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Vol, 18
1882/83
E
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DELLA
MIA DELLE
DI TORIN di:
ANSE
DELLA
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI
DELLE DUE CLASSI
VOLUME DECIMOTTAVO
1882-83
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche
e Naturali.
IZDADY
TORINO
ERMANNO LOESCHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze,
1882
LETTERARIA
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25
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A
ELENCO DEGLI ACCADEMICI
RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI, STRANIERI
E CORRISPONDENTI
(32 ARY
I VUORK
al 1° Gennaio 1888
PRESIDENTE
Ricorri (Ercole), Senatore del Regno, Maggiore nel R. Eser-
cito, Professore emerito della R. Università di Torino, Presidente
della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio
della -R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, Gr.
Uffiz. £, Gr. Cord. @, Cav. e Cons. &, ®.
VICE-PRESIDENTE
RicneLMy (Prospero), Professore emerito di Meccanica ap-
plicata nella Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri, Socio della
R. Accademia di Agricoltura, Comm. £ e a.
TESORIERE
#9 cp 0 a e e TEA SITI
VICE-TESORIERE
Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della Regia
Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, & e Comm. ®.
4 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Direttore
DELPONTE (Giovanni Battista), Dottore in Medicina e in Chi-
rurgia, Professore Onorario di Botanica nella R. Università, Socio
della R. Accademia di Agricoltura, Uffiz. *, e Comm. &.
Segretario Perpetuo
SoBRERO (Ascanio), Dottore in Medicina ed in Chirurgia,
Professore emerito di Chimica docimastica nella Scuola d’Applica-
zione per gli Ingegneri, Membro del Collegio di Scienze fisiche e
matematiche, Presidente della Reale Accademia di Agricoltura,
Comm. &, &, Uffiz. &.
Accademici residenti
SoBRERO (Ascanio), predetto.
RIcHELMY (Prospero), predetto.
DELPONTE (Giovanni Battista), predetto.
GenoccHI (Angelo), Professore di Analisi infinitesimale nella
R. Università, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze,
Socio della R. Accademia dei Lincei, Comm. %, Uffiz. @; £.
Lessona (Michele), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore
e Direttore de’ Musei di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata
della R. Università, Socio delle RR. Accademie di Agricoltura e
di Medicina di Torino, Uffiz. &, e Comm. s.
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 5)
Dorxa (Alessandro), Professore d’Astronomia nella R. Univer-
sità, di Meccanica razionale nella R. Militare Accademia, Socio
corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere,
della R. Accademia dei Lincei, Direttore del R. Osservatorio
astronomico di Torino, &, Uffiz. .
SALVADORI (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia,
Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università di Torino,
Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino,
Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società
Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania,
Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Ac-
cademia delle Scienze di Nuova-York, della Società dei Natu-
ralisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi,
della Real Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi,
e della British Ornithological Union, e Socio Straniero ono-
rario del Nuttall Ornithological Club, e Membro onorario della
Società Ornitologica di Vienna, ®.
Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Professore di Chimica
minerale presso il R. Museo Industriale Italiano, e di Chimica
docimastica nella R. Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in
Torino, Socio della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della
Società Italiana delle Scienze, Socio dell’Accademia Gioenia di
Catania, della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Corrispon-
dente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Isti-
tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, e dell'Istituto d’Incorag-
giamento alle Scienze naturali di Napoli, Uffiz. &, Comm. ©, e
dell'O. d’I. Catt. di Sp.
Bruno (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze
fisiche, matematiche e naturali, Professore di Geometria descrittiva
nella R. Università, «.
BeRRUTI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Ita-
liano, e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Uffiz. ®, e
Comm, ®, dell'O. di Francesco Gius. d'Austria, della L. d'O. di
Francia, e della Repubblica di S. Marino.
6 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
CurIONI (Giovanni), Professore di Costruzioni e Vice-Direttore
della R. Scuola d’Applicazione degli Ingegneri, Dottore aggregato
alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Uni-
versità di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di
Torino, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze,
Lettere ed Arti di Lucca, Socio corrispondente della R. Acca-
demia di Scienze. Lettere ed Arti di Palermo, *, e Comm. ®.
SraccI (Francesco), Capitano nell’Arma d’Artiglieria, Profes-
sore di Meccanica Superiore nella R. Università, e di Matematiche
applicate nella Scuola d’Applicazione delle Armi di Artiglieria e
Genio, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio
corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto
Lombardo di Scienze e Lettere, &, Uffiz. ®.
BeLLARDI (Luigi), Conservatore delle collezioni paleontologiche
presso il Museo di Geologia della R. Università degli studi, Prof.
di Storia naturale al Liceo Gioberti, Uffiz. £&, Cav. @, e dell’O. di
Cristo del Portogallo, Membro di varii Istituti scientifici, ecc.
Basso (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze
fisiche e matematiche, Prof. di Fisica matematica nella R. Uni-
versità, @.
D’Ovipio (Dott. Enrico), Professore ordinario d’Algebra e
Geometria analitica, incaricato di Geometria superiore, e Rettore
della Regia Università di Torino, Socio corrispondente della
R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio corrispondente del
R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio dell’Accademia
Pontaniana, ecc., £, Uffiz. a.
Bizzozero (Giulio), Professore e Direttore del Laboratorio di
Patologia generale nella R. Università di Torino, Socio delle
RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio
corrispondente del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Let-
tere, ecc., &, @.
FeRRARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Facoltà
di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di
Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Profes-
”_
ELENCO DEGLI ACCADEMICI [
sore di Fisica tecnica nel R. Museo Industriale Italiano, e di Fisica
nella R. Scuola di Guerra, @.
NaccarI (Andrea), Dottore in Matematica, Socio corrispondente
dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Professore di Fisica
sperimentale nella R. Università di Torino, e.
Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore
di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio della R. Ac-
cademia de’ Lincei, della R. Accademia di Medicina di Torino,
e Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere, £ , ©.
Accademici Nazionali non residenti
S.E. MEnABRÈA (Conte Luigi Federigo), Marchese di Val Dora,
Senatore del Regno, Professore emerito di Costruzioni nella Regia
Università di Torino, Dottore in Diritto civile nella R. Università di
Oxford, Luogotenente Generale, Ambasciatore di S. M. a Parigi,
Primo Aiutante di campo Generale Onorario di S. M., Uno dei XL
della Società Italiana delle Scienze, Socio della Reale Accademia dei
Lincei, Membro Onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, ecc. ;
C. 0. S. SS. N., Gr. Cord. e Cons. &, Cav. e Cons. &, Gr. Cr. 8, ®,
dec. della Med. d’oro al Valor Militare, Gr. Cr. dell'O. Supr. del
Serafino di Svezia, dell'O. di Sant Alessandro Newski di Russia,
di Dannebrog di Danim., Gr. Cr. dell'O. di Torre e Spada di
Portogallo, dell'O. del Leone Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ.
Militare), della Probità di Sassonia, della Corona di Wurtemberg,
e di Carlo III di Sp., Gr. Cr. dell’O. di S. Stefano d'Ungheria,
dell’O. di Leopoldo d'Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone
di Z6hringen di Baden, Gr. Cr. dell’Ord. del Salvatore di Grecia,
G. Cr. dell’Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordini del Nisham
Ahid e del Nisham JIftigar di Tunisi, Comm. dell’ Ordine della
Leg. d’On. di Francia, di Cristo di Portogallo, del Merito di
Sassonia, ecc., ecc.
8 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
SELLA (Quintino), Membro del Cons. delle Miniere, Uno dei XL
della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente dell’Istituto
di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Mineralogia), Pre-
sidente della R. Accademia dei Lincei, Gr. Cord. £& e @, Cav.
e Cons. #, Gr. Cord. degli 0. di S. Anna di R., di Leop. d’A.,
dell'Aquila Rossa di Prussia, di Carlo III di Spagna, della Concez.
di Port., del Mejidié di Turchia, e di S. Marino.
BRIOSCHI (Francesco) , Senatore del Regno, Prof. d’ Idraulica,
e Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Uno dei XL
della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente dell’ Istituto
di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle
Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, ecc., Socio
della R. Accademia dei Lincei, delle Società matematiche di Londra
e di Parigi, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della
Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell’Accademia delle
Scienze di Bologna, ecc., Gr. Utfiz. #, ®; =, Comm. dell’O di Cr.
di Port.
Govi (Gilberto), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni-
versità di Napoli, Membro del Comitato internazionale dei Pesi e
delle Misure, Socio della R. Accademia dei Lincei, della R. Ac-
cademia delle Scienze e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, della
R. Accademia d’Agricoltura di Torino, Uffiz. %&; £, Comm. &,
e della L. d'O. di Francia.
MotLescHoTT (Jacopo), Senatore del Regno, Professore di Fisio-
logia nella R. Università di Roma, Professore Onorario della Fa-
coltà Medico-Chirurgica della R. Università di Torino, Socio della
R. Accademia di Medicina di Torino, Socio corrispondente delle
Società per le Scienze mediche e naturali a Hoorn, Utrecht, Am-
sterdam, Batavia, Magonza, Lipsia, Cherbourg, degli Istituti di
Milano, Modena, Venezia, Bologna, delle Accademie Medico-
Chirurgiche in Ferrara e Perugia, Socio Onorario della Med:
corum Societas Bohemicorum a Praga, della Societe medicale
allemande a Parigi, della Società dei naturalisti in Modena,
dell’Accademia Fisio-medico-statistica di Milano, della Patko-
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 9
logical Society di S. Louis, della Sociedad antropolojica Espafiola
a Madrid, della Rubiconia Accademia dei Filopatidi di Savignano
di Romagna, Socio dell'Accademia Veterinaria Italiana, del Comi-
tato Medico-Veterinario Toscano, della Societe Royale des Sciences
Medicales et Naturelles. de Bruxelles, Socio Straniero della So-
cietà Olandese delle Scienze a Harlem, Socio fondatore della
Società Italiana d’Antropologia e di Etnologia in Firenze, Membro
ordinario dell’Accademia Medica di Roma, Comm. & e «.
Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di
Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della
Società Italiana delle Scienze, Socio della R. Accademia dei Lincei,
Comm. *, Uftiz. ®; &..
BertI (Enrico), Professore di Fisica matematica nella R. Uni-
versità di Pisa, Direttore della Scuola normale superiore, Uno
dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio della R. Acca-
demia dei Lincei, Comm. &, Gr. Uffiz@; &.
ScaccHI (Arcangelo), Senatore del Regno, Professore di Mine-
ralogia nella R. Università di Napoli, Presidente della Società Ita-
liana delle Scienze detta dei XL, Presidente del Reale Istituto di
Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Segretario della
R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, Socio
della R. Accademia dei Lincei, Comm. &, Gr. Uffiz. ©; &.
BALLADA DI S. RoBERT (Conte Paolo), Uno dei XL della Società
Italiana delle Scienze, Socio della R. Accademia dei Lincei.
— SCHIAPARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astrono-
mico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze,
Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Ac-
cademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell'Istituto
di Bologna, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia
delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco,
di Vienna, di Berlino, di Pietroborgo, di Stockolma, di Upsala,
della Società de’ Naturalisti di Mosca, e della Società astrono-
mica di Londra, Comm. +; 4, @, Comm. dell’O. di S. Stanislao di
Russia.
10 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
Accademici Stranieri
Dumas (Giovanni Battista), Segretario Perpetuo dell’Accademia
delle Scienze dell'Istituto di Francia, Gr. Cr. della L. d’ 0. di
Francia.
* HELMHOLTZ (Ermanno Luigi Ferdinando), Professore nella Uni-
versità di Heidelberg, Socio corrispondente dell’Istituto di Francia
(Accademia delle Scienze, Sezione di Fisica generale).
DANA (Giacomo), Professore di Storia naturale a New Haven,
Socio corrispondente dell’Istituto di Francia.
Hormanx (Guglielmo Augusto), Prof. di Chimica, Membro della
R. Accademia delle Scienze di Berlino, della Società Reale di
Londra, Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle
Scienze, Sezione di Chimica).
CHEvREUL (Michele Eugenio), Membro dell'Istituto di Francia,
Gr. Cr. della L. d’O. di Francia.
HermMiTE (Carlo), Membro dell'Istituto di Francia, Uffiz. della
L. d’O. di Francia. 4
JouLe (James) PrEscoTt, della Società Reale di Londra.
WeIERsTRASs (Carlo), Professore di Matematica nell’ Università
di Berlino.
THomson (Guglielmo), dell'Istituto di Francia, Professore di
Filosofia naturale nell’ Università di Glasgow.
GeGENBAUR (Carlo), della R. Accademia Bavarese delle Scienze,
Professore di Anatomia nell’ Università di Heidelberg.
Pu
b
y
)
ELENCO DEGLI ACCADEMICI
CORRISPONDENTI
SEZIONE
18
DI MATEMATICA PURA E ASTRONOMIA
GAUTIER n Alfredo), Professore d’Astro-
nomia
— RETE (Emilio), Professore d’ Astronomia
DE Gasparis (Annibale),
nomia nella R. Università di ;
Tarpy (Placido), Pr ofessore di Calcolo infinitesi-
male nella R. Università di
BoxcomPaexI (D. Baldassare) , dei Principi di
Piombino :
CREMONA (Luigi),
superiori nella R. Università di . tati
Cantor (Maurizio), Professore di Matematica
nell’ Università di . pierre 3
ScHwarz (Ermanno A.), Professore di Mate-
matica nell’ Università di .
KLEIN (Felice), Professore di Maia sl
l’ Università di siti RATE
FERGOLA (Emanuele), Pulito di Analisi su-
periore nella R. Università di . ALLADTI
BeLTRAMI (Eugenio), Professore di Fisica ma-
tematica e di Meccanica superiore nella R. Uni-
versità di ;
CASsoRATI (Felice), Pi utessore di Calcolo infinite-
simale e di Analisi superiore nella R. Università di
Dini (Ulisse), Professore di Analisi superiore
nella R. Università di
Professore d’Astro-
Professore di Matematiche
Ginevra
Ginevra
Napoli
Genova
Roma
Roma
Heidelberg
Gottinga
Lipsia
Napoli
Pavia
Pavia
Pisa
12 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
SEZIONE
DI MATEMATICA APPLICATA
E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE
CoLranon (Daniele), Professore di Meccanica
Liagre (J. B.), Segretario Perpetuo della R. Ac-
cademia delle Scienze del Belgio; alla Scuola mili-
tare, à la Cambre Sta
TURAZZA (Domenico), Professore di Meccanica
razionale nella R. Università du. . . . .
Narpucci (Enrico), Bibliotecario della Biblioteca
Alessandrina di PE e rt PAPPA
Pisati (Giuseppe), Professore di Fisica tecnica
nella Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in .
Sana (Edoardo), Socio e Segretario della Società
di Scienze ed Arti di SIAE I PURE ro
CLausius (Rodolfo), Professore nell’Wniversità di
CastIGLIANO (Alberto), Ingegnere, Capo Sezione
presso la Società delle Strade Ferrate A. I.
SEZIONE
Ginevra
. Icelles (Bruxelles)
Padova
Roma
Roma
Edimborgo
Bonn
Milano
DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE
WEBER (Guglielmo), della Società Reale delle
Scienze di et 15 inestent cfoleone
SABINE (Edoardo), della Società Reale di
FECHNER (Gustavo Teodoro)
BLASERNA (Pietro), Professore di Fisica speri-
mentale nella R. Università di : Hate:
KonLRauscH (Federico), Professore nell’ Uni-
versità di
Gottinga
Londra
Lipsia
Roma
Wiirtzburg
.
ELENCO DEGLI ACCADEMICI
Jamin (Giulio Celestino), dell'Istituto di Francia
Cornu (Maria Alfredo), dell’ Istituto di Francia
FeLIcI (Riccardo), Professore di Fisica speri-
mentale nella R. Università di . TERE
RossettI (Francesco), Professore di Fisica spe-
rimentale nella R. Università di 1
ViLLarI (Emilio), Professore nella R. Vaie
versità di
Roiri (Antonio),
studi superiori pratici e di perfezionamento’ di
Professore nell’ Istituto di
\
SEZIONE
15
Parigi
Parigi
Pisa
Padova
Bologna
Firenze
DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA
BonJEAN (Giuseppe) sit.
PLANTAMOUR (Filippo), Professore di Chimica .
Wi (Enrico), Professore di Chimica .
Bunsen (Roberto Guglielmo),
Chimica . i dei
MARIGNAC ( desti Car lo), Pr E di Chimica
PeLIGor (Eugenio Melchiorre), dell’ Istituto di
Professore di
Francia .
WuRTZ (Adolfo), dell’ Istituto di ua: ;
BerrHELOT (Marcellino), dell'Istituto di Francia
ParteRNÒ (Emanuele), Professore di Chimica
nella R. Università di Tina
KorneR (Guglielmo), Professore di Chimica or-
ganica nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in
FriepeL (Carlo), dell'Istituto di Francia
FreseNIUs (Carlo Remigio), Professore a
Chambéry
Ginevra
Giessen
. » Heidelberg
Ginevra
Parigi
Parigi
Parigi
Palermo
Milano
Parigi
Wiesbaden
14 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
SEZIONE
DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA
MENEGHINI (Giuseppe), Professore di Geo-
logia, ecc. nella R. Università di
SruDER (Bernardo), Professore di Geologia
DE Koxink (Lorenzo Guglielmo ) ;
DE Ziexo (Achille), Uno dei XL della Società
italiana delle Scienze .
FaAvRE (Alfonso), Professore di i
KoxscHarow (Nicola DI), dell’Accademia Impe-
riale delle Scienze di i :
Ramsay (Andrea), della Società Reale di
StRriver (Giovanni), Professore di Mineralogia
nella KR. Università di
RosENBUSCH (Enrico), PURO di Foa
nell'Università di . EE i deo
NorpeNsKI6LD (Adolfo Enrico), della R. Acca-
demia delle Scienze di ROIO LEN
DauBREE (Gabriele Augusto), dell’Istituto di
‘Francia, Direttore della Scuola Nazionale delle Mi-
niere @ . MT ANTI RA eg
ZIiRKEL (Ferdinando), Professore di Petro-
grafia a
DES CLOIZEAUX (Alfredo Luigi Oliviero Rn
dell’Istituto di Francia SAI Merc
CAPELLINI (Giovanni), Professore nella R. Uni-
versità di Re rai o in
StoPPANI (Antonio), Professore nell’ Istituto di
studi superiori pratici e di perfezionamento in
Pisa
Berna
Liegi
Padova
Ginevra
Pietroborgo
Londra
Loma
Strasborgo
Stoccolma
Parigi
Lipsia
Parigi
Bologna
Firenze
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 15
SEZIONE
DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE
Cesati (Vincenzo), Professore di Botanica e Di-
rettore dell'Orto Botanico della R. Università di . Napoli
TREVISAN DE SaInT-LEox (Conte Vittore), Cor-
rispondente del R. Istituto Lombardo . . . . Milano
CanpoLLe (Alfonso DE), Professore di Botanica. Ginevra
BoissieR (Pietro Ed.), Botanico, della Società
di Fisica e di Storia naturale di . . . . . Ginevra
GENNARI (Patrizio), Professore di Botanica nella
R. Università di . . . Cagliari
TuLASNE (Luigi Renato), dell'Istituto di Francia Parigi
CARUEL (Teodoro), Professore di Botanica nel-
l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezio-
i. Pea
GIBELLI (Giuseppe), Professore di Botanica nella
nt dii 2. a. lr pologna
ARDISSONE (Francesco), Professore di Botanica
nella R. Scuola Superiore d’Agricoltura in . . . Milano
SEZIONE
DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA COMPARATA
FrancEscHI (Giovanni), Professore nella R.
n dii e Bologna
RiPpeL (Edoardo), Segretario della Società
Senckenbergiana di Scienze naturali in. . Francoforte s/M.
4 De SeLys LonecHaMmPs (Edmondo) . . Liegi
i BurxmEISTER (Ermanno), Direttore del Museo
>... ; Buenos Ave
16 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
Pappi (Rodolfo Armando)
Santiago (Chili)
ScHLEGEL (Ermanno), Direttore del Museo di Leida
DE CiGALLA (Conte Giuseppe), Protomedico
onorario, nell’ isola di e SA
Owen (Riccardo), Direttore delle Collezioni
di Storia naturale al British Museum
KoELLIKER (Alberto), Professore di Anatomia
e Fisiologia o I ht ERRE MR
DE-SieBoLp (Carlo Teodoro), Professore di
Zoologia e Anatomia comparata nell’ Università
La Se ei
STANNIUS (Armando)
Mine Epwarps (Henri), dell'Istituto di
Francia 2 E RARA SSR SOT, REN I
ErcoLaAnI (G. B.), Direttore della Scuola
di Veterinaria, e Professore di Patologia ge-
nerale e speciale ed Anatomia patologica nella
Scuola medesima LIS ge Mpa)
GoLci (Camillo), Professore di Istolo-
gia, ecc. nella R. Università di ;
HaeckEL (Ernesto), Professore nell’ Uni-
Santorino
Londra
Wiirtzburg
Monaco (Baviera)
Rostock
Parigi
Bologna
Pavia
VARIARE RITTER IONI
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 17
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Direttore
FABRETTI (Ariodante), Professore di Archeologia greco-romana
nella Regia Università, Direttore del Museo di Antichità, Socio cor-
rispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e
Belle Lettere), Socio della Reale Accademia dei Lincei, Membro
corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del-
l'Accademia di Archeologia, Letteratura e Belle Arti di Napoli,
della R. Accademia della Crusca, dell’Accademia Lucchese di
Scienze, Lettere ed Arti, e dell'Istituto di Corrispondenza ar-
cheologica, Professore Onorario dell’ Università di Perugia, Pre-
sidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia
di Torino, Uftiz. &, Comm. @: &, Cav. della Leg. d’O. di Fran-
cia, e C. O. R. del Brasile.
Segretario Perpetuo
GoRrrEsIO (Gaspare), Senatore del Regno, Prefetto della Biblio-
teca Nazionale, già Professore di Letteratura orientale nella
R. Università di Torino, Socio Straniero dell'Istituto di Francia
(Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Socio ordinario della
R. Accademia de’ Lincei, Socio della Reale Accademia di Scienze
e Lettere di Palermo, della R. Accademia della Crusca, ecc.,
Membro Onorario della Reale Società Asiatica di Londra, Vice-
Atti R, Accad. - Parte Fisica — Vol, XVIII. 2
lia Ai
-
18 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Pro-
vincia di Torino, Comm. &, Gr. Uffiz. @; «, dell'O. di Guadal.
del Mess., e dell'O. della Rosa del Brasile, Uffiz. della L. d’O. di
Francia, ecc.
Accademici residenti
RicortI (Ercole), predetto.
GoRrRESIO (Gaspare), predetto.
FaBRETTI (Ariodante), predetto.
PeyRon (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario
Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Comm. %.
VALLAURI (Tommaso), Senatore del Regno, Professore di
Letteratura latina nella R. Università, Membro della R. Deputa-
zione sovra gli studi di Storia patria, Socio corrispondente della
R. Accademia della Crusca, del R. Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, e dell’Accademia Romana di Archeologia,
Comm. &, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno.
FLECHIA (Giovanni), Professore di Storia comparata delle lingue
classiche e neolatine e di Sanscrito nella R. Università, Socio della
R. Accademia dei Lincei, Uffiz. &, Comm. &; &.
CLARETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segre-
tario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, Membro
della ‘Società di Archeologia e Belle Arti e della Giunta conserva-
trice dei monumenti d’Antichità e Belle Arti per la Provincia di
Torino, Comm. £ e a.
BIANCHI (Nicomede), Senatore del Regno, Soprantendente degli
Archivi Piemontesi, Membro della RK. Deputazione sovra gli studi
di Storia patria delle antiche Provincie e della Lombardia, Membro
corrispondente delle Deputazioni di Storia patria delle Provincie
Modenesi, delle Provincie della Toscana, dell’ Umbria e delle
Marche, Membro Onorario della Società storica Svizzera, della
R. Accademia Palermitana di Scienze e Lettere, della Società
Ligure di Storia patria, della R. Accademia Petrarca di Scienze,
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 19
Lettere ed Arti in Arezzo, dell’Accademia Urbinate di Scienze,
Lettere ed Arti, del R. Ateneo di Bergamo, e della Regia Acca-
demia Paloritana di Messina, Gr. Uftiz. &, Comm. &, e Gr. Uffiz.
dell'O. di S. Mar.
Promis (Vincenzo), Dottore in Leggi, Bibliotecario e Conserva-
tore del Medagliere di S. M., Membro della R. Deputazione sovra
gli studi di Storia patria, Membro e Segretario della Società d’Ar-
cheologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Ispettore degli
scavi e monumenti d’antichità in Torino, *, Uffiz. @, Gr. Uffiz.
dell'O. di Francesco Giuseppe d'Austria.
Rossi (Francesco), Adiutore al Museo d’Antichità, Professore
d’Egittologia nella R. Università, Membro ordinario dell’Acca-
demia orientale di Firenze, a.
Manxo (Barone D. Antonio), predetto.
BoLLatI Barone DI SAINT-PIERRE (Federigo Emanuele), Dot-
tore in Leggi, Direttore dell'Archivio di Stato, detto Camerale,
Consigliere d’Amministrazione nel R. Economato generale delle
antiche Provincie, Membro della R. Deputazione sopra gli studi
di Storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Socio
Corrispondente della Società Ligure di Storia Patria, della Società
Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria
per le Provincie della Romagna, e della Società per la Storia di
Sicilia, Uffiz. *, .
SCHIAPARELLI (Luigi), Dottore aggregato, Professore di Storia
antica, e Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Uni-
versità di Torino, #&, Comm. a.
Pezzi (Domenico), Dottore aggregato e Professore straordi-
nario nella Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Università di ’
Torino, @.
FeRrRERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore ag-
gregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di
Torino, Professore di Storia militare nell'Accademia Militare,
Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria
per le antiche Provincie e la Lombardia, e della Società d’Ar-
20 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
cheologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro cor-
rispondente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie
di Romagna, e dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico, ®.
CARLE (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Leggi,
Professore della Filosofia del Diritto nella R. Università di To-
rino, Comm. &.
NaxI (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurispru-
denza, Professore di Storia del Diritto nella R. Università di Torino,
Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, a.
Barco (Giambattista), Dottore in Lettere ed in Filosofia,
Preside del R. Liceo G. B. Beccaria in Mondovì.
Accademici Nazionali non residenti
CaruTTI DI CAnTOGNO (Barone Domenico), Consigliere di Stato,
Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio
e Segretario della R. Accademia dei Lincei, Socio Straniero della
R. Accademia delle Scienze Neerlandese, Socio corrispondente della
R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, della R. Ac-
cademia Lucchese, della Pontaniana di Napoli, Socio onorario
dell'Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo, ecc., Membro
del Consiglio degli Archivi, Gr. Uffiz. &, Comm. &, Cav. e Cons. &,
Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e dell'O. d’Is. la Catt.
di Sp. e di S. Mar., Gr. Uffiz. dell'O. di Leop. del B., dell'O. del
Sole e del Leone di Persia, e del Mejidié di 2% cl. di Turchia,
Gr. Comm. dell’ Ord. del Salv. di Gr., ecc.
AMARI (Michele), Senatore del Regno, Professore emerito del-
l’ Università di Palermo e del R. Istituto di studi superiori di
Firenze; Dottore in Filosofia e Lettere dell’Università di Leida e
di Tubinga: Socio della Reale Accademia dei Lincei in Roma,
delle RR. Accademie delle Scienze in Monaco di Baviera e in Co-
penhagen; Socio Straniero dell’Istituto di Francia (Accademia delle
Iscrizioni e Belle Lettere), Socio corrispondente dell’ Accademia
delle Scienze in Palermo, della Crusca, dell’ Istituto Veneto, della
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 21
Società Colombaria in Firenze, della R. Accademia d’Archeologia in
Napoli, dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Lucca e in
Modena, della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie
Parmensi, di quella per le Provincie Toscane, dell'Umbria e delle
Marche, delle Accademie Imperiali di Pietroborgo e di Vienna;
Socio Onorario della R. Società Asiatica di Londra, delle Ac-
cademie di Padova e di Gottinga; Presidente Onorario della
Società Siciliana di Storia patria e Socio Onorario della Ligure,
della Veneta e della Società storica di Utrecht; Gr. Uffiz. K,
e Gr. Croce @, Cav. e Cons. sb.
Reymonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia politica
nella R. Università, &.
Ricci (Marchese Matteo), Uffiz. &, a Firenze.
MixERvINI (Giulio), Bibliotecario e Professore Onorario della
Regia Università di Napoli, Segretario generale Perpetuo dell’Ac-
cademia Pontaniana, Socio Ordinario della Società R. di Napoli,
Socio della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente dell’ Istituto
di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), della R. Ac-
cademia delle Scienze di Berlino, ecc., Uffiz. #, e Comm. @, Cav.
della L. d’O. di Francia, dell'Aquila Rossa di Prussia, di S. Mi-
chele del Merito di Baviera, ecc.
DE Rossi (Comm. Giovanni Battista), Socio Straniero del-.
l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Let-
tere), e della R. Accademia delle Scienze di Berlino e di altre
Accademie, Presidente della Pontificia Accademia Romana d’Ar-
cheologia.
a Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Con-
sigliere della Corte di Cassazione di Roma e del Consiglio del
Contenzioso diplomatico, Uffiz. &, e Comm. .
Cantù (Cesare), Membro effettivo del R. Istituto Lombardo, So-
prantendente degli Archivi Lombardi, Socio dell’Accademia della
Crusca, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia di Madrid,
Corrispondente dell'Istituto di Francia e d’altri, Gr. Uffiz. * e
Comm. €, Cav. e Cons. 4, Comm. dell'O. di C. di Port., Gr.
22 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
Uffiz. dell'O. della Guadalupa, ece., Officiale della Pubblica Istru-
zione e della L. d'O. di Francia, ecc.
Tosti (D. Luigi), Abate Benedittino Cassinese, Socio Ordinario
della Società Reale delle Scienze di Napoli.
Berti (Domenico), Ministro d’Agricoltura, Industria e Com-
mercio, Deputato al Parlamento nazionale, Professore emerito
della R. Università di Roma e di Bologna, Socio della R. Ac-
cademia dei Lincei, Socio corrispondente della R. Accademia della
Crusca e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr.
Uffiz. +, Gr. Cord. &; £.
Accademici Stranieri
MoxmwnsEN (Teodoro), Professore di Archeologia nella Regia
Università e Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino ,
Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscri-
zioni e Belle Lettere).
MiLLer (Massimiliano), Professore di Letteratura straniera
nell’ Università di Oxford, Socio Straniero dell'Istituto di Francia
(Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere).
MiGneET (Francesco Augusto Alessio), Membro dell’ Istituto di
Francia (Accademia Francese) e Segretario Perpetuo dell’Acca-
demia delle Scienze morali e politiche, Gr. Uffiz. della L. d’O. di
Francia.
RENIER (Leone), Membro dell'Istituto di Francia (Accademia
delle Iscrizioni e Belle Lettere), Uffiz. della L. d’O. di Francia.
EcceR (Emilio), Professore alla Facoltà di Lettere di Parigi,
Membro dell’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle
Lettere), Uffiz. della L. d’O. di Francia.
Bancrorr (Giorgio), Corrispondente dell’Istituto di Francia
(Accademia delle Scienze morali e politiche).
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 25
De WirTE (Barone Giovanni Giuseppe Antonio Maria), Membro
dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere).
GrEGoROvIUS (Ferdinando), Membro della R. Accademia Ba-
varese delle Scienze in Monaco.
RanKE (Leopoldo), Membro Straniero dell’ Istituto di Francia
(Accademia delle Scienze morali e politiche), della R. Accademia
delle Scienze di Berlino.
24 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
CORRISPONDENTI
FrancescHI-FERRUCcCI (Catterina), Corrispon-
dente della R. Accademia della Crusca . . . Pisa
SiLoratA (Pietro Bernabò), Prof., Comm. . Roma
Wirte (Carlo), Professore nell'Università di . Halle
Muicksi (Francesco) ci 3.0. . ala Be
NeerI (Barone Cristoforo), Console generale
di I° Classe, Consultore legale del Ministero per gli
AMARI Storie nia rl
Reumont (Alfredo Di), Corrispondente dell’Isti- | poyrcette
tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti... . \presso Acquisgrana
PoLi (Baldassarre), Socio del Reale Istituto
STIA FRALEE EC N Aaa NS RIN o] GR A I
Krone (Giulio) . . . . ca i Reenna
SAnGUINETTI (Abate Angelo), della R. Depu-
tazione sovra gli studi di Storia patria . . . Genova
GruLIANI (P. Giambattista), Professore nel R,
Istituto di studi superiori pratici e di perfeziona-
FISICI VERMI ARONA: IR RE RR
CHAMPOLLION-FIGFAC (Amato) . . . . . Parigi
LaBouLAyE (Edoardo), dell’Istituto di Francia . Parigi
Henzeno{Gaslielmo)is i, 360. Lepre
Borssizu (Alfonso De). G.S
Wiesaprn, (Hederioo)..je.e;ic apri agi Gottinga
ADRIANI (P. Giambattista), della R. Deputazione
sovra gli studi di Storia patria. . .-. . Cherasco
Dacuer (Alessandro) . . . . . . . | Neuchatel
l (Svizzera)
ELENCO DEGLI ACCADEMICI
LePsIvs (Riccardo), della R. Accademia delle
Scienze di
PeRRENS (Francesco) .
ReEGNIER (Adolfo), dell’ Istituto di Pirola
Oporici (Federico), Prefetto della Biblioteca
nazionale di Agg 91 de
CampPorIi (Marchese Giuseppe)
HAULLEVILLE (Prospero DE) .
KrEHL (Ludolfo) .
LinatI (Conte Filippo) ANO:
JourpAIN (Carlo) dell’ Istituto di Francia
_ RenaN (Ernesto), dell’ Istituto di Francia
ReNnpU (Eugenio) .
PaLma DI CesnoLa (Conte Luigi)
SourINDRO MOHUN TAGORE RAZGII
ComPARETTI (Domenico), Professore nell’ Istituto
di studi superiori pratici e di perfezionamento in .
ViLLARI (Pasquale) id. id. ;
GieseBREcHT (Guglielmo), dell’Accademia Ba-
varese delle Scienze in 9,
VannuCccI (Atto), Senatore dal Ru Socio
della R. Accademia de’ Lincei ;
DE Leva (Giuseppe), Professore di Storia mo-
derna nella R. Università di
GozzapiniI (Giovanni), Senatore del dea
RawLInsoN (Giorgio), Prof. nella Università di .
SyBEL (Enrico Carlo Ludolfo DI), Direttore
dell'Archivio di Stato in SAS e AT
GacnarD (Luigi Prospero), Socio della R. Ac-
cademia delle Scienze del Belgio spet
Garrucci (P. Raffaele), della C. d. G. .
FioRELLI (Giuseppe), Senatore del Regno
AscoLi (Isaia Graziadio), Professore nella R. Ac-
cademia scientifico-letteraria di .
25
Berlino
Parigi
Parigi
Milano
Modena
Brusselle
Dresda
Parma
Parigi
Parigi
Parigi
New- York
Calcutta
Firenze
Firenze
Monaco
Firenze
Padova
Bologna
Oxford
Berlino
Brusselle
Roma
Loma
Milano
26 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
Bruzza (P. Luigi), Barnabita ROOT
CurrIus (Ernesto), Professore nell'Università di
BircH (Samuele), Conservatore delle Antichità
orientali, ecc., e delle Collezioni etnografiche del
Museo Britannico in ARS ona
WEBER (Alberto), Professore nell'Università di
WiraneY (Guglielmo), Prof. nel Collegio Yale.
MAMIANI (Terenzio), Senatore del Regno .
LampeRTICO (Fedele), Senatore del Regno
SERAFINI (Filippo), Professore di Diritto romano
nella R. Università di Pt
WacLoNn (Alessandro), Segretario perpetuo del-
l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e
Bellsmbeniero gel notti ea
TaInE (Ippolito), dell’Istituto di Francia
BonatELLI (Francesco), Professore di Filosofia
teoretica nella R. Università di culi
Rianr (Conte Paolo), dell'Istituto di Francia
CurtIus (Giorgio), Professore di Filologia greca
nell’ Università di .
Roma
Berlino
Londra
Berlino
New Haven
Roma
Padova
Pisa
Parigi
Parigi
Padova
Parigi
Lipsia
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 2
MUTAZIONI
avvenute nel Corpo Accademico
dal 1° Gennaio 1882 al 1° Gennaio 1883
ELEZIONI
NANI (Cesare), eletto il di 8 Gennaio 1882 a Socio Na-
zionale residente della Classe di Scienze morali, storiche e filo-
logiche.
Barco (Giambattista) , id. id. id.
BoxaTELLI (Francesco), eletto il 5 Febbraio 1882 a Cor-
rispondente della Classe di Scienze morali. storiche e filologiche.
RianT (Conte Paolo), id. id. id.
CurtIvs (Giorgio), id. id. id.
CLausivs (Rodolfo), eletto il 12 Marzo 1882 a Corrispon-
dente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali.
CastIGLIANO (Alberto), id. id. id.
ViLLAarI (Emilio), id. id. id.
Roiri (Antonio), id. id. id.
FrIieDEL (Carlo), id. id. id.
FreseNIus (Carlo Remigio), id. id. id.
CAPELLINI (Giovanni), id. id. id.
StoPPANI (Antonio) , id. id. id.
THnomson (Guglielmo), eletto il 31 dicembre 1882 a /Soezo
Straniero della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali.
GEGENBAUR (Carlo), id. id. id.
e
28 ELENCO DEGLI ACCADEMICI
MORTI.
11 Gennaio 1882.
LonGPÉRIER (Enrico Adriano Prevost DE), Membro dell’Isti-
tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere)
Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filo-
logiche.
14 Gennaio 1882.
ScHwAN (Teodoro), Professore di Fisiologia nell’ Università di
Liegi, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle
Scienze, Sezione di Medicina e Chirurgia), Socio Stramiero della
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali.
24 Gennaio 1882
Srorro-PintoR (Giovanni), Nobile Cagliaritano, Senatore del
Regno, Presidente Onorario di Corte di Cassazione, Gr. Uffiz. *,
Comm. @, Socio Nazionale residente della Classe di Scienze
morali, storiche e filologiche.
8 Febbraio 1882.
DecaIsnE (Giuseppe), Membro dell’Istituto di Francia (Ae
cademia delle Scienze, Sezione di Botanica), Corrispondente
della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali.
18 Marzo 1882.
sGarovaaLIo (Santo), Professore di Botanica e Direttore del
Laboratorio crittogamico e dell’ Orto Botanico della R. Univer-.
sità di Pavia, Corrispondente della Classe di Scienze fisiche ,
matematiche e naturali.
ELENCO DEGLI ACCADEMICI 29
20 Aprile 1882.
Darwin (Carlo), Membro della Società Reale di Londra,
Socio Straniero della Classe di Scienze fisiche, matematiche e
naturali.
8 Giugno 1882.
__CornaLia (Emilio), Direttore del Museo civico e Professore di
Zoologia applicata nella R. Scuola Superiore di Agronomia di Mi-
lano, ecc., Socio Nazionale non residente della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali.
23 Settembre 1882.
WogLER (Federico), Professore all’ Università di Gottinga ,
Socio Straniero dell’ Istituto di Francia, Corrispondente della
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali.
4 Ottobre 1882.
Berti (Salvatore), Segretario Perpetuo dell’Accademia Ro-
mana di S. Luca, Corrispondente della Classe di Scienze mo-
rali, storiche e filologiche.
CLASSE
DI
ICHE E NATURALI
Novembre - Diicenibro
1882.
ì
33
CLASSE
DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 19 Novembre 1882,
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. SENATORE E. RICOTTI
Il Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa legge il seguente scritto
del sig. Cav. Giuseppe GieLLI, Prof. di Botanica nella R. Uni-
versità di Bologna, Corrispondente dell’ Accademia :
3 DECAISNE
COMMEMORAZIONE.
Il giorno 8 Febbraio di quest'anno è morto J. DECAISNE,
uno dei più illustri botanici della prima metà di questo secolo.
Nella scienza egli può essere considerato come un largo anello
di congiunzione tra la scuola descrittiva e sistematica, colla
quale si affermò la Botanica scientifica nel primo quarto di
questo secolo, e la scuola anatomico-morfologica, che ne è la
splendida continuazione. Egli sta tra Mirbel e Adriano de Jussieu,
suoi maestri, e Duchartre, Van Tiegem, Naudin e Thuret suoi
scolari.
J. Deca1snE imprese di buon'ora la lotta per l’esistenza,
armato di una volontà ferrea, di grande resistenza al lavoro, e
di una intelligenza assai comprensiva. Una volta iniziato agli
elementi della scienza, come un fantaccino che ha nella sua gi-
berna il bastone di maresciallo, si elevò nella sua carriera a
passi lenti ma sicuri fino a conquistarne il supremo grado.
Atti R, Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 3
)
É
34 G. GIBELLI
Entrò di 17 anni nel 1824 nel Jardin des Plantes quale
semplice giardiniere, e cominciò coll’aiutare nelle esperienze di
coltivazioni il celebre Mirbel; il quale trovatolo osservatore acuto
e diligentissimo lo prepose alla Direzione del semenzaio.
Negli umili suoi uffici apprese rapidamente moltissime co-
gnizioni pratiche di giardinaggio e di frutticultura, che poi
ebbero molta influenza sopra la scelta e l'indirizzo degli argo-
menti de’ suoi studî.
Come era anche disegnatore fino ed esatto, così stette qualche
tempo in forse per abbandonare la modesta sua posizione e de-
dicarsi all'arte, ma Adriano de Jussieu, riconosciute in lui
riunite le più preziose doti per un eccellente naturalista, lo
aggregò come aiuto alla cattedra di botanica rurale nel 1833,
decidendo così per sempre del suo avvenire.
In questo modo egli potè a poco a poco corroborare le
dottrine scientifiche, che andava apprendendo, coll’empirismo
consumato del coltivatore e colle delicate manualità dell'artista :
felice connubio di qualità troppo rare volte riunite in un uomo
solo, e che in DECAISNE accentuarono meravigliosamente l’in-
gegno positivo, utilitario, anche in tutti que’ suoi lavori, che
paiono informati dal puro spirito di ricerca scientifica.
Cominciò nel 1831 la serie delle sue pubblicazioni, che,
continuate fino a pochi giorni prima della sua morte, toccano
l’egregia cifra di 168 tra grandi e piccole.
DECAISNE potè addottrinarsi in tutti i rami della Botanica
scientifica (attualmente non gli sarebbe forse riuscito abbastanza
profondamente) e delle sue applicazioni all'agricoltura, all’ or-.
ticoltura ed all'industria. In tutti potè iniziare e condurre a
termine ricerche importantissime, le quali segnarono sempre del
suo nome un passo più o meno importante nella scienza. I suoi
meriti incontestabili gli procacciarono nel 1847 l'ambito posto
di Membro dell’Accademia delle Scienze, della quale poi nel
1864 fu eletto Presidente. Nel 1850 succedette nella cattedra
a Mirbel. Fu Membro di tutte le principali Accademie scientifiche
mondiali; nel 1880 lo divenne della Società Reale di Londra.
Diresse per lunghi anni la parte botanica degli Amnales des
sciences naturelles, la più importante pubblicazione periodica di
queste scienze in Francia: fu uno dei fondatori della benemerita
Societe botanique de France, e collaboratore di tutti i giornali
di botanica agricola e orticola francesi.
”
È
1
COMMEMORAZIONE DI J. DECAISNE 35
Di DECAISNE, come tassonomista e descrittore esimio di
piante, abbiamo una numerosa serie di monografie classiche di
parecchie famiglie, di molti generi e di moltissime specie. Fra
le più importanti citiamo:
Memoire sur la famille des Lardizabalées. Archives du
Muséum, 1837.
Monographie des Asclepiadées, in D. C. Prod.
Monographie des Plantaginees, in D.C. Prod.
Mem. sur la fam. des Pomacées. Nouv. Arch. du
Muséum. X.
Esquisse d'une monographie des Araliacces. Flore des
Serres, IX.
Monographie du genre Épimedium. Ann. Sc. nat., II°
Sér., 1834.
Monographie des genres Ligustrum et Syringa. Nouv.
Arch. du Muséum, II° Sér., T. II, 1879.
Revision des Clematites du groupe des Tubulosae. Nouv.
Arch. du Muséum (ultimo suo lavoro, edito dopo
la sua morte).
Aggiungiamo le opere di maggior mole e di carattere più
generale :
Plantes de VArabie heureuse, récoltées par M" Botta:
Algues, Fougères, Lycopodiacees (Archives du Muséum,
II°, 1841).
Enumeration des plantes recoltees par M. Bove dans
les deux Arabies, la Palestine, la Syrie, l Egypte
(Ann. Sc. nat., I° Ser., 1834).
Plantae asiaticae quas in India collegit V. Jacquemont
(Paris, Didot, 1846, avec 120 pl.).
Flore elementaire des jardins et des champs, 1855.
Traité gentral de Botanique, Paris, Didot. 1868.
Da questi lavori di diligente analisi descrittiva seppe ele-
varsi alle quistioni sintetiche intorno alla Geografia botanica
comparata sulla distribuzione delle specie nell’Arcipelago indiano,
36 G. GIBELLI
ch'egli trattò principalmente nella Herbariî Timorensis de-
scriptio (Mém. de l’Acad. des Sc. et Nouv. Ann. du Muséum,
III, 1834), nelle Observations sur la Flore du Japon (Bull.
Acad. Bruxelles, 1834); nelle Notices sur la Flore d’ Egypte,
(Ann. Sc. nat., 1836).
A questa categoria di studii vanno ascritte le ricerche
sulla patria dell’Ippocastano, dell’Heltanthus annuus, H. tu-
berosus, etc.
Iniziatore felicissimo, tracciò risolutamente la strada nuova :
alla Botanica morfologica e biologica; nella quale i moderni si
sono ingolfati, raccogliendovi splendida messe di fatti, il cui
complesso ha rivelato quasi una scienza nuova.
Fanno epoca i suoi studî e le sue scoperte sugli organi
sessuali delle Alghe, che, proseguiti dal suo scolaro Thuret, lo
resero immortale (L'echerches sur les Anthéridies et les spores
de quelques Fucus. Acad. des Sc., 1844. Ann. Sc. nat. 1845).
Egualmente famosi vanno quelli, nei quali definisce esatta-
mente la natura botanica delle Coralline, credute polipai cal-
ciferi (Mem. sur les Corallines et les Polypiers calcifères. Ann.
Sc. nat., 1842).
Del resto tutti i lavori di tassonomia erano preceduti da
studî anatomici sulla famiglia delle piante che poi ordinava si-
stematicamente.
Ancora classiche, malgrado qualche lieve appunto, che gli
sì fece di poi, sono le techerches anatomiques et physiolo-
giques sur le developpement de l’ovule et sur la structure de
la tige du Gui (Nouv. Mém. de l’Acad. de Bruxelles, 1839).
Questa memoria fu quasi la porta che aprì il campo a tutta
la schiera dei morfologisti moderni.
Ingegno fino ed elevato, ma per istinto e per educazione
sempre intento alla soluzione dei problemi di pratica e pronta
utilità, DECAISNE preferiva studiare le piante industriali ed ali-
mentari. D'altra parte comprendeva bene, come nessuna conse-
guenza sicuramente profittevole avrebbe potuto dedurre, senza
una previa analisi anatomica e biologica delle specie che voleva
illustrare. Perciò solo, sicuri e pronti e noti a tutti gli indu-
striali furono i beneficî apportati dai suoi studî Sur la stru-
cture anatomique de la Cuscute et du Cassyta (Ann. Sc. nat.
1846); Sur le parasitisme des Ihinanthacces (Ann. Sc. nat.
1847);
COMMEMORAZIONE DI J. DECAISNE 37
Le Recherches anatomiques et physiologiques sur la Ga-
rance (Mém. Acad. des Sc. de Bruxelles, T. XII,
1837);
Le Recherches anatomiques sur la Betterave à sucre
(Paris, 1839);
L’ Histoire de la maladie des pommes de terre (Paris,
1846);
Le Recherches sur la Ramie (Journal d’agriculture pra-
tique, 1845).
Le Notes et remarques sur la Dioscorea Batatas (Revue
horticole, 1854. Compte rendu, 1855).
L'Orticoltura e la Pomologia furono per lui predilezione spe-
ciale, ed ai loro progressi convergeva quasi sempre, e per così
dire involontariamente, le acute indagini scientifiche. Di qui una
infinità di studî e di osservazioni preziose sull'introduzione di
nuove piante fruttifere e ornamentali, sui diversi metodi e pro-
cessi di coltivazione, che comunicava annualmente ai diversi
giornali della materia.
Di qui la ben nota e utilissima istituzione de l’ Ecole du
Poirier, e l’opera classica de la variabilité dans Vespèce du
Poirier, resultat d’expériences faites au Museum d’ Histoire
naturelle du 1853 au 1862 (Ann. Sc. nat., IV. Sér., T. 20,
1863); nella quale da una congerie di osservazioni diligentis-
sime risale con sicurezza matematica alle conseguenze più ge-
nerali ed elevate; che cioè tutte le più disformi varietà di questa
pianta, ingenerate dai processi diversi di coltivazione, discendano
da una tipica ed unica specie.
Ognun vede di quanta importanza siano state queste minu-
ziose ed esatte e pertinaci ricerche per l’affermazione delle leggi
Darwiniane. Delle quali pur troppo è invalsa la moda oggidì di
discorrerne in lungo e in largo per vanteria da tanti pseudo-
scienziati, che poi non si sono mai dati la minima briga di
persuadersi per fatto proprio, come le loro verità non siano il
frutto di speculazioni vane e intuitive, ma il necessario risul-
tato di una grande pazienza, di una grande acutezza, di una
grande coscienza, e di un grandissimo numero di osservazioni
e di esperienze.
A questa passione del DecAISNE per il giardinaggio dob-
biamo ancora il Manuel de l’amateur des jardins (in collab.
38 G. GIBELLI - COMMEMORAZIONE DI J. DECAISNE.
con Naudin, vol. 4. Paris, Didot 1862), e soprattutto il Jardin
fruitier du Muséum; Iconographie de toutes les espèces et
variétes d’arbres fruitiers cultives dans cet ctablissement (in-4°,
1858-72): opera di mole, nella quale la scienza dell’ordine il
più elevato illumina di luce nitida e vivissima i dati della pratica
la più accurata; grandioso monumento iconografico e scientifico,
che servirà sempre di guida a tutti i pomicultori e orticultori.
Troppo a lungo e fuor di luogo ci condurrebbe una ulte-
riore analisi della sua attività scientifica.
Per toccare alcunchè delle sue qualità personali, accenne-
remo come fosse dotato di memoria tenacissima, di intuizione
acutissima, sicchè spesso riconosceva le specie dall’ispezione di
un semplice fuscello, e gli avvenne di poter designare la prove-
nienza australasica di certe balle di lana dalla osservazione di
alcuni frammenti di foglie commistevi.
Come insegnante era prezioso ; non tanto per la sua elo-
quenza, quanto perchè colla esposizione nitida ed ordinata sapeva
mettere in evidenza il soggetto, capacitarne i suoi uditori, e
infondere in non pochi di essi l’amore allo studio ed alla scienza.
I suoi illustri scolari ne sono splendido testimonio.
Come aureola alla sua bella fama e alla benemerenza ben
guadagnata verso la scienza e la patria sua, aggiungeremo da
ultimo, come l'illustre uomo fosse anche dotato, come si suol
dire, di un cuore d’oro. E però sentiva profondamente l’ami-
cizia, e dai pochi ma eletti amici era riamatissimo. Il senti—
mento di pietà verso i miserabili occupava nell’anima sua tanto
posto quanto la diletta scienza. Egli stesso visitava i suoi po-
veri, e li soccorreva con quella nobile dignità, che solleva e
conforta il donato e il donatore; con tale pia funzione soleva
celebrare il primo giorno dell’anno, procacciandosi da se stesso
i più dolci e meritati auguri. Ai poveri legò tutto il suo pa-
trimonio.
Pochi uomini possono dire d’aver così utilmente lavorato per
l'umanità colla scienza, pochi uomini possono dire come J. DE-
CAISNE d’aver ben meritato la corona civica, che perennemenpe
cingerà la sua venerata memoria.
39
Lo stesso Socio Cossa presenta e legge il seguente lavoro
del sig. Dott. Vincenzo Fino, Prof. di Chimica nella Scuola
municipale Cavour, presso il R. Istituto industriale e professionale
di Torino.
SULLA
RODONITE DI VIÙ.
La rodonite, come è noto, costituisce una specie mineralo-
gica ben caratterizzata, la sua composizione corrisponde al sili-
cato manganoso avente per formola Mw Si 0°, nel quale parte
dell’ossido manganoso può essere sostituita dagli ossidi ferroso,
calcico, magnesico, di zinco. Come prodotti d’alterazione della
rodonite sono conosciuti parecchi minerali designati col nome di
stratopeite, klipsteinite, ecc., i quali risulterebbero per elimi-
nazione più o meno grande di silice, e contemporanea idrata-
zione del silicato residuo, mentre l’ossido manganoso passa tutto
od in parte ad un maggior grado d’ossidazione. La braunite,
secondo Ebelmen, deriverebbe anch'essa dalla rodonite e si po-
trebbe, secondo il medesimo, considerare come, un miscuglio di
rodonite non decomposta ed ossido manganico. Ora, mentre la
rodonite è per lo più di color roseo, i suoi prodotti d’altera-
zione passano man mano al bruno e da questo al nero deciso.
Finora non è grande il numero delle località italiane dove
si rinvenne la rodonite. Le meglio descritte sono quelle di San
Marcel in valle d’Aosta, del monte Civillina nel Vicentino, di
Campiglia in Toscana, studiate da Ebelmen (1), Pisani (2), Rath
e Bechi (3).
(1) EseLMEN, Annales des mines, IV série, vol. 7.
(2) Pisani, Comptes rendus, vol. 62, pag. 100.
(3) D’Acmarpi, Mineralogia della Toscana, vol. 2, pag. 86.
40 V. FINO
Mi sono meno note quelle di Valprato in val Soana (1),
dell’Impruneta presso Firenze (2), e dell’Isola d’Elba (3). Nelle
valli di Lanzo, per quanto è mia cognizione, non si era ancora
notato la presenza di questo minerale.Avendo, or non è molto,
presentato al prof. Cossa un campione di rodonite da me tro-
vata nelle vicinanze di Viù, egli col suo autorevole consiglio mi
decise a farne l’analisi e corredarla di quelle altre osservazioni
che meglio valessero a dimostrarne l'identità colla nota specie
mineralogica. Le notizie circa la giacitura ed il risultato delle
ricerche, eseguite sotto la cortese direzione del prelodato Pro-
fessore Cossa, specialmente per quanto concerne le proprietà
fisiche, sì possono riassumere in quanto segue:
Il minerale in discorso lo rinvenni sotto forma di ciottoli di
diverse dimensioni, in un ruscello che scorre presso la borgata
Biolay, posta a sinistra, ed a poca distanza dalla strada che
da Viù conduce al colle di S. Giovanni. Nella carta di Viù al
50,000 recentemente pubblicata dall'Istituto topografico militare
si nota esattamente segnata quella località colla quota altimetrica
di 907 m. Con un primo saggio qualitativo constatai essere
questi ciottoli costituiti da silicato manganico idrato. Una più
attenta osservazione mi dimostrò che mentre questi massi ester-
namente erano affatto neri ed amorfi, parecchi nell’interno con-
tenevano frequenti nuclei rosei di struttura evidentemente cri-
stallina, la cui composizione chimica corrispondeva appunto alla
vera rodonite. Per quanto ricercassi non mi riuscì a trovare la
roccia in posto da cui questi massi si erano staccati. Trovai
solamente dei piccoli frammenti disseminati nel terreno coltiva-
bile occupante il ripido pendio, sul quale è costrutta la borgata.
Se questo strato di terreno non avesse un gran spessore, forse
poteva scoprire qualche filoncello del predetto minerale schiacciato
probabilmente tra il limitare del forte banco di micascisto che
attraversa la valle in quel punto e dall’altro lato dal banco di
roccia anfibolica volgente poco a poco in pretta serpentina.
Mi venne pure il dubbio che questi ciottoli fossero frantumi di
qualche masso morenico proveniente dal massiccio del Civrari, ma
nelle ulteriori indagini nulla venne ad avvalorare questa supposizione.
(1) JeRvIS, I tesori sotterranei. Regione delle Alpi, pag. 77.
(2) PisanI, loc. cit.
(3) BomBicci, Enciclopedia chimica del SeLmi, vol. 8, pag. 1027
SULLA RODONITE DI VIÙ 41
La rodonite di questa provenienza è di color roseo schietto,
volgente talora al grigio giallognolo, ha lucentezza vitrea nei
riflessi dei piani di sfaldatura ché si scorgono in certe direzioni
— ha talvolta struttura quasi saccaroide e frattura ineguale.
Ordinariamente è più o meno frammista con sostanza nera anche
nella parte centrale dei ciottoli, di guisa che non mi riuscì facile
ad ottenere una certa quantità di minerale veramente scelto. La
parte nera, tanto superficiale quanto interna, non è altro che
un prodotto d’alterazione della rodonite.
Peso specifico del minerale scelto = 3,65, durezza da 5,5 — 6.
Dall'esame microscopico di sezioni sottili, preparate con pezzi
di minerale puro, si rileva che esso è formato dall’aggregato di
cristalli di abito prismatico, i quali esaminati poi nella luce po-
larizzata presentano i caratteri della cristallizzazione triclina.
In sezioni sottili questi cristalli appaiono quasi incolori, a
contorni ben netti e con traccie di due piani di sfaldatura ben
distinti, delle quali la più marcata è quella parallela alle faccie
del prisma.
In questo minerale contrariamente a quanto fu notato per
rodoniti di altre località, non si è notato indizio sensibile di
pleocroismo.
Questi cristalli presentano una polarizzazione cromatica molto
viva, simile a quella che si osserva in alcune varietà di pirosseno.
Esaminati attentamente si osservano in essi alcune inclusioni
costituite da laminette esilissime di ferro micaceo.
Fonde facilmente al cannello e sobbolle.
La massa fusa è di color bruno rossastro.
| Riscaldato in un tubo di vetro chiuso ad un’estremità, s’in-
| cupisce, sulle pareti del medesimo si osserva un leggero appan-
namento.
Col borace dà una perla bruna.
Col sal di fosforo dà una perla opaca a freddo, e di color
roseo quando sia ottenuta colla fiamma riducente.
L'acido cloridrico l’attacca pochissimo, anche a caldo, senza
effervescenza e senza separazione di silice gelatinosa.
L'analisi qualitativa mi consegnò silice, manganese, ferro,
calce ed in quantità non determinabili allumina e cobalto.
Procedetti quindi all’analisi quantitativa. La disaggregazione
fu fatta con carbonato sodico potassico, e la silice fu determi-
nata col solito metodo. i
492 V. FINO
Il ferro fu separato dal manganese allo stato di succinato,
calcinato, pesato e calcolato allo stato di protossido.
Il manganese fu precipitato col carbonato sodico, calcinato,
pesato e calcolato allo stato di protossido.
La calce la precipitai allo stato di ossalato, calcinai al rosso
nascente, pesai il carbonato e calcolai la quantità di ossido di
calcio corrispondente.
Determinai infine in crogiuolo di platino coperto la perdita
per calcinazione, operando su materia essiccata 100°.
Ecco il risultato di due analisi, fatta la prima con gr. 1,297
di materia, la seconda con gr. 1,054:
Sibceesteaeo aero 44,24
Ossido manganoso . . 48,77 48,64
di poferrosor ro Mak 1,59 1,48
> cado n 170) 4,44 405%
Perdita per calcinazione 1,25 L, do
100,30 100,16 .
Questi risultati analitici se si paragonano a quelli ottenuti
da altre rodoniti, sia italiane che estere, dimostrerebbero che
questa da me analizzata si approssima di più per composizione
a quella di S. Marcel, della quale trascrivo qua l’analisi pub-
blicata dall’Ebelmen:
DIETRO NR O ASI
Ossido manganoso . . 47,38
$i CRlCie0 in 5,48
SIZE
Le rodoniti del Vicentino, di Campiglia e dell’Isola d’Elba
appartengono invece alla varietà bustamite, cioè contengono una
quantità molto più grande di calce.
La parte nera non la sottoposi ad un’analisi quantitativa
perchè non uniforme nella massa. Il suo peso specifico è mag-
giore di quello della rodonite, una determinazione mi diede 3,80.
Con forte riscaldamento fornisce molt’acqua ed un po’ d’ossigeno.
Al cannello fonde più o meno difficilmente a seconda che l’al-
terazione è più o meno profonda. Coll’acido cloridrico si di-
L
SULLA RODONITE DI VIÙ 43
scioglie quasi per intiero svolgendo molto cloro e mettendo in
libertà silice gelatinosa. È attaccato profondamente da una solu-
zione acquosa satura di acido solforoso , lasciando un residuo
- biancastro.
Questo prodotto d’'alterazione avrebbe adunque grande ana-
logia per i suoi caratteri colla stratopeite, o meglio colla klip-
steinite, studiata da Kobell.
Infine, come ultima osservazione, non mi avvenne di trovare
in alcun masso raccolto della materia avente qualche somiglianza
colla braunite di S. Marcel.
44
Il Socio Cav. Professore Alessandro DoRNA presenta all’Ac-
cademia, per là stampa negli Atti, le Effemeridi del Sole,
della Luna e dei principali Pianeti, calcolate per Torino in
tempo medio civile di Roma, per l’anno 1888, dall’Assistente
Prof. Angelo CHARRIER.
EFFEMERIDI DEL SOLE
Gennaio
TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE
ee. <_T— cs — —
DI TORINO
GIORNO
del Mese
PI a
eaezre sisi: beso Tramon- de a mezzodì
mesidin tare mezzoai vero medio di Roma
h m hi mi 8 h m h m s
1| 8 0|/02244:50| 4 46| 23° 0'56"3A4| 18 924 2°85
2| 8 0 23 12-71 AT 4 28, 55457 18 27 59-40
d:g.(9 _.0 23 40-61 | 4 48] 22 50 7.8 18 31 55:96
6-08 pl 24 8-14 | 4 48 | 22 44 26 18 35 42-52
Da:8 1 24 35:28 | 4 49 | 22 37 3033 18 39 49-08
6| 8 0 25 1:99] 4 50] 22 30 31:0 18 42 45:63
Ae «0 25 28-23 | 4 51| 22 23 5-1 18 47 42-19
mea .0 25 54:00 | 4 53 | 22 15 12-7 18 bi 38-75
dPic7 59 26 19:25 | 4 54/922 6-54:61 18 55 3530
10.) 7 59 26 43:95 | 4 55 | 21 58 9-6 18 59 31-86
Mg .7 58 27 8:06] 4 56|21 48 594 19 3 28-42
12| 7 58 27 31-56 | 4 58|21 39 238 19.137 34-90
131.7 57 27 54 4l 4 59 | 21 29 23-0 19.]BE 21:33
6001 57 28 16:62 | 4 59| 21 18 575 19 15 18:09
15| 7 57 2838146 |} 50 dE2IE 874 19 19 14:64
16| 7 56 28 58:99 | 5° 2] 20 56 531 19/3:28- 11-20
l'i: (7 55 29 19-10) 5 4|20 45 14°9 19/27 770
18| 7 55 29 38:49 | 5° 5] 20 33 1301 19 SI 4531
19| 7 54 29 57:23 1 5. 7,|20 20 481 19:17:35 - ‘0-87
20| 7 53 30 15-02 |\ 50 8.20 8.01 19 38 57:43
2°]. 7 52 30 3215 | 5 10| 19 54 495 19 42 53-98
SEr.7 SI 30 48-51 | 5 f1| 19 4i 16°8 19 46 50:54
34.7 51 31408 0 5 12419 27 22-1 19 50 47:09
24 | 7 50 31 18:87 | 5 13 | 19 13 58 19 54 4365
25 | 7 49 31 32:86 | 5 15 | 18 58 284 19 58 40:20
26| 7 48 31 46:06! 5 16 | 18 43 30°1 20,2 36:76
Moi 47 31 58:46 | 5 17 | 18 28 114 20 6 3331
28 | 7 46 32 10:06 | 5 19] 18 12 32.7 20 10 29‘87
299 | 7 46| -3220:87| 5 20|17 56342 | 20 14 26:43 |
30 | 7 45 32 30:87 | 5 21| 17 40 165 20 18 22:98
31 | 7 43 32 40-07 | 5 23] 17 23 39-8 | 20 22 19-54 |
46 A. DORNA
Febbraio
TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE
P__=—__ Ge GS casa
Passaggio
Nascere al Tramon-
meridiano
Mese
DI TORINO
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GIORNO
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EFFEMERIDI DEL SOLE
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1 fe0 0 3133 06 6 4 7° 36'16"3A| 22 16 39-59
9 6 58 dI 21 ‘48 6:96 Ti CUSSIZORÌ QI
3 6 56 31 458293 6.17 6 50 29-6 3 IRSA 39:70
4 bi bo 30 55:93 6,48 6A 22 28 29-25
5 6 53 30 42 +49 6 10 6 4196 99432 725:80
6 bi 30 28 ‘64 6 SL 5 4il 6°9 99 36.22 :36
di 6 49 30 14:38 63 5 17 49°5 22 40 18:91
8 6 47 29 59-72 6 14 4 54 27.9 22 44 15‘46
p49 6 45 29 44 ‘69 6: 15 ASSI 22 48 12:01
10 6 44 29 29:30 6 16 ANRSDAS 99059 ANS:
if} 6 42 9943657 6 18 A RRIC0 99 156.06 512
12 6 40 28 57-48 6 19 SD E20RI77 ORIO) 1 ‘67
13 6 37 28 4115 6 20 darai 293 3 58:22
| 14 6 35 28 24:49 600093 9. (33 1266 NOR ty SY 7/7)
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16 6 32 97. 50:37 6 25 a i 23. 15 4788
17 6 30 27 32-95 6 26 1 22101 23 19 44:43
18 6 28 27.15.92 6 28 0 58 281 23 23 40:98
19 6 26 26 57-51 6 929 0 34 45°9 93° 27 23753
120 6 25 26 39 51 6 30 0 vlc 3 23. (31 34:08
|\—_——_—_—___|-——_
| 21 6 23 26 21 ‘37 631 0 12 .36:8 BI 23: 35 30-64
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23 6 18 25 44 ‘75 6 34 0 59 554 93 43 2374
| 24 6 16 25 26:32 6 36 L9039853 23 47 20:29
25 6° 15 259 784 6 36 VAR SOTA. 923 5 16-84
2. 2 A
26 6 13 24 49:33 6 38 2 10 39:6 23. 55 13:40
27 6. 41 24 30 :82 6 39 2 34 9:4 23050. 9595
28 6 9 24 12:33 6 41 9 57.36.01 05 ®S.A6:50
29 e) 23 53-89 6 42 3 20 59-°5 047 3:02
30 0.16 23 35 ‘51 6 42 3 44 19°0 0 10 59‘61
31 6 4 93 17:92 6 44 4 734°‘6 0 14 56°16
48 A. DORNA
— SOLE —
Aprile
5% TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE TEMPO SIDERALE
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SA + Passaggio ramo a mezzodì
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2 5 59 22 40 *97 6 47 4 53 51:9 O 22 49:26
6) 5 658 99 923 04 60047 Die 6947/31 0 26 45°81
4 556 99 5:27 6 49 5 39 487 0. 30. 49837
5 5 54 21 47:69 6 50 623 SC5 0 34 48-92
6 5 52 21 30-29 6 52 6 25.220 0 38 35-47
% ata 21 13 ‘09 6. 1592 6 47 589 0 42 32-02
8 5 49 20 56-12 65 7 10 28-8 0 46 28-58
9 5 5 20 39-42 6. 55 Hi (320515 0 50 25-13
10 5 46 20 22 89 6 56 7 5506:5 0 54 .21 ‘68
11 5 44 20 6:66 6 57 8 497134 0 58 18:23
12 5 49 19 50:70 6 59 83913 -1 1: 200475
13 5 40 19 35-03 CIRCO) i e SI) 1ì ‘6..(11654
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EFFEMERIDI DEL SOLE
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII.
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A. DORNA
Giugno
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EFFEMERIDI DEL SOLE
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TEMPO MEDIO DI ROMA
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TEMPO SIDERALE
DI TORINO
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TEMPO SIDERALE
DI TORINO
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medio di Roma
EFFEMERIDI DEL SOLE 55
— SOLE —
Novembre
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|
A. DORNA
I Dicembre
| 3 - TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE
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EFFEMERIDI DELLA LUNA 5
Gennaio Febbraio
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i Luna nuova il 9a 6 49 di matt || Primoquarto il 414 a 10 44 di matt.|
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Luna piena il 23 a 8 5 di matt.
Ultimo quarto il 34 a Al 46 di matt.
58 A. DORNA
Marzo Aprile
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60
A. DORNA
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5 iolit 1714 isllt1 et] 7 ela 51||9°40| 4 58] o—8
5 s9o|it 8|4 i7l//i0 44| 6 24| 2 14|/9 10/4 21|11 232
nido 58| 4 19l/io0 8[ 5 54| 1 40||18 331 3 46110259
5 12|10 47| 4 22|[9 3015 16| 1 ati 9 53) 32110 -si
sodo 371 4 s4ll gs 57/4 43/0 29/1 7 17120 33/9 47
4 26/10 26] 4 26|{8 24/4 1111 58||'6 42/1 58/9 14
Mesi 51 4 717 52/3 39/11 26] 6 5l1 2318 41
ee e 3) 4° 27007 10 3. 8/10 55]/ 5° 30| 0 0491 8 - 8
Miei D 62) 4 28/16 51/2 38/10 551] 4 54/0. 1517 36
Mi 51) 9 40] 4 29/16 18/2 5] 9 52/4 14/112=36/ 6 58
2 28/9 29/4 30/|5 49/1 35] 9 21||3 4ijt15 4| 6 27
2 409 18|4 32/15 20/1 5| 8 50[[3 5/10 5-29 5 53
48/9 8|4 28||4 51i[o 35] 8. 20|| 2 2919 °55/ 5 2
MERO ori 4 250) 4. 931.0 6| 7 49 di 53 DT 204 Da 47
cia] 8 47) 4 22)/3 S54lt1 236] 7 18/|1 17/8 4514 13
O 48 36[/4 17]|3 igfi1= o) 6 ‘4ilfo 36/8 5|3 34
40] 8 25] 4 10|]| 2 53|105°33| 6 13]| 0__1| 7 30/2 59
26] 8 til 4 2/[2 925107 3/5 41//11%23/ 6 5312 33
13| 8 1|13 49|| 1 53/9 29| 5 1/|10542| 6 12| 1 42
3 sil sil go 57004 BID dI bi lt 3
Sil 7 3513 19/0 53/8 25] 3 40/| 9 26] 4 55/0. 24
nani 3° \1i 038 al 3° 330] 8° 46] 4% 16/11 44
elio 3] 3 sdollt01=531 7 18| 2 47]|8 7/3 35/12 4
ale 45) 2 17//112 19] 6 43),2 11|| 7 250 2 54/10 323
58| 6 24| 1 50|[10335[ 6 3/1 31||6 40/2 9|9 38
40} 6 2| 1 22!|9 5915 261 3]|5 58/1 26/8 54
81 3 37| 0 5el[9 21/4 48| 0 15||15 17/0 44/8 11
43) 5 9| 0_35||8 40] 4 8/11%36||4 31/11058| 7 25
23] 4 38|11=53|| 7 58|3 26|10354||3 49/113 14) 6 39
uur4 3lil =19]| 7 150 2 44/10 13//3 7/10 3215 57
51 3 23l10°6 41/6 29/2 0| 9 31[| 2 26|9 50/5 14
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 5
66 A. COSSA - PRESENTAZIONE D'UNA MEMORIA.
Nell’adunanza del 25 p. p. Giugno il Socio Comm. Prof.
Alfonso Cossa lesse un suo lavoro « Intorno alla vita ed alle
opere di Raffaele Piria », che verrà pubblicato nei volumi
‘delle Memorie.
67
Adunanza del 3 Dicembre 1882,
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. SENATORE E. RICOTTI
Il Socio Cav. Prof. Andrea NaAccaRI presenta e legge il se-
guente lavoro dei signori Dottori, S. PAGLIANI Prof. di Fisica
nel R. Istituto tecnico di Torino, e Angelo Emo,
SULL'ASSORBIMENTO
GAS AMMONIACO NEGLI ALCOOLI.
In continuazione di uno studio sull’assorbimento dei gas, del
quale furono già pubblicati alcuni risultati negli Atti di questa
Reale Accademia (Vol. XVI, anno 1879) il Prof. Naccari e uno
di noi abbiamo istituite alcune esperienze per determinare il coef-
ficiente di assorbimento dell'ammoniaca nell’alcool ordinario. Già
nei primi tentativi fatti per determinare con metodo fisico quel
coefficiente avvertimmo un risultato abbastanza notevole, che cioè
l'ammoniaca , a differenza della massima parte degli altri gas,
è molto meno solubile nell’aleool che non nell'acqua.
Per circostanze particolari il Prof. Naccari, non potendo con-
tinuare le esperienze, affidava a noi l’incarico di farle nel La-
boratorio, da Lui diretto, del che gli siamo sommamente grati.
Noi abbiamo esteso le ricerche anche agli alcoli propilico primario
e isobutilico.
Il metodo da noi adoperato, a differenza di quelli adoperati
da altri, come Carius, Roscoe e Dittmar, Sims e Watts per
studiare l'assorbimento dei gas molto solubili nell’acqua e nel-
l'alcool, è un metodo fisico. Per usare un procedimento di tal
natura era necessario di mettersi in condizioni tali da far agire
| una piccola quantità di liquido sopra una quantità di gas rela-
tivamente grande. Ci siamo ancora serviti dell'apparecchio del
Bunsen, ma in modo alquanto diverso dall’ordinario. Si intro-
ini
68 S. PAGLIANI E A. EMO
duceva il gas nel tubo graduato dell’apparato, e si facevano le
debite osservazioni per il volume e la pressione del gas prima
dell’assorbimento. Quindi si faceva arrivare nel gas il liquido ,
contenuto in una‘ boccettina di vetro, analoga a quelle adoperate
nel metodo di Hofmann per la determinazione delle densità dei
vapori. La boccettina non era perfettamente chiusa, ma fra il
tappo e la parete del collo si metteva un sottile filo di platino.
In questo modo, quando essa era arrivata al di sopra della co-
lonna di mercurio, si poteva con piccole scosse staccare il tappo
dalla boccetta, che rimaneva così aperta ed il liquido veniva in
tal modo a contatto del gas. Eseguita questa operazione, si chiu-
deva inferiormente il tubo e lo si portava nell’apparato. Qui lo
sì riapriva, e con aggiunta di mercurio, si produceva una pres-
sione conveniente. Per il resto si operava come al solito.
Riguardo al calcolo del coefficiente di assorbimento abbiamo
dovuto introdurre qualche modificazione relativa alla riduzione
dei volumi del gas ammoniaco alle condizioni normali, in quanto
che questo gas non segue la legge di Boyle esattamente, anche
a basse pressioni, ed il suo coefficiente di dilatazione deve essere
diverso da quello dell’aria. Riguardo a quest’ultimo, per quanto
sappiamo, non fu ancora determinato , ed abbiamo assunto il
valore 0,0039, prossimo a quello del gas solforoso, per il quale
si ha, secondo Regnault (Ann. Chim. Phys. 1842 [3], V);
o=0,0039028 fra 0° e 100", e secondo Amagat (Jahr. Ber.,
1871,55) a=0,004005 fra 10° e 20° e a«=0,003846 a 50°.
Riguardo poi alla prima circostanza le esperienze di Regnault
(Mem. de l Acad. XXVI, 229) dimostrano, che per l’ammoniaca,
già per pressioni relativamente piccole, chiamando V il volume
del gas alla pressione P, e V, il volume alla pressione mag-
giore P,, il rapporto y pè maggiore dell'unità e precisamente
4 4
si ha per la temperatura di 8°, 1
fra le pressioni 668"", 93 e 708"", 53, A = 1,000 76
Le TS
e fra le pressioni 703"", 53 e 741" 23, rccagl 1,000 98.
Ki IAA
Perciò abbiamo creduto di assumere quel rapporto come uguale
all'unità per le pressioni inferiori a 600"", per quelle comprese
fra 600""e 700"" abbiamo introdotto nel calcolo il primo dei
valori ora indicati, per quelle sopra 700®", il secondo.
SULL’ ASSORBIMENTO DEI. GAS AMMONIACO NEGLI ALCOLI 69
Il gas ammoniaco veniva disseccato completamente facendolo
passare attraverso ad una colonna di calce viva, e non sì in-
troduceva nel tubo da esperienze, se non si era prima provato,
che tutto era solubile nell’acqua.
L’alcool, soggetto di studio , era distillato sul sodio in un
apparecchio , nel quale si faceva passare una corrente continua
di aria essiccata con cura. La porzione da sperimentarsi era ri-
cevuta dal refrigerante direttamente nella boccettina.
Per avere il volume del liquido, sottoposto all’esperienza , si
era determinato precedentemente il volume della boccetta. A ‘tale
scopo si pesò più volte la boccetta piena d’acqua, riempiendola
ad ogni volta, e chiudendola il più che era possibile sempre
nello stesso modo, quale doveva poi usarsi nelle esperienze. Le
differenze osservate nelle pesate furono piccolissime. Si dedusse
il volume dalla media di queste pesate e si trovò uguale a
emi. 0,5996. Si potrà sempre però osservare come non si possa
esser certi di chiudere precisamente sempre nello stesso modo la
boccetta e che quindi vi possa essere qualche incertezza relati-
vamente al volume del liquido impiegato. Egli è perciò che uno
di noi sì propone di ripetere questo studio con un apparecchio
speciale, che deve consentire maggior esattezza in dette misure.
Tuttavia, siccome anche le differenze nel volume del liquido da
una serie all’altra di esperienze, devono essere piccolissime, secondo
quanto abbiamo detto sopra, perciò non crediamo senza interesse
di pubblicare le esperienze fatte in quel modo, i risultati delle
quali se non conducono a valori assoluti di somma esattezza, ser-
yono a stabilire con certezza ed almeno in modo relativo il fatto,
accennato in principio, della molto minor solubilità dell’ammo-
niaca negli alcoli studiati che non nell’acqua.
Nelle tabelle seguenti la seconda colonna contiene le tem-
perature determinate con un termometro, che fu confrontato con
un Fastré, già comparato con un termometro ad aria. Nella terza
colonna si hanno le pressioni corrette e ridotte a 0°. I valori
delle tensioni degli alcoli si presero per l’etilico dalla tavola in-
serta nel libro di Bunsen (Gasometrische Methoden, 1877), per
il propilico e l’isobutilico si calcolarono dalle formole stabilite
dal Prof. Naccari e da uno di noi in un precedente lavoro sulla
tensione massima dei vapori di alcuni liquidi (Atti della R. Accad.
delle Scienze di Torino, XVI), essendosi adoperate le stesse so-
stanze nelle nostre esperienze. Nella quarta colonna sono riportati
70 S. PAGLIANI E A. EMO
i valori del coefficiente di assorbimento, quali furono determinati
direttamente nelle condizioni dell’esperienza, ed espresso in volumi.
Nella quinta colonna si hanno questi valori ridotti alla pressione
di 760"", nella supposizione che si verifichi la legge di Henry.
Nella sesta colonna infine quei coefficienti espressi in peso, cioè
le quantità q in milligrammi di ammoniaca, che vengono assorbite
alle condizioni di temperatura e di pressione delle esperienze da
un gramma d’acqua.
Gas ammoniaco e Alcool etilico.
Serie I.
NESIEZEZIEZIEI) N° | i | P 2 (
| 1 23°.00 455. 22 86. 667
| 2 21. 32 443. 78 89. 789
| 3| 21.61] 511.05 | 98.531
pid 21.70 568.27 | 106. 525
Serie II.
5 22.10 467.35 92. 294
6 23.19 629.17 | 113. 220
| 7 24. 60 634.36 | 110. 230
8 23.10 630.39 | 114. 060
Serie III
| 9 20°.40 457.00 |. 92. 673
| 10 22.75 474. 89 89. 758
| 11 22.70 525. 49 98. 272
12 22. 98 623,65 | 111. 510
13 23. 16 683. 23 | 119. 420
a (760, t) d (P, 1)
145.
153.
147.
142.
150.
1506.
132.
137.
154.
143.
142.
135.
132.
66
76
88
46
08
76
06
51
ti
65
13
89
83
66.
68.
75.
81.
70.
76.
84.
87.
70.
68.
15: di
85.
91.4
:3
3
5)
4
5)
WV_ a Sb SD
Ù
7
|
SULL'ASSORBIMENTO DEL GAS AMMONIACO NEGLI ALCOLI DI
Gas ammoniaco e alcool propilico primario.
Serie I.
a(P,t) | (760,8) ae.
14 21. 74 464. 83 69. 861 114. 22 | 58. 4
15 19. 60 456. 59 73 937 123. 07 | 56.6
16 19. 80 484. 36 77.360 121.38 | 59.2
17 19.90 025. 54 82. 028 118402] (62.7
18 20. 90 588. 08 88. 207 11399) Bo
19 21. 36 722.88 | 102. 330 L99968.
Serie II
20 20°.62 416. 97 66.578 121.35 | 50.9
21 20.43 | 453.82 72. 326 121.12 | 55.3
22 20. 62 498. 77 77.905 118.71 | 59.6
23 20. 96 576.00 86. 805 114. 58 | 66. 4
24 21. 20 706.00 | 100. 383 108. 31 | 76.8
Gas ammoniaco e alcool isobutilico.
Serie I.
a(P,t) | a(760,8) a.)
ff S. PAGLIANI E A. EMO
Serie II.
|
N° zo E Gt) | z(760, 8) ! q(P,t)
| |
30 Di SL0 | 538. 90 67. 822 95,654 CIONI
1 2109 587. 99 42,815 94, 116_| So
32 2% ah | 039.33 79.190 94.145 | 60.6
d9 DITO 739, 86 87.676 90... 7950070
Dai risultati sperimentali esposti nelle precedenti tabelle si
possono dedurre alcune conclusioni intorno all’assorbimento del-
l’ammoniaca negli alcoli studiati.
1° Se si confrontano i valori dei coefficienti da noi ottenuti
per gli alcooli con quelli trovati per l'assorbimento nell’acqua
del gas ammoniaco da Roscoe e Dettmar (Ann. Chem. Pharm.,
112, 349) e da Sims (stessi annali, 118, 345) si deduce che
la solubilità dell'’ammoniaca nell’alcool etilico, come negli altri
è molto minore che non nell'acqua. In questo il gas ammoniaco
si distingue affatto dalla massima parte degli altri gas, i quali
sono in generale più solubili nell’alcool ordinario che nell’acqua,
come si può vedere dalle tavole dei coefficienti di assorbimento
dei gas, che si trovano nel libro già citato di Bunsen.
2° Il gas ammoniaco nei limiti di pressione nei quali ab-
biamo operato (417”" a 734°") non segue nel suo assorbi-
760
mento negli alcoli la legge di Henry. I valori di « o Non si
mantengono costanti, ma tendono ad uguali temperature, a dimi-
nuire col crescere della pressione. In ciò l’ammoniaca si comporta
come coll’acqua (Sims, Zoc. cit.) e come con questa si comportano
il gas cloridrico (Roscoe e Dettmar, loc. cit,) ed il gas solforoso
(Sims.) specialmente a basse pressioni, ed il gas carbonico ad alte
pressioni (Wroblewski, Compt. Rend., XCIV, 954;
3° Come in generale si osserva nell’assorbimento dei gas,
il coefficieite aumenta col diminuire della temperatura, a parità
di pressione ;
4° Confrontando i coefficienti di assorbimento dell’ammo=
niaca nei tre alcooli studiati, si osserva che, a parità di condi
SULL’ASSORBIMENTO DEL GAS AMMONIACO NEGLI ALCOLI. 78
zioni di temperatura e di pressiort, il valore di quei coefficienti
va diminuendo col crescere del peso molecolare dell’alcool.
Come è noto, coll’apparecchio di Bunsen, si pùò solo operare
alla temperatura dell'ambiente, ed entro a ristretti limiti di
pressione. Speriamo, con un apparecchio più conveniente al nostro
scopo, di poter operare in condizioni più diverse e di poter esten-
dere quindi queste ricerche.
Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Torino,
Dicembre, 1882.
74
Il Socio Comm. Michele Lessona presenta e legge la seguente
Nota del sig. Mario G. Peracca, Studente in Medicina:
DI UN
SEPS CHALCIDES
trovato il 18 Maggio 1882 sul versante meridionale
del colle la Maddalena, presso Torino.
Il 18 Maggio del corrente anno io saliva la collina di Torino
verso Cavoretto in cerca di rettili e di insetti. Alle 11 '/, dopo
lunghissima strada era giunto sul versante meridionale del colle la
Maddalena, dal lato che guarda la pianura tra Moncalieri e Revi-
gliasco. Si è in quella località che trovai presso un cespuglio di
rovere che fiancheggiava una stradicciuola sassosa ed asciutta,
battuta in pieno dal sole di mezzogiorno e distante un 20 minuti
di cammino dalla sommità del colle, un Seps chalcides, Scinco
che finora non era stato trovato mai in Piemonte. Questo saurio
si trova nell'Italia meridionale, in Sicilia ed in Sardegna assai
frequentemente : e la località più settentrionale in cui sj era
trovato finora in Italia era la Liguria. Credo quindi non indegna
di essere riferita la notizia della cattura del Seps chalcides al
di qua dell'Appennino.
L'individuo da me raccolto misura dall’apice del muso al-
l'apice della coda 19 cm. e 38m., di cui 9 cm. spettano al capo
ed al tronco, e 10 cm. e 8m. alla coda. Non presenta quanto
alla colorazione alcuna notevole differenza dai .Seps della Liguria
e del Nizzardo che ebbi agio di osservare.
75
Adunanza del 17 Dicembre 1882.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
Il Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa presenta e legge, a
nome dell'Autore, sig. Carlo FrIieDpEL, dell’Istituto di Francia,
Corrispondente dell’Accademia di Torino, la seguente Nota,
SUR LA
BRUCITE DE COGNE
(VALLÉE D’AOSTE).
M. Parran, Ingénieur des Mines, m’a remis il y a déjà plusieurs
années, pour la collection de l’École des Mines de Paris, un
échantillon qui lui avait été donné à Cogne ( Vallée d'Aoste )
comme du talc. J'ai reconnu à l’examen des caractères extérieurs
que c’était de la Brucite. L’échantillon est en grandes lames
d’un blanc légèrement jaunàtre, tendres, à clivages très-faciles,
birifrangentes à un axe positif; il ressemble tout-à-fait è la
Brucite bien connue de Hoboken (New-Jersey).
J'ignorais si ce minéral avait été déjà signalé dans cette
localité nouvelle. Ayant lu dernièrement dans les Atti della R. Ac-
cademia delle Scienze di Torino, que M. le Professeur Cossa
avait présenté à cette Savante Compagnie un Mémoire de M. Zec-
chini sur la magnétite compacte de Cogne, j'ai demandé è l’émi-
nent chimiste et minéralogiste si la Brucite de Cogne était connue.
Il a bien voulu me répondre en m’engageant à publier mon ob-
servation.
J'ai l’honneur de la transmettre à l’Académie en y joignant
l’analyse qui j'ai faite du minéral, ce qui montre son identité
\
76 SUR LA BRUCITE DE COGNE (vallee d’Aoste) PAR M. CH. FRIEDEL.
avec les Brucites des localités connues, et particulièrement avec
celle d’Hoboken.
J'ai trouvé en opérant sur 0,5148 gr.:
Magnestento, VE et DA 00
Protoxyde*'de' fer" 4, Si e: PESTO
Bau IR OSLO Saia de SRO
Silice et partie insoluble . 2.183
99. 80,
ou en déduisant la silice et la partie insoluble :
Masucale 1 Bir ar 08408
Protoxyde:de der 2“... / uc d.lo
Eau ERE DE arpa ca agere IDR Ci)
ILL?
La formule Mg 0. H?0 cu Mg(0H)? exige Mg 0=68. 97.
Bau =31-03.
La Brucite de Cogne accompagne la serpentine; la Brucite
s'y rencontre donc dans des conditions analogues à celles que
présentent ses autres gisements.
M. FILETI - SULLA PRODUZIONE DELLO SCATOL. DI
Lo stesso Socio Cossa presenta e legge la seguente
COMUNICAZIONE PREVENTIVA
SULLA
PRODUZIONE DELLO SCATOL
del
Sig. M. FILETI
Profossore di Chimica nella R. Università di Torino.
Nella preparazione della cumidina distillando l’amido-cumi-
nato di bario con barite, ho ottenuto: come prodotto secondario
dello scatol. Ho potuto inoltre constatare che non se ne forma
quando l’acido amido-cuminico impiegato è completamente esente
di acido nitro-cuminico. Mi occupo attualmente nella continua-
zione di queste ricerche, delle quali a suo tempo comunicherò
i risultati all'Accademia.
78 E. ROTONDI
Il Socio Cossa presenta ancora e legge la seguente Nota del
sig. Cav. Ermenegildo Rotonpi, Prof. nel RK. Museo industriale
italiano :
AZIONE DELL’ ELETTROLISI
SOLUZIONI D'ACIDO PIROGALLICO.
È noto, che ossidando l’acido pirogallico con permanganato
potassico in soluzione solforica, si ottiene un composto chiamato
da Girard (1) porporogallina, sostanza che cristallizza in aghi di
colore rosso bruno assai simili nell’aspetto a quelli dell’alizarina
sublimata. — Nel 1872 Wichelhaus (2) ottenne il medesimo pro-
dotto ossidando il pirogallolo coll’acido cromico, e recentemente,
Clermont e Chautard (3) ripresero tale studio, allo scopo di sta-
bilirne la vera composizione sulla quale non sono d’accordo i
citati esperimentatori.
Clermont e Chautard impiegarono per ossidante non solo il
permanganato potassico e l'acido cromico, ma fecero anche uso della
reazione indicata da Struve, che consiste nell’abbandonare all’aria
una soluzione d’acido pirogallico mescolata a gomma. Coi diversi
metodi impiegati per l’ossidazione, ebbero sempre un identico
prodotto, avente tutte le proprietà chimiche e fisiche della por-
porogallina, e corrispondente alla formola C., H,j Os; data per
la prima volta da Girard. I predetti autori, attribuiscono i diversi
risultati ottenuti da Wichelhaus ad un’imperfetta purificazione
(1) Comptes rendus, t. LXIX.
(2) Berich. der deutsch. chem. Gesellschaft, t. V.
(3) Comptes rendus, t. XLIV.
}
]
k
AZIONE DELL'ELETTROLISI ECC. 79
della sostanza analizzata, avendo essi provato, che oltre la
porporogallina, si forma del pirogallochinone ed altri composti
d’ossidazione fin'ora non bene studiati.
Nell’intento di facilitare lo studio dei prodotti di ossidazione
dell'acido pirogallico, pensai di ricorrere all’elettrolisi. Esperienze
iniziate in comune col Dr. A. Testa provarono infatti, che elettro-
lizzando soluzioni di pirogallolo acidificate con acido solforico, si
ottiene al polo positivo un prodotto cristallizzato in aghi, mesco-
lato a piccola quantità di una sostanza nera amorfa, che si può
facilmente separare basandosi sulla sua insolubilità nell’alcool.
La soluzione alcoolica abbandona colla evaporazione dei cristalli
aghiformi giallo-rossastri, che colla sublimazione dànno una so-
stanza avente tutti i caratteri della porporogallina. Dall’elettrolisi
dell’acido pirogallico, si hanno inoltre altri prodotti, che si possono
separare dal liquido elettrolizzato (fino al punto in cui più non
si forma porporogallina), dopo di averlo saturato con carbonato
di bario, ed evaporato il liquido che si ottiene dalla filtrazione.
Le ricerche elettrolitiche fin ora eseguite, lasciano dubitare
che la porporogallina non sia un prodotto di ossidazione diretta
dell'acido pirogallico, come ordinariamente si ritiene, ma che
derivi invece da un composto intermedio , nel quale si trasfor-
merebbe dapprima il pirogallolo. Contrariamente poi a quanto
ammettono Clermont e Chautard, la porporogallina non è suscet-
tibile di trasformarsi all’aria in altri composti più ossigenati so-
lubili in acqua, perchè essa non subisce alcuna alterazione quando
si sottomette all’azione dell’elettrolisi.
È mia intenzione di continuare lo studio dei prodotti del-
l’elettrolisi del pirogallolo, dei quali diedi un breve cenno in questa
nota preliminare, e di estendere simili ricerche sulle soluzioni
d’acido gallico e tannico.
. Dal Laboratorio di Chimica Industriale del R. Museo In-
dustriale di Torino - Dicembre 1882.
80 E. ROTONDI
Dello stesso Prof. E. RoronpI, il Socio Cossa presenta ancora
e legge la seguente Nota
SULLA DECOMPOSIZIONE
DEL
CLORURO DI SODIO
MEDIANTE L’ELETTROLISI
E SUE APPLICAZIONI INDUSTRIALI.
È noto, che una soluzione di cloruro di sodio assoggettata
all’ elettrolisi si decompone nei proprii elementi; il sodio sotto
forma di idrato, si porta al polo negativo unitamente all’idrogeno
dell’acqua da esso decomposta, e il cloro al polo positivo, ove
in parte resta allo stato libero; ed in parte, a causa di rea-
zioni secondarie forma acido cloridrico e composti ossigenati di-
versi, come provarono Hisinger e Berzelius (1), D’ Almeida (2)
e Boekman (3). Noi vedremo in seguito, come le dette reazioni
secondarie si possono impedire, elettrolizzando soluzioni di cloruro
di sodio mantenute costantemente sature.
Nelle numerose ricerche fatte dai chimici, ed industriali per
preparare direttamente la soda dal cloruro sodico, si pensò di
ricorrere all’elettrolisi, ma i processi suggeriti non fornirono fino
ad ora utili risultati. — Passando in rassegna la letteratura
scientifica sopra tale argomento, troviamo che l’idea di trasfor-
mare industrialmente il cloruro di sodio in idrato o carbonato,
(1) Annales de Chim., t LI.
(2) Annales de Chim. et de Phys., serie 3a, t. Ll.
(3) Annales de Chim., t. XLI,
d
ner ©.
SULLA DECOMPOSIZIONE DEL CLORURO DI SODIO ECC. 81
venne per la prima volta a Cooke (1), il, quale propose di di-
videre un recipiente in tre compartimenti a mezzo di diaframmi
porosi, di mettere nel compartimento di mezzo delle lamine di
rame con acqua pura, e negli altri due sale di cucina e ritagli
di ferro. Facendo comunicare il ferro col rame si stabilisce la
corrente elettrica; il ferro si trasforma in cloruro, e il sodio
sotto forma di idrato si porta nel compartimento di mezzo.
Poco tempo dopo, E. Watt (2) propose la decomposizione
elettrica dei cloruri alcalini, mescolati ad acido solforico, per la
produzione del cloro e la preparazione degli ipocloriti.
Nel 1853 Edmondo Stanley (3) suggerì un metodo analogo
a quello di Cooke, e nel 1862 Dikson brevettò un processo si-
mile a quello di Watt, asserendo che si può favorire la decom-
posizione elettrica del cloruro di sodio mediante la presenza di
un'infinità di composti chimici.
Nel 1872 D. G. Fitz-Gerald e B. C. Molloy (4), facendo
uso di elettrodi di coke impregnato di paraffina, utilizzarono i
cloruri contenuti nelle acque del mare, per ottenere da esse una
corrente di cloro.
Nel luglio 1880 Th. Wastschuk e N. Glanchoff di Mosca,
brevettarono un processo col quale, la decomposizione della solu-
zione di cloruro di sodio, posta in un recipiente diviso in due com-
partimenti da un diaframma, si effettua colla corrente prodotta
da una macchina dinamo-elettrica. In tal modo, ha luogo for-
mazione di idrato sodico che si accumula al polo negativo, e svol-
gimento di cloro al positivo.
Nel 1881 Wollheim prese in Germania un brevetto, per pre-
parare l’alcali caustico puro a mezzo dell’ elettrolisi di una so-
luzione di cloruro sodico, contenuta in un recipiente diviso da
un diaframma in due compartimenti; nell’uno si mette l’ elet-
trodo positivo, e nell’altro il negativo. Prima dell’operazione, si
riempie il compartimento in cui si trova l’elettrodo negativo colla
soluzione dell’alcali che si vuol isolare, e nell’altro si fa sgoccio-
lare la soluzione del sale da decomporre. Siccome la corrente elet-
(1) Brevetto inglese del 3 maggio 1851.
(2) Brevetto inglese del 25 settembre 1851.
(3) Id, ò aprile 1853.
(4) Id. 6 maggio 1872, e Berichte der deut. chem. ges.,
t. VI.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XVIII. , 6
82 ERMENEGILDO ROTONDI
trica isola il metallo, e lo trasporta esclusivamente al polo nega-
tivo, la soluzione alcalina si concentra e la si può estrarre in
maniera continua.
Nel corrente anno A. Lidoff e W. Tichomivoff (1), studia-
rono il medesimo argomento specialmente dal punto di vista della
trasformazione del cloruro di sodio in ipoclorito e clorato.
Tenendo dietro ai progressi fatti nella produzione dell’elet-
tricità mediante l’uso delle macchine dinamo-elettriche, ed alle
applicazioni che di esse già se ne fecero nella preparazione delle
materie coloranti (2), nella tintoria, nella stampa dei tessuti (3),
e specialmente nell’arte metallurgica, nella quale si raggiunge non
solo l'intento di separare e purificare metalli fra di loro mesco-
lati, ma a ricavare anche direttamente per via galvanica metalli
dai loro minerali, di cui ne abbiamo un esempio nel procedi
mento dell’Ing. Marchesi (4), ho creduto di qualche utilità l’in-
traprendere alcune ricerche relative all’elettrolisi delle soluzioni
di cloruro di sodio, onde poter giudicare della convenienza del
suo impiego nella preparazione della soda, del cloro, degli ipo-
cloriti, nell’industria dell’ imbiancamento delle fibre tessili ed altre
che con essa hanno relazione.
Il concetto che mi guidò nelle ricerche in seguito esposte ,
fu quello di trovare condizioni tali onde ottenere una soluzione
di idrato o carbonato sodico al massimo di concentrazione, e che
permettessero di raccogliere allo stato gasoso il cloro e l'idrogeno
proveniente dall’ elettrolisi — In tutte le esperienze si fece uso
di una pila Grenet a sei elementi, con zinchi e carboni di
250x70x12 millimetri, capace di produrre in media 175 c. cub.
di idrogeno per ora, decomponendo acqua leggermente acidificata
con acido solforico. Gli elettrodi impiegati avevano le dimensioni
di 70x40 millimetri se di platino, e 70 x< 20 millimetri se
di carbone.
Ciò premesso, ecco la descrizione e i risultati avuti rane ri-
cerche eseguite. 5)
(1) Journ. Rus. Chem. Soc., 1882, e Journal of the Chemical Society,
t. XLII, p. 925.
(2) Premiers résultats des études sur la formation des matières colo-
rantes par voie électro-chimique, par F. GorpeLscHROEDER. Mulhouse, 1881.
(3) Sur un nouvel emploi de V’électrolyse dans la teinture et dans l’im-
pression. Comp. rend. de l’Acad. des Sciences, t. XCV, p. 239.
(4) Bullettino delle privative industriali, V, 26, n° 219; e V, 28, n° 45.
e
SULLA DECOMPOSIZIONE DEL CLORURO DI SODIO ECC. 83
I°
Decomposizione di una soluzione satura di cloruro di sodio
contenuta in due vasi di vetro comunicanti fra di loro
mediante un diaframma di carta pergamena.
Un vaso di vetro del diametro di circa 15 centimetri, con
fondo di carta pergamena artificiale, e contenente una soluzione
satura di cloruro di sodio, si immerse in altro vaso pure di vetro
contenente la stessa soluzione, e disponendo le cose in modo da
avere il liquido ad eguale livello nei due recipienti. Messo l’elet-
trodo negativo in platino nel vaso interno, ed il positivo nell’e-
sterno, si osservò dopo breve tempo di passaggio della corrente
un aumento di temperatura (che raggiunse dopo due ore i 50
gradi centigradi), accompagnato da svolgimento di cloro dal vaso
esterno e di idrogeno dall'interno, ove si accumulava l’idrato so-
dico, che si trasformava in carbonato mediante una lenta cor-
rente di acido carbonico. — Il liquido del vaso interno si analizzò
alcalimetricamente a periodi diversi con una soluzione titolata di
acido solforico (che si impiegò per tutte le successive esperienze)
corrispondente a grammi 0,049 di carbonato sodico per ogni
cent. cub. I risultati ottenuti furono i seguenti:
erge | DURATA | H, SO, Na, CO,
Sali ole impiegato | in 100 C. C.
8 trono ore cile; gr.i
10 pesa 4. 4 2.16
10 1. 3/4 9.2 4.51
10 2. 1/2 13.4 6.57
10 5. 1/0 21.1 10. 34
10, 6. 1/0 28. 3 13. 87
10 "Bi 3- 33.2 16. 26
10 RIS 36 6 17.93
10 16. +— 51.2 25. 08
84 ERMENEGILDO ROTONDI
Dopo sedici ore di azione della corrente, si osservò nel liquido
del vaso interno la presenza di cloro attivo, proveniente da al-
terazioni a cui andò soggetto il diaframma. — Nel liquido del
vaso esterno, oltre una grande quantità di cloro libero, si riscontrò
anche la presenza di composti ossigenati del medesimo.
Sostituendo agli elettrodi di platino quelli di carbone di storta,
si ottengono analoghi risultati; in un’esperienza fatta coi mede-
simi, si ebbe dopo dodici ore di azione della corrente un liquido .
contenente grammi 14,90 di carbonato sodico per ogni 100 c. c.
Tralasciando di usare l’acido carbonico, l’elettrolisi avviene egual-
mente bene, ma in questo caso l’alterazione del diaframma è assai
più rapida.
II.
Decomposizione di una soluzione satura di cloruro di sodio
contenuta in due vasi: l’uno esterno di vetro, e l'altro
interno d'argilla poroso.
Le esperienze si fecero come quelle descritte in I, sostituendo
al vaso interno di vetro un vaso poroso, e precisamente di quelli
impiegati per le pile. — Operando con elettrodi di platino, e fa-
cendo passare una lenta corrente di acido carbonico nel vaso
interno, si ebbero i seguenti risultati:
VOLUME | DURATA | H,SO, Na, CO, .
o a impiegato in 100 C.C.
10 1 6. 1 2.99 |
| 10 3 1103 5.54
10 4 18. 6 9.11
10 8 32.9 16. 12
10 10 37 17.00
10 15 40.5 19. 84
SULLA DECOMPOSIZIONE DEL CLORURO DI SODIO ECC. 85
L'esperienza si sospese dopo le 15 ore, perchè nel liquido
contenuto nel vaso interno, incominciarono a comparire composti
di cloro attivo a causa dell’alterazione subita dal yaso poroso,
la quale è resa manifesta dal deposito di silice gelatinosa che
si forma sulla superficie esterna del medesimo, e dalla grande
quantità di allumina e silice che si trova in soluzione nel liquido
del vaso interno.
Identici risultati si ottengono cogli elettrodi di carbone di
storta e senza fare uso della corrente di acido carbonico, ma in
questo caso, accumulandosi nel vaso interno dell’idrato sodico,
l'alterazione del medesimo è assai più rapida.
III.
Decomposizione di una soluzione satura di cloruro di sodio
contenuta in due vasi; l'uno ‘esterno di vetro, e l’altro
interno di legno.
Anche in questo caso si operò come in I, sostituendo al
recipiente interno di vetro, un vaso di legno pioppo di un sol
pezzo con pareti di tre millimetri di spessore. Usando elettrodi
di platino, e facendo passare una corrente di acido carbonico
nel vaso interno, si ebbero i seguenti risultati:
VOLUME DURATA H, SO; Na, CO,
o steal impiegato | in 100 C.C.
RO ore C.C; gr.i
I Î 10 3 12.5 6.12
10 7 15. 8 7.74
10 14 22.9 11. 22
10 18 37.1 18. 18
10 20 39. 6 19. 40
Dopo venti ore si sospese l'operazione perchè si rinvenne cloro
attivo nel vaso interno proveniente dalla alterazione subita dal
«medesimo. — Impiegando elettrodi di carbone, e tralasciando la
86 ERMENEGILDO ROTONDI
corrente di acido carbonico si ottennero analoghi risultati, ma
il vaso interno si alterò molto più rapidamente.
Il liquido contenuto nel vaso interno dopo d’averlo assoggettato
all’elettrolisi per venti ore, si divise in due parti; una di queste
evaporata e calcinata, lasciò un residuo contenente il 60,15 p. °/,
di carbonato sodico, e l’altra riscaldata convenientemente, onde
trasformare il sesquicarbonato sodico in bicarbonato meno solubile,
diede col raffreddamento un precipitato, che dopo calcinato, con-
teneva il 93,80 p. °/, di carbonato.
La corrente elettrica, agendo sopra le soluzioni di cloruro
sodico può quindi fornire, mediante diaframmi di legno, delle
soluzioni di idrato o di carbonato così concentrate da equivalere
in ricchezza a quelle che si hanno lisciviando le sode greggie
nella fabbricazione della soda col metodo di Leblanc, le quali
contengono in media da 15 a 22 grammi di carbonato sodico
per ogni 100 c. c. Vedemmo inoltre come si possa ottenere del
bicarbonato, facilmente trasformabile in carbonato colla calcina-
zione, e paragonabile per purezza a quello che si ottiene col
metodo di Solvay.
Per superare la difficoltà pratica relativa alla facile altera-
zione dei diaframmi, e per raggiungere lo scopo di avere solu-
zioni ricche in carbonato sodico, e possibilmente esenti di cloruro,
iniziai nuove esperienze con diaframmi diversi, impiegando so-
luzioni di cloruro sodico mantenute costantemente sature nel
vaso esterno mediante un eccesso di sale, e mettendo nel re-
| cipiente interno acqua distillata. Con tale disposizione si rag-
giunge anche l’intento di evitare la formazione dei composti
ossigenati del cloro, perchè essendo esso pochissimo solubile in
acqua satura di cloruro di sodio, si svolge quasi completamente
allo stato gasoso.
Le esperienze fatte con tale indirizzo furono le seguenti:,
IN
Decomposizione di una soluzione di cloruro di sodio mante-
nuta costantemente satura in un vaso di vetro, nel quale
x
vi è immerso un recipiente di legno ripieno d’acqua.
Queste esperienze si eseguirono in modo identico a quello
descritto in III. Per vaso poroso si fece uso di un recipiente in
SULLA DECOMPOSIZIONE DEL CLORURO DI SODIO ECC. 87
legno noce di un sol pezzo con pareti dello spessore di 12 milli-
metri ripieno d'acqua distillata, e per vaso esterno si impiegò
un recipiente di vetro contenente acqua ed un eccesso di cloruro
di sodio, onde mantenere costantemente saturo il liquido, il quale
si poteva a volontà riscaldare a circa 60 gradi centigradi a
mezzo d’opportuno bagno di sabbia. — Impiegando elettrodi sia
di platino che di carbone, dopo pochi istanti di passaggio della
corrente l’acqua del vaso interno si faceva alcalina per la pre-
senza di idrato sodico, e dal vaso esterno si svolgeva cloro in
quantità.
I risultati avuti usando elettrodi di platino, sia nel caso in
cui l’idrato sodico veniva trasformato in carbonato mediante una
corrente di acido carbonico, oppure si lasciava accumulare al polo
negativo allo stato di idrato, sono registrati nel seguente spec-
chietto.
VOLUME | DURATA H, SO, Na, CO,
li i dell’ impiegato nell’esperienza | in 100 c. c. nell’esperienza
e, A saga re
per l’analisi | ©lettrolisi | con CO, | senza CO,| con CO, | senza CO,
e. ‘& ore ei. ce: gr.i gr.i
| 10 5) 2.4 Sp L3:8 tb
10 15 14. 1 16. 4 6294 8. 04
10 21 24.9 26. 2 12. 20 12. 84
10 30 39. 2 38. 7 L60227 18. 86
10 d4 39.4 44,2 19:81 21. 65
Il liquido contenuto nel recipiente interno si mantenne alla
temperatura di 60 gradi cent. durante il periodo dell’esperienza,
ed alla fine della medesima, non conteneva cloro attivo perchè
la fibra legnosa non fu sensibilmente alterata; il medesimo reci-
piente si potè infatti impiegare ancora per altre esperienze. Detto
liquido, quantunque ricco in carbonato sodico, non conteneva
che gr. 3,47 di cloruro sodico per ogni cento centimetri cubici,
nell’esperienza in cui non si fece uso di acido carbonico, e gr. 2,94
in quella in cui l’idrato sodico si trasformò in carbonato.
In dette esperienze, non si formarono nel vaso esterno com-
posti ossigenati di cloro, perchè veniva messo in libertà quasi
88 ERMENEGILDO ROTONDI
completamente allo stato gasoso, man mano che il cloruro di
sodio si decomponeva. La quantità massima di cloro trovata in
soluzione nel liquido esterno, fu di gr. 0,49 per ogni 100 cent.
cubici nel caso in cui non si fece uso della corrente di acido car-
bonico, e di 0,34 nell’esperienza in cui venne impiegato.
ye
Decomposizione di una soluzione di cloruro di sodio mantenuta
costantemente satura in un vaso di vetro, nel quale si trova
immerso un vaso d'argilla contenente acqua comune.
Si fecero due serie di esperienze analoghe a quelle descritte
in IV, in una d'esse, che chiamerò A, si impiegò per reci-
piente poroso un vaso d’argilla, e precisamente di quelli ado-
perati per le pile, e nell’altra, che chiamerò B, si sostituì al
vaso da pila un crogiuolo di Hesse (di quelli ordinariamente
impiegati per fusione dei minerali, e che risultano da un impasto
d'argilla refrattaria e sabbia quarzosa modellata e poi cotta)
con pareti dello spessore di otto millimetri. Impiegando elet-
trodi di platino, e trasformandosi o no in carbonato l’idrato
sodico che si accumula al polo negativo, si ebbero i seguenti
risultati:
VOLUME | DURATA QUANTITÀ DI CARBONATO SODICO
di è per ogni 100 c. c. di soluzione
liquido Sal Vesta asa
pers ga EspERIENZA A EspERIENZA B
ampiegaio elettrolisi
perianali con CO, | senza CO,
e: ore gr. grt
10 6 8. 74 915
10 8 2 ge te gn e)
10 10 ib 2100 4A
10 14 17.30 . 24
10 16 19.58 | 20
10 18 22.90 | 21
SULLA DECOMPOSIZIONE DEL CLORURO DI SODIO ECC. 89
Anche in queste esperienze non si formarono composti ossi-
genati del cloro, il quale, attesa la sua poca solubilità nelle
soluzioni sature di cloruro di sodio, si svolgeva quasi completa-
mente allo stato gasoso. I liquidi contenuti in tutti i recipienti
tengono in soluzione silice ed allumina, e l’analisi chimica ese-
guita sopra i liquidi dei vasi interni, opportunamente decantati
per separare la parte insolubile, diede i seguenti risultati :
100 c. c. DEL LIQUIDO DEI RECIPIENTI INTERNI
contengono
ELEMENTI DETERMINANTI ESPERIENZA A EspERIENZA B
in arte — oca) A
con CO, |senza CO,| con CO, |senza CO,
gr.i art, grin 0
Me 1 182 A: OT 0. 49 od. ag
Ossido d’allumio e ferro | traccie Li; 71 0.26 1. 46
Cloruro di sodio. . . 1. 56 ZAC A a 1.01
Impiegando crogiuoli di grafite impastata con argilla, invece
di crogiuoli di terra, la decomposizione del cloruro di sodio è
assai lenta, ed in un assaggio fatto dopo cinque ore d’ azione
della corrente galvanica, non si trovò nel liquido che gr. 0,4 di
carbonato sodico per ogni 100 cent. cub. Coi crogiuoli di car-
. bone di storta, non si ottiene l’effetto voluto, poichè essi agiscono
da elettrodo negativo, e la decomposizione avviene come nel caso
in cui i due elettrodi si trovano immersi in un recipiente unico.
Dal complesso delle esperienze fatte, sembrami poter de-
durre, che con un recipiente diviso in due compartimenti da un
diaframma, formato con una mescolanza di argilla e sabbia si-
licea assoggettata a conveniente cottura, o meglio di legno oppor-
tunamente scelto per qualità e spessore, si possono avere me-
diante l’ elettrolisi soluzioni di carbonato, sodico (od anche di
idrato nel caso del diaframma di legno) più concentrate e pure
di quelle che si hanno dalla lisciviazione delle sode greggie otte-
nute col metodo di Leblanc.
La preparazione diretta della soda dal cloruro mediante
l’elettrolisi, è quindi industrialmente possibile, qualora si possa
disporre di una corrente galvanica convenientemente forte, e tale
90 ERMENEGILDO ROTONDI
che il suo costo, per la decomposizione di una data quantità di
cloruro di sodio, sia minore di quello corrispondente alla mano
d'opera, al combustibile e all’acido solforico impiegato per la
trasformazione indiretta col metodo di Leblane o coll’ammoniaca,
secondo Solvay.
La decomposizione elettrolitica del cloruro di sodio è uno
dei più belli esempi dell’utilizzazione industriale del principio
della trasformazione e correlazione delle forze chimiche e mecca-
niche, potendosi utilizzare le forze idrauliche in abbondanza for-
niteci dalla natura per compiére un lavoro chimico, trasformando
un corpo composto, nei proprii elementi, i quali possono poi
essere utilizzati sotto forma di idrato sodico, di cloro e idro-
geno capace d’abbruciare per somministrare nuova forza o
calore.
L'impiego dell’ elettrolisi del cloruro di sodio può trovare
facile applicazione in alcune industrie, come ad es., nella fab-
bricazione della carta, nell’imbiancamento delle fibre vegetali,
nella stampa dei tessuti ed altre ancora, poichè mediante un
piccolo lavoro meccanico, l'industriale può avere a propria dispo-
sizione, un energico agente ossidante, decolorante, e dell’alcali
caustico o carbonato.
L'imbiancamento elettro-chimico dei tessuti venne, per quanto
io sappia, suggerito per la prima volta da J. Dobbie e F. Hut-
cheson, i quali in una comunicazione fatta nel corrente anno alla
Società chimica di Londra, proposero di far passare il tessuto
da imbiancare, dapprima nell’acqua di mare, ed indi fra due
ranghi di cilindri, formati con carbone di storta, messi in comu-
nicazione coi due poli di una macchina dinamo-elettrica. Gi-
rando il tessuto fra i cilindri, si ottiene dell’ipoclorito di soda,
il quale agisce come decolorante, specialmente quando si facilita
la sua decomposizione mediante un successivo passaggio in acqua
leggermente acidulata con acido cloridrico.
Il metodo di Dobbie e Hutcheson è, a mio avviso, alquanto
imperfetto, perchè con esso si utilizza soltanto il cloro del clo-
ruro di sodio. Migliori risultati si possono conseguire usando di
un recipiente diviso in due compartimenti e contenente uno acqua
pura, e l’altro acqua con eccesso di cloruro sodico. Facendo
passare la corrente di una macchina dinamo-elettrica, si ottiene
al polo positivo cloro, che si utilizza come decolorante, sia allo
stato gasoso che in soluzione, ed al polo negativo dell’idrogeno
SULLA DECOMPOSIZIONE DEL CLORURO DI SODIO ECC. 91
e dell’idrato sodico, il quale, sotto forma caustica o di carbo-
nato, costituisce l’altro reagente indispensabile per l’imbianca-
mento delle fibre vegetali. In tal modo viene utilizzato non so-
lamente il cloro come nel processo di Dobbie e Hutcheson, ma
anche l’idrato sodico proveniente dall’elettrolisi del cloruro.
A complemento del presente scritto, credo utile di fare al-
cune considerazioni relative al lavoro richiesto per decomporre
una data quantità di cloruro di sodio, il quale, in -base al teo-
rema dell’equivalenza calorifica delle trasformazioni chimiche corri-
sponde al calore sviluppato nel momento della formazione del
medesimo corpo, posto che lo stato iniziale e finale siano identici.
— Ne viene da ciò, che per scomporre il cloruro di sodio in
cloro e sodio, si dovrà per ogni unità di peso molecolare espresso
in grammi — che nel caso del cloruro sodico è di 58,5 —
effettuare un certo lavoro, il quale, secondo i dati di Berthelot (1)
corrisponde a 96,2 calorie. Tale lavoro, è quello che dovrà essere
prodotto dalla forza elettromotrice qualora reazioni secondarie
non intervenissero. — Il lavoro elettromotore si deve però dimi-
nuire d’alquanto perchè, secondo il citato autore (2), si può
ritenere che il sodio si trasforma in ossido a spese dell’acqua con
svolgimento di idrogeno, e che per conseguenza, ritenendo di 77,6
le calorie svolte da una parte di sodio e di '/, di ossigeno nella
formazione dell’ossido di sodio, e di 34,5 quelle corrispondenti
alla formazione dell’acqua (1 di idrogeno e '/, di ossigeno) si
avrà dalla reazione secondaria una produzione di calore corri-
spondente a calorie 77,6 — 34,5 = 43,1.
La forza elettromotrice necessaria per decomporre una molecola
di cloruro di sodio corrisponde quindi a calorie 96,2—43,1—= 53.1
per ogni unità di peso molecolare, potendosi ritenere nulle le
azioni secondarie del cloro, perchè vedemmo, che impiegando solu-
zioni mantenute costantemente sature di cloruro di sodio, non
sì formano composti ossigenati del cloro, i quali, se avessero
luogo, coopererebbero secondo Berthelot (3), a svolgere una
certa quantità di calore e quindi diminuire le 53,1 calorie, che
rappresentano la somma delle energie necessarie all’elettrolisi di
un’unità di peso molecolare, espresso in grammi, di cloruro di sodio.
(1) Essai de mécanique chimique, t. I, p. 378.
(2) Bulletin de la Soc. Chim. de Paris, t. XXXVIII, p. 100.
(3) Idem.
92 E. ROTONDI - SULLA DECOMPOSIZIONE DEL CLORURO ECC.
Ritenendo per l’equivalente meccanico del calore il numero
425, si trova che la forza necessaria per decomporre 100 chi-
logrammi di cloruro di sodio, ossia per avere
Idrato. sodico... . . . chilog. 68.39
Ularo:- ce a » 60.68
laroreno signor » ie
corrisponde a un lavoro meccanico teorico di 38576800 chilo-
grammetri, o che in altre parole la decomposizione stessa si
può effettuare in 24 ore con una forza di circa sei cavalli
vapore.
Qualora invece dall’idrato sodico si producesse del carbonato,
il calcolo dovrebbe modificarsi in modo da tener conto dell’azione
secondaria della formazione del carbonato suscettibile di svolgere
10.2 calorie (1), di modo che la somma delle energie neces-
sarie per l’elettrolisi sarebbe ridotta a 53.1 — 10.2 = 42.9, non
tenendo conto delle calorie svolte dall’acido carbonico nel scio-
gliersi nell'acqua, e dell’azione secondaria che potrebbe avere la
corrente sul carbonato sodico.
Torino, dal Laboratorio di Chimica Industriale del Regio
Museo Industriale Italiano.
(1) BERTHOLET, opera citata, p. 384, t. II.
93
Il Socio Cav. Prof. Andrea NACccARI presenta e legge la se-
guente Nota del sig. Dott. G. GueLIELMO, Assistente alla Cattedra
di Fisica sperimentale della R. Università di Tormo,
SULLA DETERMINAZIONE
DEL
COREEICIENTE DI DIFFUSIONE DEL VAPOR ACQUEO
NELL'ARIA, NELL’IDROGENO E NELL’ACIDO CARBONICO.
In una Nota(1), pubblicata lo scorso anno, procurando di
verificare la formula di Stefan, sulla evaporazione, fui condotto,
per paragonare fra loro esperienze eseguite in condizioni diverse,
a calcolare un coefficiente di diffusione del vapor acqueo nell’aria.
I valori ottenuti in ciascuna serie di esperienze erano suffi-
cientemente concordi, almeno per lo scopo a cui servivano, ma
differivano non poco da una serie di esperienze all’altra. Ed invero,
trattandosi di esperienze di confronto, non tenni un conto molto
esatto di condizioni esterne quali la pressione e la temperatura,
che agivano ugualmente nelle esperienze da confrontare : inoltre
poterono introdursi altre cause d’errore accennate nella stessa Nota.
Mi riservai allora di eseguire in altra occasione esperienze per
determinare un valore possibilmente esatto di detto coefficiente,
il quale ha importanza, oltrechè dal lato teorico, anche per cal-
colare l’evaporazione e per la determinazione della costante del
psicrometro.
La formula data da Stefan (2) per il volume di vapore a
0° e 760 mm. che attraversa nell’unità di tempo l’unità di se-
zione d’un cilindro è:
ped
p_p
(1) Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, XVII, 1881.
(2) Sreran, Versuche iber die Verdampfung. Sitsb. der k. Akad. der
Wissensch. Bd. LXVIII, 1873.
,
v, = log
94 GIOVANNI GUGLIELMO
essendo 4 la lunghezza del cilindro, p" e p' le tensioni del vapore
alle sue estremità, » la pressione esterna, ed i logaritmi ne-
periani. Nel caso che sia s la sezione del cilindro e # la durata
della esperienza sarà :
ks t 423 "
pe A log = ci
h P_P
Questa formula per ciò che riguarda le dimensioni del cilindro
è la stessa di quella che vale per la propagazione del calore e
dell’ elettricità, e per brevità chiamerò resistenza dell’aria , la
h
Dia e
quanti a
L'apparecchio da me usato consiste, come nelle esperienze pre-
cedenti, in un tubo chiuso ad una estremità e contenente acqua,
posto nel mezzo d’un largo bicchiere avente nel fondo uno strato
di acido solforico, pel quale la tensione del vapore acqueo è
nulla. L'uso dell’acido solforico invece delle soluzioni saline o
acide, oltre all'aumentare la differenza fra le tensioni del vapor
acqueo, ha anche il vantaggio di eliminare l'influenza di qualsiasi
errore nella tensione di vapore di esse soluzioni.
I vari tubi avevano una sezione di circa 191 mm° deter-.
minata con cura ed a varie altezze in ciascuno ; l’orlo ne era
spianato e normale all’asse ; essi erano sostenuti nel bicchiere da
un tubo a piede più largo, che anche impediva che venissero ba-
gnati dal liquido esterno. — I bicchieri avevano una sezione di
80cm? circa, avevano l’orlo spianato con cura e dopo messi a posto
i tubi pesati, venivano chiusi bene con un disco di vetro smeri-
gliato e spianato e con grasso, e posti in un gran bagno d’acqua
acciocchè tutti avessero una stessa temperatura possibilmente co-
stante e nota. Questa era data da un termometro diviso in quinti
di grado che era stato confrontato con un buon termometro cam-
pione di Fastré di Parigi. — Il bagno riposava sopra una solida
mensola di marmo fissa ad un muro principale dell’edifizio, per
cui aveva la massima possibile stabilità.
Pesando i tubi prima e dopo d’averli lasciati per un tempo
noto nei bicchieri, si aveva la quantità di vapore che era passata
dall’acqua all’acido solforico e si poteva calcolare ©.
Nelle precedenti esperienze misuravo direttamente la distanza
del fondo del menisco formato dall’acqua, dall’orlo del tubo e
facevo poi la correzione pel menisco unitamente a quella per l’aria
SULLA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI DIFFUSIONE Ecc. 95
esterna, facendo esperienze simultanee con acqua a varie profon-
dità ; adesso con maggior esattezza determinai la profondità media
dell’acqua dividendo per la sezione media il volume dello spazio
vuoto del tubo, che naturalmente s’ottiene facendo la differenza
tra il peso del tubo colla sua capacità (determinata col mercurio)
supposta piena esattamente d'acqua ed il suo peso coll’acqua che
vi si trova per l’esperienza.
Calcolando la resistenza del cilindro d’aria di tale altezza, e
quella del cilindro reale terminato da un menisco supposto sferico,
e con una fascia d’acqua che bagna le pareti per qualche mil-
limetro al disopra del menisco, mi persuasi che la differenza è
trascurabile. La variazione della profondità nel corso della espe-
rienza essendo ordinariamente assai piccola, mi contentai di cal-
colare il valore medio fra la profondità iniziale e la finale.
Il tratto d’aria percorso dal vapore consta di due tratti
cilindrici, cioè l’interno del tubo e lo spazio anulare fra le pareti
del bicchiere e del tubo, ed inoltre di un tratto d’aria al disopra
del tubo, che unisce i due primi. È facile ridurre il secondo ad
un cilindro equivalente avente la sezione interna del tubo, e si
può ridurre il terzo tratto d’aria paragonando esperienze fatte
a diverse profondità; si hanno così varie equazioni della forma :
in cui x è appunto l’altezza d’un cilindro d’aria avente la sezione
interna del tubo e la resistenza del terzo tratto d’aria. — Cal-
colando l’influenza d’un errore in v sul valore di x si vede,
«come si vede anche a priori, che per avere la massima esattezza
}
È
3
i
.
9
P
1
nel valore di x conviene che i valori di % nelle esperienze che
si confrontano siano molto differenti, e che uno di essi sia piccolo
il più possibile. Non tenendo conto di ciò si ottengono valori
piuttosto discordi. Quando sia noto un valore abbastanza appros-
simato di %, mediante urna sola esperienza si può avere x dalla
precedente equazione.
Le esperienze per determinare x furono fatte con tre o quattro
tubi, nei quali l’acqua si trovava alla profondità di 40 mm. ,
20 a 25 e 3 oppure di 40 mm. 40 mm. 3 mm., 3 mm. circa
rispettivamente.
Siccome in queste esperienze non s’ottiene, nè è necessaria
una grandissima precisione, dedussi x dalle tre o quattro equa-
96 GIOVANNI GUGLIELMO
zioni, da confrontare graficamente, tracciando le rette rappresentate
dalle equazioni e prendendo il punto medio dei punti d’interse-
zione. Ciò ha anche il vantaggio di far scorgere subito le espe-
rienze sbagliate e spesso di indicare ove stia l’errore. — I valori
medii così ottenuti sono i seguenti : 2,8mm., 2,65, 2,8, 2,5, 2,5;
— 2,6, 3,1, 3,6; — 2,85, 3,0, 2,9, 2,8. I valori compresi
fra due lineette furono ottenuti sostituendo all’acido solforico del-
l’acqua salata. Tenendo maggior conto degli ultimi valori ottenuti
in migliori condizioni, presi come valore medio 2,9 mm.
Applicando la formula di Stefan a queste esperienze si sup-
pone che negli strati adiacenti ai liquidi il vapore abbia la ten-
sione che corrisponde ad essi liquidi, come è molto probabile a
causa della lentezza con cui avviene nel nostro caso la diffu-
sione del vapore. Un’altra causa d’errore potrebbe esistere in ciò
che l’aria umida degli strati inferiori del tubo essendo specifi-
camente più leggera di quella più asciutta degli strati superiori,
potrebbero prodursi correnti che tenderebbero ad aumentare la
quantità d’acqua trasportata. Che ciò non avvenga parmi provato
sufficientemente dalla concordanza dei valori ottenuti per % con
acqua a diverse profondità nei tubi, dalla poca differenza del
valore medio ottenuto per x coll’acqua salata o con l’acido sol-
forico; e si può osservare che gli strati inferiori più leggeri non
essendo circondati in nessuna parte dall'aria più densa, non ri-
cevono alcuna spinta all’insù fintantochè gli strati conservano la
loro forma regolare, ciò che probabilmente avviene grazie alla
stabilità della base su cui riposa l’apparecchio (1).
Per verificare se queste o altre cause d’errore hanno influenza
sensibile, ho inoltre fatto esperienze con tre tubi, uno con acqua
pura in un bicchiere con acqua salata, uno con uguale acqua salata
(1) Se tale causa d’errore non ha influenza sensibile nelle nostre espe-
rienze, non credo che possa dirsi lo stesso nella determinazione sperimentale
o teorica della quantità d’acqua evaporata all’aria libera, nel qual caso non
potrebbe applicarsi puramente la teoria della diffusione che darebbe per la
quantità d’acqua evaporata valori troppo piccoli. — Così pure riuscirà troppo
piccolo il valore della costante del psicrometro ottenuto colla teoria mecca-
nica della diffusione; e realmente STEFAN ottiene matematicamente per il
coefficiente di diffusione del vapore acqueo e dell’aria il valore 0,18, mentre
il MaxwELL credè di adottare il valore 0,24 (Zeitschr. der oesterr. Gesellsch. fur
Meteorologie, tradotto nel Bollettino dell’Associaz. Meteorologica ital., 1881,
p. 49).
SULLA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI DIFFUSIONE Ecc. 97
in un bicchiere con acido solforico, il terzo con acqua pura in
bicchiere con acido solforico. — Se nella formula di Stefan pren-
diamo invece della differenza dei logaritmi log (p—p")—log(p—p')
la differenza dei numeri (la quale, essendd” questi fra loro poco
differenti, si può ritenere proporzionale alla precedente), ossia
p'—p", si trova applicando a queste esperienze, che la quantità
d’acqua che passa nell’unità di tempo per l’unità di sezione nel
terzo tubo deve essere uguale alla somma delle quantità d’acqua
che passano pure nell’unità di tempo e per l’unità di sezione
negli altri due, supposto che sia la profondità dell’acqua uguale
in tutti tre, o fatta la correzione relativa. — Nella seguente
tabella sono indicati con 9,, 93; 9, i pesi dell’acqua evaporati
nei tre tubi, fatte le correzioni per le piccole differenze di se-
zione dei tubi, o di profondità, e ridotte all’ unità di tempo.
L'accordo dei numeri delle ultime due linee è sufficiente ed
offre ancora una prova che le suddette cause d’errore sono nulle
o trascurabili.
Ecco ora nella seguente tabella i risultati di una prima serie
di esperienze ; nella prima colonna si ha la distanza dell’acqua
dall’acido solforico, essendo dappertutto ridotta la sezione a quella
del tubo, nella seconda colonna la durata dell’evaporazione, nella
terza la temperatura, nella quarta il peso dell’acqua evaporata
- in milligrammi, nella quinta il coefficiente di diffusione 7, in peso,
ossia il peso dell’acqua evaporata nel caso che -h + = 1 cm.
s=lcm,t= 1, log Pi PD n = 1, stato ridotto alla temperatura
di 8° ammettendo secondo Stefan che % varii proporzionalmente
alla temperatura assoluta. Per semplicità di calcolo si sono presi
i logaritmi comuni invece dei neperiani voluti dalla formula, e la
riduzione opportuna è stata poi fatta pel valore medio del coef-
| ficiente di diffusione in volume. Le linee orizzontali separano
gruppi di esperienze eseguite simultaneamente.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XVIII. iL,
98
GIOVANNI GUGLIELMO
h+4+ x
734,89 | 93 gm
28,30
18,7
733,9 23,9
28,55
19,1
732,5 24,6
29,1
19,85
132,9 26,35
24,6
21,2
741,2 43,7 |
32,9
23,5
740,0 43,85 |
33,18
33,9
24,1
734 43,7
|
7534 43,8
760,9 43,6
760,9 i 43,67
754,6 43,7
754,6 29,74
23,64 |
738 44,1
T t q ks
428' 9°,45 42,6" 0,02355
457 > 38,6 237
392' > 49,5 235
873 | 9°3 86,8 237
842 » vi 238
900 ; 112,1 235
1017" 9°.37 98,1 235
1040' » 85,0 234
1040' » 122, 233
1704 9°,15 | 151,9 240
1705' » 165,6 235
1700' » 185,7 235
589' 6°,85 26,8 249
561' » 33,6 236
532’ » 44,4 234
868! 6°,95 39,6 239
895° » 54,5 240
922' > 77,0 235
1393! 6°,95 63,6 240
1391' » 83,5 238
1390' A
335! 7°,07
241' 7°,25
316' 7°,28
326" “
242' 7°,96
22.6" »
717. |8°,85
353! 3
347’ 8°,6
700’ 5
SULLA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI DIFFUSIONE Ecc. 99
La media di questi valori è 0,02363; il valore corri-
spondente del coefficiente di diffusione in volume, ossia il vo-
lume a 0° e 760 mm. del peso % di vapore (le unità adope-
rate sono centimetro, grammo, minuto primo) facendo inoltre
la riduzione pel passaggio dai logaritmi ordinari ai neperiani è
Mg=12,74.
In queste esperienze che furono eseguite per le prime non
tenni conto delle sezioni un po’ diverse dei bicchieri, da 76 ad
81 cm', la quale influisce specialmente nella determinazione di x;
nelle esperienze successive ne tenni conto ed inoltre per la lun-
ghezza maggiore del tratto d’aria hanno minore influenza piccoli
errori nel valore di x il cui valore assunto 2,9 mm. si riferisce
più specialmente alla serie seguente.
h+x T t q kg
760,9 43,6 316° 798 14,8 0,0248
4 43,65 | 826° 7 i 239
760,9""| 43,67 242' 7°,96 11,6 236
43,7 226" » 11,0 238
754,65 43,7 717 8°,5 36,4 2374
29,6 353' » 27,0 241
754,6 29,74 | 347 89,6 Dr i 246
| 29,7 700' | 89,55
54,1 244
La media di questi valori è 0,0241 per &; ed il valore
corrispondente di %', è =12,99; prendendo la media fra questi
e i valori precedenti s'avrebbe per %, 0,0239 e per #', 12,86.
Feci un'altra serie di esperienze alcuni mesi dopo ; la tem-
peratura era allora di circa 15°.
Siccome l’immergere i bicchieri nel bagno d’acqua esigeva
una chiusura con grasso accurata, ciò che oltre ad essere noioso
richiedeva un tempo nel quale la temperatura dei bicchieri cre-
100 GIOVANNI GUGLIELMO
sceva un poco, posi i tubi nel fondo d’un gran vaso di vetro
contenente uno strato di circa 5 cm. d’acido solforico , e sopra
ciascuno di essi posi a modo di campana il rispettivo bicchiere.
Il vaso poi era turato da un coperchio avente un foro centrale
pel passaggio del termometro, il cui bulbo pescava nell’acido sol-
forico, ed era immerso in un gran bagno d’acqua sino a poca
distanza dall’orlo. Tenni conto della nuova distanza dell’acido
solforico dall’orlo del tubo ed ottenni così i seguenti valori per
Ty e k'y che sono ridotti alla temperatura di 15° che è vicina
a quella delle esperienze.
=
h4-x T 1) q ks
43,6 390' Lao 33,4 0,0251
23,86 367" » 56,4 2444
43,85 TL” 16°,04 60,5 241
24,8 720° » 110,8 2416
23,5 PON Tor BAGC 247
44,34 225 » 19,0 2455 |
23,74 379' 150,97 60,0 242
44,47 del » SOT 244
44,35 315° 15°,65 110,9 è La
44,9 1290' » 10751 241 |
dA-45 L321° » 110,8 249
lA N e iL i ite chie lle Se I
44,4 516° 15°,96 44,7 248 |
e SE AI Mn
La media di questi valori è 0,2456 per %, e si ha k'.s
= 1,305. Se invece deduciamo /%,, da %,, supponendo che %
cresca proporzionalmente alla temperatura assoluta troveremmo
k,y= 0,0245. L'accordo è molto soddisfacente, vista la picco-
SULLA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI DIFFUSIONE Ecc. 101
lezza dell’intervallo di temperatura, per cui la sua influenza po-
trebbe essere coperta da errori casuali.
Esperienze sulla diffusione nell’idrogeno e mell’acido car-
bonico. Feci uso dello stesso apparecchio e solo adattai a ciascun
bicchiere due tubi ad U muniti di rubinetto che chiudeva per-
fettamente ed aventi un ramo nell’interno del bicchiere ed uno
al di fuori; in uno di essi, pel quale entrava l’idrogeno o usciva
il gaz carbonico, il ramo interno giungeva fin presso al fondo
del bicchiere, nell’altro invece, pel quale l’idrogeno usciva o en-
trava il gaz carbonico, il ramo interno sporgeva poco sopra il
livello dell’acido solforico, ed alla sommità era ripiegato ad angolo
retto. Ciò per rallentare la mescolanza del gaz coll’aria, e scacciare
nel minor tempo la massima quantità di aria.
Ciononostante occorre una correzione benchè piccola per il
tempo durante il quale rimane ancora dell’aria nel bicchiere. Se
supponiamo che sia YV il volume della mescolanza d’aria e di
gaz nel bicchiere e sia y il volume dell’aria rimasta e V— y quello
del gaz, e supponiamo anche per semplicità che penetrando un
volume che dv di gaz esca un volume dv della mescolanza com-
pleta dei due gaz nelle proporzioni di y d’aria a V—y di gaz
P . ? : “al: - MURO
il volume di aria uscito sarà I dv e il volume dell’aria rimasta
y
Y 10.T Y
sarà y_ gdo; avremo quindi d y = — pl e
Iy=— +e ossia y=Ve ”,
e per V=1, y=e7. Quindi, dopo passato un volume di gas
= 3 V, la proporzione dell’aria rimasta in questo caso certo non
:
favorevole sarà solo di 8a,
i 100
I In queste esperienze per essere sicuro che l’aria fosse inte-
ramente scacciata, facevo passare da 6 a 10 litri di gaz in circa
10 minuti, V era di circa ! litro e quindi dopo 2° potevo ri-
tenere che la proporzione d’aria rimasta fosse senza influenza in
questo termine di correzione ; calcolando approssimativamente il
tempo perchè la proporzione d’aria forse trascurabile anche nel
fondo del tubetto, ammisi per l’idrogeno il valore di 3' pel tempo
in cui rimaneva nel bicchiere dell’aria in quantità sensibile , e
supposi che per 1',5 il bicchiere fosse occupato da sola aria e
| per 1',5 da solo idrogeno.
102 GIOVANNI GUGLIELMO
Inoltre, essendo per l’idrogeno la durata della esperienza minore,
temei che nel prendere il tubo fra le dita prima e dopo la pesata,
nel pulirlo, il riscaldamento dell’acqua potesse influire e vi
adattai un manico di filo di rame fissato con ceralacca, e deter-
minai nuovamente il valore di « .
L’idrogeno era ottenuto collo zinco del commercio ed acido
solforico diluito, ma ebbi cura che fosse possibilmente puro, e
veniva disseccato facendolo gorgogliare in un vaso d’acido solforico
e passare per un tubo pieno di pomice imbevuta d’acido solforico.
Tenni conto pure dell’essere la sommità del tubo durante il pas-
saggio del gaz, nel gaz affatto secco anzichè nel gaz che contiene
un po’ di vapore, come avviene nel corso dell’esperienza, sebbene
ciò possa avere una piccola influenza sul risultato. — Ebbi cura
che non vi fossero fessure per cui all'idrogeno potesse mescolarsi
dell’aria, sia nell’apparecchio di svolgimento, sia nei bicchieri,
i cui tubi avevano i rubinetti ben spalmati di grasso ed erano
inoltre chiusi spingendo tubi di vetro pieno nei tubi di gomma
elastica che servivano per le congiunzioni all’esterno. — Feci inoltre
esperienze facendo passare volumi diversi di idrogeno per assicu-
rarmi che essi non fossero talora insufficienti a scacciare tutta
l’aria. dai bicchieri.
Contemporaneamente furono eseguite esperienze sulla evapo-
razione nell’aria e nell’idrogeno, ed ecco nella prima tabella i
valori del coefficiente di diffusione nell’aria ridotti alla tempera-
tura di 18° che è la più prossima a quella delle varie esperienze,
e nella seguente tabella i valori del coefficiente di diffusione nel-
l’idrogeno.
h+x T t q k,8
44,1 839 ile DI) 78,8 0,02505
43,7 454 18°,69 47,1 2475
43,8 1724 18°,25 174,3 248
43,7 561' 16°,54 50,5 242
43,7 44.7 17°,98 44,8 250 |
43,7 465) 18°,48 47,9 251
43,3 220" IB°.93 22,8 247
43,3 391' 22°,82 59,3 244
43,6 361' 23°,08 49,2 244
43,6 249 18°,6 27,0 | 251
SULLA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI DIFFUSIONE Ecc. 103
La media di questi valori è per %,g 0,02475 e si ha
k',«= 13,33; deducendone il valore da %, si avrebbe invece
k,,=0,0248 e l'accordo è anche in questo caso soddisfacente.
Evaporazione nell’ idrogeno.
La media di questi valori di %,, che non ostante le mie cure
per togliere le cause d’errore mostrano differenze abbastanza sen-
104 GIOVANNI GUGLIELMO
sibili, è di: 0,0871 cui corrisponde il coefficiente in volume
k',,=46,95. Il rapporto di questo coefficiente a quello dell’aria
ottenuto in condizioni simili è = 3,52.
Feci ancora varie esperienze sulla diffusione nel gaz carbo-
nico, e nella seguente tabella trovansi i valori più concordanti ;
però per quanto io abbia posto cura nell’usare il gaz puro, nel-
l'impedire che nei recipienti penetrasse dell’aria, ottenni talvolta
valori notevolmente maggiori, e talvolta maggiori anche di quelli
ottenuti per l’aria; sebbene l'apparecchio avesse già servito per
l'idrogeno assai più difficile a rinchiudere perfettamente, e sebbene
anche alla fine dell'esperienza il gaz apparisse chiaramente per
le sue proprietà caratteristiche essere gaz carbonico. Credo che
tali variazioni possano provenire da ciò, che essendo in questo
caso maggiore che non nell’aria la differenza di densità fra gli
strati inferiori del gaz nel tubo, e gli strati superiori più asciutti
e più densi possa più facilmente venir distrutto tale equilibrio
instabile, e formarsi delle correnti, mentre non di rado tale equi-
librio può sussistere e la diffusione avvenire abbastanza rego-
larmente.
Il gaz era prodotto coll’azione dell’acido cloridrico sul car-
bonato di calce: una soluzione di carbonato di soda arrestava
i vapori d’acido cloridrico, una bottiglia con acido solforico ed
un tubo ad U con pomice imbevuta d’acido solforico disseccavano
il gaz. Ecco ora i risultati delle esperienze più concordanti per
dare un'idea del valore del coefficiente.
a
i
|
SULLA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI DIFFUSIONE Ecc. 105
La media di questi valori è 0,01554, il valore corrispon-
dente del coefficiente di diffusione in volume sarebbe 8,38 ed
il suo rapporto al coefficiente di diffusione nell’aria sarebbe
0,628.
Nel calcolo di queste esperienze ho seguito la formola di
Stefan sulla cui verificazione si hanno esperienze dello stesso, e
feci anch'io delle esperienze esposte nella Nota citata.
Collo stesso ragionamento esposto dal Meyer (1) per trovare
il numero di molecole di ciascun gaz, che attraversano nell’unità
di tempo l’unità di sezione, nel caso di due gaz, si deduce
l’espressione del coefficiente di diffusione anche nel nostro caso.
Per effetto della differenza delle pressioni parziali in sezioni di-
yerse si ha un eccesso di molecole di vapore che vanno verso
l’acido solforico, un eccesso di molecole d’aria che vanno verso
l’acqua; la pressione totale yerso l’acido solforico tende ad au-
mentare pel primo eccesso diminuito del secondo e diminuito
anche per il numero # di molecole che sono assorbite dall’acido
solforico ; per questa tendenza un numero corrispondente di mo-
lecole della mescolanza tende a passare in senso contrario. Fatta
così la somma del numero di molecole che realmente attraversano
una sezione, si ha che essa deve essere uguale al numero « di
molecole assorbite dall’acido solforico. — L'espressione di questo
numero di molecole risulta uguale a quella pel caso di due gaz,
col. cambiamento di N numero di molecole della mescolanza
per unità di volume a 0° e 760 mm., in N, numero di mole-
cole del gas pure per unità di volume a 0° e 760 mm. Si ha
dunque
nn
vati
(N, L,Q2,+ N, L’, O, ) ’
dove n è la differenza del numero di molecole per unità di vo-
lume a 0° e 760 mm. in due sezioni distanti dell'unità; N,,
N, i numeri di molecole per unità di volume a 0°e 760 mm.
del gaz e del vapore in una determinata sezione; L',, L', le
medie corse fra due urti successivi delle molecole di gaz e di
vapore rispettivamente, nella mescolanza; Q,, 2, le velocità
di esse molecole. Si ha inoltre :
(1) MereR, Die kinetische Theorie der Gaze, 1877, p. 165.
106 GIOVANNI GUGLIELMO
1
ine _— 99 gg i...
MI, n gii V2+ N.ro Vest a
1
Ade ’
Nasi V34 N no mn
m,
essendo 7, , #, le masse s, e s, i raggi delle sfere d’azione
delle molecole di gaz e di vapore e o= S+s.).. Si ha
na
dunque pel coefficiente di diffusione ;
CORRO
init Nine VE4+N noe ]/ mm
a i o, ii
A I‘ ‘ è I S W{“"“E E I||UULG ji dLD(0L‘b'LEK:
N re V2 +M, 20° | metre
Il coefficiente di diffusione quindi anche in questo caso varia
col variare di N, (si può bensì osservare che crescendo N, decresce
2
3 ; N, N, :
nella prima frazione yz: e eresse 7 nella seconda per cui la
2 LI
variazione totale risulterà minore). — Esperienze di Stefan con
etere a varie temperature, cosicchè la tensione del vapore yvariò
da 302 a 605 mm. proverebbero invece che il coefficiente è co-
stante e determinato dalla sua formula, e quindi sarebbe anche
da ammettere che veramente esista fra le molecole la ripulsione
in ragione inversa della 5° potenza della distanza (1)..
Comunque,. il coefficiente dedotto colla formula di Meyer può
essere usato nel nostro caso, in cui le variazioni di pressioni sono
in ciascuna serie di esperienze quasi nulle. — Scegliendo un’ e-
sperienza fatta a 15°,74 ed alla pressione di 740 mm. (il cui
risultato coincide col risultato medio delle altre esperienze), so-
stituendo al rapporto %: il rapporto dei volumi corrispondenti
a 0° e 760 mm. ho trovato per D a 159,74 e 740 mm. di
(1) BoLTzMANN, Wiener Sitzb., 1872.
SULLA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI DIFFUSIONE Ecc. 107
pressione il valore 0,2443 essendo il centimetro, grammo e se-
condo le unità. — Prendendo poi invece del rapporto di N,
ad N, quello delle pressioni corrispondenti che sono ad essi pro-
porzionali (e prendendo per queste pressioni che variano nelle
diverse sezioni i loro valori medi), sostituendo a N,7s,° V2
l'inverso della media corsa molecolare per l’ossigeno e ponendo
Nins. GR che sarebbe l’inverso della media corsa molecolare
pel vapore acqueo = x* si ha l’equazione :
283200 Da 502900 rada ia
183560000+5(306+2)° ' 0,1958x°+5(306+) —
Essa è di 4° grado in x, però osservando che il secondo
termine del denominatore della 1° frazione ed il primo in quello
della seconda sono assai piccoli rispetto agli altri due, si può
sostituire in essi il valore dedotto dalle esperienze di Kundt e
Warburg, e così l’equazione diviene di 2° grado. Risulta così
x =342 e sostituendo questo nuovo valore nei due termini sud-
detti si ha invece x = 341 ossia si ha pel valore della media
corsa molecolare del vapore nel vapore a circa 16° e 740 mm.
L= 0,00000891 mentre dalle esperienze più dirette di Kundt
e Warburg (1) si ha L=0,00000649. L'accordo non è punto
grande, ma la differenza non esce dai limiti di quelle trovate
da Stefan anche per gaz perfetti.
Dal Laboratorio di Fisica dell’Università di Torino, 15 Di-
cembre 1882.
(1) Poaa, Ann., 1876, Bd, 155, p. 540.
108 P. FRANCESCO DENZA
Il Socio Cav. Prof. Giuseppe Basso presenta e legge la
seguente Memoria del sig. Prof. F. DENZA,
SULLA CONNESSIONE
TRA LE
EGLIS:SI, DI SOLE
ED IL
MAGNETISMO TERRESTRE.
Nel 22 decembre dell’anno 1870, occorrendo l’ultima eclisse
totale di sole visibile in Italia nel secolo che corre, furono in-
traprese regolari osservazioni della declinazione magnetica dagli
astronomi italiani, che si portarono in Sicilia ad osservare l’im-
portante fenomeno. Uno spostamento anormale avvenuto nell’ago
magnetico durante l’eclisse sia nella zona di totalità , come in
altre stazioni italiane discoste da questa zona, fece credere ad
alcuni che una tale perturbazione si dovesse ad influsso del fe-
nomeno astronomico; e si suscitò di nuovo la questione, altre
volte agitata intorno alla. connessione tra le eclissi di sole ed
il magnetismo terrestre.
Fu allora che io incominciai una serie di indagini consimili
nelle altre eclissi che vennero di poi, visibili od invisibili da noi,
tutte le volte che non ne fui distolto da altre circostanze.
L’intendimento precipuo che io mi proposi in tali ricerche,
si fu di investigare qual sia la causa gentina delle anormali va-
riazioni dell’ago magnetico, che talvolta si osservano durante le
eclissi; ed, in modo specialissimo, se realmente codesta alterazione
debba ascriversi ad un’azione magnetica diretta dei due astri
PET —
|
Li
|
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. 109
in congiunzione, come alcuni hanno già sostenuto; ovvero sia del
tutto accidentale, e dipendente da azioni affatto atmosferiche,
massime termo-igrometriche.
L'ultima eclisse da me studiata in tal modo, si fu la totale di sole
del 17 maggio scorso, la quale fu per noi parzialmente visibile.
Or essendomi accinto a discutere tutte le osservazioni fatte
a questo proposito nei tredici anni trascorsi dal 1870 (inclusivo)
all’epoca suddetta, mi sembra di esser pervenuto a tali conclu-
sioni, che valgono a decidere la questione in modo sicuro e de-
finitivo; per cui ho creduto esser venuto ormai il tempo di por
termine a cosiffatte indagini, e di render conto a quest’insigne
Accademia dei risultati ottenuti.
Affinchè però si possa avere esatta contezza di quanto sì è
fatto anche da altri sull’importante soggetto nell’anzidetto pe-
riodo di tempo, e specialmente negli anni che tennero dietro im-
mediatamente al 1870, nei quali la discussione fervè con maggior
ardore, è necessario che io premetta alcune notizie storiche.
Tr:
Avendo io preso parte alle osservazioni dell’eclisse totale del
1870, ed avuto l’onore di assistere in tale occorrenza il vene-
rato mio maestro P. Angelo Secchi; dovetti riferire appunto sul-
l'argomento che ora ci occupa.
Nel mio Rapporto, dopo aver trattato della variazione avve-
nuta nell’ago di declinazione durante l’eclisse, la qual variazione
da altro gruppo di osservatori si faceva dipendere dal fenomeno
celeste, così mi esprimevo :
« Da tutta la precedente discussione risulta ad evidenza, che
la giornata del 22 dicembre, sotto l’aspetto metereologico, fu
del tutto anormale; e che nell’ora dell’eclisse noi ci trovavamo
in piena burrasca, cioè sul lembo estremo del centro della de-
pressione, che in quel momento attraversava le nostre contrade.
Risulta ancora, che tutti gli elementi meteorici vennero più o meno
da essa alterati e sconvolti; di guisa che, come ho più volte a
bello studio ripetuto, per ciò che si riferisce alla parte meteoro-
logica, le nostre osservazioni ci fecero rilevare ciò che dipese dalla
burrasca, piuttosto che quello poteva derivare dall'eclisse.
110 P. FRANCESCO DENZA
« Ora dovrà il solo ago magnetico, che pure è cotanto sen-
sibile a cosiffatte meteore, dovrà egli solo escludersi dall’azione
descritta della bufèra? E non si potrà dire che il minimo di
declinazione osservato (non tanto raro ad avvenire all’ora me-
desima nei giorni burrascosi), del pari che il minimo barome-
trico, sia dipeso dall’infierir della procella?
« Ma vi ha ancora di più. Dal Bollettino internazionale del-
l'Osservatorio di Parigi (Delegazione di Bordeaux) si rileva, che
nella sera dello stesso giorno 22 un’aurora boreale ebbe luogo
a Stockolma; ed a tutti è noto il grande influsso, che queste
meteore, comechè lontane, hanno sulle variazioni dell’ago, mas-
sime nelle ore tropiche (1) ».
Più tardi il Prof. G. V. Schiaparelli di Milano, volendo
verificare fino a qual punto potessero ammettersi le conclusioni
degli osservatori siculi, favorevoli alla connessione tra le vicende
dell’ago magnetico e l’eclisse totale di sole; nè avendo saputo
rinvenire tracce di osservazioni magnetiche fatte appositamente in
occasione di eclissi totali di sole anteriori; si limitò a discutere
quelle fatte all'Osservatorio di Greenwich in cinque eclissi diverse,
dal 1842 al 1860; la cui grandezza per quella stazione non
fu minore di 8 decimi del diametro solare. Da una tale discus-
sione l’astronomo di Milano trasse questa conclusione:
« L’esame di questi numeri (così egli dice, riferendosi ai
quadri riportati nella sua Nota) mostra che, durante la massima
fase delle cinque eclissi considerate, l'andamento de’ tre magne-
tometri di Greenwich non manifestò alcun carattere speciale, che
possa servir di base a confermare il sospetto recentemente for-
mulato circa una possibile connessione delle eclissi solari con
certe variazioni del magnetismo terrestre. La prova è adunque
negativa, almeno entro delle circostanze in cui furono fatte le
osservazioni. Per fasi, la cui ampiezza è compresa fra 801 e
976 millesimi del disco solare, nessun influsso delle eclissi sul
magnetismo terrestre può ritenersi come probabile (2) ».
Un esame più rigoroso e più esteso fu fatto in seguito dal
Prof. Jacopo Michez, Direttore dell’Osservatorio di Bologna, il
(1) Rapporti sulle osservazioni dell’ eclisse totale di Sole del 24 dicembre
1880, eseguite in Sicilia dalla Commissione italiana. Pag. 187 e 188.
(2) Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Serie III,
vol. IV, fase. VIII.
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. II
quale prese a discutere le osservazioni magnetiche eseguite allo
stesso Osservatorio di Greenwich in 483 eclissi di sole, delle quali
32 invisibili ed 11 visibili in quella stazione, nel periodo di
26 anni, dal 1842 al 1867; con un metodo analogo a quello
seguito dagli osservatori di Sicilia nell’eclisse del 1870.
Da tutta codesta improba e scrupolosa discussione il Michez, non
senza esitanza, non potè inferire altra conclusione che la presente.
« In un giorno di una eclisse particolare di sole abbastanza
considerevole, l’ago di declinazione situato in un luogo qualunque
dell'emisfero Nord, può non presentare deviazione sensibile rispetto
all'andamento medio di un giorno ordinario; e può anche, ri-
spetto a questo, presentare una deviazione occidentale; ma pren-
dendo in esame, non uno, sibbene l'insieme di molte eclissi, si
mette costantemente in evidenza una deviazione in senso orientale.
Questa deviazione per una eclisse visibile ha luogo immediata-
mente, cioè durante il fenomeno dell’occultazione; ma in un’eclisse
invisibile non si verifica che alquanto dopo la fine del fenomeno
stesso. Per ultimo, la quantità della deviazione media è sempre
compresa entro limiti ristrettissimi, non maggiori di quelli delle
comuni oscillazioni degli aghi; ed è più piccola per eclissi invi-
sibili che per eclissi visibili (1) ».
Se non che, siccome gli spostamenti che si vorrebbero far
dipendere dalle eclissi solari non sono di grande momento, nè
oltrepassano gli ordinari movimenti dell'ago calamitato, così le
illazioni che lo Schiaparelli ed il Michez dedussero dalle ordinarie
osservazioni di Greenwich, non possono riguardarsi sicure e de-
cisive; perchè tali osservazioni si eseguivano allora in quell’Os-
servatorio direttamente, ed a tratti di tempo troppo lunghi.
E difatti il Michez, riconoscendo la forza di quest’obiezione,
cercò di evitarla in parte, rendendo più piccoli gli intervalli delle
osservazioni per mezzo di interpolazioni. Or, chi ha pratica di
| osservazioni magnetiche, conosce assai bene quanto irregolari e
| quanto repentine siano le variazioni dell'ago calamitato; al quale
perciò male si adatterebbero quelle interpolazioni, che con van-
i taggio si possono talvolta adoperare per altri elementi meteoro-
logici meno indisciplinati. Tanto più che la stazione presa ad
esame da’ due dotti astronomi italiani, trovasi ad una latitudine,
(1) Sopra una probabile connessione fra le eclissi di Sole cd il magne-
| tismo terrestre. Memoria di Jacopo Micuez.
112 P. FRANCESCO DENZA
i
ed in una posizione topografica, in cui le perturbazioni casuali
del magnetismo terrestre sono molto più frequenti e più intense
che a latitudini minori ed in altre posizioni. E ciò non era neanco
sfuggito al Michez, il quale riconosceva egli stesso il suo metodo
di comparazione siccome molto arbitrario; epperò pensava, come
noi, che « i fatti dedotti dalle osservazioni di Greenwich non
si possono considerare come fenomeni caratteristici, se non in
un grado piccolissimo di probabilità ».
Un'analisi più razionale e più sicura fu fatta, press’a poco
nel tempo medesimo, dal Prof. Fearnley, dell’Università di Chri-
stiania, sulle osservazioni eseguite di 10 in 10 minuti in quella
stazione, in occasione dell’eclisse di sole del 7 luglio 1842; la
quale, come è noto, fu totale per l’alta Italia, epperò accadde
lungi dall'Europa settentrionale. Ma il fisico norvegese pervenne
ad una conclusione affatto contraria a quella, che dalle loro os-
servazioni avevano inferito gli osservatori di Sicilia. — « La
normalità dell'andamento dell’ago, egli dice, si è presentata come
una notevole eccezione, della quale con molta verosimiglianza si
può connettere la causa coll’eclisse solare. Nell'intervallo com-
preso fra il primo e l’ultimo contatto della terra coll’ombra lu-
nare, si è manifestato un periodo di quiete affattò insolita (1) ».
È da notare, che nel giorno d’osservazione l’atmosfera era a
Christiania in calma perfetta.
Per metter d’accordo le due fasi così opposte, annotate nei
movimenti magnetici durante le due eclissi totali di sole del
1842 e del 1870, il Fearnley pensa che il rovesciamento del
movimento dell’ago osservato nella seconda eclisse nella zona di
totale oscurità, derivi più da un’azione locale dell’ombra, e quindi
si manifesta solamente presso la linea centrale, ed è legata al
tempo dell’oscurazione locale ; mentre la insolita tranquillità avuta
nella prima eclisse in una regione lontana dalla totalità, dove
un tale influsso non è più sentito, è prodotta dall’azione del-
l'ombra lunare sullo stato magnetico di tutta la terra, ed è perciò
collegata colla durata dell’eclisse generale.
Però egli soggiunge molto a proposito, che codesti fenomeni
— <« possono manifestarsi nelle eclissi solari, soltanto quando
+
(1) Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Serie Il,
vol. V, pag. 382.
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. 113
manchino totalmente le procelle magnetiche e le perturbazioni di
carattere ordinario; come appunto avvenne nell’eclisse da lui stu-
diata, ma non già, come egli crede, nell’altra del 1870 ».
III.
In mezzo a risultamenti cotanto diversi ed incerti, era in-
dispensabile ricorrere ad ulteriori indagini fatte con cura speciale
nelle prossime eclissi, per istudiare in maniera più esatta e più
sicura una questione, la quale non manca, al certo, d'importanza
per la fisica cosmico-terrestre.
Naturalmente, dove tale ricerca si potrebbe fare in modo più
agevole e più completo, si è negli Osservatorî che posseggono
apparati magnetici registratori, i quali riproducono fedelmente ad
ogni istante le fasi dei diversi elementi del magnetismo terrestre.
Ma sino al presente, questi apparati fanno interamente difetto
in Italia.
Io ho cercato di supplire a tal mancanza in altra maniera.
Ed i risultati ottenuti sinora da’ miei studi, combinati con altri
pochissimi, ma al tutto speciali, avuti altrove, come ho già detto,
conducono ad una soluzione completa del non facile problema.
In un certo numero di eclissi, avvenute dal 1870 a questa
| parte, si sono intraprese in quest'Osservatorio di Moncalieri delle
serie di osservazioni della declinazione magnetica, sulla quale so-
prattutto si agita la questione. Queste osservazioni furono quasi
sempre prolungate per quarantotto ore di seguito ; diverse volte
- anche di più, rare volte di meno, cioè per ventiquattr'ore sola-
mente, in modo da comprendere in mezzo l’intera durata del-
l’eclisse. Esse si eseguirono di quindici in quindici minuti per
ciascun periodo; e più di frequente, di 5 in 5 minuti, qualche
rarissima volta di 10 in 10 minuti, nelle ore prossime all’eclisse,
cominciando da alcune ore prima del fenomeno e terminando al-
cune ore dopo. Per tal guisa riesciva ben difficile che ci sfuggissero
le più piccole alterazioni dell'ago, quando ne fossero avvenute.
Venti furono le eclissi studiate con tal modo, cominciando
da quella del 22 dicembre 1870, e terminando all’ultima del
17 maggio 1882.
Per risolvere il problema in maniera generale, si tenne dietro
tanto ad eclissi visibili quanto ad eclissi invisibili; affine di esa-
minare sino a qual punto si potessero ammettere le influenze
Aui R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 8
114 P. FRANCESCO DENZA
attribuite alle une ed alle altre. Ed anzi, per consiglio di uomini
illustri, tra cui il P. Secchi, nel 1876 si incominciarono osser-
vazioni eziandio per alcune eclissi di luna, quasi tutte visibili da
noi; per investigare se la pretesa azione di questo fatto astro-
nomico sul magnetismo terrestre, dipendesse per avventura dalla
posizione dei due astri, ovvero da altra quasiasi cagione.
Tra le venti eclissi suddette, tredici furono di sole e sette
di luna; e dodici furono visibili dalla nostra stazione (sette di
sole, cinque di luna), otto invisibili (sei di sole, due di luna).
Dapprincipio, per assicurarmi se circostanze locali avessero
influenza sul nostro istramento, intrapresi in tali occasioni os-
servazioni simultanee con altri Osservatorî non troppo lontani,
approfittando della premurosa cooperazione di alcuni miei colleghi.
Così, per l’eclisse di sole del 26 maggio 1873, si osservò
per nove giorni di seguito, dal 22 al 30 di quel mese, colle
stesse norme ed ai medesimi istanti, anche nelle due stazioni
magnetiche di Aosta e di Firenze, dirette rispettivamente dai
Professori, P. D. Giovanni Volante e P. D. Timoteo Bertelli.
Nell’eclisse ‘solare del 5 aprile 1875, si fecero osservazioni
per tre giorni a Moncalieri ed a Pesaro, colla collaborazione del
Prof. Luigi Guidi, Direttore di quell’Osservatorio.
In queste ricerche la Direzione generale dei telegrafi dello
Stato ci coadiuvò grandemente, per la frequente comparazione
telegrafica dei cronometri.
Finalmente nell’altra eclisse, pure di sole, avvenuta nel 28-29
settembre dell’anno medesimo 1875, le osservazioni magnetiche
si fecero a Moncalieri ed a Genova; dove il Direttore dell’Osser-
vatorio, Prof. Pietro Garibaldi, tenne dietro a’ movimenti dell’ago
per nove giorni, dal 25 settembre al 3 ottobre.
Dei risultati ottenuti in codesti tre sistemi simultanei di os-
servazioni, pubblicai già la discussione in altro luogo ; epperò è
inutile ritornar qui sui medesimi (1). Dal loro confronto rimasi
assicurato che il declinometro del nostro Osservatorio non offriva,
nel suo sostanziale andamento, fasi diverse da quelle di altri
luoghi; e quindi continuai appresso le ricerche nel solo Osser-
vatorio di Moncalieri.
(1) Atti dell’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei. Anno XXVI, 1873,
Sessione VI]; ed Anno XXIX, 1876, Sessione VII.
= e
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. 115
IV
Lavori di natura puramente numerica, nei quali gli errori
sono quasi inevitabili, e che, come il presente, non hanno in sè
elemento alcuno che possa servire di prova o di criterio di esat-
tezza, abbisognano di essere corredati di tutte quelle tavole nu-
meriche che hanno servito alla deduzione dei risultati finali; af-
finchè ciascuno possa essere in grado di controllare agevolmente
questi risultati, e formarsi un giusto concetto della fiducia di
cui sono meritevoli. Nel nostro caso però una tale pubblicazione
riescirebbe lunga oltremodo; ed i confini di questa Nota non
permettono di riportar per esteso i valori numerici ed i dia-
grammi delle osservazioni fatte in ciascuna delle venti eclissi stu-
diate, che tengo però a disposizione dell’Accademia.
Mi limito perciò a riprodurre quattro quadri riassuntivi, due
per le eclissi solari e due per le eclissi lunari.
Nei primi due quadri A e B si contengono le circostanze
astronomiche, che interessano di più per la nostra trattazione,
di ciascuna delle venti eclissi; il quadro A per le eclissi di sole,
ed il quadro B per quelle di luna.
Queste circostanze sono :
1° La qualità dell’eclisse, se cioè totale o parziale, ovvero
anulare per quelle di sole.
2° La data di ciascuna eclisse, prendendo per unità il giorno
civile, da una mezzanotte all’altra; che è quella adottata per
il calcolo delle osservazioni meteorologiche e magnetiche.
3° Per le eclissi di sole; la durata dell’eclisse generale ; del-
l’eclisse centrale, nelle totali od anulari; e della fase visibile, nelle
eclissi che si videro a Moncalieri. Per le eclissi di luna; il tempo
trascorso tra l’entrata e l’uscita dalla penombra, e tra l’entrata
e l’uscita dall’ombra. Le ore sono date in tempo medio di Roma.
4° Da ultimo, per le eclissi visibili nella nostra stazione, si
aggiunge la grandezza della fase, espressa in centesimi, pren-
dendo per unità il diametro del disco solare nelle eclissi di sole,
ed il diametro del disco lunare in quelle di luna.
Nei quadri C e D ssi pone:
1° L’eseursione del declinometro nell'intervallo di tempo di
ciascuna delle tre fasi innanzi accennate per le eclissi di sole,
e di ciascuna delle due fasi delle eclissi di luna.
116 P. FRANCESCO DENZA
2° Il valore medio dell’escursione diurna del declinometro
per la decade, in cui avvenne l’eclisse.
Codesti valori sono espressi in minuti d’arco e centesimi.
3° Lo stato del declinometro nella giornata in cui avvenne
l’eclisse.
Diciamo normale lo stato del declinometro, quando i due
estremi diurni sono avvenuti alle ore consuete; cioè il minimo
tra le 8 e le 10 del mattino, ed il massimo tra mezzodì e le 2 del
pomeriggio; ed i suoi movimenti lungo il giorno sono rimasti nei
limiti ordinari.
Anormale, allorchè sono spostate le ore del massimo e
del minimo diurno, ovvero di ambedue.
Agitato, se le oscillazioni e l'andamento diurno sono usciti
alquanto dal consueto.
Perturbato, quando le variazioni dell’istrumento sono di
troppo esagerate per l'intensità e per la durata.
4° Lo stato dell’atmosfera nel giorno dell’eclisse.
Vi
Pertanto, dall’esame dei quadri riportati risultano le seguenti
considerazioni.
1° Per ciò che riguarda lo stato meteorologico dei venti giorni
d'osservazione, questi rimangono così distribuiti :
clormi ‘Calm i, 03 ENTI Sg I
PHENOM SEME » 2
» con leggera burrasca . .. . . » 3
IEFARON: PICASA 0 VT SOI >» 3
» con aurora polare . . . i » 1
» con burrasca ed aurora n 3 » 19)
Da ciò si inferisce che la metà dei giorni studiati fu calma,
epperò propizia alle osservazioni; altri cinque giorni trascorsero
anch'essi quasi in calma, e quindi non disadatti per lo studio
intrapreso. Solo un quarto dei giorni prescelti era poco oppor-
tuno per ciò; per causa o di sopravvenuta aurora boreale, ov-
vero di bufère, le quali attraversavano le nostre regioni.
Il giorno con aurora boreale si fu il I7 giugno 1871, nel
quale quell’ apparizione fece sentire il suo influsso precisamente
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. 117
nel tempo dell’eclisse: per modo che ad un’ora e mezzo dopo
mezzanotte, cioè circa mezz ora dopo il cominciamento dell’eclisse
generale di sole, l’ago, dopo essersi rivolto rapidamente verso
ovest, ricadde ad oriente, percorrendo sino alle 3 ant. un arco
di 27'.21. Donde la forte deviazione annotata nel quadro C per
questo giorno; il quale perciò va escluso dalla discussione.
Un’aurora polare, come è stato detto innanzi, avvenne pure
al nord dell’ Europa nel di 22 dicembre 1870; la quale non
mancò di esercitare influenza, comechè non grande, sull’anda-
mento declinometro.
I quattro giorni di piena burrasca invece non tutti ebbero in-
flusso sull'andamento dell’ ago magnetico. La burrasca del 27
febbraio 1877 non agì punto su questo per tutta la giornata ; e
l’altra del 10 marzo 1876, non ebbe alcuna azione nel tempo del
fenomeno. La burrasca del 29 settembre 1875 influì solo legger-
mente sulla declinazione magnetica. E solamente quella del primo
giorno, 22 dicembre 1870, fece sentire con maggiore energia la
sua influenza; e molto probabilmente la sua azione andò con-
giunta a quella dell’apparizione aurorale della sera.
2. Le variazioni della declinazione avvenute durante la fase
generale delle eclissi osservate, e più ancora quelle delle altre
fasi, rimangono nei limiti della variazione media dei giorni che
comprendono quello dell’eclisse. E se alcune ne sono maggiori,
si è perchè l’eclisse è avvenuta nel periodo diurno principale,
che comprende le ore tropiche dei due estremi della variazione
diurna. Così è accaduto nei giorni
26 maggio 1873, 22 gennaio 1879,
10 ottobre 1874, 19 luglio 1879.
Nella sola eclisse dell’11-12 gennaio 1880 lo spostamento
durante il fenomeno risulterebbe maggiore del medio corrispon-
dente, comechè avvenuto in ore lontane dalle tropicali. Ma, ol-
trechè in tal giorno il declinometro rimase agitato, forse per le
i burrasche passate nei giorni precedenti; un tal fatto sarebbe
contro le ipotesi innanzi ricordate; giacchè trattandosi di una
eclisse di sole per noi invisibile, l’ago avrebbe dovuto rimanere
più tranquillo del solito. Lo spostamento maggiore dei due giorni
26 maggio 1873 e 19 luglio 1879 non è insolito. Di uguali
se ne ebbero nei giorni che precedettero e seguirono il 26 maggio,
secondochè dimostrai nella Relazione già innanzi citata; e mag-
118 P. FRANCESCO DENZA
giore di quello del 19 luglio si riscontra nei giorni 22-24 giugno
dell’anno stesso, che sono i più prossimi, nei quali si siano fatte da
noi le consuete osservazioni magnetiche di 15 in 15 minuti.
E qui non va dimenticato che le escursioni dei giorni di eclissi
sono dedotte da valori poco tra loro discosti; mentre le medie va-
riazioni diurne sono calcolate sulle sole osservazioni triorarie che si
fanno nel nostro Osservatorio; epperò, nelle stesse condizioni, le
prime debbono risultare assai spesso più ampie delle seconde.
3. Ciò non pertanto, le escursioni annotate nelle eclissi av-
venute in ore discoste da quelle del periodo diurno; ed anche
in quelle che comprendono nella loro fase un solo dei due estremi
diurni; risultano costantemente inferiori alla media decadica, e
non di rado notevolmente, massime per eclissi solari. Così si
avvera nelle eclissi
Solari, 22 dicembre 1870, 12 dicembre 1871,
5 aprile 1875, 29 settembre 1875,
1 dicembre. 1880, 17 maggio 1882;
Lunari, 27 febbraio 1877, 28 dicembre 1879,
22 giugno 1880, 5 dicembre 1881.
Il valore alquanto più grande del 17 maggio 1882 deriva
dall’influsso di una leggera burrasca, che attraversò la nostra
stazione nel giorno anzidetto, rendendo alquanto anormale l’an-
damento dell’ago per tutte le ventiquattr'ore.
4. Nè solamente i valori osservati vanno d’accordo con quelli
del periodo diurno della variazione della declinazione magnetica ;
ma essi corrispondono eziandio agli altri del periodo annuo e
del periodo undecennale della variazione medesima (salvo i casi
di anomalia). Sono essi minori nei mesi d’inverno, dicembre,
febbraio; maggiori negli altri, e soprattutto in quelli d’ estate.
E sono pure relativamente maggiori negli anni più prossimi al
massimo undecennale, dal 1870 al 1874; minori negli ae vi-
cini al minimo, dal 1878 al 1880 (1).
5. Per contrario, gli spostamenti dell'ago non vanno punto d’ac-
cordo colle diverse accidentalità del fenomeno astronomico. Invero:
(1) Variazioni della declinazione magnetica dedotte dalle osservazioni
regolari fatte all’ Osservatorio del R. Collegio CARLO ALBERTO in Moncalieri,
nel periodo 1871-78. Nota del P. F. Denza. — Atti della R. Accademia delle
Scienze di Torino, vol. XIV.
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. 119
a) Nelle eclissi visibili di sole, che sono le più importanti,
il valore dello spostamento suddetto non è in rapporto colla
grandezza dell’eclisse. Mentre nell’eclisse del 22 dicembre 1870,
la cui grandezza si fu di quasi 9 decimi, l’ago, durante la fase
visibile, non deviò che di circa 2 minuti; nell’altra del 26
maggio 1873, nella quale non si raggiunsero neppure i 2 decimi,
si ebbe una deviazione di oltre a 7 minuti, tripla cioè della
precedente. — Parimenti nelle due eclissi del 10 ottobre 1874 e
del 31 dicembre 1880, la cui grandezza fu poco diversa, si
ebbe nella prima uno spostamento più che dodici volte maggiore
che nella seconda: e lo stesso rapporto risultò pure coll’altra eclisse
del 17 maggio 1882, non ostante che questa sia stata più
grande, e sia avvenuta in epoca di massimi valori della decli-
nazione magnetica.
b) Eguale considerazione può farsi intorno alle variazioni
magnetiche registrate durante le fasi, generale e centrale, delle
diverse eclissi. Esse non addimostrano alcuna corrispondenza, nè
tra loro, nè col fenomeno. In alcune eclissi totali la variazione è
maggiore, in altre è minore che nelle eclissi anulari; e la varia-
zione avuta nell’eclisse parziale del 26 maggio 1873 è maggiore di
tutte quelle ottenute per le eclissi totali ed anulari; mentre le
altre del 1° e 31 dicembre 1880, risultano le più piccole fra tutte.
c) Nessuna relazione si incontra tra i valori corrispon-
denti alle eclissi invisibili e quelli delle eclissi visibili. I valori
notati nelle eclissi invisibili del 12 dicembre 1871, del 5 a-
prile 1875, del 22 gennaio 1879 e dell'11-12 gennaio 1880,
superano quelli delle eclissi visibili del 22 dicembre 1870, del
29 settembre 1875 e del 31 dicembre 1880. E la tranquillità
osservata nell’eclisse invisibile del 1° dicembre 1880, trova ri-
scontro con quella dell’altra eclisse visibile, avvenuta al 31 del
mese e dell’anno medesimo. i
d) Le stesse cose vanno dette per le eclissi di luna; le quali,
essendo state quasi tutte visibili, ed essendo perciò accadute in ore
più o meno discoste dal periodo principale diurno della variazione
magnetica, quando l’ago è per ordinario tranquillo, offrono mi-
nore discrepanza fra loro, e le une alle altre si assomigliano.
Così, ad es., l’eclisse del 27 febbraio 1877, che fu totale per
noi, diede uno spostamento minore di quello del 10 marzo 1876,
la cui grandezza fu appena di 3 decimi del diametro lunare, e
poco diverso dall’altro dell’eclisse invisibile del 22 giugno 1880,
120 P. FRANCESCO DENZA
Na:
Se non che, potrebbe essere benissimo avvenuto, che nei
giorni d’eclisse, il valore della variazione della declinazione ma-
gnetica non sia stato punto alterato; ma che invece l’andamento
diurno dell’ago, e le sue deviazioni, prese separatamente, siano
state esagerate, od in qualsiasi modo perturbate, a confronto
delle ordinarie. Ma neanco ciò può affermarsi.
Invero; dall'esame attento dei diagrammi corrispondenti a
ciascun giorno d’osservazione, risultano le seguenti alterazioni:
1. Innanzi tutto, l'andamento diurno della declinazione ma-
gnetica non fu in nessun. modo alterato in dodici delle eclissi
studiate; e sono quelle, accanto a cui ne’ quadri C e D è scritto
normale nella colonna dello stato del declinometro; e ciò anche
nei casi in cui il fenomeno è avvenuto nelle ore del periodo
diurno principale.
In altre quattro eclissi si ebbe un leggero spostamento, di
anticipazione o di ritardo, nell’ora di uno solo dei due estremi.
Ciò avvenne nelle eclissi, a cui corrisponde la notazione alquanto
anormale nell’accennata colonna dei quadri C e D; nei quali
giorni tutti, salvo il 17 febbraio 1878, si ebbe burrasca di di-
versa intensità.
Non restano che quattro soli giorni, nei quali l’andamento
del declinometro escì dalle sue fasi consuete. Essi furono:
Il 22 dicembre 1870; in cui si ebbe forte burrasca ed au-
rora polare al nord, come è stato detto.
Il 17 giugno 1871; nel qual giorno si è pur detto che ac-
cadde aurora polare.
Il 19 luglio 1879; in cui l’ago rimase agitato tutta la notte
precedente l’eclisse, ed accaddero due minimi di declinazione alle
ore 6° 45", ed alle 7" 40" del mattino; mentre il massimo si
ebbe all’ora solita, alle 2 pom. Una burrasca leggera era sopra
di noi in questo giorno.
Il 31 dicembre 1880, nel qual giorno il declinometro per-
sistette quasi sempre alterato; toccando il minimo spostamento
alle 2 ore dopo mezzanotte, ed il massimo dieci minuti dopo
mezzodì; prima cioè che incominciasse l’eclisse. Anche in questo
giorno una burrasca attraversava le nostre contrade.
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. E |
Adunque il normale andamento diurno dell’ago calamitato
non fu punto turbato dalle eclissi; e se qualche alterazione av-
yenne in esso, questa derivò da cause affatto estranee al fenomeno.
2. Nè può in modo alcuno affermarsi che le eclissi abbiano
cagionato delle deviazioni insolite nei movimenti dell’ago, presi
isolatamente. Conciossiachè :
a) Codeste deviazioni non si avverarono sempre. Tolto il
giorno 17 giugno 1871; dei diciannove giorni rimanenti, quasi la
metà, cioè nove, non offrirono alcuna, comechè minima, alterazione,
nei movimenti separati dell’ago, osservati di 5 in 5 minuti, per
tutta la durata dell’eclisse.
b) Gli spostamenti osservati negli altri dieci giorni furono
in direzione diversa, ora verso oriente (sei), ora verso occidente
(quattro); così distribuiti:
Spostamento orientale
22 dicembre 1870, ‘28 dicembre 1879,
12 dicembre 1871, 81 dicembre 1880,
*27 febbraio 1878, 16 maggio 1882;
Spostamento occidentale
*27 febbraio 1877, 1 dicembre 1880,
19 luglio 1879, *5 dicembre 1881.
NB. Le date coll’asterisco si riferiscono ad eclissi lunari.
c) Tutti codesti spostamenti furono di poco, od anche di
pochissimo momento; non maggiori di quelli che assai di fre-
quente si avvicendano nei movimenti dell’ago di declinazione;
massime allorchè si osserva a brevi intervalli, e meglio ancora
quando sono riprodotti fotograficamente.
d) Tre soli si ebbero in giorni normali; gli altri sette
avvennero o in giorni burrascosi (quattro), od in giorni di agi-
tazione magnetica (tre); nei quali giorni gli spostamenti, della
natura di quelli di cui parliamo, sono più frequenti.
Dopo ciò siamo in diritto di conchiudere, che anche fra i
| singoli movimenti dell’ago di declinazione e le fasi delle eclissi
studiate non si può ammettere alcun nesso sicuro.
122 P. FRANCESCO DENZA
VII.
Le precedenti conclusioni acquisterebbero forza assai mag-
giore, ed addiverrebbero evidenti, se i risultati delle osservazioni
fatte nei giorni delle eclissi si mettessero a confronto eon quelli
degli altri giorni, nei quali in questo nostro Osservatorio, dal
1870 in poi, si fanno a determinati periodi osservazioni magnetiche
di 15 in 15 minuti, per 24 o per 48 ore di seguito. Da un. tal
confronto risulterebbe chiarissimo, come le poche ed apparenti
anomalie osservate nella declinazione in alcune delle eclissi stu-
diate, costituiscono un fatto ordinario nei movimenti dell’ago in
questa nostra stazione.
Uno studio di questo genere io feci già sino dal 1873; di-
scutendo le osservazioni fatte a Moncalieri in occasione della
eclisse di sole del 12 dicembre 1871, le quali misi a confronto
con quelle di 45 de’ suddetti giorni, compresi negli anni 1871 e
1872. Da questo studio io conchiudeva fin d’allora che:
« L'azione che si vuole attribuire all’astro solare sul ma-
gnetismo terrestre nelle sue eclissi, non è peranco" dimostrata
dai fatti che finora possiede la scienza (1) ».
Al presente il numero dei giorni, che potremmo avere a nostra
disposizione pel confronto, si è di 170; e la discussione dei me-
desimi condurrebbe alla stessa conclusione, ma più generale e
più sicura.
Ma tralascio interamente questo lungo lavoro; sia perchè i fatti
e gli argomenti riportati mi sembrano sufficienti a confermare
la mia tesi; sia perchè mi propongo di presentare in altro tempo
all'Accademia una discussione completa di tutti i suddetti giorni
d’osservazione magnetica; la quale servirà a stabilire le leggi
dell'andamento diurno della declinazione magnetica in queste
nostre regioni.
Più ancora però me ne astengo, perchè vengono in mio aiuto
alcune osservazioni prestantissime; le quali tolgono ogni dubbio,
se ancora ve n’ha, sulla questione che qui si agita.
(1) Atti dell’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei. Anno XXVI, 1873,
Sessione VI.
Rivista Scientifico-Industriale, Gennaio 1874.
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. 123
VII.
Tra: le tredici eclissi di sole da me studiate, ve ne furono
cinque totali. Ora in tre di queste ultime eclissi si fecero pure
osservazioni della declinazione magnetica, simultanee alle nostre di
Moncalieri, e colle stesse norme da noi seguite, in luoghi poste-
riori o nella zona stessa della totalità, ovvero a questa molto vicini.
Tali eclissi si furono le seguenti:
22 dicembre 1870, 12 dicembre 1871,
17 maggio 1882.
La prima eclisse del 22 dicembre 1870 fu totale per parte
della Sicilia, dell’Africa e della Spagna. (
In essa, come ho già accennato, la Commissione Italiana
fece a Terranova, nella zona totale, osservazioni regolari della
declinazione magnetica per 19 giorni di seguito, dal giorno 6 al
24 dicembre ; e dal 21 al 23 il magnetometro sì osservò di 10
in 10 minuti, e molto più spesso nel tempo dell’eclisse.
In questa occorrenza si fecero pure osservazioni simultanee
della declinazione nel giorno dell’eclisse in altre sei stazioni ita-
. liane; cioè, Napoli, Roma, Livorno, Firenze, Bologna, Moncalieri.
La seconda eclisse del 12 dicembre 1871, fu totale nel Sud
dell’Indostan, nelle Isole di Ceylan e Borneo, ed al Nord del-
l'Australia. Il Prof. A. Bergsma, di recente rapito alla scienza,
direttore dell’Osservatorio di Batavia, capitale dell’isola di Giava,
curò che si istituisse un regolare sistema di osservazioni della de-
clinazione magnetica a Buitenzorg, posta nella zona di totalità,
a soli 59 chilometri dalla linea centrale; ed a Batavia, a 102
chilometri da questa linea, dove la grandezza dell’eclisse dovea
essere di 0.992. Le osservazioni furono fatte a Batavia di 5
in 5 minuti, oltre al giorno dell’eclisse, per altri dieci giorni
prima e dieci giorni dopo; ed a Buitenzorg per quattro giorni
prima e due dopo, dalle 8 del mattino ad 1 ora dopo mezzodì,
le quali ore comprendevano la durata dell’eclisse.
La terza eclisse del 17 maggio 1882, fu totale su di una
zona che, partendo dall’Affrica occidentale, dopo esser passata
per l'Egitto, attraversò l'Asia da’ pressi del Mar Rosso sino al
Mar del Giappone.
La linea centrale passò a soli 32 chilom. dall’Osservatorio di
Zi-ka-wei nella Cina, a 12 chilometri al sud-ovest di Changhai,
124 P. FRANCESCO DENZA
dove già da tempo sono stabiliti magnetografi fotografici. L’eclisse
fu quasi totale in questa località (0.994), ed il P. Marco Deche-
vrens, direttore dell’Osservatorio, ha discusso non ha guari le curve
continue tracciate da’ magnetografi nel tempo del fenomeno.
Ora nè nell’isola di Giava, nè nella Cina, si ebbe ne’ ma-
gneti alcuna variazione che potesse ascriversi ad influsso del-
l’eclisse.
A Batavia ed a Buitenzorg, le condizioni atmosferiche erano
propizie non poco per le osservazioni, giacchè regnava calma per-
fetta. L’eclisse visibile incominciava nelle due stazioni a 9° 6”
nel mattino (tempo medio di Batavia), e terminava a 12% 4"
nella prima stazione, ed a 12% 5" nella seconda. La fase totale
dovea aver cominciamento a Buitenzorg a 10" 28", e dovea finire
a 400900. 9,
Or, dalla discussione delle fatte osservazioni, il Bergsma in-
ferisce, che la deviazione normale diurna dell’ago magnetico da
ovest verso est, che suole avvenire in quelle due stazioni, ap-
punto dalle 8 del mattino ad 1 ora di sera, non venne gran
fatto turbata nel tempo dell’eclisse nè nel suo valore, nè nel suo
regolare andamento. Ciò risulta dallo specchietto che segue :
DICEMBRE 1871
Da 9h 5" a 10h 30" = Da 10h 30" af 2h 5"
Eee a Bi
Movimento normale Batavia . 2’. 01 Vo
» del 12 Batavia 2. 09 2. 66
» » Buitenzorg 2. 04 2162
» del 13 Batavia 2. 73 3. 59
» » Buitenzorg 2. 30 "PINE
Il movimento normale dell’ago alle ore anzidette fu dedotto
a Batavia dai 20 giorni d'osservazione, prima e dopo l’eclisse.
Nè accaddero spostamenti insoliti durante il fenomeno ; ed il
movimento alquanto più rapido verso est, osservato nel giorno
dell’eclisse dopo le 10" 30", cioè dopo la totalità, non è che una
deviazione consueta del cammino normale, il quale, secondo Ber-
gsma, si osserva molto frequentemente a Batavia, come si fa ma-
nifesto dallo spostamento anche maggiore. del giorno appresso.
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. 125
Da tutta la sua discussione pertanto il citato astronomo con-
chiude che:
« Le osservazioni della declinazione magnetica fatte a Batavia
ed a Buitenzorg nel dicembre 1871, hanno condotto al risultato,
che l’ eclisse di sole del 12 dicembre 1871, non ha esercitato la
menoma influenza sull’ago calamitato, nè a Buitenzorg, posta nella
linea della totale occultazione del sole, nè a Batavia, a pochissima
distanza dalla medesima ». La quale illazione è identica a quella
da me dedotta, nel lavoro innanzi citato, dalle osservazioni fatte
sulla medesima eclisse nella nostra stazione, cioè:
« La declinazione magnetica, nel giorno 12 dicembre 1871,
non ha subìto cangiamenti sensibili nelle sue consuete fasi diurne,
sia nel tempo della fase totale dell’eclisse, sia dopo di essa, in
questa nostra stazione, posta a 85° 21' di longitudine all’ovest
ed a 76° 31' di latitudine al nord della regione, dove ebbe
cominciamento l’eclisse centrale ».
A Zi-ka-wei, lo stato dell’atmosfera, nel giorno dell’eclisse, non
era così favorevole come a Batavia ed a Buitenzorg; imperocchè nel
giorno precedente e nel mattino stesso del 17 maggio, aveva im-
perversato colà una burrasca con vento impetuoso; la quale però
andò diminuendo al pomeriggio di quest’ultimo giorno, quando
dovea incominciare l’eclisse, la cui fase massima ebbe luogo in
quella stazione a 5° 19". 5 di sera; per modo che il barometro,
che ne’ tre giorni ghe precedettero il 17 si era abbassato di più che
8 millimetri, rialzandosi in seguito, non fece che la variazione di
un sol millimetro mentre avveniva l’eclisse; e gli altri elementi
meteorici non subirono alterazione di sorta nel tempo medesimo.
Or in questo tempo stesso, cioè durante tutta la fase del
fenomeno astronomico, le tre bussole di declinazione e delle due
componenti, orizzontale e verticale, dell’intensità magnetica , al
dir del P. Dechevrens, si mantennero a Zi-ka-wei in una sin-
i golare indifferenza e tranquillità, come se nulla fosse avvenuto.
Nessun movimento straordinario offre la curva fotografica per
l'ago di declinazione, in tutto il tempo dell’eclisse; e l’ago
continuò il suo cammino normale verso est, che suol tenere a
quell’ora, dopo cioè avvenuto il massimo diurno della declina-
zione, il quale anche in quella stazione suole avverarsi tra le
ore 1 e 2 dopo mezzodì.
Il valore della variazione tra le 4 e le 6 ore pom., le quali
comprendono quella della fase massima dell’eclisse, si fu nel 17
126 P. FRANCESCO DENZA
maggio di 3°.15. Esso fu alquanto maggiore del medio dei dieci
giorni prima, 2°.27, e dei dieci giorni dopo quello dell’eclisse,
1'.39; perchè, come si è detto, perdurava tuttora l’influsso della
bufera. E difatti il giorno precedente, in cui questa imperversava
con maggior veemenza, la escursione suddetta fu anche maggiore,
di 9211):
« Se la presenza delle nubi nel cielo, così opportunamente
chiude il P. Dechevrens la sua Relazione, è stata un dispiace-
vole contrattempo pe’ membri della piccola spedizione ordinata
dal Dott. Little, cultore d’astronomia a Chan-ghai, nella quale
io era incaricato delle osservazioni meteorologiche e magnetiche ;
essa, se non altro, ha avuto questo vantaggio di permettermi di
troncare, per così dire, una questione importante; provando in
maniera abbastanza perentoria, che la congiunzione dei due astri
non ha alcuna influenza speciale sul magnetismo terrestre, e che
se delle variazioni anormali dell'ago si sono talvolta osservate
nelle eclissi di sole, esse non sono state prodotte che dall’in-
flusso di variazioni concomitanti della temperatura dell’aria ».
Lasciando la seconda parte della conclusione del Dechevrens,
nella quale non intendiamo entrare per ora; le osservazioni da me
fatte sulla stessa eclisse, la quale, come si è detto, fu parziale per
noi, mi condussero ad un risultato identico, per quanto riguarda
l’azione dell’eclisse sulle vicende del magnetismo terrestre (2); e
fu anzi, come pure ho accennato, questa nuova ed evidente coin-
cidenza, che m’indusse a porre fine una volta alle intraprese ri-
cerche, ed a fare questa comunicazione definitiva all'Accademia.
Le cose andarono ben diversamente nell’eclisse totale del 22
decembre 1870. L’atmosfera rimaneva in questi giorni agita-
tissima su tutto il nostro paese, ed una violenta bufèra passava
su di esso nel tempo medesimo in cui avveniva l’eclisse; e quando
questa toccava la massima fase in Sicilia, il centro della procella
trovavasi tra Napoli e Roma. Tutti gli elementi meteorici ne furono
conturbati. Il minimo barometrico accadeva in Italia appunto nelle
ore del fenomeno, tra 1° 0" e 2° 45” pom.; la temperatura dimi-
(1) Questi valori li abbiamo ricavati dal Bollettino meteorologico e ma-
gnetico mensuale dell’ Osservatorio di Zi-ka-wei.
(2) Bollettino mensuale dell’ Associazione meteorologica italiana, pubbli-
cato per cura dell’Osservatorio centrale del Real Collegio CARLO ALBERTO in
Moncalieri. Serie II, vol. II, num. 8.
SULLA CONNESSIONE TRA LE ECLISSI DI SOLE ECC. 127
nuiva sin dal giorno precedente, ed al momento della totalità
decrebbe ancora di 1°. 7 nella zona di totalità, ad Augusta,
« discendendo da 13°.9 a 12°.2. L’umidità dell’aria decresceva
anch'essa rapidamente; il vento soffiava con impeto: il cielo era
ingombro da nuvole; e nelle vicinanze dei luoghi posti sulla zona
di totalità in Sicilia, si ebbe bufèra di grandine.
Non dee quindi arrecar nessuna maraviglia, se in tanto scon-
certo atmosferico avvenisse nell’ago magnetico lo spostamento no-
tato nelle stazioni italiane nel tempo dell’eclisse.
Nei miei lavori più volte citati, ho dimostrato a lungo che co-
| desto spostamento deve ascriversi sotto ogni riguardo alle anormali
| condizioni atmosferiche di quell’ora, piuttosto che all’eclisse; ed ho
| fatto pur vedere come di alterazioni consimili, ed anche maggiori,
| se ne hanno soventi nelle stesse circostanze ed alle ore medesime.
Do Non volendo ripetere ciò che ho già detto, mi ‘tengo pago
| di ricordar solamente, che l’ago di declinazione, nel giorno 22
dicembre 1870, addimostrò maggior dipendenza dalle fasi della
. bufera che in quel dì percorreva l’Italia anzichè da quelle del-
| l’eclisse, sia nei suoi speciali movimenti, come nel valore del suo
| spostamento. Questo difatti fu massimo là dove trovavasi il centro
| della burrasca, cioè a Napoli (6'.5) ed a Roma (4.10), nelle
| quali stazioni il barometro, a 0° ed al livello del mare, segnava
743 mm.; fu invece minore, e press’ a poco lo stesso, nelle altre
azioni tutte, da Terranova sulla zona di totalità, a Moncalieri,
he fu la stazione più distante dalla medesima, in cui si fecero
osservazioni magnetiche simultanee; nelle quali stazioni tutte il
arometro oscillava tra 745 e 747 mm.; mentre lo spostamento
lel declinometro fu compreso tra 3'. 27 (Moncalieri) e 4’. 0 (Bo-
logna): a Terranova essendo di 3'.55.
RUCO
IX.
Da tutta la precedente discussione deriva chiarissimo, che i
sultamenti ottenuti dalle osservazioni della declinazione magne-
a eseguite nella stessa zona di totalità, o molto dappresso alla
\edesima, nelle tre eclissi totali di sole studiate in luoghi di-
intissimi tra loro, Sicilia, Isola di Giava, Cina orientale, ed
epoche diverse, negli anni 1870, 1871 e 1882, conferma-
no interamente quanto da me fu dedotto dalle osservazioni
te in occasione di eclissi visibili solo parzialmente od invisibili
128 P. FRANCESCO DENZA
affatto, e nella stessa località. E cioè, che tutte le volte che le
eclissi accadono in condizioni normali dell'atmosfera terrestre, l’ago
di declinazione non appalesa alcun movimento oltre il consueto,
il quale possa attribuirsi in qualsiasi maniera ad influsso del fe-
nomeno celeste; invece, quando questo va congiunto @ sconcerti
atmosferici, possono nell’ago manifestarsi movimenti anormali, i
quali traggono loro origine da cause puramente meteorologiche.
Qual sia il nesso che congiunge questi due ordini di fatti ,
sconcerti atmosferici e variazioni del magnetismo terrestre, non è
questo il luogo di discuterlo. Solamente, a confronto di quanto
asserisce nella sua Relazione il P. Dechevrens, il quale fa di-
pendere le variazioni suddette del magnetismo da quelle della
temperatura; mi permetto di soggiungere qui in ultimo quanto
io esponevo sino dal 1871, trattando della più volte ricordata
eclisse del 22 dicembre 1870.
« .... Però non sarebbe improbabile (soggiungevo io, dopo aver
dimostrato che la perturbazione magnetica avvenuta in quella cir-
costanza doveasi attribuire a cause elettro -atmosferiche indipen-
denti dall’eclisse), che l’avanzarsi dell'ombra lunare possa aver
avuto in quella circostanza un qualche influsso indiretto sullo spo-
stamento, a cui l’ago si mostrava già predisposto per altre cause.
Difatti, dalle osservazioni meteoriche eseguite nella zona di totalità
durante l’eclisse del 1870, e prima e dopo la medesima, si fa ma-
nifesto che, durante il fenomeno, e soprattutto nella massima fase,
la corrente d’aria fredda, che in quel giorno soffiava fortissima,
divenne più impetuosa, e l’ umidità si accrebbe grandemente. Ora
è probabile, che questi cangiamenti nello stato termico ed igro-
metrico dell’aria possano aver parzialmente influito sui movimenti
dell’ago, epperò possono averli resi più esagerati del solito ».
Checchè ne sia di ciò; e limitandomi al solo intendimento
con cui fu scritta questa Nota, io mi credo in diritto, dopo
quanto ho in essa esposto, di poter dar termine alle ricerche
proseguite per tredici anni, collo stabilire, con quella sicurezza
che in questa materia si esige, la legge fisica seguente:
La congiunzione dei due astri nelle eclissi di sole, del pari
che la loro opposizione nelle eclissi di luna, non hanno alcun
influsso sulle variazioni degli clementi magnetici; epperò non vi
ha alcuna connessione tra le eclissi ed il magnetismo terrestre.
Moncalieri, 15 dicembre 1882.
P. F. DENZA.
129
SOLE ECC.
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133
Il Socio Cav. Prof. Galileo FERRARIS presenta e legge la
seguente Memoria del sig. Dott. Luigi PASQUALINI ,
SULLE
APPARENZE ELETTROCHIMICHE
ALLA SUPERFICIE DI UN CILINDRO.
1. A. Tribe (1) osservò che, se s’immerge una lastrina d’ar-
gento nel solfato di rame ‘attraversato dalla corrente, i due ioni
che si depositano sono separati da un intervallo scoperto: e che
il deposito rosso di rame dalla parte per cui la corrente entra, è
meno esteso del deposito bruno che si forma dall’altra. Il Prof.
Réiti (2), ripetendo l’esperienze di Tribe in condizioni diverse,
cioè con dischi di ottone, di rame e di platino nel solfato di zinco
e nel solfato di rame, trovò verificata l’osservazione fatta da
Tribe, eccetto per una lastrina di rame nel solfato di rame, per
la quale trovò il metallo più esteso del perossido ; e, da alcune
nuove apparenze che ottenne, potè anche dedurre che lo spazio
scoperto dipende da una corrente di polarizzazione che si sviluppa
fra i due ioni e che si oppone sulla superficie della lastrina alla
corrente principale.
Egli mi consigliò di continuare queste ricerche collo scopo
di vedere se il fenomeno corrisponda esattamente alla teoria della
distribuzione delle correnti.
Perciò bisognava indagare come l’intervallo lasciato libero fra
i due depositi elettrolitici dipendesse dall’intensità della corrente,
dalla natura del corpo immerso, dalla qualità dell’elettrolita e,
per uno stesso elettrolita, dalla sua concentrazione.
(1) Philosophical Magazine, ser. 5°, vol. XI, p. 44.
(2) N. Cimento, ser. 3°, vol. X, 1881, p. 97.
134 LUIGI PASQUALINI
2. Nel circuito di una pila Bunsen P (fig. 1), che variò da
tre a sedici elementi, era introdotta una vaschetta di vetro V
Fia. 1.
perfettamente cubica di 103 mm. di lato destinata a ricevere
l’elettrolita. Essa era portata da un sostegno munito di tre viti
calanti, che permettevano di metterne il fondo orizzontale. In
un circuito derivato AG B era introdotto un galvanometro a ri-
flessione, e le varie resistenze erano scelte in modo che le de-
viazioni si potessero ritenere sempre proporzionali alla intensità
della corrente che passava per la vaschetta. Sostituendo alla va-
schetta un voltametro ad argento ed assumendo per equivalente
elettrochimico dell’argento 1,1363 (1), trovai che ad una parte
grande della scala (1°) corrispondevano 0,0467 ampère nel cir-
cuito principale. Faceva variare l’intensità della corrente o va-
riando il numero degli elementi della pila o servendomi del ramo
derivato CRD, che conteneva un reostata a solfato di zinco.
Perchè i dati d’esperienza fossero confrontabili colla teoria
era necessario scegliere un caso particolare accessibile alla analisi
matematica e però, per consiglio del Prof. Réiti, sostituii alle
lastrine un cilindro metallico di 28,5 mm. di diametro che ve-
niva immerso nell’elettrolita con l’asse verticale.
Il fenomeno si presenta in un modo analogo a quello osser-
vato da Tribe; dalla parte del cilindro per cui entra la corrente
si deposita l’elemento elettropositivo dell’elettrolita e dall’altra
parte l’elemento elettronegativo. Questi depositi avvengono per
(1) Questo numero è dato da KoHLRauscH (Ann. der Physik und Chemie,
vol. CXLIX, pag. 170). Da più recenti esperienze di Mascart (J. de i
2ème série, t. I, 1882, pag. 109) risultò invece 1,1241.
I O
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 135
tutta l’altezza del liquido e terminano lateralmente con due ge-
neratrici del cilindro ; sono sempre fra di loro separati da due
porzioni che appariscono scoperte.
Per lo studio che mi proponevo era necessario determinare
l'estensione di questi intervalli. Le misure però dovevano esser
fatte senza levare il cilindro dall’elettrolita per non andare in-
contro a cause d’errori provenienti dalla dissipazione dei depositi,
accennata dal Prof. Réiti, pel velo liquido che rimane aderente (1).
A tal fine sulla circonferenza del cilindro era tracciata una
divisione in 100 parti eguali per modo che le determinazioni
potevano esser fatte direttamente sul cilindro attraverso le pareti
della vaschetta, finchè circolava ancora la corrente.
L’elettrolita, che mi parve più opportuno per uno studio si-
stematico, fu il solfato di zinco, perchè la sua soluzione è tra-
sparente e perchè dà per deposito lo zinco che riesce facile a
| staccare dal cilindro. Era però necessario del solfato di zinco il
più possibilmente puro e neutro ; perciò presi di quello del com-
mercio, lo feci bollire a lungo con zinco metallico e lo assog-
gettai tre volte alla cristallizzazione.
Gli elettrodi erano costituiti da due lastre di zinco bene
amalgamate, che coprivano intieramente due facce opposte della
vaschetta e che erano verniciate sulla faccia posteriore.
Il cilindro che adoperai da principio era di ottone ; ma poi,
temendo che nelle parti dove si deposita il gruppo SO, si im-
poverisse di zinco e quindi cambiasse natura, gliene sostituii uno
di rame.
3. Se si osserva il cilindro attraverso le pareti della vaschetta
dalla parte su cui si deve depositare lo zinco, quando si chiude
il circuito si vede comparire il metallo sotto forma di un velo
che col tempo va ingrossandosi ed acquista un contorno sempre
più marcato ; ma non muta di estensione finchè rimane costante
la intensità della corrente.
Se si fa variare l’intensità della corrente, ad ogni accresci-
mento di questa si vede che corrisponde un aumento nell’esten-
sione del deposito. Questo aumento però, molto grande finchè lo
zinco è poco esteso, va diventando sempre minore : e, quando
lo zinco ha raggiunto un'estensione di circa 90°, occorrono degli
(1) N. Cimento, ser. 3*, vol. X, p. 97,69.
136 LUIGI PASQUALINI
aumenti fortissimi d’intensità per produrre delle variazioni appena
visibili nel deposito. Dall'altra parte succede la stessa cosa ; è
più difficile seguire l'andamento del fenomeno poichè, fintanto che
l’intensità della corrente non ha un certo valore non riesce di
osservare il deposito bruno di perossido e si vede soltanto che
il cilindro è corroso perchè perde il suo splendore speculare ; ma,
in qualunque momento si levi il cilindro e si legga sulla scala
l'estensione della parte attaccata, questa si trova esattamente
eguale a quella che aveva lo zinco, finchè il cilindro era ancora
immerso. Facendo le letture in questo modo, in più di duecento
determinazioni eseguite col cilindro di rame nel solfato di zinco,
ho sempre trovato è depositi eguali.
Li trovai eguali anche adoperando un cilindro di ottone nel
solfato di zinco, un cilindro di rame nell’acetato di piombo, un
crogiuolo d’argento nel solfato di rame e nel solfato di zinco ,
una lastrina di rame nel solfato di zinco e una lastrina d’argento
nel solfato di rame. Ciò sarebbe in contraddizione coll’osserva-
zione di Tribe, confermata in parte dal Prof. Réiti; se non che
l'eguaglianza, come indicherò poi, cessa quando la densità della
corrente nell’elettrolita superi un certo limite: e quindi bisogna
dire che quei due sperimentatori abbiano adoperato correnti
molto forti.
4. Era evidente a priori che l’intensità doveva influire sul-
l’estensione dei depositi solamente in quanto dipendeva da essa
la densità della corrente in seno all’elettrolita.
Per assicurarmene con una verificazione sperimentale feci va-
riare la sezione s del liquido e, scegliendo volta per volta una
intensità I, tale che rimanesse costante la densità D=1I: LE
determinai la corrispondente estensione d dei depositi.
Mi fu facile avere delle sezioni del liquido che stessero fra
loro come 1:2:3 prendendo da una medesima soluzione di sol-
fato di zinco dei volumi che stessero negli stessi rapporti.
Ecco i risultati dell’esperienza :
Peso specifico della soluzione 1,180. Temp. 22,5°
8 I ampère d
31°°,93 0,546 869,4
63 ,86 1,092 869,0
95 79 1,538 869,4,
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 137
Dai quali risulta, come era da prevedere, che la forma dei de-
positi rimane la stessa comunque varii l’intensità della corrente,
purchè rimanga costante la sua densità in seno al liquido.
In questa, come in tutte le altre serie, dopo ogni determi-
nazione, il cilindro veniva messo nell’acqua acidulata per istaccare
lo zinco, e poi pulito con tripolo e sfregato con pelle di camoscio.
5. Stabilito esservi una relazione fra l’arco che apparisce
scoperto e la densità della corrente, bisognava vedere di qual
forma fosse, o in altre parole, come l’arco che misurava la di-
stanza fra i due depositi dipendesse dalla densità della corrente.
Perciò, tenendo costante il peso specifico del solfato di zinco,
feci una lunga serie di determinazioni dell’arco scoperto corri-
spondente a varie intensità, dalla quale potei dedurre :
Che la densità D (22 ci
cent.
della corrente è inversamente
| proporzionale al prodotto «sena, essendo « (fig. 2) la di-
stanza angolare fra i due depositi, ciò che si può esprimere con:
». F
Dasena=N.
Fic. 2.
Ecco due serie fatte con densità molto differenti fra di loro:
fia
Peso specifico della soluzione 1,060. Temp. 22°,5
D a sen « D o sen &
0,0113 439,2 0,684 0,335
0,0121 42 ,3 0,673 0,344
0,0140 38,7 0,625 0,339
0,0160 36 ,0 0,588 0,338
0,0185 33 ,3 0,549 0,338
0,0243 28 ,8 0,482 0,337
Media 0,338
138 LUIGI PASQUALINI
DE
Peso specifico della soluzione 1,417. Temp. 229,0
D 74 sen & Dasena
0,0144 5:10:6 0,844 0,554
0,0147. 52,2 0,790 0,605
0,0178 45,0 0,707 0,566
0,0198 43.2 0,685 0,585
0,0241 38,7 0,625 0,583
0,0274 dbigl 0,675 0,558
0,0322 32,4 0,536 0,559
Media 0,572 .
I vari valori della costante si allontanano dal valor medio
non più di 5,5 per cento.
Dovendosi far le letture finchè il cilindro è ancora immerso ed
essendo una particella lunga soltanto 0"" 88, l'errore che si com-
mette nella lettura oscilla fra mezza divisione in più e’ mezza
divisione in meno.
A una mezza particella corrisponde una variazione nel valore
della costante di 10 °/, per gli archi minori e di 8 °/, in media,
per cui le differenze nel valore di N possono derivare da errore
di osservazione.
Ad ogni determinazione veniva cambiato il liquido perchè i
prodotti dell’elettrolisi, che succedeva intorno al cilindro, non ne
cambiassero la natura.
6. Per vedere l’influenza della conducibilità p dell’elettrolita
determinai per varie concentrazioni del solfato di zinco il valore
della costante N e la conducibilità specifica.
Peso specifico N cp 29
CA
0,060 0,338 1,00 0,34
0,120 0,488 1,60 0,51.
0,180 0,573 1395 0,29
0,240 0,618 2,11 0,29
0,300 0,627 201 0,29
0,360 0,624 2.06 0,30
0,417 0,572 1,82 0,81
0,448 0,524 1,66 0,32,
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 139
I numeri della seconda colonna sono risultati come medio da
serie analoghe a quelle riportate superiormente.
I numeri della colonna segnata c sono semplicemente pro-
porzionali alla conducibilità specifica 4 corrispondente ai vari pesi
specifici della soluzione di solfato di zinco indicati nella prima
colonna. Per determinarli mi sono servito del metodo già usato
da Kohlrausch (1), cioè del ponte di Wheatstone con correnti
alternate e sostituendo al galvanometro il telefono. Sarebbe stato
superfluo spingere le determinazioni oltre i centesimi, essendo già
approssimata la seconda cifra significativa del valore di N .
N ; E
Il rapporto — si mantiene pressochè costante e però, ricor-
E
dando che si è chiamato N il prodotto Da sena, si vede che
il fenomeno è rappresentato approssimativamente dalla formula:
Dasena
ee:
x : een : È
E da notare che il valore di — accenna ad un minimo in
c
corrispondenza al massimo di conducibilità della soluzione.
7. Ero giunto a questi risultati sperimentali, quando il
Dott. Vito Volterra, che si occupava del problema dal lato
teorico, partendo dall’idea che l'intervallo che apparisce scoperto
fra i due ioni fosse dovuto alla forza elettromotrice di polarizzazione,
stabiliva che i due depositi dovevano essere eguali e che doveva
sussistere la relazione seguente fra la densità D della corrente,
il raggio £ del cilindro, le forze elettromotrici e, ed e, che si
sviluppano nei punti dove avviene il deposito continuo dei due
ioni e l'angolo 4:
Me ...... = 102 (E-k7K] ;
. dove X ed E indicano i noti integrali ellittici completi, cioè:
do rive
K= "= ==3:, i Vin PST q d 7
V1—4°sen° 9 V ) (N
i ese, k=sena n kitecos a
(1) Ann. der Physik und Chemie, nuova serie, vol, XI, 1880, p. 653.
140 LUIGI PASQUALINI
Essendo nelle ricerche sopra descritte rimaste costanti le
quantità e ed E, la formula teorica differiva da quella dedotta
dall’esperienza per contenere il fattore E—%,° K in luogo del
prodotto «senx, ma nei limiti fra cui si può sperimentare (cioè
fra 20° e 60°) il valore della quantità E—%,° K coincide a
col i
meno di — col valore di jxsena come resulta dalla seguente
100
tabella (1)
x- ET—k° K 1 asena Differenza
10° 0,0240 0,0227 + 0,0073
20° 0,0930 0,0895 + 0,0035
30° 0,2022 0,1962 + 0,0060
40° 0,3446 1,3366 + 0,0080
50° 0,5094 0,50183 + 0,0081
60° 0,6719 0,6801 — 0,0082
700 0,8254 0,8610 — 0,0356
80° 0,9450 1,0318 — 0,0850 .
E siccome si è visto che gli errori di osservazione possono
portare una differenza perfino di 8 °/,, così i risultati sperimentali
erano pienamente confermati dalla formula teorica, e questa alla
sua volta era in parte verificata dall’esperienza. Però volli fare
una verificazione più completa.
8.Ilmodo più diretto sarebbe stato di misurare tutte le quantità
che entrano nella formula e vedere se questa si riduceva ad una
identità; ma mi parve più comodo e meno soggetto ad errori il
metodo seguente.
Essendo D=i , dove I è l’intensità della corrente ed s
la sezione del liquido, la formula [1] diventa :
bic D°=4R|E-k?K].
e è la somma delle forze elettromotrici di polarizzazione mas-
sima, che si sviluppano sul cilindro immerso nell’elettrolita, ed è
la stessa che si sviluppa in un voltametro con lo stesso elettrolita
e con elettrodi della stessa natura del cilindro.
(1) Per calcolare i vari valori di E— XK," X mi sono servito delle tavole
che trovansi nel Traité de Calcul différentiel et de Calcul intégral del BERTRAND.
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 141
Supponiamo che tale voltametro sia costituito da una cassetta
esattamente parallelepipeda di cui gli elettrodi occupino intiera-
mente due facce opposte. Sia 7 la sua lunghezza ed s la super-
ficie utile degli elettrodi. Se si indica con + l'intensità della
corrente secondaria che si ottiene chiudendo il circuito con un
conduttore di piccolissima resistenza dopo aver fatto passare una
corrente per un tempo bastante perchè la. polarizzazione abbia
raggiunto il massimo, sarà:
ed essendo la resistenza opposta dal liquido :
R —_ La ti)
3
ove p. indica la conducibilità specifica dell’ elettrolita, la [2] si
. cambia nella: (4 A
- E-k? K
124 Rs].
La quale dà modo di calcolare mediante l’angolo « il valore
del rapporto delle due intensità 7 ed I che può essere deter-
minato coll’esperienza.
9. Ecco la disposizione che mi parve più opportuna per fare
l’esperienza in maniera che le misure di ? ed I potessero suc-
cedersi rapidamente. V (fig. 3) è la vaschetta che serviva anche
da voltametro; 7 è un commutatore che permette di mettere
in comunicazione A con B e C con D, oppure A con Ce B
142 LUIGI PASQUALINI
con D; in S un pachitropo permette di porre in comunicazione
i due pozzetti L, M o con E, Fo con G, H.
P è una pila di dieci elementi Daniell, disposti in due serie.
Due reofori andavano in D e B e due in £ e F. Nel circuito deri-
vato Gg H di circa 300 ohm di resistenza eravi un galvanometro
a riflessione 9g; X era un filo di rame di piccolissima resistenza.
La verificazione fu fatta col cilindro di rame nel solfato di rame.
Nella prima parte dell’esperienza, che dovea servire a misurare
l’arco libero e l’intensità corrispondente, messo nella vaschetta
il cilindro, si portava il liquido fino ad una certa altezza. segnata
da una vite la cui chiocciola era infissa in un’ asta che si ap-
poggiava all’orlo della vaschetta: e si metteva in comunicazione
metallica AB, CD, EF, HMe GL.
La corrente allora andava per BAVL, passava per la resi-
stenza R e pel galvanometro 9g, e ritornava per HMCDFE.
La deviazione d che si otteneva al galvanometro misurava
l'intensità I .
Nella seconda parte della esperienza, che serviva: a misurare
la corrente di polarizzazione, tolto il cilindro e sostituiti agli elet-
trodi, che nella prima esperienza erano di zinco amalgamato ,
altri due di rame come il cilindro, si riconduceva il liquido ad
affiorare la punta della vite e si stabilivano invece le comunicazioni
metalliche fra 40, BD, LE ed MF abbassando la leva in modo
da escludere il galvanometro. La corrente allora per FMCA
entrava a polarizzare il voltametro e per L EBD ritornava.
Rialzando la leva S, si interrompevano le comunicazioni LE,
MF e si stabilivano le altre LG, MH così da escludere la
pila e da introdurre il galvanometro insieme colla piccolissima
resistenza R. La deviazione d, che si otteneva misurava la cor-
rente di polarizzazione: ed il rapporto delle due deviazioni, ot-
tenute nella seconda e nella prima parte, dava il rapporto 3
voluto dalla formula.
La resistenza esterna al voltametro, quando si misurava 4%,
cioè VACMH e la resistenza È, era appena di mezzo ohm,
e quindi trascurabile in confronto di quelle dell’elettrolita.
Gli elettrodi, che venivano sostituiti a quelli di zinco nella
seconda parte dell’esperienza, ed il cilindro furono in alcune prove
coperti di un grosso strato di rame elettrolitico affinchè si po-
tessero ritenere della stessa natura.
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 143
Ecco i risultati dell’esperienza :
Distanza degli elettrodi . . . . 10°,10
Meesio del cilindro: iii; fa 1°,42
d d, a
92,5 16,0 419,4
88,0 23,0 45 ,0
90,0 19,0 41,4
139,0 23,0 36,0
0 0
7 osservato I calcolato A
0,173 0,209 — 0,036 | Elettrodi e cilindro di rame
0,261 0,239 + 0,022 | del commercio.
0,211 0,209 + 0,002 | Elettrodi e cilindro di rame
0,165 0,159 + 0,006 ramato elettroliticamente.
Si noti che ad un errore di mezzo centesimo della circon-
ferenza nella determinazione di « corrisponde una variazione nel
valore di 3 in media di 6 a 7 per cento.
ì*
| 10. Quindi mi pare che la formula teorica riesca verificata
dall’esperienza e si possa concludere che le apparenze degli ioni,
che si depositano su di un conduttore immerso in un liquido
attraversato dalla corrente, sono conformi alla teoria della
distribuzione delle correnti.
11. Il Prof. Ròoiti, come si è detto, ha osservato che i de-
positi elettrolitici subiscono una dissipazione se restano immersi
nel liquido che servi da elettrolita.
Accennerò qui ad alcune esperienze da me fatte per vedere
Se ciò potesse contribuire a fare apparire diversa la loro estensione.
Se si lascia il cilindro immerso e si apre il circuito, lo zinco
ristringe rapidamente e dall’altra parte si forma un deposito
runo di rame metallico.
Evidentemente le cose avvengono così.
Durante il passaggio della corrente principale il solfato di
vien decomposto. Il gruppo 0, che si porta sulla por-
144 LUIGI PASQUALINI
zione del cilindro rivolta all’elettrodo negativo, attacca il rame
e forma del solfato di rame. Ne risulta un vero elemento Da-
niell che continua ad agire quando il circuito viene aperto, di-
struggendo lo zinco e depositando del rame. È la stessa cosa che
succede in un voltametro a solfato di zinco e elettrodi di rame
che venga rinchiuso sopra se stesso dopo il passaggio della corrente
polarizzante ; lo zinco deposto sull’elettrodo negativo si dissipa ,
mentre sull’elettrodo positivo si rideposita il rame disciolto. Il
deposito “di rame sul cilindro avviene in tutti quei punti dove
ci fu una formazione continua di solfato di rame, cioè ha una
estensione eguale a quella dello zinco a circuito chiuso. Quindi,
se si fanno le letture dopo aperto il circuito, si trova una dif-
ferenza fra i due depositi: e questa differenza è tanto più grande
quanto più breve fu la durata della corrente polarizzante e quanto
più lungo l’intervallo fra l’apertura del circuito e la lettura.
Tenendo chiuso il circuito 5° il deposito di zinco esteso 30/svo
di circonferenza divenne 22/, dopo 5° dall'apertura; 14 lisa
dopo 10° e sparì dopo 20°, mentre il deposito bruno si man-
tenne sempre di 30/,g -
‘12. Non è però necessario di aprire il circuito perchè si pro-
ducano delle differenze nell’estensione dei due depositi. Basta che
si facciano le letture togliendo il cilindro dall’elettrolita per ri-
scontrare delle differenze notabili. Il velo liquido che rimane
aderente permette, e lo aveva già osservato il Prof. Roiti, alla
corrente di polarizzazione di continuare come se il cilindro fosse
ancora immerso ed il circuito aperto.
13. La accennata dissipazione dell’elemento elettro-positivo
avviene qualunque sia la natura del cilindro e per qualsiasi elet-
trolita. Se si adopera un crogiuolo di argento nel solfato di rame,
quando si apre il circuito il deposito di rame sparisce, mentre
ricompare dall’altra parte l’argento ; il fenomeno però è meno
rapido che col crogiuolo stesso nel solfato di zinco. Con un ci-.
lindro di rame nell’acetato di piombo, l’acetato di rame che si
forma essendo specificamente più leggero dell’acetato di piombo
viene alla superficie del liquido, e quando si apre il circuito alla.
linea d’affioramento corrisponde un deposito più abbondante di.
rame, |
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 145
14. Ma non è a questa sola circostanza che può ascriversi
la differenza osservata da Tribe, giacchè ho riconosciuto che ,
quando la corrente sia molto energica, in quasi tutti i casi il
deposito elettropositivo si estende di meno del deposito elettro-ne-
gativo. Questo fatto è più facilmente osservabile col crogiuolo d’ar-
gento nel solfato di rame, giacchè basta a produrlo una intensità
minore che non negli altri casi. Mentre con correnti di densità
amp? °
minori di 0,015 ci non si produce nessun deposito aderente
nt.
di perossido, ma una semplice corrosione, con una densità di
0,030 si forma un deposito molto nero e aderente che si allarga
rapidamente fino a coprire qualche volta una metà del crogiuolo
ed essere di un terzo circa più esteso del rame. Il fenomeno
presenta lo stesso andamento col crogiuolo di argento nel solfato
di zinco. Col cilindro di rame nel solfato di zinco richiede una
grande densità della corrente; riesce invece facilmente con una
lastrina di rame perpendicolare agli elettrodi.
Col cilindro di rame nell’acetato di piombo si ottiene facil-
mente un bel deposito nero di perossido contornato dalle frangie
di Nobili, ma difficilmente questo deposito è più esteso del piombo.
15. Le cause di questa dissimetria nei depositi degli ioni
sono forse da ricercarsi nelle azioni secondarie che, accompagnano
l’elettrolisi intorno al cilindro. È certo che, pel passaggio della
corrente nei punti del cilindro dove si porta l’elemento elettro-
negativo, ha luogo la formazione di un composto di natura diversa
dall’elettrolita e quindi è rotta la simmetria.
Potrebbe essere che, finchè la corrente non è molto intensa,
il nuovo sale formatosi avesse il tempo di diffondersi prima di
produrre un’azione sensibile e che ciò non potesse avvenire quando
l'intensità è molto forte e quindi abbondante la formazione del
composto secondario.
Potrebbe anche darsi che la dissimetria non fosse che appa-
rente, o in altre parole che la distribuzione della forza elettro-
motrice rimanesse sempre simmetrica come vien portato dal cal-
colo; ma che in certe condizioni, uno dei depositi si rendesse
visibile anche nei punti dove la forza elettromotrice non ha ancora
raggiunto il valor massimo. In quei punti non si formerebbe che
un velo; resterebbero sempre eguali le estensioni dove il deposito
avviene continuatamente.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 10
146 LUIGI PASQUALINI - SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC.
Uno studio sull’influenza di queste varie azioni potrebbe forse
condurre a spiegare il fenomeno in tutti i suoi particolari.
Compio un grato dovere porgendo i più vivi ringraziamenti
al Prof. Ròoiti, che mi favorì sempre de’ suoi consigli.
Dalla Scuola di Fisica del R.° Istituto di Studi Superiori.
Firenze, Novembre 1882.
147
Lo stesso Socio FERRARIS presenta e legge il seguente lavoro
del sig. Dott. Vito VOLTERRA ,
SULLE
APPARENZE ELETTROCHIMICHE
ALLA SUPERFICIE DI UN CILINDRO.
Per primo A. Tribe (") e successivamente il Prof. A. Réiti (°°)
si occuparono dell’estensione e della forma dei depositi che si
ottengono in una lastra metallica immersa in un elettrolita per-
corso da una corrente. Per quanto è a mia cognizione, tali fe-
nomeni vennero finora studiati soltanto sperimentalmente.
Il Prof. A. Ròoiti mi propose lo studio matematico del feno-
meno nel caso in cui la corrente passasse in un elettrolita fra
due lastre parallele metalliche in esso immerse e gli ioni ve-
nissero a depositarsi sopra un cilindro disposto parallelamente
agli elettrodi.
Il fenomeno può supporsi avvenire come se l’elettrolita fosse
un conduttore indefinito percorso da un flusso costante di elet-
tricità ed il cilindro fosse pure indefinito e coll’asse diretto nor-
malmente alla direzione della corrente principale. In tal caso la
deposizione degli ioni avviene in modo che una striscia longitu-
dinale del cilindro risulta coperta da uno di essi, un’altra striscia
dall'altro ione, mentre restano scoperte due porzioni del cilindro
comprese fra i due depositi. Gli ioni si vedono comparire dopo
alcuni istanti da che è cominciato il passaggio della corrente ed
(*) Philosophical Magazine, S. 5, vol. XI.
(**) Nuovo Cimento, S. 3, vol. X.
148 VITO VOLTERRA
il passaggio successivo di essa non fa che aumentare la grossezza
degli strati depositati, senza sensibilmente variare l’ampiezza delle
quattro regioni in cui viene a suddividersi la superficie del ci-
lindro. Le correnti possono allora considerarsi come stazionarie.
A fondamento dei calcoli venne presa l’ipotesi accennata dal
Prof. Rébiti nella sua memoria citata, e da esso confermata con
diverse prove, che la causa degli spazi ove non si vede la depo-
sizione degli ioni debba attribuirsi alla corrente secondaria di
polarizzazione.
Non è ammissibile che la sede delle forze elettromotrici di
polarizzazione, allorquando è raggiunto il periodo stazionario delle
correnti, debba trovarsi soltanto nei punti ove si vedono i de-
positi degli ioni. Infatti, la corrente prodotta dalla forza elet-
tromotrice di polarizzazione, che nasce nei punti ove i depositi
sono visibili, st aggiunge alla corrente principale nelle porzioni
della superficie del cilindro che appaiono scoperte; quindi se in
queste parti non vi fosse alcuna forza elettromotrice, vi nascerebbe
un deposito che cangerebbe lo stato delle correnti. È dunque
necessario ammettere nel periodo stazionario una forza elettro-
motrice distribuita sopra tutta la superficie del cilindro, e per
conseguenza bisognerà che esista un deposito elettrolitico anche
in quelle parti del cilindro che sembrano rimanere scoperte.
2.
Ecco come può supporsi l'andamento del fenomeno nel pe-
riodo variabile, affinchè nel periodo stazionario lo stato del ci-
lindro risulti quale si è dovuto ammettere nel $ precedente.
Nel primo istante in cui avviene il passaggio della corrente
principale si formano sopra tutta la superficie del cilindro (esclusi
i punti delle generatrici a, 0) i depositi elettrolitici, onde viene
a generarsi una corrente secondaria di polarizzazione dovuta alla
debole forza elettromotrice prodotta. Questa corrente però è suffi-
ciente a vincere quella principale nelle porzioni del cilindro vi-
Pr e pi
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 149
cine alle generatrici a, d (fig. I), quindi nell’istante successivo
il deposito avviene soltanto in porzioni del cilindro più vicine
alle generatrici c, d, nelle quali parti del cilindro cresce la forza
elettromotrice. Si ha dunque che le porzioni della superficie in
cui avviene il deposito si restringono continuamente mentre cre-
scono in esse le forze elettromotrici. È noto per altro che le
forze elettromotrici di polarizzazione hanno un massimo, raggiunto
il quale, il depositarsi successivo degli ioni non aumenta il loro
valore. Ne segue che a partire dall’istante, nel quale nelle por-
zioni in cui avviene il deposito, le forze elettromotrici hanno
raggiunto questo massimo, le correnti diventano stazionarie ed
in queste porzioni soltanto seguitano ad avvenire i depositi.
Questo ci spiega l'apparenza del cilindro, perchè, mentre
sarà visibile il deposito nelle parti in cui la forza elettromotrice
ha raggiunto il valore massimo e in cui la grossezza degli strati
depositati può aumentare continuamente, può non essere apprez-
zabile il velo sottilissimo aderente alle altre parti del cilindro.
3.
Il calcolo del fenomeno nel periodo variabile mi sembrò pre-
sentare troppe difficoltà; mi proposi invece di studiarlo a partire
dall’istante in cui comincia il periodo stazionario, seguendo il
concetto sopra accennato dello stato del cilindro in questo periodo.
150 VITO VOLTERRA
Comincio dal cercare come deve essere distribuita la forza
elettromotrice alla superficie del cilindro affinchè le correnti siano
stazionarie ; così vengo a trovare le condizioni a cui deve sod-
disfare la funzione potenziale della corrente di polarizzazione ($ 5).
Da queste condizioni risulta che il problema ha un’unica solu-
— zione ($ 6). Trasformate poi queste condizioni ($ 8) passo alla
risoluzione del problema ($$ 9-10) (*). Ottengo prima una rela-
zione assai semplice per mezzo di integrali ellittici che lega Ze am-
piezze dei depositi visibili, la forza elettromotrice di polarizza-
zione, la densità della corrente principale, la conducibilità del
liquido e il raggio del cilindro. Un’altra formola mi dà poi il
valore della forza elettromotrice nei diversi punti della superficie
del cilindro ($ 12).
Il calcolo conduce a questi due risultati ($ 7):
1° Le ampiezze dei due depositi visibili sono sempre eguali
fra loro, comunque siano le forze elettromotrici.
2° Queste ampiezze sono indipendenti dalla conducibilità
del cilindro.
4.
Suppongasi un conduttore indefinito percorso da una corrente
di intensità costante nella direzione negativa dell’asse delle y.
Sia D la densità di questa corrente, p la conducibilità del con-
duttore. In questo conduttore immergiamo un cilindro indefinito
di conducibilità {.,, di raggio £, in modo che il suo asse coin-
cida coll’asse 2.
Vediamo come viene modificata la corrente. Trattandosi di
conduttori cilindrici la soluzione ci viene fornita per mezzo di
una semplice applicazione del principio delle immagini ("*).
Se indichiamo con U (p, 6) la funzione potenziale in un punto
esterno al cilindro di coordinate cilindriche f, 0, 2 riferite al-
l’asse 2 e al piano x 02, avremo:
De, 9= [EEE | 2°,
Pit ph p Pl
(*) Questa risoluzione si appoggia sopra un metodo accennato nel $ IX
nella mia Nota Sopra alcune proprietà caratteristiche delle funzioni di una
variabile complessa. Anmali di Matematica, S. II, t. XI.
(**) Vedi MaxwELL, Electricity and Magnetism, pag. 367.
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 151
e se indichiamo con U’, (p, ?) la funzione potenziale in un punto
(L,9, 2) interno al cilindro, avremo:
U.(p9=-22|- _ p sen | .
pl ò
Ciò si verifica facilmente, infatti:
lim dU
s=salta,)= 2 i
I 2 Dsen@
\ U (p; OPE cr R ’
2 Dsen9@
| U,(p.0)=n=— i ’
IT
| 7) ria Dsen@ ,
dp e=R bt,
d
( 7) DA Mpa
dpli n btM
5.
Ciò premesso, vediamo come si deve distribuire alla superficie
del cilindro una forza elettromotrice ‘compresa fra due valori di
segno opposto E e — E, , in modo che nella porzione A B (fig. II)
|
v Fig. II.
incognita della superficie del cilindro, la forza elettromotrice rag-
giunga il suo valore massimo £, nella porzione C.D raggiunga
1593 VITO VOLTERRA
il suo valore minimo — £, ; e nei tratti BD ed AC la com-
ponente normale della intensità della corrente prodotta dalla
forza elettromotrice distribuita sul cilindro eguagli la componente
norwale della corrente principale; inoltre si abbia che nei tratti
Ab e CD la componente normale della corrente principale superi
la componente normale della corrente prodotta dalla forza elet-
tromotrice distribuita sul cilindro.
Chiamiamo
V(p,9)
la funzione potenziale della corrente prodotta dalla forza elettro-
motrice incognita nei punti esterni al cilindro e
V, (p, d)
la funzione potenziale della stessa corrente nei punti interni.
Poniamo
IE
V(p.,6)=V — , 3) ,
(3
e consideriamo la funzione
V.(p,9)—V(p:9)=0(p,0).
Questa funzione sarà finita e continua e possiederà le seguenti
proprietà :
1° verificherà l’equazione
A°@=0 ,
2° nel tratto AB avremo:
O0=E,
e nel tratto CD
Os - E,
8° nei tratti AC e BD avremo:
do
Tn 7 880 ,
in cui » indica la normale al contorno diretta verso l’esterno e
el-da
pi
vu Py:
e e n I
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 1583
Consideriamo ora la funzione
E) EI a)
Essa verificherà le condizioni seguenti :
1° avremo:
_ A* Q — 0 ;
2° al contorno
dQ
Po (ir
Sarà per conseguenza
O = cost.
La determinazione della legge secondo cui è distribuita la
forza elettromotrice sul cilindro e della corrente da essa prodotta
dipende quindi unicamente dalla determinazione della funzione 0.
Conosciuta questa funzione la costante Q dovrà essere determi-
nata in modo che il valore di V per p=co sia lo zero.
6.
Vediamo se le tre condizioni imposte alla funzione © bastano
a definirla univocamente, quando si osservi che deve aversi nei
tratti AC e BD del contorno
E>O>+-E,,
in AB
PONS und
dn
ein CD
d
A Senti rob
dn
Supponiamo che due funzioni 9, e 9, verifichino contempo-
raneamente queste condizioni. Alla prima corrispondano i punti
A,, B,, C,, D,, (fig. III), alla seconda i punti A,, B., C., Di, (*).
Consideriamo la loro differenza
0, —09,=0; .
(*) È noto, che se i punti A,, B,, C,, D,, coincidessero rispettivamente
con A,, B,, C,, D, la 9, e la 9, non potrebbero differire l’una dall’altra.
154 VITO VOLTERRA
Comunque siano disposti i punti A,, B,, C,, D,; 4,, B,, 0,,Da,
avremo in alcune porzioni del contorno (4, B, e C, D, nella
fig. II)
Fig. III. H
La
Do
in altre (A, C, e B,D,)
e nelle rimanenti
come facilmente si può verificare.
Ne segue che
in cui l’integrale è esteso al contorno s del cerchio H.
Ora questa formola è evidentemente assurda, perchè è noto che
fotto (1[(0): (1) Jun
in cui il secondo integrale è esteso a tutto il cerchio H.
Le condizioni imposte alla © la definiscono quindi univoca-
mente; però non si sa per ora nulla intorno alla sua esistenza.
Cerchiamo ora di dimostrare che la coppia di punti A B
deve essere simmetrica alla coppia CD rispetto all'asse x e la
coppia AC simmetrica a BD rispetto all’asse y (fig. Il), inoltre
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. L55
che la posizione di questi punti non dipende che dal valore di P
e di E+E,.
Infatti, se la funzione 0’ gode delle proprietà della 9 quando
invece di E e di —£, sì considerino
irreali PIA
CERA ci 2
avremo evidentemente
E-E,
e per conseguenza i punti A4'B’'C'D' corrispondenti alla 0’ coin-
cideranno coi punti A B C D della 0. Ora, per la 0’ la simmetria
indicata dei punti A4/B'C'D' è evidente, quindi questa simmetria
riesce dimostrata per i punti A4,5,0,D.
Osserviamo che da questa simmetria risulta subito che la ®'
ld
è nulla lungo l’asse 4% e è zero lungo l’asse y.
ET)
8.
Per dimostrare l’esistenza della 0', dalla quale si deduce
subito quella di 9, e per poterla determinare cerchiamo di tras-
formare le condizioni imposte.
Perciò dimostriamo che se 4(p,6), funzione finita e continua
nell'interno e al contorno del cerchio di raggio E, gode delle
seguenti proprietà
1’ Si ha
bb. dh (ML
2° nel tratto AB del contorno del cerchio
p= E,
nel tratto CD i
y=T—- E',
3° in BD e in AC si ha
dg
Tn = P 9009 9
156 YITO VOLTERRA
4° le derivate
dW db
np
si mantengono sempre inferiori ad un numero finito anche al
contorno, e
A°d =0
anche nei punti del contorno, al più esclusi i punti 4,B,C,D, (fig. IV)
la funzione Vv è appunto la funzione cercata 0.
Consideriamo infatti la funzione
d(P,0) -E=W(0,0)
definita entro tutto il cerchio, e l’altra
U ' Vir
HW 9=-# (3, 0)
definita in tutti i punti esterni al cerchio,
Dimostriamo che le due funzioni d' e 4, si attaccano senza
nessuna singolarità lungo l’arco A...
Infatti lungo l’arco AB abbiamo
gp=g=0 ,
70 aaa dg(È. o) a (ea
(Gp) 0) alte)
=R
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. DAT
Ma
da pico, 1 gia
ep ep do e dI*
è)
quindi, poichè 4 = cost. sopra l’arco AB,
ie (a7)_=° i
e per conseguenza sull’arco AB
(Fe) =(1£)
I SR Sa
Sia 4,(2,8) una funzione eguale a £' entro il cerchio,
eguale a 4,', esternamente.
La funzione
pad,
va
ssarà su tutto il piano (escluso l’arco AC DB) finita, continua,
insieme alle derivate, e verificherà l’equazione
a*(£ SOI bi
Essa all'infinito si annullerà : infatti
dy, Rd R°
ppt
dp pE\p
P. 1
Si ha dunque che nel mezzo piano LMS il massimo valore di
i . dò,
. R dp i
“si avrà in uno dei punti degli archi EA ed FB, perchè Y, è
costante su LM, quindi È, Di è zero nei punti di questa retta.
(1) Vedi Dini, Annali di Matematica, vol. V.
158 VITO VOLTERRA
Ne segue che il massimo valore di questa funzione sarà
Psena ,
essendo « l'anomalia del punto B, e per conseguenza in un
punto (£,0) di AB il valore di
di d,
d P
db
dn
ossia il valore di
sarà sempre inferiore a P senz e a più forte ragione a Psenl.
In modo del tutto analogo si dimostra che il valore di
dp
dn
nei punti dell'arco CD è superiore a P sen!.
Consideriamo ora la funzione
(80)
Ti = Ppcos9=%9(p, G)
definita in tutti i punti interni al cerchio, e
o.@0=e(2.6)
I
definita nei punti esterni.
Queste funzioni si attaccano senza nessuna singolarità lungo
gli archi BD ed AC. |
Abbiamo infatti in uno dei punti di questi archi;
pesta
(4) (I = (2000) =M9;
7 e=R dp e=R d9 dp fe=R LE
(£e) sa (oo) + (Le dI È fa s i
e=R dp’ e=R k dp o=" dp e=R
Sia ora ©,(0,0) una funzione eguale a 9 nei punti interni
al cerchio ed eguale a ©, nei punti esterni. Questa funzione sarà
finita, continua e verificherà l’equazione
bol
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 159
in tutto il piano, esclusi al più i punti degli archi AB e CD.
Essa si annullerà all'infinito e lungo la retta ST a causa della
simmetria della funzione d rispetto a questa retta. Se conside-
riamo questa funzione nel mezzo piano S7M avremo che i suoi mas-
simi e minimi dovranno trovarsi sugli archi HB e KD, quindi
la funzione stessa dovrà DE compresa fra 0 e — PEcosa.
Quindi lungo BD la # CERRO La 0(0,6) dovrà man-
tenersi sempre positiva e per conseguenza i valori della 4 lungo
BD dovranno andare crescendo continuamente dal punto DE
in cui prende il valore — E' fino al punto B in cui prende
il valore E”.
9.
La questione è dunque ridotta a vedere se è possibile co-
struire la funzione 4, la quale, se esiste, è definita univocamente
dalle condizioni sopraccennate.
La determinazione di tale funzione ci servirà a trovare la
posizione dei punti A, B, C, D, cioè la relazione che lega. le
quantità
E DS Doll + Pl
la distribuzione della forza elettromotrice alla superficie del ci-
lindro e quindi la funzione potenziale delle correnti prodotte da
questa forza elettromotrice.
Sia « (0,4) una funzione che verifica alle proprietà volute
per la 4. Rappresentiamo conformemente il cerchio sopra un
rettangolo A4,,B,,C,,D,, (fig. V), in modo che i vertici corrispon-
ai punti A,B,C.D, il centro 0 del cerchio corrisponda al
tro 0, del rettangolo, i diametri EY, HK del cerchio alle
160 VITO VOLTERRA
parallele ai lati E, F,, H, K, nel rettangolo. Siano x, y le coor-
dinate di un punto del piano del cerchio riferite a EF, HK
come assi e É, le coordinate di un punto nel piano del
rettangolo riferite alle rette corrispondenti come assi. Posto
z=x+iy, $=&+ in, la funzione che dà la rappresentazione
conforme sarà (°)
3
dz
[ea RA RR
fi
>z 2g
dz s dz
V(#—R%e"") (Re) wi V44+R— 2 R'fcos2a
Potremo considerare reciprocamente z come funzione di 6.
Della forma di questa funzione inversa (°°) non importa però
tener conto.
Da essa si dedurrebbe
e=p(Esn), 0=9(8,%).
Mediante queste due funzioni riportiamo la w (9, 9) nel ret-
tangolo. Essa resulterà una funzione
(e -
u,($, %)
finita, continua e che verificherà l'equazione
Ans
La
pedi le n): E = Psen[o( Ca Da
sopra i lati 4,0, e B,D,. Riportiamo la funzione v, sopra il
cerchio. Essa sarà una funzione v(p,4) che risulterà eguale a
(*) Vedi Dini, Annali di Matematica, S. II, t. VIII.
(**) Vedi CarIstorFEL, Annali di Matematica, S. Il, t. I.
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 161
zero sopra AB e CD e sopra AC e BD sarà eguale a
È
P sen 4 —
=)
(27
Avremo quindi (°)
v (1.9) =
d R 1 SE # ig 4 1%
P {sen g De )a6+ - {sen 7 2 - T4) Di
= du) hie'g 2 (2) Re'*—<
ci \ #6 dé
in cui » (M) sta ad indicare la parte reale del numero com-
plesso M.
Sia
e(p.0)+c,
(in cui c è una costante arbitraria reale) la funzione coniugata
della v (0,0), avremo:
vt+i(v+e)=
a tt+ta
; Ri ReLa Ea PA. “Rea ì
RE SNTITEZIZZANE sen 4 Te gni
se \76 7a
1 R R° 210
| v CIR E e a E
| = — davi e-g
i = CÀ,
essendo c, una costante arbitraria reale. Se
vi (E, n)+c
è la funzione coniugata della v, (£,%), avremo:
i a” R pagaia (6)
È G-- a d6 DE
ia n dn\R'et-#() TRE
(16
‘ \
—_— a
(*) Vedi Scawarz, XV Jahrgangs der Vierteljahrschrift der Naturfor-
schenden Gesellschaft in Zurich.
Ati R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. ll
162 VITO VOLTERRA
Sia la funzione v, coniugata di «,, avremo:
alert] _ dti], Lio49
d E Lo d$
quindi -
R ae o (O)
sen f- —_—_ d 640 feet: I
TOI (EIA di) Re e (€) (a +c, 164-420
n (7 ;
=)
h, e h, essendo costanti arbitrarie reali.
Per conseguenza, se «' è la funzione coniugata di x, si ha
ce
vi 1 R? e a dé
& +9 ;
SZ, h.4ih
utiu' __PEÉ si dia co R?c 2100 2? de AZ 6; 16 (e )+t a,4+-% +2
1 ; 2* sen 0 de
PR* Ri d G
ari MITI dan) | R'4+2—2R°2°cos20d2
(72)
+e iS()+h+ ih,
Ode
Ora se in 3, facciamo “= Re con
2
a>t50 ,
si trova:
id der 1
Rie'"d9 R°Vet"+41-2e*c0s2a
quindi :
da n 1
dos» 2 R) sen'a— sen" 9
Ne segue che si pri scrivere
16 PR', sen? er e a — sen? 0
utiu=— d
)°+ 4 R° 2° sen _4 R° e° sen*9
+e, it (2) +, LA
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 163
Ora abbiamo con facili calcoli, ponendo
sen @
KB === ===
2 2 9?
V sena— sen 0
a
sen @cos9 sen'a—sen°0 , n (R°—2°)-+2R°# sen'e
db — a sc SO lr e I
Ri_-3+4R°s sen'Q DURA 16 24
1
(R°-2°)VR'+24-2R°2°cos2 | R'-e
Pr 16 Riz |
Der
VR 24-2 R'°z°cos 2a dx
gina (R'+2'-2R°2°cos2a)a"
o
Ma finchè il mod 2 è inferiore ad RR
R'+ 2452 R°*2°cos2a
(R ‘2°
se è reale e positivo, quindi l’ integrale che comparisce nel
secondo membro della equazione precedente, sarà finito ed eguale
n
a 50% -3: Ciò dipende dal segno della parte reale di
V_R'4+2'-2R°£ cos2a.
Se si prende questo radicale positivo per #z=0, la sua parte
reale si mantiene sempre positiva finchè mod :<, e quindi
l'integrale è sempre eguale a 5: Ne segue, finchè mod 2 < È
2 (R°— 2°):4+- 2 R°#° sen'«
«P 7) dg z no
2 |de (R°— 2°)V R'+ 2i‘—2R°# cos2a
o VE A Lea AREE
+ce,i6(2) +h,+?%,
Ma l’espressione sotto l’integrale è una funzione senza nes-
Mudpru ——
suna singolarità, esclusi i punti 4, B, C, D, nei quali il Ta
E E I E e
diviene infinito d’ordine 1, quindi l’espressione precedente ci dà
3.9
i valori di u+/%', anche per modz=. Da essa si deduce
1604 VITO VOLTERRA
s «fl... (R°—e))+2 Rs sona
> — rs
Pal d6 4
u=rl — —|T—- sNitraal = pag STE IT
2tdz (R—2 \)VR*+2'—2 R°2 cos 2 x
4 2
&
10.
Nella precedente espressione di x compariscono le tre costanti %,,
c., »,. Cerchiamo di determinarle per mezzo delle condizioni note.
La h, è zero perchè « deve essere zero per p=0. In tal modo
la « viene a cambiar segno cambiando la yin — y.
Dobbiamo poi avere
du du
i 79
sempre finite; ciò equivale a porre la condizione che
d(utiu)
de
si mantenga sempre finita. Infatti in tal caso saranno finiti.
du du' du
e at: sio
Abbiamo ora
(R°— 2°) +2 R'2°sen'a
2
d(utiu) Pid a
dz metadata (R°—2°)V R‘42—2R°z2°cos2%
Si 46 -
E TI
. d 3 È
onde ricordando il valore noto di = , si ottiene
d(utiu) | P(R°—)+2R°z'sen'a e PiR'-e
———_=i|- — —-.
dz 2 2° dad 3 Pei
SULLE APPARENZE ELETTROCHIMICHE ECC. 165
Si riconosce subito che questa espressione non può divenire
SE eta, ACR a RO ,
infinita che dove diviene infinito 13° Perciò bisognerà porre la
(
condizione che
eivalori (di 3 cguali a Re", Re Rea Retro
divenga infinitesima d'ordine superiore ad ; .
Ciò evidentemente si verificherà quando si prenda
c,=-PR'sen'@.
Per determinare finalmente la costante « osserveremo che lungo
l'arco AB il valore costante che deve assumere la u è E’, quindi
porremo la condizione che la « nel punto B sia eguale ad E".
Perciò calcoliamo il valore di « in un punto (£,)
dell’arco Y B. Osservando che in F, « e zero, avremo
e. [u+d0 ]pgio
°
(1— e?!) +2 e°° sen' &
Pi ezio ie? de
ze — IÙb RP, TA BR a LI MZ‘ = S= P seno.
ef
12.
Le formule (2) e (3) si esprimono facilmente per integrali
ellittici.
Ponendo infatti
sen 6)
— =se0% ,
I sen &
k=sena ,
| si ottiene
r: cos' © d
| pino fDE| Prede,
vi sen” o
2DR "> COS ‘gap 10
E alr=Reee =
p AE — l°sen° O) 2
e quindi ;
4DR 4D
e... E+E,= (X*K-I)= rd aa BJ,
_2DR E- E,
mi... e a Za)
quando si ponga i
sen 0)
—— =sSN%, mod. %,
168 VITO VOLTERRA - SULLE APPARENZE ECC.
e si adottino le consuete notazioni
|
j
pe dég
2 50) 2°
deo k sen cdq
== U ee ia i
V1—#°sen'g V1—%°sen'g
Ùi A
aL
n
2 i
E=|V1—-%sen'cdo , Z(a)= |ksnada
0
(6)
Le formule (4) e (5) si prestano con grandissima facilità ai
calcoli numerici, e al confronto con i dati della esperienza.
Firenze, Ottobre 1882.
169
Il Socio Comm. Prof. Michele Lessona presenta e legge
il seguente lavoro del sig. Dott. Daniele Rosa, Assistente al
Museo zoologico della R. Università di Torino, intitolato :
DESCRIZIONE
DI DUE
NUOVI LUMBRICI.
La molteplicità delle specie dei Lumbrici già intraveduta dallo
Swammerdam e dal Redi, ma disconosciuta dal Linneo fu per la
prima volta posta in chiaro dal Savigny, che ne descrisse venti
specie indigene della Francia (1).
Questo numero venne ancora accresciuto per opera del Duges (2)
e del Fitzinger. Il primo, tenendo conto dei lavori del Savigny
e del Fitzinger portò questo numero a trentacinque.
Queste specie erano in generale molto insufficientemente ca-
| ratterizzate; ond’è che l’ Hoffmeister (3) ridusse di molto questo
} numero senza però contestare la validità di alcune fra le specie
| che egli non aveva potuto esaminare.
Il D’Udekem (4) andò più in là e non riconobbe come specie
sicure che le otto che erano state descritte dall’Hoffmeister.
Ultimamente però molte forme che l’Hoffmeister aveva riu-
nite vennero di nuovo considerate come specie autonome, altre
(1) Saviany, Mem. sur les Lombrics. Analisi in Comptes rendus, etc. ,
1820.
(2) Duaes, Recherches sur la circulation etc. des amnelides. Ann. Sc.
Nat., 1828.
Id. Nouvelles observ. sur la Zool. ete: des amnelides, ibidem, 1837.
(3) HoreMEIsTER, Die bis jetzt bekannten arten der Regenwirmer, 1345.
(4) D’' UnekeM, Mémoire sur les Lombriciens, in Mémoires de l’Acad,
Roy. de Bruxelles, t. XXXV, 1805,
170 DANIELE ROSA
specie europee si descrissero, di cui molte corrispondono senza
dubbio ad antiche specie di Savigny, Dugés e Fitzinger, inoltre
molte forme esotiche furono conosciute. L'antico genere Lumbricus
dovette essere diviso. La miglior classificazione è forse quella
del Perrier (1). Egli divise i Lumbrici in anteclitelliani, intraclitel-
liani e postclitelliani secondo la posizione degli orifizii sessuali
rispetto al clitello, formando con questi gruppi la famiglia dei
Lumbricidi, che corrisponde agli oligocheti terricoli del Claparède.
Fra gli anteclitelliani egli non ammise che il genere Lumbricus,
la cui ‘comprensività veniva ad essere in tal modo notevolmente
ridotta. A questo genere Lumbricus apparterrebbero tutti i Lum-
brici europei salvo due specie che vogliono essere comprese nel
genere Pontodrilus fra i Lumbricidi post-clitelliami.
Così ridotto il genere Lumbricus venne ancora diviso dallo
svedese Eisen (2) in varii generi: Lumbricus str. senso, Allo-
lobophora, Allurus, Dendrobaena e Tetragonurus. Quest'ultimo
genere è americano.
Io ho adottato, come già l’Orley, questa classificazione, ri-
ferirò quindi le specie che sto per descrivere l’ una al genere
Aallolobophora e l’altra al genere Dendrobaena.
Gen. ALLOLOBOPHORA Eisen.
(Eisen: Om Skandinaviens Lumbricider in Ofversigt af kongl.
Vetenskaps - Akademiens Forhandlingar, tretionde Argangen,
1873. Stockholm, 1874).
Allolobophora neglecta n. sp.
Syn.? Lumbricus communis (partim).
(HoFFMEISTER: Die bisjetzt bekannten Arten der Lumbricider.
Braunschweig, 1845).
Lunghezza mm. 45-50.
Numero dei segmenti 115-122.
(1) PERRIER, Recherches pour servir à l’hist. des Lombriciens terrestres ,
en Nouv. Arch, du Muséum d’Hist. nat., t. VIII, 1872.
(2) Eisen, Om Skandinaviens Lumbricider in Ofo. af. k. Vetenskaps.
Akad. Forhandlingar XII Argangen, 1873.
DESCRIZIONE DI DUE NUOVI LUMBRICI Daria
Colore bianco-carneo un po’ sporco per la grande traspa-
renza della pelle, anteriormente più roseo; clitello carneo-ranciato.
Forma cilindrica, anteriormente conica, posteriormente atte-
nuata, ma non depressa.
Lobo cefalico continuantesi in un prolungamento largo, qua-
drato che taglia metà del primo segmento.
Clitello molto rigonfio e liscio, occupante 8 o 9 segmenti (28,29
— 36). Esso giunge inferiormente sino a metà dell’intervallo
fra le setole dorsali e le ventrali.
Tubercula pubertatis sulla linea che limita inferiormente il
clitello; sono 4 per lato occupando i segmenti 32, 33, 34, 35;
benchè poco rigonfi essi sono ben visibili e si toccano l’un l’ altio;;
sono allungati trasversalmente” con un poro in mezzo.
Aperture sessuali maschili al 15° segmento, con margini così
rigonfi da interessare sino a due segmenti contigui anteriormente
e posteriormente.
Setote strettamente geminate.
Questo lumbrico non è molto vivace, irritato emette dai pori
dorsali un liquido pagliarino-chiaro inodoro.
Ho ricevuto questa specie dai contorni di Siena nel no-
vembre 1882 per cortesia del Dr. Arturo Marcacci.
La descrizione che dà 1’Hoffmeister del Lumbricus communis
potrebbe anche convenire a questa specie, sebbene niuna delle
| varietà stabilite in quelle specie risponda interamente ai carat-
teri della nostra.
Il L. communis oramai non è più ammesso ; l’Eisen vi distinse
già due forme, l’AMolobophora turgida e VA. mucosa. Quest'ultima
forma si avvicina alla nostra, ma basta già a distinguerla da
| questa la diversa posizione dei tubercula pubertatis, che per la
loro grande costanza forniscono un eccellente carattere specifico.
Nessuna delle altre specie di AZlolobophora descritte dal-
l’Eisen o dall’Orley (1) può confondersi colla nostra.
Anche nelle descrizioni anteriori ad Hoffmeister non ho visto
la possibilità di un’identificazione con qualche specie antica. La
specie antica più vicina alla nostra è forse ancora il L. tra-
pezoides Duges, che però sembra piuttosto corrispondere all’A.
turgida di Eisen, L. communis var. carnea Hoffm.
(1) ORLEY, Beitrige eur Lumbricinen- Fauna der Balearen in Zoolog.
Anzeiger 30 Mai 1881.
IT DANIELE ROSA
Gen. DENDROBAENA,
EIsEN, loco citato.
Dendrobaena Camerani n. sp.
Lunghezza mm. 32.
Numero dei segmenti 80.
Colore (nell’animale conservato in alcool) grigio-olivastro,
più scuro anteriormente, inferiormente e carneo sul clitello.
Corpo cilindrico coll’estremità anteriore notevolmente acu-
minata, posteriormente attenuato, ma non depresso.
Lobo cefalico arrotondato diviso per un solco trasversale da
un prolungamento quadrato che taglia un terzo del primo seg-
mento, il quale è più lungo del secondo segmento. *
Clitello occupante sei segmenti (29-34). Esso giunge sino
alle setole esterne delle paia ventrali; però anche sulla faccia
ventrale gli anelli del clitello si distinguono per essere più chiari
e rigonfii.
Dei tubercula pubertatis non vidi traccia.
Orifizii maschili al 15° segmento con margini poco rigonfi.
Setole non geminate, ma distanti. L'intervallo mediano dorsale
e ventrale sono i maggiori, gli intervalli fra le singole setole d'un
paio e fra le paia superiori e le inferiori sono minori e quasi
uguali fra loro.
Di questa specie ho visto solo esemplari in alcool portatimi
dal mio collega ed amico Dr. Lorenzo Camerano, al quale questa
specie è dedicata. Essi furono raccolti da lui presso il Castelsee in
Val Formazza (Ossola, Piemonte) ad un’altezza di circa 2200 m.
sul livello del mare.
Il genere Dendrobaena è caratterizzato specialmente dall’avere
le setole non geminate. L'Eisen descrive di questo genere una
sola specie, la D. Boceckii. Questa specie si distingue subito
dalla nostra pel suo lobo cefalico che taglia tre quarti del
segmento boccale. Anzi qui è da notare che l’Eisen fa di questa
particolarità un carattere del genere, per cui la caratteristica
di questo viene ad essere alquanto variata dall’introduzione in
esso della nostra specie.
DESCRIZIONE DI DUE NUOVI LUMBRICI. bs
Il L. stagnalis Hoff., che ha pure setole distanti, differisce
da questa nuova specie per la forma del lobo cefalico e per la
statura molto superiore.
Il Duges cita quattro specie di Lumbrici a setole distanti fra
quelle che hanno le aperture maschili al 15° segmento, come
è anche carattere della Dendrobaena, e sono il L. complanatus
Duges, il L. platyurus Fitz, il L. pygmaeus Sav. e l’octaedrus
Sav. La prima è una grande specie meridionale, che non ha
nulla che fare colla nostra, l’ultima ne differisce pure per la
forma circolare del lobo cefalico e per altri caratteri; quanto al
L. pygmaeus Sav. ed al L. platyurus Fitz, sono appena da
porsi fra le species inquirendae per l'insufficienza della loro ca-
ratteristica.
174 SIACCI - COSSA — PRESENTAZIONE, COMUNICAZIONE, ECC.
Adunanza del 31 Dicembre 1882.
PRESIDENZA DEL SIG. CONTE PROF. T. SALVADORI,
PIÙ ANZIANO DEI SOCI PRESENTI
In questa adunanza il Socio Cav. Capitano F. SIaccI pre-
senta una Memoria stampata, a nome dell'Autore, sig. Capitano
Federico FALANGOLA, intitolata: « Esperienze sulla resistenza
alla flessione dei materiali da costruzione intraprese presso
le officine di costruzione del Genio militare in Alessandria »
Roma, 1882 (Estratto dal Giornale d’Artiglieria e Genio.)
Il Socio Prof. Alfonso Cossa presenta una breve comunicazione
sulla diffusione del didimio. Questo metallo, oltrechè nelle apatiti,
nella scheelite, ed in varie specie di calcare, fu pure da lui
trovato in quantità più grandi nello sfeno. della sienite del Biel-
lese, e del calcifiro di Collegno. La ripetuta associazione dei
composti di didimio a quelli di calcio in minerali omogenei e
perfettamente cristallizzati coufermano il Cossa nell’opinione che
il didimio potrebbe essere considerato, almeno nelle combinazioni
in cui è associato al calcio, come un radicale metallico divalente.
ELEZIONI DI SOCI STRANIERI. 14;
=e=—_—_—_—_—_r_r”_>y<«<«=&&;&&&>->>->>"->-->-----------.
In questa adunanza la Classe elegge a Soci Stranieri i signori
- Guglielmo THoxsoxn, della Società Reale di Londra, Professore
di Filosofia naturale nell'Università di Glasgow, e Carlo GE-
ENBAUR, della R. Accademia bavarese delle Scienze, Prof. di
Anatomia nell’ Università di Heidelberg.
L’Accademico Segretario
A. SoBRERO.
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SEDE, PRigreZao Voga arti A
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177
PREMIO BRESSA. 179
ACCADEMIA REALE DELLE SCIENZE DI TORINO
Programma del quarto premio Bressa
La Reale Accademia delle Scienze di Torino, uniformandosi alle
disposizioni testamentarie del Dottor Cesare Alessandro BRESSA,
ed al Programma relativo pubblicatosi in data 1° Gennaio 1881,
annunzia che col 31 Dicembre 1882 si chiuse il Concorso per
le opere scientifiche e scoperte fattesi nel quadriennio 1879-82,
a cui erano chiamati Scienziati ed Inventori di tutte le Nazioni.
Contemporaneamente essa Accademia annunzia che a comin-
ciare dal 1° Gennaio 1883 sarà aperto il Concorso al quarto
premio BrEssA, a cui, a mente del Testatore, SARANNO AMMESSI
I SOLI ITALIANI.
Questo Concorso sarà diretto a premiare quell’Italiano che
durante il quadriennio 1881-84 « a giudizio dell’ Accademia
» delle Scienze di Torino, avrà fatto la più importante scoperta,
» 0 pubblicato l’opera più ragguardevole in Italia, sulle scienze
» fisiche e sperimentali, storia naturale, matematiche pure ed
» applicate, chimica, fisiologia e patologia, non escluse la geologia,
» la storia, la geografia e la statistica ».
Esso verrà chiuso coll’ultimo Dicembre 1884.
La somma destinata al premio sarà di lire 12000 (dodicimila).
Nessuno dei Soci nazionali Residenti o non Residenti del-
l'Accademia Torinese potrà conseguire il premio.
Torino, 31 Dicembre 1882.
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IL PRESIDENTE
E. RICOTTI
IL SEGRETARIO IL SEGRETARIO
della Classe di Scienze fisiche, della Classe di Scienze morali,
matematiche e naturali storiche e filologiche
A. SosrERo Gaspare GORRESIO
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CLASSE
DI
Gennaio
1883.
183
| CLASSE
DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 14 Gennaio 1883.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI
DIRETTORE DELLA CLASSE
—___-
M Il Socio Prof. Enrico D’Ovipio, a nome del Socio Prof. An-
gelo GeNoccHI, presenta alla Classe il primo fascicolo del nuovo
giornale di matematica « Acta mathematica », inviato in omaggio
all’Accademia dal Redattore Prof. G. MirtAG-LEFFLER.
Questo giornale si pubblica a Stoccolma ed accoglie lavori
in varie lingue. L'incremento che nei paesi del Nord hanno preso
negli ultimi anni gli studi matematici, l’attività e l’ingegno ben
noti del giovine Professore che redige il nuovo periodico, il mu-
nifico aiuto che a questo presta il Re di Svezia e Norvegia, la
collaborazione promessa di illustri matematici de’ varî paesi,
| ispirano piena fiducia nella vitalità degli Acta mathematica, e
sull’utilità che ne ritrarranno gli studi anche fuori del paese in
cui si pubblicano.
Il primo fascicolo del nuovo giornale contiene i seguenti
articoli :
Teoria dei gruppi fuchsiani, di Porncari (in francese).
Sulla teoria delle rendite vitalizie, di MALMSTEN (in te-
desco).
184 A. GENOCCHI - PRESENTAZIONE ECC.
Sopra un metodo di approssimazione nel problema dei tre
corpi, di GyLDEN (in tedesco).
Il problema delle configurazioni, di REYE (in tedesco).
La Classe accoglie il dono del Prof. MirtAG-LEFFLER, ed
esprime i migliori augurî al nuovo giornale.
-
Il Socio Prof. Giulio BizzozERo presenta e legge la seguente
Memoria dei Professori L. GRIFFINI e F. TROMBETTA, dell’ Uni-
versità di Messina.
CONDRO - CARCINOMA: PRIMITIVO
DELLA
GHIANDOLA SOTTOMASCELLARE.
Nelle ghiandole salivari furono abbastanza frequentemente
osservate delle forme miste di tumori, condro-missomi, condro-
sarcomi e condro-carcinomi. Questi tumori misti furono bene stu-
diati nella ghiandola parotide e si è constatato che essi di rado
danno metastasi. Per la ghiandola sottomascellare le nostre co-
gnizioni in proposito sono assai limitate e probabilmente ciò di-
‘pende .dalla estrema rarità con cui si presentano tumori maligni
primitivi di questa ghiandola, mentre i tumori secondarii sono
abbastanza frequenti. Fu infatti solo notato qualche caso di
condro-sarcoma e di condro-missoma, e, se si esclude un caso
molto discutibile che Gluge vuol ammettere come carcinoma pri-
mitivo della ghiandola sottomascellare , tutti gli altri tumori
appartengono alla classe dei condromi o degli adeno-condromi.
La denominazione di adeno-condroma proposta da Nepveu (1)
per una forma di tumori della ghiandola sottomascellare da lui
e da altri osservata, sarebbe anche dal lato clinico giustificata
in quanto che in tali tumori non vi fu metastasi. Ora a noi
occorse nell’ 80 di osservare un tumore della ghiandola sotto-
mascellare che ha molta rassomiglianza, specialmente nelle parti
di recente formazione, cogli adeno-condromi, ma che dimostrò un
alto grado di malignità, per la qual cosa come anche per la sua
va “ala ialieriali
pre
(1) Mémoires de chirurgie, par le Docteur G. Nepveu. Paris, 1880.
186 1. GRIFFINI E F. TROMBETTA
struttura istologica, devesi porre nella classe dei condro-carcinomi.
E siccome non ci fu possibile di trovare registrato nella lette-
ratura un caso somigliante al nostro, così noi crediamo oppor-
tuno darne una minuta descrizione, sperando con ciò di poter
contribuire alla conoscenza dei tumori primitivi maligni di questa
ghiandola. =
- Storia clinica.
Angela Sparacino, di anni 56, di Fiumidinisi, di professione
solatrice, entra nella Clinica Chirurgica di Messina l’11 di-
cembre 1880.
Questa donna non offre nulla d’importante nella sua anamnesi
remota. Perdè il padre in tarda età per malattia febbrile, così
anche la madre; dei fratelli e delle sorelle nessuno affetto di
neoplasia; negli ascendenti, nè tumori delle parti visibili, nè
scoli vaginali fetenti, che avessero potuto far nascere sospetto
di neoplasia uterina. Piccola, non soffrì morbi di grande impor-
tanza, mestruò a 16 anni, a 20 andò a marito ed. ebbe 10
parti tutti a termine. Dei suoi 10 figli ne vivono 7 tutti sani,
2 morirono nell’età infantile per convulsioni, 1 più grandicello
con febbre.
Sedici anni or sono, dopo i travagli del parto, la donna si
accorse che al di sotto ed un po’ al di dentro dell’angolo si-
nistro della mascella inferiore erasi formato un tumoretto grosso
quanto una mandorla. (Questo tumoretto, mobilissimo e sempre
indolente, durò tale fino a 6 mesi fa, nè aumentò di volume
pei parti successivi, nè al tempo della menopausa, avvenuta 4
anni or sono, nè per altre cagioni. All’epoca sopra indicata, senza
causa apprezzabile, il tumore divenuto alquanto dolente, cominciò
a crescere ed acquistò in breve tempo tanto sviluppo da assu-
mere il volume ch’esso presentava quando l’inferma fu ammessa
in clinica. È curioso notare, che col crescere del tumore l’in-
ferma cominciò parimente a sentire forte dolore alla regione po-
.steriore del collo, dolore che persistette fino al tempo della
operazione e limitavasi a sinistra, cioè dal lato ove era il tumore,
alla sola spalla, mentre a destra irradiavasi in tutto l’arto su-
periore corrispondente, percorrendo il tragitto del radiale ed
accompagnantesi con senso di formicolio alle dita della mano.
21 pet dr pra
CONDRO-CARCINOMA PRIMITIVO ECC, 187
Fuori dell’ospedale le furono applicate delle coppe scarificate
alla nuca ed alquante mignatte sul tumore, senza per questo
che il dolore sparisse e che il tumore si arrestasse nel suo cam-
mino invadente.
Venuta l’inferma in clinica ecco quanto abbiamo potuto os-
7 servare: Donna di media statura e di buona costituzione, ha
scarso il pannicolo adiposo, ed alquanto scolorite le mucose e
la pelle. Le facoltà mentali e gli organi dei sensi integri, nor-
mali tutti gli altri organi, se togli un po’ di afonia che l’in-
ferma aveva cominciato a notare poco tempo prima di venire da
noi. Non vi sono glandule linfatiche ingorgate, nè al collo nè
in altri punti del corpo. Le gengive, in corrispondenza dei quattro
incisivi inferiori, sono tumide, iperemiche, ma non indurate. La
regione sopraioidea sinistra è la sede di un grosso tumore, il
quale oltrepassa in giù di qualche centimetro i limiti della re-
gione, poggia in dentro sul bordo esterno della cartilagine tiroidea,
senza far corpo con essa, in fuori sulla branca sternale dello
sterno-cleido-mastoideo, col quale non contrae alcuna aderenza,
ed in sopra inglobando l’angolo sinistro della mascella col quale
fa corpo, si estende nella parte più bassa della regione masse-
. terina.
Più difficile è determinare i limiti posteriori del tumore.
Esso si spinge indietro fra i tessuti del pavimento della bocca
e della regione laterale sinistra del collo, senza che se ne pos-
sano cogliere con chiarezza i confini. Alla semplice ispezione
‘ oculare non si nota alcuna sporgenza anormale nella cavità della
bocca, percorrendo col dito il pavimento di essa si sente però,
verso l'angolo della mascella, un cercine fibroso che aderisce
coll’osso e pare faccia corpo con esso, ed oltre a ciò, in corri-
spondenza del dotto di Wharton, un cordone fibroso che si spinge
‘indietro verso la base della lingua. Il bordo alveolare è del
tutto normale, la pelle che copre il tumore è facilmente spo-
stabile ed anch’ essa normale. Il tumore ha una superficie liscia
‘ed una forma regolarmente convessa, se togli un tubercolo sa-
liente verso l'angolo della mascella ed altri due piccoli nodi
sporgenti in vicinanza della cartilagine tiroidea: esso è in ge-
nerale duro e di consistenza fibrosa; alquanto più duro e di
consistenza quasi cartilaginea in corrispondenza dei noduli di
sopra indicati. L’ago da agopuntura spinto con forza lo attra-
versa da banda a banda, senza incontrare in alcun punto resi-
DI
188 L. GRIFFINI E F. TROMBETTA
stenza ossea, ovvero lamelle di tessuto calcificato. A livello della
branca orizzontale della mascella, l'ago, spinto orizzontalmente
da fuori in dentro verso il pavimento della bocca è trattenuto
dall’osso che appare normale.
Il diametro ,maggiore del tumore è obliquo e si estende dal
bordo superiore della cartilagine tiroidea alla branca montante
del mascellare inferiore ; il diametro trasverso a livello del bordo
inferiore della mascella conta 8 cent. di lunghezza, 9 ne conta
il diametro verticale.
Diagnosi. — Dopo quel che abbiamo detto non era facile for-
mulare una diagnosi esatta. Lo sviluppo del tumore da quel
nodulo della regione sopraioidea, che per tanto tempo rimase
mobile, escludeva del tutto l’idea ch’esso avesse potuto avere.
origine dal mascellare inferiore; l'ispezione dell’ osso da parte
della bocca e l’esame fatto coll’ago faceano chiaramente vedere
che il tumore inglobando quella parte della mascella non avea
coll’osso che semplici rapporti di vicinanza. Esso erasi adunque
sviluppato o in uno dei gangli cervicali, ovvero nella glandula
sottomascellare sinistra. Ma qual'era la sua natura ?
L'assenza di affezioni carcinomatose della bocca o della faccia
ci faceva escludere il carcinoma secondario dei gangli cervicali
o della sottomascellare; la durezza del tumore, la mancanza
quasi completa del dolore, l'assenza d’ingorgo delle glandule
linfatiche circonvicine, ci fece escludere a prima giunta il car-
cinoma primitivo della sottomascellare, affezione del resto ripu-
tata da tutti rarissima. Il condroma semplice potea essere escluso
per la consistenza varia del tumore e per la sua poco delimi-
tabilità dai tessuti circonvicini, non ci restava quindi che ammet-
tere o l’adeno-condroma o il fibro-condroma, sia della glandula
sottomascellare, sia di qualcuno dei gangli cervicali. Ma anche
qui noi trovammo delle difficoltà. Dallo studio accurato dei casi
riferiti da Nepveu sotto la denominazione di adeno-condromi della
sottomascellare, si può rilevare come tutti quei tumori che furono
studiati sul vivente (Oss. I, VI, VII. VIII, IX?, X, XI?, XII) (1)
si spostavano facilmente sui tessuti profondi. Nel caso nostro, a |
parte dell’immobilità procurata al tumore dai rapporti da esso
contratti colla mascella, non delimitavasi facilmente nè in basso,
(1; Nepvevu, l. c., p. 294 e seguenti.
CONDRO-CARCINOMA PRIMITIVO. ECC. 189
nè indietro, nè profondamente dal lato della bocca, ciò che ci
faceva esitare non poco nello stabilire la diagnosi anatomo-
patologica. Quanto alla sede, quel prolungamento fibroso sul
i pavimento della bocca, nella direzione del dotto di Wharton, ci
i fece inclinare ad ammetterla piuttosto nella glandola sottoma-
. scellare.
Mentre faceansi questi studi, un fatto nuovo si aggiunse, che,
secondo noi, dovea spargere molta luce sulla diagnosi. Dal 20
dicembre in poi, essendo preceduti alcuni doloretti lungo la
branca orizzontale sinistra della mascella, si cominciò ad osser-
vare un ingrossamento in quel tratto di mascella ove, all’entrare
dell’inferma in clinica, fu notata la tumefazione e l’arrossamento
delle gengive. i
ai Questo nuovo tumore della sinfisi del mento crebbe in pochi
giorni in guisa da prendere tutto quel tratto di mascella com-
presa fra i due primi falsi molari e da sporgere innanzi nel
_ solco mento-labiale, ed indietro verso la base della lingua. L’ar-
cata alveolare in corrispondenza del tumore si rammollìi alquanto,
gl’incisivi inferiori divennero mobili e quasi cadenti.
Fra il nuovo tumore e quello principale dianzi descritto, non
vi era connessione di sorta, il tatto non scopriva alcun tratto di
tessuto indurato sia lungo la mascella, sia nelle parti molli poste
al di fuori ed al di dentro di essa. Dopo la comparsa di questo
ultimo tumore l’inferma divenne triste, era silenziosa e quasi
ebete; mangiava di mala voglia e mal volentieri lasciava il suo
letto.
Ora quale relazione potea esistere fra i due tumori? Era
quest’ ultimo indipendente dal primo, ovvero era esso legato con
‘quello in connessione genetica? Dappoichè l’esame diretto esclu-
deva una propagazione per contiguità di tessuto, sia per la via
dell’ osso sia per quella dei tessuti molli visibili, non restava
altro che ammettere una propagazione a distanza, la quale nel
caso nostro non avrebbe potuto essere possibile che per la via
dei vasi o per quella del nervo. Or siccome il tumore della
| parte mediana del mascellare avea l’aspetto di un sarcoma, e
siecome non vi è che questa specie di tumore che possa restare
| per moltissimi anni stazionaria, assumere poi un rapido sviluppo
ed invadere per la via dei vasi i tessuti più o meno lontani,
senza portare alcuna infezione nei gangli linfatici vicini, noi non
esitammo a fare la diagnosi di condro-sarcoma della glandula
a
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®
dl
r
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190 L. GRIFFINI E F. TROMBETTA
sottomascellare con sviluppo di sarcoma secondario nella parte
mediana della mascella inferiore.
Stabilita questa diagnosi ci determinammo per l’operazione,
la quale, com'è ben naturale, non potea limitarsi alla rimozione
del solo tumore, ma dovea comprendere tutta la parte mediana
della mascella di già ammalata, e tutto quel tratto inglobato
dal tumore che per la diagnosi fatta non potea essere in alcun
‘nodo risparmiata. Si decise quindi di rimuovere il tumore in-
sieme a quella parte del mascellare inferiore compresa fra il
secondo molare di destra e l’ultimo molare di sinistra, separando
su questo lato la branca orizzontale della mascella dalla branca
ascendente.
L'operazione fu eseguita senza cloroformizzare l’inferma. Per
perdere sangue quanto meno fosse possibile, si fece dapprima
la resezione dell’osso mercè due piccole incisioni parallele al bordo
della mascella nei due punti estremi accennati di sopra; indi si
fece una incisione che unendo le due precedenti seguiva a destra
il bordo della mascella, passava sulla parte più prominente del
tumore e raggiungendo l’ estremo limite posteriore di questo si
ripiegava in sopra da raggiungere quasi il lobulo dell’orecchio ;
un’ altra incisione incrociava la precedente quasi ad angolo retto
e portavasi in basso fino al limite inferiore del tumore.
Dissecati molto facilmente i lembi cutanei, passammo alla
rimozione del tratto di mascella di già mobilizzato e del tumore
che vi aderiva, asportando dal pavimento della bocca e dalle
parti profonde del collo tutti quei tessuti che ci parvero so-
spetti. L'operazione fu estremamente laboriosa, il tumore non era
delimitato da alcuna capsula fibrosa; inglobata completamente
la glandula sottomascellare, si estendeva lungo il dotto di Wharton
e mandava prolungamenti verso i grossi vasi del collo. La guaina
dei vasi carotidei era già presa, la carotide esterna era quasi
tutta in esso compresa. Un gran numero di arterie e di vene
furono tagliate fra. due legature, si legò la carotide esterna e
si tagliò l’ansa del grande ipoglosso. La dissezione fu fatta prin-
cipalmente per mezzo di istrumenti ottusi e più specialmente
‘mercè l’aiuto di due pinzette. Si legarono preventivamente quei
‘tratti di tessuto che faceano sospettare la presenza di vasi.
Ottenuta l’emostasi definitiva legando con fili di catgut anche
i più piccoli vasellini, si lavò la vastissima piaga, prima con
‘acqua fenicata al 5 p. °/, e poi col liquido emostatico di Ca-
-
raprtetmmonne pe
bere Rd vESP>
Di
CONDRO-CARCINOMA PRIMITIVO ECC. 191
podieci, e si riunì la ferita cutanea mercè 20 punti di sutura
intercisa. La parte inferiore del cavo orale fu imbottita con al-
quanto cotone fenicato, la lingua fu assicurata mercè un’ansa
di filo di argento che, attraversandone la base fu a sua volta
legata a quel tratto di mascella ch'era stata risparmiata.
Ad onta di tutte le precauzioni adoperate, la perdita del
sangue fu molto considerevole; l’inferma era grandemente ab-
battuta e tendeva al sopore. Portata a letto le si diede del vino
e dei brodi.
Un’ ora dopo dell’ operazione esce dalla bocca del sangue
misto a saliva ed a muco in quantità da imbrattare più panni.
Si toglie il cotone e se ne mette dell’altro imbevuto nel liquido
di Capodieci e cessa la transudazione sanguinolenta.
L’inferma non può prendere che poco latte, non può par-
lare, ma coi cenni fa intendere di sentirsi soffocare; la lingua
è al proprio posto.
La sera si sente molto male, inghiotte con stento, il polso
è piccolo, frequente e può a mala pena contarsi; la respirazione
è stertorosa. Si somministra una mistura eccitante.
L'inferma passa molto male la notte; alla visita del mattino
troviamo la respirazione più stertorosa della sera, il polso è
appena percettibile, un sudore freddo vischioso copre il suo corpo.
Alle ore 9 '/, a. m., 22 ore cioè dopo l'operazione, viene la
morte.
Quanto alla morte dell’inferma non è facile darne una spie-
gazione adeguata. L’ emorragia fu considerevole, ma poi non
tanta da spiegare la morte. Questo ci sembra il caso. d’invo-
care lo scok, e insistiamo tanto più su questo in quanto che
al giorno d’oggi pare si voglia porre da banda la così detta
morte per scok od esaurimento nervoso in seguito alle grandi
operazioni e si tenda a metterla sul conto dell’etere e del clo-
roformio, ovvero sul conto delle sostanze antisettiche adoperate
durante e dopo l'operazione. Nel caso nostro l’inferma non ri-
cevette anestetici di sorta e della soluzione fenica al 5 p. °/, non
sì fece uso che una volta sola per lavare alla fine dell’operazione
la vasta ferita.
L’autopsia fatta 24 ore dopo la morte ci diede i seguenti
risultati :
Abito esterno. — Colorito generale della cute cadaverico
‘normale, nutrizione generale ancora buona, nessuna deformità
192 L. GRIFFINI E F. TROMBETTA
scheletrica, rigidità cadaverica ancora esistente negli arti infe-
riori e nel superiore sinistro, mentre nel destro è interamente
scomparsa. Cute del capo ed organi dei sensi normali. Esiste
una larga ferita, riunita da sutura a punti intercisi, che va dal
lato destro del mento verso sinistra sul lato corrispondente del
collo fino a 2 centim. in sotto del lobulo dell’orecchio del me-
desimo lato: in corrispondenza di questa si ha un infossamento
dovuto alla mancanza di un pezzo di mascellare inferiore. Torace
di forma normale, mammelle poco sviluppate, floscie. Sulle pareti
addominali dall’ombellico al pube si notano smagliamenti epi-
teliali molto pronunciati, e agli inguini macchie verdastre. La
cute degli arti inferiori e superiori è normale.
Capo. — La cute della volta cranica ed il pericranio sono
normali. La forma del cranio è dolicocefalica. Esistenti ancora le
suture, frontoparietale, biparietale, temporo-parietali e lambdoidea,
nulla di anormale alle due superficie delle ossa della volta cra-
nica ; lo spessore ne è alquanto aumentato specialmente a spese della
diploe. Dura madre alquanto inspessita, ma a superficie levigate
splendenti, nessun coagulo nel seno longitudinale. Leggiero tra-
sudamento sieroso nelle pie meningi, le quali in alcuni punti
appaiono leggermente opacate. Consistenza, colorito delle circon-
voluzioni cerebrali e del cervelletto normali. Contenuto sanguigno
della sostanza cerebrale degli emisferi normale. Ventricoli late-
rali normali per ampiezza e contenuto. Tela coroidea e plessi
normali. Corpi striati e talami ottici pure normali. Quarto ven-
tricolo, cervelletto, vasi della base, protuberanza anulare e mi-
dollo allungato normali.
Addome e torace. — Pareti addominali e toraciche normali.
Numerose e forti aderenze tra la pleura parietale e viscerale
d’ambo i lati, tra questa e il pericardio. Nei due cavi pleurici
poco liquido giallo citrino, trasparente. Pericardio e liquido con-
tenuto normali. Notevole quantità di adipe sotto epicardico. Nel
ventricolo sinistro sangue fluido ed oscuro: l’orecchietta destra
e sinistra appaiono distese e contengono grossi coaguli fibrinosi e
grumi di sangue. Cuore alquanto aumentato di volume. Sufficienti
le semilunari aortiche e della pulmonale. Orifizi atrio-ventricolari
‘normali; le pareti del ventricolo sinistro sono aumentate di spes-
sore e misurano 10 mm. alla base, 13 a metà, 6 verso l’apice;-
quelle del ventricolo destro sono normali. Cuspidi della mitrale
alquanto inspessiti: normali quelli della tricuspidale, non che le
TE enel
per
base lA 00
GCUNDRO-CARCINOMA PRIMITIVO ECC. 193
semilunari aortiche e della polmonale. Placche ateromatose sul-
l'origine dell'arco dell’ aorta. Colorito bruno del miocardo del
ventricolo sinistro. Il polmone sinistro presenta sulla sua super-
ficie anteriore e posteriore numerosi noduli duri, grigiastri, e
nello spessore dell'organo si rileva colla palpazione l’esistenza di
nodi simili. Sulla superficie del taglio si mostrano di aspetto
cartilagineo; alcuni però, meno duri e grigio-rossigni offrono una
superficie granulosa. Oltre ciò presenta: enfisema del lobo su-
periore, edema moderato del lobo inferiore. Aderenze di antica
data riuniscono i lobi del polmone destro: sulla superficie e nel-
l'interno di esso esistono gli stessi noduli notati nella pleura e
polmone sinistro. Enfisema dei bordi anteriori e focolai di pol-
monite catarrale nel lobo inferiore e porzione del superiore. Le
ghiandole bronchiali, aumentate di volume, offrono nel loro spes-
sore dei noduli di varia grossezza, di color grigio rossigno, a
superficie del taglio granulosa.
Milza. — Capsula leggermente ispessita , polpa alquanto
pallida. Lunghezza cent. 14, larghezza 7. spessore 22 millimetri.
Reni. — Il rene sinistro è di volume, colorito e consistenza
normale. Capsula alquanto ispessita, si distacca difficilmente
portando seco della sostanza corticale, nello spessore della quale
notansi molte cisti colloidee. La sostanza corticale è iperemica.
Stesso reperto pel rene destro.
Fegato. — Diametro trasversale 28 cent., massimo verti-
cale 19, spessore mass. 6. Aspetto noce moscata della superficie
del taglio.
Genitali. — Vescica normale. Leggera metrite catarrale
del collo.
Regione del collo. — Preparate le regioni anteriore e la-
terale del collo si trova tra l’aponeurosi media del collo e la
faccia anteriore della tiroide uno strato di tessuto bianco gial-
liccio, dello spessore di 1 millimetro, il quale assottigliandosi si
diffonde intorno la tiroide e poi si propaga in giù nella fossetta
giugulare. Gli strati più superficiali di questo tessuto in molti
punti appaiono rossastri, come infiltrati di sangue. Preparando
la guaina nerveo-vascolare si trova la carotide primitiva e V’in-
terna, la giugulare interna del tutto normali. La carotide esterna
invece è legata 2 '/, centim. al disopra della sua origine. Il nervo
vago è del tutto normale. La carotide esterna e l’interna sono
di piccolissimo calibro. La parotide sinistra appare normale. Pure
194 L. GRIFFINI E F. TROMBETTA
normale la ghiandola sottomascellare e parotide destra. Alcune
ghiandole cervicali sono ingrossate e nello spessore del loro pa-
renchima si osservano piccoli tratti di colore grigio-rossigno.
Esame del tumore.
Il tumore, asportato con un pezzo della branca orizzontale
del mascellare inferiore, trovasi situato al margine inferiore ed
in parte sulla faccia interna del mascellare, al quale è unito
mediante tessuto fibroso. Si estende dall’angolo, che formano la
branca verticale ed orizzontale del mascellare, fino all’altezza
del secondo premolare, e dalla sua base d'impianto si dirige in
basso, all’indentro e alquanto posteriormente. Ha la forma di
un ovoide, con superficie esterna liscia, ma non è fornito di una
capsula involgente. Misura col suo massimo diametro, orizzontale,
5 cm.; col verticale 3 '/,, ed ha uno spessore massimo di 3 ‘/, cm.
Il colore della sua superficie esterna è bianco-rossigno ed in al-
cuni punti è molle, in altri molto duro. Spaccato nel senso del
suo diametro maggiore offre sulla superficie del taglio un tratto
di figura rotonda, di aspetto e consistenza del tessuto cartilagineo,
mentre tutte le altre parti della superficie del taglio sono co-
stituite di tessuto molle, rossigno, a struttura evidentemente
acinosa, che qua e là offre nel mezzo degli acini dei piccoli
punti di varia forma e di un color grigio-giallastro o giallo-
rossigno. La porzione che ha aspetto cartilagineo forma nel tu-
more un nodo irregolarmente sferico, di grandezza corrispondente
a poco più di un terzo del tumore, ed è situata verso l’estre-
mità anteriore, ed in questa eccentricamente verso la faccia in-
terna ed il margine opposto a quello col quale si unisce al
mascellare. Questo grosso nodo cartilagineo è tutt’ all’intorno
circondato dal tessuto molle, rossigno ed a struttura acinosa, il
quale occupa gli altri due terzi del tumore. All’ estremità po-
steriore del tumore è unita una piccola massa di tessuto con-
nettivo adiposo, nel quale stanno due ghiandole linfatiche della
grossezza di un pisello, le quali, spaccate, sembrano normali.
L'osso mascellare, il periostio e la mucosa delle gengive appa-
iono normali nel tratto che va dall’angolo del mascellare fino
a livello del dente canino sinistro; ma più anteriormente, ed in
corrispondenza dei 4 denti incisivi, si osserva sulle due faccie
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Prey DADA ei
CONDRO-CARCINOMA PRIMITIVO ECC. 195
del mascellare una tumefazione ricoperta dalla mucosa gengivale
ed estesa dalla corona dei denti fino a metà altezza dell’osso.
I denti incisivi compresi nella parte tumefatta sporgono sul li-
vello dei vicini un mezzo centimetro. Spaccando, tra due denti
la parte tumefatta insieme all’osso, si trova che essa si impianta
sull’osso il cui margine superiore è distrutto, e che colla sua
estremità inferiore si insinua nel cavo midollare; l’osso quindi
non figura quivi che coi */; inferiori. Questa porzione tumefatta,
considerata nella sezione trasversale, ha figura ovale con un
diametro verticale massimo di 2 '/, cm., ed uno trasversale di
2 cm. È ricoperta superiormente dalla mucosa gengivale ed in
tutta la sua massa è formata da tessuto molle, rossigno, a strut-
tura acinosa interamente eguale a quello del tumore primitivo.
La porzione del nervo dentario, che sta racchiusa nel canale
osseo, appare di volume normale.
Coll’esame microscopico del tumore, fatto a fresco su pre-
parati per dilacerazione e sopra sezioni, si è potuto constatare
che nelle sue parti aventi aspetto cartilagineo si aveva la strut-
tura di un tessuto cartilagineo in piccola parte jalino e nella
massima parte a cellule grandi a molti prolungamenti ramificati,
e che nelle altre porzioni del tumore si aveva uno stroma con-
nettivo evidentemente a struttura alveolare, i cui alveoli erano
ripieni di cellule a grosso nucleo, con protoplasma dilicato e a
limiti così poco determinabili, che non era possibile giudicare
con sicurezza se si trattasse piuttosto di elementi cellulari con-
nettivi od epiteliali e quindi di un sarcoma alveolare o di un
carcinoma. L'esame successivo, dopo trattato il tumore con li-
quido di Miiller, alcool a 70° e 90°, fatto sopra larghe e sottili
sezioni delle varie parti del tumore, ci ha fatto meglio cono-
scere la struttura. Esaminando con un piccolo ingrandimento le
larghe sezioni colorate corrispondenti alle parti che nel fresco
apparivano grigio-rossigne e molli, si vedono spiccare delle grandi
masse di forma irregolare tendente alla rotonda, ed ovale più
o meno allungata, i cui limiti sono segnati da una serie di linee
curve a convessità rivolta alla periferia della massa. Esse hanno
quindi nel loro assieme una configurazione acinosa e la massima
parte di esse racchiude nelle parti centrali una massa di un
materiale di color grigiastro, di configurazione svariata, che non
si colora coll’ematossilina e col carmino o solo assai poco e
diffusamente. Queste grandi masse sono separate da abbondante
prano:
196 L. GRIFFINI E F. TROMBETTA
tessuto connettivo fibrillare stipato, in cui si osservano qua e là
masse cellulari più piccole formate da uno o pochi zaffi che, nella
sezione, appaiono di forma subrotonda, ovale od elittica, e che
racchiudono pure nel centro un materiale grigiastro o grigio-
giallastro. Verso le parti periferiche del tumore si osserva in
mezzo ad abbondante connettivo fibroso dei lunghi zaffi cellulari
di forma e grossezza assai irregolare, i quali, anastomizzandosi
tra loro con numerose branche laterali, formano una elegante
rete. In tutte le sezioni, praticate in varii punti dei due terzi
di tumore non cartilagineo, si hanno imagini somiglianti alle de-
scritte, e studiandole a più forte ingrandimento si osserva che
tanto le grandi masse acinose, quanto le più piccole poste fra
esse, sono formate di cellule grandi, di forma irregolare, tendente
alla poligonale, a protoplasma finamente granuloso, fornito di
un grande nucleo che contiene dei grossi granuli ed uno o due
nucleoli splendenti. Queste cellule sono strettamente riunite tra
loro da scarsissima sostanza cementante omogenea ed hanno ca-
ratteri evidenti di cellule epiteliali. La massima parte delle
grandi masse cellulari è suddivisa in ammassi più piccoli da uno
stroma connettivo a struttura alveolare, le cui pareti sono molto
sottili. I zaffi epiteliali contenuti in ciascun alveolo hanno lo strato
di cellule più periferiche, quelle che toccano la parete alveolare,
di forma allungata e regolarmente impiantate su di essa in modo
da avere il loro massimo diametro perpendicolare alla parete che
tappezzano (Vedi la figura). Il materiale grigiastro, che occupa
le parti centrali, a forte ingrandimento risulta pure formato da
zaffi di cellule in avanzato stadio di degenerazione adiposa e tra
esse si hanno ancora traccie dello stroma alveolare, in cui si
osservano stravasi di sangue che va anche a mescolarsi coi zaffi
di cellule degenerate. Le masse più piccole, frapposte alle grandi,
sono costituite da un grosso zaffo epiteliale o da un gruppo di
pochi zaffi, e nel centro di molti di questi zaffi si nota pure un
materiale di regressione che in taluni occupa solo una piccola
parte, in altri la maggior parte del zaffo, così che le sue cellule
epiteliali costituiscono, nelle sezioni, un sottile anello che racchiude
la grossa massa del materiale di disaggregazione. ‘I lunghi zaffi
delle parti periferiche del tumore, che ramificandosi e anasto-
mizzandosi formano un’ elegante rete, risultano pure degli stessi
elementi cellulari e non solo nel loro assieme offrono un’ imagine
che. ricorda un’ iniezione di vasi linfatici, ma con un forte in-
CONDRO-CARCINOMA PRIMITIVO ECC. 197
grandimento si osserva in molti punti l'estremità di un zaffo in
diretta continuazione con uno spazio vuoto (canale) a pareti
endoteliche. Nelle porzioni del tumore corrispondenti al margine
di esso che è rivolto all'osso mascellare, si osserva qua e là tra
le grandi masse di zaffi epiteliali dei residui della ghiandola
sottomascellare, cioè scarsi lobuli ghiandolari normali o alquanto
infiltrati di cellule piccole subrotonde, molti dotti escretori ri-
pieni di un materiale jalino. Benchè noi abbiamo con molta per-
severanza ed in modo speciale rivolto lo studio a queste porzioni
del tumore, pure non ci fu dato di sorprendere i varii stadii
di passaggio colla scorta dei quali ci fosse permesso di dedurre
in modo sicuro. lo sviluppo del tumore. Abbiamo solo potuto
rilevare da un lato, che i lobi ghiandolari più vicini alle masse
del tumore hanno acini ghiandolari più grandi ed a cellule non
più trasparenti mucose, ma interamente protoplasmatiche; che
in molti punti dei lobi ghiandolari i limiti degli acini vanno
scomparendo; che alla periferia dei lobi si vedono molte cellule
epiteliali libere che invadono il connettivo interlobare, e se si
confrontano queste cellule protoplasmatiche degli acini e quelle
resesi libere con quelle dei zaffi epiteliali del tumore si trova
che la differenza è assai piccola. Dall’ altro lato rivolgendo la
nostra attenzione alle masse del tumore frapposte a questi acini
abbiamo potuto rilevare che la massima parte di esse non si
risolve in una struttura alveolare, ma appaiono come delle masse
epiteliali lobulate che nel loro assieme, ed anche per molti par-
ticolari, si lasciano paragonare a lobi ghiandolari ipertrofici, i cui
acini contengono cellule epiteliali protoplasmatiche con leggera
deviazione dal tipo normale. In alcune di queste masse cellulari
acinose che in gran parte conservano la forma di lobi ghian-
dolari, si osservano sezioni di dotti escretori ripieni di un ma-
teriale jalino.
Nelle due ghiandole linfatiche, già notate in una massa di
tessuto connettivo adiposo all’ estremità posteriore del tumore, non
si osservano zaffi cancerosi, ma una completa infiltrazione delle
trabecole con cellule rotonde e scomparsa dei seni linfatici;
inoltre qua e là, specialmente nei follicoli, delle piccole emor-
ragie. Altre due ghiandole linfatiche più grosse, trovate nel con-
nettivo fibroso che unisce il tumore all’osso mascellare, cominciano
appena ad essere invase dal tumore. In una, la più grossa, si
osservano varii zaffi cancerosi che penetrando per l’ilo si spingono
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 14
die i iis it
198 IL. GRIFFINI E F. TROMBETTA
nel mezzo fin contro la parte corticale, mentre nell'altra è presa
soltanto la sostanza corticale di una estremità della ghiandola.
Molti zaftfi del tumore hanno pure invaso il connettivo fibroso
che contiene le due ghiandole linfatiche.
La porzione cartilaginea del tumore risulta formata da nu-
merosi nodi di varia grossezza, di forma rotonda circondati da
tessuto connettivo che ha l’aspetto di un pericondrio, nel quale
si osservano dei zafti epiteliali e qualche dotto escretore. I sin-
goli nodi sono per lo più formati da tessuto cartilagineo misto,
jalino ed a cellule stellate con prolungamenti ramificati, pochi da
tessuto fibro-cartilagineo.
Le sezioni praticate sulla porzione tumefatta del mascellare
(previa decalcificazione) mostrano in ogni punto uno stroma al-
veolare, con alveoli ripieni di cellule interamente eguali a quelle
del tumore principale. La mucosa gengivale assottigliata e infil-
trata di cellule rotonde è pure invasa da zafti epiteliali, e nelle
parti mediane ed inferiori di questa porzione si osservano tra-
. becole ossee a canali Haversiani assai dilatati e ripieni di cellule
cancerose. Nessuna traccia di tessuto cartilagineo.
La porzione del nervo dentario, che è racchiusa nel canale
osseo, esaminata sopra sezioni trasversali, non offre cellule del
tumore ne’ suoi spazii linfatici peri ed endonervosi; solo in al-
cuni punti, in cui la guaina del nervo aveva contratto aderenza
col periostio del canale dentario, sì osservano delle piccole masse
del tumore aderenti alla guaina stessa; quivi i fasci di fibre
nervose sono alquanto schiacciati e nel connettivo interfascicolare
si osservano piccoli stravasi di sangue. L'esistenza nelle vicinanze
del tumore principale di ghiandole linfatiche già invase da zaffi
epiteliali, e 1 fatti finora constatati, specialmente da Colomiatti;
riguardo la diffusione dei carcinomi lungo gli spazii linfatici dei
nervi (la quale si fa sempre in direzione centripeta) dovevano
già a priori lasciarci credere che il nodo secondario sviluppatosi
sulla porzione mediana del mascellare inferiore fosse il risultato
di una metastasi fattasi per la via dei comuni linfatici, anzichè
per quella dello speciale sistema linfatico dei nervi.
Delle ghiandole cervicali, prese dal cadavere, tre sono par-
zialmente invase dal tumore, ed è qui notevole l'abbondanza di
zaffi che racchiudono nel loro centro una grande massa di ma-
teriale giallastro di regressione, e di pochi altri zaffi nel cui
centro si osserva un bel reticolo di fibrina nelle cui maglie vi
I nd 1°
mf awe
CONDRO-CARCINOMA PRIMITIVO ECC. 199
sono dei globuli rossi. Molte ghiandole linfatiche bronchiali sono
pure prese dal tumore ed offrono nelle sezioni le stesse parti-
colarità di struttura. Le osservazioni fatte riguardo l’origine del
materiale giallastro, che si trova nel centro della massima parte
dei zaffi cancerosi, ci inducono a credere che esso sia il prodotto
della disaggregazione del parenchima ghiandolare in cui avven-
nero delle emorragie. Le cellule cancerose a principio invadono
i seni linfatici della sostanza corticale e midollare della ghian-
dola, e quivi, moltiplicandosi, comprimono i follicoli ed i cordoni
midollari, nei quali per ostacolo alla circolazione avvengono delle
emorragie. La compressione sui follicoli e cordoni midollari con-
tinua a crescere col moltiplicarsi delle cellule cancerose, per cui
mancando a quelli la nutrizione, a poco a poco, insieme al
sangue stravasato, si disaggregano e alla fine si riducono in una
massa granulosa giallastra.
Dei molti nodi secondarii trovati nella pleura e nel paren-
chima polmonare, alcuni sono formati per intero di tessuto car-
tilagineo jalino a grandi cellule isolate e aggruppate, circondate.
da grossa capsula cartilaginea, e alla periferia del nodo si os-
servano accumuli di cellule cartilaginee embrionali, nei quali le
cellule più periferiche sono strettamente avvicinate le une alle
altre, mentre quelle più interne sono allontanate da scarsa so-
stanza intercellulare jalina. Altri nodi secondarii sono formati di
tessuto cartilagineo a cellule con prolungamenti ramificati. Altri
ancora sono costituiti da una porzione centrale cartilaginea cir-
condata da zafti di cellule cancerose. Ed infine si hanno nodi di
varia grossezza formati di soli zaffi cancerosi pochi dei quali
contengono nel loro centro quel materiale giallastro o grigio-
giallastro già osservato nei zaffi del tumore primitivo e nei nodi
secondarii delle ghiandole linfatiche cervicali e bronchiali.
Lo studio di questo tumore ci porta ad alcune considerazioni
che qui brevemente vogliamo enunciare. Innanzi tutto ci dimostra
che, come nella parotide, anche nella ghiandola sottomascellare
si possono avere forme miste di condro-carcinomi primitivi. Che
il tessuto carcinomatoso nel nostro caso ebbe una spiccata pre-
valenza sul cartilagineo, e mentre il trasporto delle cellule can-
cerose si è fatto per la via dei linfatici, quello delle cellule
cartilaginee soltanto per la via dei vasi sanguigni. I molti punti
poi di somiglianza di questo tumore coi condro-adenomi prece-
dentemente osservati, e specialmente quella forma acinosa di
200 LL. GRIFFINI E F. TROMBETTA - CONDRO-CARCINOMA ECC.
molte parti di esso, che non si risolve in una vera struttura
alveolare, ci fa credere assai probabile che i condro-adenomi
formino uno stadio di passaggio al condro-carcinoma e che forse
l'asportazione fatta per tempo possa evitare la produzione di nodi
secondarii. L'osservazione di altri casi potrà chiarire questo nostro -
dubbio, che noi ora abbiamo espresso anche perchè crediamo
possa interessare il pratico.
SPIEGAZIONE DELLA FIGURA
TRE ALVEOLI presi dalla porzione carcinomatosa del tumore.
a. a. Stroma alveolare a pareti sottili.
b. Cellule carcinomatose contenute negli alveoli, di cui
le più periferiche hanno un diametro massimo per-
pendicolare alla superficie d'impianto, le altre hanno
forma irregolare e contorni poco ben distinti —
(Zeiss, oc. II, obb. D, camera lucida).
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(£4
Lit.Salussolia, Tarino
Adunanza del 28 Gennaio 1883.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
A nome del Socio Prof. Angelo GenoccHI, il Socio Profes-
sore Sracci presenta alla Classe sette fascicoli del Bullettino di
Bibliografia e Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche,
pubblicato dall’illustre Principe Boncompagni, coi quali si compie
il XIV volume, e si inizia il XV.
Questi sette fascicoli, che vanno dall’Agosto 1881 al Feb-
braio 1882, contengono gli articoli seguenti:
1° Un articolo bibliografico di E. Narducci sul volume
« Collectanea mathematica » pubblicato nel 1881 in memoria
del compianto Domenico Chelini |Agosto, 1881].
2° Bibliographie neerlandaise historico-scientifique, ete.,
par le D'. Bierens de Haans [ Settembre, Ottobre, Novembre,
_1881].
3° Sulla Storia delle scienze naturali presso gli Arabi,
pel D". Wiedemann [Novembre, 1881].
4° Notice sur un ouvrage astronomique d’Ibn Haitham,
par M" Steinschneider | Dicembre, 1881].
5° Intorno alla vita ed alle opere di Bartolomeo So-
vero, matematico svizzero del secolo X VII, per Antonio Favaro
[Gennaio , 1882].
6° Sur les deux plus anciens traités frangais d’ algo-
risme et de geometrie, par Ch. Henry - Traité d’algorisme -
Traité de geometrie [Febbraio, 1882 |.
202 F. SIACCI - PRESENTAZIONE ECC.
In questi fascicoli sono inoltre contenuti ricchissimi annunzi
di recenti pubblicazioni appartenenti ad ogni ramo delle Scienze
Matematiche e Fisiche. "ali annunzi non si limitano ai titoli
delle pubblicazioni, ma, per quanto riguarda le Raccolte, ri-
producono anche gl’indici di ogni volume o fascicolo: essi quindi
formano un singolar pregio del Bullettino, d’altronde unico nel
suo genere, ed altamente benemerito della storia delle scienze.
A nome del Socio Prof. GeNoccHI il Socio SIACcCcI presenta
anche :
1° Una Memoria dei signori Folie et Le Paige, Sur les
courbes du troisiome ordre. Bruxelles, 1882.
2° Una Nota del signor Le Paige, Sur le système de deux
formes trilinéaires. Bruxelles, 1882.
203
Il Socio Prof. Giulio BizzozErRo presenta e legge i seguenti
STUDII
SUI
CORPUSCOLI ORGANIZZATI DELL'ARIA
SULLE ALTE MONTAGNE
n
del Dottore
PIERO GIACOSA.
La ricerca dei corpuscoli organizzati dell’aria, la determina-
zione esatta della loro natura e del loro numero, il rapporto che
esiste tra questi dati da una parte e quelli della statistica delle
malattie, principalmente delle epidemiche, dall’altra, diedero luogo
da qualche anno in qua, a studii speciali diligentissimi, alcuni
dei quali (e basti citare le osservazioni quotidiane fatte all’Os-
servatorio di Montsouris vicino a Parigi) continuano regolar-
mente, sussidiati da tutti i mezzi suggeriti dal progresso della
scienza. In tal modo la flora e la fauna dell’ atmosfera sono
abbastanza conosciute, principalmente nelle gran città e nei loro
pressi; si può perfin già parlare d’una geografia botanica e
zoologica degli organismi sospesi nell’aria, poichè in Asia, in
America, in Europa queste ricerche furono intraprese con lo
stesso zelo e quasi con gli stessi metodi. Le nostre cognizioni a
questo riguardo, hanno pertanto ancora molte lacune; così, per
citarne una sola, non abbiamo idea alcuna sulla distribuzione
verticale di questi organismi, o se si hanno dei dati, essi sono
assolutamente insufficienti. L'aria delle montagne non è ancora
stata regolarmente analizzata sotto questo punto di vista, e,
ch'io sappia, s'è ancor meno studiata l’aria delle altezze, grandi
e medie, distante dalla superficie della terra.
Il lavoro di Pasteur sulla birra e quello di Tyndall, On
the floating matter of the air, contengono qualche osservazione
204 PIERO GIACOSA
sui germi dell’aria delle montagne (1): ma quei due scienziati
non hanno scelta la montagna per le loro esperienze nello scopo
di raccogliere i germi vaganti nell’aria, per determinarli, ma
bensì in quello di realizzare delle condizioni differenti da quelle
in cui essi operavano ordinariamente e soprattutto per cercare un
ambiente, che si potesse considerare come esente da qualsiasi
contaminazione. Da tali esperienze si potrebbe essere indotti a
credere che l’aria di montagna quasi non contiene germi so-
spesi, asserzione assai lungi dal vero, come si vedrà dalle mie
osservazioni.
La montagna che scelsi per le mie esperienze è il Monte
Marzo, che probabilmente dovrebbe esser chiamato Monte Marcio,
avendo le due parole lo stesso suono nel dialetto piemontese
(Mont Mars). Ciò che giustificherebbe il nome di Monte Marcio
sarebbe l'aspetto del Picco dal lato Nord, che si presenta come
una grande frana di roccie informi ammonticchiate le une sulle
altre, prodotta dalla decomposizione di strati di gneiss che costi-
tuiscono l'ossatura della montagna.
Il Monte Marzo è libero di nevi nell’estate: sulla sua cima
fioriscono perfino alcune fanerogame (Androsace, Ranunculus, Gen-
tiana, ecc.). La sua posizione vicina ai ghiacciai del Gran Para-
diso, di fronte alle grandi distese di neve del Monte Rosa, la
sua altezza di 2753 m., lo rendevano propizio agli studi che in-
traprendevo, poichè tutti i venti, tranne quelli del Sud, che
sono poco frequenti a tale epoca dell’ anno, vi portano un'aria
che ha attraversato grandi superficie di ghiaccio. Io scelsi per
le mie esperienze i primi giorni del mese di Agosto, epoca in
cui il tempo suole essere bello (2).
(1) PoucÒeT (Compt. rend., vol. LVII, p.558), volendo rifutare le idee
di PAasTEUR sulla distribuzione dei germi nell’aria, ha raccolti dei volumi
d’aria nell’interno dei ghiacciai della Maledetta. PastEUR (ibid., pag. 724),
ha dimostrato che il metodo seguito da PoucHET non è scevro da cause di
errore, per cui quelle esperienze non hanno tutto il valore che si sarebbe
tentati di attribuire loro. I palloni che ricevettero l’aria della montagna mo-
strarono tutti degli organismi.
(2) In queste esperienze fui assistito da un giovane studente, il sig. Luigi
Monpino, il quale fece parecchie volte l’escursione del Picco, portando con
me gli istrumenti ed aiutandomi ad installarli.
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L'Ieaie
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STUDII SUI CORPUSCOLI ORGANIZZATI DELL'ARIA 205
La raccolta dei corpuscoli dell’aria non si fece solo in cima
al Monte Marzo, ma bensì ancora alla sua base all’Alpe delle
Oche, a qualche metro di distanza della casa del pastore (a 2298
metri sul livello del mare) in un sito aperto verso la valle
| (direzione Sud-Est) e chiuso dagli altri lati da pareti di roccie
verticali, o da erti pendii. Feci pure degli esperimenti al piccolo
lago delle Oche, posto a 200 metri circa sopra l’Alpe dello stesso
nome, sul dorso che divide la Valchiusella dalla Valsoana.
Alla stessa epoca, amici, che avevo iniziati a tali osserva-
zioni, raccoglievano i germi dell’aria della pianura ai piedi della
Valle di Chiusella, a qualche chilometro di distanza dal Monte
Marzo nei villaggi di Samone e Colleretto Parella (240 metri
circa sul livello del mare). i
Di tutti i metodi conosciuti per la raccolta dei germi del-
l’aria, scelsi quello che consiste nel raccogliere tali germi in
liquidi nutrienti adatti al loro sviluppo. Feci però anche costrurre
due aeroscopii di Pouchet (eseguiti dietro il disegno dell’annuario
dell’Osservatorio di Montsouris per l’anno 1879, fig. 47, pag. 453)
e li posi all’estremità di un Alpenstock, uno sulla cima del Monte
Marzo, l’altro vicino all’Alpe delle Oche; ma disgraziatamente,
nel discendere dalla montagna, un passo falso mi fece rompere i
preparati che avevo fatto con quegli istrumenti.
La natura delle località scelte per le mie esperienze impe-
dendomi di servirmi di apparecchi pesanti e complicati destinati
ad aspirare, misurandolo, un volume d’aria attraverso ai tubi
destinati a raccogliere i germi, dovetti accontentarmi di lasciarli
cadere liberamente nei liquidi : ecco come operai.
Feci con un tubo di vetro di Boemia dei piccoli recipienti
in forma di pipetta chiusa all'estremità inferiore; questi tubi
(corrispondenti ai Pipette-bulbs di Tyndall: The floating matter
of the air, pag. 139, fig. 12 A) avevano da 15 a 20 cent.
di lunghezza, e il loro diametro nella parte allargata era da
17 a 18 mm. Dopo averli lavati diligentemente, li riempii a
mezzo d’acqua distillata, e li scaldai in un bagno d’acido sol-
forico fino all’ebollizione dell’acqua; nel momento in cui le
ultime porzioni di vapore uscivano fischiando, saldai col dardo
l’estremità superiore dei tubi, e li ritirai dal bagno per lasciarli
sfreddare. Preparati in tal modo più diecine di tubi, privi as-
solutamente di germi capaci di svilupparsi, li riempii dei liquidi
206 PIERO GIACOSA
destinati alla coltura. Scelsi il liquore di Cohn (1), quello di
Raulin (2) ed il brodo di carne di vitello filtrato. Per riem-
pire i tubi-pipetta ne ruppi la punta nel liquido di coltura
portato alla temperatura necessaria per isterilirlo. La pressione
negativa esistente nei tubi fece che essi si riempissero immedia-
tamente: per richiuderli seguii il metodo della prima volta im-
mergendoli in un bagno d’acido solforico scaldato a più di 100°
e chiudendo alla lampada il tubo capillare alla sua origine in
guisa da ridurre i tubi-pipette in cilindri alti da 6 a 7 cen-
timetri. Sotto questa forma i tubi possono venir trasportati con
facilità senza pericolo di rottura. Campioni di tali tubi vennero
lasciati al laboratorio, altri furono imballati nelle casse e posti
vicino a quelli destinati alle osservazioni: tutti hanno conservato
fino ad ora la perfetta loro limpidezza, ciò che prova l'assoluta
assenza di contaminazione. i
Per le mie esperienze misi nove di questi tubi (tre per
ogni qualità di liquido) in una piccola scatola di abete col co-
perchio fatto a buchi, la quale scatola venne fissata ad un al-
penstock, ad un'altezza di un metro circa al disopra del suolo.
Per aprire i tubi mi mettevo in faccia al vento e con una punta
di diamante e un carbone ne staccavo la punta che cadeva na-
turalmente spinta dalla pressione interna.
Per raccogliere il contenuto dei tubi che avevano ricevuti
i germi dell’aria, mi servivo dei medesimi tubi-pipette vuoti,
preparati nel modo qui sopra descritto: dopo averli fatto pas-
sare nella fiamma ne rompevo la punta in fondo ai tubi aperti,
e li chiudevo subito con la lampada a spirito di vino ed il cannello.
Ho descritto minutamente il mio modo di procedere perchè
da esso dipende tutto il valore di queste ricerche; credo chie
in tal modo io abbia eliminata ogni causa d’errore, e ch'io possa
esser certo che i liquidi esposti all'aria contenevano solo i germi
che vi erano caduti dall’aria stessa. 1 tubi (pieni di liquido a
coltura) erano stati ripieni in condizioni tali che si opponevano
o all'entrata o alla conservazione della vita dei germi del mio
laboratorio di Torino, e difatti al momento che li apersi (due
settimane dopo il loro riempimento) essi erano perfettamente lim-
(1) Annuaire de Montsouris, 1879, pag. 499.
(2) PastEUR, Études sur la bière. Paris, 1876, pag. 89.
PR SORA
STUDII SUI CORPUSCOLI ORGANIZZATI DELL'ARIA 207
pidi; i secondi tubi (destinati a essere riempiti sulla montagna)
erano vuoti, senzadichè il liquido non vi si sarebbe precipitato
dentro appena rottane la punta.
I risultati ottenuti mi permettono di* raccomandare questo
metodo come sicuro e agevole; i tubi si portano nello zaino e
s’ abbisogna solo di una lampada, d’un cannello, d’ una punta
di diamante, di carbone, e d’un piccolo sostegno per i tubi.
Sulla cima delle montagne s'ha, naturalmente, a lottare
contro mille difficoltà, solo per mantenere la lampada accesa;
ma è cosa facile il far costrurre un cappuccio di metallo che
permetta di sottrarre la fiamma all'influenza dell’aria.
Ne” miei studii adoperai inoltre altri tubi preparati col metodo
di Fodor (1): essi erano aperti all'estremità superiore e conte-
nevano qualche centimetro cubo di gelatina di colla di pesce;
li tappai con del cotone e con un sughero passato alla fiamma.
Quando li apersi al Monte Marzo la gelatina era completamente
trasparente e solida. Tuttavia, nel trasportarli, la stagione essendo
eccessivamente calda, la gelatina s’era sciolta in tutti i tubi, e in
quelli che non avevano conservata la loro posizione verticale, essa
era venuta in contatto col cotone. Benchè tale inconveniente non
sia necessariamente causa di errore, non credo prudente di ser-
virsi nelle osservazioni di tubi apparecchiati in tal modo, pur
riconoscendo con Fodor, che la gelatina è un buonissimo mezzo
per la coltura delle più differenti forme di microorganismi.
Le osservazioni in pianura vennero fatte con tubi preparati
con gelatina, in numero di nove per ogni stazione; se ne posero
due altri vicini senza che venissero aperti, e si mantengono an-
cora adesso perfettamente limpidi, e la gelatina solida. Quelle
sulla montagna si fecero con le due sorta di tubi, cioè quelli chiusi,
e quelli a gelatina: questi ultimi si aprivano semplicemente to-
gliendo il tappo e il cotone con pinzette infuocate e si richiu-
devano con nuovo cotone pulito, e con lo stesso tappo ripassato
nella fiamma. I tubi rimasero esposti all’aria durante uno spazio
di tempo differente: 24, 48 e 76 ore: il maggior numero di
essi restò aperto 48 ore: potei constatare che un’ esposizione
più o meno prolungata (al di là di un certo limite) non dà
notevoli differenze nei risultati; ciò prova che nello spazio di
(1) Hygienische Untersuchumgen ‘iber Luft, Boden und Wasser. Braun-
schweig. Vieweg, 1881, pag. 98 e 99.
208 PIERO GIACOSA
24 ore cadono germi sufficienti, perchè sviluppandosi si oppon-
gano alla vita degli altri venuti più tardi.
Una esposizione di breve durata (meno di 24 ore) non sa-
rebbe conveniente; sarebbe un’ esporsi ad avere dei risultati
negativi, soprattutto nelle località che non sono ricche in germi,
ed è a tale causa ch'io attribuisco i risultati ottenuti da Pasteur
al Montanvert (1) e da Tyndall al Bel Alp (2). È noto che gli
autori che si sono occupati di questo argomento, Ehremberg,
Tyndall, Cohn, ammettono che i germi e i corpuscoli in generale
nuotanti nell'atmosfera vi sono radunati in ammassi o in sciami,
come si vedono l’estate sugli stagni delle nuvolette danzanti di
piccoli moscerini.
Durante i sei giorni, che durarono le mie esperienze, il tempo
si mantenne regolarmente hello, cioè senza pioggia: vi fu a volte
sulla montagna nebbia e vento anche assai violento verso sera:
nella pianura .il tempo fu regolarmente bello. La temperatura
osservata, mattino e sera, oscillò, all’Alpe delle Oche tra + 7° e
+ 14° c. e la pressione nella stessa località tra 562 e 564
mm.: sul Monte Marzo al mattino, alle 11, trovai quasi costan-
temente 10° c. , pressione media 530 mm. Feci l'esame dei
tubi al mio ritorno in pianura dal 14 al 30 Agosto: è neces-
sario dar tempo ai germi di svilupparsi, principalmente a quelli
dell’aria di montagna che si sviluppano con minor rapidità che
non quelli della piana; esaminai diligentemente il contenuto d’ogni
tubo con un microscopio Seibert (oculare 3, obbiettivo 5: qual-
che volta ricorsi all’obbiettivo 8 a immersione).
Il risultato più importante delle mie ricerche è che l’aria
di montagna contiene sempre dei germi benchè in proporzioni
differenti di quella della piana. Così riguardo agli schizomiceti,
essi sono più rari in montagna che nella pianura ; tutti i tubi
aperti al piano contenevano dei batterii sotto la forma ordinaria
dei batterii della putrefazione. Si vedevano quei bastoncini: agi-
tarsi vivamente nel liquido, riunirsi in colonie intorno ai fila-
menti di micelio e formare quelle masse mucilaginose che pre-
sero il nome di zooglea. Le forme allungate (desmobacterium
di Billroth) erano rarissime e le osservai in un solo caso. Quanto
(1) Comptes rendus de l’Academie des Sciences, t. LV, p. 488.
(2) Essays ‘on the floating matter of the air. London, 1881, pag. 294-295
e 304,
BEE a RO n
STUDII SUI] CORPUSCOLI ORGANIZZATI DELL'ARIA 209
ai minuti corpuscoli rotondi, mobili, conosciuti colla denomina-
zione generale di micrococchi, essi erano numerosissimi in tutti
i tubi della pianura, ma io non posso dare gran valore alla loro
presenza, poichè non si è mai sicuri di distinguere i veri mi-
erococchi dalle semplici granulazioni molecolari o da quei cor-
puscoli brillanti contenuti nei tubi del micelio (1). Tuttavia non
y è dubbio che una gran parte dei piccoli corpuscoli osservati
fossero realmente degli organismi appartenenti alla classe degli
schizomiceti.
Nei tubi della montagna i batterii sono molto più rari.
Così all’Alpe delle Oche su otto tubi di gelatina uno solo con-
teneva dei batteri; sul Monte Marzo la metà dei tubi ne con-
tenevano, e al lago su sette tubi, cinque contenevano batteri.
Per i tubi chiusi, all’Alpe, su nove, due contenevano batterii; al
Monte Marzo su sette, tre. Le forme dei micrococchi, benchè
più abbondanti dei batterii, non si notayano in tutti i tubi.
Farò osservare, che vi sono in queste esperienze, principal-
mente sulla cima della montagna, delle cause d’errore alle quali
non avevo pensato e che si potrebbero forse evitare. Coloro che
si sono trovati sui ghiacciai durante o dopo una giornata di
vento, avranno osservato il gran numero d’insetti che giacciono
— sulla neve e che vi sono stati travolti dall'aria in movimento;
$ questo fatto è successo nelle località delle mie esperienze. Dei
— tubi lasciati esposti al Monte Marzo, la metà, e precisamente
quella che ho trovata infetta dai batterii, conteneva degli insetti
(una mosca, dei moscherini di diverse specie); la stessa osser-
vazione per i tubi contaminati dell’Alpe delle Oche. Al lago non
trovai traccia d’insetti nei tubi, benchè la proporzione di quelli
contenenti batterii sia assai grande; ma ciò si spiega pensando che
su rive paludose dove pascono le pecore, dove il suolo passa rapi-
damente dallo stato di umidità a quello di secchezza, esistono
condizioni favorevolissime alla propagazione dei microorganismi.
(1) ZapF in una recente memoria: Zur Morphologie der Spaltpfianzen
(Spaltpilze und Spaltangen) Leipzig Voit und Co. 1882, ha dimostrato che
nello sviluppo delle schiro-alghe (Spaltangen) del gruppo delle Oscillariae,
Scilomenae, ecc. si osservano delle condizioni che sono equivalenti alle forme
di coccus, di bastoncino, e di spirali degli schizomiceti, e che hanno il potere
di formare della zooglea. Si vede in conseguenza, che le idee sulle differenze
specifiche e sul significato di queste forme stanno per cambiarsi, e che tutta
la classificazione dev'essere rifatta.
210 PIERO GIACOSA
Ciò che vi ha di singolare negli schizomiceti della montagna
si è che essi sono in minor quantità nell’aria dei monti che in
quella della pianura e hanno una forma più tenue, più sottile ;
in certi casi i batteri erano d’una tale tenuità che non poteva
scorgerli che col mezzo di un oggettivo a immersione. Non so
se sia quella una conseguenza di temperatura o della pressione
che favoriscono certe specie, o se sono modificazioni delle stesse
specie della pianura; è però certo che fra questi batterii ve ne
sono degli attivissimi nelle loro funzioni chimiche. In qualche
tubo a gelatina del lago contenente dei batterii o semplicemente
dei micrococchi, trovai molti cristalli di ossalato di calce ben
formati e altri cristalli sferici che parevano essere leucina. Di-
sgraziatamente non avevo i reattivi necessari per accertarmene.
Fra i germi che erano numerosissimi negli alti strati del-
l’aria, all’epoca delle mie esperienze, e che mancavano quasi
completamente nella pianura, devo notare quelli dei lieviti pro-
priamente detti (saccharomyces, torula, ecc. ecc.). Pressochè la
metà dei tubi del Monte Marzo contenevano di queste cellule ed
in certi casi esse formavano la totalità degli organismi svilup-
pati. Dò la figura di questi fermenti(1); essi si trovavano nella
medesima quantità in ogni specie di liquido, ciò che prova che il
risultato negativo ottenuto nella pianura dipendeva da un’ as-
senza totale o da una proporzione minima dei germi di lievito
nell’aria di quelle località a tale epoca. Sulla montagna questi
fermenti caddero solamente dal primo fino ai tre di Agosto; i
tubi aperti dopo non ne contenevano punto, oppure lasciavano
travedere qualche individuo isolato. Dei tredici tubi della cima
del Monte Marzo sei contenevano dei fermenti (lieviti); il vento
che portava i loro germi, passò sopra i tubi dell’ Alpe senza
lasciarli cadere, poichè su diciassette tubi un solo conteneva i
fermenti. Gli insetti, in questo caso, non poterono agire a quel
modo che dissi a proposito dei batterii, poichè mancavano dove
c'era il lievito. Quanto agli altri organismi non trovai differenza
sensibile fra le due località; i germi dei funghi più comuni
(Mucor, Aspergillus, Penicillum) sono abbondanti sulla montagna
come in pianura; tutti i tubi, senza eccezione, contenevano un
micelio sotto forma di fiocco natante o di strato spesso e
(1) Vedi la tavola, fig. 2°, a e d.
STUDII SUI CORPUSCOLI ORGANIZZATI DELL'ARIA 211
come feltrato che copriva la superficie del liquido, micelio che
apparteneva ad una delle specie sopra citate, come lo dimostra-
vano la forma delle fruttificazioni, allorchè esse esistevano.
Vi è però qualche forma che non ho potuto determinare
che si trova in quasi tutti i tubi della pianura e che manca
assolutamente sulla montagna. È da notarsi che s'era all’epoca
della battitura del ‘grano, circostanza che poteva facilitare la
diffusione di germi speciali.
Citerò finalmente fra i materiali trovati nei tubi della pia-
nura, numerosi granuli brillanti, irregolarmente cristallizzati,
insolubili, riganti il vetro; essi esistevano solamente nei tubi di
Samone e sono scheggine di quarzo della sabbia della Dora
portate dal vento ; così qualche tubo del Monte Marzo conte-
neva minutissimi frammenti di sostanze minerali.
Le esperienze, di cui ho comunicato i risultati principali, non
sono che un saggio e hanno bisogno d'essere intraprese e pro-
seguite su più vasta scala, e in maggior numero di località, ed
è quanto mi propongo di fare l'estate venturo scegliendo una
stazione alpina ad un’ altezza maggiore che non quella del Monte
Marzo. Esplorerò pure l’atmosfera a diverse altezze lungo una
linea verticale partendo dal livello del suolo, e sto studiando i
mezzi necessari per raggiungere tale scopo. Benchè esse siano
poco numerose, le. mie osservazioni non mancano di un certo
valore; dimostrano infatti che le correnti d’aria fanno circolare
continuamente .i corpuscoli che vi sono sospesi, e che questi
corpuscoli possono innalzarsi nelle alte regioni benchè vi arrivino
in minor quantità che non negli strati più bassi dell’ atmosfera
dove l’aria smovendo la polvere del suolo, se ne carica conti-
nuamente.
Gli insetti pigliano una certa parte in questa circolazione
dei germi degli organismi inferiori, potendo trasportarli in varie
località; ma, come lo dimostrarono le mie osservazioni relative
alle cellule di lievito, i germi possono esistere nell’aria indipen-
dentemente da qualsiasi sostanza che faccia da agente di tra-
sporto. Queste osservazioni confermano quelle antiche di Pasteur (1)
(1) Études sur la bidre, chap. V, pag. 155 e seguenti.
212 P. GIACOSA — STUDII SUI CORPUSCOLI ORGANIZZATI DELL'ARIA.
e provano che i germi del lievito possono esistere alla stessa
epoca in una località e non esistere in una località vicina.
È noto che la composizione dell’aria, riguardo ai suoi ele-
menti essenziali, è stata trovata costante a tutte le altezze che
si poterono raggiungere. Se ora si paragonano i risultati delle
‘mie osservazioni con quelli ottenuti dai signori Miintz e Aubin (1),
i quali hanno dosato l’ammoniaca dell’aria e della neve al Pic
du Midi, quasi alla stessa altezza a cui io feci le mie esperienze,
o con le analisi delle acque piovane e delle nevi raccolte sulle
Alpi in varie località dal signor Civiale (2) se ne può arguire che
la composizione dell’aria dal livello del mare fino all'altezza di
3 chilometri si mantiene sensibilmente costante nella quantità e
qualità degli elementi gasosi o solidi, organici o inorganici che
essa contiene.
Colleretto-Parella, Ottobre 1882.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA.
Fig. 1°. Grandi cellule immobili a protoplasma granuloso, rinvenute in uno
o due tubi.
» 2% Fermenti o torule abbondantissimi: a, a, a cellule di varii lieviti
alcoolici; & cellule a forma di mycoderma vini.
» 3° Un frammento di Aspergillus con ammassi di zooglea.
» 4% Frammenti di tubi micelici sommersi.
» 5° Ammasso muriforme simile ad un concettacolo d’Aspergillus ( Eu-
rotium De-BaRy).
» 6°. Micelio con fruttificazione a grappolo.
» 7°. Tubo di micelio circondato da batterii (b. termo); a, a forme più
grandi.
» 8°. a Ammassi di zooglea con micrococchi ; è fermenti a catena (fer-
mento butirrico, acetico); c cristalli.
(1) Compt. rend., vol. XCX, pag. 788.
(2) Compt. rend., vol. XCV, pag. 1121.
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ipali organismi sviluppalisi dai germi dell'aria delle Alpi.
Il Socio Prof. Cav. Giulio Bizzozzero, condeputato col Socio
Prof. Conte Tommaso SaLvapori ad esaminare una Memoria del
Dott. Mario Lessona « Sulla anatomia dei polioftalmi », legge
— la seguente Relazione:
i Il lavoro del D'. LEssonA venne condotto nel Laboratorio
dell’ Università di Messina diretto dal Prof. Kleinenberg. In
esso l’autore ha illustrato principalmente l'apparato muscolare
e gli organi di senso dei Polioftalmi, che per quest’ultimo verso
presentano un alto interesse. Egli pone in dubbio la natura di
organi visivi, e in generale di organi di senso, attribuita sinora
ai calici pigmentati che si trovano lateralmente lungo il corpo
di questi vermi, fondandosi sulla mancanza di un neryo che li
colleghi coi centri nervei. Inoltre ha riconosciuto anche nei
Polioftalmi la presenza dei cosidetti organi caliciformi primamente
osservati dall’Eisig nei capitellidi, e, descrittili minutamente, di-
chiara di accettare l’interpretazione da quello data di tali for-
mazioni.
Segue un breve cenno sulla conformazione dello apparato
circolatorio qui complicatissimo, e sulla presenza degli organi
segmentali.
- Il lavoro del D". Lessona è tutto fondato su osservazioni ori-
ginali, condotto con buon metodo, e comparato con quanto hanno
già pubblicato altri che hanno coltivato lo stesso argomento.
La vostra Commissione, quindi, è lieta di potervi proporre
che della Memoria presentata si dia lettura nella presente
adunanza.
Torino, 28 gennaio 1883.
T. SALVADORI
G. Bizzozero, relatore.
La Classe accoglie la conclusione della Relazione, e uditane
la lettura, approva il lavoro del Lessona per la stampa nei
volumi delle Memorie.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 15
214 LORENZO CAMERANO
Il Socio Prof. Michele Lessona presenta e legge le seguenti
RICERCHE
intorno alla
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
DEGLI
ANFIBI ANURI IN EUROPA
del Dottore
LORENZO CAMERANO.
Una delle ricerche più difficili e complesse, ma nello stesso
tempo anche una delle più importanti, si è quella dello studio
della distribuzione geografica delle forme dei viventi alla super -
ficie della terra.
Nello studio della distribuzione geografica dei viventi, come
nello studio dei viventi considerati in se stessi, la mente umana
ha d’uopo di dividere e suddividere i fatti che essa studia, ha
d’uopo in poche parole di classificare i fatti stessi.
Ora le stesse difficoltà che si incontrano nel classificare con-
venientemente una serie qualunque di viventi o di fenomeni si
incontrano pure nello studio della distribuzione geografica dei
viventi sulla superficie terrestre. Questo studio è d’altra parte
molto intimamente legato col primo.
Questo legame anzi è tanto intimo che è d’uopo che noi
diciamo qualche cosa intorno al modo di studiare i viventi e
soprattutto intorno al modo di descriverli.
Evidentemente i limiti faunistici delle varie regioni terrestri
dipenderanno in gran parte dalla maniera di considerare e di
valutare l’importanza dei caratteri dei viventi delle regioni stesse.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEGLI ANFIBI ANURI IN EUROPA 215
Lo studio di un gruppo qualunque di animali ci fa vedere
che le varie forme si differenziano fra loro per mezzo di caratteri
aventi un vario grado di importanza.
Dal maggiore o minor valore, che gli Autori danno a questi
caratteri, ne viene la distinzione delle forme animali in specie,
sottospecie e varietà, ecc.
Lo studio di queste tre principalissime serie di raggruppa-
menti degli animali acquisterà una importanza maggiore o minore
per la ricerca della distribuzione geografica degli animali secondo
l'estensione che si voglia dare a queste ricerche.
Per stabilire, ad esempio, le divisioni faunistiche di primo
ordine come sono le grandi regioni zoologiche, basterà nella mas-
sima parte dei casi tener conto dei gruppi generici.
Sarà d’uopo invece che noi teniamo conto anche delle specie
—volendostabilire le sotforegioni. Se poi si vuole suddividere ancora
le sotto regioni, sarà necessario non solo considerare le specie,
ma tener conto eziandio delle sottospecie.
Nello stabilire finalmente le faune di tratti di paese molto
limitati, specialmente se appartenenti ad una stessa sottoregione
faunistica sarà cosa indispensabile di considerare anche le varietà.
Mi pare che ciò non abbisogni di essere lungamente dimostrato.
Ne viene per conseguenza che lo studio minuto e diligente delle
sottospecie, delle varietà, anzi delle variazioni stesse, è assolu-
tamente indispensabile se si vuole stabilire con esattezza il carat-
tere faunistico di una qualche regione un po’ limitata. E questo
studio, si noti, non sarà soltanto utile alla geografia zoologica :
ma servirà pure in modo particolarissimo alla tassomia, all’esatta
determinazione cioè della specie e conseguentemente del genere.
Io ebbi già occasione in varii lavori di accennare alle norme
migliori da aversi, secondo me, intorno ai concetti di specie,
sottospecie, varietà (1), io non ripeterò quindi le cose già dette.
Mi si conceda tuttavia che io insista qui intorno al modo di fare
i lavori faunistici locali, i così detti catalogi locali.
Questo genere di lavori deve essere fatto, affinchè esso possa
realmente servire come materiale per lo studio della distribuzione geo-
grafica degli animali, con certe norme, trascurando le quali, i lavori
non hanno più a questo proposito che una utilità assai piccola.
(1) L. Camerano, Monografia degli Anfibi anuri italiani. Memorie della
R. Accademia delle Scienze di Torino, 1882.
210 LORENZO CAMERANO
Volendo studiare la fauna di una data località si possono
fare essenzialmente due sorta di lavori, vale a dire:
1° I catalogi nominali degli animali della località ;
2° Monografie faunistiche complete intorno agli animali
della località stessa.
Fondamentalmente la differenza fra queste due sorta di lavori
è piccola.
È opinione di molti che il fare un semplice catalogo fauni-
stico sia cosa non molto difficile. Io credo invece, che un cata-
logo ben fatto, sia opera egualmente difficile come una . fauna
completa, in quanto che il catalogo non deve essere altro, che il
riassunto, per dir così, dei risultamenti ottenuti dallo studio degli
animali della intiera fauna.
Io credo, che sarebbe cosa della massima importanza che gli
Autori, i quali studiano gli animali dal punto di vista faunistico,
cercassero di seguire in questo genere di lavori un piano costante e
tale che i lavori stessi, invece di riuscire spesso inutile ingombro,
tornassero veramente utili alla scienza.
Sono stati pubblicati in Italia, anche recentissimamente, pa-
recchi catalogi riguardanti faune di ristrette località italiane, i
quali non possono avere, pel modo in cui sono stati fatti, che
una utilità assai piccola.
Ora, si è appunto per questo genere di catalogi parziali di
un paese, catalogi fatti affinchè possano più tardi servire come
materiale di una fauna completa, che è d’uopo seguire un piano
uniforme e costante. Inoltre è cosa assolutamente indispensabile,
che essi siano fatti colla massima coscienza, ed esattezza.
Per questo genere di catalogi io credo sia conveniente se-
guire le norme principali seguenti:
1° Riunire il numero maggiore di esemplari dal numero
maggiore di località possibile della regione, che si imprende a
studiare ;
2° Tener conto esattissimo delle provenienze degli esemplari ;
3° Riferire nei catalogi il numero degli esemplari esami-
nati, affinchè il lettore possa farsi un criterio del valore delle
descrizioni stesse;
4° Fare queste descrizioni in maniera minuta e diligente,
tenendo per tutte le specie un piano costante, affinchè le varie
forme descritte possano facilmente compararsi fra loro non sol-
tanto nei caratteri essenziali, ma eziandio in tutti i caratteri di
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEGLI ANFIBI ANURI IN EUROPA 217
ordine inferiore, i quali possono poi in certi casi, dietro studi
più estesi, aumentare di importanza ;
5° Rifare realmente le descrizioni delle specie che si de-
scrivono, basandosi sullo studio degli esemplari della località che
si vuole illustrare ;
6° Istituire confronti, quando ciò è possibile, cogli esem-
plari delle stesse specie delle località limitrofe ;
7° Ricercare con grande diligenza le varietà o di forma
o di colore, descrivendole minutamente;
8° Non trascurare le variazioni, senza dare tuttavia a
queste un troppo grande valore;
9° Tenere conto, anche in lavori puramente riguardanti
le faune locali, dei risultamenti ultimi a cui la scienza è giunta
rispetto al gruppo di animali che si studia (1);
10° Quando si tratti di specie controverse, non limitarsi a
mettere un nome senz'altro, ma aggiungere le ragioni per cui si
segue l’una o l’altra maniera di vedere.
11° Fare, con grande cura la sinonimia delle specie, che
si descrivono, avendo cura di ricordare in ispecial modo gli Autori
che hanno trattato delle stesse specie in lavori riguardanti la
località che si studia o le località vicine;
12° Aggiungere, quando ciò è possibile, le figure degli ani-
mali intieri, o almeno delle loro parti più importanti. Una figura
ben fatta gioverà sempre più di qualunque descrizione ;
13° Quando si tratti di lavori faunistici locali, propriamente
detti, evitare il più che si può, la forma di catalogo puramente
nominale (2);
14° Fare in modo, in poche parole, che il catalogo o la
fauna fatta, costituisca un vero passo innanzi nella conoscenza
degli animali di un dato paese, ed inoltre possa servire come
materiale per altri lavori.
(1) Ciò è molto importante, ed è soprattutto per quanto riguarda i Ret
tili e gli Anfibi, come si può vedere da alcune anche recenti pubblicazioni
faunistiche locali del nostro paese, per lo più trascurato.
(2) Ciò facendo, non solo si risponde ai desiderata sopra indicati, ma
si fornisce un mezzo al lettore di poter verificare, in molti casi, la giustezza
della determinazione delle specie. In ogni caso, quando per circostanze spe-
ciali non fosse possibile fare che un catalogo nominale, indicare gli autori
sui quali si sono determinate lo specie.
218 LORENZO CAMERANO
Io ho insistito molto sopra questo argomento intorno al quale
io m’augurerei volessero accordarsi i naturalisti che studiano le
Faune locali. E l’accordo fra i naturalisti a questo riguardo è
più pratico e più utile che non quello, molto problematico e forse
al tutto impossibile, riguardante il modo di intendere per certe
forme la comprensività dei gruppi specifici, o generici.
Anzi, le discussioni che sorgono a questo proposito fra i na-
turalisti tornano generalmente di giovamento alla scienza, perchè
servono a far studiare meglio le forme animali.
Vari Autori si sono occupati in questi ultimi tempi della
distribuzione geografica dei Rettili e degli Anfibi anuri in Europa.
Fra questi viene in prima linea lo Schreiber, il quale nella sua
Herpetologia europaea (1) ha trattato a lungo questo argomento.
Più tardi lo Knauer (2) riprese a trattare lo stesso argo-
mento: ma non fece altro in fondo che riferire le tavole dello
Schreiber, poco aggiungendo di nuovo.
Un anno dopo il Bedriaga portò con un nuovo lavoro (3)
un notevole contributo alla conoscenza della distribuzione geo-
grafica degli Anfibi europei.
Dal lavoro del Bedriaga ad oggi gli studi fatti intorno a varie
specie di Anfibi e intorno alla fauna di varie località, ci conce-
dono di modificare alquanto il modo di intendere e di delimitare
la Fauna anfibiologica europea.
Io non intendo di occuparmi ora che degli Anfibi anuri.
I limiti della Fauna europea, soprattutto rispetto agli Anfibi
anuri sono molto difficili da stabilirsi, im quanto che verso Oriente
le forme europee si spingono molto innanzi nell’Asia.
Le forme asiatiche di questi animali essendo molto poco
note, non è impossibile che quelle che ora si ritengono somi-
glianti alle europee non si debbano, essendo meglio studiate, con-
siderare come forme distinte.
Per quanto riguarda il limite meridionale è cosa indubitata
che debbono far parte del territorio faunistico europeo le terre,
che stanno intorno al bacino del Mediterraneo.
(1) 1875.
(2) Naturgeschichte der Lurche. Vienna, 1878.
(3) Veber die geographische verbreitung der europaîschen Lurche. Bull.
de la Soc. des Natur. de Moscou, 1880.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEGLI ANFIBI ANURI IN EUROPA 219
Nello stabilire i limiti faunistici si può tener conto soltanto,
come si fa generalmente, dei limiti naturali che attualmente sepa-
rano le varie regioni, oppure, e questa mi pare la miglior via
da seguirsi, si tien conto anche delle vicende geologiche a cui
la regione che si studia andò soggetta e soprattutto si parte nel
determinare i limiti di una fauna da caratteri dedotti dallo studio
degli animali stessi.
In poche parole, io credo più conveniente limitare il terri-
torio faunistico di una regione, partendo dallo studio del com-
plesso degli animali della regione stessa, anzichè da considera-
zioni dipendenti puramente dalle condizioni fisiche del suolo.
Molto a ragione il Preudhomme de Borre (1) dice, che lo
studio delle faune non consiste soltanto nel cercare di scoprire
« quelques malheureux individus accidentellement égarés d’une
espèce étrangère à la contrée pour ajouter un nom sur la liste
de la faune de celle-ci », ma nel cercare invece di « étudier par
une analyse scientifique et rationnelle, la population légitime, ses
proportions numériques, ses conditions d’existence, l’extension des
aires de chaque espèce, les variations et les aberrations dans leurs
rapports avec les localités et les climats, toutes choses d’une
importance autrement capitale » (2).
Io seguirò essenzialmente questi concetti nelle ricerche che
seguono. Ò
Per quanto se ne sa ora, i generi degli Anfibi anuri europei,
cominciando dai gruppi morfologicamente inferiori e risalendo da
questi ai più elevati, sono i seguenti: ’
1. Fam. Discoglossidae.
1. Gen. Alytes, Wagl.
2. » Bombinator, Merr.
3. » Discoglossus, Otth.
2. Fam. Pelobatidae.
4. Gen. Pelodytes, Fitz.
» Pelobates, Wagl.
(1) Ann. Soc. Ent. Belg., 1874.
(2) Si veda anche a questo proposito L. CameRANO, Monografia degli
Anfibi anuri italiani. Mem. R. Accad. delle Scienz. di Torino, 1882.
220 LORENZO CAMERANO
3. Fim. Hylidae.
5. Gen. Hyla, Laur.
4. Fim. Bufonidae.
6. Gen. Bufo, Laur.
5. Fam. Ranidae.
7. Gen. Rana, Linn.
La Fauna europea ha rappresentanti di 5 famiglie sopra 14
in cui oggigiorno si considera diviso l’ordine degli Anuri.
Di 106 generi circa di Anfibi anuri, oggi descritti in Europa, ve
ne sono 7. Di 800 specie, oggi note, se ne trovano in Europa
appena 18.
Dei sette generi sopra menzionati, sono esclusivi alla Fauna
europea i seguenti:
Gen. Alytes, Wagl.
>» Discoglossus, Otth.
» Pelodytes, Fitz.
» Pelobates, Wagl.
Questi quattro generi ci presentano alcuni fatti molto note-
voli rispetto alla lore distribuzione geografica nella Fauna europea.
Il genere Pelodytes è proprio schiettamente della Europa
occidentale e caratterizza soprattutto le Faune anfibiologiche della
Francia, della Spagna e del Portogallo.
Il genere Alytes pur essendo un genere schiettamente occi-
dentale si spinge tuttavia un po’ più verso l'Europa centrale, ed
infatti esso fa parte non solo delle Faune della Francia, della
Spagna e del Portogallo, ma si spinge anche nella Germania
occidentale.
Il genere Pelobates segna per la sua diffusione verso l’Eu-
ropa centrale ed orientale un passo di più sopra ai generi pre-
cedenti e si trova nelle Faune anfibiologiche della Francia, della
Spagna, del Portogallo e dell’Italia settentrionale (valle del Po).
Il genere Discoglossus finalmente è un genere schiettamente
meridionale : ma anch’esso, mi pare si possa dire senza paura di
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEGLI ANFIBI ANURI IN EUROPA 221
azzardare troppo, è molto più sviluppato verso l'Europa occiden-
tale che non verso l'Europa orientale.
L'Europa orientale è molto più povera di generi proprii,
l’unico che a mio avviso si possa considerare come tale è il genere
Bombinator, il quale si estende fino alla China e che si spinge
più o meno innanzi verso l'Europa orientale, ma che non pare
giunga fino agli estremi limiti di questa. È cosa dubbia se esso
esista ad esempio in Portogallo. In Italia esso non si trova cle
nella parte più orientale della valle del Po.
I generi Rana, Bufo, Hyla, sono sparsi ovunque.
Rispetto ai generi di Anfibi anuri europei si può stabilire
per la loro distribuzione geografica lo schema indicato dalla ta-
vola unita a questo lavoro.
Passiamo ora ad esaminare brevemente la distribuzione delle
specie.
I generi sopra menzionati sono rappresentati nella Fauna eu-
ropea dalle specie seguenti:
Alytes, Wagl.
1. obstetricans, Laur.
s. sp. Boscae.
2. Cisternasti, Bosca.
Bombinator. Men.
1. igneus, Laur.
Discoglossus, Otth.
1. pictus, Otth.
Ss. Sp. sardus.
S. Sp. Scovazzi.
Pelodytes, Fitz.
1. punctatus, Daud.
Pelobates, Wagl.
1. fuscus, Laur.
2. cultripes, Cuv.
222 LORENZO CAMERANO
Hyla, Laur.
1. arborea, Linn.
s. Sp. Savignyi.
Ss. Sp. meridionalis.
Bufo, Laur.
1. mauritanicus, Schleg.
2. viridis, Laur.
5. vulgaris, Laur.
Rana, Linn.
1. esculenta, Linn.
S. Sp. Lessonae.
s. sp. Latastii.
S. Sp. Bedriagae.
s. sp. cachinnans.
2. muta, Laur.
3. temporaria, Linn. (arvalis Nils.).
4. CENTRI 33,32 19} bisi 28,98
Mg 42,64 BMrsrirhi 22,40
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XVIII. 16
230 A. DORNA
La temperatura variò fra 3°,6 e 22°,6:; si ebbe la prima
nel giorno 12, nel giorno 21 la seconda.
Il valor medio, desunto dalle osservazioni fatte, è di 12°,5,
inferiore di solo 0,4 al mese di Aprile degli ultimi sedici anni.
Dieci furono i giorni con pioggia e l'altezza dell’acqua raccolta
fu di mm. 84,8.
Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole
direzioni :
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
1210 BEnpi29 IT 6 4101200 TE 62
Anno XVII 1882
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Maggio.
La media delle altezze barometriche osservate in questo mese
è 37°,92, ed è superiore della media di Maggio degli ultimi
sedici anni di mm. 2,15.
Le oscillazioni dell’altezza barometrica, desunte dalle osserva-
zioni fatte, sono contenute nel seguente quadro :
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
E ai 1 41,10 ERRE. 33,92
"(RON TRE 38,09 RSI TAI SQ
Re PE 44,50 Tea 28,88
tI A 40,47 Opi i. 30,70
1,1 O 002) CORANA 44,96 Od 33,80
La temperatura media in questo mese è di 17°,3; supera
di 0,5 la media di Maggio degli ultimi sedici anni. — Gli
estremi della temperatura sono 5°,8 e 30°,1, che si ebbero nei
giorni 17 e 81.
Dieci furono i giorni E e l’altezza dell’acqua caduta fu
di mm. 109,0.
Il quadro seguente dà i numero delle volte che il vento
spirò nelle diverse direzioni:
NONNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
O O7Agpe ig 87 1109 9° Ta
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 231
Anno XVII 1882
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Giugno.
La pressione barometrica in questo mese ha per valor medio
36°,60; valore che differisce solo di mm. 0,07 dal valor medio
di Giugno degli ultimi sedici anni scorsi, essendo il primo mag-
giore del secondo.
Il quadro seguente dà i massimi ed i minimi della pressione.
Giorn del mese. Massimi. Giorni del mese. Mmmi.
1 A 42,50 L'ITER 34,02
È Mr. . 39,05 MIO A 28,66
i E 37,53 (fedi 30,22
‘ 14 38,46 Ei e 33,23
2, RELA” 41,11 Bora e db 35,07
eno .-. 41,21 IO Mavi 34,62
La temperatura ha per media 21,2 eguale alla media di
Giugno degli ultimi sedici anni — La temperatura minima 8°, 4
si ebbe nel giorno 14; la massima 29°,9 nel giorno 24.
Sei furono i giorni con pioggia e l’altezza dell’acqua caduta
fu di mm. 58,4
Il quadro seguente dà la Sca) dei venti:
NONNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
caio 20 Ca I 03 ire A
Anno XVII « 1882
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Luglio.
La media delle altezze barometriche osservate in questo mese
è 35°,53; inferiore di mm. 1,44 alla media di Luglio degli
ultimi sedici anni.
232 A. DORNA
Il quadro seguente dà gli estremi dell’altezza barometrica.
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
RS 74410 38,59 GIA 74 ALE, 26,12
lia: lie 29,99
10° Age Ta 86,81 LI esc 31,43
di a 42,88 Oa; DAL 35,29
Dura eo 40,97 MT 0, CNS 32,42
La temperatura in questo mese ha per valor medio 23°,2;
inferiore di 1° alla media delle temperature di Luglio degli ultimi
sedici anni.
I valori estremi della temperatura 14°,1 e 33°,5 si ebbero
nei giorni 12 e 20.
Si ebbe pioggia in otto giorni e l’altezza dell’acqua caduta
fu di mm. 25,4.
Il seguente quadro indica la frequenza dei venti:
NONNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
48: 2418 (150.90 045-540 152
Anno XVII 1882
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese d’Agosto.
La media delle pressioni barometriche del mese è 35°,86;
ed è inferiore di mm. 0,87 alla media di Agosto degli ultimi
sedici anni. — Le oscillazioni della pressione atmosferica non
furono considerevoli in questo mese, come si può rilevare dal
seguente quadro :
Giorni del mese. Massimi. | Giorni del mese. Minimi.
RCA STASI 42,47 | d ei. L. 34,90
È N e 41,14 | RESSE 31;2%
lapson Bi: 6 39,73 Qeusotle alta 30,58
a iine MA 35,28 Sii ite o301% 29,92
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 233
La temperatura ha per valor medio 22°,2 — I valori
estremi 13°,6 e 29°,0 si ebbero nei giorni 30 e 2 — Cinque
furono i giorni con pioggia e l’acqua caduta raggiunse l'altezza
di mm. 82,7.
Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole
direzioni :
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NVW
1,027 0 0h
Anno XVII ì 1882
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Settembre.
IN valor medio delle altezze barometriche osservate in questo
mese è 34°,77; questa media è inferiore di mm. 3,32 a quella
di Settembre degli ultimi sedici anni.
I minimi ed i massimi osservati furono i seguenti :
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
Ma Ti. 42,06 figlie case ea
ES Bri Bal 43,35 Dir Le 25,81
î (0, VAR 34,16 Blain. i > 27,91
i 24 39,24 CAVA SIA OTO 29,85
Le temperature osservate nel mese dànno per media 16°,2,
valore inferiore di 2°,9 alla media delle temperature osservate
in Settembre negli ultimi sedici anni. — I valori estremi della
temperatura 25°,3 ed 8°,0 si ebbero nei giorni 4 e 15.
i Ventuno furono i giorni con pioggia, e l'altezza dell’acqua
caduta fu di mm. 223,6.
La frequenza dei venti nelle singole direzioni è data dalla
tabella seguente :
NONNG NE ENE E ESE SE GSSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
MISE A8 41404, ESD 5 Trivia Me
234 A. DORNA
Anno XVII 1882
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Ottobre.
Le pressioni barometriche osservate in questo mese hanno |
per media 36°,65, inferiore appena di mm. 0,73 alla media
delle pressioni osservate negli ultimi sedici anni.
Il seguente quadro contiene i massimi e minimi di questo
elemento :
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
fan ag 41,58 bt SR 37,09
Sar cu 45,50 RAR ESE 29,02
LO 40,19 E NOTAI 32,54
3A: SAPIENS RT, 38,32 De.= Dir 23,63
La media delle temperature è di 12°,8; è inferiore di un
decimo di grado alla media delle temperature di Ottobre degli
ultimi sedici anni. — I valori estremi furono 21°,0 e 4°,6;
si ebbe il primo nel giorno 3, il secondo nel giorno 30.
Quindici furono i giorni con pioggia, e l’acqua caduta misura
l’altezza dimm. 203,4. I
Il seguente quadro dà la frequenza dei venti:
NONNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
AT 8° 80 500) 00464 3 £ I
Anno XVII 1882
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Novembre.
Il valor medio della pressione barometrica in questo mese è
di 35°,39 ed è inferiore di mm. 1,37 alla media di Novembre
degli ultimi sedici anni.
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 295
I valori estremi della pressione sono dati dal seguente
quadro :
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
- ARTE 45,86 MERO TIo 25,64
ue... 39,95 a no 23,92
Mn 35,59 ALTIERI 26,68
-. > SRO 37,03 BR Aria 28,47
Mr. 38,76
La temperatura variò fra +.15°,5 e — 1°,5; il primo
valore ci dà la temperatura massima del giorno 10; il secondo
la minima del giorno 20. — Il valor medio 7°,1 della tem-
peratura di questo mese supera di un -grado la media delle tem-
perature di Novembre degli ultimi sedici anni.
Si ebbe un sol giorno con pioggia, e l’acqua caduta rag-
giunse appena l’altezza di mm. 0,5.
La frequenza dei venti è data dal'seguente quadro :
NONNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
emo: 6.2 1 00:33 #16:10-13 9. 4 doi
Anno XVII 1882
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Dicembre.
La media delle pressioni barometriche registrate in questo
mese 34°,93 è inferiore alla media di Dicembre, degli ultimi
F
sedici anni, di mm. 2,25.
Il quadro seguente contiene i minimi ed i massimi della
| pressione:
Giorni del mese. Minimi, Giorni del mese. Massimi.
| RSI RARA 28,32 ‘i RE VERI SL09
È 4598 IMPARA 22,37 AN ERRE 38,36
È MESSI, 25,17 pi E 47,65
{SC NP Cl 22,02 ce API RIA 35,58
CLERO 29,34
236 A. DORNA - OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE.
La temperatura in questo mese ha per valor medio 3°, 1, su-
periore di 1°,2 al valor medio della temperatura di Dicembre
degli ultimi sedici anni. — Il minimo valore — 6°,4 si ebbe
nel giorno 9; il massimo + 9°,2 nel giorno 17.
Si ebbe pioggia e neve in dodici giorni; l’altezza dell’acqua
caduta fu di mm. 69,1.
La seguente tabella dà la frequenza dei venti :
NO NVE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
Sii det 25 13 6.128 8a
Le Osservazioni meteorologiche sopra accennate vedranno la
luce nel solito fascicolo annuale che si pubblica per cura del-
l’Accademia
L’Accademico Segretario
A. SOBRERO.
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SOMMARIO
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali.
D'Ovipio.— Presentazione di un Nuovo Giornale di Matematica del
Professore G. MitTAG-LEFFLER . i... 0. +... 0. a ego
GRIFFINI e TROMBETTA — Condro-carcinoma primitivo della ghian-
dola sottomastellarte “00 Aaa e tel ri a a
Siacci — Presentazione del Bollettino di Bibliografia e Storia delle
Scienze Matematiche e Fisiche, pubblicato dal Principe Box-
COMPAGNI Rate Ve TL age tie EAIE pEO O
Giacosa — Studi sui corpuscoli organizzati dell’aria sulle. alte
MODtagnos TR n AIDA Al A RO A
Bizzozero e SaLvapoRI — Relazione sulla Memoria del Dott, Mario
Lessona « Sulla anatomia dei Polioftalmi» ......
L. Camerano — Ricerche intorno alla distribuzione geografica degli
Anfibi canum ‘in''EBropa.t vio tia O
Dorna — Osservazioni meteorologiche ordinarie dell’anno 188? . .
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DELLA
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
PUBBLICATI
dagli Accademici Segretari delle due Classi
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- Classe di Scienze Fisiche, Matematiche
e Naturali.
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CLASSE
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239
CLASSE
DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza dell’ 11 Febbralo 1883,
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
Il Socio Cav. Prof. Galileo FERRARIS presenta e legge la
seguente Nota del sig. Dott. Vito VOLTERRA,
SULLE
FIGURE ELETTROCHIMICHE
DI
A” GU RB'RARRD
In un lavoro presentato all’Accademia nell'adunanza del 17 di-
cembre 1882 io esponeva una teoria delle apparenze che si hanno
alla superficie di un cilindro metallico immerso in un elettro-
lita (*). Alla classe dei fenomeni considerati in tale lavoro è da
ascriversi, come mi ha fatto osservare il Prof. Ròiti, quello recen-
temente studiato da A. Guébhard degli anelli colorati, invariabili
col tempo, che si ottengono sopra una lastra, la quale costituisce il
fondo d’una vaschetta piena di un miscuglio di acetato di piombo
e di acetato di rame, quando si immergono in esso i reofori di
«una pila fino a poca distanza dal fondo.
Guébbard notò pel primo, quando i reofori sono scoperti in
tutta la loro lunghezza e disposti normalmente al fondo, e la
vaschetta ha per contorno un cilindro, la cui direttrice è preci-
(*) Il primo $ della presente Nota fu presentato dapprima insieme al
lavoro suddetto.
240 VITO VOLTERRA
samente il contorno della lastra, che gli anelli colorati coinci-
dono molto approssimativamente colle linee equipotenziali che si
avrebbero sulla lastra supposta isolata ed a contatto coni reofori.
L’analogia fra i fenomeni elettrochimici considerati nel lavoro
ora citato e questo di Guébhard si comprende osservando che il
regime stazionario delle correnti si stabilirà quando sulla lastra la
componente normale della corrente di polarizzazione sarà eguale
a quella della corrente principale. Però quando questa sarà ab-
bastanza intensa, come avviene ordinariamente in tali esperienze,
le forze elettromotrici di polarizzazione nei punti della lastra vicini
agli elettrodi raggiungeranno il massimo: la corrente penetrerà
ed escirà dalla lastra per questi punti. Volendo applicare il cal-
colo sono da distinguere due casi:
1° Quando si adoperano degli elettrodi perfettamente nor-
mali al fondo e scoperti per tutta la loro lunghezza.
2° Quando gli elettrodi sono coperti fino alle estremità,
queste restando scoperte.
1° Caso. Suppongasi una vaschetta V cilindrica (fig. 1), il
cui fondo metallico sottilissimo abbia una forma arbitraria; la
vaschetta sia ripiena di un elettrolita ed in esso siano immersi
un certo numero di elettrodi filiformi a, d, c..... scoperti e di-
sposti normalmente al fondo, per i quali entri ed esca la cor-
rente di una pila. Quando sarà raggiunto il periodo stazionario,
avremo che, eccettuate delle piccole superficie A, B, C..... in
vicinanza delle estremità di a, d, c..... in cui la forza elettro-
ee I]
motrice di polarizzazione avrà raggiunto il massimo, e per le
quali penetrerà ed escirà la corrente nella lastra, negli altri
Pe 3 et SEPA
-Î
|
î
È
iena
SULLE FIGURE ELETTROCHIMICHE DI A. GUEBHARD 241
punti di questa la componente normale della corrente di pola-
rizzazione eguaglierà quella della corrente principale. Se le am-
piezze degli spazi A, B, C...... sono trascurabili in modo che
essi possano considerarsi come dei punti, come pure sono tra-
scurabili le distanze delle estremità di a, %, c dal fondo, po-
tremo ritenere molto approssimativamente che il fenomeno av-
venga come se a, bd, c toccassero il fondo e in tutti i punti
di questo, esclusi quelli di contatto colle estremità di a, bd, c,
la componente normale fosse nulla. Quindi se si prende l’asse
coordinato 2 parallelo agli elettrodi, la funzione potenziale nel
liquido sarà una funzione soltanto delle due coordinate x e y
che verificherà l'equazione
ATF 20
e che avrà dei punti d’infinito logaritmico corrispondentemente
alle intersezioni di 4, d, c... col piano x y. Se » è la normale
al contorno della vaschetta sarà
dU.,;
dn
Indicando con r,, r,, 7,... le distanze dei punti d’'infinito dal
punto (4, y), la funzione potenziale in questo punto sarà data da
M, log x, +M;, log r, +M.logr,+..... + @(2,4)
in cui 9(x,y) è finita ed M,, M,, M,,... sono proporzionali alle
quantità di elettricità che entrano nel liquido dai rispettivi elettrodi.
La funzione potenziale U,, nei punti della lastra sarà pure
una funzione delle due variabili x ed y, che verificherà a con-
dizioni analoghe a quelle a cui soddisfa la UV; quindi sarà essa
pure della forma
M, log r, +M, logry+Mlogre+.....+9,(2,9);
in cui M,,M,/,M/... sono proporzionali alle quantità di elet-
tricità che entrano da A, B,C..... , € ©,(2,y) è finita. Ma
possiamo evidentemente assumere M,', M,', M/....come pro-
porzionali al M,, M,, M..... > cile risulterà
De'dda È;
in cui Ce C, sono costanti,
242 VITO VOLTERRA
Ora, le linee in cui la forza elettromotrice di polarizzazione
avrà un valore costante , nelle quali quindi si sarà depositato
uno strato di grossezza uniforme e che conseguentemente appa-
riranno avere una stessa colorazione, sono date da
U—-U,= cost.,
quindi corrisponderanno alle linee U,= cost.
Ma, se supponiamo la lastra metallica isolata e delle cor-
renti che entrino ed escano da A, B, C..... in modo che le
quantità di elettricità che penetrano nella lastra siano propor-
zionali ad, M,,M,,M..... , la funzione potenziale sulla lastra
sarà evidentemente una funzione proporzionale ad U,, quindi è
dimostrato che le linee di egual colorazione corrispondono alle
linee di livello.
Questo risultato evidentemente non è che approssimativo avendo
supposto trascurabili le grandezze delle superficie A, B, C... Si com-
prende facilmente che quanto più saremo lontani da questi punti
tanto più gli anelli colorati si accosteranno alle linee di livello (*).
Sulla loro forma non avrà poi influenza l’altezza del liquido.
2° Caso. Consideriamo una vaschetta, il cui fondo metallico
abbia uno spessore eguale all'altezza del liquido in essa conte-
nuto ed in vicinanza del fondo esistano dei punti a,b,c... (fig. II)
di entrata e di uscita della corrente. Quando sarà raggiunto il
periodo stazionario, ammettendo che le superficie A, B, C...
per le quali entra la corrente nel fondo metallico possano con-
siderarsi come dei punti coincidenti con a, d, c... la funzione
potenziale U nell’elettrolita soddisfarà l'equazione
ASU=0-,;
(*) Se H. MerEeR (Wied. Genn. 1883, p. 136) trova il contrario misurando
alcune lastre preparate dallo stesso GuEBHARD e confrontandole colle proprie
determinazioni galvanometriche, ciò deriva probabilmente dalla circostanza
che GuéBHARD adagiava il più delle volte le sue lastre sul fondo, alquanto
più esteso, della vasca, e non le verniciava a tergo: e d’altra parte nella
gura riferita dal MeyER le superficie corrispondenti ad A, B, C,.... sono
molto estese.
Fig. Il. M
: SULLE FIGURE ELETTROCHIMICHE DI A. GUÉBHARD 243
avrà dei punti d'’infinito del 1° ordine in «,0,c...,ed in tutti
gli altri punti del contorno verificherà la condizione
d U na
dn
in cui » è la normale al contorno.
Ad analoghe condizioni soddisfarà la funzione potenziale U,
«nei punti del fondo metallico; quindi i due campi in cui sono
definite queste funzioni essendo eguali, si otterrà con una osser-
| vazione analoga a quella fatta precedentemente, quando si prenda
il piano M N di separazione dei due mezzi per piano xy, che
U(2,4y,2)=CU,(r,y,—2)+C;,
in cui C e C, sono costanti.
Perciò sarà
U—-U,= cost.
nei punti ove è
U,= cost.
In questo caso quindi gli anelli colorati dànno approssima-
tivamente le intersezioni del piano M N colle superficie di li-
vello nel conduttore MN ,S supposto isolato, oppure (come si
riconosce facilmente) nel conduttore PQ7?S supposto omogeneo.
Analogamente si avrebbe se i punti a,b,c... fossero sol-
tanto punti di entrata della corrente e due punti V e W sim-
metrici rispetto ad MN fossero in comunicazione col suolo.
Per esempio, se si suppone il liquido L indefinito e il fondo
metallico M pure indefinito, « e » (fig. III) i punti di entrata
Fig. II - Lu . A
della corrente, e si suppone che due punti di L e di M a di-
stanza infinita comunichino col suolo, si otterranno sulla super-
ficie PQ gli anelli colorati che dovranno assumere la nota forma
simile a delle Cassinoidi (°).
(*) Vedi il disegno in THomson und Tatr. Handbuch der Theoretischen
Physik. Bd. I, Th. 2, s. 53.
244 VITO VOLTERRA
ER
Il fenomeno della coincidenza degli anelli di A. Guébhard
colle linee di livello nella distribuzione della elettricità si può
presentare anche in altre circostanze diverse da quelle che per
quanto io so sono state studiate finora sperimentalmente.
Ne cito alcune :
1° Sia nota in tutti i punti di un piano P (Fig. IV) una
funzione V che verifica l’equazione
Fig. IV.
A*V=0 .
Mediante la proiezione stereografica, si rappresenti conforme-
mente il piano sulla sfera S in modo che la V possa conside-
rarsi come una funzione V, dei punti della sfera. Se prendiamo
un sistema di coordinate polari (vr, ©, 4) coll’origine nel centro
della sfera avremo evidentemente, considerando la V, come fun-
zione di r, 0, @,
dV, dV
1{d(r—- dsenî — È
( 1) dai dO, 1-09 Jo
dr sen0.d0 = sen'@ d°q
dV,
U?|)
dr
Se A, B, C sono punti d’infinito logaritmico di V; A4,; B,, 0,
sono i punti corrispondenti della sfera S, la V, sarà infinita lo-
garitmicamente nei punti dei raggi OA,, 0B,, OC,.....
Sia S coibente, e tutto lo spazio esterno alla sfera sia con-
duttore. Una corrente elettrica entri ed esca per gli elettrodi
SULLE FIGURE ELETTROCHIMICHE DI A. GUÉBHARD 245
iii dicci |
MC... , in modo che da ogni punto di ciascuno di essi
penetri nel conduttore una stessa quantità di elettricità rispetti-
vamente proporzionale al coefficiente del termine d’infinito cor-
: rispondente ad A, B, C,.... Avremo che V, sarà la funzione
potenziale.
Supponiamo ora invece che la superficie della sfera coibente
. ssa costituita da uno strato sottilissimo metallico ed il con-
È duttore esterno sia il noto elettrolita adoperato da A. Guébhard.
x Gli elettrodi a, d, €... giungano fino a poca distanza dalla su-
perficie sferica. Se la corrente sarà abbastanza intensa, allorchè
sarà raggiunto il periodo stazionario , la corrente penetrerà ed
escirà nello strato sferico per delle superficie A,, B,,0,.....
prossime agli estremi di a, d, c...e in tutti gli altri punti della
superficie sferica si stabilirà l’equilibrio fra la corrente principale
e quella di polarizzazione, onde ripetendo il ragionamento fatto
nei casi considerati precedentemente , avremo che gli anelli colorati
che si presenteranno dovranno approssimativamente coincidere colle
linee di livello della superficie sferica conduttrice supposta isolata
ed a contatto con gli elettrodi.
Invece di una sfera se ne potrebbe considerare una porzione
soltanto, purchè si limitasse corrispondentemente lo spazio occupato
dall’elettrolita.
2° Un recipiente isolante, avente la forma di un solido di
rivoluzione, sia diviso con un piano diametrale metallico A BC
(Fig. V) sottilissimo, di cui la conducibilità in ogni punto sia
proporzionale alla sua distanza dall'asse CD . Una delle due parti
in cui viene così diviso il recipiente contenga il noto elettrolita
Fig. V.
del Guébbard e si faccia penetrare ed escire la corrente da due
archi circolari a,b normali all'asse, aventi il centro su esso e di
cui gli estremi siano a poca distanza dalla lamina metallica. Se
la corrente sarà abbastanza intensa gli anelli colorati che si ot-
246 V. VOLTERRA - SULLE FIGURE ELETTROCHIMICHE DI A. GUÉBHARD.
terranno sulla lastra metallica rappresenteranno approssimativa-
mente le linee equipotenziali della lastra stessa isolata posta a
contatto con gli elettrodi «, d |
Evidentemente il fenomenofdovrà avvenire egualmente se si
limiterà lo spazio occupato dal liquido allo spazio ADE C me-
diante una superficie piana coibente DE C ed una porzione LM C
di una superficie di rivoluzione avente per asse CD (*).
Credo che questi fatti si possano verificare sperimentalmente,
anzi il Dott. Luigi Pasqualini vi si è già accinto.
(*) E evidente, che il fenomeno di GuéBHARD e questi analoghi corri»
spondono a dei casi di potenziali indipendenti da una coordinata.
e e ©
A nome del Socio Prof. Angelo GeNnoccHI, il Socio Prof.
Siacci presenta alla Classe il fascicolo di Marzo 1882 del Bwl-
lettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e
Fisiche, pubblicato dal Principe Boncompagni. Questo fascicolo
contiene: 1° un articolo del Sig. E. Narducci Intorno a due
Trattati inediti d’ Abaco contenuti in due Codici Vaticani del
secolo XII; 2° Due Trattati inediti d’Abaco.
In questa adunanza vien letta la lettera colla quale S. E.
il sig. Ministro dell'Istruzione Pubblica annunzia che le elezioni
dei signori Guglielmo THomson, Prof. nell'Università di Glasgow,
e Carlo GeGENBAUR, Prof. nell’ Università di Heidelberg, fatte
dalla Classe nell’adunanza del 31 dicembre 1882, furono da
S. M. il Re approvate con Decreto del 1° febbraio 18883.
248 CARLO EMEÉRY
Vien letta la seguente Nota del Dott. Carlo EMÉRY presen-
tata dal Socio Cav. Prof. Angelo Mosso,
SULLA ESISTENZA
DEL COSIDETTO
TESSUTO DI SECREZIONE
NEI. VERITIEBKRA TE
Kessler ha descritto nello sviluppo della cornea, e partico-
larmente nel pulcino (1), uno stadio in cui questa membrana è
costituita da sostanza omogenea, nella quale penetrano più tardi,
come per immigrazione, elementi cellulari provenienti dal meso-
derma. Io stesso ho potuto riconoscere che, nei Teleostei e nei
Selacii (2), il primo accenno della cornea risulta di una sotti-
lissima membrana omogenea interposta fra la lente cristallina e
l'epidermide, ma ho constatato pure che questa lamella appartiene
essenzialmente alla cute, e si estende, oltre i limiti dell’occhio,
al disotto dell'epidermide di tutto il corpo. Essa rappresenta
quindi uno stadio primitivo omogeneo della cute che precede la
costituzione definitiva di questo strato dell’organismo.
Nelle larve pelagiche di alcuni Teleostei, che schiudono dal-
l’uovo in uno stadio poco inoltrato del loro sviluppo (per lo più
con la bocca chiusa, senza branchie, senza glomeruli del rene
cefalico, spesso senza corpuscoli sanguigni), quello strato omogeneo,
che sostiene l’epidermide e che rappresenta la cute, raggiunge
(1) Untersuchungen weber die Entwichelung des Auges. Diss. inaug.;
Dorpat, 1871.
(2) Za cornea dei pesci ossei. Mem. d. Soc. di Sc. nat. ed econom. Pa-
lermo, 1878.
sa dle
SULLA ESISTENZA DEL COSIDETTO TESSUTO DI SECREZIONE Ecc. 249
uno sviluppo relativamente enorme e contribuisce, per una parte
importante, a formare la massa del corpo.
In una sezione trasversa della coda di una larva di 7erasfer
(fig. 1) si vede, nel centro, la sezione di una massa cilindrica
Fia. 1
TT
TON
RS a
a
ERSÒ
SANI
ao
Fig. 1. Sezione trasversa della coda di una larva di Fierasfer acus schiusa
da due giorni; 200:1.
» 2. Sezione trasversa della piuma preanale di una larva di Belone acus
lunga 22 mm.: 200:1.
» 5. Metà ventrale della sezione trasversa della coda di una larva di
Lophius; 300:1.
D pinna dorsale; A anale; e epidermide; s sostanza di secrezione;
x cellule stellate contenute in questa sostanza; cA corda dorsale; n midollo
spinale; # muscoli laterali; ! nervo laterale; ao aorta.
costituita dalla corda dorsale , intorno alla quale sono disposti
regolarmente l’asse cerebrospinale , i muscoli laterali e l’aorta
250 CARLO EMERY
codale ; questa massa cilindrica è circondata da uno strato ialino,
senza struttura apparente, o che talvolta presenta vacuoli e gra-
nulazioni sottilissime , dovute certamente all’azione dei reagenti
coagulanti. Questo strato si prolunga lungo il dorso e lungo il
ventre del pesce a costituire tutta la massa delle pinne verticali,
le quali non contengono nessun altro elemento di sostegno. Sopra
lo strato omogeneo è distesa l’epidermide che trovasi così separata
dalla massa centrale, con la quale è connessa soltanto per mezzo
delle fibre nervose che, dal nervo laterale, vanno ai bottoni di
senso della linea laterale.
Offre una immagine consimile la sezione trasversa della coda
di altre piccole larve pelagiche di Teleostei ( Labrus, Labrax,
Lophius). Nei pesci ossei i cui embrioni raggiungono, ancora nel-
l'uovo, un grado elevato di sviluppo, come ad es. nella Belone
acus, lo strato ialino non acquista mai una spessezza così con-
siderevole, e rimane come sottile membrana, che presto non è
quasi più riconoscibile, perchè si confonde col resto della cute,
costituita da lamelle di connettivo fibroso con cellule. Anche nelle
pinne verticali di questi pesci, lo stadio ialino della cute è di
breve durata e si trova quindi, invece della sostanza omogenea,
un vero tessuto connettivo, nel quale si sviluppano i raggi cornei
embrionali, e poi i raggi ossei definitivi. Evvi però nella Belone
e in molti altri pesci una ripiegatura della cute, che ho chiamata
pinna preanale (1), la quale si estende lungo la linea mediana
ventrale, innanzi all’ano. Siffatta pinna, che è destinata a sparire
quando il pesce ha raggiunto un certo grado di sviluppo, con-
serva, finchè dura, la struttura primitiva delle pinne verticali,
essendo costituita dalla sola sostanza omogenea, rivestita di epi-
dermide. Nella sezione trasversa (fig. 2), si vede la sostanza omo-
genea (s) della pinna preanale continuarsi con lo strato superficiale
ancora anisto della cute.
Poichè la pinna preanale non esce da una condizione em-
brionale, le si potrebbero attribuire due valori diversi. — a) Si
potrebbe supporre ch’essa sia un organo antichissimo, scomparso
nei progenitori dei Vertebrati prima della differenziazione del tes-
suto connettivo della cute, o pure arrestato nei Teleostei in un
periodo iniziale di sviluppo, perchè divenuto organo inutile e
(1) Note ittiologiche. Atti della Società Ital. di Sc. nat., XXI, 1878.
Mi drei,
SULLA ESISTENZA DEL COSIDETTO TESSUTO DI SECREZIONE Ecc. 251
quindi rudimentale. — 4) Si potrebbe considerare invece la pinna
preanale come un organo embrionale provvisorio, acquistato dai
Teleostei e forse già dai Ganoidi per adattamento a speciali con-
dizioni della vita pelagica delle larve. A volerne giudicare dalle
figure date da Balfour nel suo classico trattato, un rudimento
di pinna preanale si troverebbe nelle larve dei Ganoidi (Acipenser,
Lepidosteus), manca però del tutto nei Selacii, come ho potuto
riconoscere io stesso sopra embrioni di Pristiurus.
Egli è probabile che il tessuto ialino della cute delle larve
di Teleostei si trasformi poi in connettivo, per immigrazione di
elementi cellulari. Così almeno credo dover interpretare alcuni
fatti osservati in larve di Lophius (fig. 3): sulle sezioni della
coda , si vedono sporgere dai lati dell’aorta e dalle vicinanze
dell’asse nervoso, nella sostanza ialina, gruppi di cellule stellate :
le cellule sono più numerose in vicinanza della massa centrale
della coda (costituita, come fu detto sopra dalla corda dorsale
con i muscoli laterali, il midollo spinale e l’aorta), più rade in
vicinanza dell'epidermide: sono più numerose in larve il cui svi-
luppo è più inoltrato di qualche giorno, anzichè in larve da poco
schiuse. L'impossibilità di ottenere esemplari ulteriormente svi-
luppati m’impedisce di seguire il progresso di questo processo di
emigrazione, e di dare la prova di quanto io suppongo, cioè che
le cellule, invadendo la sostanza ialina, la trasformino in un vero
tessuto connettivo. — Chiunque si sia occupato dello studio delle
larve pelagiche dei pesci, comprenderà quanta sia la difficoltà di
ottenere serie un poco estese di stadi di una medesima forma.
La speciale condizione della sostanza ialina, che sta al disotto
dell’epidermide delle larve pelagiche, di cui è qui parola, m’induce
a paragonarla a ciò che Hensen (1) ha chiamato tessuto di secre-
zione (Secretgewebe), il quale costituisce il disco gelatinoso delle
Meduse, e che consiste di una sostanza omogenea, segregata dallo
strato cellulare (ectoderma) da cui è limitata. Questa sostanza,
priva di cellule nelle Craspedote , contiene invece elementi cel-
lulari nelle Acraspede e nelle Ctenofore , ed è provato che le
(1) Ueber die Entwichelung der Gewebe und der Nerven im Schwanse
der Froschlarve: Virchow's Archiv XXXI, p. 53 e seg. In questo stesso
importante lavoro, Hensen descrive, nella coda dei giovani girini di rana,
condizioni che ripetono, benchè in proporzioni assai meno vistose, quello
che ho rilevato qui in certe larve di Teleostei,
252 CARLO EMERY
cellule suddette sono cellule migrate dall’ectoderma. In un modo”
consimile, nelle larve degli Echinodermi e di altri animali inferiori,
le cellule del mesenchima emigrano, dai dintorni del blastoporo,
in una sostanza gelatinosa omogenea, che riempie la cavità di
segmentazione.
Come il disco delle Meduse, la sostanza ialina dei nostri
pesciolini deve essere riguardata come una secrezione basale del-
l’ectoderma ; trasformandosi essa in tessuto connettivo, ne risulta
che, in questo tessuto, una parte almeno della sostanza fonda-
mentale ha avuto origine indipendentemente degli elementi cel-
lulari ed è preesistente ad essi. Questo fatto ba la sua importanza,
rispetto alle quistioni che si agitano tuttavia fra gl’istologi, circa
la formazione della sostanza fondamentale dei connettivi.
Il tessuto ialino della cute delle nostre larve, con le cellule
che emigrano in esso, rappresenta una porzione del mesenchima (1),
la quale lascia vedere con singolare chiarezza il suo modo di
formazione, che negli altri Vertebrati è molto meno evidente, in
ragione della scarsezza della sostanza ialina segregata alla base
dell’ectoderma. Però, uno studio accurato dello sviluppo farà ri-
conoscere, ancora in molte parti degli embrioni di Vertebrati, la
presenza di uno strato sottile di sostanza di secrezione. A mio
avviso, appartengono a questa categoria le membrane basali degli
epitelii e quelle delicatissime membrane aniste, che si formano
nell’embrione al limite che separa due formazioni epiteliali con-
tigue, o pure fra un organo epiteliale e il connettivo circostante.
Io credo che Kessler abbia esagerato quantitativamente l’im-
portanza della sostanza omogenea primitiva, nella formazione della
sostanza fondamentale della cornea : rimane però il fatto che ho
confermato per i Pesci, che, prima della penetrazione di cellule
embrionali fra l’ectoderma e la lente cristallina, esiste fra queste
parti uno strato di sostanza omogenea: per la sua grande sot-
tigliezza, nelle forme da me studiate, non ho potuto constatare
se le cellule penetrassero in essa sfaldandola in foglietti, come
Kessler ha veduto e figurato in diversi vertebrati e specialmente
negli Uccelli.
Pertanto, la grandissima diffusione delle membrane di secre-
zione nei Vertebrati, le quali precedono lo sviluppo di sepimenti
(1) Pel significato da darsi alla parola mesenchima, si riscontri Ia Me-
moria dei fratelli HerTWwIG: Die Coelomtheorie. Jenaische Zeitschr. 1881.
e
SULLA ESISTENZA DEL COSIDETTO TESSUTO DI SECREZIONE Ecc. 253
connettivali fra gli organi epiteliali (1), mi fa supporre che sif-
fatte membrane rappresentino un residuo di formazioni diffuse
negli animali inferiori, ove sono rappresentate, negli embrioni,
i dalla massa gelatinosa che riempie abitualmente la cavità di
segmentazione (cavità del corpo primitiva), e, negli adulti, da di-
verse forme di lamine di sostegno. Queste lamine, quando sono
molto sviluppate, costituiscono masse gelatinose più potenti (disco
delle Meduse, ecc.), che servono a dare, con poca materia so-
lida, un maggior volume ed una sufficiente rigidezza ed elasticità
ad organismi pelagici.
Non credo che lo sviluppo considerevole di questa sostanza
gelatinosa, nelle larve pelagiche di T'eleostei, sia condizione pri-
mitiva : credo invece verosimile che sia questa una condizione
acquisita, la quale abbia per risultato di dare, con poca materia
e poco lavoro di organizzazione, maggior volume ed elasticità alla
coda di minuti pesciolini ed alle loro pinne verticali, organi
essenziali della locomozione. Difatti riscontriamo la maggiore spes-
sezza del tessuto di secrezione in larve di pesci che schiudono
da uova piccole e che hanno rapida evoluzione, cioè quando il
pesciolino ha dovuto formarsi presto e con poca materia. Tale
carattere dovrà dunque essere considerato come conseguenza di
un adattamento larvale, il cui sostrato materiale però, cioè le
membrane di secrezione, rappresentano invece, a mio parere, il
residuo di formazioni antichissime, eredità di remotissimi antenati.
Bologna, Gennaio 1883.
(1) Si potrebbe forse noverare ancora fra i tessuti di secrezione il corpo
vitreo, il quale, almeno nei Pesci e in altri Vertebrati inferiori, apparisce
in origine come una massa omogenea priva di elementi cellulari.
L’Accademico Segretario
A. SOBRERO.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 18*
254
Il giorno 25 Febbraio 1883 non sì tenne
seduta dalla Classe di Scienze fisiche, matema-
tiche e naturali, in segno di lutto per la morte
del Presidente, Commend."* Senatore Ercole
RICOTTI, avvenuta il giorno 24 alle ore 11 */,
pomeridiane.
CLASSI UNITE
257
CLASSI UNITE
Adunanza del 18 Febbraio 1883.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. PROSPERO RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
In questa adunanza il Socio Barone D. Antonio MANNO viene
eletto alla carica triennale di Tesoriere dell’Accademia.
Ascanio SOBRERO
Gli Accademici Segretari
Gaspare GORRESIO.
AMIOrI \Srblali:
pre
Va È
*
»
; : SOMMARIO
n
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali,
ms
VoLteRRA — Sulle figure etetfrochimiche di A. GUEBHARD.....,. Pag.
Siacct — Presentazione del Bollettino di Bibliografia e Storia delle
Scienze Matematiche e Fisiche , pubblicato dal Principe Box-
SCOMPAGNI tran RR VO RENE SCR O RE DEI A PA 9 EN e +»
f
Approvazione di-Soci Straniemgo. i 4 e da e e elia REALTA »
Emery — Sulla esistenza del cosidetto tessuto di secrezione nei Ver-
LEDLALRE e E Pre PUSPTRIO IR A NI RR NI en a »
Classi Unite.
ELezione a Tesoriere dell’Accademia il Barone D. A. Manno... . »
239
247
Z4T
248
RDOT:
ATTI
DELLA
| R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
6 PUBBLICATI
dagli Accademici Segretari delle due Classi
vor. XVII, pisp. 4° (Marzo 1883)
Ulasse di Scienze Fisiche, Matematiche
e Naturali.
La
.*
TORINO
ERMANNO LOESCHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze.
cante ;
di
CLASSE
— SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
|Aui R, Acad. - Parte Fisica — Vol, XVIII,
PSE.CA x
è
259
LAGAL,
261
CLASSE
DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza dell’ 11 Marzo 1883.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
| Il Socio Cav. Prof. G. Basso legge il seguente suo seritto
SOPRA UN CASO PARTICOLARE
DI
RIFLESSIONE CRISTALLINA.
1. In un lavoro precedente (*) ho studiato le modificazioni che
subisce un elemento d’onda polarizzata rettilineamente nel pas-
saggio da un mezzo trasparente ad un altro, e mi sono special-
mente occupato della riflessione della luce alla superficie dei
mezzi non isotropi. "ri,
Partendo da principii, la cui attendibilità credo di avere
sufficientemente dimostrata, e che, d'altronde, non differiscono
sostanzialmente da quelli su cui A. Fresnel fondò la sua teoria
meccanica della riflessione, io sono giunto a risultati, mercè cui
si può risolvere in generale la questione seguente: Un raggio
di nota intensità e polarizzato rettilineamente in un piano
pure conosciuto giunga ad una faccia naturale od artificiale
di un cristallo birifrangente, di cui si conoscono le costanti
ottiche; determinare l'intensità e lo stato di polarizzazione del
raggio riflesso che ne deriva.
(*") Studi sulla riflessione cristallina (Memorie della R. Accademia delle
Scienze di Torino, serie II, tom. XXXIV).
262 ; GIUSEPPE BASSO
In certi casi particolari le formole, che contengono la solu-
zione del detto problema, si presentano sotto forma molto sem-
plice e talvolta non è molto difficile lo assoggettarle a verificazioni
sperimentali. Qui intendo appunto di esaminare brevemente uno
di questi casi particolari. Applicherò direttamente ad esso le
considerazioni fatte in maniera più generale nel mio lavoro già
citato, al quale rimando il lettore per più estesi svolgimenti.
2. Un raggio luminoso d’intensità uno, polarizzato rettilinea-
mente, giunga normalmente ad una faccia, disposta parallelamente
all’asse ottico. di un cristallo birifrangente uniasse. Sia 9 l’angolo
compreso fra il piano di polarizzazione della luce incidente e la
sezione principale del cristallo; siano « e rispettivamente le
velocità di propagazione del moto luminoso nella direzione trasver-
sale e nella direzione parallela all’asse ottico, essendo eguale
all’unità la velocità di propagazione nel mezzo esterno al cristallo.
Si limiti sulla faccia riflettente una porzioncella. qualunque
e la si consideri come base di un prisma retto posto all’esterno
del cristallo e la cui altezza eguagli la lunghezza d’onda del
moto vibratorio nell’etere libero. Il moto incidente che anima
la massa eterea di questo prisma, in un determinato istante, è
differente in fase da una ad altra sezione retta, per guisa tale
che in tutto il prisma si trovano rappresentate contemporanea-
mente tutte le fasi possibili di vibrazione. Possiamo, in modo
analogo, considerare tre altri prismi retti di egual base del pre-
cedente; uno di questi abbia pure l’altezza del primo e sia anche
occupato da etere libero, ma si trovi unicamente animato dal
moto vibratorio riflesso; gli altri due prismi abbiano le loro
altezze rispettivamente eguali alle lunghezze d’onda dei due moti
rifratti e si immaginino come attraversati distintamente, uno dal
moto vibratorio ordinario e l’altro dallo straordinario.
I quattro prismi eterei così concepiti sono tali che il tempo
impiegato dai corrispondenti moti luminosi a propagarsi attra-
verso ciascuno di essi è lo stesso per tutti ed uguale alla durata
di vibrazione.
Come conseguenza di considerazioni svolte nel mio lavoro
sovracitato risulta che, se attribuiamo alla densità che l’etere
possiede nei quattro prismi valori inversamente proporzionali ai
quadrati delle velocità di propagazione dei moti luminosi cor-
rispondenti, il principio della conservazione delle forze vive esige
che la forza viva, la quale, in un istante qualunque, anima la
SOPRA UN CASO PARTICOLARE DI RIFLESSIONE CRISTALLINA 263
massa eterea del prisma corrispondente al moto incidente eguagli
la somma delle forze vive che animano le masse eteree degli altri
tre prismi, corrispondenti al moto riflesso e ai due moti rifratti.
È facile il vedere che questo teorema si traduce nella equa-
zione:
perso Imagfa ig" ROTERE
in cui V, «,, «, sono rispettivamente le velocità vibratorie (°)
dei moti riflesso, ordinario e straordinario, essendosi assunta come
unità la velocità vibratoria del moto incidente.
8. Se si estende al caso della riflessione cristallina il noto
principio di continuità di Fresnel, esso dà luogo a due relazioni
distinte fra le velocità vibratorie, incidente, riflessa e rifratte.
«Invero, conducendo sulla faccia riflettente del cristallo due dire-
zioni ortogonali qualunque, sopra ciascuna di queste si proietti
ciascuna delle quattro velocità vibratorie; per ognuna delle due
| direzioni, esiste l'eguaglianza fra la somma delle proiezioni delle
"velocità incidente e riflessa e la somma delle proiezioni delle due
| velocità vibratorie rifratte.
_ Una delle dette due direzioni sia, per comodità, l’asse stesso
: del cristallo; saranno rispettivamente sen? e cos ? la componente
secondo l’asse e quella normale all’asse della velocità incidente.
Chiaminsi v e © le componenti della velocità V vibratoria riflessa.
Il raggio rifratto ordinario essendo polarizzato nella sezione prin-
cipale, avrà la sua velocità «, vibratoria diretta normalmente
. all’asse ottico: le componenti di questa saranno adunque zero
e «,. Peril raggio rifratto straordinario, polarizzato normalmente
alla sezione principale, si avranno le componenti «, e zero della
propria velocità vibratoria.
Perciò dal principio di continuità consegue :
senG +v=u, (2)
così +v=u, | i ngi
alle quali relazioni si può aggiungere :
P=vtr'..... rasoi 1:) 3
(*) Chiamo velocità vibratoria nel moto vibratorio rettilineo la velocità
massima della vibrazione, cioò quella che la particella vibrante possiede
quando passà per la posizione d’equilibrio. v
264 GIUSEPPE BASSO
4. Infine, una relazione fra le due velocità vibratorie rifratte
U,, U,, Si può immediatamente ricavare dalla nota legge di
Malus intorno alle intensità dei raggi ordinario e straordinario,
il rapporto delle quali si sa essere prossimamente eguale al rap-
porto fra i quadrati del coseno e del seno dell’angolo che colla
sezione principale fa il piano di polarizzazione della luce inci-
dente. E poichè le intensità luminose sono prossimamente pro-
porzionali ai quadrati delle corrispondenti velocità vibratorie, si
avrà:
=— tang Qi SSe (4).
I
5. Ricavate dalle (2) le espressioni di v e di v, si quadrino
e si sommino. Tenendo conto della (4) si avrà:
2u, U,
1— (0° po pel ei SIT
(00 così così *
Sostituiscasi nella equazione (1) tenendo conto della (3) e
della (4); si potrà così eliminare la «, e ricavare il valore di w,,
che sarà :
2abcosì
U, so i? PLANE ARTO, Sen 5
a cos 94 bsen'@+ab
Questo valore, sostituito in ciascuna delle (2), in cui sì ri-
corda pure essere: u,=v, tang @, ci dà le due espressioni seguenti —
delle componenti della velocità riflessa :
a p sen 6 + q cos 6
vV—= — Se ac
psen'G+ g'cos'@ ’
psen'9 + gq cos'@
U,= — C08
psen' 0 +g'cos' 8 *
dove si è posto, per semplicità :
l-a 00 ira lata
er 7 gi. a 2 Fg
6. Le due formole, così ottenute, risolvono completamente il
problema propostoci. Chiamando 4 l’angolo che il piano di pola-
=
UNA pria
SOPRA UN CASO PARTICOLARE DI RIFLESSIONE CRISTALLINA 265
rizzazione del raggio riflesso fa colla sezione principale del cristallo,
si ha:
Vv A
È ; = re > e fi [a
tang p= == tang < RICIICRETO We et
Ed essendo presa come unità l'intensità del raggio incidente,
l'intensità / del raggio riflesso è:
pepati (22 0+ TE 9 )
p sen? G+ gq cos @
7. I risultati così ottenuti ci svelano alcune particolarità
intorno alla riflessione cristallina, le quali forse non sarebbe dif-
ficile sottoporre a verificazioni sperimentali.
L'equazione (5) ci avverte che, pel caso studiato della faccia
riflettente parallela all’asse ottico, lu luce normalmente riflessa
si conserva polarizzata nello stesso piano in cui lo è la luce
incidente.
Inoltre, se il piano di polarizzazione coincide colla sezione
principale del cristallo, si ba 9= 0; e l'intensità I, della. luce
riflessa è: È
DET
ip
i =
LI
Se il piano di polarizzazione è normale alla sezione princi-
" n
pale, cioè: @=—-
5° si ba per l’intensità /, della luce riflessa:
. | 2
i a i
Ne consegue che, per i cristalli negativi essendo 4< a, sarà :
I,>1I,; per i cristalli positivi (5 >) avviene il contrario.
Quindi, se si fa cadere normalmente alla faccia parallela
all'asse un raggio di luce, in modo che il piano di polarizzazione
coincida colla sezione principale, e se in seguito, a partire da
questa posizione, si fa girare nel suo piano di 90° la lamina
riflettente, durante la rotazione l’intensità della luce riflessa va
decrescendo, oppure va aumentando, secondochè il cristallo è
negativo, ovvero positivo.
966 GG. BASSO — SOPRA UN CASO PARTICOLARE DI RIFLESSIONE ECC.
P. es., ritenendo per la calcite :
a=0,6742 e . b=0;6045
siccome danno le migliori determinazioni, si ottiene :
I,=0,0607 ; I,=0,0379.
Perciò la variazione dell’ intensità luminosa riflessa durante
la rotazione sovraccennata si fa nel rapporto di 1 a 0,624.
Per il quarzo secondo Rudberg si ha:
a=0,6438: . b=0,6476.
Se ne deduce:
AZIZ I,=0,0469.
Quindi, se si fa rotare nel suo piano una lamina di quarzo
parallela all’asse, per modo che la sua sezione principale passi
dalla posizione parallela alla posizione normale al piano di pola-
rizzazione della luce incidente, l'intensità della luce riflessa au-
menta soltanto nel rapporto di 1 a 1,026.
267
Il Socio Cav. Prof. E. D'OvipIio presenta e legge il seguente
lavoro del Dott. G. MORERA,
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE
DEL
SISTEMA DI UNA FORMA LINEARE
E
DI UNA FORMA BILINEARE ALTERNATA.
Lo studio delle proprietà invariantive del sistema di una
forma lineare e di una forma bilineare alternata, dopo la bella
applicazione fattane dal signor Frobenius al problema di Pfaff
(Crelle’s J. B. 82 — Ueber das Pfaff’sche Problem), ha acqui-
stato una certa importanza.
È per questa ragione e perchè i principii della notazione
| simbolica, per quanto mi consta, non furono mai applicati a
| siffatto studio che io pubblico il presente scritto, sebbene i risul-
tati ai quali giungo sieno, sotto altre forme, tutti noti.
Per non interrompere in seguito lo studio delle formazioni
invariantive premetto ($$ 1, 2, 3) le dimostrazioni di alcune
formule e proprietà, che in seguito mi occorrono. In particolare .
| mei primi due $$ mi occupo dei determinanti gobbi rappresentati
in notazione simbolica: ciò mi dà occasione ($ 2) di dimostrare
la legge di formazione di quell’espressione, il cui quadrato è
eguale al determinante gobbo.
In seguito passo a studiare le forme invariantive pel sten
di una forma lineare e di una bilineare alternata e fo vedere
come esse s7 possano tutte quante esprimere in funzione delle
più semplici, cioè di quelle formate con un solo determinante
simbolico. Da ciò discende un importantissimo teorema sui de-
terminanti gobbi, dovuto al sig. Frobenius ($ 7).
268 G. MORERA
In istretto nesso collo studio delle proprietà invariantive delle
due forme, lineare l’una e bilineare alternata l’altra, sarebbe la
quistione della loro riduzione a forme canoniche, ma su ciò non
ho che da indirizzare il lettore alla prima parte della bella me-
moria già ricordata di Frobenius.
$S 1
Sia il determinante gobbo :
Or0g ie i pad. Oa
orosei, OT
Ae Me gate? :
|
VETK “Rei e OA a
| 0, mi, i 15 RACER DIR PAIA ro Oo m.,am
ove 0,,;+0,;=0 , O; 0%
Poniamo simbolicamente :
LU LÀ ' , I
O,,=4;4} =bjb = (Cl; Ck —_ A) = Xi Ax ee? = è. (0. 4 3
sarà allora:
- 0
© i k
2 ik
Chiameremo complementari due simboli a, a' che col loro
prodotto danno un elemento effettivo. i
È manifesto che se in un aggregato simbolico, di significato
effettivo, si scambiano due simboli complementari, l’espressione
rappresentata muterà di segno: mentre se si permutano comunque
dei simboli equivalenti a, d, c...f e si eseguisce la stessa per-
mutazione sui rispettivi complementari a', d', c'. ..f' l’espressione.
rimarrà inalterata.
Ciò premesso, per A si ottiene, con un artifizio abituale nella
notazione simbolica, la rappresentazione:
(22m)! A=(adbe .L. U)(ad'ei.il)a
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC. 269
Z
(2)
. { { r ) . . . .
ove al solito con (e è . v\2"5) si dinota il determinante :
tene ii i
uranio
= |a een.» CS (2) |
I L 2 2m
7 | |
1 LUCRO pi da |
si
î at ta api aa |
vl m) v Gigio, SII A Sia » (27m) |
2 2n
î : 2
l E ben noto che ogni determinante gobbo è il quadrato di
una funzione razionale intera de’ suoi elementi: vediamo di de-
durre questo teorema per mezzo della notazione simbolica.
A questo scopo ci occorre una formula, della quale premet-
tiamo la dimostrazione, e che serve a trasformare un'espressione,
simbolicamente rappresentata da:
lan. - -:ffiaB 4) Bi);
in un'altra dello stesso tipo, nella quale però il numero delle
coppie di simboli complementari, che figurano in ciascun deter-
minante simbolico, è accresciuto di un’unità.
Dinotando con «, l’espressione «, 2, +%,%,+.-. +%UnTm
si ha identicamente:
Gi A ST È I A ira
In questa identità prendiamo per #,...%,,, rispettivamente
i sottodeterminanti complementari degli elementi 2',. ..%',m nel
determinante (44°... pp e B...')') e sviluppiamo secondo gli
elementi dell'ultima colonna. Risulta così:
270 G. MORERA
(aa'bb'i fai (I ppi Bye
Fa bb... ff ae). AAGIAN .. ppa poy Sn
— (abb... ff &By..; Aa) (kh .., pp ae
(aa bb»... \faPy.-. ax) M@h... ppi Pene
+(wa' bb... 77 by... Na)... ppa PC
{aa bb. ey. A. pp 6)
— (aa bb. ser ff'aBy. ua xa ) (Lio LIRE pp) BO . Re lio .
Diciamo 2, il numero dei simboli a a'...ff' (che è pure
quello dei simboli #/%'...pp) ed osserviamo che 2r+2 primi
termini sono tutti fra loro eguali, perchè si possono ottenerè
l’uno dall’altro o con permutazioni di simboli equivalenti o per
scambii di simboli complementari, cambiando in questo caso il
segno per ogni scambio, e che pella stessa ragione sono tra loro
eguali i rimanenti 2(m —7) — 1 termini. Sarà per ciò:
(2r+2)(aa...ff'aBy. VAR. . pp by. ade
(2m—-2r—-1)(aa...ffaay... ada (hh. PPT ISO
e questa è la formula che risponde allo scopo prefissoci.
Applichiamola ora successivamente al caso di r=0,r=1...
.r=Mm— 1, avremo:
Dilaabbeyil. IM) (aa Beta RO,
=(2m-1)(aa' bbcy...1))(ce' bd ...0%),
Alga bBey.hi. (EVI CACG OE Cral A PRIZE l\)
=(2m—-3)(aa'bb'ey...1I)(aa' Bey... 14)
2m(aa' bb'..... kb1\)(aaBBis.. xa 4)
ia DEA. kk' W)(za' Bb... un Iù),
d'onde, moltiplicando membro a membro, si ottiene :
CAP CONE (1 Br 21) (A nia 09)
=1.8,5 (mt Lat) (ea
n e e
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC. 271
Ricordando ora l’espressione simbolica di A si ha ovviamente :
»
mm! VA=(an. VEVIR 9 . XX),
d’onde sì conclude che l’espressione rappresentata simbolicamente
da (aa. ..l1) differisce per un fattore numerico dalla radice
quadrata di A.
$2.
Dalla formula precedente si può dedurre facilmente la legge
di formazione della radice quadrata di A.
Infatti si ha:
(aa... Il) =Y (1) -100,,0,:.-8;
aB.-ip
I %
ove I(x&...gp) indica il numero delle inversioni presentate
dalla permutazione «ff... degli indici 1, 2...2m e la
somma DI va estesa a tutte queste permutazioni. Si osservi ora
dirà
che nella somma di uno stesso termine è ripetuto (m!2”) volte,
af...)
sicchè sarà:
(Ga... 10')=m12" 9) (—1)/0-210 9,0, 1/0,
e qui la somma va estesa a tutte e sole le partizioni distinte
degli indici 1.2...2% in m coppie.
Di qui risulta che >. (— 1)5P-20 O... O è precisa-
mente quell’espressione, il cui quadrato è eguale a A e si ha la
regola seguente per formare tale espressione. ,
Si formino tutte le partizioni distinte degli indici 1.2
...2m, in m coppie; corrispondentemente a queste partizioni
si considerino tutti quei prodotti di m elementi del determi
mante gobbo, in ciascuno dei quali le coppie d’indici sono le
m coppie di una stessa partizione, e si attribuisca a ciascun
prodotto il segno + 0 — secondochè i 2m indici, letti nel-
l’ordine in cui vi figurano, presentano un numero pari 0 un
212 G. MORERA
numero impari di inversioni, la somma algebrica di questi
(2m)!
om.m!
x
i prodotti , è l’espressione cercata.
Notiamo inoltre che, se nel determinante (au. ..0') si sop-
primono » coppie di linee formate da simboli complementari e
2r colonne qualunque, il determinante così ottenuto avrà per
quadrato, a meno di un fattore numerico, il sottodeterminante
principale di A di grado 2(#—r), nel quale figurano gli stessi
indici, che rimanevano in quel sottodeterminante di (aa... 71°).
Pella dimostrazione di questo fatto non si ha manifestamente che
da ricorrere alle considerazioni del $ 1.
Se s'imagina che (aa. ..dd) sia sviluppato secondo i de-
terminanti minori di grado 2(m-—») di certe w-—r coppie di
linee di simboli complementari, si vede senz’altro che esso sva-
nisce se sono nulli tutti questi minori. Di qui si ha il teorema:
« Se in un determinante gobbo A svaniscono tuttii sottode-
terminanti principali di un certo ordine 2, (grado 2(m—- r)),
svaniranno, oltre a A, tutti i suoi sottodeterminanti principali
di ordini inferiori a 2 (gradi superiori a 2 (m —r)) ».
Occorrerà in seguito di considerare delle rappresentazioni
simboliche di determinanti gobbi, nelle quali non tutti gli ele-
menti sono rappresentati simbolicamente. Per esempio, si ponga
0, .m=%), e nell’espressione simbolica di VA si vogliano far com-
parire le «. Nell’espressione di VA sopra trovata, l'indice sì
può scegliere ad arbitrio, per ciò, preso u=2#, avremo:
X=2M—1
VASI (TO, 0,
al
ove la seconda somma bi va estesa a tutte e sole le partizioni
distinte x{8,....,ex degli indici: 1, 2,..., A—1, ea
2m-—-1 in m—1 coppie. Ma osservando che:
af...ex))=I(aB...cx)+I(1.2...)—-1,4+1...2wm—1,)
PA cat |
si ha:
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC, PAT ds
VA=Y(- 1! (- 1) 0, ... 0,
PI
(e I RE
,
U '
RSI: RSS PREME 1,
2m_—1
1 |
— alm_—1)+3+1 A e PE sales l'alta o feel
.* i pa Faagao- se alare ite
| ;
k, ki, ki li slla
k, 4° k IL Dl Di Rpg
1 i sE
ii in
Vedremo in seguito altre rappresentazioni simboliche di de-
terminanti gobbi e delle loro radici quadrate.
$ 3.
bin A ia
Stabiliremo in questo $ alcune identità, che ci occorrono in
seguito.
Sia un numero comunque pari od impari »° di elementi
4
Î
;
i
$
mia =bb= aa O E A
pei quali, in generale, non supporremo che, come precedente-
mente, sia 0,,+0,,=0.
Useremo per brevità della notazione:
i 0,, d. Mie 09., vl guri vl
ot) LL dt) urp ti sog MORE SL
ww 0 PR),
Se si pongono pelle #4, w rispettivamente i simboli @a'
274 i G. MORERA
(4, = 20008)
( (kat)
- N ITSIETAG "(
(gl fd (00... 90
ql)
=), wi. tt I TO
PA CE=ZSI {
e quindi, eseguendo la somma sull’ultimo termine, prima rispetto
a ), e poi rispetto a », si conclude:
900.009 |
=) w (*) hace wi» |
paterne a
Pe VERE 77) lm ITA
Se ora si osserva che:
Vo...
si concludono successivamente le formule:
(400). sa pl) (av Ti er )na
gl)... ga)
adot). o (adv..) —1.,2 |
LAS RT \xnis.
(Abe... evMo®)(a'd'e...e ww)
n I 9) o ol) vl) Î
ani n
200) 0 08)
(abe...efu®)aa' d'e...e fw!)
| w®
ee) n) |
(ab'el‘lefg)(a'b'eelte fg) =1.2..: Vede)
ove con À al solito indichiamo il determinante delle 0,,.
A e E ( i
Le funzioni si possono facilmente esprimere .
wi. wo
v
tutte per mezzo delle formazioni
. Infatti si ha: hi
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC. 275
SICA E d 0,
(1) (4) =Y, > A ora fa) (&—a
wi... w \ 5,10, TA a IBAN 7 >|
xk B k [|
-YVYY Deo kK-1) pl) d° Le]
“a Bit d® d® ta (1) )y,(k=2)
a 8, “am rea i Ei k CIANI <_18r-1[ WU
li a! È dub) "2 Ò k
>... 2: "LT RO oO gli mA e cinefoa*
‘ - dd TI “4 Pkd0 ...40
Sai. 1 Zi PK fa a , ) Dit. 4020, cu 1
î) k
id, — (79, CISE
Affinchè quest’ ultima forma sia alternata, cioè si abbia
0,,= —0;;, 9,;,=0, è necessario e sufficiente che si annulli
identicamente il suo covariante :
asd = ) ) Orbit
: pose |
i Kk
dunque per qualsivoglia trasformazione lineare (") una forma
bilineare alternata si trasforma in un’altra forma bilineare pure
alternata.
È noto dalla teoria generale delle forme algebriche che qual-
siasi proprietà invariantiva di un sistema di forme è rappresentata
dall’annullarsi di invarianti, oppure dall’annullarsi identico di
covarianti, contravarianti o di forme miste.
Per avere tutte le formazioni invariantive del sistema delle
forme « e 0, oltre alle variabili congredienti x, y,... do-
vremo considerare delle variabili contragredienti v), 09, ...
w..., definite come coefficienti nelle forme lineari arbitrarie :
Ritenuti i soliti principit della notazione simbolica abbiamo
immediatamente le seguenti formazioni invariantive, costituite da
un solo determinante simbolico:
(*) Qui, come sempre intendiamo, che le x e y sieno assoggettate alla
stessa trasformazione lineare, cioè, essendo x’y' le nuove variabili, sia:
odg dia Va + (= 20
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC. 277
i i LA AI vl),
PIET ia sua ia o),
e [IT] =—(&a'bb'0......, 00),
FIV} =(aebb'uv®. i... vl,
| (RRSSNSIREMISINOZAAte i
i
arpa. ff unt).
r+1]= (00... ff'ggotrt800),
L'ultima formazione invariantiva di questa serie per » pari
è l’invariante:
[n —1]}=(a0'db'..... RE),
mentre per » impari è l’invariante :
[1 -1]=(aa'bb'..... ll'u).
Imaginiamo che [2] sia sviluppato secondo i determinanti
minori formati colle 0*"+?!..... vi coefficienti di questi de-
terminanti saranno del tipo seguente:
° ALLA Deh dici
; CAN, ,
CR. PEA Ge Gi ri
ii a'f ,
É; "a sa asi fan
A AMO PE LMR
Ora, per quanto vedemmo al $ 2, questo determinante è, a
meno di un fattor numerico, la radice quadrata del determinante
Milici sa Pe PARSO Unrti
278 G. MORERA
Si conclude adunque che l’annullarsi identico del contrava-
riante [2r] equivale allo svanire di tutti quei sottodeterminanti
principali di grado 2r +2 del determinante:
che contengono elementi dell'ultima linea e dell'ultima colonna.
Analogamente si vede, per quanto dicemmo al $ 1, che i
coefficienti dei determinanti minori di [2r+ ta formati colle
p@7+3...v%, sono, a meno di un fattor numerico , le radici
quadrate dei sottodeterminanti principali di grado 2r+2 nel
sistema di elementi:
8, Piet. @,,
A 9, 8 > apt "la 6
0” 0, SR 93
talchè lo svanire identico del contravariante [2r+-1] richiede
lo svanire identico di tutti questi sottodeterminanti principali.
S 5.
Se [2r + 1] svanisce identicamente svaniranno pure identi-
camente [2r+ 2] [2r+-3]...[n—1]. Infatti basterà osservare
che ponendo: v,°"*—=%, da [2r-+1] si ottiene [2r +2]; che
ponendo v;°"*°—=h, &,@"+%—=4/', si ottiene [2r+3], ecc.
Se invece svanisce identicamente [2] colle stesse considera-
zioni possiamo solo asserire che svaniscono [2r +2] [2r+4]...,
ma ora dimostreremo che deve anche svanire [2r+ 1].
Le "+? essendo arbitrarie, potremo porre:
(2r+2
Vi i Wi Ix
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC. 279
e perciò se [2r] è identicamente nullo sarà pure:
"e o RATIO An 1,
SARA PIE AI È É:
NEI fi OT In Iu |
Me ara NA In di =
v Lat. dae g_ 0749) v_&7+3)
se svolgiamo il determinante secondo gli elementi dell'ultima
colonna e teniamo conto che [2r+2]=0 e della (a) si deduce
LT Noe Te: ggotr ie, vu, =0,
ossia :
[2r+1]=0 x
Ciò ci dà il seguente teorema sui determinanti gobbi.
« Se nel sistema di elementi A, svaniscono tutti quei sotto-
determinanti principali di grado 2,8(=2r+ 2), che contengono
elementi dell'ultima linea e dell’ultima colonna, svaniranno anche
tutti i rimanenti sottodeterminanti principali di grado 25 (cioè
quelli di A) ».
Riassumendo possiamo dire, che se svamisce identicamente
il contravariante (S) svaniranno del pari tutte le successive
formazioni {S peri ($+2]...[n--1].
Talchè osservando che tutti i sottodeterminanti principali in
A e A, di grado dispari sono nulli, il teorema precedente si
può enunciare come segue:
« Se svanisce identicamente il contravariante (2 r]j, ma
non [2r—1], 2r è il più alto grado dei sottodeterminanti
principali, che non svaniscono tutti quanti in A e A,; se in-
280 i G. MORERA
vece è nullo identicamente il contravariante (2r+1], e non
[2r], 2 è «1 più alto grado di tali sottodeterminanti in A,
e 2r+2 quello in A, ».
Per » pari il sistema delle forme 0 e « ha l’invariante:
(2—1]=(aa...10)=ceVA4,
ove c designa un coefficiente numerico, e per » impari ha l’in-
variante :
[a—1]=(00...3Fu=ceVA,.
Si noti, che il sistema di una forma lineare e di una forma
bilineare alternata non può possedere che un solo invariante.
Infatti questo sistema non può possedere invarianti assoluti, poichè
il numero complessivo dei coefficienti nelle due forme:
n(n_1) n(n+1)
Prg i
b)
è sempre minore (n >1) del numero n° dei parametri di una
trasformazione lineare.
Vedremo nei tre successivi paragrafi che tutte le forma-
zioni invariantive del sistema 0 e % si possono esprimere
colle forme [.S].
$ 6.
Mostreremo in questo $ e nel successivo che tutte le forme
invariantive, costituite da due determinanti simbolici, si possono
esprimere razionalmente colle forme |,S].
Consideriamo una formazione invariantiva, costituita da due
determinanti simbolici della forma più generale, cioè:
(aa... ff'a BA...) (he... pp'a pi LX e
ove 2s è il numero de’ simboli aa’... ff',2s' quello dei sim-
boli #4'...pp', però colla condizione r—2s=r'— 25°.
Per trasformare opportunamente questa espressione simbolica
applichiamo un procedimento, che non è che una generalizzazione
di quello impiegato al $ 1. o
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC.
Ricorriamo alla solita identità:
281
Re a, d,
î | ' LI
ARR CREA PASO
ARE A Pe Re Xn Ly
ante "SS i
e e f SE
(1) bo 2 0 © {i bm i aa Pr 2 x = 0
RIO NE PALA
PA, STIA: Vv) 0,0
(n—r) .« (ner),, (ner)
Al PET v-" p_°
prendendo pelle x i minori rispetto alle %' del determinante :
(hh...
.ppa fi
CRA a Vga
Sviluppiamo il determinante (1) secondo gli elementi del-
l’ultima colonna ed osserviamo che i primi 2s+2 termini sono
tutti eguali tra loro pella permutabilità dei simboli e che i
successivi x—2s+1 sono eguali tra loro pella stessa ragione.
Risulterà così:
(25+2)(aa'. .ff'2B
=(r-2s—1)(aa'...ff'42'Y...
+ (aa...ff'av'f...
— (aa'...ff'a4'B...
+(1)°77'(a a'.ff'a dB. È
Questa formula raggiunge lo scopo di trasformare il prodotto
di due determinanti simbolici in una somma di prodotti di due
determinanti simbolici, in ciascuno dei quali determinanti sim-
bolici il numero dei simboli, che non hanno il proprio simbolo
complementare nel determinante stesso, è diminuito di un'unità.
RA LT) (hh. pp'a! Ba 200%...ao®-"))
Va ....077 ) (hh. ppBB.xX 10...)
KA. ) (Ah III 0. le)
vivo... - 2) (fh...pp BV 200)... 71)
xi)... 78) (Ah... pp BLA gle)
282 G. MORERA
Dalla formula precedente risulta subito una conseguenza in-
teressante. Supponiamo che le v sieno ordinatamente eguali alle
w(s=s', v=r): allora dalla (2) si ha:
(25+2)(aa... ff ab UL o MENO LUO Li)
= (r-2s—1)(aa'...ff'@a'y..20...0"-")(Kh'...pp PRYV ale,
e per reiterata applicazione di questa formula si conclude che,
se r è pari ed eguale a 2°, sarà:
(25+2)(25+4)...2p (aa'...ff' @ ... IO...) (1h'...ppa.. XU! ..
(3);=(20-2s-1)(20-25-3)...3.1(aa'...ff'40'...00v" 070) (Ah'...pp'es.. AI A..
| 1.3.5... (20—2s—-1)[20—-1]°.
Invece, se r è dispari, si riconosce facilmente che l’espressione
simbolica svanisce identicamente. Infatti, allora il numero dei
simboli 28...) è dispari, epperò scambiando ognuno di questi
col suo complementare l’espressione dovrebbe mutare di segno.
Ma per tale scambio l’espressione non muta: dunque essa è nulla.
Ricordando le formule stabilite al $ 3 si ha dalla formula (3)
ol. gle)
(20)! 24...2] LAeagi at at 3.5(20-1)[2e--1]°,
ossia :
vl). ° . gl 20)
= | *
[2p = (0! 2°) 00. . p(n=20)
| Se in quest’ultima relazione si pongono per o? la « ri-
sulterà :
. Li eg eran
(e i
[ gia ) O... vet)
Si vede adunque che il quadrato di una qualunque delle for-
mazioni [S] è eguale, a meno di un fattore numerico, ad un
determinante gobbo. Questo risultato comprende come casi par-
ticolari quelli dei $$ 1 e 2.
|
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC. 285
$S 7.
Per successiva applicazione della formula (2) del precedente $
si intende agevolmente, come tutte le formazioni invariantive,
costituite da due determinanti simbolici, si possano esprimere in
funzione delle forme [.S], e che quindi, in particolare, siano espri-
mibili in tal modo le formazioni invariantive del tipo considerato
al $ 3:
pl)... g'®
fia "1 aai(3) .(n—K) 13! t_t.,(1) {n—k)
0° ani nb de co (Ad... GW. 7).
Questo fatto conduce ad una conseguenza molto rimarchevole
e perciò merita di essere considerato con un po’ d'attenzione.
Supponiamo dapprima % pari ed eguale a 29.
Allora, pella detta formula (2). avremo un risultato che sarà
manifestamente della forma:
(220)
vl ...v
(nolo 1221, +) c.[20+1][2e-3]
. +Ye[2e+3]e0-35]+.-- ©).
ove c,c,c,... sono dei coefficienti numerici, [22— 1], diffe-
risce da (20— 1], perchè nel primo figurano le variabili v e nel
secondo w e le somme si estendono a termini analoghi a quelli
scritti, che differiscono tra loro solo pelle variabili v, w. Fra le
funzioni [.S], che compariscono al 2° membro della formula pre-
cedente, vi potranno anche essere di quelle dinotate col sim-
bolo [O], con ciò naturalmente si intende un determinante formato
colle sole variabili v e w per esempio (0%)... 09 w!0. .. wu!)
Supponiamo ora che [2 —1] svanisca identicamente; allora,
come notammo al $ 5, svaniscono identicamente[20+1][20+3]...
e quindi si conclude che anche
wl)... ul)
(*) In particolare si ottiene facilmente :
Hi ==. ll')(ad'... ff'uv).
284 G. MORERA
svanisce identicamente. Ma se si ricorda l’espressione effettiva di
questa formazione data al $ 3, si vede che l’annullarsi identico
di essa implica lo svanire di tutti i sottodeterminanti di A di
grado 2, mentre l'annullarsi identico di (20-—1] richiede
(S 4) lo svanire dei soli sottodeterminanti principali. E con
ciò siamo giunti al seguente teorema sui determinanti gobbi:
Se in un determinante gobbo svaniscono tutti i sottodetermi-
nanti principali di grado 2p, svaniranno necessariamente
anche i rimanenti sottodeterminanti dello stesso grado.
Consideriamo invece la formazione :
APRO vit
Mg ei gpezeni |
ed esprimiamola, per successive applicazioni della formula (2),
in funzione delle [,S].
E chiaro che giungeremo ad un risultato della forma:
w0...y (2041)
vl)... air 33 [2, o-1][ n? [20+1][ 20—5]
L'A
Di qui si conclude che, se svanisce identicamente [2 —1],
Vie poi Î
svanisce pure identicamente e quindi, per con-
w'', agl_2e+) {
siderazioni analoghe alle precedenti, abbiamo il seguente impor-
tantissimo teorema dovuto a Frobenius (Mem. cit. pag. 244):
Se in un determinante gobbo svaniscono tutti i sottodeter-
minanti principali di grado 20, svaniscono pure tutti i sotto-
determinanti di grado 20—1. ‘Questo teorema comprende ma-
nifestamente anche il precedente.
.
4
À
:
l
SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC. 285
Ya
(ee)
Mi rimane a far vedere come ogni formazione invariantiva
sì possa sempre esprimere colle forme fondamentali © e « e colle
forme invariantive [5]. Spero a questo punto che il lettore ima-
ginerà agevolmente da sè il procedimento da tenersi per tal
dimostrazione, sicchè mi limiterò ad accennarlo rapidamente.
Ogni formazione invariantiva è costituita da forme del tipo
seguente:
ea ea
ove tra le v può figurare .
Allora applicando opportunamente l’identità (1) del $ 6 al
prodotto di due determinanti simbolici, in cui figurano separa-
tamente dei simboli complementari «a', (3 {8',..., oppure al pro-
dotto di un determinante simbolico, in cui figuri un simbolo «
per un fattore del tipo 2',, si riuscirà sempre ad esprimere J
per mezzo di altre formazioni, nelle quali ciascuno di quei sim-
boli è riunito col proprio complementare in un determinante
simbolico, senza però separare i simboli che primitivamente erano
riuniti coi loro complementari.
Continuando collo stesso processo si arriverà definitivamente
ad esprimere ciascuna formazione invariantiva colle forme ©, w,
AMI
Di qui si conclude che tutte le proprietà invariantive del
sistema di una forma bilineare alternata e di una forma
lineare sono espresse dall’annullarsi identicamente di una delle
forme [.S], cioè, per quanto dicemmo ai S$ 4 e 5: 0 (S=2%)
dall’ annullarsi di tutti i sottodeterminanti principali del grado
2r+2, e non dei gradi minori, nei determinanti A_e A,;
oppure (S=2r+- 1) dall’annullarsi di. tutti i sottodeterminanti
principali di grado 2r+2 e non dei gradi inferiori in A e di
quelli del grado 2r+4 e non dei gradi inferiori in A, .
Nel 1° caso ([2 rl=0) il sistema delle due forme si dice
della classe 2r, nel 2° ([2r+1]=0) si dice della classe
TÀ
286 G. MORERA - SULLE PROPRIETÀ INVARIANTIVE ECC.
2r +1, sicchè, ricordando quanto vedemmo ai $$ 5 e 7, pos-
siamo dire, che è Go
“JI
dI W
Go- do
33.
n = 9 è» Ar S_ N è ut © O do nou um ai» © RS 9» ut oi on. © + w n
re 0
ae
DO
p®)
UT
PRESSIONE BAROMETRICA.
6 Marzo.
728. 8 Ore 210 725.0 Ore 420 722. 6
28. 4 nici agi 9a ; gg) 29)%5
28. 0 0 Mv 3 40° 22. 4
27. 7 40 24. 6 n 50 22. 4
27. 6 n 5024. 4 Ore 58 0° 22. 4
27073 Ore 3 0 PARE, » 10 POL
27. 1 a of. 23:28 7 20 22.2
26. 9 5 CV IRRR 3 30. 22,2
26. 6 » 30 23.4 ) 40177 0991
26. 3 » 40 23.1 n 50 22.2
26. 0 nr 50 23.1 Ore 6 0 22.3
745 VAI Ore 4 0 RIO
25.4 |- » 10 22.7
‘ L’Accademico Segretario
A. SoBRERO.
=-*—*esaero, =
i. 4)
pito. Saga! deu Agia
pur capuise tale 10
CLASSI UNITE
Adunanza del 4 Marzo 1883.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. PROSPERO RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
Il Vice-Presidente Comm. P. RicHeLMY legge la seguente
notizia commemorativa del compianto Presidente E. RicoTTI :
i
‘OrnorEvoLI LoLLEGHI,
Il 17 di Marzo del 1878 io vi radunava in seduta straordi-
| naria a Classi unite per commemorare in mezzo a voi l'illustre ed
eccellentissimo uomo Conte Federigo Sclopis, morto pochi giorni
| innanzi; non sono ancora passati cinque anni ed eccomi di nuovo
costretto ad una non meno pietosa ma pur sempre tristissima
uguale funzione per la morte del successore di lui Commendatore
ErcoLe RicortI, Senatore del Regno, ed insignito di molti ben
meritati onori! Ma ahimè che gli onori tutti quasi scompaiono
all'aprirsi della tomba. Oh RicortI, amico mio carissimo e ve-
nerato Presidente nostro, ahi quanto presto questa tomba si
spalancò ad ingoiarti! Io rammento, e parmi ieri, il giorno 26
Giugno 1881 quando, chiuso colla ultima estiva seduta l’anno
accademico, venisti accompagnato da altri nostri pietosi Colleghi
a visitare me infermo, ed interessandoti al mio ristabilimento,
credesti ben fatto suggerire quei farmaci che avevi visto adoprati
felicemente con altri e che ti parevano indicati dal mio stato
di salute! Chi sa se chi era presente a quel nostro colloquio
non avrà pensato che fra non molto tu verso di me avresti
dovuto compiere quel triste ufficio al quale io mi vedo in oggi
chiamato a tuo riguardo? La salute di questo nostro Collega fu
invero sempre assai meschina, delicata la sua complessione, ma
300 P. RICHELMY
tuttavia con le cure di una amantissima sorella, col riposo che
da tre anni si era procurato, lasciava pur sperare che la vita
non gli sarebbe venuta meno sì presto. Vana speranza! Da
parecchi mesi a questa parte la sua salute andò di continuo
deperendo, nè fuvvi più fraterna cura nè scienza medica che la
abbia potuto ripristinare, talchè l’infausta sera del 24 ora scorso
mese ce lo ha tolto affatto, lasciando a noi il solo conforto di
ricordare le esimie sue doti e di emulare le sue rare virtù.
Vi ho ricordato in principio il predecessore del RicoTTI, ciò
non a caso, imperciocchè parmi di trovare fra questi due nostri
ultimi Presidenti più punti di contatto, i quali mi piace di qui
rilevare. Quantunque collocati» dalla Provvidenza in condizioni
diverse di salute, di fortuna, di casta, quantunque chiamati a
percorrere distinte carriere, tuttavia entrambi furono da natura
favoriti di acuto ingegno e di forte tenacità di propositi; en-
trambi rivolsero quell’ ingegno e questa buona voglia all’ amor
della patria ed alle elucubrazioni della scienza; entrambi ser-
virono con affetto il loro paese sia cogli impieghi amministrativi,
giudiziari o magistrali, che or l’uno or l’altro copersero, sia col
soccorso della parola e dei buoni consigli che l’uno e l’altro
somministrarono quando ciascun di loro appartenne ad uno dei
Corpi legislativi prima come Deputato poi come Senatore del
Regno; entrambi coltivarono gli studî storici e perciò furono
oltre della nostra Accademia anche successivamente a capo della
Regia Deputazione di Storia patria; entrambi, memori della re-
ligiosa educazione ricevuta nei primi loro anni, chiusero cristia-
namente una vita consecrata, come già ho detto, a benefizio del
loro paese e ad illustrazione della scienza; entrambi ricevettero
sì in vita che in morte, vogliasi dal Governo, vogliasi e soprat-
tutto da ogni ordine dei loro concittadini, i più lusinghieri segni
di affetto sincero e di profonda stima; entrambi infine lasciarono
dopo di sè larga e preziosa eredità di lavori e di memorie utili
non solo alla presente, ma eziandio alle future generazioni.
Del quanto abbia operato il Conte Sclopis già si parlò a suo
tempo non da me solamente, ma da moltissimi altri, fra i quali
piacemi far menzione particolare del suo biografo presso .di noi il
Conte Carlo Boncompagni, il quale con le notizie intorno alla
vita ed alle opere dello Sclopis chiuse la serie delle Memorie che
presentò alla nostra Accademia. Ora verrò dicendovi alcune pa-
role intorno al Commendatore RicoTtI, alle sue azioni ed a pa-
na
O n "© |
COMMEMORAZIONE DEL PRESIDENTE E. RICOTTI 301
recchi suoi scritti; non intendo di tesservi qui una biografia di
lui, tale còmpito lascio ad un altro dei nostri Colleghi, il quale
più di me versato negli studî che RicoTTI coltivò, potrà assai
meglio soddisfare alla giusta aspettazione vostra ed al merito
dell’illustre estinto. Io mi contento di accennarvi le principali
congiunture della sua vita, e di dirvi il titolo delle opere che
gli acquistarono maggior fama.
Nato in Voghera il 12 Ottobre 1816 dal Dottore in me-
dicina Mauro, compiva in brevi anni gli studî secondari nella
città nativa; venne quindi in Torino e vi intraprese la carriera
matematica dove allora insegnavano i due luminari di questa
scienza Giovanni Plana e Giorgio Bidone. Oltre alla fortuna di
essere allievo di sì fatti maestri, un’ altra ne ebbe la quale per
quegli anni in cui pochi si addicevano al corso di ingegneria
non era punto spregievole : ebbe cioè a compagni di scuola pa-
recchi giovani tutti dotati come lui di volontà ferrea e di ingegno
più che mediocre. Fra questi mi limito a citarne essenzialmente
tre: Agostino Porino, che fu poi Colonnello nel Corpo dello
Stato Maggiore e che avrebbe certamente lasciato fama di sè, se
una morte prematura non fosse venuta a troncarne rapidamente
i giorni; Severino Grattoni, del quale il nome e le opere sono
note a ciascuno di voi; l’ingegnere Luigi Ranco, tuttora in vita,
presentemente Senatore del Regno, e che egli pure è, almeno
di nome, conosciuto da quasi tutti gli Italiani per la luminosa
parte che prese ai lavori di strade ferrate, compiutisi in Italia
da 40 anni in poi. Con simili compagni. di scuola, collo spirito
e coll’ardore del RicoTTI non poteva egli a meno di progredire
con molta lode, e di fatti non aveva ancora compiuto il vente-
simo anno di età che già era Ingegnere idraulico, ed avrebbe
certamente in tale qualità dimostrato grandissimo valore, se
altri studî a lui più omogenei non lo avessero diretto per altra
via. Devo ciò nondimeno ancora notare .che uscito appena dai
banchi della scuola era entrato dapprima nel Corpo del Genio
Civile, poi in quello del Genio Militare, e che sì nell’uno come
‘ nell’altro aveva dato belle prove di sè. Ma come testè avvertii,
altri studî lo distolsero dalle cose di ingegneria.
Questa nostra Accademia delle Scienze aveva proposto per
un premio il tema: « Dell’origine dei progressi e delle princi-
pali fazioni delle compagnie di ventura in Italia ». Il RicortI
concorse e vinse il premio, e la sua opera venne poi pubblicata
302 P. RICHELMY
poco dopo col titolo di: Storia delle compagnie di ventura.
Dopo questa un’altra Memoria col titolo di: Uso delle prime
milizie mercenarie in Italia, inserì nella raccolta di quelle
edite dalla Regia Deputazione di Storia patria, quindi una terza
notevole monografia: Sulle milizie dei Comuni italiani. Questi
lavori compilati con lode degli intelligenti, ed in brevissimo tempo
gli valsero l’onore di essere aggregato alla citata Deputazione
Regia di Storia patria, poi alla nostra Accademia delle Scienze, non
meno che quello di avere giovanissimo la croce del Merito Civile.
Intanto nel 1846 Re CarLo ALBERTO sulla proposta del Mar-
chese Cesare Alfieri di Sostegno, in allora Capo del Magistrato
della Riforma sopra gli studî, fondò nella Università di Torino
una nuova cattedra di storia moderna e fu tosto il RicoTTI chia-
mato a coprirla. Nel Novembre di quello stesso anno cominciò
le sue lezioni e le continuò fino a tre anni or sono, assai troppo,
mi sia lecito il dirlo, poichè, se ultimamente non si fosse così
stancato forse avremmo la fortuna di vederlo ancora fra. noi.
Quanto il primo Professore di Storia moderna nell'Università di
Torino sia ben riuscito nel suo insegnamento, quanto questo sia
diventato gradito ed attraente pel pubblico non è mestieri ch’ io
il dica. Giammai folla di uditori liberi si accalcò alle lezioni di
nessun Professore Universitario quanto quella che interveniva ad
udire il Ricorti. Nell'anno 1847 il nostro Collega ricevette pure
l’incarico gratuito d’insegnare Geografia e Statistica, e così lo
continuò per più anni, ma nel 1857 gli si diede il titolo di Pro-
fessore effettivo anche di queste materie, egli tuttavia vi rinunziò
due anni dopo.
A malgrado della fatica che esigevano da lui gli insegna-
menti universitari di cui era incaricato, il RicortI continuava
tuttavia a far parte del Corpo del Genio Militare, ed in questa
qualità si portò anch'egli alle prime fazioni della guerra dell’ In-
dipendenza, e finì per esser fatto prigioniero dagli Austriaci nel
recare ordini da Milano a Novara poche ore prima che si sotto-
scrivesse il così detto Armistizio Salasco. Si ritirò dappoi dal-
l'Armata conservando il grado di Maggiore nel Regio Esercito.
Oltre alla cattedra o meglio alle cattedre che copriva nel-
l’Università di Torino ebbe ancora parecchie incumbenze la più
parte gratuite, ma tuttavia assai onorifiche. Le verrò per sommi
capi rapidamente enumerando: nel 1847 fece parte della Com-
missione superiore di Revisione; dal 1852 al 1856 fu membro
COMMEMORAZIONE DEL PRESIDENTE E. RICOTTI. 303
straordinario del Consiglio superiore di Pubblica Istruzione; fra
il 1862 e il 1865 fu Rettore dell’ Università di Torino; fu
Deputato di Voghera nel 1848, di Ventimiglia fra il 1849 e
il 1853; in fine Senatore del Regno dall'anno 1862 in poi.
Ritornando ora alle sue pubblicazioni citerò ancora fra quelle
di maggior rilievo il suo libro intitolato: Della vita e degli
scritti di Cesare Balbo, poi la Storia della Monarchia pie-
montese, e- la Storia della Costituzione inglese; fra le opere
scolastiche il suo Corso di lezioni sopra la Storia d’Italia dal
Basso Impero ai Comuni, e la Breve Storia d’ Europa e spe-
cialmente d’ Italia. 'Tralascio di enumerare le molte Memorie,
Note, Notizie biografiche e simili che venne man mano inserendo
nei nostri volumi ed in quelli editi dalla Regia Deputazione di
Storia patria, e qui pongo fine a questi cenni, i quali essendo
una semplice commemorazione che verrà poi seguita da più lunga
e completa biografia, non voglio rendere troppo prolissi, sebbene
ora mi incresca come incresce, ne son certo, a ciascuno di Voi
lo staccarci da un ben compianto Collega.
Addio, caro amico e venerato nostro Presidente, la tua me-
moria rimane imperitura nella nostra mente, il tuo affetto nel
nostro cuore. Rammenteremo pur sempre le parole che tu mo-
rente volesti farci ripetere da quello di noi che ancora vedesti
negli ultimi giorni della tua vita: « Tutti i miei Colleghi ho
sempre amato, giammai scientemente ho fatto male ad alcuno ».
Ascanio SOBRERO
Gli Accademici Segretari
| Gaspare GoRRESIO.
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— Classe di Scienze. fisiche, : matematiche e natu
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lineare e di una dornia bilineare iclania:
DI TORINO
PUBBLICATI
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CLASSE
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307
CLASSE
DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 1° Aprile 1883.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
Il Socio Cav. Prof. F. SiaccI presenta e legge la seguente
Memoria del sig. Dott. G. PEANO
SULLA
INTEGRABILITÀ DELLE FUNZIONI.
L'esistenza dell’integrale delle funzioni d’una variabile non
è dimostrata sempre con rigore e semplicità desiderabili in tale
questione. Invero spesso si ricorre a considerazioni geometriche ;
ma parmi che il modo di ragionare dei principali trattatisti non
sia soddisfacente. Le dimostrazioni analitiche sono generalmente
‘lunghe e complicate; in esse inoltre s’ introducono condizioni 0
troppo restrittive, od in parte inutili. Io mi propongo nella pre-
sente nota di dimostrare l’ esistenza dell’integrale, introducendo
una semplicissima condizione d’integrabilità. Il ragionamento sarà
analitico, ma si può in ogni sua parte interpretare geometricamente.
6
Sia y=f(x) una funzione di x data in un intervallo @%;
si suppongono a e d quantità finite, ed i limiti superiore ed
eriore dei valori di y in questo intervallo pure finiti, e li
iremo A e B.
Si divida l’intervallo ab in parti 4, %,...%,, tutte del
308 G. PEANO
segno di b—a; detto y, un valore qualunque assunto da
quando x varia nell’intervallo %,, si faccia la somma
u=h,yk+h,Y,t+ + An Yn=Zhy,; .
Se, col diminuire indefinitamente di tutte le %, « tende
verso um limite .S (*), la funzione dicesi 7ntegrabile nell’ inter-
vallo ab, e questo limite chiamasi il valore dell’integrale
da fl) da»
(4
VA)
DD
Siano p, e g, i limiti superiore ed inferiore di y,, cioè dei
valori assunti da y nell’intervallo %,; pongasi
Php, ig = hg
Siccome A>p,>y,>49,>B, moltiplicando per 7, e sommando
si ha che le quantità
A(b—-a), P,u, Q@, B(b—a)
sono ordinate secondo la loro grandezza (decrescenti se le % sono
>0, ossia 4 bd); P e € sono i limiti su-
periore ed inferiore dei valori che può assumere « corrispondenti
a quella divisione di db —a.
Variando la divisione di ab, variano P e @, in modo però
che se ad ogni valore di P è maggiore d’ogni valore di @.
Infatti siano %, %,... AR,, la ly... h,y, due divisioni di ab;
vin sera
P=Xh,.p.,, Q=YZh,q,; si immagini la divisione formata
Pe" sE
dalla sovrapposizione delle due precedenti, e sia %, %.... fm.
ogni intervallo 7, sarà contenuto in un 7, ed in un his ed
ogni intervallo %, ed ogni %' è eguale ad uno, o alla somma
di più intervalli %; onde sostituendo: |
PO
em omni
U o Li
P=Zk,P, Q=Ik4, >
(Sp | 1
a=
(*) Gol che si intende, che, fissata una quantità piccola quanto si vuole e,
se ne possa trovare un’altra tale che per ogni divisione di ab per cui
ogni intervallo A sia < 7, e per ogni scelta delle ys negli intervalli, sia.
sempre in valore assoluto S—-u<:.
SULL'INTEGRABILITÀ DELLE FUNZIONI 309
ep—@=Zk.( Pi d,); ma pg è il limite superiore dei valori
a
di y nell'intervallo %, che contiene l:.: g, è il limite inferiore
dei valori di y nell’intervallo %, che contiene %,, onde
P_i ud
Se a>d, ogni valore assunto da P è minore di ogni va-
lore assunto da 4%.
Quindi si deduce che, se a<0, le quantità P, tutte finite,
ammettono un limite inferiore, che diremo M; e le quantità @
un limite superiore N, e sarà
P=M=N=@.
Se invece a>d, detto M il limite superiore dei valori di
P, ed N il limite inferiore dei valori di Q, sarà
PZMZN=0@.
$ 3.
Se f(x) è integrabile, preso piccolo ad arbitrio e, si potrà
fissare una quantità 7 tale che per ogni divisione di ad, per
i cui ogni #4 y,, edi termini corrispondenti in P'— «
positivi; gli altri intervalli %, contengono qualche punto della
seconda divisione; essi sono in numero < n', e, siccome h<6G,
la loro ampiezza totale —noc(A4T—B),
ossia
S+e+n'o(A—B)>u.
Analogamente, essendo ,S il limite superiore dei valori di @,
si potrà trovare una divisione %,° %,"... »',, per cui, posto
trans A nà
mt
cera i Lai
SULL INTEGRABILITÀ DELLE FUNZIONI S11
Q=Lh'q', sarà S- Q'<8; e, considerando la quantità «— Q",
si dimostra nello stesso modo:
u>S—-e—n'c(A—B).
Ora, preso ad arbitrio piccolo 4, potremo nel ragionamento
(94 ' ”" . .
che precede, supporre e < PIGALZA (A— Bb) ed n c(A4— B) minori
% 7.
di < chè basterà lere o < =
iseipetgne Dastera prendere o << ____—_—_-y_gegZ=&-éé }
PER; - 2n (A- B)" © <2n'(A-B)
allora S+a>u>S—-a,
ossia, fissata una quantità piccola quanto si vuole «, si può
determinare o tale che per ogni divisione di «d per cui ogni
h<%, e per qualunque sistema di valori delle y,, si ha sempre
S—-u<%, e quindi x tende verso il limite S col decrescere
indefinitamente delle %, c.v.d.
85.
Dal teorema precedente si deduce quest'altra condizione d’in-
tegrabilità :
Teorema. — « f(x) è integrabile, se, fissato piccolo ad
arbitrio e, si può trovare un valore di P ed un valore di @
(corrispondenti, o no, alla stessa divisione di ab), la cui diffe-
renza sia <&; e fra questi due valori è compreso il valore del-
l’integrale ».
Invero, essendo M ed N compresi fra P e Q, la cui dif-
ferenza è — e, sarà M=N, come nell'ipotesi del teorema pre-
cedente; ed è pure vera la proposizione inversa, come sì è visto
al $ 83.
Se nell’enunciato di quest’ultimo teorema si fa l’ipotesi inu-
tile che P e @ corrispondono ad una stessa divisione di ab,
ricordando che P—@=D, si ha:
Teorema. — « f(x) è integrabile se il limite inferiore dei
valori assoluti di D è zero » (*).
E e 7
(*) Il semplice criterio d’ integrabilità enunciato in questo teorema tro-
vasi già dimostrato nei Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabili
312 G. PEANO
Per completare la trattazione che precede, darò ancora i
seguenti teoremi:
Teorema. — « Ogni funzione continua è integrabile >».
Invero, supposto a = bu |
3.|2a|SN|#88|83
DE [i ° DS
zi 5 Sa 53
mmq.| Cg. Cg.
1 | 35100) 34600) 0,98
2 | 35100) 44000] 1,25| 1,11
3 | 35376 39200) 1,11
1 | 35100) 54500| 1,55
1,39
2 | 35100) 43600] 1,24
1 | 35235) 51500) 1,46
2 | 35376 63200) 1,79
1| 33540) 64500) 1,92
2 | 33800) 70000 n
1 | 35370| 75000) 2,12
2| 35894 66400) 1,82
e ———— _|;——- -——— _——tTf —_—T—_—
1 | 32766] 60000) 1,82
32766) 60000| 1,82
3 | 32766) 60000) 1,82
4 | 32766| 60000! 1,82
5 | 32766! 61000! 1,86
6 | 32766 60000) 1,82
PROVENIENZE
VITI. Mattoni ricavati da una
te n posta a mezzodì della
ezza di 271, la larghezza di
Ù la grossezza di 67 millimetri.
RISULTATI DI ESPERIENZE SULLE RESISTENZE DEI MATERIALI 319
CE S Ca
38 5 |EA|Sfd
oz|e9|3 |S8=|38
INDICAZIONI se È SER 23 st
33/23 3N|50/35
DEI MATERIALI DEI SAGGI = E E Oa
plicato Se
DE = 21/3
È S ollox
dai inte
mmq. Cg. Cg.
Mattoni colle facce com- | 1 | 32766 85000! 2,59
presse regolarizzate me-
diante malta. 2 | 32766 90000) 2,75
3 | 32893) 90800) 2,76
4 | 32125) 90300] 2,87
5 | 32893) 92000) 2,79
6 | 32375) 90000) 2,78
Pilastrini fatti con due | 1 | 32766| 42000) 1,28
mattoni sovrapposti colle
facce compresse regolariz- | 2 | 32766! 47000) 1,43
zate mediante malta.
3 | 32766] 34900) 1,06
4 | 32766) 48000) 1,46
5 | 32756) 42900) 1,31
6 | 32766) 48000, 1,46
Mattoni comuni di color | 1 | 37675) 45800 1,22
j rosso colle facce compres-
antica del Castello del Va- | se regolarizzate mediante
ino, aventi mediamente la lup- | malta.
2 | 34443] 50400) 1,46
. Mattoni inviati dal signor Mattoni comuni di color | 1 | 28322! 84000! 2,97
ia, Ingegnere della Sezione | rosso colle facce compres-
ea, della Ferrovia Ivrea- | se regolarizzate mediante | 2 | 29601|105000 3,94
s della fabbrica Chioggia in | malta. 3,41
azza, ed aventi mediamente la 3 | 29760/106000| 3,56
ezza di 249, la larghezza di
la grossezza di 59 millimetri. 4 | 30420|109000] 3,58
Si fa notare che i medii intervalli di tempo, fra le esperienze
l'applicazione delle malte di cemento per la regolarizzazione
Ile facce compresse e per la formazione dei pilastrini, sono stati :
320 G. CURIONI
di 36 giorni pei mattoni dello stabilimento dell’Ingegnere Chi-
naglia, indicati al numero I; di 41 giorni pei mattoni di Ma-
rianopoli stati mandati dallo stesso Ingegnere Chinaglia, indicati
al numero II; di 41 giorni pei mattoni di Marianopoli stati
mandati dalla Direzione tecnica governativa delle Ferrovie Calabro-
Sicule, indicati ai numeri III e IV; di 15 giorni pei mattoni
fabbricati dall'impresa P. Neri e C.*, stati mandati dalla stessa
Direzione tecnica e dall’Ingegnere Fantoli, indicati ai numeri V
e VI; di 12 giorni pei mattoni dello stabilimento dei fratelli
Cocchi, indicati al numero VII; di 14 giorni pei mattoni vecchi
del castello del Valentino, indicati al numero VIII; e di 15
giorni pei mattoni, della fabbrica Chioggia in Torrazza, indicati al
numero IX del riportato casellario.
I fenomeni, verificatisi nella rottura dei mattoni e dei pila-
strini stati esperimentati, si presentarono generalmente con mo-
dalità quasi identiche a quelle di cui è cenno nel numero 2
della precedente nota intitolata: Studi sulla resistenza alla
pressione dei mattoni pieni (Atti della R. Accademia delle
Scienze di Torino, Vol. XVII), nel qual numero si sono pre-
sentati i risultamenti di altre esperienze su mattoni fabbricati
a mano.
I risultati delle esperienze sui mattoni dell’Ingegnere Chinaglia,
di cui al numero I del casellario, portano a conchiudere: che
il coefficiente di rottura pei mattoni comuni posti fra due pezzi di
lamiera di piombo è minore del coefficiente di rottura pei mattoni
da paramento esperimentati nella stessa condizione; e che per
contro i coefficienti di rottura dei mattoni comuni e dei pila-
strini degli stessi mattoni colle facce compresse regolarizzate
mediante malta sono maggiori di quelli degli analoghi saggi fatti
cd
ein
con mattoni da paramento. Si potrebbe forse dire che sui risul- °
tati ottenuti ha influito la diversità di cottura dei mattoni espe- |
rimentati. Ma l’anomalia può anche essere spiegata coll’osservare:
che essendo le facce maggiori dei mattoni comuni meno regolari
di quelle dei mattoni da paramento, non c'è da maravigliarsi se,
ponendo e questi e quelli fra due lamiere di piombo , i primi
si sono mostrati meno resistenti dei secondi; che, regolarizzandosi.
con malta le facce da comprimersi e distruggendo così le irre-
golarità delle facce stesse tanto nei mattoni comuni quanto in
quelli da paramento, non c’è neppure da maravigliarsi se i primi,
per essere meno grossi dei secondi ed anche per la maggior com-
RISULTATI DI ESPERIENZE SULLE RESISTENZE DEI MATERIALI 321
pressione data forse alle terre nello stampo coll’usare della mano,
anzichè di un cilindro o di una stecca per pareggiare le facce
superiori, si sono mostrati di qualche poco più resistenti degli
altri. Di più deve aver influito sull’accennata anomalia il fatto
di essersi posto nell'impasto delle terre pei mattoni da paramento
un po di sabbia per dimagrarle e per rendere con tal mezzo i mat-
toni stessi, quantunque di dimensioni un po’ grandi, atti ad
asciugare ed a cuocere senza fenditure e senza deformazioni.
3. Risultati di esperienze su mattoni fabbricati con mac-
chine. — Anche queste esperienze sono state instituite col pro-
durre la pressione in senso perpendicolare alle facce maggiori
dei saggi sottoposti ad esperimento; e, operando su mattoni di
color rosso pallido dello stabilimento dei fratelli Cocchi in Quercia
presso Aulla, aventi mediamente la lunghezza di 261, la lar-
ghezza di 132 e la grossezza di 65 millimetri, sì sono ottenuti
i risultati contenuti nella tavola che segue:
ch | i Coefficienti | Coefficienti
‘38 | Superficie | Carichi a 3
INDICAZIONI eda di medi
cia resistenti | di rottura | rottura | di rottura |
DEI SAGGI È Pi 7" R'=T":0 R'm
a per f.mma. | per f.mma. |,
Za |
mmq. Ce. Ce. Cg.
Mattoni colle facce com- | 1 34452 100000 2,90 !
presse regolarizzate me-
ale malta. e, 34452 100000 2,90 Sen |
3 34452 97000 2,82 ) |
4 34060) 87900 2,58 |
REC MARI cane —jpe——=_ = 4 Le 9.
Pilastrini fatti con dr I 34584 60000 ITA
mattoni sovrapposti colle 7 9 3
facce compresse regolariz- | 2 ! 34846 LIS 1,80 1,81
zale mediante malta. 3| 34846 61300 1,85
4 34584 64000 1,85
Pilastrini fatti con Dt 1 34060 40500 | 1,19
mattoni sovrapposti colle
facce compresse regolariz- 2 94584 55000 | a
zate mediante malta. 3 34584 j 50000 1,45
4 34584 41200 1,19
Aui R. Accad. »- Parte Fisica — Vol. XVIII. 23
D22 G. CURIONI
Le esperienze sono state instituite 50 giorni dopo la pre-
parazione dei mattoni e dopo la fabbricazione dei pilastrini me-
diante malta di cemento e sabbia.
I fenomeni, verificatisi nella rottura dei mattoni e dei pi-
lastrini, furono in tutto analoghi a quelli già stati dichiarati
nel numero 3 della citata nota seconda, nel qual numero sono
riportati i risultamenti di altre esperienze su mattoni fabbricati
con macchine.
4. Conclusioni risultanti dalle esperienze state instituite
sui mattoni pieni. — Le esperienze, di cui si sono riportati i
risultamenti in questa nota, hanno pienamente confermato le
prime cinque conclusioni che si sono dedotte al numero 5 della
nota precedente; e, tenendo conto dei risultati contenuti in am-
bedue le note, si può tentare di dedurre il valore medio del
rapporto fra i coefficienti di resistenza alla rottura per pressione
dei pilastrini di due mattoni sovrapposti uniti e colle facce com-
presse regolarizzate mediante malta e dei mattoni colle loro facce
compresse analogamente regolarizzate.
Le instituite esperienze sui mattoni fabbricati a mano hanno
condotto ai seguenti valori dell’accennato rapporto :
Pei mattoni dello stabilimento dell’Ingegnere
Chinaglia presso Torino, considerati nella
ela Ai anti 1,56: 2:60 0060;
Pei mattoni dello stesso stabilimento, con-
uidorapi un » gigantismo
si » » simmetriche
4. » » assimmetriche.
B — Aberrazioni di colore:
1. Aberrazioni per acroismo
2. » » ‘percroismo
sha » » simmetriche
4. » » assimmetriche.
Riassumiamo brevemente queste varie categorie di aberrazioni.
Aberrazioni per nanismo e per gigantismo :
Questa sorta di aberrazioni è certamente la più frequente in
tutte le categorie di animali. Essa consiste in una diminuzione
o in un aumento della dimensione media di alcuni individui di
una specie.
Ora questo variare della mole di un animale, contrariamente
a quanto in generale si crede, è molto importante poichè induce,
per l’azione correlativa dello sviluppo delle parti, modificazioni
BO LORENZO CAMERANO
notevolissime in certi determinati organi, e quindi fa variare pro-
fondamente molti caratteri attualmente considerati come specifici.
Citerò, per chiarire meglio questo concetto, alcuni esempi.
Gli insetti e soprattutto i coleotteri si prestano molto bene a
queste ricerche.
In molti coleotteri, come è noto, vi sono differenze sessuali
secondarie spiccatissime. Or bene, si è appunto sopra a queste
che agisce principalmente il variare o l'aumentare delle dimen-
sioni dell'animale (1).
Nei Geotrupedi, in cui sono frequentissimi i casi di nanismo,
ciò si può vedere molto bene. Riferisco qualche misura compa-
rativa di varii individui.
Geotrupes hiostius È.
Lunghezza delle corna Lunghezza del corno
, Lunghezza totale laterali del protorace mediano del protorace
1° m. 0,020 m. 0,005 m. 0,003
Pia ta LI VA » 0,004 » 0,001
3° » 0,013 » 0,002 » 0,0005
4» 0001 » 0,001 » 0,0005
Geotrupes momus Ò.
bea 07 m. 0,006 m. 0,001
De OOo » 0,004 » 0,0025
OO > 0,001 » 0,0005
Geotrupes momus È.
1° mi. 0,019 Le piccole prominenze del capo e
del protorace sono bene spiccate.
2° m. 0,013 Le prominenze del capo e del pro-
torace mancano intieramente.
Come si vede, il ridursi della mole porta una grande modi-
ficazione nelle appendici corniformi. Anzi nelle femmine, in questo
ed in molti altri casi, esso determina la presenza o la mancanza
delle appendici stesse.
Le stesse cose si osservano in maniera molto spiccata in
molte altre specie: come ad esempio nelle seguenti:
(1) Si veda a questo proposito L. CameRANO, La scelta sessuale cd i
caratteri sessuali secondari nei coleotteri. Torino, E. Loescher, 1880.
ABERRAZIONI DI FORMA NEGLI ANIMALI ECC. 9983
Onthophagus harpax 6.
Lunghezza totale Lunghezza del corno cefalico (1)
E'-n2-0,0:13 m. 0,007
ur 012 > 0,004
ne PUN: » 0,002
4° >» 0,009 » 0,001.
Onthophagus furcicollis è.
1° m. 0,018 m> 0,005
2° » 0,015 » 0,002.
Onthophagus bonasus è.
i mn Dato m. 0,005
2° >» 0,014 » 0,003
ds 012 >» 0,002.
Onthophagus gracilicornis È.
1° m. 0,007 m. 0,005
2° >» 0,0065 >» 0,004
3° » 0,0055 >» 0,003
4° >» 0,005 >» 0,003.
_ Nell’Onthophagus harpax si vede che a piccole diminuzioni
di mole corrispondono grandi diminuzioni nello sviluppo delle
appendici corniformi. Anche nell’O. gracilicornis, in cui il di-
minuire delle appendici corniformi è meno rapido, esso è tuttavia
sempre maggiore di quello corrispondente delle dimensioni del
corpo.
Nella famiglia dei Lucanidi in cui le differenze. sessuali se-
condarie, come è noto, sono spiccatissime, troviamo ‘molti fatti
che ci interessano soprattutto dal punto di vista della correlazione
che sta fra l'aumento e la diminuzione della mole e la forma
e lo sviluppo delle mandibole.
Nelle tavole seguenti ho riunito per maggior chiarezza le
dimensioni e le osservazioni relative a molti individui appartenenti
a varie specie.
(1) Le prominenze del protorace seguono lo sviluppo del corno cefalico.
334
Lunghezza
totale
1° 00
.0, 044
.0, 040
0, 082
Lunghezza
massima del capo
m.
m.
m.
m.
m.
m.
. 0, 040 |
LORENZO CAMERANO
Larghezza relativa
del capo
Supera di poco la mas-
sima larghezza del corpo.
Idem.
Idem.
]l capo è un po” meno lar-
go della massima larghezza
del corpo.
Il capo è di un quinto più
stretto della larghezza mas-
sima del corpo.
Idem.
Lunghezza m
delle mand
Li
m..0,
m. 0,
Chiasogn
m. 0, d
| ABERRAZIONI DI FORMA NEGLI ANIMALI ECC.
dibole sono contenute
nella lunghezza totale
.
dibole sono contenute
eno di due volte nella
del corpo.
dibole sono contenute
Ùù di due volte nella
del corpo.
dibole sono contenute
e mezzo nella lun-
ale del corpo.
dibole sono contenute
volte nella lunghezza
ibole sono contenute
di quattro volte nella
libole sono contenute
i un terzo nella lun-
bole sono un po’
i due volte la lun-
335
OSSERVAZIONI GENERALI
e
Le creste del capo sono sviluppatissime; lo stesso si
dica dei denti. delle mandibole.
Le creste del capo e dei denti sono un po’ meno svi-
luppati che non nel caso precedente. Le mandibole
sono un po’ più lunghe proporzionatamente di quelle
del caso precedente, ma sono anche più strette e meno
robuste. Vi è qui una sorta di compenso di sviluppo.
Le creste del capo e i denti delle mandibole sono un
po' meno sviluppati che non nel caso precedente.
I denti e le creste sono poco sviluppati. Le mandi-
bole di questo maschio sono proporzionatamente meno
sviluppate che non nel caso precedente.
Le creste del capo sono appena visibili: i denti delle
mandibole sono molto piccoli e in minor numero che
non nei casi precedenti.
Le creste del capo mancano intieramente. I denti delle
mandibole sono pochissimo sviluppati; l’ultimo dente
inferiore manca quasi intieramente in modo che le
mandibole non sono bifide come negli esemplari più
grossi.
396 LORENZO CAMERANO
Lunghezza Lunghezza Larghezza relativa Trance ins e n
totale massima del capo del capo delle mani
Chiaso
dom 0 10.47 m. 0,8
Lim; -01:035
2° m. 0, 023
1° m. 0, 030
pra RR LINE m. 0,
Nella tavola unita, fig. 5-6-7-8-9-10-11, a questo lavoro
ho disegnato colla grandezza naturale alcune delle differenze più
notevoli. che sono in rapporto col variare della grandezza.
Da queste figure si vede come diminuendo la mole, non solo
diminuisca la dimensione delle mandibole, ma come varii anche
la forma delle mandibole stesse, e inoltre si vede come il modo
in cui variano queste parti, sia lo stesso anche in specie diverse.
Questo variare non si limita solamente alle mandibole, ma
si estende anche al capo, come si può vedere dalle figure 5 e 6
del Lucanus cervus.
Si possono citare moltissimi esempi analoghi a questi non |
solo fra gli insetti, ma anche fra animali appartenenti ad altri
tipi.
CARON be
Sri
ABERRAZIONI DI FORMA NEGLI ANIMALI ECC. 337
unghezza relativa
delle mandibole
andibole sono contenute
lta e mezza nella lun-
del corpo.
Jdtii O
andibole sono contenute
meno di due volte nella
za. totale del corpo.
andibole sono contenute
più di due volte nella
zza del corpo.
pn I
andibole sono contenute
ì di cinque volte nella
zza del corpo.
andibole sono contenute
e circa nella lunghezza
"po.
fe
u
OSSERVAZIONI GENERALI
In questo caso la diminuzione della mole del corpo
ha portato una diminuzione molto più grande delle
mandibole.
‘Vale anche per questo caso l’osservazione già fatta
per la specie precedente.
I denti delle mandibole sono rudimentali.
È Ciò premesso, quali possono essere le cause che fanno variare
ila mole degli animali.
ì; Queste cause non sono fino ad ora intieramente note; ma
è certo tuttavia , che la qualità e la quantità del nutrimento
che è a disposizione dell’animale esercita a questo proposito una
azione grandissima.
È cosa certa pure che in generale non tutti gli individui di
una stessa specie possono nutrirsi in egual maniera. Ne verrà
quindi una diversa statura nei varii individui stessi, la quale cosa
condurrà ad un polimorfismo più o meno spiccato.
Questo polimorfismo sarà da principio poco stabile essendo
poco stabile il variare della mole: ma è evidente che se i figli
di quegli individui in cui la mole si diminuì, si troveranno nelle
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 24
338 LORENZO CAMERANO
stesse condizioni dei parenti, la mole sarà prevalentemente pic-
cola e quindi il mutamento delle forme sarà pure spiccato. Con-
tinuando le stesse condizioni, a poco a poco la diminuzione di
mole e le corrispondenti mutazioni piglieranno carattere di mag-
giore stabilità ed ecco formarsi una varietà, o specie che chiamar
si voglia, pel fissarsi di caratteri dipendenti da un primitivo ed
accidentale variare di mole in alcuni individui.
La specie o varietà così formata potrà essere molto diversa
dalla specie da cui deriva come dimostrano le figure 9 e 11 e
le figure 7 e 8 della tavola sopra menzionata.
Data ora una di queste specie formatasi per diminuzione di
statura, potrà tuttavia accadere, che negli individui che la costi-
tuiscono, si osservino fatti di gigantismo.
Questi individui, per un certo tempo, riprodurranno in una
maniera più o meno spiccata i caratteri della specie madre.
Ho detto per un certo tempo, poichè pare che nelle specie
si stabilisca a poco a poco una sorta di equilibrio, rimanendo
costanti le condizioni esterne, o meglio si venga determinando
una speciale direzione nel modo di variare degli organi. Così, ad
esempio, vi sono specie di insetti in cui varia molto la forma
del torace, o delle elitre, o delle zampe, o delle mandibole, ecc.;
mentre la forma delle antenne è costantissima; in altre, anche
appartenenti allo stesso gruppo, le antenne sono invece variabi-
lissime, mentre è costante la forma del torace, ed il sistema di
colorazione; in altre ancora, il sistema di colorazione è variabi-
lissimo, mentre le forme sono molto costanti.
È d’uopo un certo sforzo per rompere la direzione sopra
menzionata.
Questo fatto è stato del resto constatato ripetutamente nelle
coltivazioni e negli allevamenti artificiali.
Darwin, nel suo libro sulla variazione degli animali e delle
piante, dice a questo proposito:
« Noi abbiamo buone ragioni per credere che l’azione dei
cangiamenti delle condizioni esterne si accumuli, di modo che
nessun effetto si manifesti in una specie prima che essa abbia
subìto per più generazioni una coltura o un addomesticamento
continuato. L'esperienza universale ci mostra che, quando s’in-
troducono nuovi fiori nei nostri giardini, essi non variano punto
da principio, ma poi, tolte rarissime eccezioni, essi finiscono tutti
per modificarsi in diverso grado. Secondo il Salter (7he Chry-
ABERRAZIONI DI FORMA NEGLI ANIMALI ECC. 339
santhemum its History etc.); la principale difficoltà sta nel rom-
perla colla forma e col colore primitivo della specie, e conviene
spiare ogni variazione naturale del seme o dei rami; poichè,
ottenuto questo punto, per quanto sia leggero il cambiamento,
tutto il resto dipende dall’orticultore ».
To credo che in questi fatti si possa trovare la spiegazione
del perchè fra le specie di un dato genere viventi anche nelle
stesse condizioni, le une siano più, le altre siano meno variabili.
Una volta rotto in natura per una causa qualsiasi, che per
lo più sarà primitivamente accidentale e comincerà coll’essere una
semplice aberrazione, quella sorta di equilibrio momentaneo che
induce la specie as modificarsi solo in una data direzione od
anche a rimanere fissa, questa specie diventa molto plastica, e
le variazioni sì succedono e sono svariatissime.
La scelta naturale interviene allora, e non lascia sopravvivere
che quelle modificazioni, le quali sono utili o almeno non sono
nocevoli alla specie stessa.
Aberrazioni simmetriche. — Nelle specie degli animali s'in-
contrano talvolta degli individui i quali presentano modificazioni
anormali in certe parti, modificazioni tuttavia che non rompono
la simmetria propria dell’animale stesso.
La scienza possiede varii casi di queste aberrazioni, le quali
vengono descritte dagli autori col nome di mostruosità. Io credo
sia meglio toglierle dalla categoria della mostruosità propria-
mente dette, provenendo esse molto probabilmente da cause al
tutto diverse.
Osservai un fatto di questo genere in un esemplare Ò di
Cetonia floricola Herb. var. metallica Fab. Gory. (1), che io
raccolsi nel Luglio del 1880 alle falde del Monte Musinè in
principio di Val di Susa. L'individuo in questione è lungo dieci
millimetri e misura la massima larghezza di sette millimetri circa.
Il corsaletto nella sua parte posteriore è costituito normalmente;
nella sua parte anteriore invece, e precisamente dietro il capo,
è profondamente infossato; il margine anteriore è pure profon-
damente incavato, tanto incavato anzi che tutto il capo rimane così
scoperto, mentre, come è noto, negli individui normali la parte
posteriore del capo rimane nascosta nella parte anteriore del corsa-
letto. Le altre parti del corpo non presentano nulla di anormale.
(1) Bull. Soc. Ent. Ital. 1880.
840 LORENZO CAMERANO
Un altro caso di aberrazione analogo al precedente l’osservai
in un esemplare di Megasoma Theseus del Museo di Torino,
preso dal signor Truqui nel Brasile. L’aberrazione consiste, come
si può vedere dalle figure 12 e 13, nella anormale ripiegatura
delle appendici corniformi le quali sono regolarmente sviluppate
ed in tutto somiglianti a quelle degli individui normali. Questa
aberrazione proviene, molto probabilmente, da qualche pressione
che l’animale subì nello stadio di ninfa.
Questa aberrazione è tuttavia, a mio avviso, importante,
poichè viene a dare un po’ di luce intorno alla probabile pro-
duzione di molte strane strutture delle appendici corniformi di
molti insetti, modificazioni, che divenute costanti, sono buoni ca-
ratteri specifici.
Ricorderò ancora una aberrazione simmetrica che osservai
in un esemplare di Broscus politus Dej., pure del R. Museo
Zoologico di Torino (1).
L’aberrazione consiste in un anormale intrecciarsi, simmetrico
nelle due elitre, delle strie che solcano longitudinalmente le elitre
degli individui di questa specie. La figura 14 fa vedere la mo-
dificazione in discorso.
In un Athous niger L. del Museo Zoologico di Torino si
osserva superiormente in mezzo al corsaletto uno spazio di forma
ovale di color giallo rossiccio chiaro che spicca fortemente sul
colore bruno rosso del resto del corsaletto. In questo spazio chiaro
vi ha una impressione molto spiccata di color nero a mo’ di
ferro di cavallo. Nulla vi è di anormale nelle altre parti del-
l’animale, fig. 15.
Ultimamente il signor M. Girard fece conoscere alcune aber-
razioni simmetriche osservate in Attacidi asiatici allevati in Eu-
ropa (2).
Queste aberrazioni riguardano l’Attacus Yama-mai, e V At-
tacus Pernyi e consistono in intaccature numerose, profonde e,
quello che più importa, perfettamente simmetriche che si pre-
sentarono nel margine esterno delle ali superiori e delle ali in-
feriori sia in individui maschi, sia in individui femmine come
(1) Atti della R. Accademia delle Scienze, Vol. XIV, 1878.
(2) Note sur des aberrations observées chez des Attaciens Asiatiques ele-
ves en Europe. — Bulletin de la Soc. d’Acclimatation de France. — 3 sér.,
vol. IX — 1882. ;
ABERRAZIONI DI FORMA NEGLI ANIMALI ECC. 341
mostra la figura 16 che io tolgo dal lavoro del Girard: « Les
aberrations d’Attacus Pernyi, egli dice, ont été obtenues à Paris
par M. A. Clément dans une éducation de seconde génération;
où les chenilles furent nourries avec des feuilles de prunier au
liea de feuilles de chène ».
È probabile che il cambiamento di nutrimento abbia avuto
in queste aberrazioni una qualche parte. Sarebbe utile che gli
allevatori di farfalle ripetessero gli esperimenti.
Anche nei vertebrati si possono trovare numerosi esempi di
strutture originatesi molto probabilmente da aberrazioni simme-
triche. Sarebbero in questo caso molte forme di becco degli
uccelli, molte forme di code, di ciuffi, di penne, ecc.; molte
forme di appendici dermiche nei pesci, negli anfibi, nei rettili, ecc.
Da tutti i fatti di aberrazioni simmetriche da me citati, e
dagli altri molti che si potrebbero citare, si vede che mentre le
aberrazioni stesse non interessano organi essenziali per la vita
dell'animale, esse fanno cambiare tuttavia abbastanza profon-
damente l’aspetto generale, il facies dell’animale.
Queste aberrazioni vengono più o meno trasmesse ai discen-
denti degli individui in cui sono primitivamente apparse e a
poco a poco possono dar luogo a forme notevolmente diverse
dalle prime.
Se queste aberrazioni sono utili od anche solo indifferenti per
l’animale, come certamente molte lo sono, esse si conserveranno
e su di esse avrà poca azione la scelta naturale. Se invece esse
saranno nocevoli a poco a poco scompariranno.
Un fatto notevole che si osserva in queste aberrazioni sim-
metriche si è che esse riproducono generalmente modificazioni
che si trovano in altre specie del genere o del gruppo a cui
appartiene la specie aberrante. Le aberrazioni degli Attacus sopra
menzionati ne sono una prova evidente. i
Aberrazioni assimetriche. — Gli animali presentano, più
frequentemente di quanto non si creda generalmente, aberrazioni
nella forma delle loro parti le quali rompono la simmetria delle
parti stesse.
Anche queste aberrazioni passano spesso allo stato di carat-
tere specifico; anche queste aberrazioni hanno per lo più una
causa accidentale.
Fra gli uccelli è nota a tutti la Loxia curvirostra per il
suo curiosissimo becco. Ora questo carattere che nella Loria è
342 LORENZO CAMERANO
carattere specifico, costante, si incontra talvolta come aberrazione
in altre specie di uccelli, come ha fatto vedere anche ultima-
mente il Parona (1) da cui tolgo le figure 17, 18 della tavola
qui unita.
È molto probabile che anche la nota assimetria bilaterale
dei Pleurorettidi fra i pesci abbia avuto origine da una aber-
razione assimetrica ed accidentale.
Negli Artropodi i casi di assimetrie, passate allo stato di
caratteri specifici, sono frequentissime, soprattutto nei crostacei e
negli insetti.
Ricorderò fra i coleotteri il Taphroderes distortus, in cui
il maschio ha normalmente la - mandibola sinistra molto allun-
gata, cosicchè la bocca viene a contorcersi grandemente. Nella
femmina le cose sono normali.
Nell’Oxysternus maxillaris Fabr., di Cayenna, coleottero ap-
partenente al gruppo degli Hister, la mandibola sinistra è nor-
malmente molto più grossa e robusta della destra.
Nei Psalicerus e negli altri Lucanidi sopra menzionati ab-
biamo pure numerosi esempi di assimetrie nella forma delle
mandibole (come si può vedere dalla tavola qui unita) le quali
sono ora caratteri specifici costanti.
La stessa origine hanno molto probabilmente le strane ed
assimetriche forme delle mandibole dei maschi della Clytra se-
negalensis, fig. 22, e le antenne non meno strane ed irregolari.
delle Cerocome, fig. 20-21.
Anche negli insetti, come sopra si è visto negli uccelli,
si incontrano talvolta delle aberrazioni analoghe a quelle ora
menzionate in qualche individuo di specie in cui ciò non è la
regola.
Nella fig. 19 ho disegnato il capo di un individuo di Ocypus
similis Fabr., in cui la mandibola destra invece di essere allun-
gata, sottile ed arcuata, è corta, molto grossa ed appiattita.
La sua forma è perciò molto diversa di quella della mandibola
sinistra.
Le chele dei Crostacei presentano frequentissimamente assi-
metrie molto spiccate nel loro sviluppo.
(1) Due casi di deviazione nella mascella inferiore degli uccelli Columba
ivia e Parus major. Atti Soc. Ital. di Scienze nat., vol. XXIII, 1880.
ABERRAZIONI DI FORMA NEGLI ANIMALI ECC. 3453
Queste assimetrie si originano accidentalmente e spesso per
rottura, per ferite o per altro.
Una prova della accidentalità dell’originarsi di queste assi-
metrie, si è il fatto che esse sono disegnalmente distribuite nelle
specie appartenenti indubbiamente allo stesso genere.
Sopra a questo genere di aberrazioni la scelta naturale ha
maggiore azione, come si comprende facilmente, che non su quelle
della categoria precedente, e si può dire con sicurezza, che se
qualcuna di queste aberrazioni si è fissata nella specie, è segno
che l’animale ricava un qualche utile da essa.
È più difficile che queste aberrazioni possano essere solamente
indifferenti.
Aberrazione di colore. — Frequentissime pure sono le aber-
razioni di colore, soprattutto quelle che portano ad un aumento
o ad una diminuzione della intensità della colorazione generale
dell’animale.
Gli animali variano generalmente molto nel colore, ed è molto
probabile che certe colorazioni ora passate allo stato costante
in certe specie si siano anch’esse originate accidentalmente.
Esaminando infatti un gruppo intiero di animali, ad esempio,
di uccelli, di rettili, di insetti, ecc., in cui vi siano colorazioni
spiccate, si osserva che vi è nel gruppo una gamma dominante,
e che spesso i varii colori hanno nelle varie forme del gruppo
tutti gli stadi di sviluppo, dal costituire cioè da soli l’intera
colorazione all’essere rindotti allo stato di semplici macchie.
Ora, spesso fra gli individui di una stessa specie, si osserva un
variare della colorazione che ricorda assai bene il variare di
quella di tutte le specie del gruppo.
Non mi pare quindi troppo azzardoso l'ammettere che nel
diffondersi degli individui policroici di una data specie si facciano
a poco a poco fissi nei discendenti di questi individui certi ca-
ratteri di colorazione, i quali si troveranno in rapporto colle.
circostanze in cui gli individui vivono.
Per quanto riguarda la colorazione, la scelta naturale ha
una azione vivissima e più pronta forse che non per le forme.
Essa tende ad eliminare rapidamente tutte le colorazioni nocevoli,
ed a fare sviluppare quelle utili.
Ciò del resto si comprende facilmente essendo molte volte
la colorazione di molti animali condizione essenziale per la loro
.
344 LORENZO CAMERANO
esistenza, e riponendo essi spesso ogni loro mezzo di difesa ed
anche di offesa nei colori mimeticz.
Questa azione attivissima esercitata dalla scelta naturale mi
pare spieghi in parte la scarsità delle aberrazioni assimetriche
di colorazione non solo passate allo stato di carattere costante,
ma anche accidentali.
Si osserva in generale che anche nei casi di aberrazioni assi-
metriche di forma la colorazione non perde la sua assimmetria.
Non sono rari invece i casi di aberrazioni simmetriche di
colorazione, le quali si manifestano per .lo più colla fusione
di macchie, distinte in una sola più grande, e colla divisione di
grandi macchie in altre più piccole, colla mancanza o colla presenza
delle macchie stesse , col variare della forma delle macchie, della
loro intensità di colorazione, ecc. Tutti i gruppi di animali pos-
sono presentare esempi di tale sorta di aberrazioni, e, ciò che
più importa per noi, in quasi tutti i gruppi si osserva che quella
speciale colorazione che si osserva accidentalmente in qualche
individuo di una specie è per lo più di molto affine a qualche
colorazione costante di altre specie o dello stesso genere o dello
stesso gruppo.
Negli animali, dirò in ultimo, i quali hanno in alto grado
il potere di modificarsi, si vengono formando continuamente dei
nuovi caratteri per cause puramente accidentali, che frequentemente
si indicano col nome di aberrazioni, perchè si scostano brusca-
mente dai caratteri proprii della specie.
Questi caratteri, che gli individui che li posseggono trasmettono
spesso, cadono sotto il dominio della scelta naturale. Questa li
conserverà modificandoli o li farà scomparire. Nel primo caso i
caratteri o le aberrazioni diventeranno in un tempo più o meno
lungo costanti per un grande numero di individui e spesso per
una determinata località, e quindi si potranno considerare come
caratteri specifici. Nel secondo caso invece rimarranno più o meno
isolati e rari.
In poche parole si può dire che le aberrazioni che succedono
negli animali possono essere:
utili all’animale nelle condizioni in cui vive;
utili all'animale nelle nuofe condizioni in cui a
mente fosse portato a vivere;
ABERRAZIONI DI FORMA NEGLI ANIMALI ECC. 345
indifferenti all’animale;
nocive all’animale.
Le aberrazioni utili e le indifferenti possono passare nella
maggior parte dei casi al grado di caratteri specifici.
Si può dire in fine che non vi è essenzialmente grande dif-
ferenza, salvo nella fissità, fra i caratteri specifici e le aberrazioni
intese nella maniera sopra indicata.
846 L. CAMERANO - ABERRAZIONI DI FORMA NEGLI ANIMALI ECC.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
1. Geotrupes hiostius, capo e protorace 9 (ingrandito).
2. Onthophagus, bonasus » »
3. » gerstàkei » »
4. » rangifer » »
5. Lucanus cervus e)
6. » » ©)
7. Psalicerus triangularis 3
8. » » I
9. Psalicerus femoratus Es
10. » » I
bi: » » of
12. Megasoma Theseus S ingrandito (normale).
13. » er » » (aberrante).
14. Broscus politus (aberrante).
15. Athous niger (aberrante).
16. Ali di Attacus Perny aberranti simmetricamente. Gli
individui normali hanno il margine dell’ala intiero.
17. Testa di Cingallegra aberrante (Da Parona).
18. Testa di Piccione » »
19. Capo di Ocypus similis aberrante (ingrandito).
20-21. Antenne di maschi di Cerocome (ingrandite).
22.
Capo e mandibole di maschio di Clytra senegalensis
(ingrandite).
Ù
)
|
Yorino LF" Doyen.
347
Il Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa presenta e legge il se-
guente lavoro del signor Dott. G. MAZZARA,
SOPRA UN NUOVO COMPOSTO
CHININA COL CLORALIO.
Ai composti che si ottengono per l’azione del cloralio sul-
l’acqua, sull’idrogeno solforato, sugli alcoli grassi, sui mercaptani,
sull’anidridride e sull’acido acetico, sul cloruro di acetile, sugli
acidi solforico, cianidlrico, cianico, ecc., devo aggiungere un nuovo
. composto di clorale con chinina, che forma l’oggetto della pre-
sente nota.
Questo composto, credo, che per diversi riguardi sarà degno
. dell’attenzione dei chimici, sia perchè esso può essere considerato
come il tipo di una nuova ed importante serie di composti di
| cloralio con alcaloidi vegetali, sia perchè spero che interesserà
la medicina, per le applicazioni terapeutiche, di cui esso può
essere l'oggetto.
Se ad una soluzione cloroformica di chinina, si aggiunge la
quantità equimolecolare (dieci parti in peso di chinina, sopra
cinque e mezzo di clorale) di cloralio anidro, si produce un innal-
zamento di temperatura. Versando il miscuglio in una capsula,
e facendolo spontaneamente evaporare in un’atmosfera secca,
si ottiene un residuo giallastro, trasparente, di consistenza ge-
latinosa. Detto residuo si scioglie a freddo nell’etere, ma sot-
toponendo a leggiero riscaldamento la soluzione eterea, non tarda
tantosto a separarsi una sostanza bianca, di struttura cristallina-
mammellonare, la quale invade subito tutto il liquido, trasfor-
mandolo in una poltiglia.
348 G. MAZZARA
Questo fenomeno si manifesta pure, operando col seguente
metodo, che ci fornisce in modo più facile e più breve il nuovo
composto:
Si scioglie della chinina nel cloroformio, si diluisce la solu-
zione con etere anidro e vi sì aggiunge una quantità equimo-
lecolare di cloralio: si riscalda poscia in un pallone, che viene
unito ad un apparecchio a ricadere. Tosto si vedono sulle pareti
del pallone apparire dei piccoli cristalli mammellonari, i quali
aumentano man mano, tanto da costituire una poltiglia: si filtra,
si lava con etere e si dissecca nel vuoto sull’acido solforico.
La sostanza, così ottenuta, si presenta sotto forma d’una
massa, apparentemente amorfa, perfettamente bianca, molto leg-
giera, di gusto, dapprima insipido, poscia leggiermente amaro-
gnolo: fonde, annerendosi, a 149° (temperatura non corretta),
all’aria secca non si altera menomamente.
All’analisi, ha dato i seguenti risultati: :
Grammi 0,3660 di sostanza, diedero grammi 0,3305 di clo-
ruro d’argento:
Grammi 0,3159 di sostanza, bruciati con ossido di rame,
in presenza di rame e di argento, fornirono grammi 0,6503
di anidride carbonica, e grammi 0,1732 di acqua.
Vale a dire in rapporto centesimale :
CHOO: VE BLETI SR RISE
Carbofito 13 Vba. UT DOO
a INFERNO 002
La teoria per la formola: à
COHRNI0 CO COH
richiederebbe per cento:
Cleto! 93 (E, di e 1 AR
Carbonio 5380104 - 005,99
barogenot e a aio 5190)
La sostanza è difficilmente solubile nell’alcool a freddo, in-
solubile nella benzina, si scioglie nell’alcool caldo e collo sva-
poramento si deposita gelatinosa. La soluzione alcoolica, trattata
con acqua, fornisce un precipitato bianco, il quale separato per
SOPRA UN NUOVO COMPOSTO DELLA CHININA COL CLORALIO 349
filtrazione dal liquido ed asciugato, fonde da 75°-105° ed al-
l’analisi diede il 13 per cento di cloro. Il punto di fusione,
non che la quantità trovata di cloro, indicano che il precipitato
è un miscuglio di chinina e di cloral-chinina.
La cloral-chinina si scioglie nell'acqua, debolmente acidulata
con acido solforico, nitrico, acetico, ecc., ed imparte alle solu-
zioni una fluorescenza eguale a quella notissima delle soluzioni
dei sali di chinina. Le soluzioni di cloral-chinina nell’acqua aci-
dulata dànno coll’acqua di cloro e col ferrocianuro potassico le
stesse reazioni dei sali di chinina. La cloral-chinina, sciolta nel-
l’acqua, leggiermente acidulata con acido acetico, e trattata con
una soluzione di bicarbonato sodico, fornisce un precipitato, quasi
esente di cloro. — Da queste reazioni dobbiamo dedurre, che
l’acqua parzialmente, e gli acidi completamente, decompongono
la sostanza.
Io sono attualmente occupato a preparare i derivati della
cloral-chinina, come pure di estendere questa reazione agli altri
alcaloidi vegetali.
L'azione dell’aldeide sugli alcaloidi vegetali solidi è stata
studiata dal Prof. Ugo Schiff (1), dal punto di vista dei pro-
dotti di addizione con eliminazione di acqua ed ha ottenuto
risultati negativi. Io, facendo agire la chinina sopra le aldeidi
benzoica, nitrobenzoica, ed anisica son riuscito ad ottenere dei
nuovi composti, di addizione simili a quelli del cloralio colla chi-
nina, poco solubili nell’etere e nella benzina, molto solubili nel-
l'alcool e nel cloroformio, decomponibili coll’acqua acidulata in
sale di chinina e nell’aldeide. Il composto della chinina coll’al-
deide nitrobenzoica si rammollisce verso 100° e fonde a 113°-118°.
All’analisi ha dato i seguenti risultati:
Grammi 0,3595 di sostanza bruciati con ossido di rame in
presenza di rame, diedero grammi 0,9188 di anidride carbonica
e grammi 0,2252 di acqua.
Vale a dire in rapporto centesimale :
iembonigtc BII
MAIOBGNOI 0 00 SRI do
La teoria per la formola:
(1) Gazz. Chim. Ital., Tomo VIII, pag. 189,
350 G. MAZZARA
NO’
(2° DI N? O?. 04 4
H* N=0 H COH
richiede su 100 parti
Rarboniois: cr fer n 70: BA
Idrogenouattaohigg 6,10.
Il composto della chinina coll’aldeide benzoica fonde da 136°
140°; quello dell’aldeide anisica dà 145°-149°.
Come mi risulta dalla letteratura chimica, i fenoli non si
addizionano col clorale, ma in presenza di sostanze disidratanti,
dànno dei prodotti, con eliminazione di acqua; così come il fenol
ed il timol, danno col cloralio il diossifeniltricloretano ed
il ditimittricloretano. Io invece sono riuscito ad ottenere per
l’azione del clorale sul paracresolo e sul timolo (naturale) senza
l'intervento dell’acido solforico, due prodotti di addizione, cioè
il: Paracresol-clorale ed il Timol-clorale.
Mi limito per ora a dare di questi composti solamente un
cenno, tanto per pigliarne data, riserrandomi a pubblicare fra
breve il metodo di preparazione e le proprietà.
Il Paracresol-clorale è stato ottenuto in piccoli aghetti,
fusibili da 52°-56°; ed all’analisi diede i seguenti risultati :
Grammi 0,3700 di sostanza diedero grammi 0,6000 di clo-
ruro d’argento:
Grammi 0,3268 di sostanza diedero grammi 0,5050 di ani-
dride carbonica e grammi 0,1251 di acqua.
Vale a dire in rapporto centesimale :
Bloro331 41 berletds vasb4b,09
Carbonio... ata 44,88
Idrogeno: sistaiiai x45 tsitiB68;
La teoria per la formola:
\0H
cm COP. COH
C° H'
richiederebbe per cento:
SOPRA UN NUOVO COMPOSTO DELLA CHININA COL CLORALIO. 851
benestare E.b8
Cari. AZ
TTT RACE OE: #1: |
Il Timol-clorale fonde da 130°-134°, ed all'analisi diede
i seguenti risultati:
Grammi 0,3576 di sostanza diedero grammi 0,5141 di clo-
ruro d’argento.
Grammi 0,2370 di sostanza diedero grammi 0,4128 di ani-
dride carbonica e grammi 0,1275 di acqua.
Vale a dire in rapporto centesimale:
IRIS NRE SAI RIN, II PR DIVI
Uarbomno- Sii. ELLI
lprosenadAt- Dit 0998:
La teoria per la formola:
OH
CP0CIPGCELOOH
ll cH
richiederebbe :
Eloto; 5A, 35,77
Carbonio” ict STATE
| Taeeno 0 Ta SITI).
(*) Sebbene la scarsezza dei mezzi di questo Laboratorio, dotato di sole
200 lire annue, non mi permettono di lavorare con quella celerità che siffatti
lavori meriterebbero, mi sforzerò tuttavia di por termine in breve a questi
i miei lavori intrapresi.
i
302 COSSA - PRESENTAZIONE DI UN AREOLITE.
Il Socio Alfonso Cossa presenta alla Classe un pezzo di
quell’areolite che il 16 febbraio scorso cadde ad Alfianello nel
Bresciano, rimarchevole per la sua mole straordinaria e pel suo
peso. Egli discorre della natura di questo meteorite, accennando
a quanto in esso gli fu dato di scoprire con ricerche chimiche
e microscopiche.
Adunanza del 15 Aprile 1883.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
Il Socio Cav. Prof. A. NACCARI presenta e legge la seguente
Nota del signor Dott. G. GuGLIELMO
SULLA DETERMINAZIONE
DELLA FORZA ELETTROMOTRICE
E DELLA RESISTENZA DELLE COPPIE
E
DELLA FORZA ELETTROMOTRIGE DI POLARIZZAZIONE
NEL CASO DI CORRENTI INTENSE.
Descrissi tempo fa un metodo assai semplice e comodo per
determinare la forza elettromotrice delle coppie a circuito chiuso (1).
Se nel noto sistema di reofori indicato dalla figura ove in r,
trovasi una forza elettromotrice, si pongono i punti B e D in
comunicazione colle coppie di quadranti d’un elettrometro, la dif-
ferenza di potenziale di questi punti quando è r:r,= R:,
(nel qual caso, come è noto, essa deve rimanere costante quando
si fa variare mediante la chiusura d’un tasto la resistenza di
AC daoa 0) è in relazione assai semplice colla forza elettro-
motrice, giacchè è: D:E —(R+r):(R4+R+r+7r,) e se
PR. sarà E=2 D.
(1) Atti della IR. Accad. delle Scienze, XVI, 1881.
Atti IR. Accad. = Parte Fisica — Vol. XVIII. 25
354 G. GUGLIELMO
Siccome nella chiusura del tasto, essendo variata la resi-
stenza del circuito, varierà in generale la forza elettromotrice e
quindi l’elettrometro indicherebbe una deviazione anche quando
l’anzidetta condizione si verifica, conviene per difendersi da questa
perturbazione, seguendo l’indicazione di Lodge (1), separare l’elet-
trometro non appena chiuso il tasto, ciò che si ottiene facil-
mente con un'apposita disposizione di esso tasto. Nelle molte
esperienze, che ebbi occasione di eseguire, trovai inoltre opportuno
d’usare una disposizione, descritta in seguito, che permettesse inoltre
di interrompere lo stesso reoforo AC non appena separato l’e-
lettrometro, in modo che esso rimanga chiuso per un tempo bre-
vissimo, e così essendo minima la perturbazione prodotta nella
coppia, si possa ripetere l’operazione parecchie volte, e così o se-
guire le variazioni d’una forza elettromotrice, o ottenere una
media di parecchi valori di essa.
Un vantaggio non piccolo di questo metodo, oltre alla sem-
plicità e facilità con cui si ottiene con una sola operazione la
forza elettromotrice e la resistenza della coppia, è quello di dare
queste quantità quali esse sono realmente nelle condizioni varia-
bilissime in cui comunemente si adoperano e non in uno stato
speciale, unico, come è quello di circuito aperto, nel qual caso
la forza elettromotrice e la resistenza hanno valori senza alcuna
relazione semplice nè determinata con quelli a circuito chiuso,
sebbene nelle coppie più- costanti la differenza non sia gran-
dissima.
Questo metodo potrebbe anche applicarsi, per esplorare la
forza elettromotrice di una o più coppie, che agissero per un
qualsiasi scopo, giacchè usando £ ed £, sufficientemente grandi
si potrebbe senza turbare sensibilmente l’azione della coppia porre
questa in comunicazione colle resistenze y, £ ed £, e far la
determinazione nel modo solito.
Il Wiedemann, nel suo trattato (2), rimprovera a vari metodi,
fra i quali quello di Mance, di sottoporre la coppia a correnti
di intensità grande e variabile, che producendo bolle di gaz o
depositi alterano la resistenza da misurare ; tuttavia da esperienze
da me eseguite sulla determinazione della resistenza dei liquidi
col metodo di Mance o più comodamente con quello di Wheat-
(1) Philosophical Magazine, 1877.
(2) WiebEMAnn, Galvan., l, 484.
SULLA DETERMINAZIONE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE Ecc. 355
stone e colle correnti ordinarie delle pile risulta, bensì nel caso
di resistenze relativamente assai grandi, che perturbazioni di simil
genere non hanno influenza sensibile sul valore della resistenza
. che si misura, neppure quando la sensibilità è superiore ad ‘/,o06:
quindi si può supporre, che, anche nel nostro caso, la perturba-
zione non sia superiore alle variazioni di resistenza inevitabili in
una pila.
Cercai in seguito di applicare questo metodo alla determi-
nazione delle forze elettromotrici di polarizzazione, sia formando
coppie con lamine grandi di zinco amalgamato in soluzione
neutre di solfato di zinco (la cui polarizzazione supponevo
nulla), e il metallo da studiare nel liquido opportuno (1),
sia aggiungendo inoltre delle coppie, la cui forza elettromotrice
separavo da quella dell’apparecchio di polarizzazione portando
questo o quelle da r, in r, cosicchè la deviazione relativa pro-
dotta nell’elettrometro cambiava segno, e quindi avendo la somma
_ e la differenza delle forze elettromotrici, potevo calcolare il va-
lore di ciascuna di esse (2). .
Trovai così nel primo modo per la forza elettromotrice della
Smée, quando il platino ha piccolissima superficie e quindi la
densità della corrente in essa è molto grande, il valore di 0,48 D
. e nel secondo per la polarizzazione dello zinco per l'idrogeno
nell’acido solforico diluito, nel caso pure di grande densità di
corrente il valore notevole di 0,45 D, mentre ordinariamente si
ammette nulla, e per la polarizzazione dello zinco amalgamato
nella soluzione neutra di solfato di zinco soltanto 0,034 D.
Feci inoltre esperienze variate (3) per dimostrare come i ri-
sultati ottenuti col metodo di Fuchs, molto soddisfacenti quando
gli elettrodi hanno grandi superficie e la corrente non sia troppo
intensa, diventano assolutamente erronei quando queste condi-
zioni siano insoddisfatte, giacchè vedesi a priori e risultò dalle
esperienze essere allora impossibile (almeno nelle condizioni pre-
senti del metodo) di sottrarsi all'influenza grandissima del pendio
del potenziale pel passaggio della corrente. Devesi attribuire a
ciò la piccolezza del valore ottenuto da Fromme (4) per la forza
(1) Rivista scientifico-industriale, XIII, 282, 1881, 1.
(2) Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, XVII, 1882.
(3) Riv. scient. ind., \. c.
(4) Wiepemann, Annalen der Physik, XII, 399.
356 G. GUGLIELMO
elettromotrice della Smée (0,025 2) quando il platino ha una
superficie piccolissima ed è trascurabile la resistenza esterna; ed
è pure a tale influenza che devesi probabilmente il valore, certo
straordinario (quasi 5 D), ottenuto dallo Streintz (1) per la po-
larizzazione del platino per l'idrogeno nel caso di correnti in-
tense, valore che le mie esperienze, come si vedrà in seguito,
non confermano punto.
Trovai però qualche difficoltà non piccola anche quando volli
applicare il mio metodo al caso di elettrodi piccolissimi, e di
correnti intense. — La resistenza dell’apparecchio di polarizza-
zione diviene in tal caso molto grande e molto variabile ed ir-
regolare in causa della formazione di numerose bolle di gaz, o
depositi, conduttori o no; dimodochè anche aggiungendo delle
coppie per rimediare alla resistenza aumentata, ponendo il yol-
tametro in R che per la sensibilità, è bene abbia una re-
sistenza grande rispetto ad r, tuttavia l'intensità della corrente
in un circuito di resistenza 2 (£ +7) è piccola, è difficile stabi-
DI
lire, quando si abbia la condizione r = r, che è ad ogni mo-
mento distrutta, ed inoltre il dover fare due determinazioni per
separare la forza elettromotrice delle coppie da quella di pola-
rizzazione rende ancora più incerte e laboriose le determinazioni.
Una piccola modificazione in questo metodo permette di
evitare questi inconvenienti. Aggiungiamo al solito sistema di
reofori, un reoforo 7 in cui collocheremo una pila sufficientemente
intensa, essendo sempre la coppia o l'apparecchio di polarizza-
zione, di cui.si vuol determinare la forza elettromotrice, in r,:
se prendiamo R ed PR, abbastanza grandi, la corrente della pila
passerà quasi esclusivamente per 7 ed 7, e noi potremo aumen-
tando il numero delle coppie in f, diminuendone la resistenza ot-
tenere in r, una corrente dell'intensità voluta. — Prendendo £
(1) WiepEMann, Amnalen der Physik., vol. XVII, pag. 84l.
penna tn.
SULLA DETERMINAZIONE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE Ecc. 5357
minore di £, p. es. '/, di esso, dovrebbe essere anche » '/, di r, e
quindi diminuirebbe la resistenza totale, ma è da notare che si
perde in sensibilità quanto più ci si allontana dalla condizione
R=R.—-
L'operazione procede nel modo solito. In virtù del principio
di Hehlmoltz sulla sovrapposizione delle correnti (1) possiamo
considerare separatamente l’effetto della pila e quello della forza
elettromotrice da studiare che chiamerò E. Per la corrente pro-
dotta dalla sola pila, la differenza di potenziale dei punti B
e D è nulla tanto prima che dopo la chiusura del tasto se si
ha R:E,=r:r, ed è quindi in tal caso senza effetto sull’elet-
trometro: per effetto della corrente prodotta dalla sola £ la
differenza di potenziale deve rimanere costante se è verificata
tale condizione ed è facile vedere che nonostante l’aggiunta del
circuito 2 si mantiene la relazione fra essa e la forza elettro-
motrice. Di fatti, facendo astrazione come si è detto, dall’effetto
già considerato della pila, il potenziale dovrà prendere da A
a C tanto in gf chein R+ R, gli stessi valori che prenderebbe
in un conduttore unico equivalente. —
Se non è verificata l’anzidetta condizione, al chiudere del
tasto s' avrà una deviazione così per la pila, come per la £
e considerando il valore che prendono i potenziali prima e dopo
la chiusura del tasto si vede facilmente che le deviazioni sono
dello stesso segno se la pila e la coppia sono nello stesso senso.
Le condizioni di sensibilità si ottengono facilmente continuando
a considerare separatamente l’effetto della pila e quello della £;
vedesi che si avrà un massimo a parità delle altre condizioni
per R= E, per p=0; la grandezza di È e di KR, rispetto ad
v ed r, è favorevole alla sensibilità; aumentando l’intensità della
corrente, la differenza di potenziale dei punti B, D varia note-
volmente per piccole variazioni di x rispetto ad r, ma quindi
cresce anche la sensibilità con cui è indicata l’uguaglianza di
r.ed r,.
Possiamo dunque ottenere così, e con una sola operazione la
forza elettromotrice e la resistenza sia d’una coppia, sia d’una
coppia di elettrodi; possiamo però anche ottenere la polarizza-
zione di ciascun elettrodo senza ricorrere all’uso d’un elettrodo
(1) WiepeManN, Die Lehre der Galvanismus, t. I, pag. 373.
858 G. GUGLIELMO
non polarizzabile, metodo poco sicuro, sia perchè la non po-
larizzabilità non è mai assoluta, sia perchè richiede l’uso di
due liquidi, che, mescolandosi anche in piccola parte, possono con-
durre a risultati erronei.
Per ottenere la polarizzazione di ciascun elettrodo bisogna
portare il filo D 7° fra i due elettrodi, ossia immergerlo nel li-
quido; ciò introduce una nuova forza elettromotrice e quindi
conviene con opportune e facili disposizioni e scegliendo la na-
tura del metallo far sì che essa sia costante e ben nota. In tal
modo uno degli elettrodi è passato da 7, in 7, e quindi la de-
viazione corrispondente alla sua forza elettromotrice ha cambiato
segno e la differenza di potenziale osservata nell’ elettrometro,
diminuita di quella che corrisponde alla forza elettromotrice del
flo 7D nel liquido in cui è immerso, ci dà la differenza delle
due polarizzazioni, e poichè conoscevamo già la somma, abbiamo
facilmente il valore di ciascuna di esse. Si vedrà in seguito la
disposizione pratica seguita per portare 7 D fra i due elettrodi.
Finalmente, portando il filo 7 D da D in D' nel reoforo g
possiamo determinare nel modo solito la forza elettromotrice e
la resistenza della pila, e quindi l'intensità della corrente. È da
notare che anzichè aggiungere resistenze in D'A finchè esse siano
uguali alla resistenza della pila; ciò che complica e richiede
un altro reostato, ed inoltre variando la resistenza del circuito
potrebbe causare una variazione nella forza elettromotrice e re-
sistenza della pila, è più conveniente portare l’ estremità del reo-
stato R da A verso D finchè la resistenza di A'AD' sia uguale
a quella di D'C, poichè così la resistenza totale del circuito
rimane quasi assolutamente la stessa, come risulta dal calcolo
di questa resistenza. —
Per provare questo metodo l’ho applicato prima ad un caso
semplice, ed ho determinato la forza elettromotrice d’una Daniell
percorsa da correnti di varia intensità dirette o inverse.
Siccome i reostati comuni avrebbero potuto ricevere danno
specialmente se posti in y o r, per l’intensità delle correnti, co-
struli io stesso i reostati che dovetti adoperare. — £ ed £,
erano uguali e costituiti ciascuno da circa 25 metri di filo di
pakfong di '/,, di mm. ricoperto di seta impregnata di paraffina,
avvolto sopra un tubo di vetro per metà in un senso per metà
in senso contrario per evitare possibilmente la produzione d’e-
stracorrente; siccome la seta non ricopriva troppo bene il metallo,
SULLA DETERMINAZIONE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE Ecc. 359
le spire, sebbene vicinissime non si toccavano mai; la corrente
in due spire successive andava in direzioni contrarie. » era for-
mato da fili di pakfong ben ricoperti di seta, di 0,6 mm. di dia-
metro, ripiegati per metà ed avvolti su tubi di vetro chiusi in
fondo ove poteva porsi dell’acqua per impedire il soverchio ri-
scaldamento del filo. Essi formavano le resistenze 5 «. S. 2, 1,
1, 0,5, 0,2, 0,2, 0,1, «. S; determinai col ponte di Wheat-
stone, e per sostituzione ad un campione di unità Siemens le
resistenze 1, 1 e 0,5 + 0,2+ 0,2+ 0,1 quindi per sostituzione
ad 1+1 la resistenza 2 e così di seguito, cosicchè potevo es-
sere abbastanza certo del valore di esse resistenze.
Le differenze di potenziale erano misurate da un elettrometro
di Mascart costruito da Carpentier, una coppia di quadranti es-
sendo in comunicazione col punto £, l’altra col punto D e col
suolo 7° per mezzo dei tubi del gas e dell’acqua. L’ago era cari-
cato da una pila secca di Zamboni di 300 elementi, di cui
un polo comunicava col suolo; la sua sospensione bifilare era,
nelle condizioni di minore sensibilità, ed una Daniell campione,
vi produceva una deviazione di circa 52 divisioni. Caricando l’ago
con 9 Bunsen ottenni una deviazione di 5,7 per cui la forza
elettromotrice della pila secca poteva ritenersi di circa 80 Bunsen.
La lettura si faceva mediante cannocchiale e scala distanti
circa 1,5 m. dallo specchietto dell’elettrometro e circa '/, metro
dell’immagine alla scala formata dallo specchietto che è concavo.
L’elettrometro era stato regolato nel modo solito, in modo
da non esser deviato per la carica dell’ago, quando i due qua-
dranti erano in comunicazione fra loro e col suolo; tuttavia le
deviazioni prodotte dalla Daniell nei due sensi differivano di
circa due divisioni, forse per irregolarità nella sospensione bifi-
lare, o nell’asse di rotazione dell’ago; anche lo zero variava di
qualche decimo di divisione dal principio alla fine dell’esperienza,
e fu fatta l’opportuna riduzione e correzione.
Anche in queste esperienze ho trovato molto opportuno di
aumentare la capacità dei quadranti, ponendo le due coppie in
comunicazione colle armature di un condensatore. Senza questo,
essendo i fili di comunicazione scoperti, ed i quadranti isolati,
bastava lo spostamento d’una mano perchè l’ago deviasse per
effetto d’induzione ; inoltre l’azione meccanica di chiudere il tasto
bastava per produrre elettricità sufficiente per deviare l’ago di una 0
due divisioni. Questi inconvenienti sparivano coll’uso del conden-
360 G. GUGLIELMO
satore che aveva la capacità totale di un microfarad, ma che
agiva bene anche con ‘'/,, di detta capacità.
Ho continuato a servirmi dell’elettrometro che aveva già
adoperato molte volte in tali ricerche, credo però che si po-
trebbe usare ugualmente un galvanometro a riflessione, di gran
resistenza, che è d’un uso più comune. Non ho fatto prove in
tal modo; un inconveniente si ba in ciò che la deviazione alla
chiusura del tasto quando non è ancora È : i, =#:7, varia colla
durata dell'intervallo fra la chiusura del circuito A C e la separa-
zione dell’elettrometro, che quindi dovrebbero essere prodotte non
più a mano; è da notare inoltre che coll’elettrometro tale intervallo
può essere brevissimo, e l’ elettrometro accusa permanentemente
la variazione di potenziale avvenuta, mentre col galvanometro,
diminuendo la durata di tale intervallo diminuisce anche la quan-
tità di elettricità che attraversa il galvanometro e quindi anche
lo spostamento dell’ago.
Per chiudere il reoforo A C, separare immediatamente dopo
l’elettrometro ed immediatamente dopo interrompere nuovamente
il reoforo A ©, perchè non avvengano perturbazioni nella coppia
usai la seguente forma di tasto rappresentato schematicamente
nella figura
Un braccio di rame 4 d’un bilanciere riposando sopra una co-
lonnetta di rame d isolata ed in comunicazione con una coppia di
quadranti pone questa, per mezzo dell’asse di rotazione e, in comu-
nicazione col punto B del circuito; l’altro braccio pure di rame d
del bilanciere, isolato dal primo, comunica col punto A. Battendo
su questo braccio con una astina di rame e con manico isolante,
ed in comunicazione col punto C si chiude il reoforo AC e
quasi simultaneamente si stacca il braccio a dalla colonnetta e
l’elettrometro rimane isolato. Perchè il reoforo AC sia inter-
rotto subito dopo, la comunicazione del braccio d con A si fa
mediante un prolungamento di esso braccio che pesca in un poz-
zetto con mercurio m direttamente comunicante con 4; regolando
e e
SULLA DETERMINAZIONE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE Ecc. 5361
la quaùtità di mercurio, nella rotazione del bilanciere il prolun-
gamento di è si stacca dal mercurio ed il reoforo è interrotto.
Im principio ed in fine d’ogni esperienza osservavo la posi-
zione dello zero: m’assicurai parecchie volte facendo esperienze
con sole resistenze metalliche in Xi, £,, r, », e colla pila in p. che
non vi fossero deviazioni irregolari al chiudere del tasto quando
‘era verificata la solita condizione »=7r,. — Facevo quindi una
determinazione colla coppia da studiare nel circuito, ma senza
il reoforo p e quindi quasi a circuito aperto a causa della gran
resistenza di & ed £, quindi ponevo i poli della pila in comu-
nicazione coi punti A e C. Ho fatto esperienze prima con una
sola Bunsen in p Acciocchè apparissero meglio le irregolarità ,
ove vi fossero, e quindi con 9 Bunsen. Prendendo come ascisse
le deviazioni osservate nell’elettrometro, e come ordinate le va-.
riazioni nella posizione dell’ago alla chiusura del tasto, si hanno,
quando sì fa variare », vari punti parte sopra, parte sotto
l’asse delle ascisse, che si scostano assai poco da una retta, la
cui intersezione con questo asse ci dà la deviazione cercata per
la quale l’ago sta fermo al chiudere del tasto. In tal. modo si
utilizzano con facilità tutte le osservazioni e si scorgono quelle
erronee. Ecco i risultati ottenuti con una Daniell comune, ma ca-
ricata con soluzione diluita di solfato di zinco neutro, e soluzione
concentrata di solfato di rame puro. La coppia veniva caricata
alcune ore prima, e tenuta a circuito chiuso con 20 «. S. di resi-
stenza esterna; nella prima delle esperienze con 9 Bunsen il solfato
di rame era di quello del commercio. La durata del passaggio
della corrente fu di circa 45', sia per la diretta che per l’ inversa.
I numeri riportati sono le deviazioni osservate e rappresentano la
semi-forza elettromotrice essendo 52 quella totale della Daniell.
1 Bunsen 9 Bunsen 9 Bunsen 9 Bunsen
E r
E r E È
E Fo
Senza le B | 26,3) 7,1 | 25,5) 6,7 Se 5,7 | 25,8] 7,7
B dirette 27,5] 7,2 | 24,0] 6,7 | 26 | 7,3 | 25,0] 7,8
B inverse | 25,8] 7,2 | 25,2 2,6 | 25 | 5,5 | 26,2] 7,1
Si può osservare talora in questi risultati un aumento nella
forza elettromotrice quando la coppia è percorsa da una forte
362 G. GUGLIELMO
corrente diretta ed una diminuzione quando la corrente è inversa ;
siccome però tale fatto non si è presentato costantemente, non
avendo fatto uno studio speciale su ciò, ma solo delle prove
per l'applicazione del metodo, è probabile che esso dipenda da
qualche causa affatto speciale, come p. es. : il contenere il sol-
fato di zinco adoperato altre volte, delle traccie di solfato di
rame, come indicava il principio di annerimento degli zinchi. —
La resistenza invece decrebbe manifestamente e grandemente e per
molto tempo quando la Daniell è percorsa da una forte corrente
inversa ; interrotta questa e lasciata la coppia per un’intera notte
col circuito chiuso da £, £, ed » si ebbero i risultati segnati
nell'ultima delle esperienze con 9 Bunsen e come si vede la re-
sistenza era di nuovo cresciuta, e nuovamente decrebbe pel passaggio
della corrente inversa, che interruppi dopo i pochi minuti occor-
renti alla determinazione; ciò è dovuto probabilmente al solfato
di rame, che, trasportato dalla corrente, penetra più profonda-
mente che nelle condizioni normali nel vaso poroso e lo rende
più conduttore. Nella terza esperienza la determinazione senza le
Bunsen fu fatta dopo -il passaggio della corrente inversa.
Ho eseguito anche delle esperienze su una Daniell caricata
con acqua acidulata, e con solfato di rame del commercio ed
ecco i risultati ottenuti:
Con 4 Bunsen Con 9 Bunsen
E r E r
Senza le B 26,8 2,9 26,9 2,7
Con le B dirette 22,6 2,6 21,0 1,9
» inverse 28,9 2,9 28,6 2,9
Da questi risulta una forte diminuzione della forza elettro-
motrice quando la coppia è percorsa da una forte corrente di-
retta ed un aumento quando la corrente è inversa; in questo
caso la resistenza parrebbe aumentare per il passaggio della cor-
rente inversa, diminuire per quello della diretta, ciò che sarebbe
d'accordo con la spiegazione indicata precedentemente.
Volli fare anche delle esperienze sulla Bunsen ed ecco i valori
ottenuti prima su una Bunsen con liquidi nuovi e quindi con una
SULLA DETERMINAZIONE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE Ecc. 3683
Bunsen il cui acido aveva una densità di 1,24. La pila in p
fu sempre di 9 Bunsen il cui acido aveva una densità di 1,27
Bunsen Bunsen
con liquidi nuovi con liquidi usati
Senza le £ 46,0 0,15 42,4 0,15
Con le B dirette 45,7 » 42,6 »
» inverse 54 - È » — —
‘ Vedesi che anche in questi due casi la forza elettromotrice
rimane prossimamente costante; solo quando l’acido nitrico è un
po esausto, la forza elettromotrice è diminuita sensibilmente anche
per correnti debolissime. Da questi risultati si può avere una
idea della intensità della corrente nelle varie esperienze. —
Finalmente eseguii delle esperienze sulla polarizzazione del
platino per l'idrogeno ‘e per l’ossigeno nell’acqua acidulata con
acido solforico. Streintz (1) usando fili di platino di '/, mm. di
diametro, 23 mm. di lunghezza immersi nello stesso vaso alla di-
stanza di 17,5 mm. ottenne col metodo di Fuchs per la pola-
rizzazione del platino per l'idrogeno il valore di 4,7 Daniell
quando la corrente era prodotta da 6 Bunsen senza alcuna re-
sistenza accessoria, e di 3,7 D quando nel circuito v'era inoltre
una resistenza di 5 u. S.
Ora, se noi consideriamo la distribuzione locale del poten-
ziale, troviamo passando dal platino negativo al liquido un
grande aumento improvviso di potenziale dovuto alla forza elet-
tromotrice del platino polarizzato, indi il potenziale cresce dap-
prima molto rapidamente (giacchè la resistenza degli strati che
avvolgono immediatamente il filo è grande in causa della pic-
cola sezione), quindi più lentamente e regolarmente nella parte
mediana fra gli elettrodi, quindi cresce con rapidità crescente
fino al platino positivo ove si presenterà una variazione im-
provvisa di potenziale, ecc. — Ora, per quanto vicino si ponga
il sifone all’elettrodo, il sifone e quindi il liquido in cui s'im-
merge il filo di platino con cui si paragona l'elettrodo hanno
(1) WiepEMAnN, Ann,, XVII, 84I.
364 G. GUGLIELMO
un potenziale notevolmente più alto del liquido immediatamente
a contatto coll’elettrodo, e la differenza di potenziale fra l’elet-
trodo negativo e il filo campione è uguale alla forza elettromotrice
di polarizzazione aumentata dalla differenza di potenziale dovuta
al pendio. — Tale causa d'errore quando gli elettrodi hanno
piccola superficie non è evitata neppure quando i due elettrodi
sono in due vasi diversi, comunicanti con un sifone, come nelle
altre esperienze di Streintz, a meno che la resistenza del sifone
non sia tanto grande da rendere trascurabile quella non piccola
dalla superficie dell’elettrodo agli strati del liquido più lontani.
Le mie esperienze già pubblicate (1) provano infatti che spo-
stando il sifone, varia la differenza di potenziale osservata.
Lo Streintz non indica alcuna precauzione nel porre il sifone,
quindi supponendo che si trovasse all'incirca equidistante dai due
elettrodi, considerando che la resistenza delle Bunsen è assai
piccola e quindi probabilmente assai minore di quella del vol-
tametro, tenendo conto anche della polarizzazione che va sot-
tratta, si può ritenere che la differenza di potenziale dovuta al
pendio fosse da un elettrodo all’altro di circa quattro Bunsen e
quindi dall’elettrodo al sifone di due Bunsen, che aumentate del
valore ordinario della polarizzazione dànno abbastanza prossima-
mente (anche con così pochi dati) il valore trovato dallo Streintz.
In un modo analogo si potrebbe calcolare con sufficiente
esattezza la forza elettromotrice di polarizzazione vera, nel caso
che la pila avesse una forza elettromotrice nota ed una re-
sistenza trascurabile (o in rapporto noto) rispetto a quella fra gli
elettrodi.
Io sperimentai col mio metodo, nelle stesse condizioni dello
Streintz; l’acido solforico era puro, proveniente dalla casa Tromms-
dorf. Un vasetto contenente una lamina di zinco amalgamato,
in una soluzione di solfato di zinco comunicava-colla coppia se-
condaria mediante un sifone pieno d’acqua acidulata chiuso con
carta pergamena dalla parte immersa nel solfato di zinco. —
Questa lamina serviva per portare nel modo accennato uno degli
elettrodi da 7, in »; ho creduto conveniente adoperare lo zinco
amalgamato invece del platino, la cui forza elettromotrice nel
liquido è molto soggetta a variazioni per assorbimento di idro-
geno o altre cause. Ponendo nel sifone dell’acqua pura dell’acqua
(1) Kivista scientifico-industriale, 1. c. —
SEM
DELLA DETERMINAZIONE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE Ecc. 365
acidulata, forse per la sua grande resistenza la sensibilità mi
parve quasi totalmente annullata.
Usai come pila 9 Bunsen invece di 6 che ne usò Streintz,
perchè io aveva in più nel circuito la resistenza 7 che era pros-
simamente di 4,5 . S. Le coppie avevano liquidi quasi nuovi,
la densità dell'acido nitrico dopo le esperienze essendo di 1,30.
Determinai prima la f. e. della coppia Z», 50, Zn | S0, H,, Pt
che risultò uguale a 72,3 in divisioni della scala, quindi fatta pas-
sare la corrente delle Bunsen determinai nel modo solito la re-
sistenza e la forza elettromotrice della coppia secondaria, essendo
l'elettrodo negativo in comunicazione col suolo: la prima fu uguale
a circa 10 w. S. in principio decrescente fino a 4,5 «.,S. pel riscal-
damento del liquido; la semiforza elettromotrice a (Pty +Pt)
risultò uguale a 48,2 decrescente probabilmente per effetto del
riscaldamento fino a 45,2. Posta in comunicazione col suolo la
lamina di zinco amalgamato, ossia portando in » l’elettrodo
negativo, osservai nel modo solio la deviazione che rimaneva
costante alla chiusura del tasto; essa risultò di 74,0 decrescente
col tempo fino a 71; diminuita di 72,3 f. e. della coppia Zn,
Pt nei rispettivi liquidi essa ci dà: 1,7 e — 1,83 valore di
/,(-Pty+Ptfo) da cui ricaviamo Pty= 46,5 ossia riferendo
alla Daniell campione 0,894 D, e Pth=49,9 decrescenti fino
a 43,9, ossia in Daniell 0,96 e 0,844D. Quando la lamina di
zinco è in comunicazione col suolo trovasi in r una metà della
coppia secondaria, in r, l’altra metà, e quindi non occorre alcuna
resistenza addizionale; aggiungendo 5 unità in r e 5 in 7, la de-
viazione parve aumentare di due o tre divisioni. — Il liquido
si riscaldava fortemente pel passaggio della corrente (usando come
pila una sola Bunsen la resistenza era superiore a 25 w./S., colle
9 5. la resistenza diminuiva nonostante la produzione di nume-
rose bolle di gas fino a 10 e finalmente 4,5 «. 6.) e dopo circa
tre quarti d’ora attorno ai fili si produceva quasi una vera ebul-
lizione; i primi valori riportati si riferiscono sia per la somma
che per la differenza delle polarizzazioni a quando il liquido era
ancor freddo. Da esperienze sulla Smée, con correnti meno in-
tense, ma con elettrodi di superficie assai minore, avevo già
ottenuto, per la polarizzazione del platino per l'idrogeno, un
valore maggiore, ossia di circa 1 D.
Ripeterò. che queste esperienze furono eseguite solo come
saggio d'applicazione del metodo e per verificare almeno all’in-
a:
366 G. GUGLIELMO - SULLA DETERMINAZIONE DELLA FORZA ECC.
grosso il risultato ottenuto da Streintz, e non per determinare
il vero valore della polarizzazione del platino, pel quale scopo
non feci sufficienti esperienze, nè mi sarei trovato in condizioni
favorevoli, mancandomi il tempo opportuno. In esperienze preli-
minari eseguite due giorni prima, forse perchè le pile con acidi
affatto nuovi davano una corrente più intensa avrei ottenuto '/,
(Pty+Pt)= 56,5 (—Ptg+Pt)=—-19; quindi Pig=75
e Pt,= 37, però nelle esperienze avvennero irregolarità, il
sifone non funzionava, e dovetti porre lo zinco nello stesso vaso
degli elettrodi.
Esperienze per determinare la polarizzazione degli elettrodi
di diversa natura e di superficie piccola in liquidi diversi in-
trapresi tempo fa, e pubblicai i risultati ottenuti per lo zinco;
le sospesi poi dubitando che alcuni valori notevoli fossero dovuti
al liquido attorno all’elettrodo non polarizzabile, che nonostante
i molti diaframmi interposti giungesse per endosmosi elettrica fino
all’elettrodo polarizzabile, e decomponendosi a causa della grande
densità della corrente deponesse sull’ elettrodo metalli estranei;
col metodo presente tale inconveniente essendo evitato, ripren-
derò possibilmente tali esperienze.
Riguardo alle possibili cause d’errore a cui potrebbe essere
attribuita la differenza fra i valori ottenuti da Streintz e da me,
osserverò che anche nelle mie esperienze si osserva la forza elet-
tromotrice senza aprire il circuito; solo per verificare se le due
resistenze » ed r, sono uguali si chiude il tasto, e così si causa
una diminuzione notevole ma di brevissima durata, nell’intensità
della corrente che passa nella coppia secondaria. Per vedere
se queste chiusure producevano effetto sensibile, provai a chiu-
dere il tasto con rapidità diverse, oppure a intervalli molto vicini,
ma non osservai variazioni nel risultato, e finalmente osserverò
che dato che esse producessero effetto, questo sarebbe una dimi-
nuzione nella polarizzazione, la quale, agendo sull’ ago, farebbe
apparire la resistenza della coppia secondaria maggiore della
vera; quindi si aumenterebbe r e la deviazione osservata sarebbe
piuttosto maggiore che minore di quella vera; ma come osservai
una tale influenza, col tasto da me usato, non mi riuscì di osser-
vare nè nelle esperienze sulla resistenza dei liquidi, nè in queste.
Dal Laboratorio di Fisica dell’ Università di Torino ,
25 Aprile 1883.
|
367
Il Socio Cav. Prof. G. Bizzozero presenta e legge il se-
guente studio sperimentale, fatto dal signor G. PiseNntI sotto la
direzione del Prof. G. Tizzoni in Bologna,
SULLE ALTERAZIONE DEL RENE
E
SULLA -FORMAZIONE DI GALGOLI RENALI
IN SEGUITO A LEGATURA DELL’ URETERE.
Dopo i risultati ottenuti da Charcot e Gomboult (1) dalla
legatura del condotto coledoco, molti altri sperimentatori intra-
presero analoghe ricerche al fine di stabilire le alterazioni che
si determinano in altri organi glandulari in seguito ad ostacolato
deflusso del liquido di secrezione.
Fra questi lo Straus ed il Germont (2) si occuparono delle
alterazioni del rene in seguito alla legatura dell’uretere, e ne
‘annunciarono di recente i resultati ottenuti; però contrariamente
a quanto lo Charcot aveva ottenuto pel fegato, non riscontrarono
nessun segno di infiammazione interstiziale nei reni così operati,
ciò che attribuirono alle rigorose precauzioni antisettiche ado-
perate durante l’atto operativo. In questi esperimenti, eseguiti
esclusivamente sulle cavie, la secrezione orinaria venne arrestata
bruscamente mediante un laccio stretto con una certa forza at-
È torno all’uretere.
Poco tempo dopo il Dott. Boccardi (3) pubblicava una sua
nota preventiva sulle lesioni istologiche riscontrate nel rene di
un cane nel quale era stata praticata da un mese e mezzo la
È legatura dell’uretere, e colle quali veniva a contraddire in modo
(1) Archives de physiol. norm. et pathol., 1876, pag. 273.
(2) Archives de physiol. norm. et pathol., 1882, pag. 386.
(3) Giornale internaz. di Scienze mediche, 1882, pag. 600.
È.
368 G. PISENTI
reciso le asserzioni dello Straus. Ed in vero, mentre quest’ultimo
come fatto principale determinato dalla stasi dell’urina riscon-
trava la dilatazione dei tubuli e l’atrofia dell’epitelio renale, il
Boccardi invece come prima lesione trova una intensa sclerosi
di tutto il connettivo intertubulare, sclerosi che conduceva se-
condariamente ad alterazioni dell’epitelio dei tubuli, ed in ultimo
a distruzione completa del parenchima renale.
In mezzo a questa diversità di opinioni e di risultati, credei
opportuno di eseguire una serie di esperimenti onde portare
un piccolo contributo sopra codesta questione, ed esaminare
se essa dovesse risolversi in un senso piuttosto che in un altro.
Il numero degli esperimenti da me praticati è piuttosto limitato,
e ciò per la mancanza in Bologna di un laboratorio di Patologia
generale e per la difficoltà di tenere animali mel locale del-
l’Istituto di Zoologia nel quale ho dovuto lavorare.
Gli esperimenti furono eseguiti esclusivamente sui conigli di
varia età e grandezza; questi, in generale, sopportano bene l’ope-
razione, che ne’ miei casi fu fatta costantemente dalla regione
lombare sinistra onde evitare così i pericoli che in genere ap-
porta la lesione ed apertura del peritoneo.
La legatura dell’uretere eseguita dalla regione lombare, come
atto operativo, riesce abbastanza facile e spedita: una incisione
di 3 centim. circa che parte da mezzo dito traverso al disotto
dell’arco costale, e che attraversa la cute e lo strato muscolare,
conduce direttamente sul rene, il quale viene facilmente lussato,
e portato fuori dalla ferita, esercitando una leggera pressione
sulla parete addominale. Tirando allora il rene un po’ lateral-
mente, l’ uretere appare sotto forma di un cordone bianchiccio,
che si distingue benissimo dai vasi renali per il suo colore e
per la sua direzione; si può a questo modo passare con facilità
un filo di seta, tenuto a lungo in soluzione acquosa di acido
fenico (*/,,,): attorno all’uretere, e stringerlo tanto da fare su
questo una moderata costrizione e da ostacolare alquanto il de-
flusso dell’orina. Rimesso il rene nella cavità addominale e fatta
la sutura della ferita, l'operazione è terminata; in generale la
cicatrizzazione della parte operata e la guarigione completa del-
l’animale non si lasciano attender molto.
L'operazione veniva eseguita in ogni caso con quelle cautele
antisettiche che i mezzi piuttosto limitati di cui si disponeva
potevano concedere.
SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC. 369
Gli animali operati furono 7 e la durata degli esperimenti
fu di un tempo assai vario, oscillando fra 15 giorni (Esp. 5)
e 184 (Esp. 4).
Siccome il punto principale della questione, che forma sog-
getto del presente lavoro, consiste specialmente nel verificare se,
indipendentemente dallo stimolo che può derivare dall'atto ope-
ratorio e dal ristagno dell’orina, ed esclusivamente per effetto
della funzione che viene a mancare, si produca la sclerosi del
connettivo intertubulare, ed in quali condizioni questo fatto si
osservi, così non credo necessario di enumerare partitamente le
alterazioni che ho rinvenute nei casi nei quali in seguito alla
legatura dell’uretere si ebbe a notare la formazione di una ne-
frite interstiziale suppurativa e di ascessi più o meno estesi;
accennerò solo, in via d’incidenza, che in questi casi le lesioni
del parenchima renale in niente differiscono da quelle costante-
mente osservate nella pielo-nefrite del tipo comune, e che con-
sistono in un’infiammazione interstiziale suppurata o sclerosante,
e in una distruzione secondaria di tubuli e di glomeruli renali.
Onde non ripetere le stesse cose per tutti gli esperimenti a ri-
guardo dei risultati ottenuti, fra questi scelgo come tipo delle
alterazioni sì macroscopiche che microscopiche che presentano i
réni con idronefrosi sperimentale, quello che sembrami essere il
più interessante, e nel quale si compendiano tutte le fasi dei
processi patologici che sogliono rinvenirsi nel parenchima renale.
Esp. 4.
Coniglio vecchio di pelame grigio scuro, operato alla regione
lombare sinistra, col metodo sopraindicato, il giorno 20 luglio
1882. Il laccio venne passato attorno all’uretere a circa due
centim. dall’ilo e stretto solo moderatamente in modo che l’orina
potesse ancora passare, benchè in copia molto minore dell’ usato.
L'animale risentì pochissimo dall’operazione e in pochi giorni
si ottenne la riunione della ferita praticata nella regione lom-
bare e la sua completa guarigione.
19 Gennaio 1883. Si uccide l’animale per dissanguamento ;
alla sezione della cavità addominale il rene operato si presenta
piccolo, deformato, di aspetto lobato, di un colore più pallido
del normale. Per mancanza di alterazioni speciali rimane im-
Atti R. Accad. = Parte Fisica — Vol. XVIII. 26
370 G. PISENTI
possibile determinare il punto nel quale venne praticata la le-
gatura, e solo si nota che l’uretere nel suo decorso inferiore è
più piccolo di quello del lato opposto. Il rene giace sopra un
ammasso di pannicolo adiposo che lo avvolge quasi completamente.
Estratto si vede che la capsula adiposa, ricchissima di adipe,
aderisce intimamente alla capsula propria, sì che in alcuni punti
riesce impossibile di separarle. La capsula propria invece, un
po’ opacata, si stacca con facilità.
Il rene destro è assai più grosso e di un colorito più scuro
dell'altro, ed il suo uretere è molto grosso, e a lume dilatato.
Ambi i reni furono iniettati colla massa di gelatina e bleu
di Prussia; aperti subito dopo il raffreddamento della massa
mostrano i seguenti fatti:
Rene sinistro: la sostanza corticale è diminuita di spessezza
specialmente nella porzione che circonda l’ilo; i glomeruli di
Malpighi sono ben visibili ad occhio nudo, rilevati sulla super-
ficie del taglio, nello stesso numero a un dipresso di quelli del
rene destro; le piramidi sono molto bene accentuate e solo un
po’ accorciate per la totale scomparsa della papilla renale; la
pelvi è deformata; in corrispondenza dell’ilo si nota un ammasso
di sostanza bianchiccia, solida, la quale occupa tutto 1’ ilo
sporgendo entro la pelvi, e ricacciando di lato i vasi renali e
l’uretere.
Nella pelvi renale si trova un calcolo della grossezza di una .
veccia, tondeggiante, duro, di colore brunastro, a superficie scabra,
granulosa, del peso di gr. 0,06; attorno a questo altri piccoli
calcoli della grossezza di un grano di sabbia.
Queste concrezioni calcaree hanno i caratteri macroscopici
dei calcoli di urati.
Iene destro: si presenta come nei casi di nefrectomia; è
grosso, ipertrofico, la sostanza corticale e la midollare appaiono
aumentate di volume; i glomeruli spiccano bene nella sostanza
midollare, e le piramidi sono ben sviluppate.
Il rene sinistro venne posto a indurire nell’ alcool a gradua-
zione crescente ed ottenuto un sufficiente indurimento se ne
. fecero delle sottili sezioni microscopiche col microtomo a slitta
di Thoma, le quali poi vennero colorate parte col carminio al-
luminoso, e parte col picrocarminio di Weigert.
Esaminati questi preparati microscopici a debole ingrandi-
mento, mostrano una differenza grandissima di struttura del
——..
SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC. 371
parenchima renale nei varii punti della sezione. Nella zona in-
fatti che corrisponde ai raggi midollari, si osserva una colorazione
rossa più intensa, determinata dalla presenza di una grande
massa di connettivo compatto che circonda strettamente i tubuli,
“la quale massa fa contrasto con le zone più chiare delle parti
vicine, che pare abbia cammino ascendente dalla papilla renale
verso la capsula; e ciò si desume con bastante chiarezza dal fatto,
che mentre si trova questo connettivo abbondantissimo nella papilla
| eattorno ai tubuli retti, va poi man mano diminuendo di quantità
a misura che si avvicina alla periferia del rene (fig. 4. B). A
livello di quella zona che corrisponde presso a poco alle anse
di Henle, il connettivo in discorso abbandona le dette anse e si
raggruppa tutto intorno ai tubuli collettori, seguendo il decorso
dei quali sale nella sostanza corticale; raggiunta la capsula sì
ripiega sotto di questa camminando per breve tratto nella stessa
| sua direzione senza invadere il connettivo interstiziale dei tubuli
contorti (fig. 5, 5).
Tutto quanto è stato sin qui detto si intenda esposto in
modo generale, giacchè nel caso speciale non tutti i tubuli retti
e collettori mostrano attorno a loro lo stesso grado di sclerosi.
Infatti, mentre in alcuni punti del rene questo processo di sclerosi
dei raggi midollari è già molto avanzato, osservansi, sebbene non
molto frequentemente, altri di questi raggi nei quali non è quasi
per niente aumentata la quantità di connettivo. Così fra le varie
sezioni microscopiche, accade alcune volte di trovarne di quelle,
anche di una discreta larghezza, nelle quali la proporzione del
connettivo interstiziale non eccede in nessuna parte la normale,
e che ad un esame molto superficiale potrebbero benissimo esser
| prese per sezioni di reni normali con semplice dilatazione dei
tubuli. Nei punti dove vi ha la sclerosi, i tubuli uriniferi sono
molto dilatati, anzi in qualche caso le dilatazioni assumono la
. forma e le dimensioni di piccole cisti. Anche nelle zone dove il
| connettivo non è aumentato di quantità i canalicoli si mostrano
dilatati; anzi questa è l’unica alterazione che si può rilevare a
piccolo ingrandimento con sufficiente chiarezza.
i All'esame a forte ingrandimento si presentano grandi diver-
sità di alterazioni fra i tubuli di quelle parti del rene immuni
i da sclerosi ed i tubi collettori e retti di quelle parti ove esiste
una sclerosi interstiziale, per cui sarà utile di studiare separata-
_ mente le lesioni di queste due zone.
372 G. PISENTI
Zone senza sclerosi.
L’alterazione che si rileva anzitutto con l'osservazione a forte
ingrandimento di questa zona del parenchima renale è una di-
latazione dei tubuli, sia dei contorti, sia di quelli della porzione
ascendente e discendente delle anse di Henle, dilatazione per la
quale i sopraddetti tubuli arrivano fino ad acquistare un diametro
doppio del normale.
Piacemi ancora di notare a questo riguardo come nelle mie
osservazioni l’accennata dilatazione dei tubuli uriniferi, contra-
riamente alle asserzioni di Straus e Germont, sia assai più ma-
nifesta nei tubi collettori, e come vada man mano decrescendo
allorchè passa dalla porzione ascendente delle anse di Henle alla
porzione discendente di queste, per farsi nuovamente più evidente
nei tubi contorti e per comparire appena apprezzabile o per man-
care del tutto nelle capsule di Bowmann. La dilatazione procede
in modo uniforme, e non mi accadde di veder mai nessun tubulo
che presentasse in alcuni punti una dilatazione maggiore in forma
di piccola cisti.
Oltre di ciò, per il ristagno dell’orina e per l’alterata fun-_
zione del rene, si osservano negli epiteli dei tubuli le seguenti
alterazioni. Queste, per l’esame accurato di un gran numero di
preparati possono ridursi a tre forme, che rappresentano tre stadii
assai ben distinti di uno stesso processo morboso; fra questi si
trovano naturalmente dei gradi intermedi di passaggio che, per
brevità e comodo di studio, possono benissimo essere trasandati.
In un primo periodo, l’epitelio si presenta piuttosto appiattito,
quantunque ritenga ancora il suo aspetto quasi normale, avendo
il protoplasma granuloso, i nuclei conservando la loro forma
tondeggiante, ed essendo ancora visibili, nella porzione della cellula
che poggia sulla parete del tubulo, i bastoncelli dell’ Heidenheim.
Questo primo grado di appiattimento lo si nota benissimo tanto
nell’epitelio dei tubuli contorti quanto in quello della porzione
ascendente delle anse di Henle (fig. 6. A, B).
In un secondo periodo, l’appiattimento è ancora maggiore ;
il protoplasma è meno granuloso, ed i nuclei fanno sporgenza
nell’interno . del lume oltre il limite cellulare. In alcuni tubuli
gli elementi epiteliali hanno perduto i loro contorni ed il proto—
;
SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC. DI9
plasma dell’uno sembra essersi fuso con quello dei vicini, in modo
che nell'insieme costituiscono una massa protoplasmatica conti-
nua, fornita di nuclei, che circonda e tappezza la parete interna
del tubulo; questa di solito presentasi irregolare, sfrangiata, cor-
rosa dalla parte che limita il lume dei tubuli (fig. 6. ©).
In un terzo periodo finalmente, l’epitelio si riduce ad una
lamina sottile, ed i nuclei perdono la loro forma rotonda od
ovale per divenire molto allungati e schiacciati. In questa fase
l’epitelio cilindrico dei tubuli si è trasformato intieramente in
un epitelio comune pavimentoso (fig. 6. D, E).
Di contro alle accennate modificazioni dei tubuli notate in
questa porzione di reni, i glomeruli di Malpighi non presentano
alcuna alterazione; è bensì vero che l’iniezione praticata toglie-
rebbe agio a distinguere molti dei minuti cambiamenti che potes-
sero essere intervenuti nelle anse vascolari, ma è vero d’ altra
parte che l'iniezione completa di tutte queste anse è già una prova
abbastanza sicura della integrità relativa dei glomeruli stessi.
Nello stesso modo si mantiene inalterato l’endotelzo della capsula
di Bowman, i nuclei del quale spiccano benissimo per le colora-
zioni messe in opera. Anche i vasi sanguigni non presentano nulla
di notevole per quanto si può distinguere in preparazioni iniettate.
Zone con sclerosi interstiziale.
Le lesioni dei tubuli circondati da connettivo sclerotico sono
assai più importanti ed assai più intense - di quelle precedente-
mente descritte. Come ho detto più sopra, la sclerosi maggior-
mente si appalesa nei tubi retti, nei tubi collettori ed in quella
piccola porzione dei tubuli contorti che si trova vicina alle anse
di Henle; questa sclerosi nell’insieme assume l’aspetto di chiazze
più dense, sparse qua e là nel parenchima renale, colorate in
rosso più fortemente che le altre parti del rene. Queste chiazze di
connettivo comprendono nel loro interno i tubuli renali, alcuni dei
quali conservano ancora, benchè deformato, il loro epitelio, e di
questi tubuli molti hanno èl lume riempito da cilindri ja-
lini (fig. ©. D, fig. 7. 6), mentre altri sono in fasi di distruzione
più avanzate (fig. 7. B. D. E).
In questi si osserva dapprima la perdita della parete propria
dei tubuli, che si fonde col connettivo interstiziale ispessito, in
974 G. PISENTI
mezzo al quale rimane per ultimo, come accenno alla primitiva
esistenza di un tubulo un piccolo ammasso di nuclei rotondi
(da 4 a 5 o più a seconda del luogo dove cadde il taglio) che si
riconoscono per un certo tempo come appartenenti ad elementi
epiteliali, per la loro forma e per la loro disposizione (fig. 7. D).
Di fronte a questi tubuli che presentano fasi distruttive così
avanzate, se ne trovano alcuni in mezzo ai fasci stipati di con-
nettivo, benchè ciò succeda raramente, che conservano ancora la
loro forma, e questi presentano alcune volte nel loro decorso delle
dilatazioni enormi, simili a piccole cisti tappezzate da epitelio
schiacciato, ma con nuclei abbastanza ben conservati (fig, 5. C',
fig. 7. A, fig. 8. E). Un'altra alterazione dei tubuli, che si ri-
scontra solo nelle parti del rene con sclerosi interstiziale, e che
manca assolutamente nelle parti ove questa sclerosi non si ‘0s-
serva, si è la degenerazione calcarea, la quale, in preparati
chiusi in balsamo, si presenta sotto forma di granuli di un co-
lore giallo bruno o nero, ora sparsi lungo la parete dei tubuli
nel posto prima occupato dagli elementi epiteliali distrutti, ora
aggruppati qua e là nel lume del tubulo stesso, ora invece rac-
colti nell'interno degli epiteli, in alcuni dei quali, in un'ultima
fase di questa degenerazione, non si riesce più a vedere che il
nucleo colorato in rosso e circondato da una buona quantità dei
detti granuli (fig. 8. A. B. C).
I glomeruli di Malpighi più lungamente resistono al processo
di distruzione. Le modificazioni che in essi si osservano nel pe-
riodo avanzato della sclerosi interstiziale ci vengono indicati an-
zitutto dal fatto, che in questi l'iniezione è incompleta o manca
del tutto. Ad una osservazione più attenta, si vede alcune volte
che le anse vascolari sono disfatte, e che gli elementi del glo-
merulo hanno subìto, come gli epiteli dei tubuli, un lento pro-
cesso di calcificazione; oltre di questo in molti punti i nuclei
si colorano più debolmente o non si colorano affatto, ciò che
potrebbe benissimo accennare ad un processo di distruzione di
queste parti. I nuclei endoteliali della capsula si mantengono per
un tempo più lungo nella loro integrità.
I vasi, se si eccettui un certo grado di periangiolite, che si
osserva naturalmente dove la iniezione è mancante, e che è se-
condaria al processo di sclerosi, nient'altro presentano di :note-
vole. È chiaro però che questa lesione dei vasi, per lieve che
sia, deve esercitare un’azione dannosa sul parenchima renale, spe-
|
SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC. So
cialmente per la difticultata nutrizione dei suoi elementi, i quali
perciò andranno più rapidamente soggetti a’ fenomeni regressivi
quando alla primitiva sclerosi interstiziale si aggiunga questa
periangiolite. Ciò tanto più, in quanto si conosce già dagli espe-
rimenti di I. Verra (1), che diminuito l’afflusso di sangue che
va al parenchima renale con la legatura incompleta dell’arteria
che serve a quest’organo, si ottiene una degenerazione calcarea
degli epiteli dei tubuli uriniferi come quella da me' descritta.
In nessuno dei numerosi miei preparati mi fu dato osservare
la presenza di quelle figure caratteristiche osservate nella iper-
trofia compensatrice sperimentale descritte in altro lavoro (2),
figure che furono interpretate come neoformazioni di tubuli e di
glomeruli.
In rapporto alla descritta sclerosi interstiziale parziale del
rene, mi preme di far rilevare ancora, come cambi l’intensità di
questo processo con la durata dell’esperimento. Così, mentre in
animali operati da poco tempo di legatura dell’uretere (da 15
giorni fino a 2 mesi circa) mancano assolutamente questi feno-
meni,di sclerosi, e si osserva solo una dilatazione dei tubuli con
appiattimento ed atrofia dei loro epiteli, in quelli invece nei quali
l'esperimento durò più a lungo (da 90 giorni sino a 180) questo
processo raggiunge invece il suo maggior grado.
Anche riguardo alla calcolosi renale, questa è stata osservata
in tutti i miei esperimenti nei quali non si ebbe suppurazione
nei bacinetti, naturalmente con differenza di grado a seconda
della durata dell’esperimento. Così, mentre negli animali uccisi
ad un tempo relativamente breve dalla praticata operazione le
concrezioni calcaree si trovano appena sotto forma di granellini
o di sabbia renale, sia liberi nella cavità dei bacinetti, sia at-
taccati come poltiglia alle pareti di questa, nei casi invece nei
quali l’animale fu ucciso molto più tardi, queste concrezioni cal-
caree assumono invece l’aspetto e la grossezza di veri calcoli di
urati (fig. 1. A, fig. 3).
(1). I. Verra, Veber die Folgen des voribergehenden und daueranden
Verschlusses der Nieren arterie. Virchow”s Arch. Bd. LXXXVIII, pag. 197.
(2) Tizzoni e PisentI, Studi sperimentali sullo accrescimento fisiolog. e
patolog. del rene. - Comunicazione preventiva. - Archivio per le Scienze me-
diche, vol. VI. n. 13.
376 G. PISENTI
Da quanto son venuto sin qui esponendo risultano chiari
due fatti:
1° Che la dilatazione dei tubuli e l’atrofia dell’ epitelio
renale che si determina per la legatura dell’uretere è un fatto
primitivo e non un fenomeno secondario ad un’ infiammazione
interstiziale prodotta dall’atto operatorio, o dalla stasi orinaria.
2° Che in questi reni così operati si osserva, oltre di questi
. due fatti, una sclerosi parziale secondaria.
La prima di queste conclusioni concorda pienamente con i
risultati degli esperimenti di Straus e Germont, ed esprime la
possibilità che l’ostacolo al deflusso dell’orina giunga a deter-
minare un’atrofia primitiva del parenchima renale disgiunta da
ogni e qualsiasi processo infiammatorio interstiziale, contraria-
mente a quanto sarebbe stato osservato per il fegato da altri
esperimentatori; mentre la seconda delle conclusioni sopra enun-
ciate annunzia un fatto nuovo che avviene secondariamente nei
reni resi atrofici con la legatura dell’uretere.
In quest’ ultimo punto i risultati de’ miei esperimenti dif-
feriscono da quelli di Straus e Germont assai meno di quello
che.a primo aspetto possa parere, giacchè quantunque essi non
abbiano visto prodursi la calcolosi renale, pure ebbero ad osser-
vare un certo grado di ispessimento del connettivo intertubulare,
specialmente lungo i tubuli retti del Bellini, il quale ispessi-
mento probabilmente non raggiunse il grado avanzato di sclerosi
LI
parziale che è stato osservato ne’ miei esperimenti, per le ra-.
gioni che verrò in seguito enumerando.
Quanto alla causa, che può aver dato luogo a questa sclerosi
parziale secondaria nei reni resi atrofici con la legatura del-
l’uretere, dobbiamo discutere alcune ipotesi che possono esser
portate innanzi per spiegare questo processo interstiziale, e ve-
dere come queste si accordano coi fatti da me osservati. Si po-
trebbe anzitutto sostenere che questa sclerosi non rappresenti che
la sostituzione di un semplice tessuto connettivo al parenchima
glandulare, al tessuto epiteliale che si distrugge, e credere che
nel rene si ripetano quegli stessi fatti che si osservano in certi
tessuti nei quali sono state prodotte delle alterazioni nutritive
e funzionali col mezzo del taglio dei nervi. Se non che i soli
fatti che questa sclerosi tiene un andamento inverso a quello che
segue il processo atrofico primitivo degli epiteli dei tubuli, e
che in molti punti del parenchima renale è possibile dimostrare
METRI, PRIA
malogl
]
3
è
*
4
Va
SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC. 974
l’atrofia degli elementi speciali del rene nel suo grado più avan-
zato, senza che questa sia accompagnata da ispessimento del con-
nettivo interstiziale, valgono subito a mettere da parte questa
ipotesi (fig. 6).
Nello stesso modo non può accettarsi l’opinione che questa
infiammazione interstiziale parziale sia in rapporto diretto con
l’azione traumatica dell’atto operatorio o con l’azione di speciali
microbi trasportati sul rene durante l’operazione, sia perchè
questa fu eseguita sempre sotto le cautele antisettiche, sia perchè,
come ho sempre potuto osservare in quei casi nei quali l’infiam-
mazione riconobbe una simile causa, il processo infiammatorio
comparve costantemente come fenomeno primitivo, diffuso a tutto
il parenchima renale, benchè con differenza di grado nei varii
punti di questo. Ora invece ho potuto osservare nei reni da me
studiati, che in quelli appartenenti ad animali uccisi non molto
tempo dopo la praticata legatura (da 15 giorni a 2 mesi circa)
questa infiammazione manca del tutto, e che invece comparisce
e diviene tanto più accentuata quanto più l’animale fu tenuto
in vita dopo di essere stato operato; come ho potuto osservare
che il processo di sclerosi è sempre parziale e limitato a deter-
minati punti, e che in grosse chiazze del rene è possibile dimo-
| strare un grado massimo di atrofia renale disgiunta dal processo
di infiammazione interstiziale sclerosante.
Per tutte queste ragioni mi trovo inclinato ad ammettere
che la sopra accennata sclerosi parziale secondaria riconosca per
causa uno stimolo che non agisce uniformemente su tutto il
parenchima renale, e che determina la sua azione primitiva verso
la papilla renale. E siccome dei fatti da me osservati che adem-
piano a queste condizioni, non vi è altro che quello della cal-
colosi, così ritengo che questi calcoli sieno la causa della sclerosi
parziale secondaria del rene. Ed in vero questa spiegazione si
accorda pienamente con le cose da me osservate. Infatti, questa
sclerosi fu rinvenuta in tutti quei casi nei quali si potè dimo-
strare una calcolosi renale; mancò invece in quei casi nei quali
l’animale fu ucciso prima che ci fosse stato il tempo necessario
di aversi la formazione di questi calcoli; si rinvenne sempre la
sclerosi come fatto parziale, più intenso verso la papilla che
verso la corteccia del rene, mai come fatto generale; nella sua
diffusione questo processo camminò sempre dall’ilo verso la
capsula del rene, seguendo l'andamento naturale dei tubuli. Per
378 G. PISENTI
tutti questi fatti, ripeto, bisogna accettare di necessità la con-
clusione che la calcolosi renale sia la causa della sclerosi par-
ziale del rene per lo stimolo che la superficie scabra, bernoccoluta
di questi corpi estranei determina nei bacinetti, nella papilla ed
in genere sulla parete tutta della pelvi renale, stimolo al quale
terrebbe dietro una neoproduzione di tessuto connettivo limitato
dapprima alla pelvi ed ai calici renali, indi diffuso al connet-
tivo pericanaliculare dei tubuli retti e dei raggi midollari, dai
quali poi si irradierebbe con molta lentezza, per la lontananza
del punto originario, al connettivo che circonda i tubuli contorti.
Questa iperplasia del connettivo, come ben si comprende, dà
luogo secondariamente a fatti regressivi nell’epitelio tubulare, e
nei tubuli, quali degenerazione calcarea degli elementi e distru-
zione di tubuli. Kiesce poi molto facile a spiegarsi come inter-
vengano questi fatti distruttivi ed a darsi ragione della rapidità
colla quale si compiono, quando si pensa che questi tubuli per
causa della sclerosi e della stasi urinaria vengono a trovarsi fra
due pressioni che si esercitano in senso opposto: una dell’orina,
cioè, che tende a dilatarli, l’altra della neoproduzione connetti-
vale che tende a schiacciarli e ché produce nello stesso tempo
grave alterazione vascolare (fig. 7, fig. 8).
L'esito finale di tutto questo processo si è la scomparsa delle
parti essenziali del parenchima renale (tubuli e glomeruli), le quali
vengono sostituite da un connettivo fibroso con nuclei allungati,
in mezzo al quale, come ho altrove accennato, si riscontrano per
un certo tempo gli avanzi degli elementi epiteliali dei tubuli,
rappresentati da pochi nuclei rotondi che si colorano discreta-
mente col picrocarminio (fig. 7).
Da tutto ciò si può a mio parere dedurre la causa per la
quale lo Straus ed il Germont non osservarono la produzione
di connettivo, giacchè, mancando la calcolosi, mancava evidente-
mente lo stimolo che doveva produrre la infiammazione interstiziale.
Che se poi il Dott. Boccardi dopo soli 45 giorni di espe-
rimento riscontrò una larga produzione di connettivo sclerotico,
questo molto probabilmente doveva ripetere come causa un pro-
cesso suppurativo limitatissimo, a focolai microscopici, dal quale
si diffondeva l’infiammazione e la sclerosi consecutiva a tutto il
connettivo pericanaliculare. Stante poi la difficoltà di distinguere
esattamente, come egli osserva, gli elementi indifferenti dalle
cellule di pus, potrebbe darsi benissimo che quei piccoli ammassi
SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC. 379
di cellule rotonde da lui riscontrati qua e là nel connettivo
sclerosato, non fossero che corpuscoli di pus, annidati nelle maglie
del connettivo.
Il fatto d’aver prodotto sperimentalmente la calcolosi renale,
richiama ancora una questione a lungo dibattuta e non ancora
definitivamente risolta. Si ritiene generalmente che poco tempo
dopo la occlusione dell’uretere la secrezione dell’orina cessi com-
pletamente. È naturale che il continuo afflusso di orina nella por-
zione d’uretere superiore alla legatura, nella pelvi e nei calici
renali debba esercitare una contropressione notevolissima, e su
ciò si accordano tutti gli sperimentatori, essendovi solo diver-
genza di opinione sul grado di pressione necessario per ottenere
quest’arresto della secrezione orinaria.
Lòbell ha trovato che ciò avviene quando con manometro @
mercurio la pressione raggiunge i 7 a 10 mm., mentre Hermann
ha osservato che dopo poche ore il mercurio sale lentamente a
40 mm. ed il Cohnheim lo porta sino a 50 a 60, ed ammette
che, in seguito a questo ristagno ed alla pienezza dei tubuli
d’escrezione e di secrezione, il rene si faccia edematoso, edema
che insieme ad altri osservatori non fa dipendere da stasi venosa
causata dalla compressione esercitata sui vasi dai tubuli dilatati,
ma bensì da riassorbimento dell’ orina. Questo si deve ammettere
pel rene, come per il fegato si ammette il riassorbimento della
bile, per occlusione sperimentale o patologica del condotto coledoco.
Da ciò chiaramente ne deriva, che come nello stato normale ,
secondo le ricerche di Ludwig, si riassorbe nel rene una parte
di liquido dell’orina, così a più forte ragione deve avvenire questo
riassorbimento, ed in proporzione assai maggiore, quando è aumen-
tata la pressione nell’interno dei tubuli in seguito a legatura del-
l’uretere.
Nè mi pare debba ammettersi a questo proposito che nelle
condizioni patologiche le cose vadano all’inverso di quello che
vanno nelle condizioni normali, e che per la legatura dell’uretere
si faccia prima, come sostiene il Wundt, il riassorbimento dei
materiali solidi, onde per questa operazione rimanga indietro
un’orina ricca di acqua, e povera di urea e di sali calcarei.
Accettata la spiegazione che dopo la legatura dell’ uretere
avviene in maggior proporzione che nelle condizioni normali il
riassorbimento dei materiali liquidi dell’orina, deve accadere di
necessità che al momento nel quale si inizia questo riassorbi-
380 G. PISENTI
mento, la pressione dell’orina sulla parete dei canalini deve di-
minuire, e quindi dall’altro lato, per l'equilibrio della pressione
arteriosa che consegue, nuova orina deve formarsi ed esser river-
sata nei tubuli. Il meccanismo di queste due forme di riassor-
bimento da un lato e di secrezione dall'altro, sì deve prolungare
per un tempo piuttosto lungo e precisamente sino a quando le
alterazioni gravi negli epiteli renali, e le lesioni in genere di tutto
l'organo non costituiscano un ostacolo alla formazione ed al tra-
pelamento dei materiali solidi dell’orina.
Siccome poi queste alterazioni non sono allo stesso grado in
tutte le parti del rene, è anco evidente che nei primi tempi la
pressione esercitata sugli epiteli non deve essere la stessa in ogni
luogo, onde mentre in alcuni tubuli la lesione arriva, come nel
laberinto, a un grado estremo di appiattimento degli elementi
cellulari tale che i nuclei sporgono dal limite cellulare ‘e in altri
l’epitelio si trova quasi completamente distrutto, in altri invece
le alterazioni dell’ epitelio sono pochissimo rilevanti, e questo
appare come di solito granuloso ed in tale stato da poter ancora
funzionare? hi
E per questa differenza di grado nell’atrofia degli epiteli
delle varie parti del rene si può spiegare appunto il fatto ac-
cennato, che ad onta delle lesioni negli elementi propri del rene,
questi possono per un qualche tempo secernere della nuova orina,
la quale unendosi con quella già raccolta nella pelvi renale, porta
a questa il suo contributo di materiali solidi. Così, per questa
continua e lenta formazione e secrezione di urea e di sali cal-
carei, l’orina raccolta nella pelvi, nei calici e nei tubuli, deve
farsi sempre più carica, e contenere una quantità maggiore di
parti solide, le quali in ultimo devono depositarsi sotto forma di
una materia poltacea, finamente granulosa. In seguito questi
granuli si uniscono insieme, si accrescono per nuovi depositi di
sali calcarei, in modo da formare dei veri calcoli, varianti in
grandezza da .un granello di sabbia, ad un grano di veccia;
niente esclude poi che le prime deposizioni calcaree possano avere
per nuclei dei fiocchi di muco, come succede il più spesso nelle
formazioni non sperimentali di queste concrezioni.
Così, il modo di produzione che io accetto pei calcoli da me
studiati, sarebbe del tutto identico a quello che si mette innanzi
per spiegare la formazione dei calcoli salivari. Questo modo di
produzione delle accennate concrezioni calcaree contraddirebbe in
TTT DSC vee APT TER EI, TOA
SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC. 381
modo esplicito l’opinione che la secrezione orinaria cessi del tutto
quando venga ostacolato il deflusso dell’orina, ed escluderebbe
la supposizione del Wundt che nella stasi orinaria si riassorbano
a prevalenza i materiali solidi dei liquidi.
;
sì
i
È
2
Conclusioni.
Da quanto son venuto sin qui esponendo ne risulta:
I. Che in seguito a legatura dell’uretere avvengono delle
lesioni nel parenchima renale, tanto nella sostanza corticale che
nella midollare.
II. Che queste alterazioni primitive del parenchima renale
sono una dilatazione dei tubuli ed un’ atrofia primitiva (appiat-
timento) degli epiteli renali.
III. Che queste alterazioni prime dell’ epitelio renale si
debbono riportare insieme alla dilatazione dei tubuli che le accom-
pagna, ad un fatto meccanico, quale è quello della aumentata
pressione dell’orina sulle pareti di questi tubuli.
IV. Che la legatura dell’uretere non impedisce per un
tempo piuttosto lungo la secrezione orinaria.
V. Che la continua secrezione di orina da un lato e l’as-
sorbimento dall'altro dei materiali liquidi di questa dànno luogo
alla formazione di calcoli renali.
VI. Che la presenza dei calcoli nella pelvi renale e nei
calici produce nei reni un processo flogistico parziale, secondario,
il quale, seguendo il cammino dei raggi midollari, si diffonde sotto
forma di sclerosi del connettivo che circonda i tubuli retti, al
connettivo che circonda i tubuli contorti.
VII. Che la sclerosi interstiziale porta come ultimo fatto
la distruzione dei tubuli renali, la calcificazione dei loro epiteli,
"7
882 G. PISENTI
e la formazione di cavità cistiche al disopra del punto nel quale
i tubuli furono compressi da questo connettivo.
Prima di chiudere questo mio lavoro sento il dovere di render
grazie al chiarissimo Prof. Tizzoni che mi fu illuminata guida
nel condurlo a termine, ed al chiar. Prof. Eméry che gentilmente
m’accolse nel suo laboratorio. >
Bologna, Aprile 1883.
Ain Srl DIR SI:
Fic.
SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC.
VI
(Cè)
(3)
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
. Esp. 4. Rene sinistro operato di legatura dell’ uretere
da 180 giorni. A. Connettivo che occupa la pelvi. Nella
porzione di pelvi libera si nota un grosso calcolo.
Grand. natur.
2. Rene destro ipertrofico. Grand. natur.
3. Calcoli renali isolati. Grand. natur.
4. Primo stadio della sclerosi. A. Capsula propria molto
ispessita. B Connettivo sclerotico che circonda i tu-
buli collettori e che arriva sino alla capsula. C. Larga
zona di tubuli contorti con epitelio atrofico e senza
sclerosi interstiziale. Zeiss. Ing. 26.
. Stadio più avanzato di sclerosi del connettivo intersti-
ziale del rene, che si è estesa dal connettivo dei raggi
midollari a quello che circonda i tubuli del laberinto.
A. Capsula molto ispessita.. B. Connettivo dei raggi
midollari sclerosato. C. Tubulo circondato da sclerosi
interstiziale con sfiancamento di parete a guisa cisti.
D. Tubuli con lume occupato da cilindri. E. Zona di
tubuli con connettivo immune da sclerosi. Ing. 26.
. Tubuli del laberinto con epitelio in varii stadii di atrofia.
A. Porzione ascendente di un’ ansa di Henle. Epitelio
quasi normale. B. Tubulo con epitelio in primo grado
di atrofia. C. Tubulo con epitelio in uno stadio an-
cora più avanzato di atrofia: il protoplasma presenta
degli infossamenti fra nucleo e nucleo, ed è scomparso
il limite fra cellula e cellula. D. ed £. Fasi ancora
più avanzate di atrofia; i nuclei allungati sporgono
oltre il limite cellulare. Zeiss. Ing. 320.
384 G. PISENTI — SULLE ALTERAZIONI DEL RENE ECC.
Fic. 7. Tubuli con sclerosi del connettivo. A. Sezione longitu-
dinale di un tubulo collettore enormemente dilatato.
B. Sezione trasversa di un tubulo con epitelio che
ha perduto il limite interno, e il limite fra gli ele-
menti. C. Cilindro jalino occupante il lume del tubulo.
E. Tubulo con epitelio in fase di distruzione avanzata.
D. Resto di tubulo. Si nota un ammasso di nuclei
circondati dal protoplasma.
» $. Ultima fase di distruzione. A. Epitelio con degenerazione
calcarea. B. La degenerazione calcarea ha invaso i
nuclei. C. Distruzione della parete tubulare, e de-
generazione calcarea del protoplasma e dei nuclei.
D. Connettivo sclerotico. E. Sezione longitudinale di
un tubulo collettore con epitelio in degenerazione cal-
carea, e formazione cistica dalla parete.
Tav. VE
(Gi a pa
“alterazioni del rene e sulla formazione di calcoli renali in sequito a legat. dell uretere
i, 385
i Il Socio Cav. Prof. Alessandro DornA, Direttore dell’ Os-
servatorio astronomico di Torino, presenta all’ Accademia, per
l’annessione agli Atti i seguenti lavori dell’Assistente Dottore
Angelo CHARRIER, relativi alle Osservazioni meteorologiche or-
dinarie dell’Osservatorio, state fatte l’anno passato e nel primo
trimestre di quest'anno:
1° Riassunti generali delle Osservazioni del 1882;
2° - a) Osservazioni dei mesi di Gennaio, Febbraio e
Marzo 1883;
b) Diagrammi di dette Osservazioni ;
c) Riassunti delle medesime.
i A PS
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 27 i È
386 A. DORNA
Anno XVIII 1883
— —
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Gennaio.
La media delle pressioni barometriche osservate in questo mese
è di 39,02; inferiore di mm. 0,67 alla media di Gennaio degli
ultimi diciassette anni.
Le variazioni della pressione furono frequenti.
Il seguente quadro ne contiene i massimi ed i minimi :
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
i Ao 3 DESIRE 43,05 dico te 35,26
15 Gib ar) iaia 47,02 o pene rar rà. 38,94
Dellaisfo4 42,02 i e 32419
150000) Sas I 35,95 LIT e 25,61
loro tha 32,26 bo raBitlioti 28,43
2 ISEE RIPRESO 49,33 SRTAt ace 38,17
Po Soi ap 43,54 Pi ola 34,24
DI OT PRA ERI 47,80
In questo mese la temperatura ha per valor medio 1°,6,
superiore di 0°,7 al valor medio di Gennaio degli ultimi dicias- |
sette anni — Il minimo valore — 6°,8 si ebbe nel giorno 26, _
il massimo 11°;2, nel giorno 28.
Si ebbe pioggia o neve in 10 giorni, e l’acqua caduta rag-
giunse l'altezza di mm. 164,6.
La tabella seguente dà il numero delle volte che spirò il
vento nelle singole direzioni :
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
4424225. 4-1 0% 0A 180278. 5 CO
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 387
Anno XVIII 1883
—
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Febbraio.
Il valor medio della pressione barometrica in questo mese
è di 43,33; superiore di mm. 4,53 al valor medio della pres-
sione di Febbraio degli ultimi diciassette anni.
I valori estremi della pressione sono dati dal seguente quadro:
Giorn del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi.
ERESSE 26,09 RARA 44,43
e. 37,43 DSS 45,34
e. 40,28 fee SAISE E 46,49
Ma. 40,53 PH PNRA RARA 52,44
.; SEPE 41,64 269 455 48,17
I La temperatura variò fra — 0°,4 e +17°,6; temperatura
p P
minima del giorno 2 e temperatura massima del giorno 23.
— Il valor medio 5°,8 supera di 1°,5 quello di Febbraio degli
ultimi diciassette anni.
Si ebbe pioggia in otto giorni, e l’altezza dell’acqua rac-
colta nel piuviometro fu di mm. 44,7.
Il quadro seguente indica la frequenza dei venti :
NONE ONE ENE R ESE SE GSSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
a A lr ae 000 A > IS DI MERE sio N I -
Anno XVIII 1883
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Marzo.
La media delle altezze barometriche osservate in questo mese
è 31,95, inferiore di mm. 3,37 alla media di Marzo degli ultimi
diciassette anni.
388 A. DORNA -—- OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE.
Le oscillazioni dell’altezza barometrica desunte dalle osser-
vazioni fatte si hanno dal seguente quadro:
Giorni del mese. Minimi, { Giorni del mese. Massimi.
ica 35,90 Dori 49,09
ANTA 21,09 9 27,12
ISTE, 16,60 dda i ona 360,25
RAI 30,39 (Rca anagee ta. 36,77
SES VANTI, 24,60 33: ME NALE 39,63
Zonca 22,19 29. Had GR 43537
La media delle temperature osservate è di 4°,4, inferiore di
3°,8 alla media delle temperature osservate in Marzo negli ultimi
diciassette anni.
Le temperature estreme +15°,3 e — 7°,3 si ebbero nei
giorni 1 e 13.
Nove furono i giorni o con pioggia o con neve, e l’altezza
dell’acqua caduta fu di mm. 38. 2.
La frequenza dei venti nelle singole direzioni è data dal
quadro seguente :
NO NNE NE RENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
DU L0gi e Boosta. Li 903 ig A Aa
Gli altri lavori sopra accennati vedranno la luce nel solito
fascicolo annuale che si pubblica per cura dell’Accademia.
dee <. è n
dit RI I TI IT ©
389
Adunanza del 29 Aprile 1883
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. PROSPERO RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
Il Socio Cav. Prof. F. SraccI presenta e legge la seguente
Nota del signor Dott. G. MORERA
SUL
PROBLEMA DI PFAFF.
Nell’importantissima Memoria del sig. Frobenius sul problema
di Pfaff (Crelle's J. B. 82, pag. 230-315) sono largamente e
debitamente approfondite pressochè tutte le quistioni relative a
questo famoso problema. Ma tanto in questa Memoria quanto in
quella recentissima del sig. Darboux (Bulletin des Sc. Math. et
Astr., an. 1882, fasc. de Janv. et de Fév.) non è discussa la
questione sul minimo numero d’operazioni d’integrazione, che la
soluzione del problema di Pfaff richiede, nè mi consta che sia già
noto il teorema, che su ciò ho l’onore di comunicare all’ Accademia.
M'affretto però a dichiarare, che le recenti scoperte di Lie
e Mayer, nella teoria delle equazioni a derivate parziali di 1° or-
dine, rendono molto facile tale questione.
In questo scritto fo vedere come, utilizzando i bei risultati
ottenuti da Mayer nella Memoria « Ueber unbeschrinkt integrable
Systeme von linearen totalen Differentialgleichungen etc. (Math.
Ann. Bd. 5, pag. 448), il metodo di successiva integrazione
dato da Clebsch (Crelle's J. Bd. 60) conduca senz'altro al se-
guente teorema generale.
« Se un'espressione differenziale lineare è riducibile ad una
forma canonica contenente p funzioni (tra loro indipendenti)
la risoluzione del problema di Pfaff richiede le operazioni :
p_l,p_3, p—5..... > (*).
Sgr, ea è
(*) Lie e MayER, con operazione s, indicano la ricerca di un integrale
qualunque per un sistema di s equazioni differenziali ordinarie di 1° ordine,
Con operazione 0 s'intende l’esecuzione di una quadratura.
390 G. MORERA
Questo teorema, nel caso particolare di un’espressione con un
numero pari di variabili e per p eguale a questo numero, è pie-
namente conforme a quello dato da Mayer nel $ 6 della Memoria
ricordata e trovato da Lie colla sua « Neue Integrationsmethode
eines 2% — gliedrigen Pfaffschen Problems (Abh. d. G. d. W.
zu Christiania, 1878).
SUE
Sia l’espressione differenziale
Us = Uda 4 das + ii +%
nella quale %,,%,,...,%, sono funzioni analitiche date delle
variabili indipendenti x,...,, €@ sì ponga
d U; pe
sima dx,
Diremo con Frobenius, classe dell’espressione differenziale data
il numero p (p= n) di funzioni (indipendenti) , che contiene la
sua forma canonica.
Per valutare @ priori il numero p si hanno i seguenti due
teoremi dovuti a Frobenius.
I. L'espressione differenziale u,, sarà riducibile alla forma
canonica 2,dy,+2,dY,+...+%,dY,, cioè sarà della classe
p=2r, quando nei due determinanti gobbi :
Ol, n0% 0; i RE Le RIMINI 7 DE
IDA TIZIO] 0,} 0; 97 7000
SE a ero A AE, Re ro:
I O B;i. Ber aL E
Aree dn —U, —U, Le. —%, 0
il più alto grado dei sottodeterminanti, che non svamiscono
tutti quanti, è 2r.
II. L'espressione ua, sarà invece riducibile alla forma
canonica dy+2,dYy,t..... + 2,dy,, cioè sarà della classe
Nt al quando il più alto grado dei sottodeterminanti, che
non Ro tutti quanti, per A è 2r e per A, è dr4+2..
tue Pa
ITS de e
à
SUL PROBLEMA DI PFAFF 391
Per riconoscere poi il più alto grado predetto, basta la con-
siderazione dei soli sottodeterminanti principali, perchè « se én
un determinante gobbo svaniscono tutti i sottodeterminanti
principali di grado 2r, svaniranno, oltre a tutti i rimanenti
sottodeterminanti dello stesso grado, anche tutti i -sottodeter-
minanti di grado 2r —1 >» (Frobenius, Mem. cit., pag. 244,
Cfr. il $S 7 della mia nota, « Sulle proprietà invariantive, ecc. »
presentata a questa R. Acc. nella seduta 11 marzo u. s.).
_ Se l’espressione u,, è di classe pari p=2r, essa si può com-
porre linearmente colle derivate parziali rispetto alle d 2 del suo
covariante bilineare :
B_dau =dus= ) 0,;,(02;dox,-dx;dx).
ik
Invero nelle forme lineari
00
ddr;
ua, =, de, +u,dx,+...+u,d%,,
=0,,4x,+0,,42z,4+.-:.4+9,,dx,(k=1,2.;..n),
pel teorema I, fra le prime » ve ne sono allora 2r fra loro
indipendenti e con queste si possono esprimere tutte le altre.
Mentre, se la classe è dispari, p=2r +1, nelle dette forme
solo le prime » si possono esprimere linearmente in funzione di
25 fra esse e non la %;,, perchè se ciò avvenisse dovrebbero
annullarsi tutti i determinanti di grado 2r+1, formati coi
coefficienti delle n -- 1 forme e quindi dovrebbero svanire in A%
tutti i sottodeterminanti di grado 2r +2, i quali sono funzioni
‘lineari ed omogenee di quei determinanti (Cfr Frobenius, Mem.
cit., $ 5).
Nel caso della classe pari sarà adunque possibile soddisfare
‘ad equazioni della forma
D+ 0 =, A)
essendo ) essenzialmente diverso da zero. Inoltre, sempre pel
| ‘teorema I, per gli stessi moltiplicatori sarà b ), u,=0, essendo
k
questa equazione una conseguenza di 2 fra le precedenti (Cfr.
392 G. MORERA
Frobenius « Ueber homogene totale Differentialgleichungen »
Crelle’s J. B. 86, pag. 3).
È questa la ragione per cui nel caso di un’espressione diffe-
renziale di classe pari sono compatibili le ben note equazioni
differenziali totali
O,,dx,p...4+0; dz, +Aiu;dt=0 ((=I, 000
ove ) è una funzione qualunque, per esempio della variabile au-
siliaria #, e queste implicano l’equazione u,, = 0.
Invece, se la classe è impari nelle precedenti equazioni, si deve
necessariamente porre \=0 , cioè si hanno le equazioni differen-
ziali totali
6::da, 4. RO d=0
le quali più non implicano «,,= 0. E si noti che queste stesse
equazioni considerate pel caso della classe pari, danno luogo al-
l’altraiugs =0.
Queste sono le cose che ho creduto bene ricordare al lettore
prima di passare al vero oggetto di questa nota.
$ 2.
Consideriamo un sistema di 7 equazioni lineari ai differenziali
totali, fra » variabili:
ada, +aMdx,+...+a,50dax,=0
EU food cile
da,=0
al)
ove le « designano delle funzioni analitiche di x,..... che
Supporremo naturalmente che le precedenti m equazioni sieno fra
loro indipendenti.
Diremo con Frobenius, che queste equazioni costituiscono 0
non un sistema completo, secondochè esse hanno o non m in-
tegrali indipendenti fra loro (1. c., $ 18).
Per riconoscere se un dato sistema di tali equazioni è o non
un sistema completo, si ha il seguente teorema di Frobenius
(Mem. cit., pag. 271 e seg.):
|
SUL PROBLEMA DI PFAFF 393
La condizione, necessaria e sufficiente affinchè il sistema (a)
sia completo, è che formati tutti i covarianti bilineari dei
primi membri delle equazioni di (2), questi covarianti svani-
scano identicamente, quando vi si ritengano le da legate tra
loro dalle (2) e le dx legate da queste stesse equazioni, in cui
alla caratteristica d si sia sostituita la è .
È facile verificare direttamente col calcolo (il che non sarebbe
neppure necessario) che, se si risolvono le equazioni (4) rispetto
ad m differenziali, le condizioni volute dal ricordato teorema
coincidono con quelle stabilite da Mayer pella De i sarta)
E quest’equazione deve divenire identica quando alle d2,,
dx,, pei valori )=n—m+1, ....., », si sostituiscono le
espressioni date dalle ((f) e dalle analoghe equazioni in d.,. Pi
ha così agevolmente
h=n-m k=n—-m
dei del
0— e 1 [ate 1
di di [( OL, 0%,
dci de È
ta) a (4) dx, da, —daxydx
+) a Ma LA ela, )l( ni dr si .)
394 G. MORERA
(n-m)(n-m_—-1) AUDI
n -— m equazioni;
ld
si = f
ha) ci 0 c; (4) Giù Ni | Ò ceh Ù A) ct) I (4) 0
Org d% da fasi,
(®,
\2n —N+1I
d’onde si concludono le
Troviamo così, com'era ben naturale prevedere, le condizioni
dell’illimitata integrabilità date da Mayer (Mem. cit., $ 1).
Il problema dell’integrazione del sistema completo («) è equi-
valente a quello di un sistema completo (nel solito senso di
Clebsch, Crelle’s J. B. 65) din —m equazioni lineari alle deri-
vate parziali, il quale, in generale, non è Jacobiano; mentre la
integrazione del sistema (8) equivale a quella di un sistema
Jacobiano.
Trattandosi adunque dell’integrazione di un sistema completo
qualunque (2), dopo averlo ridotto alla forma ({}), potremo senza
altro applicarvi i risultati ottenuti da Mayer pei sistemi integrabili
di quest’ultima forma.
$ 3.
Consideriamo dapprima il caso di un'espressione differenziale
“ua, di classe pari, cioè riducibile alla forma 2,dy,4+.....
+2,dy,. Allora, come già notammo precedentemente, le n + 1
equazioni differenziali totali
0,,dx,+...+0;,,dx,+X4;dt=0 (i=1.2...),
Uda, +... + 4%, = 1)»
ove ) è una funzione della sola #, si riducono a 2r fra loro
distinte, e però sono risolvibili rispetto a 2 differenziali. Fra
questi si può sempre far figurare Ad#; poichè, se ciò non fosse, _
in Au dovrebbero svanire tutti i sottodeterminanti di grado 2 7,
in cui figurano elementi dell’ultima colonna, il che per un noto
teorema (*) richiederebbe l’annullarsi di tutti i rimanenti sotto-.
determinanti di grado 2 in Aw.
(*) Questo teorema (che si dimostra facilmente per mezzo del teorema
di KroNECKER) è stato dimostrato nel $ 5 della mia Nota già ricordata.
SUL PROBLEMA DI PFAFF 395
È ora facile dimostrare che il sistema (‘)) è completo. Infatti
consideriamo l’espressione differenziale 7%,,, ove t indica una
nuova variabile indipendente ; per quest’espressione il covariante
DI
bilineare è:
SITTE
N
T(O0uz,, — Aus.) +Ùtua,— dtu2z,;
Se ora si pone dlogt = — Xdt, e si eguagliano a zero le
derivate parziali di questo covariante rispetto alle dx e dt, si
hanno precisamente le equazioni (7). Ma d’altra parte è noto
(Frobenius, Mem. cit., $ 19) che quel sistema d’equazioni
differenziali totali, che si ottiene eguagliando a zero tutte
le derivate parziali, rispetto alle d, del covariante bilineare
di qualsiasi espressione differenziale, è sempre un sistema com-
pleto, dunque le (7) costituiscono un sistema completo.
Se ora si risolvono le (7) rispetto a A dt ed a 2r—1 delle
da, per esempio dx,_,,4, +++ d%,, per queste ultime risulte-
ranno delle espressioni, che non contengono affatto la variabile #
e che per ciò costituiscono di per sè, come manifestamente ap-
parisce dalla dimostrazione del precedente $, un sistema com-
pletamente integrabile di 2y — 1 equazioni.
Questo sistema di 2y — 1 equazioni differenziali totali suolsi
chiamare 7 1° sistema di Pfaff.
È ben noto che i suoi integrali sono funzioni delle variabili
x»
Z,
i rai
Se
2 Epi
Slenia iti a_i Yi,» YI
r
e che perciò, se si designano con v,.....%,,_, 2Y—1 qua-
lunque de’ suoi integrali, fra loro indipendenti, sarà identica-
mente i
Was =P(V ddt. 0 + Vani Baez) 0
ove le V sono funzioni delle sole v e p non è esprimibile in
funzione delle sole v (").
(*) Il sig. Dargoux nella Memoria citata dà delle dimostrazioni molto
semplici di questo e di altri teoremi, di cui fo uso in questa Nota,
396 G. MORERA
SA.
Immaginiamo ora di conoscere uno qualunque degli integrali
del 1° sistema di Pfaff, per esempio v,,_,; questo integrale
dovrà certamente contenere alcune delle variabili &,_,,427"" %,
e supponiamo che contenga %, .
Poniamo ©,,_,=%, ., essendo vl una costante arbi-
traria; da questa equazione ricaviamo il valore di x, e sosti-
tuiamolo nella (0). Risulterà :
via VIE Pa af UE do! ) 9
ove
0%,
(ila, IO (n-1)) -
(1) —
usi'Uu;+ A
CH;
e. W,6.,..y-0 sono funzioni delle sole 0)... o
La nuova espressione differenziale u® è certamente riducibile
alla forma e, dyM+...4+2 dy e non ad una forma
con minor numero di funzioni, come ora vedremo. Inoltre quando
siasi effettivamente trovata questa forma canonica si può imme-
diatamente avere quella di v,,. Infatti, se in «,, immaginiamo
sostituita alla variabile x, la sua espressione ed in questa con-
sideriamo 030 , come una nuova variabile; mettendo di poi per
v 0. la funzione v,,_, si ha identicamente
di
Uda? un +3 Di da
1 A €
aa
dx d y
AYA +45 104, +, =. a an AU, SS
Pao = I COSI
ove colle y e 2 si intendono rappresentate le 40” 2%, nelle quali
per v © siasi messo v,,_,. Di qui risulta ovviamente che la
2r I
classe di ui). non può essere inferiore a 2(r— 1); poichè, se
ciò accadesse, %,, risulterebbe di classe inferiore a 2r.
Per queste considerazioni il problema della riduzione a forma
canonica dell’espressione «4, di classe 27 è ricondotto, dopo aver
I
SUL PROBLEMA DI PFAFF 397
trovato un integrale qualunque del relativo 1° sistema di Pfaff
a quello per un'espressione w‘ di classe 2 (r— 1).
Quest'ultima si può trattare precisamente collo stesso metodo
e così successivamente , sicchè la risoluzione del problema proposto
si riduce: alla ricerca di un integrale qualunque del 1° sistema
di Pfaff per un'espressione di classe 2r; di un integrale del
1° sistema di Pfaff per um espressione di classe 2(rt— 1);
» » » » » » » Saona ME (1 — 2) s
» » » » » » » » » 4
» » » » » » » » » DS P*
Il metodo d’integrazione qui rapidamente indicato è quello
dato da Clebsch nella 1° delle sue memorie sul problema di Pfaff
(Crelle’s J. B. 60), coll’insignificante differenza che Clebsch prende
per base del metodo d’integrazione i sistemi di equazioni a deri-
vate parziali lineari, corrispondenti ai sistemi di equazioni diffe-
renziali totali, che qui sono considerati.
S 5.
La determinazione di un integrale qualunque del 1° sistema
di Pfaff per un’espressione differenziale di classe 2r, ossia di un
sistema illimitatamente integrabile di 2 — 1 equazioni differen-
. ziali totali, si riduce, secondo il già citato lavoro di Mayer,
alla ricerca di un integrale per un sistema di 2v — 1 equazioni
differenziali ordinarie (Mem. cit., $ 5), ossia richiede un’opera-
zione 2r—1. Questo integrale sarà per esempio della forma
PRESTI CRANIO
ove £, indica il valore iniziale, arbitrario, della variabile x,
(corrispondente ai valori iniziali, arbitrariamente scelti pelle va-
riabili indipendenti 2,.....,,_,). Siffatto integrale sarà cer-
tamente risolvibile rispetto ad x',, sicchè, procedendo come sopra
dicemmo, potremo formare l’espressione v ( di classe 2(r-—1).
398 G. MORERA
Pel primo sistema di Pfaff di us) avremo, con un’operazione
2r—3 un integrale
EI (ISEE CI OR DI A
Ne I
e per mezzo di questo, eliminando da ul) la #,_,, formeremo
una nuova espressione w°) di classe 2 (r—2), la quale si può
dx
trattare collo stesso metodo , ecc.
Adunque colle operazioni 2y — 1, 2r—3,.....9, 1 si
trovano le r funzioni seguenti :
DIRO, ==), (2, La, » Tnor n ) 9
(o —_ / (0)
TL, Da Dn 1 (2, La o Vr Xn ) È)
o: ‘etp Corlalio tota ‘al a-s e RT RI LIRA TEEN n RIT 5
(o). — (0) (o)
ng Porta (Li Inr+1%,, r+2 n ) 9
e queste, dopo avervi sostituite alle x‘ le espressioni date dalle
equazioni stesse, somministrano le » funzioni y,.....%,, che
risolvono il problema di Pfaff.
Trovate le funzioni y,..... Y., le funzioni 2, +. 02,00
determinano colle equazioni lineari
E con ciò il teorema è dimostrato pelle espressioni differenziali
di classe pari.
. S 6.
Supponiamo ora che l’espressione differenziale «7, sia di classe
impari 2r +1. Im questo caso si ha da considerare il seguente
sistema di equazioni differenziali totali :
0,,dx,+90;,,dx,+..:+0,,d%,=0 (i=1,2...n).
Questo sistema, pel teorema di Frobenius rammentato al $ 3,
è completo e consta, pel teorema II, di 2 equazioni distinte.
SUL PROBLEMA DI PFAFF 399
Queste equazioni costituiscono per l’espressione di classe dispari
(=2r+1) considerata il 1° sistema di Pfaff.
Immaginiamo al solito che il 1° sistema di Pfaff sia risoluto
rispetto a 2r differenziali, poniamo d&,_.p4r e... dxn, allora
‘ wi potremo applicare il metodo d’integrazione di Mayer.
Macon. - Var UN sistema qualunque di integrali fra loro
indipendenti del 1° sistema di Pfaff (è chiaro che questi integrali
dovranno essere indipendenti per rispetto alle variabili %,_.r+.
Foubo %,), allora si avrà, com'è noto,
=
Un =Idp+V,dv,t...+V,,d%v,,
ove V,,... V,, designano funzioni delle sole v, ...v,, €9 è
una certa funzione, non esprimibile per le sole v .
Se ora tra le variabili x si stabilisce la relazione v,,=v
ove ni è una costante arbitraria e per mezzo di questa si eli-
mina una delle x,_.,,,,+--.. %,s per esempio la x,, avremo
dalla precedente equazione l’altra
e e.. LVO dol.
— ove le V! sono funzioni delle sole v"’. Di qui si conclude che
iu) è della classe 2r—1 (ma non di classe minore) e, con un
| ragionamento simile a quello del $ precedente, che conoscendosi
la forma canonica di u si ha immediatamente quella di w,,.
Pel teorema di Mayer si ottiene un integrale del 1° sistema
di Pfaff di «,, con un’operazione 2r, allora applicando lo stesso
metodo ad % Si con un'operazione 2r—2 se ne dedurrà una
nuova espressione differenziale ul di classe 2r — 3 e così di
seguito. In fine si giungerà ad un’espressione % Hi. di classe 1,
cioè ad un differenziale esatto, la cui EC pi forma cano-
nica richiede una quadratura, che indichiamo come operazione 0.
Questo processo d’integrazione, salvo il notevole perfezionamento,
che vi porta il teorema di Mayer, fu dato pure da Clebsch
(Mem. cit., $ 9). Concludiamo adunque che la risoluzione del
problema di Pfaff per un'espressione differenziale di classe 2r + 1
richiede le operazioni
er, 3èr —-2, 2r-4,..... nor di,
400 u. MORERA - SUL PROBLEMA DI PFAFF.
Talchè il teorema enunciato nella prefazione resta dimostrato,
e per le espressioni differenziali di classe pari e per quelle di
classe impari.
Da questo teorema si hanno subito due corollarii interessanti.
Se si applica il metodo di Pfaff all'integrazione completa di una
equazione a derivate parziali di 1° ordine, che contiene la fun-
zione incognita ed » variabili indipendenti, si riconosce imme-
. diatamente, che l’espressione differenziale da ridursi a forma ca-
nonica è di classe 27, e però quell’integrazione richiede le
operazioni
In-1l, 2n—-3,.....8, 1
Se invece in quell’equazione la funzione incognita non vi fi-
sura, essendo ancora n il numero delle variabili indipendenti ,
si trova agevolmente che l’espressione differenziale da ridursi a
forma canonica è della classe 2n—1 e però la completa inte-
grazione di quell’equazione richiede le operazioni
SR DI e O i
Del resto, questi risultati sono ben noti (Cfr. per esempio la
Mem. di Lie « Begrindung einer Invariaten-Theorie der Be-
riibrungs-Transformationen » $ 7. Math. Ann. B. VIII).
Pisa, 15 Aprile 1883.
MW a TE. I PET
LD
Crutala sci È ninni it
bene
401
Il Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa presenta e legge una
Nota del signor Dott. G. MAZzara
SOPRA L’ AZIONE
DI
ALCUNE ALDEIDI AROMATICHE
SSUu EEA GHENTINIIN AS
In una precedente nota sull’azione del cloralio sulla chinina (*),
presentata a questa k. Accademia, ho descritto un composto di
addizione che la chinina forma col cloralio, ed ho accennato che
le aldeidi come il cloralio, sono capaci di fornire dei derivati di
addizione colla sovradetta base. Dalle ulteriori ricerche che ho
fatte e che sono registrate in questa nota risulta che l’aldeide
nitrobenzoica forma colla chinina un composto definito e relati-
(*) Nel fascicolo 12 (anno VI) del Farmacista italiano di Napoli, il signor
Giuseppe Tarozzi descrisse un composto bianco-cristallino, solubile nel-
l’acqua, da lui ottenuto per l’azione del solfato di chinina sopra l’idrato di
clorale e lo chiamò solfocloroliato di chinina. Sciogliendo nell’acqua bollente
o nell’alcool bollente, nelle proporzioni indicate dal sullodato autore, il sol-
fato di chinina e l’idrato di clorolio ottenni pure una massa cristallina di
composizione variabile, solubile nell’acqua, che presentava gli stessi caratteri
sopra accennati a proposito del solfocloroliato di chinino. Questo composto
analizzato dapprima e poscia ricristallizzato dava all’analisi una sensibile
diminuzione di cloro, ed in una terza ricristallizzazione non presentava più
che traccie di cloro appena visibili. Dopo tutte queste esperienze giova il
credere che il solfocloroliato di chinina stato descritto, non sia un vero
composto chimico, ma bensì un miscuglio di solfato di chinina con idrato
di clorole, la cui solubilità nell’ acqua probabilmente dipende dalla presenza
dell’idrato di clorole.
Anche nel 1877 il signor Carlo Pavesi di Mortara descrisse un composto
da lui chiamato solfo tartro cloroliato di chinino, il quale risulta di un mi-
scuglio di solfato di chinino, di acido tartrico e di idrato di clorole.
Atti R. Accad, » Purte Fisica — Vol. XVIII. 28
Lr “ib
402 G. MAZZARA
vamente stabile, mentre le aldeidi benzoica ed anisica danno dei
prodotti che, attesochè abbiano composizione molto vicina a quella
dei prodotti di addizione, pure mi lasciano ancora dubitare sulla
loro natura. Pertanto sono costretto da condizioni tutte personali
a rendere noti i risultati sin’ora avuti, ma non tralascio di lavo-
rare sull'argomento onde arrivare a stabilire la vera natura dei
corpi che ho per le mani.
Azione dell’aldeide metamitrobenzoica sulla chinina.
Il prodotto di addizione dell’aldeide benzoica colla chinina
è stato ottenuto col seguente metodo: si scioglie la chinina nel
cloroformio, ed alla soluzione si aggiunge la quantità equimole-
colare di aldeide nitrobenzoica (10 grammi di chinina, sopra
3 grammi di aldeide nitrobenzoica): si riscalda per un certo
tempo a ricadere e si distilla indi buona parte del cloroformio
impiegato. Il residuo della distillazione coll’aggiunta di un eccesso
di etere anidro o di benzina fornisce ben tosto un precipitato
bianco giallastro gelatinoso, simile all’idrato d’allumina. Per
purificarlo, si getta sopra un filtro, si asciuga fra carta ed indi
si scioglie nel cloroformio e si riprecipita con etere. Il prodotto,
così ottenuto, asciugato dapprima fra carta, poscia nel vuoto in
presenza di acido solforico. si presenta sotto l’aspetto di una
massa amorfa, gialla, inodora, di gusto dapprima insipido, poscia
amaro, solubissima nell’alcool e nel cloroformio. Collo spontaneo
evaporamento di queste soluzioni, si deposita allo stato solido,
amorfo; fonde a 113°-118°.
Cogli acidi diluiti si scompone in aldeide nitro benzoica o
nei rispettivi sali di chinina. È in parte solubile in un miscuglio
di cloroformio e di etere.
All’analisi diede î seguenti risultati :
Grammi 0,3595 di sostanza: bruciati con ossido di rame,
in presenza di rame, fornirono grammi 0,2252 di acqua e
grammi 0,9188 di anidride carbonica. .
Vale a dire in rapporto centesimale :
Carbonio 69,77
Idrogeno 6,33.
SOPRA L'AZIONE DI ALCUNE ALDEIDI AROMATICHE ECC. 403
La teoria per la formola:
CITA N>3 C°0H°COHNO,
richiede per cento:
i Carbonio 70,31
Idrogeno 6,10.
Azione dell’aldeidi benzoica ed anisica
sulla chinina.
Ho sciolto della chinina nel cloroformio ed alla soluzione ho
aggiunto la quantità equimolecolare di aldeide benzoica. Il tutto
riscaldato per un certo tempo, liberato per distillazione da mag-
gior parte del cloroformio, indi trattato con etere diede una
massa gelatinosa, la quale si è ridisciolta nel cloroformio e si è
riprecipitata con etere. La sostanza così ottenuta si presenta sotto
forma di una massa bianca, la quale, asciugata nel vuoto, in
presenza di acido solforico fonde a 1536°-40°.
Questa sostanza è alquanto solubile a caldo nella benzina ;
si scioglie nell’alcool, ma da questa soluzione collo svaporamento
si deposita pure vischiosa al pari della precedente. Dalla soluzione
cloroformica si deposita allo stato solido, ma senza struttura
cristallina.
Operando nel modo sopradescritto ho fatto agire l’aldeide
anisica sulla chinina. La soluzione cloroformica trattata con ben-
zina o con etere anidro ha fornito un precipitato che si pre-
senta anch’esso sotto forma d’una sostanza gelatinosa, che, dis-
seccata nel vuoto, costituisce una polvere bianca, inodora, fu-
sibile a 145°-149°,
Ho fatto agire infine sulla chinina della paraldeide; ottenni
mediante aggiunta di etere un precipitato gelatinoso, il quale si
sciolse nell’eccesso di etere. Detta soluzione svaporata spontanea-
mente all’aria, lasciò depositare una sostanza, che separata dal
liquido, lavata con etere ed asciugata nel vuoto in presenza di
acido solforico diede all’analisi i seguenti risultati :
Grammi 0,3835 di sostanza bruciati con ossido di rame, in
presenza di rame, diedero gr. 0,2976 di acqua e gr. 1,0472 di
anidride carbonica.
404 G. MAZZARA — SOPRA L'AZIONE DI ALCUNE ALDEIDI ECC.
Vale a dire per cento :
Carbonio 74,49
Idrogeno 8,55.
La teoria per la formola della aldeide e chinina
C-MPNTO SOR SCOTT
richiede per cento :
Carbonio TESTI
Idrogeno 7,60
e per quella della chinina
Carbonio 74,07
Idrogeno dA
Questi risultati ci dimostrano che la paraldeide non si com-
bina colla chinina.
Nell'ultimo fascicolo del « Berichte der deut. Gessel. » il
signor Rhoussopoulos ha pubblicato una Memoria nella quale
descrive un prodotto di addizione di cloralio con chinolina. Non
è improbabile che quest’ultima base si comporti anche colle al-
deidi come la chinina.
Io estenderò le ricerche ora intraprese ancora sulle altre
basi terziarie per vedere se è reazione generale di tutte le
basi terziarie il combinarsi col cloralio.
Dal Laboratorio di chimica, R. Scuola Veterinaria.
Torino, Aprile 1883.
405
do pg:
"SOTA
Il Socio Cav. Alessandro DorNa, Direttore dell’Osservatorio
-
E
i astronomico della R. Università di Torino, presenta all'Accademia
È
per l’annessione agli At, in continuazione delle precedenti, le
Osservazioni termografiche e barografiche del 1° trimestre di
quest'anno, state dedotte dall’Assistente Prof. Donato LEVI coi
Tegistratori dell’ Osservatorio.
Queste Osservazioni verranno stampate nel solito fascicolo an-
nuale che si pubblica per cura dell’Accademia, e che va annesso
agli Atti.
Alessandro PortIs, intitolato « Nuovi studi sulle traccie attri-
buite all'uomo pliocenico »; ed è approvato per la stampa nei
volumi delle Memorie.
L’Accademico Segretario
A. SoBRERO.
In questa adunanza vien letto il lavoro del sig. Dottore
IT
SOMMARIO
Classe di Scienze fiskehe, matematiche e naturali. —
Prano — Sulla integrabilità deie funzioni : |... ......°. Pag. 307. ‘I
Curioni — Risultati di esperienze sulle resistenze dei materiali . . » 315. È
BeLLaRDI — Relazione sulla Memoria del sig. Dott. Alessandro
Portis intitolata: Nuovi studi sulle traccie attribuite all'uomo
PUOCMIER EN LT e I SIAT CASA II
CaMmERANO — Ricerche intorno alle aberrazioni di forma negli ani-. È CAI 40
mali ed al loro diventare caratteri specifici. . . ... .... «.» 827.
MazzaRa — Sopra un nuovo composto di chinina col cloralio . .
Cossa — Presentazione di un pezzo di areolite caduto il 16 feb-. sine
braio SCOrso ad Alfianello nel Bresciano .. . . ........»
GueLieLMo — Sulla determinazione della forza elettromotrice e della” n
resistenza delle coppie e della forza elettromotrice di polariana A
zione nel caso di correnti intense . . . ../.......
Pisenti — Sulle alterazioni del rene e sulla formazione di calcoli Bra
renali in seguito a legatura dell’uretere . ./........./.. 0»
Dorna -— Lavori dell’ Osservatorio astronomico di Torino. . x; I
Morera — Sul problema di Pfaff . . ... ..\/{........ Hg
Mazzara — Sopra l’azione di alcune aldeidi aromatiche sulla chinina:
DorNA ALA lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino od
APPROvazIoNE per la stampa nei volumi delle Memorie del lavoro
del Dott Alessandro; PoRTIs: aa ara
ATTI
DELLA
h. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
PUBBLICATI
dagli Accademici Segretari delle due Classi
vor. XVII, pis. 6° (Maggio 1883)
Classe di Seienze Fisiche, Matematiche
e Naturali.
TORINO
BRMANNO LOESCHER
Libraio della R, Accademia delle Scienze,
l Ti
407
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII 29
RPS
409
CLASSE
DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 20 Maggio 1883,
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
Il Socio SraccI presenta e legge la seguente Nota del Dott.
G. PEANO
SULLE
FUNZIONI INTERPOLARI.
Sia f(x) una funzione della variabile complessa x, uniforme,
continua, ed avente derivata per tutti i valori di x rappresen-
— tati da punti nell'interno d’un campo C; e siano
PS 0a) PRG I
| valori di x nell'interno dello stesso campo. Le funzioni interpolari
fe, x.)= f(e)—-f(2,) f(c, 2,4) = f(2, 2.) —f(2, %) SEE
IL, 2, x, — E;
sì possono esprimere mediante integrali presi lungo il contorno
di €. Invero si ha la formula
APT] f(i)dt
ari f arci
ce
dando ad x i valori x, ed x,, si ricava l’espressione
f(t)dt
fr, €) = saletta (Sg
410 G. PEANO
ed in generale la funzione interpolare d'ordine n —1 diventa:
VA, VIALI f(t)dt
fernleaneia + (OI
Cc
l'integrazione dovendosi fare lungo il contorno del campo ( in
modo da avere a sinistra il suo interno.
Si riconosce subito da questa espressione della funzione in-
terpolare che essa è funzione simmetrica, e continua delle va-
riabili #,...w,; se 1 valori di queste variabili tendono tutti verso
i tg I) (2)
uno stesso valore x, la funzione interpolare tende verso = ,
n—- 1)!
perchè si ha la formula:
I (-1)!{f(M)dt
dd) 16) fe _ ,
/ (1) Inti e
(0)
e se sì fanno solamente eguali alcuni dei valori di «,%,...4,,
la funzione interpolare si può esprimere mediante valori di f(x)
e di sue derivate, perchè basta decomporre la frazione
1
(t—x,). Lev)
in frazioni semplici, e l'integrale nella somma di più integrali
della forma il POLI z
sail/4
Si ha l’identità :
Heft (a-2)f(r.2.) +...
PRIEST ER (2),
dove
Bize 1), 1008
ovvero
a i SEO c rat
Ba (_-a,) Est. nante; - (BE
Cc
Suppongasi ora che le quantità x, ,%;... crescano in nu-
mero indefinitamente ; f(x) sarà sviluppabile in serie colle funzioni
SULLE FUNZIONI INTERPOLARI 411
interpolari ove /, abbia per limite zero col crescere indefinita-
mente di n. Potremo esaminare alcuni casi in cui questo avviene.
1° Caso.
Suppongasi x, =%,=%;=...=%,; si ritrova la serie di
Taylor.
2° Caso.
Suppongasi sog =b = =
e CURSI
prendendo 2» termini della serie interpolare, si ha:
f(@=f(@+(c—a)f(a,b)+(c—a)(e—-b)f(a,b,a)
+(c—a)(e—d)f(a,b,a,0)+......+R.n, -.-(4)
ovvero sommando a due a due i termini della serie precedente si ha :
f=(4+ Pao) + (2-0) 0-0) (+)
pi [@-a) (@—b)| (a,+,2) ata
...+ |@—a) (e_D)|" (2, + Bi 0)
i IA SE 011
R,,=5_;@_a) eni )
Per vedere quando KR ha per limite zero, si immagini nel
piano rappresentativo della variabile 4, la curva luogo dei punti
tali che il prodotto delle loro distanze da « e da d sia una
costante /?. Variando %? trovansi infinite curve (ovali di Cassini),
e facendo crescere %* da zero in su, ogni nuova curva contiene
nel suo interno le precedenti. Si immagini la più grande delle
«curve del sistema, nel cui interno f(x) è uniforme e continua ;
f(x) è sviluppabile secondo la serie indefinita (4) per tutti i
_ walori di x interni a questa curva.
Invero sia %? il parametro di questa curva; pongasi
k=mod(e— a)(£— b)
412 G. PEANO
sarà &k,-— k? supposto « interno alla curva; si consideri una terza
quantità %,° tale che %<4%,<%?; si facciano le integrazioni
lungo il contorno della curva di parametro %,°, che contiene x
nel suo interno, ed è tale che nel suo interno, e sul suo con-
torno f(x) è uniforme e finita.
Detta A una quantità maggiore dei moduli di f(#), ove #
percorre il contorno della curva /%,°, % una quantità minore dei
moduli di #—x, (il modulo ‘di #— non potendo mai essere
nullo, perchè # trovasi sulla curva %,° ed z nel suo interno),
{ la lunghezza di questa curva, si ha:
1 /k\"A1
mod Rn<5=(7) F
ki i 3
e siccome Fa <1, col crescere indefinitamente di » f,, ha per.
Vo,
limite zero, e. v. d.
L’ovale di Cassini, nel cui interno è valida la serie prece-
dente, può constare di due parti staccate, ed /(x) deve essere
uniforme e continua nell’interno di ciascheduna di queste parti.
Nulla però impedisce che i valori assunti da /() in questi due
campi possano appartenere a due funzioni analitiche del tutto
differenti.
Esempi: 1° Pongasi a=+1,0=-—1, onde (r—a)(e—b)=
SCR 1 ; i È
a°-1. Sia f(x) =-; questa funzione è discontinua per #=0,
3:
onde la massima ovale di Cassini, di fuochi 41 e —1 nel cui
LI
; È l 1
interno f(x) è continua è la lemniscata; quindi si ha che +
®
è sviluppabile in serie ordinata secondo le potenze di x? — 1
(i coefficienti essendo funzioni lineari di 4), e si ha:
l 2
cs 1-(e°-1)+(e°-1)°-(e°-1)+...,
serie convergente pei valori di + nell’interno della lemniscata.
Essa è divergente per a —=0 .
SULLE FUNZIONI INTERPOLARI 415
‘ Moltiplicando la serie precedente per x si ricava la serie
1 2
ate) — ...
1 .
convergente, ed avente per somma — per x interno alla stessa
x
lemniscata ; essa però è ancora convergente per x=0, ed ha
per somma zero.
3° Si moltiplichi la prima serie per %, e si sommi termine
a termine colla seconda; si avrà la nuova serie :
TE _(k+2)— (E+) lip: (Gata) etabil
la quale è convergente nell’interno della stessa lemniscata; essa
poi è ancora convergente, ed ha per somma zero, pera=—%,
e siccome % è arbitrario, il valore — % può essere rappresentato
da un punto esterno alla lemniscata; onde si deduce non essere
vero che la serie (4) sia divergente per ogni valore di x esterno
alla più grande curva del sistema non contenente nel suo in-
terno punti di discontinuità o di diramazione. Ritornerò su questo
concetto. i
4° Si può formare una serie del tipo (4), convergente nel-
l’interno della stessa lemniscata, e che valga + quando la
parte reale di x è positiva, e — x quando la parte reale di 4
è negativa. Questa serie è :
(0009 1 a o. i
5° Più generalmente la serie:
m(m_—-1)
Tr:2
m(m_-1)(m—-2)
1.2.8
f(a=1+m(2—-1)+ (2-1)?
+ (A 14 a 8
è convergente pei valori di x nell’interno della stessa lemniscata,
e ha per somma, nell’ovale contenente +1, «?", e nell’ ovale
contenente — 1, (— 2)”.
414 G. PEANO
6° È anche a notarsi la serie
fa=x-x'(e°-1)+e°(e°-1)°-....
che si ottiene moltiplicando quella del 1° esempio per x*. In-
terpretandola solamente per x reale, essa è convergente purchè
x sia compreso fra — 2 e +2, ed ha per somma sempre 1,
eccettuato per £—=0, dove la somma è zero.
Essa poi è anche convergente, ed ha per somma uno nel-
l’interno della solita lemniscata.
3° Caso.
Generalizzando la discussione precedente, si deduce che, po-
nendo
Li, —d, I, — 4; «Tn — An L)
Tnt aa ’ Ln+a 7 A, AAA ARE Lan = In ’
Lins a, PARTE: SPREA . o dp toro .gé _s DI
g=p(a)=(r—-a,)(e—a,)...(r—-a,),
la funzione f(x) è sviluppabile in serie della forma:
f(a) =, +pd +0 dt...
dove d, 4, 4,... sono polinomii interi di grado n—1 in 2; e
la serie è convergente per tutti i valori di x compresi nell’ in-
terno della più grande curva luogo dei punti per cui è costante
il prodotto delle distanze dai punti a, a@,...a,, nel cui interno
f(x) sia uniforme e continua.
Potendo questa curva constare di più parti staccate (n al
massimo), la serie precedente può rappresentare in campi distinti
funzioni analitiche diverse.
È ancora a notarsi che la serie precedente può essere con-
vergente per valori di x fuori della curva accennata ; po-
trebbesi dimostrare che questo non può avvenire al più che per
n—1 valori di 2; ma lascierò in disparte questa dimostrazione.
"FEE
SULLE FUNZIONI INTERPOLARI 415
4° Caso.
Suppongasi che le quantità «,,...,... ammettano un
sol valore limite a, in modo cioè che in ogni intorno di a ca-
dano infinite quantità del sistema proposto, e siano in numero
finito quelle non contenute in questo intorno. Dico che la serie
ottenuta colle funzioni interpolari è convergente pei valori di x
interni al massimo cerchio di centro a, e nel cui interno /(x)
è continua e univoca; inoltre la stessa serie è pure convergente
pei valori di x, esterni al cerchio, ma eguali a qualcuna delle
muaablià. x x, %,.....
Invero sia £ il raggio di questo cerchio; pongasi
p==mod (£— a) ;
onde essendo x interno al cerchio, p<4 ; si prenda r in modo
Ue ; aero) è
che pmod f(t) quando # percorre il cerchio di raggio r, ed
h=mod(#—), il quale modulo non è mai zero, anzi il suo
valore minimo è x—p. Ora
mod (x —,,,) r—-€
onde
E rt LS POE PI
—Ln+1 fe&
416 G. PEANO —- SULLE FUNZIONI INTERPOLARI.
mod È
n+p
rei li
XL
— mod
t_-x,)...(t-a,)\r—e
e facendo crescere indefinitamente p, si ottiene
lim È
n4p=0% c..v. d.
Se poi si fa x eguale a qualcuna delle quantità x, 2, ...
la serie si riduce ad un polinomio, ed è perciò convergente.
Esempio. — Vogliasi sviluppare in serie colle funzioni inter-
polari una funzione tale che per «= 0 vale 1, e che per @= 1 ;
e dintorni vale zero. Basta prendere x,=0, x,=2%;=...=1;
si ottiene la serie
f(a) =1-x—-a(1-2)-x(1-2*—x(1—-2)°...
convergente per tutti i valori di x compresi nel cerchio di centro
1 e di raggio uno, ed avente per somma zero; convergente pure
per x=0, ed avente per somma uno.
5° Caso.
Ogni funzione f(x) continua ed uniforme in tutto il piano
è sviluppabile in serie colle funzioni interpolari corrispondenti ad
argomenti che non crescano indefinitamente.
Invero sia R maggiore del modulo di x x, x,..., e si prenda
per contorno, lungo cui si integra, un cerchio di raggio R'>S
X- n 2 R
cp sa
supporre <1, perchè basterà prendere R'>3£; il resto della
serie è
1 dt
Release Fò) ’
Qrif(t-2x,)...(t-x,)(t-2)
7A DRS |
SA R_-R
essendo A>mod f(x) , ove # percorra il cerchio di raggio
onde lim. mod &,=0, 0. di
e sufficientemente grande; sarà mod , che posso
e quindi
2 rmod E, < ( A.2rR°,
417
Il Socio Cav. Prof. G. Basso presenta e legge la seguente
Nota del P. Francesco DENZA :
LE
AURORE POLARI IN ITALIA
NELL’ ANNO 1882
—__-
NOTA PRIMA
L’aurora polare del 16-17 Aprile 1882
Negli anni 1870-72, nei quali accadde l’ultimo massimo
undecennale di fenomeni aurorali, tenni informata l'Accademia
dei più importanti di tali fenomeni osservati in Italia in quel-
l'epoca.
>. Continuando nella stessa via, diedi già contezza dell’aurora
del 31 gennaio 1881, la prima di qualche importanza osservata
nelle nostre regioni nell’attuale nuovo periodo di massimo, e l’unica
apparsa tra noi nell’anno suddetto. Ora darò notizia delle più
rilevanti apparizioni aurorali dell’anno testè decorso 1882, le
quali accaddero il 16-17 aprile ed il 19-20 aprile; il 2 ottobre
ed il 17 novembre.
In questa prima Nota dirò dell'aurora del 16-17 aprile, la
quale, sebbene non vista in Italia, si manifestò tuttavia per altri
importanti fenomeni meritevoli di studio speciale. Il ritardo della
presente comunicazione deriva soprattutto dal tempo richiesto per
raccogliere gli elementi che mi erano necessari per trattare l’ ar-
gomento nel modo più completo che mi fosse possibile,
418 P. FRANCESCO DENZA
Fenomeni luminosi.
1. Estensione. — Dalle stazioni italiane non mi pervenne
alcuna notizia di apparizioni luminose nei giorni 16 e 17 aprile;
e neanche della rimanente Europa e di tutto l’ antico continente
mi venne fatto di raccogliere notizie di parvenze aurorali.
Per contro, il fenomeno fu splendidissimo nell’emisfero occi-
dentale (partendo dal meridiano dell’isola del Ferro), dove fu
visto per gran tratto di paese nelle regioni del settentrione e
del mezzodì, fu cioè un’aurora boreale ed australe ad un tempo.
Al Nord l'aurora fu visibile su grandissima parte del vasto
territorio degli Stati Uniti, dall’Atlantico al Pacifico; e dalle
regioni più settentrionali, che dalla Nuova Scozia vanno allo
Stretto di Behring, sino alle più meridionali del Canale della
Florida, degli Stati del Golfo, del Sud del Texas, del Nuovo
Messico e della California. Il fenomeno cioè si estese sin quasi
al tropico; e fu pure osservato su molti battelli grandi e piccoli.
Al Sud l’apparizione si lasciò vedere in molti punti della
Nuova Zelanda, cioè sino alla latitudine di circa 40 gradi; e, ar-
gomentando dallo splendore con cui si mostrò in tali regioni, essa
forse si sarà propagata eziandio a latitudini più basse, rima-
nendo inosservata per manco di osservatori.
2. Fasi. — Non mi fermerò a descrivere le fasi della
apparizione, non essendo state osservate nelle nostre contrade;
esse d’altronde furono le consuete delle grandi aurore. Dirò sola-
mente che l’aurora fu brillantissima nella più gran parte dei luoghi,
sia dell’emisfero australe come del boreale, e quale non si era
più vista da molti anni.
Nel primo emisfero, dove le osservazioni furono assai più
estese e più numerose, l'intensità del fenomeno andò diminuendo
colla latitudine; e nei luoghi più meridionali, come nella Key
West, una delle Chiavi della Florida, catena di isole che si pro-
tendono al sud del Canale dello stesso nome, e ad Indianola
nel mezzodì del Texas, l'apparizione si riduceva ad una luce
diffusa e pallida a settentrione. intorno al meridiano magnetico.
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 419
5
Ora e durata. — Su questo elemento mi fermerò
alquanto; perchè esso, come ben si avvisa il Donati nella sua
importante Memoria sull'aurora del 4-5 febbraio 1872, è essen-
zialissimo per la teoria delle aurore polari.
A tal uopo, tra’ luoghi che mi fu dato raccogliere, ho scelto
quelli, nei quali si assegnò con maggiore approssimazione l'ora
del principio e della fine dell’apparizione e quella ancora della
massima fase.
Riporto innanzi tutto le coordinate geografiche di questi
luoghi. Vi ho aggiunto, come elemento importante, anche lo Stea-
mer americano Vandalia, su cui fu osservato attentamente il
fenomeno nelle acque della Florida.
Le longitudini sono riferite a’ meridiani di Greenwich e del
Ferro. Per questo secondo meridiano, come si è già detto, anche
le stazioni australi sono comprese nell'emisfero occidentale.
Longitudine
Luogo
7 ue - ae dl Lattadina
d’ osservazione
da Greenwich dal Ferro
Makipori. Ma. (voiLic0».. - 4h 20% W.| 35 10% W.| 46° 55’ N.
Washington, D. C. ...... 5: 1):8 E ARR) 38 53
e 0: ...:. 5 13 4083 30 10
filicage;(ili. uo... 5 50 4 40 41 52
Indianola, Te. ........... 6 26 5 16 28.52
india Gal. 112). 210. fto 11:457 6 47 36 20
San Francisco, Cal. ...... 810 o 0 37 48
14.139 .E; d4 14 W |C42 adora
ti. 3I 14,19 143 34
11 | } .- Rina dit43
aio ia HD 330 di «50
indianola .........» } 4 26 »
bob: 4 32 4 32
San Francisco ......... 4 25 5 10
Metbzeton, i; 170) mogli OnaZhant (21 cant.
Christchurch ........... 6 29 1 29 |
SEBLIDANI A... nl iii » Ta do |
Da questo prospetto si vede a colpo d'occhio, come i fenomeni
luminosi dell’ aurora hanno cominciato nelle stazioni più orientali,
e si sono avanzati progressivamente verso le più occidentali; im-
EpPiegando circa quattro ore per percorrere otto ore di longitudine,
| quante ne passano tra il meridiano di Washington e quello di
Christchurch e Taimaru.
Meglio ancora ciò si rileva, se si raccolgono le stazioni stu-
422 P., FRANCESCO DENZA
diate in tre gruppi, mettendo insieme quelle che hanno longitu-
dini più prossime, cioè:
Gruppo 1° Washington, —Vandalia, Chicago ,
» Dai Indianola, Visalia, San Francisco,
» di Wellington, (Christchurch, Taimaru.
Si è escluso da questo confronto Eastport; perchè, sebbene
questa stazione risponda, in generale, alla nostra affermazione,
tuttavia si distacca troppo da tutte le altre, massime per l’ora
del cominciamento del fenomeno.
Le medie sia delle longitudini, come delle ore del principio
e del massimo dell’apparizione, sono date dallo specchio seguente :
Longitudine | Ora media, t. m. del Ferro
Gruppo media + DA ge
dal Ferro del principio del massimo
1°, orientale ... 5h 24m 9h 15m ab 24m
Vo FICGIO, oe Prati 4 28 4 bi
3°, occidentale .| 11 32 6: 130 790
Pigliando le differenze delle longitudini e delle ore succes-
sive del principio e del massimo, si hanno i valori che seguono:
Differenze
dell
Longitudine del principio del massimo
— 2h. 7m — fh 13m — ih 270
—4 1 —_2 2 —_2 39
Questi valori dànno risultati molto concordanti ; imperocchè
dalle differenze del 1° e del 2° gruppo si ha, che il comincia-
mento della meteora avrebbe, in media, impiegato 34 minuti
per percorrere un'ora di longitudine da Est ad Ovest, e quello
del massimo 41 minuti; e dalle differenze del 2° e 3° gruppo, il
primo ritardo risulta di 30 minuti, il secondo di 40,
dei
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 423
Adunque i fenomeni luminosi dell’aurora si sono avanzati da
oriente verso occidente; e la loro propagazione è stata propor-
zionale alla differenza di longitudine; impiegando circa mezz'ora
ad ogni ora di longitudine pel cominciamento generale, e circa
«40 minuti per quello della massima fase.
D'altra parte, il fenomeno non deve essere incominciato in tutti
gli Stati Uniti prima delle 8 o 9 di sera del tempo locale;
giacchè, essendo il cielo a quest'ora nel mese di aprile già oscuro
per que’ paesi, in qualche stazione si sarebbero visti almeno dei
bagliori di luce aurorale, come si sono visti nell'emisfero australe.
Parimenti, l'apparizione non si deve essere protratta di troppo
dopo le 9 pom. del tempo locale della Nuova Zelanda; perchè
altrimenti quegli osservatori, favoriti com’erano da propizie cir-
costanze atmosferiche, l'avrebbero continuata a vedere, com’ è
avvenuto nelle stazioni dell’emisfero boreale.
Nè si può dire che l’aurora sia incominciata prima verso
oriente; giacchè, come si è visto, le ore in cui essa incominciò
nelle stazioni più orientali degli Stati Uniti, sono comprese tra
la mezzanotte e le 3 del mattino del tempo medio di Greenwich.
Perciò qualcosa avrebbe dovuto vedersi in qualcuna delle stazioni
dell'Europa occidentale, nelle ore prima della mezzanotte od a
questa vicine; ed invece non si è avuta notizia da nessuna parte.
Si può dunque ammettere senza allontanarsi di troppo dal
vero, che l’aurora del 16-17 aprile è incominciata tra le 8 e le 9
di sera del tempo medio di Eastport o di Washington, ed è
terminata verso le 9 di sera del tempo medio di Wellington o
di Christchurch; perdurando per tal guisa otto o nove ore, quante
ne passano tra i due tempi suddetti.
Pertanto da tutta la precedente discussione rimane confer-
mata in modo chiarissimo la notevole conclusione, che il Donati,
nella citata sua Memoria, dedusse dagli studî fatti sulla grande
aurora del 4-5 febbraio 1872; epperò, come il Donati per questa, .
così noi per quella di cui trattiamo, possiamo affermare che:
« I fenomeni luminosi dell'aurora vista in gran parte del-
l'emisfero occidentale nella notte dal 16 al 17 aprile 1882:
« 1° S7 videro prima ad oriente e poi successivamente
ad occidente ;
« 2° Si manifestarono nei vari punti dell'emisfero suddetto
ad ore locali non molto diverse tra loro; però con una tendenza
ad anticipare sulle dette ore a misura che propagavansi da
oriente verso occidente ».
Atti RR. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 30
424 P. FRANCESCO DENZA
ET,
Perturbazioni magnetiche.
Sebbene l’aurora del 16-17 aprile non sia stata vista che
nel solo emisfero occidentale; tuttavia gli altri fatti che a tali
meteore sogliono andar congiunti, come le perturbazioni del ma-
gnetismo e delle correnti della terra, può dirsi che si siano estesi
su tutto il globo.
In Italia quasi tutti i luoghi, nei quali si attende a regolari
osservazioni magnetiche, annunciarono forti perturbazioni degli
aghi calamitati. La stessa cosa avvenne negli Osservatorî magne-
tici della rimanente Europa.
La burrasca magnetica si dovette propagare su tutto l’antico
continente, come fanno intravedere le osservazioni magnetiche
eseguite all’Osservatorio di Zi-ka-wei, posto all’estremo oriente
della Cina, a 12 chilometri al sud-ovest di Chang-hai.
Essa si ebbe eziandio al nord dell'Atlantico, dove su’ bat-
telli che salpavano quelle acque si avverti una forte deviazione
negli aghi delle bussole. E dovette senza meno estendere con
maggior energia la sua azione ancora su tutto l'emisfero occi-
dentale: secondochè risulta indirettamente dalle altre notizie che
si riporteranno appresso; giacchè in quella estesa contrada ra-
rissimi sono finora i luoghi d’osservazione magnetica; e di nes-
suno mi sono giunte sino al presente indicazioni su questo ri-
guardo.
Dovunque gli aghi erano già agitati da qualche giorno.
In Italia, non essendovi sinora in nessun Osservatorio istru-
menti magnetici registratori, non è possibile determinare con
precisione i tempi ed i valori delle perturbazioni; massime perchè
dappertutto sono sfuggite le osservazioni della notte.
Limitando l’esame alla sola declinazione magnetica ; l’escur-
sione dedotta dalle osservazioni fatte in diversi Osservatorî ma-
gnetici italiani, in cui si eseguiscono osservazioni giornaliere
simultanee alle 8 ant. ed alle 2 pom., le quali ore sono molto
prossime al: minimo ed al massimo diurno della declinazione, ri-
sultò pel 17 aprile:
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 425
Stazioni > SIA,
i LL a 26.9
Maiori o V2; 21
(i FPSS ie PeR i A)
er pi 156
ELIA 21 MOI i
AL VII Zid 'ad
ETTI Laga ee Eta +97
Per la maggior parte delle stazioni la riportata escursione
risultò la maggiore di tutte le osservazioni che in esse si so-
gliono fare in parecchie altre ore della giornata. Fanno ecce-
zione: Napoli, in cui lo spostamento dell’ago ad un’ora pome-
ridiana risultò alquanto maggiore di quello delle 2; Parma,
dove si fecero osservazioni assai frequenti dalle 8 del mattino
alle 10 ore 50 min. della sera; e Roma, dove pure si accrebbe
il numero delle osservazioni, e gli estremi si notarono in ore di-
verse. Ecco i risultati avuti in queste tre stazioni:
=» Massimo Minimo }
Stazioni — AK | ———_ ee [Escursione
Valore Ora Valore Ora
49. 2 | 20 50m p. 9’. 0 8h Qma.f 40° 2
(le iaitt 5” ho 0 » LO ii i lt so ds 9
bit dal Lp do. BE fkeda poi Re
Dalla rimanente Europa ho raccolto elementi della Russia,
dell'Inghilterra, della Francia, dell’Austria-Ungheria e del Por-
togallo, sia da’ diari meteorologici, come direttamente dalle co-
municazioni favoritemi dai Direttori di parecchi Istituti, quali
quelli di Pietroburgo, di Kew, di Stonhyurst e di Lisbona.
Nella maggior parte dei luoghi studiati si posseggono apparati
registratori pel magnetismo terrestre.
A Pietroburgo la perturbazione magnetica cominciò intorno
alle 2 ant. del 17; e dai valori orarî della variazione della
declinazione inviatimi dal Prof. H. Wild, Direttore di quell’Isti-
426 P. FRANCESCO DENZA
tuto fisico centrale, si rileva che un primo massimo ed un primo
minimo accaddero colà nelle prime ore del mattino, cioè:
1° Massimo 0°59.0 a -2° ant.
1° Minimo RP! Pn a ao: PA
con una escursione di 29°. 1.
La perturbazione maggiore però si ebbe nel corso della gior-
nata, e fu
2° Massimo 2° 2°.
2° Minimo 10 Pala ge:
a. 230" po
di. 9 do cane
Ud
Ut
avendosi per tal modo uno spostamento di 121', ossia di oltre
a 2 gradi; la massima di tutte quelle di cui ho avuto contezza.
All’Osservatorio di Kew, gli aghi cominciarono pure ad agi-
tarsi alla mezzanotte dal 16 al 17; e dalle curve fotografiche
del magnetografo. trasmessemi dal direttore sig. G. M. Wipple,
sì ricavano i seguenti quattro estremi principali dell’oscillazione del
declinometro :
1° Massimo 90.
1° Minimo 18.
2° Massimo 88.
9°. Minimo-—-32--6-a.-6..51 »
(Oca >;
o_O ®
=J
VI
fed
le variazioni furono rispettivamente di 71°. 3 e di 55. 7.
Da una relazione di Mascart, direttore dell'Ufficio centrale
meteorologico di Francia, risulta che a Parigi il magnetografo
indicò il cominciamento della perturbazione alle ore 11 min. 45
della sera del 16, ed un massimo di agitazione tra le ore 8
min. 30 e le ore 9 min. 30 del mattino del 17, nel qual tempo
l'oscillazione dell’ago di declinazione si era di 25°.
A Vienna, secondo le indicazioni degli apparati registratori,
la perturbazione cominciò pure tra mezzanotte ed un’ora anti-
meridiana del 17. Le ore ed i valori delle più grandi escur-
sioni dell'ago si furono:
1° Minirtio. "240860 DES An
1°. Massimo. 76.0 ale db _»
2° Minimo 18.3 a 6 38. »
2° Massimo 78.3. a 8 22. »
LE AURORE: POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 427
La differenza si fu di 52°. 0 tra’ due primi estremi, e di 60‘. 0
tra’ due ultimi.
A Buda-Pest le osservazioni magnetiche, le quali in quell'Os-
; servatorio si fanno alle 8 e 10 ant., ed alle 2 e 9 pomerid.,
| diedero anch'esse un massimo straordinario alle 8 ant. ed un
minimo alle 9 pom., e l'escursione diurna risultò :
mor gross: .i8 =18806 ;
A Klagenfurt nella Carinzia, secondochè riferisce il Dott. Hann,
direttore dell'Ufficio centrale meteorologico di Vienna, l’ago di
declinazione oscillò tra 11° 19', alle ore 6 min. 50 ant., e 10° 31/,
alle ore 7 min. 25 ant., facendo così una variazione di 48°.
Da Lisbona il Direttore dell’Osservatorio, sig. Brito Capello,
mi scrive che le convulsioni dell'ago cominciarono colà a ore
10 min. 56 della sera del 16 come all'improvviso, con un no-
tevole aumento della declinazione. Gli estremi valori tracciati dal
declinometro registratore si furono:
1° Massimo 19° 18°. 4
1° Minimo 18 46.2
5
6
5° 40" ant.
ò 58 ant.
2° Massimo 19 17. da pom.
2° Minimo 18 46.
D_ SOS NS
6 12 pom.
, I due spostamenti risultarono quindi pressochè di uguale in-
| tensità; il primo essendo di 32’. 2, il secondo di 30°. 9.
In tutti i luoghi riportati, la perturbazione terminò la sera
del 17, tra le 9 e mezzanotte.
Da tutto il resto dell’antico continente non ho altre notizie,
salvo quelle dell’Osservatorio di Zi-ka-wei nella Cina, dove pure
| si posseggono istrumenti registratori per le osservazioni magnetiche.
i L’ago di declinazione cominciò in quella regione a contur-
— barsi verso le 7 e mezzo ant. del 17, e rimase agitato fin verso
le 3.0 4 del mattino del 18. Gli estremi valori della devia-
zione dell’ago, riferiti alla media declinazione diurna, 2° ded,
6 gli istanti corrispondenti, risultarono :
Minimo .... — 60.9 a 7°50" ant.
Massimo .... + 13.9 a 2 15 pom.
con una differenza di 20'. 8,
428 P. FRANCESCO DENZA
Volendo raccogliere insieme e discutere in poche parole i
risultati innanzi esposti, comincio dal riportare un prospetto, in
cui si contengono le coordinate geografiche degli Istituti od Osser-
vatorî di Pietroburgo, Kew, Parigi, Vienna, Lisbona e Zi-ka-wei,
ne’ quali le variazioni dell’ago magnetico furono tracciate automa-
ticamente, epperò dànno un’intera contezza dell’andamento del
medesimo durante l’aurora. Vi aggiungo ancora l’Osservatorio di
Parma, in cui, come è stato detto, si tenne dietro al declinometro
assai di frequente:
Latitudine Longitudine
Nord da Greenwich
Stazioni
Pietroburgo . 59° 56 DR> SP
eo Re eo oo DR:
Porci sand, 00 0. E
Waéinapo nie, do) 48043 Lil 16
Parma, 44938 PISTE
Mishonat:.. 088. do O OTTO
Zi-ka-wei , . 81 12 8 6E
Innanzi tutto, ponendo insieme i valori della variazione della
declinazione ottenuta il 17 nelle suddette stazioni, disposte per
ordine di latitudine, si ha:
Pietroburgo ug. ol. ico 2 L0g
ORE NOTO dea
Menna cat)
Para thai
TARDO, e e RR OLO
Li-carWei.. e doh buo dl. 8
Si è esclusa Parigi, perchè il valore assoluto della variazione
non risulta chiaro dalla relazione del Mascart.
Codesto prospetto pertanto addimostra ad evidenza, come nel-
l'emisfero orientale la intensità della concitazione del magnetismo
terrestre decrebbe colla latitudine, nella stessa guisa che i fe-
nomeni luminosi nell’opposte emisfero ad occidente; e la diminu-
zione addivenne sempre meno rapida procedendo dal Nord al Sud.
(
i
|
|
|
i
3
È
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 429
Soggiungo ora gli istanti, nei quali in ciascuna delle anzi-
dette stazioni, salvo Parma, cominciò e finì l'agitazione dell’ago.
Essi sono espressi in tempo medio di ciascun luogo e di Greenwich ;
e per maggior omogeneità si è contato il giorno astronomica-
mente da un mezzodì all’altro.
Principio, t. m. Fine, t. m.
Stazioni _— 1r ll ——
del luogo di Greenwich del luogo di Greenwich
we — FTT‘
16 Aprile 17? Aprile
= rr SP n = PT__6_rFrt_P__P_,,®Cr°
{3h — 14h | gin — 12h [13h — 14h] {1a — 125
fiano PV 15 Me di
I PRETI EV N 1g |to — 55
fifsnoni 6.002. Pao — 56 20 9 GR Hg
Zi-ka-wei ......... ET 30 16 raphi
Da questi valori si inferiscono le seguenti considerazioni, di
non lieve importanza:
1° La perturbazione magnetica investì tutti i luoghi quasi
nello stesso istante, dalle 11 a mezzanotte del 16, in tempo
medio di Greenwich; contro ciò che avvenne pei fenomeni luminosi.
Essa perciò, in tempo di ciascun luogo, andò ritardando da
occidente ad oriente. A Lisbona, stazione più occidentale, cominciò
prima delle 11 della sera del 16; mentre a Zi-ka-wei, paese
più orientale, ebbe principio alle 7 e mezzo del mattino del 17.
2° La perturbazione magnetica precedette di tre o quattro
ore il primo apparire dei fenomeni luminosi ad occidente, che
ebbe luogo, come è stato detto, dopo le 3 del mattino del 17.
3° Essa finì dovunque nella notte dal 17 al 18; epperò
molto più tardi delle apparenze luminose. Terminò prima nei
luoghi più meridionali, dove era stata meno intensa, e poi man mano
nei più settentrionali, dove si era sentita con maggiore energia.
Gli istanti, nei quali accaddero gli estremi assoluti dello spo-
stamento dell'ago nelle stazioni studiate, ridotti in tempo medio
di Greenwich, si furono :
430 P. FRANCESCO DENZA
17 Aprile.
Pietroburgo . 7° 2%" ant. — 12° 29" pom.
ew lgi L05D » —. 7 32 ant.
Part (0) a. 282 » — 9 21 _»
Nibiinali . >. |-.5. (38 f \sifoeeS 7 L71005
Tasbona kt; |u6rd4Za sr no 60) 95 da
Zi-ka-wei. . 11 44 pom. — 6 9. »
La maggior perturbazione magnetica incominciò quindi in
Europa tra le 5 e le 7 del 17, tempo medio di Greenwich;
mentre cioè nell’ emisfero occidentale perdurava la massima inten-
sità delle parvenze luminose. Alquanto ritardo si ebbe a Parigi,
dove peraltro le indicazioni non sono troppo sicure. A Zi-ka-wei
anticipò ; giacchè in questa stazione la burrasca magnetica fu
avvertita meno che tutto altrove, per causa della sua distanza dal
centro di azione, sia in latitudine come in longitudine; ed i due
estremi della variazione non furono che gli estremi diurni alquanto
esagerati, il minimo alle 7 ore 50 min. del mattino, il massimo
alle ore 2 min. 15 di sera.
La perturbazione secondaria annotata nella più parte delle
stazioni, accadde alle ore seguenti; accanto alle quali poniamo
il valore della corrispondente escursione.
Escursione secondaria
re x..ii lu. e
ORA VALORE
Pietroburgo ..| 0 59m ant. — 1 59mant. 27
Rimor... Ra 2 53 pom. — 6 53 pom. 50. 7
VIGNNA LC. gra 4 23 ant. — 5 40 ant. SY A,
Lisbona ......{ 2 40 pom. — 6 49 pom. 30. 9
NB. Il valore dello spostamento di Pietroburgo è certa-
mente troppo piccolo: perchè desunto, non già dalle curve trac-
ciate dal magnetografo, ma da’ valori orarî della declinazione, i
soli inviatimi da quell’Osservatorio fisico centrale.
ME dle
"i
tI
2
4
9
SÉ
Òl
Ls
U
È
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 431
Il rinforzo di agitazione avvenuto press’a poco alle stesse ore
del pomeriggio del 17 sulle coste occidentali d’ Europa, a Kew
ed a Lisbona, potrebbe aver corrisposto ad una seconda appa—
rizione luminosa dell’aurora; ma tanto nell’antico come nel nuovo
continente, in quell'ora era pieno giorno, epperò tale apparizione
non potevasi in nessun modo vedere. Avrebbe però potuto osservarsi,
se vi fosse stata, nella Nuova Zelanda, ed in altri simili luoghi
ad oriente, dove era già notte all’epoca suddetta; ma nulla se
ne seppe.
II
Correnti telluriche.
Da tutte le comunicazioni che ho potuto raccogliere risulta,
che una grandissima parte della terra, se non tutta, fu invasa
da forti correnti: le quali propagandosi pei fili telegrafici, ne
conturbarono diversamente le comunicazioni.
Ecco un riassunto di tali notizie :
Italia.
Sino dal. giorno stesso 17, l’ Ufficio centrale telegrafico di
Torino, per mezzo del filo che lo unisce al nostro Osservatorio,
alle ore 6 min. 45 di sera, mi annunziava: « Stanotte, verso
le 3, una corrente fissa si ebbe in tutti i fili di Francia; essa
si rinnovò stamane verso le 10, ed oggi verso le 4 ».
Il Direttore generale dei telegrafi dello Stato, Comm. D'Amico,
da me interpellato, mi fece conoscere che le difficoltà della corri-
spondenza telegrafica si avvertirono soprattutto nelle linee seguenti:
Roma-Parigi Napoli-Genova
» Costantinopoli » Otranto
» Torino » Venezia
» Bari Firenze-Parigi
» Sicilia Genoya-T'orino
» Sardegna » Milano
» Bologna Messina-Catania.
Napoli-Milano
432 P. FRANCESCO DENZA
Il Prof. I. Galli, che attende a Velletri a speciali osservazioni
delle correnti terrestri, osservò nei suoi apparati delle perturba-
zioni, alle ore (t. m. di Roma):
6 pom. del 16;
tant TO Canti L'*pom: del 17;
queste ultime del 17 offrono accordo con quelle notate all’Uf-
ficio di Torino.
Francia.
« Un’ importantissima perturbazione magnetica, dice il Ma-
scart a questo proposito, si è fatta sentire in Francia durante
la maggior parte dell’ultima settimana (11-17 aprile). Le linee
telegrafiche aeree o sotterranee, in quasi tutte le direzioni, sono
state percorse da correnti accidentali; e, specialmente in alcune
ore, il disturbo arrecato al servizio era così grande, che non
era possibile trasmettere dei telegrammi che per mezzo di circuiti
chiusi, non prendendo contatto alla terra chein un punto. Le linee
internazionali hanno dato gli stessi risultati... ».
Austria- Ungheria.
Il Dott. Hann afferma che fin dal principio della perturba-
zione magnetica, nella notte del 17, si manifestarono sulla mag-
gior parte delle linee telegrafiche dell’Austria-Ungheria forti cor-
renti terrestri, le quali producevano una deviazione sino di 90°
anche sulle bussole non molto sensibili. L'azione di tali cor-
renti si poteva osservare anche sulla linea locale di Stockerau,
lunga appena 28 chilometri. La deviazione più intensa della
bussola si osservò sulla linea di Londra, nella quale essa rag-
giungeva 90°.
Alla stazione telegrafica di Klagenfurt la corrispondenza ad-
divenne affatto impossibile dalle ore 7 min. 3 alle ore 7 min. 15
del mattino del 17, massime nelle linee di Vienna, di Gratz e
di Venezia.
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 433
Inghilterra.
Dall’Inghilterra non si hanno notizie speciali; ma tutti coloro
che trattano di questo argomento affermano, che nelle linee tele-
grafiche di tutto quell’Arcipelago le perturbazioni furono intense.
Cina e Giappone.
Il sig. G. Helland, agente generale della Great Northern
Telegraph Compagnie, comunicò all'Osservatorio di Zi-ka-wei
che tutte le linee telegrafiche della Cina e del Giappone, non
escluse le sottomarine che uniscono quelle contrade, rimasero
alterate da correnti estranee, le quali impedirono non poco la
spedizione dei telegrammi.
Stati Uniti d’ America.
Dall’ Ufficio dei Segnali di Washington si annunzia che i
lunghi circuiti telegrafici, che si estendono dal Nord al Sud e
dall’Est all’Ovest negli Stati Uniti, rimasero fortemente contur-
bati. La stessa cosa viene confermata da diversi di quelli Os-
servatorî, come quelli di Eastport, Chicago, ecc.
Nuova Zelanda.
Il relatore dell’aurora osservata nelle isole della Nuova Ze-
landa soggiunge, che alle 4 pom. del 17 tutti i fili telegrafici
della colonia, ed in modo speciale quelli del Sud, furono inso-
litamente perturbati da correnti estranee. La violenza del di-
sturbo si aumentava col progredire verso mezzodì. In tutte le
stazioni del Sud si rifiutarono i telegrammi poco dopo le 4 pom.;
nè le linee poterono cominciare a riprendere i lavori che verso
le 9 di sera.
Tutte le precedenti notizie raccolte da luoghi distantissimi,
danno dritto a formulare le conclusioni che seguono:
1° Le correnti terrestri accidentali mostrarono la loro
azione in tutti due gli emisferi, orientale ed occidentale, al Nord
del pari che al Sud.
434 P. FRANCESCO DENZA
2° La loro intensità andò crescendo coll’aumentare della
latitudine in ambedue gli emisferi, boreale ed australe.
3° Esse precedettero e seguirono alquanto le manifesta-
zioni luminose dell’aurora, come le perturbazioni magnetiche; ma
perdurarono meno di queste ultime.
4° Il tempo delle maggiori perturbazioni delle correnti
telluriche, quale si può dedurre dai pochi luoghi che ne asse-
gnano l’ora, cioè Velletri, Torino, Klagenfurt ed il Sud della
Nuova Zelanda, è compreso tra la mezzanotte e le 9 ant. del 17,
in tempo medio di Greenwich ; il qual tempo corrisponde'a quello,
in cui avvenivano pure le maggiori perturbazioni magnetiche ad
oriente, e la fase più intensa delle apparenze luminose ad occi-
dente. i
L'aumento nella corrente osservato al mezzodì del 17 a
Velletri ed a Torino, va d’accordo con quello della perturba-
zione magnetica avuto a Kew ed a Lisbona.
5° La burrasca elettro-magnetica esercitò questa volta la
sua azione su’ fili d’ogni sorta, lunghi e corti, ed in tutte le
direzioni; con qualche prevalenza però delle lunghe linee, e delle
direzioni secondo il meridiano magnetico od a questo normali.
Nulla perciò si può conchiudere a questo proposito.
Il Mascart afferma che il suo elettrometro registratore a Pa-
rigi non ha indicato alcuna perturbazione che possa riferirsi al
fenomeno elettro-magnetico.
Il nostro elettrometro di Moncalieri subì un notevole e pro-
gressivo aumento da 1 ora pom. alle 8 pom. del 17; cioè:
Da 1° pom. a-3° pom. aumento + 12°, 8,
Sr » 6 » » + 4. 8,
» 6 » 8 » » bi La:doi
ed alle 9 pom. ricadde di 32°. 6.
Non oso ascrivere una tal variazione dell’elettricità atmo-
sferica al fenomeno di cui parliamo; ma neanco si può dire in
modo assoluto che questa sia rimasta del tutto indifferente.
||| I, ro [ET TTT
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 18892 435
DV.
Attività solare.
Non posso terminare la descrizione dei fatti che si avvicen-
darono durante l’aurora del 16-17 aprile, senza accennare ad
un altro fatto di ordine, in apparenza, diverso; ma che cogli altri
descritti ha intimo nesso, e ne è anzi la causa potissima. Intendo
parlare delle convulsioni avvenute nel sole in questo tempo.
Agitatissima si fu la superficie solare nei giorni, nei quali av-
vennero sul nostro pianeta gli sconvolgimenti elettro-magnetici,
di cui ho tenuto parola.
Sino dal 13 aprile una macchia di insolita grandezza ap-
pariva sul lembo orientale del sole al grado 29"° di latitudine
Sud; ed attraversò nei giorni appresso l’intero disco, senza rom-
persi nè diminuire sostanzialmente in grandezza. Nella serie delle
fotografie solari che si posseggono all’Osservatorio di Greenwich,
non si aveva sinora nessuna macchia che raggiungesse la metà
dell’area occupata dalla macchia suddetta.
Il 14 aprile, un po’ innanzi a questa, apparvero altre pic-
cole macchie, le quali subirono notevoli cangiamenti nei giorni
seguenti. Nel 16 e 17 queste crebbero di grandezza in modo al tutto
singolare ; ed il 18 l’area totale di questo nuovo gruppo divenne sol
di poco inferiore a quella della gran macchia. Difatti due delle
macchie componenti il gruppo si sarebbero potuto vedere age-
volmente ad occhio nudo; per modo che il sole offriva in tal
tempo lo spettacolo affatto insolito di tre macchie insieme riu-
nite, ciascuna visibile separatamente senza l’aiuto di telescopio.
La macchia più grande si estendeva su di un’area lunga
108 mila chilometri e larga 77 mila.
Oltre a’ due suddetti gruppi di macchie, ve ne aveano altri
otto minori sulla superficie solare nel giorno 16 aprile: tutti
poco discosti dall'equatore. Nel complesso si contavano 111 mac-
chie, tra grandi e piccole; delle quali il gruppo più copioso ne
conteneva 54.
Sino dall’apparire della grande macchia del 13, comincia
rono nei nostri Osservatorî le agitazioni degli apparati magnetici,
436 P. FRANCESCO DENZA - LE AURORE POLARI ECC.
i primi a risentire l’influsso dell’attività solare. Esse si accreb-
bero nei giorni appresso coll’aumentarsi del numero e della gran-
dezza delle macchie del sole; ed, insieme con queste, toccarono
il massimo di energia nel 16-17, aggiungendosi alle consuete mani-
festazioni dell’elettricità tellurica ed atmosferica.
Le considerazioni a cui dànno luogo i fatti descritti, saranno
esposte man mano, dopo che avrò trattato nelle Note seguenti
degli altri consimili fenomeni occorsi nell’anno medesimo 1882.
437
Il Socio Cav. Prof. Galileo FERRARIS presenta e legge la
seguente Nota del Dott. Nicodemo JApanza, Prof. di Geodesia
nella R. Università di Torino,
SOPRA
ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI
COMPOSTI DI DUE LENTI.
I sistemi composti di due lenti, che più spesso occorrono nello
studio degli strumenti diottrici, sono quelli conosciuti col nome
di oculare di Ramsden, oculare di Campani, sistema obbiet-
tivo, sistema per raddrizzare le immagini, ecc. Il modo di
trovare i punti cardinali di tali sistemi composti, ed il loro modo
di agire sono indicati nei libri che parlano dei cannocchiali se-
guendo la nuova teoria di Gauss (*).
Una discussione completa di codesti sistemi manca, e cre-
diamo non inutile l’occuparcene, tanto più che il metodo geo-
metrico non sembra il più adatto a tale genere di ricerche.
Indicando con
E, ’ Ho, FF, , di
i punti cardinali della prima lente, e le loro ascisse, cioè i due
punti principali, e i due fuochi principali e le loro ascisse e
con ©, la sua distanza focale principale, ed analogamente con
e Pia la da MOT A
i punti cardinali e la distanza focale principale della seconda
lente, i punti principali del sistema composto delle due lenti e
la distanza focale principale saranno dati dalle seguenti formole :
(*) Vedi Galileo FERRARIS, Le proprietà cardinali degli strumenti diottrici,
438 NICODEMO JADANZA
25, E,—E®
DES DI 2 I pn “- FE PA i 2 i
E E I < Di FF, 9 E 2 Lig gi Fil
sita
Ù _ FF,
Ponendo per brevità
A=E, E,
le formole precedenti diventano
A A
== O ° di E, D,
E Liga eni i rara |
pa
(== Pi Pa |
O, tr Di — A
Se indichiamo con d, e d, le distanze dei punti principali
nelle due lenti, cioè se si pone
i,=Ek E. b=Lbe44
e con d la distanza dei punti principali del sistema composto, cioè
d=E -—E
sì avrà
i=d,+d 2 2
i ipa e . OO
Supponiamo dapprima le due lenti convergenti, cioè 0, e %,
amendue positive. È
Il sistema composto non potrà essere convergente se la quan-
tità 0,+9, —-A=F," —F, è una quantità negativa, cioè se,
procedendo sull’asse del sistema nel senso della luce s’incontra
prima F," e poi F,; dunque perchè un sistema composto di
due lenti convergenti sia convergente, dovrà essere
F,-F,>0,
ossia, procedendo sull’asse (sulla retta cardinale) nel senso della |
luce, si dovrà incontrare prima 7, e poi F,°.
Esaminiamo alcuni sistemi convergenti formati con due lenti
convergenti.
vot = ro Por rgrerTo: Tr ei
VETTE ro pre
SOPRA ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI DI DUE LENTI 439
I.
Sia
POESIE AdS DAR (3)
ovvero P+9,>24 .
I punti principali si troveranno amendue dentro il segmento
E, E, se si verificheranno le condizioni seguenti
A A
o———>4, phi o dg
‘'pitg. A Pot, AT
A A
3 =“ Ae uber AE
oto, A Pao, +p.— A — uh
dalle quali si deducono le altre
d, (9,+-9.) d, (9, +%.)
- I U A
SROSORE , egrer
A A(p,-d,)-d,(0,+9.)<0 ; \
A°_ A(p,-d,)—d,(p.+9,)<0 ;
Nella maggior parte dei casi è quasi sempre possibile sup-
porre d,=d,, allora supposto 9,>9,, le quattro condizioni
precedenti si riducono alle due seguenti:
Quebelpeizzoo Pai Vione (5).
A°-A(p,-d,)—d,(p,+9.)<0
Se si osserva che A dev'essere sempre positivo, la seconda
delle (5) mostra che A dev'essere minore della radice positiva
della equazione
A*-A(9,—d,) e d, (9,+ q,)=0 rn a (6)
e quindi le (5) si mutano nelle altre
a Dot) |
ep RI SA POE (7).
d<3|@- 24 +47] |
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 3I
440 NICODEMO JADANZA
I fuochi del sistema composto saranno dati dalle equazioni
seguenti :
le quali mostrano che nel caso di 9, >%,, essì saranno sempre
fuori del segmento E," E, se si avrà 0,>A.
I punti principali si succederanno nell’ordine E, E", oppure
nell’ordine £*, £ secondo che si avrà
2
d+d,> ra
oppure RERE AS
+9, A
ossia, si succederanno nell’ordine E, £° se si avrà
A-PA(d,+d,)—-(d,4+d,)(0+0)<0 2,2% (8)
e nell'ordine £*, E se
A"4+-A(d4,4+d,)—(4,+d4)(9,+9.)>0 ...:. (97
I risultamenti precedenti si possono costruire geometricamente.
Fig. 41.
Prendiamo sulla retta indefinita AE , i segmenti AB=%,,
BC=%,, CD=d,, DE=d,. Se sulla AD come diametro
SOPRA ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI DI DUE LENTI 441
descriviamo mezza circonferenza e dal punto © innalziamo la
CP perpendicolare al diametro si avrà evidentemente
CP=(9,+ Q)d, .
Se si descrive una circonferenza avente per diametro BY=@,— d,
e si unisce il punto P col centro di quest’ultima, la P@ sarà
la radice positiva della equazione (6).
Condotta la PA parallela a A£ fino ad incontrare la tan-
gente in B al circolo BF, si descriva un circolo avente il
centro su di AE e che passi pei punti It e D, questo circolo
incontrerà in H la AE e sarà
quindi le condizioni (7) saranno soddisfatte se A sarà compresa
ta BH e, Pf:
Prolungando la CP in M fino ad incontrare la circonferenza
avente per diametro A£É, si avrà
CM =(0,+9,)(4,+4,) ,
e se si unisce il punto M col centro del circolo avente per
diametro CE=d,+d, la MN rappresenterà Ja radice positiva
della equazione
A°+A(4,+4d,)-(d4,+4,))(f+0,)=0 ..... (a)
e quindi i punti principali si succederanno nell’ordine E, E°
se si ha AMN.
I sistemi composti di due lenti convergenti, che ora abbiamo
esaminato si adoperano sotto il nome di oculari positivi o di
Iamsden nei cannocchiali che fanno parte degli strumenti astro-
nomici e geodetici.
Se si prende A=-M N, i due punti principali coincideranno.
In tal caso il sistema diottrico composto agisce come una sem-
plice lente, i cui punti principali si riducono ad un solo, cioè
al centro ottico del sistema composto (*).
(*) Il centro ottico di un sistema composto è definito dalla equazione
Egg + Ev ;
RI Pa
da
442 NICODEMO JADANZA
Ordinariamente le distanze d,, d, sono piccolissime rispetto
alle distanze focali di ciascuna lente e sarà sempre possibile fare
in modo che il valore della radice positiva della equazione (a)
soddisfi alla seconda delle (7). Inoltre, siccome possiamo sup-
porre d,=d,, perchè sia soddisfatta anche la prima delle (7),
dovrà essere
RE I Ola siente
vd, at 2 d, (p.+ 92) d, FE porte 0,+d,
donde, dopo facili riduzioni si deduce
29,+9,4,>d,0,
ovvero
2°
È ig
PZ Pat 7
Alla quale ultima condizione si può soddisfare prendendo
per ©, valori minori, eguali, ed anche maggiori di %, .
Adaunque è sempre possibile costruire un sistema di due lenti
(un microscopio semplice) tale che i suoi punti principali sieno
coincidenti.
La costruzione geometrica fatta I, ciente si sempli-
fica in questo caso. Basta descrivere la circonferenza C NE sul
diametro d,+d,= CE e la semicirconferenza AME sul dia-
metro AE=9,+9,+d4,+4d,. Condotta la CM perpendicolare
ad AE e la MD che unisce il punto M col centro del cir-
colo CNE, si avrà in MN la distanza £,' E, che soddisfa al
problema.
II.
Sia
F-F, <. EEK italo (10)
ovvero
vt 9, <24
Poichè si ha
. E= LE, + 1a — E usi
urna +g,- À gt 9g. A
= E44 o ———— T—— g;-d
dial to TU
aa
SOPRA ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI DI DUE LENTI 448
il primo punto principale cadrà a destra di /,° se
i RAT
| ossia se TA \
0,44) (0,10
A TI I TI 12).
dati “ai Ses n ER (11)
e poichè
GIS
5 Da TOA i —E,+ d,— O, ————
A et du Di
il secondo punto principale £° sarà a sinistra di £, se:
2
die E
I "0 +9,— A
I donde si deduce en
Jh_faBik Led: » co pisogni, el (12).
0,+-d,
La condizione data precedentemente non è distinta dalla (11),
cioè la (12) è verificata sempre che si verifica la (11). Infatti
dalla (12) e dalla (11) si ha rispettivamente
A “ d,
p+9, +4,
A d
= O,4t I
+9. 29,+d,
e quindi basta far vedere che si ha sempre
id Lqgtd,
Qt d, 29,+d, |
Dalla diseguaglianza precedente si deduce
d, D, È Da (0, E d,)
e questa essendo sempre vera per valori di d, eguali. o minori
di 9,, ne segue che la (12) è compresa nella (11) sempre che
si ha A
i d,=%,
ché noi supponiamo sempre verificata.
444 NICODEMO JADANZA
Poichè
pe lio ir gal e le tao ia
ar ag Se e A
ovvero
EE Rapa tal do:
RO
il secondo punto principale cadrà a destra di £,° se si ha
A+d —_
LE Ore er
ossia se è soddisfatta la condizione
A°-(p—- d)A-d(0,+9.)<0 ..... (13)
la quale importa che A sia minore della radice positiva della
equazione
A°-— (p,-d,)A—-d, (0, + ©.) =0
1
A<3|o-d+V.+4)+449.|.
Supponiamo A>d,+4,, ed allora la (2) mostra che i
due punti principali si succedono nell'ordine £°, E. Ponendo
d=—(E°— E), cioè
d= ib IR (4, +d,)
e quindi sia
sì avrà sempre d>0 .
Inoltre, poichè
F=F+9=E+9—-(E-E)=E4+9—d
sarà
E=F4d—%
e quindi il primo punto principale sarà a destra del secondo
fuoco principale se si ha
o0 ... (14)
SOPRA ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI DI DUE LENTI 445
la quale è soddisfatta se A è maggiore della radice positiva
della equazione
+(d,+d,)A — [o, 9.4 (4,+-d,)(9,+9,)]=0
cioè se si ha
A>3|V@A+ (A+ A+ (+e »)) +49, 9. ( (4+4,|.
Essendo
sarà
EF_F-29_-(E-E)=29—d
e quindi il secondo fuoco sarà a destra del primo se
20>d
ovvero se
9 di 1,+d,)
“a 0
i = (44+-4,) ,
donde
A°4(d,4-d,)A—[(4+d,)(p.+9.)+29,9.]<0 ...(15),
sicchè A dovrà essere minore della radice positiva della equa-
zione
A?4 (d4,+-4,)A —[(4,+-d,)(p,+9.) +29, 9.]=0
cioè dovrà essere
A ; | V(a+ d,)(d,+ d,+ 4 (0,+ p.))+ 89,9, (d,.t d)] È
I punti cardinali del sistema che abbiamo esaminato si suc-
cederanno adunque nell’ordine
_ Il secondo punto principale E", come si è detto innanzi,
cade dentro il segmento E," E, ; per fare che il fuoco /' sia
446 NICODEMO JADANZA
anch’esso entro quel segmento, sarà sufficiente soddisfare all'altra
condizione .
Rig Er Te (16)
O,4- Pa A
la quale si ottiene, osservando che si ha
vespri ott
PZA}
oVyero
A—g A— n,
Pep4g eat
lega | ul 0,40, A ( ta
La (16) si riduce all’altra
A-(g,-d)A-(d(p.+9.)+9.9.)<0 AR
” stilanes Qulia craqist @
sip A<5|(p d)+V@.+AF+49,(A.+9)] ---(18).
Se le due lenti sono tali da poter considerare d,=d,, le
condizioni precedenti si semplificano e diventano
d.(9,+-9.)
I DV 00 E
Aland A<3|p-d4V(.+4}+44,g.|
A >Vd,}d,+ 2 (p.+-9.) (+ o, 9,—d,
separata]
A9,d, .
La posizione dei due punti principali sarà data da
a=d,+d,—
?
I
e quindi essi sì succederanno nell’ordine E, E" se
d4+d>&
0,
ovvero se
0<0,(4,+4d,) .
Adunque il secondo punto principale cadrà a sinistra di £, ,
e si troverà a destra di £ se si avrà
9,d,<0<4,(d4,+-4,) RPREOR 1.1:
dla
x
448 NICODEMO JADANZA
Poichè
E=E-p=E—0;=E, ; P=E4o= Et
ovvero P-—®P,—- Pd,
o er e
P,
2
ne segue che il primo fuoco coincide con £,, ed il secondo
fuoco cade sempre a destra di £: quindi i punti cardinali del
sistema composto si succedono nell’ordine
F, E. F', F6
ed il sistema si comporta come una sola lente la cui distanza
focale sia @, .
2
Di,
Se si ha d,=* , la distanza dei punti principali sarà
eguale a d,, cioè il sistema composto produce lo stesso effetto
della seconda lente di cui esso è composto.
Si potrà sempre fare in modo che i due punti principali
E, E° coincidano; basta determinare 0, o ©, in modo che si
abbia o=9;(d-4+d,) | _ sia (24).
Se la lente, la cui distanza focale principale è ©, è data,
si potrà prendere per d, un valore eguale a d, o poco diffe-
rente da questo e determinare ©, dalla (24).
Altrettanto si farà se è data 0,.
Volendo risolvere graficamente la questione di cui ci occu-
piamo, si prenda su di una retta indefinita un segmento A B=%,
Fig. 2.
e poi due altri segmenti BO=d,, CD=d, e si descriva una
mezza circonferenza sul diametro AD, la perpendicolare BE
al diametro AD sarà 9, .
SOPRA ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI DI DUE LENTI 449
Se è data ©,; allora dal punto B, preso ad arbitrio su di
una retta indefinita, s'innalzi a questa retta una perpendicolare
BE=, e sulla retta data si prenda BD=d,+4d,, il circolo
. che ha il suo centro sulla BD e passa pei due punti D, È
determinerà il segmento AB=%,.
Supponiamo ora @,>?,, e i due punti principali si succe-
dano nell’ordine E", E, e poniamo
Peng LUME (4,+d,)
I
come si è visto poc'anzi, il punto Y coinciderà con €, ed il
primo punto principale £ cadrà a sinistra di £,
Poichè ELE ( LELE, )
g
ariche il secondo punto principale cade sempre a sinistra di £,
e siccome si ha anche .
r=E-(£ i) ene E,
ovvero 3
Frode.)
D
il punto E° sarà a sinistra di E, se si avrà
Px-99—- 9 (d,+4)>0 a (25)
ossia se 9, è maggiore della radice positiva della equazione
PP 9-9 (dA,+d,)=0
Inoltre, essendo
E=PF+E=FE-9=F'+d—-qg=F"+d—p,
il primo punto principale sarà a destra del secondo fuoco 7" se
d>o,
ossia se
450 NICODEMO JADANZA
oyvero
pil DD, Di (d,+ d,) >0
che è identica alla (25) (come era da prevedersi).
1l secondo 20 I° sarà a destra del primo, se la quantità
FF
sarà una quantità positiva.
Ora è
F-F=20,-d ;
quindi, i punti cardinali del sistema composto si succederanno
nell’ordine
Lea DA NERA citati 7;
se si avrà
29,>È 2 (d,+4d,)
cioè se
Va 2 OD, Di (dA d,) 0, i (26)
ovvero se @, è minore della radice positiva della equazione
0, —-2 Di DT D, (d,+ d,) =
Il sistema composto di cui ci occupiamo funziona adunque
come una semplice lente di distanza focale ©,. Ha però un
vantaggio sulla lente semplice, e tale vantaggio è che il segmento
che comprende i punti cardinali è più corto di quello corri-
spondente alla lente semplice. Infatti, nel sistema composto i
punti cardinali sono tutti compresi nel segmento E" E, mentre
nella lente semplice che ha la stessa distanza focale, il segmento
che contiene i punti cardinali è uguale a 29,+d,, ed è evi-
dente che si ha
d<29,4+d, ,
giacchè la precedente diseguaglianza è compresa nella (26).
Quando è data ©, le due diseguaglianze (25) e (26) danno
due valori tra i quali dev'essere compreso %, per poter ottenere
un sistema composto convergente della forma ora descritta. Vo-
lendo risolvere la stessa questione graficamente si prendano su
SOPRA ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI DI DUE LENTI 451
di una retta indefinita i segmenti AB=b =, e CD=d,+d,
e si descrivano i circoli aventi per diametro AC, BC, BD.
Condotta nel punto C la tangente CM fino ad incontrare la
semicirconferenza BMD, e condotte le rette MON, MBN'
che congiungono il punto M coi centri 0, B dei due circoli
BC, AC, il valore di ©, dovrà essere compreso tra MN, MN d
Quando sia data la distanza focale @, di una data lente e
si voglia trovare un’altra lente di distanza focale @, tale da
soddisfare alle (25) e (26), si avrà
uil sla 27
li "E HI peer A ( )
lo) 2
Li RIE PEGLI, 28).
PSG+d+4, |
Sicchè innalzando dal punto B di una retta indefinita una
perpendicolare ad essa retta di lunghezza BP=%,, e pren-
dendo BO=9,, CD=d,+d,, DE=0,, se pei punti Pe D,
e P ed E si fanno passare due circoli aventi il loro centro sulla
452 Ì. NICODEMO JADANZA
retta BOE, questi determineranno due segmenti BK, BH
tra i quali dev'essere compresa la distanza focale 9, .
Fig. 4.
MK B CI D E
È notevole il caso in cui si abbia
o_o (A + d)=0 4. (29)
poichè i punti £*, F coincideranno tra loro, come pure i punti
F° ed E. In questo caso A=%, sarà uguale ad M N, vale a
dire al più piccolo dei valori che poteva ottenere. È chiaro
quindi che questo sistema è preferibile come sistema di rad-
drizzamento delle immagini nei cannocchiali terrestri, perchè ac-
corcia di più il cannocchiale. Inoltre, per mezzo della equazione
(29), è sempre possibile determinare 9, in modo, che il sistema
agisca come una lente di assegnata distanza focale 0, .
IV.
Delle due lenti, di cui si compone il sistema composto, sup-
poniamo che una sia convergente, l’altra divergente, e che la
distanza focale della lente divergente (in valore assoluto) sia
maggiore della distanza focale della lente convergente.
Poichè ©, è negativa, si avrà
Pi Pa
D, To 0, — À
quindi, essendo F,'T—F,<0 , il sistema così composto sarà tale
che percorrendo la retta cardinale nel verso della luce s’incon-
trerà prima /,°, poi F,.
der ’
SOPRA ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI COMPOS 1 DI DUE LENTI ‘453
In questo caso si ha
A
—k#b—-® ——T_ ; -E° —--
E E, ip —g,+A ? E — Apo, A
2
d-=E-E=d4d+4+d4 ——_ ;
+ p, +4
quindi i punti principali si succederanno sempre nell’ ordine
E, E', e la loro distanza sarà sempre maggiore di d,+d, (esclu-
diamo il caso in cui la lente divergente sia convesso-concava).
Il primo punto principale cadrà sempre a sinistra di £, , ed
il secondo, poichè si ha
le it (bpein
} ua
ovvero >
E=E+A4+d,+d,—®0®,———T_ ,
Q—-P+- 4
sarà anche a sinistra di E, se
A
A+(d+d)d,+d,
e poi dovrà essere verificata l’altra
io, —(d4,+d){'-4(d4,+4d)(0,-2,)>0
Ovvero
(0,+d,+d,)}-4(d,+d,)0,>0 .
Se è dato ©, dovrà essere sempre
(p,+ d,4+-d,)
CA VI IN TULI (d+d) i. astoaa (32).
I fuochi principali sono sempre l’uno a sinistra, l’altro a
destra del sistema delle due lenti, e sono più o meno lontani
secondo il valore che assume ©. Il valore di 9 sarà maggiore,
eguale, o minore di , secondochè è
A<2@,-9,
SRG
Ba E,
x
E il primo caso, che si presenta comunemente, giacchè un
sistema composto della forma che abbiamo ora considerato, si
usa come obbiettivo nei cannocchiali per rendere incolore le im-
magini.
Torino, Aprile 1883.
455
Lo stesso Socio FERRARIS presenta e legge la seguente Nota
del Dott. Scipione Cappa, Assistente alla Cattedra di Meccanica
ed Idraulica nella R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri in
Torino,
SOPRA L’ EQUILIBRIO
DI UN
SISTEMA DI QUATTRO FORZE NELLO SPAZIO ©
Il chiarissimo Professore Zucchetti nel suo pregiato lavoro
intitolato : Studio relativo alla Statica dei sistemi di forze nello
spazio, che presentava alla Reale Accademia delle Scienze di
Torino nell’anno 1876 (2), accennava ad un interessante teorema
relativo all’equilibrio di quattro forze nello spazio, deducendolo
da considerazioni intorno alla rete funicolare.
Nella presente Memoria mi sono proposto di dare di questo
teorema una dimostrazione diretta ed alcune applicazioni, colla
speranza che ne venga riconosciuta la convenienza.
A questo scopo premetto un lemma ed un altro teorema.
LEMMA. — Date due rette qualunque nello spazio ed un
punto qualsiasi, si può sempre per questo punto far passare
una retta che incontri le due rette date.
Invero, basta condurre pel punto dato e per ciascuna delle
due rette un piano, la retta intersezione dei due piani così de-
terminati passerà pel punto dato, ed incontrerà le due rette date.
TEOREMA. — Se quattro forze nello spazio due a due non
compiane sono in equilibrio, una retta la quale incontri le
(1) Quest’argomento che qui si studiò coll’appoggio di considerazioni mec-
caniche, si può anche trattare geometricamente fondandosi sul noto sistema
focale. CuLmann, Statique graphique. Trad. franc. , 1880.
N (2) Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, vol. XII, adu-
nanza 19 novembre, 1876.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII. 32
456 SCIPIONE CAPPA
lince d’azione di tre di queste forze, incontrerà pure la linea
d'azione della quarta forza e le quattro forze giaceranno sopra
una superficie rigata di secondo ordine.
Immaginiamo infatti un sistema di quattro forze in equilibrio
con linee d’ azione qualunque nello spazio, e preso un punto
qualsiasi sopra una di esse si conduca una retta che incontri le
linee di azione di due altre forze. Il tracciamento di questa retta
sarà cosa sempre possibile in grazia del lemma precedentemente
stabilito.
È evidente, che il momento di ciascuna delle tre forze che
incontrano la retta così condotta rispetto a questa retta mede-
sima, considerata come asse dei momenti, è nullo, e siccome per
essere le quattro forze in equilibrio la somma dei momenti delle
quattro forze rispetto a quella retta deve essere zero, il momento
della quarta forza dovrà essere pure nullo, epperò l’asse dei
momenti dovrà intersecare la linea d’azione della quarta forza
medesima.
Se ora si immagina la superficie rigata di 2° ordine avente
per direttrici le linee d’ azione delle tre prime forze e per ge-
neratrice l’asse dei momenti considerato, dovendo la quarta forza
incontrare sempre questa generatrice, si troverà sicuramente sulla
superficie di 2° ordine immaginata che sarà un’ iperboloide ad
una falda od un paroboloide iperbolico.
In virtù di questo teorema si può dire che lo studio del-
l'equilibrio di un sistema di quattro forze nello spazio, equi-
vale allo studio dell’ equilibrio di un asse a cui sono applicate
quattro forze.
Ciò premesso, veniamo alla dimostrazione del teorema enun-
ciato dal Prof. Zucchetti in questi termini: « Per un sistema
di quattro forze in equilibrio nello spazio si può costrurre
una infinità di poligoni funicolari quadrilateri chiusi.
Siano A, P, A, P, A; P; A, P, le linee d’azione di quattro
forze in equilibrio così disposte nello spazio che due qualunque
non si incontrino, e sia 01230 il poligono di queste quattro
forze, il quale, per essere le forze in equilibrio, sarà chiuso. —
Per un punto qualunque #7 della linea d’azione di una forza,
p. es. della P,, conducasi la retta HXY che incontri in K ed I
le linee d’azione delle due altre forze P, e P,; questa stessa
retta, in virtù del teorema precedente, incontrerà eziandio in un
_ V—-_—c
SOPRA L'EQUILIBRIO DI UN SISTEMA DI QUATTRO FORZE Ecc. 457
punto L la linea d'azione della quarta forza P,. Per un altro
punto qualunque H' della linea d’azione della prima forza P,
conducasi una seconda retta H' X' I che incontri in X' ed J' le
linee d’azione delle due forze P, P;: la stessa retta, in virtù
sempre del teorema precedente, incontrerà pure in un punto L'
la quarta forza P,.
Si costruisca ora il poligono a quattro lati chiuso e sghembo
nello spazio HIK' IL H:; questo poligono può essere un poli-
gono funicolare del sistema delle quattro forio Pi PIOP_PIA
Invero le tre rette A, P, HXK' K'I saranno tutte tre in uno
stesso piano determinato dalle due rette A, P,, HKIL che
si incontrano nel punto X; sarà quindi possibile scomporre la
forza P, in due componenti dirette secondo i lati contigui X'H,
K'I. Per operare questa scomposizione basterà riferirci al po-
ligono delle forze e condurre dai vertici 1 e 2, estremi del
lato 12 che rappresenta in grandezza e verso la forza P,, le
rette 10, 2C rispettivamente parallele ai lati X'H, KI.
Queste rette 1 C, 2 C si incontreranno certamente in un punto
C perchè debbono giacere nel piano passante pel lato 12 e
parallelo al piano delle due rette A, P, HXIL e le stesse
rette 1C, C 2 rappresenteranno in grandezza e verso le com-
ponenti della forza P, secondo i dué lati K'H, K'I. Si può
parimente riconoscere che ognuna delle altre forze P, P; P, giace
in un piano coi due lati del poligono HK'I L'H che le sono
contigui, epperò sarà sempre possibile scomporre ciascuna delle
forze stesse in due componenti secondo i lati contigui del poli-
gono medesimo.
Fatte queste scomposizioni si potrà sostituire al sistema delle
quattro forze P, P, P; P, un sistema equivalente di otto forze che
saranno due a dub dieta secondo i lati del poligono H XK'IL'H.
Ma è ancora facile vedere che le due componenti che cadono
sopra uno stesso lato del poligono, saranno uguali e contrarie.
Così ad es. considerando le componenti dirette secondo il lato
HL' ed assumendo per asse dei momenti il lato opposto K'I,
la somma dei momenti delle otto componenti rispetto a questo
asse K'I deve essere nullo perchè il sistema di queste otto forze
sostituite alle quattro proposte è anch’ esso in equilibrio; ma le
sei componenti dirette secondo i lati 7X', KI, IL' hanno mo-
mento nullo rispetto all'asse X'I, attesochè lo incontrano, quindi
anche la somma dei momenti delle due componenti dirette se-
DU)
458 SCIPIONE CAPPA
condo il lato H L' dovrà essere zero. Ora questo può solo av-
venire o se le due componenti stesse sono uguali e contrarie o
se la HL' incontra od è parallela alla X'7. Ma è evidente che
questa seconda ipotesi non è ammissibile perchè essa impliche-
rebbe che il poligono H K'IL'H non fosse già sghembo, ma
giacesse tutto in un piano, nel qual caso anche le rette HI,
K'L' giacerebbero nel medesimo piano e quindi anche le quattro
forze P,P,P;P, sarebbero compiane anzichè qualunque nello
spazio, come si è supposto in principio. Resta pertanto dimostrato
che ognuna delle quattro forze P, P, P; P, si può scomporre in
due componenti secondo i lati contigui del poligono HKXK'IL'H
e che le componenti di due forze dirette secondo uno stesso lato
di questo poligono sono uguali e contrarie. Segue da ciò che il
poligono chiuso e sghembo HX'IL'H è un vero poligono fu-
nicolare del sistema delle quattro forze P,P,P;P, in equilibrio
nello spazio, e siccome i punti H ed 7' dai quali si partì per
costruirlo sono punti qualunque della linea d’azione della forza
P,, si vede che di questi poligoni funicolari quadrilateri chiusi
se ne può tracciare un’ infinità.
Come poi si sono determinate le grandezze delle componenti
1C, C2 della forza P, dirette secondo i lati del poligono fu-
nicolare contigui alla forza stessa e che misurano eziandio le
tensioni di questi lati del poligono funicolare, così si potranno
trovare le componenti delle altre forze dirette secondo .i rispet-
tivi lati contigui dello stesso poligono. Unendo il punto € coi
vertici 0 e 3 del poligono delle forze, le rette C0, C3 risul-
teranno necessariamente parallele ai lati 7 L', L'I del poligono
funicolare. Invero la componente della forza P, diretta secondo
il lato HK' del poligono funicolare dovendo essere 01 uguale
ed opposta ad 1C componente della forza P, secondo lo stesso
lato del poligono, l’altra componente della forza P, secondo il
lato HL' sarà rappresentata da 00, e quindi la retta C0
dovrà riuscire parallela al lato H L'; analogamente dovendo la
componente della forza P; diretta secondo il lato K'I del po-
ligono funicolare essere la 20 uguale ed opposta a 02 compo-
nente della forza P, secondo lo stesso lato, l’altra componente
di P, secondo il lato ZL' dovrà essere rappresentata dalla retta
C3 che per conseguenza riuscirà parallela al lato YL' medesimo.
Le componenti adunque delle altre tre forze P, P; P, secondo i
lati ad esse contigui del poligono funicolare saranno rispettiva-
libia
SOPRA L'EQUILIBRIO DI UN SISTEMA DI QUATTRO FORZE Ecc. 459
mente rappresentate dalle rette 00, 01: 20,03; 30,00.
Il punto © si potrà pertanto considerare come polo ed i raggi
polari CO, C1, C2, C3 rappresenteranno in grandezza eziandio
le tensioni dei diversi lati del poligono funicolare.
Dall'esame poi dalla figura vedesi come le coppie di vertici
non consecutivi HI; X'L del poligono funicolare tracciato,
giacciano rispettivamente sopra le due rette HKLI, H'K'L'I
che incontrano tutte quattro le linee d’azione delle forze date.
Questo fatto accadrà pure evidentemente per gli altri infiniti
poligoni funicolari chiusi e sghembi che si possono tracciare pel
sistema delle quattro forze in equilibrio considerato e perciò po-
tremo enunciare il teorema nel modo seguente :
TEOREMA. — Per un sistema di quattro forze nello spazio
in equilibrio, due a due non compiane, si possono costrurre
infiniti poligoni funicolari chiusi, di cui i vertici non conse-
cutivi si trovano due a due sopra rette che incontrano le linee
d’azione di tutte quattro le forze.
Come applicazioni di questo teorema risolveremo i seguenti
problemi:
ProBLEMA 1° — Trasformare un sistema di due date forze
qualunque nello spazio in un sistema equivalente di due altre
forze di cui una abbia una data linea d'azione.
Se al dato sistema di due forze si uniscono le due forze di
‘un sistema equivalente rivolte in senso contrario, si avranno evi-
dentemente quattro forze in equilibrio, ed in virtù del teorema
dimostrato si potrà risolvere il problema come segue:
Siano A, P, A, P, le linee d’azione delle due forze date,
01.12 i segmenti che ne rappresentano le intensità e versi ed
A;P,; sia la linea d’azione di una delle forze del sistema equi-
valente che si vuole trovare. Per due punti qualunque H, H'
della linea d’azione A, P, della forza P,, si facciano passare
due rette HXKI, H'K'I che incontrino le altre due linee
d’azione A, P,, 4; P; nei punti X, I, K',I e si conducano
le rette HX', K'I, che si potranno considerare come due lati di
un poligono funicolare chiuso del sistema in equilibrio delle due
forze date e delle due che si cercano rivolte queste per versi
contrari.
Dagli estremi 1 e 2 del segmento che rappresenta la gran-
460 SCIPIONE CAPPA
dezza della forza P, si tirino le rette 10, 2C rispettivamente
parallele alle 7HX°, X I che si incontreranno nel punto C, e
si tiri ancora la retta C0. Si conduca in seguito la HL' pa-
rallela a C0 fino ad incontrare la retta H'K'I' nel punto L';
si uniscano i punti L' ed JI colla retta L'I e dal punto C si
tiri la C3 parallela alla Z'I. Il quadrilatero HKIL'H sarà
un poligono funicolare chiuso del sistema in equilibrio costituito
dalle due forze date e dalle due forze uguali e direttamente
contrarie a quelle che si cercano. Se dal punto 2 si condurrà
una parallela alla retta data 4; P; essa incontrerà sicuramente
la retta C3 in un punto 3; si unisca questo punto 3 così de-
terminato col punto 0 e per ultimo dal punto L' si guidi la
retta L'L parallela alla 03. Il sistema delle due forze rappre-
sentate in grandezza e senso dai segmenti 03, 32 ed aventi per
linee d’azione le rette L L', II sarà evidentemente equivalente
al sistema delle due forze date P, P,.
Questo problema si può risolvere con un'infinità di costru-
zioni di questo genere, le quali condurranno però sempre allo
stesso risultato.
PRroBLEMA 2° — Trasformare un sistema di due date forze
qualunque nello spazio in un sistema equivalente di due altre
delle quali una sia data in grandezza, direzione e senso.
Siano al solito A, P, A4,P, le linee d’azione delle due forze
date, 01, 12 i segmenti che ne rappresentano le grandezze e
sensi, e 32 il segmento che rappresenta in grandezza; direzione.
e senso una delle due forze del sistema equivalente che si vuole.
trovare.
Da un punto qualunque H della linea di azione della forza
P,si conduca la retta qualsiasi HX' che incontri la linea di
azione della forza P, in un punto X', e dall’estremo 1 del
segmento 12 che rappresenta la forza P, si conduca la retta
1C parallela alla HK.
Preso su questa retta 1C un punto qualsivoglia C, si pro-
iettino da esso gli altri vertici 0, 2, 3 del poligono delle forze
e dai punti H, X' si conducano le rette H L', K'I rispettiva-
mente parallele ai raggi C0, C2. Le rette HX', HL', KISsi
potranno considerare come tre lati di un poligono funicolare chiuso
del sistema di forze in equilibrio costituito dalle due forze date.
e dalle due altre che si cercano rivolte queste per versi con-
SOPRA L'EQUILIBRIO DI UN SISTEMA DI QUATTRO FORZE Ecc. 461
trarii. Ricordando ora che ciascheduna forza deve giacere in uno
stesso piano coi due lati del poligono funicolare che le sono con-
tigui, e che per conseguenza ogni lato del poligono funicolare è
l'intersezione dei due piani determinati ciascuno da una delle due
forze che passano pei suoi estremi e dall’altro lato del. poligono
funicolare che è contiguo a questa forza, è facile vedere che il
quarto lato di quel poligono funicolare sarà l'intersezione dei due
piani condotti uno, per la retta H L' e parallelo al piano C' 0 3
e l’altro, per la retta X'/ e parallelo al piano C23.
Si traccino adunque questi due piani e sia L'I la loro co-
mune intersezione; questa retta L'/I che sarà il quarto lato di
quel poligono funicolare chiuso considerato, riuscirà certamente
parallelo al raggio polare C'3 intersezione dei piani C03, 023
ed incontrerà in I ed L' gli altri due lati X'I, HL' preceden-
temente condotti. Se da questi punti /, L' così determinati si
condurranno le rette 4; P;, A,P, rispettivamente parallele alle
23, 30, il sistema delle due forze rappresentate in grandezza
e senso dai segmenti 03, 32 ed aventi per linee d’azione le
rette A; P;, A,P, sarà equivalente al sistema delle due forze
ei. P..
Anche questo problema si può risolvere con infinite costru-
zioni di questo genere che condurranno però sempre allo stesso
risultato.
Faremo per ultimo alcune osservazioni. — Se un sistema di
tre forze ammette una risultante unica, rivolgendo questa risul-
tante per verso contrario ed unendola alle tre forze del sistema,
si avranno quattro forze in equilibrio, ovvero anche due sistemi
di due forze equivalenti per uno dei quali le forze siano state
rivolte in senso contrario. È quindi facile dedurre dalle cose
esposte precedentemente che tre forze nello spazio ammetteranno
una risultante unica anche quando le linee d'azione di tutte tre
le forze siano qualunque, purchè la grandezza della terza forza
sia una certa che si può determinare colla stessa costruzione fatta
per la risoluzione del primo problema studiato. Questa risultante
giacerà poi sulla superficie di 2° ordine rigata, di cui le tre com-
ponenti sono le direttrici.
Per un sistema di quattro forze in equilibrio nello spazio
costruendo il poligono delle forze, due poligoni funicolari diversi
e proiettando dai due rispettivi poli i vertici del poligono delle
462 SCIPIONE CAPPA -— SOPRA L'EQUILIBRIO ECC.
forze, si ha un esempio di due figure reciproche (1) sghembe
nello spazio costituite l’ una dalle linee d’azione delle quattro
forze e dai lati dei due poligoni funicolari, e l’altra da due
serie di triangoli aventi per basi i lati del poligono delle forze,
e per una serie il vertice comune in un polo, e per l’altra serie
il vertice comune nell’altro polo. Evidentemente queste due fi-
gure avranno lo stesso numero di lati rispettivamente paralleli
ed ai lati, che formano un contorno chiuso in una figura corri-
spondono nell’altra figura altrettanti lati paralleli concorrenti tutti
in uno stesso punto, come per le figure reciproche piane della
Statica grafica.
(1) Il significato di questa denominazione vuole essere qui ben distinto
da quello che le si attribuisce nello studio di certe figure che si considerano
nella Geometria proiettiva.
RELAZIONE SULLA MEMORIA SERGI 463
Il Socio Cav. Prof. Giulio Bizzozero, condelegato col Socio
Comm. Prof. M. Lessoni ad esaminare una Memoria del Pro-
fessore G. SERGI che ha per titolo: « Polimorfismo ed anomalie
delle tibie e dei femori degli scheletri etruschi di Bologna »,
legge la seguente Relazione :
Lo studio è fatto su 97 tibie e 92 femori tratti dai se-
polcri etruschi di Bologna. — Due fatti importanti rilevò l’Autore
nello studio delle tibie: grande varietà di forma e platicnemia.
Questa infatti venne osservata nella misura del 43,83 per cento.
Anche nei femori vi ha polimorfismo, meno però che nelle tibie.
L'importanza del fatto sta specialmente in ciò, che si è ri-
tenuto che le anomalie delle tibie e dei femori fossero proprie
dell’ uomo preistorico, mentre qui siamo davanti all’ uomo dei
tempi storici, verso il quinto secolo avanti Cristo.
Il lavoro è interessante e diligente assai, e quindi noi pro-
poniamo ne venga data lettura per poter poi farlo stampare
nelle Memorie dell’Accademia.
LESSONA
G. BIZZOZERO
In questa medesima adunanza, udita la lettura del lavoro
del Prof. SergI, la Classe ne approva la stampa nei volumi delle
Memorie.
464
A nome del Socio Prof. Angelo GenoccHI il Socio SIACCI
presenta :
1° Il fascicolo di Giugno 1882 del Bullettino di Biblio-
grafia e Storia delle Scienze matematiche e fisiche del Principe
BONCOMPAGNI.
2° Una nota del medesimo Boncompagni: Sur deux théo-
rèmes enonces dans le Journal « Mathesis ». Liège, 1883.
3° Due note del Prof. Matteo Fiorini « Sopra la pro-
iezione cartografica isogonica ». Bologna, 1882-83.
465
Il Socio Cav. Prof. Galileo FERRARIS, per incarico avuto
dalla Classe, redige il seguente
SUNTO DELLA DESCRIZIONE
di due sistemi
per neutralizzare gli effetti dell’induzione delle linee telegrafiche
sui fili telefonici ad esse paralleli
PRESENTATA
dal sig. Alessandro E. CONTI
La prima disposizione proposta dal signor Alessandro E. Conti,
per neutralizzare gli effetti dell’induzione delle linee telegrafiche
sui fili telefonici ad esse paralleli, è indicata nella 1° figura.
Fig. 1.
In questa figura L rappresenta un filo telegrafico, P la pila, I il
tasto della stazione telegrafica mittente, 7 7° le lastre a terra.
Parallelamente alla linea ZL si ha un altro filo 7", comunicante
col suolo per mezzo di altre due lastre a terra 7 7, sul quale
sono inseriti i telefoni 7, e 7,. Per neutralizzare gli effetti
dell’induzione prodotta sul filo telefonico dalle correnti inter-
mittenti che si hanno sulla linea ZL, l’autore propone di ri-
piegare il filo 7 una o più volte come è indicato in &, per
modo che il tratto di ritorno 4 sia molto vicino alla linea L .
Calcolando convenientemente la lunghezza dei tratti di ritorno
si può fare sì che la somma delle forze elettro-motrici prodotte
466 A. E. CONTI - SUNTO DELLA DESCRIZIONE ECC.
dall’induzione su questi tratti sia uguale e contraria alla forza
elettro-motrice prodotta dall’induzione sull’intiero filo diretto F.
Questo artifizio, proposto specialmente pel caso in cui le due
linee telegrafica e telefonica percorrano i due fianchi di una
strada, permetterebbe di ottenere con un notevole risparmio di
filo ciò che già si ottiene provvedendo la linea telefonica di un
completo filo di ritorno.
La seconda disposizione è indicata nella fig. 2, ed è proposta
pel caso in cui tutti i fili debbano essere portati da una me-
desima serie di pali. La trasmissione telefonica è fatta per mezzo
Fig. 2.
di due telefoni differenziali 7, e 7, e “i due trasmettitori mi-
crofonici H, ed 77, inseriti in due circuiti locali, dei quali fanno
parte le pile P, e P, e le spirali r, +, avvolte sui nuclei dei te-
lefoni. I due telefoni sono riuniti coi due fili di linea L, ed L,
e formano, con questi, un circuito chiuso. Le variazioni delle
correnti nei circuiti dei microfoni producono nel circuito dei due
telefoni correnti indotte, le quali percorrono i fili L, ed L, in
versi opposti. La trasmissione telegrafica invece si fa per mezzo
di due correnti derivate uguali percorrenti i due fili ZL, , L, nel
medesimo verso, e quindi senza effetto sui telefoni 7,, 7,. A
quest’uopo il tasto I della stazione mittente, la pila P e gli
apparecchi ricevitori della stazione ricettrice sono congiunti ai
punti di mezzo delle spirali dei due telefoni, come è indicato in Q
nella figura.
L’ Accademico Segretario
A. SOBRERO.
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ELEZIONE DEL PRESIDENTE 469
CLASSI UNITE
Adunanza del 6 Maggio 1883.
PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY
VICE-PRESIDENTE
In questa adunanza l'Accademia elegge a suo Presidente il
Sig. Comm. Prof. Ariodante FaBRETTI, Direttore della Classe di
Scienze morali, storiche e filologiche, in sostituzione del com-
pianto Senatore Ercole RIcoTTI, a compiere il triennio dal me-
desimo incominciato.
Ascanio SOBRERO
Gli Accademici Segretari ì
Gaspare GORRESIO.
OAAMUEDA pina
ra
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% un FO VA sa tn vigon ik iva
BIAMO RI via pet)
fe ng ART.
SOMMARIO
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali,
Peano — Sulle funzioni interpolari . . +... O MOPINRE I I
Denza — Le aurore polari in Italia nell'anno 1882. + Nota prima.
L’aurora polare del 16-17 Aprile 1882. ..... 0... » 417
JapaNZzA — Sopra alcuni sistemi diottrici composti di due lenti . . » 437
Cappa — Sopra l’equilibrio istema di quattro forze nello -
SPAZIO: n IT ME E
Bizzozero — Relazione sulla ia del Prof. G..SERGI, intitolata :
Polimorfismo ed anomalie d ‘e e dei femori degli scheletri
dimascha db Bolagngis LE DPI ta )
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RISULTATI DI ESPERIENZE SULLE RESISTENZE DEI MATERIALI
INDICAZIONI
DEI SAGGI
Pilastrini fatti con due mattoni
el primo modello sovrapposti, colle
E° compresse regolarizzate me-
nte malta (Fig. 4).
Pilastrini fatti con due strati di
ttoni del primo modello e con
mattoni per ogni strato, colle
lece compresse regolarizzate me-
nte malta (Fig 5).
Pilastrini fatti con tre strati di
oni del primo modello e con
mattoni per ogni strato, colle
compresse regolarizzate me-
nte malta (Fig. 6).
Pea pezzi di lamiera di piombo
attoni. del secondo modello colle
compresse regolarizzate me-
te malta (Fig 3).
ndo modello sovrapposti, colle
compresse do Ut rg me-
malta (Fig. )
sani Inon
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Mattoni del secondo modello posti
astrini fatti con due mattoni del
489
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sE la | | sel !
Cg.| mmq Cs. Cg. ! mmq. Cg. Cg
1 | 6500) 25752) 0,25 | 11600) 0,56
2| 5700| 25752| 0,22 | 11600 0,49
0,23 | 0,52
3| 6000| 25752) 0,23 | 11600} 0,52
4 | 5800) 25752) 0,23 | 11600| 0,50
1 | 18700) 53824 0,35 | 23200| ‘0,81
2 | 20800| 53824| 0,39 | 23200| (0,90
0,37 | 0,86
3 | 19600| 53824 0,36 | 23200) 0,84
4 | 20600) 53824) 0,38 | 23200) 0,89
1 | 16500) 53824 0,31 | 29200) ‘0,71 |
2| 16100] 53824| 0,30 23200| 0,69 o
odi srt 0,31 0,71
| 3) 47001) 53824) 0,32 23200) 0,73
| 4 | 16600] 53824) 0,31 | 23200) 0,72
| 4 | 15000) 25164 0,60 | 11650 14,29 |
13000) 24516| 0,53 11350| 1115 prec!»
i 0,57 1,23
3 | fArOU) 25056 6,57 11600| 1,24
4° 14530 mei: 0,58 11600| 1,25
ar io 24840| ‘0,68 11500} 1,46
2 | 51100) 24624 0,61 | 11400|* 1,32
! | 0,67 4° |eo1y46
1 3| 18000) 25056 0,71 | 11600] 1,55
| 4°| {7500| 25056 0,68 | 14600 1,51
{ | 11600| 25056‘ 0,46 11600) 1,00
! 21) foco] 25164) 010 | 11650]: 0,86}
| | 0,42) ;.|0,92
3| 9500) 24840) 0,38 11500) 0,83
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INDICAZIONI #8|2_|g&/Pislcok
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| DEI SAGGI Sal T eli I
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| Pilastrini fatti con tre mattoni del | 1 | 9000) 24840| 0,36 |
| secondo modello sovrapposti, colle | |
I facce compresse regolarizzute me- | 2 8000 24300| 0,33
! diante malta (Fig. 7). 0,34
Î 3 | 9000) 24840) 0,36
4 | 8100) 24516] 0,33
Pilastrini fatti con quattro mattoni | 1 | 8050) 24840) 0,32
del secondo modello sovrapposti, .
colle facce compresse regolarizzate | 2 6820) 24732) 0,28
mediante malta (Fig. 8). 0,29
3 | 8000) 24948] 0,32
i 4| 6430) 24516) 0,26
Mattoni del terzo modello posti | 1 | 5100) 20382) 0,25 |
fra due pezzi di lamiera di piombo
(Fig. 2). 2 5200) 20296) 0,26
0,24
3 | 4000) 19780) 0,20 i
4| 5050) 20382) 0,25
Mattoni del terzo modello colle | 1 4725| 19780) 0,24
facce compresse regolarizzate me-
diante malta (Fig. 3). 2 | 5000) 19780) 0,25 Re
3| 4800) 20296 O24| 7
4 | 5100) 19866] 0,26
i dei) dei ESD |
Pilastrini fatti con due mattoni del | 1 4700| 20038] 0,23
terzo modello sovrapposti, colle facce
compresse regolarizzate mediante | 2 | 4600) 20210) 0,23
malta (Fig. 4). 0,21
3 | 3900) 19866) 0,20
4 3900) 20038) 0,19
Pilastrini fatti con tre mattoni del | 1 | 4500) 19780] 0,23
| terzo modello sovrapposti, colle facce
| compresse regolarizzate mediante | 2 | 3600) 19952; 0,18
| malta (Fig. 7). 0,2
| 3| 3900 i 0,19 |
| 4| 4200] 19866) 021 |
S Sita
|
11350) 0,71
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0,70
0,60
0,69
0,57
0,68
11550 È
11350
7110) 0,72
7080| 0,73
6900| 0,58
7110) 0,71
0,68
0,72
0,68
0,73
0,67
0,65
0,56
0,56
6900) 0,65
6960) 0,52
6900] 0,57
6930} 0,61 | |
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Pilastrini fatti con quattro mattoni | 1 4000 19780] 0,20 | 6900) 0,58
del terzo modello sovrapposti, colle |
facce compresse regolarizzate me- | 2 3600) 19780| 0,18, i 6900| 0,52
diante malta (Fig. 8). | 0,19 0,5ò
3 | ai 19952) -0;21' | 6960) 0,60
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RISULTATI DI ESPERIENZE SULLE RESISTENZE DEI MATERIALI 491
|
|
|
|
|
|
il
|
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|
3500) 19952] 0,18 | 6960) 0,50
La rottura di un sol mattone ben di frequente avveniva: o
colla manifestazione di una fenditura quasi parallela alle facce
premute, la quale talvolta era anche accompagnata o solo da
una 0 più fenditure quasi parallele alle facce medie, od anche
da una o più fenditure quasi parallele alle facce minori (Fig. 9);
o colla divisione del mattone compresso in due, in tre od in
quattro parti, come appare dalle figure 10, 11 e 12.
La rottura deì pilastrini formati con Bio mattoni sovrap-
posti si verificava: o coll’apparizione di una fenditura quasi
parallela alle facce premute e passante pei due fori di uno stesso
mattone, accompagnata talvolta da una fenditura pure passante
per due fori e quasi perpendicolare alla prima (Fig. 18); o colla
divisione del pilastrino in due o più parti presso a poco nei
modi risultanti dalle figure 14, 15 e 16. Talvolta si presen-
tavano anche alcune fenditure con direzione quasi perpendicolare
ai fori, e questo avveniva principalmente allorquando le facce
premute non erano perfettamente parallele.
«La rottura dei pilastrini formati con tre o con quattro mat-
toni sovrapposti generalmente si manifestava coll’apparizione di
fenditure in tre direzioni quasi ortogonali determinando i fori due
di queste direzioni (Fig. 17). Queste fenditure però non com-
parivano generalmente nello stesso istante, nè era necessaria la
loro coesistenza per determinare la rottura.
Le esperienze hanno dimostrato che, crescendo l’altezza dei
pilastrini, cresceva la facilità di rompersi quasi istantaneamente
per sfracellamento.
492 G. CURIONI
La quasi identità delle resistenze dei soli mattoni posti fra
due pezzi di.lamina di piombo e dei soli mattoni colle facce
compresse regolarizzate mediante malta, è dovuta al fatto della
regolarità delle facce compresse nei mattoni fabbricati con mac-
chine, come sono sempre i mattoni traforati.
Le differenze, che si riscontrano fra i valori dei coefficienti
medi di rottura dei mattoni soli colle facce compresse regola-
rizzate mediante malta ed i valori degli analoghi coefficienti pei
pilastrini fatti con mattoni sovrapposti, sembrano dovute alle
altezze dei saggi compressi, altezze che pei pilastrini sono tali
da facilitare la divisione in parti tendenti ad accelerare lo sfa-
sciamento laterale.
La differenza, che esiste fra il valore del coefficiente medio
di rottura pei pilastrini fatti con due mattoni sovrapposti ed il
valore dell’analogo coefficiente pei pilastrini fatti con due strati
di mattoni e con due mattoni per ogni strato, si deve attribuire
in parte all’essere in questi ultimi pilastrini il rapporto dell’al-
tezza alla minor dimensione delle facce compresse minore e circa
la metà dello stesso rapporto pei primi, ed in parte a ciò che,
impiegando due mattoni in uno stesso strato, una delle loro facce
non resta più libera.
A spiegare il fatto della minore resistenza dei mattoni del
primo e del terzo per rapporto alla resistenza di quelli del secondo
modello, vale in gran parte il rapporto dell’altezza del maschio
interposto ai due fori alla grossezza del maschio stesso. Questo
rapporto (ritenendo che l’altezza tm (Fig. 18), per cui il maschio
aveva grossezza costante di 12, di 18 e di 10 millimetri, era
di 28, di 17 e di 20 millimetri, secondo che trattavasi di mat-
toni del primo, del secondo e del terzo modello) ammetteva
rispettivamente i valori 2,33, 0,94, e 2; e quindi, quand’anche
i mattoni fossero della stessa qualità di terra, nessuna meraviglia
deve destare la minor resistenza di quelli del primo e del terzo
modello, per rapporto alla resistenza di quelli del secondo.
Finalmente, le notevoli differenze, risultanti dal confronto dei
coefficienti medi di rottura contenuti nella tabella del numero
3 della nota 2° con quelli stati riportati in questo numero,
portano a conchiudere: che, per mattoni fatti con terre della
stessa località e per le stesse superficie resistenti, quelli vuoti |
devono resistere meno di quelli pieni; e che questo fatto sembra
principalmente dovuto alla fragilità delle diverse parti dei mat-
RISULTATI DI ÉSPERIENZE SULLE RESISTENZE DEI MATERIALI 498
toni vuoti, fragilità che cresce col diminuire della grossezza delle
parti stesse.
3. Risultati delle esperienze su mattoni disposti în costa.
— Queste esperienze sono state divise in tre serie, e ciascuna
serie si è compiuta con quattro prove operando sopra saggi dei
tre modelli già stati indicati nel precedente numero, dopo aver
regolarizzato con malta le facce da comprimersi.
I risultamenti ottenuti sono registrati nella tavola che segue:
ail 8 | _S'siebst = /2/5/5.8
s5|3 | TE|S38|3E8 da |Sualsis
INDICAZIONI #2 | gp &|SSEl- o 8 Sg 8
s°|5Èà|é 3 | 8558/87 (20954550
DEI SAGGI CEE R S $ [9 $ s =° SS |a 3 3 ci
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; Cg. | mmq. Cg. Cg mmq. Cg Ug
attoni del primo modello (Fig. 19). | 1 | 3300 | 12992| 0,25 6032 | 0,55
2 | 3600 | 12992) 0,28 6032 | 0,60
0,23 0,49
3 | 2500 | 12760) 0,20 5916 | 0,42
4 | 2280 | 12760) 0,18 | 5916 | 0,39
attoni del secondo modello (Fig. 19).| 13300 | 9471] 0,35 5082 | 0,65
24000] 9471] 0,42 5082 | 0,79
0,38 0,71
3|3500]| 9307) 0,38 4994 | 0,70
4|3600| 9430, 0,38 5060 | 0,71
—_—_T_—_;||—-.——
ttoni del terzo modello (Fig. 19). | 1 | 4300 | 11800) 0,36 6608 | 0,65
2 | 4375 | 11600) 0,38 6496 | 0,67
0,36 0,64
3 | 4050 | 11350) 0,36 6356 | 0,64
44000 | 11600) 0,34 6496 | 0,62
La rottura si è manifestata in tre distinte maniere: o con
una fenditura quasi perpendicolare alle facce premute (Fig. 20)
passante pei fori; o con una fenditura per cui una delle parti
delle facce maggiori, distaccandosi dal maschio di mezzo, s’in-
494, G. CURIONI - RISUL'LATI DI ESPERIENZE ECC.
curvava mostrandosi convessa verso l’esterno (Fig. 21); o con
una fenditura quasi parallela alle facce premute (Fig. 22).
4. Conclusioni risultanti dalle riportate esperienze. —
Le conclusioni, che ad evidenza si deducono dalle riportate espe-
rienze, sono:
1° Che le prove sopra saggi di un sol mattone, colle facce
compresse regolarizzate mediante malta, dànno risultamenti mi-
gliori di quelli che si ottengono sopra pilastrini degli stessi
mattoni colle facce compresse regolarizzate nell’identico modo e
coll’interposizione della medesima malta fra i giunti;
2° Che la resistenza alla rottura per pressione dei pi-
lastrini, formati con mattoni sovrapposti della stessa provenienza,
va diminuendo col crescere della loro altezza;
8° Che la resistenza alla rottura per pressione dei pi-
lastrini, formati con mattoni sovrapposti e con un sol mattone
per ogni strato, è minore dell’analoga resistenza dei pilastrini,
formati con un egual numero di strati, ma con due mattoni per
ogni strato;
4° Che i medesimi mattoni compressi di piatto, ossia sulla
loro faccia maggiore, presentano una maggior resistenza che non
quando sono compressi di costa;
5° Che la resistenza alla rottura per pressione dei mattoni
vuoti, anche riferita alle loro sezioni resistenti, deve essere mi-
nore dell’analoga resistenza dei mattoni pieni fatti con tetra
della stessa provenienza, della stessa qualità e colla stessa pre-
parazione.
Torino, 10 Giugno 1883.
-
Tav. VITI.
Tav. VIII
Il Socio Cav. Prof. G. Basso presenta e legge la seguente
Nota del P. Francesco DENZA:
LE
AURORE POLARI IN ITALIA
NELL'ANNO 1882
aratata vara ra a eat
NOTA SECONDA
L’aurora polare del 19-20 Aprile 1882.
| Dopo i giorni 16 e 17 aprile, nei quali accadde l’ aurora
.polare descritta nella Nota precedente, gli apparati magnetici
continuarono a mostrarsi concitati, comechè assai più leggermente,
e la superficie del sole rimase ancora agitata. Nulla accadde di
nuovo nel giorno appresso 18, salvo nella sera una leggera luce
aurorale annunziata dall’esperto osservatore di Alessandria. Ma nel
_ 19e 20le perturbazioni elettro-magnetiche riacquistarono energia,
ed una nuova aurora polare fu osservata nell’emisfero occidentale.
Dirò brevemente de’ più importanti fenomeni che andarono con-
giunti a questa seconda apparizione, che può riguardarsi come
complemento della prima; soggiungendo alcune brevi considera- -
zioni, che sorgono naturali dall’ esame di questo primo periodo
aurorale dell’anno 1882.
È
Fenomeni luminosi.
=. L’'aurora del 19-20 aprile si estese, come quella del 16-17,
sul solo occidente, in ambedue gli emisferi, boreale ed australe.
i. Nell'emisfero boreale, essa riescì meno diffusa e meno splendida
della precedente. Fu osservata tuttavia in luoghi molto discosti
496 P. FRANCESCO DENZA
degli Stati Uniti; cioè al Nord, nelle stazioni della Nuova In-
ghilterra ; al Sud negli Stati di Arizona e del Tennessee ; all’Ovest
verso lo Stretto di Behring, nell’Oregon.
Nell'emisfero australe riescì invece di uguale importanza di
quella del 16-17; sia per lo splendore come per l’estensione;
essendo stata vista in tutta quella regione.
Dalle relazioni degli osservatori della Nuova Zelanda si rileva,
che l’apparizione incominciò colà prima delle 7 ore di sera del
19, e si protrasse fin oltre le 11; toccando il massimo tra le
7 e le 8. Per le stazioni degli Stati Uniti non si dice altro,
salvo che il fenomeno fu osservato durante la sera del 19 e le
prime ore del mattino del 20.
Ponendo quindi mente che le stazioni degli Stati Uniti sono
comprese tra’ meridiani di 4 e di 8 ore all’Ovest di Greenwich,
e quelle della Nuova Zelanda trovansi intorno al meridiano di
11 ore 30 min. all’Est; ne segue che anche in questa seconda
aurora, come nella precedente del 16-17, i fenomeni luminosi :
1° Cominciarono dovunque press’a poco alla stessa ora
locale, cioè nelle prime ore della sera del 19.
2° Ritardarono, in tempo assoluto, coll’ avanzarsi da
oriente verso occidente, passando successivamente per le regioni
in cui fu vista, prima all’Est degli Stati Uniti, poi all'Ovest;
ed in ultimo per la Nuova Zelanda.
3° Cominciarono all’oriente degli Stati Uniti approssimati-
vamente tra un’ ora e le due del mattino del 20 ; e terminarono
all’occidente della Nuova Zelanda tra le 11 e mezzodì del giorno
medesimo, in tempo medio di Greenwich. L’aurora avrebbe quindi
potuto esser vista anche nel nostro emisfero orientale, se real-
. mente vi fosse apparsa.
I dati troppo generali ed incerti che abbiamo delle stazioni
americane, non ci permettono di aggiungere altro. ni
II
Perturbazioni magnetiche.
Le perturbazioni degli aghi magnetici si avvertirono press’ a
poco negli stessi luoghi, in cui si ebbero le altre del 16-17;
ed in alcuni risultarono meno intense o poco diverse, in altri
‘più energiche di queste ultime. -
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 497
Italia. — In Italia si annunziarono perturbazioni negli aghi,
pel giorno 20, da tutte le stazioni che fanno regolari osserva-
zioni magnetiche.
L'escursione corrispondente alle due osservazioni delle 8 ant.
. e delle 2 pom. del giorno medesimo fu nelle seguenti stazioni ;
gh_ gh
MESERO N TRURO o EI tag
Morcaliera oi, cat au
Alessandria. . ..... 21. 6
a Anno Near noie 53 9
Modensri. mica .dirra Bo ral
Barmaay strie blisi | abid9 rad
1 EL id Mb rando ent 7 0
Tanto a Moncalieri, quanto a Parma, nelle quali stazioni si
tenne dietro più di frequente ai movimenti dell’ago, la pertur-
bazione era già cominciata all’ora della prima osservazione, che
si è alle 6 del mattino a Moncalieri, ed alle 7 a Parma. Essa
continuò in seguito, toccando il massimo tra le 9 e le 9 e un
quarto; dopo la quale ora andò man mano diminuendo, sinchè
tra le 9 e le 10 di sera era quasi interamente svanita.
In ambedue le stazioni gli estremi dell’escursione dell’ ago
accaddero presso a poco alla medesima ora; e ad ore poco di-
verse si ebbero pure all'Osservatorio del Collegio Romano, come
risulta dal seguente prospetto:
Minimo Massimo
Moncalieri . . . . 9° 15" ant. 2% 0" pom.
e ep 0 50 »
e eli è» E Uso »
Il valore della escursione totale fu nelle tre stazioni:
Moncalieri . . .0. . 19. 5
Feng sia nh
Hemnale aeeltaicia.. DI. 0
498 ‘ P. FRANCESCO DENZA
In Italia adunque l’agitazione magnetica del 20 risulterebbe
per la maggior parte dei luoghi poco diversa da quella del 17.
Ma essa dovette essere maggiore; giacchè il periodo più intenso
della perturbazione deve essere avvenuto nelle prime ore del
mattino del 20, pria cioè che s’incominciassero le osservazioni
in tutte le stazioni italiane.
Ciò risulta chiaro dalle osservazioni fatte oltre Alpi negli
Osservatorî, in cui si hanno apparati registratori, e dai quali mi
vennero graziosamente comunicati i diagrammi dei valori magnetici
pei giorni del fenomeno. Di questi dò qui breve cenno.
Pietroburgo. — Per disavventura mancano in questo Osser-
vatorio le registrazioni del magnetografo, precisamente dal 18 al
20 aprile, per causa di modificazioni : arrecate nel sistema di
registrazione fotografica. Esse ricominciano alle 7 ant. del 20;
mancano quindi le osservazioni della notte. Gli estremi della de-
clinazione magnetica annotati dopo quell’ora, si furono:
Massimo . . 73°. 9 (2?) a 3 ore 25 min. pom..
Minimo. . — 9. 5 a 9 ore 23 min. ant.
con una escursione di 83'. 4, cioè di circa un grado e mezzo;
escursione che sarebbe stata senza fallo maggiore, se si fossero
avuti i diagrammi della notte.
Kew. — Difatti, le curve fotografiche di Kew fanno vedere
come la perturbazione sia cominciata quasi all'improvviso alle
ore 3 min. 35 ant., con una violenta deviazione occidentale del
declinometro , il quale alle 4.33 uscì fuori di scala. Il forte
della perturbazione perdurò sin verso le 8 e mezzo ant.; e poi
l'ago continuò sempre agitato fin dopo la mezzanotte, nè ritornò
nella calma consueta che intorno alle 8 del mattino del 21.
Il minimo assoluto delle 8 e mezzo ant. del 20 è molto
incerto sulla carta incerata di Kew, che è assai delicata. Esso
sarebbe di 20'. 4; mentre l’ultima traccia del massimo lasciata
sulla carta alle 4. 33 ant. segna 104°, 4. Si avrebbe quindi:
Massimo. . . 104° 4(?) a 4 ore 33 min. ant.
Minimo . . . . 20.4(?) a ‘8 ore 25 min. ant.
con una escursione di 84'; cioè circa un grado e mezzo.
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 499
Gli estremi tracciati distintamente sulla carta sono:
Massimo . . . . 94. 7 a 5 ore 15 min. ant.
Mamimo.o gioie 1. .018319 arno 7 iore:25,minscant.
la variazione essendo di 60°. 8; ossia un intero grado.
Parigi. — Anche a Parigi la grande agitazione incominciò
alle 3.45 del mattino del 20, con un improvviso aumento della
declinazione e della componente orizzontale. Alle 4.50 la de-
clinazione variò di + 40'; e più tardi, dalle 7.30 alle 8.30,
si ebbero numerose oscillazioni, le quali però toccarono sola-
mente i 25°. La perturbazione decrebbe in seguito, come tra noi,
ma continuò sempre sino alle 6.45 del mattino del 21.
Vienna. — A Vienna i diversi elementi magnetici comin-
ciarono a conturbarsi sino dalle 5 pom. del 19; e l’agitazione
si accrebbe considerevolmente verso le 5 e mezzo del mattino
del 20, persistendo per tutto il giorno ; e le curve, come a Kew,
risultarono singolarmente sinuose ed alterate.
Gli estremi della escursione del declinometro si furono :
Minimo . ... 8.9 a 5 ore 40 min. ant.
Massimo . . . . 92. 7 a -9 ore 20 min. ant.
L'escursione totale si fu dunque di 83'. 8, ossia 1° 23°. 8. Le
ore corrispondono quasi esattamente a quelle di Parigi e di Kew.
Lisbona. — In questo luogo la burrasca magnetica ha avuto
cominciamento, come altrove, quasi all'improvviso, alle 2.58 del
mattino del 20, con un periodo di aumento della declinazione
e della componente orizzontale, e di diminuzione della compo-
nente verticale. Essa continuò sino al mattino del 21; ma il
| periodo più anormale finì intorno alle 10 e mezzo ant. del 20.
Gli estremi della declinazione registrati a Lisbona si furono :
Massimo . . 19° 17. 8 a 3 ore 52 min. ant.
Minimo. ... 18 39. 4 a 8 ore 483 min. ant.
| con una differenza di 38/. 4.
In tutti i luoghi adunque, in cui si hanno osservazioni della
notte del 19-20, uno degli estremi della declinazione è accaduto
«prima delle 6 ant. del tempo locale; prima cioè che si comin-
‘ciasse ad osservare nelle stazioni italiane. Se si fosse tenuto conto
500 P. FRANCESCO DENZA
dei soli valori registrati dopo quell’ora, lo spostamento dell’ago
di declinazione sarebbe risultato anche oltre Alpi minore di quello
del 17, nel qual giorno gli estremi della declinazione si ebbero
nella maggior parte dei luoghi ambedue di giorno.
E difatti, a Buda-Pest, le quattro osservazioni diurne del
20, che incominciano solamente alle 8 ore del mattino, danno
l'escursione:
SINO o dae
minore cioè di quella del 17 aprile.
A. Klagenfurt la perturbazione sfuggì interamente alle osser-
vazioni ordinarie.
Si può quindi conchiudere che la maggior perturbazione del
magnetismo terrestre è avvenuta in Europa nella notte dal 19
al 20; e che dessa è stata maggiore di quella del 17, non
ostante che le parvenze luminose dell'aurora siano state più de-
boli e meno estese al Nord dell’emisfero occidentale.
Zi-ka-wei. —. Nell’Asia le cose andarono alquanto diver-
samente. Infatti l’Osservatorio di Zi-ka-wei annunzia pure per-
turbazione nei diversi istrumenti magnetici ; la quale, incominciata
tra le 7 e le 8 della sera del 19, continuò per tutto il 20, sino
alle prime ore del mattino del 21.
Gli estremi della declinazione, riferiti alla media declinazione
diurna, 2° 4°. 8, si furono nel 20:
Minime ee 6a 0,0 an
Massimo... +8. 4 a 83 ore 40 min. pom.;
e l’ escursione raggiunse solamente 13'. 0.
La perturbazione fu dunque a Zi-ka-wei molto meno in-
tensa che all’occidente in Europa. Essa però rimane la più grande
del mese di aprile dopo quella del 17.
Le ore, in cui accaddero i due suddetti estremi, corrispon-
dono circa ad 1 ora ed alle 8 ant. del 20, in tempo medio di |
Greenwich. ua: :
Anche nell’emisfero occidentale pare che la burrasca magnetica |
sia stata molto meno intensa di quella. del 16-17 aprile; mon
‘si hanno però dati sufficienti ‘per affermar ciò con sicurezza.
‘ ‘Riepilogando adunque:.
1° La perturbazione magnetica ebbe cri quasi dovun-
‘que alla: stessa ora, in tempo assoluto; quando cioè cominciava
lee ___ Sa
di
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 501
l'aurora all’Ovest. Il periodo di maggior agitazione incominciava in-
torno alle 4 e mezzo od alle 4 e tre quarti, in tempo medio di
Greenwich, probabilmente nel tempo in cui accadeva il massimo
dei fenomeni luminosi dell'aurora; e terminava quando questi
cessarono, anticipando alquanto verso oriente.
2° L'intensità della perturbazione risultò, in generale, mag-
giore di quella del 17 aprile.
4° Essa decrebbe di molto nei luoghi di minor latitudine.
II.
Correnti terrestri.
Sebbene la tempesta magnetica che andò congiunta all’aurora
del 19-20 aprile abbia avuto sugli apparati magnetici maggiore
influsso di quella del 16-17; non pare tuttavia che la sua azione
sui fili telegrafici sia stata così intensa e così estesa, come
quella di quest'ultima.
_ Da tutte le relazioni che ho potuto raccogliere mi risulta, che
il fenomeno ha esercitato influsso maggiore soprattutto sull’Europa
occidentale; ed è invece rimasto molto meno intenso altrove, per
quanto si riferisce alle alterazioni delle correnti telluriche. Impe-
rochè nessuna menzione si fa di ciò nelle relazioni dell’Austria,
nè in quelle degli Stati Uniti e dell’ Asia orientale. Gli stessi
relatori .della Nuova Zelanda affermano che i fili telegrafici di
quella regione rimasero solo leggermente affetti da disturbi elettro-
magnetici.
Ecco pertanto le notizie che posseggo a questo riguardo:
Al mattino del 20, verso le 9 ant., così mi telegrafava il
Capo-turno dell'Ufficio centrale dei Telegrafi dello Stato di Torino:
« Da Lione siamo informati che tutti i fili sono influenzati
da aurora boreale. Qui troviamo 45 gradi di corrente ».
E più tardi, alle 9.50:
« Da mezz’ ora circa non si va con Parigi. Sono cessati i
fenomeni osservati prima. Verso le ore 9 Marsiglia mi disse
che tutti i campanelli funzionavano sotto l’influenza di correnti
estranee atmosferiche; e che non avevano potuto ancor corri-
i spondere con Parigi da nessun filo. Le mie osservazioni fatte dalle
502 P. FRANCESCO DENZA
7.20 alle 8 di stamane, diedero una corrente fissa di 50 gradi,
costantemente verso destra, di un minuto e qualche secondo di
durata. Cessata questa corrente, osservavasi una breve oscillazione
dell'ago di 4 a 5 gradi da sinistra a destra ».
Dalla Direzione Generale dei Telegrafi dello Stato mi venne
comunicato colla solita cortesia che :
« Nella mattina del giorno 20, fin verso il mezzogiorno,
furono influenzate da perturbazioni le linee seguenti:
Torino-Parigi
Roma »
Milano »
Firenze »
Milano-Berlino :
e tutti i fili Sud-Nord della Svizzera. Si notarono pure dei di-
sturbi sulle linee al Nord della Sardegna, e fra Genova e Milano;
senza però che ne sia stata accertata la causa ».
D'altra parte il Prof. Forel, dell’Accademia di Losanna, mi
scriveva da Morges, che per tutta la mattina del 20 si erano
osservate in quelle contrade delle correnti telluriche molto intense ;
le quali si erano convertite in perturbazioni elettro-magnetiche
sulle principali linee telegrafiche della Svizzera; ed in modo spe-
ciale sui fili Losanna-Briga-Milano e Ginevra-Zurigo.
Dai precedenti cenni pertanto si deduce che l’ azione della
burrasca magnetica su’fili telegrafici fu questa volta minore ché
nel 17, e conturbò in modo speciale le lunghe linee, disposte
press’ a poco secondo il meridiano, da. Sud a Nord.
Il tempo poi, in cui si eccitarono tali correnti, corrisponde
‘a quello, nel quale si manifestavano negli Stati Uniti e nella
Nuova Zelanda. le parvenze luminose dell’ aurora; ed in parte
ancora a quello delle maggiori perturbazioni magnetiche.
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882 503
IV.
; Attività solare.
Le convulsioni della superficie del sole continuarono ancora
dopo il 17 aprile, nei due giorni appresso. In modo speciale i
cangiamenti del secondo dei due grandi gruppi descritti nella Nota
precedente, proseguirono con violenza anche dopo aver cessato di
ingrandirsi; ed in quella che nel 18 era composto solamente di
due grandi macchie, nel 20 ne aveva tre di considerevole gran-
dezza e variabili non poco; dopo di che i suoi cangiamenti an-
darono man mano perdendo d’importanza.
V.
| Conclusioni.
Prima di lasciare la trattazione delle circostanze che anda-
rono congiunte alle due aurore del 16-17 e del 19-20 aprile,
le quali costituiscono il primo dei due periodi di grandi burrasche
. elettro-magnetiche che si siano avuti nell’anno 1882, credo op-
| portuno soggiungere alcune poche considerazioni, che si deducono
. agevolmente dal complesso dei fatti esposti.
1° Imnanzi tutto, grazie alle pronte e numerose comuni-
cazioni che si hanno al presente, rimane meglio confermato ciò
che fu già provato nelle grandi aurore del 1870-72; che cioè
. le aurore australi possono essere egualmente splendide che le
boreali, e spesso sono colle medesime simultanee.
2° Le aurore del 17 e del 20 aprile hanno dato una
nuova ed evidentissima prova di ciò che era pur noto, ma che
non è mai abbastanza studiato, cioè dell’intima connessione che
wi ha tra le aurore polari e le burrasche elettro-magnetiche.
Epperò è d’uopo ammettere che questi tre ordini di fatti, fe-
nomeni aurorali, magnetismo terrestre e correnti telluriche, sono
tutti della stessa natura, ed hanno comunanza di origine.
3° Ciò rimane ancor meglio confermato dal fatto, ormai
messo fuor di dubbio, che il propagarsi dell'aurora sulla super-
Atti R, Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII, 35
504 P. FRANCESCO DENZA
ficie del globo è al tutto simile a quello delle variazioni dell’ago
magnetico: cioè da oriente verso occidente, e proporzionalmente
alla differenza di longitudine; seguendo il movimento diurno ap-
parente del sole.
Che se in codesto propagarsi dei fenomeni luminosi dell’aurora,
non si avverte lo stesso accordo e la stessa regolarità che nelle
variazioni degli elementi magnetici; ciò può dipendere benissimo
dall'essere tale concordanza realmente alterata da cause molte-
plici; ma è pur certo che il lieve disaccordo in non piccola parte
deriva ancora dall’essere le osservazioni dei fenomeni suddetti assai
spesso incerte ed incomplete, trattandosi di meteore che prendono
l'osservatore alla sprovvista. E neanco nei movimenti degli aghi
calamitati ci sarebbe dato ravvisare l’armonia che abbiamo fatto
rilevare in queste due Note, se non avessimo potuto consultare
istrumenti a registrazione continua ed esatta.
4° Tutti gli anzidetti fenomeni hanno stretto legame colle
vicende solari; e ciò non solo nel loro complesso, in quanto che
coll’aumento decennale dell'attività del sole va d’accordo anche
quello delle apparizioni aurorali e delle perturbazioni magne-
tiche, come accade al presente; ma eziandio nei casi speciali di
ogni apparizione.
Questa connessione tra le singole e più importanti convulsioni
del sole e le agitazioni dell’ago calamitato, è già stata dimo-
strata da insigni cultori della fisica terrestre , tra’ quali va ricordato
in prima linea il nostro Padre Secchi, a cui tenne dietro il
P. Ferrari con lunghi lavori; ma ora io la credo confermata fin
quasi all’evidenza.
Le precedenti conclusioni, le quali non sono che la schietta
affermazione dei fatti osservati e diligentemente raccolti, rivelando
il legame sicuro e 1’ intima dipendenza che le aurore polari
hanno, sia nel loro apparire come nel propagarsi, col centro del
nostro sistema; mettono fuor di dubbio che se su tale fenomeno
possono avere influsso le condizioni meteorologiche ed elettriche
della terra, nonpertanto la causa genuina del medesimo deve
rintracciarsi non già sul nostro globo, ma fuori di esso; e da
quanto si è detto risulta che tal causa risiede nel sole.
Finora, intento sempre a raccoglier fatti, io mi era tenuto
molto cauto nell’ enunciare con asseveranza una tal legge; ma
l'esame accurato che a bello studio ho intrapreso delle grandi
apparizioni aurorali avvenute nell'attuale periodo d’ incremento
LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1889 505
dell’attività solare, mi ha reso interamente persuaso della sua
giustezza; avendo trovato pienamente raffermato quanto il Donati
asseriva in proposito nella Nota già precedentemente citata.
Che se si domanda di qual natura sia cosiffatta azione del
sole, generatrice dei descritti fenomeni; parmi che, stando ai
fatti costantemente osservati, si possa rispondere senza esitanza,
che essa debba essere elettro-dinamica, come già ammetteva il
P. Secchi ed ammettono altri ancora per le variazioni del magne-
tismo terrestre. Ed importa grandemente notare che questa azione
del sole che produce i fenomeni aurorali, deve essere diversa
da quella che pur genera gli altri fatti meteorologici nell’atmo-
sfera terrestre.
Solo con questa ipotesi credo si possa render ragione dei
fatti esposti. Invero; se si ammette che dal sole si slancino verso
la terra, o dalla terra verso il sole, delle correnti elettriche in
una certa direzione ed intensità ; si intende di leggieri come
queste possano generare gli effetti che si appalesano nelle aurore
polari; e si comprende pure come l’azione di tali correnti debba
farsi sentire successivamente nei luoghi che, pel moto diurno della
terra, vengono l’un dopo l’altro a trovarsi nella stessa posizione
e direzione delle correnti suddette: modificate pur sempre dal-
l'influenza delle condizioni meteorologiche di ciascuna regione.
Se però cosiffatta ipotesi vale a dare spiegazione del feno-
meno, preso nel suo complesso, e considerato sotto aspetto ge-
nerale; essa lascia tuttavia ancora irresolute molte questioni
speciali di non lieve importanza.
Perchè l’aurora appare in alcuni luoghi anzichè in altri,
mentre le perturbazioni elettro-magnetiche si diffondono spesso
su quasi tutta la terra? Perchè questi disturbi riescono di in-
tensità e direzione diversa nei diversi punti terrestri ? Perchè
talvolta dove le perturbazioni nei magneti e nei fili telegrafici
sono maggiori, l'aurora non rimane visibile; mentre apparisce
dove quelle hanno minore energia? Perchè a perturbazioni elettro-
magnetiche più energiche non di rado corrispondono apparizioni
luminose meno splendide ?
Di questi e di altri consimili problemi non meno importanti
la soluzione è ancora incerta ed oscura. Su di qualcuno di essi
ritornerò dopo aver trattato del secondo periodo aurorale, ot-
tobre-novembre, del 1882, che tornò di maggior interesse per
le nostre contrade. Intanto è agevole il comprendere quanto im-
5068 PP. F. DENZA — LE AURORE POLARI IN ITALIA NELL'ANNO 1882.
porti di presente proseguire con alacrità e con persistenza le inda-
gini coscienziose e continue su tai fatti naturali; i quali riguardano
non solo il fenomeno speciale delle aurore polari, ma le vicende
stesse del magnetismo terrestre. E siccome essi si estendono su
tutto quanto il nostro pianeta ad un tempo, così la sola maniera
di studiarli in modo adeguato e soddisfacente, si è di osservar
simultaneamente sull’intera superficie della terra. Ed è questa
appunto la meta che si propone di raggiungere la scienza
moderna. i
da
507
Il Socio Cav. G. Basso presenta e legge la seguente sua
Relazione
SUL
FENOMENO OTTICO
DeTTo NODUS ROSI.
Col titolo « Histoire et Analyse du Nopus Rosi, pheéno-
méne peu connu, produit par quelques morceaua de Spath
d’Islande » il sig. Edoardo Sana di Edimborgo, Socio corri -
spondente della nostra Accademia, inviava a quest’ultima un suo
lavoro manoscritto, corredato da un voluminoso atlante di fi-
gure ed accompagnato da alcuni saggi di calcite e da altri og-
getti destinati a produrre ed a chiarire il fenomeno di cui V’A.
intraprese lo studio.
Disposizioni regolamentari si opponevano a che la detta Me-
moria, insieme alle molte tavole che ne fanno parte, trovassero
posto fra le pubblicazioni accademiche; però la Classe nominò
una Commissione nelle persone dei Soci BERRUTI, Cossa e BASSO,
coll’incarico di esaminare il lavoro del sig. SANG e di presentare
su di esso una relazione da pubblicarsi negli Atti, la quale re-
lazione, redatta dal Commissario Socio Basso, viene appunto
presentata in quest'Adunanza.
RELAZIONE.
Or sono cinquant'anni all’incirca, i signori Guglielmo Nicol
ed Edoardo Sang ebbero occasione di riconoscere che certi pezzi
di spato d’Islanda, a loro ceduti da Alessandro Rose minera-
logo di Edimborgo, offrivano una particolarità oltremodo inte-
ressante, cui imposero il nome di Nodus Rosi. Ecco in che
cosa essa consiste. Un luminare poco esteso, quale sarebbe la
fiamma di una candela, posto a qualche metro di distanza dal-
l’occhio dell'osservatore, venga guardato attraverso ad uno dei
pezzi di cristallo atti a produrre il fenomeno di cui si tratta,
508 G. BASSO
Invece di scorgere, come comunemente succede, il punto lumi-
noso sdoppiato nelle sue immagini, ordinaria e straordinaria,
ciascuna di queste immagini è sostituita da un anello luminoso,
completo o ridotto ad un arco, che cangia di posizione e di
grandezza ad ogni spostamento del cristallo. I due anelli che si
osservano a questo modo per visione diretta, ma che si potreb-
bero pure ottenere proiettati su di un quadro, hanno sempre un
punto comune che è sulla visuale condotta al luminare; dando
una conveniente orientazione al cristallo, attraverso cui l’occhio
riceve la luce, uno o l’altro dei due anelli può contrarsi e ri-
dursi quasi ad un punto; i medesimi in certi casi s’intersecano
in due punti, in altri sono fra loro tangenti e con contatto ora
interno, ora esterno. Sempre la distanza angolare dei centri dei
due anelli si conserva costante e la linea passante per questi
centri divide il sistema in due parti simmetriche. Se il cristallo
è tenuto nella posizione voluta affinchè uno degli anelli, dap-
prima esterno all’altro, trovisi poi ridotto ad un punto, l’unico
anello ancora esistente presenta ai suoi lembi tracce di colora-
zione per dispersione, in modo che il rosso si trova al lembo
interno, ed il violetto allo esterno. L'ordine dei colori è in-
vertito quando il contatto dei due anelli era interno prima della
riduzione di uno di essi ad un punto.
La spiegazione sommaria del fenomeno si trova facilmente
quando si avverta che tutti i pezzi di cristallo atti a produrre
il Nodus Rosi sono nel loro interno attraversati da finissime e
numerose strie parallele, le quali danno al cristallo l’apparenza
ottica del raso. Osservata al microscopio, ciascuna di queste
strie, apparisce come una colonnetta cilindrica il. cui diametro è
spesso inferiore ad un centesimo di millimetro. Ora il fenomeno
dianzi descritto è prodotto dalla riflessione della luce alla su-
perficie delle strie; gli anelli si osservano quando, il cristallo
essendo tenuto presso all'occhio, i raggi luminosi che proven-
gono dal luminare lontano penetrano nel cristallo stesso, secondò
una direzione inclinata alla direzione comune delle strie. Ogni
fascetto di luce che incontra una di queste l’attraversa in parte,
ed in parte viene riflessa dagli elementi di superficie che sono
compresi fra le successive generatrici della colonnetta a cui la
stria può essere assimilata. A questo modo ognuna delle strie
sparpaglia la luce da cui è colpita lungo tante linee che sono
le generatrici d’una superficie press’a poco conica sulla quale è
F
‘i
:
SUL FENOMENO OTTICO DETTO NODUS ROSI 009
pure adagiata la direzione della luce incidente : le strie essendo
molto numerose e serrate, cospirano tutte a produrre il feno-
meno allo stesso modo e quindi ad aumentarne la intensità. E
siccome ogni fascetto di luce entrando nel cristallo si bipartisce in
due fascetti, ordinario e straordinario, questi vengono trasformati
in due conoidi luminosi distinti, ed uscendo dal cristallo e giun-
gendo all'occhio dànno luogo alla sensazione di un duplice anello.
Si può produrre artificialmente lo stesso fenomeno, però ri-
dotto ad un anello solo, adoperando sostanze monorifrangenti.
Si abbia un bastoncino di vetro internamente attraversato da
molte strie parallele al suo asse; queste possono provenire da
bollicine d’aria che si trovavano imprigionate nella pasta molle
del vetro stesso e che, nello stirare quest’ultima, si allunga-
rono in forma di cilindri sottilissimi. La luce che percorre l’in-
terno del bastoncino, secondo una direzione formante un piccolo
angolo colla direzione comune delle strie, uscendo dal vetro,
sì può ricevere nell’occhio o sopra un quadro qualunque e costi-
tuisce un anello luminoso rappresentante la sezione d’una super-
ficie conica di rivoluzione. È facile il dimostrare, che l’asse di
questa superficie conica è parallelo alle strie, e che il suo raggio
angolare è uguale all’ angolo compreso fra la direzione delle
‘stesse strie e la direzione del fascetto incidente.
Il sig. Sang tentò d’indagare la causa probabile delle strie
esistenti nei pezzi di calcite da lui studiati e credette di tro-
varla in certe condizioni che accompagnano la formazione dei
cristalli. Alle stesse condizioni sarebbero pure da attribuirsi le
frequenti irregolarità che nella forma cristallografica si riscon-
trano, come la non assoluta costanza degli angoli in una stessa
specie cristallina, la mancanza di parallelismo fra le facce ed i
piani di rottura, ecc. La formazione di un cristallo si fa per
‘accessi successivi e distinti; al termine di ciascun. accesso il
‘eristallo si trova limitato da facce che raramente sono liscie;
‘esse sono cosparse di piccoli buchi irregolari che, quando altra
materia ricominci a depositarsi, vanno man mano riempiendosi.
Però molti di essi possono dalla nuova materia essere sorpas-
sati, e restano allora riempiti di liquido imprigionato nello in-
terno della massa cristallina. Siffatti bucherelli, che in molti
saggi di minerali potè il Sang riconoscere direttamente al mi-
croscopio, indicano sempre mediante la loro distribuzione il ca-
rattere dell’antica superficie del cristallo. Quando poi per un
510 G. BASSO
abbassamento di temperatura le goccioline liquide vengano a
contrarsi, si genera in ogni alveolo una bollicina di vapore, e
sì comprende come, sopraggiungendo, coll’andar del tempo, un
conveniente innalzamento di temperatura, l’espansione del fluido
chiuso negli alveoli possa provocare squarciamenti in seno al
cristallo, determinare lievi dislocamenti nelle sue parti ed anche
generare gruppi di strie finissime e numerose.
Venendo ora all’analisi del fenomeno del Nodo ed alla de-
terminazione delle sue condizioni quantitative, conviene far capo
alla rappresentazione geometrica di Huyghens che contiene le
leggi della doppia rifrazione. Il sig. Sang procede appunto per
questa via e ne deduce la costruzione seguente, la quale però
non mi pare convenientemente giustificata in ogni sua parte.
S'immagini un piccolo cristallo a strie collocato in (l (fi-
gura 1°); il piano della figura contenga la direzione B B' del-
l’asse ottico e la direzione CS delle strie; sia DD. l’interse-
zione della faccia rifrangente del cristallo collo stesso piano
della figura. Parallelamente a questa faccia s'immagini situata
una parete piana di traccia 0 alla distanza CD dal piccolo
cristallo e intendasi proiettata su tale parete la luce escente dal
cristallo. Così la superficie sferica di centro C' e di raggio CO si
può considerare come superficie d’onda del moto luminoso ecci-
tato in C in quanto si propaga nel mezzo esterno al cristallo.
Nell’interno del cristallo la superficie d’onda del moto straordinario .
sia l’ellissoide che ha per sezione meridiana l’ellissi ABA'B.
Sia ZC (in generale fuori del piano della figura) la dire-
zione della luce incidente. Essa incontra la superficie sferica in
un punto / pel quale s'intende condotto il piano tangente alla
stessa superficie; per la linea d’intersezione di questo piano colla
faccia del cristallo si conduca pure il piano tangente all’ellis-
soide; la retta CA che passa per il punto ) di contatto e che
in generale è pur fuori del piano della figura rappresenterà la
direzione della luce rifratta. Sia o il punto in cui il piano tan-
gente in A all’ellissoide incontra la CS parallela alle strie. Si
consideri la superficie conica di vertice © e circoscritta all'ellis-
soide; essa taglierà la faccia del cristallo secondo una conica i
cui vertici sono i punti 7, U appartenenti alle generatrici c'À,
cp.. Se per le rette tangenti nei singoli suoi punti alla conica
predetta si conducono i piani tangenti alla sfera, il luogo dei
punti di contatto su di questa è una certa linea a doppia cur-
SUL FENOMENO OTTICO DETTO NODUS ROSI 511
vatura a cui appartengono i punti 7, m; la superficie conica
su cui giace questa linea, e che ha il vertice in Cl contiene
appunto le direzioni dei raggi rifratti e la sua sezione sul piano
OM rappresenta la forma dell’anello.
La costruzione ora esposta si può facilmente tradurre sotto
forma analitica. Sia C l'origine di un sistema di assi coordi-
nati rettangolari così disposti che l’asse delle x sia normale al
piano della figura cioè all'asse ottico ed alla direzione delle
strie e l’asse delle y sia la traccia CD della faccia del cri-
stallo. Questa faccia che, nel nostro caso, è perpendicolare alla
sezione principale del cristallo giacerà per conseguenza nel pia-
no zy. Siano a, è rispettivamente il semidiametro equatoriale
ed il semiasse polare dell’ellissoide, £ il raggio della sfera, 2 l’an-
golo che la direzione delle strie fa col piano equatoriale dell’elis-
soide, % l’angolo che la faccia del cristallo fa collo stesso piano
equatoriale; indichiamo infine con o la lunghezza del segmento Co
e con s la lunghezza del segmento CS, cioè la quantità :
a Db
dt Fog
L'equazione dell’ellissoide è:
b’x°4 (a?sen° dv + d°cos' 4)
+ (a* cos d + d*sen* 4) 2°— sen 2 4 (a'— b°)ye=a°B? .
È facile trovare l'equazione della superficie conica col ver-
tice in o e circoscritta all’elissoide; essa si può presentare sotto
la forma:
o°—s
s
b°1°+- {0° sen(0+4) —(a’sen*d + 0*cos*d)(y°
+ 59? cos (9+4) — (a*cos*d +d*sen* 4) (2°
— ia? sen2 (944) —(a°—b*)sen24{yz
+29 (6*cos?cos 1 — a°sen 0 send) y
ab a*
+25(b°cos9send — a’senicosp)e — ——=0 .
s°
L'intersezione di questa superficie conica colla faccia ri-
frangente si ottiene ponendo: 2=0 nell’equazione ora scritta;
ne risulta immediatamente l'equazione di una linea di 2° grado,
512 G. BASSO
la quale è un'iperbole, una ellissi od una parabola secondochè 2°
è minore, maggiore od eguale alla quantità
a? sen? D + b* cos° ©
sen°(9 +4)
Si scriva, per maggior concisione, l'equazione di questa linea
sotto la forma:
Ia PNR Piega
e sia la linea stessa rappresentata dalla U7V nella fig. 2°.
Conducasi la tangente nel punto qualunque V (x, y) e dal-
l'origine C si abbassi la perpendicolare CN. Essendo £,; %n
le coordinate del piede N di questa perpendicolare, è facile il
trovare le espressioni seguenti:
Py+Q0
NE Bro A PL 33
Ln x Mx + (Ny+ Po)
lai ° Py+ 90
Y=—(Ny+ Po) ° 4 (Ng + Po)
Py4@0
CN Va, si) VI ?x°4(Ny+ Po) î
Il piano che passa per la tangente qualunque VN alla
conica ed è tangente alla superficie sferica di raggio p tocca
quest’ultima in un punto che si trova nel piano condotto per la
CN normalmente al piano 4y. Perciò, preso il segmento C'E in
modo che si abbia:
(CN Ch= p° 9
il punto È così determinato è la proiezione del punto di con-
tatto anzidetto sul piano xy. Le coordinate x,, y, di questo
punto È essendo:
p'aveMa 3 3pNy#- Do
a,=—- ——— , === cale
Ù co Py+@0 4 cPy+@0
si ottiene, dall’eliminazione di x, y fra queste due espressioni
e l’equazione della conica, una relazione che sarà l’equazione
della curva PERLM quando in essa s’intenda che x,, y, ne
siano le coordinate correnti. Si ha così:
i NOP
M
CV A y N I
SUL FENOMENO OTTICO DETTO NODUS ROSI DS
Tenuto conto dell'equazione della sfera di raggio 2, se ne
deduce subito l'equazione della superficie conoidea che contiene
l'anello. Quest’equazione è:
ii
"DO, a je Ania
NO PIA |
Uri
NQ— P
M
‘24 (
)ee peer
Ne +(N0- 2 P"4N
NQ- P ir
“gran di
+2y 2 |N°p4+ (NQ 2P)p°R|+AN°pi=0 .
Vedesi che la proiezione dell’anello sopra un piano qualunque
è una linea di quarto grado.
L'esame analitico del fenomeno del Nodo può condurre ad
un procedimento che permette di determinare le costanti ottiche
del cristallo capace di produrre questo fenomeno. Se nell’equa-
zione della curva PRLM precedentemente trovata si pongono
per M, N, P, @ i loro valori, essa diventa:
+y\ N°pi+(2.NQ-4P9)p} a+ at!
|
+2x°2° | p Dili fn
a” sen*(0 + 4) 0° 1°+- (a sen° 942° cos? 0) 7° y°
+2 (a sen? send + d° cos È cos d) p° 9 y
+ [a? sen*9+- b’ cos° 9 — c*sen*(9+4)] =
la quale ci dimostra che la curva di cui si tratta è sempre una
ellissi in cui il rapporto degli assi è indipendente da c. Dalla
equazione stessa si deducono immediatamente i valori dei semi-
assi QL e QP e della distanza C @ del suo centro dal punto C.
Ponendo per maggior semplicità :
: o=8.80C9 ,
si ha:
co=£
2 (6° cos? cos 9 — a*sen Osen: n) COS 9
at b*
er=%° sen (74 4)seng
OP= © song i
ricordando che si se
ab
vi Va* sen 9 + 8° cos, 0 É
514 GG. BASSO - SUL FENOMENO OTTICO DETTO NODUS ROSÌ
Ora, per un dato pezzo di cristallo, gli angoli 9 e % si
possono facilmente misurare; d’altronde le quantità CQ, QL,
QP si deducono direttamente da osservazioni che si possono ese-
guire sulla fofma ed ampiezza degli anelli; per conseguenza le
relazioni precedenti permettono l’eliminazione della © e forni-
scono i valori delle costanti ottiche @ e ..
La via tenuta dal sig. Sang per l’osservazione e la misura
degli anelli è la seguente. Sopra una parete verticale viene trac-
ciato, su fondo nero, un reticolo a maglie quadrate costituito
da linee bianche orizzontali e verticali ordinatamente numerate
e formanti perciò un sistema di coordinate rettangolari. Presso
questa parete ed in un punto di posizione determinata può es-
sere collocata una fiamma di piccole dimensioni. Il cristallo che
si sottopone alla esperienza è montato sopra un piccolo teodo-
lite ad una distanza nota dalla parete ed in modo che il cri-
stallo si trovi sulla normale alla parete stessa condotta per
l'origine delle coordinate. Se l’occhio dell’osservatore collocato
vicino al cristallo guarda attraverso di questo la fiammella, il
duplice anello si scorge nettamente proiettato sulla parete reti-
colata e si possono con sufficiente esattezza leggere le coordi-
nate per un numero qualsivoglia di punti appartenenti tanto
all’anello di luce ordinaria, come a quello di luce straordinaria.
Le osservazioni possono essere ripetute per posizioni diverse della
fiamma; così si ha modo di verificare l’esattezza della teoria
per ciò che riguarda le varie forme che gli anelli possono as-
sumere, il modo con cui essi ora si incrociano, ora si toccano, ecc.
I valori di a e di d dedotti mediante il procedimento, ora
sommariamente, descritto sono abbastanza d’accordo con quelli
trovati per la calcite coi metodi ordinari da vari fisici e par-
ticolarmente con quelli trovati da Malus già fino dal 1810.
Quest’ultimo aveva ottenuto per d (inverso dell’indice di rifra-
zione ordinaria) il numero 0,604; il signor Sang trova 0,622
relativamente alla luce rossa, e 0,569 relativamente alla vio-
letta. Malus trovò per a (inverso dell’indice di rifrazione stra-
ordinaria) il valore 0,674 e il sig. Sang ottiene 0,701 e 0,663
rispettivamente per il rosso ed il violetto.
Il Socio Comm. Prof. M. LEssonA, in assenza del Socio rela-
tore condelegato ad esaminare un lavoro del Dott. A. Porms,
intitolato: « Nuovi Chelonii fossili del Piemonte »
legge la seguente Relazione :
Il manoscritto che il sig. Dott. Alessandro PortIs ha pre-
sentato all'Accademia nella seduta delli 29 Aprile scorso, e che
porta per titolo Nuovi Chelomii fossili del Piemonte, è un ap-
pendice ad un lavoro più esteso che l’Autore ha stampato nelle
Memorie dell’Accademia nell’anno 1879 sullo stesso argomento.
Nel presente scritto il sig. Dott. Portis descrive due nuove
specie di Chelonii fossili del Piemonte, una proveniente dal ter-
reno pliocenico superiore di Rocchetta-Tanaro presso Asti, l’altra
dal terreno miocenico inferiore di Nuceto nell’alta valle del Ta-
naro; le reliquie della prima appartengono al Gabinetto di Storia
Naturale del R. Liceo di Asti; quelle della seconda fanno parte
della Collezione paleontologica che il compianto collega Gastaldi
raccolse presso la R. Scuola di Applicazione per gl’ Ingegneri
al Valentino, la quale è ora unita al R. Museo di Geologia di
questa città.
Nello stesso scritto inoltre si fa cenno di un frammento di
piastra marginale di una specie di Ewmys, il quale, se per la
sua imperfetta conservazione non permette di determinarne la
specie, basta tuttavia per poterne riconoscere il Genere, e, quel
che più importa, constatare per tal modo la presenza di Che-
lonii nelle alluvioni plioceniche a Mastodonti del Piemonte, nelle
quali non era fino adesso conosciuta la presenza di questa classe,
ed alle quali alluvioni appartiene l'orizzonte geologico in cui fu
trovato presso Fossano sulla sponda sinistra della Stura, il fram-
mento sovra citato.
L'importanza delle parecchie pubblicazioni che il sig. Dott.
Portis ha fatte, ed in particolar modo di quella recente che ha
516 LL. BELLARDI - RELAZIONE SULLA MEMORIA DI A. PORTIS.
per titolo Les Cheloniens de la Mollasse vaudoise e che ebbe
l'onorevole incarico di redigere per le Memorie della Società
paleontologica Svizzera, ed il conto nel quale sono, ed a ra-
gione, tenute dai Paleontologi, dimostrano la competenza del-
l’autore negli argomenti che tratta.
Per queste considerazioni, ed in particolar modo per la na-
tura dello scritto che la Commissione ebbe l’incarico di esaminare
e pel quale sono fatte notevoli aggiunte alla Fauna dei terreni
terziari del Piemonte, i sottoscritti ne propongono alla Classe la» -
lettura, nella fiducia che l'Accademia lo voglia approvare per
l'inserzione nei volumi delle sue Memorie, nei quali può essere
inserto sia per la poca estensione del testo sia per il numero
delle tavole (due), il quale non eccede i confini assegnati dai +
vigenti regolamenti dell’Accademia.
Michele LESSONA
L. BELLARDI, Relatore.
Secondo le conclusioni della Commissione, vien letto il lavoro
del Dott. A. Portis, che è approvato per la stampa nei volumi
delle Memorie.
517
ma
Lo stesso Socio Lessona, a nome del Socio BELLARDI, pre-
senta e legge la seguente Nota del Dott. A. Ports :
IL CERVO
DELLA
TRO:F»B 4 EthVAci DI IR AGNA
Nello scorso autunno il signor Avv. F. Cantamessa, appas-
sionato dilettante di tutto quanto riguarda la Paleontologia del
nostro paese, trovava nelle torbiere di Trana una mandibola di
Ruminante che gli parve degna di essere conservata, sia per la
località in cui essa si rinvenne, sia per la relativa sua buona
conservazione, sia per la sua mole. Per tratto di squisita cor-
tesia me la volle comunicare affinchè. la esaminassi ed, ove il
caso ne fosse, la illustrassi.
Questa mandibola fu, come già dissi, trovata nella torbiera
ed a poca distanza dallo abitato di Trana, nel taglio verticale
che fanno gli operai per estrarre la torba. Essa giaceva alla base
dello strato utilizzabile del combustibile e sul fondo parte torboso,
parte argilloso della torbiera : devo allo stesso signor Cantamessa
di possedere un bel saggio, pieno zeppo di conchiglie palustri, di
questo materiale costituente lo strato sottostante alla torba (1).
La mandibola, di cui è questione, ha un bel colore oscuro
di legno-noce, che si conserva tal quale anche nello interno del-
l’osso; quantunque questo abbia perduta parte della sostanza
LI
(1) Tale campione ho inviato al sig. Cav. TappPARONE-CANEFRI perchè
determinasse le specie di molluschi in esso contenute. Egli mi ha gentil-
mente comunicato il seguente breve elenco delle conchiglie che accompagna-
vano il Cervo fossile della Torbiera di Trana. Esse sono:
Valvata piscinalis MULLER Pisidium italicum CLESSIN.
Id. obtusa StupER id. fossarinum id.
Limnoea n. Sp.
518 ALESSANDRO PORTIS
organica, tuttavia esso presenta ancora un certo qual grado di
compattezza, tantochè esso resistette, senza guasto ulteriore, ad
essere portato senza invoglio in una tasca dell’abito durante una
passeggiata di un paio d’ore, poichè lo scopritore la trovò, quando
men la cercava, durante una piccola escursione in compagnia di
amici e non aveva per conseguenza con sè l’occorrente per metter
tosto in salvo quello che gli veniva dato di trovare. Per effetto
della lunga macerazione, la lamina del periostio tendeva a sfo-
gliarsi e separarsi dal resto dell'osso, per conseguenza sulla faccia
esterna essa manca in diversi punti, ed in altri è sollevata, ma
ancora semi-aderente e nella sua posizione primitiva: dal lato
interno essa è ancora quasi tutta al suo posto e, leggermente
fessurata, comunica all’osso un lieve riflesso perlaceo.
Per qualche accidente posteriore alla sua fossilizzazione ma
anteriore allo scoprimento, la mandibola si ruppe ed ora tro-
vasi mancante di grande porzione della parte espansa postero-in-
feriore: Conservatissimi ne sono invece: la faccia articolare, tutta
l’apofisi montante, tutta la faccia alveolare, la porzione anteriore
del bordo inferiore fino a tutta la lunghezza del secondo premolare
ed il forame del mento; de’ denti mancano: tutti gli incisivi, il
canino ed il premolare anteriore; conservati, intatti e freschissimi
ne sono invece i due seguenti premolari ed i tre molari; questi
tutti mostrano lo smalto rugoso ed ancora bianchissimo, ed invece
tinto in bruno l’avorio; le radici si presentano pure con un bel
colore bruno cupo e quasi nero.
L'esame dei denti e la leggerezza di costruzione della man-
dibola mi indicarono subito come l’animale cui questa mandibola
appartenne doveva essere una specie del genere Cervo, le sue di-
mensioni però grandissime mi lasciarono qualche tempo in dubbio
sulla specie al quale lo doveva riferire, dopo averlo però com-
parato con alcune specie di Cervi diluviali e recenti, potei con-
vincermi che non si trattava di altro che di un individuo di
grande statura appartenente alla specie Cervus elaphus Linn. con-
cordando il pezzo che ho fra mani, se non nelle dimensioni, certo
in ogni minimo dettaglio e della forma delle parti ossee conser-
vate e di ogni piega, tubercolo e tallone di ogni singolo dente
presente, colle corrispondenti parti della mandibola di Cervi
comuni adulti che ebbi occasione di esaminare.
L'esame dei denti ci dimostra pure che l’individuo a cui
questa mandibola appartenne, era, allorchè per qualsiasi motivo
i
:
EEZI"
b
ra pen Ie,
IL CERVO DELLA TORBIERA DI TRANA 519
incontrò la morte e lasciò l’avanzo nella torbiera di Trana, già
adulto ma non stravecchio; infatti la corona dell’ultimo molare
non è ancora tutta fuori dello alveolo, e ne rimane ancora mezzo
nascosto in esso il piccolo tubercolo accessorio esterno tra il
primo ed il secondo lobo, mentre il colletto del tallone è an-
cora affatto invisibile; lo stesso dicasi del secondo molare, dove il
prisma accessorio tra i due lobi è appena visibile e pure nascosto
è ancora il colletto del secondo lobo. Molto più sviluppato fuori
dello alveolo e consunto dalla masticazione è invece il primo
vero molare, il primo ad apparire, come ognun sa nell’apparato
dentale definitivo.
In conclusione, come già dissi, questo ramo destro di man-
dibola appartenne ad un animale sul vigor dell’età e probabil-
mente, vista la sveltissima struttura dell’osso, ad una femmina;
con tuttociò la lunghezza sua dal bordo dello incisivo esterno
all'angolo postero-inferiore della mandibola non poteva essere
inferiore ai 30 centimetri; misura, che potei facilmente prendere
anche mancando l'angolo stesso, aiutandomi della presenza della
faccia articolare e della parte conservata anteriormente della
faccia inferiore dell'osso. In uno scheletro di maschio conservato
nelle collezioni del Museo di Anatomia Comparata di Torino, e
nel quale i denti hanno di già un grado di sviluppo e di consu-
mazione ulteriormente spinto, questa stessa lunghezza non è che
di 25 centimetri.
Noi sappiamo, che fra i Cervi maschi dei nostri dì, ben di
rado avviene il poter trovare un individuo tanto grosso che la
sua mandibola raggiunga tra i due punti notati una lunghezza
di 30 centimetri, sappiamo invece che il Cervo delle Palafitte
della Svizzera raggiunse dimensioni molto superiori a quelle che
raggiungono gli individui giganti dei dì nostri, ed infatti il Ruti-
meyer cita appunto una mandibola di Robenhausen che misurava
35 centimetri, e la confronta con un cranio gigante moderno la
cui mandibola non misura, sempre fra i due punti accennati,
che 30 centimetri. i
È noto come il ghiacciaio della Dora Riparia si sia una volta
spinto fino alla Pianura Padana e che, giunto contro al masso
serpertinoso di Avigliana, si sia diviso in due rami, l’uno più
grande proseguente la valle sino oltrepassato il Musiné e del
quale non ci abbiamo a preoccupare, l’altro destro più piccolo
che superata la stretta Avigliana-Sant’ Ambrogio si allargò nel
Atti R_Accad. » Parte Fisica — Vol. XVIII, 36
520 ALESSANDRO PORTIS
bacino Avigliana-Trana portando la sua morena terminale fino
oltre il Santuario di Santa Maria di Trana a sbarrare in parte
la estremità della valle del Sangone, costringendo il Sangone
stesso a cambiare di direzione e poi ad erodere profondamente
la morena stessa. È noto pure come, dopo aver formata questa
estrema morena e dopo aver goduto per un certo periodo di
tempo di una estensione considerevole, il ghiacciaio cominciò len-
tamente a ritirarsi facendo però nel suo periodo di regresso
varii tempi di sosta, durante i quali nuove morene concentriche
alla estrema formavansi attraverso al bacino stesso. Una prima cor-
rispondente ad un primo tempo di sosta si è quella che separa la
torbiera di Trana dal lago dello stesso nome, una seconda se-
para il lago di Trana da quello di Avigliana, una terza questo
dalla torbiera di Avigliana ed una quarta il bacino di Avigliana
dalla valle della Dora. 1l bacino veniva così suddiviso in altret-
tanti bacini minori in ognuno dei quali dovevansi raccoglier le
acque non aventi uscita fino al punto in cui od a monte od a
valle queste trovavano a riversarsi fuori della propria conca ed
a trovar così uno sfogo alla pianura. Tale sfogo fu, dopo lo sgom-
bro del bacino per parte del ghiaccio, trovato a monte per es-
sere le morene più recenti sempre una più bassa dell’altra; men-
tre però il ghiaccio occupava ancora la estremità settentrionale
del bacino di Avigliana le acque dovevano esservi molto più alte
e cercare uno sfogo a valle, superando ed erodendo in parte la
morena estrema e gettandosi così nella valle del Sangone. Il
primo laghetto formossi adunque topograficamente in coincidenza
della torbiera di Trana, ebbe però molto maggiore estensione
di quella .ed andò man mano allargandosi verso Avigliana a mi-
sura che il ghiacciaio ne abbandonava il bacino. Allorchè però
il ghiacciaio nel suo regresso ebbe reso libero il varco tra il
bacino di Avigliana e lo sbocco della valle della Dora, il lago,
non più sostenuto dal ghiaccio, si svuotò nella Dora e solo ne
rimasero, sostenuti da altrettante morene, quattro laghetti residui
occupanti: la moderna torbiera di Trana, il lago di Trana, il
lago di Avigliana e la moderna torbiera di Avigliana, Mentre
il gran lago primitivo si versava a valle, i laghetti residui, per
le nuove condizioni di pendenza, ebbero loro sfogo a monte e
cominciò lo scaricatore di ciascuno ad erodere la morena che
gli serviva di barra.
1} bacino della odierna torbiera di Trana, che aveva già,
va
sede >»
IL CERVO DELLA TORBIERA DI TRANA 521
all’epoca della propria individualizzazione, una esigua profondità
non tardò ad aver ancora scemata quest’ultima per l'erosione
operata dal suo scaricatore e per l’accumularsi di detriti caduti
dal circostante pendio, cosicchè in breve, per lo svolgersi e ra-
pido estendersi di vegetazione selvosa e palustre favorita dal rad-
dolcimento della temperatura, passò rapidamente dalla fase di Lago
a quella di Torbiera. Gli stessi motivi portarono la intorbazione del
laghetto occupato dalla odierna torbiera di Avigliana, mentre più
a lungo resistettero, per la maggior loro profondità e per essere
forse in essi scemata la vegetazione palustre, i moderni due la-
ghi. Ad ogni modo è certo che quando la torbiera di Trana
poteva ancor chiamarsi lago, essa fu abitata dall’uomo, il quale
o si stabilì sulle sue rive o, men probabilmente, trovò conve-
niente stabilire in essa le Palafitte che i suoi coetanei fabbricavano
nel laghetto, oggi pur torbiera, di Mercurago e in tanti altri
laghi e laghetti del Piemonte e della Lombardia.
Che la torbiera, antico lago, di Trana sia stata un’ antica
stazione umana lo provano le armi in bronzo in essa trovate e
segnalate dal Gastaldi, l'una nella Iconografia di alcuni oggetti
di remota antichità rinvenuti in Italia, Mem. d. R. Acc. d. Sc.
di Torino, Ser. II, Tomo XXVI, pag. 21 (dell’estratto), Tav. VIII,
fig. 15, e stata trovata dal compianto Avv. C. Calandra; l’altra
nei Frammenti di Palcoetnologia italiana, Mem. della R. Acc. dei
Lincei, Tomo 3°, Ser. II, pag. 14 (dell’estratto), Tav. XI, fig. 1,
e comunicatagli dal sig. Cav. Vignola. Non sono che due, ciò
è vero, ma se non basteranno a dimostrare che l’uomo abbia
colà avuto stabile dimora, sono sufficienti però a farci conchiudere
che il bacino fu dal nostro progenitore dell’ epoca del bronzo
visitato con qualche frequenza allo scopo di caccia e di pesca.
Ora noi sappiamo come l’abitatore delle palafitte dei laghi,
laghetti e torbiere della Svizzera, oltre ad avere, specialmente
nell'epoca del bronzo, tenuti animali domestici e coltivata la
terra ed in tal modo provvisto al proprio mantenimento, cercò
nella caccia un potente sussidio alla propria alimentazione. Sap-
piamo che fra gli animali cacciati, che più sovente fornirono di
carni la sua mensa, abbondantissimo trovasi in tutte le palafitte
il Cervo comune o Cervus elaphus, come questa specie si trova
ne’ suoi avanzi di cucina rappresentata con individui di tutte le
età, dal cerbiatto neonato all’adulto gigante che oltrepassa la sta-
tura di un grande cavallo.
929 ALESSANDRO PORTIS
Le ossa del cervo si trovano nelle palafitte svizzere per la
maggior parte appositamente spezzate, alcune però sono costan-
temente intiere poichè nessuna parte utile era in esse rinchiusa
e fra queste costantemente trovasi la mandibola.
Vogliamo ora chiudere la digressione e tornare al bel pezzo
trovato dallo Avvocato Cantamessa. In questo esemplare, dopo
averne fatta la descrizione ed indicate le condizioni e la conco-
mitanza di giacitura, vedo l’avanzo di un bottino di caccia fatto
dall'uomo dell’epoca del bronzo, il quale, stabilito nel bacino di
Avigliana-Trana o nelle vicinanze, cacciava gli animali che aveva
d’attorno a sè e forse con marcata predilezione il Cervo, il bello
ed utile animale che gli forniva buone e, per ogni individuo
preso, copiose carni, ossa e corna da farne utensili e che sì
trovava abbastanza frequentemente e con non estremi pericoli
a portata delle sue armi.
Il Cervo comune, scemato di volume, visse da noi ancora
lungamente allo stato selvatico durante l’epoca storica, ora è
scomparso. Ma allorchè esso all’epoca della formazione delle tor-
biere in Piemonte veniva cacciato dall'uomo, un’altra specie di
Cervo, pure comune in Piemonte, tendeva ad estinguersi e gli
ultimi suoi rappresentanti venivano pur, con molta probabilità,
ricercati e cacciati dall’Uomo dell’epoca della pietra e del bronzo.
Tale Cervo è il C. euryceros il più recente rappresentante del
quale, trovato in Piemonte, si è appunto rinvenuto in un deposito
di formazione contemporanea alla Torbiera di Trana o forse di
poco anteriore, ma certo già durante la fase di regresso dei nostri
ghiacciai. Intendo con queste parole il corno di C. euryceros,
trovato alla cascina La Costa, tra Crescentino e Fontanetto, e
donato dal Comm. Calandra al Gastaldi. Quest'ultimo nell’anno
1875 ne fece oggetto di una sua nota alla R. Acc. dei Lincei
(inserta nel Tomo II, Serie II, degli atti della stessa Accademia),
col titolo: Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros,
accompagnandola di una tavola e segnalando alla base del corno
intagli ed impronte a cui non volle dare troppa importanza,
sembrandogli fatti da uno strumento troppo tagliente per essere
di pietra.
Torino, il 5 febbraio 1883.
;
IL CERVO DELLA TORBIERA DI TRANA 523
È probabile che, se qualche cultore di Scienze Naturali si
fosse recato più di sovente a visitare le Torbiere di Trana e ad
interrogare gli operai addetti all’estrazione del combustibile, forse
si sarebbero prima d’ora avute notizie su Vertebrati fossili di
quel giacimento: Infatti non era ancor finita la composizione
tipografica della Nota precedente che il mio cugino Coll. Cav.
Carletti recatosi a Trana ed interrogati i cavatori e ritirato da
loro quello che essi avevano incontrato, mi portò alcune ossa
della stessa Torbiera. Fra esse hanno maggior importanza: una
bella e completa tibia destra di Cervus elaphus misurante 31
centimetri di lunghezza ed una vertebra cervicale -di un individuo
adulto della stessa specie. Tali pezzi accompagnati da frammenti
di tronchi or tondeggianti ancora e giungenti fino a 60 centimetri
di diametro, or compressi e contorti, ma ancora rivestiti dalla
corteccia. Dalla stessa sorgente venni a sapere come anni addietro
sia stato rinvenuto nella stessa Torbiera un teschio di un Cervo
probabilmente della stessa specie che i pezzi precedenti, ancor
munito di gran parte delle sue corna e che dopo essere stato
qualche tempo nella casetta dello scopritore vennè inavverten-
temente dalla stessa sua moglie buttato sul fuoco e così distrutto.
Anche il giovane studente di Scienze Naturali signor Carlo
Sacco recatosi a visitare la località di Trana mi portava alcuni
oggetti da lui stesso raccolti colà. Fra essi alcuni frutti del C'orylus
avellana che ancora vive allo stato selvatico attorno alla Tor-
biera. Due di essi erano stati, analogamente a quanto succede
oggidì, forati e vuotati dal Moscardino delle nocciuole (Moscar-
dinus avellanarius) o da qualche altro rosicante di specie o di
genere affine: gli altri erano vuoti. Riconobbi inoltre alcuni
grani che paiono essere caduti da frutti del Itubus fruticosus,
524 A. PORTIS. — IL CERVO DELLA TORBIERA DI TRANA,
esso pure oggidì molto abbondante nella località. Quantunque
entrambi questi frutti siano stati trovati fra gli avanzi di cucina
nelle altre torbiere abitate dall'uomo della Svizzera e dell'Alta
Italia, non possiamo tuttavia, dalla presenza di essi conchiudere
ancora alcuna cosa in più sulla presenza dell’uomo nella Tor-
biera di Trana e sulla sua abitudine di fare provviste. Consta-
tiamo invece, analogamente a quanto succede oggidì, la presenza
del Moscardino anche nella immediata vicinanza dell'Uomo.
Torino, il 1° Luglio 1883.
Il Socio Lessona legge ancora la seguente sua
COMMEMORAZIONE
DI
CARLO DARWIN.
|
| In Italia nel principio del corrente secolo i medici filosofi e
Ciel
i naturalisti in progresso si preoccuparono molto di due pubbli-
cazioni, che facevano conoscere fra noi l'ingegno e il sapere del-
l'inglese Erasmo DARWIN.
Queste pubblicazioni vennero fuori tutte e due a Milano.
Una di esse era intitolata: Gli amori delle piante, in
quattro canti, tradotta in versi sciolti dal Medico Giovanni Ghe-
rardini, ed ebbe tre edizioni, di cui l’ultima è dell’anno 1844.
L'altra pubblicazione è intitolata: Zoonomia, ed è una grossa
opera di cui fu traduttore il grande Medico e patriota Giovanni
Rasori. Secondo il concetto che guidò Erasmo Darwin in questo
suo grande lavoro, tutte le scienze fisiche e biologiche dovevano
condurre a una giusta conoscenza e ad una classificazione natu-
rale delle malattie, e la classificazione naturale doveva condurre
a una buona medicina.
Un immenso capitale di cognizioni e un finissimo criterio
nello adoperarle splendono in quest'opera, degna in ogni tempo
di essere studiata.
Nel tratto dove parla dei rapporti fra i viventi l’autore di-
mostra stretto assai più che non si credesse al suo tempo il le-
game fra le piante e gli animali, e ammette un certo grado di
sensitività nelle prime. Mostra la malagevolezza in certi casì,
tanto nelle piante quanto negli animali, di riconoscere la indi-
vidualità e di discernere l'individuo dall’organo in quegli aggre-
gamenti che si riscontrano tanto nel regno vegetale, in cui è
malagevole dire se si tratti di parecchi organi costituenti un in-
520 MICHELE LESSONA
dividuo solo o di parecchi individui riuniti insieme. Dice che
gli animali hanno soggiaciuto a dei cambiamenti nel progresso
graduale della formazione della terra e di tutti gli esseri che
l’abitano, nelle serie lunghissime di tempi dappoichè la terra in-
cominciò ad esistere, forse milioni di secoli prima del principio
della storia del genere umano. Dice che fin dalla prima esi-
stenza di questo globo terracqueo gli animali che lo abitano an-
darono sempre perfezionandosi e sono tuttavia in uno stato di
perfezionamento progressivo.
I combattimenti dei maschi, in varie sorta di animali, pel
possesso delle femmine, hanno dovuto produrre a mano a mano
dei cambiamenti di cui l’effetto finale è stato da una parte
quello di indurre certe differenze, talora notevoli, fra i maschi
e le femmine, e da un’altra parte il miglioramento generale della
specie. Un altro grande elemento modificatore ha dovuto essere
lo sforzo continuo dei vari animali a procacciarsi il cibo, un
altro ancora quello di provvedere alla propria sicurezza.
Insomma, Erasmo Darwin, dichiara nel modo il più palese, e
s'ingegna anche di spiegare, che le diverse specie degli animali
di generazione in Senerazione collo andare dei secoli si sono ve-
nute più o meno profondamente modificando.
Questo concetto delle variabilità delle specie, così espressa-
mente dichiarato e sostenuto da Erasmo Darwin, era tutt'altro
che nuovo. Senza parlare dell’antichità, dove non fu pure senza
essersi manifestato, al tempo di Erasmo Darwin lo esprimevano
il Kant e il Goethe, il Treviranus, l’Oken, il quale disse ardi-
tamente che l’uomo si è sviluppato, non è stato creato. Più di
tutti, in sul principio del corrente secolo, sostenne il concetto
della variabilità delle specie il Lamarck, il quale anche spiegò
il fatto collo sviluppo progressivo e trasmesso di generazione in
generazione degli organi più esercitati e il ridursi delle parti
tenute inerti. In Italia il Bonelli e il Foderà, il primo in To-
rino e il secondo in Palermo, si professarono seguaci del La-
marck.
Erasmo Darwin ebbe parecchi figli, di cui uno, Roberto ;
studiò medicina e scrisse, giovanetto, una memoria, sugli ,Spettri
oculari, che il padre pubblicò nella Zoonomia; poi si diede tutto
allo esercizio della medicina e passò la vita nella piccola città
di Shrewsbury fra le cure del suo ufficio e gli affetti della fa-
miglia. Egli aveva per moglie una donna di rare qualità, figlia
ida
COMMEMORAZIONE DI CARLO DARWIN 527
di quel Giosuè Wedgwood che fu artista e scienziato mentre
portava in Inghilterra ad, una rara perfettezza la fabbricazione
delle porcellane.
Carlo Darwin nacque da questi genitori in Shrewsbury addì
12 febbraio 1809 e vi passò il tempo della sua fanciullezza.
Suo padre lo aveva destinato alla medicina e lo mandò, in
età di sedici anni, a studiare a Edimburgo. Là un professore
dichiarò Carlo Darwin inetto agli studi della medicina e svo-
gliato degli studi della storia naturale. Il padre, dopo questa
dichiarazione, si deliberò ad avviarlo per la carriera ecclesia-
stica e lo mandò a Cambridge, al collegio del Cristo. Un pro-
fessore di quelli che sanno farsi amare dai giovani, lo Henslow,
si impadronì dell'animo del giovanetto e gli accese nell’animo un
ardore per lo studio che fiammeggiò per tutta quanta la vita.
]l professore Henslow era naturalista valente. Il professore
Peacock, suo amico, gli scrisse un giorno che il capitano
Fitz-Roy doveva fare il giro del mondo sopra una nave della
marina inglese, e che avrebbe preso volentieri con sè a bordo
un giovane naturalista. Lo Henslow ne parlò con Carlo Darwin
e lo incoraggiò a imprendere quel viaggio dicendogli che molto
volentieri lo avrebbe raccomandato. Carlo Darwin, che leggeva
con passione lo Humboldt e sognava grandi viaggi, prese
fuoco a quella proposta. Al dottor Roberto Darwin non pareva
che il giro del mondo fosse la miglior via per suo figlio alla
carriera ecclesiastica, ma era uomo ben pensante e in breve si
arrese.
Carlo Darwin s'imbarcò sul Beagle, comandato dal Capitano
Fitz-Roy, e salpò dall'Inghilterra il giorno 27 dicembre 1831,
e il giorno 2 ottobre 1836 rivedeva le spiaggie della sua patria.
Carlo Darwin portò dal suo viaggio molte collezioni, di cui
s'era riservata la proprietà, e che diede poi a poco a poco ai
principali istituti scientifici d'Inghilterra; pubblicò parecchi lavori
intorno alle collezioni raccolte; fece la narrazione del suo viaggia
in un volume intitolato: Viaggio di un naturalista intorno al
mondo.
Quando Carlo Darwin partì, egli credeva nella immutabilità
delle specie; viaggiando, un gran numero di fatti lo colpirono,
segnatamente rispetto al succedersi delle specie affini di terra in
terra, alla affinità o alla disparità delle specie fra le isole e i
continenti vicini, alla affinità fra le forme fossili e le forme vi»
528 MICHELE LESSONA
venti; allo adattamento della vita di certi animali nelle acque
dolci e nelle acque salse o salmastre, e altro somigliante Allora
gli nacque il dubbio che le specie affini possano derivare da uno
stipite antico comune. (Questo dubbio gli empì l'animo per modo
che vi andò volgendo sempre più sopra il pensiero e cominciò
a considerare da questo punto di vista un gran numero di fatti
ed a raccogliere materiali e argomenti in proposito.
Sia per riparare i danni che la sua salute aveva sofferto
per le fatiche del viaggio e segnatamente pel travaglio del mal
di mare, sia perchè egli si sentiva tutto tratto allo studio e
alieno dalla vita pubblica e dai centri clamorosi, poco dopo. il
suo ritorno dispose le cose sue per modo da poter seguire quel
tenore di vita che meglio si confaceva coi suoi gusti.
Prese a Cambridge il grado di maestro nelle arti, corrispon-
dente a un di presso alla laurea in filosofia delle università ger-
maniche, sposò Emma Wedgwood, sua cugina, degnissima donna
che gli abbelli la esistenza e lo fece lieto di numerosa figliuo-
lanza, e nell’anno 1842 prese dimora nel piccolo villaggio di
Down, presso Beckenam, nella contea di Kent, e non se ne
mosse più fino all’ultimo della sua vita.
Egli si trovava là indipendente, libero da ogni legame esterno,
padrone di tutto quanto il suo tempo, padrone di volgere a sua
posta i suoi pensieri.
Continuò ad occuparsi di lavori scientifici in rapporto col
viaggio, fece ricerche originali intorno ai Cirripedi pubblicandone
una monografia, ma al disopra di tutto nella sua mente stava
la quistione della variabilità delle specie e di essa principal-
mente si preoccupava, e ad essa faceva convergere tutti i suoi
lavori, tutti i suoi studi, tutte le sue osservazioni, tutte le sue
meditazioni.
Un fatto volgarissimo, continuamente sotto gli occhi di tutti,
mise il Darwin sulla via di dimostrare, per quanto è possibile
una dimostrazione di tal fatta, la variabilità delle specie; il va-
riare delle forme negli animali domestici e nelle piante colti-
vate. Nissun popolo diede tanto opera a diversificare e molti
plicare le razze degli animali domestici e le varietà delle piante
coltivate quanto l’inglese.
Il grande fattore di queste modificazioni è la scelta dei ri-
produttori, o, come disse il Darwin, la scelta artificiale. Ciò che
avviene nei viventi in potere dell’uomo, può essere avvenuto in
COMMEMORAZIONE DI CARLO DARWIN 529
natura. Carlo Lyell aveva distrutto la teoria geologica dei ca-
taclismi e delle rivoluzioni del globo, e aveva fatto accogliere
quella delle cause lente. I cambiamenti che avvengono lentissi-
mamente oggi sulla superficie del nostro pianeta hanno dovuto
compiersi pure nel passato, e per una sequela indefinita di se-
coli, producendosi grandi modificazioni nel clima e nelle condi-
zioni dei viventi. Per quanto tutti i viventi di una specie ve-
getale o animale si rassomiglino, pure vi è sempre qualche
differenza individuale. Quegli individui che per taluna di queste
differenze si trovano meglio favoriti resistono, mentre gli altri
soccombono.
Segue così una lotta per la vita, nella quale i forti si sal-
vano per una sorta di elezione cuì il Darwin diede il nome di
scelta naturale. La lotta per la vita e la scelta naturale ope-
rano continuamente sui viventi, ed è un effetto loro la modifi-
cazione nelle forme, pel conservarsi e svilupparsi dei caratteri
favorevoli alle nuove condizioni. La lotta per la vita e la scelta
naturale traggon seco la variabilità delle specie.
Il Darwin comprendeva che egli non avrebbe potuto venir
fuori a manifestare cosifatte idee senza un grande corredo di
fatti, e, per quanto fossero imponenti e numerosi i fatti raccolti,
pure non gli parevano mai bastanti.
Una circostanza speciale, lo avergli il Wallace mandato un
lavoro nel quale era sostenuto il concetto della variabilità delle
specie, e che egli fece subito pervenire alla Società Linneana, e
le insistenze di due suoi amici, il dottore Hooker e Carlo Lyell,
che da lungo tempo conoscevano il suo operare, fecero sì che
finalmente, ma ancora un po’ mal suo grado, il Darwin si de-
liberasse a presentarsi al pubblico, e ciò fece col volume inti-
tolato: L’ Origine della specie, che fu messo in vendita il
giorno 24 novembre 1859.
La prova che in quel volume c’era quanto bastava, la prova
che, anche quando il Darwin non fosse stato per pubblicare poi
mai altro più tardi, quel volume sarebbe stato più che suffi-
ciente, si ha nello effetto immenso che esso produsse fin dal suo
primo apparire.
Ma il Darwin dopo quella pubblicazione visse ancora abba-
stanza perchè abbia potuto fare molte altre ricerche e pubbli-
cazioni importanti.
La scelta sessuale, di cui aveva già un chiaro concetto il
550 MICHELE LESSONA
suo nonno Erasmo, fu presa meglio in considerazione da lui, e
pubblicata in un nuovo volume sulla origine dell’uomo, di cui
prima non aveva parlato. Così pubblicò in un volume tutti i
materiali che aveva raccolto dalla lunga intorno alle variazioni
indotte dall'uomo negli animali domestici e nelle piante colti-
vate, e in questo volume espose la sua teoria della pangenesi
già, secondo che egli stesso dichiara, preveduta chiaramente dal
Mantegazza.
L'espressione dei sentimenti nell'uomo e negli animali fu poi
pel Darwin argomento a un nuovo volume.
Lo studio delle piante non si attraeva meno la mente del
Darwin di quello degli animali. I movimenti delle piante, quelli
in special modo delle piante rampicanti, la fecondazione, la cu-
riosa natura di talune che si pascon d’insetti, diedero luogo a
parecchie pubblicazioni sue, di cui una, quella intorno alle piante
insettivore, meravigliosa per la esposizione del modo di speri-
mentare dell’autore e investigare i fatti della chimica fisiologica
e della fisiologia vegetale, si ebbe il premio Bressa dalla Ac-
cademia delle Scienze di Torino.
L’ultimo lavoro di Carlo Darwin fu sui lombrici e la loro
azione sulla terra vegetale, non meno mirabile degli altri e non
meno ricco di quei pregi che sono tanto caratteristici dell’ au-
tore, la erudizione, il criterio, la investigazione retta, la consi-
derazione diligente di ogni possibile obbiezione, la limpidissima
esposizione.
In ogni suo volume il Darwin fa una breve e chiarissima
esposizione dell'argomento e una breve e chiarissima ricapitola-
zione delle cose dette.
Il volume sulla Origine delle specie finisce con queste pa-
role :
« È cosa molto interessante il contemplare una spiaggia ri-
dente, coperta di molte piante di ogni sorta, cogli uccelli che
cantano nei cespugli, con diversi insetti che ronzano da ogni
parte e coi vermi che strisciano sull’umido terreno; ed il con-
siderare che queste forme elaborate con tanta maestria, tanto
differenti fra loro e dipendenti l’una dall’altra, in una maniera
così complicata, furono tutte prodotte per effetto delle leggi che
agiscono continuamente intorno a noi.
« Queste leggi, prese nel senso più largo, sono: lo Sviluppo
colla Riproduzione , l’ Eredità che è quasi implicitamente com-
Lal
ul
i
ri
+
COMMEMORAZIONE DI CARLO DARWIN 551
presa nella Riproduzione; la Variabilità derivante dall’azione di-
retta e indiretta delle condizioni esterne della vita e dall’ uso
o dal non uso; la legge di Moltiplicazione in una proporzione
tanto forte da rendere necessaria una lotta per l’Esistenza, dalla
quale deriva l’Elezione naturale, la quale richiede la Divergenza
del Carattere e l’Estinzione delle forme meno perfezionate.
« Così, dalla guerra della natura, dalla carestia e dalla morte
segue direttamente l’effetto stupendo che possiamo concepire,
cioè la produzione degli animali più elevati. Vi ha certamente
del grandioso in queste considerazioni sulla vita e sulle varie
facoltà di essa, che furono impresse dal Creatore in poche forme
o anche in una sola; e nel pensare che, mentre il nostro pia-
neta si aggirò nella sua orbita, obbedendo alla legge immuta-
bile della gravità, si svilupparono da un principio tanto sem-
plice, e si sviluppano ancora, infinite forme vieppiù belle e
meravigliose ».
Carlo Darwin morì a Down addi 19 aprile 1882. La com-
mozione destatasi in tutto il mondo civile per la notizia della
sua morte prova quanto grande sia stato l’effetto del suo pen-
siero sugli uomini del suo tempo, ed è probabile che sia per
essere grande in pari modo sempre nello avvenire.
532
MICHELE LESSONA
PUBBLICAZIONI PRINGIPALI
di CARLO DARWIN
Di Argomento generale.
A naturulist's voyage round the world on board of H. M. S.
Beagle, 1831-36.
Journal of researches in to the natural history and geology of
countries visited by H. M. S. Beagle, 1845.
On the origin of species by means of the natural selection,
I iyviol.,, 1859.
On the variation of organie beings in a state of mature,
The
The
The
The
The
>
(Journal of the Linnean Society, 3 vol., Zoology) 1859.
variation of plants and animals under domestication ,
2 vol., 1868.
descent of man and selection in relation to sex, 2 vol.,
1871.
expression of the emotions in man and animals, 1 vol.,
1871.
formation of vegetable mould, 1881.
Zoologia.
zoology of the voyage of H. M. S. Beagle, edited and
superintended by Ch. Darwin, 1840.
Observations on the structure of the genus Sagitta. (Ann, his.,
13 vol., 1844).
COMMEMORAZIONE DI CARLO DARWIN 593
Brief description of general terrestrial Planariae, ete. (Ibidem,
14 vol., 1844).
A Monograph of the Cirripedia, Parte I, Lepadidae, Roy.
Soc., 1851.
"A Monograph of the Cirripedia. Parte II, Balanidae, 1854,
Roy. Soc.
A Monograph of the fossit Lepadidae. Pal. Soc., 1851.
A Monograph of the fossil Balanidae and Verrucidae. Pal.
Soc. 1854.
| Botanica.
On the action of seawater on the germination of seeds. (Jorn.
Linn. Soc., 1 vol., 1857).
On the agency of bees in the fertilisation of papilionaceus
flowers. (Ann. nat. hist. 2 vol., 1858).
On the two forms or dimorphic condition of the species of
Primula. (Journ. Linn. Soc. 7 vol., 1862).
On the various contrivances by which British and foreign
Orchids an fertilised, 1862.
On the existence of two forms and their reciprocal sexual
relations in the genus linum. (Journ. Linn. Soc. 7 vol.,
1868).
On the sexual relations of three forms of Lythrum (Journ.
Linn. Soc. 8 vol., 1864).
On the character and the brid-like nature of the illegitimate
offspring of dimorphie and trimorphie Plants. (Journ.
Linn. Soc. 10 vol., 1867).
On the specific difference between Primula veris and P.
vulgaris, ete. (Ibidem, 10 vol., 1867).
Insectivorous Plants. 1 vol., 1875.
On the movements and habits of climbing Plants. (-Journ.
Linn. Soc., 10, 1865).
The effects of cross and self fertilisation in the vegetable
kingdom, 1876,
534 M. LESSONA - COMMEMORAZIONE DI CARLO DARWIN.
On the different Forms of Tlowers on Plants of the same
specîes, 1876.
The Power of Movement in Plants, 1880.
Geologia.
On the formation of mould. (Trans. geolog. Soc., 5. vol.,
1887).
Origin of the saliferous depots of Patagonia. (Journ. geol.
Soc. 2 vol., 1888).
On the connection of the volcanic phenomena in South America.
(Iransac. geol. Soc. 5 vol., 1838).
On the parallel roads of Glen Roy. (Trans. Phil. Soc.,
1839).
On the distribution of the erratic boulders in South America.
(Trans. geol. Soc. 6 vol. 1841).
On a remarkable bed of sandstone of Fernambuco. ( Phil.
Mag. 1841.
Notes on the ancient glaciers of Caernarvonshire. (Phil. Mag.
20 vol., 1842).
The structure and distribution of coral reefs, 1844.
Geological observations on volcanie islands, 1842.
An account of the fine dust which often falls on the vessels
in the Atlantic. Ocean. (Proc. geol. Soc., 1845).
On the geology of the Falkland island. (Journ. geol. Soc.,
1846).
On the trasportal of erratic boulders from a lawer to a
higher level. (Ibidem, 1848).
On the power of icebergs to make grooves on a submarine
surface. (Phil. Mag. Auy., 1855).
Geological observations on South America, 1846.
[A ROSETO 0
535
Il Socio Cav. Prof, Alessandro DornA, Direttore dell’ Os-
servatorio astronomico di Torino, presenta all’ Accademia, per
l'annessione agli Aff in continuazione delle precedenti, le Os-
servazioni meteorologiche ordinarie dei mesi di Aprile e Maggio
di quest'anno, state redatte coi rispettivi riassunti e diagrammi
dall’Assistente Dott. Angelo CHARRIER.
Anno XVIII 1883
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Aprile.
La media delle altezze barometriche osservate in questo mese
è 34,96, superiore alla media degli ultimi diciassette anni di
mm. 0,43.
I valori estremi osservati sono i seguenti:
— Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
M@n RIA 35,27 dA. A. 0, 43,95
FRASI 31,05 T79 RI R 40,83
- PICO 26,73 olè Rete O 37,41
rn nine 22,85
La temperatura ha per valor medio 11°,7 ed è inferiore
alla media di Aprile degli ultimi diciassette anni di 1°,2. I va-
lori estremi 20°,9 e 0°,7 si ebbero nei giorni 5 e 24.
Si ebbe pioggia in 18 giorni e l'altezza dell’ acqua caduta
fu di mm. 127.
Il quadro seguente dà il numero delle volte che spirò il
vento nelle singole direzioni:
NONXE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
40 e SR AE E IT
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII, 37
536 DORNA -— OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE,
Anno XVIII 1883
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI
fatte nel mese di Maggio.
La media delle osservazioni barometriche in questo mese è
di 35,40 inferiore solo di mm. 0,50 alla media di maggio degli
ultimi diciassette anni.
Le variazioni della pressione barometrica son contenute nella
tabella seguente :
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
= RA 31.49 Ta LE 24,60
BR SOT LOSE 27,99
parorneone LL 41,91 ito ia 37,05
Le acre lbl 40,87 0 1a 0 27,43
BEL ARG) A4g%5 2 erro LI Tage.
La temperatura in questo mese ha per valor medio 17°, 1,
superiore di 0°, 3 alla media di Maggio degli ultimi diciassette anni.
La minima delle temperature 5°,1 si ebbe nel giorno 11:
la massima 27°,5 nel giorno 17.
I giorni con pioggia furono 12 e l’altezza dell’acqua caduta
fr “di mm. 11071.
Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole
direzioni :
NO NVE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NW
{002028 315 853 113 1010; 4.9 {1
Queste Osservazioni verranno stampate nel solito fascicolo an-
nuale che si pubblica per cura dell’Accademia, e che va annesso
agli Atti.
Il Socio Alfonso Cossa, per incarico del Socio corrispondente
Prof. Carlo FriepEL di Parigi, fa omaggio all'Accademia di una
Memoria importantissima, che si riferisce a ricerche eseguite dal
FrIepEL, colla collaborazione di J. CurIE sulla peroelettricità
del quarzo.
537
È
3 Adunanza del 24 Giugno 1883
i PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI
Il Socio Cav. Prof. Andrea NACccARI presenta e legge la se-
o guente Nota del sig. Dott. FiLeTI, Professore nella R. Università
di Torino:
|
È TRASFORMAZIONE
DELLO SGATOL IN INDOL
E PREPARAZIONE DELL’ INDOL
Im una mia precedente memoria ho fatto vedere un nuovo
modo di formazione e preparazione dello scatol, ed ho dato una
formola di costituzione secondo la quale questa sostanza è da
considerarsi come metilindol ; questa maniera di vedere riceve
ora una conferma nel fatto che lo scatol per l’azione del calore
sì trasforma in indol.
Se siì fanno passare dei vapori di scatol in un tubo riscal-
dato al rosso e contenente dei pezzetti di porcellana, si ottiene
un distillato oleoso e si sviluppa contemporaneamente un gas
infiammabile del quale non studiai la natura sia per la piccola
quantità sia perchè avendo esso subìto l'influenza dell’elevata
temperatura, nessuna conseguenza si avrebbe potuto tirare dalla
sua composizione.
Impiegai gr. 0,14 di scatol che misi «dentro il tubo in na-
vicella di platino; operai in atmosfera di anidride carbonica, ed
il gas sviluppatosi e liberato dall’anidride carbonica era 7°. Il
liquido distillato fu trattato con acqua, e la soluzione acquosa diede
con acido cloridrico e nitrito potassico manifesta reazione d’indol.
Questa trasformazione può anche mettersi in evidenza in
modo semplice operando sopra piccolissima quantità di sostanza :
— Si introduce in un tubo da saggio una piccola quantità di
538 M. FILETI
scatol e si riscalda direttamente sopra una lampada Bunsen, in
modo che i vapori incontrino le pareti calde del tubo; dopo
raffreddamento si tratta con acqua, ed il liquido dà con acido
cloridrico e nitrito potassico la reazione dell’indol.
Su questa proprietà dello scatol di trasformarsi per l’azione
del calore in indol, riposa il processo di preparazione di que-
st’ultimo corpo che descriverò qui appresso e che, secondo la
mia osservazione è preferibile a tutti gli altri sinora conosciuti.
Invero, se il vapore di cumidina, preparata dalla distillazione
dell’ amidocuminato di bario con barite, si fa agire sull’ossido
di piombo riscaldato, invece di scatol che per analogia al modo
di produzione di questa sostanza da me nella precedente me-
moria indicato dovrebbe formarsi, si ottiene indol.
Si fa passare, non molto rapidamente, il vapore di cumidina
sull’ossido di piombo contenuto in un tubo di porcellana di
40 cm. di lunghezza riscaldato al rosso in un fornello a gas :
si condensa un liquido nerastro e si sviluppa abbondantemente
un gas. ll liquido distillato si tratta con acido cloridrico di-
luito dove si discioglie parzialmente, la parte restata indisciolta
si distilla in una corrente di vapor d’acqua e il distillato si
acidifica con acido cloridrico e si precipita con acido picrico.
Le acque madri dalle quali si precipitò il picrato furono esa-
minate distillandole con ammoniaca : se ne ricavò soltanto pic-
colissima quantità d'indol mescolato a un po di sostanza resinosa.
Invece il picrato disseccato, lavato con etere di petrolio, dà
alla distillazione con ammoniaca un liquido lattiginoso che ha
le reazioni dell’indol; le goccioline oleose, che distillano, si soli-
dificano soltanto nel recipiente nel quale si raccolgono ; nel pal-
lone resta un po’ di resina nera. i
L'indol passato alla distillazione, raccolto sopra un filtro e
asciugato nel vuoto sopra cloruro di calcio, si fonde, senza bi-
sogno di ulteriore purificazione, a 52°.
Il filtrato contiene disciolto ancora molto indol; per estrarlo
e per assicurarmi se contemporaneamente nella reazione sì forma
dello scatol, acidificai il liquido, lo precipitai con acido picrico
e poi ridistillai con ammoniaca tanto le acque madri quanto
il picrato: soltanto quest’ultimo diede nelle prime gocce del
distillato pochissime laminette che si depositarono nella canna
del refrigerante; erano però in così piccola quantità che appena
potei raccoglierle onde determinarne il punto di fusione: si fu-
: TRASFORMAZIONE DELLO SCATOL IN INDOL 589
sero a 64° e sono quindi probabilmente di scatol impuro. Del
resto, i liquidi distillati in ambo i casi, agitati con etere cedet-
| tero a questo dell’indol che senza ulteriore purificazione si fon-
deva a 51°,5; e se in qualche caso si ebbe dallo svaporamento
del solvente un residuo fondente alcuni gradi al disotto, bastò una
semplice cristallizzazione dall'acqua per. ottenerlo fusibile a 52°.
Come si vede il prodotto che si ottiene da questa reazione,
nella quale si forma contemporaneamente soltanto una traccia
di scatol, è molto puro, e sia per questa ragione che per il
soddisfacente rendimento, io ritengo che questo metodo sia da
preferire a tutti gli altri conosciuti per la preparazione del-
. l’indol.
i Da gr. 35 di cumidina ottenni gr. 8 di picrato. È da no-
tare però che la buona riuscita dell’ operazione dipende princi-
; palmente dalla temperatura, la quale se è troppo elevata car-
bonizza tutto, e se è di troppo inferiore al rosso, non dà buoni
risultati: così, in un’ operazione nella quale non scaldai forse
sufficientemente, ottenni soltanto circa un grammo di picrato
grezzo da 45 di cumidina.
iti
La soluzione cloridrica ottenuta dal trattamento con acido
cloridrico del prodotto grezzo dell’azione della cumidina sull’os-
sido di piombo, per l’aggiunta di soda caustica lascia separare
un liquido che disseccato e distillato comincia a bollire prima
di 200°, la massima parte passa tra 200° e 210°, ed una pic-
cola porzione verso 225°; questa è un po’ di cumidina inalte-
rata, le altre porzioni contengono dell’ortotoluidina e un po’ di
anilina che ho constatato per mezzo delle reazioni colorate.
Il gas sviluppatosi da 35 grammi di cumidina è da 4 a 5
litri; lo feci passare attraverso il bromo con che soltanto una
parte si assorbì, e, dopo l'allontanamento dell’eccesso di bromo,
restò un liquido molto pesante, di odore gradevole etereo, bol-
lente a 128-140° (per la massima parte a 132°); non si so-
lidificò nel ghiaccio, ma quasi totalmente nel ghiaccio e sale.
Era un miscuglio di molto bromuro di etilene (p. di eboll. 131°)
con poco bromuro di propilene (p. di eboll. 142°) come fu del
resto confermato dall’analisi.
Il gas non assorbibile dal bromo è combustibile; non lo
analizzai, ma facendovi agire sopra un eccesso di cloro alla luce
540 M. FILETI - SULLA TRASFORMAZIONE DELLO SCATOL IN INDOL.
diretta in modo a far mescolare i due gas poco a poco per
diffusione, sì depositarono sulle pareti del vaso cristalli che, alle
proprietà e principalmente al punto di fusione, riconobbi per
sesquicloruro di carbonio. Il gas conteneva dunque dell’'etano.
Sul prodotto dell’azione del cloro feci anche la reazione per
cloroformio e tetracloruro di carbonio con potassa e anilina, ma
ebbi risultati negativi.
La trasformazione dello scatol in indol conferma la formola
da me data per lo scatol :
CHF
H |
C 0
HC ( CH
C Al
C
I
secondo la quale, questo è da considerarsi come metilindol.
Torino, Laboratorio di Chimica della R. Università,
24 (Giugno.
Fi
Il Socio NaccaRI presenta ancora la seguente Nota dello
stesso Prof. FILETI:
SINTESI DELLO SCATOL.
Nel 1880 in una nota preliminare sul cumofenol, dissi che
nella preparazione della cumidina per distillazione dell’amidocu-
minato di bario con barite si formava una piccola quantità di
una sostanza solida fusibile a 88-89", dotata di odore caratte-
ristico e spiacevole: ne ebbi però quantità troppo piccola e potei
farne soltanto una determinazione di azoto.
Più tardi ripresi lo studio di questa sostanza che ottenni in
stato più puro e fusibile a più elevata temperatura, constatai
che essa si forma dall’acido nitrocuminico contenuto nell’amido-
acido grezzo da me adoperato, e, stabilita la sua identità collo
scatol, comunicai a questa R. Accademia la sua formazione nella
distillazione secca del nitrocuminato di bario.
Ecco ora i risultati della continuazione di queste ricerche.
Se si distilla nitrocuminato di bario, preparato da acido ni-
trocuminico purissimo, con eccesso di barite, e tanto più se si
aggiunge una sostanza capace di togliere ossigeno come polvere di
zinco o limatura di ferro, sì ottiene un liquido nero, di odore spia-
cevole, che contiene principalmente dello scatol e della cumidina
insieme ad una sostanza resinosa. In una prima operazione tras-
formai gr. 100 di acido nitrocuminico in sale di bario, aggiunsi 3
parti di idrato baritico secco e 4 di polvere di zinco; il rendimento
in scatol fu piccolo poichè ebbi soltanto gr. 3 di picrato grezzo.
Migliori risultati ebbi adoperando come riducente il ferro :
distillai difatti il sale baritico proveniente da gr. 100 di acido
nitrocuminico con 3 p. di idrato baritico secco e 3 p. di ferro
in polvere; la distillazione fu fatta per porzioni di gr. 50 in
una storta di rame e scaldando moderatamente in principio, poichè
la reazione è piuttosto energica e quindi buona parte dei vapori
scappa facilmente senza condensarsi cagionando delle perdite. Da
gr. 100 di acido nitrocuminico ottenni gr. 10 di picrato grezzo,
542 M. FILETI
Un rendimento ancora migliore si ha operando come segue.
Gr. 40 di acido nitrocuminico si riducono in amidoacido scio-
gliendolo in eccesso di ammoniaca e sottoponendolo per lungo
tempo all’azione dell'idrogeno solforato : si decompone il solfuro
ammonico per mezzo del calore e si precipita con acido acetico;
l’acido amidocuminico così ottenuto si mescola con gr. 60 del
nitroacido, si tratta il miscuglio con eccesso (gr. 100) di idrato
baritico cristallizzato per trasformare gli acidi in sali di bario,
sì dissecca a 120°, si mescola col doppio peso di idrato bari-
tico secco e si distilla in storta metallica per porzioni di 50
grammi. La reazione procede più regolarmente che nel caso pre-
cedente, ma anche qui si deve scaldare con precauzione onde evi-
tare delle perdite. i
Il liquido distillato si tratta con acido cloridrico diluito e
dalla soluzione acida si separa, per mezzo di idrato sodico, una
base (gr. 20) che bolle verso 220° e che probabilmente è cumidina.
La parte insolubile nell’acido si distilla col vapor d’acqua, con
che resta una resina nera e passa in notevole quantità dello scatol
in laminette bianchissime che si condensano nel tubo del refri-
gerante ; il distillato si tratta con acido cloridrico diluito, si pre-
cipita con acido picrico, si asciuga il picrato per esposizione
all’aria o riscaldandolo verso 80°, si cristallizza dalla benzina
e si distilla con ammoniaca. Lo scatol così ottenuto si fonde a
88° e in alcuni casi l'ho avuto fusibile direttamente a 90°; si
purifica per cristallizzazione dall’acqua o dall'acqua alcoolica, con
che il punto di fusione si eleva sino a 94°.
Da 100 grammi di acido nitrocuminico ottenni sino a 14
grammi di picrato grezzo.
Gr. 0,2133 di sostanza diedero gr. 0,6437 di CO, e
gr. 0,1395 di H,0.
Gr. 0,0715 di sostanza diedero gr. 0,0075 di azoto.
Cioè in 100 parti:
Trovato Calcolato per C, HyiN
CO E E RS SO LTA
dp O tetstog VT eat” DI ERRO AE
PRRPSIBII, DE Susan ig 1A 0 FO RADIE A TARE, AE
(1) Questa determinazione di azoto fu fatta nel 1880 sopra un campione
allora preparato. :
SINTESI DELLO SCATOL 548
Nella reazione oltre allo scatol si formano tracce di indol,
mentre non ho riscontrato la più piccola quantità di metilchetol :
ma la quantità di indol è così piccola che soltanto dopo una
serie di trattamenti potei ottenere la reazione rossa con acido ni-
troso. Invero filtrando il prodotto avuto nella distillazione con
ammoniaca del picrato cristallizzato dalla benzina, la sostanza in
pagliette bianchissime che resta sul filtro, che si fonde verso 90°
e che è scatol quasi puro, dà colorazione rossa col legno di
conifere, ma con acido nitroso non dà la reazione dell’ indol;
e così anche il liquido filtrato dà la reazione col legno, ma nello
stato di diluizione nel quale si trova non dà la reazione rossa
con acido nitroso. Per constatare in esso la presenza dell’ indol
ho operato in questo modo: ho neutralizzato con acido cloridrico
diluito la quasi totalità dell’ammoniaca che si trova nel liquido,
ho agitato con etere, ho distillato il solvente ed ho sciolto in
tanta acqua che è necessaria ad ottenere una soluzione satura
a freddo, la sostanza solida bianco giallastra, che l’etere avea
trasportato. Dal liquido acquoso neutro una soluzione satura a
freddo di acido picrico precipita un picrato rosso che distillato
con ammoniaca fornisce dello scatol; le acque della distillazione
dànno la reazione colorata col legno delle conifere, ma non quella
dell’indol coll’ acido nitroso. Aggiungendo però acido cloridrico
diluito alle acque madri del picrato, precipita ancora dell’altro
picrato, dal quale, per distillazione con ammoniaca, si ottiene
scatol, ed il liquido dà con acido cloridrico e nitrito potassico
manifesta reazione d’ indol.
Lo scatol che io ho avuto per le mani mi ha sempre dato
la colorazione rossa col legno di conifere umettato di acido clo-
ridrico (1). Baeyer (2) assicura che lo scatol non presenta questa
reazione, mentre che io, malgrado tutte le purificazioni alle quali
l’abbia assoggettato, ho ottenuto sempre la cennata colorazione.
(1) Per fare questa reazione io mi servo abitualmente di larice rosso
nostrale; l’abete o altra conifera corrisponderebbe egualmente allo scopo.
Tengo per qualche momento il pezzettino di legno in acido cloridrico con-
centrato e poi lo introduco nel liquido (neutro o acido) che voglio saggiare:
la reazione si suol manifestare tosto, e ancora più prontamente se si immerge
nuovamente il legno nell’acido cloridrico.
(2) Berliner Berichte, XIII, 2340.
544 M. FILETI
Nencki (1) dice che la separazione dello scatol dall’indol si
può fare per cristallizzazione dall’acqua profittando della minore
solubilità del primo; Brieger (2) la effettua sciogliendo la so-
stanza nell’alcool e precipitando con acqua; Baeyer (1. c.) dix
stillando il miscuglio dei picrati con soluzione di soda discreta-
mente concentrata decompone l’indol ed ottiene soltanto lo scatol.
Io presi un campione di scatol una volta cristallizzato, fu-
sibile a 91°, che non dava la reazione dell’indol con acido ni-
troso ma colorava in rosso il legno di conifere; sciolto nell’alcool
e riprecipitato con acqua si fonde a 92°,5 e dà la reazione col
legno; ripetendo" la stessa operazione si fonde a 93°5 e dà
sempre la reazione di sopra; distillato in seguito con una solu-
zione concentrata di idrato sodico (1 p. di soda e 2 p. di acqua)
conserva la reazione; cristallizzato ancora dall'acqua alcoolica si
fonde a 94° e dà tuttavia la colorazione rossa ; cristallizzato final-
mente ancora una volta dall’acqua, mantiene costante il suo punto
di fusione a 94°, ma non ha perduto la proprietà di colorare
in rosso il legno di conifere.
Un'altra esperienza ho ancora fatto per indagare se questa
proprietà del mio scatol è dovuta a tracce di indol, ho cioè
ricercato questo corpo nelle acque madri che mi servirono a
cristallizzare tutto lo scatol da me ottenuto dalla distillazione
con ammoniaca del picrato purificato dalla benzina; ho detto
difatti precedentemente che in questa porzione di scatol si ottiene
la colorazione del legno, ma non la reazione rossa con acido
nitroso, mentre che nelle acque insieme ad esso distillate , col
processo della precipitazione frazionata con acido picrico , potei
arrivare a scoprire con certezza tracce d’indol. Ora dunque ap-
plicai questo metodo di precipitazione frazionata alle acque madri
della cristallizzazione dello scatol. Esse, che hanno reazione neutra,
furono trattate con eccesso di acido picrico ed il precipitato rac-
colto e lavato; le acque madri del picrato addizionate di acido
cloridrico diluito ed il picrato separatosi raccolto anch’ esso e
lavato: distillando con ammoniaca queste ultime acque madri e le
due porzioni di picrato, si ottennero in tutti e tre i casi distillati
contenenti scatol, che coloravano in rosso il legno di conifere,
ma in nessun caso si ebbe la reazione rossa con acido cloridrico
(1) Journ. pr. Chem., 17,101.
(2) Zeitschr. physiol. Chem., 4,414.
-———= i
SINTESI DELLO SCATOI. 545
e nitrito potassico. È a credere pertanto che se quantità anche
piccole d’indol fossero state nello scatol sottoposto alla cristal-
lizzazione, esso si sarebbe accumulato nella seconda porzione di
picrato, in quella cioè precipitata dall’acido cloridrico, o almeno
nelle ultime acque madri, tanto da rendersi palese per mezzo
dell’acido nitroso.
Io riesaminerò questa questione; per ora, in conseguenza
delle esperienze descritte inclino a credere che lo scatol abbia
per sè la proprietà di colorare in rosso il legno delle conifere
umettato con acido cloridrico (1).
Lo scatol da me ottenuto non è affatto privo di odore ;
quando è grezzo ha qualche volta odore fecale, ma il carattere
fecale di quest’odore si perde per la purificazione e viene sostituito
da un odore caratteristico non molto intenso, che rammenta la
naftilamina ; quando è invece trasportato dai vapori d’acqua
odora solamente pungente, tanto da irritare in modo insoppor-
tabile la mucosa del naso.
Da questo modo di formazione dello scatol si può dedurre
una formola di costituzione molto probabile per questa sostanza ;
difatti, siccome l’acido cuminico contiene certamente l’isopropile
e l’acido nitrocuminico ha il nitrogruppo al posto orto relativa-
mente all’isopropile stesso, così la formola che meglio corrisponde
al modo di formazione dello scatol è la seguente :
CH,
H I
C Cc
)
HC c CH
HC C NH
to
H
(1) Debbo alla cortesia del Prof. Gracosa un campione di scatol prepa-
rato dal cervello nel laboratorio del Prof. NENcKI; si comporta precisamente
come il mio verso il legno delle conifere,
546 M. FILETI — SINTES) DELLO SCATOL.
Io credo invero molto più probabile che lo scatol contenga
il gruppo imidico come l’indol e il metilchetol, che l’azoto ter-
ziario come la chinolina ; ciò del resto mi propongo di dimo-
strare per mezzo del derivato acetilico, come mi propongo inoltre
di mettere in evidenza la presenza del metile, cosa alla quale
si deve forse arrivare per mezzo dei prodotti di ossidazione.
In conformità dunque a questo modo di vedere lo scatol va
considerato come metilindol, nello stesso modo che come metil-
indol deve riguardarsi, in seguito alla nuova formola di Jackson,
il metilchetol di Baeyer e Jackson.
Torino, Laboratorio di Chimica della kR. Università,
12 Giugno.
—_—————_>cce@->@—— —
ten Zon
Il Socio Prof. Alfonso Cossa, condeputato col Socio Pro-
fessore Angelo Mosso ad esaminare un lavoro manoscritto del
Prof. Icilio GuaREScHI: « Ricerche sui derivati della
Naftalina >», legge la seguente
RELAZIONE.
L'autore, premesse alcune considerazioni generali, divide la
sua memoria in sei capitoli.
Nel capitolo I espone le ricerche da lui eseguite per sepa-
rare le diverse bibromonaftaline che si formano per l’azione di-
retta del bromo sulla naftalina. Egli arrivò a separarne tre, delle
quali egli descrive più dettagliatamente quelle che sono fusibili a
82° ed a 181°,4. In seguito l’autore dimostra che il tetrabro-
. muro di LauRENT corrisponde alla bibromonaftalina fusibile ad
82°, dalla quale si può ottenere direttamente, mentre essa non
si produce con quella fusibile a 131°,4.
Nel capitolo II l’autore accenna che studiando l’azione del-
l’acido nitrico sulla bibromonaftalina fusibile ad 82°, è riuscito
ad ottenere un acido bibromoftalico e l’acido nitrobromoftalico.
Nel capitolo III si descrive come per l’ azione dell’ acido
cromico siasi ottenuto un nuovo bibromonaftachinone ed una bi-
bromonaftalide. In seguito a questi risultati, e tenendo conto
della trasformazione della bromonitronaftalina di JoLIiN in un
derivato alfa-amidico, l’autore stabilisce definitivamente la costi-
tuzione della bibromonaftalina fusibile a 82°, la quale conter-
rebbe pertanto i due atomi di bromo nello stesso nucleo ed in
quella posizione relativa, che i chimici contrassegnano colla de-
nominazione : para.
Nel capitolo IV si tratta dell’ azione di una molecola di
bromo sulla alfanitrobromonaftalina, i cui derivati più impor-
tanti sono :
548 A. COSSA — RELAZIONE DELLA MEMORIA DEL PROF. GUARESCHI.
1) Una nuova mononitrobromonaftalina fusibile a 122°,5;
2) Una bibromonitronaftalina ;
3° e 4°) Due tetrabromuri C!°H"NO®. Br', dei quali
uno è fusibile a 180°,5 e l’altro a 171°-172°. — E impor-
tante il fatto osservato che il primo di questi due tetrabromuri,
per l’azione del calore, si trasforma in parte in un isomero fu-
sibile a 142 -143°,5 e per l'ebollizione con alcool. nell’ altro
isomero fusibile a 171°- 172°.
Nel capitolo V l’autore descrive la nitrobromonaftalina, di-
mostrando che essa contiene il residuo NO* nella posizione «,
ed il bromo in una delle due posizioni {8.
Nel VI ed ultimo capitolo si descrive la nuova amidobromo-
naftalina fusibile a 62°-64°, e la preparazione della base corrispon-
dente alla nitrobromonaftalina di JoLin. Questa base fu ottenuta
allo stato liquido e non si è potuto ancora stabilire se essa sia
identica od appena isomera con quella di RoTHER.
Il lavoro del Prof. Icilio GUARESCHI è, a nostro parere, pre-
gevolissimo per l’importanza delle questioni risolte, per la de-
scrizione completa di sedici specie chimiche ben definite da lui.
nuovamente ottenute, per la chiarezza con cui sono descritte le
esperienze eseguite, e per il rigore col quale ne sono interpretati -
i risultati.
Pertanto ne proponiamo la lettura e la inserzione nelle Me-
morie della nostra Accademia.
Alfonso Cossa, Relatore.
Angelo Mosso.
La i udita la lettura del lavoro del Prof. GUARESCHI,
ne approva la stampa nei volumi delle Memorie.
Il Socio Comm. Prof. G. CuRIONI presenta e legge il seguente
lavoro del sig. Ing. Scipione Cappa, Assistente alla Cattedra di
Meccanica ed Idraulica nella R. Scuola d’ Applicazione per gli
Ingegneri in Torino,
SULLA
TRASMISSIONE DEL MOVIMENTO
FRA DUE ASSI QUALUNQUE.
In questa memoria mi sono proposto di dimostrare un teorema
di cinematica che si può stabilire relativamente alla trasmissione
del movimento fra due assi qualunque e di farne in seguito una
applicazione.
Premetto a questo scopo il seguente teorema di geometria:
Le perpendicolari abbassate dalle traccie di una retta che
incontra due piani, sulla comune intersezione di questi piani,
stanno fra loro in ragione inversa dei seni degli angoli fatti
dalla retta rispettivamente coi due piani.
Sia infatti / I (Fig. 1) l'intersezione di due piani A JI, BI;
siano M, N le traccie di una retta M N su questi piani; « e {}
gli angoli che la retta M N fa coi due piani AJ, BI mede-
simi e finalmente 9 l'angolo dei due piani. Dal punto M si
abbassi la M H perpendicolare al piano B I e si conduca la
retta NH; l'angolo M N H sarà l'angolo della retta M N col
piano BI, angolo che si è chiamato {?. Dal punto H si abbassi
la Hm normale alla 7J e si conduca la retta Mm; questa
retta Mm sarà normale essa pure alla /J. Invero se da un
punto M si tirano ad un piano LI la perpendicolare M H ed
un'obliqua M w, e se ne uniscono con una retta i piedi 7 ed m
e per ultimo si conduce nel piano B I la retta m / perpendi-
colare alla retta 77m, questa retta m I risulta eziandio perpen-
dicolare all’obliqua M m. Segue da ciò che l’angolo M m H sarà
uguale all'angolo dei due piani che si è chiamato ©.
550 SCIPIONE CAPPA
Considerando ora i triangoli MH N, MHwm, rettangoli in
H si avranno le relazioni seguenti :
MH MN sent,
MH=Mm.seng,
dalle quali eguaglianze deriva:
MNsen6=Mm.senq ,
e quindi
MN.senft
sen D
Mm=
Analogamente si trova la lunghezza della perpendicolare Nw
abbassata dal punto N sulla retta // e sarà:
MN.sena
Dividendo membro a membro queste due ultime equazioni
sì avrà:
Mm senf
Nn sen &
che è appunto quanto si voleva dimostrare.
Ciò posto, veniamo a dimostrare il teorema di cinematica
relativo alla trasmissione del movimento fra due assi qualunque
e che enuncieremo in questi termini :
Se due sistemi di forma invariabile rotanti intorno. ad
assi aventi direzioni qualunque, si trasmettono il movimento
direttamente, ovvero per mezzo di un tirante di lunghezza
invariabile, le velocità angolari dei due sistemi sono in ra-
gione inversa delle perpendicolari rispettivamente abbassate su
ciaschedun asse dal punto rispettivo di incontro della retta
d’azione col piano condotto per Vasse stesso parallelamente
all’altro asse (1).
(1) Questo teorema si può considerare come la generalizzazione di quello
relativo alla trasmissione del movimento fra. due assi compiani: Se due
sistemi di forma invariabile rotanti intorno ad assi compiani si trasmettono
SULLA TRASMISSIONE DEL MOVIMENTO FRA DUE ASSI 551
Siano a e, bd (Fig. 2) i due assi a M, b N due braccia
rispettivamente normali ai due assi, ed M N un tirante che
unisca le estremità delle due braccia. Sia // la comune inter-
sezione dei piani 4/7, BI determinati da ciaschedun asse e dal
rispettivo braccio; C il punto in cui il tirante MN incontra il
piano che si può immaginare condotto per l'asse ac parallela-
mente all’altro asse dd e D il punto di incontro dello stesso
tirante col piano condotto per l’asse 6.4 parallelamente all’altro
asse @ €. Siano ancora « e { gli angoli fatti dal tirante rispet-
tivamente coi piani AJ, BI e y l'angolo che misura l’incli-
nazione dello stesso tirante rispetto ai due piani condotti per
ciaschedun asse parallelamente all’altro, piani che necessariamente
risulteranno paralleli fra di loro.
Dai punti M ed N si abbassino sulla retta Z/ le perpen-
dicolari M m, Nn, dal punto © si conduca la Ce normale
all’asse a c e dal punto D la Dd normale all’asse dd.
Tendendo le estremità M, N del tirante JM N a descrivere
due archetti normali ai piani AJ, BI, la retta ZI, interse-
zione di questi due piani, sarà l’asse di istantanea rotazione del
tirante medesimo. Siano dg, dd, d 0 gli angoli elementari de-
scritti contemporaneamente dai. sistemi rotanti intorno agli assi
ac, bd e dal tirante intorno all’asse. d’istantanea rotazione / /.
Lo -spazietto descritto dall’estremità M del tirante si può espri-
mere in due modi, secondochè si considera il punto 17 siccome
rotante intorno all’asse a c, ovvero intorno ad ZI. Le due espres-
sioni dello spazietto medesimo sono:
Ma.do , Mm.dî ,
e dall’eguaglianza di queste due espressioni si avrà l’equazione :
Ma.dgp=Mm.d6.
Analogamente considerando l’estremità N del tirante si avrà
quest'altra equazione: Ir”
Nb.dy=Nn.dl ò
il movimento direttamente 0 per mezzo di un tirante di lunghezza invaria-
bile, le velocità angolari dei due sistemi sono in ragione inversa delle di-
stanze degli assi dal punto di incontro della retta di azione col piano degli
assi medesimi. j
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XVIII, 18
552 SCIPIONE CAPPA
Dalle equazioni scritte si ricava:
do Mm Nb
dg Nn Ma
ossia, dette ©, ed , le velocità angolari dei due sistemi rotanti :
Pr.
9,
_Mm NW
O, — Nn Ma
vale a dire, che le velocità angolari dei due bracci stanno come
le distanze degli estremi del tirante dalla retta // divise pei
raggi dei circoli descritti da queste due estremità medesime (1).
Ora pel teorema di geometria citato si ha:
Mm senf
Nn sen &
sarà quindi
0), Nb.sen 6
o, Ma.sena
Siccome poi l’asse ac è l'intersezione del piano AJ col
piano condotto per lo stesso asse ac parallelamente all’altro dd,
ed i punti 2, C sono le traccie del tirante M N sui due piani
medesimi, così in virtù sempre del citato teorema sussisterà la
relazione :
Ma sen
Ce seno
Considerando l’asse 6 d si avrà la relazione analoga
Nb _seny
Da” sen”
Dividendo membro a membro queste due eguaglianze si
ricava ;
Ma Dda. senff
Nb Ce sena
(1) Questa proposizione trovasi pure accennata in una nota, del Trattato
di Cinematica applicata alle arti, del Giunio,
SULLA TRASMISSIONE DEL MOVIMENTO FRA DUE ASSI
UT
Ur
L
ossia : Nb senf _Dd
Masena Ce
. - - - BA tes
e sostituendo nell'espressione ultima di — si ha:
__Dda
a" Ca *
che è quanto si voleva dimostrare.
Da questo teorema si può dedurre il seguente corollario re-
lativo alla trasmissione di movimento fra due assi qualunque con
ragione equabile delle velocità.
Affinchè la trasmissione di movimento fra i due assi ac,
bd (Fig. 3) si faccia con ragione equabile delle velocità; è
necessario e sufficiente che le lunghezze delle perpendicolari
Ce, Dd abbassate su ciaschedun asse dai punti rispettivi di
incontro C, I) della retta d'azione coi piani cah, dbl con-
dotti per ciaschedun asse parallelamente all’altro, siano co-
stantemente fra loro nella ragione reciproca di quella voluta
delle velocità angolari.
Osserveremo, che nel caso in cui i due assi siano paralleli o
concorrenti, il luogo geometrico di tutti i punti in cui la retta
d'azione può incontrare il piano dei due assi, mantenendo sod-
disfatta la condizione di equabilità, è la linea retta che si assumé
per generatrice dei così detti cilindri primitivi o coni primitivi.
Il teorema di cinematica che si dimostrò, si può ancora
esprimere in un altro modo.
Ricordiamo perciò due altre proposizioni di geometria.
1° L'angolo di due rette aventi direzioni qualunque, è
uguale all'angolo fatto da una delle due rette col piano pas-
sante per l’altra retta e per la perpendicolare comune alle due
rette date.
Siano infatti AH, BK (Fig. 4) due. rette apalunave ed
-H K la loro perpendicolare comune. Condotta la X C parallela
alla 4 H, il piano BKC sarà perpendicolare alla H K, il
piano AHKC sarà perpendicolare al piano B XK C e viceversa,
quindi l’angolo BA C che è uguale all'angolo delle due rette
AH, BK è eziandio la misura dell’ angolo che la B X fa col
piano AHKC.
554 SCIPIONE CAPPA
2° Se da un punto preso fuori di un piano si tira una
retta qualunque che incontri questo piano e dalla traccia di
questa retta si abbassa una perpendicolare su di un’altra
retta giacente nel piano, la lunghezza di questa perpendico-
lare e la minima distanza fra la retta che incontra il piano
e quella che giace nel piano, stanno fra loro in ragione
inversa dei seni degli angoli che la prima retta fa col piano
e colla retta giacente nel piano.
La dimostrazione di questa proposizione si fonda sul teorema
citato fin da principio. Sia infatti M la traccia di una retta
PM sopra di un piano H K (Fig. 5), Ma la normale alla
retta a p giacente nel piano H XK e P p la perpendicolare co-
mune alle due rette P _M, a p. Sia « l’angolo della retta PM
col piano H K ed A l’angolo della stessa retta PM colla a p,
e che in virtù della proposizione 1° è uguale all’angolo fatto
dalla P M col piano che si può immaginare passante per le
rette ap, P p. Essendo i punti P, M le traccie della retta
PM sul piano ora immaginato e sul piano H X, in virtù del
teorema citato in principio si avrà:
Ma sen A
Pp sena
Ciò premesso potremo enunciare il teorema di cinematica nel
seguente modo.
Le velocità angolari dei due sistemi rotanti sono fra loro
in ragione inversa dei prodotti delle minime distanze della
linea d’azione dagli assi pei seni dei rispettivi angoli fatti
da questa linea d’azione cogli assi stessi.
Noi abbiamo infatti trovata l’espressione (Fig. 2):
w, Nbsenf
o, Masena
e, se A e B sono gli angoli fatti dal tirante cogli assi,
ed m, n le minime distanze del tirante dagli assi stessi, in
virtù delle proposizioni di geometria precedenti sussisteranno le
relazioni :
Ma senA
mo sena
AGI) sen B
SULLA TRASMISSIONE DEI, MOVIMENTO FRA DUE ASSI DOO
dalle quali si ricava:
Masena=m.sen A
Nbsen B sn sen Br
quindi, sostituendo nell’ espressione del rapporto delle velocità
angolari si ha:
__ n. sen B
mi.sen A
come si è enunciato.
Pel caso particolare in cui la retta d’azione giace in un
piano parallelo ai due assi, la nuova espressione del teorema di
cinematica è più utile della prima, essendochè con quella non
si potrebbe determinare il valore del rapporto delle velocità an-
golari dei sistemi rotanti.
Siano ac, bd (Fig. 6) i due assi, MON un piano paral-
lelo ai due assi e quindi normale alla retta ad comune per-
pendicolare ai due assi stessi, sia MJ N il tirante giacente nel
piano M 0 N; A, B gli angoli fatti dal tirante colle parallele
OM, O N agli assi ed w, » le minime distanze del tirante dagli
assi, le quali distanze saranno uguali alle lunghezze dei segmenti
a0, Ob, sì avrà:
o, n.senb
. m.senA
Se il tirante sarà parallelo alla comune normale ai due assi,
sì avrà:
e se inoltre i. piani determinati da ciaschedun braccio col rispet-
tivo asse saranno paralleli fra di loro, le velocità angolari dei
bracci stessi saranno in ragione inversa delle loro lunghezze.
Applicheremo ora il teorema di cinematica che si è dimo-
strato. al caso di due circoli che giacciono in piani differenti e
si conducono per mutua aderenza.
‘Immaginiamo che all’asse @c (Fig. 6) sia solidario un cir-
colo di raggio 4 0, ed all’asse bd un circolo di raggio 0b; e
sia l’asse ac quello che appartiene al sistema conduttore. Suppo-
niamo poi che l'aderenza faccia per la trasmissione del movi-
556 S. CAPPA - SULLA TRASMISSIONE DEL MOVIMENTO FRA DUE ASSI.
mento l'uffizio che farebbe un tirante, il quale passando pel
punto O di contatto dei due circoli, giacesse nel piano MON
ed avesse la direzione del moto del sistema condotto, cioè dire-
zione normale ad O N. In tale ipotesi l'angolo B vale 90° e
l'angolo A è complemento dell’angolo fatto dai due assi, angolo
che diremo £.
Ù
Sarà pertanto
P o, msenA
13) n
ossia :
mM
ee Ra
1) n
Se i due assi sono paralleli si ha e=0, epperò
ed i due circoli si conducono per contatto di sviluppo.
Se i due assi sono fra loro normali si ha s—=90° ed in
tal caso si trova:
ossia non ha luogo comunicazione cdi movimento come era facile
prevedere.
Se finalmente il circolo conduttore ha un raggio, metà del
raggio del circolo condotto ed i piani dei due circoli fanno tra
loro un angolo di 60° sarà: i
o, 4
cioè, mentre il circolo conduttore farà quattro giri, il circolo
condotto ne farà soltanto uno.
Giova notare la circostanza che in queste trasmissioni di
‘movimento per aderenza, onde stabilire il rapporto delle velocità
dei due sistemi, non basta conoscere i raggi dei circoli e l’an-
golo fatto dai loro piani, ma fa duopo eziandio sapere quale
dei due sistemi sia il conduttore e quale il condotto.
Il Socio Comm. Prof. M. Lessowa legge la seguente sua,
COMMEMORAZIONE
DI
EMILIO CORNALIA.
Il Conte Vittore Trevisan, addì 22 Giugno 1882, faceva una
Commemorazione di Emilio Cornalia, morto quattordici giorni
prima, all'Accademia fisio-medica-statistica di Milano di cui è
presidente e di cui il Cornalia era membro.
Il Conte Trevisan diceva in quella commemorazione che l'o-
pera di Emilio Cornalia si può compendiare in queste parole:
consacrò tutta intera la vita allo studio. Queste parole sono
un elogio grande, che non si può fare sovente oggi, e che dal
Cornalia fu veramente meritato.
Nel passato non sarebbe venuto in mente a chi stesse per
fare la biografia di uno scienziato, di dire che quello scienziato
aveva consacrata tutta intera la vita allo studio. Anche quando
avesse voluto, lo scienziato allora non avrebbe potuto guari fare
altrimenti.
Oggi non è più così. L'uomo che è riuscito ad acquistarsi
una riputazione col sapere si può abbandonare a ogni desiderio
più ambizioso.
Si potrebbe domandare se sia un bene o un male questo
volgersi che fanno oggi in Italia tanto frequentemente gli scien-
ziati alla politica e alla amministrazione.
Non sarebbe difficile dimostrare che c’è in ciò, come in ha
cosa umana, del bene e del male, ma non sarebbe facile in pari
‘modo dire quanto di bene e quanto di male ci sia.
Certo è, che se la politica e l’amministrazione ci. possono
guadagnare, la scienza ci perde. Perciò, chi ha la scienza a cuore
ammira e loda quello scienziato che sta costantemente nello studio
‘e non si lascia deviare da nessuna altra attrattiva, e l'elogio del
»
558 MICHELE LESSONA
Conte Trevisan al Cornalia ha quindi un grande valore ed è
veramente meritato.
Per oltre a trent’ anni i naturalisti di tutto il mondo che
passavano per Milano, e i naturalisti italiani che ci andavano di
proposito per ragion di studio in quel ricco Museo di storia natu-
rale, erano certi sempre a ogni ora del giorno di trovarvi il
Cornalia. Lo trovavano al lavoro, ma pronto a lasciar tutto per
dar loro schiarimenti e ragguagli, per mettere a loro disposi-
zione i materiali, i libri, i disegni del museo.
Il museo civico di storia naturale di Milano è tale che il
naturalista si compiace nel trattenervisi pel ricco materiale che
possiede. Ma il naturalista italiano si compiace nel trattenervisi
anche per un’altra ragione. Quel Museo nacque per opera di due
benemeriti, il De Cristoforis e il Jan, che volsero tutto il loro
ingegno, il primo anche tutte le sue ricchezze, a crearlo; e nacque
nel miglior terreno per un pronto e grandioso sviluppo. I citta-
dini di Milano, i cittadini opulenti che non son rari in quella
degna città, fra i vari modi coi quali facevano una opposizione
costante, tenace, implacabile, al Governo straniero, avevano questo
nobilissimo, di associarsi per tutte quelle cose che potessero riu-
scire vantaggiose alla città, spendendo somme enormi in pro di
ogni progresso della istruzione popolare, delle scienze, delle indu-
strie, delle arti, di ogni ramo dello incivilimento.
L'opera privata del De Cristoforis e del Jan, divenuta opera
municipale, fece in così breve tempo un così grande progresso,
quale nessun somigliante istituto aveva in pari tempo fatto mai
sotto nessun Governo, e ciò solo coi fondi del Municipio e dei
cittadini. In quello istituto si esercitarono uomini di immenso
valore, in quell’istituto il Cornalia, perduto il posto di Pavia
per aver preso parte alle cinque giornate, fu accolto e rimase
tutta la vita.
Emilio Cornalia fu figlio del Barone Francesco Cornalia e
di Luigia Kramer, e nacque a Milano addì 25 Agosto 1824. Il
Barone Francesco Cornalia durante il primo regno d’Italia era
stato prefetto del Tronto e del Serio; Luigia Kramer era so-
rella di Antonio Kramer, chimico sommamente benemerito, cui la
città di Milano va debitrice, fra tante altre cose, della Società
d’incoraggiamento di arti e mestieri.
L'ambiente in cui nacque e passò la fanciullezza fu somma-
mente giovevole allo sviluppo delle facoltà intellettuali di Emilio
RITI, PETE I TORTE
COMMEMORAZIONE DI EMILIO CORNALIA 559
Cornalia. L'insegnamento elementare e secondario si faceva fin
d'allora in Milano assai bene, e nella famiglia il Cornalia tro-
vava ogni ammaestramento migliore e meglio impartito. Egli rac-
contava più tardi come negli anni della fanciullezza si fosse tanto
innamorato degli studi della geografia che passava tutto il tempo
che poteva aver libero nel far carte geografiche.
Il Barone Cornalia voleva che suo figlio studiasse giurispru-
denza, e in tale intendimento lo mandò, nel principio dell’anno
scolastico 1842-43, all’ Università di Pavia. Là invero l'Emilio
imprese quello studio, ma in breve sentì che proprio non ci
avrebbe potuto reggere e disse francamente la cosa a suo padre,
il quale acconsentì a che egli mutasse e imprendesse il corso
di medicina.
Non è che il Cornalia si fosse proprio invogliato della me-
dicina, ma egli si sentiva attratto dalle scienze naturali e trovava
nel corso di medicina molti insegnamenti che erano appunto quelli
che desiderava.
Quegli anni di Pavia furono pel Cornalia interamente e in-
tensamente consacrati allo studio. Tutte le ore che non passava
in iscuola le passava al lavoro, privandosi sovente del sonno per
aver maggior tempo a studiare. Si era incontrato con un giovane
che anelava allo studio al pari di lui, che aveva con lui qualche
punto di contatto anche pel carattere e pel sentimento, e con
cui, siccome stavano a dozzina presso la stessa famiglia, passava
nello studio assiduo, nel breve riposo, e negli scarsi divertimenti,
tutto quanto il suo tempo. Quel giovane era Francesco Brioschi.
La prima pubblicazione del Cornalia fu fatta da lui appunto
in quegli anni di Pavia, e mentre era ancora studente, ed ebbe
per argomento i progressi della geologia nel nostro secolo. A
quella tenne dietro una dissertazione inaugurale comprendente
notizie geo-mineralogiche sopra alcune valli meridionali del Tirolo.
Nel primo lavoro egli aveva dato prova di criterio e di coltura
scientifica, nel secondo diede prova di attitudine alla osservazione.
L'uno e l’altro lavoro destarono meraviglia pel merito intrinseco
che si accresceva grandemente dalla giovanissima età dell’autore.
La stima dei professori pel giovane e già tanto segnalato
studente si manifestò colla nomina che egli ebbe, prima ancora
della laurea, ad assistente a quella Cattedra di storia naturale.
Ma egli durò poco in quel posto. Nominato nel 1847, accorse
in Milano nel 1848 a far la sua parte nelle cinque giornate,
560 MICHELE LESSONA
e gli austriaci al loro ritorno lo lasciarono fuori e allora, come
ho già detto sopra, egli incominciò a lavorare in quel museo civico
di storia naturale in cui doveva passare tutta la vita.
Il viaggiatore Gaetano Osculati, rimasto quattro anni in
America, aveva portato appunto allora al museo civico di Milano
una buona messe di prodotti naturali di quella contrada, e il
Cornalia prese a studiare i vertebrati di quel viaggio, e fece
subito ottima prova nel campo della zoologia. Trovò parecchie
specie nuove che descrisse diligentemente, e incominciò a rivelarsi
fin d’allora, come poi si dimostrò sempre, valentissimo nella siste-
matica, sia pel suo padroneggiar l’arte, in apparenza tanto facile,
in realtà tanto difficile, del:ben descrivere, sia per la sua maestria
nel disegnare.
Nell'anno 1851 il Cornalia fu nominato Direttore aggiunto
del Museo civico di storia naturale di Milano, e rimase in tale
qualità fino al 1866. Il Direttore titolare era il Jan; ma il Jan
si era fin d'allora raccolto tutto intorno allo studio dei rettili,
continuando poi così fino al termine della lunga sua vita, e la-
sciando al Cornalia effettivamente l'ufficio vero di direttore.
Sia per compiere degnamente questo ufficio, il quale richiede
buone cognizioni intorno ai vari rami della scienza, sia perchè
la sua natura lo portava a ciò, egli prese subito a occuparsi di
diversi studi, di fossili, insetti, uccelli, minerali, in ogni suo studio
rivelando qualche cosa di nuovo, e sovente anche d’importante, sia
nel campo della scienza pura, come in quello delle sue applicazioni.
La nota degli scritti del Cornalia, che il Conte Trevisan pose
in fine alla sua Commemorazione e che io qui pure riferisco, fa
vedere quanto fosse grande e in pari tempo varia la sua opero-
sità allora, come fu poi in tutto il rimanente della sua vita.
La grandiosa Monografia del Bombice del gelso, pubblicata
nelle Memorie dell'Istituto Lombardo nel 1856, pose il Cornalia
a paro coi primi zoologi del suo tempo, e mostrò la vastità delle
sue cognizioni di anatomia e di fisiologia e il suo grande valore
nel disegno.
In quel tempo egli faceva ogni anno, e anche più di una
‘volta nell’anno, una gita ora a Genova ora a Venezia, e una
‘dimora più o meno lunga sul litorale per studi di zoologia ma-
‘rina, e' la sua Memoria sulle branchie transitorie dei plagiostomi,
e altre sui crostacei inferiori, dimostrano quale fosse il frutto di
‘quelle gite.
COMMEMORAZIONE DI EMILIO CORNALIA 561
Im Lombardia s’era proposto di fare un ampio studio sugli
invertebrati al disotto degli insetti e un ampio studio sui mam-
miferi fossili. Quest'ultimo riuscì a compiere meglio del primo,
ma anche in quello raccolse molti materiali e fece pubblicazioni.
— La sua monografia del bombice del gelso, dove già c’era un
capitolo di patologia, lo spinse a studiare poi meglio quelle ma-
lattie che minacciando la esistenza di questo insetto minacciano
una grande sorgente di ricchezza della industria agricola, e lo
condusse alla scoperta di quei corpuscoli che il Pasteur volle fos-
sero nominati corpuscoli del Cornalia, e che diedero modo di
discernere il mal seme dal buono, con immenso vantaggio della
bachicoltura.
Per questi suoi lavori principalmente il Cornalia fu fatto
corrispondente dell’Accademia di Parigi, e ciò avvenne nell’anno
1869. Ma il signor Milne Edwards ebbe cura di dire che l’emi-
nente scienziato aveva anche come zoologo titoli non meno con-
siderevoli all’alta stima di quella Accademia.
Un quesito fattogli dal Tribunale criminale di Milano, nel-
l’anno 1862, condusse il Cornalia a studiare diligentemente la
cantaride comparativamente a molti insetti ad essa più affini, e
l’anno seguente egli pubblicò in proposito un rimarchevole lavoro.
Morto il Jan, nell’anno 1866, il Cornalia fu fatto official-
mente Direttore del Museo civico di storia naturale di Milano,
ma ciò non mutò nulla allo stato delle cose, secondo quello che
ho già detto precedentemente.
Nell'inverno dell’anno 1873-74 il Cornalia fece un viaggio
in Egitto, che diede luogo a pubblicazioni susseguenti, sia im-
mediatamente, sia più tardi. La sua salute allora incominciava
ad alterarsi, e lo costringeva a passare regolarmente in Liguria i
mesi più freddi dell’anno. Ma non si rallentava la sua operosità,
e io torno ad invocare in prova la lista delle sue pubblicazioni.
La malattia che lo travagliava era una malattia di cuore,
la quale, a malgrado di ogni miglior cura, amdava progredendo,
con soste più o meno lunghe, interrotte da più o meno forti
aggravamenti.
Egli si doleva soprattutto di non poter più dare opera assi-
duamente come prima allo insegnamento, opera che gli era sempre
riuscita gradita, e cui compieva con coscienza pari al valore.
Il giorno 25 del mese di Maggio dello scorso anno 1882 il
Cornalia parlava all'Istituto Lombardo delle tombe dei Faraoni
562 MICHELE LESSONA
recentemente scoperte presso Tebe e dello stato meraviglioso di
conservazione di foglie e di fiori trovati in quelle tombe. Il giorno
3 di Giugno andava ancora al Museo, il giorno 4 veniva fuori
sulla Illustrazione Italiana un suo articolo sulla ricchissima colle-
zione ornitologica del Conte Turati. Il giorno 8 egli moriva; la
malattia del cuore si era complicata di una polmonite, che lo
tolse di vita.
Ho parlato ripetutamente della grande operosità del Cornalia
e del suo grande amore per lo studio, che lo tenne tutta quanta
la vita e lo distolse da ogni altro allettamento. Soggiungerò ora
che egli amò di tanto affetto la sua nativa Milano e quel Museo
di storia naturale, che non volle staccarsene mai, per quante
offerte, e furono parecchie e lusinghiere, gli fossero fatte. Amò
i suoi amici affettuosissimamente, e di un affetto veramente fra-
terno il De Filippi e il Panceri; amò ed ebbe compagno diletto
di studi il Bellotti. Fu amato da quanti ebbero la ventura di
conoscerlo. Il suo ingegno fu grande, ma non furono meno grandi
la sua bontà e la sua virtù; dell'ingegno rimangono le orme
evidenti, delle virtù rimane la memoria feconda di bene.
ld
COMMEMORAZIONE DI EMILIO CORNALIA DO:
DA EPA
PUBBLICATI
da EMILIO CORNALIA
Sui progressi della geologia nel secolo XIX. Pavia, tip. Biz-
zoni, 1847, in-8°.
Notizie geo-mineralogiche sopra alcune valli meridionali del
Tirolo. Milano, tip. Guglielmini, febbraio, 1848, in-4°,
con tre tavole.
Note sull’oro dei fiumi equatoriali d’ America. Negli Annali
universali di statistica, economia pubblica, geografia,
storia, viaggi e commercio, compilati da Francesco Lam-
pato, Serie II, vol. XVIII, pag. 102. Milano, 1848.
Vertebratorum synopsis in Museo Mediolanense extantium quae
per Novam Orbem Cajetanus Osculati collegit. annis
1846-47-48, speciebum mnovis vel minus cognitis adiectis
nec non descriptionibus atque iconibus illustratis. Moetiae,
typ. Corbetta, 1849, in-4°, con una tavola.
Su alcune caverne ossifere dei monti del lago di Como. Me-
moria inserita nei Nuovi Annali delle Scienze Naturali
di Bologna, fascicoli di gennaio e febbraio, 1850, con una
tavola ristampata a Como, tip. Ostinelli, 1825, in-8°.
Sul movimento cigliare. Confutazione ad una nota del signor
Mefzer Sur la cause probable du mouvement ciliaire.
Nella Gazzetta Medica del 1849.
Cenni geologici sull’Istria (in collaborazione con Luigi Chiozza),
letti al Reale Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed
Arti nell'adunanza del 9 gennaio 1851 ed inseriti nel
Giornale di esso Istituto, Tomo II, pag. 18, con 3
tavole.
564 MICHELE LESSONA
Note sur une nouvelle espèce du genre Euchlornis. Nella
Revue et Magasin de Zoologie, N. 3. Paris, in-8°, con
una tavola.
Notizie zoologiche sul Pachypleura Edwarsii. Memoria
letta al Reale Istituto Lombardo nell'adunanza del 6
aprile 1854 ed inserita nel Giornale di esso Istituto,
Tomo VI, con 2 tavole.
Il regno minerale elementarmente esposto. Milano, tip. Ber-
nardoni, 1854, in-8°, con 6 tavole. Seconda edizione con
aggiunte e note di Camillo Marinoni. Milano, tip. Treves,
1871, in-16°, con 89 incisioni e una tavola colorata.
Prelezione al Corso di Mammologia data al civico Museo
di Milano. Nel Crepuscolo del 1854.
Traduzione con note della Geologia applicata dei signori
Genta e d’Orbigny. Milano, 1854, 1 vol. in-8°.
L’Eria o il bruco del Ricino (Saturnia cynthia, Drury)
ne’ suoi rapporti scientifici ed industriali. Memoria letta
al R. Istituto Lombardo nell’adunanza del 14 dicembre
1854, ed inserita nel Giornale di esso Istituto, Tomo VI,
con 2 tavole.
Sur le Bombyx du Ricin. Lettre à M. Isidore Géoffroy de
Saint-Hilaire, président de la Société Impériale d’acclima-
tation. Paris, 1855, opuscolo in-8°.
Monografia sul Bombice del Gelso (Bombyx mori, Linneo).
Memoria coronata dal premio Fermo Secco Comneno dal
R. Istituto Lombardo, ed inserita nelle Memorie di esso
Istituto. Vol. VI, 1856, pag. 3 a 387, con 15 tavole.
La Natura rappresentata e descritta. Milano, tip. Salvi, 1856,
con 2 tavole.
Sulle branchie transitorie dei feti plagiostomi. « Ricordi di
Nizza (estate 1856) ». Memoria letta al R. Istituto Lom-
bardo nell'adunanza del 4 dicembre 1836 e inserita nel
Giornale di esso Istituto. Tomo IX, con 3 tavole.
Rapporto sull’annata bacologica del 1856. Letto ‘al R. Isti-
tuto Lombardo nell’adunanza del 16 aprile 1857, ed in-
serita nel Giornale di esso Istituto. Tomo IX, pag. 292,
SFR
COMMEMORAZIONE DI EMILIO CORNALIA 565
Osservazioni zoologico-anatomiche sopra un nuovo genere di
crostacei ispodi sedentari (Gyge branchialis) in col-
laborazione con Paolo Panceri. Inserite nelle Memorie
della Regia Accademia delle Scienze di Torino, Serie II,
Tomo XIX, 1858, con 2 tavole.
Fossili di Lesse in Val Seriana. Memoria presentata alla So-
cietà Italiana di Scienze naturali nella seduta del 29 aprile
1858 ed inserita negli di Atti essa Società. Vol. I, pag. 60.
Sur les vers à soie. Lettre à M. Géoffroy de Saint-Hilaire.
Paris, 1858, opuscolo in-8°.
Mammifères fossiles de Lombardie. Milan, 1858-1871, vol. I,
in-8°, con 28 tavole.
Programma di studi proposti alla Società Italiana di Scienze
naturali, presentato nella seduta del 25 gennaio 1859
ed inserito negli Att di essa Società. Vol. I, pag. 70.
Illustrazione della Mummia peruviana esistente nel civico
Museo di Milano, letta al R. Istituto Lombardo nell’a-
dunanza del 21 aprile ed inserita negli Atti di esso Isti-
tuto. Vol. II, in-4°, con una tavola.
Commemorazione del Socio Torquato Canetta, letta alla Società,
Italiana di Scienze naturali nella seduta del 29 ‘agosto
1859 ed inserita negli Att di essa Società. Vol. I, p. 346.
Sopra una nuova specie di crostacei sifonostomi (Gyro-
peltis doradis). Nelle Memorie del R. Istituto Lom-
bardo. Vol. VIII, luglio 1860, con una tavola.
Bacologia. Appendice nel giornale la Perseveranza di Milano
del 16 luglio 1860, N. 236.
Sulla vita e sulle opere di Abramo Massalongo. Cenni letti
alla Società Italiana di Scienze naturali nella seduta 22
luglio 1860 ed inseriti negli Atti di essa Società. Vol. II,
pag. 188. ;
Sui caratteri che presenta il seme sano dei bachi da seta, e
come questo si possa distinguere dal seme infetto. Me-
moria letta alla Società Italiana di Scienze naturali nella
seduta del 26 agosto 1860 e inserita negli Atti di essa
Società. Vol. JI. pag. 235, con una tavola
560 MICHELE LESSONA
Sulla malattia dei gamberi. Comunicazione alla Società Italiana
di Scienze naturali nella seduta del 25 novembre 1860
ed inserita negli Att# di essa Società. Vol, II, pag. 334.
Il bruco dell’ Ailanto. Due appendici nella Perseveranza del 1861.
Sull’allevamento dei bachi da seta dell’Ailanto. Comunicazione
alla Società Italiana di Scienze naturali, nella seduta del
80 giugno 1861 e inserita negli A? di essa Società.
Vol. III, pag. 352.
Sul concorso al premio straordinario governativo intorno alla
malattia. dominante nei bachi da seta. Rapporto di Com-
missione al R. Istituto Lombardo, letto ed approvato nel-
l'adunanza del 22 luglio 1861 ed inserito negli At# di
esso Istituto. Vol. III, pag. 44.
Rapporto della Commissione d’agricoltura della Società d'in-
coraggiamento sulla campagna bacologica del 1861. Mi-
lano, tip. Bernardoni, 1862, in-8°.
Tentativi di allevamento della Saturnia hesperus e della
Saturnia Ya-ma-mai. Comunicazione alla Società Ita-
liana di Scienze naturali nella seduta del 26 luglio 1863,
inserita negli Atti di essa Società. Vol. V, pag. 275.
Rapporto della Commissione d’agricoltura della Società d’in-
coraggiamento sulla campagna bacologica del 1862.
Milano, tip. Bernardoni, 1864, in-8°.
Sull’origine e sullo sviluppo della Società Italiana di Scienze
naturali. Relazione presentata alla riunione straordinaria
a Biella nella seduta del 5 settembre 1864 ed inserita
negli A4#7 di essa Società. Vol. VII, pag. 81.
Di una terramara recentemente trovata a Salso Maggiore e
di alcune ossa dei sepolcri etruschi. Memoria presentata
alla riunione straordinaria a Biella nella seduta del 5
settembre 1864 ed inserita negli Atti della Società Ita-
liana di Scienze naturali. Vol. VII, pag. 208.
Sopra due saggi di farina. rinviati per esame dalla Giunta
Municipale di Milano. Rapporto di Commissione letto al
R. Istituto Lombardo nell'adunanza del 29 dicembre 1864
ed inserito nei Rendiconti della Classe di Scienze mate -
matiche e naturali di esso Istituto. Vol. I, fasc. X,
e e __V_ nai
COMMEMORAZIONE DI EMILIO CORNALIA 567
Sopra i caratteri microscopici offerti dalle cantaridi e da
altri coleotteri facili a confondersi con esse. Stadi di
Zoologia legale, inseriti nelle Memorie della Società Ita-
liana di Scienze naturali. Tom. I, N. 10. Milano, 1865,
in-4°, con 4 tavole.
Descrizione di una muova specie del genere Felis (Felis
jacobita) presentata alla Società Italiana di Scienze
naturali nella seduta del 4 settembre 1864 ed inserita
nelle Memorie di essa Società. Tom. I, N. 1. Milano,
1864, in-4°, con una tavola.
Del bruco del Lentisco (Lasiocampa Otus). Memoria letta
alla Società Italiana di Scienze naturali nella seduta del
26 marzo 1865 ed inserita negli Att. di essa Società.
Vol. VIII, pag. 186, tav. 1.
Sull’elefante di Jeffe. Appendice nella Perseveranza del 1865.
Le palafitte e stazioni lacustri del lago di Varese. Nella
Perseveranza del 1865.
Sulla Lophoura Edwardsii di Kolliker. Osservazioni zoologiche
ed anatomiche presentate alla Società Italiana di Scienze
naturali nella seduta del 28 gennaio 1866 ed inserite negli
Atti di essa Società. Vol. IX, pag. 259, tav. 1.
Relazione dell'annata bacologica del 1865 con l’appendice
di una lettera del Prof. A. Galanti. Milano, tip. Ber-
nardoni, 1866, in-8°.
Inaugurandosi solennemente nel palazzo del Museo Civico il
busto di Giorgio Jan. Commemorazione letta il giorno 11
giugno 1867. Milano, tip. Pirola, in-8°.
Sopra due casi di albinismo negli uccelli. Memoria letta alla
Società Italiana delle Scienze naturali nella seduta 29
dicembre 1867 ed inserita negli Atti di essa Società.
Vol. X, pag. 449.
Gli Axolots del Musco Civico di Milano. Nota letta al
R. Istituto Lombardo nell’adunanza del maggio 1868 ed
inserita nei Rendiconti di esso Istituto. Serie II, fasc. IX.
Atti R. Accad. » Parte Fisica — Vol. XVIII. | 39
968 MICHELE LESSONA
Festa bacologica. Nel giornale La Perseveranza del 20 luglio
1868, N. 3128.
Sopra gli insetti che devastano i campi della. Lombardia.
Rapporto al R. Istituto Lombardo. Milano, 1868.
La Pebrina, osservazioni e studi di Carlo Bassi. Nella Per-
severanza del 12 maggio 1868.
Dei giardini zoologici. Nel Politecnico del 1868.
Sur la methode proposée pour régenerer les races des vers à
soic. Lettre à M. Pasteur. Nei Comptes rendus des séances
de l’Académie des Sciences (Institut de France). Tome
LXVIII, séance du 15 mars 1869.
Sulla malattia dei bachi da seta. Corrispondenza tra il Pro-
fessore Cornalia ed il sig. Pasteur. Nell’Italta agricola,
1869.
Norme pratiche per Vesame microscopico delle sementi, cri-
salidi e farfalle del baco da seta. Milano, tip. Golio,
1870, in-16°.
Fauna dei mammiferi d'Italia. Un fascicoletto in-8°, con una
tavola. Milano, Vallardi, 1870.
L’Ugi, insetto parassita del baco da seta. Opuscolo in-8°, con
una tavola. Firenze, 1870.
Della Braula Coeca, parassita dell’Ape. Nell’Apicultore
del 1870, in-8°. i
Sui fossili delle Pampas donati al Museo Civico. Prelezione.
Opuscolo in-8°, luglio 1872.
Esperienze sull’accoppiamento delle farfalle del baco da seta.
Rovereto, novembre 1872.
Ancora della stazione zoologica di Napoli. Appendice nella
Perseveranza del 1872.
Sul Pelobates fuscus frovato per la prima volta nei din-
torni di Milano. Nota letta al R. Istituto Lombardo nel-
l'adunanza del 15 maggio 1873 ed inserita nei Rendi
conti di esso Istituto. Serie II, Vol. VI, fasc. X,
n, nn
COMMEMORAZIONE DI EMILIO CORNALIA 969
Osservazioni sul Pelobates fuscus e sulla Rana agilis
trovata in Lombardia. Lette alla Società Italiana di Scienze
naturali nella seduta del 25 maggio 1873 e inserite negli
Atti di essa Società. Vol. XVI, pag. 96, tav. 2.
Sui molluschi terziari di Bellardi e Cocconi. Nella Perseve-
ranza del 1873.
Lettere dall'Egitto. Nella Perseveranza del 1874.
Gli Akka, ossia i pigmei dell’Africa equatoriale. Nella Ri-
vista italiana di scienze, lettere ed arti. Anno I, Vol. I,
pag. 311. Milano, maggio 1874.
Rapporto sul concorso al premio di fondazione Brambilla.
Nei Rendiconti del Regio Istituto Lombardo. Serie II,
Vol. VII, 1874.
La Grotta di Mahabded e le sue mummie. Nota letta al Regio
Istituto Lombardo nell’adunanza del 10 dicembre 1874 ed
inserita nei Rendiconti di detto Istituto. Serie II, Vol. VII,
fasc. XIX e nella Rivista italiana di scienze, lettere ed
arti. Anno I, Vol. II, pag. 233,
Sulla Traphrobia pileardi, nuovo genere di crostacei pa-
rassiti. Memoria letta alla Società Italiana di Scienze na-
turali nella seduta del 4 aprile 1875 ed inserita negli
Atti di essa Società. Vol. XVIII, pag. 198, con una ta-
vola.
Experiences sur l’accouplement des papillons du Bombyx du
murier. Opuscolo in-4°. Montpellier, 1875.
Intorno ai parassiti animali osservati nel frumento del 1875.
Nell’Italia agricola del 1876.
Commemorazione del Prof. Paolo Panceri. Letta ‘al R. Isti-
tuto Lombardo nell'adunanza del 7 giugno 1877, inserita
negli Atti di esso Istituto. Serie II, Vol. X, fasc. XV.
Il Barone Bettino Ricasoli. Commemorazione letta al R. Isti-
tuto Lombardo nella solenne adunanza del 25 novembre
1880 ed inserita nei /tendiconti di esso Istituto. Serie II,
Vol. XIII, fase. XVIII, pag. 604.
570 mM. LESSONA - COMMEMORAZIONE DI EMILIO CORNALIA,
Di un erbario di circa 3500 anni fa. Nota letta al Regio
Istituto Lombardo nell’adunanza del 25 maggio 1882 ed
inserita nei Rendiconti di esso Istituto. Serie II, Vol. XV,
fasc. XI, pag. 971.
Il Conte Ernesto Turati. Nel giornale l’Illustrazione italiana,
anno IX, N. 23; 4 giugno 1882, pag. 389.
571
Il Socio Prof. LESssona, condeputato col Socio Prof. BizzozERo
ad esaminare un lavoro del Dott Prof. L. CAMERANO, intito-
lato: « Ricerche intorno alla vita branchiale degli
Anfibi » , legge la seguente
RELAZIONE.
——_——
Lo stadio della vita branchiale nei Vertebrati anfibi è varia-
bile rispetto alla sua durata, incomparabilmente più che non si
credesse fino a questi ultimi tempi. Il De Filippi chiamò l’at-
tenzione dei naturalisti su questo fatto, con alcune sue osser-
yazioni sulla vita lunga branchiale del Zrifon alpestris, Laur.
I fatti che avvennero negli Axolotl «del Giardino delle Piante
in Parigi furono tali da chiamare più che mai l’attenzione su
questo argomento.
L’autore della memoria intorno alla quale riferiamo, fece uno
studio particolare, e lungo in proposito, raccogliendo e notando
molti fatti di sua osservazione personale. Fece uno studio di
quanto fu riferito prima, e lo espose qui ordinatamente.
L’A. passa in rassegna, nella prima parte del suo lavoro, gli
scrittori che hanno trattato morfologicamente o fisiologicamente
della vita branchiale degli Anfibi avendo speciale riguardo ai
fatti di allungamento o di raccorciamento del periodo branchiale
degli Anfibi stessi, fatti che sono relativamente numerosi, e che
come risulta da uno specchietto riassuntivo dell’A., si sono veri-
ficati oramai in quasi tutte le specie europee, le sole si può dire,
conosciute nel loro sviluppo.
L’A. descrive, secondo osservazioni proprie, vari casi analoghi
nella Rana muta, nel Bufo viridis, nel Pelobates fuscus, nel
Triton alpestris, nella Salamandra maculosa, ecc.
572 M. LESSONA E G. BIZZOZERO
Nei capitoli seguenti, mediante lo studio correlativo delle di-
mensioni, della colorazione, delle estremità del canal digerente,
delle branchie, dei polmoni, degli apparati sessuali, dello sche-
letro e del sistema nervoso, l’A. cerca di determinare quale eri-
terio si debba avere nello stabilire il limite estremo del pe-
riodo girinale degli Anfibi, 0, in altre parole, quando è che
VAnfibio si può dire adulto.
L’A. trae dal suo studio le conclusioni seguenti, le quali
riguardano in parte direttamente la questione sopra detta, e in
parte la vita branchiale degli Anfibi in generale.
1° Il periodo della vita branchiale negli Anfibi può va-
riare assai secondo le circostanze, ora raccorciandosi, ora invece
allungandosi ;
2° Il massimo raccorciamento è quello che si osserva nella
Salamandra atra, ed in vari altri Anfibi. Il massimo allunga-
mento si osserva nel Proteo, negli Axolotl, e nel Triton, in cui
spesso l’animale invecchia conservando lo stato branchiale;
3° È d’uopo distinguere due categorie di prolungamento
di vita branchiale. La prima comprende i fatti dello svernamento
semplice di quegli individui i quali non hanno potuto compiere
in tempo il loro sviluppo, e che lo compiono poi nella buona sta-
gione successiva. Questi casi sono frequenti negli Anfibi anuri.
La seconda categoria comprende i fatti del prolungarsi per vari
anni dello stato branchiale. Questa seconda categoria di fatti dà
luogo a considerazioni diverse, secondo che essi si riferiscono agli
Anfibi urodeli o agli Anfibi anuri ;
4° Negli Anfibi urodeli sono le condizioni locali, come ad
esempio la quantità d’acqua, il nutrimento ecc., che in molti
casi fanno sì che l’animale trovi, diremo, più convenienza di
rimanere conformato per la vita acquatica anzichè passare allo
stato di animale schiettamente terragnolo. In questo caso lo svi-
luppo degli individui branchiati procede parallelamente a quello
degli individui abranchi, e l’animale dà opera alla riproduzione.
Si ha in questo caso, in certe specie di Anfibi, un esempio di
polimorfismo per rota alle condizioni locali :
5° Negli Anfibi anuri invece il fatto del prolungarsi per
tre o quattro anni della vita branchiale produce un disordine
nello sviluppo dell’animale, poichè una parte dell’organismo, sche-
letro, sistema nervoso, apparato respiratorio polmonare, procede
RELAZ. SULLE RICERCHE DELLA VITA BRANCHIALE DEGLI ANFIBI 573
nello sviluppo, e piglia la forma dell’animale metamorfizzato ;
mentre le altre parti rimangono indietro. L'animale non svi-
luppa mai, almeno per quanto si osservò fino ad ora, gli organi
riproduttori. Negli Anfibi anuri ciò non si osserva che in pochi
individui qua e là, e non come carattere locale costante, come
spesso accade negli Anfibi urodeli.
L’A. fa molte e varie considerazioni nella vita branchiale negli
Anfibi in generale, e conchiude :
1° Gli Anfibi attuali, provenienti senza dubbio filogene-
ticamente dai pesci, sono tutte forme polmonate allo stato per-
fetto. In una certa parte di questi Anfibi, per adattamento alla
vita acquatica, il periodo polmonare tende a scomparire ritor-
nando. l’Anfibio ad uno stato più semplice di organizzazione.
2° In certe specie di Anfibi l'adattamento, ha già rese
prevalenti le forme branchiate, e rese rarissime od anche fatte
scomparire intieramente le forme adulte polmonate, come ad
esempio nei Protei.
In altre specie le forme polmonate sono ancora frequenti
come negli Axolotl.
In altre specie poi la forma polmonata è ancora la regola
per la massima parte degli individui adulti; ma si osserva il
fatto dell'adattamento in certe località, d’una parte degli indi-
vidui, alla vita branchiale per tutta la vita, come ad esempio
nel Triton alpestris.
3° Partendo da queste considerazioni la filogenesi degli An-
fibi attuali potrebbe essere espressa così:
— Forme prevalentemente terragnole
- Salamandra
Forme che per adatta- | Urodeli — Anuri 7 Apodi
mento tendono a con - Pa
servare soltanto la Ù€
forma branchiale N
Proteus » Siredon, Anfibi attuali .. iL branchiati e polmonati
Triton. 1
Forme archetipe |--| branchiate e polmonate
Forme archetipe || branchiate
Pesci
574 M. LESSONA E G. BIZZOZERO - RELAZIONE ECC.
4° Si devono perciò lasciare in disparte nella classifica-
zione degli Anfibi le divisioni dei Caducibranchi e dei Perenni-
branchiati.
L’A. dice, in ultimo, che un Anfibio si può considerare adulto
quando è compiuta la maturanza dei suoi organi riproduttori,
senza tener conto della vita branchiata o abranchiata dell’ ani-
male, poichè questi due stati si debbono considerare colle forme
che li precedono allo stato adulto come un caso di dimorfismo
per adattamento alle condizioni locali.
Due tavole rappresentanti le particolarità più notevoli osser-
vate dall’A. intorno allo sviluppo correlativo delle varie parti dei
girini degli Anfibi vanno unite alla Memoria.
La Commissione propone che il lavoro del Dott. CAMERANO
sia pubblicato nelle Memorie dell’Accademia.
MicHELE LESSONA, Relatore.
G. BizzozERo,
La Classe, udita la lettura del lavoro del Dott. CAMERANO,
accoglie la proposta della Commissione.
Il Socio Cav. Prof. G. Basso presenta e legge la seguente
Nota del P. F. DENZA,
SULLA
VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA
SECONDO L’ALTEZZA
I.
Tutti coloro che attendono ad investigazioni di fisica terre-
stre riconoscono l’alta importanza del problema, che si riferisce
alla variazione della temperatura secondo l’altitudine, alla legge
cioè con cui la temperatura diminuisce coll’aumentar dell’altezza
degli strati. atmosferici. Invero, la soluzione di tale problema in-
teressa non solo la meteorologia, che ne abbisogna per la esatta
determinazione delle linee isotermiche ed isobariche, e per altre
questioni consimili; ma è richiesta eziandio da altre scienze,
come la topografia e la geodesia, le quali aspettano da essa. il
perfezionamento dei metodi della misura delle altezze col baro-
metro, e della teoria delle rifrazioni atmosferiche.
È perciò che molti studiosi si sono occupati seriamente di
cosiffatta questione; ed alcuni hanno cercato di raccogliere in-
sieme le osservazioni termiche eseguite per un periodo più o
meno lungo in parecchie stazioni poste a diverse altezze sul li-
vello del mare, nei piani e sui monti, onde inferirne le costanti
che rappresentino la diminuzione della temperatura coll’aumen- .
tare dell’altezza; altri hanno invece preferito di rintracciar la
legge nel grembo stesso dell’atmosfera per mezzo di ascensioni
aerostatiche.
Se non che, i risultamenti ottenuti da’ primi, sebbene of-
frano soddisfacente accordo, tuttavia come tutti i grandi numeri
576 P. FRANCESCO DENZA
medî, che derivano dall’ammassare insieme molti valori d’ogni
parte raccolti, nascondono le influenze di cause speciali; epperò
spesso male si adattano alle pratiche applicazioni, ed inducono
non di rado in errore. I valori poi avuti dai secondi non si
possono direttamente applicare agli strati atmosferici che sono
a contatto col suolo, nei quali noi ed i nostri istrumenti siamo
abitualmente immersi, e che vengono di continuo alterati nelle
loro condizioni termiche dalle alternative di riscaldamento e di
raffreddamento del suolo medesimo.
La presente nota è diretta a confermare siffatta asserzione,
traendo partito dalle osservazioni eseguite in alcune delle più
sicure stazioni del Piemonte.
II.
Il Conte Paolo di Saint-Robert, in una nota pubblicata in
Inghilterra nel 1864 (1); e poi inserita, tradotta in° francese,
nel tomo III delle sue Memozres scientifiques, dopo aver esposti
e discussi i risultati ottenuti sul soggetto che ci occupa da Gia-
como Glaisher in otto ascensioni aerostatiche; riconoscendo la
necessità di modificare e correggere i risultati di queste osser-
vazioni con altre fatte in montagna, raccomanda caldamente che
si intraprendano di tali ricerche in luoghi diversi per esposi-
zione e per clima, ed in modo speciale sulle nostre Alpi.
Fino da che io cominciai ad ordinare, or sono oltre a ven-
t'anni, una rete di stazioni meteorologiche nel nostro Piemonte,
ebbi pur di mira una tale ricerca; e mi studiai di stabilire nei
nostri monti alcune stazioni, le quali per la loro speciale po-
sizione potessero dare col tempo utili elementi per lo studio ess
l'importante problema.
Tra queste stazioni vi ha quella della Sacra di San Mi-
chele, posta poco oltre l’ingresso della valle della Dora Riparia,
su' Monti Pircheriani, sopra uno di quei picchi isolati, che sono
cotanto acconci soprattutto per lo studio delle variazioni della
temperatura; e, mentre dal lato occidentale è circondata dalle
Alpi a distanza, ad oriente risente l’influsso della pianura dell ‘alto
Piemonte, che domina liberamente d'ogni parte. *
(1) Philosophical Magazine, vol. ?2, ser. 4. London, 1864.
dti tt
PR n E TTI
in
SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA 577
Io quindi pensai che una serie di buone osservazioni meteo-
| riche eseguite in quel luogo, messe a confronto con le osserva-
zioni del nostro Osservatorio di Moncalieri, avrebbe potuto for-
nire elementi utilissimi per riconoscere l'andamento delle condizioni
climatiche, ed in modo specialissimo, delle termiche e barome-
triche, nello strato atmosferico .che sovrasta a questa nostra re-
gione sino all'altezza di circa 1000 metri.
Difatti, le due stazioni della Sacra di San Michele e di
Moncalieri si prospettano l’una l’altra senza alcun ostacolo in-
frapposto. Esse si trovano quasi sullo stesso parallelo; giacchè
la loro latitudine si è:
Sacra San Michele, latitudine Nord 45° 6',
Moncalieri, » li
epperò rimane affatto trascurabile l’influenza di questo elemento
geografico sulla temperatura e sulla pressione. Ed importa anche
notare che la circostanza del trovarsi le due stazioni sul paral-
lelo di 45 gradi, riesce assai propizia pel nostro studio; pe-
rocchè è questa appunto la latitudine che suolsi assumere come
punto di partenza nelle formule altimetriche, sia per la tempe-
ratura come per la pressione atmosferica.
Oltracciò, la differenza d’altitudine tra le due stazioni, co-
mechè non grande, è tuttavia sufficiente pel nostro scopo, toc-
cando i 700 metri. Difatti, le altitudini delle due stazioni (po-
sizione dei silicio sono :
Sacra San Michele . . . . metri 961,
Moncalieri . A PUN MONTA E QRL, (i Op
Sì l’una che l’altra di queste altezze sono state rigorosamente
determinate a più riprese e con metodi diversi.
Mi riescì facile pertanto ottenere dai reverendi signori Rosmi-
.niani, che custodiscono quello storico monumento, di intrapren-
«dere una serie accurata di osservazioni meteorologiche; e fui
fortunato di trovare nella persona del rev. D. Giuseppe Burdet
‘un osservatore diligentissimo ed appassionato quanto mai, il
quale dal 1° gennaio 1870, epoca in cui incominciarono colassù
le regolari osservazioni, sino alla sua morte (9 novembre 1881),
578 P. FRANCESCO DENZA
non trasandò mai di adempiere volonteroso e costante al còm-
pito assunto, aiutato in ciò dagli altri suoi confratelli (1).
Le osservazioni furono sempre eseguite alle stesse ore nelle
due stazioni della Sacra e di Moncalieri, cioè sei volte al giorno,
ogni tre ore, dalle 6 del mattino alle 9 della sera; e con istru-
menti che venivano di tratto in tratto comparati, avendo io
occasione di recarmi lassù quasi ogni anno.
Da tutto ciò risulta, che il complesso delle osservazioni delle
due stazioni soddisfa alle esigenze volute dalla scienza per isti-
tuire su di esse buoni confronti; e che i risultati che da questi si
ottengono, meritano tutta la fiducia che può concedersi a questo
genere d’indagini.
III.
Avendo compiuto di recente il calcolo di riduzione di un
decennio di tali osservazioni simultanee della Sacra e di Mon-
calieri, dal 1° gennaio. 1870 al 31 dicembre 1879, nell’inten-
dimento speciale di risolvere alcune questioni di altimetria ba-
rometrica; ho creduto opportuno esporre in questa nota alcuni
risultati riguardanti le variazioni della temperatura secondo l’al-
tezza; al che mi hanno dato occasione alcune recenti pubblica-
zioni su questo argomento (2).
Comincio dal riportare i medî decennali della temperatura di
ciascuna delle due stazioni, per ogni mese, per ogni stagione e
per tutto l’anno; ricordando che le stagioni sono così distribuite :
Inverno — Dicembre, gennaio, febbraio.
Primavera — Marzo, aprile, maggio.
Estate — Giugno, luglio, agosto.
. Autunno — Settembre, ottobre, novembre.
(1) Le osservazioni non furono interrotte alla Sacra dopo la morte del
Burdet; ma si fanno ora sole tre volte al giorno come nelle altre stazioni
italiane,
(?) LueLi A. — Sulla variazione media della temperatura colla latitudine
ed altezza in Italia. — Atti della R. Accademia dei Lincei. — Transunti,
Vol. VII, fase. 4.
Einige Resultate der meteorologischen Beobachtungen auf dem Gipfel von
Pihe's Peak. = Estratto dal Report of the Chief Officer, Washington. = Zeit- |.
schrift der Osterreichischen Gesellschaft fiùr Meteorologie. XVIII Band, Mai-
Heft 1883.
SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA 579
Aggiungo in una terza colonna la differenza dei medî che
sì corrispondono.
MEDII TERMICI DEL DECENNIO 1870-79
per Moncalieri e la Saera di S. Michele
Moncalieri Sacra Lapo
Monc.-Sacra
Minimo! 0-0). 19526 0°. 76
Febbraio . ..... sisi 2.14
LITTA 8.17 4.18 3.99
Male i vi, 12 .85 8.55 4.50
Maggio . 16 .59 11.82 ATI
Giugno 21.09 16 . 51 4.58
(771711. SIR Ta 23 +93 19,40 4,53
AARON 23.11 19 .01 4,10
Settembre . ..... 19 .17 15 .39 d8
e 13.09 9.86 3.23
Novembre . .. .. 6.26 3.65 2 DI
Preembroc:cccta 1.40 0.48 0.92
Di 0.94 1.19
12.54 Dr 12 ASA?
Sars. 18 18 .31 4.40
12.84 9.63 Sui
12 56 | 9.25 dadi
Da una prima ispezione a questo prospetto risultano le se-
guenti considerazioni:
1° La differenza tra le medie temperature delle due sta-
zioni cresce qui, come altrove, da gennaio a maggio, e poi di-
minuisce da maggio a dicembre, toccando il minimo in gennaio,
il massimo in maggio.
2° La variazione tra le differenze di due mesi consecu-
tivi è minima nei mesi di primavera e di estate, non raggiun-
gendo mezzo grado; è massima nel passaggio dall'autunno all’in-
verno (novembre-dicembre), e dall’inverno alla primavera (feb-
braio-marzo), avvicinandosi a 2 gradi; si ha infatti:
580 P. FRANCESCO DENZA
Novembre pa Gil Febbraio DANA È!
Dicembre 0: 193 Marzo 3.99
Differenza +1 .69 Differenza — 1.85
È perciò che la media differenza delle due stagioni intermedie,
primavera ed estate, rimangono quasi uguali, mentre quella del-
l'inverno ne differisce notevolmente. In mezzo sta, ma più pros-
sima alle prime, la differenza autunnale.
3° Di molto al disotto del vero si è la media differenza
di gennaio.
Causa di quest’ultima anomalia, come pure dell’altra annun-
ciata nella precedente considerazione, si è il fatto della così detta
inversione di temperatura: e cioè la temperatura, non solo mi-
nima, ma anche media del mese, rimane alla Sacra più elevata
di quella di Moncalieri. Ciò accade di frequente in gennaio; più
di rado, ma con maggiore intensità, in dicembre; e talvolta,
sebbene molto debolmente, anche in febbraio; mai negli altri mesi.
Nel decennio che esaminiamo codesta inversione nei valori
medî mensuali della temperatura, si avverò nei casi seguenti:
DIFFERENZA
Mone.- Sacra
ANNO Moncalieri Sacra
1
Dicembre
1873 20,13 40.12 — 10.99
1879 — 2.99 Be — 1.23
Gennaio
1872 asi 0.72 — 0.55
1874 0) .80 1.46 — 0.66
1875 Li 79 Dr — 0.86
1876 0.61 0 82 edi
Febbraio
1876 2.16 2.18 — 0.02
Questo fatto, che da qualche moderno meteorologista fu cre-
duto nuovo, ma che era già da tempo conosciuto, dipende da
SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA 581
cause molteplici. Su di esso ritornerò in altra occasione, per
non distrarmi ora dall’argomento che ho impreso a trattare;
giacchè esso si avvera non solo per la Sacra, ma eziandio per
altre stazioni dell’alta valle del Po.
Intanto, da ciò che si è detto risultano le seguenti leggi
sulla variazione della temperatura a seconda dell’altezza per
questa nostra regione:
a) Nello strato atmosferico che sovrasta al nostro alto-
piano, per uno spessore di circa 700 metri, cioè sino all’altezza
di quasi 1000 metri, la differenza media tra le temperature
dei due strati estremi, il più basso ed il più alto, si mantiene
costante nelle due stagioni di primavera e di estate; essa è in
media di 4°.4. Nella stagione autunnale diminuisce di 1°. 2, ad-
divenendo di 3°.2. Nell'inverno decresce in modo notevolissimo,
riducendosi a soli 1°.2; epperò 83°.2 minore che in primavera
ed in estate.
b) Codesta differenza è per ordinario positiva, cioè gli
strati inferiori sono più caldi dei superiori; solo in inverno, ed
in modo speciale nel mese di gennaio, essa rimane spesso inver-
tita, e divien negativa, cioè gli strati più alti addivengono più
caldi dei più bassi.
IV.
Le leggi riportate fanno rilevare, come per questo nostro
tratto di paese non si possono sempre applicare i valori che si
sogliono dare per la variazione della temperatura secondo l’al-
tezza, per altitudini non maggiori di 1000 metri.
Ciò risulta meglio dal quadro seguente, nel quale si pone,
per ogni mese, per ogni stagione, e per tutto l’anno, il valore
medio della diminuzione di temperatura corrispondente a 100
metri di elevazione; e quello dell'aumento di altezza rispondente
alla diminuzione di un grado di calore.
982 P. FRANCESCO DENZA
fol Variazione media
In gradi per 100 m. | In metri per I gr.
Gennaro 8 Menti . 0. 07 1400
Febbraio. SUN. 0.31 327
MAnzorirat eu 0. 57 175
Nprile 48. MIRSTI08. 0. 64 156
Maggio, Uni) LUa i 0. 68 147
Gingnoli 0. 80 0. 65 153
Luslo0!t4 6. Ul. 0. 65 155
Algartoniz). 10: 0,4 0.59 171
Settembre. . . ... 0. 54 185
Ottobre AH0st., 5... 0.46 217
Novembre . .... 0. 37 268
Dicembre anto 0.13 761
Invero, tes 1% | 588
Primavera. 0.63 158
Estate gene e 0 63 159
AVUTO TT 0. 46 218
ANDORRA 0.47 212
Da questo prospetto risulta che, mentre i valori delle due
stagioni di primavera e di estate differiscono sol di poco da quelli
che si sogliono assegnare da parecchi, ed anzi con alcuni vanno
quasi interamente d’accordo; quelli d’autunno ne rimangono al-
quanto diversi: il primo minore, il secondo maggiore. I valori
invernali sono al tutto esagerati , ed inverosimile affatto si è quello
di gennaio; e ciò per le ragioni innanzi addotte.
V.
Dopo tutto ciò, importava grandemente, massime per lo scopo
delle mie indagini che si riferiscono all’altimetria barometrica, il
poter disporre di una stazione meteorologica non molto discosta,
la quale si trovasse in condizioni di altezza e di postura più
acconce che non la Sacra di S. Michele, tale cioè che la sua.
O RO e TTT
Da Pe I
SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA 583
altezza fosse sufficientemente maggiore di quella della Sacra, e
la posizione si trovasse immune, per quanto possibile, dall’influsso
delle vicende meteoriche invernali della pianura.
Le pratiche fatte più volte per istabilire una simile stazione
o sul Monginevra o sul Moncenisio, andarono sempre fallite; finchè
al terminare dell’anno 1881, quando sul passaggio di quest’ul-
timo Colle fu messo uno stabile presidio militare, grazie al va-
lido aiuto prestatomi dal Colonnello Ernesto Perrier, Coman-
dante il 65"° reggimento di fanteria, da cui era distaccato il
presidio che allora trovavasi sul Cenisio, ed al concorso efficace
dei Comandi militari del 1° Corpo d’armata e della Divisione
di Torino, riescii ad ordinare una buona vedetta di meteoro-
logia in quel luogo importante; le cui osservazioni regolari, in-
cominciate col primo gennaio dell’anno passato 1882, si con-
tinuarono in seguito senza interruzione da que’ bravi ufficiali.
La stazione del Moncenisio è opportunissima per queste nostre
ricerche; imperocchè essa trovasi nello stesso bacino della Sacra
di S. Michele, a poca distanza dalla medesima e dal parallelo
di 45°. essendo la sua latitudine di 45° 16'; ed all’altezza di
1930 metri, cioè circa 1000 metri più alta della Sacra, sullo
stesso passaggio del Colle.
Gli strumenti che furono inviati alla nuova stazione, ven-
nero prima da me accuratamente controllati; e gli ufficiali in-
caricati delle osservazioni, furono addestrati convenientemente. Le
osservazioni vi si fanno tre volte al giorno, alle 9 ant., alle 3
ed alle 9 pom.
Or sebbene non si possegga sinora che un solo anno com-
pleto di osservazioni; tuttavia i risultati che ho ottenuto dal
mettere a confronto tali osservazioni con quelle di Moncalieri e
di altre stazioni vicine, son tali che meritano di essere qui ri-
cordati a complemento di quanto ho detto innanzi. Essi, mentre
fanno presagire il meglio che si potrà ottenere in tempo più
lontano; dànno a vedere il molto che si può attendere da 0s-
servazioni ben fatte, comechè per breve periodo di tempo.
Pongo qui appresso i medî termici per ogni mese, per ogni
stagione e per tutto l’anno, avuti al Moncenisio ed a Monca-
lieri nel 1882. A compiere la discussione, vi aggiungo quelli della
Sacra di S. Michele, e di una stazione marittima tra le più
vicine, qual si è quella di Savona, la cui latitudine si è di
44° 19', e l’altezza sul livello del mare di soli 26 metri.
Atti R. Accad, » Parte Fisica — Vol, XVIII, 40
584 P. FRANCESCO DENZA
MEDII TERMICI DELL'ANNO 1882
per le Stazioni
di Moncenisio, Moncalieri, Sacra S. Michele e Savona
| Moncenisio | Sacra Moncalieri Savona
ni ata Il Il IV
|
Gennaiotili sl.ja i — 1°.0 4°. 6 1043 10%1
Febbraio... ... esatte 4.0 4A 9.9
Maraoit lieta; Oh2 3712 919 1431
ten Hi aldahe 1.6 8.4 {1.7 15.6
Madgioo bot iuelns Ding 12,,4 16.2 19.0
Gingho. PRATT: di 8.1 (7:sd 20.4 22.4
Luglioibit 3rrtd.ini 10.1 20 .6 22,5 Qihie8
Agosto. ip RU it:3 Ade 21.. 6 24:37
Settembre . .... D'ni 1245 15.7 19.8
Ottobre: dei a .tori 2 40 9.7 1245 163
Novembre . .... — 0.3 4 .8 6.4 120.4
Dicembre. . .... | — 2.6 D'ARIA) Cha 8.2
luyerno. "o see re — 1.8 dt CARRI | 9.4
Primavera... <=. 20 feb) IZZO 18.2
ET cea ele) 9.8 18.9 Cir LI.
AUGRBHO<. osa raf 9.0 Ti 54 16.1
Wigo di privata: 3.98 (0:30 le dd 16.4
Trattandosi di un anno solo, conviene limitare la discussione
a periodi relativamente lunghi; epperò ci occuperemo dei soli
valori trimestrali, corrispondenti a ciascuna stagione.
Cominciamo dal mettere a confronto i valori del Moncenisio
con quelli di Moncalieri, si ha :
: Variazione media
Differenza A
III per 100 m. | per 4 grado
Inverno Al, 0°. 267 375 mn
Primavera 10. . 601 166
Fella gle r e LI 16 A . 691 145
Autunno 8. .D37 186
Sa . 024 191
SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA 585
Questi valori, sebbene dedotti da un solo anno di osserva-
zioni, offrono grande accordo con quelli che si ottennero di re-
cente all'Ufficio centrale di Meteorologia in Roma, dalla discus-
sione delle osservazioni fatte per molti anni di seguito in 43
stazioni italiane ; il solo inverno fa eccezione.
Infatti le costanti ottenute dall'Ufficio centrale per l’alta
Italia sono:
-—————m_—————@——@—£—_—_——_——_r—r—____——___—_
| Variazione media Differenze
STAGIONI DETRITI
i per 100 metri | per 4 grado
(a) (b) (a) (2)
Inverno (soli. .1 IMSYOREZ LD 318n + 0°.048 — 57m
Primavera . . ... 0.603 166 I +0 .002 0
Bee; 070,1 143 + 0.010 —
Mmmm i. 00... boro. 10 196 — 0.027 + 10
| Mamo. -.clestas). 03532 188 + 0.008 — 3
I numeri delle due ultime colonne, che rappresentano le
differenze fra i valori ottenuti a Roma da numerose osservazioni
di molte stazioni e di molti anni, e quelli avuti a Moncalieri
da poche osservazioni di due sole stazioni e di un solo anno,
addimostrano quanto questi ultimi vadano d’accordo coi primi.
La maggiore differenza dell'inverno deriva dal fatto innanzi
esposto dell'inversione di temperatura, avveratosi nel gennaio del
1882 con maggiore intensità del consueto. Difatti, dai numeri
riportati innanzi, risulta che la media termica della Sacra fu in
gennaio di 3°.3 più alta di quella di Moncalieri; il qual fatto si
verificò eziandio in altre stazioni meno elevate, come rimane
chiaro dai seguenti valori medî termici dello stesso mese di gennaio
per alcune stazioni limitrofe:
Altitudine Medio termico
gennaio
Be. Doe 4°,9
Saluzzo . . . 426 4,11
Manzo .° ..°.*, 6049 3,0
Cavous.i i. o. pr:
Moncalieri. . . 260 1,83
586 P. FRANCESCO DENZA
L’influsso di questa inversione di temperatura nel nostro
altopiano arrivò sino al Moncenisio, la cui media temperatura
del gennaio rimase poco diversa, ed anche più elevata, di quella
di altre stazioni più basse, poste in altre valli, e meglio riparate
da una tale azione. Difatti, a Balme, nella Valle d’Ala, tal media
si fu poco diversa, cioè di — 0°.9; ed a Ceresole Reale, nella
valle dell’Orco, risultò di — 1°. 7, ossia più bassa che al Mon-
cenisio, non ostante che Balme sia a soli 1454 metri, e Ce-
resole a 1620 metri.
E per vero, se invece della temperatura del Moncenisio si
pone quella del Piccolo S. Bernardo, che trovasi a 2160 metri,
nello stesso gruppo montuoso di Balme e Ceresole, e la cui media
temperatura di gennaio fu — 5°.2; i valori innanzi riportati
per l'inverno diverrebbero rispettivamente
09.330 e 303”;
e le differenze coi corrispondenti dell’Ufficio centrale :
— 0°.015 e + 15";
le quali rientrano nelle altre seguenti del quadro innanzi ri-
portato.
VI.
Se non che, non ostante il notevole accordo tra i valori da
me trovati e quelli dell'Ufficio centrale, io penso tuttavia che
gli uni e gli altri siano alquanto lontani dal vero, almeno per
le regioni intorno a cui versa il presente studio.
Per quanto riguarda i miei valori, io inferisco ciò da due
diversi argomenti.
Innanzi tutto, nell’anno da cui essi sono desunti, mentre ndli
stagione invernale la temperatura fu nella stazione del Monce-
nisio più alta che d’ordinario; in estate ed in autunno risultò
invece per Moncalieri più bassa. Ciò si rileva dal mettere a con-
fronto i medî di quest'anno con quelli del decennio riportati
più innanzi; e meglio ancora se si paragonano coi valori normali
calcolati sopra sedici anni d’osservazione (1866-1881). Si ha
infatti :
SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA 587
Medii termici d
Stagioni ——— —_-m__| Differenza
normali 1882 norm. - 1882
Bate bito tatto ti. 299.7 219,4 + 1°.3
meggnno. °° . ... VA 11.4 4 14
Or ambedue le anzidette cause tendono ad accrescere la
variazione della temperatura secondo l’altezza, cioè ad aumen-
tare le costanti termiche per ogni 100 metri d’elevazione, ed @
diminuire le costanti altimetriche per ogni grado di temperatura.
L'altro argomento su cui io mi appoggio, si è ancora di
maggior momento.
Nell’anno 1876 pubblicai un lungo lavoro sulle osservazioni
eseguite per cinque anni, dal 1871 al 1875, in cinque stazioni
meteorologiche esistenti nella valle d’Aosta, cioè Gran S. Ber-
nardo, Piccolo S. Bernardo, Cogne, Aosta, ed Ivrea (1).
Or, poichè queste stazioni si prestavano assai bene per uno
studio consimile al. presente, perchè poste tutte nello stesso
bacino, tra le latitudini di 45° 28' (Ivrea) e 45° 50' (Gran
S. Bernardo), e ad altezze comprese. tra 289 metri (Ivrea) e
2478 metri (Gran S. Bernardo); cercai di determinare sin d’al-
lora la variazione della temperatura secondo l’altezza. Dalla di-
scussione delle osservazioni termiche delle cinque stazioni ottenni:
Variazione media
Stagioni -——cc--e ==
” per 100 m. per un gr.
Inverso ‘393 1. = (92.53 1890
‘Primavera . .... 0.62 161
DELA st Bee 0.76 132
fininaio °7 -8. "0, 0.63 152
PERA DSS 0 .63 159 |
|
(1) Guide de la Vallée d'Aoste, par l’Abbé Amé GorrET et M. le Baron
Claud .Bica. Turin 1876. ME 11
Studi sulla Climatologia della Valle d'Aosta. — Bollettino meteorologico.
dell’Osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto in Moncalieri, Vol. XI e XII,
588 P. FRANCESCO DENZA
I precedenti valori, ed in modo speciale quelli corrispondenti
all’autunno ed all'inverno, sono minori degli altri innanzi ripor-
tati; solo i medî di primavera e di estate ne rimangono poco
diversi. Il che conferma quanto fu già detto.
Questi miei risultati hanno ricevuto ultimamente una bella
conferma da un lavoro consimile eseguito all'Ufficio dei segnali
degli Stati Uniti d'America, che ho citato innanzi.
In tal lavoro, il Direttore dell’ Ufficio suddetto, Generale
Hazen, ha pubblicato alcuni risultati delle osservazioni fatte nella
stazione meteorologica più alta del mondo, sul Pike's Peak, pure
per un quinquennio; dal novembre 1873 al giugno 1879; met-
‘tendoli a confronto con quelli delle osservazioni eseguite nelle
altre due stazioni vicine e più basse, delle Sorgenti del Colorado
e della città di Denver. Le posizioni di queste tre stazioni sono :
Altitudine Latitudine | Longitudine
Stazioni i
metri Nord W. Greenwich
Pikes Peak". 4313 38° 487 104° 59”
Colorado Springs . . 1825 38 55 104 58
Denver City. . . . . 1606 39 45 105. 4
Da siffatto confronto risultarono i seguenti valori che ci ri-
guardano :
Variazione della temperatura
Stagioni vaga e Ta n
per 100 metri per 1 grado
invariate ciclo 0°. 54 185%
Promaggra og 0.71 141
LET: CARE 0.69 145
Autuimort, fo € 0.58 1729
Ano si ica 0.63 159
Le differenze tra questi valori e quelli da me ottenuti per
la valle d’Aosta, sono:
SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA 589
Differenza Italia - America |
. . i I _ —
Stagioni n |
per 100 metri per 1 grado
Taxerno:funr -LAnera — 0°. 01 + 42
Primavera . .... — 0. .09 + 20
Bistatelina <«paedo:n +0 .07 — 13
AULONNO LS + ire +0. 05 —:13
VITO RIE REI CENSO 0.009 0
x
L'accordo è veramente mirabile, avuto riguardo alle regioni
diversissime in cui furono eseguite le osservazioni. Da esso si può
inferire che la diminuzione media di temperatura secondo l’al-
tezza trovata nelle Alpi Italiane per uno spessore d’aria di circa
2200 metri (da 289 a 2478 metri), coincide con quella avuta
ne’ monti dell'America del Nord per uno spessore d’atmosfera
di circa 2700 metri (da 1606 a 4313 metri). Di modo che
si potrebbe ammettere che nelle due regioni, la diminuzione di
temperatura tra le altitudini di 200 e 4300 metri è, in media
generale, di un grado per ogni 159 metri di elevazione.
L’influsso delle due stagioni di primavera e di estate, è in-
verso nelle montagne americane e nelle nostre Alpi. Ciò peraltro
accade anche in Italia per le latitudini più basse del parallelo
di 45 gradi, quali sono appunto quelle di America sin qui
studiate.
VII.
Se invece di riferire la stazione del Moncenisio a quella di
Moncalieri, la si riferisce direttamente alla stazione di Savona,
posta sulla spiaggia del non lontano Mediterraneo, si sarebbero
ottenuti i numeri che seguono:
media
Variazione
Stagioni op: de ” ho era rtote 140
per 100 metri | per A grado
Inverno ...... +11°.2 0°. 588 170»
Primavera . . ... 13 .6 0.718 139
Boliato 0, 0! .t4ii0i 14.0 .734 136
Antanno ....-.- + .| 13.6 + 714 140
MMI è. a 0° sè 10,4 145
590 P. FRANCESCO DENZA
Si sarebbe quindi avuta una diminuzione di temperatura, a
seconda dell’altezza, minore non solamente di quella dedotta
dal confronto con Moncalieri, ma ancora dell’altra di cui è
detto nel paragrafo precedente.
Questa discrepanza deriva dal perchè negli strati atmosfe-
rici che si sollevano sol di poche centinaia di metri sul livello
del mare, la diminuzione di temperatura coll’altezza è assai
più rapida che nei più elevati.
Ciò nel caso nostro risulta evidente dal confronto dei ya-
lori di Moncalieri con quelli della stessa stazione di Savona.
Si ha infatti:
Variazione media
Differenza | vene
Stagioni on Za
IV-II per 100 metri| per 1 grado
Inyernotfh: sata. + 6°.7 2.878 39
Primaveraget, 030. SL 1.548 65
Estate ‘a poi. Dei 1.040 96
AULUIOIORIA Tit AT 1.980 51
Anno 4.4 1.862 54 |
Per quanto su questi valori possano avere influsso e le con-
dizioni locali delle stazioni prese ad esame, e la brevità del pe-
riodo delle osservazioni; essi offrono differenze così gravi dagli
altri riportati innanzi, che non possono lasciare alcun dubbio su
quanto ho testè asserito.
Nè solamente i valori assoluti della variazione della tempe-
ratura sono alterati, ma è cangiato altresì il suo andamento ,
trovandosi la minima variazione in estate, la massima in inverno;
contro ciò che risulta dal confronto delle due stazioni del Mon-
cenisio e di Moncalieri, e da’ valori da altri pubblicati.
Il Glaisher, dalle osservazioni eseguite nelle sue molteplici
ascensioni aerostatiche, dedusse il valore della diminuzione di
temperatura per ogni 1000 piedi inglesi di elevazione, dal li-
vello del mare sino a 30000 piedi. Su’ valori da lui pubbli-
cati ho calcolato la seguente tabella, in misure metriche decimali
ed in gradi centigradi, nei limiti d’altitudine in cui è compresa
la presente discussione.
SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA 591
Altezza Altezza media
| dal livello del mare per la dimin. di 1° C.
Da Um a 300° Tim
» 300» 1000 100
» 1000 » 2000 133
» 2000 » 3000 149
» 3000 » 4000 164
Da questa tabella risulta evidente come il valore: della varia-
zione di temperatura decresce coll’aumentar dell’altezza; e che
la diminuzione è tanto più piccola, quanto è maggiore l’altezza.
Mentre a 1000 piedi sul livello del mare la diminuzione si è,
secondo Glaisher, di 7°.2 Fahrenheit (4°. 0 C.); a 14000 piedi,
cioè a circa 4000 metri, tal diminuzione per uno stesso spessore
atmosferico di 1000 piedi addiviene di soli 2°.1 Fah. (1°.2 C.).
E qui vuolsi notare che, calcolando coi numeri di Glaisher
la variazione di temperatura corrispondente alla differenza di li-
vello tra Moncalieri e Savona, si ha l'altezza di 60 metri per
ogni grado centigrado; valore non molto diverso da quello da me
ottenuto. Gli altri numeri poco si accordano con quelli assegnati
innanzi, dando, in generale, valori troppo grandi per la varia-
zione suddetta.
Egli è perciò che tutte le volte che si abbia a calcolare
la variazione della temperatura negli strati atmosferici posti a
diverse altezze, è d’uopo tener conto dell’altitudine dei luoghi
che si studiano; essendo poco conforme al vero il voler appli-
care la costante medesima a regioni poste a livello anche non
di troppo diverso.
Mi dispenso dal riportare i valori che si ottengono dal con-
fronto coi medî avuti nel 1882 alla Sacra di S. Michele; im-
perocchè essi offrirebbero per quest'anno discrepanze notevoli assai;
e co’ risultati ottenuti dalla discussione del decennio 1870-79,
e cogli altri esposti innanzi. Il che può agevolmente scorgersi
dal semplice confronto dei medî termici di questa stazione per
l’anno medesimo co’ corrispondenti del decennio.
Da tutta la precedente discussione pertanto, parmi potersi
conchiudere con sicurezza scientifica, che la legge genuina, secondo
592 P. FRANCESCO DENZA - SULLA VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA.
cui la temperatura può variare coll’altitudine, non può dirsi an-
cora ben conosciuta, e che la soluzione del problema che la
riguarda è tuttora complessa. I risultati che si sono ottenuti
da egregi meteorologisti, non si possono riguardare che come
una prima approssimazione di quanto si cerca; e vanno adope-
rati con precauzione e parsimonia, variando questo elemento non
poco da regione a regione, secondo le condizioni di clima, di
stagione, di altezza e di postura. Miglior consiglio sarebbe, pel
momento, ora che le stazioni meteorologiche si sono cotanto ac-
cresciute, di studiar separatamente il problema per ciascuna delle
più importanti contrade, massime di montagna, mettendo a pro-
fitto le osservazioni delle stazioni in essa esistenti. I risultati che
in tal maniera si otterrebbero, non sarebbero al certo sicuri; ma
godrebbero senza dubbio di approssimazione maggiore di quella
possano avere quegli altri, che si vogliono estendere a grandi
tratti della superficie terrestre.
Dall’Osservatorio di Moncalieri,
Giugno, 1883.
EZZD
Ur
le)
I
Il Socio Cav. Prof. Andrea NaccarI presenta e legge la se-
guente Nota del Dott. G. GUGLIELMO ,
SULLA
FORZA ELETTROMOTRICE
RESISTENZA DELLA SCINTILLA ELETTRICA,
L'esistenza d’una forza elettromotrice nell’arco voltaico rende
molto probabile l’esistenza d’una simile forza elettromotrice an-
che nella scintilla elettrica, ed Edlund dopo la scoperta della
prima, cercò di dimostrare l’esistenza della seconda, partendo dalla
seguente esperienza che qui descrivo per intelligenza di ciò che
segue, sebbene sia stata descritta più volte ed anche recente-
mente dallo stesso autore (1).
Si riuniscano le armature interne A, B dei condensatori d’una
macchina di Holtz in azione con un circuito CGB in cui si
trova un galvanometro , lasciando un inter- Terra
vallo d’aria AC, che verrà attraversato da ag.
una rapida serie di scintille, e si pongano due 2 GER 2
punti D, E in comunicazione con un eccitatore ; fis Oo7
la deviazione sarà molto piccola se l’intervallo »°
d’aria nell’eccitatore è grande , e tutta la cor- |
rente della macchina passa per il galvanometro, yi___de___|k
mentre se si diminuisce detto intervallo in
modo che parte della corrente passi per esso
superando la resistenza dell’aria, la deviazione £
diventa venti a trenta volte maggiore. Se il ‘°* E
galvanometro si pone invece nel tratto DE dove trovasi l’in-
tervallo di aria, esso indica una corrente diretta in senso con-
(1) Poca., Ann., t. 134, p. 337; t. 139, p. 353. Philosophical Magazine,
u serie, t. 15, p. 6.
594 G. GUGLIELMO
trario a quella della macchina, alla quale però viene a sommarsi
nel ramo DCE.
È evidentemente necessario che in AC si trovi un intervallo
d’aria, perchè altrimenti le due elettricità neutralizzandosi con-
tinuamente darebbero luogo ad una corrente continua ma debo-
lissima, mentre coll’intervallo d’aria si ha una serie di correnti
di brevissima durata ma intensissime, e la differenza di potenziale
fra le sfere dell’eccitatore può essere sufficientemente forte per
superare un intervallo d’aria tanto maggiore quanto è maggiore
AC, e che può essere di parecchi millimetri, se AC è p. es. 20 mm.
Siccome le due estracorrenti passano inegualmente per la scin-
tilla e quindi la differenza delle loro azioni sull’ago non è nulla,
Edlund, congiunse i due capi del filo del galvanometro con un
filo di pakfong di tal resistenza determinata sperimentalmente, in
modo che le estracorrenti passassero quasi totalmente per esso,
ma che tuttavia la sensibilità del galvanometro non venisse ri-
dotta più del necessario. Inoltre, per evitare che il filo del gal-
vanometro prendesse un potenziale troppo elevato, un estremo di
esso veniva posto in comunicazione col suolo.
Dalle esperienze di Sundell e da quelle di Edlund risulta
che un tale aumento di deviazione non è prodotto da correnti
indotte, come avverrebbe col condensatore elettrochimico di De
la Rive, quando al voltametro si aggiungesse un galvanometro.
‘Un’altra spiegazione indicata dallo stesso Edlund si avrebbe
nel supporre che essendo la scarica oscillatoria, nella prima oscil-
lazione la scarica passi esclusivamente pel galvanometro , nella
seconda, la scarica di intensità un po’ minore ed in senso contrario
passi per l’intervallo d’aria de, nella terza di nuovo pel galva-
nometro, e così di seguito, ed in tal modo la quantità di elet-
tricità che passa pel galvanometro sarebbe notevolmente aumentata
dalla esistenza del piccolo intervallo d’aria de. Edlund rifiuta
questa spiegazione osservando che la deviazione ha ugual senso e
grandezza se l’intervallo AC si trova presso all’armatura B in-
vece che presso alla A; pur tuttavia parrebbe che un tal pro-
cesso potrebbe essere non senza influenza nel fenomeno in questione.
‘ Difatti, nel primo momento si presentano alla scarica due vie,
l’una pel galvanometro di resistenza piccola, e l’altra per l’ec-
citatore di resistenza infinita, e quindi la corrente passerà esclu-.
sivamente per il galvanometro, finchè avendo le sfere dell’ecci-
tatore raggiunto una differenza di potenziale sufficiente scocca ivi
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE 595
una scintilla e la resistenza, pel riscaldamento dell’aria, diventa
assai piccola. La seconda scarica in senso contrario trova due vie
di resistenze non molto diverse e si divide in esse, ma non si
potrebbe vedere una ragione per cui la terza scarica avesse a
passare esclusivamente per il galvanometro. Quindi questo processo
che potrà non essere senza influenza quando il ritardo della scin-
tilla di disgiunzione, come viene chiamata da Edlund, sia uguale
ad una frazione abbastanza grande della durata della scarica, non
basterebbe a produrre l’effetto osservato.
Edlund attribuì l’ osservato aumento di deviazione ad una
forza elettromotrice nella scintilla, e veramente le numerose e
variate esperienze eseguite da lui e poscia da Sundell, e così pure
le mie esperienze che descriverò in seguito, parrebbero mettere fuori
di dubbio l’esistenza di tal forza elettromotrice, che Edlund attri-
buiva dapprima al lavoro fatto dalla corrente nella disgregazione
degli elettrodi (1), mentre adesso parrebbe attribuirla anche, spe-
cialmente nel caso di gaz rarefatti, ad una forza elettromotrice
opponentesi al passaggio dell'elettricità dagli elettrodi nel vuoto (2).
È da notare che poichè la corrente è diretta in DE nel
senso contrario a quello della scarica, e l'intensità della corrente
dovuta alla forza elettromotrice della scintilla non potrebbe essere
maggiore di quella proveniente dalla. macchina (e risulta infatti
molto minore) bisogna che la durata della prima sia molto mag-
giore di quella della seconda, e quindi la forza elettromotrice
della scintilla perduri per un tratto di tempo dopo cessata la sca-
rica dei condensatori, ciò che farebbe rassomigliarla ad una specie
di polarizzazione dell’aria interposta o degli elettrodi.
Fin dalle sue prime esperienze Edlund aveva cercato di de-
terminare il valore di questa forza elettromotrice (in determinate
condizioni ) ponendo in m una pila di 10 Bunsen prima in un
senso, poi nell’opposto; aveva così la deviazione dovuta alla forza
elettromotrice della scintilla più o meno quella dovuta alla pila;
poteva quindi calcolare ciascuna di esse, e poichè le deviazioni sono
a parità di circuito (e di durata) proporzionali alle forze elettro-
motrici, poteva dedurre il rapporto di queste, ed avere quella
della scintilla espressa in Bunsen. In una nota ad una Memoria
successiva (3) però l’Edlund osserva che l'ipotesi da esso fatta
(1) Posg., Ann., t. 134, p. 337.
(2) Philosophical Magazine, s. 5°, vol. 15, p. 32.
(3) Poca., t. 139, p. 364.
596 U. GUGLIELMO
che la corrente della pila non alteri la scintilla non è esatta,
senza dare però alcuna prova da cui si possa dedurre quale sia
la grandezza di tale alterazione. Inoltre si può osservare, che
siccome una corrente non attraversa una scintilla ugualmente
bene nei due sensi (siccome lo stesso Edlund ha scoperto) non
può dirsi, che la resistenza del circuito sia la stessa per la forza
elettromotrice della scintilla, e per quella della pila.
Ho cercato appunto di studiare questo passaggio della cor-
rente d’una pila per la scintilla, e dedurne possibilmente la re-
sistenza e la forza elettromotrice della scintilla, e sebbene sia stato
costretto a fare parecchie ipotesi che possono parere un po’ in-
certe, e sebbene l'argomento richieda uno studio ulteriore, pure
dovendo interrompere per qualche tempo queste esperienze, credo
non inutile di esporre alcuni dei risultati ottenuti.
La disposizione dei reofori da me usata e rappresentata in
ischema nella figura non differisce da quella di Edlund fuorchè
nei particolari; siccome occorreva nelle mie esperienze di misurare
l'intensità della corrente tanto nel reoforo DE che in quello
DCE e quindi bisognava far passare il galvanometro dall’uno
all’altro e sostituirvi una ugual resistenza acciocchè il circuito
non fosse alterato, per maggior semplicità ed
anche per dare maggior simmetria al sistema posi
uno dei rocchetti del reometro G che era una bus-
sola di Wiedemann nel ramo DG£E e l’altro nel
ramo DdeE; mediante un commutatore potevo
invertire la corrente in questo rocchetto, e quindi
cambiare il senso della sua azione sull’ago e quindi
coi due valori così ottenuti potevo calcolare l’in-
tensità della corrente tanto nell’uno che nell’altro
rocchetto. In ciascuno dei due rami trovavasi una
pila di quattro o cinque elementi Bunsen ad acido
cromico e queste mediante uno speciale commu-
tatore potevano essere disposte in modo che le forze elettromo-
trici di entrambe agissero nel senso di quella della scintilla o in
senso opposto, oppure si neutralizzassero (1).
Non avendo a mia disposizione il galvanometro ideato dal-
(1) Applicando il principio di HenLMHoLTZ sulla sovrapposizione delle
correnti, le due pile non si neutralizzerebbero, poichè la resistenza della
scintilla, e quindi del circuito totale, è diversa nei due sensi; evidentemente
questo principio non può essere applicabile a questo caso speciale.
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE 597
l’Edlund per evitare le azioni elettrostatiche sull’ago, mi servii di
una bussola di Wiedemann ; i rocchetti erano formati da grosso
filo di rame ricoperto di guttaperca, ed avevano la resistenza di
0,5 «., S. ciascuno. Mi persuasi che dette azioni elettrostatiche non
esercitavano influenza sensibile, osservando che l’ago ritornava ab-
bastanza bene allo zero, che la deviazione rimaneva costante
quando si poneva in comunicazione col suolo l’uno o l’altro capo
dell’uno o dell’altro rocchetto, come pure avvicinando una mano
e ponendola sull’uno o sull'altro rocchetto ; infatti lo smorzatore,
la custodia dello specchio messi in buona comunicazione col suolo
dovevano essere uno schermo abbastanza sicuro contro dette azioni.
— I due capi del filo di ciascun rocchetto sono stati congiunti
con un filo di packfong di 0,5 «., S' per evitare gli effetti della
estracorrente, e la resistenza di ciascun rocchetto diventò così uguale
a 0,25 u., S.
La macchina di Holtz che Edlund ha sempre adoperata nelle
sue esperienze, ha il vantaggio non piccolo di molta semplicità
nell’azione, e di dare una corrente assai debole, quasi trascurabile
in confronto a quella della forza elettromotrice della scintilla,
ha l'inconveniente di essere incomoda volendo fare lunghe serie
di esperienze; i risultati ottenuti in giorni diversi non sono com-
parabili, essendo soggetti allo stato igrometrico dell'ambiente, in
certi giorni non è neppure possibile d’operare, ed inoltre le de-
viazioni nelle condizioni delle mie esperienze non erano molto
regolari. Provai quindi ad usare invece il rocchetto di Ruhmkorff
ponendone i poli in comunicazione con gli stessi condensatori della
macchina di Holtz che avevano l’armatura estrema di circa 5 dm°
di superficie. Le armature esterne di questi condensatori venivano
poste in comunicazione fra loro, ma erano isolate dal suolo, al-
trimenti essendo già anche in comunicazione col suolo l'armatura
interna di uno di essi, questo si scaricava a parte e la scintilla
in AC non scoccava che a distanza molto minore. Riuscii così
ad ottenere deviazioni ordinariamente abbastanza regolari e pa-
ragonabili fra loro.
Le esperienze di Wiedemann, Naccari e Bellati sulla quantità
di calore generata nel passaggio d'una corrente attraverso un gaz
quelle di Hittorf sulla differenza di potenziale degli elettrodi
quelle di Warren de la Rue e Miiller sulla resistenza di un tubo
di Geissler indurrebbero a credere che la differenza di potenziale
degli elettrodi fra i quali la corrente attraversa il gaz sia indi-
598 G. GUGLIELMO
pendente dalla intensità della corrente, per cui la resistenza del
gaz si comporti come una forza elettromotrice e quindi abbia il
suo posto nella formola di Ohm nel numeratore come deduce
l’Edlund dalla sua teoria (1).
Le mie esperienze invece m'’indurrebbero a credere che, oltre
alla forza elettromotrice, esista nei gaz percorsi da una scarica,
anche una resistenza simile a quella presentata dai conduttori di
prima o seconda classe, e che avrebbe il suo posto nel deno-
minatore della formola di Ohm. Infatti, supponendo che la resi-
stenza d’un gaz si comporti solo come una forza elettromotrice
l’intensità della corrente dovuta alla forza elettromotrice della
scintilla dovrebbe essere in ragione inversa della resistenza del
circuito; ora nelle mie esperienze essa decresce meno rapidamente
di quello che cresca la resistenza. Così pure le variazioni nella
intensità della corrente, prodotte dall’ introdurre la pila in un
senso o nell’altro, le quali mi pare possano considerarsi come le
intensità delle correnti generate dalla pila, decrescono anch’ esse
meno rapidamente di quello che cresca la resistenza.
Tuttavia questo risultato si potrebbe anche spiegare in tutti
tre i casi, supponendo che col crescere della resistenza crescesse la
durata della forza elettromotrice e della conducibilità del gaz, ciò
che però non si potrebbe affermare a priori nè nel caso più gene-
rale secondo le esperienze di Feddersen (1), nè nel caso presente.
D'altra parte la resistenza dell’aria ad altissima temperatura
essendo probabilmente assai piccola (e tale risulterebbe dalle mie
esperienze), non è da meravigliare che essa sia rimasta insensibile
in quella apparente e molto grande dovuta alla forza elettro-
motrice, specialmente considerando le variazioni irregolari di cui
fanno cenno Hittorf, e Warren de la Rue e Miiller (2).
Una difficoltà non lieve in queste esperienze si ha nella incer-
tezza sulle leggi e nella complessità del fenomeno della scintilla.
Occorrerebbe anzitutto conoscere con quali leggi la scarica si
divide nei due rami poichè la legge di Kirchhoff non potrebbe
rigorosamente esser applicata in questo caso ove la resistenza di
un ramo diventa da infinita molto piccola, e le correnti per un
tratto non piccolo della loro “durata si trovano allo stato varia-
bile, e sono quindi influenzate dalla capacità dei conduttori.
(1) Poas., Ann., t. 113, p. 455.
(2) Wiepb., Ann., t. 7, p. 573. — Nature, t. 20, p. 178.
mint e
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE 599
Tuttavia, avendo verificato coll’esperienza che detta legge era sod-
disfatta quando entrambi i rami erano continui e facevo variare
la resistenza di uno di essi; che quando si produceva la scintilla
di disgiunzione, la deviazione non variava sensibilmente col porre
un punto o un altro del circuito in comunicazione coll’armatura
interna d'una grossa bottiglia di Leida, la cui armatura esterna co-
municava col suolo, credetti di poter ammettere detta legge senza
notevole errore, ciò che sarebbe anche confermato dal sufficiente ac-
cordo dei risultati. Riguardo alla complessità del fenomeno si può
notare che anche volendo contentarsi di valori medii (giacchè tanto
la forza elettromotrice che la resistenza variano col tempo, partendo
dai valori 0 per la prima, co per la seconda ai quali ritornano)
converrebbe distinguere almeno due periodi nella scintilla, quello
in cui la corrente va nel senso della scarica della macchina, e
l’altro in cui la corrente va nel senso contrario e per ciascuno
di questi periodi avremmo quattro incognite cioè la durata, la
forza elettromotrice , la resistenza per le correnti in un senso,
la resistenza per le correnti nel senso contrario e s’avrebbero
così 8 incognite, e sarebbe difficile trovare tante relazioni indi-
pendenti per determinarle, e che queste relazioni poi fossero pa-
ragonabili per loro. Difatti, non considerando che sei incognite,
considerando cioè due soli valori della resistenza della scintilla,
sperimentando colla sola forza elettromotrice della scintilla e con
questa più o meno quella della pila ed in ogni caso con varie
resistenze nei due rami si ottengono parecchie equazioni sufficienti
per determinare senza difficoltà le sei incognite.
Nel fatto però i risultati ottenuti in tal modo furono molto di-
scordi, probabilmente per le irregolarità del fenomeno, le quali du-
rante il tempo non piccolo occorrente per le sei esperienze possono
produrre grandi variazioni nelle quantità che si vorrebbero deter-
minare : dovetti quindi contentarmi di considerare un solo valore
medio della forza elettromotrice, uno della resistenza nel senso della
corrente, uno di quella nel senso opposto ed uno della durata.
Chiamiamo r la resistenza del ramo continuo 7, quella del-
l’altro ramo compresa anche la resistenza della scintilla ed I la
intensità della corrente di brevissima durata proveniente dal roc-
chetto, ed osserviamo che nel nostro caso la deviazione del gal-
yvanometro misura non l'intensità delle singole correnti, ma la
quantità di elettricità che lo attraversa nell’unità di tempo, ossia
il prodotto di questa intensità per la sua durata. Quando i due
Atti IR. Accad, = Parte Fisica — Vol. XVIII, 4l
600 G. GUGLIELMO
rocchetti del galvanometro erano disposti in modo che le azioni
sull’ago delle due correnti parziali provenienti dal rocchetto si
sommassero si aveva 2a =It essendo a la deviazione dell’ago del
galvanometro e # la durata delle correnti, trascurando il coeffi-
ciente di riduzione della bussola. Invertendo col commutatore la
corrente in un rocchetto, le azioni sull’ago delle anzidette correnti
parziali si contrastano, si sommano invece quelle dovute alla
forza elettromotrice della scintilla e chiamando questa E ed es-
sendo d la deviazione si avrà :
Et agga Calene*
sprvicladicioliteUers'bersidig
r+r, Y+7r,2 rt+r,2
e aggiungendo p ad r e p, ad r, si avrà
Et ‘+o—-r,—0,1
TA (RIP It
rtptntp rtptnto 2
da cui si ricava eliminando 2 £ e sostituendo ad 4 # il suo va-
>
Il : Ù
ore @ Fio db (pt alp).
di bb
Se p 0 p, sono uguali a 0 oppure se p=p, si ha
“= 9 '
part cale oppure rin 22 ;
e conoscendo le resistenze dei conduttori di prima o seconda classe
in r+r, se ne deduce la resistenza della scintilla. Nello stabilire
le precedenti equazioni la resistenza del rocchetto è da conside-
rarsi come infinita, rispetto ad r ed r, e di fatti Z# non varia
per l'aggiunta di p e p,.
Un altro mezzo di determinare la resistenza della scintilla |
ci offre la pila, se %, e d', sono le deviazioni quando la pila
agisce nel senso della forza elettromotrice della scintilla e colle
resistenze r+r, ed r+r,+,+ Pa si avrà chiamando B la
forza elettromotrice della pila:
__ Bt ras Bit
pena See ‘orntrtoto
da cui si può ricavare r, +; finalmente un altro valore si può —
ricavare operando colla pila disposta in senso inverso alla forza
elettromotrice della scintilla.
SULLA FORZA ELEITTROMOTRICE 601
Essendo noto r, possiamo calcolare il valore di E f e quello di
Bt, e supponendo che # sia lo stesso nei due casì, potremo avere
il valore di £: B.
Finalmente, se A è la deviazione che produce la B in un
circuito di resistenza , ossia è B— AR, sostituendo nella penul-
tima equazione potremo avere il valore della durata totale delle
scintille che scoccano in 1":
In queste esperienze mi servii d’un grande rocchetto di Ruhm-
korff costruito da Carpentier, che messo in azione dalle 8 grandi
Bunsen a sezione rettangolare annesse al rocchetto poteva dare
da punta a disco una scintilla di 48 cm.; la pila adoperata fu
sempre di tre Bunsen, modello medio; la sfera dell’interruttore
di Foucault fu mantenuta ad 1 cm. dalla posizione più bassa.
Abbassando il martello dell'interruttore, o sollevando i bicchierini,
le interruzioni si facevano più rapide, si producevano scintille di
un suono più acuto capaci di superare un più lungo tratto d’aria
e di produrre una deviazione molto maggiore nel galvanometro ;
l’ago però ne riceveva impulsi così forti e irregolari da rendere im-
possibile ogni lettura: sollevavo perciò il martello dell’interruttore
finchè cessasse la produzione di tali scintille costituite probabil-
mente da una serie rapidissima di parecchie scintille, e ottenevo
così deviazioni abbastanza regolari. L’ago tuttavia non era mai
affatto fermo, anzi faceva delle oscillazioni di ampiezza variabile,
ma la posizione media in buone condizioni si poteva apprezzare
con un errore non superiore ad una divisione.
Il numero delle interruzioni per secondo fu determinato ri-
petutamente mediante un cronografo, esso risultò in media di 14
e parve variare poco per piccoli spostamenti nella posizione or-
dinaria del martello dell’interruttore.
Le scintille AC scoccavano fra le estremità arrotondate di
due fili di ottone di circa 3 mm. di diametro; diminuendo l’in-
tervallo AC si producevano le scintille di suono acuto di cui
ho parlato, esse cessavano aumentando la detta distanza, aumen-
tando ancora, la serie di scintille diveniva interrotta e le deviazioni
erano irregolari; quindi adottavo una distanza o tale da evitare
entrambi questi inconvenienti, la quale era di 15 a 20 milli-
metri secondochè i liquidi della Bunsen erano stati molto 0 poco
602 G. GUGLIELMO
usati. Avendo cura di evitare i suddetti due inconvenienti la de-
viazione non variava sensibilmente quando variava un poco la
lunghezza delle scintille AC e la posizione del martello dell’in-
terruttore.
Le resistenze erano formate da fili di packfong di circa 0,2 mm.
di diametro ricoperti di seta, ripiegati per metà ed avvolti in
modo che due spire successive fossero distanti di 2 a 3 mm. ed
in esse la corrente andasse in direzioni contrarie, dimodochè ho
creduto di poter trascurare gli effetti dell’estracorrente prodotta
in essi.
I commutatori erano formati ciascuno da un doppio bilanciere
di grosso fil di rame, le cui estremità si facevano pescare in
pozzetti con mercurio : la corrente giungeva per gli assi che ruo-
tavano in istretti tubi di vetro contenenti mercurio. La sensibilità
della bussola era stata aumentata mediante una sbarra magne-
tizzata.
La pila da porsi nel circuito della scintilla era di 5 elementi
di Bunsen ad acido cromico per ciascun ramo ; sulla sua resi-
stenza determinata col metodo di Mance, solo quando essa era
rimasta carica da parecchie settimane ed aveva servito spesso,
ed i liquidi erano molto alterati rimane un po’ d’incertezza, giacchè
essa risultò di circa 5 ., S., mentre altre esperienze sulla resi-
stenza di un elemento con liquidi nuovi darebbero una resistenza
totale di circa 1,5 a 2 «.,S., e nelle esperienze sulle scintille
la resistenza della pila più quella del galvanometro non appare
realmente superiore a 2 o 3 «.,,S. In successive esperienze ebbi
cura di togliere una simile causa di errore.
Ponendo nel circuito di questa pila una resistenza di 10000
“., 8. ed in derivazione uno dei rocchetti del galvanometro con
una resistenza addizionale di 5 w., S., mentre l’altro ramo della
derivazione aveva una resistenza di 1 w., S. avevo la deviazione
di 110, quindi prendendo per unità di corrente quella che percor-
rendo entrambi i rocchetti produce la deviazione di una par-
ticella, si ha
RN: E.1 E
10000.6,254 5,25 62500
Osservavo le deviazioni parecchie volte alternativamente colla
pila agente nel senso della scintilla, in senso contrario , senza
azione, poi nuovamente dopo aggiunte le resistenze p, e p. Nella
pra.
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE 605
seguente tabella sono esposti i risultati ottenuti quando la scin-
tilla di disgiunzione si produceva fra sfere di ottone di 12 mm.
di diametro, distanti 0,3 mm. Con r', r,, sono indicate le resi-
stenze aggiunte rispettivamente nel ramo continuo ed in quello
colla scintilla alla resistenza della pila, del galvanometro e dei
reofori, con 0 è indicata la deviazione osservata quando le due
pile neutralizzavano le loro azioni, con è‘ l'aumento di deviazione
osservato quando s'invertiva uno dei commutatori delle pile in
modo che le forze elettromotrici di queste avessero entrambe la
stessa direzione di quella della scintilla, con è” la diminuzione
quando si disponevano i commutatori in modo che esse agissero
in senso opposto al precedente, con 0, la deviazione prodotta
dalla sola forza elettromotrice della scintilla, che si può ottenere
rr 1
da 0 togliendo il termine 3 It che rappresenta l’azione della
”
r,
corrente del rocchetto. Quindi sono indicati con R, R' R'", i valori
di x, + calcolati nei tre modi già descritti, cioè colla sola forza
elettromotrice della scintilla, o con quella della pila nel senso
della precedente o nel senso contrario. Finalmente, con Et, B #, B'#
sono rappresentati i prodotti di d,, 0,0", per R, R'R' rispet-
tivamente, che rappresentano le forze elettromotrici della scintilla
e della pila in un'unità arbitraria, e che danno modo di pa-
ragonare i varii risultati.
Le ipotesi da me fatte non sono rigorose e potrebbero esser
poste in dubbio, ho creduto perciò opportuno di riportare mi-
nutamente i risultati di parecchie esperienze.
Ad—=-0,4 mm. ai=24
°° p! Ò d' Dis d, È, R' Ps Bt vi Et
o|.0| 46] 75] 45|33| — hi — | 266 301 | 21
5| 0 3832) 26] 20] 741 —| — |273]|304]| 230
ol 5| 13/27) 27116] 5,4] 341 7931|816| 184
5| 5| 17|185| 17) 12] 5,6| —| —|250|284]| 198
sol o| 35/22] 19/15 88| —| - |297|317| 313
o| 10|-1| 20| 18|10,4| 4,7) 37) 65|270|301| 172
‘0| o| 49172] 4|36] —| -|-]|256 908 | 234
|
604 G. GUGLIELMO
In questa serie di esperienze per calcolare d, si può am-
mettere per resistenza della pila più il galvanometro il valore
3 «., S. Le medie dei valori di Bt di B' di Et sono rispetti-
vamente 263, 304, 221, prendendo ancora la media di B#
Et. 221
Bi 284
Bt:1=284 e B:62500=220 si ha per la durata d’una
scintilla :
e B't si ha ossia £= 7,8 Bunsen. Inoltre siccome
LAME A stri orgia; pe
62500 .220.14
d=0,2 mm. d= 24
ri|r d dt 880] PR | PU | BISI
o| 0 30.1 70,491, |49 Jo |.—|= 224] 2300/2208
5 0 PI PA GALA FI 00) RA PET] Ii) 2210 PRI
Ost A 2..:|.25:| 923 |:7,7|. 3,8] 2,9]. 4,5] 205.1 223-081
10) 0 960. 18 + 180 | «6.51 Aule —;|:+,238 0600001
Dofiortin]A8A7 82) li 298) O
Bi 5 {0g tt] 15, 5:06, dial x3;A], bd | 2242200008
15| 0 80;5.|44 |.19,5| 100] — [ide [250.2000008
0 badoo 44344103 4648 0A 2
20| 0 29.50 th dial 2300
0| 20] — 14 SODI IT MEDI GTO ITER PERA RE
(0 9 | 9 | 5 | 5,8] 29) 4,4|209| 22204457
0 4189,5 | 72,5.|.50,5|21 | |. — 423202070008
In questa serie essendo la deviazione dovuta alla E piccola
rispetto alla deviazione prodotta dalla corrente del rocchetto,
l’errore nel valore della resistenza della pila che si ammise in-
sieme a quella del galvanometro uguale a 3, ha tanto mag-
gior influenza, ed i valori di PR, risultavano grandissimi, o pic- |
colissimi secondo che una resistenza si aggiungeva in un ramo
o nell’altro, e si dovette considerare solo la media delle due |
Tia Tiene elica de
deviazioni, nel qual modo il termine
I
valori di E# risultarono inoltre per la stessa causa molto diversi.
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE 605
Le medie dei valori di B#, B#, Et sono 226, 236, 113;
quindi E:B—=113:231, ossia E =4,9 Bunsen;
- Sane
199;6&19"
I SIDO3e
Bi | B'i| Et
O o|115|80 [40 [106 —| —|—|224] 172700
5) 5 45|20 |13 | 41,5] 64) 3,3) 44256) 186] 689
0| 10| 32| 14512 | 42 | 6,5] 2,2| 4,0|186|172| 697
10| 0 60 | 17,5 13,5| 43 | 6,9) 2,8] 4,6) 224| 193 | 714
0 | 0|115|80 |45 [106] —| —| —|224|193| 700
Valori medii ..:.. | 66 29,8] 43/225|183| 700
d=1mm. a=26
—_—_————_——___————| | ___[|[_—_ ——_—_—____—_—_-[|[____'!'!'______— [| - -_—»__
ol 0106 0.82 43] 951 —| —| —.| 246258] 665
sl o|7z4|32/23| 57|7|-—| -|256|253 [684
ol 5|55| 33022] s9| 74) 33) 5,5 264 | 242! 708
5| s|a45| 17|165| 40] 66) —| —|221|264|680
sol o|es| 19] 17 | 44 76] 27 65|247|272| 748
ol io] 30] 16| 17] 41| 65] --| — | 208|272 | 697
o| 0|117|80| 43 |16| —| —|—-|20]258|742
Valo:medii Cs; 7,0) 30| 6,0| 210 | 260 | 745
Da queste due serie di esperienze si ricava in media
227
De S sedicente ci Lr DIDO TI
E=32 Bunsen # 195, 2.10°
606 G. GUGLIELMO
d=?2 mm. a= 22
PITT LUO BI
o 0|1s2/75 | 40/182 204 |1247
DIL 50422 RBL 107 213 | 1263
O| 5| 97/30 | 20/101 202 |1192
5 | 5 |UZ7[ dd {4} 73 211 |1226
10| 0| 93/15 17| 76 257 |1277
0| 10| 60/14 12| 69 181 |1159
10) 10) 48) 95] 8] 455 201 | 1219
QU 0| 69| 9 9| 50 226 | 1340
o| 20) 30) 8,5Ì 8| 44 201 | 1179
o|.0|189|75 | 42179 214 | 1226
Valori medii.... 211 | 1233
In questa serie riferendomi al valore della resistenza della
pila trovato col metodo di Mance adottai il valore 3,8; la forza
elettromotrice risulta E—60 Bunsen e la durata #=1",1.107°.
Da queste serie di esperienze si possono dedurre. varie con-
seguenze. Prima di tutto il valore della £ non pare che cambi
sensibilmente , col cambiare della quantità di elettricità prove-
niente dal rocchetto che passa per ,, difatti si ottenggno al-
l’incirca gli stessi valori di £ sia che si aggiunga una resistenza
nel ramo 7, o nel ramo 7, ora nel caso p. es. della resistenza
20 il rapporto dp quindi il rapporto delle quantità di elettricità
È
che passano per questi due rami varia da 5 ad '/,; circa. Nelle
prime serie si osserva una piccola influenza di tal genere, ma è
da notare che essendo in tal caso il valore di £ piccolo è mag-
giormente influenzato dall'errore nella resistenza della pila. Sundell
e recentemente anche Edlund con un metodo simile a quello delle
precedenti esperienze trovarono invece che la deviazione prodotta
dalla corrente di disgiunzione cresce col crescere della quantità
d’elettricità della scarica, meno rapidamente però di questa quan-
tità, ma essi operavano colla macchina di Holtz e le quantità
d’elettricità dovevano essere notevolmente inferiori a quelle delle
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE 607
mie esperienze, e pare molto probabile che a somiglianza di
ciò che avviene nella polarizzazione il valore di E cresca fino
ad un massimo.
Questo valore di E poi cresce col crescere della distanza, e
sebbene le varie serie eseguite in giorni diversi in condizioni non
affatto simili, non siano state fatte per essere paragonate fra
loro si può vedere che il valore di £ cresce presso a poco pro-
porzionalmente alla distanza.
Riguardo alla resistenza della scintilla, il valore che si ricava
dalle due equazioni è tanto più esatto quanto più è piccolo
++, e grande p; se in entrambe f è diverso da 0 e piuttosto
grande, l'errore è notevole, fa apparire più piccola ed anche ne-
gativa detta resistenza. Ora avviene appunto che la resistenza
della pila è grande ed inoltre nota con esattezza non suffi-
ciente. Lasciando dunque per adesso da parte il calcolo della
resistenza della scintilla si può però osservare che questa resi-
stenza appare maggiore quando la pila è in senso opposto alla
corrente di disgiunzione che quando le è favorevole, ciò che sa-
rebbe d’accordo col fatto, osservato da Edlund che una corrente
attraversa una scintilla meglio nel senso del movimento di elet-
tricità nella scintilla che nel senso contrario. La resistenza della
scintilla appare anche maggiore quando sia dedotto dalle devia-
zioni prodotte dalla corrente di disgiunzione ; siccome tale fatto
sì presenta costantemente non si può attribuire ad irregolarità
nelle deviazioni.
Si può osservare anche che i valori di B # e di — B'? benchè
dedotti affatto indipendentemente uno dall’altro presentano valori
prossimamente uguali, ciò che giustificherebbe le ipotesi fatte per
determinare le varie incognite. Il valore della durata della scintilla
riesce molto minore di quelli che sono stati trovati con altri
metodi, specialmente per le scintille del rocchetto, e sebbene
cogli ordinari metodi ottici si determini piuttosto la durata della
incandescenza che quella della scarica non parrebbe che la dif-
ferenza fosse dovuta solamente a ciò: l'aver ammesso che la
scintilla ha per tutta la sua durata una resistenza costante ©
piccola, ha probabilmente una grande influenza.
Nelle seguenti serie di esperienze, per evitare l’incertezza cau=
sata dalla variabilità della resistenza della pila, usai le otto
grandi coppie del rocchetto colla solita soluzione di bicromato
potassico nell’acido solforico ed acqua nel vaso poroso. La resì-
608 G. GUGLIELMO
stenza di una di queste coppie era molto prossimamente di 0,1
u., S. appena caricata, di 0,2 %., S. dieci giorni dopo caricata,
quindi potei ritenere con molta approssimazione che variasse di
0,01 per giorno e che così avvenisse per le altre coppie. Appena
caricata questa pila nelle stesse condizioni indicate per la pila
precedente produceva una deviazione di 80 divisioni, dieci giorni
dopo caricata produceva una deviazione di 68 divisioni per cui
sì aveva — 160 ed — 186 nel secondo caso.
E
62500
Feci inoltre delle esperienze sulla influenza della lunghezza
della scintilla di disgiunzione ed ecco nella seguente tabella i
risultati di una serie di esperienze, dove è indicata con d detta
lunghezza della scintilla espressa in millimetri.
29 | 13,5) 12 | 38 4,6 si 4,8 | 159 | 182 | 577
In queste esperienze era a =24, la resistenza della pila era
uguale a 0,8, quella del galvanometro a 0,5 come sempre. Ecco
i risultati di un’altra serie di esperienze.
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE 609
In questa serie di esperienze era a = 25 la resistenza della
pila 1,4 «., S. Ecco finalmente un’altra serie di esperienze in
cui mantenni 7’ ed r', sempre uguali a 10 w., S. e fece variare
successivamente e ripetutamente la lunghezza della scintilla di
disgiunzione ; la deviazione d, venne calcolata nel modo solito ,
mercè una esperienza con r,=r=0 .
d ) d, | d,:d
si ii, (E T0E
0,7 36 31,5 | 45
2 56,5| 52 35
1,5
2,1 83,5| 79 38
2,8 | 138 133,5| 48
3,6 | 195 190,5} 43
4,2 | 293 218,5) 52
In queste esperienze, come pure in molte altre che non riporto,
il rapporto fra la forza elettromotrice pare decrescere un poco
e quindi crescere coll’aumentare della distanza, siccome però
l’eccitatore da me usato non permetteva una grande precisione
nella misura della distanza della sfera, credo si debba ritenere
che all’incirca la forza elettromotrice è proporzionale alla lun-
ghezza della scintilla.
Feci quindi alcune esperienze per riconoscere l’influenza della
grandezza delle sfere fra cui scocca la scintilla ; le esperienze
furono però necessariamente limitate dal non aver potuto ottenere
deviazioni regolari quando le sfere avevano un diametro troppo
grande ; per la stessa ragione anche non potei studiare le scin-
tille fra punta e disco; una maggiore regolarità parve presentarsi
quando la punta era in comunicazione col polo positivo del roc-
chetto, non sufficiente però per poter dedurne con qualche sicu-
rezza una conclusione. Le deviazioni erano molto regolari invece
quando le sfere erano piccole, e nella seguente tabella si ha una
serie di esperienze con sfere d’ottone di 3 mm. e di 12 mm. di
diametro. Nella colonna D è appunto indicato il diametro delle
sfere, nella 4 la loro distanza, « era uguale a 30 divisioni.
610 G. GUGLIELMO
| 12| 0400] 45] 29! 2051225) —| —| — | 100] 131] 164
4 » » » 34 QUA I22 -- — | — _ = Poegiie —
12] -» [55| 419 | 8-10, 7,3) 38 64|110|131 | 173
407004225549 | pere | DR
42: |. oo» |-05% 34 4200/28 |t-|/Sl © 427/0060058
| 9 | 127| 180] 280
(\baj
(bal
»9
(er)
Ne)
[Je]
Mo
(«)
Moi
» |» » | 100| 42,5] 215] 785) — | — | — | 149] 1854 589
1 [10 {34 | 7,5) 3,5] 87148187595
12 » |»»n|189|54 | 30 {168 — | — | — | 124 | 150 [1210
Risulta da queste esperienze essere la forza elettromotrice
presso a poco indipendente dalla grandezza degli elettrodi almeno
entro i limiti delle mie esperienze. Allo stesso risultato conducono
varie altre serie di esperienze, fra le quali alcune con sfere di
rame invece che di ottone.
Le esperienze eseguite quindi sull’influenza della natura del
metallo non diedero risultati molto buoni. Col rame le deviazioni
erano regolari, costanti forse più che non coll’ottone, e in ripetute
esperienze con sfere di vario diametro di rame ed ottone non
potei osservare alcuna differenza negli effetti ottenuti coi due me-
talli. Feci quindi esperienze collo zinco che è di natura abba-
stanza diversa da quella dell’ottone, ma le deviazioni erano ordi-
nariamente molto irregolari, con continui salti ed oscillazioni
attorno a punti diversi, per cui riusciva affatto impossibile e
d'altronde inutile apprezzare una posizione media : con sfere di
3 mm. di diametro , tuttavia le irregolarità erano assai minori,
e la posizione media delle oscillazioni variava poco ; da esperienze
comparative fra sfere di ottone o di rame e di zinco risultò per
lo zinco una forza elettromotrice maggiore, tuttavia non è im-
probabile che tale aumento derivi dalla stessa causa ignota che
produceva le irregolarità.
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE 611
Feci anche alcune esperienze con sfere di carbone Carrè di
circa 12 mm. di diametro e le deviazioni furono abbastanza co-
stanti e la forza elettromotrice riuscì un poco minore di quella
ottenuta coll’ottone, ma la differenza fu molto minore di quello
che si sarebbe potuto dedurre dalla grande disgregabilità di detto
carbone in confronto dell’ottone.
Finalmente, feci delle esperienze con elettrodi di mercurio e
rame, o entrambi di mercurio, facendo scoccare la scintilla su
il menisco formato dal mercurio alla sommità d’un pozzetto ed una
sfera di rame, oppure fra i due menischi formati dal mercurio
alle estremità di due tubi capillari, allargantisi all'altra estremità
dove penetrava il reoforo, e pieni completamente di mercurio,
oppure fra uno di questi tubi ed un pozzetto di mercurio. Espe-
rienze rigorosamente comparative fra il mercurio e l’ottone non
furono possibili, poichè la disposizione delle esperienze non per-
metteva una misura esatta della distanza che d'altronde variava
per il volatilizzarsi del mercurio, solo risultò che essendo la di-
stanza ad occhio uguale tanto per l’ottone che per il mercurio,
la forza elettromotrice fu presso a poco la stessa nei due casì,
e così pure la resistenza. Così pure la forza elettromotrice variò
poco, sia che la scintilla andasse dalla sferetta al piano di mer-
curio, 0 in senso inverso, tuttavia risultò minore di circa ‘/,
quando la sferetta di mercurio era in comunicazione col polo ne-
gativo del rocchetto.
Parrebbe quindi che neppure la volatilità del metallo avesse
molta influenza sulla forza elettromotrice e la resistenza della
scintilla.
Eseguii finalmente alcune esperienze sulla scintilla. nell'aria
rarefatta che però sarebbe interessante ripetere ed estendere a
rarefazioni maggiori, che non potevo ottenere colla macchina co-
mune da me adoperata. Le sfere dell’eccitatore erano di rame,
di 10 mm. di diametro pulite con cura, con carta smerigliata
molto fina. Esse si trovavano in un ordinario uovo elettrico
adattato sopra una campana, contenente un vaso con acido sol-
forico posta sul piatto d’una macchina pneumatica. Le sfere erano
di rame di 10 mm. di diametro. Le pressioni sono indicate in
millimetri di mercurio nella colonna H. L’ago oscillava un poco
irregolarmente, per cui le differenze d' e d' sono tanto meno
precise quanto più sono piccole; si sono perciò ommesse alcune
colonne,
612 G. GUGLIELMO
v|èrls,|2|2'|Bt|Zt
gene RI edo sapri log
6i 3|i0 |t144| —| —| 244
5 18-490t9 DI atodtau i e
25| 11/605) —| — |167,5! 635
10] 3|30 | 10,5] 6,7|167 | 615
33] gs|es | —| —|145 | 695
to| 4|33,5| 10,7] 44|144 | 693
31) 8|825) —| — |149 | 825
10) — |51 |t0 id 1 820 |
Da queste esperienze risulta che la forza elettromotrice di-
minuisce col crescer della pressione almeno per pressioni non
troppo piccole, ciò che sarebbe d'accordo coi risultati trovati da
Edlund per altra via (1). La resistenza parrebbe pure diminuire
col crescer della pressione. Nella seguente tabella sono esposti i
risultati di un’altra serie di esperienze a 9 mm. di pressione ed a
varie distanze. Le deviazioni erano regolari, ma le differenze d", d'
erano troppo piccole per poter essere apprezzate con molta esattezza.
55 5|145| 174
00 19
00 sani a
55 5|23 | 294
00
00
5.5
00
Risulta da queste esperienze che la forza elettromotrice cresce
col crescer della distanza, sebbene meno rapidamente di questa;
e similmente cresce la resistenza.
(1) Philosophical Magazine, 1883,
SULLA FORZA ELETTROMOTRICE. 613
Sebbene queste esperienze siano sufficientemente d’accordo con
parecchie altre esperienze isolate, da me eseguite, tuttavia esse
dovrebbero esser ripetute ed estese, giacchè si sono presentate
talora delle anomalie la cui causa è incerta. Così in alcune espe-
rienze eseguite dapprima colla macchina stata usata per privar
d’aria dell’acqua e quindi molto umida, la forza elettromotrice
parve aumentare colla rarefazione, forse perchè aumentava la
proporzione di vapore. Altre volte invece la deviazione parve au-
mentare per l’azione della pila qualunque fosse il senso di questa,
mentre altre volte un tale effetto non si produsse , sebbene in
condizioni apparentemente uguali. Le deviazioni forse per la forma
degli elettrodi, per cui scoccavano scintille, da diversi punti,
quindi con diverse lunghezze e forza elettromotrice furono spesso
assai irregolari.
Queste esperienze furono eseguite ad istanza del Chiarissimo
Prof. Naccari, che mi fu largo di frequenti consigli; glie ne
offro quindi i più vivi ringraziamenti.
Dal Laboratorio di Fisica dell’Università di Torino,
23 Giugno 1883.
L’Accademico Segretario
A. SOBRERO.
GEA)
DI
rei fari 0
ra
615
INDICE
DEL VOLUME XVIII
ELenco degli Accademici (1°. Gennaio 1883) ........ 0.0 Pag. 3
TAR ERE ARI A dec hora pete lafPi o4 dl » 175
ProGRAMMA del quarto Premio BRESSA ....../.........L. vie, saggi 179
Basso (Giuseppe) — Sopra un caso particolare di riflessione cristallina » 261
—— Sul fenomeno ottico detto Nodus Rosi; Relazione ........... » 507
BELLARDI (Luigi) — Relazione sulla Memoria del Dott. A. PoRTIS,
intitolata: Nuovi Studi sulle traccie attribuite all'uomo plio-
MOMEaA Ra Rolle ionara atrata » 325
—— Relazione sulla Memoria del Dott. A. Portis: Nuovi Chelonii
Pespilicidel.Piamontes. ».ivicricnt Mob. Pond loan » 515
Bizzozero (Giulio) —— Relazione sulla Memoria del Dott. Mario Les-
SONA sull’ anatomia dei polioftalmi . ............. Li...00. »- Bas
—— Relazione sulla Memoria del Prof. G. SERGI, intitolata: Poli-
morfismo ed anomalie delle tibie e dei femori degli scheletri
RL RI RO SARAI AN 4 » 463
CameRANO (Lorenzo) — Ricerche intorno alla distribuzione geografica
degli anfibi anuri in Europa ii.i. stri... enii.inà a0708 » 214
—— Ricerche intorno alle aberrazioni di forma negli animali ed
al loro diventare caratteri specifici. ....... ...r..0000.100 » 397
— Ricerche intorno alla vita branchiale degli anfibi, lavoro ap-
provato per la stampa nei volumi delle Memorie ........... » 571
Cappa (Scipione) — Sopra l’equilibrio di un sistema di quattro forze
MOMO DOZia.ii n ati e iano at 2a 4 AA 4 ADI
— Sulla trasmissione del movimento fra due assi qualunque .... » 549
Atti R. Accad. » Parte Fisica — Vol, XVIII. 42
616 INDICE DEL VOL. XVIII
CHARRIER (Angelo) — V. Dorna.
ConTI (A. E.) — V. FERRARIS (Galileo).
Cossa (Alfonso) — Lettura di un lavoro: intorno alla vita ed alle opere
di Raffaele Piria
—— Comunicazione sulla diffusione del didimio
o \eya, vgalie Stai 5.0 (ee
—— Presentazione di un pezzo di areolite caduto ad Alfianello nel
Bresciano
Infera: Jola alle: orse lodi eee I AI
—— Presentazione di una Memoria del Prof. C. FrIEDEL sulla piro-
elettricità del quarzo
Piste, s's'ele 0/09 0, 0a Ser 0.050) 0 0 US. ele) SE
-—— Relazione sopra un lavoro del Prof. I. GuarEscHI, intitolato:
Ricerche sui derivati della Naftalina ................v.0s0eì
CurionI (Giovanni) — Risultati di esperienze sulle resistenze dei ma-
teriali; Nota 32
deo mal ga /0. e ele) .20 6 vl 8° 0,0) 26 (a 6 09 Bn 00 IO I
—— —— Nota 48
DENZA (P. Francesco) — Sulla connessione tra le ecclissi di sole ed
il magnetismo terrestre
© ‘n; 010 (6:00.60 W.iv ®|.6)0.'9,0 sp ‘0 0.0.9 6,9 e 00 0 00 ea
—— Le aurore polari in Italia nell’anno 1882 - Nota prima: L’au-
rora polare del 16-17 Aprile 1882 ................ :
10.008 da
—— Le aurore polari del 1882; Nota seconda
0.10 ‘Die 0 sN .1000 LISI
—— Sulla variazione della temperatura secondo l’altezza ...... =:
Dorna (Alessandro) — Lavori dell’ Osservatorio astronomico di To-
mado nido ei de oi E
293, 385, 405, 535.
—- Effemeridi del Sole, della Luna e dei principali pianeti, cal-
colate per Torino in tempo medio civile di Roma per l’anno
1883 dal Prof. A. CHARRIER
© 0 00 + 0 0 01 0 0 0 0 840 0 0 00 SÒ
D’Ovipio (Enrico) — Presentazione di un Nuovo Giornale di Mate-
matica del Prof. G. MitTtAG LEFFLER
Emo (Angelo) -- V. PAGLIANI.
Eméry (Carlo) — Sulla esistenza del così detto tessuto di secrezione
nei vertebrati
09 IU Se 00 Sp 00 0 i a 6 00 a (RI
FABRETTI (Ariodante) — Eletto Presidente dell'Accademia
FerRARIS (Galileo) — Sunto della descrizione di due sistemi per neu-
tralizzare gli effetti dell’induzione delle linee telegrafiche sui
fili telefonici ad essi paralleli, presentata da A. E. Conti ...
I ate oo » - Pag.
»
174
352
036
44.
83
218
INDICE DEL VoL. XVII 617
FiLETI (Michele) — Comunicazione preventiva sulla produzione dello
Scatol. i rtterpelie eten lisa) rag: bb irirentì atte Pag. 77
—— Trasformazione dello scatol in indol e preparazione dell’indol » 537
—— Sintesi dello scatol .
Fino (Vincenzo) — Sulla rodonite di Viù
FriebEL (Carlo) — Sur la brucite de Cogne (Vallée d’Aoste)....... » 75
GEGENBAUR (Carlo) -—- Eletto Socio straniero
Giacosa (Piero) — Studi sui corpuscoli organizzati dell’aria sulle alte
CILE LORIENT SORA E SRI » 203
GiBeLLI (Giuseppe) — Commemorazione di I. DECAISNE ........... n» da
GRIFFINI (L.) e TROMBETTA (F.) — Condro-carcinoma primitivo della
ghiandola sottomascellare ............:...:.: 5010 sbatte » 185
GuarescÒi (Icilio) — Sulla costituzione della tioaldeide e della car-
bewaleraldina, ; -ssstorieliàb: pialgnat o ctieusa e denari das » 473
— Ricerche sui derivati della Naftalina: lavoro approvato per la
stampa nei vol. delle Memorie ............. 00 » 547
GueLiELMO (Giovanni) — Sulla determinazione del coefficiente di dif-
fusione del vapor acqueo nell’aria, nell’idrogeno e nell’acido
CLIL MR CRI RI TRS ORIO E » 93
-— Sulla determinazione della forza elettromotrice e della resistenza
delle coppie e della forza elettromotrice di polarizzazione nel
caso di correnti intense ........ Le... 00004 (aan a 1036
- Sulla forza elettromotrice e sulla resistenza della scintilla elet»
Cee I RR OOO or E » 593
pill i inciuoloz.olter de laialelob.apbisz» iobliannoe sue 487
Lessona (Michele) — Commemorazione di Carlo DARWIN .......... » 525
— —- Commemorazione di Emilio CORNALIA LL. +... 60000 divieto VEST
—- Relazione sulle « Zicerche intorno alla vita branchiale degli
anfibi » del Dott. L. CAMERANO ........ 0000 creete nia sog DOTATA
Mazzara (Giuseppe) — Sopra un nuovo composto di chinina col clo-
ralio ® 0 0 6 è + è - 0 0bhoosogss000 PRI IR] 0 006000600080 srrsao sso dd » 347
x
—- Sopra l’azione di alcune aldeidi aromatiche sulla chinina, .... » 408
618 INDICE DEL VOL. XVIII
MorERA (Giacinto) — Sulle proprietà invariantive del sistema di una
forma lineare e di una forma bilineare alternata .......... Pag.
+ Sul'problema ‘di Parri. Vili. iL iv Sile ei lei »
PAGLIANI (S.) e Emo (A.) — Sull’assorbimento del gas ammoniaco ne-
eAltoole Cs, BA, RIME AR, te a »
PASQUALINI (Luigi) — Sulle apparenze elettrochimiche alla superficie
di un cilindro — Ricerche sperimentali.................... »
Peano (Giuseppe) — Sulla integrabilità delle funzioni ............. »
Sullo Tumizioni anterpolati 0,1, sl, Crete tata aerea noe ere i ARCORE »
PeRACCA (Mario G.) — Di un Seps Chalcides trovato sulla collina di
TEMO. i tei nia »
PioLTI (Giuseppe) e PortIs (Alessandro) — Il calcare del Monte Tabor
(Piemonte) 2510: ia natante ee Nn e aa 10 AE »
PIsENTI (G.) — Sulle alterazioni del rene e sulla formazione di cal-
coli renali in seguito a legatura dell’uretere ............... »
PORTIS (A.)— Nuovi Studi sulle traccie attribuite all'uomo pliocenico:
lavoro approvato per la stampa nei vol. delle Memorie ..... »
—- Nuovi chelonii fossili del Piemonte: lavoro approvato per la
stampa ‘nei: vol. :delle Memorie. (Lu iuipi.. ui last»
—- V. PIOLTI (G.).
-—— Il Cervo della Torbiera di Trana; Breve nota .............. »
RicneLMmy (Prospero) — Commemorazione di Ercole RICOTTI ... ., »
RicorTI (Ercole) — Morto il 24 Febbraio 1883 ................... »
Rosa (Daniele) -- Descrizione di due nuovi lumbrici .............. »
RotonpI (Ermenegildo) — Azione dell’elettrolisi sulle soluzioni d’acido
piropalico i ee a atea »
—— Sulla decomposizione del cloruro di sodio mediante l’elettrolisi
esue’ applicazioni 1idustifàli lei enne tene cen Par adi
SiaccI (Francesco) — Presentazione di una Memoria stampata del Ca-
DICANO “RS MEAangola ni, ot nine AR
— Presentazione del Bullettino di Bibliografia e Storia delle Scienze
267
389
133
174
matematiche e fisiche pubblicato dal Principe B. BoncomPaGnI » 201,
247, 464.
INDICE DEL VOL. XVIII. 619
si al gl
— Tmomson (Guglielmo) — Eletto Socio straniero .............. Pag. 175, 247
È - TRONBETTA (F.) — V. GRIFFINI (L.).
| VoLteRRA (Vito) — Sulle apparenze elettrochimiche alla superficie di
n un cilindro — Studio (eorico ............. .c.000c acer
(e — sulle figure elettrochimiche di A. GuéBHARD ...
re, ì
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i } Ch vi us
TS prua pus (“4
Pisagfa gd
Pant erssrt £
Fidia Ls
di TOT. neo
Le
so
SOMMARIO
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali.
GuarEscHI —' Sulla costituzione della Tioaldeide e della Carbovale-
POLCINAnA o o ESOTICA Ta iL Pag.
Curioni — Risultati di esperienze sulla resistenza dei materiali —
NODA SIA A ee rsa Le ARUTARAMAPIGR t »
Denza — Le aurore polari in ltalia nell’anno 1882. - Nota seconda.
L’aurora polare del 19-20 Aprile 1882. ............ »
Basso — Sul fenomeno ottico detto Nodus Rosi - Relazione . . . »
BeLLARDI — Relazione sulla Memoria del Dott. A. PoRTIS, che ha
per titolo: Nuovi Chelonti fossili del Piemonte . . . .....»
Po®tis — Il Cervo della torbiera di Trana. . ./........ »
Lessona (Michele) — Commemorazione di Carlo DARWIN... . . »
Dorna — Alcuni lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino. . »
Cossa — Presentazione d’ una Memoria del Prof. FRIEDEL sulla
piragtettite ddl: DIGA) I ZA A »
FiLETI — Trasformazione dello scatol in indol, e preparazione del-
LADA e EI LIO) da RI i AIA »
si Sintesi dello weatol 0.0.0 lenta SDA Ta DI »
Cossa — Relazione sopra un lavoro del Prof. Icilio GuarESscHI, in-
| titolato: Kicerche sui derivati della Naftalina . . . ...... »
Cappa — Sulla trasmissione del movimento fra due assi qualunque »
Lessona (Michele) — Commemorazione di Emilio CORNALIA . . +. »
—— Relazione sulla Memoria del Dott. Prof. CAMmERANO, intito- .
lata: Ricerche intorno alla vita branchiale degli Anfibi . ... »
Denza — Sulla variazione della temperatura secondo l'altezza . . . n
GUGLIELMO — Sulla forza elettromotrice e sulla resistenza della scin-
DEVI CARE) Foti (0: RECON E VARA e RAR LT NT SIE AR Pet ale »
INDICE del Nolunde” e IRE i OR A PU LSLIR pitt
473
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