cJ!' //ISA ATTI DELLA ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA. ANNO LXXXIX 1912. S E IR I QUINT VOLUME V. CATANIA, C. GALÀTOLA, EDITORE 19 12. ATTI DELLA ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA. ANNO LXXXIX 1912. S IE] IR I GàTTIIbTT Volume V. CATANIA, C. GALÀTOLA, EDITORE 19 12. CATANIA — STABILIMENTO TIPOGRAFICO C. CALATOLA. CARICHE ACCADEMICHE PER L’ANNO igu-’giz UFFICIO DI PRESIDENZA RICCO Cornili. Prof. Annibaie — Presidente CLEMENTI Comin. Prof. Gesualdo — Vice-Presidente RUSSO Cav. Prof. Achille — Segretario PENNACCHIETT1 Cav. Prof. Giovanni — Vice-Segretario per la sezione di Scienze fisiche e matematiche FELETT1 Cav. Prof. Raimondo — Vice-Segretario per la sezione di Scienze naturali CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE STADERINI Prof. Rutilio SEVER1NI Prof. Carlo CAPPARELLI Cav. Uff. Prof. Andrea GRASSI Cav. Prof. Giuseppe — Cassiere LAURICEL.LA Cav. Prof. Giuseppe — Bibliotecario SOCI ONORARI NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO. S. A. R. IL DUCA DEGLI ABBRUZZI TODARO sen. comm. prof. Francesco CHAIX prof. Emilio MACALUSO comm. prof. Damiano BLASERNA sen. comm. prof. Pietro NACCAR1 uff. prof. Andrea STRUVER comm. prof. Giovanni RÒITI sen. uff. prof. Antonio GRASSI sen. comm. prof. Battista WIEDEMANN prof. Eilhard CAPELLINI sen. comm. prof. Giovanni RIGHI sen. prof. Augusto VOLTERRA sen. prof. Vito DINI sen. comm. prof. Ulisse CIAMICIAN sen. comm. prof. Giacomo BRIOSI comm. prof. Giovanni BIANCHI comm. prof. Luigi GOLGI sen. comm. prof. Camillo PALADINO sen. comm. prof. Giovanni PALAZZO cornili, prof. Luigi LUCIANI sen. comm. prof. Luigi BOVERI prof. Theodor WALDEYER prof. Wilhelm ENGLER prof. Arturo GUCCIA prof. G. Battista SOCI EFFETTIVI 1. CLEMENTI comm. prof. Gesualdo 2. BASILE prof. Gioachino 3. CAPPARELLI uff. prof. Andrea 4. ARADAS cav. prof. Salvatore 5. DI SANGIULIANO gr. uff. sen. Antonino 6. UGHETTI cav. prof. Giambattista 7. FELETTI cav. prof. Raimondo 8. PENNACCHIETTI cav. prof. Giovanni 9. PETRONE comm. prof. Angelo 10. RICCO comm. prof. Annibaie 11. BUCCA cav. prof. Lorenzo 12. GRIMALDI cornili, prof. Giov. Pietro 13. GRASSI cav. prof. Giuseppe 14. DI MATTEI cornili, prof. Eugenio 15. D’ABUNDO cav. prof. Giuseppe 16. LAURICELLA cav. prof. Giuseppe 17. STADERINI prof. Rutilio 18. RUSSO cav. prof. Achille 19. BUSCALIONI prof. Luigi 20. MINUNNI prof. Gaetano 21. MUSCATELLO prof. Giuseppe 22. SEVERINI prof. Carlo 23. DE FRANCHIS prof. Francesco 24. BOGGIO-LERA prof. Enrico 25. FODERA prof. Arturo 26. CARUSO prof. Francesco 27. ASCOLI prof. Maurizio 28. CIPOLLA prof. Michele 29 30 SOCI EFFETTIVI DIVENUTI CORRISPONDENTI PER CAMBIAMENTO DI RESIDENZA. SPECIALE prof. Sebastiano STRACCIATI prof. Enrico PERATONER prof. Alberto RICCIARDI uff. prof. Leonardo BACCARINI prof. Pasquale ZANETTI prof. Carlo Umberto CAVARA prof. Fridiano RUBINI prof. Guido DI LORENZO prof. Giuseppe PIERI cav. prof. Mario PERRANDO cav. prof. Gian Giacomo LOPRIORE prof. Giuseppe VI NASSA DE REGNY Prof. Paolo MIRTO prof. Domenico SOCI CORRISPONDENTI NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO. PELLIZZAR1 prof. Guido MARTINETTI prof. Vittorio MELI prof. Romolo PAPASOGL1 prof. Giorgio CONDORELLI FRANCAVIGLIA dott. Mario BASSANI cav. prof. Francesco CAGLIO cav. prof. Gaetano ^MOSCATO dott. Pasquale GUZZARD1 dott. Michele ALONZO dott. Giovanni DISTEFANO prof. Giovanni MAGNANINI prof. Gaetano PAGLIANI cav. prof. Stefano CHISTONI cav. prof. Ciro GALITZINE Principe Boris BATTELLI cav. prof. Angelo GUGLIELMO prof. Giovanni CARDANI cav. prof. Pietro GARBIERI cav. prof. Giovanni GIANNETTI cav. prof. Paolo CERVELLO comm. prof. Vincenzo ALBERTONI cav. prof. Pietro LA MONACA dott. Silvestro BAZZI prof. Eugenio MORSELLI prof. Enrico RAFFO dott. Guido MATERAZZO dott. Giuseppe BORZÌ cav. prof. Antonio FALCO dott. Francesco DEL LUNGO prof. dott. Carlo GIOVANOZZI prof. Giovanni KOHLRAUSCH prof. Giovanni ZAMBACCO dott. N. DONATI prof. Luigi DE HEEN prof. Pietro PERNICE prof. Biagio CALDARERA dott. Gaetano SALOMONE MARINO prof. Salvatore PANDOLFI dott. Eduardo GUZZANTI cav. Corrado VALENTI prof. Giulio MAJORANA prof. Quirino ■ PINTO prof. Luigi ROMITI prof. Guglielmo BEMPORAD prof. Azeglio BELLECCI dott. Luigi DRAGO prof. Umberto POLARA dott. Giovanni R1NDONE dott. Carlo CERMENATI prof. Mario DE FRANCO prof. Salvatore FOÀ prof. Carlo PLATANIA prof. Gaetano PLATANIA prof. Giovanni SCALIA prof. Salvatore COMES prof. Salvatore CUTORE prof. Gaetano DI MATTE1 prof. Emilio Memorisi I Osservazioni fotometriche di stelle variabili INTRODUZIONE. 1. Distribuzione delle osservazioni. Le osservazioni astrofotometriehe eseguite nel 1910 a Catania, pur non raggiungendo ancora quella intensità ed eccellenza di produzione che sta nella mente dell’ osservatore, segnano tuttavia un buon passo innanzi in confronto alle osservazioni degli anni precedenti. 11 numero delle notti d’ osservazione (240) è forse poco lontano dal massimo che si possa sperare di raggiungere anche in un clima favorevole come quello di Catania, nè si sarebbe ottenuto senza contentarsi talvolta di un sereno par- ziale e senza spiare assiduamente nelle lunghe notti invernali qualche improvviso schia- rirsi del cielo, che permettesse di colmare qualche lacuna nelle serie di misure. Maggiore potrebbe riuscire invece la durata media (2 ore circa) delle osservazioni in ciascuna notte e il numero dei confronti utili raccolti; ma a questo si oppongono per ora le condizioni materiali della vita astronomica in Catania 1). Quanto alla precisione delle misure essa è resa tale che non si discosta ormai di molto da quella raggiunta da Miiller e Kempf col fotometro Zòllner nella costruzione del loro celebre catalogo fotometrico 2) ; ma questo non potè ottenersi se non a prezzo di gravi fatiche, compensando col maggior numero delle misure quel che i citati astronomi hanno di vantaggio su di noi per gli strumenti più perfetti. Per dare un’ idea della disparità dei mezzi d’osservazione, ricorderemo che gli astronomi di Potsdam hanno costruito la loro Photometrische Durchmusterung (PD) su zone comprendenti da 14 a 16 stelle fra cui due fondamentali osservate tre volte nel corso di una stessa sera, impiegando normalmente quaranta minuti per 20 serie di 4 misure ciascuna, quattro minuti dunque per due serie 1) L’ Osservatorio si trova ormai nel mezzo di un quartiere popolosissimo e nelle immediate adiacenze della Via Plebiscito percorsa fin dalle prime ore del mattino da tal quantità di carriaggi, di persone e di animali da escludere la possibilità di un sonno riparatore per gli astronomi, i quali per giunta non hanno neppure un’abi- tazione nel recinto dell’Osservatorio stesso. Talvolta anche capita che l’osservatore vorrebbe riposare nelle prime ore della notte per restar poi su fino all’alba per l’osservazione di qualche fenomeno interessante, ma nemmeno questo è concesso dai canti e dai suoni di cui son piene in quell’ ora le vie adiacenti all’ Osserva- torio ! 2) Photometrische Durchmusterung des nòrdlichen Himmels. Generalkatalog von G. Miiller und P. Kempf. Publik. des astrophysik. Observatoriums zu Potsdam. Bd. XVIII, 1907. Nel seguito questo catalogo si indicherà colla nota sigla PD. . w Atti Acc. Shhik V. Vol. V. Metti. I. r ) A. Beni por ad Memoria I.] consecutive di 8 misure in tutto costituenti un buon confronto di due stelle, mentre a noi col fotometro a cuneo si richiede almeno il doppio di misure e il triplo di tempo per ottenere all’ incirca lo stesso grado di esattezza. Se si aggiunge poi che le misure di estin- zione affaticano 1’ occhio molto più che le misure di uguaglianza di intensità luminose, se ne concluderà che il fotometro a cuneo, per quanto mirabile per la semplicità e per il mo- dico prezzo, pone a ben dura prova 1’ energia di chi voglia applicarlo ad estese ricerche astronomiche. Per questo motivo non abbiamo ritenuto opportuno aumentare considerevolmente il nu- mero degli obbietti di studio, tendendo piuttosto a intensificare le osservazioni per ciascuno di questi. Così mentre nel 1909 J) si seguirono 24 variabili, osservandone però soltanto 12 con qualche intensità e discutendo i risultati ottenuti per 6 sole, nel decorso anno 1910 le osservazioni vennero ristrette a 18 variabili, di cui però almeno 14 osservate con molta intensità, tanto da prestarsi tutte a un’ utile discussione dei risultati. In particolare vennero osservate con buon successo due variabili del tipo di Algol (U Cephei e RZ Cassiopeiae); mentre per 1’ innanzi ritenevamo che il fotometro a cuneo fosse disadatto, per la lentezza delle sue misure, all’osservazione delle variabili di questo tipo. Inoltre venne osservata con molta assiduità la cometa di Halley 2), e si iniziò lo studio metodico del coefficiente d’ as- sorbimento nelle varie parti del cuneo, mediante osservazioni di molte coppie di polari in culminazione superiore ed inferiore. Ma più eloquentemente che dal numero degli obbietti studiati, il progresso delle os- servazioni nel decorso anno risulta dal seguente prospetto, dove raccogliamo pel 1909 (che già costituiva un notevole aumento sugli anni precedenti) e pel 1910 i dati numerici indi- canti il numero delle sere d’ osservazione, il numero dei confronti di intensità luminose eseguiti, il numero delle singole misure d’ estinzione, su cui questi confronti si fondano. Anno Num. delle sere Num. dei confronti Numero appross. d’ osservazione eseguiti delle misure 1909 107 508 circa 5000 1910 240 1539 circa 18000 Risulta dunque più che raddoppiato il numero delle sere d’ osservazione, triplicato il numero dei confronti, poco meno che quadruplicato il numero delle misure. Questa pro- gressione crescente sta a dimostrare che non solo si è osservato in un numero assai mag- giore di notti, ma in ciascuna notte si ottenne (in media) un maggior numero di risultati e ciascun risultato (sempre in media) da un maggior numero di misure, cioè in modo più fi V. Osservazioni fotometriche eseguite nel R. Osservatorio astrofisico di Catania nel 1909. Meni. della Soc. degli Spettrosc. ital. Voi. XXXIX, 19x0. 2) La serie d’ osservazioni fotometriche da noi eseguite per il nucleo della cometa di Halley è forse la più lunga che sia stata raccolta, comprendendo 44 sere d’ osservazione con poche lacune. E maggiore ancora sa- rebbe riuscita, se avessimo potuto disporre di un cannocchiale più potente del nostro modesto 6 pollici. I ri- sultati di queste osservazioni vennero già sommariamente comunicati nelle Aslron. Nachrichten N. 4465. La riduzione definitiva con una nuova determinazione delle grandezze delle stelle di confronto formò oggetto di una nota a parte nelle Memorie della Soc. degli Spettrosc. italiani (1911). Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 3 siculo. S’ intende che tutto questo richiese necessariamente un maggior numero di ore di lavoro in ciascuna notte 1). Mentre poi negli anni passati le osservazioni si limitavano ge- neralmente alle prime ore della notte, e solo per eccezione (p. es. per la cometa 1907 d [Daniel]) si osservava qualche volta anche nelle ultime ore, nel decorso anno abbiamo in- trodotto a sistema di fare per le variabili a corto e a lungo periodo due e anche tre turni d’osservazione in ciascuna notte, l’ultimo turno cadendo sempre nelle ultime ore della notte. 11 primo turno solo, esteso bene spesso (27 volte) fin oltre la mezzanotte, venne ese- guito in 115 sere; il secondo turno solo, in 54 notti; ambedue i turni in 71 notti 2). Per quanto riguarda la distribuzione delle sere e dei turni d’ osservazione nel corso dell’ anno, essa risulta dal prospetto seguente. * Giorni d’ osservazione nel 1910. 1 col i° turno solo col 20 turno solo con ambedue i turni in tutto, giorni Gennaio . . . 8 8 3 19 Febbraio . . . 4 8 2 14 Marzo . . . . 3 7 2 X 2 Aprile 9 5 2 l6 Maggio .... I I 5 3 19 Giugno .... I I 4 13 28 Luglio . . . . 23 — 7 30 Agosto .... 23 2 4 29 Settembre. . . 8 4 13 25 Ottobre .... 4 4 1 1 19 Novembre. . . 7 3 8 18 Decembre . . . 4 4 3 I I Anno 115 54 7i 24O Si conferma la prevalenza delle notti serene nel 2° semestre rispetto al primo (132 contro 108). Però il mese più sfavorevole è stato il Decembre, mentre splendido era stato il Decembre 1909. Anche mentre scriviamo (Febbraio 1911) continua il maltempo con tale insistenza da far ritenere che il mite inverno Siciliano, limitato ordinariamente da due sta- gioni di pioggia (fine Autunno -fine Inverno) abbia ceduto in quest’anno all’inverno tipico continentale. 2. Esecuzione e riduzione delle osservazioni. Il fotometro a cuneo (di Toepfer) venne sempre applicato al re trattore Cooke di 15 cm. di apertura e 253 crn. di distanza focale. Solamente per tre osservazioni della cometa 1910 « venne applicato il fotometro al cannocchiale trasportabile Steinheil (di 8 cm. di apertura e 130 cm. di distanza focale). In nessun caso venne fatto uso di schermi. Per le variabili R Cassiop., U e V Virginis attorno al minimo si sostituirono le stime secondo il metodo di Argelander alle misure di estinzione, che divengono troppo incerte nella regione più sottile del cuneo. fi In 9 sere si osservò per 4 ore (in uno 0 più turni), in altre 5 sere per 5 ore, in due sere per oltre 6 ore, in altre due per 7 ore e in una finalmente per 8 ore di seguito. 2) Quando vennero eseguiti tre turni, i primi due caddero sempre nella prima metà della notte, separati da un intervallo di qualche ora. Nella precedente statistica tali due turni vennero sempre considerati come uno solo. 4 A. Beni pormi | Memoria I.] Formò oggetto di minuziose ricerche lo studio della miglior disposizione delle singole misure, affine di ovviare alla variazione progressiva della sensibilità dell’occhio. Dapprimo si ridusse da quattro a due sole il numero delle puntate costituenti ciascuna serie di mi- sure d’ estinzione, affine di render più rapidi i singoli confronti. Due o tre di questi con- fronti elementari combinati in un’ unica media dovrebbero fornire in generale risultati più sicuri che non un unico confronto costituito da serie più numerose. Si è sostituita insomma la disposizione schematica aa bb cui bb aa all’ altra prima usata ciacia bbbb acuta. In ul- timo si è portato anche a 4 il numero dei confronti elementari consecutivi. S’ intende che in caso di dubbio sulla bontà di una puntata, si ripete, e in particolare si fanno quasi sempre tre puntate in luogo di due nella prima serie di misure, perchè l’ occhio abbia il tempo di abituarsi all’ oscurità. Per questo accade che il numero delle puntate compo- nenti i singoli confronti oscilla da 6 a 10 nella prima metà dell’anno per salire fino a 18 e 20 nelle misure di $ Cephei eseguite negli ultimi mesi. Questo pei confronti di una va- riabile con un’ unica stella di cfr. Nel caso di una variabile V con due stelle di confronto <7, b si provarono successi- vamente gli schemi seguenti : ai) ab a Va Va .... — ... bVbVbabab a V ab a — babVb — VbVaV aVbVa — bVaVb Tutte e tre queste disposizioni sono simmetriche rispetto alle due stelle di cfr. «, b. Nella seconda disposizione poi si ottiene la simmetria completa, compresa anche la varia- bile. Lo scopo di tutti questi laboriosi saggi era di studiare una disposizione che permet- tesse di ottenere dalle misure di una stessa sera un controllo efficace della sicurezza dei risultati ottenuti, nella forma: A Gr. ( a—b) = A Gr. ( V—b) — A Gr. ( V—a) , (A) ammettendo naturalmente che la variabile non vari sensibilmente nel corso delle misure. Però, per quanta cura si ponesse nella esecuzione di questi confronti, così laboriosi da oc- cupare talvolta quaranta minuti, non si potè ottenere che lo scarto del controllo non su- perasse talvolta i due decimi di grandezza. Per togliere il dubbio che si trattasse di varia- zioni effettive della variabile nel corso delle misure, applicammo la seconda forma di con- tcollo a tre stelle non variabili (stelle di cfr. per Y Ophiuchi), senza ottenere peraltro risul- tati molto più soddisfacenti. La terza disposizione non si presta alla forma di controllo (A), perchè questa equazione risulta identicamente soddisfatta per le singole serie di confronti; in compenso si ha il controllo fra i valori di A Gr. ( a — b) ottenuti dalla prima e dalla se- conda serie. Anche questo controllo non risulta meglio soddisfatto degli altri corrispondenti alle prime due disposizioni, ma è molto soddisfacente per verità l’accordo fra i valori medi della A Gr. ( a — b) ottenuti in sere diverse. Ne abbiamo concluso che le cause d’ errore o di perturbazione inevitabili aventi la loro sede, o nell’occhio dell'osservatore, o nello stru- mento, o nell’ atmosfera, o altrove, si oppongono a qualunque forma di controllo per di- verse serie di misure non simultanee. È certo però che molte delle accennate perturba- zioni devono ridursi tanto più piccole quanto più ci si avvicina al caso ideale della simul- Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. D taneità delle misure, ossia quanto più breve è il tempo abbracciato dai confronti. E da questo lato è manifesta la superiorità dell’ ultima disposizione sulle altre studiate. Resta però ancora da decidere, se si ottengano risultati migliori da quattro confronti consecutivi della variabile con un’ unica stella o da due coppie di confronti con due stelle diverse se- condo la 3a disposizione. Ci proponiamo di risolvere la questione, osservando una stessa variabile a corto periodo in ambedue le maniere. Nessuna variazione venne apportata al metodo di registrazione dei tempi d’osserva- zione 1). Per quanto riguarda la scelta delle stelle di confronto , è da notare 1’ uso frequente (così per S Cephei, per p Lyrae, per o Ceti) di stelle molto vicine al luogo della variabile. Per le prime due stelle venne preso senz’altro il compagno (distante in ambedue i casi 40” in Deci, dalla componente più lucida), compagno che si può osservare comodamente, ser- vendosi delle sbarre di guida come di schermo per occultare le variabili. Questo metodo d’ osservazione può adoperarsi con vantaggio per tutte le coppie di stelle con differenza di circa 1' in Deci. S’intende che la stella più debole di tali coppie viene osservata in gene- rale eccentricamente, cioè più vicina ad una delle sbarre, mentre di solito le stelle si por- tano esattamente in mezzo alle dette sbarre, e l’eccentricità risulterà tanto maggiore, quanto più stretta è la coppia. Conviene allora osservare anche la stella più lucida precisamente colla stessa eccentricità, oppure tener conto della differenza, misurando la detta eccentricità in millimetri (mediante il cuneo). Noi ci siamo sempre attenuti al primo metodo, e quindi tutte le misure di P Lyrae e di § Cephei, nelle quali venne adoperato il compagno come stella di confronto sono da considerare come affette da un piccolo spostamento dello zero della scala, spostamento sensibilmente uguale per la variabile e per la stella di confronto. Per applicare senza inconvenienti questo metodo d' osservazione è necessario che 1’ orien- tamento delle sbarre sia perfetto, senza di che le immagini stellari potrebbero facilmente venire a contatto colle sbarre stesse; bisogna inoltre stabilirsi opportuni contrassegni per assicurarsi di mantenere sempre lo stesso grado di eccentricità. Del resto il massimo er- rore pensabile per effetto della eccentricità (metà dell’ intervallo delle sbarre) non supera mm. 0-4 pari a 6 centesimi di grandezza, importo molto inferiore all’ errore medio delle singole puntate. In verità però 1’ errore di eccentricità non dovrebbe influire che per 2 o 3 centesimi di grandezza al massimo, sulle singole puntate, perchè il diametro stesso delle immagini stellari rende impossibile un errore di metà dell’ intervallo delle sbarre nelle pun- tate eccentriche. Teoricamente l’errore d’eccentricità si potrebbe far scomparire, impiccolendo sufficien- temente l’intervallo fra le sbarre, ma in pratica s’incontra un’ostacolo insuperabile nel fatto del diametro apparente non nullo delle stelle. Lo stesso metodo d’ osservazione si è tenuto per le variabili S Ursae minoris e U Virginis, assumendo come stelle di cfr. verso 1’ epoca del minimo le stelline (distanti ri- spettivamente in Deci. E. 1 e 0'. 5) più vicine fra tutte quelle contenute negli elenchi di Hagen. Anche per o Ceti è molto opportuna in prossimità del minimo la stella di cfr. più vi- cina, ma qui la differenza di declinazione è così piccola (0/3) che non si possono più ado- perare come schermi le sbarre di guida, e conviene servirsi dello schermo mobile, col rischio *) V. Osservazioni fotometriche del 1908. Mevi. della Soc. degli SpeUrosc. Ilal. Voi. XXVill, 1909. 6 A. Beni toraci [Memoria I.] che per le ineguaglianze del movimento del redattore lo schermo finisca per occultare am- bedue le stelle anziché una sola. Appunto per questo le misure di o Ceti attorno al mi- nimo sono le più difficili fra quante ne abbiamo eseguite. Nè si eviterebbe la difficoltà coll’ assumere una stella di cfr. più lontana, perchè scendendo la Mira Ceti nel minimo vari decimi di grandezza al disotto della stella vicina, si finirebbe nelle misure di estin- zione per puntare sempre la stella più lucida in luogo della variabile. E proprio necessa- rio quindi occultare la detta stella, e sorvegliare attentamente il movimento d’ orologeria del refrattore. È quasi inutile aggiungere che questa difficoltà scomparirebbe, servendosi di un fotometro ad uguaglianza d’immagini. I vantaggi che si ottengono, assumendo le stelle più vicine come stelle di cfr. per le variabili, sono : 1° di poter passare più rapidamente dall’ una all' altra stella, 2° di ridurre al minimo i movimenti della cupola, 3° di ridurre anche al minimo 1’ effetto delle pertur- bazioni atmosferiche (aria fosca, veli, eventuale diminuzione di trasparenza durante le mi- sure) nonché 1’ effetto della estinzione e di permettere quindi lunghe serie d’osservazioni anche colle stelle molto basse sull’ orizzonte. Appunto per o Cephei abbiamo subito rico- nosciuto i vantaggi ottenuti col sostituire alla stella di cfr. £ Cephei distante quasi 3° il compagno distante meno di L. Per quanto riguarda la riduzione delle osservazioni, abbiamo cercato di costringere nel minimo spazio i dati numerici relativi alle singole osservazioni. Così, mentre avrebbe qual- che interesse la comunicazione, non dico delle misure, ma almeno dei confronti originali, per riconoscere e studiare 1’ effetto della variazione di sensibilità dell’ occhio, qui non co- munichiamo per economia di spazio che le medie di due o più confronti consecutivi. Men- tre negli anni passati si comunicavano i valori delle distanze zenitali, fino al centesimo di grado, delle stelle osservate, corrispondenti all’ istante medio dei singoli confronti, quest’an- no la cresciuta mole dei calcoli ci consigliò di limitare questi dati ausiliari al decimo di grado, tanto più che i mezzi di calcolo adoperati non potevano garantire un’ approssima- zione superiore ai 2 o 3 centesimi di grado. 3. Grado di precisione delle misure. Le osservazioni di coppie di Potsdam (PD) per lo studio della costante del cuneo e la riosservazione delle stelle di confronto adope- rate per la cometa di Halley ci hanno fornito 1’ occasione per istituire un confronto fra il grado di precisione delle nostre misure e quello — fin qui insuperato — raggiunto dagli illustri astronomi di Potsdam. Nel prospetto che segue comunichiamo anzitutto 1’ elenco delle stelle osservate per lo scopo anzidetto, dando per ogni stella il numero, la posizione e la grandezza secondo la BD, di più il colore e la grandezza secondo la PD. Posizioni e grandezze in BD e PD delle stelle osservate- N. BD a •N 0 Colore PD Grandezza 1855 0 BD PD i + 170 1264 6h 2 1 m 1 3S -r.70 4'.o _ 8. 2 2 -f 17. 1275 6 22 46 + ■7 2. 2 G — 6 3 6. 30 3 -t- 16. 1178 6 23 '7 — f- 1 6 0. 0 GB 6. ó 6. 59 4 -rio. 4 30 6 44 5 3 +70 59/6 BG + 6. 0 5- 73 5 + 70.432 6 49 28 +7° 57- 1 BG + 6- 5 6. 64 6 + 9. i960 8 17 9 + 9 53-4 — 7. 6 — Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 1 N. BD a 0 Colore PD Grandezza CO vyi Wl 0 BD PD 7 -f- io. 1818 8 24 47 4-io 35.0 B 6.8 6. 72 8 4- 8. 2077 8 2Ò 26 + 8 56. 5 GB 7.0 6. 25 9 -j- 5. 2207 9 30 54 -r 5 18. 1 G — 5. 0 4. 90 IO + 5- 2240 9 42 58 + 5 1. 2 GB 6. 7 6. 39 1 1 -j- 3. 2280 9 44 44 I *» t 2 7.6 B 6. 0 6. 22 12 -j- 4. 2269 9 49 17 + 4 55- 7 GB 7- 5 6. 96 J3 + 1. 2403 IO 0 ó + 1 37- 3 G— 7- 5 6.82 M -f- 1. 2406 IO 1 '4 + 1 52. 2 GB 7. 0 6. 86 15 4 0. 2641 IO 12 '3 +• 0 30.7 — 8.0 — 16 -4 0. 2642 IO 13 57 4- 0 30. 7 — 8. 0 — 1 7 4- 0 2646 IO 15 37 4- 0 31. I — 9.0 — 18 + 0. 2635 IO 19 27 4- 0 35- 3 — 8. 2 — ’9 -f 0. 2663 IO 22 54 4- 0' 6. 1 GB 5- 3 5. 36 20 — i- 24'7 IO 3 1 IO — 1 .7.8 — 8. 2 2 I — i- 2435 IO 37 1 1 — 1 42 7 — 8. 5 — 22 — 2. 3228 IO 42 1 1 — 2 13 9 — 9. 0 — 23 — 2. 3236 IO 43 43 — 2 19. 2 — 6. 0 — 24 4- 0. 2718 IO 49 44 4- 0 27. 8 GB 7- 5 7. 08 2 5 + 5- 3704 :8 14 22 4- 5 22. 5 B 6.9 6. 31 26 + 5. 3730 18 18 I + 5 0. 8 B 7.0 6. 91 27 4- 6. 3790 18 20 55 4- 6 6.8 B 6 5 ó. 04 28 4- 4- 3758 18 2 1 24 + 4 46. 0 B 7- 5 7. 82 29 4- 3- 3737 18 24 5 3 + 3 34. 1 B 6. 7 6. 56 30 4 69. t 169 21 23 50 4-69 50. 8 GB+ 7-4 7. 40 31 4-69. 1173 21 26 48 -I-69 55-7 B4- 3.0 3. 48 32 4- 70. 1190 2 1 37 8 +70 39. 2 GB-f- 7- 1 7. 36 33 +70. 1193 21 39 48 ^70 38. 1 G 5.0 4. 68 34 4-71. 1 109 22 4 29 + 7i 39-7 GB 7. 2 7. 12 35 +71. un 22 7 1 + 7 ' 37- 7 BG4- 5- 2 4-95 Queste stelle vennero osservate a coppie nel modo e coi risultati qui appresso accen- nati. Per ogni coppia diamo i numeri d’ ordine che rimandano al precedente elenco, la dif- ferenza di grandezza secondo la PD, secondo la HP e secondo le nostre osservazioni (Cat.), il numero dei confronti eseguiti e il valore concluso per 1’ error medio probabile dei singoli confronti. Risultati delle osservazioni per le varie coppie. Coppia N. Differ. di Grand. Num. dei cfr. E. P. dei cfr. Coppia N. Differ. di Grand. Num. dei cfr. E. P. dei cfr. PD HP Cat. PD HP Cat. 1-2 — 1.71 8 ±Om.I 2 16-18 _ 0. 59 4 zt om.o5 2-3 —0. 29 —O. 18 0. 02 / 7 / 17-18 — — 2. 09 IO 9 5-4 0. 91 0. 98 0. 87 IO 10 17-19 — — 4. 61 6 5 6-7 — — 0. 70 4 8 18-19 — — 2-47 12 IO 7-8 0. 47 0. 42 0. 44 4 7 21-20 — — 1 . 01 8 IO 10-9 * 1-49 1. 46 1. 31 1 1 !3 22-21 — — 0. 44 8 9 10-1 1 0. 17 0. 46 0. 32 17 7 22-23 — — 3. 08 IO 13 1 3-1 1 0 60 I. 21 1. 15 4 7 24-25 — 0. 68 0. 73 6 IO 1 2- 1 I 0.74 0.95 0. 73 6 9 26-25 0. 60 0. 51 0. 61 6 9 14-I I 0. 64 0. 78 0. 60 5 7 28-27 1. 78 2. 20 1.58 6 14 15-14 — — 0. 94 7 7 28-29 1. 26 1 . 46 1.03 6 14 16-15 — — 0. 22 12 8 30-31 3-92 3.89 4. 58 6 8 ]7-1 5 — — 1. 86 6 1 1 32-33 2.68 2. 14 2- 35 5 6 1 7“ 1 4 — — 1 . 64 IO 9 34-35 1 2. 17 1. 98 i-77 6 8 8 A. Beni pormi [Memoria I.] Nel prender la media degli errori probabili è naturale assumere come peso dei singoli valori il numero dei confronti, a cui ciascun valore si riferisce. Otteniamo così come error probabile medio pei 241 confronti considerati ± 0"'. 081 , di poco superiore all’ e. p. +0m.070 che ottennero Mtìller e Kempf *) dalla discussione dei valori singoli ottenuti per 180 stelle osservate 4 volte ciascuna, allo scopo espresso di sta- bilire il grado di precisione delle osservazioni eseguite con due strumenti diversi, ambedue provvisti di fotometro Zòllner. Vero è che da un’ altra discussione di tutto il materiale d’os- servazione Miiller e Kempf ricavano per ciascun loro confronto 1’ error probabile sensibil- mente più piccolo * 2) +0m.057, ma d’altra parte uno spoglio di 276 stelle scelte a caso 3) fra quelle della PD osservate 4 volte ci ha portato a concludere 1’ e. p. medio +0.082 praticamente identico al nostro. E anche vero che dalla discussione delle differenze di grandezza delle coppie di stelle di confronto adoperate per diverse variabili (o Cephei, Y Ophiuchi, p Lyrae) abbiamo ot- tenuto abbastanza di frequente un error probabile di +0m.10 pei singoli confronti; ma le variabili vengono osservate frequentemente anche in prossimità dell’ orizzonte per aver se- rie più complete, mentre le osservazioni in zona si soglion fare sempre nelle condizioni più favorevoli per l’osservazione. E infine bisogna pur tener presente che il fotometro a cuneo è ben altra cosa che lo Zòllner 4). Ricorderemo in particolare che gli stessi Miiller e Kempf col fotometro a cuneo — però colla disposizione a cannocchiale spezzato, in- comparabilmente più comoda di quella ordinaria, in cui il fotometro viene attaccato diret- tamente a un equatoriale — non ottennero 5) nelle loro misure del 1894, eseguite qui in Catania e sull’Etna, errori probabili inferiori (in media) a + 0m.13. Finalmente 1’ e. p. delle singole osservazioni, su cui si fonda l’ Harvard Photometry , sale secondo Miiller e Kempf 6) a + 0m. 15, valore superiore al massimo e. p. ottenuto in tutte le nostre osser- vazioni sia di coppie, che di stelle variabili. 4. Costante del cuneo. Attendendo che siano compiute le osservazioni di coppie di stelle circumpolari estratte dalla PD o da altri cataloghi 7) per lo studio più minuto del cuneo, continuiamo ad adoperare il valore già ricavato fra il 1904 e il 1906 da una tren- tina di coppie di Potsdam 8) c — 0m. 1622. ') Cfr. G. Miiller u. P. Kempf. Photometrische Durchinusterung. Theil 1. Pubi, des astrophys. Observ. zu Potsdam. N. 31 Bd. IX, p. 483. ’2) Ibidem, pag. 486. 3) Propriamente venne scelta la prima stella con quattro osservazioni in ciascuna pagina della PD (Ge- neralkatalog). S’ intende che vennero escluse le stelle dichiarate sospette di variabilità, nonché quelle osser- vate in zone accessorie (Anhangszonen) e anche quelle osservate più di 4 volte. 4) Anche Mùlier e Kempf. affermano (Public, des astrophys. Observ. zu Potsdam, Bd. XI, pag. 252), dass das Keilphotometer, selbst wenn es sich. wie bei Extinktionsmessungen, nur uni Differenzmessungen handelt, dem Zollner’schen Photometer nachsteht. 3) Cfr. G. Mùlier u. P. Kempf. Public, des astrophys. Observ. zu Potsdam, Bd. XI, pag. 252 e 256. e) Cfr. G. Mùlier u. P. Kempf. Photometrische Durchinusterung Theil I. Public, des astrophys. Observ. zu Potsdam. N. 31 Bd. IX, pag. 491. ~) Segnatamente da quello comunicato dal Prof. G. Mùlier nelle Astron. Nachr. N. 4357- Helligkeiten von 253 Fundamentalsternen zwischen den Grossen 7. 7 und 9. 6 innerhalb der Zone voti 750 Dekl. bis zum Nordpol . 8) V. in proposito Memorie della Soc. degli Spettrosc. ital. 1907, pag. 91 e 183. Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 9 Come valore medio per tutta 1’ estensione del cuneo questo qui comunicato non do- vrebbe esser certo molto lontano dal vero, se 1’ amplitudine da noi ottenuta per la Mira Ceti (6.8 grandezze) non differisce che di pochi decimi da quella assegnata dal Nijland (7 grandezze). È però più che probabile che la cosiddetta costante, ossia il valore foto- metrico (in grandezze stellari) di un millimetro del cuneo subisca variazioni sensibili nella regione più sottile del cuneo. Il miglior modo di venire in chiaro di ciò è quello di osser- vare un medesimo intervallo di luminosità in diverse regioni del cuneo, ciò che può farsi molto comodamente col fotometro Zollner nella maniera indicata da Muller e Kempf 1). Non possedendo noi un tal fotometro ausiliario, non ci resta che cercare il modo più adatto per portare all’ estinzione in diverse regioni del cuneo una medesima coppia di stelle. Questo può ottenersi : 1° con schermi davanti all’ obbiettivo. 2° con oscuratoli davanti all’ oculare, ovvero inseriti fra 1’ oculare e 1’ obbiettivo. 3° osservando una stessa coppia circumpolare in culminazione superiore ed inferiore. Dei tre modi il terzo è certo preferibile, perchè presenta il vantaggio di lasciare il campo ugualmente illuminato nei due casi, e si sa che il chiarore del campo ha grande influenza nelle misure col fotometro a cuneo, specialmente quando le stelle confrontate ab- biano grandezze molto diverse. Soltanto si ha la limitazione che le osservazioni in culmi- nazione inferiore non possono farsi che in giorni di grande trasparenza, altrimenti l’agi- tazione delle immagini fa sì che queste misure non siano comparabili con quelle eseguite in culminazione superiore. Si comprende quindi come occorra un tempo piuttosto lungo prima di poter completare per questa via lo studio del cuneo. Molte osservazioni vennero eseguite a tale scopo dal D i- G. Bemporad. 5. Lista delle variabili osservate e delle relative stelle di confronto. Comuni- chiamo nella seguente tabella per le variabili da noi osservate e le relative stelle di cfr. il numero d’ ordine in BD, le coordinate a, per il 1855.0, il colore secondo PD o se- condo la nostra stima 2), finalmente per le variabili i limiti di grandezza e per le stelle di cfr. le grandezze stellari secondo cinque fonti diverse, cioè secondo le stime della BD e di Hagen 3), secondo i cataloghi fotometrici di Potsdam (PD) e di Harvard (HP) e infine se- condo i nostri propri risultati (Cat.). Fra questi ultimi si includono le grandezze delle stelle capisaldi (in caratteri corsivi) desunte sempre da PD o da HP. * BD Posizione 1855.0 Colore GRANDEZZA STELLARE NOTE BD Hagen PD HP Cat. U Cephei +8i°.2s oh 49m39s 8 1 0 5'. 6 Max. 7. i Min. 9. 2 Tipo di Algol * di cfr. i +8i. 27 0 50 36 +81 19.3 — 8. 6 8.4 — 8.44 — Periodo 2d nh 50 » 2 -(-81. 30 0 52 29 -f-81 10.9 — 8.3 8. 1 — 8. 08 — o Ceti — 3- 353 2 12 1 — 3 38.3 RG Max. 3. 3 Min. 8. 8 Mira Ceti * di cfr. i - 3- 336 2 s 24 — 3 4-3 GB 5- 9 — — 5. 72 5- 72 A lungo periodo » 2 — 5- 355 2 12 1 1 — 3 38.2 — 9. 0 9. 2 — 9. 08 9. 42 (331'1 ) » 3 - 3- 374 2 17 38 — 3 26.4 — 6. 7 6. 3 — 6 36 6. 28 RZ Cass. -f 69. 179 2 35 56 4-69 1.2 — Max. 6. 4 Min. 7. 7 Tipo di Algol * di cfr. i -f 68. 200 2 28 47 -4-69 3.9 — 8. 0 - — - — Periodo id 4h 41“ 4) Nella memoria già citata (Public... Bd. XI). 2) In tal caso in corsivo. 3) Atlas Stellarum Variabilium. Atti Acc. Serie V. Vol. V. Meni. I. 2 10 A. Bern-boracl [Memoria 1.] * BD Posizione 1855 .0 Colore GRANDEZZA STELLARE NOTE BD Hagen PD HP Cat. X Tauri + 120.539 3h 52ra39s + 12° 4+ Max. 3. 4 Min. 4. 2 Tipo di Algol * di cfr. I + i3- 648 4 0 57 + 13 0.8 GB 6. 3 — 6. 32 6. 02 — Periodo 3*' 22h 52“ R Orionis + 7- 768 4 5i 8 + 7 54-3 Max. 8. 9 Min. 13. 5 A lungo periodo * di cfr. i 4- 8.817 4 50 14 + 8 8.8 — 8.9 8 8 — 9. 58 1 377d ) » 2 + 7 7)9 4 48 20 + 7 40. 1 BG 6.8 — 6. 70 6. 52 6. 70 V Hydrae — 20. 3283 IO 44 35 — 20 28 9 R— Max. 6. 7 Min. 9. 5 Irregolare * di cfr. i — 20. 3280 IO 44 1 2 ■ -20 45 4 — 8. 2 8. 2 — 8 30 — U Virginis 4- 6. 2664 1 2 43 45 + 6 20.6 Max. 7. 9 Min. 12. 5 A lungo periodo * di cfr. i 4- 5- 2682 1 2 42 5 + 5 58.3 — 8. 2 8. 2 — — 7 88 ( 2071* ) » 2 4- 6. 2660 1 2 39 42 4 6 45.8 GB 6. 7 6.7 6 59 6. 39 6. 59 » 5 Hagen 1 t 1 2 43 )6 + 6 20.1 — — 9- 9 — — 10.95 » 4 4- ò. 2666 1 2 44 27 + 6 8.7 — 9° 9. 1 — — 9-94 W Virginis — 2. 3683 1 3 18 33 — 2 37-4 Max. 8. 9 Min IO. 1 A corto per. (i7d ) V Virginis — 2. 3686 '3 20 l9 — 2 25.2 — Max. 8. 5 Min . <13- 0 A lungo per. (25+ ) * di cfr. i — ?.. 3684 13 18 39 — 2 54-1 — 8. 0 7- 5 — 7.58 1 7-55 34 43 +78 45.2 — 8-5 8-4 — 8 36 8. 36 ( 325d ) » 2 -^79.467 15 35 19 + 79 6.2 — 9-4 io. 6 — io. 7 1 io. 24 3 4-78. 510 '5 23 8 + 78 54 6 BG 7.2 7- 7 7.40 7. 82 — U Ophiuc. + 1. 3408 ■7 9 1 1 + 1 22.6 Max. 6. 0 Min. 6. 7 Tipo di Algol * di cfr. i '• 34H '7 IO 18 + 1 55.0 GB 6.8 — 7.05 7. 58 — (per. 2oh 7m 41*) » 2 + 1. 3420 >7 1 2 48 + 1 43-5 — 9- 5 IO. 2 — 1 1 . 1 — A lungo per. ( 3 4 8 d ) Z Ophiuc. + 1 34 1 7 '7 1 2 1 2 + 1 40.2 — Max. 7. 8 Min. 12. 5 Y Ophiuc. — 6. 4672 ■7 44 52 — 6 6.2 BG Max. 6. 2 Min. 7. 0 A corto periodo * di cfr. i — 6. 4669 17 4 3 55 — 6 13.: — 8-3 - - — 8. 27 (I7d) » 2 — 5-4)23 17 45 29 — 5 53-4 GB 7-2 6 9 — 6. 89 6. 90 » 3 - 5-4)19 >7 44 54 5 13.4 — 6. 7 6.9 — 6. 92 6. 90 d Serpentis 4- 0 3936 18 '9 48 + 0 6.8 Max. 5. 0 Min. 5 • 7 A corto periodo * di cfr. i + 0. 3951 18 18 42 + 0 42.6 GB 7.0 . 6 98 6 90 — ( 9l1 ?) » 2 -r 0. 3940 18 20 25 + 0 7-5 — 8. 1 — — — — p Lyrae + 33- 2223 18 41 44 + 33 1 1.8 . .. Max. 3. 4 Min. 4. 5 A corto periodo * di cfr. i 4-32. 3228 18 -14 29 + 33 23-5 GB— 5- 5 — 5.38 5 17 5- 3S I2ll 22h 4m » 2 + 33. 3224 1 8 44 46 + 33 10.7 — 8.5 7. 19 7- 19 » 3 + 32. 3227 18 44 23 + 32 38.7 B 6 3 — 6. 12 5-87 6. 12 ò Cephei 4-57- 2548 22 23 48 + 57 40.4 GB Max. 3. 7 Min. 4. 9 A corto periodo * di cfr. i + 57- 2475 22 5 50 + 57 29.3 G+ 4. 1 3. 60 3.70 4. 09 5*1 8h 47m » 2 + 57. 2508 22 15 27 + 57 40.8 G — 7- 2 6. 52 6. 53 7. 14 » 3 + 57- 2547 22 23 47 + 57 39 4 B+ 7- 5 6. 6 1 “ 6. 61 R Cassiop. + 50. 4202 23 5i 4 + 50 3 1-9 GR Max. 5. 9 Min. 10. ) A lungo periodo * di cfr. i + 5i. 3739 23 48 15 + 5i 56.0 BG 6. 5 6.6 6.77 6. 77 6. 77 ( 432'1 ) » 2 + 5°. 4203 23 5i 14 + 50 31.0 — 9.0 9- 3 — 9. 40 9. 25 9. OI » a 4-50. 4201 23 5' 2 + 50 35-2 — 9-5 li. 3 — 11.36 — » ò Hagen 58 23 51 >3 + 50 32.8 — — 12 4 — 1 2. 40 — Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. I 1 6. Materiale d' osservazione. Comunichiamo nella forma più concisa possibile il ma- teriale d’osservazione raccolto per le variabili, per la cometa 1910 « (tre soli confronti) e per lo studio del coefficiente d’assorbimento del cuneo. La prima colonna contiene l’indicazione delle stelle confrontate: le lettere romane o greche corrispondono alle variabili, i numeri alle relative stelle di confronto, in conformità alla numerazione stabilita per le singole variabili nell’ elenco che precede. Le stelle di Pot- sdam per lo studio del cuneo vengono indicate colle ultime 2 cifre dei rispettivi numeri d’ ordine in PD, i quali numeri sono comunicati per intero nelle annotazioni che precedo- no ciascuna serie d’osservazioni. La seconda colonna contiene il tempo medio locale, la terza la distanza zenitale della variabile, la quarta i numeri di misure eseguite rispettivamente per le due stelle confron- tate ; la quinta e sesta i valori' medi conclusi dalle due serie di misure rispettivamente (in millimetri del cuneo). L’ultima colonna infine contiene la differenza di grandezza calcolata in base al valore 0m.1622 della costante del cuneo. Il segno -j- indica che la variabile (o più in generale la stella I) è meno lucida della stella di cfr. Il, il segno — che la var. (o la stella I) è più lucida. In tal modo basta aggiungere i valori A Òr. col proprio segno alle Gì-, delle stelle di confronto (II) per avere le Gr. delle variabili. PARTE I. LE OSSERVAZIONI. 3* T. M. Dist. N. Med. in min. A Gr. 1 II Catania zen. 1 II 1 11 T. M. Dist. N. Med. in mm. 1 II Catania zen. 1 II A Gr. 1 ! 11 Gennaio 3. 0 Ceti, R Hydrae, U Virginis. Nuvole dopo l’osservazione di 0 Ceti. Sereno perfetto nel 20 turno. (£) in U. Q. nel verticale di R Hydrae. 0 1 li ni 8 56.7 0 46. 1 CO 44. 1 3 55- 50 R 2 17 11. 3 63- 3 8 12 44. 19 40. 29 U 1 17 38.4 3'- 7 7 11 37.68 43- 26 T 1 • 85 -o. 79 +0. 90 Gennaio 4. X Tauri. Cielo 2. Scintillazione animata. Aria calma. X 1 6 58 0 40. 8 4 8 70. 42 54- 17 — 2. 64 X I 47 3 39- 3 5 8 70. 3 8 i 56. 20 — 2. 30 X I 55 8 37- 8 4 8 70. 97 56. 76 — 2. 30 X I 8 56 ! 2 5 * 3 4 7 68. 90 5 5- 2.5 — 2. 3i X I 9 5 3 25- 2 4 7 66. 52 56. 33 — 1. 65 X I 15 9 25- 4 3 6 66. 90 55- 33 — 1. 88 X I IO 29 3 32. 0 J 7 68. 77 56. 02 — 2. 07 X I 39 3 33 4 4 7 67. 92 54. 90 — 2. 1 1 X I 1 1 26 6 4'- J 4 870. 77 36. 66 — 2. 29 X I 35 9 42. 8 y ■> 8 71.97 56. 71 — 2. 48 X I 12 3 4 47- 8 4 8 68. 20 54- 35 — 2. 25 X I IO 9 49- 2 4 8 67.90.55. 53 —2. 01 Gennaio 5. R Orionis, S Ursae min. R 1 9 IO. 5 31. 2 IO 13 32. 37 34- 4i 2 I 23. 8 4 9 52. 92 5 5 01 S 2 io 1 1 . 3 62 7 7 11 3'. 74 2 1 . 86 Gennaio 8. U Virginis, R Hydrae. Cielo 2. In ultimo chiarore dell’ alba. U R 1 17 27. 8 3 1 - si 8 12 38. ot I44. 361 + 1.03 2 18 8 5160. 3! 7 8 45. 73140. 5°!—o. 85 Gennaio 9. U Virginis. U 1 '7 27- 0 31- 5 8 IO 59- 48 44 56 2 1 '7 38. 5 41. 1 4 6 54- 50 47-07 Gennaio io. 0 Ceti, R Cassiop. U V. W 0 1 6 4i. 1 41. 1 8 IO 44- 61 58. 33 R 1 9 23- y •> 51.0 8 IO 44- 79 46. 30 U 1 17 28. 8 3'- 5 6 8 37- 34 43- 25 W 1 17 46. 1 41.6 6 7 33- '7 47- 13 V 2 '7 55- 0 40. 3 6 6 26. 54 27. 42 +2. 23 t-o. 25 o. 96 4-2. 27 T°- 14 Gennaio 11. U, W Virginis. U 1 16 53.4 ì 2. 1 7 8 40. 84 45- 43 2 1 17 5- 3 3 4 54- 17 46. 5 5 W 1 17 34.6 40. 8 6 9 3 1-15 46. 95 ^-o. 75 — r. 24 +2. 08 Gennaio 12. X Tauri, R Orionis. Calma perfetta. Scintillazione impercettibile. Si so- spende per 1’ improvviso velarsi del cielo. X X R 2 DI 34. 2 41. 7 9.2 l8. 2 o 25. 2 1 4 25.4 4 29.8; 8 I 4 7 [68. 63 6 67.82 9 3*- 55 61 53- >7 54. 80' 57.85 34. 50 35- 47 — 2. 25 — 1. 62 -fo. 49 — 2. 87 Gennaio 15. U, V, W Virginis. In ultimo chiarore dell’ alba e nubi da E, che poi si stendono su tutto il cielo. U 1 17 36. 6 32. il 7 9| 39. 86 44. 01 1 + 0. 68 W 1 51. 9 40. 5 6 8 30. 04 44. 68 +2. 37 27. 80 1 25. 08 1 — 0. 44 V 2 18 0. 2 29. 7I 6 4 Gennaio 16. 0 Ceti, R Orionis. Cielo 1. C di 5 g- Scintillaz. forte, agitazione vi- sibile anche nel cannocchiale. Nuvole a W. 0 1 8 23. 1 1 48. 2 1 8 1 0 1 3 9 - 89 55 19I+2. 49 0 2 l 35- 3 49- 8 2 '-J vO \S\ 4— 7 0 R 1 i 9 io. 5 29- 5 1 7 10 3 1- 5 2 1 3 3- 80 l+o. 37 Gennaio 17. U Cephei. Cielo 3. Giornata e serata splendida. Nelle prime 3 ore c di 6 g- U 1 8 45- 0 i 47- 8 4 8 45. 08 41- 38 — 0 60 u 1 5i. 3 48. 0 4 8 46. 72 42. 02 —0. 76 u 1 9 29- 6 49- 3 4 7 47- 33 42. 62 — 0. 76 u 1 34- 7 49- 5 4 7 46. 50 43- 57 — 0. 48 u 1 IO 2. 6 50. 5 4 8 45- 52 4i. là — 0. 15 u 1 IO 5 50. 8 4 8 43. 08 42. 54 — 0. 09 u 1 34 1 5i. 7 4 7 39- 90 4'- 16 + 0. 20 u 1 49- 0 Si- 9 4 6 41. 05 40. 94 - 0. 02 u 1 46. 0 52. 1 y ) 6 38.30 41. 54 -f-o. 53 u 1 51- 8 52. 4 4 7 39. 20 42. 24 +0. 49 u 1 1 1 19. 3 5 3- 4 4 6 32. 88 40. 30 + 1 . 20 u 1 25- 3 5 3 6 4 7 34- 85 41. 3i + 1-05 u 1 47 0 / 54- 4 4 6 3 1. 62 40. 62 + 1 . 46 u 1 54- 5 54- 7 4 6 52.85 41. '5 Ai. 35 u 1 1 2 0 7 54- 9 4 6 34. 60 41. 82 + 1. 17 u 1 20 5 55- 6 3 7 32. 67 40. 28 4-1.23 u 1 25- 4 5 5- 7 y 3 6 34. 20 41. 29 + 1 15 Gennàio l£ . R Cassiop., R Hvdrae Cielo 1 Vento forte e moder . Osservaz . contrastata da nubi. Re 1 6 58. 2 33- 3 8 12 47. 28 47- 22 — 0. 0 1* Rh 2 17 6. 9160, 7 y ■> 6 47. 80 43- 20 — 0. 75 14 A. Bemporad | Memoria l.J « T. M. Dist. N. Med. in min. I 11 Catania zen. 1 II 1 1 11 A Gr. Gennaio 19. U, V, W Virginis. Cielo 2. In ultimo chiarore dell’alba. Dopo l’osser- vazione si scorgono veli bassi a Sud. U I 1 17 41. 4 3 3-4 8 IO 43. 05 46. 87 W I 18 0.4 41.2 6 9 26 62 46. 58 V 2 | 18 io. 1 4 1 - 4 ! 5 3 32. 4 5 1 24 80 -Po. 62 4-3. 24 — 1. 24 Gennaio 20. R e V Hydrae. Cielo 2. Scintillaz. moderata. Vento debole. R 2 1 1 7 o. o!6o. 6 8 10I47. 05 I43. 82 1 — 0.33 V 1 17 40. 'U70.9 6 10S32. 82:36. 87,— t-o. 66 R 2 I x S 5.4161.0 7 1 1 j 46. 09:42. 48 1 - — o. 59 Gennaio 24. Cometa 1910 a (* di cfr. p Aquarii). 0 di 13 g. Vento forte. Cannocchiale Steinheil di 124 cm. di dist. foc. e 8 cm. d’ apertura. Notata la colorazione rossiccia del nucleo. Chioma visibilmente raggiata. Grandezza conclusa pel nucleo 3m. Lunghezza della coda stimata di C p circa 70 6 21 1 -- | 6 4145. oo|45. So]— o. 1 3 Gennaio 26. U, V, W Virginis, R Hydrae. Cielo 2. 0 di 15 g. Vento deb. In ultimo forte chia- rore dell’ alba. 46. 1 4 j — f-o. 61 46. 44 ! + 2- 37 22. 38' — 2. 1 1 39. 601 — 0. 32 Gennaio 27. Cometa 19x0 a (.* cfr e Pegasi), U Cephei. Cielo 2. La prima osservaz. di U Cephei è interrotta da nubi. Alle n11 i/z passaggio di nubi da W a E. U 1 17 17.2 3 3- 7 8 io 42. 38 W 1 41. 1 41.6 7 7 31. 87 V 2 57- 5 42. 3 6 4 35-42 R 2 18 14.0 62. 6 7 8141. 56 C E 6 36. 1 6 8 47- 40 59 96 + 2. 04 u I 8 39- 1 48 9 3 7 45 !3 41 35 -0. 61 u I 45- 949 2 4 7 47- 38 44 4i — 0. 48 u I 9 23- 7 50 5 4 6 45- 78 44 04 — 0. 28 u I 3°- 8 50 8 3 7 44- 3 3 43 95 — 0. 06 u I IO 16. 9 52 5 4 6 42. 50 44 79 + 0. 37 u I 22. 1 52 7 4 6 40. GO 44 65 +0. 75 u I 44. 8 53 6 4 6 35- IO 41 65 + 1 . 06 u I 50. 5 53 8 3 6 34- 40 42 69 + i-34 u I 1 1 14. 2 54 6 4 6 33- 20 42 09 + I-44 u I 20. 5 54 9 4 6 34- 25 42 24 4-1-3° u I 47- 7 55 8 4 6 33- 55 42 52 -fi- 45 u I 53- 8 56 0 4 6 35- 88 43 60 -Fi. 25 u I 12 15- 6 56 7 3 6 37- 00 42 44 4-0. 88 u I 20. 7 56 9 4 6 35- 05 4 3 29 + 1. 34 Gennaio 28. Cometa 1910 a (* di cfr. e Pegasi). C t I 6 20. 81 1 5 4142. 421 52. 93 l-f-i. 70 Gennaio 31. V Hydrae, U, V, W Virg. Cielo 1. (£) di 20 g. quasi in meridiano. Osserva- zioni interrotte in ultimo da nubi. 4-0. 85 4-0. 60 4-2. 81 4-1-53 * Confi-, incompleto (3 puntate di 1 seguite da 8 di V). vH i 16 59.4 71.2 8 1 1 to 0° O 33- 25 U 1 17 21. 1 36. 3 8 IO 39.06 42. 77 W I 17 40. 6 42. 8 6 9 28. 69 46. 03 Vv 1 ‘7 49-4 43- 2 3 3 37- 77 47. 23 T. M. Dist. N. Med. in min. Catania zen. 1 II 1 II A Gr. Febbraio x. Cielo 2. li 0 Ceti, U Cephei. 0 I 8 19. 1 56 6 6 1 1 40. 80 59 78 1 1 t3- 08 U I 9 1 . 0 50 4 3 7 45- 60 44 5 1 — 0. 18 U I 7- 1 50 7 4 7 46. 35 45 4 5 — 0. 15 u I 29.4 5i 5 3 6 42. 70 4 3 32 +0. IO u I 35. 0 5 ! 7 'ì ) 6 42. 70 4 3 08 +0. 06 u I IO 8.4 53 0 3 6 3 9. 80 44 55 — r °- 77 u I 14. 5 53 2 4 7 41. 35 45 08 +0. 60 u I 43- 5 54 *> ) 4 7 33- 87 44 -FI. 67 u I 50. 0 54 5 4 7 34- 1 2 44 59 + 1 70 u I 1 1 io. 5 55 2 4 7 36. 95 44 26 -Fi. 19 u I 16. 8 5 5 4 4 8 37- 42 43 3 5 40. 96 u I 37. 5 56 1 4 6 35- 02 43 82 -F 1 • 43 u I 44- 7 56 4 4 6 35- 27 43 94 -F 1 • 4i u I 12 8. 1 57 1 4 6 35- 00 4 5 1 2 -Fi. 64 u I 13- 3 57 -> 2 4 6 35- IO 43 57 -Fi. 37 u I 38. 9 )8 0 4 7 34- 60 4: 37 -p 1 IO u I 46. 3 58 2 3 8 35- 67 42 53 -p 1 • 1 1 Febbraio 2. R Orionis, R Hydrae, U, V, W Virginis. Cielo 2. 0 in U. Q. In ultimo campo fortemente rischiarato dal chiarore dell’ alba. 4-o. 87 — o. 27 4-2. 58 4-1.18 4-4. 14 Febbraio 3. R Cassiopeiae. R il 8 18.2I55.5I 8 1 1 14 5 . 70148. 3 1 1 -f-o. 43 Febbraio 6. V Hydrae, U, V, W Virg. Cielo 2. Scintili, forte. In ultimo chiar. dell’ alba. Ro 1 8 5 1. 1 37-9 7 9 32. 98 33. 78 U 1 17 26. 1 37- 5 6 9 42. 10,47. 48 Rh 2 46. 6 62. 6 6 9 44. 74 4 5- 00 W 1 18 4. 5 45. 8 6 6 31. 65 47. 52 V 1 io. 3 46. 1 3 4 39. 03 46. 28 2 1 '4- 5 2 4 20. 65 1 46. 1 5 VH i U 1 Vv 1 W i 17 13. 6(76. 7 8 9 32.85 38.33 35. 3 ! 40. 8 6 9 40. 69 46. 46 53- 4 j 45- 9 6 8 37. 50 45-6i 18 1.3147-3 6 8 24. 87 1 4 6. 00 4-0. 89 4-o. 94 4-i. 32 4-3-43 Febbraio 11. U, V, W Virginis, R Hydrae. Cielo 2. Scintillazione animata. 45. 79;4-i. 29 45. 86 4-0. 48 47-41 4-2. 25 43.41-t-0.05 Febbraio 12. R Cassiop., R Orionis, V, W Virginis. Cielo 1. Osservazione di R Orionis interrotta da nubi. Forte agitazione anche nel 20 turno. U 1 16 49. 1 37- 3 6 9 37. 82 V 1 17 21.9 44- 7 6 9 36. 77 W I 30. 3 45- 9 6 6 33- 54 R 2 44- 3 65.2 6 9 43. 12 Re 1 R0 1 W 1 V 1 9 9 9 37 17 42 17 51 67 8 41.8 47. 8 48. 5 6 io 3 2 6 9 3 6 4 29. 67 35. 22 38 89 48 70 49 73 34- 25 47- 45 02 Febbraio 14. V, W Virg. S Ursae min. Cielo 2. Scintillazione animata. W 1 17 13.7 45-4 7 9 33. 82 49. 19 V 1 23. 7 46. 5 5 5 39-93 49- 69 2 1 30. 9 2 5 29. 40 50. 42 S 1 55. 8 41. 4 6 6 39-5 5 39- 49 4“0. 95 -f-o. 74 + 1. 99 + 1 . 67 4-2. 50 4-1. 58 +3-4I — 0. 01 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 15 * T. M. Dist. N. Med. in mm. 1 11 Catania zen. I II I | li A Gr. Febbraio 19. U, V Virginis. Nu li Cielo 1. Nuvole estese a N e E. In ultimo nub^. 1 . 28 1.42 U 1 17 5. 6 44. 1 6 9 39- 72(47- 59 V I ■7 23. 9 ! 48. 6 3 5 138. 151 46. 90 Febbraio 22. R Hydrae, V, W Virginis. C di *3 g- R 2 1 16 53- 2 64. 5 7 9 37-92 40. 07 V I I17 14. 8 48. 9 6 8 38.05 45- 14 W 1 >7 24. 2 50. 6 6 7 26. IO 46. 22 + 1. 15 + 3- 27 Febbraio 23. U, W Virginis. (C di 14 g. rischiara fortemente il campo. 4 1 - 97 1 -t- 1 • 17 43. 27I + 3. 23 Febbraio 24. 0 Ceti. R Cassiop. R Orionis. C di 15 g. U 1 17 8. 1 1 47 1 6 i(i! 34- 73 \V 1 rA CO r/*\ 4 7 1 2 3 . 35 Re Ro 7 NO O »/■> co vd 6 IO 35.02 55- 39 17.0 7 34. 20 57- 37 9 25-6158.7 6 9 37- 30 44. 18 co i - co t>« IA 6 91 27- 87 3 3- 77 - V 1 co 0 47. 1 6 9 39 20 46. 64 W 1 17 2. 3 49. 2 6 8 27. 52(47. 31 S 1 27. 7 41. 5 6 io 41. 00 141. 05 Febbraio 25. V, W Virginis, S Ursae minoris. Cielo 2. Trasparenza buona. Nuvolette sparse. + 1 . 21 + 3.2 1 +0. 01 Febbraio 26. U Virginis. U i-l 8 39 3 1 83. 2 1 6 iol 38. 27Ì44. 54I+1. 02 Marzo 1. R Cassiop. R Orionis. Cielo 1. Scintillazione forte. Re I 8 52 974- 2 6 9(40. 12 Ro 1 9 15. 9 49. 6 6 9 28. 09 47.09I + 1. 13 34 5 1 ! + 1- °4 Marzo 2. R Hydrae. 0 di 21 g. R 2 1 17 43.6173. 5I 4 81 3 5 . 98 1 38.81 l-i-o. 46 Marzo 3. V, W Virginis. V I 17 29. 0156. 3 4 71 37- 55 46 28 W I 36. 0! 57. 9 5 61 31. >8 47- 23 Marzo 4. R Cassiop. R. Orionis. Cielo 1. Durante le ultime misure salgono 1 che poi si stendono su tutto il cielo. Re Ro 8 33. 75- 31 6 9 39 20 47.60 +1. 37 Ro 1 8 36 9 69. 2 19 4! 5 9 27. IO 33. 28| + i. 01 W 1 11 3.8 44- S V I 13 2 43- 6 Virginis. Rh i 36. 9 61. 5 Cielo 1. Nuvole sparse a NE, sgombro a SW. W V I 17 29. 1 59. 3 6 8 28. 07 43 22 54. 8| 59. 8 3 6 34- 70 42. 39 + 2. 46 -Ti- ?-5 Marzo io. 0 Ceti, S Ursae min. Chiarore del crepuscolo nelle osservazioni di 0 Ceti. 0 S 7 o 3 17 29. 1 68 1 42. o 5 7 26 65 1 26. 77 +0. 02 8 8. 36. 94' 36. 88 — o. 01 Anche a stima si giudica 0 = 2. T. M. Dist N. Med. in mm. A Gr. 1 1! Catania zen. 1 II 1 | Il Marzo 11. 0 Ceti, R Cassiop., R Orionis, V Hydrae, U, W Virginis. Salgono nuvole dopo 1’ osservazione di V Hydrae. li ni + 3- 52 + 1. 78 + 1. 25 +0. 77 +2. 04 +2. 98 Marzo 16. U Virginis. Cielo 1. Nuvole a Nord. Veli sparsi altrove. In ul- timo chiarore deli’ alba. 1 1 1 7 11. 5|5i.6I 6 10125.67(41.061+2.50 0 1 7 38. 9 76. 1 4 7 27- 85 49- 5 3 Re I 8 12.8 74- 1 6 IO 34- 44 45- 38 Ro 1 41. I 50- 4 7 8 26. 29 33- 97 V I 9 IO. 1 67 ■> 6 9 32- 32 37- 00 U 1 17 io. 0 58. 1 7 9 3 1 48 44- 04 W 1 26. 5 61. 6 6 9 24. 99 43- >8 U 1 1*7 Marzo 17. R 2 16 S 1 ■7 Marzo 19. W 1 !7 V 1 Marzo 22. ginis. 14. 2 74. o 42. 2 6 9 36. 12 42. 1 3 1 +0. 98 6 10I40. 43 49. 54; +0. 02 17 io. 9 64. 4 6 61 3 1. 45 1 44. 70 17 7 6j. 1 4 71 30. 2 5 1 44- 66 +2. 15 + 2. 34 Cielo 1. (f, altissima di 11 g. Nuvolette sparse per tutto il cielo. 0 1 Re 1 Ro 1 W ! 7 20. 9 81.0 2 4 19. 50 8 24.4 80. 2 6 6 30. 67 57. 0 61.6 6 9 24. 00 io 53.7 53 2 7 ro 54- 15 42. 90[ +3. 80 42. 35 +1. 90 3 5- 52 +i. 55 49.251+2. 45 A stima la Mira Celi appare proprio uguale alla * di cfr. N. 2. Dal 23 al 2 9 osservazioni impossibili per l’ eruzione dell’ Etna. Marzo 30. S Ursae minoris. S 1 1 1 7 0.9(43. 1 1 8 1 1 1 32. 10I33. 39I+0. 21 Aprile 4. U. W Virginis. + 3- 37 +0. 23 + 3- 47 +4- 25 Aprile 6. R Orionis, V, W Virginis, R Hydrae. • 34 U 1 9 3 5-2 44 4 9 6 22. 57 43- 32 55 u 3 9 44- 9 43- 5 9 6 23. 64 25-04 3 1 io 1.4 6 9 25. 12 46. >2 A r. C W 1 24 2 50. 1 IO ó 28. 80 43- 85 + 1. 31 + 2. 1 1 + 2. 53 66 iO II 23. 09' 30. 52 6 9 1 32. 14 45. 11 6 9(29 90-45.44 6 101 30. 50140. 69 Aprile 7. W Virginis. PD 6404-6419. 10 32.7 47-5(6 1 1 1 30 85I44. 93 1 + 2. 29 11 25. 5I 8 12I50. 83I56. 45I+0. 92 Aprile 8. V, W Virginis. PD 6404-6419. Osservatore stanco. W 1 ’ i9~’o | W 1 v r ’I9— ’04 10 16. 5 49 0 2)- 3 5 5- 5 48 0 9(32. 97(45- 56 1 + 2. 05 9 30-42 45- 14I+2. 39 16 10149. 55I55 5 6 1 + 1 . 01 16 A. Beni por ad | Memoria I.] •* T. M. [Dist. N. Med. in min. T. M. I Dist. N. Med. in mm. 1 II Catania zen. 1 II I A Gr. 1 II Catania zen. 1 II I 1 A Gr. I II 1 II Aprile io. W Virginis, S Ursae min. Cielo 3. Vento moder. (nella giornata forte . Osserva- tore stanco nel i° turno. In ultimo giorno chiaro, h m o W 1 9 S 1 1 6 Aprile 11. R R^ 1 8 VH i IO W 1 Vv t 50.116 7 44.08 1 2 29. 00 31.18 44- 37|+2- 49 35. 26 j 4-0. 66 > - 5 • ) 22.9 53- 1 6ó. 5 58. 8 46. 8 9 12 6 9 6 9 2 3 . 8.8 j 3 3 - 57 3567137 73 -M. 57 +0. 3 3 5 44- 95 4-2. 31 45.717 9 28. 85 144. 98I + 2. 62 R 1 16 32.1 6 1 . 8 6 9 30. 12 47. 60 R 2 38.3 38. 3 60. 9 2 6 27- 4° 29 34 2 1 6 7 29. 3446.44 Aprile 12. R Cassiopeiae. In ultimo forte chiarore dell’ alba. + 2. 84 +0. 31 + 2 77 Aprile 15. U, V, W Virginis, R Hydrae. (Q di 6 g. molto alta. In ultimo osservatore stanco. °5 3 5 77 78 47 38 A stima 9h45m b 1 Li 0 c (b = Hagen 16, c = Hag. 17) 58 b 1 U 1 c da cui Gr. U 10.7 — 10.8 Aprile 17. W Virginis. Cielo 1. Nuvole basse a NW. Vento moderato 0 forte. (Q di 8 g. W 1 ho 10.7I45.516 rol2Ó 89I46. 64 3.21 Aprile 18. V, W Virginis. Cielo 1. £ di 9 g. Lunghi veli in vari quadranti. Sul finire nuvole sparse presso lo zenit. U 3 9 49- 1 36.93 6 15.67 22. 15 -fi. 3 1 5 3-9 6 3 23. 14 43. 80 + 3- V 1 io 16.8 45.76 8 27. 52 44. 59 4-2. W 1 25.8 44- 8 5 9 27. 65 44- 72 _j_2. R 1 54- 2 6186 9 27. 50 30. 40 4-o. 1 2 11 0. 2 ■ 6 3 29- 14.37 67 4 1. W V 8 1 3. 4 62. 1 6 9 23. 52 45-51 24. 8 60. 3 16 9 24. 88 44- 54 ■3. 19 Aprile 20. S Ursae minoris. Dopo 1’ osservazione nuvole da E. S 1 1 1 6 3.1143.916 1 1 1 3 1 . 87 ; 36. 87I +0. 81 Aprile 21. W Virginis. € di w g- In ultimo quasi giorno chiaro 9 13. 1 50. 7 6 1 0 1 22 . 79 42.46! .'s Ursae min . PD 6404 — 6419. g- 8 8. 2 5i- 5 6 0 52. 12 36. 261 47. 6 6 io 50- 55156 49ì S 1 ’ 19— '04 Maggio 3. U, V, W Virginis, S Ursae minoris. Cielo 2. Nuvole a W. Vento forte (nel giorno fortis- simo). Nel 20 turno cielo 3. W 1 9 2. I 46. 1 6 9 25- 57 44- 9 1 -r-3- 14 V 1 9 1 1. 0 45- 2 4 5 24. 70 45- 82 + 3- 43 V 2 » 4 6 24. 70 23- 98 — 0. 1 2 S 1 1 5 19. 5 44. 1 6 IO 29. 07 36. '7 + 1. 15 2 I 25- 3 6 3 24. 30 37- 5 3 — 2. 15 U Virginis appena < della * N. 19 dell’elenco di Hagen, quindi di Gr. 11.4 0 11.5. Maggio 4. W Virginis, R Hydrae. li m o W r I 8 17. 5 1 5 1. 4 6 10 24. 95 R 1 1 9 io 1 7 |6j- 7 9 26. 35 3! 3o. 25 45. 26 29.79 38.80 +3- 29 +0. 56 -H. 39 Maggio 12. R Hydrae. R I 9 20. 1 61. 3 8 9 27. 77 32. 14 +0. 71 1 2 3°- 5 6 5 31.88 41.48 -fi. 56 Maggio i5- u Z Ophiuchi S Ursae minoris. U I 9 4- 0 72- 9 4 6 43- °5 36. 18 — 1. 12 U I 9- ) 7 ! 9 4 6 45- 25 38. 72 — 1 . 06 S 2 25- 1 44- 3 5 f J 25. 23 20. 94 — 0. 70 U I 45- 1 65. 4 4 6 44- 87 39. 40 — 0. 89 U I 48. 2 64. 5 4 6 47. 40 39. 67 — 1. 25 U I IO 18. 7 58. 8 4 6 48. 75 42. 87 — 0. 95 u I 23. 9 57- 9 4 6 49- 5 5 44. 04 — 0. 89 z I 38. 5 55 7 4 4 22. 40 19. 80 — 0. 42 I 2 42. 1 4 4 42. 57 19. 72 — 3-71 u I 54- 5 52- 6 4 7 48-75 41. 70 — 1. 14 u I 59 9 50 7 4 8 49. 62 42. 84 — 1. 14 Maggio 16. R Hydrae. R 1 8 56.7 61.6 8 io 22. 72 26. 82 9 4-8 6 4 28. 25 38. 05 +0. 67 + i- 59 Maggio 17. V Hydrae (molto rossa), p Lyrae, V P 8 45. 8:62. 6 9 38. 7-69- 7 8 1 1 Il 13 34- 25 33- 58 69 -97 5 r- 83 Maggio 18. S Ursae minoris, p Lyrae. — o. 14 —2. 13 S 2 9 4-8 44 6 8 io 27. 41 23. 65 1 2 IO. 2 4 6 35- 1 5 23. IO P 1 IO 3.7 50. 71 1 2 15 69. 26 56. 22 — o. 6 1 -1.95 — 2. 1 2 Maggio 19. p Lyrae. Cielo 1. 0 di 11 g. Appena terminate le misure il cielo si annuvola. p 1 I 9 11. 6168. 5 1 1 2 14163. 60 152. 2 5 1 — 1.51 Maggio 20. p Lyrae, R Cassiopeiae. p 1 io 4. 75 8. 1 8nj65.4655.64— 1.59 p 1 25.0 54.2 8 1 0 ; 66. 62 53.97 — 2.05 R 2 15 54.7 44.9 6 8 1 1 7. 25 23.06 4-0. 95 Maggio 21. p Lyrae. C di 13 g- p 1 ho 10.4I56.2I16 1 6 1 64. 58156. 5 5 1 - 1.30 Maggio 26. R Hydrae, p Lyrae. Dopo 1’ osservazione si stendono lunghi veli da NW su tutto il cielo. 4-0. 63 + 1-79 — 2. 20 Maggio 27. p Lyrae, Y Ophiuchi. Cielo 1. Prima e dopo l’osservazione nuvole in vari quadranti. 9J. quasi sempre con aureola; in ul- timo C di 1 8 g. R 1 io 40. 3 163. 9 8 9 22. 64 26. 49 1 2 46.7 6 4 26. 84 37- 87 P I 11 1 1 . 3 1 40. 8 8 9 66. 24 52. 71 P * Y ! Y 2 10 0. 7 53.6 8 IO 64. 94 53- i3 37- 3 59. 2 9 8 42. 54 34. 26 45- 5 58.0 9 8 42. 90 42. 19 -1. 92 -1. 34 — o. 1 2 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 17 * T. M. Dist. N. Med. in nini. A Gr. * T. M. Dist N. Med. in nim . II Catania zen. I II 1 1 11 1 li Catania zen. I II I II Maggio 31. Y Ophiuchi, d Serpentis, R Cassiopeiae. Fuochi artificiali nel i° turno. Nuvole in tutti i qua- dranti nel 20 turno. Nuvole su Y Oph. fra il e il 2 h 2" 0 cfr. Y 2 14 >3- s 45 8 9 1 2 47 77 44- 30 Y 1 58. 7 44- 9 8 IO 49. 42 37- 66 d 1 1 5 25. 8 4? 0 8 IO 55- 29 45- 74 R 2 44 5 39- 7 4 6 19 0 27. 34 1 2 48. 7 2 4 42. 40 24. 98 — o. 56 — 1. 91 — »■ 55 + '• 35 —2. 85 minoris. R Y Y d S 1 9 38- 5 14 27.8 39. 6 58 0 1 5 20. 3 27. 1 61. 5 47- 3 48. 4 41. 1 48. 8 9| 26. 79 ! o ! 4ó. 45 10:46. 64 1 1 , 5 5 95 9 23 91 9 36- 38 27.97 36. 5 3 46. 09 46. 41 23 12 22. 48 S 2 9 52 0 41- 5 6 9 23. 63 22 97 t 2 57 0 3 6 36 03 2 3 64 20 Y T 14 32 0 52. 1 7 IO 47.00 34 35 6 : Y 2 41. 5 53- 3 6 q 47. IO 44 3 3 09 I 2 49- 0 3 6 36. 20 44 02 55 d I 15 1. 0 46 0 6 9 Sa. 89 44 28 ■4 *53 — ’09 '5- 5 6 9 45- 87:48 77 26 ’5 3 _’86 25- 0 6 9 46. 52 43 46 Giugno 2. R Hydrae, Y Ophiuchi, d Serpentis. 4-0. 06 — o. 76 — 1. 97 — 1. 48 — 1. 63 Giugno 3. R Hydrae, Y Ophiuchi, d Serpentis. R 1 9 39- ' 61. 7 8 9 28 05 28 39 Y 2 14 41.6 49- 1 8 IO 49 •t : 41. 74 Y 1 53- 5 50. 4 8 9 49 39 37- 28 2 1 59- 5 4 6 47 50 38 3 5 d 1 '5 14. 8 43- 3 8 9 55 5 5 45- 40 R 1 9 IO. 9 60. 8 8 9 27 51 27- 34 0. 00 1 2 1 6. 7 6 4 29. 12 3q- 02 + 1. 61 Y 2 14 5i- 3 50. 6 8 q 49-97 45- 55 -0. 72 Y 1 15 7- 3 52. 6 8 IO 50. 89 38. 23 — 2. 05 d 1 23- 6 44-9 8 9 57- 5' 46. 29 — 1. 82 Giugno 7. R Hydrae, VV Virginis, Y Ophiuchi, d Ser- pentis, PD 9809-9853-9886. 8 6 8 7 8 4 8 8 8 Giugno 8, Y Ophiuchi, d Serpentis, R Cassiop. -2. 58 - r. 64 1 77 1. 54 ■2. 86 Serpentis, PD 9809-9853- R 1 9 25 3 62. 1 1 2 31. 1 W 1 44. 2 44- 9 Y 1 14 23. 1 49. 2 Y 2 34- 5 50. 5 I 2 42. 1 d 1 15 0. 6 43-9 ’°9 — ’53 15 2 1 . 1 ’86_ ’5 3 28. 9 IO 32. 98 3' 75 - 0. 20 4 32. 43 40 95 -4-i. 38 9 25- 48 43 30 + 3- 22 IO 5 1 1 0 37 ! 3 — 2. 27 9 51- 0> 47 93 — 0. 5 1 6 37- 4 7 47 O “ / 4- 1 • 39 9 56. 35 47 I I — 1 . 50 9 5i. 85 47 51 — 0. 7i 9 44- 80 47 98 -Po. 52 Y 2 14 32 2 44. 0 8 9 51.16 48. 54 Y 1 45- 7 5 2. 3 8 9 51. 30 36. 67 2 1 52. 4 4 6 4Ó. 37 36. 24 d 1 15 6. 0 45- 1 8 9 57-4' 46. 50 R 2 29 5 37- 1 4 6 iq. 17 28. 69 1 2 3 3-4 2 6 46 00 28 35 Giugno 9. Y Ophiuchi, d 9886. Y 1 Y 2 I 2 d 1 ’5 3— ’°9 ’5 3_’86 14 32 45 52 4 20 3' 15 51.28 9 52. 8 8 9 4 6 45.48 io 8 io 49- 22 49- 50 58. 80 55- 3-1 47-79 8 9 48. 81 36. 69 48. 37 46 59 47. 22 51. 30 44 54 — 2. 04 -o. 15 -4-1. 26 -1. 32 +0. 5 7 — o. 59 A Gr. Y 2 14 22. 0 50 4 7 10 49- 42 46. 37 Y 1 3 5- 3 5 2. 0 9 q 50. 19 36. 86 2 ! 42. 1 4 6 45- 55 36. 43 d 1 5 5- 7 1 44- 8 8 8 9 55- 96 44- 73 ’oq > - ■> - ) 2 1 5 1 1. 0 IO 51- 52 47- 20 ’86 -’5 3 20. 6 8 9 42 62 46. 28 Giugno io. Y Ophiuchi, d Serpentis, PD 9809-9853- 9886. — o. 50 — 2. 16 — 1. 48 — 1 . 82 — o. 70 -f-o. 60 Giugno 11. S Ursae min., Y Oph., d Serpentis, PD 9809-9853-9896. — o. 1 1 — 2. 01 —2 05 — o. 45 + 1. 27 — 1. 72 4-0. 47 — o. 50 Giugno 13. R Hydrae, Y Ophiuchi. R 1 9 49- 5 65.6 7 IO 29. 50 31. 14 54. 0 6 3 32. 25 38. 93 1 S 20. 0 60. 2 4 7 46. 50 45- 15 +0. 18 -1- 1 . 08 — o. 22 R 1 q 24. 0 63- 8 4 6 29- 73 27. 78 Y 1 14 33- 5 53 8 6 IO 49 64 39. 16 Y 2 43- 5 52. 2 6 9 49- 79 50. 36 I 2 5i- 0 3 6 40. 37 4q- 15 d 1 '5 3- 0 47 9 6 q 56. 8q 48. 67 '09 -’5 3 '5 0 6 9 52. 42 47-77 ’86 - '53 23 0 6 9 44. 90 48. 30 Giugno 14. R Hydrae, Y Oph., d Serp. PD 9809-9853-9887. — o. 32 — 1. 70 4*o. io 4-1.42 — 1- 34 — o. 76 -4-0. ss Giugno 15. Y Oph., d Serp. PD 9885-9886-9915. — r- 79 — o. 25 4-'. 41 — 1. 71 — 1. 48 — 1. 16 Giugno 16. Y Oph., d Serp. — 1. 64 — 0. 28 +0. 93 — 1. 49 Giugno 17. Y Oph., d Serp., PD 9885-9886-9915. 1. 81 Y I '4 3 5- 5 54- 7 6 9 47- 89 36. 87 Y 2 45 0 56. 0 6 IO 48 27 46. 76 1 2 5i- 0 ■* 7 37- IO 45- 78 d I 15 5- 0 48.8 6 9 5 5- 5q 45 - 08 1 CO -’86 16. 5 5 8 5 1 • 66 42. 53 ’IS- -’86 3 5- 0 4 4 46. 1 5 39. 00 Y 1 14 46. 5 56. 8 6 8 47- 60 37 52 Y 2 56. 5 58 3 6 q 48 43 46. 74 1 2 15 4. 0 3 6 4' 73 47- 47 d I 16. 5 50. 6 6 io 56. 57 46. 44 Y 1 14 25. 154. 3 6 8 48. 3 3 37. 20' Y 2 40. 7 56 5 6 8 48. 84 49- 6l 1 2 5 5-5 4 6 39- 15 49. io d i 15 9. 5 50 7 4 6 56. 20 48. 09 '85 — ’86 23.4 4 7 54- 70 45- 3> ’ 1 5 -’86 28. 5 3 4 52. 50 45- 371 1. 52 Giugno 18. Y Oph., d 0 Ceti. Serp., PD 9885-9886-9915, Y Y 1 d ’8s- 4 5- 1 ’86 ’86 1 14 '5 6 6152. 3 21.0:54. 3 28. 4 48. 1 48. 7 3-0 11. 8 39. 4 1 78. 47 47 3 6 81 56 6 55 6:52 8 '49 59 36. 88 14 .16. 60 23 ! 47- 78 - 1. 71 — o. 09 -4-0. 87 77 49- »S ! — 1-08 58 46. 18 — 1. 52 io 46. 3 1 1 — o. 94 57 43- 75 -o-95 ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Meni. I. 3 18 A. Bemporad [Memoria I.| & 1 T. M. IDist. N. Ated. in mm. * T. AY Dist.! N. A\ed. in mm. I II Catania zen. 1 II A Gr. 1 II Catania zen. j I II 1 II ! 1 1 11 Giugno 19. Y Oph., d Serp., PD 9885-9886-9915 R Cassiopeiae. 2 1 li m 14 15.O 0 4 6 4* ON •v] co 37. 18 -i. 36 Y 1 23. 5 55- 2 6 8 49. 00 37- 3 3 — 1 . 90 Y 2 37- 3 57- 2 6 8 50. 24 47- 94 — 0. 38 1 2 48. 2 4 6 38. 30 47 94 + 1. 56 d 1 15 2. 9 50. 9 6 8 58 04 48. 84 -1.49 '85 — ’86 14.6 4 6 57. 28 46. 99 — 1. 67 ’ 1 3 — ’86 21. 1 4 5 5'. 38 47- 37 — 0. 65 R 2 36. 0 29 3 2 4 17. 30 29-43 + i- 97 Giugno 20. Y Oph., d Serp. PD 9885-9886-9915, S Ursae min., 0 Ceti. 2 1 1 3 54-0 4 6 45- 63 3 5- : 1 — 1. 38 Y 1 ■4 2. 2 52. 8 6 8 48. 92 35- 3° _ 2. 2 1 Y 2 13. 6 54- 3 6 8 48 32 45- 27 — 0. 50 1 2 21. ! 4 6 34. 68 44- 64 — f— . 62 d 1 37. 2 47- 6 6 8 55- 93 49- 49 — 1. 05 CO v-'» 1 -’86 51. 2 4 6 57- 25 45 36 — 1 93 ’ 1 5 - ,’86 58.7 4 6 5 ' • 5° 44. 35 • — 1 . 16 S 2 '5 1 8. 7 52 3 2 4 20. 30 22. 58 +0. 34 1 2 20. 9 2 4 34- 55 23- 05 — 1 . 87 0 1 36. 5 77 •3 6 8 52. 26Ì45. 5 3 — 1 . '0 Giugno 21. R Hydrae, Y Ophiuchi, d Serpentis. C di 14 g- R 1 9 54- 2 69.4 6 8Ì25. 91 23.07 — 0. 47 1 2 io 16. 8 7 5 129-39 39. 98 + 1.72 Y 1 27 8 47 7 6 8 46. 14 30. 42 -2. 55 Y 2 1 2 39- 5 46. : 46. 7 ò 846.42 2 433.05 6 8 54. 25 42.98 42. 65 —0. 56 +1. 55 d 1 11 3- 9 4'- 9 45. 1 1 — 1.49 Giugno 22. Y Oph., d Serp., PD 9885-9886-9915. C di 15 g. -'•75 - 2. 72 2 1 io 4. 8 4 7 21. 88 I Y 30. 1 47. 2 8 12 30. 28 2 Y 29. 5 47. 2 7 8 42. 5 1 1 2 4 3- 9 4 5 3 ' 43 d 1 11 6. 0 41. 2 6 8 52. 49 ’ 8 5 _ ’86 21. 1 4 6 50. 96 ’ 1 5 _’86 28 1 4 6 48. 15 43- 44 1 Giugno 23. Y Oph., d Serp. PD 9809-9854-9886. C di 16 g. — 1. 28 — 2. 12 + 0. 74 + 1 4 8 — 1 58 — 0. 46 40. 80 Giugno 24. Y Oph., d Serp.. PD 11114-11x41. 2 1 IO 9- 1 4 6 44- 3 5 36. 47 Y 1 23- 0 47. 5 10 IO 48. 85 35. 80 Y 2 23- 1 47- 5 8 6 43-97 48. 49 1 2 35- 4 4 6 34- 48 43. 58 d 1 49- 6 42. 3 6 8 53. 82 44. 07 '09- -’54 1 1 1 1. 8 4 6 48. 53 45. 67 ’86- -’54 '7- 7 4 6 41.75 46. 70 2 1 io 16. 2 4 6 43-95 36.09 — 1. 29 Luglio 2 S Ursae min. , Y Ophiuchi. y > 29. 7 46. 6 12 8 36 98 49.61 +2. 05 y 2 29. 1 46. 6 8 6 47.02 49. 24 +0. 36 S 2 9 5 5-2 41.9 6 8 22. 57 26. 42 1 2 44- 1 4 6 37- 23 46. 21 + 1. 46 Y 1 io 46. 4 43-9 8 io 49. io 38.67 d 1 11 0. 1 41.0 6 8 54.05 45. 68 1. 36 2 I 11 1 1. 4 7 io 48. 81 40. 82 4I’-’I4 42. 5 4 6 43-93 54.8i -ri -77 2 3 35- 7 6 9 48. 50 48. 20 A Gr. Giugno 25. Y Oph-, d Serp. PD 1 1 1 14-36-41-46. li in — I. 58 — 2. 17 — o 58 + '•43 — i- 53 + 1. 67 — 1. 01 40. 67 Giugno 26. Y Oph., d Serp., PD 13021-13024-13002- 12980. 2 1 CO CN O 0 4 6 CO CO 'T 38.84 Y 1 49- 3 44- 9 8 1 2 51. 72 58. 37 Y 2 42. 9 45- 3 6 8 5'-84 48. 28 1 2 11 2.9 4 6 38. IO 46. 94 d 1 18.8 39. 2 5 8 56. 24 46 82 ’4!-’'4 52. 0 4 4 47- 48 57- 78 ’ 36— ’4 1 51. 8 4 4153. 68 47.48 ’46 — ' 56 52. 0 4 4I49- 58 53. 68 2 1 io 28. 5 4 6 46. 73 36 79 — ! 61 Y 1 44. 5 44- 9 8 1 1 52. 13 38. 28 - 2 25 Y 2 45- 4 44- 9 6 8 5 1 38 48. 40 — O 49 1 2 i' 0. 5 4 6 37. 30 46. 13 + 1 43 d 1 26. 3 38. 5 6 8 54. 62 45. 80 — I 43 d 2 36. 1 38. 0 4 6 55- 68 41. 19 — 2. 35 >2 1 - T ’ 2 1 12 i'. 3 4 4 42. 68 59- 73 + 2. 77 ’8o— ’24 11. 4 4 4 56.85 42. 68 — 2. 30 ’02- ’8o "• 3 3 4 47 27 56.85 + 1. 55 Giugno 27. W virginis 1 R Hydrae, Y Ophiuchi. YY 1 9 36. 7 54- 1 4 6 23. 70 40. 04 + 2- 65 R 1 9 55 3 74- 7 2 4 32. 25 26. 63 — O. 9i 2 1 io 12. 0 4 6 45- 05 36. 08 - — I. 45 Y 2 3'- 7 45- 5 6 9 49. 86 46. 17 — O 60 Y 1 54 3 45- 5 8 12 50.98 37- 92 — 2. 12 1 2 5 5- 9 4 6 38. 05 46. 65 + 1. 39 Giugno 28. Y Ophiuchi, d Serpentis. 2 1 io 6. 8 4 6 44. 50 36. 70 — I 27 Y 1 28. 5 45- 5 8 1 2 48. 17 37- 92 — I 66 Y 2 27 8 45- 5 6 8 48. 44 46. 93 — O 25 1 2 52. 9 4 6 39- 7 5 46 86 + 1. 1 \ d 1 1 1 io. 8 38. 4 4 6 45-43 53.68 -f- 1. 26 d 2 26. 8 38. 1 4 6 44- 05 54. 66 + 1. 72 Giugno 29. Y Ophiuchi (osservatore G. Bemporad). — 1. 67 — !• 57 — 1. 49 + 1. 19 i + i- 74 2 1 8 25. 7 3 5 41. 60 35.01 — '■47 Y 1 29. 7 ON CO 4 6 46. 50 36. 86 — 1. 34 Y 2 55- ' 58.. 4 6 47. 88 44. 83 — 1. 13 I 2 38. 8 2 4 38. 90 46. 25 Giugno 30. Y Ophiuchi, 0 Ceti. Y 2 0 15 8.7 20. 8 46. 9 67. 9 69. 7 6 4 47- 72 44. 81 37- 50 36. 14 61. 36 49. 18 — 1. 66 — 1. 41 — 1. 96 Luglio 1. R Hydrae, Y Ophiuchi, d Serpentis. R 1 O O CO 75- 3 4 8 35-43 27- 50 — 1 29 Y 1 29. 0 44- 7 6 9 48. 92 38. 2 1 — 1 74 2 1 45- 6 6 9 45.69 37- 53 — 1 3 3 2 3 >1 13-9 4 6 48. 70 47- 02 — 0 13 d 1 32. 7 37. 5 6 8 57. 86 49- 75 + ' 32 d 2 48. 5 37- 4 3 6 55- 75 44- 66 — 1 80 2 I 59. 2 4 6 49- 85 43- 38 — 1 05 -fo. 63 — 1. 70 — 1 . 29 — o. 04 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 19 •* T. M. Dist. N. Med. in mm II Catania zen. 1 II 1 11 ■» i li T. M. Dist. N. Med. in mm . A Gr. Catania zen. 1 11 1 | Il Luglio 4. Y Ophiuchi. h ni o Y I 9 39. 5 47- 3 6 8;49- 39 OO OO rr' — I. 87 2 I 48. 9 14 3 47- 3 3 41. 03 — 1 . 03 3 2 » 3 4 47- 60 47- 53 — 0. 01 2 1 IO SS. 6 4 4 46. 23 40 05 — 1. 0! 3 2 » 3 4 43- 67 46. 25 +0. 42 ■> I 1 1 2. 3 4 5 47- 88 38. 62 — 1. 50 2 3 » 3 4 46. 7 3 47. 88 -4-0. 19 2 1 Vi 0° 16 9 46. 32 37. 86 — I. 41 2 3 5 3- 9 6 8 17- 6 1 47- 62 0, OO Luglio 5 . Y Ophiuchi Y 1 9 52. 5 46. I 7 8 49- 34 3Q. 08 — I. 67 Y ! 10 17. 2 44- 6 6 8 49- 03 38. 98 — I . 68 2 I 32.4 4 6 44 78 36 64 — I. 02 3 I 37- 6 4 6 47- 89 38.83 — ! . 47 *> ■> 2 I ! 3- 2 4 6 48. 4l1 48. s 2 +0. 02 Y I 25 4 44 2 4 6 48 48 37. 48 — I. 79 1 2 33- 1 4 6 3». 30 45- 82 4-1. 22 Luglio 6. R Hydrae, Y Ophiuchi. Calma assoluta. Cielo 3. R 1 9 17. 6 58. 6 6 8 36. 9' 28 26 Y 1 io 10.9 44- 7 6 8 49. 98 39. 98 2 1 18. 5 6 8 47. 62 39. 27 2 3 53. 0 4 6 45.48 46. 28 ! 3 11 4-4 6 9 38. 34 46 3 5 1 2 34- 9 4 7 36. 38 43. 64 Y 1 49. 9 45-7 6 8 48. 39 39. 18 — 1 ■ 4 » — 1. 63 — 1. 36 +0. 1 3 -+ 1. 30 — 1. 18 — 1. 50 Luglio 7. Y Ophiuchi. Cielo 1. Nuvole a N Y 1 8 46. 6 52. 0 Y 1 9 20 4 48. 2 2 I 29 7 e W. Vento moderato. 49. 78 36. 8 2 1 — 2. 10 50. 50 46. 48 37. 58 —2. :o 38. 58 1 — 1. 28 Luglio 8. Y Ophiuchi, R Cassiopeiae. Y 1 8 59.6 30. 0 8 11 48.83 3'- 40 — 2. 18 2 1 9 59- 3 4 6 47- 23 37. 88 -1. 52 3 ' io 3. 0 4 6 47 40 37- 87 -I- 53 3 2 40. 5 4 6 43. 80 45- 34 — 0. 07 1 2 46. 3 4 6 38 63 45. 76 + 1. 15 1 3 56.0 4 6 39- 00 47- 23 + i- 33 2 3 11 19 4 6 46. 35 46. 74 +0. 03 Y 1 39- 5 45- 5 6 947.82 3 4.71 —2. 13 A stima per R Cassiopeiae: i2h 5'11 a 1 R 3 b. Gr. conclusa nm.6. Luglio 9. U Virginis. Y Ophiuchi. U 3 9 9-9 57- 2 6 Y 1 io 0. 4 44 6 8 2 I 40. 6 2 3 1 45- 2 4 5 2 54. 8 4 1 2 11 0. 6 4 1 3 13- 7 4 2 3 18. 1 4 Y 1 29. 0 45- ' 4 2 1 35-4 4 9 24. 40 2 1 19 — 0. 52 IO 50. 20 36. 98 — 2. 15 5 43- ■3 34- 93 33 7 44 38 36 30 31 6 44 53 44- 21 — 0. 05 5 36. 7 3 43- 92 + 1. 17 6 38. 3 5 46. 65 -fi. 35 7 46. 15 47- 75 +0. 26 6 48. 3 3 35- 1 2 — 2. 1 1 6 44- 45 35- 87 — l . 39 Luglio io. R Hydrae, Y Ophiuchi. R i 9 2- 5 58.8 7 8] 38. 77 1 29. 52 1 2 9. 0 I7 4130. 71 38. 18 h in o Y 1 9 50 7 ! 44 9 8 1 1 .,8. 58 35. 24 — 2. 17 2 1 lo 39 7! 4 6I44. 68 57-07 -1. 23 3 1 46 4 4 6 44- 85 36- 54 -i. 35 3 2 1 1 2 5 4 5 46. 00 46. 68 +0. 1 1 1 2 9 4 4 6 36. 43 45- 33 -M. 44 1 3 34 3 1 4 6 34 05 43- 39 -fi. 51 2 3 39 8 4 6 44- 48 44 00 — 0. 08 Y 1 48 5 46 8 4 6 49- 20 36. 56 — 2. 08 2 » I 2 17 2 2 4 42. 35 34.28 - i. 3i 3 I 20 5 2 4 41 50 3 3- 70 — 1.27 3 2 25 5 2 4 43- 70 43- 75 +0. 01 1 2 28 3 ! 2 4 ;;6. 90 43. 30 -+- 1 . 04 1 3 34 4 2 4 38. 05 44. 60 -fi. 06 2 *> 3 37 6 2 4 14- 80 44. 65 —0. 02 Luglio 11. U Virginis, Y Ophiuchi, d Serpentis. U 3 8 43- 2 53 7 8 IO 23- 64 19. 20 — 0. 72 Y 1 9 40. 4 45- 3 2 4 49- 95 37- 63 — 2. 00 2 T 44 0 2 4 45- 95 38. 52 — 1. 20 1 2 50. 2 2 4 36- 3° i 4 5 - 88 ~f 1 • 5 5 Y 2 53- 4 44 6 1 4 52. 35 46. 50 0. 95 2 Y IO 0. 0 44- 3 2 4 47- 25 5 1 . 08 +0. 62 1 Y 3- _ / 44- 1 2 4 39 65 51. 65 + 1-95 d 1 1 1 9- 3 37- 4 2 4 57- 70 46. 25 — 1 . 86 2 1 12. 5 2 4 42. 80 46. 60 -f 0. 62 1 2 1 8. 3 2 4 49- 40 44 75 -0 75 d 2 2 1 . 7 37- 5 2 4 57- 70:43.48 -2. 31 1 d 3°. 2 37 8 2 4 49- 55 56. 08 — {- 1 . 06 2 d 33- 3 38. 0 2 4 42. 90 56. 35 +2. 18 Luglio 12. S Ursae min., Y Ophiuchi, d Serpentis, 0 Ceti. Cielo 1. ^ di 6 g. nel i° turno. Cielo caliginoso, specie all’ orizzonte nel 20 turno. S 2 8 47 5 4i. 6 8 IO 17. 81 22. 75 Y 1 '4 19. 8 69. 3 2 4 44 io 33- 05 2 , 1 22 9 2 4 40. 90 30. 78 1 2 28 7 2 4 29 70 41.43 Y 2 3 K 9 7i. 5 2 4 44- 50 40 80 2 Y 38. 4 72. 7 2 4 38. 00 42. 25 1 Y 41. 4 73- 3 2 4 c 0 ON ri 4i. 33 d 1 5 5- 4 65 0 2 4 50.05 38. 95 2 1 15 0. 5 2 4 38.45 40. 13 1 2 4 2 67- 2 4 41. 25 37. 93 d 2 7- 3 5 2 4 49- 50 37. 28 2 d 1 2. 1 68. 4 2 4 36. 40 49- 43 1 d 14. 7 68. 9 2 4 41.10 50. 3 5 0 1 35- 5 61. 7 8 8 64. 70 49- 47 +0. 81 — '• 79 — 1 . 64 -f- 1. 90 — o. 60 +0. 6 1 4- 2. 00 — 1 . 80 + 0. 27 — o. 54 — 1. 98 +2. 1 1 4- 1. so -2.47 Luglio 13. Y Ophiuchi, d Serpentis. Cielo 1. Giornata caliginosa. Di prima sera nu- vole dense. £ di 7 g. Y 1 9 24 9 45- 8 2 2 1 28. 2 2 1 2 IO IO. 1 2 Y 2 13. 0 43- 7 2 2 Y 20. 0 43- 6 2 1 Y 23- 1 43- 6 2 Y 1 30. 7 43- 6 2 2 1 34- 3 2 d 1 1 1 IO. 3 37- 5 2 2 1 I 2. 4 2 1 2 l6. I 2 d 2 l8. 5 37 7 2 2 d 2 2. 1 37- 7 1 1 d 23- 8 37- 8 1 4 46. 90 33. 48 4 4 4 4 4 4 4 4 2 2 2 2 2 45- 70 35- 20 37 75 44- 75 48. 95 44- 65 43- 75 49 43 37- 05149- 43 48. 45 36. 55 46. 55 36. 23 53- 7o 43- 55 38 5o 44. 63 45- 75 39 40 52. 95 40. 90 39- 00 54. IO 47- 00 53- 35 —2. 18 — 1 . 70 4-1. 14 — o. 70 4-0. 92 4-2. 01 -1.93 — 1.67 — 1 . 66 4-1 . 00 — 0. 71 -1.95 +2. 45 -fi. 03 20 4. Beni por ad | Memoria I.] « T M. Dist. N. Med. in mm. 1 II Catania zen. 1 II I II Y Gr. Luglio 14. U Virginis, Y Ophiuchi. Cielo 3 (caliginoso al mattino, poi sempre più chia- ro splendido la sera) . C di 8 g- li m O U 3 8 37- 9 38. 6 6 8 23 54 16. 33 1.17 Y 1 IO 3 5- 3 44- 4 2 4 52. 45 37- 55 —2. 42 2 1 58. 3 2 4 45- 55 38 20 -1. 19 1 2 1 1 6. 3 2 4 39- 40 45- 95 -+- 1 . 06 Y 2 ' 9-9 45- 1 2 4 5 2 90 45- 88 — 1. 14 2 Y '8. 3 43. 8 2 4 46. 50 50- 53 TO. 65 1 Y 23. 0 46. 0 2 5 38. 00 50. 36 -1-2. 00 2 1 50. 9 2 4 44. 40 34- 65 — I. 58 3 1 34-0 2 4 43. 00 36. 3 5 — I. 08 3 2 1 2 0 4 2 4 46. 00 44. 30 — O. 28 1 2 58 2 4 39- 35 44- 75 tO. 88 1 3 1 f . 7 2 4 36 50 46 80 + 1. 67 2 3 15. 2 > > 3 43- 47 45- 73 ■4-0. 04 Luglio 15. R Hydrae , Y Ophiuchi, d Serpentis , 0 Ceti. € di 9 g- poco lontana dal luogo di R Hydrae. R 1 8 41.4 72.8 8 IO 3 3 5 5 22. 4i — I. 81 Y 1 9 34-4 44- 7 2 4 17- 50 36 53 -i- 78 2 1 38.3 2 4 46. 93 37- 20 -I. 58 1 2 45.0 2 4 39 °o 47- 40 -Ri. 56 Y 2 48 7 44 1 2 4 50 20 47- 58 — 0. 42 2 Y 53- 2 4 3-9 2 4 48, 80 50. 98 -t-o. 3 5 1 Y 38. 3 43- 8 2 4 40. 45 50. 90 -Ri. 70 d 1 1 1 12. 8 37- 7 2 4 56-75 45- 35 — 1 • 85 2 1 13. 9 2 2 41. 80 45- 35 -Ri. 58 1 2 22. 3 38.2 2 2 46 30 42. 20 — 0. 67 d 2 23. 9 2 2 54 50 42. 75 -1.91 2 d 31.4 38. 5 2 2 42. IO 56. 55 — R2. 34 1 d 34- 3 38. 2 2 2 46.95 57- 20 -4— i . 66 Y 1 12 0. 8 50. 0 2 2 48. :o 37- 05 — 1. 79 2 1 3- 8 2 2 47- °5 37- 5° 55 I 2 9 1 2 2 39 5 5 47- 40 -Ri. 27 Y 2 1 2. 0 5»- 3 2 2 49. 00 46. 00 -0. 49 2 Y 17.8 52. 0 45- 50 30. 90 -Ro. 88 1 Y 20. 8 52. 4 2 2 38. 60 49- 65 -Ri 79 d 1 !3 i. 5 48. 0 2 4 52.75 44. 23 38 2 1 3. 0 2 4 38. 5 5 44- 63 -LO. 99 d 2 .0. 5 49- 3 2 4 54. 85 40. 93 — 2. 2Ó 1 2 i3-7 2 4 46. 5 3 40. 45 -0. 99 2 d 19. 5 50. 7 2 3 40. 95 55- 08 -R 2. 29 1 d 22. 4 51. 1 2 3 46. 20 55- 18 -Ri. 46 0 1 14 .4 . 74-3 8 IO 61.43 48. 28 — 2. 14 0 1 49- 7 67. 6 6 8 63. 69 50. 37 — 2 16 Luglio 16. Y Ophiuchi € di IO g. Y 1 9 20. 2 45- 3 2 4 45. 30 35 48 — 1 . 60 2 1 23.4 2 4 42. 80 35 30 — 1. 22 1 2 28. 8 2 4 37-45 45 33 -RI. 2’8 Y 2 3'- 3 44- 7 2 4 48. 23 43 75 -0. 73 2 Y 38. 9 44- 3 2 4 45-85 49 35 -Ro. 57 I Y 43. 2 44- 2 2 4 38. 05 50 25 Ri. 98 Luglio 17. Y Oph., d Serp., 0 Ceti (colore GB-R). (C di 11 g- Nel 2 0 turno cielo fosco a E. In ultimo chiarore dell’ alba. Y 1 9 0. 8 46. 4 2 4 44. 40 34- 00 — 1. 69 2 1 3. 0 2 4 43. 20 34- 00 -1. 49 I 2 8. 9 2 3 37-25 42. 70 -Ro 88 Y 2 12. 5 45- 6 2 3 46. os 42. 63 -0. 55 $ T. M. Dist. N. Med. in mm. II Catania zen. 1 II I J 11 li ni o 2 Y 9 18.8 45. 2 2 4 42.05 4 5 . 60 , -R 0. 58 1 Y 23- 5 44- 9 2 4 3 5- 60 44. 80 -Ri. 49 d 1 IO 12. 4 38. 0 2 4 5 3 - °° 44. 28 -1.4! 2 1 16. 0 2 4 40. 50 45- 53 -Ro. 81 1 2 22. 8 2 4 46. 05 40.44 -0. 90 d 2 26. 5 37. 6 2 4 55- 75 4o. 5 5 — 2.47 2 d 33- 5 37-4 2 4 42. 25 55- 15 +2. 09 1 d 3 5- 4 37-4 2 4:47- 30 55- 15 -RI. 27 0 1 '5 24. 8 60. 1 66. 22 53. 26 — 2. I I A stima: ish44m a 2 R Cass. b invis.; R a stento. Gr. conclusa nm.7. Luglio 18. Y Ophiuchi, d Serp. 0 Ceti. Cielo x. Nel i° turno forte chiaro di (£) (età 12 g.). Nel 20 turno cielo fosco , immagini cattive. A giorno fatto comincia a spirare il ponente caldo, che intorbida 1’ atmosfera. Y 2 1 Y 2 r d 2 1 d 2 1 0 1 1 2 2 Y Y ! 1 2 2 d d 1 9 io 15 32. I 44. 6 2 4 42. 30 29. 88 — 2. 01 34. 8 2 4 42. (So 30. 70 - 1. 96 39- 4 2 4 52.75 39- 60 -Ri. 1 1 41. 7 43- 9 2 4 42. IO 39- 63 — 0. 40 48. 8 43.8 2 4 39. 70 4'-70 -Ro. 32 50. 9 43- 7 2 4 31. IO 4 1 . 68 -Ri. 72 2. 5 38- 3 2 4 50. 20 42. 58 — I. 24 5- 2 2 4 36. 80 40. 70 -Ro. 63 17. 9 2 4 42. 50 40. 85 — 0. 27 20. 6 37. 6 2 4 5 3. 20 42. 60 — 1. 72 28. 0 37- 5 2 4 40. 00 54. 78 +2 40 32. 1 37-4 2 4 44. 40 56. 28 — 1-93 34- 1 57- 9:8 IO 66. 5 2 52. 04 — 2. 35 Luglio 19. R Hydrae, Y Ophiuchi, d Serpentis. (£ (di 1 3 g.) quasi nel verticale di Y Ophiuchi. R 1 8 41.0 74- 1 4 3 3>- 30ÌI9- 63 Y 1 9 20. 2 44. 6 2 4 43- 03 34- ' 3 2 1 23. 8 2 4 43- 20 34- 3 5 I 2 31.6 2 4 35- IO 4 1 . 80 Y 2 34 7 44.0 2 4 44 80 42. 35 2 Y 41. 1 43 9 2 4 41. 95 44. 15 1 Y 44- 1 43-8 2 4 34- 60 44.98 d 1 1 0 22. 4 37- 5 2 4 52. 55 42. 43 2 1 26. 7 2 4 37- 70 43-45 1 2 35- 4 2 4 43- 50 59 63 d 2 39 8 37- 4 2 4 55- 75 39- 85 2 d 49- 2 37- 5 2 4 42. 50 56. 15 1 d 53- 1 37.6 2 4 44- 25 55- 50 — 1. 89 -1. 45 -1.44 + 1.09 — o. 40 -Ro. 36 + 1. 68 — 1 . 64 + o. 93 — o. 65 — 2. 38 -4-2. 21 + 1. 83 Luglio 20. Y Ophiuchi, 0 Ceti. 0 di 14 g. (nel 20 turno al tramonto). Y 1 9 8. 2 45- 1 2 4 43- 50 33. IO — 1. 69 2 I II. 5 2 4 40.75 34- 15 — 1. 07 I 2 ió. 8 2 4 33-45 42. 60 -Ri. 48 Y 2 21. 1 44.4 2 4 45. 60 42. 60 — 0. 49 2 Y 22. 7 44- 3 2 4 42 70 45- 20 -Ro. 41 I Y 25. 5 44- 2 2 4 33- 75 44. 58 -Ri. 76 0 1 1 5 3 3-4 56. 7 8 IO 69. 22 5 3- 24 —2. 59 Luglio 21. U Virginis, Y Ophiuchi, d Serpentis. C piena. U Y 2 I I I 1 2 9 0. 1 57. 0 6 8 26. 83 39- 4i 51.9 43- 6 2 4 46. 75 34. 78 56. 5 2 4 42. 80 35- 15 io 8. 9 2 5 34. 20 44 53 -f-2. 05 — I. 94 — I. 24 + 1. 68 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 2 1 T M. Dìst. N. Med. in mm. * T . M. Dist. N. Med. in mm. A Gr. I II Catania zen. I 11 1 II A Gr. I II Catania zen. 1 11 ! li 1 in 0 1 m 0 Y 2 IO 13. 1 43- 9 2 4 46. 65 45-03 — 0. 26 Y 1 1 1 0. 0 47-7 4 4 48. 88 37- 25 — 1. 89 2 Y 28.8 44. 4 2 4 44. 50 48. 5 3 +0. 65 Y 2 » » 4 4 48. 88 44- 00 — 0. 79 I Y 32. 2 44- 6 2 4 56. 20 48. 38 + 1. 98 1 2 » 2 4 36. 65 44 00 4- 1 • i9 d 1 43-2 37- 5 2 4 55. 55 44. 00 -1.87 Y 2 i6. 5 49-4 4 4 50. 18 45- 95 — 0. 69 2 1 47-7 2 4 qO. 20 46. 05 +0. 95 Y 1 » » 4 4 50. 18 37 79 — 2. 01 I 2 58.2 38. 2 4 47. qo 4° 28 — 1. 24 2 1 » 4 6 38. 28 45- 93 — 1. 24 d 2 1 1 2. 1 2 2 4 57-75 40. 85 --2. 74 d 1 12 0. 2 44- 4 8 6 54- 73 44. 42 — 1. 67 2 d 12. 5 38. 8 I 4 41. 00 56. 08 4-2. 45 d 2 » » 8 5 » 41. 04 --2. 22 I d 16. 7 39- 1 2 4 47. 00 57- 88 + '•77 Luglio 22. LI Virginis, Y Ophiuchi. Luglio 26. R Hyd , U Virg., Y Oph. , d Serp., 0 Ceti. C di 16 g. R 1 8 56. 3 77- 3 4 6 30- 15 28. 73 — 1 . 69 u ! 8 56. 9 57- 2 4 5 24. 45 35-99 + i- 87 U 3 56. 1 60.0 4 6 29. 15 20. 14 — 1. 46 U 4 9 4. 9 58. 7 4 6 24. 83 24- 31 - 0. 08 Y 1 IO 2 2. 4 50. 5 8 8 5 1. 68 37- 78 —2 26 Y 1 IO 8. 1 45- 9 2 4 46. 30 34.40 — 1. 93 Y 2 » » 8 8 » 46 43 — 0. 85 2 1 11. 8 2 4 43- i) 34- 13 — 1. 46 d 1 1 1 o-7 39 3 8 6 5 5 5 7 46. 43 — 1. 48 I 2 24. 6 2 4 3 b 20 44- 95 4 1. 42 d 2 » » 8 7 » 40. 16 — 2. 50 Y 2 29. 1 44- 6 2 4 45. 60 43. 65 — 0. 32 (j 1 i5 42. 2 51.8 4 6 69. 48 54- 68 — 2 40 2 Y 37- 5 45' 1 3 3 _)2. 80 48. 19 +0. 87 0 3 53- 7 50. 2 4 6 69. 63 52. 40 —2. 79 I Y 40. 8 45- 3 2 4 32. 2) 15- 85 +2 21 Luglio 27. R Hydrae, U Virginis, Y Oph. d Serp., Luglio 23. Y Ophiuchi, 0 Ceti. 38. 20 28. Colore di 0 Ceti meno giallo che nei giorni precedenti R 1 8 3M 77- 9 4 6 42 — 1. 59 (BG). C in ambedue i turni (età 17 g.). U 3 54- 8 òo. 5 8 6 30. 58 21. 35 — 1. 50 56. 4 47. 60 U 4 » » 8 7 » 27. 40 — -o. 52 Y ! S 43- 1 3 4 34. 00 — 2. 21 Y 1 IO 9. 2 44- 6 8 8 50. 99 56. 67 — 2. 3 3 2 1 9 1 7 2 4 44 30 34- 35 — 1. 61 Y 2 » » 8 8 » 45- 96 — 0. 82 1 2 IO. 2 2 4 35- 50 44- '5 4- ' • 40 d 1 1 1 8-5 40. 2 8 7 54- 79 46. 53 — 1. 34 Y 2 13. 8 44. 2 2 4 48. 20 44- 35 — 0 62 d 2 r> » 8 1 1 » 40. 4i — 2. 33 2 Y 21.4 44- 0 2 4 45- 40 47- 20 -fo, 29 Y 1 39-o 53- 1 8 8 49- 99 37- 57 — 2 02 1 Y 25- 5 43- 9 2 4 36 40 46. 25 4 1. 60 Y 2 » » 8 7 » 45- 64 — o, 7i Y 1 IO 39 3 45- 4 2 5 48. 00 35- i3 —2. 09 2 1 47. 2 2 41-45 3 5 - 78 — 1. 4 1 1 2 55- 5 2 4 35- 03 44- 38 4-1.51 Luglio 28. li Cephei, W Virginis, Y Oph , S Ursae Y 2 >0 1 46. 9 2 4 47 30 44- io — 0. 52 min , d Serp , 0 Cet . 2 Y 1 1 5- 4 47- 5 2 4 45- i) 47- 60 -t-o. 40 Cielo 3. Dopo le i2h C quasi nel vert. di 0 Ceti. I 0 0 Y [ 3 '5 9- 2 42. 8 56. 5 47- 53- 5 ’• 8 4 4 *> 8 4 4 1 1 6 35- 50,47- 03 63 • 64 >2. 54 66. 08 47. 89 4 1 ■ 87 -2. 13 —2.95 U U W 1 1 1 9 0.8 3-9 28.9 56. 2 56. 1 74. 2 4 4 6 6 6 8 40. 18 40. 90 20. 85 36 37 37 52 5i 99 — 0. — 0. -t-2. 59 55 7» Luglfo 24. C (di 18 g 3 Ursae min. Y Ophiuchi. ) a E nelle osservazioni di Y Ophiuchi. U U Y 1 1 1 IO 48. 9 52. 5 24.4 54. 6 54- 4 458 4 5 7 6 t 34. 88 36 04 50. 34 34 35 35 98 75 89 + 0. — O — 2. 02 05 35 S 2 9 22. 0 43- 1 4 6 1 7- 95 21. 44 +0. 57 Y 2 » » 7 l 45 5 1 — O 79 1 2 27. 4 4 6 36. 08 23.61 —2. 02 U 1 44- 3 52. 5 4 6 31.23 36 40 H-o. 84 Y 1 IO 38. 0 45- 6 2 4 51. 35 59. 08 - — 1 ■ 99 u 1 1 1 27. 8 50. 9 4 6 3 3- 5o 38 92 +0. 88 2 1 41. 5 2 4 48.65 38. 50 — 1.65 s 2 48. 2 49. 9 5 7 18. 45 23 14 -4 O. 76 I 2 51- 1 2 5 37- 50 46. 01 4-1.38 u 1 12 4-9 49- 5 4 30. 95 34 03 -ho. 50 Y 2 54. 6 46. 9 2 4 48. 20 45. 50 —0. 44 u 1 29.4 48. 7 4 6 29. 50 34 12 -fo. 75 2 Y 1 1 3-4 47- 7 2 4 45-45 49. 85 4-0. 71 Y 1 56. 3 65- 7 8 7 48. 08 34 68 — 2. 18 I Y 6.8 48. 0 2 4 35 00 49- 38 42. 35 V 2 » » O / » 43 7° — 0. 7i 2 1 32 4 2 4 -13- 85 32. 98 — 1.76 u 1 '3 20. 7 47.0 4 6 37. 20 35 48 — 0. 28 3 i 35- 7 2 4 43 40 3 5- 23 — i- 33 d 1 48. 8 04. 6 8 7 54. 18 45 66 T # 38 I 3 43. 2 2 4 57- 75 42. 90 4o. 84 d 2 » » 8 7 » 39 99 2 . 30 2 3 46.9 2 4 44-95 44. 65 — 0. 05 U 1 '4 13- 5 36. 8 4 6 40 85 35 97 — 0. 79 3 2 52.4 *> > 4 45- 57 46. 1 3 +0. 09 0 1 43- 4 59. 8 8 IO 66. 77 52 34 — 2. 34 I 2 57-4 2 4 38. IO 45- 88 4- 1 . 26 0 3 58. 1 57- 3 4 Ò Dò. 20 49 75 —2. 99 u 1 '5 16. 7 44- 4 4 6 44. 88 36 23 — 1. 40 Luglio 25. R Hydrae y Ophiuchi. u 1 33- 5 44.0 4 8 46. 13 35 5i — 1 . 72 R R 1 2 8 33- 5 46. 2 76. 78. 2 2 4 4 6 6 36.83 36.63 27. 13 32. 46 -i- 57 -0. 68 Luglio 29. Y Ophiuchi, d Serpentis • Y 1 IO 4- 4 44- 1 2 4 49- 55 36. 30 — 2. 15 Y 1 8 39- 3 44- 7 7 / 49. 17 36. 88 ,—2. 00 2 1 8. 2 2 4 45- 5o 37-45 -1. 31 Y 2 » » 7 7 » 46. 1 1 — 0. 50 1 2 18.7 2 4 38. 5 5 47- 75 4- I . 49 d 1 1 1 9-9 41. 1 9 8 54- 79 45 80 — 1. 46 Y 2 22. 1 44- 9 2 5 52- 45 47. 20 — 0. 85 d 2 » » 9 7 » 4i 95 — 2 08 2 Y 32.6 45- 5 2 4 47. 30 50.83 40 57 Y 1 36.7 53. 6 8 9 48. 32 34 36 — 2 27 I Y 35.8 45- 7 2 4 37- 95 50. 13 4-i. 98 Y 2 » » 8 8 » 42. 75 — 0 90 29 A. Bemtoorad [Memoria I.] * T. M. Dist. N. Med. in mm. 1 li Catania zen. 1 li 1 1 11 * T. M. Dist. N. Med. in mm. 1 li Catania zen. 1 11 1 | Il Luglio 30. Y Ophiuchi, h m 0 Y 1 io 36. 7 47- 4 Y 2 » » d 1 II I I. I 41.6 d 2 » » Y 1 co 59- 1 Y 2 » » d Serpentis. 9 9 47- 79 36. 43 — 1. 84 9 7 » 43- 2 1 -0. 75 8 8 56. 12 46. 37 — 1. 53 8 9 » 42. 92 -2. 14 8 8 49- 19 37- 40 — 1. 91 8 8 » 44- 83 —0. 7 1 Luglio 31. li Virg-, Y Oph,. 0 Ceti. Fuochi artificiali vivi e rumorosi a S. Nel 20 turno 0 a E. In ultimo chiarore dell’alba. Colore di 'j Ceti G-K U 4 9 1 5 64. 8 6 9 25- 60 22. 02 Y 1 IO 1 1 7 45- 7 8 7:5°. 24 37. 16 Y 2 » » 8 9 » 45. 29 d 1 1 1 6 3 41. 5 IO 8 55. 34 46.82 d 2 » » IO 8! » 40.43 0 r '5 41. 9 49- 1 9 1 1 70. 09 55. 86 0 3 57- 8 47- 2 6 7 68. 95 51-53 — 0. 58 — 2. 12 — o. 81 -1. 12 — 2. 42 -2. 31 — 2. 83 Agosto 1. U Virg. Y Ophiuchi, d Serpentis. U 4 8 59- 7 65. 2 6 8 28. 06 23- 24 —0. 78 U 3 9 6. 1 71-o 2 3 28. 00 i8. 03 — 1. 62 Y 1 56. 2 45.0 8 6 48 64 37. 04 — 1. 89 Y 2 » » 8 6 » 45. 24 0. 35 d 1 io 35.8 39. 2 9 8 55.66 47- 49 1. 34 d 2 » » 9 9 » 42. 52 —2. 14 Agosto 2. R Hydrae, U Cephei (* di cfr. 1) U Virg. (* di cfr. 3 e 4), S Ursae min., Y Ophiuchi, d Serpentis, 0 Ceti. R I 8 20. 4 79- 1 4 6 34. 30 22. 40 -1.93 U 1 44- 8 56. 1 4 6 4 1. 08 WJ VI VI 00 -0. 89 U I 48. 7 56. 0 4 6 41-45 35- 72 -0. 93 U ) ) 9 3-9 74- 3 2 3 30. 25 18. 50 -1.91 u 4 9-9 75- 5 3 6 29. 58 24- 95 — 0. 75 u 1 26. 1 54- 7 4 6 37. 28 36. 28 — 0. 16 u 1 29. 0 54- 6 4 6 37. 80 36. 73 — 0. 17 s 2 44- 1 44- 9 6 4 1 Q. 7 1 2 1 . 80 +0. 34 u ! IO 4. 6 53 3 4 6 33- 58 35-77 -ro. 36 u : 7. 2 5 5- 2 4 6 32. 63 36. 22 +0. 58 u 1 5 1 • 4 5 '• 5 4 6 32. 40 37- 36 4-o. 81 Y 1 1 1 19. 6 53- 7 7 7 48.04 34- 5 ' — 2. 20 Y 2 » » 7 9 » 43- 4 i — 0. 70 U 1 1 1 45- 5 49- 5 4 8 31. 72 36. 19 + 0. 7} U 1 12 41.8 48. 6 4 7 31. 88 34- 95 + 0. 50 Y ! 13 io. 0 7i- 7 8 7 44-69 34. 66 — 1.63 Y 2 » » 8 8 » 42. 17 —0. 4 1 d I 13 37. 2 66. 0 IO 7 53- 92 43.88 - 1. 63 d 2 » » IO 8 » 38. 69 —2. 47 U I 14 0. 5 45- 4 1 7 4i. 78 35- 45 -1.03 U I 3-4 45. 4 4 7 4 1. 60 35- 85 -0. 95 >1 I 25. 6 59- 4 9 1 2 67. 24 52. 1 1 —2. 46 0 3 39- 5 57- 2 4 6 68. 38 CO Gv 6 — 2. 82 u 1 55. 5‘44- 4 4 8 42. 55 34. 00 -1. 39 Agosto 3. Y Ophiuchi, d Serpentis. Y 1 9 26. 6 44* 0 9 8 49- 3i 37- 74 Y 2 » » 9 8 » 45. 80 d 1 IO 12. 4 V) CO VA» 7 8 53.03 44. 46 d 2 » » 7 9 » 38.89 Agosto 4. Y Ophiuchi, d Serp., 0 Ceti. In ultimo chiarore dell’alba. h tn o Y 1 8 53- 3 43 6 8 IO 48. 35 36 45 — !. 94 Y 2 » » 8 8 » 44 47 — O. 63 d 1 9 33- 4 37 4 8 9 55.06 46 62 — I . 37 d 2 > » 8 9 » 43 5' — I 86 Y 1 IO 32 0 48 9 8 7 45- 20 34 48 — I. 74 Y 2 » » 8 7 » 42 85 — 0. 38 0 1 '5 52- 3 46 1 8 1 2 68. 42 55 90 2. 00 0 3 16 6. 0 44 7 4 6|68 60 53- 20 — 2. 50 Agosto 5. U Virg., Y Oph., d Serp., U 4 8 54- 4 67. 8 4 6 30. 78 24 05 — 1. 09 u 3 59- 1 68. > 2 3 30. 3 5 15. 80 — 2. 36 Y 1 1 1 43 4 58 q 8 8 47- 55 37- 59 — 1 . 62 Y 2 » » 8 8 » 45 94 — 0. 27 d 1 12 I I. 3 O" ■A 8 7 54.96 4-6. 99 — 1. 29 d 2 » » 8 8 » 4141 — 2 20 Agosto 6 . L Virg . , Y Oph • ) d Seri ). U 4 8 28. 1 63- 3 8 9 34- 64 26 82 — 1. 28 U 3 » » 8 8 » 2 1 . 68 — 2. 1 1 Y 1 9 IO. 1 43-9 IO 8 48. 15 37. 39 — 1 . 75 Y 2 » » IO 6 » 46. 67 — 0. 24 Y 1 1 1 00 r/'\ 3 co 8 7 46. 83 36. 36 — 1. 70 Y 2 » » 8 8 » 46. 16 — 0. 1 1 d 1 12 3- 9 52.4 8 6 54- 28 45- 34 — 1. 45 d 2 » » 8 8 » 39- 7 4 — 2. 36 Agosto 7. U Cephei (* di cfr. 1), U Virg. (* di cfr. 3 e 4), S Ursae min., Y Oph,, 0 Ceti. Colore di quest’ ultima G — . U 1 8 23- 6 56. 2 4 7 41. 60 36. 72 -0. 79 U 1 28. 1 56 0 4 6 40. 78 37- 33 — 0. 55 u 4 50 7 75-6 8 6 32. 62 25- 46 — 1. 16 u 3 » » 8 7 » 18. 95 — 2. 22 u 1 9 IO. 7 54- 5 4 4 3 3-65 52. 3 3 — 0. 21 u 1 IO 32. 8 5i- 5 4 6 3°. 23 35- 34 + 0. 83 s 2 57- 6 48. 9 6 4 19. 16 23. 05 tO. 63 u 1 1 1 14. 2 50. 0 4 7 33- io 36. 74 +0. 59 Y 1 41. 4 59. 8 9 8 45- 77 3 5 73 — 1 . 62 Y 2 » » 9 7 » 43- 34 — 0. 40 u 1 1 2 9- 5 48. 0 4 6 VA» N» cc 0 35- 68 +0. 47 d 1 44- 3 60. 0 9 0 55- 84 45- 99 — I. 60 d 2 » » 9 8 » 4'- 63 -2. 31 U 1 '3 14. 6 46. 1 5 6 40 74 35 72 —0. 81 U 1 18. 1 46. 0 4 6 41. 08 35- 38 — 0. 92 0 1 '4 4- 6 56. 7 8 IO 65. 37 52- 02 — 2. 17 0 3 26. 4 56. 1 4 6 67. 30 5i. '7 — 2. 62 U 1 45- 6 44- 3 4 7 45- 70 36. 77 — 1 . 29 Agosto 8 . U Virg , Y Oph., d Serj. ). U 4 8 26. 5 69. 7 6 9 29. 92 24- 74 — 0. 84 Y 1 59- 7 43. 8 8 8 47 67 36. 53 — I. 8l Y 2 » » 8 8 » 46. 5 5 — 0. 19 Y 1 IO 35- 6 51. I 8 I n 47. 80 )6 90 — I. 77 Y 2 » » 8 9 » 46. 09 — O. 28 d 1 1 1 i5- 2 66. } 8 6 53 i' 44- 93 — I. 32 d 2 » » 8 7 » 42- 16 -I. 78 Agosto 9. Y Ophiuchi. Cielo 1. Nuvole a W, che poi si stendono a S e fino allo Zenit. Y 1 Y 2 841. 4 1 4 3 . 618 » I » 8 49. 06 36. 70 46. 55 — 1. 96 — 0. 36 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 23 Mi T. M. Dist. N. Med. in mm. 1 11 Catania zen. i il 1 II Agosto io . U Virg., Y Oph., d Serp. h m o U 4 8 18. 7 71 .6 6 8 29. 19 23 4i — 0. 94 Y 1 5«- 5 43 .8 8 7 4«- 37 37 15 -1. 82 Y 2 » » 8 7 » 47 41 — 0. 16 d 1 9 28. 1 37 .6 8 8 56- 55 48 99 — 1. 23 d 2 » » 8 8 » 42 95 — 2. 21 Y 1 IO 34- 0 5i .8 8 9 46. 62 36 24 — 1. 69 Y 2 » » 8 8 » 13 49 — 0. 51 * T. M. Dist. N. Med. in mm. A Gr. I II Catania zen. Il 1 II Agosto 21. f Ophiuchi 0 Ceti. 1 ni O Y 1 9 27. 1 49. 1 8 IO 46. 94 37 .08 — 1 60 li 2 » » 8 IO » 45 43 — 0 23 0 1 '5 49. 4 41.4 8 12 63. 70 5 3 18 — 1 7 1 * 3 16 15- 5 40. 9 IO 14 61. 36 48 09 —2. 15 Agosto 22. Y Ophiuchi. (f, di 1 8 g. all’orizzonte. Agosto ii. Y Ophiuchi. Giornata nuvolosa e piovosa, serata buona. Y 1 IO 40. 2 53- ' 8 8 46. 87 35. ! 8 Y 2 » » 8 7 » 42. 46 Y 1 12 2. 3 65.9 11 io 47. 26 54 63 Y 2 » » 1 1 7 » 43- 73 Agosto i2. o Ceti (colore G— ). In ultimo chiarore dell’alba. o o 1 5 57-5 16 14. 4 42. 8 41.8 9 1 1 1 66. 46 4 7 1 66. 00 55.92 50. 25 — 1. 71 —2. 56 Agosto 14. 0 Ceti (colore G). Alle i6h spari in vicinanza. 0 0 1 3 15 50. ? 42. 8 8 16 5. 7 41-9 4 10169. 54 ! <,6. 88 — 2. 06 6169. 25 1 5 3. 92 —2. 49 Agosto 15. Y Ophiuchi. di 11 g. quasi nei verticale di Y Oph. Y 1 9 19. 6146. 2 7 7 48- 77 36. 37 — 2. 01 Y 2 » | » 7 8 i » 44- 61 — 0. 66 Agosto 17. U Virginis, Y Ophiuchi € di r3 g- U 1 8 2 1 . 0177. 6 4 r/-\ (N CO (N OO 32. 37 +0. 67 U 4 32. 3 79- 8 4 6 25. 25 16. 39 — 1 . 44 Y 1 9 36. 8 48. 5 8 8 j 46. 82 36. 50 — 1 . 68 Y 2 » » 8 6 » 42. 34 — 0. 73 Y 1 1 1 3.7 6c. 1 9 q 47. 38 34- 32 — 2. 12 Y 2 » » 9 8 1 » 42. 86 — 0. 73 Agosto 18. Y Ophiuchi, 0 Ceti. (0 di 14 g. nel i° turno. Y 1 9 8.0 46. 2 8 9 48. 63 35-63 — 2. 1 1 Y 2 » » 8 8 » 46. 24 — 0. 59 Y 1 56.9 52.4 8 6 47.00 35. IO — 1. 94 Y 2 » » 8 8 » 43. 14 — 0. 63 0 1 15 CO 42. 1 8 1 1 68. 11 57.01 — 1 . 81 0 3 16 7-4 41.2 4 6 68. 25 54.03 — 2. 30 Agosto 19. Y Oph., S Ursae min., (£ (piena). Y 1 8 54-9 45- 5 8 io 47. 69 37-5' Y 2 » » 8 9 » 45. 48 S 2 IO 9. 1 co co’ 5 6 4 14. 66 1 7. 00 — 1.65 — o. 36 -1-0. 38 Agosto 20. Y Ophiuchi. Osservatore stanco nella prima serie di misure. (Q quasi piena. Y 1 8 58.8 46. 2 8 IO 43- 98 33.48 Y 2 » » 8 IO » 40. 92 Y 1 io 18.8 55- 1 8 8 44. 24 31.81 Y 2 » » 8 9 » 40. 14 - 1. 70 - o. 50 - 2. 02 — o. 67 Y 1 CO 44. 9 9 9 48. 12 37- 42 Y 2 >► » 9 1 1 » 46. 49 Y 1 9 4i. 8 51. 2 9 IO 46. 83 36. 52 Y 2 » » 9 8 » 44- 75 Agosto 23. Y Ophiuchi, S Ursae min. C di 19 g- Y 1 L'". 46.8 8 9 -fc- co 4^ 35- 91 — 2. 03 2 8 » » 8 10 » 44. 90 — 0. 57 2 4) 37- 3 46. 2 4 7 20. 68 21. 36 +0. 1 1 2 IO 52. 8 64. 8 8 IO 46. 94 55- 30 — 1. 89 1 » » 8 IO » 43- 44 — 0. 57 1 1 1 43- 3 70 8 8 12 57-24 48. 52 — 1. 42 3 1 2 20. 1 64. 1 8 IO 59- 98 46. 29 —2. 2 2 4) Confronto eseguito fra i due simmetrici 1 Y 2 Y 1, 2 Y 1 Y 2 relativi a Y Oph. (8h4om.3). 24 A. Bemporad [Memoria I.] T. M. 1 j Dist. N. Med. in mm. 1 II Catania zen. 1 11 I | Il A Gr vjf T. M. Dist. N. Med. in mm. A Gr. 1 II Catania zen. 1 II 1 II Agosto 28. U Virg., Y Oph. Fuochi artificiali vivi e rumorosi in vicinanze. Settembre 4. Y Ophiuchi, 0 Cephei. Posizione assai scomoda per 3 Cephei. U Y Y Y Y h ni o 4 7 51-9 80. 3 6 8 25. 30 18. 5 1 1 8 21.4 45- 7 8 9 47- 67 34- 75 2 » » 8 q » 44. 05 i 9 1 2- 9 SO. 6 8 IO 47 7i 34. 1 1 2 » » 8 io » 42. 67 Agosto 29. Y Ophiuchi. Y 1 8 18. s 4^ co 9 1050. 96 36. 78 -2. 31 Y 2 » » Il IO » 45.09 — 0. 95 Y 1 9 4-0 50.0 l/N od tj* 0 CO 33- 54 —2. 43 Y 2 » » 810 » 43- 37 —0. 83 Y 1 io 39. 8 65. 9 9 io 48. 3 7 i 34. 60 — 2. 23 Y 2 » 9 9 » 4 5. 60 — 0. 78 Agosto 30. U Virg., Y Oph., 0 Ceti. U 1 7 35- 0 78.5 3 4 22. 70 27. 58 -t-o. 79 u 4 43. 2 80 0 4 5 24-75 1 6. 84 — 1 . 28 Y 1 9 6. 0 50 7 9 IO 48. 78 34- 98 — 2. 24 Y 2 » » 9 IO » 43- 33 — 0. 88 Y 1 IO 52. 0 66. 7 9 9 45- 35 30. 86 — 2. 3 5 Y 2 » » 9 9 » 40. 28 — 0. 82 0 1 1 2 2. 8 65. 1 8 1 1 38. 84 49- 88 — 1. 46 0 3 26. 9 60. 9 8 1 1 61. 07 47.76 —2. 16 Agosto 31. Y Ophiuchi. Cielo fosco. Estinzione fortissima. h ni o Y 1 8 47- 1 50 8 .0 8 47. 26 36. 7i — 1. 7i Y 2 » » IO 9 » 4 3- 76 — 0. 49 0 1 IO 9- 0 24. 6 9 1 1 65. 05 64. 58 — 0. 1 2 N 0 2 » » 9 IO » 46. 34 — 3- 03 Y 1 IO 58. 2 71- 3 IO IO 42. 8) 3°- 40 —2. 02 Y 2 » lo IO » 39- 66 — 0. 52 0 1 1 2 4- 4 21. 1 8 7 65. 50 64. 1 1 — 0 23 «s 0 2 » » 8 8 » 46. i3 - 3- 14 Settembre 5 Y Ophiuc hi, % 0 Cephei Y 1 8 56. 1 52. il io 44- 94 34- 39 — 1. 7i Y 2 » » 1 1 8 » 42. 55 — 0. 42 5 1 9 59- 9 27- IO 9 63.11 63. 57 +0. Of N 0 2 » » IO 8 » 46. 36 —2. 72 Y 1 IO 14- 2 64. 2 8 9 42. 53 32 97 — 1 . 55 Y 2 » » 8 8 » 41. i) — 0. 23 3 1 1 1 36. 2 20. s 8 8 62. 62 65. 29 +0. 44 0 2 » » 8 9 » 46. 03 — 2. 70 Settembre 6. Y Ophiuchi, 0 Cephei. Cielo leggermente velato. Y 1 8 7.5I47-4 12 7 45.07 34. 14 — 1. 77 Y 2 » » 12 q » 42. 88 — 0. 36 Y 1 9 13- 1 5 5- 2 io 9 42.67 33.76 — '•45 Y 2 » I » io 7 » 40.78 —0. 3 1 ò 1 11 2.920.8 8 9 60. 24 65. 11 4-o. 79 0 2 » | » 8 9 » 146. 22 — 2. 28 Y 1 8 53- 5 47. 6 9 9|42. 44 3'- 32 Y 2 » » 9 IO; » 38. 65 Y 1 9 52- 4 57- 5 9 8 41. 25 29. 27 Y 2 » » 9 91 » 36. 52 Settembre 1. Y Oph., S Ursae min., Vento moderato (nel giorno forte). Trasparenza straor- dinaria, in gran contrasto colla sera precedente caliginosa. Y 1 8 25- 5 47- 2 8 IO 51.16 36. 1 8 —2-43 Y 2 » » 8 IO » 45- 61 — 0. 90 S 2 8 5 1 • 7 47. 6 4 7 22. 40 23. 68 -+ 0. 21 Y 1 IO 9- 5 60. 8 IO IO 48 99 35-43 — 2. 20 Y 2 » » IO 8 * 42. 25 — I. IO Y 1 IO 53-9 68.4 8 IO 44 89 32. 19 - 2 06 Y 2 » » 8 IO » 40. 24 —0. 76 Settembre 2. Y Ophiuchi. Cielo 2. Nuvole all’ orizzonte. Lampi. Y 2 Y 1 8 26. 4 47- 7! 1 1 IO 9 48. 61 3 5-63 44. 61 —2. 1 1 — o. 63 Settembre 3. Y Oph., 0 Cephei, 0 Ceti. Y 1 8 17. 2 47. 2 IO 9j49_ 40 36. 64 1—2. 07 Y 2 » » IO 9 » - 45- 77|—o. 59 Y 1 9 41. 4 57. 7 9 IO 47- 68 35. 16 | — 2. 03 Y 2 » » 9 9 » 42. 8 1 l-o. 79 3 1 1 1 7.0 21.0 IO IO 02. 90 67. 90 +0. 8 1 3 2 » » IO li » 48. 00 — 2. 26 0 1 1 1 52- 3 64. 2 8 IO ÓO. 70 5‘- 75 — 1. 45 0 3 » » 8 IO » 49- 23 -1.87 Settembre 7. RZ Cassiop., Y Oph., 3 Cephei, 0 Ceti. RZ I 8 16. 1 61. 8 6 9145- 44 37- 27 — 1. 33 RZ 1 9 4- 2 58. 0 6 8 43-75 57- 59 — 1. 00 Y I 3*- 3 58. 5 io IO 44. 38 35. 64 — 1 . 42 Y 2 » » IO 8 » 42. 08 — 0. 58 Y 1 1 0 15- 4 65- 8 8 q 43. 88 3 3- 67 — 1 . 66 Y 2 » » 8 9 » 41. 50 — 0. 39 RZ 1 io 37- 2 50. 0 6 6 39. 82 41. 69 +0. 30 0 1 56. 6 20. 8 8 7 61.14 66. 70 +0 91 3 2 » » 8 7 » 47. 26 — 2. 25 RZ 1 1 1 20. 1 46 2 6 7 42. 00 39. 18 — 0. 46 RZ 1 1 2 0 0 42. 7 6 6 43- 34 38. 66 — 0. 76 0 1 26 3 55- 8 10 9 57 75 ) 2 07 — 0. 93 0 3 » » IO 8 » 49- 43 — i. 35 RZ 1 1 2 32. 4 38. 6 6 6 48. 49 42. 39 — 0. 99 Settembre 8. Y Oph., 3 Cephei, S Ursae min. Verso la fine del 20 turno si alzano nubi da E e da N. Y I 8 23. 0 49. 8 9 9 43. 08 32 97 — 1. 64 Y 2 » » 9 IO » 40 99 -0. 34 0 I 9 26. 7 27. 3 8 8 C od l/S 63 37 + 0. 85 3 2 » » 8 8 » 44 56 — 2. 20 S 2 IO i9- 8 >?• 1 5 6 20. 53 20 74 + 0. 03 % 0 I 16 16. 6 51. 2 9 9 59- '5 62 55 — 0. 55 0 2 » » • 9 9 » 44 29 — 2. 41 Settembre n. 3 Cephei, 0 Ceti. Cielo 1. Giornata nuvolosa e piovosa. (£: (P. Q). Veli lunghi e nuvole a SW. Nel 20 turno strati bassi a S, lampi. Osservazioni di 0 Ceti inter- rotte da nubi. 8 52. 8 29. s 8 9 63- 37 66. 56 » » 8 12 » 47-76 +0. 52 —2. 54 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 25 T. M. Dist. N. Med. in mm. A Gr. * T. M. Dist. N. Med. in mm. Catania zen. 1 II 1 | li I il Catania zen. I II 1 1 11 0 1 15 36. 1 42. 0 8 8 60. 42 5f 85 —0. 91 0 2 9 24. 0 24. 5 8 9 67. 26 49. 51 0 3 » » 8 8 » 50. 48 — 1 . 62 3 1 16 32.9 57- 4 8 7 66. 72 70. 24 3 1 16 17. 3 52.9 8 6 62.95 65. 30 -ho. 38 3 2 » » 8 9 » 52. 19 3 2 » » 8 7 » 48. 16 — 2. 40 0 1 16 33.9 51. 2 3 4 64.40 67. 70 + 0. 54 Settembre 17. ò Cephei 3 2 » 5 5 » 48. 20 — 2. 62 Cielo 2. Di prima sera nuvole e veli este Y 1 8 12. 7 50.4 7 8 45. 68 36 80 Y 2 » » 7 9 » 45- 37 3 1 8 58. 2 28.7 9 9 £>5- 35 69. 70 3 2 » » 9 9 » 50. 03 Y 1 IO 5.0 62. 4 8 8 4 5.9° 36 30 Y 2 16 » » 8 7 » 44- 75 0 1 22. 5 54. 1 8 9 64. 62 69. 3i 3 2 » » 8 8 » Si- 27 3 ! 16 41. 3 56. 5 4 4 64. 24 69. 95 3 2 » » 4 4 » 49- 38 Settembre 12. Y Ophiuchi, 0 Cephei. C di 9 g. — 1.44 — o. 05 +0. 71 -2. 4Q -1. 56 — o. 19 -}-o. 76 -2. I7 +0. 93 --2. 41 Settembre 13. Y Ophiuchi, ò Cephei. Nuvole a E e S nel 20 turno, che in ultimo salgono fino allo zenit. Sereno a NW. 0 di io g. — i-75 — o. 28 +0.95 — 2. 02 +095 — 2. 19 + 0. 85 — 2. 17 Settembre 14. Y Ophiuchi, 0 Cephei. In principio nuvole molto estese a N, che poi si di- leguano. C di 11 g- Y 1 8 12. 1 v/\ p co 9 8 48. 20 37.46 Y 2 » » 0 8 » 46. 46 3 1 9 5 26. 5 8 8 63 85 69. 68 3 2 » » 8 7 » 51. 17 3 1 16 17.0 539 8 7 63. 17 68. 99 3 2 » » 8 8 » 49. 69 3 1 16 39. 2 56.7 4 5 62. 04 67. 24 3 2 » » 4 4 » 48 70 Y Y 0 0 0 •s 0 $ •N 0 8 19- 7 52. 2 9 9 49- 25 37- 44 » » 9 8 9 » 44. 75 9 29- 3 24 7 9 64.49 69. 4 1 » » 8 7 » 49. 01 IÒ I9. 9 54. 8 8 9 67.29 67.89 » » 8 8 » 49- 39 16 43. 2 57-7 4 5 66. 02 67. 05 » » 4 4 » 47-95 -1.91 — O. 73 -fo. 80 — 2. 51 4-0. IO — 2. 90 +0. 17 — 2.93 Settembre 15. Y Ophiuchi, 3 Cephei, 0 Ceti. Cielo 1. Veli bassi a SW, che poi si dileguano. Nel 20 turno sospetto di veli durante le osserva- zioni. (£3 di 12 g. Y Y 0 ** 0 u 0 "N 0 ■v 0 *\ 0 •s 0 1 2 1 2 I 3 1 2 1 2 8 18. 5 5 3- 9 8 8 49. 04 36. 62 — 2. 02 8 » » 8 8 » 44- 37 — 0. 76 56. 2 27. 6 8 9 71.49 70. 34 — 0. >9 » 8 » 8 IO » 50. 82 1 V > i 15 43- 43- 7 9 6 63. 95 58. 00 — 0. 97 » » 9 9 » 54- 80 — 1 . 48 1 6 22. 4 5). 6 8 8 68. 29 66. 08 — 0. 36 1 6 » » 8 8 » 49- IO •y 5- 1 1 41. 1 Vi co O 4 5 67- 35 67. 95 -ho. IO » » 4 4 » 49. 74 — 2. 86 Settembre 16. Y Ophiuchi, 3 Cephei. Cielo 2. 0 di 13 g. In principio ci, s a E e nu- volette sparse altrove, che poi si dileguano. Y 1 8 8.431.819 1051.33 37. 84 1 — 2.19 Y 2 » » 1 9 io » 46. 66 — 0.76 3 1 924.0245I8 7 67. 26 69. 39Ì+0. 55 A Gr. +0. 37 — 2. 36 15 55-9 53-2 8 IO 65. 23 67. 22 » » 8 IO » 47.63 16 32. 2 OC 8 7 65- 35 67.78 » » 8 8 » 50. 04 +0. 32 —2. 86 +0. 40 —2.48 Settembre 19. 0 Ceti, 0 Cephei. Cielo 2. Di prima sera cu. sparsi per tutto il cielo. In ultimo bel sereno. 0 di 16 giorni. 16 3.4 47- 1 8 9 55- 90 5 3-35 » » 8 io » 49. 26 16 39. 0 62. 0 9 8 61. 94 65. 80 » » 9 8 » 46. 19 — o. 42 — 1.08 -l-o. 6 3 —2. Y 1 ri co co 55.28 9 cr- eo 6 Y 2 » » 1 8 9 » 0 1 9 19.0 23.68 9 68. 58 3 2 » » 8 io » Settembre 20. Y Ophiuchi, 3 Cephei. 0 di 17 g. Vento deb. Nuvole basse a W, che dopo l’osservazione si stendono su tutto il cielo. )' 38. 5 I i —2. OO I47. II i— O. 6l -o. I I 1 49 61 1 — 3. 08 Settembre 22. Y Ophiuchi, 3 Cephei. Cielo 1. Agitazione forte. Vento deb. Nel 20 turno 0 altissima di 19 g., vento forte, nuvole a S. — 1. 92 — o. 58 -ho. 60 — 2. 40 +0. 50 —2. 48 Settembre 23. Y Ophiuchi, 3 Cephei, S Ursae min. Giornata nuvolosa con vento, serata splendida e calma. Poco dopo il i° turno nubi da W fino allo zenit. Nel 20 turno (Q altissima di 20 g. Y I 7 46 8 52. 1 9 6 49. 85 38.05 Y 2 » » 9 9 » 46 28 3 I r5 54- 5 55 6 64.44 68. 1 1 0 2 » » 8 9 » 49. 66 N 0 I 16 28.9 59 9 8 7 62. 32 65- 35 0 2 » » 8 9 » 47. 04 Y 1 8 IO. 2 55-8 8 8 51. 20 38. 62 — 2. 05 Y 2 » » 8 IO 48. 01 — 0. 52 3 1 9 l8. 4 22. 7 8 8:65.09 7'- 57 -fi 05 3 2 » » 8 8 » 51.13 — 2. 27 S 2 IO 3.6 5 5* ^ 8 7 21. 88 21 88 0. no S 1 » » 8 7 » 34.03 + 1-97 N 0 1 16 3>- 7 60. 7 1 i 8 62. 91 66. 85 4-0. 64 •s 0 2 » » 1 1 9 » 48. 25 -2.38 Settembre 24. Y Ophiuchi, 3 Cephei. Nuvole a S W. Bel sereno altrove. Y Y 3 3 8 42. 3 63. 0 8 9 49. 08 38. 76 » » 8 1 1 » 47- 79 16 34. 6 61. 5 9 8 64. 12 67. 02 » » 9 8 » 49 76. ■ 1 . Settembre 25. Y Ophiuchi, 3 Cephei. Nuvole in principio. Y Y 3 CO O 57- 5 8 9 49-94 40. 23 » » 8 IO » 47-29 9 3i- 3 6l.4 8 9 67. 79 70. 60 — 1. 58 — 0. 43 +0. 46 ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Meni. PARTE II. DISCUSSIONE DEI RISULTATI. 1. Classificazione delle variabili osservate. Secondo la classificazione proposta da Pickering le variabili da noi osservate appartengono alle seguenti categorie x) : Cl. II. Variabili a lungo periodo. 1. o Ceti. Osservazioni raccolte 1 2) in numero 2. R Orionis. „ „ „ 3. U Virginis. 4. V Virginis. 5. R Hydrae. 6. S Ursae min. „ „ „ 7. Z Ophiuchi. „ „ 8. R Cassiopejae. „ „ „ di il 76 24 56 22 43 48 1 38 9. V Hydrae. Cl. III. Variabili irregolari. Osservazioni raccolte in numero di 7 Cl. IV. Vabiabili a corto periodo. 10. W Virginis. 11. Y Ophiuchi. 12. d Serpentis. 13. p Lyrae. 14. £ Cephei. Osservazioni raccolte in numero di 34 ’J il il li 155 45 23 107 Cl. V. Variabili del tipo di Algol (a eclissi) 15. U Cephei. Osservazioni raccolte in numero di 82 16. RZ Cassiopejae. „ 11 11 11 25 17. A. Tauri. „ il » 11 14 18. U Ophiuchi. ,, 11 11 11 8 Le osservazioni raccolte per Z Ophiuchi, V Hydrae, A. Tauri e U Ophiuchi sono evi- dentemente in troppo scarso numero per prestarsi ad una qualsiasi discussione. Anche per d Serpentis e p Lyrae il materiale raccolto è piuttosto scarso e non distribuito omogenea- mente. Per 3 Cephei infine, continuandosi le osservazioni anche nel corrente anno 1911, senza interruzione, perchè la stella è circumpolare, è opportuno riserbare la discussione alla fine di tutta la serie delle misure. Per tutte le altre variabili discuteremo i risultati raccolti, nell’ordine suaccennato. 1) La prima categoria è quella delle stelle nuove. 2) Per alcune variabili a lungo periodo sono incluse anche le osservazioni eseguite negli ultimi mesi del 1909 0 nei primi del ign. Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 31 Sezione prima — Variabili a lungo periodo. I. o (Mira) Ceti. 1. Rettifiche dipendenti dall’ estinzione atmosferica. La distanza di circa 2° fra la o Ceti e la stella di cfr. 1 e di 1°.5 fra la o e la * 3 rende necessaria per molti con- fronti la rettifica dipendente dall’ estinzione atmosferica. A ciò si richiede naturalmente il calcolo delle D.Z. delle * di cfr. Avendo già comunicato nel precedente materiale d’osser- vazione le distanze zenitali z della variabile, ci limitiamo a comunicare qui i valori di A z (Var. — *) e di A m , rettifica d’ estinzione da apportare alla grandezza della Var. quale risulta dai confronti. Questi ultimi valori vennero calcolati mediante la nota tabella d’estinzione di Potsdam 1). Pei giorni qui omessi s’ intende che non v’ è luogo ad alcuna rettifica per 1’ estinzione. Data 1909-10 di cfr. Az Am in cmi di Gr. Data 1910 * di cfr. Az Am in cmi di Gr. Data 1910 •!jc di cfr. Az A 111 in cmi di Gr. Ottobre 4 1 -H°4 — I Luglio 26 1 + >°-4 — 1 Settem . 0 1 ~ J 3 -f o° 9 — 1 » 6 1 -fi- 4 — 1 » » 3 —0. 6 — Ottobre 1 1 — 0. 6 -fi » >4 1 + 1.4 — 1 » 28 1 -4-1.6 — ) » » *» ? -fi. 1 — 1 » 27 1 + 1. 6 — 2 » » > — 0. 8 -f 1 » 4 1 -0. 7 ~r 2 Nov. A -t 1 + i- 5 — I Agosto 2 1 -fi. 5 — 2 » » 3 -fi. 1 — 2 Febbr. 24 1 —0 7 + ■ » » •> ■> -0.7 -j- 1 » 8 3 — f 1 . 1 — 2 Marzo 1 1 1 -0. 9 -f 3 » 7 1 -fi. 6 — 2 » 18 3 -fi. 2 —4 » 1 2 1 -0.9 4-10 » » 3 -0. 7 q- 1 » 22 ■> -fi. 2 —4 Giugno 18 1 + i-7 — IO » 2 7 1 -fi. 6 — 4 » 3i 1 -0. 9 +4 » 20 1 + 1. 6 — IO » » 3 -0. 9 -f 2 » 3° 1 + 1.6 — 4 » 30 1 -fi. 6 - 3 19 1 1 Luglio 1 2 1 + 1.6 — 2 » » > —0. 8 + 1 Genn. 23 1 —0. 7 +1 » i) 1 + '•7 — 7 Settemb. 3 1 -fi. 6 — 3 Febbr. 6 I — 1. 0 +4 » » 1 -4-1.6 — 4 » » *> > —0. 8 -f 2 » 17 3 -fi. 1 — 1 » 17 1 + 1. 6 — 2 7 1 + '• 3 _ 2 » 18 3 -fi 1 — 2 » 18 1 + i- 3 — 2 » » 3 — 0. 8 _j_ 1 » 22 3 -fi. 1 — 2 » 20 1 -ri. 5 — 2 » 19 1 — f 1 . 2 1 » 2 3 3 -fi. 1 “3 » 23 1 -fi. 4 — 1 » » -> ) -0. 5 — » 24 3 -4-1.2 — 2 » » 3 -0. 7 — » 27 1 -0. 4 — » 26 3 -fi. I — 3 Nei confronti colla * 2 la rettifica d’estinzione è sempre trascurabile. 2. Determinazione delle grandezze delle stelle di confronto. Le due stelle di cfr. più lucide 1=BD — 3°. 336, 3 = BD — 3°. 374 sono state confrontate direttamente in 9 sere coi risultati che seguono (rettificati eventualmente per l’ estinzione). Data A Gr. (3-1) Data A Gr. (3-1) Data A Gr. (3-1) 1910 Sett. 3 -fo. 36 Sett. 15 +0. 52 Ott. 1 -fo. 50 » » 7 4-0, 40 » J9 -fo. 63 » 4 +o- 73 » » 1 1 -fo. 71 » 27 -fo. 5 1 Nov. 27 4-o. 68 In media quindi : A Gr. (3-1) = 0. 56 + 0.03 l) Cfr. G. Miiller. Die Photometrie der Gestirne. 28 A. Bemporad [Memoria I. * T. M. Dist. N. Med. in mm. * T. M. Dist- N. Med. in mm. I 11 Catania zen. 1 II A Gr. 1 II Catania zen. Ili A Gr. 1 II 1 II Novembre i. PD 12427-12476, p Lyrae, ò Cephei, PD 4266-4313. Cielo 3. Nuvole basse a E. Vento deb. li ni o '27 7 25- 5 60. 7 5 9 70. 47 42 03 —4 61 2 9 11. 5 8 9 68. 48 47 97 y 5 49 I » » 8 8 » 56 75 — 1 9‘ *> 9 45- 9 38. 4 12 8 64. 1 6 52 37 — 1. 9 1 5 ‘7 0 5 78.6 9 6 59 5‘ 48 42 — 1 80 ’66 n 18. 8| 1 1 8 53- 50 47 29 — 1. 01 Novembre 2. p Lyrae, PD 1 2945-1 2977, ò Cephei, PD 9798-9819. Cielo 1. Vento forte. Nuvole a N e S. Osservazioni interrotte da nubi così nel i° che nel 20 turno. 2 7 58. 4 47. 6 9 9 69.75 44 59 I » » 9 IO » 57 3 5 ’45 8 34- 9 6 9 59- 23 47 1 2 y > 8 58. 2 24. 0 1 1 9 66. 62 5i 7' 3 16 27. 1 76.4 r2 8 61. 52 48 25 ’ ‘9 16 49- 3 1 1 8 49- 07 47 40 —4. 06 — 2. 01 — 1 . 96 — 2. 42 — 2. 16 — o. 27 Novembre 3. p Lyrae, PD 12945-12977. 0 Cephei, R Cassiop., PD 4266-4313. Cielo 2. Nuvole sparse a W. Vento moderato, più forte nel 20 turno- P 2 6 48.9 34- 7 io 9 69. 81 48. 58 ? 1 » » IO 12 » 57- 38 ’77 - ’45 8 32. 0 » IO 7 57. 27 47 «9 ° 3 9 *■ 5 24.7 7 7 60. 49 51. 74 R 2 9 54-8 16. 0 9 9 22. 90 31. 23 R 1 » » 9 8 » 46. 36 ’66 - ’i 3 16 57.4 IO IO 53. 89149. 13 “3- 44 — 2. 02 — 1 63 -2. 39 + ‘•35 + 3.81 —0.77 Novembre 4-^PD 12945-12977, p Lyrae (* di cfr. 1 e 3), 0 Cephei, PD 9798-9819, R Orionis, PD 4266-4313. ’77 - ’45 8 22. 1 IO 7 57- 5 1 47. 12 — 1. 69 ’77- ’45 36. 4 7 4 57-7‘ 46, 50 — 1. 82 1 3 9 1 5- 6 7 4 58. 93 5 3 48 — 0. 90 3 y ? 9 47- 4 29.9 1 2 8 65.45 53- 83 — 1. 89 >98- ’ ‘9 16 20. 5 9 8 50. 75 48. 37 — 0. 39 R 1 16 45- 8 47- 6 6 9 18. 78 50. 82 + 5- 20 R 2 » » 6 9 » 33. 66 + 2. 41 ’66 - ’ ' 3 ‘7 6. 4 1 1 6 55 + 8 48. 82 — 0. 92 Novembre 6. PD 4266-4313. Cielo 2. Vento moderato. <66-03117 12. 9I |7 1 1 1 5 5 . 86 1 48. 5 3 1 — 1 . 19 Novembre 7. RZ Cassiop. PD 12427-12476, p Lyrae, S Ursae min., 3 Cephei, PD ’4266-’43i3. RZ 1 6 29.8 150-7 8 1 1 51-44 43- 79 — 1 24 27- ’76 50.4 8 7 73.07 44. 77 -4 59 RZ 1 7 8.4 47. 2 7 IO 52.73 43- 65 — 1 47 RZ 1 8 3 3- 5 39.8 7 1 1 47- 37 43. 25 — 0. 67 ? 2 9 1. 1 63. 1 0 8 66. 29 45- 77 — 3- 58 Q r1 1 » J» 9 8 » 56.85 — 1 . 53 I 3 9 ‘5-4 7 5 57- 72 54- 74 — 0. 48 RZ 1 9 43.8 35-2 7 io 42. 87 43- 63 +0. 12 s 2 IO 11. 9 61.9 8 7 28. l8 23 21 — 0. 81 s 1 » » 8 8 » 34- 76 + i. 07 RZ 1 IO 37. 2 32.7 6 1 1 47- ‘8 43- 83 — 0. 54 3 3 IO 59. 9,40.6 1 1 8 64.48; 49 78 —2. 39 li 111 o RZ 1 1 1 1 22.6131.8 6 9 j 5 O. 46 ! 4 3 . 70 ! — 1. IO ’óó-’ij 17 13.8] 6 io ! 52. 90)47. 60 1 - — 0. 84 Novembre 8. p Lyrae, 3 Cephei, 0 Ceti. PD 4266- 4313- Cielo 3. P 2 8 49 7 61. 7 8 IO 68. 57 45- 74 ■ 3- 7‘ P 1 » » 8 8 » 56. 89 — 1. 90 1 y ) 9 5- 1 7 5 58. 93 52. 28 — 0. 92 3 3 9 32. 2 30. 0 1 2 8 65. 50 5‘- 59 — 2. 27 0 y 3 IO 4- 4 43- 3 8 7 45. 58 49- 3 1 4-o. 61 0 2 » » 8 7 » 30. 87 — 2. 39 '66 - ’ 1 3 16 47- 7 7 IO 51-83 49- 59 - -O. 85 Novembre 9. PD 12427-12476, 12610-12646, p Lyrae, 3 Cephei, R Orionis. Cielo 2. © (in P. Q.) *76 - ’27 7 3i- 6 6 IO 74. 18 45- 12 —4 7 1 ’ IO - ’46 7 54- 0 IO 7 61. 34 47- 29 — 2. 28 P 2 8 21. 1 57- ‘ 7 7 70. 14 46. 79 — 3- 79 P 1 » » 7 9 » 58.5‘ — 1. 89 3 y ) 9 42. 9 3 1 - 7 ‘3 9 65. 31 51.41 - 2. 25 R 2 1 6 29. 9 48. 3 8 6 16. q8 32. 20 + 2. 49 R 1 » » 8 9 » 51-07 + 5- 5 3 Novembre io. 3 Cephei . Cielo 2. Vento moder. Scintillaz. animata. © di 9 g- 3 3 lio 27. 1l37.9j12iol63.23151.36l — 1. 95 Novembre 11. PD 12427-12476, 12610-12646, 12945- 12977, p Lyrae, 3 Cephei. © di io g. '76 - '27 6 22. 0 9 6 72. 37 45- 37 —4. 38 ’ io - ’4Ó 6 41-5 IO 8 60. 03 46. 1 2 — 2. 26 ’77 - ’45 7 6. 9 6 1 1 58. 47 47- 55 -1. 77 p 2 8 46. 3 63- 3 8 9 64. 19 43. 58 -3- 35 P 1 » » 8 9 » 55. 28 — 1. 45 ‘ 3 9 °-4 8 6 55. bo 50. 68 — 0. 80 0 3 9 26. 1 30.7 1 2 8 60. 54 49 46 — 1 . 80 Novembre 12. PD 12427-12476, 12610-12646. © di 11 g. Vento forte. ’27 - '76 6 3° 3 7 10I72.79 44-05 ’ IO - '46 css co O O fN NO 4^ VI cc Novembre 13. PD 12427-12476, 12610-12646, p Ly- rae, 3 Cephei. © di 12 g. 6 21.7 9 7 72. 85 44. 80 36. 9 11 7 63. 89 49. 13 8 57- ó 66.8 9 8 64. 52 44- 95 » » 9 9 » 55- 72 9 ‘2. 5 8 5 55-43 54- 59 9 34- 3 32. t> 12 8 67. 57 51.86 Novembre 19. PD 12610-12646, P Lyrae. Cielo 1. Di prima sera veli, poi nuvole a © al sorgere. In ultimo vento forte. ’ io - '46 6 41. 7 ‘3 9 65. 73 50. 37 p 2 8 31.6 66. 3 io 9 66.87 49. 09 P > » » io 9 » 60. 26 ‘ 3 8 49-7 io 7 61. 59 56. 24 -4- 5 5 -2 39 -3. 18 -i. 43 — o. 13 —2. 55 E e N, -2. 49 — 2. 89 -1. 07 — o. 87 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 29 T. M. Dist. N. Med. in mm. 1 11 Catania zen. I II 1 II T. M. Dis t- N. Med. in mm. 1 II Catania zen. ! Il 1 1 11 Novembre 20. PD 12427-12476. t li ni '76 -'27117 49.21 19. i2[68. 86I44. 25I — 3. 99 Novembre 26. S Ursae minoris. S 1 1 1 6 52.9I54.2I9 12I34. 80I3S. 4SI-Ì-0. 60 Novembre 27. p Lyrae, 0 Ceti, 0 Cephei, PD 12427- 12476. 0 P 2 8 25- 5 70.9 8 8 68. 34 47- 1 1 5 — 5- 44 ? I » » 8 8 » 58. 47 --1. 61 I > 8 41.0 n j 5 57- 45 52. 52 — 0. 80 0 I 9 27. 6 41. 3 8 8 44. 09 57- 22 +2. 13 0 ) » » 8 8 » 53- 04 + i. 45 N 0 9 55.0 42.4 6 4 63. 18 5 3- 3 3 — 1. 60 ’27- '76 17 0. 5 9 7 r- 48 46. ■3 — 4- I ! Novembre 28. p Lyrae, 3 Cephei . r, P 2 6 24 2 49. 1 8 9 7 1 • 89 49- IO — 3- 7° I » » 8 IO » 59- 3i — 2. 04 1 3 6 42. 6 ! I 8 60. 5 5 55- 88 — 0. 76 N 0 3 8 55- 1 35- 1 I I 8I65. 36 52. 5 3 — 2. 09 Decembre 1. S Ursae min., R Hydrae. Decembre 23. P Lyrae, 0 Ceti, ò Cephei, S Ursae Minoris, R Hydrae. h ni o ? 2 6 42. 2 7°. 7 8 8 66. 36 43- 98 -3.63 P 1 » » 8 8 » 5 5- 29 — 1. 80 3 1 6 55 6 4 6 50. 53 54 74 -f 0. 68 0 1 9 59- 5 46. 0 IO 8 36. 73 55 48 +3. 29 0 2 » » IO IO » 33- 56 — 0. 52 3 ? ) IO 15- 0 58. 4 1 1 8 62. 7 1 50. 93 — 1.91 S 1 16 0 4 51. 2 9 13 36. 22 37- 5' -j-o. 21 R 2 18 '7- 8 61. 8 6 IO 57- 57 43- 37 — 2. 30 Decembre 24. p Lyrae, 0 Cephei, PD 12427-12476, 12610-12646. Cielo 2. P 2 6 15.0 66, 5 8 8 68. 97 45. 69 — 3- 68 P I » » 8 8 » 59.02 — 1 . 61 3 I 6 30. 0 7 8 58.65 5 5- 44 — 0. 52 \ 0 3 6 51.4 32. 4 1 1 8 63. 59 5 3- 38 — 1. 66 '76 - '27 16 1. 0 6 IO 69. 5.3 43. 08 —4- 29 ’ IO - '46 16 26. 3 8 1 1 58. 26 46. 80 — 1. 86 Decembre 26. S Ursae min., R Hydrae. Cielo 1. Nuvole in vari quadranti. S i j 16 49. 5 1 48. 8 R 2 1 17 41. o 1 62. 8 8 11 6 9 38. 54138. 54 58. 88 144. 02 o. 00 -2.41 S 1 16 45. 6 53.6 1012 R 2 ■7 48. 1 73- 1 6 1 1 56. 16 39.69I+0. 57 62. 3 5 ; 43. 45 1 —3. 07 Decembre 2. ò Cephei, V Virginis. 0 3 8 31. 9 34- 1 1 1 9 66. 27 55- 35 V 1 l7 1 5. 0 62. 1 4 6 N) NO O O 44. 69 Decembre 8. p Lyrae. Sereno fugace. p 2 ? 1 1 4 S R 6 35- 7 49. 8 8 IO 67- 35 46. 00 » » 8 7 » 58. 93 6 50 8 9 7 60. 45 56.03 13 . S Ursae min., R Hydrae. Nuvole a W e NE, lampi. 17 4- 2 51.0 9 12 35- 23137- 39 3i- 8 69 3 8 13 58. 50)40. 46 -1. 77 - 2. 5 5 — 3-47 — 37 — o. 72 -f°- 3 5 -2 93 Decembre 16. 0 Ceti, 3 Cephei. Cielo 1. 0 piena. Lunghe striscie a NE. 0 19 29. 4 42. 7 U 2 » » U 1 7 39-7 44- 3 6 8 42. 55 39- 72 RZ 1 8 8. 2 31.8 6 8 52. 17 44- 42 0 1 8 31.9 47- 1 1 1 8 67. 84 55-47 U 1 8 5 3-3 45- 7 6 8 46. 58 43. 26 RZ 1 9 1 5- 6 32.7 6 8 53. IO 46. 14 Decembre 27. U Cephei, RZ Cassiop., 3 Cephei. Cielo 3. Nuvole a W, che poi salgono interrompen- do 1’ osservazione del minimo di U Cephei e RZ Cassiop. — o. 46 — 1. 26 — 2. 01 -o. 54 — 1. 13 Decembre 29. S Ursae min., Cielo 1 . Fitte nuvole a S e W ; perfettamente sgom- bro a N. Dopo 1’ osservazione le nuvole salgo- no e coprono tutto il cielo. S 1 1 1 7 21. 3146.814 61 38. 921 37. 881 — 0.17 Decembre 31. Cielo 3. Trasparenza eccezionale. Vento moder. Do- po l’osservazione di R Cassiop. si notano nu- vole estese a NW. % _ 0 3 8 4.4 45- 3 12 8 70. 26 52- 39 0 1 9 '3-5 46. 6 8 8 37- '9 57. 89 77 0 2 » » 8 7 » 33. 26 95 R 1 9 55- 2 49- 5 8 7 25* 43 47. 08 45 R 2 » » 8 7 » 33. 22 —2. 90 + 3- 36 — o. 64 + 3- 5i -j- 1 . 26 26 A. Beni borad [Memoria I.] I II T. M. Catania Dist. zen. N. 1 11 Med. 1 n mm. Il A Gr. vfJ 1 II T. M. Catania Dist- zen. N 1 Il Med. 1 n mm. II A Gr. h m 0 li 111 0 0 2 9 31- 3 61. 4 1 3 9 67. 79 50. 87 -2- 75 0 3 9 5. 6 21.3 8 8 67. 97 53- °3 -2. 43 ò 1 16 24. 6 60. 8 9 IO 69. 7 1 68. 13 — 0. 26 0 T 5 9 21 3 20 7 IO 8 66. 50 52- 97 — 2. 20 6 2 » » 9 IO » 51.03 -3.03 RZ 1 9 45- 9 45. 8 7 7 49-4i 40. 83 — 1-39 ò 2 16 32.7 64. 1 8 9 67. 66 48. 29 -3- '4 RZ I IO 25- 7 42. 4 6 8 46. 50 40. 75 -0. 95 ò •y ■) » » 8 9 » 51.46 — 2. 63 RZ I 53-4 40. 2 6 7:49-75 42. 01 — 1. 26 RZ I 1 1 19. 7 38. 2 5 8 45 - 84 38. 51 -1. 19 Settembre 27. Y Ophiuchi, 3 Cephei, 0 Ceti. RZ I 47.8 36. 3 6 7 48. 27 44. 04 —0. 69 Cielo 1. Nubi vaganti per tutto il cielo. In ultimo RZ I 12 25.0 34- 1 6 8 40. 37 41. 28 +0. 1 5 meglio. Notata colorazione rossastra di Y Oph. RZ I 55.8 32.8 6 8 39- 93 39 18 — 0. 12 RZ I 13 31. 1 32. 0 6 7 42.88 42. 06 — 0. 13 Y 1 8 0. 6 56. 7 8 8 47.69 38. 70 — 1. 46 RZ I 14 5- 3 31.8 5 7147. 90 42. 31 — 0. 9 1 \ 2 » » 8 IO » 46. 52 —0. 29 0 2 14 45- b 5 1 • 5 9 8 61. 83 4 5- 97 — 2. 57 3 2 8 40.7 24- 5 8 8 67. 42 50. 84 —2. 69 0 3 » » 9 / » 49- 37 — 2. 02 3 3 » » 8 IO » 52. 83 —2. 37 0 3 '4 >7 4 5 3- 3 IO 8 64.21 50. 58 — 2 21 0 1 15 54.6 50. 0 9 8 36. 53 56. 31 — 0. 0 \ RZ I >5 1 6. 7 33 5 7 b 49. 46 43. 08 — 1. 04 0 3 » » 9 9 » 52. IÓ — 0. 72 0 2 iò 28.8 62. 2 8 IO 64 3 3 47- 5 1 2. 73 N 0 3 » » 8 IO » 51.19 — 2. 14 Ottobre 3. 0 Cephei, 1 Ophiuchi. Settembre 28. Ò Cephei. Nuvole basse a N, poi a W. In ultimo chiarore dell’ alba. 16 30. 5 62 9 9 8 60. 61 45. 68 » » 9 7 » 50. 08 16 45. 3 64.6 4 7 62. 18 49- 45 Settembre 29. 3 Cephei. In ultimo chiarore dell’ alba. 2 1 16 35. 6 63 9 0 3 | » 0 3 | 16 50. i 65. 6 9 8 9 7 8 12 62. 5 3 48. 02 61. 24 5I-30 50. 32 -2. 42 -t. 71 1 . 98 — 2. 36 — 1. 82 -1. 77 nuvole. Cielo 1, poi 2. In principio notato bagliore in- torno a 3 Cephei, che poi scompare. Nuvole a S tino allo Zenit. — 2. 00 -'■71 — r. 80 — 2. 29 — I. O! —2. 43 — 1.95 — 2. 00 *) Escluse 3 puntate della * 3 per sospetto di 0 2 7 41-4 28. 1 8 9 61. 19 47- 39 0 3 » » 8 6 » 51.22 5 3 7 58. 5 26. 2 io 8 63.99 52. 90 Y 1 9 2. 5 71.0 7 8 46. 27 32. 15 Y 2 » » 7 8 » 40. 08 0 2 16 39. 0 66. 1 8 8 63. 98 48. 99 5 3 » » 8 7 » 5 1- 95 5 3 16 51.6 67 5 io 8 64. 67 52. 36 Settembre 30. Y Ophiuchi, 3 Cephei. Cielo 3. Y I 8 9. 3 59. 8 8 8 48. 03 36. 57 — 1 . 86 Y 2 » » 8 IO » 44- 49 -0 58 ò 2 17^ rr\ *3* co 23. 2 8 8 65.49 49. 56 -2. 59 0 3 » » 8 7 » 52. 89 -2.05 0 3 8 5 3- 5 22. 5 6 4 65. 25 53 25 — 1.95 0 2 16 12. 5 61.7 O 0 8 64. 91 17- 92 — 2. 8 1 ò 3 » » 8 8 » 51-42 — 2. 34 •s 0 3 16 28. 6 63.6 IO 8 64. 56 51. 14 — 2. 18 Ottobre 1. Y Ophiuchi 0 Ceti. Cielo 3. 0 Cephei. S Ursae min Y 1 CO 4- 60. 0 8 8 50. IO 37- 74 —2. 01 Y 2 » » 8 7 » 45. 46 -0. 75 3 2 8 36. 9 23- 5 8 7 7i- 53 50. 31 -3- 44 3 5 » » 8 8 » 5 3 95 —2. 85 S 2 9 7- 8 53-9 8 8 23. 05 23- 95 4-0 02 s 1 » » 8 8 » 34- 26 -4- 1. 82 <5 2 15 38.6 58. . 8 8 67. 14 48 01 -3. 1 1 3 3 » » 8 6 » 51. 09 — 2. 6 1 0 3 1 5 56 6 60. 2 1 1 8 66. 30 5 1. 64 — 2. 38 ') 1 16 28. 5 57-4 8 8 5 4- 29 54 61 -f 0. 05 3 » » 8 9 » 51-69 — 0 42 Ottobre 2. Y Oph., RZ Cassiop., 3 Cephei. Cielo 3. Y 1 7 52. 2 58. 4 8 8 50. 25 38/10 Y 2 » » 8 9 f> l6. 04 RZ 1 8 36.9 52.0 6 7 48.78 IO- 5 5 0 2 9 5. 6 21.3 8 8 67. 97 49. 60 — 1. 97 -0. 68 -i- 33 — 2. 98 Ottobre 4. Y Oph., 3 Cephei. 0 Ceti. Cielo x, fosco. Bagliore diffuso intorno a 3 Cephei. Più chiaro a S. Sull’alba veli e cirri in tutti i quadranti . Y I 8 3- 3 61.4 8 8 01 co od 35- 73 — 2. '3 Y 2 » » 8 9 » 43- 04 — 0. 9-1 0 2 8 36. 4 22. 6 8 9 60. 49 47- 98 — 2. 03 6 « ■5 > » » 8 5 » 50. 00 — 1. 42 0 3 8 5 2- 1 21.6 1 1 8 63- 74 52. IO — 1. 89 2 A) 0 3 1 6 23.4 64.8 6 4 48.05 40 53 — 1. 22 0 : 16 48. 4 62. 7 9 9 54- 4 3 54- 29 - — 0. °3 0 3 » » 9 8 » 49- 9i — 0. 74 J) Escluse 2 puntate della * 3 per sospetto di nu- vole. 2) Osservazione interrotta da nubi. Ottobre 5. Y Ophiuchi, 3 Cephei. Cielo 2 nel i° turno, 1 nel 20 turno. (Nuvole a N e SE fino a considerevole altezza, lampi da W, cielo perfettamente sgombro nella regione di 0 Cephei). Y 1 7 43- 1 58, 8 IO li 49 36 36. 36 — 2. 1 1 Y 2 » » IO IO » 44- 1 5 — 0. 85 % 0 2 8 39- 5 22. 2 9 1061. 63 49. 08 — 2. 04 0 3 » » 9 8 » 5>- 77 — 1. 60 ò 3 8 54- 3 21. 3 1 1 962. 22 5'- 81 — 1 . 69 ò 3 '5 59- 5 62. 5 IO 861. 55 49. 83 — 1 . 9' % 0 3 16 «7- 3 64. 6 8 8 62. 9' 5i. 4' — 1 . 87 5 2 » » 8 1 2 ! » 47- 55 — 2. 49 3 3 16 45- 5 67. 7 9 1 1 62. '5 49- 93 — 1. 97 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 27 vjj T. M. Dist. N. Med. in mrn. T. A4. Dist. N. Med. in mm. 11 Catania zen. 1 11 A Gr. 1 II Catania zen. 1 II 1 II 1 II Ottobre 6. Y Ophiuchi, 3 Cephei. cirri per tutto il cielo. Bel sereno nel Cielo 1. Temporali nel giorno, serata sospetta, po- Immagini agitate. , sizione assai scomoda per 0 Cephei. Prime os- servazioni di Y Oph. interrotte da nubi. 0 3 n in 8 16. 0 O 21. 5 20 17 63. 14 51.65 h ili O P 1 9 J7-6 48. 4 8 7 63. 79 52.03 Y 1 4) 7 35- 2 58. 2 2 4 47- 75 36. 5 5 — 1. 82 P 2 » » 8 10 » 41-43 Y 2 » » 2 2 » 43. 00 -0 77 P 2 9 54-4 55- 4 4 664.88 42. 71 Y 1 8 33.0 67. 8 8 9 46. 49 34. 62 -1.93 P 1 » » 4 3 » 53.00 Y 2 » » 8 9 » 4i- 73 — 0. 78 3 3 16 39. 8 70. 8 20 17 59' 59 49.07 0 3 9 4- 9 20. 8 9 1 0 68. 47 5 1. 80 — 2. 71 *) Osservazioni interrotte da nubi. Cfr. non sim- metrico. A Gr. — i 87 -1.91 — 3. 63 — 3. 60 — 1. 93 — 1.71 Ottobre 15. 0 Cephei. Cielo 1. Osservazione interrotta da nubi. Ottobre 8. Y Ophiuchi, 0 Cephei, 0 Ceti. Cielo 1. Sospetto di nuvole per tutte le osservazioni. Y I 6 On 74 3 8 6 39. 61 28. 33 -1.83 Y 2 » » 8 6 » 37.90 — 0. 28 3 3 9 26.4 20. 5 8 1 1 63. 18 5 1. 08 — 1. 97 *s 0 3 16 22. 3 66.4 17 14 5 5- 94 43. 63 --2. 00 0 3 16 56 5 66.9 8 8 47. 60 46. 39 — 0. 20 0 2 » » 8 7 » 27.90 — 3. 20 Ottobre 9. Y Ophiuchi, 0 Cephei. Cielo 1. (0 di 6 g. Misure di ò Cephei interrotte nel i° turno da nubi, nel 20 da fitta nebbia. Y Y è ò 1 7 25. 3 CO l/N 9 8 45- 96 35- 3° 2 » » 9 IO » 43- 74 7 5 3-5 24 5 4 2 61. 25 50. 70 3 16 23.8 67. 0 10 8 57- 35 47- 1 3 5 ; I 8 26. 7I20. 9I7 4I54. 45 141. 90I— 2. 04 Ottobre 18. 0 Ceti, 5 Cephei. Cielo 2, poi 1. Dopo F osservazione di 0 Cephei si notano veli nelle vicinanze , che poi coprono gran parte di cielo. (£ piena. 16 28. 3 169. o 16 53.9 73.6 8 11 42. 04 1 4 3 • 29 j +0. 20 16 12 57. 55 44. 20I— 2. 17 Ottobre 20. 0 Cephei, PD 4266-4313. Cielo 2. di 18 g. In ultimo chiarore dell’alba. ò 3 ’66 - ’ 1 3 6 27. 5 co 19 18 56. 86 45- 74 - -1. 81 7 22.7 9 7U6.52 42. 251- — 0. 69 Ottobre 21. ò Cephei, PD 4266-4313, 9798-9819. i° turno : cielo 1. Nuvole in tutti i quadranti. Osservazioni interrotte da nubi. 20 turno : cielo 2. altissima di 19 g. Nuvolette a S. Ottobre 11. Y Ophiuchi, 0 Cephei, S Ursae min.. Cielo 1. Nuvole in tutti i quadranti 0 (in P. Q.) , Nel 20 turno osservazione di 0 Cephei interrotta da nubi. In ultimo teggiero chiarore dell’ alba. ’66 - ’ 1 3 '98 - ’ 1 9 7 33-5)22. 3 16 20. 9 ! 7 1 . 6 O 3- 3 1 17 23. 7I |7 -1 17 14 7 6 18 6 59- 57- 56 19- 48 41. 38 28 48 40 45 91 43.62 37- 63 — I- 77 — 1. 89 -o. 95 — o. 61 Y 1 8 0. 0 65. 5 9 9 44- 84 34. 56 — 1-7; Y 2 » » 9 IO » 42. 94 -0. 31 0 3 9 2. 2 20. 5 16 18 63. 62 50. 2 1 —2. 18 a 3 16 22. 1 67. 7 5 4 62. 86 48. 30 — 2. 36 S 2 16 51.4 61.3 8 6 23- 77 22. 12 — 0. 27 S I » » 8 6 » 33- 52 + 1 . 60 Ottobre 12. Y Ophiuchi, ò Cephei, 0 Ceti. Cielo 1. (0 di 9 g. Nuvole a SW, veli sparsi altrove. Poi migliora. Y 1 6 49-9 55. 0 ' 12 q j 44- 7 1 35. 20 Y 2 » » 12 8j » 44- 51 0 3 9 2vO 20 7 22 22 67. 48 51.41 0 3 io 35.4 51.88 851.38 50. 36 0 2 » » 8 9 » 30. b 7 a 3 16 45.4 70. 3; 2019)62. 60)48. 20 Ottobre 13. 0 Cephei, p Lyrae. Cielo 1. (£3 (di io g.) con alone, cirri. Dopo l’os- servazione veli su tutto il cielo. 8 3. 8 22 4 21 ]6 67. 17 5 3- 37 8 59 8 44- 2 9 9 bb. >7 5 4- 76 » » 9 IO » 45. 63 Ottobre 14. 3 Cephei, fi Lyrae. Cielo 1. Subito dopo l’osservazione di 3 Cephei Ottobre 22. 0 Ceti, S Ursae min. Cielo 1. Veli estesi a S, nuvole basse a N. Osser- vazioni interrotte da nubi. 0 0 S S 16 io. 4 63.6 8 6 46 93I4S. 54 » » 8 8 » 29 54 16 42. 3 60. 3 io 8 26. 09 1 3 3. 24 >► » io 5 » 121.63 -|-o. 25 — 2. 82 + 1. 16 — o. 72 Ottobre 29. BD 12945-12977, p Lyrae, PD 9798-9819, S Ursae minoris. i° turno : cielo 1. Osservazioni di p Lyrae interrotte da nubi. 20 turno: cielo 2. Nuvole sparse specialmente ad E . In ultimo campo leggermente rischiarato. ’45 - ’77 8 2.3 P 2 8 26. 7 50 0 P 1 29 6 ’64 - ’ 1 3 16 25. 5 '98 - '19 48. 6 S 1 17 10.9 co IO S 2 » » 6 8 47 62 58. 18 + 1. 71 2 3 67 50 44. 00 1 5- 81 2 3 » 55- 88 — 1. 89 6 4 52 32 47- 98 - — 0. 70 5 7 45 79 42. 75 — 0. 49 1 1 9 27 79 34- 05 + 1. 02 1 1 IO » 22. 4i — 0. 87 Ottobre 31. 0 Ceti, 0 Cephei, PD 4266-4313. 0 1 0 2 5 3 ’66 - ’ 1 3 1 5 57-9 72. 8 12 10 47 01 53. 73 +1-09 » » 1 2 IO » 32 131 — 2.42 16 53.7 76. 5 9 6 5 3- 36 44- 871 — 1. 58 17 4. 1 9 ^ 47- 74 52. 7 5 1 — h 0. 81 32 A. Ben iporad [Memoria I.] In altre 14 sere la variabile venne confrontata successivamente con ambedue le stelle in questione. Si può quindi, ammettendo che la Mira non abbia variato sensibilmente fra un confronto e 1’ altro, ricavare dai due confronti una determinazione indiretta della A Gr. delle due stelle. Si trova così, tenendo conto dell’ estinzione : Data 4 Gr. Data A Gr. Data A Gr. 1910 Luglio 23 0.80 Ag. 4 0.50 Ag. 21 -I-0.44 26 0. 18 7 0.42 24 4-0.45 28 0.61 12 0.85 27 -f-o. 80 3' 0.51 14 0.44 30 40.67 Agosto 2 0.34 18 0.50 Sebbene 1’ accordo intrinseco di queste determinazioni indirette riesca, com' è naturale, men buono di quello dei precedenti confronti diretti, tuttavia la media che se ne conclude A Gr. (3-1) = 0. 54 + 0. 04 fornisce una conferma del tutto soddisfacente del valore precedentemente ottenuto, che si assume quindi come definitivo. Ammessa pertanto la grandezza 5.72 (HP) per la stella 1, ne segue per la 3 la grandezza 6.28. Più difficile si è presentato il raccordo della stella di cfr. 2 — BD — 3°355 colle due precedenti, non tanto per la differenza di grandezza assai rilevante (da 3 a 4 Gr.), quanto per la vicinanza della 2 alla Mira e soprattuto per la scarsa differenza in declinazione che impedisce di servirsi delle sbarre di guida come di schermo. Vennero eseguite fra il 1910 e il 1911 due serie di nove confronti ciascuna fra la stella 2 e le 1, 3 singolarmente prese, coi risultati seguenti: Confronti 2-1 Confronti 2-3 Data 1910 Ottobre 3 1 » Decembre 16 » » 23 » » 31 19 11 Gennaio 13 » 1 9 » » 23 » » 27 » Febbraio 6 Differ. di Gr. 3- 3.71 3. 56 3-99 ■) ■ / 1 3-99 3.87 3.63 3.76 Data 1910 Ottobre » » Novembre 1911 Febbraio » » » » » » » » » » 8 1 2 8 >7 18 22 23 24 26 Differ. di Gr. 2. 98 3- J9 3 . 00 3.23 2. 81 3- '4 3.09 3.03 3-23 ' In media quindi : A Gr. (2-1) = 3.75 + 0.04 A Gr. (2-3) = 3.08 + 0.03 Aggiungendo questi importi alle grandezze 5.72 e 6.28 delle due stelle 1 e 3 (v. so- pra) si ottengono rispettivamente i valori 9.47 e 9.36, da cui in media Gr. * 2 = 9m-42 Lo scarto d’ un decimo di grandezza fra le due determinazioni singole non eccede la somma degli errori probabili delle tre A Gr. Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc 33 3. Grandezze di o Ceti. Coi valori 5.72 (HP), 6.28 e 9.42 per le grandezze delle stelle di confronto 1, 3 e 2 rispettivamente, rileviamo dal materiale d’osservazione già comunicato — completandolo coi confronti eseguiti negli ultimi mesi del 1909 e nei primi nel 1911 e tenendo il debito conto dell’estinzione '(§ 1) — le seguenti grandezze della Mira Ceti. Data 1909-10 Giorno giuliano 2418000+ * di cfr. Gr. di 0 Ceti Res. Note Data 1 9 1 0- 1 Giorno giuliano 2418000 -f- * di cfr. Gr. di 0 Ceti Res. Note Ottobre 4 584.45 1 3. 78 ”> 1 Agosto 21 905. 67 1. 3 4.07 0 » 6 586. 45 1 3. 90 + 3 » 24 908. 68 D 3 4- 34 + 17 € » ■4 594 45 1 4. 08 — 1 » 27 91 1. 50 '• 3 4. 17 - 9 » 27 607. 36 1 4- 54 0 € » 30 914. 5 1 D 3 4. 18 — 19 Novemb • 4 615. 36 1 4. 82 — S 2 Settem . 3 9j8. 49 1, 3 4- 34 — 17 » 12 623. 43 1 5. 58 + 11 3 » 7 922. 52 1, 3 4. 86 + 20 » 23 634. 38 1 5- 79 — 3 4 » ! I 926. 6 1 1, 3 4- 74 — 8 18 » 30 641. 39 1 6. 43 + 27 » 15 930.66 1. 3 4. 78 — 20 19 Decemb 6 647- 39 1 6. 38 n / » '9 934- 67 1. 3 5- 25 + 12 C » 9 650. 42 1 6- 53 — 4 » 27 942. 66 3 5. 62 + 4 » 2 1 662. 30 1 7.07 — 5 e Ottobre 1 946. b9 1, 3 5. 82 + 16 » 26 667. 29 1 7. 26 — 7 2, 3 6. 14 + 20 2 1 Gennaio 3 675- 37 1 7.56 — 12 6 » 12 957- 44 2, 3 6. io 0 e » IO 682. 28 1 7- 95 — 1 » 18 963 69 3 6. 44 + 8 € » l6 688. 36 b 2 8. 30 + 8 e X 22 967. 67 2, 3 6.61 + 8 22 Febbraio 1 704. 35 1 8.80 + 9 € X 3' 976. 67 i, 2 6. 93 H- 4 » 24 727. 30 1 9.03 — 15 Novemb . 8 984. 42 2, 3 6. 96 ~23 Marzo » 10 1 1 741. 29 742. 32 2 1 9.44 9. 29 + 5 — 11 7 2419000+ » 22 75 3- 32 1 9. 62 + 13 8 Novem. 27 003. 39 1. 3 7-79 — 9 Giugno 18 84 1. 65 1 4. 68 0 Decem . 16 022. 40 1, 2 8.48 — 8 23 » 20 843- 65 1 4- 5 3 0 » 23 029. 40 1, 2 8.96 + 17 » 30 85 5. 66 1 3.70 — 20 » 3' 037. 38 1, 2 8. 93 — 1 1 Luglio 12 86 3.65 1 3. 23 — 17 9 Genn. 15 050 37 1, 2 9. 32 — 1 24 » 15 868. 64 1 3- 5i + 16 » 19 056. 34 b 2 9- 57 + 11 » l7 870. 64 1 3. 60 + 27 IO » 23 060. 39 1, 2 9. 42 — 9 » 18 871. 65 1 3- 35 + 3 1 1 » 27 0Ó4. 36 1,2 9-47 — 9 25 » 20 873. 65 1 3. 11 — 20 € Febbr. 6 074. 39 1, 2 9. 70 + 5 76 4- 9 2Ó » 26 879. 66 G 3 3. 40 + 4 » 18 086. 33 2. 3 9 63 — 4 » 28 881. 62 1, 3 3- 3 3 - 6 , 5 3- 36 -'5 » 24 092. 3 1 2,3 9- 47 — 16 » 4 888. 67 5 3 3- 75 + 18 14 » 26 094. 33 2, 3 9- 33 —27 » 7 891. 60 3 3 60 - 4 15 Marzo 1 0Q7. 32 2 9- 5 4 — 4 » 12 896. 67 1, 3 3. 87 + 8 16 » 5 io 1 • 32 2 9- 79 + 25 27 » 14 898. 67 13 3- 73 — 12 17 » '3 109. 30 2 9 34 — 8 » 18 902. 67 3 3-95 +• 1 » 20 1 16. 3 1 2 q. 5 3 -+20 NOTE. I. Fuochi artificiali, aria agitata. — 2. Nuvole basse a NW e SE. — 3. Serata sospetta — 4. Vento forte, (C. — 5. Sereno Instabile. — 6. Nuvole dopo 1’ osservazione. — 7. Chiarore del crepuscolo. — 8. (C > nuvole. -- 9. Cielo caliginoso. — IO, n. Cielo fosco. — 12 (C- Colore di 0 Ceti meno giallo che nei giorni precedenti. — 13. Chiarore dell’alba. Colore aranciato. — 14. Chiarore dell’alba. — 15. Colore giallo chiaro. — 16. Chiarore dell alba. — 17. Spari in vicinanza. — 18. Osservazione interrotta da nubi. — 19. Sospetto di veli. — 20. Cielo fosco. Sull’alba veli e cirri su tutto il cielo. — 21, 22. Sospetto di nuvo- le. — 23. Lunghe striscie a NE. — 24. Nuvole a S e NW. Q. — 25. Fumo eruttivo dell’Etna a W, con pioggia di cenere. — 26. Immagini agitate. — 27. Osservazione faticosa per difetto di movimento dell’equa- toriale. 4. Curva di Mira Ceti. Con questi valori delle grandezze di 0 Ceti venne tracciata la curva di ragguaglio (Fig. 1), nella quale è notevole la regolarità e il parallelismo quasi perfetto dei due rami discendenti. In particolare il primo di questi rami non presenta nes- ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Man. 1. 5 | Memoria I.] 3-1- A. Bemporad sana di quelle angolosità che si vedono nelle curve della Mira comunicate da Nijland e da Ichinohe nelle Astron. Nachr. (N. 44-24). Il massimo e il secondo ramo discendente ap- paiono però come frastagliati da oscillazioni secondarie, che dimostrano anzi una certa pe' riodicità (forse 18'1 in media) per un intervallo di circa tre mesi *) e che ci parvero ac- ') Non è la prima volta che si sospettano ineguaglianze a corto periodo nella variazione di luce della Mira ; cosi Argelander trovò un periodo di 25'' , Schwab uno di 6d. 5. Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 35 compagnate da sensibili variazioni nel colore della stella. E da notare però che mentre nella prima serie d’osservazioni (1909-10) venne adoperata quasi sempre la sola * di cfr. I (in un sol giorno anche la 2), nella seconda serie a partire dal 23 Luglio se ne ado- perarono quasi sempre due. Basterebbe che una sola di queste stelle fosse leggermente variabile per spiegare in parte le dette oscillazioni. La nostra stella 1 (una bella doppia colla componente maggiore giallognola e la minore bianco-azzurrina) venne già indicata dal Guthnick nel suo celebre lavoro su Mira Ceti *) come variabile, ma il fatto che un osser- vatore come il Nijland continua a servirsi di questa stella di cfr. l 2) sembra escludere questa variabilità. Per le altre ci proponiamo di eseguire apposite ricerche, confrontando in molte sere successive e possibilmente sempre alla massima altezza sull’ orizzonte la Mira colle tre stelle di confronto. La porzione tratteggiata della nostra curva corrisponde a quel periodo di 3 mesi circa in cui per la prossimità della Mira al sole non possono eseguirsi osservazioni. Questo tratto di curva è quindi ipotetico. Rilevando dalla curva di ragguaglio le ordinate corrispondenti alle date d’osservazione e formando le differenze: Grand, osservata — grand, ragguagliata, otteniamo i residui comunicati nella penultima colonna della precedente tabella. 11 valor medio dei residui im- porta appena + 0m.07 per la prima serie d’osservazioni, sale a + 0m. 10 nei primi 4 mesi della seconda serie, e raggiunge 1’ importo di + 0.12 negli ultimi 6 mesi. I residui più forti + 0.27 capitano in corrispondenza al massimo e al minimo, osservati ambedue in condizioni sfavorevoli, cioè assai vicino all’orizzonte e talvolta col chiarore crepuscolare. II valor medio dei residui per tutte le 76 osservazioni importa esattamente un decimo di grandezza, e volendo anche ritenere questi residui in tutto il loro importo come errori di osservazione (ciò che forse è eccessivo), si avrebbe + 0m.09 come error probabile di una determinazione di grandezza. 5. Confronto con Nijland. Nella fig. 1 abbiamo riprodotto (a tratto e punto) le curve comunicate dal Nijland per Mira Ceti nelle Astronomische Nachrichten (N. 4434 e 4506). La discontinuità che si nota verso il mezzo delle due curve del Nijland è un effetto del noto fenomeno di Purkinje 3), che si presenta quando si osservano stelle diversamente co- lorate con strumenti diversi. Il Nijland usa osservare la Mira ad occhio nudo o col bino- colo nella porzione attorno al massimo, con un cercatore di 7 cm. d’apertura o col refrat- tore (di 27 cm.) a misura che la variabile si fa più debole. Ogni volta che egli passa da uno strumento ad un altro più potente, la variabile, che è di luce aranciata, sembra gua- dagnare varii decimi di grandezza rispetto alle stelle di confronto, che sono quasi tutte bianche o giallognole. Questo è un inconveniente inevitabile del metodo delle stime, che a noi non si presenta in grazia della scala estesissima del fotometro a cuneo 4). Ora è l) Neue Untersuchungen ùber den verànderlichen Sterri o (Mira) Ceti. Nova Acta. Abh. der Kaiserl. Leop. Carol. Deutschen akademie der Naturfoischer Bd. LXX1X N. 2. V. pag. 42 [30]. linea 4. ~) V. Astr. Nachr. N. 4355. 3) V. in proposito G. Miiller. Die Photometrie der Gestirne. Pag. io. 4) Il nostro cuneo ha 7 cm. di lunghezza. Ammettendo che si possano fare misure sicure solamente in 6 cm., e tenendo presente che 1 mm. corrisponde a om.i6, se ne concluderebbe che il nostro cuneo permette di abbracciare un intervallo di gasi io grandezze. Se però, come riteniamo probabile, la costante deve dimi- nuirsi gradatamente nella regione più sottile del cuneo, può darsi che questo intervallo non riesca in effetto che di 8-9 grandezze. È sempre quanto basta per comprendere le più larghe amplitudini di variabili. 36 A. Beni por ad [Memoria I.j interessante notare che tutte e quattro le curve parziali del Nijland attraversano la nostra, e tutte dimostrano la tendenza del metodo delle stime a dare luminosità relativamente trop- po forti, quando la variabile coi mezzi d’osservazione impiegati appare molto lucida, e lu- minosità più deboli via via che gli strumenti divengono insufficienti. In altri termini il fe- nomeno- di Purkinje ha carattere progressivo, e quindi 1’ eliminazione dei relativi errori riu- scirà meglio combinando in una inedia le osservazioni eseguite con mezzi diversi e cor- reggendo gradatamente i tratti di curva attorno alla discontinuità, anziché col rialzare di un importo costante tutto un tratto di curva in modo da riconnetterlo coll’altro, lasciandone invariata la forma. Così essendo, è chiaro che la curva definitiva risultante dalle osserva- zioni del Nijland, dovrà coincidere presso a poco colla nostra. In particolare l’amplitudine non potrà differire che di qualche decimo di grandezza, su 7 grandezze circa, e ciò dimo- stra l’ attendibilità del valore ammesso per la costante del nostro cuneo. Lo scarto fra la nostra curva e quelle del Nijland supera raramente la mezza grandezza, ed è veramente singolare come la nostra curva passi bene in mezzo alle due curve staccate del Nijland nelle osservazioni del 1909-10. Se altrettanto non avviene nelle osservazioni del 1910-11, ciò dipende unicamente dal fatto che in queste le stime col binocolo vennero sospese quando la Mira raggiunse la 6a grandezza, mentre nel 1909-10 erano state spinte fin quando raggiunse la 7a. In ambedue i casi però la coincidenza fra i risultati del metodo delle stime e del metodo fotometrico si ha col binocolo verso la 5.4 — 5.5 e col cercatore verso la 7.3 — 7.4. Analoghi riscontri si potrebbero fare anche esaminando le stime fatte dal Nijland a occhio nudo o col refrattore, ma quanto abbiamo rilevato basta già a dimostrare la co- stanza d’ apprezzamento dei due osservatori, e depone favorevolmente per la precisione intrinseca dei risultati ottenuti nelle due maniere. Piuttosto rilevante appare però la divergenza delle due curve dopo il minimodel 1911, raggiungendo l’importo di 7 — 8 decimi di grandezza, ma qui oltre al fenomeno di Purkinje dovrebbe influire la grandezza ammessa dal Nijland pel compagno della Mira. Egli am- mette come risultato di misure fotometriche eseguite a Potsdam *) la grandezza 9m.87, mentre dalle nostre misure risulta 9.42. Tutte le autorità da noi consultate in proposito si avvicinano più al nostro valore che a quello del Nijland, anzi ne deviano in senso op- posto. Abbiamo trovato infatti: Guthnick (Normalskaia a pag. 103 della Mem. cit.) .... 9. 13 Autorità Hagen 1 2) 9. 08 Autorità Guthnick (pag. 62, Mem. cit.) 9. 19 Autorità Pracka 3) 9. 30 Hagen 2) 9. 2 Ichinohe 4) (BD) 9. 0 Specialmente la seconda determinazione di Harvard, fondata com’ è su ben 34 notti di osservazioni, dovrebbe avere un alto grado di sicurezza intrinseca. Lo scarto di ben 7 1) V. Astron. Nachr. N. 4355. 2) Atlas... Series IV, 806, N. io. 3 ) Untersuchungen iiber den Lichtwechsel àlterer verànderlicher Sterne nach den Beobachtungen von Prof. D.r V. Safarik in Prag. Pag. 40. 4) Astron. Nachr. N. 4346. Harvard Photometry Osservazioni fot oiiietr ielle di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 37 decimi di grandezza da Potsdam non può esser quindi che di natura sistematica, ma la differenza fra il sistema fotometrico di Harvard e quello di Potsdam è ben conosciuta 9 e si sa che importa 0m.35 per le stelle bianche fra la 7 e la 7.5, 0m.37 per le stelle, fra la 8 e la 8 5, per cui si potrebbe attendere tutt’al più una differenza di 4 decimi fra la 9 e la 9.5: rimane sempre uno scarto di tre decimi che non si sa spiegare. Eliminata questa differenza, la curva del Nijland si avvicinerebbe sensibilmente alia nostra anche nell’ ultimo tratto. Il fatto poi che dalla nostra curva risulta come avvenuto il minimo negli ultimi di febbraio, mentre non ne dà cenno la curva del Nijland potrebbe spiegarsi coll’ influenza progressiva del fenomeno di Purkinje dovuta alla diminuzione di luce effettiva della variabile e a quella apparente prodotta dall’ atmosfera terrestre pel fatto che nelle ultime osservazioni la Mira veniva a trovarsi sempre più bassa sull’ orizzonte. 6. Confronto con Ichinohe. L’ astronomo giapponese Naozo Ichinohe eseguiva a Tokio press’a poco verso la stessa epoca e sotto una stessa latitudine 1 2) come noi a Ca- tania delle accurate serie di stime della Mira Ceti, i cui risultati sono comunicati nelle Astron. Nachr. N. 4346, 4434 e 4520. Dalle curve annesse abbiamo rilevato le grandezze della variabile di 20 in 20 giorni e le abbiamo messe a riscontro con quelle risultanti dalla nostra curva. Si ottenne così: Giorno GRANDEZZE =5 1 s Giorno GRANDEZZE 7— B Giuliano B / Giuliano B / 2418580 III 3- 7i in 3. 30 — 0. 4 1 2418900 m 3- 39 in 4. 00 -)-0. Il 600 4. 28 4. 15 -0. 15 920 4. 56 4. 70 4-0. 14 620 5. IO 5. 30 -f-O. 20 940 5. 36 5. 50 4-0. 14 640 6.08 6. 00 -0. 08 960 6. 2 1 6. 40 4-o. 19 660 7. 00 7. 00 0. 00 980 7. 02 7. 20 4-0. 18 680 7. 88 7. 65 — 0. 23 2419000 7- 75 7- 95 4-0 20 700 8. 58 8. 00 — 0. 58 020 8.47 8.48 4-o. 01 720 9. 04 8. 90 —0 14 040 9. IO 8. 85 — 0. 25 740 9. 38 9. 40 0. 02 060 9. 50 9- >5 —0. 35 2418880 3. 36 3- 3 5 —0. 01 080 100 9. 66 9- 5 5 9. 60 io. 1 5 — 0. 06 40. 60 Scorrendo la colonna delle differenze si scorge subito come l’andamento sia assai più regolare nelle differenze del 1910-11 che non in quelle dell’anno precedente. La ragione di- questo fatto ce la fornisce lo stesso A. colla seguente spiegazione che traduciamo dal- 1’ ultima delle note citate : “ Le grandezze date nella lista delle stelle di cfr. e usate per la riduzione delle precedenti serie di osservazioni sono soltanto provvisorie e dovranno essere in seguito rivedute. L’ incertezza è soprattutto rilevante per alcune stelle deboli, co- sicché nella presente riduzione per quelle stelle che sono comuni alla mia lista e a quella data dal Prof. Nijland nel Num. 4355 delle Astron. Nachr vennero sostituite le grandezze del Prof. Nijland a quelle prima usate. „ Si comprende bene che l’incertezza nelle grandezze delle stelle di confronto, delle quali occorre sempre un gran numero col metodo delle stime, si traduce in tante sinuo- sità nella curva di luce della variabile, che danno una falsa idea dell’andamento del feno- 1) Cfr. PD, pag. XXXIV 2) Tokio è soltanto 2° più a Sud di Catania. 38 A. Bemporad [Memoria I.] meno. Tali sinuosità sono infatti manifeste nella curva data dall’ A. nel N. 4434, mentre mancano nell'ultima curva ad eccezione di una sola verso la fine della serie che si tradi- sce collo scarto di —{—60 nella precedente tabella, dopo gli altri residui assai più piccoli e concordanti fra loro. Nessun dubbio che quest’ anomalia, al pari di quella già notata nel confronto con Nijland, dipende dalla grandezza ammessa pel compagno della Mira. I. Epoche del massimo e dei minimi. Periodo. Amplitudine. Come epoche pre- sumibili del massimo e dei minimi la nostra curva fornisce: Epoche osservate Efemeride di Guthnick Oss. — Guthn Min. 1910 Marzo 25 Aprile 1 - 7d Max. „ Luglio 21 Agosto 3 — 14 Min. 1911 Febb. 17 Febbr. 26 - 9 Mentre dunque i massimi del 1908 e 1909 si verificarono secondo Nijland e ichinohe (Astron. Nachr. 4434J in coincidenza quasi perfetta colla previsione di Guthnick, si avrebbe un anticipo di 10d in media negli elementi da noi determinati nel 1910-11. Press’ a poco lo stesso anticipo si trova confrontando il periodo di 33 ld assegnato da Guthnick cogli in- tervalli di tempo compresi fra le epoche di pari luminosità della variabile. Abbiamo in- fatti (dai rami discendenti) per le epoche in cui la Mira raggiunse le grandezze 4, 4.5, . . . . 9 rispettivamente : Grand. Ep. 1909-10 Ep. 1910-11 Differ. in 4.0 2418591 2418904 3 1 3d 4. 5 606 918 312 5.0 618 931 3 1 3 5- 5 628 943 3 1 5 6. 0 638 955 3i7 6- 5 649 967 318 7. 0 660 979 3 19 ?• 5 671 993 322 8. 0 683 2419007 324 8.5 697 02 1 324 9. 0 718 036 318 11 valor medio dei detti intervalli importa 318d. Abbiamo quindi un anticipo di 13d sul periodo di Guthnick, in buon accordo coll’ anticipo di 10d in media trovato sopra. Ciò sta a significare che tutto il ramo del 1910-11 a partire dal massimo si presenta più depresso di quello del 1910-11, ossia 1’ ultimo massimo più acuto del precedente. Mentre infatti nel 1909 si ebbe un intervallo di oltre 2 mesi attorno al massimo con variazione non su- periore a mezza grandezza *), nel ‘1910 questo intervallo si riduce a poco più di un mese. Tutto questo conduce ad ascrivere il massimo del 1910 alla terza delle quattro specie di massimi descritte dal Guthnick nella sua memoria più volte citata, e si potrebbe prevedere fin d’ ora che i futuri massimi andranno decrescendo fino a ridursi a quelli della 2a specie (grandezza massima di poco più lucida della 5a) se non fosse che i futuri massimi l) V. in proposito le curve comunicate nel Num. 4434 delle Astron. Nachr. Osservazioni fotomet riche di stelle variabili eseguile nel R. Osservatorio ecc. 39 per 4 o 5 anni almeno non saranno osservabili, capitando troppo vicini alla congiunzione della Mira col sole. Come grandezza del massimo ragguagliato troviamo 3.3, massimo assoluto 3.1, in buon accordo colla grandezza 3.2 indicata dal Nijland nel Num. 4506 delle Astron. Nach. Anche per 1’ epoca del massimo ci troviamo in eccellente accordo, indicando egli 1’ ep. Luglio 20, contro Luglio 21 come risulta a noi. Egli soggiunge peraltro esser questa volta la determinazione del massimo molto incerta. Ancora più incerta è quella dell’ Ichinohe, che trova (Astron. Nachr. N. 4520) Max. 1910 Luglio 25, Grand. 3.1. Come grandezza del mìnimo troviamo rispettivamente L’ amplitudine ha raggiunto quindi 6.8 grandezze, in buon accordo cogli elementi co- municati dal Nijland nel Num. 4485 delle Astron. Nachr. (amplitudine visuale 6.6, ampli- tudine corretta delie differenze sistematiche strumentali 7.0). Finalmente per 1’ intervallo di tempo M — ni fra il massimo del 1910 e il minimo pre- cedente, otteniamo 118'1 , in perfetta coincidenza col valor medio (11 8'L 94) ricavato dal Guthnick in base a tutte le o.sservazioni conosciute nella memoria piu volte citata. Il Nij- land invece dalle sue proprie osservazioni dell’ ultimo decennio ha ricavato il valor medio M — m— 133d . 1. Determinazione della grandezza della stella di confronto. Abbiamo raccordato in 8 sere di osservazione la stella di confronto 1910 1911 Min. ragguagl. 9.m4 9.ra7 Min. assoluto 9. 5 9. 9 II. R. Orionis. 1 = BD -j- 8.817 Gr. BD 8-9 Hagen 8.8 all’ altra 2 = BD -f- 7.759 Gr. BD 6.8 HP 6.52 PD 6.70 Col. BG Si ottenne Data A Gr. (1-2) Data A Gr. (t-2) 1909 Decembre 28 2.94 1910 Novembre 9 3.04 1 9 1 1 Gennaio 19 2.77 1910 Gennaio 5 2 90 » » 12 2.87 » Novembre 4 2. 79 » » 28 2. 92 » Febbraio 6 2. 80 In media quindi AGr. (1 — 2) = 2.88 + 0 .«>02, 40 A. Bemporad [Memoria I.) ciò che porta a concludere la grandezza 9-58 (PD) per la stella 1 con divario molto rile- vante dalle stime di Hagen e della BD. 2. Grandezze concluse per R Orionis. Le osservazioni raccolte nel 1909-10-1 1 per questa variabile conducono, insieme alle grandezze 6.70 (PD) e 9.58 delle stelle di cfr. 2 e 1 alle seguenti grandezze di R Orionis. Data 1909-10 Giorno giuliano 2418000-)- * di cfr. Gr. di R Orion. Note Data 1 9 1 0- 1 1 Giorno giuliano 2418000-f * di cfr. Gr. di R Orion. Note Decem. 28 669. 59 1 io. 28 Aprile 1 1 773- 34 1 11. 15 Gennaio 5 677. 38 1 9. 81 Novemb. 4 980. 70 1, 2 11. 95 12 684. 38 1 io. 07 9 985. 69 1, 2 12. 18 l6 688. 38 1 9- 93 Genn. 19 1056. 36 1, 2 io. 3 1 Cielo 3 Febbraio 2 7°5- 37 1 9. 71 28 1065. 41 1, 2 io. 57 1 2 71 5- 40 1 io. 32 1 Febbraio 6 1074. 43 1. 2 io. 38 € 24 727. 42 ! IO. 54 17 1085. 40 1 10. 66 Cielo 1 Marzo 1 732. 39 I io. 62 22 1090. 35 1 io. 68 4 735- 38 I IO. 58 Marzo 1 1097. 40 1 1 0. 4 1 Cielo 1 1 1 742. 36 I IO. 83 17 11 13. 34 1 1 1 . 00 » € 22 733- 37 I I I . I 2 25 1 1 21. 35 1 1 1. 18 Cielo 3 Aprile 6 768. 32 I io. 79 Aprile 15 1142. 35 1 1 1. 27 Cielo 2 t. Osservazione interrotta da nubi. Questo materiale d’osservazione è troppo scarso per servir da solo a tracciare le curve di luce con qualche sicurezza; potrà però servire insieme alle osservazioni raccolte altrove. Del resto in nessun modo avremmo potuto ottenere le curve complete, visto che que- sta variabile scende nel minimo oltre la 13a grandezza, mentre col nostro strumento è dub- bio se si possano vedere (non certo misurare) le stelle di 12a. Come epoche dei massimi risultati dalle nostre osservazioni trovammo (con grande incertezza) Max. 1910 Genn. 22 (Effemeride Genn. 28) Max. 1911 Genn. 15 (Effemeride Febb. 10.) Il periodo risulterebbe quindi di 358d , mentre le effemeridi (Hartwig) assegnano 377d . E da notare che il massimo del 1911 può esser avvenuto molti giorni prima dell’epoca qui indicata, poiché la contrarietà della stagione non ci permise di raccogliere osservazioni in tutto il Dicembre e nella prima metà di Gennaio. Perciò il divario fra il periodo attuale e quello indicato dalle effemeridi può essere maggiore, non mai minore di quello suac- cennato. III. U V IRGINIS. 1. Determinazione delle grandezze delle stelle di confronto. Per le quattro stelle di cfr. adoperate 1 = BD + 5. 2682 Gr. BD 8.2 2 = BD + 6. 2660 „ „ 6.7 PD 6.59 HP 6.39 3 = Hagen 1 1 Gr. Hagen 9.9 4 .= BD -j- 6. 2666 Gr. BD 9.0 Hagen 9.1 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguile nel R. Osservatorio ecc. 41 abbiamo ottenuto fra il 1910 e il 191 l i seguenti confronti : Confronti 1- 2 Confronti 4- 1 Confronti 3-4 Confronti 3- 1 Data A Gr. Data A Gr. Data A Gr. Data A Gr. 1910 Gennaio 9 1. 20 1 91 1 Marzo i 2 2. IO 1910 Luglio 27 0. 98 1910 Aprile 4 3-47 » » 11 1. 24 » » 15 ( 3 -°7) 1) » Agosto 1 0 84 » » 15 3- 35 19 11 Aprile 7 '• 37 » » 19 2. 14 » » 6 0. 83 » » 15 i- 33 » » 23 2. 23 » » 7 1 . 06 » » 25 1 . 40 » » 29 1. 90 1911 Genn. 24 1 . 08 » Maggio 6 1. 21 » » 3i 2. 09 » Febbr. 7 I. IO » Aprile 3 1. 89 » » 23 1. 26 » Marzo 4 1.03 » Maggio 18 0. 93 » » 19 0. 95 Medie 1 concluse 1.29 ±002 2.06 ± 0.04 I 01 : t 0.03 (3- 4P *) L. P. a 7° dal luogo della variabile. Ammessa quindi la grandezza 6.59 (PD) per la stella 2, ne seguono rispettivamente le grandezze 7.88, 9.94, 10.95 per le stelle 1, 4 e 3. Sono molto forti gli scarti (rispettivamente 0m.8 e lm.0) di queste due ultime gran- dezze dalle corrispondenti stime di Hagen. Solo una piccola parte di questi scarti (0m.2 o 0m.3) può spiegarsi colla differenza sistematica fra la PD, a cui ci siamo collegati noi, e la HP a cui si riconnettono le grandezze di Hagen. La più gran parte è da ascrivere forse al fatto che la costante del cuneo determinata da stelle di PD fra la 3a e 1’ 8a non vale più per stelle oltre la 9a. che si estinguono generalmente col campo ancora chiaro. Per ora non possiamo che accettare i precedenti risultati, attendendo che sia ultimato lo studio del cuneo, ma ricordiamo incidentalmente che per le stelle oltre la 9a le misure eseguite a Potsdam risultano deviare molto fortemente (e proprio nello stesso senso come capita a noi) dalle misure di Harvard x). 2. Grandesse di U Virginis. Coi valori trovati per le grandezze delle stelle di cfr. le osservazioni del 1909-10 e dei primi 5 mesi del 1911 forniscono le seguenti grandezze di U Virginis 2). Data Giorno * Gr. Data Giorno * Gr. giuliano di di Res. Note giuliano di di Res. Note 1909-10 24 1 8000+ cfr. U Virg. 1910 2418000 +- cfr. U Virg. Dee. 27 668. 77 1 8. 90 -- 1 1 Febbr. '9 722 71 1 9. 16 + 1 Genn. 3 675- 73 1 8. 79 — 5 € 2 3 726. 7 1 i 9.05 -P 4 c 8 680. 73 1 8.94 + 22 26 729. 36 1 8. 90 — IO 9 681. 73 1 8. 70 0 Marzo 1 1 742. 72 1 9. 92 0 IO 682 73 1 8. 84 Vi 5 16 747- 72 1 io. 38 -f 8 1 1 683.71 1 8.62 - 4 Aprile 4 766. 40 1, 3 11.22 — 18 '5 687. 73 1 8. 53 — 1 '5 777- 4i 3 1 2. 00 -f 8 € '9 26 691. 74 698. 72 1 1 8. 50 8. 49 0 + 1 (C Maggio 3 795.4 A stima U < * 19 Hagen ( 1 1 .5) 3i 703. 72 1 8. 48 - 8 » Luglio 9 802. 4 3 10.45 4- 6 Febbraio 2 705. 73 1 8.75 -f- 1 2 » 1 1 864. 36 3 io. 23 0 6 709. 73 1 8. 82 -f- 1 14 867. 37 "» ? 9.78 — 32 € 1 1 714 70 i 9. 17 + 4 2 1 4 + 8 7 891. 37 3,4 8. 76 — 16 3i 127. 63 i,4 9. 00 — 12 8 892. 35 4 9. IO 4-22 Aprile 5 132. 63 L4 9. 15 - 8 10 894- 33 4 9. 00 +20 7 ■34. 39 1, 2 9- 35 0 G 901 36 i,4 8-53 - 9 € n 142.41 1, 2 9.67 + 2 € 24 908. 34 1, 4 8. 87 4-20 25 152.43 1, 2 9.90 — 13 25 909- 3 3 4 8. 75 -T 3 Maggio 6 163. 55 1, 2 io. 73 Tu € 28 912. 33 4 8. 84 4- 6 Fuochi 18 :75- 53 3,4 1 1. 12 — 5 nubi 30 914. 32 ', 4 8. 67 -18 '9 176. 53 3,4 1 1. 27 + 4 3. Risultati. 1 tre rami di curva raccolti fra il 1910 e il 1911 (v. fig. 2) non sono molto somiglianti fra loro. Il primo presenta un massimo secondario ben pronunziato, dopo di che la curva discende molto più rapidamente che nel terzo ramo. Questo a sua volta presenta un’ ascesa molto più rapida del secondo ramo, senza dar cenno nè di mas- simi secondari, nè di quei forti scarti che si notano fra le singole osservazioni attorno al secondo ramo della curva di ragguaglio. Il massimo secondario potrebbe dipendere da va- riabilità dell’unica stella di confronto ( 1 = BD -f- 5°. 2545) adoperata nella prima serie di osservazioni, ma questa ipotesi non sembra convalidata dai 12 confronti di questa colle altre due stelle di confronto successivamente adoperate. Gli scarti della seconda serie di osservazioni trovano sufficiente spiegazione nella difficoltà delle misure, quando la varia- bile non poteva osservarsi che di prima sera e sempre molto bassa sull’orizzonte. Tutto considerato, crediamo che i cambiamenti di forma fra questi tre rami siano reali e dovuti a cause che agiscono in modo graduale. Anche l’intensità della luce nel massimo degrada progressivamente dal primo al terzo ramo. Ricordiamo che anche altre variabili, notabil- mente la Mira Ceti, presentano fenomeni analoghi. Pei tre massimi si ottennero in modo abbastanza sicuro le tre epoche : Epoche osservate 24 1 8697'' = 1910 Gennaio 23 2418904 = » AgOStO 20 241 91 12 = 1911 Marzo 16 Diff. 208 Epoche previste l) (Hartvvig — Schulhof) Gennaio 9 Agosto 3 Febbraio 24 Le differenze di 207d e 208d rispettivamente sono in ottimo accordo col valor medio del periodo (206(l 92 secondo Hartvvig, 206,J.008 secondo Schulhof) ; però le epoche os- 9 Le epoche dei massimi di U Virginis sono assegnate in modo concorde nelle effemeridi di Hartwig (A. G.) e di Schulhof (B. d. I..). Notiamo però che gli elementi assegnati da Schulhof (Annuaire du B. d. L. pour Fan 1909) per U Virginis (1. c. pag. 644 N. 569) non vanno d’ accordo con le dette epoche. 1909 Dee. 19 Gc.18 Fe.17 M tir. 19 Apr.18 May. 18 Gin. 1 7 Lu.17 Ag.10 Sett.15 Ott.15 Nov.14 Dee. 14 Ge. 18 Fe. 12 Mai. 14 Ap 14 Mag.13 Gin.l Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 43 servate sono in ritardo di 16, 17 e 20 giorni rispetto alle previsioni se- condo gii elementi ammessi da Har- twig Max == 2402784'1 + -f 206cl.92 E — 0.006 E2, mentre risultano in anticipo di 14, 13 e 1 1 giorni rispetto alle previsioni secondo gii elementi ammessi da Schulhof Max ~ 1909 Luglio 17 -1- 206d 008 E — 0d. 006 E2 Circa le epoche dei minimi nes- suna deduzione sicura può farsi in base alle nostre curve, perchè la va- riabile si rende invisibile per il no- stro Cooke per uno spazio di circa 2 mesi attorno al minimo. Come grandezza media nel mas- simo otteniamo 8ra.7, con scarto piut- tosto sensibile dai dati di Hartwig (8111) e di Schulhof (7m. 9); come grandez- za presuntiva del minimo 12m. 5 in buon accordo coi citati AA. Il valor medio dei residui (scarti delle singole determinazioni di gran- dezza dalla curva di ragguaglio) im- porta — + 0m.06, + 0m. 13, + 0m.05 rispettivamente pei tre rami di curva. Abbiamo già accennato sopra la ra- gione per cui le misure della seconda serie d’osservazioni riuscirono neces- sariamente meno precise. Nel com- plesso si ha il Val. med. ~H0m.08, abbastanza piccolo. IV. V ViRGINIS. I. Grandezza delle stelle di confronto. Le due stelle di cfr. adoperate per V Vir- ginis 1 = BD — 2.° 3684, 2 = BD — 2.°3687 vennero confrontate fra loro in tre sere sol- [Memoria I.J 44 A. Belìi por ad tanto coi risultati seguenti : 1910 Febbr. 2 A Gr. (2 — - i)=r + 4- 14 (Campo fortemente rischiarato dalla luce dell’ ’ alba) » » 14 3. 41 » Maggio 3 3- 54 Escludendo il primo valore per la ragione contro indicata si ha dagli altri due in media A Gr. (2 — 1) = 3.48 e quindi colla Gr. 7.58 (HP) assegnata da Hagen J) per la prima stella si deduce la gran- dezza 11.06 per la seconda. Hagen trova invece (a stima) la grandezza 9.9. Questo di vario di più d’ una grandezza nella misura delle stelle deboli fra il metodo visuale e quello fotometrico è probabilmente di carattere sistematico, perchè trova conferma nei risultati delle misure di U Virginis, di o Ceti e di altre stelle. 2. Grandesse di V Virginis. 1 22 confronti di V Virginis già comunicati nel pre- cedente materiale d’osservazione, forniscono colle grandezze 7.58 e 11.06 delle due stelle di cfr. 1 e 2 le seguenti grandezze di V Virginis. Data 1910 Giorno giuliano 2418000+ v£- di cfr. Gr. di V Virg. Res. Note Data 1910 Giorno giuliano 24180004- di cfr. Gr. di V Virg. t: S Genn. io 682. 75 2 1 1. 20 — 12 Febbr. 22 725. 72 1 8 7 3 — G e 15 687. 75 2 io. 62 4- 18 alba 2) 728. 70 I 8. 78 — IO 19 691. 76 2 9. 82 0 » Marzo 3 734- 73 1 8. 92 -- 2 26 698. 75 2 co vO V-O -29 n / 738. 73 1 8.83 -19 31 703- 74 I 9. 1 1 fi- 5 ') >9 750. 72 1 9.92 fi- 5 4 Febbr. 2 705. 76 I 8. 76 —24 ' 3) Aprile 6 768. 47 I IO. 1 1 I 6 709. 75 I 8. 90 — 4 8 770. 42 I 9- 97 — 20 1 1 714. 72 I 9. 06 -1-17 1 1 773 44 1 IO. 20 — 8 1 2 7'5- 74 I 9. 25 -1-37 ■5 777- 43 1 io. 35 — IO c '4 717. 72 I 9. 16 + 30 18 780. 35 l, 2 10.77 4-16 » ■9 722.72 I 9. 00 + i 4 nubi Maggio 3 795- 38 I IO. 98 — 18 2) Cfr. incompleto per nubi. ) In ultimo campo fortemente rischiarato. 3- Risultati. 11 ragguaglio grafico delle misure fornisce (v. Fig. 3) come epoca pre- sumibile del massimo 1910 Febbraio 19 contro Marzo 12 come prevedevano le effemeridi (Hartwig, Schulhof). Anche tenendo conto della incertezza notevole della nostra determinazione, poiché giusto attorno al massimo si notano profonde oscillazioni nei valori osservati rispetto ai valori ragguagliati, è probabile che il massimo sia avvenuto effettivamente in anticipo di una diecina di giorni almeno, in confronto alla previsione. Veramente notevole è la rapidità con cui varia la luce nel ramo ascendente ; si tratta di un gradiente di quasi 2 decimi di Gr. al giorno, mentre le altre variabili a lungo pe- ') Cfr. Hagen Ser. I, 4816 N. 1 e Ser. IV, 4805 N. 2. Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 45 riodo da noi studiate hanno tutte gradienti inferiori al decimo. Disgraziatamente questa in- teressante variabile è troppo debole pei nostri mezzi d’ osservazione, al che si deve se i residui raggiungono importi inusitati. I più forti di questi residui (Febbraio 12 e Marzo 19) sono forse anche imputabili a scambio di stella. Come grandezza massima otteniamo 8m.9 in buon accordo con Hagen (8 ^a) e con Schulhof (8m.7). Nel minimo la variabile scende al disotto della I3a. 1910 Gen. Febb. Mar. Apr. Magg. 8 7 9 8 8 V. R Hydrae. 1. Grandezze delle stelle di confronto. Per la più lucida delle due stelle di con- fronto ( * 2 = BD — 22°, 3604) ammettiamo la grandezza 8.15 (HP) assegnata in Hagen (Atlas, Series IV, 4826, Num. 6). Per la stella più debole (* 1 — BD — 22,° 3600) abbiamo i dieci confronti seguenti : Data A Gr. (1-2) Data A Gr. (1 1910 Aprile 1 S 1.38 1910 Giugno 3 1. 61 » Maggio 4 1. 39 » » 7 ..38 » » 12 1. 56 » » '3 1 . 08 » » 16 1 >9 » » 21 1. 72 » » 26 1 ■ 79 \ » Luglio IO 1. 2 1 In media dunque AGr. (1—2) = l.m47 + 0.m05. La grandezza 9m.62 così ottenuta per la stella di cfr. 1 non differisce che per 0m.05, nei limiti cioè dell’ e. p., dalla grandezza (9m.57) ottenuta mediante le osservazioni del 1909 *). 2. Grandezza della variabile. Colle grandezze 8.15 e 9.62 delle stelle di cfr. 2 e 1, i singoli confronti della variabile comunicati nel materiale d’osservazione forniscono per le 0 V. Memorie della Soc. degli Spettrosc. Ilal. Voi. 39 (1910) pag. 24 e segg. 46 A. Bemporad | Memoria L] varie date le seguenti grandezze di R Hydrae, che completiamo colle grandezze risultanti dalle osservazioni eseguite negli ultimi del 1909 e nei primi del 1911. Data 1909-10 Giorno giuliano 2418000+ * di cfr. Gr. di R Hydr. Res. Note Data 1910-11 Giorno giuliano 2418000+ di cfr. Gr. di R Hydr. Res. Note Decem . 1 ! 652. 74 2 6. 61 - 5 Giugno 7 830. 39 1 9.42 —22 21 662. 72 2 6. 89 0 13 836. 41 1 9. 80 +44 27 668. 74 2 6. QI — 12 14 837- 39 1 9. 30 0 Gennaio 3 675. 72 “> 7- 3 5 + 16 e 21 844. 41 1 9. 13 + 15 € 8 680. 76 2 7. 30 0 alba 27 850. 4 1 1 8.71 — 1 iS 690. 71 2 7. 40 — 13 nubi Luglio 1 852. 42 1 8.33 — 25 20 692. 73 2 7- 59 0 6 859- 39 1 8 36 0 26 698. 76 2 7.83 + 9 © IO 863 38 I 8. 12 — 8 Febbraio 2 7»5- 74 2 7. 89 — 2 » 15 868. 36 1 7 81 — 22 € 1 r 7M- 74 2 8. 20 + 6 19 872. 36 1 7- 73 — 16 » 22 725- 7) 2 8. 40 — 3 € 25 878 36 i, 2 7. 76 + 4 Marzo 2 733-74 2 8. 61 — 4 » 26 879. 36 1 7- 93 + 25 17 748. 70 2 9- !3 0 27 880. 37 1 8.03 -f-44 Aprile 6 768. 73 2 9 80 0 Agosto 2 886. 3 5 1 7.69 + 11 >5 777-45 1 io. 09 -4- 6 2419000+ Maggio 4 796. 38 1 io. 18 — 8 Decem. 1 007. 74 2 CO O IA 0 1 2 804. 39 1 io. 33 + 4 '3 019. 73 2 5. 22 — 2 16 808. 37 1 io. 29 0 23 029 76 2 5- 85 + 16 26 818. 44 1 IO. 25 + 11 26 032. 74 2 5- 74 — 8 Giugno 1 824. 40 1 9. 82 - 9 Gennaio 3 040. 75 2 5. 96 — 13 2 825. 40 1 9. 67 —20 12 049- 75 2 6. 30 0 © 3 826. 38 1 9. 62 -19 24 061. 68 2 6. 52 - 3 3. Risultati. Per pochi giorni è mancata la determinazione del massimo del 1910, massimo che non si prevedeva però così vicino, dato che le effemeridi (Hartwig, Schulhof) non assegnavano alcun massimo nel 1910, ma solo pel 10 gennaio 1911. La nostra curva 1909 1910 1911 Dee. Gen. Febb. Mar. Apr. Magg. Giu. Lu. Ag. Sett. Ofct. Nov. Dee. Gena. Febb. 9879 8 8776 554 432 Fig. 4. Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 47 mostra in ogni modo che la previsione del massimo era errata di oltre 40 giorni. Ben riu- scita è invece la determinazione del minimo di cui ci risulta 1’ epoca min. 1910 Maggio 14, in anticipo di quasi due mesi sulla previsione delle accennate effemeridi (Luglio 4). Anche le osservazioni del 1909 ci avevano dato un notevole anticipo (26 giorni), ma lo anticipo attuale ammonta quasi al doppio di quello, ciò che farebbe pensare che anche la durata del periodo ( 425d ) assegnata dalle effemeridi sia attualmente poco approssimata. L’amplitudine di oltre cinque grandezze (5.0 — 10.3) risultante dalle nostre osserva- zioni si accorda molto bene coll’ amplitudine riportata nelle effemeridi di Schulhof (4.5 — 9.7). A due riprese si notano nel ramo ascendente delle profonde depressioni, fin quasi al- l’ importo di mezza grandezza, che forse non sono imputabili a puri e semplici errori di osservazioni, ma corrispondono a qualche fenomeno reale o nella variabile stessa o nelle stelle di confronto o dipendente infine dall’ atmosfera terrestre (fenomeno di Purkinje in re- lazione colla forte colorazione rossa di R Hydrae). Nel tracciare la nostra curva non ne abbiamo tenuto conto, ciò che ha per effetto naturalmente di aumentare i valori O — Ce quindi 1’ error probabile delle singole osservazioni. In ogni modo questo non supera ;+;0m.092. VI. S Uksae minoris. 1. Grandezze delle stelle di confronto. Per la determinazione della differenza di grandezza delle due stelle di confronto 1 = BD -{- 78°. 518 2 = BD — J— 79°. -167 vennero istituiti appositi confronti in sei sere fra il Maggio e il Luglio e in altre sei fra il Settembre e il Novembre, questi ultimi secondo la nuova disposizione doppiamente sim- metrica accennata nell’introduzione. Abbiamo trovato rispettivamente: Data A Gr. (2-1) Data A Gr. (2-1) 191 0 Maggio 3 2. 15 1910 Settembre 23 1. 97 » » 18 i-93 » Ottobre 1 '.83 » Giugno 1 2. 26 » » 1 1 1. 87 » » 1 1 2. 01 » » 22 1.88 » » 20 1.87 » » 29 1. 89 » Luglio 24 2. 02 » Novembre 7 1.87 E manifesto l’accordo assai migliore della seconda serie di valori ottenuti in modo più omogeneo e anche in generale, con un maggior numero di misure. Fondandoci perciò unicamente sulle ultime sei determinazioni, otteniamo AGr. (2— l)=l«n.88 + 0.02. Secondo la HP la differenza di grandezza delle due stelle in questione importerebbe invece 2.m35 con divario di quasi mezza grandezza dal nostro risultato. Ammettendo in 48 A. Belìi por ad [Memoria I.| ogni modo per la più lucida di queste stelle la Gr. 8m.36 assegnata in Harvard, otteniamo per l’altra la Gr. 10.24, dopo di che i confronti comunicati nel precedente materiale d’os- servazione conducono alle seguenti 2. Grandesse della variabile. Data 1910 Giorno giuliano 2418000+ * di cfr. Gr. di S Ursae minoris Res. Note Data 1 9 1 0- 1 1 Giorno giuliano 2418000+ * di cfr. Gr. di S Ursae minoris Res. Note Gennaio 5 677. 42 2 8.63 0 Settemb 1 916. 37 2 io. 45 — 6 Febbr. 14 717- 7S 1 8-35 2 » 8 923.43 2 io. 27 -13 » 25 728. 73 I 8.37 + 3 » 23 938.42 1. 2 io. 29 + 12 Marzo IO 741.73 1 8. 35 — 3 Ottobre 1 946. 38 1, 2 IO. 20 + 16 » 17 748. 72 1 8.37 — 6 » 1 1 956. 70 1. 2 9- 97 + 12 alba » 30 761. 7 1 J 8.57 — 6 » 22 967. 70 1, 2 9. 52 -13 nubi Aprile IO 772. 70 1 9. 02 + 18 alba » 29 974. 72 1, 2 9. 38 — 13 alba » 20 782. 67 1 9. 17 + 12 € Nove ni b • 7 983. 42 1,2 9- 43 + 9 » 2 3 785- 34 1 9.03 — IO » 26 1002. 70 1 8. 96 0 Maggio 3 795. 64 1 q. 51 + 15 Decem. 1 1007. 70 1 8.93 + 7 » 1 3 807. 39 2 9- 54 — IO » ■3 1019. 7 1 1 8. 71 + 9 » 1 8 810. 39 2 9 63 — 8 » 23 1029. 67 1 8. 57 + 14 Giugno 1 824. 64 2 IO. IO + 6 » 26 1032. 70 1 8. 36 — 1 » 1 1 834. 41 2 IO. 13 — 15 » 29 I035- 72 1 8. 19 -16 nubi » 20 843. 04 2 IO. 58 + 6 Gennaio 3 1040. 70 1 8.35 + 3 Luglio 2 85S-41 2 IO. 87 4- 7 » 1 2 1019 69 I 8. 51 + 21 » 1 2 865. 37 2 1 1. 04 + 8 CO » ■9 1056. 75 1 8. 39 + 4 » 24 877- 39 2 IO. 81 — 1 2 » 22 1059. 69 1 8. 40 + 3 » 28 88 r. 49 2 I I . 00 + 12 » 25 1 062. 7 1 1 8. 3 3 — 7 Agosto 2 886. 41 2 IO. 58 — 2 » 28 1065. 73 1 8. 27 — 17 » 7 891 . 46 2 IO. 87 + 1 € Febbraio 2 1070. 71 1 8- 57 — 15 » G 903. 42 2 IO. 62 — 8 » 8 1076. 70 1 8.69 + 6 » 23 907. 39 2 io. 64 0 » » 17 1085. 42 1 8. 81 0 » 27 9i 1- 36 2 IO. 35 -23 » 28 1096 67 1 9 1 1 + 2 agit. 3. Risultati. L’ esame della curva di ragguaglio (Fig. 5) delle grandezze ottenute per S Ursae, minoris mostra le seguenti principali caratteristiche in contrasto coll’ anda- mento generale delle curve di luce delle variabili a lungo periodo: 1° la discesa è sensi- 1910 1911 Fig. 5. bilmente più rapida della salita, 2° il minimo è sensibilmente più acuto dei due massimi. Del rimanente, salvo oscillazioni che non eccedono 1’ importo probabile degli errori di mi- sura, la curva è molto regolare, con variazione quasi uniforme per lunghi tratti del ramo discendente e del l'amo ascendente. Osservazioni fotometriche iti stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 49 Come epoche presumibili dei massimi e del minimo otteniamo : Epoche osservate Epoche previste Hartwig Schulhof *) Max. 1910 Febbraio 26 1910 Aprile 1 1 Marzo 1 2 min. 1910 Luglio 16 1910 Sett. 27 Agosto 28 Max. 1 9 1 1 Gennaio io 1 9 1 1 Marzo 2 Gennaio 3 1 I tre fenomeni avvennero dunque in anticipo di 44(l 73d 5ld rispetto alla previsione di Hartwig, mentre con Schulhof le dette divergenze diminuiscono esattamente di un mese. Schulhof ha corretto evidentemente (nel 1910) gli elementi comu- nicati nell’ A. d. B. d. L. polir 1909, diminuendo di un mese le epoche ivi indicate per il massimo e il minimo di S Ursae minoris, lasciando però inalterato il periodo di 325d . Invece il fatto che per il secondo dei massimi da noi determinati il divario O — C au- menta ancora fa ritenere che anche il periodo debba venir diminuito. Il periodo risultante dalle nostre osservazioni sarebbe di 318'1 . Infine il divario molto più forte pel minimo che pei due massimi mostra che è sensibilmente cambiata anche la forma della curva, risultando a noi M—m— 1 7 8d , mentre Hartwig e Schulhof danno M — m=156d2). Ciò porta che mentre per noi il ramo ascendente dura 38 giorni di più del ramo discen- dente, per gli accennati A. A. dura invece 13 giorni di meno. Per quanto riguarda le grandezze nei massimi e nel minimo, è notevole la coinci- denza quasi perfetta delle Gr. mass, ragguagliate ottenute nel 1910 enei 1911 (8.34 con- tro 8.30). La Gr. min. risulta quasi esattamente di lla. Schulhof assegna i limiti 7.4 — 11.5 con divario notevole dai nostri risultati, soprattutto per quanto riguarda la luce mas- sima e 1’ amplitudine (4Gr. contro 2.7 amplitudine osservata). Anche Hartwig assegna un’amplitudine di 4 Gr. (Mass. 7-8, min. 11- 12). II valor medio dei residui (scarti delle singole determinazioni di grandezza dalla curva di ragguaglio) importa + 0.m09, e potrebbe diminuire tenendo conto di alcune oscillazioni secondarie ben pronunziate nel ramo ascendente, dal che , come al solito, preferimmo astenerci. VII. R Cassiopeiae. 1. Grandezza deile stelle di confronto. Da 10 confronti eseguiti fra il 1910 e il 1911 per le stelle di confronto 1 — BD -j- 51.°3739 Gr. BD 6.5 Hagen 6.6 PD 6.77 2 = BD -f- 50.°4203 „ „ 9.0 „ 9.3 - - 0 Notiamo incidentalmente che le epoche qui segnate, quali vennero desunte dall’ A. d. B. d. L. pour 1910 non vanno d’ accordo cogli elementi registrati dallo stesso Schulhof nell’A. d. B. d. L. pour 1909, pag. 645. N. 704. 2) Dell’ A. d. B. d. L. pour 1909 pag. 645 N. 704 risulterebbe però M — m = 169** inferiore di soli 9d al nostro risultato. ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Meni. I. 7 50 A. Bem por ad [Memoria I. ci è risultato Data A Gr. (2-1) Data A Gr. (2-1) 1910 Novembre -> 2. 46 191 1 Febbraio 22 2. 04 » Decembre 3 1 2. 25 » » 23 1. 98 1911 Gennaio :9 2. 25 » » 24 2. 13 » » 28 2. 37 » » 26 2. 30 » Febbraio '7 2. 27 » Marzo 1 2. 34 In media AGr. (2- 1)= 2m.24 + 0m.03. Ammessa quindi la Or. 6.77 (PD) per la stella di cfr. 1, ne risulta la Gr. 9.01 per la stella 2. Ulteriore studio richiederanno le stelle di cfr. a , b (corrispondenti ai numeri 52 e 58 dell’ elenco di Hagen) adoperate per le stime col metodo di Argelander. 2. Grandezze di R Cassiopeiae. Colle grandezze 6.77, 9.01 delle stelle di cfr. 1,2, i singoli confronti comunicati nel materiale d’ osservazione forniscono per le varie date le seguenti grandezze della variabile, che completiamo coi risultati delle osservazioni dei primi mes del 1911. Non riduciamo i risultati delle stime, finché le relative stelle di confronto non siano ridotte ad un sistema omogeneo colle altre adoperate per le misure fotometriche. Data 1910-1 1 Giorno giuliano * di cfr. Gr. di R Cass. Res. Note Data 191 1 Giorno giuliano di cfr. Gr. di R Cass. Res. Note 24180004- 2 4 1 9000 4- Genn. 10 682. 39 1 7. 02 4“ 4 Genn. 28 063. 38 1, 2 9. 58 0 » 18 690. 29 I 6. 78 — 6 Febbr. '7 083. 38 1, 2 8. 26 0 Febbraio 3 706. 33 1 7. 20 O » 22 090. 34 1, 2 7.89 *> » 1 2 715. 38 1 7.72 4-21 » 23 091. 37 1, 2 7.81 — 6 » 24 727- 39 1 7. 89 — I » 24 092. 34 1 . 2 7-79 0 Marzo i 732. 37 1 7.90 — 16 » 26 094. 35 1, 2 7. 71 0 » 4 735- 36 ' 8 14 — I Marzo 1 097- 35 1, 2 7. 65 + 15 » 1 1 742- 3-1 1 8.55 + 17 » 4 100. 33 2 7- 39 + 5 » 22 7 5 3- 3 5 1 8 63 — 6 » 5 iot. 34 1 7- '4 — 14 Aprile 12 774. 69 1 9- 44 ^-18 » '3 109. 32 i, 2 (7.28-6.48) — 2; Maggio 20 81 2. 66 2 9. 96 — 22 » '5 1 1 1. 72 1 7.07 -Fio » 31 823. 66 2 io. 36 — 6 » '7 113.72 1 6. 95 + 5 Giugno 8 831. 65 2 io. 53 6 » 23 12 1. 69 I 6. 64 — 16 » 19 842. 65 2 IO. 98 + '5 » 26 122. 32 1 6. 69 — 1 1 » 29 125. 70 1 6. 89 + 8 Luglio 8. A stima a i R 3 b (a = Hagen 32 Gr. 1 1 36 HP) » 3' 1 27. 70 1 (7- ’5) — Veli {ò = » 58 » 12.40 » ) Aprile 5 1 32. 69 1 6. 86 0 » 6 133.68 1 6. 90 4- 2 Novemb. 3 979-4' 1, 2 (io. 47) — » 12 1 39. 66 1 7. 11 4- 8 Decem. 31 1037.. 41 1, 2 io. 28 -19 » 16 143. 66 1 7 07 — 8 Genn. 19 1056. 40 I, 2 IO. 1 1 4-i9 » 26 153.63 1 7- 54 0 9 Forse errore di identificazione. ~) Stelle assai basse e (£ di 13 giorni. 3. Risultati. Dei due massimi osservati (1910 e 191 l) solo il secondo può dirsi de- terminato in modo sicuro. Tuttavia le due epoche ottenute Epoche osservate Epoche previste (Hartwig) 24 1 869 1 ~~ 1910 Gennaio 19 Gemi. 14 2419123 =1911 Marzo 27 Mar. 19 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguile nel R. Osservatorio ecc. 51 si accordano perfettamente col periodo medio di 431d.ó assegnato dalle effemeridi, mentre le due epoche sono in ritardo di 5 e 8 giorni rispetto alle previsioni di Hartwig calcolate in base agli elementi Max. 2398374 -j- 43 1 lì . 6 E -f 32 sen (9° E -f 60°). Degna di nota è la coincidenza della Gr. massima ottenuta nel 1910 e nel 1911 (6m.8). Nulla possiamo dire quanto al minimo, perchè coi nostri mezzi non è osserva- bile; anzi le osservazioni fo- tometriche devono cessare prima assai di giungere al- l'estremità del cuneo, in cau- sa del compagno di R Cas- siopaiae , che è almeno una grandezza più lucido della variabile nel suo minimo e lontano appena 20” da que- sta, cosicché non può essere occultato senza rischio di oc- cultare insieme anche la va- riabile. Si noterà che tanto il ra- mo discendente come quello ascendente si presentano mol- to regolari ; la salita è circa il doppio più rapida della di- scesa , e questo è in buon accordo colla indicazione del- le effemeridi di S c h u 1 h o f M — ni — 1 22‘*, ciò che vuol dire che il ramo ascendente occupa meno di dell’ in- tero periodo (432'1 in media). Il valor medio dei residui importa + 0. 1 1 per la pri- ma serie d’osservazioni (fino al 19 Giugno), + 0.05 per la seconda serie ; nel com- plesso + 0m.08. O c: zi cc Zi © r\ zi — zi rZ Fig. 6. 52 | Memoria J.] A. Beni por ad Sezione II. Variabili a corto periodo o irregolari. I. V Hydrae. Variabile irregolare. Estremi di grandezza secondo Schulhof (B. d. L.) 6.7 — 9.5. Stella di cfr. adoperata BD — 20.3280 Gr. BD 8.2 HP 8.30. Ammessa la Gr. di HP le 6 osservazioni da noi eseguite forniscono : Data Giorno giul. Gr. Data Giorno giul. Gennaio 20 2418692. 74 8.96 Marzo 1 1 2418742. 35 » 3' 705 71 9. 15 Aprile 1 1 773 42 Febbraio 6 709. 72 9. 19 Maggio 1 7 809. 36 li. W Virgin is. Aggiungendo alle medie serali dei valori A Gr. già comunicati nelle tabelle del mate- riale d’ osservazione la grandezza (7.58 secondo la HP) della stella di confronto, otteniamo per le varie date le seguenti grandezze di VV Virginis. I residui s’ intendono presi rispetto alla curva di ragguaglio (v. Pdg. 7). O z Data 1910 Giorno Giuliano Grand. Res. Note 1— 0 Z Data 1910 Giorno Giuliano Grand. Res. Note 24 .8 2418 I Genn. IO 682 740 9. 85 —0. 04 18 Marzo '9 730. 716 9- 73 — 0. 15 € 2 1 1 683 732 9. 66 — 0. 32 19 22 75 3- 454 io. 03 4-0. 02 € 3 1 5 687 744 9. 96 —0. 03 20 Aprile 4 766.433 io. 04 4-0. 03 4 19 69 1 750 io 82 -j-o. IO € 2 1 6 768. 46 1 9. 69 — 0. 1 3 5 26 698 737 9 95 -Fo 23 22 7 769. 439 9. 87 — 0. 05 6 3i 703 756 io. 40 4 0. 37 23 8 770. 428 9. 63 — 0. 36 7 Febbr. 2 70) 733 io. 16 4-0. 13 24 IO 772. 417 IO. 07 -4-0. 03 8 6 709 75' 1 1. 01 4-0. 1 3 25 1 1 773- 433 9. 89 — 0. 13 9 1 1 7H 729 9.83 — 0. 1 1 26 '5 777- 435 IO. 35 — 0. 14 IO 1 2 7i> 737 9- 57 -0. 13 27 '7 779. 424 io. 79 — 0. I I “.034 (Tutte le determinazioni sono state considerate come di ugual peso, qualunque fosse il numero dei confronti). Visto che lo scarto massimo fra i valori singoli ottenuti per le AGr. (2 3), (F3) non raggiunge che in un sol caso i 4 decimi di grandezza, e questo caso corrisponde ad una 9 Osservazioni fotometriche della variabile W Virginis. Meni. d. Soc. d. Spettrosc. i tal . Voi. XXXIX, 1910, pag. 145- Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel ti. Osservatorio ecc. 55 serata alquanto sospetta (per la C e per apposite notazioni) si deve concludere che le os- servazioni di quest’anno non confermano l’ipotesi della variabilità di una delle stelle di confronto. Molto più abbondante — e tale da prestarsi ad uno studio sul grado di esattezza che è possibile raggiungere col fotometro a cuneo — è il materiale raccolto per la determina- zione della differenza di grandezza delle stelle di confronto 1 e 2. I 143 valori singoli ot- tenuti per la detta determinazione sono qui sotto raccolti. Valori singoli ottenuti per la differenza di grandezza delle due stelle di confronto 1,2 per Y Ophiuchi. Data A Gr. Data A Gr. Data A Gr. Data A Gr. Data A Gr. Data A Gr. Giugno 2 I 48 Luglio 2 1. 25 Luglio 25 1. 22 Agosto io 1 17 Agosto 27 1 32 Settem. 8 1. 50 7 1 39 4 1. 22 26 1. 40 li 1 1 8 28 1 5i 1 2 1 39 8 1 64 5 1. 27 27 1. 51 1 1 1 48 28 1 39 1 2 1 37 9 ! 26 6 1. 31 27 1 • 3 1 15 1 35 29 1 3 5 '3 1. 46 I O 1 .48 7 1 . 28 28 1. 56 17 0 95 29 1 59 '4 1. 18 1 1 1 27 8 '• 33 28 1.47 17 1 39 29 1. 45 '5 1. 26 '4 1 44 9 030 29 1. 30 18 1 7i 30 1. 36 20 1. 40 I • 4' IO 1 . 26 29 i- 57 18 1 30 3° 1 5 3 22 1. 33 16 0 •93 1 1 1. 38 30 1. 09 19 1 29 3i 1 19 23 1 52 17 1 ÒI 1 2 1. 77 3° 1. 20 20 1 2 1 3' 1 18 24 1. 46 18 1 .87 '3 1.41 3 1 1. 51 20 1 3 5 Setteni 1 1 53 25 1 14 ■9 1 )6 14 1. 13 Agosto 1 i- 33 2 I 1 35 r 1 1 1 27 1. 27 20 1 50 >5 i-47 2 1. 22 22 1 47 1 1 3° 30 l 29 2 1 1 64 G 1.41 3 1. 31 22 1 3 3 2 1 46 Ottobre 1 1 25 22 1 75 16 1. 25 4 1. 30 23 1 45 •> ■> 1 48 2 1. 29 23 1 38 '7 1. 19 4 1. 36 23 1 41 > 1 24 3 1 29 24 1 37 18 1. 54 5 i- 35 24 1 4 1 4 1 22 4 1. 14 25 1 51 '9 1 . 26 6 1. 50 24 1 20 4 1 50 5 1 26 26 1 >2 20 1. 28 6 *• 57 25 1 2 1 5 1 29 6 1 15 27 1 .58 2 1 1 . 46 7 1. 23 25 1 20 5 T > > 8 1 55 28 1 2 1 22 1. 44 8 1. 62 26 1 39 6 I 42 9 1. 37 29 1 13 23 i- 5 1 8 1. 49 2Ó 1 23 6 I. 14 1 1 1 44 3° 1 41 24 '• 5i 9 1. 59 26 1 31 7 I °5 12 1 5 ' Luglio 1 1 32 25 1. 40 IO 1 ò6 27 1 46 7 I 27 Valor medio concluso i m. 5 7 rtom.oi (E. p. di un confronto isolato ztom.io) 11 grado di esattezza ottenuto nella determinazione del valor medio della A Gr. è forse il massimo che sia lecito sperare nelle misure col fotometro a cuneo. A riprova che l’ er- ror probabile del valor medio concluso non dovrebbe superare il centesimo di grandezza, ricorderemo che nel 1909 venne ottenuto per la stessa differenza un valore (1.36) che non differisce appunto più di 0m-0 1 dal valore ottenuto quest’anno. L’ e. p. dei singoli confronti importa esattamente + 0m.10. Aggiungendo il valore ottenuto per la A Gr. (1-2) alla Gr. 6.90 (HP) della stella 2, ot- teniamo la Gr. 8.27 per la stella 1, e aggiungendo ulteriormente a queste due grandezze le A Gr. (2-3) — -(-0.03 e (1-3) = — j— 1.35, otteniamo per la Gr. della stella 3 rispettivamente i valori 6.87 e 6.92 da cui in media 6.90, cioè la 3 risulta (col nostro fotometro) di gran- dezza identica alla 2. 2. Grandezze ottenute per la variabile dai singoli confronti. Aggiungendo ai va- lori delle A Gr. già comunicati nei quadri del materiale d’osservazione i valori conclusi per 56 A. Beni por ad [Memoria I.| le Gr. delle stelle di confronto, otteniamo i valori qui sotto raccolti per la Gr. della varia- bile. La prima colonna contiene la data dell’osservazione (l’ora precisa può rilevarsi dai quadri già citati), la seconda il tempo medio dell’ osservazione in giorni del periodo giu- liano ; la 3a, 4a e 5a le grandezze concluse per Y Ophiuchi dai confronti colla stella 1, colla 2 e dalla media dei due confronti; la 6a inime l’importo Oss. — Cale, corrispondente alle singole osservazioni, intendendo per curva calcolata quella ottenuta, come si esporrà appresso, dalla riduzione di tutte le osservazioni ad un unico periodo. TABELLA I. N. Data 1910 Giorno giuliano Grandezza di Y Oph. O-C N. Data 1910 Giorno giuliano Grandezza di Y Oph. O— c * 1 * 2 Media * 1 * 2 Media 2418 2418 T Mag.27 819. 445 6. 93 6. 78 6. 85 +0. 27 52 Lug. 19 872. 397 6. 70 6. 52 6. 61 -fo. 01 2 3 1 823. 619 6. 34 6. 36 6. 35 — 0. 17 5 3 20 873. 387 6. 55 6. 45 6. 50 — 0. 09 3 Giug. 1 824. 607 6. 67 6. 81 6. 74 +0. 15 54 2 1 874. 425 6. 3i 6. 44 6. 38 — 0. 16 4 2 825. 616 6. 14 6. 30 6. 22 — 0 20 55 22 875. 43 3 6. 20 6. 30 6. 25 — 0. 30 5 3 826. 624 6. 18 6. 2 3 6. 2 1 — 0. 03 56 23 876. 383 6. 37 6. 44 6. 41 — 0. 13 6 7 830. 603 6. 01 6. 40 6. 2 1 4-o. 04 57 23 876. 454 6. 29 6. 44 6. 37 — 0. 16 7 8 831.610 6. 47 5- 90 6. 18 — 0. 03 58 24 877. 453 6. n 6. 32 6. 22 — 0. I 2 8 9 832. 610 6. 24 6. 75 6. 49 +0. 24 59 25 878. 43i 6. 2 1 6. 19 6. 20 -f 0. 04 9 IO 833. 603 6. 4i 6. 1 1 6. 26 — 0 06 60 25 878. 464 6. 32 6. 16 6. 24 -fo. 08 IO 1 1 834. 609 6. 2 1 6. 4 3 6 3 3 —0. 09 b 1 26 879. 432 6. 01 6. 05 6. 03 0. 00 1 1 ■3 836. 639 6 68 6. 68 -f 0. IO 62 27 880. 423 5- 95 6. 09 6. 02 — 0. 06 12 14 837 610 6. 57 6. 58 6. 58 — 0. 02 63 27 880. 485 6. 25 6 19 6. 22 -fo. 12 13 15 838. 61 1 6. 58 6. 58 — 0. 02 64 28 881. 433 5- 93 6. 12 6. 03 — 0. 14 14 IÓ 839. 619 6 63 6. 63 6. 63 -f O. 06 65 28 881. 539 6. IO 6. '9 6. 15 — 0. 03 15 1 7 840. 606 6. 47 7- 02 6. 74 -fo. 22 66 29 882. 360 6. 28 6. 40 6. 34 -fo. 16 16 18 841. 593 6. 56 6. 81 6. 68 -fo 09 67 29 882. 484 6. 01 6. 00 6. 01 — 0. 18 '7 *9 842. 604 6 38 6 53 6. 45 O. OO 68 30 883. 442 6. 4 3 6. 16 6. 30 -fo. 07 18 20 843. 606 6. 06 6. 41 6. 24 — 0. 02 69 30 883. 506 6. 56 6. 20 6. 28 -fo. 05 l9 21 844. 440 5- 72 6. 34 6. °3 - O. 10 70 3 1 884. 425 6. 15 6. 1 0 6. '3 — 0. 15 20 22 845. 437 5- 56 6. 24 5- 90 — O. IO 71 Ago. 1 885. 4>4 6. 39 6. 35 6. 37 -fo. 01 21 23 846. 433 6. 15 6. 17 6. 16 -fO. 02 72 2 886. 472 6. 08 6. 19 6. 14 — 0. 3 3 22 24 847. 437 6. 22 6. 54 6. 3<8 -f 0. 2 I 73 2 S86. 549 6. 65 6. 48 6. 57 -*-o. 09 23 25 848. 447 6. IO 6. 33 6 22 -f O. 03 74 3 887. 394 6. 39 6 33 6. 36 — 0. 19 24 26 849.448 6. 02 6. 42 6. 22 — O. 02 75 4 888 370 6. 34 6. 27 6. 3i — 0. 28 25 27 850. 440 6. 07 6. 30 6. G — O. I 1 7 6 4 888. 439 6. 53 6. 52 6. 53 — 0. 06 26 28 85 0 437 6. 61 6. 65 6. 63 4-o. 24 77 5 889. 488 6. 65 6. 64 6. 65 -fo. 05 27 29 852. 356 6. 70 6. 4i 6 56 -f 0. 08 7» 6 890. 382 6. 52 6. 66 6. 59 4-0. 00 28 30 853. 631 6. 61 6. 61 - 0. 03 79 6 890. 485 6. 57 6 79 6. 68 -fo. 09 29 Lugl. 1 854. 437 6 53 6. 53 — 0. 07 80 7 891. 487 6. 63 6. 51 6. 58 -fo. 04 3o 2 8 5 5 • 449 6. 57 6. 57 — 0. 03 81 8 892. 375 6. 47 6. 72 6. 60 -fo. 07 3i 4 857. 402 6. 40 6. 40 o. 13 82 8 892. 441 6. 5° 6. 62 6. 56 -4-0. 03 52 5 838. 420 6. 62 - 6 62 -fo. 05 83 0 893. 362 6. 3 1 6. 54 6. 4 3 — 0. '3 33 5 858.476 6. 48 — 6. 48 — 0. IO 84 io 894. 369 6. 45 6. 74 6. 60 -4-0. 25 34 6 859. 424 6. 65 6. 65 40. 14 83 io 894. 440 6. 58 6. 39 6. 49 -fo 13 35 ó 859. 495 6. 77 6. 77 -fo. 27 86 1 1 895. 444 6. 37 6. 19 6. 28 -f 0. IO 36 7 860. 377 6 >7 6. 17 0. 1 b 87 1 1 895. 501 6. 22 6. 3 3 6. 28 -fo. 1 1 37 8 861. 574 6. 09 6. 09 — 0. 06 88 15 8.99. 389 6. 26 6. 24 6. 25 -f 0. 07 38 8 861 485 6. M 6. ni 0. 00 89 '7 901. 404 6. 60 6. '9 6. 39 -f 0. 1 1 39 9 862. 4 17 6. 1 2 6. 1 2 -fo. IO 90 '7 901. 46 1 6. 15 6. '7 6. : 6 — 0. I 2 40 9 862. 478 6. 13 6. 1 3 -fo. 12 9' 18 902. 881 6. 16 6. 5' 6. 34 — 0. 01 4i IO 863. 4 io 6. IO 6. IO — 0. 01 92 18 902. 4i5 6. 34 6. 27 6. 3 ' — 0. 04 42 lo 863. 502 6. ■9 6. 19 -fo. 06 93 19 903. 37 1 6. 62 6. 34 6. 58 -f 0. 13 43 1 1 864. 41 1 6. 3° 6. 1 1 6. 2 1 -f 0. 04 94 20 904. 374 6. 57 6. 40 6. 49 — 0. 05 44 12 865. 605 6. 37 6. 7Ò 6. 32 -f 0. I 2 95 20 904. 430 6. 25 6. 2? 6. 24 — 0. 30 45 >3 866. 417 6. 30 6. 09 6. 20 — 0 03 96 2 1 905. 394 6. 67 6. 66 6. 67 -fo. 08 46 14 867. 465 6. 06 6. 00 n. 03 — 0. 27 97 22 906. 356 6. 5 3 6. 63 6. 58 — 0. 02 47 '5 868 457 6. 53 6 5i 6. 52 +0. 14 98 22 906 404 6. 60 6. 56 6. 58 — 0. 02 48 '5 868. 507 6. 48 6. 22 6. 3 5 — 0. 03 99 23 907 364 6 56 6. 64 6. 60 -fo. 01 49 16 869. 397 6. 48 6. 25 6. 37 — 0. 09 ioo 23 907. 427 6. 55 6. 58 6. 57 — 0. 02 50 *7 870. 383 6. 68 6. 3 3 6. 52 — 0. 03 >01 24 908. 378 6. 38 6. 42 6. 40 — 0. 15 51 18 871. 404 6. 40 6. 54 6. 47 -0. 13 102 24 908. 429 6. 67 6. 5i 6. 59 -f 0. 04 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 57 N. Data Giorno Grandezza di Y Oph. O— C N. Data Giorno Grandezza di Y Oph. O-C 1910 giuliano * 1 a 2 Media 191 1 giuliano a 1 ■z 2 Media 103 Ag. 23 2418 90Q. 353 6. 58 6. 41 6. 30 —0. 02 130 Sett. 6 2418 921. 384 6. 82 6. 59 6. 71 +0. 18 104 25 909. 414 6. b) 6. 47 6.56 -f 0. 03 1 3 1 7 922. 397 6. 83 6. 53 6. 69 -fo. IO 105 26 910- 359 6 39 6. 62 6. 6 1 -ho. 03 132 7 922. 427 6 61 6. 5 3 6. 57 — 0. 02 106 26 910. 424 6. 40 6. 26 6. 33 — 0. 24 ■33 8 923. 349 6. 63 6. 56 6 60 0. 00 107 26 910. 461 6. 49 6. 43 6. 46 —0. 1 1 134 1 2 927. 342 6. 83 6 83 6. 84 4- 0. 26 108 27 911. 361 6. 24 6. 33 6. 29 —O. ! I i35 1 2 927. 420 6. 71 6. 71 6. 71 4-o. 13 109 27 9 ' '-455 6. 38 6. 33 6. 36 — 0. 02 1 36 13 928. 342 6. 53 6. 62 6. 58 4-0. 16 I IO 28 912. 348 6. 17 6 31 6. 24 -j-0. 02 D7 '4 929. 347 6. 36 6. 17 6. 27 4-0.03 1 1 1 28 912. 384 6. 06 6. 08 6. 07 — O. 14 138 ■5 950. 346 6. 26 6. 14 6. 20 40. 02 1 12 29 9 '3- 347 5- 97 5- 95 5- 96 — 0. I I >39 20 935. 346 6. 27 6. 30 6. 29 -fo 03 113 29 913. 378 5- 84 6. 06 5- 95 —0. I I 140 22 937- 324 6. 36 6. 32 6. 34 —0. 08 1 14 29 91 3- 444 6. 04 6. 12 6. 08 4-0. 03 141 23 938. 340 6. 23 6. 37 6. 30 — 0. 22 115 3° 9i4. 375 6. 03 6. 02 6. 03 -f 0. 01 142 24 939. 363 6 60 6. 70 6. 65 4-0.07 1 16 30 9 1 4- 453 5- 92 6. 08 6. 00 — 0. 03 i43 25 940. 343 6. 70 6. 47 6 59 — 0. or 117 3 1 91 5 356 6. 38 6. 20 6. 29 -fo. 12 144 27 942. 334 6. 81 6. 7 1 6. 76 4-o. 19 1 18 3i 915. 41 1 6. 33 6. 13 6. 23 +0. 06 145 30 945- 340 6. 4 1 6.33 6. 37 — 0. 07 1 19 Sett. 1 916. 351 5- 84 6. 00 3. 92 — 0. 26 146 Ott. 1 946. 338 6. 26 6. 15 6. 21 — 0. 05 120 1 916. 423 6. 07 3.81 5- 94 — 0. 24 147 2 947. 328 6. 30 6. 22 6. 26 4-o. 1 5 1 2 1 1 916. 454 6. 2 1 6. 14 6. 18 0. 00 148 3 948. 376 5.98 5. 90 5- 94 — 0. 06 122 2 9 1 7- 35i 6. 16 6. 25 6. 21 0 00 '49 4 949 335 6. 15 5. 46 6. 06 — 0. IO 123 3 918. 345 6. 20 6. 3 1 6. 26 0. 00 1 50 5 950. 322 6. 16 6. 05 6. 1 1 0. 06 1 24 3 918. 404 6. 24 6. 1 1 6. 18 — 0. 09 '5' 6 95 1 * 3 56 6. 34 6. 1 3 6. 24 40. 04 125 4 919. 366 6. 56 6 41 6. 49 -ho. 1 3 1 52 8 95 3- 376 6. 44 6. 62 6. 5 3 4-o. 2 1 126 4 9 1 9- 457 6. 23 6. 38 6. 32 — 0 03 1 53 9 954. 309 6. 54 6. 54 6. 54 4-0. 14 127 5 920. 372 6. 56 6. 48 6. 52 4-0. 08 '54 1 1 956- 333 6. 52 6. 59 6. 56 — 0. 01 128 5 1 Q20. 426 6. 72 6. 68 6. 70 -f 0. 26 '55 12 957. 284 6- 73 6. 87 6. 80 -fo. 20 1 29 6 Ì92I. 339 6. 50 6. 55 6. 53 0. 00 i 3. Formazione dei valori normali. Prima di ridurre tutte le osservazioni ad un unico periodo volemmo accertarci che il periodo dato dalle effemeridi, di 1 7d . 1 2 1 , si adattasse bene ai nostri risultati. Ricavammo dal ragguaglio grafico grossolano delle misure le epoche 2418 830d e 2418 949 perii pri- mo e 1’ ultimo dei massimi osservati quest’anno. La differenza di 1 19" comprende esatta- mente 7 periodi di 17'1. L’accordo si fa migliore, confrontando l’epoca dell’ultimo mas- simo di quest’anno con quella 2418 126.5 ottenuta nel 1908. Di qui risulta infatti il pe- riodo di 17". 136 con differenza di appena 0".015 = 22 minuti del valore delle effemeridi. Questa differenza moltiplicata per il numero (48) dei periodi compresi fra le due epoche importerebbe (se il periodo delle effemeridi è esatto) un errore complessivo di 181' nella de- terminazione grossolana dei due massimi, errore non eccessivo in confronto alla durata, di oltre 400h , del periodo di questa variabile. Abbiamo dunque ridotto tutte le osservazioni all’ intervallo di tempo compreso fra le date 2418 873 e 2418 890, aggiungendo o togliendo ai tempi d’osservazione multipli con- venienti del periodo 1 7d. 1 2 1 . I tempi, cosi ridotti vennero disposti in ordine crescente, e si formarono le medie (così dei tempi come delle grandezze corrispondenti) di quattro in quattro date consecutive 1). Molto raramente 1’ intervallo di tempo compreso fra le date raggruppate in una media supera le 12h. I valori ottenuti, in base ai quali venne trac- ciata la curva di ragguaglio di tutte le osservazioni sono i seguenti (colonne T e Gr.). 9 L’ ultimo gruppo comprende soltanto tre osservazioni. ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Meni. I. 8 58 A. Bem por ad [Memoria I. TABELLA II. Num. d’ ord. delle singole misure T Gr. O— C Num. d’ord. delle singole misure T Gr. o-c '5- 99- 100. 78. 24188 75. 105 ó. 58 — 0. 01 22. 150. 6. 119. 24188 81. 898 6. 15 - 0. 02 79- 33- 144. 14. 73.015 6.64 +0. 06 1 20. 1 2 1 . 88. 66. 82. 255 6. 18 0. 00 IOI. 102. 80. 54- 74. 278 6. 49 — 0. 05 67. 23- 44- 151. 82. 693 6. 20 -fo. 03 31- 15- 2. 103. 74. 866 6. 50 — 0. 02 7- 1 22. 68. 69. 83. 257 6. 24 -fo. 02 104. 81. 82. 35- 75- 293 6. 49 —0. 04 24. 45- 8. 1 39- 85. 796 6. 30 +0. 05 32. 33- 16. 3- 75- 736 6. 63 -+•0. 05 125 124. 89 90. 84. 222 6. 25 — 0. 02 134- 1 3 5- 105. 106. 76 084 6. 62 +o. 04 70. 46. 25 152. 84. 646 6. 22 — 0. oS 107. 85. 56. 57- 76. 324 6. 42 -0. 13 9- 125. 1 26. 9i. 85. 141 6. 35 +0. 01 34- 35- >7- 145- 76. 715 6. 56 +0. 08 92. 71- 47- 48. 85. 478 6. 39 +0. 02 4- 136. 108. 109. 77.072 6. 59 - — 0. 0 1 26. 5 3- 140. IO. 85. 859 6. 46 +0.05 §4. 8). 58. 36- 77. 380 6. 37 + 0. 02 127. 128. 93- 72. 86. 259 6. 49 +0. 04 18. 146. i37- 5- 77.918 6. 23 — 0. 01 49- 73- -1- 141. 86. 660 6 45 — 0. 04 I IO. in. sè. 87. 78. 238 6. 22 +0. 02 1 29. 130. 94- 93- 87. 200 6. 49 — 0. 04 5°- 60. 37- 38. 78.499 6. 17 +0. 01 74- 50. 154. 28. 87. 655 6. 5 1 — 0. 05 19. '47- 138. 1 12. 78 903 6. 1 1 -Po. 01 1 . 142. 1 1. 13 1. 88. 021 6. 74 +0. 14 113. 1 14. 61. 39- 79. 327 6. 04 0. 00 132. 96. 75. 76. 88.317 6.52 — 0. 07 40. 20. 148. 115. 79. 826 6. 00 0. 00 Si- 29. i)5- 12. 88. 744 6. 60 0. 00 1 16. 62. 63- 4». 80. 412 6.08 0. 00 '43- 133- 97- 98. 89. 151 6. 59 — 0. 01 42- 21. 149. 117. 80. 816 6. 17 -j-o. 01 77- 52. 30. 89. 566 6. 61 -4-0. 01 118. 64. 43- 65. 81.418 6. 15 — 0. 02 Gr. -M18 875'1 877 *79 «81 888 885 887 889 891 893 895 Fig. 8. 4. Discussione dei risultati. La curva media (Fig. 8) poco si discosta dall’ andamento consueto delle variabili a corto periodo (tipo di 3 Cephei). Però oltre al solito accenno ad un massimo secondario dopo il massimo principale, è notevole la particolarità affatto analoga per il minimo, che appare diviso in due da una debole oscillazione, non superiore per verità al decimo di grandezza, ma abbastanza bene stabilita, visto che ognuno dei 39 punti della figura si fonda su quattro osservazioni singole. Sorprendente è la lunga stasi dalla variabile attor- no al minimo ; non meno di sette giorni impiega per passare dalla grandezza 6.5 alla 6.6 e pei1 risalire di nuovo alla 6.5. Questo fatto e 1’ altra circostanza della oscillazione suac- cennata rendono necessariamente incerta la determinazione del minimo. Questo risulterebbe precedere di 4'1 (esattamente 3.97) il massimo principale, se riguardiamo come minimo prin- cipale quello che immediatamente precede il ramo ascendente. Si ha invece M — 7(1.57, se si assume come minimo principale quello più largo e forse più profondo, dove si ar- Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguile nel R. Osservatorio ecc. 59 resta il ramo discendente. Le effemeridi di Hartwig e di Schulhof forniscono per questo elemento il valore M — /// — 6.22 poco discosto dal medio dei due valori precedenti. Esclusa la porzione di curva attorno al minimo, in tutto il resto 1’ andamento della curva può ritenersi assicurato entro pochi centesimi di grandezza. Il Val. med. (O-C), in- clusa la regione del minimo, non supera + 0m.03. E anche risalendo alle osservazioni ori- ginali (v. Tab. I), sebbene il divario O-C salga in qualche caso al terzo di grandezza, il vai. med. O-C (da tutte le 155 osservazioni) non supera +0m.10, da cui si ricava per una singola determinazione di grandezza della variabile 1’ e. p. + 0m.07. Non può sorpren- dere che questo risulti sensibilmente minore dell’ e. p. (+0m.10) trovato prima per le de- terminazioni singole della differenza di grandezza delle stelle di confronto, perchè le misure sono disposte in modo da dare per ciascun confronto delle dette stelle due confronti indi- pendenti per la variabile. Ammesso che 1’ e. m. dei singoli confronti sia lo stesso, ne se- gue che la precisione delle determinazioni serali della Gr. della variabile deve stare a quella delle determinazioni della A Gr. delle variabili press’ a poco nel rapporto 12: 1 = 1,4. E infatti gli e. p. +0. 10 e +0.07 sono precisamente in questo rapporto. L’ amplitudine, stando ai valori estremi ottenuti nelle osservazioni originali (5m.90 il 22 Giugno, 6.85 il 27 Maggio), dovrebbe esser di poco inferiore ad una grandezza; stan- do invece agli estremi delle grandezze normali (Tabella II) si scenderebbe a 0m.72 ; se- condo la curva di ragguaglio infine f amplitudine non oltrepasserebbe i 6 decimi di gran- dezza, ma il procedimento stesso del ragguaglio tende evidentemente a deprimere i mas- simi e ad appianare i minimi ; non si deve cioè confondere la curva di ragguaglio colla curva reale. In particolare 1’ amplitudine risulterà sempre con maggior precisione dalle os- servazioni originali combinate in medie anziché dalla curva. Ammettendo che i valori estre- mi riportati sopra (5.90 e 6.85) siano affetti dall’ error medio 0m. 10, ciascuno nel senso che tende a far apparir maggiore I’ amplitudine, otteniamo per questa il valore 0m.75, in buon accordo coll’altro ricavato sopra dalla Tabella li e coll’ amplitudine di 0m. 8 assegnata dalle effemeridi del Bureau des Longitudes. La semiamplitudine, se così vogliamo chiamare la differenza di grandezza fra il mas- simo principale e quello secondario (flesso) immediatamente seguente, risulta di 0m.17. Le grandezze corrispondenti al massimo e al minimo risultano a noi 6m.00 e 6m.72 (Tab. II) contro 6.2 e 7.0 come assegna il B. d. L. Pei- f epoca del massimo infine si conclude con discreta sicurezza il valore 2418879.85 — Luglio 26d 20h 24 m , che insieme all’ epoca 2418126.5 del massimo osservato nel 1908 conduce al valore 17 '. 122 del periodo, in accordo perfetto col valore dato nelle effemeridi (17d, 121). Secondo le ef- femeridi del B. d. L. il massimo piti vicino a quello da noi osservato avrebbe dovuto ve- rificarsi il giorno Luglio 28 a 18h (T. m. civile Parigi) — Luglio 28d 71' (T. m. astron. Catania). Il massimo ebbe luogo dunque quasi un giorno e mezzo prima del previsto. Se- condo gli elementi dati nelle effemeridi di Hartwig 2410012.880 -f 17d. 121 E il divario serebbe ancora maggiore (ld. 71) e nel medesimo senso. Non occorre aggiun- gere che questo divario è di gran lunga superiore all’errore possibile nella determinazione 60 A. Beni pormi [Memoria 1.1 del massimo dalla nostra curva (incertezza qualche ora al più). E ammissibile dunque la proposta di sostituire ai suaccennati elementi i nuovi Max = 2418 879.85 -f 17 '.122 E (1910 Luglio 26'1 20h 24m ). L’ esame dei residui delle osservazioni originali (Tab. I) e meglio ancora, la rappre- sentazione grafica dei singoli valori ottenuti per la grandezza della variabile mostra che gli scarti fra valori osservati e valori ragguagliati in qualche caso rimangono invariati di segno anche per quattro o cinque giorni consecutivi, raggiungendo con andamento pro- gressivo importi tali da non potersi attribuire a puri e semplici errori d’ osservazione. In particolare la divisione del massimo in due separati da un minimo secondario, profondo quasi come la metà di tutta 1’ amplitudine della variabile (divisione notata per la prima volta nelle nostre osservazioni del 1909), si ripresenta nettissima anche in tre massimi di quest’ anno. Precisamente risulta i° Mass. Min. secondario 2° Mass. Data Gr. Data Gr. Data Giugno 22 MI 5 9° Giugno 24 IM 6. 38 Giugno 26 Luglio 9 6. io Luglio 12 6. 32 Luglio 14 Agosto 30 5. 98 Agosto 3 1 6. 30 Sett. ! E nel 1909 si trovava i° Mass. Min. secondario 2° Mass. Data Gr. Data Gr. Data Luglio 29 6 00 Luglio 30 6.43 Agosto 1 Gr. 5.96 Sono coincidenze, queste, troppo rilevanti per poter esser fortuite. Dobbiamo conclu- derne che alla variazione regolare rappresentata dalla curva media (Fig. 8) si sovrap- pongono di quando in quando profonde intaccature, che possono modificare essenzialmente l’aspetto dei singoli rami. Basterebbe che una sola, di queste perturbazioni fosse ben con- trollata mediante 1’ osservazione simultanea di due osservatori indipendenti, per aver la prova sicura di un fenomeno molto importante. 5. Nuova riduzione delle osservazioni del 1909. Le accennate perturbazioni ci inducevano nel 1909 a provare un altro valore del periodo, in luogo di quello (17d. 12) comunicato dalle effemeridi e già confermato dalle nostre osservazioni del 1908. Sulla base di 27 misure raccolte in circa tre periodi consecutivi (colla * di cfr. 1) veniva dedotto, sebbene in forma molto dubitativa, il valore 19 '. 3, che si adattava infatti molto meglio dell’ altro alla detta serie di misure, ma non alla prima serie di 19 misure, in cui vennero adoperate ambedue le stelle di confronto l e 2. Le osservazioni di quest’ anno non con- fermano in alcun modo, neppure per due o tre periodi consecutivi il periodo di 19'1. 3. Discutemmo anche nel 1909 e di nuovo in quest’anno la possibilità che la stella di con- fronto I fosse variabile, ma con risultato negativo. Non resta quindi che giustificare colla scarsità e colla minor precisione delle osservazioni del decorso anno i risultati poco sod- disfacenti ottenuti da quella riduzione, e provare se colla riduzione ad un unico periodo e colla relativa formazione di valori normali si ottengono risultati meglio conformi a quelli di quest’ anno. E confortante intanto notare un’ altra coincidenza (oltre a quella dei due massimi divisi da un minimo secondario già rilevata sopra) nel valore M — m, differenza Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 61 in tempo fra il primo massimo e il minimo precedente, il qual valore risultava nel 1909 di 4l1 , in perfetto accordo con uno dei risultati ottenuti sopra. Le osservazioni del 1909 ridotte con addizione di multipli del periodo I7d. 121 allo intervallo compreso fra i giorni 2418 498 e 2418 514 del periodo giuliano forniscono. D a t 1909 Giorno giul. 2418 Gr. D a t 1909 i Giorno giul. 2418 Gr. Agosto 3° 498. 014 6. 08 Agosto 20 305. MS 5- 96 » '3 498. 173 6. 61 » 3 505. 284 6. 23 Luglio IO 498. 391 6. 72 Luglio 17 505. 445 6. 26 Settembre 7 505.997 6- 3 3 Agosto 3' 499.031 6. 62 » 14 499. 147 6. 69 Agosto 2 1 506. 1 5 5 6. 18 Giugno 24 499- 51) fa. 43 » 4 506. 274 6. 28 » 6 499. 664 6.46 Giugno 14 506. 664 6. 2 1 Settembre 1 499 994 6.67 Settembre 8 307. 049 6. 50 Luglio 29 500. 249 6. 00 Luglio 19 507. 422 6. 23 » 1 2 300. 413 6. 69 Giugno 15 507.673 6. 34 Settembre 9 508. 026 6. 17 Luglio 30 501 . 283 6. 43 » 13 Soi. 413 6. 36 Agosto 7 509. 294 6. 32 Agosto 17 302. 154 6 05 Luglio 21 509. 421 6. 40 Giugno 17 509. 672 6. 38 Luglio 3i 302. 312 5- 99 » 14 502. 441 6. 12 Agosto 8 510. 307 6. 52 Giugno 27 502. 542 5 99 Luglio 22 510.453 6. 60 » IO 502 721 6. 16 » S 510. 567 6. 53 Agost 18 503. 169 6. 34 Agosto 9 5 1 1. 267 6. 56 » 1 503. 285 5. 96 Luglio 23 511-425 6.80 Luglio 15 503. 414 6. 13 Agosto IO 5 12. 276 6.45 Settembre 5 504. 020 6. 25 Luglio 8 5 1 3- 555 6. 60 Agosto »9 504. 158 fa. 28 Agosto 1 2 514. 293 6. 44 Giugno 12 504. 659 6. 13 Luglio 9 514. 584 6. 63 Colla divisione in gruppi di 3 o 4 osservazioni, nel modo accennato nella precedente tabella, si ottengono i seguenti valori normali. Data 1909 Giorno giuliano 2418 Gr. Data 1909 Giorno giuliano 24 1 8 Gr. Agosto 1 3 498. 193 6.47 Agosto 20 503. 468 6. 20 » 14 499- 339 6- 5 5 » 21 506. 364 6. 22 » 15 500. 219 6. 45 » 2 2 507- 543 6. 51 » 16 501. 617 6. 28 » 24 509. 462 6. 43 » 17 502. 504 6. 07 » 25 510. 442 6. 56 » 1 8 503. 289 6. 14 » 26 511.655 6. 60 » 19 504. 279 6. 22 » 29 5 T4- 145 6. 56 2418 498d 500 502 ’ 504 506 508 Fig. 9. «, 514 510 512 516 A. Beni pormi [Memoria I.j 62 Questi conducono ad una curva (Fig. 9) necessariamente più incerta di quella per il 1910 (dato il minor numero di valori normali e anche la minor precisione delle singole osservazioni) ma di andamento del tutto analogo anche nelle più minute particolarità. Così p. es. la differenza M — vi fra il tempo del massimo principale e quello del minimo pre- cedente risulta di 3‘*. 6 contro 4d. 0, come abbiamo ottenuto quest’ anno ; così la differenza fra la grandezza del massimo principale e quella del massimo secondario (flesso) susse- guente risulta di 0m.15 contro OM7; e infine anche l’oscillazione attorno al minimo è del tutto analoga per forma e per ampiezza a quella del 1910. Per l’epoca del massimo si conchiude 2418 502d. 9, che insieme al massimo di que- st’anno 2418 879'1. 85 condurrebbe al valore 17d. 133 del periodo, valore non troppo di- verso da quello (17d. 122) concluso dal confronto delle osservazioni del 1908 e del 1910. La differenza di 0‘ 1 . 01 1 nel valore del periodo accenna ad un errore di circa 6h nella de- terminazione del massimo del 1909. V. [3 Lyrae. 1. Determinazione delle grandezze delle stelle di confronto. Nelle 7 osservazioni del Maggio venne adoperata la sola stella di cfr. I = BD --j- 32°. 3228, nelle prime 6 os- servazioni dell’ Ottobre e Novembre la stella l e la 2 = BD -j- 33.3224 (compagno di (3 Lyrae) in tutte le seguenti infine oltre a queste due anche la stella 3 = BD -f- 33.3227. I con- fronti eseguiti fra le stelle 1 e 2 da una parte, 2 e 3 dall’ altra sono qui sotto raccolti. Data AGr. (2- 1) AGr. (5-1) Data A Gr. (2 - 1) AGr. (3-1) Ottobre 1 3 1. 80 Novembre 9 1 . 90 » 14 1. 66 - » 1 1 1 . 90 0. 80 » 29 9 (i- 93) — » I33) i- 7) (0. 14) Novembre 1 1. 59 — » 19 1.81 0. 87 » 2 2. 05 — » 27 1.84 0. 80 * 3 r. 42 — » 28 1.69 0. 76 » 4 2) (1. 25) 0. 90 Decembre 8 2. IO 0. 72 » 7 1. 80 0. 49 » 23 1.83 0. 68 » 8 1 . 81 0. 92 » 24 2. 00 0. 52 0 Confronto incompleto per nubi. 2) Confusione delle puntate sulla striscia dell’apparecchio registratore. 3) Non si può assegnare la ragione del forte scarto del valore ottenuto il 13 Novembre dagli altri io ben con- cordanti. Forse scambio di stella? In media si ottiene AGr. (2-1) = lm.8 1 + 0m.02 A Gr. (3- 1) — 0 .74 + 0 .03 Quest- ultimo valore è in accordo perfetto colla differenza di Gr. risultante dalla PD (è da notare che le due stelle in questione hanno colore quasi identico GB — e B). As- sumendo quindi per la stella 1 la grandezza 5.38 (PD) otteniamo per le altre due Gr. 2 = 6. 12 Gr. 3 = 7. 19. 2. Grandezze della variabile. Con queste grandezze delle stelle di confronto i sin- goli confronti eseguiti forniscono le seguenti grandezze della variabile. Osservazioni fotometriche iti stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 63 Data \ 910 Giorno giuliano 24 1 8000+ Grandezza di [3 Lvrae Res. Data 1 9 1 0- 1 1 Giorno giuliano 24 18000-f- Grandezza di p Lyrae Res. * 1 * 2 Media * I * 2 Media Maggio 17 809. 402 3.25 , 3- 25 Novemb 7 983. 376 3.86 3.85 3.86 0 )► 18 810. 419 3. 26 — 3. 26 — » 8 984. 368 3-49 3.48 3-49 0 » 19 81 1. 583 3.87 — 3- 87 — » 9 985. 348 3. 40 3-49 5- 45 — 1 » 20 812. 427 3. 56 — 3- 56 — » 1 1 987. 366 5.84 3-93 3. 89 + 10 » 2 1 813. 424 4. 08 — 4. 08 — » ■3 989. 373 4. 01 3- 95 3.98 + 15 » 26 818. 466 3.18 — 5. .8 — » 1 9 995- 35 5 4. 3° 4. 31 4. 3 1 0 » 27 819. 417 3- 46 — 3. 46 — » 27 1003. 35 1 3- 75 3. 78 3-77 -fu Ottobre G 958. 375 3.48 3 47 3-47 — 4 » 28 1004. 267 5-49 3- 34 3. 42 — IO » 14 959- 4i3 3. 5 5 3. \o 3. 48 + 2 Decem . 8 1014. 275 3-73 4. 01 3.87 — 6 Novemb 1 977. 183 3. 70 3. 48 3- 59 — IO » 23 1029 279 3. $6 3.58 3- 57 — 7 > 2 978. 332 3- 13 3- 37 3 25 —28 » 24 1030. 260 5.58 3-77 3.68 + 17 » 3 979. 284 3- 75 >• 3° 3- 55 + 9 3. Discussione dei risultati. Le prime 7 osservazioni sono troppo distaccate dalla epoca media delle rimanenti per poterne tener conto, almeno in una prima riduzione come la presente. Le altre sebbene affatto insufficienti per la formazione di valori normali si adattano tuttavia assai bene ad un ramo di curva che ha proprio la forma tipica ben nota (v. fig. 10). (ir. Fig. 10. Per ridurre ad un unico periodo le 16 osservazioni raccolte, in mezzo a grandi con- trarietà della stagione, negli ultimi mesi del 1910 ci siamo serviti del valore provvisorio 12d. 908 del periodo comunicato nelle effemeridi di Hartwig. L’epoca ottenuta, mediante la nostra curva, per il minimo principale 1910 Novembre 18. 9 == 241899-L1. 9 confrontata coll’ altra epoca ottenuta dalle osservazioni del 1908 *) 1908 Giugno 23.5 = 24181 16d. 5 fornisce come valore del periodo risultante dalle nostre proprie osservazioni 878'*. 4 : 68 = 12(1. 918. 0 Cfr. Osservaz. fotometriche etc. Mem. d. Soc. d. Spettrosc. Ital. XXXVIII (1909) pag. 169. 64 A. Beni por ad [Memoria J.] Questo risultato si accorda in modo molto soddisfacente coi valori più recenti del pe- riodo di p Lyrae. Pannekoek (rid. al 1909, Ann. du Bureau des Longitudes) 12d. 9196 Luizet (Bull, de la Soc. Belge d’ Astronomie 1907 ) 12d. 9193. Cogli elementi originali di Pannekoek l) min. 1855 Genn. 6.604 T. M. Greenwich -f- 12d. 908009 E ponendovi E = 1580 e tenendo conto della differenza di longitudine Catania — Greenwich si trova pel minimo da noi determinato l’epoca 2418994'L 74 in anticipo di appena 0d. 16 (cioè di 4 ore) sull’epoca da noi accennata. Trattandosi di un minimo determinato da sole 16 osservazioni distribuite in un intervallo di 310 ore, un errore di 4 ore non è eviden- temente molto grande. Nè è detto poi che il divario debba interpetrarsi in tutto il suo im- porto come errore di osservazione. Infatti se prendiamo gli elementi più recenti di Luizet l’accordo colla nostra determinazione risulta assai migliore, ottenendosi per E = 351 l’e- poca 2418994C94 in coincidenza perfetta col nostro risultato (entro il limite di approssi- mazione di un’ ora circa). L’ amplitudine, risultante di circa una grandezza, è in buon accordo cogli elementi dell’ A. d. B. d. L. (Max 3.4 min. 4.5). Questa interessante variabile, scoperta nel 1881 da Ceraski, studiata da molti astro- nomi, come Glasenapp, Knott, Schmidt, Chandler, e più assiduamente da Pickering e Wil- sing, appartiene alla categoria abbastanza numerosa di quelle variabili del tipo di Algol, ossia ad ecclissi, che conservano luce pressoché costante per un periodo di tempo abba- stanza lungo (anche di molte ore) attorno al minimo. Chandler e Knott per primi afferma- rono non essere i minimi consecutivi fra loro identici, ma alternativamente più o meno profondi. Wilsing trovò di più che tutta la curva dei minimi d’ ordine pari è sostanzial- mente diversa da quella dei minimi d’ ordine dispari. Le nostre osservazioni del 1910 comprendenti tre buone serie d’ osservazioni pei mi- nimi che diremo d’ ordine dispari osservabili da noi solo nell’ inverno e altre tre serie con- simili pei minimi d’ordine pari osservabili da noi soltanto nell’estate, mentre confermano da una parte i risultati già acquisiti dagli accennati astronomi, conducono però d’ altro canto a modificare le vedute generali circa la costanza della luce attorno al minimo. min. 2414 460.263 (T. M. Parigi) -f 12d.9193 E Sezione terza — Variabili a ecclisi. I. U Cephei. 9 Astron. Nachr. N. 3456, 1897. Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 65 Ammettendo che le curve corrispondenti a minimi d’ ugual parità , a meno degli er- rori inevitabili d’ osservazione, siano identiche, si potranno ridurre i risultati ottenuti pei tre minimi diversi ad uno solo, applicando ai tempi d’ osservazione le correzioni risultanti dai multipli dei periodi compresi fra i detti minimi, nonché dalle differenze delle rispettive riduzioni a tempi eliocentrici. Così abbiamo ridotto le osservazioni eseguite il Gennaio 17 e Febbraio 1 a quelle del Gennaio 27, aggiungendo 4 volte il periodo (2d 11'1 49m 4b, 55) ai tempi della prima serie e togliendo invece dai tempi della 3a serie d’ osservazioni (Febbr. 1) il doppio del periodo stesso. Ciò equivale ad applicare una correzione di — - 41m.O ai tempi del 17 Gennaio e di -|- 20.ra5 a quelli del 1 Febbraio. Di più ai tempi delle sin- gole serie vennero applicate le riduzioni a tempi eliocentrici *) calcolate in -j- 2.m6, -j-2.ml, -j- l.m8 per le tre date rispettivamente. Similmente le osservazioni del 28 Luglio e del 7 Agosto si ridussero a quelle del 2 xAgosto, togliendo e aggiungendo rispettivamente 20. m5 ai tempi d’ osservazione delle due date estreme e applicando ai tempi delle tre date rispettivamente le riduzioni — 2.m3, — 2m.0, — lm.7 per convertirli in tempi eliocentrici. Quanto alle grandezze della variabile vennero formate semplicemente aggiungendo ai valori già comunicati 2) delle A Gr. (Var. — * di cfr.) le grandezze assegnate nella HP per le due stelle di cfr. (8.08 e 8.44 rispettivamente per la stella 1 e la 2). I residui 0 - C vennero formati con procedimento grafico confrontando le singole osservazioni colle curve di ragguaglio ottenute nel modo che si dirà appresso. Minimi d’ ordine dispari Osservazioni del Gennaio 17 Gennaio 27 Febbraio 1 N. T. M. elioc. rid. al 27 Gen. Grand. o-c N. T. M. elioc. Grand. O— C N. T. M. elioc. rid. al 27 Gen. Grand. O— C li in li ni li in i 8 6.6 7. 48 -f 0. 1 3 18 841.2 7-47 — 0. 01 32 9 23- 3 7. 90 4- 0. 09 2 12. 9 7- 32 —0. 03 19 48.0 7. 60 4-0. 08 33 29. 4 7- 93 0. 00 3 51. 2 7. 32 —0. 22 20 9 25.8 7. 80 — 0 04 34 5 *• 7 8. 18 4-o. 02 4 56. 3 7. 60 -fo. 02 21 32. 9 8 02 4-0. 04 35 57 3 8. 14 —0. 1 1 5 9 24- 2 7-95 -l-o. 13 22 io 19.0 8. 45 — 0. 14 36 io 30. 7 8.85 4-0. 04 6 32. 1 7- 99 4- 0. 02 23 24. 2 8 83 -1- P 37 36. 8 8. 68 —0. 27 7 55- 7 8. 28 + 0. 03 24 46. 9 9. 14 — O. IO 38 11 5.8 9-75 4-o. 06 8 IO 1.6 S. 06 — 0. 24 25 52. 6 9. 42 0. 00 39 12. 3 9.78 -fo. 13 9 7. 6 8.61 -f 0. 20 26 11 16. 3 9. 32 — 0. O! 40 32. 8 9. 27 4-0. 04 IO 13. 4 8.57 4-0. 07 27 22. 6 9. 38 -j-O. 0 I 41 39. 1 9. 04 — 0. 17 1 1 40. 9 9. 28 -f 0. 22 28 49. 8 9- 5 3 4-0. 23 42 59.8 9. 51 4-o. 02 12 46. 9 9 i3 —0. 1 1 29 5 5-9 9- 33 —0. 1 3 43 12 7. 0 9.49 4-o. 01 13 11 9. 5 9- 54 — 0. 14 30 12 17.7 8. 96 — 0. 48 44 30-4 9.72 -Fo. 34 14 16. 1 9.43 —0. 1 1 3' 22. 8 9.42 0. 00 45 3 5-6 9- 4S -Fo. 09 '5 22. 3 9 25 -0. 13 46 13 1.2 9. 18 — 0. 04 16 42. 1 9. 31 -Fo. 09 47 8.6 9. 19 -Fo. 03 '7 47. 0 9. 23 -f-o. 02 1) Secondo la forinola Tempo elioc. — Tempo geoc. = — 497’. 8 R cos pcos (©-X), dove I e p indicano le coordinate eclittiche della variabile, R e © il raggio vettore e la longitudine del sole. 2) V. Materiale d’ osservazione per le date suindicate. ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Meni. 1. 9 66 [Memoria I.] A. Beni por ad Minimi d’ordine pari. Osservazioni del Luglio 28 Agosto 2 Agosto 7 N. T. M. elioc. rid. al 2 Ag. Grand. O— C N. T. M. elioc. Grand. O— C N. T. M. elioc. rid. al 2 Ag. Grand. O— C li m li ni li in 1 8 38.0 7. 83 -fo. 17 13 8 42. 8 7- 5 3 — 0. 18 25 8 42.4 7. 68 — 0 03 2 4L 1 7. 8q -lo. 18 14 46. 7 7- 5i -0. 27 26 46. 9 7. 89 4-0. 12 3 9 26 1 8 46 4-o. 1 5 '5 9 24 1 8. 28 0. 00 27 9 29. 5 8. 23 -0. 13 4 29. 7 8. 39 + 0. 03 16 27. 0 8. 27 — 0. 03 28 io 51.6 9. 27 —0. 02 5 io 21.5 9 28 +0. 02 ■7 io 2. 6 8. 80 — 0. IO 29 11 35.0 9.03 —0. 02 6 11 5.0 9. 32 -fo. I 2 18 5- 2 9. 02 +0. 05 30 12 28.3 8. 91 — 0. 09 7 42. 1 8. 94 —0. IO '9 49- 4 9. 25 — 0. 03 31 > 3 3 5-4 7. 68 — 0. 01 8 12 6.6 9. 19 + 0. 02 20 ■ 1 43- 3 9. 11 4-o. 06 32 36. 9 7. 52 - 0. 1 1 9 57-9 8. 16 —0. 06 2 1 12 39. 8 8. 94 -fo. 15 3 3 15 4 4 7- 1 5 4-O.J9 IO 13 50.7 7.65 4-0. 15 22 13 58. 5 7.41 — 0 01 1 1 '4 53-9 7. 04 4-0. 02 23 14 L4 7 • 5i -fo. 1 4 12 15 10.7 6. 72 — 0. 2 ! 24 ■4 5 3- 3 7.05 4-o. oq Da queste osservazioni singole, troppo scarse per poter pretendere alla formazione di valori normali, vennero formati dei ragguagli, raggruppando in medie, pei tempi e per le grandezze, le osservazioni corrispondenti a tempi molto vicini (generalmente entro un quarto d’ora). Alcune osservazioni isolate, molto discoste dalle altre, vennero lasciate tali e quali (in 3 casi soltanto, pei minimi d’ ordine pari). Si ottennero così i valori medi seguenti, che hanno servito di base pel tracciamento delle curve di ragguaglio (Fig. 1 1). G r. Gr. 8h 9h IO11 11'1 12h 13 h 9h 10h llh 12'“ 13h Uh 15>> 7. 0 1. ;> 8. 0 8. 5 9. 0 9. 5 27 Gennaio Fi**. 11. Agosto 2 Valori medi. Minimo d’ordine dispari (1910 Gennaio 27) . d’ord. delle osser- vaz. singole T. M. elioc. Grand. 1 , 2 li ni 8 9.8 7. 40 3, 4, 18, 19 49. 2 7. 50 , 6. 20, 21, 32, 33 9 28. 0 7- 93 7. 8- 34, 35 56 6 8. 16 9. io, 22 io 13. 3 8. 54 2 36, 37 30. 6 8. 79 11, 12 24, 25 46. 8 9. 24 >3, 38, 39 11 9. 2 9. 69 14, 15, 26, 27 >9- 3 9- 39 16, 17, 40, 41 40. 2 9. 21 28, 29, 42 55- 2 9. 16 30, 31, 43, 44, 45 12 22. 7 9.41 46, 47 n 4-9 9. 19 Minimo d’ ordine pari (1910 Agosto 2) N. d’ord. delle osser- vaz. singole T. M. elioc. Grand 1, 2, 13, 14, 25, 26 li ni 8 43. 0 7- 73 3, 4. 15, 16, 27 9 27- 3 8-33 co io 3. 9 8. 91 5 21. 3 9. 28 6, 19, 28 55 3 9. 28 7, 20, 29 11 39. 5 9. 05 8 12 6.6 9. 19 21, 30 34. 1 8 93 9 57-9 8. 16 io, 22, 23, 31, 32 13 48.2 7- 54 ii, 12, 24, 33 15 0. 6 6. 99 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 6/ Sebbene le due curve siano incomplete, mancando quasi tutto il ramo ascendente nella prima e un buon terzo del ramo discendente nella seconda, tuttavia saltano subito agli occhi le notevoli differenze d’ andamento. Il minimo d’ ordine dispari è più profondo, per un terzo di grandezza, dell’ altro. Anche non volendo prestar fede all’ andamento della se- conda curva, dove la configurazione del minimo principale rimane veramente incerta, basta formar la media dei valori più vicini al minimo in ambedue i casi, e si trova 9'". 43 (me- dio di 5 valori) per la prima curva e 9.20 (medio di 4 valori) per la 2a curva. Wilsing da un materiale d’ osservazione molto più abbondante del nostro ricavava una differenza di circa mezza grandezza nel medesimo senso trovato da noi. Il valore da noi concluso per la differenza di grandezza dei due minimi non può del resto ritenersi definitivo, finché non sia determinata col nostro cuneo la A Gr. delle due stelle di confronto. Oltreché diversamente profondi i due minimi appaiono anche molto diversi per 1’ an- damento della oscillazione, che è molto più pronunziata nel minimo d’ ordine dispari. La oscillazione risulta in ambedue i casi così regolare da far apparire come insostenibile l’i- potesi della costanza di luminosità della variabile per un intervallo di lh 50m attorno al mi- nimo come ammettono Wilsing e Pickering. La curva è certamente dissimmetrica, essendo il ramo ascendente (almeno pel minimo d’ ordine pari) visibilmente più ripido del ramo di- scendente, e anche il ramo di curva compreso entro ±1" dal minimo appare dissimmetrico nel medesimo senso, cioè come se la luminosità minima andasse gradatamente crescendo nel tempo stesso che compie la sua oscillazione. In altri termini il minimo risulta a noi diviso in due minimi distinti, di cui il primo più profondo dell’ altro per circa due decimi di grandezza (tanto nei minimi pari che nei minimi dispari). Così la nostra curva si av- vicina in ogni caso più a quella del Chandler x) in cui la luce nel minimo non vien rite- nuta costante ma leggermente crescente, che non a quella di Pickering 0 in cui il tratto attorno al minimo vien disegnato come assolutamente orizzontale. Escluse le differenze fra i minimi d’ordine pari e quello d’ordine dispari nei tratti di + lh attorno al minimo, non può dirsi che altre differenze sostanziali ci risultino nel ramo discendente (il solo in cui possa farsi un confronto fra le due curve). Così un’ ora prima del minimo ci risulta un coefficiente differenziale praticamente identico ( — 1.5) in ambedue i casi. Due ore prima del minimo parrebbe, secondo il nostro disegno, molto più ripida la seconda curva, ma la mancanza di punti 21' prima del minimo in questa curva rende del tutto incerta questa conclusione. Dall’esame dei residui O-C si rileva che l’error probabile delle singole osservazioni può ritenersi di + 0m.096 per le 47 osservazioni corrispondenti ai minimi dispari e di + 0m.077 per le 33 osservazioni corrispondenti ai minimi pari. Data 1’ incertezza sulla vera forma della curva attorno al minimo, non è facile sta- bilire un confronto fra le epoche risultanti dalle nostre curve e quelle risultanti dalle effe- meridi, che ammettono un intervallo di luce costante di lh 50,n intorno al minimo e fanno corrispondere 1’ epoca del minimo alla metà di questo intervallo. Le nostre curve si pre- stano soltanto alla determinazione delle epoche dei due minimi secondari in cui si divide ciascun minimo. Limitandoci ai minimi più profondi, troviamo le epoche seguenti 1910 Genn. 27d 1 lh 7m 1910 Ag. 2(i IO'1 37m 0 V. in proposito A. d. B. d. L. 1909 pag. A. 35. 68 A. Bei n por ad Memoria I.J Il primo minimo risulta in anticipo di 20™ il secondo di 2m appena sulle effemeridi di Schulhof (A. d. B. d. L. 1910). La differenza piuttosto rilevante, di 18m, fra i due anticipi potrebbe esser reale, confermando così la differenza sostanziale fra i minimi d’ ordine pari e i minimi d’ ordine dispari. Le grandezze estreme da noi trovate 7'n.0, 9"\7 accennano ad un’amplitudine sensi- bilmente maggiore di quella di 2 Grand, indicata dalle effemeridi (Hartwig 7 — 9, Schulhof 7.1 — 9.2), tanto più che, essendo le nostre curve incomplete, l’amplitudine da noi trovata è forse ancora troppo piccola. 11. RZ Cassiopeiae. Dal precedente materiale d’ osservazione (v. Sett. 7, Ott. 2, Nov. 7), applicando ai tempi d’osservazione le correzioni + 0"\9. + 3m.O, ± 5m.O per convertirli in tempi elio- centrici, e aggiungendo o togliendo ai tempi delle serie estreme multipli convenienti del periodo (ld 4h 41m 10s,46 secondo Nijland), aggiungendo infine agli importi già comunicati delle AGr. la grandezza della stella di confronto ammessa come di 8.0 (BD), otteniamo i risultati seguenti : Settembre 7 Ottobre 2 Novembre 7 N. T. M. elioc. Grand. O-C N. T. M. elioc. Grand. O— C N. T. M. elioc. Grand. O-C rid. al 2 Ott. rid. al 2 Ott. h m h ni h ni i io 42. 0 6. 67 —0. 08 7 8 39.0 6. 67 0 00 18 9 59. 8 ó 76 +0. 08 2 11 30. 1 7. 00 + 0. 03 8 9 4»- 9 6. 61 — 0. 07 19 io 38. 4 6. 53 — 0. 2 1 3 13 3.1 8. 30 + 0. 1 1 9 io 28. 7 7. 05 -Lo. 33 20 12 3. 5 7- 33 — 0. 01 4 13 46. 0 7- 34 —0. 08 IO io 56. 4 6. 74 — 0. 03 2 I 13 13. S 8. 12 — 0. 04 5 14 25.9 7. 24 -|-o. 08 1 1 11 22. 7 6. 81 — 0. IO 22 14 70 7. 46 -j-o. 1 3 6 15 18.3 7. 01 -j-o. 06 1 2 11 50. 8 7- 3i 4-o. 13 23 14 52. 6 6. 90 — 0. 13 G 12 28. 0 7. 85 +0. 14 14 12 58.8 7. 88 — 0. 28 D 1 3 34- 1 7. 87 0. 03 1 6 14 8 3 7.09 — 0. 23 17 15 19.7 6.97 -j-o. 02 Di qui raggruppando in medie, due a due, tutte le osservazioni, eccettuata quella (N. 7) più lontana dal minimo, otteniamo le seguenti coppie di valori medi che hanno servito di base per il tracciamento della curva (Fig. 12). Minimo del 2 Ottobre. N. d’ord. delle osserv. singole T. M. eliog. Grand. N. d’ord. delle osserv. singole T. M. eliog. Grand. 7 li ni 8 39.0 6 67 13 14 li in 12 43.4 7. 86 8 18 9 54-4 6. 69 3 2 1 13 8. 5 8. 21 9 '9 io 33.6 6.79 D 4 13 40. I 7. 70 I IO io 49. 2 6. 70 22 16 14 7.8 7. 27 1 1 2 11 26. 4 6. 90 3 23 14 39- 3 7.07 12 20 11 57. 2 7. 32 6 17 15 19.0 6.99 Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseguite nel R. Osservatorio ecc. 69 La curva così ottenuta è notevole per la grande regolarità malgrado lo scarso nu- mero dei punti. E la curva tipica delle variabili del tipo di Algol, quasi perfettamente sim- metrica, non potendosi dare gran peso alla dissimmetria accennata dall’ ultimo punto. Le Gr. 12. grandezze estreme, quali a noi risultano, di 6"'. 7 e 8m.2 sono in discreto accordo con quelle (6'". 4 e 7m.7) assegnate dalle effemeridi di Schulhof. La durata dell’ eclisse, per quanto può desumersi da una curva incompleta, dovrebbe esser più vicina a 6 che a 5 ore. Come epoca del minimo ci risulta Min. Ott. 2d 13h 7"’ in buon accordo cogli elementi del Nijland, che forniscono 1’ epoca Ott. 2fJ 13h 13m . Dai valori O-C comunicati sopra (ottenuti conlrontando le grandezze osservate colla curva di ragguaglio) risulta 1’ error probabile +0m.091 per le singole osservazioni. Memoria 1 1. Osservazioni dei punti neutri di Arago e di Babinet eseguite in Catania Nota del Prof. GIOVANNI PLATANIA A cominciare dal 1910 ho eseguito in Catania delle osservazioni regolari del punto neutro di Babinet e di quello di Arago, nelle ore del tramonto e, qualche volta, anche dal sorgere del sole. E noto che, in generale, la distanza del punto di Babinet dal sole e quella del punto di Arago dall’ antisole, durante il tramonto, dapprima aumentano, poi diminuiscono e quindi crescono di nuovo; ma queste variazioni non hanno la stessa fase, quella del punto di Babinet verificandosi con ritardo. Le distanze medesime, le quali, nell’ istante del tramonto, sono intorno a 18°, variano nei diversi giorni. Nel 1884, dopo 1’ eruzione del Krakatoa, Cornu trovò un notevole au- mento di queste distanze in coincidenza coi tramonti rossi e con l’osservazione dell’ anello di Bishop : il punto di Babinet raggiunse perfino la distanza di 35°. Il prof. F. Busch, che nel 1886 intraprese delle indagini su tali fenomeni di polarizzazione atmosferica, osservò una graduale diminuzione di queste distanze fino al 1889, quando si verificò un minimo, poi un aumento, con un massimo nel 1894, e così via; nel 1899-1900 avvenne il nuovo minimo, e nel 1903-4 il nuovo massimo. Egli riscontrò che 1’ andamento di questa varia- zione periodica coincide con quello delle macchie solari: un massimo di macchie corrisponde a un massimo di distanza. A questo andamento regolare si sovrappongono delle perturbazioni polarimetriche, pro- dotte o da eruzioni vulcaniche, come quella accennata dal Krakatoa, e quella del 1902-3 seguita all’ eruzione delle Indie Occidentali, o da altri fenomeni cosmici di natura incerta come nel maggio 1907 (1). Sorgono pure altre questioni, relative alla polarizzazione atmosferica : se e come in- fluiscano le condizioni meteoriche, la natura del terreno, 1’ altitudine della stazione, la di- stribuzione in altezza e la natura delle particelle cosmiche e vulcaniche nell’ atmosfera, ecc. Per risolvere questi problemi Busch e Jensen pensarono di organizzare delle osservazioni in diversi punti della terra, con un vasto programma comprendente le osservazioni prin- cipalmente dei punti neutri (2), e dove sia possibile, dell’intensità dalla polarizzazione allo (1) I particolari di queste variazioni e delle perturbazioni possono riscontrarsi nelle diverse pubblicazioni di BUSCH, apparse nel Meteor. Zeitschr., o in un lavoro del dott. CHR. JENSEN, pubblicato in As/r. Nadir., 4283, 1908. (2) Il prof. G. BASSO, nell’ A unitario meteor. ita/, del 1889 (anno IV) pubblicò un appello perchè anche in Italia si eseguissero queste ricerche. Egli si rivolgeva in particotar modo ai « giovani professori di fisica nelle nostre scuole secondarie, ai quali torna difficile, e in certi casi impossibile, intraprendere indagini che vogliono copia e ricchezza di mezzi sperimentali. » Questo invito rimase senza effetto; sicché, si può dire che dopo le antiche delio ZANTEDESCHI, e quelle dello svedese RUBENSON a Roma e a Segni (1861-62) non si sono fatte in Italia altre ricerche di polarizzazione atmosferica. Da qualche anno il dott. F. ERED1A, del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica in Roma, eseguisce delle osservazioni di intensità di polarizzazione zenitale e quelle dei punti neutri. ATTI ACC. SERIE V. VOI.. V. Meni. il. 1 Prof. Giovanni Platania [Memoria II. | <) zenit , dell’ intensità luminosa orizzontale e zenitale , specialmente in stazioni elevate, ecc. Nel 1909 il dott. Jensen accennava al prof. A. Bemporad 1’ interesse che avrebbero presentato, per la posizione meridionale di questo Osservatorio Astrofìsico e per la purezza del cielo siciliano, le osservazioni regolari dei punti neutri in Catania, e dietro sua accet- tazione (e con l'adesione del prof. Ricco, Direttore del medesimo Osservatorio) gli man- dava un polariscopio appartenente al Physikalisches Staatslaboratorimn di Amburgo. In seguito però, essendo il personale dell’Osservatorio troppo assorbito dai lavori in corso, di carattere più specialmente astronomico , il prof. Ricco mi proponeva e io accettai ben volentieri, di assumere 1’ incarico di queste osservazioni polarimetriche. Lo strumento, costruito secondo le norme del dott. Jensen, è un polariscopio di Sa- vart, montato sopra un quadrante a pendolo, con alidada e con due mire; l’analizzatore — una lamina di tormalina — è fisso e il sistema dei quarzi è mobile. Le osservazioni, di cui dò conto in questa prima nota, furono eseguite in Catania, dapprima dalla terrazza della cupola dell’ Osservatorio (altitudine 69 m.) e dal maggio in poi, per ragioni di comodità, dalla terrazza (altitudine 35 m.) di una casina a Ognina, un sobborgo a NE di Catania. Prima del tramonto cominciavo a osservare 1’ altezza sull’ orizzonte del punto neutro di Arago e di quello di Babinet, alternativamente, notandole in un registro, con 1’ ora in tempo medio locale (che anticipa di 20s,6 sul tempo medio dell’ Europa Centrale), serven- domi di un buon orologio tascabile, che avevo cura di confrontare di tanto in tanto coi cronometri dell’ Osservatorio. La puntata del punto neutro veniva fatta, di solito, rivolgendo il polariscopio, con le mire portate in coincidenza, verso il punto di mezzo del ponte neutro, cioè dell’ intervallo (nel verticale del sole) in cui non si vedono le frange ; qualche volta prendendo la media aritmetica delle due altezze ottenute mirando il limite superiore e il limite inferiore del ponte neutro. Coi valori delle altezze siili’ orizzonte del punto di Arago e di quello di Babinet, se- gnati come ordinate su di una carta a quadretti, portando in ascisse i tempi (con la ri- duzione a tempo vero), si ottengono, nei giorni normali, delle curve abbastanza regolari. D’altra parte, per mezzo delle tavole di Bemporad-Cavasino, (1) ho calcolato, per i giorni di osservazione, le ore vere corrispondenti alle diverse altezze del sole , da -f-6° a — 6°, i valori negativi essendo ricavati per mezzo di una costruzione grafica, a grande scala. Ottenute le diverse ore vere corrispondenti a ciascuna delle notate altezze solari, rica- vavo dal grafico dei punti neutri le distanze medie dei punti di Babinet e di Arago , ri- spettivamente dal sole e dall’antisole, nell’intervallo da 6° a 5°, da 5° a 4°, di altezza solare. In questa nota riporto solamente i risultati delle osservazioni eseguite in giorni nor- mali, con cielo affatto sgombro di nubi e con elevata trasparenza atmosferica. Eccezional- mente, in alcuni di questi giorni, come dirò di poi, la nebulosità era inferiore a 710 e tale che giudicavo non avesse influenza sensibile sul fenomeno in esame. Ho ottenuto così i valori riportati nei seguenti quadri I e II, nei quali i massimi valori, corrispondenti a ciascuna altezza solare, sono indicati in grassetto, e i minimi in corsivo. (i) Tavole per il calcolo delle distanze zenitali, ecc. per la latitudine di Catania. QUADRO I. Distanza del p. n. di Babinet dal sole ALTEZZE VERE O Ljn i n 5°, 5 4. 5 3. 5 2,5 1, 5 0. 5 0 . 5 1, 5 1 ! 2, 5 - 3, 5 4, 5 - 5, 5 1910 Marzo I I — _ — I - 16, 5 15> 2 75, 2 14, 5 14, 0 — Aprile 21 16, 3 16, 7 17, O 17, 4 17, 7 18, 5 18, 5 18, 6 18, 4 — -- — 22 15, 5 16, 3 16, 8 17, 7 17, 7 18, 4 18, 3 17, 7 17, 2 - — — Maggio 8 1 3> 9 14, 8 15, 7 16, 5 17, 0 4 18, O — — — — 17 — 14, 8 14, 5 15, 4 16, 1 l6, 7 17, 2 17, 5 — — — (m) 18 — 15, O 14, 9 15, 6 16, 5 17, 2 18, O 18, 3 17, 3 — — — - (s) 18 14, 7 15, 2 15, 2 15. 8 16, 5 16, 8 17, 5 17, 7 18, I — — — (m) 19 — 15, 5 17, O 17, 8 17, 9 18, 5 18, I 17, 5 17, O 16, 7 — — (s) 19 — 14, 5 14, 6 15, 6 16, 7 16, 8 16, 8 — - — — — 21 — — 16, 0 16, 5 15, 9 16, 8 — — — — 29 12, O i3> 2 13, 5 14, 6 15, 5 16, I 17, O 16, 9 — — — Giugno 7 — 13, 7 15, 7 16, O 17, O 16, 0 — — — — 9 i5> 0 15, 9 15, 9 16, 2 17, 1 18, O 18, 3 17, 5 — — — — I I 15, 0 1 5, 2 16, I 16, 7 16, 6 17, 2 17, 4 17, 9 — — — 23 I4> 6 15. 5 15, 4 15, 3 16, 3 17, O 17, 7 18, 0 1 7- 5 — — — 25 15) 4 14, 9 15, 3 16, 5 17, O 16, 8 Ai, 9 16. 8 17- 5 — — — 2Ó — 15, 5 14, 9 15, 5 15. 4 17, 3 1 7 , 9 18,0 17, 5 17, 3 — — 29 15, 0 16, O 15, 9 16, 1 17, 2 17, 5 17, 8 18, 5 18, 2 — — — Luglio I 15. 5 16, I i5- 5 i7, 2 17, 8 18. 5 17, 9 18, 2 17, 8 — — — 2 15. 3 15, 5 15, 3 ió. 2 16, 8 16, 4 17, 7 18, 2 18, I — — — IO 15, 0 IÓ, 5 16, 7 16, 7 17, 2 17. 2 1 3, 5 17, 3 16, 7 — — — I I 1 5) 1 15, 5 16, 6 17, 0 17, 2 17, 6 I7> 7 18, 5 16, 9 — — — I 2 15, 0 i7, 2 16, 6 17, 7 17, 1 17, I l6, 9 16,9 16, 5 — — -- 21 1 5) 5 15, 7 15, 9 l6, 5 16, 6 17- 6 18, 4 18,0 — — — — 22 16, 0 16, 2 16, 6 17, 6 17, 8 18, I 17, 9 17, 9 — — - — 23 — IÓ, I 17, 2 17, 2 17, 7 18, I 17, 8 18.0 17, 5 — — 24 13) 0 15, I 16, I 15, 8 16, 6 IÓ, 7 17, 9 17, 5 17, 4 — — — 25 — i7, I 16, 7 I7 , 2 17, 8 18. 1 18, O 17, 9 17, 9 — — — 30 — 1 6, O 16, 7 T7, 7 17, 4 18, 1 18, 3 18. 1 — — — — 31 17, 7 18. 0 18, 8 19, 0 18. 5 17, 7 18, 3 18, 3 17, 7 — — — Agosto IÓ — — IÓ, O 16, 6 17, 5 18. 3 18, 5 19. 0 — — — — 18 •- — 16, 7 18. 0 18, ó 18. 4 18. 5 18, 9 — - — — 19 — 16, 2 17, 5 1 8 f 0 17, 7 18, 3 18, I 18. 3 — — — — 27 — 17, 5 17, 3 x7 , 5 18, 3 18. 1 18, O 17, 9 17, I — — — Ottobre 2 — — 14, 7 l6, 5 17, 1 18. 4 18, 7 !8. 5 17, 9 17, 3 — — Dicem. 24 15, 8 15, 9 IÓ. 1 16,7 16, 9 17) 1 17, 6 18, 5 17, 7 17. 2 16, 8 — 191 1 Genti. 19 — — 1 5, 5 16, 6 17, O 17, 5 18, 5 18. 6 18, O 18. 6 18, 1 — 27 — — — 1 5, 0 16. 5 16, 4 16, O 16, 9 17, O 16, 9 17, 0 17, 0 Febbr. IO — — — 16, 9 17, 3 17, 5 17. 2 16, 9 17, 5 17, 3 16, 5 — 18 — — r 16, 6 15, 8 16, 5 17, 1 17, 3 17, 9 17, 7 17, 0 16, 9 — 22 14, 9 16, I IÓ, 5 16, 6 16, 9 17, 3 17, I 16, 3 15, 7 16, 0 16, 6 — 23 15, 2 14, 7 15, 5 16, 2 16, 3 16, 9 IÓ, 9 16. 5 17, I 16, 6 16, 7 — 28 — — 13. 3 GL 5 14, 8 15, 2 IÓ, O 17, 0 18, 2 16, 5 17, 1 17, 5 Medie 15, 1 15, 8 IÓ. O 16, 5 17, O 17, 3 ! 17, 6 1 7* 7 17, 4 (16, 8) (16, 6) (17. 2) Num. delle osserv. 22 32 38 42 42 42 43 40 29 I 2 9 2 QUADRO II. Distanza del p. n. di Arago dall’ antisole ALTEZZE VERE Q DATA 5°, 5 4. 5 3. 5 2. 5 1, 5 0. 5 0, 5 h1 , 5 -2, 5 — 3, 5 -4, J > - 5, 1910 Marzo I I 1 19, 4 20, O 18, 7 18. 2 17, 2 18. I 17 8 17 5 18, 0 IÓ 5 17, 8 — Aprile 21 19, 9 20, 6 20, O 19, 9 19, 6 18. 7 18 6 18 1 18, 5 — — 22 19, 8 19- 9 19, 5 20, 0 19, 5 19. 4 18 8 19 0 19, 2 — — Maggio 8 18, 9 19, 6 19, 3 19, 1 19, 5 18, 6 18 4 — — — 17 20, I 20, 2 20, 4 20, 1 19, 8 19, I 18 2 17 5 if>, 5 — — — (m) 18 20, 3 19, 9 19, 2 19- 2 18, 5 18, 4 17, 5 17. 1 17, 5 18 1 1 8, 8 20, 5 (s) 18 20, 9 20, O 20, 5 19, 5 19, 6 18, 8 18 8 18, 5 17, 9 18 0 — — (m) 19 — 19, 8 19, 7 20, 1 19, 5 18. 5 17, 7 17. 7 17, 8 1 8 5 20, 8 23, 5 (s) 19 20, O 20, 0 20, 1 19, 9 19. 0 18, 3 18. 2 — — — 2 I — 19, 5 18. 8 19, 2 18, 7 18. 5 — - — — 29 18, 9 18. 3 19, 0 19, 3 19, 3 19, 2 18, 5 17, 7 — — — Giugno 7 - 17, O 17, 5 1 7> 3 j 17, 7 17, 4 — — — 9 20, 2 20, 5 20, 0 20, O 19, 9 18, 5 18, 8 18, 5 — — — I I 19, 3 19, 6 19, 6 19, 4 19, 3 19, 1 18, 2 18, 0 — — — 23 20, I 20, 4 20, I 19, 9 20, 0 19, 4 19, 2 18, 5 18, 2 — — 25 19, 6 20, O 19, 5 19, 8 I9, 7 19, 0 18, O 18. 2 19, 2 — — 2Ó — 18, 6 18, 7 19, 6 18, 7 18, 1 17, 9 17, 5 18, 0 18, 8 18, 3 — 29 20, 4 20, 6 20, 4 20, O 19, 19, 7 19, 8 18, 9 18, 9 — — Luglio I 20, 9 20, 7 ai, 3 21, 2 20, 1 20, 7 18, 7 19, 1 19, 1 19, 5 — — 2 20, 8 20, O 20. 8 20, I 19, 1 18, 1 18, 7 18, 2 17, 8 18, 5 — — IO 20, I 20, 6 20, I 19, 7 19, 2 18, 6 17, 9 17, 5 18, 7 — — I I 21, I 20, 9 20, O 19, 9 19, 6 19, O 18, O 18, 1 19, 4 — — I 2 21, O 20, 5 19, 9 19, 5 18, 9 18, 5 17, 6 17, 3 17, 5 — — 21 19, 3 19, 4 20, O 20, 0 19, 4 19, I 17, 7 18, 3 18, 5 — — 22 L9. 7 20, 5 20, 4 19, 7 20, 5 19, O 18, 6 19, 1 20, O — — 23 20, 5 20, 6 20, O 19, 9 19, 5 18, 9 18, O 18, 2 l8, 5 — — 24 20, 9 20, 9 20, 7 20, 5 19, 8 19, 2 18, 5 18, 3 1 8, 6 — — 25 — 19, 6 *9, 2 19, 0 19, 3 19, 2 19, I 18, 9 19, 0 — — 30 21, 0 21, 5 ai, 4 21, 5 20, 6 19, 8 20, 2 19, 3 — — — — 31 22, 0 21, 7 21, 4 20, 5 19, 4 19, 4 19, 2 18, 4 18, 6 — — — Agosto IÓ — — 19, 9 19, 6 19, 5 19, 6 19, 2 18, 9 19, 2 — — — 18 — 21, 6 21, 5 21, 7 20, 5 20, 4 19, 8 19, 4 19, 5 — — — 19 21, 7 21, 5 21, I ai, I 20, 2 20, 3 19, 3 18, 7 19, 4 — — — 27 4> l 5 23. 9 23, 1 99 — — ì 7 21, 4 19. 8 18, I 17, 8 18, 2 18, 5 — — Ottobre 2 — — 19, 6 20, 0 19, 4 19. 5 19, 2 19, 3 19, 2 19, 8 — — Dicem. 24 19. 1 19, 2 19- 2 19, 3 T9> 3 19, O 18. 5 18. 2 19, 2 20, 4 22, O — 191 1 Genn. 19 — 18, O 18, 9 19, 5 18. 8 18. 5 19. 3 io. 5 19. 5 81, 7 25. 6 — 27 — — — 18, 0 18, 5 1 8. 3 18, 3 18, O 19, 0 21, O 23, 9 27, 0 Febbr. IO — — — 19, 8 1 18, 8 19, 2 18, 9 18, 7 20. 5 21, 5 23, 5 — 18 — 17, 7 19, 5 18. 8 18, I 18, 0 1 18, O 19, 3 19, 5 20, 3 24, 0 — 22 18, 7 19, 3 19, 5 18, 9 18, 6 19, 1 iS, 5 19, 1 1 8, 5 20, 5 23, 0 — 23 19, 9 19. 4 19, 4 19, 3 19, 2 18, 7 18, 5 18, O 19, 5 20, 5 23, O — 28 — — 19, O 19, 7 18. 5 18, 3 18, 5 18, 5 1 8, 5 19, 8 21, 5 26, 5 Medie 20, 3 1 20, 2 • 20, O 19, 8 19, 3 19, 0 18, 5 18, 4 18, 7 19, 5 (21, 8) (24, 4) Num. delle osserv. 30 36 1 40 43 43 43 43 40 35 17 I 2 4 Osservazioni dei punti neutri di Arago e di Babinet , ecc. 5 Una discussione di questi valori, in confronto con quelli ottenuti, nello stesso inter- vallo di tempo, in altre stazioni, potrà farsi da Busch e Jensen ai quali sono mandati i risultati delle osservazioni nelle diverse stazioni. Sarà possibile così di riconoscere 1 esi- stenza e la grandezza delle perturbazioni locali e 1’ influenza della giacitura della stazione. Mi limito qui ad alcune considerazioni che intanto si possono fare sui dati di que- sta stazione. Sarà utile premettere un cenno delle note inserite nel mio giornale di osservazioni, pei- quei giorni in cui poteva dubitarsi che le condizioni meteorologiche non fossero normali. La stazione (

2 18, 1 [18, 0] 17, 5 [i7, 9] 17, 1 18, 5 [18, 5] [17, 7] 16. 9 — 2, 5 15, 2 17, 8 17, 5 [i7, 7] 17, 4 — 17. 9 17, 7 17, 5 [17, — 3, 5 14. 5 — -- 17, 3 — — 17. 3 17, 2 [17. 7] 16, — 4, 5 14, 0 — — — — — — 16, 8 17. 0 l6? Distanze medie mensili del p. n. di Arago dall’ antisole. 5, 5 19, 4 19, 8 19, 9 20, 1 20, 6 22. 0 — 19, 1 — 19, 3 4, 5 20, 0 20, 3 19, 7 19. 9 20, 6 22. 3 — 19, 2 18, 0 18, 8 3, 5 18, 7 19. 7 19, 7 19, 8 20, 4 21,4 19, 6 19, 2 18, 9 19, 3 2, 5 18, 2 20, 0 19, 5 19, 4 20, 1 21, 3 20, 0 19, 3 18, 7 19, 3 1, 5 17, 2 19, 6 19. 3 19, 3 19, 6 20. 4 19, 4 19, 3 18, 6 18, 7 0, 5 18, 1 19, 0 18, 5 18, 7 19. 1 20. 0 19, 5 19, 0 [18, 4] 18, 7 — 0, 5 17, 8 18, 7 18, 2 LO 00 H 18. 5 19, 1 rio. 2] 18, 5 18, 8 [18, 5] — i,5 17, 5 [18, 5] 17, 7 18, 5 [18, 4] [18, 7] u), 3 [18, 2] W 00 00 18, 7 — 2, 5 18, 0 18, 8 [17, 4] [18. 1] 18, 6 19, 1 [19, 2] 19, 2 19, 2 19. 3 — 3, 5 [76, 5] — 18, 2 18, 6 19. O — 19, 8 20, 4 21. 3 20, 5 — 4, 5 17, 8 — 19. 8 — — — — 22, 0 24. 7 23, 0 Con le riserve per il diverso peso delle medie, e che i giorni non perfettamente se- reni influiscono di più su queste medie — risulta che per il punto di Arago i valori più elevati furono in agosto, per le altezze solari positive, e in gennaio per le altezze solari negative ; i valori minimi in marzo. Altrettanto può dirsi per il punto di Babinet, per il quale si osservarono valori massimi anche in aprile e minimi in maggio. Inoltre per il punto di Arago, il minimo della serie dei valori medii appartenenti allo stesso mese si verifica più tardi se minore è il valore della distanza, come in marzo, mag- gio e giugno ; e viceversa. Lo stesso può dirsi per il massimo delle distanze del punto di Babinet dal sole : per esempio per giugno (17°, 7) e per febbraio (17°, 2) corrisponde a — 2°, 5 di altezza solare; per aprile (18°, 5) corrisponde a -j-0°,5. Infine si osserva che i valori medi mensili sono anch’ essi, in generale, molto piccoli; e che gli spostamenti dei punti neutri, corrispondenti alla diminuzione di 1° dell’ altezza solare, non raggiungono mai 1°, salvo, per il punto di Arago, gli spostamenti col sole fra —2° e —5°. ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Metri. II. 2 IO Prof. Giovanni Platania [Memoria II. In occasione di alcune ricerche pireliometriche, trovandomi, nell’ agosto del 1910, a Nicolosi, alle falde dell’ Etna, a 700 m. di altitudine, ho fatto anche quivi delle misure polarimetriche, di mattina e di sera, ottenendo i seguenti risultati : QUADRO VII. Distanze del p. n. di Babinet dal sole. DATA ALTEZZE VERE © 5", 5 4. 5 3, 5 2, 5 1. 5 0, 5 0, 5 1,5 -2, 5 4 (S) — — 15, 7 16, 5 17, 0 17, 7 18, 5 18, 1 — 5 (m) — 16, 4 16, 7 16, 9 17. O 16, 4 16, 5 — — 5 (s) 15. 5 15, 0 15. 5 16, 5 17, 2 17, 4 17, 3 x7, 1 — 6 (m) — — 17, 5 17, 5 18,0 18, 5 18, 3 18, 4 18, 1 6 (s) 14, 9 15. 9 16, 4 16, 4 17, 3 17, 5 17, 4 17, 9 17, 3 7 (m) — — 17, 4 CO vO M 17, 3 17, 5 17, 3 17, 7 1 7 > 5 7 (s) 15. 5 16, 0 16, 4 16, 4 16, 9 17, 3 17, 6 17, 5 — media 15. 3 15, 8 16, 5 16, 7 17, 2 17, 5 17. 6 17, 8 17, 6 Distanze del p. n. di Drago dall' antisole. 4 (s) — 21, I 21, 3 20, 6 20, O O CO 19, 6 19, 2 5 (m) — 19, 2 18, 9 18, 1 18, 9 18, 6 19, 0 — 5 (s) 20, 9 20, O 19, 6 19, 4 19, 7 19, -i 18, 4 18, 8 6 (m) — — 18, 9 19, 0 18, 5 18, 5 17, 9 18, 2 6 (s) 20, 3 20, 5 19, 8 20, 0 19, 9 19, 2 19, 1 18, 7 7 (m) — — 18, 6 18, 7 18, 2 17, 9 17, 4 17, 5 7 (s) 18, 5 l8, 5 19, 3 19, 0 18, 7 19, 2 19, 0 19, 1 media 19, 9 19, 9 19, 5 19, 3 19, 1 18.9 18, 6 18, 6 17» 7 ig, 6 17, 4 18. 2 Si osserva che le distanze ottenute al sorgere del sole (///) differiscono da quelle ot- tenute al tramonto (s). Se si considerano le medie di in e quelle di s, la differenza in — 5, per il punto di Babinet, da 1°,1! (a 3°, 5 di altezza solare) va diminuendo fino ad annul- larsi quando il sole è all’orizzonte; mentre per il punto di Arago la differenza medesima è sempre negativa e quasi costantemente uguale a — 1°. (1) Intanto le medie 5 sono, per il punto di Babinet, uguali a quelle generali di Catania, e per il p. di Arago, dapprima uguali e poi accennano ad aumentare. Insomma a Nicolosi le altezze furono di sera, quasi uguali alle medie ottenute nel- l’anno in Catania; mentre di mattina il punto di Arago è meno alto che a Catania e quello di Babinet un poco più alto. Se poi si confrontano le medie 5 per Nicolosi con le medie di agosto per Catania, si osserva che nel primo caso sono minori per entrambi i punti; ma questa differenza si annulla verso il tramonto; anzi quando il sole è l°,5 sotto l’orizzonte accennano a diven- tare maggiori i valori di Nicolosi. (1) Anche per le osservazioni del 18-19 maggio, in Catania, si verifica un comportamento simile. Queste osservazioni furono eseguite con lo scopo di esaminare l’influenza della cometa di HALLEY. Ma da questi va- lori non risultò una sensibile variazione della distanza dei p. n. Osservazioni dei punti neutri di Arago e di Babinet . ecc. 11 Sul comportamento diverso tra la sera e la mattina influisce probabilmente la situa- zione delle stazioni, cioè la dissimmetria della natura del suolo rispetto al meridiano, tro- vandosi a levante una grande estensione di mare. Occorrono però altre osservazioni per assicurarsene. Infine mi sembra opportuno notare che, dalle misure pireliometriche eseguite nei giorni 4 a 7 agosto, dal dott. Giulio Bemporad alia Cantoniera (1) e da me, in pari tempo, a Nicolosi, (2) la trasparenza atmosferica del giorno 4 risultò straordinariamente minore di quella degli altri tre giorni, benché, durante le osservazioni, il cielo fosse sereno. All’ istante del tramonto vero le distanze dei due punti neutri furono DISTANZE del p. n. di Babinet del p. n. di Arago dal sole dall’antisole 4 agosto i8°,2 190, 8 5 » 17. 0 18, 6 6 » 17, 0 19, 2 7 » 17, 5 19, 0 Si può dunque supporre che 1’ anomalia del 4 continuasse fino a sera, se si ammette, secondo il Kymball, (3) che a una diminuzione della trasparenza atmosferica corrisponda un aumento della distanza dei p. n. di Babinet e di Arago rispettivamente dal sole e dal- 1’ antisole. Come si vede, da questa prima serie di misure si sono ottenuti alcuni risultati degni di nota ; più interessante sarà il confronto con i valori di altre stazioni. In una futura comunicazione mi occuperò delle osservazioni in corso, in questo anno, col medesimo apparecchio. Catania, settembre 1911. Noia. — Durante la correzione delle prove di stampa mi è occorso di vedere il volume di F. Busch e Chr. Jensen, intitolato Tatsachen und Theorien der aimosphàrischen Polarisation (Hamburg 1911) nel quale sono ampiamente esposte e discusse tutte le questioni riguardanti la polarizzazione atmosferica e le osserva- zioni eseguite finora. Inoltre R. Siiring ha pubblicato in Ergebnisse der Meteor. Beob. in Potsdam im Jalire 1910 (Berlin, 19x1) una nota sulle misure dei punti neutri della polarizzazione atmosferica , ivi eseguite , tra le quali si trovano anche quelle dell’ anno 1910. In altra occasione mi occuperò del confronto di questi valori con quelli ottenuti in Catania. (1) Meni. Soc. Hai. Spettroscopisti, XL, pag. 9. (2) Meni . Soc. Hai. Spettroscopisti, XL, pag. 2. (3) Bull. Mount Weather Observaiory, 3, 1910, pag. 113. Memoria III La trattazione in Fisica dei problema fondamentale della Statica Nota del Prof. VIRGILIO POLARÀ (con tre figure) RELAZIONE della Commissione di revisione composta dei soci effettivi Prof. G. P. GRIMALDI ( Relatore ) e Prof. E. BOGGIO - LERA. 11 lavoro del Professore Polara tratta il problema fondamentale della Statica in Fisica con metodo rigoroso e lo risolve nella sua forma più generale, riconducendolo ad ovvi dati di esperienza. L’ idea di introdurre , anche nella considerazione di tale problema in Fisica , la no- zione di momento di una forza e di un sistema di forze rispetto ad un polo qualsiasi appare casi feconda di risultati, tanto più che la trattazione del Prof. Polara si presenta del tutto semplice e spontanea. I sottoscritti propongono per ciò che il lavoro venga inserito negli Atti dell’ Acca- demia. G. P. Grimaldi {Relatore) E. Boggio-Lera I. — Considerazioni generali. Nella comune trattazione della Statica in Fisica non si suole, a me pare, risolvere in tutta la sua generalità la questione fondamentale della ricerca delle condizioni necessarie e sufficienti perchè un sistema qualsiasi di forze, applicate ad un corpo rigido libero o vincolato, sia in equilibrio. Mi propongo qui di far vedere che, introducendo la nozione di momento d’ una forza rispetto ad un punto qualsiasi come polo — nelle comuni trattazioni tale nozione si rife- risce solo al caso che il sistema sia girevole intorno al polo — , la soluzione del proble- ma fondamentale della Statica, anche per il caso d’un corpo rigido libero, si presenta molto spontaneamente. A ciò mi ha indotto sopratutto la trattazione che del problema fa il Maggi nelle sue lezioni di Meccanica Razionale lezioni da me scrupolosamente seguite presso 1’ Univer- sità di Pisa con devozione di scolaro — , sebbene 1’ indole stessa del lavoro mi imponga di seguire via alquanto diversa. Noto sopratutto che, proprio là dove, dòpo aver mostrato che si può, con 1’ applica- zione ripetuta delle due operazioni invariantive, trasportare comunque una coppia nel pro- ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Meni. III. I Virgilio Poi nr a [Memoria 111.] 9 prio piano pur di conservarne immutato il momento, si applica ciò alla riduzione del si- stema di forze dato ad un sistema del 1° o del 2° tipo, io ho creduto di seguire diverso procedimento, più elementare e, credo, più semplice, evitando anche le nozioni di calcolo vettoriale che sono frequentissime nella trattazione del Maggi. Inoltre il Maggi, per procedere alla risoluzione del problema che ci occupa, nel caso dei corpi rigidi liberi, introduce il seguente postulato: „ Perchè due diversi sistemi di sforzi, applicati al medesimo sistema di punti, sod- disfacciano entrambi alle condizioni di equilibrio, è necessario e sufficiente che si deducano 1’ uno dall’ altro con le due operazioni invariantive. „ Ora, se la sufficienza della condizione indicata nel caso della prima operazione inva- riantiva — trasporto del punto d’ applicazione d’una forza lungo la propria retta d’ applica- zione — appare senz' altro fisicamente evidente, in quanto si traduce nella circostanza che se l’ equilibrio si verifica ad es. per certe trazioni esso si verificherà ancora col tirare la corda più da vicino o più da lontano ; e se la sufficienza della medesima condizione per la 2a operazione invariantiva — sostituzione di due forze concorrenti con una forza unica il cui segmento rappresentativo è ottenuto col metodo del parallelogramma dai segmenti rappresentativi delle due forze — ci vien provata da un ben noto esperimento che avremo occasione di citare in seguito, non altrettanto evidente o suscettibile di diretto controllo sperimentale appare la necessità della condizione, per la quale, se i due sistemi di sforzi sono entrambi in equilibrio, 1’ uno deve necessariamente potersi dedurre dall’ altro con la sola applicazione delle due operazioni invariantive. Nel procedimento da me seguito invece la soluzione del problema poggia unicamente su un dato che è direttamente riferibile alla esperienza, che cioè se ad un corpo rigido libero è applicata una sola forza non nulla ed una coppia di momento non nullo non si ottiene equilibrio, mentre nel caso che sia nulla la forza e nullo il momento della coppia — con che o la coppia non esiste o si riduce a due forze eguali ed opposte — il corpo è in equilibrio. II. — Corpi rigidi liberi. Per trovare le condizioni necessarie e sufficienti per 1’ equilibrio in tal caso ammette- remo come risultato di ovvie esperienze: a) Se un sistema di forze, applicate ad un corpo rigido libero, è in equilibrio, sarà pure in equilibrio il sistema che si deduce dal dato applicando ad un punto qualsiasi del corpo due forze eguali ed opposte o sopprimendo dal sistema dato, supposto che ne fac- ciano parte, due forze siffatte. b) Se un sistema di forze è in equilibrio, tale sarà anche il sistema che si deduce dal dato con 1’ applicazione di due forze eguali ed opposte in due punii della loro comune dire- zione, o con la eliminazione di tali due forze dal sistema, nell’ipotesi che ne facciano parte. Da ciò è facile dedurre, come si suole nei comuni trattati, la proposizione : 1) Se un sistema di forse applicate ad un corpo rigido è in equilibrio, tale sarà il sistema che da esso si deduce col trasportare comunque il punto d' appli- cazione (i una forza qualsiasi lungo la propria retta d’ applicazione. Inoltre una ben nota esperienza (*), riportata da tutti i trattati di Fisica elementare, prova che : (*) Vedi Roiti pag. 38 — Edizione g. La trattazione in Fisica del problema fondamentale della Statica 3 2) Se nn sistema di forze, applicate ad un corpo rigido , è in equilibrio, tale sarà anche il sistema che si deduce da esso col sostituire a due forze concorrenti il loro risultante, il cui segmento rappresentativo si ottiene con la nota regola del parallelogrammo dai segmenti rappresentativi delle singole due forze, e viceversa. In questa proposizione, come caso limite, potremo anche intendere inclusa la propo- sizione a) precedentemente enunciata. Il risultato si estende manifestamente al caso di più forze concorrenti, essendo allora il risultante ottenuto con 1’ applicazione ripetuta della regola del parallelogramma. Brevemente le due operazioni contenute nelle due proposizioni 1 e 2 le diremo inva- riative e ricaviamo così che /’ applicazione anche ripetuta delle due operazioni in- variantive non altera lo stato d’ equilibrio d’ un qualsiasi sistema di forze appli- cate ad un corpo rigido. Si può far vedere inoltre che se di un sistema di forze fan parte due forze parallele, mediante 1’ applicazione ripetuta delle due operazioni invariantive si può ad esse sostituire una sola forza ottenuta con la nota legge. Particolarmente interessante è il caso che le due forze parallele siano di senso opposto ed eguali in grandezza: costituiscono cioè una coppia. In tal caso, introdotta, come si fa comunemente, la nozione di momento della coppia e la sua rappresentazione grafica me- diante un segmento orientato, è facile vedere che con 4’ applicazione ripetuta delle due ope- razioni invariantive si può trasportare comunque una coppia nel proprio piano, pur di con- servarne inalterato il momento, ed inoltre a due coppie si può sempre sostituire una sola coppia il cui momento si ottiene con la regola del parallelogramma dai momenti delle due coppie, è cioè il risultante dei momenti delle due coppie stesse. (*) Il risultato si estende al caso di più coppie ed il momento della coppia risultante sarà dedotto dai momenti delle singole coppie con 1’ applicazione ripetuta della regola del paral- lelogramma. A questo punto torna opportuno di introdurre la nozione, cui accennai in principio, di momento d' una forza rispetto ad un punto qualsiasi come polo , attribuendo ad esso per grandezza il prodotto dell’ intensità della forza per la distanza del polo dalla di- rezione della forza stessa, per direzione quella della perpendicolare al piano formato dal polo e dalla forza e il consueto senso. È con ciò evidente che il momento d’ una forza rispetto ad un dato polo è eguale al momento della coppia ottenuta col supporre applicata al polo una forza eguale e contraria a quella assegnata. Supponiamo allora in A (fìg. 1) applicate le due forze Fi ed F2. Scelto un polo O appli- chiamo in esso le due forze — Fi e — F2: si ottengono così le due coppie ~ i cui momenti sono rispetti vamenti eguali a quelli delle due forze Fi ed F2 rispetto ad O. A tali due coppie sappiamo già che si deve poter sostituire, con 1’ applicazione delle due operazioni invariantive, una sola coppia : basterà in tal caso sostituire alle forze Fi ed F„ la forza R — loro risultante — e alle forze —Fi — F2 la loro risultante — R. Per quanto s’ è visto, tale coppia ha per momento il risultante dei momenti delle singole coppie, ossia (*) Confronta le lezioni del mio corso speciale di Fisica per gli Studenti di Medicina, Farmacia e Scienze Naturali. 4 [Memoria III.] Virgilio Poi ara il risultante dei momenti delle singole forze Fi ed F2 rispetto al polo. E poiché d’ altra parte il momento della coppia q è uguale al momento della forza P rispetto ad 0 come polo, segue che il momento di P rispetto ad 0 è il risultante dei momenti delle singole forze Fi ed F, che hanno P per risultante. Dato ora un sistema di forze applicate ad un corpo rigido, diremo momento del si- stema rispetto ad un dato punto come polo il risultante dei momenti, rispetto allo stesso polo, delle singole forse del sistema , ottenuto da questi con V applicasione ripetuta della regola del parallelogramma. Allora, poiché lo spostamento del punto d’ applicazione d’ una forza lungo la propria retta d’ applicazione non muta il momento della forza stessa rispetto ad un polo qualsiasi ed inoltre, come s’ è visto, il risultante dei momenti di due forze concorrenti è uguale al momento del risultante delle due forze stesse, è manifesto che l' applicasione ripetuta delle due operasioni invariantive non altera il momento del sistema di forse a cui tali operasioni vengono applicate. Scelto ora un punto qualsiasi O , per ciascuna forza del sistema dato applichiamo in O due forze eguali ed opposte fra loro, eguali in grandezza alla forza considerata e nella medesima direzione. Saremo così passati ad un sistema costituito da altrettante forze eguali e parallele alle forze del sistema dato ed applicate in O , alle quali, con 1’ applicazione ri- petuta della 2a operazione invariantiva, si potrà sostituire una sola forza — che diremo Risultante del sistema dato — , e da altrettante coppie aventi tutte a comune il punto O. Sappiamo già che ad esse si deve poter sostituire, con 1’ applicazione delle due operazioni invariantive, una sola coppia, e, ricordando il particolare procedimento allora seguito, è manifesto che tale coppia risultante avrà in O applicata una delle sue forze. La trattazione in Fisica del problema fondamentale della Statica Siamo così pergiuriti ad un sistema (fig. 2) — costituito dal Risultante applicato in O e da polo 0 deve essere uguale al momento, rispetto al medesimo polo, del sistema dato, es- sendo esso ottenuto dal dato con la sola applicazione delle due operazioni invariantive. E poiché in questo nuovo sistema il momento delle due forze applicate in 0 — il Ri- sultante del sistema e la forza — F della coppia — rispetto al polo 0 è manifestamente nullo, e d’ altra parte il momento rispetto ad O dell’ altra forza F costituente la coppia è uguale al momento della coppia stessa, segue che con l’ applicazione delle due opera- zioni invariantive si può sempre passare dal sistema dato ad un altro costituito dal Risultante applicato ad un punto arbitrario e da una coppia che ha per mo- mento il momento del sistema dato rispetto a questo punto come polo. Supponiamo allora che il sistema dato sia in equilibrio. Tale sarà anche il sistema cui siamo pergiunti. E poiché 1’ esperienza ci prova che un sistema formato da una sola forza ed una sola coppia, applicate ad un corpo rigido libero, non può essere in equilibrio se non è nulla la forza e nullo il momento della coppia, segue che, nell’ipotesi fatta, sarà nulla tale forza e nullo il momento da tale cop- pia, ossia nullo il Risultante del sistema dato e nullo il momento del sistema dato rispetto ad un punto arbitrario come polo. Inversamente, se queste due condizioni sono verificate, sarà nulla la forza e nullo il momento della coppia che costituiscono insieme il sistema cui si è pergiunti, che sarà quindi in equilibrio. E tale sarà conseguentemente anche il sistema dato. Concludiamo così che Condizione necessaria e sufficiente perchè un dato sistema di forze , applicate ad un corpo rigido libero , sia in equilibrio è che sia nullo il risultante del sistema e nullo il momento del sistema rispetto ad un punto qualsiasi come polo. FIG. 2. 6 Virgilio Poi ara [Memoria III. | III. — Corpi rigidi vincolati. Le considerazioni precedenti valgono per il caso di corpi rigidi liberi. Può accadere però di avere un sistema rigido in cui sia imposto a priori ad uno o più punti di man- tenersi invariabilmente fissi. Il sistema si dice allora vincolato. Ora, un’ analisi accurata dei vincoli ci induce a ritenere che essi non siano che la conseguenza di certe forze da cui si prescinde quando se ne sia appunto prefissato il risultato. Così la fissità di un dato punto è da attribuire in realtà ad una forza speciale in esso applicata che assicura appunto tale fissità e di cui sogliamo non tener conto quando prefissiamo che essa ha per risultato di tener fisso il punto considerato. È allora manifesto che per trovare le condizioni necessarie e sufficienti per 1’ equili- brio d’ un sistema di forze applicate ad un corpo rigido vincolato, basterà tener conto di tali forze — forze vincolati — che determinano il vincolo e supporre poi il nuovo sistema così ottenuto come se fosse libero. Corpo rigido con un punto fisso. — In tal caso la forza vincolare è da conside- rare applicata al punto fisso: quanto poi alla sua direzione ed alla sua grandezza si può supporle comunque, giacché in ogni caso il vincolo viene rispettato. Per 1’ equilibrio è quindi necessario e sufficiente : 1) Che il risultante complessivo delle forze impresse — cioè manifestamente'applicate al corpo — e della forza vincolare sia nullo, cioè che il risultante delle sole forze im- presse sia eguale ed opposto alla forza vincolare. Tale condizione si può sempre supporre verificata, giacché, salvo la circostanza che la forza vincolare sia applicata al punto fisso, niente abbiamo da assegnare a priori a tale forza : potremo quindi supporla eguale ed op- posta al risultante delle forze impresse. 2) Che il momento del sistema complessivo delle forze impresse e della forza vinco- lare rispetto ad un punto qualsiasi come polo sia nullo. Se allora il sistema dato è in equilibrio sarà nullo per la 2) il momento del sistema delle forze impresse e della forza vincolare rispetto ad un punto qualsiasi come polo : in particolare rispetto al punto fisso 0 come polo. E poiché il momento della forza vincolare — applicata appunto nel punto fisso — rispetto a tale punto è nullo, sarà nullo il momento del sistema delle forze impresse rispetto al punto fisso. Supponiamo ora inversamente che sia soddisfatta quest’ ultima condizione. Scelto un punto qualsiasi O' (fig. 3) consideriamo per un momento le due coppie , essendo A il punto d’applicazione d’una forza impressa qualsiasi F\ Col sopprimere le due forze F e — F applicate in O — prima operazione invariativa — queste due coppie si ri- due. E poiché ciascuna di queste tre coppie ha momento eguale rispettivamente a quello di F applicata in A rispetto ad O, a quello di F applicata in O rispetto ad O' e a quello di F applicata in A rispetto ad O' , segue che il momento della forza impressa data rispetto ad O' è il risultante del momento della stessa forza rispetta al polo O e del momento della F, supposta applicata in O, rispetto al nuovo polo O'. ducono momento il risultante dei momenti delle altre La trattazione in Fisica del problema fondamentale della Statica 7 Ripetendo analogo ragionamento per tutte le forze impresse e per la forza vincolare, si deduce che il momento del sistema complessivo delle forze impresse e della forza vin- colare rispetto al polo O' è uguale al risultante del momento del sistema stesso rispetto al polo O e del momento del Risultante del sistema complessivo supposto applicato in O, rispetto al nuovo polo 0' . fig. 3. Ora, nella ipotesi fatta il momento del sistema complessivo rispetto al polo O è ma- nifestamente nullo, giacché tale è il momento del sistema delie forze impresse e tale il mo- mento della forza vincolare. Inoltre, essendo la forza vincolare eguale ed opposta al risul- tante delle forze impresse, il risultante del sistema complessivo sarà nullo e quindi anche il momento rispetto ad O' di tale risultante, supposto applicato in O. Segue che, nella ipo- tesi fatta, è nullo il momento del sistema complessivo delle forze impresse e della forza vincolare rispetto al punto qualsiasi 0' come polo e conseguentemente per la 2) il sistema dato è in equilibrio. Così : Condizione necessaria e sufficiente perchè un dato sistema di forze applicale ad un corpo rigido con un punto fisso sia in equilibrio è che sia nullo il momento del sistema delle forze impresse rispetto al punto fisso come polo. Corpo rigido con una retta fissa. Supponiamo ora che siano fìssi due punti A e B del corpo: sarà allora fìssa tutta- la retta r che li congiunge. Ripetendo quanto s’ è detto prima per il caso d’ un punto fìsso, è manifesto che per trovare le condizioni necessarie e sufficienti per l’equilibrio basterà applicare le considerazioni generali svolte per il caso di corpi rigidi liberi col tener conto però delle due forze vincolari Fi ed F„ , che traducono la fissità dei due punti A e B e delle quali quindi non possiamo prestabilire che la con- dizione che siano rispettivamente ad essi applicate. Per l’equilibrio è quindi necessario e sufficiente: 1) Che sia nullo il Risultante complessivo del sistema delle forze impresse e delle H Virgilio Poi ara [Memoria ili.] due forze vincolali; ossia che il risultante delle forze impresse sia eguale e contrario al risul- tante delle forze vincolati. Ciò, al solito, potremo sempre supporre verificato con l’attri- buire alle due forze vincolati valore e direzione convenienti. 2) Che sia nullo il momento, rispetto ad un punto qualsiasi come polo, del sistema complessivo delle forze impresse e delle forze vincolati. Ciò premesso, se il sistema dato è in equilibrio la condizione 2) dovrà essere verifi- cata ed in particolare, scegliendo un punto della retta fissa come polo, dovrà essere nullo li momento, rispetto a questo punto come polo, del sistema complessivo delle forze impresse e delle due forze vincolati: ossia il momento delle due forze vincolati dovrà essere eguale ed opposto al momento del sistema delle forze impresse. E poiché il momento di entram- be le forze vincolati rispetto ad un punto della retta fissa è perpendicolare a tale retta, 10 stesso dovrà accadere del momento delle forze impresse. Inversamente se ciò accadrà, attribuendo convenienti direzioni e grandezze alle due forze vincolati, il loro momento rispetto ad un punto della retta fìssa potrà sempre ridursi ad essere eguale ed opposto al momento delle forze impresse. Per vedere come sia sempre possibile determinare le forze vincolati applicate ai due punti fissi A e B in guisa che il loro risultante sia eguale ed opposto al risultante delle forze impresse — abbia cioè grandezza, direzione e senso prestabiliti — ed il loro momento rispetto ad un punto O della retta fìssa sia, al tempo stesso, eguale ed opposto al momen- to del sistema delle forze impresse, basterà osservare quanto segue. Decomponiamo, con la regola del parallelagramma, 1’ eguale ed opposto al momento del sistema delle forze im- presse in due segmenti orientati di cui uno sia eguale ed opposto a quello che rappresenta 11 momento del Risultante di tali forze impresse, supposto applicato al punto fisso A, rispetto al polo O, e l’ altro sia determinato in conseguenza. Ora, si può sempre, manifestamente, determinare la forza vincolare applicata in B in guisa che il suo momento rispetto ad A — e quindi, per essere il momento della forza vincolare in A rispetto al polo A nullo, anche il momento del sistema delle due forze vincolali rispetto al polo A — abbia grandezza, di- rezione e senso assegnati : l’ altra forza vincolare applicata in A si determina poi in guisa che il risultante delle due sia eguale ed opposto a quello delle forze impresse. In particolare assegniamo che il momento delle due forze vincolali rispetto ad A sia rappresentato da quel segmento orientato, precedentemente determinato in guisa che, composto con 1’ eguale ed opposto al momento del risultante delle forze impresse, supposto applicato in A, rispet- to ad O dia per risultante 1’ eguale ed opposto al momento delle forze impresse rispetto al polo O. E poiché, per una considerazione fatta altra volta, il momento delle due forze vinco- lali rispetto ad O è il risultante del loro momento rispetto ad A — che noi abbiamo in modo particolare assegnato — e del momento del loro risultante — eguale ed opposto al risultante delle forze impresse — supposto applicato in A rispetto al polo O, è manife- sto che il momento delle due forze vincolati rispetto al polo O sarà proprio 1’ eguale ed opposto al momento del sistema delle forze impresse, rispetto al medesimo polo O, e con- seguentemente sarà nullo il momento del sistema complessivo formato dalle forze vinco- laci e delle forze impresse rispetto ad un punto O della retta fissa come polo. Ripetendo poi la considerazione del caso precedente si trova manifestamente che il momento, rispetto ad un punto qualsiasi O' come polo, del sistema complessivo delle forze impresse e delle forze vincolaci è il risultante del momento del sistema complessivo rispetto al punto O co- La trattazione in Fisica del problema fondamentale della Statica 9 me polo e del momento rispetto al punto 0' come polo del risultante del sistema com- plessivo delle forze impresse e delle forze vincolali, supposto tale risultante applicato in O. Essendo allora nullo il momento rispetto ad 0 del sistema complessivo formato dalle forze impresse e dalle forze vincolali, ed essendo inoltre nullo il risultante di tale sistema complessivo — giacché si suppone sempre verificata la condizione 1) — sarà anche nullo il momento del sistema complessivo rispetto al polo 0' . Per la proposizione 2), il sistema sarà allora in equilibrio e quindi segue che: Condizione necessaria e sufficiente perchè un sistema di forze applicate ad un corpo rigido con una retta fissa sia in equilibrio è che il momento del sistema delle forze impresse sia perpendicolare alla retta fìssa. Corpo rigido appoggiato per un punto ad un piano fisso. Si potranno anche in tal caso applicare le condizioni necessarie e sufficiente per l’e- quilibrio d’ un corpo rigido libero pur di sostituire il vincolo con una forza vincolare di- retta perpendicolarmente al piano fìsso, senza che nulla si possa prestabilire relativamente alla sua grandezza. Per l’equilibrio è quindi necessario e sufficiente: J) Che sia nullo il Risultante delle forze impresse e della forza vincolare, e quindi che il Risultante delle sole forze impresse sia perpendicolare al piano fisso, di senso oppo- sto a quello della forza vincolare e di grandezza eguale a quella della forza vincolare. Al solito quest’ ultima condizione relativa alla grandezza del Risultante delle forze im- presse si può sempre supporre verificata con 1’ attribuire alla forza vincolare grandezza conveniente. 2) Che sia nullo il momento del sistema complessivo rispetto ad un punto qualsiasi come polo. Se il sistema dato è quindi in equilibrio, scegliendo per polo il punto fìsso, dovrà es- sere nullo il momento rispetto a questo polo del sistema delle forze impresse, giacché il momento della forza vincolare è di per sé nullo. Inversamente, se il risultante delle forze impresse è perpendicolare al piano fìsso — ed allora si può suppórre eguale e contrario alla forza vincolare — e se il momento delle for- ze impresse rispetto al punto fisso è nullo, tale sarà anche il momento, rispetto ad un altro punto qualsiasi, del sistema complessivo formato dalle forze impresse e dalla forza vinco- lare per una considerazione già fatta. Il sistema dato sarà quindi in equilibrio. Si desume così che : Condizioni necessarie e sufficienti perchè un dato sistema di forze applicate ad Un corpo rigido che sia appoggiato per un punto ad un piano fisso sono: a) che il risultante delle forze impresse sia perpendicolare al piano fisso : b) che il moménto rispetto al punto fisso sia nullo. Corpo rigido appoggiato ad un piano fisso per parecchi punti. Basterà supporre sostituiti i vincoli con altrettante forze vincolari tutte perpendicolari al piano fisso. r r> . I.» • ... . . % . i « * • . %t. Per l’equilibrio è quindi necessario e sufficiente: l) Che sia nullo il risultante complessivo, ossia che il Risultante delle forze im- ATTI ACC. SERIE V. VOL. V. Metti. 111. 2 10 Virgilio Poi ara [Memoria III.] presse sia eguale ed opposto a quello delle forze vincolati. E poiché quest’ultimo è per- pendicolare al piano fìsso, tale dovrà essere il risultante delle forze impresse, la condizione relativa alla grandezza potendosi al solito supporre sempre verificata con 1’ attribuire gran- dezze convenienti alle forze vincolali. 2) Che sia nullo il momento del sistema complessivo delle forze impresse e delle forze vincolati rispetto ad un punto qualsiasi come polo. Se il sistema è quindi in equilibrio dovrà essere in particolare nullo il momento del sistema complessivo rispetto al punto O di applicazione del risultante delle forze vincolati, a cui si può sempre ridurre il sistema delle forze vincolati — come s’ è visto trattandosi di forze parallele — con l’applicazione ripetuta delle due operazioni invariantive. E poiché il momento di tale risultante delle forze vincolati rispetto al polo 0 è nullo, tale dovrà es- sere il momento delle sole forze impresse rispetto al medesimo punto. Inversamente, supposta verificata la condizione 1) per il Risultante delle forze impresse, se il momento delle forze impresse rispetto al punto O precedentemente considerato è nullo, e quindi anche il momento, rispetto al medesimo polo, delle forze impresse e vincolati as- sieme, sarà anche nullo, come s’ è visto ripetutamente, il momento del medesimo sistema complessivo di forze rispetto ad un altro punto qualsiasi. Il sistema dato quindi per la 2) sarà in equilibrio. Notiamo ora che il punto O è ma- nifestamente interno al poligono di appoggio — avente per vertici altrettanti punti di ap- poggio e comprendente tutti i punti di appoggio nel suo interno — ed inoltre se accade che, supposto sempre il risultante delle forze impresse perpendicolare al piano fisso, sia nullo il momento del sistema di tali forze rispetto ad un particolare punto, potremo sem- pre assumere questo per centro delle forze vincolali, pur di assegnare a queste valori con- venienti. Se i valori così assegnati alle varie forze vincolati in guisa che il loro centro sia il particolare punto assegnato non fossero tali da dare per risultante 1’ eguale ed opposto del risultante delle forze impresse, basterebbe ingrandire od impiccolire, per ottenere sod- disfatta anche questa condizione, ciascuna forza vincolare della differenza fra il risultante delle forze vincolati e quello delle forze impresse. Segue quindi che: Condizioni necessarie e sufficienti per l’ equilibrio in tal caso sono che : a) il risultante delle forse impresse sia perpendicolare cd piano fisso ; b) che il mo- mento delle forse impresse rispetto ad un particolare punto interno al poligono d’ appoggio sia indio. Il metodo qui seguito di ricondurre la ricerca delle condizioni necessarie e sufficienti per l’equilibrio dei corpi rigidi liberi io ho tratto dalle lezioni di Meccanica Razionale del Maggi, in quanto reputo che tale idea, oltreche mostrarsi feconda di risultati, serva a pe- netrare la veia natura del vincolo. La trattazione da me esposta — che avrei per altro soppresso se il corso del Maggi fosse più noto anche fra i Fisici — offre però, a mio credere , il vantaggio di una mag- giore semplicità — sopratutto nella dimostrazione della sufficienza delle condizioni che nel Maggi non é molto esplicita — e di non essere necessaria alla sua interpretazione le no- zioni di calcolo vettoriale. Comunque io mi son proposto sopratutto in questo numero di far vedere come tale idea sia facilmente applicabile, e con successo, alla trattazione della Statica in Fisica. La trattazione in Fisica del problema fondamentale della Statica 11 IV. — Altro metodo per risolvere il problema fondamentale nel caso di particolari vincoli. Ma la soluzione del problema fondamentale della Statica per il caso di corpi vin- colati — almeno per speciali vincoli -- può essere ricondotta, anzicchè all’analogo pro- blema relativo ai corpi rigidi liberi, direttamente ad ovvii dati di esperienza. Corpo rigido con un punto fisso. Scegliamo tale punto per polo. Mediante l’appli- cazione delle due operazioni invariantive possiamo, come s’ è visto, ridurre il sistema dato ad una sola forza, eguale al risultante ed applicata al polo e ad una coppia che ha ap- plicata al polo O una delle due forze che la costituiscono. Possiamo allora alle due forze applicate in 0 sostituire una sola forza ed ottenere così un sistema formato da due sole forze : una applicata in O e 1' altra in un altro punto determinato. E poiché tale trasfor- mazione è stata ottenuta con la ripetuta applicazione delle due operazioni invariantive, è manifesto che se il sistema dato è in equilibrio tale sarà anche il sistema cui si è per- giunti e viceversa : inoltre i due sistemi avranno il medesimo momento rispetto al polo O. Essendo poi nel secondo sistema il momento della forza applicata al polo O manifesta- mente nullo, il momento del sistema dato rispetto al punto fìsso O come polo sarà eguale al momento dell’ altra forza F. Supponiamo allora che il sistema dato sia in equilibrio : tale dovrà essere anche il sistema al quale siamo pergiunti. In questo però possiamo pre- scindere dalla forza applicata al punto fìsso O, giacché se un sistema con un punto fisso è in equilibrio, tale sarà anche — l’esperienza più ovvia ce ne assicura — il sistema ot- tenuto con l’ applicare al punto fìsso uno forza qualsiasi, e, inversamente, se del sistema in equilibrio fa parte una forza applicata al punto fisso, sarà anche in equilibrio il sistema ottenuto col sopprimere la forza in discorso. Tutto procede quindi come se il sistema cui si è pergiunti consistesse nella sola forza F. Ora, l’esperienza ci prova che in tal caso semplicissimo 1' equilibrio si verifica allora ed allora soltanto che la forza F passa per il punto fìsso O, come appare naturale data la natura del vincolo. Nella ipotesi fatta quindi che il sistema dato sia in equilibrio la forza F dovrà passare per 0 e quindi nullo sarà il suo momento rispetto al punto fisso O. Al- lora sarà anche nullo il momento del sistema dato rispetto al medesimo polo. Inversamente, se nullo è il momento del sistema dato rispetto al punto fisso, sarà nullo anche il momento della forza F. Conseguentemente sarà in equilibrio il sistema dato. Troviamo così la condizione necessaria e sufficiente per 1’ equilibrio enunciata nel prece- dente numero. Corpo rigido con una retta fìssa. Scelto un punto qualsiasi O della retta fissa r come polo, si proceda come nel caso precedente per ridurre il sistema — mediante 1’ ap- plicazione ripetuta delle due operazioni invariantive — a quello formato da una forza ap- plicata in 0 e da un’ altra forza F applicata in un altro punto determinato A. Se il sistema dato è in equilibrio, tale dovrà essere il sistema cui si é giunti ; e poiché la forza applicata al punto fìsso 0 non può avere influenza sull’equilibrio, dovrà essere in equilibrio il sistema della sola forza F applicata in A. Ora, 1’ esperienza prova che in questo caso semplice 1’ equilibrio si ha allora ed allora 12 Virgilio Poi circi [Memoria III. | soltanto che la forza F incontra la retta fìssa. Osserviamo invero che si può sostituire alla forza F le due Fi ed Fa, rispettivamente nel piano rA e ad esso perpendicolare, ottenute con la regola del parallelogramma. La forza Fi , incontrando la retta fissa non ha influenza alcuna sull’ equilibrio e quindi se il sistema dato è in equilibrio tale dovrà anche essere il sistema formato della sola forza F2, la quale, come l’esperienza più ovvia prova, fa ruotare il sistema intorno all’asse r se non ha valore nullo. Ma in quest’ultimo caso la F giace nel piano rA ed incontra la retta fissa : conseguentemente il momento di F ri- spetto al polo 0 è perpendicolare alla retta fissa. Segue quindi che nell’ ipotesi fatta dell’ equilibrio del sistema dato dovrà essere il momento della forza Pò e quindi anche il momento del sistema dato, rispetto al punto qualsiasi O della retta fissa, perpendicolare a questa retta. Inversamente se ciò accade la F incontrerà l’ asse fisso, il sistema cui si pergiunge sarà in equilibrio e conseguentemente anche il sistema dato. Troviamo così la condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio stabilita al numero precedente. Catania, 27 novembre 1911. Memoria IV. Non è mia intenzione rifar qui la storia • dell’ anestesia midollare, che, in poco più di un decennio, ha già al suo attivo una ricca letteratura. Con rapida sintesi 1’ ha tracciata magistralmente il Bier (l), che primo la preconizzò e 1’ introdusse nella pratica chirurgica. Osserva il grande clinico che quando egli, nel 1899, riferì sulle prime operazioni fatte con 1’ anestesia midollare, che egli stesso designava allora come un processo immaturo ed an- cora non adatto per la pratica generale, fu fatta nei vari centri scientifici ben diversa ac- coglienza alla sua comunicazione. Così mentre in Germania non si diede grande attenzione al processo e, dice lo stesso Bier , con ragione, i francesi, e specialmente poi gli ameri- cani, con un entusiasmo che il Bier definisce “ non concepibile per i freddi tedeschi „ lo apprezzarono come uno dei più grandi acquisti della chirurgia. Da ciò affrettate appli- cazioni del metodo che, se ad alcuni diedero brillanti successi, ad altri procurarono delu- sioni dolorose. Da ciò giudizi e speranze tutt* altro che ben fondati, e d’altra parte abban- doni e condanne non meritati. Tutt’ oggi l’accordo è ben lontano dall’essere raggiunto, malgrado i molti tentativi fatti in varie direzioni per rendere il metodo più sicuro nei suoi effetti e scevro di pericoli. Ma nella disamina delle controversie agitatesi ed agitantesi con varia vicenda in seno alle società scientifiche e sui giornali medici non intendo fermarmi , come già ho dichiarato in principio : in questo argomento non potrei che far da cronista, mancando a me quella competenza ed esperienza che sono necessarie in chi dalla storia vuol ricavare un’, utile conclusione, e che solo un maestro può possedere. Competenza ed esperienza che in sommo grado possiede il Bier (2), il cui giudizio, espresso nel congresso della Deutsch. Gesellschaft f. Chir. il 14 Aprile 1909, mi sia lecito qui riportare integralmente. “ Quantunque siano passati circa dieci anni da quando praticai le prime operazioni con 1' anestesia midollare, e quantunque già da questo tempo i medici di tutti i paesi ab- biano collaborato nella formazione del metodo, non possiamo in alcun modo dire che esso sia ultimato. Accanto ad entusiastici sostenitori del metodo, molti vi sono che lo vogliono limitato a casi del tutto determinati, ed alcuni i quali lo rigettano completamente. Anche fra i sostenitori del metodo non esiste alcuna concordanza nè sulla scelta del mezzo, nè sul modo speciale di praticare il procedimento. Propriamente non ci si può maravigliare di ciò, poiché il tempo del giudizio ancora è breve, ed anche perchè la narcosi generale è così perfezionata da essere diventata un processo sicuro e relativamente non pericoloso (i) Bier u. Doniz — Ruckenmarksanàsthesie. Munch. Med. Wochenschr. 51 lahrgang. N. 14 S. 693. . (2) bier : Ueber der heutiger Stand der Lumbai — u. Lokalanàstesie — Ardi. f. Clin. Chirurg. Bd. 90. S. 349- ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. IV. I o Salvai o re Nicosia [Memoria IV'.] In questi ultimissimi anni un passo ancora più ardito è stato tentato, pei- opera spe- cialmente di Jonnescu di Bukarest (1) che nel 1908, al congrèsso internazionale di chirur- gia di Bruxelles, presentò un metodo di rachi-stovainizzazione spinale che rendeva possi- bile una anestesia generale. Il metodo Jonnescu fu sfavorevolmente giudicato nel Congresso della Società tedesca di Chirurgia del 1909 a Berlino. Fondandosi specialmente sulle ri- cerche di Rehn, il Bier disse: “ Il metodo di anestesia rachiale raccomandato dal Prof. Jon- nescu nel Settembre 1908 al Congresso Internazionale di Chirurgia di Bruxelles è da scon- sigliarsi. Le esperienze di Rehn dimostrarono il grande pericolo delle iniezioni fatte ai di sopra della regione lombare Jonnescu ha replicato contro questo giudizio del Bier nel modo che si poteva migliore, pubblicando nel Dicembre 1909 un lavoro che riassume i risultati di oltre 623 operazioni, condotte felicemente col suo metodo. Della letteratura che si è andata formando sul metodo Jonnescu io mi passo pure, così come ho fatto per il metodo del Bier. Una sola osser- vazione mi si permetta, ed è questa. Tranne poche eccezioni, l’anestesia midollare, intesa nel senso più lato, e cioè sia come metodo locale, sia come procedimento di anestesia ge- nerale, è stata studiata soltanto sulla scorta di ricerche e di osservazioni cliniche, mentre la sperimentazione sugli animali non solo non ha preceduto 1’ applicazione pratica, ma an- che quasi sempre è stata trascurata. Non voglio con questo sostenere che la sperimentazione sugli animali, anche se fatta nel modo più completo ed esauriente, possa da sola autorizzare un giudizio clinico; certo è però che molte lacune, che oggi esistono sulla tossicità assoluta e relativa delle varie sostanze che sono state man mano preconizzate per la anestesia midollare, sulla loro dif- fusibilità o meno nell’ organismo o nei diversi tratti dello stesso canale vertebrale, sulla resistenza che ad esse possono opporre i vari centri midollari, sull’importanza della gia- citura del paziente, della pressione osmotica del liquido che si inietta, e quel che più in- teressa sulla possibilità di scongiurare i pericoli o di debellarli una volta insorti ecc. ecc. non esisterebbero se si fosse fatto ricorso in modo metodico alle esperienze di labora- torio. Molto più poi interessava trasportare la ricerca nel campo sperimentale in quanto vi si connettono molte altre questioni che riguardano punti ancora oscuri nella tisiologia e nella farmacologia del liquido e delle meningi spinali, questioni che hanno non soltanto un interesse scientifico, ma bensì si riflettono anche nel campo clinico e terapeutico. Così ben poco noi sappiamo sulle condizioni di assorbimento, sulle modalità di azione dei farmaci immessi per il canale rachidico, sull’accesso e diffusione in questo di farmaci iniettati per altre vie ecc. ecc. ; cognizioni tutte che potrebbero tornare di non lieve van- taggio per la ricerca clinica e per la terapia. In tale ordine di studi ci si è impegnati nell’ Istituto di materia medica, e le ricerche si sono dirette per diverse vie, sperando in tal modo di portare un contributo non privo di interesse tanto per la ricerca scientifica, che per l’applicazione pratica. Talune di queste ricerche sono state affidate a me, e nel presente lavoro io mi occu- po più specialmente di quella parte delle mie ricerche che si riferiscono alla rachistovai- nizzazione alla Jonnescu negli animali, alla permeabilità meningea, alle conseguenze della (i) Comptes réndus du II Congrés de la Société internationale de Chirurgie — Bruxelles 1908 Voi. I. pag. 281-304. Sull’ anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 3 giacitura sulla diffusione reale delle sostanze nel canale vertebrale, alla tossicità della sto- vaina iniettata direttamente nello spessore del midollo spinale. Per V indole stessa di queste ricerche, che richiedono lungo tempo e molti animali, io non ho la pretesa di avere espletato il compito affidatomi. Spero pertanto mi si userà com- patimento se ancora delle lacune esistono nelle mie esperienze, alle quali avrò cura di ri- parare in seguito. Tuttavia alcuni dei fatti, che risultano dalle esperienze che verrò descri- vendo, meritano certamente di essere presi in considerazione, ciò che mi rende più ardito a sperare nella benevolenza del giudizio. Come è noto Jonnescu aveva indicato al Congresso di Bruxelles quattro punti della colonna vertebrale adatti per la punzione nell'uomo. In seguito però avendo constatato che la rachi-anestesia si svolge molto oltre il punto della iniezione, interessando parti lontane del coi po, e che la iniezione fatta in alcuni siti, oltre ad offrire difficoltà di tecnicismo non lievi, espone anche a taluni pericoli, ha limitato a due soli i punti della colonna vertebrale che possono dirsi punti di elezione per la rachi-anestesia, e cioè lo spazio fra la la e la 2a vertebra toracica e quello fra la dodicesima toracica e la la lombare. Egli chiama pun- zione (rispettivamente iniezione) dorsale superiore quella fatta nel primo punto indicato e che dà gli stessi risultati che si avevano con la difficile e pericolosa punzione medio- cervicale, e punzione (rispettivamente iniezione) dorsale inferiore o dorso-lombare quella praticata nel secondo punto. Con la prima si ottiene la completa anestesia della testa, del collo, del torace e delle estremità superiori, con la seconda 1‘ anestesia delle parti inferiori del torace, dell’addome, dei visceri addominali e pelvici, delle estremità inferiori. Come anestetico Jonnescu ha dato la preferenza alla stovaina, alla quale egli ha as- sociato la stricnina per togliere 1’ azione paralizzante della prima sostanza sui centri bulbari. Come animali da esperienza io ho prescelto il cane che, come è risaputo, fra i comuni animali di laboratorio è quello che più si avvicina all’ uomo e che meglio permette una accurata disamina dei sintomi e dei possibili accidenti immediati o consecutivi. È intanto da osservare che per la conformazione della colonna vertebrale del cane non è possibile, senza un processo cruento abbastanza grave, raggiungere lo spazio fra la prima e la seconda vertebra-toracica, mentre riesce agevole la punzione dorsale inferiore. Ho dovuto per ciò limitarmi a questa. Riguardo alla tecnica rilevo che con un pò di esercizio si riesce benissimo a pratica- re la punzione attraverso la pelle integra; per maggior sicurezza si può incidere la pelle, come spesso ho fatto. A volte poi, e specialmente quando si voleva far la iniezione nello spessore del midollo, ho posto allo scoperto la fascia dorsale, con che si rende facilissima 1’ ulteriore penetrazione dell’ ago nello speco vertebrale. Per la scelta dell’ ago-cannula e per le modalità da seguire nella preparazione della soluzione anestetica, semplice o mista, valgono per il cane le stesse norme già indicate dettagliatamente da Ionnescu per 1’ uomo, ed alle quali pertanto credo superfluo di dovere accennare. La stovaina da me usata fu quella della casa Poulenc frères; quando adoperai la stricnina mi valsi del nitrato di questo alcaloide, della fabbrica Merck. Come solvente usai tanto 1’ acqua distillata che la soluzione fisiologica di cloruro sodico al 0. 75 %: una volta per tutte debbo notare che nessuna differenza apprezzabile nella rapi- dità dell’azione, nella diffusione dell’ anestetico ecc. potei rilevare usando dell’ acqua o della soluzione salina. Con ciò non intendo escludere che la densità della soluzione che si inietta, 4 Salvatore Nicosia [Memoria IV ] o la natura speciale del solvente, non possano esercitare una certa influenza; ritengo anzi che questo punto meriti ulteriori ed attente osservazioni, tanto più se si pon mente che dalle ricerche di Widal e Guénard risulterebbe che taluni disturbi, che spesso si osservano dietro la rachi-anestesia (cefalea, ipertermia ecc.), debbono attribuirsi all’acqua nella quale è stato sciolto l’ anestetico, mentre possono essere eliminati adoperando come veicolo del- l’ agente anestetico il liquido cefalo-rachidiano dell’ ammalato stesso (1). — Ciò facendo poi, vi sarebbe nella pratica chirurgica anche il vantaggio di non mutare le condizioni di pres- sione del liquido cefalo-rachidiano, e per conseguenza di non alterare, almeno per questa via, anche la celerità della corrente di questo stesso liquido. Intanto, ripeto, io non potei rilevare differenze usando come solvente 1’ acqua distillata o la soluzione salina, e però, nel riferire talune delle mie esperienze, mi sento autorizzato a sceglierle indipendentemente dal solvente usato, che in ogni caso fu sempre sterile. E vengo ora ad esporre alcune delle mie esperienze con le iniezioni di sola stovaina e di stovaina e stricnina associate, dirette a stabilire la dose sicuramente attiva della sto- vaina per la via rachidica nel cane e quella tossica, il vantaggio o meno che può dare la associazione della stricnina, il quadro fenomenico che si osserva nel cane , la diffusione della anestesia e la sua durata media , gli accidenti immediati o remoti (esclusi natural- mente quelli dipendenti da errori di tecnica). Necessario epilogo a questa parte delle mie esperienze formeranno le ricerche istolo- giche dei midolli spinali dei cani che avevano subito la rachistovainizzazione con dose più o meno alta, ed in tempo vicino o lontano dal momento in cui vennero sacrificati ; ricer- che, come ben si vede, rivolte a controllare quelle analoghe di vari investigatori e più spe- cialmente del Rehn per dare, se del caso, il giusto valore alle alterazioni morfologiche che si sono osservate. Ma di tali ricerche si occupa l’aiuto del laboratorio D.r Consoli, che ne è stato incaricato e il quale, per motivi indipendenti dalla sua volontà, ha dovuto ritardarle. ESPERIENZE CON STOVAINA E STRICNINA Esperienza I. C 'aglietto di Kg. 4. 160 digiuno da 24 ore. 12. 32. Si penetra con fago-cannula, attraverso la pelle integra, nello spazio fra l’ul- tima vertebra dorsale e la prima lombare. Fuoriescono alcune gocce di liquido cefalo-ra- chidiano limpidissimo. Si iniettano gr. 0. 044 di stovaina e 0. 00044 di nitrato di stricnina sciolti in cm3 l. di acqua distillata. L’iniezione si fa procedere con grande lentezza. Si slega l’animale. 1 2 .30. Forte erezione — Paresi, alquanto spastica, del treno posteriore. Insensibilità al dolore della metà posteriore del tronco e degli arti posteriori. L’erezione perdura fino al- le 12. 50. 13. Persiste la paresi spastica del treno posteriore. Attutita notevolmente, ma non piu mancante, la sensibilità dolorifica nelle parti indicate. 13.20. Molto migliorato lo stato di paresi. Ripristinata la sensibilità dolorifica. (i) — citato da Bouchard — Trattato di patologia generale voi. 6. parte li. p. 127. Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono o 14. L’animale può considerarsi tornato al normale. Mangia con appetito. N. B. — La dose di stovaina adoperata corrisponde a gr. 0.01 per Kg. del peso del- l’animale; quella di nitrato stricnico a 0.0001 per Kg. Lo stesso animale subì a 13 giorni di distanza, durante i quali apparve sempre nor- male, una nuova iniezione di sola stovaina in dose di due centigrammi per Kg. del peso, e dopo altri 16 giorni, nei quali si mostrò pure sempre in condizioni normali, venne sa- crificato per lo studio ulteriore del midollo spinale. Esperienza II. Cane di piccola taglia di Kg. 4. 555 digiuno da 24 ore. 13.51. Iniezione, a cute integra, fra l’ultima dorsale e la prima lombare di gr. 0.09 di stovaina e gr. 0. 0005 di nitrato di stricnina sciolti in cm3 1 di acqua distillata (in cifra tonda gr. 0. 02 di stovaina e 0. 0001 di nitrato stricnico per Kg. del peso del corpo). Dall’ ago-cannula appena infisso venne prima qualche goccia di liquido sanguinolento, poi liquido spinale limpidissimo. Appena compiuta l’ iniezione si slega 1’ animale. 13.55. Forte erezione; notevole paresi degli arti posteriori per cui il cane non può reggersi in piedi, nè è capace di stare seduto sul treno posteriore. Quasi completa insen- sibilità dolorifica della metà posteriore del tronco e degli arti posteriori ; solo alle punture molto profonde ed alle forti pressioni sugli arti posteriori 1’ animale risponde , ma debol- mente. Coscienza integra. 13.57. Continua sempre l’erezione. Vera paralisi motoria del treno posteriore, per cui il cane, nei tentativi di marcia, lo trascina come massa inerte. Si osserva inoltre che gli arti anteriori sono un po’ spastici, e che il cane compie frequenti movimenti di deglutizio- ne. Insensibili al dolore le regioni superiormente indicate. Coscienza integra. 14. 4. Scomparsa l’erezione: del resto persistono gli stessi fatti. 14. 8. Meno completa la paralisi del treno posteriore. 14.35. Sempre molto attutita, ma non più assente, la sensibilità al dolore delle parti indicate. 15. 15. Cane normale per la sensibilità. Tranne qualche leggerissimo accenno di debo- lezza, anche la motilità del treno posteriore può dirsi ripristinata. 15. 28. Il cane prende con avidità il solito pasto. Nei giorni successivi e fino a 48 giorni dopo l’esperienza, il cane si mostrò sempre perfettamente normale in tutte le sue condizioni. Venne poi utilizzato per altre ricerche. Esperienza III. Cane di Kg. 6. 290, digiuno da 24 ore. Infisso l’ ago-cannula nel canale rachidico in posizione dorsale inferiore, si aspetta che dalla cannula scorra un po’ di liquido cerebro-spinale che vien fuori limpidissimo, e si iniettano poi lentamente gr. 0.126 di stovaina e gr. 0.0006 di nitrato di stricnina sciolti in cm3 l di acqua distillata. L’iniezione viene compiuta alle 10.34. Subito si slega l’animale. Appena sciolto il cane notasi completa paralisi motoria del treno posteriore. Gli arti 6 Salvatore Nic osia [Memoria IV.] anteriori sono in leggera estensione spasmodica, per cui l’ animale cerca di puntellarvisi, ma non vi riesce sempre, e spesso cade sul fianco. Coscienza integra. Sensibilità dolori- fica scomparsa in tutte le parti, tranne che sulla testa. L’animale, se lasciato tranquillo, resta a giacere sul fianco. Fin dai primi momenti si nota valida erezione che persiste circa mezz’ ora. 11.5. Perdura l’anestesia del tronco e degli arti. Respirazione lenta, ma regolare. Sem- pre spastici gli arti anteriori: dei posteriori il sinistro è in paralisi flaccida, mentre nel de- stro si nota un certo irrigidimento. 11.25. L’animale risente abbastanza le punture praticate sugli arti anteriori; legge- rissimamente quelle fatte sui posteriori. In tutti e quattro gli arti si nota un pò di spasmo, ed anche i muscoli del collo sono alquanto rigidi. Coscienza sempre integra, cosi pure la sensibilità della testa. 12.5. L’animale fa dei tentativi per rialzarsi, ma non si regge sul treno posteriore. 12.45. Il cane si regge in piedi, ma tiene il tronco fortemente arcuato a concavità destra. Anche i muscoli della nuca partecipano a questo movimento di torsione. La sen- sibilità dolorifica si va facendo sempre più viva. 14.30. L’animale è completamente rimesso e mangia il pane che gli si offre. Nei giorni successivi e per lungo tempo nulla di anormale da rilevare. Esperienza IV. Galletto bianco di Kg. 5. 200 digiuno da 24 ore. 10. 7.- 10. 8. Iniezione dorsale inferiore (stovaina gr. 0. 104; stricnina gr. 0. 00026 cioè centgr. 2 stov. e V2 decimo di milgr. strie, per kg. del peso). Al solito si aspetta, prima di fare l’iniezione, che venga fuori un pò di liquido cerebro-spinale. Subitosi scio- glie l’animale e notasi paralisi del treno posteriore, erezione, ma non forte. 10.10. L’animale cade sul fianco; tenta rialzarsi, ma non vi riesce perchè anche gli arti anteriori non lo sorreggono bene; leggere scosse agli arti, tremito generale. Aneste- sia in tutto il tronco e negli arti. Nella testa sensibilità dolorifica conservata. Coscienza integra, 10.15. Semi-erezione. L’animale giace sempre sul. fianco; arti posteriori in completa paralisi, arti anteriori in estensione rigida. Persiste l’anestesia del tronco e degli arti. L’a- nimale è sempre perfettamente cosciente. 10. 19. Laparotomia: estrazione di un’ansa del tenue: si pizzica l’intestino, si stira e si lacera il mesentere in diversi punti, si legano dei vasi mesenterici, senza che l’ animale dia segno del menomo dolore. Il cane giace quieto; tutti e quattro gli arti sono alquanto rigidi. Sempre integra la coscienza e la sensibilità della testa. Il cane comincia ad avvertire le punture profonde sugli arti, non quelle sul dorso. 10.25. Si tira fuori il duodeno e l’animale si agita leggermente; si rimette a posto il duodeno e si tira fuori un’ansa del tenue; l’animale solleva la testa e la inclina verso l’addome per guardare. Si stira il mesentere senza destare reazione apprezzabile. Si lega- no alcuni vasi mesenterici : reazione leggerissima e tarda. 10.30. Si ricaccia l’intestino nella cavità addominale; l’animale si scuote, ma non guaisce. 10.32. Si tira di nuovo fuori un’ansa del tenue, si stira e si lacera il mesentere : l’ani- Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 7 male dà leggera reazione; così pure pizzicando e stirando l’intestino e legando un’ansa vascolare. 10.35. Stesse manipolazioni; stesso risultato. 10. 36. Si ricaccia l’intestino e l’animale si agita un poco; si pratica la sutura del piano muscolare senza che l’animale dia segno di dolore. 10.42. Pungendo gli arti posteriori si ha leggera reazione; 1’ anestesia invece è anco- ra completa nel dorso e negli arti anteriori. 10.46. Sutura cutanea della ferita addominale; niente dolore. 10.48. Punture profonde sugli arti senza alcuna reazione. 10.54. Conati di vomito infruttuosi. Si incide la cute della superficie interna della co- scia sinistra, denudando il triangolo di Scarpa, senza che l’animale avverta dolore; così pure risulta indolora la lacerazione dei foglietti aponevrotici. La stessa operazione si pra- tica, con lo stesso risultato, a destra; però l’animale al taglio della cute inclina la testa come per guardare. 10.57. Nuovi conati di vomito: emissione di un po’ di bava. 10.59. Si mette il cane a terra. Il treno posteriore è in completa paralisi: negli arti anteriori 1’ avambraccio è flesso sul braccio, cosicché 1’ animale vi resta quasi in ginocchio, tenendo però sollevata la testa. Indi l’animale cade sul fianco e vi resta tranquillo. 11-11.45. Persiste l’anestesia degli arti e del tronco; indi comincia a ricomparire la sensibilità dolorifica prima negli arti, poi nella metà anteriore del tronco, mentre persiste completa anestesia nella metà posteriore del tronco. In tutti questi intervalli si sono avuti conati di vomito, con emissione di bava. 12. L' animale comincia a reggersi, ma assai stentatamente sugli arti. La sola zona veramente anestesica è la metà posteriore del dorso. 12.40. Persiste solo leggera anestesia della metà posteriore del dorso; in tutti gli al- tri punti 1’ animale avverte le punture, gli schiacciamenti ecc. L’ animale si regge sempre poco bene sugli arti, specie sui posteriori. Si sospende 1’ osservazione. 16. L’animale appare completamente ristabilito. 16. 45. Il cane viene sacrificato col taglio del midollo allungato; si prende tutto il midollo spinale per le ulteriori osservazioni microscopiche. Esperienza V. Cane di kg. 4. 895, digiuno da 24 ore. 10.10. Pulsazioni 112, Respirazioni 18, Temperatura Rettale 39 C 10.30. „ 108 20 » 39 m t) j) 'Jy 14.20. „ „ 108 » „ 18 QQ » » » '-’y 1 5. 56. „ 108 ìì 18 .. » » *Jy 15.57. Si posiziona l’ago-cannula per la iniezione dorsale inferiore. Subito fuoriesce liquido spinale limpido ma, per un brusco movimento dell’ animale, viene punto il midollo (forti grida, umazione, arresto del flusso di liquido dalla cannula). Si riposiziona l’ago e si iniettano gr. 0.098 di stovaina e gr. 0.00028 di nitrato di stricnina sciolti in cm.3 1 di acqua distillata. Subito slegato 1’ animale è assolutamente in- capace di reggersi in piedi. Arti in paresi spastica, il posteriore destro addirittura rigido; 8 Salvatore Nicosia [Memoria IV.] si osserva rigidità anche nei muscoli della nuca. Intelligenza integra. Sensibilità dolorifica fortemente attutita, ma non del tutto spenta, nel dorso e negli arti, conservata nella testa. Non si ossei'va erezione. ló. L’animale, rimasto fin qui a giacere sul fianco, tenta di rialzarsi; riesce a solle- vare la testa ed anche alquanto il tronco, non però il treno posteriore, che è sempre in paralisi. 16 16. 20. In questo intervallo di tempo il cane resta a giacere sul fianco. Di quando in quando solleva la testa e si puntella sugli arti anteriori, nei quali a volte si notano delle scosse cloniche. Mettendolo in piedi 1’ animale vi resta per qualche minuto, ma poi piega sul treno posteriore e ricade. L’ arto posteriore destro, evidentemente in dipendenza della puntura del midollo, è in estensione spastica. La sensibilità dolorifica si è sempre conservata integra nella testa, si è andata man mano risvegliando negli arti, specie negli anteriori, meno bene sul dorso. Il cane è ora capace di guair§. Forte tremito generale. Temperatura 37.5: respirazioni 14; pulsazioni 144-150 (la conta è resa difficilissima dal forte tremito). 16.55. L’animale riesce a tenersi in piedi molto più a lungo; costrettovi, è anche capace di camminare, trascinando però 1’ aito posteriore destro. Sensibilità dolorifica an- cora abbastanza ottusa sul dorso, quasi tornata al normale negli arti. Pulsazioni 132 (più energiche); respirazioni 16; temperatura 38.4. 18. Animale quasi ristabilito; trascina però sempre l’arto posteriore destro. Pulsazio- ni 104: respirazioni 18; temperatura 38.6. Nei giorni successivi all’esperienza l’animale si dimostrò sempre in ottime condizioni, tranne che per 1’ arto posteriore destro che trascinò per più di una settimana. In seguito anche questo postumo della lesione midollare andò attenuandosi fino a sparire compieta- mente. Il cane fu tenuto in osservazione lunghissimo tempo (quasi tre mesi), senza che mai più si fosse notato alcun che di anormale. Esperienza VI. Lo stesso animale dell’ esperienza III : digiuno da 24 ore. Peso kg. 6.080 (a circa un mese di distanza dalla precedente esperienza). 12.50. Pulsazioni 100-110; respirazioni 18-20; temperatura rettale 38.9. 13.30. Nell’intervallo di tempo dalle 12.50 alle 13.30 si fecero altre due misura- zioni della temperatura e nuove conte delle pulsazioni e delle respirazioni. Le cifre sopra indicate rappresentano le medie dei valori trovati. 13.31. Iniezione dorsale inferiore di gr. 0.12 di stovaina e gr. 0.0003 di nitrato di stricnina sciolti in un cm.3 di acqua distillata. Prima di praticare 1’ iniezione si fecero co- lare 18 gocce di liquido spinale. L’ andamento dell’esperienza nei riguardi della coscienza, della sensibilità e della mo- tilità fu perfettamente identico a quello già lungamente descritto nelle esperienze similari precedenti. Mi limito a segnare i dati riguardanti le osservazioni termometriche e la conta delle pulsazioni e delle respirazioni. Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 9 13.42. Pulsazioni 126; Respirazioni 15; Temperatura 38.6 14.18. „ „ 110 „ 12; „ „ 38. 5 — notasi aritmia. 14.36. „ „ 118 „ 12; „ „ 38. 7 — notasi aritmia. 15. 15. Non si possono contare le pulsazioni per forte tremito generale del cane ; re- spirazioni 21, temperatura 39 (l’animale aveva di già in gran parte riacquistata la moti- lità e la sensibilità). 16.25. Pulsazioni 112; respirazioni 20; temperatura 39.2 (l’animale poteva dirsi quasi rimesso). Anche questa volta 1’ animale fu tenuto per un periodo abbastanza lungo in osserva- zione, e sempre si dimostrò normale. Esperienza VII. Cagnetta in periodo inoltrato di gravidanza ; peso kg. 4.655; digitala da 24 ore. Dalle 9. 45 alle 14 si fecero ripetute misurazioni della temperatura rettale e conte del- le pulsazioni e delle respirazioni. Le cifre medie furono: Pulsazioni 126, Respirazioni 26, Temperatura 39.4. 14. 20. Iniezione dorsale inferiore di gr. 0.093 di stovaina e gr. 0.00023 di nitrato stricnico (cioè sempre gr. 0.02 di stovaina e lj‘i decimo di millg. di stricnina per kg. del peso del corpo) sciolti in cm.3 1 di acqua distillata. L’esperienza, non soltanto nei riguardi della anestesia, della motilità, della coscienza, ma anche per quanto riflette la temperatura, il respiro, la frequenza e l’energia dei battiti cardiaci, ebbe decorso perfettamente identico alla precedente. L’ importanza speciale di questa esperienza, che costituisce la ragione della sua regi- strazione, sta nel fatto che la cagnetta trovavasi, al momento della ' rachistovainizzazione, in periodo inoltrato di gestazione. Ora questa continuò ad. avere il suo corso perfettamente regolare, e la cagnetta 19 giorni dopo l’esperienza ebbe un felicissimo parto, dando alla luce 3 piccoli in ottimo stato. Essa li allattò regolarmente ; dopo il periodo di lattazione la si tenne ancora in osservazione, fin quando tornò ad essere in calore. Per brevità ometto di riportare le molte altre esperienze fatte con uguali dosi, rispetto al peso corporeo, di stovaina e di nitrato stricnico, dosi che si dimostrarono le più adatte a dare un’ anestesia pronta e sicura, di lunga durata, non accompagnata nè seguita da di- sturbi che meritino rilievo, estendentesi a tutto o quasi il corpo, ad eccezione della testa. Nè ritengo necessario riferire altre esperienze fatte in uno stesso animale con ripetute rachistovainizzazioni, a diverso intervallo di tempo 1’ una dall’ altra, poiché tutte diedero concorde risultato non solo per l’andamento immediato, ma, quel che più interessa, per 1’ assenza di postumi. Di ben 9 animali si è, a vario intervallo di tempo dalla iniezione, e cioè da brevissimo fino a 3 mesi di distanza, tolto il midollo spinale in tutta la sua estensione per sottoporlo alle speciali preparazioni necessarie per l’ulteriore esame microscopico; e ciò per accertare se, malgrado l’assenza di qualsiasi sintonia apprezzabile, non si determinino quelle altera- zioni descritte dal Rehn, come effetto tardivo delle iniezioni intrarachidee di stovaina. Ma, ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. IV. 2 10 Salvatore N/cos/a [Memoria IV.] come ho già notato in principio, di queste osservazioni è stato incaricato l’ aiuto Dottor Consoli, che non ha potuto ancora espletarle. Comunque vadano queste osservazioni, il fatto è che gli animali che hanno subito la rachistovainizzazione alla Jonnescu, sempre però li- mitatamente alla iniezione dorsale inferiore, la sola possibile nei cani, non hanno mai of- ferto postumi recenti o tardivi rilevabili all’ esame funzionale più accurato. E ciò, armoniz- zato anche col carattere di transitorietà delle alterazioni istologiche spinali rilevato dallo stesso Rehn, mi pare autorizzi a ritenere che, almeno nei cani, la rachistovainizzazione non presenti da questo lato alcun pericolo. Potrei ora riferire esperienze fatte nei cani con la sola stovaina. Limitando le dosi a quelle che dirò pienamente attive superiormente indi- cate, debbo dire che non trovai differenze molto apprezzabili nell’uso della sola stovaina, o della stovaina associata alla stricnina: solo mi parve che la stricnina renda un po’ meno sentita l’azione deprimente della stovaina sui centri bulbari. A risolvere bene questo punto occorrevano delle esperienze metodiche di registrazione della pressione sanguigna. Poiché però non mi fu possibile disporre dei mezzi di ricerca adatti allo scopo, che solo in questi ultimi giorni sono pervenuti in Laboratorio malgrado se ne fosse fatta richiesta alla fabbrica parecchi mesi or sono, non voglio qui riferire i risultati, molto indecisi ed infìciabili di difetti, che potei avere servendomi di mezzi di ri- cerca improvvisati alla meglio, solo per avere un orientamento, e mi riserbo tornare più tardi su questo punto della mia indagine. Passo piuttosto a riferire qualche esperienza fatta con sola stovaina, ma a dosi mag- giori di quelle fin qui accennate, per dimostrare come la stovaina sia perfettamente bene tollerata nei cani, anche da sola ed a dosi forti, per la via del canale rachidico, e come, anche in queste condizioni assolutamente sfavorevoli di esperienza, la sua azione non si accompagni nei cani a notevoli disturbi imminenti o remoti. Esperienza Vili. Cagna bianca, giovanissima, di kg. 3.370 , digiuna da 24 ore. 10. 40. Iniezione dorsale inferiore (dopo aver fatto colare 12 gocce di liquido spinale limpidissimo) di gr. 0.135 di stovaina in cm.:i 1. di acqua distillata (gr. 0.04 di stovaina per chilogrammo). Subito slegato, l’animale resta a giacere sul fianco, facendo continui tentativi di puntellarsi sugli arti anteriori per rialzarsi senza riuscirvi. Treno posteriore in accentuata paresi. Sensibilità dolorifica molto ottusa sul treno posteriore e sul dorso fin quasi alla nuca, alquanto ottusa negli arti anteriori. Coscienza integra: punto sulla testa l’animale ammicca fortemente, ma non è però capace di guaire. Salivazione. La membrana nictitante copre in parte la congiuntiva, che è iperemica. IL L’animale sta puntellato sugli arti anteriori colla testa sollevata, guardando in giro e prestando attenzione ai rumori. Il treno posteriore sempre paralitico; la sensibilità dolo- rifica esiste, ma molto ottusa, sugli arti anteriori, manca su tutto il dorso fino al collo, sull’ addome e nel treno posteriore. Continua la salivazione e perciò anche i frequenti mo- vimenti di deglutizione. 11.8. Emissione di scarsa quantità di feci. La cagna ricomincia a compiere movimenti alternati di flessione e di estensione con gli arti posteriori. Chiamata scodinzola; la sensibi- lità dolorifica degli arti anteriori è alquanto più viva; persiste 1' anestesia nelle altre regioni indicate. Sull’ anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 1 1 11. 18. Sempre più validi i movimenti degli arti posteriori; l’animale tenta di rimet- tersi in piedi, ma non vi riesce, e qualche volta nei tentativi che fa cade sul fianco. Of- fertogli del pane lo mangia con appetito. 11.40. L’animale è capace di stare ritto sulle quattro zampe, ma, quando cerca di camminare, cade sul treno posteriore. Anche sul dorso, e meglio ancora negli arti poste- riori, la sensibilità dolorifica accenna a ritornare. 11.52. Continua il miglioramento della motilità e della sensibilità; 1’ animale comincia anche a guaire. 12.9. Sempre più migliorato. Si sospende l’osservazione. 16. L’animale si mostra ristabilito, residuando solo leggera debolezza degli arti, specie dei posteriori. Nei giorni successivi, e per un lungo periodo, la cagna, tenuta in osservazione, non mostrò più alcunché di anormale. Esperienza IX. Cagna adulta di kg. 6.155 digiuna da 24 ore (14 giorni prima la cagna aveva subita una rachistovainizzazione alla Jonnescu con due centigrammi di stovaina e mezzo decimo di milligrammo di nitrato stricnico per kg. del peso). 16. 42. Iniezione dorsale inferiore, dopo aver fatto colare 12 gocce di liquido spinale limpidissimo, di gr. 0.246 di stovaina in cm.3 1 di acqua distillata (corrispondente a gr. 0.04 di stovaina per kg. del peso). Subito compiuta l’ iniezione si scioglie Ma cagna, che è an- cora capace di reggersi in piedi, ma mostra però una grande debolezza del treno posteriore. 16.46. Paralisi motoria completa del treno posteriore; anche gli arti anteriori si mo- strano già assai deboli. Sensibilità dolorifica scomparsa nel treno posteriore e nella metà posteriore del dorso, molto ottusa nella metà anteriore del dorso e fino a tutta la nuca e negli arti anteriori, integra sulla testa. La coscienza è conservata, ma 1’ animale dà l’ im- pressione di un certo stato di sonnolenza; la membrana nictitante copre a metà la congiun- tiva bulbare molto arrossata. La cagna non è capace di guaire, presenta salivazione e di quando in quando compie movimenti di deglutizione. 17.3. In tutto questo intervallo di tempo l’animale se ne è stato sdraiato sul fianco, tenendo però spesso la testa sollevata dal suolo. Dà sempre l’ impressione di uno stato di sonnolenza, ma avverte qualsiasi rumore, le chiamate ecc. mostrando di essere nel pieno possesso della sua coscienza. Tranne che sulla testa, la sensibilità dolorifica è ovunque scomparsa. E continuata la salivazione. 17.9. L’animale comincia a potersi puntellare sugli arti anteriori, continua ad emet- tere saliva e spesso si lecca e deglutisce. Coscienza sempre integra, fìsonomia più svelta, membrana nictitante quasi completamente ritirata a sinistra, un po’ meno a destra, dimi- nuita l’iperemia delle congiuntive bulbari. Comincia ad avvertire, ma debolmente, gli sti- moli dolorifici su tutti e 4 gli arti, non però sul dorso. 17.45. L’animale riesce già a sollevarsi completamente sugli arti anteriori e riesce a trascinare il treno posteriore. Quasi cessata la salivazione; continua l’ anestesia della metà posteriore del dorso, mentre nella metà anteriore è ricomparsa, ma ancora molto ottusa, la sensibilità dolorifica. 17.57. Stesso stato. La cagna mangia con avidità il pane che le si offre. 12 Salvatore Nicosia [Memoria IV.] 18. 36. La cagna sta ritta sulle quattro zampe, ma se tenta di camminare cade sul fianco. La sensibilità dolorifica è ancora molto ottusa nella metà posteriore del dorso, quasi normale nelle altre zone indicate. 19. La cagna si regge bene in piedi ed è capace di deambulare, mostrando però una evidente debolezza degli arti, specie dei posteriori. Tranne che sulla metà posteriore del dorso, dove ancora è abbastanza ottusa, la sensibilità dolorifica è tornata al normale in tutto il corpo. Nel giorno successivo l’animale mostravasi completamente ristabilito, solo che, costretto a correre od a salire dei gradini, presentava ancora una certa debolezza del treno poste- riore e più specialmente dell’arto sinistro. Nei giorni consecutivi, e per lungo periodo di osservazione di circa 3 mesi, l’animale apparve sempre in condizioni perfettamente fisio- logiche. Esperienza X. Cagna giovanissima di kg. 3.670 , digiuna da 24 ore. 16. 19. Iniezione dorsale inferiore di gr. 0.184 (corripondenti a gr. 0.05 per chilo- grammo del peso) di stovaina sciolti in cm.3 1 di soluzione fisiologica 0.75 °/0. L’ inie- zione si fa procedere al solito lentamente dopo aver lasciato fluire dall’ ago-cannula 10 gocce di liquido spinale limpidissimo. Il decorso di questa esperienza fu quasi del tutto analogo a quello dell’ esperienza or ora riportata; si notò anzi che l’animale mantenne sempre espressione svelta e riuscì a rimettersi in un periodo di tempo alquanto più breve. Per tre giorni consecutivi si mantenne in osservazione 1’ animale, che apparve sempre del tutto normale, ed allora poi lo si sacrificò preparandone il midollo spinale in tutta la sua lunghezza per le ulteriori osservazioni microscopiche. Esperienza XI. Cane adulto di kg. 4.730 digiuno , da 24 ore. 16. 1. Iniezione dorsale, inferiore, dopo aver lasciato scorrere 14 gocce di liquido spi- nale limpidissimo, di gr. 0.283 di stovaina sciolti in cm.3 1 di soluzione fisiologica 0.75 °/o (corrispondente a gr. 0.06 di stovaina per Kg. del peso). Appena slegato 1’ animale mostra accentuata paresi del treno posteriore e valida erezione. 16. 7. Persiste l’erezione; il treno posteriore è in completa paralisi motoria e gli arti anteriori si mostrano già notevolmente deboli, tanto che 1’ animale, malgrado faccia degli sforzi per puntellarvisi, non riesce a reggersi e cade sul fianco. Malgrado ciò il cane con- tinua sempre nei suoi tentativi di rialzarsi e tiene la testa sollevata dal suolo, tranne qual- che momento in cui, come preso da stanchezza, la poggia sul terreno. 16. 10. Coscienza perfettamente integra, erezione scomparsa; insensibilità dolorifica completa negli arti anteriori e nel dorso, mentre nei posteriori la sensibilità al dolore, seb- bene molto ottusa, non è completamente abolita. 16. 17. L’animale resta a giacere sul fianco presentando leggera salivazione. La sen- sibilità al dolore è abolita anche nel treno posteriore, così che solo la testa rimane sensi- bile. Sempre perfettamente integra la coscienza. Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 13 16. 20. La salivazione si fa di mano in mano più abbondante. 16. 28. Salivazione abbondantissima, di quando in quando evidenti moti di nausea. Questo stato si mantiene fino alle: 16.45. in cui l’animale ricomincia a poter tenere sollevata la testa ed a far tentativi per puntellarsi sugli arti anteriori. Si ha anche manifesto accenno di rigidità dei muscoli della nuca. 16.54. Il treno posteriore è sempre in paralisi flaccida; gli arti anteriori sono in pa- resi spastica. Accentuata rigidità della nuca, profusa salivazione. 17. 7. Oltre che dei muscoli della nuca, si ha rigidità del dorso fino alla coda. Gli arti anteriori sono in estensione spastica, il treno posteriore è in paralisi flaccida. Sempre in- tegra la coscienza e la sensibilità dolorifica della testa; anestesia degli arti anteriori, del dorso e dell’ arto posteriore sinistro, mentre ì forti stimoli dolorifici sull’ arto posteriore de- stro vengono leggermente avvertiti ; diminuita la salivazione. 17. 16. L’animale è capace di trascinarsi sugli arti anteriori, che però tiene prevalen- temente in estensione spastica; ma la rigidità persistente dei muscoli della nuca e del dorso non gli permette di mantenere la posizione, per cui il cane ricade. 17.30. Da questo momento in poi l’animale si va sempre più rimettendo. Non più estensione spastica degli arti anteriori, nè rigidità dei muscoli della nuca o del dorso; non più salivazione; il treno posteriore però è sempre paralitico. Gradatamente si ripristina la sensibilità dolorifica in tutto il corpo e l’animale è capace di guaire. Nel giorno successivo si trova che durante la notte l’animale aveva mangiato la sua razione ; tranne accentuata debolezza del treno posteriore, pei- cui il cane nel deambulare spesso vacillava, esso non mostrava altra alterazione. Al secondo giorno dopo 1’ esperienza persisteva, ma meno accentuata, la debolezza del treno posteriore. Nel pomeriggio di questo giorno si sacrificò l’animale e si preparò il midollo spinale in tutta la sua lunghezza per lo studio microscopico. Anche con 7 centigrammi di stovaina per Kg. del peso io ebbi a notare il completo ristabilimento dell’animale. Non potei continuare ad elevare la dose di stovaina fino a rag- giungere la minima mortale, che certamente però deve essere assai più rilevante ; ma, come fra poco si vedrà, anche negli animali tenuti in posizione verticale con testa in giù occorrono dosi molto alte di stovaina per produrre fatalmente la morte. Come conclusione generale di tutte le esperienze fatte si può dunque confermare quello che già precedentemente ebbi a rilevare, che cioè nei cani la stovaina, anche da sola, iniet- tata nel canale rachidico, anche in dosi forti, riesce ben tollerata e produce rapida aneste- sia diffusa a quasi tutto il corpo, non accompagnata nè seguita da notevoli disturbi. Mentre con 1’ associazione della stricnina la erezione valida e persistente fu un fatto quasi costante, con la stovaina da sola invece non la notai che in una sola esperienza e precisamente in quella ultima riferita. Se nei cani si potesse praticare senza insulti cruenti anche 1’ anestesia dorsale supe- riore, si riuscirebbe certamente ad avere la insensibilità dolorifica anche sulla testa. Invece con la iniezione dorsale inferiore, negli animali però tenuti nella stazione ordinaria, l’ane- stesia non si spinse mai al di là della regione superiore del collo. Costante, e con qualsiasi dose di stovaina, fu negli animali sottoposti alla rachiane- stesia la incapacità a guaire anche sommessamente e per un tempo abbastanza lungo dopo 14 Salvatore Nicosia [Memoria IV.] l’ iniezione. La capacità a guaire anzi non si ripristinò se non dopo la ricomparsa della sensibilità al dolore. E utile che io qui avverta, non avendolo fatto prima, che nel saggiare la sensibilità dolorifica ebbi cura di tenere costantemente bendati gli animali, e ciò ad evitare possibilità di errori. * * -* Da tutti gli osservatori che si sono valsi della rachi-anestesia è stata concordemente rilevata la grande influenza che ha la posizione del paziente nella rapidità e nella esten- sione della diffusione dell’anestetico nel canale rachidico, donde i precetti che sono stati formulati sulla posizione da dare ai pazienti, secondo che si vuole limitare o meno la dif- fusione della sostanza iniettata. Ho voluto sottoporre questo punto all’ indagine sperimentale, anche allo scopo di sag- giare la resistenza dei centri bulbari alla stovaina rapidamente diffondentesi e, quel che più interessa, vedere se e fin dove si riesca a vincere con opportuni mezzi i pericoli de- terminati dal rapido arrivo della stovaina in soluzione concentrata ai centri bulbari. Ho fatto quindi una serie di esperienze iniettando al solito dosi diverse di stovaina nel canale rachidico sempre nella regione dorsale inferiore e tenendo poi gii animali in po- sizione verticale a testa in giù fino a determinare i più gravi fatti bulbari. Comincio col riferire alcune delle esperienze più tipiche. Esperienza XII. Cane levriere bastardo di Kg. 7.651 , digiuno da 24 ore. Attraverso la pelle si infigge l’ ago-cannula in posizione dorsale inferiore (lato sini- stro). Fuoriesce liquido cerebro-spinale limpidissimo, e se ne lasciano scorrere 10 gocce. S’ innesta la siringa e si dà alla doccia di contenzione una notevole inclinazione in avanti, in modo che l’ animale viene a trovarsi con la testa in basso. 10. 19 - 10. 20. Si inietta nel canale rachidico cm.3 I di soluzione fisiologica di cloruro sodico contenente gr. 0.153 di stovaina, la quale perciò viene a trovarsi in quantità di gr. 0.02 per Kg. del peso corporeo. Subito compiuta l’ iniezione e ritirato l’ago, si pone la doccia di contenzione in posi- zione verticale, in modo che la giacitura in basso della testa raggiunga il massimo. In tale posizione l’animale è mantenuto per 10 minuti e cioè fino alle ore 10.30. In questo intervallo di tempo 1’ animale presenta abbondante salivazione, muove spesso la testa ten- tando di rialzarla, di quando in quando si lamenta sommessamente. 10.30. Si scioglie 1’ animale e lo si pone per terra. Si osserva notevole rigidità dei muscoli della nuca e del dorso, rigidità degli arti anteriori, paresi spastica degli arti po- steriori. La coscienza è integra. L’ animale resta a giacere sul fianco; risente subito le punture praticate sugli arti, sul dorso, e sulla testa e tenta anche di mordere. È capace di guaire. 10. 38. Il cane se ne sta puntellato sugli arti anteriori sempre in estensione spastica, e presenta invece paresi flaccida del treno posteriore. La coscienza è sempre perfettamente integra, la sensibilità tattile e dolorifica presente in tutto il corpo, la salivazione è cessata. 10. 49. L’ animale riesce ad alzarsi, ma avendo gli arti anteriori ancora alquanto spa- Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 15 stici e debolissimi i posteriori, si muove con stento e vacillando, e spesso, con movimenti incomposti, cade, per rialzarsi tosto. 11. 10. Il cane può dirsi già rimesso, persistendo solo una leggera debolezza del tre- no posteriore. 18. 15. L’ animale non mostra più alcuna deviazione dal normale. Sempre in condizioni ottime nei giorni successivi. Esperienza XIII. Cane levriere bastardo di Kg. 7.641 digiuno da 14 ore. È lo stesso animale dell’ esperienza precedente, che si volle di proposito adoperare per saggiarne la resistenza ad una ripetuta rachistovainizzazione con cgr. 3 per Kg. del peso. L’ iniezione venne praticata sempre nella posizione dorsale inferiore, ma a destra, nel- l’intervallo di un minuto, stando l’animale inclinato in avanti. La dose di stovaina, che fu in cifra tonda di gr. 0.23, venne sciolta, come nell’esperienza precedente, in cm.3 1 di so- luzione fisiologica di cloruro sodico. Prima di praticare la iniezione si lasciarono colare dall’ ago-cannula 14 gocce di liquido cerebro-spinale, che era perfettamente limpido. 10. 10 - 10. 1 1. Iniezione. Subito compiuta questa si pone l’ animale in giacitura verticale con la testa in giù, e così lo si mantiene per 15 minuti. In questo intervallo di tempo si nota abbondante sali- vazione, movimenti di oscillazione e tremore della testa, rigidità dei muscoli della nuca, anestesia diffusa per tutto il corpo, coscienza integra. 10. 26 Si scioglie 1’ animale e lo si pone per terra. Il cane resta a giacere sul fianco presentando sempre rigidità dei muscoli della nuca, salivazione, paresi spastica degli arti anteriori e specialmente del sinistro, paralisi flaccida del treno posteriore. Di quando in quando solleva la testa e fa qualche tentativo per rialzarsi senza però riuscirvi. La coscienza è sempre integra; l’anestesia è completa nel treno posteriore e nel dorso fin quasi a metà del collo; molto ottusa, ma non più abolita, è la sensibilità dolorifica negli arti anteriori, leggermente ottusa sulla testa. L’animale è capace di gemere sommessamente. 10. 37. Il cane comincia a puntellarsi sugli arti anteriori riuscendo a tenere il torace sollevato dal suolo. Persiste la salivazione, ma l’ animale il più delle volte deglutisce la saliva. Gli arti anteriori sono sempre spastici ed in essi la sensibilità dolorifica è già piut- tosto viva. Il treno posteriore è sempre in paralisi flaccida ed anestetico; l’anestesia si spinge per tutto il dorso e fino alla metà del collo. Coscienza sempre perfettamente integra. IL 12. L’animale si solleva e si regge bene sugli arti anteriori; offertogli del pane lo mangia avidamente. Cessata la salivazione. 12. 5. Il treno posteriore è ancora in paralisi flaccida, ma la sensibilità dolorifica vi è ricomparsa, sebbene alquanto ottusa. 12.45. La sensibilità al dolore, anche nel treno posteriore, è quasi completamente ri- stabilita; gli arti posteriori però sono tufi’ ora in paresi flaccida. 13. 25. L’animale è già capace di reggersi in piedi, ma presenta accentuatissima de- bolezza degli arti posteriori. 17. Il cane può dirsi rimesso, ma il treno posteriore è sempre debole. Questa debo- lezza si mantiene, sempre però attenuandosi gradatamente, nei due giorni successivi. 16 Salvatore N/cos /a [Memoria IV.] Esperienza XIV. Cagna bul-dog di piccola taglia , adulta, digiuna da 18 ore ; peso del corpo Kg. 5.507. Attraverso la pelle si infìgge 1’ ago-cannula in posizione dorsale inferiore (lato sini- stro). Vien fuori qualche goccia di liquido sanguinolento, poi liquido cerebro-spinale limpi- dissimo. Si fanno colare 10 gocce di liquido. 10. 31 - 10. 32. Si inietta cm.3 1 di soluzione fisiologica contenente in cifra tonda gr. 0.22 di stovaina (gr. 0.04 di stovaina per Kg. del peso). L’ iniezione vien fatta stando 1’ animale inclinato a testa in giù. Subito compiuta l’iniezione, si pone l’animale in giacitura verticale con la testa in giù. Nel primo momento la cagna guaisce, ma subito dopo diventa afona. Notansi gli stessi fatti delle altre esperienze. 10-46. L’animale comincia ad essere gravemente dispnoico; emette molta bava, fa con la testa continui movimenti di pendolo. 10.47. L’animale boccheggia e subito dopo il respiro si arresta. Si pone subito la ca- gna sul tavolo operatorio e si comincia un’attivissima respirazione artificiale associando per i primi tre minuti le trazioni ritmiche della lingua coi movimenti passivi degli arti an- teriori e le compressioni ritmiche sul torace: in seguito si praticano i soli movimenti passivi degli arti anteriori. Dopo qualche minuto si ha il caratteristico hoquet respiratorio, primo segno del ri- chiamo alia vita. Si mantiene la respirazione artificiale ininterrottamente fino alle 10.54. 10 54. Si sospende la respirazione artificiale. L’ animale respira da sè, ma molto de- bolmente. Si riprende quindi la respirazione artificiale (soli movimenti passivi degli arti anteriori). 11. Si sospende definitivamente la respirazione artificiale. L’animale compie da sè re- spirazioni profonde, ma lente; presenta coscienza ben riacquistata, insensibilità completa degli arti e del tronco; punto sulla testa ammicca. Continua ad emettere saliva, ma in quan- tità molto minore. 11. 10. La cagna resta a giacere sul fianco col treno posteriore in paralisi alquanto spastica e fa con gli arti anteriori dei movimenti, tentando di prendere appoggio sul suolo per sollevarsi. Gira la testa qua e là; chiamata scodinzola. Si nota anestesia del treno po- steriore e del dorso fino alla radice del collo; alquanto ottusa è la sensibilità dolorifica negli arti anteriori. 12. 15. Persiste paresi alquanto spastica degli arti posteriori, la cui sensibilità dolori- fica è molto ottusa, ma non più del tutto spenta. Si sospende l’osservazione fino alle: 18.35. Ora in cui l’animale appare rimesso, persistendo solo leggera debolezza del treno posteriore, che si continua ad osservare, ma sempre in continuo miglioramento, nei due giorni consecutivi. Ha mangiato la consueta razione di pane che le si era lasciata a disposizione. Nei giorni appresso 1’ animale mostrasi in condizioni perfettamente normali. Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 17 Esperienza XV. Cane bastardo, adulto, di Kg. 7, 370 , digiuno da 20 ore. Nella infìssione dell’ ago-cannula nella solita posizione dorsale inferiore (lato sinistro), per un brusco sussulto dell’ animale, si ferì il midollo (1’ animale mandò forti grida ed e- tnise urina). Ritirato un po’ 1’ ago e ricacciatolo poi parallelamente allo speco vertebrale, venne fuori liquido cerebro-spinale limpido. 11.21- 11.22. Stando l’animale in posizione inclinata a testa in giù, si inietta cm. " 1 di soluzione fisiologica che tiene sciolti gr. 0.37 di stovaina (in cifra tonda : gr. 0, 05 per Kg. del peso). Subito compiuta 1’ iniezione si pone 1’ animale in posizione verticale a testa in giù, e si vanno osservando gii stessi fatti notati nelle altre esperienze similari. Solo dopo 14 mi- nuti il respiro si arresta e 1’ animale non dà segno di vita. 11.36. Immediatamente si pone il cane sul tavolo di operazione e si pratica la re- spirazione artificiale (soli movimenti passivi degli arti anteriori): ben presto si richiama il cane alla vita. 11.44. Si sospende per un momento la l'espirazione artificiale: l’animale respira da sè, ma superficialmente, e quindi si riprendono i movimenti passivi degli arti. 11.51. Si sospende definitivamente la respirazione artificiale. 1 fenomini presentati dall’ animale furono su per giù identici a quelli delle esperienze antecedenti, e quindi si trascura, per amor di brevità, di registrarli. Si nota solo che alle ore 16. 5 la sensibilità dolorifica era già completamente ristabi- lita in tutto il corpo: la coscienza si mantenne sempre integra da quando l’animale non ebbe più bisogno della respirazione artificiale; la motilità del treno anteriore fu riacquistata in tempo piuttosto breve; quella del treno posteriore si mantenne abolita per il trauma spi- nale fino a 6 giorni dopo, quando si sacrificò l’ animale. Va anche notato che, sempre per il trauma subito, l’animale nei giorni consecutivi all’esperienza perdeva le urine. Anche con 7 centigrammi di stovaina per Kg. del peso mi riuscì di salvare un animale. Poiché però si tratta di una sola esperienza, che non ho potuto controllare, non la riporto. In generale l’arresto del respiro si ebbe a volte più rapidamente, a volte invece lentamente, come nelle esperienze riportate. .Ciò, più che con la quantità di stovaina iniettata, sembra essere in relazione con la celerità della corrente del liquido cerebro-spinale, per cui ai cen- tri bulbari la stovaina arriva più presto ed in uno stato di concentrazione maggiore, pur essendo la dose di stovaina non molto (proporzionalmente) elevata. Al fatto di questa più rapida corrente, rispettivamente più rapido arrivo della stovaina ai centri bulbari, contri- buisce certamente 1’ aver lasciato o non fluire dall’ ago-cannula una certa quantità di liquido cerebro-spinale prima di procedere alla iniezione di stovaina. Quando però la dose di stovaina raggiunge un certo limite, allora, anche se la cor- rente del liquido cerebro-spinale non è rapida, la quantità di veleno che giunge fino ai centri bulbari nell’unità di tempo è rilevante, ed in tal caso si ha rapidamente l’arresto del respiro ed il più delle volte non si riesce a salvare la vita dell’animale anche con la più attiva respirazione artificiale. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. IV. , 18 Salvatore Ntcosia [Memoria IV.] A comprova valga la seguente esperienza con 8 centigrammi di stovaina per Kg. del peso. Esperienza XVI. Cane bastardo aditilo di Kg. 4.500 , digiuno da circa 16 ore. 16. 53 - 16. 54. Iniezione dorsale inferiore, dopo che dalla cannula erano colate 12 gocce di liquido cerebro-spinale limpidissimo, di cm.3 I di soluzione fisiologica di cloruro sodico che tiene in soluzione gr. 0.36 di stovaina (gr. 0.08 per Kg. del peso corporeo). L’iniezione vien fatta stando l’animale in posizione inclinata con testa in basso, e subito compiuta si mette 1’ animale verticalmente a testa in giù. Scorsi appena due minuti dacché 1’ animale si trova in questa posizione, vien preso da intensissimo tremore generale, da fortissima dispnea e dopo meno di altro mezzo minuto il respiro si arresta e 1’ animale pende come massa inerte. Immediatamente si mette il cane sul tavolo di operazione, e si comincia un’ attivissima respirazione artificiale, associando le trazioni ritmiche della lingua con le compressioni ritmi- che sul torace e coi movimenti passivi degli arti. Ben presto si ha un lioquet respiratorio; ricompaiono i riflessi corneali e palpebrali; si ha una valida contrazione dei masseteri, per cui solo con sforzo si riesce a tenere aperta la bocca del cane. Malgrado però tutto questo, malgrado la respirazione artificiale venga continuata inin- terrottamente nel modo più energico, tornano a spegnersi i riflessi, torna il completo ri- lasciamento muscolare, si ha emissione di urina e di feci, arresto del cuore (ore 17.2). La respirazione artificiale continuata attivissima per altri 10 minuti non riesce a richiamare più 1’ animale alla vita. Sorge pertanto da queste esperienze che nel cane, anche con dosi relativamente forti di stovaina, dosi che diventano addirittura enormi rispetto all’ uomo, tenuto conto del re- lativo peso corporeo, i centri bulbari sono capaci di resistere all’ azione del veleno. — Ri- sulta anche che, pur venendo i centri bulbari aggrediti da dosi ancora più alte di stovaina, pure aspettando che il respiro si arresti e che 1’ animale non dia più segno di vita, si riesce, mercè un’ attiva respirazione artificiale, a salvare gli animali. Fatte le debite riserve sulla maggiore vulnerabilità dei centri bulbari nell’ uomo, l’ in- segnamento che si trae da questi fatti è sempre proficuo. Alle esperienze precedenti dovrebbero contrapporsi delle ricerche in senso opposto : vedere, cioè, se mantenendo gli animali in posizione verticale, ma a testa in alto, si osta- cola lo accesso della stovaina ai centri bulbari, e se in tal modo si riesce a rendere tol- lerabili dosi maggiori di stovaina iniettate nella regione dorsale inferiore. Si dovrebbe altresì ricercare se con qualcuno degli altri mezzi proposti per rendere più diffìcile la diffusione del veleno nello spazio rachidico, si arrivi allo stesso intento. Ma di tali argomenti non ho potuto ancora occuparmi. * * * Il Rehn nel suo lavoro ha posto la quistione se un immediato contatto del veleno Sull’ anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 19 analgesizzante con gli elementi del midollo spinale abbia fisiologicamente ed anatomica- mente la stessa azione della iniezione subaracnoidea. Per risolvere tale questione egli ha praticato iniezioni di dosi attive di tropococaina, di novocaina e di stovaina nella sostanza stessa del midollo spinale. Cito testualmente dal Rehn : “ Le iniezioni di una dose attiva di tropococaina, novocaina e stovaina nella sostanza stessa del midollo spinale, dimostrò il fatto grave di conseguenze che gii animali repen- tinamente o immediatamente dopo 1’ iniezione muoiono con sintomi midollari tipici. Era ciò un effetto meccanico o tossico ? — Poteva la iniezione come tale colpire così gravemente le vie ed i centri nel midollo che 1’ esito letale seguisse per 1’ azione di shock del trauma meccanico, o pei- via riflessa per paralisi cardiaca o respiratoria. L’ eguale in- sulto con soluzione salina fisiologica venne però sopportato dagli animali senza qualsiasi azione collaterale riconoscibile. Questo risultato si ebbe di regola anche spingendo le quan- tità di cloruro sodico e abbassando invece la dose della soluzione velenosa fino al minimo. L’apprezzamento di questi risultati mostra che l’iniezione velenosa, quando essa avviene nello spessore del midollo, riesce grandemente pericolosa e che questi fenomeni possono e debbono spiegarsi come tossici e non come meccanici. La mancanza di gravi fenomeni dietro i comuni insulti sembra quindi in parte dipendere da che il veleno poco penetra in profondità. D’altra parte la iniezione intramidollare insegna che l’azione del veleno, quan- do esso raggiunge da prima gli elementi funzionali del sistema nervoso centrale, è in- tensa e pericolosa per la vita. „ Io ho voluto anzitutto constatare se realmente le iniezioni intramidollari di soluzione fisiologica di cloruro sodico vengano ben tollerate dai cani. Riferisco le esperienze fatte in proposito : Esperienza XVII. Cagna marrone di kg. 6.135. Si pone allo scoperto la fascia dorsale in corrispondenza delle ultime vertebre dorsali e si infigge 1’ ago-cannula nel canale rachidico. Subito fuoriesce liquido limpidissimo. Si approfonda l’ ago in modo da penetrare nel midollo : l’ animale grida, il flusso di liquido dalla cannula si arresta immediatamente. 11. 11. Si inietta nello spessore del midollo cm.3 1 di soluzione fisiologica 0.75 °/0. L’ iniezione si fa procedere lentamente : durante questa e più precisamente dei primi 3/4 di centimetro cubico 1’ animale grida e si agita. Praticata subito la sutura della ferita, senza che si abbiano segni di sofferenza, si slega l’animale che, appena sciolto, si regge sugli arti mostrando solo quel torpore ed irrigidimento che dipendono normalmente dalla legatura. 11.28. L’animale se ne sta tranquillo. Lo si obbliga a camminare e si osserva che muove in modo perfettamente normale gli arti anteriori ed il posteriore sinistro, mentre l’arto posteriore destro mostra una leggera paresi spastica. 12. Facendo muovere l’animale si nota migliorata la condizione dell’arto posteriore destro; nel deambulare la cagna lo divarica imprimendogli quasi un movimento di semi- rotazione. 13. L’animale non mostra più alcunché di anormale. 20 Salvatore Nicosia [Memoria IYr.] La cagna venne tenuta in osservazione per 21 giorni dopo l’iniezione. In tutto questo tempo fu sempre perfettamente normale. Esperienza XVIII. Cagnetta di pochi mesi , di kg. 3.820. Posta allo scoperto la fascia dorsale in corrispondenza delle ultime vertebre dorsali, si introduce 1’ ago-cannula nel canale vertebrale; viene fuori liquido limpido. Si approfonda l’ago nel midollo; il flusso del liquido subito si arresta, l’animale grida, irrigidisce la coda, defeca. 15.4. Nello spessore del midollo si inietta un centimetro cubico di soluzione fisiologica 0,75 °/0. Nel fare l’iniezione si avverte una leggera resistenza, e l’animale ad ogni spinta del liquido grida e si agita vivamente. Suturata subito la ferita, senza che l’ animale dia segno di dolore tranne che nell’ ul- timo momento , si slega la cagnetta. Notasi paralisi motoria spastica dell’ arto posteriore sinistro, sensibilità dovunque normale, coda permanentemente molto piegata ad arco verso sinistra con la punta in avanti ed in alto. 15. 19. Persistono immutate le stesse condizioni: la cagnetta mangia del pane che le si offre. 16. 5. La coda è meno rigida. L’ animale si regge bene sulle 4 zampe anche a lun- go, e solo di quando in quando piega un po’ sull’ arto posteriore sinistro che è manifesta- mente debole. Muovendosi spontaneamente riesce a poggiar bene la zampa posteriore si- nistra ; se costretta invece a muoversi più alla svelta, a volte trascina l’arto posteriore si- nistro strisciando sul dorso della zampa, a volte tiene tutto l’ arto sollevato in flessione. In tutto il resto la cagnetta mostrasi perfettamente normale e mangia un altro po’ di pa- ne che le si offre. 18. 15. Sempre gli stessi fatti. Nel giorno successivo la cagnetta zoppicava sempre dell’ arto posteriore sinistro, che a volte strisciava sul suolo. Le condizioni dell’ arto andarono poi gradatamente migliorando fino alla completa ri- soluzione, che si ebbe 9 giorni dopo 1’ iniezione. La cagna fu poi tenuta ancora a lungo in osservazione e si dimostrò sempre perfettamente normale. Esperienza XIX. Cane di Kg. 7. 237 , digiuno da circa 22 ore. Attraverso la pelle si infigge l’ ago-cannula nello speco vertebrale nello spazio fra l’ul- tima dorsale e la prima lombare. Vien subito fuori del liquido limpidissimo che scorre con grande abbondanza. Si infossa 1’ ago nel midollo ; il liquido si arresta, 1’ animale grida, urina, rizza la coda. Si inietta abbastanza rapidamente cm.3 1 di soluzione fisiologica 0.75%: l’animale geme. Subito slegato il cane mostra accentuata paresi dell’ arto posteriore destro, che nel camminare trascina sul suolo poggiando la faccia dorsale della zampa. Dopo circa 10 minuti il cane mangia con voracità del pane; persiste, ma meno no- 21 Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono tevole, la paresi dell’ arto posteriore destro, tanto che il cane riesce a tenersi per un istante ritto sul treno posteriore con le zampe anteriori in aria per abboccare del pane. Nel cam- minare facendolo muovere lentamente a volte poggia la zampa, ma il più delle volte la flette strisciandola sul suolo. Gli stessi fatti persistono due ore dopo 1’ iniezione. Alle 19. 20 si sospende 1’ osser- vazione. La dimane il cane appare normale a primo aspetto. Solo esaminandolo attentamente nel deambulare, si osserva che a volte trascina un po’ 1' arto posteriore destro. Il giorno appresso notavasi solo una leggera debolezza dell’ arto posteriore destro. In seguito il cane si mostrò sempre normale. Esperienza XX. Cagna bionda di kg. 1 .177, digiuna da circa 24 ore. Nella solita posizione ed attraverso la pelle si infìgge l’ ago-cannula nello speco ver- tebrale. Fuoriesce liquido limpidissimo. Si infossa l’ago nel midollo: l’ animale grida, urina e defeca, mentre subito si arresta il flusso di liquido dalla cannula. Si inietta cm.3 I di soluzione fisiologica 0.75 %. Slegato l’animale non si osserva che una leggera paresi degli arti posteriori per cui la cagna ha un’ andatura atassica. Questi fatti si vanno attenuando sempre più nei giorni seguenti ed al sesto giorno la cagna può considerarsi veramente normale. Sorge dunque dalle esperienze riferite che realmente la iniezione intramidollare di so- luzione fisiologica di cloruro sodico viene benissimo tollerata dai cani, i quali non presentano altri fatti che quelli dipendenti dal trauma midollare, e precisamente gii stessi che più volte ebbi ad osservare quando accidentalmente, nel praticare la rachianestetizzazione, mi avvenne di ferire il midollo. Passai in seguito a ripetere le esperienze del Rehn con le iniezioni intramidollari di stovaina. Esperienza XXI. Cane bastardo, adulto , di kg. 4.655. Digiuno da circa 14 ore. V , . . . Questo animale aveva subito 6 giorni prima una iniezione endorachidica in posizione dorsale inferiore di centg. 2 di stovaina per kg.; nel praticare la puntura si era leso cer- tamente il midollo, e l’animale aveva presentato paresi persistente dell’arto posteriore de- stro, che però era andata sempre migliorando. Infisso 1’ ago-cannula attraverso la pelle nella posizione dorsale inferiore (a sinistra) viene fuori liquido cefalo-rachidiano limpidissimo. Si dà allora all’ago una posizione molto obbliqua in modo che si addentri nel midollo : il cane grida ed urina mentre subito si ar- resta il flusso dalla cannula. Allora si ridà all’ ago la direzione quasi orizzontale e si inietta nello spessore del midollo un centimetro cubico di acqua distillata contenente in soluzione gr. 0.046 di stovaina (cioè gr. 0.0 1 per kg. del peso). L’ iniezione si fa procedere lentamente dalle 10.45 alle 10.46. — L’ animale, appena slegato, presenta paralisi, ma non completa, del treno posteriore, paralisi che si dilegua 22 Salvatore Nicosia [Memoria IV.] in circa mezz’ ora, rimanendo poi il cane nelle precise condizioni in cui trovavasi prima dell’ iniezione. Si avverta ancora che il cane venne tenuto in osservazione per altri sette giorni, dopo i quali poteva considerarsi quasi completamente ristabilito. Venne allora sacrificato per al- tra ricerca. Esperienza XXII. Cane bastardo, adulto, abbastanza deperito. Peso kg. 6.105. Digiuno da circa 16 ore. L’animale aveva subito 13 giorni prima l’iniezione endorachidica in posizione dor- sale inferiore sinistra di gr. 0.02 di stovaina e gr. 0.00005 di nitrato di stricnina per kg. del peso, e 5 giorni prima l’ iniezione nella stessa posizione, ma a destra, delle medesime quantità di stovaina e di stricnina. La prima iniezione era riuscita senza alcun incidente, ed il cane, dopo aver mostrato tutto il quadro fenomenico dell’ anestesia midollare, era tor- nato in condizioni perfettamente normali; nella seconda invece fu punto il midollo, e il cane ebbe paralisi motoria duratura dell’arto posteriore, che andò leggerissimamente mi- gliorando. Si pratica l’anestesia cloroformica, durante la quale il cane stava per morire, e potè essere salvato con una energica respirazione artificiale (metodo Laborde). Si mette allo scoperto il midollo per un piccolo tratto in corrispondenza della prima vertebra lombare. Dileguatasi la narcosi cloroformica, si infìgge l’ ago-cannula nello spes- sore del midollo e si inietta un cm.3 di acqua distillata contenente in soluzione centg. 6 di stovaina. L’iniezione venne praticata dalle 12. 15 alle 12. 16. L’animale presentò il solito quadro dell’anestesia midollare, persistendo fino alle ore 16 la paralisi completa del treno posteriore. Venne sacrificato alle 16 mediante inalazione di cloroformio. Esperienza XXIII. Cagna bastarda di kg. 5.545, digiuna da circa 26 ore. 14 aprile 1911. 11.43. In corrispondenza delle ultime vertebre dorsali si mette allo scoperto la fascia dorsale e si infigge l’ ago-cannula nel canale rachidico ; fuoriesce liquido spinale limpido. Si infigge allora l’ago nel midollo; subito si arresta lo scolo del liquido cefalo-rachi- diano, 1’ animale emette forti grida ed urina. Nello spessore del midollo si iniettano gr. 0.055 di stovaina in mezzo cm.3 di acqua distillata. Durante l’ iniezione, che si fa procedere len- tamente, l’animale grida e si dibatte. Appena compiuta l’iniezione si slega l’animale, che mostra paralisi completa flaccida del treno posteriore e nei primi momenti non riesce ne- anche a tenersi sugli arti anteriori. 11.47. La cagna si solleva sugli arti anteriori e riesce a trascinarsi. L’intelligenza completamente integra. Anestesia del dorso fino alla radice del collo e di tutto il treno po- steriore. Pestando anche leggermente gli arti anteriori l’animale li ritira e guaisce. 11.49. La cagna giace sul fianco. Di quando in quando solleva la testa e fa conti- Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 23 nui tentativi per rialzarsi a volte riuscendovi, a volte no. Respirazione leggermente ansante, anestesia sempre completa nelle parti indicate, mentre persiste integra la sensibilità della testa e degli arti anteriori. Coscienza sempre integra. 11.58. L’animale si regge abbastanza bene sugli arti anteriori; mangia del pane che gli si offre e ponendoglielo a distanza si trascina per prenderlo ; le altre condizioni si mantengono immutate. 12.3. La cagna comincia a sollevale alquanto il treno posteriore e ad avvertire leg- germente le punture profonde sugli arti posteriori. 12.44. Continua il leggero risveglio della sensibilità dolorifica degli arti posteriori : sul dorso persiste la completa anestesia nella metà posteriore, mentre procedendo verso il collo 1’ anestesia accenna a dileguarsi. 13. 16. Gli arti posteriori sono sempre in paralisi di moto, mentre la sensibilità dolo- rifica vi si mostra ristabilita. La cagna guaisce pure se punta profondamente sul dorso (1’ esame della sensibilità vien sempre fatta tenendo 1’ animale bendato). Si è costretti ad interrompere 1’ osservazione. 15 Aprile. La cagna è sempre paralitica del treno posteriore. La sensibilità dolorifica è dovunque ricomparsa, anzi sembra che 1’ arto posteriore destro sia alquanto iperestesico. 16 Aprile. Mattina. Persiste la paralisi motoria del treno posteriore, ma l’arto sinistro accenna ad una leggerissima capacità di movimento. Sera. Completa sempre la paralisi motoria dell’arto posteriore destro, mentre l’ani- male si regge già su quello sinistro, che però è ancora molto debole. 17 Aprile. La cagna si regge molto meglio sull’ arto posteriore sinistro ed alquanto anche sul destro. 18 Aprile. Continuano a migliorare le condizioni dell’arto posteriore destro ; l’animale vi si regge, però, se obbligato a camminare, lo trascina un poco e spesso anche col pie- de fiesso. In tutto il resto la cagna può dirsi normale. 19 Aprile . Continua sensibile miglioramento dell’arto posteriore destro. Alle 11. 25 si sacrifica l’animale e si asporta il midollo spinale per l’ulteriore studio microscopico. Esperienza XXIV. Canetto bianco di kg. 4.150, digiuno da 24 ore. 27 Aprile 1911. Posta allo scoperto la fascia dorsale in corrispondenza delle ultime vertebre dorsali e delle prime lombari, si infìgge 1’ ago-cannula nello spazio fra l’ultima dorsale e la prima lombare. Fuoriesce liquido limpidissimo. Si 'infossa l’ago nel midollo e subito si arresta il flusso di liquido, l’ animale grida fortemente, urina e defeca. Si pratica la iniezione (punta dell’ ago sempre in avanti, animale in giacitura perfetta- mente orizzontale) di gr. 0.125 di stovaina in cm.3 1 di acqua distillata (gr. 0.03 per Kg.) 14. 15- 14. 18. Iniezione, durante la quale l’animale guaisce ed urina. Subito compiuta l’ iniezione, si sutura rapidamente la ferita senza che il cane mostri di avvertire dolore. 14.21. Slegato l’animale si osserva paralisi completa di ambo i treni ; il cane muove soltanto la testa, che però tiene poggiata al suolo. Punto sulla testa ammicca, ma non guai- sce; integri i riflessi palpebrali e corneali, tranquillo il respiro; in tutto il resto del corpo completa anestesia. 24 Salvatore Nicosia [Memoria IV.] 14. 26. L animale comincia a sollevare la testa dal suolo; coscienza sempre integra, anestesia come sopra. Profusa salivazione. 14.33. L’animale fa dei tentativi per sollevarsi sulle zampe. anteriori e quando vi riesce rimane per pochi secondi alquanto sollevato dal suolo, ma presto ricade sul fianco. 14.47. Persiste completa insensibilità tranne che nella testa: il respiro è sempre calmo. 14.51. Premendo fortemente o pungendo profondamente gli arti anteriori, l’animale comincia a ritirarli; negli arti posteriori si mantiene completa la paralisi di moto e di senso. Persiste la profusa salivazione. 15.4. L’animale resta puntellato sugli arti anteriori con la testa alta; coscienza sem- pre integra, espressione più vivace, respiro calmo e regolare, leggero tremito della testa e della parte anteriore del tronco. Sempre in completa paralisi di moto e di senso il treno posteriore. 16. 15. Cessata la salivazione; l’animale ha riacquistata la motilità e .la sensibilità degli arti anteriori, che è però alquanto ottusa. Accenna a risvegliarsi la sensibilità dolo- rifica degli arti posteriori, non però quella del dorso. Il cane mangia del pane che gli si offre. 28 Aprile. Sensibilità dolorifica completamente ripristinata ; persiste la completa pa- ralisi motoria del treno posteriore. L’ animale riesce a trascinarsi vivacemente per ogni dove ; offertogli del pane lo rifiuta, ma verso sera mangia una zuppa di pane e latte. 29 Aprile. Notasi un leggero miglioramento nello stato di paralisi del treno poste- rioie, e difatti l’animale nel trascinarsi non tiene più il treno posteriore del tutto inerte, ma alquanto sollevato dal suolo. Riesce bene non soltanto a trascinarsi in piano, ma anche a salire e scendere dei gradini. Mangia con vera fame. 30 Aprile - 15 Maggio. L’ animale perde le urine. Ha sempre buon appetito e le con- dizioni del treno posteriore migliorano progressivamente, tanto che negli ultimi giorni di osservazione il cane riesce a servirsi di tutti e quattro gli arti, mantenendosi però i po- steriori, specie il sinistro, molto deboli. Il 15 maggio sera si sacrifica l’animale per le ulteriori osservazioni microscopiche. Esperienza XXV. Cane di kg. 5,705, digiuno da circa 25 ore. Attraverso la pelle si infigge l’ ago-cannula nello speco vertebrale nello spazio fra l’ultima dorsale e la prima lombare (punta dell’ago in avanti). Fuoriesce liquido spinale limpido. Si addentra allora l’ago nel midollo: il flusso di liquido si arresta immediatamente, 1’ animale grida, urina e defeca. 13.50. Si iniettano gr. 0,23 di stovaina (centigrammi 4 per kg.) in centimetro cubi- co 1 di acqua distillata. La iniezione si fa lentamente, stando l’animale in giacitura per- fettamente orizzontale. Appena sciolto l’animale resta a giacere sul fianco, col treno posteriore in paralisi completa; fa invece qualche movimento con la testa e con gli aiti anteriori, i quali però ben presto entrano pure in paralisi. Il cane ha forte dispnea e spalanca continuamente la bocca in cerca di aria. Anestesia completa su tutto il corpo. Conservati i ri flessi palpebrali e corneali. Il respiro intanto si fa più raro e superficiale, il cuore sempre più debole e aritmico. Alle ore Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 25 13.57 i riflessi corneali sono aboliti e pochi istanti dopo si ha l’arresto del respiro, seguito immediatamente da quello del cuore. Esperienza XXVI. Canetto nero di kg. 4,695, digiuno da circa 30 ore. Attraverso la cute si infigge l’ago nel .canale rachidico attraverso lo spazio fra l’ultima dorsale e la prima lombare: vien fuori liquido alla prima goccia sanguinolento, poi limpi- dissimo. Si infossa l’ago nel midollo; io scolo del liquido subito si arresta, l’animale grida fortemente, si agita, urina e defeca. 16.44. Iniezione nel midollo di gr. 0, 188 (gr. 0,04 per kg.) di stovaina in cm3. I di acqua distilllata. L’ iniezione si fa procedere lentamente. Si osserva che per la prima metà di liquido iniettato il cane non grida, nè si agita: nel dubbio che 1’ ago avesse potuto la- sciare lo spessore del midollo, lo si ritira leggermente e lo si torna ad infossare in dire- zione orizzontale. Nell’iniezione dell’altra metà del liquido l’animale grida. Tosto slegato il cane si mostra perfettamente cosciente, con paralisi completa dell’arto posteriore destro ed accentuata paresi del sinistro. 16. 49. Paralisi motoria completa del treno posteriore, insensibilità completa di esso e della metà posteriore del dorso: l’animale invece risente subito gli schiacciamenti e le pun- ture sugli arti anteriori, sulla testa, sul collo e sulla metà anteriore del dorso. Ha un conato di vomito infruttuoso, salivazione discreta. 16.54. L’animale è capace di reggersi sugli arti anteriori e riesce a muoversi per la stanza trascinando il treno posteriore. Continua moderata salivazione. Coscienza sempre integra, espressione un po’ smarrita. 16. 57. Stesso stato : la salivazione si fa più abbondante. 17. 8 La saliva cola formando un filetto continuo. Punto sul dorso il cane cerca di allontanarsi; completa l’anestesia dell’arto posteriore destro, nel sinistro invece si ha un accenno di ritorno della sensibilità dolorifica. 17. 25. Persistono le medesime condizioni. Notasi forte erezione. 17. 38 Continuano la salivazione e l’erezione. Di quando in quando l’animale fa qual- che tentativo per sollevare il treno posteriore e nel muoversi riesce a tenere il bacino un po’ sollevato dal suolo. Offertogli del pane e dell’acqua non li prende. 17. 58. Salivazione considerevolmente diminuita. Nel muoversi il cane tiene ora la groppa e le cosce sollevate dal suolo, mentre trascina sempre le gambe. Non si nota più erezione. Sensibilità dolorifica del tutto ripristinata negli arti anteriori, ottusa, ma non più assente, negli arti posteriori e sul dorso. 18.20. Gli si offre carne e pane inzuppato nel brodo; l’animale li mangia. 18.32. Comincia a reggersi sugli arti posteriori. Si sospende l’osservazione. 3 maggio. L’animale è in apparenza rimesso; costretto però a correre od a salire dei gradini mostra evidente debolezza degli arti posteriori. Mangia con appetito. 5 maggio. Ancora un po’ debole il treno posteriore. 6 maggio. Anche lo stato di debolezza del treno posteriore va dileguandosi. Da questo giorno fino al 16 maggio il cane non presenta più alcun che di anormale. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. IV. 4 26 Salvatore Nicosia [Memoria IV.] Esperienza XXVII. Cagnetta di kg. 3,670, digiuna da 26 ore. 4 maggio 1911. Attraverso la pelle s’infigge l’ ago-cannula nello speco vertebrale fra l’ultima vertebra dorsale e la prima lombare. Fuoriesce subito liquido limpidissimo. Si in- fossa allora l’ago nel midollo: l’animale grida ed urina, mentre il flusso di liquido dall’ago immediatamente si arresta. 16. 33. Si iniettano molto lentamente gr. 0,147 di stovaina (gr. 0,04 per kg.) in cm3. 1 di soluzione fisiologica di cloruro sodico. Ad ogni spinta di liquido l’animale guaisce. 16. 36. Appena slegata la cagnetta mostra completa paralisi del treno posteriore, in- capacità a reggersi anche sugli arti anteriori. Tiene la testa poggiata al suolo, ha coscienza integra, insensibilità di tutti gli arti, del dorso e del collo. Punta sulla testa ammicca ma non è capace di guaire. Respirazione leggermente ansante, pulsazioni del cuore deboli, ben conservati i riflessi palpebrali e corneali. 16. 40. La cagna cerca di rialzarsi, ma non si regge. Tiene il ventre poggiato sul suolo, come pure la testa, che volge di qua e di là. Avverte tutti i rumori, risponde alle chiamate ; dall’ espressione generale sembra come presa da nausea. Di tanto in tanto sol- leva la testa, che però vacilla come quella di un ubbriaco ; l’ animale torna subito a pog- giarla sul suolo. Anestesia completa degli arti, della coda, dei genitali esterni, del dorso, dell’ addome. Punta sulla testa al solito ammicca senza però guaire. 16. 44. Frequenti movimenti di deglutizione, pulsazioni cardiache deboli ed aritmiche, respiro alquanto accelerato. Persistono 1’ insensibilità e la paralisi di moto ; la coscienza è sempre perfettamente integra. 16.50. Stesse condizioni: notasi salivazione abbondante. 17. Pulsazioni cardiache deboli ed interrotte da lunghe pause, respirazione calma; constatasi ipotermia. Ai fatti già notati aggiungonsi trisma e tremito generale. 17.30. Persistono ipotermia, salivazione, trisma, tremito, aritmia cardiaca, sebbene le singole pulsazioni siano alquanto più valide. L’ animale comincia a potersi puntellare sugli arti anteriori riuscendo a reggervisi per qualche istante, per poi ricadere sul fianco. Si os- serva manifesta rigidità dei muscoli della nuca. 17. 44. Negli arti anteriori qualche accenno di ritorno della sensibilità. 18. 35. Le pulsazioni cardiache sono più valide, ma non si riesce a contarle per il persistente e continuo tremito generale. La temperatura comincia a rialzarsi, la salivazione è scomparsa. Quanto alla sensibilità persistono gli stessi fatti. 19. 10. L’animale appare un po’ più sollevato, accenna anche a guaire. Si sospende 1’ osservazione, lasciando del pane alla portata dell’ animale. 21. 30. Tornato in laboratorio trovo che la cagnetta non ha preso cibo. Le condi- zioni sopra cerniate si mantengono, notandosi che al tatto la temperatura è pressoché normale. 5 maggio. Durante la notte l’ animale ha mangiato circa metà del suo pane. È ca- pace di trascinare il treno posteriore. La temperatura è tornata al normale. La sensibilità dolorifica ripristinata, ma ancora ottusa, nel treno posteriore. Durante la giornata la cagna non vuol mangiare. 6 maggio. Sebbene nel treno posteriore sembri che si determini un lieve migliora- mento, tuttavia l’animale si rifiuta a prender cibo. Sull’ anestesia midollare e su alenili problemi che vi si connettono 27 7 maggio. La cagnetta rifiuta sempre il cibo e mostrasi assai sofferente. Verso sera tornano a manifestarsi ipotermia, tremito generale, pulsazioni cardiache debolissime e aritmiche. 8 maggio. L’ animale è trovato morto. Esperienza XXVIII. Cagnetta bianca di Kg. 3. 640, digiuna da 24 ore. Fra 1’ ultima vertebra dorsale e la prima lombare si iniettano nello spessore del mi- dollo gr. 0. 146 di stovaina in centimetro cubico 1 di soluzione fisiologica 0.75 %• La inie- zione si fa stando la cagna in posizione orizzontale. Morte rapida dopo tre minuti e mezzo dalla iniezione : si ha prima arresto del respiro e poi immediatamente del cuore. La sin- tomatologia fu perfettamente identica a quella descritta nella esperienza XXV. Le esperienze riferite non hanno bisogno di ulteriore commento: esse sono in completa contraddizione con quelle similari del Rehn. Con le piccole dosi di un centigrammo di sto- vaina per kg., con quelle, che possiamo dire normali per i cani, di 2 centigrammi per kg., non soltanto non si ebbe la morte immediata, ma gli animali presentarono il solito qua- dro dell’anestesia midollare senza alcuna complicanza, tranne il postumo più o meno du- raturo della ferita del midollo. Con la dose di 4 centg. per kg. si ebbe a volte la morte più o meno rapida, ma a volte anche la guarigione. Può dirsi dunque, almeno per la sto- vaina, ed in completa antitesi col Rehn, che V azione del veleno, quando esso dapprima raggiunge gli elementi funzionanti del sistema nervoso centrale, è più intensa di quella che si svolge con la semplice iniezione subar acnoidea, ma non diventa pe- ricolosa per la vita, o addirittura letale, se non con le dosi molto elevate di stovaina. Io ho sempre pensato che anche con la semplice iniezione subaracnoidea 1’ anestesico raggiunga gli elementi del midollo, naturalmente in modo molto più graduale e progres- sivo di quel che non succeda con la diretta immissione nello spessore del midollo; che perciò la rachianestesia rappresenti una vera e propria anestesia midollare. I risultati delle esperienze fatte con la diretta iniezione della stovaina nel midollo, messi in confronto con quelli che si hanno dietro iniezione subaracnoidea, mi autorizzano a ritenere ben fondato, e direi anzi sperimentalmente dimostrato, questo mio giudizio. Come dai protocolli delle esperienze sulla rachianestesia si è potuto vedere, 1’ anestesia midollare dura per un certo tempo, più o meno lungo, in parte secondo la dose di stovaina iniettata nel canale rachidico, in maggior parte poi secondo che per vaile circostanze, al- cune delle quali sperimentalmente determinabili, altre invece inerenti alle condizioni proprie della circolazione del liquido spinale, avviene una più rapida e compieta, o più lenta ed incompleta, diffusione dello anestetico. Nel primo di questi casi infatti l’anestesia è più dif- fusa, ma meno duratura, nel secondo invece più limitata, ma più duratura. Sempre però l’anestesia si dilegua prima della paralisi di moto. La durata del soggiorno dell’ anestetico nel canale rachidico ha certamente una altis- sima importanza pratica, poiché quanto più a lungo l’anestetico permane e tanto più fa- cilmente esso riesce a porsi in contatto con gli elementi propri del midollo anche posti a maggiore o minore profondità. 28 Salvatore N/cos/a [Memoria IV.] Post mortem la diffusione delle sostanze iniettate nel canale rachidico avviene eviden- temente solo in base a leggi fisiche; nei vivente invece ha gran parte nel fenomeno anche l’attiva circolazione del liquido cefalo-rachidico, già nota fin dalle classiche esperienze del Magendie. Sull’argomento di cui accenno non mancano in vero delle ricerche: così quelle di Quinke e Jacob, di Heinecke e Làwen, più recentemente di Klose e Vogt e recentissimamente di Rehn. Debbo confessare che degli autori precedentemente citati non ho potuto avere tra mani le memorie originali, ed ho dovuto perciò contentarmi della esposizione che delle loro ri- cerche fa succintamente il Rehn e delle recenzioni molto concise che ne ho trovate nei Jahresbericht f. die ges. Med. — Debbo anche notare che nella stessa memoria del Rehn non si rileva il modo come si procedette alle esperienze. Anzi dirò di più che pare si sia fatta confusione fra permanenza del veleno nel canale rachidico e permanenza di esso nella circolazione generale. Dice infatti il Rehn: “ Dovrebbe venire risolta chimicamente — qualitativamente la quistione che si offre della permanenza del veleno in rapporto alle azioni successive e col- laterali. Col benevolo aiuto dell’Istituto Chimico Fisiologico noi ora troviamo che il soggiorno degli alcaloidi nel sacco durale dura sproporzionatamente a lungo, ma che però esistono importanti differenze di tempo per i diversi anestetici. Queste si possono fissare in una scala ascendente, così che tropococaina, novocaina e stovaina si susseguono in scala ascen- dente. La tropococaina viene eliminata dal circolo del coniglio 20 ore dopo 1’ iniezione, la novocaina 40 ore e la stovaina 48 ore dopo „. Dal passo testualmente citato appare dunque, secondo me, evidente che dalla durata della eliminazione, rispettivamente dalla durata della permanenza in circolo, si sia dedotta la permanenza nel sacco durale. A prima vista potrebbe parere autorizzata una tale dedu- zione, ma in sostanza essa non lo è, se si tiene conto delle speciali condizioni di permea- bilità che offrono le meningi spinali. Io non ho fatto esperienze dirette con la stovaina, perchè questa sostanza offre non poche difficoltà ad essere riconosciuta nei liquidi dell’ organismo, e perchè anche su tale argomento verranno fatte più complete ricerche e con molte sostanze da altri del labora- torio di Materia Medica. Ho fatto però delle esperienze sulla permeabilità meningea nelle condizioni normali e nelle rachistovainizzazioni, esperienze nelle quali mi son servito, per la massima parte, del salicilato di sodio. Ora io posso affermare, come si vedrà nei protocolli delle esperienze sulla permeabilità delle meningi dall’ interno all’ esterno, che il salicilato sodico, iniettato in dosi abbastanza rilevanti nel canale vertebrale di cani normali e di cani sottoposti alla rachianestesia, già dopo otto ore dalla iniezione è completamente o quasi scomparso dal liquido spinale, mentre il suo soggiorno in circolo e la sua presenza nelle urine possono constatarsi per un tempo più lungo. PERMEABILITÀ MENINGEA DALL INTERNO ALL’ ESTERNO Da tutti gli sperimentatori, che si sono occupati di questo argomento, è concordemente affermato che la pia madre aracnoide è permeabile dall’interno all’ esterno nelle condizioni fisiologiche. Sull' anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono 29 Anche col salicilato di sodio io ho riscontrato questa permeabilità nei cani allo stato normale. Valga come esempio la seguente esperienza : Esperienza XXIX. Cagna bastarda di Kg. o. 160, digiuna da 14 ore. Attraverso i comuni tegumenti si infigge 1’ ago-cannula nel canale rachidico in posi- zione dorsale inferiore (lato sinistro). — Fuoriesce liquido cerebro-spinale limpidissimo. Si fanno colare 10 gocce di liquido e si inietta cm3. 1 di acqua distillata che tiene in solu- zione gr. 0.516 di salicilato di sodio (gr. 0.10 di salicilato di sodio per Kg. del peso). La iniezione riesce dolorosissima e 1’ animale, slegato, si mostra in preda a vivissima agitazione. L’iniezione vien fatta alle ore 11.5. Alle 19.5, e cioè dopo 8 ore dall’iniezione, l’animale viene sacrificato per dissangua- mento; si raccoglie un po’ di sangue e burina e, mercè ago-cannula infìsso nello spazio occipito-atlantoideo posto a nudo, si aspira con la siringa di Pravaz il liquido cerebro- spinale in quantità di più di 3 cm3. Nel sangue, nell’ urina e nel liquido spinale si ricerca la reazione dell’acido salicilico col seguente risultato: Sangue — reazione positiva. Urina — reazione positiva. Liquido spinale — reazione dubbia se di lievissimo accenno. La iniezione di stovaina nel canale rachidico, fatta insieme alla iniezione del salicilato di sodio, o fatta precedere di un intervallo più o meno lungo di tempo, non determina alterazioni della permeabilità meningea dall’ interno all’ esterno. — Così pure non ne deter- minano le lesioni midollari, anche se abbiano dato luogo ad evidenti e gravi disturbi. Le due esperienze che seguono dimostrano chiaramente quanto son venuto affermando. Esperienza XXX. Cagna bastarda , digiuna da 16 ore , del peso di Kg. 6.017. Infisso fago-cannula nel canale rachidico in posizione dorsale inferiore, si inietta cm3. 1. 2 di acqua distillata contenente gr. 0.12 di stovaina (gr. 0.02 per Kg.) e gr. 0.60 di salici- lato di sodio (gr. 0.10 per Kg.) L’iniezione riesce dolorosa, ma subito l’animale si calma per l’azione della stovaina. 10. 57. Iniezione. 11.4. Si pratica la laparotomia (l’animale è in perfetta anestesia) e si fa il cateterismo degli ureteri. 11.34. Nelle poche gocce di urina raccolte la reazione dell'acido salicilurico fu ne- gativa. 12.34. In questo intervallo di tempo non si raccolsero che 11 gocce appena di urina, che diede reazione positiva intensa di acido salicilurico. Si può pertanto calcolare con quasi certezza che, se si fosse potuta fare la reazione mezz’ ora prima, essa sarebbe riuscita positiva. 30 Salvatore Nicosia [Memoria IV.] Dalle 12.35 fino alle 18 si raccoglie l’ urina di mezz’ora in mezz’ora: si ha sempre reazione positiva. Alle ore 18 si sacrifica l’ animale (morte per cloroformio). Si aspira, mediante ago-cannula infìsso nello spazio occipito-atlantoideo posto a nudo, un po’ di liquido cerebro-spinale, che vien fuori limpido ma con difficoltà : in esso la rea- zione dell’ acido salicilico è positiva, ma leggerissima. Un po’ di sangue preso dal cuore dà reazione positiva intensa. Esperienza XXXI. Cane adulto di Kg. 8. 430. L’ animale aveva subito 20 giorni prima la rachistovainizzazione con 3 centg. di sto- vaina per Kg. del peso, e 7 giorni prima della presente esperienza altra iniezione di sto- vaina nel canale rachidico con uguale dose. Durante questa seconda iniezione, per un brusco sussulto dell’ animale, era stato punto il midollo abbastanza profondamente. Al momento della presente ricerca l’animale aveva ancora, come postumo della lesione spinale, una forte paresi dell’arto posteriore destro. 10. 54. Si inietta, nella solita posizione dorsale inferiore, cm3. 1 di acqua distillata che tiene in soluzione gr. 0.84 di salicilato sodico (gr. 0. 10 per Kg. del peso). 11.7. Si punge la vescica e si aspira un po’ di urina, che dà reazione assolutamente negativa. 11. 10. Si pratica il cateterismo degli ureteri. Si ha scarsissima secrezione di urina, così che bisogna contentarsi di provare la reazione dell’ acido salicilurico a lunghi inter- valli di mezz’ ora. 11.40- Dubbio se trattasi di primissimo accenno di reazione positiva. 12.40. Reazione positiva intensa. 18. 30. Si sacrifica 1’ animale per dissanguamento. Si prepara lo spazio occipito-atlan- toideo e, infissovi l’ ago-cannula con la punta diretta indietro, si aspirano circa cm3. 4. 5 di liquido spinale, che si presenta limpido, ma un po’ vischioso. Si raccoglie un po’ di san- gue e. burina dell’ ultima mezz’ ora. In questa e nel sangue si ha intensa reazione positiva ; nel liquido spinale la reazione è leggerissima. E vengo così all’ultima parte di queste mie ricerche, quella cioè che riflette la: PERMEABILITÀ MENINGEA DALL' ESTERNO ALL INTERNO. È noto che mentre per le diverse membrane sierose nelle condizioni normali si am- mette che siano permeabili dall’esterno all’interno, per la membrana pia madre-aracnoidea si è affermato che essa sia impermeabile in questa direzione. Tralascio qui di occuparmi della letteratura, perchè su questo argomento lavora in laboratorio il collega capitano La Valle, che pubblicherà una memoria apposita. Io mi sono assicurato che nello stato normale il ioduro di potassio, somministrato nei 31 Sm 7’ anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono cani per diverse vie ed in piccola dose, non passa realmente nel liquido cefalo-rachidiano almeno fino ad un breve tempo dopo la somministrazione. Sono poi passato a vedere se in animali che hanno subito la rachistovainizzazione, appaiano disturbi della permeabilità meningea dall'esterno all’ interno sempre con l’ioduro di potassio e nelle condizioni di dose e di tempo sopraesposte. Cito una sola delle esperienze eseguite, la quale è molto dimostrativa, trattandosi di un animale che per ben due volte era stato sottoposto alla rachianestesia con soli 5 giorni di intervallo, la prima volta con due centg. di stovaina per Kg., la seconda con 3 centg. per Kg. Ambedue le volte l’animale, appena compiuta l’iniezione della stovaina nel canale rachidico in posizione dorsale inferiore, era stato collocato verticalmente a testa in giù e tenuto in questa posizione lungamente. L’ esperienza col ioduro che qui riporto venne fatta 8 giorni dopo la seconda rachi- stovainizzazione, quando l’ animale appariva già rimesso. Esperienza XXXII. Cane levriere bastardo di kg. 6.945 , digiuno da 14 ore. L’ animale aveva subito per ben due volte la rachistovainizzazione (V. nel contesto). Preparazione della vena safena sinistra. 11.40 Si iniettano cm.3 10 di acqua distillata contenente gr. 0.35 di ioduro di po- tassio (gr. 0.05 di ioduro di potassio per I Ics points irréguliers des scries convergentes de fonctions analytiques ; Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences, Paris, T. CXXXXV (1907) pp. 911-912 — Le;ons sur les scries de polynomes à une ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. VII. Carlo Severi ni [Memoria VII.] o Considerando invece di due quantità fisse a e b due quantità an e b„ dipendenti dal- 1’ indice n (*) si ha inoltre il Teorema II. (**) Le finis ioni analitiche J2) fn (X) (il — 1, 2,...,00) siano per | x | <1 1 regolari ; non assumano mai due valori complessi an, b„ , sog- getti (die condizioni I «/J < T , I bn | < Y, I an—bH ! >— , ove ? è una costante positiva, finita, non nulla , ed in infiniti punti , aventi almeno un punto limite interno al cerchio (o, 1), tendano, al crescere di n, ad un limite de- terminato e finito. Esiste allora per ogni \ x 1 < 1 il : lini fn (x) = / O) , ed f (x) è per \ x | <[ 1 regolare. Di più la (2) tende in egual grado ad f (x) nei punti di (o, 0), ove 0 è una quantità fissa, qualsivoglia , che soddisfa alla condi- zione o < 6 < l . 2. — Risultati più generali, nei quali non si esclude che le funzioni fn (x) possano anche assumere i due valori ad esse associati , dipendenti o no da il , seguono dalle ri- cerche che gli Autori espongono nei successivi §§ della loro Nota. A tali ricerche accen- nerò nel seguente §; qui riporto intanto i seguenti risultati, a cui io sono in quest’ordine d’ idee pervenuto (***). variable complexe; Paris, Gauthier-Villars ( 1 910), pp. 124-125] ed io [Sulle successioni infinite di funzioni analitiche; Atti del IV Congresso internazionale dei Matematici, Voi. Il, Sez. I, p. 188] arrivammo allo stesso risultato , aggiungendo in più la convergenza uniforme della successione in ogni area interna all’ area data. Riguardo alla dimostrazione del Vitali i Sigg. Carathéodory e Landau osservano (C. L. § 4) che essa presenta una lacuna , soggiungendo che non vedono la possibilità di colmarla senza 1’ ipotesi che esista al- meno un punto ,4'q in cui il lim un (a'o) sia diverso da « e da 1. Riguardo alle dimostrazioni date dal Montel n = «> e da me, in cui si fa uso del teorema di Osgood , secondo il quale dalla convergenza in un’ area della suc- cessione di funzioni segue che esiste un’area parziale ove la convergenza è uniforme, essi obbiettano che nel- 1’ area parziale in discorso può il limite della successione essere costantemente eguale a o, ovvero ad 1 , e non esistere quindi, come viene da noi asserito, un punto x{ ove è diverso da ciascuno di questi due valori. Ora io desidero qui osservare che la nostra asserzione equivale ad ammettere che vi sia almeno un punto x0, interno all’area data, in cui detto limite è diverso da o e da 1 : ciò si rileva dallo stesso nostro ragionamento, che in tal caso è pienamente applicabile. La dimostrazione potrebbe venire completata, pel caso che non esista un punto xQ cosi fatto, mediante un artifizio dovuto al Sig. Bernays (C. L. p. 597) , il quale condurrebbe a ragionare sopra funzioni che non assumono mai valori interi, e non lasciano perciò adito all’obbiezione dianzi detta ; ma oramai non è più il caso, avendosi il teorema I, di dilungarsi su questo punto. (*) Cfr. Vitali, I. c. cap. IV, § 6 — Severità, I. c. 8 6. (**) C. L. § 5. (***) L. c. 8. 9. Sulla convergenza uniforme delle successioni di funzioni analitiche 3 Teorema III. Si associno ad un punto x0 del piano della variabile complessa x le quantità : (3) , (v) , . fri (pC o ) I v = 0, 1, .... ,oo\ \*= 1,2, scelte in modo da avere : lim V~ oo 00 ), ove r indica una costante positiva, non nulla ; e s' indichi con K un’area qualsi- voglia connessa , conlenente il punto x0, entro la quale ciascuna delle serie: OC Pn ( x , .r0) =r fo>) {x—xfjì (n = 1, 2,..., oo ) possa essere continuata analiticamente, e dia luogo ad un ramo di funzione ana- litica, uniforme fn K (x). Affinchè in ogni area K' interna a K /« successione : (4) fa K (X) 00 ) converga in egual grado ad una funzione analitica regolare , è necessario e suf- ficiente : a) che per ogni v fìsso, le quantità (3) tendano, al crescere di ad un limite determinato e finito ; b) c/z£, almeno a partire da un certo valore dell' indice n in poi, gl’insiemi Ga, Gt) dei punti interni a Iv, ove qualcuna delle (4) assume rispettivamente due valori complessi a, b distinti fra loro e diversi da lim fn(0' (x0) siano riducibili e /*= 00 non abbiano come punto limite il punto x0 . Teorema IV : Nelle ipotesi del precedente teorema , affinchè in ogni area K' interna a K la successione (4) converga in egual grado ad una funzione analitica regolare, è necessario e sufficiente : a) che per ogni v fisso le quantità (3) tendano , al crescere di n , ad un li- mite determinato e finito ; b) che, almeno a partire da un certo valore dell' indice n in poi , gl' insiemi Ha, Hi, dei punii interni a K, ove le (4) rispettivamente assumono due valori com- plessi a„ , bM, tendenti \ al crescere di n, a limiti determinati e finiti a e b, fra loro distinti e diversi da lim f<0) (x0), siano riducibili e non abbiano come punto limite n— oo il punto x0. 4 Carlo Severi ìli [Memoria VII.] Osservazione la. Se in particolare il campo K è tale che sul suo contorno non ca- dano punti singolari per le (4), la condizione che gl’ insiemi, di cui si parla nei due pre- cedenti teoremi , siano riducibili , deve sostituirsi coll’ altra che abbiano insiemi derivati finiti. Osservazione 2a. Le condizioni dei due precedenti teoremi, riferendosi a due quantità complesse , dipendenti o no da n , che possono , nel modo sopra detto , venire fissate a priori, si presentano, come condizioni necessarie per lo scopo voluto, sotto forma più van- taggiosa che quelle implicitamente contenute nei teoremi 1 e II, le quali contemplano invece 1’ esistenza di due numeri complessi colle dette proprietà. 3. — In questo e nel seguente paragrafo , parlando di numero complesso e di limite di una successione di numeri complessi, introdurremo come numero e come limite anche il simbolo oo (*). Dare dunque una successione di numeri complessi : (5) yn (n=ì,2r..,cc) vorrà dire assegnare una successione , di cui ogni termine è un numero finito ovvero il simbolo oc; analogamente dire che firn yn =; significherà , se f\ è finito, che per ogni 11— oo 5 positivo, comunque scelto, da un certo valore n0 (8) dell’ indice il in poi, risulta : mentre, se r, =z oc- , che per ogni n ^ ii0 (8) si ha yn — x ovvero, nel caso che yn sia finito : I yn > &. Ancora, essendo (I> (x) una funzione meromorfa per j x i suoi poli : xt in altrettanti cerchi : (xlt 9i) ove r > o, racchiusi (*—1,2,..., p) (/— 1,2,..., p) in modo che in ogni punto, distinto dal centro, interno o appartenente al contorno di uno qualsivoglia di questi cerchi, la $ (x) sia regolare e diversa da zero, diremo che una suc- cessione di funzioni ad un valore : (6) Fn (x) (»=l,2,...,oo) converge per j x j < r uniformemente a (I> (x), se per ogni | x | < r si ha : lini F„ (x) — (x) , (*) C. L., § 6. Sulla convergenza uniforme delle successioni di funzioni analitiche .) e di più nella parte di (o, r) esterna ai cerchi {xt , p() la (6) converge uniformemente nel senso ordinario a (I> {x), mentre nei cerchi {xtì p,) converge uniformemente nel senso or- dinario ad ~ — - la successione : . (**) C. L. § 6. 8 Carlo Severini [Memoria VII.] - — — se an = x) sia divisibile per kn ; ed il medesimo si verifichi, se an e k„ ven- gono rimpiazzali con b„ ed ln , ovvero con c„ ed mn. Esista inoltre in infiniti punti , aventi almeno un punto limite interno al cerchio (o, I), il lim fn (x) , n— co e questo limite, in un punto almeno , sia anche finito. Esiste allora per ogni j x | e due differenti quantità complesse an, bn, minori in modulo di una costante po- sitiva finita, colle seguenti condizioni : a) per nessuna successione parziale nv, per la quale esistono: lim a„v = a, lim b„v = p risulti a = p ; 10 Carlo Sederini [Memoria VII.] b) per o <[ | x | <1 l'ordine di ogni sero di fn (x) — an e di fn (x) — b„ sia divisibile rispettivamente per kn ed 1„, fatta al più eccezione per gli zeri appar- tenenti ad un insieme riducibile G. Esista inoltre in infiniti punti , aventi almeno un punto limite interno al cer- chio (o, 1) e non appartenente all’ insieme derivato G', determinato e finito il lim fn Or). Esiste allora per ogni | x | <1 il lim fn {oc) — f [x) , ed f (x) è per | x j < 1 una funzione regolare. Di più la (13) tende uniformemente ad f (x) nei punti di (o , 0) , ove 0 è una quantità fìssa qualsivoglia , che soddisfa alla condizione o < 0 <[ 1. Catania, Gennaio 1912. Memoria Vili. S. SC ALIA La fauna del Trias superiore del gruppo di M.te Parte II. (con tre tavole) L amellibranclìiata (, continuaz .) Gen. PSEUDOMONOTIS BAYR. 1. Pseudomonotis sp. aff. hinnitidea Bittn. Tav. I (IV), fig. 43. 1898. Pseudomonotis hinnitidea Bittner — Beitrdge sur Palaeontologie insbesondere der triadischen Ablagerungen centralasiati- scher Hochgebirge, Jahrb. d. k. k. geolog. Reichs. Bd. XLVIII, pag. 716, Tav. XV, fig. 8-10. 1901. „ „ Bittner — Lamellibranchiaten aus dei ' Trias des Bakonyer Waldes, pag. 87, Tav. IX, fig. 47-56. Ho confrontato con questa specie un frammento di una valva sinistra di piccole di- mensioni, che per la sua forma generale, per la sua leggiera convessità e per i caratteri ornamentali si avvicina molto alla P. hinnitidea Bittner, dell’ Asia centrale e della Selva Baconica. Sul nostro frammento, molto incompleto, non si scorgono i caratteri della regione api- cale e delle orecchiette. La superfìcie è ornata da costole radiali di primo ordine, piuttosto strette, separate da larghi spazi intercostali, leggermente concavi, sul cui terzo anteriore decorre generalmente una lieve costolina di second’ ordine. Solo verso la regione posteriore della conchiglia qualche spazio intercostale presenta due costoline secondarie. L’unico frammento fin’ ora posseduto appartiene ad un esemplare giovane, e dato il suo stato di conservazione non permette altri confronti ed una più sicura determinazione specifica. Loc. Gammaniura. Colle, 2. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Pseudomonotis (Eumicrotis) gammaniurensis n. f. Tav. I (IV), fig. 37. Ho distinto con questo nome una piccola valva sinistra, alta 9 mm. larga 9 mm., spessa 2, 5 mm., molto sottile, suborbicolare, auriculatu, inequilaterale, piuttosto convessa. Margine cardinale diritto, lungo quasi quanto la larghezza totale della conchiglia; margine ATT. ACC. SERIE V, VOL. V, Jfem. Vili. r 0 S. Scalici [Memoria Vili.] intero-posteriore arrotondato; margine anteriore leggermente sinuoso al disotto dell’ orec- chietta anteriore, che è più grande dell’ orecchietta posteriore. L’apice è robusto e ricurvo, poco elevato oltre il margine cardinale. La superficie è ornata da fine costole radiali di prilli' ordine, irregolarmente alternanti con altre più lievi e più sottili di second’ ordine. Numerose strie e linee concentriche di accrescimento intersecano le costole radiali, che al loro incontro si presentano leggermente nodulose. Questa forma, per le dimensioni, per la sua convessità e per la forma generale della conchiglia è molto vicina alla P. ( Eumicrotis ) spitsbergensis Bohm, (l) dalla quale tuttavia differisce per 1’ andamento ed il numero delle costoline radiali, che nella specie dello Spitz- bergen sono molto più numerose e serrate. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 3. Pseudomonotis multiformis Bittn. Tav. I (IV), fig. 42. 1899. Pseudomonotis multiformis Bittner — Versleinerungen aus den Triasblage- rungen des Siid-Ussuri-Gebietes in der Ostsi- birischen Kustenprovins — Mémoires du Comité Géologique de St. Pétersbourg, pag. 10, Tav. 11, fig. 15 22. Un frammento di valva sinistra, ben riconoscibile per la sua caratteristica ornamenta- zione, risultante da costole radiali di 1°, 2°, 3° e 4° ordine, disposte secondo la forinola: 143424341. Delle finissime linee concentriche intersecano le costole radiali. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Pseudomonotis sp. ind. aff. multiformis Bittn. (2) Tav. ! (IV), fig. 4i. Un frammento di piccola valva destra rotta verso 1’ apice, caratterizzata da numerose costoline radiali di prim’ ordine, alternanti verso il mezzo con costoline più sottili di secon- d’ ordine; tra queste e le prime si notano in ogni spazio intercostale secondario 1-2 co- stoline di terz’ ordine; cosicché nel mezzo dalla conchiglia le costole radiali sono disposte secondo le forinole 13231 — 132331 — 133231 — 1332331. Verso la parte anteriore man- cano le costoline di second’ ordine e le costole sono disposte secondo le forinole 133331 — 13331 — 1331. Delle finissime linee e dei cercini concentrici intersecano le costole radiali, Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. (1) BoHM J. — Ucber die oberi riadischen Fauna der Bàreninsel. Kungl. Svenska Vetenskaps-Akademiens Handlingar, Bandet 37, N. 3, pag. 27, Tav. 2, fig. 10-13. (2) BITTNER — Versleinerungen aus den T riasbl-agerungen des Sud- Ussuri-Gebietes in der Oslsibiri- schen Kiistenprovinz, pag. io, Tav. Il, fig. 11-12. La fauna del Trias superiore del gruppo di M.te Judica 3 Gen. GERVILLIA BRUG. 1. Gervillia (Angustella) angusta Muenst. Tav. I (IV), fig. 1-8. 1838. Geremia angusta Muenster in Goldfuss. — Petrefacta Gemmarne, II, p. 122, Tav. 1 15, fìg. 6. 1841. „ „ Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 79, Tav. VII, fìg. 23. 1889. „ „ Wohrmann — Die Fauna der sogenannten Cardita-und Rai- bler-Schichten , pag. 208, Tav. VII, fìg. 19. 1895. „ „ Bittner — Lamellibr aneli iaten von Si Cassimi p. 85, Tav. IX, fìg. 7 - 10, 12, 16, 18. 1901. „ „ Bittner — Lamellibr anelli aten aus der Trias des Bakon- yer Waldes pag. 32, Tav. IV, fìg. 18. 1909. „ „ Wilckens — Palàont. Untersch. triad. Paunen von Pre- dasso, pag. 123, Tav. VII, fìg. 7, 8. Di questa distinta specie ho trovato parecchie valve destre e sinistre di diverse di- mensioni nei calcari oolitici di Gammaniura. La conchiglia è fortemente inequilaterale, stretta, rigonfia, molto allungata all’ indietro a forma di sciabola. Margine cardinale lungo, diritto; margine anteriore leggermente curvato, ovvero quasi diritto; margine inferiore leggermente curvato come il taglio di una sciabola e subparallelo al margine superiore ; margine po- steriore bruscamente ricurvo. Apici piccoli, ricurvi, molto anteriori o terminali. Orecchietta anteriore piccola, arroton- data, con un intaglio per il passaggio del bisso ; orecchietta posteriore subtriangolare, stretta, lunga fino a un terzo o più della lunghezza totale della conchiglia e terminante all’ indietro in un angolo ottuso. Sulla superfìcie delle conchiglie, ricoperte da tenaci incrostazioni, non si possono scor- gere le linee di accrescimento; però in alcuni esemplari si nota una depressione più o meno marcata, che partendo dalla prossimità degli apici si prolunga verso il margine inferiore: talvolta questa depressione segue il margine inferiore per un buon tratto della lunghezza della conchiglia, svanendo leggermente all’ indietro. L’esemplare rappresentato dalla fìg. 1, per le sue dimensioni e per il margine ante- riore diritto e tagliente, si avvicina alla var. major Bittn. di Misurina e della Seelandalp. Loc. Gammaniura. Colles . Istit. geol. Univ. Catania. 2. Gervillia (Angustella) angusta Muenst., nov. var. incurva. Tav. I (IV), fìg. 9. Una valva sinistra di piccole dimensioni : lunga 8 min, alta 3 min. Conchiglia molto inequilaterale, rigonfia, allungata e rapidamente ristretta all’ indietro, con 1’ estremità posteriore appuntita e rivolta in alto verso il prolungamento del margine cardinale, ciò che dà a questa forma il suo aspetto caratteristico. Margine cardinale lungo 4 S. Scali a [Memoria Vili.] quanto un terzo della lunghezza totale della conchiglia, margine infero-anteriore arroton- dato ; margine inferiore leggermente incurvato ali’ indietro e in alto verso il prolungamento del margine cardinale. L unico esemplare fin’ ora trovato è rotto verso la regione apicale per cui non si co- noscono i caratteri degli apici e dell’ orecchietta anteriore. Orecchietta posteriore stretta, lunga poco più di un terzo della lunghezza totale della conchiglia, dal cui corpo è distinta mediante un solco abbastanza pronunziato. Sulla superfìcie incrostata non si scorgono tracce di linee di accrescimento. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. PERNA BRUG. 1. Perna carinata n. f. Tav. I (IV), fig. ii. Una valva sinistra di piccole dimensioni alta 1 , 5 nini, larga 6 mrn., inequilaterale, subrettangolare, auriculata, depressa, con una forte carena anteriore che si diparte dall’ a- pice e svanisce rapidamente verso il margine infero-anteriore. Margine cardinale lungo, diritto ; margine posteriore leggermente sinuoso, subperpen- dicolare al margine cardinale e al margine inferiore che è leggermente incurvato ; margine anteriore sinuoso. Apice piccolo, ricurvo, terminale. Orecchietta anteriore rudimentale, orec- chietta posteriore grande, larga, indistinta dal resto della conchiglia. Sull’ area cardinale, abbastanza larga e fortemente incrostata, non si scorgono chiara- mente le fossette verticali del ligamento. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. LIMA BRUG. 1. Lima (Plagiostoma) aff. subpunctata d’ Orb. Tav. I (IV), fig. 13. 1841. 1845. 1850. 1889. 1895. 1895. 1901. Lima pmictata Muenster — Beitràge sur Petrefaktenkuncle , IV, pag. 73, Tav. VI, fìg. 29. „ „ (?) Klipstein — Beitràge sur geologischen Kentniss der óstlischen Alpen, pag. 248, Tav. XVI, fìg. 6. „ subpunctata d’ Orbigny — Prodrome, I, pag. 200. „ „ Parona — Fauna raibliana di Lombardia , pag. 81, Tav. IV, fìg. 3, 4. „ „ Salomon — Geol. und palaeont. Studien uber die Mar- molata, pag. 143, Tav. IV, fìg. 9, 15. „ „ Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian, pag. 170, Tav. XXI, fìg. 19, 20. „ ex aff. subpunctatae Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Ba- konyer-Waldes pag. 98, Tav. Vili, fìg. 19. Una valva sinistra obliqua, semi ovalare, discretamente rigonfia, con la superficie or- La fauna del Trias superiore del gruppo di M.re Judica ò nata da finissime strie radiali, appena visibili verso il mezzo, più marcate verso i lati anteriore e posteriore. Delle finissime linee di accrescimento, intersecano di tratto in tratto le lievi e larghe costelle interposte tra le strie radiali, le quali si presentano scolpite da una fine punteggiatura, ben visibile con una lente di ingrandimento. I caratteri delle orecchiette, degli apici e dell’ area cardinale non sono ben visibili, dato il cattivo stato di conservazione di questo esemplare, che per la forma generale, per il discreto rigonfiamento e per i caratteri sculturali si avvicina molto alla L. subpunclata d’ Orb. Tuttavia il nostro esemplare si differenzia dalla forma di San Cassiano per le di- mensioni alquanto maggiori e per avere le costelle radiali più larghe e più piane. Loc. Serro Sello. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Lima (Plagiostoma) Scaramillensis n. f. Tav. I (IV), fig. 12. Ho distinto con questo nome una valva destra sottile, obliquamente ovale, rigonfia, posteriormente subcarenata, col margine cardinale formante un angolo molto ottuso in corri- spondenza dell’apice, col margine infero-anteriore semicircolare e il margine posteriore dol- cemente curvato verso l’estremità dell’orecchietta. Orecchietta anteriore larga, piana, distinta dal corpo della conchiglia mediante una depressione largamente aperta verso il margine. Orecchietta posteriore depressa, più grande dell’anteriore, separata dal resto della conchi- glia mediante una forte escavazione prodotta dal rapido abbassarsi del corpo posteriore della conchiglia. L’ unico esemplare fin’ ora trovato, si presenta rotto verso la regione apicale e perciò non si conoscono i caratteri dell’ apice, che, data la gonfiezza della conchiglia, pare do- vesse essere molto prominente ed acuto. La superficie della conchiglia è ornata da finissime strie radiali, più fitte e più mar- cate nelle regioni anteriore e posteriore ; tali strie si osservano anche sulle due orecchiette e sono specialmente ben visibili su quella anteriore. Sull’orecchietta posteriore si notano anche delle fifie e strette linee di accrescimento che sul resto della conchiglia sono quasi indistinte. Le strie radiali più o meno serrate, determinano delle costole, larghe e piane verso il mezzo della conchiglia e più strette e superiormente arrotondate nella regione posteriore, e specialmente in quella anteriore, dove le strie radiali sono più serrate, più larghe e più profonde e si presentano scolpite la finissime strie trasversali, molto serrate. Questa forma si distingue dalle altre affini, per essere assai rigonfia e subcarenata posteriormente, e per la caratteristica scultura della sua superficie. Loc. Serro Sello. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 3. Lima (Limea) Judicana n. f. Tav. I (IV), fig. i4. Una piccola valva destra in ottimo stato di conservazione. Conchiglia sottile, obliquamente ovale-arrotondata, discretamente rigonfia, alta 10 mm. 6 S. Scalici [Memoria Vili.] larga 12 mm., spessa 2,5 min. Margine cardinale breve, quasi diritto, formante un an- golo ottuso in corrispondenza dell’apice; margine infero-anteriore arrotondato; margine infero-posteriore semi-ovalare ; margine posteriore diritto. L’apice è robusto, ricurvo, situato circa al terzo anteriore della conchiglia e quasi nel mezzo delle due estremità auriculari. Le orecchiette sono ben distinte, depresse, quasi uguali ; 1’ anteriore appena più piccola della posteriore. La superfìcie della conchiglia è ornata da 20-22 costole radiali, discretamente elevate, ottuse, più strette e più depresse nelle regioni anteriore e posteriore, dove svaniscono poco prima di raggiungere le orecchiette, lasciando due piccole aree, ornate da sottilissime strie di accrescimento che sono ben distinte sulle due orecchiette, e specialmente su quella po- steriore, mentre sul corpo della conchiglia sono poco visibili, anche osservando con la lente a luce riflessa. Osservando in tal modo il fondo dei solchi angolosi che separano le costole radiali, vi si osservano delle finissime costoline secondarie che si dipartono dal margine e svani- scono verso il terzo o verso la metà della conchiglia. Questa forma presenta delle affinità con la Lima alternans Bittn. di San Cassiano (1) e con la Lima [non Myophoria (?) ] sp. nov. ind. Salomon, della Marmolata (2). La specie di San Cassiano è però alquanto più obliqua e meno arrotondata anterior- mente; inoltre le costole che ornano la superficie alternano grandi e piccole e sono assai più acute di quelle della nostra forma, che sono tutte dello stesso ordine. Mancano poi nella L. alternans le sottili costoline che occupano fino a una certa altezza il fondo dei solchi intercostali. La forma della Marmolata, che Salomon aveva riferito dubbiosamente al genere Myo- phoria, pur sospettando la sua appartenenza al genere Lima, (come si rileva dalla spie- gazione della fig. 48 della Tav. V), differisce dal nostro esemplare per essere meno obliqua, meno arrotondata anteriormente, e per il minor numero delle costole (14-15), che a giudicare dalla figura, pare abbiano gii stessi caratteri di quelle della forma siciliana. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. MYSIDIOPTERA SALOMON. 1. Mysidioptera Wòhrmanni Sal. Tav. I (IV), fig. 15. 1895. Mysidioptera Wòhrmanni Salomon — Geol. n. palaeont. Studiai db. die Mar- molata, pag. 157, Tav. V. fig. 15. 1895. ,, „ Bittner — Lam eli ibr anelli aten von S. Cassia n, pag. 178, Tav. XVIII, fig. 7-10. 1903. „ „ Broiij — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, I, pag. 179, Tav. XX, fig. 12, 12 a. (1) BITTNER — Lamellibranchialeti von SI. Cassian, pag. 175, Tav. XXII, fig. t, 2. (2) SALOMON — Geol. u. palaeontol. sludien il. die Marmolata ), pag. 166, Tav, V, fig. 48. La fauna del Trias superiore del gruppo di M.te .ìndica 7 1908. Mysidioptera Wohrmanni Galdieri — Sul Trias dei dintorni di Giffoni, p. 85, Tav. II, fìg. 17. 1909. „ „ Scalia — Il gruppo del M.te Judicci, pag. 295, Tav. IX, fìg- 12. Una valva destra sottile, inequilaterale, discretamente convessa, alta 19 mm., larga 20 mm., spessa 6 mm. Margine cardinale breve, diritto; margine anteriore un po’ concavo presso l’apice, indi convesso; margine infero-posteriore quasi circolare. Apici anteriori, prosogiri. Superfìcie liscia, percorsa da sottilissime strie concentriche e raggiate. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Mysidioptera laevigata Bittn. Tav. I (IV), fig. 16. 1895. Mysidioptera ornata Sal., var. I (levigata Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassimi, pag. 186, Tav. XXI, fìg. 12. Una valva destra abbastanza ben conservata, piuttosto depressa, inequilaterale, alta 21 mm. , larga 19 mm. , spessa 5 mm. Margine cardinale breve, diritto; margine ante- riore leggermente sinuoso in corrispondenza del contorno lunulare, indi diritto; margine infero-posteriore leggermente ovale. Apice robusto, appuntito, ricurvo. La superficie del nostro esemplare, in vari punti ben conservata, mostra solo delle sottili strie concentriche di accrescimento, senza alcuna traccia di scultura radiale. In con- fronto della Mys. Wohrmanni Sal., questa forma è più depressa ed ha il margine ante- riore più lungo e quello infero-anteriore meno arrotondato, quindi la conchiglia è un po’ più obliqua. Questa forma, che Bittner aveva riferito nel testo ad una varietà della Mys. ornata Sal., e che nella spiegazione della figura distinse come una specie nuova, si distingue dalla specie del Salomon, con la quale è molto affine, per la mancanza della scultura ra- diale, che è il carattere specifico più importante della forma della Marmolata. Loc. Paraspora. Collez. Istit. geol. Univ. Catania. 3. Mysidioptera ornata Sal., var. lombardica Bittn. Tav. I (IV), fig. 17. 1895. Mysidioptera ornata Salomon — Geol. u. palaeont. Studien ii. die Marmolata , pag. 117, Tav. V, fìg. 18-20. 1895. „ „ Sal. var. lombardica Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassimi, pag. 185, Tav. XXI, fìg. 13, 14, 14 a. Conchiglia sottile, suborbicolare, discretamente convessa, alta 20 mm., larga 20 mm., spessa 5 mm. Questa forma per il suo contorno quasi circolare si avvicina anche alla Mys • Wòhrmanni Sal., della quale è tuttavia più arrotondata e un po’ meno convessa. La sua superficie è ornata da sottili linee concentriche di accrescimento, molto serrate e 8 S. Scalia [Memoria Vili] ben visibili anche ad occhio nudo, inframmezzate di tratto in tratto da altre un po’ più rilevate, che dividono la superfìcie in zone concentriche. Anche in questa forma, come in quella dei calcari di Esino, descritta dal Bittner, manca la fine scultura radiale che con- tradistingue gli esemplari della Mys. ornata Sal. dei calcari della Marmolata. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Mysidioptera incurvostriata (Gììmb.) YVòhrm. sp. 1889. Lima incurvostriata Wohrmann — Die Fauna der sog. Cardita - u. Raibler- Schichten, pag. 202, Tav. VI, fig. 10, 11. 1889. „ Bassanicina Parona — Studio monografico della fauna raibliana di Lombardia , pag. 82, Tav. IV, fig. 1 a, b. 1890. „ sp. Tommasi — Fauna raibliana del Friuli, pag. 16, Tav. I, fig. 4. 1892. „ incurvostriata Wohrmann u. Koken — Die Fauna der Raibler Schichten von Schlernplateau , Z. d. D. g. G. pag. 172. 1895. Mysidioptera „ Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassimi, p. 191, Tav. XXII, fig. 11, 12. 1901. „ „ Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Ba- konyer Waldes, pag. 64, Tav. II, fig. 9, 12. Diversi frammenti ben riconoscibili per le costole radiali ben distinte , superiormente più o meno arrotondate o pianeggianti, qualche volta dicotome, separate da solchi quasi uguali nelle regioni anteriore e posteriore, e più stretti nella parte mediana, dove le costole sono più larghe e pianeggianti. Delle finissime linee concentriche di accrescimento intersecano le costole radiali e si mostrano un po’ più rilevate in fondo ai solchi intercostali che si presentano finemente scolpiti da sottilissimi tratti trasversali molto serrati. Negli esemplari adulti presso i margini anteriore e posteriore si notano delle grosse pieghe concentriche irregolari. 5. Mysidioptera areolata n. f. Tav. I (IV), fig. 1 8 . Ho distinto con questo nome una valva destra di piccole dimensioni, alta 14 mm., larga 15 mm., spessa 3 mm., sottile, discretamente rigonfia, inequilaterale, a contorno irregolarmente ovale-arrotondato. Il margine anteriore è breve, sinuoso; il margine infero- anteriore ovale, e quello infero-posteriore arrotondato fin presso all’apice, che è robusto, elevato, ricurvo. La superfìcie della conchiglia è ornata da sottili costoline radiali superiormente arro- tondate, e da sottilissime linee concentriche che incontrandosi con le prime, rendono i sol- chi intercostali finemente areolati. Delle linee di accrescimento un po’ rilevate dividono la superficie della conchiglia in zone concentriche quasi uguali. La fine ed elegante scultura areolata di questa forma, ricorda quella della Lima sub- 9 La fauna del Trias superiore del gruppo di MP Judica punctata , d’ Orb., della L. areolaris Bittn. (I), della Mysidioptera ambigua Bittn. (2) e della Mys. (?) obscura Bittn. (3) di San Cassiano, della Mys. Salomonis, Tomm. sp. (4) della Valbrembana, nonché della Mys. Locskoi Bittn. (5), della Selva Baconica ; ma da tutte queste specie il nostro esemplare differisce per la forma generale della conchiglia, per le dimensioni diverse e per la regolarità della fine scultura areolata. Loc. Castellace. . Colles. Istit. geol. Univ. Palermo. 6. Mysidioptera subunciiiata n. f. Tav. I (IV), fig. 19. Questa forma appartiene al gruppo della Mys. aviculaeformis Broili (ó), della Seiser Alp. La conchiglia è depressa, inequilaterale, subovale, aviculiforme, alta 14 mm., larga 28 mm. Margine superiore lungo, diritto; margine anteriore sinuoso presso la regione api- cale, quindi leggermente arrotondato ali’ indietro; margine infero-posteriore ovale. La regione apicale, molto sviluppata, elevata e ricurva, benché un po’ rotta all’estre- mità, caratterizza assai bene questa forma, la cui superficie, in parte erosa ed in parte fortemente incrostata, non lascia scorgere alcuna traccia di ornamentazione. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. PECTEN KLEIN. 1. Pecten Cislonensis Polifka. Tav. I (IV), fig. 20-24. 1886. Pecten Cislonensis Polifka — Beitrag sur Kenntniss der Fauna des Schlern- dolomits. Jahrb. d. K.K. geol. Reichs., Bd. XXXVI, pag. 603, Tav. Vili, fig. 10, 11. 1909. „ „ Wilckens — Palaeont. Untersch. triad. Faunen von Pre- dasso, pag. 61, Tav. VI, fig. 10. L’esemplare più completo, rappresentato dalla fig. 21, è alto 30 mm. e largo 28 mm., discretamente convesso, con l’ angolo apicale un po’ acuto. Essendo tutti gli esemplari in- completi non vi si possono osservare i caratteri delle orecchiette. La superficie è ornata da costole radiali di ordine diverso ; tra quelle del primo e del (1) BITTNER - Lamellibranchiaten von St. Cassian, pag. 172, Tav. XXII, fig. 7. (2) Idem — Op. cit., pag. 182, Tav. XX. fig. 14, (3) Idem — Op. cit., pag. 199, Tav. XXII, fig. 13. (4) TOMMASI — La fauna del calcare conchigliare ( Muschelkalk) di Lombardia, pag. 115, Tav. Il, fig. 7 a, b. — Pavia 1893. BITTNER — Op. cit ., pag. 179, Tav. XX, fig. 2 (ingr.). (5) BITTNER — Lamellibranchiaten aus der Trias des Bakonyer ÌValdes, pag. 66, Tav. Ili, fig. n (ingr.). (6) BROILI — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp., pag. 185 Tav. XXII fig. 5. ATTI ACC. SERIE V, VOI.. V, Meni. Vili. 2 10 S. Scalfa [Memoria Vili.] second’ ordine, che si alternano regolarmente su tutta la superfìcie della conchiglia, se ne trovano intercalate delle altre più fine e meno elevate, che dipartendosi dal margine sva- niscono a diverse altezze. Tutte queste costole, all’ incontro delle linee concentriche di accrescimento si mostrano sottilmente embricate e finemente granulose, e più strettamente quelle del secondo e del terz’ ordine. Tale scultura finemente granulato-embricata dà alla superfìcie della conchiglia un aspetto graticciato assai caratteristico. Questa forma appartiene al gruppo del Pecten siiballernans d’ Orb. e del P. aspe- rulatus Bittn. (1), ma differisce da entrambi per le dimensioni maggiori, per la minore convessità e per il numero e la diversa disposizione delle costole radiali, mancando nelle due specie di San Cassiano le costoline di terz’ ordine. In oltre, avendo le costole più strette, più serrate e meno elevate, la sua superficie si presenta più finemente ornata di quella del P. subalternans d’ Orb., e meno aspra di 9 quella del P. asper Hiatus Bittn. Per il contorno generale della conchiglia, per la discreta convessità e per il numero e la disposizione delle costole radiali si avvicina anche al P. steiiodyctiiis Sal. (2), della Marmolata e al P. Arthaberi Waag. (3), dei tuli a Pachycardia della Seiser Alm ; però differisce specificamente da entrambi pei- avere le costole finemente granulose, mentre le specie illustrate da Salomon e da Waagen presentano le cestole liscie. Loc. Gammaniura. C 'olles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Pecten Bittneri n. f. Tav. I (IV), fig. 25-30. Ho distinto con questo nome alcune valve sinistre di diverse dimensioni, più alte che larghe, di forma trigono-suborbicolare, discretamente convesse. Dimensioni : I II IH IV V VI Altezza 26 mm. 19 mm 18 mm. 12 mm. 28 mm. 30 mm Larghezza ? • » 17 „ 15 „ 10 „ 24 „ 28 „ Spessore 7 „ 4 » 3 » 3 „ 6 „ 6 „ L’orecchietta anteriore, più larga della posteriore, ed escavata nel mezzo, è nettamente separata dal corpo della conchiglia mediante un solco largamente aperto verso il margine anteriore che si presenta sinuoso al disotto dell’ orecchietta. L’orecchietta posteriore è pic- cola, piana, di forma triangolare, aneli’ essa distinta dal resto della conchiglia mediante un solco leggiero, quasi rettilineo. L’ angolo apicale è discretamente acuto. La superfìcie della conchiglia è ornata da 9-10 costole radiali di prim’ ordine che si dipartono dalla prossimità dell’ apice; fra queste se ne intercalano delle altre di secondo ordine, regolarmente alternanti, le quali si dipartono da 4-6 min. dall’apice. Negli esem- (1) BITTNER — Lamellibranchiaten von SI. Cassimi, pag. 156, Tav. XVIII. fig. 26. (2) SALOMON — Geolog. u. palaeont. Studiati il. die Mai molata, p. m, Tav. IV, fig. 30-33. (3) WAAGEN — Lamellibranchiaten dar Pachycardientnffe de) ■ Seiser Alm, pag. 105, Tav. XXXIV, fig. 28 a, b. La fauna del Trias superiore del gruppo di M.le Pudica IL piati di maggiori dimensioni, delle costoline di terz’ ordine, intercalate fra quelle di primo e second’ ordine, si dipartono dal margine e raggiungono quasi la metà o il terzo inferiore della conchiglia. Delle linee concentriche di accrescimento, che divengono pieghiformi presso il margine degli esemplari adulti, intersecano le costole radiali che per tal modo sono rese granulose. Alcune di queste valve, specialmente quelle di maggiori dimensioni rappresentate dalle fìg. 29 e 30, sono ricoperte da tenaci incrostazioni che lasciano appena intravedere l’orna- mentazione della superficie. Questa forma, benché affine alle altre del gruppo del Pecten subalter nans d’ Orb., se ne distingue facilmente per la forma generale, per la convessità della conchiglia, per 1’ ornamentazione della sua superficie e per lo sviluppo ed i caratteri dell’orecchietta an- teriore. Loc. Gammaniura. Golles. Istit. geol. Univ. Catania. 3. Pecten Josephi n. f. Tav. I (IV), fig. 3i. Ho distinto con questo nome una valva destra alta 23 mm., larga 20 mm., depressa,' obliqua, di forma trigono-suborbicolare, inequilaterale. Orecchietta posteriore piccola, triangolare, depressa, separata dal corpo della conchi- glia mediante una depressione rettilinea che si prolunga fino quasi alla metà del margine posteriore. L’orecchietta anteriore si presenta rotta verso l’estremità, ma dal suo anda- mento si comprende che doveva essere abbastanza sviluppata e piuttosto stretta. 11 mar- gine anteriore della conchiglia presenta un largo seno al disotto dell’ orecchietta anteriore. La superficie della conchiglia si presenta ornata da sottili costole radiali, serrate, se- parate da solchi quasi uguali, e da larghi cercini concentrici irregolari, più sviluppati verso la parte mediana ed evanescenti verso le regioni anteriore e posteriore. Tutta la superficie è ricoperta da tenaci incrostazioni che non lasciano scorgere trac- cia di linee di accrescimento. Questa forma per l’ornamentazione della sua superficie, presenta qualche affinità con il Pecten transdanubialis Bittn. (1) di Jeruzsàlemhegy, dal quale tuttavia differisce per avere le costoline radiali alquanto più grosse e rilevate, e sopratutto per la forma generale della conchiglia che nella specie della Selva Baconica è più orbicolare e meno obliqua. In oltre nella forma siciliana il seno dell’ orecchietta anteriore è largamente aperto, mentre nella specie descritta da Bittner è stretto e profondamente intagliato. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Pecten asperulatus Bittn. Tav. I (IV), fig. 32-35. 1895. Pecten asperulatus Bittner — Lamellibranchiaten vou SI. Lassimi, pag. 156, Tav. XVIII, fig. 26. (1) BITTNER — Lamellibranchiaten ans der 'trias des Bakonyer-waldes, pag. 42. Tav. V, fig‘ 18. 12 S. Scalia [Memoria Vili.] Di questa caratteristica specie di San Cassiano ho trovato tre valve sinistre quasi complete, ed una più piccola con la regione apicale rotta. L’esemplare rappresentato dalla fig. 32, ottimamente conservato, è alto 15 inni, e largo circa 13, con le orecchiette ineguali, l’anteriore più larga e più alta della posteriore, en- trambe nettamente distinte dal corpo della conchiglia mediante solchi netti. Tutti gli esemplari presentano la superficie ornata da costole radiali di primo e di second’ ordine, regolarmente alternanti e fittamente asperulate all’ incontro con le linee con- centriche di accrescimento; però le tenaci incrostazioni che li ricoprono più o meno, danno alla loro superficie un aspetto subgranuloso, dipendente dal fatto che le incrostazioni hanno ingrossato, arrotondandole, le asperità delle costole. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 5. Pecten aff. trettensis Torno. Tav. 1 (IV), fig. 36. 1899. Pecten trettensis Tornquist ■ — Neue Beitrcige sur Geologie and Palàontologie der Uvngebung von Recoaro and Schio (ini Vi- centini, pag. 364, Tav. XX, fig. 7-8. Ho paragonato con questa specie del Vicentino una valva abbastanza mal conservata, ma che tuttavia lascia scorgere sopra un buon tratto della sua superficie una ornamenta- zione che corrisponde a quella del P. trettensis del Tornquist. Il nostro esemplare, che è un po’ più stretto dell’esemplare di San Rocco, illustrato dal Tonrquist nella fig. 8, presenta alla sua superficie undici costole radiali di prim’ ordine, regolarmente alternanti con le costoline più fine e meno elevate del second’ ordine. Tra queste si scorge qua e là qualche costolina di terz' ordine. Tutte le costole radiali sono abbastanza strette e si presentano finemente dentate allo incontro con le linee concentriche di accrescimento, che sono piuttosto serrate. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 6. Pecten cfr. auristriatus Muenst. Tav. I (IV), fig. 38, 1841. Pecten auristriatus Muenster — Beitràge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 73, Tav. VI, fig. 35. 1895. „ cfr. auristriatus Bittner -- Laniellibrancìiiatcn von S. Cassimi , pag. 165 Tav. XIX, fig. 23-26. 1903. „ „ „ Broili — Fauna de Pachycardientuffe der Seiser Alp, I, pag. 173, Tav. XIX, fig. 22. Ho confrontato con questa specie lo strato interno di una valva destra, che per la sua forma generale, per lo sviluppo dell’ orecchietta anteriore, sulla quale si scorgono net- tamente le impronte delle costole raggianti dall’ apice, e per le impronte dell’ornamenta- zione della sua superficie, costituita da sottili costole radiali irregolari, e da linee e cercini 13 La fauna del Trias superiore del gruppo di M.te Judica concentrici, corrisponde alla descrizione ed alle figure date dal Bittner per le forme del Pecten cfr. auristriatus Muenst. della Seelandalpe, di Misurimi e di San Cassiano. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 7. Pecten sp. ind. Tav. I (IV), fig. 39-40. Due strati interni di due valve incomplete, che per la loro forma e per le impronte della loro ornamentazione si differenziano dagli altri Pecten triassici fin’ ora noti. La superficie è ornata da 9 costole radiali di prim’ ordine, regolarmente alternanti con quelle più fine di second’ ordine, e fra queste e le prime sono intercalate delle altre costo- line di terz’ ordine, ancora più fine e meno elevate, che dipartendosi dal margine svaniscono verso il terzo superiore della conchiglia. Delle sottili linee concentriche di accrescimento, molto fine e serrate, intersecano le costole radiali che si mostrano iiscie lungo tutto il loro percorso. Questa ornamentazione ricorda un po’ quella del Pecten trettensis Tornq. ; ma la forma generale della conchiglia è molto diversa, essendo meno acuta e molto più ine- quilaterale. 11 materiale fin’ ora raccolto non mi permette di stabilire altri confronti, nè di determi- nare meglio questa forma che per i suoi caratteri specifici io ritengo nuova. 8. Pecten (?) cfr. margaritiferus Bittn. Tav. I (IV), fig. 44. 1901. Pecten margaritiferus Bittner — Lamellibr anelli eden aus der Trias des Bakonyer-'waldes , pag. 34, Tav. VI, fig. 11. Un piccolo frammento di una valva di discrete dimensioni, molto compressa, fine- mente ornata da costole piuttosto strette, regolarmente alternanti, ed elegantemente ornata da tubercoli tondeggianti, molto distinti. Tale ornamentazione della superficie è molto so- migliante a quella del P. margaritiferus di Jeruzsàlemhegy illustrato dal Bittner, ma il nostro frammento è troppo incompleto per permettere una sicura determinazione , tanto generica che specifica. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 9. Pecten sp. ind. aff. octoplicatus Bittn. Tav. I (IV), fig. 45. 1895. Pecten octoplicatus Bittner -- Lamellibr anelli aten von St. Cassia n, pag. 162, Tav. XIX, fig. 19. Una piccola valva discretamente convessa, rotta verso la regione apicale e con la su- perficie alquanto erosa, ornata da otto costole radiali quasi uguali. Osservando con la lente la superfìcie, si scorgono qua e là tracce di sottili linee concentriche di accrescimento 14 S. Scalici [Memoria Vili.] V molto serrate, come quelle che si osservano nel P. octoplicatus di San Cassiano, illu- strato dal Bittner, il quale ha presso a poco le stesse dimensioni del nostro esemplare che, dato il suo cattivo stato di conservazione, non può essere meglio identificato. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 10. Pecten Aquaenovae n. f. Tav. I (IV), fig. 46, 47. Ho distinto con questo nome due piccole valve destre molto convesse , janiriformi, ornate da cinque costole radiali acute ed elevate, separate da larghi solchi intercostali, nel mezzo di ciascuno dei quali si trovano delle costoline di second’ ordine che si iniziano a 3-4 mm. dall’ apice e vanno elevandosi verso il margine della conchiglia. Queste due valve sono molto incomplete, per cui non si conoscono i caratteri delle orecchiette di questa nuova forma. Solo nell’ esemplare più grande si scorge appena la parte iniziale dell’orecchietta posteriore, distinta dal corpo della conchiglia mediante un solco stretto. Sulla superfìcie, molto erosa, osservando con la lente si scorgono qua e là tracce di sottili linee concentriche di accrescimento, molto serrate. Questa forma per la convessità della valva destra è affine al Pecten Sandbergeri Klipst. (1) e al P. janirula Bittn. (2), però differisce da entrambi per essere più stretta, più alta e più convessa. Per 1’ ornamentazione si avvicina molto al P. Sandbergeri , le cui costole radiali di prim’ ordine, in numero di sei, alternano regolarmente con quelle di second’ ordine , mentre nel P. janirula tra una costola e l’altra di prim’ ordine si trova per lo più una coppia di costoline di second’ ordine. Dato il cattivo stato di conservazione dei nostri esemplari , non mi è possibile per ora stabilire altri rapporti con le specie affini, nè di dare altri caratteri specifici di questa nuova forma che appartiene sicuramente al gruppo del P. Sandbergeri Klipst., di San Cassiano. Loc. Acquanova. Colle. 3. Istit. geol. Univ. Catania. 11. Pecten Schopeni n. f. Tav. 1 (IV), fìg. 48-51. Conchiglia ovale-subtrigona, più alta che larga, inequilaterale. Dimensioni : I 11 ili IV Altezza 21 mm. 20 mm. 9 mm. 8, 5 mm. Larghezza 18 „ 17 7 „ 6, 5 „ Di questa forma ho trovato fino ad ora solo quattro valve destre abbastanza ben conservate. Esse- sono poco convesse, quasi piane nel mezzo e nella regione apicale. Alar- li) KLIPSTEIN — Beitrage zur geologischen Kentniss der ostlisChen Alpen, p. 251, Tav. XVI, fig. BITTNER — Lamellibranchiaten voti SI. Cassia u, pag. 157, Tav. XVII I , fig. 31, 32. (2) BITTNER — Op. rii. pag. 160, Tav. XIX, fig. 17, 18. 12. La fauna del Trias superiore del gruppo di M."‘ Ju dica 15 gine cardinale lungo, diritto ; angolo apicale acuto. Orecchietta posteriore piccola, triango- lare, piana, nettamente distinta dal corpo della conchiglia; orecchietta anteriore sviluppata, pianeggiante, distinta dal resto della conchiglia mediante un solco largamente aperto verso il margine anteriore che mostra un seno profondamente intagliato al disotto dell’orecchietta. La superfìcie delle valve si presenta liscia e ricoperta da tenaci incrostazioni ; solo nella valva di maggiori dimensioni, presso il margine infero-posteriore della conchiglia si nota un rapido abbassamento semicircolare che lascia come una banda più depressa presso il margine. Questa forma per la sua inequilateralità, per la sua forte depressione, per lo sviluppo dell’ orecchietta anteriore e per il lungo margine cardinale, si distingue dagli altri Pecten triassici a superficie liscia dei depositi equivalenti. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 12. Pecten uff. praemissus Bittn. Tav. ! (IV), fig. 52. 1901. Pecten praemissus Bittner — Lamellibr anelli al en ans der Trias des Bako- nyer-waldes, pag. 38, Tav. V, fig. 12-14. Una valva incompleta che per la sua forma suborbicolare, per la discreta convessità, per l’angolo apicale e per la superfìcie liscia, si avvicina molto alla forma della Selva Baconrea illustrata dal Bittner. Il cattivo stato di conservazione non permette di identificare meglio questa forma. Loc. Gammaniura. Colle, 3. Istit. geol. Univ. Catania. 13. Pecten discites Schloth sp. Tav. 1 (IV), fig. 53. 1838. Pecten discites Hehl. in Goldfuss — Petrefacta Gerrnaniae II, p. 73, Tav. 98, fig- 10. 1856. „ Giebel — Die Versi einerungen im Muschelkalk von Lieskau bei Halle — Separatabdruck aus I Bd. der Ab- handl. des Naturwissenschft. Vereins fur die Prov. Sachsen u. Thurigen in Halle besonders abgedru- cht, pag. 18, Tav. II, fig. 3 e 8. 1895. „ „ Salomon — Geologi sdì. and palaeontolog. Studien il. die Mar- molata , pag. 109, Tav. IV, fig. 20-26. 1901. „ „ Bittner — Lamellibr aneli iaten aus der Trias des Bakonver- ■waldes, pag. 97, Tav. Vili, fig. 25. Una piccola valva destra, alta 14 min, di forma ovale-subtrigona, quasi equilaterale, poco convessa, con la massima convessità verso il terzo superiore della conchiglia. Mar- gine cardinale retto e abbastanza lungo. Angolo apicale un po’ acuto. Orecchiette piane, 16 S. Scalia [Memoria Vili.] liscie, ben distinte dal corpo principale della conchiglia ; 1’ orecchietta anteriore, un po’ più sviluppata dalla posteriore, si estende quasi fino al terzo superiore della conchiglia. Le leggiere incrostazioni che ricoprono la superficie non lasciano scorgere tracce di linee di accrescimento. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 14. Pecten inflatus n. f. Tav. 1 (IV), fig. 54, 55, 56. Tre valve sinistre più alte che larghe, subovali, inequilaterali , oblique, rigonfie, col massimo della convessità verso il mezzo della conchiglia. Dimensioni : II III Altezza 16 mm. 12 nini. 8 nini Larghezza 13 „ 8, 5 „ 6 „ Spessore 3, 5 „ 2, 5 „ 2 „ Il margine cardinale è lungo, diritto, gli apici robusti e ricurvi, 1’ angolo apicale acuto. Le orecchiette sono disuguali, convesse; quella anteriore, più sviluppata, è distinta dal corpo della conchiglia mediante un solco largamente aperto verso il margine anteriore, che mostra un piccolo seno al disotto dell’ orecchietta. La superfìcie è coperta da tenaci incrostazioni che non lasciano scorgere alcuna -traccia di ornamentazione; del resto questa forma pare debba appartenere al gruppo dei Pecten lisci, e si distingue dalle specie triassiche fin’ ora note per il suo contorno generale e per la sua gonfiezza che è il carattere specifico più spiccato di questa forma. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. TERQUEMIA TATE. 1. Terquemia (?) gibba n. f. Tav. II (V), fig. 1. Una piccola valva destra quasi equilaterale, subovale, sottile, molto gibbosa. Dimensioni : altezza 7, 5 mm., larghezza 5 mm., spessore 5 mm. La parte posteriore della regione apicale, abbassantesi rapidamente verso il margine, mostra la cicatrice di attacco, estesa quasi fino a metà della conchiglia. Il resto della su- perficie è ornata da costoline radiali subeguali, piuttosto strette, liscie, arrotondate supe- riormente, separate da solchi intercostali appena più larghi , spioventi perpendicolarmente al margine della conchiglia. Osservando con la lente e a luce riflessa i solchi intercostali, si scorgono delle sotti- lissime linee concentriche di accrescimento, molto serrate. Questa forma, che ho riferito dubbiosamente al genere Terquemia , è rotta verso l’apice, per cui non si conoscono i caratteri dell’ area cardinale e della fossetta ligamen- La fauna del Trias superiore del gruppo di M."‘ Judica 17 tare. Per la forma stretta e per la forte convessità si avvicina alla T. angustula Bittn. (1) di San Cassiano, la cui superficie libera non mostra traccia della fine ornamentazione che distingue il nostro esemplare. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. PLICATULA LAMK. I. Plicatula imago Bittn. Tav. II (V). fig. 22-23. 1895. Plicatula imago Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian, pag. 213, Tav. XVI li, fig. 23-29. Lo strato interno di una valva destra stretta, linguiforme, molto convessa, quasi carenata nel mezzo, con il lato posteriore ornato da sette costole ineguali , sempre più forti quanto più sono lontane dalla regione apicale, un po’ incurvate' verso il margine infero-anteriore. Il lato anteriore è quasi liscio e vi si scorge appena qualche traccia delle costole radiali. Verso la regione apicale, che è rotta, si nota un piccolo tratto del bordo della cicatrice di attacco. Questo esemplare, anche per il suo stato di conservazione si avvicina molto al nu- cleo interno della Seelandalpe, illustrato dal Bittner (Op. cit. fig. 28). 2. Plicatula fìlifera Bittn. Tav. II (V), fig. 24, 25. 1895. Plicatula fìlifera Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian , pag. 214, Tav, XXII 1, fig. 30-31. Due frammenti di valve destre, convesse, ornate da diverse costole radiali subeguali, alcune delle quali nettamente dicotome. Le tenaci incrostazioni che ne ricoprono la superficie non lasciano scorgere traccia delia fine ornamentazione che presentano gli esemplari della Seelandalpe, illustrati dal Bit- tner (fig. 31 ingr.). Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 3. Plicatula pseudoauriculata n. f. Tav. Il (V). fig. 26. Ho distinto con questo nome una valva destra sottile, poco convessa, a contorno ir- regolare, con una falsa orecchietta anteriore, prodotta da una espansione della conchiglia che si presenta col margine anteriore sinuoso. (1) BITTNER — Lamellibranchiaten von SI. Cassian, pag, 209, Tav. XXIII. fig. io. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. Meni. Vili. 3 18 S. Scalici [Memoria Vili. | Nella regione apicale si osserva la cicatrice di attacco, a contorno irregolare e coi margini rilevati. La superfìcie libera è ornata da larghe costole radiali, irregolarmente on- dulate, arrotondate superiormente, spesso bi- o tripartite, separate da solchi subeguali, leg- germente escavati verso il mezzo e sempre più profondi verso il margine. L’ espansione anteriore, arrotondata anteriormente e leggermente escavata verticalmente, è ornata da sei costoline subparallele, dirette obliquamente in alto, leggermente incurvate, con la convessità rivolta in alto, e terminanti alle loro estremità in tubercoletti poco rilevati. Tutta la superficie della conchiglia è ricoperta da tenaci incrostazioni che non per- mettono di scorgere alcuna traccia di linee di accrescimento. Loc. Gammaniura. Golles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Plicatula sp. ind. Tav. Il (V), fig. 27. Una valva sinistra depressa, leggermente e irregolarmente concava, a contorno irre- golare, ornata da forti costole radiali. Le forti e tenaci incrostazioni che la ricoprono non permettono una più dettagliata descrizione di questa forma, che per il suo contorno gene- rale differisce dalla FI. filifera Bittn. e dalla PI. pseudoauriculata , alle quali però si avvicina per le sue costole radiali, larghe, elevate e oscuramente bipartite. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 5. Plicatula subflabellata ri. f. Tav. Il (V), fig. 29. Una valva sinistra di forma subovale, sottile, depressa, con una profonda doccia subme- diana che si diparte dalla regione apicale e raggiunge quasi il quarto inferiore della con- chiglia. Tutto il corpo della conchiglia si presenta spiegazzato in larghe pieghe radianti da questa doccia, come le piume di un flabello, ed il margine si presenta largamente ondulato. Il cattivo stato di conservazione di questo esemplare, ricoperto da tenaci incrostazioni, non permette una descrizione più dettagliata di questa forma, della quale non si conosce ancora la valva destra. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 5. Plicatula gradata n. f. Tav. Il (V), fig. 3. Un frammento di valva destra, lamellosa, molto sottile, discretamente convessa, mar- cata verso il margine da due larghe depressioni semicircolari in forma di gradini coi mar- gini lamellosi. Sulla superficie si osservano diverse pieghe radiali larghe, depresse, separate da solchi stretti e poco profondi. Il cattivo stato di conservazione di quest’unico esemplare non permette una più det- 19 La fauna del Trias superiore del gruppo di M.le Judica tagliata descrizione; tuttavia ritengo che i caratteri specifici suindicati siano sufficienti a distinguere questa forma, che a prima vista si stacca dalle altre specie triassiche fìn’ora note. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 7. Plicatula Scaramillensis n. f. Tav. II (V), fig. 4. Una valva destra di forma subtrigona, rotta posteriormente, piuttosto depressa, sottile, finemente scagliosa, con la superficie raggrinzita e ornata da pieghe concentriche, special- mente nella regione infero-anteriore dove esse divengono lamellose e sono fortemente e irregolarmente spiegazzate. Sulla regione apicale la cicatrice di attacco è mascherata da tenaci incrostazioni. Loc. Serro Sello. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. ANOMYA LlNN. 1. Anomya (?) flaccida n. f. Tav. il (V), fig. 5. Ho distinto con questo nome una valva sinistra che per la sua forma irregolare, ri- ferisco dubbiosamente al genere Anomya , non avendone potuto osservare i caratteri in- terni per tema di distruggere completamente la conchiglia, data la sua estrema sottigliezza. Conchiglia molto sottile, lamellosa, a contorno subcircolare, irregolarmente convessa e fortemente raggrinzita, presentando verso la regione apicale un rilievo in forma di capezzolo. La superficie è ornata da pieghe concentriche molto irregolari e da lievi costole radiali irregolarmente distribuite. Qualche punto della superficie si mostra leggermente areolato per rincontro delle pieghe concentriche con le costole radiali. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. PLACUNOPSIS A\ORRIS ET LYC. 1. Placunopsis denticostata Laube sp. Tav. I (IV), fig. 57-63. 1866. Hinnites denticoslatus Klipst. in Laube — Fauna von St. Cassian, II, pag. 74, Tav. XX, fìg. 7. 1889. „ „ Parona — Studio monografico della fauna rai- bliana di Lombardia, pag. 85, Tav. V, tìg. 5. 1895. Terquemia ( Placunopsis ) denticostata Bittn e r — Lamellibranchiaten von St. Cassian, pag. 205, Tav. XXIII, tìg. 1. 20 S. Seal in [Memoria Vili.] l9l 1. Terquemia ( Placunopsis ) denticostata Tommasi— I fossili della lumachella tria- sica di Ghegna in Vaisecca presso Ron- cobello, Palaeontographia Italica, voi. XVII, pag. 24, Tav. II, fìg. 21. Conchiglia suborbicolare, irregolare, lamellosa, molto sottile. Valve sinistre libere, ri- gonfie, pianeggianti verso il margine, variamente increspate, ovvero ondulate, con 1’ apice più o meno elevato e sporgente, ornate alla superfìcie da numerose costoline radiali, fles- suose, più o meno serrate, alcune delle quali, più fine, hanno origine a diverse altezze della conchiglia. Delle linee concentriche di accrescimento incontrandosi con le costole radiali le rendono finemente granulose. Il margine cardinale è più o meno ottuso, come nelle forme di San Cassiano, alle quali le nostre forme corrispondono anche per le dimensioni. Alcuni esem- plari presentano la regione apicale diversamente infossata, le costole radiali meno netta- mente granulate verso la regione apicale e dei cercini concentrici, abbastanza grossi e irregolari. La fìg. 63 rappresenta la superfìcie interna di una valva destra, quasi piana, ornata da linee concentriche di accrescimento. La fossetta ligamentare è piccola, trasversale, sub- marginale. Essendo la superficie alquanto incrostata ed in parte erosa, non si scorge bene il contorno dell’impressione muscolare. Loc. Paraspora, Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. ENANTIOSTREON BITTN. 1. Enantiostreon cfr. hungaricum Bittn. Tav. Il, (V) fig. 2. Elianti oestreon hungaricum Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Bakonyer — Waldes , pag. 70, Tav. VI, fig. 20-25. Ho paragonato con questa elegante forma del Trias della Selva Baconica, una piccola valva destra, sottile, lamellosa, subovale, discretamente convessa, con una larga cicatrice di attacco striata concentricamente, la quale occupa più del terzo della superficie totale della conchiglia. La superficie libera è ornata da una trentina di costole radiali, forti, serrate, arroton- date superiormente semplici oppure bi- o tripartite, separate da solchi intercostali stretti e discretamente profondi. Osservando con la lente a luce riflessa tanto le costole che i solchi intercostali, questi si vedono percorsi da sottilissime linee concentriche di accrescimento piuttosto serrate, e più rilevate presso il margine. Delle pieghe concentriche rilevate rendono la superfìcie della conchiglia irregolarmente gradata. Il nostro esemplare è un poco più piccolo di quelli Jeruzsàlemhegy illustrati dal Bittner, misurando 1 1 mm. di altezza e 8 inni, di larghezza. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. La fauna del Trias superiore del gruppo di M.te .Indica 21 Gen. OSTREA LINN. 1. Ostrea montis caprilis Klipst. Tav. Il (V), fìg. 28. 4 » 1843. Ostrea Montis Caprilis? Klipstein — Beitrcige sur geologischen Kenntniss der óstlischen Alpen, pag. 247, Tav. XVI, fìg. 5. 1889. „ {Alectryonia) montis caprilis Wohrmann — Die Fauna der sogenannten Car- dila und Raibler- Scinditeli , pag. 200 (20) Tav. VI, fìg. 1-3. 1901. Ostrea montis caprilis Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Bakonyer Waldes, pag. 74, Tav. VI, fìg. 14-18. Un frammento di valva destra, ben riconoscibile per il suo appiattimento e per le co- stole, acute, dicotome, radianti dall’apice e decorrenti irregolarmente verso il margine. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. GHYPHAEA LAME. 1. Gryphaea cassianelliformis n. f. Tav. Il (V), fìg. 6, 7, .8. Di questa nuova forma ho trovato molte valve sinistre di piccole dimensioni ed un modello interno sul quale si scorge una leggiera impronta dell’ impressione muscolare abbastanza grande, di forma ovale, spostata all’ indietro. Nella fìg. 9, che rappresenta tale modello, non si scorge l’ impressione muscolare che viene nell’ ombra. Gli esemplari figurati hanno le seguenti dimensioni : I II II Altezza 10 mm. 13 mm. 1 1 mm Larghezza H „ 13 „ (?) „ Spessore o, o „ 6 „ 4,5 „ Conchiglia sottile, inequilaterale, arcuata, di forma irregolare che ricorda un po’ quella delle Cassianella , sopratutto per la sua forte convessità. Gli apici sono antimediani, moito rubusti e rilevati, rivolti in avanti o indietro. Lateralmente agli apici si notano due forti depressioni che svaniscono verso il terzo inferiore della conchiglia. La superfìcie della con- chiglia è generalmente ricoperta da tenaci incrostazioni che non lasciano scorgere traccia di ornamentazione o di semplici linee di accrescimento. Questa forma appartiene al gruppo della Gry. Keilani e della Gry. Skuld , dell’Isola degli Orsi (Spitzbergen), illustrate da Bòhm (1), ed è frequentissima nei calcari oolitici di (1) BòHM JOH. — Ueber die obeririadische Fauna der Bareninsel, pag, 1 6, 17, Tav. I, tìg. 35-41. 44-46, 50-52. S. Scalia 22 [Memoria Vili.] Gammaniura, insieme ed altre ostreidi, dalle cui numerose conchiglie risultano quasi com- pletamente formati degli interi banchi calcarei. 2. Gryphaea obliqua n. f. Tav. Il (V), fig. 9-10. Diverse valve sinistre, piccole, rigonfie, obliquamente ovali, incurve, pseudo-auriculate, con gli apici robusti, incurvati all’ indietro e un po’ elevati oltre il margine cardinale, che è leggermente incurvato. Dimensioni : Altezza Larghezza Spessore I 1 1 mm. II 10 mm. Lateralmente agli apici si notano due leggiere depressioni che svaniscono verso la metà della conchiglia, delimitando verso i margini anteriore e posteriore due piccole aree subtriangolari, come due false orecchiette. Anche questa forma appartiene al gruppo delle specie artiche descritte dal Bohm. 3. Gryphaea (?) sp. ind. Tav. Il (V), fig. II. Una valva destra sottile, irregolarmente concava, obliquamente arrotondata, col margi- ne cardinale lungo, quasi diritto. Sulla faccia interna si nota l’impronta. di un largo cercine submarginale e l’impressione muscolare grande, subcentrale, un po’ spostata all’indietro. La superfìcie esterna è ricoperta dalla roccia e non se ne possono osservare i carat- teri ornamentali. 4. Gryphaea (?) plicata n. f. Tav. Il (V), fig. 12-18. Molte valve destre di forme irregolarmente suborbicolari, più o meno convesse, ornate da forti pieghe variciformi, irregolarissime, più o meno -acute o arrotondate, subconcentriche, o anche verticali, a volte incrociantesi ad angolo quasi retto verso il terzo superiore della conchiglia (fig. 14). Valve sinistre più o meno piane, anch’ esse ornate da forti pieghe irregolari. I numerosissimi esemplari di questa forma costituiscono a Gammaniura degli intieri banchi calcarei, però, come gli altri fossili di questi calcari, sono ricoperti tutti da strati più o meno numerosi di tenaci incrostazioni che ne mascherano la superficie. Loc. Gammaniura. Colle, 5. Istit. geol. Univ. Gatania. 5. Gryphaea cannata n. f. Tav. Il iV), fig. 19 a, b. Valva destra inequiiaterale, subcuoriforine, con la parte appuntita rivolta in basso, inegualmente convessa, con la massima convessità nella regione infero-posteriore. La fauna del Trias superiore del gruppo di M.u‘ Judica 23 Dimensioni: Altezza 17 mm., larghezza 12,5 mm,, spessore della regione infero-poste- riore 8,5 mm., spessore della regione anteriore 3 mm. L’apice è robusto, postmediano, fortemente ricurvo, rivolto in avanti. Dall’apice si di- parte una forte carena, obliquamente diretta in avanti verso il margine infero-anteriore. Tale carena raggiunge la sua massima altezza verso il mezzo della conchiglia e presenta il suo lato anteriore molto alto e ripido, mentre quello posteriore, che nella regione apicale è ugualmente ripido e alto, lo è sempre meno, quanto più si avvicina al margine infero- anteriore, poco prima di raggiungere il quale la carena svanisce confondendo il suo lato posteriore con la convessità della conchiglia. Valva sinistra sconosciuta. Nella fìg. 19 « è rappresentato il più cospicuo esemplare di questa forma che, data la elevatezza e la posizione della sua carena ho dovuto fotografare con la regione apicale rivolta in basso, senza però aver potuto raggiungere lo scopo di ottenere una riproduzione esatta della sua superficie esterna, restandone una gran parte nell’ombra proiettata dalla carena. La fìg. 19 b rappresenta lo stesso esemplare visto dall’alto, e da essasi può meglio rilevare la forte convessità della regione posteriore, 1’ elevazione e la robustezza della ca- rena, col suo lato ripido cadente a picco sulla regione anteriore, piuttosto depressa. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 6. Gryphaea faba n. f. Tav. II (V), fig. 2o-2i. Ho distinto con questo nome due valve sinistre, piccole, discretamente convesse, ine- quilaterali, più larghe che alte, trasversalmente ovali, subnuculoidi, con gli apici molto anteriori, discretamente robusti, rivolti all’ indietro. Dimensioni : Altezza Larghezza Spessore I li 12 mm. 9 mm. 16 „ (?) „ 5 „ 3- „ La massima convessità è verso il mezzo anteriore della conchiglia. Il margine infero-anteriore è arrotondato ; quello infero-posteriore ovale; quello supe- riore quasi retto, leggermente sinuoso presso 1’ apice. La superficie, alquanto incrostata, mostra delle leggiere pieghe concentriche di ac- crescimento. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. PLEUROPHORUS KING. 1. Pleurophorus Curionii Hauer sp. Tav. II (V). fìg. 30. 1857. Myocondw Curionii Hauer — Ein Beitrag s. Kenntniss der Fauna der Rat- bler Schi chten, Sitz. d. K. K. Akad. d. Wissen- schaften, Bd. XXIV, pag. 561, Tav. VI, fìg. 7-12. 24 S. Scalia [Memoria Vili.] 1889. Myoconcha Curio ni i Parona — Stud. monogr. d. fauna raibliana di Lombar- dia, pag. 131, Tav. XII, fìg. 1-7. 1907. Pleurophorus „ YVaagen — Die Lamellibranchiaten der Pachycardientujfe der Seiser Alm, pag. 156, Tav. XXXII, fìg. 6-13. 1909. „ „ Scalia — Il gruppo del Monte Judica , pag. 296, Tav. IX, fìg. 13. Una valva sinistra inequilaterale, trasversalmente allungata, discretamente convessa, anteriormente stretta e subtroncata, posteriormente più larga e arrotondata; margini supe- riore e inferiore quasi retti. Apici molto anteriori, prosogiri. La superfìcie è ornata da costole di accrescimento generalmente strette e sottili, in- tramezzate a intervalli quasi uguali da altre più larghe e più sviluppate. Loc. Paraspora. Colle, 3\ Istit. geol. Univ. Catania. Gen. MODIOLA LAMK. 1. Modiola cfr. Paronai. Bittn. Tav. II (V), fig. 31-38. 1895. Modiola Paronai Bittner -- Lamellibranchiaten von St. Cassimi, pag. 48, Tav. V, fìg. 19, 20. 1901. „ aff. Raibliana (?) Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Bako- nyer-Waldes, pag. 21, Tav. VII, fìg. 27. Diverse valve oblunghe, inequilaterali, oblique, rigonfie, ottusamente subcarenate, an- teriormente subtroncate, posteriormente espanse, con gli apici ottusi, molto anteriori. La regione anteriore ed il relativo margine sono leggermente escavati nel mezzo. La super- ficie è ornata da sottili linee concentriche di accrescimento, intramezzate irregolarmente da altre più larghe, pieghi formi, leggermente più rilevate. Una delle due forme di Veszprém che Bittner aveva riferito provvisoriamente alla sua M. Raibliana, mi sembra che abbia maggiori affinità con la M. Paronai Bittn, degli scisti raibliani di Ceratello (Lombardia) e con le forme del gruppo di M.te Judica, anziché con la tipica M. Raibliana. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Modiola sp. ind. Tav. II (V), fìg. 39. Un frammento di valva sinistra, poco convessa, anteriormente troncata, posterior- mente molto espansa. Nella regione anteriore si nota presso 1’ apice una stretta depressione solchiforme che si allarga rapidamente verso il margine anteriore. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. La fauna del Trias superiore del gruppo di AI"' J ridica 25 3. Modiola Ministeri Klipst. sp. Tav. I! (V), fig. 40. \ 1843. Mytilus Ministeri Klipstein — Beitrdge sur geolog. Kenntniss der ostltchen Alpen , pag. 257, Tav. XVII, fìg. 12, a, b. 1866. „ „ Laube — Fauna von St. Cassian, II, pag. 44, Tav. XVI, fìg. 5. 1889. „ „ Parona — Stud. monogr. d. fauna raibliana di Lombardia , pag. 107, Tav. IX, fìg. 1. 1895. Modiola „ Bittner — Lamellibranchiaten von Si. Cassian, pag. 46. Una valva sinistra, stretta, allungata, rigonfia, col massimo della sua convessità nella regione mediana. Apice acuto, subterminale. Sulla superficie si scorgono qua e là sottili linee concentriche di accrescimento, fra cui alcune più larghe ed elevate, specialmente verso il margine infero-anteriore. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Modiola (Septiola) pygmaea Muenst. sp. Tav. II (V), fig. 42-45. 1841. Mytilus pygmaeus Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde , IV, pag. 80, Tav. VII, fìg. 26 a, b. 1895. Modiola (Septiola) pygmaea Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian, pag. 45, Tav. V, fig. 2, 5, 7 (cum syn). 1903. „ „ „ Broii.i — Fauna der Pachycardientujfe der Seiser Alp, pag. 200, Tav. XXIV, fìg. 11. Diverse valve incomplete, discretamente rigonfie, molto strette e appuntite in avanti, posteriormente espanse e a contorno ovalare. Margine cardinale diritto, lungo metà della conchiglia. Apici piccoli, acuti, subterminali. La superficie è ornata da sottili linee e da pieghe concentriche. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 5. Modiola gracilis Klipst. Tav. II (V), fig. 46-48. 1843. Modiola gracilis Klipstein — Beitrdge sur geolog. Kenntniss der ostlichen Alpen, pag. 258, Tav. XVII, fig. 2 a, b. 1866. „ „ Laube — Fauna von St. Cassian, LI, p. 45, Tav. XVI, fig. 7. 1889. „ „ Parona - Stud. monogr. d. Fauna raibliana di Lombardia, pag. 109, Tav. IX, fig. 3. 1895. „ „ Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian, pag. 47, Tav. V, fig. 9-11. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Mem. Vili. 4 26 S. Scalia [Memoria Vili.] 1905. Modiola gracilis Galdieri — La malacofauna fossile di Gijfoni nel Salerni- tano — Atti d. R. Acc. d. Scienze fìs. e mat. di Napoli, ser. 2a, Voi. XII, pag. 21, fig. 8. Diverse valve, strette, discretamente rigonfie, anteriormente troncate, posteriormente poco espanse. Dimensioni : Altezza Larghezza Spessore Apici piccoli, ottusi, vicini; margine cardinale diritto, lungo circa metà della conchi- glia; margine anteriore leggermente escavato. Dall’apice si diparte una leggiera depres- sione antimediana, largamente aperta verso il margine anteriore, delimitando posteriormente una carena molto ottusa, decorrente dall’ apice al margine inferiore. La superfìcie dei nostri esemplari è ricoperta da tenaci incrostazioni che non lasciano scorgere le sottili linee di accrescimento. Solo in qualche esemplare si vedono verso il lato anteriore delle pieghe un po’ rilevate. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 6. Modiola (Septiola) dreyssensiformis Waagen sp. Tav. Il (V), fig. 6i a, b. 1903. Modiola ( Septiola ) subcarinata Bittn. sp., var carinata Broili — Fauna der Pachycardientujfe der Seiser Alp. I, pag. 199, Tav. XXIV, fig. 10 (nec fig. 8 et 9). 1907. Septiola dreyssensiformis Waagen — Lamellibranchiaten der Pachycardien- tuffe der Seiser Alni, p. 85, Tav. XXXIII, fig, 22 a-d. Una valva sinistra alta 16 mm., larga 7, 5 mill., spessa 4 mill., dreissensiforme, sot- tile, acuminata in avanti, espansa posteriormente, convessa, con una acuta carena che di- partendosi dall’apice va a terminare al margine infero-posteriore, delimitando una regione ventrale moito ripida, come nelle Dreyssensia. Il margine cardinale è diritto e mediocre- mente lungo, il margine infero-posteriore ricurvo, e il ventrale quasi, diritto. La carena è anteriormente incurvata con la convessità rivolta verso la regione dorsale-posteriore, verso cui la convessità della conchiglia va diminuendo a poco a poco. L’ apice è appuntito, e obliquamente ricurvo in avanti. Nella regione apicale la carena si presenta molto tagliente. La superfìcie è ornata da sottili linee di accrescimento, fra cui alcune più larghe e più rilevate dividono la conchiglia in zone concentriche gradatiformi. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 1 II III 19 mm. 12,5 mm. IO mm 8 „ 5 4,5 2,5 „ 9 9 w ìì La fauna del Trias superiore del gruppo di MUi Judica 27 Gen. MYTILUS LINN. 1. Mytilus (?) sp. ind. Tav. Il (V), fig. 41. Una piccola valva depressa, submialiniforme, con l'apice terminale, ricurvo e appun- tito. La superficie è liscia. Caratteri interni sconosciuti. Loc. Acquanova. Colle; s\ Istit. geol. Univ. Catania. Gen. MYOCONCHA SOW. 1. Myoconcha cfr. recta Broili. Tav. Il (V), fig. 51-54. 1903. Myoconcha recta Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, p. 197, Tav. XXIII, fig. 26, 27. 1907. „ „ Waagen — Lamellibr uncinateli der Pachycardientuffe der Seiser Alni , pag. 81, Tav. XXXII, fig. 3. Conchiglia inequilaterale, trasversalmente allungata, anteriormente stretta e subtroncata, posteriormente poco espansa. Margine cardinale lungo, lievemente curvato ; margine ante- riore troncato, margine inferiore leggermente sinuoso; margine posteriore arrotondato. Apici molto anteriori, subterminali, prosogiri, come quelli del Pleurophorus Curionii Hauer sp. La superficie dell’ esemplare di maggiori dimensioni presenta delle linee e delie pieghe concentriche di accrescimento. Osservando con la lente a luce riflessa fra la carena e il margine inferiore, si scorgono delle oscure costoline radiali. Gli esemplari siciliani sono di dimensioni assai minori di quelli della Seiser Alp. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Myoconcha aff. auriculata Broili. Tav. Il (V), fig. 49, 50. 1903. My ocancha auriculata Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, pag. 197, Tav. XXIII, fig. 25. Ho confrontato con questa specie diverse valve destre e sinistre, piccole, discretamente convesse, piuttosto strette, poco espanse posteriormente, con una oscura carena trasversale decorrente dagli apici al margine infero-posteriore, e con il margine anteriore sinuoso al disotto dell’ apice. Gli esemplari siciliani sono più stretti dell’esemplare illustrato dal Broili e presentano la sinuosità del margine anteriore meno accentuata. Le incrostazioni tenaci che li ricoprono non lasciano scorgere le linee concentriche di accrescimento, nè le fine costoline radiali tra la carena e il margine inferiore che ornano la superficie della specie della Seiser Alp. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 28 S. Scalia [Memoria Vili.] 3. Myoconcha incurva n. f. Tav. Il (V), fig. 55, 56, 57. Valve piccole, discretamente rigonfie, poco espanse posteriormente, arrotondate ante- riormente, col margine cardinale leggermente curvato, lungo quanto metà della conchiglia ; margine posteriore ricurvo; margine inferiore escavato. Gli apici sono piccoli, poco elevati, subterminali. Questa forma, per il suo contorno generale e per il margine inferiore escavato, si distingue dalle altre fin’ ora note , e , pur mostrando qualche affinità con la Myoconcha curvata Broili (1) della Seiser Alp, tuttavia ne differisce per le dimensioni assai minori, per essere più stretta e poco espansa posteriormente, e per il diverso andamento del mar- gine inferiore. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Myoconcha Maximiliani-Leuchtenbergensis Klipst. sp. Tav. Il (v), fig. 58, 59. 1843. Mytilus Maximiliani-Leuchtenbergensis Klipstein — Beitrcige sur geolog. 1865. Myoconcha ìì ìì Kenntniss der óst lichen Alpen , pag. 256, Tav. XVII, fig. 1 a, b, c. Laube — Fauna von St. Cassian, II, p. 45, 1895. ìì ìì Tav. XVI, fig. 3. Bittner — Larnellibranchiaten von St. Cas- 1905. „ ìì » sian, pag. 41, Tav. IV, fig. 1-3. Galdieri — La malacofauna triassica di Gip- 1907. ìì poni nel Salernitano , pag. 22, fig. 5. Waagen — Larnellibranchiaten der Pachy- car di ent ujpe der Seiser Alni, pag. 79, Tav. XXXII, fig. 20. Due valve destre, rotte verso la regione apicale, molto inequilaterali , mitiliformi, di- scretamente convesse, strette anteriormente, mediocremente espanse nella regione posteriore, oscuratamente carenate dall’ apice al margine infero-posteriore. La superficie è ornata da fine costole radiali, molto regolari, le quali si vanno sem- pre più assottigliando verso il terzo infero-anteriore della conchiglia, dove svaniscono del tutto. Tali costole sono intersecate da numerose e sottilissime linee di accrescimento, fra cui, a intervalli quasi uguali si notano delle linee più rilevate , che nella regione non or- nata da costole radiali si mostrano ancor più rilevate, quasi varieiformi. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. (1) BROILI — Fauna der Pachycardientnff e der Seiser Alp, I, pag. 198, Tav. XXIII, fig. 28-30 e Tav. XXIV, fig. 1. La fauna del Trias superiore del gruppo di M.ce Pudica 29 5. Myoconcha sp. ind. Tav. Il (V), fig. 60. Un modello interno di una valva destra di piccole dimensioni, un po’ rotta verso la regione apicale, stretta anteriormente, espansa posteriormente, mitiliforme, rigonfia, col margine superiore quasi diritto, margine infero-posteriore ricurvo, margine inferiore sinuoso. Dalle impressioni e dai rilievi dello strato più interno della conchiglia si rileva che la sua superficie era ornata da otto costole radiali piuttosto grosse, separate da spazi intercostali quasi eguali, fortemente curvate verso il margine infero-posteriore, ed alquanto ondulate, come quelle della My. pavida Bittner, della Selva Baconica (1), dalla quale specie però differisce, oltre che per la forma alquanto più espansa posteriormente, per il margine inferiore sinuoso, e per il numero minore e la maggiore grossezza delle costole radiali. Dall’ andamento di tale costole si può arguire che la superficie era anche ornata da linee concentriche, delle quali alcune più rilevate assumevano 1’ importanza di vere varici. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 6. Myoconcha Tommasii n. f. Tav. Ili (VI), fig. 39. Una valva destra rigonfia, molto inequilaterale, trasversalmente allungata, oscuramente carenata, più stretta anteriormente, posteriormente discretamente espansa. Il margine car- dinale è quasi retto ; 1’ anteriore, breve, protratto, leggermente sinuoso in prossimità del- l’apice, quindi arrotondato; il margine inferiore è sinuoso in corrispondenza della larga de- pressione della regione anteriore; il margine posteriore è regolarmente arcuato. La superficie è ricoperta da tenaci incrostazioni. Questa forma ha qualche affinità con la My. Scaliai Gald. (2) del Trias del Salerni- tano, alla quale si avvicina specialmente per essere molto allungata trasversalmente ; ne differisce per avere il margine cardinale quasi retto, per il lato anteriore più largo, col margine anteriore sinuoso in prossimità dell’apice, e per avere il margine inferiore larga- mente sinuoso, mentre la My. Scaliai presenta due insenature separate da una sporgenza arrotondata. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen, PALAEONEILO HALL. 1. Palaeoneilo elliptica Goldf. sp. Tav. II (V), fig. 62-66. 1838. Nuca la elliptica Goldfuss — Pelrefacta Gerrnaniae , II, pag. 153, Tav. CXXIY, fig. 16. (1) BITTNER — Lamellibranchiaten ans der Irias des Bakonyer-Waldes, pag. 95, Tav. VII, fig. 24 (2) GALDIERI — Sul Trias dei dintorni di Giffoni, pag. 92, Tav. Il, fig. 2 1 . 30 S. Scalia [Memoria Vili. ) 184!. Nucula elliptica Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 83, Tav. Vili. fig. 8 a, b. 1843. „ tennis ? Klipstein — Beitrdge sur geolog. Kenntniss d. óstlichen Alpen, P. 263, Tav. XVI, fig. 26-31. 1895. Palaeoneilo elliptica Bittner — Laniellibranchiaten von St. Cassimi, pag. 142, Tav. XVI, fig. 26-31. 1903. „ „ Broili — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, pag. 203, Tav. XXIV, fig. 22-25. 1907. „ „ Waagen — Laniellibranchiaten der Pachycardientuffe der Seiser Alm , pag. 104, Tav. XXXIV, fig. 26, a, b. 1909. „ „ Scalea — Il gruppo del Mie pudica, pag. 300, Tav. IX, fig. 23-25. Conchiglia piccola, a contorno ellittico, equivalve, discretamente rigonfia. Dimensioni : I lì III IV V Altezza 4 mm. 4 mm. 3 mm. 5 mm. 4 mm Larghezza Spessore (delle due 7 „ 6,5 „ 5,o „ 9 „ 8 „ valve riunite 2 7 “5 ' » 2,5 „ 0 ^ » 3 „ 2,7 „ Margine cardinale leggermente arcuato, formante un angolo molto ottuso in corrispon- denza degli apici, che sono spostati in avanti ed avvicinati. La superficie è ornata da sottilissime linee concentriche. L’ esemplare rappresentato dalla fig. 66 è meno ellittico ed un po’ appuntito poste- riormente avvicinandosi alla forma tennis (?) di San Cassiano, illustrata dal Klipstein ; sulla sua valva sinistra si osservano bene le sottili linee di accrescimento. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. NUCULA LAMK. 1. Nucula strigilata Goldf. Tav. Il (V), fig. 67-71. 1838. Nucula strigilata Goldfuss — Petrefacta Germaniae , li, pag. 153, Tav. CXXIV, 1841. ìì fig. 18. Muenster — Beitrdge sur Pet refakten ku n de, IV, pag. 83, 1895. ìì >f Tav. Vili, fig. 10. Bittner — Laniellibranchiaten von St. Cassimi, pag. 137, 1901. ìì ìì Tav. XVII, fig. 1-17. Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Bakonyer- 1903. ìì ìì Waldes , pag. 18, Tav. Vili, fig. 3.* Broili — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp., pag. 201, 4’av. XXIV, fig. 12. Scali a — Il gruppo di Monte Judica , pag. 300. Tav. IX, fig. 21-22. 1909. 31 La fauna del Trias superiore del gruppo di M.le Judica Conchiglie di diverse dimensioni, generalmente piccole, ovato-triangolari, rigonfie, an- teriormente ottuse, posteriormente un po’ allungate. Apici robusti, anteriori, un po’ ango- losi, ricurvi in avanti, avvicinati. Angolo cardinale quasi retto ; lunula cuoriforme ; super- fìcie ornata da tenui linee concentriche, serrate, più larghe, pieghiformi e più rilevate presso il margine degli esemplari adulti. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. LEDA SCHUM. 1. Leda percaudata Gumb. Tav. Il (V), fig. 72-74- 1861. Leda percaudata Gumbel — Geognostische Beschreibung des bayerischen Al- pe ngebirges und seines Vorlandes , pag. 407. 1895. „ „ Di-Stefano — Lo scisto marnoso con Myophoria vestita della Punta delle Pietre Nere. Boll. d. R. Comit. Geol. d’Italia, voi. XXVI, pag. 19, Tav. II, fig. 27 e 28 (cum syn.) 1899. „ Biondi/' (?) Nelli (non Gemm.) — Il Raibl dei dintorni di Monte Judica, pag. 217, Tav. Vili (II), fig. 16, 17. 1901. „ percaudata Checchia — Nuove osservazioni sulla fauna triassica della Punta delle Pietre Nere. Boll. d. Soc. Geol. Ital. voi. XX, pag. 143, 144 e fig. Diversi esemplari, alcuni dei quali completi, di piccole dimensioni, inequilaterali, di- scretamente rigonfi, anteriormente ovato-arrotondati, posteriormente rostrati. Il rostro, non molto lungo ed incurvato in alto, è subcarenato per tutta la sua lunghezza ed è distinto dal resto della conchiglia mediante una leggiera depressione. Gli apici sono piccoli, opisto- giri, poco sporgenti. Dimensioni I II III Lunghezza (?) 11,5 mm. 16 mm. Altezza 5 mm. 5,5 mm. 8 mm. La superfìcie è ornata da numerose linee concentriche, sottili, serrate, pieghiformi, se- parate da strie ugualmente sottili e discretamente profonde. Il Nelli {Loc. citi) riferì questa forma al Mytilus Biondi Gemm. (1), che, come risulta dalla descrizione del Gemmellaro (la figura non fu pubblicata) pare debba essere realmente un Mytilus o una Myoconcha di discrete dimensioni : Larghezza 59 mm. ; lunghezza 29 mm. ; spessore 28 mm. Questa piccola Leda del Trias sup. del gruppo di M.te Judica è perfettamente iden- tica alla L. percaudata Gumb. dello scisto marnoso della Punta delle Pietre Nere, che è (i) GEMMELLARO G. G. — Sopra taluni organici fossili de! Tur ontano e Numniulitico di Pudica. Atti Acc. Gioenia di Se. Nat., ser. 2a voi. XV, pag. 273. 32 S. Scalici | Memoria Vili.] anche molto affine alla L. sulcellata Wiss. sp. , (em. Bittner) (1) di San Cassiano, dalla quale difterisce appena per essere un poco più stretta e più trasversalmente ellittica. Loc. Paraspora, Acquanova. Colles. Istit. geolog. Univ. Catania. Leda sp. ind. Tav. II (V), fig. 75. Una conchiglia bivalve, alquanto incompleta, poco rigonfia, col margine anteriore ar- rotondato, bruscamente ricurvo verso il margine inferiore. Essendo rotta verso la parte posteriore non se ne conoscono i caratteri del rostro, che al suo inizio si mostra fortemente carenato. La linea cardinale forma un angolo molto ottuso presso gli apici che sono piccoli, avvicinati, poco elevati, submediani, leggermente opistogiri. Sul lato dorsale si scorgono chiaramente le aree della lunula e del corsaletto, con le ninfe abbastanza distinte. La cerniera è munita di forti denti dei quali , su ciascun lato, se ne mostrano sei anteriori e 8 posteriori. Essendo la valva destra quasi obliterata dal ruzzolamelo, si scorgono nettamente su questo esemplare le impronte delle forti impres- sioni muscolari e 1’ impressione di una piega interna irradiante dall’ apice e che non rag- giunge il terzo superiore della conchiglia. Osservando con la lente, a luce riflessa, la su- perfìcie della valva destra che è meglio conservata, vi si osservano delle finissime linee concentriche serrate, molto meno elevate che nella Leda per caudata Gumb. Questa forma per il suo contorno generale e per i caratteri della sua ornamentazione si stacca dalle altre Leda triasiche fin’ ora note , mentre per la sua piega interna irra- diante dagli apici presenta delle affinità con la Leda attenuata Fleming, del carbonifero dell' Inghilterra (2), ed alla L. complanata Phill. (3) del lias della Franconia e del Wur- temberg. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. MACRODON LYCETT. 1. Macrodon esinensis Stopp. sp. Tav. Ili (VI), fig. I. 1858-60. Arca esinensis Stoppani — Les Pétrifications d’ Esilio, pag. 88, Tav. XVII, fig. 15-17. 1895. Macrodon esinense Salomon — Geol. u. palaeont. Studien iib. die Marmolata, pag. 164, Tav. V, fig. 38, 39. 1895. „ esinensis Bittner — Laniellibr anelli aten von S.t Cassimi, pag. 121, Tav. XV, fig. 17, 18. (1) BITTNER — Lamellibranchiaten von S. Cassian, pag. 149, Tav. XVIII, fig. 8-9. (2) W. HIND — Monograf. 0/ thè Britìsh Carboniferous Lamellibranchiata — Palaeontographical Society 1897, pag- 195. Tav. XV, fig. 1-16. (3) GOLDFUSS — Petrefacta Gertnaniae, II, pag. 156, Tav. 125, fig. 11. La fauna del Trias superiore del gruppo di M.te pudica 33 1903. Macrodon esili ensis Vena ss a de Regny — Fossili del Montenegro , pag. 20, Tav. II, fìg. 22. 1909. „ „ Wilckens — Palàeont. unters. triadischer Fannen aus der Umgebung von Predasso, pag. 78, Tav. VI, fìg. 23, 24. 1911. Macrodus „ Mariani — I fossili della lumachella triasica di Ghegna , pag. 31, Tav. Ili, fig. 10, 11. Ho riferito a questa specie una valva sinistra, spessa, ventricosa, trasversalmente sub- romboidale, inequilateraie, più stretta posteriormente. Il margine cardinale è lungo, diritto ; 1’ apice robusto, ricurvo, prosogiro, discretamente elevato, è situato verso il quarto anteriore della conchiglia. Il margine anteriore è arrotondato lino al terzo anteriore della conchiglia, da dove il margine inferiore decorre un po’ obliquo al margine cardinale lino al margine posteriore, che è più stretto di quello anteriore e leggermente obliquo. Una oscura carena si diparte dall’ apice e decorre fino al margine infero-posteriore, delimitando tra il corpo principale della conchiglia ed il margine cardinale una regione triangolare alquanto depressa che si va appianando verso i margini cardinale e posteriore. L’area cardinale, piuttosto stretta e bassa, è ornata di sottili scanalature ligamentari. La cerniera è fortemente incrostata e non si può distinguere la disposizione ed il numero dei denti. La superfìcie, alquanto obliterata dal ruzzolamento, lascia scorgere delle tracce di pieghe concentriche piuttosto elevate, che dividono la superfìcie in zone quasi eguali, e che si mostrano subgradate, specialmente in corrispondenza della carena. Il nostro esemplare, più che a ogni altro, si avvicina a quello rappresentato da Bittner nella fig. 17 della Tav. XV. L’esemplare raffigurato da Mariani nella fìg. Il della Tav. Ili è un po’ più stretto anteriormente ed ha il margine posteriore alquanto più obliquo. Loc. Accitedda. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Macrodon Parasporensis n. f. Tav. Ili (VI), fig. 2. Una valva destra spessa, subtrapezoidale, inequilateraie, più stretta posteriormente, più larga verso il terzo anteriore, inegualmente rigonfia nella regione apicale, rapidamente ap- pianantesi verso il margine inferiore, con una larga impressione submediana. Il margine cardinale è lungo, diritto; l’apice, molto robusto e piuttosto elevato, incurvato in avanti, si trova verso il terzo anteriore della conchiglia. Dall’ apice si diparte una carena acuta, dalla quale la conchiglia si abbassa rapida- mente verso la regione cardinale formando una banda triangolare pianeggiante tra il lato ripido della carena e la parte posteriore del margine cardinale. Dall’ apice si diparte anche una larga depressione submediana largamente aperta verso il margine inferiore. L’area ligamentare è piuttosto larga, abbastanza alta in prossimità dell’apice, e leg- germente concava. Le incrostazioni tenaci che ricoprono l’ area e la linea cardinale non permettono di scorgere I’ andamento delle scanalature ligamentari e la disposizione ed il numero dei denti cardinali. La superfìcie, alquanto levigata, si mostra ornata qua e là da numerose costoline ra- ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. Vili. ^ 34 S. Se ali a [Memoria Vili.] diali intrecciate con linee concentriche di accrescimento , delle quali alcune più rilevate, cerciniformi, dividono la superficie in zone concentriche irregolari, subgradate. Questa forma presenta delle affinità col M. rudis Stopp. (1) dal quale però differisce per avere la carena acuta, e per la presenza delle costoline radiali che mancano nella specie della Dolomia principale della Lombardia. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 3. Macrodon (?) subauriculatus n. f. Tav. Ili (VI), fig. 3. Una valva sinistra spessa, ventricosa, trasversalmente allungata, un poco più stretta all’ indietro. Margine cardinale lungo, diritto, formante col margine anteriore un angolo acuto-arrotondato; margine anteriore obliquamente incurvato all’ indietro; margine inferiore quasi parallelo al margine cardinale; margine posteriore escavato. L’ apice è molto robusto, discretamente elevato, spostato verso il terzo anteriore della conchiglia. Dall’ apice si diparte una carena decorrente fino al margine infero-posteriore. Il lato esterno di questa carena si abbassa rapidamente, delimitando fra il margine poste- riore ed il margine cardinale un' area triangolare alquanto depressa, auriculifornle. Per tale carattere questa forma si avvicinerebbe alle Avidità, però, non essendomi riuscito a causa della tenacità della roccia, di poterne preparare la linea cardinale, che del resto è in gran parte rotta, e avvicinandosi per il suo aspetto generale ai Macrodon, l’ho riferito dubbiosamente a questo genere , fino a che il ritrovamento di altri esemplari più completi e meglio conservati ci consentano, mediante l’esame della cerniera, un più esatto riferimento generico. La superfìcie di questa conchiglia è ricoperta da tenaci incrostazioni che lasciano scor- gere appena delle larghe pieghe concentriche le quali dividono la superficie in zone concen- triche subgradate. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Macrodon (?) attenuatus n. f. Tav. Ili (VI), fig. 4. Una valva sinistra, trasversalmente ovato-allungata, più stretta posteriormente, alta 9 mill. , lunga 20 min. , spessa 3, 5 mm. Il margine cardinale è lungo e diritto, quello anteriore è arrotondato obliquamente all’ indietro fino al terzo anteriore della conchiglia, da dove il margine inferiore decorre un po’ obliquamente al margine cardinale fino allo incontro col margine posteriore, che si mostra un po’ incompleto verso la sua parte supe- riore e che è un po’ escavato verso il mezzo. L’apice è discretamente elevato, nettamente prosogiro, situato verso il quarto anteriore della conchiglia. (x) STOPPANI — Fossiles du Trias sup. ou de la Dolomie à M. Gumbeli, pag. 258, Tav. 60, fig. 1. A. TOMMASI — Revisione della fauna a Molluschi della Dolomia principale di Lombardia — Palaeon- tographia Italica, voi. IX. pag. 103, Tav. XVII (II) fig. 2. 35 La fauna del Trias superiore del gruppo di M.le Judica Dall’apice si diparte una carena che raggiunge il margine infero-posteriore e che su- periormente è delimitato da un solco netto; fra questo ed il margine cardinale resta com- presa una stretta area triangolare, auriculiforme, che si va leggermente appianando verso il margine cardinale e che sembra prolungarsi un poco all’ indietro della conchiglia, come nella forma precedente. L’ area cardinale, stretta e poco escavata, è rivestita da tenaci incrostazioni che rico- prono anche la linea cardinale, nella cui parte anteriore si indovinano appena tracce di piccoli denti trasversali, obliquamente diretti all’ indietro. La superfìcie, molto incrostata, lascia scorgere delle larghe pieghe concentriche sub- gradate e delle costole radiali, quasi completamente mascherate dalle incrostazioni. Questa forma ha molta affinità con il Macrodon esinensis Stopp., dal quale si di- stingue per essere molto più stretta, per la presenza di costole radiali e per il margine posteriore escavato. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. % 5. Macrodon Buccai n. f. Tav. Ili (VI), fig. 5. Ho distinto con questo nome una valva destra, piuttosto depressa, spessa 4 mm., lunga circa 23 mm., alta 15 mm., un poco più larga posteriormente. Il margine cardinale è lungo, diritto ; il margine anteriore arrotondato; il margine inferiore obliquamente rivolto all’ indietro fino all’ incontro col margine posteriore, che è rivolto bruscamente in avanti, formando un piccolo seno lunato al disopra del quale si rivolge di nuovo all’ indietro fino all’ incontro col margine cardinale. L’unico esemplare fin’ ora rinvenuto si presenta rotto posteriormente, e quindi non vi si può osservare l’estensione della larga pseudorecchietta delimitata dal margine poste- riore, dal margine cardinale e da una stretta ed acuta carena che dipartendosi dall’ apice raggiunge il margine infero-posteriore della conchiglia. Un’ altra carena, abbastanza accen- tuata nella regione apicale, si dirige verso il margine infero-anteriore, che però non rag- giunge poiché svanisce circa a metà altezza. L’ apice è poco elevato e poco ricurvo. L’ area e la linea cardinale sono molto incro- state, come anche tutta la superficie della conchiglia, su cui si scorgono appena oscure tracce di costole radiali e di pieghe concentriche, le quali verso il margine infero-poste- riore si mostrano un poco più rilevate. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 6. Macrodon (Cucullaea) imbricarius Bittn. Tav. Ili (VI), fig. 14. 1895. Macrodon (Cucullaea) imbricarius Bitt.ner — Laniellibranchiaten voti Si. Cas- simi, pag. 120, Tav. XV. fìg. 8-12. Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp I, pag. 203, Tav. XXIV, tìg. 26. 1903. 36 S. Scalici [Memoria Vili.] Una valva sinistra, incompleta verso la regione posteriore, subromboidale, trasversal- mente allungata, ventricosa, con l’ apice robusto, antimediano, ricurvo in avanti. Il margine cardinale è lungo, diritto; il margine anteriore arrotondato; il margine in- feriore leggermente sinuoso. La regione anteriore è regolarmente declive. Dall’apice si di- parte una carena piuttosto acuta che si dirige obliquamente verso il margine infero-poste- riore. La regione tra la carena ed i margini cardinale e posteriore è rotta, e se ne scorge appena un tratto molto depresso all’ indietro delia carena. A giudicare dalla parte conser- vata, l’ area è discretamente larga e nettamente delimitata. La superfìcie è ornata da numerose costoline radiali, molto serrate, e da numerose pieghe concentriche subeguali e leggermente pieghettate in corrispondenza dei solchi e delle costole radiali, che hanno un aspetto embricato assai caratteristico. Loc. Paraspora. Collez. Istit. geol. Univ. Palermo. 7. Macrodon crassus n. f. Tav. Ili (VI), fig. 17. Una valva sinistra, molto spessa, piccola, inequilaterale, appena più stretta anterior- mente, molto rigonfia, con una leggerissima impressione mediana, largamente aperta verso il margine inferiore. Margine cardinale lungo , diritto ; margine anteriore arrotondato ; margine inferiore un po’ obliquo all’ indietro ; margine posteriore obliquamente troncato. Apice antimediano, robusto, ricurvo, prosogiro. Dall’ apice si diparte una carena ottusa, un po’ flessuosa, che raggiunge il margine infero-posteriore; tra la carena ed i margini cardi- nale e posteriore la conchiglia è regolarmente depressa. L'area è stretta ed escavata; la linea cardinale è ricoperta dalla roccia tenace e non ho nemmeno tentato di prepararla per timore di guastare irrimediabilmente 1’ unico esem- plare fin’ ora trovato di questa forma. La superficie è ornata da sottilissime linee concentriche di accrescimento e da larghe pieghe variciformi, che rendono la conchiglia subgradata. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gerì. CUCULLAEA LAMK. 1. Cucullaea Galdierii n. f. Tav. Ili (VI), fig. 6. Ho distinto con questo nome una valva sinistra, subromboidale, rigonfia, inequilaterale, un po’ più stretta anteriormente, alta 10 nini. , lunga 17 min. , spessa 5 mm. Il margine cardinale è lungo, diritto; margine anteriore arrotondato ; margine inferiore leggermente ondulato; margine posteriore leggermente escavato. L’ apice è robusto, ricurvo, prosogiro, situato verso il terzo anteriore della conchiglia. La regione infero-anteriore è leggermente depressa, la regione posteriore, subauriculiforme, è nettamente delimitata dal resto della conchiglia mediante una robusta carena che dipartendosi dall’ apice decorre verso il margine infero-posteriore. L’ area è discretamente larga nella sua porzione posteriore, ma La fauna del Trias superiore del gruppo di M.'e Judic’a 37 le incrostazioni che la ricoprono ne mascherano completamente le scannellature ligamentari. La superficie è ornata da linee e solchi concentrici, che delimitano delle pieghe si- nuose, più marcate verso il margine infero-posteriore. Questo carattere non è riuscito molto evidente nella riproduzione fotografica, perchè la regione posteriore cadeva nell’ ombra. Questa forma ha qualche affinità con il Macrodon ( Cucullaeci ) Laubei Broili (1) della Seiser Alp ; però ne differisce per essere meno espansa posteriormente, per la presenza della carena posteriore, per la mancanza di costoline radiali e per le forti pieghe concen- triche che ne ornano la superficie, specialmente verso il margine. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2 Cucullaea impressa Muenster sp. Tav. Ili (VI), fig. 7-12, 15. 1841. Arca impressa Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde, IV , pag. 82, . Tav. Vili, fig. 4. 1866. Cucullaea „ Laube — Fauna von Si. Cassimi , II, pag. 60, Tav. XVIII, fig. 9. 1895. Macrodon impressum Salomon — - Geologische und paleontologische Studien iiber die Marmolata , p. 163, Tav. V, fig. 36-37. 1895. Cucullaea impressa Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian, pag. 118, Tav. XV, fig. 1-2. 1903. „ „ Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp. I, pag. 205, Tav. XXIV, fig. 31, 32, 33. Molte valve destre e sinistre di diverse dimensioni , subromboidali , trasversalmente allungate, ventricose, inequilaterali. Margine cardinale lungo, diritto ; margine anteriore ar- rotondato; margine inferiore obliquamente rivolto all’ indietro, leggermente sinuoso; mar- gine posteriore obliquo, formante col margine cardinale un’angolo ottuso. Gli apici, situati verso il terzo anteriore della conchiglia, sono robusti, ricurvi in avanti, distanti. Dagli apici si diparte una depressione dorsale largamente aperta verso il margine inferiore ; la regione posteriore è depressa, declive verso il margine cardinale ; 1’ area è piuttosto stretta ma ben definita. In qualche esemplare vi si osservano le sottili scannellature ligamentari divergenti. La superficie è ornata da sottili linee e da solchi concentrici irregolari che delimitano delle pieghe più o meno marcate. Loc. Serro Sello. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 3. Cucullaea (?) sp. ind. Tav. Ili (VI), fig. 13. Una valva destra obliquamente subromboidale, inequilaterale, discretamente rigonfia, arrotondata in avanti, posteriormente appuntita, col margine posteriore obliquamente diretto (1) BROILI. — Die Fauna der Packycardientaffe der Seiser Alp., 1, pag. 204, Tav. XXIV, fig. 30 38 S. Seal in [Memoria Vili.] in avanti verso il margine cardinale, che si presenta in gran parte rotto, per cui ci restano fin’ ora sconosciuti i caratteri dell’ area e della linea cardinale. Dall’ apice, piuttosto robusto, prosogiro, antimediano, si diparte una carena piuttosto acuta che va elevandosi verso il margine infero-posteriore, che si presenta appuntito. La superficie è coperta da tenaci incrostazioni che non ne lasciano scorgere i caratteri orna- mentali. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Cucullaea formosissima d’ Orb. sp. Tav. Ili (VI), fìg. 16. 1843. Arca formosa Klipstein — Beitrdge sur geologischen Kenntniss der óstli- schen Alpen , pag. 271, Tav. XVI 1 1, fìg. 10 d-e. 1895. Cucullaea {Macrodon?) formosissima Bittner — Lamellibranchiaten von Si. Cassimi, pag. 119, Tav. XV, fìg. 3-7. Una piccola valva sinistra un po’ rotta posteriormente , rigonfia, subtrapezoidale, tra- sversalmente allungata, un po’ più stretta anteriormente, col margine cardinale lungo , di- ritto ; margine anteriore arrotondato; margine inferiore un po’ obliquo. L’ apice è robusto, antimediano, ricurvo in avanti ; da esso si diparte una carena acuta che va gradatamente arrotondandosi verso il margine infero-posteriore. La regione anteriore si abbassa dolcemente verso il margine, mentre la regione po- steriore, delimitata tra la carena ed i margini cardinale e posteriore, è rapidamente depres- sa. L’ area è larga e nettamente delimitata da una costella che si rialza in corrispondenza dell’ apice. La superfìcie è ornata da pieghe concentriche regolari e da numerose costoline radiali molto serrate, che si dipartono da una certa distanza dell’ apice, ingrossandosi rapidamente verso il margine. Questo carattere ornamentale è stato reso male dalla fotografia. Loc. Serro Sello. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. ARCA LINN. 1. Arca (Macrodon?) sp. ind. aff. Badiana Bittn. Tav. Ili (VI), fig. 18. 1895. Arca (Macrodon ?) Badiana Bittner — Lamellibranchiaten von Si. Cassimi , pag. 131, Tav. XV, fìg. 21. Una valva sinistra di piccole dimensioni, leggermente inequilaterale, discretamente ri- gonfia, trasversalmente ovale; con tutti i margini arrotondati, escluso quello cardinale che è lungo e diritto. L’apice è antimediano, robusto, ricurvo; dall’apice al margine infero- posteriore decorre una oscura carena, all’ indietro della quale la conchiglia è depressa. L’ area e la linea cardinale sono troppo tenacemente incrostate, perchè si possano La fauna del Trias superiore del gruppo di ME Pudica 39 preparare in modo da osservarne i caratteri. Per lo stesso motivo anche i caratteri della superficie restano inosservabili. Per il contorno generale della conchiglia questa forma si avvicina molto all 'A. Ba- diana Bittn, dalla quale il nostro esemplare sembra differire perchè essendo un po' rotto verso i margini, appare più stretto di quello che in realtà non sia. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. EM1NAJAS NEUM. ■ 1. Eminajas (?) sp. ind. Tav. Ili (VI), fig. 20. Una valva sinistra, inequilaterale, subtrigona, depressa, con l’apice antimediano, pic- colo , prosogiro , dal quale si diparte una carena piuttosto acuta nella regione apicale, e regolarmente sempre più ottusa verso il margine infero-posteriore. Il cattivo stato di con- servazione non permette una più dettagliata descrizione dei caratteri specìfici, nè una sicura determinazione generica, non essendo possibile prepararne la cerniera. Per il contorno generale della conchiglia questa forma si avvicina alla E. Wóhrmanni Waagen (1) dei tufi a Pachyrardia della Seiser Alni. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. ANOPLOPHORA SANDH. 1. Anoplophora Acciteddai n. f. Tav. Ili (VI), fig. 19. Una valva destra inequilaterale, trasversalmente subovale, discretamente convessa, con l’apice piccolo, depresso, prosogiro; il margine cardinale è leggermente ispessito presso l’apice, senza traccia di denti. La superfìcie è ornata da pieghe concentriche di accrescimento piuttosto larghe, depresse, leggermente più elevate verso il margine. Loc. Accitedda. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Anoplophora (?) impressa n. f. Tav. Ili (VI), fig. 21. Una valva sinistra, inequilaterale, discretamente convessa, molto allungata all’indietro, con i margini anteriore e posteriore arrotondati; margine cardinale leggermente incurvato; margine inferiore lievemente sinuoso verso il mezzo, in corrispondenza della larga depres- sione submediana. L’ apice è piccolo, molto anteriore. La superfìcie è ornata da larghe pieghe concentriche superiormente arrotondate, separate da solchi stretti. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. (1) WAAGEN — Lamellibranchiaten der Pachycardientuff e der Seiser Alni, pag. 42, Tav. XXIX. fig. 2-8. 40 S. Scalia [Memoria Vili.] 3. Anoplophora donaciformis n. f. Tav. Ili (VI), fig. 22. Una valva sinistra, donaciforme, inequilaterale, subovalare, discretamente convessa, col lato posteriore più lungo e un poco più stretto dell’ anteriore, che è corto ed obliquamente troncato. L’ apice è piccolo , poco ricurvo , prosogiro. Da esso si diparte una larghissima depressione, un po’ più accentuata anteriormente, che interessa gran parte della conchiglia; essa è limitata posteriormente da una oscura carena obliqua decorrente dall’apice al mar- gine infero-posteriore. La superficie è ornata da pieghe concentriche larghe e superiormente quasi piane, se- parate da solchi lievi e larghi. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Anoplophora (?) Gammaniurensis n. f. Tav. Ili (VI), fig. 23-24. Due valve sinistre inequilaterali , trasversalmente allungate all’ indietro, col lato ante- riore poco più stretto del posteriore, inegualmente rigonfie; anteriormente poco convesse, nel mezzo largamente depresse e posteriormente rigonfie circa il doppio che nel lato an- teriore. Il margine anteriore è per metà troncato obliquamente e arrotondato inferiormente. Dall’ apice piccolo, ricurvo, prosogiro, situato verso il quarto anteriore della conchiglia, si diparte una oscura carena che svanisce prima di raggiungere il margine infero-poste- riore, confondendosi con la maggiore convessità del lato posteriore. Il cattivo stato di conservazione delle conchiglie impedisce di osservarvi i caratteri ornamentali; solo in alcuni tratti, e verso il margine, si scorgono tracce di costole concen- triche di accescimento. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. PLEUROPHORUS KING. 1. Pleurophorus aff. elongatus Moore. Tav. Ili (VI), fig. 25-27, 31-34. 1861. Pleurophorus elongatus Moore — On thè Zones of thè Power Lias and thè Avicula contorta Zone. Quart. Journ. of thè Geol. Soc. of London, Voi. XVII, pag. 504, Tav. XV, fìg. 12-13. Molte valve sottili, inequilaterali, trasversalmente subtrapezoidali, un po’ più strette anteriormente, discretamente convesse, con i margini anteriore e posteriore obliqui, incon- trantesi ad angoli ottusi col margine cardinale e ad angoli acuti col margine inferiore. Gli apici sono piccoli, piuttosto depressi, molto anteriori, prosogiri; da essi si diparte una ca- La fauna del Trias superiore del gruppo di M.'" Judica 41 rena flessuosa, superiormente acuta, poco elevata, che divide il corpo della conchiglia in due aree, di cui quella anteriore è regolarmente convessa, mentre la posteriore, alquanto depressa, quasi piana, declina gradatamente verso i margini cardinale e posteriore ed è marcata nel terzo superiore da una carena secondaria, piuttosto acuta ed elevata verso la regione apicale e gradatamente evanescente verso il margine posteriore. La superfìcie nell’ esemplare meglio conservato si mostra ornata da leggiere e regolari pieghe concentriche, subacute e largamente spaziate, che attraversano quasi ad angolo retto le carene e si dirigono obliquamente in avanti verso gli umboni nel lato dorsale. I no- stri esemplari si distingono dal tipo di Beer-Crowcombe per essere meno allungati trasver- salmente. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Pleurophorus aff. elongatus Moore n. var. sublamellosa Tav. Ili (VI), fig. 28-29. Ho distinto con questo nome due valve che presentano la superfìcie ornata da pieghe concentriche sublamellose, largamente gradate. Gli altri caratteri specifici corrispondono con quelli della forma precedentemente descritta. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Pleurophorus Di Francoi n. f. Tav. Ili (VI), fig. 30. Una valva destra piccola, sottile, inequilaterale, trasversalmente allungata, più stretta anteriormente, col lato posteriore alquanto espanso. Il margine cardinale è quasi diritto ; l'anteriore obliquo in avanti, e inferiormente ar- rotondato ; il margine posteriore è ottusamente angoloso ; 1’ inferiore leggermente sinuoso. L’apice è piccolo, depresso, molto anteriore. Una carena obliqua, forte ed ottusa, che si diparte dall’ apice e raggiunge il margine infero-posteriore , divide il corpo della conchiglia in una larga depressione submediana ed in un’ area posteriore quasi piana, regolarmente declive verso i margini cardinale e posteriore , ornata da una leggiera e larga costola submediana che dall’ apice si prolunga fino all’ angolo ottuso formato dal margine posteriore. La superficie, molto incrostata, mostra qua e là tracce di leggiere pieghe concentriche. Questa forma è affine al PI. angulatus Moore (1) del retico di Beer-Crowcombe (Inghilterra); ma se ne differenzia per essere molto meno allungata trasversalmente, per avere la carena molto ottusa e per la costola posteriore lievissima. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. (1) MOORE — On thè Zones fìf thè Lower and thè Avicula contorta Zone pag. 504. Tav. XV, fig. 12-13. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. Vili. 6 42 S. Scalia | Memoria Vili.] 3. Pleurophorus expansus n. f. Tav. II! (VI), fig. 35-37- Diverse valve sottili, inequilaterali, trasversalmente trapezoidali, strette anteriormente, posteriormente molto espanse, con una carena piuttosto forte e subacuta, che dall’ apice piccolo, depresso, prosogiro, raggiunge il margine infero-posteriore. Tale carena è incur- vata, con la convessità rivolta all’ indietro. La parte anteriore della conchiglia è largamente escavata verso il margine inferiore, che si presenta flessuoso. La parte posteriore è piana, regolarmente declive verso i mar- gini cardinale e posteriore, ornata in mezzo da una carena secondaria meno elevata, che va dall’ apice all’ angolosità del margine posteriore. La superfìcie mostra tracce di larghe pieghe concentriche subgradate. Questa forma è assai affine alle precedenti, ma se ne distingue a prima vista per es- sere molto più espansa posteriormente. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Plurophorus postice-gradatus n. f. Tav. Ili (VI), fìg. 40. Una valva sinistra inequilaterale, trasversalmente ovato-trapezoidale, più stretta ante- riormente, espansa verso il mezzo, inegualmente rigonfia, con una oscura carena trasver- sale decorrente dall’ apice al margine infero-posteriore. La carena è leggermente arcuata con la convessità rivolta all’indietro. Margine cardinale arcuato ; margine anteriore sinuoso al disotto dell’apice; margine inferiore con un largo seno submediano ; margine posteriore obliquo. Apice piccolo, ricurvo, prosogiro. Anteriormente alla carena la conchiglia presenta una larga depressione. La superfìcie, alquanto incrostata, presenta nella regione compresa tra la carena ed i margini cardinale e posteriore due pieghe elevate, sublamellari, largamente gradate. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 5. Pleurophorus granulatus n. f. Tav. Ili (VI), fig. 41. Una valva sinistra sottile, molto inequilaterale, trasversalmente subovale, inegualmente rigonfia, con una larga e profonda depressione submediana. L’ apice è piccolo, depresso, prosogiro, molto anteriore. Da esso si dipartono due carene quasi uguali, superiormente arrotondate, leggermente arcuate, granulate, che raggiungono rispettivamente il margine infero-posteriore e l’ottusa angolosità del margine posteriore. Nessun altro carattere specifico è presentato dall' unico esemplare fin’ ora posseduto, che tuttavia si distingue dalle altre forme di Pleurophorus. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. La fauna del Trias superiore del gruppo di MP Judica 43 Gen. SOLENOMYA LAMK. 5. Solenomya (?) subcarinata n. f. Tav. Ili (VI), fig. 42. Ho distinto con questo nome una valva un po’ incompleta, sottile, molto inequilaterale molto allungata trasversalmente, con l’apice posteriore, depresso, poco distinto, da cui si diparte una forte costola che si dirige obliquamente in avanti verso il terzo anteriore del margine inferiore. Questa forma ricorda un po’ la Solenomya abbreviala Frech (l) del Muschelkak della Selva Baconica, ma se ne distingue per le dimensioni maggiori e per la sua costola obliqua. Nel nostro esemplare, ricoperto da tenaci incrostazioni, non si scorge traccia delle linee di accrescimento, nè di scultura radiale. Loc. Gammaniura. Colle s. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. MYACITES SCHLOTH. Myacites sp. ind. aff. baconicus Bittn. Tav. Ili (VI), fig. 38. 1901. Myacites baconicus Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Bako- nyer-vcaldes, pag. 81, Tav. Vili, fig. 33. Una valva destra sottile, inequilaterale, convessa, trasversalmente allungata, obliqua- mente troncata in avanti, oscuramente carenata dall’apice al margine infero-posteriore, largamente depressa nella regione anteriore; il margine inferiore è largamente sinuoso in corrispondenza della depressione. L’ apice è piuttosto robusto e ricurvo. Sulla superficie ricoperta da tenaci incrostazioni, si scorgono qua e là tracce di linee concentriche di ac- crescimento. Questa forma si avvicina al M. baconicus Bittn., dal quale differisce per essere meno stretto e meno protratto in avanti ; è anche affine al M. fassaensis Wissm. (2) Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. jMYOPHORIA BRONN. 1. Myophoria vestita v. Alb. Tav. Ili VI), fig. 43-47, 49, 50. 58. 1864. Myophoria vestita v. Alberti — Ueberblick iiber die Trias, pag. 113, Tav. II, fig. 6. 1895. „ „ Di-Stefano — Lo scisto marnoso con Myoph. vestita della Punta delle Pietre Nere , pag. 26, Tav. I, fig. 10-19. (1) FRECH — Neue Zwcischaler und Brachiopoden aus der Bakonyer Trias, pag. 19, fig. 20. (2) MUENSTER — Beitrage zur Petrefaklenkunde, IV. pag. 9. Tav. XVI, fig. 26. 44 S. Scalici [Memoria VILI.] 1895. Myoplioria vestita Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassida, pag. 103, Tav. XII. fig. 14. 1899. „ „ Nelli — Il Raibl dei dintorni di M.te Jadica, pag. 218, Tav. Vili (II), fig. 12. 1908. ,. „ Galdieri — Sul Trias dei dintorni di Giffoni, pag. 58, Tav. I, fig. 18. 1909. „ „ Scalia — Il gruppo del M.te Judica, pag. 297, Tav. IX, fig. 16-18. 1911. „ „ Wurm -- Untersuschungen iiber den geologischen Bau und die Trias von Aragonien — Zeit. d. geol. Gesell. Bd. LX1I1, pag. 98, Tav. VI, fig. 6. Le valve di questa elegante specie, abbastanza frequenti nelle brecciole calcaree e nelle marne giallastre di varie località fossilifere del gruppo di M.te Judica, presentano gli stessi caratteri specifici dettagliatamente descritti da Alberti, da Di-Stefano e da Galdieri per gli esemplari di altre località. La conchiglia piccola, o di discrete dimensioni, è più o meno obliqua e rigonfia, a contorni arrotondati, tranne quello del margine posteriore, fortemente troncato, retto, più o meno obbliquo. Gli apici sono piccoli, ricurvi, prosogiri, avvicinati, antimediani. Il nu- mero delle costole radiali che ne ornano la superficie varia da 8 a 12, e tale variazione è indipendente dalle dimensioni della conchiglia, trovandosi degli esemplari di discrete di- mensioni con un numero di costole inferiore (fig. 43) a quello di altre valve più piccole. La penultima costola, più robusta ed elevata delle altre, assume quasi sempre 1’ im- portanza di una vera carena, spesso abbastanza acuta, ed è divisa dall’ antipenultima co- stola da uno spazio intercostale doppio o quasi triplo di quello precedente. Tra la carena e 1’ ultima costola, robusta ed arcuata, è interposta una larga area di forma triangolare, più o meno incavata verso il mezzo, con la linea di massima concavità segnata spesso da un solco. L’ ultima costola, che si diparte dall’ apice ed arriva all’ estremo superiore della tron- catura del margine posteriore, racchiude uno spazio relativamente grande, lanceolato, con- cavo. Tutte le altre costole radiali sono abbastanza forti, superiormente arrotondate o sub- acute, con gli spazii intercostali poco più larghi, o quasi eguali, od anche più stretti. Per questo carattere le forme siciliane differirebbero un poco dalla M. vestita tipica delle varie località alpine e dell’ Italia meridionale, mentre si avvicinano di più alle forme del trias aragonese illustrate da Wurm. Fra la prima costola radiale ed il margine anteriore, la superficie della conchiglia è ornata da 8-12 costole trasversali, di diversa lunghezza e leggermente incurvate, con la convessità rivolta in basso. Nell’ esemplare rappresentato dalla fig. 43 si scorge chiara- mente come queste costole trasversali risultano dalla riunione di più linee di accrescimento, che sono più o meno forti e rilevate, e che intersecando le costole radiali le rendono ta- lora leggermente nodulose. Per la piccolezza delle conchiglie e per la tenacia della roccia incrostante, che non può togliersi senza compromettere la conservazione delle valve , non mi è stato possibile preparare gli esemplari in modo da osservarvi i caratteri della cerniera. Loc. Paraspora (fig. 43-47) — Acquanova (fig. 49-50). Colle. -3. Istit. geol. Univ. Catania. La fauna del Trias superiore del gruppo di Mi" Judica 45 2. Myophoria cfr. Goldfussi v. Ai.b. Tav. Ili (VI), fig. 48. 1826. Lyrodon Goldfussi v. Alberti in Goldfuss — Petrefacta Germamae, II, p. 199, Tav. 136, fig. 3. 1864. Myophoria „ v. Alberti — Ueberblick iiber die Trias , pag. 112, Tav. II, fig. 4. Ho confrontato con questa specie una piccola valva sinistra, non molto rigonfia , la quale si distingue dalla Myoph. vestita v. Alb., per il maggior numero di costole radiali che ne ricoprono tutta la superficie anteriore alla carena, e per la mancanza delle costole trasversali della regione vicina al margine anteriore. Tuttavia il nostro esemplare differisce un poco dalla Myoph. Goldfussi tipica per avere le costole più grosse, superiormente ar- rotondate, piuttosto serrate, separate da spazi piuttosto stretti e poco profondi. Le linee di accrescimento sono poco rilevate. Ho escluso dalla sinonimia di questa specie la forma descritta da Nelli (l) come Mxoph. Goldfussi , che ho potuto esaminare grazie alla gentilezza del Ch.,no Prof. Carlo De-Stefani. Benché tale forma sia male conservata e col guscio in gran parte rotto , a me pare che essa appartenga piuttosto ad una Cardila , del gruppo della Cardila Bene- che i Bittn. (2). Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Palermo. 3. Myophoria vestita v. Alb., n. var. bifrons Tav. Ili (VI), fig. 53-54. Ho distinto con questo nome due piccole valve piuttosto depresse, con la superfìcie nettamente distinta in una parte anteriore ed una posteriore, per la diversa ornamentazio- ne. La metà anteriore si presenta ornata prevalentemente da pieghe concentriche ineguali, sublamelliformi, più elevate verso il margine inferiore e separate da solchi subeguali; la metà posteriore è ornata da 5-8 costole radiali delle quali la penultima assume 1’ impor- tanza di una carena come nella tipica M. vestita , mentre le altre sono sempre meno elevate, quanto più si avvicinano alla parte mediana, e sono separale da solchi gradatamente più stretti e meno profondi. Anche nella regione apicale della metà anteriore si notano delle leggerissime pieghe radiali che svaniscono ad altezze diverse, gradatamente decre- scenti verso il margine anteriore, in prossimità del quale le pieghe concentriche si anasto- mizzano formando da 8 a 9 costole trasversali come nella forma tipica descritta da v. Alberti. L’ esemplare rappresentato dalla fig. 43 (Tav. Ili [VI | ), formerebbe un termine di pas- saggio tra la M. vestita tipica e la var. bifrons. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. (1) NELLI — Il Raibl dei dintorni di M.te Judica, pag. 219, Tav. Vili (II), fig. 13. (2) BITTNER — Lamellibranchiaten von Si, Cassia//, pag. 39, Tav. IV, fig. 18-20, Tav. XXIV, tìg. 12. 46 S. Scalici [Memoria Vili. J 4. Myophoria Gammaniurensis n. f. Tav. Ili (VI), fig. 51. Ho distinto con questo nome una bella valva destra, spessa, inequilaterale, convessa, carenata, anteriormente arrotondata, col margine posteriore retto, troncato obliquamente. L’apice è robusto, antimediano, fortemente ricurvo, prosogiro. Da esso si diparte una ca- rena robusta, subacuta, leggermente arcuata, che va gradatamente innalzandosi ed allargan- dosi verso il margine infero-posteriore formante un angolo acuto. Questa carena è netta- mente distinta dal corpo principale della conchiglia mediante un. solco stretto e piuttosto profondo, in corrispondenza del quale il margine inferiore si presenta intagliato. Una forte costola leggermente arcuata, superiormente arrotondata, decorre dall’ apice all’ estremo su- periore della troncatura del margine posteriore, delimitando verso il margine cardinale uno spazio piuttosto stretto, lanceolato, concavo. Tra la costola, la carena ed il margine poste- riore è compresa un’ area subtriangolare largamente aperta all’ indietro, ed escavata, percorsa da una piega poco elevata che dal margine posteriore si dirige verso la regione apicale, svanendo quasi a metà altezza. Le incrostazioni tenaci che ricoprono la superficie di questa valva non lasciano scor- gere alcun carattere ornamentale. Questa forma presenta delle affinità con la Myophoria costolata Bittn. (1), del Wer- feniano di Eisenerz, la quale è anch’ essa senza costole radiali, ma ne differisce per es- sere più inequilaterale, per avere il lato posteriore più obliquamente troncato, e la carena più robusta e meno acuta, che nella specie del Bittner non è delimitata anteriormente da alcun solco. Inoltre la Myoph. Gammaniurensis presenta l’area posteriore meno escava- ta, e al posto del solco mediano della M. costolata, Bittn. ha invece una piega rilevata. Un’altra forma che si avvicina alla nostra è la Myophoria posterà Bronn del retico di Beer (Inghilterra) illustrata da Moore (2), la quale però è anch’ essa meno inequilaterale, meno convessa, con gli apici meno robusti e submediani. In oltre la valva sinistra di questa specie presenta due carene, non molto elevate, separate da leggieri solchi. Anche la Myophoria di Venta de los Palacios (Aragona) riferita da Wurm (3) alla M. intermedia v. Schaur., ha delle grandi affinità con la M. Gammaniurensis, dalla quale tuttavia si distingue per la mancanza del solco stretto e profondo che nella nostra forma delimita anteriormente la carena, per la mancanza della robusta costola in prossimità del margine cardinale, e della piega mediana dell’ area triangolare posteriore. Loc. Gammaniura. Colle. 2. Istit. geol. Univ. Catania. 5. Myophoria sp. ind. cfr. intermedia v. Schaur. Tav. Ili (VI), fig. 52. 1857. Myophoria intermedia v. Schauroth — Die Schaltierreste der Lettenkohlenfor- mation des Grosshersoghthoms Cobo rg-Zeitsch. (1) BITTNER - Lamellibranchiaten von SI. Cassimi, pag. 116, (pars) Tav. XII, fig. 27. (2) MOORE — Oh Ole Zones of thè Lower Lìas and Ole Avidità contorta Zone , pag. 507, Tav. XVI, fig. 8-10. (3) WURM — Untersnschungen ilber den geologischen Bau and die 'trias von Aragonien, pag. 94 (pars), Tav. VI, fig, 1 (nec 2, 3). La farina del Trias superiore del gruppo di M."J Judica 47 d. Deutsh. geolog. Gesellsch. Bd. IX, pag. 147, Tav. VII, fig. 3. 1911. Myophoria intermedia YVurm — Untersuchungen iiber den geologischen Bau und die Trias von Ar agoni en , pag. 94 (pars) Tav. VI, fìg. 2, 3. ( nec fìg. 1) Una valva destra non molto bene conservata, discretamente convessa, anteriormente arrotondata, trasversalmente trapezoidale, fortemente inequilaterale. Dall’ apice, molto ricurvo, appuntito, si dipartono due costole radiali che si dirigono verso il margine infero-posteriore e che sono separate da un solco piuttosto largo ed esca- vato. L’ultima di queste due costole è piuttosto robusta ed elevata ed ha l’importanza di una vera carena, mentre l’altra è molto meno marcata. Un’altra costolina, mascherata dalle tenaci incrostazioni che ricoprono la larga area triangolare delimitata tra la carena ed i margini posteriore e superiore, delimita posteriormente all’apice uno spazio lanceo- lato, concavo, piuttosto grande. Loc. Paraspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 6. Myophoria decussata Muenst. sp. Tav. ili (VI) fig. 55-56. 1838. Cardita decussala Muenster in Goi.dfuss — Petrefacta Germaniae , lì, pag. 185, Tav. 133, fig. 5. 1841. » 1865. Myophoria 1889- Gruenewaldia 1895. Myophoria » 1903. Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde , IV, pag. 86, Tav. Vili, fig. 20. Laube — Fauna von St. Cassian , lì, pag. 58, Tav. XVIII, fig. 6. Wòhrmann — Die Fauna der sogenannten Cardita-und Rai- bler-Schichten in den Nordliroler und bayeri- schen Alpen , pag. 216, Tav. IX, fig. 4-6 (pars). Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian , pag. 104, Tav. XII, fig. 1-8. Broili — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp , pag. 215, Tav. XVII, fig. 21-23. Scalia — Il gruppo del M.te Judica , pag. 298, Tav, IX, fìg. 19. Due valve sinistre inequilaterali, subromboidali, molto rigonfie, anteriormente arroton- date, posteriormente nettamente troncate. Apici anteriori, robusti, elevati, fortemente ricurvi, prosogiri. La penultima costola radiale forma una carena robusta ed elevata, che le linee concentriche di accrescimento rendono sottilmente embricata; essa è separata dal corpo principale della conghiglia mediante un solco stretto e profondo. La superfìcie della conchiglia è caratterizzata dall’ ornamentazione reticolata, risultante dalle sottili pieghe concentriche, molto serrate, incrociantesi con le forti e rilevate costole radiali che divengono scabre, quasi embricate. Le costole radiali tra la carena ed il mar- gine anteriore sono spesso dicotome, e nella metà inferiore della conghiglia sono in numero di 8-10, mentre verso gli apici sono 4-5. Fra la carena e l’ultima costola, robusta ed arcua- ta, è interposto un largo spazio di forma triangolare , incavato. Tra la prima costola ra- 48 S. Scalia [Memoria Vili.] diale ed il margine anteriore la superficie della conchiglia è ornata, come nella Myoph. vestita v. Alb., da 8-12 costole trasversali leggermente incurvate, con la concavità rivolta verso gli apici. Dei due esemplari figurati, quello rappresentato della fìg. 35 si conserva nelle colle- zioni dell’ Istituto geologico della R. Università di Catania, e quello della fìg. 36 appartiene all’Istit. geol. della R. Univ. di Palermo. Loc. Paraspora. 7. Myophoria Anna n. f. Tav. Ili (VI), fìg. 57. Ho distinto con questo nome una valva destra inequilaterale, obliqua, poco rigonfia, anteriormente arrontondata, posteriormente subtrapezoidale. Dimensioni: Altezza, 12 min., Lunghezza 15 mm., Spessore 4,5 min. L’ apice è anteriore, robusto, poco elevato, ricurvo, prosogiro. La superfìcie è ornata da 14 costole radiali, delle quali quelle comprese tra la carena ed il margine anteriore sono larghe, superiormente arrotondate, separate da solchi stretti e profondi, eccetto quello che precede la carena ottusa che decorre dall’ apice all’ estremo inferiore della troncatura posteriore. Questo solco è largo quasi quanto la carena e più profondo degli altri. La costola che si trova immediatamente avanti, nella regione apicale si presenta larga quanto la carena, ma verso il terzo inferiore essa si biforca dando luogo a due costoline strette, separate da un solco stretto e meno profondamente intagliato degli altri. Lo spazio triangolare interposto tra la carena e 1’ ultima costola è ornato da tre co- stole radiali, delle quali le prime due vicine alla carena, sono strette e subacute, separate dall’altra mediante un solco profondo, largamente aperto all’ indietro. L’ultima costola, robu- sta ed elevata racchiude verso il margine cardinale uno spazio stretto, lanceolato, concavo. Le costole interposte tra la carena e il margine anteriore sono fortemente denticulate all’incontro delle pieghe concentriche, che anastomizzandosi verso il margine anteriore dànno luogo a 14 costole trasversali di diversa lunghezza, leggermente incurvate, con la conves- sità rivolta in basso, come nella Myoph. vestita v. Alb. e nella Myoph. decussata Muenst. sp., con le quali la nostra forma presenta delle grandi affinità. Essa si distingue dalla M. vestita v. Alb. per la superficie nettamente reticolata, simile a quella della M. decussata Muenst.; da questa per essere molto meno convessa, e da entrambe per le tre costole ra- diali che ornano lo spazio triangolare compreso tra la carena, 1’ ultima costola e la tron- catura del lato posteriore. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 8. Myophoria chenopus Laube Tav. IH (VI), fìg. 59. 1865. Myophoria chenopus Laube - Fauna von St. Cassimi II, pag. 58, Tav. XVIII, fìg. 4. Laniellibranchìaten von St. Cassimi , pag. 99, Tav. XI, fìg. 15-17. 1895. Bittner La fauna del Trias superiore del gruppo di M."' .ludica 49 1901. Myophoria chenopus Bittner — Lamellibranchiateu aus der Trias des Bako- nyer-Waldes, pag. 16, Tav. VII, fìg. 4. Una valva sinistra discretamente convessa, inequilaterale, trasversalmente allungata, più stretta all’ indietro, col margine infero-anteriore arrotondato, ed il margine posteriore obliquamente troncato. L’apice è piccolo, ricurvo, prosogiro. La parte posteriore del mar- gine cardinale è lunga, diritta, obliquamente rivolta all’ indietro e forma con l’estremo su- periore del margine posteriore un angolo ottuso. La superfìcie è ornata da nove costole radiali superiormente arrotondate, gradatamente più forti e più spaziate verso la parte posteriore. La penultima costola, più robusta e rilevata, forma una carena acuta e tra essa e 1’ ultima costola, forte ed arcuata, che rac- chiude verso il margine cardinale uno spazio stretto, lanceolato concavo, si estende un largo tratto triangolare, largamente escavato, con un leggiero solco submediano. Nel nostro esemplare, non si scorgono bene le linee concentriche di accrescimento in parte cancellate dal ruzzolamento ed in parte mascherate da tenaci incrostazioni. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 9. Myophoria sp. ind. aff. inaequicostata Klipst. Tav. Ili (VI) fìg. 6o. 1845. Myophoria inaequicostata Klipstein — Beitrdge sur Kenntniss der óstlischen Alpeìiy pag. 254, Tav. XVI, hg. 18. 1857. „ Whateleyae Hauer — Ein Beitrag sur Kenntniss der Fauna d. Raibler Schichten. Sitzungsb. d. k. Akad. d. Wis- sensch. Bd. XXIV, p. 554 (pars), Tav. V7, fìg. 8, 9, 10. 1865. „ inaequicostata Laube — Fauna von St. Cassian, II, p. 57 Tav. XVIII, fìg. 3. 1895. ,, „ Bittner — Lamellib ranchi ’citen von St. Cassian , p. 94, Tav. XI, fìg. 1-14. Ho confrontato con questa specie il modello interno di una valva sinistra di discrete dimensioni, inequilaterale, coi margini anteriore ed inferiore arrotondati, posteriormente allungata, obliquamente troncata, con l’apice anteriore, robusto, ricurvo, prosogiro; ornata da 7 costole primarie, superiormente arrotondate, separate da spazi intercostali un poco più larghi. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 10. Myophoria cfr. harpa Muenst. sp. Tav. Ili (VI) fig. 6i. 1838. Cardia ni harpa Muenster in Goldfuss — Petrefacla Germaniae, lì, pag. 219 Tav. 143, fig. 13. 1841. Trigonia „ Muenster — Beitrdge sur Petref aktenkunde , IV, pag. 89 Tav. VII, fìg. 30. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. Meni. Vili. 7 50 S. Scal/n [Memoria 1865. Myophoria harpa Laube — Fauna von SI. Cassimi , li, pag. 55, Tav. X\’ì 1 1 , fig. I. 1895. „ „ Bitt ner — Lamellibranchiaten von Si. Cassimi , pag. 91, Tav, XII, fig. 15-19. Ho confrontato con questa specie una piccola valva destra, inequilaterale, rigonfia, an- teriormente arrotondata, posteriormente poco allungata, fortemente troncata quasi ad angolo retto. Apice antimediano, piccolo, appuntito, prosogiro. La superficie è ornata da otto co- stole radiali di prim’ ordine, superiormente arrotondate, leggermente flessuose, separate da spazi intercostali gradatamente più larghi ed escavati verso la regione infero-posteriore, dal cui margine si dipartono due costoline secondarie che percorrono fino ad altezze di- verse gli spazi interposti tra la quinta, la sesta e la settima costola, all’ indietro della quale la conchiglia presenta una forte depressione triangolare, delimitata in alto dall’ultima costola del margine cardinale e all’ indietro dalla troncatura obliqua del margine posteriore. Essendo la superfìcie alquanto erosa, non si scorgono le sottilissime linee di accrescimento che negli esemplari meglio conservati di San Cassiano rendono le costole finemente in- crespate. Loc. Paraspora. Colle s. istit. geol. Univ. Palermo. 11. Myophoria cfr. ornata Muenst. Tav. Ili (VI), fig. 62. 1841. Myophoria ornala Muenster — Beilrage sur Petrefaktenkunde , IV, pag. 88. Tav. Vili, fig. 21. 1845. ('ardita elegans Klipstein — Beitrdge sur Kenntniss der ósllischen A! peri, pag. 255, Tav. XVI, fig. 21. 1865. Myophoria ornata Laube — Fauna von SI. Cassimi, II, p. 56, Tav. XVIII, fig. 2, 1895. „ „ Bittner - Lamellibranchiaten von St . Cassimi, pag. 93, Tav. XII, fig. 20-22. 1903. » „ Broili — Die Fauna der Pachycardientuff e der Seiser Alp. I, pag. 214, Tav. XXVII, fig. 16-18. 1907. „ „ Waagen — Lamellibranchiaten der Pachycardientuff e der Seiser Alni, pag. 75, Tav. XXXIII, fig. 17-18. Un frammento abbastanza ben riconoscibile di valva destra, rotta posteriormente, an- teriormente arrotondata, con l’apice robusto, molto anteriore, quasi terminale, fortemente ricurvo in avanti. La superfìcie è ornata da costole radiali strette, elevate, subacute, un po’ incurvate, con il lato concavo rivolto in avanti, separate da spazi intercostali gradatamente più larghi verso il mezzo della conchiglia. Il cattivo stato di conservazione della superficie non permette di vedere le fitte e fine linee concentriche di accrescimento che negli originali illustrati da Muenster e da Laube, riprodotti anche da Bittner, rendono finemente increspate le costole radiali. Loc. Acquanova. Colles. Istit. veol. Univ. Catania. La fauna ilei Trias superiore del gruppo di M."' Judica 51 Gen. MYOPHORICARDIUM WÒIIRM. 1. Myophoricardium lineatura Wohrm. Tav. Ili (VI), fig. 63. 1889. Myophoricardìuui lineatimi Wohraiann — Die Fauna der sogen. Cardita-und Raibler-Schichten, pag. 227, Tav. XIII, fig. 10-14. 1895. „ „ Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassimi, pag. 1 17, Tav. XIII, fig. 18-22. 1909. „ „ Scalia — Il gruppo del MM Judica, pag. 299, Tav. IX, fig. 20. Una valva sinistra sottile, rigonfia, subtriangolare-arrotondata. Margine posteriore obli- quamente troncato. Apice piccolo, submediano, fortemente ricurvo, prosogiro. Da esso si diparte una carena subacuta, leggermente incurvata, che raggiunge l’estremo inferiore della troncatura del margine posteriore. Tra la carena ed i margini cardinale e posteriore la con- chiglia presenta una forte depressione subtriangolare, leggermente escavata verso il mezzo. La superficie della conchiglia è ornata da linee concentriche fine e serrate, fra le quali ad intervalli quasi regolari si notano delle leggerissime pieghe, larghe ed appiattite. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Myophoricardium suborbiculare n. f. Tav. Ili (VI), fig. 64. Ho distinto con questo nome una piccola valva destra di forma suborbicolare, convessa, carenata, anteriormente arrotondata, posteriormente troncata quasi ad angolo retto. L’apice è robusto, poco sporgente, prosogiro, submediano; da esso si diparte una ca- rena subacuta, leggermente flessuosa, che va gradatamente allargandosi ed innalzandosi verso 1’ estremo inferiore della troncatura del lato posteriore ; anteriormente la carena è delimitata da un solco leggiero, largamente aperto verso il margine inferiore. Una costola larga e poco elevata delimita verso il margine cardinale un’ area legger- mente depressa, lanceolata. Fra questa costola, la carena ed il lato posteriore, la conchi- glia si mostra lievemente escavata, con un leggerissimo solco verso la sua parte mediana. La superfìcie liscia, non lascia scorgere traccia di linee di accrescimento. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. MYOPHORIOPSIS WòHRM. 1. Myophoriopsis Rosthorni Boué sp. Tav. Ili (VI), fig. 65. 1835. Corbula Rosthorni Boué -- Aper;u sur la constitution géologique des pro- vinces Illyriennes. Mém. de la Soc. géolog. de France, ser. 1», Voi. II, 1, p. 47, Tav. IV, fig. 7 a-e. S. Scali a [Memoria Vili.] 52 1857. Corìntia Rosi homi Hauer — E in Beitrag sur Kenntniss der Fauna tìer Rai- bler Schichten, pag. 10, Tav. II, fìg. 13-15. 1889. Astante „ Wòhrmann — Die Fauna der sogenannten Cardila - and Raibler - Schichten, p. 220, Tav. IX, fìg. 14-16. 1895. Myophoriopsis „ Bittner — Laniellibranchiaten von St. Cassimi, pag. 113, Tav. XIII, fìg. 13-17. Una valva sinistra, inequilaterale, ovale-subtrigona, trasversalmente allungata, discre- tamente rigonfia, carenata. Margine anteriore ovale, margine inferiore arrotondato, margine posteriore obliquamente troncato, margine cardinale ottuso. L’apice è piccolo, ricurvo, prosogiro. Dall’apice si diparte una carena acuta, flessuosa, che raggiunge l’estremo in- feriore della troncatura posteriore ; lo spazio subtriangolare tra la carena, la parte poste- riore del margine cardinale e la troncatura del margine posteriore è escavato. Una forte costola posteriore, ottusa, racchiude verso il margine cardinale un’area stretta, cuoriforme, escavata. Sulla superfìcie, alquanto levigata, si scorgono appena verso il margine delle pieghe concentriche regolari. Il nostro esemplare è poco più piccolo di quello rappresentato da Bittner nella fìg. 14 della Tav. XIII, al quale si avvicina di più per la sua forma obli- quamente allungata all’ indietro. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Myophoriopsis lineata Muenst. sp. Tav. Ili (VI), %. 66. 1838. Lyrodon lineatimi Muenster in Goldfuss — Betrefacta Germaniae , II , p. 199, Tav. 136. fìg. 4. 1841. Myophoria lineata Muenster — Beitrdge sur Pe'trefaktenkunde,\\r , pag. 88, Tav. VII, fìg. 29. 1865. „ . „ Laube — Fauna von St. Cassimi , 11, p. 59, Tav. XVIII, fìg. 5. 1887. Myophoriopsis lineata Wòhrmann — Die Fauna der sorgennten Cardita-nnd Raibler -Schichten, pag. 221 (pars). 1895. „ „ Bittner — Laniellibranchiaten von St. Cassimi, p. Ili, Tav. XIII, fìg. 1-6. Ho riferito a questa specie una piccola valva sinistra, poco inequilaterale, subovale, tra- sversalmente allungata, piuttosto depressa, posteriormente carenata. L’apice è piccolo, poco ricurvo, prosogiro; la carena è un po’ flessuosa e l’area triangolare posteriore escavata. Tra la costola posteriore, piuttosto sottile ed acuta, è compresa un’area lanceolata, esca- vata. Osservando la superficie con la lente a luce riflessa si scorgono in qualche tratto meglio conservato le sottili linee concentriche che caratterizzano gli esemplari meglio con- servati di San Cassiano. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. La fauna del Trias super iure del gruppo di MB /udirà r>3 Gen. SCHAFHAUTLIA COSSM. 1 . Schafhàutlia astartiformis Muenst. sp. var. lamellosa Bittn. Tav. Ili (VI), fig. 67. 1841. Isocardia astartiformis 1867. Cor bis Muenster — Beitrage sur Petrefactenkun.de , IV, p. 87, Tav. Vili, fig. 24. Laube — Fauna von St. Cassimi , II, pag. 37, Tav. XV, 1895. Gonodon „ 1895. „ lamellosus 1903. „ astartiformis 1909. Scita fhdutlia „ fig. 5. Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian, p. 12, Tav. Ili, fig. 1-4. Bittner — Op. cit. , pag. 17, Tav. III, fig. 16. Broili — Die Fauna der Fachycardientuffe der Seiser Alp. 1, pag. 218, Tav. XXVII, fig. 30-31. .Scalia - — Il gruppo di MJe /udirà, pag. 296, Tav. IX, fig. 14. 1909. „ „ Wilchens — Palaontologische Untersuchung triadi- scher Fctunen aus der Umgebnng voti Predas- s 0 , pag. 162, Tav. VI, fig. 10. Una valva sinistra subovalare , discretamente convessa, subequilaterale , spessa, più larga che alta, con 1’ apice elevato, un po’ posteriore, prosogiro. La superficie è ornata verso il margine da forti costole concentriche, serrate, lamelli- formi come nel Gondoti lamellosus Bittner, che io ritengo una varietà della Sdì. astar- tiformis Muenst. con cui ha identici tutti gli altri caratteri specifici. Le differenze dei caratteri ornamentali sono più accentuate verso il margine, mentre nella regione mediana ed apicale le costole concentriche sono piuttosto fine come nell’ olotipo descritto e figurato da Muenster. Loc. Serro Sello. Colle. s. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Schafhàutlia rostrata Muenst. sp. Tav. Ili (Vi), fig. 68. 1841. Isocardia rostrata Muenster — Beitrage sur Petrefactenkunde , IV, pag. 87, Tav. Vili, fig. 26. 1895. Gonodon roslratus Bittner — Lamellibranchiaten voti St. Cassian , pag. 17, Tav. Ili, fig. 12-13. 1903. „ „ Broili — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, I, pag. 219, Tav. XXVII, fig. 33. 1909. Schafhàutlia rosi rata YVilckens — Talaeoutologische UntersuscJiung triadi- scher Faune-li aus der Umgebnng von Pre- dasso, pag. 164, Tav. VI, fig. 6 e 7. Una piccola valva destra, suborbicolare , appuntita all’apice, che è molto sviluppato robusto, elevato, fortemente ricurvo in avanti. Anteriormente all’apice si nota una piccola, 54 S. Scaliti [Memoria VII!.] lunula fortemente escavata. La superfìcie è ornata da costole concentriche regolari, sempre più elevate e spaziate verso il margine. Loc. Paraspora. Colles. lstit. geol. Univ. Catania. 3. Schafhàntlia Mellingi Hauer sp. Tav. Ili (VI), fig. 69. 1857. Corbis Mellingi Hauer — Fin Beitrag sur Kenntniss der Fauna der Raibler Schichlen, pag. 549, Tav. HI, fig- 1-5. 1389. Fimbria (. Sphaeriola ) Mellingi Parona — Studio monografico della fauna raibliana di Lombardia , p. 140, Tav. XIII, 1895. Go nodo n sp. ind. 1901. Mellingi 1903. 1907. 1903. 1909. V 1909. ìì tig. 3 4. Bittner — Lamellibranchialen von SI. Cassimi , pag. 14, Tav. Ili, tig. 11. Bittner — Larnellibranchiaten aus der Trias des Bakonyer-waldes , pag. 7, Tav. VII, lìg. 8-11. Broiei — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser A/p, pag. 219, Tav. XXVII, tig. 32. Waagen -- Larnellibranchiaten der Pachycar- dien luffe der Seiser Alni , pag. 84 , Tav. XXXIII, tig. 20-21. Galdieri — Sul Trias dei dintorni di Giffoni . pag. 113, Tav. Ili, lìg. 9. Scali a — Il gruppo di MP J u dica , p. 297, Tav. IX, tig. 15. Wilckens — Palaeontologische Untersuschnng triadisclier Faunen aus der Umgebung von Predasso , pag. 161, Tav. VI, tig. 9. Una valva sinistra di piccole dimensioni, subequilaterale, arrotondata, rigonfia. L’ apice è submediano, un po’ spostato all’ indietro, robusto, discretamente elevato, prosogiro. La lunula è molto piccola e profonda. La superficie è ornata da forti pieghe concen- triche e da sottili linee di accrescimento. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 4. Schafhàutlia laticostata AIuenst. sp. Tav. Ili (Vi), fìg. 70-71. 1341. Isocordia laticostata Muenster — tìeitràge sur Petrefactenkunde, IV, p. 87, Tav. Vili, lìg. 25. „ Laure — Fauna von St. Cassimi , II, pag. 39, Tav. XV, fig. 6. 1867. Corbis La fauna del Trias superiore del gruppo di Mf fu dica 1895. Gouodon laticostatus Bittner — Lamellibranchiaten von Si. Cassimi, pag. 14, Tav. Ili, fìg. 7-9. Una valva destra ed una valva sinistra di piccole dimensioni, suborbicolari , con gli apici submediani, robusti ma poco elevati, fortemente ricurvi, prosogiri ; senza la lunula anteriore. La superficie è ornata da forti pieghe concentriche, superiormente arrotondate, separate da spazi piuttosto profondi, gradatamente più larghi verso il margine, e percorsi da sottili linee di accrescimento. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 5. Schafhàutlia sp. ind. Tav. Ili (VI), fìg. 72. Una piccola valva sinistra, subquadrangolare, poco rigonfia, con l’apice piccolo e poco sporgente, submediano, prosogiro. La lunula è stretta, lanceolata, poco escavata. La su- » perfide, alquanto erosa, mostra tracce di sottili pieghe concentriche largamente spaziate. Questa forma mostra delle affinità con la Sdì. astartiformis Muenst. sp. e con la Sdì. subquadrala Par. sp. (I), dalle quali però differisce per essere molto depressa, e per questo carattere si avvicina alla Sc/i. Laubei Bittn. (2) che però ha il contorno subor- bicolare e la superficie ornata da sottili linee concentriche di accrescimento. Loc. Serro Sello. Colles. Istit. geol. Lùiiv. Catania. 6. Schafhàutlia (1 ?) Judicana n. f. Tav. Ili, (VI) fìg. 73. Una valva sinistra equilaterale suborbicolare, fortemente depressa, con l’apice mediano, piccolo, poco ricurvo, prosogiro. La superficie è ornata da pieghe concentriche regolari, rilevate, piuttosto strette, largamente spaziate, con gli intervalli larghi circa il doppio, rego- larmente concavi. Nella regione apicale, quasi liscia, le pieghe sono molto larghe e leg- gerissime; alla distanza di circa 5 millimetri dall’apice le pieghe cominciano ad elevarsi gradatamente verso il margine dove sono molto strette, subacute. Non avendo potuto esaminare i caratteri della linea cardinale ho ascritto dubbiosamente questa forma al genere Schafhàutlia , al quale ritengo debba appartenere con molta pro- babilità per i caratteri esterni della conchiglia. Per le pieghe concentriche largamente spaziate che ne ornano la superfìcie, questa forma ricorda un poco la Lucina progenilrix Waagen (3) del permo-carbonifero dell’India. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. (1) PARONA — Studio monografico della fauna raibliana di Lombardia pag. 141, Tav. XIII, fìg. 3, a. b. GALDIERI — Sul trias dei dintorni dì Giffoni, pag. 1x6, (pars) Tav. Ili tìg. io. (2) BITTNER — iMinellibranchiaten von SI. Cassimi, pag. 14. Tav, III, fìg. 5-6. (3) WAAGEN w . — Sa/l-Range Fossi/s. -Producili s-limestone fossi/s T. Ili Peìecipoda, pag. 204 Tav. XVI 1 1 fìg. 14, 15- 56 S. Sculia [Memoria Vili. [ Gen. CARDITA BRUG. 1. Cardita cfr. crenata Goldf. Tav. III. (VI) fìg. 74, 75, 76. 1838. Cardila crenata Goldfuss — Vetrefacta Germaniae, li, pag. 185, Tav. 133, 1841. 1867. 1895. 1903. 1905. 'fìg. 6 a-f. Muenster — Beitràge sur Petrefaktenkunde , IV , pag. 86, Tav. Vili, fìg. 19. Laube — Fauna von St. Cassimi, II, pag. 42, Tav. XV, fìg. 11-12. Bittner — Lamellibr anelli alea von St. Cassimi, pag. 34, Tav. IV, fìg. 5-13. Bkoili — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, pag. 218, Tav. XXVII, fìg. 27-28. Gabbieri — La malacofanna triassica di Giffoni, pag. 17, Tav. I, fìg. 9. Una conchiglia completa e due valve destre isolate, i cui caratteri specilìci confron- tano con quelli del tipo di San Cassiano illustrato da Muenster, Laube e Bittner e degli esemplari della Seiser Alp, illustrati da Broili. L’esemplare completo rappresentato dalla fìg. 75 a, b appartiene al Museo geologico della R. Università di Palermo e proviene dalle brecciole della contrada Paraspora. La valva destra rappresentata dalla fìg. 74 presenta le costole piuttosto acute come l’esemplare della fìg. 10 del Bittner, il quale però è di maggiori dimensioni e più allun- gato trasversalmente. Loc. Paraspora- Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania e Istit. geol. IJniv. Palermo. 2. Cardita Beneckei Birra. Tav. Ili (VI), fìg. 77-78-79- 1895- Cardila Beneckei Bittner — Lamellibr anchiaten von St. Cassimi , pag. 39, Tav. IV, fìg. 18-20, Tav. XXIV, fìg. 12. 1905. „ ìì Galdieri La malacofanna triassica di Giffoni, pag. 16, Tav. I, fìg. 11. 1908. lì Galdieri Sul Trias dei dintorni di Giffoni, pag. 61, Tav. 1, fìg. 21. 1909. „ ìì Scali a Il gruppo di M. Judica, pag. 300, Tav. IX, fìg. 26. Due valve destre ed una valva sinistra, piccole, inequilaterali , trasversalmente allun- gate, molto rigonfie dall'apice all’angolo infero-posteriore. Ai due lati di questa sorta di ottusa carena, la conchiglia è fortemente e regolarmente depressa verso i margini anteriore e posteriore. La superfìcie è ornata da 22-24 costole radiali rilevate, arrotondate superiormente, di- 57 La fauna del Trias superiore del gruppo di MA' Judica vise da spazi intercostali pressocchè uguali ; le linee di accrescimento incrociandosi con le costole radiali le rendono variamente scabrose. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. CARD1UM LINN. 1. Cardium cfr. rhaeticum Mér. Tav. II! (VI), fig. 80. 1861. Cardium rhaeticum Mérian in Winkler — Der Oberkeuper nach Studiai in den bayerischen Alpen, Z. d. deutsc. geol. Ge- sells. Bd. XIII, pag. 482, Tav. VII, fig. 14 a-e. 1861. „ „ Moore — On thè Zone of thè Lovoer Lias and thè Aviaria contorta Zone , pag. 504, Tav. XV. fig. 28. 1895. „ cfr. „ Di-.Stefano — Lo scisto marnoso con Myophoria vestita della Punta delle Pietre Nere, pag. 27, Tav. I, fig. 20-22; Tav. II, fig. 29. (cani syn.) Ho confrontato con questa specie una valva destra di piccole dimensioni, rotta inferior- mente, rigonfia, subequilaterale, col margine posteriore troncato. L’apice è ricurvo, prominen- te, prosogiro, un po’ antimediano. Sul lato posteriore la conchiglia presenta una depressione subtriangolare, delimitata all’esterno dalla troncatura del margine posteriore e dalla porzione posteriore del margine cardinale, le quali si incontrano ad angolo ottuso. Questa parte della conchiglia si mostra ornata da sette costole radiali ben distinte, separate da solchi subeguali e profondi. Anteriormente a questa area nettamente costulata, si dipartono dal margine inferiore altre cinque costole, che però svaniscono a varie altezze decrescenti verso il lato anteriore. II resto della superfìcie presenta qua e là linee di accrescimento. Il nostro esemplare si avvicina di più, anche per il numero e l’andamento delle co- stole, alla fig. 14 c , data dal Winkler. Negli esemplari della Punta delle Pietre Nere il numero delle costole è maggiore (18-20). Questa forma presenta anche delle affinità col Cardium (?) ladinuni Bittn. (1) di San Cassiano, ma ne differisce per essere meno inequilaterale , più obliquamente troncato ai- fi indietro, più rigonfio e più oscuramente subcarenato, e specialmente per la differente or- namentazione della sua superficie. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. SCHIZODUS KING. 1. Schizodus sp. ind. Tav. Ili (VI), fig. 81-82. Due frammenti di valve sinistre di diverse dimensioni, di forma suborbicolare, legger- mente inequilaterali , sottili, discretamente convesse, col margine anteriore arrotondato e quello posteriore obliquamente troncato. Gli apici sono robusti, prosogiri, avvicinati al mar- gine cardinale; da essi si diparte una carena ottusa, flessuosa, che si dirige verso fi estremo (1) BITTNER — Lamellibranchiaten voti SI. Cassia 11, pag. 225, Tav. XXIV, fig. 26. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. Vili. 8 58 S. Seal /a [Memoria Vili.] inferiore della troncatura del margine posteriore. La regione compresa tra la carena ed i margini cardinale e posteriore è depressa e leggermente escavata. L' esemplare di maggiori dimensioni presenta la superficie in parte ornata da pieghe concentriche regolari, arrotondate superiormente, separate da solchi subeguali ; tali pieghe sono visibili presso il margine anteriore e presso il margine esterno della depressione po- steriore. L’ esemplare più piccolo è coperto da tenaci incrostazioni che non lasciano scor- gere alcuna traccia di ornamentazione, però avendo potuto in parte preparare la cerniera, vi si scorge il dente posteriore ed il dente cardinale bifido. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 2. Schizodus Judicensis n. f. Tav. Ili (VI), fig. 83. Una valva sinistra, sottile, suborbicolare, leggermente inequilaterale, piuttosto depressa, posteriormente carenata. Dimensioni: altezza 8 mm.; larghezza 8,5 mm.; spessore 2 mm. Il margine posteriore è troncato obliquamente. L’apice è antimediano, robusto, proso- giro, avvicinato al margine cardinale ; da esso si diparte una carena piuttosto acuta , la quale raggiunge 1’ estremo inferiore della troncatura posteriore. Posteriormente alla carena, la conchiglia si abbassa ripidamente e presenta una regione subtriangolare fortemente de- pressa, escavata. Nei punti dove la superficie non è coperta da tenaci incrostazioni , osservando con la lente a luce riflessa, si scorgono delle sottilissime linee concentriche di accrescimento. Loc. Gammaniura. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. Gen. YOLDIA MoLLER. 1. Yoldia sp. ind. Tav. Ili (VI), fig. 84. Una conchiglia con le due valve riunite, piuttosto compressa, subequilaterale, trasver- salmente allungata, anteriormente subellissoidale, posteriormente rostrata. Dimensioni : altezza 3 mm.; larghezza 5, 5 mm.; spessore delle due valve riunite quasi 2 mm. Il margine cardinale è subangoloso; gii apici robusti, opistogiri, submediani, avvici- nati; il rostro corto, robusto, carenato, rivolto leggermente in alto. La superficie, mal con- servata, non lascia scorgere alcuna traccia di ornamentazione. Loc. Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. TAV. I (IV). SPIEGAZIONE DELLA TAV. I (IV). 1-8. » 9- » 11. » 12. » i3- » 14. » 15- » 16. » I7‘. » 18. » 19. » 20-24. » 25-30. » 3i- » 32-35- » 36. » 37- » 38. » 39-40. » 41. » 42. » 43- « 44- » 45- » 46-47. » 48-51. » 52. » 53- » 54-56. » 57-63- Gervìllìa {Ang listello) angusta MUENST. — Gammaniura . » » » nov. var. incurva — Gammaniura . Perita carinata n. f. (X 2 diam.) — Gammaniura ...... Lima {Plagio stoma) Scaramillensis n. f. — Serro Sello . » » aff. subpunctala d’ ORB. — Serro Sello .... » ( Limea ) Judicana n. f. — Acquanova ....... Mysidioptera Wormanni SAL- — Paraspora ....... » laevìgata BlTTN. — Paraspora ....... » ornata SAL., var. lombardica BlTTN. — Paraspora » areolata n. f. — Castellace ....... » subuncinata n. f. — Gammaniura ...... Pecten Cislonensis POLIFKA — Gammaniura ....... » Billneri n. f. — Gammaniura ........ » Josephi n. f. — » » asperulatus n. f. » » trettensis TORNQ. » ........ Pseudomonotis ( Eumìcrotis ) gammaniurensis n. f. (x 2 diam.) — Gammaniura Pecten cfr. auristriatus MUENST. - — Gammaniura ...... » sp. ind. — Gammaniura ......... Peudomonotis sp. ind. aff. multiformis BlTTN. (x 2 diam.). — Gammaniura . » multiformis BlTTN. — Gammaniura ...... » sp. aff. hinnitidea BlTTN. — Gammaniura. .... Pecten (?) cfr. margaritìferus BlTTN. — Gammaniura ..... Pecten sp. ind. aff. octoplicatus BlTTN. (x 2 diam.) — • Acquanova . » Aquaenovae n. f. (X 2 diam.) — Acquanova ..... » Schopeni n. f. — Gammaniura ........ * aff. praemissus BlTTN. — Gammaniura ...... » discites SCHOLTH. sp. — Gammaniura ...... » inflatus n. f. — Gammaniura ........ » Placunopsis denticostata LAUBE sp. — Acquanova, Paraspora • Pag- 3 » 3 » 4 » 5 » 4 » 5 » 6 » 7 » 7 » 8 » 9 » 9 » io » 1 1 » 1 1 » 12 /> 1 » 12 » 13 » 2 » 2 » 1 » 13 » 13 » 14 » 14 » 15 » 15 » 16 » 19 » Nota La soppressione della fig. io è dovuta ad un errore tipografico. TAV. II (V). Fig » » 21. » 22. » 23-24. 25-27. » 28-29. » 30. » 31-34- » 35-37. » 38. » 39. » 40. » 41. » 42. 4 3-47- » 48. » 49-50. » 51. » 52. » 53-54. » 55-56. » 57. » 58. » 59. » 60. » 61. » 62. » 63. » 64. » 65. » 66. » 67. » 68. » 69. » 70-71. » 72. » 73. » 74-76. » 77-79- » 80. » 81-82. » 83. » 84. Gammaniura Anoplophora (?) impressa n. f. — Gammaniura » donaciformis n. f. — Gammaniura » (?) Gammaniurensis n. f. — Gammaniura Pleurophorus aff. elogantus MOORE — Gammaniura » aff. » » n. var. sublame/iosa » Di Francoi n. f. — Gammaniura » aff. elongatus MOORE — Gammaniura » expansus n. f. — Gammaniura. Myacites sp. ind. aff. baconicus BITTN. — Gammaniura Myoconcha Tommasii n. f. — Gammaniura Pleurophorus postice-gradatus n. f. — Gammaniura. » granulalus n. f. Gammaniura Soienomya (?) subcarinata n. f. Gammaniura . Myophoria vestila v. ALB. — Paraspora. » cfr. Goldfussi v. ALB. — Paraspora » vestita v. ALB. — Acquanova. » Gammaniurensis n. f. — Gammaniura. » sp. ind. cfr. intermedia v. SCHAUR. — Paraspora vestita v. ALB. n. var. bifrons. — Paraspora decussata MUENST. sp. — Paraspora Anna n. f. — Paraspora .... vestita v. ALB. » .... chenopus LAUBE — Paraspora sp. ind. aff. inaequicostata KLIPST. — Paraspora » ' cfr. /tarpa MUENST. (X 2 diam.) — Paraspora » cfr. ornata MUENST. — Acquanova Myophoricardium lineatimi WoHRM. — Paraspora . » suborbicolare n. f. (X 2 diam.) — Paraspora Myophoriopsis Rosthorni BOUÉ sp. (X 2 diam.) — Paraspora » lineata MUENST. sp. (X 2 diam.) — Acquanova Schafhdutlia astarliformis MUENST. sp., var. lamellosa BITTN. — Serro » rostrata MUENST. sp. — Paraspora » Mellingi HAUER sp. — Paraspora » laticostata MUENST. sp. — Paraspora » sp. ind. — Serro Sello Schafhdutlia (?) Judicana n. f. — Paraspora. Cardila cfr. crenata GOLDF. - — Paraspora-Acquanova » Beneckei BITTN. (fìg. 78-79 X 2 diam.) — Acquànova Cardium cfr. rhaeticum MÉR. (X 2 diam.) — Paraspora Schizodus sp. ind — Gammaniura. .... » Judicensis n. f. (X 2 diam.) — Gammaniura . Yoldia sp. ind. (x 2 diam.) — Acquanova » » » » » » Sello Pag- » » » s » » » » » » » » » » » 39 40 40 40 41 41 40 42 43 29 42 42 43 43 45 43 46 46 45 47 48 43 48 49 49 50 51 51 52 52 53 53 54 54 55 55 56 56 57 57 58 58 Mem. Accad. Gioenia di Se. nat. Catania - Ser. 5. Voi. V. SCALI A - Fallila del Trias sup. d. M. Judica II-Tav.I. (IV). A UT. FOT. FOTOT. P. MARZARI A C. - SCHIO Mem. Accad. Gioenia di Se. nat. Catania - Ser. 5. Voi. V. SCALI A - Fauna del Trias slip. d. M. Judica, 1 1 - Tav. II. (V). 7 a 15 71 b 65 a 64 73 b 73 c 65 b 75 a 20 b 61 a 75 b .UT. FOT. FOTOT. P. MARZARI * C. - SCHIO V. Meni. Accad. Gioenia di Se. nat. Catania - Ser. 5. Voi. V. SCALIA - Fauna del Trias suj>. d. M.. Indica, II-TavXII. (V). 'fr- uì a 75 b » .è 77 AUT. FOT. FOTOT. P MARZARI A C. SCHIO Memoria IX. Osservazioni meteorologiche dei 1911 fatte nel R. Osservatorio di Catania Il luogo, gli strumenti meteorici, le ore di osservazione (1) e il modo di fare le medie degli elementi osservati, sono quelli stessi adoperati nei diciannove anni precedenti, e se ne trova la descrizione nella nota pubblicata nel 1898 (2), rammentiamo qui soltanto che le coordinate geografiche dell’ Osservatorio sono : e che il pozzetto del barometro è elevato 64,9 m. sul livello medio del mare, e 19 m. sul suolo: gli altri strumenti meteorici circa altrettanto. I quadri N. 1, 2 e 3 contengono i risultati delle osservazioni dell’anno meteorico 1911 (dicembre 1910 a novembre 1911); nei primi due si aggiungono anche i valori del dicem- bre successivo, allo scopo di trovare nello stesso quadro i dati di tutto 1’ anno civile, e si riportano in fondo anche le medie relative a questo intervallo: come nei precedenti rias- sunti le temperature e pressioni barometriche non sono ridotte al livello del mare, nè que- ste ultime al valore normale della gravità. La media della trasparenza dell’ aria stimata in sei gradi, 0 a 5, (Tab. 2), è dedotta dalle osservazioni delle ore 7 od 8, 9, 15; anche per la trasparenza dell’aria la la osser- vazione dall’ aprile in poi si è fatta sempre alle ore 7. Nel quadro n. 4 si trovano dei singoli elementi i valori medi dedotti dal ventennio di osservazioni: dicembre 1891 a novembre 1911, valori che consideriamo provvisoria- mente come normali. Della temperatura si riportano nella seconda colonna i valori ridotti col calcolo al livello medio del mare : così ancora la quarta, contiene i valori della pres- sione atmosferica ridotta al livello del mare e al valore g45 della gravità alla latitudine di 45°. Confrontando i valori delle stagioni e dell’anno 1911 con i corrispondenti dell’anno 1910, abbiamo trovato le differenze che riportiamo nello specchietto seguente: (1) Per disposizione del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica dall’ aprile 1911 in poi la prima osservazione si è fatta sempre alle ore 7. (2) A. RICCO e G. SAIJA. Risultati delle osservazioni meteorologiche fatte nel quinquennio i 4 °/o +8> 5 -0, 07 -0. 3 Primavera — O, I — O, I 4-o, 14 + 1,5 —0, O! 4- 70, 1 4-9, 6 — 0, 08 0, 0 Estate +0) 4 + 5 4-2, 02 + 3> 2 — O, IO + 12,7 4-8, 2 — 0, 02 —0, 2 Autunno + 1, > +o. 7 4-i, 38 4-44 3 ! O -Li 16, 3 — b 5 4-0,03 —0, 5 Anno -fio, 4 4-b 1 4-o, 91 + 3. 3 — O, 19 4444, 5 +6, 2 1 c 0 —0, 3 Come si vede vi è una notevolissima differenza nella pioggia, che nel 1910 fu scar- sissima, mentre nello insieme del 1911 è stata più dell’ordinario; come causa o come conseguenza si ha nel 1911 maggiore umidità dell’aria, maggiore nebulosità, minore so- leggiamento, minore evaporazione, minore trasparenza dell’ aria che nel 1910. Confrontando poi le medie delle stagioni del 1911 con quelle del ventennio, come è dato dallo specchietto seguente, risultano differenze poco rilevanti e nell’ insieme dell’an- no tutte positive ; la pioggia è stata superiore alla normale, notevolmente in inverno, assai meno in primavera : fu presso a poco normale in estate, scarsa in autunno. Vi sono stati 125 giorni di pioggia; di cui 64 accompagnati come al solito da venti grecali, persi- stenti per parecchi giorni, e fino per una settimana in parecchi periodi. Vi è stata una nevicata leggera il 9 febbraio. Confronto del 1911 colle medie del ventennio. Temperatura dell’ aria Pressione atmosferica Tensione del vapore Umidità r e 1 a t i va Evaporazione all’ ombra Pioggia totale Nebulosità Soleggiamento Inverno . . , 0 — 0, 4 in in 4-i,4 IVI 111 +0, 24 % -t-3. 1 min 4-0, 51 mm 4-92,9 % 4- 8, 9 0, 00 Primavera -0, 3 —0, 8 4-o, 09 + b 7 4-0, 69 4-27, 0 -t-13, 8 —0,05 Estate +0, 7 -H,2 -fio, 72 4-i, 1 4-i, 22 4-b 26 — 0, 1 -69, 1 + 4,7 0, 00 Autunno LO, 7 4-o, 7 4-o, 2 1 — b 5 — 0, 2 -4-0, 06 Anno 4-0, 2 4-o, 6 4-o, 5 1 4-i,o -f 0,91 450,7 4- 3> 2 4-0,01 Come fenomeni atmosferici particolari del 1911 si possono considerare quelli dipen- denti dalla grande eruzione scoppiata nel versante NE dell’ Etna al 10 settembre, cessata il 23 dello stesso mese. L’ aria fu intorbidata dal fumo e dalla cenere dal 10 al 20 del detto mese; ciò ha contribuito a rendere minore la trasparenza dell’ aria nel mese di settembre : infatti ri- sultò minore del solito e di quella dei due mesi attigui, agosto ed ottobre, come si vede nella tabella N. 2. Vi fu pioggia di cenere dal 10 al 17 settembre, specialmente abbon- dante il 15, per modo da portare incomodo alla respirazione, anche in Catania, a 30 e più km. di distanza. Vi fu pure emissione di prodotti sulfurei, cosicché in Catania il giorno 10 si avvertiva forte odore di anidride solforosa. La luce del sole era decisamente rossastra nei primi giorni dell’ eruzione, ed il sole stesso e la luna all’ orizzonte, ed anche ad una certa altezza, presentavano un color rosso- purpureo. Però non si è visto mai 1’ anello di Bishop, ma soltanto qualche volta una aureola rossastra attorno al sole. Osservazioni meteorologiche del 1911 , ecc. 3 «Inalilo M. 1 — 1911 Temperatura media dell’ aria Medie dei massimi diurni di temperatura dei minimi e delle escurs. Temperatura del sotterraneo Temperatura acqua del pozzo Pressione atmosferica Tensione del vapore acqueo Umidità relativa M m E 0 0 0 O 0 O mm mm / 0/0 Dicembre 1910 .... 12, 7 15,8 8,9 6, 9 15,8 15, 9 755,8 8. 58 73,4 Gennaio 1911 .... 9» 2 12, 4 5, S 6,9 1 3, 3 i5,7 758, 1 6, 92 74,8 Febbraio 8,9 12.7 4,4 8,3 1 1, 7 i5,7 760,3 co LA 63, 1 Marzo '1 2, 2 '5, 7 8,1 7,6 13,0 15,8 75 5, 1 7, 64 67,6 Aprile M, 5 18,6 io, 3 8, 3 1 3, 9 15-9 754.6 7, 64 59-o Maggio 18, 2 21,9 14, 0 7-9 16, 0 1 5» 9 753.8 9, 82 61, 4 Giugno 23, 2 27, 0 18,4 8,6 18. 4 i5,9 758, 3 1 1,63 52,2 Luglio 26, 0 30, 1 21,2 8,9 ■9. 9 i5,9 757-9 14,22 54,6 Agosto 27,5 30,6 22,1 8,5 22, 1 16, 0 756,0 15,01 5 3,o Settembre 23. 7 28, 2 18, 3 0,9 22,8 16,4 757, 5 12, 89 55- 3 Ottobre 20, 6 24,0 16, 7 7, 3 20, 5 16, 2 759, 2 11,78 61, 7 Novembre 16, 3 x9> 7 *3, 1 6, 6 18/4 16, 2 757, 2 10,77 72, 6 Dicembre i5- 7 16, 9 io, 6 6, 3 17, 2 16, 1 758, 2 8, 15 66, 2 inverno . io, 3 1 3, 6 6, 3 7, 3 13, 6 15,8 758, 1 7,09 70,4 Primavera 15,0 18,7 io, 8 7, 9 14, 5 1 5, 9 754, 5 8, 37 62, 7 Estate 23, 6 29, 2 20, 6 8,6 20, 1 i5,9 757,4 13,62 5 3,3 Autunno 20, 3 24.0 16, 0 8, 0 20, 6 16, 3 758,0 1 1, 81 63, 2 Anno meteorico . . '7,8 21, 4 i3,4 8, 0 17, 1 16, 0 757,o IO, 22 62,4 » civile 17.9 21, 3 13, 5 8,0 i7, 3 16, 0 757, 2 io, 19 61,8 4 [Memoria IX.] A. Ricco e L. T affava Quadro N. 2 — 1911 O il N *2 O Vento om inante <Ì ’c/i ORE DI SOLEGGIAMENTO trasparenza atmosferica E è 0 r-, - ci rs > ^ UJ ‘So bJO O al O 3 A B A media Frequenza della massima z oss. cale. B Dicembre 1910 . . . . nini 2, 76 ni m 71,6 W, NE 0 / /o 65, < Il 122, I li 296, 5 0, 41 2, 2 0, IO Gennaio 1911 .... 2, 05 26!, B NE, E, W 65, 6 m, 5 305, 1 0, 37 2, 0 0, 08 Febbraio 2, 72 17,8 NE 48, 3 157, 3 301, 0 0, 52 2, 5 O, 06 Marzo 2, 88 82,8 NE. E 64,0 141, 7 370,4 0, 58 2,0 0, 13 Aprile 4,01 33,8 NE, E 55, 5 172,9 394,4 0, 44 2, 3 0, 08 Maggio ...... 4, 12 23.7 NE, E 60, 7 228, 7 438,4 0, 52 2, 0 0, 02 Giugno 5, 94 0, 1 E, SW 22,Q 304,6 439,9 0,69 2, 6 O.OJ Luglio 6, 30 14, 6 NE, E 26, I 282, 0 446,6 0,63 2, 5 O, OO Agosto . . .• . 7,46 5.0 NE 21, 2 279,9 419,0 0, 67 2,9 O, 09 Settembre ..... 5, 92 14, 9 W 42,7 180, 8 370, 8 0, 49 2, 0 0, 06 Ottobre 4; 93 I2, 9 W, NE 34,o 235,6 345,8 0, 68 2,9 0,31 Novembre 2,86 150, 5 NE, W 58, 3 143, 5 303, 1 o,47 2, 1 0, 14 Dicembre 3, 12 M5, 5 W 48,6 148,9 296, 5 0, 50 2, 8 0, 16 Inverno 2, Si 350,7 NE 59,9 390,9 902, 6 o,43 2, 2 0, 08 Primavera 3.Ó7 140, 3 NE, E 59, 3 54 3, 3 1203, 2 0, 45 2, 1 0, 08 Estate 6, 57 19,7 NE 23, 4 866, 5 1305, 5 0, 66 2,7 0, 04 Autunno 4, 57 178, 3 W, NE 45,o 5 59,9 1019, 7 0, 5 5 2, 3 0, 17 Anno meteorico .... 4. 32 689, 0 NE 46,9 2360, 6 4451,0 0, 5 3 2, 5 0, 09 » civile 4, 35 762,9 NE 45, 5 2387,4 4431,0 0, 54 2,4 0, IO Meteore acquee — numero dei giorni Frequenza della calma e dei venti Osservazioni meteorologiche del 1911 , ecc. o Quadro N. 3 — 1911 NE E /SE S sw w ì NW I sereni misti coperti con pioggia. . . . con neve o grandine con nebbia .... con brina .... | con temporali . . 1 con scariche elettriche cj O ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI o > ~ ci — > ci ATURA aria ci 0 s 33 C ci PRESS atmos Q-> .2 tf) i-. c/) 0 - ci — > ci .IONE ierica - tu « J- ^ 4— 1 C3 ° S si 'E — «s * tu Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Evaporazione all’ ombra Pioggia totale Nebulosità Soleggiamento Gennaio . 0 9.9 0 I 01 2 nini 757,6 mm 763, 1 mm 6, 49 °/o 66, 8 mm 1, 89 m m 95, 3 °/o 49,7 0, 44 Febbraio . . io, 5 io, 8 755,9 761, 4 6, 55 65, 2 2, 13 55,2 50,0 0, 46 Marzo .... i-z, 3 12, 7 755, 3 760,7 7, 22 64, 1 2, 36 52,7 49, 5 0, 48 Aprile .... •4,9 15, 3 755,0 760, 4 8, 22 62, 2 2,84 37,8 47,o 0, 47 Maggio . . . 1 8, 6 19. 0 755,7 761, 0 9, 4i 56, 7 3,73 22, 8 40, 1 0, 54 Giugno 22, 8 23, 2 756, 3 761, 6 1 1, 62 5 3,o 4, 72 5, 6 26, 8 0, 60 Luglio .... 25,9 26, 3 756,0 761,2 1 3, n9 50,0 5, 67 4, 2 13,2 0,69 Agosto . . . 26, t 26, 5 756,4 761, 6 13,98 53,7 5,65 io, 0 16, 0 0, 68 Settembre. 23, 6 24,0 757, 2 762,4 13,28 59, 2 4, 48 49, ' 34,o 0, 5 5 Ottobre . . . 20, 0 20, 4 757, 5 762, 6 12, 01 66, 4 3, '5 86,5 48,6 0, 48 Novembre 15, 3 M,7 757, 3 762,7 9, 5o 69,0 2, 29 1 1 1, 8 53.0 0, 43 Dicembre . 11,8 12, t 756, 5 761,9 7, 50 69, 8 1,98 107, 3 53,4 0, 38 Inverno . . . io, 7 11,0 756,7 762, 1 6,85 67, 3 2, 00 257,8 51,0 o,43 Primavera 15. 3 i),7 755, 3 760, 7 8, 28 61,0 2, 98 "3, 3 45, 5 0, 50 Estate .... 24,9 25, 3 756, 2 761, 5 12, 90 52, 2 5, 55 19, 8 18, 7 0, 66 Autunno . 19,6 20, 0 757, 3 762, 6 1 1, 60 64, 7 3, 3i 247, 4 45, 2 0, 49 Anno .... 17, 6 18, 0 756,4 761,7 9,9' 61, 4 3,4i 638, 3 40, 1 0, 52 Osservazioni meteorologiche del 1911 , ecc. 7 ERRATA-CORRIGE Correzioni da farsi ai risultati delle Osservazioni meteorologiche pubblicati nel ventennio. Errata Corrige 1 892 — 96, Quadro N. 8, Gennaio 1892 . . 39. 1 106, 9 » » » » Febbraio » 23. 4 35, 2 » » » » Inverno » • 84, 5 164, 1 » » » » Anno » 458. 4 538, 0 » » » N. 14 Pressione minima 1894 8h 744, 7 1 Novem. 1 5h 31 740, 6 Dicem. » » » » Umidità massima » 9h 1 Dicem. 9h 1 Dicem. 1893 1897 — 98, Quadro N. 3, 1897 Umidità minima 19 IO » » » » 1898 Pressione massima 771, 1 770, 1 » » » » » » minima 21 740, 1 Marzo 2ih 7 738, 0 Marzo 8h » » » » » Tens. vap. » 26 1, 48 Genn. 71' 9 2, 52 Febbraio 1511 1899, Quadro N. 3, Umidità rei. massima . 4 Dicembre 9h 14 Marzo 8h 1900, » » Evaporazione minima . 22 0, 15 Dicembre 13 0, 05 Gennaio » » » Umidità relat. minima 25 Ottobre 1511 24 Ottobre i5h 1901 » » 1 massima . » » < . . 1 minima . 26 21 16 Luglio 9h 99 Ottobre 2ih 21 26 99 Ottobre 2ih 16 Luglio 9h 1903 » » Temp. dell’aria minima . 25 Dicem. 25 Dicem. 1902 » » » Evaporazione » 8 Dicem. 8 Dicem. 1902 1904 » » » » 16 Dicem. 16 Dicem. 1903 1906 » » Umidità relativa » 2 Giugno 9h 3 Giugno 9h 1908 » N. 4 Temperatura ridotta al mare : Febbraio. IO, 2 11,2 1910 i Soleggiamento : togliere 1’ indicazione h in capo alle colonne del soleggiamento. Memoria X Intorno al pneumotorace artificiale secondo Forlanini pel Prof. MAURIZIO ASCOLI Da quando, nel Gennaio 1910, ci fu affidata la Direzione del Sanatorio Ferrarotto, annesso all’ ospedale Vittorio Emanuele, abbiamo profittato dell’ opportunità offertaci di ap- plicare il pneumotorace artificiale Forlanini nella cura della tubercolosi polmonare ed ab- biamo usato tale metodo, quando risultava indicato. Il dottor Fagiuoli ha già riferito intorno ad alcune osservazioni raccolte su questo argomento (1). In particolare fu insistito, in piena armonia colle ricerche pubblicate con- temporaneamente dal v. Muralt (2), sul valore del controllo manometrico e sulle preziose indicazioni ch’esso è in grado di fornire sull’avvenuta penetrazione dell’ago nel cavo pleurico, sulla pervietà di questo, sulla quantità di azoto da immettervi nelle singoli introduzioni del pari che su quella riassorbita, sull’ intervallo da interporre tra i singoli rifornimenti, sulla raggiunta immobilità polmonare, sull’insorgenza di versamento pleurico; fu poi descritta minutamente la pleurite sierosa pneumotoracica (3). Lo stesso dottor Fagiuoli raccoglierà tra breve i risultati immediati ottenuti in 30 casi curati col pneumotorace. Abbiamo sem- pre impiegato il metodo della puntura (sia detto per incidenza di fronte ai pretesi suoi pericoli, imputabili invece a tecnica difettosa) e non abbiamo avuto a deplorare, in più di 1500 introduzioni di N finora eseguite, il benché minimo inconveniente. Oggi mi propongo di trattare di evenienze relativamente rare che occorrono nella pratica del pneumotorace e stanno in stretto rapporto colla quistione del grado di pressione endopleurica più conveniente a raggiungere, per la via più sicura e più rapida, la meta della guarigione. Considerazioni teoriche suggerirono al Forlanini fin dall’inizio dei suoi studi il pen- siero che il maggior carico funzionale, che tocca al polmone opposto al pneumotorace po- tesse utilizzarsi terapeuticamente; osservazioni cliniche gli confermarono la presunzione dimostrando l’ azione favorevole esercitata dal pneumotorace su lesioni iniziali dell’ altro polmone. Alla stregua della nostra esperienza non possiamo che sottoscrivere a questa pro- posizione, poiché abbiamo constatato, nella grande maggioranza dei nostri casi di affezione bilaterale arresto o regressione di fenomeni iniziali del lato opposto al pneumotorace. Riteniamo rispondere del pari a realtà il meccanismo genetico avanzato dal Forlanini (4) ad interpretare questo singolare fenomeno: provenire cioè dall’ aumento di intensità dei (1) Riforma medica 1911 N. 31. (2) Beitr. z. Klin. d. Tub. XIII fase. 3. (3) Muenchener med. Wock, 1912 N. 19. (4) Riv. pubi. Pneum. ter. 1910 N. io pag. 29. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. X. 1 Maurizio Ascoli [Memoria X.J movimenti respiratori, aumento che pone qualche ostacolo allo svilupparsi e forse allo estendersi dei processi preparatori della tisi. Non è detto però che questa interpretazione ne racchiuda per intero il determinismo. L’ha già notato il Forlanini; ma è bene insistervi perchè si deve appunto all’oscurità delle cause se il fenomeno sul principio ebbe ad incontrare e forse non ha ancora del tutto superato scogli di diffidente scetticismo. Giova qui richiamare fatti analoghi venuti in luce nel corso di cure pneumotoraciche. S' è visto [Forlanini, Da Gradi (1)J in malati curati secondo Forlanini, avvantaggiarsi anche localizzazioni tubercolari estrapolmonari (laringee, intestinali, renali), risultanze alle quali la menzionata interpretazione, acuta e razionale, non è applicabile. Non per questo è da rifiutare un nesso causale fra tali successi e la cura istituita, e pensare senz’ altro a rela- zioni puramente accidentali. Il legame da causa ad effetto può sussistere ugualmente, ma essere diverso, di natura indiretta. Ci sembra ovvio ammettere col Forlanini che, migliorate per la disintossossicazione determinata dai pneumotorace, le condizioni generali, avviato il processo di guarigione del polmone compresso, rialzati quindi i poteri di difesa specifica (valga come esempio l’ ac- cresciuto indice osponico trovato dal Pigger (2) e dal Carpi (3) della scuola di Forlanini), l’ organismo riesca a dominare anche focolai insediati a distanza. Ora se non solleviamo obbiezioni a questa spiegazione, sarebbe arbitrario escludere, dal novero degli organi che possono ritrarre benefìci indiretti di tal natura, il polmone op- posto, semplicemente perchè esso può avvantaggiarsi anche in maniera diretta: piuttosto è da ammettere — e il Forlanini 1’ ha già affermato — che gli effetti utili si sommino, e derivino da un lato dall’ attivazione della funzione respiratoria, dall’ altra dal sollievo delle condizioni generali e di difesa specifica. -* * Il Forlanini (4) ha avvisato ancora la possibilità che il pneumotorace, allorquando ab- bia raggiunto un volume eccessivo, possa spiegare un’ azione opposta sull’ altro polmone, in quanto la limitazione della sua espansione e la riduzione dei movimenti respiratori sono atti a favorirvi l’ insediamento o la diffusione di processi tubercolari. Rilievi obbiettivi avvalorarono questa supposizione: in un caso egli osservò, dopo la comparsa di una pleurite pneumotoracica, peggioramento delle lesioni preesistenti del lato opposto; peggioramento del quale, in armonia colle premesse, ebbe felicemente ragione, mediante abbassamento della pressione endopleurica conseguito con parziale svuotamento del versamento e dell’azoto. Un caso simile è occorso anche a noi. Benché non vi fosse (5) alcun indizio per la esistenza di aderenze pleuriche, era stato necessario raggiungere una pressione discretamente elevata per soddisfare al postulato del silenzio stetoscopico. Tale pressione, fu, per il resto, (1) Deutsche med. Woch, 1910 N. 22. (2) Beitr. z. Klin. d. Tub. Vili fase. 4. (3) Riv. pubi. Pneum. ter. 1909 N. 5. (4) Riv. pubi. Pneum. ter. 1910 N. io pag. 29. (5) Nè in base all’ esame fisico, nè al contegno della press. endopl. durante i rifornimenti ; soltanto da poco abbiamo la possibilità di giovarci dei raggi X, che confermarono il reperto. Intorno cil pneumotorace artificiale secondo Forlanini 3 tollerata bene dal paziente e non produsse, in altri casi, conseguenze spiacevoli. Nel caso in parola invece sul polmone fino allora sano comparve respiro aspro all’ apice, poi scarsi rantoli, che crebbero man mano di numero e di estensione. L’abbassamento della pr. end. mediante parziale svotamento dell’ N, distanziamento e misura nei rifornimenti produssero la regressione dei fatti controlaterali che dopo un mese e mezzo eran notevolmente diminuiti e ulteriormente ridotti ad un minimo dopo 3 mesi. * * * L’occasione alle pi-esenti righe fu offerta invece da altri due casi (v. appendice, caso 1° e II0), in uno dei quali dopo scomparsa transitoria dei fenomeni controlaterali preesi- stenti, transitorio miglioramento degli stessi nell’altro, si verificò la riaccensione di quei focolai, senza che il peggioramento fosse imputabile a limitazione delle escursioni del pol- mone controlaterale per eccessivo volume del pneumotorace. Chè la cura era poco progredita allorquando il peggioramento si stabilì, non erano scaturiti elementi per la possibile esi- stenza di aderenze nè dall’esame fisico, nè dal costante controllo manometrico durante le introduzioni di azoto, e, che sopratutto importa, la pressione endopleurica era modesta, va- lori positivi non peranco raggiunti. In questi casi esisteva dunque 1’ indicazione per la cura del pneumotorace , la cura iniziata si svolse tecnicamente in modo regolare: ciò nullameno, dopo passeggera miglio- ria, essa approdò all’insuccesso. Proprio di simili casi, che si scostano dall’esperienza acquisita, e del cui decorso sfavorevole cerchiamo invano la spiegazione nelle vedute do- minanti, è prezzo dell’opera approfondire l’analisi; tanto più che dalla conoscenza delle cause che determinano il contegno anormale può derivare qualche ammaestramento sul modo di evitarlo e di correggerlo. Nella maggior parte dei casi dunque il pneumotorace è capace di agire utilmente so- pra una lesione iniziale del polmone opposto; in altri invece questo può ammalare, se clinicamente sano, oppure aggravarsi una lieve lesione preesistente. In una parte dei casi di questa seconda categoria 1’ insediarsi od il peggioramento della lesione controlaterale dipendono da compressione meccanica e da limitazione dei movimenti respiratori del polmo- ne corrispondente; ed allora, s’ è visto, può essere dominato mediante conveniente, pronto abbassamento della pressione pneumotoracica ; in un secondo gruppo — quello che ora ci interessa — di questa categoria il peggioramento si stabilisce senza che sia possibile ripe- terlo da questo momento causale. Qualunque sia 1’ interpretazione che vogliamo invocare fra le diverse possibilità che si presentano, certo si è che i fattori meccanici, da soli, senza intervento di altri elementi, sono insufficienti a darle una base abbastanza solida. A questo riguardo va tenuto presente prima di tutto che il trattamento pneumotora- cico crea, sì, condizioni favorevoli per la guarigione, crea direi quasi il presupposto neces- sario per la guarigione, ma che la guarigione, alla fin fine, è sempre operata dall’orga- nismo, come già il Forlanini (1), in altri termini ebbe ad enunciare. Quando le risorse dell’ organismo sono del tutto stremate, come nelle forme galoppanti, anche l’ effetto tera- peutico del pneumotorace manca. Non possiamo poi fare astrazione da un’ altra circostanza. Ed è questa, che il pneu- (i) Therapie der Gegenwart 1908 (Nov.-Dic.), pag. 2 dell’ estratto. 4 Maurizio Ascoli [Memoria X.] motorace rappresenta una condizione patologica; che la sua creazione non può costituire al certo un intervento indifferente per 1’ organismo. Possiamo, in proposito, costruire già per 1 individuo sano due limiti: un limite inferiore, fino al quale il volume del pneumo- torace è così piccolo, la sua pressione così bassa che il patimento risentito dall’organismo è, in ogni caso, praticamante nullo; l’altro superiore, a partire dal quale la pressione è tale che qualunque organismo ne soffre. Questi confini estremi sono riuniti da una ca- tena di stati intermedi insensibilmente digradanti, nei quali 1’ entità delia ripercussione, se nulla, lieve o grave, dipende esclusivamente dalle condizioni individuali ; la loro somma, il fattore individuale , rappresenta il momento essenziale che determina il grado di risen- timento dell’ organismo. Dobbiamo dunque ritenere che , appena la pressione pneumotoracica ha superato un determinato valore, variabile da caso a caso, la sua proficua azione fondamentale è tur- bata ed intralciata da un’azione opposta, sfavorevole, sull’intero organismo; ed è superfluo rilevare che tale azione, come qualunque altra dannosa, deve riflettersi, minorandoli, sui poteri specifici di difesa e spianare la via alla diffusione dell’ infezione. Ed è chiaro altresì che quest’azione negativa dev'essere più pronunziata quando il pneumotorace, com’ è il caso del pneumotorace terapeutico, trovi l’organismo già in istato di sofferenza, e vari or- gani, in varia misura, direttamente od indirettamente coinvolti, lesi nella loro capacità rea- zionale ; in altri termini al fattore individuale appartiene allora un margine anche più largo. Nella cura del pneumotorace vanno dunque considerati : La resistenza o il grado di immunità dell' organismo di fronte all’ infezione tubercolare (l). L'azione diretta del pneumotorace sul polmone omolaterale e quella indiretta sul controlaterale , per le mutate condizioni di circolo e di funzione. L’ azione a distanza esplicantesi sullo stato generale, e, conseguentemente su eventuali lesioni specifiche estr apolmonari : favorevole per la soppressa fonte di veleni ; sfavorevole , appena la pressione endopleurica ha raggiunto una determi- nata altezza (Valore Critico) individualmente variabile entro confini alquanto lati. A rigor di termini a partire da un dato momento quest’ ultima azione negativa è da presupporre in qualunque trattamento pneumotoracico. Ma essa viene mascherata e sopra- compensata dai benefici (diretti, indiretti, a distanza) della cura; aumentando la pressione endopleurica la sproporzione si attenua, finché raggiunto un determinato valore si cancella, e 1’ azione sfavorevole prevale. 11 limite della pressione endopleurica che segna 1’ inversione della preponderanza nel singolo caso è poi determinato esclusivamente dal fattore indivi- duale. Per buona fortuna questo grado di pressione, nella grande maggioranza dei casi, come 1’ esperienza ha dimostrato ormai perentoriamente, è relativamente elevato, e tale da con- sentire il collasso unipolmonare completo senza danni di qualche entità. Allorquando però, per la peculiarità del fattore individuale, esso è abnormemente basso, è da aspettarsi che sul principio della cura , finché la pressione endopleurica non ha raggiunto tale limite , se ne (i) Questa riflessione ci spinse a combinare, fin dall’inizio delle nostre osservazioni (v. Fagiuoli Rif. Med. 1911 N° 31), la cura pneumotoracica con quella tubercolinica, associandole dopo ottenuto lo sfebbramento mediante la prima, nella speranza di abbreviare il periodo di intrattenimento del pneumotorace, e di consoli- dare la guarigione. Fino ad ora non abbiamo rilevato vantaggi da questo trattamento combinato, che però se- guitiamo in alcuni casi. Intorno al pneumotorace artificiale secondo Forlanini o manifestino gli effetti salutari ; non appena però il valore critico è stato sorpassato, so- praggiunga un cambiamento di scena, e, nonostante le condizioni locali favorevoli e no- nostante il miglioramento iniziale, il processo tubercolare prenda il sopravvento (1). Le due osservazioni da me riferite, e qualche altra sparsa nella letteratura, stanno a dimostrare . in maniera a mio avviso probativa , che la presunzione , benché per fortuna raramente, si avvera. * * * Come dobbiamo regolarci, nei riguardi della cura, in presenza dell’ avvenuta riaccen- sione di focolai controlaterali ? Si ammette che la sola limitazione funzionale (non il riposo completo) favorisca i processi polmonari tubercolari. Fondandoci su questa considerazione, potremmo sentirci tentati di abbandonare la cura, svuotando fìnanco il pneumotorace già stabilito, non ap- pena sorprendiamo le prime avvisaglie della ripresa. E proprio la direttiva opposta che invece riteniamo doversi seguire, ispirandoci a cri- teri di diverso genere. Infatti vediamo che il vantaggio del pneumotorace si manifesta pre- cocemente, già nei primi tempi della cura , quando di immobilizzazione polmonare non si può nemmeno lontanamente parlare. E notevole progresso vediamo del pari in casi , nei quali il collasso completo è reso impossibile da aderenze, o quanto meno, si raggiunge solo dopo trascorso molto tempo. Il che vuol dire che già un collasso polmonare parziale può fruttare benefici. Ove dunque siano apparsi i primi segni che il limite critico della pressione endopleu- rica è stato raggiunto o sorpassato, faremo sì, tesoro dell’ avviso riducendo la pressione al di sotto del livello rivelatosi per critico, ma non priveremo per questo il malato di quel- 1’ utile, che il beneficio riportato dall' inizio della cura fino a quel momento ha dimostrato potergli derivare da un’immobilizzazione sia pure incompleta del polmone: abbassata dun- que la pressione, mediante svuotamento parziale dell’azoto, continueremo ad intrattenere un pneumotorace a pressione bassa, inferiore al valore critico. Sarà poi il caso di saggiare più tardi, con tentativi prudenti, se il sollievo delle condizioni generali, e quindi del fattore individuale, si sia riflesso anche sulla pressione critica, elevandola, e se per conseguenza pressioni endopleuriche di qualche poco superiori vengano, in prosieguo, tollerate impune- mente (2). (1) In realtà la situazione è ancor più complessa. Il pneumotorace spiega innegabilmente un’ azione fa- vorevole sul processo tubercolare del polmone compresso; molto più intensa ed immediata è tuttavia la sua azione sul processo di fusione tisica. L’utile ricavato dall’ organismo è dunque maggiore in quest’ ultimo caso; e questo dippiù concorre a sua volta ad accrescere la resistenza dell’organismo e, nel riguardo della riper- cussione del pneumotorace sopra di esso, ad elevare il fattore individuale. La prevalenza dei processi semplicemente tubercolari o di quelli tisici non è dunque indifferente nella fattispecie per l’effetto della cura; l’azione negativa, antagonista, del pneumotorace sull’organismo in questo ultimo caso, ceteris paribus, più facilmente superabile. (2) Spingendo il ragionamento alle sue conseguenze estreme, e vista I’ utilità offerta già da un pneumo- torace incompleto, si affaccia il quesito seguente: in casi di tubercolosi 0 di tisi polmonare bilaterale, nei quali il pneumotorace unilaterale completo (a pressione alta, 0 relativamente alta) è controindicato, non può riuscire utile un pneumotorace bilaterale a bassa pressione (con graduazione diversa della pressione in rap- porto colla estensione del processo ai due lati, e sempre subordinata al fattore individuale)? Noi stiamo trat- tando da 2 mesi in tal modo un caso disperato, che ne ha ritratto qualche vantaggio. 6 Maurizio Ascoli [Memoria X. | I casi che ci fornirono argomento alla presente discussione (e che sono due fra i tre soli che abbiamo perduto su trenta presi finora in cura) , avrebbero essi tenuto un anda- mento meno sfavorevole se avessimo regolato la nostra condotta terapeutica sulle consi- derazioni esposte, suggeriteci più tardi dal confronto con altri casi, apparentemente identici, ma nei quali 1’ esito fu favorevole ? Non sappiamo difenderci da quest’ impressione. Ed è questa la ragione che ci ha indotto a farli conoscere insieme alle riflessioni in noi destate, nella speranza che tali criteri possano giovare in avvenire in evenienze consimili. APPENDICE ESTRATTI DALLE STORIE CLINICHE Caso 1°. — Francesca P. , casalinga, d’ anni 19, di Catania. Esente da labi ereditarie, godette sempre buona salute. Dall’Agosto 1910 inappetenza, perdita delle forze, tosse con escreato vieppiù abbondante, sudori notturni, rialzi termici serotini che raggiunsero man mano i 38°-38°,5 e da un mese arrivano a 390_39°2; notevole dimagramento. È ricoverata nel Sanatorio addì 6/1/11. Ragazza gracile, alta di statura, pallida, denutrita. Torace cilindrico. Il torace sup. sin. si espande con ritardo, in escursioni ridotte, dà f. v. t. diminuito, suono smorzato ; rantoli a medie e piccole bolle sulla fossa sopraclav. ; suono timpanico con fenomeno del Wintrich interrotto alla infraclav. Posteriormente a sinistra in alto f. v. t. indebolito, ipofonesi fino all’angolo della scapola, rantoli diffusi a piccole e medie bolle, che acquistano carattere metallico nella reg. sopraspinosa. A destra in corrispondenza della fossa sopraclav. e della reg- sopraspin. suono smorzato, respiro aspro; scarsi rantoli a piccole bolle soltanto sulla f. sopraclav. L’escreato contiene numerosi bacilli di Koch e fibre elastiche; emoglobina (Fleischi) 55 °/0. Medie dell’osservazione settimanale precedente l’inizio della cura pneumotoracica : Temp. ser. 390, P. 90, R. 22, escreato prò die gr. 180. Peso kg. 41, 2. Nel i° mese del trattamento (pneumotor. sin. , decorso senza inconveniente alcuno, assenza di aderenze) si verificò spiccato miglioramento; nella 6a settimana di cura si ebbero le medie giornaliere seguenti: Temp. ser. 37°2, P 84, R. 20, escreato prò die gr. 70; peso aumentato di kg. 2,8. 1 fenomeni umidi a destra erano scomparsi. La pressione endopleurica in questo periodo (8. rifornimento) era di — 2cm. di acqua. A sinistra, dove era istituito il pneumotorace, respiro abolito alla base, ridotto al- 1’ apice. A partire dalla metà del 20 mese di cura le condizioni dell’ a. cominciarono a peggiorare sotto ogni ri- guardo ; i fatti a destra ricomparvero e si estesero rapidamente. Press, endopl. all’ ultimo (120) rifornimento = 0. Non si ebbero speciali complicazioni; 1’ a. venne a mancare il 6/VIIl/n. Autossia rifiutata. Caso 11°. — Margherita S., casalinga, da Messina. Gentilizio immune; in passato sempre bene; ebbe 7 parti a termine, 2 aborti. La malattia presente data dal Marzo 1910 : tosse con escreato mucopurulento, su- dori notturni, febbre vespertina, debolezza, dimagramento. Entra nel Sanatorio addì 29/IX/10. (Marzo 1911). Donniciuola di gracile costituzione, di scaduta nutrizione. A sinistra: il torace sup. si espande tardi e scarsamente; sulla fossa sopraclav. ipofonesi, numerosi rantoli a medie e piccole bolle; sulla infralav. suono smorzato timp., rantoli a medie e piccole bolle, a carattere consonante ; posteriormente f. v. t. rafforzato, suono smorzato, rantoli diffusi a medie e piccole bolle. A destra: lieve smorzatura plessica, scarsi rantoli a piccole bolle sulla fossa sopraclav. e reg. soprasp. Numerosi bacilli di Koch. Media dei valori della decade precedente 1’ inizio della cura (pneumotorace si- nistro, 5/III/11 : Temp. ser. 37°9, P. 90, R. 20, escreato prò die gr. 140. Peso del corpo kg. 45. Dopo 7 rifornimenti (di 150-400 cmc., che penetrano facilmente, senza che il contegno della press. endo- pleurica fornisca elementi per l’esistenza di aderenze) si avevano le seguenti medie: Temp. ser. 370, P. 86, R. 19, escreato gr. 30. Aumento di peso kg. 1,400. Press, endopl. (rifornim. del 29 III) — 4 cm di acqua. Respiro abolito alla base di sinistra, notevolmente ridotto all’ apice, scarsi rantoli. A destra : scomparsi i rantoli alla regione sopraspinosa, assai diminuiti alla f. sopraclav. Dal 30/IV s’inizia il peggioramento: aumenta la temp., l’escreato; i fenomeni umidi si diffondono a de- Intorno al pneumotorace artificiale secondo Forlanini 7 stra, perdita di peso. Fino al 30/V si intrattiene il pneumotorace (30/V pr. endopl. — 2 cm di acqua); poi si sospendono i rifornimenti. Dopo un mese il pneumotorace era riassorbito; il processo continuò il suo corso fatale. L’ a. venne a morire il 30/Xl/n; negata l’autossia. Caso IV0. - P. F., studente, d’anni 20. Scevro di eredità morbosa. Dal Settembre 1909 tosse dapprima secca, presto seguita da escreato mucopurulento; senso di prostrazione, dimagramento, sudori notturni, di quando in quando lievi rialzi termici serotini, che divennero quotidiani a partire dall’ Ottobre 1909; anoressia. Accolto nel San. il 16/IIl/n. Giovane robusto in soddisfacenti condizioni generali e di nutrizione. Peso kg. 58,500; escreato in media gr. 50 (numerosi bacilli di Koch) ; temp. ser. in media 37°4, P. 92. R. 18. Torace destro sup. depresso, si espande in ritardo; in corrispondenza d. f. sopra — e sottoclav. e d. reg. sopra— e sottospin. destre f. v. t. rinforzato, suono smorzato, numerosi rantoli a piccole e medie bolle, respiro indeterminato. La cura pneumotor. fu iniziata 1’ 8/III/11. 11 controllo manometrico costantemente eseguito durante i rifor- nimenti non fornì elementi per la esistenza di aderenze, che nemmeno la radioscopia in seguito praticata mise in luce. Dall’Aprile 1911 apiressia, dal Maggio assenza di escreato. Il silenzio stetoscopico fu ottenuto sol- tanto allorquando (Agosto 1911) la pressione endopl. raggiunse in valore di + 12 cm di H 2O. Verso la fine di Settembre comparve a destra, dove il reperto era stato sempre negativo, respiro aspro; sul principio di Ottobre quivi alla reg. sopraspin. rari rantoli sottocrepitanti, che si fecero man mano più numerosi e si este- sero. Alla fine di Gennaio 1912 (la pressione era stata mantenuta invariata) si ascoltavano numerosi rantoli a piccole e medie bolle alla f. sopraclav. e sottoclav. (in quest’ ultima consonanti) e sulla reg. sopraspin. Fu abbassata allora la press. endopl. ed intrattenuta intorno ad una media di o; progressivo regresso dei fenomeni a destra, che dopo due mesi erano notevolmente diminuiti e dopo tre mesi appena apprezzabili. (Dall' Istituto di Patologia medica della R. Università e dal Sanatorio Ferrarono dell’ ospedale Vitto- rio Emanuele in Catania, diretti dal prof. Maurizio Ascoli). Memoria XI Istituto (li Fisiologia Sperimentale della R. Università di Catania (Direttore Prof. A. CAPPARELLI) Contributo allo studio della emolisi da veleno di “ Triton cristatus „ L’ A. si è occupato della essenza del fenomeno emolitico da veleno di “ Triton cri- status „ rilevando le differenze sostanziali che distinguono il meccanismo con cui esso si verifica da quello che dà la emolisi per veleno di serpenti. Riteniamo che il lavoro del Dott. Pisano sia meritevole di essere inserito negli Atti Accademici. Da tempo sono note le proprietà emolitiche dei veleni di molte specie animali: ser- penti, anfibii, aracnidi etc. — Il fenomeno della emolisi è stato studiato in relazione con le vedute della scuola di Ehrlich sulle siero-emolisine, e con queste si sono volute identi- ficare le veleno-emolisine, sia per la proprietà che i veleni di serpenti (Fraser, Fiexner-No- guchi, Calmette etc.) e i veleni dei rospi (Pròscher) hanno di produrre anticorpi (antitossine e antiemolisine), sia per il fatto notato dal Sachs, del non assorbimento del veleno di ara- cnidi da parte delle emazie di cavia sprovviste di recettori adatti. Però l’identificazione pare non possa farsi con sufficiente esattezza, poiché nella emolisi da veleno di serpenti (cobra), ha grande importanza la lecitina. Tali veleni infatti non emolizzano le emazie ben lavate e centrifugate se non dopo l’aggiunta di lecitina in soluzione 1 : 10000 (Kyes e Sachs). Si è considerata perciò la lecitina come un vero e proprio complemento, e la emolisi che si avverava in emazie lavate molto sensibili si è spiegata con la presenza di lecitina nel protoplasma, lecitina che agirebbe da endo-complemento (Kyes). Però non è possibile interpetrare come complemento il “ lecitide emolizzante „ che si forma per l’unione lecitina, veleno-emolisina, perchè tale lecitide resiste anche a tem- perature di 100°. (Calmette) mentre il complemento è termolabile; ed anche ad interpetrarlo come un legame ambocettore-complemento, il paragone non regge, perchè si tratta qui di ATTI ACC. SERIE V. VOL. V, Meni. XI. per il D.r G. PISANO RELAZIONE della Commissione di revisione composta dai soci effettivi Proff. M. ASCOLI ed A. CAPPARELLI ( Relatore ) I o G. Pisano [Memoria XI.] un vero e proprio legame chimico del quale non ci sarebbe esempio nelle siero-emolisine note. Ben diverso quindi è il meccanismo della emolisi da veleno di serpenti. Ho premesso questo rapido sguardo alle attuali concezioni sulla emolisi da veleni animali, per rendere più comprensibile quanto verrò esponendo sul meccanismo della emo- lisi da tritone, la quale, dirò subito, si compie in modo del tutto analogo a quello prodotto dalle emolisine dei sieri. Già il Prof. Capparelli sin dal 1883 in una interessantissima nota sul veleno di tri- tone, ne rilevava il grande potere emolitico in vivo e in vitro, riuscendo ad emolizzare rapidamente e completamente circa 300 cm3 di sangue con una sola goccia di veleno, e veniva alla conclusione che esso agiva come un enzima e non alterava la emoglobina la quale presentava allo spettroscopio sempre le strie di assorbimento della ossi-emoglobina, non la decomponeva, ma solo ne provocava la dissoluzione. A parecchi anni di distanza tali vedute risultano, come vedremo, perfettamente esatte e comprensibili alla stregua della teoria di Ehrlich sulla costituzione delle emolisine. Ma questo a suo tempo. 10 mi sono occupato anzitutto di stabilire i limiti del potere emolitico. Un primo fatto interessantissimo, e che differenzia nettamente il meccanismo di azione della tritono-emolisina da quello della cobra-emolisina è che quest’ ultima, come già ho ac- cennato, non emolizza le emazie lavate e centrifugate che previa aggiunta di lecitina; nel caso della tritono-emolisina invece 1’ emolisi si compie egualmente bene e rapidamente sia sulle emazie lavate che sul sangue intiero. Sì che io nelle esperienze ho fatto uso generalmente di una sospensione al 5 % di emazie di bue in soluzione fisiologica al 0,85 °/o. 11 veleno fresco, parimente in soluzione fisiologica, l’ho messo a contatto a diversi gradi di diluizione con una quantità costante della suddetta sospensione di emazie al 5 % ed ho calcolato il tempo necessario all’ emolisi. Tavola I. N. d’ ordine Sospensione 5 °/o emazie bue Veleno fresco di tritone Titolo della diluizione Temperatura Tempo in cui si verifica 1’ emolisi I i cm3 i cm3 i : 50 150 25" 2 » » i : ioo » 30" 3 » » i : 500 » / n 1 20 4 » » i : 1000 » 15" 5 » » x : 5000 » 2h 6 » » i : 10000 » 4h 13' 7 » » 1 : 50000 » 8h 8 » » i : t 00000 « » I 2)l Lo stesso ho praticato con veleno disseccato, che si scioglie bene e completamente nella soluzione fisiologica con produzione di molta schiuma bianca persistente e conserva Contributo allo studio della emolisi da veleno di “ Tritoli cristatns 3 » intatto il potere emolitico come si può vedere dalla seguente tavola nella quale ho riuniti i risultati delle varie esperienze. Tavola li. N. d’ ordine Sospensione 5 % emazie bue Soluzione fisiologica O, 85 °/o QUANTITÀ di Veleno secco impiegato Temperatura Tempo necessario all’ emolisi I i cm3 1 cm3 gr. 0,020 150 f 2 2 » » » 0,010 » 3 3 » » » 0,005 » t 5 4 » » » 0,002 » io' 5 » » » 0,001 » t 30 6 » » » 0,0005 » 2h 7 » » » 0,0001 » 8h 8 » » » 0.00005 » I 2^ 9 » » » 0,00001 » I 2h È agevole rilevare anzitutto la rapidità della emolisi, superiore a quella dei veleni ani- mali già noti, e poi la estensione veramente grande del potere emolizzante, essendo la emolisi ancora evidente a diluizioni estremamente piccole, benché si compia in tal caso in un tempo relativamente lungo. Le esperienze suddette sono state fatte a temperatura ambiente, ma, esponendo i tubi da saggio alla temperatura di 37°, si osserva un sensibile accorciamento del tempo neces- sario all’ emolisi. Tavola III. N. d’ordine Sospensione 5 °/0 emazie bue Veleno fresco di tritone Titolo della diluizione Temperatura Tempo necessario all’ emolisi I 1 cm3 1 cm3 i : 1000 150 15' 2 » » » 37° / 5 3 » » 1 : 5000 15° 4h 4 » » » 37° 3°' 5 » » 1 : 10000 15° 8h 6 » » » 37° 45' Non ho creduto spingere ancora le esperienze a diluizioni maggiori perchè quelle ri- portate sono sufficientemente dimostrative. Ma vi sono altri fatti più interessanti e che contribuiscono a rischiarare 1’ essenza della emolisi da veleno tritonico. Il veleno, posto in soluzione fisiologica, abbandonato a sé stesso, perde gradatamente della sua attività emolitica sino a divenire del tutto inattivo. L’ aggiunta di quantità anche 4 G. Pisano [Memoria XI.] rilevanti di veleno così inattivato a quantità variabili di sangue defìbrinato, citratato, od a sospensione fisiologica di emazie, non dà mai la benché minima traccia di emolisi. A che cosa è dovuta la perdita dei poteri emolitici ? Alla putrefazione ? In verità, le sospensioni di veleno, conservate all’ aria, dopo 2, o 3 giorni presentano spiccati fenomeni putrefattivi. Per vedere sino a qual punto avesse importanza tale fatto, ho raccolto il veleno con tutte le cautele asettiche possibili, sterilizzando previamente la cute del tritone, usando strumenti e recipienti sterili pei- raccoglierlo, soluzione fisiologica bollita, infine conservando in fialette chiuse alla lampada. Dopo 5 giorni, quando una sospensione di veleno presa come controllo e restata all'aria aperta per lo stesso periodo di tempo, si presentava pie- namente putrefatta ed alterata, si è tentata 1’ emolisi con il contenuto delle fialette, ma con esito del tutto negativo. E si noti che tale contenuto si presentavano assolutamente esente dalla benché minima traccia di putrefazione, onde bisogna concludere che la scomparsa del potere emolitico avvenga per tutt’ altre cause, e noi vedremo in seguito come tale fe- nomeno sia reso perfettamente comprensibile da ulteriori esperienze. Prima però di passare a queste, ho voluto vedere se, analogamente a quanto si av- vera per le emolisine del sangue normale e degli immunisieri , era possibile ottenere la inattivazione delle proprietà emolitiche per mezzo del calore e degli agenti chimici. Una sospensione 1 : 50 di veleno di tritone è stata esposta per mezz’ ora alla tempe- ratura di 56°; indi, messa a contatto con sangue di bue, non si è avuta traccia di emolisi. Tavola IV. Sospensione Sangue citra- Sangue defi- Veleno di tri- Veleno fresco O Temperatura Emolisi emazie bue fato di bue brinato bue tone inattivato attivo z I i cm3 i cm3 i5° o 2 — — » 2 cm3 — » o 3 — i cm3 — i cm3 — » o 4 — » — 2 cm3 — » o 5 i cm3 — — i cm3 — » o 6 » — — 2 cm3 — » o 7 » — — — i cm3 » -+- Il fenomeno è evidentissimo: neppure con dosi di veleno doppie o triple delle emo- lizzanti, si ottiene emolisi. Invece si osserva un altro fenomeno, che del resto si ha anche dopo 1’ aggiunta di veleno inattivato con il tempo, un fenomeno, che si potrebbe chiamare, di sedimentazione : le emazie si raccolgono rapidamente al fondo , lasciando limpido il li- quido sovrastante e, quello che è più interessante, al fondo formano un grosso coagulo compatto, simile in tutto agli ordinarii coaguli che si formano nel sangue fresco, spontanea- mente. Ma di questo altro fenomeno, parimente molto interessante, mi occuperò di propo- sito in altro mio lavoro. Pel momento mi limito al fenomeno di inattivazione, ed aggiun- gerò, per completare la serie delle esperienze in proposito, che la inattivazione oscilla fra un minimo di 43° per un’ora ed un massimo di 56° per mezz’ora, ed è in relazione con lo stato di maggiore o minore freschezza del veleno e con la maggiore o minore concen- Contributo allo studio della emolisi da veleno di “ Tritoli cristatus 5 v trazione di esso. Per essere sicuri è meglio usare sempre temperature di 56° per mezz’ora. Ho studiato inoltre l’ azione di sostanze chimiche, ed ho scelto due sostanze comune- mente usate per conservare le proprietà dei sieri immuni: cloroformio e timolo. Ebbene, 1’ aggiunta di una soluzione acquosa di timolo all’ 1 °/0 o di cloroformio al 4 % al sangue sia defribinato, sia citratato, sia infine in sospensione fisiologica, non im- pedisce 1’ emolisi con l’ alteriore aggiunta di piccole dosi di veleno fresco. Tavola V. N. d’ordine Sangue citra- tato bue Sangue defì- brinato bue Sospensione 5 °/0 emazie bue Veleno fresco attivo — i : 50 Soluz. timolo I °/o Soluz. cloro- formio, 4 % Emolisi Temperatura I i citi3 _ cm3 0,5 2 cm3 + 150 2 — i cm3 — » » , — + » 3 — — i cm3 » 3 cm3 — -i- » 4 i cm3 — — cm3 0.3 — 1 cm3 + » 5 - i cm3 — » — » 4- » 6 - — i cm3 » — 2 cm3 + » 7 — — » — 2 cm3 — 0 » 8 -- — » — — 1 cm3 + » L’ emolisi si verifica in tutti i tubi. Bisogna intanto tener presente che almeno uno di questi corpi, il cloroformio riesce di per sè stesso emolitico. Sembrerebbe dunque che tali sostanze non abbiano alcuna azione inibitoria dell’emolisi; ma non è così. Se si mette a contatto una parte di sospensione fisiologica di veleno tritonico fresco all’ 1 : 50 con due parti di soluzione 1 % di timolo e due parti di soluzione 4 °/0 di clo- roformio, e si saggia in tempi diversi il potere emolitico del veleno così trattato, si otten- gono risultati molto diversi. Tavola VI. N. d’ ordine Sospensione 5 % emazie bue Veleno tritone timolo 1 % Veleno tritone + cloroform. 4% Durata del contatto Emolisi Temperatura I 2 cm3 1 cm3 — / 5 -4— i5° 2 » » — r IO 4 » 3 » » — 15' O » 4 » — 1 cm3 5' + » 5 » — » io' 4- » 6 » — » 15' O » Dunque il timolo ed il cloroformio tolgono al veleno le proprietà emolitiche solo dopo qualche minuto di contatto. Orbene, agiscono essi formando un legame chimico con le sostanze emolitiche e di- struggendole, oppure alterando la isotonia del liquido? — È rimarchevole il fatto che il 6 G. Pi sa nò [Memoria XI.] cloroformio ed il veleno, due sostanze di per sè stesse emolitiche, dopo qualche minuto di contatto, si inattivano a vicenda. Io ritengo però che non si tratti di una azione biologica nel senso di una distruzione di uno dei componenti della emolisina, ma di un fenomeno di legame chimico o di neu- tralizzazione reciproca o fisico-chimico, che occorrerebbe poter meglio precisare. Tale con- cetto mi viene ancora più confermato dal fatto che noterò in seguito : che cioè è possibile restituire al veleno inattivato col tempo e col calore le proprietà emolitiche, non è possi- bile la stessa cosa con veleno alterato con agenti chimici. Ma, venendo alla disamina del fenomeno di inattivazione : è esso analogo a quello che si verifica negli immunisieri emolitici ? In altre parole: esistono nel veleno di tritone due sostanze, l’una, termostabile, simile all’ amboceltore l’altra, termolabile , simile al complemento? Oppure entra in gioco l’azione della lecitina, della quale lo stesso veleno tritonico è provvisto (Capparelli), ma che, indipendentemente da ciò, si trova anche nel siero di san- gue, analogamente dunque a quanto avviene nel veleno dei serpenti ? Per accertare l’esistenza delle due sostanze, mi son valso degli stessi artifizii usati dall’ Ehrlich e Morgenroth nei primi studii sulle emolisine. Con il riscaldamento a 56° per mezz’ora ho distrutta la presunta sostanza termola- bile, il complemento. Già si è visto che in tali condizioni il veleno non è più attivo. Orbene, dato che esisteva nel veleno così trattato, ancora una sostanza termostabile, un ambocettore, il potere emolitico avrebbe dovuto ripristinarsi con 1’ aggiunta di uno dei comuni sieri complementari. Ho usato come complemento il siero fresco di cavia. Tavola VII. N. d’ ordine Sospensione 5 % emazie bue Veleno inatti- vato a 56° — 1 : 50 Siero fresco complemen- tare di cavia Temperatura Emolisi I i cm3 cm3 o,s cm3 0,5 15° O 2 » » » 37° + 3 » 1 cm3 37° O 4 » 1 cm3 37° O Dalla tavola si rileva a sufficienza come l’ aggiunta di siero fresco complementare attivi il veleno inattivato, e la emolisi si produce entro l’ora in istufa a 37°. Risultati in- certi o anche addirittura negativi si ottengono a temperatura ambiente. Dunque esistono veramente due sostanze nel veleno, identificabili con le termolabili e le termostabili dei sieri emolitici. Ma, a rendere ancora più evidente la dimostrazione di tal fatto, ho praticata un’altra esperienza. Ho aggiunto un cm3 di veleno inattivato a 56° per un’ ora, a 2 cm3 di sospen- sione fisiologica al 5 % emazie di bue, molto ricettive, come si è visto, al veleno. Contributo allo studio della emolisi da veleno di “ Tritoli cristatus 7 Dopo mezz’ ora ho centrifugato, ed ho separato la parte liquida che ho messo a con- tatto con 1 cm3 di sospensione al 5 % di emazie di bue, ed ho aggiunto cm3 0,5 di siero complementare di cavia fresco: dopo un’ora in istufa a 37° — emolisi zero. Era da supporre che le emazie di bue, durante il prolungato contatto con gli ambo- cettori rimasti nel veleno inattivato, li avessero assorbiti e fissati. Infatti le emazie centri- fugate vennero risospese in soluzione fisiologica e si emolizzarono completamente e rapi- damente dopo un’ ora in istufa a 37° previa aggiunta di cm3 0,5 di siero fresco di cavia. La esperienza mi sembra decisiva per la dimostrazione della presenza di ambocettori nel veleno tritonico. Parrebbe che fra il complemento del veleno tritonico e quello dei sieri complementari esista notevole differenza pel fatto che il primo agisce a temperatura ambiente, gli altri invece hanno bisogno di una temperatura di 37°. Nel fatto differenza non ve n’ è perchè il complemento contenuto nel veleno tritonico s’è visto che agisce molto più attivamente alla temperatura di 37° e tal fatto è evidentis- simo quando si agisce con diluizioni molto spinte le quali a temperatura ambiente agiscono molto lentamente, mentre viene considerevolmente accorciato il tempo necessario all’emo- lisi se vengono sottoposte alla temperatura di 37°. E d’altra parte (ed è questo un altro carattere comune) il fatto della inattivazione spontanea del veleno esclusa la causa della putrefazione) non è dovuta o forse alla scom- parsa del complemento, analogamente a quanto si verifica per i sieri complementari che si inattivano dopo circa 24 ore? E riguardo alla eventuale azione della lecitina, essa viene esclusa dalla seguente espe- rienza: a veleno inattivato ho aggiunto una soluzione di lecitina l: 10000, indi emazie lavate = emolisi zero, anche a temperatura di 37°. E non basta: per la riattivazione ho impiegato siero di cavia scaldato a 56° e quindi privato dell’alessina = emolisi zero. Dunque il siero di cavia non riattiva il veleno per la presenza di lecitina ma per il suo potere complementare. Tavola Vili. N. d’ordine Sospensione emazie bue Veleno inatti- vato a 56° — 1 : 100 Sospensione lecitina 1 : 10000 Siero fresco di cavia Siero di cavia inattivato Emolisi Temperatura I i cm8 cm3 0,5 1 cm3 — — O 150 2 » » » — — O 37° 3 » » — cm3 0,2 — + » 4 » » — — cm3 0,2 O 15° 5 » » — — » O 37° Dalle esperienze riportate quindi si rileva che la tritono-emolisina presenta un com- portamento del tutto simile a quello delle siero emolisine e si distacca grandemente dai 8 G. Pisa nò [Memoria XI.] comportamento delle emolisine di altre specie animali a sangue freddo, il cui meccanismo d’ azione è del tutto diverso (Calmette). Riassumendo dunque : 1. ) Il veleno di tritone possiede un potere emolitico molto forte: emolizza bene anche a diluizioni molto spinte e alla dose di gr. 0,00001; meglio se con l’aiuto della tempera- tura a 37°. 2. ) L’azione del tempo = (25-36 ore); del calore a 56° per mezz'ora, e di qualche sostanza chimica, inattiva le proprietà emolitiche del veleno. 3. ) È possibile riattivare il veleno inattivato (eccetto che per azione di sostanze chi- miche), mediante l’aggiunta di sieri complementari, alla temperatura di 37°. 4. ) La tritono-emolisina risulta costituita di una sostanza termostabile (ambocettore) ed una termolabile (complemento) del tutto identificabili nell’ azione con quelle contenute nelle emolisine degli immunisieri e dei sieri normali emolitici. BIBLIOGRAFIA Capparelli A. — Ricerche sul veleno di « Triton cristatus » — Catania — Galàtola — 1883. Calmette — Les venins — Ies animaux venimeux et la sérothérapie antivenimeuse — Paris. Masson e C. 1907. Fraser — Britisch Med. Journal 15 Giugno 1895. Flexner • — Noguchi. — Journ. of. exp. med. 17 marzo 1902. id. id. — Univ. of Pennsylvania — Novembre 1902. Prosches — Zur Kenntniss des Krotengiftes — Holm. Beitrage I — 571 — 1901. Sachs H — Zur Kenntniss des Kreuz.-spinnengiftes — Hlom. Beitr. II, 1902. Kyes-Sachs — Berlin. Klin. Woch. 1902 n. 38 e 29. » » — Berlin. Klin. Woch. 1903 — 2-4 e 42-43. Romer — La teoria delle catene laterali di Ehrlich — Torino — Soc. Ed. Torinese, 1902. Memorisi XII Istituto di Anatomia patologica della R. Università di Catania Prof. A. PETRONE (Direttore). Contributo alle quistioni medico-legali nei morti per soffocazione senza alcuna lesione esterna (con esposizione di preparati microscopici) Nota di A. PETRONE È il caso di una donna sessantenne, sana, robusta di Adernò, provincia di Catania, la quale un’ora prima della morte, annunziata dal marito, meno vecchio di lei, ai vicini, godeva perfetta salute, ed aveva già cenato di buon appetito. L’ autopsia fatta per ordine della Giustizia sopra sospetti avuti, non fece riscontrare alcuna lesione all’ esterno, nè agli organi interni, meno un’intensa stasi venosa generale. Invitato dai signor Giudice Istruttore Morisani, andai ad Adernò il giorno seguente alla autopsia, assistito dal collega dottor Urso, ed alla presenza del predetto Giudice confermai nel cadavere, e negli organi estratti e sezionati la forte stasi venosa, senza altre altera- zioni, meno piccole e limitate chiazze ateromasiche, appena allo stato iperplastico, nell’ i- nizio dell’aorta: nessuna alterazione nell’apparecchio digerente, nessuna rigidità speciale, che avessero potuto far sospettare avvelenamenti, ecc. Dimandato dal Giudice sull’ epicrisi, risposi che sulla natura della stasi venosa aveva bisogno di ricercare, e dimandai per rispondere il tempo necessario per esaminare istolo- gicamente gli organi. Dopo la concessione fattami dal Giudice, presi e conservai in alcool ordinario : 1° Pia madre cerebrale, svolta dalle circonvoluzioni. 2° Cervello con pia madre ancora a posto. 3° Polmone. 4° Fegato. 5° Milza. 6° Rene. Dopo la fissazione successiva nella serie degli alcool, meno la pia madre staccata, la quale si è restata in alcool assoluto, gli altri pezzi si sono passati in alcool assoluto e xilolo, poi xilolo, poi paraffina nella stufa, ed infine inclusione in paraffina, fondente a 52° c. Allestiti così i pezzi, si è cominciato lo studio sulla pia madre staccata, conservata ATT! ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. Xil. T 2 A. Petrone [Memoria XII.] in alcool assoluto, per fissar bene tutti i tessuti, specialmente il sangue. Questa pia madre si è passata e fatta restare per un giorno in acqua distillata. Indi si sono dalla stessa fatti preparati semplici, o colorati dall’eosina, ovvero dall’eosina ed ematossilina, e si sono chiusi in glicerina : ma per quanto si intravedessero reperti istologici importanti, i preparati fatti erano così spessi, da non poter essere convincenti anche pel profano, o pei- persone poco esercitate all’ osservazione microscopica. Quindi un lavoro delicato e prolungato pei- poter staccare degli stratarelli sottili della pia madre stessa, arrivando cosi ad allestire varii preparati sottilissimi di membranelle, nei quali i reperti fini si osservano chiaramente, in particolar modo, se si assoggettano alle colorazioni elettive, come eosina ed ematossilina : questi reperti, come si può vedere nei preparati esposti, sono i seguenti. I vasi della pia madre, specialmente le vene, sono forte- mente ripieni e zaffati di sangue : l’ammasso è talmente forte, che il sangue appare rosso- bruno-nerastro, ed in alcuni tratti arriva a sembrare omogeneo, con poca appariscenza della forma dei globuli rossi: nella parete delle vene si nota tra le tuniche un certo nu- mero di corpuscoli rossi. Al di fuori dei vasi, particolarmente delle piccole vene, il tessuto è disseminato ed infiltrato di emasie. Non infrequentemente tale infarcimento di corpuscoli rossi è così forte, da divenire un vero infarto emorragico; e ciò corrisponde a quei punti, ove grossolanamente si intravedevano delle macchioline rossigne, come macchie emorragi- che. Degni di nota sono due fatti negativi: 1° la mancanza di qualsiasi scontinuità dei vasi: 2° 1’ assenza di qualsiasi traccia di essudato. Dai pezzi inclusi in paraffina, dopo aver fatto di ciascuno una quantità di preparati, attaccati e poi sparaffinati, si assoggettano, dopo il bagno in acqua distillata, a due trat- tamenti diversi: una prima serie di ciascun pezzo si è messa nel bagno di acido osmico 1: 300, allo scopo di scovrire anche minime tracce di degenerazione grassa: una seconda serie si è assoggettata alla colorazione prima dell’ eosina, e poi dell’ ematossilina. Tanto i preparati della la, che della 2a serie si sono chiusi alcuni in glicerina, altri in balsamo del Canadà. Preferibili, perchè più chiari e con colorazioni marcate sono apparsi quelli chiusi in glicerina. Dai preparati della la serie, mentre si può notare la struttura normale degli organi, ed i disturbi circolatorii, che però si apprezzano meglio nella 2a serie, non si ha mai oc- casione di apprezzare il menomo accenno a presenza di grasso ; il quale sarebbesi reso evidente, anche in minime goccioline per la nota colorazione nerastra : e ciò specialmente nel fegato e nel rene. Dai preparati della 2a serie, oltre la struttura normale, risultano 2 fatti importanti : 1° Il forte riempimento dei vasi sanguigni, anche dei capillari, i quali mostrano una iniezione naturale di corpuscoli rossi: questi canali sono fortemente dilatati a spese del parenchima, il quale appare stivato, assottigliato, come si nota principalmente nel fegato e nel rene. 2° La diapedasi dei corpuscoli rossi, fino a vere macchie emorragiche, come si os- serva specialmente nelle sezioni della pia madre ancora attaccata alla corteccia del cervello, nelle sezioni di polmone, ove buona parte di alveoli è ripiena di globuli rossi, come nel- l’ infarto emorragico; e finalmente nella milza, ove si apprezzano chiaramente infarti ma- culiformi sottocapsulari, ed anche più profondi. Tutti questi fatti si rendono molto evidenti, grazie all’ ematossilina, che in modo elettivo, violetto colora i nuclei degli elementi cel- lulari perfettamente conservati, mentre 1’ eosina colora in rosa .caretteristico le emasie. Contributo alle quistioni medico-legali nei morii per soffocazione, ecc. 3 Tutti questi preparati microscopici, che ancora conservo, furono messi a disposizione della Giustizia. Pia madre Polmone A. Petrone prep. e dis. Oc. 3 — Obb. 6— Verick. Dai fatti esposti si deve conchiudere: 1° Che gli organi ed i tessuti sono normali. 2° Che i vasi, specialmente venosi, sono forzatamente zaffati di sangue. 3° Che vi è nei tessuti fuoruscita di corpuscoli rossi, i quali infarciscono più o meno le località limitrofe ai vasi, sino a dare il reperto istologico delle macchie emorragiche e dell’infarto. La iperemia venosa quindi è stata il solo reperto patologico trovato, non potendosi dare alcun peso alle scarse e piccole chiazze ateromasiche, trovate nel principio dell’ aorta. Questa iperemia venosa generale di alto grado, che giustifica la morte avvenuta per asfissia, non potendosi invocare altro reperto patologico, non si può giudicare nevropara- litica, cioè non si può mettere sul conto di tossine batteriche, o di veleni, mancando i reperto di un processo infettivo, e le note degli avvelenamenti, anche perchè manca qual- siasi reperto di degenerazione grassa. Invece questa forte stasi venosa ha dovuto essere meccanica, rapida, pel fatto del riempimento forte dei vasi, e per la diapedesi , fino all'emorragia, senza che nel centro circolatorio esista un’ alterazione strumentale, capace di far questo. E poi il fatto non sa- rebbe avvenuto rapidamente, nè sarebbe arrivato cosi presto, in un’ ora, a quella classica estensione di diapedesi: si sarebbero invece trovate le note dell’ induramento bruno. È soverchio ricordare, che nella forma neuroparalitica avrebbero potuto trovarsi macchie emorragiche da diffusione di ematina, ematinorragia, ma non una vera diapedesi. 4 A. Petrone [Memoria XII.] La narcosi carbonica non si può invocare, non solo pel fatto della esistente diapedesi ma principalmente per le mancanti alterazioni caratteristiche del sangue. Con tutta la mancanza di alterazioni al collo, che avrebbero potuto giustificare la violenta stasi meccanica; cosi come sono i fatti positivi, ed anche sul conto dei negativi, io non posso che ripetere, essere la morte nel caso attuale avvenuta per asfissia, dietro stasi rapida, violenta, meccanica : a me pare, che non si possa invocare altro, mancando ragioni di stasi per alterazioni del cuore, mancando estese scottature ; dovendosi escludere l’avvelenamento per ossido di carbonio, per funghi velenosi, per acido prussico, per fo- sforo, per cloroformio; mancando alterazioni per lesioni violente della base del cranio o del cervello in conseguenza di forti scuotimenti del corpo, urti violenti, cadute; non po- tendosi infine ammettere una delle malattie, che alterando il sangue e le pareti vasali ca- gionano piccole macchie emorragiche fino alle ecchimosi, scorbuto, emofillia, vaiuolo emor- ragico, ecc.: e mancando come si è detto, i segni locali al collo della violenza traumatica subita, capace di produrre rapida e forte stasi venosa nella grande circolazione ed anche nella piccola: qualche lieve ecchimosi si è soltanto notata nelle regioni deltoidee : quindi da escludersi 1’ appiccamento, lo strangolamento, e lo strozzamento : con la speranza, che ri- cerche sperimentali adatte potranno stabilire e definire il difficile quesito, con le attuali no- zioni della scienza, non posso dire altro nel caso presente, che la causa dell’ostacolo cir- colatorio è stata una specie di soffocazione : la quale certo non è avvenuta per un liquido che ha occluso le vie aeree, come nell’ annegamento ; nè da corpi estranei capitati nelle vie stesse; nè da azioni meccaniche esterne, che abbiano reso impossibile la distensione della cassa toracica, come per forti pressioni, causate da oggetti molto pesanti, caduti so- pra: nè infine per impedimento alla funzione dei muscoli della respirazione, come per la rigidità tetanica, per 1’ avvelenamento con la stricnina , ecc. Non posso quindi invocare altro, che 1’ occlusione meccanica della bocca e del naso ; oppure 1’ avviluppamento del capo in panni compatti, che avessero impedito 1’ accesso dell’ aria; o infine una pressione prolungata, esercitata sul collo ed anche sul resto del corpo con mezzi soffici, come cuscini, materassi, capaci per la pressione di soffocare, senza lasciare segni locali evidenti: e tanto più ciò si rende probabile, pel fatto che la pressione estesa e prolungata all’ esterno del corpo deve produrre quivi anemia, ed internamente forte iperemia collaterale ; per cui l’alto grado di stasi, non solo meccanica , ma anche collaterale. Devo, dopo tutto l’esposto, conchiudere, che l’asfissia per stasi meccanica, la quale ha cagionato la morte nel caso in parola, molto probabilmente sia avvenuta per soffocazione in seguito ad impedito accesso dell’ aria, procurato con mezzi, i quali non hanno lasciato tracce locali, apprezzabili sul cadavere. Come nota storica giudiziaria devo segnare : che sempre protestandosi innocente lo accusato; dopo questa perizia da me confermata, e sostenuta in contradittorio avanti ai giurati, questi hanno ammesso, nel modo da me ritenuto, la colpabilità dell’accusato; il quale perciò fu condannato dalla Corte di Assise a 18 anni di reclusione. In seguito alla suddetta perizia ho creduto doveroso studiare il reperto microscopico di altre iperemie venose, in particolar modo delle tossiche, specialmente quando i veleni si applicano in modo da impedire l’accesso all’aria, producendo così anche asfissia: è Coni nònio alle quistioni medico-legali ìlei morti per soffocazione , ecc. 5 naturale, che tali veleni devono essere allo stato gassoso, quando devono sostituire 1 aria. Il dottor Lombardo, mio Aiuto, ha studiato sperimentalmente per la sua tesi di libera docenza, sull’ argomento, e ne pubblicherà per esteso i risultati ; di cui mi ha comunicato i seguenti Esperimenti in numero di 50 sui cani. Iperemie meccaniche — Iperemie tossiche — „ con mezzi soffici N. 4 „ con un panno, che avvolge la testa N. „ per strangolamento N. 6. „ per impiccamento N. 5. „ per annegamento N. 5. „ per stricnina N. 6. „ per curaro N. 6- „ per acido prussico N. 6. „ per cloroformio N. 8. 4. Si riserva di ricercare con altri veleni gassosi. Il Lombardo nella la serie di sperimenti ha ottenuto costantemente iperemia da stasi di alto grado, apprezzabile macroscopicamente ; più marcata nella pia madre cerebrale e nei polmoni, ove frequentemente si notano piccole macchie emorragiche della grossezza di una testa di spillo ad una lenticchia: più raramente quanto un’avellana. Il fegato, la milza ed i reni presentano soltanto un considerevole aumento del loro contenuto in san- gue. Microscopicamente ha notato 1° forte riempimento in sangue di tutte le vene, il cui lume appare come zaffato : 2° diapedesi in vari punti, da apparire talora come una vera emorragia : 3° nella pia madre e nei polmoni, più frequentemente in questi ultimi, si sono trovati dei veri infarcimenti di sangue: specialmente negli alveoli pulmonali il reperto fino è così spinto, da farli apparire come sezioni trasverse di vasi, zaffati di globuli rossi. Nella 2a serie di sperimenti, cioè nelle iperemie tossiche, non tutte le sostanze ado- perate hanno dato la stessa forma di alterazione circolatoria. Infatti nei cani morti per stricnina ed acido prussico si sono ottenute ordinariamente alterazioni circolatorie presso a poco identiche a quelle della prima serie, fino alla diapedesi: mentre col curaro e col cloro- formio non si è andato al di là di un’iperemia venosa, più o meno marcata, senza mai apparenza di fuoruscita di corpuscoli rossi, ed infarcimento dei tessuti limitrofi ai vasi. E siccome a me premeva di vedere a preferenza gli effetti dei veleni gassosi, ho vo- luto io stesso sperimentare sui cani gli effetti asfittici dell’anidride solforosa, dell’ammo- niaca, dell’ ossido di carbonio ed acido carbonico, avendo premura di pubblicare la presente memoria. Coll’ anidride solforosa 2 cani, morti dopo 20 minuti, mostrano forte iperemia venosa degli organi interni, sino a veri infarti emorragici nei polmoni: reperto fino di notevole diapedesi, specialmente pulmonale nei siti degli infarti. Con 1’ ammoniaca, il cane morto dopo 16 minuti dall’ applicazione del batuffolo di cotone impregnato di detta sostanza, come per la cloroformizzazione, il reperto grossolano è di profonda anemia generale, confermata microscopicamente: nessuna diapedesi. Con l’ossido ed acido carbonico, nel cane morto dopo mezz’ora, tutti gli organi e 6 A. Fellone [Memoria XII. ] tessuti mostrano il bel colorito roseo risaputo, quanto più sono vascolari, appunto pel co- lorito, che prende il sangue : è proprio bello di vedere nei centri nervosi, specialmente nel midollo spinale, la sostanza grigia risaltare pel forte colorito roseo sulla sostanza bianca: la farfalla si disegna perciò nelle sezioni trasverse in modo bellissimo. Nessuna diapedesi. Mi è sembrato, che questi risultati sperimentali, oltre a confermare il giudizio da me dato nella perizia medico-legale, ammaestrano : 1° Che le iperemie venose tossiche non tutte danno diapedesi. 2° Che la diapedesi è data da quegli avvelenamenti, che più o meno danno immo- bilizzazione del torace per spasmo specialmente tonico dei suoi muscoli ; anche quando la modalità dell’ impiego non è 1’ asfissia. 3° Che quindi in varii avvelenamenti l’iperemia è meccanica, almeno prevalentemente; e perciò il risultato identico a quello, che si ha esclusivamente per cause meccaniche. 4° Che l’ iperemia venosa per vero attossicamento, senza immobilizzazione del torace, dev’essere un’iperemia neuroparalitica, come si ha nelle tossiemie microbiche: è tipico quella per cloroformio. Vi manca la diapedesi. 5° Che vi sono certi attossicamenti, come con l'ammoniaca, che devono agire sui centri nervosi, come vaso-costrittori, pur apprestati in modo da produrre 1’ asfissia : in questi casi non si produce iperemia venosa, ma anemia. 6° Che l’anidride solforosa, molto probabilmente dà spasmi ed immobilizzazione del to- race, (e ciò bisogna studiarlo con mezzi opportuni), per dare il reperto di infarti emorragici. Io non ho il tempo disponibile; ma è doveroso controllare questi risultati, estenderli: così si potranno avere dei responsi di una grande utilità pratica. In conclusione : le sole iperemie venose meccaniche danno vera diapedesi (legge di Cohneim) : le tossiche danno diapedesi soltanto, quando cagionano stasi venosa meccani- ca : perciò quando si può escludere un avvelenamento qualsiasi, e vi è stasi venosa ge- nerale con diapedesi, si deve conchiudere, anche senza segni esterni, alla morte per fatto meccanico, e quindi alla morte per soffocazione. Memoria. XIII. Analisi chimica ed esame batteriologico dell’acqua della Naviccia (Adernò) Nota di G. GRASSI CRISTALDI e E. DI MATTEI Fra il grande sistema di sorgenti che a valle del ponte dei Saraceni vanno ad alimen- tare il Simeto, è da annoverare la polla nella contrada Naviccia nel territorio Portella della Naviccia. Rinvenuta nel 1885 alla profondità di m. 16, mediante pozzo scavato nel fondo di patrimonio del Prevosto Russo Petronio Salvatore, fu condotta con galleria lunga circa 120 m. da N. E a S. O al limitare dell’esteso terrazzo che, troncato a rupe, declina poi dolcemente verso la sponda sinistra del fiume, e, per scoperti canali, distribuita ai vari ubertosi giardini sottostanti. Nel 1893 la galleria, spostata a 8 metri più a Sud, presenta maggiore stabilità, e la dovuta sicurezza per la conservazione della purezza dell’acqua. Dista circa 1700 m. da Adernò con un dislivello sufficiente perchè possa innalzarsi al piano superiore degli edifici più elevati. L’acqua è limpida, con sapore lievemente salino: la sua temperatura il 26 novem- bre 1911 era di 15°, 7 (temp. esterna di 11°, 2 alle ore 12). Saggi qualitativi — Ha reazione alcalina. Questa fu messa in evidenza scaldando l’ acqua in capsula di platino e saggiando con fenolftaleina che subito si colorò in rosso. Anche con metil-arancio si ebbe intensa colorazione gialla. Ammoniaca — In apparecchio, del tutto esente di vapori ammoniacali, si sottoposero alla distillazione circa 500 cm3. di acqua, ed ai primi 100 cm3. distillati e raccolti in ci- lindro di vetro, si aggiunse un cm3. di reattivo di Nessler (Hgl4K, con K0H) , si chiuse col tappo smerigliato e si agitò sovente. Anche dopo 24 ore non si rese manifesta alcuna lieve colorazione: onde assenza di qualsiasi traccia di ammoniaca. Acido nitroso — In cilindro stretto, munito di turacciolo smerigliato, s’ introdussero circa 100 cm3. di acqua, e previa acidificazione con acido solforico diluito e puro, si ag- giunsero due cm3. di soluzione acetica di acido solfanilico e cloridrato di a-naftil-ammina -(Reattivo di Griess preparato col metodo di Lunge). Nè subito , nè dopo molte ore ap- parve la colorazione rosea, caratteristica dell’acido nitroso. ANALISI QUANTITATIVA Anidride carbonica. — Fu preferito il metodo di Jalowetz perchè permette la di- retta determinazione ponderale tanto dell’ anidride carbonica libera e semicombinata, quanto di quella combinata. Si adoperarono a tal fine nel noto apparecchio ( 1) 500 cm3. d'acqua (i) Chem. Zeit. Rep. 1890, p. 259. GUARESCHI — Nuova Enciclopedia chimica — Voi. Ili, pag. 480. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni . XIII. ! G. Grassi Crisi aldi e E. Di Maltei [Memoria XIII. | o tredda addizionata di 5 cnv!. di soluzione concentrata di cloruro di calcio. Terminato lo sviluppo gassoso e fatta la pesata delle bolle di Geissler, insieme al seguente tubo ad U, si acidificò l'acqua con 20 cm3. di acido cloridrico diluito, si riscaldò di nuovo all’ ebolli- zione e si pesò per la seconda volta. Il risultato, riferito a 100 litri di acqua, fu: Anidride carbonica lib. e semicomb. . . gr. 62. 4 „ „ combinata . . 39. 6 totale . . . 102. 0 Sostanze organiche — Per la valutazione delle sostanze organiche si seguì il pro- cesso dell’ ossigeno , determinandone la quantità tolta da un dato volume di acqua ad una soluzione titolata di permanganato potassico. Si operò a temperatura ordinaria, se- guendo le prescrizioni di Tidy, che decompone 1’ eccesso di permanganato con joduro po- tassico e determina il jodio messo in libertà con soluzione titolata d’iposolfito sodico. Si potè constatare così che la quantità di ossigeno consumato dalle sostanze organi- che, contenute in quest’acqua, è quasi nulla; infatti questa quantità, riferita a 100 litri, ri- sultò eguale a gì-. 0, 0008 Acido nitrico — La quantità di acido nitrico è tanto esigua che non si credette op- portuno procedere alla sua determinazione. Acido solforico. — Si evaporò un litro di acqua previamente acidificata con acido cloridrico e si separò la silice. Al liquido filtrato si aggiunse del cloruro di bario, e si precipitò col noto metodo il solfato di bario. Dal peso di questo si dedusse quello dell’ a- nidride solforica, che riferito a 100 litri, risultò eguale a gr. 0, 58. Sodio e potassio. — Si evaporò a secchezza, in capsula di platino e su bagnomaria, il liquido adoperato per la determinazione dell’acido solforico e da cui si separò il solfato di bario. Il residuo secco fu ripreso con acqua distillata e bollito con lieve eccesso di idrato barbico puro. Si filtrò, si aggiunse al filtrato ammoniaca, carbonato ammonieo e poco ossalato am- monico. Si lasciò depositare il precipitato, si filtrò, si evaporò a secchezza sulla stessa capsula di platino e si scacciarono i sali ammoniacali; si ripetè l’operazione per eliminare la tenue quantità di magnesia residuale, evaporando e calcinando in crogiuolo di platino. Si pervenne così al residuo di gr. : 1,282 costituito dei cloruri alcalini, della miscela, cioè, dei cloruri di sodio e potassio. Fatta di questa miscela la determinazione volumetrica del cloro totale col metodo di Volhard, che risultò eguale a gr. 0,6913 per litro, si ebbero i dati sufficienti per la de- terminazione indiretta dei due metalli alcalini. Sostituendo infatti nella equazione: 35, 45 , 35, 45 74,45 x h 58, 45 ( P-X)=C a D il valore gr. 1,282 corrispondente al peso della miscela dei cloruri, contenuti in un litro, a C il valore gr. 0, 6913 relativo al cloro totale, e risolvendo per .r, si ha il valore corrispondente al cloruro di potassio: gr. 66 per % litri. Analisi chimica ed esame batteriologico dell'acqua della Naviccia (Allentò) 3 Analogamente, oppure per differenza, si perviene al valore del cloruro di sodio, eguale a gr. 62 per 100 litri. Da questi risultati si ha: Ossido di potassio (in 100 litri) .... gr. 41, 66 Ossido di sodio ( „ ) . . . . „ 32, 88 Anidride silicica. — Si evaporò in capsula di platino, su bagnomaria, un litro di acqua, previamente acidificata con acido cloridrico. 11 residuo solido fu ripreso con acqua distillata ed acido cloridrico e il liquido evaporato per due terzi; si ripetè l’ operazione an- cora una volta e si raccolse su filtro l’ acido silicico rimasto insolubile. Questo, lavato e calcinato, condusse a gr. 6. 37 di anidride silicica per 100 litri. Sesquiossidi di ferro e alluminio. — Il liquido filtrato, addizionato di cloruro di ammonio e reso alcalino con ammoniaca, diede un tenue precipitato dei due sesquiossidi di ferro ed alluminio che, riferito al suddetto volume di acqua, risultò eguale a gr 0, 5 Data la esigua quantità, non si credette opportuno procedere alla separazione dei due ossidi. Ossidi di calcio e magnesio. — Fu seguito il metodo di T. W. Richards (1) perchè più consentaneo ai costituenti salini dell’acqua. Si aggiunse altro cloruro di ammonio alla soluzione, da cui erasi separata la miscela dei sesqui-ossidi, ed una sufficiente quantità di soluzione bollente di acido ossalico, addizionata di acido cloridrico, in quantità, questo, tripla a quella dell’acido ossalico. Si scaldò all’ ebollizione, si colorò con alcune stille di metil-arancio e si trattò con ammoniaca diluita sino alla colorazione gialla caratteristica. Si aggiunse poscia un eccesso di soluzione bollente di ossalato ammonico, e, previo riposo, si raccolse su filtro l’ ossalato di calcio, che, lavato con soluzione calda di ossalato ammo- nico all’ l °/0, fu seccato, trasformato in ossido e pesato. Il filtrato, evaporato in capsula di platino e reso scevro da sali ammoniacali, fu trat- tato con poco acido cloridrico e adoperato pei' la precipitazione del magnesio allo stato di fosfato ammonico- magnesiaco, pesato allo stato di piro fosfato. I corrispondenti risultati riferiti a 100 litri, furono: Ossido di calcio gr. 7. 85. Ossido di magnesio ... „ 29. 89. Cloro. — Per la determinazione del cloro nelle acque si dà sempre la preferenza al metodo di Volhard perchè rapido, esatto e permette operare in soluzione acida. Poiché l’acqua della Naviccia è ricca di cloruri, si operò su 100 cm3. di essa acidifl- N cata con acido nitrico, usando le note soluzioni di nitrato di argento e solfocianato ammonico; come indicatore la soluzione acquosa al 10 per cento di allume ferrico. (i) Zeitschr. f. anorg. Chemie 28 (1901) p. 71. E. P. Treadwell - Voi. II. p. 68. 4 G. Grassi Cristalli i e E. Di Mattei [Memoria XIII. J Varie determinazioni, riferite a 100 litri, condussero a cloro = gr. 75, 15, cifra molto elevata in rapporto al contenuto in cloro delle acque delle regioni etnee, ma che non diminuisce la bontà dell’ acqua in rapporto alla sua potabilità. Residuo solido. — La totalità delle sostanze solide disciolte in un dato volume fu* determinata evaporando in crogiuolo di platino or 500 cm3, ed ora un litro' di acqua. Il residuo, riscaldato dapprima a 100° e poi a 180°, sino a peso costante, si mantenne sempre bianco per la completa assenza di sostanze organiche. Le varie determinazioni condussero al seguente risultato : residuo solido a 180° (per 100 litri) = gr. 232, 7. Anche questo valore è molto elevato, sopra tutto se si vuole riferire al limite di tol- leranza consigliato dalle varie commissioni. Durezza. — Riferisconsi infine i dati relativi alla durezza dell’ acqua ottenuti col me- todo idrotimetrieo : durezza temporanea (gradi francesi) . . . . . . 70. 45 „ permanente 18. 25 „ totale 88. 70 Riassumendo: i risultati analitici riferiti a 100 litri di acqua sono • Residuo fisso a i 8on ........ gr. 232. 70 Ossido di sodio ......... * » 32. 88 » » potassio ......... » 41. 66 > » lidio ......... » 0 Ammoniaca .......... » 0 Ossido di calcio ......... » 7. 85 » » magnesio ......... » 29. 89 » » stronzio ......... » 0 Cloro ........... » 75- 15 Iodio ........... » O Acido nitroso .......... » O Acido nitrico .......... » tracce Anidride solforica ......... » 0. 58 » silicica ......... » 6. 37 » fosforica ......... » O Sesquiossidi di ferro e alluminio ...... » O. 50 Ossigeno consumato ........ » 0. 0008 Anidride carbonica libera e semi-combinata. .... » t i 62. 4 » » combinata ....... » ’ i 39. 6 » » totale ........ 1 » 102. O Durezza permanente • * ( 18. 25 » temporanea ) 70. 45 » totale . r » O b- 00 00 Analisi chimica ed esame bai lev iologico dell' acqua della Naviccia (Ade nidi 5 E in questi risultati analitici i dati che si mettono maggiormente in evidenza, per la notevole quantità, sono: residuo tìsso ossidi dei metalli alcalini ossido di magnesio e cloro. Anzi tutto, data 1’ assoluta assenza di ammoniaca, acido nitroso e sostanze organiche, l’acqua della Naviccia è da ritenersi perfettamente pura; e, poiché fra i costituenti salini nessuno può ritenersi nocivo all’economia animale, agli effetti della potabilità, è da classi- ficare fra le buone. Occorre però discutere se le rilevanti quantità dei suddetti costituendi salini, costitui- scano un pregio od un difetto. L’ ossido di magnesio (gr. 0.2983 per litro) in massima parte in soluzione allo stato di bicarbonato, si può dire in quantità normale in rapporto alla regione etnea ed alla na- tura geologica dei sottosuolo. Tutte le acque che vengono in luce nel territorio di Adernò, sono notevolmente magnesiache e quasi allo stesso grado dell’ acqua Vaicorrente, la quale contiene gr. 0.2147 di ossido di magnesio allo stato di bicarbonato. Tra l’acqua Vaicorrente e quella della Naviccia, in rapporto al magnesio, esiste però una notevole differenza: la prima, lasciata a sè, per graduale eliminazione di anidride carbonica, genera delle incrostazioni bianche di carbonato di magnesio, talvolta costituite di minutissimi e lucenti cristallini romboedrici; — la seconda, l'acqua della Naviccia, neanco dopo sei mesi diede luogo a qualsiasi accenno a deposito, e serbò la primitiva limpidezza. Si attribuisca questa differenza alla presenza di notevoli quantità di carbonati alcalini, che impediscono la precipitazione del carbonato di magnesio e del cloruro che probabil- mente trovasi in soluzione allo stato di cloruro doppio di magnesio e potassio. Si spiega cosi il notevole grado di durezza permanente, trovato eguale a 18, 25. Sono appunto quei carbonati alcalini che impartiscono all’ acqua 1’ accentuata reazione alcalina e contribuiscono al forte percentuale salino di essa, tanto da apportare un residuo fisso di gr. 2. 327 per litro. Ma il fatto che maggiormente richiama 1’ attenzione e che, non costituisce un difetto dell’acqua della Naviccia, è la quantità anormale di cloro (gr. 0. 7515 per litro). Questo, in massima parte, combinato ai metalli alcalini, — proveniente dalla natura chimica della corrente lavica del 1395 e dal sottosuolo permeabile, — notevolmente ecces- sivo in rapporto alle altre acque, per la sua quantità è ben lungi dal rendersi nocivo nei suoi effetti per 1’ uso continuato, tanto vero che, secondo i più chiari autori, i cloruri di potassio e di sodio, si rendono utili all’ economia animale perchè attivano la salivazione, provocano 1’ appetito. In quanto alla composizione probabile dei costituenti salini sciolti nell’acqua, non si è creduto opportuno fare dei calcoli per stabilirne i rapporti ponderali, perchè non sempre rispondenti al vero. Tuttavia, con un certo grado di approssimazione, si può ammettere che l’acqua contenga in soluzione: bicarbonato di magnesio cloruro di magnesio bicarbonato di calcio 6 G. Grassi Cristaldi e E. Di Matte i [Memoria XIII. [ bicarbonato sodico bicarbonato potassico cloruro sodico cloruro potassico tenue quantità di: solfato di calcio bicarbonato ferroso silicato di alluminio acido silicico colloidale. In conclusione: L’acqua della Naviccia, — quantunque, come le altre dei dintorni di Adernò, fortemente mineralizzata — per la sua freschezza, per la natura chimica dei sali in soluzione, è da ritenersi una buona acqua potabile. Dall' Isti luto di Chimica generale . ESAME BATTERIOLOGICO L’acqua della sorgente Naviccia, di cui nella parte precedente si è riferita l’analisi chimica, è stata sottoposta all’esame batteriologico, allo scopo di completare, il giudizio sanitario definitivo della potabilità o meno dell’acqua sudetta. Senza indugiarsi sulle condizioni di topografia della sorgente e della lunga galleria scavata nella profondità del terreno, ove essa sorgente scaturisce, e di già accennate nella prima parte, mi limiterò a riferire i risultati delle ricerche fatte. Queste sono di due ordini, riferentisi, la prima all’esame microscopico, la seconda all’esame batteriologico propriamente detto. È inutile accennare che i prelevamenti dei campioni pei- l’uno e l’altro esame sono stati fatti secondo le più rigorose esigenze della tecnica. I. Esame microscopico a) Corpi e detriti capitati accidentalmente nell’acqua, provenienti dai diversi regni della natura : ^ minerali assenti Sostanze vegetali id. [ animali id. Analisi chimica ed esame batteriologico dell'acqua della Naviccta (Aderirò) 7 b) Residui di rifiuti domestici, industriali, animali, con possibile rapporto d inquina mento coi prodotti di rifiuto dell’ uomo, degli animali, dell industria : Residui ( di detriti vegetali \ I di detriti di rifiuto i dell’ uomo . . ) degli animali . f dell’ industria. I parassiti assenti id. id. id. id. c) Esseri animali e vegetali viventi nell’ acqua. Vegetali (alghe eco.) assenti Animali (infusori ecc.) id. Organismi inferiori li. Esame batteriologico Giorni 40 di durala Culture in gelatina Temp N. dei . i6° germi in 1 c. c. di : N. delle Colonie sviluppo 1 8 » » » 1 8° » 22 gelat. agariz. » 20° » 15 » » » 22° » 16 agar - agar » 30° » 15 » » » 37° » I 2 agar - Ramond » 37° f assenza di b. coli » Drigalski-Conradi 37° t di b. tiphi. e di al- Brodo fenolftaleinico 37° tre varietà di natu- ! ra patogene o so- » nutrosato 37° , spette. Media dei germi in /. ce. X. 16. Classifica dei germi trovati a) Muffe assenti Blastomiceti id. micrococchi- acquatilis, roseus bacilli . . . fluorescens, idricus vibrioni assenti strephotricee e germi vari — assenti. 1 Schizomiceti \ III. Dai risultati rassegnati nelle precedenti tabelle si rileva che 1’ acqua della sorgente Naviccia è esente di particelle d’umina, di arenule, di frammenti e detriti provenienti dal regno minerale; è esente di tracce e di residui di radici, di trachee ecc. , del regno ve- getale, ed è esente di esseri organizzati appartenenti o non alla fauna idrica. Non presenta nessun frammento o detrito, appartenenti alle sostanze di rifiuto dell’uomo, degli animali, dell’industria. Cosicché senza pregiudizio dei risultati batteriologici f acqua dal punto di vista mi- croscopico si deve dichiarare pura. Dai risultati batteriologici si rileva che la media dei germi trovati in I c. c. d’acqua 8 G. Grassi Cristaldi e E. Di Maltei [Memoria XIII.] è di 16; e che essi germi appartengono a quelli così detti idrici o acquatili e che abitual- mente vivono nell’ acqua. Non vi sono germi fondenti la gelatina, nè altri di quelli appartenenti al terreno o all’aria o ad altri substrati inquinati, e che eventualmente càpitano nell’acqua. Non si riscontrano infine germi di natura patogena o sospetta. Per queste ragioni e per le altre riguardanti il quantitativo abbastanza basso dei germi predetti, quantitativo che solo si trova nelle acque molto pure, si viene alla conclusione che l’acqua della sorgente Naviccia dal punto di vista microscopico e batteriologico, deve classificarsi come un’ acqua eccessivamente pura, e ben adatta agli usi potabili. Questa conclusione trova riscontro in quella a cui il collega Grassi è pervenuto per via dell’analisi chimica ; e dovendo quindi formulare un giudizio igienico complessivo definitivo, si può asserire che l’acqua della sorgente Naviccia è da considerarsi come salùbre, pura e adatta all’alimentazione potabile, e senza alcuna preoccupazione nei riguardi della pubblica salute. Dall’ Istillilo di Igiene della A\ Università di Catania. Catania . giugno 79/2. Memoria XIV. Sulla Lecitina esistente nelle uova del Riccio di mare Nota di P. BERTOLO In una precedente Nota pubblicata nel Bollettino di questa Accademia (1) comunica i risultati di alcune ricerche chimiche eseguite sulle uova del Riccio di mare (Strongylo- centrotus lividus); e, fra le altre sostanze proteiche determinate, potei dimostrare anche 1’esistenza della lecitina nelle proporzioni di gr. 0,963 per 100 parti di organi freschi. . \ Date le importanti quistioni che in questi ultimi tempi si agitano nel campo della chi- mica sulla natura e costituzione delle diverse lecitine esistenti negli organismi animali e vegetali, ho creduto di non lieve importanza riprendere le ricerche chimiche- sullo stesso argomento, con l’ intendimento principale di stabilire se la lecitina ricavata dalle uova del Riccio di mare fosse identica nella costituzione chimica e nell’ attività ottica alla lecitina ottenuta dal torlo d’ uovo. Per risolvere tale quesito ho ritenuto opportuno eseguire le ricerche analitiche com- parativamente con la lecitina estratta dal torlo d’uovo, che io ho ottenuto allo stato di sufficiente purezza partendo da un campione di prodotto fornitomi dalla Casa Merck. Per la purificazione della lecitina ho provato i diversi metodi fin oggi praticati e quasi tutti fondati sulla preparazione e successiva scissione del composto doppio di lecitina e cloruro di cadmio, e ho dovuto constatare che tali processi sono imperfetti e non danno risultati soddisfacenti. Descrivo pertanto il processo da me seguito facendo rilevare qualche importante mo- dificazione che mi ha permesso di ottenere il prodotto abbastanza puro e con un maggiore rendimento : A tale uopo gr. 15 di lecitina ex ovo furono disciolti in alcool a 95° riscaldando leg- germente a bagno-maria alla temperatura di 45°. La soluzione alcoolica colorata e torbida venne filtrata e trattata a poco a poco con una soluzione alcoolica satura a freddo di clo- ruro di cadmio. Le prime gocce di reattivo determinarono un intorbidamento che per agi- tazione scomparve. Seguitando ad aggiungere il reattivo in eccesso si ottenne un precipitato abbondante polverulento che si depositò al fondo del recipiente. Separato il liquido alcoolico per decantazione, il precipitato venne lavato prima con nuovo alcool a 95° e poscia con etere per liberarlo dall’eccesso di cloruro di cadmio, dai grassi ed altri corpi estranei, che eventualmente potesse contenere. Il composto doppio di cloruro di cadmio e lecitina in tal modo ottenuto, asciugato e disseccato nel vuoto, si presentava sotto forma di una massa compatta, dura, che facil- mente fu ridotta in polvere perfettamente bianca. (i) P. BERTOLO — Ricerche chimiche sopra le uova del Riccio di mare (Strongylocentrotus Lividus) Bollettino dell’ Accad. Gioenia, Dicembre 1903. Fase. 790. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. XIV. I 9 P. B ertolo [Memoria XIV.] Questo composto aveva i medesimi caratteri di quello ottenuto da Strecker (1), e da Ul- piani, presso a poco seguendo lo stesso trattamento e partendo direttamente dai torli d’uova. Infatti aveva il medesimo punto di fusione ( 199°-200°) e si scioglieva ugualmente, come ha riscontrato Ulpiani (2) nella miscela di glicerina ed alcool e nella miscela di solfuro di carbonio ed alcool od etere. Disciolta in quest’ ultimo solvente la sostanza, e nelle identiche condizioni in cui ha operato Ulpiani, presentava la medesima attività ottica, deviando il piano della luce polarizzata di -p00,5 per una concentrazione di gr. 4,025 %• Per ottenere la lecitina pura dal composto doppio di lecitina e cadmio non ho impie- gato il processo di decomposizione mediante l’idrogeno solforato, appunto per le conside- razioni fatte in merito da Hoppe-Seyler (3) e in seguito da Ulpiani (4). Ho tentato il metodo di Bergell (5) il quale consiglia di sciogliere il composto cadmico trattandolo prima con etere e poscia con otto volte la medesima quantità di alcool a 80°, riscaldando a ricadere, e poscia versando una quantità corrispondente di carbonato ammo- nico in soluzione concentrata, sino a reazione alcalina, e prolungando il riscaldamento finche una porzione di liquido filtrato si mostra esente di cadmio. Operando in queste condizioni ho potuto constatare che il composto non si scioglie completamente e con la prolungata ebollizione dell’ alcool la lecitina si decompone parzial- mente, quantunque il Bergell asserisca che la decomposizione avvenga alla temperatura di 100°. Inoltre ho dovuto osservare che la soluzione acquosa del carbonato ammonico precipita parzialmente la lecitina messa in libertà: Infatti trattando pochi cent, cubici della soluzione alcoolica con alcune gocce di soluzione concentrata di carbonato ammonico fino a reazione alcalina, dopo alcuni minuti precipita una sostanza bianca, che separata e sag- giata opportunamente con i reattivi del cadmio, non mostra traccia di questo elemento, mentre al contrario, trattando la soluzione alcoolica primitiva con idrogeno solforato o con solfuro ammonico precipita il solfuro di cadmio. Ho provato il metodo di Ulpiani, il quale consiglia di decomporre il composto doppio di lecitina e cadmio sospeso in alcool agitandolo con ossido di argento. Però con questo processo ho dovuto constatare, come del resto lo stesso Ulpiani ha convenuto , che 1’ os- sido d’argento determina anche una parziale decomposizione della lecitina, tanto è vero che dalla soluzione alcoolica separata dal cadmio e dall’ argento , per aggiunta di nuovo cloruro di cadmio, si riottiene una quantità di composto cadmico assai inferiore all’ origi- nario. Tentai anche di decomporre il composto di lecitina e cadmio facendo passare una corrente di anidride carbonica nella soluzione alcoolica , ma non ottenni precipitazione di carbonato di cadmio. Finalmente, dopo diverse prove, ho potuto sperimentare un metodo assai semplice col quale si elimina completamente il cadmio dal composto doppio, e si ottiene inalterata la lecitina. Questo metodo è fondato sullo stesso principio di quello consigliato da Bergell, modi- (1) STRECKER — Ann. Liebig — 148, pag. 77. (2) ULPIANI — Attività ottica della lecitina — Gazz. Chini. Ital. Voi. 31. 1901 pag. 47 • (3) HOPPE-SEYLER — Zeitschr. fur Dliys. Ch. I p. 347- (4) ULPIANI — Loco citato pag. 53. (5) PFTER BERGELL — Berich. Voi. 33, pag. 2584. Sulla Lecitina esistente nelle uova del Riccio di mare 3 fìcando però il procedimento in modo da evitare 1’ impiego di considerevoli quantità di alcool ed etere, il prolungato riscaldamento all’ebollizione e l’aggiunta del carbonato am- monico in soluzione acquosa. A tale uopo s’ introduce in una bevuta un grammo di carbonato ammonico puro in polvere, si umetta con due ccm. di acqua e si agita fortemente in modo da dispandersi nelle pareti del recipiente. Quindi si aggiungono 20 cc. di alcool a 95° e tosto vi si versa un grammo del composto doppio di lecitina e cloruro di cadmio ridotto in polvere finis- sima. Si agita il miscuglio di quando in quando mantenendo per un quarto d’ ora la be- vuta in un bagno-maria riscaldato non oltre alla temperatura di 45°. Man mano che il com- posto si decompone la lecitina passa in soluzione, mentre si deposita il carbonato di cadmio. Operando in questo modo, la lecitina non subisce alcuna alterazione e viene a discio- giiersi completamente nell’ alcool, e dalla soluzione si può rigenerare per aggiunta di clo- ruro di cadmio il composto doppio in quantità presso a poco uguali all’ originale. Se si evapora nel vuoto la soluzione alcoolica filtrata, si ottiene la lecitina sotto forma di massa cerosa, leggermente colorata. Se invece la soluzione si sottopone al raffredda- mento in un miscuglio frigorifero di sale e neve, si deposita sotto forma di fiocchi bian- chissimi, che si possono raccogliere sul filtro e lavare con alcool precedentemente raffred- dato. La lecitina, così ottenuta, disciolta in cloroformio e riprecipitata con acetone, raccolta e disseccata nel vuoto, venne da me impiegata per eseguire i saggi comparativi con la le- citina preparata dalle uova del Riccio di mare. Estrazione e analisi della lecitina del Riccio di mare. Per l’estrazione della lecitina dalle ova del Riccio di mare ho impiegato contempora- neamente due metodi : il metodo classico di Hoppe-Seyler (1) e il metodo di Strecker (2) evi- tando però il forte riscaldamento, che, secondo quanto ha dimostrato Ulpiani (3), esercita gran- de influenza sulla racemizzazione della lecitina, e quindi ne diminuisce la sua attività ottica. Mi limito a descrivere il primo metodo, da me accolto con maggiore preferenza, per- chè mi ha fornito il prodotto più puro e con un maggiore rendimento di quello che si ottiene col metodo Strecker (4). Gr. 500 di ovaie, accuratamente distaccate dal guscio calcareo, lavate più volte con acqua distillata e poscia asciugate sopra filtro alla pompa, vennero spalpolati in un mor- taio e, ridotti a scorrevole poltiglia, furono versati in un pallone e, addizionati con l 2 3 4/2 litro di alcool a 95°, vennero messi a digerire sopra un bagno-maria riscaldato non oltre i 50°, avendo cura di agitare di quando in quando. Dopo circa ó ore fu filtrato il liquido alcoolico ed il residuo fu trattato con nuovo alcool per due ore e poscia nuovamente filtrato. Il trattamento fu ripetuto finché le ultime porzioni di alcool non manifestarono alcun intorbidamento per aggiunta di cloruro di cadmio. 1 liquidi alcoolici filtrati, riuniti insieme, furono distillati a pressione ridotta e il liquido vischioso rimasto, colorato intensamente, venne dibattuto per parecchie volte con un mi- (1) HOPPE-SEYLER — Zeischr. fur Phys-Chem. — 1. — pag. 347. (2) STRECKER — Ann. Liebig. — 148, pag. 77. (3) ULPIANI — Gazz. Chini. Ital. — Voi. 31, (1901) pag. 55. (4) Tanto Strecker quanto Ulpiani adoperano per estrarre la lecitina una miscela di etere ed alcool. 4 P. B ertolo [Memoria XIV.] scuglio di etere ed etere petrolico allo scopo di purificarlo dalle materie estranee (grassi, colesterina, materie coloranti). 11 residuo venne quindi disciolto a lieve calore nell’ alcool a 95°, e la soluzione alcoo- lica filtrata venne addizionata con una soluzione alcoolica di cloruro di cadmio satura a freddo. Per aggiunta di eccesso di reattivo, si formò un precipitato bianco polverulento che lentamente si depositò al fondo del recipiente. Dopo alcune ore di riposo fu decantato sopra un filtro il liquido alcoolico, ed il resi- duo agitato con nuovo alcool e poscia con etere venne raccolto sul filtro e, lavato diverse volte con etere, venne quindi disseccato nel vuoto. Il composto doppio di lecitina e cloruro di cadmio, così ottenuto presenta il mede- simo aspetto del corrispondente composto preparato dalla lecitina del torlo d’ uovo. Diffe- risce da questo solamente nel punto di fusione e nei caratteri di solubilità. Infatti esso fonde ad una temperatura più elevata, cioè a 250°, con parziale decomposizione ; è quasi insolubile in etere e in alcool tanto a freddo che a caldo , insolubile nel benzolo, nel sol- furo di carbonio, nel cloroformio. Nella miscela di alcool e solfuro di carbonio preparato secondo le norme suggerite da Ulpiani (1) si discioglie in parte, e dalla soluzione si separa per svaporamento la so- stanza di aspetto più bianco e con un punto di fusione inferiore (a 240°). Queste soluzioni furono osservate al polarimetro, e potei constatare che deviavano a destra il piano della luce polarizzata, però non mi è stato possibile determinare il potere rotatorio specifico, non avendo potuto stabilire la concentrazione della sostanza nel solvente. Le determinazioni di azoto, fosforo e cadmio eseguite sopra il composto doppio di lecitina e cloruro di cadmio, disseccato a 105° sino a peso costante, diedero i seguenti risultati : N I. gr. 0,9150 di sostanza decomposta col metodo Kyeldall richiese cc.ra 9,5 di HCl II. gr. 0,707 „ „ „ „ „ „ cc. 7 di HCl — III. gr. 0,9848 di sostanza bruciata in tubo chiuso con HNO3 , precipitazione col mo- libdato ammonico e successivamente con la miscela magnesiaca, diede gr. 0,1078 di Mg2 P2 O, IV. gr. 0,8580 di sostanza bruciata in tubo chiuso con HNO3 , precipitazione con ino- libdato ammonico e successivamente con la miscela magnesiaca diedero gr. 0,0956 di Mg^PaO... V. gr. 0,8700 di sostanza calcinata in presenza di H2S04 diede un residuo che sciolto e precipitato con H2S diede gr. 0,1552 di CdS. Trovato 1. 11. III. IV. V N. = 1, 45 % Ph. = Cd. = 1 . 38 % 3, 05 3, 11 13, (1) ULPIANI — Gazz. Chini. Ital., Voi. 31 — 1901, pag. 53. Sulla Lecitina esistente nelle uova del Riccio di mare o Questi risultati sono concordanti col calcolato del composto risultante dall’ unione di tre melec. di lecitina distearica o dioleica o dipalmitica con 4 melec. di cloruro di cadmio: Calcolato : per il Composto dioleico per il Composto distearico per il Composto dipalmitico N. = 1, 34 »/0 1, 33 o/0 1, 41 Ph. = 2, 95 „ 2, 94 „ 3, 11 Cd. = 14, 30 „ 14, 25 „ 15, 05 Dal composto rimastomi dopo l’analisi, ho preparato la lecitina libera, eliminando il cadmio col processo del carbonato ammonico , da me precedentemente impiegato per la purificazione della lecitina ex ovo. La lecitina ottenuta presentava il medesimo aspetto di quella dell’uovo, ma differiva dai caratteri di solubilità, poiché più difficilmente si discioglieva nell'alcool, nell’etere e nel cloroformio. La soluzione alcoolica deviava ugualmente a destra il piano della luce polarizzata. Non mi è stato possibile determinare il suo potere rotatorio specifico per la difficoltà di potere ottenere la soluzione di una concentrazione definitiva. Sopra una porzione di lecitina purificata per riprecipitazione della soluzione clorofor- mica con acetone, e disseccata nel vuoto sino a peso costante, ho eseguito le determina- zioni di Azoto e Fosforo ed ho ottenuto i seguenti risultati : gr. 0,758 di sostanza decomposta col metodo Kyeldall richiesero cc. 10 di HC1 N/io. gr. 0,7926 di sostanza bruciata in tubo chiuso con HNO3, precipitazione con molibdato ammonico e poscia con la miscela magnesiaca diedero gr. 0,1006 di Mg2P20,. Calcolato per la lecitina Trovato distearica 0 dioleica N. = 1, 84 % 1, 73 % P. = 3, 54 „ 3, 84 „ Non potendo stabilire dai dati analitici la natura degli acidi grassi che entrano a co- stituire la melecola della lecitina, ho eseguita la saponificazione con barite del composto doppio di lecitina e cloruro di cadmio, onde potere in tal modo separare e identificare gli acidi grassi. Gr. 5 di composto doppio fu fatto bollire prolungatamente con idrato di barite, e il sapone di bario ottenuto, raccolto sul filtro e lavato, venne decomposto con acido cloridrico. Gli acidi grassi, resi liberi con tale trattamento, vennero disciolti in etere, ed il residuo ottenuto dopo svaporamento di questo solvente venne ripreso con alcool bollente. La so- luzione alcoolica filtrata a caldo, lasciò separare col raffreddamento una sostanza bianca lucente semicristallina, che fondeva alla temperatura di 65-67°, assai vicino quindi al punto di fusione dell’ acido stearico (69°, 2). Per identificare la presenza dell’ acido oleico, fu svaporata la soluzione alcoolica degli acidi grassi, ed il residuo fu disciolto completamente nell’idrato sodico. La soluzione alca- 6 P. B ertolo [Memoria XIV. | lina tu saturata con una corrente di anidride carbonica per eliminare 1’ eccesso di alcali libero, e poscia fu concentrato il tutto sopra un bagno-maria, sino a secchezza. Il sapone di sodio in tal modo ottenuto, venne disciolto in alcool bollente , e la soluzione alcoolica, filtrata, venne trattata con acetato di piombo. Il precipitato del sapone di piombo separa- tosi, venne raccolto sopra un filtro, lavato e dopo disseccato completamente nel vuoto,, venne trattato ripetute volte con etere allo scopo di sciogliere solamente l’oleato di piombo. Però dopo svaporamento dell’ etere rimase un residuo trascurabilissimo, nel quale non ho potuto seguire alcun saggio per confermare la presenza dell’acido oleico. Ho ripetuto la saponificazione impiegando una maggiore quantità di composto doppio di lecitina e cloruro di cadmio, ma sempre ottenni il medesimo risultato. In tal modo dovetti escludere la presenza dell’acido oleico, come anche quella dei- fi acido paimitico. Dai risultati di queste brevi ricerche analitiche, rimane quindi assodato che la lecitina esistente nell’ uova del Riccio di mare presenta una composizione centesimale presso a poco identica a quella della lecitina ottenuta dal torlo d’uovo, e che al pari di questa è dotata di attività ottica nello stesso senso. Differisce però da essa nella costituzione chimica, in- quantochè non contiene il radicale dell’acido oleico nè il radicale dell’acido paimitico, ov- vero se li contiene, essi si trovano in minime quantità, da non poterli analiticamente iden- tificare. Sarebbe quindi una lecitina a solo acido stearico. Questo fatto trova riscontro nei diversi caratteri di solubilità e nel diverso punto di fusione osservati nei corrispettivi composti di lecitina e cloruro di cadmio , e conferma altresì l’ipotesi ammessa dallo Stecker , dal Bergell, da Ulpiani e da altri Autori sull’esi- stenza di diverse lecitine. Dall’ Istituto di Chimica- Farmaceutica della R. Università — Catania. Memorisi XV. Sullo zolfo di Yulcano (Isole Eolie)'1’ Memoria di UGO PANICH1 (con una tavola) RELAZIONE della Commissione di revisione composta dai soci effettivi Proff. G. GRASSI e L. BUCCA ( Relatore ) Il lavoro del prof. Ugo Panichi riguarda lo studio cristallografico di diversi stati allo- tropici dello zolfo delle fumarole di Vulcano: ed ha importanza non solo perchè, messo in correlazione colla temperatura e la composizione delle fumarole , dà un contributo alle nostre conoscenze sulla natura di queste e sul loro modo di formazione, ma anche per i dati nuovi e più sicuri sulla forma cristallina di questi stati allotropici dello zolfo, studiati sui prodotti naturali, mentre generalmente si erano studiati su materiale di laboratorio. La Commissione quindi crede il lavoro degno di essere inserito negli atti dell’Accademia. Lo zolfo di Vulcano è essenzialmente un prodotto delle fumarole, sempre attive dentro e presso il cratere principale. E come queste col tempo cambiano di numero, di luogo, di temperatura, di azione sulle roccie che attraversano, di quantità e qualità dei loro prodotti, così anche la nascita e lo sviluppo delio zolfo sono continuamente soggette a variazioni, il cui esame, a mio parere, è importante, se non altro, per lo studio delle proprietà strut- turali caratteristiche di questa sostanza. Anche attualmente possiamo constatare che lo zolfo trova nei vari punti del cratere e del cono vulcanico differenti condizioni di formazione e di accrescimento; infatti vi si possono osservare prodotte varie delle sue modificazioni cristallografiche. Osserviamo subito che fino ad oggi, a parte la comune modificazione rombica, le altre modificazioni dello zolfo sono certamente meglio note per via di cristallizzazioni artificiali, che non per l’esame dello zolfo nativo. L’ Hintze scrive nel suo trattato del 1898 (pag. 68) che “ in natura con sicurezza è conosciuta solo una modificazione rombica (zolfo a) „ — D’altra parte le pochissime notizie sopra zolfo naturale non trimetrico si riducono, a mia cognizione, soltanto alla citazione di qualche località ; e cioè ; il Cratere dell’Idjen nell’Isola (i) Ringrazio il Prof. F. Millosevich, direttore del Gabinetto di Mineralogia di Firenze, per avermi faci- litata l’esecuzione di questo lavoro fornendomi gentilmente libri e altri mezzi di studio. Alcune misure sono state eseguite nel suo Gabinetto. Esprimo pure la mia gratitudine al Prof. Bucca, direttore del Gabinetto di Mineralogia e Vulcanologia di Catania. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. Mem. XV. ' . Q Ugo Paniclii [Memoria XV.] di Giava; il cratere di Vulcano nelle Isole Eolie; e, posteriormente alla pubblicazione del- l’Hintze, il Vesuvio. In esse venne notata la presenza di zolfo (3, come dirò fra poco. Fino ad ora per altro mancavano misure cristallografiche od altre determinazioni rife- rentisi agli zolfi nativi non rombici. In una mia recente pubblicazione (1) io ho reso noto di aver trovato nel cratere di Vulcano una patina sottile formata da zolfo nella sua modificazione 7 ; ed ho aggiunto al- cune determinazioni cristallografiche a conferma della mia asserzione- in questa Memoria tratto in genere dello zolfo, rombico e non rombico, che ho osser- vato e raccolto a Vulcano. IL GIACIMENTO Il cratere di Vulcano, come è noto, si presenta oggi come una grande conca (diam. alla bocca circa 1 2/2 Km.) scavata nel cono vulcanico e con l’orlo alquanto svasato dalla parte Nord. Da questa -parte il cono, poco sotto 1’ orlo del cratere, presenta una serie di fumarole (A), allineate da Levante a Ponente. Entro il cratere poi sono altre fumarole, un gruppo delle quali (B) si stende a N. O. dalla bocca al fondo del cratere; un altro gruppo (C) è dalla parte N. E. Qualche altra fumarola isolata si vede attiva in altri punti del cra- tere, senza importanza, in questo momento, per la produzione di zolfo. I gruppi A, B, C danno zolfo e sono dunque distribuiti sulle due sponde interna ed esterna della parte Nord del Cratere. Da questa parte, a mezzo cono, è pure un cratere avventizio, chiamato la Forgia Vecchia. Nei pressi delle fumarole il terreno ha dovunque innumerevoli fumacchi, che si pos- sono spesso estinguere con una pietra, o produrre con un colpo di piccone. E dovunque abbiamo apparizioni di zolfo. Complessivamente la distribuzione dei suddetti gruppi di fumarole, salvo pochi cam- biamenti, sussiste da molti anni ; i prodotti e le temperature variano alquanto in relazione colla storia delle eruzioni. Riferendomi all’ ultimo mezzo secolo, ricordo che il periodo di anni 1856- 1879 fu di speciale attività per Vulcano, dopo il quale tornò una fase tranquilla fino all’eruzione del 1888-90 che è stata l’ultima. Ch. S. C. Deville nel 1856 constatò che la temperatura in alcune fumarole (B?) era sufficiente per fondere il piombo (cioè non meno di 334°), in altre era di circa 200°; in altre variava fra 120° e 60° C; queste ultime ave- vano alla bocca più abbondanti incrostazioni contenenti Zolfo, Sale ammoniaco, Acido bo- rico, nonché traccie di Arsenico, Selenio, Fosforo (Fosfato calcico) e Iodio. Fouqué (1865) notò fra i 'gas l’acido cloridrico nelle fumarole a temperatura più alta; alcune (A?) non emettevano anidride solforosa, ma anidride carbonica; invece nelle stesse il Mercalli, nel 1878, constatò abbondante emanazione di anidride solforosa; e fra esse le due più a Po- nente “ offrivano le labbra dei loro piccoli crateri tinte dei più vivaci colori giallo-rossi, dovuti probabilmente allo Zolfo ed ai Solfuri e Seleniuri d’ Arsenico, che esalavano „ (2). (1) U. PANICHI — Zolfo di Muthmann osservato all’Isola di liticano — Reggio Calabria — D’Angelo 1911. (2) MERCAM.I — Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia - Milano 1883, pag. 147 — Per notizie generali sulla descrizione di Vulcano, sulle sue eruzioni e sui suoi principali prodotti, vedere, oltre al citato lavoro e ad altri del Mercalli, anche; CORTESE e SABATINI — Descrizione geologico-petrografica delle Isole Eolie — 1892. BERGEAT — Die dolischen Inselli — Miinchen 1899. Quest’opera contiene una completa bibliografia, alla quale rimando. Sullo solfo di Vulcano (Isole Eolie) 3 Oggi, in qualunque delle fumarole io abbia messo il termometro, ho trovato che la temperatura delle pareti e delle incrostazioni non superava mai i 100°, e, per lo più, era compresa fra 90° e 100° C. Al tempo stesso ho osservato che le bocche delle fumarole non presentano più quelle vive colorazioni di altri tempi. Tutte le fumarole emettono forte odore di anidride solforosa, la quale anzi è una delle più abbondanti emanazioni. Che anche acido solfìdrico sia emanato non è diffìcile, sebbene non se ne senta l’odore, giacché piccole emanazioni solfidriche si hanno pure in altre parti dell'isola, e giacché esso, in tal caso, si combinerebbe coll’ anidride solforosa (in eccesso) dando zolfo come prodotto. Anche il vapor d’acqua è sempre presente in abbondanza; esso impregna e circonda i cristalli di zolfo. L’ acqua stillante da essi, da me esaminata, ha dato forte reazione acida, e abbondante precipitato con cloruro di bario. Tra le fumarole A, quella estrema a ponente produce minor quantità di zolfo, ma non minore quantità di vapor d’ acqua ; il terreno intorno poi è oltremodo alterato e forma qua e là una vera poltiglia bianca o biancastra con reazione fortemente acida. Sui minerali che accompagnano lo zolfo molto già è stato scritto.. Quando il “ Gio- vane Vulcano „ , circa mezzo secolo fa, ebbe un notevole risveglio, insigni scienziati come S- C. Deville, Fouqué, Cossa ecc. ne studiarono attivamente i prodotti. Per questi rimando all’opera già citata di A. Bergeat sulle Isole Eolie (pag. 192 e seg.). Per farsi un’ idea dell’ importanza del giacimento, basti ricordare che in una concrezione presso la bocca di una fumarola il Cossa trovò insieme associati i prodotti seguenti: Zolfo, Zolfo-Selenio, Realgar, Mirabilite, Glauberite, Hieratite, Acido borico, Allumi di Potassio, di Cesio, di Ru- bidio, nonché combinazioni solubili nell’acqua d’ Arsenico, di Ferro, di Tallio, di Zinco, di Stagno, di Bismuto, di Piombo e di Rame (1). Del resto non è detto che tutte queste sostanze corrispondano a minerali definiti ; spesso si tratta solo di tracce di qualche elemento scoperto per via chimica o spettrosco- pica; talvolta anche si tratta di sostanze separate per mezzo di ricristallizzazione da pro- dotti naturali solubili. Oggi è alquanto diminuita la ricchezza di prodotti, d’ accordo colla diminuita attività vulcanica; ma lo studio dei minerali che accompagnano lo zolfo è, in ogni tempo, di grande interesse scientifico, tantoché rimetto ad un lavoro separato la trattazione di questo ar- gomento. Quanto poi allo zolfo, le condizioni attuali presentano una speciale importanza non solo per la sua copiosa produzione, ma perchè l’intervallo di temperatura 90°-100° che oggi, come ho detto, si verifica, comprende appunto la temperatura di trasformazione da zolfo a a zolfo p. Sull’origine di questa produzione di zolfo è tuttora aperto un campo di studio, che però non fa parte del programma della presente pubblicazione. Pare che per la maggior parte essa sia dovuta a vapori di zolfo, i quali, o provengono come tali da regioni pro- fonde insieme col vapor d’acqua e colle altre esalazioni gassose; o sono un prodotto di reazioni chimiche fra le esalazioni stesse; si può pure supporre che, almeno in parte, si deponga zolfo per reazioni chimiche superficiali, nelle quali 1’ acqua acida sempre presente avrebbe la sua funzione. Forse anche è supponibile che questa stessa acqua sia dotata di (i) Bull. Soc. Fr. Miner. 1882. V. pag. 61. 4 Ugo Panichi [Memoria XV.J speciali proprietà solventi, sì che si abbia separazione di zolfo da essa come da una so- luzione. Ma a tali e altre supposizioni non si può rispondere senza apposite ricerche in posto. Qui mi limito ad osservare che per la presenza di quest’ acqua fortemente acida, che irriga e impregna i cristalli, questi si formano in condizioni alquanto diverse da quelle fi- nora imposte alla formazione di zolfi artificiali. Perciò sarebbe pure importante uno studio in posto sulle proprietà ottiche dei cristalli nelle varie loro modificazioni, sia perchè è pro- babile che il contenuto d’ acqua debba influire su quelle proprietà, sia perchè 1’ acqua è presto eliminata quando i cristalli son portati fuori del giacimento naturale e d’altra parte, per alcune modificazioni (fi, 7), suole al tempo stesso avvenire un cambiamento di stato cri- stallino. Se la temperatura di formazione del cristallo si sarà mantenuta costantemente infe- riore alla temperatura di trasformazione dalla modificazione a alla fi, avremo in generale produzione di cristalli nella comune modificazione rombica a. Ma se la temperatura sarà stata o superiore o oscillante intorno alla temperatura di trasformazione, potranno accader vari casi, in relazione anche colla marcata attitudine dello zolfo alla soprafusione. O che il vapor d’ acqua trascini seco i vapori di zolfo da cui i cristalli in formazione si alimentano, o che lo zolfo si deponga da soluzione, 0 da reazioni chimiche, la selezione della modificazione è un fenomeno assai complesso, finora studiato solo, e in parte, nei prodotti di laboratorio. Avrebbero quindi grande valore osservazioni precise sul meccanismo naturale, quale è dato seguire a Vulcano da chi possa risiedervi un certo tempo, provvisto dei necessari mezzi di studio. Alcune osservazioni, da me fatte sulle singole modificazioni e modalità dello zolfo di Vulcano, sono esposte nei seguenti paragrafi. XOIwFO « Lo zolfo a è certamente quello che più abbonda in superfìcie; in generale esso si forma al disotto delle incrostazioni che rivestono l’orifizio delle fumarole, dei crepacci e del terreno circostante. I cristalli allora appaiono impiantati come tante stalattiti, cioè accrescentisi dall’alto in basso. Al pari delle stalattiti, sono percorsi, durante la loro formazione, da un continuo stillicidio; questo è prodotto dalle acque bollenti, che arrivano nello stato di vapore, insieme coi vapori di zolfo, presso la superficie, ove si condensano. Tuttavia la formazione è di veri e propri cristalli in accrescimento parallelo, disposti spesso in lunghe file verticali. C'osi disposti, anche 1 asse cristallografico vei ficaie dei distaili acquista piessoche la sua giusta orientazione; e nel senso di quest asse i distaili hanno aspetto allungato, a motivo del grande sviluppo della piramide p jlllj . La loro lunghezza varia da pochi mm. a circa 2 citi, e la lunghezza dei gruppi di cristalli può raggiungere parecchi centimetri. La piramide p ha sempre il predominio, e talora è la sola forma visibile, sebbene ciò av- venga di rado per l’assidua presenza del brachidoma n jOllj . Il regolare sviluppo delle faccie di p dà al cristallo abito proporzionato. Con n poi si accompagnano a volte le faccie di x j 133 j sempre a sviluppo minimo. Sullo .solfo di Vulcano (Isole Eolie ) o Forme frequenti sono pure : m ■ 1 10|, b |0 10 -, c j 00 1 1 , e j 101 j, 5 ) 1 13 q jl3lj, r |31l{; con 5 è spesso associata v joidj che, a volte, supera 5 per sviluppo; invece « jl03jj è meno frequente e con mi- nore sviluppo. Combinazioni più volte osservate: p, m, b, n, s, v, c p, ni, b, n, x, e, s, v, u, c p, ni, b, n, q, r, s, v, c In alcuni cristalli poi si aggiungono altre protopiramidi, minimamente sviluppate, e cioè y |ll2j, t ) 1 1 5 1 , più di rado o )ll4j. Complessivamente abbiamo una discreta quan- tità di forme (15 forme accertate); ma non grande ricchezza, nè forme nuove. E vero però che i cristalli da me scelti per le misure non sono molti; perciò, estendendo le mi- sure, qualche altra forma potrebbe trovarsi. Mi sembra dunque inutile riportare i valori angolari da me osservati per la determi- nazione delle suddette forme; potrebbe importare di conoscere il campo di oscillazione dei singoli valori (che, del resto, ho riscontrati sempre notevolmente prossimi ai valori teorici), in rapporto al contenuto di acqua, ma ciò richiede misure sul luogo di formazione. Abbondanti cavità, tremie, specialmente sulle grandi faccie di j 1 1 1 j. Ho notato tre tipi diversi di tremie sulle faccie di j 1 1 1 { . 1° I gradini sono costituiti da faccie parallele ai rispettivi spigoli polari di jlllj. In tal caso le forme interessate sono specialmente p, n, e. 2° I gradini sono paralleli rispettivamente agli spigoli basali di n joilj e di e jlOlj e son costituiti dalle faccie di queste stesse forme. 3° I gradini son paralleli rispettivamente agli spigoli basali di q J 1 3 1 j e r )31l| e son costituiti dalle faccie di queste stesse forme. Oltre ai cristalli rombici fin qui considerati, debbo parlare anche di cristall etti rombici che si trovano spesso impiantati sporadicamente sulle pareti dei meati delle roccie solfìfere e che differiscono dai precedenti perchè sono di una limpidità perfetta e non sono così fragili (hanno fragilità ordinaria), e non emettono acqua, si che mostrano di essere gene- rati in condizioni diverse da quelli. Inoltre hanno bel colore giallo-verde e faccie perfetta- mente piane (salvo quelle di joOlj sempre incavate). Sono meno allungati dei precedenti per il maggiore sviluppo di s e c, che raggiungono spesso quello di p. Sono sempre pic- colissimi (per lo più meno di 1 min3); ma si prestano a misure esatte e debbo subito 6 Ugo Panichi [Memoria XV.] osservare la corrispondenza coi valori angolari teorici (costanti di Kokscharow) come mo- strano i seguenti esempi: Spigoli N.° Valori estremi Medie Valori calcolati A III III 5 0 / rr 73* 33 • 30 — 73° • 35 rr OO 73°- 34' 7 3° • 34' / rr 0 . O III III 7 94. 52. IO — 94- 53- IO 94. 52. 35 94- 52 0. 35 III I 12 3 15. 09 — 15. 11. 3° 15. IO. 3 5 15. 12. 15 — 1 . 40 III 1.1 3 2 26. 27 — 26. 29. IO 26. 28. 05 26. 30 —i- 55 Forme osservate : p j 1 1 1 j , ii joi l ; , m ìlio', c )001 ( , b 5010 , 5 il I3j , y ) 1 12 101 Come numero di forme questi cristalli sono più poveri dei precedenti. Ne ho trovati molti in una fumarola del gruppo A (a levante), dove era abbondante lo zolfo p. ZOIvFO p. Lo zolfo p nativo non è ancora stato descritto per nessuna località. Cristalli di zolfo P son nominati, senza citare alcuna forma, da v. Rath (1), da Lacroix (2) e da Zambonini (3). Il v. Rath menziona, in seguito a comunicazione di G. Rose, un campione di Giava con cristalli di media grandezza di zolfo monoclino. 11 Lacroix nell’eruzione del Vesuvio dell’Aprile 1906 osservò, fra i minerali delle fu- marole acide, delle piccole masse di zolfo “ arrondies par fusion scrive (1. c. pag. 260): “ Elles présentent actuellement parfois encore la trace de la forme monoclinique transitoire ; elles sont plus ordinairement transformées en groupements à axes paralléles d’un nombre considérable de trés petits cristaux rhombiques riches en faces, constituant un gros sque- lette, à faces discontinues, dont le développement cristallographique est en relation avec la forme de la masse fondue initiale „. Finalmente lo Zambonini (I. c. pag. 23) conferma l’osservazione fatta dal Lacroix e aggiunge: “ Nell’Aprile del 1909 ho visto accadere sotto i miei occhi in alcune fumarole solfidriche dell’Atrio del Cavallo la formazione di zolfo p in graziosi cristallini prismatici lunghi fino 3-4 min.; altri cristalli molto rari prismatici di zolfo p, già trasformati nella modificazione ordinaria furono da me raccolti nel 1906 sulla lava di Boscotrecase „ . Sulla tendenza dei cristalli p a trasformarsi in rombici a, debbo subito osservare che è bene distinguere due maniere in cui può avvenire questa trasformazione. 1° 1 cristalli di zolfo p acquistano le proprietà dello zolfo rombico mantenendo pres- soché inalterata la forma esterna; in tal caso la trasformazione avviene nelle intime par- ticelle, il cristallo si intorbida e diviene generalmente assai fragile; (1) A una leu der Physik nnd Chemie — Ergangungsband VI — Leipzig — 1 874. pag. 358. (2) Les Minéraux des fumerolles de V éruption du l 'estive en Avvìi 1906 — Bull. Soc. Fr. Miner. XXX. 1907. (3) Mineralogia Vesuviana — Napoli igio. Sullo solfo di Vulcano (Isole Eolie) 7 2° Da una primitiva cristallizzazione di zolfo monoclino p si passa ad una nuova cristallizzazione di zolfo a, nella quale i cristalli hanno visibile aspetto trimetrico. Ambedue queste trasformazioni sono possibili in natura; infatti dalle surriferite parole del Lacroix e dello Zambonini, si ricava che la trasformazione cui accenna lo Zambonini è del 1° tipo; il passaggio descritto da Lacroix (dalla forma monoclina transitoria all’ ag- gruppamento di piccolissimi cristalli rombici) è del 2° tipo. Ora a Vulcano si trova abbondante lo zolfo p che, dopo breve esposizione all’aria libera, subisce una trasformazione del 1° tipo, conservando perfettamente l’abito e gli an- goli primitivi. Perciò è possibile misurare, anche dopo la trasformazione, gli angoli dei cristalli, nei quali anzi si possono confermare le costanti di Mitscherlich anche molto tempo dopo averli tolti dal luogo di formazione. Per altro la trasformazione che avviene nella massa del cristallo gli conferisce una straordinaria fragilità. Lo zolfo P di Vulcano da me osservato è degno di studio, non solo pei' la sua pro- duzione attuale, ma anche per la ricchezza di faccie dei suoi cristalli, che sono di gran lunga i più notevoli, per abbondanza di forme, in fronte a tutti quelli artificialmente finora ottenuti. Infatti, mentre nei cristalli p di Mitscherlich, di Muthmann ecc\ sono state a tuf- fi oggi osservate complessivamente le 6 forme: jiooj, jnoj , pio;, ;on|, jm(, jnT{ nei cristalli p di Vulcano, io ho potuto determinare oltre 40 forme; ed è probabile che di più possa osservarne chi abbia la fortuna di poter fare una lunga permanenza sul luogo di formazione. Ho trovato abbondante zolfo P specialmente nelle fumarole più a Levante del gruppo A, fra le cavità di una roccia alteratissima, biancastra, friabile. Molti cristalli in posto sono subtrasparenti, ma, portati all’ aria, diventano opachi, con faccie piane, poco lucenti. Queste sono ricche di cavità e di bolle; si vedono spesso cristalli o gruppi di cristalli interamente percorsi da canaletti, che, in posto , durante l’ accrescimento, vengono irrigati da stille di acqua acida bollente. Una notevole caratteristica dei cristalli p è che essi, allorché si formano, sono pasto- si, si che premendoli fra le dita ne ricevon 1’ impronta. Un’altra caratteristica di questi cristalli è la tendenza ad essere rotondeggianti; non già per faccie curve, ma perchè queste, piccole , appannate e numerose , danno spesso l’ aspetto complessivo di una superfìcie curva. Spesso anche la superfìcie è curva ed ivi non lucente, con sporadiche sfaccettature piane (Fig. 1). I cristalli sogliono presentarsi con diversi aspetti: talora sono tabulari secondo JlOOj (Fig. 10 a destra) talora invece (Fig. 4) son più o meno allungati secondo [x|, nella qual direzione a volte sono perfino aghiformi; talora hanno sviluppo pressoché regolare; ne ho trovati poi con allungamento secondo [y], ed anche secondo [Oli], ma al tempo stesso appiattiti secondo jlOOj (Fig. 6). Si presentano pure in aggruppamenti di cui parlerò più oltre. La grandezza nei cristalli allungati può raggiungere nella dimensione massima 8 10 mm. nei cristalletti regolari di media grandezza nessuna dimensione suol superare i 3-5 mm. a volte si osservano buoni cristalli di 1-2 mm3, ricchi di 40-00 e più faccette. 8 Ugo Manichi [Memoria XV.] Un abito assai frequente è quello della Fig. 7 in cui si osservano le forme j lOOj (con sviluppo massimo), j010{ , jOOlj, joilj, jlioj, jlOlj, jlOlj, jlllj, jlllj. Ricor- dando che i valori assiali sono quasi eguali fra loro, (a: b:c = 0, 99575 : 1 : 0, 99983), si vede come i cristalli (Fig. 7 e 9) possan parer monometrici (1). Si aggiunga che i valori angolari in generale oscillano alquanto, che le faccie son poco lucenti e i cristalli piccoli. Da ciò spesso una certa difficoltà di orientamento del cristallo, che richiede misure esatte e molteplici. Queste, d’altra parte, sono rese diffìcili dalla estrema fragilità dei cristalli, che non si possono toccare e non se ne può cambiare il punto di attacco sul goniometro. Talvolta i soli movimenti di rotazione dell’ apparecchio bastano a far cadere sgretolato il cristallo durante le misure. Le zone più facilmente confondibili sono la [001] e la [ 100], come mostra, ad es., il confronto dei seguenti angoli: 100 : 310 oc 0 c7 30" 100 : 210 = 20° .21°, .00 010 : 1 30 = 18. 35. 45 010 : 120 = 26. 47. 00 001 : 013 = 18. 20. 45 001 : 012 — 26. 26. 15 010 : 031 = 18. 31. 30 ; 010 : 021 = 26. 41. 00 ecc, Bene spesso alle : forme della Fig. 7 si aggiungono le forme : |210j, |l20j, • '>0 1 ■ |20lj, jl°2( • jioIj 5 i012|- J02ij, Suoi i[ » M, 1 121 1 , . UT! 1 Ho più volte osservato la forma jll2j con discreto sviluppo; notiamo la sua appar- tenenza a due zone e cioè: [OOT : ll"l] e [10f: 01 F] Ho trovato indifferentemente le dette forme tanto sui cristalli tabulari, quanto su quelli allungati secondo [x]. Molte altre forme sogliono esser presenti sui piccoli cristalli p, ed io ho riscontrato le seguenti, sempre però con sviluppo minimo, ma tutte certe (fuori chela |03l( dubbia): Nella Zona 0I0 : (301 j » 010 O co 1 302 ] » 001 : j310j , 0 co » 1 * » oli ■ / ‘--w |2H( |1°3Ì pllj (i) Fu osservata anche da Muthmann — (Grotti. s Zeit. 17) la somiglianza dei cristalli p con cristalli monometrici. Sullo solfo (li Vulcano (Isole Eolie) 9 Nella Zona 011 : jl22j, >21lj, >311 )) » 02~I : j212| 99 99 021 : }212j, j312j, j412 » » 0Ì2 : |22lj, (321 j » 01 2 ■ >291 i h'>1 < » 100 o oS T5 co •v Molte di queste forme sono rappresentate in Fig. 9, in cui è disegnato a modello un cristallo da me misurato. Tutte le zone che fanno capo ad JlOO- (sempre presente), hanno sempre una forma esistente nella zona [100]. Ciò permette di determinare subito per ogni faccia la zona che contiene quella faccia e jlOOj; e la posizione della faccia vien fissata dall’angolo fra essa e (100). In tal modo è composto il seguente prospetto, nel quale ho calcolato tutti gli angoli sulle costanti di Mitscherlich. Angoli N.° Valori estremi osservati Medie Valori calcolati ooi : 013 I — 17°. 55' 1 8° / 20 45" » : OI2 6 25. 44 — 26. 33 26. n 2Ó 2Ó 15 » : Oli I I 44. 30 — 45. 36 44- 56 44 51 » i 021 4 62. 50 — 63. 19 63. 02 63 19 » : 031 I -- 71 ca 71 28 30 ioo : 310 I — 19. 06 18 l6 30 » : 210 2 26. 45 — 26. 57 26. 51 26 21 » : I IO 3 44- 21 — 44- 48 44- 38 44 44 » : 120 I — 63. 26 63 13 » : 130 2 71. 21 — 71. 25 71. 23 71 24 15 ioo : 301 I — 18 ca 17 43 30 » : 201 I — 26. 03 25 15 30 » : 302 — — — 31 46 » : IOI 4 H Ln O 1 A to 00 42. I I 42 OO 40 » : 102 2 58. 37 ~ 58. 49 58. 43 58 48 » : 103 — — — 66 22 30 » OOI 9 82. 55 — 84. 33 84. 02 84 14 ioo ; 411 — — — 18 52 » : 311 I — 24. 30 24 19 20 » : 21 1 I — 33- 33 33 42 45 ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. Meni. XV. 2 10 Ugo Panichi [Memoria XV.] Angoli N.° Valori estremi osservati Medie Valori calcolati » III 4 51.41 — 51-55 51. 46 5'i 52 » 122 I — 66 J/a ca 66 49 » Oli 7 85. 00 — 86. 09 85. 47 85 55 IOO 412 — — — 27 49 312 — — — 34 42 » 212 I — 45. 32 45 1 2 » I I 2 2 61. 30 — 61. 33 61. 31*2 6l 33 30 » 012 5 84. 45 — 85. 12 85 . 01 84 5° 20 IOO 421 — — — 28. 23 » 321 I — 35 ca 35 33 » 221 I — 46. 21 46 32 » I 21 I — 64 ca 63 35 3° » 021 2 00 O 00 1 00 IO 4- 87. 16 87 24 45 IOO 321 I — 36. 19 37 22 40 » 221 2 49. 02 — 49- 16 49. 09 49 23 » I 2 I 2 67. 51 — 68. 06 67. 58 Va 67 53 30 » 021 2 92. 34 — 93. 00 92. 47 92 35 15 IOO 411 — — 19 45 45 » 311 2 25 ca — 25. 39 25 . 20 ca 25 47 » 21 I I — 36. 46 36 24 25 » III 2 57- 31 — 57- 4i 57- 36 57 17 » 122 I — 74 ca 74 04 IO » Oli 4 93. 30 — 94. 41 94, 29 94 05 IOO 412 I — 31 . io 30 15 » 312 I — 38 ca 38 21 » 212 I — 5°. 51 50 54 40 » I I 2 3 69. 49 — 70. 00 69. 55 70 09 » 012 2 95- 15 — 95- 52 95- 33 Va 95 09 40 IOO 301 I — 19 ca 18 52 » 201 I — 26. 51 27 32 40 » 302 I — 35- 5° 35 17 25 » IOI 3 47. 24 — 47. 51 47. 40 47 45 15 » 10 2 2 68. 00 — 68. 29 68. 14 Va 68 OI 15 » 103 2 77.11 — 78 ca 77. 35 ca 77 IO Geminati. — Le geminazioni sono assai frequenti e ne ho osservate 1° secondo Joilj, 2° secondo }012j , 3° secondo }l(X)j. Gli aggruppamenti cui danno luogo queste geminazioni sono caratteristici, pur essendo d’aspetto assai variabile (Fig. 11). Per lo più si presentano in graziose disposizioni a foglia Sullo solfo di Vulcano (Isole Eolie) 11 di felce, e in uno stesso gruppo possono riscontrarsi geminazioni secondo leggi diverse; il che, insieme colla variabilità di sviluppo dei cristalli, spiega la varietà di aspetto degli ag- gruppamenti. Questi gruppi però, in ogni caso, si presentano tabulari secondo 'lOOj . Considerando due cristalli giustaposti secondo }0ll| (Fig. 2), si vede subito che, se saranno ambedue allungati secondo [y], le due direzioni di allungamento faranno fra loro un angolo di 89°. 42'; se invece saranno allungati secondo [021], le direzioni di allungamento faranno un angolo di 36°. 49'. 30". Considerando invece (Fig. 3) due cristalli giustaposti secondo )0 1 2 1 , se 1' allungamento sarà secondo [yj, 1’ angolo fra le stesse direzioni sarà di 52°. 52 Y2, se l’allungamento sarà secondo 1 0 1 1 J , l’angolo sarà di 36°. 49. 30". Tutte queste combinazioni si possono osservare realmente negli aggruppamenti felci- formi suddetti, come ho constatato con misure al microscopio per gli angoli fra le direzioni di allungamento e al goniometro per il riconoscimento delle zone. Si verifica pure talvolta (Fig. 8) che due cristalli tabulari siano uniti in geminazione secondo jlOOj, dando però l’apparenza di un cristallo semplice. Solo al goniometro è resa evidente la geminazione ; specialmente sulla zona [010] si osserva 1’ angolo rientrante 001 : 00 1 = 168°. 28' e di qua e di là da esso valori angolari simmetrici. Nella fumarola più a levante del gruppo A ho raccolto numerosi aggruppamenti fel- ciformi ed ho osservato che sempre il loro accrescimento avviene dall’alto in basso; essi stanno attaccati alla roccia come una foglia per il suo gambo; e sono continuamente ir- rigati dall’ acqua acida più volte ricordata. ^OIvFO T Lo zolfo 7 nativo è stato per la prima volta osservato da me nel cratere di Vulcano (presso le fumarole del gruppo B) dove, come ho riferito nella mia nota sopra citata, trovai una patina sottile, liscia, quasi trasparente, di colore giallo-verde, con lucentezza madre- perlacea, e formata da individui tabulari giustaposti in accrescimento pressoché parallelo. Questa lamina, in capo a due giorni dopo che fu tolta dal suo giacimento, perse ogni trasparenza, divenne di un giallo zolfo deciso, perse di lucentezza e, al microscopio, ap- parve minutamente granulosa; insieme divenne pure friabilissima e, data la sua sottigliezza, inconsistente. Le prove che si tratta di zolfo 7 sono le seguenti: 1° La patina, bruciando come zolfo ed essendosi poi trasformata in zolfo comune, era certamente zolfo in una modificazione diversa dalla comune rombica. 2° Non aveva i caratteri di zolfo p; infatti lo zolfo p, che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, abbonda a Vulcano, non ha mai (nei numerosi cristalli da me os- servati) aspetto ed angoli paragonabili a quelli osservati nella suddetta palina. 3° L’aspetto madreperlaceo è caratteristico dello zolfo 7, che da taluni anzi è chiamato zolfo madreperlaceo e non resulta proprio di alcuna delle altre modificazioni conosciute fin qui. 4° Lo zolfo 7 artificiale fu sempre osservato tabulare secondo la forma |0l0j; mentre nello zolfo P non è mai stato osservato 1’ appiattimento secondo [010- , nè in quello otte- 12 Ugo Panichi [Memoria XV.] nuto artificialmente da vari esperimentatori, nè in quello di Vulcano, il quale anzi è quasi sempre tabulare secondo j lOOj . 5° Ma, anche supponendo di trovare zolfo (3 tabulare secondo |010|, gli angoli piani osservabili nelle modificazioni (3 e 7, in tali condizioni, sarebbero notevolmente diversi; in- fatti quegli angoli piani corrispondono ai diedri della zona [010], ed eccone alcuni messi in confronto (angoli delle normali): zolfo (3 zolfo 7 100 : 201 = 25°. 15' Va 36°. 00' 100 : 101 = 42. 00 1 * 3A 55. 01 100 : 102 = 58. 48 70. 12 7, 100 : 001 = 84. 14 88. 13 Vedremo fra poco che gli angoli piani da me osservati corrispondono bene a quelli dello zolfo 7. 6° Un’altra differenza fra lo zolfo [3 di Vulcano e lo zolfo ora in esame è l’abbon- danza di forme, giacché quello, come abbiamo visto, ne è ricchissimo, questo invece si presenta in lamelle contornate da pochi angoli e quindi povero di forme. 7° Infine l’esame ottico (necessariamente incompleto, perchè la lamina si era intorbidata e perchè non avevo con me gli apparecchi occorrenti), mi fece riconoscere che l’estinzione avveniva nel senso dell’ allungamento (cioè secondo [Z| ). E questa pure è una caratteri- stica dello zolfo 7. Ecco ora i pochi valori angolari che potei misurare al microscopio, munito di croci- filo: la fig. 5 rappresenta un frammento che mi servì anche per l’esame ottico. Ogni valore risulta dalla media di 5 letture : 001 : 101 = 33° 7 4 101 : 201 = 18 101 : 100 = 55 7* 100 : 101 = 58 VG Alcuni cris talletti mostrano sottili faccie sul margine, ma ne è impossibile la deter- minazione. La patina suddetta portava in qualche punto impiantati alcuni cristalletti ottaedrici di zolfo e ciò poteva far sorgere un dubbio sulla possibilità di coesistenza di zolfo a con zolfo 7. Ora nella stessa nota io ho riferito alcune mie esperienze, dalle quali risulta che sopra cristalli di zolfo 7 possono originarsi e svilupparsi veri e propri cristalli di zolfo a. Infatti a poco a poco tutta la massa dello zolfo 7 passa da un lieve intorbidamento ad una granulazione via via più decisa e da questa a veri cristalli rombici (vedi Fotog. 5, ó, 7, 8 di quella Nota). Così ritengo che resti eliminato ogni dubbio (1). (1) IL GAUBERT (Bull. Soc. Fr. Miner. 1905. — XXVI 1 1 — pag. 169) ha studiato la coesistenza delle mo- dificazioni a, p, 7 dello zolfo, e le sue conclusioni (che non avevo sott’ occhio quando scrissi la Nota suddetta) concordano coi miei risultati. Anche un’ altra osservazione, che io feci in quella nota, sulla solubilità dei cri- stalli 7 da me ottenuti in toluolo allorché una parte di questi si trasforma in cristalli trimetrici, concorda con una osservazione del Gaubert (pag. 170) su cristalli ottenuti da soluzione di zolfo in solfuro di carbonio posta in contatto con essenza di trementina. Sul/o solfo di Vulcano ( Isole Eolie) 13 Si può dunque ritenere che lo zolfo 7 di Vulcano, quando io lo vidi in posto, aveva iniziato una lenta trasformazione in zolfo rombico. La patina allora era quasi tutta assai lucente. Solo premendola colle dita si appannava, il chè pare da attribuirsi ad una certa plasticità. Tolta dal suo ambiente naturale, si trasformò completamente in breve tempo. Ora Salomon (1) ha mostrato che cristalli 7, ottenuti per sublimazione da vapori di zolfo, si mantenevano inalterati per qualche tempo. Anche Gaubert (2) ha osservato “ qu’alors que des cristaux incolores restent intacts pendant plusieurs jours, ceux qui sont colorés se décomposent en quelques heures. „ I cristalli da me trovati nel cratere di Vulcano erano completamente trasformabili in zolfo a, a temperatura ordinaria, entro un paio di giorni. E qui risulta una nuova differenza fra zolfo [i e zolfo 7 di Vulcano. Infatti i cristalli di zolfo P, appena tolti dal luogo di formazione, si trasformano subito nel modo accennato a pag. 7, perdendo la trasparenza in pochi minuti, se all’ aria aperta, in qualche ora se in recipiente chiuso. La trasformazione dello zolfo 7 avviene più lentamente e, al tempo stesso, direi, più radicalmente, giacché il prodotto della trasformazione si riduce tosto in sottili squame e in una polvere cristallina di zolfo a. Invece lo zolfo 7 di Vulcano si trasforma, a quanto pare, più rapidamente di quello ottenuto da Salomon. E qui è bene osservare che la patina di zolfo 7 di Vulcano conte- neva una discreta quantità di acqua, analogamente a quanto si è già detto per gli zolfi a e p. Ciò dimostra che la formazione di zolfo 7 è avvenuta in presenza di vapor d’ acqua ad alta temperatura, e cioè in modo diverso dalla formazione dello zolfo di Salomon per semplice sublimazione da vapori di zolfo. ALTRE MODALITÀ DI ZOLFO Zolfo fibroso — Le incrostazioni di zolfo che ricoprono il terreno nei pressi delle fumarole del cratere (specialmente del gruppo C) e che , scoperchiate , mostrano le belle cristallizzazioni di zolfo rombico (pag. 4) da esse pendenti , sono costituite da uno zolfo assai compatto, a fibre perpendicolari alla superficie, e colla superficie inferiore granulosa, concava, o costituita di concavità, che ricorda un abito assai comune dell’arsenico. Le fibre al microscopio appaiono formate di minuti cristallini ottaedrici; ma sembra che questi siano di formazione secondaria, sì che lo zolfo di prima formazione probabil- mente era monoclino. TjOlfo stalattitico — Nelle vecchie collezioni è facile trovare qualche campione di zolfo di Vulcano con aspetto stalattitico. Il v. Rath parla (l. c. pag. 358) di stalagmiti ci- lindriche di zolfo del cratere di Vulcano, lunghe fino a 15 cm. e grosse fino a 2 cm, che sono molto fragili “ da sie eine molekulare umànderung aus dem monoklinen in den rhombischen Schwefel erieiden „. Oggi però non ne ho osservate nè in superficie, nè presso la bocca delle fumarole; ma è probabile che zolfo già fuso tappezzi tuttora le inaccessibili pareti delle fumarole e delle cavità più profonde. Zolfo perliforme — Chiamo così uno zolfo che incrosta le pareti di alcune cavità. (1) GROTH8 ZEiT - XXX (2) I. c. pag. 168. 1899, pag. 605. 14 Ugo Paiiichi [Memoria XV.] e la cui superfìcie è ricca di minuti globuletti, come tante perle, o anche come tante goccie di zolfo (diam. 1-2 mm.). Questi sono subtrasparenti e alquanto scabri ; non sono fibroso-raggiati. Talvolta pre- sentano qualche accenno di sfaccettatura con spigoli corrosi e perciò fanno pensare a cri- stalli rotondeggianti che abbiano subito una corrosione. CONCLUSIONE Dopo avere esaminato il giacimento di Vulcano in quanto produce zolfo, ho studiato le varie modificazioni e modalità di zolfo ivi osservate. In generale si può rilevare che le dette modificazioni si formano a temperatura notevolmente maggiore della temperatura or- dinaria atmosferica, ed in presenza di acqua acida (precipitato con cloruro di bario) pure ad alta temperatura. Acqua contengono la maggior parte dei cristalli rombici ed i cristalli di zolfo p; acqua conteneva la patina di zolfo 7. I cristalli a sono discretamente ricchi di faccie, con forte predominio di p jlllj; i cristalli P hanno una grande' ricchezza (vi ho osservato oltre 40 forme), con abituale pre- dominio di ) lOOj , e sono anche importanti per caratteristici aggruppamenti, in cui si rico- noscono almeno tre leggi diverse di geminazioni; i cristalli 7 invece sono poveri di forme, con forte sviluppo di )0 1 0 ■ . Uno studio sulle cause che determinano la modificazione e la forma nei cristalli di zolfo di Vulcano, sarebbe attraente ed utile per le speciali condizioni di genesi; ma richiederebbe una sosta sul luogo di formazione, con appositi mezzi di studio. Ricordo solo che lo zolfo P e lo zolfo 7 sono stati osservati in posto allo stato di cristalli pastosi e che la tempera- tura di fusione dello zolfo (114°- 115°. Person e Kopp) è assai maggiore delle temperature (90°-100°) misurate da me nei punti dove si forma lo stesso zolfo. Ora, o che lo zolfo, nelle condizioni di giacimento surriferite, abbia un punto di fu- sione più basso di quello generalmente indicato come tale (Berzelius osservò cristalli rom- bici con punto di fusione a 105°); o che lo zolfo, arrivando presso la superfìcie a tempe- ratura sufficiente per la fusione, ivi si raccolga in masserelle che, per soprafusione (note- vole nello zolfo), si mantengano poi lungamente pastose a temperatura minore di quella di fusione; o che lo zolfo di Vulcano presenti, come la cera, una evidente pastosità intermedia fra lo stato di solidità e quello di fusione; o che lo stato di pastosità sia dovuto alla pre- senza dell’ acqua che cementerebbe le particelle di zolfo (tuttora libere, prima di raggiungere la coesione di zolfo solido); comunque sia, questo mi par certo che le faccie di cristallo si formano in questa fase di pastosità; e perciò anche la modificazione propria di quel cristallo resterà determinata nella massa pastosa; e ciò, sia da una variazione di condizioni fìsiche, per es. da una variazione di temperatura, e quindi dalla formazione nella massa stessa di uno o più tipi di “ germi „ cristallini (1), sia perchè la massa trovi, nel materiale di (1) La possibilità di coesistenza di questi germi è ormai dimostrata da vari sperimentatori. 11 Gaubert, ad es., (I. c. pag. 171) ha mostrato « que les particules complexes des trois modifications existent simulta- nément dans le sulfure de carbone à la température ordinarne ». Cosi è possibile l’esistenza di germi a, p, e 7, anche in condizioni poco differenti di ambiente. Quindi una massa di zolfo fuso 0 fluente potrà esser trasfor- mata, a seconda dei germi che la investano, in zolfo a, 0 p, 0 7; il p poi potrà passare ad a; il 7 ad « od a p. 15 Sullo solfo di Vulcano (Isole Eolie) accrescimento che la investe, quel determinato tipo di germi atto ad avviare, per contatto con essa, il processo di cristallizzazione. Anche in quanto alle forme ed al loro numero, bisogna tener presente lo stato di pla- sticità in cui si trovano i cristalli in formazione. Infatti, come recentemente ha scritto il Viola (1), la debole resistenza interna che un mezzo plastico oppone alle pressioni esterne, dovute essenzialmente alla tensione superficiale, favorirà in generale la produzione di faccie, specie normalmente alle direzioni di maggiore plasticità. Tale dunque ritengo essere il caso dei cristalli [3, così ricchi di faccie, e che si for- mano sempre avvolti da un velo liquido, che loro apporta il materiale di cui si accrescono. Quanto alle lamelle di zolfo 7, pure plastiche, è da supporre che una causa si opponga alla generazione di molte faccie; forse queste lamelle, e per essere adese alla roccia se- condo la faccia di appiattimento, e per la loro estrema sottigliezza, presentano sul contorno una maggior resistenza alla tensione superficiale, agente come causa deformatrice sui ver- tici e sugli spigoli. (1) C. VIOLA — • La legge di Hauy nei cristalli solidi, fluenti e liquidi — R.' Acc. dei Lincei — 1912. pag. 84. Reggio Calabria Maggio 1912. i . r - • . * 0 • . u. PANI CHI dis. e fot. Istituto Microprrafico Italiano - Firenze Guido Isar [Memoria XVI. | han raggiunto un volume considerevole. In questi si riscontra una massa gialla, caseosa, consistente, nel primo una cavità a pareti irregolari piena del liquido descritto. Degno di nota è il diverso comportamento degli animali portatori di fronte a queste profonde modificazioni che l’iniezione produce nella massa neoplastica; i ratti portatori di piccoli tumori non mostrano di risentire disturbo alcuno nè per azione dell’iniezione (che del resto risultò perfettamente inocua anche in dosi più forti negli animali normali di con- trollo), nè per la rapida scomparsa della neoplasia: i ratti portatori di grosse neoplasie presentano parallelamente al rammollimento ed alla fusione del tumore notevole deperimento e dimagramento; la morte segue spesso a distanza di tempo più o meno breve ancor prima che la massa neoplastica sia notevolmente diminuita di volume (tav. III. IV). Nei ratti infine, portatoli di piccole neoplasie scomparse a seguito dell’iniezione di solfo colloidale, non potemmo sinora constatare a distanza di tre mesi dalla scomparsa del tumore alcuna variazione nelle loro condizioni generali nè riproduzione in loco nè com- parsa di tumori metastatici. Era ovvio chiedersi se frammenti di un tumore in via di regressione a seguito del- l’ iniezione di solfo colloidale, innestati in altri ratti fossero capaci di attecchimento. Ad un ratto con sarcoma ridotto ad 1/i circa del volume primitivo a seguito d’ una iniezione en- dovenosa di 0. 5 cm3 di solfo colloidale, il 28/V venne asportata parte della neoplasia ed inoculata sottocute a due ratti nuovi. Tutte e due questi ratti presentano oggi due piccole masse presumibilmente neoplastiche che tendono ad ingrossare. Sembrerebbe dunque che oltre all'azione tossica diretta spiegata dallo solfo sulle cellule neoplastiche ne intervenga altra indiretta il cui studio ci proponiamo di approfondire. Dall’ Istituto di Patologia Medica dimostrativa della R. Università e dal laboratorio dell’ Ospedale Vittorio Emanuele in Catania, diretti dal prof. 31. A.SCOL1 . Il tumore il u è notevolmente rammollito : il 'Vii 8' ^ trasformato in sacca. . CONTROLLI Grandezza */2 del naturale \\ % % * * % * ♦ « é à *- * « « 4 1=1 > t— ( 1— 1 H-l > X HH A X A X t—i X A iv Si inoculano nomo culo col trequarti «li Il irseli fold l i mMil oon poltiglia «li snrnoinu ratto. \ Mì ratti attecchiti I non attecchito. d ' \ ni vi s» inietta ogni 5 giorni, por via omlovtMioaa oon 0,5 cui.3 «li solfo colloidnlo uno di (pesti ratti avendo oura di hi aoìaro oomo controllo un altro ratto oon tumore di grossezza pressoché uguale. ? ) t \ 1 » \\ ^ i % V 5 X3 HH > d P5 ci ti ci Zone di rammollimento. Memorisi XVII. Istituto di Fisiologia della R. Università di Catania Alcune proprietà biologiche del veleno di Triton cristatus Nota del Prof. ANDREA CAPPARELL1 In un lavoro pubblicato negli Atti dell’Accademia Gioenia, nel 1883 (1) trattai ampia- mente del veleno esistente nelle glandole della pelle del triton cristatus. Mi occupai delle proprietà fìsiche e chimiche del veleno medesimo, descrissi i tentativi per 1’ estrazione del principio attivo, trattai infine dell’azione fisiologica nei differenti animali e della costituzione istologica delle glandole secernenti il veleno e della parte morfologica del veleno stesso. Feci allora questi studi con i metodi ,e gl’indirizzi scientifici esistenti in quel tempo. Le finalità attuali di questo genere di studi, i recenti progressi in proposito , le nuove cogni- zioni, mi hanno suggerito l’idea di riprendere e rivedere questi studi seguendo l’indirizzo recentemente adottato in questo genere di ricerche; questi veleni animali vengono oggi adoperati come mezzi efficaci per le siero-diagnosi, facendo essi concepire anche la speran- za, per il loro potere battericida, di servire a scopo terapeutico con vantaggio sui rimedi comuni, potendosi con i veleni animali determinare negli organismi viventi l’immunità, che permetterebbe di usare dosi forti che non sarebbero tossiche per il soggetto immunizzato, mentre potrebbero esserlo per i germi patogeni. L’interesse di un nuovo studio sui veleno del triton cristatus per me era evidente, per il fatto che i veleni animali studiati, che avevano avuto principalmente applicazioni pratiche erano quelli delle viperidee e delle colubridee, veleni che provengono da glandole di ani- mali, dove il veleno è mescolato al liquido salivare, che ha anche le proprietà del succo pan- creatico ; dove dunque il veleno è mescolato ad altri prodotti e fermenti, mentre la natura delle glandole del tritone, la loro distribuzione nello spessore della cute, davano garenzia della produzione di un veleno che non fosse inquinato da fermenti digestivi o altro mate- riale estraneo. Il metodo adoperato per l’estrazione del veleno è quello da me usato nel primo lavoro, con alcuni perfezionamenti della tecnica e che credo opportuno qui ripetere, avendo questo il vantaggio di fornire quantità considerevoli di prodotto. L’animale viene tenuto sospeso per la testa, passando attorno al collo un filo a nodo scorsoio in modo, che l’animale penda come un impiccato. La estremità della coda viene te- nuta in basso stringendola con le dita, avendo cura di non tirare troppo per. non stirare la coda più di quello che occorra, per rendere alquanto immobile l’animale e non strappare così la coda medesima che è tanto fragile alla punta. (i) Atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania Serie III. V. XVII. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. XVII. I 0 Andrea Capparelli [Memoria XVII. Vengono quindi applicati sulla cute in corrispondenza del collo i due elettrodi di un ordinario rocchetto di induzione, azionato da una pila Grenet, e si sposta il rocchetto indotto in modo da aversi un’eccitazione sensibile ai polpastrelli delle dita. Dopo un breve periodo di eccitazione della cute dell’ animale, che diventa immobile, irrigidisce, spalanca la bocca, si osserva un liquido bianco dall’aspetto del latte che cuopre tutta la cute dell’animale, ma principalmente quella porzione compresa fra gli arti posteriori e l’estremità della coda, mentre un intenso odore viroso come quello delle euforbiacee si spande intorno. Col dorso di un coltello si raschia la cute e si raccoglie il veleno, che presto coagula e diventa quasi trasparente. Si avrà cura di non ledere la cute, per impedire la mescolanza del veleno col sangue che lo inquinerebbe. L’ animale quindi lavato viene condotto in vasca, dove è dopo un certo tempo in grado di fornire una nuova porzione di veleno. Quantunque non era difficile prevedere il risultato contrario intrapresi le ricerche ten- denti a dimostrare se il veleno fosse dotato veramente di proprietà digestive. Azione triptolitica. — Per queste determinazioni mi sono servito di fibrina estratta da sangue di bue appena ucciso, il grumo fu lavato per privarlo dalla parte globulare sino ad aversi una massa perfettamente bianca, filamentosa, elastica, che veniva conservata in acqua distillata o soluzione fisiologica addizionata di timolo. Tre grammi di fibrina fresca, nuovamente lavata e privata di timolo, veniva addizio- nata di 3 gocce di veleno, recentemente estratto dall' animale in presenza di soluzione fisiologica, veniva collocato il tutto in termostato alla temp.a di 37°, mentre un’eguale quan- tità di fibrina che aveva subito identico trattamento, veniva collocata contemporaneamente in termostato con frammentini di pancreas fresco di bue. Dopo 5-10 ore al più si poteva constatare che la fibrina contenente pancreas era completamente disciolta; e con gli ordi- nari reattivi si poteva dimostrare la presenza del peptone, mentre 1’ altra, alla quale, era stato aggiunto il solo veleno, non aveva subito alcuna modificazione, all’infuori di un evi- dente rigonfiamento. In altri termini il veleno tritonico non ha potere triptolitico come il veleno dei serpenti. Chinasi. — Volli anche vedere se il veleno non contenendo fermenti triptolitici con- tenesse delle chinasi. Adoperava per questa costatazione il pancreas di bue tolto all’ animale appena ucciso, evitando il contatto con aria e tenendolo immerso in liquidi privati preventivamente di aria e manipolando il tutto in modo asettico. Un frammento di questo pancreas veniva spez- zettato e mescolato a veleno tritonico e fibrina fresca, un’ altra porzione di pancreas veniva spezzettato triturato in mortajo lungamente all’ aria libera e mescolato ad un’ eguale quan- tità di fibrina. Le due provettine venivano collocate in termostato alla temp.a di 37°. Dopo 10-14 ore e qualche volta anche più, nel secondo caso la fibrina era scomparsa, mentre nel primo caso la fibrina presentavasi rigonfiata ma non disciolta. Filtrati i due li- quidi, nel primo i reagenti non rivelavano la presenza del peptone, mentre nel secondo sì. Il veleno adunque non solo non conteneva chinasi, ma si era opposto alla trasforma- zione del profermento del pancreas nel fermento triptolico. Fatto che fa sospettare la esi- stenza nel veleno di una sostanza antagonista o inibitrice della trasformazione del zimo- geno proteolitico. Potere diastasico. — Fu quindi determinato se il veleno tritonico a somiglianza di 3 Alcune proprietà biologiche del veleno di Triton cristalus quello delle viperidee, possedesse inarcato potere diastasico, fu poscia collocato in termo- stato alla temp. di 37° amido cotto convenientemente allungato con soluzione fisiologica e veleno tritonico fresco. I reattivi dimostrarono l’ assenza del glucosio e la non trasfor- mazione della destrina impiegata. Potere emulsivo e lipolitico. — Mescolando il veleno con adipe neutro non si ebbe sensibile e permanente emulsione del medesimo, nè evidente decomposizione dei grassi adoperati. Il veleno tritonico quindi è destituito d’ azione sugli adipi neutri. Stabilito adunque che il veleno tritonico, non possiede proprietà digestive, volli rivedere le proprietà emolitiche di esso. Potere emolitico. — Già nel primo lavoro avevo fatto notare che il veleno è dotato di un potere emolitico straordinario sul sangue dei differenti animali omoiotermi, come agisce anche sul sangue dei batraci ed ha anche potere emolitico sul sangue degli stessi tritoni. Aggiungendo al sangue appena estratto dai vasi del bue, del coniglio, non che del- l’uomo, o anche dopo privato della fibrina, delle piccole quantità di veleno, s’ottiene emolisi completa in' un tempo brevissimo e tutta la massa sanguigna diventa trasparentissima. Per avere un’idea della prontezza ed energia dell’azione emolitica del veleno, si prende un decimo di c. c. di una soluzione acquosa di veleno, e la si mescola con 1 cc. di emazie di sangue di bue lavate e sospese in soluzione fisiologica al 5 %: si ottiene l’emolisi completa in un minuto e 5''. Si nota pure che il veleno tritonico determina l’ emolisi dei corpuscoli rossi anche la- vati con cura. Questo comportamento del veleno tritonico è originale di fronte ai corpuscoli rossi e si differenzia dal comportamento analogo dei veleni delle viperidee e delle colubridee che, come ha dimostrato Calinette, non agiscono come emolitici se non in presenza di liquidi attivati con lecitina, almeno con lecitina sciolta in soluzione fisiologica nella proporzione di 1 per 10.000 o mescolata con piccole quantità di siero di cavallo ' scaldato e privato di alessina. Quest’ azione emolizzante esercitata dai veleni secondo P. Kyes è dovuta alla forma- zione di un lecitide emolizzante. Nel caso mio l’ azione s’ esercita senza addizione di lecitina e su corpuscoli rossi la- vati, che, per le precedenti assicurazioni di Calmette, non dovrebbero per lo meno contenere in grado necessario all’ emolizzazione, lecitina. Se l’ ipotesi del Kyes è vera, non resterebbe dunque ad ammettere che il veleno tri- tonico contiene in sufficiente quantità lecitina libera. Esperienze instituite a questo scopo hanno condotto ad un risultato positivo, cioè, che la lecitina è veramente contenuta in una certa quantità nel veleno tritonico. Devesi per anco ammettere che dai corpuscoli rossi si sprigioni una sostanza che determina la formazione del lecitide. Lasciando alle successive esperienze la discussione di questa intricata questione, espe- rienze instituite sul proposito dal dott. Pisano, rimane assodato il fatto, di un comportamento differente del veleno tritonico da quello delle viperidee e delle colubridee. Nel veleno tritonico il potere emolitico è dovuto a corpi termolabili; l’ebollizione distrugge completamente il potere emolizzante. Sul limite di questa inattivazione pel calore si occupa il dott. Pisano nel mio laboratorio; egli ha trovato che codesto limite è com- preso fra i 40° e i 41°. 4 Andrea Capparelli [Memoria XVII.] Il potere emolizzante si esercita anche sul sangue dello stesso animale, cioè, sul sangue del tritone. Infatti: aggiungendo a sangue di tritone raccolto in soluzione di citrato di soda, centrifugato e lavato, una soluzione all’ uno per cento di veleno tritonico, nelle proporzioni di un volume di veleno per due di corpuscoli rossi sospesi in soluzione fisiologica , dopo 8-10 ore ottiensi la dissoluzione dei corpuscoli rossi. Ho anche voluto vedere se il siero di sangue di tritone, fosse anche dotato di potere anti-emolitico, se contenesse cioè corpi che si opponessero efficacemente al potere emolitico del veleno. Ho raccolto il siero sanguigno del tritone nella soluzione citratata anticoagulante ; ed ho separato per centrifugazione i corpuscoli rossi e raccolto il siero; un decimo di c. c. di questo siero, che era stato mescolato a parti eguali con soluzione citratata all’ un per cento, fu mescolato con un cc. di sangue di bue allungato, con la metà di soluzione fisiologica citratata al titolo indicato ; a questa miscela venne aggiunta una quantità di veleno certa- mente emolizzante: dopo qualche minuto si ebbe emolisi ma non completa. L’esame mi- croscopico rivelava dei corpuscoli rossi rigonfiati ma non completamente distrutti. Variando la proporzione del siero sanguigno tritonico in modo da aumentare il siero stesso, 1’ emolisi avvenne sempre dopo un tempo più o meno lungo secondo la proporzione del siero trito- nico. Queste esperienze dimostrano che corpi che inibiscono l’emolisi ne esistono vera- mente nel siero del tritone, ma non in quantità tale da inibirla completamente. Il veleno tritonico appartiene al gruppo dei veleni coagulanti. Il coagulo che si ottiene ha caratteri speciali, come aveva dimostrato già nel mio primo lavoro, caratteri dovuti al fatto che la formazione del coagulo si accompagna nettamente ad un processo di vera precipitazione dei corpuscoli rossi. Ma di questo argomento si occupa nel mio laboratorio il dott. Pisano. Ho raccolto il sangue di bue con aggiunta della necessaria quantità di citrato di soda per impedire la coagulazione; questa miscela è stata anche filtrata alla carta, per privarla di eventuali coaguli; questo sangue veniva addizionato di veleno tritonico disciolto in so- luzione fisiologica in quantità tale da non aversi emolisi notevole; questa miscela veniva collocata in stufa e dopo alcune ore poteva notarsi un denso coagulo. Le grandi dosi, anche quelle che producono completa emolisi, come le piccole dosi agivano ugualmente produ- cendo il coagulo. Se nel primo caso il coagulo era meno voluminoso, ciò era dovuto a che, scomparsi i corpuscoli rossi, questi non potevano essere impigliati fra le maglie dello stesso coagulo e quindi dare maggior volume. L’ipotesi di Calmette che aveva notata l’ as- senza del coagulo con le grandi dosi, non è applicabile nel mio caso, giacché il veleno tritonico non contiene fermenti triptolitici capaci di digerire la fibrina e impedir quindi la formazione del coagulo. Intorno all’ipotesi emessa da Delezenne, che crede i fenomeni di coagulazione esser do- vuti a presenza di due sostanze antagoniste esistenti nei corpuscoli bianchi, che si mettono in libertà per la citolisi (citolisi operata, come ho potuto dimostrare nel mio precedente lavoro, anche dal veleno tritonico) e che determinano la coagulazione o mantengono fluido il sangue, secondo il loro prevalere, i miei esperimenti nulla aggiungono a sostegno. Lpperò da alcune esperienze, a me pare, risultare chiaramente, che nel meccanismo della coagulazione entrano in giuoco i corpuscoli rossi o sostanze 1 iberantisi dal loro contenuto protoplasmatico. Infatti: centrifugando il sangue di bue, citratato ; raccogliendo il siero lim- pidissimo, e passandolo parecchie volte al filtro in modo da liberarlo completamente dai Alante proprietà biologiche del veleno di Triton cristatus 5 corpuscoli bianchi; aggiugendo al siero cosi privo di elementi morfologici, una soluzione di veleno in liquido fisiologico, si ottiene ugualmente un coagulo. Il quale diventa più vo- luminoso se vi s’aggiunge una certa quantità di prodotti dell’emolisi di corpuscoli rossi separati per centrifugazione, lavati replicatamele e privati dei corpuscoli bianchi per fil- trazione. Questo dimostra che alla formazione del maggior volume del coagulo deve avere contribuito il contenuto disciolto dei corpuscoli rossi. CONCLUSIONE 1° Il veleno del triton cristatus a differenza di quello delle viperidee e delle colubridee è un veleno non inquinato da liquidi digeritori. Esso raccolto, con un metodo da me indicato, si può ottenere allo stato di discreta purezza per le svariate applicazioni chimiche e sierologiche. 2° Esso si oppone alla trasformazione dei profermenti in fermenti. 3° È fortemente emolitico, e l’emolisi si determina a differenza di quella da veleno delle viperidee e delle colubridee, senza aggiunta di lecitina o successive manipolazioni di corpuscoli rossi. Si esercita anche la emolisi sulle emazie del triton cristatus stesso. 4° L’ azione emolizzante del veleno del triton cristatus illumina sul meccanismo del- l’ azione emolitica, anche in contrasto a teorie dominanti in proposito. 5° È un veleno coagulante e alla formazione del coagulo partecipa probabilmente il contenuto protoplasmatico dei corpuscoli rossi. Catania, Febbraio 1912. . Memoria XVIII R. Università di Catania Stazione Marittima di Biologia Isola dei Ciclopi Seziome Fisiologica diretta dal prof. A. CAPPARELL1 Ricerche chimico-fisiche comparative sull’acqua marina ed i liquidi interni degli Echinodermi Nota del Dott. GIUSEPPE RUSSO (Assistente) RELAZIONE della Commissione composta dai soci effettivi Proff. A. RUSSO e A. CAPPARELLI {Relatore). L' A. espone i dati chimico-fìsici relativi all’acqua marina e ai liquidi interni degli Echinodermi, considerando l’ una e gli altri in più giorni simultaneamente e nella stessa località. Da tale studio, condotto con serietà di propositi, risultano le diverse vicende a cui vanno incontro, per circostanze specialmente locali, i caratteri chimico-fisici dell’ acqua ma- rina ed i correlativi processi di adattamento che gli organismi studiati mettono in opera per correggere gli effetti dell’ anisotonia. Riteniamo che il lavoro del Dott. Russo, per l’ importanza del soggetto trattato, sia meritevole di essere inserito negli Atti Accademici. È questa una larga esposizione del valore delle costanti chimico-fìsiche dell’ acqua marina e dei liquidi interni, considerati simultaneamente, in diversi giorni, nella stessa lo- calità. I vantaggi di uno studio condotto con tali criteri sono evidenti. Non solo esso ci fornisce le medie attorno a cui questi valori oscillano, ma c’informa sugli estremi da cui essi dipendono e ci mette in grado di apprezzare, da un punto di vista affatto naturale, il processo con cui gli organismi studiati tendono a correggere i dislivelli osmotici tra i loro liquidi interni e l’ambiente esterno provocati dagli agenti perturbatori di varia natura. Nella ridente baia di Aci-Trezza, che circonda la Stazione biologica dell’Isola dei Ci- clopi, gli organismi sono spesso soggetti a variazioni del mezzo liquido, per un complesso di fattori fìsici e meteorologici, e perciò si prestano ad una ricerca metodica delle reazioni di adattamento osmotico che può aver gran valore se all’osservazione naturale succede il controllo sperimentale e l’analisi minuta ed intima di tutto il processo di regolazione suin- dicato. Nel presente lavoro, che è il primo contributo di questo genere allo studio degli ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. XVIII. I 2 Giuseppe Russo [Memoria XVIII.] organismi viventi nei dintorni della Stazione, mi limito alla semplice ricerca dei fatti na- turali riserbandomi di aggiungervi in seguito i dati dell’ indagine sperimentale che faranno parte di una prossima pubblicazione. Ho adoperato i metodi principali della chimico-fisica per determinare la conduttività elettrica x, il punto di congelazione A , il tempo igromipsimetrico, r, il coefficiente di vi- scosità 7j. Pressione osmotica, conduttività elettrica e tempo igromipsimetrico dell’acqua marina e dei liquidi organici. Per queste ricerche che ho voluto raggruppare insieme mi sono valso dell’apparecchio di Beckmann, del ponte di Kohlrausch, dell’ igromipsimetro Capparelli. Quest' ultimo aveva un tubo capillare del diametro interno di inni. 1 col quale operavo su colonne liquide alte mm. 14; per i particolari tecnici e le leggi dei fenomeni igromipsimetrici rinvio alle pub- blicazioni del Capparelli (2) e ad un mio prossimo lavoro sull’ argomento (7). Il ponte di Kohlrausch di cui disposi, è un modello della Casa Hartmann e Braum assai perfezionato in Fig\ 1. — Ponte di Kohlrausch — R reocordo costituito da un lungo filo di platino avvolto attorno ad un cilindro — Ball batteria — T telefono — J rocchetto induttore — X posizione del vaso di resistenza. cui, come dimostra l’annessa figura , il reocordo montato sul reostato è rappresentato da un cilindro mobile attorno ad un asse, che porta ravvolto un lunghissimo filo di platino; adoperai vasi di resistenza ad U con elettrodi di 10 cm. q. di superficie, a capacità di resistenza costante. Per le misure crioscopiche mi sono attenuto a tutte le cautele tecniche che suggerisce l’esperienza in questo genere di determinazioni. I liquidi organici furono sempre filtrati e centrifugati. 1. 23 Novembre 1911, (i) Acqua di mare .... x-°— 533 X IO' 1 A = 2°, 172 t =4", 10 Ricerche chimico-fisiche comparative sull' acqua marina ed i liquidi , ecc b) liquido celomico di Strongilocen- trotus lividus .... x20 = 531 X 10 A = 2°, 174 x = 4", 12 c) liquido cavitario di Asterias te- nui spina ..... x20 — 528 X 10 A = 2°, 18 t — 4", 14 d) liquido interno di Holothuria Poli x20= 527 X 10 A = 2o, 193 x = 4", 15 9 25 Novembre 1911, a) Acqua marina b) liquido cavitario di Holothuria tu- bulosa . ... . c ) liquido interno di Echinocardium cordatus . d) liquido della vescicola di Poli di alcune Holothuria tubolosa x20 = 534 X 10 A = 2°, 18 T = 4" X20 = 532 X 10 A = 2°, 195 x = 4", 10 x20 = 531 X 10 A =2°, 18 x = 4", 1 1 x20= 530 X 10 A =2°, 197 x = 4", 11 3. 30 Novembre 1911, a) Acqua marina b) liquido organico di Astropecten aurantiacus . 4. 10 Dicembre 1911, a) Acqua marina b) liquido cavitario di Echinocardium cordatus . x20 = 538 X 10- A = 2°, 202 x = 3", 90 x20 = 546 X 10- A=2°, 25 x = 3", 83 x20 = 519 X 10* A = 2°, 118 x = 4", 23 x20 = 534 X 10- A — 2°, 201 x = 4", 10 x20 = 521 X 10 A =: 2°, 127 5. 18 Dicembre 1911, a) Acqua marina 4 Giuseppe Russo [Memoria XVIII. J 6. b) liquido interno di Arbacia pustulosa .... x20 — 518 X IO-4 A = 2°, 123 x = 4", 21 c) liquido ambulacele dello stesso a- nimale, spremuto dalle vescicole ambulaceli dopo avere accurata- mente vuotato ed asciugato la cavità peritoneale . . . x20 = 5l6X IO-4 A in; 2°, 125 x = 4", 20 5 Gennaio 1912, a) Acqua marina .... x20 — 408 X IO-4 A = 1°, 68 x = 5", 30 b) liquido celomico di Strongilocen- trotus lìvidus .... x20 = 530 X IO-4 A — 2°, 18 1 = 4", 12 c) liquido celomico di Holoturia fa- bulosa . . . • . x20 = 529 X IO-4 A r= 2°, 192 x = 4", 13 7. 8 Gennaio 1912, a) Acqua marina b) liquido interno di Asterias tenui- spinct ..... x20— 420 X IO"4 ‘ A = lo, 72 x = 5", 10 x20 = 481 X IO”4 A — 1°, 91 x = 4", 69 8. 10 Gennaio 1912, a) Acqua marina .... x20 = 507 X 10 4 A = 2°, 07 x = 4", 35 b) liquido interno di Strongilocen- trotus lividus . . . x20 = 509 X 10“4 A = 2°, 11 x — 4", 31 9. 12 Gennaio 1912, a) Acqua marina .... x20 = 530 X IO-4 A = 2°, 16 x = 4", 12 b) liquido interno di Echinocardium cordatus ..... x'° — 524 X IO-4 A = 2°, 17 x = 4", 18 Ricerche chimico-fisiche comparative sull' acqua marina ed i liquidi, ecc. o c ) liquido ambulacele dello stesso animale ..... x20=: 521 X IO'4 A = 2°, 16 x = 4", 20 10. 15 Gennaio 1812, a) Acqua marina .... x20 = 535 X 10 4 A = 2°, 20 x = 4" b) liquido interno di Holothuria Poli x20 = 530 X IO-4 A =: 2°, 19 x = 4", 10 c) liquido celomico di Astropecten aurantiacus . . . . x20 = 53 2 X IO-4 A = 2°, 194 x = 4", 10 11. 18 Gennaio 1912, a) Acqua marina .... x*° = 519X 10“4 A = 2°, 12 x = 4", 20 b) liquido celomico di Sphaerechi- nus granular is . . . x20 — 510 X IO-4 A — 2°, 11 x = 4", 28 c) liquido ambulacele di Sphaere- chinus granular is . . . x20 — 507 X IO-4 A — 2°, 12 x = 4", 30 12. 22 Gennaio 1912, a) Acqua marina .... x20 = 405 X IO-4 A — lo, 69 x = 5", 40 b) liquido celomatico di Strongilo- centrotus lividus . . . x20 = 519X IO-4 A r= 2°, 13 x = 4", 18 c) liquido celomatico di Holothuria tubulosa . . . . . x20 — 515 X IO-4 A — 2o; 12 x = 4", 20 x20 = 513 X IO"4 A = 2°, 09 x = 4", 26 13. 25 Gennaio 1912, a) Acqua marina 6 Giuseppe Russo [Memoria XVIII. J b) liquidi organici di Asterias tenui spina .... x20 — 503 X IO-4 4 =i_-2°, 08 t = 4", 31 14. 28 Gennaio 1912, a) Acqua marina . x20 = 539 X 104- 4 = 2°, 201 T : 3", 88 b) liquido interno di Echinocardium cordatus ..... x20 = 548 X IO-4 4 =2°, 28 t = 3", 78 15. 2 Febbraio 1912, a) Acqua marina .... x20 = 530 X 10-4 4 = 2°, 162 “ — 4", 10 b) liquido interno di Echinocardium cordatus ..... x20 = 524 X IO-4 4 = 2°, 165 t — 4", 10 16. 7 Febbraio 1912, a) Acqua marina .... x20 = 532 X IO-4 4 = 20, 172 t = 4", 08 b) liquido interno di Asteria tenui spina .... 9 x2n= 527 X IO-4 4 = 2°, 183 t — 4", 10 17. 9 Febbraio 1912, a) Acqua marina .... x20 = 437 X IO-4 4 z= F, 84 r '/ L =0 , b) liquido interno di Strongilocen- trotus lividus .... x20 = 500 X IO"4 4 = 2°, 02 t = 4", 32 18. 15 Febbraio 1912, a) Acqua marina .... b) liquido interno di Strongilocen- trotus lividus .... X20 = 490 X io 4 A — o° t = 4", 45 x20 = 485 X IO-4 4 = lo, 99 t = 4", 51 b) liquido interno di Strongilocen- trotus lividus .... Ricerche chimico-fisiche comparative sull' acqua marina ed i liquidi, ecc. 7 19. 17 Febbraio 1912, a) Acqua marina .... x20 — 533 X IO"4 A = 2°, 178 x = 4", 10 b) liquido interno di Sphaerechinus granularis .... x20 = 534 X IO"4 A = 2°, 221 x — 4", 08 20. 21 Febbraio 1912, a) Acqua marina .... x20 = 534 X IO-4 A — 2°, 18 x = A"t 09 b) liquido interno di Strongilocentro- tus lividus .... x20 = 526 X IO-4 A = 2°, 173 x = 4", 16 21. 25 Febbraio 1912, a) Acqua marina .... x20 r= 403 X IO 4 A — 1°, 63 x = 5", 50 b) liquido celomico di Strongilocen- trotus lividus X20 — 497 X IO-4 A = 1°, 87 x — 4", 41 22. 27 Febbraio 1912, a) Acqua marina .... x20 = 398 X IO-4 A = lo, 60 x = 5", 60 b) liquido interno di Asterias tenui- spina ..... x20 = 450 X IO-4 A — 1°, 86 x = 4", 50 23. 1 Marzo 1912, a) Acqua marina .... x20 — 503 X IO-4 A — 2°, 05 x = 4°, 32 b) liquido interno di Holothuria fa- bulosa ..... x20 = 493 X IO-4 A = lo, 98 x = 4", 41 24. 4 Marzo 1912, a) Acqua marina .... X20 = 536 X IO-4 A = 2°, 182 x = 4", 12 b) liquido celomico di Arbacia pu- stulosa ..... x20 ~ 52 1 X IO-4 A=r2°, 12 x = 4", 19 8 Giuseppe Russo [Memoria XVIII. 25. 7 Marzo 1912, a) Acqua marina .... x20 = 534 X IO'4 A = 2°, 174 x = 4", Il b) liquido celomico di Arbacia pu- stolosa ..... x20 = 5 2 8 X IO-4 A = 2", 16 “ = 4", 13 26. 10 Marzo 1912, a) Acqua marina .... x20 = 532 X IO"4 A = 2°, 18 a = 4", 12 b) liquido celomico di Sphaerechtnus granular is .... x20 = 525 X IO-4 A = 2°, 183 x^4", 14 27. 20 Marzo 1912 a) Acqua marina .... x20 = 527 X IO-4 A — 2°, 15 x — 4", 12 b) liquido interno di Astropecten au- rantiacus . . . . y.20 — 528 X IO-4 A = 2°, 18 x = 4v, 15 Ricerche yiscosimetriche. Ho adoperato a questo scopo il viscosimetro di Ostvvald in un termostato fornito di termoregolatore a toluolo. Per la presenza di scarsa sostanza colloide i liquidi interni degli Echinodermi hanno sempre un coefficiente di viscosità 7] maggiore di quello dell’acqua marina. Ecco alcuni risultati ottenuti alla temperatura di 13°, in cui si è fatto semplicemente il rapporto tra il tempo di deflusso del liquido in esame e quello dell’acqua distillata: Numero d’ ordine Valore di vj Acqua marina liquido celomico 1 1, 08 1, 12 2 1, 06 1, 13 3 1, 09 l, 10 4 1, 04 1, 09 5 1, 07 1, 12 Ricerche chimico-fìsiche comparative sull' acqua marina ed i liquidi, ecc. 9 Maggiore è la viscosità dei liquidi lacunari per la maggior percentuale di albumina disciolta : Numero d’ ordine Valore di q Acqua marina liquido lacunare 1 1, 04 1, 18 2 1, 09 1, 14 3 1, 05 1, 15 4 1, 07 1, 20 5 1, 03 1, 13 6 1, 08 1, 17 Il coefficiente di viscosità è massimo nel contenuto lacunare dello Spliaerechinus di alcune Asterie ed Oloturie per la presenza di una sostanza di natura mucoide che trattata con acido acetico dà un precipitato insolubile in un eccesso di acido e bollita con gli acidi minerali dà una sostanza che riduce l’ossido di rame. Il liquido delle cavità brachiali delle Asterie ha vj= 1, 21 - 1, 24. L’ ho ottenuto, non però allo stato di purezza, premendo fortemente sulle braccia distaccate in corrispondenza dei solchi ambulacrali ed allora lo si vedeva venir fuori da una delle estremità tronche del braccio. Riassunto e conclusioni. Da quanto precede risulta che l’acqua marina dei dintorni dell’isola dei Ciclopi può variare largamente nei suoi caratteri chimico-tìsici presentando una conduttività elettrica x20 che va, nelle osservazioni da me compiute, da 403XlO~4a 539X10~4, una concentrazione osmotica A che varia da 1°,69 a 2°, 201, un tempo igro- mipsimetrico t oscillante da 5", 5 a 3", 78. Certamente però i limiti estremi non rappre- sentano la regola ma corrispondono tuttavia a pertubazioni brusche ed estese nella costi- tuzione chimico-fìsica dell’ambiente acqueo che debbono notevolmente influire sui poteri regolatori degli organismi che vi sono sottoposti. I più notevoli spostamenti nel valore delle costanti fisico-chimiche avvengono sempre nel senso della minore concentrazione molecolare e sono certo in relazione con le precipitazioni atmosferiche e la vicinanza della foce del Simeto la quale riversando considerevoli volumi di acqua dolce, come risulta dal- l’ esposizione dei dati, può mantenere, qualche volta per più giorni, singolarmente bassa la pressione osmotica e la conduttività elettrica dell’ acqua marina senza che gli afflussi compensativi di correnti più dense riescano a cancellarne gli effetti. Si considerino per es. le osservazioni 21, 22, 23, in cui si assiste, per una serie forse ininterrotta di giorni sette circa, ad un valore basso della conduttività elettrica e pressione osmotica dovuto certamente allo scaricarsi dell’acqua fluviale enormemente accresciuta nel vicino golfo di Catania. Gli animali marini, di fronte a queste brusche pertubazioni, debbono mettere in gioco i loro congegni regolatori, per adattarsi all’ ambiente liquido mutato. Al sopraggiungere dell’ ani- sotonia infatti, come nel caso dell’osservazione 12, gli organismi studiati perdono l’equi- librio osmotico, ma non tardano a riacquistarlo, come si nota nell’ osservazione successiva in cui tale equilibrio si è già ristabilito tre giorni dopo. Questo ed altri esempi illustrano bene le reazioni di adattamento osmotico di cui sono capaci organismi costieri poco mo- bili come gli Echinodermi ed esposti agli sbalzi repentini della pressione osmotica esterna. Escludendo i valori straordinari dovuti alle cause succennate e riferendoci ai dati più comuni che scaturiscono dalle nostre osservazioni, possiamo stabilire nel seguente modo i ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. XVIII. 2 10 [Memoria XVIII. Giuseppe Russo valori medii della conduttività elettrica, concentrazione molecolare e tempo igromipsimetrico per l’acqua ed i liquidi interni: Valore medio di x20 Valore medio di d Valore medio di x acqua marina liquidi interni acqua marina liquidi interni acqua marina liquidi interni 535 526 00 o CN 2o, 17 4". 10 4". 15 Da questi dati, paragonati coll’esposizione precedente, risulta che l’aumento di con- centrazione al di là del limite medio è un caso poco frequente e di poco conto, osserva- zione questa che è anche d’accordo con i risultati sperimentali i quali mi hanno dimostrato che gli Echinodermi sopportano diffìcilmente gli aumenti di concentrazione di un certo rilievo. Dei tre coefficienti x, A et, il primo esprime il contenuto della soluzione in elettro- liti, il secondo la quantità delle molecole sciolte, il terzo il peso complessivo di queste mo- lecole a cui esso è inversamente proporzionale (1). A parità di concentrazione osmotica e di tempo ignomipsimetrico la conduttività elettrica dei liquidi interni risulta alquanto infe- riore. Ciò è dovuto alla lieve quantità di albumina e di cristalloidi anelettrolitici sciolti in questi liquidi e ai corpuscoli che vi sono sospesi. Alla sostanza colloide è anche da at- tribuirsi la maggior vischiosità dei liquidi organici rispetto all’ acqua marina. Da questo riassunto si può concludere : 1° L'acqua marina delle adiacenze della Stazione biologica dell’Isola dei Ciclopi pre- senta in media A ■= 2°, 1 8. 2° Per eccessivo afflusso di acqua dolce fluviale questo valore può decrescere consi- derevolmente, mentre rari e di nessun conto sono gli aumenti di concentrazione oltre il valore medio. 3° Per tali circostanze locali gli organismi studiati, anche perchè dotati di scarsa mo- tilità, sono provvisti di energici poteri regolatori che possono compensare, con opportune modificazioni dell’ ambiente interno, le pertubazioni dell’ esterno. 4° Il coefficiente di vischiosità nei liquidi organici interni è maggiore che nell’acqua marina per la presenza di alquanta sostanza colloidale ed è massima, tra essi, nel conte- nuto del sistema lacunare in cui oltre l’ albumina è sciolta una sostanza di tipo mucoide più o meno rappresentata nei diversi Echinodermi. (i) Tale ragionamento, per riguardo all’ igromipsia è valido, trattandosi di un confronto tra soluzioni co- stituite presso a poco delle stesse sostanze chimiche come sono l’acqua marina ed i liquidi interni degli Echi- nodermi (vedi bibliografia). Ricerche chimico-fìsiche comparative sull' acqua marina ed i liquidi, ecc. 11 BIBLIOGRAFIA 1. Bottazzi F. — Chimica Fisica — Società Editrice Libreria — Milano 1905. 2. Capparelli A- — I fenomeni d’ igromipsia — Atti dell’Accademia Gioenia — Serie 5a Voi. 1, 1907. 3. Cohnheim O — Vers. iiber Resorption, Verdanung und Stoffevechsel von Echinodermen — Zeitschr. f. physiol. Chem. XXXIII, 1, 2, S. 8, 1901. 4. Enriquez P. — Digestione, circolazione e assorbimento nelle Oloturie, Archivio Zoologico Voi. I, p. I, 1902. 5. Henri V. et G- Lalou — Régulation osmotique des liquides internes chez les Echinodermes, Journal de Physiol. et de Pathol. générale tome VI, I, pag. 9, 1904. 6. Kohlrausch F. und Holborn L- — Das Leitvermogen der Elektrolyte insbesondere der Losungen. Lei- psig. B. G. Teubner 1898. 7. Russo G. — Il comportamento igromipsimetrico delle soluzioni — Atti dell’ Accademia Gioenia 1912. . Memorisi XIX. R. Università (li Catania Stazione Marittima di Biologia dell’Isola dei Ciclopi Sezione Fisiologica diretta dal prof. A. CAPPARELLI L’ accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi RICERCHE DEL Dott. GIUSEPPE ROSSO (Assistente) RELAZIONE della Commissione composta dai soci effettivi Proff. A. RUSSO e A. CAPPARELLI {Relatore). L’ A., valendosi di un particolare suo metodo chimico-fisico, ha potuto seguire le varie fasi della reazione di adattamento che gii organismi studiati spiegano di fronte ai disturbi osmotici provocati dagli artifizi sperimentali. In un altro ordine di ricerche si occupa di svariati problemi idrostatici a cui dànno occasione questi animali per la rigidità del loro tegumento. In ultimo, col legando i risultati di questo duplice studio, indaga il meccanismo della regolazione osmotica e conchiude che negli Echinodermi, durante le reazioni a solu- zioni anisotoniche, si assiste ad un notevole esempio di concerto funzionale tra i poteri regolatori della pressione osmotica ed i poteri regolatori della pressione idrostatica. Il lavoro del Dott. Russo, tratta, da un punto di vista strettamente moderno, un im- portante e difficile argomento in animali poco considerati a questo proposito : proponiamo pertanto che sia inserito negli atti Accademici. SOMMARIO I. Introduzione. II. Alcune notizie chimico-fisiche sull’ acqua marina ed i liquidi interni degli Echinodermi. III. Analisi della reazione di adattamento all’ anisotonia dell’ acqua marina negli Echinodermi. IV. La regolazione idrostatica. V. Meccanismo della regolazione osmotica — L’ accordo funzionale tra i diversi poteri regolatori. VI. Conclusioni generali. I. INTRODUZIONE Negli Echinodermi esistono meccanismi regolatoli della pressione osmotica e della pressione idrostatica. I primi funzionano determinando costantemente l’equilibrio osmotico ATTI ACC. SERIE V, VOL. V, Meni. XIX. I Giuseppe Russo [Memoria XIX.] 9 tra i liquidi organici interni e 1’ acqua marina, quando questo è turbato in una maniera qualsiasi dagli agenti esterni naturali o artificiali. Ai secondi spetta invece 1’ ufficio di met- tere in equilibrio la pressione idrostatica interna dei liquidi organici con quella esterna dell’ acqua marina. Lo studio di questi due ordini di funzioni è, come dimostrerò nel corso del lavoro, intimamente connesso tanto che mi è parso opportuno trattarlo unitamente. Dal- l’ esame analitico delle condizioni che presiedono il doppio processo viene offerto uno dei più notevoli esempi di correlazione funzionale e risulta rischiarato il valore fisiologico di alcune parti del celoma. Perciò, dopo aver fatto precedere delle notizie fisico-chimiche com- parative tra l’acqua marina ed i liquidi interni in condizioni naturali, ho esposto prima ricerche osmotiche sperimentali, poi osservazioni sui processi idrostatici , infine un cenno alla fisiologia dei tubi acquiferi , del seno assile e un riassunto del lavoro in cui vien messo in evidenza il concerto di due meccanismi funzionali nell’adattamento di questi ani- mali allo ambiente marino. Mi sono spinto a questo genere d’ indagini considerando che, per quanto riguarda i fenomeni di regolazione osmotica, assai scarse sono le notizie metodiche sull’ intiero de- corso e sui singoli stadi dei fenomeni stessi e che negli Echinodermi in particolare nes- suno ha fatto, con tali criteri, una serie di ricerche dettagliate nè tentato l’analisi dei fat- tori e dei meccanismi che li determinano e condizionano. 1 processi di regolazione idro- statica hanno in questi organismi un alto interesse per la rigidità ed inestensibilità del loro tegumento (ricci). Con essi si collegano questioni assai controverse, ma io non mi sarei forse indugiato a studiarle se non avessi scorto tra esse e la regolazione osmotica un nesso indissolubile. Gli animali e l’acqua marina che formano oggetto del presente studio sono stati raccolti nelle adiacenze dell’Isola dei Ciclopi in cui sorge una Stazione Marittima di Biologia che offre vantaggi inestimabili a chi vuole dedicarsi all’ indagine delle funzioni degli esseri marini. E qui mi corre l’ obbligo di rendere grazie al Direttore della Stazione Prof. A. Cap- parelli mio Maestro, che m’ incoraggiò non poco a questo lavoro mettendo a mia dispo- sizione i locali ed il personale inserviente del cui zelo son rimasto oltremodo contento. II. Alcune notizie chimico-fisiche sull’acqua marina ed i liquidi interni degli Echinodermi. Per orientarsi bene nelle ricerche sperimentale che seguiranno, voglio far precedere i dati chimico-fìsici relativi all’acqua marina ed i liquidi interni degli Echinodermi viventi nelle adiacenze dell’ Isola dei Ciclopi con alcuni cenni intorno alle loro variazioni a seconda delle stagioni e sotto l’influenza di vari fattori fisici e metereologici. Riassumo in parte quanto ho scritto in un precedente lavoro (13). Conduttività elettrica, pressione osmotica e tempo igromipsimetrico. I relativi coefficienti variano assai nella stagione invernale e primaverile, sono abba- stanza costanti nell’ estate. La conduttività elettrica k20, nelle osservazioni da me compiute, va da 403 X IO-4 a 539 X 10“4 , la concentrazione osmotica A da 1°, 69 a 2°, 201, il tempo igromipsimetrico t da 5", 50 a 3°, 78. Rilevai già nel citato lavoro come i limiti L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 3 estremi di siffatte oscillazioni non rappresentino la regola ma corrispondano tuttavia a per- tubazioni brusche ed estese nella costituzione chimico-fìsica dell’ambiente marino che deb- bono notevolmente influire sui poteri regolatori degli organismi che vi sono sottoposti. 1 più considerevoli spostamenti nel valore delle costanti chimico-fìsiche sono certo in rela- zione con le precipitazioni atmosferiche e la vicinanza della foce del Simeto la quale river- sando considerevoli volumi di acqua dolce, può mantenere, come ho dimostrato, singolar- mente bassa la pressione osmotica e la conduttività elettrica dell’ acqua marina, talvolta per più giorni di seguito, senza che 1’ afflusso di correnti più dense dai luoghi circostanti riesca a cancellarne gli effetti. Gli organismi studiati coi loro liquidi cavitari seguono le vicende dell’ ambiente esterno e mettono in gioco i loro energici poteri regolatori non po- tendo sottrarsi alle pertubazioni per la loro scarsa mobilità e le loro abitudini. Escludendo i valori straordinari dovuti alle cause succennate e riferendoci ai dati più comuni che scaturiscono dalle nostre osservazioni, possiamo stabilire nel seguente modo i valori medii della conduttività elettrica, concentrazione molecolare e tempo igromipsime- trico per 1’ acqua ed i liquidi interni : Valore medio di x20 X IO-4 Valore medio di A Valore medio di x acqua marina liquidi interni acqua marina liquidi interni acqua marina liquidi interni 535 526 00 o 2°, 17 4". 10 4". 15 Come si vede il fenomeno più frequente che si può notare nelle variazioni delle co- stanti al di là del limite medio, è la diminuzione di concentrazione, mentre l’aumento è un caso poco frequente e di nessun conto, osservazione questa che è anche di accordo con i risultati sperimentali i quali mi hanno dimostrato, come esporrò in seguito, che gli Echinodermi sopportano difficilmente gli aumenti di concentrazione di un certo rilievo. Dei tre coefficienti x, A e x, il primo denota il contenuto della soluzione in elettroliti, il secondo la quantità delle molecole sciolte, il terzo il peso complessivo di queste mole- cole a cui esso è inversamente proporzionale (1). A parità di concentrazione osmotica e di tempo igromipsimetrico la conduttività elettrica risulta alquanto inferiore. Ciò è dovuto alla lieve quantità di albumina e di cristalloidi anelettrolitici sciolti in questi liquidi e ai cor- puscoli che vi sono sospesi. III. Analisi della reazione di adattamento all* anisotonia dell' acqua marina negli Echinodermi. Dalle osservazioni precedenti risulta che i caratteri tìsico-chimici dell’ acqua marina dei dintorni dell’isola dei Ciclopi sono soggetti ad oscillazioni più o meno brusche ed estese per un cumulo di circostanze (correnti marine, precipitazioni atmosferiche, vicinanza della (i) Tale ragionamento per riguardo all’ igromipsia è valido trattandosi di un confronto tra soluzioni co- stituite presso a poco dalle stesse sostanze chimiche come sono 1’ acqua marina ed i liquidi interni degli Echi- nodermi (vedi bibliografia). 4 Giuseppe Russo [Memoria XIX.] foce del Simeto, venti dominanti ecc.); gli organismi da me presi in esame, appena il mezzo acqueo in cui vivono diventa anisotonico rispetto ai loro liquidi interni, tendono subito a reagire, entro certi limiti, con una modificazione dei liquidi stessi diretta a rista- bilire 1’ equilibrio osmotico turbato. Studiando tali organismi senza un opportuno criterio sperimentale, come avviene quando ci si limita alla semplice ricerca comparativa delle proprietà chimico-fisiche in un determi- nato istante, non si possono sorprendere che singoli stadi del processo reattivo e le va- riazioni del tono osmotico nei liquidi organici interni in dipendenza dell’ ambiente sono più intuite che dimostrate. Ciò ho fatto avanti e tale studio era necessario premettere per creare una base al controllo sperimentale che mi è servito di guida in questa seconda parte delle mie ricerche. Ho voluto pertanto modificare artificialmente la concentrazione dell’acqua ma- rina in cui gli animali erano immersi per apprezzare e seguire più minutamente le curve di adattamento dei liquidi cavitari interni e svelarne, ove fosse possibile, i fattori principali e l’intimo meccanismo che le determinava. Ebbene, quando le modificazioni non erano pro- fonde e gii animali erano tenuti in buone condizioni, l’equilibrio isotonico in poche ore si ristabiliva. Questa sola costatazione per altro non sarebbe valsa se non ad estendere e gene- ralizzare le conclusioni di altri osservatori (Fredericq, Bottazzi, Enriquez, Overton, Brunacci ecc.), i quali hanno studiato gli organismi acquatici da un simile punto di vista, illustrando e documentando variamente il potere di regolazione osmotica che li adatta all’ambiente li- quido in cui vivono. Non pago di ciò cercai piuttosto un lato poco battuto dell’argomento, quello che riguarda l’intiero decorso del processo di regolazione sotto l’influenza dei cam- biamenti chimico-fisici del mezzo marino ad arte provocati. Se ben si considera infatti, la maggior parte degli autori si fermano alla semplice costatazione dell’adattamento finale alle soluzioni anisotoniche, trascurandone i limiti, le modalità, il meccanismo. Or io valendomi di un ordinato ed acconcio metodo di ricerca, sono riuscito a riflet- tere, sotto forma di dati numerici, l’intiera curva dell’adattamento osmotico e quindi a fissarne i momenti principali. Combinando poi parecchi metodi ad un tempo ho potuto raggiungere alcuni risultati che mi permisero di attaccare più direttamente il nucleo del fenomeno tentando l’indagine dei fattori che vi entrano in gioco. Tale studio mi parve tanto più interessante in quanto mancano osservazioni di tal genere negli Echinodermi ed i risultati ottenuti da altri osservatori su organismi differenti (p. es. quelli di Enriquez sulle Limnee), parlano di un processo di regolazione osmotica, che negli animali da me studiati non può essere ammesso senza il concorso di altri momenti funzionali. Dei fattori invocati da qualche altro autore (Quinton) per spiegare lo stesso processo in altri animali ( Aplisie ) non credo poi dovermi occupare, essendo stata già abbastanza messa in luce da altri l’insufficienza dei metodi adoperati. Metodo e tecnica. — L’ acqua marina e gii animali su cui si dovevano fare i saggi sperimentali, appartenevano sempre alla stessa località (adiacenze dell’ isola dei Ciclopi) e venivano raccolti contemporaneamente; dell’ acqua e dei liquidi organici degli animali si aveva cura di determinare, prima di procedere a qualunque esperienza, la conduttività elettrica, e, secondo i casi, il tempo igromipsimetrico o il punto di congelamento. Ambedue questi coefficienti sono in relazione colla quantità di molecole disciolte nell'acqua, il primo dipende anche dalla natura chimica delle molecole stesse, ma trattandosi di un confronto tra due soluzioni — l’acquamarina ed i liquidi cavitari degli Echinodermi — che sono quasi identiche per la costituzione chimica, si possono scegliere indifferentemente i due coefficienti L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 5 per esprimere la concentrazione osmotica; del resto un sicuro criterio osmotico offrono, per un motivo analogo, le semplici misure di conduttività elettrica. Acqua ed animali venivano posti in acquarii, provvedendo all’aereazione un’iniezione di aria sotto pressione; l’acqua veniva quindi concentrata o diluita e subito di nuovo sot- toposta all’ esame chimico-fìsico. 11 metodo che segue è diretto a riflettere gli scambi li- quidi che hanno luogo tra gli animali ed il mezzo ambiente; non è stato applicato da nessuno, eh’ io sappia, a questo genere di ricerche mentre mi sembra veramente soddi- sfacente ed esente degli appunti che si possono muovere ad altri metodi sperimentali. Io son partito da questo concetto, che cioè, se scambi avvengono tra 1’ acqua marina ed i liquidi organici interni degli animali da me studiati ogni qualvolta si rompe l’equilibrio isotonico, le determinazioni di conduttività elettrica e le misure di concentrazione dell’acqua marina debbono subito segnalarli. Infatti tali passaggi di liquido diretti a ristabilire 1’ equi- librio, si traducono, a seconda che l’acqua è stata artificialmente diluita o concentrata, in un aumento o in una diminuizione progressiva della sua concentrazione molecolare e del contenuto in elettroliti, finché l’isotonia è di nuovo raggiunta. Pertanto saggiando, a rego- lari intervalli, il valore della conduttività elettrica e della concentrazione molecolare del- l’acqua marina che è sede di tali scambi liquidi, si possono indirettamente conoscere le co- stanti fisico-chimiche dei liquidi interni degli animali posti a reagire ed il senso secondo cui esse si modificano per raggiungere l’adattamento osmotico. Noi insomma, così ope- rando, determiniamo una serie di valori progressivamente crescenti o decrescenti che in- dicano una modificazione in senso inverso a quella che si svolge in seno agli organismi da esperimento. Il momento in cui l’equilibrio osmotico è stato raggiunto, ci è con que- sto metodo, avvertito dal fatto che la conduttività elettrica dell’ acqua e gli altri caratteri chimico-fisici rimangono stazionarii; se, a questo punto indaghiamo il valore di condutti- vità nei liquidi interni, troviamo una cifra molto vicina a quella dell’ acqua marina e molto diversa da quella di cui si è partiti. Questo procedimento indiretto mi è stato naturalmente imposto dall’impossibilità di far dei saggi numerosi e successivi sui liquidi organici senza perdere gli animali da esperimento o compromettere in vario modo l’esito delle osservazioni. Esso ricorda assai un metodo del Sabbatani col quale vien determinata la pressione osmo- tica dei tessuti dalle misure di conduttività elettrica di soluzioni saline titolate con cui il tessuto vien messo in contatto in apposita celletta elettrolitica (14). Una condizione perchè riesca è quella di adoperare la quantità di acqua strettamente necessaria per mantenere in vita gli animali, perchè altrimenti gli effetti delle variazioni osmotiche dei liquidi organici comunicandosi ad una massa sproporzionatamente maggiore di acqua marina riescono ap- pena sensibili dall’ esame di quest’ultima. Del resto in alcune fasi della reazione, ho spes- so sacrificato qualche animale, per sorprendere nel suo interno il corso delle variazioni fisico-chimiche che doveva far capo all’ adattamento finale. In alcune esperienze ho anche determinato il peso di qualche animale nei singoli momenti del processo, sia dopo la di- luizione dell’ acqua marina che dopo la concentrazione. Tutte le determinazioni di conduttività elettrica sono state fatte a 20°, col metodo di Kohlrausch servendomi di un ponte assai perfezionato che è disegnato qui accanto, con vasi di resistenza della forma di quelli di Kohlrausch ad U. Per la ricerca del punto di congelamento e del tempo igromipsimetrico (che indico con t) ho adoperato rispettivamente il crioscopio di Beckmann e 1’ igromipsimetro Capparelli (con un tubo capillare del diame- tro interno di nini. 1)'. Per quest’ultimo ho adoperato colonne alte cm. 1,6. Le leggi e la 6 Giuseppe Russo [Memoria XIX.] tecnica dei metodi igromipsimetrici si trovano in un lavoro del Capparelli (2) e in uno mio d’imminente pubblicazione (12). Fig. ! . — Ponte di Kohlrausch — R reocordo costituito da un lungo filo di platino avvolto attorno ad un cilindro — Batt batteria — T telefono — J rocchetto induttore — X posizione del vaso di resistenza. RIASSUNTO DELLE ESPERIENZE Serie I. — Le tabelle presentano i soli valori di x e di x. Servono a dare una prima idea del processo di reazione alle soluzioni marine anisotoniche negli Echinodermi. Esperienza I. — 16 Marzo. Cinque Strongilocentrotus lividus sono sottoposti allo esperimento in 1000 cm. c. di acqua marina diluita. Questa ha, prima della diluizione, x20 = 534X IO-4 e x = 5", 10. Il liquido celomatico estratto da uno Strongilocentrotus estraneo all’esperienza ha x20 = 535 X IO-4 e x — 5", 10. Ore Valore di x20 X 10 4 Valore di x acqua marina diluita liquido celomico acqua marina diluita liquido celomico 9 390 535 T 5". 10 10 425 501 6'v. 40 5". 50 12 445 463 6". 10 5". 90 Esperienza II. — 22 Marzo. Tre grosse tìolothuria tu buiosa sono poste in un ac- quarium con cm. c. 1000 di acqua marina concentrata. Prima di concentrarla si trova per essa x20 = 533 X 10~4 e x =3 5”, 11. I liquidi interni ottenuti di una Holothuria che è fuori esperienza hanno x20 = 534 X IO-4 e x = 5", 10. Ore Valore di x2<1 X 10 4 Valore di x acqua marina concentrata liquido interno acqua marina concetrata liquido interno 9 10 — 534 548 4". 20 4". 80 5". 10 4". 90 L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 7 Serie II. — Nelle esperienze che seguono 1’ adattamento al mezzo liquido anisotonico, mediante la regolazione osmotica, è pienamente illustrato. Ai dati chimico-fisici dell’ acqua marina raccolti ad intervalli regolari di tempo, è aggiunto il valore del peso di un individuo corrispondentemente ai singoli momenti del processo. Le variazioni del peso, quando non si potessero ascrivere ad altra causa dipenderebbero da variazioni quantitative del liquido cavitario e un po’ anche dai cangiamenti della sua densità. Ma appunto in questo ordine di misure sono molte le cause di errore: l’ emissione di acqua e di materiale fecale pos- sono modificare considerevolmente il peso. Io non sono disposto a confidare troppo in tali variazioni tanto da fondarvi deduzioni di ordine teorico assai sottili. Tuttavia combinato il metodo delle pesate con quello dell’e- same chimico- fisico dell’acqua, può dare, come vedremo, non pochi vantaggi, specialmente quando le variazioni del peso offrono una certa regolarità nel qual caso difficilmente po- trebbero spiegarsi con le cause suindicate e rappresentano quindi differenze apprezzabili nel volume del liquido cavitario. Esperienza III. — 28 Marzo. Quattro Sphaerechinus granularis immersi in cm. c. 800 di acqua marina subiscono una forte diluizione del mezzo liquido che li circonda. Avanti la diluizione si saggia la conduttività elettrica ed il potere igromipsimetrico e ri- sulta x’° — 539 X 10~4 , t — 5''. Determinazioni analoghe per il liquido cavitario di uno Sphaerechinus che non entra in isperienza dànno x20 = 523 X IO-4, t — 5", 20. Ore Peso di un individuo in grammi Valore di x20 X IO"4 Valore di t acqua marina diluita liquido cavitario acqua marina diluita liquido cavitario 9 200 362 523 7", 53 5", 20 10 212 389 — r — 11 205 410 — 6", 65 — 12 203 412 — 6", 60 — 13 199 420 — 6", 40 14 200 427 — 6", 30 — 15 197 435 — 6", 20 — 16 198 440 — 6", 10 — 17 196. 5 451 5", 80 — 18 196 458 463 5 , 72 5", 69 19 196 Esperienza IV — 28 Marzo. Tre Sphaerechinus granularis sono immersi in cm. c. 700 di acqua marina concentrata. A questa, prima della concentrazione, corrisponde x2tì=539XlO-4 e t nr 5". Il liquido interno degli stessi animali ha x20 = 523 X IO-4 e ~ — 5". 20: si tratta, come si vede, dei dati numerici dell’esperienza precedente compiuta nello stesso giorno. Ore Peso di un individuo in grammi Valore di x20 X IO”4 Valore di t acqua marina concentrata liquido interno acqua marina concentrata liquido interno 9.30 187 636 523 4", 20 5", 20 10 183 628 — 4", 30 — 11 188 625 627 4", 40 4", 38 12 192 8 Giuseppe Russo [Memoria XIX.] Esperienza V. — 30 Marzo. Si sperimenta su sei Asterias tenuispinn che vengono poste in un acquarium con 1300 cm. c. di acqua marina. Questa ha, prima dell’ espe- rienza x20 = 529 X IO-4 e x — 5", 10. I liquidi organici estratti da un’ Asterias che è fuori esperimento presentano x20 = 533 X IO-4 e x = 5", 09. Dopo le determinazioni preliminari 1’ acqua marina è fortemente diluita. La tabella corrispondente a questa esperienza e le seguenti presentano un nuovo elemento che chiamo coefficiente di reazione medio espri- mente il rapporto tra il numero di cui varia in un certo tempo la conduttività elettrica dell’acqua ed il tempo stesso. Tale coefficiente è considerato da una parte in un primo momento dell’ esperienza, dall' altra in tutto il tempo rimanente fino al ritorno dell’ equili- brio isotonico ; esso serve a misurare così l’ intensità del processo funzionale di cui ci oc- cupiamo, nelle sue diverse fasi. Ore Peso di un individuo in grammi Valore di x20 X IO-4 Valore di x coefficiente di reazione medio acqua marina diluita liquido organico acqua marina diluita liquido organico nel primo inter- vallo di tempo in tutto il tem- po rimanente 10 80 469 533 5", 80 5", 09 11 86. 50 498 — 5", 50 — 12 82. 95 504 — 5", 40 — 39 5 13 79. 80 514 — 5", 30 — 14 79. 20 519 521 5", 26 5", 22 15 79 Esperienza VI. — 4 Aprile. Sette Echinocardium cordatus subiscono la concen- trazione dell’ acqua marina in cui stanno immersi. Questa, prima dell’ esperienza presenta x20 = 534 X IO-4 , x = 5", 10. Il liquido organico cavitario ha x20 = 533 X IO-4 , x = 5", 1 1. Ore Peso di un individuo in grammi Valore di x20 X 10~4 Valore di x coefficiente di reazione medio acqua marina concentrata liquido organico acqua marina concentrata liquido organico nel primo inter- vallo di tempo in tutto il tem- po rimanente 9 56 647 533 4", 20 5", 1 1 10 49 632 — 4", 31 — 15 4 11 55. 70 628 624 4", 36 4", 40 12 56. 20 627 625 4", 37 4", 38 13 56. 20 Esperienza VII. — 9 Aprile. Sei Holothuria fabulosa vengono sottoposti all’ espe- rimento in 1500 cm. c. di acqua marinadiluita. Prima della diluizione questa ha x20r=519X IO-4 e x = 5", 20. Il liquido cavitario ha, prima dell’esperienza x20 = 534 X IO-4, x = 5”, 10. Ore Peso di un individuo in grammi Valore di x20 X IO-4 Valore di x coefficiente di reazione medio acqua marina diluita liquido interno acqua marina diluita liquido interno nel primo inter- vallo di tempo in lutto il tem- po rimanente 10 1 10 498 534 5", 50 5", 10 11 1 18 507 521 5", 40 5", 23 9 2 12. 30 1 20,30 509 516 5", 36 5", 25 13 1 16 511 509 5", 32 5", 36 14 107,50 L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 9 A questo punto, 1’ equilibrio osmotico essendo raggiunto, una delle oloturie è posta in 200 cm. c. di acqua marina che ha x20 — 418X 10~4. L’equilibrio si rompe così di nuo- vo e ricomincia il processo di adattamento : 14 109.10 418 509 — — - 16 113 458 496 — — Esperienza Vili. — 1 1 Aprile. Cinque Sphaerechinus granular is sono posti in cm. c. 900 di acqua marina diluita. Questa, prima della diluizione, ha x20 =:521 X IO-4. Il liquido celomatico presenta x20c:=518X IO-4. Ore Peso di un individuo in grammi Valore di x20 X IO-4 Valore di x coefficiente di reazione medio acqua marina diluita liquido celomico acqua marina diluita liquido celomico nel primo intervallo di tempo in tutto il tempo rimanente 9. 30 180 320 518 8", 50 5", 24 10 183 338 — 8 — • 10. 30 191 344 — 7", 90 — 1 1 184.50 348 — — ■ 7", 84 — - - 11. 30 179 352 — 7", 70 — 12 179 357 432 7", 52 6", 20 18 5", 30 12. 30 177.40 362 429 7", 40 6", 30 13 176.20 365 408 7", 25 6", 60 13. 30 178 379 385 7", 1 1 6", 80 14 178.35 381 383 7 6", 90 15 178 Serie III. — Nelle seguenti esperienze non si tien più conto delle variazioni del peso. Le tabelle comprendono ora al posto di x, il punto di congelamento A che dà, com’ era da aspettarsi, valori concordanti con quelli forniti da x. Esperienza IX. — 13 Aprile. Sette Astropecten aurantiacus subiscono la concen- trazione dell’ acqua marina. Questa presenta, prima della concentrazione, x20 — 539 X IO-4 e A = 2°, 201. Il liquido interno ottenuto spremendo le braccia di Astropecten estranee al- J esperienza presenta x20 ==r 547 X IO-4 e A = 2°, 261. Ore Valore di x20 X IO"4 Valore di A coefficiente di reazione medio acqua marina concentrata liquido interno acqua marina concentrata liquido interno nel primo intervallo di tempo in tutto il tempo rimanente 9 691 547 2°, 86 2°, 26 10 663 — 2°, 73 — 11 652 — - 2°, 66 — 12 643 605 2°, 62 2°, 41 28 9, 3 13 635 618 2°, 59 2°, 48 14 629 622 2°, 55 2°, 51 15 625 626 2°, 52 2°, 53 Esperienza X. — 2 Maggio. Quattro Arància pustulosa sono sottoposte alla concentrazione del mezzo liquido che li circonda. Questo, prima dell’esperienza, aveva ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. Meni. XIX. 2 10 Giuseppe Russo (Memoria XJX.] x-20 — 533 X 10 4 e A := 2°, 172. 11 liquido cavitario presenta x20:= 533 X IO-4 e A =: 2Ù,21. Valore di x20 X IO-4 V a lo re di A coefficiente di reazione medio Ore acqua marina concentrata liquido organico acqua marina concentrata liquido organico nel primo inter- vallo di tempo in tutto il tem- po rimanente 9. 30 654 533 2°. 67 io o IO 10. 30 637 . — 2°. 60 — 11. 30 624 582 2°. 57 — 39 5, 40 12. 30 622 — 2°. 55 — 13. 30 620 2°. 53 — 14. 30 615 613 2°. 50 2°. 53 Esperienza XI. — 4 Maggio. Sei Holothuria tubulosa subiscono una forte diluizione dell’acqua marina. Queste, prima dell’esperienza, ha x20= 534 X IO-4 e A — 2°, 1 74. Il liquido cavitario ha x20 = 532 X IO-4 e A 2°, 19. Valore di x20 X IO-4 Valore di A coefficiente di reazione medio ut e acqua marina liquido acqua marina liquido nel primo inter- in lutto it tem- diluita interno diluita interno vallo di tempo po rimanente 8. 30 342 532 1°, 40 io o 9. 30 363 — 1°, 49 — 10. 30 374 1°, 52 — 21 7 11. 30 385 — lC 58 — 12. 30 392 425 1°, 60 — 14. 30 397 409 1°, 62 — 14. 30 402 404 1°, 65 1°, 68 Serie IV. — Nelle precedenti esperienze, gli effetti del potere di regolazione smotica si comunicavano ad una mediocre quantità di acqua in modo che l’adattamento al mezzo anisotonico si raggiungeva per variazioni in senso opposto dell’acqua stessa da una parte e dei liquidi interni dall’altra. Nelle seguenti invece, gli organismi su cui si sperimenta, reagiscono su una grande quantità di acqua e questa perciò si modifica poco nella sua costituzione chimico-fìsica, durante l’esperienza, mentre l’adattamento si ottiene con un'escur- sione più ampia delle costanti fisico-chimiche dei liquidi interni. Ci avviciniamo così, come si vede, alle condizioni naturali. Esperienza XII. — 7-8 Maggio. Dieci Strongilocentrotus lividus sono sottoposti alla diluizione dell’acqua marina (8000 cm. c.). Questa, prima dell’esperienza, aveva x20 = 533 X IO-4. Il liquido celomico presentava x20 = 534 X IO'4 . Data ed ora Valore di x20 X IO-4 coefficiente di reazione medio acqua marina diluita liquido interno nel primo inter- vallo di tempo in tutto il tem- po rimanente 7 Maggio - ore 9 360 534 10 361 — 12 362 — l 0, 35 » 16 365 — 8 Maggio - ore 8 368 408 16 371 375 » 18 372 373 L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 11 Esperienza XIII. — 9-10 Maggio. Dodici Holothuria tubulosa subiscono la con- centrazione dell’acqua marina. Questa, prima dell’esperienza, ha x20 = 532 X IO-4. Il li- quido celomico ha x20 = 533 X IO-4 . Data ed ora 9 Maggio - ore 9 10 Maggio - ore 8 Valore di x20 X IO-4 acqua marina liquido concentrata interno 632 533 630 — 629 — 628 — 625 598 624 — 623 619 622 620 coefficiente di reazione medio nel primo in- in tutto il tervallo tempo di tempo rimanente 2 0, 30 Questa serie di esperienze dimostra che 1’ adattamento all’ acqua marina anisotonica richiede un maggior tempo e si fa quasi intieramente a spese delle variazioni osmotiche dei liquidi interni, quando gli organismi sono in presenza di un grande volume di acqua. Ciò avviene appunto in condizioni naturali. Serie V. — Volli anche studiare l’influenza della temperatura sulla rapidità della rea- zione di adattamento al mezzo anisotonico. Le due esperienze seguenti sono state fatte operando sulla stessa specie, lo Sphae- rechinus granular is. Ho posto cinque esemplari in un termoregolatore a 30° con 1000 cm. c. di acqua marina diluita e cinque esemplari in uno a 7° con 1000 cm. c. di acqua marina diluita allo stesso titolo della precedente. Ecco i risultati: Per gli Sphaerechinus a 30° Ore Valore di x20 X IO"4 coefficiente di reazione medio Durata della reazione acqua marina diluita liquido celomico nel primo in- tervallo di tempo in tutto il tempo rimanente 9. 30 360 535 ore 5. 30 10. 30 398 — 38 13. 1 15 457 455 Per gli Sphaerechinus a 7° 9. 30 360 535 10. 30 377 — 17 ore 7, 40 13 423 - — - 17. 10 454 457 Queste ed altre esperienze, che per brevità ometto, dimostrano che, a parità di condi- zioni, le temperature alte sono più favorevoli delle basse allo svolgimento della reazione. Ciò va inteso, si capisce, entro certi termini. 12 Giuseppe Russo [Memoria XIX.] Ho pure stabilito i limiti entro cui è possibile l’ adattamento all’ acqua marina aniso- tonizzata. In generale gli animali da me considerati non sopportano diluizioni brusche mag- giori di quelle che abbassano x20 al valore di 315 X IO-4 . Colle diluizioni graduali si può spingere più oltre questo limite. Meno resistono in generale alle concentrazioni non adat- tandosi bruscamente ad un’acqua che abbia x20 maggiore di 670 X IO-4. Anche qui, il li- mite può essere alquanto spostato procedendo gradualmente nella concentrazione. Discussione delle esperienze. L'azione regolatrice del tono osmotico, negli Echinodermi, si svolge entro certi limiti e con diverse modalità secondo che gli animali sono immersi in un volume di acqua marina scarso o abbondante. Nel primo caso, appena coi mezzi speri- mentali si rompe l’equilibrio isotonico tra l’ambiente interno e l’esterno, incomincia un pro- cesso per cui la conduttività elettrica va incontro a variazioni progressive ed opposte nei due ambienti liquidi, che tendono vicendevolmente ad allivellare il tono osmotico. Il processo termina allorché le due serie di variazioni s’ incontrano : tale punto segna il ristabilirsi del- l’equilibrio. Questo pertanto si raggiunge, com’ è chiaro, col concorso delle escursioni osmo- tiche inverse nei due liquidi e perciò ha luogo ad un livello superiore che se la regolazione dipendesse esclusivamente dal liquido organico interno. Altrimenti avviene quando 1’ acqua marina è abbondante per es. nel caso delle esperienze XII e XIII. Come dimostrano le rela- tive tavole, qui, al sopraggiungere dell’ anisotonia, l’acqua varia pochissimo nella sua costi- tuzione fisico-chimica, mentre i liquidi interni presentano una più estesa ed ampia escur- sione nel valore di x per mettersi in accordo osmotico con l’ambiente esterno. Rappresentan- doci infine smisuratamente maggiore la quantità di acqua, ci troviamo di fronte alle condizioni naturali, in cui gli organismi per correggere gli effetti dell’ anisotonia si affidano unicamente alle modificazioni dei loro liquidi cavitari interni. Per la minuta analisi dei fenomeni di regolazione osmotica, io mi son posto preva- lentemente nelle condizioni del primo caso che mi ha permesso di coglierne, come ho detto, i diversi momenti, col vantaggio di poterli a piacere ingrandire o impicciolire dosando op- portunamente la quantità dell’ acqua marina da impiegare per 1’ esperimento. Le tavole delle diverse esperienze dimostrano anzitutto la perfetta reciprocità che esi- ste tra i valori di cui si sposta x in un liquido e quelli di cui esso si sposta in senso in- verso nell’ altro. Ora tale reciprocità dipende esclusivamente dal rapporto tra il volume dell’ acqua impiegato e quello complessivo dei liquidi organici degli organismi posti in esperimento, nel senso che, se preponderà l’uno, offrirà più ampii dislivelli l’altro nelle curve della conducibilità elettrica e viceversa. Per maggiori dettagli sull’ andamento delle variazioni chimico-fisiche nell’ acqua ma- rina anisotonizzata, durante il processo della regolazione osmotica, conviene accennare ai vari accidenti che le curve relative presentano in intimo rapporto con lo svolgimento del processo medesimo. In tutte (vedi le tavole) è manifesto il primo grande salto del valore di x che segna la prima fase della reazione durante la quale è più intenso l’ intervento dei fattori specifici. Io ho per maggiore chiarezza, aggiunto nella maggior parte delle ta- vole, un cosidetto coefficiente di recisione medio che considerato distintamente nel primo momento del fenomeno e in tutto il rimanente tempo che precede 1’ adattamento finale, esprime chiaramente la maggiore attività con cui i liquidi organici si modificano subito dopo la rottura dell’ equilibrio isotonico, in confronto con gli stadi ulteriori. Altri accidenti presenta ancora la curva, ma essi hanno minore importanza ed indicano spesso 1’ interfe- renza di parecchi fattori che non è possibile vagliare singolarmente. L'accordo dei poteri di regolasione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 13 Sorge ora il quesito che riguarda più da vicino l’intimo meccanismo della regolazione osmotica, quello cioè degli scambi liquidi che necessariamente debbono aver luogo tra l’acqua e gli organismi per l’ allivellamene) della concentrazione molecolare. Noi abbiamo per così dire sorpreso questi passaggi di liquido, registrando le escursioni opposte nel va- lore di x, che acqua e liquidi interni presentano, al sopraggiungere dell’ anisotonia. Se concentrando l’acqua marina il suo valore di x subito retrocede, ciò significa che dell’acqua o delle soluzioni meno concentrate debbono esser cedute ad essa dagli organismi, i cui li- quidi interni al contrario offrono un aumento nel valore dello stesso coefficiente; un ra- gionamento inverso deve farsi nel caso della diluizione. Tuttavia questi soli dati non sono sufficienti a risolvere altre questioni : Le membrane organizzate degli Echinodermi permet- tono parzialmente o totalmente il passaggio dei sali insieme con 1’ acqua o vi si oppon- gono affatto ? L’ equilibrio isotonico si ristabilisce per semplice passaggio del solvente op- pure per passaggio del solvente e del soluto ? A me non sembra più discutibile, dopo le ricerche di Enriquez (6) e specialmente dopo i risultati recenti di V. Henry e S. Lalou (9) il ritenere semipermeabili le membrane degli Echinodermi: esse permettono il passaggio del solvente ma si oppongono al pas- saggio delle sostanze saline disciolte. Ciò va però ristretto entro certi limiti di dislivello osmotico, giacché quando tra l’acqua marina ed i liquidi organici esiste una notevole ani- sotonicità, ho potuto constatare l’emissione di rilevante quantità di sale insieme con l’acqua attraverso il tegumento ed una fuoruscita di materiale colloidale di tipo mucoide che trovai diffuso nei liquidi organici circolanti nel sistema lacunare. Da alcuni studi fatti da Enri- quez sulle Lininee (16) risulta che in questi animali la regolazione osmotica avviene per semplice passaggio di acqua, ciò che implica, in un primo momento, 1’ aumento di peso nell’animale sottoposto a soluzioni più diluite di quelle interne, e la diminuzione di peso nell’ animale sottoposto a soluzioni più concentrate delle interne. In seguito, quando cioè 1’ equilibrio osmotico è raggiunto per un tal processo, le membrane organiche dianzi per- meabili alla sola acqua, lo diventerebbero anche per i sali e così il peso ed il volume dell’ animale può di nuovo essere ricondotto al valore iniziale. Pur non negando che tale meccanismo intervenga nella regolazione osmotica degli Echinodermi, non mi sembra però ammissibile che esso agisca da solo nè che si svolga con le stesse modalità descritte nelle Limnee. Già la semplice considerazione che nella maggior parte dei casi, specialmente ne- gli Echinidi, esiste un guscio solido ed inestensibile attorno all’animale, esclude senz’altro che possa aver luogo per es. 1’ introduzione di una certa quantità di acqua, senza un meccanismo compensatorio qualunque, perchè dovrebbe provocare un aumento di volume che è impossibile. L’esame delle variazioni di peso durante il processo di regolazione aiuta non poco questo nostro modo di apprezzare i fatti. Come risulta dalle tavole annesse alle esperienze della serie II, all’aumento di concentrazione dell’acqua marina gli animali sof- frono una diminuzione di peso e alla diminuzione di concentrazione rispondono con un au- mento di peso, ma si tratta di un fenomeno fugace quantunque rappresenti certamente un -effetto del passaggio osmotico della sola acqua attraverso le membrane. Tali variazioni si cancellano infatti, meno qualche eccezione (Oloturie), subito dopo le prime fasi della rea- zione senza che ancora 1’ allivellamento isotonico sia vicino a raggiungersi. A processo finito si nota poi, abbastanza regolarmente, una piccola diminuzione di peso negli animali sottoposti alla diluizione del mezzo acqueo ed un piccolo aumento nel caso opposto : tanto 14 Giuseppe Russo [Memoria XIX. 1’ uno che 1’ altro si spiegano in parte colla modificazione della densità dei liquidi interni apportata dalle condizioni sperimentali. Concludendo possiamo così riassumere il contenuto di questo capitolo: Durante la reazione alle soluzioni anisotoniche la conduttività elettrica dei liquidi organici presenta variazioni progressive ed opposte a quelle delle soluzioni stesse finché l’ equilibrio osmotico è di nuovo raggiunto. Il primo momento della reazione è contrassegnato da una variazione più ampia di tutte che indica la maggiore atti- vità del processo. Lo stesso momento è accompagnato anche da una variazione nel peso degli animali, che si spiega razionalmente col semplice passaggio osmo- tico dell’ acqua dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata. Tale spiegazione è anche di accordo con i risultali di altri autori che dimostrano la semi permeabilità delle membrane degli Echinodermi. A partire dalle prime fasi del processo però, mentre le variazioni chimico-fisiche progrediscono , il peso ri- torna al valore iniziale. Quest’ ultimo risultato dovuto essenzialmente alla combinazione del metodo delle pe- sate successive con quello delle determinazioni di conduttività elettrica dell’ acqua marina, ci conduce a sospettare o un meccanismo regolatore della quantità dei liquidi interni ov- vero 1’ intervento di qualche fattore di adattamento osmotico differente dall’ osmosi oppure 1’ uno e 1’ altro insieme. Ma per rispondere a ciò conviene trattare alcune questioni che formano oggetto del capitolo che segue. IV. La regolazione idrostatica. Gli organismi acquatici, oltre che alla regolazione della pressione osmotica debbono provvedere al mantenimento dell’ equilibrio tra la pressione idrostatica interna e quella del mezzo ambiente. Oltre a ciò debbono conservare un opportuno rapporto tra il loro peso ed il loro volume in modo che, prescindendo da qualunque intervento funzionale, occu- pino, in seno al liquido che li bagna, una posizione determinata. Negli Echinodermi lo studio di tali processi acquista un interesse fondamentale per la calcificazione del loro te- gumento che impedisce od ostacola grandemente i cambiamenti di volume del corpo. Ho già rilevato che con questo studio si collegano anche importanti questioni relative alle reazioni osmotiche e perciò ho creduto dover dare un cenno alle idee che si hanno in proposito aggiungendovi il mio contributo di osservazioni. Molte cause tendono a far variare negli Echinodermi il volume dei liquidi interni e la loro pressione idrostatica. Si rifletta per es. allo spazio notevole che le gonadi lasciano libero nella cavità peritoneale, dopo 1’ espulsione dei loro prodotti, e alla loro riattivazione successiva che determina una nuova occupazione di quello spazio, per persuadersi che l’a- nimale soffre, in queste alternative, considerevoli variazioni della pressione idrostatica in- terna che non possono essere compensati da corrispondenti cambiamenti nel volume del corpo, per la rigidità delle pareti. Collocando all’asciutto gli animali, ho potuto osservare, che essi lasciano sfuggire dal loro interno del liquido per inumidire le pareti del corpo e che dopo un certo tempo la diminuzione di peso causata da tale emissione di liquido è tale che essi riportati nell’ acqua marina vi galleggiano. Orbene in questi diversi casi, come L'accordo dei poi eri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 15 dimostra 1’ osservazione, esistono i mezzi funzionali per ripristinare il peso e la pressione interna e ciò non potendosi spiegare, come in altri animali (Anellidi, Molluschi ecc.), con l’espansione o la contrazione del tegumento, convien ammettere 1’ esistenza di meccanismi regolatori atti ad introdurre liquido dal di fuori o smaltire quello di dentro. Quantunque ciò sembri certo, tuttavia il problema del mantenimento della pressione idrostatica e del peso è ancora assai controverso in questi animali ed irto di difficoltà. Sinapte. Per determinare un aumento di pressione nella cavità generale delle Sinapte, basta irritare un punto della parete del loro corpo. Il segmento colpito si contrae cacciando il liquido da esso contenuto nel resto del corpo che cosi si rigonfia. Se l’irritazione è brusca ed estesa la pressione aumenta a tal punto da provocare lo scoppio della parete del corpo e l’espulsione dei visceri : è ciò che accade immancabilmente quando s’immerge uno di questi animali in un fissatore qualunque (formalina, alcool ecc.) Da questi fatti pare si debba concludere che le Sinapte non possano in alcun modo diminuire il contenuto liquido del loro interno. Tuttavia Petit sostiene (11) che per la via dell’ano avvenga 1’ emissione dell’ eccesso di liquido racchiuso nella cavità generale, quando il corpo si contrae. Quantunque io non abbia osservazioni per saggiare il valore di questa osservazione che urta col concetto delle semipermeabilità delle membrane generalmente annesso negli Echimodermi (Enriquez, Henry e Lalou), tuttavia non trovo strano, come Cuénot, (4) che un forte aumento di pressione possa rendere membrane separanti soluzioni di equale tonicità permeabili all’ acqua e ai sali, anche se dianzi non lo erano. Oloturie. In questi animali che, come le Sinapte, sono capaci di modificare il volume del corpo, le questioni di cui ci occupiamo non presentano notevoli difficoltà, ed i processi di regolazione idrostatica si possono seguire molto nettamente da vicino. Se un’ Oloturia, mentre è completamente espansa , con i tentacoli boccali estroflessi , viene bruscamente sottratta all’ acqua, si può osservare che essa dapprima caccia dall’ano il liquido rac- chiuso nei suoi organi arborescenti ed invagina i suoi tentacoli ; di poi 1’ ano si chiude e 1’ animale assume, per la contrazione di tutti i muscoli, una notevole rigidità. La spie- gazione del fenomeno è facile: la contrazione dei tentacoli, il rigonfiamento delle vescicole ambulacrali interne, la retrazione del disco boccale e dei tentacoli nell’interno del faringe, infine la contrazione della musculatura radiale sono tutte cause che tendono ad accorciare l’animale e a diminuire il suo volume interno: a questo aumento della pressione 1’ animale reagisce espellendo il liquido contenuto negli organi arborescenti. Si può, riproducendo un esperimento di Herouard, (8) costringere un’Oloturia a restare espansa, chiudendole l’ano con una pinza od una legatura. Un processo opposto avviene quando si riporta 1’ Oloturia contratta nell’ acqua : la musculatura sì rilascia, i tentacoli si svaginano, 1’ animale si al- lunga, la pressione interna diminuisce. Anche in questo caso sono gii organi arborescenti a correggere tali cambiamenti, con un nuovo riempimento che li fa inturgidire e dilatare considerevolmente nella cavità generale. Questi organi hanno dunque il valore di apparecchi compensatoli degli squilibri idrostatici, svuotandosi o riempiendosi in relazione con i cam- biamenti della pressione interna. Fin qui abbiamo soltanto considerato la regolazione idro- statica; ma di un altro meccanismo è d’uopo tener parola per il quale questi animali mantengono un rapporto costante tra il peso ed il volume in modo da guadagnare sempre il fondo del liquido che li bagna. Noi possiamo artificialmente ridurre questo rapporto sia aspirando con una siringa del liquido celomico dalla cavità generale, sia costringendo gli animali ad espellere i visceri, ciò che, come si sa, riesce facilmente. Ebbene nel primo 16 Giuseppe Russo [Memoria XIX.] caso, pur entrando in gioco il meccanismo riparatore rappresentato dagli organi arbore- scenti con l’ aiuto delle contrazioni della musculatura tegumentale, è tuttavia necessario ammettere l’introduzione di nuovo liquido perchè l'animale, mentre prima galleggia ed è raccorciato, dopo un certo tempo si espande, va al fondo, e presenta presso a poco la quantità iniziale dei liquidi cavitari. Come entra 1’ acqua marina per rifornire le cavità del corpo e ristabilirvi una certa pressione idrostatica ? lo sostengo che 1’ apparato digerente, gli organi arborescenti e forse anche tutte le membrane del corpo, quando esiste una certa differenza di pressione tra le soluzioni che essi separano con le loro pareti, possano dive- nire permeabili all’ acqua e ai sali lasciando passare del liquido dal luogo di maggior pressione a quello di minor pressione. Che avvenga realmente il passaggio non della sola acqua ma anche delle sostanze saline ci vien dimostrato dal fatto che, durante il processo, non variano menomamente le costanti fisico-chimiche del liquido celomico che io ebbi cura di saggiare per una determinazione completa dell’ entità del fenomeno. Più facile è l’introduzione dell’acqua marina nel caso dell’espulsione dei visceri. La rottura dell’intestino crea infatti una larga apertura attraverso la quale il liquido cavitario è in comunicazione con l’ esterno. Ofiuree. Questi animali, a differenza dei precedenti non sono capaci di variare note- volmente di volume. Gli organi genitali colle loro alternative funzionali e 1’ apparato dige- stivo colle sue variazioni di pienezza, possono determinare squilibri di pressione tra l’in- terno e l’esterno che sono facilmente compensati dalla maggiore o minore depressione dei sacchi respiratori (o della parete esofagea in Ophiactis virens che è priva di sacelli). Questi organi provvedono dunque alla funzione idrostatica. Echinidi ed Asteridi. Per l’ assoluta rigidità del loro tegumento, in questi animali è abolita qualunque variazione considerevole di volume e. perciò i processi idrostatici offrono il maggiore interesse. Negli Echinidi i cangiamenti di pressione dovuti al gioco degli am- bulacri sono facilmente corretti dal tubo digerente che può dilatarsi e assottigliarsi e dalla membrana periboccale che segue, deprimendosi o sollevandosi in fuori, le variazioni di pressione trasmesse al liquido perifaringeo dal liquido celomico. Negli Asteroidi la proie- zione del tubo digestivo in fuori per afferrare la preda, è dovuta al brusco aumento di pressione nella cavità generale causato dalla contrazione dei muscoli del corpo; la retra- zione successiva è l’ effetto del rilasciamento dei muscoli parietali e della contrazione delle briglie esofagee. In questi animali i piccoli cangiamenti della pressione idrostatica interna dovuti al funzionamento degli ambulacri sono compensati dal tubo digestivo e dalle bran- chie dermiche a cui sono trasmesse le variazioni di pressione della cavità generale gene- rate dagli spostamenti del liquido delle braccia. In animali in cui il corpo ha un volume quasi costante ed in cui non sono conosciuti, come in altri organismi, speciali apparecchi emunton, ho creduto di non lieve interesse ricercare i meccanismi che valgono a correggere i dislivelli idrostatici tra l’ interno e 1’ e- sterno, quelli in ispecial modo provocati dagli agenti sperimentali di vario genere che of- frono, come vedremo, un eccellente criterio per apprezzare i processi analoghi dovuti alla funzione genitale ed agli scambi osmotici. Ho scelto il mio materiale di studio prevalentemente tra i grossi Echinidi, che mi hanno permesso, per la loro conformazione, i risultati che andrò esponendo. In una prima serie di tentativi sperimentali, volli ridurre il volume del liquido celomico, con diversi artifizi, provocando non sole; un abbassamento di pressione nell’ interno, ma L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 17 anche una diminuzione di peso tale da costringere gli animali a galleggiare. Si può ottenere ciò, in una maniera molto facile, mettendo gli animali all’asciutto per un certo tempo. In queste condizioni essi lasciano sfuggire da varie parti del corpo il liquido interno, pur man- tenendosi in vita, se l’ esperimento non si protrae. Ebbene, un fatto che si può invariabil- mente costatare negli animali così trattati è il reintegrarsi della pressione interna e del peso per cui essi, dopo un certo tempo, finiscono col guadagnare di nuovo il fondo del reci- piente che li contiene. Esiste adunque una regolazione della pressione e del peso. Per dimostrare la stessa cosa, si può anche estrarre artificialmente una certa quantità di liquido dalla cavità generale con una siringa e dopo aver ben turato la piccola apertura, si collochino di nuovo gli animali nell’ acqua. Riporto qui alcuni dati numerici che riflettono bene il fenomeno. Ad un grosso Sphaerechinus ho estratto per es. g. 75 di liquido celomico in modo da ridurre il peso primitivo da g. 260 a g. 185; l’animale riportato nell’acqua galleggiava e coi pedicelli faceva ostinati tentativi per aggrapparsi ad un sostrato senza però riuscirvi; se lo si col- locava col polo orale in alto, esso mostravasi vieppiù agitato ma non gii veniva fatto di riassumere la posizione abituale colla bocca in giù che soddisfa probabilmente a certe con- dizioni di stereotropismo positivo. Questo stato non durò però a lungo. Un’ora dopo il peso dell’animale era cresciuto da g. 185 a g. 191, tre ore dopo raggiungeva g. 212 ed otto ore dopo g. 243; a questo punto l’animale si trovò raddrizzato con i pedicelli im- piantati sul fondo della vaschetta e avendolo sacrificato, vi trovai nella cavità generale circa g. 56 di liquido. Questo ed altri sperimenti dello stesso genere dimostrano che il liquido esterno può in certe condizioni penetrare nell’interno degli organismi di cui ci occupiamo e rimanervi; per reintegrare l’equilibrio idrostatico turbato da una causa qualunque. Per rispondere ad un’altra questione, se cioè passa soltanto il solvente ovvero anche gli ioni delle sostanze saline in esso disciolte, io ho, in questi ultimi esperimenti, stabilito i valori di x e A del- l’ acqua marina e del liquido estratto dall’ animale esaminato e poscia ho eseguito diversi saggi su animali di controllo appartenenti alla stessa specie e sottoposti allo stesso tratta- mento per accertarmi se, durante l’ introduzione del liquido marino, il valore di x e A va- riasse sensibilmente. Siccome nessuna variazione di tal genere costatai nè nel liquido ca- vitario interno di questi animali nè nell’acqua marina che li bagnava, devo concludere che gli elementi costituenti quest’ ultima passano in totalità. Del resto se, in questo caso alme- no della regolazione idrostatica, il passaggio dell’acqua marina non fosse totale, facilmente si capisce come tale processo, mentre allivellerebbe le pressioni idrostatiche tra l’ambiente esterno e l’ interno, discosterebbe le pressioni osmotiche, provocando un atto di regolazione isotonica che, per la semipermeabilità delle membrane , includerebbe un nuovo squilibrio idrostatico e così via. Le stesse cause che determinano un richiamo di liquido nelle cavità interne, richie- dono, in condizioni opposte, un’espulsione del liquido eccedente che tende ad esagerare la pressione idrostatica interna. E così, per citare un esempio, che l’ inturgidimento delle go- nadi, ad ogni ripresa funzionale, deve accrescere talmente la pressione interna da costringere il liquido celomico a sfuggire. Ciò è più difficile a provare sperimentalmente. Io ho, a tale scopo, introdotto nella cavità generale l’ ago di una siringa e l’ ho quindi saldato bene nell’ apertura praticata con del cemento. Esercitando dolcemente una certa pressione sul liquido interno con la siringa piena dello stesso liquido estratto ad altri animali, ho potuto ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. Meni. XIX. , ] 8 Giuseppe Russo [Memoria XIX.] costantemente osservare che esso da varie parti del corpo veniva fuori. L’emissione può rendersi più evidente iniettando il liquido organico colorato con bleu di metile. Anche in questo caso si può costatare che le proprietà chimico-fìsiche del liquido sfuggente dall’ in- terno in nulla differiscono da quelle della soluzione contenuta nella cavità generale e che anche le proprietà chimico-fisiche di quest’ ultima rimangono pressoché inalterate, durante la regolazione. In una seconda serie di ricerche, volli studiare il processo della turgescenza degli ambulacri sottoponendolo a varii artifizi di ordine sperimentale ; queste ricerche hanno stretta attinenza con le questioni idrostatiche che ho trattato. L’ apparato ambulacrale così caratteristico degli Echinodermi funziona, come si sa, per l’inturgidimento delle appendici pedicellari dovuto all’ afflusso del liquido nel loro interno ; una volta che l’ erezione dei pedicelli è avvenuta, una disposizione valvolare esistente alla loro base , impedendo il ritorno del liquido, tende a mantenere tale stato. È facile determinare l’ afflosciamento dei pedicelli ; basta sottoporli a squilibri idrostatici od osmotici di vario genere che richiedano una perdita del liquido in essi contenuto. Si esageri per es. la pressione idrostatica nella cavità generale : le vescicole ambulacrali interne saranno depresse ed il loro contenuto sfuggirà nell’interno dei pedicelli dove apporterà un aumento di pressione ; per reintegrare l’equilibrio idrostatico i pedicelli si sgonfieranno. Più facile influenza hanno però le cause che agiscono sugli ambulacri direttamente, come quando per es. si porta l’animale fuori dell’ acqua o lo si sottopone a soluzioni concentrate. In ambedue i casi i pedicelli si re- traggono: nel primo ciò avviene, io credo, per la perdita di liquido provocata dallo squi- librio idrostatico tra il contenuto del pedicello e l’aria; nel secondo, perla perdita di acqua dovuta allo squilibrio osmotico tra il contenuto del pedicello e la soluzione concentrata. Le forti diluizioni del mezzo liquido disturbano pure profondamente il funzionamento degli ambulacri, determinando nell’ interno dei pedicelli un passaggio di liquido che esagerandovi la pressione idrostatica è seguito da un afflosciamento dell’organo: per questo, molto pro- babilmente, trattandoli con soluzioni diluite, gli animali smarriscono per un certo tempo la facoltà di raddrizzarsi quando sono collocati con la bocca in su. Ora si presenta il problema che riguarda il meccanismo dell’ adattamento idrostatico, e la regolazione della turgescenza e del peso. Ho cominciato coll’ escludere la funzione dell’apertura madreporica occludendola completamente con un cemento siliceo. Subito gli animali cominciavano a perdere la facoltà di inturgidire pienamente gli ambulacri, tanto da conservare anche la posizione incongrua col polo orale superiormente. Poco dopo si vede- vano i pedicelli svuotati, penduli, piegati, ogni tentativo di cangiar posizione riusciva in- fruttuoso, infine ogni motilità era abolita e 1' animale rimaneva fisso come se fosse morto, coi pedicelli intieramente retratti. Gli effetti dell’ occlusione della placca madreporica mi pare dimostrano due cose, che cioè normalmente, gli ambulacri soffrono una perdita con- tinua di liquido per quanto lieve, non ostante la disposizione valvolare che ostacola qua- lunque reflusso per il canale radiale; che tale perdita è riparata da un richiamo di liquido per la via del madreporite e che perciò senza questo meccanismo gli ambulacri vanno incontro a profondi disturbi funzionali. Una conferma di tale interpretazione si trova nel modo di comportarsi di singoli tratti ambulacrali staccati dal resto dell’ animale e perciò privi del madreporite, del canale acquifero e della connessione col resto del sistema am- bulacrale. Se si studia per es. un braccio di Asteria, si può osservare che esso mentre dapprima è mobile, di poi, a poco a poco, perdendo i pedicelli la necessaria eregibilità, L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 19 cangia meno di posto, finché qualunque gioco degli ambulacri si spegne ed esso rimane assolutamente fermo. E probabile che la lieve ma continua perdita di liquido che gli am- bulacri presentano in condizioni normali , sia dovuta ai loro movimenti di retrazione che accompagnano in diversa misura il funzionamento del sistema complessivo. Durante la retrazione infatti, per l’ostacolo valvolare, il liquido del pedicello è fortemente compresso dalla musculatura dell’ organo e deve tendere perciò a scappar fuori attraverso la parete per l’equilibrio delle pressioni idrostatiche (1). Intorno al meccanismo del mantenimento della pressione nelle cavità del corpo, ecco quanto possiamo sostenere. Tutte le cavità tendono ad una medesima legge di allivella- melo idrostatico come ci è dimostrato dai superiori esperimenti. Per noti principi fìsici, una variazione di pressione in un punto si trasmette in tutte le direzioni per estendersi con eguale intensità a tutto il corpo dell’animale non solo ma anche all’ambiente esterno. Le pertubazioni della pressione esterna d’ altra parte, tendono pure a propagarsi nell’ interno degli organismi studiati i quali non sono capaci di reagire con adatti cambiamenti di vo- lume, come fanno altri animali. Ora le membrane del corpo impediscono che tali processi di coordinazione idrostatica si svolgano immediatamente e quindi è opportuno studiare il loro contegno di fronte a qualunque dislivello di pressione. E qui ci si presenta subito una domanda: le membrane organizzate degli Echinodermi offrono una barriera insormontabile agli joni sciolti nelle soluzioni isotoniche che esse se- parano oppure no? Come ritengo dimostrata la loro semipermeabilità rispetto agli scambi osmotici, altrettanto indiscutibile mi sembra la loro permeabilità ai diversi costituenti delle soluzioni fra cui s’ interpongono quando queste siano sottoposte a diversa pressione sulle loro due facce. Tale conclusione deriva dai seguenti argomenti: 1. Perchè, ammesso il potere regolatore della pressione idrostatica, questo, ove le membrane permettessero par- zialmente il passaggio ai costituenti delle soluzioni, provocherebbe costantemente accanto all’equilibrio idrostatico lo squilibrio osmotico il quale alla sua volta, per il corrispondente atto di regolazione, condurrebbe ad un nuovo squilibrio idrostatico. 2. Le analisi del potere osmotico e della conducibilità elettrica, durante i processi di regolazione idrostatica, non accennano ad alcuna variazione nel contenuto salino dei liquidi interni e dell’acqua marina. Posto in sodo ciò, dobbiamo ammettere che ogni qualvolta una di tali membrane, frap- posta a due soluzioni, sia diversamente premuta da ambo le parti, avviene un passaggio di soluzione dal luogo di maggiore a quello di minore pressione che tende a reintegrare 1’ equilibrio. In questi fenomeni consistono la maggior parte dei meccanismi della funzione idrostatica. Si potrebbe però pensare a comunicazioni dirette dell’ ambiente esterno con le cavità interne per cui i processi di cui ci occupiamo potrebbero spiegarsi senza invocare i supe- riori fattori. Una di tali comunicazioni è infatti- dimostrata a livello dell’ ampolla madrepo- rica la quale, come si sa, si continua da una parte col canale acquifero e dall’ altra con una cavità che fa parte del celoma, il seno assiale. Ma tale seno è ingombrato da un organo linfoide, l’organo assile e limitato da membrane; oltre a ciò rappresenta una por- zione assai ristretta delle cavità interne: non si può quindi, senza 1’ aiuto dei fattori messi (i) In Spatangus purpureus in cui il canale acquifero, essendo obliterato superiormente, ha perduto la comunicazione con l’anello circum-orale, devono esistere altri congegni corrispondenti per la turgescenza degli ambulacri. 20 Giuseppe Russo [Memoria XIX.] avanti, intendere come per questa via possano direttamente svolgersi le regolazioni idro- statiche. In tutti i punti dei corpo, dove esistono membrane, può a priori immaginarsi che av- vengano i passaggi di liquido, quando il bisogno lo richiede. Le membrane del tubo dige- rente possono certamente assorbire l’acqua marina, quando siano in qualche modo distese da uno squilibrio di pressione, come ha dimostrato Conheim e confermato Enriquez, almeno per questo caso. Nelle stesse condizioni è assai probabile che le membrane dei tratti am- bulacrali, del seno assiale, le periboccali ecc. servano all’ assorbimento o all' escrezione dell’ acqua marina. Ma io credo con Cuenòt, che anche attraverso il tegumento costituito di un materiale calcareo canalicolato passino correnti di liquido per correggere i dislivelli idrostatici. Mi pare infatti di aver sicuramente osservato un’emissione del liquido interno anche attraverso le pareti delle zone interambulacrali, quando si esagera ad arte il valore della pressione interna con i metodi suindicati. Crinoidi — Sono provvisti, come si sa, di numerosi idropori attraverso cui l’ acqua marina è in comunicazione con la cavità generale. È possibile che per queste vie venga assicurata la regolazione della pressione idrostatica interna e la turgescenza nel sistema dei vasi acquiferi, il quale possiede delle aperture in piena cavità celomatica. Riassumendo : Gli Echinodermi sono dotati di meccanismi regolatori della pres- sione idrostatica che in parte suppliscono alla scarsa o nessuna estensibilità della parete del corpo. I piccoli squilibri sono facilmente compensati dai movimenti coordinati degli organi suscettibili di contrazione e di espansione (tubo digerente , organi arborescenti, sacelli respiratori ecc). I grandi squilibri sono corretti da passaggi di liquido attraverso le mem- brane. Mentre negli scambi osmotici queste sono semipermeabili ( almeno negli esempi finora studiati), si mostrano assolutamente permeabili nel caso in cui una certa pressione le distenda da una delle loro facce. Pare che nei soli Crinoidi, possa avvenire direttamente un passaggio dell’ acqua marina nella cavità generale-, nelle altre classi le comunicazioni con l’ esterno, quando esistono, riguardano es- senzialmente i fenomeni di turgescenza dell' apparato ambulacrale. V. Il Meccanismo della regolazione osmotica e 1’ accordo funzionale tra i diversi poteri regolatori. I risultati esposti nel cap. Ili, riflettenti il decorso della reazione di adattamento ai mezzi anisotomici, ci portano a considerare queste diverse questioni : 1. Se essi possano attribuirsi a comunicazioni dirette tra l’ambiente esterno e l’interno. 2. Se possano dipendere da filtrazione attraverso le membrane dato che queste siano paragonabili a filtri e permettano perciò i fenomeni di diffusione come sostiene il Conheim. 3. Esclusi o ammessi in parte questi due processi, non resta che ricorrere al sem- plice passaggio osmotico del solvente attraverso le membrane. Ma ammettendo ciò non si può fare a meno dal considerare insieme ai fenomeni osmotici quelli idrostatici che ne sono la conseguenza. Discuteremo partitamente queste diverse possibilità di ordine teorico. L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 21 Anzitutto rilevo che a tali supposizioni ci conduce l’esame del peso degli animali nei singoli stadi della reazione di adattamento. Se noi avessimo potuto constatare un au- mento o una diminuzione regolare e progressiva del peso degli animali, secondo 1’ indole dell’ esperimento, fino al termine della reazione, come venne fatto per es. ad Enriquez nelle Limnee , noi avremmo potuto senz’altro deporre per l’ultima delle proposizioni che abbiamo formulate avanti e concludere che la regolazione nei nostri animali avviene per esclusivo o quasi passaggio del solvente attraverso le membrane. Ma 1’ esame del peso non ci dimostra un tal processo, ma semplicemente ce lo indica, durante il primo mo- mento della reazione. L’ esame della conduttività elettrica e di altre proprietà chimico-fisiche ci dimostra invece con la maggior chiarezza, che l’ acqua si modifica durante 1’ atto della regolazione osmotica e che le modificazioni cessano appena 1’ equilibrio isotonico si rag- giunge ; tuttavia poco ci istruisce sull’ intima modalità del fenomeno. Conviene quindi en- trare un po’ nella discussione di tutte le cause possibili valendoci di altri dati sperimentali fornitici da ricerche dirette sul comportamento delle membrane degli Echinodermi e dalle conoscenze anatomiche e fisiologiche su questo gruppo interessante di animali. Significato funzionale dei tubi acquiferi e del seno assile— L’importanza dei tubi acquiferi per il mantenimento della turgescenza nel sistema ambulacrale è stata già messa in evidenza avanti. Questi organi sono rivestiti internamente di ciglia capaci di determinare una corrente inalante (Hartog, Ludwig ed altri). In condizioni normali però, il sistema ambulacrale essendo pieno, 1’ ufficio di essi è limitato, come risulta dalle mie osservazioni sperimentali, a riparare la lieve ma continua perdita di liquido causata nei pedicelli dalle alternative funzionali di espansione e contrazione. Più attivo è 1’ intervento del tubo acqui- fero durante gli equilibri osmotici in cui esso è chiamato non solo a modificare il tono del liquido ambulacrale ma anche a compensare i cangiamenti di pressione idrostatica svol- gentisi nell’ interno di pedicelli, che altrove ho segnalato. Pertanto esso attinge acqua dal- 1’ esterno per trasmetterla al sistema che è sotto la sua dipendenza ; nelle classi in cui però il tubo o i tubi acquiferi sboccano nella cavità generale (Oloturoidi, Crinoidi), 1’ ere- zione delle appendici ambulacrali è garantita dal liquido celomico. Non m’intrattengo a discutere l’ufficio respiratorio, escretore, idrostatico che alcuni attribuiscono alle formazioni in discorso, nè voglio considerare l’ipotesi di Hartog accettata quasi da Bury che le ravvicinano, almeno anatomicamente, agli organi nefridiali. Soltanto mi preme segnalare la loro funzione preminente nelle reazioni di adattamento al mezzo anisotonico, che io ho potuto rilevare mediante un attento esame delle proprietà chimico- fisiche dell’ acqua marina contenente degli echinidi operati di ostruzione della placca ma- dreporica. Tali esperienze mi hanno concordemente dimostrato che le reazioni si svolgono, in queste condizioni, in un periodo molto più lungo che in condizioni ordinarie, come si deduce dalle lente variazioni presentate dall’ acqua nei singoli intervalli di tempo, a cui fanno riscontro, con eguale lentezza, le modificazioni inverse dei liquidi organici. In base a questi risultati, è lecito pertanto assegnare alle formazioni che comunicano col madreporite una grande importanza per la regolazione osmotica della crasi sanguigna (1). Riferendoci alle nozioni morfologiche che ci indicano i rapporti della placca madre- porica, ci appare chiaro che essa può non solo influire sui cambiamenti osmotici dell’ap- (i) Che ciò sia ammissibile risulta anche dal fatto che in Spatangtis il canale acquifero nasce diretta- mente dal seno assile, essendosi la sua comunicazione col sistema acquifero obliterata. Giuseppe Russo [Memoria XIX.] parato ambulacrale ma anche su quelli di una cavità, il seno assiale con cui essa pure è in diretta comunicazione. Questa cavità contiene o fiancheggia V organo assile , che è molto permeabile (Cuenòt) ed è limitata da sottilissime membrane che devono non poco favorirei processi osmotici. Oltre a ciò essa potendo assumere direttamente l’acqua marina ed offrendo una certa superficie libera agli scambi osmotici nell’ interno della cavità gene- rale, è presumibile che attraverso le sue sottili pareti a preferenza dello spesso tegumento calcareo, debbano verificarsi i processi diretti a regolare la crasi sanguigna. Ridotta in questi termini la partecipazione del madreporite ai meccanismi della reazione di adattamento osmotico, alla comunicazione diretta della cavità del seno assile con l’ ambiente esterno non si può accordare che l’ importanza relativa e subordinata allo svolgimento dei processi osmotici di una semplice disposizione sussidiaria per quanto utile. Con questa leggiera corsa nel campo della fisiologia dell’ apparato acquifero, è anche scartata la prima supposizione che abbiamo attinto dalle ricerche esposte avanti, che cioè l’adattamento osmotico pos- sa spiegarsi con un’influenza diretta dell’ambiente esterno sull’interno attraverso una qualsiasi comunicazione. L’unica via di penetrazione dell’acqua marina nelle interne cavità è quella di cui abbiamo discusso ed essa non ha importanza se non in quanto permette una maggior rapidità dei passaggi osmotici. Fanno però eccezione a questo riguardo i Crinoidi i quali presentando numerosi tubi idropori aperti nella cavità generale possono compiere, con ogni verosimiglianza, anche direttamente l’ allivellamento del tono dei loro liquidi con quello dell’ acqua marina. Per questo come per tante altre cause si discostano dagli altri Echinodermi. La semipermeabilità delle membrane. Consideriamo ora la seconda ipotesi, che cioè la regolazione osmotica potesse farsi attraverso membrane di diffusione. Se non che è assai poco probabile tale idea dopo le ricerche di Enriques (6), di Henry e Lalou (9) di Galeotti (10) ed altri. Veramente il Conheim la sostiene (3) ma le sue ricerche offrono il destro a gravi appunti di tecnica sperimentale per il fatto che egli si è messo, come ha rilevato acuta- mente Enriques, in condizioni patologiche piuttosto che fisiologiche. Le osservazioni meto- diche degli AA. succitati, su un grande numero di organi hanno messo invece in chiaro che non solo l’intestino, ma gli organi arborescenti e le vescicole di Poli delle Oloturie, 1’ intestino degli Echinidi e molti altri organi sono provvisti di membrane osmoticamente impermeabili ai sali, tanto che il Bottazzi (1), da una critica dei risultati sperimentali di Enriques ed Henry e Lalou, crede si possano estendere le loro conclusioni non solo a tutti gli organi degli Echinodermi ma a tutti gli animali invertebrati acquatici. Del resto la va- riazione di peso che accompagna il primo stadio delle reazioni di adattamento al mezzo anisotonico non si può spiegare che col passaggio osmotico del solo solvente. Ciò posto eccoci dinanzi ad uno di quei fenomeni in apparenza paradossali per i quali si deve am- mettere che una membrana può essere impermeabile ai sali per osmosi e permeabile per assorbimento. Enriquez ha segnalato esempi di ciò nei Protozoi e nelle Limnee prima, (6), (7) nell’ intestino delle Oloturie dopo (5). Nelle Limnee 1’ A., come ho avuto più volte oc- casione di accennare, rileva 1’ esistenza di tali processi osmotici, dalle variazioni progressive di peso dell’ animale che, a seconda della maggiore o minore concentrazione del mezzo esterno rispetto ai liquidi interni, cede o assume acqua; in ambedue i casi però, quando l’equilibrio isotonico è ristabilito, il peso dell’animale è ricondotto al valore iniziale per un processo di assorbimento o di escrezione in cui, a differenza di quanto succedeva prece- dentemente, le membrane sono permeabili alle soluzioni saline. L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 23 Negli Echinodermi, come si rileva dalle esperienze riassunte nel cap. Ili, un simile processo avviene soltanto nei primi momenti della reazione, ma nelle fasi ulteriori, assai prima che 1’ equilibrio sia raggiunto, il peso offre piccole oscillazioni di poco conto attorno al valore iniziale. Paragonando tale comportamento con quello delle Limnee si rileva adun- que la seguente differenza che cioè mentre in questi animali il corpo varia di volume e di peso fino al termine della reazione di adattamento, oltre il quale riassume di nuovo il peso e il volume normali, negli Echinodermi la variazione di peso accompagna solo le prime fasi della reazione mentre nelle seguenti esso ritorna di nuovo al primitivo valore. Il fatto sembra dimostrare che le variazioni di peso sono incompatibili con 1’ architettura e la conformazione di questi animali i quali essendo muniti di un tegumento rigido non pos- sono compensare con un cangiamento di volume le variazioni quantitative dei liquidi in- terni, come del -resto ho largamente dimostrato, con artifizi sperimentali, nelle pagine pre- cedenti. Tutto induce a credere adunque che i risultati da me ottenuti esprimano l’intimo concerto dei poteri regolatori della crasi osmotica dei liquidi interni con i poteri regolatori del peso e della pressione idrostatica interna. La regolazione osmotica si compie per sem- plice passaggio di acqua attraverso le membrane, ma questo processo* sveglia subito i mec- canismi regolatori della pressione idrostatica che riconducono rapidamente la quantità dei liquidi interni al valore iniziale. E questo un esempio tipico e notevole di coordinazione tra i vari poteri regolatori dell’organismo. Compromesso qualcuno di questi poteri vengono alterati i rapporti col mondo esterno e cessano subito le svariate reazioni vitali di cui è capace 1’ organizzazione di questi esseri così singolari. L’ equilibrio osmotico è certamente riacquistato col concorso di molti organi, special- mente di quelli che presentano larghe superfici, come l’ intestino, il sistema acquifero, il seno assile, gli organi polmonali, ecc. ecc. Forse vi contribuisce anche il tegumento esterno, perchè la trame calcarea di esso si lascia facilmente attraversare dai liquidi, come ho po- tuto verificare. Nelle reazioni di natura idrostatica, ho precedentemente dimostrato che le membrane del corpo sono permeabili e devono esserlo per non provocare squilibri osmotici i quali alla loro volta sarebbero causa di sconcerti idrostatici. Da questa considerazione deriva il fatto importante e in apparenza paradossale, come dicevo avanti, che le stesse membrane sono impermeabili nei fenomeni osmotici, permeabili nei fenomeni idrostatici. E riflettendo che questi due ordini di fenomeni si sovrappongono senza disturbarsi nelle reazioni alle soluzioni anisotoniche, è lecito concludere che negli Echinodermi , durante i processi di regolazione osmotica , le membrane sono da una faccia impermeabili dall' altra permeabili alle sostanze saline. Esempi di un diverso comportamento delle due faccie di una stessa membrana non sono del resto rari negli apparati organizzati. CONCLUSIONI GENERALI. Durante le reazioni di adattamento all’ ambiente anisotonico gli Echinodermi presen- tano modificazioni chimico-fisiche dei loro liquidi cavitari e variazioni di peso. Le prime sono progressive e continue fino al termine del processo ed esprimono chiaramente 1' ef- fetto dei poteri regolatori della crasi osmotica dei liquidi interni. Le variazioni di peso ac- compagnano, a differenza delle precedenti , le prime fasi del processo soltanto e consi- stono in un aumento o diminuzione del valore normale, a seconda che 1’ animale subisce 24 Giuseppe Russo [Memoria XIX.] la diluizione o la concentrazione del mezzo liquido che lo bagna. Nelle fasi successive il peso è ricondotto al valore primitivo assai prima che 1’ adattamento osmotico sia raggiunto, mentre le modificazioni chimico-fisiche seguitano e s’ inoltrano vieppiù. La variazione di peso del primo momento della reazione non si può spiegare logicamente che ammettendo 1’ impermeabilità o quasi delle membrane alle sostanze saline sciolte nell' acqua, ciò che del resto corrisponde alle conclusioni di vari autori sulla natura di queste membrane. Ma per la rigidità del tegumento (specialmente nei ricci), che impedisce le variazioni di volume del corpo, esistono speciali poteri di regolazione che s’ incaricano di mantenere costante- mente l’equilibrio di pressione idrostatica tra l’interno e l’esterno. Questi poteri tendono pertanto a correggere le variazioni nella quantità dei liquidi interni che il passaggio osmo- tico della sola acqua attraverso le membrane determinerebbe durante le reazioni di adat- tamento alle soluzioni anisotoniche. Per questo, a partire da un primo momento in cui tale variazione effettivamente avviene, il peso ritorna al suo valore normale. Il meccanismo della regolazione idrostatica consiste nel passaggio totale delle soluzioni attraverso le membrane organizzate che in questo caso sono permeabili alle sostanze saline, il meccanismo della regolazione osmotica si svolge invece per semplice passaggio di acqua attraverso le stesse membrane chè in questo secondo caso sono impermeabili alle sostanze saline. Ne risulta che durante le reazioni a soluzioni anisotoniche avviene attraverso le membrane degli Echinodermi da una faccia il passaggio osmotico di sola acqua che è un fenomeno fisico e dall’ altro il passaggio di tutti gii elementi della soluzione che è probabilmente un feno- meno fisiologico. È questo uno degli esempi in cui una membrana organizzata si com- porta diversamente alle sue due facce ed è capace di un doppio processo in uno dei quali è permeabile, nell’altro impermeabile alle stesse sostanze saline. L'accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi 25 BIBLIOGRAFIA 1. Bottazzi F. — Chimica Fisica — Società editrice libraria — Milano, 1905. 2. Capparelli A- — I fenomeni d’ igromipsia — Atti dell’ Accademia Gioenia — Serie 5a Voi. I 1907 . 3. Cohnheim O — Vers. iiber Resorption, Verdanung und Stoffevechsel von Echinodermen — Zeitschr. f. physiol. Cileni. XXXIII 23 Bd. 1901. 4. Cuénot L. — Etudes morphologiques sur les Echinodermes - Arch. Biol. Tome 11, 1891. 5- Enriquez P. — Digestione, circolazione e assorbimento nelle Oloturie — Archivio Zoologico Voi. I fi.i, 1902. 6. Enriquez P. — Ricerche Osmotiche sulla Limnea stagnalis — Atti della R. Accademia dei Lincei serie quinta 1902. 7. Enriquez P. — Osmosi e assorbimento nelle reazioni a soluzioni anisotoniche — Protozoi e Limnea stagnalis — Atti della R. Acc. dei Lincei serie quinta 1902. 8. Hérouard E. — Recherches sur les Holothuries des cótes de France — Ardi. Z. Expér. Tome 7, 1889. 9. Henry V. et Lalou G. — Regulation osmotique des liquides internes chez les Echinodermes — Journal de Physiol. et de Pallio!., géneràl. Tome VI, 1, pag. 9, 1904. 10. Galeotti G- — Sulla permeabilità delle membrane animali — Sperimentale. — Anno 33 p. 813-S34, 1901. 11. Petit — Vedi Cuénot. 12. Russo G. — Il comportamento igromipsimetrico delle soluzioni — Atti Acc. Gioenia 1912. 13. Russo G. — Ricerche chimico-fisiche comparative sull’acqua marina ed i liquidi interni degli Echinodermi Alti dell’ Accademia Gioena — Serie 5a Voi. V. 14. Sabbatani L — Sulla pressione osmotica degli organi. I. Di un nuovo metodo sperimentale — Arch. Fisiol. Voi. IV, 1907. Memoria XX Sulle equazioni funzionali Nota 111 di CARLO SEYERIN1 (*> In questa terza Nota mi occupo, come nelle due precedenti, di equazioni funzionali del tipo Volterra con una variabile indipendente, rimandando ad altra occasione lo studio delle equazioni con più variabili indipendenti. Generalizzo dapprima il risultato ottenuto nella Nota II, (**) relativo all’equazione non lineare di prima specie: ' 1 ) f 0 (x, y, (x,y,z), F(x) fossero finite, assolutamente continue 3 3 (1 insieme alle loro derivate prime (I> (x, y, s) , (I> [x, y, s) , ^ F (x), nel campo : (3) x— x0 | <; «, | y—x0 a 3- ove x~„ , z0 sono due quantità assegnate quasivogliano, a e b due costanti positive, e che soddisfacessero alle condizioni : F (Xc) = o, 0 (x0 , x0 , s0) = F' (Xo), I 0 (x, y, a) — $ (x, y ', s) i ^ H \ y—y | , 97 (I) Uù JS a) ~ 37 (I) &,y, 8) | x— x | , 0 (x, x, s) in F' (x) — F' (x'i \^H\ x—x | , con Fi ed in costanti positive, finite, non nulle. (*) Comunicata all’Accademia nell’adunanza del 2 Maggio 1912. (**) § 7. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. Metti. XX. 2 Carlo Severi ni [Memoria XX.] Il procedimento seguito per arrivare a questo risultato si fonda essenzialmente sulla possibilità di costruire, nelle dette ipotesi, due successioni infinite di polinomi razionali interi : (4) ~) > F> ix) (v ss 1,2, , °°), in modo che risulti nel campo (3): 4) (x, y, s) — (I>V (x, v, s) d d. 7 (J,v K-A-o. I ì 4r (1>v (*, •3') 77 4>v (x, v, s) ^ A" + o. w— av (5) i! a* « (I)v (xfyt8) ^ ov , : F(x) - Av (x) F' (x0) — A/ (x0) ; < o , d~ „ , . < À'-fo 1 (v = 1,2, , oo) , ove A' è una quantità positiva, maggiore od uguale di H e del massimo valore assoluto a . di (x, v, 3) , e s intende che sia : dx s ~ una successione di numeri positivi, minori di in, decrescenti, tendenti a zero. Vogliamo ora far vedere che' la costruzione dei polinomi (4) colle condizioni (5) è possibile sotto ipotesi meno restrittive per le funzioni (I> (X, y, s), F (x). Cominciamo coll’ occuparci dei polinomi Fv (x). Consideriamo la funzione: F, (x, k) = k 1 x Fk (u) e U — X . 2 du , ove n è una nuova variabile reale, k un parametro reale, positivo ed Ft (w) una funzione coincidente con F (u) per ogni u compreso fra x0 — a ed xo-| -a, costantemente eguale ad F (xo — a) per u x0 — a, costantemente uguale ad F (x0 -j- a) per u x0 -f- a. Per ogni valore fìsso non nullo di k, la F, (x, k) rappresenta, come si sa (*), una fun- zione trascendente intera della variabile x, ed al tendere di k a zero, tende in egual gra- do ad F (x) nell’intervallo (x0 — a, Xo-j-rt). , u — x . , Ponendovi u in luogo di — r — si ha: F, (x, fi) u A, (x-f- Ini) e u du . (*j Cfr. ad es. Borei: Leeons sur les fonctìons de variables rèelles et les developpemenls en sèries de polynomes ; Paris, Gauthier — Villars, 1906. Sulle equazioni funzionali 3 Supponiamo ora che per ogni x ed x-\-h appartenenti ad (xo — a, Xo-\-a) si abbia: F{x + h)—F(x) h i ^ H, H essendo, come sopra, una costante positiva, finita; di più ammettiamo che in un intorno (xo — <5, x0-|-^) del punto x0 esista, finita e continua, la derivata F' ( u ). Detta F2 (u) una funzione che in (pc0 — S, x0 -f- 5) coincide con F' («), ed è costan- temente uguale ad F' (x0 — 8) per ogni u x0 — 5, costantemente uguale ad F' (x0 -f- i) per ogni u x0 -[- &, si consideri la: F2 (x, k) — — L- / F2 (x -f ku) e " du Per un valore fisso qualsivoglia di v, si determini una quantità positiva òv abbastanza grande da avere : 2# -«» . ^ - / e du < I 1 9 ' Posto allora: A F, (x, k) 1 I Fl {x -f ku -f li)— F, (x -f ku) u* d;i li h si avrà, qualunque sia k : (6) A Ft (.r, kì h U , * v Fl (x -j- ku li) — FL (x -j- ku) j e du li (7) F, (x, k) F2 (x — ku) e du -à* Si assegni dopo ciò al parametro k un valore ks minore di . Per ogni x com- V 1 v 8 o o preso nell’intervallo (Xo — , Xo “h “T-) e Per °gni | h | <— si potrà scrivere: + ò„ U Fl (x+kv u-j-h) — Fl {x+k^u) _Mt e du li A \ * F, {x-fkv u -|-0V li) e “ du, — ove 0V è una quantità dipendente da x e da u, ma che rimane sempre compresa fra a 4 Carlo Sederini | Memoria XX.] ed 1 , e si avrà quindi, a causa della (6), per i detti valori di x ed h : r+6 ^F^(x,kv) 1 (8) h 1 x ^*(*-Mv« + M) e~u~ da -X D’ altra parte, ferme rimanendo per x ed li le precedenti limitazioni , se | li \ è inoltre abbastanza piccolo, risulta : (9) 1 ,+\ ^ [F2 (x -j- kv u-\- 0V li) — F, (x -j- fcv u)] e du —b„ V T Da questa disuguaglianza, dalla (8) e dalla (7), quando vi si ponga k — kv , segue allora : A F, (x, kv) h — F, (x, /v’v) V y e quindi (10) ~ f1 (x, kv) — f, (x,kv) ( ^ y. 0^ | 0 X0 — „ / a, (11) F(x) — F, [X,ky) | ^ ') (x0 a -X x ^ x0 ~ {- al) , (12) F' (x) — F, (x, F, ) | ^ ^ xo y 3 / ’ e consideriamo la serie : (13) F, (x, kv) = 2 o dalla quale deduciamo : (141 (15) “ xn r dn Il ! dx' F, (x,kv) x = 0 d Ft (x, F,) = 00 V X,! r dnAÌ dx ^ n 0 ;/ ! L dx'1 1 d 2 F1 (x, kv) = 00 y Zj o” xn dnì dx2 n ! . dxn^2 * = 0 ’ ■T = 0 Indichiamo con ili un numero intero positivo abbastanza grande perchè, detta F\> (x) la somma dei primi iu termini della serie (13), risulti in tutto l’intervallo (x0 — a, xo -f- a): o„ (16) K {x) — F, (x, kv ) 3 (17) Sulle equazioni funzionali o (18) dx2 b'J ^ dx2 Fl k'J ] il che è possibile per la convergenza uniforme delle tre precedenti serie. Dalla (11) e dalla (16) segue allora: F(x) — Fv (x) | ^ ov {x0 — a (x -f- 2 h, y, z) -f (D (x, y, z) — 2 0 (x -f h,y, z) Ir < H, H ed m essendo, come sopra, costanti positive, finite, non nulle. Da quanto abbiamo fin qui detto si raccoglie il seguente teorema : 6 Carlo Severini [Memoria XX.] Nel campo-. (3) I x — Xo \ a, I y — x0 | a, | z — Zo j <1 b , ove x0, z0 sono due quantità assegnate qualsivogliano ed a e b due costanti posi- tive, la funzione (I> (x,y, z) sia finita, assolutamente continua e soddisfi , per ogni h reale non nullo, alle condizioni : (x-\ -h,y, z) — {x-f 2h,y,z) -f-$ {x,y, #) — 2 0 {x-\ -h, v, z) W~ H ed m essendo due costanti positive , finite , non nulle. Sia ancora F (x) una funzione finita e continua nell’ intervallo (x0 — a, x0-j-a), con derivata finita e continua in un intorno (x0 — §, xo -f- o) del punto xo, soddi- sfacente inoltre alle condizioni-. \F{x -(- h) — F(x) F(x + 2 h) + F(x) — 2 F(x+ h) | h h2 ^ H , F {x0) = 0 , F' {xo) = ••■ , (x)) / ^ (x,y, si (y) , ... {y) ) rfy (J = 1,2,...., n) Sulle equazioni funzionali 7 che ci ha servito di base per le ricerche dianzi esposte (*) non è che un caso particolare di una classe assai vasta di sistemi di equazioni funzionali, ai quali i risultati per esso stabiliti possono facilmente estendersi. Per determinare la classe dei sistemi di equazioni funzionali, a cui alludiamo, ripren- diamo l’operazione (2) che, come abbiamo osservato, è pienamente determinata, quando è nota la sua funzione caratteristica f (x, y, zl , . . . . zn ). Date p funzioni finite, assolutamente continue, di n - j- 2 variabili : (20) f (x, v, st , . ed una funzione di n-\-p-\~2 variabili: (./ = 1, 2, />) & ^ n ? ut 11,, ... , Up ) anch’ essa finita, assolutamente continua, c’ è luogo a considerare le operazioni : (22) / f. (X,y, z{ (v), ,• zn ( y) ) dy (/ = 1 , 2, , p) . x0 relative alle funzioni caratteristiche (20) e 1’ operazione composta: (23) I g [, x , y, s{ (y) zn (y) ; j /, (y, t, z^t),..., zn (/)) dt, ... ,1 fp (y, t, z{(t ), (/)) dt] dy X 0 t/1 21 0 kJ 2V"o che ha per funzione caratteristica la (21), se gl’integrali che per le (22) e la (23) occorre considerare hanno significato in un intorno del punto Xo. Ad indicare che le condizioni per ciò richieste sono soddisfatte, diremo brevemente che le (20) e la (21) costituiscono insieme un sistema completo di finizioni caratteristiche. Si può così continuare e con- siderare operazioni di ordine superiore rispetto a dati sistemi completi di funzioni caratte- ristiche, convenendo di dire del primo ordine le operazioni che come la (2), operano im- mediatamente sulle funzioni date zL (x), . . . , zn (x) ; del secondo ordine quelle, in cui del sistema di funzioni, alle quali si applicano, fanno parte funzioni dedotte dalle funzioni date mediante operazioni del primo ordine, e così via. Ciò posto consideriamo un sistema di equazioni della forma: (24) zi (x) + / *,(*) .*«(*). I £.(«, y,«i(y). e„[v))dy J (*= 1,2,..., n> A'o (*> Cfr. Nota 11. 8 Carlo Severini [Memoria XX.] che può scriversi : (25) Si(x)= fi[t, z{ (/),..., zn [t), I gi(t,y,8l {y), , 8n(y)) dy\ dt + à1? {i= 1,2,..., n) , -r0 J *o se con u) s’ indicano i valori iniziali fissati per le zt (x) nel punto Xo, rientra eviden- temente, come sopra abbiamo detto, nella classe delle equazioni funzionali ora definita. Lo studio del sistema (24) non presenta difficoltà, giacché mediante l’introduzione di funzioni incognite ausiliarie può essere trasformato in un sistema equivalente della forma : X (26) ut {x) -j- / 45 {x,y,-ul ( y), , u,n ( y) ) dy = GL (x) (t = 1, 2, .... , m) che abbiamo già considerato (*). Il sistema (25) ad esempio, è equivalente al sistema ui (x) = / gt (x,y, Si (y), , sn (y) ) dy J X0 (*■= 1.2,..'., n) Zi (x) — / fi (y, sl (y)', , 8n (y), u( (y) ) dy ~^z\ 0.) Xo Un sistema come il sistema (26), che nelle ricerche, di cui ci occupiamo, ha impor- tanza fondamentale, lo diremo un sistema normale di equazioni funzionali di seconda specie del tipo Volterra. Il numero delle equazioni del sistema normale (26), equivalente al sistema proposto (24), servirà a definire V ordine di quest’ ultimo. E ovvio che le precedenti considerazioni si applicano in particolare ad un’ equazione del tipo : a"1 p> a — y n 1 1 dx“ ove la funzione F, che si suppone al solito finita assolutamente continua, dipende da X, 8, dz dx ’ ni— 1 , d e da un certo numero di operazioni di diversi ordini, quali (IJb di sopra sono state definite , applicate a z, , d ni — 1 ’ dx"1-1 ' (*) Nota I, § 13. Catania, Aprile 1912. Memoria XXI. D.r SALVATORE DI FRANCO Le lave colonnari della valle dell’Alcantara (con (lue tavole) La valle dell’ Alcantara. Appena lasciato il paese di Giardini, la provinciale Giardini-Francavilla si svolge in una bellissima vallata, lunga, stretta, fertilissima nella quale scorre il fiume Alcàntara, formante confine politico tra le provinole di Catania e Messina e confine geologico tra le formazioni vulcaniche dell’ Etna e le sedimentarie di Taormina. Il nome di questo fiume deriva dalla lingua araba al-quantarah, che significa il ponte (1); dalla denominazione saracenica del ponte derivò quella del fiume. Per alcun tempo la denominazione saracena del fiume fu ridotta col semplice sostan- tivo “ Cantava „ mentre presso gli scrittori moderni si trova indicato coi nomi di Càn- tara, Alcàntara, Fiume di Taormina, Fiume di Calatabiano (2) ecc. Secondo gii antichi si sarebbe chiamato Onobolas, (Appiano, Bellina civile , V, 110) o Akesines (Tucidide, IV, 25, 8); tali nomi però vennero fortemente contrastati dalla cri- tica storica. Possiamo fermarci alla denominazione araba, come sanzionata dall’ uso, altrettanto si è fatto per 1’ Etna, indicato frequentemente Mongibello. L’ Alcàntara scaturisce dai Nebrodi; le sue sorgenti secondo il rilievo fatto nella carta dello Stato maggiore italiano per le manovre di campagna (1899) del XII Corpo di armata sarebbero al monte Mussarra (1192 metri), mentre secondo gli Annali di Statistica fase. 89, ser. 4, pubblicati dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio (1897) risulta la prima sorgente dal monte Feliciana, poco lungi da Floresta a 1250 metri sul livello del mare. Secondo però l’ Ing. E. Perrone (3), Ispettore capo del servizio idraulico, l’ Alcàntara nascerebbe presso il paese di Floresta, alle falde del monte Calarvello e protende le sue prime, numerose ramificazioni, nelle gole di quella piccola catena di monti che si dilunga dal Tre Finaiti al monte Aride. (1) Vari sono i luoghi in Spagna, in Portogallo e nel Brasile che portano il nome di Alcàntara e anche prima del taglio dell’istmo di Suez gli arabi chiamavano El Kantara quel punto dell’istmo che serviva alle carovane per passare dall’ Africa in Asia. (2) Nome moresco da Calala-Bian, fortezza di Bian, un capitano dei Musulmani. (3) PERRONE E. — Carta idrografica d’Italia — Corsi d’acqua della Sicilia. Ministero di Agr. Ind. e Comm. — Roma, 1909, pag. 215. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. Meni. XXI. 1 2 Salvatore Di Franco [Memoria XXL] L Alcantara nel suo corso di circa 48 Km. scorre in parte sopra arenarie e in parte sopra lava. Tale corrente di lava partì dal cono vulcanico di Mojo, il più eccentrico dei crateri avventizii dell’ Etna a 20 Km. di distanza dall’ asse centrale e andò a tuffarsi nel mare Jonio formando il capo Schisò, presso cui sorgeva l’antica Naxos (1). Questa contrada ora ricca di bellissimi agrumeti una volta era coperta di foltissime foreste. I bei platani dell’ Alcàntara furono decantati e già rimpianti dal Recupero (181.5) che nella sua Storia naturale dell’ Etna ebbe a dire: “ Della gran selva di platani, che al tempo del Bembo abbelliva le sponde di questo fiume, appena sono restati i rimasugli ai nostri giorni, senza pensarci più a restaurarla. „ L’ Alcàntara andava celebre anche per la ricchezza dei pesci, sicché alcuni credettero essere stato detto dai Greci e Latini il dovizioso “ Onubola „ ; oggi invece i pesci vi scarseggiano (2). Attraverso i secoli le lave eruttate dall’ Etna, spesso ancora le convulsioni sismiche, ma più di tutto l’ infuriare delle devastazioni per parte di cento popoli conquistatori, mu- tarono più volte 1’ aspetto di questa contrada. Il fiume Alcàntara a circa 12 Km. dal mare, sotto la collina di Motta-Camastra scorre tra sponde larghe appena pochi metri e profonde più di 20, formando le gole del Petròlo (3) (v. Tav. I figg. 1, 2 e 3). La lava delle pareti in tutto il percorso della gola piglia una struttura prismatica: si presenta come canne di grandiosi organi, ora verticali, talvolta disposte a ventaglio e an- che distribuite bizzarramente (v. Tav. I fìg, 3). Al di sotto della gola la valle si amplifica per restringersi nuovamente prima di arri- vare all’ antico ponte di Lardaci; qui la stessa corrente di lava superiormente si presenta a struttura compatta, come quella ordinaria, mentre inferiormente lascia osservare una bel- lissima e regolare struttura colonnare (v. Tav. II fìg. 3). Al di sopra della gola del Petròlo non si nota più la struttura colonnare, ma molto al di là, a N. E. di Randazzo, ossia nella parte alta del fiume Alcàntara, la corrente di lava piglia anche delle forme prismatiche (v. Tav. II fìg. 1 e 2) però tale struttura è vi- sibile in pochi punti soltanto (v. Tav. Il fig. 2) perchè per la degradazione delle pareti, innumerevoli massi staccati d’ ogni dimensione, blocchi accatastati gli uni sugli altri sono sparsi alla base di questa grande muraglia, alta circa 30 metri, dando un aspetto orrido e bello al tempo stesso. Superiormente il fiume Alcàntara scorre tra rocce sedimentarie in alveo regolare, in- vece giù, tra le lave il letto diviene irregolarissimo, spesso a sbalzi ; le pareti a picco poi (1) Nasso fu fondata nel 735 av. C da una colonia calcidica, che fu la prima colonia greca che venne a stanziarsi in Sicilia. (2) Recentemente il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio dispose 1’ invio dalle stazioni di pi- scicoltura di una grande quantità di pesciolini e questi ora guizzano liberamente nelle acque del fiume. (3) GIULIO ANTONIO FILOTEO OMODEI nella sua Descrizione della Sicilia (secolo XVI) il cui manoscritto è posseduto dalla biblioteca comunale di Palermo cosi descrive la gola del Petròlo : « Il fiume Cantóra ingros- satosi da molti ruscelli passa per un tratto cupo e stretto formato da certi gran sassi tagliati dalla natura che chiunque vi mira pone spavento per la immensa e oscura profondità, dove per 1’ angustia del luogo per mezzo di alcuni grossi tronchi di albero si può passare dall’ una all’altra riva. » Le lave colonnari della valle dell’ Alcàntara 3 della valle del Petròlo, poco o affatto corrose dalle acque fanno pensare che la gola non è stata tutta scavata dal fiume, ma che invece questo abbia trovata la via già preparata. La corrente di lava sgorgata dal Monte Mojo fu obbligata ad attraversare una porzione più ristretta della vallata (1), quindi costretta a restringersi ed elevarsi di livello; la parte centrale di essa fu più libera di scorrere, mentre i suoi fianchi erano già consolidati, ossia meno scorrevoli ; nel consolidarsi questa parte centrale subì delle forti tensioni che deter- minarono la struttura colonnare e con ciò una tendenza a disgregarsi e franarsi, aprendo così quella profonda spaccatura o gola del Petròlo per la quale furono in seguito costrette a passare le acque dell’ Alcàntara. Lava della valle del Petròlo. La lava della valle del Petròlo è di colore grigio-oscuro a struttura porfirica con se- gregazioni visibili di cristalli di feldispato, augite ed olivina e massa compatta. I cristalli di feldispato si presentano in grande quantità, principalmente in lamine rettangolari, incolore o biancastre con lucentezza quasi madreperlacea che risaltano sullo impasto cinereo che ne forma il fondo. I cristalli nero-lucenti di augite e giallo-oro di olivina sono meno abbondanti e spesso assai più piccoli di quelli di feldispato. Le sezioni sottili di questa lava osservate al microscopio mostrano una struttura olo- cristallina porfirica. La conformazione dei singoli loro elementi e la loro reciproca disposizione chiara- mente dimostrano che la consolidazione si è effettuata in due distinti stadi ; al primo dei quali o alla prima generazione appartengono i cristalli maggiori vitrei e bianchi di feldi- spato, quelli di augite e i grossi granuli di olivina e magnetite, alla seconda è da as- segnarsi la parte costituita di piccoli elementi cristallini. La massa fondamentale risulta di un miscuglio di microliti di feldispato, granuli di augite ed olivina, abbondante magnetite, vetro più o meno bruno e raramente apatite. II feldispato è di due generazioni ; alla prima, come abbiamo detto, appartengono quei cristalli più grandi disposti porfìricamente, ed alla seconda i piccoli frammenti, talora microscopici, dispersi nella massa fondamentale. In generale le segregazioni di feldispato hanno forma irregolare, spesso però si pre- sentano in sezioni di rettangoli allungati. I grossi cristalli a causa della corrosione sofferta raramente hanno contorni rettilinei e forma poligonale. Quando la corrosione è molto inoltrata, i cristalli presentano sezioni smangiate, con insenature e intrusioni del magma. I cristalli medi si presentano in forme tabulari, parallele a (010). Di un certo interesse è la presenza di cristalli rotti in varie parti, le quali si trovano poco discoste tra di loro; ciò dimostra essersi frantumati per cause dinamiche, quando la massa principale della roccia era ancora in movimento. (i) S. DI FRANCO — Struttura colonnare della lava etnea nella valle dell’ Alcàntara — Boll. Soc. Geol. lt., Voi. XXIX (1910). fase. 3-4. 4 Salvatore Di Franco [Memoria XXL] Altre volte i cristalli mostrano una piegatura dovuta a contorsione subita. Questo fatto si collega col fenomeno già accennato dalla tensione a cui fu sottoposta la lava e che determinò la sua struttura colonnare. Spesso compaiono cristalli di feldispato con bellissima struttura zonata, resa più pa- lese a luce polarizzata. 11 teldispato è ricco d’ inclusioni di vetro bruno-oscuro generalmente di forma rettan- golare e disposte con lo spigolo più lungo nella direzione dei piani di geminazione dei cristalli includenti. Scarse sono le inclusioni di magnetite e scarsissime quelle di apatite. Meritano però speciale menzione certi microliti di colore verde-chiaro e di forma ret- tangolare allungata riferibili ad augite che si accumulano principalmente e in gran copia ai bordi. Tutti i cristalli poi sono come solcati da numerose linee di frattura dovute probabil- mente a forti pressioni, analoghe a quelle ottenute nelle sue belle esperienze dal Daubrée (1) A nicols incrociati si rende manifesta la geminazione polisintetica, secondo la legge dell’ albìte e albìte-Karlsbad con estinzione nella zona normale a (010) I li 35° 22° propria della labradorite con 60 °/° di An. Anche nei cristalli semplici gli angoli di estinzione confermano trattarsi di labrodorite al 60 % di An. Nei cristalli zonati, mentre la periferia è di labradorite il nucleo centrale si avvicina alla bytownìte. L’ augite è molto scarsa, quella di prima formazione si presenta in cristalli poco svi- luppati con profili ben determinati di rettangoli e di esagoni allungati, mentre quelli di se- conda vanno a costituire in piccolissimi granuli la massa fondamentale ; contiene inclusi granuli di magnetite. L’ olivina si riscontra anche raramente in cristalli ben conservati, per lo più ha gli spigoli arrotondati, superficie sagrinata e forte rifrangenza ; a nicols incrociati spesso un granulo creduto semplice si risolve in diversi cristalli, diversamente orientati. In generale tanto i cristalli di augite, quanto quelli di olivina sono intersecati da mol- teplici fessure facendo loro assumere tutta 1’ apparenza di una massa fratturata per pres- sione o per raffreddamento istantaneo, senza però che i singoli frammenti si siano allon- tanati come per il feldispato. La magnetite si trova in grossi granuli o in aggregati granulari a contorni molto sfrangiati per azione assorbente del magma. Dalle sinuosità talora la massa fondamentale è penetrata nell’interno a guisa d’inclu- sioni. Fra i componenti accessori si trova 1’ apatite, in cristallini esagonali allungati, di co- lore bruno e pleocroitica, sparsa nella massa fondamentale, ovvero inclusa, come abbiamo detto innanzi, nei cristalli di feldispato. (i) DAUBRÉE a. — Études synlhètiques de Geologìe experimentale — Paris, 1879. Le lave colonnari della valle dell' Alcàntara 5 All’analisi chimica (1) ebbi: Perdita per arrov.0 . . . . 0. 18 SiO, ...... 49. 25 Ti02 1. 74 Al2 03 17. 47 Fe203 3. 33 Fe 0 6. 77 Ca 0 11. 09 Mg 0 . . . . . . 3. 75 Na, 0 4. 45 K2 0 1. 42 P2 05 0. 81 100, 26 Lava antica a N. E. di Rami azzo. La lava preistorica a N. E. di Randazzo, come abbiamo detto, presenta una struttura colonnare molto meno marcata di quella riscontrata nella lava della valle del Petròlo e per la degradazione subita la maggior parte delle colonne si trovano staccate dalla massa e giacciono in basso vicino il corso del fiume Alcàntara. Macroscopicamente ha un aspetto granulare un po’ bolloso e differisce dalla prece- dente, sia per il colore grigio-oscuro tendente al nero della massa fondamentale, sia per i numerosi e grossi interclusi di feldispato (circa nini. 8 di massima lunghezza con 6 di larghezza) di colore bianco-sporco e nuclei più oscuri. Lo studio microscopico rivela una struttura olocristallina doleritica la cui massa fondamentale risulta formata di feldispato incoloro e trasparente, da granuli e microliti di augite verde- bruna, da minuta punteggiatura nera di magnetite , da abbondanti bastoncelli verde - chiari con forte rifrangenza riferibili ad actinoto e da poca apatite bruna. Il colore oscuro della massa trova riscontro dalla grande quantità di augite e ma- gnetite. Molti pori ripetono microscopicamente il carattere della porosità macroscopica e spesso nelle cavità si trovano impiantati piccoli cristallini di augite. Nella massa fondamentale spicca principalmente per abbondanza il feldispato di prima formazione; esso in generale non ha chiara forma geometrica per il riassorbimento mag- matico subito, presenta i bordi compenetrati di massa fondamentale il cui limite legger- mente sfumato è rappresentato dai microliti di actinoto. A nicols incrociati si osserva la geminazione secondo la legge dell’ albite ed anche di Carlsbad. (i) La determinazione degli alcali è stata fatta col metodo di J. L. Smith (v. Anleitung zar Gesteinsa- nalyse di Max Dittrich, Leipzig, 1905 pag. 35), disgregando la roccia con carbonato di calcio e cloruro di ammonio e quella dell’ ossidulo di ferro seguendo il metodo di Cooke e Pebaf-Dolter (v. Dittrich, pag. 74). 6 Salvatore Dì Franco [Memoria XXL] Nei cristalli di feldispato meglio conservati il massimo di estinzione di circa 37° mi- surata nella zona perpendicolare a (010), li fa riferire a labradorite con circa 60 % di An, invece nei microliti della massa fondamentale, geminati a due secondo la cennata prima legge, la estinzione massima, misurata nella zona normale a (010), li fa riferire a labra- dorite Ab, An,. Il feldispato si presenta quasi sempre ricco d’inclusioni di vetro bruno, limitatamente alla parte centrale formando un nucleo, altre volte formando delle corone con disposizione parallela ; si notano ancora inclusioni di microliti riferibili ad apatite spesso con colore vio- letto-chiaro non comune nelle lave dell’ Etna. L' augite dopo il feldispato è 1’ elemento più frequente, di rado si trova in cristalli isolati ma a gruppi, orientati diversamente con spigoli ben conservati e sensibile pleo- croismo C — bruno - chiaro a • b — giallo - chiaro L’angolo c : C di circa 45°. Frequente è la geminazione secondo (100); contiene in- clusioni di magnetite e di olivina. L'olivina presenta gli spigoli arrotondati, caratteristica superficie sagrinata, fratture irregolari e forte birifrangenza, ha inclusi granuli di magnetite. La magnetite in grossi granuli è rara e presenta i bordi dentellati. In generale i grossi cristalli di questa roccia non presentano le numerose fratture osservate in quelli della valle del Petròlo precedentemente descritti. Istituto di Mineralogia e Vulcanologia della R. Università di Catania. Atti Acc, Gioenia - Serie 5, Voi. V. S. DI FRANCO “ Le lave colonnari della valle dell'Alcantara. Tav. Fig. 1 - Ingresso della gola del Peirólo. Fig. 2 - Orrido del Petròlo visto dall’alto FRANCO FOT. wm wpfw1 - - Lava prismatica, dettaglio della figura precedente. NOO FOT. Fig. 3 - Struttura colonnare e struttura normale della stessa corrente di lava al ponte di Larderia sull’Alcantara. UOT & >-tNHMlO■/.'. membrana propria follicoli — Or. 4 obb. 6*. l'issa-, con ìiq. Benda. IV. Funzione di assorbimento e di secrezione delle cellule della granulosa. Che nella granulosa parietale esistessero degli elementi cilindrici, glanduliformi, era stato osservato da molti autori, fra i primi dei quali Paladino (1887). Waldeyer parla di un epitelio costituito “ aus regelmàssigen, Kernaltigen , kurzzylindrichen Zellen „ nello strato più vicino alla membrana propria. Holl (1891) ne ha visto in ovociti di donna ecc. Crety (1893) però afferma d’ aver trovato elementi cilindrici solo nella granulosa ovulare del Vesperus Bonapartii Savi. Indipendentemente dalla forma, alcuni autori hanno con maggiore o minor chiarezza intravisto nelle cellule della granulosa una funzione di elaborazione dei materiali deutopla- smici. Però le loro osservazioni si son rivolte più specialmente alle cellule del disco pro- ligero. Crety (1893), Giaeomini (1895), Regaud e Policard (1901 a) Comes (1907) hanno anche messo in evidenza nell’ interno delle cellule della parietale un prodotto figurato. A. Russo (1907) infine, ha messo in relazione i vari aspetti delle cellule in parola con la nutrizione dell’ ovo ed ha potuto perfino seguire il passaggio dei materiali deutopla- srnici nell’ interno del vitello. Nel Maiale io ho potuto studiare tutto il processo d’ assorbimento e di secrezione, determinando diversi momenti che trovano una notevole corrispondenza con quelli descritti dai varii autori nelle cellule glandulari. Distinguerò due fasi nel processo, cioè una di as- sorbimento e una di secrezione interna. la fuse : Assorbimento. — La cellula allo stato di riposo si presenta bassa e for- nita d’ una larga base con la quale è impiantata sulla membrana propria folli culi. Ha un nucleo leggermente ovale, poco colorabile e contenente pochi granuli di cromatina (fig. 2 a - Tav. 1). Nelle cellule in cui comincia il processo di assorbimento, la regione più bassa, sotto al nucleo, va assumendo affinità maggiore per i coloranti ed allora, nello spessore della Su la struttura e la funzione delle cellule parietali della granulosa , eec. b membrana propria folliculi seti basilaris , si notano degli ispessimenti o dei granuli tinti in nero o in bruno molto carico, dopo colorazione con Ematossilina Ferrica. Io con- sidero siffatte formazioni quale segno del passaggio d'una sostanza liquida, attraverso alla membrana stessa (l). Questa sostanza dallo spessore di detta membrana si porta alla base delle cellule epiteliali della granulosa, per cui esse nella regione prossimale (iponucleare) si colorano di più che nella regione distale (epinucieare). La cellula che fino a questo mo- mento ha mantenuta la lunghezza di 10 — 20 [x comincia ad accrescersi secondo l’asse lon- gitudinale, mentre secondo l’asse trasverso, specie nella parte sottostante al nucleo, si restringe da 10 |x a 7 — 5 |x (fig. 2, b, Tav. I). La parte della cellula che è impiantata sulla membrana propria folliculi non segue questa diminuzione nell’ asse trasversale, per cui si viene a differenziare come un piccolo cono basale (fig. 2, c, Tav. I). Il mutamento di forma, cui è andata soggetta la cellula fa si che tra due elementi vicini, le cui pareti erano primitivamente a contatto, si stabilisca uno spa- zio ellittico, dentro al quale si può talvolta osservare anche un po’ di sostanza finamente granulare, fornita in genere di poca affinità per i coloranti (fig. 1 a Tav. I). Non di rado anche, detto spazio è attraversato da qualche sottilissimo filo di protoplasma, che partendo da una cellula giunge all’altra (fig. 1, b, Tav. 1) (2). Basandoci sulla scarsa frequenza di tali formazioni filiformi, e sul fatto che esse quan- do esistono, attraversano sempre uno spazio vacuolare, possiamo ritenere che hanno ori- gine da un processo affatto meccanico. In ogni modo, è certo che questi filamenti non vanno confusi con quelli che autori diversi , fra cui Retzius (1889), Paladino (1887), Schottlànder (1891), Lachi (188-4), Kolossow (1898) ed altri, hanno figurato come esistenti tra le cellule della granulosa, o fra queste e 1’ ovo, e a cui han dato 1’ ufficio di traspor- tare i materiali nutritizii all’ovoplasma. Non tardano però in questa regione basale della granulosa a presentarsi dei granuli di grasso, messi in evidenza dall’0s04. Essi altro non sono che una trasformazione del prodotto che si è accumulato, come abbiam visto, alla base della cellula e che ha reso il pro- toplasma di questa regione più colorato. Difatti, quanto più cresce il numero di questi gra- nuli tanto più diminuisce l’energica affinità del protoplasma basale per i coloranti. Queste particelle di lipoide hanno forma perfettamente sferica, e son situate sempre nella regione prossimale dell’ elemento, in modo da formare un gruppetto. Per la presenza di tali formazioni, la parietale del Maiale, nelle sezioni, assume un aspetto caratteristico, perchè si vede, tutt’intorno alla membrana propria folliculi, per l'esten- sione di 2 — 4 . » 15 a r8. Elementi della Theca. — Benda Em. Ferr. Oc. 4 obli, semiap. 1 / 15 . 1 1 MAR.1913 //// . hr (ì ioni in rii Si. . l/ri . Sif: / !},/ I /rii:/ \ B Monlerosso dis. Lit Tacchi nardi e Ferrari -Fav. a VINCENZO MOLLAME Si compie adesso un anno dacché si è spento il Prof. Vincenzo Mollame, ed a me cui è toccato l’onore di succedergli nella Cattedra e ora nel posto di Socio effettivo in questa Accademia, spetta di rendere questo tributo d’ omaggio alla memoria di Lui. Mi è d’ uopo però chieder venia se, per non avere avuto la sorte di conoscere per- sonalmente il compianto Collega tranne che negli ultimi momenti di Sua vita, vienmi a mancare quell’elemento che la pratica d’amicizia fornisce. Ma il ricordo ancor vivo di Lui, che appartenne a quest’ Accademia da tanti anni, colmerà, son certo, l’ inevitabile lacuna. Vincenzo Mollame ebbe i natali a Napoli il 4 luglio 1848. La sua spiccata inclina- zione alle scienze matematiche lo indusse a frequentare il celebre studio privato di Achille Sannia, che a quel tempo, un po’ prima del ’60 , suppliva alle deficienze della Facoltà matematica dell’Ateneo napolitano (1). Con tanto Maestro Egli ritemprò il suo ingegno, ed ebbe agio poi, nei successivi studi universitari, di rassodare la sua cultura sotto la guida del Fergola, del Battaglimi, del De Gasparis. Laureatosi in Matematica, fu presto assunto nell’ insegnamento secondario ed ebbe la ventura, al Liceo di Benevento, di ricevere un’ ispezione dal Prof. Eugenio Beltrami , il quale ben apprezzando il metodo didattico di Lui , rigoroso ed efficace , con lusinghiera relazione ne provocò il trasferimento al R. Liceo di Napoli. Ed Egli era là quando, nel ’78, ferveva la discussione sull’opportunità di sopprimere o conservare la prova scritta di Matematica negli esami di licenza liceale, e partecipò con calore a quel dibattito, sostenendo vigorosamente in un opuscolo l’importanza della Mate- matica negli studi classici. Purtroppo fu inefficace la lotta, perchè la debolezza dei gover- nanti rese sempre peggiori le condizioni dell’ insegnamento matematico nel Liceo. E sol- tanto ora, dopo più di un trentennio, mercè l’opera saggia e prudente di Luigi Credaro — cui si deve già la provvida abolizione della facoltà di optare tra il greco e la matematica, viene resa giustizia a chi intravide e propugnò 1' alto compito delle Scienze matematiche nelle scuole classiche. Ma le questioni didattiche e le cure dell’ insegnamento non distoglievano il Mollame (i) Cfr. G. TORELLI, Achille Sannia, Rend. Circ. mat. Palermo, t. VI, 1892. ATTI ACC. SERIE V, VOL. V. I 2 In memoria di Vincenzo Mollame dal coltivare la Scienza. E nel ’78 pubblicava un’opera sui determinanti e le loro applica- zioni all’ Algebra e alla Geometria analitica : argomento che allora destava il maggiore interesse, perchè, nonostante i lavori dello Chasles, del Brioschi, del Trudi, del Salmon, il metodo dei determinanti non era ancora divenuto comune strumento di ricerca. Nelle applicazioni all’ Algebra, Egli vi trattava, fra 1’ altro, con metodo semplice, la riduzione di una quadrica a forma canonica ; e nelle applicazioni alla Geometria, risolveva alcune notevoli questioni in assi obliqui, divulgando cosi i risultati eleganti che sull’argo- mento erano stati ottenuti ed insegnati dal Sannia. Questo lavoro ed altri interessanti di Algebra e Geometria analitica Gli procurarono 1’ eleggibilità nel Concorso alla Cattedra di Algebra e Geometria analitica nella R. Università di Bologna, e quindi, nel gennaio 1881, la nomina alla Cattedra analoga nel nostro Ateneo. La sua attività scientifica, durante l’ insegnamento universitario, si svolse principal- mente nell’Analisi algebrica. E negli Atti della nostra Accademia, in quelli dell’Accademia delle Scienze di Napoli e di Torino, come pure in diversi periodici, Egli pubblicò una serie d’interessanti lavori, che riflettono l’analisi combinatoria, la teoria dei determinanti, dei numeri complessi ad m dimensioni, delle serie, e la risoluzione numerica ed algebrica delle equazioni. Quest’ ultimo argomento fu oggetto delle più belle ed importanti ricerche del Mollame. Nella teoria dell’ enumerazione delle radici, Egli introdusse alcune funzioni speciali che go- dono delle proprietà caratteristiche delle funzioni di Sturivi , ma la cui determinazione rie- sce assai più semplice, perchè non vi occorre il procedimento delle successive divisioni. E negli ultimi anni (dal 1890 al ’96) l’attività del Mollame si può dire assorbita da due questioni. La prima riguarda lo studio di una classe speciale di equazioni abeliane reciproche le cui radici sono rappresentabili con x, Ox, 02 x,..., 6n~]x , essendo fi un’operazione ra- zionale, nell’ipotesi che sia costante la somma o la differenza degli esponenti delle po- tenze di fi, corrispondenti a due radici reciproche dell’equazione. Egli studia le condizioni necessarie e sufficienti cui devono soddisfare i coefficienti di una tale funzione fi e la forma generale che la funzione stessa può assumere. L’altra questione riguarda il casus irreductibilis dell’ equazione cubica. Nel primo lavoro su questo argomento il Mollame dimostra 1’ impossibilità, in generale, di togliere per via algebrica la forma imaginaria, secondo cui si presentano le radici di un’equazione cubica, quando esse sono tutte reali. Egli osserva che tale impossibilità deve essere di- mostrata in modo indipendente da qualsiasi metodo speciale di risoluzione, e fonda il suo ragionamento sul teorema di Abel, riguardante la forma che deve avere un’ espressione algebrica dei coefficienti di un’ equazione, perchè sia adatta a rappresentarne una radice. Questo lavoro, al quale egli portò successivi perfezionamenti, in seguito anche ad alcune osservazioni del Capelli, risolve 1’ importante questione del caso irriducibile della equazione cubica, che fu argomento di varie controversie fra i matematici. L’attività del Mollame si può dire si arresti a queste ultime ricerche. Certamente egli avrebbe rivolto il suo ingegno allo studio di altre importanti questioni, se un male insidioso non ne avesse troppo presto fiaccato la fibra. E come dapprima, a poco a poco, le condizioni di salute lo distolsero dall' investiga- zione scientifica, 1’ aggravarsi del male lo costrinse poi a lasciare la Cattedra. Chiese il riposo e l’ottenne il 1° gennaio 1911. In memoria di Vincenzo Mollame 3 Chiamato poco dopo io all’ insegnamento dell’ Algebra, ricordo che fu il giorno della prolusione al corso, che ebbi il modo di conoscere personalmente il Mollame. Avendo ma- nifestato il desiderio di esprimergli, di persona, gli auguri per la sua salute, che avevo fatto quel giorno dalla Cattedra, due cari Colleghi vollero con gentile premura accompa- gnarmi. Non dico 1’ impressione penosa che provai nel vedere un uomo così disfatto dal male e nell’ apprendere che in tanta infermità egli non aveva il bene di un conforto domestico. Quando, nell’ accomiatarci, Gli facemmo 1’ augurio di tornarlo a vedere in condizioni migliori di salute, purtroppo nell’aspetto desolato e nell’occhio triste leggemmo che l’ultima speranza Gli veniva meno. Tre mesi dopo, il 23 giugno, Vincenzo Mollame, si spegneva !.... Catania, 15 giugno 1912. Michele Cipolla « Pubblicazioni di Vincenzo Mollame Soluzione di un problema. Giornale di Battaglini, 1867. Soluzioni di alcune questioni. Giorn. di Battaglini, 1867, 70, 71. Alcuni teoremi di Geometria; ivi, 1871. Sulla trasformazione continua d’ una figura piana la quale resta sempre omografica a se stessa, e di cui quattro punti qualunque, tre dei quali non siano per diritto, descrivono quattro linee omografiche date ; ivi, 1871. Sulle coordinate della più corta distanza fra due rette rispetto a tre assi obliqui. Rend. Acc. Se. fis. mat. . Napoli, 1878. Una risoluzione dell’ equazione completa di 30 grado e le radici di questa in funzione del discriminante della cubica. Giorn. di Battaglini, 1878. I determinanti e le loro applicazioni all’ Algebra e alla Geometria Analitica — Napoli, 1878, pp. XII, 125. Le matematiche e gli studi liceali in Italia. Napoli, 1878, pp. 15. Sulla ricerca delle radici comuni di due equazioni algebriche. Giorn. di Battaglini, 1880. Sulla somma delle potenze simili di numeri qualunque in progressione aritmetica e sopra alcuni coef- ficienti analoghi ai numeri Bernoulliani, che si presentano in tale somma. Atti Acc. Gioenia, 1881. Sulla trasformazione delle serie in frazioni continue e viceversa. Atti Acc. Gioenia, 1883. Metodi e teorie per la risoluzione dei problemi di costruzioni geometriche, ecc. , del D.r S. Petersen v. i°, trad. ital. da quella tedesca, 1883. Nuova serie di funzioni sostituibili a quelle di STURM, con vantaggio dei calcoli occorrenti per deter- minare il numero delle radici reali di un’ equazione algebrica. Atti Acc. se. fis. mat. Napoli, 1883 ; Atti Acc. Gioenia, 1884. Sul sistema di equazioni costituito da una forma quadratica con n variabili uguagliata a zero e da 1 ad n — 2 equazioni lineari ed omogenee fra quelle variabili. Atti Acc. Gioenia, 1884. Relazioni notevoli fra le somme dei prodotti d’ una medesima classe dei numeri naturale da 1 ad n. Rend. Acc. se. fis. mat. Napoli 1884. Sopra una serie speciale perla rappresentazione d’ una quantità, reale variabile nell’ intervallo (a. ..a). Atti Acc. Gioenia, 1886. Sul casus irrednctibilis dell’equazione cubica. — Rend. Acc. se. fis. mat. Napoli, 1890. Sulle radici primitive dell’ unità negativa. Acc. se. fis. mat. Napoli, 1892. 1 Soluzione algebrica dell’ equazione o = x — 1 x . Rivista di Matematica, Torino, 1893. Sopra qualche applicazione dei numeri complessi ad m dimensioni. — Giorn. Battaglini, 1893. Sulle equazioni abeliane reciproche le cui radici si possono rappresentare con .*•, Ox, Q'2x Bn~lx. Mem. Acc. se. Torino, v. 44, s. 2a 1894. Sviluppo del determinante e relazioni notevoli che ne derivano. — Rivista di Mat. Torino, 1893. Sulle equazioni abeliane reciproche le cui radici si possono rappresentare con x, Qx, B2x 0n_ ** Mem. II. — Atti Acc. se. fis. mat. Napoli, 1894. Aggiunta alla nota sul casus irrednctibilis dell’ equazione cubica. — Atti Acc. se. fis. mat. Napoli, 1895. Le equazioni cubiche con radici reali, per le quali la forinola cardanica diviene algebricamente reale e il casus irrednctibilis. — Atti Acc. se. fis. mat. Napoli, 1896. INDICE Memoria A. Bemporad — Osservazioni fotometriche di stelle variabili eseg uite nel 1910 nell' Osservatorio Astrofisica di Catania I G. Platania — Osservazioni dei punti neutri di Arago e di Babinet eseguile in Catania ... II V. Polara — La trattazione in fisica del problema fondamentale della Statica Ili S. Nicosia — Sull’anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono IV M Coildorelli Francaviglia — Avvelenamento e morte per puntura dello Scorpione V G. Cutore — Alcune notizie sul corpo pineale del Macacus sinicus L. e del Cercopithecus griseus viridis L. (con 4 figure nel testo) , VI C. Severinì — Sulla convergenza uniforme delle successioni di funzioni analitiche VII S. Scalia — La fauna del Irias superiore del Gruppo di Monte Judica (Parte 11) — con tre tavole. Vili A. Ricco e L. Taffara — Osservazioni meteorologiche del 1911 fatte al R. Osservatorio di Catania IX AV Ascoli — Intorno al pneumotorace artificiale secondo For lanini X G. Pisani) — Contributo allo studio delle emolisi da veleno di « Tritoli c ristatus » XI A. Petrone — Contributo atte qnistioni medico-legali nei morti per soffocazione senza alcuna le- sione esterna XII G Grassi Cristaldi e E Di Mattei -- Analisi chimica ed esame batteriologico dell’ Acqua della Naviccia {A derno) ' XIII _ P Bertolo — Sulla Lecitina esistente nelle uova del Riccio di mare (Strongylocenlrolus lividus) . XIV U. Panichi — Sullo Zolfo di Vulcano ( Isole Eolie ) (con una tavola) -, XV G. Izar — Azione del Solfo colloidale sul sarcoma del ratto XVI A. Capparelli — Alcune proprietà biologiche del veleno de! Tritoli cristatus XVII G. RUSSO — Ricerche chimico-fisiche comparative sull’ acqua marina ed i liquidi interni degli Echi- nodermi XVI 11 G. RUSSO — I-’ accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi . . . XIX C- Severinì — Sulle equazioni funzionali — Nota III XX S. Di Franco — Le lave colonnari della valle dell’ Alcantara . (con due tavole) XX| B- MonterOSSO — Su la struttura e la funzione delle cellule parietali della granulosa nel follicolo ovarico dei Maiale (con una tavola e 3 figure nel testo.) XXII APPENDICE M- Cipolla — In Memoria di Vincenzo Mollati^ |j^R I V 4