w JnAl. i ATTI DELLA ACCADEMIA GIOENIA ' DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA ANNO LXXXII 19 0 5 S E E I E Q U A E T A VOLUME XVIII. CATANIA NÀTOLA, EDITORE 1905. ATTI DELLA ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI IX CATANIA ANNO LXXXII 19 0 5 SZEIRZE QUARTA VOLUME XVI ri. CATANIA O. GALÀTOLA, EDITOBE 1905. Catania Stabilimento Tipografico C. Calatola Accademia Gioema di Scienze Naturali IN CATANIA ■ -SOS- Cariche Accademiche per l’anno 1904-’905 UFFICIO DI PRESIDENZA RICCO Uff. Prof. Annibale — Presidente CLEMENTI Comm. Prof. Gesualdo — Vice- Presidente GRIMALDI Cav. Prof. Giovax Pietro — Segretario PENNACCHIETTI Cav. Prof. Giovanni — Vice-Segretario per la sezione di Scienze fisiche e matematiche FELETTI Cav. Prof. Raimondo — Vice-Segretario per la sezione di Scienze naturali CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE ZANETTI Prof. Carlo Umberto STADERINI Prof. Rutilio PIERI Prof. Mario GRASSI Cav. Prof. Giuseppe — Cassiere LAURICELLA Prof. Giuseppe — Bibliotecario Elenco nominativo dei Soci Onorari, Effettivi e C°rrispondenti Soci Onorari NOMINATI DOPO L’APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO S. A. R IL DUCA DEGLI ABBRUZZI Todaro sen. cornili, prof. Francesco Chaix prof. Emilio Macaiuso cornili . prof. Damiano Cannizzaro seri. gr. uff. prof. Stanislao Mosso sen. comm. prof. Angelo Blaserna sen. comm. prof. Pietro Naccari lift', prof. Andrea Striiver comm. prof. Giovanni Ròiti uff. prof. Antonio Cerruti sen. comm. prof. Valentino Berthelot prof. Marcellino Grassi cav. prof. Battista Schiaparelli sen. comm. prof. Giovanni Wiedemann prof. Eilhard Capellini sen. comm. prof. Giovanni Righi sen. prof. Augusto Volterra sen. prof. Vito Dini sen. comm. prof. Ulisse Ciamician comm. prof. Giacomo Dohrn comm. prof. Antonio Briosi comm. prof. Giovanni SOCI EFFETTIVI 1. Tomaselli gr. uff. prof. Salvatore 2. Clementi comm. prof. Gesualdo 3. Orsini Faraone prof. Angelo 4. Basile prof. Gioachino 5. Capparelli uff. prof. Andrea 6. Mollame cav. prof. Vincenzo 7. Aradas cav. prof. Salvatore 8. Di Sangiuliano march, gr. uff. Ant. 9. Ughetti cav. prof. Giambattista 10. Fichera uff. prof. Filadelfo 11. Feletti cav. prof. Raimondo 12. Pennacchietti cav. prof. Giovanni 13. Petrone uff, prof. Angelo 14. Ricco Uff. prof. Annibaie 15. Curci cav. prof. Antonio 10. Bucca prof. Lorenzo 17. Grimaldi cav. prof. Giov. Pietro 18. Grassi cav. prof. Giuseppe 19. Di Mattei uff. prof. Eugenio 20. D’ Abundo prof. Giuseppe 21. Lauricella prof. Giuseppe 22. Zanetti prof. Carlo Umberto 23. Pieri prof. Mario 24. Staderini prof. Rutilio 25. Cavara prof. Fridiano 26. Russo prof., Achille 27. Perrando prof. Gian Giacomo 28. Fubini prof. Guido 29. . , 30 soci Effettivi DIVENUTI CORRISPONDENTI Speciale prof. Sebastiano Stracciati prof. Enrico Peratoner prof. Alberto PER CAMBIAMENTO DI RESIDENZA Leonardi gr. uff. avv. Giovanni Ricciardi uff. prof. Leonardo Baccarini prof. Pasquale Soci Corrispondenti NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO Pellizzari prof. Guido Maggi cav. prof. Giovanni Antonio Martinetti prof. Vittorio Meli prof. Romolo Papasogli prof. Giorgio Condorelli Franca viglia doti. Mario Pisani dott. Rocco Bassani cav. prof. Francesco Gaglio cav. prof. Gaetano Moscato dott. Pasquale Guzzardi dott. Michele Alonzo dott. Giovanni Distefano dott. Giovanni Gozzolino uff. prof. Vincenzo Magnanini prof. Gaetano Sella prof. Alfonso Pagliani cav. prof. Stefano Chistoni cav. prof. Ciro Galitzine Principe Boris Battelli cav. prof. Angelo Guglielmo prof. Giovanni Cardani cav. prof. Pietro Garbieri cav. prof. Giovanni Giannetti cav. prof. Paolo Cervello comm. prof. Vincenzo Albertoni cav. prof. Pietro La Monaca dott. Silvestro Luciani comm. prof. Luigi Zona cav. prof. Temistocle Bazzi prof. Eugenio duroni cav. prof. Vincenzo Morselli prof. Enrico Raffo dott. Guido Materazzo dott. Giuseppe Borzì cav. prof. Antonio Falco dott. Francesco Del Lungo prof. dott. Carlo Giovannozzi prof. Giovanni Kohlrausch prof. Giovanni Zambacco dott. N. Donati prof. Luigi De Heen prof. Pietro Pernice prof. Biagio Caldarera dott. Gaetano Salomone Marino prof. Salvator Pandolfi dott. Eduardo Lo Bianco dott. Salvatore Guzzanti cav. Corrado Valenti prof. Giulio Majorana dott. Quirino Boggio-Lera prof. Enrico Lo Priore prof. Giuseppe Pinto prof. Luigi Romiti Prof. Guglielmo Divenuto Socio corrispodeute per dimissione dal grado di effettivo. Memoria I. La fina struttura delle fibre nervose a doppio contorno Prof. A. CAPPARELLI Mentre gli studi sul sistema nervoso centrale sono progre- diti enormemente, per opera dei recenti perfezionamenti della tecnica, introdotti principalmente dal prof. Golgi ; regnano an- cora dubbi ed incertezze sulla vera struttura delle fibre elemen- tari nervose midollari : dimodoché il progresso nello studio del sistema nervoso è avvenuto solo unilateralmente. Effettivamente , noi , oggi non sappiamo se i particolari di struttura segnalati da Ewald e Ivììne (1876) Rtjmpf (1878) Ran- danawsky (1865-1875) Klebs (1863) Todaro (1872 Tamans- chef e quelli più recenti di Golgi, raccolti in un lavoro magi- strale , sulla struttura delle libre nervose e pubblicato nell’ Ar- chivio per le scienze mediche nel v. IV n. 10, 1881; rispondono effettivamente al vero ; o dobbiamo definitivamente attenerci a quelli più recenti, che considerano la fibra nervosa a doppio contorno costituita in modo molto più semplice. Difatti per formarci un concetto delle indecisioni che re- gnano, intorno alla struttura intima delle fibre nervose , basta dare un’ occhiata alle opposte opinioni emesse dopo il Lanter- MAior, sulla esistenza di un reticolo nelle fibre nervose in esse preformato; reticolo, secondo alcuni, devoluto all’ azione dei rea- genti sulla mielina : reticolo di natura neurocheratinica, di forma e distribuzione differente secondo Ewald e Kùne ; di altra na- tura forma e disposizione, secondo altri. Ed opinioni ed inter- pretazioni proprie e spesso opposte, hanno difatti emesso su questo argomento il Pestik (1881) Roveri (1885) Iacobi (1886) Gedo- elst (1886) Iosepk (1888) OwsjujraiKOW (1891) Rassoliyo e Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII — Mem. I. 1 2 Prof. A. Capparelli [Memoria I.j Muravieff (1897) ed infine Ramoì* y Oajal : e nuovi dubbi vengono accumulati sulla entità del reticolo neuroclieratinico e sulla preesistenza delle incisure del Laxtermaavy, in un recente lavoro pubblicato negli Atti della R. Accademia delle scienze di Torino nel 1904. Y. XXXIX. disp. 7°, da Mario Chiù. Ho voluto, di fronte a tanta incertezza, ripigliare lo studio istologico delle fibre nervose, servendomi di un metodo proprio; comunicato alcuni anni fa all’ Accademia Gioenia di Catania. Ho pensato che la cosa migliore, nello stato attuale della questione, è quella di cambiare indirizzo ; difatti le numerose controversie sono ingenerate dalla certezza che i reagenti, le ma- terie coloranti , alterano ed intorbidano lo strato mielinieo , il quale assume, con i differenti reattivi, aspetto e forme svariate : dando apparenze erronee e determinando anche dettagli inesi- stenti; ed impedendo, intorbidandosi, la esatta visione degli ele- menti situati al di sotto di questo strato. Ricerche giustificate e pazienti sono state demolite di un tratto; e non sempre pon- deratamente , dall’ accusa che la mielina si deforma con i rea- genti impiegati. Il metodo ohe io ho adottato, per lo studio del sistema ner- voso, è unicamente tìsico e consiste essenzialmente uel privare la fibra nervosa dello strato mielinieo senza impiego di solventi. Effettivamente la fibra nervosa, privata di mielina, diventa trasparentissima ed è facile vedere in tal caso l’interna struttura della fibra nervosa stessa. 1 lavori di Ramos y Oajal, di Apathy, di Bethe, di But- SCHLi e di altri eminentissimi e competentissimi istologi, condu- centi, alcuni, ad opposte conclusioni, non mi hanno distolto dalle mie convinzioni; perchè in buona parte, i particolari da essi de- scritti, appartengono a quell’ involucro mielinieo e cilindrassico, che con i metodi da loro adoperati, non lasciano vedere quello che c’ è allo interno ; senza distruggere questi involucri o in tutto o in parte, non è possibile vedere quello che essi contengono allo interno, cioè, quello che io ho osservato e anche fotografato. La fina struttura delle fibre nervose a doppio contorno 3 La principale preoccupazione e ricerca è stata quella di vedere se il metodo alterasse notevolmente le fibre nervose, se distrugges- se i minuti particolari di struttura o ne determinasse dei nuovi. La fibra nervosa, fissata prima e trattata col inio metodo, con- serva i diametri normali, ha tutto 1’ aspetto ed i particolari che si osservano in quelle fissate con i metodi attualmente in uso in istologia, conserva la forma, la dimensione, la direzione eia disposizione dei minuti particolari segnalati dal Laisttermaisk; e qui alludo alle contrastate incisure e a tutti i particolari descritti dal Baavier negli strozzamenti, dove anche il rigonfiamento bi- fonico e la saldatura esistente in esso, è visibilissima: argomenti tutti che mi autorizzano a credere, che il nuovo indirizzo merita fede ed ha valore di metodo di ricerca. Col mio metodo, eliminata la mielina, ho potuto accertare e determinare dei particolari di struttura in modo da escludere ogni dubbio; e perchè fosse tolta ogni incertezza, ho voluto foto- grafare quello che il metodo rivela intorno alla struttura delle fibre nervose. Le fotografie, che io attraverso a grandi difficoltà, ho potuto ottenere; non rappresentano e non rendono completamente quello che i preparati in modo più evidente e dimostrativo fanno ve- dere ; basta per tanto riflettere ; come gli ordinari apparati mi- crofotografìci sono ancora lontani di avere raggiunto la deside- rabile perfezione e come spostamenti incalcolabili, fanno sì che i preparati non vengono fotografati al fuoco giusto ; e tale difetto appunto presentano alcune delle fotografie che io riproduco a giustificazione di quanto nel mio lavoro asserisco. Le fotozinco- tipie, poi fanno vedere ancora meno delle fotografie ottenute. Credo , però , che per quanto imperfette esse siano , sono sempre preferibili ai disegni, ai quali si fa dire spesso, quello che di prestabilito si ha nella mente. Le controversie attualmente si riferiscono pricipalinente in- torno ai seguenti argomenti : 4 Prof. A. Capparelli [Memoria I.] 1. Sulla esistenza di un vero reticolo, elemento di sostegno dello strato mielinico. 2. Sull’ esistenza di una guaina situata al disotto del ne- vrilema o guaina di SoHWAirar ; e di un’ altra guaina che limi- tasse al lato interno la mielina. 3. Sulla esistenza delle incisure di Lantermaxn. 4. Sulla struttura del cilindrasse o neurite. Intorno alla prima questione, molti osservatori si accordano nell’ ammettere 1’ esistenza di un vero reticolo, anche per il bi- sogno che si ha di pensare, che la mielina non può essere te- nuta in sito, di natura semifluida com’ è, senza un apparato di sostegno. Non c’ è però concordia sulla forma e distribuzione o topografìa del suddetto elemento. Ed andiamo pertanto, dalla descrizione di una vera reticella regolarissima, illustrata dal Lavteemam, ad una geometrica for- mazione di imbuti tessuti con filamenti avvolti a spira , come in una notevole monografia ha segnalato il prof. C. Golgi: stu- di avvalorati dalle ricerche dei suoi discepoli. Nei miei preparati si rinvengono tracce di forme reticolari, ma se la mielina è stata completamente eliminata, non è possi- bile riscontrare residui dell’ accennato reticolo; il che fa inclina- re e decidere, per quelli che opinano che il reticolo è una forma apparente ; dovuta all’ azione dei reagenti sulla mielina e che esso non esista preformato nelle fibre nervose, nel modo descritto. Quanto alla seconda questione, dell’ esistenza di due guaine che comprendono la mielina, il Raxyier opina : che al disotto del nevrilema esiste uno strato protoplasmatico, che in corri- spondenza dello strozzamento anulare si ripieghi in alto, abbrac- ciando la mielina, (guaina periassile di Mauthner, quest’ultimo). Nei miei preparati si osserva effettivamente un limite ester- no ed un limite interno della mielina, due straterelli : più spes- so è percettibile il primo, (vedi tav. Ia fìg. la ab-a'b ’) strato che nella figura su detta viene immediatamente dopo la guaina esterna o nevrilema, più sottile e meno netto il secondo. Questo strato La fina struttura delle fibre nervose a doppio contorno 5 esterno si vede nella fìg. 2a a — della stessa tavola Ia ; lo strato interno per la sua grande sottigliezza e la vicinanza con la por- zione centrale, non ho potuto fotografarlo. La figura la tav. Ia rappresenta una fibra nervosa di rana esculenta, dove la parte grassa della mielina è stata distrutta e rimane lo stroma albuminoideo e dove il limite esterno è per- cettibile. La figura 3a della stessa tavola Ia è una fibra nervosa di gatto, dove pure la parte grassa è stata eliminata e rimane la parte albuminoidea, col limite esterno. I preparati fanno credere, che la mielina sarebbe fornita nella sua porzione periferica di uno str ater elio più denso e tale da dare 1’ impressione di vera membrana. Mentre si ha dall’os- servazione diretta dei preparati, la sensazione che i due limiti esterno ed interno della mielina non siano di natura differente, ma di densità differenti : cioè, l’ intera massa mielinica, come il protoplasma dei corpuscoli rossi, si addenserebbe alla periferia : e ciò pare anche evidente nella figura 2a, dove nella porzione centrale del preparato, la massa mielinica in alcuni punti si è staccata dalla periferia e addensata in modo da rendere evidente il limite esterno. Quanto al fatto che lo strato esterno si arresta in corrispon- denza dello strozzamento e si riflette in alto, abbracciando la mielina, i miei preparati dimostrano il contrario : cioè, nessuna continuità esiste tra lo strato esterno perimielinico e lo strato interno; anzi lo strato o limite esterno della mielina, che è il più considerevole, si vede in modo non interrotto attraversare lo stroz- zamento anulare e continuarsi in basso nella porzione inferiore della fibra nervosa, vedi tav. Ia fìg. la a-a. b-b' . A me pare che si possa conchiudere: che la mielina abbia un limite esterno ed uno interno, rappresentati da addensamenti dei componenti della mielina ; e siccome essa nella sua compo- sizione contiene sostanze albùtn inni dee, oltre i grassi, nei miei preparati questi sono stati eliminati, mentre le prime, cioè le 6 Prof. A. Capparelli [Memoria I.] album inoidee, rimangono e danno il limite esterno segnalato nella fìg. la. tav. l.a Si desume 1’ addensamento anche dal fatto, che in alcuni dei miei preparati, si ha la medesima apparenza di colorito, di struttura dei due strati periferici e di tutta la massa mielinica, quando essa è semplicemente precipitata o incompletamente di- strutta. Si vede, poi, come questa stessa sostanza periferica della mielina, sia diffusa gradatamente in tutta la massa centrale e si addensi a strato nelle due porzioni estreme (vedi fìg. 2a e fìg. 3* della tav. Ia) ; ed è perciò molto probabile che le apparenze reti- colari variabili, con i differenti procedimenti e i differenti reattivi, siano devoluti, ai coaguli di questa sostanza albuminoidea, disse- minata nella massa mielinica, formante con essa una miscela. Credo pure che sia argomento a favore di questa ipotesi, anche il fatto, che si incontra una vera difficoltà ad estrarre, con gli ordinari solventi tutti i grassi contenuti nello strato mielinico: per la loro mescolanza con sostanze proteiche, esse finiscono per avvolgere i grassi e proteggerli, con un vero strato insolubile e poco penetrabile ai solventi. Patto che noi possiamo verificare quando si mescola un adipe neutro con una soluzione albumi- noidea, nei punti di contatto , si forma uno strato di precipita- zione che ha l’apparenza di una vera membrana: tale meccanismo probabilmente è la causa dell’ apparenza di membrane, nei due strati periferici esterno ed interno della mielina. Che la mielina sia poi una miscela di albuminoidi e di grassi, oltre all’essere so- spettato dal Ranvier, è anche dimostrato dalle ricerche chimiche. L’ apparenza di una riflessione in alto, nello strozzamento anulare segnalato da Ranyier, vedremo, in seguito, da che cosa dipende e come deve interpretarsi. Quanto alla terza quistione; se esistono preformate le incisure del L ante rm ANN o sono effetto di artefizi di preparazione, io credo che i miei preparati, in modo netto, risolvano la quistione. Nei miei preparati si osserva (vedi tav. Ia fìg. 4a a-b-c — fìg. 5a a-b-c-c-c" fìg. 6a a.) che la porzione centrale della fibra La fina struttura delle fibre nervose a doppio contorno 7 nervosa, il preteso cilindrasse o neurite, è saldamente fissato nella porzione centrale della fibra stessa, da un tramezzo membranoso che cingendo ad anello F elemento centrale si dirige obliqua- mente alla guaina periferica, ora in un senso ed ora insenso op- posto; e raggiunge così il lato interno della guaina di Schwam : operando una vera sospensione della porzione centrale della fibra nervosa ed interrompendo lo strato mielinico , sospende cioè il preteso neurite, che per questi tramezzi, nei miei preparati, as- sume spesso F aspetto di una canna di bambù. Questo elemento sospensore, pare della stessa natura connet- tivale della guaina ; e ciò si desume dall1 intimo rapporto di continuità che ha con il nevrilemma e dall’identico colorito che assume sottoposto al medesimo trattamento. L’ufficio di questo sepimento è evidente, oltre a tenere ferma la guaina cilindrassica ed in modo invariabile, nel centro della fibra nervosa e ad impedire gli spostamenti laterali, principalmente, nello strozzamento anulare di Rajtvier, sostiene e limita la mielina. Nei miei preparati, eliminata la mielina, si vedono nettamente questi elementi di sostegno colorati in nero-giallastro ; sono ordi- nariamente questi tramezzi, che nello strozzamento anulare, par- tendosi dal limite esterno del così detto cilindrasse e dirigen- dosi molto obliquamente al nevrilema , danno quello aspetto segnalato dal Ranvier, come una riflessione in allo della guaina situata sotto il nevrilema. Sono appunto questi tramezzi obliqui, che confinando e trattenendo la mielina , impediscono che essa formi uno strato continuo nello strozzamento anulare , il quale, perciò, ne rimane sprovvisto, perchè da essi è trattenuta ad una certa distanza dallo strozzamento. Nei miei preparati la disposizione è obliqua; qualche volta anche nella stessa fibra, la direzione è in senso opposto, come è descritta dal Lanteemaiic nelle fotografìe che di alcuni miei preparati ho qui riprodotto, questa disposizione obliqua non si osserva, perchè per renderli evidenti ho dovuto accentuare il me- 8 Prof. A. (Japparelli [Memoria I.J todo di preparazione ed ho dovuto alterare per tanto, la vera disposizione topografica. Le scissure del Lantermaìcv considerate come spazi vuoti, non esistono ; noi dobbiamo, in base alla evidenza dei preparati, considerarli come diaframmi obliquamente disposti nel senso tra- sversale della fibra nervosa. Oi possiamo rendere anche conto delle differenti osservazioni fatte dai vari osservatori ; nei nervi freschi sono state segnalate come linee splendenti : e tali devono apparire, in quantochè es- sendo di natura albuminoidea e di struttura connettivale, hanno un indice di trasparenza differente delle mielina ; e quindi si mostrano come linee splendenti. Nei preparati di nervi con acido osmico, mentre la mielina si colora in nero, questi tramezzi sospensori, essendo di natura albuminoidea e non grassa, non si possono colorare in nero ; e perciò sembrano spazi chiari , perchè effettivamente non sono coloriti in nero ; se a questo si aggiunge la contrazione, per il reattivo impiegati, subita dallo strato mieli nico, si ha la ragione completa, della apparenza delle incisure di Laisttermanist come spazi vuoti. Come si vede la mielina presenta delle interruzioni prodotte da questi tramezzi , che vanno dal centro alla periferia e che attraversano obliquamente tutto lo strato mielinico. Questi diaframmi io li ho potuto osservare negli animali superiori e nelle rane : nella rana viridis, poi, sono di una evi- denza straordinaria. Ho pensato che questi tramezzi potessero essere 1’ origine di quegli imbuti descritti dal prof. Golgi e dai suoi allievi , ma topograficamente non sono paragonabili ; essi hanno la di- sposizione delle strie o incisure del LAATTERMA;or. Questi tramezzi infatti cingono direttamente come un ma- nicotto , la porzione centrale della fibra nervosa e aderiscono strettamente al preteso cilindro dell’asse. Sono dei tramezzi ro- bustissimi e di struttura omogenea. Il loro ufficio di sostegno è La fina struttura delle fibre nervose a doppio contorno 9 controsegnato dalla loro distribuzione e topografia e questo ufficio si rivela maggiormente in corrispondenza degli strozzamenti , dove il diaframma è doppio e serve evidentemente a tenere saldo nel centro il rigonfiamento laconico. Quanto al cilindro dell'asse, che occupa approssimativamente un terzo dell1 intero spazio di una fibra nervosa a doppio con- torno, oggi si crede formato da fibrille, cementate da una so- stanza interfìbri Ilare, il cosidetto axoplasma. (ìli studi che attri- buivano al cilindrasse o neurite, una struttura tabulare e come formato da due masse cilindriche concentriche, sono stati abban- donati; ed è stata dimenticata un’osservazione preziosa del Mau- thxer che a sostegno di questa struttura accennava alla colora- zione che col carminio assumono le due parti esterna e centrale del cilindrasse , tagliato trasversalmente. È stata dimenticata 1’ osservazione autorevole e molto competente di mia illustrazione scientifica nazionale, come è il prof. Todaro , il quale aveva avuto nettamente la visione di una guaina periassile. A questo ordine di idee si era anche associato il Tamax- SCHEF, che credeva la guaina periassile costituita di un rivesti- mento straordinariamente molle e sottile, di natura connettivale come il nevrilemma , dotato di proprietà elastiche. La descrizione del Tamaftschef mi autorizza al sospetto, che egli abbia confuso il limite interno della mielina, colla vera guaina periassile. Xei miei preparati, quella che io credo vera guaina periassile, non ha alcune di queste proprietà. Ma la vera guaina periassile è un cilindro robustissimo, spesso e rigido, di struttura uniforme, continua, omogenea, che presenta nello stroz- zamento anulare il rigonfiamento biconico , che rappresenta il punto di saldatura con l’elemento identico inferiore ed ha tutta 1’ apparenza di un tessuto clierati nico. Mi è parso vedere su questa guaina dei nuclei ovali ; ma non si può escludere il dubbio, che ciò sia un’ illusione e che invece essi appartengono alla guaina di Schwaavn; sebbene contro questa ipotesi ci sta il fatto che questi nuclei si presentano meno Atti Acc. Serie 4% Voi.. XVIII — Meni. I. 2 10 Prof. A. Cappa relli [Memoria I.J grandi e meno ovali ed allungati di quelli della guaina di Schwaxn e non si colorano in nero, come questi, col mio metodo. Questa, che io, credo guaina periassile e non cilindro dello asse, che non ha nulla di comune con la guaina periassile di Mauthxer ; che è rappresentata dal limite interno della mielina; contiene molto probabilmente un liquido nel quale è immerso e beante il vero prolungamento nervoso, come tenterò di dimo- strare. Xei miei preparati il filamento nervoso, non è tenuto in sito in una posizione invariabile, centrale , come la guaina pe- riassile, ma ora tocca da un lato questa guaina, ora va al lato opposto. Pure le osservazioni recenti, contrariamente alle mie , mo- strano nel cilindrasse; e in quella porzione che io credo guaina periassile, delle striature longitudinali, mentre nei miei preparati la struttura ivi è omogenea : ed ha il carattere della struttura dei tessuti clieratin ici ; ma io penso, che una volta coi reagenti impiegati, invece si ottenevano striature trasversali, e che come allora, coi nuovi reattivi ed a forte ingrandimento, si possa ve- dere quello che non esiste, mentre ad ingrandimento istologico, la struttura è veramente omogenea. Ad illustrazione di quanto ho detto, io riproduco «Ielle fo- tografìe non perfettamente riuscite , ottenute fuori foco e con posa superiore al bisogno, ma dimostrative. Infatti in una di esse (vedi tav. la fig. 7 a-b , //-//') durante le manovre per la pre- parazione, si è staccata la guaina periassile, là dove essa è saldata con la porzione inferiore, cioè nello strozzamento del Raxvler; ed ivi si osserva il sottile cilindrasse fuoruscire dalla guaina stessa. Presento un’ altra microfotogra.fi a (tav. la fig. S a h) dove il cilindrasse , sprovvisto di guaina, attraversa ininterrotto lo strozzamento anulare a. Presento anche delle fotografie, dove come un cordone nero e sottile il neurite si addossa alla guaina periassile (fig. 3a // li). Un’ altra, infine, dove distrutta durante la preparazione la Jjo fina struttura delie libre nervose a doppio contorno 11 guaina periassile , il n euri te si osserva libero dentro la fibra e fuori della medesima isolato (vedi tav. la fig. 9) eco. in essa figura si osserva il neurite elle all’estremo terminale conserva un fram- mento della guaina periassile; accanto si osserva una fibra ner- vosa colla guaina periassile integra e d. Nella fig. 10 tav. la si osserva in gran parte distrutta la guaina periassile e libero il neurite c. d. In a si osserva il nucleo sotto il nevrilema. Nella guaina periassile , il neurite non si può seguire die parzialmente nelle fibre nervose degli animali superiori , meno bene nelle rane, ma meglio in quelle viridis. La difficoltà dipende dalla robustezza e dalla poca traspa- renza della vera guaina periassile; e dal liquido coagulato allo interno di questa guaina. Quanto all’esistenza di un liquido, in cui il cilindro dell’asse o neurite nuota, come il midollo nello speco vertebrale; gli ele- menti di fatto die io posso addurre a sostegno sono i seguenti: Nei miei preparati, nel rigonfiamento bifonico, per gli ar- tifizi di preparazione, il liquido tendendo ad uscire, distacca la saldatura ed in questi casi, dai due estremi staccati, si vede fuo- ruscire una massa granulosa e fioccosa, avente i caratteri dei li- quidi albuminosi coagulati. Ho tentato dare anche una dimostrazione diretta dell’ esi- stenza di questo liquido. Isolai lo sciatico in una grossa rana e lo tagliai trasversal- mente, ma non completamente, per evitare la retrazione dei due monconi recisi : collocai al disotto un vetrino coprioggetti ed asciugai con carta bibula i due monconi, in modo da asportare la mielina versatasi e ripulirli anche dal sangue e dalla linfa. Aspettai un certo tempo, e quando giudicai che i capillari ed i linfàtici si fossero troni bosati , ripulii di nuovo le due se- zioni del nervo reciso ; ma dopo poco tempo le due sezioni si mostrarono rigonfiate e coperte di liquido schiumoso ; e del liquido si era raccolto sulla superficie del vetrino. Ripetei pa- recchie volte la osservazione con lo stesso risultato. Ora nel mio 12 Prof. A. Capparelli [Memoria 1.] caso il liquido non era rappresentato da mielina, perchè tutto al più poteva vuotarsi quella contenuta fino al prossimo stroz- zamento del Ranvier ed era stata eliminata. Credo che si possa escludere essere della linfa o del siero sanguigno, perchè faceva le osservazioni dopo che era avvenuta la coagulazione del plasma: con molta probabilità dunque, il liquido che si versava sulla super- ficie dei nervi recisi, doveva provenire dalla guaina periassile, li- quido forse incoagulabile, tenue come quello dello speco vertebrale. 10 credo che questa esperienza non sia decisiva e che delle obbiezioni si possono sollevare, ma secondo me, serve ad avvalo- rare T osservazione diretta. 11 Klebs fu un osservatore che parlò di un liquido periassile, ma la sua osservazione è stata completamente dimenticata ; nè topograficamente esso corrisponderebbe a quello da me descritto. La struttura della fibra nervosa così concepita ci chiarisce meglio la funzione. Si deve abbandonare l1 idea che lo strato mielinieo abbia l’ufficio di strato isolatore, coibente. Primo, perchè nessun biologo, credo , ha mai pensato che le correnti nervose siano correnti elettriche, e non sappiamo, sconoscendone la natura, se i grassi possano anche disimpegnare la identica funzione [ter le correnti nervose; mentre la distribuzione della mielina, mancante in cor- rispondenza dello strozzamento anulare, dove perciò il cilindrasse rimane sprovvisto, lascia credere che le correnti nervose non abbiano come le elettriche questo bisogno per diffondersi; cioè, dello isolamento dei fili conduttori. Militerebbe in favore di questo fatto, anche il rapporto di- retto, esistente tra la guaina periassile e nevrilemina, per quel robusto elemento sospensorio, di natura non grassa, ma probabil- mente cheratinica. Molto probabilmente 1’ ufficio della mielina è quello generale dei grassi nei centri nervosi, cioè mezzi necessari per lo scambio nutritizio del neurite, e mezzo meccanico, cioè cuscinetto ela- stico, per la protezione del delicato elemento nervoso centrale. I La fina struttura dette fibre nervose a doppio contorno 13 Il liquido nel quale è immerso il lunghissimo e continuo filamento nervoso, ci fa meglio intendere come possa avvenire tutto il processo di nutrizione. Con 1’ antica struttura, male si intenderebbe come un elemento tanto importante e di così gran- de attività, lunghissimo e sottile, lontano dai vasi e dai linfatici; avvolto dentro tuniche, attraverso le quali, i fenomeni di diffu- sione non avvengono facilmente, come lo dimostrano le resistenze che esse oppongono alla penetrazione dei sali e delle materie coloranti nella porzione centrale della fibra; con 1’ antica strut- tura adunque, non si intenderebbe come possano avvenire fa- cilmente e rapidamente gli scambi nutritizi nel neurite; e come essi possono avvenire rapidamente in proporzione della sua gran- de attività. Mentre facilmente si intende la nutrizione del delicato ele- mento nervoso, considerandolo, per tutta la sua lunghezza immer- so in un liquido nutritizio. Il nuovo concetto strutturale, ci dà la misura giusta della protezione alla quale è sottoposto il delicato elemento nervoso; per la guaina periassile robusta che lo circonda e la immobilità protettiva, alla quale è obbligato per il forte elemento sospensore. CONCLUSIONE Una fibra nervosa a doppio contorno , secondo i preparati da me ottenuti, si presenta costituita : 1. Dal nevrilemma. 2. Da una massa mielinica, fornita di uno strato esterno più appariscente e situato al disotto del nevrilemma e di un limite interno addossato alla porzione centrale : i due limiti hanno la identica composizione di tutta la massa mielinica, differiscono solo per densità. 3. Da una robusta guaina, periassile che presenta delle sal- dature con la porzione inferiore, saldature che sono situate nella 14 Frof. A. Capparelli | Memoria I.J porzione mediana del rigonfiamento biconico del Kaxmer nello strozzamento anulare ; essa guaina contiene, molto probabilmente, un liquido dentro il quale è immerso il neurite. 4. Da un prolungamento nervoso, conservante lungo tutto il decorso, i caratteri del neurite esistente nei centri nervosi, ele- mento che attraversa in modo continuo lo strozzamento del Kax- VIEK e senza alcuna interruzione. 5. La guaina periassile è tenuta in sito, cioè nella porzione centrale della fibra nervosa, da un robusto tramezzo membranoso; che circondando ad anello la guaina periassile , va ad inserirsi al lato interno della guaina di Schwab, raggiunge cioè, il li- mite esterno dello strato mielinico. Questo legamento oltre al sospendere la guaina periassile e tenerla nel centro, in una posi- zione invariabile, serve a sostenere la mielina. Catania — Laboratorio
  • en distinti, e di cui una trovasi un po’ discosta dalle altre due che stanno quasi in contatto con la volta inferiore del sacco em- brionale (tìg. III). Avvenuta la fecondazione, delle sinergidi non restano che residui informi , localizzati nella volta superiore del sacco em- brionale e a cui sta attaccata 1’ oosfera fecondata. Esse proba- bilmente hanno servito di materiale di nutrizione alla cellula- ovo nel suo progressivo sviluppo. Anche le antipodi dissol vonsi non appena la fecondazione si è compiuta. ]Srella parte mediana del sacco embrionale, e non di rado anche più in alto poco discosto dall’ oosfera, notansi i due nuclei polari a contorno circolare che, fondendosi insieme, daranno luo- go al nucleo secondario del sacco embrionale. Essi , staccatisi dalle due tetradi, vanno via via avvicinandosi tra loro, tinche vengonsi a toccare ; e, quando in uno'stadio ulteriore la loro fu- sione completa è avvenuta , si ha la formazione di un grosso nucleo, circondato da grandi cumuli di granuli di amido, con due nucleoli assai distinti che spesso, in uno stadio più inoltrato, si fondono in un solo. Fecondazione. — La fusione dei due nuclei polari e la conseguente formazione del nucleo secondario sono sufficienti indizi dell’ avvenuta fecondazione , in quanto , come sembra, l’ Anona Cherimolia si comporta come la maggior parte delle piante a tal riguardo studiate (1). E pare che in realtà così avvenga, poiché in alcuni pre- parati mi venne fatto di osservare un piccolo nucleo (probabil- mente il maschile) accanto al nucleo dell’oosfera. E ciò quando (1) Guignard Nouvelles études sur la fécondation. — Ann. Se. nat. VII. Sèrie, T. XIV. Sviluppo dell’ovulo e del seme nella Anona (JherimoUa Alili. 13 i due nuclei polari erano ancora disgiunti. Il che avvalora l’o- pinione che l’unione di questi ultimi non si verifichi che dopo F atto fecondativo. Data F esiguità degli elementi sessuali, non mi è stato pos- sibile seguire F intima fusione dei due nuclei sessuali. Le osser- vazioni poi a tal riguardo erano rese assai più malagevoli dalla presenza di grandi accumuli di granuli di amido, che masche- ravano gli elementi sessuali stessi del tutto od in buona parte. Formazione dell’ endosperma. Le mie ricerche embriologiche sull1 Anona Cherimolia han- no svelato un vero e proprio endosperma nel seme di questa pianta : endosperma, che nessuno degli autori, per quanto mi consta, ha messo mai in evidenza. In un primo stadio nucleo il secondario del sacco embrio- nale è assai manifesto per la sua relativa grandezza e per la sua completa struttura , fornito com1 è di distinta membrana , di reticolo con granuli cromatici e di un grosso nucleolo. A questo stadio tengon dietro, nel sacco embrionale, altri caratterizzati dalla presenza di due o più grossi nuclei in luogo dell1 unico nucleo secondario suddetto. Evidentemente questi nu- clei sono il prodotto della divisione di quest1 ultimo, e ciò è avvalorato dal fatto che i nuclei appartenenti all1 apparato an- tipodico e alle sinergidi sono, come già si disse, andati in de- generazione, e dall1 altro che fra i grossi nuclei si vengono a formare dei veri setti normali all1 asse del sacco embrionale (ov- vero, ma ben più raramente, alquanto più inclinati su di esse) e che si congiungono da ogni parte colla parete del sacco stesso. Questi nuclei, frattanto, aumentano per successive divisioni gradatamente di numero, e per la loro grandezza e per la loro struttura spiccano assai bene sopra quelli delle cellule della no- cella. Sicché, in tale stadio di sviluppo, il sacco embrionale ri- sulta diviso in un certo numero di grandi cellule, sovrapposte 14 Doti. F. Nicolosi Roncati [Memoria li j. a pila, come avviene ili molte Gamopetale (tìg. IV e V) (1). In progresso di tempo rendendosi la divisione dei nuclei endospermici sempre più attiva , si moltiplicano di numero anelie i setti trasversali, ai quali fanno indi seguito dei setti longitudinali, normali ed obbliqui (fig. VI). Si perviene così alla formazione di un corpo cellulare clie si modella sulla forma del sacco, e che, in seguito all’ attiva moltiplicazione delle sue cel- lule, accrescendosi sempre più, fa pressione sulla parete del sacco medesimo, spostandola alquanto, ed insieme comprimendo le cel- lule circostanti della nocella. È da notare che la formazione delle cellule endosperiniche non avviene con pari attività in tutta l’estensione del sacco em- brionale , per cui nei punti di più intensa formazione , il sac- co presentasi alquanto più slargato , mentre in altri è più ri- stretto, così che nel suo aspetto 1’ endosperma si presenta sot- to forma di un organo saccato o, direi quasi, enteriforme, e che si può facilmente staccare dal seme senza produrre lacerazio- ne alcuna nei tessuti circostanti. La formazione deir endosperma dell’ A nona non avviene quindi come nella maggioranza delle Dialipetale, ma si compie invece come nelle Gamopetale, in rapporto forse alla forma al- ungata e ristretta del sacco embrionale stesso. Però nelle Gamopetale accade frequentemente che solo una delle grandi cellule formate dalla prima divisione del nucleo secondario continua a segmentarsi, mentre 1’ altra rimane inat- tiva. Veli’ Anona, invece, la divisione del nucleo secondario con formazione di una membrana, che divide il sacco in due cellule soprapposte, si ripete costantemente nelle bipartizioni successive. I nuclei delle cellule dell’ endosperma si mantengono sem- pre assai vistosi, ma non hanno forma costante : talvolta sono a contorno circolare , tal altra ovali, e contengono uno o più (1) V. a questo proposito: Coulteu and Chamburlain. — Morphology of Angiosperms — New York — 1903 — pag. 176 e segg. Sviluppo dell’ovulo e del seme nella A nona ('lievi molla Mill. 15 nucleoli fortemente rifrangenti. Attorno a questi nuclei il pro- toplasma è disposto in bende raggianti, che si mettono in cor- rispondenza con le altre delle cellule contigue, e limitano dei vacuoli che si riempiono ben presto di materiali di riserva dati in gran parte da minutissimi granuli di sostanze proteiche. Le membrane delimitanti le cellule del corpo endosperma- tico rispondono assai debolmente alle reazioni della cellulosa, quindi è da ritenersi ch’esse non siano ancora chimicamente dif- ferenziate. E ciò forse in relazione con la durata assai precaria di questo endosperma. Infatti con l’evolversi dell’embrione, esso va a poco a poco riassorbendosi tino a scomparire del tutto. Formazione del perisperma. Xell’ Anima Cherimolia la nocella, anche dopo avvenuta la fecondazione , permane nella sua integrità ; anzi le sue cellule conservano la loro attività moltiplicativa, per cui il tessuto della nocella stessa va aumentando di pari passo con la formazione del corpo endospermatico sopradescritto. Ein da quando nel sacco embrionale si inizia la forma- zione dell’ endosperma, le cellule della nocella, che sono polie- driche e a pareti dapprima alquanto sottili, elaborano in seno al loro protoplasma dei granuli minuti e rifrangenti che rispon- dono alle reazioni dell’ amido. Ma in progresso di sviluppo, allorché il seme è pervenuto a maturità , le cellule del perisperma ispessiscono notevolmente le loro pareti che, pur restando cellulosiche , da piane divengo- no convesse in conseguenza dell’ accumulo nel lume cellulare di materiali di riserva, costituiti essenzialmente da gocciole di olio grasso e da granuli di aleurona. Lo strato più esterno del perisperma, quello cioè che si trova in intimo contatto con i te- gumenti seminali, si presenta formato di cellule non più polie- driche, ma cubiche, e con la parete esterna fortemente ispessita e cutinizzata. Questo strato, però, non persiste nel seme maturo, ve- 16 Pott. F. Nicolosi Roncati [Memoria II]. nendo esso schiacciato dalla pressione delle cellule del perisperma, ricche di un abbondante materiale di nutrizione. Cosicché, durante 1’ evoluzione del seme, si vengono a dif- ferenziare due tessuti di nutrizione : un endosperma , di durata assai precaria e che viene ad esaurirsi con l’accrescersi deH'einbrione, ed un perisperma , di natura persistente e fornito dalla nocella grandemente accresciuta in seguito ad un’ attiva moltiplicazione delle sue cellule. E qui è d’ uopo soffermarmi alquanto intorno ad un errore di interpretazione, in cui sono incorsi quanti si sono occupati del seme dell’ Anona. — Nei trattati generali e nelle monografie è detto che i semi delle Anonacee, e più particolarmente del genere Anona, sono provvisti di un endosperma ruminato, inten- ' dendo, con tale denominazione, esprimere il fatto che il tegu- mento seminale forma delle introflessioni a cui corrispondono delle sinuosità talvolta profonde del tessuto di nutrizione del seme. Ora questo tessuto alcuni autori limitansi a chiamarlo, come Franti (lj, tessuto nutritizio (JVaJtre/eirebe), ovvero albume come Endlicher (2), A. De Candolle (3), Baillon (4), Planclion (5) senza specificare di qual natura ed origine esso sia. Così pure il Ducliartre (6) ed il Van Tieghem (7) lo designano per albume, indicando con tal nome il tessuto che si forma nel sacco embrionale dopo la fecondazione, cioè quello che dagli altri autori è chiamato endosperma, nome che il Van Tieghem riserva invece per il tessuto proveniente dalla segmentazione della macrospora delle Gimnosperme. Altri come il TVtesner (8), (1) Engler Und Pkantjt, — Die natiirUehen PflansenfamUìen — Leipzig, 1891. (2) Endlicheh — (tenera Plantarum — Vindobonae 1850. (3) A. De Candolle — Introduetion à Pètude de la Botanique — Bruxelles 1837. Prodromm System, naturali» retini vegetabili » — Parisi» 1824. (4) Baillon — Histoire de» Piante s — Tom. I. Paris 1867-69. (5) Planchon et Coi.lin — Le s drogue » simple » d’origine vegetale — Tom. II. Paris, 1896 (6) Dcchahthe — Èléments de Botanique — Paris 1885. (7) Van Tieghem — Trattò de Botanique — Paris 1901. (8) Wiesner — Elementi di Botanica scientifica — Traci, del Solla. Sviluppo dell’ ovulo e del seme nella Anona Cherimolia Mill. 17 il Lubbock (1), il Licopoli (2) denominano il tessuto di nutri- zione ruminato delle Anona strettamente endosperma. A questi possiamo aggiungere anche lo Sehiinper (3), il quale così lo con- sidera nella prima edizione del trattato di Botanica dello Stra- sburger. L’ ultima edizione del detto trattato non contiene la famiglia delle Anonacee. Altri infine, come il Richard (4), lo definiscono aneli’ essi come endosperma, ma intendono con tal nome tutto il tessuto di nutrizione del seme, sia esso di natura embrionale, sia di natura nocellare. Ora dalla esposizione che ho fatto piò sopra delle mie ri- cerche sullo sviluppo dell’ ovulo e del seme dell’ Anona Cheri- molia si rileva facilmente che quel tessuto ruminato di nutri- zione che gli autori designano genericamente per albume o che addirittura specificano per endosperma ruminato, è un vero e proprio perisperma (5). Formazione dell’ embrione. Avvenuta che sia la fecondazione (ciò che si desume anche dallo sfacelo in cui cadono le sinergidi), 1’ oosfera è sospinta un po’ in alto verso la volta superiore del sacco embrionale, a cui resta aderente insieme ai residui delle sinergidi in degenerazione. (1) .1. Lubbock, B.viit. — Contribntion lo ohi- knoivledge of ucedlingu — London 1892 Voi. I. p. 103. (2) G. Licopoli -• Sull’anatomia e fisiologia del frutto nell’ Anona retivnlata L. e nel- VAeimina tri tuba Dnn. ("Atti della R. Accademia delle scienze Fisiche e Matematiche — -Napoli Serie seconda -Voi. 1. 1888) Tale infatti il Licopoli lo considera nelle conclusioni di questa Memoria, ma non manca in altre parti del suo lavoro di chiamare il tessuto di nutrizione in questione indifferentemente col nome di albume ed anche di perisperma, seguendo eviden- temente con quest’ ultima denominazione alcuni morfblogi (come A. De Sainf-Hilaire. Jussieu, etic) che con essa designano tanto 1' endosperma quanto il perisperma propriamente detto. (3) Stkasbup.gek - Noll - Schenck - Sciiimpei: — Lehrbnch der Bota ni k fiir Hochechnkn Jena 1900. (4) A. Kichaiii» - Prède de Botaniqne et de Phyeioloijie vegetale. -Paris 1852. (5) Nicolosx — « La formazione dell’ endospèrma nell’ Animo Cherimolia Ballettino della Società Botanica Italiana : Adunanza della Sede di Firenze del 19 Aprile 1903. Atti Acc. Sepie ’4a, Voi.. XVIII — Meni. IL 3 18 Doti. F. Nicolosi Roncati [Memoria II.] Ora, mentre che il nucleo secondario del sacco embrionale entra in divisione, dando luogo, come abbiam visto, alle prime fasi della formazione dell’ endosperma, nell1 oosfera fecondata nes- sun fenomeno notasi che accenni alla formazione dell’embrione. Xelfi A nona avverrebbe quindi alcun che di analogo a quello che si verifica nella Thea eh ine mi .v (1) , ove si ha una sosta fra la fecondazione della cellula-ovo e le sue prime divisioni che con- ducono alla formazione dell’embrione. E da notare però che nel- 1’ Anona tale sosta è breve assai, e 1’ ovulo e 1’ ovario continuano nel loro accrescimento ; nella Thea cliinemis invece la sosta si potrae per qualche mese e, con la quiescienza dell’oosfera, si ar- restano nello sviluppo tutte le parti costitutive dell’ovario. Xel- V Anona, quando la formazione dell’ endosperma è alquanto inol- trata, quando questo comincia ad assumere la forma di un corpo cellulare, 1’ oosfera, eli’ è rimasta indivisa e aderente quasi alla volta superiore del sacco embrionale, entra in segmentazione. Essa si divide anzitutto in due con un setto equatoriale, normale all’ asse principale del sacco (fìg. VI), e indi, per ulteriori divi- sioni, dà luogo (senza formazione alcuna di sospensore) ad un piccolo corpo cellulare, o embriosfera, ch’è da considerarsi come l’ inizio dell’embrione. Accrescendosi, infatti, sempre più per con- tinue e successive divisioni delle sue cellule, prende una forma alquanto allungata e arrotondata in basso e si presenta comple- tamente avvolto dalle cellule del corpo endospermatico, che già è pervenuto al suo massimo sviluppo (fìg. Vili e IX). Quando, in progresso di sviluppo, cominciano nell’embrione a formarsi i primi abbozzi dei mammelloni cotiledonali, 1’ endo- sperma va via via riassorbendosi , gradatamente digerito dalle cellule dell’evolventesi embrione. Embrione ed endosperma, quin- di, sono intimamente compenetrati, e lo sviluppo progressivo dei- fi uno è strettamente connesso allo sviluppo regressivo dell’altro. (1) F. Cavara. — Ricerche intorno allo sviluppo del frutto della Thea chinensis, Sims. — Atti dell’ Istituto botanico dell’Università di Pavia, 1899. Svihijjpo dell'ovulo e del seme nella Anona Cherimolia Mill. 10 Sper moderimi. Il seme dell’ Anona Cherimolia , appieno evoluto , presentasi oblungo, molto compresso, colorato in giallo-bruniccio, e raggiunge la lunghezza di due centimetri o poco più e la larghezza mas- sima di un centimetro e mezzo. Il suo tegumento esterno, che deriva direttamente dal tegumento esterno dell’ ovulo, consta di tre strati ben distinti. Lo strato esterno risulta di un tessuto epidermico costituito di una serie di cellule quadratiche in se- zione trasversale, con le membrane radiali alquanto più brevi. La membrana esterna è mediocremente cutinizzata. In sezione tangenziale queste cellule si presentano poligonali a cinque, sei, fino ad otto facce. Sono poi fornite di un pigmento giallo-brunic- cio. Allorché il seme è maturo e disseccato, questo strato esterno distaccasi facilmente. Segue ad esso lo strato mediano che con- sta di cellule allungate, fibriformi, a decorso ondulato, provviste di poro-canali , estendentisi in direzione tangenziale o varia- mente intersecali tisi. Nella parte micropilare del seme questo strato assume un maggiore sviluppo. Ciò evidentemente è in rapporto con la posizione dell’ embrione, il quale viene ad esser protetto nella sua parte radicolare da questa speciale produzione arilloidare. Le cellule costituenti questo strato mediano dello spermoderina , che possiamo chiamare strato fibrillare , nei pri- mordi del loro sviluppo si presentano di torma poliedrica, for- nite di un grosso nucleo e di una membrana assai sottile e cel- lulosica. In seguito, perù, queste cellule si allungano riunendosi a fascetti, in direzioni svariate, ispessiscono le loro pareti e le lignificano in gran parte. Nel contempo elaborano una notevole quantità di granuli di amido, di cui frequentemente trovasi riem- pito il loro lume. A questo strato mediano segue il terzo costi- tuito di cellule poliedriche, alquanto allungate nel senso dell'asse longitudinale del seme e ricche in special modo di granuli di amido. Il tegumento interno , secondina o anche endopleura , se- 20 Doti. F. Xicolosi Roncati [Memoria II. J condo alcuni autori, si distingue dal terzo strato sopradescritto per un pigmento più oscuro che presentano le sue cellule, e per la forma poliedrica, ina più allungata nel senso tangenziale, delle stesse. Perciò anche nel seme dellLDunw, come del pari in quello di molte altre piante, la secondina non ha quel carattere di tran- sitorietà che vorrebbe attribuirle il Le Mounier (1), ma acqui- sta, anzi, una notevole importanza nel processo di ruminazione del seme. Una caratteristica assai importante del seme dell’ Anona è la così detta ruminazione dell’albume, che ha fatto dare dal Veli- teli at alla famiglia delle Anonaeee il nome di Glijjrfospermae : ruminazione, che è unicamente determinata dalla introflessione dei tegumenti seminali nel corpo del tessuto perispermatico. Il processo di introflessione si può assai agevolmente seguire, per- chè le cellule dei tegumenti, che vi prendon parte , hanno le membrane colorate in giallo bruno, onde il loro insinuarsi fra le cellule del perisperma, che hanno membrane incolori, riesce molto evidente. Le introflessioni procedono in direzione quasi normale nel corpo del tessuto uocellare, divenuto già perisper- ma, estendendosi sempre più profondamente in esso tino a per- venire in contatto della parete del sacco embrionale che in- tanto si è trasformato in quel corpo endospermatico particolare, di cui abbiamo seguita la formazione. Le cellule del perisperma sono ordinate in serie regolari intorno alle introflessioni , che estendonsi in tutti i punti del perisperma stesso : ne va esente soltanto la porzione circostante alla regione micropilare. Alla formazione delle introflessioni in discorso, olire che la secondina, prende parte una porzione del tegumento seminale esterno, cioè lo strato più interno di questo ed una parte dello strato fibrillare mediano. Quindi non è la sola secondina, come vorrebbero De Can- ti) LeMonnikr — Reclierchex tur la nervation de la grame in Ann. d. Se. Nat. Sér. V. T. XIV. Sviluppo dell’ ovulo e del seme nella Anon a Cherimolia Mill. 21 «lolle (1) e Lubbock (2) che determina la ruminazione del seme delle Anona. Idlohlasti «fi nutrizione. Localizzati nella parte periferica del perisperma e precisa- mente lungo il decorso delle introflessioni tegumentali e inoltre sulla superfìcie interna di quella formazione arilloide , cupoli- forme , che sormonta la regione micropi lare del seme , havvi elementi istologici particolari che , differendo grandemente per le dimensioni loro, per la forma e per 1’ ispessimento della mem- brana dalle cellule perispermatiche circostanti , si possono chia- mare, seguendo il criterio adottato dal Sachs, idi obi asti, e che io specifico conte idioblasti di nutrizione (3). Questi elementi par- ticolari si presentano, a prima vista, nella sezione longitudinale del seme che si avvia alla maturità, a guisa di formazioni glo- bulari, più spesso ancora elissoidali , contenenti , ad evoluzione compiuta, fra i residui assai scarsi di materiali proteici un’ab- bondante quantità di gocciole oleose dalle dimensioni più svariate. Quale è la loro origine ? Parecchio tempo dopo avvenuta la fecondazione (un mese o poco più), quando l’endosperma non è ancora che ai primi stadi di sua formazione e il seme ha raggiunto tutt’ al più il diametro di 5 min. circa , si dif- ferenziano fra le cellule , che stanno immediatamente al di sotto dello strato limitante il perisperma di già ruminato, spe- ciali elementi istologici che cessano dal moltiplicarsi per assumere caratteri particolari. Sono per lo più separati fra di loro da una o più cellule del perisperma, e non infrequentemente si osserva- no anche abbinati. In quanto alla forma che presentano al loro primo differenziarsi, essa è per lo più poliedrica e restringen- (1) De Candoi.le - — Introduction à V étude de la Botanique. (2) I. Lubbock — Op. cit. (3) NlCOLOSI — Elementi speciali nel perisperma dell’ Anona Cherimolia Mill. (Ballettino della Società hot. ita!., 11 ottobre 1903. 22 Doti. F. Nicolosi Roncati [Memoria II. | tesi a cuneo verso 1’ interno ove presenta una base larga e cur- vilinea, data dalla faccia che si trova a contatto dello strato li- mitante del perisperma (tig. X). La membrana si mostra ben presto alquanto pili ispessita di quella delle cellule circostanti, ma risponde sempre alle reazio- ni della cellulosa. E omogenea, cioè di eguale spessore lungo tutto il perimetro dell' idioblasta , senza punteggiature o particolarità notevoli di struttura. Due caratteri poi in special modo individualizzano questi , come del resto tutti gli altri idioblasti, e cioè la natura del pro- toplasma e le dimensioni assai cospicue che assume il nucleo. Il contenuto protoplasmatico degli idioblasti, in discorso è assai più abbondante di quello delle cellule contigue ; è inol- tre molto denso e nettamente granulare. Esso resiste alquanto all’ azione anche prolungata dell’ acqua di Javelle, ma risponde bene alle note reazioni degli albuminoidi. In seno a questo protoplasma si trova un grossissimo nucleo, le cui dimensioni superano del doppio, circa, quelle del nucleo delle cellule vicine. È per lo più centrale, ina non di rado pre- sentasi aderente alla parete dell’ idioblasta ; è fornito inoltre di un distinto e grosso nucleolo e di una impalcatura cromatica manifesta. Ben presto nel protoplasma vengonsi a differenziare numerosi granuli d’amido, piccoli, globulari: amido che, dopo un certo periodo di attività dell’ idioblasta, viene a scomparire. In sua vece appaiono gocciole assai piccole e rifrangenti, che vengonsi in special modo a localizzare nei vacuoli che, intanto, si sono for- mati nella massa protoplasmatica in numero considerevole. Trat- tate con acido osmico, queste gocciole perdono la loro partico- lare rifrangenza ed assumono un colorito bruniccio ; I iodio inoltre le colora in giallo, e il sudali in in giallo-arancio. La natura oleica quindi di queste gocciole, come rilevasi da queste reazioni, è assai evidente. La loro insolubilità poi nell’alcool anche a caldo, escludendo che si tratti di oli eterei, ne attesta la natura grassa. Sviluppo dell’ovulo e del seme nella Anona Cherimolia MiU. 23 Ben presto parecchie delle gocciole oleose confluiscono in- sieme, ed allora il lume degli elementi cellulari in discorso vie- ne, in uno stadio successivo, occupato da due o più grandi goc- ciolò che possono raggiungere il diametro di 30 iJ- circa. Del pro- toplasma intanto, che in così gran copia riempiva 1’ idioblasta nei primi stadi del suo sviluppo, non restano che scarsi residui; soltanto si nota la presenza, fra mezzo alle gocciole oleose , di minute granulazioni che rispondono ancora alle reazioni degli alhuminoidi. Nel contempo anche il nucleo diminuisce gradata- mente tino a non essere più percettibile negli idioblasti a com- pleto sviluppo (fìg. XI). Durante queste trasformazioni del contenuto, hanno questi elementi modificato anche la loro forma: da poliedrici sono pas- sati alla forma ovulare ed hanno raggiunto inoltre considerevoli dimensioni. Un buon numero di misurazioni mi fornì i seguenti risultati : Avviandosi, però, il seme a maturità, questi speciali elementi smaltiscono gradatamente il loro contenuto, cosicché, quando il seme è completamente maturo , essi presentansi in gran parte vuoti, ovvero con residui di gocciole oleose. Assai ricche invece di materiali di nutrizione (oli grassi e granuli di aleurone) sono, in questo stadio, le cellule circostanti del perisperma. Ora la genesi, il modo di sviluppo e la sorte di questi par- ticolari elementi inducono a ritenere che essi altro non siano che idioblasti di riserva ad utilizzazione assai precoce , i cui materiali di nutrizione verrebbero esauriti dall’ embrione in via Lunghezza minima » massima . Dimensione prevalente delle misure Larghezza minima » massima . Dimensione prevalente delle misure !J- 58 » 96 » 70 » 28 » 60 » 45 24 Doti. F. Nicolosi Roncati [Memoria If.J
  • 7-9 — Ife che tendono a formare i gangli o noduli del piede. > 11 — Un nodulo o ganglio micelico. » 12-15 — Ife ad ampolla della base del concettacelo. » 16-26 — Stadi successivi della fusione dei due nuclei, nel processo fecondativo, e conseguente costituzione della cellula madre dell’ asco. » 27-28 — Ascili giovani. In fìg. 27 il nucleo è allo stato di riposo; in fig. 28 il nucleo si prepara alla prima divisione. » 29 — Il nucleo è in via di divisione. I corpuscoli metacromatici sono sparsi nella parte basilare ed apicale dell’ asco. » 30-31 — Stadi successivi della prima divisione nucleare nell’ asco ; spa- risce la membraua nucleare. In fìg. 31 il nucleolo si trova immerso nel citoplasma dell’ asco. » 32 — 1 due nuclei provenienti dalla prima divisione. » 33-34 — Come sopra, ma allo stato di riposo. » 35-37 — Stadi successivi della seconda divisione nucleare. » 38 — Stadio posteriore alla terza divisione. >39 — Spora in via di maturazione ; formazione dell’ esosporio. ■ IWi1 Lt'K Zuff/à - Cs/j/p/j Memoria IV. Laboratorio (li Zoologia della R. Università di Catania. / ~ / ACHILLE RUSSO e GIOVANNI POLIRÀ *y-~ . Sulla secrezione interna delle cellule peritoneali della gonade del 3‘fiyUopfiorus urna (Grube) (1) 2 I processi di secrezione interna, per opera di varii ricerca- tori, sono già da più tempo conosciuti in molti loro particolari. I fatti da noi messi in luce però, che non trovano riscontro in altre precedenti osservazioni, oltre all’ importanza speciale per la funzione di secrezione, assumono un’ importanza più ge- nerale per ciò che riguarda specialmente il significato morfolo- logico e funzionale degli elementi che compongono le gonadi. Tralasciando per ora le varie questioni, che si connettono alle nostre osservazioni, ad alcuna delle quali accenneremo in fine, premettiamo che le cellule peritoneali, che rivestono i ciechi genitali del Phyllophorus, per la loro peculiare struttura, richia- marono l’attenzione dei pochi osservatori, che si occuparono di questa Oloturia. Nessuno però ha dato a tali elementi il loro giusto valore sia morfologico che funzionale. Difatti, Jourdan (2), che descrisse nel 1883 gli organi genitali del Phyllophorus , nel rilevare la struttura istologica dei ciechi, dice che le cellule pe- ritoneali sono cilindriformi, con contorni difficilmente distingui- bili e contenenti globuli ialini bruni. (1) Affinchè il lavoro resti diviso si dichiara che il Dott. Polara prese parte attiva in queste ricerche, attendendo specialmente alla manipolazione del materiale ed alla ricerca di una parte della Bibliografia. (2) Jourdan — liechevches mr l’ Mitologie des Holothurien — Annales da Musèo d’hist. nat. de Marseille 1883. Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVIII — Meni. IV. 1 o Achille Russo e Giovanni Poiana [Memoria IYJ Egli non dette alcuna importanza a tali elementi per la funzionalità della gonade, anzi lia erroneamente interpretato i globuli, che credette del pigmento. ( Ces globules pigmentaires con- tribuent sans (loute à clonner aux tuhes testiculaires de Pliylìopho- rus la color ation brune , qui le. s* caraeteri.se ). Secondo lo stesso Jourdan, anche in Cucumaria tergesti na le cellule peritoneali dei ciechi genitali sono allungate e contenenti globuli ialini. A differenza del Phyllophortis egli crede però che qui si tratti di cellule mucose, ammettendo anche che esista una differenza di struttura tra le cellule peritoneali dei ciechi fem- minili in confronto di quelli maschili. Tale sviluppo degli elementi peritoneali dei ciechi genitali fu osservato da altri ricercatori in altre Oloturie : Hérouard (1) nel Colocliirus Lacazii osservò, infatti, che l’epitelio peritoneale dei ciechi ovarici è molto alto, frastagliato e contenente dei glo- buli, sulla cui natura non si è pronunziato. Hainann (2) osservò inoltre che nelle Cucumaria in generale tali elementi del peritoneo siano cilindrici, anziché piatti come nelle altre Oloturie, però neanche questo osservatore, d’ ordina- rio molto accurato nelle sue ricerche, ci ha lasciato dei dettagli molto notevoli. Nel Pliyllopliorus , da noi preso in esame, le cellule perito- neali dei ciechi si modificano bruscamente a misura che dal punto di sbocco nel gonodutto si va verso 1’ estremo opposto. Mentre in origine esso è pianeggiante e disposto in un solo strato, sulla superficie libera dei ciechi, sia maschili che femminili, diventa stratificato e con cellule molto grosse, più o meno cilindriche. I limiti di tali cellule sono molto diffìcili ad osservarsi, però, (1) E. Hérouard — Recherclies sur les Holothuries de cótes de F rance — Areh. de Zoologie exp. 1889. (2) O. Hamann— Beitriige zar Histoloyie der Ecliinodermen. — Heft. 1. Die Holotliurien — Vena 1884. Sulla secrezione interna delle cellule peritoneali della gonade eco. 3 con doppie colorazioni molto intense di Èmatossilina ed Eosina, si possono scoprire molte particolarità. Quando le sezioni sono praticate perfettamente trasversali all1 asse longitudinale del cie- co, si possono distinguere due elementi, come si vede nella fig. 2a, e cioè le cellule di sostegno e le cellule glandolavi. Le prime sono allungate, sottilissime, a forma quasi di fila- mento, che attraversa tutta la spessezza della lamina peritonea- le, che è molto grossa, a causa delle cellule glandulari e del se- creto da esse prodotto. I nuclei delle cellule di sostegno sono anche allungati, hanno contenuto reticolato e granuloso e sono per lo più situati verso l1 esterno , come si può osservare nella fig. 4a , dove furono rappresentati tre elementi isolati , o nella tig. 2a e nella fig. la, in cui furono schematicamente disegnate le cellule stesse in tutta la estensione del cieco. Le cellule glandulari si trovano interposte fra le precedenti e disposte in più strati. Quelle più interne, come si vede nella tig. 2a e nella fig. 5a a, hanno forma allungata, quasi piriforme, con un peduncolo, che poggia su di uno strato esilissimo di con- nettivo, sotto del quale è uno strato di fibre muscolari circolare. Al di sopra delle cellule allungate sono cellule più piccole, di forma irregolare, quasi rotondeggiante, interposte sempre fra le cellule di sostegno, come si vede nella fig. 2a e nella fig. 5a b. Tutte le cellule glandulari elaborano nel protoplasma delle so- stanze, che, sotto forma di globuli di differente grandezza, ne co- stituiscono quasi tutto il contenuto. Tali globuli si colorano uni- formemente in azzurro o in rossastro, a seconda elle si sia impie- gato come colorante 1’ Èmatossilina o il Carminio ; alcuni di essi però presentano delle punteggiature nerastre o dei piccoli va- cuoli rifrangenti , similmente a quanto si osserva nelle sferule vitelline elaborate dalle cellule dei vitellogeni nei Plutei minti. Il nucleo delle cellule glandulari si distingue da quello delle cellule di sostegno, essendo più piccolo, rotondeggiante o irrego- lare, uniformemente ed intensamente colorato e situato sempre verso la periferia di ciascun elemento. , 4 Achille Russo e Giovanni Poiana [Memoria IV.] Era i globuli ialini elaborati dalle celiale peritoneali, alcuni sono molto grossi, altri invece sono esilissimi , come si può os- servare nella fig. 6a , in cui furono rappresentati tali globuli nelle loro differenti grandezze e nei loro diversi aspetti. I primi si osservano costantemente nelle cellule superficiali, ovvero nella parte clavata delle cellule piriformi, che, come si è detto, pog- giano con il loro peduncolo sul connettivo ; i globuli esilissimi invece si trovano costantemente nei peduncoli delle cellule su menzionate ovvero attorno ai globuli molto grandi. Tali piccoli globuli, ridotti in minutissime granulazioni, vengono espulse dalla cellula e passano nel connettivo sottostante, dove si accumulano, formando un coagulo granuloso o filamentoso. Il passaggio di tali corpi non è sempre facile ad osservarsi, come non è facile, per le speciali condizioni in cui vive l’animale, osservare o con- statare sperimentalmente le modificazioni delle cellule secernenti, durante la loro attività, come si è fatto, ad es: nei Vertebrati, per dimostrare la secrezione interna nelle cellule intestinali od epatiche. Ciò non ostante , spesso si può osservare che dalle cellule peritoneali piriformi, che poggiano con il loro peduncolo sul con- nettivo, filtra una sostanza più o meno j alina, che si unisce al coagulo accumulatosi precedentemente nello spazio schizocelico sottostante, come si vede nella fig. 2a. Qualche volta si osserva anche che il coagulo, fuoriuscito dalle cellule piriformi, si accu- mula al di sopra della membrana basale, la quale in quei punti si solleva, formando un’ ernia. I coaguli occupano uno spazio ben delimitato nel connet- tivo interposto tra le cellule del peritoneo e le cellule germi- nali, formando un vero & citinocele, talora larghissimo, che occupa tutta 1’ estensione del cieco, come si vede nella fig. la. Era il coagulo raccolto in tale spazio schizocelico si trovano costantemente degli elementi mesenchimatosi liberi ovvero riuniti in sincizi, che hanno per funzione di trasportare in punti lon- tani i coaguli albuminoidei elaborati dalle cellule peritoneali. Sulla secrezione interna delle cellule peritoneali della gonade ecc. 5 Nelle sezioni dei ciechi femminili, per l’abbondante accumulo di coagulo, abbiamo osservato che la membrana connettivale, su cui poggiano le cellule germinali, è qua e là sollevata, formando delle estroflessioni. Queste talora sono molto sviluppate ed alla loro sommità si trova costantemente un gruppo di piccole uova, ovvero un oocite molto grosso. In tal caso , come si vede nella tig. 3a , al di sotto dell’ oocite è uno spazio molto ampio, occu- pato da coaguli e da numerosi amebociti , di cui alcuni sono ad- dossati alla superfìcie dell’esilissima membrana connettivale, che fa da supporto all’ oocite stesso. In questa figura si può anche osservare che il vitello presenta nella sua regione basale , con la quale, cioè, poggia sul connettivo , un grande spazio semilu- nare, largamente vacuolizzato, mentre il resto è compatto. Tale formazione vacuolizzata, con varii aspetti, è quasi costante in tutti gli oociti di media grandezza. Tale struttura, messa in rapporto con la presenza di coaguli nutritizii raccolti al di sotto dell’ ovo, attesta evidentemente che esso assorbe le sostanze elaborate dalle cellule peritoneali e che a loro spese cresce e si evolve. Le cellule germinali, secondo noi, possono assorbire diret- tamente le sostanze sciolte, elaborate dagli elementi peritoneali, dappoiché esse sono solo separate da un’ esilissima membrana connettivale , ma crediamo anche che gli amebociti abbiano in tale processo una grande importanza, sebbene non si possa di- rettamente valutarne la portata. In tutti i ciechi abbiamo notato però che nello spazio in- terno, a differenza delle altre Oloturie, erano un grande numero di elementi linfoidi, destinati certamente al trasporto delle so- stanze nutritizie, di cui alcuni addossati alla superfìcie delle ova. Noi non abbiamo potuto avere dei ciechi con gli embrioni in via di sviluppo e perciò nulla possiamo dire della parte che gli amebociti prendono nel processo embrionale. Da quanto abbiamo brevemente esposto crediamo poter con- cliiudere che le cellule peritoneali, che rivestono i ciechi geni- 6 Achille Russo e Giovanni Palava [Memoria IV.] tali del Phylloplwrus si differenzi ino in cellula eli sostegno ed in elementi di natura gianduia-re, i cui prodotti vengono versati nell’ interno della gonade, dove si raccolgono in grande abbon- danza in uno spazio di natura schizocelica, situato nel connettivo interposto tra la lamina peritoneale e gli elementi germinali. Tali prodotti vengono impiegati per lo sviluppo delle cellule sessuali e per la nutrizione dell’ embrione, che, come si sa, in questa specie si sviluppa nel corpo dell1 animale e propriamente nei ciechi femminili, fino a quando, cioè, non si sia formata la piccola Oloturia. (1) * # I fatti da noi posti in luce potrebbero essere messi a pro- fitto per fare delle considerazioni sul valore dei cosidetti falsi endoteli in generale e sul significato delle gonadi , specialmente per ciò che riguarda la dibattuta questione se esse siano oppur no delle glandule. II nostro reperto non lascia alcun dubbio a tale proposito, però esso dimostra con la maggiore evidenza che 1’ attività se- cretrice è limitata ad alcune cellule della gonade, le quali ap- prestano alle vere cellule sessuali i materiali necessarii per la loro evoluzione. Tale differenziazione, che noi riteniamo fonda- mentale per il concetto che si deve avere delle gonadi , trova riscontro nelle conoscenze attualmente acquisite nei varii ordini di animali inferiori , ma può essere esteso anche a forme su- periori di Metazoi (Mammiferi), in cui indubbiamente le cellule della granulosa e del disco proligero hanno uno spiccato potere di secrezione. Pur non ammettendo che alla gonade debba darsi in senso assoluto il valore di una gianduia, ma considerando solo il modo (1) Nelle sezioni di alcuni ciechi femminili abbiamo osservato delle forme simili ad una gastrula con invaginazione tipica, e perciò riteniamo che lo sviluppo dell’ embrione avvenga nello interno dei ciechi. Per mancanza di materiale adatto non abbiamo esteso questa ri- cerca, che crediamo importante per lo studio comparato della formazione plaeentaìe. Sulla secrezione interna delle cellule peritoneali della gonade ecc. 7 come essa si evolve e si differenzia, riteniamo che la via (fermi- nole non sia così pura , come credono i Weismaniani, essendo essa inquinata da cellule, il cui destino è molto differente e che probabilmente hanno la loro importanza nella specializzazione degli elementi sessuali. (1) Un raffronto molto interessante, che rischiara meglio la struttura della gonade del Phyllophorus e la natura glandolare dei suoi elementi peritoneali, ci viene offerto dal corrispondente organo degli Echinidi. La struttura delle glandule genitali allo stato adulto di questi Echinodermi è poco conosciuta, perchè i dati che uno di noi (Lusso) ha raccolto non sono stati ancora pubblicati. Da tali ricerche inedite rileviamo che sulla parete interna dei tubi sia ovarici che testicolari alcune cellule mesodermiche elaborano dei globuli, simili a quelli che sono elaborati dalle cellule peri- toneali del Phyllophorus. Tali cellule di forma globosa circon- dano le ova, formando su di esse diversi strati , mentre sul te- sticolo sono piriformi e disposte a palizzata, come si vede nella qui annessa figura, limitando delle aree, in cui evolvono gli Sezione di testicolo maturo di Strongylocentrotus liviclus cg) cellule glandulari, s) spermatozoi, sg ) spermatogoni. (1) Come si sa, il differenziamento delle gonadi avviene spesso molto precocemente nel- 1’ embrione, come ad es. nell’ ascari», secondo il Boveri, nella Moina, secondo Grobben, nei Setacei, secondo Beard. 8 Achille Russo e Giovanni Poiana [Memoria IV.] spermatogoni. Crii elementi secretori sono più evidenti nella gonade poco sviluppata, quando ancora il prodotto elaborato non è stato impiegato per la nutrizione degli elementi sessuali. Ciò osservasi specialmente nei testicoli, nei quali, allo stato adulto, per l’enorme massa degli spermatozoi, le cellule glandulari sono visibili soltanto impiegando speciali fissatori. (1) (1) Il fissatore impiegato, che ha messo in evidenza meglio di tanti altri, gli elementi glandulari è il seguente : Cloro platinato di sodio 1 °/0 — cui1 * 3 15 Acido osmico sol. acquosa 1 °/0 — » 5 Acido formico : una o due gocce Catania. Dicembre 1904. Sulla secrezione interna delle cellule peritoneali della gonade ecc. 9 SPIEGAZIONE DELLE LIGULE DELLA TAVOLA Lettere comuni a tutte le figure a) amebociti c) strato connettivale su cui poggiano le cellule sessuali c g s ) cellule glaudulari superficiali c g b) cellule glaudulari piriformi c s) cellule di sostegno c g m) cellule sessuali maschili c p) cellule peritoneali g) globuli elaborati dalle cellule glaudulari m c) strato muscolare a fibre circolari n c) nuclei conuettivali n f) nuclei del follicolo ovarico 0) ooeite 01) ova neoformate o p ) giovani oociti v c ) vitello compatto v v ) vitello vacuolizzato v g) vescicola germinativa s s) spazio scliizocelico contenente coaguli ed amebociti. Fig. 1. — Sezione, trasversa di un cieco ovarico. La membrana peritoneale è schematizzata. Lo spazio schizocelico contenente i coaguli si estende per tutta 1’ estensione del cieco. Zeiss oc\. comP- b_ obb. 8,u mm. Fig. 2. — Sezione trasversa di un cieco maschile per mostrare la disposi- zione delle cellule glaudulari e di sostegno nel peritoneo, e lo spazio schizocelico con i coaguli che si originano dalla base delle cellule piriformi. Zeiss - -,°c\ — obb. lbO mm. Fig. 3. — Sezione trasversa di un cieco femminile, in cui si osserva un grosso ooeite posto alla sommità di uno spazio connettivale, pieno di coaguli e di amebociti. Questi sono addossati alla su- perficie inferiore dell’ ovo, in cui si distingue un vitello com- oc. comp. 6 Fig. 4. Fig. 5. Fig. 6. patto ed uno vacuolizzato Cellule di sostegno isolate. obb. 160 mm oc. comp. 6 obb. im. om. 1/i6 Cellule glaudulari : a) della base o piriformi, bj superficiali. oc. c. 6 obb. im. om. 1/16 Globuli contenuti nelle struttura e dimensione. cellule glaudulari oc. com p. 6 ed aventi differente obb. im. om. 06 battisti Ut. Roma. Vu Depntis 32. Memoria V. Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e di Rìemann alia teoria deile equazioni alle derivate parziali Memoria di GUIDO FUBINI Il metodo di Eternami, esposto dal Darboux (1) per le equa- zioni a delirate parziali di tipo iperbolico in due variabili in- dipendenti, fu esteso ad altre equazioni più generali dai Sigg. Bianchi, (2) Mccoletti (3) Delassus (I) Holingren (5). In un altro senso fu esteso da Le Koux (6) ; per altri tipi di equazioni alle derivate parziali detto metodo fu generalizzato dal Prof. Volterra (7), i cui risultati furono semplificati e generalizzati dai Sigg. Tedone, Gonion, D’Adhémar. Io mi sono proposto di trovare nuove classi di equazioni alle derivate parziali, cui si possa estendere il metodo di Riemann, convenientemente modi- ficato, e completato dal metodo delle approssimazioni successive di Picard. In questa Memoria mi occuperò di alcuni primi risul- tati di queste ricerche ; più precisamente mi occuperò di quelle equazioni lineari alle derivate parziali F ( u ) — 0, in cui rinsieme (1) Téorie dea surfaces, T. II. Chap. IV. (2) Rendiconti dei Lincei 1895. (3) Rendiconti Lincei 1895 — Atti della R. Accademia delle Scienze di Napoli 1*97. (4) Annales de 1’ Ècole Normale Supérieure 1895 (Supplément). (5) Stokholin; Arkiv for Matem. Astrou. och Fysik 1904. (6) Ann. de l’ Ècole Nomi. Super. 1895 ; Journal des Matliématiques 1898-1900. (7) Acta Mathematica Bd 18 (Sur les vibrations ecc.) Atti Acc. Serie 4% Voi,. XVIII - Meni. V. 1 2 Guido Fubini [Memoria V.| dei termini di ordine massimo in F (?t) si può considerare come risultato del prodotto simbolico di più trasformazioni infinitesime. Troveremo che ad ampie classi di cotali equazioni i metodi di Riemann e Picard sono ancora applicabili. Naturalmente non mi occuperò di tutti i particolari del metodo , accontentandomi soltanto di porre bene in rilievo i fatti nuovi che si presentano; e supporrò perciò nota al lettore almeno la citata Memoria del Prof. Niccoletti. Mi restringerò al caso di tre variabili, sia per ragioni di semplicità, sia per ragioni tipografiche. § 1. Le equazioni, di cui noi ci occuperemo, saranno del tipo dove bZl x.2 ~/yi — 1? le altre b sono funzioni regolari delle variabili indipendenti xv x2, x3, insieme a tutte quelle loro de- rivate, che occorrerà considerare. Le Xi , X2 , .... Xm sono tra- sformazioni infinitesime ; e precisamente porremo dove le a sono funzioni regolari delle x , insieme a tutte quelle loro derivate, che occorrerà considerare. Infine -q , x2 , . . . . , xm sono numeri intieri positivi, differenti da zero, la cui somma indicherò con t. Parleremo prima di un caso specialmente semplice, riser- vandoci di esaminare in seguito in quali altri casi più generali i nostri procedimenti continuano ad essere applicabili. Suppor- remo cioè che le X{ siano a due a due permutabili, e a tre a tre linearmente indipendenti. In questo caso, con un cambiamento di variabili indipendenti, potremo immaginare che le X{ sieno del tipo \ ri _X,-2 .... (u) 0 i l 2 rn x (1) Su alcune nuove applicazioni elei metodi di Picard e Eiemann 3 dove le aik sono costanti e dove <*22 ^33 b fl'l2 ai3 0. Nessuna delle aik (i > 3) può essere nulla ; cliè, se p. es. a = 0, allora le X2 , X3 , X4 , sarebbero linearmente dipendenti. Non si diminuisce la generalità dei risultati, supponendo che le aik (i > 3) siano positive. Qualche volta poi, per semplicità di notazione scriverò : 3 3 , 3 | 3 3b — aa 3^7 1 a‘2 3à7 + a'i% 3^3 Non ci occuperemo dapprima dei teoremi di « esistenza », e ci volgeremo senz’ altro al metodo di Riemann : esso ci dirà quali sono i teoremi di esistenza , che noi dobbiamo dimostrare. Troveremo che il metodo di Riemann è sempre applicabile alle equazioni del tipo precedente, purché le bVl....rm sieno legate da certe equazioni, che determineremo in seguito, e che chiameremo condizioni di Ilieinann. Indicheremo con *D (y) il polinomio ag- giunto a F (w) : quel polinomio cioè, che contiene linearmente una funzione v e le sue derivate, e che gode della proprietà che sia identicamente (3) v F (u) — u O ( v ) 3Li 3xi -j— 3 Lz ! I or» _ 3 F dx3 dove le Li sono funzioni lineari tanto nella u e nelle sue deri- vate, quanto nella v e nelle sue derivate. L’ espressione 0 y) è nel caso attuale data da una forinola del tipo : wi ^2 (lbitì) 0 (®) = S £ E Or, r2 — rm Xu X2 Xm (v) r±= 1 rg=2 rm=l 1 2 dove le c sono funzioni regolari nelle x (Cfr. Niccoletti loc. oit.). Indicheremo con 3rvr| rs quell’espressione, che si ottiene, sepa- 4 Guido Fubini [Memoria V.] rando da $ (v) tutti i termini che contengono la derivata drl+r 2+r3 , e le sue derivate, e sostituendo v al posto di quella 3as[1 3*2 2 3.i'y3 derivata (Bianchi e Niccoletti loc. cit.). Scriveremo poi $[ir? ecc. al posto di 3>’,'ì,'2° ecc. Avremo A 12ò rdo Lt = zL i ~2 3 y _j_ _L d / A 372 12 ' 2 a.r:ì I 3 123 e analoghe, dove si è posto ^ = ( — l)ri a®. < 1 + — Ti — To — t3 ) per xL = xK~ 0 (i, lc = 1, 2, 3) (A') cosicché si abbia Z{ = 0 jier x{ — 0 e si abbia pure Zlk — 0 per Xi = xk= 0. Più avanti studieremo la portata di queste condizioni, e le conseguenze, che se ne possono ricavare per la v. Per il momento supponiamo la v nota in tutto 8. Indi- chiamo con c , o , c3 le aree dei triangoli a base curva AA2 A3 , AA{A3, AAìA2 e con -1 la direzione normale a I\ La (3) pel- le ipotesi fatte diventa (4) — I = j Ll daL -f- / L2 dzs, -(- / L3 da3 -f- -j- f (Ll cos v xl -j- L2 cos v x2 -|~ L3 cos v x3) <7 S — 0 Studieremo successivamente i termini del secondo membro. Osserviamo intanto che 1’ ultimo termine si può considerare come noto, se noi sulla U supponiamo conosciuta la u e le sue derivate di ordine 1, 2,...., x — 1. Studiamo perciò soltanto uno dei primi tre termini, p. es. studiamo il termine fL1 do t. Ciò che diremo per esso si potrà ripetere per gli altri due 6 Guido Fubini [Memoria V.J da3. Intanto, essendo Zx=0 sul piano o1? avremo che \±(7 )dx}Ziì ir -rr~ (z A i2o I ^Jor» '■ dx. 3 dx.2 Zll»)faì (1X3 E con una nuova integrazione per parti noi potremo trasfor- mare il secondo membro di questa uguaglianza in un integrale esteso al contorno di AA2 A3, ossia lo potremo trasformare nella somma di tre integrali : l’uno è (a meno di un fattore numerico) uguale a fj2 i^Zi3 -f -y ^ Zi%i]dx2 ; l’altro è un integrale analogo esteso al segmento AA3, il terzo è un integrale esteso al lato curvo A0 Ay Quest’ultimo integrale si può considerare come noto, poi- ché noi supponiamo noti i valori della u e delle sue derivate di ordine 1, ì su 2; il primo integrale (essendo Zi3 = 0 sul segmento AA0) è uguale alla differenza dei valori di 7 3Zm nei punti A, A2; il secondo integrale è uguale analogamente alla differenza dei valori di Zm nei punti A, A3. Per la solita ragione, la quantità Zm si può considerare come nota nei punti A% , A3; e quindi, concludendo, l’ integrale jLi d l) in R , e dove su 2 la uQ e le sue derivate di ordine 1, 2,...., x— ì assumono i valori pre- fissati, mentre le ut (i>l) e le loro derivate di ordine 1, 2,...., x— ì si annullano su 2. Costruiamo in R una funzione cp ; questa funzione, e le sue derivate di ordine 1, 2,...., T_i prendano su 2 i valori prefissati; poniamo poi ?e0 =

    . Per determinare uQ, basterà costruire una funzione che su 2 si annulli, insieme alle derivate di ordine 1, 2, , t — le che in jS soddisfi alla equa- zione Fi 4) = — Fi (?). (*) Ciò equivale a dire che si possono prefissare ad arbitrio su Z i valori della « e delle sue derivate uormali di ordine 1,2, , x — 1. 8 Guido Fubini Memokia V.] Osserviamo die il valore nel punto generico A di R di una funzione X, die in JR soddisfa alla condizione : (8) Fl (X) = |x (*„ xv x3) (dove [j. è una funzione di xx , x2 , x.}) e che su ^ si annulla in- sieme alle derivate di ordine 1, 2, , x — 1 è dato da (9) 1 =/X IX IX *. JX fi fX, ,lt IL i* «- dove il segno d1 integrazione è ripetuto x2- volte. Col simbolo /'j. f (,r, , .r3, x3) (Iti ho indicato F integrale 0 f + «71 tn AJ} + nr, t,, x\h 4- ai3 t() dt dove con xf, xf indico le coordinate del punto A{, e con f\ indico quella quantità tale, che xf' -f- «n t°;, xf‘ -f- ai2 tf\ xf -f- /• sieno uguali alle coordinate xi , x2 , x3 del punto - A. Se si vuole poi trovare la AA X^ Xr>» (X) (ì\ < x;) basterà sopprimere nella (7) rt segni d’ integrazione rispetto tv r2 segni di integra- zione rispetto a t2, ecc. Posto questo, la determinazione delle successive wt-, e la di- mostrazione della convergenza uniforme della procede in modo affatto analogo a quello che si seguirebbe, quando si vo- lesse applicare il metodo delle approssimazioni successive all’in- tegrazione dell1 equazione + rr L K Vm dt,rl dtmrm — 0 (rc < t ,;) dove le t fossero considerate come variabili indipendenti, e dove -Al •••• + rm la u e le M Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e di Pieni ann dovessero annullarsi per tk = 0 ( J> = 1, 2, m), E così senz’ altro dimostrato il teorema di esistenza : Scelti su 2, in modo compatibile, i valori della u e delle sue derivate di ordine 1, 2,...., t — 1, esiste in R un integrale u della E (u) = 0, che su 2 soddisfa alle condizioni imposte. Posto questo, passiamo alla funzione v ; la funzione v sui piani e sugli spigoli del triedro A (A1 , A2, A3,) deve soddisfare alle condizioni (A), {A') e nell’ interno del triedro deve essere un integrale dell’equazione 4 fv) = 0 ; in line essa deve essere tale che si possa applicare 1’ integrazione per parti all’ integrale Noi dovremo esaminare a una a una le precedenti condizioni che sono imposte alla v, e comincieremo anzitutto dallo studiare le equazioni (A), (A') cui essa deve soddisfare sulle faccie piane e sugli spigoli rettilinei del tetraedro AA1 A., Ar Queste equa- zioni sono in generale incompatibili : non può cioè in generale esistere nel tetraedro AAl A2 A3 una funzione y non nulla, fi- nita e continua insieme alle derivate che occorre considerare, la quale soddisfi alle equazioni predette. Noi supporremo d’ ora in poi che ciò non avvenga per le equazioni F fu) = 0, che noi considereremo. Noi supporremo cioè che esista una funzione y finita e con- tinua (con le sue derivate) che sulle faccie e sugli spigoli del tetraedro soddisfi alle volute condizioni senza essere nulla nel punto A. Ciò porta a delle equazioni, tra i coefficienti di $ (v), o, ciò che è lo stesso, tra i coefficienti bVi r,n di F fu) ; noi supporremo d’ ora in avanti soddisfatte queste equazioni. A esse daremo il nome di « condizioni di Elemann ». Per mag- giore chiarezza studieremo due esempii : 1°) Sia m — 4, 1 1 = 1 (i < 4) ; potremo evidentemente sup- Atti Acc. Serie 4a, A'ol. XVIII - Mera. V. 2 10 Guido Fubini [Memoria V.] porre «41 — ai2 — ai3 — 1. Scriviamo, per semplicità di nota- zione, il polinomio <5 sotto la forma : $ (v)- d'‘v dx dy dz dt 1 d'V l dx dt + B d3v dt dy dz d'sv , dy dt ~r dv P — dx V- d*t + d3v c dt dx dz 1 dt dx dy d'V , drv> , . dtv dz dt 1 " I 2 3t_ 3,y i ì = 0 Ad analoghe equazioni la 7 deve soddisfare sui piani y=0, z=0. Sull’ asse delle « la 7 deve soddisfare alle : in oh = ( s + b + ^') è + (K + 11 +v+s) dy d-f , 3‘f , 37 , 3l+VS+VS + dx -j- (A -|- B -(- c) 7 — 0; $12 0. Queste due ultime equazioni danno concordemente : 0) |l + m = ° (sull’ asse delle z). Analoghe equazioni valgono sugli assi delle x, y , La (B) ci determina il valore di 7 su tutti i punti del Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Biemann 11 segmento AA3, quando sia noto il valore di 7 nel punto A. L’ equazione (7) diventa S + <’+«> !" + c T (e) 9*7 32t si sostituiscano i valori, che ven- quando al posto di % }x ^ gono dati dalle equazioni = q>| = 0; le quali equazioni, valendo rispettivamente nei piani y= 0 continuano a valere anche sull’asse delle La (e) poi in virtù della (3) diventa C — £ V — dz = 0 A) (stili’ asse delle z) Ora, poiché in virtù delia (§) e delle equazioni analoghe si sanno determinare i valori di 7 sui segmenti AAV AA2i AA3, le equazioni (P) permetteranno di determinare la 7 entro le aree piane AAiAv AA2A3, AA3 A{. Ne verranno così in particolare determinati i valori della sugli assi delle z e della y. ex La equazione (a), che si può scrivere sotto la forma : _A_ (A) 4. „ _A (A) dzdy \ dx ) 1 dz \dx) + A dy'dz + -pp + (* + K- + v + + 1J- 3 ydz 32T dz* di v A + dy + (A + B+ c) |L+(A+ 0+6) |L + p 1 = 0 vy c<-. ci permetterà quindi di determinare jP sulla faccia A A ., ^13 del nostro tetraedro. Considerazioni analoghe valgono per le altre faccie. In conclusione perciò le nostre equazioni determinano i valori della 7 e della derivata normale sulle tre faccie piane del tetraedro. E queste equazioni saranno compatibili, allora e allora goltanto che sull’ asse delle z valga la (X) e sugli assi 12 Guido Fubini [Memoria Y.J delle x, y valgono equazioni analoghe. Ora, poiché la 7 non è nulla in A, la 7 non sarà (in virtù dell’ equazione l) neppur nulla su tutto il segmento AA3 e quindi la (1) ci dice che su questo segmento deve essere c — e v — = 0. Poiché ora A è un punto generico di JR, avremo che dovrà essere identicamente (10) e analogamente (io') (io") Queste sono, (per le equazioni differenziali considerate in questo esempio) le condizioni, cui io ho dato nome di condizioni di Iiiemann : quelle condizioni cioè, che esprimono non essere contraddittorie le (ff), (A'). Un caso notevole, in cui esse sono soddisfatte è quello, in cui X = 11 =: v = a = b = c — 0. II.) Tratterò ora un altro esempio. Sia F (u) ■= Xl X2 Xm ( u ) -|- Mu rr= 0 dove le Xt sono le solite trasformazioni infinitesime, ed M è una funzione di x, y , z, regolare nel campo, che si considera. Se noi consideriamo le equazioni (<]>) =r cp^ =0, troviamo tosto che esse sono soddisfatte senz’ altro, supponendo che 7 sia uguale all’ unità sui triangoli piani AA2A3, AA3At, AAiAs e che le sue derivate normali di ordine 1, 2,...., m — 3 siano nulle sugli stessi piani : le quali condizioni non sono contradditorie alla condizione che la 7 e le sue derivate siano finite e continue nel tetraedro AA1 A0 A3 ; per le equazioni in discorso possiamo dunque asserire che le condizioni di Riemann sono identicamente soddisfatte. , Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Riemann 13 Ritorniamo ora alla teoria generale. Io dimostrerò ohe : « Se per un’ equazione E (u) = 0 sono soddisfatte le condi- zioni di Riemann, esiste nell’ interno del tetraedro AA, A., A3 una funzione v, integrale dell’ equazione $ (v) =: 0, che sulle faccie e sugli spigoli del triedro A (At A., A3) soddisfa alle equazioni (A), (A') e che nell’ interno del tetraedro si comporta in guisa tale che valga la uguaglianza (I) del § 1. Comincieremo dallo stabilire un lemma ; sia X (rt, x0, x3) una funzione qualunque data entro il tetraedro AAl A 2 A 3 ; e sia B un punto generico di questo tetraedro. Supponiamo (ciò che non diminuisce la generalità) che A sia 1’ origine degli assi coordi- nati. Tiriamo dal punto B la retta che ha i coseni direttori prò porzionali ad ah, ai0, ai3 ; questa retta o incontrerà (per le ipo- tesi fatte sulle aik) uno dei segmenti AAV AA2, AA3 oppure in- contrerà uno dei triangoli AA2A3, AA3A.l, AAlA2 in un punto interno al triangolo stesso. Noi chiameremo B, questo punto di intersezione, e indicheremo con xf, xf, xf le sue coordinate. Al- meno una delle tre quantità x({\ xf, xf, è per ipotesi nulla. E precisamente la xf è nulla, se il punto B cade nella regione Rl limitata dai piani AA2A3, AA{ A2, AA{ A3 ; la xf è nulla, se B cade nella regione R2, limitata dai piani AA3 Av AA3Aif AAiAi; infine è nulla la x(i\ se il punto B cade nella regione R3, limitata dai piani AA2AvAA2AiAAiM. Indicheremo poi con x{f -j- ah tf\ xf -j- ai2 tf\ xf f ai3 tf* le coordinate xv x0, x3 del punto B , ossia porremo : dove X è una funzione continua e derivabile delle x'v x2, x3. Questo integrale è una funzione del punto B, ossia è anche esso una funzione di xv x2, x3 ; questa funzione è evidentemente a* — 4° = Uin f (X = 1, 2, 3). Porremo infine : L — JB. X (x 14 Guido Fubini Memoria V.J nulla se B coincide con />,, ossia se B cade su uno dei piani coordinati AA2AS, AA3AV AA^A^ Troviamo le derivate prime di L rispetto a xv xr xr Posto = t- « 31 dx2 31 ? Gì — i dx„ avremo evidentemente die nella regione B{ è : (il) àL iB . C_L — jB - ■ dx2 — ìBi 2 1 ’ 3.r3 — JBi Li [t' Ora, poiché evidentemente 3 L h. 1 3cc, 3 L — ! — fi, . 1 ,2 3x2 3L ah 5— 3 ax„ avremo che in B^ è : (IT) 3 L _ dx1 1 (x„ X-2, x.J a a IT* K'2 I3] dt, IsTella regione Bz avremo analogamente (12) 3 L [b y 7j. 3V =M 5 3^3 “ ^ dti (12') 3 L 1 (a?,, SC2, £Cs) — jBi K X1 + «I3 K] dx2 dii Osserviamo che cosa accade di queste derivate prime, quando il punto B passa dalla regione Bt alla regione Bz , attraversando il piano A Ai A.r Se noi supponiamo che le li, i;, Il siano con- tinue, è ben 3L evidente che varia con continuità; di più sarà evidentemente (l3) 1 (xl7 ®g, x3,) — 1 (xp, x(i\ xf) — jg, (aÌL li -f ala l'2 -f ai3 l'3) di , Immaginiamo ora che B sia un punto del piano AA{ Aa, posto in quella regione di questo piano, che serve di contine Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Riemann 15 tra le due regioni R\, R, ; il punto cadrà sul segmento A A3 e avrà quindi nulle le coordinate x'f, x 3L Noi potremo calcolare in due modi distinti la ~ nel pun- to B, secondo che consideriamo il punto B come appartenente alla regione i?1? o alla regione R2 ; la differenza dei due valori così ottenuti è per le (11), (12), (13) data da : 0-ci X %2, x3) )B. ( a — — X {xfi, h X j -j- ai2 X2 -(- «t-3 X3) dtL a#§= -1- X (0, 0, xfifi Analoga forinola cale per Otteniamo quindi : lì nostro integrale L e una funzione finita e continua in tutto il tetraetro AAt A2 A3 ; esso ammette derivate prime finite e con- tinue dappertutto, eccetto che sui triangoli AAjAj, AAjA2, AAìA3. Queste derivate saranno però continue anche su questi triangoli , se la funzione X è nulla sui segmenti AA(, AA2, AA;}. In generale potremo dire che , se X è finito e continuo entro AAjA2 A3, insieme alle derivate di ordine 1, 2,...., v -\- 1, allora L e finito e continuo insieme alle sue derivate di ordine 1, 2,...., v -}- 1, eccetto al più sui triangoli AAjAj, AAìA2 AAjA3. La L e le sue deri- vate citate saranno però continue anche su questi triangoli e si annulleranno sui segmenti AA1? AA,, AA3, se la X e le sue derivate di ordine 1, 2 v sono nulle sui segmenti A A,, AA2, AA3. Osserveremo ancora che, se noi interpretiamo a 3 n dx , dx-2 dx , come simbolo di derivazione nella direzione, i cui coseni diret- tori sono proporzionali ad aiv ai2, ai3, allora si può affermare che i K è + at 2 è + ft'3 fa) L I 16 Guido Fubini | Memoria V.| esiste ed è uguale a X, appena si sappia che X è una funzione continua. Consideriamo ora l1 espressione M = fi *. fi *. fi, àt, fi *, /* /£ dove il segno j#. di quadratura (i = 1, 2,...., in) è ripetuto -, volte. Questa espressione si può anche scrivere « = fi <«, fi <#, fi «, fi, *» dove i segni di integrale Jb2 Jb2 Ir3 dt-ìi \b,c (X — m) sono ripetuti rispettivamente t, — 1, -, — 1, ~3 — 1, -k volte e dove è l1 = //)*! (lti Jb, Jb3 k (ìt-l Applicando più volte le precedenti considerazioni, avremo che, se X è una funzione derivabile quante volte si vuole, anche la M è una funzione derivabile quante volte si vuole ; la ili e tutte queste derivate saranno continue in tutto il tetraedro AAj A2 A3, eccetto che al piu sui triangoli AAjA^ AAjA2, AAìA3; ma, poiché g si annulla sui lati AA(, AA2, AA3, la quantità M e le sue derivate di ordine 1, 2, 3 , (tl — 1) — i) -f- (-, — r,-j- -f- t4 A -)- ~m = x — 3 sono continue anche su detti triangoli e si annullano sui segmenti AA(, AA0, AA3. Premesse queste osservazioni, applicheremo al solito il me- todo delle approssimazioni successive. Scriviamo V — V0 + + (— 1)T $ (r) ~ (v) — $>2 (v) Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Biemann 17 dove è La v0 è poi la somma di due funzioni <|>, y ; la fi è una qua- lunque funzione Unita e continua con tutte le sue derivate entro il tetraedro AAt A2 A3, che sul piano a(, e sui segmenti AAV AA2 , AA3 soddisfa alle (A), (A') ; y è la funzione data da Con un artificio analogo a quello usato per dimostrare la esi- stenza della funzione u, si dimostra che la serie v=E.Vi converge, e che rappresenta un integrale dell’ equazione 0 (v) = 0. La v e le sue derivate sono poi continue in tutto il tetraedro, eccetto al più sui triangoli AA{ A1 AA2A{, A A3A{ ; però, per quanto abbiamo detto, possiamo affermare che su questi triangoli la v e le sue derivate di ordine 1, 2, t — 3 sono continue. Io dico che queste proprietà della v sono sufficienti, affinchè grazione per parti, ossia affinchè valga la (4). Per dimostrare questo, osserviamo che uniche superficie di discontinuità possono essere i triangoli AA{ Av AA{ A2, AAi A3 (i > 4) ; tagliamo perciò il nostro tetraedro in tante porzioni 8V 82,...., 8h in guisa che una di queste porzioni sia limitata o da parti del contorno del tetraedro iniziale, oppure da pezzi di questi triangoli. In ciascuna di queste porzioni Sk del te- traedro AA1A2A3 potremo evidentemente applicare il solito pro- cedimento di integrazioni per parti, trasformando così l’integrale possa applicare P inte- C) Come precedentemente, il segno A dti L i i dti deve essere ripetuto Xj volte (i — 1, 2,..., m). Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII — Mera. V. 3 18 Guido Fubini [Memokia V.| y $L- " — dSk esteso al volume 8k (k= 1, 2,..., h) nell’integrale — I S Lj cos (vA Xj) dsk esteso al contorno sk di 8k ; con vA indi- chiamo la normale a sk nel punto generico volta verso l’interno di 8k. Sarà quindi evidentemente : I=SIt K, 1 Xj) ds * Ora se un pezzo a di uno dei triangoli AA{AV AA{A2 AAtA L3, p. es. del triangolo AA4AV fa parte del contorno di una delle regioni Sh , p. es. della regione 8V esso farà parte anche del contorno di un’ altra di queste regioni, p. es. della regione Sr E su questo pezzo a le direzioni vn v2 sono direzioni di una stessa retta volte però in verso opposto, cosicché sarà COS (vt Xj) =z — COS (v2 Xj) Notiamo ora che sul piano di a è contenuta la direzione AA{ ; sarà dunque COS (vt x{) — — cos (v2 xL) = 0. Avremo perciò che il contributo portato da a al calcolo dell’ in- tegrale f, - / - Lj cos (v* Xj) dsh * J J" è dato da I [A2 cos (v^g) -f- A3 cos fv^g)] do dove con A2 e A3 indico la differenza dei valori di Lv L.à in due punti infinitamente vicini, posti rispettivamente dall’ una e dal- 1’ altra parte di a. Se noi vogliamo che il contributo portato da o sia nullo, basterà che dimostriamo che L2, Lz sono continui su a o anche Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e di Biemann 19 più in generale che L 2, L3 sono continui nei punti del triangolo ^4^44 Ar Xoi dimostremo questo fatto per L2 : considerazioni analoghe varranno per Ly Sarà così reso palese che i pezzi dei triangoli AA{Ar AAtA2 ^4^ì^43, che fanno parte del contorno di una delle regioni 8, por- tano un contributo nullo all’ integrale 1 ; e resterà quindi di- mostrata con pieno rigore la forinola (4) del § 1. Dimostriamo dunque che L 2 è continuo nei punti del piano ^4^44 Ar Ricordiamo anzitutto che L2 è uguale alla somma di parecchi termini, ciascuno dei quali è prodotto di due fattori: 1’ uno dipendente soltanto dalla u, e dalle sue derivate, 1’ altro dipendente dalla v e dalle sue derivate. I fattori dipendenti dalla v sono di uno dei tipi seguenti : 4) (v), («), 3— (DVs, _ 23 ’ 3x< h dove st > xA >_ 1. Sarà perciò s2 -j- ó‘3 < t — 3 ; e quindi la 3®2+s3 sarà una funzione continua e a un solo valore sul piano dx<£ dx%3 >si o 1 AA,t A1 ; poiché poi — — è un simbolo di derivazione rispetto a x4, 3x-^ e la direzione xi è una direzione contenuta nel piano AA4AV ne 0sl-t-s2+®3 verrà che anche sarà una funzione continua e a un solo dx^1 3x?/ dxg3 valore nel piano AA4Ar Altrettanto avverrà quindi della $1 (v). Occupiamoci ora di 1, x4 > 1). Quindi tale x Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Riemann 21 3 espressione è continua su AAiAi ; poiché poi tanto ^r* , quanto 3 * 1 rappresentano derivate prese in una direzione posta sullo stesso piano AAtA4, ne verrà, come sopra, dimostrata la conti- nuità di $2 (v) su questo piano. Occupiamoci ora dei termini di $2, che contengono derivate della v di ordine x — 2 ; si riconosce tosto, in modo analogo al precedente, che essi sono di uno dei seguenti due tipi dove M contiene derivate della v di ordine non superiore a t — 3 ed è quindi continuo su AA4A4. Altrettanto avverrà, per le so- lite ragioni, di $2. Delle soltanto la (Dii contiene derivate della v di or- 12 dine (x — 2) superiore a x — 3 ; e i termini di <3>1| che conten- gono tali derivate sono quelli che provengono dal termine di ordine massimo (x) di ossia dal termine (15). Essendo x4>l, x2>l, avremo che i termini in discorso si ottengono tutti dallo svi- luppo del prodotto simbolico 3^4 31!-'1 3X2— 1 3X3 3x5 dQ dxll~ 1 dx"J~ 1 dxl3 9# 3 E, poiché x4 ^ 6 v rappresenta una derivata presa in una di- rezione posta sul piano AAtA4, otteniamo, al solito, che anche Olà è continua su AAlAr 3 In ^ l) òr, e, coi soliti ragionamenti, si riconoscono perciò continui sul 3 piano AA, Av In — 01 i termini che contengono derivate della oxz v di ordine t — 1, contengono tutti il fattore simbolico gjc" (Ti + x4 > 2, perchè t, >1, t4 > 1) e sono perciò continui sul piano AAyA^ ; i termini, che conten- tengono derivate della v di ordine t — 2, contengono tutti o il fattore simbolico o il fattore ~r (t, > 1, i4 > 1) e sono dx^ dq* ~ 4 — perciò continui sul piano AA^A^. Le ^^g2’’3 contengono soltanto derivate della v di ordine uguale a t — 3, e sono perciò continue sul piano i termini di ordine 3 3 t — 2 in O’YV's contengono il fattore simbolico ^ e sono per- 3 3 m ciò continui su detto piano. Delle ^ $i|gV’3 soltanto la $i2g Su alcune nuove applicazioni dei metodi di Picard e Riemann 23 contiene derivate della v di ordine superiore a t — 3, e preci- samente contiene il termine 3~* di}* 3T*“ a'2-1 3 L3 dx\l '1 dxX ^ dxl2 dii 5 3T4 il quale però, contenendo il fattore simbolico -y (t4 > 1), è an- 3 tp 3 cora continuo sul piano AA,Ar Quindi le sono conti- 1 dx3 tinue sul piano AAt A,‘, e altrettanto avverrà perciò delle 3J ^ ^ $^3 2'3, che se ne ottengono, derivando lungo una direzione del piano AA4Ar È dimostrato così che L0 è continuo sul piano AA4A4; per le osservazioni già esposte ne risulta che l’ integrazione per parti nel tetraedro AA4 A2 A.v applicata all’ integrale (3), è legittima, e ne viene così dimostrata la forinola 4 del § 4. Concludendo , noi abbiamo in questo paragrafo dimostrati le- gittimi i procedimenti del § 1 per lo studio di quelle equazioni E (u) = 0, i cui coefficienti soddisfano alle condizioni , cui demmo il nome di condizioni di Riemann. Abbiamo di più dimostrato la esistenza eli un integrale u della E (u)=:0, il quale su una superficie 2 prende valori , scelti ad arbitrio in modo compatibile , insieme alle sue derivate di ordine 1, 2,..., t — 1, ossia che su 2 prende in- sieme alle derivate normali di ordine 4, 2,...., t — 4 valori pre- fissati in modo completamente arbitrario. Infine abbiamo dimostrato esistere un certo integrale v della equazione $ (v) — 0, che gode di certe particolari proprietà, che è qui inutile ripetere. § 3. Sarà opportuno 1’ esaminare ora rapidamente a quali equazioni più generali si possono estendere i nostri procedimenti. Anzitutto è ben chiaro che la condizione da noi ammessa fin qui per brevità di trattazione, che le X sono a tre a tre li- nearmente indipendenti non è una condizione essenziale, come il lettore può facilmente verificare. 24 Guido Fubini [Memoria V.] È invece una condizione essenziale quella che le X siano a due a due permutabili, ossia che si abbia (XiXk)=0 (i,h= 1,2, ,m). In taluni casi però a questa condizione si può sostituire l’altra più generale, che valgano equazioni del tipo (17) (X -Xft) = X-i Xv (i, k rrr 1, 2,...., }Jl) dove le X sono funzioni regolari delle a?t, x2, x3 nel campo che si considera. Supponiamo che tre delle X, p. es. Xt, X2, X3, siano linear- mente indipendenti. JSToi potremo moltiplicarle per un conveniente fattore, in guisa da renderle a due a due permutabili. Scegliere- 3 mo poi le variabili indipendenti, in guisa che sia X, = — (i=l,2,3). doCì Allora le Xk, a meno di fattori trascurabili, si potranno sup- porre del tipo Xh — >0) è determinato dalla condizione di annullarsi insieme alle derivate di ordine 1, 2,..., t — 1 su E e di sod- disfare in R alla condizione X, ... A'm— l Xm (uq) “ a Xm—\ (uq_i) 6wq_i . R è quella regione tale che la traiettoria della Xk (k — 1, 2,... m ) uscente da un suo punto generico A incontra S in un punto Ak e in un punto soltanto. Posto lungo questa traiettoria dxl dx 2 dx3 ^ e I)' è formato da un disco iden- Su un metodo per la misura delle piccole variazioni di resistenza ecc. 5 tico ad E e da un altro disco di egual diametro fornito dei so- liti settori isolanti e conduttori ; i due pezzi che li costituiscono sono poi, in perfetto contatto elettrico, uniti per mezzo di tre riti e situati in modo che un qualunque settore d’ ottone dista egualmente dai due settori d’ottone tra i quali trovasi incastrato nell’ altro pezzo il settore isolante che gli sta di fronte. Le spazzole q e q comunicano rispettivamente col polo po- sitivo e negativo della pila P e portano la corrente ai dischi I) e Z>' dai quali essa è portata, quando 1’ apparecchio è in ro- tazione, ai vertici opposti A e A' del ponte AB AB' per mezzo delle spazzole m, m ed n, ri alternativamente; di queste la m comunica elettricamente con la ri e la n con la tri. Le spazzole s, ri comunicano con i vertici B e B' del ponte, tra i quali è inserito il galvanometro G. La rotazione dell’ apparecchio si compie in maniera che essa appaia in senso opposto a quello delle lancette dell’ orologio per chi lo guarda dal lato dell’ estremo C del suo asse ; riesce poi chiaro come i due dischi I) e I)' trasformino in alternata la cor- rente continua che fornirebbe la pila P qualora il commuta- tore non girasse. Il disco E è tissato sull’asse in maniera che il circuito del galvanometro rimanga chiuso soltanto durante gl’ intervallini di tempo in cui la corrente circola in un determinato senso. Le spazzole son tutte piegate a gomito nell’ estremità che toccano i dischi e ciò affinchè le correnti siano tagliate e ripri- stinate nettamente. Esse sono delle laminette d’ ottone dello spessore di 1 mm. e in maggioranza sono montate sopra una piattaforma di libra dura. Le due spazzole s ed ri sono però montate sull’ ebanite allo scopo di escludere le deboli correnti parassite che si manifestavano nel galvanometro quando , come le altre , erano fissate sulla libra. Per indagare se presenti qualche irregolarità la inevitabile dissimmetria delle diverse parti del commutatore girante, il com- mutatore a mercurio a quattro pozzetti M permette d’ invertire 6 JJott. tì. Accolla [Memoria VI.] la corrente ; il reostata a corsoio T serve a regolare V intensità di questa e gl’ interruttori a inano lai a chiudere il circuito della pila e del galvano metro rispettivamente. Il galvanometro usato è del tipo Desprez-D1 Arsonval, sen- sibilissimo e ad oscillazioni molto lente ; il suo circuito è ben isolato mercè pezzetti di paraffina. La misura d’ una resistenza liquida vien fatta in modo per- fettamente analogo a quello che si segue nella determinazione d1 una resistenza metallica, adoperando a tal uopo un ponte de- cadico o qualunque altro ponte che si creda opportuno. Una speciale cura si deve avere però nella scelta degli elettrodi tra i quali ho trovati più convenienti quelli impolarizzabili di P aalzo w. Per assicurarmi del grado di precisione che consente il me- todo precedentemente descritto ho misurato la resistenza di va- rie soluzioni di elettroliti. Per una soluzione di solfato ferroso ho trovato il valore di ohm 881, 6, che si è mantenuto invariato sia invertendo il senso della corrente mercè il commutatore J/, sia facendo variare la sua frequenza da 12 a 75 alternazioni al secondo. Per la stessa resistenza misurata per mezzo del ponte di Kolilrausch ottenendo al telefono il silenzio per un tratto di quasi 2 mm. ho trovato il valore di ohm 892 (con un’ incertezza di circa 5 ohm) maggiore di una diecina di ohm del valore trovato precedentemente, fatto che, come è noto, ha luogo nelle debite proporzioni anche tutte le volte che si misura una resi- stenza metallica col ponte di Kolilrausch. Dalle cifre riportate si rileva la grande superiorità del pri- mo metodo sul secondo , però anche a quello si potrebbe fare F obbiezione che si fa a questo, poiché facendo uso d’ una cor- rente alternata è lecito supporre che si facciano sentire i disturbi periodici dell’ autoinduzione e della capacità elettrostatica e si misuri un’ impedenza anziché una resistenza ohmica. Ad accertarmi se tale obbiezione ha valore anche nel caso Su un metodo per la misura delle piccole variazioni di resistenza ecc. 7 in cui s’ impiega il metodo di Eitzpatrick ho voluto misurare con esso una resistenza di Ilio di rame, e servendomi d’un ponte decadico lio trovato che il suo valore è di ohm 21,823 sia con la corrente alternata, sia con la corrente continua ottenuta fer- mando in una posizione opportuna il commutatore girante. Convinto da questo risultato sperimentale della bontà del metodo di Eitzpatrick, e mettendo da parte altri particolari ri- guardanti il medesimo, riferiti specialmente da Whetham (1) e da me pienamente confermati , passo al metodo di determinare le piccole variazioni di resistenza negli elettroliti. III. Per la misura delle piccole variazioni di resistenza nei so- lidi il miglior metodo è quello adottato dai proti. Grimaldi e Platania (2) nel loro lavoro sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici. Esso consiste nel costruire un ponte, in cui il rapporto delle resistenze sia tale da ottenere al galvanometro una deviazione nulla, quando il ponte si fa percorrere dalla corrente fornita da una pila il più possibilmente costante. In pratica però 1’ equilibrio del ponte non si può raggiun- gere che in modo approssimativo e dopo parecchi tentativi ; ma non appena il ponte è equilibrato esso è pronto per le misure , giacché se si fa variare la resistenza di uno dei rami di una quantità piccola A 7?, l’intensità i della corrente che attraversa la diagonale del galvanometro e quindi anche la deviazione d che questo corrispondentemente subisce, è proporzionale a A 7?, cosicché : (i) d = i- a b essendo k un coefficiente numerico costante che si può determi- nare sperimentalmente. (1) L. c. (2) Atti deir Acc. Gioenia, Sei*. 4a , Voi. Vili ; 1895. 8 Doti. G. Accolla [Memoria YI.J Per misurare le piccole variazioni di resistenza degli elet- troliti in soluzione ho istituito un metodo perfettamente ana- logo al precedente e rappresentato schematicamente dalla figura I, con la sola differenza che , invece della corrente continua , ho fatto circolare nel ponte la corrente alternata ottenuta mercè il commutatore girante. I quattro vertici del ponte sono dei robusti cilindretti di ottone montati in croce sopra un grosso tappo d’ ebanite che sor- monta il tubo di vetro su cui sono avvolti ad elica bifilare i due lati AB ed AB del ponte. Questi sono di manganina affin- chè variino poco con la temperatura e sono altresì protetti da un secondo tubo di diametro maggiore dalle brusche variazioni di temperatura. Ho cercato di ottenerli di resistenza il più pos- sibilmente eguale e dopo svariati tentativi, in ognuno dei quali era necessario disfare una saldatura e rifarla, sono riuscito a ren- derli rispettivamente di ohm 7,6610 ed ohm 7,6609 alla tempe- ratura ambiente di 13°, 8. I due altri lati A B ed A B' del ponte sono costituiti da due tubi di vetro contenenti un elettrolita in soluzione , essi sono , per quanto è possibile, di dimensioni eguali e sono montati soli- damente su una robusta tavoletta : la figura II ne rappresenta uno nella sua interezza. La resistenza in massima parte è presentata dal liquido con- tenuto nel tratto K , avente il diametro interno di mm. 4, 1 e la lunghezza di mm. 27 ; i due tubi laterali F ed H hanno il diametro di mm. 12 circa ; i tubi L ed L’ del diametro di mm. 6,2, fìssati a questi mercè il rispettivo tappo di sughero che attraversano, rappresentano i ben noti elettrodi di Paalzow. Essi in base sono chiusi da un setto di pergamena vegetale e contengono una soluzione satura di solfato di zinco purissi- mo nella quale sono immerse due laminette di zinco distillato, ben amalgamate e saldate a due fili di rame del diametro di mm. 3. Questi fili di rame 2V" ed N' attraversano liberamente i piccoli tappi di ebanite che chiudono superiormente i due tubi Su un metodo per la misura delle piceole variazioni di resistenza ecc. 9 L ed L' , finiscono a vite nell’ estremità superiore per un tratto di 2 cui. circa e s’ avvitano fortemente a delle piattaforme di ottone, fìsse, ben isolate e comunicanti, mercè fili di rame di re- sistenza trascurabile, coi rispettivi vertici del ponte. Tra il vertice B e il filo di rame che con esso comunica trovasi inserita la spiralina a di nota resistenza , la quale può essere intercalata o esclusa , togliendo od immergendo nei due pozzetti di mercurio un grosso arco di filo di rame munito di un manico isolante. Appena chiuso il circuito del galvanometro e messo in moto il commutatore girante ho constatato l’ inesistenza di forze elet- tromotrici estranee ed ho chiuso il circuito della pila. In gene- rale il galvanometro mi ha accusata una deviazione di pochi centimetri della scala, deviazione che si può ridurre a meno di 1 min. con abbastanza facilità facendo variare la resistenza di uno dei due tubi, avvitando più o meno i suoi due elettrodi alle rispetti v e pi attafo mie. Ottenuto 1’ equilibrio del ponte, esso persiste per parecchio tempo, giacché per la simmetria esistente tra i suoi lati non si fanno quasi sentire le variazioni della temperatura ambiente ed è affatto trascurabile 1’ effetto termico della debole corrente che attraversa il ponte. Per tarare 1’ apparecchio non si deve far altro che escludere la spiralina a mettendola in corto circuito, la deviazione corri- spondente del galvanometro dà la misura della variazione di re- sistenza del lato AB del ponte, e conoscendo il valore di a si può subito determinare la sensibilità dell’ apparecchio. Essa è tale che, quando la resistenza del lato A B è intorno a 1000 ohm e la f. e. m. impiegata è quella di quattro accu- mulatori in serie, ossia 8 volta, si può constatare la variazione di resistenza di — ? corrispondente alla deviazione di mm. 0,1 della scala, che in certi casi si può apprezzare con estrema net- tezza. Con 1’ impiego di una f. e. m. maggiore si può raggiunge- Atti Acc. Serie 4a, Vor.. XVIII — Meni. VI. 2 10 Doti. G. Accolla [Memoria VI.] re una sensibilità più che doppia, a scapito, però, della costanza dei risultati. Per constatare se la variazione di resistenza d’ un ramo del ponte è proporzionale alla corrispondente deviazione del galva- no metro, ossia se vale, come nel caso della corrente continua, la relazione lineare (1) , ho costruito 7 piccole resistenze di man- gallina che chiamo con i primi 7 numeri romani, e i cui valori, determinati col ponte decadico e alla temperatura di 10°, 6 sono scritti accanto a ciascuna di esse. Resistenza I ohm 0,168 » II » 0,256 » III » 0,440 » IV » 0,595 » V » 0,794 » VI » 1,046 » VII » 1,255 Al posto della spiralina a si pone la resistenza I che si mette in corto circuito e si equilibra il ponte ; s’ intercala allora la resistenza I, si legge la corrispondente deviazione del galva- nometro e si rimette in corto circuito , il galvanometro ritorna alla sua posizione d’ equilibrio e al posto della I si pone la II con la quale si esegue 1’ identica operazione ; analogamente si opera con le successive resistenze sino alla VII. Dopo si procede in ordine inverso , cioè si leggono le deviazioni che subisce il galvanometro quando s’ intercalano le 7 resistenze con ordine decrescente, e così di seguito. Per la costanza dei risultati ottenuti, sia misurando al gal- vanometro le deviazioni sempre in un senso, sia misurandole nei due sensi, invertendo mercè il commutatore M la direzione della corrente alla fine di ogni serie di misure, mi limito a riportare soltanto i risultati esposti nella seguente tabella , dove chiamo con R la resistenza del ramo A B del ponte , con \R la varia- tiu un metodo per la m isura delle piccole variazioni di resistenza ecc. 11 zione di essa espressa in olmi ed esprimo in millimetri le devia- zioni del galvanometro. F. E. M. = 8 V (1) R = 992 li A R j Posizione del galv. Deviazione Posizione del galv. © © ! Posizione del galv. © © *53 © Q Posizione del galv. Deviazione il Deviazione inedia iniz. finale iniz- finale iniz. finale iniz. finale I 0, 168 250, 2 250, 6 0, 4 250, 5 250, 9 0,4 250, 6 250, 9 0, 3 250, 4 250. 8 0, 4 0, 4 II 0, 256 250, 3 251, 0 0, 7 250, 5 251, 1 0, 6 250, 5 251, 1 0, 6 250, 5 251, 1 0, 6 0, 6 III 0, 440 250, 3 251, 6 1, 3 250, 5 251, 7 1, 2 250, 5 251, 6 1, 1 250, 6 252, 0 1, 4 1,2 IV 0, 595 250, 2 252, 0 1,8 250, 5 252, 1 1, 6 250, 5 252, 2 1,7 250, 5 252, 2 1, 7 1,7 V 0, 794 250, 0 252, 4 2,4 250, 5 253, 0 2, 5 250, 5 252, 7 2 2 250, 4 252. 7 2, 3 2, 3 VI 1, 046 250, 1 253, 2 3,1 250, 6 253, 5 2, 9 '250, 5 253, 2 2,7 250, 5 253, 4 2, 9 2, 9 VII 1, 255 250, 2 254, 0 3, 8 250, 7 254, 6 3, 9 250, 5 254, 1 3, 6 250, 5 254, 0 3, 5 3. 7 Se si costruisce un diagramma prendendo per ascisse le va- riazioni di resistenza e per ordinate le medie deviazioni corri- spondenti si vede che la linea rappresentativa è approssimativa- mente una retta , ciò che autorizza a ritenere la (1) valevole anche nel caso in esame e nei limiti suindicati. IV. L’ obbiettivo per il quale ho sperimentato il metodo descritto si è stato di ricercare se la resistenza delle soluzioni acquose dei sali di ferro subisce variazione nel campo magnetico. In alcune ricerche il Neesen (2) nel 1884 trovò che allor- quando la direzione del campo è normale all’asse del tubo (po- sizione equatoriale) non vi è alcuna variazione nella resistenza d’ una soluzione di vetriolo di ferro, e che quando le linee di forza magnetiche sono parallele all’ asse del tubo (posizione lon- (1) Questa- f. e. in. rimane sensibilmente costante per delle ore intere. (2) Wied. Ann. B. 23, s. 482 ; 1884. 12 Dott. G. Accolla [Memoria VI.] gitudiiiale) la magnetizzazione sembra diminuire la detta resi- stenza. Il metodo adottato da IsTeesen nelle sue misure è di poca esattezza e 1’ intensità del campo piccola, eccitando 1’ elettroma- gnete con la corrente fornita da 3 sole Bunsen, per cui era ne- cessario ripetere le sue esperienze per accertare un fenomeno di tanta importanza. Il Lussarla (1) trattando incidentalmente la questione non lia osservato alcuna influenza del magnetismo sulla resistenza delle soluzioni di solfito ferroso. Il metodo usato da questo Au- tore consiste nell’impiego del ponte di Kohlrausch, la cui sen- sibilità era tale da avvertire al telefono una variazione di una unità sulla resistenza di 862 ohm presentata dalla soluzione ci- mentata in forti campi magnetici. Hurmuzescu (2) riprendendo tali ricerche ha ricorso a so- luzioni di solfato ferroso racchiuse in un tubo di vetro più volte incurvato su se stesso; la resistenza veniva misurata con l’aiuto dell’ elettrometro capillare di Lippmann che dava il 0,0001 di volta. La sensibilità del metodo gli permetteva di apprezzare una variazione di resistenza eguale alla centesima parte della resistenza della soluzione, e cimentando questa anche in campi magnetici molto intensi non constatò alcuna variazione sensibile. Contemporaneamente a Hurmuzescu, furono da Gr. Milani (3) eseguite delle esperienze che sono le più complete sull’ argomento in questione. Il metodo da lui usato è fondato sull’ impiego combinato degli elettrodi impolarizzabili di Paalzow e dell’elet- trometro capillare , col quale misurava differenze di potenziale inferiori a di volta. ìsfella sua nota 1’ Autore non dice quale sia il grado d’ approssimazione raggiungibile col suo metodo ma da una misura da lui riportata, con breve calcolo ho potuto rica- , I (1) V. C. T. XXXIV, p. 149 ; 1893. (2) Eolairage électrique, T. XIII, pag. 361 ; 1897. * (3) N. C. T. VI, p. 191 ; 1897. i 8u un metodo per la misura delle piccole variazioni di resistenza eco. 13 Tare che la variazione di resistenza apprezzabile nelle sue ricer- che non può essere inferiore ad e forse ben lontana da questo limite, giacché la sensibilità del suo elettrometro è molto pros- sima a quella dell’ elettrometro capillare usato da Hurmuzescu. Il Milani in forza delle sue esperienze conchiude che il feno- meno indicato da Xeesen non esiste o è talmente piccolo da non poter essere svelato dai mezzi di osservazione dei quali si è servito. Dal 1897 sino ad oggi le cose son rimaste a questo punto e, per quante ricerche abbia fatte , non ho riscontrato altri la- vori che trattino della conducibilità elettrica delle soluzioni di sali di ferro nel campo magnetico, per cui non ho creduto pri- vo d’ interesse d’ intraprendere delle esperienze , servendomi del sensibilissimo metodo di cui dianzi mi sono occupato. Uno dei due tubi contenenti una soluzione di solfato fer- roso si poneva in posizione longitudinale tra le espansioni polari di una buona elettrocalamita di Faraday la quale si eccitava , con correnti d’intensità diversa, per mezzo di una batteria di 21 accumulatori e permetteva di ottenere un campo sensibilmente uniforme ; la cui intensità veniva misurata mediante una spirale di bismuto. Il massimo valore .del campo magnetico raggiunto in tali condizioni è di circa 1750 unità, e facendo variare Fili- teli si tà del campo sino a questo limite e cimentando soluzioni di solfato ferroso la cui concentrazione varia dal 5 al 50 % cir- ca, non ho trovato la benché minima influenza del magnetismo sulla resistenza di dette soluzioni. Volendo eseguire delle esperienze in campi ancora più in- tensi e col tubo situato in posizione longitudinale pensai d’in- curvarlo ad /S in maniera che la porzione rettilinea di esso pre- sentasse la quasi totalità della resistenza; tale forma permetten- do di avvicinare di molto tra di loro le espansioni polari del- F elettrocalamita consentiva di ottenere dei campi abbastanza intensi. Prima però d’ incurvare il tubo ho voluto constatare se il 14 Doti. G. Accolla [Memoria VI.] magnetismo esercita alcuna influenza ponendo il tubo in posi- zione equatoriale ; il massimo valore del campo magnetico in queste condizioni era di 7140 unità. Appena eccitato il campo , notavo subito al galvanometro una deviazione la quale corrispondeva ad un aumento di resi- stenza che per campi d’ intensità superiore a 4000 unità all’in- circa era approssimativamente di e si manteneva invariata cimentando soluzioni di diverse concentrazioni. Sopprimendo il campo il galvanometro ritornava lentamente verso la sua posi- zione iniziale, senza però raggiungerla. L’ indipendenza di tale variazione di resistenza dalla con- centrazione mi fece nascere il dubbio che essa fosse dovuta ad un fenomeno secondario e per convincermi di ciò cimentai, in- vece che una soluzione di solfato ferroso, una soluzione satura di solfato di rame, per la quale, appena eccitato il campo ma- gnetico, ottenni lo stesso aumento di resistenza. Persuaso che tale fenomeno derivasse da qualche causa d’er- rore, in breve m’ accorsi che esso era dovuto alle azioni pertur- batrici delle masse polari dell1 elettrocalamita sugli elettrodi che portavano la corrente nel tubo , e difatti avvitandoli alle loro rispettive piattaforme tenendoli il più possibile discosti dalle masse polari , il sucennato aumento di resistenza , per effetto del campo magnetico, divenne assolutamente non apprezzabile , sia per la soluzione di solfato di rame, sia per quelle di solfato di ferro. In seguito piegai il tubo ad S e cimentai le solite soluzio- ni disponendolo longitudinalmente e tenendo gli elettrodi di- scosti dalle masse polari dell’ elettromagnete, il quale in queste condizioni consentiva di raggiungere campi il cui massimo va- lore era di 6800 unità all’ incirca. In queste esperienze non notai pure alcuna variazione ap- prezzabile della resistenza delle soluzioni di solfato ferroso per effetto del campo magnetico, anche quando aumentando a 16 Su un metodo per la misura delle piccole variazioni di resistenza eco. 15 volta la f. e. m. della pila il metodo mi consentiva di apprez- zare una variazione di resistenza di quasi • Risultati perfettamente identici ai precedenti ottenni cimen- tando delle soluzioni di cloruro di ferro di diverse concentra- zioni. Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Catania, Marzo 1905. ' ■ . Memoria VII. Intorno a problemi di meccanica riducibili a quadrature Memoria del Prof. G. PENNACCHIETTI I. Siano : (1) <¥%___ dry^ _ „ d*2_ dt 2 ~~ ’ dt1 ~ ’ df ~~ le equazioni differenziali del second’ ordine pel moto d’ un punto materiale, di massa eguale all’ unità, libero nello spazio. In un precedente lavoro (*) ho supposto che i momenti della forza, rispetto a due assi coordinati, siano funzioni omogenee di grado negativo — 2 delle coordinate del punto mobile, in guisa che si abbia : x Y — y X = -SL cp (-/] , Q, Jb x Z - z X = imi? (r, , Z), Jb ove sotto la qual forma, come nella tesi di abilitazione dimostrai (**), possono sempre immaginarsi poste le condizioni necessarie e sufficienti, affinchè più problemi del moto di un punto libero nello spazio, sotto 1’ azione di forze dipendenti dalle sole coordi- (*) Sopra una classe di problemi di meccanica riducibili a quadrature. Atti dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania, Serie IV, voi. XVII, anno 1904. (**) Sugl’ integrali comuni a più problemi di Dinamica, Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, voi. IV. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Meni. VII. 1 2 Prof. G. Pennacchietti [Memoria VII.] nate del punto, ammettano tre integrali primi comuni distinti non dipendenti esplicitamente dal tempo, nè ammettano un quar- to integrale primo comune. Quando sono soddisfatte tali condi- zioni il mobile si trova sopra una stessa superficie conica per tutta la durata del movimento. Nel citato lavoro che porta titolo analogo a quello del pre- sente, ho supposto inoltre che la forza di componenti X, Y, Z , provenga da una funzione di forza u (x, y, zi e che nelle due superiori relazioni si abbia di più : dv dv ? = = as ’ e ho dedotto da queste condizioni che i problemi (X, X, Z) soddisfacenti alle stesse sono tutti e soli quelli pei quali sussiste la funzione di forza : + f + *2 /(^-) + V^ (j) + ^ + r + A ove f\ f, Fi sono tre funzioni arbitrarie degli argomenti posti in evidenza. In quello stesso lavoro ho dimostrato infine che tutti questi problemi sono riducibili a quadrature. II. In ciò che segue un’ altra classe di problemi riducibili a quadrature sarà invece dedotta dalle condizioni necessarie e sufficienti, a cui devono soddisfare le forze X, Y, Z , affinchè più sistemi (1), sempre nell’ ipotesi che X, Y, Z, dipendano dalle sole coordinate, ammettano quattro integrali primi comuni distinti, in uno dei quali il tempo figuri esplicitamente unito alla costante arbitraria per via d’ addizione. Quando queste condizioni sono soddisfatte, il punto mobile si trova sopra una stessa superficie cilindrica per l’intera durata del movimento. Sebbene la classe di problemi, che, fra le altre che potrebbero pure aversi, è ottenuta nel presente scritto , sia meno estesa della prima e richieda svolgimenti molto più seni- Intorno a problemi di meccanica riducibili a, quadrature 3 plici, tuttavia non sembra totalmente superfluo che quest’ altra classe di problemi sia qui ancor essa indicata per ragione di analogia e come complemento in certo qual modo della prece- dente Xota. III. Le condizioni necessarie e sufficienti per 1’ esistenza di quattro integrali comuni distinti, sempre nell’ ipotesi che X, Y , Z dipendano dalle sole coordinate del punto, sono, come risulta dalla citata tesi di abilitazione : (2) a X -f b Y =

    (r, , Q , ove adesso è posto : (3) yj a x b y , Z = a x c z. Quattro integrali primi distinti del sistema (1) saranno in tal caso i quattro integrali primi distinti del seguente sistema : (4) d2u dt 2

    — m

    03 — Boll, dell’ Acc. Gioenia di scienze naturali, N. S. Fase. LXXXII. Cata- nia, luglio 1904. E Trasparenza relativa deir aria atmosferica nel triennio 19 Ol-’O 2-’ 03 Mem. della Soc. degli Spettroscop. italiani, Voi. XXXIII. Catania, 1904. Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1904 3 in esame con i corrispondenti dell1 anno precedente , abbiamo ottenuto il seguente specchietto : Temperatura dell’ aria Pressione atmosferica Tensione del vapore c3 *r0 +3 "Z c2 © U Evaporazione all’ ombra Pioggia totale [ II Nebulosità Insolazione Inverno . 0 + 0,9 mm — 5, 8 in m + 0, 60 + 2, 8 mm - 0, 07 mm +306, 5 + 8,0 — 0, 12 Primavera . + 0,7 + 0,3 + 0, 84 + 4,0 — 0, 75 + 128, 1 — 10,2 + 0,08 Estate + 1,4 + 0,5 + 0,51 + 1,7 + 0, 15 + 25, 4 + 3,2 — 0, 03 Autunno. . . — 0.9 — 1,4 + 3.68 + 3,9 — 0,50 + 190, 8 + 16, 5 + 0,06 Anno .... + 0, 5 — 1, 5 + 1,65 + 3,2 — 0, 30 + 650, 8 + 4,9 0, 00 Degni di nota sono i valori della temperatura, più elevati fino all1 estate ; quelli più bassi della pressione nell’ inverno e nell’ autunno e dell’evaporazione in quasi tutte le stagioni, non che quelli più elevati in tutto 1’ anno della tensione del vapore, dell1 umidità relativa e della quantità di pioggia. Riguardo a quest’ ultima si può fare la considerazione opposta a quella fatta nel precedente riassunto, cioè che le divergenze — tutte grandi — sono dovute tanto alla eccessiva scarsità dell’ anno precedente, quanto alla grande abbondanza di quest’ anno. Passando poi a paragonare gli stessi valori con quelli me- di del tredicennio si ha quest’ altro specchietto : Temperatura dell’ aria Pressione atmosferica Tensione del vapore Umidità relativa Evaporazione all’ ombra Pioggia totale Nebulosità Insolazione Inverno . 0 + 0, 6 mm -1,9 mm + 0, 31 + 1,2 mm + o, 01 mm +204, 0 + 9,3 — 0, 13 Primavera . + 0,6 + 0,3 -+ 0, 52 + 1,6 — 0, 09 + 68,8 - 4,6 + 0,02 Estate + 0, 7 + 0,3 + 0, 51 + 0, 3 + 0, 18 + 18, 1 + 1> 1 — 0,09 Autunno. - 1,8 — 0,7 — 0, 86 + 0,2 — 0, 46 + 46, 6 + 7,3 0, OC Anno .... 0, 0 — 0, 5 + 0, 12 + 0, 8 — 0, 08 + 337, 4 + 3, 2 — 0,04 4 A. Ricco e L. Mendola [Memoria Vili.] Le conclusioni che da questo si ricavano sono del tutto analoghe a quelle di sopra. Ma anche quest’ anno — come nei due precedenti — inerita speciale attenzione la quantità di piog- gia caduta. Di fatto quest’ ultimo triennio presenta dei valori eccezionali : paragonati con quelli di tutto il trentanovennio 1865-1904 *), si è visto come quello del 1902 (1043, 4) rappre- senti il massimo assoluto, e quello del 1903 (326, 9) sia il ter- zo dei più piccoli (essendosi avuto 190,5 nel 1867 e 308,6 nel 1871) : ora si vede che il valore del 1904 (977,7) tien dietro immediatamente a quello del 1902, mandando al 3° posto quello del 1880 (882,7). Nel 1904 abbiamo osservato dei crepuscoli rosei di medio- cre intensità (3, essendo 10 i massimi del 1883-’4) alle seguenti date : febbraio 11 e 12 , maggio 16 a 19. Dal 10 agosto al 7 novembre non si son fatte osservazioni apposite dei crepuscoli . ma non risulta che ve ne siano stati dei così notevoli da ri- chiamare 1’ attenzione del personale di quest’ Osservatorio. Ne mai si è visto attorno al sole nel 1904 traccia del cerchio di diffrazione detto di Bisliop ; neppure nella forma di arco o pon- te sopra il sole tramontato da poco. Catania, marzo 1905. 9 Mendola L., La pioggia in Catania dal 1865 al 1900 — Atti dell’ acc. Gioenia di scienze naturali, Ser. 4a Voi. XV, Catania, 1902. Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1904 5 Quadro 11. 1 — 1004. c3 *rj -5 j© ^5 Medie dei massimi diurni di temperatura, dei minimi e delle escurs. Temperatura del sotterraneo Temperatura acqua del pozzo Pressione atmosferica Tensione del vapore acqueo Umidità relativa M ni ' E 0 0 0 0 0 0 ih m m ni Dicern. 1903 12, 3 15, 6 9, 5 6, 1 14, 1 16, 1 ’to'à, 6 7, 76 70, 0 Gennajo ’904 10, 5 13, 4 8, 0 5, 4 12, 7 16, 0 757, 1 7, 31 74, 5 Febbrajo. . 12, 5 16, 4 9, 2 7, 2 12, 5 15, 9 7 53,5 6,80 59, 9 Marzo . . . 12, 4 15, 2 9, 3 5, 9 13, 0 16, 1 754, 0 8, 16 71, 0 Aprile . . . 15, 6 19, 5 11, 7 7, 9 14, 0 16, 1 755, 3 9, 02 65, 3 Maggio . . 20, 0 24, 5 15, 2 9, 3 15, 8 16, 2 757, 7 9, 53 53, 6 i Giugno . . 24, 1 27, 9 19, 5 8, 4 18, 9 16, 3 756, 8 12, 90 55, 6 Luglio . . . •27,0 31, 2 22, 3 8, 9 21, 2 16, 3 755, 8 13, 90 51, 0 Agosto. . . 26, 2 30, 4 21, 5 8, 9 22, 3 16, 4 757, 0 13, 40 50,8 Settembre . 22, 9 26, 7 19, 0 7, 8 21, 7 16, 3 756, 4 13, 11 61, 5 Ottobre . . 18, 4 22, 1 15, 0 7, 1 19, 4 16, 3 756, 0 11, 35 68, 7 Novembre . 13, 2 16, 8 10, 0 6, 8 15, 6 16, 2 757, 1 7, 96 67, 2 Dicembre . 11, 0 14, 7 7, 8 6, 9 12, 9 16, 1 757, 6 6, 91 66, 7 Inverno . . 11, 7 15, 1 8, 9 6, 2 13, 1 16, 0 754, 8 7, 30 68, 3 Primavera . 16, 0 19, 7 12, 1 7, 7 14, 3 16, 1 755, 7 8, 90 63, 3 Estate . . . 25, 8 29, 8 21, 1 8, 7 20, 9 16, 3 756, 5 13, 41 52, 4 Autunno. . 18, 2 21, 9 14, 6 7, 2 18, 9 16, 3 756, 5 10, 81 65, 5 Anno meteor. 17, 9 21, 7 14, 2 7, 5 16, 8 16, 2 755, 9 10, 11 62, 4 » civile. 17, 8 21, 6 14, 0 7, 5 16, 8 16, 2 756, 2 10, 04 62, 1 6 A. Ricco e L. Mendola [Memoria Vili.] Quadro X. 2 — 1004. C et o u •5 £ totale Vento dominante INSOLAZIONE Trasparenza atmosferica § 5 ► * Pioggia % £ .A B A ~B Valore medio Frequenza della massima Dicem. 1903 mm 1, 72 m m 117, 9 SW 65, 8 h 62, 3 h 296 , 5 0, 21 3, 4 0, 15 Genuajo ’904 1,26 817, 5 N 62, 5 82, 0 305, 1 0, 27 3, 9 0, 50 Febbraj o. . 2, 83 14, 0 NW 45, 2 133, 2 312, 3 0, 43 3, 6 0, 13 Marzo . . . 1, 77 142, 6 NE 51, 5 156, 3 370, 4 0, 42 3, 5 0, 17 Aprile . . . 2, 40 23, 1 NE 45, 4 190, 6 394, 4 0, 48 3, 2 0, 15 Maggio . . 3, 96 14, 7 NE, SE 20, 8 266, 8 438, 4 0, 61 3, 5 0, 10 Giugno . . 4, 36 9, 7 E 27, 3 226, 1 439, 9 0, 51 2, 9 0, 06 Luglio . . . 5, 45 9, 4 E 20, 4 228, 2 446, 6 0, 51 3, 0 0, 04 Agosto . . 5, 90 22, 2 E 10, 2 295,0 419, 0 0, 70 3, 4 0, 02 Settembre . 3, 75 40, 5 NE 46, 1 203, 2 370, 8 0, 55 3, 0 0, 00 Ottobre . . 2, 38 142, 5 W 51, 4 178, 2 345, 8 0, 52 3, 3 0, 16 Novembre . 1, 98 123, 6 SW 55, 1 122, 4 303, 1 0, 40 3, 4 0, 12 Dicembre . 1, 68 57, 1 w 42, 7 127, 1 296, 5 0, 43 2, 6 0, 12 Inverno . . 1, 92 449, 4 NW 58, 1 277, 5 913, 9 0, 30 3, 6 0, 25 Primavera . 2, 71 180, 4 NE 39, 2 613, 7 1203, 2 0, 51 3, 4 0, 14 Estate . . . 5, 25 41, 3 E 19, 2 749, 3 1305, 5 0, 57 3, 1 0, 04 Autunno. . 2, 70 306, 6 NE 50, 8 503, 8 1019, 7 0, 49 3, 3 0, 10 Anno meteor. .3, 15 977, 7 NE 41, 8 2144, 3 4442, 3 0, 48 3, 3 0, 12 » civile 3, 15 916, 9 NE 39, 8 2209, 1 4442, 3 0, 50 3, 2 0, 12 Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1904 7 Quadro N. 3 — 1004. Inverno Primavera Estate Autunno Anno c 21 19 26 34 100 s © > N 13 3 1 2 19 *© © NE 9 26 14 15 64 5 E E 2 7 20 9 38 © £? SE 0 11 14 5 30 "3 S 5 2 1 i 9 1 & sw 19 7 6 lu 42 È w 1 12 6 10 29 NW 21 5 4 5 35 sereni 18 36 68 26 148 giorn misti 44 40 22 41 147 *3 coperti .... 29 16 2 24 71 o •- © £ con pioggia . . 48 28 12 34 122 © con grandine . 3 3 1 1 8 =5 V se con nebbia . . 11 8 4 4 27 © © © con brina . . 0 0 0 0 0 © « con temporale 9 9 17 21 56 con scariche elettriche 32 26 37 25 120 i i ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI OSSERVATI Massimo Minimo Temperatura dell’ aria 36, 2 26 luglio 4, 3 19 gennajo Temperatura del sotterraneo 24, 9 23 agosto 10, 5 26 febbrajo Temperatura acqua del pozzo 16, 4 26 agosto 15, 8 24 febbrajo Pressione- atmosferica 766, 4 13 febbr. 9 11 740, 8 1 marzo 8h Tensione vapore acqueo 19, 08 21 luglio 9 11 2, 41 1 febbr. 15h Umidità relativa 100 7 genu. 911 14 21 luglio 15h Evaporazione all’ ombra 17, 98 23 agosto 0, 32 16 dicembre Pioggia in 2411 105, 9 28 marzo — Velocità oraria del vento 55 km N 22 die. 2in — 8 A. Ricco e L. Mendola [Memoria Vili.] Quadro N. 4 - Medie 1892-1904. Tempe dell7 all’ osser- vatorio ratura aria ridotta al mare Pres sttmo9 all’osser- vatorio sione terica ri d. al ma- re e agj,3 Te il si ou e dei vaporo acqueo Umidititi relativa Evaporazione all7 ombra Pioggia totale <3 1 £ © o N 3 X Gennajo . . o 10, 2 0 10, 6 mm 757, 2 mm 762, 7 mm 6, 56 66, 5 mm 1, 79 mm 81, 4 47, 0 0, 45 Febbrajo. . 11, 1 11, 5 756, 3 761. 7 6, 85 65, 9 2, 05 62, 6 48, 4 0, 46 Marzo . . . 12, 5 13, 0 755, 2 760, 6 7, 34 64, 6 2, 27 53, 9 47, 1 0, 48 Aprile . . . 15, 1 15, 5 755, 1 760, 4 8, 32 62, 8 2, 66 37, 2 46, 1 0, 46 Maggio . . 18, 5 18, 9 755, 7 760, 9 9, 47 57, 5 3, 47 20, 5 38, 1 0, 53 Giugno . . 22, 9 23, 2 756, 2 761, 4 11, 73 53, 0 4, 49 6, 7 26, 0 0, 60 Loglio. . . 26 8 26, 6 755, 9 761, 0 13, 01 49, 5 5, 54 2, 6 11, 9 0, 69 Agosto. . . 26, 2 26, 5 756, 5 761, 6 13, 97 53, 8 5, 17 14, 0 16, 3 0, 68 Settembre . 24, 0 24, 4 757, 1 762, 3 13, 28 58, 9 4, 44 52, 9 30, 2 0, 56 Ottobre . . 20, 5 20, 9 757, 1 762, 3 12, 19 66, 5 3, 00 91, 5 47, 8 0, 48 Novembre . 15, 4 15, 8 757, 4 762, 7 9, 55 70, 5 2, 04 115, 6 52, 5 0, 43 Dicembre . 11, 8 12, 1 756, 5 761, 9 7, 56 69, 6 1, 87 101, 5 50, l 0,39 Inverno . . 11, 1 11, 4 756, 7 762, 1 6, 99 67, 3 1, 91 245, 4 48, 8 0, 43 Primavera . 15, 4 15 ,8 755, 4 760, 7 8, 38 61, 7 2, 80 111, 6 43, 8 0, 49 Estate . . . 25, 1 25, 4 756, 2 761, 4 12, 90 52, 1 5, 07 23, 2 18, 1 0, 66 Autunno . . 20, 0 20, 4 757, 2 762, 4 11, 67 65, 3 3, 16 260, 0 43, 5 0, 49 Anno . . . 17, 9 18, 3 756, 4 761, 7 9, 99 61, 6 3, 23 640, 3 38, 6 0, 52 Memoria IX. Laboratorio di Zoologia della R. Università di Catania Sull’ organo genitale e sulle lacune aborali del fFfimopfiorus urna (Grube) Memoria del Dottor GIOVANNI POLARA RELAZIONE della Commissione di Revisione composta dei membri effettivi Proff. F. CAVARA ed A. RUSSO ( relatore ) Le difficoltà di tecnica, che fanno degli Echinodermi uno dei gruppi più difficili, felicemente superate, i risultati nuovi ed interessanti, sia per la conoscenza speciale degli organi presi in esame , sia per le considerazioni generali, riguardanti le affinità del Phyllophorus ed il posto che ad esso debba assegnarsi nel Sistema , rendono la Memoria del Dott. Polara degna di molta considerazione e perciò proponiamo che venga inserita negli Atti della no- stra Accademia. Nessuno degli osservatori , che si sono occupati dell1 anato- mia delle Oloturie, ha descritto con precisione l’organo genitale del Phyllophorus urna, il quale per la sua peculiare funzione e struttura avrebbe meritato uno studio più attento e particola- reggiato. Jourdan (1) lo paragonò ad un bouquet di tubi ciechi attac- cati sul lato destro della parte anteriore del mesentere dorsale. Egli, avendo rilevata la particolare costituzione istologica dei ciechi genitali, nota principalmente che mentre le cellule peri- (1) Jourdan. Beclierche» sur l’ istologie (leu Holothuries. Annales du musée d’hist. nat.de Marseille. Zoologie T. I, N. 6 Màrseille 1883. Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVIII — Meni. IX. 1 H 2 Dottor Giovanni Poiana [Memoria IX.) toneali, die rivestono i ciechi, nella maggior parte delle Oloturie, sono piatte , nel Pliyllopliorus sono cilindriformi , con contorni difficilmente distinguibili e contenenti globuli ialini bruni. Ma, Jourdan non ha dato alcuna importanza a tali elementi e non ha giustamente apprezzato la funzione dei globuli ialini bruni, aven- doli paragonato ai granuli di pigmento, mentre, come si è dimo- strato in un precedente lavoro (1), essi sono di tutt’ altra natura. Analogamente Otto Marnami (2) in Cucumaria cucumis ed Hc- rouard (3) in Cucumaria tergestina descrissero le cellule perito- neali dei ciechi genitali come disposte a palizzata o cilindriformi, senza attribuire loro alcun significato. Oltre alle questioni istologiche però, molte altre si riferi- scono alla costituzione generale dell’organo, ai rapporti dei ciechi col gonodotto ed alle lacune che lo accompagnano ; questioni sulle quali finora non si ha alcuna osservazione e intorno a cui il mio contributo è quasi del tutto nuovo. Ciechi genitali e loro rapporti con il gonodutto L’ organo genitale del Pliyllopliorus urna è costituito da tubi ciechi posti nell’ interradio CD, ai due lati del mesentere dorsale. Esso occupa tutto il terzo medio del corpo e precisamente quello spazio lasciato libero dal tubo digerente, il quale, dopo un de- corso rettilineo , si tira alquanto indietro , descrivendo presso a poco un semicerchio, il cui diametro è appunto rappresentato dal terzo medio del corpo, in cui è situato l’organo genitale. I ciechi genitali sono disposti in due serie longitudinali ai due lati del mesentere dorsale. Ognuna delle due serie risulta di (Il Russo e Polara — Sulla secrezione interna delle cellule peritoneali della Gonade del Pliyllopliorus urna (Grulle). (Questo stesso Volume). (2) Hamann. Beitràge sur Bistologie der Echinodermen. Die ffolothurien. Jena. p. 100. 6 taf. 1884-85. (3) Herouakd. Recker cìies sur le s Holothuries des cótes de France. Arch. Zo. Exper. (2) T. 7. 1889. tildi' ornano i lenitale e sulle lacune aborali del Phillophorus urna 3 due o più strati di ciechi quasi tutti di uguale lunghezza e diametro, come si può osservare nella qui annessa figura. Organo genitale di Phyllopliorus urna , adulto, in cui ni osserva la disposizione dei ciechi genitali ai due lati del mesentere dorsale e del gonodotto — Grandezza naturale. (Da fotografia). Aprendo un Phyllopliorus adulto dalla parte ventrale e rimuo- vendo l’intestino, si vedono, quasi nel centro dell’interradio CI), i tubi genitali disposti quasi come le due metà delle pagine di un libro, tenuto aperto e separati dal tratto mesenteriale, come si vede meglio nella fìg. 1 della Tav. Questa disposizione dei ciechi è caratteristica del PliyUoplio- rus, essendo essi nelle altre Oloturie per lo più disposti su di un solo lato del mesentere. Inoltre, mentre nelle altre Oloturie e nelle tiynapta i ciechi si dirigono sempre dall’ intestino verso la parete dorsale, nel Phyllopliorus la loro direzione è invertita, cioè dalla parete dorsale discendono verso il tubo digerente. I ciechi del Phyllopliorus non presentano quasi mai ramifi- cazioni, sono di lunghezza relativamente piccola e costante, solo di tanto in tanto se ne riscontra qualcuno , che si biforca alla sua estremità. Ciascuno di essi sbocca per conto proprio nel go- nodotto , mentre nelle Oloturie in genere i ciechi si riuniscono fra di loro prima di convergere nel canale escretore comune. Ne consegue che nell’//, tubolosa, Poli ed in altre il punto di conver- genza dei ciechi è rappresentato da uno slargamento ad ampolla, mentre nel Phyllopliorus tale formazione non esiste e si osservano solo per lungo tratto del gonodotto i ciechi stessi che comuni- cano indipendenti con esso. I ciechi nei vari individui esaminati, pur essendo sempre 4 Dottor Giovanili Potar a [Memoria IX.] brevi, hanno lunghezza variabile, però nessuna relazione si può stabilire fra la loro lunghezza e quella dell’ animale. Infatti , mentre ho trovato oieehi lunghi min. 11-12 in un individuo di era. 9, ne ho trovato anche di cui. 1-2, 2 in individui eli cui. 3-10. I ciechi presentano in ogni caso una colorazione particolare, non però simile per tutti gl’ individui , essendo alcuni colorati in giallo, altri in rosso chiaro, altri, i più, in rosso bruno. A tale proposito bisogna avvertire che non si è potuto stabilire una relazione fra il colore dell’ organo ed il sesso dell’animale, come si osserva nelle altre Oloturie. II condotto genitale o gonodutto è rappresentato da una ca- vità a sezione circolare ed è compreso fra le due pareti perito- neali del mesentere dorsale. Esso è situato ad V- circa dell’altezza / o del mesentere stesso, quasi a ridosso della parete dorsale del cor- po, parallelamente alla quale decorre. Il gonodutto , slargato al- quanto per il lungo tratto in cui sboccano i ciechi , è invece molto stretto per il resto del suo tragitto. In basso esso termina dove finisce 1’ inserzione dei ciechi, in alto si continua, attraver- sando tutto il terzo anteriore del corpo, per sboccare all’esterno nell’ interradio 07), mediante una papilla, a forma di pene, ter- minata ad uncino leggermente incurvato verso il basso e posto quasi alla metà del colletto, che porta i tentacoli. Nelle sezioni di un cieco si osservano a partire dall’ esterno i seguenti strati : L’ epitelio peritoneale, formato da cellule allungate, con nu- cleo spostato verso la parete, e contenenti numerosi globuli ro- tondeggianti, facilmente colorabili con 1’ Emallume, 1’ Ematossi- lina Erlick e coi colori di Carminio. Era tali cellule ne sono in- tercalate altre sottilissime che funzionano da cellule di sostegno, come si è detto in un precedente lavoro (1). I globuli sono in così gran numero da occupare 1’ intera cellula e da impedire che di essa si possano bene osservare i li- fi) Russo e Polara — Cfr. su#. 8uW organo genitale e sulle lacune aborali del Phillophorus urna 5 miti. Bisogna ricorrere a sezioni molto sottili e a colorazioni molto intense per poterne distinguere il contorno. La forma allungata e quasi cilindrica di queste cellule , il loro nucleo addossato alla parete e più di tutto il grande am- masso di globuli di varia grandezza mostrano che sono di natura diversa di quelle descritte nelle altre Oloturie. Come si è dimo- strato nel lavoro precedentemente citato, tali elementi sono dif- ferenziati in cellule seeretrici, che, per un’ attività specifica del protoplasma, producono sostanze albuminoidee che versano nel- f interno della gonade per nutrire gii elementi sessuali, ovvero per rendere possibile lo sviluppo dell’ embrione , che si compie nell’ interno dell’ organismo. Xel punto in cui i ciechi convergono nel gonodutto l’epitelio celomieo è molto basso e quasi piatto, come si vede nella fig. Le cellule peritoneali poggiano su di uno strato connetti- vale esilissimo che forma una membrana basale, al di sotto della quale si trova uno strato di fibre muscolari circolari assai pro- nunziato negl’ individui molto avanti nello sviluppo, la cui pre- senza pare abbia importanza per la espulsione degli embrioni. Al di sotto di questo strato ve n’ è uno di connettivo a fasci longitudinali , i quali formano spazi molto larghi , pieni di ab- bondante coagulo filiforme od omogeneo, in cui sono sparsi degli amebociti isolati od aggruppati in sincizi. Tale connettivo è una continuazione di quello formante la membrana basale soprade- scritta. Esso si continua nella parte più interna con le fibre con- nettivali, che costituiscono un’ altra membranella baiale, su cui si adagia 1’ epitelio germinativo, il quarto ed ultimo strato. Xei ciechi femminili si osserva che le uova sono circondate da un follicolo costituito da cellule esilissime con un nucleo ap- piattito, che nell’ insieme formano una sottilissima membrana. Le uova hanno una vescicola germinativa molto grande , ricca di grossi granuli cromatici, e il vitello alveolare. È notevole che attorno alle uova si trovano molti amebociti , dei quali alcuni si addossano alla loro superficie. Il loro ufficio 6 Dottor Giovanni Potava [Memoria. IX.] probabilmente è quello di trasportare agli elementi sessuali le sostanze nutritive, cbe si producono nelle cellule peritoneali. L’ epitelio interno dei testicoli presenta delle sporgenze al- ternantesi con incavature a ino’ di villi , mentre l1 epitelio dei ciechi fenminili è a contorno più regolare , sebbene spesso sol- levato qua e là da coaguli raccolti nel connettivo sottostante. Lacuna genitale o aborale e seno aborale. La lacuna genitale del Pliyllophorus urna presenta una di- sposizione morfologica , che molto si allontana da quanto si è osservato nelle altre Oloturie finora studiate da questo punto di vista (Hol. tubulosa e H. Poli, ecc.). Dagli spazi periesofagei si origina una cavità lacunare che è contenuta nel mesentere dorsale ed addossata all’ intestino, pa- rallelamente al quale essa decorre. Alla metà del terzo ante- riore del corpo , prima di giungere , cioè , a livello dell’ organo genitale, essa, pur continuandosi da un lato con la lacuna mar- ginale dell’ intestino, manda un ramo, che raggiunge 1’ organo genitale e lo accompagna per tutto il tratto in cui sboccano i ciechi nel gonodotto. Se si apre un Phyllophorus si osserva anche ad occhio nudo, poco più in alto dell’ organo genitale, un sottile ramo lacunare, per lo più di color rosso bruno, compreso nel mesentere, attra- versare con decorso sinuoso ed obbliquo quel tratto , che inter- cede fra la lacuna marginale dell’ intestino e 1’ organo genitale stesso. Questa è la lacuna altorale o genitale. Essa è piccola nel punto, in cui si origina dalla lacuna dorsale, ma va sempre più ingrandendosi, man mano che si avvicina all’ organo genitale , per raggiungere un massimo di larghezza presso il punto di convergenza dei ciechi nel gonodutto. Poco prima però che la lacuna sudetta venga in contatto con 1’ organo genitale si conforma a doccia con la convessità rivolta verso il mesentere e con la parte opposta concava in co- Sull’organo genitale e sulle lacune aborali del Phillophorus urna 7 municazione con la cavità generale del corpo , come si osserva nella fìg. III. Nel punto di convergenza dei ciechi i lembi della doccia si fondono, formando un canalicolo, con parete ispessita e lacu- nare. Essa costituisce la formazione emale della lacuna genitale o aborale propriamente detta, mentre il seno aborale è rappre- sentato dallo spazio interno e dalla doccia sopra descritta. Tale percorso e tale conformazione dalla lacuna, che irriga l’organo genitale, è evidente nelle sezioni seriali. Difatti, in quelle praticate poco più i 11 alto dell1 2 organo genitale vedesi la lacuna marginale, cilindrica e piccola, sporgere nella cavità generale come una gemma del mesentere , mentre in quelle fatte in prossimità del punto di convergenza dei ciechi essa, già alquanto ingrandita, si trova in prossimità del gonodotto e con margine irregolare. Nelle sezioni a livelli poco più bassi la lacuna stessa presentasi corformata a doccia , come si vede nella tig. Ili, similmente a quanto ho osservato in Synapta (1) e a quanto si osserva in altre Oloturie, durante lo sviluppo (2). La doccia però in prossimità dell1 organo genitale si chiu- de e si trasforma in un canale a sezione circolare e a pareti lacunari, come si può osservare nella fig. IV. Per il resto essa è addossata al gonodotto ed ha la forma di una grossa gemma del mesentere, che avvolge il gonodutto stesso. In individui più sviluppati la lacuna è molto ampia e nel suo interno sono numerosi spazi connettivali, mentre molto più ridotto si presenta il seno aborale. La lacuna marginale dell’ intestino segue il tubo digerente tino a quasi la metà dell1 organo genitale ; quindi si piega ad angolo retto e risale lungo la branca ascendente dell1 intestino , che segue in tutte le sue anse. Mediante tale disposizione i prodotti della digestione inte- (1) Polara : Sull’ Organo genitale e sulle lacune aborali della Synapta inliaerens. Ardi. Zoolog. Voi. 1 fa8. 3 e 4. Napoli 1903. (2) Russo : Studi su gli Echinodermi. Atti Acc. Gioenia ili Se. Nat. Catania 1902. 8 Dottor Giovanni Potava | Memoria IX.] stinaie, passando nella lacuna dorsale e da questa nella lacuna genitale, si riversano nel connettivo mesenteriale prima e susse- guentemente in quello dei ciechi. La lacuna genitale del Phyllo- plmrus ha costituzione istologica identica a quella di tutte le altre Oloturie. È limitata, infatti, da una parete connetti vale a fasci circolari, su cui poggia esternamente 1’ epitelio peritoneale, e lo spazio interno è intersecato da fibre, fra le cui maglie si trova un abbondante coagulo con numerosi amebociti per lo più solitari. Le suesposte ricerche si possono così riassumere : 1. I ciechi genitali di Phyllophorus Urna sono tabulari, sem- plici e simmetricamente ripartiti ai due lati del mesentere dor- sale. 2. Procedendo dall’ esterno i ciechi risultano : «) Di uno strato molto spesso di cellule peritoneali cilin- driformi con funzione di secrezione. P) Di uno strato circolare di fibre muscolari. T) Di uno strato connettivale a larghe maglie, spesso for- mante un notevole spazio schizocdlico occupato da coaguli e da amebociti. §) Dell’ epitelio germinativo. 3. La lacuna genitale del Phyllophorus , come quella della Synapta inliaerens , presenta il seno aborale aperto nella cavità generale, conformato cioè a guisa di una doccia, similmente a quanto si osserva durante lo sviluppo in Hol. tvbulosa , Poli e For sleali. Nel punto di convergenza dei ciechi però esso si chiude , formando un canale, seno aborale, le cui pareti lacunari costitui- scono la formazione emale. 4. Tale disposizione , che riproduce uno stadio di sviluppo del seno aborale di forme, che crediamo più differenziate, atte- sta che il Pliyllopliorus è un’ Oloturia meno evoluta. Non credo però che essa sia una forma primitiva con accenno a simmetria bilaterale, non ostante la disposizione bilaterale dei ciechi, come Sull’organo genitale e sulle lacune aborali del Phillophorus urna 9 Ilo dimostrato per Synapta , perchè, mentre in questa la simme- tria bilaterale dei ciechi genitali è seguita dalla lacuna corri- spondente, in Pkyllopliorm ciò non avviene. Catania — Gennaio 1905. ! SPIEGAZIONE DELLE EIGURE Fig. la Sezione trasversa in corrispondenza del punto di convergenza dei ciechi genitali nel gonodutto di un piccolo Phyllophorus — L’epitelio del gonodutto sporge formando dei villi. » 2a Sezione trasversa in cui si osserva la lacuna genitale vicina all’ in- testino. » 3a Sezione come sopra, per mostrare il seno aborale comunicante con la cavità generale. » 4a Sezione trasversa del seno aborale di Phyllophorus, che ha la forma di canale chiuso. » 5a Lacuna genitale che avvolge il gonodutto nel punto di convergenza dei ciechi genitali. » 6a Lacuna genitale di un grosso Phyllophorus, con spazi schizocelici. » 7a Lacuna genitale vicino alla gemma lacunare del gonodutto. Le figure 2, 3, 4, 5, rappresentano sezioni a livelli progressivamente più bassi, per mostrare 1’ andamento della lacuna genitale e aborale. am = amebociti. cg = cieco genitale. gel = gonodutto. glg = lacuna genitale, che avvolge il gonodutto. la = lacuna aborale. md = mesentere dorsale. rld = ramo della lacuna dorsale, ossia lacuna genitale presso l’ intestino. sa = seno aborale. sp. sài. = spazi schizocelici. Memoria X. Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre per il Prof. ANTONIO CORCI i. Stando all’ etimologia della parola o meglio ad un vocabo- lario qualunque, il vocabolo febbre, che deriva dal latino fervere , significa bollire, essere ardente, essere in caldezza o ardore essere agitato. (In dialetto pugliese invece di dire bolle, si dice, ferve). Infatti tutte le volte che in noi aumenta un poco la tempera- tura generale oppure quella cutanea ci sentiamo agitati, soffocati, smaniosi e se un medico ci osserva , trova alterati i polsi e la respirazione, non che disordinate in qualche modo altre funzioni. In tutti i casi con o senza agitazione, noi consideriamo es- sere febbre tutte le volte che vi è aumento di temperatura, al di sopra del normale, non importa quali sieno i disturbi delle altre funzioni, qualora vi sieno. Ogni ipertermia da qualunque causa è febbre ; come ogni indisposizione senza ipertermia è malattia senza febbre. lSroi vogliamo sapere in che modo si produce la febbre, fe- nomeno così frequente in tante circostanze della vita. Le osservazioni, gli studi, gli esperimenti sono immensi , i cui risultameli ti in apparenza tanto diversi e contraddi ttorii at- tendono una giusta interpretazione per essere coordinati e con- cludenti. Al punto in cui siamo, le conoscenze che possediamo, a parte le numerose ipotesi e forzate teorie, bastano già a farci conoscere cosa sia la febbre non che la termogenesi, madre della febbre, che tanto bene conosciuta appare, mentre è tutt’ altro. Se noi non sappiamo cosa sia la febbre, come francamente lo ha detto Bouchard e come nessuno può dire il contrario, di- Atti Acc. Serie 4% Vol. XVII1 - Meni. X. 1 2 Prof. Antonio Curci [Memoria X.] pende dal fatto clie la dottrina della termogenesi , sebbene ap- paia risoluta ed evidente è lontano dall’ esserlo. Dalla scoperta del Lavoisier certamente la termogenesi fece un gran passo, in quantocchè stabilito che nell’ organismo vi è un continuo processo di ossidazione , specialmente nel periodo dell’ attività o lavoro, e visto che questa produce una grande quantità di calore, si è dedotto che nell’ organismo vivente vi è una lenta combustione , più o meno intensa secondo la specie animale e secondo le circostanze di lavoro o di riposo, da cui nascerebbe il calore. Sotto questo punto di vista sono note le numerose ricerche, le quali hanno stabilito, mediante la calorimetria e la misura dello scambio gassoso pulmonale, che la produzione del calore è in diretta corrispondenza con il consumo degli alimenti e dello ossigeno. Perciò si è concluso che la termogenesi animale sia una funzione puramente chimica, in cui nulla avesse che fare il sistema nervoso. E perciò al vedere in una febbre 1’ aumento anormale della temperatura, si è creduto obbligo di supporre un aumento del chimismo, determinato direttamente dall’agente pa- togeno, fino a fare negare 1’ esistenza di febbri nervose. Ma questo è stato fare i conti senza 1’ oste, in quantocchè non si è tardato ad osservare variazioni notevolissime della tem- peratura animale in più o in meno, in seguito a lesioni primi- tive del sistema nervoso, in seguito ad emozioni morali svariate, come in seguito a diverse nevrosi, in moltissime malattie di qua- lunque genere e negli avvelenamenti, anche quando non esiste al- cuna minima alterazione anatomica, nè traumatismo, nè infezione. Se la produzione del calore è un semplice effetto dei pro- cessi chimici di ossidazione e di idratazione in ciascuna cellula, costituente i tessuti e gli organi, cosa importa e cosa ha che fare il sistema nervoso ? Questo è stato il filo del ragionamento. Ma i fatti hanno dimostrato invece che nella termogenesi ha principale parte il sistema nervoso, e senza di esso non si hanno nè i fenomeni chimici nè la produzione del calore, nè altro. M eccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 3 Il regolare processo della nutrizione e della termogenesi, di integrazione e disintegrazione o più generalmente dello scambio materiale e dinamico è funzione fondamentale del sistema ner- voso considerato nel suo insieme e nella sua unità e non di una o di altra parte o segmento di esso sistema (Luciani — Fisiologia del digiuno). Quindi viene riconosciuto da tutti generalmente che la ter- mogenesi sia effetto immediato della ossidazione e idratazione organica o cioè di un processo chimico, ma questo alla sua volta è determinato dal sistema nervoso. In che modo'? non si sa. A questa domanda è da aggiungere un’ altra, cioè ; quando per irritazione del cervello si ha una ipertermia , dovrebbe per forza di logica, aversi un aumento nel processo chimico termo- genetico. Invece nelle febbri nervose ed anche in molte altre in- fettive o non, l1 ossidazione ed il consumo dell’ ossigeno che dap- prima si credeva aumentato, è anzi diminuito come lo dimostra- no le ultime ricerche istituite con più precisione e le tante osser- vazioni sugli effetti della febbre. E allora donde viene tutto quel calore senza aumento dei processi chimici? Vale a dire che ha un’ altra origine, cioè dal sistema nervoso, ed in che modo u? non si sa neppure questo. Ecco, la grande scoperta del Lavoisier e la teoria chimica della termogenesi deve subire una grande modificazione ed a fare ciò abbiamo bisogno di nuove conoscenze sulla origine e natura dell’ energia, che il sistema nervoso produce, quella la quale ci è sfuggita fin’ oggi completamente per la presunzione umana, tramandataci dal teologismo, coll’idea che l’energia nervosa sia qualche cosa di divino e soprannaturale, percui c’ impedisce di riconoscere la natura fisica, naturale comune di questa energia, sotto forma elettromagnetica, che anima muove e trasforma la materia in tutto 1’ universo e che essa stessa prende le diverse forme di energia meccanica, termica, luminosa, chimica, attrat- tiva, radiante ecc. La base fondamentale su cui poggia la teoria chimica della 4 Prof. Antonio Curci [Memoria X.J termogenesi animale consiste nella termochimica, e perciò si pa- ragona la produzione del calore nell’ organismo a quella che avviene in un focolaio o in una reazione chimica esotermica. Ciò è molto inesatto perchè, come vedremo , nell1 organismo vi sono altre condizioni, che non sono nel mondo esterno. In primo luogo studiamo come si genera il calore in una combustione o in una reazione chimica esotermica, in un foco- laio od in un recipiente. È noto dalla Fisica che in ogni reazione chimica special- mente nell’ ossidazione vi si sviluppa elettricità e quando la reazione è anche minima si rileva con opportuni elettrometri sempre della elettricità e non altro ; è soltanto quando la rea- zione chimica è intensa che si osserva uno sviluppo di calore e di luce. Questo calore e luce non viene primitivamente dalla rea- zione chimica come si vorrebbe credere , ma bensì secondaria- mente dalla elettricità, la quale sviluppata e resa manifesta in grande quantità, non trovando via di uscita dove neutralizzarsi o compiere un lavoro, si trasforma in calore. È noto che ad una corrente elettrica mettendo nel suo percorso un ostacolo alla conduzione, dà luce e calore. E questo appunto che avviene in ogni focolaio , in ogni combustione, in ogni reazione chimica. Ma se dove avviene tale fenomeno , si assicurano mezzi di conduzione in modo che 1’ elettricità mano mano che si svi- luppa possa essere condotta fuori e neutralizzarsi , non si ha produzione di calore e il luogo dove avviene la reazione non si riscalda. Così succede nella pila , dove V acido solforico agisce sullo zinco, il quale entra in soluzione, se si chiude il circuito conduttore, la pila resta fredda, ma se si lascia aperto, la pila si riscalda e ciò che ha dato luogo alle osservazioni sperimen- tali di lule e di Eavre , da cui risulta che il calore è in pro- porzione della elettricità che vi si produce. Quindi prima cosa, che resta stabilita e chiarita, è che nelle Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 5 reazioni chimiche esotermiche la elettricità sola si svolge pri- mieramente, e quando essa non può dissiparsi o trasformarsi in un lavoro, come è frequentissimo il caso, si trasforma in calore. ^Necessaria e sublime conseguenza questa nelle trasforma- zioni dell’ energia universale, perchè la elettricità, la quale rap- presenta l’energia in moto, non può rimanere nel posto dove si produce in riposo forzato sotto forma di corrente in mezzo a materia cattiva conduttrice , onde allora come se si ripiegasse sopra sè stessa, come per volere uscire indietreggia, e torna in avanti, così trasforma le sue ondulazioni in vibrazioni trasversali intensissime, cioè in calore e luce. Assunta la forma di calore e meglio di luce, allora è atta ad irradiarsi gradatamente attraverso la materia dotata di cat- tiva conduzione ; così gli è possibile di uscire da un ambiente in cui non poteva agire e nè poteva diffondersi sotto forma di corrente e si trovava imprigionata (1). Così i raggi elettrici del sole (che secondo le vedute mo- derne sarebbero elettroni) nel penetrare nell’ atmosfera e in con- tatto della superfìcie terrestre urta in cattivi conduttori e si trasforma in calore e luce. Perciò io credo che dal Sole non vengono direttamente raggi termici e luminosi , ma raggi elet- trici freddi ed oscuri condotti dall’ etere cosmico. E a somi- glianza del sole opera il sistema nervoso negli animali, il quale (1) Già il calore non è che una forma comune di elettricità in tensione, in cui si trasforma facilmente qualunque corrente che incontra resistenza, non possa compiere un lavoro e non possa diffondersi e neutralizzarsi o mettersi in equilibrio come potenziale latente. Questo mio concetto è basato su diversi fatti : 1° sulla identità del calore colla luce , la quale è stata dimostrata consistere in ondulazione elettro-magnetiche ; 2° sul fatto comune che dalla elettricità si può avere luce e calore ; 3° sul fatto che il calore fa aumentare il nu- mero delle valenze degli elementi, e siccome ad ogni valenza corrisponde una carica co- stante di elettricità, vuole dire che in questa esso si trasforma ; 4° il calore stesso si tra- sforma alla sua volta in corrente nella tnrmalina, nelle pile termo elettriche, nei nervi ter- moestesici ed in altri corpi. Insomma il calore è una forma di transizione dell’ elettricità quanto vi trova ostacolo al suo rapidissimo diffondersi ed a compiere un lavoro. (Questa è legge fondamentale della Elettrofìsica.) 6 Prof. Antonio Olirci [Memoria X.] nel sistema solare rappresenta il cervello, riceve energia dagli spazi siderei e la trasmette agli organi (pianeti), dove compie dei lavori e produce calore. Or quindi se nel mondo esterno la produzione del calore avviene per mancanza di conduzione e per impedito èsodo, ve- diamo se sia lo stesso nell’ organismo. Se la termogenesi animale fosse di origine chimica come vuole la teoria di Lavoisier dovrebbe farsi egualmente lo stesso, cioè che l’ energia prodotta dai processi chimici dell1 ossidazione e idratazione si trasformerebbe in calore negli organi stessi, dove avvengono, essendo questi cattivi conduttori. Ma nell1 organismo animale esiste una fitta e vasta rete di fili nervosi ramificati , anastomizzati, sparsi negli interstizi fra le cellule , in contatto e talvolta aderenti a queste da per tutto dall’interno degli organi alla superficie cutanea. In modo che è assicurata una perfetta conduzione dalla periferia dove avvengono i processi chimici ai centri, dove le correnti si accumulano (i centri nervosi sono po- tenti e straordinari accumulatori di elettricità positiva nelle parti anteriori, negativa nelle posteriori). E così a misura che dai processi chimici si svolge energia elettrica viene presa dai nervi e accumulata, nei centri ; così ri- sulta che dai processi chimici cellulari non ne nasce e nè può nascere calore, come avviene in un focolaio o in un calorime- tro ; al quale l1 organismo non può essere paragonato. In questo caso l1 organismo ha qualche rassomiglianza alla pila annessa ad un accumulatore perchè, intercettando il passaggio centripeto dell’energia, in modo da farla arrestare alla periferia dove na- sce, si trasforma in calore e aumenta la temperatura della par- te. Così avviene il riscaldamento della testa , quando si recide il gransimpatico al collo. Crii accumulatori centrali del sistema nervoso quando rice- vono irritazioni indirettamente dalla periferia o direttamente in essi stessi, svolgono sotto forma di corrente di azione centrifuga l’energia accumulata; queste correnti si consumano nelle fun- Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 7 zioni, ma una parte, che probabilmente non è interrotta ma continua, non può compiere un lavoro, si trasforma in calore e così mantiene ad un certo grado di temperatura l’organismo. Questo è il meccanismo della termogenesi animale, fenomeno tìsico, elettrotermico e atto riflesso fisiologico, funzione del sistema nervoso e non termochimico. Così l’organismo vivente si può rassomigliare al sistema planetario , in cui il sistema nervoso centrale è il sole , i nervi periferici fanno la parte dell’ etere cosmico perfetto conduttore, gli organi e apparati organici rappresentano pianeti, satelliti eco., per cui giustamente fu chiamato microcosmo. Durante l’attività e la funzione, che è in sostanza una serie complessa di atti ridessi, dallo stimolo tìsico o biologico na- sce una corrente di azione diretta centripeta, questa nei centri fa nascere una corrente di azione riflessa centrifuga , la quale come abbiamo detto compie la funzione e genera calore. Queste correnti di azione dirette o ridesse, così ampiamente e ripetutamente dimostrate col galvanometro dal Nobili , Mat- teucci , Du Bois Reymond e tutti i posteriori Elettrofisiologi , provengono dal potenziale elettrico accumulato come carica di riposo che si trova in tutti gli organi, in tutti i tessuti e si di- mostra colla corrente derivata detta di riposo, per cui nel la- voro vi è consumo ed esaurimento di tale potenziale. Questo potenziale o carica di riposo proviene alla sua volta dalle cor- renti centripete che nascono sulla cute e sulle mucose, negli or- gani dei sensi per azione degli agenti esterni, e specialmente dai processi di ossidazione e di idratazione del ricambio materiale, non chè dall’azione elettrizzante dell’ossigeno e del sangue sotto la pressione di 160 mm. e degli ioni ammonio e sodio, quali elettropositivi , che agiscono per induzione sul protoplasma, fa- cendo aumentare la carica elettro-negativa di questo e quella elettro-positiva del nucleo. Nel riposo e specialmente nel sonno, cessano le correnti di azione determinate dai bisogni del lavoro, dalla luce negli organi visivi e sulla cute e da altri stimoli fi- 8 Prof. Antonio Curci [Memoria X.] sici e morali, e perciò cessa il consumo del potenziale o carica di riposo da una parte; ma continuano dall’altra le correnti cen- tripete provenienti dai processi di ossidazione e d’idratazione del ricambio e dall’elettrizzamento per il contatto dell’ossigeno e quello degli ioni ammonio e sodio, per la pressione e strofinio del san- gue : e così i centri nervosi hanno agio di potere accumulare elettricità positiva negli inibitori ed elettricità negativa negli eccitomotori e rifare il potenziale o carica di riposo. Si capisce da ciò perchè nel riposo essendoci assorbimento di energia, la temperatura ritorna al normale ed anche tende ad abbassarsi di parecchi decimi o qualche grado ; e nell’attività, in cui vi è svolgimento di energia in moto, aumenta notevolmente, non mai però per pretesi processi chimici aumentati, i quali come ab- biamo visto non forniscono energia termica, ma energia elettrica. Adunque la base su cui poggia la teoria chimica della termo- genesi, consistente nella produzione del calore dalla combustione organica, non può più reggere alla critica ed ai fatti, e risulta che il sistema nervoso è il generatore del calore, trasformando quella energia che riceve come corrente elettrica dalle diverse sorgenti. Grli esperimenti di fisiologia e le osservazioni di patologia dimostrano e confermano l’ultima conclusione, mentre trovavano un insormontabile ed oscurante ostacolo appunto nella teoria chimica della termogenesi, che appariva così saldamente e scien- tificamente stabilita. Dal fisico entrando nel campo biologico dobbiamo esaminare e discutere diversi quesiti. Ammettendo la teoria chimica della termogenesi ci fa sco- noscere 1’ influenza grandissima necessaria del sistema nervoso, anzi c’ impone ad escluderla , ragione per cui il progresso della Fisiologia e della Patologia è stato arrestato, mentre le esperienze fisiologiche non che le osservazioni patologiche sono tutte con- trarie alla pretesa teoria chimica. Se 1’ origine del calore è dai processi chimici intracellulari, cosa ha che fare il sistema nervoso ? Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 9 Intanto, se si asportano i lobi cerebrali ai piccioni, la tem- peratura da 42° scende a 36° o 37° , se si fanno delle recisioni nette non irritanti nell1 encefalo succede ipotermia ; se si recide il bulbo, si lia ipotermia generale e l1 animale muore per assi- derazione ; lo stesso se si recide il midollo spinale a qualunque altezza, le membra a disotto del taglio subiscono un abbassa- mento di temperatura, così tagliando un nervo, lo sciatico p. e. si ha abbassamento di temperatura nell1 arto paralizzato, il quale conserva un certo grado di temperatura per il calore portatovi dal sangue ; così pure paralizzando il sistema nervoso sensitivo, mediante gli anestesici si ha ipotermia, paralizzando i centri nervosi mediante alcoolici, ipnotici, narcotici, si ha ipotermia ; paralizzando infine le estremità nervose motrici con sostanze cu- rarizzanti si lia ipotermia. Quindi si domanda perchè la termogenesi diminuisce, se di- pende dai processi chimici di ossidazione e d1 idratazione intra- organica? Si risponde uscendone per il rotto della cuffia col dire che senza l’innervazione manca la tonicità muscolare, produttrice di calore mentre vi è aumento di dispersione. Ma i detti processi che fanno, non sono là a produrre calore, cosa gli ostacola? Nes- sun ostacolo ; la respirazione e la circolazione procedono bene, e intanto essi non producono lo stesso calore di prima. I suddetti esperimenti dimostrano che il sistema nervoso è necessario alla termogenesi e che esso è l1 apparecchio elettroge- nico che fornisce l1 energia, la quale alla periferia si trasforma in calore. In quantoccliè paralizzati o asportati i lobi cerebrali o i centri in generale, si sopprime la principale sorgente dell1 ener- gia ; paralizzati i nervi sensitivi si intercettano le correnti cen- tripete che eccitano i centri accumulatori a sviluppare le correnti centrifughe; infine paralizzati i nervi motori, si arrestano queste correnti e quindi si abolisce in tutti tre i casi l’irradiazione del- l1 energia produttrice del calore. Così il ricambio materiale resta estraneo ed apparisce che non è in lui la sorgente del calore. Ma se non produce calore, è però sorgente di energia elet- Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVIII - Mera. X. 2 10 Prof. Antonio Curci [Memoria X.] trica, ragione per cui 1’ alimento è necessario, non come combu- stibile termogenico, ma bensì per fornire al sistema nervoso quel potenziale, che accumula, e che impiega a compiere le funzioni ed a produrre il calore necessario alla vitalità. Intanto se 1’ ossidazione dell’ alimento è sorgente di energia così importante alla vita, questo processo chimico alla sua volta è provocato dall’ energia nervosa, come è dimostrato dal fatto che in seguito alle resezioni o paralisi di un nervo si osserva l’atrofia e 1’ ipotermia della parte dipendente. È noto altresì che per la soppressione degli organi di senso, quale la vista , la produzione dell’ acido carbonico diminuisce (Moleschott), lo stesso all’ oscurità ; lo stesso nell’ anestesia , lo stesso nel raffreddamento della pelle ; vale a dire che dall’ aria e dagli agenti esterni è prodotta una energia, la quale va ai centri e di là riflessa , faccia aumentare i processi chimici ; in modo che quando è soppressa la sorgente viene a mancare que- sta energia riflessa. Così nella recisione o paralisi di un nervo motore, intercettate le correnti interne, si ha diminuzione nella parte di processi chimici e quindi di trofismo e termogenesi. Dunque 1’ ossidazione si compie mediante correnti riflesse emanate dal sistema nervoso. Cosa possono essere queste correnti se non di elettricità interrotta ? E allora visto questo e i risultamene delle esperienze, è giu- sto ammettere che il ricambio materiale è sotto la dipendenza del sistema nervoso, e si compie per semplice fatto di elettrolisi ; cioè tali correnti determinano la scissione delle sostanze alimen- tari combinate ad alcali o a sali minerali attraverso cui passano, i gruppi atomici risultanti vengono ad avere nel carbonio valenze libere, e così sono molto facilmente attaccabili dall’ossigeno e dagli elementi dell’ acqua, per cui ad un tempo si ossidano e s’ idra- tano fino ai noti prodotti finali. Perciò nel ricambio organico vi è una fase di scissione per elettrolisi, con assorbimento di ener- gia, in cui le valenze libere dei gruppi atomici che si separano sono soddisfatte dall’ elettricità che ricevono dal sistema nervoso; Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 11 e poi una fase di ossidazione e d1 idratazione in cui 1’ energia viene fatta svolgere di nuovo. Ed ecco come il sistema nervoso fornisce energia e promuo- ve il ricambio materiale, dal quale riceve moltiplicata l’energia data, ma sempre come elettricità e mai come calore. Gli altri fatti cbe dimostrano che la sorgente del calore non è nel ricambio materiale periferico, ma nei centri nervosi sono che quanto si irrita meccanicamente o chimicamente la corteccia cerebrale, o i corpi striati, o i talami ottici, o la protuberanza o altra parte dell’encefalo si ha una notevole ipertermia, nella quale i processi chimici, tanto decantati, non sono minimamente alterati. Anche le irritazioni sui nervi sensitivi delle estremità, per azione centripeta, eccitano i centri detti termogeni e le stesse irri- tazioni del midollo spinale hanno gli stessi effetti. Questa ipertermia per azione diretta sul sistema nervoso dà il crollo completo alla teoria termochimica e dimostra, che l’irri- tazione proprio là nella sede fa svolgere le abbondanti correnti di azione centrifughe, le quali, svolgendosi senza scopo di com- piere un lavoro, si trasformano in calore. Quello che pareva inesplicabile e meraviglioso che anche la stessa energia, che il sistema nervoso è capace di produrre ad ogni eccitazione e che costituisce la sua complicata funzione, cioè quella prodotta dagli agenti morali e psichici, quando sono intensi e anormali, produce ipertermia. 1 numerosi e strani casi di febbre nervosa lo attestano: di questi ne riparliamo appresso. La teoria chimica in questi fatti non ha ingerenza alcuna, e si deve riconoscere che il meccanismo è tutto tisico : sono fìsici gli agenti morali che eccitano e disordinano la elettrogenesi, come fisica è la produzione del calore. Non sono meno meravigliosi i fenomeni d’ipertermia per eccitazione dei centri nervosi data da diverse sostanze : i sali di ammonio e i sali di sodio, di litio, la veratrina, la midaleina, la cocaina, la giusquiamina, l’atropina, la stricnina e molti altri convulsivanti, talvolta la chinina, l’urea, la canfora e tante altre. 12 Prof. Antonio Curci [Memoria X.] Questi agenti ipertermizzanti, quando sono a dose piccola eccitante, ma ipotermizzanti quando sono a grandi dosi tossiche paralizzanti, vi producono nei centri encefalici un intenso ecci- tamento cioè lo svolgimento di intense correnti di azione cen- trifughe le quali, anche quando non producano le convulsioni per forti contrazioni muscolari, danno ipertermie notevoli. Con la curarizzazione o paralisi per altro agente non si ha più l’i- pertermia e la convulsione, perchè viene soppressa la produzione centrale e la irradiazione delle correnti. Nel caso dei convulsivanti si è creduto che le convulsioni fossero la causa dell’ ipertermia; non essendo di conoscenza co- mune, che in ogni funzione, come nella contrazione muscolare vi è consumo di energia e che il calore, che vi si produce in tali circostanze proviene dalla eccessiva energia che s’irradia alla periferia dai centri e che non può essere consumata tutta in un lavoro. In molte funzioni e specialmente nella contrazione musco- lare vi è molta produzione di calore, come è noto a tutti, come si osserva sempre; ora se per l’atto meccanico della contrazione vi è assorbimento di energia, è certo che intense correnti di azione percorrono il muscolo e queste determinano l’elettrolisi delle sostanze nutritive, che scisse sono più ossidabili e aumen- tano il contenuto delle sostanze riduttive. In questa scissione vi è assorbimento di energia , che perciò dovrebbe seguire abbas- samento di temperatura, come talvolta si osserva dopo lungo lavoro. Ma le sostanze riduttive avide di ossigeno lo assorbono di più dal sangue e perciò si ha maggiore ossidazione relativa, questa trasmette ai centri correnti di azione centripete che non esistono nel riposo e che riflesse si aggiungono a quelle centri- fughe primarie e aumentano la sorgente del calore. Questa ossida- zione però non è mai sufficiente a produrre l’intenso riscaldamento generale, perchè relativa alla quantità dell’ossigeno portato dal sangue, anzi non è completa, per cui nel muscolo affaticato le sostanze riduttive incompletamente ossidate aumentano, non ar- Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 13 rivando ad ossidarsi tutte, ed il muscolo ha capacità contrattile fino a quando non ha esaurita la provvista delle prime sostanze e consumato tutto il suo potenziale o carica di riposo. È per que- sto che dopo una fatica eccessiva si ha abbassamento di tempera- tura, si ha grande stanchezza e si ha bisogno di riposo, durante il quale il sangue leva il materiale consumato e fornisce uno nuovo. Una parte del calore nel lavoro proviene dall’ energia precedentemente accumulata nei centri nervosi. Come si vede nella contrazione muscolare, l’ossidazione è aumentata relativamente, il sangue arterioso stesso diventa meno ossigenato e l’energia che nasce da questa è trasmessa dai nervi ai centri per aumentare la calorifìcazione dopo riflessa, ma non vi rimane nel muscolo. Così negli accessi convulsivi, l’ipertermia precede e segue le convulsioni, non è dipendente, è invece un fenomeno conco- mitante. Dunque anche nella contrazione muscolare l’aumento della calorifìcazione è di origine riflessa ed i processi chimici riman- gono estranei ad essa. Negli organi della vita vegetativa, come il fegato ed altre glandole vi è un riscaldamento locale durante la funzione, dove quindi parrebbe vi fosse termogenesi diretta. Sarebbe così se detti organi non avessero il loro sistema nervoso del gran simpatico con centri periferici nei gangli e nei diversi plessi ; ma essen- doci questi con nervi centripeti e centrifughi, il lavoro chimico che in essi si compie sotto l’eccitamento riflesso come nelle glan- dole salivari e nelle altre del tubo gastroenterico, produce ener- gia che va ai rispettivi gangli, ivi è riflessa alle stesse glandole dove si trasforma in calore. Nel fegato, quando nel periodo- della digestione vi arrivano le sostanze alimentari, si formano delle combinazioni e trasformazioni chimiche, la cui risultante energia percorre l’arco diastaltico e subisce la stessa trasformazione ter- mica. Eppure gli stessi fenomeni chimici pare che non si com- piano senza il sistema nervoso, come lo dimostrerebbe la cele- 14 Prof. Antonio Olirci [Memoria X.] bre esperienza di Bernard, in cui la puntura del 4° ventricolo nel midollo allungato determina il diabete, per la ragione che viene a* mancare la formazione del glicogene (combinazione del glucosio cogli albuminoidi) e forse di altre, quale la formazione dell’urea ecc.. Questo fatto ci conduce a costruire un’altra teo- ria sulla termogenesi epatica; cioè : le sostanze alimentari quando arrivano nel fegato solamente per contatto eccitano i nervi cen- tripeti; l’energia riflessa consecutiva determina il chimismo com- plicato del fegato, che alla sua volta produce energia secondaria, la quale addizionandosi, nei gangli alla primaria, vi fa aumen- tare il calore. Così la termogenesi epatica si compie come nelle altre glandole e come nei muscoli e si mantiene elevata; la dif- ferenza consiste solamente nel diverso sistema nervoso, che per gli organi della vita vegetativa è più circoscritto ai diversi plessi e per quelli della vita animale è generalizzato a tutto il sistema cerebro-spinale. In questo modo si avrebbbe la termogenesi localizzata pro- pria a ciascun organo. E così pure nella infiammazione di qualche parte o tessuto, * lo stimolo flogosante sviluppa energia, la quale riflessa dai plessi pervasali oppure nel gruppo delle cellule irritate rimanendo tra- sformata in calore per non poter essere assorbita come potenziale latente o dispersa perchè eccessiva, infiamma e aumenta la tem- peratura locale. Quindi dovunque si gira lo sguardo si trova che il calore non proviene direttamente dai processi chimici , ma da trasfor- mazione fisica dell’ energia elettrica mediante il sistema nervoso, sempre come atto riflesso. Ma la nostra curiosità sul congegno meraviglioso della bio- dinamica (energetica) (1) e specialmente della termogenesi trova (1) Intendo per Biodinamica quella parte della Fisiologia, la quale studia 1’ origine, la genesi e la natura dell’ energia, la quale anima ogni organismo vivente ed il modo come si trasforma e compie le diverse funzioni vitali. Questo è 1’ obbietto del mio libro. L’orga- nismo vivente e la sua anima. Curci. Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 15 altra soddisfazione nello studio del meccanismo di azione di molti agenti piretogeni , che lo sperimentalismo moderno ci lia fatto conoscere, contro i quali le teorie della termochimica fisiologica e quelle sulla patogenesi della febbre vi cadono e si dimostrano o incomplete, o inesatte o assurde del tutto. Vi sono, come è noto, molte sostanze solubili, estrattive di molti organismi micro e macroscopici, dette fermenti amorfi o enzimi, le quali, penetrate nella circolazione del sangue diretta- mente o per la via sottocutanea, vi producono una notevole iper- termia, senza convulsioni anzi con prostrazione e adinamia. Quest,’ ultima circostanza pare fatta apposta per eliminare la obbiezione della pretesa produzione del calore dalla contrazione e tonicità muscolare : così questa è condannata e messa fuori definitivamente. Ma come era naturale si pensò che questi fermenti, i quali determinano decomposizione con idratazione di sostanze albutui- noidi, o idrati di carbonio o grassi , e considerando che la ter- mogenesi fosse di origine chimica, essi nell’ organismo promuove- rebbero una specie di processo chimico fermentativo e da ciò la sorgente del calore anormale, la ipertermia. Ohe tali fermenti anche nel sangue e nei tessuti possano esercitare la stessa azione idrolitica con produzione del calore come all’ esterno è ammissibile , ma che la produzione sia di- retta senza il sistema nervoso è sbagliato. Perchè infatti curarizzando l’animale a cui si faccia 1’ inie- zione di un tale fermento, 1’ ipertermia fallisce. Allora dove van- no i processi di scissione e di idratazione Cosa ha che fare la paralisi dei nervi motori % I fatti sono fatti ed è inutile disco- noscerli se urtano con le preconcette convinzioni. Insomma avviene come negli altri casi ; cioè la scissione e idratazione, con o senza ossidazione, sviluppa energia non ter- mica, ma altra capace di essere all’istante trasmessa ai centri, cioè la elettrica, la quale fa svolgere dai centri intense correnti di azione centrifughe, senza scopo di lavoro, indipendenti dalla coscienza, 16 Prof. Antonio Curci [Memoria X.J nè provenienti dagli organi di senso esterni, le quali si trasfor- mano in grande calore irradiante attraverso la cute e da ciò la ipertermia. Il senso di prostrazione , la incapacità al lavoro , la debo- lezza e la stanchezza sono sensazioni anormali in seguito al pro- cesso chimico idrolitico nei tessuti e alla perdita da parte degli organi del potenziale o carica di riposo. Quindi se questi agenti ipertermie! determinano un fatto chimico direttamente e non pertanto la ipertermia non può avere luogo senza il sistema nervoso, vuol dire che è effetto ri- flesso elettrotermico. Dopo ciò , quale prova maggiore si voglia pretendere per accettare la mia teoria sulla termogenesi in ge- nerale e sulla natura della febbre in particolare ? Solo una ge- losia ed invidia personale , l’ ignoranza coperta da musoneria , 0 il non vedersi d’ accordo coi propri pregiudizi può impedirlo. Andando avanti per la nostra strada , senza preoccuparci della presunzione umana , abbiamo ancora da esaminare altri agenti che possono penetrare nella circolazione del sangue e cioè 1 microbi e i protozoi. Se molti di questi esseri agiscono chimicamente per le tos- sine, ed i fermenti che producono, tutti però, ed alcuni esclusi- vamente senza alcun prodotto fermentante, agiscono meccanica- mente per atto di presenza o di contatto, come corpi estranei semplicemente, con una circostanza di più che essi si muovono, si nutrono, e proliferano negl’ interstizii o anche talvolta nelle cellule. È da questo punto di vista che ora dobbiamo conside- rarli, avendo già studiato F ipertermia prodotta dai fermenti. Come è noto essi producono F ipertermia tutte le volte che si versano nel sangue o che s’ infiltrano nei tessuti. Si sa che il pensiero dei Patologi è andato a supporre un aumento dei processi chimici termogeni, a cui sono seguite nu- merose ricerche per stabilire se vi fosse o non questo aumento. Siccome ripugnava ammettere una semplice azione meccanica di contatto e poi si sono scoperti i fermenti dai microbi prodotti, Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 17 così si è Tenuti alla conclusione che agissero per mezzo di questi. Ma vi sono microbi e protozoi, come quei della malaria, che non producono tossine , non pertanto producono ipertermia. Eccoci innanzi ad una grande incognita , che è aumentata ancora dal fatto che, con la previa paralisi curari ca manca, la ipertermia. Ci spiana la via alla soluzione di questo problema le espe- rienze fatte iniettando nel sangue corpuscoli inerti sospesi in acqua, quali amido, licopodio, carminio, latte ecc. (Ughetti), in cui si osserva seguire una forte ipertermia, la quale dura finché nel sangue vi sono i corpuscoli. Anche qui si è invocata la teoria chimica dell’ aumento dei processi chimici per opera dei corpuscoli e si è concluso che allo stesso modo agissero i microbi. Ma anche qui la previa paralisi curari ca ha messo lo scom- piglio, perchè anche in questi casi essa impedisce la ipertermia, come ha veduto Isaac Ott. Dunque anche qui il sistema nervoso mostra la sua importanza e l’inevitabile suo intervento. Sempre la solita difficoltà insormontabile dalla ipotesi chi- mica, e sempre la stessa domanda cosa ha che fare esso sistema nervoso coi processi chimici aumentati'? Inevitabilmente la mia teoria sola dà ragione di questi fatti ed è sempre la stessa, come in altre circostanze normali o non, che io non starò a ripetere. Intanto, l’ ipertermia, in seguito all’iniezione nel sangue di corpuscoli inerti, ci fa conoscere un nuovo ed inaspettato fatto; cioè che ogni cellula anche dalla via del sangue internamente si irrita per azione di contatto o di strofinio meccanico con cor- puscoli inerti, anche senza produrre fermenti. È noto che una cellula o nervo o muscolo, per azione mec- canica di qualunque forma, come per azione fisica e chimica, ma- nifesta al galvano metro una corrente di azione in proporzione della intensità dello stimolo, la quale corrente produce il pro- cesso di eccitamento e finisce per produrre anche del calore, quando non può tutta essere impiegata in un lavoro meccanico Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Mem. X. 3 18 Prof. Antonio Curei [Memoria X.] 0 chimico. Questo appunto fanno nell’ interno dei tessuti e de- gli organi i microbi, i corpuscoli del sangue , le polveri inerti ed altri corpi estranei, penetrati dall’esterno o formatisi nel san- gue. Strisciando nei capillari, vi destano anormali correnti di azione centripete dalla periferia e centrifughe dai centri , che pei nervi motori si irradiano trasformandosi in calore. Si capi- sce da ciò perchè la paralisi curarica impedisce la ipertermia , perchè interrompe la conduzione e quindi l1 irradiazione. Stabilito ciò, resta in ultimo a vedere in generale se nelle ipertermie da microbi o da fermenti e altro vi siano aumentati 1 pretesi processi chimici termogeni. Premettiamo nel far ciò alcuni dati sul ricambio materiale organico, il quale consiste: 1° nell’assorbimento di sostanze nu- tritive per attrazione trofica (Pfluger) o tropismo trofico posi- tivo e non per supposta combinazione, in cui può esercitarsi azione eccitante dalle dette sostanze, che porta a produzione di energia (elettrica e non termica); 2° scissione elettrolitica di dette sostanze in cui vi è assorbimento di energia, in quantoc- cliè le valenze libere del carbonio e dell’idrogeno acquistano la carica elettrica corrispondente e così sono avide di ossigeno , presente sempre nel sangue in data misura ; 3.° ossidazione e idratazione, in cui vi è produzione di energia (elettrica e non termica) (1). Per la ragione che l’energia, che si svolge da questi processi chimici, come da ogni altro processo, è elettrica e non termica, è necessaria per la termogenesi l’esistenza del sistema nervoso con- duttore ; giacché se fosse primitivamente energia termica, questa si manifesterebbe subito senza bisogno del sistema nervoso anche quando fosse paralizzato, il quale come abbiamo visto interviene (1) È degno di nota il fatto osservato nella Clinica del Prof. De Renzi a Napoli che sotto l’influenza di forti correnti galvaniche, si aumenta la eliminazione dell’azoto sotto forma di urea, rimanendo invariata la quantità totale dell’azoto, e si aumenta in generale l’ossi- dazione organica (Reale e Velardi) ; ciò che dà un appoggio alla nostra teoria , che am- mette correnti elettrolitiche. Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 19 sempre in tutte le circostanze normali e patologiche , e anche perchè la elettricità e non il calore ha la proprietà di propa- garsi con quella grande velocità necessaria, per mezzo di buoni conduttori quali sono i nervi. Le molteplici ricerche, fatte sul ricambio materiale nella ipertermia sperimentale o in quella febbrile per diverse malat- tie, danno in generale che l’ossigeno assorbito e l’acido carbonico eliminato aumentano lino ad un certo punto; ma però non sem- pre, anzi molti autorevoli osservatori l’hanno trovato diminuito o inalterato in molti altri casi più o meno simili. Non si è trovato un rapporto costante tra il grado d’iperter- mia e lo scambio gassoso pul inoliale : talvolta tale scambio è appena superiore a quello della convalescenza, malgrado una ipertermia molto marcata. Altre volte il detto scambio aumentato nelle febbri non molto intense e nei primi giorni, è diminuito in quelle gravi o nei giorni consecutivi, in modo che è in ragione inversa della gravità del male e non in ragione diretta dell’ ipertermia. E noto poi che nelle ipertermie puramente nervose, quelle da emozione morale, da isterismo, ascetismo ecc:, lo scambio gassoso, come altri fatti del ricambio materiale, resta inalterato, o anzi diminuito. Qui, se la febbre derivasse primieramente dalla ossidazione, questa dovrebbe essere aumentata sempre in proporzione della produzione termica. Se la causa ipertermizzante promuovesse lo aumento della ossidazione e con ciò la maggiore produzione del calore, non dovrebbe mancare mai, anche quando si paralizzasse 1’ animale con curaro o altro agente paralizzante od anestesico, e la temperatura normale non dovrebbe conservarsi nei lunghi digiuni. Quante persone di spirito, nervose e piene di fervore in una fede od in un ideale sopportano scarsa alimentazione o man- canza completa, lavorando e soffrendo senza raffreddarsi ? Anzi ! li errore sta nel volere considerare 1’ aumento dell’ ossida- zione, qualora vi sia, quale causa della ipertermia e non vice- 20 Prof. Antonio Curai [Memoria X]. versa come effetto della stessa e della causa febbrigena; giacché è stato osservato che 1’ aumento dello scambio gassoso si pro- duce e si mantiene anche quando si eleva la temperatura del- F animale con bagno caldo avanti la febbre. Per liberarsi da questo erroneo preconcetto basta riconoscere il fatto fondamentale , che abbiamo visto e stabilito , cioè che l’aumento dello scambio gassoso e di tutto il ricambio materiale dipende dall’ energia del sistema nervoso , eccitato dall’ agente febbri geno meccanico, fìsico o chimico e non da questo diretta- mente ; onde è chiaro che quando il sistema nervoso si trova in grado di eccitarsi (atto a svolgere correnti di azione) si ha pro- duzione di calore , e se ciò non è , come nei casi gravi , si ha 1’ algidismo, sebbene 1’ agente agisca con più vigore. Se non fosse così, nei casi gravi, in cui però il sistema ner- voso lotta , negl’ individui denutriti ed esauriti non si avrebbe nello stesso tempo alta ipertermia e basso scambio gassoso. Il consumo organico e la termogenesi dipendono dal siste- ma nervoso anche per il fatto comune ordinario che aumentano nel lavoro, diminuiscono nel riposo ; giacché in questo cessano le correnti di azione centrifughe del sistema nervoso animale (quelle che determinano la scissione elettrolitica e cioè il consu- mo organico e che si trasformano in calore) , d’ onde la neces- sità per ogni animale di difendersi dal raffreddamento durante il sonno, ad onta che proseguino a svolgersi le correnti nel si- stema vegetativo necessarie per la respirazione, circolazione e ter- mogenesi locale. In questo frattempo si compie la ristorazione organica e non pertanto la termogenesi si abbassa. Invece nel- 1’ attività vi sono le correnti di azione centrifughe , per cui si aumenta il consumo e la termogenesi, i quali due fenomeni sono concomitanti e indipendenti tra loro, ma 1’ un F altro s’ influen- zano sempre mediante il sistema nervoso a cui sono direttamente sottoposti. Oltre di ciò, del ricambio organico, solamente 1’ ossidazione del carbonio e dell’ idrogeno potrebbero produrre calore, mentre Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 21 la previa scissione elettrolitica assorbe energia (legge capitale della Fisico-chimica;; e secondo è stato dimostrato da Berthelot e Petit, all’ opposto di quanto si crede, le sostanze azotate nel- 1’ organismo nel trasformarsi sino alle finali forme di estrattivo ed urea non sviluppano calore, perchè l’azoto non si ossida ma forma ammonio (ione a d cariche elettro posili ve dell’ idrogeno) prima di passare ad urea, in cui vi è eliminazione di due mo- lecole di acqua dal rispettivo carbonato. Nelle ipertermie si è osservato spesso, ma non sempre, au- mento dell’ urea , delle sostanze uriche , di sostanze estrattive incompletamente ossidate e acide , di pigmenti ecc. , ma non costantemente, variabili, più evidenti nei primi giorni , in se- guito poco o non rilevanti e mai in proporzione della curva termica. Perciò neanche da questo lato è possibile ammettere l’origine chimica della ipertermia. D’altra parte, le modificazioni del sangue nelle febbri, quali la diminuzione degli ematoblasti e dei corpuscoli rossi nell’acme della febbre (Haveui); viceversa 1’ aumento dei corpuscoli bian- chi; la diminuzione della capacità respiratoria del sangue e del- l’attività ossidante dell’emoglobina o consumo di ossigeno del sangue nei tessuti, in ragione diretta dell’elevazione della tem- peratura (Henocque) ; la diminuzione dell’ acido carbonico con- tenuto, osservata in malati febbricitanti come in animali inqui- nati con colture virulenti ; infine la diminuzione dell’ alcalinità del sangue, mentre talvolta spesso sono aumentati i prodotti di consumo, i suddetti fatti dico, mai in proporzione della iperter- mia, depongono a sfavore della termogenesi chimica, e dimo- strano che l’ossidazione non è proporzionata alla decomposizione, più o meno anormale , causata dalla ipertermia e dall’ agente patogeno per mezzo del sistema nervoso o anche direttamente. E qui è importante notare, che quando 1’ agente patogeno non agisce in nessun modo sul sistema nervoso non produce febbre, ma solamente produce una infiammazione o altra lesione locale senza ipertermia generale. Per tale ragione si hanno ma- 22 Prof. Antonio Curci [Memoria X.] lattie con o senza febbre; anche si hanno gli stessi processi mor- bosi, differenti solamente per forma , intensità e sede , talvolta con febbre e tal’ altra senza; si hanno importanti alterazioni del ricambio materiale , che decorrono senza ipertermia giusto ap- punto quando e dove dovrebbe esserci, se fosse vero che la ter- mogenesi avesse origine da esso. Questo è il colmo dell1 ironia. Per me basta. Una volta che la termogenesi è un atto riflesso, che si pro- duce in seguito ad uno stimolo esterno ed interno, l’alimento è necessario solamente perchè da esso il sistema nervoso, ossidandolo, attinge una gran parte di energia di cui abbisogna per le fun- zioni e per la termogenesi, e non serve direttamente a produrre calore come pare di essere e vi si crede (1). E siccome l’alimen- tazione non è che una delle molteplici sorgenti di energia, di cui 1’ organismo dispone, così talvolta può per qualche tempo farne a meno di essa, a parte il consumo del materiale immagazzinato. Quindi concludiamo che la termogenesi è una funzione ri- flessa del sistema nervoso, il quale trasforma in energia termica l’energia elettrica che attinge dall1 ambiente esterno ed interno. Intanto siccome varia l’ambiente esterno specialmente per la temperatura, così è necessario che la funzione riflessa termogene- tica debba variare a seconda la temperatura esterna. Da ciò due ordini di animali : quelli che hanno temperatura variabile con- forme a quella esterna (eterotermi), e quelli che l’hanno costante ad onta che quella esterna varii in più od in meno (omeotermi). 1 primi all’abbassamento della temperatura esterna non su- biscono eccitamento per il freddo, e perciò non producono calore, onde si raffreddano in proporzione e cascano in torpore e letargo invernale (ibernazione). La loro termogenesi è limitata, s1 indebo- lisce sempre più al raffreddamento, e perciò non può compensare le perdite del calore; essi quindi si assiderano nello inverno. (1) Questa teoria ha il pregio che non urta colle leggi termochimiche stabilite, le quali sebbene esatte, calcolano il principio e la fine e lasciano oscuro l’intermedio, che vieue ri- schiarato da essa. Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 23 Al ritorno del calore primaverile essi si riscaldano come in una stufa, allora il sistema nervoso si eccita ed alla sua volta eccita il ricambio materiale e 1’ ossidazione. Un certo grado di calore (1) è condizione indispensabile a che ogni cellula sia ec- citabile, cioè atta ad acquistare energia, che accumula come po- tenziale, ed a svolgere correnti di azione per eseguire le funzioni. Negli animali ibernanti pare che vi manchi nella loro cute un sistema nervoso eccitabile al freddo, atto ad elettrizzarsi e ad ec- citare il sistema nervoso centrale. Negli animali omeotermi invece, i nervi cutanei per adatta- mento si elettrizzano in modo speciale al freddo dell’aria, per cui si eccita il sistema nervoso centrale, donde si svolgouo cor- renti di azione centrifughe , le quali aumentano la scissione e 1’ ossidazione e spingono 1’ organismo a maggiore attività, onde produrre più calore per sopperire alla maggiore perdita. Al contrario quando si eleva la temperatura esterna, dimi- nuisce P eccitamento sulla cute e quindi nei centri nervosi, nel ricambio materiale e nell’attività animale , per conseguenza di- minuisce la produzione termica. E qualora per caldo esterno e insieme per maggiore produzione di calore interno, determinata da lavoro o altro, l’organismo si riscalda, in compenso si aumen- ta la irradiazione, si eccita la secrezione del sudore, la cui. eva- porazione insieme all’ esalazione pulmonare sottrae l’ eccessivo calore. Qui è necessaria abbondanza di acqua nel sangue. Così nell’un caso e nell’altro, nei climi nordici anche sino a 30° sotto zero (Nansen) ed in quelli tropicali oltre il 37° sino a 60° c. la temperatura animale si mantiene costante, forse oscillante infra qualche grado. Questo potere regolatore è dovuto al sistema nervoso, come è dimostrato dalle esperienze di Pfìuger, in cui tolta l’influenza del cervello e del midollo spinale, il ricambio è meno attivo (1) Il calore rende spostabili le molecole e gli atomi e li mette in movimento perchè rifornisce come calore latente la carica elettrica emessa nella combinazione precedente. 24 Prof. Antonio Curci [Memoria K.\ quanto più bassa è la temperatura dell’ animale, il quale si raf- fredda progressivamente avendo perduto il mezzo di produrre calore ; e dalle esperienze di Sanders-Ezn, di Senator, di Rroli- ring e Zunts, di Lehmann e quelle di Erler e Litten, clie quando le condizioni termiche esterne sono tali da alterare ed abbassare la temperatura interna e perciò di paralizzare almeno i nervi cutanei, allora si diminuisce l’eliminazione di CO2 ed il consu- mo di O , al punto che gli animali a temperatura costante si comportano come quelli a temperatura variabile. Il potere regolatore della temperatura si conserva quando la cute, è a temperatura normale o superiore , allorché questa possiede conducibilità e potere emissivo del calore, che vi si produce continuamente, coadiuvata dalla secrezione sudorale; in- vece il suddetto potere si altera se la cute viene raffreddata, al- lorché si abolisce la conducibilità ed il potere emissivo, non cliè la elettrizzabilità al freddo ed al caldo o alle variazioni di temperatura esterna. Da ciò si comprende che ne deriva una serie di disturbi da raffreddamento o da riscaldamento interno anormale. Di ciò in altro scritto. II. Ora che conosciamo cosa è la termogenesi animale ed il potere regolatore della temperatura, possiamo sapere cosa sia la febbre, non che il modo di agire delle cause che la producono o la aboliscono. Noi abbiamo veduto che i diversi agenti, atti a provocare la termogenesi, si dividono in quelli ad azione periferica sui nervi centripeti ed in quelli ad azione centrale, ma sempre vi agiscono irritando il sistema nervoso. Perciò la febbre, qualun- que sia la causa, è sempre di natura nervosa, diretta o riflessa a seconda dove agisce questa causa. Gli agenti febbrigeni sono meccanici, fisici e chimici e così Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre classifichiamo le febbri in triplice serie per la causa , essendo la natura sempre una. 1. Febbri da cause meccaniche. Per ordine d’ importanza e di frequenza Tanno dapprima ricordate quelle originate da mi- crobi, puri e semplici non atti a produrre tossine, o prescinden- do da queste, non che originate da plasmodii o altri corpuscoli estranei accidentali penetrati dall’ esterno o formatisi nel sangue. Questi esseri viventi, che si muovono e si riproducono nel sangue o negl1 interstizi dei tessuti, esercitano, quali corpi estra- nei, azione di presenza , di contatto meccanico sulle cellule , a somiglianza dei corpuscoli di amido, licopodio, carminio. D1 altra parte le cellule viventi dei tessuti, aneli1 esse quali protozoi elettrogenici, specialmente quelli nervosi, al contatto di quei nuovi intrusi, sviluppano anormale corrente elettrica di azione , per la proprietà fondamentale di ogni protoplasma di fare ciò sotto qualunque minima azione di ogni agente. Non fa bisogno di ripetere ciò che abbiamo detto a pro- posito della termogenesi , cioè che queste anormali correnti di azione, non prodotte dagli stimoli normali e perciò fuori biso- gno, senza scopo funzionale, si emanano dal sistema nervoso ir- ritato meccanicamente per contatto alla periferia o nei centri , e si trasformano in calore, che s1 irradia intenso attraverso la cute , dando luogo al fenomeno febbre , con tutta la sindrome relativa dei disturbi delle funzioni vegetative e animali, di cui abbiamo già parlato. Il plasmodio della malaria , lo spillilo della febbre ricor- rente sono i tipi di microbi febbrigeni ad azione meccanica e che senza produrre tossine e quindi senza agire chimicamente , si mostrano nel sangue durante l1 accesso. Così nella pulmonite. il pneumococco non si riscontra nel sangue che nel momento dello scoppio febbrile, al quale esso vi prende parte per azione meccanica sui tessuti nervosi. Si capisce che i microbi genera- tori di fermenti o di tossine agiscono in doppio modo : mecca- nicamente e chimicamente. Il microbo della resipola, il plasmo- Atti Acc. Serie 4ft, Vol. XVIII - Mera. X. 4 26 Prof. Antonio C 'urei [Memoria X.J dio (?) del vainolo infiammano la pelle, irritano i nervi cutanei e così producono la febbre. Le più tipiche di origine meccanica sarebbero le febbri trau- matiche , sia che il trauma accada sui centri o sui nervi peri- ferici , a condizione che produca irritazione diretta nel primo caso, riflessa nel secondo. Così nell’ apoplessia cerebrale, il traumatismo emorragico e 1’ azione meccanica, forse anche chimica del sangue stravasato, fanno svolgere 1’ enorme quantità di energia generatrice del ca- lore. ideilo stesso modo agisce una lesione o causticazione sulla corteccia cerebrale o su altre parti dell’ encefalo e del midollo spinale. E noto il fatto che conficcando un chiodo nel zoccolo di un cavallo, sorpassando 1’ unghia, si ha febbre generale, mentre que- sta manca se si recide il nervo della gamba (C. Bernard). La penetrazione di una spina in una estremità, se produce febbre , agisce pure per azione riflessa. Le fratture sottocutanee, lo scliok traumatico, la commozione, il cateterismo eco. : sono febbrigeni per lo stesso meccanismo. 2. Febbri da cause fìsiche. Queste sono molteplici e sono prodotte dalla stessa energia nervosa (elettrica) dell’ organismo, come nelle febbri da emozione morale, da isterismo , da epiles- sia, catalessia , tetano ecc. , da infiammazione o da calore o altra energia esterna. L’ energia che si produce nelle emozioni è fisica, cioè elet- tromagnetica, la quale si produce negli organi di senso nel mo- mento della sgradevolissima e penosa sensazione visiva, auditiva o tattile. In tali circostanze le correnti centripete eccitano nei centri le correnti di azione centrifughe e quello che segue. In sostanza agiscono come le cause traumatiche. Talvolta le correnti centripete paralizzano l’ inibizione e perciò si ha liberazione dell’energia trattenuta da quella nei centri eccitom otori. Nell’ isterismo dove vi è un’ accumulazione instabile di ener- Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 27 già, si ha P ipertermia per diminuita inibizione o forse per sug- gestiva aumentata produzione. Nell’ accesso epilettico, la corrente dell’ aura neutralizza istantaneamente tutta P energia inibitrice accumulata nei lobi anteriori , donde la perdita della coscienza , e perciò violenta scarica dai centri eccitomotori corticali e bulbari, donde con- temporaneamente o poco dopo P accesso convulsivo, ne segue la febbre. Così nell’ ipnotismo e nello stato catalettico, sospesa l’inibi- zione del soggetto, si può produrre la febbre. Appartengono a questa categoria la febbre da incubazione degli uccelli , da parto nei mammiferi , quella del latte nelle puerpere , della crescenza nei fanciulli. Le febbri infiammatorie debbono considerarsi prodotte da energia fìsica sviluppata dal focolaio infiammatorio , la quale agisce per via riflessa ; come p. e. quando si fa P iniezione ste- rilizzata di nitrato di argento sotto la cute o di tintura d’ iodio nella tunica vaginale, si ha una ipertermia sino a oltre 40* c. (Haack), e come egualmente succede determinando spandimenti sanguigni asettici nel peritoneo o nelle articolazioni (Pillon). In modo analogo si producono le febbri da patereccio o flemmone, la febbre della dentizione ecc. Nelle grandi infiammazioni di organi viscerali, o di sierose, la febbre può originarsi dal processo flogistico, quando questo è asettico, come nel reumatismo articolare, ma ha anche origine dal raffreddamento cutaneo e da infezione quando vi esiste. Vi sono casi di febbre da riscaldamento , come quando in clima caldo afoso in cui è ostacolata la dispersione cutanea del calore si esegue un forte lavoro sotto la sferza del sole, in cui vi è intensa produzione interna; per P uno e per P altro motivo si ha accumulo di calore nell’ interno, per cui la cute si sopra- riscalda, s’ infiamma quasi e diventa enormemente termoestesica e, in modo contrario all’ ordinario a moderato caldo ed in ri- poso, dalla cute parte una forte irritazione, la quale nei centri 28 Prof. Antonio Curci [Memoria X.] fa svolgere altre correnti, aggravando lo stato generale e produ- cendo una pericolosa ipertermia da insolazione o da strapazzo. Appoggia questa teoria il fatto die 1’ applicazione di acqua fredda ghiaccia scongiura il pericolo , perché abolisce il riscaldamento della cute e sottrae calore dall’ interno. Anche le febbri reumatiche o da raffreddamento cutaneo sono di origine fisica. È frequente e noto al mondo intero il fatto, che quando un animale, specialmente nel momento in cui è riscaldato per lavoro o per altro, se viene colto da improvviso raffreddamento cutaneo, è preso da reumatismo con o senza feb- bre, oppure da una febbre reumatica senza alcuna localizzazione flogistica apparente, dove invece vi può essere una endoarterite non sospettata e non diagnosticabile. È noto pure che in tali casi dopo una sudata o la provocazione di una diaforesi a letto, la febbre scompare e tutto rientra nel normale come per incanto. Come avviene ciò ? Per intenderci premettiamo il fatto che nello stato normale la cute a temperatura di 37°c. ed asciutta, possiede la proprietà di elettrizzarsi sotto la impressione delle variazioni rapide della temperatura dell’ aria, specialmente di quelle fredde come sotto ogni altra impressione di azioni meccaniche, fisiche o chimiche, per la qual cosa essa acquista un potenziale E. M. Per questo potenziale, come ogni cellula e tessuto, la cute attira sangue (tro- pismo trofico positivo) il quale mentre dilata i vasi vi porta ca- lore dall’ interno. In tal modo la pelle sebbene colpita da aria fredda, è iperemica e rossa e conserva la sua temperatura nor- male necessaria a conservare le sue proprietà elettrogeniche o vi- tali, che se sono massime nella gioventù e diminuiscono nella vecchiaia, si aboliscono più o meno quando la cute subisce un raffreddamento sia pur superficiale per prolungata sottrazione di calore. Le impressioni fredde elettrizzano e riscaldano a condizione che siano variabili e di breve durata, e che la cute sia asciutta. Perciò questo raffreddamento si ha specialmente quando la Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 29 cute è bagnata di sudore o di acqua ed è sotto una corrente di aria, la quale raffredda in due modi ; in uno favorendo 1’ eva- porazione, determina una intensa e rapida sottrazione di calore non possibile ad essere nell’istante compensato da altro irradiato dall’interno ; nell’ altro per il fatto che la presenza dell’ acqua sulla cute fa neutralizzare le due elettricità cbe vi si svolgono normalmente di continuo sotto la pressione, il movimento, ed i cambiamenti termici dell’aria (1), in cui l’aria prende la elettri- cità negativa e la pelle quella positiva, per cui non si ha elet- trizzamento e non si acquista potenziale E. M. E con ciò si abolisce il tropismo trofico, non si attira sangue e si aboliscono le correnti centripete di azione , quelle che eccitano il sistema nervoso a svolgere altre correnti centrifughe termogeniche e aumentare la produzione del calore , si contraggono i vasi cu- tanei, si arresta la dispersione del calore , che si accumula nel- 1’ interno. Con la pelle raffreddata gli animali omeotermi diventano pressapoco eterotermi, perchè allora nell’ ambiente freddo non si eccitano nè il ricambio materiale nè la termogenesi, i quali piut- tosto diminuiscono, e in quello caldo tendono ad aumentare in- vece che moderarsi ; insomma il rovescio del normale quando la cute ha 37 gradi di temperatura. Ciò che ho detto, essendo nuovo, può sembrare fantastico ; ma è invece positiva verità, basata sulle leggi della Eisica spe- rimentale e sulle osservazioni galvanometriche seguenti. Du Bois Reymond osservò una corrente derivata molto in- tensa tra la superficie cutanea esterna e quella interna, dalla pri- ma alla seconda cioè penetrante, la quale proviene dalla carica di riposo di quella elettricità prodotta dall’ azione dell’ aria sulla epidermide. Ma ciò nello stato di riposo, mentre nel lavoro con consecutivo riscaldamento della cute, si hanno correnti di azione (1) Questo fatto è generale a tutti i corpi in natura vivi o non ; nessun corpo si elet- trizza ed acquista un potenziale quando è bagnato. 30 Prof. Antonio Pur ci [Memoria X.] provenienti dall’ interno pei nervi centrifughi , cioè uscenti , le quali eccitano le glandole, trasportano liquido , umori e sangue alla pelle, e s’irradiano sotto forma di calore in massima parte, oltre quelle come ondulazioni elettromagnetiche. Secondo le ricerche di Meissner e di Stein, la superficie cu- tanea dell’ uomo presenta una tensione elettrica positiva, la quale può raggiungere in taluni casi una intensità considerevolissima, da ciò le persone elettriche. Mediante il galvanometro si è os- servato, che 1’ intensità delle correnti cutanee varia secondo la temperatura e l’umidità della pelle e cioè sono più intense quando la cute è più calda sia pur sudante e traspirante ; così pure l’os- sigeno le favorisce , mentre 1’ acido carbonico , gli anestesici ed il rafreddamento aboliscono dette correnti, perchè aboliscono la elettrogenesi. Visto ciò, si capisce perchè quando l’organismo per mag- gior attività produce molto calore, aumentandosi la dispersione cutanea si evita il dannoso accumulo; ma se in tal momento la cute viene raffreddata, si arresta la dispersione del calore, che si accumula nell’interno, s’invertono le correnti uscenti che si di- riggono nel sistema nervoso od in altri organi suscettibili di ri- ceverle. E regola, che sono più suscettibili di ricevere energia retrocessa dalla cute raffreddata, e perciò di ammalarsi, quelle parti od organi, che si trovano nel momento più riscaldate o in funzione o che abbiano una irritazione latente per pregresso reumatismo o trauma o altro, cioè che siano un locus minori# resistentiae. Il sistema nervoso in tale congiuntura viene a ricevere un eccitamento anormale, svolge in conseguenza una enorme quan- tità di correnti centrifughe , le quali non causate dalla volontà ad uno scopo funzionale, si trasformano in calore radiante dalla pelle e così si stabilisce il processo febbrile reumatico. Quando in caso di raffreddamento lieve, oppure di produ- zione moderata di calore, il sistema nervoso non viene assalito dalle correnti di energia retrocessa, ma che questa si concentra Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 31 in altro luogo di minore resistenza, si lia 1’ infiammazione reu- matica di tale luogo, ma non febbre generale. In ogni modo per aversi febbre bisogna che il sistema ner- voso centrale divenga sede forzata di correnti retrocesse dalla cute raffreddata. Questo fatto conferma la nostra teoria che la termogenesi animale è un atto riflesso del sistema nervoso e che ogni feb- bre è di natura nervosa. Al principio dell’accesso febbrile, l’irradiazione del calore trova ostacolo alla pelle nel momento che si produce il brivido, poi si stabilisce l’ irradiazione, in cui la pelle è arida ed ardente, e finalmente quando questa è ritornata a riscaldarsi, come nel- l’acme , si ripristina la sua conducibilità elettrica e quindi le correnti di azione uscenti, vi ritorna l’affiusso del sangue , si promuove la secrezione del sudore , si forma una specie di bagno caldo automatico, si completa la dispersione del calore e di ogni energia all’ esterno e così 1’ organismo si scarica dello eccesso di energia accumulata , si refrigera e col ritorno della temperatura al normale cade la febbre, in cui si ha una defer- vescenza talvolta di alcuni decimi o qualche grado più sotto. Mirabile natura medicatrice ! Essa ci insegna che il bagno caldo è un sovrano rimedio in moltissimi casi, meno quando vi è riscaldamento esterno. Per completare il nostro studio non posso trascurare di spiegare il meccanismo del brivido. Quando la cute è a temperatura normale e specialmente ad una superiore, ma asciutta, è molto sensibile al caldo, poco sensi- bile al freddo, e a quest’ultimo agente si ristora e si eccita senza raffreddarsi, perchè si elettrizza. Ma quando è umida , sebbene calda, la corrente di aria vi produce per due motivi un forte raffreddamento come abbiamo veduto, perciò quando siamo sudati istintivamente cerchiamo asciugarci, la quale cosa ci procura un piacevole refrigeramento senza raffreddamento, e a tutti è noto 32 Prof. Antonio Curci [Memoria X.] die asciugandoci a tempo opportuno in luogo chiuso, noi scon- giuriamo un pericoloso raffreddamento. Invece la cute quando è previamente raffreddata, è poco sen- sibile al caldo, per cui si conforta solamente ad un grado supe- riore all’ ordinario, che allo stato normale piuttosto recava mo- lestia; ma è invece sensibilissima al minimo freddo, che altra volta era gradevole e anzi si desiderava più intenso, cioè è af- fetta da crioestesia. In questo caso si sa che riscaldandosi la cute e riacquistando le sue proprietà fisiologiche, la sensibilità ritor- na al primiero stato. Premesso ciò, si comprende come all’inizio dell’accesso e nella fase ascendente della febbre, fino a quando la cute non si riscalda con lo stesso calore febbrile e coll’ aiuto di sufficienti coperture, essendo crioestesica notevolmente, l’aria ambiente an- che a temperatura mite e tiepida , come gli stessi indumenti indossati, produce sensazione molesta di freddo, donde nasce il brivido con o senza tremito, il quale dura fino a quando non si forma un’atmosfera sufficientemente calda attorno il corpo. Il brivido è per intensità e durata corrispondente al grado del raffreddamento e della crioestesia cutanea; perciò tutte le volte che vi è brivido vuol dire che al momento dell’ accesso vi è cute raffreddata; al contrario quando manca il brivido vuole dire non è più raffreddata e non più crioestesica, come avviene nell’ acme della febbre. Perciò, il brivido predomina nei primi giorni di febbre e manca in seguito. La crioestesia che manca nell’ acme , può riacquistarsi dopo la defervescenza. La crioestesia a pelle raffreddata è permanente quando non vi è febbre, come nell’ influenza ed altri raffreddori o affezioni reumatiche comuni. Perciò la febbre è una reazione salutare. Dunque, essendo aumentata la crioestesia e quasi abolita la termoestesia, il malato istintivamente fugge il freddo, cerca il caldo, si ripara sotto coperture pesanti (quando può), prende be- vande calde aromatiche eccitanti e si procura un’abbondante su- Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 33 data e diaforesi, a capo della quale febbre e processo reumatico sono finiti. Si capisce die iì bagno caldo prolungato sino a raffredda- mento è il migliore antitermico. Quanto più presto e più ener- gico si adotta questo metodo curativo, tanto è più efficace; esso ha l’ obbiettivo di fare riprendere alla cute le sue funzioni sop- presse dal raffreddamento. Da quan toVabbiamo detto il lettore potrà trarre altre utili indicazioni terapeutiche specialmente nelle malattie reumatiche. In queste febbri non fa bisogno di supporre l’ intervento di microbi e di tossine o di fermenti essudati dai tessuti o penetrati dall’esterno. Questi agenti possono bensì sopravvenire, stabilirsi e diffondersi sulle mucose, più o meno infiammate o assiderate, e poi penetrare nell’ interno. Il processo febbrile reumatico è sempre asettico almeno al principio e nei casi lievi ed ordinari, appresso può consecutivamente diventare infettivo , avendo il processo reumatico preparato il terreno all’ invasione di una in- fezione, come nella pulmonite, bronchite, gastroenterite ecc. E in tal modo che una infezione segue ad una causa reu- matizzante e pare determinata in modo inesplicabile dal freddo umido. Da ciò che abbiamo detto risulta pure che almeno la feb- bre reumatica è rimedio a sè stessa ; perchè riscaldandosi la cute , si favorisce la dispersione del calore accumulato e può uccidersi il microbo qualora vi sia. 3. Febbri da cause chimiche. Le sostanze che per azione chi- mica producono la febbre si dividono in due serie e sono in una i fermenti o zimasi o enzimi , e nell’ altra quelle sostanze che eccitano 1’ asse cerebro-spinale. È noto essersi conosciute delle sostanze speciali albuminoidi nei vegetali e negli animali, le quali scindono idratando, e tal- volta anche ossidando, gli idrati di carbonio, i grassi, i glucosidi, gli albuminoidi ed i tessuti viventi, non che sostanze organiche diverse per azione chimica catalitica. Da quest’ azione nell1 or- àtti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Meni. X. 34 Prof. Antonio Curci [Memoria X.J gariismo vi è svolgimento di energia elettrica e termica e se si esercita sugli elementi anatomici , vi è irritazione dei tessuti e specialmente di quello nervoso e perciò aumento della termoge- nesi e quindi ipertermia. I fermenti sono corpi albuminoidi solubili , combinati ad alcali o sali minerali, amorfi, non organizzati ma viventi, i quali, finché racchiusi nel protoplasma sebbene accanto alla sostanza fermentescibile, sono inattivi e non agiscono che quando sono liberi e disciolti. La diastasi dell1 orzo germogliato e specialmente l1 invertina, 1’ emulsina, la mirosina, la papaiotina, la rici na, T abrina, il fer- mento dell’ uva e della birra, quello delle euforbiacee, del fico, del Rhus radicans e molti altri fermenti delle piante noti ed ignoti , iniettati nel sangue o sotto la cute di un animale , vi producono una intensa ipertermia. L’ invertina p. e. eleva rapi- damente di parecchi gradi la temperatura degli animali ai quali s’ inietta ; alcuni decimi di milligr. per chg. determinano tosto un accesso di febbre (Roussy). II fìbrin-fermento, le albumosi (Bergmann, Angerer, Edel- berg) , le albumosi della digestione (Matlies) , di una coltura di Bacterium coli (Krelil), la pepsina (Hildebrandt) , una solu- zione di caseina di glutine (Bucliner), la pancreatina (Isaac Ott), la tubercolina di Kock , la tossina della difterite e di altri microbi patogeni ecc. : sono dei fermenti , i quali iniettati nel sangue o assorbiti da una mucosa o soluzione di continuità pro- vocano una intensa febbre , insieme ad una pericolosa azione tossica. I liquidi delle colture, sterilizzati e filtrati, contengono fer- menti e producono la febbre ; anche 1’ estratto acquoso dei te- sticoli necrobiosati , di altri organi malati ed anche di alcuni sani (fegato, milza, capsule surrenali) ; i globuli bianchi del san- gue, il pus, estratti di sostanze in putrefazione (carne, urina ecc.), i pigmenti delle urine (Mairet e Bose), le sostanze dializzabili delle urine, (le non dializzabili sono ipotermizzanti), producono Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 35 febbre per ignote sostanze fermentative o per azione irritante sul tessuto nervoso. I fermenti proteolitici possono attaccare i globuli del san- gue, o le cellule dei tessuti, fra cui anche quelle dei centri ner- vosi. Anche 1’ emoglobina e l1 ematina diffusa possono produrre ipertemia. Comunque sia, tutti producono ipertermia, la quale non si manifesta quando il sistema nervoso è paralizzato in qualunque sezione dell’ arco diastaltico o neurone, cioè : nei nervi sensitivi, nei centri o nelle estremità motrici, mediante i noti mezzi della vivosezione o di un agente paralizzante, ad onta che il fermento continui la sua azione catalitica nei tessuti. Abbiamo veduto che ciò avviene, perchè da quest’ azione chimica non si svolge direttamente calore , come erroneamente si crede, ma un’ altra energia, la quale riflessa dal sistema ner- voso alla periferia si trasforma ivi in calore. In queste febbri vi è mancanza di eccitamento muscolare, dal quale potevasi fare dipendere la maggiore produzione ter- mica ; anzi vi è senso di malessere, prostrazione, incapacità al lavoro, perchè il sistema nervoso perde anche il potenziale che teneva accumulato , il quale costituiva la forza della tonicità , di potenza ed attitudine al. lavoro, e il senso di benessere. L’insonnia, il delirio e poi il torpore, il coma, e talvolta i fenomeni di manìa e quelli più rari convulsivi , sono sintomi indicanti che 1’ agente patogeno (microbo o tossina) si è intro- dotto nei centri encefalici e spinali. Con 1’ alta ipertermia 1’ organismo cerca di combattere e distruggere il microbo e il suo fermento e perciò, siccome gli antipiretici indeboliscono il sistema nervoso , così ostacolano la vittoria dell’ organismo. Il bagno più o meno tiepido o poco fresco è il rimedio per eccellenza che sottrae calore e rinvigo- risce 1’ organismo ed eccita il sistema nervoso a produrre più energia colla quale possa liberarsi del suo micidiale fagozoa. In ultimo resterebbe a parlare di quelle febbri prodotte da 36 Prof. Antonio Curai [Memoria X.] veleni , i quali eccitano i centri cerebrali ed in conseguenza di ciò determinano V ipertermia , sino ad una data dose , oltre la quale paralizzando per alterazione tìsica o cliimica gli stessi cen- tri, determinano infine ipotermia : si capisce che la dose è molto relativa. Ne abbiamo già parlato nello studio della termogenesi e del modo come tali agenti producono l1 2 ipertermia ; ci resta di ag- giungere qualche cosa riguardo alla natura della loro intima azione. Abbiamo veduto che le convulsioni da essi provocate non sono generatrici di calore, e che tanto le forti contrazioni mu- scolari convulsive, quanto la ipertermia sono fenomeni concomi- tanti, indipendenti tra loro ed ambedue generati dalla energia intensa, che viene sviluppata dai centri sotto l1 azione di tali agenti. La tetani na, la midaleina, la cocaina, la giusquiamina, l’a- tropina, la veretrina , la stricnina , la chinina (1) e analoghi , la canfora ecc. , i sali di ammonio, di sodio e di litio oltre le convulsioni producono ipertermia, per azione eccitante sulla cor- teccia cerebrale o su altre parti del cervello , del bulbo e del midollo spinale (2). Ognuno di questi composti agisce come tutto un ione com- plesso elettropositivo per T idrogeno ammonico o ammidico, iini- dico, ossimico , fenolico , alcoolico ; per cui elettrizza per indu- zione la cellula nervosa, colla quale viene in contatto, cioè rende manifesto il potenziale latente o carica di riposo della cellula sotto forma di energia attiva o corrente di azione , e come stimolo anormale straordinariamente superiore a quei normali portati dal sangue, determina la scarica violenta di intense correnti centri- fughe, le quali producono le forti contrazioni muscolari ed il (1) La febbre cbinica del Prof. Tomaselli dipenderebbe dall’ azione della chinina e da quella dell’ ematina diffusa nel plasma. (2) Cunei — Azione fisiologica del sodio, idem del litio, in corso di pubblicazione. Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre 37 calore. Quando il potenziale si esaurisce e le sue sorgenti sono del pari esaurite , ne segue la paralisi per esaurimento oppure senza di ciò per azione dell’ idrocarburo fondamentale, il quale sopprime ogni dinamogenesi e abolisce ogni conduzione (1). Le convulsioni le quali sono ad accessi, a scosse e a scari- che intermittenti, significano che 1’ elettrizzamento fa aumentare la carica latente di ogni cellula, e quando la detta carica rag- giunge una elevata tensione scoppia violentemente, dando luogo ai noti fenomeni convulsivi ed ipertermici, come pure indicano che la corrente derivata da quelle scariche è corrente interrotta, alternativa, come quella data da un rocchetto Ruinkoff. Perciò l’azione di questi agenti è in sostanza di natura fi- sica , cioè elettrica, ma che viene considerata appartenente alla misteriosa ed ignota azione chimica (2). Qui facciamo punto al nostro studio , che io ho cercato di esporre in modo più breve possibile, ma che meritava maggiore svolgimento , specialmente nei punti riguardanti la Elettrofisio- logia e la Fisica biologica ; ciò in altro scritto. Possiamo concludere che la febbre è di natura nervosa, co- me nerveo-elettrica riflessa è la termogenesi, e che il chimismo organico non produce direttamente calore come si è creduto da Lavoisier a noi, ma bensì energia elettrica, che si accumula nel sistema nervoso, dal quale è trasformata nelle diverse funzioni, tra cui la termogenesi (3). La pila congiunta ad un accumulatore rappresenta lo sche- ma dell’organismo; in quantoccliè, in questo le cellule sono le pile per cui i tessuti e gli organi costituiscono delle immense batterie di pile, ed il sistema nervoso ne è il potente e meravi- (1) In un prossimo lavoro svilupperò la teoria dell’ azioue biologica dei farmaci. (2) La pretesa azione chimica è azione fisica effetto dell’ attrazione della materia , e la così detta energia chimica per me non esiste. (3) A somiglianza del radio, il quale da una parte riceve l’energia dall’ ambiente ester- no e dall’ altra la emette sotto forma di raggi elettromagnetici, di raggi luminosi, di raggi termici e di altra natura. 38 Prof. Antonio Curci [Memoria X.[ glioso accumulatore, per cui opera le diverse funzioni ed anche i fenomeni straordinarii miracolosi, ma sempre fìsici e naturali. Dal nostro studio risulta che vi sono febbri infettive e febbri asettiche, ma sempre col mezzo del sistema nervoso, e non im- porta che la mania del microbismo e chimismo, attraverso il mi- croscopio della fantasia suggestionata, voglia vedere da pertutto non altro che microbi e fermenti coi relativi antisettici posticci, e faccia mettere ostacolo al riconoscimento della verità e dello errore in cui si è caduto. È tempo di persuadersi che era una chimera quella di vo- lere ostinarsi a cercare la causa e la natura della febbre in un alterato chimismo, come 1’ origine del calore animale nella com- bustione organica. Ed io posso dire altamente che il chimismo per i Fisiologi e Patologi moderni, come causa e ragione della vita normale e patologica, equivale alla famosa pietra filosofale degli Alchimisti, che non è mai esistita. La Eisica e la Fisico-chimica saranno la base della nuova Fisiologia che sorge. Nel mio lavoro «L’Organismo vivente e la sua anima » (1) si dimostra ciò che è la vita, quale 1’ energia, la quale crea 1’ organismo e promuove le funzioni vitali, fra cui la termogenesi ed il fenomeno febbre, il cui studio abbiamo gros- solanamente abbozzato. Dal Laboratorio di Farmacologia Sperimentale della R. Università Catania Dicembre 1904. (1) Per meglio comprendere la nostra teoria confrontare questo mio libro edito da Al berto Reber. Palermo — Corso V. E. Memorisi XI Dott. FRANCESCO D’AMICO Sulla varietà quartica con tre piani semplici dello spazio a quattro dimensioni RELAZIONE della Commissione di Revisione composta dai Soci effettivi Proff. Giuseppe Lauricella e Mario Pieri ( relatore ) In questo Saggio si studiano, sotto 1’ aspetto proiettivo, certe i p e r- su perfide quart ielle dell’ notevoli per possedere tre piani semplici sghembi e un numero finito di punti doppi. Il principale strumento di ricerca è fornito da una elegante rappresen- tazione birazionale della varietà sullo spazio ordinario, attraverso il complesso del 1° ordine di tutte le rette dell’^ che incontrano i tre piani dati. L’ a. ri, solve altresì con lodevole diligenza il problema inverso, di asse- gnare a priori nello spazio ordinario un sistema lineare co4 di superficie, atto a definire projettivamente una varietà razionale della specie suddetta. Ogni ipersuperficie del 4° ordine (nell’ $4) contiene almeno oo1 rette , queste, nel caso qui tolto a studiare, si distribuiscono in otto superficie rigate: di cui 1’ a. (tra molte altre cose) determina i principali caratteri geometrici e le mutue relazioni — superando ingegnosamente alcuue difficoltà non comuni. La Commissione è di parere, che questo lavoro — sebbene d’indole speciale e monografica — offra un sufficiente interesse, sia per la qualità del soggetto (dove ben pochi sono ì fatti generali che si conoscono) sia per la serietà ed importanza delle quistioni trattate: e perciò ne propone la stampa negli Atti dell’ Accademia. § 1. — L’ equazione generale di una ipersuperficie quartica 1, pas- santi per tre piani dati ad arbitrio itcl), % 2), 7t(3) ; e V equazione ge- nerale di una tal varietà contiene ancora ventisette parametri ( non omogenei) ». § 2. — Se i piani rc0i, tz(3) sono ad es. : 7t(1j = (x j — 0, x2 — 0), tz(2) ’=z (®4 — x . — 0), tc(3) ■= ( x2 = x3 ~~ xp ; e se sono funzioni omogenee delle xA, x. di grado uguale ad i , vale a dire : V equazione generale di una $4 come sopra prende la forma : B i = b(0l) x\ -]- b[L) x\x £C5 — )— (1) I A3 xl — }— B3 x2 — 0 ; dove i coefficienti sono legati fra loro dalle relazioni : &0 ~\~ c0 a0 ^1 C1 ai • a2 0 (2)' ( Se ora si pone : v — ■ x22 0L -f- x2 (x3 Bl-\- D2) xl Ki-ir x3 E2 -|- B3 , 1’ equazione assegnata per è generabile mediante i due fasci progettivi (3) x2 -)- X — 0, (4) u — X v — 0, l’uno di iperpiani passanti per x(1) , V altro di ipersuperficie cubiche contenenti tutte (come è facile scorgere dalle (2) ) i piani n(2) e ed una certa superficie del settimo ordine , che indicheremo con p.7 ». § 3. — Un iperpiano variabile nel fascio, che ha per sostegno %a (i = 1, 2, 3), sega ulteriormente la varietà secondo una su- perfìcie cubica, La quale incontra alla sua volta x((. lungo una cubica piana, contenente i due punti ove %U) si appoggia agli altri due piani %. Al variare di quell’ iperpiano questa cubica de- scrive un fascio, i nove punti base del quale saranno i soli punti doppii di 4, che giacciono in iz(iy Fra questi sono compresi i due punti in cui %:i) si appoggia agli altri due piani it ; e però : « La varietà possiede necessariamente 27 — 3 = 24 punti doppii distribuiti sui tre piani z, ciascuno dei quali ne conterrà nove » Indicheremo con ^ (i = 1, 2, 3, 1 = 1, 2,.... 7) i sette punti doppii di 4> giacenti in -(0 ma non sugli altri due piani ; e con 0(0 ( i — 1, 2, 3) i tre punti ove questi piani si incontrano. È bene osservare che « per ciascun punto H;1 passano sempre due rette della varietà , le quali incontrano tutti e tre i piani mentre per ciascun punto 0(i) ne passano quattro». § 4. — La varietà è razionale. Infatti il complesso lineare r di tutte le rette appoggiate ai tre piani iz(2) r.{3) , riferisce biu- nivocamente la varietà $ ad uno spazio ordinario S scelto gene- ricamente in [AJ. Siano p'w, p\2), p\ 3) le rette, lungo le quali H è incontrato dai piani Tt(1), 7t(2), tl(3) ; <5 = 0(l) 0(2) 0(3) sia il piano incidente allo stesso tempo i tre piani ir; d' la retta di S in H. Saranno allora « (1)=p (1) d\ (o '2=_//(2) d\ o/3=j/(3) d' le intersezioni di H con gli iperpiani 0(l), fì(2), Q(3), projettanti dai punti 0(l), 0(2), 0(3) rispettivamente i 4 Boti. Francesco D’ Amico [Memoria XI.J piani 7c(l), tt(2), ic(3). Si osservi inoltre che la rigata quadrica x2 e la superfìcie quartioa , rispetto alla corrispondenza suddetta : tutti i suoi punti doppii ; la retta d, lun- go la quale il piano § sega la varietà fuori dei piani ir, e la curva c5 anzidetta. Ad un punto doppio Hn (i — 1, 2, 3; 7 = 1, 2, ...7) di (1) = d.i t(1) , per cui ne passano cxd1 giacenti su 0 ). Al variare di M in tc(1) quella retta descrive una varietà n(1) tutta contenuta in T. Que- sta contiene semplicemente il piano x(1) e doppiamente i piani tt(2) e tc( 3) ; inoltre è segata da un iperpiano B passante per x(1), fuori Sulla varietà quartica con tre piani semplici ecc. 5 di ^(1) , secondo una supertìce rigata del quarto ordine (*) , luo- go di tutte le rette che incontrano in punti distinti le traccie di x(2) e x(3) su 5 e la cubica piana intersezione di x(1) con la saperti eie cubica di <1> in 3. Da ciò segue che : la Il(1) è una va- rietà del quinto ordine , la quale (passando la rigata quartica di cui sopra costantemente per la retta 0(2) 0(3)) contiene — oltre al piano semplice x(1) ed ai piani doppii x(2) e x(3) — la retta 0(2) 0(3) pure come doppia , e come semplici ancora il piano 3 ed i piani, che possono condursi dai punti HM a tagliar lungo rette i piani t(2) e x(8)* Ciò premesso è tacile vedere, che nella corrispondenza fra (1) = d %{l), le quattro rette Jcl t (Z=l,2,3,4) di T corrispondenti ai punti che la c5 ha in comune con p'{1), ed infine le due coniche o\2) e o'(3) corrispondenti ai punti 0(2) e 0(3). Cose analoghe si possono ripetere in ordine ai piani x(2) e x(3). § 6. — Un piano generico a di £ sega la superficie x'(1} se- condo una certa curva q° del quinto ordine, la quale avrà per immagine su x(1) una certa curva q passante con due rami per ciascuno dei punti 0(2), 0(3) e con un sol ramo per ciascuno degli altri punti t , Kxl. Per averne 1’ ordine si osservi che il pia- no c incontra in un certo punto $ la retta p {l) : questo è V uni- co punto variabile — dunque diverso dai punti 2TM — che giac- cia in p {l) e che, riguardato come appartenente a x(1), abbia per corrispondente in x'(1} un punto della sezione piana q°. Conclu- diamo : La curva q di x(1) , corrispondente ad una sezione piana (*) G. Salmon : « Géométrie analitique a troia dimensiona » (Trad. par 0. Ghermii, 1891) §§ 467 e aegg. 6 Doti. Francesco />’ Amico [Memoria Xl.J di è ancora del quinto ordine e si può indicare schematica- mente con qL » ^,2) i U<3) , -U, D, K. Viceversa : « Ad ogni curva q5 come sopra — tuttocche data ad arbitrio — corrisponde in x'(1) un’ altra curva ancora del quinto ordine , la quale ( dovendo essere del genere quattro) è certamente piana. » Si trova così per la superficie x'(1) una rappresentazione pia- na, mediante un sistema lineare oo3 di quintiche con quattordici punti base. § 7. — Si è detto die a un punto di p{l) — considerato in ^ — deve corrispondere in $ la conica , ulteriore intersezione di $ col piano passante per esso punto ed incidente gli altri due piani % (§ 4). Al variar di quel punto su p a) , questo piano descrive una varietà quadrica, generabile mediante i due fasci prospettivi di iperpiani che progettano da x(2) e x(3) i punti di p {V). L’ intersezione di una tal varietà con 0 , tolti i piani x(2) e x(3), sarà una superfìcie 6f del sesto ordine, luogo delle coniche corrispondenti ai punti di p'(1). Questa superfìcie, oltre a conte- nere il punto 0(1) come doppio ed i punti 0(2) , 0(3) come sem- plici, passa ancora per gii altri punti di x(2) e ~(3) che sono fon- damentali per la corrispondenza. Inoltre, all’ esame delle inter- sezioni delle due varietà suddette con tre iperpiani condotti a piacere per x(1), x(2) e x(3) , si vedrà facilmente che la 6G(l) sega x(1) nella coppia di rette (p\ìy 0(2) 0(3)), e sega invece x(2) e x(3) secondo due quarticlie nodali O ^(D> 0(3), O* avremo H, D , K ’ 021);0(2), H,D,K così le immagini di p\y considerata come appartenente rispetti- vamente a ciascuna delle tre superfìcie x'(1) , x'(2) , x'(3). Cose analoghe si hanno per le superficie corrispondenti a P'(2) © p\3y La presenza delle due quartiche nodali Cì2 A „ ^ r, 0(2), U(3), ? ^0 2 02 H JD K (sezioni ^i ^(ì) con ®(2) e ®(3)) fa esser sovrabbon- Sulla varietà quurtica con tre piani semplici ecc. 7 dante il sistema lineare oo3 delle q° (§ 6): difatti, associando la prima di quelle due quartiche alle rette del fascio (0(3)) e la se- conda alle rette del fascio (0(2)) si ottengono due fasci di quin- ticJie contenuti uel sistema delle q° e non aventi una curva a comune ; e però quel sistema sarà certamente più che due volte infinito. § 8. — Passiamo ora alla determinazione della rigata p, luo- go di tutte le rette di che incontrano i piani x(2), x(3). Essa è data come intersezione di e n(i) (§ 5) sceverata dai piani x(l), x(2), tc^). Ora — visto che le varietà n(i) e (J) si toccano in tutti i punti del piano x(2), e sono segate da un iperpiano passante per xw , fuor di x(i) , secondo due superficie, V una quartica 1’ altra cu- bica, aventi a comune cinque generatrici di II(/) — si conclude : « La rigata p, generata dalle rette del compì esso F ohe appar- tengono a (J>, è del quattordicesimo ordine , e sega i piani x lungo curve del nono ordine». Essa inoltre contiene i punti 0(l), 0(2), 0(3) come quadrupli e tutti gli altri punti doppi i di come doppii (§ 3). Segando questa rigata con 1’ iperpiano E, si ottiene una curva r'14 ( fondamentale per la corrispondenza (§ d) ), la quale — rispecchiando punto per punto le tre direttrici di p sui piani X(j) — è comune alle tre superfìcie x'^, è del genere nove ed ha nove punti su ciascuna delle uno sulla d' . § 9. — La rigata cubica, luogo delle rette del complesso r che si appoggiano ad una retta generica di E, sega, fuori dei piani x, una sezione iperplanare X1 di 0 in sei punti ; quindi : « Alle sezioni iperplanari di <]) corrispondono in E delle curve X'b del sesto ordine , le quali (come risulta da facili argomentazioni) contengono le rette p'(i) come doppie la d' e la r'14 come semplici » . Similmente : La varietà cubica, luogo delle rette di r che si appoggiano ad un piano a di E, sega, fuori dei piani x, una 8 Dott. Francesco />’ Amico [Memoria XIJ. sezione piana X' di 0 in nove punti ; dunque : « Alle sezioni pia- ne l4 dì $ corrispondono in 2 delle curve l'9 del nono ordine ; le quali (come si scorge facilmente) si appoggiano in sei punti a ciascuna delle p'(i) ed in quattordici alla r'14». Segue ancora che tre superficie X'6 hanno a comune, fuori delle p\ì), d\ r14, altri quattro punti ; per la qual cosa : il siste- ma (f) non può avere — fuor delle linee (p'(i), d', r'14) — altri punti fondamentali. § 10. — Le superfìcie aggiunte ad una X9 e che staccano su di essa la serie canonica di ordine 2 p — 2, sono dell’ ottavo or- dine e contengono le rette p'{i) come triple la d1 e la r14 come semplici (*). Detratta la quadrica y'2 , che si stacca da tutte le su- perfìcie aggiunte, queste si riducono al sesto ordine con le p {{) doppie e la r'14 semplice , e tagliano per conseguenza la nostra curva r, in quattro punti variabili : sarà per conseguenza p =. 3, e però su di superficie del sesto ordine , contenenti quelle linee basi con le stesse moltiplicità che esse hanno rispetto alle X'6 (§ 9) ; e un tal sistema si può sempre assumere come rappresentativo di una certa varietà 2 p — 2 ; cosicché la serie lineare in discorso è certamente non speciale , e si avrà : n — r > p, da cui r < 15, onde y [= 16 — (-r — |— 1 )] > 0. D’ altra parte si osservi che la d\ come pure le sette corde (§ 12) di ru — incidenti le due rette p{i) , doppie per le x'(£) prese a considerare — appartengono certamente a tutte queste superfi- cie x'(f). Ma per queste linee basi non può passare più d’una su- perfìcie irreduttibile x'(f) con i caratteri detti sopra; dunque : « Da- ta come sopra la r'14, esistono sempre tre superficie irreduttibili del quinto ordine , e tre sole , passanti per le linee r14, p'(f) e d' con le stesse molteplicità che le tre superficie x'(i) ». Si esclude poi facil- mente che per quelle linee passino delle superfìcie riduttibili co- me sopra. Le e <1) individuano un fascio & , , , y2 A, , , , le V 1 y 1 P (1)> P (2)? VP <3)J 1 a 1 ° (3)V superficie del quale non incontrano il piano p'(3) d' fuor delle li- nee basi [p\ g), d' , o'(8)) : dunque tal piano si stacca da una certa superfìcie del fascio , e ciò che rimane è una superficie cp'4 del quarto ordine contenente semplicemente le p (i) e la r . Due di queste superficie, se esistessero, avrebbero a comune una curva complessiva del 17° ordine; epperò: « esiste sempre una superficie irriduttibile del quarto ordine, ed una sola , contenente la r’14 e le p'(1) semplicemente » . Anche qui si esclude che ne pos- sano esistere di riduttibili. (*) M. NoetheR « JJeber Flachen, welche Scharen rationaler curveii besitzen » 1. c. Sulla varietà quartica con tre piani semplici ecc. 11 § 14:- — Ciò premesso passiamo alla determinazione del si- stema (P). Con nn procedimento del tutto identico a quello tenuto nel § antecedente, si ottiene che la dimensione y di tal sistema non è inferiore a quattro ; e però si può porre y = 4 -f- t, dove t è un numero intero positivo o nullo. D’altra parte si dimostra come non possa avvenire che le su- perficie X' , in conseguenza del passaggio per le linee y_(f), d', r'l\ passino tutte per qualche altra linea determinata da quelle; nè che fra tutte siano più che oc4. Difatti un piano a generico, non si può staccare da alcuua di quelle superfìcie X' ; dunque il si- stema (T6), che le oo4i< superficie X' descrivono sopra un tal pia- no, avrà la stessa dimensione 4 -f - t che spetta al sistema (X'). Poniamo ora che queste superfìcie X' abbiano tutte a comune un’ altra linea semplice di ordine z ; e consideriamo la serie li- neare caratteristica , di ordine ìi—9 — z e dimensione r=3-}-£, che è descritta sulla curva generica del sistema (T6) dalle altre cur- ve di questo. Essendo la T 6 del genere p = 7, la serie caratte- ristica in discorso è certamente speciale (visto che è ryn—p) , e come tale dovrà essere prodotta da cubiche , passanti per i tre punti doppii della l'6 e per altri (3.6 -2.3— 9-f-£=) 3-j-s punti semplici della medesima (*). Dovrà quindi essere r>(9 — 3 — 3— s=) 3—z; ma, poiché in questo sistema lineare di cubiche la di- mensione r(~3~ht) è certamente maggiore del genere p(— 1), la serie caratteristica (di dimensione r — 1>jo — 1) relativa a tal si- stema è certamente non speciale, onde il sistema stesso non po- trà essere sovrabbondante (**) , e però (r~) 3— f-^=3 — z, da cui t=z=o. c. v. d. (***). (*) Brill e Noether « Ueber alg. functionen etc. » Math. Amial VII, pag. 278. (**) C. Sègre. — « Sui sistemi lineari di. curve piane... » nei Rend. del Gire. Matema- tico di Palermo t. 1°. (***) Questo procedimento mi fu gentilmente indicato dal chiarissimo prof. M. Pieri, che se ne è servito in una ricerca analoga nel suo lavoro : « Le trasformazioni razionali dello spazio inerenti ad una conica » Rend. del Circ. Mat. di Palermo t. VII. 12 Doti. Francesco />’ Amico [Memoria XIJ. § 15. - La intersezione variabile di due superficie X'6 è una curva sghemba l'9 del nono ordine, la quale ha sei punti su cia- scuna delle rette p\i} , nessun punto sulla d’ e quattordici sulla r'li (*) ; per modo che tre superficie X'6 hanno quattro soli punti variabili a comune. Concludiamo : Il sistema oc4 di superficie (V) rappresenta una varietà 0 ( dello spazio a quattro dimensioni ) del quarto ordine , la quale contiene tre piani indipendenti corrispon- denti alle tre superficie x'(i)). Limane così completamente risolto il problema inverso di determinare projettivamente la varietà 0 per mezzo di una sua rappresentazione sullo spazio ordinario. § 16. — Esiste sulla varietà $ un sistema co1 di rette, le quali dànno luogo ad una superficie rigata. Questa si spezza : nella rigata p , determinata altrove (§ 8) ; nelle tre rigate vj(t) (i— 1,2,3), luogo delle rette incidenti due soltanto dei piani % ; nelle tre rigate £(i) («=1,2,3) formate da rette incidenti un solo di questi piani ; ed infine nella rigata v, le cui generatrici non incontra- no alcuno dei medesimi piani. Alla determinazione degli ordini di queste rigate premet- tiamo quanto segue : Un iperpiano E, condotto per x(i) sega il fascio (4) (§ 2) in un fascio di superficie cubiche § , il cui sistema di curve basi è formato dalle rette t&) = 3. x(2) , t( 3) 3. x(3) e dalla curva in1 - 5. jx7 Dalla rappresentazione piana di una qualunque delle superficie B si deduce facilmente che la curva m‘ è del genere quattro , e si appoggia in quattro punti a ciascuna delle t ; essa inoltre in- contra il piano x(1) in sette punti (fissi al variare di 3), che sa- ranno evidentemente i sette punti doppi H 1)? di $. Si osservi ancora che una retta , diversa da t{2) e t{B) , la quale debba appartenere ad una delle superficie B, devesi appog- (*) Per avere il numero dei punti comuni ad una l'9 ed alla r'1'1 si può osservare die le due curve variabili, dove le due superficie \'6 tagliano una delle superficie it A, hanno — fuor delle linee p\i) , d' , r'Li — un sol puuto a comune (la qual cosa si può vedere dalla rappresentazione piana della superficie Sulla varietà quartiea con tre piani semplici eoe. 13 giare tre volte al sistema delle curve basi del fascio (3 ) e vi- ceversa. Adunque le rette delle superfìcie in parola formano quattro rigate le cui generatrici si appoggiano : 1°) in un punto a ciascuna delle linee £(.2), t{3) ed ni1, 2°) in un punto a t(2) ed in due ad ni1, 3°) in un punto a t{3) ed in due ad ni1, 4°) in tre punti alla ni1. Se n è F ordine di una qualunque di queste rigate, ed ri ri' , ri" le molteplicità corrispondenti per t{2), t{3), m7, avremo per n , ri , ri' , ri" i seguenti valori : (*). (5) n = 6, ri = 3 , rr n — 3 , ’/r n = 1 (6) n = 8, ri — 5 , tt n = 0, m n — 2 (7) n — 8 , ri — 0 , ri' — 5 , ri" — ■ 2 (8) n — 20, il — 4 , ri' = 4, rrr n = 6 § 17. — Ciò premesso passiamo alla determinazione delle rigate della varietà $ le cui generatrici si appoggiano a tutti o ad alcuni dei piani % (**), incominciando dalla p : Sia r una retta generica di z(i) ; un iperpiano £ del fascio (3) (§ 2) ha come corrispondente nel fascio (4) una varietà cu- bica A, che segherà la r in tre punti per ciascuno dei quali passa una retta, della varietà stessa A , incidente i piani it(2) e x(3) (***). Si hanno così tre rette, le quali insieme a n(1) determinano tre iperpiani 2' , che noi assumeremo come corrispondenti di 2 in una certa corrispondenza di Chasles nel fascio (3). Viceversa (*) Cfr. G. Salmon « Géométrie analitique à trois dimensiona » (Traci, par O. Chemin — 1891) §§ 467-472. (**) Il metodo qui adoperato per la ricerca degli ordini delle rigate p, 7]^, mi ven- ne gentilmente suggerito dal chiarissimo D.r Marletta, al quale rinnovo i miei ringrazia- menti. Così pure nell’ altro metodo adoperato al § seguente mi son valso di un lavoro del D.r Marletta medesimo ( « Sulla varietà delle rette contenute in una o più forme algebriche » Kendic. dell’ Accademia Gioenia di Catania Serie IV, voi. XVI). (***) Cfr. C. Sègre « Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e su certi si- stemi di rette e certe superficie dello spazio ordinario » (E. Accademia di Scienze di Torino — Serie II t. XXXIX) % 16, 17. 14 Doti. Francesco £>’ Amico [Memoria XI.] un iperpiano 2' sega il fascio (4) in un fascio di superficie cu- biche (8') ; le rette, contenute in queste superficie ed incidenti i piani x(2) e x(3), danno luogo ad una rigata del sesto ordine con- tenente le rette t'^ = t'(3) = 2 ’ x(0) (e però i punti 0 (3) ed 0(2;) come triple e la curva mn~h'. p.7 (e quindi i punti hui) come semplice ( § 16, forni. (5) ) Pertanto 2' contiene sei rette, incidenti la r, die si appoggiano ai piani e x(3) e che appar- tengono ad altrettante varietà A ; cosicliè a quell’ iperpiano 2' corrispondono sei iperpiani 2. Saranno adunque (3,6) gli indici della corrispondenza in parola ; e però 3 -f- 6 = 9 è V ordine della curva direttrice della rigata p in x(1). Se la r si conduce per uno dei punti t oppure per 0(2) o 0(3), si vede in modo analogo che per ciascuno dei punti la curva direttrice di cui sopra vi passa con due rami, mentre per ciascuno degli altri due punti, 0(2) ed 0(3), vi passa con quattro rami. Rilevando poi che un iperpiano 2 per x(1) sega fuori di x(1) la p secondo cinque rette, si conclude : « La rigata p è del quattordicesimo ordine e del genere nove, ed ha, su ciascuno dei piani una curva direttrice del nono or- dine con due punti quadrupli e sette punti doppii » (Cfr. § 8). Con procedimenti perfettamente identici ai precedenti si dimostra : « La rigata rl(i) (i = 1, 2, 3) è del sedicesimo ordine e del ge- nere nove ; essa sega il piano x(f) in una retta (la congiungente i due punti di incidenza di questo piano con gli altri due piani x) e ciascuno degli altri due piani tu lungo una curva direttrice dell’ undecimo ordine con un punto sestuplo (il punto’ 0(f)) e sette punti tripli (i punti Hr j) » . « La rigata (i = 1, 2, 3) è del trentanovesimo ordine e del genere ottantaquattro ; essa ha sul piano x(i) una curva diret- trice del ventinovesimo ordine dotata di sette punti nonupli (i punti i) e due punti multipli secondo il numero sette (i punti 0(r)) ; ha invece su ciascuno degli altri due piani x sette genera- Sulla varietà quartica con tre piani semplici ecc. 15 triti le quali congiungono i punti Hk l giacenti in esso piano col punto di incidenza di questo col piano k(ì) » Questo fatto si può accertare facendo osservare che nella rappresentazione spaziale di 0, studiata innanzi, V immagine di una retta sì fatta si spezza in più curve, il cui insieme costi- tuisce una curva atta a rappresentare una retta di $ incidente il solo piano x(i). § 18. — I procedimenti applicati al paragrafo antecedente, per la determinazione degli ordini delle rigate p, y](f) e £(0, non sono applicabili al caso della rigata v. Seguiremo pertanto in tale determinazione un’ altra via, in- cominciando dal premettere le seguenti osservazioni : Siano 2(l), S(2), S(3), 2j(4) quattro iperpiani, dei quali i primi tre contengano rispettivamente i piani x,1)7 x(2), x(3) ed il quarto sia completamente arbitrario ; indichiamo inoltre con (t=l, 2, 3) la superfìcie cubica, che assieme al piano x(i) ci dà la com- pleta intersezione di

    (3), cp(4), sarà evidentemente v la intersezione di con la Q, sceverata dalle superficie fj^2), ^3), cp^, x^), X(2>, X(3). Per avere le molteplicità di queste superficie rispetto alla varietà Q, si osservi che il cono f(4) (luogo delle rette che si ap- poggiano in punti distinti alle c{>(2) e c|>(3; e che passano per un punto fisso di cp(4)) è del settimo ordine e, come tale, incontra in 21 punti. Di questi però cinque stanno in <{>(2) ed altrettanti in (l), (2), <}>(3): ml = m2 = m3 = 14. 16 Doti. Francesco I V Amico [Memoria XI.J All’ esame poi della sezione di Q con 2 si scorge subito clie la tì è dell’ ordine m = 11.4 + 36 = 80. Per avere poi la molteplicità n(i, del piano xw, si osservi che la sezione della varietà & coll’ iperpiano 2 (1) si compone, ol- tre che del piano x(i) : 1° della contata quattordici volte ; 2° della rigata del decimo ordine, le cui generatrici si ap- poggiano alla retta di <]>(2) in x(1) alla conica di in 2(1) ed alla cubica di ©(4) pure in 2(1) ; 3° della rigata, pure del decimo ordine, le cui generatrici si appoggiano alla retta di (3) in x(1) alla conica di c[>(2) ed alla cubica di cp(4) in 2(l) ; 4° della rigata del settimo ordine, le cui generatrici si ap- poggiano alla retta di cp(4) in x(l) ed alle coniche di <[>(2) e (3) in 2(l). Adunque il piano x(i) sarà contenuto nella Q col grado di molteplicità : nt = 80 — 14.3 — 10 — 10 — 7 — 11. Similmente si troverebbe in ordine ai piani x(2) e x(3) : n2 =. n3 = 11. Da tutto ciò, per le cose premesse, si ricava che 1’ ordine della rigata v è dato da : x — m. 4 — 3. ml — 3 m2 — 3 m3 — 4 m4 — nl — n2 — n3 = 117. Questo stesso procedimento può pure applicarsi alla ricerca degli ordini delle altre rigate p, rl(i), £(i). § 19. — Dai paragrafi antecedenti, riassumendo, si deduce : « Sulla varietà $ esistono otto superficie rigate , delle quali una — le cui generatrici si appoggiano a tutti e tre i piani x(i) — è del Sulla varietà quantica con tre piani semplici ecc. 17 14° ordine, tre — formate ciascuna da rette incidenti due soli di quei piani — sono del 16° ordine , altre tre — formate da rette che si appoggiano ad un solo dei medesimi piani — del 39° or- dine, ed infine un’ altra — le cui generatrici non incontrano al- cuno dei soliti piani — del 117° ordine ». Se poi si considerano soltanto quelle rigate formate da rette incidenti il piano %{l) (e che possono incontrare anche gli altri due piani si trova come ordine complessivo di queste il nu- mero 85 ; e siccome, oltre di tali rigate, esistono anche in i due sistemi od1 di rette incidenti il piano %(1) e giacenti 1’ uno in tl,2) 1’ altro in n(3), avremo che quell’ ordine deve considerarsi come uguale a 87. Cioè : « L’ ordine della superficie rigata, costituita dalle rette di una varietà — dello spazio a quattro dimensioni, del quarto ordine e con un piano semplice — incidenti questo piano medesimo, è uguale a 87. (*). (*) Cfr. 6. Marletta « Sulla varietà delle rette contenute in una o più forme algetriche » Capo IV — § 2, 2 ( Rendic. dell’Accademia Gioenia di Catania. Serie IV, voi. XVI). ' Memoria XII. Azione fisiologica dei Sodio e del Litio per il Prof. ANTONIO CORCI Intendiamo per azione fisiologica di un elemento f non al- l’ordinario stato atomico e molecolare, ma bensì combinato, in modo che in soluzione nel sangue come atomo-ione scisso o non, possa agire, mediante la sua carica elettrica positiva o negativa, sul sistema nervoso o su altro ordine di cellule (ognuna delle quali è un protozoa o archizoa, costituito a sistema elettrogenico tra protoplasma e nucleo). Quando si tratta di sali minerali, 1’ elemento basico o ione positivo è quello che manifesta l’azione ; mentre quello acido o ione negativo ossidato è senz’ azione (1) tranne quando possa nell’ organismo disossidarsi e rendersi ione libero e semplice (come 1’ arsenico, il selenio, il tellurio. Ond’ è che studiando 1’ azione dei sali, si osserva sempre la stessa azione quando resta lo stesso ione basico, variando 1’ acido; mentre 1’ azione varia col variare la base , restando lo stesso acido. Ecco perchè nella intitolazione di questo scritto e di altri dello stesso genere indichiamo l’elemento attivo, invece dei suoi sali. È da 25 anni che mi occupo dell’ azione degli alcalini ed alcalino-terrosi, sia perchè essi facienti parte degli organismi vi- venti debbono certamente esercitare una funzione importantis- sima nella vita, sia perchè questa funzione, appena intraveduta, si potrà conoscere più o meno dall’ azione fisiologica. (1) V. Curci. — Funzione dell’ ossigeno nei composti. — Il Progresso Medico, Napoli, 1891. Atti Acc. Serie 4ft, Vol. XVIII - Meni. XII. 1 2 Prof. Antonio Curci [Memoria XII.] La funzione di tali elementi non è distinguibile ai nostri sensi, durante l’esplicazione normale dei fenomeni vitali, onde è necessario usare 1’ artificio di esagerare la loro azione , per renderla più rilevante e distinguerla dagli altri fenomeni, e così poterla conoscere nella sua sede e meccanismo. A fare ciò si fa arrivare nel sangue una dose dapprima minima e poi crescente fino a produrre la morte, onde aver tutto il quadro completo deflazione e dei fenomeni esagerati, resi più manifesti. Da ciò poi si possono detrarre dei dati per conoscere la fun- zione e la importanza fisiologica di un elemento. Ho già studiato l’azione fisiologica del potassio (Atti dell’Ac- cademia Grioenia ecc. Serie 4a voi. XVII , Catania, 1904). Pre- sento adesso le ricerche fatte sull’ Azione fisiologica del Sodio e del Litio. I. Azione del Sodio. Di questo elemento ho usato diversi sali, bicarbonato, fo- sfato, solfato, nitrato, cloruro, solfato e solfito e quelli della serie dell’ acido solfovinico. Le numerosissime esperienze sono oggetto di una lunga memoria in corso di pubblicazione sul giornale In- ternazionale di Scienze Mediche di Xapoli, per cui io qui riporto un sunto , per non lasciare una interruzione e perchè 1’ azione del sodio deve essere messa in confronto di quella degli altri elementi alcalini ed alcalino-terrosi. L’ azione del sodio è stata in precedenza studiata da altri sperimentatori, tra cui, come più notevoli, sono da menzionarsi Kunde, Chirone, Richet ecc: col cloruro, Palck col fosfato; ma da essi non risulta la conoscenza completa dell’azione riferibile all’elemento sodio ; gli autori hanno per obbiettivo principale razione del sale e da questo punto di vista il più importante è quello di Chirone fatto con la collaborazione di Testa, mentre il più che si allontana è quello di Richet, il quale studia la tos- sicità relativa dei diversi alcalini e non mira ad altro. Azione -fisiologica del Sodio e del Litio 3 Riporto integralmente quanto scrissi a proposito del sodio nel mio lavoro « La Farmacologia secondo la legge periodica del- la Chimica « (La Terapia Moderna, Napoli 1888). Le antiche esperienze di Gruttmann avevano fatto credere come tuttora si crede ad onta dei lavori succitati, che mentre i sali di potassio fanno paralizzare il cuore , i sali di sodio non avrebbero alcuna azione nè sul cuore, nè sul sistema nervoso, e che soltanto a gran dose produrrebbero la morte per paralisi generale ! Questo è completamente inesatto se non erroneo del tutto, come si vedrà da quanto passo a dire, secondo risulta dalle mie lunghe ricerche sperimentali. Nelle rane con 10 a 20 cg. di carbonato o altro sale sodi- co, si ha subito una contrattura dei muscoli bagnati dalla solu- zione, la quale si manifesta come un forte spasmo , che si dis- sipa dopo un po’ di tempo. Analoga all’ azione locale si svilup- pa un’azione generale dopo l’assorbimento, e perciò pei sali di sodio, le due azioni sono della stessa natura. Nel principio 1’ animale è eccitato e si agita molto, la sen- sibilità e 1’ eccitabilità in generale è aumentata. Lasciandolo in riposo senza molestie, a capo di una o due ore, l’animale nel dare un salto spontaneo o provocato è preso da una convulsione perfettamente tonica , onde vi resta per qualche minuto rigido e stecchito come pezzo di legno. Questi accessi convulsivi possono ripetersi parecchie volte e farsi più frequenti e più intensi. Negl’ intervalli vi è un conti- nuo movimento fibrillare dei muscoli. La contrazione muscola- re, eccitata in qualunque modo, anche con la pinzetta, ha una durata più lunga della normale, è quindi più tonica. Nello stesso giorno o in quello seguente, l’animale muore per un forte stato tetanico, restando disteso e rigido. Dopo la morte si conserva per lungo tempo 1’ eccitabilità nerveo-muscolare, la quale in vita ed anche dopo morte pare molto aumentata. 4 Prof. Antonio Curci [Memoria XJ1J. Il cuore si trova arrestato contratto e vuoto di sangue. Intercettando con apposita legatura l’afflusso del sangue ad uno o ai due arti posteriori di una rana, fatta l’iniezione nel- le parti anteriori alla legatura e poi lasciato l’animale indistur- bato, a tempo opportuno si osserverà una o due convulsioni ge- nerali a tutto il corpo e la rana morendo per tetano resta tutta distesa e rigida, compresi gli arti posteriori, che non ricevono sangue e quindi neanche il sale iniettato. Ciò indica che il sodio agisce nei centri cerebrali e spinali, che eccita intensamente sino a produrre fortissime convulsioni toniche. In tale esperimento, bisogna notare, che i muscoli privi della circolazione sanguigna non mostrano aumentata la tonicità e la contrattilità come gli altri, e cioè non sono capaci di fare una contrazione di durata di maggiore del normale. Ciò dimo- stra che oltre 1’ azione centrale, vi è anche una periferica. Recidendo un nervo sciatico o del plèsso sacrale, dopo l’ i- niezione del sale sodico o prima, si avrà la convulsione generale, meno nell’arto paralizzato per il taglio dei nervi ; ma i muscoli di questo arto sono sempre più irritabili del normale, nello stesso modo come gli altri. Del pari, ad una rana già nello stato convulsivo, recidendo il midollo spinale al livello del ri- gonfiamento brachiale, si aboliscono gli accessi convulsivi, ma l’eccitabilità dei nervi e dei muscoli è sempre notevolmente au- mentata. Con l’atropina si ottiene la soppressione completa dei feno- meni convulsivi e dell’aumento dell’eccitabilità nerveo-muscolare. Col curaro, iniettato ad una rana nello stato convulsivo, si ot- tiene momentaneamente la soppressione dell’ aumentata irritabi- lità muscolare e definitivamente 1’ abolizione delle convulsioni generali. Tutto ciò ci conduce a concludere che il sodio ha azione eccitante e convulsivante non solamente sui centri nervosi cere- brali e spinali, ma anche sui nervi periferici sino alle placche Azione fisiologica del Sodio e del Litio 5 motrici. Sui muscoli agisce aumentando la irritabilità, la capa- cità contrattile e la durata della contrazione ; ma è dubbio se ciò lo faccia direttamente sulla sostanza muscolare o solamente per mezzo delle placche motrici intramuscolari : forse nell’ uno o nell’ altro modo. Nei mammiferi, 1’ iniezione intravenosa di grin. 1 V2 a 2 per ogni cbg. di animale, produce i primi accessi convulsivi, alcuni epilettiformi, ma ordinariamente tonici ed intensi. La con- vulsione sodica somiglia alla convulsione stricnica e ammonica. I fenomeni convulsivi incominciano dai muscoli della faccia, della testa e del collo, e di là in giù per cui si ha trisma, con- trattura della nuca, poi dei muscoli scapolari e toracici, per cui gli arti respiratorii divengono più rari e più profondi fino a che si arrestano nella fase inspiratoria forzata. È necessario da questo momento fare la respirazione artificiale, senza la quale l’animale ne muore asfissiato, senza manifestare alcun fenomeno. Questo fatto ha tratto in inganno gli antichi sperimentatori, i quali, non accorgendosi di questo tetano respiratorio, vedevano morire gli animali senza saperne la ragione e attribuivano erroneamente la morte a paralisi generale. Evitato questo pericolo, sorgono poi tremori e scosse generali. I muscoli sono notevolmente eccitabili, perchè facilmente si contrag- gono tonicamente col solo stropicciamento della cute soprastante. Continuando l’ iniezione e giungendo a grammi 3 o 4 per clig. d’animale, si svolgono convulsioni generali toniche, violenti, fortissime : opistotono permanente , accessi tetanici frequenti, contrazione dell’ orbicolare delle palpebre, globi oculari fissi, midriasi, immobilità dell’ iride alle variazioni della luce. La pupilla si restringe negl’ intervalli degli accessi. Queste lunghe ed intense convulsioni tetaniformi, con brevi momenti di leggiera remissione, durano per molto tempo, e 1’ animale anche non morendo rimane affetto da una grande eccitabilità generale, in modo che in ogni suo atto, anche se si atteggia a bere, è preso da forti scosse e spasmi quale idrofobo. 6 Prof. Antonio Curci [Memoria XII. | Ma a 5 o 6 gram : di sale sodico per clig. di animale, gli accessi tonici fortissimi cominciano a indebolirsi, diventano clo- nici, quasi epilettiformi, leggieri, fugaci, fìncliè cessano del tutto e sono seguiti da paralisi generale, per esaurimento. Il rilasciamento comincia dall’estremo cefalico, dove ebbero inizio le convulsioni, cessa il tri sma e cade la mascella, che prima era fortemente serrata, il capo casca per proprio peso, vi è inerzia dei muscoli della faccia ; la terza palpebra spor- gentissima quasi fino a metà della rima palpebrale ; miosi in- tensa, riflessi palpebrali diminuiti e poi spenti, perdita di co- scienza. Tutto ciò mentre continuano ancora i fenomeni convul- sivi nel tronco e negli arti. Indi si rilasciano i muscoli toracici, (seguitando la respirazione artificiale) quelli degli arti anteriori, poi quelli del tronco, ed in ultimo quelli degli arti posteriori. A questo punto l’ animale, privo di ogni moto e senso, è un corpo morto, di cui solo vivente e superstite è il cuore, il quale in seguito pure si arresta senza manifestarsi alcun feno- meno. Dopo poco segue una forte rigidità muscolare. All’ autopsia si nota un po’ di congestione degli organi in- terni per effetto delle convulsioni; edema del pillinone; cuore ineccitabile in sistole ; i muscoli striati eccitabilissimi ed anche spontaneamente dopo scoperti e messi in contatto dell’ aria fanno delle contrazioni fibrillari ; la contrazione idio-muscolare è note- volissima, in quantocchè strisciando la punta del bistori, si forma un cordone rilevato, che persiste molto tempo. In quanto all’azione sulla circolazione sanguigna, cioè cuore e vasi io ho osservato quanto segue. Nei batraci con gram ; 0,10 a 0,20 di sale sodico si ha una riduzione numerica dei battiti del cuore, previamente messo allo scoperto; la sistole e la diastole sono più ampie e più energiche, molto notevoli e di maggiore durata, infine la diastole diviene prevalente ; il cuore grosso e pieno di sangue nella diastole, si vuota completamente nella sistole. Molto tempo dopo morto l’a- nimale, il cuore cessa di funzionare, e allora si arresta in dia- Azione fisiologica del Sodio e del Litio 7 stole, vuoto di sangue, ma poi in ultimo insensibilmente si con- trae forse per rigidità cadaverica. Col cuore isolato, staccato dall’ animale, immerso in una soluzione sodica al 5 e 10 %, dapprima e per breve tempo, i battiti si accelerano, poi sono intermittenti, indi ritornano re- golari, in ultimo si rallentano fino all’ arresto completo. Nei mammiferi coll’iniezione intra venosa di grani. 0,40 a 1 circa per clig. di animale, si ha un forte aumento della pres- sione arteriosa da 160 millim. Hg normale a oltre 250 insieme con un notevole aumento della pressione cardiaca ; con ciò il polso è più lento ma assai più forte, i tracciati sfigmografici pre- sentano curve di una straordinaria altezza ed ampiezza con ca- ratteristici prolungamenti diastolici. Se si curarizza un cane sino all’ abolizione completa dei riflessi vasomotori^ il sodio non produce più i descritti fenomeni di eccitamento ; ciò che indicherebbe che il sodio agisce ecci- tando il sistema nervoso vasomotore non che quello eceitomotore cardiaco centrale e periferico, mentre non pare che abbia azione sui muscoli, cioè agisce per mezzo dei nervi. Infine il sodio produce una intensa ipertermia, p. e. da 38°, 2 temperatura iniziale di un cane è salita 43°3 ; ad un altro da 39 a 43°, 2 ; ad un altro da 39 a 41. Questa ipertermia è ac- compagnata dalle convulsioni e siccome con previa curarizza- zione non si ha più nè ipertermia nè convulsioni, così pare che queste sieno causa di quella. Ma in un altro nostro lavoro pre- cedente sulla termogenesi animale e natura della febbre, pub- blicato in questi Atti, abbiamo dimostrato che l’ipertermia è con- comitante colle convulsioni, non è dipendente da queste. Risulta dalle nostre estese e lunghe ricerche che il sodio adunque è un elemento alcalino, il quale eccita il sistema ner- voso cerebro-spinale e quello vegetativo del gran simpatico, tanto nei centri che nella periferia ; ragione per cui esso, quando si trova nel sangue in grande quantità, come facciamo noi artifi- cialmente iniettando un sale nella vena, eccita enormemente sino 8 Prof. Antonio Curci [Nemoria XII.] all’ irritazione tutto il sistema nervoso e perciò da una parte vi produce le intense convulsioni tetaniformi generali, dall’ altra aumenta l’eccitabilità nerveo-muscolare, per cui la contrazione muscolare è di lunga durata e persiste dopo cessato lo stimolo ; perciò la funzione degli apparecchi muscolari quali il cuore ed i vasi si esagera, donde la maggiore forza ed ampiezza della sistole e della diastole e 1’ enorme aumento della pressione sanguigna. È da domandarsi in che modo il sodio operi questo grande eccitamento. Io credo che si spieghi benissimo senza fare ipo- tesi, cioè partendo dal fatto, che 1’ energia che si emana dal si- stema nervoso è energia elettrica, che questa è quella che pro- muove la contrazione muscolare, come ho dimostrato nel mio libro « Organismo vivente e la sua anima * (1), e che perciò il sodio, quale ione con carica elettrica positiva, in contatto delle cellule nervose vi produce per induzione nel protoplasma elet- tronegativo , e quindi nel nucleo positivo un aumento del po- tenziale della cellula, donde lo svolgimento di una intensa cor- rente di azione, centrifuga , la quale come corrente interrotta , produce la contrazione tonica dei muscoli. Tutto ciò non è affatto ipotetico, come potrebbe parere a chi suona nuova la mia teoria, ma è provato sperimentalmente, inquantocchè un sale di sodio applicato su di un nervo col mu- scolo, messo sui cuscinetti del galvanometro, mentre vi produce la contrazione muscolare, vi manifesta la così detta corrente di azione. In questo fatto è obbligo di logica ammettere che la corrente di azione prodotta dal sale sodico nel nervo è quella che nel mu- scolo determina la contrazione. Altri fatti e argomenti dimostrano che 1’ energia nervosa o vitale non è che energia elettrica. È questa energia che sotto l’ influenza del sodio, come di altre sostanze similmente convulsivanti ( ammonio , stricnina ecc : i quali agiscono per 1’ idrogeno, altro elemento omologo più attivo del sodio ed egualmente elettrizzante ) si svolge dai (1) Editore Alberto Reber, Corso V. E. Palermo. Azione fisiologica del Sodio e del Litio 9 centri nervosi, e vi produce le intense contrazioni muscolari. Così quando si fa P iniezione sotto la pelle, come abbiamo ve- duto, allorché la soluzione del sale sodico entra tra le masse muscolari ed i nervi relativi , si ha una fortissima contrazione spasmodica, per azione locale (si dice) cioè per sviluppo locale di forte corrente elettrica che determina la contrazione spasmodica. Da ciò si vede cosa è quest’ azione locale irritante e come essa sia identica a quella generale, che il sodio esercita internamente sulle cellule e fibre nervose. Quando poi il sistema nervoso centrale è in tal modo irri- tato, da sviluppare enorme quantità di correnti centrifughe di azione che sono alternate o interrotte ; di queste, una parte pro- ducono la contrazione muscolare, altre in eccesso si trasformano in calore alla periferia, dove trovano resistenza e non sono atte a produrre una funzione, in cui neutralizzarsi. Da ciò l’ipertemia. A questo proposito bisogna ricordarsi che P energia elettrica , quando non le si faccia eseguire del lavoro, si trasforma com- pletamente in calore, e che la quantità di calore, sviluppato in un circuito di una corrente (o parte di esso) nell’unità di tempo, è proporzionale alla resistenza ed al quadrato dell’ intensità di corrente (Legge di Ionie). Perciò si ha P ipertermia insieme colle convulsioni senza esserne dipendenti da queste, e P istessa produzione del calore durante il lavoro non è dipendente dalla contrazione muscolare come si crede, almeno in gran parte. Perciò nella paralisi cu- rarica vi mancano convulsioni ed ipertermia, poiché è impedito lo sviluppo delle correnti dalle estremità nervose. IJS. Azione del JAtio. T. Husemann (1) ha studiato P azione del cloruro e di altri sali di litio. Egli dimostra inammissibile la legge di Pabuteau. Secondo Husemann, P azione dei sali di litio è simile a quella (1) Uber das Kabuteau’sche Gezetz der tosischen Wirckung, Gaetting. Nachrickt, 1875, u. 5. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Mem. XII. 2 10 Prof. Antonio Curci [Memoria XII. | dei sali potassici, giacché essi producono nelle medesime dosi di questi tanto negli animali a sangue caldo che nelle rane, arresto diastolico del cuore e morte. Il litio diminuisce il numero delle pulsazioni cardiache ed arresta il cuore in diastole in un momen- to in cui l’eccitabilità dei nervi, dei centri nervosi e dei muscoli è conservata, ed in cui gli eccitamenti meccanici , chimici e ter- mici possono provocare ancora dei movimenti riflessi. L’ eccita- bilità elettrica del cuore non tarda a spegnersi dopo 1’ arresto definitivo. L’ arresto completo del cuore è preceduto da periodi in cui si sofferma in diastole, fatti dovuti, secondo Husemann, ad eccitamento del vago, perchè non si osservano quando que- sto nervo è reciso o F animale atropinizzato. Il sistema nervoso centrale e periferico , come pure il tes- suto muscolare non resterebbero affatto intatti , specialmente se i muscoli sono stati messi in contatto diretto col litio. Nelle rane si potrebbe sopprimere per mezzo del litio il tetano stricnico. Diminuisce la temperatura ed aumenta la secrezione urinaria. Più recentemente Brunton e Cash, in una nota preliminare sull’ azione del calcio, del bario e del potassio sui muscoli , di- cono che il litio paralizza i nervi motori come il potassio e dimi- nuisce la contrattilità. Come si vede ben poco si conosce sull’ azione generale dei sali di litio, anzi le conclusioni di Husemann non sono conformi alla verità' dei fatti. Sui batraci abbiamo trovato che l’arresto del cuore, dipen- dente dall’ azione del litio, è la causa prima della morte e dei fenomeni consecutivi, che Husemann a torto attribuisce al litio. Nemmeno possiamo confermare 1’ azione sul pneumagastrico e sulla contrattilità muscolare; sui mammiferi anche abbiamo ot- tenuto fatti ben diversi. Azione sul sistema nervoso e muscolare. Il litio per la sua azione generale si avvicina al sodio e niente affatto al potassio ; ambedue nei mammiferi producono Azione fisiologica del Sodio e del Litio 11 gli stessi fenomeni, ma nei batraci, il litio se ne allontana un poco. Il litio forma coll’ acido carbonico e fosforico dei sali po- chissimo solubili, perciò io nelle mie esperienze principalmente ho usato il citrato e per controllo il fosfato acido ed il cloruro. Ad una rana o ad un rospo, iniettando nei sacelli linfatici dorsali o nelle cosce 5 a 10 centigrammi di citrato, poco dopo s’ indeboliscono i movimenti volontari, si arrestano i movimenti ioidei, ma vi sono contrazioni fibrillari dei muscoli, e questi ec- citati direttamente con pinzetta, spiegano una contrazione tonica come sotto 1’ influenza del sodio. Convulsioni generali mancano e solamente si possono osservare dei leggieri spasmi. Intanto men- tre ancora vi sono persistenti i movimenti volontari e riflessi, il cuore si arresta; ed è dopo ciò che l’animale si paralizza e muore e non per azione del litio, come credè Husemann. Quindi negli animali a sangue freddo, il litio eccita la con- trattilità muscolare e paralizza il cuore con una certa rapidità, in modo che s’impedisce 1’ azione ulteriore , e quindi 1’ arresto della circolazione è causa principale della paralisi e morte dello animale. Così si comprende perchè Husemann otteneva la sop- pressione del tetano stricnico col litio nelle rane, non per azione antagonistica, come a lui parea, bensì per la morte in seguito all’ arresto precoce del cuore. Quale tetano può sviluppare la stricnina in un organismo morto ? I muscoli, bagnati direttamente dalla soluzione del sale li- tico, perdono assai presto la contrattilità come fa il potassio ; al contrario quelli che vengono influenzati per mezzo del sangue circolante, mostrano la loro contrattilità aumentata e la conser- vano a lungo, come fa il sodio. Nei mammiferi poi, il litio produce un tipo di azione iden- tico a quello, che dà il sodio per forma, decorso e sede. Esperienza 8 Maggio 1885 — Ad un topo, iniettata- sotto la cute la dose di 5 centigrammi di citrato di litio, dopo 5 minuti nascono tremori convulsivi, limitati agli arti anteriori, al collo ed alla testa , die durano e si ripetono per parecchio tempo. Poi si sviluppano convulsioni generali, a cui segue ab- 12 Prof. Antonio Curci [Memoria XII. J battimento , finché è venuta la morte per asfissia. Cuore in diastole conte- nente sangue nero. Così ad un sorcio di grammi 226, iniettato sotto la cute 1 grammo del citrato, poco dopo tremori convulsivi della testa, poi anche del tronco, indi convulsioni generali e morte in un accesso tetanico. Esperienza 28 Aprile 1885. — Cagna da caccia di kg. 5,700 ; iniezione uella giugulare di citrato litico in soluzione al 5 °/0. Iniettati 40 centigrammi, vi è acceleramento del cuore, affanno alternato da lunghe pause inspiratone. Iniettato 1 grammo, vi è trisma, contrazione dei muscoli cervicali, scapolari e degli arti anteriori, opistotono, globi oculari fissi, nella direzione dell’asse dell’ orbita, esoftalmo, divaricamento delle palpebre, midriasi. Indi aumento dello spasmo tonico dei muscoli cennati, per cui gli arti anteriori sono distesi e rigidi. Poi convulsione tonica generale. I muscoli eccitabilis- simi al punto, che un moderato stropicciamento ne determina la contrazione. Continuando 1’ iniezione, i fatti convulsivi aumentano d’ intensità e si nota un evidente aumento dell’ eccitabilità e dei movimenti riflessi. Lo stato convulsivo si fa permanente, ma suscettibile di esacerbazioni, la convulsione è sempre tonica a forma di opistotono; durante gli accessi o le esacerbazioni vi è arresto della respirazione. Giunti ad iniettare altri grani: 3,60 di sale si ha la contrazione tonica permanente dei muscoli della respirazione ; a questo punto per impedire l’asfissia si pratica l’insufflazione dell’aria. Per l’invadeute asfissia s’indebo- livano le convulsioni ed il cuore minacciava arrestarsi, in seguito alla re- spirazione artificiale, il cuore si è rinforzato e lo stato convulsivo si è molto accentuato. Giunti ad iniettare il 5° grammo, incomincia il rilasciamento dei mu- scoli mascellari e cessazione del trisma, rilasciamento dei muscoli cervicali, perdita di coscienza, mentre continuano gli spasmi tonici del tronco e degli arti. Poi iniettati altri 1,80, cessa ogni fenomeno convulsivo e viene la paralisi generale, morte del sistema nervoso centrale, mentre resta vivente solo il cuore ; questo si è arrestato dopo iniettati altri 60 centigrammi. In tutto si sono iniettati grammi 7,40 di citrato di litio. Come si vede da queste esperienze, il litio produce lo stesso tipo di azione del sodio, se non che agisce a minor dose. Quindi anche col litio abbiamo le convulsioni toniche che cominciano dal treno anteriore e poi diffondendosi si rendono generali. IsTell’ istesso modo avviene la paralisi : morte del cer- vello, del midollo allungato e del midollo spinale, in ultimo del cuore. Azione fisiologica del Sodio e del Litio 13 Se non si adopera la respirazione artificiale a tempo oppor- tuno, 1’ animale, e singolarmente il cuore, può morire di asfissia o durante le convulsioni per tetano dei muscoli respiratorii o nell’invasione della paralisi, per paralisi degli stessi muscoli. Riportandoci a quanto abbiamo detto del sodio, ci asten- ghiamo dal ripetere talune considerazioni sul meccanismo di azione, cioè sul fatto che esso come ione positivo elettrizzi per induzione il sistema cellulare elettrogenico e così ecciti il sistema nervoso cerebro spinale. Quindi il litio come il sodio è un agente convulsivante , facendovi sviluppare enorme quantità di energia sotto forma di corrente centrifuga di azione dai centri nervosi. Azione sul cuore e sulla circolazione del sangue. Nei batraci il litio ha una potenza di azione che si avvicina a quella del potassio. Facendo nelle cosce di una rana o di un rospo l’iniezione di circa 5 centigrammi di citrato litico , dopo aver messo allo scoperto il cuore, si osserva la progressiva ridu- zione numerica dei battiti, una prevalenza e maggiore ampiezza della diastole ed una sistole incompleta, finché si ha 1’ arresto in diastole. La paralisi del cuore avviene in detti animali assai prima della paralisi del sistema nervoso. Atropinizzando gli animali e poi iniettando il sale litico, si ottengono gli stessi effetti; è strano che io a questo riguardo ho avuto risultati contrarii a quelli di Husemann e non posso con- fermare l’azione sul pneumagastrico, che io non ho potuto vedere. Nei mammiferi il litio spiega un’azione simile a quella del sodio e del potassio, come si può vedere dalle seguenti esperienze. Esperienza , 10 Maggio 1887. — Cagnolina piccola di chg. 2,600, non cu- rarizzata — Soluzione di ClLi grani. 3, Acqua gr. 50. Ora 12, 42 Pressione 160 Iniezione di 0,50 di LiCl » 44 160 » 45 160 Iniezione di 0,25 h 190 Iniezione di 0,75 — Vomito. 1, 3 200 14 Prof. Antonio Pur ci [Memoria XII]. Ora Pressione b 8 150 Iniezione di 1,50 1, 14 180 Tetano dei muscoli respiratorii. 1, 21 130 Iniezione di 1,50. Trisma, opistotouo, convulsioni generali. 1, 24 110 Iniezione di 0,75. 1, 25 130 Iniezione di 1,00. 1, 27 Iniezione di 1,00. In tutto 6 gr. 1, 32 90 Continuano le convulsioni. Polso lento e forte. 1, 35 50 Cessate le convulsioni. b 40 40 Paralisi generale, rilasciamento ; polso debole , lento, irregolare. 1, 45 30 Eccitando il nervo crurale e lo sciatico, nessun aumento della pressione arteriosa, nè ecci- tamento del cuore , uè movimenti generali riflessi ; eccitabilissimi i muscoli. 1, 50 5 Polso rarissimo, debolissimo. 1, 52 0 Polso piccolissimo, rarissimo. 1, 54 arresto del cuore. Si deduce da questa esperienza che il Li comincia coll’ ec- citare gli organi della circolazione (aumento della pressione e ri n forzamento con rallentamento del cuore) ; indi agisce sul si- stema nervoso eccitandolo sino alle convulsioni generali, e poi paralizza sistema nervoso e sistema circolatorio. Quando la pres- sione è bassa tra 40 e 50 millm. di Hg. I7 eccitamento di un nervo sensitivo (crurale, sciatico) non eccita il cuore, non fa au- mentare la pressione, uè dà movimenti riflessi generali ; mentre la pressione scende a 0 prima che il cuore si arresti : ciò indica che il Li paralizza il sistema nervoso cerebro-spinale e vasomotore dopo averlo eccitato. Esperienza 2 Maggio 1885 — Cane bastardo di chg. 6, curarizzato ; iniezione nella vena giugulare di citrato di litio in soluzione al 5 °/0. Ora Pressione 12,52' p. 140 12,53' iniezione di 0,20 Azione -fisiologica del Sodio e del Litio 15 Ora Pressione 12,54' 120 12,56' 170 iniezione di 0,40 12,57' 175 1,00 iniezione di 0,20 1, 3' 140 1, 4' 180 1, 5' 155 1,19' 160 Così in seguito, ad ogni iniezione immediato abbassamento della colonna manometrica per azione inibitrice momentanea e poi innalzamento al di so- pra del normale. Ma dopo aver iniettato in diverse volte altri 3 grammi, alle ore 2, la pressione si è abbassata a 80, poi a 50 ed il cuore si è arre- stato gradatamente, allorché in tutto si sono iniettati grammi 3,80 di citrato di litio. Quindi il litio, durante l1 iniezione produce momentaneo abbassamento della pressione sanguigna, poi notevole aumento con enorme rallentamento ed aumento delle curve sfigmografiche del polso ; da ultimo graduato abbassamento della pressione ed indebolimento del polso. Durante l1 aumento della pressione si possono avere le intermittenze del polso come per insufficienza valvolare. Il meccanismo di quest’ azione eccitante del litio sul cuore e sui vasi apparisce quale esso sia dalla seguente esperienza 4 Aprile 1885. Cane di ehg. 5,200, curarizzato sino all’ abolizione completa di riflessi vasomotoria Ora Pressione 12, 5 55 Eccitando il crurale e lo sciatico con corrente non si ha elevamento di pressione nè ecci- tamento delle pulsazioni cardiache- 12, 18 50 iniezione di 0,20 di citrato di litio. 12, 19 100 12, 20 145 Polso più raro, più ampio. 12, 25 55 Eccitando i nervi suddetti, nessuna modifica della pressione e del polso : ciò è seguo di sicura paralisi vasomotoria. 16 Prof. Antonio Curci [Memoria XII.] Ora Pressione 12, 28 55 12, 30 85 12, 31 80 12, 32 90 12, 33 95 12, 34 100 12, 35 80 12, 49 50 12, 50 145 12, 51 150 12, 52 140 12, 53 80 12, 54 55 Iniezione di 0,20 ClLi. Iniezione di 0,20 di ClLi. polso più ampio, più forte, più raro. Iniezione di altro curaro e assoluta paralisi dei vasomotori. Indi iniezione di 0,20 di citrato di Litio. Da questa esperienza risulta che ad onta della paralisi dei nervi vasomotori mediante il curaro e perciò abolizione dei ri- flessi vasomotorii e cardiaci, 1’ iniezione del sale di litio ha pro- dotto F aumento della pressione sanguigna non che il rallenta- mento con rinforzamento delle pulsazioni cardiache. Vale a dire che il litio fa a meno dei nervi, e a somi- glianza del potassio, agisce direttamente eccitando la fibra mu- scolare del cuore e dei vasi. In ciò differisce dal sodio, il quale come abbiamo visto agisce eccitando i nervi, mentre gli effetti apparenti sono simili. Von si può escludere che agisca eccitando anche i nervi del gran-simpatico, sebbene non dimostrato. Il litio paralizza il cuore con minor dose del sodio ; così oltre i due esempi esposti si rileva ciò da questi altri : cagna volpina di kg. 5 è morta con grammi 3,20 di citrato ; cagna da caccia di kg. 8,600, con gramin : 6,40 di citrato ; cagnolina bastarda di kg. 3 con 0,80 di fosfato acido ; e da un calcolo molto approssimativo mi risulta che incominciano i fenomeni convulsivi a 0,25 per ogni chilogr. d’animale, mentre del sale di sodio ci vogliono circa 2 grammi per lo sviluppo delle con- Azione fisiologica del Sodio e del Litio 17 vulsioni e 5 a 6 grammi per F arresto del cuore per la stessa proporzione dell’ animale. Infine devo fare notare, come risulta da ciò che abbiamo esposto, che Fazione del litio è un pò differente negli animali a sangue freddo ed in quelli a sangue caldo ; in questi è in tutto simile a quella del sodio, in quelli manifesta un’ azione più e- nergica sul cuore, che paralizza prima di ogni altro organo, per cui si arresta F ulteriore svolgimento dell’ azione e somiglia a quella del potassio. Azione sulla termogenesi. — Il litio pare che eserciti debole influenza sulla produzione del calore. Riassumo la seguente esperienza : Cagna da caccia di chg. 8,600 — 17 Giugno 1885. Ora TEMPERATURA Rettale Vaginale Ascellare 10, 30 39, 1 39, 2 38, 5 10, 35 38,8 39, 0 38, 0 Inietto 1 gram. di citrato di litio. 10, 45 38, 7 38, 8 37, 9 Tetano respiratorio. 10, 50 38, 6 38, 7 37, 8 Iniettato 1 graiu. e poi 0,60. Tetano 10, 56 11, 5 38, 1 38, 3 37, 5 Iniettato gr. 0,40. II, 10 11, 45 37, 6 37, 5 Iniettato 1 gr. Convulsione tetanica più intensa. 36, 6 Tetano permanente. 12, 00 38, 0 38,0 36, 6 Convulsioni coutiuue. 12, 55 38, 6 38, 7 37, 9 Iniettato 1 gram. 12, 45 39, 0 39, 0 38, 6 Iniettati gr. 0,80. 12, 57 39, 1 39, 1 38, 7 Calmate un pò le convulsioni. Inco- 1, 5 Iniettati gr. 0,60 Arresto mincia la paralisi, del cuore. Da questa esperienza si rileva che ad onta delle intense convulsioni, si è avuto abbassamento graduato della temperatura e poi verso F ultimo rialzamento sino al grado iniziale. Questa esperienza ha un interesse tutto speciale in quantoc- chè dimostra, che pur svolgendosi intense e lunghe convulsioni 18 Prof. Antonio Curci [Memoria XII.] generali tetaniformi, la temperatura non si è elevata , ma anzi abbassata, e che invece è tornata al grado primitivo quando le convulsioni erano più deboli e cominciava la paralisi. Ciò con- traddice alla ipotesi che ammette essere il calore prodotto dalla contrazione muscolare, e conferma ciò che abbiamo detto a pro- posito del sodio cioè che la ipertermia non è dipendente dalle convulsioni, ma è un fenomeno concomitante. L’ energia svolta dai centri nervosi sotto l’azione del litio veniva tutta consumata per la contrazione muscolare ; in ultimo una parte di essa, non adoperata al lavoro muscolare, si trasformava in calore. A questo proposito vedi il mio lavoro « Meccanismo della termogenesi e natura della febbre ». Dal Laboratorio di Farmacologia sperimentale della R. Università. Catania Maggio 1905. Memoria XIII. Doti YENTORINO SPINELLI Le Alghe marine della Sicilia Orientale RELAZIONE della Commissione di Revisione composta dai Soci effettivi Proff. RUSSO e CAVARA ( relatore ) L’ Autore aveva già pubblicato nel 1902 un primo contributo, nel quale aveva compreso Fioridee, Melanosporee, Clorosporee, raccolte da lui e da altri nel littorale di Siracusa, Catauia e Messina. Alcune di esse figuravano come nuove per la Sicilia ed altre importanti dal lato della distribuzione geografica. Continuando le sue ricerche ed in seguito a più accurato esame delle specie studiate, fu indotto a presentare questo nuovo elenco sia per emen- dare determinazioni non buone del primo contributo e fatte senza opportuni materiali di confronto, sia per fornire dati più sicuri intorno alla presenza di specie assai rare, sia infine per aggiungere nuovi materiali raccolti dopo la pubblicazione del primo lavoro. Trattandosi dell’ illustrazione di quelle peregrine produzioni naturali che costituiscono la flora del mare jonico bagnante la costa orientale della Si- cilia, la Commissione di Revisione propone all’ Accademia di accettare per la pubblicazione nelle sue Memorie cotesta contribuzione, augurandosi che 1’ Autore, proseguendo nei suoi interessanti studi, possa farne seguire altre parimenti meritevoli. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII . - Mem. XIII. 1 V f . ■ ■ ' 1 . ■ — INTRODUZIONE Nella mia precedente pubblicazione sulla Mora marina Si- cilia (1) presentai un quadro di Alghe raccolte lungo la costa orientale, alcune delle quali abbastanza importanti, perchè nuove per la Sicilia : accennai in quell1 2 occasione ai principali lavori d1 indole sistematica, tendenti ad illustrare la nostra flora marina, la quale è ancora ben lungi dall’essere perfettamente conosciuta, come lo dimostrano le continue scoperte di specie nuove. Credo utile rifare la storia della letteratura algologica Si- cilia, tanto più che nel « Primo contributo » in’ era sfuggito il titolo di qualche lavoro importante, che non avevo avuto occa- sione di conoscere e di procurarmi. Il maggior contributo all’ algologia della Sicilia fu fornito nel 1861 dal ehiar. Prof. Ardissone, il quale nell’ « Enumerazione delle Alghe di Sicilia » e nella prima e seconda « Appendice alla Enumerazione delle Alghe di Sicilia » presentò un quadro ricco per numero di specie raccolte saltuariamente nell1 Isola o fornitegli da corrispondenti : questo elenco subì una certa ridu- zione, poiché alcune specie, ritenute autonome, furono nella Phycologia mediterranea radiate nel numero dei sinonimi dallo stesso Autore. Eu sempre perù importante perchè quelle primo orme calcate da un eminente algologo diedero indirizzo ed im- pulso ad uno studio tanto profìcuo. Dodici anni dopo il Doti. Langenbach (2) pubblicò un catalogo di Alghe vegetanti in Sicilia e a Pantelleria, nel quale (1) V. Spinej.m — Primo Contributo all’ Algologia della Sicilia — Acireale 1902. (2) G. Langenbach — Die Meersalgen der Imeln Sizilien und Pantelleria — Berlin 1873. 4 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XII 1 furono indicate alcune specie non trovate dall’ Ardissone : le ricerche del Langenbach si limitarono ad un tratto brevissimo della Sicilia settentrionale ed all’ isola di Pantelleria. Nel 1886 1’ illustre Prof. Borzì portò alla conoscenza degli Algologi un numero rilevante di specie nuove per la Sicilia, descritte ed illustrate in un fascicolo di Nuova Notarisia (1), le quali vennero ad aumentare il numero delle specie, che vanno ascritte alla flora marina siciliana ed accrebbero la conoscenza della ficologia mediterranea, in riguardo alla distribuzione geo- grafica di specie rare. Nè solamente per il rinvenimento e la descrizione di queste specie si rese benemerito della Scienza algologica il chiar. Borzì : a lui si deve la scoperta di una nuova Palmellacea, Clorotliecium Pirottae , rinvenuto in varie piante acquatiche e primieramente nel Potamogeton ed in qualche Chaetomorpha lungo le rive del Ciane, a- Siracusa. Anche di scarso materiale fecero tesoro gli Algologi, pur di accrescere le cognizioni ficologiche, specialmente per quanto riguarda la distribuzione batimetrica delle specie : infatti il chiar.mo Prof. Piccone, la cui immatura dipartita è stata grave perdita per la Scienza, nel 1888 pubblicava un « Pugillo di alghe sicule ». (2) « Son poche, è vero, » egli scriveva, « ma offrono un tal quale interesse : 1° Per essere state colte a di- screta e sopratutto ben accertata profondità, per cui sommini- strano un dato importante nello studio della loro distribuzione batimetrica ; — 2.° Perchè Pegssonnelia rubra J. Ag ., Delesseria lomentacea Zanard., Litopliyllum expansum Pliil. sono specie non registrate nei lavori riguardanti le alghe della Sicilia ». Le sei specie determinate dal Piccone erano state dragate dal R. Av- viso « Ischia » il 1 luglio 1887, alla profondità di 100 metri, alla Secca di Barro, nel Golfo di Palermo. Per opera del Piccone all’ unica Laminaria conosciuta nel (1) N. Borzì — Nuove Fioridee Mediterranee. — (Notarisia I, 1886). (2) A. Piccone — Noterelle Ficologiche — Genova 10 dicembre 1888 in Notarisia IV p. 666. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 5 Mediterraneo, raccolta dal kSig. Vicari a Siracusa, riferita dal chiar.mo Prof. Ardissone a Lata . Saccarina (L.) (1), s’ aggiunse la Laminaria digitata estratta dall'ancora della R. Nave Dandolo nel canale di Messina, alla profondità di in. 60. A questo stato era, per quanto io ne sappia, la letteratura algologica sicula quando venne pubblicato il mio « Primo con- tributo all’ Algologia della Sicilia », al quale seguì un lavoro del Sig. Angelo Mazza (2), intelligente e distinto cultore di Al- gologia. Nel « Manipolo d’ alghe della Sicilia » furono ripor- tate i nomi di specie rare ed interessanti, in parte raccolte dallo stesso autore, in parte fornitegli da corrispondenti : lo scrivente credette bene di comunicare all’ amico Mazza qualche specie nuova per la Sicilia, come Halymenia fastigiata J. Ag. e Cal- ìgine ni a demissa J. Ag., perchè la iscrivesse fra le specie sici- liane, non potendo sperare, per varie ragioni, che il presente lavoro si desse presto alle stampe. Ricca di specie importanti, la pubblicazione del Mazza è anche interessante per 1’ aggiunta di un nuovo Nitophyllwm, il N. trimromaticum Rodrig. alla flora marina italiana. Lo studio accurato del materiale, che mi servì per la com- pilazione del « Primo contributo », le indagini opportune e mi- nuziose sulla presenza di alcune specie rare ed interessanti ri- portate in quel primo lavoro, mi hanno indotto a presentare un nuovo elenco di Alghe siciliane, col quale, scartando quelle che, per mancanza di materiale di confronto, furono erroneamente determinate, sono in grado di poter affermare con dati certi la esistenza di specie non riscontrate ancora lungo la costa orien- tale dell’ Isola e di altre non meno importanti perchè rare. Ho escluso quelle che presentavano qualche dubbio sulla loro esatta determinazione, sia perchè in istato imperfetto, sia perchè prive (1) F. Aiìdissone — Phycologia Mediterranea — II, p. 142. (2) A. Mazza — TJn manìpolo di Alghe marine della Sicilia. — Nuova No tari sia, ser. XV Gennaio-Aprile 1904. 6 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII. | di organi di fruttificazione e quelle inoltre che, notate nel « Primo contributo »in base ad unico esemplare, potrebbero dar luogo a tante supposizioni relativamente alla loro presenza fra le deiezioni del mare. Malgrado il proponimento di non tener conto di specie non rappresentate da più di un esemplare, ho notato nel presente elenco Halymenia ligulata Zanard., sia perchè, come si vedrà leggendone la diagnosi, non dovrei avere dubbio sulla sua determinazione, sia perchè, trattandosi di specie nuova per il Mediterraneo, il suo rinvenimento sulle coste siciliane potrebbe indurre coloro, che possono disporre di più tempo ed hanno più opportunità dello scrivente, a ripetere le ricerche nella località in cui fu trovata la prima volta, con mezzi adatti, coi quali si potrebbe far luce sull’ area di vegetazione e sulla po- sizione batimetrica della importante Crittonemiacea. Nello spoglio del materiale distribuito in due pacchi nel- l’ Erbario mediterraneo del Gabinetto di botanica di Catania, trovai esemplari con indicazioni scritte dal Prof. Tornabene, le quali sono di grande importanza ; esse tolgono infatti ogni dubbio sulla vera stazione di quelle specie, che riferii generi- camente al « lido di Catania », non trovando frase più esatta per indicare 1’ Habitat di quelle che trovai nell’ Erbario del Prof. Cosentini, senza indicazione di località. Ora invece viene ad esser conosciuto il punto in cui fu raccolta Cally menta de- missa I. Ag., che dal Mazza si era, giustamente, riferita a lo- calità imprecisata, e ciò non è di lieve importanza se si pensa che nell’ Ionio si è rinvenuta una forma trovata finora sola- mente presso Marsiglia. Gli esemplari che compongono i due pacchi furon raccolti in parte dal Prof. Cosentini, in parte dal Tornabene, come si rileva dall’ esame delle due diversità di carattere con cui sono scritte le indicazioni di località dal Tornabene e qualche osser- vazione del Cosentini. Le località visitate dal Cosentini o dai suoi corrispondenti sono le seguenti : Capo Passero, Pachino, Pozzallo, Avola, Siracusa, Augusta, Catania, Acicastello, Aci- Le Alghe marine della Sicilia Orientale 7 trezza, Acireale, Ali, Messina. Alcuni esemplari provengono da S. Croce Camerina, da Licata, da Porto Empedocle, da Girgenti, da S. Stefano Camastra, le quali località non sono indicate nel presente catalogo, che s’ occupa solo delle Alghe della Sicilia orientale. Del materiale comunicatomi dall’amico Mazza mi son valso in parte, poiché mi sono attenuto solo a quello raccolto sulla costa orientale, per aggiungere alle mie anche le sue indicazioni di località. Al chiar.mo Dott. A. Porti, al carissimo amico A. Mazza, al primo dei quali debbo la determinazione delle Diatomee, al secondo comunicazioni e consigli, rendo vivi ringraziamenti. All’ Illustre Prof. Pridiano Cavava, che affettuosamente in’ ac- colse nel suo Istituto, fornendomi i mezzi per rivedere il ma- teriale precedentemente determinato e studiare quello che man mano andavo procurandomi, che mise a mia disposizione 1’ Er- bario del Tornabene e che provvide con tanta premura cortese alla stampa del presente lavoro, esprimo il sentimento del più profondo rispetto e della mia perenne, affettuosa gratitudine. Ringrazio pure cordialmente il chiar.mo Sig. I. I. Rodriguez, che mi fu prodigo dei suoi consigli e del suo valido aiuto. OPERE E MEMORIE CONSULTATE Agardh. I. — Algae maris Mediterranei et Adriatici — Parisiis 1842. Ardissone F. — Enumerazione delle Alghe di Sicilia — Genova 1861. » » — Appendice alla Enumerazione delle Alghe di Sicilia — Ge- nova 1865. — Appendice 2° all’ Enumerazione delle Alghe di Sicilia, — Ge- nova 1867. » » 8 Dott. Ventvrino Spinelli [Memobia XIII.] Ardissone F. — Prospetto delle Ceramice italiche con tre tavole colorate — Pe- saro 1867. » » — Le Fioridee italiche descritte e illustrate — Voi. I e II Mi- lano e Firenze 1868-78. » » — Phycologia mediterranea — Voi. I e II. Varese 1883-1887. » » — Note alla Phycologia Mediterranea — Estratto dei « Rendi- conti » del R. Ist. Lotnb. di se. e lett. Ser. II. Vo- lume XXXIII. 1900. » » — Note alla Phyc. Mediterranea — 1. c. Voi. XXXIV, 1901. » » — Rivista delle Alghe mediterranee. Parte la. Rodophyceae — 1. c. Voi. XXXIV, 1901. Ardissone F. e Strafforello I. — Enumerazione delle Alghe di Liguria — Mi- lano 1877. Borzì A. — Nuove Fioridee meditarranee — (Xotarisia I, 1886). De Toni G. B. — Sylloge algarum omnium hucusque cognitorum - — Voi. I. Sectio I. (Jhlorophyceae. Pata vii 1889. Voi. III. Fucoi- deae. Pala vii 1895. Voi. IV Florideae. Sect. I, II, III. Patavii 1897-1903. Hauck F. — Meersalgen (in Rabenh. Kript. von Deutschland, Oesterreich und der Schweis ) — Leipzig, 1883-85. Kutzing F. T. — Tabulae phycologicae 1 — XIX — Nordhausen 1849-69. » » — Species Algarum — Lipsiae 1849. Langenbach G. — Die Meersalgen der Insen Sizilien undi Pantelleria — Berlin 1873. Mazza A. — Un manipolo di Alghe marine della Sicilia — Parte I. Flori- deae (Estratto della Xuova Xotarisia, Serie XV, Gen- naio-Aprile 1904). Parte II. Fucoideae, Chlorophyceae, Cyanophyceae (Estratto dalla X. Notarisia, Serie XV, Luglio 1904). Meneghini G. — Alghe italiane e dalmatiche — Padova 1842-43. Naccari F. L. — Algologia adriatica — Bologna 1828. Piccone A. — Noterelle ficologiche — I. Il Fucus vesiculosus L. vive spon- taneo in Liguria ; II. Pugillo di Alghe sicule ; III. Se la costituzione chimica del corpo sul quale le alghe sono affisse possa iufluire sulla loro distribuzione geografica. (Xotarisia anno IV, 1889, n. 13, p. 664-671). Rodriguez I. I. — Algas de las Baleares — (Auales de la Societad espanóla de historia naturai tomo XVII, 1888.) Le Alghe marine della Sicilia Orientale 9 Spinelli V. — Primo contributo all’ Algologia della Sicilia — Estratto dalle Meni, della R. Accad. degli Zelanti. Acireale 3a Serie. Voi. 1° 1901-1902 p. 1-66. Valiante R. — Monographie die Cystoseiren , in Fauna und Flora des Oolfs von Neapel — Leipzig' 1883. FLORIDEAE Lamx. CERAMI ACE AE Rclib, Aaeg. emend. Cattiti) amnieae A?/, ex p., J. Ag. Callithamxiox, Lyngl). I. Eucallithamnion. 1. Callithamnion Borreri (Sui.) Harv. Cali. Borreri , Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 59 — Kg. Spec. Alg. p. 643. Tab. Pliyc. SI, 71 — Ardiss. Enuui. Alg. Sicil. X. 114 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 170. Cali, seminudum , I. Ag. Alg. medit. p. 72. Cali, siculum , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 112. Pleonosporium Borreri , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1303 — Hauck Meersalgen p. 88, f. 32. Abit. Siracusa a S. Lucia. 2. Callithamnion granulatimi (Ducluz) Ag. Cali, granulatimi , Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 73 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1331—1. Ag. Alg. medit. p. 64 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 171 — Hauck Meersalgen p. 87. Phlebothamnion granulatimi , Kg. Spec. Alg. p. 658.: Tab. Pliyc. XII, f. 11, c-e. — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 117. Phleb. spongiosum , Kg. Spec. Alg. p. 658.: Tab. Pliyc. XII, 13, e-g. Abit. Porto di Siracusa, in dicembre. II. Seirospora. 3. Callithamnion subtilissimum De Not. Cali, subtilissimum , Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 67 — Ardiss. Prosp. Gerani, ital. p. 27, t. II, f. 6-10 — Hauck Meersalgen p. 84. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVIII - Meni. XIII. 2 io Doti. Venturino Spinelli [Memoria XII1.J Cali, vermilare , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 111. Seirospora interrupta , (Sm.) var ì subtilissima. De Toni Sy 11. Alg. Voi. IV. Sect. Ili, p. 1347. Abit. Porto di Siracusa, Catania, ad Ognina ed alla Plaia, in luglio con tetraspore (Spinelli) : Catania, a Capo Mulini (Tornabene). III. Antithamnion. 4. Callithamnion cruciatimi A g. Cali, cruciatimi , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 76 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1408 — I. Ag. Alg. medit. p. 70 — Kg. Spec. Alg. p. 649 : Tab. Phyc. XI, t. 87, f. a-c. — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 29 — Hauck Meersalgen p. 71, f. 24 C. Cali, fragilissimurn , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 116. Cali, decipiens, I. Ag. Alg. medit. p. 70. Abit. Sugli scogli poco profondi, nel porto di Siracusa; Mes- sina (Mazza). 5. Callithamnion Plumula (Ellis) Ag. Cali. Plumula , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 78 — 1. Ag. Alg. medit. p. 71 — Kg. Spec. Alg. p. 647.: Tab. Phyc. XI, 83, I — Ardiss. e Strali. Enum. Alg. Lig. p. 172. Cali, refractum, Kg. Spec. Alg. p. 650; Tab. Phyc. XI, t. 84, f. a-c. Cali, polyacanthum , Kg. Spec. Alg. p. 648 : Tab. Phyc. XI, t. 83, f. d-c. Abit. Porto di Siracusa, sotto le carene delle barcaccie, in maggio, con tetraspore. Catania, sotto la carena di un bastimento in disarmo; Acicastello, Messina e Catania (Mazza). A questa specie deve riferirsi il Cali, polyspermum indicato da me nel « Primo Contributo all’ Algologia della Sicilia ». Criffithsia, Ag. I. Sphondylocladia. 6. Criffithsia phyllamphora. I. Ag. Griffi, phyllamphora , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 83 — De Toni, Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1281—1. Ag. Alg. medit. p. 77 — Kg. Spec. Alg. p. 661 — Hauck Meersalgen p. 92. — Ardiss. e Strafif. Enum. Alg. Lig. p. 173. Abit. Fra altre alghe a Catania , (S. Giovanni dei Cuti) , in agosto. Le Alghe marine della /Sicilia Orientale 11 II. Acrocladia. 7. Griffi thsia opuntioides I. Ag. Griffi, opnntioides , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 85 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. III. p. 1272 — Hauck Meersalgen p. 94 — Kg. Spec. Alg. p. 664 — I Ag. Alg. medit. p. 76 — Ardiss. e Strati. Enum. Alg. Lig. p. 174. Abit. Catania, alla Plaia, in maggio. L’ unico esemplare che possiedo presenta un color giallastro, invece del roseo, dovuto alla decomposizione dell’ endocroma. Ceramieae , Bonnem ex. p., J. Ag. Ceramium, Lyiìgb. I. Hormorceeas. 8. Ceramium diaphanum Roth. Cer. diaphanum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 98 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV. Sect. Ili, p. 1486 — Hauck Meersalgen p. 107 — I. Ag. Alg. me- dit. p. 81. Abit. Siracusa, a S. Lucia; porto di Catania, alla Lanterna. 9. Ceramium elegans Ducluz. Cer. elegans , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 100 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1460. Cer. elegans var. breviarticvlatum , Ardiss. Fior. ital. I, 2, p. 36. Rormoceras polygonum , Kg. Tab. Phyc. XII, p. 21, t. 67, f. c-e. Gongroceras gymnogonium , Kg. Spec. Alg. p. 679. Ceramium gymnogonium , Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. p. 176. Abit. Porto di Siracusa e di Augusta; Catania a S. Giovanni dei Cuti. 10. Ceramium strictum Grev. et Harv. Cer. stridimi, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 102— De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. III, p. 1484 — Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. p. 176. Cer. diaphanum gracile, Ardiss. Fior. Ital. I, 2, p. 36. Gongroceras pellucidum , Kg. Spec. Alg. p. 678. Rormoceras diaphanum, Kg. Spec. Alg. p. 675 : Tab. Phyc. XII, 68, a-f. Abit. Porto di Siracusa ; Catania, alla Plaia ed a S. Giovanni dei Cuti. Si rinviene frequentemente sulle foglie di Zostera. 12 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII.] II. Phleoceras 11. Ceramium rubrum (Huds). Ag. Cer. rubrum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 113. — De Toni Syll. Alg. Voi. IV. Sect. Ili, p. 1476 — I. Ag. Alg. medit. p. 81 — Kg. Spec. Alg. p. 685 : Tab. Pliyc. XII, 4 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 132 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. X. 440. Abit. Abbastanza frequente ovunque : Messina, Acireale, Ri- posto, Catania (Mazza). b proliferum Li/ngb. Messina : giugno 1901. e secundatum Catania, a S. Giovanni dei Cuti; giugno 1901, con favelle. III. Echinoceras. 12. Ceramium ciliatum (Ellis) Ducluz. Cer. ciliatum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 117 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1472 — I. Ag. Alg. medit. p. 81 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. X. 438. j Echinoceras ciliatum , Kg. Spec. Alg. p. 680 : Tab. Phyc. XII. 86, a-c. — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 129. Echin. hirsutum, julaceum , imbrieatum , diaphanum , Hystrix , horridum, tenellum , spinulosum , distans, secundatum, patens , pellucidum, puberulum , ra- mulosum , nudiusculum , hamulatum , giganteum , Kg. Spec. Alg. et Tab. Phyc. Abit. Acireale (Mazza) : Catania, a Capo Mulini (Toruabene), S. Giovanni dei Cuti, (Spinelli). Xe raccolsi in discreta quantità a Siracusa. Priolo, Augusta, Taormina e Messina. Cextroceras Kg. 13. Centroceras clavulatum (Ag.) Montg. Centr. clavulatum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 121 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 178. Centr. Gasparinii , Kg. Spec. Alg. p. 689. Centr. Leptacanthum, Kg. Spec. Alg. p. 689: Tab. Phyc. XIII, t. 18, e-g — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 134. — Langenbach Meersalg. Inseln Siz. uud Paut. p. 16. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 13 Ceramium clavulatum, De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1491— Hauck Meersalgen p. 113. ' Spy ridia eiaculata, I. Ag. Alg. medit. p. 80. A bit. Porto di Siracusa e di Augusta. 14. Centroceras cinnabarinum (Grat.) I. Ag. Centr. cinnabarinum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 123 — Ardiss. e Strali'. Enunci Alg. Lig. p. 178. Ceramium cinnabarinum , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Seet. Ili, p. 1493 — Hauck Meersalgen p. 112. Cer. ordinatimi, Kg. Spec. Alg. p. 680 : Tab. Phyc. XIII, t. 7, f. a-c. Abit. Catania: è stato rinvenuto da Mazza a Messina, oltre che nella stessa località ove lo trovai. CRYPTOYEMIACEAE J. Ag. Nemastoma J. Ag. I. Gymnophlaea. 15. Nemastoma dichotoma J. Ag. Nem. dichotoma, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 130 — I. Ag. Alg. medit. p. 91. — Hauck Meersalgen p. 117. Gymnophlaea dichotoma, Kg. Spec. Alg. p. 711 : Tab. Phyc. XVI, t. 58, g-k— Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 36 — Langenbach Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 16. Ginannia irregularis, Kg. Tab. Phyc. XVI, t. 69. Abit. A Siracusa, Catania e Messina ; parecchi esemplari rac- colti nel mese di giugno son provvisti di cistocarpi. Messina, Ca- tania, Acireale (Mazza). II. Platoma. 16. Nemastoma cervicornis J. Ag. Nem. cervicornis, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 131. Gymnophlaea ■ cervicornis, Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 37 — Langenbach Meer- salg. Inseln Siz. und Pant. p. 16. Gymn. furcellata, Kg. Spec. Alg. p. 712 : Tab. Phyc. XVI, t. 60, b-e. Halymenia cervicornis, I. Ag. Alg. medit. p. 97 — Kg. Spec. Alg. p. 716. Hai. cyclocolpa , Kg. Tab. Phyc. XVI, t. 94, a-b — Hauck Meersalgeu p. 117. Abit. Di questa specie abbastanza rara, raccolsi alcuni esem- plari a Catania e ad Acicastello, fra i rifiuti, che il mare aveva 14 Doti. Ventv vino Spinelli [Memoria XIII. | deposto sulla spiaggia dopo una forte libeceiatta ; iu qualcuno di questi esemplari le ramificazioni alla base son poche, anzi possono mancare affatto e iu questo caso, la fronda sorge dal dischetto radicale intero, di forma quasi orbicolare, e porta solo all’ apice alcuni rametti. SCHIZYMENlA J. Ag. L7. Sehizymenia marginata (Roussel) I. Ag. Sch. marginata , Ardiss. Pliyc. medit. 1, p. 141 — Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. p. 181. Nemastoma marginata , I. Ag. Alg. medit. p. 91. Halymenia marginata , Kg. Spec. Alg. p. 717. Abit. Siracusa, ai Cappuccini, in luglio ; Catania, alla Plaia. 18. Sehizymenia JDiibyi (Chauv.) I. Ag. Sch. Duhyi , Ardiss. Phyc. medit I, p. 142 — Langenbach Meersalg. luselu Siz. und Paut. p. 16. Sch. minor , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 160. Iridaea elliptica , Kg. Spec. Alg. p. 725: Tab. Phyc. XVII, 4. Euhymenia Duhyi , Kg. Spec. Alg. p. 743: Tab. Phyc. XVII, 80. Abit. Comunissima ovunque ; in aprile coi cistocarpi. Il colore della fronda facilmente volge al giallo, per decomposizione ; spesso è coperta da un pulviscolo verdastro, formato da gusci di Diatomee. Assume forme diverse : iu alcuni esemplari la fronda sorge dal callo radicale allargandosi in una larga lamina intera, la quale alla cima si divide una o due volte, e simula una ramificazione. Altre froudi si dividono fin dalla base, assumendo 1’ aspetto cor- diforme. Halymenia Ag. (ut ut. cliaract.) I. Halophvllttm. 19. Halymenia Floresia (Cletn.) Ag. Hai. Floresia , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 145 — 1. Ag. Alg. medit. p. 96 — Kg. Spec. Alg. p. 716 : Tab. Phyc. XVI, 88-89 — Ardiss. e Strati'. Enum, Alg. Lig, p. 179. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 15 Abit. Catania, alla Plaia, ad Ogniua e a S. Giovauui dei Cuti: in quest’ ultima località rinvenni esemplari in rilevante quantità dopo una forte mareggiata, in aprile. Le frondi ora umili, ora ro- buste ed alte, sorgono da un callo radicale ben ditinto : qualche volta si presentano coll’ apice troncato per gli urti subiti contro le rocce durante l’ imperversare del libeccio e spesso si scorgono frammenti di pianta, le quali attestano la fragilità della fronda, di consistenza gelatinosa. Generalmente negli esemplari coll’apice tron- cato, le ramificazioni laterali assumono dimensioni molto maggiori che nelle forme intatte, fenomeno questo che si riscontra nella massima parte degli organismi vegetali. È degno di nota anche il fatto che la fronda si presenta qua e là bucherellata : esaminando questi fori, non vi si scorge la me- noma traccia di quelle dentellature, che sogliono presentare le fe- rite prodotte da azioni traumatiche. La regolarità del contorno fa pensare ad un processo di rigenerazione. Nelle condizioni normali, si inizia in tutte le piante un pro- cesso di risanamento, di neo formazione, per cui un tessuto viene a sostituirsi al posto di un altro perduto in conseguenza di una ferita: una sezione microscopica di Ralym. Floresia praticata sulla superficie limitante il foro dimostra che le cellule dello strato cor- ticale si sono alquanto allungate, per accrescimento apicale. Questo allungamento delle cellule corticali è poco evidente e la cicatriz- zione non si compie, come il più delle volte nelle piaute terrestri, sia perchè il tessuto che si trova in prossimità della ferita non è capace di proliferare, sia per la difficoltà opposta alla cicatrizza- zioue da parte dell’ ambiente in cui vegeta 1’ alga. Il processo di rimarginazione del resto non è nuovo fra le Alghe : lo si è riscontrato anche nei fili di Vaccheria, i quali, quando son colpiti da azione meccanica, si rigenerano. Al limite della ferita il protoplasma s’ addensa, barricandosi, per così dire, dietro gli avanzi del protoplasma già compromesso, opponendo con questo mezzo, resistenza agli insulti successivi degli agenti esterni. Anche i granuli di clorofilla assumono una posizione ben diversa da quella normale, alla quale non ritornano se non dopo un tempo più o meno lungo, quando, cioè, il protoplasma al limite della fe- rita non abbia formato un margiue tale da supplir quasi la parete manomessa, come succede anche nelle foglie dei Muschi. 16 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII.] II. Halaraohnion. 20. Ealymenia ligulata I. Ag. Halaraohnion ligulatum , Kg. La fronda sorge da un minuto callo radicale e si innalza fino a 12 era : siu dalla base si divide, dando origine a 4 rametti, ri- stretti alla base, i quali vanno poco sensibilmente allargandosi, mostrando 1’ apice rotondato. Solo la fronda più adulta porta pro- liferazioni marginali, in forma di ligule, irregolarmente alterne ; una di queste ligule si dimostra leggermente forcipata, carattere questo che ho anche riscontrato negli esemplari gentilmente comu- nicatomi dal chiar. Sig. Rodriguez, al quale rendo qui vivi e sen- titi ringraziamenti. V esemplare catanese è relativamente piccolo in confronto alle forme oceaniche, ma l’aspetto esterno e, come si vedrà in seguito, la struttura intima, non lasciano dubbio, a mio parere, sulla de- terminazione. Si sa che senza materiale di confronto maturo e per- fetto non è possibile pronunziarsi su alcuna specie di Halymenia, poiché i caratteri intimi possono talvolta essere gli stessi, o quasi, in diverse specie : quando riuvenni il inio esemplare, parecchi anni addietro, praticai qualche sezione , che presentava i caratteri del genere Halymenia e ravvisai subito la perfetta somiglianza della struttura dell’esemplare in esame con quella rappresentata dal dise- gno dato dall’Hauck sull’ Halymenia, ligulata I. Ag. Anche morfologi- camente 1’ esemplare presenta perfetta somiglianza colla descrizione che ne fa il suddetto autore: tallo cilindraceo compresso, assotti- gliato alla base in stipite , proliferante dal margine. All’ esame microscopico avevo osservato : 1° uno strato corticale formato da una assisa di cellule mediocri, tonde, iutensamente porporine: 2° uno strato sotto corticale costituito da due raughi di cellule più grandi : 3° uno strato midollare formato di filamenti articolati, che si auastomizzano collo strato inferiore delle cellule sottocorticali e avvolgono inferiormente e lateralmente i cistocarpi, i quali, dalla parte apicale, sono circondati dallo strato corticale. I cistocarpi sono globosi, sporgenti e sparsi su tutta la superficie della fronda. Consistenza gelatinosa membranacea ; colore purpureo, che sbiadisce colla disseccazione. Comunicai il mio esemplare al chiar. Rodriguez, il quale mi assicurò che, dall’aspetto esterno, non si può separare da Halara- Le Alghe marine delia Sicilia Orientale 17 cknion ligulatum (Kg.), Ralymenia ligulata , ‘(Ag.): all’ esame mi- croscopico però manifestava qualche dubbio sulla forma e grandezza delle cellule corticali, le quali son più piccole che nell’ Hai. ligu- latum, rotoudato-obluughe, invece che angolose. (1) Si badi però che l’ esemplare fu trovato, quasi cinque anni addietro, fra i mucchi d’ alghe reiette e che la pressione, alla quale fu assoggettata la piantina, durante la preparazione, fece perdere la forma primitiva alle cellule dei varii strati, mentre la disidratazione, 1’ aridità dell’ esemplare, affatto avido d’ acqua, im- pediscono che le sezioni riescano chiare e che le cellule ritornino turgide e riprendano, gonfiandosi, la forma e le dimensioni primitive. Per questa ragione le cellule corticali sembrano più piccole di quanto sogliono essere nell’ Halarachniou e i filamenti, che compongono lo strato midollare, si dimostrano esili, radi, alcuni anche rizoidei. Malgrado ciò, basandomi sul disegno di una sezione fatta sulla fronda allo stato fresco, perfettamente uguale a quello dato da Hauck, son convinto che le minime differenze che i tessuti intimi dell’ esemplare dimostrano ora colle forme tipiche sono acquisite e non originali e che quindi si sia di fronte ad una forma di Raly- menia ligulata Ag. la presenza della quale non è stata ancor notata nel Mediterraneo. Si potrà obbiettare che 1’ Alga, perchè trovata fra i rifiuti del mare, possa essere stata trasportata da altre regioni sulla spiaggia catanese : ma questo dubbio cade da se, quando si rifletta che la freschezza della piantina, al momento in cui fu raccolta, era tale da non far nemmeno pensare ad una lunga permanenza in mare, condizione questa necessaria perchè avesse potuto esser portata a Catania da lontane regioni. La fronda era intatta, senza lacerazione alcuna, contrariamente a quanto suole avvenire in quelle Alghe, che, dimorando lungamente nell’acqua, sbattute dalle onde, afflo- sciate in seguito ad incipiente decomposizione, sogliono mostrarsi troncate in qualche punto, lacerate in seguito ad urti con corpi estranei. III. Nemaliopsis. 21. Ralymenia fastigiata. I. Ag. Hai. fastigiata, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 152 — Ardiss. e Strafif. Enum. Alg. Lig. p. 180. (1) Lettera di I. I. Rodriguez allo scrivente : 16 novembre 1904. Atti acc. Serie 4a, Vol. XVIII — Meni. XIII. 3 18 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XI11.J Abit. Faro di Messina ; dicembre 1899. L’ esemplare misura un decimetro d’ altezza : la fronda è ar- rotondata e, sin dalla base, regolarmente dicotoma, coi segmenti dilatati alle ascelle. Come dall’ aspetto, così anche per la struttura intima concorda perfettamente . colla descrizione fatta dal Chiar. Ardissone. SCHIMMELMAXNTA ScllOUSb 22. Schimmelmannia ornata Schousb. Schimm. ornata , Ardiss. Phyc. medit. I, p. là? — Kg. Spec. Alg. p. 722 ; Tab. Phyc. XVI, 84, a-c. Naccaria Schousboei, I. Ag. Alg. medit. p. 86. Carpoblepharis ì mediterranea , Ardiss. Euum. Alg. Sicil. p. 33. Abit. Acireale, alla Scalazza. S. Maria la Scala e S. Tecla (Mazza) GrRATELOUPIA Ag. 23. Grateloupia dichotoma. I. Ag. Or. dichotoma, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 137—1 Ag. Alg. medit. p. 103— Kg. Spec. Alg. p. 732: Tab. Phyc. XII, 28, c-e.— Ardiss. e Strafh Euum. Alg. Lig. p. 179— Langenbach Meersalg. Inseln Siz. uud Pant. p. 18. Abit. Abbastanza comune luugo tutta la costa orientale : nelle forme repens, nana e proteus. 24. Grateloupia filicina (Wulf.) Ag. Or. filicina , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 138—1. Ag. Alg. medit. p. 103— Kg. Spec. Alg. p. 730 : Tab. Phyc. XVII, 22— Ardiss. e Strali. Euum. A-lg. Lig. p. 178 — Langenbach Meersalg. Inselli. Siz. und Pant. p. 18. Gr. dichotoma var. speciosa , Ardiss. Enuin. Alg. Sicil. X. 164. Gr. porracea , Kg. Spec. Alg. p. 730 : Tab. Phyc. XVII, 25 a-c. Gr. concatenata , Kg. Spec. Alg. p. 731: Tab. Phyc. XVII, 24, c-e. Gr. horrida, Kg. Spec. Alg. p. 731. Tab. Phyc. XVII, 26, b-d. Gr. filiformi, Kg. Spec. Alg. 1. c. : Tab. Phyc. XVII, 25, d-e. Gr. pennulata, Kg. Spec. Alg. 1. c. : Tab. Phyc. XVII, 27, a-b. Abit. Comune ovunque. Messina, Biposto, Catania, Siracusa (Mazza). Le Alghe marine della Sicilia Orientale 19 Cyptonemia I. Ag. I. Eucryptonemia I. Ag. 25. Cryptonemia Lomation (Bertol.) I. Ag. Cr. Lomation , Ardiss. Pbyc. medit. I. p. 159 — Ardiss. e Strali'. Euum. Alg. Lig. p. 183 — Laiigenbach Meersalg. Inselli. Siz. und Paut. p. 19. Euhymenia lactuca, Kg. Spec. Alg. p. 741: Tab. Pbyc. XVII, 71, a-b. Cryptonemia lactuca , I. Ag. Alg. medit. p. 100. Abit. Siracusa, ai Cappuccini ; porto di Catania (Tornabene) ; Catania, alla Plaia (Spinelli). II. Acrodiscus. 26. Cryptonemia Vidovichii (Menegli.) Zanard. Cr. Vidovichii, Ardiss. Pliyc. ìnedit. I, p. 162. Cr. dichotoma , I. Ag. Alg. medit. p. 100. Acrodiscus Vidovichii, Ardiss. e Strali'. Enurn, Alg. Lig. p. 183. Euhymenia dichotoma, Kg. Spec. Alg. p. 742; Tab. Pbyc. XVII, 72. Abit. Acireale (Tornabene) ; S. Tecla, presso Acireale (Mazza) Siracusa, sui tofuli di Cystoseira (Spinelli). Neupocaulon Zanard. 27. Neurocamion reniforme Post, et Roupr. Costantinea reniformis, Ardiss. Pbyc. medit. I, p. 174 — Hauk Meersalgen p. 146, f. 60. Neurocaulon foliosum, Kg. Spec. Alg. p. 744; Tab. Pbyc. XVII, 83, a-c. Kallymenia reniformis, I. Ag. Alg. medit. p. 99. Abit. Gli esemplari mi furon comunicati dall’ amico Nicolosi, che qui ringrazio ; egli li raccolse a S. Giovanni dei Cuti e li con- servò in Formalina, ove il colore purpureo, dopo parecchi anni, si mantiene inalterato. RHIZOPHYLLEDACEAE Scimi. Rhizophyllis Kg. 28. Rhizophyllis Squamariae (Meuegb.) Kg. Rh. Squamariae, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 224 — Kg. Spec. Alg. p. S77: Tab. Pbyc. XVI, 8 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 208. 20 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII.] Rh. dentata, Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. N. 510. Abit. Sulla Peyssonellia Squamaria, a Siracusn, Catania e Messina. SQTJAMARIACEAE Ardiss. e Straff. Peyssoxellia Decne. 29. Peyssonellia Squamarla (G-in.) Decne. P. Squamaria, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 227 — I. Ag. Alg. medit. p. 92 — Kg. Tab. Phyc. XIX, 87, a-b — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. p. 198 — Hauck Meersalgen p. 31. Abit. Connine ovunque. 30. Peyssonellia rubra I. Ag. P. rubra , Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 228 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. p. 198. Abit. Siracusa, Catania, Acicastello, Taormina, Messina, in luglio. Messina, S. Tecla, presso Acireale, spiaggia « S. Lucia » a Siracusa (Mazza). 31. Peyssonellia Harveyana Crouan P. Harveyana, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 229 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. p. 198. P. orbicularis, Kg. Spec. Alg. p. 694. P. polymorpha, Hauck Meersalgen p. 35. Abit. Siracusa ed Acicastello, sulle Cistoseire. Specie polimorfa, dalla fronda orbicolare, incrostata, espansa in senso orizzontale, intera o sinuosa, dapprima aduata al sustrato su cui vegeta e poi libera. Aderisce tenacemente alla parte basale del tallo delle Cistoseire mediante fibre radicali nerastre. Decalci- ficata con Acido acetico diluito, e sezionata, lascia distinguere i caratteri intimi del genere. Il colore varia dal purpureo al roseo. COKALLINACEAE Harv. Melobesia Lamx. I. Melobesieae. Aresch. 1. Eumelobesia 32. Melobesia membranacea Lamx. M. membranacea , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 443 : Enum. Alg. Sicil. N. 123. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 21 Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. N. 585 — Langenbach Meersalg. Iuseln Siz. and Pant. p. 20— Hauck Meersalgeu p. 265. Abit. Sulla Zostera e su qualche Cystoseira, a Siracusa : iu questa stessa località Mazza 1’ ha trovato sulle foglie di Posidonia cardini. 33. Melobesia pustidata Lamx. il/, pustulata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 446 — Kg. Spec. Alg. p. 696 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. K. 144 — Ardiss. e Strali. Enum. Alg. Lig. N. 588. Abit. Sulla Taonia atoniaria e sulla Balimeda Tana , a Catania e a Messina. II. Coralline ae. Aresch. Amphiroa Lamx. 34. Amplbiroa exilis Harv. A. exilis , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 455. A. pustulata , Kg. Spec. Alg. p. 700: Tab. 'Phyc. Vili, 42, I. A. complanata , Kg. Spec. Alg. p. 702 : Tab. Phyc. Vili, 43, II. A. algeriensis , Kg. Tab. Phyc. Vili, 44, Il — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. K. 146 — Langenbach Meersalg. Inselli Siz. und Pant. p. 20. Abit. Abbastanza comune. 35. Amphiroa rigida Lamx. A. rigida , Ardiss. Phyc. medit. I. p. 456 — Kg. Spec. Alg. p. 701 — Ardiss. e Siraff. Enum. Alg. Lig. N. 596. A. spina , Kg. Spec. Alg. p. 700 : Tab. Phyc. Vili, 41, II. A. irregularis, Kg. Spec. Alg. p. 700 : Tab. Phyc. Vili, 41, III. Abit. Siracusa, Catania, Acicastello, fra i rifiuti del mare, in luglio. Messina (Mazza). JAIIA Lamx. 36. Ionia rubens (L.) Lamx. j. rubens , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 459 — Kg. Spec. Alg. p. 709 : Tab. Phyc. Vili, 84, II-IV — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 151 — Ardiss. e Strafif. Enum. Alg. Lig. N. 597 — Langenbach Meersalg. Inselli Siz. und Pant. p. 20. Abit. Abbastanza comune ovunque. 22 Doti. Vetturino Spinelli [Memoria XJI1.J Corallina Lanix. 37. Corollina officinali L. C. officinali , Arrìiss. Pliyc. medit. I, p. 402 : Enum. Alg. Sieil. X. 147 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg'. Lig. X. 601 — Langenbach Meersalg. Inselli Siz. und Pant. p. 21. Abit. Comunissima nella la zona di profondità. GIGARTINACEAE Ardiss. e Straff. Gigartixa Stack. 38. Qigartina aciculari (Wulf.) Lanix. O. aciculari , Ardiss. Pliyc. medit. p. 167 — De Toni Syll. Alg. Voi, IV, Sect. I, p. 198 — 1. Ag. Alg. medit. p. 105 — Kg. Spec. Alg. p. 749: Tab. Pliyc. XVIII, I, c-e — Ardiss. Enum. Alg. Sieil. N. 166 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 184. G. compressa Kg. Spec. Alg. p. 750 : Tab. Pliyc. XVIII, 2. Abit. Comune su tutto il litorale. 39. Gigartina Teeclii (Rotti.) Lanix. G. Teedii , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 168 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I. p. 202 — Hauck Meersalgen p. 136, f. 54. Abit. Siracusa, Augusta, Catania, Messina (anche Mazza), in maggio coi cistocarpi. Callymexia J. Ag. 40. Callynienia demissa I. Ag. G. demissa , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 302. Da un minuto callo radicale sorge la fronda, la quale s’allarga subito, assumendo circoscrizione reniforme, coi margini interi o den- tellati e ondulati : in certi esemplari dal callo radicale s’ innalzano più frondi, le quali, avendo età diversa, presentano differenti forme. Infatti le più piccole hanno la forma di flabello, mentre le adulte non conservano nè questa, nè la reniforme, ma tendono alla cunei- forme. È nelle frondi adulte che si scorgono marcatamente i lobi, i quali si avanzano dalla parte superiore ed inferiore della fronda, in modo da formare uua strozzatura, finché forse la fronda primitiva e l’altra formatasi in seguito alla divisione vengono, forsan externa vi quoque dilaceratae (De Toni) Le Alghe marine della Sicilia Orientale 23 La struttura intima è quella del genere Callymenia. Le froudi arrivano a misurare cm. 5 1/2 d’ altezza e 3 era. di larghezza : i cistocarpi si trovano sotto forma di punti oscuri. Il colore è d’ intenso e brillante cocciniglia. Abit. Secondo le indicazioni trovate in una etichetta attaccata ad un esemplare non determinato e ad altro determinato sotto il nome di Halymenia sanguinea , questa bellissima specie fu raccolta dal Prof. Tornabeue a Catania : in questa stessa località dovette pure esser trovato l’esemplare, che comunicai all’amico Mazza, del quale non seppi precisare la località, avendolo rinvenuto in un palco d’ Alghe indeterminate e senza alcuna indicazione. Callophyllis J. Ag. 41. Callophyllis laciniata (Huds) Kg. C. laciniata , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 278 — Kg. Spec. Alg. p. 744: Tab. Phyc. XVII, t. 84 — Ardiss. Phyc. medit. II p. 302. Abit. Messina (Mazza) : posseggo due esemplari piccoli ed in- completi di questa specie, che raccolsi a S. Giovanni dei Cuti, e sol per l’ intima struttura riferii a C. laciniata. (tYMXOGOXGIMJS Mari. 42. Gymnogongras Griffithsiae (Turn.) Mart. G. Griffithsiae, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 176 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect, I, p. 242 — Kg. Spec. Alg. p. 788 : Tab. Phyc. XIX, t. 65, e-g — Ardiss. e Strali'. Ennm. Alg. Lig. p. 185. G. tentaculatus , Kg. Spec. Alg. p. 788 : Tab. Phyc. XIX, 65, c-d. G. furcellatus, Kg. Spec. Alg. p. 788 — Ardiss. Ennm. Alg. Sicil. N. 174 — Langeubach Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 19. G. parthenopaeus , Kg. Spec. Alg. 1. c. : Tab. Phyc. XIX, 66, a-b. Chondrus griffithsiae, I. Ag. Alg. medit. p. 95. Abit. Comune ovunque. 43. Gymnogongrus palmettoides Ardiss. G. nicaeensis , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 179 — Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. p. 186. Abit. Messina (Mazza) : Catania ed Acicastello (Spini li). 24 Dott. Venturino Spinelli [Memoria XIII] Phyllophora Grev. 44. Phyllophora nervosa (De Caini.) Grev. Ph. nervosa, Ardiss. Phyc. inedit. I, p. 182 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 234 — 1. Ag. Alg. inedit. p. 94 — Kg. Spec. Alg. p. 791, Tab. Phyc. XIX, t. 76, f. II — Ardiss. Emirn. Alg. Sicil. X. 176 — Ardiss. e Strali. Enum. Alg. Lig. p. 187. Abit. Messina (Mazza e Spinelli) : Catania, Acicastello. Sira- cusa, Pachino, abbastanza frequente. KHODYMEKIACEAE Neg. (nmt. limit.) J. Ag. GtAStrocloxium Kg. 45. Gastroclonium kalifornie (G. et W.) G. haliforme, Ardiss. Phyc. inedit. I, p. 319 : Fior. it. II, fase. 2°, p. 25 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 567 — Ardiss. e Strali. Enuiu. Alg. Lig. X. 520. Lomentaria patens , Kg. Spec. Alg. p. 863 : Tab. Phyc. XV, t. 89, f. c-d. L. dasyclada , Kg. Tab. Phyc. XV, t. 93. L. Tcaliformis , Kg. Spec. Alg. p. 863: Tab. Phyc. XV, t. 86, f. a-c. — Hauck Meersalgeu p. 200, f. 87. / Abit. Messina, Riposto, Acireale (Mazza) : Siracusa (Spiuelli) Lomextaria Lyngl). I. Eulomentaria. 46. Lomentaria artica lata (Hiuls.) Lyngb. L. articulata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 202 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 553 — Kg. Spec. Alg. p. 863 : Tab. Phyc. XV, t. 85, f. e-h. Chylocladia articulata , Hauk Meersalgen p. 157. Abit. Siracusa. 47. Lomentaria parvula Ag. (Gaill.) Lomentaria parvula , Ardiss. Phyc. inedit. I, p. 203 — Kg. Spec. Alg. p. 864: Tab. Phyc. XV, 87, a-b — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 189. Chylocladia parvula , I. Ag. Alg. inedit. p. 111. Abit. Acireale (Mazza): Siracusa e Catania (Spinelli): in maggio. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 25 Chbysymexia J. Ag. 48. Ghrysymenia ventricosa (Lamx.) I. Ag. Chr. ventricosa , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 209 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV, Sect. II. p. 541 — Hauok Meersalgen p. 159 — I. Ag. Alg. medit. p. 106. Halymenia ventricosa , Kg. Spee. Alg. p. 212 : Tab. Phyc. XVI, t. 86, f. a-b. Ralaraclmion ventricosum , Kg. Spee. Alg. p. 721. Mal. pinnulatum, Kg. Spee. Alg. p. 721. Abit. Messina, Alì, Biposto (Spinelli) : Acireale (Mazza) : Ca- tania, ad Oguina ed alla Plaia (Spinelli). 49. Ghrysymenia uvaria Menegh. Chr. uvaria , Ardiss. Phych. medit. I, p. 210 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 543 — I. Ag. Alg. medit. p. 106 — Hauck Meersalgen p. 160, f. 66 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. X. 456. Gastroclonium uvaria , Kg. Spee. Alg. p. 865 : Tab. Phyc. XV, t. 97 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 204. Abit. Frequente ovunque, insieme alla Dictyota dichotoma e alla Padina pavonia. Sebdexia Bertli. 50. Sehdenia monardiniana (Moutg.) Berthold. S. Monardiniana , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 532. Halymenia Monardiniana, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 148 — Kg. Spee. Alg. p. 717: Tab. Phyc. XVII, t. 2, f. e-d. Abit. Siracusa, ai « Cappuccini » : Catania (Toruabene) : Aci- reale (Mazza). Bellissimi gli esemplari raccolti dal Tornabene : essi misurano da 22 a 24 cm. d’ altezza. Il colore volge dal coceiueo — purpureo facilmente al giallastro. Rodymexia Grev. 51. Rhodymenia corallicola Ardiss. Eh. corallicola, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 214 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II. p. 515 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. X. 484. Eh. palmetta , Hauck Meersalgeu p. 161. Abit. Acireale (Mazza) : Siracusa (Spinelli), sui tofuli di qualche Cystoseira. Atti acc. Serie 4a, Yol. XVIII — Mem. XIII. 4 26 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XJII. J A Eh. corallicola deve riferirsi la Eh. palinetta K Esp.) Grev. del « Primo contributo all’ Algologia della Sicilia ». 52. Ehodymenia ligulata Zanard. Eh. ligulata , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 215 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV, Sect. II. p. 515 — Hauck Meersalgen p. 162. Sphaerococcus Ugulatus Kg. Spec. Alg. p. 782. Abit. S. Tecla, presso Acireale, (Mazza) : Catania (Toruabene) Siracusa (Spinelli). PliOCAMium (Lami.) Lyngb. 53. Plocamium coccineum (Huds.) Lyngb. PI. coccùmim, Ardiss. Pkyc. medit. I, p. 219 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 590. PI. Lyngbyanum , Kg. Spec. Alg. p. 885 : Tab. Phyc. XVI, t. 46, f. a-c. PI. Binderianum , Kg. Spec. Alg. p. 885 : Tab. Phyc. XVI, t. 48, f. d-f. Abit. Frequente ovunque, generalmente fra le insenature degli scogli. Pauchea Bory et Mont. 54. Faucliea repens (Ag.) Montg. F. repens , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 206 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 493 — Kg. Tab. Phyc. XVIII, t. 71, f. c-e — Hauck Meersalgen p. 152, f. 63 — Ardiss. e Strali'. Buum. Alg. Lig. p. 183. Gracilaria repens , I. Ag. Alg. medit. p. 152. Abit. Catania (Toruabene). La fronda s’ innalza fino a 8 cm. : essa sorge da un piccolo callo basilare e si divide tosto e regolarmente per dicotomia, dando luogo a segmenti lineari, colle ascelle rotondate, col margine integro, dei quali i terminali sono ottusi agli apici I nemateci sono ovali e scarsi : il colore è roseo, che si conserva benissimo negli esem- plari disseccati. Vegeta nell’ Oceano Atlantico (a Gades in Ispagna e a Tingin in Africa), nel Mediterraneo occidentale e nell’Adriatico. BHODOPHYLLIDAOEAE Schin. RlSSOELLA J. Ag. 55. Eissoella verrucolosa (Bertol.) I. Ag. E. verrucolosa , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 185 — De Toni, Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 327 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 184. Le Alalie marine della Sicilia Orientale 27 Grateloupia verrncolosa, I. A g. Alg. medit. p. 103 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 163. Abit. Abbastanza frequente a Siracusa, Catania, Acireale, Taor- mina, Messina. Catenella J. Ag. 56. Catenella opuntia. C. opuntia , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 318 — Kg. Spec. Alg. p. 724. Abit. Catania, alla Lanterna. SPYRIDIACEAE Harv. Spybldia Harv. 57. Spyridia filamentosa Harv. Sp. filamentosa , Ardiss. Pliyc. medit. p. 193 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1427 — Kg. Spec. Alg. p. 655 : Tab. Pliyc. XII, t. 42, f. a-b — Hauck Meersalgen p. 115, f. 40-41 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 123 — Ardiss. e Straft'. Enum. Alg. Lig. N. 473. Abit. Frequente qua e là lungo la costa orientale. SPHAEROCOCCACEAE Ardiss. CtRACIlabia Gre.v. I. GRAdLARIAE Xaeg. 58. Gracilaria confervoides (L.) Grev. Gr. confervoides , Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 237 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 431 — Ardiss. e Strati'. Enum. Alg. Lig. X. 493— Hauck Meersalgen p. 182, f. 77. Sphaerococcus confervoides , Kg. Spec. Alg. p. 772: Tab. Pliyc. XVIII, t. 72. Rypnaea confervoides , I. Ag. Alg. medit. p. 149. Sphaerococcus divergens , setaceus, capillaris , tennis , Kg. Tab. Pliyc. XVIII, t. 73-75. Abit. Abbondante ovunque. A Messina (al forte S. Giovanni), ad Augusta e a Priolo, raccolsi due forme di questa specie : una allungata e sottile, filiforme, P altra più breve, grossa e quasi di- cotoma: nella prima zona di profondità. 28 Doti. X enturino Spinelli [Memoria XIII.] 59. Gracilaria duna (A g.) I. Ag. Gr. dura, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 239 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 442 — I. Ag. Alg. [Medit. p. 151 — Hauck Meersalgen p. 183. Gr. dura var. Lyra, 1. Ag. Alg. medit. p. 151. Sphaerococcus durus, Kg. Spec. Alg. p. 775: Tab. Pliyc. XVIII, t. 78, f. c-d. Sph. Sonderi, Kg. Tab. Pliyc. XVIII, t. 76, f. b-c. Abit. Porto di Siracusa : Catania (Esemplari dell’ Erbario del Prof. Cosentini). Messina, Acireale e Siracusa (Mazza). 60. Gracilaria compressa , (Ag.) Grev. Gr. compressa, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 240 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 438 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. X. 495 — Lau- genbach Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 21 — Hauck Meersalgen p. 183. Sphaerococcus compressus, Kg. Spec. Alg. p. 774: Tab. Phyc. XVIII, t. 78. Sph. vagus, Kg. Tab. Phyc. XVIII, t. 76. Abit. Porto di Siracusa e di Catania 61. Gracilaria armata (Ag.) Grev. Gr. armata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 242 — Ardiss. e Strati'. Euum. Alg. Lig. X. 496 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 433- -Hauck Meersalgen p. 182. Sphaerococcus armatus, Kg. Spec. Alg. p. 774: Tab. Phyc. XVIII, t. 77. Hypnea armata, I. Ag. Alg. medit. p. 149. Abit. Porto di Siracusa e di Catania: Messina (Mazza). II. Sphaerooocceae Dum. (mut. char,) I. Ag. Sphaerococcus Stadi, (mut. char.) Grev. 62. Sphaerococcus coronopifolius (Good. et Wood.) Ag. Sph. coronopifolius, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 247 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 395 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. X. 498 — I. Ag. Alg. medit. p. 154 — Langenbach Meersalg. Siz. und Pant. p. 21. Rhyncococcus coronofolius, Kg. Spec. Alg. p. 754 : Tab. Phyc. XVIII, t. 10, f. e-h — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 167. Abit. Comunissimo ovunque. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 29 DELESSERIACEAE ]NTaeg. (excl. p.) Ardiss. Nitophyllum Grev. (mut. limit.) I. Ag. 63. Nitophyllum punctatum var. ocellatum I. Ag. N. punc. var. ocellatum , Ardiss. Phyc. medit. I. p. 253 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV, Sect. II, p. 627 — Hauck Meersalgen p. 169, f. 71 — Ardiss. e Strali. Enum. Alg'. Lig. X. 499. Aglaophyllum punctatum , Kg. Spec. Alg. p. 868. Agl. ocellatum , Kg. Spec. Alg. p. 867 : Tab. Pliyc. SVI, t. 35, f. a-d — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 206. Agl. delicatum , Kg. Tab. Phyc. X VI, t. 35, f. e-f. Nitophyllum ocellatum , I. Ag. Alg. medit. p. 156. Abit. Comune ovunque. 64. Nitophyllum uncinatimi (Moutg.) I. Ag. N. uncinatimi , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 255 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 650 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. X. 500. Cryptopleura lacerata , Kg. Tab. Phyc. XVI, t. 25, f. e. Abit. Sembra abbastanza frequente : lo raccolsi a Marzamemi, Agusta, a Catania, a Messina. Generalmente le piantine dimostrano gli apici uncinati, quantunque in forme adulte non è raro il caso, che questi sieno lacerati, deformati. Un esemplare molto sviluppato comunicatomi dall’ amico Mazza, che lo raccolse a Palermo, ha gli apici arrotondati, le froudi larghe più di quanto lo sieno quelle delle forme tipiche, le dicotomie regolari : la piantina, mancante di base, misura quasi 3 cui. e mezzo d’ altezza. A Nit. uncinatimi deve riferirsi il Nit. aìbidum Ardiss., che compresi fra le forme siciliane : il colorito bianco dei miei pochi ed incompleti esemplari era dovuta alla scomparsa del pigmento in seguito a fermentazione. Delesseria Lanix., Grev. etnend. 65. Delesseria Hypoglossum (Wood.) Lamx. D. Hpoglossum, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 260 — I. Ag. Alg. medit. p. 157 — Ardiss. e Straff. Emum Alg. Lig. X. 502 Hypoglossum Woodwardi, Kg. Spec. Alg. p. 875: Tab, Phyc. XVI, 11, a-c — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 207 — De Toni Syll. Alg. Voi. II, p. 694. Abit. Sui rizomi di Zostera, a Siracusa, a Catania e a Messina. 30 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII.] HELMINTHOCLADIACEAE I. Ag. Nemaliox Duby 66. Nemalion lubricum Duby N. lubricum, Ardiss. Phyc. inedit. I, p. 267 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV, Sect. I, p, 77 — Kg. Spec. Alg. p. 712: Tab. Pliyc. XVI, t. 62, f. 1 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 157 — Ardiss. e Strali. Enum. Alg. Lig. p. 397. Abit. Comune sugli scogli a poca profondità a Siracusa, Au- gusta, Catania, Messina. Liagora Lami. 67. Liagora viscida (Forsk.) Ag. L. viscida , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 271 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 90 — Ardiss. e Strati. Enum. Alg. Lig. N. 399. Abit. Frequente nel porto di Siracusa, a Catania, ad Acitrezza, Acicastello e Messina (Mazza). 68. Liagora ceranoides Lamx. L. ceranoides, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 272 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV. Sect. I, p. 91 L. viscida var. ì ceranoides, Hauck Meersalgen p. 65. Abit. Siracusa e Catania, piuttosto rara: Giardini ed Acireale (Mazza). 69. Liagora distenta (Mert.) Ag. L. distenta, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 272 — De Toui Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 92 — Kg. Spec. Alg. p. 538 : Tab. Phyc. VIII, t. 88 — Hauck Meersalgen p. 65. L. ramellosa, Kg. Tab. Phyc. Vili, t. 96. Abit. Porto di Siracusa, Priolo. Acireale Scalazza (det. Pic- cone). Pachino, Siracusa, Catania : esemplari dell’ Erb. Tornabene. CHAETAKGIACEAE Schmitz. Scixaja Bivona. 70. Scinaja furcellata (Turu.) Bivona Se. furcellata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 269 — De Toui Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 104. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 31 Ginannia furcellata , Kg. Spec. Alg. p. 715: Tab. Pliyc. XVI, t. 68, f. II. Halymenia furcellata , I. Ag. Alg. meclit. p. 98 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 158 — Ardiss. e Strali1. Enum. Alg. Lig. X. 395. Abit. Comune ovunque. SPERMOTH AMNI A CE AE Spermothamxiox Aresch. 71. Spermothamnion irregulare (I. Ag.) Ardiss. Sp. irregulare , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 304 — De Toui Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1264. Callithamnion irregulare , I. Ag. Alg. medit. p. 70. Spermothamnion torulosum, Hauck Meersalgen p. 45. Griffithsia ? torulosa , Ardiss. e Strali. Enum. Alg. Lig. X. 426. Abit. Siracusa, alla Lanterna. Borxetia Thur. 72. Bornetia secundiflora (I. Ag.) Tkur. B. secundiflora, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 308 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1295 — Hauck Maersalgen p. 49, f. 13. Griffithsia secundiflora, I. Ag. Alg. medit. p. 75 — Kg. Spec. Alg. p. 660: Tab. Phyc. XII, t. 22, f. a-b. Gr. cymiflora, Kg. Tab. Phyc. XII, t. 22, f. c-d. Abit. Siracusa e Messina. GELLDIACEAE Harv. (excl. p.) GrELlDiUM Lainx. 73. Gelidium corneum (Huds) Lamx. G. corneum, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 285 — I Ag. Alg. medit. p. 102. Abit. comune ovunque. 74. Gelidium crinale (Turu.) Lamx. G. crinale, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 290 — De Toni Syll. Alg. 1 ol. IV, Sect. I, p. 146. Acrocarpus crinalis, Kg. Spec. Alg. p. 761: Tab. Phyc. XVIII, t. 33, a-c. Acr. lubricus, Kg. Spec. Alg. p. 762. Acr. spinescens, corymbosus, spathulatus, Kg. 1. c. Abit. Catania, alla Plaia. 32 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII.] Ptekocladia J. Ag. 75. Pterocladia capillacea (Giu.) Boruet. Pier, capillacea , De Toni Syll. Alg. Yol. IV, Sect. I, p. 162. Gelidium capillaceum, Kg. Tab. Pkyc. XVIII, p. 18, t. 53 — Hauk Meer- salgeu p. 190, f. 82, a-c. Gel. corneum var. pinnatum, Kg. Spec. Alg. p. 764 : Tab. Pkyc. XVIII, t. 50, f. d-f. — Ardiss. Pkyc. ìuedit. I, p. 285. Abit. Siracusa e Catania. Messina, Riposto, Acireale, Catania, Siracusa (Mazza). Caulacaxthus Kg. 76. Gaulacanthus ustulatus (Mert.) Kg. C. ustulatus, Ardiss. Pkyc. medit. I, p. 293 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 141 — Hauck Meersalgen p. 197, f. S5. Gelidium ustulatum, I. Ag. Alg. medit. p. 102. Gaulacanthus fastigiatus, Kg. Spec. Alg. p. 753: Tab. Pkyc. XVIII, t. 8, f. 3. Abit. Porto di Siracusa ; Catania, a S. Giovanni dei Cuti in maggio. WR ANGELI ACE A E Harv. Wraxgelia Ag. 77. Wrangelia penicillata Ag. W. penicillata, Ardiss. Pkyc. med. I, p. 312 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 135 — Kg. Spec. Alg. p. 664 — Ardiss. e Strali'. Euum. Alg. Lig. X. 511. W. verticillata, Kg. Spec. Alg. p. 664 — Ardiss. e Strali'. 1. c. X. 512 — Langeuback Meersalg. Iuselu Siz. und Paut. 22. Abit. Porto di Siracusa : Catania, alla Plaia HYPNEACEAE I. Ag. Hyxea Lamx. Hypnea musciformis (Wulf.) Lamx. E. musciformis , Ardiss. Pkyc. medit. I, p. 281 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. II, p. 472 — Kg. Spec. Alg. p. 758 : Tab. Pkyc. XVIII, 1. 19, Le Alghe marine della Sicilia Orientale 33 f. a-c. — Hauck Meersalgen p. 188, f. 81 — I. Ag. Alg. Medit. p. 150 — Ardiss. e Strali'. Eiiurn. Alg. Lig. X, 489 — Langenbacli Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 20. R. Rissoana — I. Ag. Alg. medit. p. 150 — Kg. Spec. Alg. p. 758: Tab. Phyc. XVIII, t. 19, f. f-i. E. denudata, Kg. Tab. Phyc. XVIII, p. 9, t. 21, f. II. Abit. (Jomuue ovunque. LAUBENCIACEAE Harv. (excl. p.) Laurexcia Lamx. 79. Laurencia obtusa Lamx. L. obtusa, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 326 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV Sect. Ili, p. 791 — Kg. Spec. Alg. p. 854: Tab. Phyc. XV. t. 54-55. Abit. Capo Passero (Tornabeue), Siracusa, Catania, Taormina (Spinelli); Alì, Messina (Tornabeue). 80. Laurencia paniculata I. Ag. L. paniculata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 328 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 7S8 — Hauck Meersalgen p. 206. Lj. glandulifera, Kg. Spec. Alg. p. 855: Tab. Phyc. XV, t. 59, f. c-d. L. patentiramea , Kg. Spec. Alg. p. 854 : Tab. Phyc. XV, t. 59, f. a-b. L. thuyoides, Kg. Tab. Phyc. XV, t. 74, f. a-b. Abit. Porto di Siracusa e di Catania, in luglio. Messina (Mazza). 81. Laurencia , papillosa, Grev. L. papillosa, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 330 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. III, p. 789 — Hauck Meersalgen p. 207 — Kg. Spec. Alg. p. 655: Tab. Phyc. XV, t. 62 — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. N. 525. L. cyanosperma, Kg. Spec. Alg. p. 855. L. tyrsoides, Kg. Spec. Alg. p. 855. Abit. Frequente ovunque. 82. Laurencia’ pinnaiifida (Gm.) Lamx. L. pinnatifida , Ardiss. Phyc. medit. 1, p. 331 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 798 — Kg. Spec. Alg. p. 856 : Tab. Phyc. XV, t. 66, f. a-c — Ardiss. e Strali'. Enum. Alg. Lig. X. 527. Abit. Porto di Siracusa. Messina (Mazza). Atti acc. Serie 4% Vol. XVIII — Mem. XIII. 5 34 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XJI1.J L. pinn. var. Osmunda I. Ag. L. pinn. var. Osmunda , De Temi Syll. Alg. Voi. IV. Sect. Ili, p. 799 — Ardiss. Phyc. medit. I, p. 332 — Kg. Spec. Alg. p. 856: Tab. Phyc. XV, t. 66, f. f. Abit. Porto di Siracusa. Messina, Riposto, Acireale (Mazza). RHODOMELACEAE Harv. I. Chondriopsideae I. Ag. Choxdriopsis I. Ag. 83. Cliondriopsis coerulescens (Crouan) I. A .g. Ch. coerulescens , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 345 — Langenbach Meersalg. In- sel Siz. und Pant. p. 20. Chondria coerulescens , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 843. Laurencia dasyphylla , Ardiss. Euum. Alg. Sicil. N. 196. Abit. Porto di Siracusa. Catania, Acireale, Messina (Mazza). Acantophora Lamx. 84. Acanthophora Delilei Lamx. A. Delilei , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 351 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 819 — Kg. Spec. Alg. p. 858: Tab. Phyc. XV, t. 75, f. a-c — Ardiss. Euum. Alg. Sicil. N. 201. Abit. Siracusa, Catania e Messina, in luglio. II. Alsidieae I. Ag. Alsidium Ag. 85. Alsidium corallinum Ag. Al. corallinum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 353 — De Toui Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 860 — Kg. Spec. Alg. p. 843 : Tab. Phyc. XV, t. 33, f. a-b — Hauck Meersalgen p. 213, f. 92. Abit. Catania, Siracusa, Messina. Digexea Ag. 86. Dicjenea simplex (Wulf.) Ag. D. simplex , Ardiss. Phyc. medit. 1, p. 356 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 963 — I. Ag. Alg. medit. p. 147 — Hauck Meersalgen p. 215, f. 93. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 35 D. Wulfeni , Kg. Spec. Alg. p. 841 : Tab. Phyc. XV, t. 28, f. a-e. D. Vieillardi, Kg. Tab. Phyc. XY, t. 28, f. f-1. Abit. Abbastanza comune a Siracusa, Augusta, Catania, Mes- sina (Tornabeue). Si trova fra i rifiuti del mare, sempre colla lania rubens e con altre alghe. Qualche mio esemplare raggiunge dimen- sioni ragguardevoli. Il colore varia dal purpureo al nerastro. III. POLYSIPHONIEAE I. Ag. POLYSIPHOXIA (irev. I. Ptilosiphonia, I. Ag. 87. Polysiphonia pennata (Roth.) I. Ag. P. pennata , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 365 — I. Ag. Alg. medit. I, p. 141 — Kg. Spec. Alg. ]>. 803: Tab. Phyc. XIII, t. 23, f. e-f — Ardiss. Bnum. Alg. Sicil. X. 179 — Ardiss. e Straff. Enura. Alg. Lig. N. 535 — Hauck Meersalgen p. 238. P. pinnulata , Kg. Spec. Alg. p. 803 : Tab. Phyc. XIII, t. 23, f. 1. Pterosiphonia pennata , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 998. Abit. Porto di Siracusa, in settembre. 88. Polysiphonia tenella (Ag.) I. Ag. P. tenella , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 367 — I. Ag. Alg. medit. p. 123 — Kg. Spec. Alg. p. 805 : Tab. Phyc. XIII, t. 30, f. d-e — Hauck Meer- salgen p. 239. Herposiphonia tenella , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1051. Abit. Insieme ad altre alghe, a Catania in settembre. 89. Polysiphonia secunda (Ag.) Zanard. P. secunda , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 368 — I. Ag. Alg. medit. p. 122 — Kg. Spec. Alg. p. 804 : Tab. Phyc. XIII, t. 30, f. a-c — Hauck Meersalgen p. 240. Herposiphonia secunda , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1052. Abit. Porto di Siracusa, in settembre : Riposto (Mazza). II. Herposiphonia I. Ag. (mut. limit.) 90. Polysiphonia obscura (Ag.) I. Ag. P. obscura , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 369 — I. Ag. Alg. medit. p. 123 — 36 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII.J Kg-. Spec. Alg. p. 808 : Tab. Phyc. XIII, t. 40, f. a-b — Hauck Meersalgen p. 244. Lophosiphonia obscura, De Toni Syll. Alg-. Voi. IY Sect. Ili, p. 1069. Polysiphonia adunca , Kg. Spec. Alg. p. 808 : Tab. Phyc. XIII, t. 40, f. c-e. Abit. Catania alla Piala. III. Polysiphonia, I. Ag. 91. Polysiphonia fruiiculosa (Wulf.) Spr. P. fruticolosa, Ardiss. Phyc. medit, I, p. 392 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV, Sect. Ili, p. 950 — Kg. Spec. Alg. p. 836 : Tab. Phyc. XIY, t. 28, f. e-g. Hauck Meersalgen p. 241, f. 99. P. Wulfeni , I. Ag. Alg. medit. p. 144 — Kg. Spec. Alg. p. 836 : Tab. Phyc. XIY, t, 28, f. a-d. P. Mantensiana, Kg. Spec. Alg. p. 836 : Tab. Phyc. XIY, t. 29, f. a-c. P. cymosa, Kg. Spec. Alg. p. 837 ; Tab. Phyc. XIY, t. 30, f. a-d. P. pycnoplilaea , Kg. Spec. Alg. p. 837 : Tab. Phyc. XIY, t. 30, f. e-g. P. coniatola, Kg. Spec. Alg-. p. 837 : Tab. Phyc. XIV, t. 31, f. a-c. P. humilis, Kg. Spec. Alg. p. 837 : Tab. Phyc. XIX, t. 29, f. d-g. Abit. Comune ovunque. IY. Oligosiphonia. 92. Polysiphonia elongata (Huds.) Harv. P. elongata, Ardiss. Phyc. med. I, p. 416 — De Toni Syll. Alg. Yol. IV, Sect. Ili, p. 903 — Kg. Spec. Alg. p. 828: Tab. Phyc. XIV, t. 4.— Hauk Meersalgen p. 227. P. stenocarpa , Kg. Spec. Alg. p. 830: Tab. Phyc. XIY, t. 11, f. d-f. P. clialopliloea, Kg. Spec. Alg-. p. 831 : Tab. Phyc. XIY, t. 12, f. d-f. P. clavigera, Kg. Spec. Alg. p. 831 : Tab. Phyc. XIY, t. 14, f. a-d. P. Lyngbyei , Kg. Spec. Alg. p. 830. P. strictoides, Kg. Tab. Phyc. XIY, t. 10, f. a-d. P. Buchingeri , I. Ag. Alg. medit. p. 136 — Kg. Spec. Alg. p. 829: Tab. Phyc. XIY, t. 6, f. a-d. P. arborescens , trichodes, robusta , macroclonia, expansa, tennis, luxurians, com- mutata, liaematites, laxa, Kg. Spec. Alg. e Tab. Phyc. Abit. Catania. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 37 Kytiphlaea Ag. 93. Eytiphlaea pinastroides (Gin.) Ag. E. pinastroides, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 421 — I. Ag. Alg. medit. p. 145 — Kg. Spec. Alg. p. 845: Tab. Pbyc. XV, t. 13, f. e-i — Hauck Meer- salgen p. 247 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. p. 574 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 194. E. rigidula , Kg. Spec. Alg. p. 845 : Tab. Phyc. XV, t. 13, f. a-d. E. seminuda , Kg. Tab. Pbyc. XV, p. 6, t. 14, f. a-c. E. semicristata, I. Ag. Alg. medit. p. 145 — Kg. Spec. Alg. p. 845. Abit. Porto di Siracusa. 94. Eytiphlaea tinctoria (Gleni.) Ag. E. tinctoria , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 422 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1095 — I. Ag. Alg. medit. p. 145 — Kg. Spec. Alg. p. 845: Tab. Pbyc. XV, 13, f. e-i. — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 194. E. semicristata, I. Ag. Alg. medit. p. 145. Abit. Comune ovunque. Yidalia I. Ag. 95. Yidalia volubis (L.) I. Ag. V. volubis, Ardiss. Pbyc. medit. I, p. 424 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. Ili, p. 1101 — Ardiss. e Straff. Enum. Alg. Lig. N. 575 — Hauck Meersalgen p. 250, f. 101. Dictyomenia volubilis , Ag. Alg. medit. p. 146 : Kg. Spec. Alg. p. 847 : Tab. Pbyc. XIV, t. 98 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 195. Abit. Abbastanza frequente ovunque. IV. Dasyeae I. Ag. Dasya Ag. 96. Dasya rigidula (Kg.) Ardiss. D. rigidula , Ardiss. Pbyc. medit. I, p. 428 — De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. III, p. 1206. Eupogonium rigidulum , Kg. Spec. Alg. p. 798 : Tab. Pbyc. XIV, t. 85, t. c-d. 38 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XI11.J E. squarrosum, Kg. Spec. Alg. p. 798 : Tab. Phyc. XIV, t. 85, f. a-b. Dasya arbuscula. f. villosa , Hauck Meersalgen p. 252, in parte. Abit. L’ unico esemplare che possiedo fu raccolto a Catania. PORPHYRACEAE Rabenh. PORPHYKA Ag. 97. Porphyra leucosticta Thur. P. leucosticta , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 468 — Ardiss. e Strati'. Biium. Alg. Lig. X. 384. P. atropurpurea , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 17. P. vulgaris, Ardiss. Enutn. Alg. Sicil. X. 136. Abit. Porto di Siracusa e d’Augusta. Messina e Catania (Mazza). 98. Porphyra laciniata (Liglitf.) Ag. P. laciniata, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 469 — Kg. Spec. Alg. p. 692 : Tab. Phyc. XIX, t. 79, f. c-e ? Wildemania ì laciniata , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 20. Abit. Piuttosto frequente a Siracusa, Catania e Messina. Aci- reale e Riposto (Mazza). Baxgia Lyngb. 99. Bangio fusco-purpurea (Dillw.) Lyngb. B. fusco-purpurea , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 471 : Enum. Alg. Sicil. X. 138: Ardiss. e Stolti. Enum. Alg. Lig. X. 386 — Kg. Spec. Alg. p. 360: Tab. Phyc. Ili, t. 29, VI. B. atropurpurea Subsp. B. fusco-purpurea , De Toni Syll. Alg. Voi. IV, Sect. I, p. 11. B. sicida, Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 137. Abit. Siracusa, Catania, Messina, sugli scogli a fior d’ acqua. GrOXIOTRICHUM Kg. 100. Ooniotrichum dicliotonum Kg. G. dicliotonum , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 474 — Kg. Spec. Alg. p. 358: Tab. Phyc. Ili, 27, I. Abit. Sull’ Balyseris polypodioides , a Siracusa e ad Acicastello. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 39 FTJCOIDEAE (Ag.) I. Ag. SAKGASSAOEAE (Decne) Kg. Sargassum Ag. 101. Sar gassum Hornschuchii, Ag. S. Hornschuchii, Ardiss. Pliyc. raedit. II., p. 19 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 08 — Hauck Meersalgen, p. 301 — Menegh. Alg. ital. e daini, p. 9, t. I, f. I — Ardiss. e Strali'. Enuiu. Alg. Lig. p. 100. Stichophora Hornschuchii , Kg. Tab. Phyc. X, t. 71? Abit. Abbastanza frequente ovunque. 102. Sargassum linifolium (Tura.) Ag. S. linifolium, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 15 : Enum. Alg. Sicil. X. 110. S. Donati , Kg. Tab. Phyc. XI, t. 23 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 90. S. linifolium var. Donati, Menegh. Alg. ital. e dalm. p. 27. Abit. Catania, ad Ognina; Acireale, in giugno. Cystoseira Ag. 103. Cystoseira opuntioides, Bory C. opuntioides, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 40 — V aliante Mouograph. die Cystos. p. 23, t. XLV — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 102. Phyllacantha opuntioides, Kg. Spec. Alg. p. 598. Carpodesmia opuntioides, Kg. Tab. Phyc. X, t. 35, f. I. Abit. Porto di Siracusa e di Catania, in maggio ; Taormina e Messina, in luglio. 105. Cystoseira selaginoides (Wulf.) N acc. C. selaginoides, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 33 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 104 — Vallante, Monograf. die Cystos. p. 19, t. 10-11. Halerica selaginoides, Kg. Spec. Alg. p. 595 : Tab. Phyc. X, t. 42, f. I. Hai. vulpina , — Kg. Spec. Alg. p. 595 ; Tab. Phyc. X, t. 42, f. II. Hai. tennis, Kg. Spec. Alg. p. 595 : Tab. Phyc. X, t. 43, t. II. Hai. sedoides, Kg. Spec. Alg. p. 595 : Tab. Phyc. X, t. 41, f. II. Treptacantha Turneri, Kg. Spec. Alg. p. 594 : Tab. Phyc. X, t. 28, f. I. Abit. Porto di Siracusa e di Catania, in aprile : Taormina, in / 40 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII]. luglio. Porto d’ Augusta (esemplari raccolti dal Prof. Baccarini, determinati dal Prof. Piccone). 105. Cystoseira amentacea, Bory. C. amentacea, Ardiss. Pkyc. medit. II, p. 35 — De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 166 — Menegk. Alg. ital. e dalm. p. 47, t. 2, f. 2 — Valiante Monograpli. die Cystos. p. 20, t. 9 — Hauck Meersalgeu p. 295. Halerica amentacea , Kg. Spec. Alg. p. 594 : Tab. Pliyc. X, t. 40. Hai. lupolina , Kg. Spec. Alg. p. 595 : Tab. Pkyc. X, t. 41, f. I. Abit. Frequente lungo tutta la costa orientale. 106. Cystoseira crinita , (Desf.) Duby C. crinita , Ardiss. Pkyc. medit. II, p. 32 — De Toni Syll. Alg. Yol. Ili p. 168 — Ardiss. e Strali'. Bnum. Alg. Lig. p. 158 — Kg. Spec. Alg. p. 601: Tab. Pkyc. X, t. 53, f. I — Hauck Meersalgeu p. 296 — Yaliaute Monograpk. die Cystos. p. 18. t. 8. C. flaccida , Kg. Spec. Alg. p. 601 : Tab. Pkyc. X, t. 53, f. II. C. squarrosa, Kg. Spec. Alg. p. 601 : Tab. Pkyc. X, t. 54. C. robusta , Kg. Spec. Alg. p. 601. Abit. Comune ovunque. 107. Cystoseira abrotanofolia , Ag. C. abrotanifolia, De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 172— Kg. Spec. Alg. p. 600: Tab. Pkyc. X, t. 47, f. I- - Menegk. Alg. ital. e dalm. p. 92 — Hauck Meersalgeu p. 298— Yaliante Monograpk. die Cystos. p. 14, t. 4. C. fimbriata , Ardiss. Pkyc. medit. II, p. 23 — Kg. Spec. Alg. p. 601. C. data , Kg. Spec. Alg. p. 600 : Tab. Pkyc. X, t. 47, f. II. C. divaricata , Kg. Spec. Alg. p. 600 : Tab. Pkyc. X, t. 49, f. e-f. C. patentissima , Kg. Spec. Alg. p. 600. C. -filicina, Kg. Spec. Alg. p. 601. C. glomemta, Kg. Spec. Alg. p. 601 : Tab. Pkyc. X, t. 49, f. I. C. squarrosa , Kg. Tab. Pkyc. X, t. 48, f. I. C. leptocarpa, Kg. Spec. Alg. p. 559: Tab. Pkyc. X, t. 46, f. II. Abit. Porto di Siracusa, in maggio. DICTYOTACEAE (Laraour.) Zanard. Zoxakia (Droparn. 1801) I. Ag. 108. Zonaria flava (Clem.) Ag. Z. flava, Ardiss. Pkyc. medit. I, p. 490 — De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 230 — Menegk. Alg. ital. e dalm. p. 235, t. IY, f. 4. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 41 iStypopodium fiavum , Kg. Spec. Alg. p. 563. Phycopteris Tournefortii, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 65, f. I. Ph. cornea , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 66, f. III? Ph. dentata , Kg. Tab. Pbyc. IX, t. 65 f. II. Abit. Catania, alla Plaia ; Acicastello, in luglio. Capo Passero, Augusta, Catauia, Acitrezza, Acireale, Messina (Tornabene): Riposto (Mazza). Taoxia I. Ag. 109. Taonia Atomaria (Good. et Woodw) I. Ag. T. Atomaria , Ardiss. Phyc. ruedit. I, p. 483 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 241 — Langenbach Meersalg. Inselli Siz. und Paut. p. 14. Dictyota Atomaria , Menegli. Alg. Ital. e daini, p. 229. Stypopodinm Atomaria , Kg. Spec. Alg. p. 563: Tab. Phyc. IX, t. 61. St. fiavum , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 62. St. attenuatavi , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 63. Dictyota denticulata , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 28. Abit. Comune nel porto di Siracusa, di Catania, ad Acitrezza Acireale e a Messina, in luglio. Padixa Adans. 1 10. Padina pavonia (L.) Lamour. Pad. Pavonia, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 496 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 243 — Hauck Meersalgen p. 309 — Langenbach Meersalg. Inselu Siz. und Pant. p. 14. Zonaria Pavonia, Kg. Spec. Alg. p. 565: Tab. Phyc. IX, t. 70 — Aidiss. Enutn. Alg. Sicil. X. 100. Padina neapolitana , Pad. anglica, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 70. Abit. Comunissima ovunque. Halyseris Targ. Tozz. 111. Halyseris polypodioides, (Desf.) Ag. H. polypodioides , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 448 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 254 — Menegh. Alg. Ital. e daini, p. 252 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 98 — Kg. Spec. Alg. p. 261: Tab. Phyc. IX, t. 53, f. I. Abit. Abbastanza frequente nel porto di Siracusa, a Catania, (Oguiua e Capo Mulini), ad Acicastello, Acitrezza, Acireale, Taor- mina, Riposto e Messiua. Atti acc. Serie 4a, Vol. XVIII — Mem. XIII. 6 42 Doti. Volturino Spinelli [Memoria XIII]. Dictyota Lamour. 112. Dictyota dichotoma (Huds.) Lamour. D. dichotoma , Ardiss. Phyc. medit. I, p. 478 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 263 — Kg. Spec. Alg. p. 554 : Tab. Phyc. IX, t. 10, f. I — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 94 — Ardiss. e Strali. Eoum. Alg. Lig. X. 389. D. vulgaris , Kg. Spec. Alg. p. 553 : Tab. Phyc. IX, t. 10, f. II. D. latifolia, Kg. Tab. Phyc. IX, p. 6, t. 12, f. I. D. volubilis, Kg. Spec. Alg. p. 554: Tab. Phyc. IX, t. 13. D. elongata , Kg. Tab. Phyc. IX, p. 6, t. 11, f. II. D. attenuata , Kg. Tab. Phyc. IX, p. 6, t. 11, f. I. D. acuta , Kg. Spec. Alg. p. 555 : Tab. Phyc. IX, t. 13. Abit. Abbastanza frequente ovunque; non tanto comune è la forma latifolia (Kg.) 113. Dictyota ligulata , Kg. D. ligulata , De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 271 — Kg. Spec. Alg. p. 554 : Tab. Phyc. IX, t. 18. Abit. Catania alla Plaia (esemplare raccolto dal Prof. Bacca- rini, determinato dal Prof. Piccone). 114. Dictyota linearis (Ag.) G-rev. D. linearis, Ardiss. Phyc. medit. I, p. 481 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 275 — Kg. Tab. Phyc. IX, t. 21 — Langenbach Meersalg. Inseln Siz. und Paut. p. 14. D. angustissima, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 21, t. 4. D. divaricata, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 23, f. I. Abit. Porto di Catania (esemplare raccolto dal Prof. Baccarini determinato dal Prof. Piccone). Messina (Spinelli). 115. Dictyota Fasciola (Roth.) Lamx. D. Fasciola, Ardiss. Pliyc. medit. I, p. 480 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 277 — Kg. Spec. Alg. p. 555 : Tab. Phyc. IX, t. 22. D. abyssinica, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 21, f. III. D. affinis, Kg. Spec. Alg. p. 554. D. denticolata, Kg. Tab. Phyc. IX, t. 28, f. I. D. spinigera , Kg. Tab. Phyc. IX, t. 22, f. II. Abit. Porto di Siracusa e di Catania. Acireale (esemplari rac- colti dal Prof. Baccarini, determinati dal Prof. Piccone). Le Alghe marine della Sicilia Orientale 43 CUTLERIACEAE Zanard. Zanardinia Nardo 116. Zanardinia collaris (A g.) Orouan. Z. collaris , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 56 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 305 — Hauck Meersalgen p. 408. Zonaria collaris, Kg. Spec. Alg. p. 565. Z. umbilicalis, Kg. Tab. Phyc. IX, p. 31, t. 77, f. I. Z. Squamaria var. lacerata , Xacc. Algol, adriat. p. 81. Peyssonellia umbilicata , Kg. Tab. Phyc. XIX, p. 32, t. 89, f. II. Cuileria adspersa, Menegh. Alg. i tal. e daino, p. 206. Spatoglossum Spanneri, Kg. Spec. Alg. p. 560 : Tab. Phyc. IX, t. 47, f. II. Sp. flabelliforme , Kg. Spec. Alg. p. 560: Tab. Phyc. IX, t. 47, f. I. Abit. Catania, a S. Giovanni dei Cuti, in marzo e in dicembre. Riposto ed Acireale (Mazza). OHOKDARIAOEAE (Ag.) Zanard. Mesogloia Ag. 117. Mesogloja vermiculata , Le Iol. M. vermiculata , Ardiss. Phyc. medit. II. p. 103 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 425 — Hauck Meersalgen p. 363. ili. vermicularis var. septentrionalis, Kg. Spec. Alg. p. 545. Abit. Acireale (esemplari raccolti dal Prof. Baccarini, deter- minati dal Prof. Piccone). Messina, in luglio. (Spinelli). ENCOELIACEAE (Kg.) Kjellm. Puxctaria Grev. 118. Punctaria latifolia Grev. P. latifolia, Ardiss. Phyc. medit. Il, p. 115 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 474 — Hauck Meersalgen p. 371. P. debilis, Kg. Tab. Phyc. VI, t. 46, 47, f. I. Abit. Porto di Siracusa, sugli scogli poco sommersi, in aprile: Messina ed Acireale (Mazza). 44 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII.] SCYTOSIPHOX 119. Scytosiphon lomentarius (Lyugb.) I. Ag. Se. lomentarius, Ardiss. Phyc. med. II, p. 117 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 485 — Hauek Meersalgen p. 396. Chorda Filum var. lomentaria , Kg. Spec. Alg. p. 548 : Tab. Phyc. Vili, t. 14, f. c c'. Oh. Filum var. fistulosa, Kg. Spec. Alg. p. 548 : Tab. Phyc. Vili, t. 14, d-e, e t. 15 d-e. A bit. Abbastanza comune ovunque. Phyllitis Kg. 120. Phyllitis Fascia, Kg. Ph. Fascia , De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 487 — Hauck Meersalgen p. 391. Ph. Fascia f. coespitosa, Ardiss. Phyc. ruedit. II, p. 120. Phycolapathum cuneatum , Kg. Spec. Alg. p. 483 : Tab. Phyc. VI, t. 49. Abit. Porto di Siracusa: Catania (Cosentini). Oolpomexia Derb. et Sol. 121. Colpomenia sinuosa (Rotti.) Derb. et Sol. C. sinuosa, De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 489. Hydroclathrus sinuosus , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 123— Hauck Meersalgen p. 393. Asperocoecus sinuosus, Menegh. Alg. ital. e dalm. p. 168. Encoelium sinuosum, Kg. Spec. Alg. p. 552 : Tab. Phyc. IX, t. 8. Enc. vesicatum, Kg. Spec. Alg. p. 552. Abit. Siracusa, Catania, Acicastello, Acitrezza. Acireale, Mes- sina (Mazza). Asperocccus Lainonr. 122. Asperocoecus bullosus, Lamour. A. hxdlosus, Ardiss. Phych. medit. II, p. 134 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 493 — Hauck Meersalgen p. 338. Encoelium bullosum, Kg. Spec. Alg. p. 552: Tab. Phyc. IX, t. 7, f. I. Enc. tenue , Kg. Spec. Alg. p. 552. Enc. utriculare , Kg. Spec. Alg. p. 552. Abit. Porto di Siracusa. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 45 123. Asperococcus compressus Grifi'. A. compressus, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 135— -De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 494 — Hauck Meersalgen p. 389 — Meuegh. Alg. ital. e dalm. p. 164. Raloglo8sum Griffithsianum , Kg. Spec. Alg. p. 561 : Tab. Phyc. IX, t. 52. Abit. Porto di Siracusa, Catania ad Ognina. Acireale (Mazza). SPHACELAKIACEAE (Decne) Kg. Sphacelaria Lvngb. 124. Sphacelaria tribuloides , Menegh. Sph. tribuloides , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 88 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 502 — Meuegh. Alg. ital. e dalm. p. 336 — Kg. Spec. Alg. p. 464: Tab. Phyc. V, c. 89, f. II — Hauck Meersalgen p. 343. Sph. rigida , Kg. Spec. Alg. p. 465; Tab. Phyc. V, t. 90, f. I. Sph. brachygonia, Kg. Spec. Alg. p. 464. Sph. fulva , Kg. Spec. Alg. p. 464 : Tab. Phyc. V, t. 91, I. Abit. Lido di Catania. L’ unico esemplare trovato dal Cosen- tini, non porta alcuna indicazione di località. 125. Sphacelaria cirrosa (Rotti.) Ag. Sph. cirrosa, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 90 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 503 — Kg. Spec. Alg. p. 464: Tab. Phyc. V, t. 88, f. II — Hauck Meersalgen p. 344. Sph. fusca , Kg. Spec. Alg. p. 464. Sph. rizophora , Kg. Spec. Alg. p. 463 : Tab. Phyc. V, t. 89, f. I. Sph. irregularis , Kg. Spec. Alg. p. 465 : Tab. Phyc. V, t. 91, III. Styyocaulon bipinnatum , Kg. Tab. Phyc. V, p. 29. Abit. Porto di Siracusa : di questa specie raccolsi un solo pic- colo esemplare in aprile. Cladostephus Ag. 126. Cladostephus verticillatus, (Lightf.) Ag. Cl. verticillatus , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 94 — De Toni Syll. Alg. Voi. Ili, p. 513 — Hauck Meersalgen p. 350. Cl. Myriophyllum, Kg. Tab. Phyc. VI, p. 5, t. 9. 46 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII]. Cl. spongiosus, Kg. Spec. Alg. p. 469 : Tab. Phyc. VI, t. 2. Cl. tomentosus, Kg. Spec. Alg. p. 469. Abit. Porto di Siracusa e d’ Augusta : Acitrezza, Messina. Halopteris Kg. 127. Halopteris filicina (Grat.) Kg. Hai. filicina, De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 515 — Kg. Spec. Alg. p. 462: Tab. Phyc. V, t. 85, f. I — Hauck Meersalgen p. 347 — Ardiss. Phyc. medit. II, p. 87 — Ardiss. Enura. Alg. Sicil. X. 53. Abit. Catania, alla Plaia, in giugno. Catania e Messina (Mazza). Stypocaulon Kg. 128. Stypocaulon scoparium , (L.) Kg. St. scoparium , De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 518 — Kg. Spec. Alg. p. 466: Tab. Phyc. Y, t. 96. Sphacelaria scoparia, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 86 — Hauck Meersalgen p. 347. Sph. scoparioides, Kg. Spec. Alg. p. 465. Sph. firmula, Kg. Spec. Alg. p. 464. Abit. Abbastanza frequente ovunque. ECTOCAKPACEAE (Ag.) Kg. Ectocarpus Lyngb. 129. Ectocarpus paradoxus Mont. Ec. paradoxus , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 73 — De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 541. Ec. caespitulus, I. Ag. Alg. Medit. p. 26 — Kg. Spec. Alg. p. 455 : Tab. Phyc. Y, t. 62, f. II — Hauck Meersalgen p. 327. Abit. Acitrezza, sulla Cystoseira amentacea. 130. Ectocarpus siliculosus (Dilw.) Lyngb. Ec. siliculosus, De Toni Syll. Alg. Yol. Ili, p. 549 — Kg. Spec. Alg. p. 451: Tab. Phyc. Y, t. 53, f. I — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. X. 52. Ec. gracillimus , Kg. Spec. Alg. p. 453 : Tab. Phyc. Y, t. 58, f. I. Ec. corymbosus , Kg. Spec. Alg. p. 453 : Tab. Phyc. Y, t. 59, f. I. Ec. spalatinus , Kg. Spec. Alg. p. 455 : Tab. Phyc. Y, t. 63, f. II. Abit. Catania, alla lanterna, sullo Scytosiphon lomentarius. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 47 CLOROPHYCEAE (Kg. ex parte) Wittr. ULYACEAE (Lainour.) Rabenh. Ulva I. Ag. 131. Ulva lactuca L. U. Lactuca, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 193 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. Ili — Hauck Meersalgen p. 435. Ulva Lactuca b. latissima, Ardiss. Pliyc. inedit. II, p. 194. Abit. Comune ovunque. Enteromorpha Linck. 132. Enteromorpha Jlexuosa (Wulf.) I. Ag. E. Jlexuosa, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 204 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. 1, p. 121. E. Juergensii, Kg. Spec. Alg. p. 481 : Tab. Phyc. VI, t. 43, f. 3 ? — Hauck Meersalgen, p. 433. E. fulrescens, Kg. Tab. Phyc. VI, t. 42. Abit. Acitrezza, in marzo. 133. Enteromorpha intestinalis (L.) Link. E. intestinalis, De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 123 — Kg. Spec. Alg. p. 478 : Tab. Phyc. VI, t. 31 — Hauck Meersalgen p. 426. E. spermatoidea , Kg. Tab. Phyc. VI, t. 32, n. 4. Vivo Enteromorpha var. intestinalis, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 198. Abit. Abbastanza frequente. 1 34. Enteromorpha Linea (L.) I. Ag. E. Linea, De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 124 — Hauck Meersalgen p. 427. Phycoseris crispata, Kg. Spec. Alg. p. 470 : Tab. Phyc. VI, t. 17. Ulva Enteromorpha var. lanceolata, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 196. Phycoseris lanceolata, Kg. Spec. Alg. p. 475 : Tab. Phyc. VI, t. 17. Ph. smaragdina , olivacea-, Kg. Spec. Alg. p. 476: Tab. Phyc. VI, t. 19. 48 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII. J Ph. planifolia, Kg. Spec. Alg. p. 476 : Tab. Phyc. VI, t. 18. Abit. Abbastanza frequente ovunque, anche nelle forme lan- ceolata e crispata. 135. Enteromorpha compressa (L.) Grev. E. compressa , De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 126 — Kg. Tab. Phyc. VI, t. 38 — Hauck Meersalgen p. 428 — Ardiss. Bnum. Alg. Sicil. N. 64. E. complanata , Kg. Tab. Phyc. VI, t. 39. Ulva Enteromorpha var. compressa ., Ardiss. Phyc. medit. II, p. 198. Abit. Comune ovunque. CLADOPHOKACEAE (Hassal) Wittr. Chaetomorpha Kg\ 136. Chaetomorpha crassa (Ag.) Kg. Ch. crassa, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 213 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 270. — Kg. Spec. Alg. p. 379 : Tab. Phyc. Ili, t. 59 — Hauck Meersalgen p. 439 — Ardiss. Euum. Alg. Sicil. X. 36. Ch. torulosa , Kg. Spec. Alg. p* 380 : Tab. Phyc. Ili, t. 61. Abit. Porto di Siracusa, all’ « Isola », in luglio ; porto di Ca- tauia, in agosto. Acireale alla « Scalazza » (Esemplari raccolti dal Prof. Baccarini e determinati dal Prof. Piccone). 137. Chaetomorpha aerea (Dillw.) Kg. Ch. aerea, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 215 — De Toni, Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 272 — Kg. Spec. Alg. p. 379 : Tab. Phyc. Ili, t. 59 — Hauck Meersalgen p. 438. Ch. princeps, Kg. Spec. Alg. p. 380 : Tab. Phyc .III, t. 59. Ch. vasta, Kg. Spec. Alg. 378 : Tab. Phyc. Ili, t. 56. Ch. variabilis, Kg. Spec. Alg. p. 378 : Tab. Phyc. Ili, t. 55. Ch. urbica, Kg. Spec. Alg. p. 377 : Tab. Phyc. Ili, t. 54. Ch. gallica, Kg. Spec. Alg. p. 378: Tab. Phyc. Ili, t. 57, f. 3. Ch. Dubyana, Kg. Spec. Alg. p. 378 : Tab. Phyc. Ili, t. 57, f. I Ch. herbacea, Kg. Spec. Alg. p. 378 : Tab. Phyc. III, t. 57, f. I. Abit. Abbastanza frequente ovunque. Cladophora Kg. 138. Cladophora. catenata (Ag.) Ardiss. Cl. catenata , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 226 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 307 — Hauck Meersalgen p. 451. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 49 Cl. prolifera var. flaccida, Kg'. Spec. Alg. p. 390. Abit. Catania, alla Plaia, in maggio. 139. Cladopliora graeilis (Griff.) Kg. Cl. graeilis , Ardiss. Phyc. raedit. II, p. 239 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 322 — Kg. Spec. Alg. p. 403: Tab. Phyc. IV, t. 23, f. 2. — Hauck Meersalgen p. 457. Cl. vadorum , Kg. Spec. Alg. p. 402 : Tab. Phyc. IV, t. 20, f. I. Abit. Porto d’ Augusta. 140. Cladopliora Echinus (Bias.) Kg. Cl. Echinus, Ardiss. Phyc. tnedit. II, p. 221 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 343 — Kg. Spec. Alg. p. 414 : Tab. Phyc. IV, t. 62, f. I — Hauck Meersalgen p. 448, f. 197. Abit. Acireale : leg. Prof. Lopriore. Valonia Gin. 141. V aionia utricularis Ag. V. utricularis, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 163 — De Toui Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 376 — Kg. Spec. Alg. p. 507 : Tab. Phyc. VI, t. 86, 2, b-d — Hauck Meersalgeu p. 469. V. Siphunculus, Kg. Spec. Alg. p. 507 : Tab. Phyc. VI, t. 86, II, a. V. incrustans, Kg. Spec. Alg. p. 507 : Tab. Phyc. VI, t. 86, f. I. Abit. Comune ovunque nella la zona di profondità. 142. Valonia Aegagropila (Roth. ?) Ag. V. Aegagropila , De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 377 — I. Ag. Alg. • medit. p. 24 — Kg. Spec, Alg. p. 507 : Tab. Phyc. VI, t. 87, f. I. V. utricularis , forma Aegagropila, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 164 — Hauck Meersalgen p. 469. Abit. Porto di Siracusa. V AUCHERIACEAE (Gray) Dmnort. Vaucheria D. C. 143. Vaucheria dichotoma (L.) Ag. forma marina. V. dichotoma forma marina, De Toui Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 395 — Hauck Meersalgen p. 412. Atti acc. Serie 4% Yol. XVIII — Mem. XIII. 7 50 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII]. V. submarina , Kg. Spec. Alg. e Tab. Pliyc. V. Pilus , Kg. Tab. Pliyc. VI, t. 67. f. 2. V. bursata var. marina , Kg. Spec. Alg. p. 489. Abit. Porto d’ Augusta. DASYOLADIACEAE (Endl.) Cramer. Dasycladus Ag. 144. Dasycladus clavaeformis (Roth.) Ag. D. clavaeformis, Ardiss. Pliyc. medit. II, p. 180 — De Toui Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 411 — Kg. Spec. Alg. p. 508 : Tab. Pbyc. IV, t. 91 — Hauck Meersalgeu p. 483. Abit. Siracusa, spiaggia di S. Lucia, in ottobre. Acetabularia (Tourn.) Lauiour. 145. Acetabularia mediterranea Lamx. A. mediterranea. Ardiss. Phyc. medit. II, p. 178 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 420 — Kg. Spec. Alg. p. 510: Tab. Pbyc. VI. t. 92, f. 3 — Hauck Meersalgen p. 484. Abit. Siracusa, spiaggia di S. Lucia, in ottobre, sugli scogli a fior d’ acqua. DERBESIACEAE Tlmr. Derbesia Solier. 146. Derbesia Lamourouxii (I. Ag.) Solier. D. Lamourouxii , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 159 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 424 — Hauck Meersalgen p. 476. Bryopsis Balbisiana , Kg. Spec. Alg. p. 490. Br. Balbisiana var. Lamourouxii, I. Ag. Alg. medit. p. 18. Br. Balbisiana var. interrupta , Kg. Tab. Phyc. VI, t. 74, f. 2. Br. dalmatica, Kg. Tab. Phyc. VI, p. 26, t. 74, f. I. Br. ligustica , Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 19. Abit. Porto di Siracusa e di Catania. BRYOPSIDACEAE (Bory) Tlmr. Bryopsis Lamour. 147. Bryopsis muscosa Lamour. Br. muscosa , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 153 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Le Alghe marine della Sicilia Orientale 51 Sect. I, p. 435 — 1. Ag. Alg. medit. p. 19 — Kg. Spec. Alg. p. 493 : Tab. Phyc. YI, t. 82, f. I — Hauck Meersalgen p. 474. Abit. Porto di Siracusa e di Catania : Acicastello, Messina, Acireale (Mazza). 148. Bryopsis cupressoides Lamour. Br. cupressoides , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 155 — De Toni Syll. Alg. Yol. I, Sect. I, p. 435 — Kg. Spec. Alg. p. 492 : Tab. Phyc. YI, t. 79, f. I. Br. piumosa var. Arbuscula, I. Ag. Alg. medit. p. 21. Br. flagellata , Kg. Tab. Phyc. YI, t. 80, f. 2. Br. implexa, Hauck Meersalgen p. 473. Br. thujoides, Kg. Tab. Phyc. YI, t. 78, f. I. Br. piumosa , var. adriatica , Hauck Meersalgen p. 473. Br. pseudopiumosa e Br. sicula , Ardiss. Enum Alg. Sicil. N. 74 e 75. Abit. Abbastanza frequente. CAULERPACEAE Peiclienb. Caulekpa Lamour. 149. Caulerpa prolifera (Forsk.) Lamour. C. prolifera , Ardiss. Phych. medit. II, p. 166. — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 450. Phyllerpa prolifera, Kg. Spec. Alg. p. 496: Tab. Phyc. Yol. 7, t. 3. Abit. Comune ovunque. SPONOODIACEAE Lamour. Oodiitm Stackli. 150. Codium adhaerens (Cabr.) Ag. C. adhaerens , Ardiss. Phyc. medit, II, p. 169 — De Toni Syll. Alg. Yol. I, Sect. I, p. 489 — Kg. Spec. Alg. p. 502 : Tab. Phyc. YI, t. 100, f. I — Hauck Meersalgen p. 479 — Ardiss. Alg. Sicil. N. 78. Codium arabicum, Kg. Tab. Phyc. VI, t, 100, f. 2. Abit. Porto di Siracusa e di Catania: Messina. 151. Codium Bursa (L.) Ag. C. Bursa , Ardiss. Phyc. medit. II. p. 169 — De Toni Syll. Alg. Yol. I. 52 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII. j Sect. I, p. 490 — Kg. Spec. Alg. p. 502 : Tab. Phyc. VI, t. 99, f. I — Hauck Meersalgeu p. 479 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 155. Abit. Comune ovunque. 152. Codium tomentosum (Huds.) Stackh. C. tomentosum , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 170 — I)e Toni Syll. Alg. Voi. I, ' Sect. I, p. 491 — Kg. Spee. Alg. p. 500 (non le var. e i sinou.) : Tab. Phyc. VI, t. 94 — Hauck Meersalgen p. 479- -Ardiss. Enuni. Alg. Sicil. X. 76. Abit. Comune ovunque. 153. Codium elongatum Ag. C- elongatum , De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 496 — Kg. Spec. Alg. p. 501 (non le var.): Tab. Phyc. VI, t. 96, b. C. tomentosum , var. elongatum , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 171. Abit. Comunissimo a Marzamemi. Non si può considerare questa specie come una forma di pas- saggio a quella ordinaria del C. tomentosum (Huds.) Stack: la fronda compressa, dilatata all’ ascella delle ramificazioni dicotomiche, la grandezza delle cellule periferiche, maggiore nel C. elongatum che nel C. tomentosum , son tali caratteri differenziali che non lasciano dubbio sulla necessità della distinzione fra le due specie. Il C. tomentosum non arriva mai ad acquistare le dimensioni del C. elon- gatum, il quale, anche in esemplari giovani, poco sviluppati, pre- senta sempre la caratteristica dilatazione all’ ascella delle ramifi- cazioni, carattere questo, che non dimostra il C. tomentosum auche in uno stadio molto evoluto. Un’ osservazione relativa alla distribuzione batimetrica : il C. elongatum vegeta nella la zona di profondità, poco sotto al li- vello dell’acqua. Nulla di preciso si conosce, mi pare, in ordine alla profondità alla quale vive 1’ alga in parola : il chiar. Signor Rodriguez ne pescò esemplari a 90 e a 100 m. ed il Prof. Piccone, basandosi sulla lunghezza e la consistenza della fronda e sul grado di agitazione del mare, che determinò il distacco della pianta dal corpo sul quale era affissa, credeva di non allontanarsi molto dal vero, supponendo che gli esemplari, trovati galleggianti ad Albis- sola, vegetassero ad una profondità di 10 metri almeno (1). L’ in- (1) A. Piccone — - Nofcerelle ecologiche : « Sulla presenza del C. elougatum Ag. in Li- guria e sulla sua area Ai distribuzione nel Mediterraneo » nuova Notarisia 2 marzo 1891. Le Alghe marine della /Sicilia Orientale 53 duzione dell’ Illustre Professore potrà pur essere fondatissima, poiché su materiale reietto o allo stato natante non si può dir nulla di sicuro : ho potuto osservare che il C. elongatum vegeta anche quasi immediatamente al disotto del livello dell’ acqua. In una escursione lungo la spiaggia di Marzamemi, (punta estrema al sud della Sicilia orientale), raccolsi molti esemplari di quest’ alga, le parti apicali della quale, mosse leggermente dal flusso e riflusso, rimanevano scoperte. Il C. elongatun vegeta nei seni di mare, nelle cavernule poco esposte. UDOTEACEAE (Endl.) I. Ag. Udotea Lamour. 154. Udotea Desfontainii (Lamour) Decne. U. Desfontainii , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 173 — De Toni Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 508 — Kg. Spec. Alg. p. 503 : Tab. Phyc. VII, t. 19, f. b — Hauck Meersalgeu p. 481 — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. N. 80. U. lacinulata , Kg. Spec. Alg. p. 503. C. ciliata , Kg. Tab. Phyc. VII, t. 19, a. Abit. Abbastanza frequente. Halimeda Lamour. 155. Halymeda Luna (Eli. e Solaud.) Lamour. R. Tmia, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 174 — De Toni, Syll. Alg. Voi. I, Sect. I, p. 518 — Kg. Spec. Alg. p. 504 : Tab. Phyc. VII, t. 21, f. 4 — Hauk Meersalgeu p. 482. f. 212 — Ardiss. Enum. Alg. Si- cil. N. 81. Abit. Oomuuissima dapertutto. SCHIZOSPOKEAE Colili. LYNGBYA Ag. 156. Lynghya aestuarii (Mertens) Liebm. L. aestuarii , Ardiss. Phyc. medit. II, p. 273 — Hauck Meersalgeu p. 504. L. aeruginosa, Kg. Spec. Alg. p. 282 : Tab. Phyc. I, 88, VII. L. crispa, I. Ag. Alg. medit. p. 11 — Kg. Spec. Alg. p. 283 : Tab. Phyc. I, 89, IV — Ardiss. e Straft'. Enum. Alg. Lig. p. 71. 54 Doti. Venturino Spinelli [Memoria XIII]. L. glutinosa , Kg. Spec. Alg. p. 282 : Tab. Pkyc. I, 89, II. L. interrupta, Kg. Spec. Alg. p. 281 : Tab. Phyc. I, 88, IV. Abit. Frequente sugli scogli ovunque. 157. Lyngbya violacea , Rabenh. L. violacea, Ardiss. Phyc. medit. II, p. 275 — Hauck Meersalgen p. 503. L. polychroa, Kg. Spec. Alg. p. 278: Tab. Phyc. V, 85, V. L. capillacea, Kg. Spec. Alg. p. 278 : Tab. Phyc. I, 85, IV. Abit. Catania, su alcune Alghe. BACILLARIEAE Nitzsch. COCCOAEIDACEAE Oocconeis Ehr. 158. Cocconeis tentellum, Elv. Sul Qeliudium corneurn Larnx : porto di Siracusa, in aprile. ACNANTACEAE Achxanthes Bory 159. Achnantlies subsessilis Elv. Sul Ceramium rubrum Ag. e sul Cer. elegans Ducluz : porto di Catania. 160. Achnanthes longipes , I. Ag. Sul Cer. rubrum e sul Ver. elegans : porto di Catania. EKAGILARIACEAE Synedra Ehr. 161. Synedra affinis Kg. var. hybrida Gr. Sul Cer. elegans : porto di Catania. LIOMOPHORAOEAE Licmophora Ag. 162. Licmophora Oedipus (Kg.) Grun. Abit. Sul C. elegans Ducluz: porto di Catania. Le Alghe marine della Sicilia Orientale 55 163. Licmophora australis (Kg.) Gran. Abit. Sul Ver. rubrum A g. : Porto di Siracusa. STRIATELLACEAE Geammatophora Elir. 164. Grammatophora marina (Lyngb.) Kg. Abit. Sul Ccr. elegans Ducluz : porto di Catania. 165. Grammatophora marina var. intermedia Gran. Abit. Sul Gelidium corneum Lamx: porto di Siracusa. 166. Grammatophora marina var. typiea. Abit. Sul Gel. corneum Lamx : porto di Siracusa. 167. Grammatophora marina var. nodulosa. Abit. Come sopra. Rabdouema Kg. 160. Khabdonema adriaticum Kg. Abit. come sopra. ■ ■ ■ ' Memoria XIV. ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA Bacteriosi del Fico Memoria di F. CÀYARA (con una tavola) “ Dopo che i progressi della microbiologia hanno aperto un nuovo orizzonte alla patologia generale e messo fuori di ogni dubbio che il maggior numero delle malattie che affliggono l’u- manità è dovuto all’ influenza di quei minutissimi esseri che vanno sotto il nome volgare di microbi , è evidente che anche l’in- dagine delle alterazioni delle piante dovesse seguire cotesto nuovo e ferace indirizzo. È così infatti che parecchie malattie di piante coltivate poterono essere, in questi ultimi tempi, chiaramente di- mostrate di natura microbica; tale ades.il mal nero della vite, che affligge sopra tutto le viti di Sicilia, provocato dal Bacili-m vitivorus Baecar. (1), la tubercolosi della vite (2), la rogna dell’u- livo (3), i tumori del pino d’Aleppo (4), la necrosi dei germogli del gelso (5), e molte altre affezioni di piante orticole erbacee. Novella conferma questa del principio unitario della vita. (1) Bacca ioni P. Il mal itero delia tute, in Stazioni spermi, agr. ital. Modena 1895. (2) Cavara F. Aperrtt som-maire de qnelqnes maladies de la vigne — Rev. internai, de Viticoli, et Oenolog. Macon 1877. e Stazioni sperilo, agr. ital. 1897. (3) Savastano L. Il Bacillo della tubercolosi dell’olivo (Semi. dell’Aecad. dei Lincei 1889) Prili.ieux, Badile s dts lumenrs de l’ Olivier, in Compt. Rend. de l'Acad. des. Se. CVIII. 1889. (4) Vuillemin P. Sur ime bactériocéeulie ott tumeur baci U-aire du- piti d’ Alcpp. Compt. Rend. de P Acad. d. Scienc. 2(1 Nov. 1888. (5) Ho ver et Lambert, Comptes Rend. de P Ac. d. Se. de Paris 1894 — Peglion V. Bacteriosi del Gelso, in Staz. sper. agr. ital. Voi. XXX. 1897.— Cavara Intorno alla eziologia di alcune malattie etc. Ibid. 1897. Atti acc. Serie 4a, Voi.. XVIII — Meni. XIV. 1 9 F. Cavava [Memoria XIV]. Aiiclie le piante nelle loro manifestazioni di carattere patologico si comportano come gli animali; la loro sostanza vivente, il pro- toplasma delle loro cellule può divenir preda di quegli esseri infinitamente piccoli, che tanta parte hanno nell’ economia della natura, 1’ attività dei quali o la virulenza dei loro prodotti (tos- sine) induce così profonde modificazioni nelle strutture e nelle funzioni degli organi elementari da condurre gli esseri superiori a rovina. Le piante, come gli animali, soggiacciono all’ attacco di cotesti invisibili nemici, fornendo mirabili esempi, nuovi aspetti e forme di quella che è la lotta per l1 esistenza. Scopo della presente memoria è appunto una breve illustra- zione di una malattia microbica del Lieo. Lin dall’ aprile del 1903 il Professore Domenico Bufalini, titolare della Cattedra ambulante di agricoltura per la provincia di Peggio Calabria, ini inviava in esame dei rami di Fico (Ficus Carica Lin.) che presentavano segni evidenti di avanzato depe- rimento. Lo stesso Professore, nella lettera colla quale accompa- gnava 1’ invio del materiale di studio, dava le seguenti notizie intorno alla malattia : « L’alterazione, egli scriveva, si presenta « così : dapprima il tronco si colora in rosa e poi sul tronco e « sulla parte alta della pianta compariscono delle macchie brune. « Le radici non presentano alterazioni di sorta, almeno a prima « vista. Il terreno su cui sono i tìchi ammalati è di natura sili- « cea in parte, in alcune zone tendente all’ argilloso ; il sotto - « smdo è pochissimo permeabile ; però la malattia 1’ ho riscon- « trata anche in piante coltivate in terreno profondo e sciolto « con sottosuolo permeabile, in piante giovani di 3 o 4 anni di « dimora sul posto. Mi si dice che questa malattia esista da « moltissimi anni, e vi sieno dei ficheti che la subiscono da 40 « anni. » Mi diedi ad un esame particolareggiato dei rami inviatimi. Alcuni di essi erano completamente secchi verso la estremità per un tratto di parecchi centimetri; il limite fra la parte secca e la parte tuttora verde era alquanto indeciso, tuttavia il colore Bacteriosi del Fico e la diversa resistenza all’ intaccatura della parte morta lo an- nunciavano abbastanza. Di più , nella parte secca si notavano numerosi forellini circolari , di 1 min. circa di diametro , che denotavano l’azione di animali. Tagliando infatti con un bisturi ed in senso tangenziale quei rami, si mettevano a nudo delle sot- tili gallerie, che spesso facevano capo all’ insetto che le aveva scavate e che era un piccolo coleottero. Siccome le gallerie interessavano talora anche la parte non secca dei rami di fico, così veniva spontanea 1’ idea che a tale insetto fosse dovuto il deperimento delle piante. Inviai, perciò, alcune porzioni di rami così alterati e alcuni di quegli insetti all’egregio amico, Prof. D.r Giacomo Cecconi dell’ Istituto forestale di Vallombrosa, il quale con molto amore e competenza si occupa di danneggiamenti delle piante per opra di animali , invitandolo a volermi dare ragguagli in proposito. Colla consueta cortesia il Dottor Cecconi mi rispondeva che trattavasi dell’ Hypoborus Fici E ridi, il quale « vive general- « mente sotto la corteccia dei rami malandati di fico, delPestre- « mità generalmente , affrettandone la morte. Insetto comune, « pel quale non si lamentavano danni che in casi rari di piante « intere. » Egli consigliava poi di raccogliere i rami infetti e di bruciarli. Mentre cotesta risposta dell’ amico entomologo di Vallom- brosa toglieva valore e consistenza alla supposizione che 1’ Hy- póboms Fici potesse essere la causa del deperimento dei fichi di Calabria , io stesso avevo già notato che il fatto del dissecca- mento totale delle estremità dei rami e la presenza di gallerie non era di tutti i campioni inviatimi, laddove vari caratteri si riscontravano, i quali facevano pensare ad altro ordine di cause del male. Si notava, infatti, da un lato uno scarso e rachitico sviluppo delle foglie che si presentavano con colorazione verde- giallastra, con abbondante peluria nella pagina inferiore e col margine increspato ; d’ altro lato i pochi fioroni che portavano quei rami pendevano appassiti dai loro peduncoli, staccantisi al 4 F. Cavava [Memokia XIV]. minimo urto, quindi destinati a precoce caduta. Negli internodi, poi, si osservano le alterazioni di cui faceva parola il Prof. Bufalini, e precisamente delle macchie longitudinali, d’ordina- rio orientate tutte da uno stesso lato, ora grigio-rosee, ora bru- niccie, secondo il grado dell’ alterazione, ma sempre facilmente discernibili anche per una notevole abrasione della corteccia (Tav. nostra fìg. 6). Praticando un taglio, in senso tangenziale, in corrispon- denza di tali chiazze in modo da asportare il tessuto della corteccia e mettere a nudo parte del cilindro legnoso , come dimostra la fig. 7 della nostra tavola, si ha tosto una idea chiara della natura delle alterazioni interne dei rami, e si os- servano delle macchie o strie longitudinali di tessuto legnoso più o meno necrosato, nel loro inizio di color giallastro, poi via via più scure fino a divenire di un bruno-ocraceo e mucide là dove il processo di degenerazione ha assunto i caratteri del vero cancro. Tale constatazione si può fare parimenti spaccando per il lungo un pezzo di ramo infetto, dopo averne con un bisturi appianata la sezione, come fa vedere la nostra tig. 8, la quale ancor meglio dimostra la varia localizzazione delle alte- razioni. Anche le sezioni trasversali (tig. 1 a 5) danno una chiara idea di cotesta localizzazione e si può rilevare come alle volte sieno delle porzioni più o meno estese della corteccia che vengono colpite dal processo degenerativo, ed altre volte questo abbia sede in regioni più o meno profonde del cilindro legnoso, spesso anche senza un’ apparente relazione fra le due regioni necrosate. Talora invece (fìg. 3 e 5) si hanno dei settori ne’ quali P alterazione procede dalla corteccia e si spinge fin quasi al midollo. Una serie più o meno grande di internodi presenta co- testi processi di necrosi, i quali soglionsi allargare viemaggior- mente a livello dei nodi stessi, d’ onde P intristimento ed il rachitico sviluppo delle foglie e dei siconi. In tali alterazioni risiede perciò la ragione del deperimento dei rami , la cui Bacteriosi del Fico £> causa viene meglio chiarita dall’ esame istologico delle regioni neerosate. Intanto, come già il Prof. Bufalini asseriva, il sistema ra- dicale era perfettamente immune da alterazioni qualsiasi, ciò che potei constatare in una pianta di pochi anni i cui rami erano invece colpiti dalla malattia. Delle sottili sezioni praticate tanto trasversalmente che in senso radiale in un ramo infetto, anche senza il sussidio di al- cun mezzo di colorazione, fanno vedere al microscopio come le macchie tanto del legno quanto della corteccia sieno dovute ad una sostanza mucillaginosa e linamente granulare ad un tempo, la quale si è sostituita al normale contenuto degli elementi isto- logici. Ootesta sostanza è particolarmente constatabile nel tessuto conduttore e precisamente ne’ grossi vasi • che ne sono infarciti. Le trachee, nel legno del Pico, come in quello della Vite e di tante altre piante, si presentano spesso riempite da quelle pro- duzioni note sotto il nome di tilli e che sono intromessi oni delle cellule parenchimatiche, circostanti ai vasi stessi. Ora esami- nando in una sezione trasversale (Fig. 11) il primo accenno di una delle suddescritte alterazioni, si rileva come uno o pochi grandi vasi fra di loro ravvicinati in serie presentino un con- tenuto torbido, di un color giallo chiaro, in luogo dei tilli che si osservano invece negli altri vasi del legno ancor sano. Evi- dentemente le membrane delle cellule di riempimento dei vasi (tilli) hanno subita una degenerazione completa, d’ onde la so- stanza di aspetto torbido e di colore gialliccio sopra notata. Una sezione longitudinale-radiale mette ancor meglio in evidenza cotesto prodotto di degenerazione dei tilli, e se 1’ osservazione si fa ad un notevole ingrandimento, ad es. con un obiettivo a secco di Koristka 8 o 9, o meglio con un obiettivo ad immer- sione, allora è facile rilevare in seno alla sostanza mucillaginosa suddetta una miriade di corpuscoli, a forma di corti bastoncini, fittamente aggregati fra di loro, che un occhio abituato sa rico- noscere per schizomiceti. Trattasi perciò di vere e proprie zooglee 6 F. Cava va | Memoria XI VJ. di bacteri occupanti per tratti più o meno estesi il vano dei grandi vasi. La sostanza mucosa costituente le zooglee è naturalmente il prodotto della degenerazione dei tilli da un lato e della parziale gelatinizzazione delle membrane dei microrganismi stessi dal- P altro. Ili uno stadio successivo del processo infettivo si nota una irradiazione di questo dai grandi vasi alle cellule del parenchima circostante pel tramite delle punteggiature di quelli o per gli stessi passaggi praticati dalle cellule dei tilli. Si verifica qui quanto il Baccarini (1) ha osservato nei tralci di viti* affetti da mal nero. I punti di contatto anzi fra questa malattia della vite e quella del Lieo che qui ci occupa, sono parecchi come appresso anche vedremo. 1 primi focolai o centri infettivi, da cui irradia il pro- cesso morboso, sono in entrambi i casi i grandi vasi, o meglio quei grandi vasi ne1 quali si è venuto ad insediare P agente della infezione stessa. Per successiva irradiazione da questi le zooglee bactericlie invadono le cellule del parenchima legnoso, ove tro- vano come materiale nutritizio P amido, ed in seguito i raggi midollari e la zona del cambio, d’onde si diffondono agli elementi del libro e della corteccia ricchi di sostanze di nutrizione. Quivi la moltiplicazione dei microrganismi si fa rigogliosissima e gli effetti del copioso sviluppo delle colonie divengono disastrosi per la pianta ospite. Il contenuto delle cellule in degenerazione si fa giallo-bruno, le membrane non lignificate cadono in preda ad un intenso processo lisigenico per opera dei prodotti dell’ atti- vità dei microrganismi pullulanti, e si ha, oltre ad uno sfacelo dei tessuti, delle vere e proprie soluzioni di continuità (V. Pig. 13 e 14 ) , donde P abrasione dei tessuti corticali che è uno dei ca- ratteri esterni dei rami infetti, come si disse sopra. Negli esem- plari avuti in esame , riferentisi a piante giovani , non fu dato osservare che lo sfacelo dei tessuti corticali portasse all’erosione (1) P>accarini P. Op. cit. pa^. 478. Baciatosi del Fico di questi tino ad ottenersi degli spaccili longitudinali come nel mal nero della vite, che perciò fu detto anche male dello spacco. Tuttavia in qualche ramo ( V. fig. 6 ) si potè rilevare 1' inizio di un simile processo distruttivo. Non vi ha dubbio, intanto, che per processo lisigenico delle membrane delle cellule parenchi maliche gli elementi meccanici del libro ossia le fibre del libro duro vengono come isolate dal parenchima liberiano ( tig. If ), mentre esse pel grado notevole di lignificazione delle loro membrane resistono all’azione distrut- tiva dei bacteri o dei loro prodotti. I laticiferi sono egualmente invasi, come può rilevarsi dal colore giallo-bruno che assumono in certi loro tratti, in corri- spondenza dei quali si mostrano infarciti di batteri, e finiscono per cadere in isfacelo come le cellule dei parenchima erbaceo. Quest’ ultimo tessuto è più particolarmente affetto da necrosi per profonda alterazione sia del contenuto che delle membrane delle sue cellule. Uno sguardo alla tig. 13 dà ragione di simile degenerazione. Che ciò possa e debba avvenire, si spiega facil- mente sia per la quantità di materiali plastici di questo tessuto, sia per il tenue grado di lignificazione delle membrane cellulari. Tanto nelle sezioni trasversali di tronchi infetti (fig. 1 a 5) quanto nelle sezioni radiali ( fig. 8 ), si rileva il maggiore svi- luppo assunto dal processo anatomo-patologico nei tessuti corti- cali rispetto a quello dei tessuti legnosi, non ostante che questi ultimi rappresentino i punti di partenza dell’ infezione, i primi focolai, essendo presumibile che la infezione siasi fatta strada dall’ esterno per la via del sistema conduttore, per le aperture beanti dei grossi vasi del legno in caso di tagli nei rami, di sfogliatura di questi, di distacco di siconi fortuito o causato dall’ uomo. Tale interpretazione è avvalorata, del resto, dallo stato perfettamente normale delle radici delle piante infette. Ammessa tale origine della infezione per parte di micror- ganismi portati dall’ aria o dall’ acqua, ovvero indirettamente dall’uomo, è evidente che stabilitasi una colonia in uno o più 8 F. Cavava [Memoria XLV]. dei grossi vasi , da essa abbia potato procedere l’infezione sia in senso longitudinale per la via stessa dei vasi e agevolata dalla corrente traspiratoria, sia in modo più lento in senso trasver- sale per irradiazione dai vasi nelle cellule del parenchima le- gnoso, in quelle dei raggi midollari, nella zona cambiale, nel li- bro e nella corteccia. Onde la differente localizzazione delle mac- chie, notata fin dal principio di questo scritto, verrebbe spiegata dal diverso modo di diffusione delle zooglee bacteriche attraver- so e lungo i differenti tessuti della pianta infetta. La diversione dei materiali elaborati della pianta, 1’ accu- mulo di sostanze di rifiuto dei microrganismi e di alterazione dei tessuti, la necrosi di questi spiegano senz’altro il deperimen- to dei rami, le ipoplasie nei germogli, lo sviluppo meschino delle foglie e delle infiorescenze. Ragioni di analogia che questa malattia del fico offre col mal nero delle viti, colla batteriosi o necrosi del gelso, la pre- senza di microrganismi e di zooglee nei vasi conduttori ed in altri elementi istologici, che adatti processi, di colorazione (Bleu di Metilene, Bleu di Poirier, Pucsina, etc.) mettono anche me- glio in rilievo, indussero ragionevolmente a pensare che si trat- tasse di malattia infettiva e che 1’ agente fosse il batterio che trovavasi così copioso nei vari sistemi anatomo-tìsiologici. Do- vevasi perciò portare 1’ indagine sui caratteri biologici di tale microrganismo. Col materiale fresco inviatomi dal Professore Bufalini pro- cedetti a ricerche di coltura cou diversi substrati. Preparai anzitutto una gelatina peptonizzata a base di succo estratto da foglie giovani e germogli di fico. In tubetti d’as- saggio introducevo coll’ ago di platino (prima arroventato alla fiamma) tenui porzioncelle di legno in incipiente necrosi, aspor- tato con debite cure e previa sterilizzazione da ramo infetto ; poi facendo fondere la gelatina colla palina stretta della mano, quella veniva versata in una scatola Petri che era stata esposta prima a 150.° Si avevano così colture a piatto, dalle quali era Bacteriosi del Fico 9 permesso poi l’ isolamento delle colonie nel caso d’ inquinazione di microrganismi diversi nella coltura. Dopo due giorni si osservò attorno ai frammenti di legno una nubecola, che era 1’ inizio di colonia bacterica e qua e là piccole punteggiature che erano pure delle minuscole coloniette provenienti da germi isolati, separatisi dal pezzetto di legno. Dopo alcuni giorni attorno alle porzioncelle di legno necrosato si era formata una cospicua colonia grumosa, di colore bianco- crema, e le coloniette isolate erano divenute lenticolari, madre- perlacee e con un alone fluido tutt’ attorno , segno evidente di fusione della gelatina. Si fecero tosto dei trasporti sì dalla colo- nia principale che dalle secondarie in nuovi tubetti , che si la- sciarono alla temperatura dell’ ambiente (di giorno 15° circa). In breve tempo, da 24 a 48 ore, si avvertiva alla superfìcie obli- qua della gelatina dei tubi di coltura una colonia frangiata ai lati della linea di infissione , di colore bianchiccio e piuttosto grumosa verso la parte centrale, mentre nel cono d’ infissione si delineava una nubecola costituita da numerose minuscole colo- niette globulari. Lo sviluppo era evidentemente più contrariato nel cono d’ infissione di quello che alla superfìcie libera. Quivi anzi in pochi giorni la colonia si allargò, prese contorno più re- golare e assunse un colore giallo che andò sempre più inten- sificandosi. Dopo parecchi giorni si notava la fi nidificazione della ge- latina, per cui, affondandosi la colonia, veniva a confondersi con quelle globulari del cono d’ intìssione. Alla superficie della ge- latina fusa restavano a galleggiare dei lembi di sostanza gialla- stra costituita forse da materiali di natura escrementizia e da spoglie o membrane abbandonate dai microrganismi. Coll1 eva- porare del liquido di fusione della gelatina tali residui rimane- vano aderenti, ad anello, alla parete del tubetto. Da quasi tutte le colture a piatto si ebbero le due forme di colonie suddette, cioè V una grumosa, aderente ai frammenti di materiale seminato e le altre minutissime. In pochi casi al- At'ji acc. Serie 4% Voe. XVIII — Meni. XIV. 2 10 F. Cavava [Memoria XIV]. tri microrganismi inquinarono le colture, ma, atteso i peculiari caratteri delle loro colonie, fu possibile, perciò, l’isolamento della forma che sviluppatasi nell’interno dei tessuti del fico e di essa ottenere delle colture pure. Altri mezzi solidi furono pure usati per questo microrga- nismo e così agar-agar, fette di pane, di patate, di zucca e di banani, con i risultati che qui brevemente espongo. L’ agar-agar, che fu preparato con aggiunta di peptone e dei costituenti del liquido di coltura di Raul in , si mostrò un cattivo substrato, le colonie procedettero assai lentamente e poi si arrestarono dopo uno scarso sviluppo. Dando esso reazione neutra, si pensò di modificarlo sia coll’ acidificarlo da un lato sia coll’ alcalinizzarlo dall’ altro. Colla prima modificazione si ottenne uno sviluppo mediocre, colla seconda non si ebbe accen- no a moltiplicazione alcuna. kSu fette di pane sterilizzale in autoclave, si ebbe pure assai scarso sviluppo. Le colonie si mantenevano di color bian- co-latteo per molti giorni. Latti dei trasporti nella solita gela- tina, esse ripresero il loro sviluppo con gli ordinari caratteri. Su patate cotte si ebbe invece un rigogliosissimo sviluppo. In pochi giorni la superficie di fette aventi 4 o 5 cin. di dia- metro fu invasa da ampia colonia semi fluida, vischiosa, di color giallo d’ oro. Sopra fette di zucca (varietà a polpa rosso-aranciata assai zuccherina) si ebbe del pari un cospicuo sviluppo. La polpa di zucca veniva tutta invasa e compenetrata dalla colonia batterica in guisa da assumere in seguito, per la graduale perdita di acqua un aspetto tutto speciale, come fosse earamellizzata. I banani pure si mostrarono un buon substrato di coltura. Lo sviluppo, tuttavia, delle colonie fu meno rapido che su zucca o patate, e quale carattere speciale una colorazione gial- lo-chiara della colonia, come di crema di latte. Condizioni che promuovono lo sviluppo di questo bacterio sono : nutrizione proteico-idro carbonata , un certo grado di aci- Bacteriosi del Fico 11 dità del substrato, presenza di ossigeno libero e temperatura non troppo elevata. Astraendo dalle due prime condizioni che risultano dimo- strate dalle prove di coltura , aggiungeremo die il bisogno di ossigeno, quindi il carattere aerobico del nostro microrgani- smo ebbe una conferma anche nel risultato negativo di una sua coltura in provetta ad acido pirogallico. Riguardo al suo compor- tamento rispetto alle condizioni termiche, dissi già che la tem- peratura diurna di circa 15° era favorevolissima allo sviluppo delle colonie, non ostante gli abbassamenti notevoli notturni. Fu- rono anche cimentate temperature più elevate col termostato, e potei stabilire che da 20° a 25° si aveva già un rallentamento nello sviluppo delle colonie, rallentamento che si accentuava a 30° ed un arresto assoluto verso i 35° e 37°, temperature favorevoli invece ai bacteri patogeni degli animali. La diminuzione graduale dell’ acqua nel substrato , in un coll1 impoverimento di materiali nutritizii, promuoveva la spori- ficazione o formazione di germi. La resistenza di questi al di- fetto di acqua si mostrò notevolissima. E ciò potei constatare nelle colture fatte su fette di zucca. Essendosi queste, per così dire, caramellizzate, rese cioè secche e diafane , e conservando nella loro massa germi del batterio coltivatovi sopra in prima- vera, potei ottenere ancora nell1 inverno dell1 anno succesivo la riproduzione di colonie da pezzi di zucca secchi, trasportati in gelatina fresca. Mi resta ora a dire dei caratteri morfologici di questo mi- crorganismo. Accennai già, parlando delle alterazioni anatomiche dei rami di fico, alla forma di corti bastoncini presentata da esso nelle zooglee dei grandi vasi. Ma meglio che nei tessuti della pianta invasa, gli è nel materiale delle colture che si poteva condurre uno studio morfologico di questo schizomicete. Col materiale delle colture giovani, specie con quelle su fette di patate, substrato che si mostrò sovra ogni altro eccellente, potei fare molteplici preparazioni, che mi misero in grado di apprez- 12 F. Cavava [Memoria XIV]. zare le particolarità di forma e di struttura del nostro bacterio. Un metodo che mi diede eccellenti risultati fu quello di fissare sul vetrino il materiale di coltura con sublimato alcoolico ace- tico e di colorare con Bleu di Metilene (soluzione aleoolica 1+10 acq. secondo A. Mayer Practicum der botati. Bdkterien- kunde pag. 152) e Fucsina di Ziel. La sostanza fondamentale della zooglea si colorava in rosso, e i bacteri si coloravano in bleu. Da buone preparazioni potei rilevare con sufficiente chiarezza le forme e le disposizioni assunte da questo bacterio. Esso presentasi in giovani colture o isolato o allo stato di ag- gregazione. Gli articoli isolati o hanno forma di corti bastoncelli ottusi agli estremi, a guisa di Clostridium e misuranti appena 1, 5x0.5 jjl, ovvero sono cilindracei, ottusi ed un po’ rigonfi agli estremi, mi- suranti 2 — 2, 6 X 0. 6 |jl. Questa seconda forma rappresenta una fase di accrescimen- to e preludia alla loro divisione, in seguito alla quale si hanno forme analoghe ai diplococchi e streptococchi. Nelle forme pluri-articolate o filamentose il diametro degli articoli si mantiene costante, mentre in quelle isolate e nelle diplococcoidi gli articoli sono d’ ordinario rigonfi nel loro mezzo. Nelle colture di due giorni o tre, tanto nelle forme isolate che in quelle aggregate in serie lineare, si rendono visibili dei vacuoli, cioè delle soluzioni di continuità nella massa colorabile , vacuolizzazioni, che precedono senza dubbio la formazione di germi o spore. Infatti, in colture ancor più avanzate, cotesta formazione di germi riesce evidente per la decisa delimitazione di un globulo (di rado due), che assorbe bene la sostanza co- lorante, mentre la restante parte del contenuto degli articoli re- sta in colora. Le varie forme semplici o seriate di questi batteri si rag- gruppano poi in zooglee più o meno grandi, lobulate o botrioidi e conservanti a lungo il loro carattere differenziale in seno alla massa fondamentale della coltura. Bacteriosi del Fico 13 Cosa analoga io avevo osservato pel bacterio della necrosi del gelso (1\ nel quale tali zooglee botrioidi, come le chiama allora, andavano poi disfacendosi coll’ invecchiare della coltura. Oltreché col Bleu di Metilene e Fucsina Ziel, questi bacte- ri si colorano bene col Violetto di Genziana ( Metodi Gralimi e Bizzozzero), con Fucsina sola, ed anche con Emallume Mayer. Queste due ultime sostanze, se non danno molta intensità di tin- ta, hanno il vantaggio che lasciano intatta e chiara la mem- brana, onde la parte colorabile e le vacuolizzazioni si rendono assai evidenti. A lato delle forme sopra descritte, che si riscontrano pre- dominanti nelle colture giovani, si osservano qua e là articoli più grossi di forma ellittico-allungata od ovale-allungata, sempli- ci o a due a due, pure vacuolati, che ritengo sieno da conside- rarsi come forme d’involuzione, sia perchè assai più frequenti nelle vecchie colture, sia per la poca costanza della loro for- ma ed aggruppamento. Così, per es., si hanno due articoli di diseguali dimensioni riuniti assieme, ricordanti le gemmazioni dei saccaromiceti. Astraendo da coteste forme degenerative, il microrganismo isolato dai rami infetti di fico potrebbe riferirsi al genere Bac- terium o al genere Glostridium, attesa la forma assottigliata agli estremi, presentata dai giovani articoli isolati. Dico potrebbesi riferire, perchè anche con la ripetuta applicazione del metodo Lbffler (2) non mi fu dato mettere in evidenza ciglia vibratili. Solo posso dire che con questo metodo, pur tanto raccomandato dai bacteriologi, mi si resero bene visibili invogli gelatinosi, ( Gallertschicliten o Gallerthullen di A. Fischer, TÌ orlesung. ii. BaJcterien p. 12 ) tanto di articoli isolati che seriati. (1) Cavara F. Intorno all’ eziologia di alcune malattìe di piante coltivate. Staz. agi*, ital. MocLeua — Voi. XXX. 1897 p. 500. (2) Fischer A. Untersuclmngen iiber BaJcterien. Pi'ingsheim’s Jahrtraclier XXVII 1895 p. 81 e seguenti. 14 F. Cavava [Memoria X1VJ. Denominando per ora Bacterinm Bici questo scliizomicete, non posso starmi dal rilevare le grandi affinità che esso ha con il Bacillus vitivorus Baecar. (B. Bavcarini Macchiati) e col Bac- teriuvn Mori Boyer et Lami). specialmente con quest’ ultimo, non tanto per la forma e le dimensioni degli articoli, quanto pei caratteri delle colture e la forma delle prime zooglee, come pure per la natura delle alterazioni indotte nelle piante e che sono dei veri e propri processi cancerosi. Tutto induce nella persuasione che si tratti verosimilmente di forme o varietà di uno stesso tipo specifico, adattatesi a vita parassita nella vite, nel gelso e nel fico. ■ Ecco intanto la frase diagnostica che se ne può dare : Bactekium Bici nov. sp. Bandi# primo oblone/o — ellypsoi- deifi 1. 5 X 0. 5, i» dein cylìndraceis 2 — 2, 6 X 0, (iy., apicibu# ob- tusis, plerumque binati # rei in fiìamenta evoluti ,s ; eapsulis gelati- nosi# obtectis , zoogloeas inde lobulata# vel botri) oidea s cff'orm antibus. Hab. In ligno et in corti ce rainulorum Bici Caricar para- sitans , maculas eancerosas luteo-brunneas, mucidasque gignens. Aerohius, gelati nani liquefaciens , colonias primo punctiformes , livalinas , dein late mucosas, luteas praebens. Se lo studio delle alterazioni anatomo-patologiclie ed i ri- sultati delle ricerche batteriologiche portano alla sicura convin- zione che il deperimento delle piante di fico della Calabria sia dovuto all’ azione del microrganismo sopradescritto, e tale con- vinzione è pure confortata da ragioni di analogia che questa affezione del fico ha con la bacteriosi del gelso e col mal nero della vite, del pari di origine microbica, restava pur sempre da invocare quella conferma che l’indirizzo odierno della patologia esige , la riproduzione artificiale , cioè, della malattia mediante la inoculazione in piante sane del microbo patogeno, o in altre parole del prodotto delle colture di esso in uno dei tanti sub- strati cimentati. Ad ottenere cotesta conferma, che era pur da me tanto de- Bacteriosi del Fico 15 si de rat;!, mi accinsi fin dal 1903, e sopra due piante di Ficus Carica dell1 Orto botanico e precisamente della varietà che dà i cosidetti fichi dottati feci due sorta di innesti a scopo di ripro- durre, se era possibile, le alterazioni dei fichi di Calabria. In una delle piante praticai, su ben nove rami, delle incisioni della lun- ghezza di 1 cui. e della larghezza di 3, 4 mm. , con tagli con- vergenti in modo da poter comprendere dei cunei di egual for- ma e dimensione di legno infetto, ancor fresco, di fichi calabresi, l'atto cotesto innesto, legavo il ramo con figlia da giardinieri. ]NTeir operazione di taglio tanto del legno malato che del sano era usata ogni cautela con bisturi sterilizzato alla fiamma. In altra pianta si asportarono all’ estremità di pressoché egual numero di rami le foglie od i fioroni che eventualmente vi si trovavano, e dopo avere per bene prosciugata dallo sgorgo di lattice la ferita, si spalmava questa con coltura di Bacterium Fici fatta su patate e si fasciava colla solita legacela. Queste prove di inoculazione vennero fatte nel Maggio del 1903. Ma tanto nell’ una che nell’ altra delle esperienze non si ebbero nel corso dell’ estate e dell’ autunno susseguenti sintomi di alterazione o di deperimento degli ultimi internodii. Nei casi di innesto di porzioni di legno malato , la pianta reagì in guisa da cicatrizzare perfettamente ed anche da espel- lere il cuneo di legno estraneo. ZSTelle inoculazioni con materiale di coltura del batterio non si ebbe del pari effetto visibile. Nell’inverno susseguente, avendo con nuovo materiale, per- venutomi da Reggio Calabria, potuto rinnovare le colture, rifeci le esperienze con metodo anche diverso. Su rami delle stesse piante, nel 2° o 3° internodio, praticai con bisturi sterilizzato alla fiamma una incisione a T , come quella che permette di staccare agevolmente la corteccia e di introdurre porzione di ma- teriale di coltura, che resta così a contatto dei tessuti attivi. Le ferite venivano qui pure fasciate con la solita figlia, che si ebbe cura anche di sterilizzare in autoclave. Tali prove di inocula- zione furono fatte quando le piante erano in riposo. 16 F. Cavava [Memoria XIV]. Ora esse ripresero a vegetare in modo normale anche nei rami inoculati, i quali diedero al pari degli altri e foglie e si- coni, nè su di essi apparve alcuno dei sintomi e caratteri delle piante infette di Calabria. Per quanto sia noto che la riproduzione artificiale di ma- lattie infettive, nei vegetali, non è tanto facile ad ottenersi, non potendosi sempre realizzare le condizioni volnt.e, specialmente in piante arboree di piena terra, esposte interamente alla influenza degli agenti esterni, tuttavia il responso negativo dei citati ten- tativi, fatti con metodi anche diversi ed in due differenti epoche dell’ anno, mi sorprese non poco. La ragione dell’ insuccesso non era certo da ascriversi a difetto di precauzioni o a sterilità del materiale di coltura. Una probabile spiegazione è forse da ri- cercarsi, io credo, in una particolare resistenza della varietà locale di fichi sui quali si eseguirono le prove di inoculazione, ed anche in condizioni sfavorevoli di ordine meteorologico. ]Son ostante questo risultato negativo delle prove di ri- produzione artificiale della malattia del fico di Calabria , io sono incline a ritenerla di natura infettiva, una vera e propria 1) arteriosi, sia per la natura delle alterazioni e la immancabile presenza di batteri nei tessuti alterati, sia per la costanza della forma del microrganismo ottenuto da materiale in diverse riprese, e cimentato in tanti differenti mezzi di coltura, sia infine per la straordinaria analogia di comportamento del processo anatomo- patologico in confronto di quelli della bacteriosi della vite e del gelso, che erano stati in precedenza da me parimenti studiati. Circa il modo di origine di cotesta infezione microbica, è azzardata ogni ipotesi. Dubbia è sempre la genesi di una bat- teriosi di pianta legnosa, quando la sua localizzazione è nei rami e nel tronco. Ma dal fatto stesso che il sistema radicale dei fichi malati si trovò perfettamente sano è necessità 1’ ammettere che la via tenuta dai microrganismi patogeni per insediarsi nella corteccia e nel corpo legnoso sia stata una soluzione di continuità nei Bacteriosi del Fico 17 f tessuti corticali, ovvero una ferita, la recisione e lo stroncamento di rami, e fors’anco l’asportazione di foglie o dei primi siconi (fioroni). Anche pel mal nero della vite una simile interpreta- zione è stata data dal Comes e dal Baccarini, ed in questo caso è tanto più attendibile in quanto la vite va soggetta ad annuali amputazioni di rami. Certamente il modo di irradiarsi del processo patologico , quale risulta dall’esame anatomico, e cioè: la presenza di focolai nella profondità del cilindro legnoso, talvolta quasi a contatto del midollo, il trovarsi anche dei vasi singoli infarciti di zooglee bactericlie , mentre il circostante parenchima non presentasi ancora invaso, rende assai verosimile la ipotesi che il sistema conduttore e più precisamente i grandi vasi sieno stati il vei- colo del microrganismo patogeno, qualora tale sistema condut- tore sia venuto in qualche organo aereo esposto agli agenti esterni. E più probabile, in altre parole, un’origine in conseguenza di trauma, che una infiltrazione attraverso i tessuti corticali. Così stando le cose, il modo di cura di una simile bacte- riosi non può essere che radicale, e cioè l’amputazione dei rami fino a che alla sezione di taglio non appaiono più traccie delle descritte alterazioni, condizionando poi in conveniente maniera con mezzi adatti (catrame, cera, etc.) la superficie dell’ organo reciso al fine di impedire una novella infezione. In via profi- lattica è solo da consigliarsi il buon governo delle piante , im- pedire cioè che ad esse vengano fatti tagli, recisioni di rami, asportazioni di organi fogliari o fiorali od altre offese che pos- sano mettere allo scoperto il sistema conduttore. %m.m SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fig. 1-5 Sezioni trasversali di rami infetti. — 6 Porzione di ramo infetto, mostrante una chiazza longitudinale a, in parte con lievi screpolature della corteccia. — 7 Porzione di ramo infetto, dal quale è stata asportata con taglio tan- genziale la corteccia così da mettere a nudo il legno necrosato. — 8 Sezione radiale di uu ramo infetto per fare vedere le localizzazioni delle alterazioni. — 9 Zooglee di Bacterium Fici tratte da giovine coltura su patate. — 10 Bacterium Fici: vari stadii ritratti dai preparati. Coloraz. con Bleu di Metilene e Fucsina Ziel. Ingrand Obbiett. Immers. Ornog. Apo- crorn. 2. min. Ocular. Compens. 12. (Koristka). a) bacteri nor- mali — b) id. con capsule della membrana — c) forme di invo- luzione.— d, e) bacteri con vacuoli e con germi. — 11 Porzione di sezione trasversale di ramo infetto, con focolaio microbico localizzato quasi a una trachea e poche cellule del parenchima legnoso. — 12 Porzione di sezione longitudin ale-radiale, per far vedere un grosso vaso con zooglee bacteriche. — 13 Sezione trasversale di ramo infetto, che fa vedere un processo can- ceroso inoltrato nella corteccia e focolai bacterici nel corpo legnoso quasi a contatto del midollo ; disegno tratto da una microfotografia. — 14 Sezione radiale di ramo infetto, che mette in evidenza 1’ isolamento di fibre del libro per dissoluzione delle membrane delle cellule parenchimatiche, dovuto all’ azione dei microrganismi; disegno tratto da una microfotogratìa. Atti Accad. Gioen. Vol.XVIll Meni . XIV INDI C E Memoria Prof. A. Capparelli — La fina struttura delle fibre nervose a doppio contorno (coll «lue tavole) 1 Dr. F. Nicolosi Roncati — Sviluppo dell’ovulo e del seme nella Anona Cherimolia Alili, (con una tavola) II Dr. Giuseppe Moscatello — Osservazioni morfologiche sulla Pe- ziza Ammophila I). et AI. (con una tavola) Ili Prof. A. Russo e G. Polara — Sulla secrezione interna delle cel- lule peritoneali della gonade del Pbyllophorus urna (Cimbe) (con una tavola) i V Prof. Guido Fubini — Su alcune nuove applicazioni dei metodi eli Picard e di Riemcmn alla teoria delle equazioni alle derivate parziali V Dr. G. Accolla — Su un metodo per la misura delle piccole va- riazioni di resistenza negli elettroliti e sua applicazione . IV Prof. G. Pennacchietti — Intorno a problemi di meccanica, ri- ducibili a quadrature VII Prof. A. Ricco e L. Mendola — Risultati delle osservazioni me- teorologiche del 1904 fatte nel R. Osservatorio di Catania. Vili Dr. G. Polara — Sull organo genitale e sulle lacune aborali del Phyllophorus urna ( Cimbe) (con una tavola) . IX Prof. A. Curci — Meccanismo della termogenesi animale e na- tura della febbre • X Dr. F. D’ Amico — Sulla varietà quantica con tre piani semplici dello spazio a quattro dimensioni XI Prof. A. Curci — Azione fisiologica del Sodio e del Litio . . . XII Dr. V. Spinelli — Le Alghe marine della Sicilia orientale. . . XIII Prof. F. Cavara — Baderiosi del Fico, (con una tavola) .... XI V