniamo ora alla teoria generale. Io dimostrerò ohe :
« Se per un’ equazione E (u) = 0 sono soddisfatte le condi-
zioni di Riemann, esiste nell’ interno del tetraedro AA, A., A3 una
funzione v, integrale dell’ equazione $ (v) =: 0, che sulle faccie e
sugli spigoli del triedro A (At A., A3) soddisfa alle equazioni
(A), (A') e che nell’ interno del tetraedro si comporta in guisa
tale che valga la uguaglianza (I) del § 1.
Comincieremo dallo stabilire un lemma ; sia X (rt, x0, x3) una
funzione qualunque data entro il tetraedro AAl A 2 A 3 ; e sia B
un punto generico di questo tetraedro. Supponiamo (ciò che non
diminuisce la generalità) che A sia 1’ origine degli assi coordi-
nati. Tiriamo dal punto B la retta che ha i coseni direttori prò
porzionali ad ah, ai0, ai3 ; questa retta o incontrerà (per le ipo-
tesi fatte sulle aik) uno dei segmenti AAV AA2, AA3 oppure in-
contrerà uno dei triangoli AA2A3, AA3A.l, AAlA2 in un punto
interno al triangolo stesso. Noi chiameremo B, questo punto di
intersezione, e indicheremo con xf, xf, xf le sue coordinate. Al-
meno una delle tre quantità x({\ xf, xf, è per ipotesi nulla. E
precisamente la xf è nulla, se il punto B cade nella regione Rl
limitata dai piani AA2A3, AA{ A2, AA{ A3 ; la xf è nulla, se
B cade nella regione R2, limitata dai piani AA3 Av AA3Aif
AAiAi; infine è nulla la x(i\ se il punto B cade nella regione
R3, limitata dai piani AA2AvAA2AiAAiM. Indicheremo poi
con x{f -j- ah tf\ xf -j- ai2 tf\ xf f ai3 tf* le coordinate xv x0, x3
del punto B , ossia porremo :
dove X è una funzione continua e derivabile delle x'v x2, x3.
Questo integrale è una funzione del punto B, ossia è anche
esso una funzione di xv x2, x3 ; questa funzione è evidentemente
a* — 4° = Uin f (X = 1, 2, 3).
Porremo infine :
L — JB. X (x
14
Guido Fubini
Memoria V.J
nulla se B coincide con />,, ossia se B cade su uno dei piani
coordinati AA2AS, AA3AV AA^A^ Troviamo le derivate prime
di L rispetto a xv xr xr Posto
= t- «
31
dx2
31
? Gì — i
dx„
avremo evidentemente die nella regione B{ è :
(il)
àL iB . C_L — jB - ■
dx2 — ìBi 2 1 ’ 3.r3 — JBi Li [t'
Ora, poiché evidentemente
3 L
h.
1 3cc,
3 L
— ! — fi, .
1 ,2 3x2
3L
ah 5—
3 ax„
avremo che in B^ è :
(IT)
3 L _
dx1
1 (x„ X-2, x.J
a a
IT* K'2
I3] dt,
IsTella regione Bz avremo
analogamente
(12)
3 L [b y 7j.
3V =M
5 3^3 “ ^ dti
(12')
3 L
1 (a?,, SC2, £Cs)
— jBi K X1 + «I3
K]
dx2
dii
Osserviamo che cosa accade di queste derivate prime, quando
il punto B passa dalla regione Bt alla regione Bz , attraversando
il piano A Ai A.r Se noi supponiamo che le li, i;, Il siano con-
tinue, è ben
3L
evidente che varia con continuità; di più sarà
evidentemente
(l3) 1 (xl7 ®g, x3,) — 1 (xp, x(i\ xf) — jg, (aÌL li -f ala l'2 -f ai3 l'3) di ,
Immaginiamo ora che B sia un punto del piano AA{ Aa,
posto in quella regione di questo piano, che serve di contine
Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Riemann
15
tra le due regioni R\, R, ; il punto cadrà sul segmento A A3
e avrà quindi nulle le coordinate x'f, x
3L
Noi potremo calcolare in due modi distinti la ~ nel pun-
to B, secondo che consideriamo il punto B come appartenente
alla regione i?1? o alla regione R2 ; la differenza dei due valori
così ottenuti è per le (11), (12), (13) data da :
0-ci
X
%2, x3) )B. ( a
— — X {xfi,
h X j -j- ai2 X2 -(- «t-3 X3) dtL
a#§= -1- X (0, 0, xfifi
Analoga forinola
cale per
Otteniamo quindi :
lì nostro integrale L e una funzione finita e continua in tutto
il tetraetro AAt A2 A3 ; esso ammette derivate prime finite e con-
tinue dappertutto, eccetto che sui triangoli AAjAj, AAjA2, AAìA3.
Queste derivate saranno però continue anche su questi triangoli ,
se la funzione X è nulla sui segmenti AA(, AA2, AA;}.
In generale potremo dire che , se X è finito e continuo entro AAjA2 A3,
insieme alle derivate di ordine 1, 2,...., v -\- 1, allora L e finito e
continuo insieme alle sue derivate di ordine 1, 2,...., v -}- 1, eccetto
al più sui triangoli AAjAj, AAìA2 AAjA3. La L e le sue deri-
vate citate saranno però continue anche su questi triangoli e si
annulleranno sui segmenti AA1? AA,, AA3, se la X e le sue derivate
di ordine 1, 2 v sono nulle sui segmenti A A,, AA2, AA3.
Osserveremo ancora che, se noi interpretiamo
a
3
n dx ,
dx-2
dx ,
come simbolo di derivazione nella direzione, i cui coseni diret-
tori sono proporzionali ad aiv ai2, ai3, allora si può affermare che
i K è + at 2 è + ft'3 fa) L
I
16
Guido Fubini
| Memoria V.|
esiste ed è uguale a X, appena si sappia che X è una funzione
continua.
Consideriamo ora l1 espressione
M = fi *. fi *. fi, àt, fi *, /* /£
dove il segno j#. di quadratura (i = 1, 2,...., in) è ripetuto -, volte.
Questa espressione si può anche scrivere
« = fi <«, fi <#, fi «, fi, *»
dove i segni di integrale
Jb2 Jb2 Ir3 dt-ìi \b,c (X — m)
sono ripetuti rispettivamente t, — 1, -, — 1, ~3 — 1, -k volte
e dove è
l1 = //)*! (lti Jb, Jb3 k (ìt-l
Applicando più volte le precedenti considerazioni, avremo
che, se X è una funzione derivabile quante volte si vuole, anche
la M è una funzione derivabile quante volte si vuole ; la ili
e tutte queste derivate saranno continue in tutto il tetraedro
AAj A2 A3, eccetto che al piu sui triangoli AAjA^ AAjA2, AAìA3;
ma, poiché g si annulla sui lati AA(, AA2, AA3, la quantità M
e le sue derivate di ordine 1, 2, 3 , (tl — 1) — i) -f- (-, — r,-j-
-f- t4 A -)- ~m = x — 3 sono continue anche su detti triangoli
e si annullano sui segmenti AA(, AA0, AA3.
Premesse queste osservazioni, applicheremo al solito il me-
todo delle approssimazioni successive.
Scriviamo
V — V0 + +
(— 1)T $ (r) ~ (v) — $>2 (v)
Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Biemann
17
dove è
La v0 è poi la somma di due funzioni <|>, y ; la fi è una qua-
lunque funzione Unita e continua con tutte le sue derivate entro
il tetraedro AAt A2 A3, che sul piano a(, e sui segmenti AAV
AA2 , AA3 soddisfa alle (A), (A') ; y è la funzione data da
Con un artificio analogo a quello usato per dimostrare la esi-
stenza della funzione u, si dimostra che la serie v=E.Vi converge, e
che rappresenta un integrale dell’ equazione 0 (v) = 0. La v e
le sue derivate sono poi continue in tutto il tetraedro, eccetto
al più sui triangoli AA{ A1 AA2A{, A A3A{ ; però, per quanto
abbiamo detto, possiamo affermare che su questi triangoli la v e
le sue derivate di ordine 1, 2, t — 3 sono continue.
Io dico che queste proprietà della v sono sufficienti, affinchè
grazione per parti, ossia affinchè valga la (4).
Per dimostrare questo, osserviamo che uniche superficie di
discontinuità possono essere i triangoli AA{ Av AA{ A2, AAi A3
(i > 4) ; tagliamo perciò il nostro tetraedro in tante porzioni
8V 82,...., 8h in guisa che una di queste porzioni sia limitata
o da parti del contorno del tetraedro iniziale, oppure da pezzi
di questi triangoli. In ciascuna di queste porzioni Sk del te-
traedro AA1A2A3 potremo evidentemente applicare il solito pro-
cedimento di integrazioni per parti, trasformando così l’integrale
possa applicare P inte-
C) Come precedentemente, il segno A dti
L
i
i
dti deve essere ripetuto Xj volte (i — 1, 2,..., m).
Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII — Mera. V.
3
18
Guido Fubini
[Memokia V.|
y $L-
" — dSk esteso al volume 8k (k= 1, 2,..., h) nell’integrale
— I S Lj cos (vA Xj) dsk esteso al contorno sk di 8k ; con vA indi-
chiamo la normale a sk nel punto generico volta verso l’interno
di 8k. Sarà quindi evidentemente :
I=SIt
K,
1
Xj) ds *
Ora se un pezzo a di uno dei triangoli AA{AV AA{A2 AAtA L3,
p. es. del triangolo AA4AV fa parte del contorno di una delle
regioni Sh , p. es. della regione 8V esso farà parte anche
del contorno di un’ altra di queste regioni, p. es. della regione
Sr E su questo pezzo a le direzioni vn v2 sono direzioni di una
stessa retta volte però in verso opposto, cosicché sarà
COS (vt Xj) =z — COS (v2 Xj)
Notiamo ora che sul piano di a è contenuta la direzione AA{ ;
sarà dunque
COS (vt x{) — — cos (v2 xL) = 0.
Avremo perciò che il contributo portato da a al calcolo dell’ in-
tegrale
f,
- / - Lj cos (v* Xj) dsh
* J J"
è dato da
I [A2 cos (v^g) -f- A3 cos fv^g)] do
dove con A2 e A3 indico la differenza dei valori di Lv L.à in due
punti infinitamente vicini, posti rispettivamente dall’ una e dal-
1’ altra parte di a.
Se noi vogliamo che il contributo portato da o sia nullo,
basterà che dimostriamo che L2, Lz sono continui su a o anche
Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e di Biemann
19
più in generale che L 2, L3 sono continui nei punti del triangolo
^4^44 Ar Xoi dimostremo questo fatto per L2 : considerazioni
analoghe varranno per Ly
Sarà così reso palese che i pezzi dei triangoli AA{Ar AAtA2
^4^ì^43, che fanno parte del contorno di una delle regioni 8, por-
tano un contributo nullo all’ integrale 1 ; e resterà quindi di-
mostrata con pieno rigore la forinola (4) del § 1.
Dimostriamo dunque che L 2 è continuo nei punti del
piano ^4^44 Ar Ricordiamo anzitutto che L2 è uguale alla somma
di parecchi termini, ciascuno dei quali è prodotto di due fattori:
1’ uno dipendente soltanto dalla u, e dalle sue derivate, 1’ altro
dipendente dalla v e dalle sue derivate.
I fattori dipendenti dalla v sono di uno dei tipi seguenti :
4) (v), («), 3—
(DVs, _
23 ’ 3x<
h
dove st > xA >_ 1. Sarà perciò s2 -j- ó‘3 < t — 3 ; e quindi la
3®2+s3
sarà una funzione continua e a un solo valore sul piano
dx<£ dx%3
>si
o 1
AA,t A1 ; poiché poi — — è un simbolo di derivazione rispetto a x4,
3x-^
e la direzione xi è una direzione contenuta nel piano AA4AV ne
0sl-t-s2+®3
verrà che anche
sarà una funzione continua e a un solo
dx^1 3x?/ dxg3
valore nel piano AA4Ar Altrettanto avverrà quindi della $1 (v).
Occupiamoci ora di 1, x4 > 1). Quindi tale
x
Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Riemann
21
3
espressione è continua su AAiAi ; poiché poi tanto ^r* , quanto
3 * 1
rappresentano derivate prese in una direzione posta sullo
stesso piano AAtA4, ne verrà, come sopra, dimostrata la conti-
nuità di $2 (v) su questo piano.
Occupiamoci ora dei termini di $2, che contengono derivate
della v di ordine x — 2 ; si riconosce tosto, in modo analogo
al precedente, che essi sono di uno dei seguenti due tipi
dove M contiene derivate della v di ordine non superiore a t — 3
ed è quindi continuo su AA4A4. Altrettanto avverrà, per le so-
lite ragioni, di $2.
Delle soltanto la (Dii contiene derivate della v di or-
12
dine (x — 2) superiore a x — 3 ; e i termini di <3>1| che conten-
gono tali derivate sono quelli che provengono dal termine di
ordine massimo (x) di ossia dal termine (15). Essendo x4>l, x2>l,
avremo che i termini in discorso si ottengono tutti dallo svi-
luppo del prodotto simbolico
3^4 31!-'1 3X2— 1 3X3 3x5
dQ dxll~ 1 dx"J~ 1 dxl3 9#
3
E, poiché x4 ^ 6 v rappresenta una derivata presa in una di-
rezione posta sul piano AAtA4, otteniamo, al solito, che anche
Olà è continua su AAlAr
3
In ^ l)
òr,
e, coi soliti ragionamenti, si riconoscono perciò continui sul
3
piano AA, Av In — 01 i termini che contengono derivate della
oxz
v di ordine t — 1, contengono tutti il fattore simbolico
gjc" (Ti + x4 > 2, perchè t, >1, t4 > 1)
e sono perciò continui sul piano AAyA^ ; i termini, che conten-
tengono derivate della v di ordine t — 2, contengono tutti o
il fattore simbolico o il fattore ~r (t, > 1, i4 > 1) e sono
dx^ dq* ~ 4 —
perciò continui sul piano AA^A^.
Le ^^g2’’3 contengono soltanto derivate della v di ordine uguale
a t — 3, e sono perciò continue sul piano i termini di ordine
3 3
t — 2 in O’YV's contengono il fattore simbolico ^ e sono per-
3 3 m
ciò continui su detto piano. Delle ^ $i|gV’3 soltanto la $i2g
Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Riemann
23
contiene derivate della v di ordine superiore a t — 3, e preci-
samente contiene il termine
3~*
di}*
3T*“
a'2-1
3 L3
dx\l '1
dxX ^ dxl2 dii 5
3T4
il quale però, contenendo il fattore simbolico -y (t4 > 1), è an-
3 tp
3
cora continuo sul piano AA,Ar Quindi le sono conti-
1 dx3
tinue sul piano AAt A,‘, e altrettanto avverrà perciò delle
3J
^ ^ $^3 2'3, che se ne ottengono, derivando lungo una direzione
del piano AA4Ar
È dimostrato così che L0 è continuo sul piano AA4A4; per
le osservazioni già esposte ne risulta che l’ integrazione per parti
nel tetraedro AA4 A2 A.v applicata all’ integrale (3), è legittima,
e ne viene così dimostrata la forinola 4 del § 4.
Concludendo , noi abbiamo in questo paragrafo dimostrati le-
gittimi i procedimenti del § 1 per lo studio di quelle equazioni
E (u) = 0, i cui coefficienti soddisfano alle condizioni , cui demmo
il nome di condizioni di Riemann. Abbiamo di più dimostrato la
esistenza eli un integrale u della E (u)=:0, il quale su una superficie 2
prende valori , scelti ad arbitrio in modo compatibile , insieme alle
sue derivate di ordine 1, 2,..., t — 1, ossia che su 2 prende in-
sieme alle derivate normali di ordine 4, 2,...., t — 4 valori pre-
fissati in modo completamente arbitrario. Infine abbiamo dimostrato
esistere un certo integrale v della equazione $ (v) — 0, che gode
di certe particolari proprietà, che è qui inutile ripetere.
§ 3. Sarà opportuno 1’ esaminare ora rapidamente a quali
equazioni più generali si possono estendere i nostri procedimenti.
Anzitutto è ben chiaro che la condizione da noi ammessa
fin qui per brevità di trattazione, che le X sono a tre a tre li-
nearmente indipendenti non è una condizione essenziale, come
il lettore può facilmente verificare.
24
Guido Fubini
[Memoria V.]
È invece una condizione essenziale quella che le X siano a due
a due permutabili, ossia che si abbia (XiXk)=0 (i,h= 1,2, ,m).
In taluni casi però a questa condizione si può sostituire l’altra
più generale, che valgano equazioni del tipo
(17) (X -Xft) = X-i Xv (i, k rrr 1, 2,...., }Jl)
dove le X sono funzioni regolari delle a?t, x2, x3 nel campo che si
considera.
Supponiamo che tre delle X, p. es. Xt, X2, X3, siano linear-
mente indipendenti. JSToi potremo moltiplicarle per un conveniente
fattore, in guisa da renderle a due a due permutabili. Scegliere-
3
mo poi le variabili indipendenti, in guisa che sia X, = — (i=l,2,3).
doCì
Allora le Xk, a meno di fattori trascurabili, si potranno sup-
porre del tipo
Xh —
>0) è determinato
dalla condizione di annullarsi insieme alle derivate di ordine 1, 2,..., t — 1 su E e di sod-
disfare in R alla condizione
X, ... A'm— l Xm (uq) “ a Xm—\ (uq_i) 6wq_i .
R è quella regione tale che la traiettoria della Xk (k — 1, 2,... m ) uscente da un suo
punto generico A incontra S in un punto Ak e in un punto soltanto.
Posto lungo questa traiettoria
dxl dx 2 dx3 ^
e I)' è formato da un disco iden-
Su un metodo per la misura delle piccole variazioni di resistenza ecc.
5
tico ad E e da un altro disco di egual diametro fornito dei so-
liti settori isolanti e conduttori ; i due pezzi che li costituiscono
sono poi, in perfetto contatto elettrico, uniti per mezzo di tre
riti e situati in modo che un qualunque settore d’ ottone dista
egualmente dai due settori d’ottone tra i quali trovasi incastrato
nell’ altro pezzo il settore isolante che gli sta di fronte.
Le spazzole q e q comunicano rispettivamente col polo po-
sitivo e negativo della pila P e portano la corrente ai dischi
I) e Z>' dai quali essa è portata, quando 1’ apparecchio è in ro-
tazione, ai vertici opposti A e A' del ponte AB AB' per mezzo
delle spazzole m, m ed n, ri alternativamente; di queste la m
comunica elettricamente con la ri e la n con la tri.
Le spazzole s, ri comunicano con i vertici B e B' del ponte,
tra i quali è inserito il galvanometro G.
La rotazione dell’ apparecchio si compie in maniera che essa
appaia in senso opposto a quello delle lancette dell’ orologio per
chi lo guarda dal lato dell’ estremo C del suo asse ; riesce poi
chiaro come i due dischi I) e I)' trasformino in alternata la cor-
rente continua che fornirebbe la pila P qualora il commuta-
tore non girasse.
Il disco E è tissato sull’asse in maniera che il circuito del
galvanometro rimanga chiuso soltanto durante gl’ intervallini di
tempo in cui la corrente circola in un determinato senso.
Le spazzole son tutte piegate a gomito nell’ estremità che
toccano i dischi e ciò affinchè le correnti siano tagliate e ripri-
stinate nettamente. Esse sono delle laminette d’ ottone dello
spessore di 1 mm. e in maggioranza sono montate sopra una
piattaforma di libra dura. Le due spazzole s ed ri sono però
montate sull’ ebanite allo scopo di escludere le deboli correnti
parassite che si manifestavano nel galvanometro quando , come
le altre , erano fissate sulla libra.
Per indagare se presenti qualche irregolarità la inevitabile
dissimmetria delle diverse parti del commutatore girante, il com-
mutatore a mercurio a quattro pozzetti M permette d’ invertire
6
JJott. tì. Accolla
[Memoria VI.]
la corrente ; il reostata a corsoio T serve a regolare V intensità
di questa e gl’ interruttori a inano lai a chiudere il circuito
della pila e del galvano metro rispettivamente.
Il galvanometro usato è del tipo Desprez-D1 Arsonval, sen-
sibilissimo e ad oscillazioni molto lente ; il suo circuito è ben
isolato mercè pezzetti di paraffina.
La misura d’ una resistenza liquida vien fatta in modo per-
fettamente analogo a quello che si segue nella determinazione
d1 una resistenza metallica, adoperando a tal uopo un ponte de-
cadico o qualunque altro ponte che si creda opportuno. Una
speciale cura si deve avere però nella scelta degli elettrodi tra
i quali ho trovati più convenienti quelli impolarizzabili di
P aalzo w.
Per assicurarmi del grado di precisione che consente il me-
todo precedentemente descritto ho misurato la resistenza di va-
rie soluzioni di elettroliti.
Per una soluzione di solfato ferroso ho trovato il valore di
ohm 881, 6, che si è mantenuto invariato sia invertendo il senso
della corrente mercè il commutatore J/, sia facendo variare la
sua frequenza da 12 a 75 alternazioni al secondo.
Per la stessa resistenza misurata per mezzo del ponte di
Kolilrausch ottenendo al telefono il silenzio per un tratto di
quasi 2 mm. ho trovato il valore di ohm 892 (con un’ incertezza
di circa 5 ohm) maggiore di una diecina di ohm del valore
trovato precedentemente, fatto che, come è noto, ha luogo nelle
debite proporzioni anche tutte le volte che si misura una resi-
stenza metallica col ponte di Kolilrausch.
Dalle cifre riportate si rileva la grande superiorità del pri-
mo metodo sul secondo , però anche a quello si potrebbe fare
F obbiezione che si fa a questo, poiché facendo uso d’ una cor-
rente alternata è lecito supporre che si facciano sentire i disturbi
periodici dell’ autoinduzione e della capacità elettrostatica e si
misuri un’ impedenza anziché una resistenza ohmica.
Ad accertarmi se tale obbiezione ha valore anche nel caso
Su un metodo per la misura delle piccole variazioni di resistenza ecc.
7
in cui s’ impiega il metodo di Eitzpatrick ho voluto misurare
con esso una resistenza di Ilio di rame, e servendomi d’un ponte
decadico lio trovato che il suo valore è di ohm 21,823 sia con
la corrente alternata, sia con la corrente continua ottenuta fer-
mando in una posizione opportuna il commutatore girante.
Convinto da questo risultato sperimentale della bontà del
metodo di Eitzpatrick, e mettendo da parte altri particolari ri-
guardanti il medesimo, riferiti specialmente da Whetham (1) e
da me pienamente confermati , passo al metodo di determinare
le piccole variazioni di resistenza negli elettroliti.
III.
Per la misura delle piccole variazioni di resistenza nei so-
lidi il miglior metodo è quello adottato dai proti. Grimaldi e
Platania (2) nel loro lavoro sulla resistenza elettrica dei metalli
nei diversi dielettrici.
Esso consiste nel costruire un ponte, in cui il rapporto delle
resistenze sia tale da ottenere al galvanometro una deviazione
nulla, quando il ponte si fa percorrere dalla corrente fornita da
una pila il più possibilmente costante.
In pratica però 1’ equilibrio del ponte non si può raggiun-
gere che in modo approssimativo e dopo parecchi tentativi ; ma
non appena il ponte è equilibrato esso è pronto per le misure ,
giacché se si fa variare la resistenza di uno dei rami di una
quantità piccola A 7?, l’intensità i della corrente che attraversa
la diagonale del galvanometro e quindi anche la deviazione d
che questo corrispondentemente subisce, è proporzionale a A 7?,
cosicché :
(i) d = i- a b
essendo k un coefficiente numerico costante che si può determi-
nare sperimentalmente.
(1) L. c.
(2) Atti deir Acc. Gioenia, Sei*. 4a , Voi. Vili ; 1895.
8
Doti. G. Accolla
[Memoria YI.J
Per misurare le piccole variazioni di resistenza degli elet-
troliti in soluzione ho istituito un metodo perfettamente ana-
logo al precedente e rappresentato schematicamente dalla figura I,
con la sola differenza che , invece della corrente continua , ho
fatto circolare nel ponte la corrente alternata ottenuta mercè
il commutatore girante.
I quattro vertici del ponte sono dei robusti cilindretti di
ottone montati in croce sopra un grosso tappo d’ ebanite che sor-
monta il tubo di vetro su cui sono avvolti ad elica bifilare i
due lati AB ed AB del ponte. Questi sono di manganina affin-
chè variino poco con la temperatura e sono altresì protetti da
un secondo tubo di diametro maggiore dalle brusche variazioni
di temperatura. Ho cercato di ottenerli di resistenza il più pos-
sibilmente eguale e dopo svariati tentativi, in ognuno dei quali
era necessario disfare una saldatura e rifarla, sono riuscito a ren-
derli rispettivamente di ohm 7,6610 ed ohm 7,6609 alla tempe-
ratura ambiente di 13°, 8.
I due altri lati A B ed A B' del ponte sono costituiti da due
tubi di vetro contenenti un elettrolita in soluzione , essi sono ,
per quanto è possibile, di dimensioni eguali e sono montati soli-
damente su una robusta tavoletta : la figura II ne rappresenta
uno nella sua interezza.
La resistenza in massima parte è presentata dal liquido con-
tenuto nel tratto K , avente il diametro interno di mm. 4, 1 e
la lunghezza di mm. 27 ; i due tubi laterali F ed H hanno il
diametro di mm. 12 circa ; i tubi L ed L’ del diametro di
mm. 6,2, fìssati a questi mercè il rispettivo tappo di sughero che
attraversano, rappresentano i ben noti elettrodi di Paalzow.
Essi in base sono chiusi da un setto di pergamena vegetale
e contengono una soluzione satura di solfato di zinco purissi-
mo nella quale sono immerse due laminette di zinco distillato,
ben amalgamate e saldate a due fili di rame del diametro di
mm. 3. Questi fili di rame 2V" ed N' attraversano liberamente i
piccoli tappi di ebanite che chiudono superiormente i due tubi
Su un metodo per la misura delle piceole variazioni di resistenza ecc.
9
L ed L' , finiscono a vite nell’ estremità superiore per un tratto
di 2 cui. circa e s’ avvitano fortemente a delle piattaforme di
ottone, fìsse, ben isolate e comunicanti, mercè fili di rame di re-
sistenza trascurabile, coi rispettivi vertici del ponte.
Tra il vertice B e il filo di rame che con esso comunica
trovasi inserita la spiralina a di nota resistenza , la quale può
essere intercalata o esclusa , togliendo od immergendo nei due
pozzetti di mercurio un grosso arco di filo di rame munito di
un manico isolante.
Appena chiuso il circuito del galvanometro e messo in moto
il commutatore girante ho constatato l’ inesistenza di forze elet-
tromotrici estranee ed ho chiuso il circuito della pila. In gene-
rale il galvanometro mi ha accusata una deviazione di pochi
centimetri della scala, deviazione che si può ridurre a meno di
1 min. con abbastanza facilità facendo variare la resistenza di
uno dei due tubi, avvitando più o meno i suoi due elettrodi alle
rispetti v e pi attafo mie.
Ottenuto 1’ equilibrio del ponte, esso persiste per parecchio
tempo, giacché per la simmetria esistente tra i suoi lati non si
fanno quasi sentire le variazioni della temperatura ambiente ed
è affatto trascurabile 1’ effetto termico della debole corrente che
attraversa il ponte.
Per tarare 1’ apparecchio non si deve far altro che escludere
la spiralina a mettendola in corto circuito, la deviazione corri-
spondente del galvanometro dà la misura della variazione di re-
sistenza del lato AB del ponte, e conoscendo il valore di a si
può subito determinare la sensibilità dell’ apparecchio.
Essa è tale che, quando la resistenza del lato A B è intorno
a 1000 ohm e la f. e. m. impiegata è quella di quattro accu-
mulatori in serie, ossia 8 volta, si può constatare la variazione
di resistenza di — ? corrispondente alla deviazione di mm. 0,1
della scala, che in certi casi si può apprezzare con estrema net-
tezza.
Con 1’ impiego di una f. e. m. maggiore si può raggiunge-
Atti Acc. Serie 4a, Vor.. XVIII — Meni. VI. 2
10
Doti. G. Accolla
[Memoria VI.]
re una sensibilità più che doppia, a scapito, però, della costanza
dei risultati.
Per constatare se la variazione di resistenza d’ un ramo del
ponte è proporzionale alla corrispondente deviazione del galva-
no metro, ossia se vale, come nel caso della corrente continua, la
relazione lineare (1) , ho costruito 7 piccole resistenze di man-
gallina che chiamo con i primi 7 numeri romani, e i cui valori,
determinati col ponte decadico e alla temperatura di 10°, 6 sono
scritti accanto a ciascuna di esse.
Resistenza
I
ohm
0,168
»
II
»
0,256
»
III
»
0,440
»
IV
»
0,595
»
V
»
0,794
»
VI
»
1,046
»
VII
»
1,255
Al posto della spiralina a si pone la resistenza I che si
mette in corto circuito e si equilibra il ponte ; s’ intercala allora
la resistenza I, si legge la corrispondente deviazione del galva-
nometro e si rimette in corto circuito , il galvanometro ritorna
alla sua posizione d’ equilibrio e al posto della I si pone la II
con la quale si esegue 1’ identica operazione ; analogamente si
opera con le successive resistenze sino alla VII. Dopo si procede
in ordine inverso , cioè si leggono le deviazioni che subisce il
galvanometro quando s’ intercalano le 7 resistenze con ordine
decrescente, e così di seguito.
Per la costanza dei risultati ottenuti, sia misurando al gal-
vanometro le deviazioni sempre in un senso, sia misurandole nei
due sensi, invertendo mercè il commutatore M la direzione della
corrente alla fine di ogni serie di misure, mi limito a riportare
soltanto i risultati esposti nella seguente tabella , dove chiamo
con R la resistenza del ramo A B del ponte , con \R la varia-
tiu un metodo per la m isura delle piccole variazioni di resistenza ecc.
11
zione di essa espressa in olmi ed esprimo in millimetri le devia-
zioni del galvanometro.
F. E. M. = 8 V (1) R = 992 li
A R
j Posizione
del galv.
Deviazione
Posizione
del galv.
©
©
! Posizione
del galv.
©
©
*53
©
Q
Posizione
del galv.
Deviazione
il
Deviazione
inedia
iniz.
finale
iniz-
finale
iniz.
finale
iniz.
finale
I
0, 168
250, 2
250, 6
0, 4
250, 5
250, 9
0,4
250, 6
250, 9
0, 3
250, 4
250. 8
0, 4
0, 4
II
0, 256
250, 3
251, 0
0, 7
250, 5
251, 1
0, 6
250, 5
251, 1
0, 6
250, 5
251, 1
0, 6
0, 6
III
0, 440
250, 3
251, 6
1, 3
250, 5
251, 7
1, 2
250, 5
251, 6
1, 1
250, 6
252, 0
1, 4
1,2
IV
0, 595
250, 2
252, 0
1,8
250, 5
252, 1
1, 6
250, 5
252, 2
1,7
250, 5
252, 2
1, 7
1,7
V
0, 794
250, 0
252, 4
2,4
250, 5
253, 0
2, 5
250, 5
252, 7
2 2
250, 4
252. 7
2, 3
2, 3
VI
1, 046
250, 1
253, 2
3,1
250, 6
253, 5
2, 9
'250, 5
253, 2
2,7
250, 5
253, 4
2, 9
2, 9
VII
1, 255
250, 2
254, 0
3, 8
250, 7
254, 6
3, 9
250, 5
254, 1
3, 6
250, 5
254, 0
3, 5
3. 7
Se si costruisce un diagramma prendendo per ascisse le va-
riazioni di resistenza e per ordinate le medie deviazioni corri-
spondenti si vede che la linea rappresentativa è approssimativa-
mente una retta , ciò che autorizza a ritenere la (1) valevole
anche nel caso in esame e nei limiti suindicati.
IV.
L’ obbiettivo per il quale ho sperimentato il metodo descritto
si è stato di ricercare se la resistenza delle soluzioni acquose dei
sali di ferro subisce variazione nel campo magnetico.
In alcune ricerche il Neesen (2) nel 1884 trovò che allor-
quando la direzione del campo è normale all’asse del tubo (po-
sizione equatoriale) non vi è alcuna variazione nella resistenza
d’ una soluzione di vetriolo di ferro, e che quando le linee di
forza magnetiche sono parallele all’ asse del tubo (posizione lon-
(1) Questa- f. e. in. rimane sensibilmente costante per delle ore intere.
(2) Wied. Ann. B. 23, s. 482 ; 1884.
12
Dott. G. Accolla
[Memoria VI.]
gitudiiiale) la magnetizzazione sembra diminuire la detta resi-
stenza.
Il metodo adottato da IsTeesen nelle sue misure è di poca
esattezza e 1’ intensità del campo piccola, eccitando 1’ elettroma-
gnete con la corrente fornita da 3 sole Bunsen, per cui era ne-
cessario ripetere le sue esperienze per accertare un fenomeno di
tanta importanza.
Il Lussarla (1) trattando incidentalmente la questione non
lia osservato alcuna influenza del magnetismo sulla resistenza
delle soluzioni di solfito ferroso. Il metodo usato da questo Au-
tore consiste nell’impiego del ponte di Kohlrausch, la cui sen-
sibilità era tale da avvertire al telefono una variazione di una
unità sulla resistenza di 862 ohm presentata dalla soluzione ci-
mentata in forti campi magnetici.
Hurmuzescu (2) riprendendo tali ricerche ha ricorso a so-
luzioni di solfato ferroso racchiuse in un tubo di vetro più volte
incurvato su se stesso; la resistenza veniva misurata con l’aiuto
dell’ elettrometro capillare di Lippmann che dava il 0,0001 di
volta. La sensibilità del metodo gli permetteva di apprezzare
una variazione di resistenza eguale alla centesima parte della
resistenza della soluzione, e cimentando questa anche in campi
magnetici molto intensi non constatò alcuna variazione sensibile.
Contemporaneamente a Hurmuzescu, furono da Gr. Milani (3)
eseguite delle esperienze che sono le più complete sull’ argomento
in questione. Il metodo da lui usato è fondato sull’ impiego
combinato degli elettrodi impolarizzabili di Paalzow e dell’elet-
trometro capillare , col quale misurava differenze di potenziale
inferiori a di volta. ìsfella sua nota 1’ Autore non dice quale
sia il grado d’ approssimazione raggiungibile col suo metodo ma
da una misura da lui riportata, con breve calcolo ho potuto rica-
,
I
(1) V. C. T. XXXIV, p. 149 ; 1893.
(2) Eolairage électrique, T. XIII, pag. 361 ; 1897.
* (3) N. C. T. VI, p. 191 ; 1897.
i
8u un metodo per la misura delle piccole variazioni di resistenza eco.
13
Tare che la variazione di resistenza apprezzabile nelle sue ricer-
che non può essere inferiore ad e forse ben lontana da questo
limite, giacché la sensibilità del suo elettrometro è molto pros-
sima a quella dell’ elettrometro capillare usato da Hurmuzescu.
Il Milani in forza delle sue esperienze conchiude che il feno-
meno indicato da Xeesen non esiste o è talmente piccolo da
non poter essere svelato dai mezzi di osservazione dei quali si
è servito.
Dal 1897 sino ad oggi le cose son rimaste a questo punto
e, per quante ricerche abbia fatte , non ho riscontrato altri la-
vori che trattino della conducibilità elettrica delle soluzioni di
sali di ferro nel campo magnetico, per cui non ho creduto pri-
vo d’ interesse d’ intraprendere delle esperienze , servendomi del
sensibilissimo metodo di cui dianzi mi sono occupato.
Uno dei due tubi contenenti una soluzione di solfato fer-
roso si poneva in posizione longitudinale tra le espansioni polari
di una buona elettrocalamita di Faraday la quale si eccitava ,
con correnti d’intensità diversa, per mezzo di una batteria di 21
accumulatori e permetteva di ottenere un campo sensibilmente
uniforme ; la cui intensità veniva misurata mediante una spirale
di bismuto. Il massimo valore .del campo magnetico raggiunto
in tali condizioni è di circa 1750 unità, e facendo variare Fili-
teli si tà del campo sino a questo limite e cimentando soluzioni
di solfato ferroso la cui concentrazione varia dal 5 al 50 % cir-
ca, non ho trovato la benché minima influenza del magnetismo
sulla resistenza di dette soluzioni.
Volendo eseguire delle esperienze in campi ancora più in-
tensi e col tubo situato in posizione longitudinale pensai d’in-
curvarlo ad /S in maniera che la porzione rettilinea di esso pre-
sentasse la quasi totalità della resistenza; tale forma permetten-
do di avvicinare di molto tra di loro le espansioni polari del-
F elettrocalamita consentiva di ottenere dei campi abbastanza
intensi.
Prima però d’ incurvare il tubo ho voluto constatare se il
14
Doti. G. Accolla
[Memoria VI.]
magnetismo esercita alcuna influenza ponendo il tubo in posi-
zione equatoriale ; il massimo valore del campo magnetico in
queste condizioni era di 7140 unità.
Appena eccitato il campo , notavo subito al galvanometro
una deviazione la quale corrispondeva ad un aumento di resi-
stenza che per campi d’ intensità superiore a 4000 unità all’in-
circa era approssimativamente di e si manteneva invariata
cimentando soluzioni di diverse concentrazioni. Sopprimendo il
campo il galvanometro ritornava lentamente verso la sua posi-
zione iniziale, senza però raggiungerla.
L’ indipendenza di tale variazione di resistenza dalla con-
centrazione mi fece nascere il dubbio che essa fosse dovuta ad
un fenomeno secondario e per convincermi di ciò cimentai, in-
vece che una soluzione di solfato ferroso, una soluzione satura
di solfato di rame, per la quale, appena eccitato il campo ma-
gnetico, ottenni lo stesso aumento di resistenza.
Persuaso che tale fenomeno derivasse da qualche causa d’er-
rore, in breve m’ accorsi che esso era dovuto alle azioni pertur-
batrici delle masse polari dell1 elettrocalamita sugli elettrodi che
portavano la corrente nel tubo , e difatti avvitandoli alle loro
rispettive piattaforme tenendoli il più possibile discosti dalle
masse polari , il sucennato aumento di resistenza , per effetto
del campo magnetico, divenne assolutamente non apprezzabile ,
sia per la soluzione di solfato di rame, sia per quelle di solfato
di ferro.
In seguito piegai il tubo ad S e cimentai le solite soluzio-
ni disponendolo longitudinalmente e tenendo gli elettrodi di-
scosti dalle masse polari dell’ elettromagnete, il quale in queste
condizioni consentiva di raggiungere campi il cui massimo va-
lore era di 6800 unità all’ incirca.
In queste esperienze non notai pure alcuna variazione ap-
prezzabile della resistenza delle soluzioni di solfato ferroso per
effetto del campo magnetico, anche quando aumentando a 16
Su un metodo per la misura delle piccole variazioni di resistenza eco.
15
volta la f. e. m. della pila il metodo mi consentiva di apprez-
zare una variazione di resistenza di quasi •
Risultati perfettamente identici ai precedenti ottenni cimen-
tando delle soluzioni di cloruro di ferro di diverse concentra-
zioni.
Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Catania, Marzo 1905.
'
■
.
Memoria VII.
Intorno a problemi di meccanica riducibili a quadrature
Memoria del Prof. G. PENNACCHIETTI
I. Siano :
(1)
<¥%___ dry^ _ „ d*2_
dt 2 ~~ ’ dt1 ~ ’ df ~~
le equazioni differenziali del second’ ordine pel moto d’ un punto
materiale, di massa eguale all’ unità, libero nello spazio. In un
precedente lavoro (*) ho supposto che i momenti della forza,
rispetto a due assi coordinati, siano funzioni omogenee di grado
negativo — 2 delle coordinate del punto mobile, in guisa che si
abbia :
x Y — y X = -SL cp (-/] , Q,
Jb
x Z - z X = imi? (r, , Z),
Jb
ove
sotto la qual forma, come nella tesi di abilitazione dimostrai (**),
possono sempre immaginarsi poste le condizioni necessarie e
sufficienti, affinchè più problemi del moto di un punto libero
nello spazio, sotto 1’ azione di forze dipendenti dalle sole coordi-
(*) Sopra una classe di problemi di meccanica riducibili a quadrature. Atti dell’Accademia
Gioenia di Scienze Naturali in Catania, Serie IV, voi. XVII, anno 1904.
(**) Sugl’ integrali comuni a più problemi di Dinamica, Annali della R. Scuola Normale
Superiore di Pisa, voi. IV.
Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Meni. VII.
1
2
Prof. G. Pennacchietti
[Memoria VII.]
nate del punto, ammettano tre integrali primi comuni distinti
non dipendenti esplicitamente dal tempo, nè ammettano un quar-
to integrale primo comune. Quando sono soddisfatte tali condi-
zioni il mobile si trova sopra una stessa superficie conica per
tutta la durata del movimento.
Nel citato lavoro che porta titolo analogo a quello del pre-
sente, ho supposto inoltre che la forza di componenti X, Y, Z ,
provenga da una funzione di forza u (x, y, zi e che nelle due
superiori relazioni si abbia di più :
dv dv
? = = as ’
e ho dedotto da queste condizioni che i problemi (X, X, Z)
soddisfacenti alle stesse sono tutti e soli quelli pei quali sussiste
la funzione di forza :
+ f + *2
/(^-) + V^ (j) + ^ + r + A
ove f\ f, Fi sono tre funzioni arbitrarie degli argomenti posti
in evidenza. In quello stesso lavoro ho dimostrato infine che
tutti questi problemi sono riducibili a quadrature.
II. In ciò che segue un’ altra classe di problemi riducibili
a quadrature sarà invece dedotta dalle condizioni necessarie e
sufficienti, a cui devono soddisfare le forze X, Y, Z , affinchè
più sistemi (1), sempre nell’ ipotesi che X, Y, Z, dipendano
dalle sole coordinate, ammettano quattro integrali primi comuni
distinti, in uno dei quali il tempo figuri esplicitamente unito
alla costante arbitraria per via d’ addizione.
Quando queste condizioni sono soddisfatte, il punto mobile
si trova sopra una stessa superficie cilindrica per l’intera durata
del movimento. Sebbene la classe di problemi, che, fra le altre
che potrebbero pure aversi, è ottenuta nel presente scritto , sia
meno estesa della prima e richieda svolgimenti molto più seni-
Intorno a problemi di meccanica riducibili a, quadrature
3
plici, tuttavia non sembra totalmente superfluo che quest’ altra
classe di problemi sia qui ancor essa indicata per ragione di
analogia e come complemento in certo qual modo della prece-
dente Xota.
III. Le condizioni necessarie e sufficienti per 1’ esistenza di
quattro integrali comuni distinti, sempre nell’ ipotesi che X, Y ,
Z dipendano dalle sole coordinate del punto, sono, come risulta
dalla citata tesi di abilitazione :
(2) a X -f b Y = (r, , Q ,
ove adesso è posto :
(3) yj a x b y , Z = a x c z.
Quattro integrali primi distinti del sistema (1) saranno in
tal caso i quattro integrali primi distinti del seguente sistema :
(4)
d2u
dt 2
— m
03 — Boll, dell’ Acc. Gioenia di scienze naturali, N. S. Fase. LXXXII. Cata-
nia, luglio 1904. E Trasparenza relativa deir aria atmosferica nel triennio 19 Ol-’O 2-’ 03 Mem.
della Soc. degli Spettroscop. italiani, Voi. XXXIII. Catania, 1904.
Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1904
3
in esame con i corrispondenti dell1 anno precedente , abbiamo
ottenuto il seguente specchietto :
Temperatura
dell’ aria
Pressione
atmosferica
Tensione
del vapore
c3
*r0 +3
"Z c2
©
U
Evaporazione
all’ ombra
Pioggia totale [
II
Nebulosità
Insolazione
Inverno .
0
+ 0,9
mm
— 5, 8
in m
+ 0, 60
+ 2, 8
mm
- 0, 07
mm
+306, 5
+ 8,0
— 0, 12
Primavera .
+ 0,7
+ 0,3
+ 0, 84
+ 4,0
— 0, 75
+ 128, 1
— 10,2
+ 0,08
Estate
+ 1,4
+ 0,5
+ 0,51
+ 1,7
+ 0, 15
+ 25, 4
+ 3,2
— 0, 03
Autunno. . .
— 0.9
— 1,4
+ 3.68
+ 3,9
— 0,50
+ 190, 8
+ 16, 5
+ 0,06
Anno ....
+ 0, 5
— 1, 5
+ 1,65
+ 3,2
— 0, 30
+ 650, 8
+ 4,9
0, 00
Degni di nota sono i valori della temperatura, più elevati
fino all1 estate ; quelli più bassi della pressione nell’ inverno e
nell’ autunno e dell’evaporazione in quasi tutte le stagioni, non
che quelli più elevati in tutto 1’ anno della tensione del vapore,
dell1 umidità relativa e della quantità di pioggia. Riguardo a
quest’ ultima si può fare la considerazione opposta a quella fatta
nel precedente riassunto, cioè che le divergenze — tutte grandi —
sono dovute tanto alla eccessiva scarsità dell’ anno precedente,
quanto alla grande abbondanza di quest’ anno.
Passando poi a paragonare gli stessi valori con quelli me-
di del tredicennio si ha quest’ altro specchietto :
Temperatura
dell’ aria
Pressione
atmosferica
Tensione
del vapore
Umidità
relativa
Evaporazione
all’ ombra
Pioggia totale
Nebulosità
Insolazione
Inverno .
0
+ 0, 6
mm
-1,9
mm
+ 0, 31
+ 1,2
mm
+ o, 01
mm
+204, 0
+ 9,3
— 0, 13
Primavera .
+ 0,6
+ 0,3
-+ 0, 52
+ 1,6
— 0, 09
+ 68,8
- 4,6
+ 0,02
Estate
+ 0, 7
+ 0,3
+ 0, 51
+ 0, 3
+ 0, 18
+ 18, 1
+ 1> 1
— 0,09
Autunno.
- 1,8
— 0,7
— 0, 86
+ 0,2
— 0, 46
+ 46, 6
+ 7,3
0, OC
Anno ....
0, 0
— 0, 5
+ 0, 12
+ 0, 8
— 0, 08
+ 337, 4
+ 3, 2
— 0,04
4
A. Ricco e L. Mendola
[Memoria Vili.]
Le conclusioni che da questo si ricavano sono del tutto
analoghe a quelle di sopra. Ma anche quest’ anno — come nei
due precedenti — inerita speciale attenzione la quantità di piog-
gia caduta. Di fatto quest’ ultimo triennio presenta dei valori
eccezionali : paragonati con quelli di tutto il trentanovennio
1865-1904 *), si è visto come quello del 1902 (1043, 4) rappre-
senti il massimo assoluto, e quello del 1903 (326, 9) sia il ter-
zo dei più piccoli (essendosi avuto 190,5 nel 1867 e 308,6 nel
1871) : ora si vede che il valore del 1904 (977,7) tien dietro
immediatamente a quello del 1902, mandando al 3° posto quello
del 1880 (882,7).
Nel 1904 abbiamo osservato dei crepuscoli rosei di medio-
cre intensità (3, essendo 10 i massimi del 1883-’4) alle seguenti
date : febbraio 11 e 12 , maggio 16 a 19. Dal 10 agosto al 7
novembre non si son fatte osservazioni apposite dei crepuscoli .
ma non risulta che ve ne siano stati dei così notevoli da ri-
chiamare 1’ attenzione del personale di quest’ Osservatorio. Ne
mai si è visto attorno al sole nel 1904 traccia del cerchio di
diffrazione detto di Bisliop ; neppure nella forma di arco o pon-
te sopra il sole tramontato da poco.
Catania, marzo 1905.
9 Mendola L., La pioggia in Catania dal 1865 al 1900 — Atti dell’ acc. Gioenia di
scienze naturali, Ser. 4a Voi. XV, Catania, 1902.
Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1904
5
Quadro 11. 1 — 1004.
c3 *rj
-5
j© ^5
Medie
dei massimi diurni
di temperatura,
dei minimi e delle escurs.
Temperatura
del sotterraneo
Temperatura
acqua del pozzo
Pressione
atmosferica
Tensione
del
vapore acqueo
Umidità
relativa
M
ni
' E
0
0
0
0
0
0
ih m
m ni
Dicern. 1903
12, 3
15, 6
9, 5
6, 1
14, 1
16, 1
’to'à, 6
7, 76
70, 0
Gennajo ’904
10, 5
13, 4
8, 0
5, 4
12, 7
16, 0
757, 1
7, 31
74, 5
Febbrajo. .
12, 5
16, 4
9, 2
7, 2
12, 5
15, 9
7 53,5
6,80
59, 9
Marzo . . .
12, 4
15, 2
9, 3
5, 9
13, 0
16, 1
754, 0
8, 16
71, 0
Aprile . . .
15, 6
19, 5
11, 7
7, 9
14, 0
16, 1
755, 3
9, 02
65, 3
Maggio . .
20, 0
24, 5
15, 2
9, 3
15, 8
16, 2
757, 7
9, 53
53, 6 i
Giugno . .
24, 1
27, 9
19, 5
8, 4
18, 9
16, 3
756, 8
12, 90
55, 6
Luglio . . .
•27,0
31, 2
22, 3
8, 9
21, 2
16, 3
755, 8
13, 90
51, 0
Agosto. . .
26, 2
30, 4
21, 5
8, 9
22, 3
16, 4
757, 0
13, 40
50,8
Settembre .
22, 9
26, 7
19, 0
7, 8
21, 7
16, 3
756, 4
13, 11
61, 5
Ottobre . .
18, 4
22, 1
15, 0
7, 1
19, 4
16, 3
756, 0
11, 35
68, 7
Novembre .
13, 2
16, 8
10, 0
6, 8
15, 6
16, 2
757, 1
7, 96
67, 2
Dicembre .
11, 0
14, 7
7, 8
6, 9
12, 9
16, 1
757, 6
6, 91
66, 7
Inverno . .
11, 7
15, 1
8, 9
6, 2
13, 1
16, 0
754, 8
7, 30
68, 3
Primavera .
16, 0
19, 7
12, 1
7, 7
14, 3
16, 1
755, 7
8, 90
63, 3
Estate . . .
25, 8
29, 8
21, 1
8, 7
20, 9
16, 3
756, 5
13, 41
52, 4
Autunno. .
18, 2
21, 9
14, 6
7, 2
18, 9
16, 3
756, 5
10, 81
65, 5
Anno meteor.
17, 9
21, 7
14, 2
7, 5
16, 8
16, 2
755, 9
10, 11
62, 4
» civile.
17, 8
21, 6
14, 0
7, 5
16, 8
16, 2
756, 2
10, 04
62, 1
6
A. Ricco e L. Mendola
[Memoria Vili.]
Quadro X. 2 — 1004.
C et
o u
•5 £
totale
Vento
dominante
INSOLAZIONE
Trasparenza
atmosferica
§ 5
► *
Pioggia
%
£
.A
B
A
~B
Valore
medio
Frequenza
della
massima
Dicem. 1903
mm
1, 72
m m
117, 9
SW
65, 8
h
62, 3
h
296 , 5
0, 21
3, 4
0, 15
Genuajo ’904
1,26
817, 5
N
62, 5
82, 0
305, 1
0, 27
3, 9
0, 50
Febbraj o. .
2, 83
14, 0
NW
45, 2
133, 2
312, 3
0, 43
3, 6
0, 13
Marzo . . .
1, 77
142, 6
NE
51, 5
156, 3
370, 4
0, 42
3, 5
0, 17
Aprile . . .
2, 40
23, 1
NE
45, 4
190, 6
394, 4
0, 48
3, 2
0, 15
Maggio . .
3, 96
14, 7
NE, SE
20, 8
266, 8
438, 4
0, 61
3, 5
0, 10
Giugno . .
4, 36
9, 7
E
27, 3
226, 1
439, 9
0, 51
2, 9
0, 06
Luglio . . .
5, 45
9, 4
E
20, 4
228, 2
446, 6
0, 51
3, 0
0, 04
Agosto . .
5, 90
22, 2
E
10, 2
295,0
419, 0
0, 70
3, 4
0, 02
Settembre .
3, 75
40, 5
NE
46, 1
203, 2
370, 8
0, 55
3, 0
0, 00
Ottobre . .
2, 38
142, 5
W
51, 4
178, 2
345, 8
0, 52
3, 3
0, 16
Novembre .
1, 98
123, 6
SW
55, 1
122, 4
303, 1
0, 40
3, 4
0, 12
Dicembre .
1, 68
57, 1
w
42, 7
127, 1
296, 5
0, 43
2, 6
0, 12
Inverno . .
1, 92
449, 4
NW
58, 1
277, 5
913, 9
0, 30
3, 6
0, 25
Primavera .
2, 71
180, 4
NE
39, 2
613, 7
1203, 2
0, 51
3, 4
0, 14
Estate . . .
5, 25
41, 3
E
19, 2
749, 3
1305, 5
0, 57
3, 1
0, 04
Autunno. .
2, 70
306, 6
NE
50, 8
503, 8
1019, 7
0, 49
3, 3
0, 10
Anno meteor.
.3, 15
977, 7
NE
41, 8
2144, 3
4442, 3
0, 48
3, 3
0, 12
» civile
3, 15
916, 9
NE
39, 8
2209, 1
4442, 3
0, 50
3, 2
0, 12
Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1904
7
Quadro N. 3 — 1004.
Inverno
Primavera
Estate
Autunno
Anno
c
21
19
26
34
100
s
©
>
N
13
3
1
2
19
*©
©
NE
9
26
14
15
64
5
E
E
2
7
20
9
38
©
£?
SE
0
11
14
5
30
"3
S
5
2
1
i
9
1
&
sw
19
7
6
lu
42
È
w
1
12
6
10
29
NW
21
5
4
5
35
sereni
18
36
68
26
148
giorn
misti
44
40
22
41
147
*3
coperti ....
29
16
2
24
71
o
•-
©
£
con pioggia .
.
48
28
12
34
122
©
con grandine .
3
3
1
1
8
=5
V
se
con nebbia . .
11
8
4
4
27
©
©
©
con brina . .
0
0
0
0
0
©
«
con temporale
9
9
17
21
56
con scariche elettriche
32
26
37
25
120
i
i
ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI
OSSERVATI
Massimo
Minimo
Temperatura
dell’ aria
36, 2
26 luglio
4, 3
19 gennajo
Temperatura
del sotterraneo
24, 9
23 agosto
10, 5
26 febbrajo
Temperatura
acqua del pozzo
16, 4
26 agosto
15, 8
24 febbrajo
Pressione-
atmosferica
766, 4
13 febbr. 9 11
740, 8
1 marzo 8h
Tensione
vapore acqueo
19, 08
21 luglio 9 11
2, 41
1 febbr. 15h
Umidità
relativa
100
7 genu. 911
14
21 luglio 15h
Evaporazione
all’ ombra
17, 98
23 agosto
0, 32
16 dicembre
Pioggia in 2411
105, 9
28 marzo
—
Velocità oraria
del vento
55 km N
22 die. 2in
—
8
A. Ricco e L. Mendola
[Memoria Vili.]
Quadro N. 4 - Medie 1892-1904.
Tempe
dell7
all’ osser-
vatorio
ratura
aria
ridotta
al mare
Pres
sttmo9
all’osser-
vatorio
sione
terica
ri d. al ma-
re e agj,3
Te il si ou e
dei
vaporo acqueo
Umidititi
relativa
Evaporazione
all7 ombra
Pioggia totale
<3
1
£
©
o
N
3
X
Gennajo . .
o
10, 2
0
10, 6
mm
757, 2
mm
762, 7
mm
6, 56
66, 5
mm
1, 79
mm
81, 4
47, 0
0, 45
Febbrajo. .
11, 1
11, 5
756, 3
761. 7
6, 85
65, 9
2, 05
62, 6
48, 4
0, 46
Marzo . . .
12, 5
13, 0
755, 2
760, 6
7, 34
64, 6
2, 27
53, 9
47, 1
0, 48
Aprile . . .
15, 1
15, 5
755, 1
760, 4
8, 32
62, 8
2, 66
37, 2
46, 1
0, 46
Maggio . .
18, 5
18, 9
755, 7
760, 9
9, 47
57, 5
3, 47
20, 5
38, 1
0, 53
Giugno . .
22, 9
23, 2
756, 2
761, 4
11, 73
53, 0
4, 49
6, 7
26, 0
0, 60
Loglio. . .
26 8
26, 6
755, 9
761, 0
13, 01
49, 5
5, 54
2, 6
11, 9
0, 69
Agosto. . .
26, 2
26, 5
756, 5
761, 6
13, 97
53, 8
5, 17
14, 0
16, 3
0, 68
Settembre .
24, 0
24, 4
757, 1
762, 3
13, 28
58, 9
4, 44
52, 9
30, 2
0, 56
Ottobre . .
20, 5
20, 9
757, 1
762, 3
12, 19
66, 5
3, 00
91, 5
47, 8
0, 48
Novembre .
15, 4
15, 8
757, 4
762, 7
9, 55
70, 5
2, 04
115, 6
52, 5
0, 43
Dicembre .
11, 8
12, 1
756, 5
761, 9
7, 56
69, 6
1, 87
101, 5
50, l
0,39
Inverno . .
11, 1
11, 4
756, 7
762, 1
6, 99
67, 3
1, 91
245, 4
48, 8
0, 43
Primavera .
15, 4
15 ,8
755, 4
760, 7
8, 38
61, 7
2, 80
111, 6
43, 8
0, 49
Estate . . .
25, 1
25, 4
756, 2
761, 4
12, 90
52, 1
5, 07
23, 2
18, 1
0, 66
Autunno . .
20, 0
20, 4
757, 2
762, 4
11, 67
65, 3
3, 16
260, 0
43, 5
0, 49
Anno . . .
17, 9
18, 3
756, 4
761, 7
9, 99
61, 6
3, 23
640, 3
38, 6
0, 52
Memoria IX.
Laboratorio di Zoologia della R. Università di Catania
Sull’ organo genitale
e sulle lacune aborali del fFfimopfiorus urna (Grube)
Memoria del Dottor GIOVANNI POLARA
RELAZIONE
della Commissione di Revisione composta dei membri effettivi
Proff. F. CAVARA ed A. RUSSO ( relatore )
Le difficoltà di tecnica, che fanno degli Echinodermi uno dei gruppi
più difficili, felicemente superate, i risultati nuovi ed interessanti, sia per la
conoscenza speciale degli organi presi in esame , sia per le considerazioni
generali, riguardanti le affinità del Phyllophorus ed il posto che ad esso debba
assegnarsi nel Sistema , rendono la Memoria del Dott. Polara degna di molta
considerazione e perciò proponiamo che venga inserita negli Atti della no-
stra Accademia.
Nessuno degli osservatori , che si sono occupati dell1 anato-
mia delle Oloturie, ha descritto con precisione l’organo genitale
del Phyllophorus urna, il quale per la sua peculiare funzione e
struttura avrebbe meritato uno studio più attento e particola-
reggiato.
Jourdan (1) lo paragonò ad un bouquet di tubi ciechi attac-
cati sul lato destro della parte anteriore del mesentere dorsale.
Egli, avendo rilevata la particolare costituzione istologica dei
ciechi genitali, nota principalmente che mentre le cellule peri-
(1) Jourdan. Beclierche» sur l’ istologie (leu Holothuries. Annales du musée d’hist. nat.de
Marseille. Zoologie T. I, N. 6 Màrseille 1883.
Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVIII — Meni. IX. 1
H
2
Dottor Giovanni Poiana
[Memoria IX.)
toneali, die rivestono i ciechi, nella maggior parte delle Oloturie,
sono piatte , nel Pliyllopliorus sono cilindriformi , con contorni
difficilmente distinguibili e contenenti globuli ialini bruni. Ma,
Jourdan non ha dato alcuna importanza a tali elementi e non ha
giustamente apprezzato la funzione dei globuli ialini bruni, aven-
doli paragonato ai granuli di pigmento, mentre, come si è dimo-
strato in un precedente lavoro (1), essi sono di tutt’ altra natura.
Analogamente Otto Marnami (2) in Cucumaria cucumis ed Hc-
rouard (3) in Cucumaria tergestina descrissero le cellule perito-
neali dei ciechi genitali come disposte a palizzata o cilindriformi,
senza attribuire loro alcun significato.
Oltre alle questioni istologiche però, molte altre si riferi-
scono alla costituzione generale dell’organo, ai rapporti dei ciechi
col gonodotto ed alle lacune che lo accompagnano ; questioni
sulle quali finora non si ha alcuna osservazione e intorno a cui
il mio contributo è quasi del tutto nuovo.
Ciechi genitali e loro rapporti con il gonodutto
L’ organo genitale del Pliyllopliorus urna è costituito da tubi
ciechi posti nell’ interradio CD, ai due lati del mesentere dorsale.
Esso occupa tutto il terzo medio del corpo e precisamente quello
spazio lasciato libero dal tubo digerente, il quale, dopo un de-
corso rettilineo , si tira alquanto indietro , descrivendo presso a
poco un semicerchio, il cui diametro è appunto rappresentato dal
terzo medio del corpo, in cui è situato l’organo genitale.
I ciechi genitali sono disposti in due serie longitudinali ai
due lati del mesentere dorsale. Ognuna delle due serie risulta di
(Il Russo e Polara — Sulla secrezione interna delle cellule peritoneali della Gonade del
Pliyllopliorus urna (Grulle). (Questo stesso Volume).
(2) Hamann. Beitràge sur Bistologie der Echinodermen. Die ffolothurien. Jena. p. 100.
6 taf. 1884-85.
(3) Herouakd. Recker cìies sur le s Holothuries des cótes de France. Arch. Zo. Exper. (2)
T. 7. 1889.
tildi' ornano i lenitale e sulle lacune aborali del Phillophorus urna
3
due o più strati di ciechi quasi tutti di uguale lunghezza e
diametro, come si può osservare nella qui annessa figura.
Organo genitale di Phyllopliorus urna , adulto, in cui ni
osserva la disposizione dei ciechi genitali ai due lati del
mesentere dorsale e del gonodotto — Grandezza naturale.
(Da fotografia).
Aprendo un Phyllopliorus adulto dalla parte ventrale e rimuo-
vendo l’intestino, si vedono, quasi nel centro dell’interradio CI),
i tubi genitali disposti quasi come le due metà delle pagine di
un libro, tenuto aperto e separati dal tratto mesenteriale, come
si vede meglio nella fìg. 1 della Tav.
Questa disposizione dei ciechi è caratteristica del PliyUoplio-
rus, essendo essi nelle altre Oloturie per lo più disposti su di
un solo lato del mesentere. Inoltre, mentre nelle altre Oloturie
e nelle tiynapta i ciechi si dirigono sempre dall’ intestino verso
la parete dorsale, nel Phyllopliorus la loro direzione è invertita,
cioè dalla parete dorsale discendono verso il tubo digerente.
I ciechi del Phyllopliorus non presentano quasi mai ramifi-
cazioni, sono di lunghezza relativamente piccola e costante, solo
di tanto in tanto se ne riscontra qualcuno , che si biforca alla
sua estremità. Ciascuno di essi sbocca per conto proprio nel go-
nodotto , mentre nelle Oloturie in genere i ciechi si riuniscono
fra di loro prima di convergere nel canale escretore comune. Ne
consegue che nell’//, tubolosa, Poli ed in altre il punto di conver-
genza dei ciechi è rappresentato da uno slargamento ad ampolla,
mentre nel Phyllopliorus tale formazione non esiste e si osservano
solo per lungo tratto del gonodotto i ciechi stessi che comuni-
cano indipendenti con esso.
I ciechi nei vari individui esaminati, pur essendo sempre
4
Dottor Giovanili Potar a
[Memoria IX.]
brevi, hanno lunghezza variabile, però nessuna relazione si può
stabilire fra la loro lunghezza e quella dell’ animale. Infatti ,
mentre ho trovato oieehi lunghi min. 11-12 in un individuo di
era. 9, ne ho trovato anche di cui. 1-2, 2 in individui eli cui. 3-10.
I ciechi presentano in ogni caso una colorazione particolare,
non però simile per tutti gl’ individui , essendo alcuni colorati
in giallo, altri in rosso chiaro, altri, i più, in rosso bruno. A
tale proposito bisogna avvertire che non si è potuto stabilire una
relazione fra il colore dell’ organo ed il sesso dell’animale, come
si osserva nelle altre Oloturie.
II condotto genitale o gonodutto è rappresentato da una ca-
vità a sezione circolare ed è compreso fra le due pareti perito-
neali del mesentere dorsale. Esso è situato ad V- circa dell’altezza
/ o
del mesentere stesso, quasi a ridosso della parete dorsale del cor-
po, parallelamente alla quale decorre. Il gonodutto , slargato al-
quanto per il lungo tratto in cui sboccano i ciechi , è invece
molto stretto per il resto del suo tragitto. In basso esso termina
dove finisce 1’ inserzione dei ciechi, in alto si continua, attraver-
sando tutto il terzo anteriore del corpo, per sboccare all’esterno
nell’ interradio 07), mediante una papilla, a forma di pene, ter-
minata ad uncino leggermente incurvato verso il basso e posto
quasi alla metà del colletto, che porta i tentacoli.
Nelle sezioni di un cieco si osservano a partire dall’ esterno
i seguenti strati :
L’ epitelio peritoneale, formato da cellule allungate, con nu-
cleo spostato verso la parete, e contenenti numerosi globuli ro-
tondeggianti, facilmente colorabili con 1’ Emallume, 1’ Ematossi-
lina Erlick e coi colori di Carminio. Era tali cellule ne sono in-
tercalate altre sottilissime che funzionano da cellule di sostegno,
come si è detto in un precedente lavoro (1).
I globuli sono in così gran numero da occupare 1’ intera
cellula e da impedire che di essa si possano bene osservare i li-
fi) Russo e Polara — Cfr. su#.
8uW organo genitale e sulle lacune aborali del Phillophorus urna
5
miti. Bisogna ricorrere a sezioni molto sottili e a colorazioni
molto intense per poterne distinguere il contorno.
La forma allungata e quasi cilindrica di queste cellule , il
loro nucleo addossato alla parete e più di tutto il grande am-
masso di globuli di varia grandezza mostrano che sono di natura
diversa di quelle descritte nelle altre Oloturie. Come si è dimo-
strato nel lavoro precedentemente citato, tali elementi sono dif-
ferenziati in cellule seeretrici, che, per un’ attività specifica del
protoplasma, producono sostanze albuminoidee che versano nel-
f interno della gonade per nutrire gii elementi sessuali, ovvero
per rendere possibile lo sviluppo dell’ embrione , che si compie
nell’ interno dell’ organismo.
Xel punto in cui i ciechi convergono nel gonodutto l’epitelio
celomieo è molto basso e quasi piatto, come si vede nella fig.
Le cellule peritoneali poggiano su di uno strato connetti-
vale esilissimo che forma una membrana basale, al di sotto della
quale si trova uno strato di fibre muscolari circolari assai pro-
nunziato negl’ individui molto avanti nello sviluppo, la cui pre-
senza pare abbia importanza per la espulsione degli embrioni.
Al di sotto di questo strato ve n’ è uno di connettivo a fasci
longitudinali , i quali formano spazi molto larghi , pieni di ab-
bondante coagulo filiforme od omogeneo, in cui sono sparsi degli
amebociti isolati od aggruppati in sincizi. Tale connettivo è una
continuazione di quello formante la membrana basale soprade-
scritta. Esso si continua nella parte più interna con le fibre con-
nettivali, che costituiscono un’ altra membranella baiale, su cui
si adagia 1’ epitelio germinativo, il quarto ed ultimo strato.
Xei ciechi femminili si osserva che le uova sono circondate
da un follicolo costituito da cellule esilissime con un nucleo ap-
piattito, che nell’ insieme formano una sottilissima membrana.
Le uova hanno una vescicola germinativa molto grande ,
ricca di grossi granuli cromatici, e il vitello alveolare.
È notevole che attorno alle uova si trovano molti amebociti ,
dei quali alcuni si addossano alla loro superficie. Il loro ufficio
6
Dottor Giovanni Potava
[Memoria. IX.]
probabilmente è quello di trasportare agli elementi sessuali le
sostanze nutritive, cbe si producono nelle cellule peritoneali.
L’ epitelio interno dei testicoli presenta delle sporgenze al-
ternantesi con incavature a ino’ di villi , mentre l1 epitelio dei
ciechi fenminili è a contorno più regolare , sebbene spesso sol-
levato qua e là da coaguli raccolti nel connettivo sottostante.
Lacuna genitale o aborale e seno aborale.
La lacuna genitale del Pliyllophorus urna presenta una di-
sposizione morfologica , che molto si allontana da quanto si è
osservato nelle altre Oloturie finora studiate da questo punto di
vista (Hol. tubulosa e H. Poli, ecc.).
Dagli spazi periesofagei si origina una cavità lacunare che
è contenuta nel mesentere dorsale ed addossata all’ intestino, pa-
rallelamente al quale essa decorre. Alla metà del terzo ante-
riore del corpo , prima di giungere , cioè , a livello dell’ organo
genitale, essa, pur continuandosi da un lato con la lacuna mar-
ginale dell’ intestino, manda un ramo, che raggiunge 1’ organo
genitale e lo accompagna per tutto il tratto in cui sboccano i
ciechi nel gonodotto.
Se si apre un Phyllophorus si osserva anche ad occhio nudo,
poco più in alto dell’ organo genitale, un sottile ramo lacunare,
per lo più di color rosso bruno, compreso nel mesentere, attra-
versare con decorso sinuoso ed obbliquo quel tratto , che inter-
cede fra la lacuna marginale dell’ intestino e 1’ organo genitale
stesso. Questa è la lacuna altorale o genitale. Essa è piccola nel
punto, in cui si origina dalla lacuna dorsale, ma va sempre più
ingrandendosi, man mano che si avvicina all’ organo genitale ,
per raggiungere un massimo di larghezza presso il punto di
convergenza dei ciechi nel gonodutto.
Poco prima però che la lacuna sudetta venga in contatto
con 1’ organo genitale si conforma a doccia con la convessità
rivolta verso il mesentere e con la parte opposta concava in co-
Sull’organo genitale e sulle lacune aborali del Phillophorus urna
7
municazione con la cavità generale del corpo , come si osserva
nella fìg. III.
Nel punto di convergenza dei ciechi i lembi della doccia
si fondono, formando un canalicolo, con parete ispessita e lacu-
nare. Essa costituisce la formazione emale della lacuna genitale
o aborale propriamente detta, mentre il seno aborale è rappre-
sentato dallo spazio interno e dalla doccia sopra descritta.
Tale percorso e tale conformazione dalla lacuna, che irriga
l’organo genitale, è evidente nelle sezioni seriali.
Difatti, in quelle praticate poco più i 11 alto dell1 2 organo
genitale vedesi la lacuna marginale, cilindrica e piccola, sporgere
nella cavità generale come una gemma del mesentere , mentre
in quelle fatte in prossimità del punto di convergenza dei ciechi
essa, già alquanto ingrandita, si trova in prossimità del gonodotto
e con margine irregolare. Nelle sezioni a livelli poco più bassi
la lacuna stessa presentasi corformata a doccia , come si vede
nella tig. Ili, similmente a quanto ho osservato in Synapta (1)
e a quanto si osserva in altre Oloturie, durante lo sviluppo (2).
La doccia però in prossimità dell1 organo genitale si chiu-
de e si trasforma in un canale a sezione circolare e a pareti
lacunari, come si può osservare nella fig. IV.
Per il resto essa è addossata al gonodotto ed ha la forma di
una grossa gemma del mesentere, che avvolge il gonodutto stesso.
In individui più sviluppati la lacuna è molto ampia e nel
suo interno sono numerosi spazi connettivali, mentre molto più
ridotto si presenta il seno aborale.
La lacuna marginale dell’ intestino segue il tubo digerente
tino a quasi la metà dell1 organo genitale ; quindi si piega ad
angolo retto e risale lungo la branca ascendente dell1 intestino ,
che segue in tutte le sue anse.
Mediante tale disposizione i prodotti della digestione inte-
(1) Polara : Sull’ Organo genitale e sulle lacune aborali della Synapta inliaerens. Ardi.
Zoolog. Voi. 1 fa8. 3 e 4. Napoli 1903.
(2) Russo : Studi su gli Echinodermi. Atti Acc. Gioenia ili Se. Nat. Catania 1902.
8
Dottor Giovanni Potava
| Memoria IX.]
stinaie, passando nella lacuna dorsale e da questa nella lacuna
genitale, si riversano nel connettivo mesenteriale prima e susse-
guentemente in quello dei ciechi. La lacuna genitale del Phyllo-
plmrus ha costituzione istologica identica a quella di tutte le altre
Oloturie. È limitata, infatti, da una parete connetti vale a fasci
circolari, su cui poggia esternamente 1’ epitelio peritoneale, e lo
spazio interno è intersecato da fibre, fra le cui maglie si trova un
abbondante coagulo con numerosi amebociti per lo più solitari.
Le suesposte ricerche si possono così riassumere :
1. I ciechi genitali di Phyllophorus Urna sono tabulari, sem-
plici e simmetricamente ripartiti ai due lati del mesentere dor-
sale.
2. Procedendo dall’ esterno i ciechi risultano :
«) Di uno strato molto spesso di cellule peritoneali cilin-
driformi con funzione di secrezione.
P) Di uno strato circolare di fibre muscolari.
T) Di uno strato connettivale a larghe maglie, spesso for-
mante un notevole spazio schizocdlico occupato da coaguli e da
amebociti.
§) Dell’ epitelio germinativo.
3. La lacuna genitale del Phyllophorus , come quella della
Synapta inliaerens , presenta il seno aborale aperto nella cavità
generale, conformato cioè a guisa di una doccia, similmente a
quanto si osserva durante lo sviluppo in Hol. tvbulosa , Poli e
For sleali.
Nel punto di convergenza dei ciechi però esso si chiude ,
formando un canale, seno aborale, le cui pareti lacunari costitui-
scono la formazione emale.
4. Tale disposizione , che riproduce uno stadio di sviluppo
del seno aborale di forme, che crediamo più differenziate, atte-
sta che il Pliyllopliorus è un’ Oloturia meno evoluta. Non credo
però che essa sia una forma primitiva con accenno a simmetria
bilaterale, non ostante la disposizione bilaterale dei ciechi, come
Sull’organo genitale e sulle lacune aborali del Phillophorus urna
9
Ilo dimostrato per Synapta , perchè, mentre in questa la simme-
tria bilaterale dei ciechi genitali è seguita dalla lacuna corri-
spondente, in Pkyllopliorm ciò non avviene.
Catania — Gennaio 1905.
!
SPIEGAZIONE DELLE EIGURE
Fig. la Sezione trasversa in corrispondenza del punto di convergenza dei
ciechi genitali nel gonodutto di un piccolo Phyllophorus — L’epitelio
del gonodutto sporge formando dei villi.
» 2a Sezione trasversa in cui si osserva la lacuna genitale vicina all’ in-
testino.
» 3a Sezione come sopra, per mostrare il seno aborale comunicante con
la cavità generale.
» 4a Sezione trasversa del seno aborale di Phyllophorus, che ha la forma
di canale chiuso.
» 5a Lacuna genitale che avvolge il gonodutto nel punto di convergenza
dei ciechi genitali.
» 6a Lacuna genitale di un grosso Phyllophorus, con spazi schizocelici.
» 7a Lacuna genitale vicino alla gemma lacunare del gonodutto.
Le figure 2, 3, 4, 5, rappresentano sezioni a livelli progressivamente
più bassi, per mostrare 1’ andamento della lacuna genitale e aborale.
am = amebociti.
cg = cieco genitale.
gel = gonodutto.
glg = lacuna genitale, che avvolge il gonodutto.
la = lacuna aborale.
md = mesentere dorsale.
rld = ramo della lacuna dorsale, ossia lacuna genitale presso
l’ intestino.
sa = seno aborale.
sp. sài. = spazi schizocelici.
Memoria X.
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
per il Prof. ANTONIO CORCI
i.
Stando all’ etimologia della parola o meglio ad un vocabo-
lario qualunque, il vocabolo febbre, che deriva dal latino fervere ,
significa bollire, essere ardente, essere in caldezza o ardore essere
agitato. (In dialetto pugliese invece di dire bolle, si dice, ferve).
Infatti tutte le volte che in noi aumenta un poco la tempera-
tura generale oppure quella cutanea ci sentiamo agitati, soffocati,
smaniosi e se un medico ci osserva , trova alterati i polsi e la
respirazione, non che disordinate in qualche modo altre funzioni.
In tutti i casi con o senza agitazione, noi consideriamo es-
sere febbre tutte le volte che vi è aumento di temperatura, al
di sopra del normale, non importa quali sieno i disturbi delle
altre funzioni, qualora vi sieno. Ogni ipertermia da qualunque
causa è febbre ; come ogni indisposizione senza ipertermia è
malattia senza febbre.
lSroi vogliamo sapere in che modo si produce la febbre, fe-
nomeno così frequente in tante circostanze della vita.
Le osservazioni, gli studi, gli esperimenti sono immensi , i
cui risultameli ti in apparenza tanto diversi e contraddi ttorii at-
tendono una giusta interpretazione per essere coordinati e con-
cludenti. Al punto in cui siamo, le conoscenze che possediamo,
a parte le numerose ipotesi e forzate teorie, bastano già a farci
conoscere cosa sia la febbre non che la termogenesi, madre della
febbre, che tanto bene conosciuta appare, mentre è tutt’ altro.
Se noi non sappiamo cosa sia la febbre, come francamente
lo ha detto Bouchard e come nessuno può dire il contrario, di-
Atti Acc. Serie 4% Vol. XVII1 - Meni. X.
1
2
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.]
pende dal fatto clie la dottrina della termogenesi , sebbene ap-
paia risoluta ed evidente è lontano dall’ esserlo.
Dalla scoperta del Lavoisier certamente la termogenesi fece
un gran passo, in quantocchè stabilito che nell’ organismo vi è
un continuo processo di ossidazione , specialmente nel periodo
dell’ attività o lavoro, e visto che questa produce una grande
quantità di calore, si è dedotto che nell’ organismo vivente vi è
una lenta combustione , più o meno intensa secondo la specie
animale e secondo le circostanze di lavoro o di riposo, da cui
nascerebbe il calore.
Sotto questo punto di vista sono note le numerose ricerche,
le quali hanno stabilito, mediante la calorimetria e la misura
dello scambio gassoso pulmonale, che la produzione del calore è
in diretta corrispondenza con il consumo degli alimenti e dello
ossigeno. Perciò si è concluso che la termogenesi animale sia
una funzione puramente chimica, in cui nulla avesse che fare il
sistema nervoso. E perciò al vedere in una febbre 1’ aumento
anormale della temperatura, si è creduto obbligo di supporre un
aumento del chimismo, determinato direttamente dall’agente pa-
togeno, fino a fare negare 1’ esistenza di febbri nervose.
Ma questo è stato fare i conti senza 1’ oste, in quantocchè
non si è tardato ad osservare variazioni notevolissime della tem-
peratura animale in più o in meno, in seguito a lesioni primi-
tive del sistema nervoso, in seguito ad emozioni morali svariate,
come in seguito a diverse nevrosi, in moltissime malattie di qua-
lunque genere e negli avvelenamenti, anche quando non esiste al-
cuna minima alterazione anatomica, nè traumatismo, nè infezione.
Se la produzione del calore è un semplice effetto dei pro-
cessi chimici di ossidazione e di idratazione in ciascuna cellula,
costituente i tessuti e gli organi, cosa importa e cosa ha che fare
il sistema nervoso ? Questo è stato il filo del ragionamento.
Ma i fatti hanno dimostrato invece che nella termogenesi ha
principale parte il sistema nervoso, e senza di esso non si hanno
nè i fenomeni chimici nè la produzione del calore, nè altro.
M eccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
3
Il regolare processo della nutrizione e della termogenesi, di
integrazione e disintegrazione o più generalmente dello scambio
materiale e dinamico è funzione fondamentale del sistema ner-
voso considerato nel suo insieme e nella sua unità e non di una
o di altra parte o segmento di esso sistema (Luciani — Fisiologia
del digiuno).
Quindi viene riconosciuto da tutti generalmente che la ter-
mogenesi sia effetto immediato della ossidazione e idratazione
organica o cioè di un processo chimico, ma questo alla sua volta
è determinato dal sistema nervoso. In che modo'? non si sa.
A questa domanda è da aggiungere un’ altra, cioè ; quando
per irritazione del cervello si ha una ipertermia , dovrebbe per
forza di logica, aversi un aumento nel processo chimico termo-
genetico. Invece nelle febbri nervose ed anche in molte altre in-
fettive o non, l1 ossidazione ed il consumo dell’ ossigeno che dap-
prima si credeva aumentato, è anzi diminuito come lo dimostra-
no le ultime ricerche istituite con più precisione e le tante osser-
vazioni sugli effetti della febbre. E allora donde viene tutto quel
calore senza aumento dei processi chimici? Vale a dire che ha
un’ altra origine, cioè dal sistema nervoso, ed in che modo u? non
si sa neppure questo.
Ecco, la grande scoperta del Lavoisier e la teoria chimica
della termogenesi deve subire una grande modificazione ed a fare
ciò abbiamo bisogno di nuove conoscenze sulla origine e natura
dell’ energia, che il sistema nervoso produce, quella la quale ci
è sfuggita fin’ oggi completamente per la presunzione umana,
tramandataci dal teologismo, coll’idea che l’energia nervosa sia
qualche cosa di divino e soprannaturale, percui c’ impedisce di
riconoscere la natura fisica, naturale comune di questa energia,
sotto forma elettromagnetica, che anima muove e trasforma la
materia in tutto 1’ universo e che essa stessa prende le diverse
forme di energia meccanica, termica, luminosa, chimica, attrat-
tiva, radiante ecc.
La base fondamentale su cui poggia la teoria chimica della
4
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.J
termogenesi animale consiste nella termochimica, e perciò si pa-
ragona la produzione del calore nell’ organismo a quella che
avviene in un focolaio o in una reazione chimica esotermica.
Ciò è molto inesatto perchè, come vedremo , nell1 organismo vi
sono altre condizioni, che non sono nel mondo esterno.
In primo luogo studiamo come si genera il calore in una
combustione o in una reazione chimica esotermica, in un foco-
laio od in un recipiente.
È noto dalla Fisica che in ogni reazione chimica special-
mente nell’ ossidazione vi si sviluppa elettricità e quando la
reazione è anche minima si rileva con opportuni elettrometri
sempre della elettricità e non altro ; è soltanto quando la rea-
zione chimica è intensa che si osserva uno sviluppo di calore
e di luce.
Questo calore e luce non viene primitivamente dalla rea-
zione chimica come si vorrebbe credere , ma bensì secondaria-
mente dalla elettricità, la quale sviluppata e resa manifesta in
grande quantità, non trovando via di uscita dove neutralizzarsi
o compiere un lavoro, si trasforma in calore. È noto che ad
una corrente elettrica mettendo nel suo percorso un ostacolo
alla conduzione, dà luce e calore.
E questo appunto che avviene in ogni focolaio , in ogni
combustione, in ogni reazione chimica.
Ma se dove avviene tale fenomeno , si assicurano mezzi
di conduzione in modo che 1’ elettricità mano mano che si svi-
luppa possa essere condotta fuori e neutralizzarsi , non si ha
produzione di calore e il luogo dove avviene la reazione non si
riscalda. Così succede nella pila , dove V acido solforico agisce
sullo zinco, il quale entra in soluzione, se si chiude il circuito
conduttore, la pila resta fredda, ma se si lascia aperto, la pila
si riscalda e ciò che ha dato luogo alle osservazioni sperimen-
tali di lule e di Eavre , da cui risulta che il calore è in pro-
porzione della elettricità che vi si produce.
Quindi prima cosa, che resta stabilita e chiarita, è che nelle
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
5
reazioni chimiche esotermiche la elettricità sola si svolge pri-
mieramente, e quando essa non può dissiparsi o trasformarsi in
un lavoro, come è frequentissimo il caso, si trasforma in calore.
^Necessaria e sublime conseguenza questa nelle trasforma-
zioni dell’ energia universale, perchè la elettricità, la quale rap-
presenta l’energia in moto, non può rimanere nel posto dove si
produce in riposo forzato sotto forma di corrente in mezzo a
materia cattiva conduttrice , onde allora come se si ripiegasse
sopra sè stessa, come per volere uscire indietreggia, e torna in
avanti, così trasforma le sue ondulazioni in vibrazioni trasversali
intensissime, cioè in calore e luce.
Assunta la forma di calore e meglio di luce, allora è atta
ad irradiarsi gradatamente attraverso la materia dotata di cat-
tiva conduzione ; così gli è possibile di uscire da un ambiente
in cui non poteva agire e nè poteva diffondersi sotto forma di
corrente e si trovava imprigionata (1).
Così i raggi elettrici del sole (che secondo le vedute mo-
derne sarebbero elettroni) nel penetrare nell’ atmosfera e in con-
tatto della superfìcie terrestre urta in cattivi conduttori e si
trasforma in calore e luce. Perciò io credo che dal Sole non
vengono direttamente raggi termici e luminosi , ma raggi elet-
trici freddi ed oscuri condotti dall’ etere cosmico. E a somi-
glianza del sole opera il sistema nervoso negli animali, il quale
(1) Già il calore non è che una forma comune di elettricità in tensione, in cui si trasforma
facilmente qualunque corrente che incontra resistenza, non possa compiere un lavoro e non
possa diffondersi e neutralizzarsi o mettersi in equilibrio come potenziale latente. Questo
mio concetto è basato su diversi fatti : 1° sulla identità del calore colla luce , la quale è
stata dimostrata consistere in ondulazione elettro-magnetiche ; 2° sul fatto comune che
dalla elettricità si può avere luce e calore ; 3° sul fatto che il calore fa aumentare il nu-
mero delle valenze degli elementi, e siccome ad ogni valenza corrisponde una carica co-
stante di elettricità, vuole dire che in questa esso si trasforma ; 4° il calore stesso si tra-
sforma alla sua volta in corrente nella tnrmalina, nelle pile termo elettriche, nei nervi ter-
moestesici ed in altri corpi.
Insomma il calore è una forma di transizione dell’ elettricità quanto vi trova ostacolo
al suo rapidissimo diffondersi ed a compiere un lavoro.
(Questa è legge fondamentale della Elettrofìsica.)
6
Prof. Antonio Olirci
[Memoria X.]
nel sistema solare rappresenta il cervello, riceve energia dagli
spazi siderei e la trasmette agli organi (pianeti), dove compie
dei lavori e produce calore.
Or quindi se nel mondo esterno la produzione del calore
avviene per mancanza di conduzione e per impedito èsodo, ve-
diamo se sia lo stesso nell’ organismo.
Se la termogenesi animale fosse di origine chimica come
vuole la teoria di Lavoisier dovrebbe farsi egualmente lo stesso,
cioè che l’ energia prodotta dai processi chimici dell1 ossidazione
e idratazione si trasformerebbe in calore negli organi stessi, dove
avvengono, essendo questi cattivi conduttori. Ma nell1 organismo
animale esiste una fitta e vasta rete di fili nervosi ramificati ,
anastomizzati, sparsi negli interstizi fra le cellule , in contatto
e talvolta aderenti a queste da per tutto dall’interno degli organi
alla superficie cutanea. In modo che è assicurata una perfetta
conduzione dalla periferia dove avvengono i processi chimici ai
centri, dove le correnti si accumulano (i centri nervosi sono po-
tenti e straordinari accumulatori di elettricità positiva nelle
parti anteriori, negativa nelle posteriori).
E così a misura che dai processi chimici si svolge energia
elettrica viene presa dai nervi e accumulata, nei centri ; così ri-
sulta che dai processi chimici cellulari non ne nasce e nè può
nascere calore, come avviene in un focolaio o in un calorime-
tro ; al quale l1 organismo non può essere paragonato. In questo
caso l1 organismo ha qualche rassomiglianza alla pila annessa
ad un accumulatore perchè, intercettando il passaggio centripeto
dell’energia, in modo da farla arrestare alla periferia dove na-
sce, si trasforma in calore e aumenta la temperatura della par-
te. Così avviene il riscaldamento della testa , quando si recide
il gransimpatico al collo.
Crii accumulatori centrali del sistema nervoso quando rice-
vono irritazioni indirettamente dalla periferia o direttamente in
essi stessi, svolgono sotto forma di corrente di azione centrifuga
l’energia accumulata; queste correnti si consumano nelle fun-
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
7
zioni, ma una parte, che probabilmente non è interrotta ma
continua, non può compiere un lavoro, si trasforma in calore e
così mantiene ad un certo grado di temperatura l’organismo.
Questo è il meccanismo della termogenesi animale, fenomeno
tìsico, elettrotermico e atto riflesso fisiologico, funzione del sistema
nervoso e non termochimico.
Così l’organismo vivente si può rassomigliare al sistema
planetario , in cui il sistema nervoso centrale è il sole , i nervi
periferici fanno la parte dell’ etere cosmico perfetto conduttore,
gli organi e apparati organici rappresentano pianeti, satelliti eco.,
per cui giustamente fu chiamato microcosmo.
Durante l’attività e la funzione, che è in sostanza una serie
complessa di atti ridessi, dallo stimolo tìsico o biologico na-
sce una corrente di azione diretta centripeta, questa nei centri
fa nascere una corrente di azione riflessa centrifuga , la quale
come abbiamo detto compie la funzione e genera calore.
Queste correnti di azione dirette o ridesse, così ampiamente
e ripetutamente dimostrate col galvanometro dal Nobili , Mat-
teucci , Du Bois Reymond e tutti i posteriori Elettrofisiologi ,
provengono dal potenziale elettrico accumulato come carica di
riposo che si trova in tutti gli organi, in tutti i tessuti e si di-
mostra colla corrente derivata detta di riposo, per cui nel la-
voro vi è consumo ed esaurimento di tale potenziale. Questo
potenziale o carica di riposo proviene alla sua volta dalle cor-
renti centripete che nascono sulla cute e sulle mucose, negli or-
gani dei sensi per azione degli agenti esterni, e specialmente dai
processi di ossidazione e di idratazione del ricambio materiale,
non chè dall’azione elettrizzante dell’ossigeno e del sangue sotto
la pressione di 160 mm. e degli ioni ammonio e sodio, quali
elettropositivi , che agiscono per induzione sul protoplasma, fa-
cendo aumentare la carica elettro-negativa di questo e quella
elettro-positiva del nucleo. Nel riposo e specialmente nel sonno,
cessano le correnti di azione determinate dai bisogni del lavoro,
dalla luce negli organi visivi e sulla cute e da altri stimoli fi-
8 Prof. Antonio Curci [Memoria X.]
sici e morali, e perciò cessa il consumo del potenziale o carica
di riposo da una parte; ma continuano dall’altra le correnti cen-
tripete provenienti dai processi di ossidazione e d’idratazione del
ricambio e dall’elettrizzamento per il contatto dell’ossigeno e quello
degli ioni ammonio e sodio, per la pressione e strofinio del san-
gue : e così i centri nervosi hanno agio di potere accumulare
elettricità positiva negli inibitori ed elettricità negativa negli
eccitomotori e rifare il potenziale o carica di riposo. Si capisce
da ciò perchè nel riposo essendoci assorbimento di energia, la
temperatura ritorna al normale ed anche tende ad abbassarsi
di parecchi decimi o qualche grado ; e nell’attività, in cui vi è
svolgimento di energia in moto, aumenta notevolmente, non mai
però per pretesi processi chimici aumentati, i quali come ab-
biamo visto non forniscono energia termica, ma energia elettrica.
Adunque la base su cui poggia la teoria chimica della termo-
genesi, consistente nella produzione del calore dalla combustione
organica, non può più reggere alla critica ed ai fatti, e risulta che
il sistema nervoso è il generatore del calore, trasformando quella
energia che riceve come corrente elettrica dalle diverse sorgenti.
Grli esperimenti di fisiologia e le osservazioni di patologia
dimostrano e confermano l’ultima conclusione, mentre trovavano
un insormontabile ed oscurante ostacolo appunto nella teoria
chimica della termogenesi, che appariva così saldamente e scien-
tificamente stabilita.
Dal fisico entrando nel campo biologico dobbiamo esaminare
e discutere diversi quesiti.
Ammettendo la teoria chimica della termogenesi ci fa sco-
noscere 1’ influenza grandissima necessaria del sistema nervoso,
anzi c’ impone ad escluderla , ragione per cui il progresso della
Fisiologia e della Patologia è stato arrestato, mentre le esperienze
fisiologiche non che le osservazioni patologiche sono tutte con-
trarie alla pretesa teoria chimica.
Se 1’ origine del calore è dai processi chimici intracellulari,
cosa ha che fare il sistema nervoso ?
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
9
Intanto, se si asportano i lobi cerebrali ai piccioni, la tem-
peratura da 42° scende a 36° o 37° , se si fanno delle recisioni
nette non irritanti nell1 encefalo succede ipotermia ; se si recide
il bulbo, si lia ipotermia generale e l1 animale muore per assi-
derazione ; lo stesso se si recide il midollo spinale a qualunque
altezza, le membra a disotto del taglio subiscono un abbassa-
mento di temperatura, così tagliando un nervo, lo sciatico p. e.
si ha abbassamento di temperatura nell1 arto paralizzato, il quale
conserva un certo grado di temperatura per il calore portatovi
dal sangue ; così pure paralizzando il sistema nervoso sensitivo,
mediante gli anestesici si ha ipotermia, paralizzando i centri
nervosi mediante alcoolici, ipnotici, narcotici, si ha ipotermia ;
paralizzando infine le estremità nervose motrici con sostanze cu-
rarizzanti si lia ipotermia.
Quindi si domanda perchè la termogenesi diminuisce, se di-
pende dai processi chimici di ossidazione e d1 idratazione intra-
organica? Si risponde uscendone per il rotto della cuffia col dire
che senza l’innervazione manca la tonicità muscolare, produttrice
di calore mentre vi è aumento di dispersione. Ma i detti processi
che fanno, non sono là a produrre calore, cosa gli ostacola? Nes-
sun ostacolo ; la respirazione e la circolazione procedono bene, e
intanto essi non producono lo stesso calore di prima.
I suddetti esperimenti dimostrano che il sistema nervoso è
necessario alla termogenesi e che esso è l1 apparecchio elettroge-
nico che fornisce l1 energia, la quale alla periferia si trasforma in
calore. In quantoccliè paralizzati o asportati i lobi cerebrali o i
centri in generale, si sopprime la principale sorgente dell1 ener-
gia ; paralizzati i nervi sensitivi si intercettano le correnti cen-
tripete che eccitano i centri accumulatori a sviluppare le correnti
centrifughe; infine paralizzati i nervi motori, si arrestano queste
correnti e quindi si abolisce in tutti tre i casi l’irradiazione del-
l1 energia produttrice del calore. Così il ricambio materiale resta
estraneo ed apparisce che non è in lui la sorgente del calore.
Ma se non produce calore, è però sorgente di energia elet-
Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVIII - Mera. X.
2
10
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.]
trica, ragione per cui 1’ alimento è necessario, non come combu-
stibile termogenico, ma bensì per fornire al sistema nervoso quel
potenziale, che accumula, e che impiega a compiere le funzioni
ed a produrre il calore necessario alla vitalità.
Intanto se 1’ ossidazione dell’ alimento è sorgente di energia
così importante alla vita, questo processo chimico alla sua volta
è provocato dall’ energia nervosa, come è dimostrato dal fatto
che in seguito alle resezioni o paralisi di un nervo si osserva
l’atrofia e 1’ ipotermia della parte dipendente.
È noto altresì che per la soppressione degli organi di senso,
quale la vista , la produzione dell’ acido carbonico diminuisce
(Moleschott), lo stesso all’ oscurità ; lo stesso nell’ anestesia , lo
stesso nel raffreddamento della pelle ; vale a dire che dall’ aria
e dagli agenti esterni è prodotta una energia, la quale va ai
centri e di là riflessa , faccia aumentare i processi chimici ; in
modo che quando è soppressa la sorgente viene a mancare que-
sta energia riflessa. Così nella recisione o paralisi di un nervo
motore, intercettate le correnti interne, si ha diminuzione nella
parte di processi chimici e quindi di trofismo e termogenesi.
Dunque 1’ ossidazione si compie mediante correnti riflesse
emanate dal sistema nervoso. Cosa possono essere queste correnti
se non di elettricità interrotta ?
E allora visto questo e i risultamene delle esperienze, è giu-
sto ammettere che il ricambio materiale è sotto la dipendenza
del sistema nervoso, e si compie per semplice fatto di elettrolisi ;
cioè tali correnti determinano la scissione delle sostanze alimen-
tari combinate ad alcali o a sali minerali attraverso cui passano,
i gruppi atomici risultanti vengono ad avere nel carbonio valenze
libere, e così sono molto facilmente attaccabili dall’ossigeno e dagli
elementi dell’ acqua, per cui ad un tempo si ossidano e s’ idra-
tano fino ai noti prodotti finali. Perciò nel ricambio organico vi
è una fase di scissione per elettrolisi, con assorbimento di ener-
gia, in cui le valenze libere dei gruppi atomici che si separano
sono soddisfatte dall’ elettricità che ricevono dal sistema nervoso;
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
11
e poi una fase di ossidazione e d1 idratazione in cui 1’ energia
viene fatta svolgere di nuovo.
Ed ecco come il sistema nervoso fornisce energia e promuo-
ve il ricambio materiale, dal quale riceve moltiplicata l’energia
data, ma sempre come elettricità e mai come calore.
Gli altri fatti cbe dimostrano che la sorgente del calore non
è nel ricambio materiale periferico, ma nei centri nervosi sono
che quanto si irrita meccanicamente o chimicamente la corteccia
cerebrale, o i corpi striati, o i talami ottici, o la protuberanza o
altra parte dell’encefalo si ha una notevole ipertermia, nella quale i
processi chimici, tanto decantati, non sono minimamente alterati.
Anche le irritazioni sui nervi sensitivi delle estremità, per
azione centripeta, eccitano i centri detti termogeni e le stesse irri-
tazioni del midollo spinale hanno gli stessi effetti.
Questa ipertermia per azione diretta sul sistema nervoso dà
il crollo completo alla teoria termochimica e dimostra, che l’irri-
tazione proprio là nella sede fa svolgere le abbondanti correnti
di azione centrifughe, le quali, svolgendosi senza scopo di com-
piere un lavoro, si trasformano in calore.
Quello che pareva inesplicabile e meraviglioso che anche
la stessa energia, che il sistema nervoso è capace di produrre
ad ogni eccitazione e che costituisce la sua complicata funzione,
cioè quella prodotta dagli agenti morali e psichici, quando sono
intensi e anormali, produce ipertermia. 1 numerosi e strani casi
di febbre nervosa lo attestano: di questi ne riparliamo appresso.
La teoria chimica in questi fatti non ha ingerenza alcuna, e si
deve riconoscere che il meccanismo è tutto tisico : sono fìsici gli
agenti morali che eccitano e disordinano la elettrogenesi, come
fisica è la produzione del calore.
Non sono meno meravigliosi i fenomeni d’ipertermia per
eccitazione dei centri nervosi data da diverse sostanze : i sali di
ammonio e i sali di sodio, di litio, la veratrina, la midaleina,
la cocaina, la giusquiamina, l’atropina, la stricnina e molti altri
convulsivanti, talvolta la chinina, l’urea, la canfora e tante altre.
12
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.]
Questi agenti ipertermizzanti, quando sono a dose piccola
eccitante, ma ipotermizzanti quando sono a grandi dosi tossiche
paralizzanti, vi producono nei centri encefalici un intenso ecci-
tamento cioè lo svolgimento di intense correnti di azione cen-
trifughe le quali, anche quando non producano le convulsioni
per forti contrazioni muscolari, danno ipertermie notevoli. Con
la curarizzazione o paralisi per altro agente non si ha più l’i-
pertermia e la convulsione, perchè viene soppressa la produzione
centrale e la irradiazione delle correnti.
Nel caso dei convulsivanti si è creduto che le convulsioni
fossero la causa dell’ ipertermia; non essendo di conoscenza co-
mune, che in ogni funzione, come nella contrazione muscolare
vi è consumo di energia e che il calore, che vi si produce in
tali circostanze proviene dalla eccessiva energia che s’irradia alla
periferia dai centri e che non può essere consumata tutta in
un lavoro.
In molte funzioni e specialmente nella contrazione musco-
lare vi è molta produzione di calore, come è noto a tutti, come
si osserva sempre; ora se per l’atto meccanico della contrazione
vi è assorbimento di energia, è certo che intense correnti di
azione percorrono il muscolo e queste determinano l’elettrolisi
delle sostanze nutritive, che scisse sono più ossidabili e aumen-
tano il contenuto delle sostanze riduttive. In questa scissione vi
è assorbimento di energia , che perciò dovrebbe seguire abbas-
samento di temperatura, come talvolta si osserva dopo lungo
lavoro. Ma le sostanze riduttive avide di ossigeno lo assorbono
di più dal sangue e perciò si ha maggiore ossidazione relativa,
questa trasmette ai centri correnti di azione centripete che non
esistono nel riposo e che riflesse si aggiungono a quelle centri-
fughe primarie e aumentano la sorgente del calore. Questa ossida-
zione però non è mai sufficiente a produrre l’intenso riscaldamento
generale, perchè relativa alla quantità dell’ossigeno portato dal
sangue, anzi non è completa, per cui nel muscolo affaticato le
sostanze riduttive incompletamente ossidate aumentano, non ar-
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
13
rivando ad ossidarsi tutte, ed il muscolo ha capacità contrattile
fino a quando non ha esaurita la provvista delle prime sostanze
e consumato tutto il suo potenziale o carica di riposo. È per que-
sto che dopo una fatica eccessiva si ha abbassamento di tempera-
tura, si ha grande stanchezza e si ha bisogno di riposo, durante
il quale il sangue leva il materiale consumato e fornisce uno
nuovo. Una parte del calore nel lavoro proviene dall’ energia
precedentemente accumulata nei centri nervosi.
Come si vede nella contrazione muscolare, l’ossidazione è
aumentata relativamente, il sangue arterioso stesso diventa meno
ossigenato e l’energia che nasce da questa è trasmessa dai nervi
ai centri per aumentare la calorifìcazione dopo riflessa, ma non
vi rimane nel muscolo.
Così negli accessi convulsivi, l’ipertermia precede e segue
le convulsioni, non è dipendente, è invece un fenomeno conco-
mitante.
Dunque anche nella contrazione muscolare l’aumento della
calorifìcazione è di origine riflessa ed i processi chimici riman-
gono estranei ad essa.
Negli organi della vita vegetativa, come il fegato ed altre
glandole vi è un riscaldamento locale durante la funzione, dove
quindi parrebbe vi fosse termogenesi diretta. Sarebbe così se detti
organi non avessero il loro sistema nervoso del gran simpatico
con centri periferici nei gangli e nei diversi plessi ; ma essen-
doci questi con nervi centripeti e centrifughi, il lavoro chimico
che in essi si compie sotto l’eccitamento riflesso come nelle glan-
dole salivari e nelle altre del tubo gastroenterico, produce ener-
gia che va ai rispettivi gangli, ivi è riflessa alle stesse glandole
dove si trasforma in calore. Nel fegato, quando nel periodo- della
digestione vi arrivano le sostanze alimentari, si formano delle
combinazioni e trasformazioni chimiche, la cui risultante energia
percorre l’arco diastaltico e subisce la stessa trasformazione ter-
mica. Eppure gli stessi fenomeni chimici pare che non si com-
piano senza il sistema nervoso, come lo dimostrerebbe la cele-
14
Prof. Antonio Olirci
[Memoria X.]
bre esperienza di Bernard, in cui la puntura del 4° ventricolo
nel midollo allungato determina il diabete, per la ragione che
viene a* mancare la formazione del glicogene (combinazione del
glucosio cogli albuminoidi) e forse di altre, quale la formazione
dell’urea ecc.. Questo fatto ci conduce a costruire un’altra teo-
ria sulla termogenesi epatica; cioè : le sostanze alimentari quando
arrivano nel fegato solamente per contatto eccitano i nervi cen-
tripeti; l’energia riflessa consecutiva determina il chimismo com-
plicato del fegato, che alla sua volta produce energia secondaria,
la quale addizionandosi, nei gangli alla primaria, vi fa aumen-
tare il calore. Così la termogenesi epatica si compie come nelle
altre glandole e come nei muscoli e si mantiene elevata; la dif-
ferenza consiste solamente nel diverso sistema nervoso, che per
gli organi della vita vegetativa è più circoscritto ai diversi
plessi e per quelli della vita animale è generalizzato a tutto il
sistema cerebro-spinale.
In questo modo si avrebbbe la termogenesi localizzata pro-
pria a ciascun organo.
E così pure nella infiammazione di qualche parte o tessuto,
*
lo stimolo flogosante sviluppa energia, la quale riflessa dai plessi
pervasali oppure nel gruppo delle cellule irritate rimanendo tra-
sformata in calore per non poter essere assorbita come potenziale
latente o dispersa perchè eccessiva, infiamma e aumenta la tem-
peratura locale.
Quindi dovunque si gira lo sguardo si trova che il calore
non proviene direttamente dai processi chimici , ma da trasfor-
mazione fisica dell’ energia elettrica mediante il sistema nervoso,
sempre come atto riflesso.
Ma la nostra curiosità sul congegno meraviglioso della bio-
dinamica (energetica) (1) e specialmente della termogenesi trova
(1) Intendo per Biodinamica quella parte della Fisiologia, la quale studia 1’ origine, la
genesi e la natura dell’ energia, la quale anima ogni organismo vivente ed il modo come
si trasforma e compie le diverse funzioni vitali. Questo è 1’ obbietto del mio libro. L’orga-
nismo vivente e la sua anima. Curci.
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
15
altra soddisfazione nello studio del meccanismo di azione di molti
agenti piretogeni , che lo sperimentalismo moderno ci lia fatto
conoscere, contro i quali le teorie della termochimica fisiologica
e quelle sulla patogenesi della febbre vi cadono e si dimostrano
o incomplete, o inesatte o assurde del tutto.
Vi sono, come è noto, molte sostanze solubili, estrattive di
molti organismi micro e macroscopici, dette fermenti amorfi o
enzimi, le quali, penetrate nella circolazione del sangue diretta-
mente o per la via sottocutanea, vi producono una notevole iper-
termia, senza convulsioni anzi con prostrazione e adinamia.
Quest,’ ultima circostanza pare fatta apposta per eliminare la
obbiezione della pretesa produzione del calore dalla contrazione
e tonicità muscolare : così questa è condannata e messa fuori
definitivamente.
Ma come era naturale si pensò che questi fermenti, i quali
determinano decomposizione con idratazione di sostanze albutui-
noidi, o idrati di carbonio o grassi , e considerando che la ter-
mogenesi fosse di origine chimica, essi nell’ organismo promuove-
rebbero una specie di processo chimico fermentativo e da ciò la
sorgente del calore anormale, la ipertermia.
Ohe tali fermenti anche nel sangue e nei tessuti possano
esercitare la stessa azione idrolitica con produzione del calore
come all’ esterno è ammissibile , ma che la produzione sia di-
retta senza il sistema nervoso è sbagliato.
Perchè infatti curarizzando l’animale a cui si faccia 1’ inie-
zione di un tale fermento, 1’ ipertermia fallisce. Allora dove van-
no i processi di scissione e di idratazione Cosa ha che fare la
paralisi dei nervi motori % I fatti sono fatti ed è inutile disco-
noscerli se urtano con le preconcette convinzioni.
Insomma avviene come negli altri casi ; cioè la scissione e
idratazione, con o senza ossidazione, sviluppa energia non ter-
mica, ma altra capace di essere all’istante trasmessa ai centri, cioè
la elettrica, la quale fa svolgere dai centri intense correnti di azione
centrifughe, senza scopo di lavoro, indipendenti dalla coscienza,
16
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.J
nè provenienti dagli organi di senso esterni, le quali si trasfor-
mano in grande calore irradiante attraverso la cute e da ciò la
ipertermia.
Il senso di prostrazione , la incapacità al lavoro , la debo-
lezza e la stanchezza sono sensazioni anormali in seguito al pro-
cesso chimico idrolitico nei tessuti e alla perdita da parte degli
organi del potenziale o carica di riposo.
Quindi se questi agenti ipertermie! determinano un fatto
chimico direttamente e non pertanto la ipertermia non può
avere luogo senza il sistema nervoso, vuol dire che è effetto ri-
flesso elettrotermico. Dopo ciò , quale prova maggiore si voglia
pretendere per accettare la mia teoria sulla termogenesi in ge-
nerale e sulla natura della febbre in particolare ? Solo una ge-
losia ed invidia personale , l’ ignoranza coperta da musoneria ,
0 il non vedersi d’ accordo coi propri pregiudizi può impedirlo.
Andando avanti per la nostra strada , senza preoccuparci
della presunzione umana , abbiamo ancora da esaminare altri
agenti che possono penetrare nella circolazione del sangue e cioè
1 microbi e i protozoi.
Se molti di questi esseri agiscono chimicamente per le tos-
sine, ed i fermenti che producono, tutti però, ed alcuni esclusi-
vamente senza alcun prodotto fermentante, agiscono meccanica-
mente per atto di presenza o di contatto, come corpi estranei
semplicemente, con una circostanza di più che essi si muovono,
si nutrono, e proliferano negl’ interstizii o anche talvolta nelle
cellule. È da questo punto di vista che ora dobbiamo conside-
rarli, avendo già studiato F ipertermia prodotta dai fermenti.
Come è noto essi producono F ipertermia tutte le volte che si
versano nel sangue o che s’ infiltrano nei tessuti.
Si sa che il pensiero dei Patologi è andato a supporre un
aumento dei processi chimici termogeni, a cui sono seguite nu-
merose ricerche per stabilire se vi fosse o non questo aumento.
Siccome ripugnava ammettere una semplice azione meccanica di
contatto e poi si sono scoperti i fermenti dai microbi prodotti,
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
17
così si è Tenuti alla conclusione che agissero per mezzo di questi.
Ma vi sono microbi e protozoi, come quei della malaria, che non
producono tossine , non pertanto producono ipertermia. Eccoci
innanzi ad una grande incognita , che è aumentata ancora dal
fatto che, con la previa paralisi curari ca manca, la ipertermia.
Ci spiana la via alla soluzione di questo problema le espe-
rienze fatte iniettando nel sangue corpuscoli inerti sospesi in
acqua, quali amido, licopodio, carminio, latte ecc. (Ughetti), in
cui si osserva seguire una forte ipertermia, la quale dura finché
nel sangue vi sono i corpuscoli.
Anche qui si è invocata la teoria chimica dell’ aumento dei
processi chimici per opera dei corpuscoli e si è concluso che allo
stesso modo agissero i microbi.
Ma anche qui la previa paralisi curari ca ha messo lo scom-
piglio, perchè anche in questi casi essa impedisce la ipertermia,
come ha veduto Isaac Ott. Dunque anche qui il sistema nervoso
mostra la sua importanza e l’inevitabile suo intervento.
Sempre la solita difficoltà insormontabile dalla ipotesi chi-
mica, e sempre la stessa domanda cosa ha che fare esso sistema
nervoso coi processi chimici aumentati'?
Inevitabilmente la mia teoria sola dà ragione di questi fatti
ed è sempre la stessa, come in altre circostanze normali o non,
che io non starò a ripetere.
Intanto, l’ ipertermia, in seguito all’iniezione nel sangue di
corpuscoli inerti, ci fa conoscere un nuovo ed inaspettato fatto;
cioè che ogni cellula anche dalla via del sangue internamente
si irrita per azione di contatto o di strofinio meccanico con cor-
puscoli inerti, anche senza produrre fermenti.
È noto che una cellula o nervo o muscolo, per azione mec-
canica di qualunque forma, come per azione fisica e chimica, ma-
nifesta al galvano metro una corrente di azione in proporzione
della intensità dello stimolo, la quale corrente produce il pro-
cesso di eccitamento e finisce per produrre anche del calore,
quando non può tutta essere impiegata in un lavoro meccanico
Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Mem. X. 3
18
Prof. Antonio Curei
[Memoria X.]
0 chimico. Questo appunto fanno nell’ interno dei tessuti e de-
gli organi i microbi, i corpuscoli del sangue , le polveri inerti
ed altri corpi estranei, penetrati dall’esterno o formatisi nel san-
gue. Strisciando nei capillari, vi destano anormali correnti di
azione centripete dalla periferia e centrifughe dai centri , che
pei nervi motori si irradiano trasformandosi in calore. Si capi-
sce da ciò perchè la paralisi curarica impedisce la ipertermia ,
perchè interrompe la conduzione e quindi l1 irradiazione.
Stabilito ciò, resta in ultimo a vedere in generale se nelle
ipertermie da microbi o da fermenti e altro vi siano aumentati
1 pretesi processi chimici termogeni.
Premettiamo nel far ciò alcuni dati sul ricambio materiale
organico, il quale consiste: 1° nell’assorbimento di sostanze nu-
tritive per attrazione trofica (Pfluger) o tropismo trofico posi-
tivo e non per supposta combinazione, in cui può esercitarsi
azione eccitante dalle dette sostanze, che porta a produzione di
energia (elettrica e non termica); 2° scissione elettrolitica di
dette sostanze in cui vi è assorbimento di energia, in quantoc-
cliè le valenze libere del carbonio e dell’idrogeno acquistano la
carica elettrica corrispondente e così sono avide di ossigeno ,
presente sempre nel sangue in data misura ; 3.° ossidazione e
idratazione, in cui vi è produzione di energia (elettrica e non
termica) (1).
Per la ragione che l’energia, che si svolge da questi processi
chimici, come da ogni altro processo, è elettrica e non termica, è
necessaria per la termogenesi l’esistenza del sistema nervoso con-
duttore ; giacché se fosse primitivamente energia termica, questa
si manifesterebbe subito senza bisogno del sistema nervoso anche
quando fosse paralizzato, il quale come abbiamo visto interviene
(1) È degno di nota il fatto osservato nella Clinica del Prof. De Renzi a Napoli che
sotto l’influenza di forti correnti galvaniche, si aumenta la eliminazione dell’azoto sotto forma
di urea, rimanendo invariata la quantità totale dell’azoto, e si aumenta in generale l’ossi-
dazione organica (Reale e Velardi) ; ciò che dà un appoggio alla nostra teoria , che am-
mette correnti elettrolitiche.
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
19
sempre in tutte le circostanze normali e patologiche , e anche
perchè la elettricità e non il calore ha la proprietà di propa-
garsi con quella grande velocità necessaria, per mezzo di buoni
conduttori quali sono i nervi.
Le molteplici ricerche, fatte sul ricambio materiale nella
ipertermia sperimentale o in quella febbrile per diverse malat-
tie, danno in generale che l’ossigeno assorbito e l’acido carbonico
eliminato aumentano lino ad un certo punto; ma però non sem-
pre, anzi molti autorevoli osservatori l’hanno trovato diminuito
o inalterato in molti altri casi più o meno simili.
Non si è trovato un rapporto costante tra il grado d’iperter-
mia e lo scambio gassoso pul inoliale : talvolta tale scambio è
appena superiore a quello della convalescenza, malgrado una
ipertermia molto marcata.
Altre volte il detto scambio aumentato nelle febbri non
molto intense e nei primi giorni, è diminuito in quelle gravi o
nei giorni consecutivi, in modo che è in ragione inversa della
gravità del male e non in ragione diretta dell’ ipertermia.
E noto poi che nelle ipertermie puramente nervose, quelle
da emozione morale, da isterismo, ascetismo ecc:, lo scambio
gassoso, come altri fatti del ricambio materiale, resta inalterato,
o anzi diminuito.
Qui, se la febbre derivasse primieramente dalla ossidazione,
questa dovrebbe essere aumentata sempre in proporzione della
produzione termica. Se la causa ipertermizzante promuovesse lo
aumento della ossidazione e con ciò la maggiore produzione del
calore, non dovrebbe mancare mai, anche quando si paralizzasse
1’ animale con curaro o altro agente paralizzante od anestesico,
e la temperatura normale non dovrebbe conservarsi nei lunghi
digiuni. Quante persone di spirito, nervose e piene di fervore in
una fede od in un ideale sopportano scarsa alimentazione o man-
canza completa, lavorando e soffrendo senza raffreddarsi ? Anzi !
li errore sta nel volere considerare 1’ aumento dell’ ossida-
zione, qualora vi sia, quale causa della ipertermia e non vice-
20
Prof. Antonio Curai
[Memoria X].
versa come effetto della stessa e della causa febbrigena; giacché
è stato osservato che 1’ aumento dello scambio gassoso si pro-
duce e si mantiene anche quando si eleva la temperatura del-
F animale con bagno caldo avanti la febbre.
Per liberarsi da questo erroneo preconcetto basta riconoscere
il fatto fondamentale , che abbiamo visto e stabilito , cioè che
l’aumento dello scambio gassoso e di tutto il ricambio materiale
dipende dall’ energia del sistema nervoso , eccitato dall’ agente
febbri geno meccanico, fìsico o chimico e non da questo diretta-
mente ; onde è chiaro che quando il sistema nervoso si trova in
grado di eccitarsi (atto a svolgere correnti di azione) si ha pro-
duzione di calore , e se ciò non è , come nei casi gravi , si ha
1’ algidismo, sebbene 1’ agente agisca con più vigore.
Se non fosse così, nei casi gravi, in cui però il sistema ner-
voso lotta , negl’ individui denutriti ed esauriti non si avrebbe
nello stesso tempo alta ipertermia e basso scambio gassoso.
Il consumo organico e la termogenesi dipendono dal siste-
ma nervoso anche per il fatto comune ordinario che aumentano
nel lavoro, diminuiscono nel riposo ; giacché in questo cessano
le correnti di azione centrifughe del sistema nervoso animale
(quelle che determinano la scissione elettrolitica e cioè il consu-
mo organico e che si trasformano in calore) , d’ onde la neces-
sità per ogni animale di difendersi dal raffreddamento durante
il sonno, ad onta che proseguino a svolgersi le correnti nel si-
stema vegetativo necessarie per la respirazione, circolazione e ter-
mogenesi locale. In questo frattempo si compie la ristorazione
organica e non pertanto la termogenesi si abbassa. Invece nel-
1’ attività vi sono le correnti di azione centrifughe , per cui si
aumenta il consumo e la termogenesi, i quali due fenomeni sono
concomitanti e indipendenti tra loro, ma 1’ un F altro s’ influen-
zano sempre mediante il sistema nervoso a cui sono direttamente
sottoposti.
Oltre di ciò, del ricambio organico, solamente 1’ ossidazione
del carbonio e dell’ idrogeno potrebbero produrre calore, mentre
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
21
la previa scissione elettrolitica assorbe energia (legge capitale
della Fisico-chimica;; e secondo è stato dimostrato da Berthelot
e Petit, all’ opposto di quanto si crede, le sostanze azotate nel-
1’ organismo nel trasformarsi sino alle finali forme di estrattivo
ed urea non sviluppano calore, perchè l’azoto non si ossida ma
forma ammonio (ione a d cariche elettro posili ve dell’ idrogeno)
prima di passare ad urea, in cui vi è eliminazione di due mo-
lecole di acqua dal rispettivo carbonato.
Nelle ipertermie si è osservato spesso, ma non sempre, au-
mento dell’ urea , delle sostanze uriche , di sostanze estrattive
incompletamente ossidate e acide , di pigmenti ecc. , ma non
costantemente, variabili, più evidenti nei primi giorni , in se-
guito poco o non rilevanti e mai in proporzione della curva
termica. Perciò neanche da questo lato è possibile ammettere
l’origine chimica della ipertermia.
D’altra parte, le modificazioni del sangue nelle febbri, quali
la diminuzione degli ematoblasti e dei corpuscoli rossi nell’acme
della febbre (Haveui); viceversa 1’ aumento dei corpuscoli bian-
chi; la diminuzione della capacità respiratoria del sangue e del-
l’attività ossidante dell’emoglobina o consumo di ossigeno del
sangue nei tessuti, in ragione diretta dell’elevazione della tem-
peratura (Henocque) ; la diminuzione dell’ acido carbonico con-
tenuto, osservata in malati febbricitanti come in animali inqui-
nati con colture virulenti ; infine la diminuzione dell’ alcalinità
del sangue, mentre talvolta spesso sono aumentati i prodotti di
consumo, i suddetti fatti dico, mai in proporzione della iperter-
mia, depongono a sfavore della termogenesi chimica, e dimo-
strano che l’ossidazione non è proporzionata alla decomposizione,
più o meno anormale , causata dalla ipertermia e dall’ agente
patogeno per mezzo del sistema nervoso o anche direttamente.
E qui è importante notare, che quando 1’ agente patogeno
non agisce in nessun modo sul sistema nervoso non produce
febbre, ma solamente produce una infiammazione o altra lesione
locale senza ipertermia generale. Per tale ragione si hanno ma-
22
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.]
lattie con o senza febbre; anche si hanno gli stessi processi mor-
bosi, differenti solamente per forma , intensità e sede , talvolta
con febbre e tal’ altra senza; si hanno importanti alterazioni del
ricambio materiale , che decorrono senza ipertermia giusto ap-
punto quando e dove dovrebbe esserci, se fosse vero che la ter-
mogenesi avesse origine da esso. Questo è il colmo dell1 ironia.
Per me basta.
Una volta che la termogenesi è un atto riflesso, che si pro-
duce in seguito ad uno stimolo esterno ed interno, l’alimento è
necessario solamente perchè da esso il sistema nervoso, ossidandolo,
attinge una gran parte di energia di cui abbisogna per le fun-
zioni e per la termogenesi, e non serve direttamente a produrre
calore come pare di essere e vi si crede (1). E siccome l’alimen-
tazione non è che una delle molteplici sorgenti di energia, di cui
1’ organismo dispone, così talvolta può per qualche tempo farne a
meno di essa, a parte il consumo del materiale immagazzinato.
Quindi concludiamo che la termogenesi è una funzione ri-
flessa del sistema nervoso, il quale trasforma in energia termica
l’energia elettrica che attinge dall1 ambiente esterno ed interno.
Intanto siccome varia l’ambiente esterno specialmente per la
temperatura, così è necessario che la funzione riflessa termogene-
tica debba variare a seconda la temperatura esterna. Da ciò due
ordini di animali : quelli che hanno temperatura variabile con-
forme a quella esterna (eterotermi), e quelli che l’hanno costante
ad onta che quella esterna varii in più od in meno (omeotermi).
1 primi all’abbassamento della temperatura esterna non su-
biscono eccitamento per il freddo, e perciò non producono calore,
onde si raffreddano in proporzione e cascano in torpore e letargo
invernale (ibernazione). La loro termogenesi è limitata, s1 indebo-
lisce sempre più al raffreddamento, e perciò non può compensare
le perdite del calore; essi quindi si assiderano nello inverno.
(1) Questa teoria ha il pregio che non urta colle leggi termochimiche stabilite, le quali
sebbene esatte, calcolano il principio e la fine e lasciano oscuro l’intermedio, che vieue ri-
schiarato da essa.
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
23
Al ritorno del calore primaverile essi si riscaldano come
in una stufa, allora il sistema nervoso si eccita ed alla sua volta
eccita il ricambio materiale e 1’ ossidazione. Un certo grado di
calore (1) è condizione indispensabile a che ogni cellula sia ec-
citabile, cioè atta ad acquistare energia, che accumula come po-
tenziale, ed a svolgere correnti di azione per eseguire le funzioni.
Negli animali ibernanti pare che vi manchi nella loro cute un
sistema nervoso eccitabile al freddo, atto ad elettrizzarsi e ad ec-
citare il sistema nervoso centrale.
Negli animali omeotermi invece, i nervi cutanei per adatta-
mento si elettrizzano in modo speciale al freddo dell’aria, per
cui si eccita il sistema nervoso centrale, donde si svolgouo cor-
renti di azione centrifughe , le quali aumentano la scissione e
1’ ossidazione e spingono 1’ organismo a maggiore attività, onde
produrre più calore per sopperire alla maggiore perdita.
Al contrario quando si eleva la temperatura esterna, dimi-
nuisce P eccitamento sulla cute e quindi nei centri nervosi, nel
ricambio materiale e nell’attività animale , per conseguenza di-
minuisce la produzione termica. E qualora per caldo esterno e
insieme per maggiore produzione di calore interno, determinata
da lavoro o altro, l’organismo si riscalda, in compenso si aumen-
ta la irradiazione, si eccita la secrezione del sudore, la cui. eva-
porazione insieme all’ esalazione pulmonare sottrae l’ eccessivo
calore. Qui è necessaria abbondanza di acqua nel sangue.
Così nell’un caso e nell’altro, nei climi nordici anche sino a
30° sotto zero (Nansen) ed in quelli tropicali oltre il 37° sino a 60°
c. la temperatura animale si mantiene costante, forse oscillante
infra qualche grado.
Questo potere regolatore è dovuto al sistema nervoso, come
è dimostrato dalle esperienze di Pfìuger, in cui tolta l’influenza
del cervello e del midollo spinale, il ricambio è meno attivo
(1) Il calore rende spostabili le molecole e gli atomi e li mette in movimento perchè
rifornisce come calore latente la carica elettrica emessa nella combinazione precedente.
24
Prof. Antonio Curci
[Memoria K.\
quanto più bassa è la temperatura dell’ animale, il quale si raf-
fredda progressivamente avendo perduto il mezzo di produrre
calore ; e dalle esperienze di Sanders-Ezn, di Senator, di Rroli-
ring e Zunts, di Lehmann e quelle di Erler e Litten, clie quando
le condizioni termiche esterne sono tali da alterare ed abbassare
la temperatura interna e perciò di paralizzare almeno i nervi
cutanei, allora si diminuisce l’eliminazione di CO2 ed il consu-
mo di O , al punto che gli animali a temperatura costante si
comportano come quelli a temperatura variabile.
Il potere regolatore della temperatura si conserva quando
la cute, è a temperatura normale o superiore , allorché questa
possiede conducibilità e potere emissivo del calore, che vi si
produce continuamente, coadiuvata dalla secrezione sudorale; in-
vece il suddetto potere si altera se la cute viene raffreddata, al-
lorché si abolisce la conducibilità ed il potere emissivo, non cliè
la elettrizzabilità al freddo ed al caldo o alle variazioni di
temperatura esterna. Da ciò si comprende che ne deriva una
serie di disturbi da raffreddamento o da riscaldamento interno
anormale. Di ciò in altro scritto.
II.
Ora che conosciamo cosa è la termogenesi animale ed il
potere regolatore della temperatura, possiamo sapere cosa sia la
febbre, non che il modo di agire delle cause che la producono
o la aboliscono.
Noi abbiamo veduto che i diversi agenti, atti a provocare
la termogenesi, si dividono in quelli ad azione periferica sui
nervi centripeti ed in quelli ad azione centrale, ma sempre vi
agiscono irritando il sistema nervoso. Perciò la febbre, qualun-
que sia la causa, è sempre di natura nervosa, diretta o riflessa
a seconda dove agisce questa causa.
Gli agenti febbrigeni sono meccanici, fisici e chimici e così
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
classifichiamo le febbri in triplice serie per la causa , essendo
la natura sempre una.
1. Febbri da cause meccaniche. Per ordine d’ importanza e
di frequenza Tanno dapprima ricordate quelle originate da mi-
crobi, puri e semplici non atti a produrre tossine, o prescinden-
do da queste, non che originate da plasmodii o altri corpuscoli
estranei accidentali penetrati dall’ esterno o formatisi nel sangue.
Questi esseri viventi, che si muovono e si riproducono nel
sangue o negl1 interstizi dei tessuti, esercitano, quali corpi estra-
nei, azione di presenza , di contatto meccanico sulle cellule , a
somiglianza dei corpuscoli di amido, licopodio, carminio.
D1 altra parte le cellule viventi dei tessuti, aneli1 esse quali
protozoi elettrogenici, specialmente quelli nervosi, al contatto di
quei nuovi intrusi, sviluppano anormale corrente elettrica di
azione , per la proprietà fondamentale di ogni protoplasma di
fare ciò sotto qualunque minima azione di ogni agente.
Non fa bisogno di ripetere ciò che abbiamo detto a pro-
posito della termogenesi , cioè che queste anormali correnti di
azione, non prodotte dagli stimoli normali e perciò fuori biso-
gno, senza scopo funzionale, si emanano dal sistema nervoso ir-
ritato meccanicamente per contatto alla periferia o nei centri ,
e si trasformano in calore, che s1 irradia intenso attraverso la
cute , dando luogo al fenomeno febbre , con tutta la sindrome
relativa dei disturbi delle funzioni vegetative e animali, di cui
abbiamo già parlato.
Il plasmodio della malaria , lo spillilo della febbre ricor-
rente sono i tipi di microbi febbrigeni ad azione meccanica e
che senza produrre tossine e quindi senza agire chimicamente ,
si mostrano nel sangue durante l1 accesso. Così nella pulmonite.
il pneumococco non si riscontra nel sangue che nel momento
dello scoppio febbrile, al quale esso vi prende parte per azione
meccanica sui tessuti nervosi. Si capisce che i microbi genera-
tori di fermenti o di tossine agiscono in doppio modo : mecca-
nicamente e chimicamente. Il microbo della resipola, il plasmo-
Atti Acc. Serie 4ft, Vol. XVIII
- Mera. X.
4
26
Prof. Antonio C 'urei
[Memoria X.J
dio (?) del vainolo infiammano la pelle, irritano i nervi cutanei
e così producono la febbre.
Le più tipiche di origine meccanica sarebbero le febbri trau-
matiche , sia che il trauma accada sui centri o sui nervi peri-
ferici , a condizione che produca irritazione diretta nel primo
caso, riflessa nel secondo.
Così nell’ apoplessia cerebrale, il traumatismo emorragico e
1’ azione meccanica, forse anche chimica del sangue stravasato,
fanno svolgere 1’ enorme quantità di energia generatrice del ca-
lore. ideilo stesso modo agisce una lesione o causticazione sulla
corteccia cerebrale o su altre parti dell’ encefalo e del midollo
spinale.
E noto il fatto che conficcando un chiodo nel zoccolo di un
cavallo, sorpassando 1’ unghia, si ha febbre generale, mentre que-
sta manca se si recide il nervo della gamba (C. Bernard). La
penetrazione di una spina in una estremità, se produce febbre ,
agisce pure per azione riflessa. Le fratture sottocutanee, lo scliok
traumatico, la commozione, il cateterismo eco. : sono febbrigeni
per lo stesso meccanismo.
2. Febbri da cause fìsiche. Queste sono molteplici e sono
prodotte dalla stessa energia nervosa (elettrica) dell’ organismo,
come nelle febbri da emozione morale, da isterismo , da epiles-
sia, catalessia , tetano ecc. , da infiammazione o da calore o
altra energia esterna.
L’ energia che si produce nelle emozioni è fisica, cioè elet-
tromagnetica, la quale si produce negli organi di senso nel mo-
mento della sgradevolissima e penosa sensazione visiva, auditiva
o tattile. In tali circostanze le correnti centripete eccitano nei
centri le correnti di azione centrifughe e quello che segue.
In sostanza agiscono come le cause traumatiche.
Talvolta le correnti centripete paralizzano l’ inibizione e
perciò si ha liberazione dell’energia trattenuta da quella nei
centri eccitom otori.
Nell’ isterismo dove vi è un’ accumulazione instabile di ener-
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
27
già, si ha P ipertermia per diminuita inibizione o forse per sug-
gestiva aumentata produzione.
Nell’ accesso epilettico, la corrente dell’ aura neutralizza
istantaneamente tutta P energia inibitrice accumulata nei lobi
anteriori , donde la perdita della coscienza , e perciò violenta
scarica dai centri eccitomotori corticali e bulbari, donde con-
temporaneamente o poco dopo P accesso convulsivo, ne segue
la febbre.
Così nell’ ipnotismo e nello stato catalettico, sospesa l’inibi-
zione del soggetto, si può produrre la febbre.
Appartengono a questa categoria la febbre da incubazione
degli uccelli , da parto nei mammiferi , quella del latte nelle
puerpere , della crescenza nei fanciulli.
Le febbri infiammatorie debbono considerarsi prodotte da
energia fìsica sviluppata dal focolaio infiammatorio , la quale
agisce per via riflessa ; come p. e. quando si fa P iniezione ste-
rilizzata di nitrato di argento sotto la cute o di tintura d’ iodio
nella tunica vaginale, si ha una ipertermia sino a oltre 40* c.
(Haack), e come egualmente succede determinando spandimenti
sanguigni asettici nel peritoneo o nelle articolazioni (Pillon). In
modo analogo si producono le febbri da patereccio o flemmone,
la febbre della dentizione ecc.
Nelle grandi infiammazioni di organi viscerali, o di sierose,
la febbre può originarsi dal processo flogistico, quando questo è
asettico, come nel reumatismo articolare, ma ha anche origine
dal raffreddamento cutaneo e da infezione quando vi esiste.
Vi sono casi di febbre da riscaldamento , come quando in
clima caldo afoso in cui è ostacolata la dispersione cutanea del
calore si esegue un forte lavoro sotto la sferza del sole, in cui
vi è intensa produzione interna; per P uno e per P altro motivo
si ha accumulo di calore nell’ interno, per cui la cute si sopra-
riscalda, s’ infiamma quasi e diventa enormemente termoestesica
e, in modo contrario all’ ordinario a moderato caldo ed in ri-
poso, dalla cute parte una forte irritazione, la quale nei centri
28
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.]
fa svolgere altre correnti, aggravando lo stato generale e produ-
cendo una pericolosa ipertermia da insolazione o da strapazzo.
Appoggia questa teoria il fatto die 1’ applicazione di acqua fredda
ghiaccia scongiura il pericolo , perché abolisce il riscaldamento
della cute e sottrae calore dall’ interno.
Anche le febbri reumatiche o da raffreddamento cutaneo
sono di origine fisica. È frequente e noto al mondo intero il
fatto, che quando un animale, specialmente nel momento in cui
è riscaldato per lavoro o per altro, se viene colto da improvviso
raffreddamento cutaneo, è preso da reumatismo con o senza feb-
bre, oppure da una febbre reumatica senza alcuna localizzazione
flogistica apparente, dove invece vi può essere una endoarterite
non sospettata e non diagnosticabile. È noto pure che in tali
casi dopo una sudata o la provocazione di una diaforesi a letto,
la febbre scompare e tutto rientra nel normale come per incanto.
Come avviene ciò ?
Per intenderci premettiamo il fatto che nello stato normale
la cute a temperatura di 37°c. ed asciutta, possiede la proprietà
di elettrizzarsi sotto la impressione delle variazioni rapide della
temperatura dell’ aria, specialmente di quelle fredde come sotto
ogni altra impressione di azioni meccaniche, fisiche o chimiche,
per la qual cosa essa acquista un potenziale E. M. Per questo
potenziale, come ogni cellula e tessuto, la cute attira sangue (tro-
pismo trofico positivo) il quale mentre dilata i vasi vi porta ca-
lore dall’ interno. In tal modo la pelle sebbene colpita da aria
fredda, è iperemica e rossa e conserva la sua temperatura nor-
male necessaria a conservare le sue proprietà elettrogeniche o vi-
tali, che se sono massime nella gioventù e diminuiscono nella
vecchiaia, si aboliscono più o meno quando la cute subisce un
raffreddamento sia pur superficiale per prolungata sottrazione di
calore.
Le impressioni fredde elettrizzano e riscaldano a condizione
che siano variabili e di breve durata, e che la cute sia asciutta.
Perciò questo raffreddamento si ha specialmente quando la
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
29
cute è bagnata di sudore o di acqua ed è sotto una corrente di
aria, la quale raffredda in due modi ; in uno favorendo 1’ eva-
porazione, determina una intensa e rapida sottrazione di calore
non possibile ad essere nell’istante compensato da altro irradiato
dall’interno ; nell’ altro per il fatto che la presenza dell’ acqua
sulla cute fa neutralizzare le due elettricità cbe vi si svolgono
normalmente di continuo sotto la pressione, il movimento, ed i
cambiamenti termici dell’aria (1), in cui l’aria prende la elettri-
cità negativa e la pelle quella positiva, per cui non si ha elet-
trizzamento e non si acquista potenziale E. M. E con ciò si
abolisce il tropismo trofico, non si attira sangue e si aboliscono
le correnti centripete di azione , quelle che eccitano il sistema
nervoso a svolgere altre correnti centrifughe termogeniche e
aumentare la produzione del calore , si contraggono i vasi cu-
tanei, si arresta la dispersione del calore , che si accumula nel-
1’ interno.
Con la pelle raffreddata gli animali omeotermi diventano
pressapoco eterotermi, perchè allora nell’ ambiente freddo non si
eccitano nè il ricambio materiale nè la termogenesi, i quali piut-
tosto diminuiscono, e in quello caldo tendono ad aumentare in-
vece che moderarsi ; insomma il rovescio del normale quando la
cute ha 37 gradi di temperatura.
Ciò che ho detto, essendo nuovo, può sembrare fantastico ;
ma è invece positiva verità, basata sulle leggi della Eisica spe-
rimentale e sulle osservazioni galvanometriche seguenti.
Du Bois Reymond osservò una corrente derivata molto in-
tensa tra la superficie cutanea esterna e quella interna, dalla pri-
ma alla seconda cioè penetrante, la quale proviene dalla carica
di riposo di quella elettricità prodotta dall’ azione dell’ aria sulla
epidermide. Ma ciò nello stato di riposo, mentre nel lavoro con
consecutivo riscaldamento della cute, si hanno correnti di azione
(1) Questo fatto è generale a tutti i corpi in natura vivi o non ; nessun corpo si elet-
trizza ed acquista un potenziale quando è bagnato.
30
Prof. Antonio Pur ci
[Memoria X.]
provenienti dall’ interno pei nervi centrifughi , cioè uscenti , le
quali eccitano le glandole, trasportano liquido , umori e sangue
alla pelle, e s’irradiano sotto forma di calore in massima parte,
oltre quelle come ondulazioni elettromagnetiche.
Secondo le ricerche di Meissner e di Stein, la superficie cu-
tanea dell’ uomo presenta una tensione elettrica positiva, la quale
può raggiungere in taluni casi una intensità considerevolissima,
da ciò le persone elettriche. Mediante il galvanometro si è os-
servato, che 1’ intensità delle correnti cutanee varia secondo la
temperatura e l’umidità della pelle e cioè sono più intense quando
la cute è più calda sia pur sudante e traspirante ; così pure l’os-
sigeno le favorisce , mentre 1’ acido carbonico , gli anestesici ed
il rafreddamento aboliscono dette correnti, perchè aboliscono la
elettrogenesi.
Visto ciò, si capisce perchè quando l’organismo per mag-
gior attività produce molto calore, aumentandosi la dispersione
cutanea si evita il dannoso accumulo; ma se in tal momento la
cute viene raffreddata, si arresta la dispersione del calore, che si
accumula nell’interno, s’invertono le correnti uscenti che si di-
riggono nel sistema nervoso od in altri organi suscettibili di ri-
ceverle. E regola, che sono più suscettibili di ricevere energia
retrocessa dalla cute raffreddata, e perciò di ammalarsi, quelle
parti od organi, che si trovano nel momento più riscaldate o
in funzione o che abbiano una irritazione latente per pregresso
reumatismo o trauma o altro, cioè che siano un locus minori#
resistentiae.
Il sistema nervoso in tale congiuntura viene a ricevere un
eccitamento anormale, svolge in conseguenza una enorme quan-
tità di correnti centrifughe , le quali non causate dalla volontà
ad uno scopo funzionale, si trasformano in calore radiante dalla
pelle e così si stabilisce il processo febbrile reumatico.
Quando in caso di raffreddamento lieve, oppure di produ-
zione moderata di calore, il sistema nervoso non viene assalito
dalle correnti di energia retrocessa, ma che questa si concentra
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
31
in altro luogo di minore resistenza, si lia 1’ infiammazione reu-
matica di tale luogo, ma non febbre generale.
In ogni modo per aversi febbre bisogna che il sistema ner-
voso centrale divenga sede forzata di correnti retrocesse dalla
cute raffreddata.
Questo fatto conferma la nostra teoria che la termogenesi
animale è un atto riflesso del sistema nervoso e che ogni feb-
bre è di natura nervosa.
Al principio dell’accesso febbrile, l’irradiazione del calore
trova ostacolo alla pelle nel momento che si produce il brivido,
poi si stabilisce l’ irradiazione, in cui la pelle è arida ed ardente,
e finalmente quando questa è ritornata a riscaldarsi, come nel-
l’acme , si ripristina la sua conducibilità elettrica e quindi le
correnti di azione uscenti, vi ritorna l’affiusso del sangue , si
promuove la secrezione del sudore , si forma una specie di
bagno caldo automatico, si completa la dispersione del calore e
di ogni energia all’ esterno e così 1’ organismo si scarica dello
eccesso di energia accumulata , si refrigera e col ritorno della
temperatura al normale cade la febbre, in cui si ha una defer-
vescenza talvolta di alcuni decimi o qualche grado più sotto.
Mirabile natura medicatrice ! Essa ci insegna che il bagno
caldo è un sovrano rimedio in moltissimi casi, meno quando vi
è riscaldamento esterno.
Per completare il nostro studio non posso trascurare di
spiegare il meccanismo del brivido.
Quando la cute è a temperatura normale e specialmente ad
una superiore, ma asciutta, è molto sensibile al caldo, poco sensi-
bile al freddo, e a quest’ultimo agente si ristora e si eccita senza
raffreddarsi, perchè si elettrizza. Ma quando è umida , sebbene
calda, la corrente di aria vi produce per due motivi un forte
raffreddamento come abbiamo veduto, perciò quando siamo sudati
istintivamente cerchiamo asciugarci, la quale cosa ci procura un
piacevole refrigeramento senza raffreddamento, e a tutti è noto
32
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.]
die asciugandoci a tempo opportuno in luogo chiuso, noi scon-
giuriamo un pericoloso raffreddamento.
Invece la cute quando è previamente raffreddata, è poco sen-
sibile al caldo, per cui si conforta solamente ad un grado supe-
riore all’ ordinario, che allo stato normale piuttosto recava mo-
lestia; ma è invece sensibilissima al minimo freddo, che altra
volta era gradevole e anzi si desiderava più intenso, cioè è af-
fetta da crioestesia. In questo caso si sa che riscaldandosi la cute
e riacquistando le sue proprietà fisiologiche, la sensibilità ritor-
na al primiero stato.
Premesso ciò, si comprende come all’inizio dell’accesso e
nella fase ascendente della febbre, fino a quando la cute non si
riscalda con lo stesso calore febbrile e coll’ aiuto di sufficienti
coperture, essendo crioestesica notevolmente, l’aria ambiente an-
che a temperatura mite e tiepida , come gli stessi indumenti
indossati, produce sensazione molesta di freddo, donde nasce il
brivido con o senza tremito, il quale dura fino a quando non
si forma un’atmosfera sufficientemente calda attorno il corpo.
Il brivido è per intensità e durata corrispondente al grado
del raffreddamento e della crioestesia cutanea; perciò tutte le
volte che vi è brivido vuol dire che al momento dell’ accesso
vi è cute raffreddata; al contrario quando manca il brivido vuole
dire non è più raffreddata e non più crioestesica, come avviene
nell’ acme della febbre.
Perciò, il brivido predomina nei primi giorni di febbre e
manca in seguito. La crioestesia che manca nell’ acme , può
riacquistarsi dopo la defervescenza.
La crioestesia a pelle raffreddata è permanente quando non
vi è febbre, come nell’ influenza ed altri raffreddori o affezioni
reumatiche comuni. Perciò la febbre è una reazione salutare.
Dunque, essendo aumentata la crioestesia e quasi abolita la
termoestesia, il malato istintivamente fugge il freddo, cerca il
caldo, si ripara sotto coperture pesanti (quando può), prende be-
vande calde aromatiche eccitanti e si procura un’abbondante su-
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
33
data e diaforesi, a capo della quale febbre e processo reumatico
sono finiti.
Si capisce die iì bagno caldo prolungato sino a raffredda-
mento è il migliore antitermico. Quanto più presto e più ener-
gico si adotta questo metodo curativo, tanto è più efficace; esso
ha l’ obbiettivo di fare riprendere alla cute le sue funzioni sop-
presse dal raffreddamento.
Da quan toVabbiamo detto il lettore potrà trarre altre utili
indicazioni terapeutiche specialmente nelle malattie reumatiche.
In queste febbri non fa bisogno di supporre l’ intervento di
microbi e di tossine o di fermenti essudati dai tessuti o penetrati
dall’esterno. Questi agenti possono bensì sopravvenire, stabilirsi
e diffondersi sulle mucose, più o meno infiammate o assiderate,
e poi penetrare nell’ interno. Il processo febbrile reumatico è
sempre asettico almeno al principio e nei casi lievi ed ordinari,
appresso può consecutivamente diventare infettivo , avendo il
processo reumatico preparato il terreno all’ invasione di una in-
fezione, come nella pulmonite, bronchite, gastroenterite ecc.
E in tal modo che una infezione segue ad una causa reu-
matizzante e pare determinata in modo inesplicabile dal freddo
umido.
Da ciò che abbiamo detto risulta pure che almeno la feb-
bre reumatica è rimedio a sè stessa ; perchè riscaldandosi la
cute , si favorisce la dispersione del calore accumulato e può
uccidersi il microbo qualora vi sia.
3. Febbri da cause chimiche. Le sostanze che per azione chi-
mica producono la febbre si dividono in due serie e sono in
una i fermenti o zimasi o enzimi , e nell’ altra quelle sostanze
che eccitano 1’ asse cerebro-spinale.
È noto essersi conosciute delle sostanze speciali albuminoidi
nei vegetali e negli animali, le quali scindono idratando, e tal-
volta anche ossidando, gli idrati di carbonio, i grassi, i glucosidi,
gli albuminoidi ed i tessuti viventi, non che sostanze organiche
diverse per azione chimica catalitica. Da quest’ azione nell1 or-
àtti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Meni. X.
34
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.J
gariismo vi è svolgimento di energia elettrica e termica e se si
esercita sugli elementi anatomici , vi è irritazione dei tessuti e
specialmente di quello nervoso e perciò aumento della termoge-
nesi e quindi ipertermia.
I fermenti sono corpi albuminoidi solubili , combinati ad
alcali o sali minerali, amorfi, non organizzati ma viventi, i quali,
finché racchiusi nel protoplasma sebbene accanto alla sostanza
fermentescibile, sono inattivi e non agiscono che quando sono
liberi e disciolti.
La diastasi dell1 orzo germogliato e specialmente l1 invertina,
1’ emulsina, la mirosina, la papaiotina, la rici na, T abrina, il fer-
mento dell’ uva e della birra, quello delle euforbiacee, del fico,
del Rhus radicans e molti altri fermenti delle piante noti ed
ignoti , iniettati nel sangue o sotto la cute di un animale , vi
producono una intensa ipertermia. L’ invertina p. e. eleva rapi-
damente di parecchi gradi la temperatura degli animali ai quali
s’ inietta ; alcuni decimi di milligr. per chg. determinano tosto
un accesso di febbre (Roussy).
II fìbrin-fermento, le albumosi (Bergmann, Angerer, Edel-
berg) , le albumosi della digestione (Matlies) , di una coltura
di Bacterium coli (Krelil), la pepsina (Hildebrandt) , una solu-
zione di caseina di glutine (Bucliner), la pancreatina (Isaac Ott),
la tubercolina di Kock , la tossina della difterite e di altri
microbi patogeni ecc. : sono dei fermenti , i quali iniettati nel
sangue o assorbiti da una mucosa o soluzione di continuità pro-
vocano una intensa febbre , insieme ad una pericolosa azione
tossica.
I liquidi delle colture, sterilizzati e filtrati, contengono fer-
menti e producono la febbre ; anche 1’ estratto acquoso dei te-
sticoli necrobiosati , di altri organi malati ed anche di alcuni
sani (fegato, milza, capsule surrenali) ; i globuli bianchi del san-
gue, il pus, estratti di sostanze in putrefazione (carne, urina ecc.),
i pigmenti delle urine (Mairet e Bose), le sostanze dializzabili
delle urine, (le non dializzabili sono ipotermizzanti), producono
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
35
febbre per ignote sostanze fermentative o per azione irritante
sul tessuto nervoso.
I fermenti proteolitici possono attaccare i globuli del san-
gue, o le cellule dei tessuti, fra cui anche quelle dei centri ner-
vosi. Anche 1’ emoglobina e l1 ematina diffusa possono produrre
ipertemia.
Comunque sia, tutti producono ipertermia, la quale non si
manifesta quando il sistema nervoso è paralizzato in qualunque
sezione dell’ arco diastaltico o neurone, cioè : nei nervi sensitivi,
nei centri o nelle estremità motrici, mediante i noti mezzi della
vivosezione o di un agente paralizzante, ad onta che il fermento
continui la sua azione catalitica nei tessuti.
Abbiamo veduto che ciò avviene, perchè da quest’ azione
chimica non si svolge direttamente calore , come erroneamente
si crede, ma un’ altra energia, la quale riflessa dal sistema ner-
voso alla periferia si trasforma ivi in calore.
In queste febbri vi è mancanza di eccitamento muscolare,
dal quale potevasi fare dipendere la maggiore produzione ter-
mica ; anzi vi è senso di malessere, prostrazione, incapacità al
lavoro, perchè il sistema nervoso perde anche il potenziale che
teneva accumulato , il quale costituiva la forza della tonicità ,
di potenza ed attitudine al. lavoro, e il senso di benessere.
L’insonnia, il delirio e poi il torpore, il coma, e talvolta i
fenomeni di manìa e quelli più rari convulsivi , sono sintomi
indicanti che 1’ agente patogeno (microbo o tossina) si è intro-
dotto nei centri encefalici e spinali.
Con 1’ alta ipertermia 1’ organismo cerca di combattere e
distruggere il microbo e il suo fermento e perciò, siccome gli
antipiretici indeboliscono il sistema nervoso , così ostacolano la
vittoria dell’ organismo. Il bagno più o meno tiepido o poco
fresco è il rimedio per eccellenza che sottrae calore e rinvigo-
risce 1’ organismo ed eccita il sistema nervoso a produrre più
energia colla quale possa liberarsi del suo micidiale fagozoa.
In ultimo resterebbe a parlare di quelle febbri prodotte da
36
Prof. Antonio Curai
[Memoria X.]
veleni , i quali eccitano i centri cerebrali ed in conseguenza di
ciò determinano V ipertermia , sino ad una data dose , oltre la
quale paralizzando per alterazione tìsica o cliimica gli stessi cen-
tri, determinano infine ipotermia : si capisce che la dose è molto
relativa.
Ne abbiamo già parlato nello studio della termogenesi e del
modo come tali agenti producono l1 2 ipertermia ; ci resta di ag-
giungere qualche cosa riguardo alla natura della loro intima
azione.
Abbiamo veduto che le convulsioni da essi provocate non
sono generatrici di calore, e che tanto le forti contrazioni mu-
scolari convulsive, quanto la ipertermia sono fenomeni concomi-
tanti, indipendenti tra loro ed ambedue generati dalla energia
intensa, che viene sviluppata dai centri sotto l1 azione di tali
agenti.
La tetani na, la midaleina, la cocaina, la giusquiamina, l’a-
tropina, la veretrina , la stricnina , la chinina (1) e analoghi ,
la canfora ecc. , i sali di ammonio, di sodio e di litio oltre le
convulsioni producono ipertermia, per azione eccitante sulla cor-
teccia cerebrale o su altre parti del cervello , del bulbo e del
midollo spinale (2).
Ognuno di questi composti agisce come tutto un ione com-
plesso elettropositivo per T idrogeno ammonico o ammidico, iini-
dico, ossimico , fenolico , alcoolico ; per cui elettrizza per indu-
zione la cellula nervosa, colla quale viene in contatto, cioè rende
manifesto il potenziale latente o carica di riposo della cellula sotto
forma di energia attiva o corrente di azione , e come stimolo
anormale straordinariamente superiore a quei normali portati dal
sangue, determina la scarica violenta di intense correnti centri-
fughe, le quali producono le forti contrazioni muscolari ed il
(1) La febbre cbinica del Prof. Tomaselli dipenderebbe dall’ azione della chinina e da
quella dell’ ematina diffusa nel plasma.
(2) Cunei — Azione fisiologica del sodio, idem del litio, in corso di pubblicazione.
Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre
37
calore. Quando il potenziale si esaurisce e le sue sorgenti sono
del pari esaurite , ne segue la paralisi per esaurimento oppure
senza di ciò per azione dell’ idrocarburo fondamentale, il quale
sopprime ogni dinamogenesi e abolisce ogni conduzione (1).
Le convulsioni le quali sono ad accessi, a scosse e a scari-
che intermittenti, significano che 1’ elettrizzamento fa aumentare
la carica latente di ogni cellula, e quando la detta carica rag-
giunge una elevata tensione scoppia violentemente, dando luogo
ai noti fenomeni convulsivi ed ipertermici, come pure indicano
che la corrente derivata da quelle scariche è corrente interrotta,
alternativa, come quella data da un rocchetto Ruinkoff.
Perciò l’azione di questi agenti è in sostanza di natura fi-
sica , cioè elettrica, ma che viene considerata appartenente alla
misteriosa ed ignota azione chimica (2).
Qui facciamo punto al nostro studio , che io ho cercato di
esporre in modo più breve possibile, ma che meritava maggiore
svolgimento , specialmente nei punti riguardanti la Elettrofisio-
logia e la Fisica biologica ; ciò in altro scritto.
Possiamo concludere che la febbre è di natura nervosa, co-
me nerveo-elettrica riflessa è la termogenesi, e che il chimismo
organico non produce direttamente calore come si è creduto da
Lavoisier a noi, ma bensì energia elettrica, che si accumula nel
sistema nervoso, dal quale è trasformata nelle diverse funzioni,
tra cui la termogenesi (3).
La pila congiunta ad un accumulatore rappresenta lo sche-
ma dell’organismo; in quantoccliè, in questo le cellule sono le
pile per cui i tessuti e gli organi costituiscono delle immense
batterie di pile, ed il sistema nervoso ne è il potente e meravi-
(1) In un prossimo lavoro svilupperò la teoria dell’ azioue biologica dei farmaci.
(2) La pretesa azione chimica è azione fisica effetto dell’ attrazione della materia , e
la così detta energia chimica per me non esiste.
(3) A somiglianza del radio, il quale da una parte riceve l’energia dall’ ambiente ester-
no e dall’ altra la emette sotto forma di raggi elettromagnetici, di raggi luminosi, di raggi
termici e di altra natura.
38
Prof. Antonio Curci
[Memoria X.[
glioso accumulatore, per cui opera le diverse funzioni ed anche
i fenomeni straordinarii miracolosi, ma sempre fìsici e naturali.
Dal nostro studio risulta che vi sono febbri infettive e febbri
asettiche, ma sempre col mezzo del sistema nervoso, e non im-
porta che la mania del microbismo e chimismo, attraverso il mi-
croscopio della fantasia suggestionata, voglia vedere da pertutto
non altro che microbi e fermenti coi relativi antisettici posticci,
e faccia mettere ostacolo al riconoscimento della verità e dello
errore in cui si è caduto.
È tempo di persuadersi che era una chimera quella di vo-
lere ostinarsi a cercare la causa e la natura della febbre in un
alterato chimismo, come 1’ origine del calore animale nella com-
bustione organica. Ed io posso dire altamente che il chimismo
per i Fisiologi e Patologi moderni, come causa e ragione della
vita normale e patologica, equivale alla famosa pietra filosofale
degli Alchimisti, che non è mai esistita.
La Eisica e la Fisico-chimica saranno la base della nuova
Fisiologia che sorge. Nel mio lavoro «L’Organismo vivente e la
sua anima » (1) si dimostra ciò che è la vita, quale 1’ energia,
la quale crea 1’ organismo e promuove le funzioni vitali, fra cui
la termogenesi ed il fenomeno febbre, il cui studio abbiamo gros-
solanamente abbozzato.
Dal Laboratorio di Farmacologia Sperimentale della R. Università
Catania Dicembre 1904.
(1) Per meglio comprendere la nostra teoria confrontare questo mio libro edito da Al
berto Reber. Palermo — Corso V. E.
Memorisi XI
Dott. FRANCESCO D’AMICO
Sulla varietà quartica con tre piani semplici
dello spazio a quattro dimensioni
RELAZIONE
della Commissione di Revisione composta dai Soci effettivi
Proff. Giuseppe Lauricella e Mario Pieri ( relatore )
In questo Saggio si studiano, sotto 1’ aspetto proiettivo, certe i p e r-
su perfide quart ielle dell’ notevoli per possedere tre piani
semplici sghembi e un numero finito di punti doppi.
Il principale strumento di ricerca è fornito da una elegante rappresen-
tazione birazionale della varietà sullo spazio ordinario, attraverso il
complesso del 1° ordine di tutte le rette dell’^ che incontrano i tre piani
dati. L’ a. ri, solve altresì con lodevole diligenza il problema inverso, di asse-
gnare a priori nello spazio ordinario un sistema lineare co4 di superficie,
atto a definire projettivamente una varietà razionale della specie suddetta.
Ogni ipersuperficie del 4° ordine (nell’ $4) contiene almeno oo1 rette ,
queste, nel caso qui tolto a studiare, si distribuiscono in otto superficie
rigate: di cui 1’ a. (tra molte altre cose) determina i principali caratteri
geometrici e le mutue relazioni — superando ingegnosamente alcuue difficoltà
non comuni.
La Commissione è di parere, che questo lavoro — sebbene d’indole speciale
e monografica — offra un sufficiente interesse, sia per la qualità del soggetto
(dove ben pochi sono ì fatti generali che si conoscono) sia per la serietà ed
importanza delle quistioni trattate: e perciò ne propone la stampa negli Atti
dell’ Accademia.
§ 1. — L’ equazione generale di una ipersuperficie quartica
1, pas-
santi per tre piani dati ad arbitrio itcl), % 2), 7t(3) ; e V equazione ge-
nerale di una tal varietà contiene ancora ventisette parametri ( non
omogenei) ».
§ 2. — Se i piani rc0i, tz(3) sono ad es. :
7t(1j = (x j — 0, x2 — 0), tz(2) ’=z (®4 — x . — 0), tc(3) ■= ( x2 = x3 ~~ xp ;
e se sono funzioni omogenee delle xA, x. di grado
uguale ad i , vale a dire :
V equazione generale di una $4 come sopra prende la forma :
B i = b(0l) x\ -]- b[L) x\x £C5 — )—
(1)
I A3 xl — }— B3 x2 — 0 ;
dove i coefficienti sono legati fra loro dalle relazioni :
&0 ~\~ c0 a0 ^1 C1 ai • a2 0
(2)'
(
Se ora si pone :
v — ■ x22 0L -f- x2 (x3 Bl-\- D2) xl Ki-ir x3 E2 -|- B3 ,
1’ equazione assegnata per è generabile mediante i due fasci progettivi
(3) x2 -)- X — 0, (4) u — X v — 0,
l’uno di iperpiani passanti per x(1) , V altro di ipersuperficie cubiche
contenenti tutte (come è facile scorgere dalle (2) ) i piani n(2) e
ed una certa superficie del settimo ordine , che indicheremo con p.7 ».
§ 3. — Un iperpiano variabile nel fascio, che ha per sostegno
%a (i = 1, 2, 3), sega ulteriormente la varietà secondo una su-
perfìcie cubica, La quale incontra alla sua volta x((. lungo una
cubica piana, contenente i due punti ove %U) si appoggia agli
altri due piani %. Al variare di quell’ iperpiano questa cubica de-
scrive un fascio, i nove punti base del quale saranno i soli punti
doppii di 4, che giacciono in iz(iy Fra questi sono compresi i due
punti in cui %:i) si appoggia agli altri due piani it ; e però :
« La varietà possiede necessariamente 27 — 3 = 24 punti
doppii distribuiti sui tre piani z, ciascuno dei quali ne conterrà
nove »
Indicheremo con ^ (i = 1, 2, 3, 1 = 1, 2,.... 7) i sette
punti doppii di 4> giacenti in -(0 ma non sugli altri due piani ;
e con 0(0 ( i — 1, 2, 3) i tre punti ove questi piani si incontrano.
È bene osservare che « per ciascun punto H;1 passano sempre
due rette della varietà , le quali incontrano tutti e tre i piani
mentre per ciascun punto 0(i) ne passano quattro».
§ 4. — La varietà è razionale. Infatti il complesso lineare r
di tutte le rette appoggiate ai tre piani iz(2) r.{3) , riferisce biu-
nivocamente la varietà $ ad uno spazio ordinario S scelto gene-
ricamente in [AJ.
Siano p'w, p\2), p\ 3) le rette, lungo le quali H è incontrato dai
piani Tt(1), 7t(2), tl(3) ; <5 = 0(l) 0(2) 0(3) sia il piano incidente allo stesso
tempo i tre piani ir; d' la retta di S in H. Saranno allora « (1)=p (1) d\
(o '2=_//(2) d\ o/3=j/(3) d' le intersezioni di H con gli iperpiani
0(l), fì(2), Q(3), projettanti dai punti 0(l), 0(2), 0(3) rispettivamente i
4
Boti. Francesco D’ Amico
[Memoria XI.J
piani 7c(l), tt(2), ic(3). Si osservi inoltre che la rigata quadrica x2 e
la superfìcie quartioa , rispetto alla
corrispondenza suddetta : tutti i suoi punti doppii ; la retta d, lun-
go la quale il piano § sega la varietà fuori dei piani ir, e la curva
c5 anzidetta. Ad un punto doppio Hn (i — 1, 2, 3; 7 = 1, 2, ...7)
di (1) = d.i t(1) ,
per cui ne passano cxd1 giacenti su 0 ). Al variare di M in tc(1)
quella retta descrive una varietà n(1) tutta contenuta in T. Que-
sta contiene semplicemente il piano x(1) e doppiamente i piani tt(2)
e tc( 3) ; inoltre è segata da un iperpiano B passante per x(1), fuori
Sulla varietà quartica con tre piani semplici ecc.
5
di ^(1) , secondo una supertìce rigata del quarto ordine (*) , luo-
go di tutte le rette che incontrano in punti distinti le traccie
di x(2) e x(3) su 5 e la cubica piana intersezione di x(1) con la
saperti eie cubica di <1> in 3. Da ciò segue che : la Il(1) è una va-
rietà del quinto ordine , la quale (passando la rigata quartica di
cui sopra costantemente per la retta 0(2) 0(3)) contiene — oltre
al piano semplice x(1) ed ai piani doppii x(2) e x(3) — la retta 0(2) 0(3)
pure come doppia , e come semplici ancora il piano 3 ed i piani,
che possono condursi dai punti HM a tagliar lungo rette i piani
t(2) e x(8)*
Ciò premesso è tacile vedere, che nella corrispondenza fra
(1) = d %{l), le quattro rette Jcl t (Z=l,2,3,4)
di T corrispondenti ai punti che la c5 ha in comune con p'{1),
ed infine le due coniche o\2) e o'(3) corrispondenti ai punti 0(2) e 0(3).
Cose analoghe si possono ripetere in ordine ai piani x(2) e x(3).
§ 6. — Un piano generico a di £ sega la superficie x'(1} se-
condo una certa curva q° del quinto ordine, la quale avrà per
immagine su x(1) una certa curva q passante con due rami per
ciascuno dei punti 0(2), 0(3) e con un sol ramo per ciascuno degli
altri punti t , Kxl. Per averne 1’ ordine si osservi che il pia-
no c incontra in un certo punto $ la retta p {l) : questo è V uni-
co punto variabile — dunque diverso dai punti 2TM — che giac-
cia in p {l) e che, riguardato come appartenente a x(1), abbia per
corrispondente in x'(1} un punto della sezione piana q°. Conclu-
diamo : La curva q di x(1) , corrispondente ad una sezione piana
(*) G. Salmon : « Géométrie analitique a troia dimensiona » (Trad. par 0. Ghermii, 1891)
§§ 467 e aegg.
6
Doti. Francesco />’ Amico
[Memoria Xl.J
di è ancora del quinto ordine e si può indicare schematica-
mente con qL »
^,2) i U<3) , -U, D, K.
Viceversa : « Ad ogni curva q5 come sopra — tuttocche data ad
arbitrio — corrisponde in x'(1) un’ altra curva ancora del quinto
ordine , la quale ( dovendo essere del genere quattro) è certamente
piana. »
Si trova così per la superficie x'(1) una rappresentazione pia-
na, mediante un sistema lineare oo3 di quintiche con quattordici
punti base.
§ 7. — Si è detto die a un punto di p{l) — considerato in ^ —
deve corrispondere in $ la conica , ulteriore intersezione di $ col
piano passante per esso punto ed incidente gli altri due piani %
(§ 4). Al variar di quel punto su p a) , questo piano descrive una
varietà quadrica, generabile mediante i due fasci prospettivi di
iperpiani che progettano da x(2) e x(3) i punti di p {V).
L’ intersezione di una tal varietà con 0 , tolti i piani x(2) e
x(3), sarà una superfìcie 6f del sesto ordine, luogo delle coniche
corrispondenti ai punti di p'(1). Questa superfìcie, oltre a conte-
nere il punto 0(1) come doppio ed i punti 0(2) , 0(3) come sem-
plici, passa ancora per gii altri punti di x(2) e ~(3) che sono fon-
damentali per la corrispondenza. Inoltre, all’ esame delle inter-
sezioni delle due varietà suddette con tre iperpiani condotti a
piacere per x(1), x(2) e x(3) , si vedrà facilmente che la 6G(l) sega x(1)
nella coppia di rette (p\ìy 0(2) 0(3)), e sega invece x(2) e x(3) secondo
due quarticlie nodali O
^(D> 0(3),
O*
avremo
H, D , K ’ 021);0(2), H,D,K
così le immagini di p\y considerata come appartenente rispetti-
vamente a ciascuna delle tre superfìcie x'(1) , x'(2) , x'(3).
Cose analoghe si hanno per le superficie corrispondenti a
P'(2) © p\3y
La presenza delle due quartiche nodali Cì2 A „ ^ r,
0(2), U(3), ?
^0 2 02 H JD K (sezioni ^i ^(ì) con ®(2) e ®(3)) fa esser sovrabbon-
Sulla varietà quurtica con tre piani semplici ecc.
7
dante il sistema lineare oo3 delle q° (§ 6): difatti, associando la
prima di quelle due quartiche alle rette del fascio (0(3)) e la se-
conda alle rette del fascio (0(2)) si ottengono due fasci di quin-
ticJie contenuti uel sistema delle q° e non aventi una curva a
comune ; e però quel sistema sarà certamente più che due volte
infinito.
§ 8. — Passiamo ora alla determinazione della rigata p, luo-
go di tutte le rette di che incontrano i piani x(2), x(3).
Essa è data come intersezione di e n(i) (§ 5) sceverata dai
piani x(l), x(2), tc^).
Ora — visto che le varietà n(i) e (J) si toccano in tutti i punti
del piano x(2), e sono segate da un iperpiano passante per xw ,
fuor di x(i) , secondo due superficie, V una quartica 1’ altra cu-
bica, aventi a comune cinque generatrici di II(/) — si conclude :
« La rigata p, generata dalle rette del compì esso F ohe appar-
tengono a (J>, è del quattordicesimo ordine , e sega i piani x lungo
curve del nono ordine». Essa inoltre contiene i punti 0(l), 0(2), 0(3)
come quadrupli e tutti gli altri punti doppi i di come doppii
(§ 3).
Segando questa rigata con 1’ iperpiano E, si ottiene una
curva r'14 ( fondamentale per la corrispondenza (§ d) ), la quale —
rispecchiando punto per punto le tre direttrici di p sui piani
X(j) — è comune alle tre superfìcie x'^, è del genere nove ed ha
nove punti su ciascuna delle uno sulla d' .
§ 9. — La rigata cubica, luogo delle rette del complesso r
che si appoggiano ad una retta generica di E, sega, fuori dei
piani x, una sezione iperplanare X1 di 0 in sei punti ; quindi :
« Alle sezioni iperplanari di <]) corrispondono in E delle curve X'b
del sesto ordine , le quali (come risulta da facili argomentazioni)
contengono le rette p'(i) come doppie la d' e la r'14 come semplici » .
Similmente : La varietà cubica, luogo delle rette di r che
si appoggiano ad un piano a di E, sega, fuori dei piani x, una
8
Dott. Francesco />’ Amico
[Memoria XIJ.
sezione piana X' di 0 in nove punti ; dunque : « Alle sezioni pia-
ne l4 dì $ corrispondono in 2 delle curve l'9 del nono ordine ; le
quali (come si scorge facilmente) si appoggiano in sei punti a
ciascuna delle p'(i) ed in quattordici alla r'14».
Segue ancora che tre superficie X'6 hanno a comune, fuori
delle p\ì), d\ r14, altri quattro punti ; per la qual cosa : il siste-
ma (f) non può avere — fuor delle linee (p'(i), d', r'14) — altri punti
fondamentali.
§ 10. — Le superfìcie aggiunte ad una X9 e che staccano su
di essa la serie canonica di ordine 2 p — 2, sono dell’ ottavo or-
dine e contengono le rette p'{i) come triple la d1 e la r14 come
semplici (*). Detratta la quadrica y'2 , che si stacca da tutte le su-
perfìcie aggiunte, queste si riducono al sesto ordine con le p {{)
doppie e la r'14 semplice , e tagliano per conseguenza la nostra
curva r, in quattro punti variabili : sarà per conseguenza p =. 3,
e però su di superficie del sesto ordine ,
contenenti quelle linee basi con le stesse moltiplicità che esse hanno
rispetto alle X'6 (§ 9) ; e un tal sistema si può sempre assumere come
rappresentativo di una certa varietà 2 p — 2 ; cosicché la
serie lineare in discorso è certamente non speciale , e si avrà :
n — r > p, da cui r < 15, onde y [= 16 — (-r — |— 1 )] > 0.
D’ altra parte si osservi che la d\ come pure le sette corde
(§ 12) di ru — incidenti le due rette p{i) , doppie per le x'(£) prese
a considerare — appartengono certamente a tutte queste superfi-
cie x'(f). Ma per queste linee basi non può passare più d’una su-
perfìcie irreduttibile x'(f) con i caratteri detti sopra; dunque : « Da-
ta come sopra la r'14, esistono sempre tre superficie irreduttibili del
quinto ordine , e tre sole , passanti per le linee r14, p'(f) e d' con le
stesse molteplicità che le tre superficie x'(i) ». Si esclude poi facil-
mente che per quelle linee passino delle superfìcie riduttibili co-
me sopra.
Le e <1) individuano un fascio & , , , y2 A, , , , le
V 1 y 1 P (1)> P (2)? VP <3)J 1 a 1 ° (3)V
superficie del quale non incontrano il piano p'(3) d' fuor delle li-
nee basi [p\ g), d' , o'(8)) : dunque tal piano si stacca da una certa
superfìcie del fascio , e ciò che rimane è una superficie cp'4 del
quarto ordine contenente semplicemente le p (i) e la r .
Due di queste superficie, se esistessero, avrebbero a comune
una curva complessiva del 17° ordine; epperò: « esiste sempre una
superficie irriduttibile del quarto ordine, ed una sola , contenente
la r’14 e le p'(1) semplicemente » . Anche qui si esclude che ne pos-
sano esistere di riduttibili.
(*) M. NoetheR « JJeber Flachen, welche Scharen rationaler curveii besitzen » 1. c.
Sulla varietà quartica con tre piani semplici ecc.
11
§ 14:- — Ciò premesso passiamo alla determinazione del si-
stema (P).
Con nn procedimento del tutto identico a quello tenuto nel
§ antecedente, si ottiene che la dimensione y di tal sistema non
è inferiore a quattro ; e però si può porre y = 4 -f- t, dove t è
un numero intero positivo o nullo.
D’altra parte si dimostra come non possa avvenire che le su-
perficie X' , in conseguenza del passaggio per le linee y_(f), d', r'l\
passino tutte per qualche altra linea determinata da quelle; nè
che fra tutte siano più che oc4. Difatti un piano a generico, non
si può staccare da alcuua di quelle superfìcie X' ; dunque il si-
stema (T6), che le oo4i< superficie X' descrivono sopra un tal pia-
no, avrà la stessa dimensione 4 -f - t che spetta al sistema (X').
Poniamo ora che queste superfìcie X' abbiano tutte a comune
un’ altra linea semplice di ordine z ; e consideriamo la serie li-
neare caratteristica , di ordine ìi—9 — z e dimensione r=3-}-£, che
è descritta sulla curva generica del sistema (T6) dalle altre cur-
ve di questo. Essendo la T 6 del genere p = 7, la serie caratte-
ristica in discorso è certamente speciale (visto che è ryn—p) ,
e come tale dovrà essere prodotta da cubiche , passanti per i tre
punti doppii della l'6 e per altri (3.6 -2.3— 9-f-£=) 3-j-s punti
semplici della medesima (*). Dovrà quindi essere r>(9 — 3 — 3— s=)
3—z; ma, poiché in questo sistema lineare di cubiche la di-
mensione r(~3~ht) è certamente maggiore del genere p(— 1), la
serie caratteristica (di dimensione r — 1>jo — 1) relativa a tal si-
stema è certamente non speciale, onde il sistema stesso non po-
trà essere sovrabbondante (**) , e però (r~) 3— f-^=3 — z, da cui
t=z=o. c. v. d. (***).
(*) Brill e Noether « Ueber alg. functionen etc. » Math. Amial VII, pag. 278.
(**) C. Sègre. — « Sui sistemi lineari di. curve piane... » nei Rend. del Gire. Matema-
tico di Palermo t. 1°.
(***) Questo procedimento mi fu gentilmente indicato dal chiarissimo prof. M. Pieri, che
se ne è servito in una ricerca analoga nel suo lavoro : « Le trasformazioni razionali dello
spazio inerenti ad una conica » Rend. del Circ. Mat. di Palermo t. VII.
12
Doti. Francesco />’ Amico
[Memoria XIJ.
§ 15. - La intersezione variabile di due superficie X'6 è una
curva sghemba l'9 del nono ordine, la quale ha sei punti su cia-
scuna delle rette p\i} , nessun punto sulla d’ e quattordici sulla
r'li (*) ; per modo che tre superficie X'6 hanno quattro soli punti
variabili a comune. Concludiamo : Il sistema oc4 di superficie (V)
rappresenta una varietà 0 ( dello spazio a quattro dimensioni ) del
quarto ordine , la quale contiene tre piani indipendenti corrispon-
denti alle tre superficie x'(i)). Limane così completamente risolto
il problema inverso di determinare projettivamente la varietà 0
per mezzo di una sua rappresentazione sullo spazio ordinario.
§ 16. — Esiste sulla varietà $ un sistema co1 di rette, le quali
dànno luogo ad una superficie rigata. Questa si spezza : nella
rigata p , determinata altrove (§ 8) ; nelle tre rigate vj(t) (i— 1,2,3),
luogo delle rette incidenti due soltanto dei piani % ; nelle tre
rigate £(i) («=1,2,3) formate da rette incidenti un solo di questi
piani ; ed infine nella rigata v, le cui generatrici non incontra-
no alcuno dei medesimi piani.
Alla determinazione degli ordini di queste rigate premet-
tiamo quanto segue :
Un iperpiano E, condotto per x(i) sega il fascio (4) (§ 2) in
un fascio di superficie cubiche § , il cui sistema di curve basi
è formato dalle rette t&) = 3. x(2) , t( 3) 3. x(3) e dalla curva in1 - 5. jx7
Dalla rappresentazione piana di una qualunque delle superficie
B si deduce facilmente che la curva m‘ è del genere quattro , e
si appoggia in quattro punti a ciascuna delle t ; essa inoltre in-
contra il piano x(1) in sette punti (fissi al variare di 3), che sa-
ranno evidentemente i sette punti doppi H 1)? di $.
Si osservi ancora che una retta , diversa da t{2) e t{B) , la
quale debba appartenere ad una delle superficie B, devesi appog-
(*) Per avere il numero dei punti comuni ad una l'9 ed alla r'1'1 si può osservare die
le due curve variabili, dove le due superficie \'6 tagliano una delle superficie it A, hanno —
fuor delle linee p\i) , d' , r'Li — un sol puuto a comune (la qual cosa si può vedere dalla
rappresentazione piana della superficie
Sulla varietà quartiea con tre piani semplici eoe.
13
giare tre volte al sistema delle curve basi del fascio (3 ) e vi-
ceversa. Adunque le rette delle superfìcie in parola formano
quattro rigate le cui generatrici si appoggiano :
1°) in un punto a ciascuna delle linee £(.2), t{3) ed ni1,
2°) in un punto a t(2) ed in due ad ni1,
3°) in un punto a t{3) ed in due ad ni1,
4°) in tre punti alla ni1.
Se n è F ordine di una qualunque di queste rigate, ed ri
ri' , ri" le molteplicità corrispondenti per t{2), t{3), m7, avremo per
n , ri , ri' , ri" i seguenti valori : (*).
(5)
n
= 6,
ri = 3 ,
rr
n
— 3 ,
’/r
n
= 1
(6)
n
= 8,
ri — 5 ,
tt
n
= 0,
m
n
— 2
(7)
n
— 8 ,
ri — 0 ,
ri'
— 5 ,
ri"
— ■ 2
(8)
n
— 20,
il — 4 ,
ri'
= 4,
rrr
n
= 6
§ 17. — Ciò premesso passiamo alla determinazione delle
rigate della varietà $ le cui generatrici si appoggiano a tutti o
ad alcuni dei piani % (**), incominciando dalla p :
Sia r una retta generica di z(i) ; un iperpiano £ del fascio
(3) (§ 2) ha come corrispondente nel fascio (4) una varietà cu-
bica A, che segherà la r in tre punti per ciascuno dei quali passa
una retta, della varietà stessa A , incidente i piani it(2) e x(3) (***).
Si hanno così tre rette, le quali insieme a n(1) determinano tre
iperpiani 2' , che noi assumeremo come corrispondenti di 2 in
una certa corrispondenza di Chasles nel fascio (3). Viceversa
(*) Cfr. G. Salmon « Géométrie analitique à trois dimensiona » (Traci, par O. Chemin —
1891) §§ 467-472.
(**) Il metodo qui adoperato per la ricerca degli ordini delle rigate p, 7]^, mi ven-
ne gentilmente suggerito dal chiarissimo D.r Marletta, al quale rinnovo i miei ringrazia-
menti. Così pure nell’ altro metodo adoperato al § seguente mi son valso di un lavoro del
D.r Marletta medesimo ( « Sulla varietà delle rette contenute in una o più forme algebriche »
Kendic. dell’ Accademia Gioenia di Catania Serie IV, voi. XVI).
(***) Cfr. C. Sègre « Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e su certi si-
stemi di rette e certe superficie dello spazio ordinario » (E. Accademia di Scienze di Torino —
Serie II t. XXXIX) % 16, 17.
14
Doti. Francesco £>’ Amico
[Memoria XI.]
un iperpiano 2' sega il fascio (4) in un fascio di superficie cu-
biche (8') ; le rette, contenute in queste superficie ed incidenti
i piani x(2) e x(3), danno luogo ad una rigata del sesto ordine con-
tenente le rette t'^ = t'(3) = 2 ’ x(0) (e però i punti 0 (3) ed
0(2;) come triple e la curva mn~h'. p.7 (e quindi i punti hui)
come semplice ( § 16, forni. (5) ) Pertanto 2' contiene sei rette,
incidenti la r, die si appoggiano ai piani e x(3) e che appar-
tengono ad altrettante varietà A ; cosicliè a quell’ iperpiano 2'
corrispondono sei iperpiani 2. Saranno adunque (3,6) gli indici
della corrispondenza in parola ; e però 3 -f- 6 = 9 è V ordine della
curva direttrice della rigata p in x(1). Se la r si conduce per uno
dei punti t oppure per 0(2) o 0(3), si vede in modo analogo
che per ciascuno dei punti la curva direttrice di cui sopra
vi passa con due rami, mentre per ciascuno degli altri due punti,
0(2) ed 0(3), vi passa con quattro rami.
Rilevando poi che un iperpiano 2 per x(1) sega fuori di x(1)
la p secondo cinque rette, si conclude :
« La rigata p è del quattordicesimo ordine e del genere nove,
ed ha, su ciascuno dei piani una curva direttrice del nono or-
dine con due punti quadrupli e sette punti doppii » (Cfr. § 8).
Con procedimenti perfettamente identici ai precedenti si
dimostra :
« La rigata rl(i) (i = 1, 2, 3) è del sedicesimo ordine e del ge-
nere nove ; essa sega il piano x(f) in una retta (la congiungente i
due punti di incidenza di questo piano con gli altri due piani
x) e ciascuno degli altri due piani tu lungo una curva direttrice
dell’ undecimo ordine con un punto sestuplo (il punto’ 0(f)) e sette
punti tripli (i punti Hr j) » .
« La rigata (i = 1, 2, 3) è del trentanovesimo ordine e
del genere ottantaquattro ; essa ha sul piano x(i) una curva diret-
trice del ventinovesimo ordine dotata di sette punti nonupli (i
punti i) e due punti multipli secondo il numero sette (i punti
0(r)) ; ha invece su ciascuno degli altri due piani x sette genera-
Sulla varietà quartica con tre piani semplici ecc.
15
triti le quali congiungono i punti Hk l giacenti in esso piano col
punto di incidenza di questo col piano k(ì) »
Questo fatto si può accertare facendo osservare che nella
rappresentazione spaziale di 0, studiata innanzi, V immagine di
una retta sì fatta si spezza in più curve, il cui insieme costi-
tuisce una curva atta a rappresentare una retta di $ incidente
il solo piano x(i).
§ 18. — I procedimenti applicati al paragrafo antecedente,
per la determinazione degli ordini delle rigate p, y](f) e £(0, non
sono applicabili al caso della rigata v.
Seguiremo pertanto in tale determinazione un’ altra via, in-
cominciando dal premettere le seguenti osservazioni :
Siano 2(l), S(2), S(3), 2j(4) quattro iperpiani, dei quali i primi
tre contengano rispettivamente i piani x,1)7 x(2), x(3) ed il quarto
sia completamente arbitrario ; indichiamo inoltre con (t=l,
2, 3) la superfìcie cubica, che assieme al piano x(i) ci dà la com-
pleta intersezione di (3), cp(4), sarà evidentemente v la intersezione di con
la Q, sceverata dalle superficie fj^2), ^3), cp^, x^), X(2>, X(3).
Per avere le molteplicità di queste superficie rispetto alla
varietà Q, si osservi che il cono f(4) (luogo delle rette che si ap-
poggiano in punti distinti alle c{>(2) e c|>(3; e che passano per un
punto fisso di cp(4)) è del settimo ordine e, come tale, incontra
in 21 punti. Di questi però cinque stanno in <{>(2) ed altrettanti
in (l), (2), <}>(3):
ml = m2 = m3 = 14.
16
Doti. Francesco I V Amico
[Memoria XI.J
All’ esame poi della sezione di Q con 2 si scorge subito
clie la tì è dell’ ordine
m = 11.4 + 36 = 80.
Per avere poi la molteplicità n(i, del piano xw, si osservi
che la sezione della varietà & coll’ iperpiano 2 (1) si compone, ol-
tre che del piano x(i) :
1° della contata quattordici volte ;
2° della rigata del decimo ordine, le cui generatrici si ap-
poggiano alla retta di <]>(2) in x(1) alla conica di in 2(1) ed
alla cubica di ©(4) pure in 2(1) ;
3° della rigata, pure del decimo ordine, le cui generatrici
si appoggiano alla retta di (3) in x(1) alla conica di c[>(2) ed alla
cubica di cp(4) in 2(l) ;
4° della rigata del settimo ordine, le cui generatrici si ap-
poggiano alla retta di cp(4) in x(l) ed alle coniche di <[>(2) e (3) in
2(l). Adunque il piano x(i) sarà contenuto nella Q col grado di
molteplicità :
nt = 80 — 14.3 — 10 — 10 — 7 — 11.
Similmente si troverebbe in ordine ai piani x(2) e x(3) :
n2 =. n3 = 11.
Da tutto ciò, per le cose premesse, si ricava che 1’ ordine
della rigata v è dato da :
x — m. 4 — 3. ml — 3 m2 — 3 m3 — 4 m4 — nl — n2 — n3 = 117.
Questo stesso procedimento può pure applicarsi alla ricerca
degli ordini delle altre rigate p, rl(i), £(i).
§ 19. — Dai paragrafi antecedenti, riassumendo, si deduce :
« Sulla varietà $ esistono otto superficie rigate , delle quali una —
le cui generatrici si appoggiano a tutti e tre i piani x(i) — è del
Sulla varietà quantica con tre piani semplici ecc.
17
14° ordine, tre — formate ciascuna da rette incidenti due soli di
quei piani — sono del 16° ordine , altre tre — formate da rette
che si appoggiano ad un solo dei medesimi piani — del 39° or-
dine, ed infine un’ altra — le cui generatrici non incontrano al-
cuno dei soliti piani — del 117° ordine ».
Se poi si considerano soltanto quelle rigate formate da rette
incidenti il piano %{l) (e che possono incontrare anche gli altri
due piani si trova come ordine complessivo di queste il nu-
mero 85 ; e siccome, oltre di tali rigate, esistono anche in i
due sistemi od1 di rette incidenti il piano %(1) e giacenti 1’ uno
in tl,2) 1’ altro in n(3), avremo che quell’ ordine deve considerarsi
come uguale a 87. Cioè : « L’ ordine della superficie rigata,
costituita dalle rette di una varietà — dello spazio a quattro
dimensioni, del quarto ordine e con un piano semplice — incidenti
questo piano medesimo, è uguale a 87. (*).
(*) Cfr. 6. Marletta « Sulla varietà delle rette contenute in una o più forme algetriche »
Capo IV — § 2, 2 ( Rendic. dell’Accademia Gioenia di Catania. Serie IV, voi. XVI).
'
Memoria XII.
Azione fisiologica dei Sodio e del Litio
per il Prof. ANTONIO CORCI
Intendiamo per azione fisiologica di un elemento f non al-
l’ordinario stato atomico e molecolare, ma bensì combinato, in
modo che in soluzione nel sangue come atomo-ione scisso o non,
possa agire, mediante la sua carica elettrica positiva o negativa,
sul sistema nervoso o su altro ordine di cellule (ognuna delle
quali è un protozoa o archizoa, costituito a sistema elettrogenico
tra protoplasma e nucleo).
Quando si tratta di sali minerali, 1’ elemento basico o ione
positivo è quello che manifesta l’azione ; mentre quello acido o
ione negativo ossidato è senz’ azione (1) tranne quando possa
nell’ organismo disossidarsi e rendersi ione libero e semplice
(come 1’ arsenico, il selenio, il tellurio.
Ond’ è che studiando 1’ azione dei sali, si osserva sempre la
stessa azione quando resta lo stesso ione basico, variando 1’ acido;
mentre 1’ azione varia col variare la base , restando lo stesso
acido.
Ecco perchè nella intitolazione di questo scritto e di altri
dello stesso genere indichiamo l’elemento attivo, invece dei suoi
sali.
È da 25 anni che mi occupo dell’ azione degli alcalini ed
alcalino-terrosi, sia perchè essi facienti parte degli organismi vi-
venti debbono certamente esercitare una funzione importantis-
sima nella vita, sia perchè questa funzione, appena intraveduta,
si potrà conoscere più o meno dall’ azione fisiologica.
(1) V. Curci. — Funzione dell’ ossigeno nei composti. — Il Progresso Medico, Napoli, 1891.
Atti Acc. Serie 4ft, Vol. XVIII - Meni. XII.
1
2
Prof. Antonio Curci
[Memoria XII.]
La funzione di tali elementi non è distinguibile ai nostri
sensi, durante l’esplicazione normale dei fenomeni vitali, onde
è necessario usare 1’ artificio di esagerare la loro azione , per
renderla più rilevante e distinguerla dagli altri fenomeni, e così
poterla conoscere nella sua sede e meccanismo. A fare ciò si fa
arrivare nel sangue una dose dapprima minima e poi crescente
fino a produrre la morte, onde aver tutto il quadro completo
deflazione e dei fenomeni esagerati, resi più manifesti.
Da ciò poi si possono detrarre dei dati per conoscere la fun-
zione e la importanza fisiologica di un elemento.
Ho già studiato l’azione fisiologica del potassio (Atti dell’Ac-
cademia Grioenia ecc. Serie 4a voi. XVII , Catania, 1904). Pre-
sento adesso le ricerche fatte sull’ Azione fisiologica del Sodio
e del Litio.
I. Azione del Sodio.
Di questo elemento ho usato diversi sali, bicarbonato, fo-
sfato, solfato, nitrato, cloruro, solfato e solfito e quelli della serie
dell’ acido solfovinico. Le numerosissime esperienze sono oggetto
di una lunga memoria in corso di pubblicazione sul giornale In-
ternazionale di Scienze Mediche di Xapoli, per cui io qui riporto
un sunto , per non lasciare una interruzione e perchè 1’ azione
del sodio deve essere messa in confronto di quella degli altri
elementi alcalini ed alcalino-terrosi.
L’ azione del sodio è stata in precedenza studiata da altri
sperimentatori, tra cui, come più notevoli, sono da menzionarsi
Kunde, Chirone, Richet ecc: col cloruro, Palck col fosfato; ma
da essi non risulta la conoscenza completa dell’azione riferibile
all’elemento sodio ; gli autori hanno per obbiettivo principale
razione del sale e da questo punto di vista il più importante è
quello di Chirone fatto con la collaborazione di Testa, mentre
il più che si allontana è quello di Richet, il quale studia la tos-
sicità relativa dei diversi alcalini e non mira ad altro.
Azione -fisiologica del Sodio e del Litio
3
Riporto integralmente quanto scrissi a proposito del sodio
nel mio lavoro « La Farmacologia secondo la legge periodica del-
la Chimica « (La Terapia Moderna, Napoli 1888).
Le antiche esperienze di Gruttmann avevano fatto credere
come tuttora si crede ad onta dei lavori succitati, che mentre i
sali di potassio fanno paralizzare il cuore , i sali di sodio non
avrebbero alcuna azione nè sul cuore, nè sul sistema nervoso, e
che soltanto a gran dose produrrebbero la morte per paralisi
generale !
Questo è completamente inesatto se non erroneo del tutto,
come si vedrà da quanto passo a dire, secondo risulta dalle mie
lunghe ricerche sperimentali.
Nelle rane con 10 a 20 cg. di carbonato o altro sale sodi-
co, si ha subito una contrattura dei muscoli bagnati dalla solu-
zione, la quale si manifesta come un forte spasmo , che si dis-
sipa dopo un po’ di tempo. Analoga all’ azione locale si svilup-
pa un’azione generale dopo l’assorbimento, e perciò pei sali di
sodio, le due azioni sono della stessa natura.
Nel principio 1’ animale è eccitato e si agita molto, la sen-
sibilità e 1’ eccitabilità in generale è aumentata. Lasciandolo in
riposo senza molestie, a capo di una o due ore, l’animale nel
dare un salto spontaneo o provocato è preso da una convulsione
perfettamente tonica , onde vi resta per qualche minuto rigido
e stecchito come pezzo di legno.
Questi accessi convulsivi possono ripetersi parecchie volte e
farsi più frequenti e più intensi. Negl’ intervalli vi è un conti-
nuo movimento fibrillare dei muscoli. La contrazione muscola-
re, eccitata in qualunque modo, anche con la pinzetta, ha una
durata più lunga della normale, è quindi più tonica. Nello stesso
giorno o in quello seguente, l’animale muore per un forte stato
tetanico, restando disteso e rigido.
Dopo la morte si conserva per lungo tempo 1’ eccitabilità
nerveo-muscolare, la quale in vita ed anche dopo morte pare
molto aumentata.
4
Prof. Antonio Curci
[Memoria XJ1J.
Il cuore si trova arrestato contratto e vuoto di sangue.
Intercettando con apposita legatura l’afflusso del sangue ad
uno o ai due arti posteriori di una rana, fatta l’iniezione nel-
le parti anteriori alla legatura e poi lasciato l’animale indistur-
bato, a tempo opportuno si osserverà una o due convulsioni ge-
nerali a tutto il corpo e la rana morendo per tetano resta tutta
distesa e rigida, compresi gli arti posteriori, che non ricevono
sangue e quindi neanche il sale iniettato.
Ciò indica che il sodio agisce nei centri cerebrali e spinali,
che eccita intensamente sino a produrre fortissime convulsioni
toniche.
In tale esperimento, bisogna notare, che i muscoli privi
della circolazione sanguigna non mostrano aumentata la tonicità
e la contrattilità come gli altri, e cioè non sono capaci di fare
una contrazione di durata di maggiore del normale. Ciò dimo-
stra che oltre 1’ azione centrale, vi è anche una periferica.
Recidendo un nervo sciatico o del plèsso sacrale, dopo l’ i-
niezione del sale sodico o prima, si avrà la convulsione generale,
meno nell’arto paralizzato per il taglio dei nervi ; ma i muscoli
di questo arto sono sempre più irritabili del normale, nello
stesso modo come gli altri. Del pari, ad una rana già nello
stato convulsivo, recidendo il midollo spinale al livello del ri-
gonfiamento brachiale, si aboliscono gli accessi convulsivi, ma
l’eccitabilità dei nervi e dei muscoli è sempre notevolmente au-
mentata.
Con l’atropina si ottiene la soppressione completa dei feno-
meni convulsivi e dell’aumento dell’eccitabilità nerveo-muscolare.
Col curaro, iniettato ad una rana nello stato convulsivo, si ot-
tiene momentaneamente la soppressione dell’ aumentata irritabi-
lità muscolare e definitivamente 1’ abolizione delle convulsioni
generali.
Tutto ciò ci conduce a concludere che il sodio ha azione
eccitante e convulsivante non solamente sui centri nervosi cere-
brali e spinali, ma anche sui nervi periferici sino alle placche
Azione fisiologica del Sodio e del Litio
5
motrici. Sui muscoli agisce aumentando la irritabilità, la capa-
cità contrattile e la durata della contrazione ; ma è dubbio se
ciò lo faccia direttamente sulla sostanza muscolare o solamente
per mezzo delle placche motrici intramuscolari : forse nell’ uno
o nell’ altro modo.
Nei mammiferi, 1’ iniezione intravenosa di grin. 1 V2 a 2
per ogni cbg. di animale, produce i primi accessi convulsivi,
alcuni epilettiformi, ma ordinariamente tonici ed intensi. La con-
vulsione sodica somiglia alla convulsione stricnica e ammonica.
I fenomeni convulsivi incominciano dai muscoli della faccia,
della testa e del collo, e di là in giù per cui si ha trisma, con-
trattura della nuca, poi dei muscoli scapolari e toracici, per cui
gli arti respiratorii divengono più rari e più profondi fino a
che si arrestano nella fase inspiratoria forzata. È necessario da
questo momento fare la respirazione artificiale, senza la quale
l’animale ne muore asfissiato, senza manifestare alcun fenomeno.
Questo fatto ha tratto in inganno gli antichi sperimentatori, i
quali, non accorgendosi di questo tetano respiratorio, vedevano
morire gli animali senza saperne la ragione e attribuivano
erroneamente la morte a paralisi generale.
Evitato questo pericolo, sorgono poi tremori e scosse generali. I
muscoli sono notevolmente eccitabili, perchè facilmente si contrag-
gono tonicamente col solo stropicciamento della cute soprastante.
Continuando l’ iniezione e giungendo a grammi 3 o 4 per
clig. d’animale, si svolgono convulsioni generali toniche, violenti,
fortissime : opistotono permanente , accessi tetanici frequenti,
contrazione dell’ orbicolare delle palpebre, globi oculari fissi,
midriasi, immobilità dell’ iride alle variazioni della luce. La
pupilla si restringe negl’ intervalli degli accessi.
Queste lunghe ed intense convulsioni tetaniformi, con brevi
momenti di leggiera remissione, durano per molto tempo, e
1’ animale anche non morendo rimane affetto da una grande
eccitabilità generale, in modo che in ogni suo atto, anche se si
atteggia a bere, è preso da forti scosse e spasmi quale idrofobo.
6
Prof. Antonio Curci
[Memoria XII. |
Ma a 5 o 6 gram : di sale sodico per clig. di animale, gli
accessi tonici fortissimi cominciano a indebolirsi, diventano clo-
nici, quasi epilettiformi, leggieri, fugaci, fìncliè cessano del tutto
e sono seguiti da paralisi generale, per esaurimento.
Il rilasciamento comincia dall’estremo cefalico, dove ebbero
inizio le convulsioni, cessa il tri sma e cade la mascella, che
prima era fortemente serrata, il capo casca per proprio peso,
vi è inerzia dei muscoli della faccia ; la terza palpebra spor-
gentissima quasi fino a metà della rima palpebrale ; miosi in-
tensa, riflessi palpebrali diminuiti e poi spenti, perdita di co-
scienza. Tutto ciò mentre continuano ancora i fenomeni convul-
sivi nel tronco e negli arti. Indi si rilasciano i muscoli toracici,
(seguitando la respirazione artificiale) quelli degli arti anteriori,
poi quelli del tronco, ed in ultimo quelli degli arti posteriori.
A questo punto l’ animale, privo di ogni moto e senso, è
un corpo morto, di cui solo vivente e superstite è il cuore, il
quale in seguito pure si arresta senza manifestarsi alcun feno-
meno. Dopo poco segue una forte rigidità muscolare.
All’ autopsia si nota un po’ di congestione degli organi in-
terni per effetto delle convulsioni; edema del pillinone; cuore
ineccitabile in sistole ; i muscoli striati eccitabilissimi ed anche
spontaneamente dopo scoperti e messi in contatto dell’ aria fanno
delle contrazioni fibrillari ; la contrazione idio-muscolare è note-
volissima, in quantocchè strisciando la punta del bistori, si forma
un cordone rilevato, che persiste molto tempo.
In quanto all’azione sulla circolazione sanguigna, cioè cuore
e vasi io ho osservato quanto segue.
Nei batraci con gram ; 0,10 a 0,20 di sale sodico si ha una
riduzione numerica dei battiti del cuore, previamente messo allo
scoperto; la sistole e la diastole sono più ampie e più energiche,
molto notevoli e di maggiore durata, infine la diastole diviene
prevalente ; il cuore grosso e pieno di sangue nella diastole, si
vuota completamente nella sistole. Molto tempo dopo morto l’a-
nimale, il cuore cessa di funzionare, e allora si arresta in dia-
Azione fisiologica del Sodio e del Litio
7
stole, vuoto di sangue, ma poi in ultimo insensibilmente si con-
trae forse per rigidità cadaverica.
Col cuore isolato, staccato dall’ animale, immerso in una
soluzione sodica al 5 e 10 %, dapprima e per breve tempo, i
battiti si accelerano, poi sono intermittenti, indi ritornano re-
golari, in ultimo si rallentano fino all’ arresto completo.
Nei mammiferi coll’iniezione intra venosa di grani. 0,40 a
1 circa per clig. di animale, si ha un forte aumento della pres-
sione arteriosa da 160 millim. Hg normale a oltre 250 insieme
con un notevole aumento della pressione cardiaca ; con ciò il
polso è più lento ma assai più forte, i tracciati sfigmografici pre-
sentano curve di una straordinaria altezza ed ampiezza con ca-
ratteristici prolungamenti diastolici.
Se si curarizza un cane sino all’ abolizione completa dei
riflessi vasomotori^ il sodio non produce più i descritti fenomeni
di eccitamento ; ciò che indicherebbe che il sodio agisce ecci-
tando il sistema nervoso vasomotore non che quello eceitomotore
cardiaco centrale e periferico, mentre non pare che abbia azione
sui muscoli, cioè agisce per mezzo dei nervi.
Infine il sodio produce una intensa ipertermia, p. e. da 38°, 2
temperatura iniziale di un cane è salita 43°3 ; ad un altro da
39 a 43°, 2 ; ad un altro da 39 a 41. Questa ipertermia è ac-
compagnata dalle convulsioni e siccome con previa curarizza-
zione non si ha più nè ipertermia nè convulsioni, così pare che
queste sieno causa di quella. Ma in un altro nostro lavoro pre-
cedente sulla termogenesi animale e natura della febbre, pub-
blicato in questi Atti, abbiamo dimostrato che l’ipertermia è con-
comitante colle convulsioni, non è dipendente da queste.
Risulta dalle nostre estese e lunghe ricerche che il sodio
adunque è un elemento alcalino, il quale eccita il sistema ner-
voso cerebro-spinale e quello vegetativo del gran simpatico, tanto
nei centri che nella periferia ; ragione per cui esso, quando si
trova nel sangue in grande quantità, come facciamo noi artifi-
cialmente iniettando un sale nella vena, eccita enormemente sino
8
Prof. Antonio Curci
[Nemoria XII.]
all’ irritazione tutto il sistema nervoso e perciò da una parte vi
produce le intense convulsioni tetaniformi generali, dall’ altra
aumenta l’eccitabilità nerveo-muscolare, per cui la contrazione
muscolare è di lunga durata e persiste dopo cessato lo stimolo ;
perciò la funzione degli apparecchi muscolari quali il cuore ed i
vasi si esagera, donde la maggiore forza ed ampiezza della sistole
e della diastole e 1’ enorme aumento della pressione sanguigna.
È da domandarsi in che modo il sodio operi questo grande
eccitamento. Io credo che si spieghi benissimo senza fare ipo-
tesi, cioè partendo dal fatto, che 1’ energia che si emana dal si-
stema nervoso è energia elettrica, che questa è quella che pro-
muove la contrazione muscolare, come ho dimostrato nel mio
libro « Organismo vivente e la sua anima * (1), e che perciò il
sodio, quale ione con carica elettrica positiva, in contatto delle
cellule nervose vi produce per induzione nel protoplasma elet-
tronegativo , e quindi nel nucleo positivo un aumento del po-
tenziale della cellula, donde lo svolgimento di una intensa cor-
rente di azione, centrifuga , la quale come corrente interrotta ,
produce la contrazione tonica dei muscoli.
Tutto ciò non è affatto ipotetico, come potrebbe parere a
chi suona nuova la mia teoria, ma è provato sperimentalmente,
inquantocchè un sale di sodio applicato su di un nervo col mu-
scolo, messo sui cuscinetti del galvanometro, mentre vi produce la
contrazione muscolare, vi manifesta la così detta corrente di azione.
In questo fatto è obbligo di logica ammettere che la corrente di
azione prodotta dal sale sodico nel nervo è quella che nel mu-
scolo determina la contrazione. Altri fatti e argomenti dimostrano
che 1’ energia nervosa o vitale non è che energia elettrica.
È questa energia che sotto l’ influenza del sodio, come di
altre sostanze similmente convulsivanti ( ammonio , stricnina
ecc : i quali agiscono per 1’ idrogeno, altro elemento omologo
più attivo del sodio ed egualmente elettrizzante ) si svolge dai
(1) Editore Alberto Reber, Corso V. E. Palermo.
Azione fisiologica del Sodio e del Litio
9
centri nervosi, e vi produce le intense contrazioni muscolari.
Così quando si fa P iniezione sotto la pelle, come abbiamo ve-
duto, allorché la soluzione del sale sodico entra tra le masse
muscolari ed i nervi relativi , si ha una fortissima contrazione
spasmodica, per azione locale (si dice) cioè per sviluppo locale
di forte corrente elettrica che determina la contrazione spasmodica.
Da ciò si vede cosa è quest’ azione locale irritante e come essa
sia identica a quella generale, che il sodio esercita internamente
sulle cellule e fibre nervose.
Quando poi il sistema nervoso centrale è in tal modo irri-
tato, da sviluppare enorme quantità di correnti centrifughe di
azione che sono alternate o interrotte ; di queste, una parte pro-
ducono la contrazione muscolare, altre in eccesso si trasformano
in calore alla periferia, dove trovano resistenza e non sono atte
a produrre una funzione, in cui neutralizzarsi. Da ciò l’ipertemia.
A questo proposito bisogna ricordarsi che P energia elettrica ,
quando non le si faccia eseguire del lavoro, si trasforma com-
pletamente in calore, e che la quantità di calore, sviluppato in
un circuito di una corrente (o parte di esso) nell’unità di tempo,
è proporzionale alla resistenza ed al quadrato dell’ intensità di
corrente (Legge di Ionie).
Perciò si ha P ipertermia insieme colle convulsioni senza
esserne dipendenti da queste, e P istessa produzione del calore
durante il lavoro non è dipendente dalla contrazione muscolare
come si crede, almeno in gran parte. Perciò nella paralisi cu-
rarica vi mancano convulsioni ed ipertermia, poiché è impedito
lo sviluppo delle correnti dalle estremità nervose.
IJS. Azione del JAtio.
T. Husemann (1) ha studiato P azione del cloruro e di altri
sali di litio. Egli dimostra inammissibile la legge di Pabuteau.
Secondo Husemann, P azione dei sali di litio è simile a quella
(1) Uber das Kabuteau’sche Gezetz der tosischen Wirckung, Gaetting. Nachrickt, 1875,
u. 5.
Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Mem. XII.
2
10
Prof. Antonio Curci
[Memoria XII. |
dei sali potassici, giacché essi producono nelle medesime dosi di
questi tanto negli animali a sangue caldo che nelle rane, arresto
diastolico del cuore e morte. Il litio diminuisce il numero delle
pulsazioni cardiache ed arresta il cuore in diastole in un momen-
to in cui l’eccitabilità dei nervi, dei centri nervosi e dei muscoli è
conservata, ed in cui gli eccitamenti meccanici , chimici e ter-
mici possono provocare ancora dei movimenti riflessi. L’ eccita-
bilità elettrica del cuore non tarda a spegnersi dopo 1’ arresto
definitivo. L’ arresto completo del cuore è preceduto da periodi
in cui si sofferma in diastole, fatti dovuti, secondo Husemann,
ad eccitamento del vago, perchè non si osservano quando que-
sto nervo è reciso o F animale atropinizzato.
Il sistema nervoso centrale e periferico , come pure il tes-
suto muscolare non resterebbero affatto intatti , specialmente se
i muscoli sono stati messi in contatto diretto col litio. Nelle rane
si potrebbe sopprimere per mezzo del litio il tetano stricnico.
Diminuisce la temperatura ed aumenta la secrezione urinaria.
Più recentemente Brunton e Cash, in una nota preliminare
sull’ azione del calcio, del bario e del potassio sui muscoli , di-
cono che il litio paralizza i nervi motori come il potassio e dimi-
nuisce la contrattilità.
Come si vede ben poco si conosce sull’ azione generale dei
sali di litio, anzi le conclusioni di Husemann non sono conformi
alla verità' dei fatti.
Sui batraci abbiamo trovato che l’arresto del cuore, dipen-
dente dall’ azione del litio, è la causa prima della morte e dei
fenomeni consecutivi, che Husemann a torto attribuisce al litio.
Nemmeno possiamo confermare 1’ azione sul pneumagastrico e
sulla contrattilità muscolare; sui mammiferi anche abbiamo ot-
tenuto fatti ben diversi.
Azione sul sistema nervoso e muscolare.
Il litio per la sua azione generale si avvicina al sodio e
niente affatto al potassio ; ambedue nei mammiferi producono
Azione fisiologica del Sodio e del Litio
11
gli stessi fenomeni, ma nei batraci, il litio se ne allontana un
poco. Il litio forma coll’ acido carbonico e fosforico dei sali po-
chissimo solubili, perciò io nelle mie esperienze principalmente
ho usato il citrato e per controllo il fosfato acido ed il cloruro.
Ad una rana o ad un rospo, iniettando nei sacelli linfatici
dorsali o nelle cosce 5 a 10 centigrammi di citrato, poco dopo
s’ indeboliscono i movimenti volontari, si arrestano i movimenti
ioidei, ma vi sono contrazioni fibrillari dei muscoli, e questi ec-
citati direttamente con pinzetta, spiegano una contrazione tonica
come sotto 1’ influenza del sodio. Convulsioni generali mancano
e solamente si possono osservare dei leggieri spasmi. Intanto men-
tre ancora vi sono persistenti i movimenti volontari e riflessi, il
cuore si arresta; ed è dopo ciò che l’animale si paralizza e muore
e non per azione del litio, come credè Husemann.
Quindi negli animali a sangue freddo, il litio eccita la con-
trattilità muscolare e paralizza il cuore con una certa rapidità,
in modo che s’impedisce 1’ azione ulteriore , e quindi 1’ arresto
della circolazione è causa principale della paralisi e morte dello
animale. Così si comprende perchè Husemann otteneva la sop-
pressione del tetano stricnico col litio nelle rane, non per azione
antagonistica, come a lui parea, bensì per la morte in seguito
all’ arresto precoce del cuore. Quale tetano può sviluppare la
stricnina in un organismo morto ?
I muscoli, bagnati direttamente dalla soluzione del sale li-
tico, perdono assai presto la contrattilità come fa il potassio ; al
contrario quelli che vengono influenzati per mezzo del sangue
circolante, mostrano la loro contrattilità aumentata e la conser-
vano a lungo, come fa il sodio.
Nei mammiferi poi, il litio produce un tipo di azione iden-
tico a quello, che dà il sodio per forma, decorso e sede.
Esperienza 8 Maggio 1885 — Ad un topo, iniettata- sotto la cute la dose
di 5 centigrammi di citrato di litio, dopo 5 minuti nascono tremori convulsivi,
limitati agli arti anteriori, al collo ed alla testa , die durano e si ripetono
per parecchio tempo. Poi si sviluppano convulsioni generali, a cui segue ab-
12
Prof. Antonio Curci
[Memoria XII. J
battimento , finché è venuta la morte per asfissia. Cuore in diastole conte-
nente sangue nero.
Così ad un sorcio di grammi 226, iniettato sotto la cute 1 grammo del
citrato, poco dopo tremori convulsivi della testa, poi anche del tronco, indi
convulsioni generali e morte in un accesso tetanico.
Esperienza 28 Aprile 1885. — Cagna da caccia di kg. 5,700 ; iniezione
uella giugulare di citrato litico in soluzione al 5 °/0.
Iniettati 40 centigrammi, vi è acceleramento del cuore, affanno alternato
da lunghe pause inspiratone.
Iniettato 1 grammo, vi è trisma, contrazione dei muscoli cervicali,
scapolari e degli arti anteriori, opistotono, globi oculari fissi, nella direzione
dell’asse dell’ orbita, esoftalmo, divaricamento delle palpebre, midriasi. Indi
aumento dello spasmo tonico dei muscoli cennati, per cui gli arti anteriori
sono distesi e rigidi. Poi convulsione tonica generale. I muscoli eccitabilis-
simi al punto, che un moderato stropicciamento ne determina la contrazione.
Continuando 1’ iniezione, i fatti convulsivi aumentano d’ intensità e si
nota un evidente aumento dell’ eccitabilità e dei movimenti riflessi. Lo stato
convulsivo si fa permanente, ma suscettibile di esacerbazioni, la convulsione
è sempre tonica a forma di opistotono; durante gli accessi o le esacerbazioni
vi è arresto della respirazione.
Giunti ad iniettare altri grani: 3,60 di sale si ha la contrazione tonica
permanente dei muscoli della respirazione ; a questo punto per impedire
l’asfissia si pratica l’insufflazione dell’aria. Per l’invadeute asfissia s’indebo-
livano le convulsioni ed il cuore minacciava arrestarsi, in seguito alla re-
spirazione artificiale, il cuore si è rinforzato e lo stato convulsivo si è molto
accentuato.
Giunti ad iniettare il 5° grammo, incomincia il rilasciamento dei mu-
scoli mascellari e cessazione del trisma, rilasciamento dei muscoli cervicali,
perdita di coscienza, mentre continuano gli spasmi tonici del tronco e degli
arti. Poi iniettati altri 1,80, cessa ogni fenomeno convulsivo e viene la
paralisi generale, morte del sistema nervoso centrale, mentre resta vivente
solo il cuore ; questo si è arrestato dopo iniettati altri 60 centigrammi.
In tutto si sono iniettati grammi 7,40 di citrato di litio.
Come si vede da queste esperienze, il litio produce lo stesso
tipo di azione del sodio, se non che agisce a minor dose.
Quindi anche col litio abbiamo le convulsioni toniche che
cominciano dal treno anteriore e poi diffondendosi si rendono
generali. IsTell’ istesso modo avviene la paralisi : morte del cer-
vello, del midollo allungato e del midollo spinale, in ultimo
del cuore.
Azione fisiologica del Sodio e del Litio
13
Se non si adopera la respirazione artificiale a tempo oppor-
tuno, 1’ animale, e singolarmente il cuore, può morire di asfissia
o durante le convulsioni per tetano dei muscoli respiratorii o
nell’invasione della paralisi, per paralisi degli stessi muscoli.
Riportandoci a quanto abbiamo detto del sodio, ci asten-
ghiamo dal ripetere talune considerazioni sul meccanismo di
azione, cioè sul fatto che esso come ione positivo elettrizzi per
induzione il sistema cellulare elettrogenico e così ecciti il sistema
nervoso cerebro spinale.
Quindi il litio come il sodio è un agente convulsivante ,
facendovi sviluppare enorme quantità di energia sotto forma di
corrente centrifuga di azione dai centri nervosi.
Azione sul cuore e sulla circolazione del sangue.
Nei batraci il litio ha una potenza di azione che si avvicina
a quella del potassio. Facendo nelle cosce di una rana o di un
rospo l’iniezione di circa 5 centigrammi di citrato litico , dopo
aver messo allo scoperto il cuore, si osserva la progressiva ridu-
zione numerica dei battiti, una prevalenza e maggiore ampiezza
della diastole ed una sistole incompleta, finché si ha 1’ arresto
in diastole. La paralisi del cuore avviene in detti animali assai
prima della paralisi del sistema nervoso.
Atropinizzando gli animali e poi iniettando il sale litico, si
ottengono gli stessi effetti; è strano che io a questo riguardo ho
avuto risultati contrarii a quelli di Husemann e non posso con-
fermare l’azione sul pneumagastrico, che io non ho potuto vedere.
Nei mammiferi il litio spiega un’azione simile a quella del
sodio e del potassio, come si può vedere dalle seguenti esperienze.
Esperienza , 10 Maggio 1887. — Cagnolina piccola di chg. 2,600, non cu-
rarizzata — Soluzione di ClLi grani. 3, Acqua gr. 50.
Ora
12, 42
Pressione
160
Iniezione
di
0,50
di LiCl
» 44
160
» 45
160
Iniezione
di
0,25
h
190
Iniezione
di
0,75
— Vomito.
1, 3
200
14
Prof. Antonio Pur ci
[Memoria XII].
Ora
Pressione
b
8
150
Iniezione di 1,50
1, 14
180
Tetano dei muscoli respiratorii.
1, 21
130
Iniezione di 1,50. Trisma, opistotouo, convulsioni
generali.
1, 24
110
Iniezione di 0,75.
1, 25
130
Iniezione di 1,00.
1, 27
Iniezione di 1,00. In tutto 6 gr.
1, 32
90
Continuano le convulsioni.
Polso lento e forte.
1, 35
50
Cessate le convulsioni.
b
40
40
Paralisi generale, rilasciamento ; polso debole ,
lento, irregolare.
1, 45
30
Eccitando il nervo crurale e lo sciatico, nessun
aumento della pressione arteriosa, nè ecci-
tamento del cuore , uè movimenti generali
riflessi ; eccitabilissimi i muscoli.
1, 50
5
Polso rarissimo, debolissimo.
1, 52
0
Polso piccolissimo, rarissimo.
1, 54
arresto
del cuore.
Si deduce da questa esperienza che il Li comincia coll’ ec-
citare gli organi della circolazione (aumento della pressione e
ri n forzamento con rallentamento del cuore) ; indi agisce sul si-
stema nervoso eccitandolo sino alle convulsioni generali, e poi
paralizza sistema nervoso e sistema circolatorio. Quando la pres-
sione è bassa tra 40 e 50 millm. di Hg. I7 eccitamento di un
nervo sensitivo (crurale, sciatico) non eccita il cuore, non fa au-
mentare la pressione, uè dà movimenti riflessi generali ; mentre
la pressione scende a 0 prima che il cuore si arresti : ciò indica
che il Li paralizza il sistema nervoso cerebro-spinale e vasomotore
dopo averlo eccitato.
Esperienza 2 Maggio 1885 — Cane bastardo di chg. 6, curarizzato ;
iniezione nella vena giugulare di citrato di litio in soluzione al 5 °/0.
Ora Pressione
12,52' p. 140
12,53' iniezione di 0,20
Azione -fisiologica del Sodio e del Litio
15
Ora Pressione
12,54' 120
12,56' 170 iniezione di 0,40
12,57' 175
1,00 iniezione di 0,20
1, 3' 140
1, 4' 180
1, 5' 155
1,19' 160
Così in seguito, ad ogni iniezione immediato abbassamento della colonna
manometrica per azione inibitrice momentanea e poi innalzamento al di so-
pra del normale. Ma dopo aver iniettato in diverse volte altri 3 grammi,
alle ore 2, la pressione si è abbassata a 80, poi a 50 ed il cuore si è arre-
stato gradatamente, allorché in tutto si sono iniettati grammi 3,80 di
citrato di litio.
Quindi il litio, durante l1 iniezione produce momentaneo
abbassamento della pressione sanguigna, poi notevole aumento
con enorme rallentamento ed aumento delle curve sfigmografiche
del polso ; da ultimo graduato abbassamento della pressione ed
indebolimento del polso. Durante l1 aumento della pressione si
possono avere le intermittenze del polso come per insufficienza
valvolare.
Il meccanismo di quest’ azione eccitante del litio sul cuore e sui vasi
apparisce quale esso sia dalla seguente esperienza 4 Aprile 1885.
Cane di ehg. 5,200, curarizzato sino all’ abolizione completa di riflessi
vasomotoria
Ora
Pressione
12, 5
55
Eccitando il crurale e lo sciatico con corrente
non si ha elevamento di pressione nè ecci-
tamento delle pulsazioni cardiache-
12, 18
50
iniezione di 0,20 di citrato di litio.
12, 19
100
12, 20
145
Polso più raro, più ampio.
12, 25
55
Eccitando i nervi suddetti, nessuna modifica della
pressione e del polso : ciò è seguo di sicura
paralisi vasomotoria.
16
Prof. Antonio Curci
[Memoria XII.]
Ora
Pressione
12, 28
55
12, 30
85
12, 31
80
12, 32
90
12, 33
95
12, 34
100
12, 35
80
12, 49
50
12,
50
145
12,
51
150
12,
52
140
12,
53
80
12,
54
55
Iniezione di 0,20 ClLi.
Iniezione di 0,20 di ClLi.
polso più ampio, più forte, più raro.
Iniezione di altro curaro e assoluta paralisi dei
vasomotori. Indi iniezione di 0,20 di citrato
di Litio.
Da questa esperienza risulta che ad onta della paralisi dei
nervi vasomotori mediante il curaro e perciò abolizione dei ri-
flessi vasomotorii e cardiaci, 1’ iniezione del sale di litio ha pro-
dotto F aumento della pressione sanguigna non che il rallenta-
mento con rinforzamento delle pulsazioni cardiache.
Vale a dire che il litio fa a meno dei nervi, e a somi-
glianza del potassio, agisce direttamente eccitando la fibra mu-
scolare del cuore e dei vasi. In ciò differisce dal sodio, il quale
come abbiamo visto agisce eccitando i nervi, mentre gli effetti
apparenti sono simili. Von si può escludere che agisca eccitando
anche i nervi del gran-simpatico, sebbene non dimostrato.
Il litio paralizza il cuore con minor dose del sodio ; così
oltre i due esempi esposti si rileva ciò da questi altri : cagna
volpina di kg. 5 è morta con grammi 3,20 di citrato ; cagna
da caccia di kg. 8,600, con gramin : 6,40 di citrato ; cagnolina
bastarda di kg. 3 con 0,80 di fosfato acido ; e da un calcolo
molto approssimativo mi risulta che incominciano i fenomeni
convulsivi a 0,25 per ogni chilogr. d’animale, mentre del sale
di sodio ci vogliono circa 2 grammi per lo sviluppo delle con-
Azione fisiologica del Sodio e del Litio
17
vulsioni e 5 a 6 grammi per F arresto del cuore per la stessa
proporzione dell’ animale.
Infine devo fare notare, come risulta da ciò che abbiamo
esposto, che Fazione del litio è un pò differente negli animali a
sangue freddo ed in quelli a sangue caldo ; in questi è in tutto
simile a quella del sodio, in quelli manifesta un’ azione più e-
nergica sul cuore, che paralizza prima di ogni altro organo, per
cui si arresta F ulteriore svolgimento dell’ azione e somiglia a
quella del potassio.
Azione sulla termogenesi. — Il litio pare che eserciti debole
influenza sulla produzione del calore.
Riassumo la seguente esperienza :
Cagna
da caccia
di chg.
8,600 —
17 Giugno 1885.
Ora
TEMPERATURA
Rettale Vaginale Ascellare
10, 30
39, 1
39, 2
38, 5
10, 35
38,8
39, 0
38, 0
Inietto 1 gram. di citrato di litio.
10, 45
38, 7
38, 8
37, 9
Tetano respiratorio.
10, 50
38, 6
38, 7
37, 8
Iniettato 1 graiu. e poi 0,60. Tetano
10, 56
11, 5
38, 1
38, 3
37, 5
Iniettato gr. 0,40.
II, 10
11, 45
37, 6
37, 5
Iniettato 1 gr. Convulsione tetanica più intensa.
36, 6 Tetano permanente.
12, 00
38, 0
38,0
36, 6
Convulsioni coutiuue.
12, 55
38, 6
38, 7
37, 9
Iniettato 1 gram.
12, 45
39, 0
39, 0
38, 6
Iniettati gr. 0,80.
12, 57
39, 1
39, 1
38, 7
Calmate un pò le convulsioni. Inco-
1, 5
Iniettati
gr. 0,60
Arresto
mincia la paralisi,
del cuore.
Da questa esperienza si rileva che ad onta delle intense
convulsioni, si è avuto abbassamento graduato della temperatura
e poi verso F ultimo rialzamento sino al grado iniziale.
Questa esperienza ha un interesse tutto speciale in quantoc-
chè dimostra, che pur svolgendosi intense e lunghe convulsioni
18
Prof. Antonio Curci
[Memoria XII.]
generali tetaniformi, la temperatura non si è elevata , ma anzi
abbassata, e che invece è tornata al grado primitivo quando le
convulsioni erano più deboli e cominciava la paralisi. Ciò con-
traddice alla ipotesi che ammette essere il calore prodotto dalla
contrazione muscolare, e conferma ciò che abbiamo detto a pro-
posito del sodio cioè che la ipertermia non è dipendente dalle
convulsioni, ma è un fenomeno concomitante. L’ energia svolta
dai centri nervosi sotto l’azione del litio veniva tutta consumata
per la contrazione muscolare ; in ultimo una parte di essa, non
adoperata al lavoro muscolare, si trasformava in calore. A questo
proposito vedi il mio lavoro « Meccanismo della termogenesi e
natura della febbre ».
Dal Laboratorio di Farmacologia sperimentale della R. Università.
Catania Maggio 1905.
Memoria XIII.
Doti YENTORINO SPINELLI
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
RELAZIONE
della Commissione di Revisione composta dai Soci effettivi
Proff. RUSSO e CAVARA ( relatore )
L’ Autore aveva già pubblicato nel 1902 un primo contributo, nel quale
aveva compreso Fioridee, Melanosporee, Clorosporee, raccolte da lui e da
altri nel littorale di Siracusa, Catauia e Messina. Alcune di esse figuravano
come nuove per la Sicilia ed altre importanti dal lato della distribuzione
geografica.
Continuando le sue ricerche ed in seguito a più accurato esame delle
specie studiate, fu indotto a presentare questo nuovo elenco sia per emen-
dare determinazioni non buone del primo contributo e fatte senza opportuni
materiali di confronto, sia per fornire dati più sicuri intorno alla presenza
di specie assai rare, sia infine per aggiungere nuovi materiali raccolti dopo
la pubblicazione del primo lavoro.
Trattandosi dell’ illustrazione di quelle peregrine produzioni naturali che
costituiscono la flora del mare jonico bagnante la costa orientale della Si-
cilia, la Commissione di Revisione propone all’ Accademia di accettare per
la pubblicazione nelle sue Memorie cotesta contribuzione, augurandosi che
1’ Autore, proseguendo nei suoi interessanti studi, possa farne seguire altre
parimenti meritevoli.
Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII . - Mem. XIII.
1
V
f
.
■
■
'
1
.
■
—
INTRODUZIONE
Nella mia precedente pubblicazione sulla Mora marina Si-
cilia (1) presentai un quadro di Alghe raccolte lungo la costa
orientale, alcune delle quali abbastanza importanti, perchè nuove
per la Sicilia : accennai in quell1 2 occasione ai principali lavori
d1 indole sistematica, tendenti ad illustrare la nostra flora marina,
la quale è ancora ben lungi dall’essere perfettamente conosciuta,
come lo dimostrano le continue scoperte di specie nuove.
Credo utile rifare la storia della letteratura algologica Si-
cilia, tanto più che nel « Primo contributo » in’ era sfuggito il
titolo di qualche lavoro importante, che non avevo avuto occa-
sione di conoscere e di procurarmi.
Il maggior contributo all’ algologia della Sicilia fu fornito
nel 1861 dal ehiar. Prof. Ardissone, il quale nell’ « Enumerazione
delle Alghe di Sicilia » e nella prima e seconda « Appendice
alla Enumerazione delle Alghe di Sicilia » presentò un quadro
ricco per numero di specie raccolte saltuariamente nell1 Isola o
fornitegli da corrispondenti : questo elenco subì una certa ridu-
zione, poiché alcune specie, ritenute autonome, furono nella
Phycologia mediterranea radiate nel numero dei sinonimi dallo
stesso Autore. Eu sempre perù importante perchè quelle primo
orme calcate da un eminente algologo diedero indirizzo ed im-
pulso ad uno studio tanto profìcuo.
Dodici anni dopo il Doti. Langenbach (2) pubblicò un
catalogo di Alghe vegetanti in Sicilia e a Pantelleria, nel quale
(1) V. Spinej.m — Primo Contributo all’ Algologia della Sicilia — Acireale 1902.
(2) G. Langenbach — Die Meersalgen der Imeln Sizilien und Pantelleria — Berlin 1873.
4
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XII 1
furono indicate alcune specie non trovate dall’ Ardissone : le
ricerche del Langenbach si limitarono ad un tratto brevissimo
della Sicilia settentrionale ed all’ isola di Pantelleria.
Nel 1886 1’ illustre Prof. Borzì portò alla conoscenza degli
Algologi un numero rilevante di specie nuove per la Sicilia,
descritte ed illustrate in un fascicolo di Nuova Notarisia (1),
le quali vennero ad aumentare il numero delle specie, che vanno
ascritte alla flora marina siciliana ed accrebbero la conoscenza
della ficologia mediterranea, in riguardo alla distribuzione geo-
grafica di specie rare. Nè solamente per il rinvenimento e la
descrizione di queste specie si rese benemerito della Scienza
algologica il chiar. Borzì : a lui si deve la scoperta di una
nuova Palmellacea, Clorotliecium Pirottae , rinvenuto in varie
piante acquatiche e primieramente nel Potamogeton ed in qualche
Chaetomorpha lungo le rive del Ciane, a- Siracusa.
Anche di scarso materiale fecero tesoro gli Algologi, pur
di accrescere le cognizioni ficologiche, specialmente per quanto
riguarda la distribuzione batimetrica delle specie : infatti il
chiar.mo Prof. Piccone, la cui immatura dipartita è stata grave
perdita per la Scienza, nel 1888 pubblicava un « Pugillo di
alghe sicule ». (2) « Son poche, è vero, » egli scriveva, « ma
offrono un tal quale interesse : 1° Per essere state colte a di-
screta e sopratutto ben accertata profondità, per cui sommini-
strano un dato importante nello studio della loro distribuzione
batimetrica ; — 2.° Perchè Pegssonnelia rubra J. Ag ., Delesseria
lomentacea Zanard., Litopliyllum expansum Pliil. sono specie non
registrate nei lavori riguardanti le alghe della Sicilia ». Le sei
specie determinate dal Piccone erano state dragate dal R. Av-
viso « Ischia » il 1 luglio 1887, alla profondità di 100 metri,
alla Secca di Barro, nel Golfo di Palermo.
Per opera del Piccone all’ unica Laminaria conosciuta nel
(1) N. Borzì — Nuove Fioridee Mediterranee. — (Notarisia I, 1886).
(2) A. Piccone — Noterelle Ficologiche — Genova 10 dicembre 1888 in Notarisia IV p. 666.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
5
Mediterraneo, raccolta dal kSig. Vicari a Siracusa, riferita dal
chiar.mo Prof. Ardissone a Lata . Saccarina (L.) (1), s’ aggiunse
la Laminaria digitata estratta dall'ancora della R. Nave Dandolo
nel canale di Messina, alla profondità di in. 60.
A questo stato era, per quanto io ne sappia, la letteratura
algologica sicula quando venne pubblicato il mio « Primo con-
tributo all’ Algologia della Sicilia », al quale seguì un lavoro
del Sig. Angelo Mazza (2), intelligente e distinto cultore di Al-
gologia. Nel « Manipolo d’ alghe della Sicilia » furono ripor-
tate i nomi di specie rare ed interessanti, in parte raccolte dallo
stesso autore, in parte fornitegli da corrispondenti : lo scrivente
credette bene di comunicare all’ amico Mazza qualche specie
nuova per la Sicilia, come Halymenia fastigiata J. Ag. e Cal-
ìgine ni a demissa J. Ag., perchè la iscrivesse fra le specie sici-
liane, non potendo sperare, per varie ragioni, che il presente
lavoro si desse presto alle stampe. Ricca di specie importanti,
la pubblicazione del Mazza è anche interessante per 1’ aggiunta
di un nuovo Nitophyllwm, il N. trimromaticum Rodrig. alla flora
marina italiana.
Lo studio accurato del materiale, che mi servì per la com-
pilazione del « Primo contributo », le indagini opportune e mi-
nuziose sulla presenza di alcune specie rare ed interessanti ri-
portate in quel primo lavoro, mi hanno indotto a presentare un
nuovo elenco di Alghe siciliane, col quale, scartando quelle che,
per mancanza di materiale di confronto, furono erroneamente
determinate, sono in grado di poter affermare con dati certi la
esistenza di specie non riscontrate ancora lungo la costa orien-
tale dell’ Isola e di altre non meno importanti perchè rare. Ho
escluso quelle che presentavano qualche dubbio sulla loro esatta
determinazione, sia perchè in istato imperfetto, sia perchè prive
(1) F. Aiìdissone — Phycologia Mediterranea — II, p. 142.
(2) A. Mazza — TJn manìpolo di Alghe marine della Sicilia. — Nuova No tari sia, ser. XV
Gennaio-Aprile 1904.
6
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII. |
di organi di fruttificazione e quelle inoltre che, notate nel
« Primo contributo »in base ad unico esemplare, potrebbero dar
luogo a tante supposizioni relativamente alla loro presenza fra
le deiezioni del mare. Malgrado il proponimento di non tener
conto di specie non rappresentate da più di un esemplare, ho
notato nel presente elenco Halymenia ligulata Zanard., sia perchè,
come si vedrà leggendone la diagnosi, non dovrei avere dubbio
sulla sua determinazione, sia perchè, trattandosi di specie nuova
per il Mediterraneo, il suo rinvenimento sulle coste siciliane
potrebbe indurre coloro, che possono disporre di più tempo ed
hanno più opportunità dello scrivente, a ripetere le ricerche nella
località in cui fu trovata la prima volta, con mezzi adatti, coi
quali si potrebbe far luce sull’ area di vegetazione e sulla po-
sizione batimetrica della importante Crittonemiacea.
Nello spoglio del materiale distribuito in due pacchi nel-
l’ Erbario mediterraneo del Gabinetto di botanica di Catania,
trovai esemplari con indicazioni scritte dal Prof. Tornabene,
le quali sono di grande importanza ; esse tolgono infatti ogni
dubbio sulla vera stazione di quelle specie, che riferii generi-
camente al « lido di Catania », non trovando frase più esatta
per indicare 1’ Habitat di quelle che trovai nell’ Erbario del
Prof. Cosentini, senza indicazione di località. Ora invece viene
ad esser conosciuto il punto in cui fu raccolta Cally menta de-
missa I. Ag., che dal Mazza si era, giustamente, riferita a lo-
calità imprecisata, e ciò non è di lieve importanza se si pensa
che nell’ Ionio si è rinvenuta una forma trovata finora sola-
mente presso Marsiglia.
Gli esemplari che compongono i due pacchi furon raccolti
in parte dal Prof. Cosentini, in parte dal Tornabene, come si
rileva dall’ esame delle due diversità di carattere con cui sono
scritte le indicazioni di località dal Tornabene e qualche osser-
vazione del Cosentini. Le località visitate dal Cosentini o dai
suoi corrispondenti sono le seguenti : Capo Passero, Pachino,
Pozzallo, Avola, Siracusa, Augusta, Catania, Acicastello, Aci-
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
7
trezza, Acireale, Ali, Messina. Alcuni esemplari provengono da
S. Croce Camerina, da Licata, da Porto Empedocle, da Girgenti,
da S. Stefano Camastra, le quali località non sono indicate nel
presente catalogo, che s’ occupa solo delle Alghe della Sicilia
orientale.
Del materiale comunicatomi dall’amico Mazza mi son valso
in parte, poiché mi sono attenuto solo a quello raccolto sulla
costa orientale, per aggiungere alle mie anche le sue indicazioni
di località.
Al chiar.mo Dott. A. Porti, al carissimo amico A. Mazza,
al primo dei quali debbo la determinazione delle Diatomee, al
secondo comunicazioni e consigli, rendo vivi ringraziamenti.
All’ Illustre Prof. Pridiano Cavava, che affettuosamente in’ ac-
colse nel suo Istituto, fornendomi i mezzi per rivedere il ma-
teriale precedentemente determinato e studiare quello che man
mano andavo procurandomi, che mise a mia disposizione 1’ Er-
bario del Tornabene e che provvide con tanta premura cortese
alla stampa del presente lavoro, esprimo il sentimento del più
profondo rispetto e della mia perenne, affettuosa gratitudine.
Ringrazio pure cordialmente il chiar.mo Sig. I. I. Rodriguez,
che mi fu prodigo dei suoi consigli e del suo valido aiuto.
OPERE E MEMORIE CONSULTATE
Agardh. I. — Algae maris Mediterranei et Adriatici — Parisiis 1842.
Ardissone F. — Enumerazione delle Alghe di Sicilia — Genova 1861.
» » — Appendice alla Enumerazione delle Alghe di Sicilia — Ge-
nova 1865.
— Appendice 2° all’ Enumerazione delle Alghe di Sicilia, — Ge-
nova 1867.
»
»
8
Dott. Ventvrino Spinelli
[Memobia XIII.]
Ardissone F. — Prospetto delle Ceramice italiche con tre tavole colorate — Pe-
saro 1867.
» » — Le Fioridee italiche descritte e illustrate — Voi. I e II Mi-
lano e Firenze 1868-78.
» » — Phycologia mediterranea — Voi. I e II. Varese 1883-1887.
» » — Note alla Phycologia Mediterranea — Estratto dei « Rendi-
conti » del R. Ist. Lotnb. di se. e lett. Ser. II. Vo-
lume XXXIII. 1900.
» » — Note alla Phyc. Mediterranea — 1. c. Voi. XXXIV, 1901.
» » — Rivista delle Alghe mediterranee. Parte la. Rodophyceae — 1. c.
Voi. XXXIV, 1901.
Ardissone F. e Strafforello I. — Enumerazione delle Alghe di Liguria — Mi-
lano 1877.
Borzì A. — Nuove Fioridee meditarranee — (Xotarisia I, 1886).
De Toni G. B. — Sylloge algarum omnium hucusque cognitorum - — Voi. I.
Sectio I. (Jhlorophyceae. Pata vii 1889. Voi. III. Fucoi-
deae. Pala vii 1895. Voi. IV Florideae. Sect. I, II, III.
Patavii 1897-1903.
Hauck F. — Meersalgen (in Rabenh. Kript. von Deutschland, Oesterreich und
der Schweis ) — Leipzig, 1883-85.
Kutzing F. T. — Tabulae phycologicae 1 — XIX — Nordhausen 1849-69.
» » — Species Algarum — Lipsiae 1849.
Langenbach G. — Die Meersalgen der Insen Sizilien undi Pantelleria —
Berlin 1873.
Mazza A. — Un manipolo di Alghe marine della Sicilia — Parte I. Flori-
deae (Estratto della Xuova Xotarisia, Serie XV, Gen-
naio-Aprile 1904). Parte II. Fucoideae, Chlorophyceae,
Cyanophyceae (Estratto dalla X. Notarisia, Serie XV,
Luglio 1904).
Meneghini G. — Alghe italiane e dalmatiche — Padova 1842-43.
Naccari F. L. — Algologia adriatica — Bologna 1828.
Piccone A. — Noterelle ficologiche — I. Il Fucus vesiculosus L. vive spon-
taneo in Liguria ; II. Pugillo di Alghe sicule ; III. Se
la costituzione chimica del corpo sul quale le alghe sono
affisse possa iufluire sulla loro distribuzione geografica.
(Xotarisia anno IV, 1889, n. 13, p. 664-671).
Rodriguez I. I. — Algas de las Baleares — (Auales de la Societad espanóla
de historia naturai tomo XVII, 1888.)
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
9
Spinelli V. — Primo contributo all’ Algologia della Sicilia — Estratto dalle
Meni, della R. Accad. degli Zelanti. Acireale 3a Serie.
Voi. 1° 1901-1902 p. 1-66.
Valiante R. — Monographie die Cystoseiren , in Fauna und Flora des Oolfs
von Neapel — Leipzig' 1883.
FLORIDEAE Lamx.
CERAMI ACE AE Rclib, Aaeg. emend.
Cattiti) amnieae A?/, ex p., J. Ag.
Callithamxiox, Lyngl).
I. Eucallithamnion.
1. Callithamnion Borreri (Sui.) Harv.
Cali. Borreri , Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 59 — Kg. Spec. Alg. p. 643. Tab.
Pliyc. SI, 71 — Ardiss. Enuui. Alg. Sicil. X. 114 — Ardiss. e Straff.
Enum. Alg. Lig. p. 170.
Cali, seminudum , I. Ag. Alg. medit. p. 72.
Cali, siculum , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 112.
Pleonosporium Borreri , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1303 — Hauck
Meersalgen p. 88, f. 32.
Abit. Siracusa a S. Lucia.
2. Callithamnion granulatimi (Ducluz) Ag.
Cali, granulatimi , Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 73 — De Toni Syll. Alg.
Voi. IV, Sect. Ili, p. 1331—1. Ag. Alg. medit. p. 64 — Ardiss. e
Straff. Enum. Alg. Lig. p. 171 — Hauck Meersalgen p. 87.
Phlebothamnion granulatimi , Kg. Spec. Alg. p. 658.: Tab. Pliyc. XII, f. 11,
c-e. — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 117.
Phleb. spongiosum , Kg. Spec. Alg. p. 658.: Tab. Pliyc. XII, 13, e-g.
Abit. Porto di Siracusa, in dicembre.
II. Seirospora.
3. Callithamnion subtilissimum De Not.
Cali, subtilissimum , Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 67 — Ardiss. Prosp. Gerani,
ital. p. 27, t. II, f. 6-10 — Hauck Meersalgen p. 84.
Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Meni. XIII.
2
io
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XII1.J
Cali, vermilare , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 111.
Seirospora interrupta , (Sm.) var ì subtilissima. De Toni Sy 11. Alg. Voi. IV.
Sect. Ili, p. 1347.
Abit. Porto di Siracusa, Catania, ad Ognina ed alla Plaia, in
luglio con tetraspore (Spinelli) : Catania, a Capo Mulini (Tornabene).
III. Antithamnion.
4. Callithamnion cruciatimi A g.
Cali, cruciatimi , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 76 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 1408 — I. Ag. Alg. medit. p. 70 — Kg. Spec. Alg. p.
649 : Tab. Phyc. XI, t. 87, f. a-c. — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p.
29 — Hauck Meersalgen p. 71, f. 24 C.
Cali, fragilissimurn , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 116.
Cali, decipiens, I. Ag. Alg. medit. p. 70.
Abit. Sugli scogli poco profondi, nel porto di Siracusa; Mes-
sina (Mazza).
5. Callithamnion Plumula (Ellis) Ag.
Cali. Plumula , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 78 — 1. Ag. Alg. medit. p. 71 —
Kg. Spec. Alg. p. 647.: Tab. Phyc. XI, 83, I — Ardiss. e Strali.
Enum. Alg. Lig. p. 172.
Cali, refractum, Kg. Spec. Alg. p. 650; Tab. Phyc. XI, t. 84, f. a-c.
Cali, polyacanthum , Kg. Spec. Alg. p. 648 : Tab. Phyc. XI, t. 83, f. d-c.
Abit. Porto di Siracusa, sotto le carene delle barcaccie, in
maggio, con tetraspore. Catania, sotto la carena di un bastimento
in disarmo; Acicastello, Messina e Catania (Mazza).
A questa specie deve riferirsi il Cali, polyspermum indicato
da me nel « Primo Contributo all’ Algologia della Sicilia ».
Criffithsia, Ag.
I. Sphondylocladia.
6. Criffithsia phyllamphora. I. Ag.
Griffi, phyllamphora , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 83 — De Toni, Syll. Alg.
Voi. IV, Sect. Ili, p. 1281—1. Ag. Alg. medit. p. 77 — Kg. Spec.
Alg. p. 661 — Hauck Meersalgen p. 92. — Ardiss. e Strafif. Enum.
Alg. Lig. p. 173.
Abit. Fra altre alghe a Catania , (S. Giovanni dei Cuti) , in
agosto.
Le Alghe marine della /Sicilia Orientale
11
II. Acrocladia.
7. Griffi thsia opuntioides I. Ag.
Griffi, opnntioides , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 85 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. III. p. 1272 — Hauck Meersalgen p. 94 — Kg. Spec. Alg. p. 664 —
I Ag. Alg. medit. p. 76 — Ardiss. e Strati. Enum. Alg. Lig. p. 174.
Abit. Catania, alla Plaia, in maggio. L’ unico esemplare che
possiedo presenta un color giallastro, invece del roseo, dovuto alla
decomposizione dell’ endocroma.
Ceramieae , Bonnem ex. p., J. Ag.
Ceramium, Lyiìgb.
I. Hormorceeas.
8. Ceramium diaphanum Roth.
Cer. diaphanum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 98 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV.
Sect. Ili, p. 1486 — Hauck Meersalgen p. 107 — I. Ag. Alg. me-
dit. p. 81.
Abit. Siracusa, a S. Lucia; porto di Catania, alla Lanterna.
9. Ceramium elegans Ducluz.
Cer. elegans , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 100 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 1460.
Cer. elegans var. breviarticvlatum , Ardiss. Fior. ital. I, 2, p. 36.
Rormoceras polygonum , Kg. Tab. Phyc. XII, p. 21, t. 67, f. c-e.
Gongroceras gymnogonium , Kg. Spec. Alg. p. 679.
Ceramium gymnogonium , Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. p. 176.
Abit. Porto di Siracusa e di Augusta; Catania a S. Giovanni
dei Cuti.
10. Ceramium strictum Grev. et Harv.
Cer. stridimi, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 102— De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. III, p. 1484 — Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. p. 176.
Cer. diaphanum gracile, Ardiss. Fior. Ital. I, 2, p. 36.
Gongroceras pellucidum , Kg. Spec. Alg. p. 678.
Rormoceras diaphanum, Kg. Spec. Alg. p. 675 : Tab. Phyc. XII, 68, a-f.
Abit. Porto di Siracusa ; Catania, alla Plaia ed a S. Giovanni
dei Cuti. Si rinviene frequentemente sulle foglie di Zostera.
12
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII.]
II. Phleoceras
11. Ceramium rubrum (Huds). Ag.
Cer. rubrum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 113. — De Toni Syll. Alg. Voi. IV.
Sect. Ili, p. 1476 — I. Ag. Alg. medit. p. 81 — Kg. Spec. Alg.
p. 685 : Tab. Pliyc. XII, 4 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 132 —
Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. X. 440.
Abit. Abbastanza frequente ovunque : Messina, Acireale, Ri-
posto, Catania (Mazza).
b proliferum Li/ngb.
Messina : giugno 1901.
e secundatum
Catania, a S. Giovanni dei Cuti; giugno 1901, con favelle.
III. Echinoceras.
12. Ceramium ciliatum (Ellis) Ducluz.
Cer. ciliatum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 117 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 1472 — I. Ag. Alg. medit. p. 81 — Ardiss. e Straff.
Enum. Alg. Lig. X. 438.
j Echinoceras ciliatum , Kg. Spec. Alg. p. 680 : Tab. Phyc. XII. 86, a-c. — Ardiss.
Enum. Alg. Sicil. X. 129.
Echin. hirsutum, julaceum , imbrieatum , diaphanum , Hystrix , horridum, tenellum ,
spinulosum , distans, secundatum, patens , pellucidum, puberulum , ra-
mulosum , nudiusculum , hamulatum , giganteum , Kg. Spec. Alg. et
Tab. Phyc.
Abit. Acireale (Mazza) : Catania, a Capo Mulini (Toruabene),
S. Giovanni dei Cuti, (Spinelli). Xe raccolsi in discreta quantità a
Siracusa. Priolo, Augusta, Taormina e Messina.
Cextroceras Kg.
13. Centroceras clavulatum (Ag.) Montg.
Centr. clavulatum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 121 — Ardiss. e Straff. Enum.
Alg. Lig. p. 178.
Centr. Gasparinii , Kg. Spec. Alg. p. 689.
Centr. Leptacanthum, Kg. Spec. Alg. p. 689: Tab. Phyc. XIII, t. 18, e-g —
Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 134. — Langenbach Meersalg. Inseln
Siz. uud Paut. p. 16.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
13
Ceramium clavulatum, De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1491— Hauck
Meersalgen p. 113.
' Spy ridia eiaculata, I. Ag. Alg. medit. p. 80.
A bit. Porto di Siracusa e di Augusta.
14. Centroceras cinnabarinum (Grat.) I. Ag.
Centr. cinnabarinum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 123 — Ardiss. e Strali'. Enunci
Alg. Lig. p. 178.
Ceramium cinnabarinum , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Seet. Ili, p. 1493 —
Hauck Meersalgen p. 112.
Cer. ordinatimi, Kg. Spec. Alg. p. 680 : Tab. Phyc. XIII, t. 7, f. a-c.
Abit. Catania: è stato rinvenuto da Mazza a Messina, oltre
che nella stessa località ove lo trovai.
CRYPTOYEMIACEAE J. Ag.
Nemastoma J. Ag.
I. Gymnophlaea.
15. Nemastoma dichotoma J. Ag.
Nem. dichotoma, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 130 — I. Ag. Alg. medit. p. 91. —
Hauck Meersalgen p. 117.
Gymnophlaea dichotoma, Kg. Spec. Alg. p. 711 : Tab. Phyc. XVI, t. 58,
g-k— Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 36 — Langenbach Meersalg. Inselli
Siz. und Paut. p. 16.
Ginannia irregularis, Kg. Tab. Phyc. XVI, t. 69.
Abit. A Siracusa, Catania e Messina ; parecchi esemplari rac-
colti nel mese di giugno son provvisti di cistocarpi. Messina, Ca-
tania, Acireale (Mazza).
II. Platoma.
16. Nemastoma cervicornis J. Ag.
Nem. cervicornis, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 131.
Gymnophlaea ■ cervicornis, Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 37 — Langenbach Meer-
salg. Inseln Siz. und Pant. p. 16.
Gymn. furcellata, Kg. Spec. Alg. p. 712 : Tab. Phyc. XVI, t. 60, b-e.
Halymenia cervicornis, I. Ag. Alg. medit. p. 97 — Kg. Spec. Alg. p. 716.
Hai. cyclocolpa , Kg. Tab. Phyc. XVI, t. 94, a-b — Hauck Meersalgeu p. 117.
Abit. Di questa specie abbastanza rara, raccolsi alcuni esem-
plari a Catania e ad Acicastello, fra i rifiuti, che il mare aveva
14
Doti. Ventv vino Spinelli
[Memoria XIII. |
deposto sulla spiaggia dopo una forte libeceiatta ; iu qualcuno di
questi esemplari le ramificazioni alla base son poche, anzi possono
mancare affatto e iu questo caso, la fronda sorge dal dischetto
radicale intero, di forma quasi orbicolare, e porta solo all’ apice
alcuni rametti.
SCHIZYMENlA J. Ag.
L7. Sehizymenia marginata (Roussel) I. Ag.
Sch. marginata , Ardiss. Pliyc. medit. 1, p. 141 — Ardiss. e Strati'. Enum. Alg.
Lig. p. 181.
Nemastoma marginata , I. Ag. Alg. medit. p. 91.
Halymenia marginata , Kg. Spec. Alg. p. 717.
Abit. Siracusa, ai Cappuccini, in luglio ; Catania, alla Plaia.
18. Sehizymenia JDiibyi (Chauv.) I. Ag.
Sch. Duhyi , Ardiss. Phyc. medit I, p. 142 — Langenbach Meersalg. luselu
Siz. und Paut. p. 16.
Sch. minor , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 160.
Iridaea elliptica , Kg. Spec. Alg. p. 725: Tab. Phyc. XVII, 4.
Euhymenia Duhyi , Kg. Spec. Alg. p. 743: Tab. Phyc. XVII, 80.
Abit. Comunissima ovunque ; in aprile coi cistocarpi. Il colore
della fronda facilmente volge al giallo, per decomposizione ; spesso
è coperta da un pulviscolo verdastro, formato da gusci di Diatomee.
Assume forme diverse : iu alcuni esemplari la fronda sorge dal
callo radicale allargandosi in una larga lamina intera, la quale
alla cima si divide una o due volte, e simula una ramificazione.
Altre froudi si dividono fin dalla base, assumendo 1’ aspetto cor-
diforme.
Halymenia Ag. (ut ut. cliaract.)
I. Halophvllttm.
19. Halymenia Floresia (Cletn.) Ag.
Hai. Floresia , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 145 — 1. Ag. Alg. medit. p. 96 —
Kg. Spec. Alg. p. 716 : Tab. Phyc. XVI, 88-89 — Ardiss. e Strati'.
Enum, Alg. Lig, p. 179.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
15
Abit. Catania, alla Plaia, ad Ogniua e a S. Giovauui dei Cuti:
in quest’ ultima località rinvenni esemplari in rilevante quantità
dopo una forte mareggiata, in aprile. Le frondi ora umili, ora ro-
buste ed alte, sorgono da un callo radicale ben ditinto : qualche
volta si presentano coll’ apice troncato per gli urti subiti contro
le rocce durante l’ imperversare del libeccio e spesso si scorgono
frammenti di pianta, le quali attestano la fragilità della fronda, di
consistenza gelatinosa. Generalmente negli esemplari coll’apice tron-
cato, le ramificazioni laterali assumono dimensioni molto maggiori
che nelle forme intatte, fenomeno questo che si riscontra nella
massima parte degli organismi vegetali.
È degno di nota anche il fatto che la fronda si presenta qua
e là bucherellata : esaminando questi fori, non vi si scorge la me-
noma traccia di quelle dentellature, che sogliono presentare le fe-
rite prodotte da azioni traumatiche. La regolarità del contorno fa
pensare ad un processo di rigenerazione.
Nelle condizioni normali, si inizia in tutte le piante un pro-
cesso di risanamento, di neo formazione, per cui un tessuto viene
a sostituirsi al posto di un altro perduto in conseguenza di una
ferita: una sezione microscopica di Ralym. Floresia praticata sulla
superficie limitante il foro dimostra che le cellule dello strato cor-
ticale si sono alquanto allungate, per accrescimento apicale. Questo
allungamento delle cellule corticali è poco evidente e la cicatriz-
zione non si compie, come il più delle volte nelle piaute terrestri,
sia perchè il tessuto che si trova in prossimità della ferita non è
capace di proliferare, sia per la difficoltà opposta alla cicatrizza-
zioue da parte dell’ ambiente in cui vegeta 1’ alga.
Il processo di rimarginazione del resto non è nuovo fra le
Alghe : lo si è riscontrato anche nei fili di Vaccheria, i quali,
quando son colpiti da azione meccanica, si rigenerano. Al limite
della ferita il protoplasma s’ addensa, barricandosi, per così dire,
dietro gli avanzi del protoplasma già compromesso, opponendo con
questo mezzo, resistenza agli insulti successivi degli agenti esterni.
Anche i granuli di clorofilla assumono una posizione ben diversa
da quella normale, alla quale non ritornano se non dopo un tempo
più o meno lungo, quando, cioè, il protoplasma al limite della fe-
rita non abbia formato un margiue tale da supplir quasi la parete
manomessa, come succede anche nelle foglie dei Muschi.
16
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII.]
II. Halaraohnion.
20. Ealymenia ligulata I. Ag.
Halaraohnion ligulatum , Kg.
La fronda sorge da un minuto callo radicale e si innalza fino
a 12 era : siu dalla base si divide, dando origine a 4 rametti, ri-
stretti alla base, i quali vanno poco sensibilmente allargandosi,
mostrando 1’ apice rotondato. Solo la fronda più adulta porta pro-
liferazioni marginali, in forma di ligule, irregolarmente alterne ;
una di queste ligule si dimostra leggermente forcipata, carattere
questo che ho anche riscontrato negli esemplari gentilmente comu-
nicatomi dal chiar. Sig. Rodriguez, al quale rendo qui vivi e sen-
titi ringraziamenti.
V esemplare catanese è relativamente piccolo in confronto alle
forme oceaniche, ma l’aspetto esterno e, come si vedrà in seguito,
la struttura intima, non lasciano dubbio, a mio parere, sulla de-
terminazione. Si sa che senza materiale di confronto maturo e per-
fetto non è possibile pronunziarsi su alcuna specie di Halymenia,
poiché i caratteri intimi possono talvolta essere gli stessi, o quasi,
in diverse specie : quando riuvenni il inio esemplare, parecchi anni
addietro, praticai qualche sezione , che presentava i caratteri del
genere Halymenia e ravvisai subito la perfetta somiglianza della
struttura dell’esemplare in esame con quella rappresentata dal dise-
gno dato dall’Hauck sull’ Halymenia, ligulata I. Ag. Anche morfologi-
camente 1’ esemplare presenta perfetta somiglianza colla descrizione
che ne fa il suddetto autore: tallo cilindraceo compresso, assotti-
gliato alla base in stipite , proliferante dal margine. All’ esame
microscopico avevo osservato : 1° uno strato corticale formato da
una assisa di cellule mediocri, tonde, iutensamente porporine:
2° uno strato sotto corticale costituito da due raughi di cellule più
grandi : 3° uno strato midollare formato di filamenti articolati, che
si auastomizzano collo strato inferiore delle cellule sottocorticali e
avvolgono inferiormente e lateralmente i cistocarpi, i quali, dalla
parte apicale, sono circondati dallo strato corticale. I cistocarpi
sono globosi, sporgenti e sparsi su tutta la superficie della fronda.
Consistenza gelatinosa membranacea ; colore purpureo, che sbiadisce
colla disseccazione.
Comunicai il mio esemplare al chiar. Rodriguez, il quale mi
assicurò che, dall’aspetto esterno, non si può separare da Halara-
Le Alghe marine delia Sicilia Orientale
17
cknion ligulatum (Kg.), Ralymenia ligulata , ‘(Ag.): all’ esame mi-
croscopico però manifestava qualche dubbio sulla forma e grandezza
delle cellule corticali, le quali son più piccole che nell’ Hai. ligu-
latum, rotoudato-obluughe, invece che angolose. (1)
Si badi però che l’ esemplare fu trovato, quasi cinque anni
addietro, fra i mucchi d’ alghe reiette e che la pressione, alla
quale fu assoggettata la piantina, durante la preparazione, fece
perdere la forma primitiva alle cellule dei varii strati, mentre la
disidratazione, 1’ aridità dell’ esemplare, affatto avido d’ acqua, im-
pediscono che le sezioni riescano chiare e che le cellule ritornino
turgide e riprendano, gonfiandosi, la forma e le dimensioni primitive.
Per questa ragione le cellule corticali sembrano più piccole di quanto
sogliono essere nell’ Halarachniou e i filamenti, che compongono lo
strato midollare, si dimostrano esili, radi, alcuni anche rizoidei.
Malgrado ciò, basandomi sul disegno di una sezione fatta sulla
fronda allo stato fresco, perfettamente uguale a quello dato da
Hauck, son convinto che le minime differenze che i tessuti intimi
dell’ esemplare dimostrano ora colle forme tipiche sono acquisite
e non originali e che quindi si sia di fronte ad una forma di Raly-
menia ligulata Ag. la presenza della quale non è stata ancor notata
nel Mediterraneo.
Si potrà obbiettare che 1’ Alga, perchè trovata fra i rifiuti del
mare, possa essere stata trasportata da altre regioni sulla spiaggia
catanese : ma questo dubbio cade da se, quando si rifletta che la
freschezza della piantina, al momento in cui fu raccolta, era tale
da non far nemmeno pensare ad una lunga permanenza in mare,
condizione questa necessaria perchè avesse potuto esser portata a
Catania da lontane regioni. La fronda era intatta, senza lacerazione
alcuna, contrariamente a quanto suole avvenire in quelle Alghe,
che, dimorando lungamente nell’acqua, sbattute dalle onde, afflo-
sciate in seguito ad incipiente decomposizione, sogliono mostrarsi
troncate in qualche punto, lacerate in seguito ad urti con corpi
estranei.
III. Nemaliopsis.
21. Ralymenia fastigiata. I. Ag.
Hai. fastigiata, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 152 — Ardiss. e Strafif. Enum. Alg.
Lig. p. 180.
(1) Lettera di I. I. Rodriguez allo scrivente : 16 novembre 1904.
Atti acc. Serie 4a, Vol. XVIII — Meni. XIII.
3
18
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XI11.J
Abit. Faro di Messina ; dicembre 1899.
L’ esemplare misura un decimetro d’ altezza : la fronda è ar-
rotondata e, sin dalla base, regolarmente dicotoma, coi segmenti
dilatati alle ascelle. Come dall’ aspetto, così anche per la struttura
intima concorda perfettamente . colla descrizione fatta dal Chiar.
Ardissone.
SCHIMMELMAXNTA ScllOUSb
22. Schimmelmannia ornata Schousb.
Schimm. ornata , Ardiss. Phyc. medit. I, p. là? — Kg. Spec. Alg. p. 722 ;
Tab. Phyc. XVI, 84, a-c.
Naccaria Schousboei, I. Ag. Alg. medit. p. 86.
Carpoblepharis ì mediterranea , Ardiss. Euum. Alg. Sicil. p. 33.
Abit. Acireale, alla Scalazza. S. Maria la Scala e S. Tecla (Mazza)
GrRATELOUPIA Ag.
23. Grateloupia dichotoma. I. Ag.
Or. dichotoma, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 137—1 Ag. Alg. medit. p. 103— Kg.
Spec. Alg. p. 732: Tab. Phyc. XII, 28, c-e.— Ardiss. e Strafh Euum.
Alg. Lig. p. 179— Langenbach Meersalg. Inseln Siz. uud Pant. p. 18.
Abit. Abbastanza comune luugo tutta la costa orientale : nelle
forme repens, nana e proteus.
24. Grateloupia filicina (Wulf.) Ag.
Or. filicina , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 138—1. Ag. Alg. medit. p. 103— Kg.
Spec. Alg. p. 730 : Tab. Phyc. XVII, 22— Ardiss. e Strali. Euum.
A-lg. Lig. p. 178 — Langenbach Meersalg. Inselli. Siz. und Pant. p. 18.
Gr. dichotoma var. speciosa , Ardiss. Enuin. Alg. Sicil. X. 164.
Gr. porracea , Kg. Spec. Alg. p. 730 : Tab. Phyc. XVII, 25 a-c.
Gr. concatenata , Kg. Spec. Alg. p. 731: Tab. Phyc. XVII, 24, c-e.
Gr. horrida, Kg. Spec. Alg. p. 731. Tab. Phyc. XVII, 26, b-d.
Gr. filiformi, Kg. Spec. Alg. 1. c. : Tab. Phyc. XVII, 25, d-e.
Gr. pennulata, Kg. Spec. Alg. 1. c. : Tab. Phyc. XVII, 27, a-b.
Abit. Comune ovunque.
Messina, Biposto, Catania, Siracusa (Mazza).
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
19
Cyptonemia I. Ag.
I. Eucryptonemia I. Ag.
25. Cryptonemia Lomation (Bertol.) I. Ag.
Cr. Lomation , Ardiss. Pbyc. medit. I. p. 159 — Ardiss. e Strali'. Euum. Alg.
Lig. p. 183 — Laiigenbach Meersalg. Inselli. Siz. und Paut. p. 19.
Euhymenia lactuca, Kg. Spec. Alg. p. 741: Tab. Pbyc. XVII, 71, a-b.
Cryptonemia lactuca , I. Ag. Alg. medit. p. 100.
Abit. Siracusa, ai Cappuccini ; porto di Catania (Tornabene) ;
Catania, alla Plaia (Spinelli).
II. Acrodiscus.
26. Cryptonemia Vidovichii (Menegli.) Zanard.
Cr. Vidovichii, Ardiss. Pliyc. ìnedit. I, p. 162.
Cr. dichotoma , I. Ag. Alg. medit. p. 100.
Acrodiscus Vidovichii, Ardiss. e Strali'. Enurn, Alg. Lig. p. 183.
Euhymenia dichotoma, Kg. Spec. Alg. p. 742; Tab. Pbyc. XVII, 72.
Abit. Acireale (Tornabene) ; S. Tecla, presso Acireale (Mazza)
Siracusa, sui tofuli di Cystoseira (Spinelli).
Neupocaulon Zanard.
27. Neurocamion reniforme Post, et Roupr.
Costantinea reniformis, Ardiss. Pbyc. medit. I, p. 174 — Hauk Meersalgen
p. 146, f. 60.
Neurocaulon foliosum, Kg. Spec. Alg. p. 744; Tab. Pbyc. XVII, 83, a-c.
Kallymenia reniformis, I. Ag. Alg. medit. p. 99.
Abit. Gli esemplari mi furon comunicati dall’ amico Nicolosi,
che qui ringrazio ; egli li raccolse a S. Giovanni dei Cuti e li con-
servò in Formalina, ove il colore purpureo, dopo parecchi anni, si
mantiene inalterato.
RHIZOPHYLLEDACEAE Scimi.
Rhizophyllis Kg.
28. Rhizophyllis Squamariae (Meuegb.) Kg.
Rh. Squamariae, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 224 — Kg. Spec. Alg. p. S77:
Tab. Pbyc. XVI, 8 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 208.
20
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII.]
Rh. dentata, Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. N. 510.
Abit. Sulla Peyssonellia Squamaria, a Siracusn, Catania e Messina.
SQTJAMARIACEAE Ardiss. e Straff.
Peyssoxellia Decne.
29. Peyssonellia Squamarla (G-in.) Decne.
P. Squamaria, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 227 — I. Ag. Alg. medit. p. 92 —
Kg. Tab. Phyc. XIX, 87, a-b — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig.
p. 198 — Hauck Meersalgen p. 31.
Abit. Connine ovunque.
30. Peyssonellia rubra I. Ag.
P. rubra , Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 228 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig.
p. 198.
Abit. Siracusa, Catania, Acicastello, Taormina, Messina, in
luglio. Messina, S. Tecla, presso Acireale, spiaggia « S. Lucia » a
Siracusa (Mazza).
31. Peyssonellia Harveyana Crouan
P. Harveyana, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 229 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg.
Lig. p. 198.
P. orbicularis, Kg. Spec. Alg. p. 694.
P. polymorpha, Hauck Meersalgen p. 35.
Abit. Siracusa ed Acicastello, sulle Cistoseire.
Specie polimorfa, dalla fronda orbicolare, incrostata, espansa
in senso orizzontale, intera o sinuosa, dapprima aduata al sustrato
su cui vegeta e poi libera. Aderisce tenacemente alla parte basale
del tallo delle Cistoseire mediante fibre radicali nerastre. Decalci-
ficata con Acido acetico diluito, e sezionata, lascia distinguere i
caratteri intimi del genere. Il colore varia dal purpureo al roseo.
COKALLINACEAE Harv.
Melobesia Lamx.
I. Melobesieae. Aresch.
1. Eumelobesia
32. Melobesia membranacea Lamx.
M. membranacea , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 443 : Enum. Alg. Sicil. N. 123.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
21
Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. N. 585 — Langenbach Meersalg.
Iuseln Siz. and Pant. p. 20— Hauck Meersalgeu p. 265.
Abit. Sulla Zostera e su qualche Cystoseira, a Siracusa : iu
questa stessa località Mazza 1’ ha trovato sulle foglie di Posidonia
cardini.
33. Melobesia pustidata Lamx.
il/, pustulata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 446 — Kg. Spec. Alg. p. 696 — Ardiss.
Enum. Alg. Sicil. K. 144 — Ardiss. e Strali. Enum. Alg. Lig. N. 588.
Abit. Sulla Taonia atoniaria e sulla Balimeda Tana , a Catania
e a Messina.
II. Coralline ae. Aresch.
Amphiroa Lamx.
34. Amplbiroa exilis Harv.
A. exilis , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 455.
A. pustulata , Kg. Spec. Alg. p. 700: Tab. 'Phyc. Vili, 42, I.
A. complanata , Kg. Spec. Alg. p. 702 : Tab. Phyc. Vili, 43, II.
A. algeriensis , Kg. Tab. Phyc. Vili, 44, Il — Ardiss. Enum. Alg. Sicil.
K. 146 — Langenbach Meersalg. Inselli Siz. und Pant. p. 20.
Abit. Abbastanza comune.
35. Amphiroa rigida Lamx.
A. rigida , Ardiss. Phyc. medit. I. p. 456 — Kg. Spec. Alg. p. 701 — Ardiss.
e Siraff. Enum. Alg. Lig. N. 596.
A. spina , Kg. Spec. Alg. p. 700 : Tab. Phyc. Vili, 41, II.
A. irregularis, Kg. Spec. Alg. p. 700 : Tab. Phyc. Vili, 41, III.
Abit. Siracusa, Catania, Acicastello, fra i rifiuti del mare, in
luglio. Messina (Mazza).
JAIIA Lamx.
36. Ionia rubens (L.) Lamx.
j. rubens , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 459 — Kg. Spec. Alg. p. 709 : Tab.
Phyc. Vili, 84, II-IV — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 151 — Ardiss.
e Strafif. Enum. Alg. Lig. N. 597 — Langenbach Meersalg. Inselli
Siz. und Pant. p. 20.
Abit. Abbastanza comune ovunque.
22
Doti. Vetturino Spinelli
[Memoria XJI1.J
Corallina Lanix.
37. Corollina officinali L.
C. officinali , Arrìiss. Pliyc. medit. I, p. 402 : Enum. Alg. Sieil. X. 147 —
Ardiss. e Straff. Enum. Alg'. Lig. X. 601 — Langenbach Meersalg.
Inselli Siz. und Pant. p. 21.
Abit. Comunissima nella la zona di profondità.
GIGARTINACEAE Ardiss. e Straff.
Gigartixa Stack.
38. Qigartina aciculari (Wulf.) Lanix.
O. aciculari , Ardiss. Pliyc. medit. p. 167 — De Toni Syll. Alg. Voi, IV,
Sect. I, p. 198 — 1. Ag. Alg. medit. p. 105 — Kg. Spec. Alg. p. 749:
Tab. Pliyc. XVIII, I, c-e — Ardiss. Enum. Alg. Sieil. N. 166 —
Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 184.
G. compressa Kg. Spec. Alg. p. 750 : Tab. Pliyc. XVIII, 2.
Abit. Comune su tutto il litorale.
39. Gigartina Teeclii (Rotti.) Lanix.
G. Teedii , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 168 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I. p. 202 — Hauck Meersalgen p. 136, f. 54.
Abit. Siracusa, Augusta, Catania, Messina (anche Mazza), in
maggio coi cistocarpi.
Callymexia J. Ag.
40. Callynienia demissa I. Ag.
G. demissa , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 302.
Da un minuto callo radicale sorge la fronda, la quale s’allarga
subito, assumendo circoscrizione reniforme, coi margini interi o den-
tellati e ondulati : in certi esemplari dal callo radicale s’ innalzano
più frondi, le quali, avendo età diversa, presentano differenti forme.
Infatti le più piccole hanno la forma di flabello, mentre le adulte
non conservano nè questa, nè la reniforme, ma tendono alla cunei-
forme. È nelle frondi adulte che si scorgono marcatamente i lobi,
i quali si avanzano dalla parte superiore ed inferiore della fronda,
in modo da formare uua strozzatura, finché forse la fronda primitiva
e l’altra formatasi in seguito alla divisione vengono, forsan externa
vi quoque dilaceratae (De Toni)
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
23
La struttura intima è quella del genere Callymenia.
Le froudi arrivano a misurare cm. 5 1/2 d’ altezza e 3 era. di
larghezza : i cistocarpi si trovano sotto forma di punti oscuri. Il
colore è d’ intenso e brillante cocciniglia.
Abit. Secondo le indicazioni trovate in una etichetta attaccata
ad un esemplare non determinato e ad altro determinato sotto il
nome di Halymenia sanguinea , questa bellissima specie fu raccolta
dal Prof. Tornabeue a Catania : in questa stessa località dovette
pure esser trovato l’esemplare, che comunicai all’amico Mazza,
del quale non seppi precisare la località, avendolo rinvenuto in
un palco d’ Alghe indeterminate e senza alcuna indicazione.
Callophyllis J. Ag.
41. Callophyllis laciniata (Huds) Kg.
C. laciniata , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 278 — Kg. Spec. Alg.
p. 744: Tab. Phyc. XVII, t. 84 — Ardiss. Phyc. medit. II p. 302.
Abit. Messina (Mazza) : posseggo due esemplari piccoli ed in-
completi di questa specie, che raccolsi a S. Giovanni dei Cuti, e
sol per l’ intima struttura riferii a C. laciniata.
(tYMXOGOXGIMJS Mari.
42. Gymnogongras Griffithsiae (Turn.) Mart.
G. Griffithsiae, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 176 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect, I, p. 242 — Kg. Spec. Alg. p. 788 : Tab. Phyc. XIX, t. 65,
e-g — Ardiss. e Strali'. Ennm. Alg. Lig. p. 185.
G. tentaculatus , Kg. Spec. Alg. p. 788 : Tab. Phyc. XIX, 65, c-d.
G. furcellatus, Kg. Spec. Alg. p. 788 — Ardiss. Ennm. Alg. Sicil.
N. 174 — Langeubach Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 19.
G. parthenopaeus , Kg. Spec. Alg. 1. c. : Tab. Phyc. XIX, 66, a-b.
Chondrus griffithsiae, I. Ag. Alg. medit. p. 95.
Abit. Comune ovunque.
43. Gymnogongrus palmettoides Ardiss.
G. nicaeensis , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 179 — Ardiss. e Strati'. Enum. Alg.
Lig. p. 186.
Abit. Messina (Mazza) : Catania ed Acicastello (Spini li).
24
Dott. Venturino Spinelli
[Memoria XIII]
Phyllophora Grev.
44. Phyllophora nervosa (De Caini.) Grev.
Ph. nervosa, Ardiss. Phyc. inedit. I, p. 182 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I, p. 234 — 1. Ag. Alg. inedit. p. 94 — Kg. Spec. Alg. p. 791,
Tab. Phyc. XIX, t. 76, f. II — Ardiss. Emirn. Alg. Sicil. X. 176 —
Ardiss. e Strali. Enum. Alg. Lig. p. 187.
Abit. Messina (Mazza e Spinelli) : Catania, Acicastello. Sira-
cusa, Pachino, abbastanza frequente.
KHODYMEKIACEAE Neg. (nmt. limit.) J. Ag.
GtAStrocloxium Kg.
45. Gastroclonium kalifornie (G. et W.)
G. haliforme, Ardiss. Phyc. inedit. I, p. 319 : Fior. it. II, fase. 2°, p. 25 —
De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 567 — Ardiss. e Strali.
Enuiu. Alg. Lig. X. 520.
Lomentaria patens , Kg. Spec. Alg. p. 863 : Tab. Phyc. XV, t. 89, f. c-d.
L. dasyclada , Kg. Tab. Phyc. XV, t. 93.
L. Tcaliformis , Kg. Spec. Alg. p. 863: Tab. Phyc. XV, t. 86, f. a-c. — Hauck
Meersalgeu p. 200, f. 87.
/ Abit. Messina, Riposto, Acireale (Mazza) : Siracusa (Spiuelli)
Lomextaria Lyngl).
I. Eulomentaria.
46. Lomentaria artica lata (Hiuls.) Lyngb.
L. articulata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 202 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 553 — Kg. Spec. Alg. p. 863 : Tab. Phyc. XV, t. 85,
f. e-h.
Chylocladia articulata , Hauk Meersalgen p. 157.
Abit. Siracusa.
47. Lomentaria parvula Ag. (Gaill.)
Lomentaria parvula , Ardiss. Phyc. inedit. I, p. 203 — Kg. Spec. Alg. p. 864:
Tab. Phyc. XV, 87, a-b — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 189.
Chylocladia parvula , I. Ag. Alg. inedit. p. 111.
Abit. Acireale (Mazza): Siracusa e Catania (Spinelli): in maggio.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
25
Chbysymexia J. Ag.
48. Ghrysymenia ventricosa (Lamx.) I. Ag.
Chr. ventricosa , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 209 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV,
Sect. II. p. 541 — Hauok Meersalgen p. 159 — I. Ag. Alg. medit.
p. 106.
Halymenia ventricosa , Kg. Spee. Alg. p. 212 : Tab. Phyc. XVI, t. 86, f. a-b.
Ralaraclmion ventricosum , Kg. Spee. Alg. p. 721.
Mal. pinnulatum, Kg. Spee. Alg. p. 721.
Abit. Messina, Alì, Biposto (Spinelli) : Acireale (Mazza) : Ca-
tania, ad Oguina ed alla Plaia (Spinelli).
49. Ghrysymenia uvaria Menegh.
Chr. uvaria , Ardiss. Phych. medit. I, p. 210 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 543 — I. Ag. Alg. medit. p. 106 — Hauck Meersalgen
p. 160, f. 66 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. X. 456.
Gastroclonium uvaria , Kg. Spee. Alg. p. 865 : Tab. Phyc. XV, t. 97 — Ardiss.
Enum. Alg. Sicil. X. 204.
Abit. Frequente ovunque, insieme alla Dictyota dichotoma e
alla Padina pavonia.
Sebdexia Bertli.
50. Sehdenia monardiniana (Moutg.) Berthold.
S. Monardiniana , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 532.
Halymenia Monardiniana, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 148 — Kg. Spee. Alg.
p. 717: Tab. Phyc. XVII, t. 2, f. e-d.
Abit. Siracusa, ai « Cappuccini » : Catania (Toruabene) : Aci-
reale (Mazza).
Bellissimi gli esemplari raccolti dal Tornabene : essi misurano
da 22 a 24 cm. d’ altezza. Il colore volge dal coceiueo — purpureo
facilmente al giallastro.
Rodymexia Grev.
51. Rhodymenia corallicola Ardiss.
Eh. corallicola, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 214 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II. p. 515 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. X. 484.
Eh. palmetta , Hauck Meersalgeu p. 161.
Abit. Acireale (Mazza) : Siracusa (Spinelli), sui tofuli di qualche
Cystoseira.
Atti acc. Serie 4a, Yol. XVIII —
Mem. XIII.
4
26
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XJII. J
A Eh. corallicola deve riferirsi la Eh. palinetta K Esp.) Grev.
del « Primo contributo all’ Algologia della Sicilia ».
52. Ehodymenia ligulata Zanard.
Eh. ligulata , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 215 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV,
Sect. II. p. 515 — Hauck Meersalgen p. 162.
Sphaerococcus Ugulatus Kg. Spec. Alg. p. 782.
Abit. S. Tecla, presso Acireale, (Mazza) : Catania (Toruabene)
Siracusa (Spinelli).
PliOCAMium (Lami.) Lyngb.
53. Plocamium coccineum (Huds.) Lyngb.
PI. coccùmim, Ardiss. Pkyc. medit. I, p. 219 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 590.
PI. Lyngbyanum , Kg. Spec. Alg. p. 885 : Tab. Phyc. XVI, t. 46, f. a-c.
PI. Binderianum , Kg. Spec. Alg. p. 885 : Tab. Phyc. XVI, t. 48, f. d-f.
Abit. Frequente ovunque, generalmente fra le insenature degli
scogli.
Pauchea Bory et Mont.
54. Faucliea repens (Ag.) Montg.
F. repens , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 206 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 493 — Kg. Tab. Phyc. XVIII, t. 71, f. c-e — Hauck
Meersalgen p. 152, f. 63 — Ardiss. e Strali'. Buum. Alg. Lig. p. 183.
Gracilaria repens , I. Ag. Alg. medit. p. 152.
Abit. Catania (Toruabene).
La fronda s’ innalza fino a 8 cm. : essa sorge da un piccolo
callo basilare e si divide tosto e regolarmente per dicotomia, dando
luogo a segmenti lineari, colle ascelle rotondate, col margine integro,
dei quali i terminali sono ottusi agli apici I nemateci sono ovali
e scarsi : il colore è roseo, che si conserva benissimo negli esem-
plari disseccati.
Vegeta nell’ Oceano Atlantico (a Gades in Ispagna e a Tingin
in Africa), nel Mediterraneo occidentale e nell’Adriatico.
BHODOPHYLLIDAOEAE Schin.
RlSSOELLA J. Ag.
55. Eissoella verrucolosa (Bertol.) I. Ag.
E. verrucolosa , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 185 — De Toni, Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I, p. 327 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 184.
Le Alalie marine della Sicilia Orientale
27
Grateloupia verrncolosa, I. A g. Alg. medit. p. 103 — Ardiss. Enum. Alg.
Sicil. N. 163.
Abit. Abbastanza frequente a Siracusa, Catania, Acireale, Taor-
mina, Messina.
Catenella J. Ag.
56. Catenella opuntia.
C. opuntia , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 318 — Kg. Spec. Alg.
p. 724.
Abit. Catania, alla Lanterna.
SPYRIDIACEAE Harv.
Spybldia Harv.
57. Spyridia filamentosa Harv.
Sp. filamentosa , Ardiss. Pliyc. medit. p. 193 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 1427 — Kg. Spec. Alg. p. 655 : Tab. Pliyc. XII, t. 42,
f. a-b — Hauck Meersalgen p. 115, f. 40-41 — Ardiss. Enum. Alg.
Sicil. N. 123 — Ardiss. e Straft'. Enum. Alg. Lig. N. 473.
Abit. Frequente qua e là lungo la costa orientale.
SPHAEROCOCCACEAE Ardiss.
CtRACIlabia Gre.v.
I. GRAdLARIAE Xaeg.
58. Gracilaria confervoides (L.) Grev.
Gr. confervoides , Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 237 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 431 — Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. X. 493— Hauck
Meersalgen p. 182, f. 77.
Sphaerococcus confervoides , Kg. Spec. Alg. p. 772: Tab. Pliyc. XVIII, t. 72.
Rypnaea confervoides , I. Ag. Alg. medit. p. 149.
Sphaerococcus divergens , setaceus, capillaris , tennis , Kg. Tab. Pliyc. XVIII,
t. 73-75.
Abit. Abbondante ovunque. A Messina (al forte S. Giovanni),
ad Augusta e a Priolo, raccolsi due forme di questa specie : una
allungata e sottile, filiforme, P altra più breve, grossa e quasi di-
cotoma: nella prima zona di profondità.
28
Doti. X enturino Spinelli
[Memoria XIII.]
59. Gracilaria duna (A g.) I. Ag.
Gr. dura, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 239 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 442 — I. Ag. Alg. [Medit. p. 151 — Hauck Meersalgen
p. 183.
Gr. dura var. Lyra, 1. Ag. Alg. medit. p. 151.
Sphaerococcus durus, Kg. Spec. Alg. p. 775: Tab. Pliyc. XVIII, t. 78, f. c-d.
Sph. Sonderi, Kg. Tab. Pliyc. XVIII, t. 76, f. b-c.
Abit. Porto di Siracusa : Catania (Esemplari dell’ Erbario del
Prof. Cosentini). Messina, Acireale e Siracusa (Mazza).
60. Gracilaria compressa , (Ag.) Grev.
Gr. compressa, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 240 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 438 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. X. 495 — Lau-
genbach Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 21 — Hauck Meersalgen
p. 183.
Sphaerococcus compressus, Kg. Spec. Alg. p. 774: Tab. Phyc. XVIII, t. 78.
Sph. vagus, Kg. Tab. Phyc. XVIII, t. 76.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania
61. Gracilaria armata (Ag.) Grev.
Gr. armata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 242 — Ardiss. e Strati'. Euum. Alg.
Lig. X. 496 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 433- -Hauck
Meersalgen p. 182.
Sphaerococcus armatus, Kg. Spec. Alg. p. 774: Tab. Phyc. XVIII, t. 77.
Hypnea armata, I. Ag. Alg. medit. p. 149.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania: Messina (Mazza).
II. Sphaerooocceae Dum. (mut. char,) I. Ag.
Sphaerococcus Stadi, (mut. char.) Grev.
62. Sphaerococcus coronopifolius (Good. et Wood.) Ag.
Sph. coronopifolius, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 247 — De Toni Syll. Alg.
Voi. IV, Sect. II, p. 395 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig.
X. 498 — I. Ag. Alg. medit. p. 154 — Langenbach Meersalg. Siz.
und Pant. p. 21.
Rhyncococcus coronofolius, Kg. Spec. Alg. p. 754 : Tab. Phyc. XVIII, t. 10,
f. e-h — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 167.
Abit. Comunissimo ovunque.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
29
DELESSERIACEAE ]NTaeg. (excl. p.) Ardiss.
Nitophyllum Grev. (mut. limit.) I. Ag.
63. Nitophyllum punctatum var. ocellatum I. Ag.
N. punc. var. ocellatum , Ardiss. Phyc. medit. I. p. 253 — De Toni Syll. Alg.
Yol. IV, Sect. II, p. 627 — Hauck Meersalgen p. 169, f. 71 — Ardiss.
e Strali. Enum. Alg'. Lig. X. 499.
Aglaophyllum punctatum , Kg. Spec. Alg. p. 868.
Agl. ocellatum , Kg. Spec. Alg. p. 867 : Tab. Pliyc. SVI, t. 35, f. a-d — Ardiss.
Enum. Alg. Sicil. X. 206.
Agl. delicatum , Kg. Tab. Phyc. X VI, t. 35, f. e-f.
Nitophyllum ocellatum , I. Ag. Alg. medit. p. 156.
Abit. Comune ovunque.
64. Nitophyllum uncinatimi (Moutg.) I. Ag.
N. uncinatimi , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 255 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 650 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. X. 500.
Cryptopleura lacerata , Kg. Tab. Phyc. XVI, t. 25, f. e.
Abit. Sembra abbastanza frequente : lo raccolsi a Marzamemi,
Agusta, a Catania, a Messina. Generalmente le piantine dimostrano
gli apici uncinati, quantunque in forme adulte non è raro il caso,
che questi sieno lacerati, deformati. Un esemplare molto sviluppato
comunicatomi dall’ amico Mazza, che lo raccolse a Palermo, ha gli
apici arrotondati, le froudi larghe più di quanto lo sieno quelle
delle forme tipiche, le dicotomie regolari : la piantina, mancante
di base, misura quasi 3 cui. e mezzo d’ altezza.
A Nit. uncinatimi deve riferirsi il Nit. aìbidum Ardiss., che
compresi fra le forme siciliane : il colorito bianco dei miei pochi
ed incompleti esemplari era dovuta alla scomparsa del pigmento in
seguito a fermentazione.
Delesseria Lanix., Grev. etnend.
65. Delesseria Hypoglossum (Wood.) Lamx.
D. Hpoglossum, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 260 — I. Ag. Alg. medit.
p. 157 — Ardiss. e Straff. Emum Alg. Lig. X. 502
Hypoglossum Woodwardi, Kg. Spec. Alg. p. 875: Tab, Phyc. XVI, 11,
a-c — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 207 — De Toni Syll. Alg.
Voi. II, p. 694.
Abit. Sui rizomi di Zostera, a Siracusa, a Catania e a Messina.
30
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII.]
HELMINTHOCLADIACEAE I. Ag.
Nemaliox Duby
66. Nemalion lubricum Duby
N. lubricum, Ardiss. Phyc. inedit. I, p. 267 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV,
Sect. I, p, 77 — Kg. Spec. Alg. p. 712: Tab. Pliyc. XVI, t. 62,
f. 1 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 157 — Ardiss. e Strali. Enum.
Alg. Lig. p. 397.
Abit. Comune sugli scogli a poca profondità a Siracusa, Au-
gusta, Catania, Messina.
Liagora Lami.
67. Liagora viscida (Forsk.) Ag.
L. viscida , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 271 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I, p. 90 — Ardiss. e Strati. Enum. Alg. Lig. N. 399.
Abit. Frequente nel porto di Siracusa, a Catania, ad Acitrezza,
Acicastello e Messina (Mazza).
68. Liagora ceranoides Lamx.
L. ceranoides, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 272 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV.
Sect. I, p. 91
L. viscida var. ì ceranoides, Hauck Meersalgen p. 65.
Abit. Siracusa e Catania, piuttosto rara: Giardini ed Acireale
(Mazza).
69. Liagora distenta (Mert.) Ag.
L. distenta, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 272 — De Toui Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I, p. 92 — Kg. Spec. Alg. p. 538 : Tab. Phyc. VIII, t. 88 —
Hauck Meersalgen p. 65.
L. ramellosa, Kg. Tab. Phyc. Vili, t. 96.
Abit. Porto di Siracusa, Priolo. Acireale Scalazza (det. Pic-
cone). Pachino, Siracusa, Catania : esemplari dell’ Erb. Tornabene.
CHAETAKGIACEAE Schmitz.
Scixaja Bivona.
70. Scinaja furcellata (Turu.) Bivona
Se. furcellata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 269 — De Toui Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I, p. 104.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
31
Ginannia furcellata , Kg. Spec. Alg. p. 715: Tab. Pliyc. XVI, t. 68, f. II.
Halymenia furcellata , I. Ag. Alg. meclit. p. 98 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil.
X. 158 — Ardiss. e Strali1. Enum. Alg. Lig. X. 395.
Abit. Comune ovunque.
SPERMOTH AMNI A CE AE
Spermothamxiox Aresch.
71. Spermothamnion irregulare (I. Ag.) Ardiss.
Sp. irregulare , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 304 — De Toui Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 1264.
Callithamnion irregulare , I. Ag. Alg. medit. p. 70.
Spermothamnion torulosum, Hauck Meersalgen p. 45.
Griffithsia ? torulosa , Ardiss. e Strali. Enum. Alg. Lig. X. 426.
Abit. Siracusa, alla Lanterna.
Borxetia Thur.
72. Bornetia secundiflora (I. Ag.) Tkur.
B. secundiflora, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 308 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 1295 — Hauck Maersalgen p. 49, f. 13.
Griffithsia secundiflora, I. Ag. Alg. medit. p. 75 — Kg. Spec. Alg. p. 660:
Tab. Phyc. XII, t. 22, f. a-b.
Gr. cymiflora, Kg. Tab. Phyc. XII, t. 22, f. c-d.
Abit. Siracusa e Messina.
GELLDIACEAE Harv. (excl. p.)
GrELlDiUM Lainx.
73. Gelidium corneum (Huds) Lamx.
G. corneum, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 285 — I Ag. Alg. medit. p. 102.
Abit. comune ovunque.
74. Gelidium crinale (Turu.) Lamx.
G. crinale, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 290 — De Toni Syll. Alg. 1 ol. IV,
Sect. I, p. 146.
Acrocarpus crinalis, Kg. Spec. Alg. p. 761: Tab. Phyc. XVIII, t. 33, a-c.
Acr. lubricus, Kg. Spec. Alg. p. 762.
Acr. spinescens, corymbosus, spathulatus, Kg. 1. c.
Abit. Catania, alla Plaia.
32
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII.]
Ptekocladia J. Ag.
75. Pterocladia capillacea (Giu.) Boruet.
Pier, capillacea , De Toni Syll. Alg. Yol. IV, Sect. I, p. 162.
Gelidium capillaceum, Kg. Tab. Pkyc. XVIII, p. 18, t. 53 — Hauk Meer-
salgeu p. 190, f. 82, a-c.
Gel. corneum var. pinnatum, Kg. Spec. Alg. p. 764 : Tab. Pkyc. XVIII, t. 50,
f. d-f. — Ardiss. Pkyc. ìuedit. I, p. 285.
Abit. Siracusa e Catania. Messina, Riposto, Acireale, Catania,
Siracusa (Mazza).
Caulacaxthus Kg.
76. Gaulacanthus ustulatus (Mert.) Kg.
C. ustulatus, Ardiss. Pkyc. medit. I, p. 293 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I, p. 141 — Hauck Meersalgen p. 197, f. S5.
Gelidium ustulatum, I. Ag. Alg. medit. p. 102.
Gaulacanthus fastigiatus, Kg. Spec. Alg. p. 753: Tab. Pkyc. XVIII, t. 8, f. 3.
Abit. Porto di Siracusa ; Catania, a S. Giovanni dei Cuti in
maggio.
WR ANGELI ACE A E Harv.
Wraxgelia Ag.
77. Wrangelia penicillata Ag.
W. penicillata, Ardiss. Pkyc. med. I, p. 312 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I, p. 135 — Kg. Spec. Alg. p. 664 — Ardiss. e Strali'. Euum.
Alg. Lig. X. 511.
W. verticillata, Kg. Spec. Alg. p. 664 — Ardiss. e Strali'. 1. c. X. 512 —
Langeuback Meersalg. Iuselu Siz. und Paut. 22.
Abit. Porto di Siracusa : Catania, alla Plaia
HYPNEACEAE I. Ag.
Hyxea Lamx.
Hypnea musciformis (Wulf.) Lamx.
E. musciformis , Ardiss. Pkyc. medit. I, p. 281 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. II, p. 472 — Kg. Spec. Alg. p. 758 : Tab. Pkyc. XVIII, 1. 19,
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
33
f. a-c. — Hauck Meersalgen p. 188, f. 81 — I. Ag. Alg. Medit.
p. 150 — Ardiss. e Strali'. Eiiurn. Alg. Lig. X, 489 — Langenbacli
Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 20.
R. Rissoana — I. Ag. Alg. medit. p. 150 — Kg. Spec. Alg. p. 758: Tab.
Phyc. XVIII, t. 19, f. f-i.
E. denudata, Kg. Tab. Phyc. XVIII, p. 9, t. 21, f. II.
Abit. (Jomuue ovunque.
LAUBENCIACEAE Harv. (excl. p.)
Laurexcia Lamx.
79. Laurencia obtusa Lamx.
L. obtusa, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 326 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV
Sect. Ili, p. 791 — Kg. Spec. Alg. p. 854: Tab. Phyc. XV. t. 54-55.
Abit. Capo Passero (Tornabeue), Siracusa, Catania, Taormina
(Spinelli); Alì, Messina (Tornabeue).
80. Laurencia paniculata I. Ag.
L. paniculata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 328 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 7S8 — Hauck Meersalgen p. 206.
Lj. glandulifera, Kg. Spec. Alg. p. 855: Tab. Phyc. XV, t. 59, f. c-d.
L. patentiramea , Kg. Spec. Alg. p. 854 : Tab. Phyc. XV, t. 59, f. a-b.
L. thuyoides, Kg. Tab. Phyc. XV, t. 74, f. a-b.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania, in luglio. Messina (Mazza).
81. Laurencia , papillosa, Grev.
L. papillosa, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 330 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. III, p. 789 — Hauck Meersalgen p. 207 — Kg. Spec. Alg.
p. 655: Tab. Phyc. XV, t. 62 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig.
N. 525.
L. cyanosperma, Kg. Spec. Alg. p. 855.
L. tyrsoides, Kg. Spec. Alg. p. 855.
Abit. Frequente ovunque.
82. Laurencia’ pinnaiifida (Gm.) Lamx.
L. pinnatifida , Ardiss. Phyc. medit. 1, p. 331 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 798 — Kg. Spec. Alg. p. 856 : Tab. Phyc. XV, t. 66,
f. a-c — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. X. 527.
Abit. Porto di Siracusa. Messina (Mazza).
Atti acc. Serie 4% Vol. XVIII — Mem. XIII.
5
34
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XJI1.J
L. pinn. var. Osmunda I. Ag.
L. pinn. var. Osmunda , De Temi Syll. Alg. Voi. IV. Sect. Ili, p. 799 —
Ardiss. Phyc. medit. I, p. 332 — Kg. Spec. Alg. p. 856: Tab. Phyc.
XV, t. 66, f. f.
Abit. Porto di Siracusa. Messina, Riposto, Acireale (Mazza).
RHODOMELACEAE Harv.
I. Chondriopsideae I. Ag.
Choxdriopsis I. Ag.
83. Cliondriopsis coerulescens (Crouan) I. A .g.
Ch. coerulescens , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 345 — Langenbach Meersalg. In-
sel Siz. und Pant. p. 20.
Chondria coerulescens , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 843.
Laurencia dasyphylla , Ardiss. Euum. Alg. Sicil. N. 196.
Abit. Porto di Siracusa. Catania, Acireale, Messina (Mazza).
Acantophora Lamx.
84. Acanthophora Delilei Lamx.
A. Delilei , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 351 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 819 — Kg. Spec. Alg. p. 858: Tab. Phyc. XV, t. 75,
f. a-c — Ardiss. Euum. Alg. Sicil. N. 201.
Abit. Siracusa, Catania e Messina, in luglio.
II. Alsidieae I. Ag.
Alsidium Ag.
85. Alsidium corallinum Ag.
Al. corallinum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 353 — De Toui Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 860 — Kg. Spec. Alg. p. 843 : Tab. Phyc. XV, t. 33,
f. a-b — Hauck Meersalgen p. 213, f. 92.
Abit. Catania, Siracusa, Messina.
Digexea Ag.
86. Dicjenea simplex (Wulf.) Ag.
D. simplex , Ardiss. Phyc. medit. 1, p. 356 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 963 — I. Ag. Alg. medit. p. 147 — Hauck Meersalgen
p. 215, f. 93.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
35
D. Wulfeni , Kg. Spec. Alg. p. 841 : Tab. Phyc. XV, t. 28, f. a-e.
D. Vieillardi, Kg. Tab. Phyc. XY, t. 28, f. f-1.
Abit. Abbastanza comune a Siracusa, Augusta, Catania, Mes-
sina (Tornabeue). Si trova fra i rifiuti del mare, sempre colla lania
rubens e con altre alghe. Qualche mio esemplare raggiunge dimen-
sioni ragguardevoli. Il colore varia dal purpureo al nerastro.
III. POLYSIPHONIEAE I. Ag.
POLYSIPHOXIA (irev.
I. Ptilosiphonia, I. Ag.
87. Polysiphonia pennata (Roth.) I. Ag.
P. pennata , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 365 — I. Ag. Alg. medit. I, p. 141 —
Kg. Spec. Alg. ]>. 803: Tab. Phyc. XIII, t. 23, f. e-f — Ardiss.
Bnum. Alg. Sicil. X. 179 — Ardiss. e Straff. Enura. Alg. Lig.
N. 535 — Hauck Meersalgen p. 238.
P. pinnulata , Kg. Spec. Alg. p. 803 : Tab. Phyc. XIII, t. 23, f. 1.
Pterosiphonia pennata , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 998.
Abit. Porto di Siracusa, in settembre.
88. Polysiphonia tenella (Ag.) I. Ag.
P. tenella , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 367 — I. Ag. Alg. medit. p. 123 — Kg.
Spec. Alg. p. 805 : Tab. Phyc. XIII, t. 30, f. d-e — Hauck Meer-
salgen p. 239.
Herposiphonia tenella , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1051.
Abit. Insieme ad altre alghe, a Catania in settembre.
89. Polysiphonia secunda (Ag.) Zanard.
P. secunda , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 368 — I. Ag. Alg. medit. p. 122 —
Kg. Spec. Alg. p. 804 : Tab. Phyc. XIII, t. 30, f. a-c — Hauck
Meersalgen p. 240.
Herposiphonia secunda , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1052.
Abit. Porto di Siracusa, in settembre : Riposto (Mazza).
II. Herposiphonia I. Ag. (mut. limit.)
90. Polysiphonia obscura (Ag.) I. Ag.
P. obscura , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 369 — I. Ag. Alg. medit. p. 123 —
36
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII.J
Kg-. Spec. Alg. p. 808 : Tab. Phyc. XIII, t. 40, f. a-b — Hauck
Meersalgen p. 244.
Lophosiphonia obscura, De Toni Syll. Alg-. Voi. IY Sect. Ili, p. 1069.
Polysiphonia adunca , Kg. Spec. Alg. p. 808 : Tab. Phyc. XIII, t. 40, f. c-e.
Abit. Catania alla Piala.
III. Polysiphonia, I. Ag.
91. Polysiphonia fruiiculosa (Wulf.) Spr.
P. fruticolosa, Ardiss. Phyc. medit, I, p. 392 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV,
Sect. Ili, p. 950 — Kg. Spec. Alg. p. 836 : Tab. Phyc. XIY, t. 28,
f. e-g. Hauck Meersalgen p. 241, f. 99.
P. Wulfeni , I. Ag. Alg. medit. p. 144 — Kg. Spec. Alg. p. 836 : Tab. Phyc.
XIY, t, 28, f. a-d.
P. Mantensiana, Kg. Spec. Alg. p. 836 : Tab. Phyc. XIY, t. 29, f. a-c.
P. cymosa, Kg. Spec. Alg. p. 837 ; Tab. Phyc. XIY, t. 30, f. a-d.
P. pycnoplilaea , Kg. Spec. Alg. p. 837 : Tab. Phyc. XIY, t. 30, f. e-g.
P. coniatola, Kg. Spec. Alg-. p. 837 : Tab. Phyc. XIV, t. 31, f. a-c.
P. humilis, Kg. Spec. Alg. p. 837 : Tab. Phyc. XIX, t. 29, f. d-g.
Abit. Comune ovunque.
IY. Oligosiphonia.
92. Polysiphonia elongata (Huds.) Harv.
P. elongata, Ardiss. Phyc. med. I, p. 416 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV,
Sect. Ili, p. 903 — Kg. Spec. Alg. p. 828: Tab. Phyc. XIV, t. 4.—
Hauk Meersalgen p. 227.
P. stenocarpa , Kg. Spec. Alg. p. 830: Tab. Phyc. XIY, t. 11, f. d-f.
P. clialopliloea, Kg. Spec. Alg-. p. 831 : Tab. Phyc. XIY, t. 12, f. d-f.
P. clavigera, Kg. Spec. Alg. p. 831 : Tab. Phyc. XIY, t. 14, f. a-d.
P. Lyngbyei , Kg. Spec. Alg. p. 830.
P. strictoides, Kg. Tab. Phyc. XIY, t. 10, f. a-d.
P. Buchingeri , I. Ag. Alg. medit. p. 136 — Kg. Spec. Alg. p. 829: Tab.
Phyc. XIY, t. 6, f. a-d.
P. arborescens , trichodes, robusta , macroclonia, expansa, tennis, luxurians, com-
mutata, liaematites, laxa, Kg. Spec. Alg. e Tab. Phyc.
Abit. Catania.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
37
Kytiphlaea Ag.
93. Eytiphlaea pinastroides (Gin.) Ag.
E. pinastroides, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 421 — I. Ag. Alg. medit. p. 145 —
Kg. Spec. Alg. p. 845: Tab. Pbyc. XV, t. 13, f. e-i — Hauck Meer-
salgen p. 247 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 574 — Ardiss.
Enum. Alg. Sicil. N. 194.
E. rigidula , Kg. Spec. Alg. p. 845 : Tab. Phyc. XV, t. 13, f. a-d.
E. seminuda , Kg. Tab. Pbyc. XV, p. 6, t. 14, f. a-c.
E. semicristata, I. Ag. Alg. medit. p. 145 — Kg. Spec. Alg. p. 845.
Abit. Porto di Siracusa.
94. Eytiphlaea tinctoria (Gleni.) Ag.
E. tinctoria , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 422 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 1095 — I. Ag. Alg. medit. p. 145 — Kg. Spec. Alg.
p. 845: Tab. Pbyc. XV, 13, f. e-i. — Ardiss. Enum. Alg. Sicil.
X. 194.
E. semicristata, I. Ag. Alg. medit. p. 145.
Abit. Comune ovunque.
Yidalia I. Ag.
95. Yidalia volubis (L.) I. Ag.
V. volubis, Ardiss. Pbyc. medit. I, p. 424 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. Ili, p. 1101 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. N. 575 —
Hauck Meersalgen p. 250, f. 101.
Dictyomenia volubilis , Ag. Alg. medit. p. 146 : Kg. Spec. Alg. p. 847 : Tab.
Pbyc. XIV, t. 98 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 195.
Abit. Abbastanza frequente ovunque.
IV. Dasyeae I. Ag.
Dasya Ag.
96. Dasya rigidula (Kg.) Ardiss.
D. rigidula , Ardiss. Pbyc. medit. I, p. 428 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. III, p. 1206.
Eupogonium rigidulum , Kg. Spec. Alg. p. 798 : Tab. Pbyc. XIV, t. 85, t. c-d.
38
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XI11.J
E. squarrosum, Kg. Spec. Alg. p. 798 : Tab. Phyc. XIV, t. 85, f. a-b.
Dasya arbuscula. f. villosa , Hauck Meersalgen p. 252, in parte.
Abit. L’ unico esemplare che possiedo fu raccolto a Catania.
PORPHYRACEAE Rabenh.
PORPHYKA Ag.
97. Porphyra leucosticta Thur.
P. leucosticta , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 468 — Ardiss. e Strati'. Biium. Alg.
Lig. X. 384.
P. atropurpurea , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 17.
P. vulgaris, Ardiss. Enutn. Alg. Sicil. X. 136.
Abit. Porto di Siracusa e d’Augusta. Messina e Catania (Mazza).
98. Porphyra laciniata (Liglitf.) Ag.
P. laciniata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 469 — Kg. Spec. Alg. p. 692 :
Tab. Phyc. XIX, t. 79, f. c-e ?
Wildemania ì laciniata , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 20.
Abit. Piuttosto frequente a Siracusa, Catania e Messina. Aci-
reale e Riposto (Mazza).
Baxgia Lyngb.
99. Bangio fusco-purpurea (Dillw.) Lyngb.
B. fusco-purpurea , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 471 : Enum. Alg. Sicil. X. 138:
Ardiss. e Stolti. Enum. Alg. Lig. X. 386 — Kg. Spec. Alg. p. 360:
Tab. Phyc. Ili, t. 29, VI.
B. atropurpurea Subsp. B. fusco-purpurea , De Toni Syll. Alg. Voi. IV,
Sect. I, p. 11.
B. sicida, Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 137.
Abit. Siracusa, Catania, Messina, sugli scogli a fior d’ acqua.
GrOXIOTRICHUM Kg.
100. Ooniotrichum dicliotonum Kg.
G. dicliotonum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 474 — Kg. Spec. Alg. p. 358:
Tab. Phyc. Ili, 27, I.
Abit. Sull’ Balyseris polypodioides , a Siracusa e ad Acicastello.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
39
FTJCOIDEAE (Ag.) I. Ag.
SAKGASSAOEAE (Decne) Kg.
Sargassum Ag.
101. Sar gassum Hornschuchii, Ag.
S. Hornschuchii, Ardiss. Pliyc. raedit. II., p. 19 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 08 — Hauck Meersalgen, p. 301 — Menegh. Alg. ital. e daini,
p. 9, t. I, f. I — Ardiss. e Strali'. Enuiu. Alg. Lig. p. 100.
Stichophora Hornschuchii , Kg. Tab. Phyc. X, t. 71?
Abit. Abbastanza frequente ovunque.
102. Sargassum linifolium (Tura.) Ag.
S. linifolium, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 15 : Enum. Alg. Sicil. X. 110.
S. Donati , Kg. Tab. Phyc. XI, t. 23 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 90.
S. linifolium var. Donati, Menegh. Alg. ital. e dalm. p. 27.
Abit. Catania, ad Ognina; Acireale, in giugno.
Cystoseira Ag.
103. Cystoseira opuntioides, Bory
C. opuntioides, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 40 — V aliante Mouograph. die
Cystos. p. 23, t. XLV — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 102.
Phyllacantha opuntioides, Kg. Spec. Alg. p. 598.
Carpodesmia opuntioides, Kg. Tab. Phyc. X, t. 35, f. I.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania, in maggio ; Taormina e
Messina, in luglio.
105. Cystoseira selaginoides (Wulf.) N acc.
C. selaginoides, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 33 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 104 — Vallante, Monograf. die Cystos. p. 19, t. 10-11.
Halerica selaginoides, Kg. Spec. Alg. p. 595 : Tab. Phyc. X, t. 42, f. I.
Hai. vulpina , — Kg. Spec. Alg. p. 595 ; Tab. Phyc. X, t. 42, f. II.
Hai. tennis, Kg. Spec. Alg. p. 595 : Tab. Phyc. X, t. 43, t. II.
Hai. sedoides, Kg. Spec. Alg. p. 595 : Tab. Phyc. X, t. 41, f. II.
Treptacantha Turneri, Kg. Spec. Alg. p. 594 : Tab. Phyc. X, t. 28, f. I.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania, in aprile : Taormina, in
/
40 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII].
luglio. Porto d’ Augusta (esemplari raccolti dal Prof. Baccarini,
determinati dal Prof. Piccone).
105. Cystoseira amentacea, Bory.
C. amentacea, Ardiss. Pkyc. medit. II, p. 35 — De Toni Syll. Alg. Yol. Ili,
p. 166 — Menegk. Alg. ital. e dalm. p. 47, t. 2, f. 2 — Valiante
Monograpli. die Cystos. p. 20, t. 9 — Hauck Meersalgeu p. 295.
Halerica amentacea , Kg. Spec. Alg. p. 594 : Tab. Pliyc. X, t. 40.
Hai. lupolina , Kg. Spec. Alg. p. 595 : Tab. Pkyc. X, t. 41, f. I.
Abit. Frequente lungo tutta la costa orientale.
106. Cystoseira crinita , (Desf.) Duby
C. crinita , Ardiss. Pkyc. medit. II, p. 32 — De Toni Syll. Alg. Yol. Ili
p. 168 — Ardiss. e Strali'. Bnum. Alg. Lig. p. 158 — Kg. Spec. Alg.
p. 601: Tab. Pkyc. X, t. 53, f. I — Hauck Meersalgeu p. 296 — Yaliaute
Monograpk. die Cystos. p. 18. t. 8.
C. flaccida , Kg. Spec. Alg. p. 601 : Tab. Pkyc. X, t. 53, f. II.
C. squarrosa, Kg. Spec. Alg. p. 601 : Tab. Pkyc. X, t. 54.
C. robusta , Kg. Spec. Alg. p. 601.
Abit. Comune ovunque.
107. Cystoseira abrotanofolia , Ag.
C. abrotanifolia, De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 172— Kg. Spec. Alg. p. 600:
Tab. Pkyc. X, t. 47, f. I- - Menegk. Alg. ital. e dalm. p. 92 —
Hauck Meersalgeu p. 298— Yaliante Monograpk. die Cystos. p. 14, t. 4.
C. fimbriata , Ardiss. Pkyc. medit. II, p. 23 — Kg. Spec. Alg. p. 601.
C. data , Kg. Spec. Alg. p. 600 : Tab. Pkyc. X, t. 47, f. II.
C. divaricata , Kg. Spec. Alg. p. 600 : Tab. Pkyc. X, t. 49, f. e-f.
C. patentissima , Kg. Spec. Alg. p. 600.
C. -filicina, Kg. Spec. Alg. p. 601.
C. glomemta, Kg. Spec. Alg. p. 601 : Tab. Pkyc. X, t. 49, f. I.
C. squarrosa , Kg. Tab. Pkyc. X, t. 48, f. I.
C. leptocarpa, Kg. Spec. Alg. p. 559: Tab. Pkyc. X, t. 46, f. II.
Abit. Porto di Siracusa, in maggio.
DICTYOTACEAE (Laraour.) Zanard.
Zoxakia (Droparn. 1801) I. Ag.
108. Zonaria flava (Clem.) Ag.
Z. flava, Ardiss. Pkyc. medit. I, p. 490 — De Toni Syll. Alg. Yol. Ili,
p. 230 — Menegk. Alg. ital. e dalm. p. 235, t. IY, f. 4.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
41
iStypopodium fiavum , Kg. Spec. Alg. p. 563.
Phycopteris Tournefortii, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 65, f. I.
Ph. cornea , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 66, f. III?
Ph. dentata , Kg. Tab. Pbyc. IX, t. 65 f. II.
Abit. Catania, alla Plaia ; Acicastello, in luglio. Capo Passero,
Augusta, Catauia, Acitrezza, Acireale, Messina (Tornabene): Riposto
(Mazza).
Taoxia I. Ag.
109. Taonia Atomaria (Good. et Woodw) I. Ag.
T. Atomaria , Ardiss. Phyc. ruedit. I, p. 483 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 241 — Langenbach Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 14.
Dictyota Atomaria , Menegli. Alg. Ital. e daini, p. 229.
Stypopodinm Atomaria , Kg. Spec. Alg. p. 563: Tab. Phyc. IX, t. 61.
St. fiavum , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 62.
St. attenuatavi , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 63.
Dictyota denticulata , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 28.
Abit. Comune nel porto di Siracusa, di Catania, ad Acitrezza
Acireale e a Messina, in luglio.
Padixa Adans.
1 10. Padina pavonia (L.) Lamour.
Pad. Pavonia, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 496 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 243 — Hauck Meersalgen p. 309 — Langenbach Meersalg. Inselu
Siz. und Pant. p. 14.
Zonaria Pavonia, Kg. Spec. Alg. p. 565: Tab. Phyc. IX, t. 70 — Aidiss.
Enutn. Alg. Sicil. X. 100.
Padina neapolitana , Pad. anglica, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 70.
Abit. Comunissima ovunque.
Halyseris Targ. Tozz.
111. Halyseris polypodioides, (Desf.) Ag.
H. polypodioides , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 448 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 254 — Menegh. Alg. Ital. e daini, p. 252 — Ardiss. Enum. Alg.
Sicil. N. 98 — Kg. Spec. Alg. p. 261: Tab. Phyc. IX, t. 53, f. I.
Abit. Abbastanza frequente nel porto di Siracusa, a Catania,
(Oguiua e Capo Mulini), ad Acicastello, Acitrezza, Acireale, Taor-
mina, Riposto e Messiua.
Atti acc. Serie 4a, Vol. XVIII — Mem. XIII.
6
42
Doti. Volturino Spinelli
[Memoria XIII].
Dictyota Lamour.
112. Dictyota dichotoma (Huds.) Lamour.
D. dichotoma , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 478 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 263 — Kg. Spec. Alg. p. 554 : Tab. Phyc. IX, t. 10, f. I — Ardiss.
Enum. Alg. Sicil. X. 94 — Ardiss. e Strali. Eoum. Alg. Lig. X. 389.
D. vulgaris , Kg. Spec. Alg. p. 553 : Tab. Phyc. IX, t. 10, f. II.
D. latifolia, Kg. Tab. Phyc. IX, p. 6, t. 12, f. I.
D. volubilis, Kg. Spec. Alg. p. 554: Tab. Phyc. IX, t. 13.
D. elongata , Kg. Tab. Phyc. IX, p. 6, t. 11, f. II.
D. attenuata , Kg. Tab. Phyc. IX, p. 6, t. 11, f. I.
D. acuta , Kg. Spec. Alg. p. 555 : Tab. Phyc. IX, t. 13.
Abit. Abbastanza frequente ovunque; non tanto comune è la
forma latifolia (Kg.)
113. Dictyota ligulata , Kg.
D. ligulata , De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 271 — Kg. Spec. Alg. p. 554 :
Tab. Phyc. IX, t. 18.
Abit. Catania alla Plaia (esemplare raccolto dal Prof. Bacca-
rini, determinato dal Prof. Piccone).
114. Dictyota linearis (Ag.) G-rev.
D. linearis, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 481 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 275 — Kg. Tab. Phyc. IX, t. 21 — Langenbach Meersalg. Inseln
Siz. und Paut. p. 14.
D. angustissima, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 21, t. 4.
D. divaricata, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 23, f. I.
Abit. Porto di Catania (esemplare raccolto dal Prof. Baccarini
determinato dal Prof. Piccone). Messina (Spinelli).
115. Dictyota Fasciola (Roth.) Lamx.
D. Fasciola, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 480 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 277 — Kg. Spec. Alg. p. 555 : Tab. Phyc. IX, t. 22.
D. abyssinica, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 21, f. III.
D. affinis, Kg. Spec. Alg. p. 554.
D. denticolata, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 28, f. I.
D. spinigera , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 22, f. II.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania. Acireale (esemplari rac-
colti dal Prof. Baccarini, determinati dal Prof. Piccone).
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
43
CUTLERIACEAE Zanard.
Zanardinia Nardo
116. Zanardinia collaris (A g.) Orouan.
Z. collaris , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 56 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 305 — Hauck Meersalgen p. 408.
Zonaria collaris, Kg. Spec. Alg. p. 565.
Z. umbilicalis, Kg. Tab. Phyc. IX, p. 31, t. 77, f. I.
Z. Squamaria var. lacerata , Xacc. Algol, adriat. p. 81.
Peyssonellia umbilicata , Kg. Tab. Phyc. XIX, p. 32, t. 89, f. II.
Cuileria adspersa, Menegh. Alg. i tal. e daino, p. 206.
Spatoglossum Spanneri, Kg. Spec. Alg. p. 560 : Tab. Phyc. IX, t. 47, f. II.
Sp. flabelliforme , Kg. Spec. Alg. p. 560: Tab. Phyc. IX, t. 47, f. I.
Abit. Catania, a S. Giovanni dei Cuti, in marzo e in dicembre.
Riposto ed Acireale (Mazza).
OHOKDARIAOEAE (Ag.) Zanard.
Mesogloia Ag.
117. Mesogloja vermiculata , Le Iol.
M. vermiculata , Ardiss. Phyc. medit. II. p. 103 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 425 — Hauck Meersalgen p. 363.
ili. vermicularis var. septentrionalis, Kg. Spec. Alg. p. 545.
Abit. Acireale (esemplari raccolti dal Prof. Baccarini, deter-
minati dal Prof. Piccone). Messina, in luglio. (Spinelli).
ENCOELIACEAE (Kg.) Kjellm.
Puxctaria Grev.
118. Punctaria latifolia Grev.
P. latifolia, Ardiss. Phyc. medit. Il, p. 115 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 474 — Hauck Meersalgen p. 371.
P. debilis, Kg. Tab. Phyc. VI, t. 46, 47, f. I.
Abit. Porto di Siracusa, sugli scogli poco sommersi, in aprile:
Messina ed Acireale (Mazza).
44
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII.]
SCYTOSIPHOX
119. Scytosiphon lomentarius (Lyugb.) I. Ag.
Se. lomentarius, Ardiss. Phyc. med. II, p. 117 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 485 — Hauek Meersalgen p. 396.
Chorda Filum var. lomentaria , Kg. Spec. Alg. p. 548 : Tab. Phyc. Vili,
t. 14, f. c c'.
Oh. Filum var. fistulosa, Kg. Spec. Alg. p. 548 : Tab. Phyc. Vili, t. 14,
d-e, e t. 15 d-e.
A bit. Abbastanza comune ovunque.
Phyllitis Kg.
120. Phyllitis Fascia, Kg.
Ph. Fascia , De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 487 — Hauck Meersalgen p. 391.
Ph. Fascia f. coespitosa, Ardiss. Phyc. ruedit. II, p. 120.
Phycolapathum cuneatum , Kg. Spec. Alg. p. 483 : Tab. Phyc. VI, t. 49.
Abit. Porto di Siracusa: Catania (Cosentini).
Oolpomexia Derb. et Sol.
121. Colpomenia sinuosa (Rotti.) Derb. et Sol.
C. sinuosa, De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 489.
Hydroclathrus sinuosus , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 123— Hauck Meersalgen
p. 393.
Asperocoecus sinuosus, Menegh. Alg. ital. e dalm. p. 168.
Encoelium sinuosum, Kg. Spec. Alg. p. 552 : Tab. Phyc. IX, t. 8.
Enc. vesicatum, Kg. Spec. Alg. p. 552.
Abit. Siracusa, Catania, Acicastello, Acitrezza. Acireale, Mes-
sina (Mazza).
Asperocccus Lainonr.
122. Asperocoecus bullosus, Lamour.
A. hxdlosus, Ardiss. Phych. medit. II, p. 134 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 493 — Hauck Meersalgen p. 338.
Encoelium bullosum, Kg. Spec. Alg. p. 552: Tab. Phyc. IX, t. 7, f. I.
Enc. tenue , Kg. Spec. Alg. p. 552.
Enc. utriculare , Kg. Spec. Alg. p. 552.
Abit. Porto di Siracusa.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
45
123. Asperococcus compressus Grifi'.
A. compressus, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 135— -De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 494 — Hauck Meersalgen p. 389 — Meuegh. Alg. ital. e dalm.
p. 164.
Raloglo8sum Griffithsianum , Kg. Spec. Alg. p. 561 : Tab. Phyc. IX, t. 52.
Abit. Porto di Siracusa, Catania ad Ognina. Acireale (Mazza).
SPHACELAKIACEAE (Decne) Kg.
Sphacelaria Lvngb.
124. Sphacelaria tribuloides , Menegh.
Sph. tribuloides , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 88 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 502 — Meuegh. Alg. ital. e dalm. p. 336 — Kg. Spec. Alg. p. 464:
Tab. Phyc. V, c. 89, f. II — Hauck Meersalgen p. 343.
Sph. rigida , Kg. Spec. Alg. p. 465; Tab. Phyc. V, t. 90, f. I.
Sph. brachygonia, Kg. Spec. Alg. p. 464.
Sph. fulva , Kg. Spec. Alg. p. 464 : Tab. Phyc. V, t. 91, I.
Abit. Lido di Catania. L’ unico esemplare trovato dal Cosen-
tini, non porta alcuna indicazione di località.
125. Sphacelaria cirrosa (Rotti.) Ag.
Sph. cirrosa, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 90 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 503 — Kg. Spec. Alg. p. 464: Tab. Phyc. V, t. 88, f. II — Hauck
Meersalgen p. 344.
Sph. fusca , Kg. Spec. Alg. p. 464.
Sph. rizophora , Kg. Spec. Alg. p. 463 : Tab. Phyc. V, t. 89, f. I.
Sph. irregularis , Kg. Spec. Alg. p. 465 : Tab. Phyc. V, t. 91, III.
Styyocaulon bipinnatum , Kg. Tab. Phyc. V, p. 29.
Abit. Porto di Siracusa : di questa specie raccolsi un solo pic-
colo esemplare in aprile.
Cladostephus Ag.
126. Cladostephus verticillatus, (Lightf.) Ag.
Cl. verticillatus , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 94 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili,
p. 513 — Hauck Meersalgen p. 350.
Cl. Myriophyllum, Kg. Tab. Phyc. VI, p. 5, t. 9.
46
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII].
Cl. spongiosus, Kg. Spec. Alg. p. 469 : Tab. Phyc. VI, t. 2.
Cl. tomentosus, Kg. Spec. Alg. p. 469.
Abit. Porto di Siracusa e d’ Augusta : Acitrezza, Messina.
Halopteris Kg.
127. Halopteris filicina (Grat.) Kg.
Hai. filicina, De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 515 — Kg. Spec. Alg. p. 462:
Tab. Phyc. V, t. 85, f. I — Hauck Meersalgen p. 347 — Ardiss.
Phyc. medit. II, p. 87 — Ardiss. Enura. Alg. Sicil. X. 53.
Abit. Catania, alla Plaia, in giugno. Catania e Messina (Mazza).
Stypocaulon Kg.
128. Stypocaulon scoparium , (L.) Kg.
St. scoparium , De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 518 — Kg. Spec. Alg. p. 466:
Tab. Phyc. Y, t. 96.
Sphacelaria scoparia, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 86 — Hauck Meersalgen p. 347.
Sph. scoparioides, Kg. Spec. Alg. p. 465.
Sph. firmula, Kg. Spec. Alg. p. 464.
Abit. Abbastanza frequente ovunque.
ECTOCAKPACEAE (Ag.) Kg.
Ectocarpus Lyngb.
129. Ectocarpus paradoxus Mont.
Ec. paradoxus , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 73 — De Toni Syll. Alg. Yol. Ili,
p. 541.
Ec. caespitulus, I. Ag. Alg. Medit. p. 26 — Kg. Spec. Alg. p. 455 : Tab.
Phyc. Y, t. 62, f. II — Hauck Meersalgen p. 327.
Abit. Acitrezza, sulla Cystoseira amentacea.
130. Ectocarpus siliculosus (Dilw.) Lyngb.
Ec. siliculosus, De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 549 — Kg. Spec. Alg. p. 451:
Tab. Phyc. Y, t. 53, f. I — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 52.
Ec. gracillimus , Kg. Spec. Alg. p. 453 : Tab. Phyc. Y, t. 58, f. I.
Ec. corymbosus , Kg. Spec. Alg. p. 453 : Tab. Phyc. Y, t. 59, f. I.
Ec. spalatinus , Kg. Spec. Alg. p. 455 : Tab. Phyc. Y, t. 63, f. II.
Abit. Catania, alla lanterna, sullo Scytosiphon lomentarius.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
47
CLOROPHYCEAE (Kg. ex parte) Wittr.
ULYACEAE (Lainour.) Rabenh.
Ulva I. Ag.
131. Ulva lactuca L.
U. Lactuca, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 193 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. Ili — Hauck Meersalgen p. 435.
Ulva Lactuca b. latissima, Ardiss. Pliyc. inedit. II, p. 194.
Abit. Comune ovunque.
Enteromorpha Linck.
132. Enteromorpha Jlexuosa (Wulf.) I. Ag.
E. Jlexuosa, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 204 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. 1, p. 121.
E. Juergensii, Kg. Spec. Alg. p. 481 : Tab. Phyc. VI, t. 43, f. 3 ? — Hauck
Meersalgen, p. 433.
E. fulrescens, Kg. Tab. Phyc. VI, t. 42.
Abit. Acitrezza, in marzo.
133. Enteromorpha intestinalis (L.) Link.
E. intestinalis, De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 123 — Kg. Spec. Alg.
p. 478 : Tab. Phyc. VI, t. 31 — Hauck Meersalgen p. 426.
E. spermatoidea , Kg. Tab. Phyc. VI, t. 32, n. 4.
Vivo Enteromorpha var. intestinalis, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 198.
Abit. Abbastanza frequente.
1 34. Enteromorpha Linea (L.) I. Ag.
E. Linea, De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 124 — Hauck Meersalgen
p. 427.
Phycoseris crispata, Kg. Spec. Alg. p. 470 : Tab. Phyc. VI, t. 17.
Ulva Enteromorpha var. lanceolata, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 196.
Phycoseris lanceolata, Kg. Spec. Alg. p. 475 : Tab. Phyc. VI, t. 17.
Ph. smaragdina , olivacea-, Kg. Spec. Alg. p. 476: Tab. Phyc. VI, t. 19.
48
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII. J
Ph. planifolia, Kg. Spec. Alg. p. 476 : Tab. Phyc. VI, t. 18.
Abit. Abbastanza frequente ovunque, anche nelle forme lan-
ceolata e crispata.
135. Enteromorpha compressa (L.) Grev.
E. compressa , De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 126 — Kg. Tab. Phyc. VI,
t. 38 — Hauck Meersalgen p. 428 — Ardiss. Bnum. Alg. Sicil. N. 64.
E. complanata , Kg. Tab. Phyc. VI, t. 39.
Ulva Enteromorpha var. compressa ., Ardiss. Phyc. medit. II, p. 198.
Abit. Comune ovunque.
CLADOPHOKACEAE (Hassal) Wittr.
Chaetomorpha Kg\
136. Chaetomorpha crassa (Ag.) Kg.
Ch. crassa, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 213 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 270. — Kg. Spec. Alg. p. 379 : Tab. Phyc. Ili, t. 59 —
Hauck Meersalgen p. 439 — Ardiss. Euum. Alg. Sicil. X. 36.
Ch. torulosa , Kg. Spec. Alg. p* 380 : Tab. Phyc. Ili, t. 61.
Abit. Porto di Siracusa, all’ « Isola », in luglio ; porto di Ca-
tauia, in agosto. Acireale alla « Scalazza » (Esemplari raccolti dal
Prof. Baccarini e determinati dal Prof. Piccone).
137. Chaetomorpha aerea (Dillw.) Kg.
Ch. aerea, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 215 — De Toni, Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 272 — Kg. Spec. Alg. p. 379 : Tab. Phyc. Ili, t. 59 —
Hauck Meersalgen p. 438.
Ch. princeps, Kg. Spec. Alg. p. 380 : Tab. Phyc .III, t. 59.
Ch. vasta, Kg. Spec. Alg. 378 : Tab. Phyc. Ili, t. 56.
Ch. variabilis, Kg. Spec. Alg. p. 378 : Tab. Phyc. Ili, t. 55.
Ch. urbica, Kg. Spec. Alg. p. 377 : Tab. Phyc. Ili, t. 54.
Ch. gallica, Kg. Spec. Alg. p. 378: Tab. Phyc. Ili, t. 57, f. 3.
Ch. Dubyana, Kg. Spec. Alg. p. 378 : Tab. Phyc. Ili, t. 57, f. I
Ch. herbacea, Kg. Spec. Alg. p. 378 : Tab. Phyc. III, t. 57, f. I.
Abit. Abbastanza frequente ovunque.
Cladophora Kg.
138. Cladophora. catenata (Ag.) Ardiss.
Cl. catenata , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 226 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 307 — Hauck Meersalgen p. 451.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
49
Cl. prolifera var. flaccida, Kg'. Spec. Alg. p. 390.
Abit. Catania, alla Plaia, in maggio.
139. Cladopliora graeilis (Griff.) Kg.
Cl. graeilis , Ardiss. Phyc. raedit. II, p. 239 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I,
p. 322 — Kg. Spec. Alg. p. 403: Tab. Phyc. IV, t. 23, f. 2. —
Hauck Meersalgen p. 457.
Cl. vadorum , Kg. Spec. Alg. p. 402 : Tab. Phyc. IV, t. 20, f. I.
Abit. Porto d’ Augusta.
140. Cladopliora Echinus (Bias.) Kg.
Cl. Echinus, Ardiss. Phyc. tnedit. II, p. 221 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 343 — Kg. Spec. Alg. p. 414 : Tab. Phyc. IV, t. 62,
f. I — Hauck Meersalgen p. 448, f. 197.
Abit. Acireale : leg. Prof. Lopriore.
Valonia Gin.
141. V aionia utricularis Ag.
V. utricularis, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 163 — De Toui Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 376 — Kg. Spec. Alg. p. 507 : Tab. Phyc. VI, t. 86,
2, b-d — Hauck Meersalgeu p. 469.
V. Siphunculus, Kg. Spec. Alg. p. 507 : Tab. Phyc. VI, t. 86, II, a.
V. incrustans, Kg. Spec. Alg. p. 507 : Tab. Phyc. VI, t. 86, f. I.
Abit. Comune ovunque nella la zona di profondità.
142. Valonia Aegagropila (Roth. ?) Ag.
V. Aegagropila , De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 377 — I. Ag. Alg.
• medit. p. 24 — Kg. Spec, Alg. p. 507 : Tab. Phyc. VI, t. 87, f. I.
V. utricularis , forma Aegagropila, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 164 — Hauck
Meersalgen p. 469.
Abit. Porto di Siracusa.
V AUCHERIACEAE (Gray) Dmnort.
Vaucheria D. C.
143. Vaucheria dichotoma (L.) Ag. forma marina.
V. dichotoma forma marina, De Toui Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 395 —
Hauck Meersalgen p. 412.
Atti acc. Serie 4% Yol. XVIII — Mem. XIII.
7
50
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII].
V. submarina , Kg. Spec. Alg. e Tab. Pliyc.
V. Pilus , Kg. Tab. Pliyc. VI, t. 67. f. 2.
V. bursata var. marina , Kg. Spec. Alg. p. 489.
Abit. Porto d’ Augusta.
DASYOLADIACEAE (Endl.) Cramer.
Dasycladus Ag.
144. Dasycladus clavaeformis (Roth.) Ag.
D. clavaeformis, Ardiss. Pliyc. medit. II, p. 180 — De Toui Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 411 — Kg. Spec. Alg. p. 508 : Tab. Pbyc. IV, t. 91 —
Hauck Meersalgeu p. 483.
Abit. Siracusa, spiaggia di S. Lucia, in ottobre.
Acetabularia (Tourn.) Lauiour.
145. Acetabularia mediterranea Lamx.
A. mediterranea. Ardiss. Phyc. medit. II, p. 178 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 420 — Kg. Spec. Alg. p. 510: Tab. Pbyc. VI. t. 92,
f. 3 — Hauck Meersalgen p. 484.
Abit. Siracusa, spiaggia di S. Lucia, in ottobre, sugli scogli
a fior d’ acqua.
DERBESIACEAE Tlmr.
Derbesia Solier.
146. Derbesia Lamourouxii (I. Ag.) Solier.
D. Lamourouxii , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 159 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 424 — Hauck Meersalgen p. 476.
Bryopsis Balbisiana , Kg. Spec. Alg. p. 490.
Br. Balbisiana var. Lamourouxii, I. Ag. Alg. medit. p. 18.
Br. Balbisiana var. interrupta , Kg. Tab. Phyc. VI, t. 74, f. 2.
Br. dalmatica, Kg. Tab. Phyc. VI, p. 26, t. 74, f. I.
Br. ligustica , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 19.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania.
BRYOPSIDACEAE (Bory) Tlmr.
Bryopsis Lamour.
147. Bryopsis muscosa Lamour.
Br. muscosa , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 153 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
51
Sect. I, p. 435 — 1. Ag. Alg. medit. p. 19 — Kg. Spec. Alg. p. 493 :
Tab. Phyc. YI, t. 82, f. I — Hauck Meersalgen p. 474.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania : Acicastello, Messina,
Acireale (Mazza).
148. Bryopsis cupressoides Lamour.
Br. cupressoides , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 155 — De Toni Syll. Alg. Yol. I,
Sect. I, p. 435 — Kg. Spec. Alg. p. 492 : Tab. Phyc. YI, t. 79, f. I.
Br. piumosa var. Arbuscula, I. Ag. Alg. medit. p. 21.
Br. flagellata , Kg. Tab. Phyc. YI, t. 80, f. 2.
Br. implexa, Hauck Meersalgen p. 473.
Br. thujoides, Kg. Tab. Phyc. YI, t. 78, f. I.
Br. piumosa , var. adriatica , Hauck Meersalgen p. 473.
Br. pseudopiumosa e Br. sicula , Ardiss. Enum Alg. Sicil. N. 74 e 75.
Abit. Abbastanza frequente.
CAULERPACEAE Peiclienb.
Caulekpa Lamour.
149. Caulerpa prolifera (Forsk.) Lamour.
C. prolifera , Ardiss. Phych. medit. II, p. 166. — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 450.
Phyllerpa prolifera, Kg. Spec. Alg. p. 496: Tab. Phyc. Yol. 7, t. 3.
Abit. Comune ovunque.
SPONOODIACEAE Lamour.
Oodiitm Stackli.
150. Codium adhaerens (Cabr.) Ag.
C. adhaerens , Ardiss. Phyc. medit, II, p. 169 — De Toni Syll. Alg. Yol. I,
Sect. I, p. 489 — Kg. Spec. Alg. p. 502 : Tab. Phyc. YI, t. 100,
f. I — Hauck Meersalgen p. 479 — Ardiss. Alg. Sicil. N. 78.
Codium arabicum, Kg. Tab. Phyc. VI, t, 100, f. 2.
Abit. Porto di Siracusa e di Catania: Messina.
151. Codium Bursa (L.) Ag.
C. Bursa , Ardiss. Phyc. medit. II. p. 169 — De Toni Syll. Alg. Yol. I.
52
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII. j
Sect. I, p. 490 — Kg. Spec. Alg. p. 502 : Tab. Phyc. VI, t. 99,
f. I — Hauck Meersalgeu p. 479 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 155.
Abit. Comune ovunque.
152. Codium tomentosum (Huds.) Stackh.
C. tomentosum , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 170 — I)e Toni Syll. Alg. Voi. I,
' Sect. I, p. 491 — Kg. Spee. Alg. p. 500 (non le var. e i sinou.) :
Tab. Phyc. VI, t. 94 — Hauck Meersalgen p. 479- -Ardiss. Enuni.
Alg. Sicil. X. 76.
Abit. Comune ovunque.
153. Codium elongatum Ag.
C- elongatum , De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 496 — Kg. Spec. Alg.
p. 501 (non le var.): Tab. Phyc. VI, t. 96, b.
C. tomentosum , var. elongatum , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 171.
Abit. Comunissimo a Marzamemi.
Non si può considerare questa specie come una forma di pas-
saggio a quella ordinaria del C. tomentosum (Huds.) Stack: la fronda
compressa, dilatata all’ ascella delle ramificazioni dicotomiche, la
grandezza delle cellule periferiche, maggiore nel C. elongatum che
nel C. tomentosum , son tali caratteri differenziali che non lasciano
dubbio sulla necessità della distinzione fra le due specie. Il C.
tomentosum non arriva mai ad acquistare le dimensioni del C. elon-
gatum, il quale, anche in esemplari giovani, poco sviluppati, pre-
senta sempre la caratteristica dilatazione all’ ascella delle ramifi-
cazioni, carattere questo, che non dimostra il C. tomentosum auche
in uno stadio molto evoluto.
Un’ osservazione relativa alla distribuzione batimetrica : il
C. elongatum vegeta nella la zona di profondità, poco sotto al li-
vello dell’acqua. Nulla di preciso si conosce, mi pare, in ordine
alla profondità alla quale vive 1’ alga in parola : il chiar. Signor
Rodriguez ne pescò esemplari a 90 e a 100 m. ed il Prof. Piccone,
basandosi sulla lunghezza e la consistenza della fronda e sul grado
di agitazione del mare, che determinò il distacco della pianta dal
corpo sul quale era affissa, credeva di non allontanarsi molto dal
vero, supponendo che gli esemplari, trovati galleggianti ad Albis-
sola, vegetassero ad una profondità di 10 metri almeno (1). L’ in-
(1) A. Piccone — - Nofcerelle ecologiche : « Sulla presenza del C. elougatum Ag. in Li-
guria e sulla sua area Ai distribuzione nel Mediterraneo » nuova Notarisia 2 marzo 1891.
Le Alghe marine della /Sicilia Orientale
53
duzione dell’ Illustre Professore potrà pur essere fondatissima, poiché
su materiale reietto o allo stato natante non si può dir nulla di
sicuro : ho potuto osservare che il C. elongatum vegeta anche quasi
immediatamente al disotto del livello dell’ acqua. In una escursione
lungo la spiaggia di Marzamemi, (punta estrema al sud della Sicilia
orientale), raccolsi molti esemplari di quest’ alga, le parti apicali
della quale, mosse leggermente dal flusso e riflusso, rimanevano
scoperte.
Il C. elongatun vegeta nei seni di mare, nelle cavernule poco
esposte.
UDOTEACEAE (Endl.) I. Ag.
Udotea Lamour.
154. Udotea Desfontainii (Lamour) Decne.
U. Desfontainii , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 173 — De Toni Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 508 — Kg. Spec. Alg. p. 503 : Tab. Phyc. VII, t. 19,
f. b — Hauck Meersalgeu p. 481 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 80.
U. lacinulata , Kg. Spec. Alg. p. 503.
C. ciliata , Kg. Tab. Phyc. VII, t. 19, a.
Abit. Abbastanza frequente.
Halimeda Lamour.
155. Halymeda Luna (Eli. e Solaud.) Lamour.
R. Tmia, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 174 — De Toni, Syll. Alg. Voi. I,
Sect. I, p. 518 — Kg. Spec. Alg. p. 504 : Tab. Phyc. VII, t. 21,
f. 4 — Hauk Meersalgeu p. 482. f. 212 — Ardiss. Enum. Alg. Si-
cil. N. 81.
Abit. Oomuuissima dapertutto.
SCHIZOSPOKEAE Colili.
LYNGBYA Ag.
156. Lynghya aestuarii (Mertens) Liebm.
L. aestuarii , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 273 — Hauck Meersalgeu p. 504.
L. aeruginosa, Kg. Spec. Alg. p. 282 : Tab. Phyc. I, 88, VII.
L. crispa, I. Ag. Alg. medit. p. 11 — Kg. Spec. Alg. p. 283 : Tab. Phyc. I,
89, IV — Ardiss. e Straft'. Enum. Alg. Lig. p. 71.
54
Doti. Venturino Spinelli
[Memoria XIII].
L. glutinosa , Kg. Spec. Alg. p. 282 : Tab. Pkyc. I, 89, II.
L. interrupta, Kg. Spec. Alg. p. 281 : Tab. Phyc. I, 88, IV.
Abit. Frequente sugli scogli ovunque.
157. Lyngbya violacea , Rabenh.
L. violacea, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 275 — Hauck Meersalgen p. 503.
L. polychroa, Kg. Spec. Alg. p. 278: Tab. Phyc. V, 85, V.
L. capillacea, Kg. Spec. Alg. p. 278 : Tab. Phyc. I, 85, IV.
Abit. Catania, su alcune Alghe.
BACILLARIEAE Nitzsch.
COCCOAEIDACEAE
Oocconeis Ehr.
158. Cocconeis tentellum, Elv.
Sul Qeliudium corneurn Larnx : porto di Siracusa, in aprile.
ACNANTACEAE
Achxanthes Bory
159. Achnantlies subsessilis Elv.
Sul Ceramium rubrum Ag. e sul Cer. elegans Ducluz : porto di Catania.
160. Achnanthes longipes , I. Ag.
Sul Cer. rubrum e sul Ver. elegans : porto di Catania.
EKAGILARIACEAE
Synedra Ehr.
161. Synedra affinis Kg. var. hybrida Gr.
Sul Cer. elegans : porto di Catania.
LIOMOPHORAOEAE
Licmophora Ag.
162. Licmophora Oedipus (Kg.) Grun.
Abit. Sul C. elegans Ducluz: porto di Catania.
Le Alghe marine della Sicilia Orientale
55
163. Licmophora australis (Kg.) Gran.
Abit. Sul Ver. rubrum A g. : Porto di Siracusa.
STRIATELLACEAE
Geammatophora Elir.
164. Grammatophora marina (Lyngb.) Kg.
Abit. Sul Ccr. elegans Ducluz : porto di Catania.
165. Grammatophora marina var. intermedia Gran.
Abit. Sul Gelidium corneum Lamx: porto di Siracusa.
166. Grammatophora marina var. typiea.
Abit. Sul Gel. corneum Lamx : porto di Siracusa.
167. Grammatophora marina var. nodulosa.
Abit. Come sopra.
Rabdouema Kg.
160. Khabdonema adriaticum Kg.
Abit. come sopra.
■
■
■ '
Memoria XIV.
ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA
Bacteriosi del Fico
Memoria di F. CÀYARA
(con una tavola) “
Dopo che i progressi della microbiologia hanno aperto un
nuovo orizzonte alla patologia generale e messo fuori di ogni
dubbio che il maggior numero delle malattie che affliggono l’u-
manità è dovuto all’ influenza di quei minutissimi esseri che
vanno sotto il nome volgare di microbi , è evidente che anche l’in-
dagine delle alterazioni delle piante dovesse seguire cotesto nuovo
e ferace indirizzo. È così infatti che parecchie malattie di piante
coltivate poterono essere, in questi ultimi tempi, chiaramente di-
mostrate di natura microbica; tale ades.il mal nero della vite,
che affligge sopra tutto le viti di Sicilia, provocato dal Bacili-m
vitivorus Baecar. (1), la tubercolosi della vite (2), la rogna dell’u-
livo (3), i tumori del pino d’Aleppo (4), la necrosi dei germogli
del gelso (5), e molte altre affezioni di piante orticole erbacee.
Novella conferma questa del principio unitario della vita.
(1) Bacca ioni P. Il mal itero delia tute, in Stazioni spermi, agr. ital. Modena 1895.
(2) Cavara F. Aperrtt som-maire de qnelqnes maladies de la vigne — Rev. internai, de Viticoli,
et Oenolog. Macon 1877. e Stazioni sperilo, agr. ital. 1897.
(3) Savastano L. Il Bacillo della tubercolosi dell’olivo (Semi. dell’Aecad. dei Lincei 1889)
Prili.ieux, Badile s dts lumenrs de l’ Olivier, in Compt. Rend. de l'Acad. des. Se. CVIII. 1889.
(4) Vuillemin P. Sur ime bactériocéeulie ott tumeur baci U-aire du- piti d’ Alcpp. Compt.
Rend. de P Acad. d. Scienc. 2(1 Nov. 1888.
(5) Ho ver et Lambert, Comptes Rend. de P Ac. d. Se. de Paris 1894 — Peglion V.
Bacteriosi del Gelso, in Staz. sper. agr. ital. Voi. XXX. 1897.— Cavara Intorno alla eziologia
di alcune malattie etc. Ibid. 1897.
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XVIII — Meni. XIV.
1
9
F. Cavava
[Memoria XIV].
Aiiclie le piante nelle loro manifestazioni di carattere patologico
si comportano come gli animali; la loro sostanza vivente, il pro-
toplasma delle loro cellule può divenir preda di quegli esseri
infinitamente piccoli, che tanta parte hanno nell’ economia della
natura, 1’ attività dei quali o la virulenza dei loro prodotti (tos-
sine) induce così profonde modificazioni nelle strutture e nelle
funzioni degli organi elementari da condurre gli esseri superiori
a rovina. Le piante, come gli animali, soggiacciono all’ attacco
di cotesti invisibili nemici, fornendo mirabili esempi, nuovi aspetti
e forme di quella che è la lotta per l1 esistenza.
Scopo della presente memoria è appunto una breve illustra-
zione di una malattia microbica del Lieo.
Lin dall’ aprile del 1903 il Professore Domenico Bufalini,
titolare della Cattedra ambulante di agricoltura per la provincia
di Peggio Calabria, ini inviava in esame dei rami di Fico (Ficus
Carica Lin.) che presentavano segni evidenti di avanzato depe-
rimento. Lo stesso Professore, nella lettera colla quale accompa-
gnava 1’ invio del materiale di studio, dava le seguenti notizie
intorno alla malattia : « L’alterazione, egli scriveva, si presenta
« così : dapprima il tronco si colora in rosa e poi sul tronco e
« sulla parte alta della pianta compariscono delle macchie brune.
« Le radici non presentano alterazioni di sorta, almeno a prima
« vista. Il terreno su cui sono i tìchi ammalati è di natura sili-
« cea in parte, in alcune zone tendente all’ argilloso ; il sotto -
« smdo è pochissimo permeabile ; però la malattia 1’ ho riscon-
« trata anche in piante coltivate in terreno profondo e sciolto
« con sottosuolo permeabile, in piante giovani di 3 o 4 anni di
« dimora sul posto. Mi si dice che questa malattia esista da
« moltissimi anni, e vi sieno dei ficheti che la subiscono da 40
« anni. »
Mi diedi ad un esame particolareggiato dei rami inviatimi.
Alcuni di essi erano completamente secchi verso la estremità
per un tratto di parecchi centimetri; il limite fra la parte secca
e la parte tuttora verde era alquanto indeciso, tuttavia il colore
Bacteriosi del Fico
e la diversa resistenza all’ intaccatura della parte morta lo an-
nunciavano abbastanza. Di più , nella parte secca si notavano
numerosi forellini circolari , di 1 min. circa di diametro , che
denotavano l’azione di animali. Tagliando infatti con un bisturi
ed in senso tangenziale quei rami, si mettevano a nudo delle sot-
tili gallerie, che spesso facevano capo all’ insetto che le aveva
scavate e che era un piccolo coleottero.
Siccome le gallerie interessavano talora anche la parte non
secca dei rami di fico, così veniva spontanea 1’ idea che a tale
insetto fosse dovuto il deperimento delle piante.
Inviai, perciò, alcune porzioni di rami così alterati e alcuni
di quegli insetti all’egregio amico, Prof. D.r Giacomo Cecconi
dell’ Istituto forestale di Vallombrosa, il quale con molto amore
e competenza si occupa di danneggiamenti delle piante per opra
di animali , invitandolo a volermi dare ragguagli in proposito.
Colla consueta cortesia il Dottor Cecconi mi rispondeva che
trattavasi dell’ Hypoborus Fici E ridi, il quale « vive general-
« mente sotto la corteccia dei rami malandati di fico, delPestre-
« mità generalmente , affrettandone la morte. Insetto comune,
« pel quale non si lamentavano danni che in casi rari di piante
« intere. » Egli consigliava poi di raccogliere i rami infetti e
di bruciarli.
Mentre cotesta risposta dell’ amico entomologo di Vallom-
brosa toglieva valore e consistenza alla supposizione che 1’ Hy-
póboms Fici potesse essere la causa del deperimento dei fichi di
Calabria , io stesso avevo già notato che il fatto del dissecca-
mento totale delle estremità dei rami e la presenza di gallerie
non era di tutti i campioni inviatimi, laddove vari caratteri si
riscontravano, i quali facevano pensare ad altro ordine di cause
del male. Si notava, infatti, da un lato uno scarso e rachitico
sviluppo delle foglie che si presentavano con colorazione verde-
giallastra, con abbondante peluria nella pagina inferiore e col
margine increspato ; d’ altro lato i pochi fioroni che portavano
quei rami pendevano appassiti dai loro peduncoli, staccantisi al
4
F. Cavava
[Memokia XIV].
minimo urto, quindi destinati a precoce caduta. Negli internodi,
poi, si osservano le alterazioni di cui faceva parola il Prof.
Bufalini, e precisamente delle macchie longitudinali, d’ordina-
rio orientate tutte da uno stesso lato, ora grigio-rosee, ora bru-
niccie, secondo il grado dell’ alterazione, ma sempre facilmente
discernibili anche per una notevole abrasione della corteccia
(Tav. nostra fìg. 6).
Praticando un taglio, in senso tangenziale, in corrispon-
denza di tali chiazze in modo da asportare il tessuto della
corteccia e mettere a nudo parte del cilindro legnoso , come
dimostra la fig. 7 della nostra tavola, si ha tosto una idea
chiara della natura delle alterazioni interne dei rami, e si os-
servano delle macchie o strie longitudinali di tessuto legnoso
più o meno necrosato, nel loro inizio di color giallastro, poi
via via più scure fino a divenire di un bruno-ocraceo e mucide
là dove il processo di degenerazione ha assunto i caratteri del
vero cancro. Tale constatazione si può fare parimenti spaccando
per il lungo un pezzo di ramo infetto, dopo averne con un
bisturi appianata la sezione, come fa vedere la nostra tig. 8, la
quale ancor meglio dimostra la varia localizzazione delle alte-
razioni. Anche le sezioni trasversali (tig. 1 a 5) danno una
chiara idea di cotesta localizzazione e si può rilevare come alle
volte sieno delle porzioni più o meno estese della corteccia che
vengono colpite dal processo degenerativo, ed altre volte questo
abbia sede in regioni più o meno profonde del cilindro legnoso,
spesso anche senza un’ apparente relazione fra le due regioni
necrosate. Talora invece (fìg. 3 e 5) si hanno dei settori ne’
quali P alterazione procede dalla corteccia e si spinge fin quasi
al midollo.
Una serie più o meno grande di internodi presenta co-
testi processi di necrosi, i quali soglionsi allargare viemaggior-
mente a livello dei nodi stessi, d’ onde P intristimento ed il
rachitico sviluppo delle foglie e dei siconi. In tali alterazioni
risiede perciò la ragione del deperimento dei rami , la cui
Bacteriosi del Fico
£>
causa viene meglio chiarita dall’ esame istologico delle regioni
neerosate.
Intanto, come già il Prof. Bufalini asseriva, il sistema ra-
dicale era perfettamente immune da alterazioni qualsiasi, ciò che
potei constatare in una pianta di pochi anni i cui rami erano
invece colpiti dalla malattia.
Delle sottili sezioni praticate tanto trasversalmente che in
senso radiale in un ramo infetto, anche senza il sussidio di al-
cun mezzo di colorazione, fanno vedere al microscopio come le
macchie tanto del legno quanto della corteccia sieno dovute ad
una sostanza mucillaginosa e linamente granulare ad un tempo,
la quale si è sostituita al normale contenuto degli elementi isto-
logici. Ootesta sostanza è particolarmente constatabile nel tessuto
conduttore e precisamente ne’ grossi vasi • che ne sono infarciti.
Le trachee, nel legno del Pico, come in quello della Vite e di
tante altre piante, si presentano spesso riempite da quelle pro-
duzioni note sotto il nome di tilli e che sono intromessi oni delle
cellule parenchimatiche, circostanti ai vasi stessi. Ora esami-
nando in una sezione trasversale (Fig. 11) il primo accenno
di una delle suddescritte alterazioni, si rileva come uno o pochi
grandi vasi fra di loro ravvicinati in serie presentino un con-
tenuto torbido, di un color giallo chiaro, in luogo dei tilli che
si osservano invece negli altri vasi del legno ancor sano. Evi-
dentemente le membrane delle cellule di riempimento dei vasi
(tilli) hanno subita una degenerazione completa, d’ onde la so-
stanza di aspetto torbido e di colore gialliccio sopra notata. Una
sezione longitudinale-radiale mette ancor meglio in evidenza
cotesto prodotto di degenerazione dei tilli, e se 1’ osservazione si
fa ad un notevole ingrandimento, ad es. con un obiettivo a
secco di Koristka 8 o 9, o meglio con un obiettivo ad immer-
sione, allora è facile rilevare in seno alla sostanza mucillaginosa
suddetta una miriade di corpuscoli, a forma di corti bastoncini,
fittamente aggregati fra di loro, che un occhio abituato sa rico-
noscere per schizomiceti. Trattasi perciò di vere e proprie zooglee
6
F. Cava va
| Memoria XI VJ.
di bacteri occupanti per tratti più o meno estesi il vano dei
grandi vasi.
La sostanza mucosa costituente le zooglee è naturalmente
il prodotto della degenerazione dei tilli da un lato e della parziale
gelatinizzazione delle membrane dei microrganismi stessi dal-
P altro.
Ili uno stadio successivo del processo infettivo si nota una
irradiazione di questo dai grandi vasi alle cellule del parenchima
circostante pel tramite delle punteggiature di quelli o per gli stessi
passaggi praticati dalle cellule dei tilli. Si verifica qui quanto
il Baccarini (1) ha osservato nei tralci di viti* affetti da mal nero.
I punti di contatto anzi fra questa malattia della vite e quella
del Lieo che qui ci occupa, sono parecchi come appresso anche
vedremo. 1 primi focolai o centri infettivi, da cui irradia il pro-
cesso morboso, sono in entrambi i casi i grandi vasi, o meglio
quei grandi vasi ne1 quali si è venuto ad insediare P agente della
infezione stessa. Per successiva irradiazione da questi le zooglee
bactericlie invadono le cellule del parenchima legnoso, ove tro-
vano come materiale nutritizio P amido, ed in seguito i raggi
midollari e la zona del cambio, d’onde si diffondono agli elementi
del libro e della corteccia ricchi di sostanze di nutrizione. Quivi
la moltiplicazione dei microrganismi si fa rigogliosissima e gli
effetti del copioso sviluppo delle colonie divengono disastrosi
per la pianta ospite. Il contenuto delle cellule in degenerazione
si fa giallo-bruno, le membrane non lignificate cadono in preda
ad un intenso processo lisigenico per opera dei prodotti dell’ atti-
vità dei microrganismi pullulanti, e si ha, oltre ad uno sfacelo dei
tessuti, delle vere e proprie soluzioni di continuità (V. Pig. 13 e
14 ) , donde P abrasione dei tessuti corticali che è uno dei ca-
ratteri esterni dei rami infetti, come si disse sopra. Negli esem-
plari avuti in esame , riferentisi a piante giovani , non fu dato
osservare che lo sfacelo dei tessuti corticali portasse all’erosione
(1) P>accarini P. Op. cit. pa^. 478.
Baciatosi del Fico
di questi tino ad ottenersi degli spaccili longitudinali come nel
mal nero della vite, che perciò fu detto anche male dello spacco.
Tuttavia in qualche ramo ( V. fig. 6 ) si potè rilevare 1' inizio
di un simile processo distruttivo.
Non vi ha dubbio, intanto, che per processo lisigenico delle
membrane delle cellule parenchi maliche gli elementi meccanici
del libro ossia le fibre del libro duro vengono come isolate dal
parenchima liberiano ( tig. If ), mentre esse pel grado notevole
di lignificazione delle loro membrane resistono all’azione distrut-
tiva dei bacteri o dei loro prodotti.
I laticiferi sono egualmente invasi, come può rilevarsi dal
colore giallo-bruno che assumono in certi loro tratti, in corri-
spondenza dei quali si mostrano infarciti di batteri, e finiscono
per cadere in isfacelo come le cellule dei parenchima erbaceo.
Quest’ ultimo tessuto è più particolarmente affetto da necrosi
per profonda alterazione sia del contenuto che delle membrane
delle sue cellule. Uno sguardo alla tig. 13 dà ragione di simile
degenerazione. Che ciò possa e debba avvenire, si spiega facil-
mente sia per la quantità di materiali plastici di questo tessuto,
sia per il tenue grado di lignificazione delle membrane cellulari.
Tanto nelle sezioni trasversali di tronchi infetti (fig. 1 a 5)
quanto nelle sezioni radiali ( fig. 8 ), si rileva il maggiore svi-
luppo assunto dal processo anatomo-patologico nei tessuti corti-
cali rispetto a quello dei tessuti legnosi, non ostante che questi
ultimi rappresentino i punti di partenza dell’ infezione, i primi
focolai, essendo presumibile che la infezione siasi fatta strada
dall’ esterno per la via del sistema conduttore, per le aperture
beanti dei grossi vasi del legno in caso di tagli nei rami, di
sfogliatura di questi, di distacco di siconi fortuito o causato
dall’ uomo. Tale interpretazione è avvalorata, del resto, dallo
stato perfettamente normale delle radici delle piante infette.
Ammessa tale origine della infezione per parte di micror-
ganismi portati dall’ aria o dall’ acqua, ovvero indirettamente
dall’uomo, è evidente che stabilitasi una colonia in uno o più
8
F. Cavava
[Memoria XLV].
dei grossi vasi , da essa abbia potato procedere l’infezione sia
in senso longitudinale per la via stessa dei vasi e agevolata dalla
corrente traspiratoria, sia in modo più lento in senso trasver-
sale per irradiazione dai vasi nelle cellule del parenchima le-
gnoso, in quelle dei raggi midollari, nella zona cambiale, nel li-
bro e nella corteccia. Onde la differente localizzazione delle mac-
chie, notata fin dal principio di questo scritto, verrebbe spiegata
dal diverso modo di diffusione delle zooglee bacteriche attraver-
so e lungo i differenti tessuti della pianta infetta.
La diversione dei materiali elaborati della pianta, 1’ accu-
mulo di sostanze di rifiuto dei microrganismi e di alterazione
dei tessuti, la necrosi di questi spiegano senz’altro il deperimen-
to dei rami, le ipoplasie nei germogli, lo sviluppo meschino delle
foglie e delle infiorescenze.
Ragioni di analogia che questa malattia del fico offre col
mal nero delle viti, colla batteriosi o necrosi del gelso, la pre-
senza di microrganismi e di zooglee nei vasi conduttori ed in
altri elementi istologici, che adatti processi, di colorazione (Bleu
di Metilene, Bleu di Poirier, Pucsina, etc.) mettono anche me-
glio in rilievo, indussero ragionevolmente a pensare che si trat-
tasse di malattia infettiva e che 1’ agente fosse il batterio che
trovavasi così copioso nei vari sistemi anatomo-tìsiologici. Do-
vevasi perciò portare 1’ indagine sui caratteri biologici di tale
microrganismo.
Col materiale fresco inviatomi dal Professore Bufalini pro-
cedetti a ricerche di coltura cou diversi substrati.
Preparai anzitutto una gelatina peptonizzata a base di succo
estratto da foglie giovani e germogli di fico. In tubetti d’as-
saggio introducevo coll’ ago di platino (prima arroventato alla
fiamma) tenui porzioncelle di legno in incipiente necrosi, aspor-
tato con debite cure e previa sterilizzazione da ramo infetto ;
poi facendo fondere la gelatina colla palina stretta della mano,
quella veniva versata in una scatola Petri che era stata esposta
prima a 150.° Si avevano così colture a piatto, dalle quali era
Bacteriosi del Fico
9
permesso poi l’ isolamento delle colonie nel caso d’ inquinazione
di microrganismi diversi nella coltura.
Dopo due giorni si osservò attorno ai frammenti di legno
una nubecola, che era 1’ inizio di colonia bacterica e qua e là
piccole punteggiature che erano pure delle minuscole coloniette
provenienti da germi isolati, separatisi dal pezzetto di legno.
Dopo alcuni giorni attorno alle porzioncelle di legno necrosato
si era formata una cospicua colonia grumosa, di colore bianco-
crema, e le coloniette isolate erano divenute lenticolari, madre-
perlacee e con un alone fluido tutt’ attorno , segno evidente di
fusione della gelatina. Si fecero tosto dei trasporti sì dalla colo-
nia principale che dalle secondarie in nuovi tubetti , che si la-
sciarono alla temperatura dell’ ambiente (di giorno 15° circa). In
breve tempo, da 24 a 48 ore, si avvertiva alla superfìcie obli-
qua della gelatina dei tubi di coltura una colonia frangiata ai
lati della linea di infissione , di colore bianchiccio e piuttosto
grumosa verso la parte centrale, mentre nel cono d’ infissione si
delineava una nubecola costituita da numerose minuscole colo-
niette globulari. Lo sviluppo era evidentemente più contrariato
nel cono d’ infissione di quello che alla superfìcie libera. Quivi
anzi in pochi giorni la colonia si allargò, prese contorno più re-
golare e assunse un colore giallo che andò sempre più inten-
sificandosi.
Dopo parecchi giorni si notava la fi nidificazione della ge-
latina, per cui, affondandosi la colonia, veniva a confondersi con
quelle globulari del cono d’ intìssione. Alla superficie della ge-
latina fusa restavano a galleggiare dei lembi di sostanza gialla-
stra costituita forse da materiali di natura escrementizia e da
spoglie o membrane abbandonate dai microrganismi. Coll1 eva-
porare del liquido di fusione della gelatina tali residui rimane-
vano aderenti, ad anello, alla parete del tubetto.
Da quasi tutte le colture a piatto si ebbero le due forme
di colonie suddette, cioè V una grumosa, aderente ai frammenti
di materiale seminato e le altre minutissime. In pochi casi al-
At'ji acc. Serie 4% Voe. XVIII — Meni. XIV. 2
10
F. Cavava
[Memoria XIV].
tri microrganismi inquinarono le colture, ma, atteso i peculiari
caratteri delle loro colonie, fu possibile, perciò, l’isolamento della
forma che sviluppatasi nell’interno dei tessuti del fico e di essa
ottenere delle colture pure.
Altri mezzi solidi furono pure usati per questo microrga-
nismo e così agar-agar, fette di pane, di patate, di zucca e di
banani, con i risultati che qui brevemente espongo.
L’ agar-agar, che fu preparato con aggiunta di peptone e
dei costituenti del liquido di coltura di Raul in , si mostrò un
cattivo substrato, le colonie procedettero assai lentamente e poi
si arrestarono dopo uno scarso sviluppo. Dando esso reazione
neutra, si pensò di modificarlo sia coll’ acidificarlo da un lato
sia coll’ alcalinizzarlo dall’ altro. Colla prima modificazione si
ottenne uno sviluppo mediocre, colla seconda non si ebbe accen-
no a moltiplicazione alcuna.
kSu fette di pane sterilizzale in autoclave, si ebbe pure
assai scarso sviluppo. Le colonie si mantenevano di color bian-
co-latteo per molti giorni. Latti dei trasporti nella solita gela-
tina, esse ripresero il loro sviluppo con gli ordinari caratteri.
Su patate cotte si ebbe invece un rigogliosissimo sviluppo.
In pochi giorni la superficie di fette aventi 4 o 5 cin. di dia-
metro fu invasa da ampia colonia semi fluida, vischiosa, di color
giallo d’ oro.
Sopra fette di zucca (varietà a polpa rosso-aranciata assai
zuccherina) si ebbe del pari un cospicuo sviluppo. La polpa di
zucca veniva tutta invasa e compenetrata dalla colonia batterica
in guisa da assumere in seguito, per la graduale perdita di acqua
un aspetto tutto speciale, come fosse earamellizzata.
I banani pure si mostrarono un buon substrato di coltura.
Lo sviluppo, tuttavia, delle colonie fu meno rapido che su
zucca o patate, e quale carattere speciale una colorazione gial-
lo-chiara della colonia, come di crema di latte.
Condizioni che promuovono lo sviluppo di questo bacterio
sono : nutrizione proteico-idro carbonata , un certo grado di aci-
Bacteriosi del Fico
11
dità del substrato, presenza di ossigeno libero e temperatura
non troppo elevata.
Astraendo dalle due prime condizioni che risultano dimo-
strate dalle prove di coltura , aggiungeremo die il bisogno di
ossigeno, quindi il carattere aerobico del nostro microrgani-
smo ebbe una conferma anche nel risultato negativo di una sua
coltura in provetta ad acido pirogallico. Riguardo al suo compor-
tamento rispetto alle condizioni termiche, dissi già che la tem-
peratura diurna di circa 15° era favorevolissima allo sviluppo
delle colonie, non ostante gli abbassamenti notevoli notturni. Fu-
rono anche cimentate temperature più elevate col termostato, e
potei stabilire che da 20° a 25° si aveva già un rallentamento
nello sviluppo delle colonie, rallentamento che si accentuava a
30° ed un arresto assoluto verso i 35° e 37°, temperature favorevoli
invece ai bacteri patogeni degli animali.
La diminuzione graduale dell’ acqua nel substrato , in un
coll1 impoverimento di materiali nutritizii, promuoveva la spori-
ficazione o formazione di germi. La resistenza di questi al di-
fetto di acqua si mostrò notevolissima. E ciò potei constatare
nelle colture fatte su fette di zucca. Essendosi queste, per così
dire, caramellizzate, rese cioè secche e diafane , e conservando
nella loro massa germi del batterio coltivatovi sopra in prima-
vera, potei ottenere ancora nell1 inverno dell1 anno succesivo la
riproduzione di colonie da pezzi di zucca secchi, trasportati in
gelatina fresca.
Mi resta ora a dire dei caratteri morfologici di questo mi-
crorganismo. Accennai già, parlando delle alterazioni anatomiche
dei rami di fico, alla forma di corti bastoncini presentata da esso
nelle zooglee dei grandi vasi. Ma meglio che nei tessuti della
pianta invasa, gli è nel materiale delle colture che si poteva
condurre uno studio morfologico di questo schizomicete. Col
materiale delle colture giovani, specie con quelle su fette di
patate, substrato che si mostrò sovra ogni altro eccellente, potei
fare molteplici preparazioni, che mi misero in grado di apprez-
12
F. Cavava
[Memoria XIV].
zare le particolarità di forma e di struttura del nostro bacterio.
Un metodo che mi diede eccellenti risultati fu quello di fissare
sul vetrino il materiale di coltura con sublimato alcoolico ace-
tico e di colorare con Bleu di Metilene (soluzione aleoolica
1+10 acq. secondo A. Mayer Practicum der botati. Bdkterien-
kunde pag. 152) e Fucsina di Ziel. La sostanza fondamentale
della zooglea si colorava in rosso, e i bacteri si coloravano
in bleu. Da buone preparazioni potei rilevare con sufficiente
chiarezza le forme e le disposizioni assunte da questo bacterio.
Esso presentasi in giovani colture o isolato o allo stato di ag-
gregazione.
Gli articoli isolati o hanno forma di corti bastoncelli ottusi
agli estremi, a guisa di Clostridium e misuranti appena 1, 5x0.5 jjl,
ovvero sono cilindracei, ottusi ed un po’ rigonfi agli estremi, mi-
suranti 2 — 2, 6 X 0. 6 |jl.
Questa seconda forma rappresenta una fase di accrescimen-
to e preludia alla loro divisione, in seguito alla quale si hanno
forme analoghe ai diplococchi e streptococchi.
Nelle forme pluri-articolate o filamentose il diametro degli
articoli si mantiene costante, mentre in quelle isolate e nelle
diplococcoidi gli articoli sono d’ ordinario rigonfi nel loro mezzo.
Nelle colture di due giorni o tre, tanto nelle forme isolate
che in quelle aggregate in serie lineare, si rendono visibili dei
vacuoli, cioè delle soluzioni di continuità nella massa colorabile ,
vacuolizzazioni, che precedono senza dubbio la formazione di
germi o spore. Infatti, in colture ancor più avanzate, cotesta
formazione di germi riesce evidente per la decisa delimitazione
di un globulo (di rado due), che assorbe bene la sostanza co-
lorante, mentre la restante parte del contenuto degli articoli re-
sta in colora.
Le varie forme semplici o seriate di questi batteri si rag-
gruppano poi in zooglee più o meno grandi, lobulate o botrioidi
e conservanti a lungo il loro carattere differenziale in seno alla
massa fondamentale della coltura.
Bacteriosi del Fico
13
Cosa analoga io avevo osservato pel bacterio della necrosi
del gelso (1\ nel quale tali zooglee botrioidi, come le chiama
allora, andavano poi disfacendosi coll’ invecchiare della coltura.
Oltreché col Bleu di Metilene e Fucsina Ziel, questi bacte-
ri si colorano bene col Violetto di Genziana ( Metodi Gralimi
e Bizzozzero), con Fucsina sola, ed anche con Emallume Mayer.
Queste due ultime sostanze, se non danno molta intensità di tin-
ta, hanno il vantaggio che lasciano intatta e chiara la mem-
brana, onde la parte colorabile e le vacuolizzazioni si rendono
assai evidenti.
A lato delle forme sopra descritte, che si riscontrano pre-
dominanti nelle colture giovani, si osservano qua e là articoli
più grossi di forma ellittico-allungata od ovale-allungata, sempli-
ci o a due a due, pure vacuolati, che ritengo sieno da conside-
rarsi come forme d’involuzione, sia perchè assai più frequenti
nelle vecchie colture, sia per la poca costanza della loro for-
ma ed aggruppamento. Così, per es., si hanno due articoli di
diseguali dimensioni riuniti assieme, ricordanti le gemmazioni dei
saccaromiceti.
Astraendo da coteste forme degenerative, il microrganismo
isolato dai rami infetti di fico potrebbe riferirsi al genere Bac-
terium o al genere Glostridium, attesa la forma assottigliata agli
estremi, presentata dai giovani articoli isolati. Dico potrebbesi
riferire, perchè anche con la ripetuta applicazione del metodo
Lbffler (2) non mi fu dato mettere in evidenza ciglia vibratili.
Solo posso dire che con questo metodo, pur tanto raccomandato
dai bacteriologi, mi si resero bene visibili invogli gelatinosi,
( Gallertschicliten o Gallerthullen di A. Fischer, TÌ orlesung. ii.
BaJcterien p. 12 ) tanto di articoli isolati che seriati.
(1) Cavara F. Intorno all’ eziologia di alcune malattìe di piante coltivate. Staz. agi*, ital.
MocLeua — Voi. XXX. 1897 p. 500.
(2) Fischer A. Untersuclmngen iiber BaJcterien. Pi'ingsheim’s Jahrtraclier XXVII 1895
p. 81 e seguenti.
14
F. Cavava
[Memoria X1VJ.
Denominando per ora Bacterinm Bici questo scliizomicete,
non posso starmi dal rilevare le grandi affinità che esso ha con
il Bacillus vitivorus Baecar. (B. Bavcarini Macchiati) e col Bac-
teriuvn Mori Boyer et Lami). specialmente con quest’ ultimo,
non tanto per la forma e le dimensioni degli articoli, quanto
pei caratteri delle colture e la forma delle prime zooglee, come
pure per la natura delle alterazioni indotte nelle piante e che
sono dei veri e propri processi cancerosi.
Tutto induce nella persuasione che si tratti verosimilmente di
forme o varietà di uno stesso tipo specifico, adattatesi a vita
parassita nella vite, nel gelso e nel fico.
■ Ecco intanto la frase diagnostica che se ne può dare :
Bactekium Bici nov. sp. Bandi# primo oblone/o — ellypsoi-
deifi 1. 5 X 0. 5, i» dein cylìndraceis 2 — 2, 6 X 0, (iy., apicibu# ob-
tusis, plerumque binati # rei in fiìamenta evoluti ,s ; eapsulis gelati-
nosi# obtectis , zoogloeas inde lobulata# vel botri) oidea s cff'orm antibus.
Hab. In ligno et in corti ce rainulorum Bici Caricar para-
sitans , maculas eancerosas luteo-brunneas, mucidasque gignens.
Aerohius, gelati nani liquefaciens , colonias primo punctiformes ,
livalinas , dein late mucosas, luteas praebens.
Se lo studio delle alterazioni anatomo-patologiclie ed i ri-
sultati delle ricerche batteriologiche portano alla sicura convin-
zione che il deperimento delle piante di fico della Calabria sia
dovuto all’ azione del microrganismo sopradescritto, e tale con-
vinzione è pure confortata da ragioni di analogia che questa
affezione del fico ha con la bacteriosi del gelso e col mal nero
della vite, del pari di origine microbica, restava pur sempre da
invocare quella conferma che l’indirizzo odierno della patologia
esige , la riproduzione artificiale , cioè, della malattia mediante
la inoculazione in piante sane del microbo patogeno, o in altre
parole del prodotto delle colture di esso in uno dei tanti sub-
strati cimentati.
Ad ottenere cotesta conferma, che era pur da me tanto de-
Bacteriosi del Fico
15
si de rat;!, mi accinsi fin dal 1903, e sopra due piante di Ficus
Carica dell1 Orto botanico e precisamente della varietà che dà i
cosidetti fichi dottati feci due sorta di innesti a scopo di ripro-
durre, se era possibile, le alterazioni dei fichi di Calabria. In una
delle piante praticai, su ben nove rami, delle incisioni della lun-
ghezza di 1 cui. e della larghezza di 3, 4 mm. , con tagli con-
vergenti in modo da poter comprendere dei cunei di egual for-
ma e dimensione di legno infetto, ancor fresco, di fichi calabresi,
l'atto cotesto innesto, legavo il ramo con figlia da giardinieri.
]NTeir operazione di taglio tanto del legno malato che del sano
era usata ogni cautela con bisturi sterilizzato alla fiamma.
In altra pianta si asportarono all’ estremità di pressoché
egual numero di rami le foglie od i fioroni che eventualmente
vi si trovavano, e dopo avere per bene prosciugata dallo sgorgo
di lattice la ferita, si spalmava questa con coltura di Bacterium
Fici fatta su patate e si fasciava colla solita legacela.
Queste prove di inoculazione vennero fatte nel Maggio del
1903. Ma tanto nell’ una che nell’ altra delle esperienze non si
ebbero nel corso dell’ estate e dell’ autunno susseguenti sintomi
di alterazione o di deperimento degli ultimi internodii.
Nei casi di innesto di porzioni di legno malato , la pianta
reagì in guisa da cicatrizzare perfettamente ed anche da espel-
lere il cuneo di legno estraneo. ZSTelle inoculazioni con materiale
di coltura del batterio non si ebbe del pari effetto visibile.
Nell’inverno susseguente, avendo con nuovo materiale, per-
venutomi da Reggio Calabria, potuto rinnovare le colture, rifeci
le esperienze con metodo anche diverso. Su rami delle stesse
piante, nel 2° o 3° internodio, praticai con bisturi sterilizzato
alla fiamma una incisione a T , come quella che permette di
staccare agevolmente la corteccia e di introdurre porzione di ma-
teriale di coltura, che resta così a contatto dei tessuti attivi. Le
ferite venivano qui pure fasciate con la solita figlia, che si ebbe
cura anche di sterilizzare in autoclave. Tali prove di inocula-
zione furono fatte quando le piante erano in riposo.
16
F. Cavava
[Memoria XIV].
Ora esse ripresero a vegetare in modo normale anche nei
rami inoculati, i quali diedero al pari degli altri e foglie e si-
coni, nè su di essi apparve alcuno dei sintomi e caratteri delle
piante infette di Calabria.
Per quanto sia noto che la riproduzione artificiale di ma-
lattie infettive, nei vegetali, non è tanto facile ad ottenersi, non
potendosi sempre realizzare le condizioni volnt.e, specialmente in
piante arboree di piena terra, esposte interamente alla influenza
degli agenti esterni, tuttavia il responso negativo dei citati ten-
tativi, fatti con metodi anche diversi ed in due differenti epoche
dell’ anno, mi sorprese non poco. La ragione dell’ insuccesso non
era certo da ascriversi a difetto di precauzioni o a sterilità del
materiale di coltura. Una probabile spiegazione è forse da ri-
cercarsi, io credo, in una particolare resistenza della varietà locale
di fichi sui quali si eseguirono le prove di inoculazione, ed anche
in condizioni sfavorevoli di ordine meteorologico.
]Son ostante questo risultato negativo delle prove di ri-
produzione artificiale della malattia del fico di Calabria , io
sono incline a ritenerla di natura infettiva, una vera e propria
1) arteriosi, sia per la natura delle alterazioni e la immancabile
presenza di batteri nei tessuti alterati, sia per la costanza della
forma del microrganismo ottenuto da materiale in diverse riprese,
e cimentato in tanti differenti mezzi di coltura, sia infine per
la straordinaria analogia di comportamento del processo anatomo-
patologico in confronto di quelli della bacteriosi della vite e del
gelso, che erano stati in precedenza da me parimenti studiati.
Circa il modo di origine di cotesta infezione microbica, è
azzardata ogni ipotesi. Dubbia è sempre la genesi di una bat-
teriosi di pianta legnosa, quando la sua localizzazione è nei rami
e nel tronco.
Ma dal fatto stesso che il sistema radicale dei fichi malati
si trovò perfettamente sano è necessità 1’ ammettere che la via
tenuta dai microrganismi patogeni per insediarsi nella corteccia
e nel corpo legnoso sia stata una soluzione di continuità nei
Bacteriosi del Fico
17
f
tessuti corticali, ovvero una ferita, la recisione e lo stroncamento
di rami, e fors’anco l’asportazione di foglie o dei primi siconi
(fioroni). Anche pel mal nero della vite una simile interpreta-
zione è stata data dal Comes e dal Baccarini, ed in questo caso
è tanto più attendibile in quanto la vite va soggetta ad annuali
amputazioni di rami.
Certamente il modo di irradiarsi del processo patologico ,
quale risulta dall’esame anatomico, e cioè: la presenza di focolai
nella profondità del cilindro legnoso, talvolta quasi a contatto
del midollo, il trovarsi anche dei vasi singoli infarciti di zooglee
bactericlie , mentre il circostante parenchima non presentasi
ancora invaso, rende assai verosimile la ipotesi che il sistema
conduttore e più precisamente i grandi vasi sieno stati il vei-
colo del microrganismo patogeno, qualora tale sistema condut-
tore sia venuto in qualche organo aereo esposto agli agenti
esterni.
E più probabile, in altre parole, un’origine in conseguenza
di trauma, che una infiltrazione attraverso i tessuti corticali.
Così stando le cose, il modo di cura di una simile bacte-
riosi non può essere che radicale, e cioè l’amputazione dei rami
fino a che alla sezione di taglio non appaiono più traccie delle
descritte alterazioni, condizionando poi in conveniente maniera
con mezzi adatti (catrame, cera, etc.) la superficie dell’ organo
reciso al fine di impedire una novella infezione. In via profi-
lattica è solo da consigliarsi il buon governo delle piante , im-
pedire cioè che ad esse vengano fatti tagli, recisioni di rami,
asportazioni di organi fogliari o fiorali od altre offese che pos-
sano mettere allo scoperto il sistema conduttore.
%m.m
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA.
Fig. 1-5 Sezioni trasversali di rami infetti.
— 6 Porzione di ramo infetto, mostrante una chiazza longitudinale a, in
parte con lievi screpolature della corteccia.
— 7 Porzione di ramo infetto, dal quale è stata asportata con taglio tan-
genziale la corteccia così da mettere a nudo il legno necrosato.
— 8 Sezione radiale di uu ramo infetto per fare vedere le localizzazioni
delle alterazioni.
— 9 Zooglee di Bacterium Fici tratte da giovine coltura su patate.
— 10 Bacterium Fici: vari stadii ritratti dai preparati. Coloraz. con Bleu di
Metilene e Fucsina Ziel. Ingrand Obbiett. Immers. Ornog. Apo-
crorn. 2. min. Ocular. Compens. 12. (Koristka). a) bacteri nor-
mali — b) id. con capsule della membrana — c) forme di invo-
luzione.— d, e) bacteri con vacuoli e con germi.
— 11 Porzione di sezione trasversale di ramo infetto, con focolaio microbico
localizzato quasi a una trachea e poche cellule del parenchima
legnoso.
— 12 Porzione di sezione longitudin ale-radiale, per far vedere un grosso
vaso con zooglee bacteriche.
— 13 Sezione trasversale di ramo infetto, che fa vedere un processo can-
ceroso inoltrato nella corteccia e focolai bacterici nel corpo
legnoso quasi a contatto del midollo ; disegno tratto da una
microfotografia.
— 14 Sezione radiale di ramo infetto, che mette in evidenza 1’ isolamento
di fibre del libro per dissoluzione delle membrane delle cellule
parenchimatiche, dovuto all’ azione dei microrganismi; disegno
tratto da una microfotogratìa.
Atti Accad. Gioen. Vol.XVIll
Meni . XIV
INDI C E
Memoria
Prof. A. Capparelli — La fina struttura delle fibre nervose a
doppio contorno (coll «lue tavole) 1
Dr. F. Nicolosi Roncati — Sviluppo dell’ovulo e del seme nella
Anona Cherimolia Alili, (con una tavola) II
Dr. Giuseppe Moscatello — Osservazioni morfologiche sulla Pe-
ziza Ammophila I). et AI. (con una tavola) Ili
Prof. A. Russo e G. Polara — Sulla secrezione interna delle cel-
lule peritoneali della gonade del Pbyllophorus urna (Cimbe)
(con una tavola) i V
Prof. Guido Fubini — Su alcune nuove applicazioni dei metodi
eli Picard e di Riemcmn alla teoria delle equazioni alle
derivate parziali V
Dr. G. Accolla — Su un metodo per la misura delle piccole va-
riazioni di resistenza negli elettroliti e sua applicazione . IV
Prof. G. Pennacchietti — Intorno a problemi di meccanica, ri-
ducibili a quadrature VII
Prof. A. Ricco e L. Mendola — Risultati delle osservazioni me-
teorologiche del 1904 fatte nel R. Osservatorio di Catania. Vili
Dr. G. Polara — Sull organo genitale e sulle lacune aborali del
Phyllophorus urna ( Cimbe) (con una tavola) . IX
Prof. A. Curci — Meccanismo della termogenesi animale e na-
tura della febbre • X
Dr. F. D’ Amico — Sulla varietà quantica con tre piani semplici
dello spazio a quattro dimensioni XI
Prof. A. Curci — Azione fisiologica del Sodio e del Litio . . . XII
Dr. V. Spinelli — Le Alghe marine della Sicilia orientale. . . XIII
Prof. F. Cavara — Baderiosi del Fico, (con una tavola) .... XI V