nei Ì Ve LI b 7 AGIO phi a Ti WAI x TRI Vert. Vol. 2 1888/89 AGR im SA ATEI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE D:EGTO:RENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 1* 1888-89 t_——6 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienza LIRPARY CLASSE sa DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 18 Novembre 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: LESSoNA, SALVADORI, BRUNO, BERRUTI, Basso, BizzozeRo, FERRARIS, NACCARI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. Il Presidente inaugura le tornate accademiche dando il ben- venuto ai Soci, e fa leggere l'atto verbale dell’adunanza prece- W cedente, il quale viene approvato. % G Fra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia vengono segnalate le seguenti : 1° « Sui fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni » , Memoria del Prof. Augusto RIGHI, Socio Corrispondente della Classe, presentata dal Socio Segretario Prof. Giuseppe BASSO; 2° « Die hauptscichlichsten Theorien der Geometrie in ihrer friiheren entwickelungj; ecc. », libro del sig. Dott. Gino LORIA, Professore nella R. Università di Genova, presentato dal Socio Segretario Giuseppe Basso per incarico del Socio D’OvipIo, as- sente per ragioni d’ufficio. Questo libro è la traduzione tedesca fatta dal sig. Federico ScHiùrtE, della Monografia storica « 2 passato e il presente delle principali teorie geometriche », del Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV, 1 AUU ( " 1559 otra jon Fa NO 2 Prof. Gino LoRrIA, che l'Accademia accolse già nelle sue Memorze. Questa traduzione è preceduta da una prefazione del chiaro Geo- metra R. Stiirm, Professore a Miinster, nella quale sono messi in rilievo i pregi del lavoro e indicate le aggiunte che l’Autore vi ha recate in occasione della riproduzione di esso; 3° « Ritratto in incisione del compianto Socio Quintino SELLA », presentato dal Socio Mosso per incarico dell’Onorevole Filippo MaRrIOTTI, Sottosegretario di Stato per la Pubblica Istru- zione. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se- guente : 1° « Commemorazione del Socio Corrispondente Ro- dolfo Clausius »; del Socio Segretario Giuseppe BASSO ; 2° « Geometria sulle curve ellittiche »; Nota del Dott. Guido CasreLnuovo, Assistente alla Cattedra di Algebra com- plementare e Geometria analitica nella R. Università di Torino; presentata dal Socio Cossa a nome del Socio D’OvipIo; 3° « Elettrometro ad emicicli, sua storia e sue appli- cazioni come wattometro, amperometro e voltometro per cor- renti continue ed alternative »; dell'Ing. Ettore MORELLI, As- sistente alla Scuola di Elettrotecnica presso il Museo Industriale di Torino; Memoria presentata dal Socio FERRARIS ; 4° « Effemeridi del Sole e della Luna per l’orizzonte di Torino e per l’anno 1889 », calcolate dal Dott. Fran- cesco Porro, incaricato della direzione dell’Osservatorio astrono- mico di Torino; presentate dal Socio NACCARI. LETTURE In commemorazione di Rodolfo Clausius. Parole del Prof. G. Basso. Rodolfo Clausius, uno dei più eminenti fisici contemporanei, il quale l'Accademia nostra si onorava di avere a suo socio cor- rispondente dall'anno 1882, mancò ai vivi nella città di Bonn il 24 agosto ultimo scorso. Nato il 2 gennaio 1822 a Coslin in Pomerania, Clausius studiò successivamente a Stettin, a Berlino e a Halle, fino a che, ritornato a Berlino nel 1850, vi inaugurò la sua carriera d’insegnamento come libero docente all’ Università, professando nello stesso tempo alla Scuola di Artiglieria e Genio. Chiamato poscia ad insegnare fisica nel Politecnico e nella Università di Zurigo, egli dimorò in questa città dal 1855 al 1867; fu in seguito professore per due anni nella Università di Wiirzburg; trasferitosi infine a Bonn, tenne in quella Università la cattedra di fisica fino ai suoi ultimi giorni. Troppo lunga sarebbe qui l’enumerazione, per quanto rapida, dei lavori scientifici di Clausius. Basti ricordare che, oltre a parecchie monografie sulla meteorologia ottica, sulla teoria del potenziale e sulla teoria dell’ elasticità, la scienza deve a lui importantissimi studi sulla termologia in ‘relazione colla mec- canica, i quali, pubblicati quasi tutti ed in epoche diverse negli Annali di Poggendorf, vennero poscia raccolti in due vo- lumi col titolo di Memorie sulla teoria meccanica del calore. Gli scritti sulla forza motrice del calore e sue leggi, quelli sul secondo principio di termodinamica, i lavori sull’applicazione della teoria meccanica del calore alle macchine a vapore, sull’ appli- cazione della stessa teoria ai fenomeni elettrici, sulla dottrina matematica dell’elettricità, sui movimenti molecolari in cui con- siste il calore e specialmente sulla teoria cinetica dei gas, pon- 4 GUIDO CASTELNUOVO gono indubitabilmente il loro Autore fra i precipui fondatori della termodinamica, ed il nome di Clausius sarà perpetuamente vincolato ad una delle maggiori conquiste della fisica moderna, qual'è il principio della conservazione dell’energia. Geometria sulle curve ellittiche; Nota di Guipo CASTELNUOVO Sopra una curva algebrica si trovi un sistema (serze) 9," di gruppi di » punti, tale che r punti dati ad arbitrio sulla curva appartengano ad un numero finito di gruppi del sistema; chiame- remo n l'ordine della serie, r la molteplicità, o specie, o dimen- sione. Quando gli r punti individuano un gruppo, il sistema si dirà una involuzione 1,0%. I gruppi di una g,‘” si potranno riferire univocamente ai punti di una varietà ad » dimensioni di uno spazio lineare; ed i ca- ratteri invariantivi della varietà (il genere per yr = 1) daranno i caratteri (il genere) di g,”. Così diremo che 9,2 è razionale, quando i suoi gruppi si potranno riferire univocamente ai punti dello spazio lineare S. ad r dimensioni. Le curve algebriche possono classificarsi a seconda delle serie razionali che esse contengono; e poichè dall’esistenza di alcune serie segue l’esistenza di infinite altre, collocheremo in una stessa classe tutte le curve, per le quali il minimo ordine delle involu- zioni razionali di prima specie in esse contenute, è lo stesso. Così dopo le curve razionali (involuzione minima d’ordine 1), si pre- sentano le curve vperellittiche (invol. min. d’ord. 2), e così via. Ciascuna classe potrà dividersi in sottoclassi, tenendo conto del- l’involuzione di ordine più basso che giace sulla curva oltre all’in- voluzione minima. Per esempio le curve iperellittiche si dividono in curve ellittiche (una seconda involuzione quadratica), curve di genere 2 (involuzione cubica), ...curve di genere r (involu- zione d'ordine r + 1). Due curve riferite univocamente appartengono sempre a una stessa suddivisione fondata su questo concetto. GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 5) Per le serie razionali di gruppi di punti vale l'importante teorema: Se sopra una curva C si trova una serie razionale r volte infinita di gruppi di n punti, nello spazio ad r dimensioni si può costruire una curva C' d’ordine n riferita univocamente a C(=>1) (1). I gruppi della serie 9,” siano rappresentati dai punti dello spazio $S.. Agli co"-' gruppi di 9g, che contengono uno stesso punto MM, corrispondono in $S, i punti di una varietà a r— 1 dimensioni V,_,, imagine di M. Le co' varietà corrispondenti ai punti di C formano un sistema tale, che per ogni punto di S, pas- sano » varietà, ed r varietà V._, hanno in comune (oltre ai punti fissi) un numero finito (diverso da zero) di punti variabili. Quindi il sistema lineare più basso di varietà che contiene le co! V,_,, sarà di molteplicità s=r. Si rappresentino le varietà di questo si- stema lineare sui punti dello spazio ,S,; alle co! V,._, corrispon- dono punti di una curva €" d’ordine » riferita univocamente a C. Ora se s=r il teorema è dimostrato; se s>r hasta proiettare C" in S,. da uno spazio Sj_,_,. Il caso s=r si presenta quando g, ©? è una involuzione, e solo allora. La g, involutoria sopra C' è determinata dagli spazi S,._diS,; quindi: L’involuzione razionale I, sopra una curva ha le stesse proprietà dell’involuzione determinata sopra una curva d'ordine n di S, dagli spazi S,_,, quando le due curve siano riferite univocamente. In particolare : I gruppiî di n—p punti che insieme a p punti fissi danno gruppi di una I, razionale, appartengono ad una I, _,l ® razionale. Se r è la massima dimensione di una serie razionale d’ordine n giacente sopra una curva, non può essere s>r; quindi: Se r è la massima dimensione di una serie razionale d’or- dine n giacente sopra una curva, questa serie è involutoria. Se r non è la massima dimensione, esiste una involuzione 7, che contiene 9,0. Un importante corollario del teorema fondamentale è il se- guente: Se tutti è gruppi di n punti di una curva formano una x serie razionale, la curva è razionale. (*) Sono escluse quelle serie nelle quali un gruppo passante per x —1 (o meno) punti arbitrari è costretto a contenere altri punti della curva. 6 GUIDO CASTELNUOVO Involuzioni razionali sopra le curve ellittiche. 1. Diciamo che una curva è ellittica o di genere 1, quando essa contiene due involuzioni minime razionali di prima specie, d’ordine 2. Dalla definizione segue subito che ogni curva ellittica può ri- ferirsi univocamente ad una curva piana generale del terzo ordine. Infatti basta in un piano riferire proiettivamente due fasci di raggi T, T' alle due involuzioni giacenti sulla curva, avendo cura che il raggio 7 7° rappresenti due coppie delle involuzioni con un punto comune. Ad ogni raggio del fascio 7 corrispondono due punti della curva, quindi due coppie della seconda involuzione e due raggi di 7°. I fasci 7, 7" sono in corrispondenza (2, 2) col rag- gio YT' unito, e la curva del terzo ordine generata dai fasci è riferita univocamente alla curva data. Le due involuzioni /,°? giacenti sulla curva non possono avere una coppia comune, perchè altrimenti la curva del terzo or- dine acquisterebbe un punto doppio, e sulla curva si troverebbe una involuzione razionale di primo ordine contro l’ipotesi. Sopra una curva ellittica si trovano infinite involuzioni ra- zionali I, non aventi a due a due coppie comuni (1). 2. Si può sempre costruire una curva ellittica d'ordine n + 1 che appartenga ad uno spazio a n dimensioni, e sia riferita univocamente ad una data curva ellittica. Il teorema sia vero per S,., e sia C"*' una curva ellittica di questo spazio. Se rappresen- tiamo le coppie di punti di una 7, ° della curva sui punti di una retta 9, non avente nessun punto comune con ,S,., le rette che congiungono i punti di 9 alle coppie omologhe di punti della 7, , formano una rigata d’ordine + +3 contenuta in un S,,,, colla di- rettrice 9 doppia. Uno spazio ,S,_,, che passi per una generatrice della rigata, senza conteneine altre, sega la rigata in una curva ellittica d’ordine » + 2, che non giace in un S,, e quindi appar- tiene ad S,.,,; questa curva è riferita univocamente a C+". (1) La definizione data di curva ellittica può essere sostituita da questa : È ellittica una curva che contenga due. I, razionali non aventi coppie co- muni. GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 7 Siccome n + 1 è il minimo ordine di una curva ellittica appartenente ad S,, una tal curva si dirà curva ellittica nor- male di S,. 3. Sopra una curva ellittica esistono co' involuzioni ra- zionali I," , ciascuna individuata da uno dei suoi gruppi. Un gruppo di n punti della C”*' ellittica normale di S, deter- mina un S,_, che taglia ancora la curva in un punto. La stella di spazi ,S,_, avente in essoil centro, sega sulla curva la 4, Ligle Se due 7,7 avessero un gruppo di » punti comune, » — 2 di questi insieme coi gruppi di due /,©’ darebbero gruppi delle I,%; e queste due 1, avrebbero una coppia comune, il che non può accadere. La serie delle I,î%—' può riferirsi univocamente alla curva sostegno. Una I, razionale sopra la C°+' normale ellittica deter- mina coi suoi gruppi infiniti spazi S,_,, è quali passano per uno stesso S,_._, avente un punto comune con C°**. Infatti poichè la Z,M è contenuta in una I,167", questi spazi passano per uno stesso punto della curva; e ciascuno di essi è individuato da r dei suoi punti. Se sopra la curva ellittica normale C°*! si trova una In" razionale (. Però con |a, 6] indicheremo la corrispondenza di 2° specie determinata dalla coppia a, d (3). Ogni corrispondenza di 1° specie trasforma la [4, db] nella [d, a], quindi ogni corrispondenza di 2* specie trasforma una corrispon- denza di 2* specie in se stessa. Il prodotto di più corrispondenze di 2° specie è una cor- rispondenza di 2° specie, e gode la proprietà commutativa, ossia è indipendente dall’ordine in cui si combinano le corrispondenze proposte. Come definizione di prodotto serve l'uguaglianza ARA CR AC RA ACOZ ORAE (1) L'ultimo teorema si trova nel lavoro del sig. SecrE, Sur les transforma- tions des courbes elliptiques (Math. Ann., Bd. 27). :(2) WeyR, Ueber eindeutige Beziehungen (Wien, Sitzb., Bd. 87). - (3) Kieper, Ueder die Steinerschen Polygone (Math. Ann., Bd, 24). 10 GUIDO CASTELNUOVO si ha poi [a, 6] [b, a] = identità = 1 (definizione). Se a, b ed a, b sono due coppie di una I, razionale il prodotto delle due corrispondenze [a, a'], [b, b] è la identità. $. Se due spazi S,_, di S, segano la curva ellittica nor- male C+! nei gruppi (a, ,%, -... 2,,1)% (4 ag E) RE . U U , prodotto delle corrispondenze [a,, &,], [2 &0]---[2n41: ®n4al è l'identità. Infatti lo spazio (@,@, .-.. @n_; @n+1) incontri ancora C,,4 in 4,; se il teorema vale per una curva ellittica normale d’or- dine » (la proiezione di C"*! da a',., in un S,_;), si ha [ay @,] [09, 45] ela alal e d’altra parte per il lemma precedente la TE e Moltiplicando le due identità, poichè [n d'a [4,,, a"| = [4,,, d'a] 9 si ottiene |a pra ao [ans Hagen Ora partendo dal lemma precedente si può dimostrare con analogo procedimento che il teorema vale per n= 2: quindi è vero qualunque sia l’intero w. Reciprocamente: Se sopra una curva ellittica normale C"*' le n corrispondenze [a,, a]: [2,,&5]-- - [&n: 2] danno per pro- dotto la identità, gli spazi (&,2,...%m), (8,83.-.2n) incon- trano ancora C"*! in uno stesso punto. Questo teorema fondamentale può enunciarsi così: La con- dizione necessaria e sufficiente affinchè due gruppi di n punti (a, 29...) (8) a',...a,) sopra una curva ellittica apparten- gano ad una stessa I, "= è che le corrispondenze [a,, &, |, [a,, 2]... [2n, an] diano per prodotto l'identità (1). (1) Fissato un punto o (origine) sulla curva, si chiami parametro di un punto a della curva la corrispondenza [0, a], e alla parola prodotto (di cor- rispondenze) si sostituisca la parola somma (di parametri); e sia 0 il parametro GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 11 Involuzioni ellittiche. 8. Sopra una curva generale del terzo ordine sia data una involuzione J, di ordine », semplicemente infinita. Proiettandone i gruppi da un punto S della curva, si ottiene un sistema di co! gruppi di » raggi; ed ogni gruppo di J, determina un gruppo del fascio S. Ora possono presentarsi due casi. O esiste un punto S, dal quale due qualisivogliano gruppi distinti di J, sono proiettati mediante gruppi distinti di raggi, oppure, qualunque sia il punto S sulla curva, i raggi che proiettano un gruppo di ., incon- trano di nuovo la curva in un secondo gruppo di /,. Nel primo caso gli col gruppi del fascio S formano una serie razionale (per- chè d'’indice 2), alla quale è riferita univocamente l’involuzione J,. Nel secondo caso gli elementi (gruppi) di ./, si possono ac- coppiare in col involuzioni quadratiche razionali, ciascuna deter - minata da un centro S di proiezione; e due involuzioni qua- dratiche, relative a due punti ,S, S° (non appartenenti a uno stesso gruppo di /,), non hanno coppie comuni; quindi la J, per definizione |1, nota] è ellittica. Sopra una curva ellittica le involuzioni semplicemente in- finite sono o razionali, o ellittiche ; nel secondo caso la involu- zione è trasformata in se stessa da ogni corrispondenza uni- voca di 1° e (quindi) di 2° specie. Nel seguito +, indicherà una involuzione ellittica semplicemente infinita d’ordine » (1). 9. Per l’ultimo teorema se G=(@,@,...a,), G=(b, da... b,) sono due gruppi di una J,, la corrispondenza [a,, 5,] muta VARI ogni punto di Gin un punto di G'; se ad es. il punto a; si della identità. Allora l’ultimo teorema si traduce nel noto teorema di ABEL : La somma dei parametri dei punti di ciascun gruppo di una In!) razio- nale sopra una curva ellittica è (congrua ad) una costante (congrua a zero per una particolare scelta dell'origine). Nel seguito si vedrà come le considera- zioni sintetiche dell'ultimo paragrafo conducano colla medesima semplicità a pro- posizioni, che comunemente si dimostrano ricorrendo alla notazione parametrica e alle funzioni ellittiche. (1) Delle involuzioni ellittiche parlano brevemente il KiPPeR ed il WeyR nei lavori citati; le involuzioni sono implicitamente contenute nei poligoni di STEINER. 12 GUIDO CASTELNUOVO porta in d,, diremo a, e d; punti omologhi dei due gruppi (nella corrispondenza [a, , d,|). La corrispondenza [a,, a,] muta il gruppo G inse stesso; quindi se cerchiamo il corrispondente a, di a,, il corrispondente a, di a,, e così via, dopo un certo numero di operazioni si deve giungere ad un punto coincidente con a,. Ora se dato a,, sì può determinare nel gruppo un punto a, tale, che la corrispondenza [a,, a,] applicata # volte conduca da a, una volta sola a cia- scun punto del gruppo, e finalmente ad a,, diremo che il gruppo G è semplice e che [a,, a,] è una trasformazione primitiva (d'ordine »); in caso contrario G sarà un gruppo composto. Ogni corrispondenza (di 2° specie) che trasformi un gruppo di J, in se stesso, trasforma ogni gruppo di J, in se stesso. Perchè applicare la trasformazione [a,, a,] a G vuol dire appli- care a G prima [a,, bj] e poi [a,, a,], 0, ciò che fa lo stesso, prima [a,, a,] e poi [a,, d,]. Segue che se un gruppo di J, è semplice, tutti i gruppi di +, sono semplici, e la involuzione potrà dirsi semplice. Quando non si dichiari il contrario, inten- deremo che J, sia una involuzione semplice. 10. Siano (aj@, «1 az) (dd 0) (eh, a gruppi di J, e @;, db; ... l; siano elementi omologhi. Di più sia [a,, a,] una trasformazione primitiva; la potenza n." di [a, ; @;] sarà la identità. Ora poichè il prodotto delle » corrispondenze [a,, @,], [d,; da]... [7,: 23] (tutte eguali ad [a,, a,]) è la identità, segue [7] che i gruppi di punti (a,b, . -.,); (436,.../,), e similmente (a, d,...4,) .. (,b,...I,) appartengono ad una stessa 7,7' razionale. Se sopra una curva ellittica normale di S, si trovano n gruppî di una stessa J, (2,25. -.2n), (b; bg; «+. bn)-«. (1,900 1a) ed a, b;...1; sono elementi omologhi di questi gruppi, gli spazi (a,b, -..1,), (2,b,...1,),... (anbn--.hn) incontrano ul- teriormente la curva in uno stesso punto. In particolare (se [a,, è,] =[@,, c;]=:--[4,,.4,]=ident.), Gli spazi Ss_j osculatori alla curva ellittica normale di S, nei punti di un gruppo di una J, incontrano ulteriormente la curva in uno stesso punto. Gli n° spazi S,_,osculatori alla curva passanti per uno dei suoi punti, danno coi loro punti di contatto n gruppi di J,, (1); (1) Adogni punto della curva ellittica corrispondono adunque » elementi (gruppi) di J,; e questi gruppi di n elementi di J,, formano una serie involutoria d'’or- GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 13 quindi fra i gruppi di una /, sopra una curva ellittica normale di S,_,, sono costituiti dai punti di iperosculazione della curva. Le considerazioni che ci condussero agli ultimi teoremi, danno anche il seguente: Se sopra una curva normale ellittica CO" (n dispari) si trova una J,, lo spazio S,_, osculatore a C” in un punto di un gruppo e lo spazio passante per i rimanenti » — 1 punti del gruppo, incontrano ulteriormente €” in uno stesso punto. 11. Quante diverse involuzioni ellittiche d’ordine n si tro- vano sopra una curva ellittica? Sia anzitutto n un numero primo; allora ogni corrispon- denza determinata da due punti di un gruppo di J, è primi- tiva; e due gruppi di punti di due diverse J, non possono avere due punti comuni. La curva sostegno sia la C"+' ellittica normale di S,. Poi- chè due punti @,, @, appartengono ad un gruppo di una >J, solo quando gli hag Sn osculatori a C”**' in a, , @, incontrano ulteriormente la curva in uno stesso punto, # che dato ad, si possono determinare n° —1 punti 4, tali, che la potenza mi. di [a,, as] sia la identità. Queste n°— 1 Cogo dante ap- partengono a » +1 gruppi di n—1 corrispondenze, ponendo in un gruppo due corrispondenze, una delle quali sia potenza del- l’altra; ciascun gruppo dà una determinata involuzione /,. Quindi : Sen è un numero primo, sopra una curva ellittica si tro- vano n+1 involuzioni ellittiche d'ordine n (1). 12. Se » non è primo, siano <, f, y... i divisori primi di n», ed indichi 9 (n) quanti fra i numeri minori di » sono primi con n. Un gruppo di una /J, si trasforma in se stesso per © (n) corrispondenze di 2° specie, primitive. Sicchè se 4 (n) è il numero delle diverse trasformazioni primitive d’ordine n, Y (n) = DO) è il i numero delle diverse J,. Per calcolare 4 (n) notiamo che se 7,,< sono due punti di iperosculazione della C” ellittica normale, la trasformazione [#,, è] dine n, ellittica, il cui sostegno è 7. Da ciò il teorema: Se due curve ellit- tiche C, C' sono così riferite che ad ogni punto di C' corrispondano » punti di C', ma ad ogni punto di C‘ un solo punto di C, allora le due curve si possono anche riferire in guisa che ad ogni punto di C' corrispondano n punti di C, ma ad ogni punto di C' un solo punto di C‘. (1) CLEBScA-LinpeMANN, Vorlesungen iiber Geometrie, pag. 616. 14 GUIDO CASTELNUOVO è primitiva o per l’ ordine », o per un divisore di n. E reci- procamente ogni trasformazione primitiva il cui ordine sia #, 0 un divisore di », muta un punto di iperosculazione in un altro punto di iperosculazione. E poichè i punti di iperosculazione sono n°—1 oltre ad <,, si ha: >w (0) =n? — 1, dove la somma si estende a tutti i divisori 0 di n, » incluso. Di qui e dal paragrafo precedente, sia direttamente, sia appro- fittando di una osservazione di Dirichlet (1), si deduce subito d@=r8(1 = _ ) (1-7) (1-3) 43: e quindi: Y@=n(1 +7) (147) 3 Bi numero totale delle involuzioni semplici, distinte /,, che si tro- vano sopra una curva ellittica. 13. Sopra una C” ellittica normale si trovi una J,, e sia E una trasformazione primitiva di questa .7,. Per la E ad w punti a,,b,..., di ©" situati in uno spazio S,-» corrispon- dono » punti a,, d,... ,, di un nuovo S,_», perchè il prodotto n=? delle corrispondenze |a, ; a}, [d, do} ---[2 &] è l'identità [7]. Quindi [5] la corrispondenza £ determina in S,_, una col- lineazione, che muta ogni punto della curva nel suo corrispon- dente. Ogni involuzione ellittica d’ordine n sopra una curva ellit- tica normale di S,_, determina in questo spazio v(n) collineazioni cicliche d’ordine n, ciascuna delle quali trasforma in se stesso ogni gruppo dell’involuzione. Una curva ellittica normale di,,S,_, è trasformata in se stessa da (n) collineazioni cicliche d’ordine » di S,_i (2). Siano d,, 4... a, punti di C” che si trovano in uno spazio unito della collineazione; essi devono formare un gruppo di J,. (1) DrricaLET, Teoria dei numeri, appendice VII. (2) Una collineazione che trasformi C” in se stessa è ciclica secondo un di- visore di » (n incluso), oppure è una delle n? involuzioni relative a corrispon- denze di 1% specie. (Su queste vedi Segre. Sur les transformations des courbes elliptiques). GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE T5 Sia 2, il punto in cui lo spazio S,_; osculatore in @ di nuovo C” (il tangenziale di a,). Allora il prodotto u(n_1) [a,. 4] [a,; 4,]} -.-[4,, a] [4 @]=[4,,@] * [2 a, ] dà la identità. Perciò se % è dispari, % se n è pari [a,, a, ]'= ident. Dunque: Per n dispari ciascuno degli n spazi uniti di una collinea- zione ciclica d'ordine n che muti C° in se stessa, sega C° in n punti di iperosculazione. Per n pari ogni punto di C° giacente in uno spazio unito ed il punto tangenziale danno una coppia di una J, sulla curva. In una J, sopra la €” normale si trovano » gruppi situati in spazi S,_,; quindi: Gli spazi S,_, contenenti i gruppi di una JI, sopra la C"*! ellittica normale formano un fascio ellittico d’ordine n+ 1. 14. Fra le involuzioni ellittiche composte noteremo quella H,: d’ordine n°, i cui gruppi sono costituiti dai punti » . upli delle co! 7,%-' giacenti sopra la curva ellittica. Se questa è la C"+! normale di S,, ogni gruppo di H,: è dato daì punti di con- tatto degli spazi .S,_, osculatori condotti per un punto della curva. I gruppi della H,e si possono riferire univocamente ai punti della curva; ogni gruppo è costituito da n gruppi di ciascuna delle J, giacenti sulla curva; questi n gruppi ap- partengono ad una stessa 7,7! razionale. Ogni corrispondenza univoca sulla curva muta la H,: in se stessa. Ogni trasformazione collineare della C"*' normale ellittica in se stessa trasforma ciascun gruppo della H, in se stesso (proprietà caratteristica). 15. Studiate le involuzioni ad una dimensione, dovremmo occuparci delle involuzioni non razionali a più dimensioni. Il se- guente teorema ce ne dispensa. Per le involuzioni d’ordine » ad r dimensioni 7, qui con- siderate, ammetteremo che i gruppi di n—? punti che con è (r>1. 1 Sega coincide con da,, € 1 1? 16 GUIDO CASTELNUOVO Il teorema sia vero per le involuzioni ad r — 1 dimensioni; la curva sostegno sia la C”*! normale ellittica. Ad un punto A' della curva è coniugata nella J,M una J AR gruppi, insieme con A’, determinano spazi S,_, passanti per un S°,-,5 questo sega C"+'in A' e in un secondo punto B' [8]. Così a un nuovo punto 4" di C”*' corrisponderà un 8", secante la curva in A" e in un secondo punto B'. I gruppi della J,-NT? coniugata alla coppia A4', A", determinano con questa coppia spazi S,_, passanti per uno stesso /S,_,,1, il quale con- tiene S',_,, S°,_,. Dunque gli oo! ,S,_, relativi ai punti A di C"*! giacciono a due adue in un $,_,,1: quindi o giacciono tutti in uno stesso S,_,,,, 0 passano tutti per uno stesso S,_,_ Il primo caso contraddice le restrizioni fatte. Nel secondo caso in ogni S,_, passante per S,_,_, si trova un gruppo di J,°, e reciprocamente; perciò la +, è razionale, e S,_,_1 Sega C"*'in un punto [3]. La dimostrazione qui data vale anche per r==2, perchè le J,_,l coniugate ai punti della curva non pos- sono essere ellittiche in virtù delle restrizioni fatte (1). razionale, i cui Alcune serie non involutorie. 16, Ci proponiamo di cercare una varietà ad » dimensioni contenuta in uno spazio lineare, i cui punti rappresentino uni- vocamente i gruppi di x punti di una curva ellittica. Per n=2 la questione è già risoluta; una osservazione del signor Segre (2) permette di affermare che le coppie di punti di una curva ellittica si possono rappresentare sui punti di una ri- gata ellittica riferita univocamente alla curva. I raggi della ri- gata rappresentano le co! 1,‘ razionali sulla curva C. E se la ri- gata è d’ordine dispari 2% + 1, appartenente a S,,, della specie più generale (queste rigate indicheremo nel seguito con ',°"*'), cia- scuna delle co! curve minime d’ordine X +1 rappresenta un punto di C (o meglio quelle coppie che contengono quel punto). (1) Come conseguenza dei paragrafi precedenti e in particolare della nota al n° 10, diamo qui il seguente teorema: Le curve ellittiche semplici di una ri- gata ellittica che segano n volte i raggi della rigata, possono dividersi in Y(m) famiglie; due curve di una stessa famiglia possono riferirsi univocamente. (2) Ricerche sulle rigate ellittiche, n° 19 (Atti dell’Acc. delle Sc. di Torino, VigEXI), GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE b7 Questa proprietà si estende facilmente. I gruppi di n punti di una curva ellittica possono rap- presentarsi sui punti di una varietà ad n dimensioni composta di una serie od ellittica di spazi S,-,, riferita univocamente alla curva. Ogni spazio S,., della serie rappresenta una I, della curva ellittica. Dimostriamo il teorema per la varietà normale T, com- posta di co! S,_, in S,x (£ qualunque); di questa sola varietà parleremo nel seguito. Nella T,"**! della specie più generale, % elementi $,,, de- terminano uno spazio S',,_, ; il quale sega ulteriormente la varietà in una analoga varietà P,_, 7° di S,,_ x; ed ogni S,,_j pas- sante per un tale .S,,_,)x contiene % elementi della varietà pri- mitiva. La varietà primitiva contiene oo! di queste [°,_,7!) #41, le quali formano una serie ellittica riferita univocamente alla proposta, e tale che per ogni punto di P,2**! passano n varietà piste 3 ed » tali varietà, scelte ad arbitrio, si segano in un punto. Se quindi ai punti della curva ellittica sì fanno corrispondere le varietà Rees die TT, ogni gruppo di » punti di C' ha per imagine un punto di T',"*!, e reciprocamente. 17. Sopra una curva ellittica C sia data una serie g, !a una dimensione. Molte proprietà della g,° dipendono da due numeri (@ndici), il primo dei quali è ci dice quanti grappi della I° contengono un punto arbitrario di C, il secondo j quanti gruppi della 9, appartengono ad una J,©7' arbitraria di C; la serie sarà caratterizzata dal simbolo g,° {i j}. Per esem- pio la I, razionale ha per indici 1, 0, la J, ellittica 1, n. La 9,57, j} è rappresentata sopra la 1," di S, da una curva d'ordine 2+%j, che sega ogni S,_, elemento di D in j punti; e reciprocamente. Considereremo soltanto le g,° senza gruppi doppi, vale a dire quelle serie le cui curve imagini sulla V,”*' non hanno punti doppi. In tale ipotesi una formula del sig. Segre (1) ci conduce subito a questa: (Pere Ar = colt le 1 i n(n_-1) vapr uk +1 la quale dà il genere x della 9,0, j}. (1) Sulle varietà algebriche composte di una serie semplicemente infinita di spazi (Rend. Lincei, Atti 87). Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV. © 2) 18 GUIDO CASTELNUOVO Varie conseguenze derivano dalla formula. Anzitutto non può essere 7= 0, ed è x=1 solo quando 7=1, oppure j= ni; nel primo caso i gruppi di g,°‘’ possono riferirsi univocamente ai punti di C. Poi: Se due curve ellittiche sono in corrispondenza (n; n) cia- scuna delle due curve può riferirsi univocamente all’altra, oppure ad una involuzione ellittica d'ordine n° giacente sull’altra (1). Il teorema è contenuto in questo: Se fra due curve ellit- tiche passa una corrispondenza (m, n), ciascuna delle curve può riferirsi univocamente all'altra, oppure a una involuzione ellittica d’ordine mn giacente su questa. 18. Limitiamoci alle serie di coppie di punti. Una g.0 {d, 3) contiene in generale 4 i — 2) punti doppi. Per dimostrarlo basta applicare il principio di corrispondenza al fascio che pro- ietta da un punto di una cubica piana generale i gruppi di una 9.0, riguardando come corrispondenti due raggi determinati da punti di una coppia. La rappresentazione delle coppie di punti della curva C sopra una rigata ellittica 1°! di 6, ci dà un mezzo per studiare tutte le serie g,0%, per le quali j = 1. Infatti si assuma il numero % (che è in nostro arbitrio) uguale ad <; allora la g,' ha per imagine sulla I,}‘*! una curva d’ordine 27, e reciprocamente. Quindi (2): Sopra una curva ellittica si trovano og) di indici i, 1; 22 — 1 coppie di punti appartengono a due tali serie. Ciascuna di queste serie è evidentemente ellittica, anzi può riferirsi univocamente a C; la serie possiede 2(2%— 1) punti doppi, ed ha 2% — 1 coppie comuni con una involuzione ellit- tica J,. Due serie 9, (7, 1} hanno 2é—1 gruppi comuni. 19. Fermiamoci in particolare sulle serie g,° che hanno per primo indice {7 = 2, (corrispondenze simmetriche (2, 2)). La formula del n° 17 ci dice che sono possibili i quattro casi p=1e = Vi gini === ja Ma per provare che questi casi realmente si presentano, ci conviene indagare quali siano le rigate costituite da corde di (1) Questa involuzione sarà sempre la H7,s del n° 14? In tal caso (e così avviene per » = 2) la prima parte del teorema sarebbe sufficiente. (2) Sere, Kicerche sulle rigate ellittiche, n° 18. GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 19 una quartica gobba di prima specie C4, per le quali la curva è doppia. Se », x sono ordine e genere di una tale rigata, è l’ordine dell’ulteriore curva doppia Cl? avente y punti comuni con C4, e p. è l’ordine di molteplicità di C? in ciascuno dei quattro vertici O di coni quadrici proiettanti la quartica, valgono le relazioni se a da 20—-v=(n—4) , (n—-4)(n—-5) = 5 i Da queste d=(n-4)}, v=(n—-4), e se la rigata non ha raggi doppi Ret dii ed e ; 2 Si hanno quindi da considerare i seguenti quattro casi. I. Rigata ellittica del quinto ordine costituita dalle corde di C' che si appoggiano ad una retta unisecante C4. La serie g,{2,1} si ottiene facendo corrispondere, in ogni gruppo di una 1,0 razionale, a ciascun punto gli altri due; essa ha sei punti dai ed i suoi gruppi possono riferirsi univocamente alla curva. II. Rigata del sesto ordine di genere 2, costituita dalle corde comuni a C* e ad un’altra quartica ellittica quadrisecante C4; ciascuna delle due quartiche contiene i quattro vertici di coni quadrici proiettanti l’altra. La seconda quartica può anche scin- dersi in una retta passante per uno dei punti 0, ed in una cubica piana passante per gli altri tre punti O. La serie g,){2, 2} è di genere 2, e si ottiene stabilendo in una I, Li salt curva una involuzione quadra- tica, e fucendo corrispondere ad ogni punto, i due punti del gruppo di TAG, coniugato a quello a cui appartiene il primo punto; quattro punti doppi. III. Rigata del settimo ordine e genere 2, avente una ulte- riore curva doppia del nono ordine con quattro punti tripli (nei punti 0) e secante in nove punti C*. Questa ulteriore curva doppia può scindersi in una conica passante per tre punti O (unisecante C‘') e in una curva del 20 GUIDO CASTELNUOVO settimo ordine; oppure in tre cubiche gobbe giacenti a due a. due in coni quadrici aventi uno stesso raggio comune; (in questo caso la rigata acquista un raggio doppio e diventa ellittica). La serie g,{2, 3} ha il genere 2 (che si abbassa ad 1 se la serie contiene un gruppo doppio), e possiede due punti doppi. IV. Rigata dell'ottavo ordine di genere 1, avente una ulte- riore curva doppia del 16° ordine con quattro punti sestupli, la quale si scinde in quattro curve piane del quarto ordine razio- nali; ciascuna sega C* in quattro punti (1). La serie g,° (2, 4) è ellittica ed è costituita dalle cop- pie di punti omologhi in una corrispondenza di 2° specie (non involutoria); la serie può riferirsi univocamente ai punti della curva; i quattro gruppi della serie giacenti in una 2, hanno un rapporto anarmonico costante. Se la serie ha un punto doppio, essa ne ha infiniti e diventa l’identità. 20! Siano. 13%, 3. r-RI.... punti di maseanga ellittica così disposti, che a ciascuno corrispondano il precedente ed il seguente in una g,î% 42, j}; noi diciamo -che la g, è ciclica di ordine », se + 1 coincide con 1, e quindi r +2 con 2, ecc. E in ogni caso diremo serie derivata della proposta quella 9g, (2,j"}, nella quale sono coppie 1,3; 2, 4; 3, 5;....; r,vr+2;.... Per trovare la relazione fra j ed j' diciamo c, c' i numeri dei punti doppi della serie proposta e della derivata: c' è anche il numero dei gruppi della proposta che hanno un punto comune coi gruppi infinitamente vicini. Applicando la nota formola di corrispondenza di Zeuthen alla curva sostegno e alla serie proposta, di generi risp. 1, 7, e considerando come corri- spondenti punto e gruppo che si appartengano, si ottiene c'-—c=4(n-1), ossia jd-j'=2(n- 1). Da questa e dalle considerazioni del n° precedente segue: La serie derivata della g,{2, 1} è la serie stessa; la 9g, (2, 1} è ciclica del terzo ordine. La serie derivata della go ( PN ) è una involuzione ra- zionale I contata due volte; la gl) (2, 2) è ciclica del quarto ordine. (1) Le interessanti proprietà di questa rigata sono studiate dall’ HARNACcK (Math. Ann., Bd. 12) e dal Weyr (En Beitrag zur Gruppentheorie. Sitzb. Wien, Bd. 88). GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 21 La serie derivata della 9g (2, 3} è una DEA? 1}; la 93 (2,3) è ciclica del sesto ordine. Per costruire una g,°" (è; 3} * stabilisca sulla curva una Z,, la quale sia trasfor- tito in se stessa da una data 1,0, e la ogni punto della curva si facciano corrispondere quei due punti, che formano un gruppo di 1, col punto coniugato al primo in 2". wii Io 02, 4) è un'altrangs® {2,4}; la proposta non è ciclica che in casi aa L'esistenza e le proprietà delle quattro famiglie di 9, con- ducono subito all’esistenza e alle proprietà delle TERE fami- glie di curve di una rigata ellittica T#%*! di ,S,, che segano due volte ogni curva minima della rigata. 21. Abbandoniamo l’analoga ricerca per le g,° di indici i=3,4...., che, a quanto crediamo, sarebbe poco fruttuosa. Preferiamo di terminare questo lavoro con una formula che può ricevere qualche applicazione. La serie gn" \i, j} contiene (r+1)(mi—-rj) gruppi con punti multipli secondo r+1 (1). Dimostreremo il teorema per r=1; per giungere al caso generale si proceda da r a r+ 1. La g,° giaccia sopra la 0"*? ellittica normale Gli col spazi 8, determinati dai gruppi 9,’ costituiscono una varietà 7‘? a n dimensioni, d’ordine 2 i+). D'altra parte le corde di C”** che incontrano uno n. R,,n— secante la curva, formano una rigata d'ordine n 1°," PETSA rigata sega 1°"! lungo una curva d'ordine n (2d+ bis che si scinde nella C”*? contata 7 volte, in un certo numero y di rette, e poi in certe curve d’ordine n — 1 sezioni della 1°," con quegli spazi .S,_, che appartengono a F,*',e nel tempo stesso sono secanti di V',”. Ora questi ultimi spazi sono in numero di j, perchè gli spazi secanti di l°," determinano sulla C”*° una 7,7, la quale ha j gruppi comuni con g,°'; quindi n(2i+4+j)=i(n+2)+y+j(n- 1); l (1) é indica quanti gruppi di 9,,(") contengono » punti dati, j quanti sul appartengono ad una I,("—") razionale. 22 GUIDO CASTELNUOVO di qua y=(n_-2)i+}j , che dà il numero delle coppie di una /,‘ contenute in un gruppo di 9g, Ora se ec è il numero richiesto dei punti doppi si ha subito mediante il principio di corrispondenza di Chasles (cfr. n° 18) c=4(n--1)i -2y, e finalmente c=2(ni—j). Venezia, luglio 1888. ELETTROMETRO AD EMICICLI Teoria ed applicazioni come wattometro, voltometro ed amperometro per correnti continue ed alternative ; Nota dell'Ing. Ettore MORELLI Questo apparecchio è una modificazione dell’elettrometro a quadranti fatta collo scopo principale di ottenere un wattometro elettrostatico per correnti continue ed alternative; esso però si presta pure a tutti gli usi come voltometro ed amperometro per correnti continue ed alternative a cui serve l’elettrometro a qua- dranti, rappresentandone per alcuni riguardi un perfezionamento. Descrizione e teoria dell’apparecehio. — Si immagini un elettrometro a quadranti qualunque, per esempio quello di Ma- scart, del quale si siano riuniti elettricamente due a due i qua- dranti contigui 1.2' ed 1°.2, e si sia diviso l'ago in due parti uguali 3.3' mediante un taglio rettilineo normale all’asse mag- giore di simmetria (fig. 1); le due coppie di quadranti contigui comunichino con due morsetti I. II, e le due parti dell'ago con altri due morsetti III. III, per esempio mediante due coppie di asticciuole conduttrici attaccate alle due parti dell'ago ed ai due morsetti e pescanti in due recipienti isolati contenenti acqua acidulata (fig. 2). Tutti gli altri particolari relativi al sostegno, all’intelejatura, alla sospensione, al sistema di spegnimento delle oscillazioni, al modo di lettura delle deviazioni, rimangano in- variati. ELETTROMETRO AD EMICICLI 23 Vedremo che la forma di apparecchio risultante da questa descrizione non è la più conveniente, cioè che converrà fondere assieme in due scatole ad emicicli i quadranti contigui 1,2"; 2,1 ed allargare l’ago nel senso normale all'asse maggiore (fig. 3); si ottiene così una forma nelle parti principali che giustifica il nome di elettrometro ad emicicli; ma intanto ciò che si è detto è utile per collegare la descrizione e la teoria di questa forma migliore dell'apparecchio a quelle dell’elettrometro a quadranti. A. — Proponiamoci di ricavare l’equazione di equilibrio del- l'ago; supponiamo dapprima isolati i quattro quadranti 1.2.1'.2° (figura 1) e tenuti i quadranti e le due parti 3. 3' dell'ago a po- tenziali elettrici costanti V,, V,, V, VW, V,, V,; inoltre im- maginiamo l’ago nella posizione iniziale di simmetria rispetto ai quadranti; ogni quadrante e la parte di ago corrispondente co- stituisce un condensatore nel quale bisogna distinguere due parti ; quella ad una distanza non piccolissima dal piano di separazione dei quadranti e dal lembo dell’ago, per la quale si può ammet- tere che la distribuzione dell’elettricità sia uniforme, cioè la parte a distribuzione regolare; e quella che sta in vicinanza degli orli dell'ago e dei quadranti, per la quale si ha una distribuzione non uniforme dell'elettricità, cioè la parte a distribuzione irregolare; sappiamo che la 1* parte è molto maggiore della 2°; perciò sì può ammettere che per causa di una rotazione dd dell’ago, le parti a distribuzione regolare si spostino semplicemente senza variare, e che quindi il solo effetto sia quello di far variare proporzionalmente a dd la grandezza angolare della parte a di- stribuzione regolare di ogni condensatore; detta ec la capacità per unità d’angolo, ammetteremo che la rotazione di dd abbia per effetto soltanto di far variare di cdò la capacità di ogni condensatore. ; Sotto l’azione delle forze elettriche l’ago si sposta, cioè il sistema si deforma; la deformazione facendosi per ipotesi a po- tenziali costanti, sarà applicabile il teorema pel quale 7 lavoro delle forze elettriche è uguale all'aumento di energia del st- stema così deformato. Orbene, tutto essendo simmetrico rispetto all’asse verticale di rotazione, le forze elettriche che tendono a far girare l’ago attorno all’asse stesso si riducono ad una coppia di momento M° agente nel piano di rotazione dell’ago; dunque il lavoro delle forze elettriche durante una rotaziene dd è dato da Mdòd. — 24 ETTORE MORELLI Calcoliamo l'aumento d ew di energia «del sistema in funzione dei potenziali e delle dimensioni dell'apparecchio, supponendo, per fissare le idee, che l’ago ruoti nel verso delle lancette di un orologio, cioè che la capacità dei condensatori 1.3, 1'3' dimi- nuisca, e quella dei condensatori 2.3, 2'3' aumenti ; si ot- tiene evidentemente : n ; de dw= 3 cdò o. — Vj -(M- VW+ (VM VI -(V- ro] a 7 Vee tali 71 7 Viu pi =ca(-0- 40 ELA, (fasi a ) In forza del teorema enunciato si ha quindi: V + DESLE VAS A (1) 3£=e|W-r)(7;- - oro) Nei limiti di approssimazione fra i quali si può ammettere che c sia costante, questa relazione ci dimostra che MM si mantiene costante mentre d varia, cioè che in tutte le posizioni che l’ago prende ruotando, rimane sollecitato sempre da una stessa coppia il cui momento costante J ha l’espressione ora scritta; ne segue che l'ago girerà finchè la torsione della sospensione dia luogo ad una coppia antagonista di momento M; ammessa la proporzio- nalità fra 0 ed il momento di torsione, si può esprimere questo momento con %d dove % è una costante relativa alla sospensione; si concluderà-che l’ago ruoterà di quell’angolo è per cui M=%d c cioè, ponendo A = costante, che: x P4 pes a puiisnia fi, @ dx V)(V- % na ne Io )]. Nell’elettrometro descritto i quattro quadranti non sono isolati, come supponemmo finora, ma 2 ed l' sono riuniti fra loro, ed 1.2' pure, cioè Vo= Ta: = at: Perciò : d=x|- Alina 3 E (ADS (-S59)]. (Boi 0=K(V,—V,)(V,=V). ELETTROMETRO. AD EMICICLI 25 È questa la formola fondamentale per la teoria e per l’uso del- l'apparecchio. Appare ora evidente come fondendo assieme i qua- dranti contigui 1.2' e 2 1' in due scatole semicircolari, ed allar- gando l’ago nel senso normale all’asse maggiore di simmetria, si migliori l’apparecchio; inquantochè sopprimendo alcuni orli ed allontanando i rimanenti, sono certo con maggiore approssi- mazione verificate le ipotesi relative alle distribuzioni regolare ed irregolare dell’elettricità che hanno servito di base a questa teoria. Ne segue che si avrà una maggiore approssimazione am- mettendo per l’elettrometro a emicicli la 0 =K(V—M)(V.—-T,). di quella che si abbia ammettendo questa formola per l’elettro- metro a quadranti modificato secondo la (fig. 1), oppure ammet- tendo, come si suole, la nota relazione V+Y, è=2E(M- MV ) per l’elettrometro a quadranti ordinario. La modificazione dell’elettrometro a quadranti di cui abbiamo parlato, riguarda le parti essenziali dell'apparecchio e quindi ne cambia le proprietà fondamentali ; è indipendente dalla costru- zione di tutti i particolari relativi all’intelajatura, alla sospen- sione, allo spegnitore, alla lettura delle deviazioni; perciò essa è applicabile a tutte le forme dell’elettrometro a quadranti. 2. — La teoria esposta rende conto delle proprietà essenziali dell’ apparecchio, ma, per le ragioni indicate, essa è soltanto approssimata. È possibile fare una teoria più completa proce- dendo in modo analogo a quanto fece il signor Gouy in una sua pregevole memoria-relativa all’elettrometro a quadranti (Jour- nal de Physique, Mars 1888). Consideriamo l’elettrometro ad emicicli sotto la forma indi- cata dalla fig. 1, e supponiamo per ora isolati i quattro qua- dranti. I due quadranti contigui 1, 2 unitamente alla parte 3 dell’ago, formano un mezzo elettrometro a quadranti a cui pos- siamo applicare, con piccole modificazioni, i risultati della teoria del signor Gouy:; le forze elettriche le quali agiscono sulla parte 3 dell'ago tendendo a farla girare attorno all’asse verticale di rotazione, si riducono a due; i loro momenti rispetto a questo asse, sono espressi da G e G,d dove: 1 G sa) UA LA i DAUEIA, G=aVi+y(V+V)+20V,(V+V,)+2fBY7,F.. 26 ETTORE MORELLI In queste espressioni, «, (, Y, v, Y, f.; indicano delle costanti caratteristiche dell’ apparecchio, le quali si riferiscono ai .qua- dranti 1, 2 ed alla parte 3 dell'ago, anzichè alle due coppie di quadranti opposti ed all’ago intiero. Lo stesso si può dire per la coppia 1’ 2' di quadranti con- tigui e per la parte 3' dell’ago; anzi è evidente che le costanti a, 6, Y %; %: |, sono uguali nei due casi; sulla parte 3' del- l’ago agiscono adunque tendendo a farla girare, due forze i cui momenti sono uguali a G' e G'd dove: 1 = 2 7 \ Aa ii G/= 7, Vi +yx (Figi ve. 5) +20, Wi 11) sla 2BViVy y Queste quattro forze agenti sull’ago, si compongono in due forze le quali tendono a deviare la sospensione dalla direzione verticale, ed in due coppie di momenti G+G' e (G+G)d; queste ultime soltanto, si hanno a considerare rispetto alla ro- tazione dell’ago; ora, se si suppongono riuniti i quadranti con- tigui 1, 2.ed.1'.2,.cioà: \Viey, e uW=Vig si ricava | G4 G'=p(V-V,)(V.-V}) (ji tue (VE4V EVE VE) | +20(V+ VM) (M+VW)+4BV,V.. La coppia di momento G+G' è indipendente da 0, e tende a deviare l’ago nel verso dei 0 positivi se G+G>0, nel senso contrario se G+G'<0. La coppia di momento (G,+G,)d cambia di segno con È, e si annulla per î=0; essa tende a ricondurre l’ago a zero da qualunque parte se ne allontani se G, + G<0, e ad allon- tanarnelo sempre se G, +G,>0. E questa la coppia direttrice elettrica che si unisce alla coppia direttrice dovuta alla sospen- sione, complicando notevolmente l’equazione di equilibrio del- l’ago; di essa non si tiene conto nella teoria elementare prima esposta. — Le considerazioni fatte dal signor Gouy per conclu- dere che sensibilmente : ELETTROMETRO AD EMICICLI 27 sono applicabili qui, allo stesso titolo; si ricavano adunque le espressioni approssimate seguenti : pa ato (mere) bl. 1 : G+G,=2x(V_ 7) Indichiamo con %d il momento della coppia direttrice dovuta alla sospensione; l’ago sarà in equilibrio per quel valore di 0 per cui la somma dei momenti delle coppie direttrici è uguale . al momento della coppia deviatrice; cioè pel valore di 0 dato dalla: kò —(G+G,)0=G+G' giacchè è G+G,<0 quando la coppia direttrice elettrica co- spira con quella di torsione per ricondurre l’ago allo zero. Am- messe le considerazioni relative ai coefficienti «, 6, MV Bai deduce adunque da questa teoria che l’equazione di equilibrio dell'ago è : (6)... gno e k—2y( Li V, a Queste formole dimostrano che la coppia deviatrice G + G' ha ancora la stessa espressione data dalla teoria elementare; ma che la coppia direttrice elettrica modifica notevolmente la for- imola di equilibrio quando la coppia direttrice della sospensione non è abbastanza grande per renderla trascurabile. I risultati di questa teoria possono essere controllati coll’espe- rienza, nel modo seguente. Le espressioni generali (4) di G+G' ei.G+G; per V;=V=0 e V,=—YV; danno G+G=0 G,+G,=4V(y-f) cioè approssimativamente G+G'"=0 e G,+G,=8yYV). In una prima esperienza si riducono gli spe- gnimenti per quanto è possibile, tenendo ago ed emicicli a terra, e sì misura la durata %, di una oscillazione semplice dell’ago sog- getto così all’azione della sola sospensione. Quindi in una serie di esperienze, facendo ancora V.=V',=0, si caricano i due emi- cicli simmetricamente con una pila di un numero variabile » di elementi, e si misura ad ogni volta il valore @ della durata del- l’oscillazione semplice. Il momento della coppia direttrice elettrica è proporzionale ad CRI quindi se è vero quanto si deduce 0 0) 28 ETTORE MORELLI dalla teoria precedente, cioè che la coppia direttrice elettrica è proporzionale al quadrato di », deve risultare che: 1 1 1 3 } = GS -_)- cost, — Altre verifiche si possono fare con 2 DITTE (0) esperienze di deviazione; si tiene costante V,— V, e si caricano simmetricamente i due emicicli con un numero n variabile di elementi; ricorrendo a sospensioni per le quali il momento di torsione % non sia trascurabile, si deve trovare che 0 è propor- zionale ad => dove A= cost. Nell’ elettrometro ad emicicli sotto la forma indicata dalla fig. 3, l’ago è allargato molto di più di ciò che sia nell’ elet- trometro a quadranti, inoltre sono soppressi gli orli contigui dei quadranti 1, 2' ed 1’, 2; perciò si può con maggiore appros- simazione di quella relativa all’elettrometro a quadranti, ammet- tere che siano age e PE -%: cioè che sia : Gill, 0 È GI e quindi che i risultati delle due teorie siano concordanti. Applicazioni. — Il vantaggio principale che presenta l’elet- trometro a emicicli sotto l’una o l’altra delle due forme descritte, e per raggiungere il quale esso venne ideato, è quello di poter servire direttamente come wattometro-elettrostatico sa correnti continue ed alternative , A.— Nel caso di correnti continue si ricorre alla disposi- zione di circuiti indicata dalla fig. 4; detti V,.V3.V,.V, i potenziali nei punti A. B.a.d., si ha una deviazione: SK pia K=Kr=-cost. La deviazione 0 è proporzionale all’energia w sviluppata nel- l’unità di tempo fra i punti A.B del circuito percorso dalla corrente ‘. La costante X' può determinarsi, per esempio, at- taccando i quattro fili provenienti dai morsetti III, III ed I, II, ELETTROMETRO AD EMICICLI 29 ai due poli di una pila, campione di forza elettromotrice nota e; si ha una deviazione d'—XKe° epperciò si ricava: 1 : i: ; 2 Nel caso di corrente alternativa sinussoidale := I senno! 3 si ricorre alla stessa disposizione di circuiti (fig, 4) prendendo per » una resistenza senza self-induzione. Consideriamo un de- terminato istante del periodo 7° e diciamo » il momento della coppia che sollecita l’ago in quell’istante, ©,.vg.0,.v, i poten- ziali nei punti A.B.a.d nell’istante stesso; si ha: m= K(v,— vg)(v.,— vi). Detto i il valore dell'intensità della corrente variabile nel- l'istante considerato, si ha v, — v,=?r, giacchè r è senza self- induzione; perciò: m=K(v,-_vyir=K'(v,— vy)i=Kw dove K'=Kr= cost. In ogni istante del periodo 7, adunque, il momento della coppia agente è proporzionale all’energia w sviluppata nell’unità di tempo nella parte A di circuito. Se ne conclude che, se 7° è molto piccolo di fronte alla durata delle oscillazioni dell’ago, questo tende a rotare come se su di esso agisse una coppia costante con momento proporzionale al valor medio — ll (0, - vpidt. Ora, poichè le condizioni dell’apparecchio sono tali che la lettura d è proporzionale al momento della coppia di rotazione, si ha : > & = kr slPazatat Ea dove % è una costante dipendente dalla costruzione dello stru- mento. e W l’energia media sviluppata nell'unità di tempo du- rante il periodo. Attualmente per la misura di W si ricorre spesso all’ im- piego di wattometri elettrodinamici; a questi metodi nelle misure 30 ETTORE MORELLI esatte si muoyono appunti. Anzitutto l'inserzione del wattometro altera le condizioni del circuito e quindi varia la quantità che si vuole misurare. Inoltre nel caso di correnti alternative sinus- soidali si ha che: ME=J..V. cos. Z, essendo J l’intensità media nel tratto considerato, V la diffe- E clan soivb so e 2ra, renza di potenziali media ai due estremi di esso, pl valore angolare della differenza di fase fra Je V. D'altra parte la deviazione A al wattometro elettro-dinamico di cui si vuole avere W, è data da: dr d AK coat Si dove KX è una costante, / l’intensità media nel tratto di circuito considerato e nella spirale amperometrica fissa, J' l'intensità media della corrente nella spirale voltometrica mobile dovuta LAg 2a, A alla differenza di potenziali V, infine ta cs, la differenza di fase fra J ed J'. La spirale mobile voltometrica ha sempre una self-induzione non trascurabile nelle misure esatte, e quindi esiste sempre una differenza di fase fra la corrente che la per- corre e la differenza di potenziali a cui questa è dovuta; cioè la 2 ' . . . s. , differenza di fase 7° fra le correnti di valori medii J.J, è 2 sempre diversa dalla differenza 3 a fra J e V; perciò A, che x ) ia ; è , non riesce più proporzionale è proporzionale ad JJ' cos. 7 2 ad J V cos ch 5 , cioè alla W che si vuole misurare, ed am- mettendo questa proporzionalità si fa un errore. Sono quindi migliori, specialmente nel caso di correnti alter- native, i metodi basati sull’impiego dell’elettrometro a quadranti, per i quali evidentemente questi inconvenienti non esistono ; sono tali i metodi di Potier e di Ayrton e Perry. Il primo di questi però, richiede due letture successive, perciò oltre alla compli- ELETTROMETRO AD EMICICLI 9ì cazione, introduce errore nei risultati di quelle misure dove la simultaneità delle osservazioni sopra diversi apparecchi ha grande importanza. Il secondo esige una sola lettura all’elettrometro, ma richiede o di trascurare un termine che figura nella formola del metodo, oppure di determinarne il valore con misure secondarie. L'impiego dell’elettrometro a emicicli, appunto perchè con- duce ad un metodo elettrometrico, ovvia agli inconvenienti accen- nati relativi ai wattometri elettro-dinamici e condivide tutti i pregi dei metodi di Ayrton e Perry e di Potier; siccome poi esige la lettura di una sola deviazione la quale è direttamente proporzionale all’energia che si vuole misurare, evita completa- mente le difficoltà indicate relativamente a questi metodi elet- trometrici. 2. — L'apparecchio può servire come voltometro ed ampero- metro per correnti continue. Si ricorrerà alla disposizione di circuiti indicata dalla fig. 5; e rappresenta una pila costante, la quale può essere anche una semplice pila di Volta senza de- polarizzante; si ha una deviazione: OK(V.EV)e= KW) 5 0—=Kri=K'i, dove K'=Ke=cost. Î K"=K'r= cost. La deviazione 0 è proporzionale alla differenza di potenziali V.,-V, od alle intensità < che si vuole misurare, e per la mi- sura occorre una sola lettura L’elettrometro a emicicli, per il caso delle correnti continue, presenta adunque un vantaggio su quello a quadranti; questo infatti si suole adoperare o col metodo di Thomson, o con quello di Joubert, o con quello di Mascart; il 1° richiede un poten- ziale elevato e costante per l’ago e quindi accessorii che com- plicano notevolmente l’apparecchio, cioè la bottiglia di Leida, la jauge, ed il replenisher; il 2° conduce a poca sensibilità nel caso di correnti debolissime, perchè 0 risulta in esso pro- porzionale al quadrato della quantità V,— V, od è che si mi- sura; il 3° richiede due letture successive e due potenziali uguali e contrari per le due coppie di quadranti opposti e quindi com- 32 ETTORE MORELLI plica la misura, introduce errori nei casi dove importa la simul- taneità delle osservazioni sopra diversi apparecchi, ed esige una prova preliminare sulla pila che serve ad elettrizzare le due coppie di quadranti. Il metodo a cui conduce l’impiego dell’elet- trometro a emicicli, non richiede accessorii che complichino l’ap- parecchio, si basa sulla proporzionalità della deviazione alla 1* potenza della quantità che si misura, richiede una sola let- tura, ed esige semplicemente di avere due potenziali differenti d'una quantità costante evitando così una prova preliminare ed una causa di errori. 3. — L'apparecchio può servire infine come volfometro ed am- perometro per correnti alternative sinussoidali. Si ricorrerà alla disposizione di circuiti indicata dalla fig. 6, dove » indica nel caso dell’amperometro una resistenza senza self-induzione. Con- sideriamo un istante determinato del periodo 7° della corrente 2 l DE alle forze elettriche e che sollecita l’ago in questo istante, v,— %, la differenza di potenziali fra i punti a.d nell'istante stesso ; si ha; m=K(v,— ,). Questa relazione sussiste per ogni istante del periodo, perciò se 7 è molto grande di fronte alla durata delle oscillazioni dell'ago, questo tende a rotare come se su di esso agisse una coppia costante con momento proporzionale al valor =, I sen t, e diciamo m il momento della. coppia dovuta ai Ti medio ni (v,— È} dt; ora, poichè d è proporzionale al mo- 0 mento della coppia di rotazione, si ha: T (0 — vs) dit=kV, 0 d—=l dove % è una costante e V il valor medio della differenza di potenziali (e, —v,). — Dunque 0 è proporzionale al valor medio V della differenza di potenziali fra « e d che si vuole misurare. Se r è senza self-induzione, si ha V=4J7, essendo J l’intensità media della corrente i che si vuole misurare; cioè d =4'J dove k'=kr=cost. Dunque d è proporzionale al valor medio J che si vuole avere della intensità della corrente che percorre il tratto AabB di circuito. 4.-- Cerchiamo infine quale sia la sensibilità dell’elettrometro a emicicli rispetto a quella dell’elettrometro a quadranti nelle diverse ELETTROMETRO AD EMICICLI da sue applicazioni come wattometro, voltometro ed amperometro. Supponiamo di avere un elettrometro a quadranti ordinario ed un altro elettrometro identico a questo per forma e dimensioni, in cui però sia stata fatta la modificazione indicata dalla fig. 1 relativamente alle comunicazioni fra i quadranti ed alla sepa- razione delle due parti dell'ago: le equazioni di equilibrio del- .l’ago pei due elettrometri si deducono dalla eq. (2) supponendo selinonie» Vel. Ka ea esse sono perciò : EL BU or) Nella 1° equazione V,. V,. V, sono i potenziali delle due coppie di quadranti opposti È dell ago, &inellag:2*st:R, al. Kee Tei sono i potenziali delle due coppie di quadranti ei e delle due e parti dell'ago; X è nei due casi una stessa costante XK im giacchè nell’ipotesi fatta, c./% sono due costanti inerenti alla forma e dimensioni dei quadranti ed alla sospensione, che sono uguali nei due casi. Orbene supponiamo di applicare il 1° elettrometro alla misura dell’energia w sviluppata in ogni unità di tempo in un tratto A'B' di un circuito percorso da una corrente continua od alter- nativa; facendo uso del metodo di Potier si disporrà in serie ad A'B' una resistenza nota AB=r, senza self-induzione nel caso di correnti alternative; si uniranno le due coppie di qua- dranti opposti rispettivamente in A.B e l'ago successivamente in A'. B' facendo due letture <, ft. Si dimostra che 2«—{f=2Ar.w= K'w dove K'=2Kr=-cost. Applichiamo il 2° elettrometro alla misura della stessa energia w, secondo quanto indica la fig. 4, facendo uso di un’uguale 2-f resistenza »; avremo una deviazione: 0 —Kr.w. Dunque d= cioè la sensibilità è uguale alla metà. Per applicare il 1° elettrometro col metodo di Thomson, alla misura di una differenza di potenziali V,—V,, si farà V, ele- vatissimo, tanto elevato che si possa scrivere con approssima- zione sufficiente, che è, =2X(V,—V,)V,. Misurando la stessa dif- ferenza. V,—V, col 2° elettrometro , mel modo indicato dalla Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV. 3 34 ETTORE MORELLI fig. 5, si avrà: ,=X(V,-V)(V,_V,). Se adunque si sup- pongono uguali le differenze ausiliarie V.- 0, V,—V, di cui si fa uso nei due casi, si ha ù=> 3 Volendo misurare una differenza di potenziali V,—V, col 1° elet. trometro adoperato col metodo di ren sì tdi WEI faranno due letture d,, d, ; si avrà è, —0 '=2K(V— TIVE P nl Misurando la stessa oral to V, col 2° elettrometro Hel modo indicato dalla fig. 5, si ha ancora O=K(V_ Va Ve, quindi se si suppone uguale nei due casi la differenza di poten- NI ziali costante V, —V,, si ha i Infine, se si adopera il 1° elettrometro col metodo di Joubert per misurare una differenza V—V,, si ha è =K(VM-V%); col 2° elettrometro adoperato come vuole la figura 6, si ha O,=K(V.-V,)?=0d,, cioè una sensibilità uguale. Si deduce che n ca di forma e dimensioni di tutte le parti dell'apparecchio, ed a parità di potenziali ausiliarii di cui sì fa uso, i metodi di misura relativi all'impiego dell’elettro- metro ad emicicli conducono ad una sensibilità uguale o metà di quella dei metodi corrispondenti relativi all’elettrometro a quadranti. L’elettrometro ad emicicli, adlunque, si presta a tutti gli usi come wattometro, voltometro ed amperometro per correnti continue ed alternative a cui serve l’elettrometro a quadranti, rappresentandone un'utile modificazione. Esperienze. — Queste considerazioni mi hanno indotto a far costruire un apparecchio di prova; in un elettrometro a qua- dranti di Mascart costrutto dal Carpentier, ho sostituito all’ago ordinario un ago diviso in due parti isolate fornitomi dal Tecno- masio Italiano; messe in comunicazione con due morsetti esterni III. IIl' le due parti dell’ago, mediante due appendici che pe- scano in due recipienti contenenti acido solforico puro, ho col- legato i quattro quadranti fra di loro in modo da formarne due coppie di quadranti contigui I. Il comunicanti mediante fili iso- lati con altri due morsetti esterni I, II. Per mettere in stazione l'apparecchio, si è girato il sostegno della sospensione sino a disporre approssimativamente l’asse mag- giore di simmetria dell'ago, parallelo alla linea di separazione delle due coppie di quadranti contigui; quindi si è collocato sulla I n Fig. 5. A a L 7a, v/10 I Tav. L CSS Fig: n SR | ELETTROMETRO AD EMICICLI SÒ scatola cilindrica il coperchio che sostiene i quadranti e la so- spensione, volgendo lo specchio verso la finestra appositamente praticata nella scatola, cioè verso la scala trasparente. In se- guito, collo scopo di verificare esattamente la condizione anzi- detta del parallelismo, si sono elettrizzate successivamente le due parti 3,3' dell'ago, e le due coppie 1.2 di quadranti, con una serie di 100 elementi Leclanché; e si è girato l’ago rispetto al quadranti fino ad ottenere nei due casi una deviazione nulla, come vuole la dà — K(V—V,)(M-YV,) per V—V,=0, end 6 per VP, Ve—0, o_o Con questo apparecchio così disposto ho fatto la seguente serie di esperienze. Mi sono servito di quattro serie di 10. 30. 30. 30 ele- menti Léclanché, ed ho verificata anzitutto l'uguaglianza appros- simativa delle differenze di potenziali ai morsetti delle tre ultime; a quest uopo le due parti dell’ago sono state elettrizzate colla 1° serie, e le due coppie di quadranti contigui successivamente colle altre tre, trovando per le tre deviazioni valori medii uguali nelle unità. Dopo questa esperienza preliminare, ho fatto la serie di osservazioni indicate dalla tabella; le differenze di potenziali sono espresse prendendo per unità quella ai morsetti di un ele- mento Léclanché in circuito aperto; ogni deviazione indicata poi, è la media di quattro letture fatte invertendo ad ogni esperienza le comunicazioni fra le pile e le parti corrispondenti dell’elet- trometro : \ Parma 90; darai ande 10,6 «260 > « =10; d,=31,25 | «, =90: « =10; d,=46,75 Si ha Oi UO — 30090 come vuole la RIETI. | V-V=V,-V,=10; d'=5,5 « « =80;.d/=50 | < « =60; d/=200,50. 36 FRANCESCO PORRO Si ha: gl: dar LOR 10308 0607 come vuole la è =K(V,— V,)?; le piccole differenze sono do- vute essenzialmente all’imperfezione dello strumento di prova, quindi all’ ineguaglianza delle tre ultime serie di pile, agli errori di lettura per deviazioni così disparate ed alle divergenze previste fra i risultati delle esperienze e quelli dedotti dalla teoria ap- prossimata che abbiamo esposto. Queste esperienze di orientamento, eseguite sopra un primo abbozzo dell'apparecchio descritto, hanno avuto il solo scopo di dimostrare che è effettivamente possibile il costrurre ed ado- perare questo elettrometro colla stessa facilità con cui si co- struisce ed adopera l’elettrometro a quadranti ordinario. Torino, novembre 1888. Effemeridi del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1889; calcolate da FRANCESCO PoRRO Nell’intraprendere per il prossimo anno la compilazione delle Effemeridi Astronomiche relative all’ orizzonte di Torino, io mi sono proposto di restringermi ai dati che più facilmente si pre- sentano nella pratica applicazione, fuori dell’Osservatorio, repu- tando di favorire il divulgarsi di questo modesto lavoro fra co- loro che ne possono abbisognare, coll’omettere le nozioni di mero interesse scientifico, e quelle che mediante calcoli elementari si possono, per l’uso della specola, dedurre dagli annuarii di Greenwich, di Parigi o di Berlino. Il lavoro si trova quindi ri- dotto ad un Calendario Astronomico, che noi abbiamo calco- lato in base ai dati della Connaissance des Temps e del Nau- tical Almanac, attenendoci strettamente alle Istruzioni compilate per l'Osservatorio di Milano, quali risultano da un ottimo opu- scolo del Dr. Michele Rajna (Milano, Hoepli, 1887). In parti- colare si è seguito il metodo svolto a pagina 37 e seguenti delle EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA DI citate Istruzioni, per calcolare il nascere ed il tramontare del Sole, ed il metodo indiretto (pag. 47 e successive) per gli analo- ghi calcoli relativi alla Luna. Non credo fuori di proposito aggiungere per quest’anno le tavole ausiliarie preparate per questi calcoli, nella forma identica a quelle che per Milano si trovano nel citato opuscolo del dottore Rajna. Esse potranno servire ad agevolare la compilazione di consimili Effemeridi negli anni venturi, e sono ridotte in forma assai comoda, e tale da evitare per lo più le interpolazioni. Debbo da ultimo avvertire che nel calcolo delle Effemeridi fui validamente aiutato dal signor ingegnere Tomaso Aschieri, assistente all'Osservatorio. 38 FRANCESCO PORRO Gennaio 1889 | GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA O si SI 11 SOLE | La LUNA HI E) Di oa IE TS anzi = ei Ei z| asa | assa S ia) eli nasce al tramonta nasce al tramonta | a 3 |$ meridiano | meridiano [ca | h m h m | h m h m n m h m 1 1 DIS AZTTZO EA POBIACIE SI 4° SDPERONT 2 2 59 23 47 8 28 divttpiti ib: SOneese 3 3 59 24 48 SIMZZ ZONE 1 6 46 3 4 4 59 24 49 || 10 5 2 59 499 4 5 5 59 25 50 || 10 40 3 5I 9 410 a) 6 6 59 25 SALO 4 40 10 149 6 7 Cl 59 26 neri di 36 bi 6280 VIII (6 8 8 59 26 SIA IZ 20 == 8 9 9 58 27 ball 2025 6-52. |. 12° ‘28000 10110 58 27 56.i| 42 48 7 DO t.. IU 10 14470494 58 27 aL) 1 14 8 18 > di 11 12 | 12 57 28 58 di 45 i) 3 32 12 43 1-13 D7 28 136 ML bun An 9: 49 4 31 13 14 | 14 56 LS RO PE 2 PS 10 37 5° 29 14 ibCd5 56 29 2. 3139 ila REZZA 6-25 15 16 | 16 55 29 SNA" 30 — 7.166 LIGA D4 29 PL | ERE A 12 dp: S00 17 18 | 18 D4 30 GAI 0 n) 8 42 18 19419 53 30 dda PA o) 9 18 19 20 | 20 53 30 8 8 40 2 47 9 48 20 DI ANZI 52 S4 10) 9° 49 STO 10417 21 22 122 54 54 4L I A10:058 423 A AO 22 23 RIZA 50 34 12 — 50 li 40 23 A | 24 49 31 1%-||12 Qa.i Db 58 11 38 24 ZO ZO 48 32 s Rie i 6 50 12 ‘© Sp 26 | 26 47 32 16 || 2 36 T: Be 1042,048 26 ZII 46 h 492}: $3 1.50 8. 39 1 2% 27 28 10:28 45 32 195 59.09 9 33 PANE 28 29) 129 44 32 Cio q0aN9 10 41 ri 29 30 | 30 43 33 200) MESS 11 42 4 20 30 31 | 31 42 33 24 dii pi to RE! 5 32 i FASI DELLA LUNA Il giorno nel mese cresce di Oh 55" 4 Luna nuova 9 58" pom. L è i h ; 9 Primo quarto 1 30 ant. 12/La Luna: è fn pone0t:0 28 17 Luna piena 6 27 ant. ": Id. Perigeo 8° pom. 14 Ultimo quarto 4 47 pom. Il Sole entra nel sogno Acquario 34 Luna nuova 59 ant. il giorno 19 ad ore 8 m. 28 pom. n > 19 : 1 di È 2 E : : a ( Di 2 : n ; SI c ‘ ‘ E c c : 2 —————Tis ses ressa ea! || Ano Lr psi pic tie EFFEMERIDI DEL SOLE £ DELLA LUNA 39 Febbraio 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA A a sie (= = 1} SOLE La LUNA = 2 D = ee ) = nasce al tramonta nasce al tramonta 3 = £ meridiano meridiano 2 h m h m h m h m h n h m 32 1 (200044 |M20033 DIO 8° 34a 1%:37p. | 6 47p: 2 35 a. 40 35; 26 OI 31128 MS 9 34 5 39 BE 28 9 36 3010 9-6 4 35 4 38 5h) 290 il 14042 Ip 409813 4) 36 5 36 35 Si 1407026 4 46 11216 6 DI 6 35 33 32 || 140.50 5 29 — 7 38 À 33 55) 534 AA 16 6443 12 419a 8 39 8 32 5a DO AA Z3 6457 11 420 9 40 9 34 Da Ski 42 Ap. 71,45 2420 10 44 10 29 35 38. Il 12 50 830 3 19 41 42 Al 28 33 39 19883 9 49 ALA 12 43 12 27 33 4A DZ) 109 5 29 13 44 | 13 25 33 425 “3 dog 44 20 | 06 AI 45 14 25) Sa 44 ZA Lit 6 40 415 46 15 22 33 46 DZ == TORA 16 47 16 21 De 4T 6 29 12 44» 7 49 47 48 17 . 19 33 48 170038 1' 30530 8 419 18 49 18 17 39 49 8 49 2 19 847 19 50 | 19 16 33 TO Se OR i A e | 54 20 14 33 IAT 30050 9 41 21 52 | 21 12 33 33 i e 4 46 |10 410 | 22 53 22 14 33 55 || 12a. 26 SRO. 10 43 23 54 23 9 85) 56 40) 6133 di ez 24 SO 24 7 32 58 2 bd TS 12 7p.| 25 56 25 6 32 59 35 58 Ss 30 1 26 57 26 5 32 OA VISTI 9 29 44: 2) 58 2 3 SA 2 DIG 10 28 OA 28 59 28 1 32 4 6 29 11/325 4 DA 29 FASI DELLA LUNA Il giorno nel mese cresce dl 1h 21" 7 Primo quarto 9h 48% pom. «9 La Luna è in Apogeo 2h pom, 15 Luna piena 411 7 pom. 24 Id Perigeo 4 pom. 23 Ultimo quarto 0 45 ant. Il Sole entra nel segno Pesci il giorno 18 ad ore 10 m. 58 ant. 40 FRANCESCO PORRO Marzo 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA Il SOLE La LUNA sz ite ri STO: — Leo E re?" o assa passa nasce al tramonta nasce al tramonta meridiano meridiano dell’Anno del Mese Età della Luna h m h m h m h m h m h m \sa 16p.| 5 56p 5 Ss STA CO CO STD UT I dI a [b1i x DI ea (a _ (AN) (AS) [elim > ON ODO IO UTWI Si ®©) Li HI e) FS (ANO) O DO DOSI i Ot e VD DI > [eb] ( o Dì DO TO) BRE Ss (e > I [nea le nl \D ©) (A) e] do Dì => DONI Dì UT 09 DI > DI (96) DO a DO 9) ft (AS) (AN) VR AS) (ep) dI [es (IS DO ea | Ii Rare © O DODO NIN Dì Dì LIT UT VI I DI > DI (e ©) (e (er) (0,0) O ND DI (a (0 ©) w DI (06) Si Fassi 25° al 10055 24 (O CO St Di ia Id 0 (A°) ©} (0.0) (©p) N (I (c») (AS) RS IC) " È ito pa o Dì Sì CT DI I dI > dI (I (i (eb, | Lo) Dì TW DI («») FASI DELLA LUNA Il giorno nel mese cresce di 4h 38" 4 Luna nuova 10° 50" pom. | 9 La Luna è in Apogeo fil ant. Pri : Pair oggio San apo. 24 Id. Perigeo 1 ant. 417 Luna piena 12 37 pom. 24 Ultimo quarto 7 44 ant. | Il Sole entra nel segno Ariete il 3 Luna nuova 12. 27 pom. giorno 20 ad ore 11 m. 1 ant. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 41 Aprile 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI LOMA (si [=] =} II SOLE La LUNA tei [ci ® | D < = assa assa =] = |a nasce al tramonta nasce | al tramonta | ad = meridiano | meridiano Q h m h m h m h m I Ch m h m 9 4 6: ele |"12 V2Sti “6-45 O. 20. k45 7 49p. 2 92 2 5 59 23 46 7 416 1 -59 | 8 53 3 93 3 57 22 48 7A 234° 9 <56 4 94 4 56 22 49 8 410 Si E20. 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BA 6 La Luna è in Apogeo 60 ant. 15 Luna piena 11 8 pom. 18 Id. Perigeo 3 ant. 22 Ulti t 2 46 ‘ Ultimo quarto Doni || Il Sole entra nel segno Toro il 30 Luna nuova 2 55 ant. | giorno 19 ad ore 10 m. 37 pom. 42 FRANCESCO PORRO Maggio 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA o d 5 Il SOLE La LUNA 3 . 89 © =-_—rmPrP__———Tromee=-c-||\rrr—_—Pr— te ei (Si) [=| n = = passa passa S = = nasce al tramonta|| = nasce al tramonta | .® 5 = meridiano meridiano. A hf dii h m h m h m h m 124 di;lr 5 410 42: 46] #0 29 604 420. SR 122 2 8 16 24 || 6 41 210 9 48 3 123 È 7 16 2041 4 16 Zon 10085 4 124 4 5. | 16 Zio 77.56 31461 | 118588 5 125 5 4 16 29M Si 42 4 35 __ 6 126 6 3 15 29% 9» 95 512% | 12) 200.000 127 7 1 15 30 || 10 32 6: 113 14: #9 8 128 8 0 15 Sal 41 34 LORI! 1 46 9 129 94 59 15 Sarli 42° 39pi| 7129 248 10 130 | 410 57 15 SE 147 Sar 2 47 (gi 431 | dd 56 15 SOG 24058 97120 3 14 12 132. 42 55 15 DONI 4441 VAIO 3 40 13 133 i 53 15 SION SILE PALO 4i 7 14 134 | 14 52 15 pae 60,46 —+ 4 36 15 d35 i -.db DI 15 40% 81152012: Za.) 8 16 136 | 16 50 15 41.|| 9 24 1.) D 5 49 17 437 | - A 49 15 42 (| 10 37 PARTA 6. 37 18 138 || 148 48 15 43(| 11. 39 SED 7 383 19 439 i 0449 47 15 44 —— 44 8 81-99 Wa 140 | 20 46 154; 40 :120:3001) ‘003 Vi 9, 49 | 2 d8d | ZA 45 15 46} 1 (1 601/56 (VIE 22 142. ||. 22 4A 15 4T|1 44 6/54 [12 A4p.ia28 143 | 23 43 16 ASH 2.043 72 11.20 0628 144 | 24 42 16 49gi 2.38 8 28 21 26. IDRO 145 | 25 4 16 50 SUR 9 SIE 26 146 | 26 40 16 DIS SERZO 9 54 4 34 | 27 Ad 27 40 16 GRA 3 4991037 5/37: RS | 148) 28 39 16 SSoll 4 ANAL dI 6 39 | 29 149 | 29 39 16 Sugli 4° 490 MARIE 7 4 1 150 | 30 99° vbi46 5565. (1651|142054p.|0 8489 2 151 | 31 37 16 56 || 5 54 1 42 9 33 3 FASI DELLA LUNA Il giorno nel mese cresce di 1h 8" 8 Primo quarto 7h 32% ant. 3 La Luna è in Apogeo 10h pom. 14 Luna piena Mat daN » Id. Fonpeo 31 ld. Apogeo 7 ant. 21 Ultimo quarto 10 43 pom 29 Luna nuova 6 9 pom. Il Sole entra nel segno Gemelli il giorno 20 ad ore 10 m. 34 pom. ———— —T—__—r—r' {1 _ 1 ——r —r@ =———€————=———_—_—____—___ EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 43 Giugno 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA sì di (=) II SOLE La LUNA HH [| D D < S assa assa L=; 3 =; nasce al tramonta nasce al tramonta | e 9 || meridiano meridiano Q h m h m h m h m h m h m 152 1 SSA AZIOII TABS / 6 330.1 2 |34p.| 10 23p. 4 153 2 36 170 58 7 28 ZO, sali St 5 154 5) 36 AR; 59 8. 123 UA S TAN AZO 6 155 4 35 17 59 9 23 4 56 e i 156 5 35 17 Sì BOn|NA0 527 Sco 12 19a 8 157 6 35 17; Rd 82 609030 12 49 9 158 Ti 34 18 45 42 390.1 7116 1 16 10 159 8 34 18 2 1 49 Soto 1042 411 160 9 98 18 ® s 12 Sia QIS 12 161 10 33 18 3 4 16 9° 45 PINS 13 162 11 33 18 4 5i 095 10 41 SI et 14 163 412 33 18 4 60.55 LAZ 3I 299 45 164 13 32 18 5 80423 VESTO 16 165 14 52 19 5 OI 124450 DICA 17 166 15 32 19 6 || 10 20 1 49 6 18 18 167 16 32 19 RA 2 55 7 29 19 168 17 32 20 6.1 141 45 SIEoz 8 43 20 169 18 32 20 Ti — 4 47 957 21 170 19 39 20 Ve MZ 604 5 38 1A 4908 22 174 20 33 20 Tae 6 25 12) 46p.1| 123 172, 21 33 21 8 1 MO 17 a 0) 10022 24 173 22 34 21 8 100651 TDI ARI 25 174 23 34 24 8 1 ) 810 _— SANE 15 194 | 13 46 24 Sxlli S'7-5603| 12 924 16 195 14 7 25 2 9 40 1o+ 139 6 18 Wi 1906.1045 48 25 140545 CRA 734 18 197 {1/46 48 25 41 {| 10 44 SAN28 8 49 19 198 | 17 49 25 DILLO 4 dA480 (10 20 199 | 48 50 Qbal e 004 11035, 50) Sal ARRIOA 200 || 49 54 25 O54 dd HS 5.50. | 124160 201 | 20 52 25 D7 — 6.34 10422 ga 020 55 25 56 12% 220% 7 18 2124 "24 20822 D4 25 55 n 12 49 Bibi 2 S Za 25 204 | 23 13) 25 Sell 1020 8° 48 4 26 .|.26 205 | 24 56 25 all Ai 9 35 5023 24 206 | 25 57 25 ua 2a AO RS 616 Nes 207 IN:26 59 25 RS De EEE Ti cd UND 2084 27 1, 500 25 506 404200) 142000 20: | 100 30 209 | 28 1 25 40ali 944006) 12054 8 25 1 ZIO Wir29 2 25 484 GO. 1:7189 8° 56 2 214 30 3 25 47 TAO ZUR 9:25 3 242 10 31 4 25 45 Sai SUA 9.50 4 FASI DELLA LUNA 6 Primo quarto 12 Luna piena 19 Ultimo quarto 28 Luna nuova 6h 490 ant. 9:52 SNI3D pom. pom. Id. 12 La Luna è in Perigeo 3 ant. Apogeo 5 pom. Il Sole entra nel segno Leone il 12 50 ant. Il penne nel mese diminuisce di 0% 50m, 24 giorno 22 ad ore 5 m. 55 pom. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 45 Agosto 1889 HI SGLE dla | C) << | S assa = pe nasce al tramonta @ Me meridiano ali 45 542 25 7 A4 | 2 6 25 25) 3 3 25 216| 4 9 25 27| 5 10 25 218) 6 It 25 29| 7 12 25 2290 | 8 13 2 22 | 9 15 2 222 | 10 16 2 223 | It 17 2U 224 | 12 18 2dU 225 | 13 19 2 226 | 14 20 93 227 | 15 29 23 228 | 16 23 23 229 | 17 ZU 23 230 | 18 25 23 234 | 19 26 22 232 | 20 28 22 233 | 24 29 22 234 | 22 30 22 235 | 23 3 21 236 | 24 32 21 237 | 25 34 2 238 | 26 35 2A 239 | 27 36 20 240 |: 28 37 20 UA | 29 38 20 | 6 242 |! 30 ‘40 19 213 | 34 A 19 FASI DELLA LUNA 4 Primo quarto 2h 179 pom. 11 Luna piena o (dp. An, 18 Ultimo quarto 1 41 ant. 26 Luna nuova 2 50 pom. TEMPO MEDIO DI ROMA IAIADOMWpDLIO (b1 f{ 1 | Di Sdi = La LUNA ne) = n ASL pen Miss) assa 3 nasce al tramonta |. meridiano A 9. 284.) 3: 57p.| 40! 15p 5 105.139 4 42 1000 39 6 11 44 Do {1 Po vi 12 bbgni 6 49 11 34 8 2010 DV 12 —- 9 3 24 819 12:| 18. |} 10 4 38 9 19 12 48 11 5 I 108412 139 12 6 43 i (45 2 40 13 7 9 __ Sgt 14 Ss 9 12 Ada DI 15 8 42 4 -13 6 24 16 940 2 46 T 139 17 9* 30 ZENO 835 18 LORO di ‘42 100 19 10% 24 4 28 Ad #7 20 10 50 DICI 121042) N21 ele, 6° AM 1:15 22 de 52 6 43 dr Ae 23 — 18030, 3 1416 24 142° 3000 Sì 18 4 (10 25 1 14 SZ Did 26 2 4 9 56 5145 27 10 10 46 6 (24 28 Lai Idi 34 6 58 29 HE 6 2 Li2p TÒ 124 1 bt 12 119 Ti pod 2 1 19 19660 8 119 5, 8° 27 2 HM 344 4 DIST dì 28 99 13 10 47 4 16 9 197 6 ll giorno nel mese diminuisce di 1b 20m, 9 La Luna è in Perigeo 85 ant. Apo Ud. Apogeo 8. ant. Il Sole entra nel segno Vergine il giorno 23 ad ore 12 m. 44 ant. 46 FRANCESCO PORRO Settembre 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA (asd [=| Il SOLE La LUNA a = ® ——@nn, SC | \ T—"———___PT6mmW€ € er gs = £&£|S assa assa 3 = DI nasce al tramonta nasce al tramonta P 3 = meridiano meridiano : les] h m h m h m h m 244 41 5 (420] 12 419 5 8p.|10 8p 245 2 43 18 602 10 46 246 5 44 18 750 14.132 247 4 46 18 830 —_- 248 5 47 MT 9): 12. 3a 249 6 48 17 1 LO, | 1 192 250 7 49 17 10 59 2 4 251 8 50 16 19 353 798 (11) 252 9 5E 16 au 5 (16 253 10 53 16 12: Wal. (6428 254 414 54 15 dr92 7 40 255 12 buy 15 D 49 8 49 256 13 56 415 Spie VA 9 56 257 14 58 14 3 50 416 258 15 59 14 4 36 PAR 259 16 6-0 14 n, 25 13009 260 74 1 13 an Dall 153; 261 18 2 13 È 7 30 2. 55 262 19 4 15 2 7 49 SE 263 20 5 12 49 || 12 490 838 E 2 264 24 6 12 17 1 48 9 27 40 265 22 7 12 15 Ae nl 10.005) 5 29 266 25 8 41 43 Sa 11 #2 5:56 267 24 40 1. 411 59 11 49 [O 268 25 44 dl 9 6 14 12. ‘36p) 6° 269 26 12 10 8 OOO 1 23 7 AZ 270 27 13 10 6 836 ARI 23 7139 271 28 14 40 4 9 50 SI 8: 9 272 29 16 9 QI, 3 58 8 45 273 30 17 9 0 || 12 16p.| 4 55 9 28 FASI DELLA LUNA 2 Primo quarto 8% 24" pom. 9 Luna piena 2 42 pom. 17 Ultimo quarto 5 39 ant. 25 Luna nuova 3 320ane Il giorno nel mese diminuisce di 4© BRLi 6 La Luna è in Perigeo 3% ant, 18 Id. Apogeo 2 ant. Il Sole entra nel segno Libra il giorno 22 ad ore 9 m. 28 pom. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 47 Ottobre 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA 3 [=| te] Il SOLE La LUNA — = [cei —r_1———’il- —n_r rece 2 = assa passa = SUOR ‘nasce al |tramonta| nasce al tramonta | a E meridiano meridiano Q h m h m h m h m h m h m 2Z4| 1| 6 18|12 9| 5 58] 1 270.| 5 540.110 200] 7 275 2 19 8 56 2029) 6n 546 41021 8 276 3 al 8 54 SAZI 10055 ——— 9 277 4 23 Ù, 52 4 4 850 12a 30 10 278 5 24 7 SE (4140 9 44 1 53 11 279 6 25 7 49 || 5 410 10 | 32 ZA LI 12 280 7 26 7 47 54 Son 44 23 4 10 13 281 8 Ti 6 45 6054 _ Di 20 14 282 9 28 6 45 60 25/6142 1-40 6 30 15 29 6 42 6 50 12 56 R338 16 34 6 40.|î 7° 460) 41:42) 84466 1149 32 yu 38 7 46 20028 9 50 18 33 5 36 || 8 20 SA 490 409 19 34 5 39 || 8 59 47 \3| 14355 20 36 5 33 || 9 45 | 4 52 |12 48p| 21 37 5 34 || 10 37 5 41 FS 22 39 4 29 ||{11. 33 6 30 21420 23 40) 4 28 | TR 49 ZA 24 4 4 26 || 12 3ia.| 8 7 | 3 28 | 25 43 4 24 | 1 38 8 53 SA 56 26 4h 4 23 2 45.| 9 400| 4 2 | 27 45 3 21]] 3 54 {10 27 | 4 47 | 28 I 3 149 5 4 |{t1 14 | 5 12 | 29 48 3 18 6 18 12. 3p 539 1 49 3 16 TAM: sr Ti 68) $ 2 5I 3 14 8° 49 1 49 6 42 3 52 3 1310. 6] 2 4705] 72% | & 54 3 tilde 19: S0 4766) 86 | E 55 3 10 || 12 26p.| 4 49 9443 6 56 3 8 40:21 5 49 10: 23 7 58 3 f 7A II 6 46 |11 33 8 FASI DELLA LUNA Il pesa nel mese diminuisce di fb m 2 Primo qua: to 2h 239% ant. 9 Luna piena 1 La Lunaè in Perigeo 5h pom, 16 ant. 15 Id. Apogeo 10 pom. 27 ant. 27 ld. Perigeo 5 pom. 17 Ultimo quarto 24 Luna nuova Il Sole entra nel segno Scorpione 341 Primo quarto È ; 20 ant. il giorno 23 ad ore 5 m. 59 ant, i POI (e Db i, IS SÒ 48 GIORNO FRANCESCO PORRO Novembre 1889 II SOLE [=| 5) “d|2 ) = 2 nasce 3|3 h m m 305 del 46 159 3 306 E DO 7, 5 3 307 d 2 3 308 4 di 3 309 5 lo 3 310 6 6 3 344 | 7 7 3 342 8 5 3 Sta 9 10 3 314 | 10 12 a Bisi 13 3 D40 118 14 3 Sd | L 43, 16 3 318 | 14 17 4 349 | 15 19 4 320 | 16 20 4 321 17 21 4 922. 18 RA 4 323 19 24 D) 324 | 20 25 5 325 |; 24 27 5 326: | | 22 28 5 Si 11028 29 6 328 | 24 30 6 929 | 25 32 6 330 | 26 33 7 Sd |.127 34 7 332 |. 28 35 7 338 || 29 aa le) II 1430 38 8 FASI DELLA LUNA 7 Luna piena 15 Ultimo quarto 23 Luna nuova - 29 Primo quarto 4h 55" pom. 9 26 2 33 ant. 6 48 pom. pom. UD e ee ia DO N 0 VW DI VI VI DI 00 00.0 TEMPO MEDIO DI ROMA S] - A =/ La LUNA i =—_——r—rPm r—T Cie z,:) fs) passa È nasre al tramonta |a meridiano D h m h m h m 20 49p>| (Ti Ale pa 9 3 44 891 12 460.| 10 3 40 9 19 1 (858 41 AR) 105 STRO 12 4 28 10) (51 VABBE: TO) 13 OE 1190 524 14 Da —— (OR, 15 5 46 12 24u 7 (56 16 (Gost a co 844 17 6 54 100056, 9 42 18 e 2 44 10 40 19 8 26 3 34 14° 334 20 9021 SEZ, 12. H6p 124 1020 DI 12 56 22 AS 559 1 129 23 —_-. 6 46 1. 158 24 12270, SA 2 24 25 12993 LS ag 7 2 49 26: PANE en; 3 148 2 DZ 9 50 397 28 SEG 10 40 405 29 025 11 34 4 197 30 7,42 #(/12 ‘ipa (5 1 90 1. 33 62 2 10. 243 230 Pi (0) 3 sel) 339 SC 4 42 5os 440.9 20 5 1dm/5) 51007 10088 6. 1 er LE, 6 29 411 48 7 7 8 (e da Di Il giorno nel mese diminuisce di 4b gm 12 La Luna è in Apogeo 6h pom. 24 Id. Perigeo 4 pom. Il Sole entra nel segno Sagittario il giorno 22 ad ore 2 m; 49 ane, EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 49 Dicembre 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA a a a) Ii SOLE La LUNA a 2 e e” ” "1 — cs carl TO 3 z| $ passa passa 3 SAR nasce al tramonta || nasce al tramonta | e È, a meridiano meridiano a h m h m h mu h m h m h m 335 die go I 2 allo 2 bari da-0a 9 336 2 40) 9 SOI 8° 49 poni 10 337 3 4A 9 SN ||: 23 CV 9 33 145 id 338 4 42 10 ana 24 10 418 424 12 399 5 43 10 36 o NC *HIRRI Li N 26 3 340 6 44 10 Soil 4 417 | dd 54 6: 34 14 341 % 45 (i) SD 4 52 so 1193 15 342 8 46 sl 36 Di (do: i A+ 3993 08032 16 343 9 47 12 Spril6:-20 fi 28 DDT 17%) 344 | 10 45 12 36 TRE 155 SZ a 10: 43 18 Sdi di 49 15 36 || 8 40 9° Mie HO0 55 19 sdoi 12 50 13 SEL 9 14 RADI A 30 20 41 | 48 bi 14 36 || 10 43 44 (et siBbndpr) 21 348 | 14 5I 14 SORA DaZO | 4227 22 349 5 52 15 36 —— 64 0 Di 23 Sue 16 55 15 3 12290 MO 1 14 24 to 17 54 15 37 Ae 36 7 49 Mia 97 25 9020) 18 54 16 dai 2 40 SEZ Uta 26 905. ‘49 DD 16 376 ||elSg153 9 17 21094 27 354 | 20 55 #7 37 ORIO AOSTA DURO 28 99921 55 17 Ser. 6. 304 Ade AH o II 29 SO 56 18 ce Si II n i VA TO lle) 1 Sa 23 56 18 3 3. D7 de 20 Di (4A 2 358 | 24 56 19 39 ||. 9 55 2:24 MISTI 3 Sade 25 56 19 39 || 10 44 15) (PALI) 4 360 | 26 57 19 40 || 41 18 4 22 9-32 D 0 00 ANSA DI 20 4A || 11 49 vt OA 6 362 | 28 57 21 42,42, 16p.|, @ BM 44 <59 d 363 | 29 58 24 45:12 039 6 49 — 8 904 | _.30 | 58 22 44 1 fg ‘rr,92 16 9 965.31 58 22 45 ilfagz(e) St 200015 10 FASI DELLA LUNA Il giorno nel mese diminuisce di 0h 16, 7 Luna piena 40h 420 ant. ii. 9 DA 10 La Luna è in Apogeo 9 ant. 15 Ultimo quarto 3 48 pom. 23 1d. Perigeo 3 ant. 22 Luna nuova 1 42 pom. Il Sole entra nel segno Capricorno 29 Primo quarto 6 6 ant. il giorno 21 ad ore 3 m. 42 pom. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV. ES FRANCESCO PORRO ECCLISSI (1889) Gennaio 1. — Ecclisse totale di Sole invisibile a Torino. La zona di totalità attraversa parte dell'Oceano Pa- cifico e dell'America Settentrionale. Gennaio 17. — Ecclisse parziale di Luna, visibile a Torino. Principio (ak «a edo 8h 48" ant. Mega Aa ae DI 207 Fine an. casas. bi Sd9 » Grandezza dell’Ecclisse = 0,70 del diametro lunare. Giugno 28. — Ecclisse annulare di Sole, invisibile a Torino ; visibile nell'Africa Meridionale , in parte dell’Arabia, dell'India, dell'Arcipelago Indiano e del Pacifico. Luglio 12. — Ecelisse parziale di Luna, visibile a Torino. Puimciplo tato MIAO. 8" 33" pom. Met @ i. Et dEi. 14944 Dro Eine: pat St, Done bi5 » Grandezza dell’Ecclisse = 0,48 del diametro lunare. Dicembre 22. — Ecclisse totale di Sole invisibile a Torino; visibile in parte dell’America Meridionale, dell’Atlan- tico, dell’Africa e dell’Arabia. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 51 TAVOLA I. TAVOLA IL Quantità di cui l’arco semidiurno Per ridurre la culminazione della luna è aumentato per effetto della rifrezione dal meridiano di Greenwich alla latitudine di 45° 4°. a quello di Torino (Rajna, pag. 72). Effetto Ritardo diurno Riduzione Declinazione della luna al meridiano della rifrazione rispetto al sole di Torino 0° 07 3 = 3,3 372 m 6 15 — 08 34 39,8 11 26 — 09 3 hh 15 0 — 400 3,6 49,1 17 10 4 3,7 53,8 19 2A — 12 38 58,5 2 0 — 153 3,9 63,2 22 26 — 1A 4,0 678 23 BI — 45 4A 68,5 25 10 Atti della R. Accademia — Vol. XXIV. 4% 92 NA 0,000 0,010 0,029 0,049 0,068 0,088 0,107 0,127 0,146 0,166 0,185 0,205 0,224 0,244 0,263 0,283 0,302 0,322 0,341 0,361 0,380 0,400 0,419 0,439 Riduzione 0,00 0,04 0,02 0,03 0,04 0,05 0,06 0,07 0,08 0,09 0,10 0,11 0,12 0,13 0,14 0,15 0,16 0,17 0,18 0,19 0,20 021 0,22 FRANCESCO PORRO TAVOLA III. Per ridurre l'equazione del tempo dal meridiano di GREENWICH a quello di Torino (RAINA, pag. 55). NA 0,439 0,458 0,478 0,497 0,517 0,536 0,556 0,575 0,595 0,614 0,634 0,653 0,673 0,692 0,742 0,734 0,754 0,770 0,790 0,809 0,828 0,848 0,867 0,887 Riduzione 0,23 0,24 0,25 0,26 0,27 0,28 NA 0,887 0,906 0,926 0,945 0,965 0,984 1,004 1,023 1,043 1,062 1,082 4,101 4424 1,140 1,160 1,179 1,199 1,218 1,238 1,257 4,277 1,296 1,346 Riduzione 0,46 0,47 0,48 0,49 0,50 0,51 0,52 0,53 0,54 0,55 0,56 0,57 0,58 0,59 0,60 0,61 0,62 0,63 0,64 0,65 0,66 0,67 EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 53 TAVOLA IV. Archi semidiurni degli Astrì fra — 30° e + 30° ' alla latitudine di Torino =4 45° 4. | D) i per 8<0 | t per $>0 dò t per è<0 | t per è—=0 ò t però<=0|tperd>0 h m h m h .m h m h m hm 0°0| 6 00 |600 || 4°0/|5439 6161 ||8°0|5276 [6324 “i 6 7 10|5593| 07 | 410) 43 | 167 10) 269 | 331 i b 20) 586 14 | 20] 406| 174 | 20] 262] 3380 30] 580 | 20 i 30| 419 | 1840] 30) 255 | 345. 0] 578| 27] 20) sug | 188°) ds] 28 | se 50| 566 dv 50| 405| 195 | sol 22 35,8 fl i 1 0| 560] zo ||5 o| 398| 202 ||9 o| 235 | 365 7 6 7 10° 553 | (27 10| 392 | 208 10| 228 | 372 Ti 7 7 20) 546| 54 | 20) se5| 245 || 20| 221 | 379 30| 540| 60 i 30] 378] 222 || 300 214 | 386 ; 40| 53,3 6,7 40| 372 | 228 : 40| 20,7 | 393 i 50| 526) 74 || 50) 365) 235 || 50] 200 | 402 20| 520) so 6 o| s58| 2 ||to0| 198 | 400 i 10| 498| 87 i 10] 354] 29 || 10) 186 | som j 20] 513 | 94 20| 345 | 255 | 20| 18| 4a 30) 506 | 100 | 30) 338| 262 || 30| 172] 424 40| 500 | 107 40| 334 | 269 40| 165 | 428 4 50] 486 114 | so| se4| 276 | sol 158 | 435 3 0| 480] 120 mol asd | s49° 10] 478 | 187 || t0| 310] 290 || 10) su 456 20| 466) 134 i 201 304 | 296 | 20| 136 | 464 30] 459 | 144 i 30| 297 | 308 30) 4129 | 474 40| 458 | 147 || 40) 290] 310 | d0| 122] 478 50| 446 | 154 50| 283 | 3417 i 50| | 445°| 485 I o DI _ - NI w DL DI 54 FRANCESCO PORRO Segue TAVOLA IV. Archi semidiurni degli Astri fra —30° e 430° alla latitudine di Torino = + 45° 4°. i per $î<0|tper è>0 ) tperò 0|tper$>0 tper è_0|tper 8>0 hecdni h m b- (gn. ND Tm 12°07 16°07| 4532 | 768 ||20°0"| 4 344 {4 344 10) 10,4 524 | 76 i 10| 336 | 264 i 20 9 517 | 88 | 20) se8| 27e i 30) 86 509 | 91 "cad 32,0 | 280 i lapo 79 504 | 99 40| 344 | 289 50| 72 494 | 10,6 50| 303 | 29,7 130) 6,5 48,6 ts A 0| 295 069, | dosi | by 478 | 122_|| 10| 286 | 244 20) 50 ZIA | 129 20) 278) 322 30.) | 48 16,3 | 137 | 30| 270) 330, 40 3,6 155 | 145 | 40| 261| 339, 50 28 148 | 4152 50| 253 | 347 Ia. ! 24 44,0 160. 20) 244 356. 10 14 î 132 | 168 | 40| 236 | 364, 20 |5 06 [6 50%_ 24 | 176,| 20) 27| 398, 30|4599 |7 04_ 4,6 | 184 | 30| 219 | 3840 s0| 592 | 08, 10,8 | 192 | 40| 210 | 390, 50| 584| 16. 10,0 | 200 | 50| 201| 899, 150| 577| 28, 392 | 208 |230| 198 | 407, t0| 569| 34. 384 | 216 | 40| 184| 46 20) 562| 38, 376 | 224 | 20| 175| 25, 90| 554 | 46 368 | 232 | 30] 466) 44, 40| 547 | 58, 360 | 240 | 40| 158| 442 50| 539 | Gi_ 352 | 248 || 50| 449) 45,1, EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA DÒ Segue TAVOLA IV. Archi semidiurni degli Astri fra — 30° e 430° U alla latitudine di Torino =+ 45° 4. tper 80 |tperd>0 È) t per $<0 | {per è>0 è tperè<0|tper8>0 fer plt—_—uu—um<_———lz zato] | ____———2j® bocce h m |/jh m h m |jh m h m |jh m 24°0 | 444,0 |3 460 2600/14 29 (7571 || 280] 3512 |8_ 88 9 9 4 131 | 26,9 io] 20) 560 | f0| 502 | 98 9 122 | 478 20) 10] 590 || 20/ 404 | 109 9 44 40 113 | 48,7 30|4 04 | 599 | 30] #4 | 149 9 4 40 10,4 | 496 40 | 3591 |8_ 09 40] 4741 | 129 9 40 Ad 95 | 50,5 50| 581 | 19 50| 460 | 440 40 40 40 85 (7515 ||2zz0| s71| 29 |[200| 450 | 150 9 i 9 44 76 | 524 10; 562) 38 10| 439 | 16,1 9 40 40 67 | 533 | 20| 552| 48 20| 429 | 174 40 AA 58 | 542 30| 542 | 58 30) 418) 182 40 40 | 48 | 552 || #0| 532| 68 40| 407 | 198 40 | 39 | 561 | S0| See 78 50| 396.| 204 A 40 40 30 0 | 3 38,6 |8 241,4 56 FRANCESCO PORRO TAVOLA V. Per ridurre il nascere ed il tramonto della Luna dall’orizzonte di Parigi a quello di Torino. Argomenti della tavola sono gli archi semidiurni (in tempo medio) che si ottengono dalla Connaissance des temps, prendendo la differenza fra i tempi del nascere (o del tramonto) e quelli della culminazione su- periore al meridiano di Parigi. Applicando ai tempi del nascere (o del tramonto) le correzioni date dalla tavola, sì hanno, én tempo medio di Roma, i tempi del nascere 0 del tramonto) a Torino. Nascere della Luna Arco Riduzione Arco Riduzione | Arco Riduzione semidiurno a Torino semidiurno a Torino semidiurno a Torino | | ZL 34m 5h 480 | 70 250 3) 37 i e Lei e 99 Leal 3) 8 ve ls = Le aa urti | Ss 48 Ta dg & or | 76 bi: ig 54 pei Ut ab Te ata ba #" "o die; & raf NI La 4 6 È E 6- di I: e da Me £ Sad 8 4 he 4 19 Maj he. a iti) 8 20 | We 4 26 ali a | 8 28 bei pet3 6 38 |8 4 40 di i 6 46 na | 8 38 Wi. PR; IR OSS i; | 8% HA 4 55 7 2 8 50 52 mado ReLj 8 55 Wi 5 40 oli È DCS Rag Li DT pa 5 48 ud a | EFFEMERIDI DEI, SOLE E DELLA LUNA 97 Segue TAVOLA YV. Tramonto della Luna Arco Riduzione Arco Riduzione || Arco Riduzione semidiurno a Torino semidiurno a Torino semidiurno a Torino | 3h 30m 5h 16m | 7h 23m + 25% | 4-9 3» BE Di 02% ez A | STAR + 8 3 GI DI BE 100038 Son LE Se AT a ISO, DO45 + 22 +6 Ss 53 an 29 70852: + 21 + 5 SN n9 Boo A 59 + 20 + 4 4 5 6 3 8 6 + 19 +3 ZARA A 67044 Pa S 045 + 18 | + 2 4 418 6019 819 449 Si AZZ 600028 8° 025 + 16 sial0 E I 6-30 SUSA + 415 — 1 4 38 6 44 SNST + 14 — 2 4 46 (O (NINE 3 ARBBEO + 13 — 3 Vi ASS, 7 0 8 49 + 12 — 4 5 41 7 8 8_ + 11 — 5 5 8 TN0A6 + 410 SERA 7MMEZA: L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. Torino, Stamperia Reale della Ditta G. B. Paravia e C. 2511 (150) 91-89. Kid Ad1S0 FINIRIOR BRE per again re da ATOYAT sarai peri i e i RA —— dat dari da rta o hl "osi bet dts erat su n grad” ut titan gra » re SR ein rr + / " L TL 4 n -_—___ennzcetomt — —— contee —trcme@e—e meme zia ne ae i a a ——_ cn Sfagi —ea gno crea ce È . È. z eroina CERTEZZA Ca pa _ « pena tot" nirirn idea [+ EP = _ Ti. ET ®- aa ia v La Pes ui îi D i ii ses ra Mr SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 18 Novembre 1888... . ..... 0. Pag. 1 Basso — Commemorazione di Rodolfo CLauSsIUS. . . . ././.... » 3 CastELNUOvo — Geometria sulle curve ellittiche . .. <<... » 4 MoreELLI — Elettrometro ad emicicli - Teoria ed applicazioni come wattometro, voltometro ed amperometro per correnti continue, » 22 Porro — Effemeridi del Sole e della Luna... ........ 4. » ‘96 ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 2°, 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 59 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 2 Dicembre 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, SALVADORI, BRUNO, BERRUTI, Basso, D'Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI. Letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, il Presidente commemora alla Classe la morte del Socio nazio- nale, non residente, Conte Paolo BALLADA di Saint-ROBERT, av- venuta il giorno 21 dello scorso novembre, e con parole di vivo rimpianto ne ricorda le alte benemerenze scientifiche. Incarica il Socio Basso di redigerne una Commemorazione da leggersi in una prossima adunanza, e nello stesso tempo incarica il Socio Cossa di elaborare il discorso commemorativo per il compianto Socio e Segretario perpetue della Classe Ascanio SoBRERO. Si legge una lettera del Segretario del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, nella quale si esprimono all'Accademia i sensi di condoglianza dell’Istituto stesso per la perdita del Socio SAINT-ROBERT. : Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine se- guente: 1° « Sulle ghiandole tubulari dell’intestino e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento » ; del Socio Biz- ZOZERO, 2° « Sull’azione difensiva dei parafulmini » ; Nota del Socio NACCARI. In quest'adunanza il Socio Basso è eletto alla carica trien- nale di Segretario della Classe, in sostituzione del compianto Socio Comm. Prof. Ascanio SoBRERO. (b1 | Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV, 60 GIULIO BIZZOZERO LETTURE Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mucosa Nota 1° - del Socio Prof. GiuLIo BizzozERO (Tav, II) In alcuni miei antecedenti lavori (1) io, notando come le cellule epiteliali in via di scissione cariocinetica siano numerose nelle ghiandole tubulari dell’intestino e nelle fossette gastriche, mentre mancano affatto nell’epitelio di rivestimento della corrispon- dente mucosa, era stato indotto a supporre che queste mitosi servis- sero, non già a compensare un eventuale consumo di cellule causato dalla loro attività funzionale, ma sì invece a sostituire le cellule dell’epitelio continuamente desquamantisi. La rigenerazione. di tale epitelio avrebbe, quindi, luogo non già nell’epitelio stesso, ma nelle ghiandole tubulari (rispettivamente: ghiandole di Galeati e fossette gastriche). Fin d’allora aveva raccolti dei dati atti a convalidare la mia supposizione. — Dopo d’allora ho continuato le mie indagini, estendendole a parecchie specie di ghiandole; e siccome i risultati ottenuti sono pienamente concordanti fra loro, e d’altra parte sono venute in luce alcune nuove particolarità di costituzione chimica ed istologica di queste ghiandole, così reputo ora conveniente di dar comunicazione de’ miei studi in alcune note che verrò presentando alla nostra Accademia. E comincierò, oggi, col descrivere le ghiandole tubulari del retto e del colon di coniglio. — Alla fine dirò brevemente dei metodi usati in queste indagini, ed esporrò alcune considerazioni generali sull'argomento. (1) Bizzozero e VassaLe, Archivio per le Scienze med., vol. XI, 1887, p. 248. — Bizzozero, Atti del Congresso medico di Pavia,1887, vol. I, p 134. — Gazzetta degli Ospitali, 1888, n. 36. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 61 È Ghiandole del retto di coniglio. Nella mucosa del retto le ghiandole sono corte, tutte press’a poco della stessa lunghezza, disposte a palizzata, terminanti il più delle volte con un solo fondo cieco, e collocate assai vicine l’una all’altra, sicchè i loro sbocchi sono del pari vicinissimi, e di conseguenza la superficie libera della mucosa rettale è molto piccola ed ha la configurazione di una rete, le maglie della quale sono costituite appunto dagli sbocchi ghiandolari. L’epitelio della superficie libera, esaminato in sezioni verticali di preparati induriti, appare di un solo strato, costituito d'alte cellule cilindriche, terminate nella estremità che guarda il lume intestinale da un orlo lucente, e finamente striato, simile a quello delle cellule del tenue, ma più sottile. L’altra loro estremità è pure tronca e s'impianta sulla mucosa. La linea di confine fra le cel- lule epiteliche e la mucosa è netta e spiccata, ed esclude qua- lunque idea di penetrazione di prolungamenti di quelle nello spessore di questa. Ciò appare specialmente nei preparati indu- riti nell’alcool e colorati con picrocarmino, poichè in questi il protoplasma giallognolo, granuloso dell’epitelio sì vede cessare bru- scamente verso la mucosa, che è invece incolora e assai traspa- rente, essendo costituita d’un tessuto connettivo molto delicato, reticolare e spugnoso. — Il nucleo è ovale, allungato nel senso stesso della cellula, ed è collocato un po’ più vicino alla estre- mità libera che a quella d’impianto della cellula stessa sulla mucosa. Talora si osservano delle cellule contenenti due nuclei, od anche tre, l’uno addossato all’altro. — In alcune cellule, poi, si scorgono, immersi nel protoplasma, dei granuli pallidi, rotondi, di svariata grossezza (da meno di lp a 2 e più), i quali si imbevono intensamente colle sostanze coloranti la cromatina nu- cleare. Questi granuli sono, come vedremo più tardi, in rapporto colla distruzione di una parte di quelle cellule amiboidi, che stanno nello spessore dello strato epiteliare, e che sono numerose tanto in quest'ultimo, quanto negli strati superficiali del connettivo della mucosa. In tutto il tubo gastro-enterico si vedono queste cellule amiboidi nell’epitelio. Quello che mi parve caratterizzi l’epitelio 62 ì GIULIO BIZZOZERO + del retto di coniglio è, che vi sono frequenti le cellule amiboidi a protoplasma abbondante e a nucleo allungato e aggomitolato. Di queste cellule nessuno, trovandole nello spessore dello strato epiteliare, potrebbe credere che fossero cellule di ricambio (Er- satzzellen), tanto è facile, alla forma del loro nucleo, riconoscerne la natura. Fra le cellule cilindriche protoplasmatiche si trovano abba- stanza frequenti delle cellule contenenti muco. Ma di queste ci occuperemo più avanti. Nell’epitelio di rivestimento del retto, per quanto io variassi i metodi d’indagine, non ho mai trovato alcun indizio di mol- tiplicazione per cariocinesi. Debbo considerare come straordinarie eccezioni le due sole cellule in mitosi che vi osservai nel lungo corso delle mie indagini. E tuttavia anche normalmente ha luogo, in varia misura nei diversi animali, una esfogliazione cellulare. Come, adunque, queste: cellule si riproducono? La risposta verrà data dallo studio delle ghiandole. Spetta a G. Klose (1), scolaro di Heidenhain, il merito di aver posto in evidenza la notevole differenza che passa fra le ghiandole tubulari del tenue e quelle del retto. Queste si distin- guono da quelle tanto per la natura del loro secreto, che è pre- valentemente mucoso, quanto per la costituzione del loro epitelio, nel quale predominano le cellule mucipare; nel coniglio, anzi, non ci sarebbero quasi che queste, mentre nel cane le cellule mucipare si alternano colle protoplasmatiche (2). È facile persuadersi dell’esattezza delle osservazioni di KYose; ma, impiegando nello studio i nuovi metodi di ricerca introdotti nella scienza, è facile altresì riconoscere altri fatti sfuggiti alla sua accurata osservazione. Innanzi tutto, nei preparati colorati coll’ematossilina I sì può constatare, che le ghiandole del retto di coniglio contengono un certo numero di cellule epiteliche in via di cariocinesi. Non (1) KLose, Beitrag zur Kenntniss der tubulisen Darmdriisen. Diss.-Inaug. Breslau 1880. (2) KLose, l. c. pag. 17. (3) Si deve dare la preferenza all’ematossilina sulle altre sostanze colo- ranti i nuclei in mitosi, perchè queste ultime, come si vedrà, colorano assai fortemente il muco, e quindi le mitosi non si scorgono facilmente. i SULLE GHIANDOLE TUBULARI 63 sono molto numerose, trovandosene 1 all’incirca ogni due o tre ghiandole; ma sono costanti anche nell’animale adulto o vecchio. Le mitosi stanno a preferenza in due punti: nel cul di sacco, e poco lontano dallo sbocco ghiandolare; non mancano, però, nel resto del tubulo. — I nuclei in mitosi, come nelle altre ghian- dole, si trovano anche in queste più vicini al lume ghiandolare che non i nuclei in riposo. Un secondo punto in cui debbo modificare la descrizione data ‘da Klose è questo, che, trattando i preparati con certe sostanze coloranti, le cellule ghiandolari non si comportano tutte allo stesso modo. Ciò sfuggì a Klose, perchè egli usò colorare soltanto col picrocarmino, coll’ematossilina e col carmino allume (1. c. pag. 18), con sostanze, cioè, che rendono poco o nulla evidente il fatto di cui parlo. — Se, invece, una sezione verticale di mucosa ret- tale previamente indurita nell’alcool assoluto, viene colorata colla vesuvina, poi, lavatala per qualche minuto nell’alcool assoluto, viene passata nell’olio di garofani e poi chiusa nella damar, si ‘scorge (fig. 1°) che l’epitelio ghiandolare è costituito da due forme cellulari alternantisi fra loro dall’uno all’altro capo della ghian- dola; nell’una il corpo della cellula è fortemente colorato, nel- ‘l'altra è rimasto incoloro. Questa differenza spicca, più che altrove, verso la metà del tubulo; quivi le cellule colorate appaiono ‘(quantunque la ghiandola sia stata sezionata parallelamente al suo ‘asse maggiore) sotto forma di piramide, colla base alla periferia, e coll’apice, leggermente tronco, limitante il lume ghiandolare. Il loro: nucleo è ovale, alquanto appiattito, e schiacciato al- l'esterno, contro la membrana ghiandolare. Il corpo cellulare è ‘tutto occupato dalla sostanza colorata, in cui si scorgono nu- merosi vacuoli, sicchè la sostanza stessa assume l'aspetto di re- .ticolo a grosse trabecole (1). In moltissime cellule, poi, si può ‘constatare come esse siano proprio cellule mucose secernenti ; ‘infatti nel lume ghiandolare si scorge un cordoncino irregolare, ‘che offre le stesse reazioni del contenuto delle cellule anzidescritte (materiale mucoso secreto, raggrinzato dai liquidi che servirono per l’indurimento), e che è in connessione con esse per mezzo di un filuzzo di sostanza della stessa natura (fig. 1). (1) Credo conveniente di notare che questa struttura reticolare si riferisce a preparati induriti nell’alcool, Nel fresco il corpo delle cellule in discorso è, come in tante altre cellule mucipare, a grossi granuli. 64 GIULIO BIZZOZERO Le cellule chiare occupano tutto lo spazio lasciato libero dalle precedenti, posseggono un nucleo ovale spinto verso la periferia, e la sostanza che costituisce il loro corpo si distingue, oltre che per la scarsa o nessuna affinità per la vesuvina, per essere pal- lida, omogenea, ed attraversata in tutto il suo spessore da un sottile reticolo. Una differenza di colore così bella come quella della vesuvina si ottiene col verde di metile, conservando, poi, i preparati in glicerina. La ottenni pure, ma un po’ meno spiccata, col metodo all’acido cromico (1), colla fucsina, colla safranina e coll’ema- tossilina preparata secondo la formola che io ho dato nel mio Manuale di microscopia clinica (2), mentre quella preparata secondo la formola di Stòkr colora meno il corpo cellulare e più i nuclei (3). Del resto, non c’è bisogno di colorazione per dimostrare la differenza che corre fra queste due specie di cellule ghiandolari ; si può giungere allo stesso scopo esaminando le sezioni, non co- lorate, nell’alcool assoluto. Col microtomo si fa una sezione sotti- lissima della mucosa inclusa in paraffina, e la si mette in poche goccie di trementina per liberarla dalla paraffina; dopodichè la si lava nell’alcool assoluto, e la si esamina in una goccia pure di alcool. Appaiono bene le due specie di cellule: le une chiare, pallide, attraversate da un fino reticolo, le altre a forma di pi- ramide, e con un corpo incoloro, ma splendente e vacuolizzato. Se ora ad uno dei lati del coproggettisi depone una goccia d’acqua, o di soluzione di picrocarmino, si vede che, man mano che la soluzione penetra, tutte e due le specie di cellule si gonfiano, e, nel far ciò, quelle splendenti (mucose) dapprima diventano più omogenee, poi impallidiscono fortemente, e lascian vedere un re- ticolo a sottili trabecole che attraversa il loro corpo cellulare. A questo modo diventano quasi eguali alle cellule pallide, sicchè solo un occhio che tenne dietro a questa loro trasformazione, può distinguerle ancora, perchè conservano ancora qualche accenno della (1) Bizzozero, Zeitschr. f. wiss. Mikr., vol. III, 1886, p. 24. (2) 3a ediz. italiana pag. 36. — 22 ediz. tedesca pag. 31. (3) Le tinture d’ematossilina preparate con diverse formole hanno diversa affinità pel muco. Ciò spiega come KLEIN colorasse coll’ematossilina le cel- lule caliciformi, mentre KLose (l. c.), meravigliandosi di ciò, dice che egli le ottenne sempre « hell und ungefàrbt. » SULLE GHIANDOLE TUBULARI 65 rifrangenza primitiva. Queste modificazioni dipendono puramente da ciò, che la sostanza mucosa cromatofila contenuta nelle cellule, a contatto dell’acqua o di soluzioni acquose, si gonfia ed impal- lidisce; non è già conseguenza di una trasformazione chimica. Infatti, se ad un preparato così trattato si sostituisce di nuovo all'acqua una goccia d'alcool, il preparato, man mano che il primo scaccia la seconda, riacquista l’aspetto primitivo, e la dif- ferenza fra le due specie di cellule ritorna evidentissima. E così il giuoco si può ripetere parecchie volte. Oltre che coll’alcool, la differenza fra le due specie di cel- lule si dimostra anche coll’acido acetico. Questo quando agisca a forte concentrazione, mentre rende pallidissime e a poco a poco invisibili le cellule chiare e in genere tutti gli altri elementi del preparato, mentre fa impallidire, fin quasi a renderli invisibili, i nuclei delle cellule mucose, non altera la sostanza splendente contenuta in queste ultime; la quale, anzi, frammezzo al resto del tessuto impallidito appare più splendente e spiccata. — Questa reazione dell'acido acetico è di molta importanza, perchè ci di- mostra che il contenuto delle cellule splendenti è rappresentato da vera sostanza mucosa, com'è vero muco la sostanza cromatofila contenuta nel lume delle ghiandole; mentre le cellule incolore non danno traccia della reazione della mucina. Quanto finora dissi dell’epitelio ghiandolare si riferisce spe- cialmente a quello che si osserva verso il terzo medio della ghiandola; nel terzo esterno e nell'interno si notano delle diffe- renze di cui importa assai tener conto, quando si voglia ben co- noscere la vita delle cellule ghiandolari che stiamo esaminando. Nel terzo profondo, vale a dire nel fondo cieco, mentre le cellule chiare hanno press’a poco lo stesso aspetto che nel terzo medio, le cellule cromatofile si distinguono dalle corrispondenti del terzo medio per una minore affinità per le sostanze coloranti. Se, p. es., osserviamo un preparato in vesuvina, vediamo che le cellule cromatofile, pur essendo tutte colorate, lo sono tanto meno intensamente quanto più ci avviciniamo all'apice del cul di sacco; se invece il preparato è al verde di metile (fig. 3°), la colorazione diminuisce di tanto, che nel fondo cieco è appena sensibile, sicchè qui le cellule cromatofile quasi non si distinguono dalle incolore. E parimenti, se trattiamo un preparato coll’alcool, ovvero col- l’acido acetico, troviamo che le cellule cromatofile, man mano ci avviciniamo all’apice del cul di sacco, diventano sempre meno 66 GIULIO BIZZOZERO splendenti. Risultati consimili ci danno anche gli altri già men- zionati coloranti del muco. — Appare, quindi, evidente che le cellule cromatofile, procedendo dal fondo cieco verso il terzo medio della ghiandola, vanno man mano arricchendosi di quella sostanza mucosa che resiste all’acido acetico, ed a cui debbono la loro grande colorabilità. Nel terzo profondo delle ghiandole, come dissi, le mitosi sono relativamente frequenti. Se ne vedono in tutti gli stadi; la massa nucleare filamentosa è relativamente piccola, il corpo cellulare è costituito da sostanza pallida ed omogenea, attraversata da un reticolo a sottili trabecole (fig. 2*). Stante la poca differenza che qui c'è tra le due forme cellulari, non si saprebbe decidere se le mitosi appartengano piuttosto alle cellule chiare, alle cellule mucose o ad entrambe. Le cellule tappezzanti il terzo superficiale delle ghiandole da una parte si continuano con quella del terzo medio, dall’altra trapassano nell’epitelio di rivestimento. Nè verso una parte, nè verso l’altra troviamo un limite netto; gli elementi si modificano gradatamente, e la modificazione ha luogo in ambe le specie “di cellule. Infatti, esaminando le cellule cromatofile in preparati induriti nell’alcool, sezionati di parafina, coloriti col verde di metile ‘e -conservati in glicerina (fig. 4*), si vede che il blocco piramidale di muco che le riempie nel terzo medio della ghiandola (fig. 4* a), quanto più si procede verso lo sbocco di essa diventa piccolo, si allontana dal nucleo e si porta verso l’ estremità interna della cellula (6) ; con altre parole, la cellula continua ad emetter muco senza produrne del nuovo. Tali cellule si riscontrano anche in corrispondenza dell’orificio ghiandolare ed al dintorno di esso nel- l’epitelio di rivestimento dell’intestino, ma sono molto modificate ; esse sono allungate, compresse dalle cellule circonvicine (c); il loro nucleo, non più schiacciato dalla gocciola di muco, si.è por- tato un po' più verso il mezzo della cellula, ove sta circondato da protoplasma granuloso, e, infine, il blocco di muco, assai ri- ‘dotto in volume, occupa parte dell’estremità libera della cellula, ‘e in parte sporge da essa, trovandosi così libero alla superficie della mucosa. Il blocco ha, a questo modo, la figura di un 8, -‘e la strozzatura dell’8 corrisponde allo stretto orificio della cel- lula pel quale il muco sta passando. La cellula è così diventata una cellula caliciforme dell’epitelio di rivestimento. — In un ‘ul- SULLE GHIANDOLE TUBULARI 67 timo stadio, che si compie quando le cellule formano già parte dell’epitelio di rivestimento dell’intestino, le cellule possono svuo- tarsi di tutto il muco, ed allora, tanto pel nucleo quanto pel corpo, assomigliano alle cellule epiteliche comuni, salvo che man - cano di orlo lucente. Non ho potuto accertare se un certo nu- mero di esse possa, acquistando quest'orlo, trasformarsi in com- | plete cellule protoplasmatiche. Figure assai istruttive di questo processo di evoluzione delle cellule mucipare si ottengono eziandio da pezzi induriti nel liquido di Flemming, ridotti in paraffina in sezioni sottilissime, le quali vengono poi colorate colla safranina e conservate in dammar. È con questo metodo che si ottenne la fig. 5° che rappresenta uno sbocco ghiandolare. La sostanza mucosa spicca assai perchè viene fortemente colorata dalla safranina; non presenta, però, evidente quella forma reticolare, ch’essa, invece, manifesta, come si disse, quando è indurita coll'alcool. Il liquido di Flemming la rende di aspetto omogeneo; soltanto coi migliori obbiettivi si può ac- certare che essa è attraversata da un fino reticolo. Nella figura è disegnata porzione del terzo superficiale della ghiandola. Nella sua parte inferiore si vede che le cellule hanno ancora forma piramidale, e che al loro sbocco nel lume ghiandolare presentano un piccolo zaffo di muco più intensamente colorato. An- «dando verso lo sbocco della ghiandola, le cellule si impiccioliscono alquanto, e tendono a diventar sferiche; il nucleo è sempre schiac- ciato alla periferia. In uno stadio più avanzato la cellula impiccio- lisce ancora, e quella parte in cui sta il nucleo tende, vista di col- tello, ad assumere forma triangolare, e s'imbibisce fortemente della sostanza colorante. — In corrispondenza dello sbocco ghiandolare le cellule, in conseguenza evidentemente della forte pressione che soffrono in quella loro metà che è fissata sulla mucosa, hanno già acquistato la forma di calice; il muco, cioè, forma un globo nella metà superficiale della cellula, e in parte fuoresce da essa; la metà profonda dell’elemento invece è appiattita, è fortemente «colorata colla safranina, e contiene un nucleo pure schiacchiato, ‘e colorato con intensità anche maggiore. — In un ultimo periodo le -eellule entrano a far parte dell’epitelio dell’ intestino, e si .-distinguono dalle antecedenti soltanto per questo, che il globo di muco che contengono si è impicciolito ancora di più. Nello studiare le modificazioni di forma che presenta la metà profonda delle cellule è da tener presente, che la pressione che 68 GIULIO BIZZOZERO le determina non sì esercita in tutte le direzioni; la pressione viene esercitata dalle cellule che stanno nel lume ghiandolare verso le cellule dell’ epitelio di rivestimento ; vale a dire nella direzione che assumerebbe il prolungamento dell’ asse longitudi- nale della ghiandola s’esso si curvasse per decorrere parallelo alla superficie dell’intestino. Ne consegue, che la metà profonda delle cellule caliciformi diventa appiattita ; sicchè vista di coltello appare sottile col nucleo allungato, vista di fronte è larga, e pre- senta il nucleo di forma ovale. Ne consegue pure che le figure di coltello si hanno soltanto in quei punti della sezione in cui essa passa nel piano mediano longitudinale delle ghiandole (come nella più parte delle cellule della fig. 5*), mentre negli altri punti si hanno figure di sbieco o di fronte (a della fig. 5*). Noteremo di passaggio che (come appare dalla stessa figura), nei preparati induriti col liquido di Flemming e colorati con safra- nina, l'intensità di colorazione del muco diminuisce gradatamente andando dalle cellule ghiandolari a quelle caliciformi dell’epitelio di rivestimento. In queste ultime, poi, nell’ interno del muco si scorgono dei corpicciuoli rotondi od ovali, intensamente colorati. — Noteremo ancora, che anche nei preparati induriti nel liquido di Flemming le cellule mucose si imbevono assai intensamente colla vesuvina; quest’ultima, anzi, è preferibile alla safranina quando si vogliano far spiccar le cellule caliciformi dell'epitelio di rivestimento. Anche le cellule chiare si modificano procedendo verso lo sbocco ghiandolare. Già ad una notevole distanza da questo il reticolo che attraversa il corpo cellulare va facendosi sempre più fitto, mentre progressivamente la sostanza omogenea che sta fra le sue maglie diminuisce; la cellula impicciolisce di alquanto, e, pel continuo impicciolirsi delle maglie del reticolo, alfine acquista aspetto granuloso, simile a quello dell’epitelio di rivestimento; al par di questo, eziandio, acquista la proprietà di colorarsi in giallognolo col picrocarmino, mentre prima vi rimaneva incolora. Il nucleo, dapprima schiacciato all’estremità profonda del corpo cellulare, si dispone col suo asse più lungo parallelo a quello della cellula, e s'avanza fino a trovarsi nella metà superficiale del corpo di questa. Infine a non grande distanza dallo sbocco la linea limi- tante la estremità libera delle cellule, dapprima sottile e liscia, va diventando un po’ più grossa e finamente striata, e, così, in corri- spondenza dell’orificio della ghiandola arriva a presentare l’aspetto SULLE GHIANDOLE TUBULARI 69 dell’orlo lucente e striato proprio dell’epitelio di rivestimento. — Dopo questa descrizione, che ho dato, dell’epitelio delle ghian- dole rettali parmi si possa dare una risposta alla domanda: come si rigenera l’epitelio dell'intestino? E non credo che la risposta possa essere altra che questa: esso non si rigenera per moltipli- cazione de’ suoi propri elementi; la sua continuità è conservata dal successivo ‘e proporzionato trasformarsi in cellule epiteliche superficiali delle cellule rivestenti le ghiandole tubolari. — Infatti: 1° nell’epitelio di rivestimento non esistono cellule in mitosi, mentre esse esistono costantemente in quello delle ghiandole ; 2° tra l’uno e l’altro epitelio non esiste un limite netto; c’è un passaggio graduato dall’epitelio ghiandolare a quello della super- ficie libera ; 3° trattandosi di ghiandole adulte, le mitosi del loro epitelio, se non servissero alla conservazione dell’epitelio di rive- stimento, dovrebbero necessariamente servire a sostituire cellule ghiandolari distruggentisi durante la secrezione. Ora, in nessuno de’ miei numerosissimi preparati io ho trovato la traccia di ele- menti in distruzione nè nell’epitelio secernente, nè nel lume ghian- dolare; e si noti che questo lume è piccolo, e quindi sarebbe facile la constatazione del fatto; 4° il variare dell’aspetto delle cellule mucose a seconda del punto della ghiandola in cui si considerano dimostra che, non solo le mitosi vicine all’ orificio, ma sì ancora quelle residenti nel fondo cieco contribuiscono a conservare l’integrità dell’epitelio di rivestimento. E per vero, noi abbiamo veduto che, di queste cellule, alcune sono distese da molto muco poco colorabile, altre sono distese da un blocco piramidale di muco molto colorabile, altre, infine, hanno buona parte del loro corpo di natura protoplasmatica, e non contengono più che un piccolo blocco di muco, di cui sono prossime a svuotarsi del tutto. Ora, questi diversi aspetti delle cellule cromatofile non possono corrispondere a diversi stadi della loro attività funzio- nale, perchè, se così fosse, cellule con l’uno o l’altro di questi aspetti dovrebbero indifferentemente trovarsi in qualsivoglia punto della ghiandola; e, invece, ciò non s’osserva mai, giacchè, come dissi, le cellule a muco poco colorabile sono tutte nel terzo profondo, le cellule piramidali nel terzo medio, e le cellule caliciformi nel terzo superficiale della ghiandola. E neppure si può accogliere la sup- posizione che ogni ghiandola sia costituita da tre porzioni, aventi ciascuna cellule mucose proprie e particolari, giacchè feci già notare che dalle cellule cromatofile a muco quasi non colorabile :70 GIULIO BIZZOZERO le quali stanno nel fondo cieco, si passa, per una serie gra- duata di cellule a muco sempre più colorabile, alle cellule pira- midali, intensamente colorate del terzo medio della ghiandola ; e da queste, pure per gradazioni successive, alle cellule in via di svuotarsi di tutto il loro muco che stanno all’ orificio della ghiandola e nell’epitelio intestinale che lo circonda. Tutto ciò ‘non si può spiegare che ammettendo: 1° che i diversi aspetti delle cellule cromatofile corrispondono a diversi stadi della loro vita; 2° che le cellule cromatofile più giovani stanno nel fondo ‘cieco, mentre le più vecchie risiedono all’orificio ‘della ghian- dola e nell’epitelio di rivestimento dell'intestino. Ammesso ciò, si deve ammettere implicitamente, che le cellule più profonde delle ghiandole, spostandosi gradatamente dal basso all’alto, vengono in ultimo a formar parte dell’epitelio di rivestimento dell'intestino. Mi sono occupato anche di indagare qual rapporto esista fra le cellule cromatofile e le cellule chiare. La loro diversa costi- tuzione e il diverso aspetto sono forse dovuti al fatto che ‘le cellule, pur essendo tutte della stessa natura, sono in diverso “stadio funzionale? La cellula chiara è forse una cellula già svuo- tatasi del muco secreto, mentre la cellula cromatofila che le sta vicina è ancora carica di muco; sicchè nel periodo immediata- mente successivo quella, producendo nuovo muco, diventerà cro- matofila, mentre questa, svuotandosi del suo, apparirà come cel- lula chiara, e così di seguito? Debbo confessare che questa fu la mia prima supposizione; e che furono i fatti che mi persua; sero a concludere in modo diverso. 1 Se la supposizione fosse vera, noi dovremmo trovare tutte le forme di passaggio fra l’una e l’altra specie di cellule; come si trovano in tutte quelle ghiandole (salivari, gastriche, pancreati- che, ecc.) in cui l’osservazione anatomica dimostrò variazioni isto- logiche corrispondenti ai diversi stadi di attività funzionale; do- vremmo vedere, cioè, cellule chiare con poco muco, altre che ne contengono di più, e così, progredendo, altre in cui il muco riempie quasi tutta la cellula, fino ad arrivare alle cellule cromatofile tipiche. Invece, nulla di tutto ciò. Se noi consideriamo un tratto del tubulo in cui ambe le specie di cellule sono nel loro pieno sviluppo; cioè il terzo medio della ghiandola, vediamo che le cel- lule cromatofile sono sempre fortemente distese dal muco, mentre le chiare non presentano neppur traccia di questa sostanza; fra quelle e. queste, anzichè forme di passaggio, c'è un vivo e spic> SULLE GHIANDOLE TUBULARI fi cato contrasto. Le due forme cellulari, adunque, debbonsi con- siderare come appartenenti a due specie distinte di elementi. Ciò non consuona coi risultati ottenuti da A/ose (1) e con- fermati da Heidenhain (2). Sottomettendo i conigli all’ azione: della pilocarpina, in modo da eccitare fortemente l’attività se-. cretoria dell'intestino, essi videro succedere profonde modificazioni nelle cellule mucose delle ghiandole tubulari del coniglio; infatti, il muco ne esce, fino a non rimanerne più traccia, il nucleo s’ar- rotonda e si allontana dall’ estremità della cellula, portandosi verso il mezzo di questa; il muco uscito viene sostituito da una. sostanza granulosa, ricca di albumina, che si colora intensamente: in rosso col carmino ; in breve, le cellule diventano « vollkommen: shnlich den Zellformen, welche die typische Auskleidung dér: Diinndarmdriisen bilden (3). » Secondo questi osservatori, adunque,: le cellule mucose potrebbero, dopo un periodo di esagerata atti-. vità, riacquistare i caratteri di cellule protoplasmatiche. Questi risultati m’ hanno mosso a ricercare se per questa via io potessi modificare le cellule cromatofile in modo da renderle: eguali alle cellule chiare. K/ose ed Heidenhain non potevano pen-: sare a ciò, perchè non riconoscevano nelle ghiandole che una sola forma cellulare; ma, una volta che fu dalle mie osservazioni accertato, che le cellule appaiono sotto due forme, era logico sospettare, che se la differenza fra esse dipende da ciò che l’una è carica, l’altra è vuota di muco, era logico sospettare, dico, che ogni differenza dovesse scomparire quando, per mezzo della pilo- carpina, anche le cellule cromatofile si fossero liberate del loro. materiale di secrezione. A questo scopo produssi una profusa e prolungata secrezione delle ghiandole in conigli adulti del peso di 1800-2000 grammi, iniettando loro ipodermicamente in tre ore quattro siringhe di una soluzione di idroclorato di pilocarpina, in modo che in tutto. ricevessero g. 0,03 di sale, ed uccidendoli mezz’ ora dopo l’ul- tima iniezione. Le iniezioni dovettero essere così ripetute perchè i loro effetti, benchè intensi, sono passaggieri. La mucosa rettale venne indurita parte in alcool, parte nel liquido di Flemming. Le sezioni dei pezzi induriti dimostrano già ad un esame (1) Lac.se. p..25. (2) Loc. c. p. 166. (3) HEIDENHAIN, l. c. p. 166. 72 GIULIO BIZZOZERO superficiale notevoli modificazioni. Innanzi tutto le ghiandole sono un po’ più sottili delle ghiandole normali; infatti, paragonando quelle a queste in pezzi induriti collo stesso processo nel liquido di Flemming si trova che le prime hanno verso la metà della loro lunghezza una grossezza media di 44,25 f., mentre le se- conde misurano 52 f.. Questa piccola diminuzione è imputabile specialmente all’epitelio ghiandolare, poichè non mi parve che il lume fosse apprezzabilmente impicciolito. Ciò, però, che più spicca, è la modificazione delle cellule mucipare. La sostanza cromato- fila che contenevano, in alcune (e sono le più numerose) è scom- parsa del tutto, nelle altre è in via di scomparire. Nei preparati induriti nell’alcool e colorati con vesuvina è facile vedere come ciò succeda: le trabecole del reticolo formato dalla sostanza cro- matofila (fig. 7°) vanno facendosi sempre più sottili, poi diventano interrotte, ed alla fine si sottraggono alla vista. Il corpo della cellula, però, impicciclisce, come s'è detto, di poco, perchè il posto delle trabecole scomparse viene occupato dal crescere della sostanza incolora che riempiva i vacuoli da esse limitati. Com'era a supporsi, la sostanza cromatofila scompare per ultimo là dove essa era contenuta in maggior copia, cioè verso il mezzo della lunghezza della ghiandola. Noto di passaggio che il nucleo delle cellule, come già avevano osservato A/ose ed Heidenhain, sì arrotonda, e si porta verso il mezzo della cellula. Aggiungo, poi, che anche negli alti gradi di pilocarpinizzazione le ghiandole pre- sentano delle mitosi, in un numero che non mi sembrò diverso dal normale. Ad un esame superficiale si può credere che, scomparsa la sostanza cromatofila, non ci sia più differenza fra le due specie di cellule ghiandolari; ma nel fatto non è così. Il corpo delle cellule cromatofile, nei preparati induriti tanto in alcool quanto nel liquido di Flemming, e trattati sia colla vesuvina che colla safranina, si colora ancora, benchè assai leggermente e in modo diffuso; mentre nelle cellule dell’altra specie si conserva incoloro. Questa differenza si avverte bene nel mezzo della ghiandola; poco spiccata è, invece, nel cul di sacco. Inoltre, le cellule cromato- file mantengono la loro forma piramidale, e la loro regolare base d'impianto sulla membrana ghiandolare, mentre le cellule incolore sono obbligate, come nello stato normale, ad occupare gl’inter- stizi lasciati da esse, ed hanno, quindi, una forma affatto irre-' golare. Ciò appare chiaramente quando si esamini una ghiandola, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 73 aggiustando il fuoco dell’obbiettivo non sul piano mediano di essa, ma su di un piano tangenziale, in modo da vedere i contorni delle superficie d'impianto delle cellule sulla membrana anista, come venne rappresentata nella figura 6°; nella quale @ @ sono le cellule mucipare svuotatesi del loro muco, è le cellule chiare interposte. Nelle cellule a' a' il globo di muco non era ancora del tutto scomparso, e venne abbrunato dalla vesuvina; esso} nella figura appare a contorni sfumati perchè sta nell’apice della cellula, in un piano inferiore a quello ove sta il nucleo, e quindi non si trova al fuoco dell’obbiettivo. Interessante è, ancora, di studiare le alterazioni degli elementi nell’epitelio di rivestimento. Le cellule cilindriche protoplasmatiche vi appaiono con palese orlo lucente, piuttosto tumefatte, chiare, come fossero leggermente infiltrate di liquido sieroso. I loro nu- clei, come già osservò X/ose, si sono spinti verso la estremità libera della cellula, talvolta fim quasi a toccare l'orlo lucente. Quanto alle cellule mucipare non posso, per quanto riguarda il retto, sottoscrivere all’opinione di X/ose (1. c. pag. 27) che nei conigli pilocarpinizzati scompaiano (die Schleimzellen verschwinden vollstàndig). Forse egli non le potè dimostrare coi metodi da lui usati. Ma se, invece, l’intestino s'indura colla miscela di Flem- ming, e le sezioni si esaminano in glicerina, oppure, dopo averle colorate con buoni reagenti delle cellule mucipare, come la sa- franina e (ancor meglio) la vesuvina, si osservano in vernice damar, non si dura fatica a riconoscerle. Ben poche di esse, però, contenendo ancora una piccola gocciola di muco, conservano la caratteristica forma di calice (fig. 8° a). Nella più parte la gocciola di muco è scomparsa, e il corpo della cellula è avvizzito, e fortemente schiacciato, sicchè appare pallido e largo quando sia visto di fronte (c), stretto e più colorato quando sia visto di profilo (d). Esso si colora abbastanza intensamente colla sa- franina e la vesuvina, e pare costituito da una sostanza vacuo- lizzata (ben palese nella fig. 5). Il nucleo delle cellule è pure fortemente appiattito, e si distingue a prima giunta da quello delle comuni cellule epiteliche, oltre che per questa sua forma e per la intensa colorazione, pel fatto che è collocato nella parte pro- fonda dello strato epiteliale, in vicinanza del punto d’impianto della cellula che lo contiene. In conclusione, abbiamo dinanzi a noi degli elementi avvizziti a cagione della esagerata secrezione in essi indotta dalla pilocarpina, 74 GIULIO. BIZZOZERO Applicando questi risultati alla soluzione del quesito che ci era-. vamo proposto, e ricordando specialmente, che le cellule mucipare neppur quando siano prive della loro gocciola di muco diventano, eguali alle cellule chiare interposte, abbiamo un nuovo argomento in mano per concludere, che le due forme cellulari rappresentano veramente specie diverse, non già due diversi stati funzionali di- uno stesso elemento. Ciò vale per gli elementi adulti, per quelli, cioè, che troviamo verso il mezzo della ghiandola. Non oserei dire che valga anche per gli elementi del fondo cieco ; poichè qui le cellule mucipare presentano meno spiccati i loro caratteri diffe-. renziali: contengono poco muco, trattengono assai meno vivace- mente le sostanze coloranti, assomigliano in una parola assai più alle cellule chiare che le circondano. Questa minore differenza può far supporre che alcune delle cellule contenute in questo. tratto della ghiandola costituiscano come degli elementi indiffe- renti, che nel successivo sviluppo si avviino in due direzioni diver- genti, a capo delle quali stanno dall’una parte le cellule chiare, dall'altra le cellule mucipare, Lascio la soluzione del quesito (che non è facile, come non si trova facile quella che riguarda le due specie di cellule delle ghiandole del fondo gastrico) ad ulteriori ricerche. Nal:ci Quello che risulta dalle indagini che ho finora esposto si è: che non si possono spiegare le modificazioni graduate di forma e di costituzione chimica, che sì osservano nelle cellule mucipare andando dal fondo cieco ghiandolare fino all’epitelio di rivesti- mento, se non ammettendo un'evoluzione progressiva ed uno spostamento delle cellule stesse dal fondo cieco fino alla su- perficie libera della mucosa. È , adunque, nel fondo cieco. che si trovano gli elementi mucipari più giovani, ed ivi ha luogo la loro moltiplicazione per mitosi. Quanto alle cellule chiare, esse devono naturalmente accompagnare le mucipare nella loro trasmigrazione; la loro moltiplicazione per scissione indiretta, però, può uver luogo in tutta la lunghezza del tubulo ghian- dolare. Infatti, come dissi, sono frequenti le cellule chiare con nucleo in mitosi fin presso lo sbocco della ghiandola. Ciò spiega come nell’epitelio della superficie libera esse riescano ad essere assai più numerose delle cellule mucose. | (da d SULLE GHIANDOLE TUBULARI PE, Ghiandole del colon di coniglio. La mucosa del colon ha una superficie libera fittamente bernoccoluta, a cagione di numerose sporgenze a forma di ca- pezzolo o di cono che stanno disposte l'una vicina all'altra. Queste sporgenze o papille alla loro base hanno una larghezza di 0,6 — 0,8 mm. verso il principio del colon, e di 0,3— 0,4 mm. nel colon a circa 20 cm. di lontananza dal cieco. Si noti, però, che sono così strette una contro l’altra, che quando si esamina la superficie interna dell’intestino, non si può vedere che il loro apice; giacchè la superficie laterale di ogni papilla è per buona parte applicata contro le corrispondenti superficie laterali delle papille che immediatamente la circondano. Le ghiandole del colon sono tubulari. Ora, siccome al pari di quelle del retto sono disposte a palizzata, e vanno a termi- nare ‘direttamente alla superficie della mucosa, così ne consegue che hanno diversa lunghezza (fig. 9°); le più lunghe sono quelle che vanno a sboccare all’apice delle papille, le più corte sono quelle che sboccano nel fornice fra una papilla e l’altra; quanto alle ghiandole che metton capo sulle superficie laterali delle pa- pille, esse sono tanto più lunghe’ quanto più il loro sbocco è vicino al vertice di questa. Esse attraversano leggermente ondulose tutto lo spessore della mucosa, e terminano quasi a contatto della muscolaris mucosae, dalla quale non sono separate che da un sottilissimo strato con- nettivo. Di frequente, a poca distanza dalla loro terminazione, si biforcano, e danno origine così a due fondi ciechi. — Qua e là, poi, tra i fondi ciechi e la muscolaris mucosae si osser- vano degli accumuli di cellule linfatiche. Lo stroma della inucosa è rappresentato da scarso connet- tivo reticolare, spugnoso, attraversato da fibrocellule muscolari liscie, che tengono un decorso parallelo a quelle delle ghiandole, e vanno spesso a terminare con una loro estremità proprio sotto l’epitelio di rivestimento. Nel connettivo stanno numerose cel- lule in parte fusiformi, in parte (e sono le più numerose) coi caratteri di leucociti. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV, 6 76 GIULIO BIZZOZERO L'epitelio di rivestimento della superficie dell'intestino è si- mile a quello del retto. Anche in esso si scorgono non rare le cellule con due o tre nuclei in riposo, e non si vedono mai cel- lule in mitosi. Esso pure è attraversato da numerosi leucociti, e nelle sue cellule (specialmente in quelle che rivestono il ver- tice delle papille) si notano non infrequenti quei granuli di so- stanza cromatofila che considero come avanzi di nuclei di leuco- citi in via di disaggregazione. — Nell’epitelio di rivestimento del colon non mancano le cellule caliciformi; ed è degno di nota che esse non vi sono sparse uniformemente, ma presentano no- tevoli differenze a seconda della porzione della papilla su cui stanno; infatti sono rare al vertice, e vanno semprè più cre- scendo di numero quanto più discendiamo sulle superficie late- rali, tantoclè rei fornici fra due papille vicine sono in alcune porzioni del colon così copiose che eguagliano o superano di nu- mero le cellule protoplasmatiche interposte (fig. 15*). Relativa- mente, le cellule caliciformi sono più scarse al principio del colon, che in quella porzione di questo che si continua col retto. Studiamo, ora, la struttura delle ghiandole (1). — A questo riguardo anzitutto è da notare, che essa varia alquanto come vedremo, a seconda del punto del colon che prendiamo a con- siderare. Supponiamo, adunque, che l’esame sia fatto sulla mu- cosa presa nella prima porzione del colon, a circa 5 cm. dal cieco. Se una sezione verticale di questo tratto d’intestino indurito nell’alcool vien colorato con picrocarmino ed esaminato in gli- cerina, la struttura delle ghiandole sembra semplicissima. ]l tu- bulo ghiandolare nei suoi due terzi profondi pare tappezzato da uno strato di cellule epiteliari pavimentose tutte eguali fra loro; nel terzo superficiale invece a queste cellule si sostituiscono a poco a poco delle cellule cilindriche simili a quelle dell’epitelio di rivestimento, colle quali vanno a continuarsi in corrispondenza dallo sbocco ghiandolare. Se, invece, .l’intestino indurito nell’al- cool, ovvero (e ciò è meglio) fissato prima rel liquido di Flem- ming, poi indurito nell’alcool, viene colorato coi soliti colori d’a- nilina, si mettono in evidenza parecchie particolarità degne di (1) Le ghiandole del colon del coniglio sono sede prediletta dei psoros- permi che arrivano proprio fino al loro fondo. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 77 nota. Per meglio precisare i fatti supporremo che l’indurimento sia stato ottenuto col liquido di Flemming. Innanzi tutto si accerta che nell’epitelio ghiandolare sono in complesso piuttosto numerose le mitosi (fig. 12° e 13°). Sono relativamente scarse nel terzo medio della ghiandola, e nel terzo esterno (fondo cieco), relativamente abbondanti nel terzo interno (colletto ghiandolare); qui quasi ogni ghiandola ha una mitosi, e non rare sono quelle che ne contengono 2-3 fino 5. Il metodo col liquido di Ehrlich e l’acido cromico che ho altrove descritto (1) mette in chiaro assai bene queste differenze. — Anche qui, come altrove, i nuclei in cariocinesi stanno più verso il lume della ghian- dola che quelli in riposo. In secondo luogo è facile riconoscere, come le cellule ghian- dolari siano di due specie, alternate fra loro, come nelle ghian- dole rettali. Ciò si dimostra già coi preparati colorati colla ye- suvina e la safranina, perche l’una specie di cellule si colora con discreta intensità, l’altra rimane scolorata; ma appare ancor meglio colorando le sezioni, che devono esser sottilissime, con una diluzione acquosa del liquido raccomandato da Ebrlich per la colorazione dei leucociti (2), poichè con questo trattamento tutto il corpo delle cellule cromatofile si colora intensamente in rosso violetto, e nell’ interno delle cellule chiare (rimaste anche qui incolore) spicca il nucleo, ch'è colorato in rosso aranciato al pari degli altri nuclei del ia Le cellule cromatofile sono grossi elementi, di figura irrego- larmente cilindrica o piramidale, e coll’asse più lungo disposto perpendicolarmente all'asse della ghiandola; hanno il loro corpo attraversato da un reticolo a maglie piccole, e a trabecole sot- tili, e posseggono un nucleo fortemente colorabile e schiacciato e spinto contro quell’ estremo della cellula che s’impianta sulla membrana propria ghiandolare. (1) Bizzozero, Zeitschr. f. wiss. Mikroskopie, vol. III, 1886, p. 24. (2) Ecco la costituzione del liquido di Ehrlich (Charité-Annalen ]X, 1884, p. 107): Si mescolano 126 Ce. di soluzione satura di Orange G. e di soluzione satura acquoso-alcoolica (20 °/, di alcool) di fuesina acida (Sàurefuchsin), si aggiungono 75 Cc. di alcool assoluto, e poi a poco a poco rimestando, 125 Ce, di una soluzione acquosa satura di verde di metile. — Jo solevo mescolare 1 goccia di questo liquido a 20 goccie di acqua distillata; in questa miscela lasciavo le sezioni per 10-15 minuti, poi le lavavo per 4 minuto nell’aleool assoluto ,, le rischiaravo eoll’olio di garofano e le chiudevo in damar. 78 GIULIO BIZZOZERO Le cellule chiare, rinserrate, come sono, fra le cellule del- l’altra specie, sono relativamente sottili e lunghe; non di rado, però, la loro estremità che guarda verso il lume è alquanto in- grossata a clava, sia perchè per avventura si trova fra due cellule cromatofile piramidali, sia perchè sporge alquanto , li- bera, nel lume, Il loro corpo è assai trasparente e non vi si scorge che qualche accenno di granuli e di fine trabecole; il nucleo è assai allungato, ovale, quasi a bastoncino, e disposto coll’asse più lungo perpendicolarmente all’ asse maggiore della ghiandola. È di aspetto vescicolare, a contorno netto e continuo. I reciproci rapporti fra le due specie cellulari si vedono assai bene esaminando queste sia di profilo (fig. 10°), che di fronte (fig. 11°) e si conservano inalterati press’ a poco nei due terzi profondi della ghiandola. Avvicinandosi al colletto, invece, mu- tano rapidamente (fig. 13°). Le cellule chiare si fanno assai nu- merose, sicchè, mentre prima non solo per volume, ma anche per numero erano inferiori alle cromatofile, nel colletto le superano per numero, e vanno eguagliandole per diametro. Esse acquistano una regolare forma cilindrica, il protoplasma si fa granuloso, e presenta alquanto maggiore affinità per le sostanze coloranti, il nucleo s’accorcia e diventa semplicemente ovale. — Un certo nu- mero di esse si presenta in processo di cariocinesi. — A poca distanza dallo sbocco la loro estremità libera, che s’era fatta regolarmente tronca, si vede limitata, vista di profilo, da una linea che va ingrossando, e che alla fine acquista l’aspetto del- l’orlo striato dell'epitelio di rivestimento, dalle cui cellule, a questo punto, le cellule chiare più non si saprebbero distin- guere. Notevoli sono pure le modificazioni delle cellule cromatofile. Già nel terzo medio della ghiandola il loro nucleo si gonfia, diventa rotondeggiante, ed assume meglio l’aspetto vescicolare; è segnato, cioè, da una linea di contorno continua, spiccata e re- golare, e presenta un contenuto chiaro, in cui si notano due o tre nucleoli, e numerosi fini granuli. — Nel terzo superficiale le cellule, strette dalle cellule chiare moltiplicatesi, si assottigliano, dando così la figura di un cilindro allungato. Il loro nucleo, pur conservandosi nella estremità d’impianto, acquista una forma ovale, allungata nel senso stesso della cellula. Quanto al proto- plasma, troviamo qui la stessa modificazione che nel retto; si divide in due porzioni: una porzione granulosa, che si colora in- SULLE GHIANDOLE TUBULARI 79 tensamente e che circonda il nucleo e si avanza nel terzo medio della cellula; ed una porzione più omogenea, che si colora un po’ meno (ma pur sempre intensamente) ed occupa il terzo su- perficiale della cellula, e fuoresce alquanto dalla sua estre- mità. Con altre parole, l'elemento ha acquistato l'aspetto di cellula caliciforme. — Un passo ancora, e la cellula diventa una cellula caliciforme dell’epitelio di rivestimento. Se, ora, paragoniamo le ghiandole del colon di coniglio testè descritte a quelle dal retto, troviamo delle differenze. Lasciando da parte le minori, noteremo le due seguenti: innanzi tutto le ghiandole coliche sono più lunghe ; e questa loro maggior lun- ghezza si riflette specialmente su quella parte cui abbiamo dato il nome di colletto. Infatti, mentre nel retto l’epitelio ghiando- lare si cambia rapidamente in quello di rivestimento, nelle co- liche il passaggio è più graduato, sicchè abbiamo un discreto tratto della ghiandola tappezzato da cellule che per la forma, pel nucleo, e per essere infiltrate di leucociti ricordano assai quelle della superficie libera dell'intestino. Poi, quantunque an- che nelle ghiandole coliche vi siano due specie di elementi, le cellule chiare e le cromatofile, queste seconde non presentano le stesse reazioni che nelle ghiandole rettali. — Noi abbiamo, in- fatti, veduto che nei due terzi superficiali delle ghiandole rettali le cellule cromatofile contengono un blocco di sostanza d’appa- renza reticolata che è splendente nell’alcool, diventa ancora più splendente coll’acido acetico forte, e si colora intensamente col verde di metile, la vesuvina, la safranina, ecc. — Orbene, se noi facciamo una sezione di mucosa del colon indurita nell’alcool (l'indurimento in altri liquidi altera la delicatezza delle reazioni), e la esaminiamo direttamente in questo liquido, vediamo che le cellule cromatofile hanno il loro corpo attraversato da un reti- colo, ma questo è a trabecole molto sottili, sicchè relativamente copiosa è la sostanza omogenea disposta nelle sue maglie. È ben vero che coll’acqua distillata le cellule si gonfiano come le cel- lule mucipare rettali; ma nelle coliche il rigonfiamento è minore, e, inoltre, aggiungendo acido acetico forte, il loro reticolo, an- zichè diventar più splendente, impallidisce fino a diventare ap- pena visibile coi migliori ingrandimenti. Per ultimo, esse sono insensibili al verde di metile ; giacchè con questo reagente, anche prolungandone l’azione, si colorano leggermente soltanto quelle che sono vicine allo sbocco ghiandolare; e del pari sono 80 GIULIO BIZZOZERO insensibili, o quasi, alla vesuvina, alla safranina , all’ematos- silina (1). Ad onta di queste differenze, io non dubito di ascrivere le cellule cromatofile delle ghiandole coliche alle mucipare. Il nome di muco comprende un complesso di sostanze la cui natura chi- mica non è ancora ben determinata, e di cui non sono fissati i ca- ratteri distintivi; non credo ci sia nessuna reazione, neppure quella coll’acido acetico, che sia necessaria ed esclusiva delle sostanze mu- cose. Ora, il fatto che le cellule delle ghiandole coliche impal- lidiscono coll’ acido acetico non basta a farle dichiarare di na- tura non mucipara, perchè questa reazione manca in altre specie di muco (2). E, del pari, tanto questa reazione quanto l’ affi- nità pei colori basici di anilina sono poco accentuati anche nelle cellule dei fondi ciechi delle ghiandole rettali, ad onta che tali cellule, mediante i loro passaggi graduati alle tipiche cellule mu- cose del terzo medio della ghiandola, dimostrino la loro natura prettamente mucipara. Si aggiunga, che le cellule delle ghiandole coliche, al pari delle vere cellule mucipare, offrono il nucleo schiacciato alla periferia, ed un reticolo che attraversa tutto il corpo cellulare; si gonfiano nell'acqua; e, per ultimo, secernono una sostanza molto omogenea, che si gonfia pure nell'acqua e riempie il lume della ghiandola, a cominciare proprio dalla sua porzione che sta nel fondo cieco. Un'ulteriore conferma di ciò sta nel modo di comportarsi di questi elementi verso la safranina. Già Paneth (3) ha notato che questa sostanza impartisce al muco delle cellule mucipare del tritone, e talora anche del topo, un colore rosso-giallo. Io ho trovato accidentalmente questa reazione fin dal principio delle mie ricerche sulle ghiandole, ed ho studiato le condizioni più fa- vorevoli al suo manifestarsi. Ciò mi pareva importante, perchè la (4) La loro colorazione colla safranina e colla vesuvina, cui accennai più addietro, si ottiene nei pezzi induriti nel liquido di Flemming, ed è ben lontana dall’essere così intensa come quella delle ghiandole rettali. — Noto di passaggio che, trattando la mucosa colica, indurita nell’alcool, col liquido universale di Ehrlich, nelle cellule cromatofile, oltre al nucleo, si colora sol- tanto il loro sottile reticolo; la sostanza che sta nelle maglie di questo ri- mane scolorata. (2) Manca in quello dello stomaco (HEIDENHAIN, Phys. der Absonderungs= vorginge, p. 9%. (3) PaNETA, Arch. f. mikr. Anat., vol. 34, fasc. 2°, p. 115. SULLE GHIANDOLE TUBULARI Ri reazione, quando riesce, è assai bella ed utile. Orbene, ho notato che la reazione in molte specie di cellule mucose non riesce, non già perchè manchi il coloramento giallo dato dalla safra- nina, ma perchè esso, pur essendosi prodotto, scompare per l’ul- teriore trattamento cui assoggettasi il preparato. Ciò succede, infatti, sia che aggiungasi glicerina per conservare il preparato, oppure si tratti la sezione coll’alcool per disidratarla e conser- varla in damar. Con altre parole, la colorazione gialla prodotta dalla safranina, in alcune specie di cellule mucipare (come in quelle dello stomaco del cane) resiste alla successiva azione del- l'alcool, e rispettivamente della glicerina, in altre no (p. es. in quelle del crasso del cane). — Per ovviare a questo inconveniente ho trovato necessario di esaminare i preparati mentre si trovano nella safranina, anzi di tener dietro direttamente coll’ occhio al microscopio all’azione di questa sostanza: le sezioni vengono de- poste sul portoggetti in una goccia d’alcool (giacchè coll’alcool anche le sezioni più sottili stanno più facilmente distese, e il loro muco non è appiccaticcio), e coperte con un coproggetti che deve esser assai sottile, affinchè possa venir sollevato facilmente dai liquidi che devono bagnare il preparato; poi all’alcool si sosti- tuisce dell’acqua distillata che fa gonfiare gli elementi mucipari, ed all’acqua, infine, si sostituisce la soluzione di safranina (1). Per l’azione di questa i nuclei tutti del preparato acquistano un colore rosso tirante al giallo, e il protoplasma delle cellule epiteliche e il corpo delle fibro-cellule muscolari liscie diventa di colore rosso-fucsina; mentre le cellule mucose presentano il loro muco colorato in giallo. - 1 preparati, quindi, sono ele- gantissimi. Sfortunatamente, come dissi, la glicerina non li con- serva. Meglio di essa riesce una soluzione di acetato di potassa ; la quale mantiene bene il color giallo del muco, ma danneggia il preparato in questo senso, che il color rosso-fucsina dell’epi- telio, dei muscoli, ecc. diventa rosso-sporco sbiadito; e quindi diminuisce la vivacità del contrasto di colori. Se, ora, trattiamo colla safranina nel modo testè descritto una sezione di mucosa rettale, vediamo che tutte le cellule mu- cipare, fin quelle dei fondi ciechi, diventano gialle. — Se, in- vece, trattiamo allo stesso modo la mucosa colica, vediamo in- (1) Per questa non è necessaria una determinata concentrazione. Io usavo mescolare 3 goccie di una soluzione 0,5 °/, di safranina con 0,5 Ce. d’acqua, 82 GIULIO BIZZOZERO giallire soltanto le cellule caliciformi dell’epitelio di rivestimento e quelle del colletto ghiandolare; mentre le cellule cromatofile delle ghiandole rimangono rosse. A_ prima giunta, adunque, par- rebbe che queste ultime dovessero essere di natura tutt’ altro che mucosa. — Se, però, noi, mettendo il preparato in una ca- mera umida, lasciamo agire più a lungo la safranina, troviamo che dopo alcune ore la reazione si è prodotta anche in tutte le cellule cromatofile, con questa sola differenza che il loro giallo è un po’ più pallido di quello delle cellule caliciformi del col- letto ghiandolare. È superfluo aggiungere che, anche dopo questo tempo, le cellule cilindriche e i muscoli conservano immutato il loro colore rosso -fucsina. L’ingiallire delle cellule cromatofile, poi, succede gradatamente; dapprima ha luogo in quelle che stanno più vicine e più somigliano alle cellule mucipare del colletto; poi si estende man mano fino a quelle dei fondi ciechi. Io non ho alcun dato per poter spiegare questa interessante reazione; ma ne ho parlato un po’ estesamente, perchè mi pare confermi la natura mucipara delle cellule in questione, e dimostri come esse pure, andando dal fondo cieco verso lo sbocco della ghiandola, oltre al modificarsi anatomicamente, si modificano e, per così dire, si maturano chimicamente. Del resto, che questa doppia modificazione veramente si ef- fettui è dimostrato ancor meglio dall’esame della mucosa colica presa in punti più vicini al retto, p. es. a 20 cm. dal cieco. Se pa- ragoniamo delle sezioni di questa a sezioni prese a 5 cm. dal cieco (quali erano quelle descritte finora), troviamo che nelle prime la mucosa è più sottile (ed ha quindi ghiandole più corte) e le sue sporgenze papillari sono più basse e non hanno forma conica, ma piuttosto rotondeggiante. Quanto alla costituzione delle ghian- dole, noi troviamo che le cellule cromatofile sono press’a poco eguali nelle due mucose quando si esaminino nella metà pro- fonda delle ghiandole. Se, invece, le esaminiamo nella metà su- perficiale, troviamo delle differenze degne di nota: mentre nella mucosa del principio del colon le cellule cromatofile andando nel colletto ghiandolare si allungano e diventano cilindriche, nella mucosa a 20 cm, del cieco esse, andando verso il colletto, di- ventano gradatamente sferiche (fig. 14°), e il loro nucleo viene schiacciato più fortemente alla periferia, si colora intensamente e perde l’aspetto vescicolare che aveva nei due terzi profondi della ghiandola; il contenuto delle cellule si rigonfia più fortemente SULLE GHIANDOLE TUBULARI. 83 coll’acqua, si colora intensamente colla vesuvina, ingiallisce rapi- damente colla soluzione di safranina, e si raggrinza e diventa più splendente coll’acido acetico forte; in breve, le cellule acquistano i caratteri delle cellule mucipare che nelle ghiandole rettali si trovano a poca distanza dallo sbocco. Come in queste, poi, in cor- rispondenza dello sbocco ghiandolare le cellule si allungano, sì assottigliano e si trasformano nelle cellule caliciformi dell'epitelio di rivestimento ; e, come in esse, il lume del colletto è occupato da una notevole quantità di muco identico per le reazioni 4 quello che è contenuto nelle cellule, col quale, per mezzo di pro- lungamenti laterali, si vede direttamente continuarsi. Come appare dal fin qui detto, le ghiandole coliche prese a 20 cm. dal cieco rappresentano come uno stadio di passaggio dalle ghiandole del principio del colon a quelle del retto; la loro metà profonda assomiglia di più a quella delle prime, la su- perficiale alla corrispondente delle seconde; e, andando dal retto verso l’intestino tenue, il muco secreto cambia gradata- mente di costituzione chimica. Riassumendo gli studi fatti sulle ghiandole coliche e richia- mando i molti punti di somiglianza che hanno colle ghiandole rettali, dobbiamo anche per esse conchiudere, che non sì possono spiegare le modificazioni graduate di forma e di costituzione chi- mica che si osservano nelle loro cellule mucipare andando dal fondo cieco ghiandolare fino all’epitelio di rivestimento, se non ammettendo un’evoluzione ed uno spostamento delle cellule stesse dal fondo cieco fino alla superficie libera della mucosa. Nel fondo cieco specialmente ha luogo la loro moltiplicazione per mitosi (fig. 12°). — Nel colletto e nell’epitelio di rivestimento il rap- porto numerico fra cellule chiare e cellule mucipare è assai di- verso da quello che era nei due terzi profondi della ghiandola, giacchè colà le cellule chiare sono assai più numerose dell’ altre; ma ciò trova, come nel retto, la sua spiegazione nelle numerose mitosi che si osservano nelle cellule epiteliche chiare tappezzanti il colletto ghiandolare. 84 GIULIO BIZZOZERO SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (I disegni vennero fatti con un microscopio di Zeiss) Fic. 1* Ghiandola del retto di coniglio adulto. Mucosa indurita coll’alcool, sezionata in paraffina. La sezione venne colorata in vesuvina e conservata in damar. Vi si vedono le cellule mucipare fortemente colorate; la colorazione va gradatamente diminuendo in quelle del fondo cieco. Nel colletto ghiandolare le cellule mu- cipare si trasformano in cellule caliciformi. — 270 d. (Obb. D, oc. comp. 4). » 2° Da ghiandola del retto di coniglio, a poca distanza dal fondo cieco. Si vedono tre cellule mucipare; una di esse in mitosi. In tutte è visibile il reticolo del pro. toplasma. = Alcool, paraffina, ematossilina. — Obb, 1/15 imm. omog. di Reichert, Oc. comp. 4. » 3° Da ghiandola del retto di coniglio, verso la sua metà. La sezione, presa da pezzo indurito nell’alcool, venne colorata col verde metilico, e conservata in glicerina. Vedonsi quattro cellule mucipare con interposte delle cellule chiare. Il corpo delle prime è costituito da vacuoli chiari immersi in una sostanza che si colora fortemente in verde; l’intensità di colorazione aumenta progressivamente dalle cellule che stanno più in basso a quelle più in alto (verso lo sbocco ghiandolare). = Apocr. 2 mm. N. A. 1,80, Oc. comp. 4 di Zeiss. » 4° Sbocco di una ghiandola del retto di coniglio. — Alcool, paraffina, verde metilico; conservazione in glicerina. Vedesi come nel colletto ghiandolare le cellule chiare si facciano più numerose, e si trasformino nelle cel- lule dell’epitelio di rivestimento, e come le cellule mucipare, col loro muco fortemente colorato in verde, si trasformino in cellule caliciformi. — Apocr. 2 mm., Oc. comp. 4. Tav. II 919] Do ’ Torino Lit. Salussolia SULLE GHIANDOLE TUBULARI 85 Fis. 5° Sbocco di una ghiandola del retto di coniglio. Induri- mento col liquido di Flemming, paraffina, colorazione colla safranina, chiusura in damar. Vedesi la trasfor- mazione graduata delle cellule mucipare delle ghian- dole in cellule caliciformi dell’epitelio di rivestimento. In a la cellula ha il suo piede appiattito visto di fronte. — 500 d. (Obb. E, colla camera lucida 0- berhauser). » 6° Da ghiandola del retto di coniglio pilocarpinizzato. La porzione qui disegnata corrisponde press’a poco verso il mezzo del tubo ghiandolare ; il fuoco dell'obbiettivo era aggiustato su di un piano tangenziale al tubo stesso, sicchè si vedono di fronte le basi delle cellule ghiandolari. — Liquido di Flemming, vesuvina, damar. —a Cellule mucipare che hanno quasi completamente perduta la sostanza cromatofila; a' a’ cellule muci- pare contenenti ancora del muco sotto forma di bloc- chi colorati intensamente dalla vesuvina, i quali ap- paiono a contorni diffusi perchè si trovano sotto i rispettivi nuclei, in un piano inferiore a quello dise- gnato ; % cellule chiare. — Obb. apocr. 2 mm., ca- mera lucida. » 7° Due cellule di ghiandola rettale del coniglio pilocarpi- nizzato della figura antecedente; qui, però, la mucosa fu indurita nell’alcool. Vesuvina, damar. — Le cel- lule non contengono più che pochi avanzi del reticolo cromatofilo. — Obb. apocr. 2 mm., Oc. 4 comp. » 8° Celluleepiteliali della superficie libera del retto dello stesso coniglio pilocarpinizzato. — @ Cellula caliciforme che contiene ancora una piccola gocciola di muco ; d, c, d cellule caliciformi svuotatesi delle gocciole di muco che contenevano. Liquido di Flemming, safranina , damar; « e d a 450 d. circa, c e d disegnato col- l’apocr. 2 mm. e Oc. comp. 4. » 9° Papille di colon di coniglio adulto. La mucosa venne presa a 5 cm. dal cieco. Alcool, liquido di Ehrlich, damar. a Ghiandole, di cui a' è biforcata in basso , b muscolaris mucosae, c sottomucoso. 50 d. 86 Fia. 10* a © sli042 ga GIULIO BIZZOZERO Dalla stessa mucosa, indurita nel liquido di Flemming; e colorata col liquido di Ehrlich. Porzione di tubo ghiandolare in vicinanza al fondo cieco. L'obbiettivo venne aggiustato in modo da vedere le cellule ghian- dolari di profilo. Vedonsi le cellule mucipare e le cellule chiare. Nelle prime non venne disegnato il reticolo. — Nel lume ghiandolare scorgesi il mate- riale secreto. Obb. apocr. 2 mm., camera lucida. Lo stesso preparato della figura antecedente, allo stesso ingrandimento. Qui però si vede il fondo cieco della ghiandola, e l’obbiettivo è aggiustato in modo da vedere le basi delle cellule ghiandolari. Dalla stessa mucosa, pure indurita nel liquido di Flem- ming, ma colorata per ventiquattr'ore colla vesuvina; poi alcool, olio di garofani, damar. Si vede un fondo cieco glandolare, contenente cellule mucipare e cellule .chiare. Una delle prime è in mitosi. — 500 d. (Obb. E, camera lucida). Dalla stessa mucosa, indurita nel liquido di Flemming, e colorata col liquido di Ehrlich. Sbocco di una ghiandola sulla superficie laterale di una papilla. a Cellule mucipare ghiandolari; dd loro stadio di trasformazione nelle cellule caliciformi c dell'epitelio di rivestimento; d d leucociti nell’epitelio; e cellule chiare in cariocinesi. Vedonsi le cellule chiare tras- formarsi gradatamente nelle cellule dell’epitelio di rivestimento. 370 d. (Obb. D, camera lucida). » 14* Dalla mucosa del colon di coniglio, nella porzione vicina al retto. Indurimento nell’alcool, e conserva- zione in glicerina colorata con vesuvina (con questo procedimento il muco rimane incoloro). Venne dise- gnata una porzione di tubulo ghiandolare corrispon- dente a quella porzione di colletto che confina col terzo medio della ghiandola. Si vedono quattro cel- lule mucipare che versano il loro muco nel lume ghiandolare; fra esse delle cellule chiare in via di trasformarsi in cellule dell’epitelio di rivestimento. Obb. apocr. 2 mm., camera lucida. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 87 Fig. 15° Dalla mucosa antecedente, pure indurita nell’alcool ‘ le sezioni vennero colorate con picrocarmino e con- servate in glicerina. Il disegno venne tolto dall’epi- telio di rivestimento che si trova in corrispondenza del fornice fra due papille vicine. Si vedono tre cel- lule mucipare con nucleo schiacciato alla periferia, e fra esse delle cellule epiteliali protoplasmatiche. a Leucocito che sta in una nicchia delle cellule epi- teliali. Obb. 2 mm. apocr., camera lucida. Sull'azione difensiva dei parafulmini Nota del Socio Prof. ANDREA NACCARI 1. Nelle adunanze tenute quest’autunno a Bath dalla Società Britannica per il progresso delle scienze vi fu una vivace discus- sione intorno ai parafulmini. Oliviero Lodge aveva pubblicato poco innanzi una sua memoria sulla teoria dei parafulmini, teoria, di cui egli aveva verificato le conclusioni con alcune esperienze. (1). Il Preece combattè la nuova teoria, il Lodge e W. Thomson la difesero. Secondo le idee sostenute da quest’ultimi la scarica elettrica fra la nube e la terra avviene in tali condizioni che per fenomeni di autoinduzione, l'elettricità trova un ostacolo gran- dissimo a percorrere un conduttore di sezione non grande e di una certa lunghezza. Lord Rayleigh e O. Heaviside svilup- parono la teoria matematica di questi fenomeni (2). Da questa e dalle esperienze risulta che quell’ostacolo non ha relazione di- retta con la resistenza elettrica propriamente detta del condut- tore. In conseguenza di tale impedimento, che si oppone al pas- saggio della elettricità verso il suolo, possono partire dalla parte superiore del parafulmine delle scariche laterali dannosissime al- LI l'edificio cui esso è applicato. Questa conclusione deve eccitare (4) Phil. Mag. (5) XXVI, 217 (1888). (2) RayLEIGH, Phil. Mag. (5) XXI, 381 (1886). Heavisine, Phil. Mag., (5) XXII e seguenti. 88 ANDREA NACCARI ad applicare i parafulmini con grandi cautele e tenendo conto di ciò, che la teoria della scarica elettrica è molto più complicata di quello che credevasi un tempo. In questa nota io descrivo alcune esperienze che fanno prova in favore della nuova teoria. Non ho potuto procurarmi lo scritto originale del Lodge, in cui devono trovarsi descritte le sue più recenti esperienze, ma dagli estratti, che ne ho veduto, mi pare che le mie esperienze sian fatte in condizioni diverse e quindi non riescano inutili. 2. Azione della punta del parafulmine nel caso d’' indu- zione improvvisa. Si rimproverò al Lodge di non aver fatto uso di punte e quindi d’essersi messo in condizioni diverse da quelle di un pa- rafulmine, ma questo, com'è noto, impedisce la scarica soltanto allora, che la sua punta può agire sopra la nube che va cari- candosi. Tutte le volte che la nube, sulla quale il parafulmine agisce, acquista improvvisamente un alto potenziale, l’azione pre- ventiva del parafulmine non s’esercita più, anzi la presenza di esso facilita lo scoppio del fulmine. a B b Per verificare sperimentalmente le condizioni indicate applico al conduttore principale della macchina di Ramsden due bot- tiglie di Leida di mediocre grandezza e pongo di fronte alla sfera, con cui termina quel conduttore, un conduttore isolato. Nella figura A rappresenta l'estremità del conduttore della macchina, B il conduttore isolato, C è un conduttore destinato a rappresentare il parafulmine; esso termina verso B con una punta. Questo conduttore è costituito da un pezzo cilindrico di ottone, attraverso il quale passa una vite micrometrica, la cui estremità porta la punta. La parte punteggiata della figura non sì consideri per ora. SULL’AZIONE DIFENSIVA DEI PARAFULMINI 89 Se B è isolato, è manifesto che la punta in 5 deve agevolare la scarica; ma ciò succede anche se B è congiunto col suolo. Il conduttore E sia costituito da una colonna d’acqua lunga 30 cm. e della sezione di tre cm.° Le estremità di questa co- lonna comunichino da una parte con 5, dall’altra col suolo me- diante brevi fili di rame. Essendo l’intervallo a =1 cm, la scintilla scocca sempre in 5, finchè 6 è minore di cm. 2, 2. Se si sostituisce alla punta una pallina, la scintilla cessa di scoccare in d, quando questo intervallo giunge a cm. 1, 5. Invece del conduttore liquido posi poscia in E un filo di rame rettilineo, del diametro di cm. 0, 05, lungo m. 3, 40; il capo di questo filo era congiunto col suolo mediante una catena d’ot- tone lunga 1 m. circa. Con la punta la scintilla cessa di scoc- care quando b—= 1,2 cm, con la palla quando d =0,9 cm. I due primi casi non differiscono essenzialmente da quelli che possono occorrere con un parafulmine. Fra la nube che va cari- candosi di elettricità e il parafulmine può esservi una nube pa- ragonabile a B quando è isolato. Può anche darsi che la nube si estenda molto lateralmente o sia congiunta con altre che pre- sentino gran superficie; in tal caso le condizioni si possono ritenere simili a quelle dell’ultima esperienza. Non mi pare che i casi, che ho qui supposti, debbano raramente avverarsi: in essi il pa- rafulmine agevola e può determinare la scarica che altrimenti non avverrebbe. È quindi importantissimo ch’esso offra una via tale alla elettricità che non solo sia impedito il riscaldamento del conduttore, ma anche ogni scarica laterale. 8. Sulle scariche laterali provenienti dalla sommità del parafulmini. Per mostrare con quanta facilità possano avvenire delle sca- riche laterali dal parafulmine riferisco queste esperienze. Il pezzo cilindrico di ottone del conduttore C termina su- periormente in una mezza sfera, il cui raggio è di cm. 1, 4. Vi sovrapposi una pallina d’ottone D, il cui raggio è 1,02 cm., sostenendola mediante un manico isolante ad una certa distanza dal conduttore sottoposto. 1* esperienza. Il conduttore 5 era isolato. L'intervallo @ = 1,5 cm,, l'intervallo d = 0,45. In G vera un filo lungo 60 cm. che metteva al suolo, in Y un filo di rame del dia- metro di 0,05 cm., lungo 12 m. steso in linea retta per m. 3,40, il resto avvolto in una spirale del diametro di 3 em, e con 90 ANDREA NACCARI l'estremità al suolo. La scintilla scoccò in c finchè quest’ inter- vallo fu minore di 1,1 cm. 2% esperienza. Lasciando tutto immutato, posi in Y un pezzo dello stesso filo di rame che v'era prima, rettilineo e lungo m. 3,40. Ebbi sempre la scintilla in c finchè quest’ intervallo fu minore di un centimetro. 3° esperienza. In F posi un filo di rame del diametro di 0,025 e lungo quanto quello applicato in G cioè 60 cm. La scintilla scoccò sempre in e finchè la lunghezza dell'intervallo fu minore di 4 mm. La scarica laterale in c si ha anche quando in G vi sia una resistenza non piccola. Ciò è dimostrato dalle seguenti esperienze. 4° esperienza. Posi in G una colonna di una soluzione di sol- fato di zinco, colonna che aveva la sezione di cm° 3,5 e la resi- stenza di 420 Ohm. In F era il filo di rame prima nominato, lungo m. 3,40. La scarica avvenne in c finchè l'intervallo non superò i 2 mm. 5° esperienza. Senza variare le altre condizioni posi in G una resistenza di 7000 Ohm prodotta da una colonna d’una soluzione di solfato di zinco, che aveva la sezione di mm? 3,5 e la lun- ghezza di 20 cm. Anche in questo caso s'ebbe la scintilla in c quando questo intervallo era di mezzo millimetro. Una simile scarica, benchè tenuissima, s'ebbe anche quando alle condizioni dell’ultima esperienza si fece questo solo mutamento, che al filo di m. 3,40 posto in Y se ne sostituì uno dello stesso diametro e lungo 60 cm. La scarica laterale cessò affatto quando in G si pose una colonna dello stesso liquido e della stessa sezione, ma di doppia lunghezza. Certamente avviene in tutti questi casi una derivazione della scarica, nè io posso dare per ora dei numeri che indichino in qual rapporto avviene la ripartizione. Noto questo soltanto, che le scariche laterali varcavano, nei casi citati, degl’intervalli che ‘non erano molto piccoli a paragone di quelli che nelle stesse condizioni avrebbe potuto varcare la scarica principale. Questa fra C e D non avrebbe superato l’intervallo se esso fosse stato maggiore di 15 mm. Poichè il conduttore C può nelle esperienze descritte rap- presentare un parafulmine, si vede quanto sia facile che dalla sommità di esso partano delle scariche laterali e la elettricità SULL'AZIONE DIFENSIVA DEI PARAFULMINI 91 segua in parte una via diversa da quella tracciatale. Bisognerà quindi aver la massima cura perchè la sommità del parafulmini sia congiunta al suolo mediante conduttori in cui i fenomeni di autoinduzione sieno attenuati quanto è possibile, e legare con questi conduttori ogni altra parte metallica esistente dell’edificio, la quale potrebbe agevolare le scariche laterali. Torino, 25 novembre 1888. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. ——@eE>__- Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV. 1) i, VABEIU'LATAT, dp NERO antorsa aumta >" 0) dre noe (di Afetatonani ato fi canoni air, MS E | ILITGUO Lipdarunck lab btiminoe a! Gdonog #89 bingo Ales | vo tnagroust £ 109_ai police ptagibam _ ofons lac » | ndo osenoi ae olidizzog “* aNEat) (asnotta di î sDioRise Mab Bigi aseà ut CISTI PRU ùa Ta sTlanola A thiide DI eialov0ge: Gui î i ada: sot adore: d lap ‘ vi a) p Waldo so I, ©1068 » " aa anta dall AA ho pigiama onisobooaA A echo gonne ari 02AAE ì FRRECATCÌ tuimost Li latta 1a 1 Ai è ni i : se PRO «bi A ener ri fien] sat iti N) oédita du une crtettà siti di niuoa, che srota daro Bope di mu Ga AGR o mbe JM geo siga age Ae on i i pine sero tra RAGA, nr emi Mm w spo 4 : è f 4 +» inetan Bi « Lo prato in hò e» Ido i + cà PR rt sat 4 Lo 109 quanta in (è î no AO D+ \ ne Uurtà S*IS0DE, rihaviz Ovabiiar4 . deva 107000 godeti: asi AUN arte? ti Cera re 1 vera des uotnati vbb. ‘inizi Giprrrto firisone 14 digli Noa na RETTO inminenli Veio; Tu pun Ca ttuti. SI Sini gno: soul pionali. a pasmmgone d' qustlà i diiiblioni avrebbe potaia aftat io nanna 185 © tira 0g snredt capii Vincapestan ne $- SOMMARIO ——_—_- Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 2 Dicembre 1888... Pag, 59 Bizzozero — Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mu- CosÈ =" NOTA "PIA e IRINA Lo e de e OA e Ro oe Naocari — Sull’azione difensiva dei parafulmini . . ...... MERONE. | —_ leto — Torino - Tip. Reale-Paravia. LETI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI:-E:0 RENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 3°, 1888-89 È eine Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Natarali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia delle Scienza "i CORE i nt 93 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 16 Dicembre 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, BRUNO, Basso, D’OviDIO, Bizzozero, FERRARIS, NaccaRI, Mosso, GIBELLI, GIACOMINI. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Presidente, interprete del sentimento della. Classe, deplora la recentissima morte di S. A. R. il Principe Eugenio di Savoia Carignano, e propone di far pervenire a S. M. il Re un tele- gramma di condoglianza per il luttuoso avvenimento che oggi col- pisce la Casa Augusta alla quale l'Accademia deve la sua crea- zione. La proposta è unanimemente accolta. Il telegramma inviato al primo Aiutante di Campo di S. M. in Roma è del tenore seguente: « La Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali della Reale Accademia delle Scienze di Torino, riunita in seduta pubblica oggi 16 dicembre 1888, prega di significare a S. M. il Re d'Italia i suoi più vivi sentimenti di condoglianza per la morte di S. A. R. il Principe Eugenio di Savoia Carignano ». Il Segretario legge una lettera giunta da Rio di Janeiro nella quale si annunzia la creazione di una Società sotto la denomi- nazione di Centro technico dos Electricistos Brazileios al fine di promuovere gli studi così teorici come pratici relativi alla Elet- trologia. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV. 8 94 ALFONSO COSSA Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine che segue: « Commemorazione del Professore Ascanio Sobrero » ; del Socio Direttore della Classe, Prof. Alfonso Cossa; « Il Covariante Steineriano di una forma binaria del sesto ordine » ; del Socio Prof. Enrico D’OviDpIO ; « Sulla misura diretta ed indiretta dei lati di una po- ligonale topografica »: Nota del Prof. Nicodemo IADANZA, pre- sentata dal Socio NACCARI; « Azione delle Scintille elettriche sui corpi elettrizzati » ; del Socio Prof. Andrea Naccari. In commemorazione di Ascanio Sobrero ; Parole del Socio Prof. ALFONSO Cossa Quando verso la fine del secolo passato la chimica sorse a nuova scienza, essa era rappresentata con onore a Torino dai generali Saluzzo, e Morozzo della Rocca. L’opera di questi illustri scienziati, che ebbero il vanto di lasciare una pagina memorabile nella storia militare del Piemonte ed in quella della nostra Acca- demia, fu luminosamente continuata dal Giobert, per il quale fu istituita per la prima volta una cattedra di chimica nella Università di Torino; ma dopo la morte del Giobert così nel Pie- monte come nel resto d’Italia gli studi chimici declinarono al- quanto, ed i giovani che vi si volevano dedicare dovevano rivolgersi a scuole straniere. Nel laboratorio del Dumas si educava Raffaele Piria creatore fecondo della nuova scuola chimica italiana. L'epoca del primo risveglio dei buoni studi chimici nel Piemonte è segnata dai primi lavori di Ascanio Sobrero di cui deploriamo la perdita recente. Ascanio Sobrero, nato a Casale nel Monferrato il 12 ottobre del ,1812, studiò medicina nella Università di Torino e vi ottenne la laurea nel 1832. Dal 1836 al 1839 fu assistente del profes- COMMEMORAZIONE DI ASCANIO SOBRERO 95 sore di chimica Michelotti, ma desiderando egli di dedicarsi intie- ramente alla chimica con speranza di un maggiore e più pronto profitto, lasciò il laboratorio di Torino, per attendere allo studio della scienza da lui prediletta nei laboratori di Giessen e di Parigi colla” guida efficace di Liebig e Pelouze. I primi suoi lavori scientifici datano dall’anno 1842 e si rife- riscono allo studio di prodotti organici derivati da alcune resine ed essenze, ed il cui argomento è indicato nell'elenco completo degli scritti del Sobrero, che fa seguito a questa breve comme- morazione. Alle pubblicazioni ora ricordate succedettero quelle ancora più pregevoli sui prodotti della sostituzione nitrica di al- cune combinazioni organiche ; ricerche che continuate con rara abilità e costanza lo condussero all'importante scoperta della nitro- glicerina (1846), che il Nobel rese poi uno dei più facili e possenti mezzi di distruzione. Nella fabbrica di dinamite in Avigliana si conserva come un prezioso cimelio una certa quantità di nitro - glicerina preparata per la prima volta dal Sobrero a Torino, e non già nel laboratorio di Pelouze a Parigi, come da alcuni fu erroneamente asserito. Contemporaneamente agli studi teorici di chimica generale, il Sobrero attese con molta lode anche a quelli di chimica appli- cata, e ne sono prova le sue ricerche sui cementi idraulici, sui metodi di conservazione del legname, sull’espurgazione della seta, e specialmente il suo classico trattato di chimica applicata alle arti, che fu il primo trattato originale di chimica tecnologica, ed è ancora l’unico che possegga la letteratura chimica italiana. Già fino dalle sue prime pubblicazioni, il Sobrero aveva ac- quistato meritamente fama di esimio scienziato; per il che il 23 giugno 1844, fu nominato Socio della nostra Accademia, la quale lo accettò come segretario aggiunto il 22 novembre 1863 dietro proposta del segretario perpetuo Eugenio Sismonda, e lo elesse poi definitivamente a questa carica il 1° maggio 1870. Il Sobrero iniziò la sua lunga carriera d’insegnante nel 1845, nel qual anno fu chiamato ad insegnar chimica applicata alle arti nell’antico istituto tecnico di Torino. Quando nel 1861 venne istituita la scuola d'applicazione per gli Ingegneri, il Sobrero vi ebbe la cattedra di chimica docimastica, che egli occupò con molta e meritata lode fino all'anno 1882. Se una salute molto cagionevale impedì al Sobrero negli ultimi anni di continuare a prendere una parte attiva nel movimento 96 ALFONSO COSSA scientifico, egli rimase però sempre un insegnante impareggiabile. Parlatore copioso senza essere prolisso, elegante senza cadere nel- l’affettazione possedeva il raro dono di esporre cose difficili ed astruse, con una chiarezza, con una facile evidenza che sembra- vano spontanee, ed erano il frutto di un lungo ed accurato studio. Aveva la nozione precisa dei giusti limiti entro i quali doveva star compreso l'insegnamento in una scuola, memore della sen- tenza di Schiller: che il buon insegnante si giudica più da quello che sa tacere che da quello che dice. Ritirato dall’insegnamento continuò ad attendere alla dire- zione della reale Accademia d’agricoltura ed agli altri uffici che la fiducia dei concittadini avevagli affidato. Un vizio cardiaco a poco a poco lo consunse e morì il 26 maggio 1888 nell'età di 75 anni, lasciando desiderio di sè nei concittadini e nei colleghi; rimanendo un esempio di ottimo insegnante, che chi gli succedette nella cattedra ammira più di quanto sappia imitare. ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI del Prof. ASCANIO SOBRERO Pubblicazioni negli Atti della R. Accademia d’agricoltura di Torino. Sul grano indigeno di Sardegna. — Anno 1855. Delle acque termali di Valdieri. — Anno 1858. Sulla solforazione delle viti. — Anno 1860. Della malattia della vite. — Anno 1872. Intorno alla malattia dominante del baco da seta. — 1872. Pensieri agronomici. — Anno 1873. Il baroscopio 0 pronunziatore del tempo. — Anno 1874. Sopra alcuni modelli di chiusura dei vasi vinari. — Anno 1875. Grano guasto dalle farfalline. — Anno 1875, COMMEMORAZIONE DI ASCANIO SOBRERO 97 Sulla iniezione dei legnami. — Anno 1876. Coltivazione e conservazione del mais foraggio invernale. — Anno 1877. Coltivazione di viti americane. Anno 1878. Risposta ai quesiti diretti ai Comizi agrari del Regno, rela- tiva al circondario di Torino. — Anno 1878. Dell’applicazione della dinamite ai lavori di agricoltura. — Anno 1878. Istruzioni per l’impiego della dinamite nel dissodamento dei terreni. — Anno 1878. Il bagno-maria per disgelare la dinamite. — Anno 1879. La ragnatela succedanea del chinino. — Anno 1882. Pubblicazioni negli Atti e nei volumi delle Memorie della R, Accademia delle scienze di Torino. Cenni sull’acido eugenico. — Anno 1845. Nota sui prodotti della decomposizione dell'etere nitroso sotto l'influenza del calore. — Anno 1845. Faits pour servir à lhistoire de l'action de l’acide nitrique sur les corps organiques non azotes — Anno 1846. Sopra alcuni composti fulminanti ottenuti col mezzo dell’azione dell’acido mitrico sulle sostanze organiche. — Anno 1846. Sur la resine d’olivier e sur l’olivile. — Anno 1846. Nota sullo zucchero fulminante. — Anno 1849. Nota intorno ad una nuova base contenente ossido di mercurio e sugli elementi dell’alcoole per Sobrero e Selmi. — Anno 1845. Nota intorno al cromato di chinino. — Anno 1851. Nota intorno all'olio essenziale di verbena triphylla. — Anno 1851. Osservazioni sull’azione del solfato di sesquiossido di ferro sul monosolfuro di ferro. -- Anno 1851. Intorno all’azione del cloro sui cloruri metallici in presenza dei cloruri alcalini. — Anno 1851. 98 ALFONSO COSSA Intorno ai prodotti della reciproca scomposizione degli acidi solforoso e solfidrico per Sobrero e Selmi. — Anno 1851. Intorno alla reazione dell’ acido cloridrico sopra il biossido di piombo e sul minio per Sobrero e Selmi. — Anno 1852. Memoria intorno all'espurgamento della seta. — Anno 1860. Analisi delle calamine. — Anno 1871. Della conservazione dei legnami col mezzo del bitume residuo della raffinazione del’ petrolio. — Anno 1871. Della cagione della malattia del baco da seta. — Anno 1871. Esame della foglia del gelso. — Anno 1871. Un caso speciale di fermentazione alcoolica. — Anno 1874. Altre pubblicazioni. Sur lhuile volatile de bouleau. — Journal de pharmacie et de chimie. — Parigi, anno 1842. Appendice à tous les traités d’analyse chimique par Ch. Bar- reswil et A. Sobrero. — Parigi, anno 1843. Sur l’'acide pirogaique produit de la distillation sèche de la resine de gayac. — Comptes rendus de l’Institut. Annalen der chemie und pharmacie, anno 1843. Tableaux des réactions des alcalis, des terres et des 0xydes mé- talliques, soit seuls, soit avec des réactifs sous le feu du chalumeau. — Traduzione dal tedesco, Parigi, anno 1843. Guida all'analisi chimica qualitativa del professore Remigio Fresenius. — Versione dal tedesco sulla 3° edizione del 1844, tipografia G. Pomba, Torino, anno 1845, Recherches sur les insectes appartenant au genre Moloes. — Journal de pharmacie et de chimie, anno 1845. Sopra un nuovo forno fumivoro. —- Memoria dei signori pro- fessore Sismonda, ingegnere Maus e professore Sobrero pub- blicata per cura del Ministero dell’Interno. — Anno 1846. Sulla glicerina fulminante o nitroglicerina. — Memoria letta al Congresso degli scienziati in Venezia, anno 1847. Manuale di chimica applicata alle arti, diviso in quattro volumi. — Tipografia sociale editrice, Torino, anni dal 1851 al 1866. COMMEMORAZIONE DI ASCANIO SOBRERO 99 Sopra una nuova combinazione dell'olio essenziale di tremen- tina. — Annalen der chemie und pharmacie, anno 1851. Una proposta riguardante la filossera. — 1875. Della cagione della malattia della vite e dei mezzi da usarsi per debellarla. — Anno 1866. Intorno all’idraulicità della giobertite. — Anno 1866. Altra nota intorno all’idraulicità della giobertite. — Anno 1867. Della porcellana magnesiaca di Vinovo. — Anno 1867. Preparazione dei legnami col bitume residuo della raffinazione del petrolio. — Anno 1867. Altra nota sulla preparazione dei legnami col bitume residuo della raffinazione del petrolio. — Anno 1867. Alcuni appunti riguardanti la nitroglicerina, la mitromannite e la cellulosa mnitrica. — Anno 1870. Sopra una nuova combinazione di mercurio. — Annalen der chemie und pharmacie, anno 1851. Vetri e cristalli. Relazione sopra i prodotti dell’ Esposizione Universale di Londra del 1862. — Veggasi Relazione dei Commissari speciali per detta Esposizione, anno 1865. Sul calcare bituminoso di Manopello. — Atti della Società degli ingegneri e degli industriali di Torino, anno 1868. Dei cementi magnesiaci. — Atti della Società degli ingegneri e degli industriali di Torino, anno 1869. Lezioni di chimica docimastica fatta nella Scuola d’applica- zione per gli ingegneri di Torino. — Editore Ermanno Loescher, anno 1877. La concimazione dell'orto e del giardino. — Conferenza al se- condo Congresso orticolo italiano tenutosi in Torino nel set- tembre 1882. Commemorazioni e biografie diverse, pubblicate negli Atti della R. Accademia delle scienze e negli annali della R. Acca- demia d’agricoltura di Torino. 100 E. D'OVIDIO Il covariante Steineriano di una forma binaria del 6° ordine; del Socio Prof. E. D’OvipIio Ci proponiamo di calcolare il covariante Stferneriano di una forma binaria di 6° ordine, cioè il covariante che ha per radici quegli elementi i cui primi sistemi polari rispetto alla data forma sono dotati di elemento doppio (*). Incidentalmente daremo al- cune relazioni fra i covarianti e invarianti fondamentali della forma di 6° ordine, ed esprimeremo parecchi suoi covarianti non fondamentali mediante i fondamentali. Detta fesa, == la forma di 6° ordine, il covariante Steineriano S'° sarà il di- scriminante della forma prima polare di f, di 5° ordine in 2: a) a,. E siccome ci è nota l’espressione del discriminante di una forma di 5° ordine mediante gli invarianti fondamentali di questa (**), (*) Questo covariante è stato già calcolato dall’egregio prof. G. Marsano (Vedasi la Nota Die Steiner"sche Covariante der bindren Form 6. Ordnung in Mathematische Annalen , vol. XXXI). Ma il nostro procedimento ci sembra più breve, perchè ha per punto di partenza il considerare lo Steineriano come un discriminante, cioè come un risultante che ha già preso una forma più appropriata alle condizioni particolari della questione. (#*) In una Nota pubblicata negli Atti dell’Accademia delle Scienze di To- rino (vol. XV, 1880) noi demmo il risultante di due forme binarie biqua- dratiche espresso mediante i loro invarianti fondamentali. E in un’altra Nota Sulle forme binarie del 5° ordine (ibidem), conside- rando il discriminante di una forma di 5° ordine come risultante di due forme di 4° ordine, cioè di due prime polari di quella, giungemmo per la via più diretta all'espressione del discriminante di una forma di 5° ordine mediante gl’invarianti fondamentali di essa; espressione del resto già co- nosciuta. IL COVARIANTE STEINERIANO 101 così non avremo che ad applicare tale espressione al caso attuale per calcolare S. Il quale risulterà di 8° grado e di 8° ordine. I. Fra le 26 formazioni invariantive fondamentali della f, quelle che avremo occasione di adoperare sono le seguenti (*): H=H=(f, f),=(abPa bt, k=k4=(f,f),j=(ab)'a,58, A=(ff);=(009", A=A'=(k,0),=(FK?k? L= (14), ga da r. I=12=(f,k),= (alba? m=m2=(k,1),=(k1)?% n=n=(km)=(km?k2, p=p5=(f, 5) _ l'a, Ci serviranno anche le note identità : d 1 (ab)'a,b, a,b,=k,k, — w A(xcy}, (abl'alb’=kk+ - A(cy) : ad 2 (abla,b,a,b, = HH} Se yÈ, (abfa,a}b,=H,6H}+ ta (cy); (UP RPE}=A LA} +3 3 B(e9)? (k, A):;=(KAPRIA,2=2 BE, 1 (UP (HIPER = BE; | 3 i = (ak) ak,=0, (aka, ky= 7 ly), (abbata,k,=—3 7 !(29) i 1: x (f.),=(al)’a,'=24+ gAl , (ak}(alak; Dei 5 (AA + Bk); 1 H.k,=(anpmors=tp = Dop (8, = (URP HSt= I f1- DE (Aj=(@bfatA?=3k- Bf; (*) CLEBScH, T'heorie der bindren algebraischen Formen. Gorpan-KERSCHENSTEINER, Vorlesungen ber Invariantentheorie. 102 E. D'OVIDIO : 1 (2,2), = (Ul = An=2C4+; AB - 1 I (f,m),= (ama, == (Ah + BH) +3? : (ip), =(1n)°p.'=3 (484 BH) 73}; (HA), —(HAPHINIS LAR4 Ae A 18 14 6 1 3 1,A)a 1 mp = 2A° 43 AKA Li Lala x A queste aggiungiamo le seguenti, facili a trovare: D) 9 3 DI 1 Psp; =(ak}a,'ky —> l(xy), PP =(ak) dx °ay “k F=dj 1(cy), 3 O DES “ (ah)È ai 4, k, Pra 10 L, L, (xy) 3 (*) Questa sizigie e le due seguenti furono date dal sig. STEPHANOS nella Nota: Sur les relations qui existent entre les covariants et les invariants de la forme binaire du sixiòme ordre (Comptes rendus, t. XCVI, p. 1564). Alla 3° noi eravamo giunti prima di aver sott'occhio quella Nota, col procedimento seguente: Si ha (A AL (AR) ak o (KA) (al) +2(ak) (ak) (AI) (71) | Id i A » : A(f, Da + (04)(a4) (AD AVA RR, (GR) (AR) (AI) (AMa RR =i “pc 2 +(aXfk, 2 evi Su Î (A? k/ E None °— (RAP 18 al A, 4 _ 5 k (a k'f (A/L P ui ce 5 1 (2h) n, ky (AD? kCA = : FAI? (KR Rf ida do UartAakrta*t,e+ : (AR) FI 4 1 1 il 1 sl IL COVARIANTE STEINERIANO 103 tizi È dia 1 1 2? polare di / =lel,_zAn(2y); (ak)'a,a, = U(y2)+3L L,(c2); ed anche queste altre (sebbene non ci occorra adoperarle pel calcolo. di S'): 1 Li i da bimba ait pet ei Mia (H, H),=(HH)Y HH, =: A4f pa Bk glP; 3 1 2 ER RL e — Alp (*). ILL 3 Afm 2fn+ a Alp gi 1 2 II. Data una forma binaria di 5° ordine (2), e posto i=i2=(F/P)j. j=ji=(E i) == il discriminante di F è 2 (i, ), —16(,7),- 1. 4 onde mp =A(f, DR (fm: — fa Uf, A)+ g BIL =20°4+3AR8+ 1 B(f1+-38)— fn. (*) Di queste relazioni la 1° è del CLEBscA. La 2° si può dedurre da quella dianzi riportata CH—=... dello SrePHanos e dalla seguente, dovuta allo stesso (e che del resto si trova senza difficoltà) : BH=k4+3 Ak*—fm+21p. Ma la via più diretta per trovarla è quella che passiamo ad accennare: Si ha AnH=(ll}(abf a, 6,4=|(a)(bY)— (al) (0) (a, 0,4 =2(7 1), — 2(41) (al) (02) (07) att, (al)(al’)(01)(0V)a,4b,* — : (alt 6,4 00 a, — (ab) 1,3 ‘apo, +0) a,*— (ab) rato. 1 =3/ (a? (al'Pa,® +1 aR+3 (alfa t0,— alt (avt att, ibi 104 E. D'OVIDIO Nel caso attuale si ha Pe > 3) E, dx è 1 5 = (ab) a,b, a, b,= k,° k, PF 3 A (2 2)° , II k, X 1 1 (i =, Phe)2 Le ko: sA(Ca) + | pdl), a A(x2) 2 2 1 NSA: 3 3 e però potremo già scrivere = i 1 IO a Sl) 16 (7, = eo — 16 (4, DE Si ha inoltre 1 =(ab)' (ac) (be) a,b,c,c= (aka, k fa} 3 Aaa? =p. pi — Sa 3a, + LI I. t,(c2) ; x 5 6 JI 5 10 7 "i E) 1 1 1 Ii =P PP 34 a a,a, + IT) L,1,(cu) + 5 ll. (02) (U) ; t= (ji, Isdi)s = (PPP, PrPaPi)o # a , , , 1 i 1 9 9 = (Pp\P."P + Pps — = A(ap)a,*p,°a,p.+ sg (ab a,b, a,b, (alP(al'f a. =2(4 +3 40%, Di=2n—5BlH3 Am) poichè (4, y) =U— 3BI (al) (ab a, 0,5=2(f +3 A(f ky =H—3Bf+44p;; onde (al) (al) (0) (bV) a,b, CE VOTARE. RCA. | 4, 132 1 1 = fn —g BÎl+ g Afm+- 7h +50 DE — RP + 3 BI 3 Alp i e! do da =53(h da tg Afm_—3 Abtfa— hl , —@& di 2) 2 AyH=(fD +3 Afm43 A—2Mm+3h2 . IL COVARIANTE STEINERIANO 105 5i î 2 rh - l. Pr l } (paga da, l, A, l, eat 5 (2°) l,Px D; (22) 1 4 1» — ig d(aba, la, (cz zl (#2); la quale ultima, mediante le P\9 ' LU \9 1 9 (PP Y°Px"P PP (PP VP PP — (PP) (02°, I 2 2 3 1 VINI NL CA 2 (ana, pa, p.=3 (papa + 5 (apfa,' pv 3 (12) (02) ((p) tp l,.p,=1p,p, —bp7 3” al tl=45) abili ba (dba ] l la Py lp =530Ds" Po + spie 3 (2): (c2 2}, a 5 1 a, l,0,P ni lata? + o fl — ò (f. 1), (c2)°, diviene ep 4g 2pe_l e_1 atta iasca t=(Pp) pr ped: — 5 Pp)(e°-A(aplar pra 1 ASIA spo: —-A4(ap) Ax Px Pi +3 A(hd), (£2) +taed H, HS TIVI TEA ipf+— sd Ep: (1, p), (72)? 7.24 FO Ao CA) 0 10 ‘ 4 ta, — die —A(f,1), lata L'rtost 60 ca 20 ; 50 ; Quindi risulta 1 lana (è t), lx k? 1a 6 A (€ 2), (P p VPpx'p Lp Li | 2 ess. Lab sedili + | ke kE — E A(x2),— 5 (p, p), (22)? 106 E. D’OVIDIO 2 In2 2 4: 2 1 1 = (kp')°(pp'}k.ep.tp' + e 1 A — gA(al (apPat pa +77 sad (f2), 1 1 Loi — A (Apa RP + GADDA 7 A (HD 1 1 3 e 3 a ipod Ly — CAAR == dai SE 7 04449 Ph la ) 1 pri Afm+ 5 LAR(F.I— pf — 305 P-+ 7% 50 Qui, oltre le (f, 2),, (7, p),. (7, %), che già conosciamo, si presentano le (%, p),, (A 2),» (2): (PP), (PD (abP, (ap}atp.', (apfa,*k.ep,, (kp')(pp')hep.'P, che ora ci procureremo (*). III. Si ha, sempre con l’aiuto delle identità notate al $ I: 1 1 1 1° (al)? (kk)Pa,'k° = (f, 4),+ 3 Bf=3kl4+GBf, U ' 3 1 (de, p)x= (*p)Ykxpz' = (ak)? (kk Pak 5 ki=— 1Ò kl+ 6 Bi | 2° (ab)' (ab) b.°k°=A+3Ak, 271 927. 2 3 1 2 (f.p),= (ap)'a,"p.° = (ab)' (ak)b,k,— È (= — E ASK » Ak. (*) Veramente le espressioni di (k, p),, (£f 2) e (2,p), si trovano fra le molte date dallo STEPHANOS, cosicchè, se avessimo potuto aver sott’occhio la sua Nota prima di fare i calcoli e di redigere il presente scritto, avremmo senza dubbio conseguito una ben maggiore brevità e nel lavoro e nella espo- sizione, Tuttavia non vi è danno a lasciar le cose come sono. IL COVARIANTE STEINERIANO 107 2 1 3° (ab) (ak) a, b,*kh,°=(H,k)+ ; = _ (f14-k), (P).= (@p)fa-td.1=(ab)(ab)a,*b'k rg fl4-3?. LC #7 2 5 BO 15 6 o 2 2 4 4 3 2 l 2 4° (ak) (04) a, da = (pt fl=3fl4;?P. Li , "xs DELI 1 1 5° (ab) (ak)? (bk )? bia — (Xk VRk AE 3 AA =gzBh + gh ; ' U 3 9 b (a k)? (a p)' k.*p} = (a b)' (a k)? (bk (L= Ri 5 (a k)" (a 1)? a k3 3 2 10 Bk+ 5 AA, U 9 19 9 3 (P.2),=(Pp)p2°p'=(ak) (ap) k.p, — 3(02)» 1 7 27 A 4A 2, 1 6° (ab) (al) b.°=m +3 Al ; 1 1 (fi, 4),=(a4)' a, b,' A,° = a (ab) (al) b,° — gA4! =] m. 2 1 1 7° 2 SZ 4 A DIA Sa = sa CIS (ab) (aA)°a,°b,' A.° = (H, A), + n kA 3 kA + 18 Ak gl? i 1 1 (aA)° BA) a,b, = |(aA)?d.° + DA a,— (ab A, (Pa? b,* 1 =P(hA) +3 hA —2(ab) (ahfab,tA,° 1 =; fm - gh mi (1 1 1 1 — kA—- — Preti fm 3} g AL +, 108 E. D'OVIDIO ' VINO È 1 (ak)? (bk E (kl: Jas bi = (aA)? (DA) a, b,44+ 5BH 1 1 1 1 1 = SEAN 2 Ss] A 3fm_-3hA—3AR+31p+3BH, ’ 8) (ar) (pa, ps = (ab (DE ad —

35 (; (+3! E CH-3-W?, Ù \o Ù 1 5 n )'(pYpd k°=] fee 2 + (pp) k.° — (kp)?p n) (A) 1 1 ne ’ =f (02) +32 (2) 3 3 (n)? (Ep) pi px 1 1 1 SE, RIVA mp — 52(; fl+- tt _0H 272 ASSAI SI) salari e 5 afaben dad mp . Tenendo conto delle ora trovate espressioni di (k,p),, (f. 2), ecc la precedente espressione di (i, 7), si trasforma senza difficoltà in 1 1 i\ gi 1 1, a e, e 7) 0] 2. A _ FI A, pera - bl? (Co) TÈ fi+1) pB(5 +e) 3 CH+3 hl 1 1 1 Mati) A i: ae + p po fm gi H. IL COVARIANTE STEINERIANO 111 IV. Sostituendo a (;, 7)? l’espressione ora ottenuta, la precedente espressione di ,S prende la forma 8 1 5 DELETE 7 pa a 3 ARD+(734+5 9 4 B)e+ (- da 32) fi Possiamo diminuire il numero dei termini di questa formola ed eliminarne C' e p, con l’aiuto delle espressioni di C77 e mp date nel $ I. Avremo così l’espressione desiderata dello Steineriano : 339 = — 33,534? — 2.93,5* ALA — 33.5 A2%? — (2°.3 A°+ 24.3*B) f14+ 2° 4*H+ 243° Afm4+-29.3* fn. È noto che l’annullarsi identicamente dello Steineriano co- stituisce il complesso delle condizioni necessarie e sufficienti perchè la forma proposta ammetta una radice tripla. Il Prof. MAISANO ha mostrato che lo stesso ufficio compete all’annullarsi identi- camente del covariante 15m — 4A4/, che è soltanto di 5° grado e di 2° ordine. U'£ Poichè l’occasione se ne presenta, diamo le espressioni dei discriminanti delle forme seconda, terza e quarta polare di una forma del 6° ordine f— 4,5. 1° Il discriminante della seconda polare afa,, forma di 4° ordine in #, si esprime mediante il suo invariante qua- dratico (a0)'a,20,°=% e mediante il suo invariante cubico Lig (ab)? (ac) (be) a,b, c,.°, che equivale (come è noto) a a Al D. 112 E. D'OVIDIO Esso è dunque Ne 1 IRC (74/2) 31 Il suo annullarsi identicamente porge le condizioni perchè la f abbia una radice quadrupla. Lo stesso esprime A—=0. 2° Il discriminante della terza polare a,*@a,°, forma di 3° ordine in 2, è i 3 (ab)(cd)*(ac)(bd)a_#b.Fcd,$= ‘(Hc)(Hd) H,6 — ni ke,d,{ (cd) cd 9 5) 8) 5) =(H, H),--7Hkb—-Hk=(H,H),— = Hk, e sostituendo a (7, H), la espressione datane al $ I, diviene il 1 1 — Af°--fp—=Hk. ta thro.gia pl Il suo annullarsi identicamente porge le condizioni per l’esi- stenza di una radice quintupla in f. Lo stesso esprime (0; A — 0 3° Il discriminante della quarta polare a.*@,', forma di 2° ordine in z, è (able =. 1l suo annullarsi identicamente porge le condizioni perchè la f sia una sesta potenza esatta. Viareggio, Luglio 1888. Sulla misura diretta ed indiretta dei lati di una poligonale topografica ; del''Prof N. JADANZA Ci proponiamo in questa nota 1° di esaminare se sia più esatto nei rilievi topografici catastali misurare una distanza che non superi 200 metri colle canne o pure colla stadia. 2° di far vedere come si debbano nella pratica calcolare e compensare le poligonali che servono di base ai rilievi del dettaglio. Siccome i cultori della Geometria Pratica non sono tutti d’accordo spe- cialmente in ciò che riguarda la prima delle quistioni ora ac- cennate, così le nostre conclusioni le abbiamo volute dedurre «dalla esperienza che è la sola guida sicura nelle scienze di os- servazione, E. Gli strumenti adoperati sono le canne della lunghezza di tre metri, un Tacheometro inglese di Simms ed un Cleps di 1 grandezza di Salmoiraghi. | Le misure lineari sono state fatte in terreno perfettamente piano ed in terreno montuoso. Nel primo caso abbiamo misu- rato delle distanze di metri 75; 100; 150 ed ogni misura è stata ripetuta 10 volte tanto colle canne quanto col Cleps e col Tacheometro. 114 N. JADANZA Ecco i risultamenti ottenuti cogli errori medi rispettivi. Distanza approssimata = 75". VALORI TEEN UTI col Cleps col Tacheometro colle Canne 747 8942 75”1000 75"090 74. 9135 75. 0054 060 75. 0644 14. 9022 085 74. 9121 1:9::0758 080 74.9671 74, 9746 068 75.0101 75. 1144 075 74. 9546 75. 0520 067 74. 9816 75.1000 070 75. 0259 7 0010550 i "o 065 75..0270 75.:0227 060 M =74.9750 M,=75.0402 | M,=75.072 Indicando con {2,,, Y,, { gli errori medi di una misura fatta col Cleps, col Tacheometro e colle canne si ottiene: p,=0,057, py=0,066, p,=0,01, Distanza approssimata=100". VALORI OTTENUTI col Cleps col Tacheometro colle Canne 100"3881 100"5830 100"690 4893 5485 610 4967 2744 625 4567 4530 . 605 4243 4061 660 . 4243 2778 _ 580 4784 3798 780 3205 6765 570 2174 4548 700. 9924 4081 17.600 M,=100. 42238. | 2,=100. 4462 | M,=100 642 p,=0. 094 py=0. 128 p,=0- 065. MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE Pi Distanza approssimata =151". VATRORITO IS NIUURT col Cleps col Tacheometro colle Canne 151"3414 151”1826 151"795 4312 5410 750 4060 4996 735 4439 4805 710 3846 4504 740 4115 SWWAO) 740 4345. 5185 739 5150 1475 (8535) 4756 3273 792 0861 4323 740 M =151. 4427 M,=151.4093 |M,=151. 7452 - d || p,=0. 069 = 0. 146 ul o. 021 | 1 Pa 3 I risultamenti precedenti ci autorizzano a fare le seguenti riflessioni. vi te Le misure di lunghezza fatte colle canne sono pochissimo discordanti tra loro, quindi anche l’error medio corrispondente è piccolo; però la differenza tra la media ottenuta colle canne e quella ottenuta colla stadia cresce col crescere la distanza. I due strumenti a cannocchiale diastimometrico, Cleps e Ta- cheometro sono d’accordo tra loro. L’error medio del Cleps è in- feriore a quello del Tacheometro, ciò che era da prevedersi in considerazione delle maggiori dimensioni del cannocchiale. Col cannocchiale del Cleps alla distanza di 150 metri la immagine del centimetro si vede sufficientemente grande da poterne stimare il decimo, mentre col Tacheometro ciò non è possibile. Nè vale adoperare oculari di maggiore ingrandimento, poichè verranno ad ingrandirsi proporzionalmente anche i fili del reticolo. Ben altrimenti succede in collina, ed in generale in terreno dove si trovano ostacoli. In un terreno coltivato a vigne la cuî 116 N. JADANZA inclinazione media è del 34 per cento abbiamo ottenuto i se- guenti risultamenti : Distanza approssimata = 50", e IE E e VALORI OTTENUTI col Cleps col Tacheometro colle Canne 499266 49"9579 50"670 9765 9456 960 9800 9164 465 9138 8916 670 9100 9937 520 9679 8896 9800 9102 9805 9920 9144 9348 8484 9611 DI —="49.9398 M,= 49. 9393 M,=50. 6196 p,=0. 044 =" 091088 Us = 0035 I quali mostrano ad evidenza la convenienza di non usare le canne; giacchè la differenza tra il risultamento ottenuto con esse e quello ottenuto coi due strumenti Cleps e Tacheometro è troppo grande perchè si possa indifferentemente accettare l’uno o l’altro dei due risultati. Anche l’error medio di una misura fatta colle canne cresce al crescere della distanza. Così p. e. in un terreno leggermente ondulato e della inclinazione media del 10 per cento si è ot- tenuto quanto segue. MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 117 Misure fatte colle canne. 156”. 800 690 580 820 480 815 315 500 805 415 M=156. 622 u=0. 188 Le misure precedenti non sono in numero tale da poter de- durne leggi sicure circa l’error medio di una misura in funzione della distanza ; però esse sono sufficienti a poter concludere : 1° In terreni piani, le distanze che non superano 150 metri possono essere misurate indifferentemente colle canne o colla stadia. 2° In terreni montuosi è più esatto adoperare la stadia anzichè le canne. Lo stesso per terreni dove trovansi ostacoli. 8° Dei due strumenti che più sono in uso in Italia per la misura delle distanze, il Tacheometro ed il Cleps, questo ultimo dà certamente risultamenti migliori ; amendue però possono essere adoperati egualmente a misurare distanze che non superano î 200 metri (*). (*) Qui noi intendiamo parlare del Cleps di 1* grandezza e del Tacheo- metro come quello di Simms avente l’obbiettivo del diametro di 45 milli- metri o poco meno. 118 N. JADANZA II. Del poligono di sei lati qui annesso A, A, A, A, A, 4; abbiamo misurato gli angoli con tre istrumenti diversi: un T'eodolite BREITHAUPT a microscopi a stima sul cui circolo orizzontale si leggono direttamente 12 secondi; un Cleps di 1° grandezza di Salmoiraghi con microscopi a stima avente cinque fili fissi e l’approssimazione di un primo centesimale ad ogni filo; un Tacheometro di Simms a vernieri avente anche l’approssima- zione di un primo centesimale. Ciascun angolo è stato misurato 8 volte (quattro collo stru- mento nella posizione destra e quattro nella posizione sinistra) tanto col teodolite quanto col Tacheometro. Col Cleps invece si sono fatte soltanto quattro letture (due col cannocchiale a destra e due col cannocchiale a sinistra); ciascuna volta però si sono letti i cinque fili del reticolo. I lati del poligono sono stati misurati direttamente colle canne, ciascuno cinque volte, ed indirettamente colla stadia adoperando il Cleps ed il Tacheometro, ciascuno due volte (*). Ogni misura LS (*) Il terreno racchiuso nel poligono è alquanto ondulato; la massima inclinazione appartiene al lato /; , il lato /, è quasi in piano. MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 119 col Cleps. consisteva nel leggere le quattro coppie di fili corri- ‘spondenti al rapporto diastimometrico 100 e le due coppie di fili corrispondenti al rapporto 50; ogni misura col Tacheometro consisteva nel leggere i quattro fili del reticolo, e quindi si ave- vano due coppie una corrispondente al rapporto 50 , l’altra al rapporto 100. Indicando ‘con 7, , l,, 43, Z,, 4, &. i lati econ 4,, 4, Az, Ay,) 4; 4; gli angoli, ecco i risultamenti ottenuti. Misura diretta dei lati fatta colle canne. 1,=20"565 I,=83"000 L,=51"220 570 82. 880 310 570 910 225 575 880 275 580» 990 230 M,=20"572 M,=82"932 |. M,=51"252 1,=52"590 I,=49"870 © 2,=45"585 536 715 720 560 820 760 575 935 nl 570 785 630 M,=52"5662 M,=49"825 | M,=45"687 ._. Indicando con {,, {4,... fx; gli errori medi di ciascun lato sì ottiene pr; ==0.,0057. Lv e80--0580f fg. 039, Li 0020, e0. 088 e = 0. 07550 e quindi 1 log u,°= 105; = 5. 50515— 10, 1 1 1 log pi = le = 7.54038—10; og ha 1083 =7.18526—10 2 3 te1 120 N. JADANZA 5 1 d 1 Trai ra — 10; logi 1087 —=7.84273-10; i È te] 1 loggy =log = IDTEO — LOL 6 Misura dei lati col Tacheometro. 1. =20"64855 I,=82"5498 1, =50"8854 62500 7182 51. 1827 M=20" 6368 M,=82"6340 M,=51"0340 1,=52" 6240 I,=49"4127 1,= 453446 4480 4882 6367 M,=52" 5360 M,=49"4504 M,=45"4906 Gli errori medi rispettivi sono : pi=0,0168; p,=9,119;-p,=0.210 Li bo 024 3 Boi 206 s e quindi 1 1 led — log = 6.44479-—-10; 108, Gdo =8.15165—10; 1 5 9 - ] log {23° >» —=8.64507—10; 3 i Li de —10; log n =log-=6.76380—10; i 3 o) 1 log ua lo85, = 8.62974—10. 6 Misura dei lati col Cleps. 1,=20" 550 I,=82"4989 > | 2,=5190244 575 5695 1425 M,=20"5625 M,=82"5317 M,=51"0834 MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 221 1,= 5273783 I, = 49"6585 I,=45" 176 4980 6346 434 M,=52"4381 M,=49"6475 M,=45" 307 u,=0. 0177; p,=0. 0584; p,=0. 0834; p=0. 0844 u,=0. 0537; py=0. 185; log," log — 649483 —10; log ui = log =7.45600—10; l 2 1 log p,° wi =7.84273-10; 3 1 1 fi loe7 =7.85321-10; logp. de; —=7.45939—10; , i d 1 log Est, = 8.53555 —10. 6 Angoli misurati. e’ __6rmr_re Si Iii ZAa|.ìÌiiil]OBIAIW{y E) } } ]]l l -< -cMMA--.:èk& Col Teodolite Col Cleps |Col Tacheometro Angolo A, 90° 36' 09.°00 | 10086515 100856537 144 16 31.50 | 160. 3130 160. 3075 123 30 25. 90 | 137. 2247 137. 2175 54 06 44, 25 60. 1125 60. 1217 192 29 11. 25 | 213. 8667 215. 8769 e | 115 03 21.00 | 127. 8560 127. 8470 | | Somma | 720° 02'22."90 | 80080244 | 8000243 122 N. JADANZA Formole adoperate per la compensazione. Indicando con «, , 4, .. . . a, i supplementi degli angoli A; , 4,,-..A, di un poligono chiuso di » lati 7, , 2... la, il metodo adoperato per la compensazione è quello che consiste nel compensare separatamente gli angoli ed i lati. Questo metodo già noto fu elegantemente esposto dal Prof. Siacci negli Atti della R. Accademia di Torino, vol. XXIII. Ponendo Ax=360°— (a ++... +4) la correzione da fare agli 4 misurati per avere i corretti è data da da= — . i ic, n Se 9, è l’angolo che il lato /, fa coll’asse delle x, gli an- goli 0, 93. -- n che) i ilati 00, Fal fanno col medesimo asse sono =, +, 0 =09+%4, Pat, +-+ (2) nelle quali gli angoli « sono già corretti. Le equazioni di condizione da verificarsi sono le seguenti. (2,-+92,) cosg, + (4, + Ù7,) coso, +... +(/,+07,) coso, =0 (1,4-d7,) seng, + (4 -+ 0d7,) seno, +... + (2,+-07,) senp, 20 insieme alla equazione del minimo Pd, + pa +... +py 07, = minimum. Ponendo per brevità n ZI,cose, = Ax 1 | e) n 2 l, sen pg, = 4Y 1 MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 123 le equazioni correlate saranno: qua -; (Icosg, + IZseng,) 1 1 1 d,=— 7 (1cos 9, + II sen 9,) el slot i eg a aio, a 0) Ste 1 O, =-—_—(Icos9,+II/seng,) n e le equazioni normali n così agente ©, ) mi peo Lialigy IT ” Pk ca Pi n Pieno 9 I Pi sd Pi | Le formole precedenti sono state adoperate per la compen- sazione delle tre poligonali, e per facilità abbiamo preso il lato î, come asse delle x ed il vertice A, come origine delle coor- dinate. Angoli misurati col teodolite, lati misurati colle canne. a corretti a,= 89°23'51."00 ai= |(89°24'14,"82 o, = 35 48 28.50 a,= 35 43 52.32 o,= 56 29 34.10 a, = 5629/87. 92 a,= 125 58 15.75 a,= 125 53 39.57 a.=—12,29.11. 25 o, =—12 28 47.44 o,= 64 56 39. 00 a,= 64 57 02. 81 ale 7iAzoIO ur 360° 00' 00."00 Aa=142.°90 A - da "<= 28: 817 124 N. JADANZA Essendo l’asse delle x coincidente col lato 7, sarà @,=0, quindi o,= 35° 43' 52”. 32 e,= 92 13 50,24 g,=218 07 29.81 g,=205 38 42, 37 Qg=270 35 45. 18 log cos g log sen 9 |log/cosy|log/seng| ‘cos y l sen 9 141.0000001 2:3f827 | TSISZI Aa 20.572 0.000 2 | 9.90943 | 1.91872 | 9.76640 |1.82815 | 1.68512 67.321 13.431 3 |8.59020n| 1.70971 |9.99967 |0.29991n| 1.70938 — 1.995 541.213 4 |9.89579n| 1.72071 |9.97055n|1,61650n|1.51126n — 41.952 —32.453 9.95496n| 1.69744 5 9.63628n | 1.65240n|1.33372n| ——44.916| — 21,563 6 | 801703 |1.65979 |9.99998n| 9.67682 |1.65977n 0,475). . —45.685 Aa—=-+0.105|Ay=—0,057 RE senycosg| cos’y sen? |sengcosy p P p p IE acne e 0.00003 | 0.00000 | 0.00000 2 | 7.35919 7.07313—10| 7.21616—10| 0.00229 | 0.00118 | 0.00164 3 | 436566 7.A8460 5.77513n 0.00000 | 0.00153 |—0.00006 4 | 6.39581 6.48533 6.29057 0.00025 | 0.00015 | 0.00020 5 | 7.74265 7.21529 743397 0.00553 | 0.00164 | 0.00272 6 | 3.79146 7.79736 D.7744An 0.00000 | 0.00572 |—0.00006 0.00840 | 0.01022 | 0.00444 MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 125 Equazioni normali. 0. 00810 7+- 0. 00444I55/=+ 0. 105 0. 004447+ 0. 01022 JT=— 0. 057. logI=1. 32247 , log JI=1.16769n. Correzioni dei lati. dl =— 0. 0007; O, =— 0. 0294; dU,=+0. 0238 ; ol, =-+0. 0029, di, =+0. 0876; d,=—0.0854.. Lati corretti. 2055713, =92.20026.; la 91."2708, fi d2 0091 el =:49-91260,pondo =49710046 Coi lati e gli angoli corretti si è fatto il seguente quadro per la verifica e per il calcolo delle coordinate dei diversi vertici. log cos y | log! sen 9 l cos 9 sen 9 x 0) MIR Si920 AL... 20.571 0.000 0.000 0.000 2 | 1.82800 1.68497 67.298 484A4 20.571 0.000 3 | 0.30010n 1.70958 — 1.996 al294 87.869 48.414 4 | 1.61652n | 1.51128n | — 41.954 | — 32.455 85.873 99.651 ‘5| 1.65317n 1.33449n | — 44.995 | — 21.602 44,549 67.196 6 | 9.67601 1.65896n | 4 0.474 | — 45.600 | — 0.476 45,094 — 0,002 | — 0,006 Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV. 10 126 N. JADANZA Angoli e lati misurati col Tacheometro. Ag= 080243 òoz=0,00405 2 corretti = 99. 3504 = 0 = 39. 6966 g,= 39. 6966 = ERA o,= 102. 4832 a,= 139. 8823 g,= 242. 3655 a,=—13. 8729 p,= 228. 4926 a,= 72.1570 g,= 300. 6496 400. 0000 logcosg| log |logseng|log/seng|]log/seng| ‘cosg l sen 9 1 |0.00000 | 1.31464 | ...... 134464 Mob... 20.634 0.000 2 |9.90946 | 1.91716 | 9.76636 |1.82662 | 1.68352 67.084 Res 3 |8,59102x| 1.70786 | 9.99967 |0.29888n | 1.70753 — 1.990 Lai 4 |9.89577n|1.72046 |9.97059n|1.61623n |1.51105n —41.327 A 5 |9.95497n| 1.69417 |9.63626n|1.64914n|1.33043n 44,580 — 21.401 6 |8.00876 |1.65792 |9.99998 | 9.66668 |1.65790n 0.464 —45.488 ® cos? p n sen? g lor sen cosg| cos’y sen?z |senycosp p p p P p p ARSIZIO IO eh pi ca 0.00028 | 0.00000 | 0.00000 2| 7.97057 7.68437—10| 7.82747-40| 0.00934| 0.00483 | 0.00672 3| 5.82711 8.6444A 7.23576n 0.00007 | 0.04410| 0.00172 4 | 7.98131 7.77095 7.87613 0.00958 | 0.00590 | 0.00752 5 | 6.67380 6.03638 6.35509 0.00047 | 0.00014 | 0.00023 6 | 4.64726 8.62970 6.63748n 0.00000 | 0.04263 |—0.00043 +0.01974 |+-0,09757 |4-0,01232 MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 1 DO I Equazioni normali. 0. 01974/+0. 01232 IZ=0. 285 0. 01232/+ 0. 09757 JI=— 0. 079 loprl'=b 21257 ; log JZ= 0. 45853n. Correzioni dei lati. dI, =—0. 0045; di,=—0.1640; dL,=+0.1549; Ol,=+0. 1712; 0dIi,=+0.0078; d,=—0. 1296. Lati corretti. I,=20."6323; l,=82."4700; Li 0171889; I,=52."7072 rude 49:n4582 i _45-230108. Calcolo delle coordinate. log/coss | log/sen © cos 9 1.31454 20.632 .00( 0.000 0.000 1.82576 66.951 19 20.632 0.000 0.30020n 1.70885 — 1.99 04.15 .58% 48.157 1.61764n 1.51246n | — 41.461 32. 5.58 99.308 1.64921n 1.33050n | — 44.587 È 4.1 66.765 9.66544 1.65666n | + 0.463 . 45.361 + 0.002 1 N. JADANZA Angoli e lati misurati col Cleps. Aa= 08", 0244 ò0z=0 . 00406 a corretti a,= 9983526 o = 90 Gao = CO2-274094 o,=102. 4705 o,= 139. 8916 o,=242.3621 apr o, = 228. 4994 on "(2.-1430 o, =300. 6474 400. 0000 (ft O SIA O) Lp A ON Tp O I ca logcosg | log | log/seng logtecs loglseng 0.00000 | 134308]. 4294308433, 9,9094810 1.91662|9.76630.-10] 1,82610 |1.68292 8.58912n |1.70828/9,99067 0.29740n| 1.70795 9.89579n |1.71965|/9,79054n |1.61544n|1.51019n 9.959494n |1.69589|9,63635n |1.65083n]1.33224n 8.00733 1.65617/9.99998n | 9.66350 |1,65615n cos?g sen?o seng 089 | così lo lo l = p P p P BASSA Ni TIR: 0.00081 7.27496 6.98860—40 | 7.13178—10| 0.00188 5.02097 7.84207 6:43152n 0.00001 7.64479 7.43429 7.53954 0.00441 7.36927 6.73209 7.05068 0.00254 455021 8.53551 6.54286n 0.00000 0.00895 Ax=-+-0.037|Ay= +-0.062 sen?o |seng cos $ PISO 0.00000 | 0.00000 0.00097 | 0.00136 0.00695 |—0.00027 0.00272 | 0.00346 0.00054 | 0,0011412 0.03433 |—0.00035 0.04554 | 0,00532 cin ‘MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 129 Equazioni normali. 0. 008951+ 0. 00532 ZZ7=0. 037 0. 00532740. 04551 JZ=0. 062 logI=0. 55298 ; log JE=9.:97531 Correzioni dei lati. dlii= 220; 0011 dl,= — 0.0099; èd6,=—0. 0056 - . d di,=+0.0242;. di,=+0.0105; d7,=+0. 0312. Lati corretti. I,=20."5614 : I,=82."5218 s la =01a"0778 > L= 92."4623 3 I=49."6570 3 l;=45."3382 EL Calcolo delle coordinate. loglcosz | log/seng | Zcosy l sen 0 Y t:31303 e... 20,561 0.000 0.000 0.000 2| 1.82605 1.68287 66.996 48,180 20,561 0.000 3 0.29735n 1.70790 — 1.983 54.039 87.557 48.180 4| 161564n | 151039 | — 41.271 | — 32,388 85.574 99.219 S| 1.65092n | 1.33233n | — 44.763 | — 21.495 44,303 66.831 6 | 9.66379 1.65644n 0.464 | — 45.396 | — 0,460 45,336 + 0.001 0.000 I tre esempi numerici precedenti fanno vedere che il Tacheo- metro ed il Cleps possono essere adoperati con successo a misurare gli angoli delle poligonali, essi mostrano anche la superiorità del Cleps riguardo alla misura delle distanze, essendosi avute cor- rezioni minime pei lati. 130 N. JADANZA — MISURA DIRETTA ED INDIRETTA ECC. Abbiamo voluto fare anche la compensazione della poligonale, ritenendo tutti i lati dello stesso peso. Colle misure dirette dei lati abbiamo ottenuto le seguenti correzioni ; I=—0.0516; di,=—0. 0174; dl, = 0. 0440; I, D-OIZTE d.= 0.0283; di,=—0.0425. | Ò O) le quali sono dello stesso ordine di quelle trovate col metodo più rigoroso. Però la correzione del primo lato è riuscita superiore di molto alla corrispondente ottenuta col primo metodo di compensazione, ciò che non dovrebbe essere essendo quel lato più corto di tutti e quasi in piano. Le coordinate dei vertici, in quest’ultima ipotesi, sono state le seguenti : a =D, a =20:" 520; ag= 87.827; aj Bla o 4A 00 HA, eg II Y3, = 48-5421:;" *y,— S9C70NBE yi /a210; ly dardi Ve L'area del poligono è stata calcolata con la formola: 2S=Z(Y+Yr41) (Ca Lea) i e si sono ottenuti i seguenti risultamenti : Lati misurati Lati misurati col Tacheometro col Cleps Lati considerati dello stesso peso ILati misurati direttamente e non del medesimo peso | i | 4495.2426 | 4495."903 | 4467,"302 | 4458.9077 Come conclusione ci sembra poter affermare che il metodo precedente di compensazione, deducendo cioè i pesi dalle misure ripetute di uno stesso lato, senza dar luogo a calcoli troppo lunghi è molto conveniente per le poligonali topografiche, e che quando i lati della poligonale avessero tutti presso a poco la medesima lunghezza, la compensazione si può fare supponendoli dello stesso peso. Torino, Novembre 1888. Afro Azione delle scintille elettriche sui conduttori elettrizzati ; Nota del Socio Prof. A. NACCARI 1. Ripetendo alcune esperienze sugli effetti elettrici delle yva- riazioni ultraviolette mi avvenne di esaminare l’azione di piccole scintille d’induzione sopra conduttori isolati ed elettrizzati. Notai allora che una scintilla anche minima, come ad esem- pio quella dell’ interruttore automatico d'una slitta del Du Bois- Reymond, può produrre degli effetti singolarmente intensi sopra un corpo conduttore elettrizzato ed isolato. Questi effetti consi- stono in un’accelerazione della dispersione che si palesa tanto nel caso che il conduttore posseda elettricità positiva quanto nel caso opposto. Riferisco qui alcune esperienze che possono dare una idea della intensità del fenomeno. Una pallina di ottone del diametro di quattro centimetri fu sospesa mediante un filo di seta ad un bastone di ceralacca fissato ad un sostegno di ferro. Un filo isolato congiungeva la pallina all’ago d’un elettrometro del Mascart. Le due coppie di quadranti di questo erano rispettivamente congiunte ai due poli d'una pila di trenta coppie, il cui punto di mezzo era posto a terra. L'elettrometro ha specchietto concavo e l’ imagine della fessura illuminata si osserva sopra la scala collocata a un metro di distanza. Le divisioni della scala sono millimetri. L’ elettro- metro era in condizioni di poca sensibilità. Una Daniell produceva una deviazione di quattro parti. A poca distanza dalla palla posi nelle prime esperienze una slitta del Du Bois-Reymond con l'interruttore volto verso la palla. La distanza fra l'interruttore e la palla fu diversa nelle varie esperienze, e nelle tabelle seguenti è indicata con la lettera d. Io osservavo di tempo in tempo la posizione della striscia luminosa sulla scala. Lo zero di questa stava nel mezzo di essa. 182 ANDREA NACCARI Indico col segno + le letture fatte dalla parte corrispondente alla carica positiva della pallina, col segno — quelle fatte dalla parte opposta. Per lo più quando la palla era scarica, la striscia si portava esattamente allo zero. Nell’esperienze seguenti una sola coppia Bunsen era appli- cata alla slitta, ed era caricata con liquidi già adoperati più volte. Indico con un asterisco il tempo in cui si chiude il circuito della pila e quindi la scintilla comincia a scoccare, con due aste- rischi il tempo in cui il circuito viene aperto. La lettera # in- dica i tempi delle osservazioni, contati in minuti primi, la s le deviazioni osservate. 1° esperienza. d=2cm. ** Q #14:0 116 Gai 116 12 2° esperienza. d=4cm. AZIONE DELLE SCINTILLE ELETTRICHE 133 3° esperienza. d= 10 cm. | | $s t Ss 0 | — 191 * 20 — 160 189 ree:2/6 147 6 182 * 34 143 hf | 180 MSN 129 * 8 180 51 126 #* 14 162 Lo setti 4* esperienza. d=:32 cm. s É + 216 FIOE 212 * © 100 SIRIO 100 7 5° esperienza. d=4cm. t s t s 0 + 222 * 6 + 136 1 220 pia 114 Pa 196 #8 114 ola 167 9 99 A 169 10 99 ves 136 — — let. i 134 nol ANDREA NACCARI 6° esperienza. d=7cm. t Ss | È | s TTT 0 Ja208" sp 9° | #63 Ji; AEZ0O I 8SI12 | 139 toni a ian 16 137 #5 166! **19 121 1 | | | Queste esperienze non sono destinate a paragonare l’effetto prodotto dalla scintilla sulle cariche positive con quello prodotto sulle cariche negative. Esse valgono soltanto a dare un’idea della grandezza dell’effetto. Facendo scoccare le scintille quando la pallina era scarica, non si osservava alcun effetto. Con rocchetti d’induzione di dimensioni diverse, da uno che dà scintilla di qualche millimetro appena ad uno che può dare scintille di quarantacinque centimetri, ottenni effetti consimili, ma l’intensità di questi è ben lontana dal crescere nella stessa ragione della potenza dell’apparecchio d’induzione o della lun- ghezza della scintilla. 2. Il fatto che l’accelerazione nella dispersione avviene tanto per elettricità positiva, quanto per negativa, mi fece fin da prin- cipio ritenere che l’effetto non si dovesse attribuire alle varia- zioni ultraviolette. D'altra parte interponendo una lamina di quarzo o di gesso l’azione veniva immediatamente sospesa. Qualunque diaframma non traforato produceva il medesimo effetto. Esaminai se si po- tesse attribuire l’effetto alla causa stessa del fenomeno osservato dal Guthrie (1) nel 1873 ; il quale fenomeno consiste in ciò, che un corpo solido incandescente posto a poca distanza da un conduttore elettrizzato lo scarica, se è elettrizzato negativamente. Più tardi }Elster e il Geitel (2) osservarono che a poca di- (4) GuTHRIE, Phil. Magazine (4) XLVI (1873), Chem. News, XLV, 116. (2) ELstER u. GEITEL, Wied. Ann. XXVI, p. 1. > aa RO AZIONE DELLE SCINTILLE ELETTRICHE 135 stanza la dispersione avviene pressochè nella stessa misura anche se il corpo è caricato positivamente. Ma la spiegazione che so- lamente si può applicare a quei fenomeni si fonda sopra una azione elettrostatica fra il corpo caldo e il corpo elettrizzato. Ad una simile spiegazione converrebbe ricorrere se si vedesse nel fenomeno prodotto dalla scintilla una stretta affinità con i fatti descritti dal Koch (1), dai quali risulta che l’ elettricità positiva esce da un corpo caldo più facilmente della negativa finchè la temperatura non è molto alta. Per altissime tempera- ture le due elettricità pare che si disperdano con uguale rapidità. Nel caso delle mie esperienze, specialmente di quelle fatte con i rocchetti, ogni azione elettrostatica doveva essere esclusa, perchè io aveva interposto fra la scintilla e il conduttore elettrizzato un disco di tela metallica posto in comunicazione col suolo e m'’ero accertato ch’esso arrestava affatto ogni azione di quel genere. Io aveva usato questo disco fin da principio nell'esperienze con i rocchetti, perchè gli elettrodi di questi si comportano come corpi elettrizzati staticamente e possono agire fortemente come tali. Paragonai inoltre l’azione d’un ‘corpo incandescente con quello della scintilla. La fiamma d’una candela anche a tre centimetri di distanza non produceva il minimo effetto sulla palla elettriz- zata quando fosse interposto un pezzo di tela metallica comu- nicante col suolo. Un filo di platino reso incandescente da una corrente fu parimenti inetto a produrre alterazione nella carica della palla quando questa era difesa dalla tela metallica. 3. Restava da esaminare se l’aria circostante venisse dalla scintilla modificata in maniera da produrre l’effetto osservato. Disposi perciò l’esperienza in modo che un rocchetto producesse una scintilla a distanza abbastanza grande per non produrre effetto troppo forte sulla pallina elettrizzata. Una corrente d’aria ottenuta mediante un mantice e un tubo di gomma spingeva al momento opportuno e per l'intervallo di tempo convenienti l’aria prossima alla scintilla verso la palla. Era sempre interposto un disco di tela metallica di 35 centimetri di diametro posto in co- municazione col suolo. Il tubo di gomma ponevasi con la sua bocca al di sopra della scintilla in tal posizione che la scintilla non venisse spostata dalla corrente d’aria e avvicinata alla palla. (4) KocH, Wied. Ann, XXXIII, 454. 136 ANDREA NACCARI M'’accertai con apposite esperienze che la corrente d’aria per sè sola, cioè quando mancava la scintilla, non produceva effetto sensibile. Riferisco i numeri spettanti ad alcune esperienze fatte in tali condizioni. Nelle tabelle che seguono indico con / la lun- ghezza della scintilla, con l’indice ‘ il tempo in cui la corrente d’aria comincia, con l'indice "” quello in cui la corrente cessa. 1° esperienza. d=2cm. =}: Carica negativa. 0 — 236 4" 106 cia 234 5 76 2 214 6° 46 3! 187 | 615 10 2° esperienza. d=2cm. hi-=,01 cm; Carica positiva. t | s pemdifi: pod 0 +192 | 3! Agli 183 | 4 2 164 5b 3° esperienza. d=5cm. I =cm: Carica negativa. t s | t 8 | 0 — 221 | 4' 188 "9 217 | di 3 3 205 I Do LS tedio I ld AZIONE DELLE SCINTILLE ELETTRICHE 1 4° esperienza. d=40 i=L'em. Carica negativa. ò° esperienza. di—9 i=0Ziem. É 8 É s 0 + 212 DI + 149 =" 210 6" 113 2 206 ES4T7 108 DI 198 8 106 40 155 Se la palla era scarica, ogni effetto spariva. Queste esperienze mettono fuori di dubbio che la dispersione si accelera grandemente quando l’aria che sta intorno alla scin- tilla e che, come è noto, vi forma un’aureola luminosa, vien portata a contatto con la palla. Poichè l’effetto è lo stesso, o poco diverso, sull’una e sull’altra elettricità, sembra che in ge- nerale l’aria così modificata consenta più facilmente il passaggio alla elettricità. Devo notare che in più casi sperimentando senza corrente d’aria osservai che la elettricità positiva sfuggiva, a parità di condizioni, più facilmente dell'altra, ma non ho po- tuto peranco esaminare le particolarità di quelle esperienze. Per esaminare se la modificazione per cui l’aria acquista la maggiore conducibilità sia permanente o cessi al cessare della 138 A. NACCARI — AZIONE DELLE SCINTILLE ELETTRICHE scintilla, eseguii l’esperienze seguenti. Feci scoccare la scintilla entro un globo di vetro che aveva quattro fori con tubi disposti in croce. Introdussi per due fori posti di fronte gli elettrodi facendoli passare attraverso tappi di sovero. Dopo aver fatto scoccare a lungo le scintille lì dentro, appena cessate le scintille, inviai l’aria interna sulla pallina mediante il mantice, giovan- domi degli altri due fori. Non ebbi così effetto alcuno. Se invece il mantice agiva finchè le scintille scoccavano, benchè la di- stanza di queste dalla palla fosse di venti centimetri avveniva una rapida dispersione. Così venne posto in chiaro che l’aria perde dopo breve tempo la proprietà che acquista per effetto della scintilla. È chiaro che i fatti descritti in questa nota hanno affinità con quelli che vennero descritti dall’ArRRHENIUS (1) e dallo ScHu- STER (2) e che si riferiscono alla conducibilità elettrica dell’aria rarefatta. Fra l’esperienze dello ScHuUSTER ve ne sono alcune fatte alla pressione ordinaria, che mi erano sfuggite dapprima; però le altre condizioni delle mie esperienze sono diverse, sono pure in gran parte diversi gli effetti osservati e diversa è la spiegazione a cui fui condotto. Torino, 15 Dicembre 1888. (4) ARRHENIUS, Wied. Ann. XXXII, 55 (1887, III) (2) ScHustER, Proc. R. Society, XLII, 371 (1887). L’Accademico Segretario GiusePPE Basso. Torino. — Stamperia Reale della Ditta G. B. Paravia e C, 2632 (150) 13-II-89 Bi Ti | R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Li DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 4' £ 5°, 1888-89 c_—_—__ Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 30 Dicembre 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LESSoNA, SALVADORI, BRUNO, BeRRUTI, Basso, D’Ovipio, BizzozERo, GIACOMINI. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Segretario comunica una lettera circolare del Ministero di Com- mercio e di Industria di Francia, annunziante un'esposizione re- trospettiva del lavoro e delle scienze antropologiche in occasione dell'Esposizione internazionale del 1889. Fra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia viene segnalata la seguente: « Cyclones et trombes » , par le Prof. Jean Luvini. Turin, 1888; 1 fasc. in-8°. Il Socio Cossa, Direttore della Classe, fa verbalmente una comunicazione preventiva riguardo ad un suo studio, di cui pub- blicherà fra breve i risultati, sulla funzione chimica di un iso- mero del Sale verde di MagnuUS. Quest'isomero costituirebbe una nuova base ammoniacale del platino, la quale forma il primo termine della serie delle basi ammonico-platiniche studiate da Gros, ReiseTt, GEHRARDT, CLÉve ed altri. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XX1V. 14 140 Adunanza del 13 Gennaio 41889, PRESIDENZA DEL SO&sIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, SALVADORI, Basso, D'Ovipro, Bizzozero, FERRARIS, NAccaRI, Mosso, GIBELLI, GIA- COMINI. Si legge l’atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- provato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia vengono segnalate le seguenti : « Annali del Museo civico di Storia naturale di Genova, »’ pubblicati per cura di G. DorIA e R. GESTRO; serie 2*, vol. VI, presentato dal Socio SALVADORI; « Bollettino dei Musei di Zoologia e di Anatomia com- parata della R. Università di Torino » (n. 35-52, vol. III, 1888); presentato dal Socio Basso. Si legge in seguito una lettera del primo Aiutante di campo del Re, nella quale, per incarico di S. M., si porgono all’Ac- cademia ringraziamenti pel telegramma che esprimeva i suoi sensi di condoglianza per la deplorata morte di S. A. R. il Principe Eugenio di Savoia Carignano. Le letture e le comunicazioni si succedono quindi nell’or- dine che segue: 1. « Commemorazione del Conte Paolo BALLADA di SAINT- RoBERT; » del Socio Prof. G. Basso ; 2. « Nuove esperienze sulla eccitazione voltaica dei nervi, » di E. OrHL della R. Università di Pavia, presentate dal Socio Mosso ; 3. « Sul processo di ossificazione; » Osservazioni del Dott. DkocouL, presentate dal Socio BizzozEno. 141 LETTURE Commemorazione del conte Paolo Ballada di Saint- Robert ; del Socio Prof. G. Basso Prima ancora che l’antico esercito Sardo si trasformasse, mercè la conseguita unità nazionale, nel grande esercito Italiano, il Pie- monte ebbe la ventura di educare una numerosa schiera di uffi- ciali valenti i quali al nobile ministerio delle armi seppero accoppiare il culto delle alte discipline scientifiche. Fra questi eletti devesi annoverare il conte Paolo Ballada di Saint-Kobert, la cui morte deplorata avvenne in Torino il 21 no- vembre dell’anno ora scorso. Egli era socio nazionale della nostra Accademia fin dal 26 novembre 1865; fu poscia membro della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto lombardo di scienze e lettere; fu uno dei XL della Società italiana di scienze e de- corato della Croce del Merito di Savoia. Nato il 16 giugno 1815 a Verzuolo presso Saluzzo dal conte Ignazio e da Lucia Civallero di Cuneo, Paolo di Saint-Robert entrò giovanissimo, e precisamente il 10 novembre 1826, nell’Ac- cademia Militare di T'orino. In questo Istituto, dove attinsero pure . i rudimenti della scienza altri sommi che resero più tardi alla patria servigi insigni, quali furono Camillo Cavour, Alfonso Della Marmora, Alessandro Della Rovere e Giovanni Cavalli, il Saint Robert attese con zelo esemplare agli studi fino al 26 dicembre 1833 e due anni più tardi, cioè nel 1835, conseguì il grado di luogotenente di artiglieria. Il sagace suo ingegno, il suo sapere profondo e vario, la lealtà e la fermezza del suo carattere lo designarono ben presto ad uffici importanti e delicati; per scopi scientifici e militari ebbe a compiere varie missioni all’estero, fu incaricato dell’insegnamento della balistica nella Scuola d’appli- cazione d’Artiglieria e Genio in Torino e pervenne al grado di tenente colonnello di artiglieria, quando, nel 1857, rinunziò al suo posto nell’esercito e si ritrasse a vita privata per consacrarsi pienamente ai suoi studi prediletti. 142 GIUSEPPE BASSO Ma l’affetto suo per l’esercito non si affievolì per questo; in ogni epoca della sua rimanente vita, pur coltivando con ardore il campo della scienza pura, non cessò di meditare sui problemi più gravi che si riferiscono all’arte militare. Nacquero in tal modo pregiatissimi lavori sulla balistica e sull’artiglieria, dei quali, a cagione della mia incompetenza in materie così speciali, debbo limitarmi a fare qui un cenno brevissimo. Nelle sue Memorie sulla balistica il Saint-Robert, come più tardi scrisse egli stesso (*), parte da un concetto più elevato che non sia quello di una ipotesi particolare sulla forma della funzione esprimente la resistenza che un mezzo fluido, quale è l’aria, oppone al movimento dei corpi nel suo seno; perciò i suoi ragionamenti si applicano non solo alle funzioni suscettibili di definizione analitica, ma anche a quelle che dall’esperienza sola possono essere fornite. Fra gli studi più importanti che s'infor- mano a questo concetto è da segnalarsi quello sul moto dei pro- ietti sferici nei mezzi resistenti. Ivi la traiettoria percorsa dal proietto è indagata e discussa ammettendo solo che la resistenza cresca o decresca colla velocità e, nel caso della resistenza pro- porzionale ad una potenza qualunque della velocità, riesce alla integrazione delle equazioni del movimento. Nello stesso lavoro vengono proposti vari metodi d’approssimazione per la determi- nazione del moto in mezzi la cui resistenza possa o non possa esprimersi coi simboli algebrici e si dànno infine le formole della balistica ordinaria nella ipotesi della resistenza proporzionale al quadrato della velocità. Argomento importantissimo, che l'Autore tratta maestrevolmente in cinque distinte Memorie, è quello del moto di corpi aventi forma diversa dalla sferica. Nel caso di proietti oblunghi lanciati dalle armi da fuoco rigate, egli dimostra che non sono al loro movimento applicabili le formole ordinarie stabilite per i proietti sferici e tratta più specialmente il problema del moto di un ci- lindro retto che, lanciato in aria, ruota intorno al suo asse, e del moto di un solido di rivoluzione, quali sono i proietti del- l’artiglieria, spiegandone la duplice condizione di movimento ro- tatorio e di moto di traslazione e proponendo un metodo per calcolarne la traiettoria per punti, qualunque sia la legge della (1) Vedi la prefazione dell’A. al primo volume della sua opera: Memoires scientifiques etc. COMMEM. DEL C. PAOLO BALLADA DI SAINT-ROBERT 143 resistenza. Elegante in sommo grado è la trattazione degli effetti prodotti sul tiro dalla rotazione della terra, i quali, prima che l’A. ricorra ai metodi analitici, vengono da lui studiati col mezzo di considerazioni puramente geometriche. Non meno elegante è il procedimento seguìto dall'Autore per giungere alla scoperta ed alla generalizzazione dei teoremi relativi alla similitudine delle traiet- torie; teoremi i quali, come scrisse il Generale Menabrea (*), ten- gono ormai un posto d’importanza indiscutibile nella teoria della balistica. L'esame delle condizioni in cui muovesi un proiettile qua- lunque in seno ad un mezzo resistente condusse il Saint-Robert fino dal 1855 alla concezione di un proiettile di forma lenticolare che un’arma da fuoco di speciale costituzione deve lanciare in guisa che esso assuma eziandio un moto rotatorio intorno al suo asse di fisura. La novità della proposta suscitò subito l’atten- zione dei cultori delle discipline militari. Il primo lavoro pub- blicato su questo argomento col titolo; Nuovo prozetto e nuova arma da fuoco fu riprodotto poco dopo in francese dalla Itvista della Tecnologia militare di Parigi ed in tedesco dall'Archivio per gli ufficiali del Real Corpo prussiano d'artiglieria e genio di Berlino. Le gravissime difficoltà incontratesi nella costruzione del- l'arma vietarono finora a che l’ardita idea si attuasse praticamente su scala abbastanza vasta da concedere alla esperienza di por- gere il suo inappellabile giudizio. Certo è però che il Saint-Robert, condottovi da profonde e maturate meditazioni, analizzò nei suoi minuti particolari il suo concetto originale e che, fino ai suoi ul- timi giorni, conservò salda la convinzione dell’importanza che in un avvenire più o meno remoto rivestirà il suo trovato. Il 26 aprile 1852 avvenne in Torino una formidabile esplo- sione di polveriera, per cui si dovette provvedere alla costruzione, in condizioni di maggior sicurtà, di un nuovo polverificio, che di fatti sorse poi a Fossano verso il 1861. Quest'avvenimento diede occasione al Saint-Robert di occuparsi colla usata sua sagacia della costituzione e della fabbricazione della polvere pirica. Special- mente degni d’interesse sono ancora oggidì i suoi lavori sulla sostituzione del nitrato sodico al nitrato potassico nella polvere, sull’analisi del carbone destinato alla fabbricazione di questa e (*) Lettera al Conte di Saint-Robert del 15 settembre 1861; vedi Me. moires scientifiques, t.1, pag. 339, 144 GIUSEPPE BASSO sui risultati di esperienze fatte a diverse altezze intorno alla du- rata della combustione della polvere stessa. Se gli studi fin qui accennati di balistica e di artiglieria procacciarono al loro autore fama ed autorità grande fra i cul- tori di queste speciali materie, una lunga serie di lavori nel campo dell'Analisi matematica, della Meccanica e delle Scienze fisiche lo resero altamente benemerito presso i cultori di tali discipline. Fra tutti emerge per importanza intrinseca, per nettezza mira- bile d'idee, per il rigore dei ragionamenti e per la chiarezza della forma l’opera intitolata: Principes de Thermodynamique di cui fecesi una prima edizione in Torino nel 1865 e poi una seconda nel 1870 coi tipi di Teubner a Lipsia. L'autore stesso nella prefazione alla prima edizione di questo suo lavoro mette in bella luce l’alta importanza filosofica e pratica della nuova teoria dinamica del calore, la quale getta, per così dire, un ponte fra la meccanica da una parte e la fisica e la chimica dall’altra. Oggidì anzi si può affermare che il concetto fondamentale che la in- forma fu precursore immediato al principio più generale della con- servazione dell’energia, qualsiasi forma questa assuma in natura. Il Saint-Robert fece di questo suo libro un lavoro di ordi- namento, di concentrazione, di semplificazione; però non vi è pa- gina in cui non spicchi pure alcunchè di originale, di suo pro - prio, che svela a un tempo la profondità del pensiero e la ni- tidissima esplicazione dei concetti. Esposti prima, nel libro di cui ora si tratta, i principî generali della dottrina meccanica del calore, seguono quindi le loro applicazioni alla dilatazione dei corpi accompagnata, o non, da lavoro meccanico esterno, all’ef- flusso dei fluidi, al movimento dei proietti nelle armi da fuoco, alle macchine termiche. Nella seconda edizione poi l’A. aggiunse una copiosa raccolta di problemi e le biografie di Sadi Carnot e di Roberto Mayer, ai quali devesi la scoperta dei teoremi fon- damentali della termodinamica. Hanno stretta relazione colla teoria del calore gli argomenti che il Saint Robert trattò in parecchie Memorie distinte, le quali, quasi tutte, fanno parte delle pubblicazioni della nostra Acca- demia. Cito solamente lo studio sul lavoro meccanico speso nella compressione e sul lavoro restituito nella espansione di un gaz permanente, quello sui cangiamenti di temperatura prodotti da una trazione longitudinale sui corpi solidi di forma prismatica, la teoria del compressore a colonna d’acqua di Grandis, Grat- COMMEM. DEL C. PAOLO BALLADÀ DI SAINT-ROBERT 145 toni e Sommeiller ed infine la Monografia intitolata: « Che cosa è la forza? » dove si chiariscono le cause di confusione pro- dotta dai diversi significati che alla parola forza si attribuiscono da molti ancora oggidì, per cui talora la forza è una pressione, una spinta, una trazione; altra volta è una quantità di moto; altra volta ancora si confonde coll’ energia e col lavoro mecca- nico di cui un dato agente è capace, come quando si dice la forza della polvere, la forza di una macchina a vapore, ecc. Amico di Quintino Sella e di Bartolomeo Gastaldi, il Saint- Robert cooperò con questi due insigni nel 1863 alla creazione .di una Società che rapidamente divenne fiorentissima ed è gran - demente benemerita dei progressi di certi rami della scienza e dell'educazione fisica e morale della gioventù, voglio dire del Club Alpino Italiano. Volendomi restringere a pochi cenni su quelle escursioni alpine del Saint-Robert che ebbero scopo più diret- tamente scientifico, ricorderò: la salita al Monviso, la prima fatta da Italiani, che ebbe luogo appunto nel 1863; la gita al Monte Ciamarella nelle Alpi Graie (1867); quella al Gran Sasso d’I- talia compiuta nel 1871 insieme al collega Giacinto Berruti, la quale venne poscia descritta ed illustrata di vedute e di carte topografiche coll’elenco delle piante e degli insetti raccolti e con note geologiche dello stesso Berruti; la salita alla Torre di Or- vada eseguita col nostro Michele Lessona, col prof. G. Striiwer e col compianto A. Gras e descritta in seguito da lui e dal Lessona. Il Saint-Robert nutrì sempre, fino a questi ultimi anni, un ‘vero entusiasmo per i grandiosi spettacoli che la Natura dispiega sulle alte vette dei monti; ma, nell’ebbrezza delle forti sensa- zioni che lassù scuotono l’animo dell’Alpinista, egli non trascurò mai il calmo ufficio dello scienziato. I molti suoi lavori relativi ‘alla ipsometria acquistano appunto maggior pregio e pratica uti- lità dall'essere stati concepiti, meditati e controllati da osserva- zioni dirette durante le sue escursioni alpine. In otto ascensioni aeronautiche che l’ardito fisico inglese G. Glaisher eseguì nel 11862, si fece, fra molte altre osservazioni interessanti, anche questa, che l’altezza di cui devesi salire nell'atmosfera affinchè il termometro si abbassi di un grado aumenta di valore di mano in mano che si raggiungono elevazioni maggiori. Di qui la ne- cessità di modificare la formola barometrica di Laplace, come anche le formole relative alla rifrazione atmosferica. Di questi 146 GIUSEPPE BASSO argomenti si occupò il Saint-Robert in varie pubblicazioni che videro la luce in giornali scientifici inglesi e francesi; argomenti affini a questi egli trattò pure in Memorie pubblicate nei vo- lumi della nostra Accademia, fra le quali specialmente si notano una tavola ipsometrica per determinare rapidamente sul site la differenza di livello fra due stazioni e per ridurre le indicazioni del barometro in una stazione a ciò che sarebbero in un’altra, ed un quadro grafico che ci porge a vista l'altezza di una sta- zione col mezzo della sola osservazione del barometro e del ter- mometro in questa stessa stazione. I principali lavori relativi alla ipsometria, alla meccanica, alla balistica ed all’artiglieria vennero raccolti ed ordinati dallo stesso Autore tra il 1872 ed il 1874 in tre volumi sotto il ti- tolo di: Memoires scientifiques réunis et mis en ordre. Indipendentemente dagli studi d’indole matematica il Saint- Robert ebbe sempre, e più negli ultimi anni, una speciale pre- dilezione per le scienze naturali e sovratutto per la botanica e per l’entomologia. Così egli radunò un importante erbario con- tenente piante assai rare, come la Saxifraga florulenta Moretti, di cui fece uno studio particolareggiato e formò pure una col- lezione preziosa di coleotteri e di lepidotteri sagacemente deter- minati ed ordinati. Ho tentato fin qui di riassumere a rapidi tratti la vita in- tellettuale del nostro compianto collega; e non sarebbe questo il posto opportuno per discorrere diffusamente dell’indole e delle doti morali dell’uomo privato. Basti il dire che in chi lo conobbe da vicino non si estin- guerà l'ammirazione per quella sua fortissima tempra che lo spin- geva senza titubanze, inflessibilmente, per la diritta via addita- tagli dalla fermezza delle sue convinzioni. Ciò potè talvolta im- primere al suo carattere alcunchè di eccessiva rigidezza; ma se ne’ contrasti della vita e nelle polemiche scientifiche egli sostenne e difese con ardore l’opinione sua, intollerante non fu mai, nè mai fu sordo agli impulsi del suo cuore generoso e serbò sempre i modi del perfetto gentiluomo. Facciamo voti perchè il nostro paese possa vantare, fra i giovani che ora si addestrano nella palestra degli studi, molti che al conte di Saint-Robert somi- glino per l’alta intelligenza, per l'integrità di carattere, per l’a- more vivissimo alla patria ed alla scienza. COMMEM. DEL C. PAOLO BALLADA DI SAINT-ROBERT 147 ELENCO delle pubblicazioni scientifiche di Paolo di Saint- Robert disposte per ordine cronologico NB. Le pubblicazioni precedute da asterisco (*) vennero dall’Autore ripro- dotte nella sua opera in tre volumi intitolata: Memoires scientifiques réunis et mis en ordre ; Turin, 1872-74. 1° Della fabbricazione della polvere da fuoco: considerazioni e proposte. Stamperia Reale, Torino, 1852. 2° Moto dei proietti sferici nei mezzi resistenti. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie seconda, tomo XVI, 1885. 3° Del tiro. Torino, Stamperia Reale, 1857. 4° Nuovo protetto e nuova arma da fuoco. Torino, Stamperia Reale, 1857. o Du mouvement des projectiles quelconques ; des effets de la rotation de la terre sur le mouvement des projectiles. Journal des Sciences militaires des armées de terre et de mer, Paris, 5"° série, tom. XIX, 1858. 6° Du mouvement des projectiles oblongs (1° partie). Journal des Sciences milit., etc. Paris, 5"° série, t. XXII, 1859. 7° Sur le volume d’une embrasure. Journal des armes spéciales et de l’État-Major, Paris, 4" série, tom. XII, 1859. 8° Du mouvement des projectiles oblongs (2° partie). Journal des Armes speciales et de l'État-Major, Paris, 4"° série, tom. XIII, 1860. 9 Le mouvement. Paris, Librairie militaire, maritime et po- litechnique, 1860. 10" Considérations sur le tir des armes a feu rayées dans leur ctat actuel; proposition d’un nouveau système des projectiles et d’armes a feu. Journal des Sciences mili- taires, etc. Paris, série 5, -tom. XXVI, 1860. 11° Del nitrato di soda invece del nitrato di potassa nella polvere da fuoco. Giornale la Rivista Militare, Torino, anno 4°, vol. 4, 1860. 148 GIUSEPPE BASSO 12° Sur l’analyse du charbon destiné à la fabrication de la poudre. Journal des Armes spéciales, etc. Paris, série 4, tom. XIV, 1860. 13" Du mouvement des projectiles lanceés par les armes à feu rayées. Spectateur militaire, Paris, 2° série. t. XXXIV, 1861. 14° Teorema sulla similitudine delle traiettorie descritte dai protetti nei mezzi resistenti; applicazione al tiro delle armi da fuoco. Nuovo cimento, Pisa, vol. XIII, 1864. 15 * Lettre au Directeur du « Spectateur Militaire » a Parigi. Estratto dalla dispensa di questo giornale del 15 aprile 1862. 16° Theorie du compresseur a colonne d'eau de M. M. Grandis, Grattoni et Sommeiller. Annales des Mines, Paris 1863. 17° Barometrical formula resulting from the observations made by Mr. James Glaisher in cight ballonvs-ascents. Phi- losophical Magazine, London, 1864, , 18° On the measurement of heights by the barometer and on atmospheric refraction, having regard to the constitu- tion of atmosphere, resulting from M. James Glaisher's observations. Philosophical Magazine, London, 1864. 19 Principes de Thermodynamique ; un vol. 1° édition. Torino, tipografia Cassone, 1865. 20 Remarques à l’occasion d'une Note de M. Clausius sur la determination de la disgreégation d'un corps et la vraie capacité calorifique. Archives des Sciences Physi- ques et Naturelles, Génève, tom. XXV, 1866. 21 Deduction de la formule relative à la mesure du pendule à secondes. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 1, 1866. 22 Metodo seguito per calcolare le posizioni successive di alfa della Croce e di Sirio nella serie dei secoli. Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. 1, 1866. :28 * Resultats d’experiences faites à diverses hauteurs touchant la durée de combustion de la matière de la poudre. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol.1, 1866. RA 24% Du travail mecanique dépensé dans la compression et du travail restitué par la detente d’un gaz permanent. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 1, 1866. 25 26 27 28 29 30 31 32 39 34 35 56 37 38 39 COMMEM. DEL C. PAOLO BALLADA DI SAINT-ROBERT 149 Nota intorno alla Saxifraga florulenta Moretti. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 1, 1866. Intorno alla formola barometrica ed alla rifrazione at- mosferica. Atti della R. Accademia delle Scienze di To- rino, vol. 1, 1866. Table hypsometrique pour determiner rapidement sur place la difference de niveau de deux stations et pour réduire les indications du baromètre dans une station à ce qu'elles seraient dans une autre. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 1, 1866. Sul vario significato di una terzina di Dante. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 1, 1866. Gita al Monte Ciamarella nelle Alpi Graie. Bollettino trimestrale del Club Alpino Italiano, Torino, 1867. Des changements de temperature produits dans les corps solides de forme prismatique par une traction longitu- dinale. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, mol .3%. 1867: Tableau graphique donnant à vue l’altitude d'une station au moyen de la seule observation du baromètre et du thermomètre à cette méme station. Atti della R. Acca- demia delle Scienze di Torino, vol. 3, 1867 Sopra un’ Opera del prof. A. Cavallero intitolata : Corso di lezioni teoriche-normali sulle macchine motrici. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 3°, 1867. Lettre au Directeur du « Spectateur Militaire » a Parigi. Estratto dal Giornale di Artiglieria, 1867. Notice biographique sur Sadi Carnot. Atti della R. Acca- demia delle Scienze di Torino, vol. 4°, 1869. Parere sul declinatore orario del prof. Foscolo, Atti della R. Accademia delle Scienze di 'Torino, vol. 4°, 1869. Sulla formola barometrica. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 5°, 1869-70. Jules-Robert Mayer; Notice biographique. Leipzig, tip. Teubner, 1870. Principes de thermodinamique; 2° edizione, Leipzig, tip. Teubner, 1870. Altezze sul livello del mare di alcuni punti dell’ Alto Pie- monte determinate col barometro. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 6°, 1870-71. 150 40° 41° 48 49 GIUSEPPE BASSO - COMMEM. DEL C. PAOLO BALLADA ECC. De la resolution des certaines équations à trois variables par le moyen d'une règle glissante. R. Accademia delle Scienze di Torino; Atti, vol. 2°, e Memorie, 2° serie, vol. XXV, 1871, Nouvelles tables hypsometriques. R. Accademia delle Scienze di Torino; Atti, vol. 2° e Memorie, 2* serie, vol. XXV, 1871 * Determinazione dell’altezza di un monte inaccessibile col mezzo di un barometro e di uno strumento misuratore d’angoli. The alpine Journal, Londra, vol. VI, n. 44, 1871. Gita al Gran Sasso d’Italia. Torino, tip. Bona, 1871. * Quest-ce que la force? Revue scientifique de la France et de l’étranger, Paris, 1872. Una salita alla torre di Orvada, in collaborazione di M. Les- sona, G. Striiver e A. Gras. Torino, tip. Bocca, 1873. ° Les projectiles lenticulaires ; estratto dall’Opera: Mémoires scientifiques dello stesso Autore. Torino, tip. Bona, 1873. * Memoires scientifiques réunis et mis en ordre; tom. 1°, Balistique, tom. 2°, Artillerie, tom. 3° Mécanique et Hypsometrie. Torino, tip. Bona, 1872-74. Intorno al calore che deve prodursi nell'esperienza imma- ginata da Galileo per misurare la forza di percossa. Atti del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano, 1876. Sul moto sferico del pendolo avuto riguardo alla resi- stenza dell’aria ed alla rotazione della terra. Napoli, Tip. della R. Accademia delle Scienze, 1877 Sul pendolo di Leone Foucault. Stamperia Reale di Torino, 1878. Poche parole intorno ad una Memoria del capitano F. Siacci sul pendolo di Leone Foucault. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 14°, 1878; Risposta dello Siacci nello stesso volume. Cannocchiale pensile per la misura degli angoli verticali ed orizzontali; con tre tavole litografate. Torino, 1878. Du mouvement d'un pendule simple, suspendu dans une voiture du chemin de fer. Roma, tip. Salviucci, 1879. Perchè i ghiacciai si vadano ritirando, Roma, Atti della R. Accademia dei Lincei, 1884, neri e el e inn 151 Nuove esperienze sulla eccitazione voltaica dei nervi ; del Prof. E. OEHBL In una mia comunicazione al X° Congresso Generale dell’As- sociazione Medica Italiana, io proponeva una nuova esperienza di- mostrativa dell’assunto, primamente enunciato da Pfliiger: che la eccitazione, cioè, del nervo motore, ha luogo al polo negativo (catode) all’atto della chiusura di un circuito voltaico, al polo positivo invece (anode) all'atto dell’apertura dello stesso circuito. Nella proposta esperienza si fissavano su piastra di vetro, alla distanza di circa 10 mill. l’uno dall’altro, due sottili reofori, met- tenti, colla interposizione di un invertitore, ad una piccola Grenet, ulteriormente sostituita, per la maggiore costanza, da un elemento Grove di 60 mm. di diametro. Fra questi due reofori se ne fis- savano due altri, alla distanza di circa 5 mm., mettenti ad un moltiplicatore abbastanza sensibile. Si isolava quindi, in una rana, l’ischiatico dalla sua origine coxale fino al poplite, con esporta- zione della coscia e con rimanenza della gamba e del piede. Si deponeva il nervo così isolato, trasversalmente sui quattro reo- fori, avvertendo che fossero tutti a contatto del nervo, e che l’arto adagiato sull’asciutta piastra di vetro non toccasse alcuno di essi. Se in queste condizioni si apre e si chiude il circuito, e se per la recentissima preparazione il nervo sia molto eccita- bile, si hanno regolarmente e ripetutamente le contrazioni istan- tanee di chiusura ed apertura a qualunque direzione ascendente o discendente della corrente. E nello stesso tempo la deviazione e la restituzione dell’ago galvanometrico, indicano, rispettivamente, alla chiusura ed all’apertura, il passaggio e la cessazione della cor- rente stessa nel tratto interpolare del nervo. Se in allora con taglientissima forbicina si recide il nervo, senza spostarlo, fra i due reofori galvanometrici, e se ne avvicinano i monconi per modo che si contiguino soltanto colla loro superficie 152 E. OEHL di sezione, bene avvertendo che non siavi il benchè menomo ac- cavallamento di fibre; ovvero, fra le due superficie di sezione dei monconi lievemente allontanati, s’insinui un esile filo di cotone inumidito, colla stessa avvertenza che non si accavalli sul nervo e che sia bene asciutta la sottostante piastra di vetro, in allora, si ha la contrazione dell’arto soltanto alla chiusura quando DI la corrente è discendente, soltanto all’apertura quando la cor- rente è ascendente, mentre ad ogni direzione della corrente il galvanometro ne indica sempre il passaggio alla chiusura, la ces- sazione all’apertura. Ciò pel motivo appunto, che il nervo essendo presumibilmente eccitato al catode nella chiusura, all'anode nell’apertura, questi due punti si trovano sul tratto di nervo in comunicazione col- l'arto, rispettivamente nelle correnti discendenti ed ascendenti, mentre invece per le correnti ascendenti e discendenti il ca- tode e l’anode rispettivamente eccitanti alla chiusura ed all’a- pertura, trovandosi sul moncone di nervo isolato dall’arto colla recisione, non ne determinano la contrazione. La determinereb- bero invece se la eccitazione in cui fu messo il moncone isolato, si potesse trasmettere (come da altre sperienze risulta non po- tersi trasmettere) attraverso la recisione ed anche attraverso una semplice strettura (che dà lo stesso risultato negativo) al tratto di nervo non isolato dall'arto. E se la eccitazione del nervo non fosse un’effetto dell’azione catodica di chiusura ed anodica di apertura, ma un puro e semplice effetto dell’insorgere e del ces- sare di una corrente trasmessa lungo il medesimo, in allora, anche quando il catode di chiusura e l’anode di apertura corrispondono al moncone isolato del nervo, la contrazione dovrebbe istessa- mente verificarsi, poichè gl’interposti reofori galvanometrici di- mostrano, che sia il nervo legato o reciso con diretta od indi- retta contiguazione dei monconi, mediante interposizione di cotone o di carta umida, la corrente si trasmette sempre e si manifesta al galvanometro nel senso della propria direzione. Questa esperienza tenderebbe quindi a confermare : 1° Che una corrente voltaica non eccita il nervo pel suo trasmettersi lungo il medesimo, ma soltanto pel suo insorgere (chiusura) lo eccita al polo negativo, pel suo cessare (apertura) lo eccita al polo positivo. 2° Che mentre la corrente si trasmette per via umida at- traverso un nervo legato ed attraverso i monconi contiguati diret- ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 190 tamente o indirettamente di un nervo reciso, non si trasmette invece la eccitazione. Non riassunsi in allora questi corollari come nuovi, ma come confermati da una esperienza dimostrativa, la quale non mi ri- sultava fosse stata fatta prima d’allora. Qualche anno dopo accennava brevemente ad un’altra espe- rienza (1), che è una modificazione della precedente e che di- mostra il medesimo assunto in un modo più facile e più persuasivo. Sta essa nel sottoporre allo stesso appareccchio due arti, anzichè uno solo, preparati nello stesso modo. Mentre infatti col- l’unico arto della esperienza precedente, a norma della direzione della corrente, si aveva la contrazione di chiusura o di apertura quando rispettivamente il catode o l’anode cadevano sul mon- cone muscolare del nervo reciso, contrazione che mancava (benchè vi avesse passaggio e cessazione di corrente) quando questi due. punti cadevano sul moncone isolato, con quest’altra esperienza invece, disponendo i nervi in modo, che le loro sezioni trasverse si contiguino fra i reofori galvanometrici, senza accavallamento di fibre, si ha la contrazione di chiusura nel solo arto a cui cor- risponde il catode, la contrazione di apertura nel solo arto a cui corrisponde l’anode; ed invertendo colla direzione della corrente, la ubicazione dei poli, si ha pure un invertimento nella contrazione catodica ed anodica degli arti; motivo per cui ad ogni chiusura ed apertura si ha la contrazione dell’uno o dell’altro dei due arti, a norma della direzione della corrente, la quale segna sempre al galvanometro il suo passaggio da un nervo all’altro, anche quando i due nervi non sieno contiguati direttamente, ma mediante la cauta interposizione di un filamento conduttore fra le due sezioni trasverse dei medesimi. Nella trattazione didattica dell’argomento fui tratto in que- stanno a dimostrare lo stesso assunto con altra esperienza, che, se pur non m’inganno, ritrae il suo titolo di novità principal- mente dal modo in cui è preparata la rana. Non trattasi infatti, come nelle esperienze precedenti, di ecci- tare a determinata direzione di corrente il nervo ischiatico di un solo arto, o di applicare un elettrodo a ciascuno dei nervi ischia- tici direttamente od indirettamente contiguati di due arti, ma ©. (1) Arch, Italien, de Biologie, t. III, 4886. 154 E. OEHL trattasi invece di procedere a questa applicazione su ciascuno dei nervi ischiatici comunicanti per interposto midollo spinale con cui si trovano in continuazione. Fic. 1 VU DOO» Salve infatti le modificazioni che accenneremo pei singoli casi, la preparazione era in genere condotta come segue. Decortica- zione della rana: isolamento degli ischiatici dalle loro origini spinali fino alla coscia od al poplite: esportazione del bacino e di tutte le restanti parti del corpo, meno un più o men lungo tratto di colonna vertebrale, per modo che ne risulti un più o men lungo moncone vertebrale, dalle cui radici spinali sì rias- ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 155 sumono i nervi ischiatici isolati e portanti le gambe decorticate ‘dalla coscia o dal poplite al piede. Sull’apparecchio tracciato nell’unito disegno (fig. 1) la rana così preparata, è disposta in guisa che i nervi ischiatici, in punti pressochè equidistanti dalla loro origine spinale alla immersione nella gamba o nella coscia, cadono sui reofori RR' dell’elettro- motore P, che può essere interrotto in C, ed invertito in I, mentre sul moncone vertebrale cadono alla lor volta i reofori SS'° del circuito galvanometrico G interrompibile in c. In tale disposizione ambidue gli arti della rana recentissima- mente preparata si contraggono al chiudersi ed all’aprirsi di C, mentre, a e chiuso, il galvanometro dà segno del passaggio della corrente da S verso S', se la direzione della corrente eccitante era tale, da essere l’anode in R, da S' invece verso ,S, se per l’interposto invertitore l’anode fosse stato in R'. Questa bilaterale contrazione di chiusura ed apertura può du- rare più o men tempo, ma è sempre transitoria e tanto più presto in genere dispare, dopo essersi molte volte verificata, quanto è più breve l’interposto moncone vertebro-midollare. La scomparsa della contrazione bilaterale è pure accelerata dalla frequenza con cui la si ridesta colla rapida successione delle aperture e chiusure del circuito, mentre una breve inversione del medesimo, ricondotto poi alla direzione primitiva, può re- stituirla, e più facilmente della contrazione bilaterale di apertura, restituisce quella di chiusura, mentre l’invertimento non resti- tuisce la bilaterale di apertura. Moltissime volte ha pur luogo una più transitoria contra- zione bilaterale, quando sieno contiguati direttamente, per inter- posizione umida, i due pezzi del moncone vertebrale longitudi- nalmente reciso e svuotato del midollo. Generalmente alla cessazione delle contrazioni bilaterali di chiusura ed apertura, tien dietro la contrazione unilaterale di chiusura nell’arto catodico, di apertura nell’arto anodico, non mai inversamente. Ripetendo però le esperienze, si può stabilire, che fra le due fasi di contrazione bi- ed unilaterale, vi sono delle fasi intermedie, che in mezzo alle molte variazioni si potrebbero riassumere come segue: 1° Contrazione bilaterale di chiusura ed apertura sensibil- mente eguale pei due arti nella intensità e nel tempo. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV. 12 156 E. OEHL 2° Contrazione bilaterale con sensibile maggiore intensità e precedenza di quella dell'arto catodico alla chiusura, dell’ a- nodico all’apertura. Contrazione bilaterale soltanto alla chiusura e contra- zione unilaterale dell’arto anodico all'apertura. 4° Contrazione unilaterale dell’arto catodico alla chiusura, dell'arto anodico all’apertura, non mai inversamente (1). 5° Breve persistenza di una sola contrazione unilaterale, che tanto può essere per l’arto catodico alla chiusura, quanto per l'arto anodico all’apertura. 6° Mancanza di ogni contrazione. Ripeto che nelle molte sperienze fatte e nelle non minori va- riazioni ottenute, non mai una sol volta avvenne che si con- traesse alla chiusura il solo arto anodico, o il solo arto catodico all’apertura, ma sempre avvenne, che nella contrazione unilate- rale si contraesse l’arto catodico alla chiusura, l'arto anodico all'apertura. Le relative sperienze furono fatte d’inverno, in ambiente a temperatura media di 15° C°, con igrometro fra 50° (medio) e 75° (umido), e coll’avvertenza di cambiare spesso i preparati e di tenerli umettati per lenta imbibizione da spugnole intrise. di acqua distillata alla stessa temperatura. La prima illazione da esse deducibile si è: che sebbene a modica e costante intensità della corrente eccitante, si avesse dap- prima la contrazione bilaterale, poi, dopo le varie indicate fasi, la unilaterale anodica e catodica, pure l'interposto galvanometro rivelava sempre una sensibilmente costante intensità di corrente derivata dal medesimo. A questa derivazione è condizionata la eccitazione e la con- seguente contrazione uni- o bilaterale, che manca, quando il tratto interpolare non si trovi sull’arco formato dai due ischiatici e dal- l’interposto moncone vertebrale. Catode ed anode non hanno quindi valore eccitante se non in quanto sono tali, ovvero sia, se non in quanto sia chiuso od aperto su quest’arco il circuito, e stabilita quindi la insorgenza o la cessazione della corrente. Manca infatti ogni contrazione uni- (1) Ho molte volte osservato, che da questa quarta fase il nervo può es- sere ricondotto per breve tempo alla prima, quando sì aumenti la intensità della eccitazione coll’aggiunta di un secondo elemento Grove, ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 157 o: bilaterale, se applicando gli elettrodi sulle due allontanate se- zioni dell'arco anzidetto, senza interposizione conduttrice, si renda impossibile la chiusura e conseguentemente anche l'apertura del circuito . | Anche da queste sperienze quindi, come dalle precedenti no- stre e dalle primitive di Pfliger, sembrerebbe confermato l’as- sunto di quest’ultimo autore: che a modica intensità di corrente, cioè, la eccitazione abbia luogo al polo negativo (catode) nella chiusura, al polo positivo (anode) nell’apertura del circuito. | È noto che Pfliiger deriva questa eccitazione dalla ipotetica insorgenza di una zona catelettrotonica nel primo caso, e dalla ipotetica scomparsa di una zona anelettrotonica nel secondo. KR l'apparente conferma che alla primitiva indicazione di Pfliiger de- riverebbe dalle mie triformi esperienze, sarebbe subordinata alla circostanza, che le da me osservate contrazioni dell’unico arto, sul cui moncone isolato cade il polo eccitante nella prima serie delle sperienze suddette: o le contrazioni bilaterali che dapprin- cipio si osservarono nella seconda serie, fossero realmente devo - lute, come aveva sospettato prima d’intraprendere questa terza serie, alla eccitazione (paradossa) che si desta in un nervo dalla variazione elettrotonica di un contiguo nervo eccitato. A questo punto però devo richiamare l’attenzione sulla dif- ferenza che passa fra le primitive esperienze di Pfliiger e le mie attuali. Applicando Pfliiger gli elettrodi al moncone nervoso di un solo arto, lo trascorre nel tratto interpolare con correnti ascen- denti o discendenti a norma della ubicazione degli elettrodi, ot- tenendo la contrazione di chiusura e di apertura e desumendo la sede della eccitazione (catodica od anodica) dai seguenti princi- pali criteri: 1° Che a correnti ascendenti la contrazione di chiusura succede’ più tardi alla chiusura, che non la contrazione di aper-- tura all’apertura, perchè il punto eccitato (catode) essendo più lontano dal muscolo, la eccitazione impiega maggior tempo a tra- smettersi a quest’ultimo. 2° Che recidendo rapidamente il nervo dopo la chiusura di correnti ascendenti si può eliminare la contrazione, poichè seb- bene, per la contiguità dei monconi, si trasmetta ancora la cor- rente nel tratto interpolare, come lo dimostra la possibilità di ottenere la successiva contrazione di apertura, pure, per l’avve- 158 E. OEHL nuta recisione, non si può trasmettere l’eccitazione dal catode al muscolo. 3° Che recidendo rapidamente il nervo nel tratto inter- polare ad incoato tetano di apertura, esso persiste quando la cor- rente è ascendente, perchè il punto eccitato (anode) cade al dis- sotto della recisione; desiste invece a corrente discendente, poichè sebbene la corrente stessa possa ancora trasmettersi, pure, cadendo la eccitazione al disopra della recisione, non può trasmettersi oltre quest’ultima la eccitazione del nervo. Le così condotte sperienze di Pfliiger, non solo fissano quindi i punti di eccitazione, ma fissano anche il principio : non essere la trasmissione della corrente nel tratto interpolare, ma la tra- smissione in esso e lungo il nervo della eccitazione, quella che determina la contrazione del muscolo. Nella seconda e terza serie delle nostre sperienze invece, noi abbiamo agito rispettivamente sopra due arti, dei quali sieno con- tiguati i monconi nervosi, ovvero sopra due arti continui per in- terposto midollo spinale, e nel tratto interpolare facemmo cadere la contiguità nel primo caso, la continuità nel secondo. Omologando i due casi colla sezione longitudinale dell’inter- posto tratto vertebrale e coll’avvicinamento dei due monconi, do- vrebbe, in ordine alle risultanze di Pfliiger, avvenire, che costan- temente alla chiusura del circuito si contraesse il solo arto catodico, il solo arto anodico, invece, all’apertura; quando, bene inteso, sia assicurata la eliminazione di ogni corrente secondaria, che agisca come chiusura ed apertura accessoria sull’arto, che non do- vrebbe contrarsi alla chiusura od apertura della corrente principale. Il fatto però non corrisponde alla premessa, dappoichè tanto nella seconda, quanto in quest’ultima serie delle mie sperienze, ho costantemente osservato, che quando si tratta di preparato fre- schissimo, le prime eccitazioni danno, nella massima parte dei casi, le contrazioni bilaterali, alle quali soltanto dopo varie prove, suc- cedono le unilaterali. Come dissi, avevo riferito il fatto alla possibilità che la va- riazione elettrotonica dell’arto eccitato alla chiusura o all’aper- tura, riescisse alla sua volta eccitatrice dell’altro arto. Questa eventualità, che non potrebbe essere notoriamente impugnata pel caso di accidentale sovrapposizione longitudinale di fibre nervose, potrebbe pur essere invocata per l’altro caso di apposizione delle loro sezioni trasverse, in base alla nota indicazione di Du Bois ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 159 Reymond, che per esse, ogni punto più vicino alla sezione lon- gitudinale si comporta positivamente rispetto ad ogni altro punto più lontano da essa. Motivo per cui, anche nel caso in cui, re- ciso longitudinalmente il moncone vertebrale svuotato del midollo e contiguatine i pezzi, si ottiene a prima giunta la contrazione bilaterale, avrebbe potuto questa derivarsi, come nella eventua- lità di sovrapposizione longitudinale ed anche trasversale dei mon- coni nervosi, da alterna eccitatrice influenza che la scemata elet- tromotorietà del moncone eccitato esercita sul non eccitato, per eventuale contiguità delle sezioni trasverse delle radici nervose tut- tora esistenti nei fori intervertebrali. Non regge però al fatto questa interpretazione, quanto regge alla teoria, poichè se in detta esperienza fosse la variazione elet- trotonica del moncone eccitato, quella che eccita l’altro moncone, dovrebbe avvenire: che applicando i due elettrodi ad un nervo, longitudinalmente o trasversalmente contiguato ad altro nervo, si contraesse l’arto di questo secondo nervo ad ogni contrazione di chiusura ed apertura dell'altro per la sua eccitatrice variazione elettrotonica. Il che invece è ben lungi dall’avvenire; e se con relativa frequenza si verifica una lieve e fugace contrazione con- tiguando longitudinalmente i due nervi, non mai la vidi verifi- carsi contiguandoli trasversalmente, mentre invece, tanto nell’una, che nell’altra maniera di contiguazione diretta, quanto anche nella contiguazione indiretta, costantemente avviene, che si abbia per breve tempo la contrazione bilaterale quando la contiguazione cada nel tratto interpolare. Per l’antagonismo esistente fra questa costanza e la quasi accidentale riuscita dell’esperienza precedente, non si può quindi logicamente ritrarre la spiegazione della contrazione bilaterale da eccitante variazione elettrotonica del nervo eccitato ed è a questo proposito appunto, che devo formalmente ricredermi dal sospetto esternato in accennati scritti precedenti: che, cioè, la iniziale con- trazione di chiusura ed apertura dell’unico arto a nervo reciso e monconi contigui; o la pure iniziale contrazione bilaterale di due arti a nervi contiguati, possa dipendere dalla eccitazione del- l’un moncone per variazione elettrotonica dell’altro. Se si pensi però all’altro costante fatto, che a nervi continui nel midollo spinale, si ha pure dapprincipio la contrazione bi- laterale, si potrebbe supporre per un momento, che alla chiusura avvenisse la contrazione dell’arto anodico per trasmissione bila- terale della eccitazione catodica e viceversa. 160 E. OEHL Prescindendo però dai dubbi, dei quali è forse ancora pas- sibile una trasmissione bilaterale della eccitazione, non si può essa invocare a spiegazione del fatto, pel motivo principalissimo : che se si eccita, cioè, bipolarmente il nervo di un arto della rana preparata nel modo anzidetto, con corrente voltaica, si ottiene bensì la contrazione di apertura e chiusura nell’arto corrispon- dente, ma non la si ottiene nell’arto opposto: indizio quindi che la eccitazione insorta nel nervo eccitato non si è trasmessa at- traverso il midollo spinale al nervo dell’altro arto. Che se anche volessimo trascurare l’eloquente risultato di questa esperienza ed ammettere la trasmissione bilaterale come un fatto incontestabile, non si potrebbe essa invocare nel caso concreto, pel motivo, che come più sopra dicemmo, la contra- zione bilaterale si ha dapprincipio costantemente, a nervi recen- tissimi, anche quando essi non sieno continui nel midollo spinale, ma soltanto contigui colle sezioni ossee dello sparato moncone ver- tebrale, ed eventualmente colle sezioni trasverse delle loro radici nervose. Nè si vorrà credere, come io dubitai per un momento, che la contrazione bilaterale a tratto vertebrale integro, possa dipen- dere da riflessione nervosa. L'esclusione di questa possibilità mi aperse l’adito ad un’altra serie di esperienze, che qui non è op- portuno di riferire, ma che tutte collimano a dimostrare il pre- cedente assunto: non mai ottenersi, cioè, nel nostro preparato, la contrazione di uno degli arti, quando la sì determini con ec- citazione bipolare voltaica nell’arto opposto, contrazione, che ine- rendo alla eccitazione anodica e catodica dei due nervi, do- vrebbe a fortiori avvenire, se il preparato fosse suscettibile di riflessione nervosa. Non posso quindi altrimenti spiegare il costante fatto della iniziale contrazione bilaterale del preparato medesimo, se non am- mettendo, che ad un primo grado di squisita freschezza dei due nervi sieno essi amendue eccitabili tanto alla chiusura, quanto all’apertua del circuito. E siccome su ciascuno di essi cade in-. differentemente, collo stesso effetto della contrazione bilaterale, o il solo catode o il solo anode a norma della direzione della cor-; rente, così bisogna pure naturalmente inferirne: che a questo primo grado di squisita freschezza, ciascuno dei due nervi è eccitabile ad ambo i poli, tanto alla chiusura, quanto all’apertura del circuito, ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 161 Questa illazione, senza della quale riesce inesplicabile un fatto certo e costante, modifica essenzialmente la legge di Pfliiger, che il nervo, cioè, sia eccitato al polo negativo (catode) per insorgente catelettrotono alla chiusura del circuito : al polo positivo (anode) per cessante anelettrotono all’apertura e non inversamente. La modifica, dico, nel senso, che a nervo squisitamente fresco la ec- citazione avviene anche inversamente e cioè: anche al catode all’a- pertura, anche all’anode alla chiusura del circuito. E in vero, se inerentemente a quanto si ammette sulle mo- dificazioni molecolari dell’elettrotono, l’insorgenza del catelettrotono nella zona catodica riesce eccitante al polo negativo, non v' ha ragione per cui non abbia a riuscire eccitante al positivo la in- sorgenza dell’anelettrotono nella zona anodica; come parimenti non v'ha ragione per ritenere ineccitante la cessazione del cate- lettrotono al primo, se riesce eccitante la cessazione dell’anelet- trotono al secondo. Ho anch’io riscontrato, benchè non costantemente, i princi- pali fatti, che già dicemmo invocati da Pfliiger a sostegno della eccitazione catodica di chiusura ed anodica di apertura sovra un unico arto. Mi avvenne, cioè, di osservare la contrazione di chiusura a corrente ascendente ritardata su quella di apertura; mi avvenne di poter eliminare alle stesse correnti la contrazione di chiusura, recidendo rapidamente il nervo nel tratto interpolare; e meno costantemente mi avvenne di veder persistere o desistere il tetano di apertura a correnti rispettivamente ascendenti o di- scendenti, mediante la stessa recisione; ma tutte queste contin- genze si riferiscono a nervi pei quali essendo già passato lo stadio di squisita freschezza o di relativa integrità, si verifica realmente, come col mio metodo di sperimentazione, su due nervi contigui o centralmente continui, la eccitazione unilaterale catodica di chiusura ed anodica di apertura. Ricordando anzi il già detto, fra questo quarto stadio ed il primo di squisita freschezza, esistono due stadi intermedi, nel- l’uno dei quali comincia a rallentarsi su quello dell’ arto cato - dico la meno energica contrazione dell’arto anodico alla chiusura e viceversa all'apertura, mentre nell’altro stadio (terzo) cessa la contrazione anodica di chiusura, per giungere al quarto stadio in cui cessa pure la contrazione catodica di apertura. Il secondo stadio non si può riferire ad una diminuita velocità di trasmissione della eccitazione nell’arto anodico alla; 162 E. OEHL chiusura e nel catodico all’ apertura , pel motivo che ecci- tando contemporaneamente e bipolarmente i due nervi nei pa- raggi polari dell’unica corrente, si ha contemporanea contrazione dei due arti. In relazione a quanto si ritiene sulle modificazioni molecolari dell’elettrotono nei nervi, questo secondo stadio potrebbe essere invece riferito ad inerzia d’insorgente anelettrotono e di cessante catelettrotono fisico, inerzia, che per quest’ultimo aumenterebbe nel terzo stadio al punto da eliminare la contrazione catodica di apertura e che estendendosi nel quarto stadio, all’insorgente anelettrotono, darebbe pur luogo alla mancata contrazione anodica di chiusura. Inerendo infatti all’ipotetico atteggiamento elettrotonico delle molecole nervose ed agli effetti elettrolitici della corrente sul nervo, si potrebbe supporre: 1° Che il passaggio alla orientazione bipolare ed il ritorno alla peripolare, per la iniziale integrità del nervo e per una con- seguente mobilità: in ogni senso delle molecole nervose, fosse in origine tanto vivido, da riuscire eccitante per ambo i tratti po- lari, tanto alla chiusura, quanto all’apertura. 2° Che per successiva alterazione elettrolitica o cadaverica del nervo, siasi talmente modificata la sua costituzione, da per- mettere, o da favorire una orientazione bipolare catodica e da ostacolare invece un opposto movimento di orientazione bipolare anodica delle molecole nervose, d'onde una tensione peripolare di queste ultime, rispetto ad una opposta tensione bipolare delle prime. Dalle quali opposte tensioni verrebbe rispettivamente fa- cilitato il ritorno alla orientazione peripolare delle molecole ano- diche, ostacolato quello delle catodiche. Ciò risulta più chiaramente mediante il sussidio della fig. 2, che rappresenta quattro coppie (1,2 — 3,4 — 5,6 — 7,8) di mo- lecole nervose in orientazione peripolare (con emisferi bianchi negativi) per apertura di circuito voltaico in direzione + — . Chiudendo il circuito, le molecole nervose si orienterebbero in modo da volgere al polo positivo o negativo il loro elemento eteronimo. Dovranno quindi orientarsi a + i loro elementi ne- gativi, a — i loro elementi positivi. Il che si otterrebbe am- mettendo, che le molecole 1, 4 roteino nel senso delle freccie mn per assumere l’orientazione di 1' 4'; che le molecole 6, 7 roteino nel senso delle freccie 0, p per assumere l’orientazione, ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 163 di 6' 7'; donde il passaggio dalla precedente peripolare all'at- tuale disposizione bipolare, che nel tratto interpolare è opposta (in direzione delle freccie x x) a quella dei tratti extrapolari (in direzione delle freccie 2 2). Come però in forza dell’annunciata ipotesi, è mantenuta e supponibilmente anche facilitata la mobilità delle molecole cato- diche 6,7 nella direzione 0, p, così vengono esse ad acquistare in 6'7', una tensione bipolare, che all’aprirsi del circuito ral- lenta la loro restituzione alla orientazione peripolare (in 6, 7), che deve compiersi nel senso della minore mobilità, vale a dire, in una direzione opposta a quella delle freccie 0, p. E come, invece, è diminuita la mobilità delle molecole anodiche 1, 4 nella direzione m, n, così vengono esse ad acquistare in 1’, 4' una ten- sione peripolare, che all’aprirsi del circuito accelera la loro re- stituzione alla corrispondente orientazione in 1,4, la quale deve compiersi nel senso della maggiore mobilità, vale a dire in una direzione opposta a quella delle freccie m n. Questa ipotesi deve essere coordinata alla dimostrata necessità di una data vividezza del movimento eccitante (stimolo) perchè ne venga da esso l’effetto della eccitazione. Nel caso nostro lo stimolo immediato che determina lo sco- nosciuto ma indubitabile movimento molecolare (ondulatorio o vibratorio) di eccitazione trasmissibile nel nervo, non è la cor- rente voltaica in sè stessa, ma è l’orientazione che essa deter- mina nei tratti polari. Avviene per questa, come per la eccitazione 164 E. OEHL meccanica, che non sia direttamente la pressione o lo stiramento che si esercita sul nervo quello che lo eccita, sibbene lo sposta- mento delle molecole nervose avvicinate od allontanate, quello che suscita in esse un trasmissibile movimento di eccitazione, nella identica guisa che la circoscritta pressione esercitata sovra un punto di circuito bimetallico, senza estendere i suoi effetti mec- canici a tutto il circuito, determina però nel medesimo, col mo- vimento molecolare di orientazione elettrica, lo svolgimento di una corrente. E come la eccitazione meccanica può fallire per soverchia lentezza od inerzia di spostamento molecolare, così può fallire la eccitazione voltaica, quando il movimento di orientazione destato da essa nelle molecole nervose sia tanto inerte, da spe- gnersi nella resistenza che incontra per trasformarsi in movimento di eccitazione Da tali premesse si evince, che nelle nostre esperienze, la ori- ginaria contrazione bilaterale del primo stadio, contrapposta alla unilaterale del quarto, potrebbe essere non tanto l’effetto di una diminuita eccitabilità del nervo, che è quanto dire di una sce- mata mobilità ondulatoria o vibratoria delle sue molecole, quanto invece di una deficenza relativa dello stimolo immediato, o del movimento di orientazione molecolare indotto dal chiudersi e dal- l’aprirsi di un circuito voltaico di costante intensità. Si com- prende infatti come lo stesso circuito, modificando al massimo la costituzione del nervo nelle zone polari, possa pure modifi- carne la mobilità elettrica delle molecole, destatrice della ecci- tazione, senza modificare sensibilmente la eccitabilità del nervo o la disposizione delle sue molecole a risentire gli effetti della eccitazione i ‘Gli è per questo che noi, senza punto addentrarci in una questione, che tanto più crediamo intempestiva, quantochè abbi- sognevole di altro studio sperimentale, non ci siamo arrischiati di riferire il diverso contegno del nostro preparato, nelle varie accennate fasi, ad un diverso grado di eccitabilità del medesimo, ma ci siamo invece arrestati al fatto indiscutibile del diverso grado di freschezza. Fatto indiscutibile nel senso, che sebbene il ripetuto e fre- quente avvicendarsi delle chiusure e delle aperture del circuito, acceleri il passaggio dalla prima alla quarta fase, il che potrebbe essere riferito ad azione elettrolitica, pure questo passaggio ha liogo istessamente, in tempo men breve, anche quando il nervo, ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 165 senza aver subite queste prove, abbia presumibilmente risentita una semplice modificazione cadaverica. E siccome per tale contingenza è genericamente inducibile e dimostrabile nel nervo una diminuzione di eccitabilità, così po- trebbe essere anche inferibile, che l’acceleramento indotto nella insorgenza della quarta fase dalle ripetute aperture e chiusure del circuito, fosse un effetto sommario di scemata mobilità elettro- tonica ed eccitatoria delle molecole nervose, benchè in un primo periodo di questa azione risulti dimostrata la influenza (per lo meno prevalente) sulla mobilità elettrotonica dalla accennata cir- costanza, di poter, cioè, ritornare dalla quarta alla prima, o ad una intermedia fase, mediante l’invertimento del circuito. Coordinando adunque la ipotesi della scemata mobilità elet- trotonica delle molecole nervose colla dimostrata necessità di una data vividezza dello stimolo efficace, dovrebbe avvenire appunto, che tale riuscisse soltanto alla chiusura il più vivido movimento di orientazione bipolare catodica, e tale soltanto all’apertura il più vivido movimento di orientazione peripolare anodica, e che si avessero di conseguenza rispettivamente: la sola eccitazione di chiusura al catode, la sola eccitazione di apertura all’anode, ve- rificandosi di tal guisa il quarto stadio della contrazione, cioè, unilaterale, dell'arto catodico alla chiusura, dell’arto anodico all'apertura. Alla stessa interpretazione però si prestano anche gl’ inter- posti stadi, secondo e terzo. Non si tratta infatti che di una differenza di grado, poichè quando in un secondo stadio è appena iniziata la minore mo- bilità delle molecole nervose nel senso indicato, non mancheranno, ma dovranno essere meno intense le eccitazioni anodica di chiu- sura e catodica di apertura, e conseguentemente più intense le op- poste eccitazioni catodica di chiusura ed anodica di apertura. E per la minore intensità delle prime, essendo presumibilmente inva - riata la resistenza alla trasmissione della eccitazione, un ritardo alla medesima, sperimentalmente dimostrato anche da H. Munk, ed una conseguente anticipazione delle più energiche contrazioni catodica di chiusura ed anodica di apertura 1 Il terzo stadio di persistente contrazione bilaterale alla sola: chiusura, accennerebbe ad un crescente rallentamento dî orienta- zione peripolare delle molecole 6', 7', per cui manca la contra- zione catodica di apertura; crescente rallentamento che dal polo’ 166 E. OEBL negativo estendendosi al positivo, darebbe luogo, nel quarto stadio, alla pur mancante contrazione anodica di chiusura per rallentata orientazione bipolare delle molecole 1, 4. Questa direzione in cui cresce dal polo negativo al positivo il rallentamento di orientazione molecolare sarebbe pur dimo- strata dalla circostanza: che quando, nel secondo stadio, non appare con sensibile contemporaneità la precedenza della contra- zione catodica di chiusura ed anodica di apertura, quest’ultima è in genere quella che primamente si verifica. Vale a dire, che inerendo alla interpretazione risultante dalla fig. 2., incomincia a riflettersi sulla intensità e conseguente celerità di trasmissione della eccitazione il rallentamento di orientazione peripolare delle molecole 6' 7’, che estendendosi poi al polo positivo, dà luogo alla successiva precedenza della contrazione catodica di chiusura per corrispondente rallentamento di orientazione bipolare nella stessa direzione delle molecole 1, 4. E lo sarebbe pure dall’altra circostanza, che quando nel quinto stadio si verifica una sola contrazione, anodica di aper- tura o catodica di chiusura, la prima è quella che più frequen- temente segna il passaggio al sesto stadio di completo silenzio. Il che verrebbe a significare, che mantenendosi residua la sola contrazione catodica di chiusura, si mantiene ancor vivo il mo- vimento di orientazione bipolare delle molecole 6, 7, quando già ad ambo i poli sono diventate inefficaci le orientazioni peripo- lari, ma che più generalmente l’anodica di esse è quella che man- tiene per ultima la propria efficacia. Ed anzi osservai, che quando si verifica una tale contingenza, essa ha luogo per ambo gli arti, tanto se si scambino sui reofori, quanto se s’inverta la direzione della corrente. A questo punto però, si potrebbe muovere la dimanda: del come avvenga, che sperimentando sovra un solo arto, si otten- gano quei già enunciati criterii, che io dissi di avere pure, benchè non sempre constatati, e che a ragione si ritengono dimostrativi della eccitazione catodica di chiusura ed anodica di apertura. Qui sta appunto, se pur non m’inganno, il motivo, per cui credo meritevole di considerazione il metodo sperimentale da me proposto. Con questo metodo infatti, non avvenendo alcuna recisione di nervi e tenendosi essi anzi in comunicazione coi loro centri, è presumibile che mantengano per maggior tempo le condizioni ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 167 inerenti alla loro vitalità. Ciò sembra confermato dalla circo- stanza, che la sopraggiungenza della contrazione unilaterale si ac- celera non solo colla ripetizione della corrente, che agisce elet- troliticamente su essi, ma eziandio colla distruzione dell’ inter- medio midollo, che separando i nervi dai loro centri ne favorisce probabilmente l’alterazione, mentre per l'opposto, la contrazione unilaterale ritarda in genere colla maggiore lunghezza dell’inter- posto midollo, o colla maggiore abbondanza di quella sostanza nervosa centrale, che tanto sembra influire a mantenerne la inte- grità. D'altra parte con questo metodo, che offre alla diretta os- servazione un arto catodico ed un arto anodico, siamo sempre si- curi che la eccitazione avvenne o sempre ad ambo i poli, o sol- tanto alla chiusura o all'apertura, o che avvenne invece ad un solo polo, a seconda che osserviamo contrazioni bilaterali di chiu- sura ed apertura, ovvero di sola chiusura od apertura, ovvero finalmente contrazioni unilaterali. Il metodo invece dell’ unico arto, quale almeno dagli stessi suoi citati criteri dimostrativi, risulterebbe adoperato da Pfliiger, siccome quello che è presumibilmente meno propizio a favorire la integrità del nervo, lascia legittimo adito al dubbio, che la da lui riscontrata esclusività iniziale della eccitazione catodica di chiusura ed anodica di apertura sia già un effetto della sua al- terazione. E notisi che questo riscontro non è basato sulla diretta e contemporanea osservazione della inattività di un arto anodico alla chiusura e catodico all'apertura, ma è basato invece sui criteri anzidetti e riassumibili, come vedemmo, per le correnti ascen- denti: nel ritardo della contrazione di chiusura rispetto a quella di apertura: nella elisione della prima e non della seconda per recisione interpolare del nervo: nella persistenza, per la stessa re- cisione, del tetano di apertura, desistente invece a correnti di- scendenti. Quanto al primo criterio, l’esperienza mi avrebbe dimostrato, che quando lo si ottiene, il nervo è già entrato nella quarta delle nostre fasi, poichè se sul nervo di uno degli arti della rana pre- parata nel mio modo ed adagiata sull’apparecchio a C aperto, si applica una corrente ascendente dello stesso elemento Grove, e si constata il ritardo della contrazione di chiusura rispetto a quella di apertura, aprendo questo circuito e chiudendo Cl, si 168 E. OEHL ottiene la contrazione unilaterale catodica di chiusura ed ano- dica di apertura, mentre in un tempo precedente lo stesso preparato aveva offerta la contrazione bilaterale di chiusura ed apertura. . Quanto al secondo criterio, esso è meno facile ad ottenersi del primo, poichè per questo si tratta soltanto di ripetere l’os- servazione, fino a tanto che siasi verificato il caso del ritardo nella contrazione di chiusura, mentre invece per quello si tratta di recidere il nervo nel tratto interpolare, colla indicazione di rinnovare l’esperienza sovra altri arti, fino a tanto che l'esito corrisponda alla aspettativa. Verificandosi ora, come assai volte si verifica, la contrazione, malgrado la recisione, ed escludendo che quest’ultima sia avvenuta o troppo presto, prima della chiusura, o troppo tardi dopo di essa, la permanenza di questa contrazione dovrà significare che nella chiusura ebbe pur luogo la eccita- zione anodica, e i casi relativi, che controllati col nostro metodo, avrebbero dato la contrazione bilaterale, verrebbero a contrap- porsi, come prima o seconda delle nostre fasi, agli altri, che per riuscita abolizione di una delle contrazioni, corrisponderebbero alla terza o quarta delle fasi suddette. Quanto al valore dimostrativo del tetano di apertura, persi- stente o desistente alla recisione interpolare di nervi percorsi da corrente ascendente o discendente, non mi perito di apprez- zarlo, per la grande incostanza e per la conseguente grande in- certezza di questo criterio, quale almeno è a me risultato tanto per la frequente mancanza del tetano di apertura, quanto anche per la non infrequente presenza di un tetano di chiusura, spe- cialmente nei casi di eccitazione dei due nervi comunicanti per interposto midollo. Dal riassunto di tali considerazioni, parmi risulti, se non altro, giustificata l'indicazione del proposto metodo di sperimentazione; il quale, volendo anche prescindere da ogni teorica interpreta- zione che mi permisi d’introdurre, dimostra indubbiamente. il fatto costante: che in una prima fase di relativa ‘integrità del nervo, esso è eccitato aî due poli, tanto alla chiusura quanto all'apertura di un circuito voltaico di modica e costante intensità. Questo fatto, escludendo il valore eccitante del solo insor- gente catelettrotono e del solo cessante anelettrotono fisico e coordinando gli effetti alle cause motrici che identicamente si ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 169 svolgono ai due poli, riconduce al più logico assunto aprioridico: che in una prima fase di relativa integrità del nervo, devono agire eccitando rispettivamente al polo negativo e positivo l’insorgente ed il cessante cata- ed anelettrotono (1) (1) Stavo correggendo le bozze di questa Memoria, quando venni in co- gnizione di una obbiezione mossa alle due precedenti mie sullo stesso argo- mento, dal Referente di esse nel 15° vo]. del Jahresbericht ueber die Fort- schritte der Anatomie und Physiologie, Leipzig, 1887, pag. 241 e 22 della parte fisiologica. 1 L’obbiezione cui accenno è tanto concisamente formulata, che, onde pren- derla in quella considerazione che è richiesta dalla eompetenza del Referente, deve essere ponderata e chiarita anche, ove occorra, in concorrenza del me- desimo. Come però ha essa per fondamento l’addebitatami inavvertenza di un anode e di un catode fisiologico al punto di sezione, e come la presente Memoria, a differenza delle precedenti, verte sulla eccitazione anodica e ca- todica di nervi non sezionati, così ho fiducia, che mancando la condizione fondamentale di detta obbiezione, possa essa avere, dal principale fatto enun- ciato nella medesima, una adeguata risposta, 170 Sul processo normale di ossificazione; Osservazioni del Dott. DROGOUL Studiando la parte che la scissione indiretta degli elementi prende nello sviluppo normale dell’osso, ho potuto rilevare alcune particolarità che contribuiscono a rischiarare la questione tanto controversa della ossificazione. L'osservazione è stata portata su un gran numero di ossa e cartilagini in diverso periodo di sviluppo e di accrescimento, tratte da mammiferi di diverse specie; e i metodi di esame furono quelli descritti dal Flemming e dal Prof. Bizzozero per la dimostrazione delle mitosi, e quelli più usuali della tecnica microscopica per lo studio del tessuto osseo. Confermato il fatto già noto che le cellule ossee non si mol- tiplicano e che l’attività riproduttiva spetta agli elementi carti- laginei, periostei e midollari, ho determinato il rapporto in cui, a seconda del periodo di sviluppo, si trovano le mitosi in questi organi. In un osso lungo di embrione, prima che siano ossificate le epifisi, si nota moltiplicazione attiva degli elementi negli strati corticali delle epifisi (fig. 1), e scarsa negli strati centrali e nelle colonne che formano la cartilagine epifisaria, nonchè nello strato osteoblastico del periostio e negli osteoblasti che circondano le trabecole centrali della diafisi. Di qui una sproporzione marcata fra la grossezza dell’epifisi e quella della diafisi che si presenta esile e corta. Nei punti dell’epifisi ove in seguito si formerà una sporgenza, gli elementi si moltiplicano maggiormente e appajono più stipati, con poca sostanza fondamentale interposta. | Avvenuta l’ossificazione dell’epifisi scompajono le mitosi dagli strati corticali che rappresentano la cartilagine articolare, ma se ne trovano ancora negli strati profondi in vicinanza delle tra- becole (fig. 2, a). SUL PROCESSO NORMALE DI OSSIFICAZIONE 73 Nelle colonne cartilaginee del disco intermediario si trovano numerose mitosi negli strati più elevati (fig. 3, c), ove le cel- lule sono piccole e schiacciate, ma non se ne trovano alla base delle colonne, ove le capsule sono considerevolmente dilatate e i nuclei delle cellule hanno subito un corrispondente ingrossamento e presentano scarsa cromatina raccolta in pochi accumuli peri- ferici (fig. 3, f). Questi grossi elementi pare che si distruggano quando l'invasione dei vasi dalla parte del midollo, ne apre le capsule. Non si trova mai di questi nuclei ingrossati frammisti agli elementi midollari fra le trabecole della diafisi. Il processo di ossificazione che, a parte la disposizione degli elementi cartilaginei, era considerata analoga nella diafisi e nel- l’epifisi, pare che in questa si compia altrimenti. Infatti nell’e- pifisi le capsule cartilaginee degli strati profondi sono bensì in- grandite ma i nuclei non lo sono, o pochissimo, nè si presentano mai poveri di sostanza cromatica (fig. 2, d). Di più: questi ele- menti sono capaci di scindersi per cariocinesi e di queste se ne trovano in capsule già a contatto con anse vascolari ed elementi midollari. Non è raro trovare di questi nuclei, così distinti per la grossezza e pel modo di colorarsi, in capsule già aperte o addirittura frammisti agli elementi midollari. La deposizione dei sali calcari si inizia talora attorno a capsule chiuse e non è im- probabile che il nucleo della cellula cartilaginea rimanga circon- dato da sostanza ossea, trasformandosi in un nucleo di cellula ossea (fig. 2). Questa opinione è confortata dal trovare spesso accanto ai nuclei sferici ordinari altri nuclei, e questi sempre nelle capsule più vicine alle trabecole, i quali sono piccoli, contratti, ricchissimi di cromatina, spinti contro un punto della parete della capsula o tenuti al centro da un protoplasma raccolto a guisa di reticolo. Nella parte dell’epifisi che aderisce alla cartilagine epifisaria, destinata a provvedere gli elementi per l'aumento in lunghezza della diafisi e in parte anche per le tra- becole dell’epifisi, la deposizione dei sali calcari attorno e fra le capsule cartilaginee pare ancora più evidente e non si può quasi dubitare che i nuclei delle cellule cartilaginee si con- servino per costituire le cellule ossee (fig. 3, e). Nel periodo postembrionario entrano in attività gli osteoblasti dello strato profondo del periostio, più specialmente nel punto ove questo termina confondendosi colla periferia del disco di os- sificazione e colla cartilagine articolare. L'attività degli elementi Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXlV., 13 172 DROGOUL alla periferia della cartilagine di incrostazione pare destinata a provvedere al suo accrescimento; perchè, come fu detto,.in essa non si trovano più mitosi nella vita postembrionaria e non è pro- babile che diventino elementi di essa quelli degli strati profondi che hanno caratteri tanto diversi. Un altro fattore dell’accresci- mento della cartilagine articolare è dato dall'aumento della so- stanza fondamentale per cui le cellule appajono qui più distanti l’una dall’altra, che non negli strati corticali di un’epifisi ancora cartilaginea. Anche gli osteoblasti che circondano le trabecole ossee si mol- tiplicano attivamente e più nella fitta rete di trabecole della so- stanza spongiosa dell’epifisi, che in quella della diafisi. Nelle ossa corte si osservano mitosi numerose nella cartila- gine temporanea durante la vita embrionaria e se ne riscontrano, a ossificazione progredita, negli strati profondi della buccia car- tilaginea che le avvolge (fig. 4). In un periodo più avanzato nelle porzioni di cartilagine che entrano a costituire le piccole giunture si trova qualche mitosi negli strati profondi, nessuna nei super- ficiali; se ne hanno inoltre nel periostio e nelle cellule condroidi che si trovano al limite fra le cartilagini articolari e le capsule e i legamenti. Nelle ossa craniane si moltiplicano per mitosi gli elementi del connettivo che forma le fontanelle e le suture, ma soltanto negli strati più vicini alla sostanza ossea, che sono come una conti- nuazione dello strato osteoblastico del periostio della superficie esterna dell’osso. In questo periostio sono pur numerose le mitosi, mentre sono rarissime negli osteoblasti che sono attorno alle trabecole della diploe. Negli ostoeblasti che rivestono la superficie interna del- l'osso non ho potuto riscontrare delle mitosi. Nelle cartilagini permanenti, cartilagini costali e false coste, l'accrescimento avviene per moltiplicazione degli elementi preesi- stenti tanto negli strati centrali, quanto nei periferici (fig. 5). {Il pericondrio presenta qualche mitosi nello strato profondo, ma non pare menomamente destinato a produrre cellule cartila- ginee; quegli elementi degli strati a contatto colla cartilagine i quali presentano mitosi, sono decisamente elementi carlilaginei e non appartengono più al pericondrio. La zona di ossificazione delle coste si comporta come quella di un osso lungo. SUL PROCESSO NORMALE DI OSSIFICAZIONE 178 Concludendo adunque si può ritenere che il tessuto osseo per sè non è capace di aumentare di volume, ma a ciò si richiede l’attività degli elementi delle cartilagini, del periostio e del mi- dollo che apportino nuovo tessuto. L'ossificazione non avviene allo stesso modo nell’epifisi e nelle estremità della diafisi; quì è puramente neoplastica, là invece pare in qualche punto metaplastica. Le cartilagini articolari presentano una certa indipendenza dalle cartilagini destinate alla ossificazione per la qualità degli elementi e per la loro fissità, poichè si moltiplicano soltanto gli elementi di passaggio fra esse e le capsule, i legamenti e il pe- riostio, e non mai quelli del corpo della cartilagine. Il pericondrio è paragonabile allo strato esterno del perio- stio, e le sue funzioni sono limitate alla sola protezione della cartilagine senza prender parte alcuna al suo accrescimento. 174 DROGOUL - SUL PROCESSO D'OSSIFICAZIONE SPIEGAZIONE DELLE FIGURE G. 1. Sezione longit. della testa del femore di gatto neonato (Zeiss. oc. 2, obb. C). a) legamento rotondo. Fia. 2. Sezione longit. della testa dell’omero di cavia di 11 giorni. (Zeiss oc. 2, obb. E). a) mitosi nelle cellule cartilaginee profonde; 6) Capsula cartilaginea con un alone scuro per pre- cipitazione di sali calcari (Colorazione coll’ema- tossilina), e nucleo raggrinzato; c) Cellule ossee; d) Trabecole dell’epifisi ; e) Cellule cartilaginee con capsula aperta. 3. Cartilagine epifisaria di omero di cavia di 7 giorni (Zeiss. oc. 2, obb. E). ay Zona delle colonne cartilaginee; 6) Trabecole dell’epifisi; c) Mitosi nelle cellule cartilaginee disposte in colonna ; d) Mitosi nelle cellule disperse sopra le colonne; e) Cellule cartilaginee in mezzo a sostanza fondamen- tale in cui sono depositati sali calcari ; f) Cellule cartilaginee con nucleo grosso in via di di- sfacimento. Fia. 4. Sezione di un piccolo osso del metatarso di cavia di 11 giorni (Zeiss. oc. 2, obb. É). Fic. 5. Sezione di cartilagine costale di coniglio di 6 giorni (Zeiss. oe. 2, DD: 4). a) Pericondrio e zona di passaggio da questo al tessuto cartilagineo; 6) Cartilagine con mitosi. F bl F o) L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. e) a mE e) a ic) © o] (fp) ©) io] E ==) Ti PREMIO BRESSA 175 GIUNTA ACCADEMICA PER IL PREMIO BRESSA SSSNSSNA-°”X_--<-<-T- Programma pel settimo premio Bressa La Reale Accademia delle Scienze di Torino, uniformandosi alle disposizioni testamentarie del Dottor Cesare Alessandro BRESSA, ed al Programma relativo pubblicatosi in data 7 Settembre 1876, annunzia che col 31 Dicembre 1888 si chiuse il Concorso per le opere scientifiche e scoperte fattesi nel quadriennio 1885-88, a cui erano solamente chiamati Scienziati ed Inventori Italiani. Contemporaneamente essa Accademia ricorda che, a cominciare dal 1° Gennaio 1887, è aperto il Concorso pel quinto premio BrEssA, a cui, a mente del Testatore, saranno ammessi Scien- ziati ed Inventori di tutte le Nazioni. Questo Concorso sarà diretto a premiare quello Scienziato di qualunque Nazione egli sia, che durante il quadriennio 1887-90, « a giudizio dell’Accademia delle Scienze di Torino, avrà fatto « la più insigne ed utile scoperta, o prodotto l’opera più celebre « in fatto di scienze fisiche e sperimentali, storia naturale, ma- « tematiche pure ed applicate, chimica, fisiologia e patologia, non « escluse la geologia, la storia, la geografia e la statistica. » Questo Concorso verrà chiuso coll’ultimo Dicembre 1890. La somma destinata al premio sarà di lire 12000 (dodicimila). Nessuno dei Soci nazionali residenti o non residenti dell’Ac- cademia Torinese potrà conseguire il premio. Torino, 1° Gennaio 1889. IL PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA A. GENOCCHI. IL SEGRETARIO DELLA GIUNTA A. NACCARI, Ca 2 Una) AGANE OTMESE ACGIAÙ ( I JLAIA 1 ROMA 0A ar 010 oisrdig omitioe [aq smmiea si elio isobiieumotiun soniroT id 'astuoî92 sllsh niarobaoo AGI Agra othassolA. ot5290 root! [sf SALOTTO iac rO V8I endmatto9 | afab ni moasifddag ovtialee anta ‘faq. oriogno). It sanno ‘8881 ordini 18 [oo sd” ,89-3381 otmuotthanp laò featiat atiogova e adsititane e nale! nodtovi] bo iaisasio2 iamaito sinamaloston sirioninoo a af) abionit saumtohansA 4225 atunoaranento x It oiutesg otniop sa. detontto) | Li otisqp@ $..V88I ciaoo -neio® issomme osnntgisà vatotetsst lab stem # dro Na Anoizati eÌ ottwt Hb i1otaevat È ib otsisnsii ollenp evsimetg a ottoxib dea 0100 100-T3BL otmmoichiaup fi stagni ada .&is ifes onorato ottet sirs sonfmT ib. ssosioR ollof ‘ aiarefiaonA' {lab € sidalor fig mogo'! odtohorg 0 Lafisgnos alito bo dag -am olemniaa arie ,ilrtodgttoge è silolait axasiva fa; non ,sigolotag 9 sipoloi:i sedtmido ,stsotigga bho sant « .eolteitate Al o aftersong di stola al (eipolongi +008I endmosi@ omini’ ffoo ossido &rrav Mica (Gt. (c10 N dat «{satturivibof) 0002 gnil ih Amaa ciue1g le atanitanb' asi ra «DA'[b iieobiss: nos o ituafiizo ilancizast (008 ID + .cimerg di giiogozzioo “tot. sesto 088 copnetist " 19 Amac4zoA aida armaniesa@ al A .IHODOMNO .A di camub atta oprataanià di A3TADODAM .A n La LA J, gi si Lj ; ; ei n Ù E RE È “ AI, ; ( ar È f u ° ; S: 9, È PROC a Ù ( È al Classe di Scienze Fisiche, sense Nat ATTI CR. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 0; DI TORINO PUBBLICATI 0 DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 6° 1888-89 Pini di Avi Pico, Malegatichi è Natarsli. TORINO _ ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze ta de n: gl Cai tu Ta " ELALI CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 27 Gennaio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LEssonAa, SALVADORI, BRUNO, Basso, D’Ovipio, BizzozeRo, FERRARIS, Mosso, GiIBELLI, GIa- COMINI. Si legge l’atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- provato. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all'Accademia ven- gono segnalate le seguenti : « Nuove figure elettriche; » Nota del Prof. Augusto RIGHI, Corrispondente dell’Accademia, presentato dal Socio Basso. « Cyclones et trombes », del Prof. Giovanni LuviNnI; opu- scolo che fa seguito ad un altro collo stesso titolo del medesimo autore, presentato pure dal Socio Basso. . A nome del Socio Naccari, viene presentata dal Socio Basso la seguente Memoria del Prof. Ciro CHIstoNI, dell’Università di Modena: « Sul calcolo del coefficiente magnetometrico per i magnetometri costrutti secondo il metodo di Gauss modificati da Lamont » Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIV. 14 178 CIRO CHISTONI LETTURE e Sul calcolo del coefficiente magnetometrico per è magnetometri costrutti secondo il metodo di Gauss, modificato da Lamont; Nota del Prof. Ciro CHISTONI È noto che per i magnetometri, costrutti secondo il metodo di Gauss, modificato da Lamont, tali che portino l’asta, sulla quale si colloca il magnete delle oscillazioni, quando viene usato come magnete deviatore, così che la direzione di questa stia in un piano verticale perpendicolare al piano verticale, che passa per l’asse magnetico del magnetino delle deviazioni, la formola che dà il rapporto fra la componente orizzontale H del magnetismo terrestre ed il momento magnetico M a 0° di temperatura del- l’ago delle oscillazioni è dato dalla formola: H 2(1—-ar)(1-/XHseng) p M° —R:i(1+3fr)seng (+rmmpti ratio i \ - (1) nella quale 0 è la deviazione dell’asse magnetico del magnete sospeso, dal meridiano magnetico, quando questo magnete si trovi sotto l’azione dell’ago delle oscillazioni alla distanza È; a ed % sono rispettivamente i coefficienti di temperatura e di induzione dell’ago delle oscillazioni ; 7 la temperatura dell’asta metrica e. dell'ago delle oscillazioni e {f è il coefficiente di dilatazione li- neare della sbarra sulla quale si misurano le distanze A. Questa sbarra in generale è di ottone, per la qualcosa f = 0,000018. p, q ecc. sono coefficienti, che dipendono dalle dimensioni dei due magneti, che si adoprano per la misura delle deviazioni e dalla distribuzione del magnetismo in essi, pre SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 179 Tanto il Lamont (*) quanto il Lloyd (**) con considerazioni teoriche, ottennero così espressi i valori di p e di q p=0,1806(27°—31-) 45 q=0,0326 È U-1521?+ FI) > nelle quali 7 è la lunghezza del magnete deviatore, ossia delle oscillazioni ed 7, è la lunghezza del magnetino deviato. I valori di p e di g, che si deducono praticamente, corrispondono con una certa approssimazione ai valori teorici; per la qualcosa si può con- cludere che se si arriva a dare ai due magneti lunghezze tali che 45 3U-1521°+_2L4=0, (2) la formola (1) si ridurrà alla più semplice: H 2(1—a+)(1—kHseno), p ) n Tr __ r_r___&ial ———_- DI M LR (1437) seno E (1427) (3) Dalla (2), posto /=1, e sapendo che in pratica è > l, ri- sulta 7, = 0,47. Generalmente i magnetometri che ora sono in uso in Italia soddisfano a questa condizione, con sufficiente approssimazione, cosicchè a questi è applicabile la (3). Chiamo il p della (3) col nome di coefficiente magnetometrico. Per avere p non sarebbe prudente di calcolarlo colla formola teorica; ed in pratica difatti si deduce p nel seguente modo. Si fanno misure di deviazioni a due distanze £, ed £,, otte- nendo così le deviazioni ©, e 9, alle temperature 7, e 7,; posto RE: 2 2(1-at,)(1--XHseng) ù 2(1-at,)(1-RHseno,) =A, | 2h. E, (14+3f 7, seng è, (14 3f7.)senp, (*) Hanadbuch des Erdmagnetismus und Handbuch des Magnetismus. (**) On the det. of the Intens., etc. (Tran. of the Irish. Acad. vol. XXI. Per i coefficienti si abbia speciale riguardo alla Memoria dello ScHNEE- BELI: Beitrage zur Kenniniss des Stabmagnetismus (Pogg. Erginzungsbd. VI S. 13). 180 CIRO CHISTONI ed ammesso che H non varii durante le esperienze, si giunge facilmente alla seguente formola: - A, 4, wep. + 78 napo (4). r Re 42%) Raider Siccome il valore di p si deduce sempre da una lunga serie di osservazioni, così l’uso di questa formola riesce faticoso; e perciò si è cercato di ridurla ad una espressione più facilmente calcolabile. A Greenwich difatti, è da molti anni che si calcola il valore di p colla formola più semplice p=cost. (1+267,)(log.A4,—logA,) (5), che si deduce con facilità dalla (4) ridotta alla forma (F-1)re0 +28) E Rj(142B9 A 2 I Difatti se sviluppiamo in serie "a otteniamo : 2 RINO ZA IR Eli i vi e gag REI {906 ET niente 2 A E poichè tr difficilmente può raggiungere il valore 0,988, 2 di A così, prescindendo dal segno, il valore di 5 108° 7 può essere al massimo 0,00007, quantità trascurabile rispetto ad 1; e perciò più brevemente si può ritenere AG —1 Il A, AT at Lg , che posto nella (6) dà ret (1 no 2 6) t) (log A, sa log A,) p=— i (0g 4,— log.) +37; |1+2E(G—1.]-1ftoge (7). SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 181 Se al denominatore di questa frazione si pone (log. A, — log. A,)= 0 la (7) si riduce alla (5), come vedremo. In questo lavoro mi propongo di esaminare quale sia l’ap- prossimazione da raggiungersi nei termini della frazione che esprime p, per le misure assolute degli elementi del magnetismo terre- stre, che da anni si fanno in Italia, se sia lecito di ritenere (log. A, — log. A,)=0 al denominatore, e se il numeratore sia riducibile a forma più semplice. Nelle misure della componente orizzontale 7 del magnetismo terrestre, che si fanno in viaggio, si richiede l’ approssimazione d H ===4-:09,00051 H i 5 Quando le misure delle deviazioni si facciano alla distanza RP, è noto che l’approssimazione di »p va calcolata colla °oH opt BAT p 2R I per la qualcosa, se /, è la minima distanza che si adotta in un sistema di misure, la approssimazione massima richiesta in p sarà espressa dalla d.H onp—+2 ° + =] p k, H + 0,001 R, Posto N=£,(1+2f)(logA,—logA4,) Rs D= (log 4, — log A,) + ea) loge , a N s1 ottiene: Dos E 0D=-+ ——_m (* D 004 — ld: 0) QN=+0,001DR°. (*) Il fattore (1-2 £ 7,) che moltiplicherebbe (log.4, — log A,) può rite- nersì uguale ad 1, senza errore sensibile, come vedremo. 132 CIRO CHISTONI In pratica si assumono sempre i valori di R e di R, per 2 R modo che R,=1,3 È, circa; cosichè il valore di ( Ri = 1 loge è di circa — 0,18. Il valore di (logA,—logA4,), ben difficil- mente raggiunge 0,005, e per conseguenza la massima appros- simazione richiesta in D sarà OD +-05000- Perciò in generale al denominatore della (7) si potrà tra- scurare (log. 4A, — log. A4,). Di più, siccome il valore di (7, — T) ben difficilmente raggiunge l’unità, così il fattore di correzione (142 (,— 7.)) sarà sempre trascurabile. E sarebbe trascura- bile anche se fosse (t,— 7.) == 6; nel qual caso però dovreb- bero senz'altro essere rigettate le osservazioni, perchè se durante il tempo (venti minuti circa per una persona pratica, non più di un’ora per un principiante) nel quale si fanno le due osser- vazioni di deviazioni, avvenisse una variazione di temperatura di anche soli tre o quattro gradi, non sarebbe possibile che l’asta metrica ed il magnete deviatore seguissero tale variazione di temperatura nemmeno coll’approssimazione di un grado. Perciò la espressione di D può essere così ridotta (*): 2 _ 1 )toge ; e per conseguenza, per quanto si disse, il valore di D è circa — 0,18. L'espressione generale di N, quando pel momento si trascuri il fattore di correzione (1+2f7,), può essere così ridotta : eek! +a(r,—7)|+log|1 4A Ener 08 N=E°. di sen @ ' lo 1 3 Ga |+1og7 + log I | + 5 = B( a) RE ©) seng, (*) La (7) quindi diventa __ Rè(14-287,) (log A,—log4) pe = -_ — log e R?, e poichè in una serie di osservazioni sono costanti R, ed RR, essa può ri- dursi alla p= cost. (1+2£ 7) (log A,— log 4,) che è poi la (5) della quale si fa uso a Greenwich, SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 183 Attribuendo successivamente ad £, ano dei minimi valori che si assumono praticamente, p. e. ponendo ft, = 23 (*) ed uno dei maggiori p. e. E, = 80, nel primo caso avremo ON # 0509, e nel secondo Cominciando dal primo termine del polinomio esprimente N, ammettiamo che il coefficiente 4 non possa mai superare 0,0006 (**). In questo caso, perchè il primo termine fosse trascurabile dovrebbe essere 0,0006 (7, — 7.) <#0,00040 per R,=23 0,0006 (7, — ?,) <=+0,00042 per R, = 30 ossia dovrebbe essere. (tr, —t,) = 40,7. E supposto a—= 0,0003, vale a dire, dando ad a, uno dei più piccoli valori che si incontrano in pratica, il primo termine sarebbe trascurabile solo per (1, —7.) = + 1,4. Sarà perciò prudente il ritenere sempre nella formola (7) il primo termine del polinomio esprimente N; ed in ogni modo converrà studiare ogni singolo caso che si presenti, prima di di- chiarare che esso non influisca sul risultato finale di p. Per studiare l’influenza del secondo termine R°,log [14 RH (sen o, — sen 9,)] (*) Credo inutile di ricordare che le unità fondamentali di misura adot- tate, sono il centimetro, il grammo, ed il secondo di tempo medio. (**) Un magnete che avesse il coefficiente di temperatura maggiore di 0,0006 non sarebbe da rigettarsi, ma dovrebbe essere usato con moltissime precauzioni. Quando un magnete avesse il coefficiente di temperatura uguale a 0,0008 dovrebbe già essere rigettato. I magneti che generalmente s'adoprano in Italia (p. es. all’ Ufficio Cen- trale di Meteorologia; all’ Osservatorio di Napoli; all’ Osservatorio di Pia- cenza; all’ Istituto Fisico di Torino e all’ Istituto Fisico di Modena) sono a collimatore ed escono dalle officine inglesi del Dover o dell’ Elliot. Il coeffi- ciente di temperatura di questi magneti raggiunge difficilmente il valore 0, 0005. Di otto di questi magneti da me studiati, il maggiore coefficiente di temperatura che travai fu 0,000541. 184 CIRO CHISTONI poniamo in esso uno dei più grandi valori che possa avere È, p. e. 0,015: poniamo H = 0,27 valore massimo che sì possa verificare in Italia; e come generalmente s’incontra in pratica poniamo (sen g, — sen 9,)= 0,1. Allora questo termine per &, = 23 diverrà 0,089 e per R,= = 30 diverrà 0,153; quindi in generale questo termine può essere trascurato. Il terzo termine R,° log.[14+- 3 (7, — ©.)] è sempre trascu- rabile. Poniamo infatti f = dune poniamo per (t, — T.) la variazione di temperatura massima tollerabile durante le espe- rienze, ossia (r, — 7.) = + 3° e poniamo R,= 30; allora il va- lore di questo termine diverrebbe # 0,04. Esso dunque è sempre trascurabile. Nè è a credersi che quando il terzo termine sia positivo (*) come lo è costantemente il secondo, ossia quando (7, — 7, ) sia positivo, la somma del secondo e del terzo termine possa alterare in ge- nerale l’approssimazione richiesta in N; poichè bisogna tenere presente che qui abbiamo considerato per questi due termini dei casi limiti, che ben difficilmente si avverano in pratica, perchè in generale si avrà R< 0,01; H<0,27; (r-7.)<2°. Tut- tavia quando all’atto pratico si manifesti che ambedue i termini sì avvicinano a questi casì estremi, sarà bene ritenere nella for- mola (7) il secondo termine, e trascurare il terzo, come quello che ha minore importanza. Verifichiamo da ultimo l'influenza del coefficiente (1 + 28,7), che moltiplica &,°. sul valore di N. Il valore di (log A, log A,) è difficilmente superiore 0,005; poniamo pure, ciò che nonsi avvererà mai che sia uguale a 0,01. Allora il numeratore della frazione (7) ossia N, diverrà 0,01 R°4+ 0,00000036 R 7. Per R,= 23 il secondo termine di questo binomio, posto anche 7, == 45° diverrebbe 0,009; e per R,= 30 diverrebbe 0,015. (*) Quando 3f (7, CE. è positivo, anche log [41+-38(1— 7)] è positivo; quando invece il primo è negativo, anche il secondo è negativo, perchè, nel primo caso [1-+3f(r,— 79)] è compreso fra 1 e 2; nel secondo è compreso fra 0 ed 1. Il secondo termine è sempre positivo, perchè (sen 9, — sen 99) è positivo, h ed H sono positivi e perciò 41+AH(seny,— seng,) ]>1. SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 185 Per conseguenza il fattore (14 227,) può essere ritenuto, senza errore sensibile uguale ad uno. Dopo queste considerazioni, ammesso anche, per tenerci sulle generali, di non dovere trascurare il secondo termine di N, è lecito di dare all'espressione di p la forma p=— sen g, Per verificare quale precisione si richieda nei valori di È, , E,; ©, e ©, che entrano nella (8) affine di avere OH dp=+2R3 ——+ 0001 R° p LI H ossia per avere OD =-+ 0,006 e ON=4+ 0,09 per R,=28 IN 43016 per R,=30 cominciamo dall’esaminare quale sia l’approssimazione richiesta in X, ed R, considerati come facenti parte del denominatore della frazione esprimente p. Ritenendo, come si disse, che Mie 139 L, sì avrà: 0R,=* 1,512 x, °D dR,=#+1,965R,0D. E poichè uno dei minimi valori che si attribuisca ad È, è 30, così avremo : AN ee UA 0R,=+0,35. È evidente che una tale approssimazione è così Gg che ci esonera da qualunque preoccupazione. 186 CIRO CHISTONI Consideriamo ora R,° del numeratore. In pratica si verifica bene difficilmente che il polinomio che moltiplica R,° abbia un valore maggiore di 0,005. Per maggiore sicurezza poniamo che esso possa giungere al valore 0,01; avremo allora ON ok=zt —_ di 0,02, ossia per È, =23 d RI A0T19 per R,=30 O Fa 2 ULI Nemmeno in questo primo fattore del numeratore quindi c’ è pericolo di commettere tale errore che possa influire sulla pre- cisione che si richiede in p. Verifichiamo finalmente quale debba essere l’approssimazione da raggiungersi in /, ed in È, per quanto essi entrano a for- mare il rapporto R,' : £,', i n) Abbiamo sia: STI Vi; i dk 35Erloge! Y Ritenuto sempre £, = 1,3 &,, consegue dR,=+0,0030 0 R,=2-0,0039 per R,=23 OR CWI0AT ok, ==0,0053 per) AS In qualunque magnetometro, per quanto poco studiato, è pre- sumibile che le lunghezze £, ed , si conoscano, in valore as- soluto, con maggiori approssimazioni di quelle qui sopra iudicate: Dunque possiamo concludere che non è difficile avere per I, e per E, dei valori tanto precisi, i quali permettano di cal- colare p colla voluta approssimazione. Studiamo ora quale sia la precisione che si dovrebbe raggiungere in 9, ed in ,, considerati però solo nel rapporto sen @, : sen g, (*). (*) Non vale certo la pena di studiare l’ approssimazione che occorre in (sen 9, — sen 93) fattore del prodotto A H (sen g,— sen 99), perchè da quanto si disse, quando anche non sia il caso di trascurare il termine log[14+hH(seng,— sen 99)] l’approssimazione che si richiede in (sen 9, — sen 99) è sempre grossolana. SUL CALCOLO DEL.COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 187 L’approssimazione richiesta in g, ed in ©, è data dalle LI tang tan da agroti N dhe set Pi | Li, loge i E, log e ossia in generale tan do=# - 59 ; E, loge Nei magnetometri generalmente in uso, il circolo orizzontale non permette di apprezzare oltre i 10". Aggiungasi a ciò le va- riazioni della declinazione che succedono durante l’osservazione delle deviazioni, delle quali non si può tener calcolo da chi è privo d’istrumenti di variazione (e perciò da chiunque lavori in campagna); gli errori inevitabili di puntata, ecc. e non si andrà esagerati ammettendo, che chi lavora in campagna non può ot- tenere in 9 una precisione maggiore di 20° (*). Dall'ultima relazione si deduce che affinchè 090 non superi 20", conviene che si abbia per È =23 o = 14°,0 per È =30 (li ei Nei paesi del Nord, dove la componente orizzontale del ma- gnetismo terrestre ha piccolo valore, non è difficile di ottenere per 9, un valore che superi i due limiti qui sopra segnati; ma per ©, in generale si ottiene anche in quei paesi un valore mi- nore di questi due limiti. Ad esempio a Pietroburgo con un ma- gnetometro del modello del Wild, munito di due eccellenti ma- gneti, sì ottengono all'incirca i seguenti valori : per R, = 23 o, = 24°,5 per R, = 30 cd LINA (*) Solo alcuni magnetometri dell’Edelmann, per quanto sappia, hanno il circolo orizzontale munito da microscopii micrometrici che dànno 2”; ma una tale costruzione è errata, perchè anche nelle stazioni fisse dotate di stru- menti di variazione, dove quindi si può ridurre il valore di 9 ad un dato istante, non è presumibile di avere 9 con precisione maggiore di 10”. Perciò uno strumento che abbia il circolo orizzontale, tale da dare 2/7, oltre che essere di imbarazzo per il trasporto, è anche causa di perditempo per le letture, senza per questo arrecare maggiore precisione di quella che dànno i magnetometri adottati generalmente. 188 CIRO CHISTONI Ora se è difficile, per non dire impossibile, di ottenere a latitudini tanto alte un valore di 9, che raggiunga 14°, in Italia si avrà difficoltà anche ad avere 9, che raggiunga 14°. Difatti basterà citare questi due esempi: col magnetometro Elliott n° 122, di proprietà dell'Ufficio Centrale di Meteorologia, esaminato e studiato all'Osservatorio magnetico di Kew, in Italia si ottennero all’incirca i seguenti valori: per R,=30 Pa 24:00 per h, = 40 Od Col magnetometro Elliott N° 35 di proprietà del Collegio Alberoni di Piacenza, che fu pure studiato all’ Osservatorio di Kew, e che nello scorso anno 1888 mi venne consegnato con preghiera di ristudiarlo e di ridurlo alle unità metriche, ottenni: 125 per R = 27,4 ®, 5) n= 0,2 LI D per ch =; Si noti poi che per altre circostanze riguardanti l’approssima- zione, che si deve ottenere in H, è necessario che © raggiunga un certo valore (*). Era quindi una questione importantissima quella di avere dei magneti, per mezzo dei quali anche in Italia si potessero otte- nere dei valori considerevoli di . Affidata la cosa alla Casa Elliott, questa riescì a costruire dei magneti (la lunghezza maggiore dei quali è di 10 centimetri) (*) Discutendo la formola esprimente #, la quale può essere messa sotto questa forma CP TA seng nella quale Z è funzione di parecchie variabili, si deduce con facilità che il valore di 9 del sen 9 qui indicato conviene che non sia minore di 6°, affine È dH Lo è x ? : di ottenere == 000 quando la maggiore approssimazione che si possa avere in 9 sia 97 = +20”. Per la qual cosa sarà sempre bene d’avere dei magneti tali per i quali si ottenga %, (che è il minore dei due $) mag- giore di 6°, SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 189 i quali applicati ad un magnetometro costruito dallo Schneider dietro mie indicazioni (*) ed usati ad Aosta diedero per hi, —'S0 q, = 2082 per R, = 40 O, — 00 usati a Campobasso peri hi :=;30 pis &9 per R,= 40 VITO Credo che in Italia sia difficile di ottenere dei valori di @, maggiori di questi. Poichè non è a credersi che si possa aumen- tare: di molto ©, prendendo un magnete delle oscillazioni più lungo di dieci centimetri, perchè in questo caso per avere nella formola esprimente H : M il solo coefficiente p della serie P q Lara ga duet converrebbe aumentare proporzionalmente anche la lunghezza del magnetino delle deviazioni il quale acquistando così mag- giore momento magnetico, sia per l’ aumento della lunghezza, della sbarra che per l'aumento d’intensità dei due poli, per es- sere deviato di un dato angolo dal meridiano magnetico esige- rebbe una coppia maggiore di quella che basterebbe per deviare dello stesso angolo un magnete di minor lunghezza. E dato anche che si potesse raggiungere lo scopo prendendo per magnete delle oscillazioni un magnete assai lungo, si andrebbe incontro ad un altro grave inconveniente, a quello cioè di dovere servirsi di un magnetometro colossale, il quale oltre ad avere un prezzo assai elevato sarebbe disadatto per le misure in campagna. Po- trebbe anche sembrare che si possa ottenere lo scopo col ridurre convenientemente le distanze £, ed £,; ma allora si va facil- mente incontro a molti altri inconvenienti, che è bene evitare. (*) Di questo magnetometro non venne ancora pubblicata la descrizione. Un cenno si troverà nella mia Memoria: Misure assolute degli elementi del magnetismo terrestre fatte nell’anno 1887 ; pubblicata negli Annali della Me- teorologia, vol. VIII, parte I. 190 CIRO CHISTONI In conclusione adunque se col nuovo magnetometro i dué angoli 9 hanno tale valore da soddisfare alle condizioni volute dall'angolo @, che sta nel sen g della formola H=|/_4 sen @ il valore di 9, non soddisfa ancora alle esigenze del 9, che entra nella formola esprimente p. E più che i punti nei quali si faranno le osservazioni andranno accostandosi all'equatore magnetico, tanto più aumenterà questo inconveniente (*). Così, ad esempio, se il Governo italiano volesse fare eseguire delle misure magnetiche nelle regioni di Massaua e di Assab, allora si otterrebbe il massimo d'incertezza nel va- lore di %,. Dando a % il valore di 7°; e posto E, =30 si avrebbe 90 = * 10", approssimazione che in viaggio è impossibile ottenere. A questa incertezza si supplisce facendo un grande numero di osservazioni; si deducono per conseguenza molti valori di p, e si prende per valore di p da introdurre nella formola espri- mente H, la media di tutti questi valori. E questo metodo dà sempre buoni risultati; così ad esempio col magnetometro sud- detto da una serie di misure fatte nel giugno e nel luglio 1887 ottenni per media p= 22,04 Da una seconda serie fatta nel settembre 1887 p= 22,27 da una terza serie fatta nel luglio ed agosto 1888 p= 22,30 (*) Qui si potrebbe apparentemente fare un grave appunto al sistema di osservazioni adottato in Italia e dire: Se col metodo del Gauss modificato dal Lamont non è possibile di ottenere dei dati colla voluta approssimazione per calcolare p, perchè non lo si abbandona e si adotta un altro metado ? — A questa obbiezione è ovvio rispondere, perchè date le nostre cognizioni attuali per ciò che riguarda la misura di 7, non si ha un metodo migliore di quello di Gauss modificato dal Lamont. Forse si potrebbe supplire col magnetometro bifilare, ma questo sarebbe affatto disadatto per le misure in campagna. i SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 191 Ed essendo &, = 30 consegue OVE = — 09 Ora i tre suesposti valori di p differiscono fra di loro molto meno di 0,9, perciò è logico di ritenere che la media di ogni serie di osservazioni ha dato per p un valore sufficientemente ap- prossimato. Siccome poi il valore di p varia col momento magnetico dei due aghi (il quale può variare per uno stesso ago col tempo anche lasciando tranquillo l'ago, può variare sensibilmente in con- seguenza di qualche urto, e varia colla temperatura), così p può variare sensibilmente col variare la temperatura degli aghi (*). E perciò non sarà mai abbastanza raccomandato il metodo delle misure da me sempre seguito; vale a dire quando si debbano stabilire i punti nei quali si abbiano da fare delle misure ma- gnetiche, conviene sceglierli per modo che in quella data sta- gione abbiano pressochè uguale clima, e si deve sempre per ogni serie di misure calcolare il coefficiente p; e mai fidarsi del valore di p dedotto da precedenti serie di misure. Così ad esempio nel 1885 con un magnetometro diverso da quello ora citato feci quattro serie di misure; tre di queste (la prima, la seconda e la quarta) in pianura, una (la terza) in regioni alpine; e mentre dalle tre serie fatte in pianura ottenni per p i seguenti valori: 23,72 23,98 23:29 per la terza serie fatta in regioni fredde ottenni: p.,=,22,47 Quando per una eventualità qualunque si sia costretti a fare in breve tempo delle misure parte in regioni fredde e parte in regioni calde, sarà prudente di dividere in due la serie di os- servazioni, e calcolare p da una parte per quei punti nei quali la temperatura era alta, e dall’altra parte per quei punti nella quale la temperatura era bassa, (*) In taluni magnetometri p non varia sensibilmente colla temperatura, in tali altri sì; ma in questo caso perchè la variazione sia sensibile, occorre in generale che la temperatura varii almeno di 10°, 192 CIRO CHISTONI Per rendere più facile il calcolo di p per mezzo della (8), basta considerare, che nei casi pratici (7, — 7,) varia di pochis- simo in una serie di misure; e che quando pure si abbia da tenere calcolo di log|1+ #7 (sen, — sen g,)] il valore di (sen g, — sen 9,) varia di pochissimo; e che per conseguenza ba- sterà fare la media di (rt, — 7,) e di (seng, — sen p,) ed intro- durre come costanti questi valori nella (8). Inoltre per una data serie di esperienze sono costanti, È,, E,, a ed ». La H come coefficiente di correzione in p può rite- nersi come costante, e perciò la (8) può essere così semplificata log p = log Costante + log I (log seno — log sen @,) +1log costante ; 2 2 R 2 nella quale Costante è sempre positiva poichè ( ma _ 1)loge è negativo ed ,° è positivo. Quanto alla disposizione da darsi al calcolo per ottenere i valori di p la cosa è semplice. Si calcola prima di tutto R 2 (FE — I) loge Si fa la media di (7,— 7,); e se si deve tenere calcolo di —= Costante. log (1 +/ H(seno — sen .)) x sì fa la media anche di (seng —sen7,) e poi si calcola R3 log (1 +a(r.— t.)) + log(1 +4 H (seno, — sen 2.)) + log Ri —_ ==log costante, nella quale per (r,— 7,) e per (seng, —seno,) si introducono le medie suddette. Si dispongono in colonna i diversi valori di (log sen 9, — log sen g,) e ad ognuno di questi si aggiunge log costante, formando così una seconda colonna di numeri. Sopra una terza colonna si seri- SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 198 vono i logaritmi dei numeri della seconda colonna. Si aggiunge a ognuno di questi logaritmi log Costante e si ottiene così una quarta colonna di numeri che sono i log p, Di fianco quindi nella quinta colonna si scrivono i valori di p; i quali non dovranno meravigliare se saranno fra di loro diversi di qualche unità, poichè per esempio fatto 9, = 7°, ed R,=30 si ha, per do = 12° op=1 » do.=:28: dp='2 >» dp= 35° dp = 3 sr do 47° op = 4 > de= 59° Opi Ora può benissimo darsi che durante le osservazioni delle deviazioni, la declinazione varii sensibilmente per modo da ren- dere incerto il valore di ©, di circa 30", e perciò è possibile di ottenere qualche valore di p che devii dalla media di tre unità circa. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. Torino, Stamperia Reale della Ditta G. B. Paravia e € 2672 (150) 14-III-89. ° ata ai Aa LMLCHIDO tt. (RAOCAI AO A settima Li cf Rita 2% #1 PAR ail FALCA ai n: Ùi i pet Boa ari iau San Vantt Fi : ASTA. : Ji io en At] u pork QUos mio pani a (rivali go List pe " if fotoni co td DICE An Gia ;}) th se gti Kia Wi sf O ca, È VORO A h "i - À 3 » by I, (TUA TO fiat af Wi deri La - ì LAI » n patita Lario; n 7 ;ffafk MmiburriAzzo si Vi Mar ua. vi ali lau 104 stra ilianoe it Badate Tie Aalraiazore i Atri “o PIALTE MISS Ti, ole, di fine str 1 siboto ailab dtd ado ID ola A 4 s " * ‘ LI METANO gribnashi n° te oRagte auiastig) u Ti - pv 1] Nn 5 i - ; le LEA fe, - sr lf derit Classe di Scienze Fisiche, Matematiche © Natu , ADUNANZA del 27 Gennaio 4889 : . . . CHistoni — Sul calcolo del coefficiente n magnetometrico peri : gnetometri costrutti secondo il metodo di Gauss, modificato Lamon ae NB. A questa dispensa va unita. la Tar la alla Memoria del Dott. DROGOUL , pu Dispensa: A° ie Bd pet Rea li Lin EA e e) st | SE : ‘ ANTON ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Db. CORNO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Von. XXIV, Disp. 7° 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO — ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 195 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 10 Febbraio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO, Basso, D’Ovipio, BizzozeRo, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. Il Socio Segretario dà lettura dell’atto verbale dell’adunanza precedente che è approvato. Viene partecipata la recente morte del Socio Corrispondente Senatore Giuseppe MENEGHINI, che fu lustro dell'Ateneo Bolognese dove insegnò Geologia per lunghi anni, e dei molti Corpi scien- tifici ai quali apparteneva. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all'Accademia viene segnalata la seguente : Osservazioni sui giacimenti minerali di Val d’ Ala in Pie- monte; II, l'idrocrasio del banco d’'idrocrasio nel Serpentino della Testa Ciarva al piano della Mussa »; Memoria del Socio Corrispondente Prof. Gio. STRUEVER, presentata dal Socio Cossa. Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine che segue : « Ricerche di Geometria sulle curve algebriche: Nota del Dott. Guido CastELKUOVvO, Assistente alla Scuola di Algebra e Geometria analitica nella R. Università di Torino, presentata dal Socio D'OviIpIo. « L'equazione modulare nella trasformazione delle funzioni ellittiche »: lavoro del Dott. Guido VALLE, Assistente alla Scuola di Geometria proiettiva e descrittiva nella R. Università di To- rino, presentato dal Socio Basso. In quest’adunanza vengono eletti Soci nazionali residenti i sigg. Dottori Lorenzo CAMERANO, Assist. al Museo Zoologico, e Corrado SEGRE, Prof. di Geometria superiore nella R. Università di Torino. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 15 196 GUIDO CASTELNUOVO LETTURE Ricerche di Geometria sulle curve algebriche ; del Dott. Guinpo CASTELNUOVO La Geometria sulle curve non ebbe tanti cultori quanti l’in- teresse dell'argomento avrebbe meritato, nemmeno dopo il lavoro dei sigg. Brill e Néther (*) che contiene risultati così notevoli. La causa di ciò sta forse nelle artificiose dimostrazioni che si diedero alle proposizioni fondamentali della teoria. Crediamo quindi utile di indicare un’altra via a ricerche di tal natura. In questo lavoro nei non adoperiamo il Restsatz, nè ci li- mitiamo a considerare serie di gruppi di punti segate su curve piane da curve aggiunte. Ma consideriamo le curve in generale senza limitare le dimensioni degli spazi che le contengono, e se- ghiamo le serie mediante spazi di forme fondamentali. Così ot- teniamo maggiore semplicità e simmetria. I vantaggi di questo metodo si presentano evidenti trattando una questione finora insoluta (nel caso generale), alla quale è dedicata l’ultima parte del nostro lavoro: assegnare 1), nello spazio ad r dimensioni S, si può costruire una curva C' d'ordine n riferita univocamente a C; la involuzione di 0' corrispondente a In" è segata dagli spazi S,_, di S, (*). In ogni gruppo di una involuzione g,5) si trovano r punti, che non giacciono in nessun altro gruppo dell’involuzione (punti indipendenti per quella 9,9). I gruppi di n—p punti che insieme a p punti fissi ta pendenti dànno gruppi di una g,î, appartengono ad una g° ss complementare a quei p punti. 3. Un gruppo di m punti G,, dicesi contenuto in una g,0 (r = e può sempre riferirsi univocamente ad una (certa) curva piana d'ordine m+n, con un punto m.uplo, un punto n.uplo ed &, punti multipli secondo 1. In particolare se una curva contiene una g,°'), si può sempre costruire una curva piana riferita univocamente alla data , che sia d'ordine ».+% ed abbia un punto multiplo secondo % (per l: abbastanza grande), per modo che su questa curva la 9g, sia segata dalle rette uscenti dal punto &%.uplo. 5. Due serie g,, gl, le quali giacciano sopra una stessa curva, ed abbiano una g,' comune, sono contenute in una stessa serie gi"), (1, t=0; si riferisca univocamente la curva proposta ad una curva ©" d’ ordine » dello spazio $,, nel modo indicato dal $ 2. Scelta in uno spazio ,S,,, che con- tenga S, una retta arbitraria 9, che non seghi $S,, si riferiscano univocamente i punti di g ai gruppi della serie data g,' e si congiunga ciascun punto di g agli » punti che gli corrispondono su C”. Si otterrà così una rigata d’ordine 2n di ,S,,,, alla quale appartengono quegli » raggi che proiettano i punti del gruppo G,, comune a 9,5, g1 dal punto di g corrispondente a G,,. Ora G,, giace in un S,_,; e quindi gli » raggi proiettanti stanno in uno spazio ad r dimensioni, che non contiene g. Uno spazio S,.,, passante per questo, ma non per 9g, sega la rigata negli n raggi, e inoltre in una curva d’ordine n», la quale appartiene a S.,,, ed è segata dagli S. di S,,, in una g,f/*', che con- tiene 9,0 e 9,0). Per giungere al caso generale basta applicare più volte i due casi particolari considerati. Se r è la massima dimensione di una serie d’ ordine n sopra una curva, la g,l è individuata da uno dei suoi gruppi. 6. Dal S 4 segue pure che due g,'! distinte non possono avere due gruppi di » punti comuni (n >1); e se hanno in co- mune un gruppo (, e un G,_,, la curva sostegno è razionale. Quindi: Se in una curva non razionale una g," contiene una g°,_,, quest'ultima serie ha per complemento un punto determinato in g,5. Infatti due gruppi arbitrari G,_,, G,_, di 9®,_, con due punti M, M' diano due gruppi G,, G, di g,l. Se M ed M' non coincidessero, la 9,‘ determinata da G,, G', e l’altra g,° determinata da M coi gruppi della ga =(6, , GI) È) avrebbero un gruppo di » punti, e un gruppo di n—1 punti comuni. Due serie g,0, g,5 giacenti sopra una stessa curva, le quali abbiano una g,_, comune, hanno per complementi due j ; 1% +r—t punti determinati in una stessa IRE ) Siano Q, R i complementi di g0,_, in 9,9, 9g,’ rispetti vamente. Le due serie 99,., , 9%, costituite da 9,9? ed R, da 200 GUIDO CASTELNUOVO 9,5) e Q hanno in comune la g°,,, costituita da g,_, con Q ed . . . . . . tt lo E; quelle due serie quindi giacciono in una stessa ga dMESI nNAI suppone che la curva sostegno non sia razionale, nel qual caso questo teorema diventa superfluo. È î (r+ ) 7 Se sopra una curva giace una g,, ma non una BD ogni 9,0) della curva o è contenuta nella g,), 0 non ha con questa nessun gruppo G,_, comune. ©. Punti multipli. — Una serie g,) sopra una curva di genere p contiene in generale 1) (+1) (#+rp—?) gruppi con un punto multiplo secondo r + 1. Sia anzitutto »—=1, e la serie 9g,‘ sia segata sopra una curva piana C,°** d'ordine n-+% e genere p con un punto 0 multiplo secondo %, dalle rette uscenti da O [4]. Il numero ri- chiesto è il numero delle tangenti a C,7** che passano per 0. Ora se 1 rimanenti punti multipli della curva equivalgono (per il genere e per la classe) a 0 punti doppi. quel numero è (m+%)(n+k—1)—Xk(k+1)-20=2(n+p-1), come dà la (1). Sia poi y >1; si chiede quanti siano gli spazi S,_, ipero- sculatori a una curva C," d’ordine x e genere p di S, [2]. Ora questo numero è il numero % dei flessi della curva (,” sezione piana degli spazi S,, osculatori a C,” (*). Ma di C,” possiamo calcolare l'ordine #, il numero delle cuspidi y, e la classe p, se ammettiamo che la formola (1) valga per le serie di molte- plicità inferiore ad r. Perchè » è il numero degli S,_, che passano per una retta ed hanno un contatto (r—1). punto con ©," cioè n=(r—- 1) n4 (rt 2)(p—1)! - e y è il numero degli ,S,_, che passano per un piano ed hanno fr È un contatto (r— 2). punto con C,”, x=(r-2)jw+(r—8)(p—1)}. (*) VERONESE, Behandlumg der projectivischen Verhéltnisse ; Math. Ann, 19 GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 201 Finalmente {. è il numero degli ,S,_, che passano per un punto, ed hanno un contatto r, punto con or, p=rin+(r—-1)(p—1){. Potremo quindi calcolare il numero dei flessi 7 di C/,", mediante la formola i=y+3(u—n) . che nel nostro caso dà i=(r+1)(n+rp—7r); questo risultato coincide colla (1). 8. Una ricerca fondamentale per noi è la seguente: Quanti gruppi di +1 punti sono comuni a due serie g,,0, 9g, gia- centi sopra una stessa curva di genere p ?; si suppone che sia m=r, e che l’involuzione g,,° non sia contenuta nella g,. La questione fu già risolta per r=1; se infatti indichiamo con è il numero delle coppie di punti G, comuni alle serie g,, 9,5 (quando ogni G, comune si calcoli equivalente a (3) GR si ha [4] ossia 0=(m—-1)(n-1)—p. Dico che in generale Due serie gs, gl giacenti sopra una stessa curva di ge- nere p, hanno i m_ 1 m_—- 2 2 Ie ppao @ (7 )o-n=(" 7) gruppi di r+1 punti comuni. Supponiamo che la (2) valga per le serie di dimensione in- feriore ad r; allora se indichiamo con %; il numero dei gruppi di < punti comuni alla 9,‘ e ad una serie d’ordinen—r—(i—1) e di molteplicità (é — 1), sarà Ss (n 1) — (e <=»). 202 GUIDO CASTELNUOVO i Sia y; il numero di quei gruppi di < punti che sono con- tenuti in g,,, e che, quando uno dei loro elementi si conti r+2—<% volte, giacciono nella g,; il numero che ci propo- niamo di determinare sarà dato da %,,, . i Finalmente sia 0, il numero dei punti multipli secondo (+1) di una involuzione d’ordine n —7 e molteplicità x — è sulla curva ; i o=(r-+1) in-r+(r—i)p|. Supponiamo per semplicità che la curva data di genere p sia una curva piana d'ordine wm+% con un punto O multiplo secondo % [4], per modo che la 9, sia segata dalle rette uscenti da 0. . È facile stabilire una relazione fra vile" yi. Tafattr nel fascio O si fissi una corrispondenza, assumendo come omologhi due raggi a,, d,, quando uno di essi d, passi per un punto mul- tiplo secondo (r—7+1) di un gruppo di g,l avente è punti È ; ; Ì M\ . sul raggio 4;. Ad ogni raggio a; corrispondono { . | 0; raggi n) b;; e ad ogni raggio d, corrispondono m%; raggi a;,. Il numero dei raggi c,, nei quali coincidono due raggi omologhi a;, d;, è adunque I 7 M\ x ( 0,4+Ma;. D'altra parte un raggio c,, o contiene un gruppo G, di % punti che, quando uno dei suoi punti si conti (r—?+-2) volte, giace in g,), oppure contiene un gruppo G;,, di +1 punti che, quando uno dei suoi punti si conti (r—i+ 1) volte, giace in gy”). Sicchè mM ntn=(7) 34 ma, . Questa uguaglianza vale per #—=1,2...r—1:; vale pure per i=0, se si pone z,=0, e per #=r, quando al. posto. di 4a sì scriva (r+1)y,,,, perchè un raggio e, contenente un gruppo G,., comune a Y,,°), 9,4, assorbe (r +1) coincidenze di a, con ò,.. Attribuendo ad % i valori successivi r, x ——1,...1,0, mu GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 203 tando segno a tutte le uguaglianze di posto pari e poi som- mando, si ottiene (+17 = (4) | I (8) Se al posto delle 0 e delle si sostituiscono le loro espressioni, e poi si eseguiscono le riduzioni, si arriva alla formola (+ 1)y = (M_- n) DE D ") + (" A I) | able] m_—1 m_ 2 sl r )@-n-( TE, , che è precisamente la (2). Ma abbiamo dimostrato che la (2) vale per r=1; quindi essa vale per ogni valore di r (*). 9. Se si riflette al ragionamento ora fatto, si riconosce che quando non vi sono infiniti gruppi G,,, comuni alle serie g,,, 9,5, il numero 4,,, dato dalla (2) deve risultare positivo o al- meno nullo. Ora la (2) assume un valore negativo se è ossia m_ 1 p> (Mr), » da ciò il teorema: Se sopra una curva di genere p giacciono due serie g,°. gl ed è m_l p =. (n ion 7) ’ le due serie hanno infiniti gruppi G,,, comuni. (*) La (2) è caso particolare della formola Lesbo 204 GUIDO CASTELNUOVO Da questa proprietà si deduceno molti fra i risultati dei pa- ragrafi seguenti. 10. Una conseguenza immediata della (2) è la seguente (già nota (*)): Se sopra una curva d’ordine n e genere p, appartenente allo spazio S, si trova una serie nl", è cui gruppi appartengano a spazi Sn, (m—10 la C,” sarebbe proiezione di una curva dello stesso ordine appartenente a 3, contro l’ipotesi; quindi è d=0. . r_ C UNTTEIC . . 13. Sia V°* la varietà di quegli S,. Uno spazio .S,_, pas- gti gi sante per un S, sega la varietà in una VT?" appartenente ad un SS, il quale contiene n —m punti della C,"; .S, è adunque asse di una gg , i cui gruppi stanno in spazi a y—2 di- mensioni. Ciascuno di questi spazi è poi asse della 9,0. Due serie d’ordine wm, » — m sopra una curva di SI tali che un gruppo arbitrario dell’una stia in uno spazio ,S,_, con un qualunque gruppo dell’altra, saranno dette residue (una dell’altra). (*) Courbes et surfaces réglees, S 15. 206 GUIDO CASTELNUOVO Sopra la curva normale C,° di S, una serie gl", i cui . . . . . . Inti) gruppi stiano in spazi S,, ha per residua una serie g° Sp em i cui gruppi stanno in spazi S,_,. Se i gruppi della seconda serie appartenessero a spazi S, la prima serie sarebbe contenuta in una g,. Reciprocamente se la g,' è contenuta in una g,, la serie (rp) n_nm è residua di ogni g,i' passante per G,, e contenuta in g,0?, è —q=1 È) , che ha per asse lo spazio .S, di un gruppo G,, di gn‘), . . . . \ . . r_—o=— . . quindi residua di g,9. Ogni gruppo di gs ‘deve giacere in uno spazio S,_,-,- Sopra la curva C,"° normale per S, una serie g,, i cui gruppi giacciano in spazi Ste ha per residua una serie "ila, i cui gruppi stanno in spazi S,_j-, + Dall’esistenza della prima serie segue l’esistenza della seconda. 14. Il numero delle dimensioni dello spazio a cui appartiene un gruppo di g,,‘7) non può superare m—1, ed è certo infe- riore a questo numero per quelle curve C,“ di S, nelle quali n-PZr. I gruppi di gn sopra una curva C,° appartenente ad S, stanno in spazi a m—-2 dimensioni, quando n—p (n+m_-r-1-(m—-1)), m_- 1 in virtù dell'ipotesi p>» —r. Non è escluso che i gruppi di In appartengano a spazi inferiori. In generale : I gruppi di una serie gn sopra una curva C," apparte- nente ad S, giacciono in spazi a (m—-q— 1) dimensioni (0 in spazi inferiori) se n—-p2p—2, dimo- strando un noto teorema dovuto a Clifford. Sen>2p—2 lo spazio più elevato a cui appartiene una curva d'ordine n e genere p, ha n— p dimensioni. Supponiamo infatti che C,° appartenga a S,_,,,. Si seghi la curva con uno spazio S,,_, tale, che delle » intersezioni n—p+1 ‘quali si vogliano siano linearmente indipendenti [11]. Allora per p_-1 fra questi n punti (poichè per ipotesi è p—1=n— p) si può condurre uno spazio S,_,_,: che non seghi ulteriormente la a " . ( curva. E questo S,_,_, è asse di una data della quale non tutti i gruppi giacciono in spazi |r - p —1|. Ora gli spazi $,_, passanti per un punto della curva che non giaccia in S,_,_,» (np) SIE segano una serie 9 che non contiene la STA: Dunque [9] deve essere ) ee p@M-1-M-p) il che è assurdo. 208 GUIDO CASTELNUOVO Una curva di genere p e d’ordine n>2p—2 è normale per lo spazio a n —p dimensioni. 1%. Sia ora a) nz2p—_ 2 e ammettiamo, se è possibile, che sia BY nZ2r In S, si conduca un ,S,_, che seghi C, in » punti, in guisa che » qualisivogliano fra questi siano linearmente indipendenti ; rl degli » punti apparterranno ad uno spazio $,_, ; e nella serie SN , di cui è base l’ultimo spazio, solo un numero finito di gruppi giacerà in spazi [n -r—1]. Scelti su C,° (2r— w) punti, nessuno dei quali giaccia in $,_,, gli S,_, passanti per ; (1) ? . che non contiene la 9 ;: dunque MP r) H + . (n-r essi determinano una Ur [9] ossia p=N-—Y. Se aggiungiamo alla 2) questa ultima raddoppiata, otteniamo n=2r+2 che contraddice alla #); quindi la {)' è incompatibile colla @). Per conseguenza fatta l'ipotesi 2), si deve avere Bb) n=2r, e perciò 1) pi , Sen=2p—2, e la curva C," appartiene ad S,, deve essere n ZEd00) pie p 2 Si noti che la y) ha per conseguenza la disuguaglianza 8). Perchè se, ammessa la ‘/), non fosse vera la B) ma la C))8 non potrebbe sussistere la 2), e quindi per il teorema di Clifford si GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 209 dovrebbe avere r=n—p, che sommata alla y) dà una disu- guaglianza, che contraddice la {). Si può quindi enunciare il teorema (noto): Se C,° appartiene allo spazio S, ed è r=p , deve essere n=2r; (il caso r-=p non contemplato nel ragionamento pre- cedente, può tuttavia esser trattato colle stesse considerazioni). Si ha pure: La curva di genere p e d'ordine 2p—2 è normale per lo spazio a (p— 1) dimensioni. 18. Considerazioni analoghe alle precedenti permettono di fissare un limite superiore al genere p di una curva di dato ordine » appartenente ad ,S,, quando sussista la disuguaglianza fp) n=2r . Perciò si seghi la curva Cl," con un S,_,, in modo che delle 5 . - A È - 5 é n (1) n intersezioni r qualisivogliano siano indipendenti. La I,-,4, She ha per base lo spazio ,S,_, determinato da r — 1 di queste in- tersezioni, contiene solo un numero finito di gruppi di » punti giacenti in spazi |r- 2], e quindi ha solo un numero finito di G i colla serie g°_" ta dagli S ti r comuni colla serie 9, , segata dagli ,S,_, passanti per un ul punto V della curva non giacente in ,S,_,. Fra questi G, si trovano e A pi : . IMRE META, quei ( ) gruppi formati colle n—+ ulteriori intersezioni di x Cy.0 dello. spazio (V.S,_.). Quindi [8] rn ) AE MT n_-Y = = | rl »( r_-2 )=( r i (a-r+1) (n—-r) r ossia IA p Questo limite in generale non sarà raggiunto; ma in seguito mediante considerazioni meno semplici, troveremo il massimo valore che può assumere il genere di una curva di dato ordine appar- tenente ad ,S.. Per ora ci limitiamo ad osservare che: La curva d'ordine 2r dello spazio S, non può avere il genere superiore ad r+1. Così la curva d’ordine 2rx+1 di S, non può esser di genere superiore a r+3, se r>2 , ecc. 210 GUIDO CASTELNUOVO 19. S; può sempre costruire nello spazio S,-_, una curva d'ordine 2p — 2 che sia riferita univocamente ad una data curva di genere p, purchè questa non contenga una gl (non sia iperel- littica). È noto infatti (*) che in una curva piana qualunque d’or- dine n e genere p, le curve aggiunte d’ordine n —3 segano una gui, che è involuzione semplice se la curva proposta non è iperellittica. Due curve €77 di S,_, riferite univocamente si corrispon- dono in una collineazione (**). 20. Si può sempre costruire nello spazio S, (r=2) una curva d'ordine r+p, che sia riferita univocamente ad una data curva di genere p. Si può supporre che la curva data sia piana d’or- dine » ed abbia solo singolarità ordinarie. Le curve aggiunte d'ordine n —2 formano un sistema (almeno) n-+p —2 volte in- finito: queste curve segano sulla curva d'ordine » una serie d'ordine n+2p —2 e molteplicità non inferiore a n+p— 2, (perchè se fosse inferiore, per ogni gruppo della serie dovrebbero passare infinite curve aggiunte d’ordine n— 2, e la curva data dovrebbe scindersi). Dunque in [n -+p— 2] si trova una curva d’ordine n+2p — 2, riferita univocamente alla data. Proiet- tando questa curva sopra un piano da un [n+p-5], ot- teniamo una curva d’ordine #n+2p—2, la quale dalle curve aggiunte d’ordine (n +2p-—2)—2 è segata in una serie d’or- dine »-+4p-4 e dimensione n+3p—4:; a questa serie cor- risponde in |n-+3p— 4] una curva d’ordine n+4p— 4; e così via. Procedendo in questo modo si potrà costruire in uno spazio Sg. dove R=>r, una curva d’ordine R+-p riferita univocamente alla curva data. Proiettando la curva di $z da &f—r suoi punti in S,, si ottiene la curva richiesta. Si può anche dire che sopra una curva di genere p esiste sempre una serie gita qualunque sia r; la serie è completamente definita da un suo gruppo G,,, (che può prendersi ad arbitrio) ser>p--2 [5, 16]. (*) V. BriLL e N6THER, Ueber die alg. Functionen. (**) SEGRE, lourbes et surfaces, & 7. GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHÈÉ 211 La curva (77° di S,_,. 21. Dai seguenti paragrafi sono escluse le curve iperellittiche (oltre alle razionali, ed ellittiche). Di ogni altra curva di genere p sappiamo che può riferirsi univocamente ad una curva ben de- terminata d'ordine 2p—2 di S,_,, che per brevità sarà indi- cata nel seguito con (;,. Diremo che una serie g,M è normale, quando non è con- tenuta in una serie dello stesso ordine e di molteplicità supe— riore Una curva di $,, sulla quale gli ,S._, seghino questa I, è normale. 22. Poichè la (, è normale e (2p— 2)—pI1), e sia d,) n-Yr punti, non giacenti in G, . Sia X uno di questi, e G,_, un gruppo formato con r— 1 dei punti stessi, escluso X. Un gruppo G, di 9, diverso da G, e passante per G,_,, dà con G,, un gruppo di di 2p — 2 punti giacente in un Sp-,. Questo spazio contiene almeno pi(-1)+(-1)=p, 214 GUIDO CASTELNUOVO punti di G,, e quindi contiene tutto G,, ed in particolare anche X. Ora X non può stare in G,, perchè G,, non può aver co- muni con G, x punti senza coincidere con esso; dunque X deve trovarsi in G,,, e ciò contro l'ipotesi. Segue che G,, passando per p, — (r— 1) punti di G,, contiene. G,. Perciò in primo luogo la «,) ha per conseguenza N,=», ossia 8.) nz=2p_2. Poi se indichiamo con 1, il minimo numero di punti di G, che devono trovarsi in G,,, affinchè questo gruppo contenga il primo, si avrà Ya) Pa =Px 7 e 1). Finalmente uno spazio .S,,,,, il quale passi per G,, e per p., punti di un altro gruppo G, di g,) contiene G, ; perchè ogni S,_, passante per 57, Secando C,, oltre chein G,, in un gruppo G,, che contiene |, punti di G,, deve contenere tutto G,. Dunque se è soddisfatta la &,), due gruppi arbitrari di una g, su (, appartengono a uno spazio di ò,) d,=d,+p.=Pb+P.-1 dimensioni. Le coppie di gruppi di gl danno gruppi di una serie speciale normale d'ordine 2n e molteplicità E.) r=2n-d,1=2n—-(h,+{.). Ogni gruppo della serie coniugata da N=2p—2—-2n, R,=p_(+p.)) 1, con un gruppo G, dà un gruppo G,,. 25. Sia ora Ri=b,—(w-=1). ossia 43) O i i i Se di un gruppo G,, di gx"? si prendono 4, —(r—1) punti sopra un gruppo arbitrario G,, di g,, quest’ultimo deve giacer GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 215 tutto in G,,. Perchè se ciò non fosse, sì troverebbero in G, al- meno r punti non contenuti in G, ; uno di questi sia X ; per gli altri -—1 si potrebbe far passare un altro gruppo G, di 9,5, il quale con G,, darebbe un gruppo G,, passante per n,—(r-1)+(r—1)=gw, punti di G,, e quindi per tutto G,. Il gruppo G,, conterrebbe anche X, il quale però non appartiene nè a G,, nè a G,,. Questa contraddizione dimostra che G,, con- tiene G,. Dunque dalla «;) segue N, =, ossia B3) Inz2p_ 2. Se poi indichiamo con {z il minimo numero di punti di G,, che devono prendersi su G,, perchè questo gruppo sia contenuto nel primo, si ha (5) pa=b, (1-1). Se è soddisfatta la «;), tre gruppi arbitrari di g, ap- partengono ad uno spazio di d3) di:=d,t+p3=hb,+p,th3—1 dimensioni. Le terne di gruppi di g,î° danno gruppi di una serie spe- ciale normale d'ordine 3n e molteplicità e) rr: =9n-d, —-1=3n—-(4,+hb,+ 3) 26. In generale se a f,.../1,... si estendono le definizioni date per {2,; {4,, {23, e se oltre alle disuguaglianze 2,), 2,), 43), valgono le 2,) Patpa+2p:—(-1)0. L'ipotesi opposta porterebbe di conseguenza, che se consideriamo (&—1) gruppi arbitrari di g,°, ogni spazio S,_,, passante per j., punti del primo, p, punti del secondo, ...p,_, punti dell’ultimo, do- vrebbe contenere ogni altro gruppo di g,, il che è assurdo. Ma si vede pure facilmente che deve essere Dx =D quando sussistono le «); perchè altrimenti la Pa TT (o 1)=0 ’ insieme colla i i i i e i) (conseguenza della «,) e ,)), darebbe dxy i) Prifbata”: ° + pr +2,— (r-1)

2p—2, e quindi per il teorema di Clifford, il genere ha per massimo valore n—r ; e questo è il valore della (1) per Li ls i Dunque la (1) dà per il genere di C“ in ,S, un valore mas- simo che è raggiunto, se n—-2+. Ma anche per ogni valore di n=2r, il valore dato dalla (1) è raggiunto. Infatti come risulta da una formola del sig. SEGRE (*), le curve semplici d’ordine x della rigata razionale normale d'ordine »—1 di S., seganti +1 volte ciascuna generatrice, hanno per genere il valore (1); e l’esistenza di tali curve è provata dalla rappresentazione piana. Risulta poi dalle considerazioni precedenti che, se la curva C" di S, ha il genere dato dalla (1) per y=2, nella c) si deve prendere il segno di uguaglianza e quindi le y) devono ridursi a uguaglianze : T) p=(n-r)-(i-1)(e-1) (@=1,2,...yx-1). Per i=1 si ha che la C” è normale per S.. 28. Chiameremo curva di genere massimo per un dato ordine n in S,, una curva C” di ,S,, il cui genere sia dato dalla (1). Si presenta naturale la domanda se ogni curva di genere massimo di S, stia sopra la rigata d’ordine »—1, come avviene in ,S;. Le ultime considerazioni ci permettono di rispondere completa- mente alla questione. Le varietà a y—1 dimensioni d’ordine % Y* segano sopra (*) Intorno alla geometria su una rigata algebrica; Rend. Lincei, 1887. GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 219 una curva C,° di S, una serie d'ordine n&, della quale sia la molteplicità. Poichè le varietà 7" di ,S, formano un sistema k lineare di molteplicità | n ') —1, se per ©,” passano oo° tali TE varietà 7", si ha da cui k4r si intenda che o abbia il valore — 1, quando per C,° non si può condurre una varietà /". Ora fra le varietà F" si trovano i gruppi di % S._, di &,, e il sistema di queste varietà degeneri appartiene al sistema lineare di tutte le varietà *: cioè la serie d’ordine n / di mi- . 5 : . SIA È . $ n lo) nima dimensione che contiene i gruppi segati da % S,_, è 9,, - Ma abbiamo visto che, se fra », p, r passano le relazioni «,) @,)... &;), i gruppi della qu" SH dagli S._, su C,° presia ka &, TARDE n > dunque per la e) danno gruppi di una 9g pekn— (2,4 pat +4) e quindi k+r :=( * )_ pad tt 1) -—2. 29. Limitiamoci al caso 4=2; e sia y>2. La curva pro- posta sia d’ordine n=2 e di genere massimo p. Supponiamo anzitutto che nella (1) si abbia y>2, per modo che sussistano le «,), «,). Allora poichè per le T,), T.) p,+p,=2n—-3r4+1, 2 :=("; )-sr do si ha ossia 220 GUIDO CASTELNUOVO —1 la quale dice che per la curva data C,° passano almeno (i 9 quadriche linearmente indipendenti. Si abbia invece nella (1) y=2, cioè nz3dr-2, , p=2n-3r+1 2p—2, la serie segata su C," dalle quadriche di S. non è speciale, e quindi per il teorema di Clifford la dimen- sione di questa serie non può superare 2n-p=3r—1; così si ha anche in questo caso e si arriva alla stessa conclusione. D'altra parte si vede facilmente che nell’ipotesi n=>2#, per id se ida C,° non possono passare | 9 )4i quadriche indipendenti. In- fatti sia ,S,._, uno spazio il quale seghi C," in » punti, dei quali r qualisivogliano siano linearmente indipendenti [11]. Se le qua- ) i CER driche passanti per C,” formassero un sistema di li 9 ) dimen- sioni, un sistema di quadriche di ,S,_, della stessa molteplicità dovrebbe passare per quegli » punti. E le quadriche di $,_, passanti per (EY1-(ea di quegli » punti, dovrebbero contenere i rimanenti. Fra queste quadriche si consideri una che degeneri in due spazi .$,_,; uno almeno di questi dovrebbe contenere più che r—1 fra gli n punti, e ciò contro l’ipotesi fatta su S,_, . GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE F21 Possiamo dunque asserire che Per una curva di S, d’ordine n=2r e del massimo genere r desi DO. passano |, quadriche linearmente indipendenti ; e ogni altra quadrica per C,° appartiene al sistema di quelle (*). Se r=3 , la curva giace adunque sopra una quadrica, il che è già noto. 30. Sia +>3 ; quale sarà la varietà base del sistema X di = quadriche, di specie (” 9 ta 12 La dimensione di questa varietà base non può superare 2. Infatti se una varietà a tre dimensioni fosse base del sistema di quadriche, uno spazio $,_; segherebbe X in un sistema di qua- driche avente per base qualche punto; e la molteplicità di questo ‘sistema sarebbe inferiore a ui Li LE , che è la molteplicità del sistema di tutte le quadriche di ,S,_:: adunque ogni spazio S,_3 dovrebbe trovarsi in qualche quadrica di X. Ma ciò non è possibile, perchè se si conduce lo spazio $,_, determinato da r—1 punti linearmente indipendenti di C,“, uno spazio S,_3 di S._, che non contenga nessuno di quegli y--1 punti non può trovarsi in una quadrica passante per (,°. Visto ciò, si seghi la curva C,” e il sistema X con uno spazio S,x în » punti e in un sistema SY della stessa dimensione di 2; e sia tale lo spazio S,-; che delle » intersezioni r qualisi- vogliano siano linearmente indipendenti. Poichè tutte le quadriche di S._, formano un sistema di specie ira )- 1, ogni qua- oi drica passante per (i) -)(3)-1 CINI \ 2 di quegli » punti, deve contenere i rimanenti. Dico ora che se n>2r , gli n punti si trovano sopra una curva razionale d’ordine »—1, la quale è contenuta in tutte le quadriche di S°. Indichiamo gli n punti con (6) Adua: Ag e DO = PSI n_-2FH4+1 ? (*) Questo teorema è noto nei caso n—=2r, p=r+1. 222 GUIDO CASTELNUOVO e i primi 2r—1 abbiano la proprietà che ogni quadrica pas- sante per essi, passi per irimanenti. Basterà dimostrare che la curva razionale C,/7' determinata dagli +2 punti Aia da passa per tutti i punti B, e per uno qualunque dei rimanenti punti A ad es. per A,,_,. Perciò consideriamo la piramide fon- damentale che ha per vertici i punti ASIA e indichiamo con sO lo spazio-faccia a r—3 dimensioni che non passa per A,. Sia poi $S._; lo spazio determinato dai punti A ARL A o r+1? Se riferiamo proiettivamente i due fasci di ,S,_, che hanno per sostegni dA, S,.--3, in guisa che si corrispondano gli spazi proiettanti A,, A4,, A,, ,, otteniamo come luogo delle interse- zioni degli spazi omologhi una quadrica, che passando per tutti i punti A, dovrà contenere tutti i punti (G); quindi SOA Arr BrB NI De a Poichè in questa relazione, quando ad % si danno i valori 1, 2, 3...v—1, il secondo membro non si altera, segue che gli r—1 fasci proiettivi aventi per sostegno le faccie della piramide, ge- nerano una curva razionale d’ordine —1, la quale passa oltre che per i 4 bea ALERT. anche per A,,_, e per tuttii punti B:; e ciò appunto si voleva dimostrare. Poichè le quadriche di Z' contengono ciascuna più che 2(r—1) punti di questa curva razionale C;/7', segue che le quadriche stesse passano per CT. Dunque se r>2r, le quadriche di Y hanno una varietà base che è segata da ogni S,_, in una C/—; questa varietà deve essere una superficie a due dimensioni di ordine r— 1. GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 229 Sen>2r la curva d'ordine n e di genere massimo di S, sta in una superficie a due dimensioni d'ordine r-1 (*); questa superficie è rigata se r è diverso da 5, e può esser non rigata per r=5. Nel caso di una superficie rigata, il numero y della (1) aumentato di una unità dà il numero dei punti in cui la curva sega ogni generatrice. Se n=2r, r>3 la curva non sta necessariamente sopra una superficie d’ordine »y— 1; anzi sta sopra la rigata d’ordine r—1 solo quando la curva contenga una g;0. Finalmente una curva d’ordine n—-2r e di genere massimo (7=1) non può giacere sopra la rigata d’ordine r—1 di S,, a meno che la curva non sia iperellittica. Torino, 1° Febbraio 1889. (*) Crediamo che anche il sig. DeL Pezzo sia giunto a questo teorema, però. siccome il suo lavoro è ancora inédito, non conosciamo la via che lo ha guidato (febbraio 1889). Al sig. DeL Pezzo poi è dovuto io studio delle superficie a due dimensioni d’ordine r—4 immerse nello spazio a r dimen- sioni (Rend. della R. Acc. di Napoli, settembre 1885). 224 GUIDO VALLE L'equazione modulare nella trasformazione delle funzioni ellittiche ; fel. Dott.wGurDo: Vate Il problema della trasformazione delle funzioni ellittiche si enuncia generalmente nei seguenti termini: rovare una fun- zione razionale y di x per cui sia soddisfatta l'equazione dif- ferenziale : da dy (La VA=#) 1-2) VA-Y(A-Xy) nella quale il nuovo modulo ) dipende dal modulo % della Va funzione proposta. Tale funzione y è adunque della forma 7 ; dove P e @ indicano due polinomi interi in x; e detto » il grado del polinomio di grado maggiore, » sarà l’ordine della trasformazione. In generale ad ogni trasformazione corrispondono per di- versi valori, e questi sono le varie radici di una particolare equazione, detta da Iacobi Equazione modulare. Dopo Iacobi molti si occuparono di questa equazione; tra gli altri primo il Dott. Guetzlaff, il quale in una sua Nota diede l’equazione modulare relativa alla trasformazione del 7° ordine. Indotto dal suo esempio, l’amico di lui, il Ch."° Sohnke, diede quelle relative all’11°, 18° e 17° grado; ed in seguito, con una sua pregevolissima Memoria inserita nel 16° volume del Giornale di Crelle, mostrò come si possa formare l’equa- zione modulare nel caso in cui il numero » sia primo. Una tale restrizione non è qui fatta; il numero » è supposto im- pari senz’altro; e lo scopo della presente Nota è di stabi- L’EQUAZIONE MODULARE NELLA TRASFORMAZIONE, Ecc. 225 lire in tale ipotesi l’esistenza ed il grado dell'equazione mo- dulare, la cui importanza è capitale nel problema della trasfor- mazione. È noto che le funzioni ellittiche si possono riguardare come i quozienti di quattro funzioni, due a due, delle quali non sarà inopportuno ricordare qui le definizioni. Posto : i RETE da = 2 2 O 2 2 2 (2) V(1-2°)(1-k°2°) V(1-2°)(1-k°2°) i=V— 1 eli IROE ana si hanno le relazioni seguenti: / o_-s sO le) 142 — 1)°qr (2) * PI )"q? cos o: (pesi 2] ? onx (e) 142 È cora @=1+2 Ne cn (3). » ». LE = ) i 2 20+1 nm Haas) = 2 — yi CREA (2) DI ARE I ire eo 2041? 2 29 l)x: | ia n. ga i Tra queste passano le relazioni seguenti : 0 (r+2io')=-e "e * (0) 0,(x+2i0)= ci 0 (2) (4).. hi H(e+2io)==—e "e; H(2) 226 GUIDO VALLE e le altre più generali 0 (r+2mio')=(-1)"e “e * 0(0) 0, (r+2miw)= Ci € 0 (2) SE wo min Ia H(x-+42mni0)=(-1Ye o. e Ha) H(x+2mio)= ae 1 ql) e finalmente, poichè ci saranno spesso utili, registreremo ancora le relazioni seguenti : \ ! — TGz+io) 0, (C+io)=H.(0)e | (605... |H@+iw)=0,@e * Ciò posto, si sa che le funzioni ellittiche sono definite dalle seguenti relazioni: — ME) | senama = — V k 9 (2) H (7)... ‘| cosam x = o Dec Aama= VI 5 @ .dove si ha: (2) H, (0) > 12 De. VE = Poi Si 9.0 Le quantità © ed :&' essendo quelle che figurano néi pe- riodi della funzione proposta, se indichiamo con Q ed 70 le quantità che compaiono nei periodi della trasformata, si sa che: Lo (9l.- 10 + Oi ”" ed il nuovo modulo À sarà definito dalla relazione: Va fr 010) “6 (0,9,0') L’EQUAZIONE MODULARE NELLA TRASFORMAZIONE, Ecc. 227 Ora, è noto che ad ogni trasformazione di ordine » corri- spondono tre numeri »', »'", # tali, che mentre si ha n=» n", t sia primo col massimo comun divisore di »', n”. Or bene, di qui si può conchiudere che le trasformazioni distinte d'ordine n sono appunto tante quante sono le terne »', n, f. Allo scopo di determinare il numero di queste terne, si noti che se fosse : . n=N, N, dove n, ed », non fossero numeri primi, allora ad ogni terna n', n", t relativa al numero » se ne potrebbero far corrispon- dere due altre; »,', n, t, ed n), »,, t, relative ai numeri n, , ,; ciò è di per se stesso evidente. Se adunque indichiamo con 7 il numero delle terne #', n", #, e con t,, 7, le terne analoghe relative ad »,, »,, sarà evidentemente TE=T,T I 2 laonde se per maggior generalità si suppone : : 0" bt pt9 01 sarà TR et Vediamo come un tal numero 7 si possa in ogni caso de- terminare. Sia f* un fattore qualunque di »; corrispondentemente ad esso si avranno varie terne, delle quali una è la seguente: f*,1,0 ed un’altra qualunque sarà della forma fest: pa, 1 e mentre %' assumerà i valori 1, 2,...0—1; # a sua volta dovrà assumere valori primi. con /?' e non maggiori di esso ; dunque le terne del 2° tipo saranno f*' (f-1), le quali, ag- giunte alla prima, forniscono f*' (f—1)+1 terne. Ma queste non sono tutte; si può, infatti, porre 1 FAI Lt" dove f? restando fisso, #"' dovrà assumere tutti i valori compresi fra zero ed f*'; laonde si potrà conchiudere che le terne cor- rispondenti al fattore f* sono m=f" (f+1) Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXI. 17 228 GUIDO VALLE Cose analoghe verificandosi per tutti gli altri fattori, si vede che in totale le terne corrispondenti al numero » saranno (14 lea PE (a+) (641) VPI) il qual numero nel caso in cui sia » semplicemente impari e privo di divisor quadratico, è uguale alla somma dei divisori di n (*). — Così rimane dimostrato ed anche, se non erro, meglio dichiarato un teorema dato, senza dimostrazione, da Iacobi nei suoi Fundamenta Nova, pag. 101. Determinato così il numero delle terne corrispondenti al nu- mero », sostituendo questi valori nelle relazioni (9) e poi cal- colati effettivamente i valori corrispondenti delle funzioni : 0, (0, Q, 2') ed 7, (0,2, 2°); la relazione (10) ci potrebbe fornire tutti i valori di ). Si può tuttavia giungere ad un risultato più elegante espri- mendo le nuove funzioni di ©, ed 7, relativa ai nuovi periodi -Q ed /0' mediante le medesime funzioni relative ai periodi o, io. Infatti, tenendo presenti le (9), si vede che si passa dalla funzione 9, (x) alla funzione ®, (x, 2, 2') dividendo il primo periodo per »', e poi la quantità o=16ti- per n. z Applicando adunque al caso nostro la formola per la divi- sione del periodo immaginario data da Briot e Bouquet (Théorze des fonct. elliptiques, pag. 544) 0, (s, n) I (2 +2p'iQ') Man'--1 e tenendo presenti le relazioni ), ricaveremo : pi + > 9(,0,0)= 4 a frai 1+ ao w (a). os i tn ana pon ca Î | LE | | A*p-ig/ #0 || l+q9°"9' 1 Riga Ii PZ vii Per altra parte si ha } 4 m AES (21 l È ni-1 COS —_ LN 8 n (9) ora Il ( n' (Du L'EQUAZIONE MODULARE NELLA TRASFORMAZIONE, ECC. 235 Infatti si ha pel teorema di Cotes 1+a” l+x 2n ia” 4n \ = (#4 22008 74 1)(242200824 1). Ri 7) n TEMI (2422008 > +1). I) Ponendo in questa 4=4, verrà: 1 j" n'-1 n'-1 9 4r h__ 1 n 3 Ro du? cos" cos =. ted E - i RECEA: 14% n n n Adunque sarà P—+1 ovvero P=—1 secondochè sarà: n'=£ E 1 ovvero n=8y23. i, 3 MEZ E poichè “ui a =89 +2, “onde — bis LE e di più: qt3)-1 (8143): ME Ley, onde (—1) * ==1, sì trae : ; n!'- 1 uv — 1 o P_(- 1)? Sostituendo nella (18) i risultati dati dalle (2) e { e ri- ducendo si trova : / 12__ pe o : I 4 È ni Palgrar IE ZIA I fera (18)... = pi - 16t0 so Ly: [fs coam 44( i °4+55)| | n n o=i In un modo perfettamente analogo si può trasformare l’ultimo fattore della precedente. Applicandovi infatti la nota formola pr o I 1 ina ima 1 2r Re) 1 2r frasi) sen com #= 2 g*e?* (14, Treno Taeg elfo 236 GUIDO VALLE o tiù nell ponendo per brevità «= € ed osservando che n \tixe go gi ata a ag itx u\-ana Fà 20) nl e » Aq sì ricava : midi n' (nl 1) - pg > \ n'\— 2x0 a quo OR LA reali ea” 14+\cq" == (28) "a Lic Pl nu Ti [S n A IE (ar — 1)n"— 4x0 (6 o-— ri pi ||: 4 (ag ) | Ora nel numeratore si trovano tutte le potenze pari (positive ‘e negative) quelle eccettuate, le. quali corrispondono ad r=0 (e queste ci sono fornite dal 2° fattore) e quelle ancora le quali sono corrispondenti a 5=0 ; queste provengono dal primo fattore. Parimente nel denominatore si trovano tutte le potenze impari, tranne quelle corrispondenti a 7=0, le quali ci sono fornite dal primo fattore. Inoltre si osservi l'identità Ml — 1 eo I , " ni 1 i niî—1 n — 240 n I+24+...L———— [I-=-2% no\—xea n n i nii n . x] = {\&q x q OM Dopo ciò si vede che il precedente risultato si potrà scrivere sotto la seguente formola più concisa : e + preti) NI°— 1 nil I (20) ( 3" ( sli i d Ji 14 (ad) v=(— aa” a n'i n 2r-1 i ù r=zi 1 (Ge nella quale (ag ) rappresenta il prodotto di tutti i fattori negativi provenienti dai due termini della frazione. (*) Cfr. SouNKE, Crelle’s Journal, 16 vol., pag. 105. L'EQUAZIONE MODULARE NELLA TRASFORMAZIONE, ECC, 237 Le cose essendo ridotte a questo punto, il calcolo che segue per la determinazione di x è quasi intieramente una riproduzione di quello fatto da Sohnke nel suo sopracitato lavoro. È chiaro che x è funzione di x, poichè ad ogni valore di v, 0, quel che è lo stesso, di x, corrisponde un valore di %. Laonde posto <=%(x), avremo: nl? (n 1) +89(x aa Si di (21) ni Uli SEI 17 14 (ag) i o=(—1) 3 (2g) A rzi 14 \ag" Ora, poichè il valore di v fornito dalla (20) rimane inalte- rato quando in essa si muti x in z+n'2 (essendo 2 un numero intero qualunque), la stessa cosa dovrà avvenire nella (21). Fatta una tale sostituzione, indi paragonati gli esponenti, sì trae: 2 an'(n' — 1) p(a+2n")— g (= ossia e) n" ei an'(n' — 1) dk dX ky2 4 Determinando poi la costante col procedimento stesso dato dal Sohnke avremo: n aio ret Sostituendo adunque nella (20), verrà finalmente: A Pe ui il la pd) (22). ‘+. v=(— 1) 1) ua BE gui 7 a\arni È r=1 l +\@ q nÙ ) Ecco il risultato a cui si giunge; esso prova che quando # è un numero impari qualunque, esiste l'equazione modulare e di più ne fornisce le radici sviluppate in prodotto infinito. 238 GUIDO VALLE E queste radici si ottengono ponendo nella relazione (18) al n' posto di 9, g”" dove n' ed n" sono due qualunque dei fattori in cui può decomporsi il numero ». Ioltre la (22) ci attesta che le radici dell'equazione modulare si classificano in tanti gruppi quante sono le coppie di fattori di »: laonde, se si suppone primo, allora poichè quelle coppie si riducono a due, e cioè: 1.» ed n. 1, si vede che la (22) coinciderà in tal caso con quella data da Sohnke. Accennerò, terminando, ad un esempio di equazioni modu- lari pel caso in cui sia n-=9. — Il grado di questa equazione sarà 12; e se la si ordina secondo le potenze discendenti di e si determinano gli esponenti wm,, m,, ... #,, div con le con- dizioni (*): m,+9.11=12 (mod. 8) m,+9.10=12 (mod. 8) avremo : o+uo" (a+) +0 (a+ f, u) +4+u' 09 (2, +) + + Pau + fo + Bou + uo + But o' +-uvî (ag + + Ps) +0 (a+ PW) +0 (a+ Po) += 0. Ora, è noto che i coefficienti dei termini «”v? ed #0”, come pure quelli dei termini «"v? ed "2"? (dove t è il grado dell’equa- zione) sono eguali e dello stesso segno, oppure di segno contrario, secondochè l’ultimo termine è positivo o negativo. È parimenti noto che per u=1 è v=#1:; nel caso nostro per u=1 l’equa- zione ha dieci radici eguali a +1 e due eguali a —1; laonde sviluppando i binomi, indi eguagliando i cofficienti delle potenze eguali avremo: v°—- 8u8" (2-1) +2u°0'°(5+8%)—840(7+24)+ +15u'04+48uî07— 844094 484104 15u80—8uo(2+ +74) +20 (8+5489)+ 80 (u— 2) +u"=0. (*) Cfr. KGNISBERGER, pag. 184. L'EQUAZIONE MODULARE NELLA TRASFORMAZIONE, Ecc. 239 . ver \ < sa CIO 2 Ossia ancora ponendo u= VI: Mi V).: =1-K:4=1-A va 3: Lai, e a dd 21: (SIE Lp 1/2) + si ye) 3 | vr LS (VE (25 at (e E teli] Torino, Febbraio 1889. L’Accademico Segretario GIusEPPE Basso. Ù z i rad MET sel MLT CEN i e IN EI#F AE ba: dà ia TE si pre EV Susa TR "as al i do RES) e | tal cat ar © gi È IENE ETA Dita CR agro. dl” gioni AE IN pg SIA, pi |P { i I 4 pi x ID) cienddo 10 ad (mao, #) ostnprmià ooisaboiote dev i È pa puo i 4 «Dagn® MI1Manie) , e ENT A i | > pi (AU UV, Mt Pai 6 lE I a Ù ì JA miceti i torni al"? «dl ug jiuvo ta È; Ito stgun, Upore cli, a utruna @ patgro è naestivto, h Îo » À td not ooo condire preti dba lu stadi @ «PI è dio ‘gatti emilappasò. + visi, iui «pengiando è 6oficie 9 de > Ape bg dai. vibo) dx I Mic bici PN, * Fegato 2) ea n è Ho 2 ceri dre $ 0 BM E n A | Classe di Scienze Fisiche, Mat | _‘’ ADUNANZA del 10 Febbraio 1889 — —.Casrenuovo — Ricerche di geometri i sulle curve algebrich Fade x sn VALLE — L'equazione modulare nella trasform: zione delle funz ellittiche: s/n ZIE AE vi E] Pat a £ sr a ve AGILI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE D'ECTO RINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 8° 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCOHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 241 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 24 Febbraio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, Bruno, BERRUTI, Basso, D’Ovipic, BIzzozERO, FERRARIS, SPEZIA, GIACOMINI. Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente, che è ap- provato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia ven- gono segnalati tre opuscoli stampati del Dott. Federico SAcco, che trattano Dei terreni terziari e quaternari del Biellese; Dei terreni terziari della Svizzera, e Della classificazione dei ter- reni conforme alle loro faccie, presentati dal Socio SPEZIA. Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine che segue: « Studio sull’accelerazione d'ordine n nel moto di una retta, » del Dott. Enrico NovaRESE, Assistente alla Scuola di Meccanica razionale nella R. Università di Torino, presentato dal Socio Basso; « Riassunti per l’anno 1887 delle medie mensili e dei massimi e minimi annuali riguardanti l'altezza barometrica, la temperatura esterna al Nord, la tensione del vapore acqueo e lumidità relativa », lavori eseguiti nell’ Osservatorio della R. Università di Torino; presentati dal Socio Basso per la con- sueta pubblicazione nel Bollettino annesso agli Atti; « I Cheloni astiani del Piemonte »; Monografia del Dot- tore Federico SAcco, presentata dal Socio SPEZIA. Siccome l’Au- tore ne desidera l’inserzione nei volumi delle Memorie, viene nominata una Commissione incaricata di esaminare il lavoro e riferirne alla Classe in una prossima adunanza. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc: — Vol. XXIV. 18 DN NG DO ENRICO NOVARESE LETTURE Studio sull’accelerazione di ordine n nel moto di una retta; del Dott. ENRICO NOVARESE Questo scritto è, come appare dal titolo, uno studio sulle accelerazioni d’ordine qualsivoglia dei punti di una retta mobile comunque nello spazio, argomento modesto ma che mi pare non indegno del tutto di attenzione e finora (di proposito) poco con- siderato. Il lavoro è diviso. in due parti. Nella prima sono espo- ste le proprietà che parvero degne di menzione onde godono quelle accelerazioni: di tali proprietà alcune sembrano, per quanto facili a stabilirsi, non avvertite, altre o sono note o sono esten- sioni di cose note; il metodo di ricerca è diverso da quelli da altri adottati e, per semplicità, non mi pare inferiore. La seconda parte del lavoro è dedicata allo studio di un paraboloide iper- bolico, a cui quelle accelerazioni dànno luogo: l’esistenza di questo paraboloide è conosciuta (V. nota al n° 12), ma lo studio di esso non venne fatto se non nel caso particolare relativo alle velocità (accelerazioni d'ordine zero) (V. nota al n° 15). le Proprietà varie delle accelerazioni dei punti di una retta mobile. 1. Consideriamo una retta D che si muove comunque nello spazio, e riferiamo le sue posizioni successive a tre assi ortogo- nali immobili. Alla fine del tempo #, siano a, d, c i coseni di- rettori di un verso stabilito della retta, x, %» 4, 1@ coordinate di un punto M, di essa. Le coordinate di un altro punto qualunque M della retta saranno, posto M,M = «, x, + au, Y, + du, 20 HICUS STUDIO SULLA ACCELERAZIONE DI ORDINE N 243 e le projezioni sugli assi della sua accelerazione di ordine n — l varranno (1) she a+ al u ; yM+ AQ | a+ cu I { | diodi designando con x, ..., a, ...le derivate n° LENTINI CI i dt” d'a perenne 2. Il moto della retta si può concepire composto di una traslazione conforme al moto del punto M, e di una rotazione in- torno ad M,. Dalle espressioni (1) appare che l’accelerazione (*) J del punto M è la somma geometrica 1° di un’ accelerazione di traslazione, equipollente all’accelerazione J, del punto M,; 2° di un’ accelerazione di rotazione, della quale la direzione è la stessa per tutti i punti M e non dipende dalla scelta del punto M,, la grandezza è proporzionale alla distanza «. Immaginiamo un seg- mento, le cui projezioni sugli assi siano uguali ad a, 5%, e: chiameremo questo segmento accelerazione sferica (di ordine n —1) della retta D e lo rappresenteremo con £ (**). Diremo allora che l’accelerazione di rotazione +7, del punto M ha la direzione di 0, ha il verso di Q od il verso opposto secondochè w è positivo o negativo, cioè secondochè 12M giace dall'una parte o dall'altra del punto M,, ha una grandezza espressa dal valore assoluto di Qu. Traducendo in formole avremo : JT*=IE+2I,Qu cos (I, 0) +Q°4° T,+Qucos(J,0) 2. cos (JJ) = ESTE sir J,cos(J,Q0)+Qu 1 dJ ui Te A, cos (JQ) 7 va 8. Osserviamo che l’accelerazione J, è la stessa come se il t (*) Qui ed in seguito, ogniqualvolta nulla avvertiamo esplicitamente, di- cendo « accelerazione » sottintendiamo « di ordine n—1 ». (**) Q è l’accelerazione che avrebbe (alla fine del tempo #) un punto m mobile sopra una superficie sferica di centro O e di raggio 1 con legge tale che i coseni direttori del raggio Om fossero, in ogni istante, uguali ad 0, bd, c. — Pern—=1, 2 è la Winkelderivirte del Somore (V. Theoretische Mechanik, Eh; 8 13), Atti della R. Acad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. \XIV. 18% 244 ENRICO NOVARESE moto relativo della retta fosse rotatorio intorno ad un asse M,I normale ad O, con un'accelerazione angolare (d'ordine n — 1) uguale al quoziente di Q pel seno dell'angolo compreso tra la retta D e l’asse M,I. Ne segue (cosa rimarchevole se si con- fronta con ciò che ha luogo nella rotazione intorno a un punto di una figura a più dimensioni) che, quando una retta ruota intorno ad un suo punto IM, esistono ad ogni istante, per ogni ordine di accelerazioni, infiniti assi di rotazione istantanea; e questi sono tutte le rette condotte per IZ, in un piano normale all’accelerazione sferica di quell’ordine. Non occorre dire che, quando tra queste rette fosse compresa la retta mobile (il che in generale non avviene, poichè in generale Q non è normale alla D (*)), si dovrebbe escluderla dal novero degli assi istantanei suaccennati. 4. In un istante qualunque, per conoscere le accelerazioni di tutti i punti della retta mobile, basta conoscere le accelerazioni J,, J, di due punti M,, 2/,. Infatti, la differenza geometrica tra J, e J, e la distanza « = M,M, determinano pienamente Q. Vo- lendo determinare analiticamente l’angolo (7,2), si hanno le re- lazioni: J, sen (I9,) +VIR4+I?-24,3,608(IT) JI, 008 (IT) —T 008 (INO)LE SL IRA ar +VIF+4-24,1,008(I3,) 0 5. Se si dà a « il valore particolare J, u*= — Gg 008 (I0) (*) È utile domandarsi se Q possa riescire normale alla retta D. La ri- sposta è semplice e non priva d’interesse per n=1,2,3. Da a?+b?+c*=1 sì trae: 1° aa'+bb'+cc'=0. La velocità sferica è sempre normale alla D; 20 aa''+bb'+cc'=—(a'*+b'*+ c'*). L’accelerazione sferica di 1° ordine è normale alla D solamente in quegli istanti nei quali la velocità sferica è nulla; 5 dida i » SUA een 2 en (a'?+ b’?+ c'?). L’accelerazione sferica di 2° ordine è normale alla D in quegli istanti in cui o è zero la velocità sferica, o è zero la sua derivata, e però in ogni istante quando la velocità sferica è costante, STUDIO SULLA ACCELERAZIONE DI ORDINE N 245 dall’ultima delle (2) risulta dJ ——_— = 0) du : cos (JO) =0 u* è d’altronde l’unico valore di « che verifichi queste equazioni. Dunque: Ad ogni istante, esiste sulla retta mobile un punto M* la cui accelerazione è minima (evidentemente, 7 non ammette mas- simo). Questo punto è il solo del quale l’accelerazione sia nor- male all’accelerazione sferica (*). La posizione del punto M* è definita dal valore «* del para- metro «, e la grandezza dell’accelerazione minima J* è data da J*=J,sen(I2). Si possono determinare il punto M* e la grandezza della sua accelerazione mediante due accelerazioni /,, 7, : valendosi delle formole (8), si trova e DT c08(IT,)] IT+I, 2232 4, 009 A I) I,J, sen (7,4, ) r VIa ATI | ) U ga 6. Se si prende il punto M* per punto M,, le due compo- nenti dell’accelerazione di ogni punto MM sono ad angolo retto. Si ha allora, denotando con w' la distanza M* M, Je JT * ' cos (J7*)= a prego = pertanto : Le accelerazioni di due punti della retta equidistanti dal punto M* hanno grandezze uguali: esse fanno angoli uguali (*) Per le accelerazioni di 1° ordine, la prima parte di questa proposi- zione, come pure la prima parte della seguente, si trovano nel trattato dello ScHELL: 2? ediz., I vol., p. 506. (**) Il Somorr ha dato queste formole per le velocità: Theoretische Me- chanik, I Th., p. 271. 246 ENRICO NOVARESE coll'accelerazione minima ed angoli supplementari coll’accelé- razione sferica. Avvertiamo di volo che in questo caso l’accelerazione di ro- tazione 7, può riguardarsi come dovuta ad un moto rotatorio intorno alla direzione di J* (*), cioè intorno ad un asse paral- lelo all’accelerazione di traslazione (n' 3 e 5). Se, in particolare, consideriamo le accelerazioni di ordine zero (velocità), ne segue che la direzione della velocità minima è l’asse del moto elicoidale. 7. Le cose esposte nei n' 4—6 si possono tradurre in una elegante costruzione grafica, che il Somorr ha dato per le velo- cità e che si estende senz'altro alle accelerazioni. Siano M,N, M, N, i segmenti che rappresentano le accelerazioni JJ di E i M, M,. Da N, si conduca N, 4, uguale e parallelo aM,N€ slo pel verso opposto: M, A, rappresenterà l'accelera- zione di rotazione del punto M,, e però la direzione M, 4, sarà la direzione di Q ed il rapporto sarà uguale ad Q. Ciò lo MIL M, premesso, da un terzo punto quali M della retta mobile si conduca una parallela ad 2, A, e sia A il punto dove essa in- contra M, A,: sarà AR pes, ‘AN. n-J, È manifesto che l’ac- celerazione minima si otterrà lui da N, la perpendicolare N A4* su MA, e che il punto M* si troverà all'incontro della iena D (iù parallela ad A, condotta dal punto A*. È pur manifesto che saranno uguali le e di due punti equi- distanti da MM”, ecc. 8. Projettiamo l’accelerazione J sopra un asse normale ad Q : la projezione di si ridurrà alla projezione di J, (n° 2 o n° 7); dunque: Ad ogni istante, le projezioni delle accelerazioni dei varj punti della retta mobile, sopra un asse normale all’accele? razione sferica, sono equipollenti. In particolare, se si considerano le velocità, fra de rette nor- mali alla velocità sferica vi è la retta mobile stessa (n° 3, in nota); si ritrova così una proposizione ben conosciuta. 9. Dal n° 2 segue ancora: Le accelerazioni di tutti i punti M della retta mobile sono parallele ad un piano determinato dalle direzioni di J, e di Q. Per conseguenza, se nei varj punti M si conducono è piani '(*) Per comodità di linguaggio, qui ed altrove diciamo « direzione di un’accelerazione J» per designare la retta indefinita sulla quale essa giace. STUDIO SULLA ACCELERAZIONE DI ORDINE N 24” normali alle accelerazioni rispettive, questi piani sì tagliano secondo rette tutte parallele. E si può dimostrare che, affinchè queste intersezioni coincidano in una retta unica, è necessario (*) e sufficiente che l'accelerazione sferica sia normale alla retta D. Di qui si vede che la coincidenza accennata avrà sempre luogo per le velocità (proposizione ben nota), e non potrà in generale verificarsi per le accelerazioni propriamente dette. 10. Il teorema seguente si deduce in modo affatto elemen- tare dal n° 1: I termini (Endpunkte) delle accelerazioni che i varj punti M hanno in un medesimo istante, giacciono sopra una retta A e formano una punteggiata simile alla punteggiata mobile (#*). Possiamo aggiungere che i coseni direttori della retta A sono proporzionali ad: a+ a, b +, c+ e, e che il rapporto di similitudine è Y(a+a®)+ (0+0%)?+(c+c®)?. 11. A questo teorema si accompagna quest'altro (***), corol- lario evidente del n° 7: Se da un punto arbitrario dello spazio si conducono tanti segmenti equipollenti alle accelerazioni che i diversi punti M hanno in un medesimo istante, i termini di questi segmenti cadono sopra una retta A' e formano una punteggiata si- mile alla punteggiata mobile. La retta A' è parallela ad Q ed il rapporto di similitudine è uguale ad O. 12. Dal teorema del n° 10, ovvero dalla prima parte di esso riunita al teor. del n° 9, segue immediatamente : Le direzioni delle accelerazioni dei singoli punti M sono le generatrici di uno stesso sistema d’un paraboloide iperbolico. La retta D e la retta A sono due generatrici dell'altro sistema (****). Lo studio di tale paraboloide forma l’oggetto del $ seguente. (*) In generale, cioè supponendo che il moto della retta non si riduca nè ad una traslazione, nè ad una rotazione intorno a uno de’ suoi punti, (**) Questo teorema è un caso affatto particolare di una proposizione nota dovuta, crediamo, al prof. BurmestER (V. Zeitschrift fiìr Mathem. ù. Physik, Bd, XXIII (1878). — V. anche MeHMmKE, Ueber die Geschwindigkeiten belie- biger Ordnung, ecc. (Givilingenieur, Bd, XXIX (1883), p. 491). (***) Dovuto al sig. MEHMRE, loc. cit., pag. 491-92. (****) Un caso particolare di questa proposizione, e cioè il caso relativo alle velocità, fu enunciato fin dal 1843 dallo Chasues (Comptes Rendus, T. XVI), p. 1423). Esteso alle accelerazioni di ogni ordine, il teorema si trova in una 248 i ENRICO NOVARESE II: Il paraboloide delle accelerazioni. 13. Cominceremo dallo stabilire altrimenti l’esistenza del pa- raboloide, tenendo una via puramente analitica, basata soltanto sul n° 1: otterremo ad un tempo l'equazione della superficie. La retta indefinita, secondo cui è diretta l’accelerazione J, ha per equazioni x -(2, +00 y-(y+ du) e—-(,+04) OF Ma gt Pa ossia, chiamando ) il valor comune di questi rapporti, aa aut (09404) y-y,=dU+ (44 dv) I e-gmzeu+(4)+ 0 u)A. __ enna . . . . . . . n _o L'eliminazione di « e di ) fra queste tre equazioni fornirà l'equazione di una superficie, luogo delle direzioni delle accele—- razioni di tutti i punti M. Ora, se queste equazioni si conside- rano come tre equazioni lineari fra «, À, «À, se ne ricava de (22) (1) X Lo Lo (47 Y IA Yo yo bl) (n) (n) il; 40 ° c n (n) (n) n n a %o a yo bl) (n) (n) c 4 c Memoria di Cinematica trattata colla Geometria sintetica del prof. BurME- sTER, Zeitschr, fir Mathem. u. Physik, Bd. XXIII (1878), p. 425. Esso vi figura incidentalmente, fra diversi corollari di una proposizione che comprende come caso particolare il teor. del n.10 — Per le accelerazioni di 1° ordine, il teorema è anche dimostrato (sinteticamente) nella Kinematik del PETERSEN, Kopenhagen 1884, p.43. STUDIO SULLA ACCELERAZIONE DI ORDINE N 249 D'altra parte, se le equazioni (4) si dividono per ) e si ri- “ 3 —, «, sì ha ) }_otta i 1 guardano come tre equazioni lineari fra DI, (1) (47 Lo Ur Yo b yo ; (n ( CASI, uz — a a ite FANNO PORRI a e c®) Uguagliando queste due espressioni di «, risulta ur (n) (1) dn (n) (1) (n) sibi ; (1) X Lo To a HA Lo a a a Lo a XL To (07 Lo Y-Y UE DA yy d DOT] yi dA ly-y, d y=0. -” (2) (n) uo (n) (n) (72) a (1) Z_ 4) £09 (A A o Cc (6 Cc 409 (6 & Z0 (6 o Questa è l'equazione cercata: essa rappresenta un parabo- loide iperbolico, poichè i termini a secondo grado si scompongono in due fattori reali; dunque, ecc. 14. Procediamo a determinare gli elementi caratteristici del paraboloide. In una parte di questa ricerca, all'uso dell’eq. (5) torna assai preferibile l’uso di alcuni dei teoremi esposti nel $ I. Dal n° 9 risulta che uno dei piani direttori è parallelo alle di- rezioni di J, e di Q; è facile vedere che l’altro piano direttore è parallelo alle direzioni di Q e di D. Infatti, i coseni di di- rezione d’una retta normale al secondo piano direttore sono pro- è È SE È i 5 Db c porzionali ai determinanti della matrice a ata D+ 6 +e CORE (OR al ©) © È) ma questi si riducono ai determinanti della matrice , dunque, ecc. Ne segue immediatamente che l’asse del paraboloide è pa- rallelo all’accelerazione sferica. Cerchiamo il vertice della superficie. Fra le generatrici del primo sistema (accelerazioni J), ve n'è una normale all’asse del paraboloide, ed è quella che passa pel vertice. Ora il n° 5 mostra 250 ENRICO NOVARESE che tale generatrice è la direzione dell’accelerazione minima. Ana- logamente : sia P il punto d'incontro di una generatrice del se- condo sistema colla direzione dell’accelerazione J del punto M, e poniamo MP =/%J; si riconosce facilmente che i coseni diret- tori di quella generatrice sono proporzionali ad a+ %a®, b + 46°, c + ke®. Per conseguenza, indicando con /%* il valore di % re- lativo alla generatrice del secondo sistema che contiene il ver- tice, si avrà l’equazione al (a + k*al) + DO (b+ 4 DM) 4 e (c+k* e!) =0, da cui sd a a+ bb 4 e e -* cos(DO) Fa al0?4 pe24 cl? Cai E le coordinate del vertice saranno: xx, +au*+1* (e + a! ud) y=y+dw+ 6 (44-00 8) z=2z,+ 04h (24 Mud). Rimangono da calcolarsi i parametri delle parabole principali. Ci varremo a tal uopo dell’eq. (5) e, per evitare calcoli laboriosi, faremo una trasformazione di coordinate. Prenderemo per nuova origine il vertice del paraboloide, per assi delle x', delle y', delle £ rispettivamente la direzione dell’accelerazione J*, l’altra genera- trice passante pel vertice, l’asse del paraboloide. Le formole di trasformazione saranno (I segni dei coefficienti di x, Y, 2° mo- strano in qual modo sono scelti i versi positivi de’ nuovi assi): (n) (2),,% n (n) (n) o Pal, a+ a" a == ——_____ x Li: sli Ls e la O (n) (n), ,X .% pn) (n) USA DO det dA BD, db JE) nt (1) Lp) * c(n) (n) Za He u Loipiernd c giontitthy 0. JT* sen (DO) Q 4 i 0 LAZZIAR È (*) Si osservi che (a+ k* al)? +(b+E*bM)P+(c+ 4" c@)) = sen?(DO). STUDIO SULLA ACCELERAZIONE DI ORDINE N SI Effettuando le sostituzioni nell’eq. (5), si ha senza fatica a fattor comune il quadrato del determinante a 2A) al db y° AG) \ (6 Aa, cl sopprimendolo e riducendo, l'equazione del paraboloide diventa J* dy=-7sen (DO). e. NISTI Ora, designiamo con © l’angolo compreso tra i versi positivi degli assi delle x' e delle y, con p, il parametro della parabola principale il cui piano biseca l'angolo ©, con p, il parametro del- l’altra parabola principale. Dalla equazione precedente si deduce * p,=4 Tola (DO) cos * Po —-4 q sen (DO) sen essendosi preso positivo quello dei due parametri che appartiene alla parabola avente il fuoco sulla parte positiva dell’asse delle 2°. Raccogliendo i risultati ottenuti nel presente n°, complete- remo come segue il teorema del n° 12: Il vertice del paraboloide si trova sulla direzione dell’ac- K | 297: i J celerazione minima, alla distanza gi (DO) dal punto M*, dalla parte dalla quale è rivolta quell'accelerazione, ovvero dalla parte opposta secondochè l'angolo (DO) è ottuso 0 acuto. L’asse è parallelo all’accelerazione sferica; uno dei piani di- rettori è parallelo all’accelerazione di uno qualunque dei punti della retta mobile, Valtro è parallelo a questa retta. Le para- bole principali sono definite dalle formole soprascrttte. 15. È interessante il vedere che cosa divengano questi risul- tati quando si tratta delle velocità. La velocità sferica essendo normale alla retta mobile (n° 3, in nota), il vertice del parabo- loide coincide in tal caso col punto di velocità minima. La di- 952 ENRICO NOVARESE —" STUDIO SULLA ACCELERAZIONE ECC. rezione di quest’ultima e la retta D sono le generatrici passanti pel vertice. I valori dei parametri p,, p, si riducono a SF ade na pi 4708 3 D) T4 1 pr 47800 310) ; ma essendo ora J* la velocità minima e Q la velocità sferica (*). 16. Vi è un caso notevole in cui il paraboloide delle acce- lerazioni si riduce ad un piano doppio; ed è quando la retta D, l'accelerazione J, ed il segmento £ (supposto condotto dal punto M,) cadono in uno stesso piano. Allera in questo piano medesimo cadono le accelerazioni di tutti i punti 2 (n° 9); dippiù, in questo caso (ed in questo soltanto) esiste un punto della retta mobile, l’accelerazione del quale è disposta secondo la retta stessa. Si estende così alle accelerazioni d’ordine qualunque un altro teorema che lo CHasrLes enunciava per le velocità (**): Quando l'accelerazione d'ordine n di un punto della retta mobile è disposta secondo questa retta, le accelerazioni d’or- dine n degli altri suoi punti sono tutte contenute in un piano e inviluppano una parabola. L'ultima parte dell’enunciato risulta dal teor. del n° 10. (*) Il paraboloide delle velocità è stato studiato (sinteticamente) dal signor ScHONFLIES in una Nota Ueber die Bewegung eines starren Systems (Zeitschr. fùr Mathem, u. Physik, Bd. XXVIII (1883) ). Il sig. ScHONFLIES presenta i suoi risultati sotto un altro aspetto. (**) Comptes Rendus, T. XVI, p.1424. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. —— ed —T — Torino, Tip. Reale-Paravia. ii LE Si Classe di Scienze Fisiche, Matematiche o Ne si | ADUNANZA del 24 Febbraio 1889 $ 4 nre | Novarese — Studio sull'accelerazione d una retta n N BRNO soa à ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE BESTORENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 9° E 10°, 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del I0 Marzo 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono .presenti i Soci: LEssonA, BRUNO, BERRUTI, Siacci, Basso, D’Ovipic, Bizzozero, NaccaRrI, Mosso, GigeLLi, Giacomini. Il Socio Cossa, Direttore della Classe fa scusare, per mezzo del Socio NaccarIi, la sua assenza motivata da ragioni d'ufficio, e dichiara di associarsi fin d’ora alle deliberazioni che la Classe vorrà prendere al fine di onorare la memoria del compianto Presidente dell’Accademia. Il Vice Presidente ricorda con parole di vivo rim- pianto la perdita gravissima sofferta il giorno 7 di questo mese dall'Accademia per la morte del suo Pre- sidente, Prof. Senatore Angelo GENOCCHI, ed incarica il Socio SIacci di redigerne il discorso commemorativo. Propone inoltre che la Classe prenda l'iniziativa di una pubblica sottoscrizione allo scopo di erigere un ri- cordo perenne alla memoria dell’illustre estinto. Intorno al modo di dare esecuzione a questa proposta parlano i Soci BERRUTI, BRUNO, e SIAcCcI; dopo di che la proposta stessa viene accolta all’ unanimità colla dichiarazione che si decideranno alla chiusura delle sottoscrizioni le questioni relative al luogo in cui dovrà collocarsi tale ricordo, ed alla forma da darsi al medesimo. Quindi in segno di lutto viene sciolta l'adunanza. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. Adunanza del 24 Marzo 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LESsonA, SALVADORI, BRUNO, BER- RUTI, Basso, D’OvipIo, BizzozERo, NaccaRrI, Mosso, SPEZIA, GIA- COMINI. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, viene comunicata una lettera ministeriale annunziante la sovrana approvazione della elezione a Soci nazionali residenti dei signori Professori Lorenzo CAMERANO e Corrado SEGRE. Viene data comu- nicazione di molte lettere pervenute all'Accademia in condoglianza per la morte del Presidente Senatore Angelo GENOCCHI. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all’Accademia vengono segnalate le seguenti: « Note di paleoicnologia del Dott. Federico Sacco, » e « IZ passaggio tra il Liguriano ed il Tongriano, del medesimo autore, presentati dal Socio LESSONA ; « Traduzione in lingua polacca della Monografia storica del Dott. Gino Loria, Prof. nell'Università di Genova, Sul passato ed il presente delle principali teorie geometriche ; presentata dal Socio D’OvIpIo. « Recherches gencrales sur les courbes et les surfaces reglées algebriques; » parte 1° e 2°, estratte dai tomi XXX e XXXIV dei Mathematische Annalen ecc., del Socio Corrado SEGRE. « Catalogo della Biblioteca della R. Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri in Torino, presentato dal Socio Cossa; « 1° Vero andamento diurno della temperatura ; » 2° Pres- sione atmosferica ridotta al medio livello del mare în Modena ; Coefficienti per la temperatura e per la pressione atmosferica nel barometro registratore Richard; » 5° « Domenico Scinà — Cenni biografici letti nella seduta del 22 novembre 1888 della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Modena: lavori del Prof. Domenico RAGONA, presentati dal Socio Basso. M. LESSONA - RELAZIONE SOPRA UNA MONOGRAFIA DI F. SACCO 255 Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ ordine che segue: « Relazione sopra una Monografia del Prof. Dott. Federico Sacco, intitolata « Z Cheloni astiani del Piemonte, » del Socio Lessona, condeputato col Socio BELLARDI. La Classe accoglie le conclusioni favorevoli della Relazione, ammettendo alla lettura questo lavoro, e poscia delibera che il medesimo venga pubblicato nei volumi delle Memorie accademiche. « Centro espiratorio ed espirazione forzata; Ricerche del Dott. Vittorio Apucco, presentate dal Sccio Mosso; « Su certi eristalli che si trovano dentro il nucleo delle cellule nel rene e nel fegato; Memoria del Dott. V. GraNDIS, presentata dallo stesso Socio Mosso. « Sopra alcune deduzioni della teoria del van’t Hoff sul- l'equilibrio chimico dei sistemi disciolti allo stato diluito; » Nota I° del Prof S. PAGLIANI presentata dal Socio NACCARI. LETTURE RELAZIONE sopra una Monografia del Prof. Dott. Federico Sacco, intitolata: I Cheloni astiani del Piemonte. I Cheloni fossili del Piemonte sono già stati oggetto di studi speciali per parte del prof. A. Portis che ne pubblicò i risulta- menti in due lavori inscritti nelle Memorie di questa R. Acca- demia. Ora alcune nuove ed interessanti scoperte fattesi recen- temente di resti di Cheloni nei terreni terziari del Piemonte inducono l'Autore della Memoria in esame a portare con essa una contribuzione allo studio di quest'ordine di Rettili, con speciale riguardo ai Cheloni del Pliocene superiore o Astiano. La forma più interessante e più completa di Chelonio esa- minata in questa Memoria appartiene al genere #mys. Questo fossile fu trovato in sabbie gialle della Valle Andona nell’Asti- giano; i resti dei Molluschi che erano inglobati nella sabbia che lo riempivano dimostrano come esso appartenga all’orizzonte ma- 256 .. M. LESSONA rino detto Astiano; essendo. però 1’ Emys un Chelone lacustre, devesi certamente dedurre che l’individuo in esame dalle regioni continentali venisse portato in mare dalle correnti. Il fossile in questione manca delle estremità, ma presenta quasi completo il guscio esoscheletrico, ciò che è al tutto sufficiente per la determinazione specifica; tale guscio si presenta alquanto schiacciato, e quindi deformato per le potenti pressioni subìte. Dopo di aver paragonato questo Ewmys fossile colle forme simili, sia fossili, sia viventi, l’A. crede di dover indicare detto fossile con un nuovo nome specifico, e, dedicando questa forma all’Illustratore dei Cheloni fossili piemontesi, la designa col nome di Emys Portist. Segue la descrizione minuta di questo fossile; dapprima sono descritte le ossa dello scudo dorsale (ossa assiali o vertebrali, ossa costali ed ossa marginali) quindi quelle dello scudo ventrale o piastrone (Mesosterno, Episterno , Iosterno, Iposterno e Xifi- sterno); in questo minuto esame osteologico, accompagnato dalle misure millimetriche di ciascun osso, si notano alcune anomalie, fra cui è interessante quella dello sdoppiamento dell’ 8° piastra ossea costale di destra. Dopo ciò lA. passa allo studio della forma delle piastre cornee, forma data dalle nette e ben conservate impronte che tali piastre, scomparse colla fossilizzazione, lasciarono sul guscio osseo. Anche in questo studio l’A. esamina dapprima lo scudo dor- sale (piastre vertebrali, costali e marginali), poscia lo scudo ven- trale (piastre gulari, omerali, pettorali, addominali, femorali, anali, ascellari ed inguinali) colle principali dimensioni millime- triche di ogni piastra. Vengono osservate alcune anomalie, fra cui notevolissima quella dello sdoppiamento della piastra caudale, per modo che ne risultano 13 marginali invece di 12 come ha luogo general- mente nelle Emidi. Questo esame delle piastre cornee della forma fossile è reso più interessante dal paragone che l’A. fa colle piastre corrispon- denti di individui giovani ed adulti dalle forme viventi più af- fini a quella fossile, cioè di Emys caspica e di E. sigritz, che l’A. ebbe in comunicazione dal Museo zoologico di Torino e dal dott. M. Peracca. Da tale esame comparativo l'A. deduce che l’Emys Portis presenta caratteri in parte dell'una ed in parte dell’altra delle RELAZIONE SOPRA UNA MONOGRAFIA DI F. SACCO 257 specie viventi sopramenzionate, specialmente se paragonate con individui giovani di dette forme, per cui pare dovrebbesi de- durre che la forma fossile sia quella dalla quale derivarono più o meno direttamente VE. caspica e VE. sigrite. In seguito VA. passa all’esame di una tartaruga marina ap- partenente al genere 7rionya, che consta di un’ impronta in- terna e di una impronta esterna dello scudo dorsale, essa venne trovata molti anni or sono nelle sabbie astiane di Monteu Roero e fu già indicata dal Sismonda Angelo col nome di 7. aegyptia- cus, e ‘poscia dal Portis come 7. pedemontana. L'A. esaminando questo resto fossile, il quale per le sue di- mensioni indica di aver appartenuto ad un individuo di oltre mezzo metro di diametro antero posteriore, trova che numerosi ed importanti caratteri lo distinguono tanto dalla 7. aegyptiaca vivente quanto dalla 7. pedemontana trovata fossile in terreni assai più antichi, cioè nell’Aquitaniano, crede quindi che se ne debba fare una nuova specie cui dà il nome di 7. »p/iopede- montana per denotare nello stesso tempo l'orizzonte geologico e la regione in cui fu trovata, nonchè l'affinità che essa presenta con una forma fossile già descritta. Dopo ciò l'A. passa in rapida rivista gli altri resti di Che- loni trovati nel terreno astiano del Piemonte, facendo alcune considerazioni paleontologiche e stratigrafiche. Infine, valendosi degli studi fatti di recente su tutto il bacino terziario del Piemonte, VÀ. determina la prima posizione strati- grafica dei Cheloni fossili sinora rinvenuti in detto bacino e ne dà la distribuzione geologica in apposita tabella. La Memoria è accompagnata da due tavole nelle quali è fi- gurata l’Emys Portisii nelle sue parti dorsali, ventrali e laterali. L'importanza del lavoro, l’estensione del testo ed il numero delle tavole comprese nei limiti assegnati dai regolamenti, indu- cono la Commissione a proporne la lettura per la stampa nelle sue Memorie. Luigi BELLARDI MicHELE LESSONA; relatore. 258 VITTORIO ADUCCO Centro espiratorio ed espirazione forzata ; del Dott. VirtoRIO ADUCCO Centro espiratorio. L'esistenza di un centro espiratorio è, in genere, ammessa dalla maggior parte dei fisiologi, come si può vedere consultando i più recenti trattati di Fisiologia. Se volessi riferire, non dico tutti, ma solo i principali lavori che vennero pubblicati sopra i centri del respiro dovrei certo diffondermi troppo lungamente. Del resto questi lavori sono diffusamente riassunti e discussi nelle pub- blicazioni di Markwald, di Langendorff, di Wertheimer, che citerò più sotto, in quella di Nitschmann (1) ed in una rivista sintetica di Langlois e De Varigny (2). Perciò mi limito a ricordare fra i più recenti quelli che hanno maggiore attinenza con i fatti da me osservati. L. Fredericq (3), da esperienze fatte sopra animali profon- damente cloralizzati, venne condotto ad ammettere nella midolla allungata un centro di inspirazione ed un centro di espirazione. Langendorff (4) ammette nella midolla spinale dei centri espi- ratori che agirebbero per eccitamenti riflessi ed entrerebbero in attività spontaneamente ed anche in modo ritmico allorchè l’ec- citabilità o l’automatismo dei centri inspiratori sono esauriti. (4) R. Nirscamann, Beitrag zur Kenntniss des Athmungscenirums. PFLÙGER'S. Archiv. 1885, vol. 35, p. 558. (2) P. LanGLOIS et De VariGnY, Les centres respiratoires. Revue des sciences médicales en France et è l’étranger (Hayem); XVII année, T. xxxnr, n° 65, pp. 283-316. (3) L. FREDERIcQ, Sur la théorie de l’innervation respiratoire. Bulletins de l’Académie Royale Belgique; XLVII, n. 4, 1879 (Séance du 3 Février 1879). (4) O. LanGENDORFF und R. NirscHMann, Studien ber die Innervation der Athembewegungen. — I. MirrBEILUNG, Veber die spinalen Centren der Athmung. — Du Bors-Rermonp's, Arch. Physiol. Abthlg. 1880, pp. 519-549. CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 259 I. Bernstein (1) ritiene esista un centro espiratorio che entra in azione per influenza di stimoli speciali. Il sangue ricco di acido carbonico sarebbe essenzialmente un eccitante del centro espiratorio. A. Christiani (2) trovò tre centri respiratori di cui due per l’inspirazione ed uno per l’'espirazione. Quest'ultimo avrebbe fun- zione inibitoria e sarebbe situato a livello dell'entrata dell’acque- dotto di Silvio. Max Marckwald (8), che eseguì numerose ed accurate ricerche sopra l’innervazione dei movimenti respiratori nel coniglio, venne anche alla conclusione che nella midolla allungata, oltre ad un centro inspiratore, vi è pure un centro espiratore. Questo sarebbe meno eccitabile, non funzionerebbe nella respirazione tranquilla e prenderebbe parte eccezionalmente al fenomeno del respiro. Perciò Max Marckwald lo considera come un centro espiratorio ausiliare (Hilfathemcentrum). E. Wertheimer in un primo lavoro pubblicato nel 1886 (4) afferma che nella regione inferiore della midolla spinale vi è un centro di azione ritmica per i principali muscoli espiratori. Questo centro, contrariamente a quanto trovò Langendorff, entrerebbe in attività anche indipendentemente dalla spossatezza dei centri inspiratori spinali. Secondo le esperienze di Wertheimer (5) quando si separa la midolla spinale dal bulbo, allora l’azione ritmica dei centri espi- ratori spinali tende a manifestarsi come quella dei centri inspi- ratori. E se in condizioni normali ciò non avviene vuol dire che il bulbo esercita su questi centri un’azione inibitoria che li man- tiene in riposo, a meno che non intervengano eccitamenti specîali. (1) I. Bernstein, Veber Einwirkung der Kohlensdiure des Blut auf das Athemcentrum. — Du Boris-Revmonp's Archiv. 1882. Physio!, Abthlg. pp. 312-321. (2) A, Curistiani, Zur Physiologie des Gehirns, Verhand d. Berliner physiol, Gesellschaft. — Du Bois-Rermonp's, Arch. 1884. Physiol. Abthlg. pp. 465-470, (3) M. MarckwaLp, Die Athembewegungen und deren Innervation beim Kaninchen. Zeitschrift fiir Biologie. Vol. XXIII, 1886, pp. 149-283. (4) E. WERTHEIMER, Recherches experimentales sur les centres respiratoires de la moelle epiniòre. Journal de l’Anat, et de la Physiol. norm, et path. de l’homme et des animaux. 1886, vol. XXII, pp. 458-507. (5) E. WeRrtHEIMER, Lavoro citato, pp. 500 e 507. 260 VITTORIO ADUCCO In un secondo lavoro, stampato nell’anno successivo (1), non si dimostra propenso ad ammettere l’esistenza di un centro espiratore bulbare individualizzato. Da quanto ho riferito si vede che nè l'ubicazione, nè la na- tura, nè il modo di funzionare del centro espiratorio sono ben determinati (2). Per lo più finora gli esperimentatori si sono oc- cupati del centro respiratorio in genere, senza distinguere una parte inspiratoria ed una espiratoria. Sul centro respiratorio così considerato i lavori si sono moltiplicati da Legallois e da Flourens fino ad orà e si passò dalla massima centralizzazione alla mas- sima decentralizzazione; si passò dal concetto di un centro respi- ratorio bulbare motorio a quello di un centro inibitore. Proba- bilmente lo studio del centro espiratorio passerà per le stesse fasi. * * * In un lavoro precedente ho già riferito parecchi casì di in- spirazione passiva, i quali mi pare depongano in favore dell’esi- stenza di un centro espiratore non semplicemente inibitore. Nello stesso senso parlerebbero le esperienze che ho fatto per dimostrare che la espirazione è sempre attiva (3). Inoltre nel corso di parecchi anni ho avuto occasione di fare numerose osservazioni, le quali mi pare possano esse pure contribuire a dimostrare l’esistenza di un centro espiratore o di parecchi centri espiratori. Perciò ho (1) E. WERTHEIMER, Journal de l’Anat. et de la Physiol., 1887, vol. XXIII, pp. 567-611. Ecco in qual modo si esprime l’autore: « Ceux qui pensent que toutes les excitations périfériques qui agissent sur la respiration sont centralisées dans le bulbe, admettent aussi que l’arrét ainsi obtenu est dù à la mise en jeu d’un centre spécial, le centre expirateur, distinct du centre inspirateur. Mais, en supposant mème que. les excitations passent normalement par la moelle allongée, les expériences rapportées plus haut montrent que l’exis- tence d'un centre expirateur n’est nullement nécessaire », — « S’il y a bien dans la moelle des centres pour l’inspiration et des centres pour l’expira- tions active, on ne supposera sans doute pas qu'il s’y trouve un centre spé- cial qui préside à l’expiration passive ». (2) Vedi ALBERTONI e STEFANI, Manuale di Fisiologia umana, pp. 655-656. (3) V. Apucco, Espirazione attiva ed inspirazione passiva. Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXII e Archives italiennes de Bio- logie, vol. VIII, p. 194. < CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 261 creduto bene di raccogliere queste esperienze ricavandone per ora solo le conclusioni più ovvie. Mi riservo di ritornare fra non molto sopra tale argomento, giacchè quanto andrò esponendo in questa nota costituisce in parte il primo materiale di un lavoro che non tarderò a pubblicare in extenso. Esperienza del 2 Marzo 1886. In questa esperienza si osservarono anche dei fatti che non riguardano direttamente la questione del centro espiratorio, ma che io riferirò egualmente perchè mi paiono interessanti. Ad un cane di media taglia scrivo il respiro toracico ed ad- dominale con due timpani a bottone. I movimenti vengono scritti sul motore di Marey con velocità minima. Il cane ha le vie respiratorie intatte. L’inspirazione è molto rapida, l’espirazione lentissima e dura dall’apice di una inspirazione alla base di un’altra. ]l diaframma è attivo. Il torace nella espirazione discende uniformemente e lentamente fino alla ascissa, l'addome verso la fine si deprime lentamente. Il cane fa un gemito espiratorio il che spiega la lentezza della espirazione. Si inietta del laudano nella vena safena. Il respiro presenta dei periodi di maggiore e dei periodi di minore frequenza. Mentre si continua la registrazione dei movimenti respiratorii si osservano dei respiri molto più estesi degli altri. La espira- zione di queste grandi escursioni respiratorie abbassa il torace al disotto dell’ascissa. Nel tracciato, riprodotto nella fig. 1, si vede che il torace e l'addome fanno una profonda inspirazione. Segue l’espirazione che è rapida per l'addome, lenta pel torace. Mentre l’addome ritorna esattamente alla ascissa, il torace passa al disotto. Questa iper- espirazione del torace fa sollevare le pareti dell’addome. La curva del torace non ritorna all’ascissa che dopo 6 atti respiratorii (1). Il fatto che nell’ultimo tratto della espirazione toracica le pareti addominali si sollevarono, dimostra che solo il torace prese parte a tale movimento. Il fatto poi che la curva espiratoria (1) Si noti che i tracciati riprodotti nella tavola vanno letti da sinistra verso destra, e che le abbreviazioni Tor. e Add. significano rispettivamente torace ed addome. 262 VITTORIO ADUCCO toracica si abbassò al disotto dell’ascissa mi pare che concordi , con i risultati ottenuti da Hering e Breuer e più recentemente da Stefani e Sighicelli (1). Infine la posizione leggermente espiratoria in cui si mantenne il torace per 7 respiri si può spiegare o ammettendo un aumento di tonicità del centro espiratorio o una diminuzione di tonicità del centro inspiratorio (2). Dopo una nuova iniezione di laudano avviene una modifica- zione profonda che dimostra la indipendenza dei movimenti del diaframma dai movimenti del torace. Se si osserva la fig. 2 si vede, confrontando i punti di ri- trovo (R), che nei primi %4 della inspirazione toracica l'addome continua ad abbassarsi e che nell’ultimo terzo della inspirazione e nel primo della espirazione toracica l'addome si solleva; negli ultimi î4 della espirazione del torace l'addome si deprime, L'atto respiratorio dell'addome comincia solo a metà circa dell’intera durata di tutto l’atto respiratorio del torace. Essendo nato il sospetto che la resistenza opposta dalla trachea, laringe, faringe, fosse nasali non fosse la causa della lunghezza della espirazione, faccio la tracheotomia ed innesto nella trachea un tubo che ne ha il calibro. Il respiro scritto subito dopo la tracheotomia si presenta molto cambiato. L’espirazione dell’addome dura molto meno di quella del torace, dimodochè il respiro dell'addome è come compreso in quello del torace. Comincia dopo e finisce prima. Questo fatto diventa tanto più manifesto quanto più si procede avanti nel- l’esperienza. L'espirazione toracica, malgrado l’apertura della trachea, è di- ventata molto più lenta di prima. Talora ci sono delle profonde inspirazioni in cui il torace si solleva moltissimo e poi si abbassa lentissimamente fino al livello normale. In queste escursioni più cospicue l'addome fa un mo- vimento più alto, ma ritorna rapidamente alla posizione di riposo. (4) A. STEFANI e (. SiHIcELLI, In qual modo il vago polmonare modifica il ritmo del respiro quando aumenta e quando diminuisce la pressione nella cavità dei polmoni. Lo Sperimentale, luglio 1888; Archives ital. de Biologie, vol. XI, p..143. (2) A. Mosso, La respirazione periodica e la respirazione di lusso. Me- inorie della R, Accademia dei Lincei, serie IV, vol. 1. CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 263 Mettendo un foglio di carta davanti alla cannula tracheale si osserva che nell’abbassarsi delle pareti addominali l’aria esce con violenza allontanando con forza il foglio : in seguito esce lentamente ed uniformemente ed il foglio ricade alquanto e si mantiene ad una altezza costante fino al termine della espirazione toracica. Talora, come si vede nella figura 3, mentre il torace fa un solo movimento, il diaframma ne fa due molto rapidi (N). Altre volte anche tre (P). Una volta si ebbero perfino quattro movimenti dell'addome compresi in uno del torace. In una linea del tracciato si contano 10 respiri del torace e 30 dell'addome (1). Si noti che all’inspirazione del torace corrisponde sempre una inspirazione dell'addome. È durante la lunghissima espirazione del torace che avvengono gli altri atti respiratori dell'addome. La descritta forma di re- spiro scompare in seguito alla iniezione di gr. 0,12 di cocaina, come si vede nelia fig. 4. I denti, che si osservano nel tracciato del torace della fig. 4, sono scosse del pellicciaio ; quelli invece più regolari, che esi- stono nel tracciato del torace della fig. 3, sono prodotti dalle contrazioni del cuore. Dopo l’iniezione di cocaina i centri del torace e del dia- framma funzionano sincronamente e regolarmente. Solo rara- mente si osserva una tendenza alla irregolarità (in A). Ripetendo di nuovo le iniezioni di laudano la forma re- spiratoria ritorna ancora al tipo di prima. Le pareti addominali si mantengono sempre inerti. In questa esperienza il fatto che colpisce maggiormente è la differenza tra il modo con cui si compie l’espirazione nel torace e nell’addome tanto prima quanto dopo la tracheotomia e spe- cialmente dopo. Siccome le pareti addominali non diedero mai segno di at- tività, bisogna ammettere che l’espirazione dell'addome si com- piesse passivamente. (1) Questo fatto e quello della fig, 2 confermano quanto il prof, A. Mosso osservò e riferì in parecchi suoi lavori, che cioè esiste una certa indipen- denza tra il respiro toracico ed il respiro diaframmatico. Anche Stefani e Sighicelli nel lavoro sopraccennato riportano un tracciato che dimostra un fatto analogo. 264 VITTORIO ADUCCO Se anche l’espirazione del torace fosse stata passiva, per quale ragione non avrebbe dovuto compiersi nello stesso modo e nello stesso tempo? Qui anzi l'andamento della curva descritta dal torace che si deprime è analogo a quello di un muscolo che entra in con- trazione tetanica. Ho avuto occasione di raccogliere il tracciato del respiro di un cane, nel quale durante l’espirazione si vedevano quelle legge- rissime ondulazioni o quei minutissimi denti che un muscolo pre- senta quando riceve un numero di stimoli che non è ancora quello capace di tetanizzarlo, ma che gli è molto vicino (1). Nella fig. 5 se si conta il numero dei denti scritti in un mi- nuto secondo, si vede che sono 14-15. Questa osservazione dimostra che l’espirazione è dovuta ad apparecchi muscolari, i quali ricevono gli impulsi da un centro motore loro proprio. Gli impulsi devono essere più di 15 al se- condo perchè la linea della espirazione sia regolare. Nel caso presente l’espirazione attiva del torace è tale che non si potrebbe spiegare a meno di ammettere l’esistenza di un centro espiratore di azione motoria. Esperienza del 27 Maggio 1886. Un cane col cranio trapanato e con un termometro immerso nel cervello aveva una temperatura rettale altissima. Per abbas- sarla si iniettano in più riprese 6 gr. di idrato di cloralio nella cavità del peritoneo. (1) Max MarckwaLb determinò il numero di stimoli per minuto secondo necessario a produrre nel diaframma del coniglio una contrazione respi- ratoria normale. Aveva già stabilito che il movimento inspiratorio del dia- framma non è una scossa ma una contrazione, Eccitando i due frenici di un coniglio (al quale aveva sezionata Ia midolla allungata al disotto del centro respiratorio) con degli stimoli elettrici indotti, che sì ripetevano un certo numero di volte al secondo, trovò che erano necessarii circa 22 eccitamenti al secondo per produrre nel diaframma una contrazione analoga alla con- trazione inspiratoria normale: se gli eccitamenti erano solo 18 al secondo si avevano nel tracciato 18 denti al secondo. (Die Athembewegungen und deren Innervation beim Kaninchen. Zeitschrift fiir Biologie XXIII, Bd. 2 Heft 1886. p. 169-171). CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 265 Dopo l'iniezione il cane ha un respiro molto raro. Gli ap- plico sul torace un pneumografo di Marey e scrivo i movimenti della respirazione col motore di Marey, velocità minima. Nel tracciato le linee discendenti rappresentano le inspira- zioni, le ascendenti rappresentano le espirazioni. Riproduco nella figura 6 le quattro forme di respiro che il cane presentò prima di morire. Da «e (8 il respiro toracico non presenta nulla di notevole. A partire da 7 si vede che il torace nella espirazione (cb) si ab- bassa al disotto del punto di partenza della inspirazione (a). Dopo essersi così abbassato ritorna in posto lentamente (da') ed allora comincia l’inspirazione. Questo fatto è ancora più marcato da e ad x. Scritta quest’ultima linea il cane cessò di respirare; si credeva che fosse morto, giacchè non sì sentiva più nemmeno l'impulso cardiaco. Il cilindro fece parecchi giri e dopo di un minuto si ebbero ancora i tre movimenti respiratori re- gistrati nella 4* linea (9). Ciascuno di questi tre movimenti è costituito da una espirazione (a 5) che abbassa il torace al disotto della posizione di riposo (XY). Segue l’inspirazione (bc) per: cui il torace ritorna alla posizione di riposo e poi passa al disopra. In ultimo si ha una nuova espirazione (cd) che riconduce il torace alla posizione dell’apnea. Abbiamo qui un atto respiratorio composto di una inspirazione situata tra due espirazioni. La espirazione che precede dimostra che il centro espira- torio non agisce come inibitore del centro inspiratorio, ma che esso sviluppa degli impulsi motori diretti. Ciò è pure con- fermato dal fatto della espirazione che abbassa il torace al di- sotto della linea di riposo. Nel caso attuale non si può pensare neppure ad una aumen- tata tonicità perchè il torace dopo essersi abbassato al disotto della ascissa ritorna di nuovo in sito per la propria elasticità. Basta confrontare il presente tracciato con quello della fig. 1 per riconoscere gli effetti prodotti da aumento o da una dimi- nuzione di tonicità dei centri respiratori dall’effetto prodotto da una scarica più energica e momentanea di impulsi. 266 VITTORIO ADUCCO Esperienza del 6 Luglio 1886. In un cane, che moriva per aver ricevuto la dose mortale di cocaina, osservai che il torace continuò a deprimersi lenta- mente finchè il cuore funzionò. Poi incominciò un movimento di dilatazione che terminò solo dopo parecchi minuti. In questo caso il torace si abbassò al disotto del limite al quale poteva venir portato dal peso e dalla elasticità delle sue pareti. Abbiamo qui un altro fatto che dimostra l’attività della espirazione e l’esistenza di un centro motore della espirazione. Il centro espiratorio, ancora capace di funzionare mentre il centro inspiratorio era già paralizzato, fece restringere i diametri del torace. Quando cessò anche la funzionalità del centro della espirazione, allora il torace si dilatò fino alla ampiezza normale per l’elasticità delle sue pareti. Esperienza del 29 Gennaio 1886. VELENI ESPIRATORI. Oltrecchè dai fatti accennati, l’esistenza di un centro espira- torio, non inibitore ma motore, è provata da ciò che vi sono delle sostanze, le quali sono capaci di eccitarlo, provocandolo ad una funzionalità esagerata, mentre lasciano il centro inspiratorio nelle condizioni normali e ne affievoliscono l'attività. Giù le esperienze di Léon Fredericq (1) conducono ad am- (1) L. FrepERICQ, Sur la théorie de l’innervation respiratoire. Bulletins de l’Académie royale Belgique, XLVII, n° 4, 1878. (Séance du 3 février 1879, — In questo lavoro l’autore annunzia di aver trovato nell’idrato di cloralio un mezzo « di sopprimere l’azione delle fibre inspiratrici del vago o piuttosto di deprimere l’eccitabilità del centro a cui accorrono queste fibre. Allora le fibre espiratorie diventano predominanti ».....« C'est dans les quelques mi- nutes qui précèdent le dernier mouvement respiratoire de l’animal qu’on obtient des résultats absolument constants. Toute excitation mécanique, chi- mique ou électrique arrète la respiration en expiration : celle-ci reprend, dès que l’on suspend l’application de l’excitant. Les résultats obtenus de cette facon présentent un tel degré de constance, que l’on peut, en ouvrant et en fermant la clef intercalée dans le circuit électrique, modifier è son gré le rythme respiratoire de l’animal ». — « Nous sommes ainsi amenésà considérer dans la moelle allongée un centre d’inspiration et un centre d’expiration, le chloral agissant pour paralyser le premier ». CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 267 mettere nella midolla allungata un centro di inspirazione ed un centro di espirazione. Il vago conterrebbe delle fibre che vanno all’uno ed all’altro dei due centri. Se si raffredda energicamente il bulbo di un coniglio o si avvelena l’animale con forti dosi di cloralio, allora il centro inspiratorio vien depresso, paralizzato. In tale condizione lo stimolo del bulbo o quello del vago hanno effetto espiratorio. Avremmo così nel cloralio una sostanza che agisce in senso espiratorio. Il cloralio paralizzerebbe il centro inspiratore ed allora si potrebbe osservare l’attività del centro espiratore. In tutte le esperienze nelle quali io avvelenai i cani col cloralio osservai sempre una grande attività espiratoria, che si potrebbe dire spontanea, perchè non provocata eccitando artificialmente il vago ed il bulbo rachideo. L. Lewin (1) trovò che il nitro-benzolo promuove i movi- menti espiratori. Anche il laudano sarebbe un veleno da classificarsi fra quelli che eccitano ]a espirazione. Ciò è provato dalla prima delle esperienze, che riferii in questo capitolo, e da un’altra che ri- porterò nel capitolo seguente sopra la espirazione forzata. La stessa cosa posso dire per la piridina. Ho voluto provare l’azione della aconitina, che secondo Lauder Brunton (2), sarebbe una sostanza espiratoria. Dopo aver fatto la tracheotomia ad un cane scrivo il respiro normale del torace con un pneumografo di Marey, nuovo mo- dello (fig. 7). L’inspirazione e l’espirazione hanno ad un dipresso la stessa durata. Poi si inietta 1 cc. di una soluzione 1 °/, di cloridrato di aconitina. Poco dopo si hanno delle profondissime e lunghissime espirazioni nelle quali il torace si deprime assai più di quel che non suole normalmente. A Per assicurarmi che il torace si deprimeva al di là della posizione di riposo cercai di determinare questa posizione, che (1) L. Lewix, Lehrbuch der Toxilkologie; 1885, pag. 226-229. « Ebenso verhalt sich die Athmuog, die an Hiàufigkeit bald nachlisst und mitunter active Expirationen erkennen làsst ». (2) Lauper Brunton, A. Text-book of pharmacologie, therapeuties and ma- teria medica. London, 1885. Macmillon and Co, 749 750, 268 VITTORIO ADUCCO nel tracciato rappresenterebbe poi l’ascissa. Perciò feci lunga- mente la respirazione artificiale fino ad avere l’apnea completa. La posizione delle pareti toraciche nell’apnea è la posizione di riposo e la leva del timpano scrive una linea quasi orizzontale. Il primo movimento respiratorio che si ebbe dopo l’apnea, non fu una inspirazione, ma una profonda espirazione (fig. 8). In tale espirazione il torace si abbassò molto al disotto della posizione di riposo (AB). Il fatto si ripete parecchie volte. Nella fig, 8 sono riportati due dei tracciati ottenuti in tal modo. L’eccitazione del centro espiratorio era così grande che ci furono dei lunghi periodi durante i quali si eseguiva una serie di escursioni respiratorie mentre il torace era in posizione espiratoria. Di questo fatto riferisco un esempio nella fig. 9. Mentre gli impulsi che partivano dal centro espiratorio tene- vano il torace e l’addome in posizione espiratoria forzata, par- tivano pure degli impulsi dal centro inspiratore. Questi ultimi però, per il prevalere del centro espiratorio, non potevano aver tutto il loro effetto e riescivano solo a sollevare il torace di un piccolo tratto. Solamente quando il centro espiratorio si stancò si ebbe una ispirazione completa. Questa forma di respiro si ripetè numerose volte durante l'esperienza. In tutta la durata del periodo si osserva nelle linee discen- denti, che rappresentano l’inspirazione, un dente il quale è tanto più alto, quanto più estesa è l’inspirazione. Questo dente rappresenta una scarica di ordini dal centro espiratore che avviene durante la stessa inspirazione. TE Espirazione forzata. I movimenti del respiro possono essere calmi e tranquilli oppure forzati. Nella inspirazione forzata entrano in azione in- sieme ai muscoli, che eseguiscono la inspirazione tranquilla, anche altri muscoli del torace, del dorso e del collo, talora perfino della faccia. La stessa cosa avviene nella espirazione. Quando il respiro è tranquillo, è facile con la semplice osservazione riconoscere soprà noi stessi e sopra gli animali che le pareti addominali sono CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 269 inerti tanto nella inspirazione quanto nella espirazione, salvo rare eccezioni. Se la respirazione è violenta allora anche l’espi- razione viene compiuta, oltrechè dai muscoli, che la eseguiscono normalmente, anche da altri gruppi muscolari, specialmente da quelli dell'addome. L’espirazione forzata è la esagerazione delle forze espiratorie che agiscono normalmente, colla partecipazione di altre potenze che normalmente sono in quiete. L’espirazione forzata sta alla espirazione calma come l’inspirazione forzata sta alla inspirazione calma. Nello studio che stiamo per fare è necessario che ci addentriamo di più nell’esame del meccanismo della espirazione forzata. Ho già riprodotto in un altro lavoro un tracciato della re- spirazione toracica ed addominale di un cane, che aveva le pareti addominali talmente inerti da presentare delle vere oscillazioni ad ogni movimento rapido ed energico del torace. Il cane aveva una espirazione, che si può considerare come forzata, ed alla quale evidentemente prendeva parte il solo torace (1). In tale lavoro ho pure descritto il modo di respirare di un cane che aveva le pareti dell'addome tagliate ed aperto il diaframma, Questo cane presentava una forte espirazione tutta a spese del torace (2). Infine nel presente lavoro ho già riferito una forma di respiro nel qualel’espirazione era attiva e prettamente toracica (vedi fig. 3). Ci troviamo in tutti questi casi in presenza di forti espirazioni che si compiono per opera dei muscoli del torace. Probabilmente è uno sforzo maggiore eseguito dai muscoli espiratori normali. A lato di questa prima forma di espirazione forzata si 0s- serva per lo più un’altra forma, a cui prendono parte i muscoli addominali. Esperienza del 19 Novembre 1885. Si fissa un piccolo cane sull’ apparecchio di contenzione di Rothe. Questo apparecchio è così fatto che si può dare al cane qualunque posizione senza slegarlo. Si inietta del cloralio in solu- (1) V. Apucco, Espirazione attiva ed inspirazione passiva. Atti della Regia Accad. delle Scienze di Torino; vol. XXII, 1887. (2) V. Apucco, Vedi lavoro citato. Atti della R_ Accad. - Parte Fisica, ecc, — Vol. XXIV. 20 97.0 VITTORIO ADUCCO zione al 50 °/, (gr. 0,50) nella vena giugulare dopo avergli fatta la tracheotomia. Scrivo il respiro per mezzo di timpani con bottone applicati sullo sterno ed a lato della linea alba addominale sempre alla stessa altezza. Subito dopo la tracheotomia e prima dell'iniezione il cane presentò ad intervalli un respiro molto frequente e molto violento nel quale l’addome faceva dei forti movimenti espiratori. Fatta l’iniezione sorvenne rapidamente la calma. La respira- zione del torace prevaleva sulla diaframmatica. Chi osserva la fig. 10 vede che nel tracciato dell’ addome (linea inferiore) vi sono, durante la pausa, delle onde; esse dipen- dono da spostamenti della massa delle intestina. Con la mano era facile riconoscere che questi sollevamenti non provenivano da contrazioni dei muscoli delle pareti addominali. Ho citato questo caso perchè tale forma di respiro potrebbe simulare una espira- zione forzata dell'addome. La palpazione però permette subito di stabilire se si tratti di movimenti intestinali o di espirazione addominale. Nella presente esperienza, finchè si tenne l’animale oriz- zontale, la respirazione si mantenne calma, tranquilla, piuttosto rara, con predominio delle escursioni del torace, come indica la; fig, 11. Nello stesso modo si comportava il respiro quando il cane veniva messo verticale con la testa in basso; ma cambiava af- fatto mettendo il cane verticale con la testa in alto. La prima volta che si fece passare il cane dalla posizione orizzontale o verticale con la testa in basso alla posizione ver- ticale con la testa in alto si osservò: 1° Una tendenza al periodare (Si avevano di tanto in tanto delle pause respiratorie più lunghe delle altre). 2° Un prevalere per qualche minuto delle escursioni respi- ratorie addominali. 3° Una maggiore energia delle contrazioni cardiache. 4° L'’espirazione forzata delle pareti addominali. Basta dare un’ occhiata alla fig. 12 per assicurarsi del fatto. È manifesta la tendenza al periodo, la prevalenza dell’addome nel primo tracciato e la espirazione forzata dell’addome. Nella linea discendente dell’atto respiratorio addominale si osserva un dente, che è anche più marcato nel tracciato 2° della stessa figura. Questo dente corrisponde al cominciare della espirazione forzata, CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA AID» la quale continua fino all’ascissa. Una prova che qui si tratta veramente di una espirazione forzata, dovuta alla contrazione dei muscoli addominali, si può ricavare dal tracciato del torace. L’espirazione attiva dell'addome dura per tutta la pausa del torace. Ora la contrazione dei muscoli addominali spinge in parte contro il diaframma i visceri contenuti nell'addome e la cavità toracica deve dilatarsi. Tale dilatazione si vede in modo chiarissimo nel tracciato del torace durante la pausa; il quale è costituito da una linea che va ascendendo, finchè dura l’espi- razione dell'addome, e poi cade rapidamente. Dopo questa prima prova lasciai il cane in riposo per qualche tempo. Quando il respiro fu ritornato alla forma normale della posizione orizzontale, ripetei l’esperienza. Si osservarono gli stessi fatti che nella esperienza precedente, senonchè la espirazione forzata dell'addome si presentò sotto altra forma (fig. 13). Mentre prima si aveva una linea discendente continua inter- rotta solo da un dente, qui invece si ha prima una rapida di- scesa fino ad a, poi da « fino in ec si ha una linea ascendente e da c a db una linea discendente. La prima volta che si mise il cane colla testa in alto si vide che, durante l’espirazione, la parete addominale anteriore si deprimeva mentre le pareti laterali si dilatavano. Si potè pure sentire con la mano la contrazione dei muscoli retti anteriori. Nei tracciati della fig. 12 il tratto di linea discendente che sta al di sopra del dente rappresenta la parte passiva, il tratto sottostante indica la parte attiva della espirazione addominale. Si aveva cioè una espirazione dovuta ai muscoli retti ante- riori dall’addome. Il suo effetto meccanico era di diminuire il diametro antero-posteriore dell'addome e di dilatarne il diametro trasverso. Quando era violenta deprimeva anche le pareti del torace. Quando non era molto forte l’effetto di depressione era compensato e superato dalla dilatazione prodotta dai visceri cac- ciati contro il diaframma e la cavità toracica. La seconda volta che si mise il cane con la testa in alto si ebbero degli effetti più complessi. Con la mano si sentivano indurirsi e contrarsi le pareti laterali dell'addome e contempora- neamente sollevarsi la parete anteriore, poi anche questa sì induriva e sì deprimeva. Nella fig. 13 (Add.) sono registrati questi movimenti. Fino ad a l’espirazione è passiva. Da a a c sono i muscoli laterali dell’ad- 972 VITTORIO ADUCCO dome che contraendosi ne diminuiscono il diametro trasversale ed aumentano l’antero-posteriore, da c a d entrano pure in azione i muscoli retti ed allora si restringe il diametro antero-posteriore. L’espirazione attiva dell'addome può avvenire per l’azione dei muscoli laterali e dei muscoli anteriori dell’addome. In una tale forma di espirazione gli impulsi che partono dai centri dei muscoli laterali possono precedere quelli che partono dal centro dei muscoli anteriori. Abbiamo visto che i muscoli anteriori dell'addome possono funzionare da soli. Abbiamo visto che gli impulsi centrali, che mettono in contrazione i muscoli retti ed i muscoli laterali, pos- sono non essere simultanei. Dobbiamo quindi conchiudere che per l'addome ci sono due apparecchi periferici muscolari, presieduti ciascuno da -un centro, capaci di funzionare come espiratori ed indipendenti tanto’ anatomicamente quanto fisiologicamente. In questa esperienza osserrammo costantemente il fatto che l’espi- razione attiva addominale compariva solamente quando sì metteva il cane nella posizione verticale con la testa in alto. Dalle ricerche di Filippo Knoll (1) risulterebbe che ci sono tre categorie di nervi. Cioè: 1° nervi il cui stimolo produce effetto inspiratorio ; 2° nervi il cui stimolo produce effetto espiratorio ; 3° nervi il cui stimolo produce tanto un effetto inspira- torio quanto un effetto espiratorio. Alla seconda categoria di nervi apparterrebbe il nervo splancnico. Ho voluto riassumere i risultati delle esperienze di Knoll, perchè non mi pare improbabile che sia lo stiracchiamento subìto dallo splancnico nella posizione col capo in alto la causa che dà luogo ai notati effetti espiratori. Non ho potuto finora fare delle ricerche in proposito, ma non mancherò di farle appena mi si presenterà l’occasione. Esperienza del 1° Dicembre 1885. Un cane tracheotomizzato, legato sul supporto di Rothe, dispo- sto orizzontalmente, presenta una violentissima espirazione attiva dei muscoli addominali. Vi sono dei periodi in cui il respiro è 4) Pa. KnoLt, Beitrdge sur Lehre von der Athmungsinnervation, Fiùnfte Mittheilung; Athmung bei Erregung sensibler Nerven. Aus dem xcli Bande der kais. Akad. der Wissensch. III. Abth. Juli, Heft Jahrg. 1885. CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 078 affannosissimo con prevalenza della espirazione. Quando gli accessi sono nel loro acme allora le contrazioni dei muscoli addominali sono così forti che proiettano in avanti ed in alto il bacino. Un peso di 10 Kg. posto sull'addome viene sollevato dalla potenza muscolare. L’espirazione forzata cessò solamente dopo l’iniezione di 5 gr. di idrato di cloralio (1) Dopo le prime iniezioni, che erano state insufficienti, si poteva far cessare immediatamente la espirazione dell'addome mettendo il cane colla testa in basso. Rimettendolo orizzontale la espirazione addominale ricompariva ma dopo un tempo piuttosto lungo; ricompariva invece immedia- tamente mettendolo col capo in alto. Con questo ultimo mezzo si poteva far ricomparire la espirazione dell’addome anche dopo averla soppressa con l'iniezione di 5 grammi di cloralio. Esperienza del 5 Dicembre 1886. Piccolo cane del peso di gr. 6380: tracheotomia. Riceve in 17 volte grammi 2,8 di piridina (soluzione al 16, 6 %) nella vena giugulare. Scrivo i movimenti respiratori di tre punti diversi, torace, addome e lombi, con dei timpani a bottone. I timpani sono si- tuati sulla parte anteriore dello sterno, a metà della linea alba a quattro dita trasverse di distanza dalla colonna vertebrale. Già dopo le prime iniezioni di piridina comparve l’espirazione attiva addominale. La cosa diventò molto più evidente alle ultime inie- zioni. Riproduco un tracciato (fig. 14) raccolto dopo la 14° inie- zione, ed in cui si vede con la massima evidenza che le pareti laterali dell'addome si contraggono, mentre la parete anteriore ri- mane inerte. Se dividiamo l’atto respiratorio del torace, dell'addome e dei lombi in parti eguali e corrispondenti, in guisa che le divisioni cadano sui punti più alti e sui più bassi delle curve, potremo esaminare ciò che in un dato tempo è avvenuto nel torace, nel- l'addome e nei lombi contemporaneamente. Raccolgo, perchè siano più evidenti, i risultati di tale esame in una tavola. In questa tavola addome vuol dire parete anteriore dell'addome (muscoli (4) Il cloralio, quantunque sia un veleno espiratorio, tuttavia nei casi di eccessiva violenza dei movimenti espiratorii, dovuta, per esempio a stimoli che agiscono sulle vie aeree, manifesta la sua azione calmante. 274 VITTORIO ADUCCO retti), /ombi vuol dire pareti laterali dell'addome (muscoli obliqui e trasversi, ed eventualmente quadrato dei lombi). TORACE ADDOME LOMBI DA | Inspirazione . .| Leggerissima dilata- | Dilatazione quasi im- zione. percettibile. AB | Espirazione , .| Immobilità. . . .., Immobilità. BC | Dilatazione . .| Dilatazione ..... Restringimento. Espi- razione forzata Restringimento | Restringimento . . . .| Dilatazione. Come si vede dalla figura 14 e dalla tabella, l’addome, du- rante l’intero atto respiratorio del torace, è passivo. La sua at- tività comincia soltanto nella pausa respiratoria. Questa espirazione attiva non è compiuta da tutto l'addome, ma solamente dalle pareti laterali, mentre la parete anteriore rimane inerte e passiva, La contrazione dei muscoli laterali dell'addome fa sì che il diametro trasverso si restringa, che il diametro antero-posteriore si allarghi, che il torace si dilati. Perciò nel tracciato si vede che da B fino a C la linea inferiore (lombi) si abbassa, la media (addome) si solleva, la superiore (torace) si solleva pure. La di- latazione del torace provocata dalla espirazione lombare, non ha effetto inspiratorio, essendo dovuta allo spostamento in avanti ed in alto delle masse intestinali. Il sistema dei muscoli laterali dell'addome adunque può fun- zionare indipendentemente dal sistema dei muscoli retti. Il suo effetto meccanico è di diminuire il diametro trasverso dell’addome e di aumentare il diametro verticale. Esperienza del 22 Gennaio 1886. Ad un cane si erano iniettati il giorno 21 gr. 0,04 di clo- ridrato di cocaina nella trachea. Il giorno dopo questo cane, che aveva una grossa cannula nella trachea, respirava con difficoltà, come chi ha un impedimento nelle vie respiratorie. È notevole che in tale animale esisteva paralisi della parte laterale destra dell'addome. Durante la pausa respiratoria la parete laterale sinistra dell’addome si contraeva fortemente producendo una espi- razione forzata. A destra l'addome era inerte e seguiva in senso inverso i movimenti della parte sinistra. La fig. 15 venne scritta CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 20 con due timpani a bottone, uno sul torace, l’altro sull’addome (li- nea alba). Durante l’espirazione toracica l'addome veniva dap- prima trascinato fortemente in alto e si aveva il primo tratto della linea ascendente addominale fino in z. Ma poi mentre il torace stava in riposo, l'addome subiva un leggero restringimento (2 m) dopo si sollevava fino in w. Questo sollevarsi anteriormente del- l'addome era dovuto ad una contrazione dei muscoli laterali, che funzionavano mentre i muscoli retti restavano inerti. Durante l’inspirazione del torace la linea addominale si abbassava rapida- mente, il che indica che il diaframma non funzionava. Nello stesso cane si osservò pure un’ altra forma di espira- zione forzata dei muscoli laterali dell’addome. L'energia della con- trazione era più grande, per cui il torace veniva leggermente di- latato, come si vede nella fig. 16. Inoltre a questa espirazione prendevano parte anche i muscoli retti. L'espirazione toracica ad faceva sollevare l'addome, Poi mentre il torace stava in riposo avveniva una contrazione dei muscoli retti, che produceva una depressione dell'addome (% c). Infine compariva la forte contra- zione dei muscoli laterali (cd). Anche qui si vede evidentemente una indipendenza di funzione tra i due apparecchi espiratori dell'addome. Esperienza del 3 Marzo 1886. Cane non tracheotomizzato. Iniezione di 2 gr. di laudano nella safena. Il diaframma non funziona più. Nella espirazione si ab- bassa la parete anteriore dell’addome mentre ie pareti laterali si dilatano. Se si afferrano tra le dita i muscoli retti dell'addome si sente che nella inspirazione sono flaccidi, nella espirazione si in- durano, si tendono e sfuggono violentemente, perchè si avvicinano alla colonna vertebrale. In questo momento le pareti laterali del- l'addome si gonfiano rapidamente. Pongo un timpano a bottone sul torace, parte mediana, ed un altro timpano simile sulla parete laterale dell’addome (lombi). Raccolgo il tracciato della fig. 17, dove si vede che durante l’espirazione le pareti laterali dell'addome si sollevano (x @). Nell’inspirazione l’addome è passivo. In questo caso i muscoli retti dell'addome funzionavano mentre i muscoli obliqui e trasversi erano inerti. In questa esperienza ho osservato un fatto, che voglio ricor- 276 VITTORIO ADUCCO dare, perchè dimostra l'influenza che il dolore può esercitare sopra la respirazione di un animale avvelenato col laudano. Avendo provocato un forte dolore si ebbe nel torace. una grande inspirazione (fig. 18). Il torace restò in posizione inspi- ratoria per dieci atti respiratori all'incirca. Però andò gradata- mente abbassandosi fino alla posizione normale. Nessuna modifica - zione simile si notò nell’addome. Si vede quindi che la respirazione di un animale laudanizzato reagisce al dolore imprimendo al torace una posizione inspiratoria, probabilmente per una diminuzione della tonicità del centro espiratorio. Ritengo che tale sia la causa della posizione presa dal torace in seguito all’azione del dolore in primo luogo perché il laudano nelle mie esperienze produsse sempre una iperattività espiratoria ; in secondo luogo perchè, secondo le ricerche di Bubnoff ed Heidenhain (1), gli eccitamenti sperimentali tenderebbero a sviluppare nella cellula nervosa i processi che in quel dato momento sono meno attivi, cioè quando la cellula è in riposo darebbero luogo ad. eccita- mento, quando è eccitata produrrebero inibizione. % * *% Dalle esperienze che ho esposto risulta adunque che l’espi- razione forzata non è una unità funzionale che si compia sempre nello stesso modo e con gli stessi elementi. L'espirazione forzata può compiersi o per opera del torace o per opera dell'addome. Nel torace si trova un solo meccanesimo espiratorio che fun- ziona tanto nella espirazione calma quanto nella forzata. In questo secondo caso la sua attività è maggiore, Nell’addome si trovano due meccanesimi espiratori. Quello dei muscoli retti anteriori e quello dei muscoli laterali. (1) N. Bugnorr e R. HeeNHAIN, Veber Erregungs-und Hemmungs- vorginge innerhalb der motorischen Hirncentren. — PrLiceR’s. Archiv 1881, vol. 26, pp. 137 — 200. In un lavoro, che ho fatto insieme al Dott. Rey, si trovò, conformemente ai risultati di Bubnoff ed Heidenhain, che lo stimoio elettrico del moncone centrale del vago produceva abbassamento della pressione sanguigna tutte lé volte che quest’ultima al momento dell’eccitamento era già alta. (C. Rey e V. Apucco, La pressione arteriosa in rapporto con l’eccitamento del capo centrale del vago. Bullett. della R, Accad, Med. di Roma. Anno XIII 1886-87, fasc. 3°). e °_ è de V. ADUCCO - Centro espiratorio ed espirazione forzata. | Tar.V I av. Mad 48 4 nai ne (a! d° A ala ea E “da pa) SE SI ee 4 i] = q/B 5 TS 9 ,O Di: Tor iu #7] Fig. 13. 2 | i L Vé i ì 0A lo la 1 | ; sa VE ie — MI \ , E ai È 7 /) Tor | i | | [ | J J / \ \ Li i I 2 Tor. ssa A Ada N a CN/ VAMINANAN px pe MUONI ZE SANS v DS È i ba | È eo I b o. Pago x<5p ed i più piccoli 6x<2p. Essi sono quasi sempre contenuti nel nucleo, che ha gene- ralmente forma sferoidale, di grandezza spesso uguale o legger- mente superiore a quella dei nuclei più grandi sopra descritti, coi quali hanno comune l'aspetto omogeneo. Il cristallo sta nel diametro maggiore dei nuclei. Le fi- gure 1 e 3 (1) mostrano le varie forme dei nuclei, quali si pos- sono osservare in un preparato di rene fresco coll’obiettivo 8* di Koritska. Nella fig. 1 è disegnato in a un cristallo veduto da una delle basi del prisma ed in d un cristallo disposto in senso obliquo al piano rappresentante il campo del microscopio. In questo caso l’aspetto dei cristalli varia secondo il loro grado di obliquità; ma comprimendo il copri-oggetti compare la loro forma caratteristica appena si riesce a far cambiare la loro posizione. Quando i cristalli raggiungono la lunghezza di 16 p non po- tendo essere contenuti nel nucleo, questo deve subire una de- formazione e viene stirato nel senso della maggiore lunghezza del cristallo come si vede nella fig. 2 (obiettivo ad immersione omogenea !/, Koritska). In questo caso si notano sulla parete delle pieghe disposte nel senso dello stiramento avvenuto. (4) Tutte le figure della tavola sono state disegnate col mezzo della ca- mera lucida di Oberhàuser. 280 Y. GRANDIS Ho fatto moltissimi preparati, ed una volta sola vidi un cri- stallo, il quale faceva sporgenza fuori del nucleo. Dall'esame di questo cristallo. che ho disegnato nella fig. 3 (obiet. 8* Koritska), si vede che esso non occupa tutto il nucleo, ma soltanto una piccola parte. Comprimendo il vetrino per vedere meglio i rap- porti del cristallo col nucleo, mi assicurai, che esso vi era con- tenuto dentro, e che si movevano insieme. Questo fatto potè spiegarmi perchè qualche volta s' incontrino nel preparato dei cristalli liberi, della stessa forma di quelli finora descritti. Il nucleo entro cui è contenuto il cristallo per lo più non mostra traccia di struttura, raramente soltanto accade di vedere dentro di esso, oltre ad un cristallo, alcune granulazioni splen- denti, come è rappresentato nella fig. 1 c. ]l numero dei cristalli, che sì possono trovare in un prepa- rato varia molto: per lo più s'incontrano sui margini del prepa- rato, e qualche volta è necessario un esame diligentissimo per poterne vedere uno, altre volte, all’opposto, se ne contano facil- mente una ventina e più. Dall'esame delle sezioni dei pezzi induriti in alcool ed inclusi poscia in paraffina od in celloidina potei stabilire, che i cristalli sopradescritti si trovano esclusivamente nei nuclei delle cellule dei canalicoli contorti. La grande differenza tra i nuclei delle diverse cellule, che tappezzano la parete dei canalicoli, già no- tata nei preparati a fresco, si conserva malgrado i tratta- menti cui devono sottostare i pezzi induriti in alcool per venire osservati e direi anzi che diventa più evidente. Pfitzner (1) de- scrisse varie modificazioni nella struttura del nucleo e le ri- ferisce allo invecchiare della cellula ; egli però non incontrò mai dei nuclei contenenti cristalli. Io potei constatare che nel rene i nuclei misurano in generale 6 od 8 di diametro. In mezzo a questi, che hanno aspetto normale, però ve ne sono alcuni, in cui il reticolo è meno chiaramente visibile, i quali hanno dimensioni un po’ superiori ed un nucleolo a contorni più sfumati. In altri il reticolo è rappresentato da granulazioni finissime e molto fitte, che si tingono come il nucleolo. Una quarta forma di nuclei ha un aspetto come gelatinoso, omogeneo e prende una tinta pallidamente rosea colla saffra- (4) PFiTZNER, Zur pathologischen Anatomie des Zellkerns Virchow's Arch,, V. 103, pag. 275. CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 281 nina. Per ultimo e più raramente se ne osservano alcuni, i quali sono colorati soltanto nella parte periferica; sono per lo più privi di nucleolo e contengono nel loro interno un cristallo di dimensioni yariabili. Questi nuclei sono solo in numero di due o tre per ogni se- zione e tutti i loro caratteri sono eguali a quelli dei nuclei con- tenenti cristalli osservati nei preparati a fresco. Nella fig. 4 ho disegnato un campo di microscopio dove si vede in 4 un nucleo contenente un cristallo, in d un nucleo a granulazioni finissime. I cristalli descritti sono insolubili nell’acqua, nell’alcool, nel- l'etere, nel cloroformio, nel xilolo, nella benzina e nell’essenza di terebentina. Quando sono nell’interno del nucleo possono resistere per 15 ore all’azione della potassa caustica e degli acidi minerali con- centrati. Sono solamente distrutti insieme cogli elementi in cui si trovano dall’acido nitrico concentrato a caldo. L’acido osmico non li annerisce. Liberandoli dall’interno del nucleo con manovre meccaniche, come per esempio col raschiamento, oppure triturando l’organo in un mortaio con dei pezzi di vetro o con sabbia lavata nell’acido cloridrico, ho potuto constatare che si sciolgono rapidamente per l’azione degli acidi minerali alla diluzione del 10 °/,, e per l’a- zione dell'acido acetico concentrato, così pure venendo in con- tatto della potassa e della soda caustica e più lentamente quando si fa agire su di essi l’ammoniaca. Quando un solvente arriva in contatto coi cristalli prima che questi vengano sciolti possono subire due diverse modificazioni: si dividono cioè in quattro parti eguali, della stessa forma del cristallo primitivo, secondo due piani perpendicolari al punto di mezzo dei loro assi longitudi- nale e trasversale; oppure si dividono in tante lamine uguali per la comparsa successiva di altrettanti piani di separazione equidistanti e tutti perpendicolari all’asse più lungo del cristallo. La tintura di jodio impartisce loro un colore leggermente gial- lognolo uguale a quello del fondo su cui si trovano, mentre i detriti organici vicini prendono con detto reagente una colorazione intensa rosso bruna, per cui debbo concludere, che i cristalli non vengono modificati. Le reazioni delle sostanze albuminoidi riescono tutte negative. Esaminati alla luce polarizzata appaiono come una linea scura quando il campo del microscopio è illuminato e non danno alcuna traccia luminosa quando incrociando i prismi 282 V. GRANDIS si rende buio il campo in cui si trovano, perciò sono monori- frangenti. Per mezzo del tavolino di Schultze ho trovato che nei preparati in glicerina i cristalli spariscono tra 105° e 107° C. senza subire prima alcuna modificazione. Nei preparati a secco vidi, che, quando i cristalli sono completamente isolati dai detriti di sostanza estranea, la temperatura del tavolino può elevarsi fino al punto che il termometro segni 180° C. senza che essi subiscano alcuna modificazione. Quantunque abbia preso tutte le precauzioni possibili per diminuire l’irradiazione di calore, non sono certo che il preparato avesse la temperatura segnata dal termometro. Per determinare come si comportassero nella putrefazione, ho lasciato per tre giorni un pezzo di rene contenente nume- rosi cristalli nella stufa di D’Arsonval alla temperatura di 38°C.; passato questo tempo, essendo già avanzata la putrefazione, non riuscii più a trovare alcun cristallo in numerosi preparati. 82. Cristalli nel nucleo delle cellule epatiche. Dopo aver determinato le reazioni dei cristalli sopra de- scritti; cercai se essi erano soltanto propri del rene, e vidi che essi si possono pure trovare nel fegato, dove si mostrano nella stessa posizione e cogli stessi caratteri descritti parlando del rene. Il fegato ha le cellule più resistenti e meno aderenti allo stroma connettivo che non siano quelle del rene, per cui non si rompono nel raschiamento, ma sì isolano bene l’una dall’altra. Perciò i preparati di fegato a fresco sono i meglio adatti per dimostrare che i cristalli risiedono veramente dentro i nuclei delle cellule, come dimostra la fig. 5 ottenuta disegnando un preparato veduto coll’ obiettivo apocromatico di Zeiss (apertura 1,30). La cellula a fu disegnata servendomi dell’obiettivo 8* di Koritska; in essa il cristallo era divenuto così grosso, che. il nucleo doveva di necessità essere ridotto ad una membrana molto sottile e tesa aderente al cristallo stesso, per cui non si poteva più vedere. Tutte le cellule del fegato, che hanno cri- stalli, hanno pure dei grossi granuli splendenti di colore giallo- verdognolo e di forma irregolare. Questi granuli per la loro ri- CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 283 frangenza rassomigliano al grasso, però non hanno nessuna delle reazioni caratteristiche di questa sostanza. Non ho mai potuto constatare la presenza di questi granuli nei fegati di animali giovani, nei quali parimente finora non sono ancora riuscito a vedere dei cristalli. Rarissime volte mi è accaduto di vedere che un solo nucleo contenesse due cristalli, ciò è più frequente nel fegato che nel rene. In questi casi i cristalli possono avere dimensioni uguali o differenti, in generale però sono più piccoli della media. Assai più spesso potei vedere che un cristallo si fosse rotto nell’ in- terno del nucleo. La frattura avviene sempre in direzione per- pendicolare all’asse più lungo. Nel fegato fresco però si vedono difticilmente le varie sorte di nuclei descritte per il rene. Per vederle è necessario far su- bire alle cellule delle preparazioni speciali, dirette a rischiarare fortemente il protoplasma cellulare. Serve molto bene a questo scopo un metodo analogo a quello che si adopra per la ricerca dei bacterii. Mettevo in un vetrino da orologio, contenente una soluzione di violetto di genziana, la polpa ottenuta col raschia- mento di un pezzettino di fegato. Dopo alcune ore distendevo un sottilissimo strato di questa poltiglia sul vetro porta-oggetti, essicavo alla fiamma e poi vi facevo passare sopra rapidissima- mente una corrente di alcool assoluto per decolorare. Rischiaravo con olio di garofani ed esaminavo in balsamo del Canadà. A questo modo si scolora completamente il protoplasma, il nucleo ‘mantiene una leggera colorazione violetta e compare distintis- simo il reticolo, il nucleolo ed il cristallo quando vi è con- tenuto. Riuscii così molto bene a vedere nei nuclei del fegato le stesse differenze descritte per quelli del rene. Una delle cose per me più interessanti era di vedere in quali condizioni della vita della cellula si formassero questi cristalli, e quale fosse il loro rapporto colla funzione dell’organo e col reticolo del nucleo in cui sono contenuti. Per sciogliere tale questione ho cercato come si comportano le cellule fresche coi colori nucleari. La fig. 6 (obiettivo 8* Koritska) rappresenta un preparato di fegato fresco colorato col picrocarmino. In essa appare chia- ramente che i nuclei contenenti cristalli sono suscettibili di co- lorarsi, e perciò resta escluso che la comparsa del cristallo nel nucleo sia dovuta ad una degenerazione patologica della cellula. Contro questa ipotesi sta pure il fatto, che quando la cellula 284 V. GRANDIS contiene due nuclei può avvenire indifferentemente, che uno solo, oppure tutti e due contengano dei cristalli, però quest’ ultimo caso è rarissimo. Colorando i preparati col verde di metile ho veduto che le cellule tolte da un organo ancora caldo impie- gano un tempo relativamente molto lungo per colorarsi, e dopo mezz ora sono tutte colorate in verde. Non ho potuto accertare se pure i cristalli si colorassero, perchè siccome sono incolori e trasparenti lasciano passare tutti i raggi che loro arrivano. La glicerina scioglie i cristalli dopo una settimana circa, le soluzioni di glucosio o di gomma, come pure il liquido di Pacini dopo un po di tempo rendono le cellule così opache che non si può più veder dentro; per cui malgrado ogni mio sforzo non sono ancora riuscito a conservare bene visibili i cristalli nei pre- parati fatti a fresco. Per vedere quale rapporto questi cristalli contraggono col reticolo nucleare ho colorato delle sezioni di organi contenenti cristalli col metodo del prof. Bizzozero, ed ho trovato lo stesso fatto intraveduto già a fresco e nei preparati colorati con saf- franina, cioè che i nuclei, i quali hanno nel loro interno un cristallo, sono per lo più completamente omogenei e solo in via eccezionale contengono qualche granulo di cromatina con dimen- sioni variabili spinto da una parte del nucleo stesso. Nelle sezioni colorate col metodo del prof. Bizzozero ho po- tuto osservare inoltre che il cristallo si colora come il reticolo degli altri nuclei conservando la sua rifrangenza. Non ho potuto stabilire se questo fatto sia da ascriversi alla presenza di una membrana colorabile, che avvolga il cristallo, come avviene per alcuni cristalli contenuti nelle cellule vegetali, oppure ad una proprietà del cristallo stesso. Vari tentativi che feci per determinare il rapporto di questi cristalli colla funzione delle cellule non mi condussero ad alcuna conclusione, perciò enumererò soltanto le osservazioni che ho fatto, tralasciando quelle dei cani normali già citati. 1° In tre cani tenuti per parecchie ore sotto l’ azione della pilocarpina constatai sempre la presenza dei cristalli. 2° Li trovai pure abbondanti in due cani morti per av- velenamento da idrato di cloralio. 8° Di quattro cani avvelenati con solfato di stricnina tre non avevano alcun cristallo nel fegato e nei reni. 4° Non trovai alcun cristallo in due cani avvelenati con siero d’anguilla, mentre in altri due li trovai in numero molto scarso. CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 285 5° Non li trovai in un cane avvelenato con curare. 6° Non li trovai in due cani avvelenati lentamente con toluilendiamina. 7° Non li trovai in tre cani che digiunarono per un tempo variabile da tre a cinque giorni. 8° Non li ho mai potuto trovare in otto cani giovani. Ho ricercato se questi cristalli si ritrovassero pure in altri animali. Esaminai inutilmente le rane, le tartarughe, i piccioni normali e digiuni, i topi giovani, i conigli normali e morti per inanizione, le pecore, il bue, il gatto giovane, il maiale, e l’uomo. 8 3. Come si possano produrre artificialmente altri cristalli nel nucleo delle cellule di vari organi. Nei pezzi induriti in alcool ed inclusi in paraffina, oltre i cristalli descritti or ora, trovai pure dentro i nuclei delle cel- lule renali altri cristalli, i quali differiscono completamente dai precedenti. I nuclei di qualunque parte del rene, anche quelli che si tro- vano fra le anse dei glomeruli di Malpighi, ne possono contenere. Essi hanno la forma di sottili prismi terminati o da una piramide o da un piano che fa un angolo variabile col loro asse maggiore, per cui appaiono al microscopio o come esagoni con due lati molto allungati, o come quadrilateri più o meno regolari. La fig. 7 (obiettivo 8* Koritska) rappresenta questi cri- stalli. Come si vede essi hanno dimensioni molto minori di quelli descritti sopra. I più grandi che ho potuto osservare misuravano Gipi sper. 1; o p. Sono trasparenti, dotati di contorni molto netti, di una ri- frangenza notevole e mandano intorno una luce bianca. Quando s'incontrano sono molto più numerosi di quelli prima descritti; ed ogni nucleo ne può contenere un numero variabile da 1 a 5, disposti parallelamente, variamente incrociati fra loro od a forma di cespuglio. I nuclei che li contengono sono generalmente un .po’ più grandi degli altri, spiccano sul fondo del preparato per la luce dispersa dai cristalli che sono nell’interno. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 21 236 V. GRANDIS Per questa ragione si riesce difficilmente a scorgere i det - tagli di struttura del nucleo stesso, tanto più, che esso diventa colorabile solo nella sua parte periferica. Non mi accadde mai di vedere che i nuclei fossero rotti o deformati in qualche modo dalla presenza dei cristalli, come pure non potei mai vedere al- cuno di questi cristalli fuori del nucleo. Dalle reazioni che ho fatto sopra questi cristalli trovai : 1° Sono insolubili in acqua, alcool, olii essenziali, ben- zina ed etere come pure negli alcali e negli acidi concentrati. 2° Il cloroformio li scioglie a caldo. 3° Per l’azione della potassa caustica o dell'acido acetico sopra le sezioni previamente sparaffinate in trementina si vedono comparire nei nuclei contenenti cristalli dei corpi di forma ir- regolare, dotati di una forte rifrangenza, con riflessi di colore verde mare, i quali lasciano vedere nel loro interno uno o più cristalli secondo i casi. Quando vi è un solo cristallo il corpo splendente ha una forma ovale allungata, quando vi sono più cristalli la forma del corpo splendente corrisponde a quella del- l’aggruppamento dei cristalli contenuti, 4° Se dopo la potassa si fa passare attraverso al prepa- rato una corrente di alcool poco per volta il corpo splendente rimpiccolisce, perde la sua forte rifrangenza e finalmente non si vede più altro che il cristallo dentro al nucleo. Quando si adopra dell’alcool concentrato e lo si fa agire per molto tempo, diventa tale l’opacità del tessuto, che riesce im- possibile di vedere il cristallo. A questo punto facendo di nuovo agire la potassa ricompare prima il cristallo e poi il corpo splendente. Da questo modo di comportarsi ho ricevuto l’impressione come se questi cristalli siano contenuti in una cavità, che nor- malmente è allo stato virtuale, ma che si rende visibile per azione degli alcali o degli acidi. 5° Facendo agire sopra questi preparati dell’acido clori- drico concentrato avviene rapidamente lo stesso fenomeno ora descritto per l’azione della potassa. Il rigonfiamento è così tu- multuoso che il corpo splendente può rompersi ed allora sol- tanto è possibile vedere i cristalli liberi resistere all’azione dei reagenti. 6° Spesso si incontrano dei corpi splendenti, i quali oltre ad uno o più cristalli di forma ben definita hanno nel loro in- CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 287 terno delle granulazioni dai riflessi cristallini; queste esaminate con un ingrandimento più forte si mostrano fatte da cristalli piccolissimi. 7° L’etere, il clorofomio, il xilolo, quando arrivano in contatto col preparato non permettono di vedere i cristalli. Ciò avviene probabilmente perchè l’indice di rifrazione di questi li- quidi è uguale a quello dei cristalli, i quali ricompaiono subito al loro posto quando si faccia spostare il liquido dall’alcool. 8° Esaminati colla luce polarizzata appaiono come linee scure quando il campo è chiaro e come linee fortemente splen- denti quando il campo è oscuro, per cui conchiudo che sono bi- rifrangenti. 9° Riscaldando col tavolino di Schultze un preparato con- tenente numerosi cristalli si vedono scomparire a 50°. Se poi si lascia raffreddare lentamente spesso ricompaiono nello stesso nucleo e nella stessa posizione che prima avevano. Dopo d’aver constatata la differenza sostanziale tra questi cristalli e quelli prima descritti, cercai di vedere se essi non fossero per caso un prodotto artificiale. In queste ricerche trovai che essi non si riscontrano quando i pezzi vengono inclusi in celloidina invece che in paraffina. Onde vedere se fossero di pa- raffina lasciai per 20 ore in un bagno di essenza di terebentina pura un preparato in cui si vedevano numerosi; malgrado ciò i cristalli si conservarono perfettamente anzi parvero aumentati di volume. Allora posi lo stesso preparato in un bagno di cloroformio e ve lo lasciai per sette ore alla temperatura di fusione della pa- raffina, dopo questo trattamento non mi fu più possibile riscon- trare alcun cristallo. Stando le cose in questi termini mi pa- reva poter stabilire che si trattasse realmente di paraffina, la quale, come avviene per molte altre sostanze, fosse resa meno solubile dal suo stato cristallino, quando mi occorse di osservare un fatto che dimostrò falsa questa spiegazione. Ho messo a sparaffinare. in un bagno di essenza di terebentina otto sezioni fatte di se- guito sopra uno stesso pezzo ; in quel giorno ne colorii ed esaminai soltanto quattro nelle quali non trovai alcun cristallo. Lasciai soggiornare nella terebentina le altre sezioni durante quattro giorni in capo ai quali, coloratele ed esaminatele constatai la presenza di numerosi cristalli della varietà birifrangente solubile a 50° nel balsamo del Canadà. 238 V. GRANDIS Dopo ciò mi pare di poter conchiudere che questi cristalli sono di una sostanza normalmente sciolta nel nueleo dove viene precipitata allo stato cristallino dalla trementina. Dopo aver stabilito le reazioni di questi cristalli la mia at- tenzione fu rivolta a cercare se essi potevano solo prodursi nelle cellule del rene oppure anche nelle cellule di altri organi. In questa numerosa serie di ricerche trovai che i cristalli birifrangenti si possono trovare pure nel fegato, nel pancreas, nell'intestino, nello stomaco. Devo avvertire, che per poter vedere i cristalli dentro quei nuclei che ne sono forniti, è indispensabile che la colora- zione sia molto leggera e che si adopri un colore chiaro affinchè il colore della parte periferica del nucleo non impedisca di ve- dere quello che vi è dentro. I colori molto scuri come l’ema- tossilina non mi permisero mai di vedere chiaramente i cristalli anche quando si vedevano numerosi nelle sezioni dello stesso pezzo e trattate nello stesso modo, ma colorate con saffranina o pi- crocarmino. sn Non parlerò dei cristalli che si trovano nei nuclei delle cel- lule vegetali specialmente della pinguicola, dell'urticaria, della la- trea squamaria, nel ricino, nelle leguminose, etc. i quali secondo alcuni (1) sarebbero indizio dell’invecchiare della cellula. Trala- scierò parimente di parlare dei cristalli che si trovano nelle uova degli artropodi e di quelli che Lockwood (2) ottenne dai bruchi e mi limiterò a parlare di quelli trovati nelle cellule dei verte- brati. Leydig (8) parlando delle cellule in generale dice che esse possono contenere semplicemente dei granuli o delle forme cri- stalline, per esempio, laminette a riflessi metallici nei vertebrati inferiori. Wittich (4) nel suo lavoro sopra il colore della pelle delle (4) KLEIN, Cristalloid in the cell nuclei of Pinguicola and Urticaria. Jour- nal of the Microscopical Society, 1881, pag. 477. (2) Lockwoon, Feather-crystalls of Uric ucid from a Caterpillar, Journal of the Microscopical Society, 1886, pag. 428. (3) LevpiG, Lehrbuch der Histologie. Frankfurt, 1857, pag. 20. (4) WiTTIcH, Die grine Farbe der Haut unserer Fròsche ; ihre physiolo- gischen und pathologischen Vertinderungen. Miller ’s Arch., 1854, pag. 44. GRISTALT.I CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 289 rane parla di cellule così dette interferenti, che lui descrive come piene di cristalli ai quali attribuirebbe la proprietà di comuni- care i riflessi metallici alla pelle ed all’iride delle rane. Nei vertebrati superiori furono descritti quattro specie di cristalli, di emoglobina, di sostanza colorante della bile nell’ittero dei neo- nati e nell’ittero da toluilendiamina, i cristalli di Charcot e di Leyden e quelli di Béttcher nello sperma. Dopo quanto ho detto sui miei cristalli monorifrangenti non credo necessario insistere per dimostrare la loro differenza da quelli di emoglobina. Dirò soltanto che non si possono neppure confondere coi cristalli di emoglobina incolora osservati da Brond- geest (1) nelle rane congelate perchè questi anneriscono col calore. Negli stati patologici furono descritti dei cristalli anche nel- l'interno delle cellule da Virchow, da Buhl, da Neumann e da Klebs. Orth (2) dopo aver fatto la critica dei lavori precedenti riferisce d’averli trovati in 37 bambini morti per ittero dei neo- nati e ne distingue due forme, tavole rombiche corte, larghe e spesse oppure aghi o colonnette raggruppati in vario modo. Tutte e due le forme hanno secondo lui un colore rosso chiaro. Nel sangue ha trovato soltanto la forma ad aghi, nei reni invece trovò tutte e due le forme. Non li trovò mai nei corpuscoli rossi e qualche volta li vide raggruppati attorno ad un corpuscolo bianco. Nei reni li osservò nel tessuto intertubulare, nelle cellule epiteliari e specialmente sull’apice delle papille, noto, che sono assai scarsi nella sostanza corticale e che insieme con essi vi era colorazione gialla del nucleo delle cellule. Riguardo alle reazioni constatò che sparivano lentamente per azione dell'acido acetico. Dentro le cellule del fegato vide dei cristalli rossi o bruni. Egli crede che siano cristalli di bilirubina concordando in ciò con Meckel e Neumann mentre Buhl e Virchow li credono di ematoidina e Klebs crede siano un miscuglio degli uni e degli altri. Stadel- mann (3) osservò lo stesso fatto di Orth nei cani in cui aveva prodotto artificialmente l’ittero coll’iniezione di toluilendiamina. Appare evidente da quanto è detto sopra che i cristalli dei (4) Macy, Jahresb, der Thierchemie, vol, I, pag. 76. (2) OrtH, Ueber das Vorkommen von Bilirubinkrystallen bei neugeborenen Kindern. Virchow ’s Arch, V. 63, pag. 447. (3) SrapeLMANN, Ieterus durch Toluylendiamin. Arch. f. exper. Path. XIV, pag. 231. 290 V. GRANDIS nuclei da me osservati non hanno nulla di comune con quelli di Orth. Per ciò che riguarda i cristalli di Charcot credo inutile di riportare la bibliografia che fu raccolta così diligentemente da Schreiner (1). Zenker (2) descrisse per il primo la presenza dei cristalli di Charcot nell'interno dei corpuscoli bianchi dei leucemici. Sebbene non parli del loro rapporto col nucleo tuttavia dalle figure che ne dà si vede stavano accanto e non nell’interno del medesimo. I cristalli di Charcot hanno tutti i caratteri della solubilità eguali a quelli dei cristalli monorifrangenti, però ne differiscono oltre che per la forma per due altri caratteri molto più importanti. Di tutte le reazioni che si possono fare al microscopio le più certe sono la reazione al calore ed alla luce polarizzata. Esaminando con questi reagenti fisici dei cristalli di Charcot ot- tenuti dal sangue di una leucemica ho trovato che essi sono birifrangenti sebbene rischiarino solo leggermente il campo oscuro del microscopio polarizzatore. Di più riscaldati sul tavolino di Schultze verso i 55° C. perdono il loro aspetto brillante diven- tando come appannati, si smussano profondamente i loro angoli per cui la loro forma caratteristica passa in una forma ovale più o meno allungata od in una forma irregolarmente poliedrica. Queste modificazioni non avvengono nei cristalli monorifrangenti che incontrai nei nuclei delle cellule. Le due forme di cristalli differiscono pure per il loro modo di comportarsi rispetto alla putrefazione; Zenker asserisce di aver ancora ritrovato i cristalli di Charcot in un campione di sangue conservato da tre anni mentre si è visto che i cristalli dei nuclei scompaiono presto per la putrefazione. Un'ultima differenza che non è priva d'importanza sta nel fatto che mentre i cristalli dei nuclei si trovano nell’organo vivo, è una condizione sine qua non per poter osservare i cristalli nel sangue dei leucemici, che l’individuo sia morto almeno da 24 ore. A. Bòttcher (3) osservò nello sperma essicato dei cristalli di dimensioni varie la cui forma ricorda quelle del pleuro- (1) ScHREINER, Veber eine neue organische Basis in thierischen Organismen, Liebig®s Annalen der Chemie u. Pharmacie, V, 194, pag. 69. (2) ZenkeR, Ueber Charcot’ schen Krystalle in Blut u. Geweben Leukd- mischer und in den Sputis. Deuts. Arch, f. klinische Med., V. 18, pag. (3) A. BòrtcHER, Farblose Krystalle eines eiweissartigen Korpers aus dem menschlichen Sperma dargestellt. Virchow °s Arch., V. 32. p. 525. CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 291 sigma angulatum. Schreiner (1) studiò chimicamente questi cri- stalli e credette di poter dimostrare la loro identità con quelli di Charcot. Siccome io non ho potuto ancora isolare i cristalli dei nuclei devo limitarmi a paragonare le loro proprietà micro- chimiche con quelle osservate da Bottcher nei cristalli dello sperma. Questi cristalli sono solubili in acqua e si sciolgono molto più rapidamente se vengono leggermente riscaldati; per contro diventano insolubili se si riscaldano molto rapidamente, diventano opachi riscaldati alla lampada; si colorano in giallo senza scio- gliersi coll’acido nitrico a caldo e si colorano in rosso col reat- tivo di Millon. Non fa d’uopo aggiungere altri caratteri per differenziarli dai cristalli osservati nei nuclei. Quantunque tutte le reazioni fatte ed i caratteri che ho po- tuto osservare mi permettano di ritenerli differenti dai cristalli finora descritti nei tessuti, tuttavia non sono sufficienti per deter- minarne la natura. Kossel (2) ha trovato che la nucleina dei nuclei delle cellule può, decomponendosi, dare origine all’adenina, e questa alla sua volta all’ipoxantina ed alla guanina. Questi tre corpi sono i primi composti cristallizzabili che si possono ottenere dalla trasformazione della molecola molto com- plessa della nucleina, ed hanno molti caratteri che si avvicinano a quelli dei cristalli nucleari. Basandomi sopra i loro caratteri di solubilità ho già intrapreso una serie di ricerche per estrarli dagli organi allo stato di purezza, ma le difficoltà grandi che s'incontrano nello stabilire l'identità del corpo isolato con quello cristallizzato nei nuclei non mi permettono ancora di venire ad una conclusione. Però siccome mi fu già possibile di radunarli meccanicamente in un piccolo volume di detriti organici spero di poter presto riferire dei risultati positivi. Laboratorio di Fisiologia della R. Università. Torino, Marzo 1889, (4) SCHREINER, loco citato. (2) A. KosseL, Weitere Beitrdge sur Chemie des Zellkernes. Zeitschr, f, Physiol. Chemie, V, 10, p. 248. 292 v. GRANDIS - CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO ECC. Fic. » » k; DL: III. LIVE VI. VII SPIEGAZIONE DELLE FIGURE — Rappresenta le varie specie di nuclei che si possono osservare in un preparato di rene fresco in glice- rina coll’obiettivo 8* di Koritska. In a è rap- presentato un cristallo disposto in senso perpendi- colare al piano del campo del microscopio, in d un cristallo disposto in direzione obliqua al piano stesso, ed in e un nucleo contenente nello stesso tempo granulazioni splendenti ed un cristallo. — Riproduce un nucleo fortemente disteso dal cristallo contenuto nel suo interno (Immersione omogenea i pom lie Koritska). — Preparato di rene fresco in glicerina dove si vede un cristallo che esce dal nucleo rotto (obiettivo 8* Koritska). Sezione di un pezzo della zona corticale di un rene. In a sì vede un nucleo contenente un cristallo, in è un nucleo in cui il reticolo è rappresentato da gra- nulazioni finissime (obiettivo 8* Koritska). — Preparato di fegato fresco osservato in glicerina col- l’obiettivo apocromatico Zeiss, apertura 1,30. La cellula « è stata disegnata coll’obiettivo 8* Ko- ritska. — Preparato di fegato fresco colorato con picrocarmino (obiettivo 8* Koritska). . — Preparato di rene indurito in alcool ed incluso in paraffina (obiettivo 8* Koritska) dove si vedono dei cristalli prodotti artificialmente. Tav.VI Fig.d Lit. Salussolia, Torino V. Grandis dis. Sopra alcune deduzioni della teoria di van’t Hoff sull'equilibrio chimico nei sistemi disciolti allo stato diluito ; Nota prima del Prof. STEFANO PAGLIANI 1. È noto come il van’t Hoff in una importante Memoria sopra l’equilibrio chimico nei sistemi gasosi o disciolti allo stato diluito (Archives Neerlandaises, Harlem 1886), ha dimostrato come i corpi in soluzioni diluite si trovino in uno stato parago- nabile allo aeriforme- Le esperienze di Pfeffer (Osmotische Untersuchungen, Leipzig 1877) avevano fornito il mezzo di misurare, usando pareti semi- permeabili, la pressione osmotica, esercitata da una quantità data di sostanza disciolta in un dato volume di liquido. Ora questa pressione è quella che la stessa quantità di sostanza eserciterebbe se alla stessa temperatura e nello stesso spazio si trovasse allo stato aeriforme. Questa pressione osmotica è proporzionale alla concentrazione della soluzione, come per i gas la pressione è proporzionale al peso dell’unità di volume, secondo la legge di Boyle. La pres- sione osmotica nell'unità di volume è poi anche proporzionale alla temperatura assoluta, d'accordo colla legge di Gay-Lussac per lo stato aeriforme. nai — KR, è quindi anche L'equazione dello stato aeriforme, applicabile ai sistemi disciolti allo stato diluito, quando sì assuma per P la pressione osmotica, per V il volume nel quale sì trova disciolta una molecola del corpo. Allora la legge di Avogadro può trovare anche la sua applicazione nelle soluzioni diluite, per le quali si può enunciare dicendo che le pressioni osmotiche, eser- citate da sostanze diverse disciolte, sono uguali quando le quantità disciolte nello stesso volume siano proporzionali ai pesi molecolari. La costante E della detta equazione per sistemi disciolti allo stato diluito va moltiplicata per un coefficiente che può avere valori diversi per le diverse sostanze. Chiamando #? questo coefti- 294 STEFANO PAGLIANI ciente avremo PV=4< RT per questi sistemi. Il coefficiente # è uguale all’unità per alcune sostanze, ma può avere valori supe- riori per molte altre. Anzi è stato necessario ammettere ciò per spiegare le eccezioni che si presentavano alla teoria di van't Hoff. Allo stesso modo che le eccezioni alla legge di Avogadro per gli aeriformi vengono spiegate mediante fenomeni di dissociazione, così anche per certe sostanze sciolte sì ammetterebbe che nelle loro soluzioni non si abbia un numero di molecole corrispondente a quello che si deduce dalla loro formola chimica, ma un numero maggiore, perchè queste sostanze vi si troverebbero dissociate (van’t Hoff, Zeitschr. f. Phys. Chem., 1887, I. 481). 2. Equazione di Arrhenius. — Planck (ivi 577) ed Arrhenius (ivi p. 631) hanno sviluppato questo concetto. In una memoria sulla conducibilità elettrica degli elettroliti, Arrhenius chiamò, seguendo il Clausius, attive le molecole, i cui ionì sono indipendenti nei loro movimenti, ed inattive le altre, i cui ioni sono rigidamente collegati fra loro, ed ammise come probabile che in soluzione diluitissima tutte le molecole inattive si trasformino in attive. Chiamò poi coefficiente di attività il rapporto fra il numero delle molecole attive e la somma delle molecole attive ed inattive. Questo coefficiente sarebbe uguale all’unità per un elettrolito in soluzione indefinitamente diluita. Per diluizioni minori è minore dell’unità e può per soluzioni non troppo concentrate esser posto uguale al rapporto fra la conducibilità elettrica molecolare effet- tiva della soluzione ed il valore limite superiore al quale si avvi- cina la detta conducibilità col crescere della diluizione. Arrhenius dedurrebbe dalla conoscenza di questo coefficiente (4) un modo per calcolare il coefficiente è di van't Hoff, che egli considera come il rapporto fra la pressione osmotica effettivamente eserci- tata da un corpo in soluzione e la pressione osmotica, che eser- citerebbe quando fosse costituito soltanto da molecole inattive (non dissociate). Indicando con m il numero delle molecole inattive, con » quello delle altre, con % il numero degli ioni, in cui cia- scuna molecola attiva si scinde, si avrebbe : ta i m+ kn a n q—= "= mn mn Da cui si deduce: i=14(k-1)a. ALCUNE DEDUZIONI! DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 295 1l primo appunto che si potrebbe muovere a questa dedu- zione si è che l’equazione non è ugualmente applicabile a tutti gli elettroliti, perchè ve ne hanno alcumi, che presentano un massimo di conducibilità molecolare. Di più le ricerche sperimentali fatte sulla elettrolisi dimo- strano che il valore di % per un elettrolito può variare col variare delle condizioni di diluizione e di temperatura della sua soluzione. Quindi per applicare convenientemente l’equazione di Arrhenius bisognerebbe conoscere il valore che prende % per i diversi gradi di diluizione, quando non si tratti di composti binari. Infatti è noto come nella elettrolisi di un composto, indipen- dentemente dalle azioni secondarie, che possono intervenire, non si hanno sempre gli stessi prodotti di decomposizione, ma questi possono variare anche solo secondo la concentrazione delle solu- zioni stesse. Il cloruro di ammonio in soluzione acquosa tende a scindersi in cloro e ammonio, il quale, se il catodo è di mercurio, vi si unisce formando un amalgama. In soluzione concentratissima e riscaldata tende a mettersi in libertà non solo del cloro, ma anche dell’azoto, i quali formano allo stato nascente del cloruro di azoto, per cui sembra che in quest’ultimo caso i prodotti della decomposizione siano idrogeno, azoto, cloro. Si vede che il numero degli ioni, #, che nel primo caso sarebbe solo di due (774N e (1), può prendere in altri casi valori superiori. Una soluzione concentrata di ammoniaca si decompone in idro- geno e azoto, i cui volumi stanno nelle proporzioni indicate dalla formola H,N, cioè ogni molecola si scinde in 3 atomi di idro- geno e 1 d’azoto. Una soluzione diluita, elettrolizzata con un catodo di mercurio dà luogo alla formazione di un’amalgama di ammonio e di ossigeno all’anodo, ciò che indicherebbe la decomposi- zione avvenire in H, N ed OH di una molecola di HOH,N. Quindi nel primo caso si dovrebbe assumere %&= 4, nel secondo X=2. L’acido solforico in soluzione diluita si decompone in H, e SO,; concentrato può fornire idrogeno al catodo, zolfo all’anodo e H?”S, ciò che dimostrerebbe una decomposizione più profonda. Delle esperienze di Geuther hanno dimostrato che dell’acido sol- forico diluito con */, del suo volume di acqua dà fino alla tem- peratura di 80° la decomposizione elettrolitica solita; al di sopra di 80° diminuisce il volume relativo di H messo in libertà, e si ha deposito di solfo. A 90°si ha solo solfo. Coll’aumentare della diluizione cresce la temperatura alla quale si ha solo deposito di 296 STEFANO PAGLIANI solfo. Finalmente un miscuglio di volumi uguali di acqua e acido dà a tutte le temperature solo idrogeno e ossigeno. Geuther am- mette nei casi sopra accennati la possibilità di una diretta de- composizione di 90, in S e 0,. Secondo alcuni Ì idrato ran si decomporrebbe in XK ed OH, secondo altri in K, H ed O. La formazione di ossigeno ozonizzato nella elettrolisi degli idrati potassico e sodico, umet- tati soltanto con acqua, e non nel caso della soluzione ordinaria, rende più probabile la decomposizione più profonda nel caso delle soluzioni più concentrate. Dei risultati ottenuti da Gray e anche da me (Atti Istituto Veneto, 1887, [6] V) nella elettrolisi di soluzioni concentrate dei solfati ramico, ferroso e zincico, con grandi densità di corrente hanno dimostrato che è possibile la semplice dissociazione della soluzione di un sale in modo da deporsi sull’anodo l’idrato cri- stallizzato più stabile, mentre per soluzioni più diluite non si avrebbe che la ordinaria decomposizione dei sali. Questi ed altri fatti, i quali, d’accordo con altri osservati in un ordine diverso di fenomeni da Planck (Wied. Ann. 34, p. 146, 1888) dimostrerebbero che il grado di decomposizione cresce colla concentrazione, valgono pure ad affermare che il numero degli ioni può variare col variare delle condizioni del mezzo, nel quale avviene la elettrolisi. La supposizione che il numero delli ioni sia variabile e di- penda essenzialmente dallo stato di maggiore o minore diluizione delle soluzioni degli elettroliti, mi sembra anche d’accordo coi risultati delle deduzioni teoriche e delle ricerche sperimentali, secondo i quali si tende ad ammettere che gli ioni, i quali si trovano separati sotto l’azione della corrente, esistano già nella soluzione allo stato libero, concetto che si trova sviluppato in una recente nota di W. Ostwald e W. Nernst (Zezts. f. Phis. Chem. 1889, p. 120). È bensì vero che, mentre il valore numerico di % diminuisce collo aumentare della diluizione, si ammette che cresca invece il numero delle molecole dissociate. Così si spiegherebbe perchè il valore di ?, calcolato con questa equazione, come anche quello dedotto cogli altri metodi, cresca col crescere della diluizione , anche se diminuisce %. Se le variazioni delle quantità % ed fossero tali che il numeratore della espressione di % si conser- vasse costante, 7 sarebbe costante. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 297 Dalla detta equazione poi si deduce che la soluzione ideale, secondo il van’t Hoff, per la quale é= 1, sarà quella per la quale X = 1, cioè le molecole saranno tutte non dissociate. Per i corpi non conduttori e per alcuni conduttori questa condizione si verifica colla concentrazione di 1 p. di sostanza per 100 p. di soluzione, Ma per molti altri ciò non sì verifica. Il coefficiente % per i composti binari non può assumere valori diversi da 2, finchè si suppone che, qualunque sia la concentrazione della soluzione la molecola loro abbia la costituzione data dalla formola chimica; per gli altri può assumere anche valori maggiori. Dalla equazione di Arrhenius si ha che per 4=2, i=14+<«, per k=3, i=14+ 2%, ecc. Si avrebbe quindi il modo di determinare il limite di concentrazione della soluzione di un elettrolito, per il quale è applicabile l’uno o l'altro valore di %, e ciò determi- nando la concentrazione per la quale il valore di % soddisfa ad una delle dette relazioni. Per i composti binari si può anche stabilire subito quale è la concentrazione per la quale tutte le molecole dovrebbero essere dissociate, poichè essa è quella per cui 4 = 1 e quindi 7 —%k=2. Ora le determinazioni di Raoult per la maggior parte di essi (HCI, HBr, HJ, Na CI, KJ, KBr) porterebbero alla conclusione che tale soluzione sia quella di una parte in peso di sostanza in 100 .p. d’acqua, mentre i calcoli dell’Arrhenius darebbero per alcuni di quei composti un valore di è sensibilmente minore di 2, per una soluzione molto più diluita. Sfortunatamente i metodi di determinazione del coefficiente # sono fondati sopra leggi e principî, i quali sperimentalmente non si verificano entro limiti abbastanza estesi di concentrazione e di temperatura per essere qui convenientemente applicati. Così le ultime determinazioni di Raoult sull’abbassamento del punto di congelazione dei solventi (Zeits. f. Phys. Chem., 1888 II, 489) dimostrano che la legge di Blagden e Riidorff non si verifica esattamente per tutte le concentrazioni. Quindi quella legge non si potrebbe prendere per base per dedurre l'abbassamento molecolare del punto di congelazione per qualunque concentrazione, e quindi pel calcolo di 7. Di più le recenti determinazioni di Arrhenius (ibid. 491) sullo stesso ab- bassamento nel punto di congelazione condurrebbero al risultato che il coefficiente 7, calcolato per mezzo di esso, per i corpi non conduttori aumenterebbe collo aumentare della concentrazione 298 STEFANO PAGLIANI della soluzione risultante, mentre per gli elettroliti diminuisce, essendo questo ultimo fatto d’accordo colla ipotesi della dissocia- zione. Invece l’espressione di van't Hoff è = richiederebbe È) che il coefficiente î cresca colla concentrazione in ogni caso, poichè i deve essere proporzionale allo abbassamento molecolare #, il quale sarà diverso se non si considera sempre la soluzione della molecola del sale in uno stesso volume di acqua. . E riguardo alle prime verificazioni dello Arrhenius si deve appunto notare che nel calcolare i dallo abbassamento moleco- lare egli si è servito dei dati di Raoult, che si riferiscono ad una concentrazione di circa 1 p. in peso di sostanza sciolta in 100 p. d'acqua, mentre per calcolare 7 dal coefficiente di con- ducibilità molecolare si è servito di valori di x i quali si rife- rivano a soluzioni molto più diluite (circa 1 gr. di sostanza per un litro di acqua). Quindi le concordanze fra i valori di è, cal- colati nei due modi, sono soltanto apparenti, come vedremo, non reali, perchè non si riferiscono a concentrazioni uguali. Le ul- time verificazioni pure di Arrhenius (ivi 1888, II, 495) dimo- strano che il rapporto fra il primo valore calcolato di ? ed il secondo in generale è tanto più grande quanto maggiore è la concentrazione. Difficoltà analoghe per un’ applicazione estesa presenta il me- todo di determinazione di i, mediante la diminuzione di tensione di vapore prodotta nei liquidi dalla soluzione di un corpo, nel quale si dovrebbe ammettere per ogni concentrazione sempre esatta la legge di Prinsep, la quale stabilisce che quella diminuzione di tensione sia indipendente dalla temperatura, mentre le espe- rienze di Tammann (Wiedemann’s Ann., 1885, 24), sui sali, hanno dimostrato che tale legge presenta delle eccezioni; di più si dovrebbe sempre poter trascurare la differenza tra il peso spe- cifico dell’acqua e quello della soluzione. Quanto al metodo di determinazione di ? mediante il coeffi- ciente isotonico, esso non può facilmente applicarsi al nostro SCOpo. Ritornerò in una seconda nota sopra i due primi metodi di determinazione del coefficiente i e sulle espressioni di questa quan- tità, che vi si riferiscono. Ora mi occuperò di un quarto metodo, che si potrebbe avere per la stessa determinazione. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 299 s. Equazione del van’t Hoff relativa al fenomeno della soluzione. — Questo metodo sarebbe fondato sopra una relazione fra la variazione della solubilità di un corpo colla temperatura ed il calore sviluppato allorchè una molecola del corpo si separa dalla sua soluzione, che è pure il calore assorbito nella soluzione della medesima quantità. A questa relazione il van’t Hoff giunse applicando all’equi- librio espresso dal simbolo: Corpo non sciolto YZ Corpo sciolto le leggi generali dell’equilibrio nelle soluzioni. Essa è rappresentata dalla equazione : 0 lognat. C Q i Rpg nen pigna cmq Abr Gbit nella quale C è la concentrazione della soluzione satura d’un corpo alla temperatura 7, @ la quantità di calore assorbita nella soluzione di una molecola del corpo, ed ? il detto coefficiente, pro- prio di questo corpo. Questa relazione indicherebbe inoltre come il segno della va- riazione termica che accompagna l’atto della soluzione determina ODE * quello della variazione della solubilità colla temperatura ( 37 ); quando si ha assorbimento di calore si dovrebbe avere aumento di solubilità nella soluzione, il contrario, quando si ha sviluppo di calore; se poi non si ha variazione di calore nella soluzione, vuol dire che la solubilità sarà costante. 4. Sua applicazione all’assorbimento dei gaz — Equazione di Kirchhoff. — Applicherò anzitutto quella relazione allo as- sorbimento dei gas nei liquidi, ed istituirò un confronto fra l’e- quazione (1) applicata ai gas, per i quali ammetteremo per ora, con van’t Hoff, = 1, ed un’altra equazione, che possiamo ri- cavare da una relazione, che il Kirchhoff già fin dal 1858 (Pogg. Ann. 103, p. 194), deduceva dai principii della Termodinamica per l'assorbimento dei gas nei liquidi, relazione che è rappresentata dall’equazione : 9ERT? © lognat. B.R dr -4 OT nella quale 9 è la quantità di calore assorbita nella soluzione di una quantità in peso 9 del gas nella unità di peso del li- 300 STEFANO PAGLIANI quido, R è la costante dello stato aeriforme per lo stesso gas, T è la temperatura assoluta, alla quale avviene la soluzione. J l'equivalente meccanico della caloria, { è il coefficiente di as- sorbimento espresso in unità di peso, cioè il peso di gas, che viene assorbito dall'unità di peso di liquido ad una pressione uguale all'unità ed alla temperatura 7°; quindi f. per le soluzioni acquose non è altro che il coefficiente d'assorbimento secondo la definizione del Bunsen, cioè il volume di gas, che viene assorbito dall’unità di volume di liquido nelle stesse condizioni di tempe- ratura e di pressione ridotto a 0° e 760"" di pressione. Se vogliamo riferire la quantità 9g alla molecola del gas fac- ciamo gq= M, peso molecolare del gas, e indicando con @ la quantità di calore sviluppata nella soluzione di una molecola del gas avremo : MRT® © lognat. f. R ; O i TR (2). Noi abbiamo così due espressioni del calore d’assorbimento di un gas, la (2), e quella che si deduce dalla (1), nella quale si faccia #= 1], cioè: 5 © lognat. C SITA 3). o=07° 22 (8) Ora posto uguale a 2 il peso della molecola dell'idrogeno, secondo la legge di Avogadro e quella dei volumi, il peso della d molecola di un altro gas perfetto sarà dato da M = 2 a cui d è la densità assoluta di esso e d' quella dell'idrogeno, nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione ; e se si indica con R' la costante dell'idrogeno si avrà MR =2R, ma R'=421, in Bi: M I s quindi “Pa 2. Adunque per i gas perfetti, per i quali ap- punto si ammette 2 = 1 ed è costante, le due equazioni con- durranno allo stesso valore di @. Quando però per particolari condizioni di pressione e di tem- peratura, oppure per lo stato di condensazione per assorbimento in un liquido, o di diffusione in un vapore, la molecola del gas in questione subisse una qualche modificazione, cosicchè il suo peso non fosse più quello, che si deduce dal valore della densità del gas nelle condizioni normali di temperatura e di pressione, ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 801 allora anche il valore di ? dovrà essere assunto diverso dall’u- nità, e quindi quelle due espressioni non possono dare più valori concordanti di @, se non si modificano convenientemente i valori di M e di ?. Anche qui si conferma che questi due valori stanno in intima relazione fra loro. Allo scopo di procedere in seguito al confronto dei risultati, che si ottengono mediante quelle due equazioni e nella supposizione di gas perfetti, con quelli ottenuti sperimentalmente, espongo qui sotto i risultati stessi coi dati, sui quali ho basato il calcolo di I BRA ri: [CEI cl 1A fatti sulla equazione (3); le piccole differenze, che si possono avere nel calcolo colle due equazioni, dipendendo soltanto dalle differenze fra i valori sperimentali e teorici delle densità gassose. essi. Indico con a il valore I calcoli sono stati Ammoniaca. — Per il calcolo di a mi son servito dei risul- tati di Roscoe e Dittmar. (Ann. Chem. u. Pharm., 1859, cxLu, p. 317). Abbiamo così: = peri f=s/Z08; Risulta : Q= 4600. Anidride solforosa. — Dai risultati di Sims (Ibid. 1861, CxYHI, p. 333), ho calcolato a = lo pert=20°; Risulta: Q=6400. Anidride carbonica. — Per questo gas il calcolo di @ dalla espressione (2) fu già fatto dal Riihlmann (Mech. Warmetheorie, I, 763) il quale trovò Q= 3350 per #= 18°. Colla (8) si trova Q= 3382. Idrogeno solforato. — Il valore di a ho dedotto per la tem - peratura di 20° dalla seguente espressione del coefficiente di as- sorbimento (Schoònfeld, Ann. Chem. u. Pharm., 1855, 95) c= 4,3706 — 0,083687#+ 0,0005213. Risulta : Q= 3739. Atti della R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 22 (2) 302 STEFANO PAGLIANI Cloro. — Il valore di a a 20° fu calcolato dall'espressione di Schònfeld (loc. cit.): c=3,0361 — 0,046196£# + 0,0001107 f°. Risulta: Q= 3548. Acido cloridrico. — Dai risultati di Roscoe e Dittmar (loc. . fraoli __ 0,005 30% cit.), si deduce: a= 721 a 5 quindi : O =L899, Azoto. — Il valore di a per t= 20° si deduce dalla espres- sione di Bunsen (Gasom. Meth. 1877): c= 0,020346 — 0,00053887£+ 0,000011156#*; quindi: Q=1142. Ossigeno. — Per questo gas abbiamo per a lo stesso valore che per l’azoto poichè, secondo Bunsen (loc. cit.), fra il coeffi- ciente di assorbimento dell’ossigeno e quello dell’azoto si avrebbe il rapporto costante 2,0225 per tutte le temperature. Quindi, per #= 20° risulta: O=1141/ Per le soluzioni alcooliche citerò un esempio solo: Idrogeno. — Il valore di a si deduce dall'espressione del Bunsen : c=0,06925 — 0,0001487£#+ 0,000001#?. Quindi risulta per il calore di soluzione dell’idrogeno nel- l’alcool: O=285. Accennerò ora brevemente alle condizioni del processo di as- sorbimento supposte dai due autori nello sviluppo delle loro formole. Il Kirchhoff dedusse la sua equazione dalla considerazione del ciclo di trasformazioni reversibile seguente (*). Supponiamo di tra- (*) Quanto all’obbiezione, mossa da Duhem, che la diffusione; che inter- ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VANT HOFF 308 sformare il liquido in vapore alla temperatura 7°, e di lasciar espandere il vapore formato a questa temperatura fino a che esso sì possa con sufficiente approssimazione considerare come un gas perfetto. Quindi mantenendo costante la temperatura e la pres- sione si portino a contatto fra loro il vapore e la quantità g di gas in un recipiente, la cui capacità sia uguale alla somma dei volumi dell’unità di peso del vapore e del peso del gas da scio- gliersi alla pressione attuale ed alla temperatura 7’, e si lascino diffondere il gas ed il vapore l'uno nell’altro. Compiuta la dif- fusione, si comprima, a temperatura costante, il miscuglio finchè il vapore sia ritornato completamente allo stato liquido e tutto il gas sia stato assorbito dal liquido. Il van’'t Hoff ha dedotto la sua relazione applicando la pro- prietà di un ciclo di trasformazioni reversibile alla diffusione che avviene a traverso a pareti semipermeabili fra due sistemi di corpi disciolti, di concentrazione diversa; nel nostro caso speciale si avrebbe una massa di gas, non disciolta, in presenza di una soluzione dello stesso gas, dalla quale per una variazione di tem- peratura si possa separare una certa quantità di gas oppure essere assorbita. Per i gas perfetti sembra adunque che le condizioni del fe- nomeno siano analoghe nei due processi considerati, che cioè per l'assorbimento del gas in un liquido una diminuzione di tempe- ratura nel solvente, produca lo stesso effetto di una corrispon- dente compressione di una mescolanza del medesimo gas col va- pore di quel liquido, quando nei due casi le masse dei due corpi siano quelle richieste dalle leggi di solubilità, e questo in modo generale qualunque sia la natura chimica del gas. Se ora per alcuni gas, per i quali fu determinato sperimen- talmente il calore di soluzione nell’acqua, si passa al confronto fra i risultati teorici, ottenuti con queste relazioni, e gli speri- mentali, vediamo che non vanno d’accordo. Già Kirchhoff aveva osservato questo per la sua equazione, calcolando per mezzo di essa il valore di 9 per l’ammoniaca e per l'anidride solforosa, e applicando la espressione del coefficiente di assorbimento data da Schonfeld; ma anche i calcoli da me fatti sui dati di Roscoe e viene nei cicli di trasformazione, applicati da Kirchhoff, van’t Hoff ed altri al fenomeno della soluzione, non sia un’operazione riversibile veggasi una nota di Gouy e (’haperon (Journ. Phys., 1889, p. 44). 304 i STEFANO PAGLIANI Dittmar e di Sims, condussero ad analoga conseguenza, e così quello fatto da Rihlmann per l'anidride carbonica. Parecchie sono le ragioni che si possono addurre per spiegare queste divergenze. Acciocchè si possano meglio discutere queste ragioni io riferirò nella seguente tabella nella 2° colonna il peso di gas g che si scioglie nell’unità di peso d’acqua alla temperatura considerata di 20°, nella 3° il numero » di molecole d’acqua corrispondente per ogni molecola di gas; nella 4° colonna i calori di soluzione calcolati colla (3), nella 5° il numero », delle molecole d’acqua in cui fu sciolta una molecola del sale nelle determinazioni del Thomsen, nella 6° i calori di soluzioni @, determinati dal Thom- sen, nella 7° la frazione del volume primitivo a cui si riduce il volume della massa gasosa nell’atto dell’assorbimento, per quei gas per i quali i valori di », sono più prossimi. MANO 00 LS P£E600 200 | 8430 3 202 | | | | 1 SO, | 0.104| 34.2! 6648 | 250| 7700) 33 | | | CO, |0.9318) 2.6 | 3382.) 1500 | 5880 | H,S | 2.905). :0.6.|:3739.|_900..|.. 4560 Gis: (1214565 1) 82h433 489] 1000 4870 | | | | 1 HOP ot 28 | 1199 | 300 I Tolo a Anzitutto è bene notare che questa divergenza può derivare in parte dalla differente concentrazione delle soluzioni, per le quali è stato calcolato @, e quelle per le quali è stato speri- mentalmente determinato. Come per i sali, l’influenza della massa del solvente deve farsi sentire, quantunque in molto minor grado, anche per i gas, ma ci mancano i dati sperimentali per stabilirla. “Noi vediamo però che la minor discordanza si ha per SO*, per il qual gas è anche relativamente minore la differenza fra n ed n). ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 305 Il Riihlmann (loc. cit.) si è pure occupato della divergenza fra la formola teorica del Kirchhoff e l’esperienza, ed ha riconosciuto già che il non potersi considerare i due gas H, N e ,S0, come gas perfetti nelle condizioni supposte dal Kirchhoff” non bastava a spie- gare quella divergenza. D'altronde vediamo come essa è presentata dal gas CO,, ed il confronto sopra stabilito dimostra che i gas SO,, H,, e CI,, i quali certamente si trovano nelle stesse con- dizioni di temperatura e di pressione in uno stato assai più lontano da quello di gas perfetto che non l’anidride carbonica, danno valori di @ assai più concordanti che non quest’ultimo gas. Lo stesso fatto dimostra pure insufficiente la spiegazione dedotta dalla considerazione che un miscuglio di gas e di vapore acqueo non si comporta come un miscuglio di gas di eguale natura. Più soddisfacente mi sembra invece quella che si deduce dalla considerazione che nella mescolanza di gas molto solubili col vapor d’acqua e nella compressione di essa si abbiano dei lavori mole- colari analoghi a quelli che accompagnano le combinazioni chi- miche, e dal fatto che in tale mescolanza si ha una diminuzione di volume ed una variazione di temperatura, della quale non è tenuto conto nella deduzione teorica della formola del Kirchhoff, come pure dello sviluppo di calore, che si deve avere nella com- pressione del miscuglio. Diffatti noi osserviamo che i gas, i quali presentano una minore divergenza, anche tra quelli più solubili, sono quelli che presentano una minore riduzione di volume. Quanto alle divergenze presentate dalla equazione di van’t Hoff, queste possono dipendere dal valore assunto per il coeffi- ciente 7. Noi abbiamo supposto fin quì, seguendo il van’t Hoff, che esso si possa mettere uguale all’unità. Ma la condizione perchè ciò si verifichi si è che i gas seguano la legge di Henry. Ora il van’t Hoff, mentre osserva che l’acido cloridrico non segue questa legge e quindi deve per esso assumersi un valore di è, diverso dall’unità, e più precisamente uguale a 2, come si deduce dallo abbassamento molecolare del punto di congelazione delle sue soluzioni, ammette però che la seguano anche l’idrogeno sol- forato, l’ammoniaca e l’anidride solforosa, per i quali il detto metodo darebbe ; = 1,03. Basta però consultare una discussione sui risultati delle esperienze di Roscoe e Dittmar e di Sims, già accennati, contenuta in una nota pubblicata dal Prof. NACCARI con me sull’assorbimento dei gas nei liquidi (2. Accad. delle Scienze di Torino, vol, XV, 1879), per convincersi che tale am- 306 STEFANO PAGLIANI missione non è conforme alla realtà, almeno per l’ammoniaca e l'anidride solforosa. Quindi anche per questi gas dovrebbe adot- tarsi un valore di 2 maggiore dell’unità. D'altronde per l’acido cloridrico anche adottando il valore 7 = 2, si avrebbe ancora un risultato molto differente da quello ottenuto sperimentalmente. Ma abbiamo già accennato sopra come per le sostanze che non sono indifferenti per il solvente il coefficiente 2 deve prendere valori diversi dall’unità, perchè allora si può ammettere che il peso molecolare della sostanza nella soluzione non corrisponda alla formola chimica, che ordinariamente viene attribuita alla sostanza stessa. Noi potremmo forse ottenere dalla (2) dei valori di @ più con- cordanti con quelli dati dall'esperienza, adottando un valore di IM conveniente, considerando che nella soluzione di un gas in un liquido, e sua conseguente condensazione, può avvenire una poli- merizzazione della molecola, oppure una combinazione di essa con una o più molecole di acqua. Così pure dalla equazione (1) va- riando convenientemente il valore di i in relazione col valore di M adottato per la (2). A dimostrare che nello assorbimento di un gas, della natura di quelli di cui ci siamo qui occupati, possa avvenire una qualche modificazione nella costituzione della molecola di esso, si possono addurre alcuni fatti, osservati da diversi sperimentatori. .Il gas cloridrico, quando è sciolto nell'acqua non può togliersi intera- mente da questa per mezzo di una corrente d’aria; quindi la distinzione fatta da qualcuno di una parte di esso piuttosto chi- micamente combinata, che fisicamente assorbita. Il Khanikoff e il Louguinine ed il Prof. Naccari con me in esperienze sopra l'anidride carbonica, ebbero occasione di osservare che quando l’acqua è stata saturata di gas sotto una data pressione, e si venga a diminuire questa , l’acqua resta soprasaturata di gas (Naccari e Pagliani, loc. cit.). E certo che la risoluzione della questione relativa alla diver- genza fra le formole teoriche di Kirchhoff e di van't Hoff ed i risultati dell'esperienza si avrà soltanto quando si abbiano dei dati sperimentali sul calore di soluzione dell’idrogeno, dell’ossi- geno e dell’azoto. d. Applicazione dell'equazione di van’t Hoff alla soluzione dei solidi. — Il van’t Hoff ha calcolato per mezzo della equa- ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 307 zione (1) il calore di soluzione per alcune sostanze fondandosi sui valori di i, dati dal metodo dello abbassamento del punto di congelazione, ma la concordanza fra i calori di soluzione così calcolati e quelli, misurati direttamente, non è sempre molto sod- disfacente e di più il numero di sostanze prese in esame ci sembra troppo limitato perchè si possa concludere sulla generalità della relazione in questione. Il van’t Hoff poi nella verifica fatta, ha confrontato i valori del calore di soluzione così calcolati con quelli trovati per solu- zioni, la cui concentrazione era in generale molto diversa da quella delle soluzioni sature nello intervallo di temperatura per il quale è dato il valore della variazione della solubilità appli- cato, senza tener conto che i calori di soluzione variano assai secondo il rapporto fra la quantità del solvente e quella del corpo sciolto. Si può verificare la relazione (3) del van’t Hoff in due modi. Nel primo modo si può calcolare il valore di 7 dato dall’espressione Q oglora ‘oe e vedere se questo valore così calcolato non varia col variare della temperatura; oppure, supponendo è costante colla tempe- ratura per una data concentrazione, come dovrebbe essere secondo la teoria di van’t Hoff, verificare l'equazione : Q _ ale T° Quo ca lecare nella quale @, e @ sono i calori di soluzione, riferiti alla mo- lecola, quando le proporzioni fra sale e acqua sono corrispondenti alla concentrazione che si considera, alle due temperature 7, e 77, 0,C e 0C rappresentano le variazioni della solubilità a quelle due temperature. Il primo modo ci permette di confroniare i valori di 7 così calcolati, con quelli dati dagli altri metodi. Il secondo modo ci permette di discutere subito sulle condi- zioni necessarie perchè la relazione del van’t Hoff sia applicabile. 308 STEFANO PAGLIANI Tm 2 ] Supponiamo 7, > 7, il rapporto Uol sarà maggiore dell’unità. Ora si debbono anzitutto distinguere due casì: 1° Il calore di soluzione del sale diminuisce collo aumen- tare della temperatura, come avviene per la maggior parte dei sali, nella soluzione dei quali si ha assorbimento di calore, al- Q o 10 Ù LA a lora &L — 1 e --_ deve essere minore dell’unità, secondo la re- Q d1C lazione in discorso, cioè 0,1 C<01C. 2° Il calore di soluzione cresce collo aumentare della tem- peratura, come avviene per la maggior parte dei sali, nella so- luzione dei quali si ha sviluppo di calore, allora di > le quindi 9 SSR 1 ; Mulo perchè si verifichi la detta relazione, può essere maggiore Ae DE _9l0 7? o minore dell’unità, purchè 5IO 7° riesca > l. In realtà se si considera come positivo il calore sviluppato nella soluzione e come negativo quello assorbito, se ne deduce che in valore numerico assoluto il calore di soluzione cresce in tutti i casi colla temperatura, ma preferiamo considerare la va- riazione relativa del calore di soluzione, prescindendo dal segno. Bisogna però subito notare come uno stesso sale può col va- riare della quantità di acqua, nella quale viene sciolta una quan- tità costante di esso, presentare l’uno o l’altro di questi casì, poichè il calore di soluzione non solo varia colla temperatura, ma anche colla concentrazione della soluzione risultante ed in generale diminuisce col crescere della concentrazione e può anche cambiare di segno, cosicchè se per un dato intervallo di tempe- ratura e per determinati limiti di concentrazioni la relazione (1) è verificata, può non esserlo per temperature diverse e per altre concentrazioni. In una nota, che presenterò prossimamente, applicherò le con - siderazioni ora fatte ad alcuni casi speciali, e poscia passerò a paragonare fra loro le diverse espressioni del coefficiente ? di van't Hoff. Torino, Marzo 1889. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. Tsr. REALE- PARAVIA. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZE del 10: e 24 Marzo 1889... 0... Pag. Lessona — Relazione sopra la Monografia del Prof, Dott. Federico Sacco, « Z Cheloni astiani del Piemonte». <«.. +00 + Apucco — Centro espiratorio ed espirazione forzata... . . . . pron GranpIS — Su certi cristalli che si trovano dentro il nucleo delle SOMMARIO eellule: nel ‘rene”e-npl fegato Late ER e i PagLiani — Sopra alcune deduzioni della teoria di J. H. vant't Hoff sull’equilibrio chimico nei sistemi disciolti allo stato diluito — Nota *primà@:t a a RARO EI RENE RO Torino - Tip. Reale-Paravia. -——— _———trt 3 293 È È AID EI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI-TORENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp, 11°, 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 309 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 7 Aprile 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: LESSONA, SALVADORI, BRUNO, BERRUTI, Slacci, Basso, D’Ovipio, BizzozerRo, FERRARIS, NACccARI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE. Si legge l’atto verbale dell'adunanza precedente che viene approvato. Tra le pubblicazioni offerte in dono all'Accademia sono se- gnalate le seguenti: « Un precursore italiano di Legendre e di Lobatschew- sky; » Nota del Socio Corrispondente Prof. Eugenio BELTRAMI, presentata dal Socio D’OvipIo. « Sui fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni; » Memoria del Socio Corrispondente Prof. Augusto RIGHI, presen- tata dal Socio Basso. « a) Chemische Analyse der Soolquelle in Admiralsgarten- Bad zu Berlin. — b) Chemische Analyse der K. Friedrich- Quelle ( Natron-Lition-Quelle) zu Offenbach am Main: » lavori del Socio Corrispondente Dott. N. FRESENIUS, presentati dal Socio Cossa. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se- guente : « Cenno sulla Nota del Prof. E. Beltrami: Un precursore italiano di Legendre e di Lobatschewsky; del Socio E. D’OvIpIO ; « Sulle tangenti triple di alcune superficie del sesto or- dine; » Nota del Dott. Mario PIERI, Assistente alla Scuola di Geometria proiettiva e descrittiva nella R. Università di Torino, presentata dal Socio D’OvipIo, Atti della R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 23 310 E. D’OVIDIO « Sopra alcune deduzioni della teoria di Van't Hoff sull'equilibrio dinamico mei sistemi disciolti allo stato di- luito; » seconda Nota del Prof. S. PAGLIANI, presentata dal Socio NACCARI; Il Socio CAMERANO legge una sua Memoria « Sui primi momenti dell’evoluzione dei Gordii; la quale verrà pubblicata nei volumi delle Memorie accademiche. Il Socio Siaccr legge una Commemorazione del compianto Presidente Prof. Senatore Angelo GeNoccHI, la quale verrà pure pubblicata nei volumi delle Memorie accademiche. LETTURE Cenno sulla Nota del Prof. E. Beltrami: « Un precursore italiano di Legendre e di Lobatschewsky » ; del Socio E. D’OvipIo Mi si permetta di richiamare l'attenzione della Classe sopra una Nota dell’illustre nostro Socio corrispondente, prof. E. BEL- TRAMI, intitolata: Un precursore italiano di Legendre e di Lo- batschewsky, ed inserita nei Rendiconti dell’Accademia dei Lincei (17 marzo 1889). Con l’aiuto del P. MancaNOTTI d. C. d. G. e del Prof. FAvARO, il BELTRAMI ha potuto procurarsi un’opera stampata a Milano nel 1733, dal titolo: EucLIDES ad omni nacvo vindicatus, sive conatus geometricus quo stabiliuntur prima ipsa universae Geo- metriae principia, Auctore HyeRonIMo SACCHERIO, Soczetate Jesu, in Ticinensi Universitute Matheseos Professore. Il SACCHERI era di San Remo, cominciò a insegnare in Pavia nel 1697, morì il 5 ottobre 17783 (lo stesso anno della pubblicazione della sua opera) a Milano, rettore del Collegio di Brera. « Una buona metà di quest'opera, dice il BELTRAMI, è de- dicata ad una critica veramente accurata e profonda del postu- lato (delle parallele) di EucLiDE, critica nella quale vengono messi in sodo alcuni dei principî più fondamentali dell’odierna teoria delle parallele, in quella stessa forma, può dirsi, in cui si potrebbero oggi enunciare da noi. Che se disgraziatamente CENNO SULLA NOTA DEL PROF. E, BELTRAMI S11 l’Autore finisce col concludere all’assoluta verità (di cui allora niuno dubitava) del famoso postulato, non bisogna fargliene so - verchio addebito; tanto più che la bonarietà colla quale egli si adopera, all’ultimo, a demolire tutto il proprio edifizio è di gran lunga superata dall’acume e dal retto senso geometrico di cui fa prova nell’innalzarlo »..... .... « Ecco il punto di partenza del SAccHERI, semplice e lim- pido quanto altro mai. Dalle due estremità A e B di una retta AB si conducano a questa, da una stessa parte, due eguali per- pendicolari AC, BD e si congiungano gli estremi C e D di queste colla retta CD. Gli angoli che questa congiungente fa colle per- pendicolari CA, DB sono necessariamente eguali, e non possono quindi essere amendue che retti, od ottusi, od acuti: nel primo caso la congiungente CD è eguale ad 45, nel secondo è minore di AB, nel terzo è maggiore di .4B; e viceversa. « Di questi tre casi, che l'Autore considera ab initio come egualmente possibili, egli chiama il primo /ypothesis anguli recti, il secondo hypothesis anguli obtusi, il terzo hypothesis anguli acuti; e dimostra subito che ciascuna di queste tre ipotesi st vel in uno casu sit vera, semper în omni casu illa sola est vera. Questa è già, come ognun vede, una proposizione molto simile a quella ben nota di LEGENDRE, salvo in quanto all’esten- sione sua, che è maggiore »..... «..... Spetta al nostro Autore la priorità del teorema, dato molto più tardi dal LEGENDRE, che la somma dei tre angoli di un triangolo non può superare due retti ». «nni Quest’angolo acuto, unico e determinato, è manifesta- mente quello stesso che LoBATscHEWSKI doveva poi qualificare come angolo di parallelismo: il P. SACCHERI era dunque pervenuto con tutte le cautele della classica Geometria, a stabilire netta- mente il concetto fondamentale di quest’angolo limite ». I pochi tratti che ho riportati della Nota del Prof. BELTRAMI, bastano per mostrare l’importanza di essa. Mi associo a lui nel far voti perchè l’egregio P. MANGANOTTI voglia con una pìù estesa pubblicazione far meglio conoscere ai contemporanei l’opera del SACCHERI, e render così un segnalato servigio alla storia della Scienza italiana. Intanto sian rese vive grazie al Prof. BELTRAMI pel graditissimo annunzio che ne ha dato ai cultori della Geometria. 312 MARIO PIERI Sulle tangenti triple di alcune superficie del sest’ordine Nota del Dott. MARIO PIERI Nella presente nota sono descritti sommariamente i caratteri di una certa trasformazione irrazionale (doppia) tra due spazi (*), e ne è fatta applicazione allo studio delle tangenti triple di alcune superficie del sesto ordine dotate di una retta quadrupla e di dieci o più punti doppi (**). Fra queste rechiamo ad es. la superficie col massimo numero finito di punti doppi, la quale offre delle analogie con la complexfliiche del Pliicker: i suoi quat- tordici punti doppi stanno (necessariamente) a coppie sopra sette piani passanti per la retta quadrupla e tangenti lungo rette alla superficie, e le sue tritangenti formano sessantaquattro rigate quadriche passanti ognuna per la retta singolare e per sette punti singolari. — Per via indiretta si giunge anche alla de- terminazione di alcune trasformazioni univoche involutorie di spazio (probabilmente nuove), che dànno, con le loro coppie di punti coniugati, un complesso quadratico speciale di rette. 1. Una quartica gobba e, di prima specie e cinque punti A +---4' posti in uno stesso piano Il e tali da formare, insieme coi punti comuni a questo piano ed alla curva, i nove punti base di un fascio di cubiche, determinano un sistema lineare oo? di superficie generali D', del terz’ordine. Due superficie ar- bitrarie di questo sistema si tagliano inoltre lungo una quintica variabile R', del genere 2, la quale si appoggia alla c', in otto punti variabili e passa per tutti i punti A' e tre superficie (*) Ci serviamo per questo dei principî generali contenuti nella memoria del Prof. R. pe PaoLIS sopra le trasformazioni doppie dello spazio (Memorie della R. Accademia dei Lincei, marzo 1885), della quale adottiamo anche il linguaggio. La citeremo brevemente con d. P. (**) Esse appartengono alla nota categoria delle superficie (razionali) di ordine » con una retta multipla secondo n—2. V. NòrHeRr, Ueber Flachen, velche Schaaren rationaler Curven besitzen. Math, Annal,, Bd, III. SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 318 arbitrarie si tagliano in due soli punti non comuni a tutte le superficie del sistema. Pertanto, se lo spazio S' generato dalle superficie ®' si riferisce proiettivamente ad uno spazio di piani S, tra i due spazi punteggiati S (spazio doppi0) ed S' (spazio sem- plice) verrà a stabilirsi una trasformazione doppia del terzo ordine e genere due (d. P., 1, 10) (*). Le degenerazioni possi- bili della quartica c', considerata in relazione col sistema lineare delle ®', ci daranno poi altrettante trasformazioni doppie di una medesima famiglia (**). 2. Alle rette dello spazio doppio ,S corrispondono nello spa- zio semplice ,S' le co* quintiche R°. (n. 1); ma in S vi è una retta fondamentale p, a cui corrisponde in ,S' tutto il piano Il’, per modo cioè che i punti della retta p danno le cubiche piane p' del fascio individuato dai cinque punti A' e dalla quartica c' (n. 1). Al fascio di piani, che ha per asse la retta p, cor- risponde il fascio di quadriche avente per base la curva c’,; ad ogni retta, che si appoggi in un punto alla p, corrisponde una conica, la quale incontra la cubica p' corrispondente al mede- simo in due punti variabili e la e in quattro punti variabili. — Tutte le superficie ®', che passano per un determinato punto di una qualunque cubica p' la contengono tutta, e formano una (*) In questa, come in qualunque altra trasformazione doppia del genere 2 data da superficie 2‘, razionali, sussiste il fatto, che le condizioni imposte alle ® dai passaggi per gli elementi base del sistema lineare non sono tutte indipendenti, ma una è conseguenza delle altre. (id può dimostrarsi osser- vando, che la stessa proprietà si verifica per tutte le reti di curve piane del genere 2, che trasformano un piano semplice in un piano doppio. Vedi p. es. MarTINETTI, Sopra una classe di sistemi lineari di curve piane algebriche, nei Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, marzo 1887 (pag. 1). (**) Oltre questa, vi sono altre due famiglie ben distinte di trasformazioni doppie del terz’ ordine e genere due. Nell’una la base del sistema lineare delle superficie & è constituita (nel caso più generale) da una retta e da una conica non aventi alcun punto in comune, e da sei punti posti sopra una superficie del second’ ordine passante per la conica, Nell’ altra le superficie ®, hanno un punto doppio fisso, una retta fissa passante per il medesimo, un’altra retta fissa arbitraria, e sette punti fissi giacenti con la prima sopra una stessa quadrica. — Però le involuzioni che nascono da ciascuna di queste due famiglie sono tutte conosciute, e appartengono alla classe di quelle studiate recentemente dal Prof. D. MonTEsANO nelle due Note sopra le trasformazioni involutorie dello spazio che determinano un complesso lineare di rette (Rendiconti della R. Accad, dei Lincei, marzo 1888). 314 MARIO PIERI rete non avente altri elementi base oltre la p' stessa e la c': onde ogni cubica p' è parassita, vale a dire tutta quanta con- giunta ad uno qualunque dei suoi punti. La superficie jacobiana delle ®' si spezza nel piano 0Ul' (d. P., 84) ed in una superficie Q' del settimo ordine, la quale passa pei punti A' e contiene la e’, come linea tripla (d. P., 37): questa è la superficie doppia della trasformazione. La superficie limite 2 è del sesto ordine, ed ha la p per retta quadrupla (d. P., 36). — Ciascuna delle due corde %',, #, di c',, che passano pel punto 4';), è del pari una linea parassita, appartiene alla superficie doppia, e corrisponde ad un punto fondamentale del- l’altro spazio, il quale è doppio per la superficie limite. Alle rette uscenti dal punto H;;, corrispondono in S'le quartiche di prima specie che hanno per corda la #'{, passano pei quattro punti A" (con s Z è) e incontrano la e, in sei punti variabili. 5. Ai piani dello spazio semplice corrispondono nell’ altro spazio le superficie ®, del quinto ordine che hanno la p per retta tripla, passano semplicemente pei dieci punti H, K e toc- cano altrove la superficie limite ovunque la incontrano (d. P., 11, 12, 33). Queste condizioni determinano il sistema co delle ®,. — Alle rette di S' corrispondono in S le cubiche gobbe R, che incontrano la retta p e toccano altrove la superficie Q, in sette punti variabili (d. P., 15, 16), — Una E, ed una 9, arbitrarie s'incontrano in dodici punti non fondamentali: onde (d. P., 17) la trasformazione involutoria J', generata dalle coppie di punti congiunti di 5°, è dell’undicesimo ordine. La O'. (superficie punteggiata unita dell’involuzione J') e la superficie limite O, sono punteggiate univocamente fra loro: le sezioni piane della seconda dànno sulla prima le intersezioni va- riabili di questa con le superficie D', e cioè curve del nono or- dine e genere 4 passanti pei punti A' e incontranti sedici volte la quartica e ; e le sezioni piane della prima danno sull’altra le linee di contatto di questa con le superficie ®, vale a dire curve del nono ordine e genere 3 passanti per i punti H, K e incontranti sette volte la retta p. 4. Alla curva fondamentale c', corrisponde nello spazio doppio una superficie rigata I, dell'ottavo grado e genere 1, le cui generatrici (corrispondenti ai singoli punti di c',) sono rette tri- tangenti la superficie limite: per essa la retta p è generatrice quadrupla e i punti #7, X sono punti doppi (appartenenti a una SULI.E TANGENTI TRIPLE, ECC. 315 sua curva nodale). Alle rette di /S" uscenti da un punto qua- lunque 7° di c', corrispondono in ,S quelle coniche, le quali si appoggiano in un punto variabile alla generatrice di I" data dal punto 7' ed alla retta fondamentale p, ed inoltre toccano la O, in quattro punti variabili. Ne viene che la curva c' è fon- damentale per la trasformazione involutoria J' e precisamente quintupla (d. P., 2), per tutte le superficie P',, congiunte ai piani di S' (n. 3), e che il luogo ad essa congiunto è una su- perficie del ventesimo ordine I",, (punteggiata univocamente alla T,), per cui la c' stessa è curva nonupla e le ’', 7' sono rette doppie. AI punto A, corrisponde nello spazio doppio un piano passante per p e tangente la O, lungo una retta (d. P., 21) che contiene i due punti doppi H,, £ (*): le rette di questo piano corrispondono ai punti dell’intorno di A 6 Ad ogni retta l passante pel punto A',, corrisponde in S° una conica, la quale tocca sei volte la superficie limite ed incontra quella retta di 2) che corrisponde al punto di /' infinitamente vicino ad A4',): onde si ha, che il punto A, è fondamentale per l’involuzione J' e precisamente doppio per tutte le superficie P',,; che esso è congiunto alla quadrica «',; che lo unisce a PE che la su- perficie I", ha un punto quadruplo in ciascun punto A'; ecc. Sono inoltre fondamentali per l’involuzione J' le dieci rette parassite %', %', semplici per tutte le P',. Oltre i punti e le linee fin qui considerate, la trasforma- zione doppia e la sua involuzione congiunta non hanno altri ele- menti fondamentali. — Le superficie congiunte a due piani ar- bitrarî di S' si tagliato secondo la quartica c' contata venticinque volte, secondo le rette /', %' e secondo una curva variabile R',, congiunta alla linea d’intersezione di quei due piani. Le curve (razionali) R',, hanno un nodo in ciascun punto A' e si appog- giano in venti punti variabili alla c' (formando per ciò appunto un sistema c0'). 5. Alle generatrici della rigata Ty corrispondono in S' le curve congiunte ai punti di c': se 7' è un punto di questa curva fondamentale, la sua curva congiunta è una quintica E-i che ha un punto triplo in 7", coi tre rami ivi tangenti alle tre (*) Ossia un piano doppio di Q 316 MARIO PIERI falde di Q'. (n. 2), incontra c' in altri cinque punti e passa per ciascun punto A'. Delle nove falde, con cui la superficie. I" passa per c (n. 4), tre sono rispettivamente tangenti lungo tutta questa curva alle tre falde della Q°. che si tagliano in essa. I punti infinitamente prossimi ad A) sono congiunti alle oc? coniche tagliate sulla quadrica «') (n. 4) dai piani pas- santi per 4',); la « e la Q' hanno nel punto A; lo stesso piano tangente (il piano delle due rette 7", #')- 6. Nello spazio semplice, ogni quadrica del fascio e' è con- giunta a sè medesima (n. 2), essendo congiunte fra loro le due schiere di rette in essa contenute. Due corde di c' sono congiunte l’una all'altra, se passano per un medesimo punto (non fonda- mentale) di 2'; e allora corrispondono entrambe ad una stessa retta dello spazio doppio, retta che si appoggia alla p e tocca Q in un punto. Viceversa ogni tangente di © che incontri la p ha per corrispondente in SS" una conica, la quale si spezza necessaria- mente (d. P., 4) in due corde di e segantisi in un punto di Q'. I quattro coni quadrici che passano per la quartica c' hanno i loro vertici sopra la l' e segano questa superficie in coppie di rette incidenti (*); onde per p passano quattro piani tangenti proprî di Q, ciascuno dei quali contiene due rette semplici di questa superficie (**), Una costruzione assai semplice dell’involuzione J' è la se- guente. Dato un punto qualunque U', si consideri la quadrica q che passa per esso e per c,, e siano #', y' le due genera- trici -di questa, che s’incrociano nel punto U'. Per il punto X', dove la retta x' taglia il piano Il', passa una certa cubica p' (n. 2), la quale incontra la conica determinata da X' e dai quattro punti comuni a Il' e a c' in un altro punto X, : allora quella generatrice di 9, che passa per X', ed incontra z' sarà la retta x, congiunta ad 4°. Nel modo stesso trovasi la retta y, con- (*) Su ciascuno di tali coni le coppie di generatrici congiunte formano un’involuzione avente queste due rette per elementi doppi. (**) Da ciò segue, che la superficie limite non ha altri punti doppi, oltrei punti #7, K. — V. p. e. SALMmon-FIEDLER, Analyt. Geom. d. Raumes, Dritte Aufl., pagg. 442-445. Similmente la superficie 2" nor ha punti doppi, nè possiede altre rette, oltre le dieci 4, #" e le otto qui rammentate. — La superficie Q° appartiene alla nota classe delle superficie razionali d’ordine 2n 4-1 con una quartica di prima specie n— pla. V. NòrHER, Ueber die eindeutigen Raum- trasformalionen. Math. Ann., Bd. III SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. Si7 giunta ad y'; e le due rette 2',, y', s'incontrano necessariamente nel punto U', congiunto ad U. 7. La linea, secondo cui un piano qualunque P' di S' è tagliato dalla propria superficie congiunta, spezzasi nella se- zione del piano stesso sopra la superficie doppia ed in due co- niche d' passanti pei punti comuni allo stesso piano e alla c',: ciascuna di queste due coniche è congiunta a sè medesima, e corrisponde ad una retta doppia per quella superficie ®,, che è data dal piano P' (d. P., 12). Le superficie ®., oltre alla retta tripla p (n. 3), hanno due rette doppie sghembe d incontranti la p e variabili da superficie a superficie (*). Se il piano P' ruota intorno ad una retta »', le due coniche suddette generano una superficie 2". del quinto ordine, luogo delle coppie di punti congiunti allineate sui punti della retta r'. Questa superficie passa per la r' e per la R',, congiunta alla medesima, contiene come doppia la quartica c' e come semplice i punti A': le corrisponde in S la quadrica £, determinata dalla retta p e dalla cubica £, corrispondente alla »'. Le superficie 2 date da due rette sghembe qualunque hanno a comune una curva )', del nono ordine e genere 4 (che in- contra sedici volte la c' e passa pei punti A'), luogo delle coppie di punti congiunti situate sui raggi di una congruenza lineare arbitraria: essa corrisponde ad una cubica gobba ), avente per corda la retta p. Dalla intersezione di due superficie =' date da rette incidenti si staccano (d. P., 41) le coniche d' appar- tenenti al piano di queste, e resta una curva È'. del genere 2. che passa per i punti A' e si appoggia otto volte alla c',: ad essa corrisponde in S una retta È, che non incontra la p. Ogni É. è il luogo delle coppie di punti congiunti allineati sopra un certo punto arbitrario di ,S' (il punto comune a quelle due rette incidenti); onde le rette, che uniscono a due a due i punti con- (*) Ogni superficie ®. possiede dieci rette, e cioè le quattro date dai punti di ce’ che stanno sul piano P”, e le sei corrispondenti alle rette che uniscono fra loro questi punti: quelle incontrano ambedue le rette doppie d, queste stanno in tre piani passanti per p. (V. CREMONA, Ueber die Abbildung alge- braischer Flichen, Math. Ann, , Bd. IV). — Si osservi la facilità, con cui si presentano sul piano P” i caratteri tutti della rappresentazione piana di una tal superficie. — Trasformando una quadrica di S’ passante pei cinque punti A’ si otterrebbe in S una superficie del quint’ordine con due rette doppie sghembe. 318 MARIO PIERI giunti dello spazio semplice, generano un complesso speciale del secondo grado, formato da tutti i raggi che incontrano la co- nica f' passante pei cinque punti A' (*). 8. Ad una retta tritangente O, deve corrispondere nello spazio semplice una E', con tre punti doppi sopra £' (d. P., 4). Ora, se i tre punti doppi si confondono in un unico punto triplo, questo dovrà appartenere a c', e la tritangente sarà una gene- ratrice della rigata T,; in caso diverso la ". corrispondente alla tangente tripla si spezzerà necessariamente in una retta ed una quartica (di seconda specie) oppure in una conica ed una cubica gobba congiunte fra loro. Se ne deduce, che le tangenti triple (proprie) della superficie limite sono tutte e sole le rette corrispondenti in primo luogo ai punti di c' (ovvero alle quin- tiche # congiunte ai medesimi), in secondo luogo alle rette che incontrano e’ e passano per uno qualunque dei punti A' (ovvero alle relative quartiche congiunte, le quali passano per quattro punti A' e incontrano sette volte c'), in terzo luogo alle co- niche passanti per due qualunque dei punti A' e incontranti tre volte la e' (ovvero alle cubiche gobbe passanti per tre punti A' e incontranti cinque volte la c'). Al cono 7), che proietta la quartica c' dal punto A» corrisponde nello spazio doppio una rigata 7, dell'ottavo grado e genere 1, contenente la p come generatrice quadrupla e i punti H, XK come punti doppi. Le coniche passanti per i due punti 4), A'n e appoggiantisi tre volte alla c' formano un sistema semplicemente infinito, avente lo stesso genere della curva c', ed occupano una superficie dell'ottavo ordine 7‘, per cui la c' è tripla, i punti 4‘,, 4" sono quadrupli, ed alla quale corrisponde pure una rigata 0,;, dell'ottavo grado e genere 1, avente la p per generatrice quadrupla ed i punti H, X per punti doppi. Abbiamo pertanto, che nella superficie ©; del sesto (*) Questa conica è dunque il luogo dei poli di tutte le involuzioni date dalle coppie di punti congiunti che stanno sulle coniche d’ — Una #4; è il luogo delle coppie di punti congiunti poste sui raggi di un complesso lineare speciale; una superficie qualunque del fascio determinato da due 2’ arbitrarie è il luogo delle coppie di punti congiunti poste sui raggi di un complesso lineare non speciale, e corrisponde ad una quadrica del fascio individuato da due E, arbitrarie; ecc. ecc. — I coni quadrici, che proiettano dai varî punti di c” le quintiche congiunte ai medesimi (n, 5), formano una congruenza dell'ottavo grado: e i raggi principali di 8° un sistema (doppiamente infinito) del quarto ordine e sesta classe (d. P., 45). SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 319 ordine con una retta quadrupla e dieci punti doppi, posti due a due su cinque piani doppi passanti per questa retta, le tritangenti proprie formano sedici rigate ellittiche dell'ottavo grado contenenti la retta stessa come quadrupla ed i punti stessi come doppi. 9. Col sussidio della nota rappresentazione piana delle super- ficie del sesto ordine dotate di una retta quadrupla, non è diffi- cile dimostrare che, viceversa: « ogni superficie del sest'ordine con una retta quadrupla e dieci punti doppi, posti a coppie sopra cinque piani passanti per questa retta, può sempre ot- tenersi come superficie limite di una certa trasformazione doppia, della specie considerata. » Infatti è noto, che ogni superficie del sesto ordine dotata di una retta quadrupla può esser rappresentata punto per punto sopra un piano P mediante un sistema lineare co? di sestiche aventi un punto quadruplo 0 e quattordici punti semplici fissi TIRI pron ..... 14; che per ogni punto doppio esistente sulla superficie, due di questi quattordici punti vengono ad allinearsi con 0; che la retta quadrupla della superficie è rappresentata sul piano P dalla curva del quint’ordine avente un punto triplo in 0 e passante semplicemente per ciascuno degli altri punti fondamentali (*), ecc. Se inoltre un piano passante per la retta quadrupla contiene due punti doppi della superficie, è chiaro che vi saranno sul piano P due punti fondamentali allineati con 0 e infinitamente vicini fra loro (e reciprocamente). Data pertanto una superficie arbitraria del sesto ordine, che chiameremo ©, con una retta quadrupla p e dieci punti doppi H, XK, situati a coppie in cinque piani « passanti per p, se la supponiamo rappresentata univo- camente sul piano P, le sue sezioni piane avranno per imma- gini le sestiche: [04 04,4 40, 2 14,...,514,6,7,8,9, dove i punti fondamentali 0, 1, 2, ..... , 9 sono in posizione generale, e i punti 10, 11, ....., 14 sono infinitamente vicini SEDI LI 2 oto. , 5 nella direzione del punto 0. La retta quadrupla p avrà per immagine la quintica: 0°03,110,244,.. ,514,6,7,8,9, (*) NÒTHER, loc. cit., pagg. 1835-86. 320 MARIO PIERI e i due punti doppi H;, Ky (6=1, 2, ....., 5), appartenenti ad uno stesso piano doppio «,, della superficie, saranno rappre- sentati l’uno dall’intorno del punto fondamentale ?, l’altro dalla retta 07. Infine, la retta di contatto del piano «;, con la su- perficie sarà rappresentata dal complesso di tutte le direzioni uscenti dal punto è e infinitamente prossime alla direzione 04. Draft pianti MOSSUEZIA IAA , 9, possono anche riguardarsi come punti fondamentali della rappresentazione univoca, sullo stesso piano P, di una certa superficie razionale del settimo ordine, che chiameremo £', dotata di una quartica di prima specie tripla c'. Le sezioni piane di quest ‘altra superficie hanno per imagini delle quintiche: I?03,4,2,...9, e la quartica tripla una curva del nono ordine: To, 1,o 9 (9). Il punto 9+% infinitamente vicino al punto è sulla retta 0 è panmsala,) un punto A',, comune a due rette 7", 4% della superficie Q2': ed i cinque punti A' così determinati giacciono nello stesso piano Il', la cui sezione è rappresentata in @?. Ciò posto, poichè il luogo formato da una qualunque delle curve C° presa insieme con la curva fissa 7° rappresenta l’in- tersezione totale della superficie £' con una certa superficie del terz’ordine passante per la quartica c' e pei punti A', dovrà esi- stere un sistema lineare co? di superficie ®', passanti per la curva c', e pei punti A. Allora, considerando le due superficie Q ed Q' come appartenenti a due spazî distinti S ed S', e fa- cendo corrispondere tra loro quei piani di S e quelle ®', di S', che tagliano rispettivamente Q ed £' secondo linee ni la stessa rappresentazione su P, verremo a stabilire tra gli spazi S ed S' una trasformazione doppia della specie considerata ai numeri precedenti; e questa trasformazione avrà per superficie doppia la £' stessa, perchè esiste una sola superficie del settimo ordine avente la e, per curva tripla e passante per le dieci rette #', %' (**). Inoltre, poichè ai piani di S passanti per uno (*) NOTHER, loc. cit., pag. 570. (**) Se una data quartica di prima specie deve esser tripla per una super- SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 321 stesso punto di Q corrispondono le superficie D' passanti per uno stesso punto di 0' (e viceversa), alla superficie 0' dello spazio semplice dovrà corrispondere nell’altro spazio la superficie ©: onde questa sarà la superficie limite della trasformazione. 10. Il teorema suddetto permette di enunciare in generale tutte le proprietà della superficie limite 0,. Potremo così affer- mare in modo assoluto che (n. 8): « Le tritangenti (proprie) della superficie del sesto ordine (e classe sedici) dotata di una retta quadrupla e di dieci punti doppi, posti a coppie su cinque piani doppi passanti per la me- desima, formano sedici rigate ellittiche dell'ottavo grado conte- nenti quella retta come quadrupla e quei punti come doppi. » — Nei numeri seguenti sono accennati i casi particolari più no- tevoli della trasformazione doppia studiata precedentemente : essi conducono a superficie limiti aventi un maggior numero di punti e di piani doppi, e che possono riguardarsi come casi partico- lari della precedente. I ragionamenti fatti al n. 9 subiscono qualche lieve modificazione, che non staremo a rilevare per brevità, ma non cessano di valere sostanzialmente anche in ciascuno di questi singoli casi; cosicchè di ogni superficie del sesto ordine, avente le medesime singolarità (retta quadrupla, punti e piani doppi) della superficie Q data da una qualunque delle trasformazioni speciali che otterremo, si potrà egualmente affermare che essa sia la superficie limite di una trasformazione doppia della me- desima specie di quest’ultima: e quindi le proprietà di ciascuna di tali superficie potranno esser subito enunciate in generale. 11. La c;, (n. 1) può spezzarsi in una cubica gobba c;' ed in una retta c,', che incontra c;' in due punti M', N': le R', si appoggiano alla cz in sei e alla c,' in due punti variabili. I punti M', N' sono quadrupli per la superficie doppia e corrispondono a due punti doppi M, N della superficie limite, per ciascuno dei quali passano due rette (distinte) della medesima. — La superficie I°, del caso generale si spezza in una rigata quadrica T', passante per la retta p e per i sette punti X, M, N, ed in una rigata razionale I°, contenente la p come generatrice tripla, i punti H come doppi e i punti X, MM, N come semplici. In ficie del settimo ordine, l’equazione di questa non conterrà più che quindici costanti (lineari) arbitrarie. Ma per una tal superficie il contenere anche una coppia di corde incidenti della quartica tripla equivale a tre condizioni lineari. 322 MARIO PIERI modo analogo si comporta ciascuna delle superficie 73 e oz: e propriamente la 7, si spezza in una rigata quadrica passante per la retta p e pei sette punti K,,, H, (con =), M, N, ed in una rigata razionale del sesto grado contenente la p come generatrice tripla, i sette punti XK), H) M, N come semplici ed i rimanenti cinque H,. Km come doppi; mentre la 7, si spezza in una rigata quadrica passante per p e pei sette punti H); Ho: K,) (con s = è, 1), M, Ned in una rigata razionale del sesto grado avente la p per generatrice tripla, i sette punti stessi come punti semplici e i rimanenti cinque X,); K. H come doppi. Avremo dunque, per ciò che è stato detto al n. precedente, che: « Sulla superficie del sesto ordine (e classe dodici) dotata di una retta quadrupla p, di dieci punti doppi posti a coppie su cinque piani doppi passanti per la medesima, e di altri due punti doppi qualunque M, N, i primi possono essere ag- gruppati in sedici quintuple situate su altrettante rigate qua- driche passanti per questi ultimi e per la retta singolare (*) e formate di tangenti triple della superficie. Le altre tangenti triple si distribuiscono in sedici rigate razionali del sesto grado, ciascuna delle quali contiene la retta p stessa come generatrice tripla, passa pei punti M, N e per i punti di una delle sedici quintuple, ed ha come doppi i punti della quin- tupla complementare. » — 12. La c, può spezzarsi in due coniche e,’ aventi a comune due punti M', N': questi saranno allora quadrupli per la su- perficie Q.', la quale conterrà anche la retta M'N'. I punti M, N, come sul caso precedente, sono doppi per la superficie limite, la quale però acquista ora anche un nuovo piano doppio, che contiene ambedue questi punti e corrisponde ai piani (con- giunti fra loro) di quelle due coniche. Oltre le rette di contatto dei sei piani doppi (di cui l’ultima corrisponde alla retta M'N') la superficie O, possiede due coppie di rette incidenti, date dai due coni quadrici passanti per ambedue le coniche c' (n. 5). La rigata T spezzasi in due rigate (razionali) del quarto grado contenenti la p come generatrice doppia e passanti per i dodici punti H, X, MM, N. Lo stesso avviene di ciascuna delle rigate 7 e c. Pertanto: (*) Due punti d’una stessa quintupla non giacciono mai in un piano con la retta singolare, SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 323 « Le tritangenti della superficie del sesto ordine dotata di una retta quadrupla e di dodici punti doppi posti a due a due sopra sei piani doppi passanti per la medesima, for- mano trentadue rigate del quarto grado, ciascuna delle quali contiene quella retta come generatrice doppia e passa per quei punti. » (*). 13. La c, può spezzarsi in una conica e) ed in due rette e aventi a comune un punto L' e incontranti la conica rispet- tiva nei punti MM', N': ciascuna di queste rette è incontrata dalle R;' in due punti variabili. L'attuale superficie doppia acquista, su quella del caso precedente, un nuovo punto quadruplo L', e la superficie limite un nuovo punto doppio ZL, pel quale passano due rette distinte della medesima. Di più una delle due rigate I, del n. precedente si spezza ora in due rigate qua- driche contenenti la retta p e il punto L e passanti l’una per i sei punti H, M, l’altra per i sei punti X, N. Lo stesso avviene per una delle due rigate 7,, e per una delle due <{;,;. Talchè : « Nella superficie del sesto ordine (e classe dieci) che ha una retta quadrupla p, dodici punti doppi situati a coppie sopra sei piani doppi passanti per questa retta ed un tredi- cesimo punto doppio L, quei dodici punti doppi possono essere distribuiti in trentadue sestuple poste sopra altrettante rigate quadriche passanti per p e per L e composte di rette tritangenti la superficie (**). Le altre tangenti triple di questa formano sedici rigate del quarto grado contenenti la p come genera- trice doppia e passanti per quei dodici punti. » 14. La ce, si spezza in quattro rette formanti un quadvila- tero sghembo. Le due coppie di piani passanti per questo qua- drilatero sono coppie di piani congiunti fra loro e corrispondono a due piani doppi di Q: le due coppie di vertici opposti M' ed N', L' ed I' corrispondono a due coppie di punti doppi di Q. I punti M', N', L', I', sono quadrupli e le rette M'N', L'J' sono semplici per 2'. Tanto la rigata Ty, quanto ognuna delle oz e tg del caso generale, si spezza ora in quattro rigate qua- (*) La medesima superficie si può anche ottenere come superficie limite nella prima fra le due trasformazioni doppie accennate al n. 4 (in nota). (**) Due punti di una medesima sestupla non giacciono mai in un piano con la retta p. 324 MARIO PIERI driche passanti ciascuna per la retta singolare e per sette dei quattordici punti singolari, ecc. « Nella superficie del sesto ordine (e ottava classe) do- tata di una retta quadrupla e di quattordici punti doppi posti a due a due sopra sette piani doppi passanti per questa retta, i punti doppi possono distribuirsi in sessantaquattro settuple contenute in altrettante rigate quadriche passanti per la mede- sima (*). Tali rigate quadriche compongono l’intero sistema delle tangenti triple di questa superficie. » — Altre possibili degenerazioni della quartica e' restano ancora ad esaminarsi, nelle quali comparisce una cubica piana ed una retta ad essa incidente. Le trasformazioni di questo nuovo gruppo (alcune delle quali date da superficie ®;" aventi un punto doppio fisso) si scostano però alquanto dal tipo precedente; e le superficie limiti da esse fornite saranno oggetto di uno studio a parte. Torino, Marzo 1889. (*) Due punti di una medesima settupla non sono mai in un piano con la retta singolare. — La stessa superficie si otterrebbe pure dalla seconda delle due trasformazioni indicate al n.1. 325 Sopra alcune deduzioni della teoria di van’t Hoff sull'equilibrio chimico nei sistemi disciolti alla stato diluito; Nota seconda del Prof. Stefano PAGLIANI 1. Le determinazioni, che servono meglio a stabilire la rela- zione fra la solubilità dei sali e la temperatura sono quelle, sulle quali Nordenskiòld (Pogg. Ann. 1869, cxxxvi 309) ha basato il calcolo delle espressioni logaritmiche della solubilità di alcuni sali, e di queste mi sono servito (*). Quanto ai calori di soluzione ho applicato specialmente quelli trovati da Winkelmann (Pogg. Ann. 1873. 149, 22), da Pickering (Trans. Chem. Soc. 1887, 52, 290), e da Tilden (Proc. Eoy. Soc. 1884-85. 38. 401). Riguardo ai valori di Winkelmann debbo far notare che nella loro determinazione è stato adottato per calore specifico della soluzione un valore dedotto indiretta- mente dalla misura dello abbassamento di temperatura prodotto dalla soluzione del sale nell’ acqua e ammettendo che il calore di soluzione varii poco colla temperatura, ciò che non è gene- ralmente. Perciò nei miei calcoli mi sono servito dei valori del calore di soluzione dedotti direttamente dai dati sperimentali, non di quelli che si calcolano dalle formole di interpolazione, pro- poste dall’autore. Riguardo ai valori del Pickering non ho adottato quelli che egli dà come definitivi nelle tabelle, dove le tempe- rature sono date a intervalli di un grado, presentando essi molte irregolarità, ma ho calcolato i valori medii dei calori di solu- zione risultanti dai dati diretti delle sue esperienze, li ho costruiti graficamente, e per quelli, per cui fu possibile, ho calcolato una formola di interpolazione della forna Q=@4+bt+ et (vedasi l'annotazione in fine di questa nota). (*) Ancora recentemente EnceL (Ann. Chim. Phys. [6], 13, 132, 1888) fa- ceva osservare come le determinazioni più esatte della solubilità dei sali a diverse temperature sono quelle del Gay-Lussac, poi verrebbero quelle di von MuLpER, indi di KrEMER e finalmente di PoGGIALE, Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 24 326 STEFANO PAGLIANI Per la variazione della solubilità dei sali colla temperatura abbiamo, come ho detto, delle espressioni logaritmiche, general- mente della forma: log S=—-a+bt—ct° , nella quale S è la quantità di sale che si scioglie nell’unità di peso di acqua alla temperatura #. Quindi si deduce i . dl to Ora, stando alla relazione (1) del van't Hof — = 1 quando si ha assorbimento di calore nella soluzione n deve essere positivo; quando si ha sviluppo, deve essere negativo. Dalla espressione di ricaviamo che il limite di temperatura, fino al quale d/C sarà positivo è dato dalla eguaglianza b—2ct=0, quindi tas . Se questa temperatura è più alta del limite su- c periore delle temperature, per le quali la equazione di solubilità data è valevole, allora vuol dire che per questo intervallo di temperatura la relazione di van’t Hoff deve verificarsi, almeno per le soluzioni di concentrazione , corrispondente alla composizione delle soluzioni sature alle temperature, a cui si riferisce la equa- zione di solubilità; se quella temperatura limite è inferiore, ciò significa che per tutto il detto intervallo di temperatura, se la temperatura limite è inferiore alla minima, che vi corrisponde, oppure per una frazione soltanto di esso, se quella è inferiore soltanto alla massima, la relazione di van'tHoff non si verifica, almeno per le corrispondenti concentrazioni. Solfato potassico. — L'espressione logaritmica, calcolata da Nordenski6ld sopra dati di esperienze proprie, e per i limiti di temperatura 0° a 100° è la seguente : log.S=— 1,10614-0,008117#—0,00003245 £° dalla quale si calcola la temperatura limite #=125°; quindi la relazione del van't Hoff dovrebbe verificarsi fino alla tempera- tura di 125°, per le concentrazioni comprese fra 0,078 e 0,24 di sale per 1 di acqua. ALCUNE DEDUZIONI DEI.LA TEORIA DI J. H. VAN’'T HOFF 327 I dati del Tilden ci permettono di verificare la equazione (1) per una concentrazione compresa fra quei limiti. Egli ha de- terminato il calore di soluzione a diverse temperature di una molecola di sale in 100 molecole d’acqua, ciò che corrisponde ad una concentrazione di 1 di sale per 10, 26 di acqua. Qui appresso riporto i risultati delle determinazioni del Tilden ed i valori calcolati di & : #—152 Q=5338 7=1,96 i 299,8: > Q=5199, “= L95 t—37°,15, Q@=4886 . #=1,93 b— 4580661 Q=4730, vi = 1:95 si vede come la relazione del van’t Hoff è verificata in modo assai soddisfacente. Dai dati di Raoult (1 di sale per 100 di acqua) si ottiene #= 2.11. Secondo Arrhenius #= 2.33 (1 di sale per 1000 di acqua). Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (Zeit. f. Phys. Chem. 1888, II, 427 e 1889, III, 109) si deduce per una concentra- zione di 1 di sale per 28,7 di acqua 7 =1.95. Sul calore di soluzione del solfato potassico abbiamo ancora i dati del Pickering. La concentrazione relativa però è di 1 di sale per 45 di acqua. Da essi ho calcolato l’espressione : Q=8376—119.60#+1.0474#?. Riporto nella tabella seguente i valori trovati ed i calcolati : @ 7 trovato calcolato 199,92 | 6406 6410. 16,93 | 6666 6652 14,94 | 6834 6821 13,35 | 6914 6912 11,98 | 7092 7093 10,01 | 7299 7284 6,97 | 7589 7593 4,16 | 7864 7897 3,02 | 8024 8024 328 STEFANO PAGLIANI Come si vede l'equazione calcolata rappresenta abbastanza bene i dati della esperienza. Ho calcolato poi per le temperature 3°, 10°, 20° i valori di @ e di < ed ottenni i seguenti valori: t=:3 Q= 8376 i=2,82 i=498 Q=7285 r=2,64 i = Q= 6404 ix Il valore di ? così calcolato diminuirebbe adunque col cre- scere della temperatura. La relazione del van't Hoff quindi non si verifica per la concentrazione di 1 p. di sale per 45 di acqua. Il confronto fra i valori di 7, calcolati secondo i risultati di Tilden e di Pickering, ad una stessa temperatura darebbe che è diminuisce col crescere della concentrazione, così ì pure quello fra gli altri valori di +. Riguardo al solfato potassico aggiungerò che il risultato, al quale si è arrivati, calcolando la temperatura limite, fino alla quale può verificarsi la relazione del van't Hoff viene in certo modo confermato dalle determinazioni di Etard (Zect. f. Phys. Chem., 1888 p. 4833) sulla variazione della solubilità del solfato po— tassico a temperature superiori a 100°. Egli trova che a co- minciare dalla temperatura di 163° fino a quella di 220° non si ha variazione nella solubilità del sale, quindi d log C=0. Se si considera che la temperatura di 125° fu calcolata mediante le costanti di una espressione valevole soltanto fra 0° e 100°, si vede come i due risultati non sono molto discordanti. Nitrato di sodio. — L'espressione logaritmica della solubilità calcolata dal Nordenskiòld sopra i risultati delle proprie espe- rienze per l'intervallo di temperatura 0° a 120° è la seguente: log.S=—0,1364+0,003892#—0,0000003#? . Da essa si calcola una temperatura limite superiore a 120°. Quindi fra 0° e 120°, almeno per le concentrazioni comprese fra 0,75 e 2,114 p. di sale per 1 di acqua, deve verificarsi un d, log C Q dlog ( dovrebbe pure essere =! > 1. Invece le determinazioni di Win- assorbimento di calore nella soluzione e siccome kelmann e di Tilden dimostrano bensì che nella soluzione del ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 329 nitrato di sodio si ha assorbimento di calore nella soluzione, ma risulterebbe dl. Bisogna però subito notare che le concen- trazioni delle soluzioni risultanti, da essi studiate, sono inferiori a quella che corrisponde alla soluzione satura del sale a 0°, Le soluzioni studiate da Winkelmann hanno una concentra- zione variabile fra 0,03 e 0,70 di sale per 1 di acqua. Nella tabella seguente P è il peso di acqua, nella quale veniva sciolta l’unità di peso del sale, #, #,, #,, #, sono le temperature, alle quali corrispondono i calori di soluzione Q,, @,; @. @,» re- lativi alla diluizione P, ma riferiti alla molecola del sale, ‘e dedotti direttamente dai dati sperimentali del Winkelmann; ? ’ î, %, è, sono i valori calcolati di < rispettivi. i £ | î, | Qta | ||| & || | i, |Q|% 26.8 41. 49|5200]3. 84| 28. 12/5126|3. vi _ — | — | 56. 46/4215] 2. 18 Il 20.8 2. 58|5125/3. 77] 28. 39/4593/2. 83] — — | — | 52. 26|[4121| 2.419 17.8 2.63|5064/3. 74] 28. 21|4546/2. 80] — — | — | 54.35|4059| 2. 413 441.9 3. 53|4877|3. 56] 28. 35|4422/2. 73] — — | — | 52 65|4094| 2.17 8.8 4. 93|4642/3. 37] 27.23|4282|[2. 66| — — | — | 52.06/3972| 2.11 6.0 7.341/4337|3. 08] 27. 89|4091|2. 52) — — | — | 54. 34/3876] 2. 02 b.2 8. 61|4194/2. 95| 28. 00[3988|2. 47| — |— |-— | 56.24|3811|1.97 4.0 — |—T— | — | 18.82[3859[2 54| 35.81|3790|2. 23| 55.09|3677| 1.92 3.196], — — | — | 19. 45[3687|2. 41] 35. 59|3659/2. 15] 56 46|3563| 1.84 2.496] — |— | — | 28. 75/3495|2 50] 40. 03|3458|1. 98| 57. 53|3427|1.77 2.001f — {—{|— { 30.50|3288/2.001 — |—-]|—.{ 5595/3304] 4.79 1.6671 — |-!—-{| — [—-1I—- | 33.21/3175/1.90| 54.57|3289] 1.70 (TESA [n ES — | _ | —_ | — | 32. ui pes 1.82) 58. 92/3118] 1.59 Come si vede la relazione del van’t Hoff non si verifica colle soluzioni di Winkelmann, ma ciò può dipendere da che le con- centrazioni corrispondenti sono inferiori a quelle delle soluzioni sature di nitrato sodico fra 0° e 120°, poichè a misura che la concentrazione della soluzione sì avvicina a quella che corrisponde alla soluzione satura a 0°, le differenze fra i valori di ? alle diverse temperature si fanno sempre minori, Di più si vede come 330 STEFANO PAGLIANI col variare della concentrazione può mutare il senso nel quale varia il calore di soluzione colla temperatura; mentre per solu- zioni di concentrazione minore che quella di 1 di sale per 2 di acqua si ha: 21, per concentrazioni maggiori si ha da b, quindi ci avviciniamo alla condizione richiesta dalla equazione (1), per cui è probabile che per concentrazioni comprese fra 0,73 e 2,11 di sale per 1 di acqua e fra 0° e 120° si verifichi detta equazione. Ciò si vede anche meglio dalla seguente tabella, nella quale le lettere P, #, @, cogli indici relativi hanno lo stesso significato che nella precedente, ed accanto ai valori del rap- 2 porto a si sono messi i valori rispettivi del rapporto RO ; che chiamerò X. I t; € KA Ud a Kid @ K. LA K d, a LE 1 | ds 28. 12/0. 91]1.20] — |— | — | 56. 46/0. 84|1.43/0.82| 1.19 28.39/0. 90|1. 19] — | — | — | 52. 26/0. S0JI. 38[0. 80] 1. 16 28. 21|0.90|1.19f — | — | — | 54. 35/0. 80|1. 40|0. 89| 1.17 28. 35/0. 91|1.18| — — | — | 52.65]0. 84/1. 38/0, 92] 1. 16 27.23|0. 92/1. 16| — — | — | 52.06/0. S6|1. 36/0. 92] 1.17 27.89[0.94/1.45|] — |— | — | 54.34/0 89I1. 36/0. 94] 1.18 28. 00|0.95]1.44 — | — | — | 56-21/0.91|1. 36[0.97|1-19 48.82 — | — | 35.81/0,98|1.12| 55 09/0. 95|1. 26/0. 97| 1.12 3.196] — | 19.45] — | — | 55 5900. 99/1.11| 56. 46/0. 97|1. 26|0. 971.13 2. 496 — | 28.75] — | — | 40.03/0. 99|1. 07] 57. 53/0. 98/1. 19|0. 99] 1.44 2.00 —_ — |—T—-|— | 30.50) — | — | 55.95] — | — |[1.05|]1.17 1607 lg — {—- | — | 33.21| — | — | 54 57| — |— [1 02|1.14 1 327 sa Ze 32.17) — | — 5892] — | — 1001008 Si vede che il valore del rapporto fra i calori di soluzione a due temperature date cresce col crescere della concentrazione cioè a misura che ci avviciniamo a quella concentrazione , ché corrisponde alla soluzione satura a 0°, e tende verso il valore ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 381 proprio del rapporto fra le variazioni della solubilità per le stesse due temperature. Confermano la conclusione relativa al valore di ; anche al- cuni risultati delle esperienze del Person (Ann. Ohim. Phys. 1851 [3].33). P' nfi t Q i 20 29°. 8 |. 4733 3. 04 10 90. 1) 4464 2.91 5 929.7 | 3999 2. 55 Questi valori vanno sufficientemente d'accordo con quelli cal- colati dai dati del Winkelmann. Non vi si accordano invece quelli che si deducono dai dati del Tilden. La soluzione da lui stu- diata corrisponde ad una concentrazione di 2,15 di acqua per 1 di sale, ed abbiamo : t=16°. 17 q=4786 i=2 09 :— 54.61 q=4255- i=2.28 I 9 — 0,89 ELIA, q dog 97 cato Dai dati di Raoult (1 di sale per 100 di acqua) si calcola i=1,82; secondo Arrhenius (1 per 1000 di acqua): #=1,82. Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (1 di sale per 90,5 di acqua) ‘:—=1,50. Come si vede, havvi poco accordo fra i di- versi valori di 7, tenendo conto delle concentrazioni delle solu- zioni. Cloruro di potassio. — L'espressione logaritmica del Nor- denskiòld, calcolata sui risultati del Gay-Lussac e per l’intervallo di temperatura 0° a 110° è la seguente: log S=— 0,5345+0,003790 #— 0,0000094? dalla quale si calcola una temperatura limite ‘superiore a 110°. Quindi in quei limiti di temperatura d log S sarebbe positivo, e 332 STEFANO PAGLIANI perciò si dovrebbe avere assorbimento di calore nella soluzione, almeno per le concentrazioni comprese fra 0,292 e 0,593 di sale per 1 di acqua. Riguardo al calore di soluzione abbiamo le determinazioni di Winkelmann e di Pickering, le quali danno appunto assor- bimento di calore nella soluzione del cloruro potassico. Le prime sì riferiscono a concentrazioni comprese fra 0,03 e 0,294 di sale per 1 di acqua. Il calcolo della quantità î ha dato i se- guenti risultati : 32.9 1.59 | 4948 | 3.79 | 28.16] 4034 | 29415343 | 3205/2341 23.1 1.95 | 4906 | 3.75 | 27.17 | 4065 | 297 | 54 64| 3221|2 32 9 2,81 | 4769 | 3.54 | 26.58 | 4042 | 2.95 | 54.43 | 3165 | 2.28 11.4 3.93 | 4555 | 3.47 | 28.47 | 3927 | 2.86 | 54.50 | 3215 |:2.32 8.6 7.44 | 4366 | 3.29 | 26.97 | 3908 | 2.85 | 55.32 | 3428 | 2.25 6.4 8.26 | 4277 | 3.22 | 27.36 | 3854 | 2.81 | 56.32 | 3128 | 2.25 4.94 | — —_ — | 26.99] 3753 | 2.74 | 55.39 | 3091 | 2.23 3,97 | — — — | 27.46]| 3662 | 2.67 | 55 66 | 3069 | 2.21 d.4 _ —_ — | 27.53] 3583 | 2.61 | 56.53| 3029 | 2.18 Coi dati di Raoult (1 di sale per 100 di acqua) si calcola i=1,82; secondo Arrhenius (1 per 1000 di acqua) 1,86. Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (1 di sale per 95,8 di acqua) i=1,54. Anche qui abbiamo poco accordo fra i diversi risultati. Da quei dati già risulta come la variazione di ? colla tem- peratura diminuisce col diminuire della diluizione, e quindi la relazione di van’t Hoff tende a verificarsi per le concentrazioni corrispondenti alle soluzioni sature nei limiti di temperatura, per i quali vale la espressione della solubilità. Questo si riscontra anche meglio se si mettono a confronto i valori del rapporto dei d, log 8 7° du ps Der la stessa calori di soluzione e quelli del rapporto temperatura. Vediamo pure come, anche per il cloruro potassico il va- lore di < calcolato dal calore di soluzione tende per una data ALCUNE DEDUZIONI! DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 3838 temperatura a crescere col crescere della diluizione, come per gli altri sali. Il Pickering ha determinato i calori di soluzione di una mo- lecola di sale in 400 molecole d’acqua, ciò che corrisponde alla concentrazione 1 di sale per 47,6 di acqua. Dai suoi risultati sperimentali ho calcolato l’espressione (vedasi annotazione in fine): @ = 5279,7 — 51,652 #+ 0,36394 £°. Il calcolo della quantità è ha dato i seguenti risultati: a = 9°. 0" 65032 i =3,82 1215) — QES4588 13.41 e 35° O=4218 i = 3.09 Questi valori confermano il risultamento che ?, così calcolato, cresce colla diluizione. Cloruro di ammonio. — L'espressione logaritmica calcolata da Nordenskiòld sui risultati di G. Lindstròm per l’ intervallo di temperatura 0 a 90° è la seguente: log S= — 0.5272 + 0,005483 # — 0,00001732 £° Da essa si calcola una temperatura limite superiore a 90°. Adunque, nei limiti di concentrazione compresi fra 0.297 e 0.672 di sale per uno di acqua e fra 0° e 90°, d7C sarebbe positivo e quindi nella soluzione del cloruro d’ammonio si deve avere assorbimento di calore. Le determinazioni di Winkelmann danno per risultato che per concentrazioni comprese fra 0,03 e 0,25 di sale per 1 di acqua si ha assorbimento di calore nella soluzione. Nella tabella seguente riportiamo i risultati sperimentali ed i valori calcolati di <. r|a|alafe]o 33. 0] 4174|4421|2.33|27.77| 3648 17. 5| 3.38|4335|2.27|27 24] 3575 oa pio pa rd aero: ell | — O I. I 400| — _ — | 18.48 | 3762 334 STEFANO PAGLIANI Coi dati di Raoult (1 di sale per 100 di acqua) si calcola î= 1.88. Arrhenius (1 di sale per 1000 di acqua) ha calco- lato è = 1.84. Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (1 di sale per 126 di acqua) il 66 L'equazione di van't Hoff anche per questo sale sembra verifi- carsi meglio per le soluzioni meno diluite, e quindi se ne può trarre la stessa conclusione che per gli altri sali. Vitrato potassico. — L'espressione logaritmica, calcolata da Nordenskiòld sopra i dati sperimentali del Gay-Lussac, per le temperature fra 0° e 100° è la seguente (*): log S= — 0,8755 + 0,0200 # — 0,00007717 #° dalla quale si deduce per temperatura il limite # = 130°. Quindi fra quei limiti di temperatura e per le concentrazioni comprese fra 0.133 e 2.198 di sale per 1 di acqua d/C è positivo e dovrebbe verificarsi la relazione di van't Hoff. Le soluzioni studiate da Winkelmann hanno una concen- trazione variabile fra 0.038 e 0.20 di sale per 1 di acqua. Raccogliamo nella seguente tabella i risultati della esperienza e del calcolo. 32.73 | 5.50 | 8831 | 4.29 | 27.64 | 8096 [ 1.24 [1:55.30 | 7130444225 24.40 | 4.33 | 8681 | 1.26 | 27.13 | 7938 | 1.21 | 58.04| 7024 | 1.26 17.89 | 3.49 | 8379 | 1.22 | 26.52 | 7808 | 1.19] 60-75 | 690170127 11.9| — -- — | 27.60 | 7649 | 1.16 | 61.01| 6758 | 1.24 9.0] — _ — | 27.06 | 7552 | 1.18 | 57.70] 6793 | 1.22 6.53 | — _ — | 27.47 | 7209 | 1.40 | 59.70] 6551 | 1 19 9.05 | — —_ — | 27.43 | 7000 | 1.07 | 60.93 | 6452 | 1.19 (*) Nella espressione data nella memoria di Sezione deve essere occorso un errore di stampa. Invece di 0,2003 n dovrebbe essere scritto t 2,008 7 ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 389 Abbiamo per il nitrato potassico anche le determinazioni di Person, le quali portano ai seguenti risultati : ii 20 574 | 8725 | 1.25 | 419.7 | 8133 | 1.22 10 5.5 | 8095 | 1.46 | 23.6 | 7839 | 1.19 5,5 Di n 2. 30.2 | 6953 | 1.07 Questi valori di è vanno abbastanza bene d’accordo con quelli che si ottengono dai dati di Winkelmann. I dati delle determinazioni di Tilden, che si riferiscono ad una concentrazione di 1 di sale per 17.8 di acqua danno i seguenti risultati: i—=15°5 Q= 7977 i= 1.18 94° 5 Q= 7814 ve 482 = por d Q == 1541 î == 1.90 Anche questi valori concordano abbastanza bene con quelli sopra riportati. Dai risultati di Pickering sul calore di soluzione del nitrato potassico nell'acqua nella proporzione di 1 di sale per 35.6 di acqua si calcola l’espressione: i Q=9158.8 — 47.338 # + 0.44955 #° Calcolando i valori di ; per le temperature 5°, 15°, 25° si ottiene : perio; = 1.91; per #=.1'5? 4=1.27:;pernt = 25010 valori, che vanno d’accordo cogli altri. In generale vediamo che il valore di #, calcolato con questo metodo, anche pel nitrato potassico tende a crescere col crescere della diluizione. Dai dati di Raoult (1 di sale per 100 di acqua) si calcola i= 1.67. Secondo Arrhenius (1 per 1000 di acqua) 7#= 1.81. Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (1 per 76,2 di acqua) si deduce #= 1.50. 336 STEFANO PAGLIANI La relazione di van't Hoff, contrariamente a quello che si è osservato pel nitrato sodico e pel solfato potassico, si verifi- cherebbe meglio per le soluzioni più diluite. Cloruro di Sodio. — L’espressione logaritmica calcolata dal Nordenskiéld sui risultati, in parte proprii, in parte del Gay- Lussac, per le temperature comprese fra 1°, 5 e 110° è la se- guente : log S= — 0.4484 + 0,000105£# + 0,00000319 #° Essa per concentrazioni variabili fra 2.8 e 2.5 di acqua per 1 di sale dimostra che d/C è sempre positivo nei limiti di dlC . . OLA DOA temperatura indicati ma n risulta maggiore dell'unità, e quindi dovrebbe essere Q SI Invece le determinazioni di Person, di Winkelmann e di Pickering dimostrano bensì che nella soluzione del cloruro di Qi, sodio si ha assorbimento di calore, ma che però <1. È bensì vero che le concentrazioni, a cui si riferiscono sono tutte minori del limite inferiore sopra indicato, ma i risultati di Winkel- mann non permettono di dire che in quei limiti di concentra- zione possa diventare È, >1, come si vede nel quadro seguente, nel quale ), 3 ),, ), sono i calori di soluzione dati diret- tamente dal Winkelmann e riferiti all’unità di peso del sale. 32.37| 18.67] 19.50] — — |43.38 8.79 — | — | — | 0.45] — | 19. 40] 18.73] 17.76| — — |43.37 n — | — | — | 0 52| — 9.05| 17.42| 14.99] 31.97|10.96| — | — |46.76/ 6. sd 0.73) — | 0.42 5.84| 17.46| 12.32] 32.30] 9.12] — | — 146.38) 5.92: 0.74 — | 0.48 3.84| 17.241) 9.44] 33.96] 6.98| — | — | — | — | 0.74| — | — | I valori che si ottengono del coefficiente i da questi dati sono talmente differenti da quelli ottenuti cogli altri metodi e ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 387 da quelli relativi a sali analoghi, da doverli ritenere assoluta- mente come inattendibili. Conclusioni riguardo ai sali. — Gli esempi addotti mi sem- brano sufficienti per- dimostrare che la relazione di van’t Hoff non ha quel carattere di generalità che parrebbe a tutta prima dovesse avere. Vediamo pure come il valore di 7, calcolato con questo me- todo, come cogli altri, diminuisce col crescere della concentra- zione, contrariamente a quanto vorrebbe la teoria. Se passiamo ora al corollario già nella prima nota indicato, della relazione del van’t Hoff riguardo alla uguaglianza di segno della variazione della solubilità colla temperatura e della va- riazione termica che accompagna l’atto della soluzione noi tro- viamo che esso soffre molte eccezioni, cioè in molti casi ab- biamo sviluppo di calore nella soluzione, accompagnato da aumento di solubilità colla temperatura, in altri assorbimento di calore nella soluzione e diminuzione di solubilità col crescere della tem- peratura. Le eccezioni si presentano specialmente nei sali. Così fra i cloruri fanno eccezione i cloruri di Litio, di Bario, di Stronzio, di Calcio, di Magnesio e di Cadmio, per i quali mentre si ha aumento di solubilità colla temperatura, si ha svi- luppo di calore nella soluzione. Noto poi che per i cloruri di Magnesio e di Cadmio si ha non solo sviluppo di calore nella soluzione del sale anidro, ma anche del sale idrato. E per quella stessa ragione fanno anche eccezione fra i bro- muri, quelli di Bario, di Stronzio, e di Calcio; fra i joduri quelli di Sodio e di Calcio; fra i nitrati quelli di Litio e di Calcio; fra i solfati quelli di Calcio, di Magnesio, di Zinco e di Cadmio. Per il solfato di Cadmio noto pure che si ha svi- luppo di calore anche per il sale idrato, mentre si ha aumento di solubilità colla temperatura. Fra i liquidi potremmo citare il Solfuro di Carbonio ed il Cloroformio; la solubilità del primo nel secondo diminuisce collo aumentare della temperatura, quantunque nella mescolanza dei due liquidi si abbia assorbimento di calore. Una prima ragione delle divergenze fra le conseguenze della teoria del van’t Hoff ed i risultati sperimentali si può trovare in ciò che per dedurre la sua relazione il van’t Hoff applica le leggi generali dell’equilibrio nelle soluzioni, la seconda delle quali suppone che la trasformazione dell’ un sistema nell’altro 338 STEFANO PAGLIANI avvenga a volume costante. Ora questo, come non è il caso delle soluzioni dei gas molto solubili, così non lo è pure quello delle soluzioni dei sali, specialmente dei sali anidri (Gerlach. Zetts. f. anal. Chem. 1887. 26, e 1888. 27). 2. Confronto della espressione finora considerata di i con quella dedotta dalla diminuzione di tensione nelle soluzioni e colle deduzioni teoriche del Kirchhoff relative a questo fenomeno. — Si potrà inoltre trovare per i sali ancora una spiegazione di quelle divergenze ponendo a raffronto i risultati. di quella di- scussione con quelli di un’altra fatta dietro lo studio di un altro fenomeno relativo alle soluzioni, quale è quello della di- minuzione della tensione di vapore che si osserva in un liquido, quando in esso si scioglie un corpo solido. Il van’t Hoff ha dimostrato che la quantità % si può anche dedurre dalla diminuzione di tensione prodotta in un liquido dalla soluzione di un corpo in esso, e chiamando 1 il peso molecolare di un corpo, Y la tensione di vapore del liquido puro ad una temperatura data, Y, la tensione di vapore della solu- zione che contiene 1 per 100 del corpo si avrebbe FT_-F,, i=5,6M (e Quindi per la concentrazione ora indicata e per la temperatura T' si dovrebbe anche avere ipo se ih Goa F o AC ma sh ta(3). dT (*) Faccio osservare per incidenza che se fosse esatta la legge di Prinsep, cioè A — F, fosse indipendente per una data concentrazione dalla temperatura, se fosse vera la regola enunciata dal Tammann, secondo la quale per le so- luzioni diluite di uguale concentrazione e ad una stessa temperatura di salì di costituzione analoga le diminuzioni nella tensione di vapore sarebbero in- versamente proporzionali ai pesi molecolari dei sali sciolti, allora è dovrebbe essere uguale per sali di costituzione analoga, ma nè l’una nè l’altra si ve- rificano esattamente, come ha dimostrato il Tammann stesso (Mém. Acad. St-Petersbourg, vol. XXXV, n. 9, 1887). Quindi non è rigoroso, l’attribuire, come ha fatto il van’t Hoff nella sua Memoria, ad un sale un valore di i identico a quello appartenente ad un altro sale, solo perchè di costituzione analoga. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 339 Ora supponendo di considerare solo quei limiti di tempera- dlC tura per i quali è positivo, per quei sali per i quali @, calore assorbito nella soluzione, è positivo, noi abbiamo che ge- neralmente esso diminuisce col crescere della temperatura, e quindi il secondo membro della equazione (2) deve diminuire col crescere della temperatura, come diffatti abbiamo osservato per —F 1 tutti i sali considerati. Quindi, supposto M costante, F dovrebbe pure diminuire e quindi F crescere. Invece Tammann ( Wied. Ann., 1885.24) ha trovato sperimen- talmente che peri sali X,.S0,, Not, KCl, NaNO,, NB CI il rapporto F diminuisce. Quello stesso nostro risultamento sarebbe pure in opposizione colle deduzioni teoriche del Kirchhoff (*) il quale partendo dalle leggi della Termodinamica avrebbe stabilita una relazione fra la variazione di calore, che avviene nella soluzione di un sale nel- l’acqua ed il valore di Li Secondo tale relazione questo rap- porto sarebbe indipendente dalla temperatura, quando nella di- luizione della soluzione salina, non si ha variazione di calore; aumenterebbe coll’aumentare della temperatura quando un sale si scioglie con sviluppo di calore, diminuirebbe invece colla tem- peratura quando un sale si scioglie con assorbimento di calore. Ma anche queste deduzioni teoriche del Kirchhoff non vanno sempre d’accordo coi risultati sperimentali, come lo ha dimo- strato il Tammann; difatti egli ha trovato che per parecchi sali, specialmente i sali idrati, il rapporto F cresce col crescere della temperatura, quantunque questi sali si sciolgano con as- sorbimento di calore. Però faccio osservare come il Tammann, in questa prima memoria, ha posto fra i sali solubili con assorbimento di calore alcuni, i quali invece si sciolgono con sviluppo di calore. Tali sono: Na, CO,, Na, S0,, LiNO,, Li,S0, . H,0, MgCl.. (*) Pogg. Ann., 1858, 103, p. 194. 340 STEFANO PAGLIANI 6H,0, Be,(S0,),12H,0, Al,(SO,),. 18H,0. Per questi sali il rapporto F va crescendo colla temperatura, quindi sod- disfano alle deduzioni teoriche del Kirchhoff. Resterebbero i seguenti sali, che non vi soddisfano: NaCI, K,00,5 4,0, KFI, SrC1,6H,0, CaCt,6H,0, Ba-Br,2H,0, Sr Br,6H,0,: Ca Br, 6HO ME TH,0,'(*) Cuso,o Ho," WMsS0, T'HO," Co SONE, Zn SO,7H,0, MnS0,5H,0, Mg S0,7H,0. Per gli altri sali citati dal Tammann cioè LiC7 2H,0, Li Br 2H,0, LiI1 2H,0, non ho potuto trovare i dati dei calori di soluzione. Ora per il cloruro di Sodio, il nitrato di Litio e per i sali anidri corrispondenti a parecchi di questi idrati sopra citati cioè: Li Ct, Sr Cl,, MgCl,, CaCl,, BaBr,, SrBr,, CaBr,, Mg SO,, Zn SO, noi abbiamo trovato che la relazione di van't Hoff non si verifica. pura di : ; J i dice Ma per i sali idrati corrispondenti, per i quali @ e IT sono ambedue positivi, la relazione di van’t Hoff potrà valere per determinate temperature, e anche variare allora d’accordo i due membri della equazione (2), quindi la variazione del rap- porto —+ può essere del segno voluto dai risultati dell’esperienza. F Quindi vediamo che, se si considerano i sali in soluzione allo stato anidro, la relazione di van’t Hoff o non va d’accordo coi risultati dell'esperienza relativi alle tensioni di vapore e colle deduzioni teoriche del Kirchhoff, oppure non si verifica in uno dei suoi diretti corollari. Ma allo stesso modo che il Tammann, spiega la divergenza (*) Non so per quali ragioni il TAMMANN adotti in questa sua prima Memoria per alcuni sali delle formole e dei pesi molecolari, che non sono quelli che comunemente si adottano. Così le formole seguenti: Fe, SO, . 591,0, NiS0,6H,0, Co S0,6H,0, Zn S0,6H,0, Mn S0,.6H,0, Mg S0,. 64,0. Quindi sarebbero a ripetersi tutti i calcoli delle diminuzioni di tensione relative molecolari, se non fosse che il confronto fra questi valori presi alla temperatura di ebollizione dell’acqua per le soluzioni più diluite non può avere un grande interesse, non sapendosi quale sarà la costituzione dell’idrato salino che entra a formare quelle soluzioni. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 341 dei suoi risultati per molti sali dalle deduzioni teoriche del Kirchhoff ammettendo che col crescere della temperatura avvenga una separazione parziale o totale dell’acqua di idratazione, così anche noi possiamo qui mettere d’accordo la relazione del van’t Hoff coi risultati sperimentali del Tammaan ed i teorici del Kirchhoff facendo la stessa ipotesi. Diffatti supponiamo che alle temperature più basse un sale si trovi in soluzione non allo stato anidro ma che ciascuna mo- lecola di esso sia unita ad un determinato numero di molecole d’acqua, variabile colla temperatura in modo che col crescere della temperatura quest’acqua di idratazione si separi, allora la quantità 1 nel primo membro della equazione (2) decresce collo aumentare della temperatura e quindi i valori che essa ya assu- : =—_ a Fmpece mendo possono essere tali che, anche crescendo n sali anidri della prima serie considerata, come vogliono i risultati sperimentali del Tammann, il 1° membro decresca collo aumen- tare della temperatura come decresce il 2° membro, secondo i risultati della determinazione del calore di soluzione e della so- lubilità per gli stessi sali. Per i sali della seconda serie, se noi li consideriamo allo stato idrato, con diversi gradi di idratazione, essi non solo pos- sono soddisfare alla relazione del van’t Hoff, ma anche ai risul- tati sperimentali del Tammann ed ai teorici del Kirchhoff, come sì è visto sopra. Si potrà opporre che vi sono dei sali, i quali, come ho fatto osservare sopra, non solo allo stato anidro, ma anche allo stato idrato si sciolgono con sviluppo di calore, e per i quali tuttavia la solubilità aumenta colla temperatura. Però si può subito ri- spondere che il grado di idratazione di questi sali nella soluzione a bassa temperatura può essere superiore a quello che conserva quando cristallizza, cioè quello che presenta nello stato a cui viene riferito il valore del calore di soluzione sperimentalmente determinato, ed in quello stato di maggiore idratazione, il calore di soluzione che gli compete può essere anche di segno contrario a quello che gli appartiene nel caso di una minore idratazione, poichè si sa dalle determinazioni del Thomsen che col, crescere del. grado di idratazione di un sale il calore sviluppato nella sua soluzione diminuisce e può anche cambiare di segno, così per i solfati di magnesio, di zinco ed altri. Atti R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 25 342 STEFANO PAGLIANI In una sua memoria posteriore (Mem. Acad. St-Petersbourg, XXXV, 9, 1887) il Tammann corregge alcune asserzioni della prima, dimostra che per 50 sali anidri i risultati delle esperienze vanno d'accordo colla teoria di Kirchhoff, e per i quattro sali NaCl, NH,C1, (NH)),S0,, K,S0, spiega le divergenze che si presentano, con una possibile grande variazione del calore di soluzione colla temperatura; spiegazione però che non ha ancora il suo fondamento nell’esperienza. 3. Confronto con un’altra espressione di i dedotta dallo abbassamento nel punto di congelazione delle soluzioni. — Il van’'t Hoff, come già si è accennato, deduce il valore di é anche dallo abbassamento del punto di congelazione delle soluzioni me- i MA diante l’espressione = nella quale rr dove M É 19.50 è il peso molecolare del corpo sciolto, p è la quantità procentica in peso di corpo sciolto nella soluzione, A è l'abbassamento del punto di congelazione prodotta dalla quantità p di corpo sciolto. Il van't Hoff ammette poi che per ciascun solvente si abbia t=0,02 DI dove 7 è la temperatura di solidificazione del sol- vente e W il calore di fusione del solvente, riferito all’unità di peso. Però la quantità #, chiamata anche abbassamento molecolare del punto di congelazione, come lo hanno dimostrato le più estese determinazioni di Raoult, non ha veramente sempre il va- lore così calcolato, nè lo stesso valore per un dato solvente, ma per l’acqua specialmente può variare assai colla natura dei corpi sciolti. Ora ciò può forse dipendere da che nel dedurre la sua espressione il van't Hoff ha supposto che il peso molecolare del corpo sciolto fosse sempre quello che è rappresentato dalla for- mola chimica; ma siccome per i diversi sali si può avere un grado di idratazione diverso anche per una stessa concentrazione, dipendente dalla natura del sale, così si spiega perchè special- mente quei corpi che hanno tendenza a combinarsi coll’acqua producono un abbassamento molecolare del punto di congelazione, non rispondente al calcolo. Ora confrontiamo quest’ultima espressione di è colla prima scrivendo : 1 MA uil ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 343- Abbiamo veduto dagli esempi di sali, sopra riportati, che questa eguaglianza in alcuni casi si poteva avere. Ho già fatto però i À SMALTI, notare nella 1° nota come il valore di — non è sempre co- p stante, ma per alcuni corpi aumenta, per altri diminuisce col l’aumentare della concentrazione. Supponendo 1 costante, le stesse variazioni dovrebbe subire il 1° membro dell’equazione (3), mentre il 2° membro abbiamo visto che sempre decresce collo aumentare della concentrazione. Si può però spiegare questa apparente contraddizione, nel 3 i VÀ : caso in cui — aumenta colla concentrazione, ammettendo che nelle soluzioni più concentrate i sali presentino un grado di idra- tazione minore, quindi dovendosi dare alla quantità M° valori sempre minori col crescere della concentrazione si avrà che il A primo membro della (3), ancorchè F cresca, può diminuire collo aumentare della concentrazione. Vediamo ora come altre proprietà delle soluzioni saline confortino questa supposizione (*). 4. Costituzione delle soluzioni saline. — Questa ipotesi della formazione di idrati dei sali nell’atto della loro soluzione nell'acqua è ormai un concetto acquisito nella dottrina della costituzione delle soluzioni, e diverse proprietà di queste si spie- gano appunto con essa. Riguardo però alla costituzione di tali idrati nella soluzione poco si sa ancora. I due metodi proposti da Riidorff e da Men- delejew per calcolare la composizione di questi idrati ipotetici non danno risultati concordanti (Tammann, Wied. Ann., 1889, XXXVI, 708). Un tentativo in questa direzione è stato da me fatto nelle mie ricerche sui calori specifici delle soluzioni di alcuni (*) Equazione di Guldberg. — Se nella (3) si fa p==4, cioè si considera la concentrazione dell’1 p. 100, si potrà scrivere: 5. 6 ei, = = . 103.6 =A, e siamo così condotti ad un'equazione quasi identica con quella dedotta da Guldberg (Compt. Rend.1870) per soluzioni molto diluite FI. 104. 5=À. Ora tale relazione di Guldberg è confermata abbastanza bene dall’esperienza (Tammann, Mém. Acad. Sciences St-Petersbourg. XXXV, 9, 1887). Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 25* A, quindi 344 STEFANO PAGLIANI sali (Atti R. Ace. Scienze, Torino 1881, vol. XVI). Allora io era giunto al risultamento che la quantità di calore neces- saria per elevare di un certo numero di gradi la temperatura della massa di una soluzione salina (sali minerali) è uguale alla somma delle quantità di calore necessarie per elevare del medesimo numero di gradi la temperatura delle masse dei suoi componenti, quando si ammetta nella soluzione l’esistenza di un idrato del sale, che vi si trova disciolto, ad ogni molecola del quale starebbe aggruppato un numero definito di molecole d’ac- qua; che il grado di idratazione del sale dipende dalla concen- trazione della soluzione e dalla temperatura. Il confronto fra i valori trovati ed i calcolati dei calori molecolari, allora istituito, dimostrava come la concordanza fra di essi .era tanto maggiore se col crescere della diluizione si supponeva l’esistenza nella so- luzione di un idrato più ricco in acqua. Faccio notare che questo risultato si trova qui d’accordo colla supposizione fatta or ora di un minor grado di idratazione nelle soluzioni più concentrate per spiegare i fatti sovra esposti. Nello studio, accennato nella 1° nota, ebbi occasione di con- statare che per soluzioni diversamente concentrate di uno stesso sale il valore massimo della densità della corrente, per il quale si presenta il fenomeno della cristallizzazione del sale, ad una data temperatura cresce col crescer della diluizione della solu- zione e per una data soluzione quel valore cresce col crescere della temperatura; che d’altra parte se si confronta questo valore massimo per i sali diversi, cristallizzanti con molecole d’acqua di cristallizzazione, esso diminuisce col diminuire delle molecole d’acqua contenute in una molecola di sale cristallizzato; proba- bilmente perchè con un minor numero di molecole d’acqua, si hanno sali idrati di costituzione più semplice, o più facilmente si può vincere l'affinità del sale per l’acqua, e si richiede quindi una minore quantità di elettricità a parità di sezione dell’elet- trolito. Quindi se ne conchiude pure che nelle soluzioni concen- trate si hanno idrati salini meno ricchi in acqua che non nelle più diluite, e che col crescere della temperatura si ha una di- minuzione del grado di idratazione dei sali, appunto d’accordo colle conclusioni, che si deducono dallo studio delle altre pro- prietà delle soluzioni. Aggiungerò ancora come se, conoscendo la composizione di questi idrati salini, si potesse nel calcolo della conducibilità ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 345 elettrica molecolare delle soluzioni tener conto della variazione del peso molecolare di questi idrati col variare della concentra- zione, forse i massimi, che si osservano nei valori della condu- cibilità molecolare, scomparirebbero. Diffatti chiamando col Kohl- rausch (Wied., Amn., VI, 145, 1879) concentrazione moleco- lare m delle soluzioni il rapporto fra la quantità in peso di elettrolito p, che si trova in un litro di soluzione e il peso ) molecolare dell’elettrolito stesso, abbiamo m= 37. Se noi, va- riando la concentrazione in peso, consideriamo il peso moleco- lare M, come costante, allora m è proporzionale a p. Ma se si consideri che MM diminuisca col crescere della concentrazione, perchè si formano» degli idrati sempre meno ricchi in acqua, allora # crescerà più rapidamente di p, col crescere della con- centrazione, e quindi le curve, che si ottengono costruendo gra- ficamente le conducibilità molecolari, presenteranno una curva- tura molto meno sentita, che non quando si considera il peso molecolare come costante. Diffatti nelle curve del Kohlrausch ve- diamo che presentano una curvatura maggiore precisamente le curve relative ad elettroliti, che hanno maggior tendenza a for- mare degli idrati. K E così la conducibilità specifica pa che è data dal rapporto fra la conducibilità X e la concentrazione molecolare, e che se- condo il Kohlrausch misura la mobilità dei joni, diminuirebbe più rapidamente col crescere della densità lineare delle molecole, 3 . è v m, che non risulti dando a 2 un valore costante, e costruendo K ife graficamente i valori di — in rapporto coi valori di V m, si mM otterrebbe forse un andamento più regolare. Si osserva appunto come quei sali, che presentano minor tendenza a formare degli idrati come KX CI, NaCt, K,S0,, sono quelli che presentano una maggior regolarità nelle loro curve. 1 Si intende però che questo modo di calcolare la conducibi- lità molecolare è indipendente da qualunque altro concetto che noi ci possiamo formare dello stato di dissociazione maggiore o minore delle molecole dell’elettrolito per le soluzioni più o meno diluite. Si potrebbe obbiettare che se nell’atto della soluzione abbiamo la idratazione delle molecole del sale, come avvenga che in molti 346 STEFANO PAGLIANI casi si ha assorbimento di calore, e come questo assorbimento di calore cresca col crescere della diluizione e col diminuire della temperatura, alla quale avviene la soluzione, mentre risulta che il grado di idratazione diminuisce col crescere della concen- trazione e cresce col diminuire della temperatura. E non è a dire che tale assorbimento di calore possa spiegarsi colla fusione del solido perchè da un lato in molti casi la grandezza del calore di fusione non sarebbe sufficiente a tale spiegazione, ed essa va diminuendo col diminuire della temperatura, e d’altra parte i risultamenti della determinazione dei calori specifici delle soluzioni portano alla conclusione che le molecole dello idrato salino non facciano che interporsi fra le molecole dell’acqua (*). I Mi sembra però che a quella obbiezione si possa facilmente rispondere appunto fondandoci sulla teoria del van't. Hoff. Essa ci dice che una sostanza sciolta in un eccesso di solvente si trova in uno stato paragonabile allo stato aeriforme, quindi nell’ atto della soluzione abbiamo tendenza nella sostanza ad assumere questo stato e perciò possiamo dire che il detto fenomeno sia accompagnato da una specie di vaporizzazione, se è concessa questa espressione, la quale deve naturalmente assorbire una certa quantità di calore. Se questa quantità di calore risulta superiore a quella sviluppata nella idratazione del sale, si avrà assorbimento di calore; nel caso opposto, sviluppo di calore. Col crescere della diluizione cresce la quantità di calore richiesta da quella specie di vaporizzazione, col diminuire della temperatura diminuisce il calore dovuto alla idratazione, ed ecco perchè in ambedue i casi abbiamo aumento nella quantità di calore as- sorbita nella soluzione. Questa considerazione ci spiega anche come non sia neces- saria la uguaglianza di segno della variazione della solubilità colla temperatura e della variazione di calore nell’atto della soluzione, perchè se, p. es. una maggior solubilità del sale nel- l’acqua dimostrerebbe che un aumento di temperatura ha per effetto di rendere più facile questa specie di vaporizzazione del sale e diffusione delle sue molecole nel liquido, d’altra parte ‘ne è indipendente il valore relativo del calore di idratazione e di quello dovuto alla vaporizzazione, quantità di calore che ten- dono a diminuire entrambi col crescere della temperatura. *) PAGLIANI, Sui calori specifici delle soluzioni saline, loc. cit. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 847 Nel caso della soluzione dei sali idrati interviene secondo la maggiore o minore concentrazione una parziale maggiore o minore dissociazione dell’acqua di idratazione, la quale assorbe pure calore. Quando poi la quantità di liquido, nella quale vien sciolto il sale, è molto grande, può anche intervenire una dissociazione più profonda del sale nell’acido e nella base liberi, come ha dimostrato Thomsen per i solfati acidi, ed anche questa disso- ciazione richiede assorbimento di calore. Di più, come ho detto precedentemente, si tenderebbe ad ammettere l’esistenza allo stato libero dei joni a cui deve dar luogo il sale nella elettrolisi di esso. Riguardo al coefficiente 7 di van’'t Hoff, le divergenze che si osservano fra i valori di esso calcolati coi diversi metodi, la variazione di tali valori col variare della concentrazione delle so- luzioni e la teoria, si potranno forse spiegare compiutamente quando si conosca la composizione e la costituzione degli idrati salini, che si formano nei diversi casi, e si sappia quindi dare un valore conveniente al peso molecolare del sale disciolto; che si deve portare in conto nei diversi modi di calcolo. Così la teoria del van’'t Hoff, saldamente stabilita nelle sue leggi fondamentali per ciò che riguarda i sistemi dei corpi di- sciolti allo stato diluito, potrà ricevere una più estesa applica- zione ed essere quindi completata da una migliore conoscenza, della costituzione delle soluzioni saline, mentre d’altra parte, come abbiamo veduto, può servire di valido appoggio alla teoria della costituzione stessa delle soluzioni saline. ANNOTAZIONE. Riguardo alla variazione del calore di soluzione dei sali colla temperatura credo interessante aggiungere alcuni risultati che si deducono dalle determinazioni del Pickering. Come ho detto sopra, i valori, dati come definitivi da questo autore, presentano molte irregolarità; conviene invece, dai risultati diretti delle esperienze, che si riferiscono a temperature molto vicine, anche prese in diverse serie di determinazioni, dedurre il valore medio per la temperatura media corrispondente, e poscia costruire graficamente questi valori medî in funzione delle temperature, e calcolare, per quei sali, per i quali è possibile una formola di interpolazione 348 . STEFANO PAGLIANI della forma: Q=@+bf+ct*, la quale ci dà il calore di solu- zione, riferito alla molecola del sale, per le diverse temperature. Riferirò qui le espressioni calcolate, colle concentrazioni delle soluzioni, e gli intervalli di temperatura per cui sono applicabili. La quantità d’acqua adoperata per la soluzione era di 600 grammi; la quantità di sale una frazione di peso molecolare , espressa in grammi, diversa per i diversi sali. Cloruro di potassio — !/,, di molecola. — Calore assorbito, Maso Da° Q=5279.7 —51.6524#4+0.36394 7°. La differenza massima fra i valori trovati ed i calcolati è 0,35 per 100. 4 Cloruro di sodio —!/, di molecola. — Calore assorbito, fra 3° e 25°. Q=1908.8—45.288f#+0.39626£°. Differenza massima 1,4 p. 100. Nitrato di potassio — */, di molecola, — Calore assorbito, fra 9% 25°. Q=9158.8—47.338f4+0.44955f?. Differenza massima 0,4 p. 100. Solfato di potassio — */,, di molecola. — Calore assorbito, fra 3° e 20°. Q=8376 — 119.60#+1.0474#°. Differenza massima 0,4 p. 100. Solfato di magnesio anidro — */,n di molecola. — Calore sviluppato, fra 3° e 20°. Q=18816 +97.163#—0.61183?°. Differenza massima 0,1 p. 100. Solfato di magnesio idrato — 3/,, di molecola. — Calore assorbito, fra 4° e 20°. Q=4321.3—33.902#+0.60028#£°. Differenza massima 0,2 p. 100, ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 349 Solfato di rame anidro — */,, di molecola. — Calore svi- luppato, fra 4° e 20°. Q=14601+99.668#—1.2757t?. Differenza massima 0,02 p. 100. Solfato di rame idrato — */,, di molecola. — Calore as- sorbito, fra 4° e 20°, Q=3320.2—37.823f+0.3895£°. Differenza massima 0,5 p. 100. Cloruro di stronzio amidro — QD di molecola. Calore sviluppato, fra 6° e 24°: Q=9623+92.462£. Differenza massima 0,5 p. 100. Fra 4° e 16°: Q=9623+ 96.155. Differenza massima 0,2 p. 100. Fra 18° e 24°: Q=9623 + 90.333. Differenza massima 0,2 p. 100. Cloruro di stronzio idrato — bis di molecola. — Calore assorbito, fra 3° e 25°. Q=8382—55.896f+0.499??. Differenza massima 0,3 p. 100. (Si trascurarono i valori rela- tivi a #=10.0 e #=8.0, perchè troppo discordanti). Per l’acetato di sodio tanto anidro che idrato non è stato possibile calcolare una formola che ne rappresentasse i risultati. Si vede in generale che quando si ha assorbimento di calore nella soluzione, la quantità di calore diminuisce col crescere della temperatura. Quando si ha sviluppo di calore nella soluzione, allora il calore di soluzione cresce col crescere della temperatura. È questa del resto una regola abbastanza generale stabilita dal Thomsen. L’acetato di sodio idrato vi fa però eccezione. Torino, marzo 1889. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso, Tip. REALE- PARAVIA. RIS «ton Yaar n .£ 10° A1a40A87 KISAT IMOLNITSC TA. DI «iva 910145) _ afooblone » TA i ora Siero i PORTESE ATIVETPA 800! 00-er0os tti 1001 .q €0,0. asicea 3 Ls ss , @ è Deb ses sile) — .alosolom LORA e _ —"Gindfia, Sim i di TT IOde “4 A\dOg&: 0 + 13S3;V&=+8) 0228 Ord +00L.q è, hi amica de Ne des aloosiora ib 7 de Sirene. Sok,£0+ 8200 =9 "8 o 0 ail solocgatii 008 8,0 sostsanni gmizeanm: ssosiotii 5031.004000. sla finicznos enaorohil 1.088. 00-+8209=901%2 “A 1 EYCI guolk). —. siforsiog ib... =, olaths, giano. ; és s "o ù #23 ,04-4008,,32 — L88829 06 valor Fiolev 7 osersutzien i8) .001 .q 8, 0) atnia :100 907 «{Daahiegzih oggrit &riosog 0.80.00, O =$ ‘n0data $ son oterdì sdo otbivs otast viboe, ib ota199#0 bbetigtit ! sescinossiggar og sodo slonrio? any stalooli grolzo ib otosmidinzss hl i obakuy 6. sIatstog ni abati lalfobessozeto: fon sscianimibi atofso ib Alitnanp al At sSuoisuloe sllom siolso ib oqguilivae ed ia obass9 sentano? alfoh o1s0z919! Foo ‘806019, cudisniott ibletoledi Winbi atilideta oleionog asostaedde niogo1 en oss: Soa «au0izs0n9 dix sì ir oterbi cihor. ibi vtafdon' dati Marr ce sab 100 «est osteni 0RF0TI me - merde. fregio è h —— 33 G Pa Ì SOMMARIO Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del7 ‘Aprile ‘1889-00. ele Pag. D’Ovipio — Cenno sulla Nota del Prof. E. BELTRAMI: « Un precur- sore italiano di Legendre e di Lobatschewsky . . . ...... » Pieri — Sulle tangenti triple di alcune superficie del sest’ordine . » PagLIANI — Sopra alcune deduzioni della teoria di J. H. vant't Hoff sull’equilibrio chimico nei sistemi disciolti allo stato diluito — Nota seconda. . .... PR I BENE OE AI PESTE e-_ — > Torino - Tip. Reale-Paravia. 309 310 312 320 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 12°, 1888-89 — —— Classe di Seienze Fisiehe, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze VARO date È vip VE e x MI one TAI dol CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 28 Aprile 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, SALVADORI, BRUNO, Basso, D’Ovipio, NACCARI, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE. Il Segretario legge l’atto verbale dell’ adunanza precedente che è approvato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia ven- gono segnalate le seguenti: 1. « Commemorazione di Giuseppe Meneghini letta alla Società geologica italiana del Prof. Giovanni CAPELLINI; 2. « Bollettino dei Musei di Zoologia e di Anatomia com- parata della IR. Università di Torino (Vol. IV, n. 58-61); pre- sentato da parte dei rispettivi autori dal Socio Basso; 3. « Quattro volumi pubblicati per cura del Comitato diret- tivo della Società meteorologica italiana, comprendenti l’ Annuario meteorologico italiano dal 1886 al 1889; 4. « I poligoni di Poncelet: Discorso pronunziato alla R. Università di Genova dal Prof. Gino LORIA. Si dà lettura di una lettera del Signor L. MirinnYy di Pa- rigi, accompagnante un suo lavoro manoscritto che ha per titolo : « A propos des canaux de Mars ». Questo lavoro viene pure offerto in dono all'Accademia. Il Socio Cossa, Direttore della Classe, ricorda la deplorata morte dell'illustre Chimico Michele Eugenio CHEVREUL, nato in Angers il 31 agosto 1786, morto in Parigi il 9 aprile 1889, il quale da lunghi anni faceva parte dell’Accademia come Socio Straniero. Lo stesso Socio Cossa accetta l’incarico commessogli dal Presidente di leggere in una prossima adunanza una Notizia biografica del venerando Scienziato. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 26 52 FEDERICO SACCO Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo che segue : « Il seno terziario da Moncalvo » ; lavoro del Prof. Fede- rico Sacco, presentato dal Socio SPEZIA; « Su alcune anomalie di sviluppo dell’ Embrione umano » ; comunicazione 2% del Socio Prof. Carlo GIACOMINI. » LETTURE —__—- Il seno terziario di Moncalvo; Studio geologico del Dott. FEDERICO SAcco Se si osserva nel suo complesso la tettonica delle colline Torino- Casale: Valenza si vede come esse rappresentano una specie di cor- rugamento, più o meno accentuato, diretto ad un dipresso da Ovest-Nord-Ovest ad Est-Sud-Est; però questa ruga allungata non si presenta generalmente semplice ma spesso invece è costituita di due o più corrugamenti subparalleli, ciò che ci fa supporre come sotto alla pianura padana ed alla grande conca pliocenica dell’Astigiana i terreni miocenici ed eocenici si presentino pure disposti in rughe subparallele più o meno accentuate. Ora siccome tali corrugamenti si costituirono specialmente durante la prima metà dell’èra terziaria, così ne deriva che ta- lora tra l’una ruga e l’altra si poterono depositare i terreni della seconda metà dell’èra terziaria, formando così quivi delle specie di seni o golfi più o meno profondi. Ne è esempio tipico quello di Moncalvo di cui voglio appunto trattare in questa Nota. Nelle colline Torino-Valenza la regione in cui i corrugamenti sovraccennati sono più numerosi è quella compresa tra la pia- nura vercellese e le colline astigiane di Tonco. Quivi infatti os- servasi dapprima, a Nord, un’ anticlinale, in parte mascherata dalle alluvioni quaternarie del Po, presso Trino; ne vengono a giorno persino 1 terreni /igurian:. Succede a Sud la sinclinale su- perficialmente elveziana di Castel San Pietro. Riappare poi una se- conda anticlinale, quella di Mombello-Fabiano, dove anche spunta fuori una piccola zona liguriana. Tien dietro ancora una grande IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO 959 sinclinale pure superficialmente elveziana che costituisce l'ampia val di Stura. Dobbiamo poscia constatare una terza grandiosa anticlinale, quella di Montalero- Ponzano-Ottiglio, vero asse della catena collinosa in esame, e dove pure viene ad affiorare in diversi punti il terreno liguriano. A Sud di questa grandiosa ruga vediamo la sinclinale di Oddalengo piccolo-Moncalvo, entro alla quale appunto si sviluppa il seno mio-pliocenico che vogliamo esaminare in questa Nota. Una quarta potente anticlinale è ancora da indicarsi, quella di Villadeati-Penango, in cui gli affioramenti liguriani appaiono solo nella parte Nord-Ovest in Val Stura. Ma con ciò non terminano ancora i corrugamenti subparalleli di questa complicata regione collinosa, poichè al Sud della conca o sinclinale pliocenica di Calliano-Grana-Montemagno vediamo ricomparire sotto al Piacenziano ampi affioramenti messinzani, i quali ci indicano certamente una quinta anticlinale che però non può molto esplicarsi esternamente, nè dare origine ad affio- ramenti miocenici ed eocenici. Volendo ora trattare più minutamente della sinclinale o conca di Moncalvo, dobbiamo esaminare dapprima i terreni più antichi che costituiscono la parte assiale delle anticlinali fra cui giace detta sinclinale, risalendo quindi man mano sino ai più giovani. Liguriano (Parisiano). Ho già sviluppato altrove(1) il concetto che il nome di Li- guriano, essendo stato tratto originariamente da depositi di 1/ysch e questo terreno sviluppandosi dal Cretaceo all’Oligocene in grado più o meno vasto secondo le regioni, non può, secondo il mio modo di vedere, detto nome rappresentare un piano geologico fisso, determinato nelle serie stratigrafica dei terreni, ma solo una faces speciale, la quale, più che altrove, si presenta sviluppatissima nell’Eocene di una parte notevole della superficie terrestre. Così appunto verificasi in generale nel Piemonte, dove il Li- guriano costituisce gran parte della serie eocenica. Nella regione che vogliamo esaminare il Ligurzano appare solo per brevi tratti nella parte centrale dell’anticlinale di Pe- nango cioè presso C. Spinosa alta, dove costituisce un’elissoide (1) F. Sacco, Le Ligurien. Bull. Soc, Géol. de France. Série 3°, tome XVII, 1888. 354 FEDERICO SACCO allungata, e presso borgata Percivalli, dove affiora appena per un duecento metri circa; in ambidue le regioni questo terreno è costituito come di solito da marne argillose grigio-brune fra cui appaiono numerosi frammenti di Calcare alberese, di Macigno, di Argillo-schisti arenacei, ecc. Detti affioramenti bastano già ad indicarci come l’anticlinale accennata abbia a base una potente e molto compressa ruga li- guriana. Una costituzione consimile deve pure verificarsi nell’an- ticlinale di Villadeati-Penango, solo che quivi il Liguriano non riesce ad affiorare che nella parte occidentale, cioè fuori della regione in esame. Bartoniano. Si ritenne finora che l'orizzonte bartoniano stesse sotto a quello liguriano; basandomi su dati paleontologici e stratigrafici io provai nella Nota sovraccennata e nella descrizione del bacino terziario del Piemonte (1) come in verità il Bartoniano (0 Gas- siniano) sta invece sopra al Liguriano. Anche nella regione in esame tale fatto si può osservare assai bene poichè sopra alla zona liguriana di C. Spinosa alta ve- diamo che dal lato Sud si appoggiano, con hyatus notevolissimo, i terreni tongriani e dal lato Nord invece si applicano potenti banchi marnoso-calcarei i quali, per la fauna ricchissima che racchiudono sono attribuibili al Bartoniano. Questo orizzonte è costituito essenzialmente da marne gri- giastre frammentarie fra cui, specialmente al fondo del vallone sotto borgata Raviara, raccolgonsi numerosissimi fossili, special- mente Litotamni, Orbitoidi, Nummuliti, Pentacrinidi, Cidariti, Molluschi, ecc. ; fra queste marne compaiono irregolari banchi o lenti calcaree che formano spuntoni lungo i pendii collinosi e costituiscono il rilievo esistente a Nord di C. Spinosa alta. Tali formazioni calcaree sono in gran parte un vero impasto di fossili; per estrarli facilmente è necessario portarsi specialmente sull’alto delle colline dove il lento lavorìo degli agenti atmosferici ha li- berato i fossili dalla ganga avvolgente pur lasciandoli ancora sparsi sul terreno. (4) F. Sacco, 1l terreno terziario del Piemonte. Parte I. Bibliografia ed Eocene. Atti Soc, Ital. di Sc, nat., 1888, IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO 355 Questa zona dartoniana si sviluppa assai verso l'Ovest-Nord- Ovest, ma si va restringendo notevolissimamente ; anzi scompare quasi completamente nella collina di C. il Gallo, dove i banchi oligocenici inferiori delle due gambe dell’anticlinale vengono fra di loro a contatto. Ma poco ad Ovest rivediamo affiorare i terreni bartoniani nelle colline tra C. della Costa e Cadefranco; anche quivi predominano le marne grigie frammentarie, sollevate quasi alla verticale, inglobanti straterelli calcareo-arenacei con Num- muliti ed Orbitoidi. La zona bdartoniana, viene poi a scomparire completamente sotto le alluvioni ferrazziane di Val Colobrio verso C. Quartera, nè ritorna ad affiorare che molto più ad Ovest in Val di Stura. Sestiano. Questo sottopiano geologico che serve di passaggio tra l’Eocene e l’Oligocene, nella regione in esame si distingue assai facilmente dal Bartoniano, da cui è separato per un leggero lyatus, ed in- vece si collega strettamente col 7’ongriano inferiore ; sono soltanto i caratteri paleontologici i quali ci avvertono che alcuni banchi dell’Oligocene inferiore sono probabilmente riferibili al Sestiano. Infatti percorrendo le colline di C. Spinosa, sia alta che bassa, frammezzo a certi banchi arenacei, fortemente drizzati e facenti parte della gamba meridionale dell’anticlinale di Ponzano-Ottiglio, potei raccogliere in più punti resti di Nummulitidi; fra questi, oltre alla N. Fichteli tanto comune nel Tongriano, trovansi pure alcune forme di Nummulites e di Orbitoides, simili a quelle che raccolgonsi nelle arenarie del Bric Sac presso Brusasco, cioè in banchi che paiono riferibili al Sestiano, facendo già il passaggio alla formazione bartoniana. Ma non credo dover insistere qui su tale orizzonte geologico, sia perchè lo ritengo solo un semplice sottopiano del Tongriano, sia perchè nella regione in esame esso non si presenta abbastanza individualizzato; d'altronde i caratteri paleontologici fondati sulle Nummulitidi non sono del tutto sicuri poichè manca ancora uno studio completo di questi fossili tanto interessanti, anzi credo che qui, come in generale, i fossili di un orizzonte passino facilmente all'orizzonte vicino senza che sia possibile segnare una linea netta di divisione fra i due. 356 FEDERICO SACCO Tongriano. La formazione fongriana, potentissima, costituisce gran parte delle anticlinali in esame. Essa consta essenzialmente di banchi sabbiosi ed arenacei che inglobano spesso potenti banchi o lenti ciottolose ad elementi talora assai voluminosi; non sono però nè rare nè sottili le zone marnose che spesso si possono seguire anche col solo esame orografico della regione, in causa delle valli e delle depressioni a cui devono origine in generale. Nell’anticlinale Ponzano - Ottiglio vediamo che nella gamba settentrionale i banchi sabbioso-arenacei sono sollevati quasi alla verticale ed anzi talora persino rovesciati, come osservasi ad est di Val Colobrio presso C.il Gallo; ma il massimo sviluppo del Tongriano si presenta nella gamba meridionale dell’accennata anticlinale ; quivi gli strati arenacei grigi o giallastri, potenti, numerosi, sollevati sovente quasi alla verticale, inglobano lenti di ciottoli e di ciottoloni; questi elementi si trovano talora anche sparsi irregolarissimamente frammezzo alle sabbie più o meno marnose. I banchi arenacei sono spesso fossiliferi, ma, ad ecce- zione delle Nummulitidi, tali resti sono per lo più in troppo cattivo stato di conservazione per esser ben determinabili ; sono ad esempio ricchi in Nummulitidi alcuni strati arenacei che co- stituiscono il rilievo del cimitero di Castellino, e che danno origine nell’alta valle Spinosa ad una copiosa sorgente presso la quale abbondano pure i resti sovraccennati. Ad Ovest di Val Colobrio i banchi sabbiosi giallastri si svi- luppano straordinariamente nella parte meridionale esterna della zona fongriana assumendovi un’inclinazione più o meno forte verso Nord, per modo che pare si debba qui ammettere un ro- vesciamento stratigrafico, fenomeno che d’altronde si è già osser- vato ad Est e che continua a verificarsi per lungo tratto verso Ovest; tali formazioni sabbiose costituiscono colline a pendii ri- pidi, talora franosi per la poca coerenza di certi banchi sabbiosi. Le lenti ghiaioso - conglomeratiche abbondano specialmente nella parte inferiore del Tongriano, cioè nelle colline di C. Ar- signano, di C. Casali e specialmente poi delle borgate Stara, Parcivalle, ecc. dove questo terreno appoggiasi direttamente sul Liguriano. Qui come altrove i ciottoli di questo orizzonte sono in parte di calcare alberese; taluni presentansi schiacciati, fran- IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO BOC tumati e coi frammenti spostati ma tuttora rilegati assieme. Fra questi conglomerati sgorgano talora sorgenti sulfuree, come per esempio si osserva a Nord-Ovest di borgata Parcivalli. In certi banchi arenacei non sono rare le Nummulitidi, spe- cialmente la N. Fichteli, come ad esempio nei banchi che si incontrano a circa mezzo cammino salendo da Val Colobrio a Stara lungo lo stradone ; quivi gli strati marnosi, ripetutamente alternati con quelli sabbiosi, si presentano fortissimamente incli- nati a Nord-Est. È sempre molto difficile nella parte esterna di tutta questa area fongriana di segnare i limiti di divisione di tale terreno dal circostante Aquitaniano, quantunque esista fra di essi un forte ‘hyatus, mancando qui lo Stampiano che appare invece per brevi tratti più ad Ovest. Passando ora all’esame dell’ anticlinale Villadeati - Penango troviamo anche qui sviluppatissima la formazione fongriana rap- presentata essenzialmente da depositi sabbiosi giallo-grigiastri poco coerenti che danno origine alle regioni franose di Val C. Stella ; sono pure assai rappresentate le arenarie calcaree specialmente al Bric Castello, dove anzi per la loro resistenza sono talora utilizzate onde estrarne pietrisco. Non mancano neppure i banchi marnosi grigio-bleuastri specialmente nella parte settentrionale della zona in esame. Ciò che caratterizza la massima parte della formazione tor - griana in studio è l'abbondanza di lenti ciottolose i cui elementi, talora voluminosissimi, spesso di calcare alberese, sovente fran- tumati nel modo già detto sopra, si presentano spesso sparsi ir- regolarmente frammezzo alle sabbie; per l’erosione causata dagli agenti esterni tali ciottoloni si trovano ora sul dorso delle colline o al fondo dei valloni simulando ciottoli erratici. Fra queste sabbie ed arenarie fongriane non sono rare le sorgenti solforose, di cui alcune abbastanza copiose. Nelle colline di Bric Castello l'inclinazione degli strati è di 40. a 60° circa verso il Sud-Ovest od il Sud ad un dipresso; invece sulla destra di Val C. Stella e nelle colline del Cimitero di Alfiano Natta la pendenza dei banchi sabbiosi diventa assai più dolce, cioè di circa 25°, verso Sud-Ovest, verso Sud o verso Sud-Est, secondo i punti in cui si osserva. Nelle regioni collinose di C. Marmetta, di C. Rocco e di Cascinotto, cioè attorno a Val Bizara, hanno ancor prevalenza 358 FEDERICO SACCO assoluta i banchi sabbiosi, la cui inclinazione a Sud-Est diventa sempre più dolce, ciò che ci indica come ci troviamo qui al termine dell’elissoide tongriana di sollevamento. Notiamo però subito come di tale elissoide non affiora in Val Bizara che la gamba meridionale, giacchè quella settentrio- nale è completamente mascherata dai depositi messiniani; però verso Nord-Ovest anche i banchi tongriani di quest’ultima gamba vengono poco a poco ad affiorare, tant’ è che nelle colline di C. Lunga gli strati marnoso-sabbiosi, inglobanti lenti ghiaioso- ciottolose, pendono nettamente a Nord-Ovest, fatto che ancora più chiaramente si può poi osservare più ad occidente. Ad ogni modo riesce ben chiaro come l’elissoide tongriana ora esaminata è in gran parte sepolta sotto ai terreni terziari più giovani, dei quali quindi è separata con un lyatus spesso notevolissimo, per quanto non esista generalmente una forte di- scordanza stratigrafica fra questi orizzonti geologici. Aquitaniano. Nella regione in esame, per le trasgressioni sovraccennate non apparendo le formazioni marnose dello Stampiano, dobbiamo pas- sare senz'altro all'esame dei terreni aquitaniani ; ma neppure quest’orizzonte geologico è quivi molto sviluppato. Su ambi i lati dell’anticlinale di Ottiglio-Moncalvo , sopra ai terreni arenaceo sabbiosi del Tongriano vediamo disporsi una zona di marne grigiastre, alternate con strati sabbiosi o mar- noso-sabbiosi pure dello stesso colore ad un dipresso, oppure passanti al biancastro od al gialliccio; questi banchi pendono di circa 40° a Nord-Est nella zona settentrionale abbastanza ampia, e di 45°, 50° e più nella zona meridionale invece molto stretta, per modo anzi che pare talora che essa scompaia quasi del tutto sotto alle formazioni elveziane; si comprende quindi facilmente come nell’anticlinale di Murisengo-Penango, dove le trasgressioni tra l’Oligocene ed il Miocene sono fortissime, manchi completamente ogni traccia di Aquitaniano. I residui fossili, solo marini, sono assai scarsi in questi de- positi e sempre assai difficili ad estrarsi completi. IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO 359 Langhiano. Quest’orizzonte che nel Piemonte in generale è rappresentato da depositi marnosi di mare tranquillo, non viene quasi ad ap- parire nella regione in esame, a causa delle trasgressioni sovrac- cennate ; possiamo solo menzionare al riguardo come strati marnosi grigi, duri, di facies langhiana appaiono qua e là alla base della formazione elveziana, specialmente a Sud di Castellino ed a Nord di C. Coconota; manca ogni traccia di questo terreno nell’anticlinale oligocenica di Alfiano Natta, quantunque esso compaia poscia poco ad Ovest ma già fuori dal nostro attuale campo di studio. Elveziano. Quest’orizzonte geologico è qui, come in generale, notevolmente sviluppato; consta in massima parte di banchi marnoso-arenacei compatti, piuttosto regolari, grigiastri, che per la loro resistenza all’erosione spesso costituiscono creste collinose assai frastagliate. Della grande zona elveziana Rosignano-Sala-Cereseto-Ser- ralunga di Crea, ecc. non appaiono nella nostra regione di studio che pochi banchi basali, a Nord di C. Coconota, dove essi pre- sentansi fortissimamente sollevati ed inclinati a Nord-Ovest. Invece appare per lungo tratto la zona Ottiglio-Oddalengo che costituisce le colline di Patro, di Sagliano, di Perno, ecc. ; quivi i banchi pendono in complesso verso Sud-Ovest, di circa 40° alla base ma solo più di 25°, 20°, ed anche meno, nella parte superiore ; notansi poi sovente delle varianti locali nella pendenza che talora è anche verso Sud o Sud-Est. In tutte queste regioni è attivissima l’escavazione delle com- patte marne calcaree dell’ E/veziano perchè vengono utilizzate come pietre da costruzione (cantoni) eleganti e solide nel tempo stesso; sono specialmente i banchi dell’E/veziano medio-superiore che si presentano più atti all'uopo. Alla base dell’E?veziano non è raro di incontrare sorgenti acquee, generalmente però non abbondanti, le quali derivano sem- plicemente dalle acque di pioggia che, dopo aver attraversata lentamente la serie elveziana, scorrono lungo la linea di trasgres- sione tra il Miocene e l’Oligocene. 360 FEDERICO SACCO Verso Ovest la zona elveziana in esame si incurva gradata- mente a Sud, in causa del ravvicinarsi delle due anticlinali fi- nora nominate, per modo che nelle colline di Oddalengo piccolo risulta una conca regolare aperta a Sud-Est, i cui banchi pen- dono in tale direzione di circa 40°, 45°. Ma avvicinandosi all’anticlinale oligocenica di Alfiano i banchi elveziani assumono poco a poco un’inclinazione più forte verso l’Est ed anche verso il Nord-Est, ma ad ogni modo è sempre con una forte trasgressione stratigrafica che essi appoggiansi diretta- mente sulla formazione fongriana. Dal lato meridionale di questa anticlinale oligocenica, essendo ancor più forte la trasgressione stratigrafica che dal lato nordico, non vediamo apparire traccia di zona elveziana che viene a giorno solo molto più ad Ovest presso Villadeati. I terreni in esame, specialmente alcuni banchi un po’ sab- bioso-arenacei sono per lo più assai ricchi in fossili; vi si rin- vengono comunemente denti di squalo di varie forme. Tortoniano. La formazione fortoniana è ampiamente sviluppata nella re- gione in: esame ; essa presenta la caratteristica facies di marne grigiastre, alternate talvolta con banchi marnoso-sabbiosi special- mente alla base dove avviene il gradualissimo passaggio all’ E7- veziano superiore ; si tratta di un deposito di mare tranquillo ed abbastanza profondo. In stretto rapporto colla natura del terreno sta la configu- razione del suolo, per cui vediamo che le colline forfoniane sono relativamente basse, rotondeggianti, ed a pendii morbidissimi, spesso osservandosi bassi colli ed ampie vallate, caratteri esterni assai utili per distinguere in complesso i terreni fortoniani da quelli elveziani. Siccome la zona fortoniana segue abbastanza bene l’anda- mento di quella elveziana, così vediamo come essa, sviluppatis- sima nel casalese meridionale, si estende nella regione in esame da Grazzano a Perno inferiore, con l'inclinazione di una de- cina di gradi circa verso il Sud-Ovest; poscia si incurva a Sud formando una conca aperta a Sud-Est, ma nello stesso tempo restringesi rapidamente in modo che viene a scomparire nella IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO 301 valle di Molino Moretta, in causa della solita notevolissima tras- gressione stratigrafica che quivi si verifica. Vediamo poi ancora ricomparire, ma per breve tratto ed in sottilissima striscia, le marne forfonzane sul lato Sud-Ovest del- l’anticlinale oligocenica di Alfiano Natta, dove esse si appoggiano direttamente e trasgressivamente sul Zongriano inferiore. Non si trovano facilmente resti fossili nella zona fortoniana, ciò che però dipende in gran parte dalla scarsità di tagli na- turali che mettano a nudo questi terreni ; i fossili sono però assai ben conservati ma non sempre facili ed estrarsi intieri. La configurazione sovraccennata delle regioni fortoniane le rende molto atte alla coltura, specialmente viticola. Messiniano. Importantissima è la zona messiniana sia per il notevole svi- luppo, sia per la costituzione che presenta nella regione in esame. Qui, come in generale, questa formazione è in gran parte ma- remmana o lagunare, però in parte deve essersi depositata in un mare basso e tranquillo bensì, ma libero. Nella sua costituzione predominano le marne più o meno ar- gillose di varia tinta, sovente grigie passanti al verdastro od al gial- liccio, oppure brunastre; talora queste marne si presentano bian - castre, compatte, alquanto straterellate, come ad esempio si osserva alle falde occidentali della collina di San Bernardino (Moncalvo), alle falde meridionali dei colli di Alfiano Natta, ecc. In certi banchi compaiono poi anche formazioni sabbiose. Ma il carattere essenziale dell'orizzonte messiniano si è d'in- globare frequenti zone più o meno estese, di Gessi e di Calcare. Nella regione in esame la lente gessosa più importante è quella che a forma di irregolare mezzaluna si estende ad Ovest di Moncalvo, costituendo diverse colline sopra una delle quali giace una borgata che prese appunto il nome di Gessi. Il Gesso sì presenta sia in piccoli che in grossi cristalli frammischiati alle marne, ma costituenti nell’assieme banchi abbastanza regolari ma non continui. Questo materiale viene escavato in varî punti ovunque esso viene ad affiorare; molto attiva è la cava di C. Chioso in causa della sua posizione speciale. Altri minori lenti gessose compaiono presso Penango, presso C. Castelmerlino, presso C. Borghi, presso C. Gesso, ecc. 362 FEDERICO SACCO Più a Sud, sotto la zona pliocenica riappare la formazione messiniana con nuove lenti gessifere. Quanto alle lenti calcaree esse sono ancora più irregolari di quelle gessose ed appaiono quasi solo come arnioni frammezzo a marne ed a sabbie; per lo più questi calcari sono cariati, gra- nulati, bianco-giallognoli. Ne troviamo diversi affioramenti ad Est ed Ovest di Grazzano; ma sviluppansi specialmente nelle colline di Penargo da borgata Gessi alle case del Molino, ed in queste regioni il materiale calcareo viene attivamente escavato, quan- tunque dia della calce di qualità piuttosto inferiore; altri affio- ramenti calcarei troviamo nelle colline di C. Salata, di San Lo- renzo, ecc., cioè specialmente là dove le zone messinzane medie vengono a giorno. In complesso si vede che queste formazioni calcarifere ac- compagnano da vicino oppure sostituiscono le lenti gessose. Nell’andamento generale la zona messiniana accompagna molto bene le curve del seno di Moncalvo, applicandosi sia re- golarmente sui terreni fortoniani, sia trasgressivamente su quelli tongriani; ma in ogni caso la stratificazione è sempre abbastanza regolare con pendenze assai dolci ma varie a seconda dei punti in cui si osserva la zona messiniana. La potenza della serie messiniana non è generalmente molto grande, in complesso si può valutare ad una cinquantina di metri. Per quanto la formazione messiniana sia di natura ben di- versa da quella piacenziana tuttavia tra questi due orizzonti geologici esiste quasi sempre un passaggio abbastanza graduale od almeno una concordanza stratigrafica assai notevole. La natura stessa e quindi il modo d'origine del terreno mes- siniano ci avverte come debbanvi scarseggiare affatto i fossili, come verificasi in verità; tuttavia in alcuni banchi sabbioso- marnosi si possono raccogliere resti specialmente di molluschi bi- valvi marini, ma di mare basso passante quasi a laguna; par- ticolarmente utili per tali ricerche sono le cave di calcare, frammisto ad arenaria, del fianco occidentale di Mongrande presso Penango. La zona messiniana oltre che per i materiali gessosi e cal- carei che contiene è pure importante dal lato agricolo special- mente per la viticoltura. IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO 5968 Piacenziano. L'orizzonte geologico da esaminarsi rappresenta un deposito di mare tranquillo ed abbastanza proforido, come ce lo indicano le marne azzurrastre racchiudenti fossili marini assai ben conservati. Esso si presenta abbastanza sviluppato nella regione in esame, per essere quasi orizzontale, quantunque in verità abbia ben poca potenza ; infatti se verso Sud la serie piacenziana può raggiun- gere lo spessore di una cinquantina di metri, essa si va assot- tigliando verso Nord sino a terminare ad unghia tra Moncalvo e Grazzano, per modo che non è sempre possibile il distinguerlo tra l’Astiano ed il Messiniano. È sempre molto difficile il seguire la linea di separazione tra il Piacenziano e l’Astiano, in causa specialmente di marne grigio- giallastre che formano il graduatissimo passaggio tra questi due orizzonti geologici; tant'è che in alcuni punti rimane incerto se debbasi o no segnare una placca astiana sul Piacenziano. I fossili sono quasi ovunque molto comuni ed anche assai ben conservati nelle marne piacenziane; ne è più facile ed ab- bondante la raccolta nei banchi superiori passanti all’Astiano. Per la sua natura litologica questa formazione costituisce colline rotondeggianti a pendìo dolcissimo, molto atte alla viti- coltura; forma poi larghe vallate ed ampi bassipiani a coltiva- zione pratense che riesce assai bene a causa dell’umidità delle marne un po’ argillose; per la stessa ragione ci spieghiamo il velo acqueo che esiste sovente tra l’Astiano ed il Piacenziano. È in gran parte all’alterazione ed al rimaneggiamento delle marne piacenziane che debbonsi quei depositi giallastri che osservansi al fondo delle vallate e che vengono talora utilizzati come materiali per laterizi. Astiano. La formazione terziaria più recente che appare nel seno di Moncalvo è l’Astiano, che vi si presenta sviluppatissimo indican- doci per tal modo come durante l’epoca pliocenica non siansi ve - rificati movimenti sismici, i quali invece si accentuarono fortis- simamente alla fine di detta epoca, segnandone anzi la chiusura. Per essere l’orizzonte più giovane, l’Astiano costituisce il co- 864 FEDERICO SACCO cuzzolo di quasi tutte le colline e, per le erosioni avvenute nel qua- ternario, presentasi ora diviso in numerosi e svariatissimi lembi, spesso solo ridotti a semplici placche sottilissime. La formazione astzana consta di marne e di sabbie marnose giallognole, alternate verso la base con strati grigiastri che for- mano graduale passaggio al sottostante Pracenziano:; nella parte alta della serie astiana prendono gradatamente la prevalenza i banchi sabbiosi passanti talora a vere arenarie compatte che ci indicano un deposito littoraneo. È con questa facies arenacea che presentasi per lo più la cima delle colline da Grazzano a San Bernardino. Lungo questa linea, ma specialmente a Moncalvo ed a S. Bernardino, i banchi arenacei sono zeppi, impastati, direi, di resti di molluschi, di molluscoidi, di foraminiferi, ecc., che servono appunto come ce- mento alla massa sabbiosa. Tutto ciò ci indica come verso la fine del periodo astiarno il golfo marino di Moncalvo si presen- tasse riccamente popolato di animali della zona littoranea; i loro resti, sovente sbattuti e quindi frantumati dal movimento delle onde e delle lame di fondo, venivano ad accumularsi in gran numero fra le sabbie che si andavano allora deponendo. Le colline astiane si presentano per lo più di un color gial- lastro abbastanza caratteristico anche di lontano appunto per il colore originario del terreno; i banchi di quest’orizzonte sono leggerissimamente inclinati verso il Sud all’incirca; ma verso la Val Grana, per l’apparsa dei terreni messiniani, i sovraccennati banchi divengono quasi orizzontali. Per quanto apparentemente la formazione astiana sia molto estesa, in verità essa non ha che pochissimo spessore ; talora solo di tre o quattro metri, come in certe placche attorno a Penango ; tutt'al più di una quarantina di metri come presso Moncalvo, dove essa è spinta sin oltre i 300 metri di elevazione. Spesso le marne sabbiose dell’Astiano inglobano resti fossili, intieri o frantumati, oppure anche solo ridotti a semplice mo- dello; dove la raccolta ne riesce più facile ed abbondante è nei banchi arenacei dello sperone di Moncalvo, giacchè quivi i fos- sili costituiscono talora quasi da soli intieri strati. Per la sua natura specialmente sabbiosa l'orizzonte in esame è permeabile al sommo e quindi piuttosto aride si presentano le regioni che ne sono costituite; ma il poco spessore del terreno fa sì che poco profondo è il velo acqueo utilizzabile, almeno per Tav VU temas NATI ic Al N SI a do = Mi si] Al vi \N o) } DI Equidisianza frale curve orizzontali metri 5 Longitudine dal Meridiano di Roma SRI] | Micia, LA Scala chilometrica di 1 a 25,000 IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO 365 uso domestico. Le colline astiane sono molto atte alla viticoltura come quelle dell’Astigiana in generale; si distinguono anche solo nell’aspetto orografico da quelle piacenziane e messiniane a causa dei pendii più ripidi che talora anzi si cangiano in veri scoscen- dimenti più o meno profondi. In alcuni casi si escavano le sabbie e le arenarie astiane come materiale da costruzione ma di poca importanza. Quaternario. Siccome durante l’epoca quaternaria la regione in esame venne soggetta ad un’erosione potentissima, così veri depositi quater- nari non vi si poterono formare; possiamo solo accennare in pro- posito a lembi di /oess giallastro o rossiccio che osservansi qua e là sul fianco delle colline, e che si sono prodotti in parte sulla fine del Sahariano ma in parte maggiore durante la prima metà del Terrazziano. Quanto alle alluvioni terroso-sabbiose che coprono il fondo delle vallate esse furono deposte nella seconda metà del periodo terrazziano, la loro importanza è grande dal lato agricolo, co- stituendo essenzialmente l’humus. RIASSUNTO. Da quanto si è esposto nelle pagine precedenti risulta : 1° che nella regione studiata si può seguire quasi perfettamente l'intiera serie terziaria, spesso riccamente fossilifera, dall’Eocene al Pliocene superiore; 2° che in detta regione, durante il Mio- cene, per compressioni laterali, agenti da Nord-Est verso Sud- Ovest, si verificarono due potentissimi corrugamenti, diretti da Nord-Ovest a Sud-Est, fra di loro quasi paralleli e facenti parte regolare del generale corrugamento che originò i colli Torino- Valenza; 3° che fra queste due rughe eo-mioceniche si costituì uno stretto e profondo seno marino, regolare, tranquillo, che durò per tutta l’epoca pliocenica, finchè il grandioso movimento sismico che chiuse detta epoca cangiò in regione continentale l'in- tero golfo padano; 4° che l’attuale configurazione della regione nominata è dovuta essenzialmente ai fenomeni di erosione acquea verificatisi durante l'epoca quaternaria. 366 C. GIACOMINI Su alcune anomalie di sviluppo dell’embrione umano ; Comunicazione seconda del Socio Prof. C. GIACOMINI Lo studio delle Anomalie di sviluppo dell'embrione umano, che io ho iniziato nella Comunicazione che ho avuto l’onore di fare alla Accademia nello scorso anno (1) promette risultati non indifferenti e tali da compensare certo le lunghe e minuziose cure che richieggono siffatte ricerche. Dopo quella prima Comunicazione io ho avuto dalla gentilezza dei Colleghi altri embrioni in di- versi stadi di sviluppo, alcuni dei quali non si presentavano in condizioni normali. Studiando queste forme anomale, ho trovato particolarità le quali possono avere un certo interesse per la storia dello sviluppo dell’uomo, e che desidero presentare alla Acca- demia in questa 2° Nota. OSSERVAZIONE III. Nelle ore antimeridiane del 30 Giugno scorso il Dott. Ac- conci, mi portava all'Istituto un ovulo umano che era stato emesso la sera avanti da una giovane donna. Essa aveva già avuto 7 parti fisiologici ed a termine, e 4 allattamenti. L'attuale gravidanza se- condo i calcoli ostetrici avrebbe cominciato alla fine di Aprile od al principio di Maggio. Venuta a Torino da una città della Provincia il 29 Giugno, si trovò bene tutta la giornata; alle ore 5 pom. incominciarono i fenomeni dell’aborto, il quale avveniva spontaneamente alle ore 10 di sera senza complicazioni. Fino al momento in cui io ho ricevuto l’aborto, esso era stato (1) Su alcune anomalie di sviluppo dell’ embrione umano; Atti della R, Accademia delle Scienze, vol. XXIII, 1888. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMRRIONE UMANO 367 conservato in una soluzione di cloruro di sodio. L’ovulo presen- tava le membrane perfettamente intatte, era rivestito dalla caduca uterina ed ovulare ben distinguibili in tutta l’estensione, e fra esse si trovava interposto uno spazio. Il corion isolato dalla caduca ovulare aveva l’estensione di 5 centimetri. Le villosità non erano uniformemente sparse e pre- sentavano un colore giallastro. L’amnios era strettamente appli- cato alla superficie interna del corion, e lo spazio molto grande da esso circoscritto era pieno di un liquido trasparente. L’aper- tura delle membrane fu fatta da me presente il Dott. Acconci. L’embrione occupava un piccolo punto della superficie interna del corion. Era ridotto ad un tubercolo leggermente curvo colla con- vessità rivolta verso il centro e la concavità verso la parete, alla quale aderiva per mezzo di un breve e rotondo peduncolo che rap- presentava il funicolo ombellicale, e sorgeva dalla estremità cau- dale dell'embrione. L'esame esterno del prodotto (Fig. 1° e 2°) anche con lenti di ingrandimento dimostrava ben poco. L’estre- mità cefalica era quella che si presentava più fortemente colpita dal processo morboso, essa era piegata orizzontalmente e finiva in avanti in una parte acuminata. Non si notava traccia alcuna delle vescicole cerebrali. Le sezioni microscopiche però dimostra- rono che il sistema nervoso non solo esisteva, ma che aveva subito verso l’estremità cefalica un forte incurvamento per modo da spingersi colla sua estremità anteriore molto in basso. Ai lati della parte acuminata esisteva una depressione, la quale come vedremo corrispondeva alla formazione del cristal- lino (Fig. 2° L), e più in basso si osservavano due leggeri rilievi diretti ventralmente e caudalmente, che appartenevano all’appa- rato branchiale, e probabilmente al 1° arco branchiale (A 5). Dorsalmente da questi si trova una sporgenza emisferica (0), che corrispondeva internamente ad un spazio cavo senza limiti ben distinti. Subito al dissopra dell’origine dall’embrione del cor- done ombellicale si osserva una superficie un po’ irregolare la quale si riferisce alla disposizione epatica (Fig. 2% £). La curvatura caudale era molto pronunciata, e si dirigeva in avanti ed a sinistra, terminando in un tubercolo che si trovava al lato sinistro del cordone ombellicale, la cauda (C). Manca- vano completamente le estremità. Concentricamente alla curva dorsale e nei limiti fra la regione dorsale e la ventrale, alla parte superiore del tronco si poteva Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc, — Vol, XXIV. 27 368 C. GIACOMINI distinguere un solco superficiale, nel fondo del quale, con un certo ingrandimento, si osservavano piccole depressioni susseguentesi. l’una all’altra. Questa disposizione non fu bene espressa. dal: di-. segnatore nella fig. 2°. g Per il modo di presentarsi questo rudimento embrionario do- vrebbe appartenere alle forme atrofiche di His. L'arresto però: era meno avanzato di quello che ho descritto nella seconda. os-. servazione della precedente comunicazione. La massima lunghezza raggiungeva appena i 5 millimetri. Tutto l’embrione unitamente al cordone ombellicale ed al tratto di corion sul quale prendeva inserzione, fu convenientemente co- lorito col Borace-carmino, incluso in paraffina e diviso in sezioni trasversali, incominciando dalla estremità cefalica, andando verso la caudale; e furono così fatte 485 sezioni. Esse non riescirono perfettamente trasversali, ma leggermente oblique da sinistra a destra e dall'alto in basso, per cui le diverse particolarità nelle, sezioni compaiono prima a sinistra e più tardi a destra. Questo. fatto fu in parte causato dall’assimetria che presentava l’embrione e può essere facilmente corretto. La parte che si riscontra in tutte le sezioni è il sistema ner-. voso centrale, ed esso occupa anche maggiore estensione princi - palmente nella parte cefalica. Compare già alle prime sezioni e non cessa che nelle ultime. Ma esso è profondamente modificato nella sua costituzione. Risulta formato da una grande quantità di quei piccoli elementi fortemente coloriti, dei quali ho parlato nella mia precedente comunicazione. Questi si trovano irregolar- mente disposti in molti punti, divisi talora da ammassi granulari ;/ in altri essi si comportano in modo da ricordare ancora la, parete. che circoscrive il canale centrale, ma questa parete assume un decorso fortemente ondulato, descrivendo circonvoluzioni svariate, che ho già detto essere un sicuro indizio della sua avanzata alte- razione. (Questa adunque ci è indicata sia dal modo con cui si presentano gli elementi costitutivi considerati in se, sia per il modo con cui essi si associano. La cavità centrale, quando esiste, è generalmente piena di un precipitato irregolare. Il sistema nervoso, anche qui, in molti punti è ben limitato dagli elementi del mesoderma, per mezzo di una sottile lamina basale. In certi tratti esso corrisponde alla lamina cornea senza; interposizione di mesoderma. Le poche sezioni che vennero riprodotte, le credo sufficienti, ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 369 per dimostrare il grado e l'entità del processo che ha colpito il canale centrale, e le altre parti dell’embrione (Fig. 3, 4, 5, 6). Lo studio delle sezioni dimostra che all’estremità cefalica, il sistema nervoso ha subito una forte incurvazione, per modo che la parte corrispondente alla vescicola cerebrale anteriore si estende di molto caudalmente fino alla sezione 183 (Fig. 4° Ve), e perciò per quasi i due quinti della lunghezza totale. Nel punto ove termina la vescicola cerebrale anteriore si trova ventralmente e lateralmente abbracciata dai due tratti sporgenti sulla superficie esterna e che a mio giudizio sono i rappresentanti del 1° arco branchiale o mascellare inferiore (Fig. 4°). Nel mentre cessa la vescicola cerebrale anteriore, compare un cumulo di elementi vivamente coloriti e meglio conservati, i quali per la località in cui si trovano possono essere conside- rati come dipendenze dell'intestino cefalico o della regione car- diaca. Non é possibile riconoscere le vescicole oculari; si possono però considerare come tali due ammassi dei medesimi elementi che compongono il canale midollare, in corrispondenza di due gruppi di cellule epiteliari, che considero come rappresentanti della lente cristallina. Questi due gruppi di cellule epiteliari non sì possono scorgere contemporaneamente sullo stesso preparato per la direzione obliqua delle sezioni. Alla 31° sezione incomincia il cristallino di sinistra, in cor- rispondenza di quella depressione che si è notata sulla superficie esterna. È ben isolato dalle cellule ectodermiche e forma un gruppo di cellule che nelle prime sezioni si presenta abbastanza regolarmente sferico, disposte in un unico strato e circoscriventi una piccola cavità. Gli elementi hanno tutti i caratteri di un epitelio cilindrico, molto alto con nucleo ovulare pronunciato. Il gruppo di queste cellule va ingrossando nelle sezioni successive e va facendosi nello stesso tempo irregolare nella forma; si allon- tana dalla superficie ectodermica e nella sua parte interna è cir- condato dagli elementi del canale midollare. Dura fino alla se- zione 58°. Alla 49° sezione si trovano due cospicue cellule nucleate di oltre 45 p. di diametro, strettamente applicate l’una su l’altra, con protoplasma completamente ialino ed incoloro. Esse furono com- prese in tre sezioni. Sembrano due cellule vegetali. Il modo di presentarsi di queste due cellule, identico a questo che ho potuto 370 C. GIACOMINI riscontrare in altri cristallini d’embrioni umani non normali, con- ferma il significato che abbiamo dato alle cellule che stiamo studiando. Quando termina il cristallino di sinistra incomincia quello di destra (Fig. 3° LZ) e dura fino alla sezione 82°. Nella sua ori- gine è più ventralmente posto; quando è nel suo massimo svi- luppo è formato da due strati di cospicue cellule cilindriche, le quali circoscrivono una rima allungata. Sorprende il vedere questi elementi normalmente costituiti in mezzo ad altri colpiti nella loro evoluzione. Se la causa che ha prodotto l’arresto nel nostro embrione, ha fatto sentire la sua influenza su tutto il cristallino per modo da impedire una formazione normale, gli elementi però che lo costituivano si presentavano ancora in condizioni fisiologiche. Interpretate come lente cristallina le due produzioni epite- liari abbastanza simmetricamente disposte, l’ammasso di cellule midollari colle quali esse si trovano in rapporto, costituirebbe la vescicola cerebrale intermedia. Alla sezione 119 il sistema nervoso della estremità cefalica incomincia a dividersi in due parti; una posta ventralmente più voluminosa (cervello anteriore), e l’altra situata dorsalmente più ristretta (cervello posteriore). Questo nel mentre si è reso indi- pendente, risulta formato da un robusto nastro, avente eguale spessore nei vari suoi punti, e descrivente inflessioni in diverso senso. Lo spazio circoscritto è abbastanza ampio (Fig. 4°). Appena si è prodotta questa divisione, nello spazio di meso- derma che si interpone fra le due parti del canal midollare e che va sempre più aumentando nelle sezioni successive, incomincia a comparire la corda dorsale (sezione 128), la quale nella prima sezione è colpita in due punti a causa delle inflessioni che de- scrive alla sua estremità anteriore. (Fig. 4%, 5°, 6" Co). La corda mantiene costanti i suoi rapporti col canale midol- lare e può essere seguita fino alla estremità caudale, dove termina confondendosi con gli elementi del canale midollare. Nel punto dove termina esiste un gruppo di cellule ectodermiche che si spinge nel mesoderma. La corda nel nostro embrione si presenta di un volume un po’ superiore al normale, e mantiene, pressochè invariato questo volume per tutta la sua estensione. La sua costituzione non è però normale, si distingue ancora molto bene la sua guaina, che la isola dalle parti circostanti; lo spazio che questa guaina cir- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO DICA coscrive di forma generalmente ovulare è in parte occupato da nuclei fortemente coloriti ed irregolarmente disposti. La corda è circondata dal mesoderma che non assume disposizioni speciali. Le sezioni più inferiori dimostrano come il rudimento embrio- nario verso la estremità caudale subisca un forte incurvamento nel piano sagittale e laterale per modo che la cauda viene a col- locarsi al lato ventrale ed a sinistra del peduncolo ombellicale. Tanto la corda come il canale midollare seguono questa curva- tura e vengono a terminare a poca distanza dalla cauda. (Fig. 2°, e 6° Cau). La Corda ed il Canale midollare malgrado le loro modifi- cazioni nella forma e nella costituzione sono le sole parti che possono essere ben seguite in tutta la lunghezza dell'embrione, ed alle quali può essere data una giusta interpretazione. Nel meso- derma difficilmente si riscontrano formazioni, le quali siano rife- ribili a quanto si osserva nelle condizioni normali. Nei punti dove sulla superficie esterna si notano quelle emi- nenze sferiche, il mesoderma incomincia a rarefarsi. Si riscontrano cellule fusiformi con nuclei allungati e pallidi, congiunte fra loro per mezzo di prolungamenti, dando così origine ad un tes- suto reticolare; poi si manifesta nel centro una cavità mal cir- coscritta, senza contenuto, la quale all’esterno è in rapporto di- retto con la lamina cornea, che qui assume maggiore spessore ; più in basso le due cavità si restringono, si spingono verso la linea mediana, si confondono fra loro e finalmente scompaiono. Non è possibile dire che cosa esse rappresentino. (Fig. 4% 0). Meglio distinti sono due spazi circolari simmetricamente di- sposti ai lati della linea mediana, un po’ avanti della Corda dor- sale; i quali incominciano a comparire nella sezione 155 prima a sinistra e poi a destra; contengono generalmente nel loro in- terno elementi con nuclei circondati da un alone poco colorito: sembrano globuli sanguigni in via di alterazione. Questi due spazi sono senza dubbio due vasi sanguigni e probabilmente le due aorte (Fig. 4° A). Si originerebbero in alto verso l’arco branchiale; in basso si avvicinano e si congiungono alla sezione 198, poi di nuovo si di- vidono e più tardi non possono più essere seguiti, si confondono col tessuto circostante. Sono questi gli ultimi avanzi dell’apparato vascolare. La disposizione del fegato può essere facilmente riconosciuta ; 372 C. GIACOMINI occupa una larga estensione della parte ventrale nelle sezioni subito al disopra dell’inserzione del peduncolo ombellicale. Inutile sarebbe per ora di voler prolungare la descrizione delle altre particolarità che presenta il mesoderma, perchè ad esse non possiamo dare alcuna interpretazione. Notiamo solo che nel cordone ombellicale non si distinguevano traccie di vasi sanguigni; in un tratto del suo breve decorso si osservava una piccola cavità rivestita da epitelio, ultimo resto del canale vitellino. Appena il peduncolo prendeva la sua inserzione sulle mem- brane, compariva tra l’annios ed il corion un canale rivestito da un doppio strato di cellule epiteliari ben distinte, che poteva essere seguito per un lungo tratto, era il canale vitellino. La ve- scicola ombellicale non fu riscontrata. L’amnios ed il corion erano normalmente costituiti. (Fig. 6°, Vi). Ma le particolarità più interessanti e più singolari del nostro embrione, le troviamo nella lamina cornea dell’ectoderma. Essa forma il rivestimento esterno, ed in nessun punto sì trova man- cante. Risulta generalmente di due strati di cellule cubiche, meno alte le superficiali, i cui contorni sono ben distinguibili, il nucleo rotondeggiante, centrale e mediocremente colorito, protoplasma completamente incoloro. La lamina cornea si presenta vale a dire pressochè nello stesso modo come nell’embrione descritto nella precedente comunicazione ; se nonchè in quello che stiamo studiando gli elementi erano meglio conservati, più voluminosi e si avvicinavano di più alle condizioni normali. Essi erano strettamente applicati fra loro ed al meso- derma sottostante. In nessun punto si trovò isolata la lamina cornea dalle parti sottostanti, come occorre non raramente di osservare in embrioni normali. Era sostenuta da un sottile strato amorfo più intensa- mente colorito, ed al disotto di esso si trovavano più numerosi quegli elementi degenerati che erano irregolarmente sparsi nel mesoderma. La lamina cornea non si presenta egualmente nelle diverse parti dell'embrione. In tutta la faccia ventrale della estremità cefalica era ridotta ad un unico strato di cellule fortemente ap- piattite, ma continue. Nello stesso modo si comportava al disso- pra dell'inserzione del peduncolo ombellicale di fronte, vale a dire alla disposizione epatica. Il passaggio fra la costituzione ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'’EMBRIONE UMANO 373 a due strati e quella ad uno strato solo avveniva in modo brusco. ‘ Sulle parti laterali invece ed in ispecie in corrispondenza delle sporgenze 0 raggiungeva il massimo spessore, essendo costituita da 5 a 6 strati di cellule aventi tutti lo stesso carattere. In corrispondenza della parte che abbiamo considerata come rudimento dell’apparato branchiale, la lamina cornea si comporta ‘in modo da venire in appoggio di questa nostra idea. Così dal fondo della depressione che si nota alla superficie esterna nel punto A, parte un prolungamento ectodermico (se- zione 64°) il quale si isola e si spinge all’interno ed in avanti, e nelle successive sezioni si può accompagnare finchè esso si con- giunge di nuovo con la lamina cornea in avanti ed in basso nel punto B (sezione 118). Si avrebbe così un cordone cellulare che va da A in B procedendo obliquamente dall’alto in basso e dall’indietro in avanti, circondando alla parte interna quella sporgenza che abbiamo detto potersi considerare come prolun- gamento mascellare superiore del 1° arco branchiale. Quando il prolungamento epiteliare ha raggiunto la superficie ventrale si continua ancora caudalmente con un solco ben pronunziato, il ‘quale va a finire alla parte profonda del primo arco branchiale costituendo così l’epitelio della fossetta boccale. Nelle sezioni successive l’estremità distale del 1° arco bran- chiale si spinge verso la linea mediana, s'incontra con quella del lato opposto, si fonde prima il rivestimento epiteliare poi la parte mesodermica, venendo in tal modo ben circoscritta la fossetta della bocca tutta rivestita dagli elementi della lamina cornea (Fig. 4° M). Dietro la depressione della bocca, che va subito restringen- dosi per quindi scomparire, si trova ancora la vescicola cerebrale anteriore ben pronunciata, la quale forma una sporgenza me- ‘diana e divide lo spazio circoscritto dai due archi in due parti ‘laterali (Fig. 4* V). La parte sinistra più ristretta scompare dopo ‘poche sezioni; la destra invece più ampia, si mantiene tale per un certo tratto; poi modifica la sua forma, si dirige all’esterno e dorsalmente si avvicina sempre più alla superficie laterale e finalmente il suo epitelio sì continua con la lamina cornea (se- zione 202). Tutto ciò che siamo andati descrivendo per quanto anomalo sia e per quanto sia difficile di metterlo in rapporto colle con- 374 C. GIACOMINI dizioni ordinarie di sviluppo, ciò nondimeno può essere aneora compreso trattandosi di una regione dove le dipendenze del- l’ectoderma sono frequenti a riscontrarsi e sotto tutte le forme. Ma ciò che sorprende di più sono i prolungamenti della la- mina cornea che si osservano abbastanza regolarmente nella re- gione dorsale, e che andremo ora descrivendo. Già esaminando attentamente la superficie esterna dell’ embrione e con un certo ingrandimento abbiamo notato nei limiti tra la regione dorsale e la ventrale due linee, una destra e l’altra sinistra, concentri- camente disposte alla curva dell'embrione, sulle quali potevano osservarsi microscopiche depressioni o fossette susseguentisi l’una all’altra. L'esame delle sezioni ha dimostrato che lungo queste due linee laterali la lamina cornea presenta disposizioni molto im- portanti. In alcuni tratti si trova un solco ben pronunciato dove l’ectoderma ha maggior robustezza (Fig. 3° E E), in altri punti il solco è meno evidente, ma questa regione è facile a distin- guersi, perchè qui si accumulano in maggior abbondanza e al dissotto dell’ectoderma, quegli elementi piccoli, diversamente co- loriti che si trovano sparsi nel mesoderma. Tenendo dietro ad un certo numero di sezioni, si trova che le cellule della lamina cornea, tratto tratto si spingono profon- damente nel mesoderma, con direzione ventrale e mediale, pro- ducendo così un cordone epiteliare, il quale generalmente si pre- senta ingrossato alla sua estremità libera ed assottigliato nel punto in cui esso sta per mettersi in congiunzione con l’ecto- derma. Assume perciò nelle sezioni trasversali un aspetto piri- forme, quando questo prolungamento ectodermico ha raggiunto un certo sviluppo. Poi il peduncolo che teneva sempre legato l’af- fondamento epiteliare colla lamina cornea scompare ed allora noi troviamo in mezzo del tessuto mesodermico gruppi epiteliari, i quali risultano costituiti da una maggiore o minore quantità di cellule, le quali conservano tutti i caratteri degli elementi della lamina cornea e sono perciò abbastanza distinguibili da quelli che li circondano (Fig. 4° e 5° E E). Il numero delle cellule in ciascuna sezione può variare da 4 ad 8 fino a 30 e 40 ed anche più, Hanno questi cordoni epi- teliari forma regolarmente circolare, e sono limitati dal mesoderma da una sottile linea fortemente colorita che ci rappresenta una membrana basale o di sostegno. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 375 Possono in queste condizioni essere seguiti per un numero diverso di sezioni finchè scompaiono. Talora prima di scomparire sì congiungono di nuovo per mezzo di un prolungamento colla lamina cornea. Generalmente noi troviamo che questi cordoni cellulari sono completamente pieni; ma nei più cospicui di essi si riscontra talora una piccola cavità, posta più o meno al centro, la quale può essere vuota, ovvero contenere piccoli nuclei rotondi, coloriti, cir- condati da sostanza granulare, i quali probabilmente provengono dalla disagregazione degli elementi epiteliari più centrali e forse anche dalla penetrazione di quelli che stanno ammassati intorno al cordone epiteliare nel mesoderma. Ad ogni modo noi possiamo considerare questa vacualizzazione come un segno di regresso nella evoluzione del cordone epiteliare. Ora il fatto più singolare si è che queste disposizioni sì ri- petono abbastanza regolarmente a destra ed a sinistra della linea mediana in modo simmetrico. Possono variare nel volume, nella ‘estensione nelle loro connessioni con la lamina cornea, ma il fatto essenziale sì è che le ripetizioni avvengono in modo da ricordare una disposizione metamerica o segmentaria. Per evitare una lunga descrizione e per essere nello stesso tempo più chiaro nella esposizione, ho tentato di ricostrurre una figura, la quale ci dia una idea esatta della disposizione osservata sui due lati. Questa figura fu ottenuta nel seguente modo. Su carta divisa in millimetri, io considerava ogni divisione corrispon- dere ad una sezione dell'embrione, e dopo aver segnato due linee parallele e verticali rappresentanti il lato destro e sinistro della lamina cornea nel punto in cui essa somministrava i suoi pro- lungamenti, nell'esame dei preparati io notava sulle linee orizzon- tali le particolarità osservate. In tal modo io aveva sottocchio il momento in cui cominciava a prodursi un affondamento epiteliare sui due lati, il punto in cui questo si isolava dalla lamina cornea e l’estensione sua nel mesoderma. In questo modo si potevano ancora con facilità paragonare le disposizioni di destra con quelle di sinistra. La figura schematica riprodotta è il terzo dell’originale (Fig. 7°). Essa si estende dalla 30* sezione dove incomincia il primo pro- lungamento di sinistra, e giunge fino alla 374° sezione dove ter- mina l’ultimo di destra. Convien qui ricordare l’obliquità che presentavano le sezioni 376 C. GIACOMINI da sinistra a destra e dall’alto al basso, perchè essa ci rende ragione della diversa estensione della disposizione epiteliare nei due lati. Per correggere questa obliquità delle sezioni, basta spo- stare un po in alto la linea di destra od abbassare la sinistra, ed allora troviamo che la nostra particolarità si origina e ter- mina pressochè al medesimo livello sui due lati. I tratti oscuri servono ad indicare che il prolungamento epiteliare in tutto questo tratto era sempre congiunto con la lamina cornea. In questo modo noi possiamo enumerare dieci prolungamenti epiteliari a destra e dieci a sinistra di forma ed estensione di- versa; però si scorge tosto come essi siano più voluminosi e più estesi verso la estremità cefalica, diminuendo sempre più quanto più ci portiamo verso la caudale. Il 1° prolungamento di sinistra si distingue da tutti gli altri perchè appena si è originato, si rende tosto indipendente; poi si divide in due parti o cordoni epiteliari, dei quali 1’ uno giunge fino alla 60? sezione, l’altro si estende fino alla 75%. Il 6° prolungamento di sinistra merita pure un cenno perchè ‘esso ci rappresenta un semplice cordone epiteliare, disposto sulla medesima linea degli altri, il quale non ha nessuna connessione con la lamina cornea. Esso compare alla 247° sezione e termina alla 265°. Il 5° prolungamento di destra rappresenta uno stadio di pas- saggio tra quello descritto e gli altri. Esso infatti è completa- mente indipendente nella massima sua estensione, ma è congiunto alla lamina cornea alle sue due estremità. Si estende dalla 191° se- zione fino alla 248?. Generalmente la parte libera sotto forma di cordone epiteliare sì dirige verso l’estremità caudale. Nei più inferiori però troviamo invece una disposizione opposta. Nel 6° e 7° di destra e nel 7° e 8° di sinistra incomincia a comparire nelle sezioni la parte libera la quale poi caudalmente si congiunge con la lamina cornea. Quando incominciano e presentarsi queste disposizioni, si trova che esse sono prenunziate da un solco ben evidente, il quale è quello che si scorgeva anche nell’esame della superficie embrio- nale; si mantiene più o meno profondo fino alla regione del tronco. La simmetria bilaterale nella regione cefalica, atteso la maggiore deformazione che essa aveva subito, è meno manifesta, questa però sì conserva in tutto il resto come si può scorgere dalle poche sezioni riprodotte (Fig. 5). ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO ari In nessun altro punto si riscontrano formazioni simili a quelle descritte solo nelle sezioni che interessavano la cauda, compariva un breve prolungamento ectodermico, il quale corrispondeva al punto dove la corda ed il canale midollare sì confondevano in- sieme (Fig. 6. Caw.). Credo inutile di spendere altre parole per dimostrare la sin - golarità di questa. formazione epiteliare. Essa è singolare non solo considerata in sè stessa, ma maggiormente per la regione in cui si trova e per la disposizione che assume. Considerata in sè stessa come produzione epiteliare, non sa- rebbe difficile di darle una spiegazione, pensando ad una maggiore attività degli elementi ectodermici, per rispetto alle altre parti dell'embrione, per cui si producevano degli zaffi epiteliari, i quali in alcuni punti rimanevano uniti alla lamina d'origine, in altri invece se ne rendevano indipendenti. E nel nostro caso speciale si potrebbe dire che mentre tutte le parti componenti l’embrione, erano state profondamente colpite dalla causa che ha prodotto l’arresto, la lamina cornea fosse rimasta attiva ancora per qualche tempo e proliferasse in alcuni punti della sua faccia profonda somministrando i cordoni epiteliari che abbiamo descritto. Il processo non sarebbe nuovo e troverebbe il suo riscontro in tutte le formazioni ghiandolari ed epiteliari. E malgrado l’os- servazione non abbia dimostrato nulla di simile in stadi di svi- luppo corrispondenti al nostro caso, ciò nondimeno la spiega- zione potrebbe venir considerata come soddisfacente, essendochè non si avrebbe avuto che una precoce manifestazione di un pro- cesso che doveva aver luogo più tardi. E per cercar di chiarire questo punto, io ho passato in ras- segna la mia raccolta di embrioni umani e di animali deformati, e non mi sono mai incontrato in formazioni consimili. Solo in un embrione umano del principio del secondo mese che ho avuto dal Dott. Canton, e che malgrado esso fosse molto guasto per i ma- neggi dell'aborto, ho voluto sezionare e conservare come mate- riale di confronto, ho osservato all’estremità caudale e sulla linew mediana una disposizione epiteliare la quale ricorda in propor- zioni maggiori ciò che siamo andati studiando. Credo conveniente per l’interesse del fatto di darne qui una breve descrizione. L’embrione non era normale, l’estremità cefa- lica però era quella che si presentava più deformata. Il tronco e l’estremità caudale furono sezionati in senso longitudinale. Nelle 378 C. GIACOMINI sezioni che comprendevano l’estremità caudale e la parte termi- nale del canal midollare, subito al dissotto di questo, dall’ecto- derma, costituito da elementi ben conservati, partiva un cospicuo prolungamento, il quale si dirigeva in alto fino a mettersi in contatto colle estremità del canale midollare. Nella sua parte centrale presentava una cavità piena di nuclei intensamente co- loriti, identici a quelli notati nel nostro caso. Assumeva maggior sviluppo in senso trasversale, ma solo alla sua parte mediana era congiunto con un peduncolo alla lamina cornea. Fatte le debite proporzioni, questo prolungamento epiteliare, aveva gli identici rapporti colla cauda e col canal midollare di quello osservato nel nostro embrione (Fig. 6° Cau), e proba- bilmente essi hanno l’identico significato che ora non voglio di- scutere Malgrado la cauda non sia una regione indifferente per il nostro scopo, essendochè le connessioni tra l’ectoderma e le parti profonde, si riscontrano normalmente e forse non sono ancora tutte ben studiate, tuttavia questo secondo caso serve a confer- mare che l’ectoderma in date circostanze può mandare prolife- razioni verso le parti sottostanti, le quali proliferazioni possono talora rendersi indipendenti, e così rimaner là in mezzo al me- soderma od agli organi che da esso provengono dei gruppi cel- lulari d’origine ectodermica, sulla sorte dei quali noi non possiamo ancora dir nulla, Certo si è, che se venissero ben determinate le cause e le circostanze per cui si producono tali formazioni, e se venisse ben dimostrato come tali circostanze non sempre sono fatali per il normale svolgimento del futuro organismo, noi avremmo allora una prova inconcussa per sostenere la teoria dei germi cutanei in mezzo ad organi di provenienza esclusivamente mesodermica. E molti fatti che si osservano nell’ ulteriore sviluppo avrebbero una facile e naturale spiegazione. Tutto ciò che siamo andati dicendo, se serve a dimostrare tutto l’interesse che noi possiamo trarre dallo studio delle forme anomale di sviluppo, se può dimostrarci ancora una certa indi- pendenza nello sviluppo delle primitive formazioni embrionarie, non vale però a spiegarci interamente la disposizione osservata nel nostro embrione. Le precedenti considerazioni sarebbero applicabili al caso nostro quando le proliferazioni ectodermiche si fossero manifestate ANOMALIE DI SVILUPPO DEIL’EMBRIONE UMANO 379 irregolarmente sulla superficie embrionaria. Nel fattispecie in- vece troviamo che esse avvengono solo lungo due linee laterali, limitrofe della regione dorsale e ventrale, che percorrono quasi l’intera lunghezza dell'embrione, che sono disposte simmetricamente mantenendo sempre gli stessi rapporti, e ripetendosi nello stesso modo per rispetto alle parti assili dell'embrione, corda dorsale e canale midollare. Questo modo di presentarsi merita certo tutta la nostra attenzione onde trovarne la ragione ed il significato. Ed innanzi tutto la disposizione non può essere puramente accidentale. Tutta la descrizione parla contro questa idea. La causa che ha agito doveva quindi essere influenzata da speciali circostanze, forse da ricordi filogenetici. Per quanto si voglia esser severi e rigorosi nella interpreta- zione di fatti anormalmente sviluppati dei primi periodi, non si può a meno di riconoscere nel nostro caso una disposizione seg- mentaria; vale a dire che le singole produzioni epiteliari hanno fra loro un intimo legame, devono essere considerate della stessa natura e devono essere prodotte da una identica causa. Se nella costituzione e nella successione dei singoli segmenti la disposi- zione non si presenta sempre in modo regolare ed uniforme, ciò è certo da imputarsi non solo al disturbato sviluppo, ma in specie allo stadio ed al periodo in cui era giunto. Esaminato in un pe- riodo più anteriore il nostro embrione, la particolarità si sarebbe presentata meglio evidente; mentre se avesse continuato a rima- nere nel seno materno ancora per qualche tempo, l’involuzione degli elementi avrebbe fatto maggiori progressi. Poichè l’idea più semplice che noi possiamo farci dell’insieme della disposizione, si è che a destra ed a sinistra della linea mediana ai lati del canale midollare si trova una lamina epite- liare che possiamo considerare come continua e che si affonda nel mesoderma e dalla profondità di essa si distaccano prolun- gamenti epiteliari. Per avere un paragone si potrebbe ricordare il modo con cui si produce dal muro gingivale la lamina epi- teliare e da essa ne provengono i germi per lo smalto. Quale significato adunque possiamo noi dare a quella estesa produzione epiteliare? Dobbiamo considerarle come manifestazione puramente individuale di un alterato processo di sviluppo, op- pure avrebbe essa rapporti od omologia con formazioni che si ri- scontrano in alcuni vertebrati? In breve dobbiamo spiegarla con la Putologia e colla Discendenza. ssi 380 C. GIACOMINI LI La risposta non è certo facile. E per rispondere convenien- temente a queste domande converrebbe entrare in luoghe discus- sioni per le quali fino ad ora non abbiamo una larga base di osservazione. Sarà meglio attendere quindi nuovi fatti prima di sollevare questioni così ardue, onde non compromettere l’argo- mento. i Intanto però, se noi non possiamo giungere ad afferrare il suo giusto significato, non possiamo trattenerci dal dire, come in presenza di questa disposizione la nostra mente ricorre agli Or- gani della linea laterale, che furono descritti in diversi animali ed in specie dal Balfour negli Elasmobranchi. Anche qui noi tro- viamo che la linea laterale si forma da una proliferazione lineare ectodermica, che si estende dalla regione del capo fino alla parte posteriore del tronco; e tenendo dietro alle modificazioni che essa subisce, troviamo molti punti di contatto colla nostra osserva- zione, non solo nell’insieme, ma anche nei particolari, per cui meriterebbe d’essere presa in considerazione questa supposizione, per quanto strana essa ci appaia a primo aspetto e per quanto urti le nostre cognizioni sulla costituzione normale dell’embrione umano e dei vertebrati superiori nei primi periodi. Ciò che avrebbe potuto portare un po’ di luce nella questione che stiamo trattando, sarebbe stato il modo di comportarsi del sistema. nervoso periferico rispetto alla lamina ed ai prolunga- menti epiteliari. Ma nel nostro esemplare esso non poteva essere riconosciuto in nessun punto. Ed a questo riguardo devo qui aggiungere una circostanza, l'esame delle sezioni del nostro rudimento embrionario ci ha di- mostrato come non esista traccia di vescicole uditive; malgrado che all’epoca in cui abbiamo supposto essere avvenuto l'arresto, queste dovessero essere già ben sviluppate ed anche isolate dal- l’ectoderma. E sorprende ancora il non trovarne traccia, pensando come l’ectoderma dal quale provengono, si era mantenuto nel nostro caso in condizioni abbastanza normali od almeno fu l’ultimo a risentire l’influenza della causa morbosa. Ora se noi consideriamo come esatta la supposizione che la lamina epiteliare laterale del nostro embrione sia una formazione corrispondente alla linea laterale che si osserva in molti verte- brati inferiori, in allora non potrebbe forse considerarsi come rap- presentante dell’organo dell’udito l’estremità anteriore di questa, yale a dire la parte che si trova all'estremità cefalica, dove come ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 381 abbiamo veduto la lamina epiteliare si presenta meglio sviluppata, si dispone sotto forma di un solco evidente, e dove i prolunga- menti epiteliari nel mesoderma sono più voluminosi, più estesi ed a sinistra divisi in due parti? Conforterebbe questa ipotesi l’idea di John Beard, il quale appunto considera l’organo dell’udito dei vertebrati come una parte individualizzata del sistema degli organi sensitivi della linea laterale. Come si scorge per renderci ragione delle particolarità osser- yate nel nostro embrione, noi siamo condotti a fare ipotesi su ipotesi, le quali se possono per un momento sorridere alla nostra mente, non hanno per ora un fondamento veramente scientifico. Attendiamo perciò nuove osservazioni. Concludo quindi con le medesime parole, con le quali inco- minciava la mia prima comunicazione: noi siamo ancora lontani dal poter stabilire le leggi che regolano la produzione di così fatte anomalie, per ora lo scopo nostro deve essere più modesto, limi- tandoci alla descrizione esatta e precisa di quanto cade sotto la nostra osservazione, lasciando ad altra epoca, quando le descri- zioni si saranno moltiplicate, il trarre conclusioni, che sorgano spontanee dal confronto dei diversi casi, e che servano ad inter- pretare l’origine ed il significato di così frequenti disposizioni. E quando negli anatomici si sarà ingenerata la convinzione che gli arresti e le deviazioni dei primi stadi di sviluppo tanto del- l’uomo come degli animali, oppure quei prodotti che senza essere deformati vengono colpiti da morte prima della loro emissione, non devono essere considerati come materiali di rifiuto o tutto al più utilizzati come esercizio di studio, ma che meritano invece di essere oggetto di minute ed accurate ricerche, sollevando il loro studio questioni non solo istologiche ma morfologiche del mas- simo momento, io credo che in allora le nostre cognizioni su questo argomento avanzeranno rapidamente. E se non si potesse ottenere altro risultato che quello di ben stabilire e precisare la condi- zione normale e fisiologica dell'embrione, non solo nella sua con- formazione esterna, ma ancora nel modo di presentarsi delle parti interne e degli elementi costitutivi, con ciò si sarà operato un. reale. progresso, poichè si eviteranno le lunghe e non sempre piacevoli ‘discussioni che si rinnovano ad ogni nuovo embrione umano che compare nella scienza per determinare il suo stato normale o patologico. «Ricordo a questo proposito l’embrione che il Pruschen ha 382 C. GIACOMINI descritto in una lunga ed elaborata memoria. Io fui dei primi (nota a pag. 17 della mia prima comunicazione) a considerare questo embrione come non normale. Son lieto ora di veder con- fermata questa mia opinione da altri autori ed in specie dal His in una lettera al Prof. Bardeleben pubblicata nell’ Anatomischer Anzeiger (1889, n. 1°). Resterebbe ora a dire del processo per mezzo del quale avven- gono così gravi modificazioni o metamorfosi nella costituzione del- l'embrione, e delle cause capaci a determinarle; ma essendo esse questioni troppo generali, per la soluzione delle quali ci manca ancora il conveniente materiale, possiamo senza alcun pregiudizio rimandarne la discussione ad altra circostanza. Intanto però dal poco che conosciamo appare manifesto che non tutti i fenomeni che si osservano sono un semplice effetto della morte del prodotto : molte parti vengono risparmiate, continuano per un certo tempo ancora a vivere e forse anche a svolgersi; benchè esse non rie- scano mai ad alcun risultato. Riguardo alle cause voglio per ora notare, che recentemente per mezzo di sperimenti sul coniglio sono giunto a produrre delle forme atrofiche perfettamente identiche a quelle che siamo andati descrivendo. Questi tentativi sperimentali che io descriverò in una prossima comunicazione, potranno tornarci di qualche aiuto non solo per interpretare le anomalie di sviluppo dell'embrione umano, ma ancora per ben caratterizzare i processi per mezzo dei quali si produce la distruzione degli organi già formati. OSSERVAZIONE IV. Dallo stesso Dott. Acconci nel mattino del 17 gennaio ul- timo scorso io riceveva una piccola vescicola la quale era stata espulsa dall’utero la sera avanti. Fu conservata col solito pro- cesso del liquido picrosolforico ed alcool. La donna da cui proveniva era d’anni 27 di professione cu- citrice, lavorando quasi esclusivamente colla macchina da cucire. Era affetta da leggera endometrite cervicale. Menstruata a 15 anni, passò a marito a 23 anni. Ebbe due gravidanze, due parti e due puerperi regolari. Il primo parto a 24 anni il secondo a 26 anni, Allattò ambedue le volte. Dopo l’ultimo allattamento, che fu protratto per 15 mesi, ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 383 fu menstruata regolarmente per 3 volte. Quindi avvenne la gra- vidanza dell’aborto attuale, l’ultima menstruazione finì agli 8 no- vembre. Al 15 gennaio incominciarono i fenomeni dell’aborto con per- dita abbondante di sangue, per cui fu chiamato il medico, il quale avendo trovato il collo uterino trasformato e dilatato estrasse col dito la vescicola che studieremo. Il puerperio decorse nor- male. La donna da qualche tempo soffriva di tosse. È esclusa ogni affezione sifilitica. L'età approssimativa dell’aborto sarebbe all'incirca di due mesi. Questi sono i dati clinici e ginecologici che ebbi dalla gentilezza del Dott. Acconci. Veniamo ora all’esame dell’ovulo (Fig. 8°). Appena messo nel liquido picrosolforico essa ci appariva sotto forma di una vescicola ovulare, limitata da pareti sottilissime e perfettamente trasparenti. Misurava nella massima lunghezza 1 '/, centimetro. Verso la piccola estremità si notavano due sottili prolungamenti filiformi che sembravano villosità o brandelli di Corion. Sul fondo della grossa estremità appena fu messa nel liquido conservatore comparvero delle piccole macchiette opache irrego- larmente disposte. Si potevano considerare per l’aspetto che pre- sentavano come residuo della vescicola ombellicale. Esse erano applicate alla superficie esterna. Il contenuto della vescicola era formato esclusivamente da un liquido trasparente ed acqueo. La faccia interna della parete sì presentava regolare, ed in nessun punto di essa si notavano particolarità le quali facessero credere all’esistenza di un em- brione o di un rudimento embrionario. Mancava quindi ogni traccia di resti embrionali tanto nella parete quanto nel liquido che riempie la cavità. A meglio caratterizzare questa formazione sarebbe stato di grande interesse l’esaminare le parti che furono espulse insieme o successivamente alla vescicola, onde vedere il modo di compor- tarsi delle altre membrane involgenti l’ovo. Ma non mi fu pos- sibile di ciò fare. Quel poco che ho potuto esaminare del se- condo parto consisteva esclusivamente di grumi sanguigni di vo- lume diverso indipendenti e modellati, il che dimostrava come essi non avessero avuto più rapporto alcuno col prodotto del conce- pimento ; e fra essi non ho potuto riconoscere traccia di Corion o di Caduca. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 28 384 C. GIACOMINI Malgrado questa deficienza nella nostra osservazione, noi pos- siamo tuttavia considerare la vescicola come un piccolo sacco amniotico, nel quale il prodotto era completamente scomparso per difetto di sviluppo. L'aspetto esterno della presente vescicola rassomiglia in modo così distinto a quella descritta nella precedente comunicazione (2* Osservazione) che non possiamo a meno di considerarla come identica, come identico deve essere stato il processo per cui essa sì è distaccata dal Corion. Solo in una esisteva ancora traccia di embrione, mentre nel- l’altra manca affatto. Se questa identità fosse dimostrata, sa- rebbe anche confermato quanto io diceva in allora che cioè il rudimento embrionale avrebbe finito per scomparire totalmente se esso avesse soggiornato ancora per qualche tempo nel seno materno. L'aspetto interno invece della nostra vescicola ci ricorda la disposizione della 1° osservazione già descritta. Là come qui ab- biamo una vescicola a pareti sottili con contenuto liquido senza rudimento embrionario. Basterebbe supporre, per spiegarne le dif- ferenze, che le vescicole che si sono originate dal Corion, ed al quale erano aderenti per un peduncolo, per il progressivo ingran- dimento, questo si fosse reso più sottile e più debole, in seguito si fosse rotto, in specie quando si iniziarono i primi sintomi. dell’aborto, avendosi in tal modo una vescicola del tutto indipen- dente della sua primitiva origine. Queste sono le idee che ci vennero in mente ad un primo esame di questo aborto. Vedremo tosto se la intima costituzione della parete della vescicola può dar fondamento all’uno od al- l’altro di questi concetti. L’intera vescicola fu tutta utilizzata per l’esame microsco- pico. La piccola estremità fu distaccata dal resto, divisa in diverse parti, colorita con ematossilina, con borace carmino o con car- mino alluminato, e quindi distesa su un vetrino portaoggetti e chiusa in gomma d’Amar o glicerina. Dalla grossa estremità fu tolta la parte che conteneva quei punti opachi biancastri, colorita con borace carmino e divisa in oltre 400 sezioni che tutte furono conservate nell’ordine con cui vennero fatte. Altri piccoli tratti han subito lo stesso trat- tamento. L'esame delle sezioni è più istruttivo per dimostrare le ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 385 particolarità di struttura. Da esso noi possiamo dire che la co- stituzione è identica nei diversi punti. È più robusta la parete alla sua grossa estremità, ma questo maggior spessore dipende non da modificazioni nella costituzione ma da parti si aggiun- gono alla sua superficie esterna. Partendo dalla faccia interna e venendo alla esterna noi troviamo le seguenti parti. Tutta la faccia interna è rivestita da un unico strato di cellule che si presentano nelle sezioni forte- mente appiattite e fusiformi. I nuclei voluminosi, sferici, in- tensamente coloriti sporgono molto sulla superficie libera, e sono situati a distanza varia. Là dove l'intervallo è maggiore sono meno sporgenti e si allungano d’alquanto. Essi generalmente sono cir- condati da un protoplasma reticolato pochissimo colorato il quale costituisce una specie di alone incoloro che meglio si scorge nei preparati visti di fronte. (Questa disposizione si manifesta nelle cellule che presentano il nucleo molto sporgente, nelle altre che sembrano più appiattite è meno visibile o manca affatto. Questo diverso modo di presentarsi dell'epitelio di rivestimento della ve- scicola è senza dubbio dovuto al diverso grado di distendimento che esso ha subito (Fig. 9*, 1). Al disotto di questo strato che rappresenta l’epitelio della vescicola, se ne trova un secondo più robusto da 10 a 15 mi- cromil., il quale in gran parte si presenta completamente amorfo, jalino, poco colorito. In esso non si possono distinguere nè fibre, nè elementi cellulari. Ha l'aspetto di un sottile nastricino uni- formemente disposto che serve di sostegno alla parte epiteliare a cui esso appartiene (Fig. 9°, 2). Segue un terzo strato continuo pure per tutta l’estensione della vescicola il quale è formato da cellule a aspetto endoteliare, leggermente appiattite e disposte generalmente in doppio ordine. Queste cellule si mostrano delicate con nucleo ovulare, meno co- lorito di quelle del rivestimento interno, ma talora più volumi- nose. Il protoplasma è finamente granulare, in alcuni tratti esso è l’unico rappresentante di questo strato poichè i nuclei non sono uniformemente sparsi (Fig. 9? 3). Il doppio ordine di cellule appare evidente là dove i nuclei si corrispondono. In allora una cellula sembra applicata alla faccia esterna dello strato amorfo e l’altra situata più esterna- mente ed aderente allo strato che sussegue nel modo stesso con cui si comporterebbero elementi endoteliari. Ciò che distingue an- 386 C. GIACOMINI cora questo strato si è che le cellule non sono strettamente unite fra loro, ma si notano dei numerosi piccoli spazi fusiformi di- retti parallelamente alla superficie della vescicola, circoscritti da prolungamenti delle cellule, quasi fossero il residuo di cavità più ampie, scomparse o ridotte per l'avvicinarsi dei due strati. cel- lulari. Quando si esaminano i lembi della vescicola distesi sul. ve- trino colla faccia interna rivolta in alto, possono essere ben os- servate queste cellule subito al dissotto dello strato epiteliare, ed amorfo; ed allora meglio possono essere stabiliti i contorni delle cellule i loro mutui rapporti, i prolungamenti che somministrano e le differenze che presentano paragonate col rivestimento epiteliare. Gli elementi che formano questo strato sono una dipendenza della lamina di connettivo che normalmente sostiene l’epitelio del- l’Amnios; le cellule connettive invece di trovarsi poco numerose, sparse qua e là e divise da sostanza interposta finamente fibril- lare, qui si trovano accumulate nello straticello che. abbiamo descritto, il quale divide la parete della vescicola in due parti ben distinte in tutta la sua estensione. All'esterno di queste cellule si trova un quarto strato for- mato essenzialmente da sottili fibrille strettamente unite che de- corrono in diverso senso. Esso è generalmente meno robusto dello strato amorfo. Il limite interno servendo come di sostegno alle cellule del terzo strato è ben marcato, il limite esterno invece si va insensibilmente confondendo con un tratto più delicato della parete che si lascia facilmente smagliare, aumenta così lo spessore della parete, ed appare costituito da un tessuto reticolare, entro il quale si trovano qua e là piccole cellule rotondeggianti ana- loghe ai leucociti. Esso rappresenterebbe qui i residui di quella sostanza gelatiniforme che riempie lo spazio amnios-coriale. La superficie esterna della vescicola si presenta un po’ irrego- lare. In molti punti di essa ed in specie verso la grossa estre- mità. si trovano fasci più o meno voluminosi di tessuto più com- patto, i quali da una loro estremità si dimostravano lacerati, e dall'altra dissociandosi si applicavano alla superficie della vescicola rinforzandone le pareti. Questo fatto era reso più dimostrativo con preparati visti di fronte. Questi fasci eran quelli che stabi- livano le connessioni tra la nostra vescicola e la faccia ‘interna del corion e devono essere considerati come dipendenza del. con= nettivo di quest’ultima membrana. ANOMALIE DI SVILUPPO PELL'EMBRIONE UMANO 387 In' un punto delle parti laterali della vescicola, in mezzo al tessuto reticolare nelle sezioni compariva un cordone abbastanza regolarmente cilindrico pieno completamente di elementi cellulari d'aspetto epiteliare con contorni ben marcati. il quale poteva essere seguito per un gran numero di sezioni, poi si dissociava e scom- pariva affatto. Questa disposizione deve senza dubbio essere inter- pretata come residuo del canale vitellino e forse anche dalla vescicale ombellicale. Questi sono in breve i risultati del nostro esame microscopico. Possiamo noi dire che essi corrispondano a quanto noi conosciamo sulla struttura dell’Amnios? Im verità troviamo qualche differenza. «Siccome le descrizioni che vengono date di questo involucro fetale, per ciò che riguarda la sua intima costituzione, come pure per ciò che riguarda la sua formazione non sono completa- mente d’accordo; e siccome non sappiamo ancora bene la ragione di queste discordanze e non è ancora bene stabilito se l’Amnios si mantenga eguale nella disposizione delle sue parti costituive dall'epoca in cui compare fino al termine della gravidanza, noi possiamo considerare le differenze riscontrate nel nostro caso, come variazioni accidentali dipendenti in principal modo dall’alterato processo di sviluppo. Se noi paragoniamo la struttura delle pareti della nostra vescicola con quella dell’amnios dell'embrione che fu descritto nella 1° osservazione della precedente comunicazione, il quale anch'esso sì era distaccato spontaneamente dal Corion, troviamo che in quest’ultimo la parete è più sottile, le cose sono più semplicemente disposte, mancando qui il sottile strato amorfo e lo strato di cel- lule connettive poste subito all’esterno di esso. Ma trattandosi qui non di parti nuove che si aggiungono alle pareti della vescicola, ma solo di modificazioni di quelle esistenti, essendochè questi due strati possono facilmente essere spiegati come un maggiore differen- ziarci del tessuto mesodermico che sostiene l’epitelio dell’amnios, d'origine ectodermica, fatto che può essere verificato in altri em- brioni del medesimo periodo di sviluppo, noi possiamo conchiudere che nel nostro caso si trattasse di un vero sacco amniotico, con mancanza dell'embrione. Resterebbe così bene stabilita la possibilità di poter riscontrare le membrane ovulari, che si formano in dipen- denza dell'embrione completamente vuote, senza alcun prodotto. Come ciò avvenga non è certo facile a comprendersi. La causa deve aver agito nei primissimi stadi, subito dopo che l’amnios 388 C. GIACOMINI si è ben costituito. Resosi allora indipendente, ha continuato per un certo tempo a svilupparsi malgrado l'embrione avesse cessato di partecipare alla vita generale e fosse entrato in un periodo di regresso. Sarebbe questo l'estremo grado di atrofia a cui può giun- gere un ovulo quando è disturbato nella sua evoluzione. Sperimentalmente nel coniglio io sono giunto a questi medesimi risultati. Operando su vescicole dal 7° all’ 8° giorno, limitando la nostra azione disturbatrice al solo embrione, e cercando il più possibile di non offendere le membrane, si può ottenere che queste continuino nel loro sviluppo mentre il prodotto si arresta e dopo pochi giorni non se ne trova più traccia. Queste esperienze sono poi doppiamente istruttive, essendochè ci dimostrano che vi esiste una stretta affinità tra le forme atro- fiche e nodulari da una parte e la mancanza di ogni rudimento embrionario dall’altra. Poichè mentre in alcune vescicole dello stesso utero era scomparsa ogni traccia di embrione, inyece in quelle che precedevano o susseguivano esisteva ancora un rudi- mento embrionario talora appena percettibile e costituito nello stesso modo delle forme atrofiche. Le due osservazioni che siamo andati descrivendo in. questa nota, le possiamo quindi considerare come due stadi del mede- simo processo che ha colpito l’embrione umano nelle primissime fasi del suo sviluppo. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fic. 1. Rudimento embrionario, grandezza naturale. 389 Fic. 2. Embrione ingrandito 15 volte coll’embrioscopio di His. A e B. Depressioni sulle parti laterali dell’estre- mità cefalica unite fra loro nella parte profonda per mezzo di un prolungamento epiteliare. — M. 1° arco branchiale o mascellare superiore. — ZL. Depressione corrispondente alla lente cristallina. — . Disposi- zione del fegato. — Cau Cauda.. — P. Funicolo om- bellicale. Fic. 3. Questa figura rappresenta la sezione 68°, ingrandita 40 volte. CM. Canale midollare che si continua fino alla faccia ventrale; verso il dorso la parete è ancora ben distinta, ma con decorso ondulato; ventralmente è ridotto ad un ammasso di piccoli elementi. L. Cristallino di destra. AB. Cordone epiteliare che sta sotto il prolun- gamento mascellare superiore del 1° arco branchiale. EE. Solchi ectodermici che si trovano ai lati della regione dorsale; dalla profondità di questi solchi partono prolungamenti epiteliari che si approfondano nel mesoderma. Fic. 4. Sezione 171°. CM. Canale midollare. — Co — Corda dorsale. — A. Sezione di due vasi sanguigni. — Ve. Parte più anteriore della vescicola cerebrale anteriore. M. Estremità interne del 1° arco branchiale che stanno fondendosi insieme sulla linea mediana, cir- coscrivendo la depressione buccale. E. Cordone epiteliare che si è reso indipendente dalla lamina cornea, 390 C. GIACOMINI Fic. 5. Sezione 408? — Corrisponde al punto in cui l’embrione aderisce alle membrane per mezzo del cordone om- bellicale. 1° Amnios, 2° Corion. — Vi. Spazio cir- colare tra le due membrane rivestite d’epitelio e che si continua in un canale (canale vitellino). Cau. Cauda. Qui si trova un prolungamento epi- teliare situato sulla linea mediana e subito sotto il punto in cui termina la corda dorsale ed il canale midollare. P. Funicolo ombellicale. Fic. 6. Sezione 280%. — In questa sezione si osservano da ambo i lati e simmetricamente disposti i prolunga- menti della lamina cornea EE. Nel prolungamento di destra si trova un vacuolo al centro del cor- done epiteliare. Fic. 7. Figura di costruzione rappresentante i prolungamenti epiteliari della lamina cornea di ambo i lati, l’enu- merazione indicata sulla linea mediana corrisponde al numero delle sezioni. Fic. 8. Ovulo dell’osservazione IV disegnato in grandezza naturale. Fic. 9. Sezione di un punto della parete per dimostrare la sua costituzione (Seiber. Ocu. n. 1, obiet. n. V). 1. Epitelio della vescicola. . Strato ialino. Strato di cellule connettive. . Strato esterno. H> 9 N L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. Torino Tip. REALB-PARAVIA. 1 - Anomalie di sviluppo dell’Embri . (Fan. GIACOMIN nomalie di uppo dell’Embrione umano (6 av. MIL) I Tav. VIIL — Lit. Salussolia Torino - - do I OC SR |’. Classe di Scienze Fisiche, Ma tu terziario | Sacco — Il seno Ivo. SE È Pater. Ù t - Su alcune anor uppo dell Comunicazione seconda . L09: — Giacomni — Su alcune anomalie di svil ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI-TORENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 13°, 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 12 Maggio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, SALVADORI, BRUNO, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NaccarI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE. Si dà lettura dell’atto verbale dell'adunanza precedente che viene approvato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia ven- gono segnalate le seguenti : « Conferenze di meteorologia e di fisica terrestre tenute in Venezia nel settembre 1888 dai Signori M. DeL GaIzo, G. Gio- vanozzI ed O. ZanortI Branco, con prefazione del P. Francesco DENZA. » Il Segretario dà comunicazione: 1° di una lettera circolare del Comitato ordinatore di un Congresso di Elettricità, che si terrà a Parigi in occasione della presente Esposizione universale, ed al quale sono invitati i Soci cultori degli Studi elettrici ; 2° di un manoscritto inviato in dono dal Signor E. DE- LAURIER di Parigi, col titolo: « T'heories nouvelles des causes des maladies et des fermentations. » Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine che segue : 1° « Ricerche anatomo-fisiologiche sui tegumenti seminali delle Papilionaceae »; Nota preventiva dei Dottori Oreste Mat- TIROLO e Luigi BuscArIoni, presentata dal Socio GIBELLI; Atti della R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 29 392 O. MATTIROLO E L. BUSCALIUNI 2° « Nuove contribuzioni allo studio degli Arion euro- peî », del Signor Carlo POLLONERA, presentate dal Socio LESSONA ; 3° « Contributo allo studio dell’accrescimento del tessuto connettivo ed in particolare della cornea e del tendine »; 0s- servazioni del Dott. Ignazio SAaLvioLI, Assistente al Laboratorio di Patologia generale della R. Università di Torino, presentate dal Socio Mosso a nome del Socio BizzozERo; 4° « Gmeis tormalinifero di Villar Focchiardo (Val di Susa) »; Cenni descrittivi del Dott. Giuseppe PioLtI, Assistente al Museo di Mineralogia della R. Università di Torino, presentati dal Socio SPEZIA. LETTURE Ricerche anatomo-fisiologiche sui tegumenti seminali delle Papilionaceae ; Nota preventiva dei Dott. OrEstE MATTIROLO e LuIGI BUSCALIONI La presente Nota ha per oggetto di esporre per sommi capi alcuni dei risultati principali che abbiamo ottenuti nello studio dei tegumenti seminali delle Papzlionaceae, quale comunicazione preventiva di un lavoro che confidiamo poter pubblicare fra poco in disteso. I semi delle Papilionaceae in genere sono, come è noto, re- niformi. Sulla loro superficie concava si osservano tre organi spe- ciali, formanti in complesso un apparato che chiameremo lare e che rispettivamente, basandoci sulle loro funzioni, indicheremo coi nomi di Micropilo, Chilario o Lamina ilàre e Tubercoli gemini. Il Micropilo corrisponde alla punta radicale dell’Embrione e rappresenta l’apertura del canale micropilare dell’ovulo. Il Chilario è formato da due valve o labbra (1) capaci di movimenti, le quali limitano una fessura che conduce ad una cavità ripiena di un tessuto formato da corti elementi tracheidali, che dal Mzicropilo si estendono sino quasi ai tubercoli gemini. (1) Onde il nome che gli abbiamo dato, TEGUMENTI SEMINALI DELLE PAPILIONACEAE 393 Questi ultimi sono rappresentati da due prominenze accop- piate lungo la linea mediana dell’apparato ilàre e diverse assai nel modo di sviluppo e nell’intima struttura a seconda dei generi, come si dirà in seguito. Fra il Chilario ed i Tubercoli entra nel tegumento il Funi- colo indipendente in origine dal CWilario, diversamente a quanto finora era stato creduto. Della residua porzione del tegumento non ci occuperemo per ora, perchè già in gran parte descritta dagli Autori. Il tegumento consta di parecchi strati rivestiti all’esterno da una membrana che può considerarsi analoga alla cuticola. Mentre questa, nel maggior numero dei generi, si presenta molto sottile, cosicchè occorrono adatti mezzi microchimici per metterla in evi- denza, in alcuni generi invece (Medicago, Cicer, ecc.) è rinforzata da uno strato cellulosico continuo; solo nelle varie specie di Baptisia, caso unico per quanto possiamo sapere finora osservato, questa specie di cuticola è infiltrata da depositi granulari di lignina. Il rivestimento cuticolare cessa sulle cellule che circondano le aperture, perdendosi gradatamente negli orifizi. L'estrema sottigliezza di questa membrana e la frequente sua interruzione valgono a dimostrare che. nelle Papilionaceae la cuticola non può in generale formare un efficace apparato di pro- tezione, il quale è invece dato dalla Linea lucida decorrente nello strato a cellule malpighiane. Le cellule malpighiane, già studiate da uno di noi (1) nelle Papilionaceae sono molto sviluppate e presentano un lume cellulare allargato nella parte basale o interna dell’elemento, che si risolve nella porzione esterna in numerosi canalicoli. Nel lume cellulare si notano residui di plasma e di corpi clorofillari, pigmenti tan- niferi varii e costantemente un residuo di nucleo situato a metà circa della cavità. Crediamo utile insistere sulla presenza del residuo nucleare nelle cellule malpighiane, poichè fu questo dal Beck (2) de- scritto come un corpo siliceo. La determinazione della vera (1) O. MartiROLO, La linea lucida nelle cellule malpighiane degli integu- menti seminali. Memoria della R. Accademia delle Scienze di Torino. Serie II, tom. XXXVII. (2) Beck, Vergleichende Anatomie der Samen von Vicia und Ervum, pag. 548. Sitzungsb. d. K. K. Akademie der Wissensch. Wien 1878, vol. LXXVII. 3994 O. MATTIROLO E L. BUSCALIONI natura del corpo in parola fu da noi ottenuta tanto per via mi- crochimica (acido fluoridrico, sostanze coloranti nucleari, incene- rimento, ecc.), quanto per via organogenica. La sostanza della membrana cellulare è cellulosica; la linea lucida è lignina modificata (V. loc. cit.). Le cellule malpighiane in corrispondenza del Chilarzo sono rinforzate sulla superficie esterna da un secondo strato di cellule e da resti del tessuto di separazione entrambi di emanazione funicolare. In corrispondenza dei Tubercoli gemini le malpighiane si allungano enormemente ed arcuandosi verso la linea mediana di contatto circoscrivono una fessura la cui presenza è costante nei diversi generi. I canalicoli in cui si risolve il residuante lume cellulare verso l'esterno, terminano sotto la cuticola attraversando la linea lucida, la quale, come dimostrano gli esperimenti, sostituisce o rinforza l’azione della cuticola nella protezione del seme; la linea lucida sì riscontra in tutti i generi. Pare che i canalicoli terminino liberamente al disotto degli strati cuticolari, non avendo le cellule malpighiane una parete propria verso l’esterno. La descrizione della forma e dello sviluppo delle malpighiane verrà fatta nel lavoro generale. Sotto lo strato malpighiano si trovano le così dette cellule a colonna sparse in tutto il tegumento meno che sull’apparato ilàre dove sono sostituite da elementi cubici che fanno corpo col tessuto sottostante; contengono granuli plasmatici e clorofillari, residui nucleari, pigmenti tannici e qualche volta cristalli di os- salato di calce (Phaseolus). La membrana è cellulosica, ma ricoperta esternamente da un rivestimento (ausk/eidung) qualche volta lignificato che ricopre i grandi spazii interposti fra le colonne. I tessuti profondi variano nella loro struttura a seconda che si esaminano nei diversi punti dell’area ilàre o nel restante te- gumento. Sull’area ilàre, senza entrare in dettagli, si può affermare che lateralmente al Chilario, al Micropilo ed ai Tubercoli si osservano strati di cellule irregolarmente ramificate e per lo più pigmentate, le quali, mentre verso la superficie del tegumento si addensano in tessuto compatto, profondamente danno origine, as- TEGUMENTI SEMINALI DELLE PAPILIONACEAE 395 sottigliando le pareti, a cellule parenchimatose più o meno schiac- ciate, nello spessore del quale strato decorrono i rami del fascio funicolare. In corrispondenza dei Tubercoli gemini, le cellule ramificate si modificano profondamente per costituire il corpo dell'organo. Le cellule perdono i prolungamenti e si stipano in un tessuto compatto, il più delle volte pigmentato, a pareti cellulari ispes- site. Il numero degli strati e la forma degli elementi varia a seconda dei generi. Occorre però notare che in alcuni casi i fubercoli si trovano alquanto discosti dall’area ilàre, incuneati nel tessuto parenchi- matoso che costituisce la rimanente porzione del tegumento. In questo caso essi possono esser rappresentati solamente dalle cellule malpighiane allungantisi a spese dei tessuti sottostanti che re- stano alquanto schiacciati; oppure ha luogo una contemporanea formazione di un tessuto speciale a cellule più o meno pigmen- tate-tanniche. Particolarità notevolissima degli elementi ramificati dell’area - llàre è quella di presentare in ispecie sulle ramifigazioni e sulle fronti di contatto fra cellula e cellula, delle prominenze baston- ciniformi, capitate od irregolari, analoghe chimicamente e mor- fologicamente a quelle che finora si conoscono esclusive degli spazi intercellulari delle Marattiacee in genere (1). Il rivestimento degli spazi intercellulari è costantemente for- mato da due strati; l’esterno, estremamente sottile, tappezza tutta la superficie dello spazio intercellulare passando al di sopra dei processi a bastoncino. La sostanza di cui è composto è affine alle sostanze che compongono la lamella mediana (mittella- melle); l'interno, che forma il corpo dei processi e costituisce pure la parete divisoria fra cellula e cellula e l’anello che circonda l’estremità delle braccia cellulari, è dovuto ad una so- stanza che ha pure stretti rapporti colle mucilagini. Si distingue però dall’esterno per alcuni caratteri microchimici. Questi due strati si continuano colla parete degli elementi la quale è di natura cellulosica più o meno rigonfiabile. Solo in alcuni casi trattata con fluoroglucina ed acido cloridrico dà, nel (1) Lo studio di queste curiose formazioni sarà oggetto di una Nota da pubblicarsi quanto prima nella Malpighia. 396 O. MATTIROLO E L. BUSCALIONI tessuto che è interposto fra la punta radicale e il fondo della cavità micropilare, la reazione della lignina. Cade qui in acconcio di notare un fatto che crediamo im- portante (già descritto da uno di noi nel tegumento del genere Tilia (1) che riscontrammo nelle cellule ramificate di alcuni generi. Si tratta di processi irregolari partenti dalle membrane e svi- luppantisi nell’interno della cavità cellulare, i quali colla definitiva evoluzione delle cellule si risolvono in una massa omogenea pigmen- tata di natura suberosa e che abbiamo potuto riconoscere nello stesso tempo tannifera. Il fascio funicolare che in alcuni generi ( Vicia, Faba, Pha- seolus, Pisum, ecc.) è sempre nettamente separato dal CWilarzo, mercè un tessuto di cellule a pareti sottili, in altri generi poggia direttamente contro a quest’ organo per cui riesce malagevole il distinguere gli elementi di spettanza funicolare da quelli di per- tinenza chilariale. La disposizione però reticolo-spiralata delle punteggiature vasali del funicolo, la maggior lunghezza dei vasi e la maggior sottigliezza loro, valgono a farli distinguere dai tracheidi del CWé- lario; a questi si aggiungano i criteri organogenetici che stabi- liscono la perfetta indipendenza di queste due formazioni, di cui l’una, il Funicolo, è già presente nell’ovulo prima della feconda- zione, mentre l’altra si sviluppa assai tardi. Nella parte cribrosa del funicolo, orientata verso i tubercoli gemaini, i numerosi tubi cribrosi hanno i cribi coperti da un callo molto sviluppato. Questo fatto, che noi crediamo poter ritenere non ancora osservato, è importante sia per la stagione in cui si sviluppa il callo, sia per le interpretazioni fisiologiche che si pos- sono dare. Tale è in generale la struttura del tegumento sull’area ilàre, al quale aderisce l’albume che noi possiamo affermare di aver costantemente riscontrato nelle Papilionaceae o abbondantemente sviluppato, oppure ridotto a residui contenuti nella sacca radicale e nella fessura intercotiledonare. (4) O. MattIROLO, Di un nuovo processo di suberificazione nei tegumenti seminali del gen. Tilia L. Atti della R. Accad, delle Scienze di Torino, vol. XX — Sullo sviluppo e sulla natura dei tegumenti seminali del gen. Tilia L Nuovo giornale botanico italiano, vol. XVII, ottobre 1885 (con tre tavole) [dco) =] TEGUMENTI SEMINALI DELLE PAPILIONACEAE 3 Ecco ora i risultati ottenuti dallo studio fisiologico. Per quanto ha rapporto all’apparato ilàre bisogna distinguere prima di tutto che i vari organi che lo compongono godono di particolari funzioni. Il micropilo stabilisce la via di comunicazione più facile ai gaz e ai liquidi che si portano nell’interno del seme; quantunque questi possano pure attraversare direttamente le pareti tegumentali, come lo provarono estesi esperimenti con differenti liquidi pre- cipitabili, colorati, iniezioni, ecc., ecc. Il canale micropilare conduce direttamente alla punta della radice, la quale è sempre rinchiusa in una ripiegatura del te- gumento. Il foro micropilare è suscettibile di movimenti di chiusura e di apertura in relazione alle condizioni igrometriche. Si chiude (mai interamente però) colla secchezza, mentre si allarga coll’umidità. Il movimento succede per rigonfiamento od essiccazione delle malpighiane che ne circoscrivono l’apertura. Il rigonfiamento per imbibizione amplia necessariamente l’a- pertura, come succede in un anello metallico che si allarghi col calore. Il passaggio dei gaz venne constatato coi vapori di iodio e di acido osmico e col seguente apparecchio manometrico. In recipienti a larga base e poco alti venivano impiantati, in uno strato di finissimi granuli di vetro, circa 50 semi di Fagiolo (Phaseolus multiflorus. Lam.) tenuti col micropilo in alto e vice- versa in altro identico recipiente, la stessa quantità di semi, nelle identiche condizioni, veniva impiantata col micropilo in basso. Occorre avvertire che tanto il Chilario, quanto i Tubercoli venivano dapprima ermeticamente chiusi con strati di vernice e che le condizioni termometriche venivano in modo rigoroso investigate e confrontate con altro identico apparecchio privo di semi. A queste scatole si adattavano coperchi a chiusura ermetica muniti di tubi manometrici, graduati, orizzontali. In tutti i recipienti si versava acqua, avente identica tem- peratura, sino a metà altezza delle faccie laterali dei semi. Versato il liquido e chiusi i recipienti, nella cassetta conte- nente i semi col micropilo in alto, non avevano luogo sposta- menti notevoli dell’indice manometrico, mentre nell’altra cassetta 398 O. MATTIROLO E L. BUSCALIONI dove i semi pescavano col micropilo nel liquido, l’indice mano- metrico seguiva la prima legge di Detmer (1). L'indice di confronto della terza cassetta mostrava solo deboli oscillazioni dovute alle variazioni di temperatura. Viceversa, nei semi con micropilo in alto, ma chiuso con vernice, nei quali perciò non si effettuava l’assorbimento dei gaz, si notavano le stesse variazioni dell’indice che si osservano nei semi coll’apparato ilàre pescante nel liquido. I particolari dell'esperienza e le curve grafiche ottenute con questi apparecchi verranno consegnate nel nostro lavoro. I semi tenuti sospesi nell’acqua in modo che il micropilo peschi direttamente nel liquido, germinano molto più presto di quelli tenuti col micropilo alto fuori di acqua. Il Chilario ha funzione esclusivamente meccanica. Quest’or- gano nuovo e finora considerato come un fascio vascolare è, come abbiamo detto, indipendente invece dal fascio vasale fu- nicolare. Situato tra il Micropilo ed il Funicolo rappresenta la macchia ilàre o Vilo degli Autori. L'apertura del Chilario, composto, come si è detto, è formato da due labbra al disopra delle quali si incontrano ancora gli elementi del tessuto di separazione residuo della espansione fu- nicolare. Le labbra constano dello strato a cellule malpighiane e di uno strato di rinforzo dato da cellule simili a queste, aventi però una ‘origine funicolare. La rima lineare, visibilissima in molti generi, conduce ad un tessuto laminare a sezione trasversale piriforme, composto di corti tracheidi a punteggiature areolari. Una guaina di cellule a pareti sottili non punteggiate, lo isola dal tessuto a cellule ramificate che lo attornia. La rima è suscettibile di movimenti di chiusura e di aper- tura che si effettuano però con meccanesimo opposto a quello del Micropilo. Colla umidità si ha la chiusura ermetica; in quanto che liquidi acquosi colorati o precipitabili non riescono ad oltrepassare la barriera opposta dalla chiusura delle valve, se non dopo una immersione prolungata per molto tempo. Facendo (4) Dt W. DETMER, Das pflanzenphysiologische Prakticum. Jena, 1888. TEGUMENTI SEMINALI DELLE PAPILIONACEAE 399 agire invece sopra semi secchi sostanze coloranti sciolte in alcohol assoluto o vapori di iodio od acido osmico, essi l’attraversano con facilità e colorano tutto il sistema dei tracheidi. Sotto al microscopio, a debole ingrandimento sia coll’ aiuto del tavolo di Schultze, sia con alcohol assoluto, glicerina, acqua, ecc. usate alternativamente, si osservano movimenti regolari di chiu- sura e di apertura. Adatte incisioni eliminatrici, fatte sotto al microscopio, pro- vano che al movimento concorre potentemente, oltre al rigonfia- mento degli elementi, anche la linea lucida particolarmente inspes- sita sulle labbra chilariane. Quale è il valore fisiologico del Chilario? Da una parte il fenomeno di apertura e di chiusura e la forma dell’organo fareb- bero pensare ad un organo respiratorio; d’altra parte, i più svariati esperimenti al riguardo provano che nel Chilario non si effettuano nè scambi di gas per diffusione o per aspirazione, nè assorbimento di liquidi. Il Chilario è di gran lunga più resistente all’allungamento che non i tessuti tegumentali. Questa sua proprietà ne determina la funzione; la quale consiste essenzialmente in ciò, che a mezzo della lamina chilariana, difesa dalla umidità per i movimenti delle labbra e per natura stessa del tessuto di cui si compone, poco suscettibile di deformazioni igroscopiche, si mantengono fissi, du- rante il rigonfiarsi del seme, i rapporti della punta radicale colla sacca tegumentale. Inoltre, a causa dell’ ineguale estensibilità del tegumento e della lamina, quello viene costretto così fatalmente a rompersi, nell’atto dell’uscita della radice, a poca distanza dal Micropilo in un punto determinato da caratteri anatomici. I turbercoli gemini hanno, come si è detto, valore anato- mico di ghiandole. La ricchezza del contenuto in tannino, la for- mazione dei processi suberosi tanniferi, la presenza di alcuni corpi foggiati a guisa, diremo noi, di sferiti tanniche, ci lasciano fondato sospetto che si tratti di un vero apparato ghiandolare tannifero. Il secreto verrebbe utilizzato a difesa del seme, corrispon - dendo molti fatti colle recenti scoperte dell’illustre Professore STAHL (1). La questione è però ancora allo studio. (1) E. Strani, Pflanzen umd Schnechen, ein biologische Studie. Jena, 1888. 400 0. MATTIROLO E L. BUSCALIONI - TEGUMENTI SEMINALI La funzione generale del tegumento seminale è funzione stret- tamente protettrice sotto tutti gli aspetti; qui non staremo a ricordare i vari esperimenti fatti da altri e da noi essendo suffi- cente citare i seguenti, i quali aprono adito a considerazione fisio- logiche affatto nuove, che invalidano molti esperimenti fatti sulla influenza dei liquidi settici sulle germinazione. Nei semi di Phaseolus tenuti in soluzioni di sublimato cor- rosivo all’ 1:1000 e più, col micropilo in basso, la germinazione non ha luogo, perchè il liquido settico penetrando rapidamente nel seme lo uccide. Se invece si tengono i semi nella stessa solu- zione, ma col micropilo fuori del liquido, questo attraversando lentamente il tegumento viene filtrato e i semi germinano. Appena però la punta radicale viene, sotto le influenze vitali, in contatto del liquido, incontanente muore. I liquidi colorati sono filtrati dal tegumento (purchè non passino attraverso il micropilo) e l'embrione si imbeve di acqua limpida. Esperienze analoghe che continuiamo con soluzioni di alcaloidi diversi, saggiati poi sugli animali, ci convincono di queste nostre deduzioni. In questa nota preventiva, a scanso di qualunque equivoco, dichiariamo, di aver riportato esclusivamente i dati raccolti. dalle nostre osservazioni, non consentendoci nè l'indole, nè la mole del lavoro la discussione delle differenti opinioni raccolte in una im- mensa letteratura, la quale illustra un argomento intimamente legato ai fenomeni ed alle condizioni che hanno influenza sulla germinazione. R. Istituto botanico della Università. Torino, 6 Maggio 1889. Nuove contribuzioni allo studio degli Arion europei: Nota di CARLO POLLONERA Due anni or sono pubblicavo negli Atti di questa stessa Accademia il risultato dei miei studi sopra un certo numero di specie del genere Arion (1), particolarmente del Piemonte, della Francia e dell'Europa settentrionale. Descrivevo pure una specie del Portogallo, ma deploravo appunto di non possederne altra di tutta la penisola iberica. Dopo quel tempo invece, in grazia di alcuni cortesissimi corrispondenti potei avere un discreto nu- mero di Arzon portoghesi e qualcuno spagnuolo procuratimi dai signori De-Chia di Barcellona, Nobre di Oporto, Henriques e Moller di Coimbra, ai quali sono ben lieto di potere qui espri- mere pubblicamente la mia riconoscenza. Il centro della Spagna è completamente sconosciuto per quel che riguarda i molluschi nudi, che, dalle relazioni dei miei cor- rispondenti spagnuoli, sembrano essere colà scarsissimi. Nella Catalogna, a Barcellona e lungo il litorale si trovano soltanto dei Limacidi, mentre gli Arion non si scostano dalle regioni montuose dipendenti dalla catena dei Pirenei dove ne trovò il sig. Fagot (2); ed il sig. De-Chia mi mandò un buon numero di A. rufus L. raccolti ad Olot, della quale località è citato insieme all’hortensis dal D. Salvanà in un suo recente lavoro (3). Nel Portogallo invece il genere Arion ha uno sviluppo molto maggiore tanto in individui quanto in specie, e dalle regioni più montuose scende fino al litorale oceanico. (4) C. PoLLONERA, Specie nuove 0 mal conosciute di Arion europei. Atti Ace, Sc. di Torino, vol. XXII, 1887. (2) Contrib. à la fuune malac. de Catalogne, in Annales de Malacologie, 1884, p 170. (3) Contrib. a la fauna malac. de los Pirin. catal., 1888, p. 20. 402 CARLO POLLONERA I. Specie portoghesi del sruppo dell Arion rufus. Il sig. A. Morelet (1) cita tre specie di questo gruppo vi- venti in Portogallo, esse sono: A. ater Fer., A. sulcatus Mo- relet n. sp., A. rufus Fer. In quest’ultima specie le due varietà & e è distinte dalla forma tipica per una fascia scura su ciascun lato del dorso. Queste varietà fasciate furono separate specifica- mente dall’A. rufus dal sig. Mabille col nome di A. lusitanicus. In seguito il D" Simroth descriveva l'A. hispanicus, che sebbene molto piccolo di statura, pure appartiene indubbiamente a questo gruppo. Infine io nel mio precedente lavoro su questo argomento descrissi lA. da-Stlvae che collega per le dimensioni VA, Wi- spanicus alle specie grandi sopracitate. Eccettuato lA. Rkispanicus, che del resto non può venir confuso con nessuna altra specie, io ho potuto esaminare tutte le forme sopracitate e ne sono venuto a queste conclusioni : 1° che VA. after di Morelet è ben diverso dall'A. ater L. della Scandinavia e che quindi deve ricevere un altro nome; 2° che lA. rufus del Portogallo è diverso da quello della Francia e dell'Europa settentrionale e centrale; 3° che il passaggio tra il supposto A. rufus e l'A. lusitanicus Mabille si produce così insensibilmente che non è possibile separare le forme fasciate da quelle unicolori, e che quindi VA. lusitanieus Mab. è per- fettamente sinonimo di A. rufus Morelet. Ciò premesso passo all'esame di queste varie specie. Arion sulcatus MorELET. Arion sulcatus Morelet, Descr. moll. du Portugal, 1845, p. 28, pio A. statura ‘insignis, valide rugosus. Verrucac dorsales carinatae, elatae, transverse sulcatae, sulcis latis profundisque separatae. Clypeus granulosus et tortuose sulculatus. Dorsum (1) Descript. des moll. terr. et fluv, du Portugal, 1845. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 403 et clypeus castaneo-nigrescentes unicolores; caput et tentacula migro-ardesiaci; pedis margo nigro-ardesiacus, transverse atro- lineolatus ; solea nigro-ardesiaca unicolor vel medio pallidior. Mucus decoloratus. Long. max. 15-16 cent. Riporto qui le parole di Morelet riguardo questa specie. « Les rides larges et profondes qui sillonnent ce mollusque le distinguent au premier aspect et ne permettent pas de le confondre, malgré l’analogie d’un certain nombre de caractères, avec le Limax ater de Draparnaud. La cuirasse est chagrinée et les sillons sont ornés eux-mémes d’une vermiculation très fine, dont l’aspect varie selon la position de l’animal. Dans l’exten- sion, ce sont des rides grenues, rarement anastomosées, qui ac- compagnent les ondulations du corps; lorsqu’il se contracte, ce sont des sillons profonds brisés à angle aigu, traversés par des rides perpendiculaires et superficielles. La marge du plan loco- moteur est étroite et rayonnée; la cavité branchiale située en avant et fortement dilatée; la taille, généralement constante, atteint 15 ou 16 centimètres dans la plus grande extension. « Le manteau de ce mollusque est d’un noir brun, quelque- fois bleuàtre, qui s'éclaircit sur la marge du plan locomoteur et prend une couleur marron. La cuirasse offre dans son épais- seur une poussière calcaire qui diffère par son extrème division des concrétions irrégulières de l’Arion after. Le mucus est blanc- Jaunàtre. » Questa è certamente la più grossa specie di Arion finora conosciuta. Io ne ebbi due soli esemplari; uno di Oporto e l’altro di Coimbra che variavano alquanto per l’intensità della colora- zione. Quello di Coimbra era più scuro che quello figurato da Morelet, ed appariva ancora più scuro dopo immerso nell’alcool, cosicchè le lineette nere del margine esterno del piede si vede - vano appena e la suola appariva quasi unicolore. Quello invece di Oporto era leggermente più chiaro che la figura di Morelet, le lineette nere del margine esterno del piede si vedevano be- nissimo e si prolungavano sulle zone laterali della suola che erano più scure che la zona centrale. La figura data dal Morelet non è molto esatta poichè fa- rebbe supporre una stretta zona dorsale mediana più chiara, della quale non v'è traccia nè nella descrizione dello stesso Au- tore, nè negli animali da me veduti. Inoltre il margine esterno 404 CARLO POLLONERA del piede sembra ornato di sottilissime lineette nere di uguale grossezza, mentre in realtà queste lineette sono assai più marcate ed alternate una più grossa ed una più sottile come nell’A. rufus. Il muco, quasi incoloro nell’animale vivo, allorchè questo viene immerso nell’alcool si mostra di un bianco gialliccio sporco sul dorso e giallo sul margine esterno del piede. Arion Nobrei POLLONERA. Fig. 25-26. Arion ater var. a Morelet, Descr. moll. du Port., 1845, p. 27 (non L.). Morelet oltre la suddetta var. x di Draparnaud (aterrimus totus) cita una var. e (nigricans, margine nigro) trovata insieme a quella nella provincia di Tras-os-Montes, e la var. y di Dra- parnaud (nigricans, margine lutescente aut coccineo) dei con- torni di Monchique nel mezzodi del Portogallo. Io ho ricevuto ripetutamente da Coimbra e contorni, da Bussaco e da Oporto soltanto la prima di queste tre forme, e l'esame degli organi sessuali, me la fanno considerare come specie perfettamente di- stinta dall'A. ater L. di Svezia. Dovendo dare un nuovo nome a questa specie, son lieto di poterla dedicare al distinto mala- cologo portoghese sig. Augusto Nobre. A. magnus, rugosus. Verrucae dorsales crebrae, carinatae, subundulatae, sulcis profundis et angustis separatae. Clypeus minute granulosus, postice rotundato-subtruncatus, apertura pulmonea perantica. Omnino aterrimus, quandoque tamen pedis margo pallidior lineolis transversis aterrimis notatus. Solea atra umnicolor, vel zona mediana ardesiaca leviter pallidiore. Mucus decoloratus. Long. max. 12 cent. Nella massima parte degli individui il colore è tutto neris- simo, cosicchè sul margine esterno del piede non si possono scor- gere lineette trasversali, soltanto spesso il cappuccio è di un nero più caldo mentre il dorso e la testa sono di un nero un po’ azzurrino. Qualche rara volta il margine del piede è di un nero meno intenso o grigio-scuro, ed allora si possono scorgere distinta- mente le lineette nere trasversali. In questo la suola è pure meno nera nella sua zona mediana che prende una tinta ardesiaca. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 405 Il muco è incoloro nell’animale vivo; immerso questo nel- l’alcool emette dal dorso un muco bianco e dal margine del piede giallo chiaro. Dall’A. ater L., benissimo figurato da Malm (1), si di- stingue lA. Nobrei per la suola interamente nera, o per la tinta sempre molto scura della zona mediana, mentre in quella specie la zona mediana della suola è sempre pallida mentre le due zone laterali sono nerissime. Inoltre, conservato in alcool, l’A. Nobrei prende una tinta di nero-azzurro, mentre lA. ater è di un nero schietto intensissimo. L’A. Nobrei si distingue poi dall’ A. sulcatus per le sue dimensioni minori, per le rugosità del dorso più serrate, per la sua colorazione più scura, e per la zona centrale della suola sempre molto scura. La varietà e di Morelet credo appartenga a questa stessa specie; ma dubito assai che la var. Y citata dallo stesso Autore sia invece diversa, ciò mi fa sospettare il margine del suo piede vivamente colorato (lutescente aut coccineo) e la grande lonta- nanza delle regioni abitate dalle due varietà in questione. Arion lusitanicus MABILLE. Fig 1a 6. Arion rufus Morelet, Descr. moll. Port., 1845, p. 29 (non L.). » rufus et lusitanicus Mabille, Rev. Zool., 1868, p. 134. Morelet parlando di questa specie, paragonandola alla forma francese dell’A. rufus, dice quanto segue: « La forme plus allongée de cet Arzon, la disposition particulièore du tissu cu- tané, dont les rides plus profondes et plus courtes enveloppent le manteau d’un réseau de papilles anguleuses très saillantes dans la contraction, les fascies dont la variété la plus abon- dante est ornée, quand l'A. rufus en est toujours privé, m’ont engagé long-temps à l’envisager comme une espèce distincte. » Il passaggio tra le varietà fasciate e quelle unicolori si fa, come nell’A. subfuscus, per mezzo di tante gradazioni che non è possibile separare queste varietà aggruppandole in due specie (1) MaLm, Skandinav. Land-Sniglar, 1870, pl. I, fig. 1. 406 CARLO POLLONERA distinte come propose il Mabille. Siccome però i caratteri del- l’apparato sessuale dimostrano che il supposto A. rufus del Portogallo non è identico a quello dell'Europa centrale, così io stimo si debba adottare il nome di A. lusitanicus per le forme portoghesi ritenendo come tipo la forma fasciata. Le varietà unicolori sono esternamente molto somiglianti al- VA. rufus, poichè oltre la forma più snella dell'animale nella massima distensione, e le verrucosità del dorso più brevi (carat- teri sempre ben difficili da apprezzarsi), io non ci vedo altra diversità che la colorazione meno viva del margine esterno del piede che nell’A. lusitanicus trovai sempre di un grigio poco colorato (anche nelle varietà meno scure) mentre nell’A. rufwus è per lo più la parte più vivacemente colorata di tutto il corpo. Il colore di questa specie varia dal rosso mattone, all’oli- vaceo-giallastro, olivaceo-ardesiaco, bruno e castagno più o meno scuro. Le fascie sono talora ben visibili, ma non mai nettamente limitate, talora appena sensibili; esse mancano sempre sul cap- puccio negli individui adulti. Il muco è incoloro nell’ animale vivo, ma immerso questo nell’alcool si vede che è bianco sporco appena giallognolo sul dorso, e d'un bel giallo vivo sul margine del piede. La suola è più chiara che nelle due specie precedenti, è cinereo-olivacea, più scura verso il margine, e sulle sue zone laterali vengono a perdersi le lineette scure dal margine esterno del piede. Ho ricevuto questa specie da Oporto, da Coimbra, da Pereira presso Montemor-o-Velho. In alcuni individui giovanissimi, le fascie scure sono nettis- sime e si ripetono sul cappuccio, mentre negli adulti il cappuccio ne è privo, almeno negli individui da me esaminati. Inoltre negli individui giovani il muco del dorso (immergendo l’animale nel- l'alcool) è più giallo che in quelli adulti. Anche conservata in alcool questa specie si distinguerà dal- lA. Nobrei per la sua colorazione meno scura, non nera, tal- volta ornata di fascie dorsali scure, e sopratutto per la zona mediana della suola assai più chiara che le laterali. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 407 Arion Da-Silvae POLLONERA. Arion Da-Silvae Pollonera, Specie nuove, ecc. di Arion europ., in Atti Acc. Sc., Torino 1887, fig. 8, 9, 10. Anzitutto debbo far notare che la sopracitata mia figura 8 fu nell’esecuzione cromolitografica completamente travisata per quanto riguarda il colore, il quale in realtà è di un nero in- tenso come nell’A. Nobrei e non di un cinereo-nerastro come è nella suddetta figura. L'A. Da-Stilvae si distingue dall’A. Nobrei per le dimen- sioni minori, infatti mentre quest’ultimo (ucciso e conservato nell’ alcool) misura 6 centimetri, quello ne misura appena 4, cioè ‘/, di meno. Inoltre nell’A. Da Silvae la suola è meno scura nelle zone laterali e la zona mediana più chiara ancora si distingue bene tra le altre due, infine il cappuccio è (nel- l’unico esemplare che conosco) assai più troncato posteriormente. Non conosco la località esatta in cui fu trovato questo Arzon e finora non l'ho più ricevuto nei numerosi invii fattimi dalle provincie nordiche del Portogallo. Arion hispanicus SimRoTH. Arion hispunicus Simroth, Weitere Mittheil. i. palaearkt. nacktschn., in Jahrbuch, etce., 1886, p. 21. Piccola specie che si distingue dalle precedenti per le sue dimensioni minori (29 mill. in alcool), tozza, interamente nera anche la zona mediana della suola. Per quest’ ultimo carattere si distingue, oltre che per la più piccola statura, dall'A. Da- Silvae. Sierra Estrella in Portogallo. Io non ho veduto questa specie, ma i caratteri notati qui sopra sono più che sufficienti a farla riconoscere ed a distin- guerla da tutte le altre forme europee di questo gruppo. Messi così in evidenza i caratteri esterni distintivi di queste 5 specie passo all’esame dei loro apparati sessuali. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 30 408 CARLO POLLONERA Per rendere più comprensibili le differenze tra le forme por- toghesi e quelle delle altre parti di Europa darò pure le figure dell'A. rufus e dell’A. ater; limitandomi alle parti terminali dei loro apparati sessuali, poichè in esse soltanto si trovano caratteri sufficientemente apprezzabili. Nell’A. rufus (fig. 27) l’atrio o vestibolo inferiore rivestito esternamente di ghiandole gialle, è breve, largo e di forma schiacciata, ad esso fa seguito un grande e rigonfio atrio supe- riore nel quale sboccano l’ovidotto, la guaina della verga ed il collo della borsa copulatrice. La borsa copulatrice è grande, ovale allungata, a collo un po più lungo del maggior diametro di essa e relativamente sottile; il collo di essa è strettamente saldato alla parte infra prostatica dell’ ovidotto da un largo e fortissimo retrattore. La guaina della verga, più grossa ed al- quanto più lunga che il collo della borsa copulatrice, va assot- tigliandosi verso la sua estremità superiore, nella quale si im- mette ben distinto il canale deferente che va invece ingrossando verso la sua origine dalla prostata, ed è di '!/, più lungo che la guaina della verga. La parte infraprostatica dell’ovidotto è cilindrica ed un po’ meno lunga e grossa che la guaina della verga. Tutte queste parti sono di un bianchiccio sporco quasi uniforme. La preparazione figurata è fatta sopra un individuo di Vegesack presso Brema, ma tale disposizione è uguale a quella che osservai in individui francesi, svizzeri ed italiani della stessa specie. Identica disposizione pure rinvenni nella varietà nera della stessa specie, pure di Vegesack, che forse taluno considererà come A. ater. Nel vero A. ater L. di Svezia (fig. 28) l'atrio inferiore è grosso e rigonfio e limitato superiormente da un forte restrin- gimento. L'atrio superiore si può dire che non esista più, perchè è diviso in due, per tal modo che una parte diventa una specie di rigonfiamento terminale (oppure di atrio speciale) dell’ovidotto, e nell’altra parte (che è la minore delle due) sboccano la guaina della verga ed il collo della borsa copulatrice, le quali avreb- bero in certo modo un atrio superiore per loro due distinto da quello dell’ovidotto. Questi due atrii superiori si uniscono soltanto per sboccare nell’atrio inferiore. La guaina della verga è più lunga che nell’A. rufus mentre il canale deferente è più breve e sottile. La parte infraprostatica dell’ovidotto è più breve e più grossa. La colorazione di questi organi è ugualmente pallida che CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 409 nelle varietà chiare dell'A. rufus. Dal confronto di queste figure intanto mi sembra si possa stabilire che VA. ater L. di Svezia è specie distinta dall'A. rufus L. di Europa, malgrado la colo- razione nera di talune varietà di quest’ultima specie. Nell’A. Nobrei (fig. 26) l'atrio inferiore è ben distinto seb- bene limitato superiormente da un ristringimento meno forte che nell’ A. ater. L’atrio superiore si può dire scomparso affa to, poichè la guaina della verga ed il collo della borsa copulatrice sì riuniscono a brevissima distanza dall’atrio inferiore, e d’altra parte quello che nella specie precedente ho chiamato atrio spe- ciale dell’ovidotto, si fonde qui talmente con esso che non si può più veramente considerarlo che quale un suo ingrossamento ter- minale. La borsa copulatrice rozzamente ovale-allungata, a collo più breve e più grosso che nell’A. after. La guaina della verga, munita alla sua estremità inferiore di un cercine rilevato, più grossa che nell’A. after, va man mano restringendosi superior- mente e passa nel canale deferente senza che nessun subitaneo restringimento (neanche leggerissimo) segni il limite di questi due organi. Il canale deferente (più lungo che nell’A. ater) va ingrossando lentamente fino alla sua origine dalla prostata. La guaina della verga, l’ingrossamento terminale dell’ovidotto ed il tratto inferiore al collo della borsa copulatrice sono di una tinta nera che non ho mai trovata negli A. after e rufus, mentre la sì ritrova in tutte le specie portoghesi di questo gruppo, cioè negli A. sulcatus, lusitanicus, Da-Silvae ed hispanicus. Nè questa tinteggiatura può considerarsi come carattere regionale di tutto il genere Arion, poichè nella nuova specie portoghese che descriverò più oltre non v'è traccia di essa. Io penso quindi che questo carattere della colorazione nera delle vie terminali degli organi sessuali di queste specie portoghesi debba essere annove- rato tra quelli in appoggio alla separazione specifica di queste forme degli Arion ater e rufus. Dell’A. sulcatus non do la figura degli organi sessuali perchè questi sono come nell’A. Nobrei, e non presentano altra differenza fuorchè nel passaggio dalla guaina della verga al canale deferente che non è così insensibile come nell’ A. Nodrei, ma, sebbene pochissimo marcato, si vede tuttavia abbastanza distintamente. L'A. lusitanicus (fig. 6) differisce dall'A. Nobrei per l’atrio inferiore quasi sferico e distinto dagli altri organi per un restrin- gimento molto più forte; la guaina della verga, munita alla sua 410 CARLO POLLONERA base di un cercine rilevato assai più sporgente e completo, è assai più lunga e ben distinta dal canale deferente; l’ingrossa- mento terminale dell’ovidotto è più allungato e più fuso nel- l'insieme di quest'organo. Inoltre la guaina della verga, l’ovidotto ed il collo della borsa copelatrice si conservano indipendenti tra loro sin quasi allo sbocco comune nell’atrio inferiore, cosicchè questa specie è completamente monatride. Nell’A. Da-Silvae (Poll. Sp. n. Arion europ. fig. 29) la guaina della verga è conica, molto lunga, attenuata superior- mente e pochissimo distinta dal canale deferente. La borsa co- pulatrice ha il collo corto e brevissimo. L’ ingrossamento terminale dell’ovidotto è più distinto che nelle specie portoghesi precedenti, ovoide allungato. La tinta nerastra si vede sul suddetto ingrossa- mento, sul collo della borsa copulatrice, sulla parte inferiore della guaina della verga, e traspare sotto lo strato di glandole gialle anche sull’atrio inferiore che è poco distinto. L'A. hispanicus (Simroth, 1. c. Tav. I fig. 2-3) ha V’in- grossamento terminale dell’ovidotto molto allungato ma poco distinto; la guaina della verga conica, allungata, attenuata su- periormente, abbastanza distinta dal canale deferente, molto in- grossata inferiormente e presso il suo sbocco abruptamente strozzata; la borsa copulatrice rozzamente ovoide e poco distinta dal suo collo piuttosto allungato. Dunque nessuno degli Arzon portoghesi del gruppo dell’ A. rufus è schiettamente diatrizde mentre alcuni sono senza alcun dubbio monatriidi, e questi fatti mi confermano vieppiù nella mia opinione, già espressa nel mio precedente lavoro su questo argomento, che la divisione stabilita dal D' Simroth pel genere Arion non abbia ragione di sussistere. Il Di alcune forme del eruppo dell'A. hortensis. Da quello che ho detto più sopra, si può vedere che nello stesso gruppo di specie del genere Aron si possono trovare alcune specie monatriide ed altre diatriide, e che quindi non si può su tale carattere fondare una classificazione delle specie del suddetto CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 411 genere. Ma v' ha di più, poichè talvolta nella stessa specie si riscontrano le due forme, e questo fatto sminuisce ancora moltis- simo l’importanza di quel carattere. Ciò accade nell’A. hortensis. Nel mio citato lavoro su alcuni Arion ho dato la figura (fig. 23) dell’apparato sessuale dell’A. hortensis tipico della Francia settentrionale. Esso è perfettamente momnatriide, cioè manca affatto l'atrio superiore, e la guaina della verga, il collo della borsa copulatrice e l'ovidotto sboccano direttamente e indipendentemente l’uno dall'altro nell’atrio inferiore rivestito esternamente di ghian- doie gialle. Nell’A. hortensis di Ambert nel Puy-de-Dòme (fig. 22), la guaina della verga, il collo della borsa copulatrice e l’ovidotto, sì riuniscono un poco al di sopra dell’atrio inferiore e sboccano in esso mediante un’apertura comune. Questa forma è ancora monatriide ma non così schiettamente come nella forma tipica. Nell’A. hortensis di Lione poi si vede una forma palesemente diatriide come quella tedesca figurata dal D. Simroth (1). Caratteri invece che trovai invariabili in tutte queste forme sono, la notevole lunghezza della parte infraprostatica dell’ ovi- dotto, la sua forma a mo’ di cornucopia allungata, il suo forte restringimento superiore, la forma della guaina della verga e la lunghezza proporzionale col canale deferente, infine la forma della borsa copulatrice, e poco variabile la lunghezza del suo collo. Ma fra tutti questi il carattere che distingue immediatamente l'A. hortensis da tutte le altre specie dello stesso gruppo è la lunghezza della parte infraprostatica dell’ovidotto ed il suo for- tissimo restringimento, cosicchè talvolta, a prima vista, si può scambiare col canale deferente. Arion hortensis FeRUSSAC. Questa specie, ristretta entro limiti più angusti dopo lo stral- ciamento degli A. celticus, alpinus e Nilssoni è tuttavia ancora assai ricca di varietà di colorazione, ed ha un’area di diffusione assai vasta, estendendosi su tutta l’ Europa centrale, cominciando (4) Versuch Naturg. d. deut. Nacktschn. in Zeitschr. Wissensch. Zool, Leipzig, 1885, tav. XI, fig. 17. Devo però notare, che in detta figura è assai esagerata la forma bulbosa della guaina della verga e la lunghezza del collo della borsa copulatrice, come ho potuto constatare su esemplari di Gohlis presso Lipsia, mandatimi dallo stesso Dr. Simroth. 412 CARLO POLLONERA dalla Polonia sino a quàsi tutta la Francia e l’ Inghilterra. Non ho ancora potuto esaminare lA. hortensis trovato in Catalogna nè quello della regione pirenaica francese, cosicchè non posso dire se queste forme siano il vero A. hortensis 0 debbano esserne sepa- rate col nome di A. pyrenaicus come fece il sig. Fagot elevando al grado di specie la varietà così chiamata dal Moquin-Tandon. Come dissi più sopra ricevetti esemplari vivi di questa specie dal sig. Brevière ad Ambert (Puy-de-Dòme) e dal sig. Locard a Lione. Gli esemplari di Ambert erano assai uniformi, altrettanto scuri quanto quelli di Valenciennes (Nord), ma a fascia nera più nettamente limitata inferiormente. Quelli di Lione invece avevano colorazioni più varie e meno scure ; ecco le tre colorazioni più spic- cate che potei osservare tra essi: x Pallide flavus, dorso pallide cinereo, clypeo et dorso zonis lateralibus griseis. = var. fasciatus Moquin-Tandon. b Ocraceo-aurantiacus, fasciis cinerco-nigrescentibus. y Olivaceo-nigricans confuse pallide-zonatus, inferius atrofasciatus. La colorazione della suola e del margine esterno del piede varia dal giallo all’aranciato. Arion cottianus n. sp. Fig. 23-24. À. HORTENSI proximus, a quo differt statura paululum mi- nore, dorso minus rugoso, solea subtiliore. A leviter rugosus, sordide griseus, medio fuscatus, lateraliter atro-castaneo zonatus et reticulatus. Solea subtilissima, pallida; margine externo angusto (flavo ?), postice nigro-punctulato et sublineolato, ad glandulam caudalem mnigrescente. Limacella nulla. Long. (in alcool) 15 mill. Hab. Bardonecchia nella valle della Dora Riparia. Specie rarissima. Questa specie è evidentemente vicinissima all’ A. hortensis, ma tuttavia presenta alcune differenze che mi hanno persuaso a separarla da quella specie, almeno provvisoriamente fino a che l'esame di maggior numero di esemplari faccia scoprire forme di passaggio che la colleghino con quella. GONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 4183 In questo A. cottianus la suola è notevolmente più sottile che nelle altre specie dello stesso genere; il suo margine esterno è pallido, ma verso la parte posteriore è screziato di punti nericci che qua e là formano qualche lineetta trasversale, e presso il poro mucoso questi punti si fanno così fitti che il margine tutto diventa nericcio. Non avendo veduto l’animale vivo non posso dire con certezza quale sia la tinta fondamentale della suola e del margine esterno del piede, ma da quello che si poteva sup- porre osservando l’animale in alcool io credo fossero gialli come nell’A. alpinus. Nel vero A. hortensis si osserva talora questa invasione di punticini nerastri nella parte posteriore del margine esterno del piede, ma non vi sono lineette trasversali. Inoltre nell’A. hortensis le rughe del dorso sono assai più marcate. Dall’A. alpinus poi si distingue per la statura minore pel corpo assai meno rugoso, per le fascie laterali assai più nere e più marcate, per la reticolatura scura dei fianchi al di sotto della fascia nera, per il principio di lineettatura del margine del piede, ed infine per la mancanza di limacella. L'apparato sessuale è foggiato sullo stesso tipo di quello del- lA. hortensis, specialmente per la forma della guaina della verga e della parte infraprostatica dell’ovidotto, ma ne differisce per essere ancora più palesemente diatriide, poichè l’atrio superiore è assai più voluminoso che quello inferiore, inoltre la borsa copu- latrice ha il collo più breve e più grosso. Arion ambiguus POLLONERA. Fig. 16 a 19. A. hortensi prorimus; mediocriter rugosus; clypeus sordide albidus, lateraliter ardesiaco-zonatus; dorsum cinereum, medio fuscatum, lateraliter ardesiaco subzonatum; caput et tentacula migrescentes ; solea subalbida, pallidissime flavescens, medio cinerea ; pedis margo subalbidus, pallidissime flavescens, levis- stime transverse griseo lineolatus, ad glandulam caudalem pun- ctulis cinereis obscuratus. Long. max. 25 mill. Mucus decoloratus. Hab. Bardonecchia nella valle della Dora Riparia, e Boves nella provincia di Cuneo. Questa specie si potrebbe definire un A. Bourguignati non 414 CARLO POLLONERA carenato. Infatti la colorazione delle due specie è quasi identica, e questi caratteri appunto la distinguono dall’A. hortensis, dal quale differisce principalmente per la colorazione quasi bianca della suola e del margine esterno del piede e per la leggerissima lineettatura cinerea di questo. Dall'A. alpinus si distingue, oltrec- chè pei suddetti caratteri, anche per la meno forte rugosità e per la mancanza di limacella che è sostituita da polviscolo o da schegge calcari. L'apparato sessuale è simile a quello dell'A. Bourguignati; ha lo stesso atrio inferiore allungato, e la stessa proporzione di grossezza e lunghezza degli organi che sboccano in esso; ma ciò che fa evidente la somiglianza è la forma della borsa copulatrice che è aguzza alla sua estremità libera ed un po’ ripiegata cosic- chè prende la forma di un berretto frigio. Non insisto quindi sui caratteri differenziali di questi organi tra VA. ambiguus e lA. hortensis perchè troppo evidenti. Varietas Armoricana. Fig. 20. A. Maior; dorso et clypeo medio griseo-maculatis, utrinque griseo-zonatis; lateribus pallide cinereus, tentaculis cinereo- cyanescentibus; long. max. 30 mall. Hab. Brest in Francia (Bavay). In tutti gli altri caratteri, cioè pel colore appena giallognolo della suola e del margine del piede, per le lineette grigie di questo, pel muco incoloro, per la mancanza di limacella e per l'apparato sessuale questa varietà concorda perfettamente con la forma tipica di Bardonecchia. Di questa forma ebbi un solo esemplare, mandatomi dal sig. Bavay di Brest, ed è perciò che esitai a lungo prima di pubblicarla, sebbene ne avessi fatto la figura e la descrizione sull’ animale vivo e la preparazione dell'apparato sessuale sull’animale ap- pena morto; ma ora trovandolo coincidere nei più importanti caratteri con l'A. ambiguus del Piemonte mi decido a far co- noscere anche questa forma francese. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 415 Arion alpinus PoLLONERA. Fig. 13 a 15. Arion alpinus Poll. Spec. nuove ecc. in Atti Acc. Sc. Torino. 1887. Ho creduto utile dare una nuova figura di questa specie per renderla meno difficile a distinguere tra le numerose forme di questo gruppo. In Piemonte ho potuto osservare due colorazioni che si trovano nelle stesse località. Una è grigio-cinerea a fascie scure ardesiache, l’altra è grigio-giallastra a fascie bruno-scure. La terza varietà più pallida ed a fascie appena visibili, da M. Lessona chiamata var. aureus, può considerarsi come un caso individuale di semi- albinismo. Di questa fu trovato un solo individuo a Rivarossa Canavese e ben a torto fu considerata dal D. Simroth quale albinismo dell'A. empiricorum, poichè quest’ ultima specie non si trova nè a Rivarossa nè in tutto il Piemonte, eccettuato nelle vicinanze di Pavia sulle rive del Ticino. L’A. alpinus ha il capo bianco-cinereo con tentacoli ardesiaco- violecei. Il capuccio è cinereo-ardesiaco o cinereo-gialliccio, più scuro nel mezzo, più chiaro lateralmente, con una fascia scura laterale; l’apertura respiratoria è ai °/. della lunghezza; le gra- nulazioni della pelle sono minute e regolari. Il dorso è fortemente rugoso, cinereo o cinereo-ocraceo, più scuro nel mezzo, con una fascia laterale scura non nettamente delineata; i fianchi al di sotto di questa fascia sono bianchicci. Il margine esterno del piede è giallo, leggermente screziato di bianco, e senza traccia di lineette scure trasversali; la suola è gialla, e bigia nel mezzo. Il poro mucoso è grande, profondo, accompagnato lateralmente sul margine del piede da una leggera zona cinerea-pallida. Il muco è giallo. Limacella piccola (1 ®/, mill.), allungata, di forma irregolare; superiormente convessa con una prominenza arroton- data presso il margine posteriore, senza strie di accrescimento visibili; inferiormente concava. Questa limacella ha un aspetto ben omogeneo, fuorchè nei margini dove sembra quasi sgretolata ed appare formata dall’agglomerazione di piccole granulazioni di varia forma. 416 CARLO POLLONERA Arion intermedius NORMAND. Arion intermedius. Norm., Descr. six limac. nouv., 1852, p. 6. Pollonera. Spec. nuove. ecc. 1887, fig. 1-5. Geomalacus intermedius et Bourguignati Mabille, Rev. Zool. {807, p. DI. Geomalacus hiemalis Drouet, Moll. Còte-d’Or, 1867, p. 27; Baudon, Limac. du Dép l’Oise, 1871, pl. 2, f. 2-4. Geomalacus Mabilli Baudon, Limac. de Oise, 1871, pl. 1, f. 8-12. Arion Mabillianus Baudon, Trois. catal. moll. Oise, 1884, p. 8 (non A. Mabillianus Bgt. 1866). Arion flavus Clessin, Deut. Excurs., 1884, p. 116, f. 55. Arion minimus Simroth, Vers. Naturg. deuts. Nacktschn, 1885, P10289etay. VIL: f. dj. Tutti i nomi sopracitati furono applicati ad individui della stessa specie, varianti tra loro solamente per la tinta più chiara o più scura del corpo e per la mancanza o la presenza di fascie laterali scure sul dorso e sul capuccio. In tutte queste variazioni però le fascie (quando vi sono) sono sempre assai deboli e sfumate, invece nella seguente varietà esse sono marcatissime. Varietas Apennina. Fig. 11-12. Differt a forma typica statura maiore et zonis obscu- rioribus. A. (in alcool) albidus, utrinque fusco-zonatus, medio levis- sime obscuratus, mediocriter rugosus, clypeo postice subtruncato, capite cinereo, tentaculis ardesiacis, pedis margine pallido non lineolato, solea albida. Long. max (in alcool) 12 mill. Limacella tenuis, fragilis, granulosa, irregularis. Hab. Lucchio in Toscana (March. Paulucci). Questa forma allorchè è viva e l’animale nella sua massima estensione deve avere dai 20 ai 22 mill., mentre quella tipica non oltrepassa i 18 e nell’alcool i 9 mill. Inoltre le fasce sono molto più scure e più nettamente limitate. A tutta prima io la credei una varietà minore e non adulta dell’A. alpi:nus, ma la forma della limacella CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 417 e la sua struttura più granulosa, la posizione dell'apertura ses- suale nella direzione del solco dell’apertura polmonare ed infine i caratteri dell’appareto riproduttore mi decisero di riunirla all’A. intermedius. Anche questa forma deve essere assai rara poichè la March. Paulucci non ne raccolse che un solo esemplare. Arion Mollerii n. sp. Fig. 7 a 10. A. parvulus, mediocriter rugosus; dorso carneo-flavescente, medio fuscatus, utrinque brunnueo-nigrescente zonato, lateribus coerulescente; clypeo obscuriore, nigro-punctulato ; capite et tentaculis nigrescentibus. Pedis margo flavescens, postice cinereo- lineolato. Solea pallide flava. Limacella solida, crassa, lenti- cularis, subovalis, supra convera, subtus planiuscula, longa 2° mill. Hab. Bussaco nel Portogallo, donde ne ricevetti tre soli esemplari raccolti dal sig. Adolfo Moller, Ispettore del Giardino Botanico di Coimbra, al quale son lieto di poterlo dedicare. L'apparato sessuale (fig. 7) è molto somigliante a quello dell'A. intermedius; ne differisce soltanto per la guaina della verga e la parte infraprostatica dell’ovidotto più sottili e per il collo della borsa copulatrice più grosso. In Portogallo si trova pure un’altra specie di questo gruppo, l’A. Pascalianus Mabille (= A. fuscatus Morel.), ma questo è nero, senza fascie dorsali visibili, col margine esterno del piede cinereo-azzurrino e senza traccia di lineette scure trasversali al dire di Mabille, e probabilmente privo di limacella poichè nè l’uno nè l’altro dei due citati Autori ne fa parola. L'A Mollerii collega VA. alpinus allA. intermedius e con- ferma la riunione di quest'ultima specie al gruppo dell'A. hor- tensis. 418 CARLO POLLONERA - CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO ECC. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Organi sessuali: 9%. e. ghiandola ermafrodita, — c. e. ca- nale escretore, — 9%. a. ghiandola dell’albume, — p. prostata, — o. ovidotto, — A. porzione infraprostatica dell’ovidotto, — B. porzione prostatica dell’ovidotto, — d. c. borsa copulatrice, — c. d. canale deferente, — g. v. guaina della verga, — a. s. atrio superiore, — a. i. atrio inferiore, — r. retrattori. Fia. 1-2, Arion lusitanicus Mab., di Oporto, varietà non fa- sciate. >» 8, id. id. di Coimbra. >» 4-5, A. lusitanicus Mab., tipico, di Pereira presso Mon- temor o Velho. >» 6, apparato sessuale di A. lusitanicus Mab. » 7-8-9-10, A. Mollerii Poll., di Bussaco (Portogallo). » 11-12, A. intermedius Norm. var. apennina Poll., di Lucchio in Toscana. >» 13-14-15, A. alpinus Poll., di Rivarossa in Piemonte. > 16-17-18-19, A. ambiguus Poll. di Bardonnecchia ( Pie- monte). » 20, A. ambiguus var. armoricana di Brest (Francia). » 21, apparato sessuale di A. ambiguus Poll. di Boves (Pie- monte). » 22, app. sess. di A. hortensis Fer. di Ambert (Francia). » 23-24, A. cottianus Poll. di Bardonecchia (Piemonte). » 25-26, A. Nobrei Poll. di Coimbra. » 27, app. sess. di A. rufus L. Vegesack presso Brema (Ger- mania). » 28, app. sess. di A. after L. di Svezia. C. POLLONERA - Nuove contrib. Arion europ PERI Tav. IX 1 “I PRI Lidi C.Pollonera dis.e lit 419 Contributo allo studio dell’accrescimento del tessuto connettivo ed in particolare della cornea e del tendine ; Osservazioni del D.' IGNAZIO SALVIOLI Se la struttara del tessuto connettivo nelle sue diverse forme è ben nota per le numerose ricerche di distinti osservatori, non altrettanto si può dire, per quello che riguarda lo sviluppo, ed in ispecie, l'accrescimento di esso. Questa lacuna si è resa più sensibile, dacchè colla scoperta della scissione indiretta delle cel- lule si è meglio approfondita la conoscenza della vita degli ele- menti cellulari dell’organismo. Nel connettivo, anzi, queste ricerche dovevano 'astare molto più interesse, giacchè in esso la moltiplicazione degli elementi cellulari è solo uno dei momenti nell’accrescimento del tessuto, l’altro non meno importante essendo rappresentato dall’accresci- mento della sostanza fondamentale. È appunto per risolvere questo quesito, che dietro consiglio e sotto la guida del Prof. Bizzozero mi sono accinto a tale studio, e specialmente ho rivolto la mia attenzione allo sviluppo ed ac- crescimento della cornea e del tendine, giacchè essi rappresentano i due tipi principali di tessuto connettivo, lamellare l’uno, fibril- lare l’altro, attorno a cui si aggirano tutte le altre forme dello stesso tessuto. L'animale scelto per questo mio studio fu quasi costante- mente il coniglio, perchè esso presenta molta regolarità di svi- luppo. Ho però alcune volte ripetuto le mie osservazioni anche sulla cavia. In quanto ai metodi di esame, poco ho a dire, giacchè sempre usai dei mezzi già conosciuti nella tecnica microscopica. Di alcune particolarità farò cenno nel trattare i singoli argomenti. Solo voglio far notare che, dovendo io stabilire con grande esattezza le dimensioni delle parti costituenti gli organi da esaminare, e 420 IGNAZIO SALVIOLI dovendo, per far ciò, servirmi delle sezioni microscopiche, mi è stato necessario attenermi scrupolosamente al medesimo modo di indurimento, colorazione, e conservazione dei preparati, onde evi- tare qualsiasi causa di errore. Credo quindi che i valori che sarò per dare saranno sufficientemente esatti, CORNEA. I trattati più estesi e più completi di Embriologia, dopo aver date descrizioni minute e particolareggiate del modo di formazione della cornea, arrivati al punto in cui essa è già ben costituita, si arrestano, e poco o nulla dicono del suo ulteriore accrescimento. Così Kélliker (1) nel suo trattato di Embriologia dice, che la cornea nei primi periodi presenta una struttura omogenea in tutte le sue parti, che le cellule dapprima chiare e più grosse, si fanno in seguito più piccole e s’appiattiscono, e che nel centro della cornea si forma sempre più sostanza intercellulare, per cui le cellule vengono allontanate le une dalle altre. Con ciò non viene spiegato il meccanismo pel quale si compie l’accrescimento della cornea nei suoi diversi diametri. — Secondo Kolliker la parte più attiva sarebbe data dalla sostanza fondamentale, mentre gli elementi cellulari non avrebbero che una parte passiva, cioè quella di mutare di costituzione e di forma: eppure era da supporre che anche nella cornea le cellule, come in tutti gli altri tessuti, dovessero avere un compito importante e contribuire potentemente all’accrescimento della cornea stessa. Ed ecco che per questo io ho cercato attentamente di scoprire, se le cellule fisse della cornea presentavano in un periodo dello sviluppo, delle forme di scissione indiretta. Beltzow (2) in un suo lavoro sullo sviluppo e sulla ripro- duzione del tessuto tendineo, parlando incidentalmente della cor- nea, dice che le cellule corneali irritate reagiscono allo stimolo con una forte proliferazione dei loro nuclei. Dalle sue conclusioni però si è quasi costretti a dedurre che queste scissioni cellu- lari si manifestano solo in condizioni abnormi, e non sono un (1) Entwikelungsgeschichte des Menschen, 1879, (2) Archiv f. mikr, Anatomie, vo), 22. ACCRESCIMENTO DEL TESSUTO CONNETTIVO 421 fatto fisiologico. Dalle mie ricerche invece è risultato luminosa- mente, che anche le cellule fisse corneali si riproducono per scis- sione cariocinetica, come tutte le altre cellule del nostro corpo, per un dato periodo della loro esistenza. Prima di passare alla descrizione particolareggiata di quello che ricavai dalle mie indagini, voglio premettere brevemente al- cune piccole osservazioni sui metodi di preparazione. Per quanto riguarda l’ indurimento delle cornee, esso fu fatto sempre con alcool; scartai gli altri mezzi, e specialmente il liquido di Flemming, tanto prezioso per gli altri tessuti, perchè rendeva così fragili le cornee da renderne difficile il maneggio. In quanto al modo di praticare le sezioni, ho dovuto ricorrere alle sezioni parallele alla superficie della cornea, perchè, essendo le mitosi disposte coi loro filamenti nel medesimo piano della cellula, ed essendo, come ognuno sa, le cellule appiattite fortemente, ne viene che nelle sezioni verticali le mitosi sono viste di coltello, e perciò solo come striscie un po più colorate, e quindi facilmente possono passare inosservate; mentre nei tagli paralleli esse vengono osservate di fronte e allora si può fare un'idea esatta della loro presenza e della loro forma. Il modo onde praticare tali sezioni è molto facile, giacchè basta distendere forzatamente su di un pezzo di su- ghero un pezzetto di cornea impregnato di paraffina, e raffreddare rapidamente. È superfluo l’aggiungere che anche le sezioni ver- ticali sono un prezioso ajuto in tale studio, perchè esse, oltre a dare in mano il mezzo onde potere determinare la posizione delle mitosi nei diversi strati corneali, servono per ottenere le misure delle lamelle e degli altri costituenti come la membrana di De- scemet , il suo endotelio, è l’epitelio anteriore Finalmente per quanto riguarda la colorazione dirò, che qualunque sostanza co- lorante dei nuclei può servire; però onde facilitare lo studio e risparmiar tempo, mi sono servito sempre dell’ematossilina nella formola del Prof. Bizzozero, giacchè ho potuto accorgermi, che alcune cornee, e specialmente alcune parti della cornea, hanno una forte affinità pei colori d’anilina, affinità che alcune volte può essere uguale o superare quella della cromatina dei nuclei delle cellule, producendo così immagini poco o nulla dimostrative. — Ed ora entriamo in argomento. Le mie prime osservazioni furono fatte su di un embrione di coniglio di 3 '/, cm. di lunghezza, in cui la cornea è già ben di- stinguibile. Essa appare costituita da un tessuto evidentemente 422 IGNAZIO SALVIOLI fibrillare, con bei nuclei rotondi forniti di un bel reticolo: ha già uno spessore di 80 p., un diametro trasversale di circa mm. 0,75, ed un epitelio ad un solo strato di 10 p'. circa. À questa età le mitosi nelle cellule costituenti il tessuto corneale sono abbastanza rare, infatti alcune sezioni trasverse ne sono del tutto prive, alcune altre ne contengono appena due o tre. Mi è stato impossibile qui, in causa della sottigliezza dell’ organo, fare dei tagli paralleli; del resto non ne sentii la necessità, perchè l'esame si poteva fare ugualmente bene anche nelle sezioni verticali, essendo le cellule abbastanza grosse, e poco abbondante la sostanza fibrillare. È solo più tardi che vediamo farsi più numerose le mitosi nelle diverse parti costituenti la cornea. Infatti nel secondo ani- male esaminato, un altro embrione di coniglio lungo 9 cm., vale a dire quasi a termine, essa è abbondantemente cosparsa di mi- tosi, giacchè se ne possono contare fino a 9 in ogni taglio verticale completo. Queste presentano le forme le più svariate, dal gomitolo lasso, al doppio gomitolo con protoplasma già scisso. A tale periodo di sviluppo si nota una cosa di una certa importanza, che cioè le forme gomitolari sono in numero mag- giore delle altre, e che quelle predominano più negli strati an- teriori che nei posteriori. Questo fatto non si verifica più nelle fasi un po’ più avanzate, dove invece predominano le forme di evoluzioni ulteriori. Riporto qui il fatto osservato senza dargli alcuna interpretazione, giacchè la cosa merita uno studio più attento. La disposizione delle mitosi nei diversi strati corneali non è uniforme. Nelle sezioni parallele si vede che esse sono disposte a gruppi, e molto avvicinate le une alle altre, in modo che in un campo microscopico ottenuto con un obbiettivo n. 8 Koristka, se ne possono vedere 3 o 4, mentre altre porzioni del preparato ne sono prive. Nelle sezioni verticali invece esse sono nel senso della larghezza disposte con discreta regolarità tanto nel centro quanto nella periferia della cornea, mentre nel senso antero-po- steriore esse sono più abbondanti nel terzo medio, meno nel terzo anteriore, più rare ancora nel terzo posteriore; mancano poi com- pletamente in un piccolo strato che sta vicino all’endotelio, e che rappresenta l'ottava parte dello spessore totale della cornea. Nel coniglio neonato le mitosi nelle cellule fisse corneali aumentano ancora di numero, tanto relativamente, che assoluta- ACCRESCIMENTO DEL TESSUTO CONNETTIVO -4283 ‘mente. Esaminando delle sezioni parallele di tale cornea con 1/,3 imm. omog. Zeiss, si vede che alcune volte nel campo microscopisco si comprendono 5 belle mitosi, e ogni sezione ver- ticale completa della stessa ne contiene in media da 8 a 9. In tale animale, come pure nelle fasi successive, la parte posteriore della cornea si fa più attiva; anzi in essa si trova la maggior abbondanza di cellule in scissione. Questa enorme proliferazione cellulare non dura per molto tempo, giacchè, arrivati all’esame del coniglio di 11 giorni dopo la nascita, si vede che le forme di divisione cominciano a de- crescere, ed anche assai rapidamente. Nel coniglio di 18 giorni già alcuni tagli paralleli sono completamente privi di mitosi, alcuni altri ne contengono solo al massimo tre. Per farmi un’idea della diminuzione di esse ho praticato sezioni parellele di tutto !/, di una di tali cornee, ed ho visto che vi si contenevano solo 10 cariocinesi. Questa cifra si riduceva in ugual porzione di cornee di coniglio a 17 giorni, a sole due forme, le quali per aggiunta inoltre avevano filamenti così poco evidenti da lasciare qualche dubbio sulla loro natura. All’età di venti giorni è difficile. poterne ri- scontrare alcuna; si può dire che questo è il punto in cui cessa l’attiva proliferazione delle cellule corneali. Le parti che più di tutte perdono le mitosi sono quelle periferiche ; la parte centrale, e specialmente quella più vicina all’epitelio, è quella dove le forme filamentose perdurano per maggior tempo. Questa attività si svolge nella sua maggiore intensità nei primi periodi della vita extra- uterina, quando le palpebre sono ancora chiuse, e la cornea ha un aspetto opaco ed un po’ madreperlaceo; appena la cornea si rischiara allora le mitosi scompaiono. Ecco quindi dimostrato quanto avevo già enunciato, che cioè le cellule fisse della cornea, per tutta la vita embrionale, e per un piccolo periodo della vita extrauterina, possiedono la proprietà di moltiplicarsi per scissione indiretta. Vedremo più avanti come si possa mettere questo fatto in rapporto coll’accrescimento del- l'organo. — Resta ora da esaminare l’altro e non meno importante co- stituente della cornea, la sostanza propria, che si dispone in forma di lamelle, con decorso parallelo, o quasi, alle due super- ficie di essa. Un esame anche superficiale di due sezioni verticali di cornee, prese a periodi un po’ lontani di sviluppo, fa risaltare l'enorme differenza che passa fra loro. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 31 424 IGNAZIO SALVIOLI Ho creduto opportuno per l’appunto unire al mio lavoro i disegni di una sezione verticale di cornea di coniglio di 3 giorni (fig. I) e di una di cornea di coniglio adulto (fig. II) onde mo- strare grossolanamente come le serie longitudinali di cellule nella fig. I sieno molto più avvicinate che nella fig. II. Ciò è dovuto al fatto, che col crescere dell’età della cornea le lamelle di fibrille si fanno più grosse, divaricando in tal modo le singole file di cellule. Per farsi un concetto esatto di questo fenomeno bisogna, con un esame più accurato, paragonare fra loro le diverse cornee, e specialmente praticare le misurazioni delle lamelle; solo allora noi possiamo convincerci del fatto, che le lamelle crescono di spessore, e che anzi questo aumento sta in rapporto costante coll’aumentare della totalità della cornea. Di tale asserzione ognuno può facilmente convincersi, dando uno sguardo alla tabella qui annessa, riguardante i valori delle varie parti costituenti quest’organo. Non mi sembra però inutile riportare un esempio. Il coniglio neonato ha una cornea dello spessore di mm. 0,19 e la media dello spessore delle sue lamelle è di p. 4,5.— D'altra parte, la media dello spessore delle la- melle di cornea di coniglio di 11 giorni è di 12 p. Con questi 3 valori noi possiamo stabilire una proporzione, cioè p. 4,5: mm. 0,19::p 12:22. Se è vero quanto ho affermato, risolvendo si deve ottenere per x un valore uguale a quello che possiamo ottenere diretta- mente colla misurazione. Ciò è appunto quanto succede, giacchè si ha , ovvero lo spessore della cornea di coniglio di 11 giorni uguale a mm. 0,506, valore di poco differente al vero, che è di 0,50. Non nascondo certo che ho riportato qui l’esempio che meglio rispondeva al mio caso; non sempre si trova un rapporto così esatto, ma ciò non deve infirmare in alcun modo questo reperto, perchè le differenze, che ne risultano, sono dovute, a mio credere, al fatto che esistono variazioni individuali, alle volte, assai marcate, e alle quali nessuno può sottrarsi. Per eliminare questo ostacolo ho usato conigli della medesima nidiata, e man- tenuti nelle uguali condizioni di ambiente, ma ciò probabilmente non è sufficiente ad impedire alcune variazioni nello sviluppo ; del resto sarebbe assurdo il pretendere, che due cornee di animali diversi, esaminate durante il medesimo periodo di sviluppo, doves- sero avere la identica struttura istologica, e contenere un numero uguale di elementi cellulari e lamelle. ACCRESCIMENTO DEL TESSUTO CONNETTIVO 425 Ecco dunque che in tal modo resta dimostrato come all’ac- crescimento della cornea concorra tanto l'aumento di numero dei suoi elementi cellulari, quanto l’aumento di spessore delle la- melle. Or bene, qual è il valore preciso che noi dobbiamo dare a questi due fattori ? Quando la cornea è ancora allo stato embrionale, certamente l'aumento di numero delle sue cellule fisse concorre ad aumentare il numero delle serie di tali cellule e per conseguenza anche il numero delle lamelle. Più tardi però questo processo di prolife- razione concorre esclusivamente ad allungare le dette serie cel- lulari; all'aumento dello spessore delle lamelle, invece, è dovuto quasi esclusivamente l’aumento in grossezza della cornea stessa. Ad appoggio della prima supposizione, sta 1° il fatto della forma e della disposizione delle mitosi delle cellule fisse corneali. Ho già detto come esse, costantemente, abbiano i loro filamenti cro- matici disposti nello stesso piano della cellula dove sono contenuti; or bene è da ammettere che una volta compiuta tutta l’evolu- zione, le cellule figlie restino esse pure nel piano stesso della cellula madre, allungando quindi, e non ingrossando lo strato di cellule. Se ciò non fosse, si dovrebbe nei tagli verticali, sor- prendere un momento dello sviluppo, in cui due cellule di una stessa serie fossero a ridosso l’una dell’altra, ciò che io non ho mai potuto verificare. 2° Tanto nelle cornee giovani come nelle adulte, il nu- mero delle lamelle è quasi uguale, esso oscilla cioè fra 45 e 50. Le differenze che si riscontrano sono sempre in meno per le cornee adulte. Ora se la proliferazione cellulare dovesse contri- buire all'aumento di spessore della cornea, dovrebbe aumentare anche il numero delle lamelle, cosa che non si verifica mai. Ma si può domandare: l’attività proliferativa delle cellule fisse corneali dura per un periodo molto breve, eppure la cornea continua ad allargare il suo diametro trasverso. Come succede allora tale accrescimento? Quando le cellule entrano nello stato di riposo, allora resta in campo un solo fattore, che già si era estrinsecato, benchè più leggermente, anche nei periodi antece- denti, voglio dire la formazione di nuova sostanza cellulare che allunga la lamella; come indizio di questo processo, noi abbiamo l’appiattimento forte delle cellule corneali, e 1’ allontanamento progressivo dei loro nuclei gli uni dagli altri. Non riporto qui 426 IGNAZIO SALVIOLI tutti i valori ottenuti a questo riguardo, perchè sarebbe troppo lungo; dirò solo come tale distanza fra i nuclei che nel coniglio di 4 giorni è di 10 a. 11 p, nell’adulto possa arrivare sino a 30 e più w. Le figure annesse di cornee danno pure un'idea abbastanza esatta dell’allontamento progressivo dei nuclei fra di loro. Queste medesime ragioni, oltre al reperto ottenuto colle mi- surazioni operate sulle singole lamelle, inducono ad ammettere che l'aumento in spessore della cornea deve essere dovuto quasi esclusivamente alla produzione di nuova sostanza fondamentale, o per meglio dire all’ingrossamento delle lamelle ». Ora resta a dare uno sguardo brevemente agli altri costi- tuenti la cornea, cioè alla membrana di Descemet col suo endo- telio, e all’epitelio anteriore. Essi contribuiscono in un modo assai leggero all'aumento di volume della cornea. In quanto alla membrana di Descemet, è risultato dalle mie osservazioni quanto aveva verificato già Kolliker (1), che essa non esiste nella vita intrauterina: il primo accenno lo si riscontra nel coniglio neonato, sotto l’aspetto di uno straterello esi- lissimo, chiaro, privo di nuclei, colorabile già bene in rosso vinoso colla safranina, dello spessore di un micromillimetro al massimo. Da questo momento essa cresce gradatamente col crescere della cornea, tanto che nel coniglio adulto essa arriva a misurare in media 16 o 17 y, mantenendosi però sempre più grossa alla periferia che al centro. Lo strato endoteliale che tappezza la suddetta membrana cresce molto poco di spessore, poichè già nel coniglio neonato esso ha acquistato uno spessore di circa 5 /., che mantiene invariato per il rimanente della vita. Le mitosi, che si osservano in tali cellule con una discreta abbondanza nei primi periodi della vita, ser- yono esclusivamente a produrre nuovi elementi, affinchè tale strato possa assecondare il successivo ingrossamento dell’ occhio. Nei primi giorni della vita extrauterina le forme di scissione sono assai numerose; così nel coniglio dell’età di 4 giorni si possono notare in una sezione trasversa completa di cornee fino a 7 mitosi, le quali sono più prevalenti nel centro. Questa forte prolifera- zione cellulare dura molto tempo, poichè nel coniglio di 17 giorni (1) Entwikelungsgeschichte des Menschen und der hòheren Thiere, 1379. ACCRESCIMENTO DEL TESSUTO CONNETTIVO 427 le riscontriamo ancora molto numerose. All’allargamento dello strato endoteliale, oltre all'aumento di numero delle sue cellule, concorre anche l'aumento di diametro di esse, giacchè tali cel- lule che nell’embrione di coniglio sono irregolarmente rotondeg- gianti e con un diametro che oscilla tra 13 e 16 u, nel co- niglio adulto, si fanno poliedriche, e acquistano un diametro di circa 20 p. Infine per quanto riguarda l’epitelio anteriore, noi. vediamo che il suo spessore cresce di molto; questo fatto è dovuto in grandissima parte al fatto che l’epitelio, da prima ad un solo strato di cellule cubiche, dell’altezza di 10 , come si osserva nell’em- brione, si fa rapidamente stratificato, sicchè già al 13 giorno di vita extrauterina è dello spessore di 45 p. Come facilmente si può immaginare, qui pure abbiamo nu- merose le mitosi nei suoi elementi o per meglio nelle cellule basali. Nell'embrione le mitosi non sono molto abbondanti e con ciò si spiega il poco sviluppo che acquista l’epitelio nella vita intrauterina; solo nei periodi successivi la proliferazione nucleare si fa tanto intensa perchè deve bastare alla formazione dei nuovi strati cellulari, ed all'allargamento dell’epitelio stesso. Prima di terminare questo capitolo voglio ancora fare un brevissimo cenno di altri fatti osservati in questo mio studio. Prima d’ogni altra cosa dirò, che essendo le cellule corneali provviste di un nucleo abbastanza grosso e con un bel reticolo, anche le mitosi appaiono in un modo molto evidente. Negli animali superiori la cornea, come in genere tutto il con- nettivo, è uno dei pochi organi dove si possa con molta facilità farsi un'idea esatta delle fasi per cui passa il nucleo prima di scindersi, giacchè i suoi filamenti cromatici sono molto chiari e spiccati. Ho potuto constatare anche che la cornea, già nei primi periodi di sviluppo, si può dividere, come del resto ammette Kélliker (1), in due strati, uno anteriore chiaro, l’altro poste- riore più scuro. A questa diversità di apparenza va unito, a mio parere, anche una diversità di struttura istologica, poichè le la- melle anteriori sono sempre più grosse che le posteriori; così pure i nuclei delle cellule corneali nella parte anteriore sono più ro- (1) Loco citato. 428 IGNAZIO SALVIOLI tondeggianti che nella parte posteriore, dove sono più lunghi e più appiattiti. Inoltre nella parte anteriore le lamelle non hanno come nel rimanente un andamento parallelo, ma esse si intrec- ciano con angoli assai acuti, in modo da formare una rete a maglie assai larghe. Questo fatto si svela meglio colorando le sezioni colla soluzione acquosa di vesuvina. Le lamelle anteriori infine sono molto meno tenacemente aderenti fra loro che le la- melle posteriori. Concludendo diremo: All’accrescimento della cornea concorrono due fattori: la moltiplicazione delle cellule fisse, e l'aumento di spessore delle lamelle. L'attività del primo fattore si manifesta tanto nel pe- riodo della vita embrionale, e allora la sua azione vale ad au- mentare così lo spessore come la larghezza della cornea, quanto nei pericoli successivi, contribuendo invece al solo allargamento. Il secondo fattore tiene in gran parte il campo durante la vita extrauterina, ed agisce aumentando quasi esclusivamente lo spes- sore della cornea, ed in grado molto minore anche l’allargamento. All’ingrossamento di quest’ organo finalmente concorre 1’ in- grossamento della membrana di Descemet e l’aumento di spessore dell’epitelio anteriore. 429 TESSUTO CONNETTIVO ACCRESCIMENTO DEL qeiedoad ouomnj neaedead 1 ]ueouguI QUIUSSLIVI QUV.I asodaunu 070d osodQumu uepuoggqe 0Ammauuo9 jeu TSO3!N oufiruoo ip nIUs0I VD) Wuonzygsoo tend assap 2]]9u opvItzmad ainsi 2))9P VIOAVI INI . ll 9 Y4ouB Q]]oa eunaEe 08-08 muejsipo][ow utddip Q]Joa eunoje rl 66-08 nid @ 7 03 7 8797 1 03-61} ” 87 Eros ajearpa) 190] osuas UL tdjonu 10p ezuBIsi( # LI A %T ” 0} 1 G a a'L #3 1 E-3 nl vl G agis |, euadde n È La qa wa9sa(qI Ip eutiquaw ©IIap e1ossadg 01]o7opuoa,]19p e10ssadg ‘tyeso equewapemorziodo1d omos nuueo Lio[eA 1 ‘ojuawenda meppeaa I} gjs opuossoe eu | UTIANVY 071} souIp ey wo r 67 1 GX "66 v ‘Le 1 GY TI. rl Gy n c'e d GJ n €79 ” 0} otpaxtda,119p o10ssadg # CHE ? -0} ? €53} 01 AO al cls " 0%-8 1 Q=Y 1 6-8 d 30 QUIUI Q]]9 UV] a|]9p aJossads 0]]9p IPON d 08-3 n 13-33 7 08-68 nz suno[e # 03-87 d LY # 08-83 # LIE dl <-01 rl 8-G 55 QuIa]sa a1|aWEl all QIossads 0|[0p VIDON G63 < GL'o € co < €080 < Le9°0 « g9c°0 » III. Sezione longitudinale di tendine gastrocnemio di coniglio di 13 giorni. I fasci tendinei sono sottili, le cellule grosse e con bel nucleo (ingr. 440 diam.). » IV. Sezione longitudinale di tendine gastrocnemio di coniglio di 98 giorni. Fasci più grossi, cellule più esili ed allungate (ingr. uguale). » V. Sezione trasversa di tendine di coniglio di 30 giorni (ingr. 440 diam.). » VI. Sezione trasversa dello stesso tendine di coniglio di 175 giorni (ingr. uguale). 439 Gneiss tormalinifero di Villar Focchiardo (Val di Susa); Cenni descrittivi del Dott. GIiusEPPE PIOLTI La roccia di cui sto per discorrere fa parte di quell’ampia elissoide gneissica chiamata dal Gastaldi col nome di elisso:de Dora Varaita (1), la quale alla sua volta non è che una parte di quell’estesa zona di « gneiss detto centrale, sovente talcoso « e passante anche al granito, che forma i grandi massicci cri- « stallini, disposti in due cerchie quasi parallele, cioè l'esterna « col Monte Bianco, Belledonne e Grand-Pelvoux, e l’interna « col Grand-Paradis e il Mercantour, oltre qualche minore « massa intermedia presso Pinerolo » (2). La roccia di Villar Focchiardo devesi quindi considerare come un’enorme inclusione nel circostante gneiss normale; in com- mercio è conosciuta sotto il nome di granito bianco e viene usufruita come pietra da lavoro, per lastroni, colonne, balaustre, ecc. Per quanto mi consta, il primo autore che abbia accennato alla presenza della roccia suddetta in Val di Susa fu Angelo Sismonda nel 1834. Il De Saussure, nel suo celebre Voyage dans les Alpes (Tomo III, p. 91), parla bensì del gneiss che s'osserva presso Sant'Antonino, notando che « ces rochers parois- « sent des granits en masse, gris, à grains médiocrement gros « de l’espèce la plus commune des Alpes; mais quand on les « observe avec soin, on voit que ce sont des granits veinés », ma non fa cenno della roccia speciale di Villar Focchiardo, pro- (1) Spaccato geologico lungo le valli superiori del Po e della Varaita, Lettera del Prof, B. Gastaldi all’Ingegnere Pietro Zezi. Bollettino del Comi- tato Geologico Italiano, 1876, p. 104. (2) Nella prefazione, firmata dalla Direzione del Bollettino del Comitato Geologico Italiano, al lavoro dell’Ingegnere Zaccagna Sulla Geologia delle Alpi occidentali, pubblicato nel detto Bollettino, anno 1887, p. 341. Atti della R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV, 199] w 440 GIUSEPPE PIOLTI babilmente perchè la cava del gneiss tormalinifero nel 1796 non era forse ancora in attività. « La cava aperta all’O. N. 0. del piccolo villaggio di Villarfocchiardo ha somministrato le « ottime pietre che servirono pel ponte che in questa valle si « è ultimamente costrutto sulla Dora; essa è collocata nel gneiss inferiore, e la tormalina nera che racchiude, non poca bellezza vi aggiunge a questo gneiss allorchè è lavorato » (1). Il Barelli così descrive la roccia di Villar Focchiardo: « gra- « nito a mica bianca, cosparso di poca anfibola nera, con cui si costrusse il ponte di Borgone sulla strada reale di Francia. « La cava trovasi sul rio Gravio, a cinque minuti distante « dall’abitato di Villarfocchiardo. La spessezza della roccia ol- « trepassa li 40 metri; gli strati hanno la direzione da ostro « a tramontana e sono pressochè verticali : la spessezza degli « strati è variata, ma il minimo eccede li 0,60 metri. Questo « granito è obbediente al cuneo per ogni verso. La parte della « montagna ora destinata all’estrazione si dirige, come il rivo, « da ponente a levante; ha una estensione di lunghezza di metri 150 circa, di cui appena trovasi scoperta la metà, « d’onde si possono estrarre saldezze intatte di 10 m. di lun- . « ghezza per 7 di larghezza e 5 di spessezza, e così d'un cubo « di oltre 300 metri. Il consumo dei ferri per lavorare questo « granito, a lavoro eguale, è il doppio di quello che occorre « pel gneiss del Malanaggio » (2). Il Jervis accenna solo alla presenza della formalina nera cristallizzata, come elemento costituente del gneiss (3). Chiunque rechisi sul luogo riconosce facilmente che se in qual- che punto limitato la roccia piglia l’aspetto di granito, il com- plesso della massa invece è di pretto gneiss. E se qua e là la < A < N < A < A A (4) Osservazioni geologiche sulla valle di Susa e sul Moncenisio, del Prof. AnceLo Sismonpa. Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, tomo XXXVIII, p. 143, 1834. (2) Cenni di Statistica Mineralogica degli Stati Sardi di S. M. il Re di Sardegna, per cura di Vincenzo BareLLI. Torino, 1835, p. 67. Dalla cortesia del Prof. Uzielli ebbi 11 mezzo di esaminare diligentemente l'esemplare n° 573 del catalogo del Barelli, esistente alla Scuola d’Applica- zione del Valentino, corrispondente alla descrizione data dal detto autore, e riconobbi che la poca anfibola nera non è altro che tormalina. (3) G. JeRviS, 1 tesori sotterranei dell’Italia. Parte prima. Regione delle Alpi.. Torino, 1873, p. 53. GNEISS TORMALINIFERO DI VILLAR FOCCHIARDO 441 schistosità scompare, come lo dimostrano i fatti citati dal Barelli, è agevole comprendere non trattarsi che di modificazioni affatto locali, modificazioni che si verificano secondo il Gastaldi, il Ba- retti ed il Zaccagna in tutta la zona di gneiss cui appartiene la roccia di Villar Focchiardo. Troviamo difatti in una Memoria del Baretti (1) quanto segue: « in moltissimi punti, anche ec- centrici ed elevati dell’area istessa, noi troviamo localizzate « apparenze granitiche, non rilegate fra loro, le quali altro non rivelano che una modificazione indotta nel gneiss da circo- « stanze puramente locali e peculiari, nulla aventi di comune « con un fatto generale di sollevamento determinato da roccia granitica o non. Epperò la mancanza di limiti ben definibili « tra le masse di gneiss e di granito, di un confine tra un’area granitica ed una zona gneissica ci obbliga, non solo a consi- « derare la struttura granitoide come una modificazione tutta locale ed irregolare del gneiss, ma ancora ad abbandonare l’idea di segnare con appositi segni convenzionali sulla carta geologica le aree limitatissime, nelle quali tale struttura si rivela. Sono in ciò perfettamente d’accordo col Gastaldi che « dice: « talvolta a salti, soventi a gradi, la struttura cristallino- schistosa passa alla granitoide, e frequentemente m’accadde « di fare osservazioni colla bussola su larghi e regolari piani « di stratificazione, mentre a pochi passi di distanza la roccia « diveniva così fittamente granitoide da farsi scambiare per gra- nito massiccio » (2). Infine il Zaccagna, parlando dell’elissoide gneissica Dora Varaita, dice: « lo gneiss qui si presenta a grossi noccioli « quarzosi e feldspatici colla caratteristica struttura a mandorlo ; « lo stesso gneiss altrove, come per esempio nella valle del Pel- « lice, si trasforma con passaggio graduale ma rapido in un « granito bianco ad elementi piuttosto sviluppati: è da notare « che questo granito si presenta specialmente nelle località ove « l’elissoide per la sua minore potenza mostra di essere stata « soggetta a più energiche pressioni laterali » (3). «< A < À < A < tai < tav A A < & < A < YAN (4) Studi geologici sul gruppo del Gran Paradiso. Memorie dell’Acca- demia dei Lincei, serie III, vol. 4. Seduta del 7 gennaio 1877. (2) B. GASTALDI, Studi geologici sulle Alpi occidentali. Memorie del Regio Comitato Geologico d’Italia, vol. 1, 1874, parte I, p. 34. (3) Op. cit., p. 379, Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. de 442 GIUSEPPE PIOLTI Come già dissi, osservando attentamente il giacimento di Villar Focchiardo, è ovvio riconoscere che se in qualche punto la roccia passa a granito, il complesso però è un gneiss torma- linifero. Ora se quelle energiche pressioni laterali hanno esistito, traccie ne devono essere rimaste in questo giacimento nel quale si incontrano passaggi del gneiss al granito. Scopo di questi brevi cenni è precisamente quello di dimostrare che l’osserva- zione dei preparati microscopici della roccia in questione fa palese come in essa abbiano dovuto sicuramente avvenire movi- menti prodotti indubbiamente da pressioni. _ Credo però opportuno di premettere una descrizione som- maria del gneiss, indicando come questo si presenti macroscopi- camente, tanto più che tale roccia è assai diffusa nelle Alpi e per contro gli autori non descrivono un gneiss tormalinifero in modo speciale, solo trovandosene un esame particolareggiato nel lavoro dello Spezia sul gneiss di Beura, cenni nella Memoria del Baretti già citata e negli E/emente der Lithologie del Kalkowsky, come vedremo meglio in seguito. Fatta astrazione delle apparenze granitiche di cui dissi più sopra, il gneiss tormalinifero di Villar Focchiardo ha l'aspetto d’un gneiss muscovitico, solo che in esso la mica è in minor proporzione e questa quantità di mica in meno è sostituita dalla tormalina. E come in un’ampia zona di gneiss è facile incon- trare tutte quelle infinite varietà di struttura che formano la delizia dei nomenclatori, così anche qui talora i cristalli aciculari di tormalina sono come disseminati senz’ordine nella massa quar- zoso-feldspatica e non vanno a frammischiarsi alla mica, per- modochè guardando un frammento di roccia perpendicolarmente alla schistosità, la tormalina non rimane visibile ; talora invece i cristallini di tal minerale sono allineati, commisti colle lamelle di mica, orientati coll’asse di simmetria parallelo alla schistosità ; talora infine sono riuniti in ammassi, in vere concentrazioni, e là dove accidentalmente scompare la schistosità, la tormalina è disseminata assieme alla mica precisamente come in un granito. Per la ricerca della densità scelsi un grosso esemplare dei più tipici, onde mettermi nella miglior condizione possibile di esattezza: trovai 2,6, valore identico al minimo dato dal Zirkel (1) (1) Lehrbuch der Petrographie, II Band. Bonn, 1866, p. 429. GNEISS TORMALINIFERO DI VILLAR FOCCHIARDO 443 per lo gneiss. Ciò non deve recar meraviglia, visto che la densità della tormalina nera, secondo il Mattirolo (1), è di 3,06 e quella della muscovite oscillando da 2,76 a 3,1. Siccome questa è nel gneiss in questione sostituita in parte dalla tormalina, è naturale che il peso specifico della roccia non muti. Nella zona del gneiss centrale fu già accennata dal Baretti la presenza del gneiss tormalinifero colle seguenti parole: « non « è raro nemmeno il gneiss tormalinifero, con cristalli raggianti « o confusamente dispersi di tormalina nera; cito le roccie della « Tresenta presso il Gran Paradiso e le rupi di Moncorvé » (2). Piò tardi lo Spezia descrisse un gneiss tormalinifero nel classico giacimento di Beura, notando che varî fatti avvalorano l’idea di dover mantenere un gneiss tormalinifero corrispondente al granito tormalinifero nel quale pare caratteristica secondo Lasaulx (38) la mica muscovite invece della biotite (4). In- fine il Kalkowsky cita un gneiss tormalinifero di Waldthurn, nell’Oberpfalz, menzionato dal v. Giimbel (5). Nè osta a che si dia il nome di gneiss tormalinifero alla roccia di Villar Focchiardo il fatto accennato dal Barelli, che cioè quella sia obbediente al cuneo per ogni verso, perchè se nel 1835 gli accentramenti di granito erano in predominanza, ora invece i medesimi, essendo in massima parte stati esportati pei bisogni dell’industria, sono divenuti rari; ed in secondo luogo l’attuale padrone della cava, sig. Giuseppe Marra, interrogato da me al riguardo affermò recisamente che la roccia si taglia molto più facilmente in un senso che non in un altro, preci- samente come il gneiss a due miche circostante, che ivi vien chiamato pera neîra. Se dall’esame macroscopico della roccia noi passiamo all'esame microscopico, si osservano nei varî preparati transizioni caratte- rizzate dalla scomparsa di un elemento e dalla comparsa di un altro. Così a mo’ d’esempio mentre nel gneiss circostante a due (1) Sulla tormalina mera nello scisto cloritico di Monastero di Lanzo Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVII. Adunanza del 14 maggio 1882. (2) Op. cit., p. 19. (3) Elemente der Petrographie, p. 328. (4).Cenni geognostici e mineralogici sul gneiss di Beura. Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVII. Adunanza del 14 maggio 1882, (5) Elemente der Lithologie. Heidelberg, 1886, p. 172. 444 GIUSEPPE PIOLTI miche è abbondantissima la biotite, qui invece è rarissima o scompare affatto per essere sostituita dalla tormalina Fra i varî passaggi è notevole quello in cui la roccia non contiene che quarzo ed ortosio; poi compare la mica bianca, poi la tormalina in piccolissima quantità, finchè si giunge al gneiss tormalinifero normale. Certi preparati, pel modo con cui sono distribuiti i componenti hanno quasi l'aspetto d'una granulite tormalinifera, d’una granulite cioè in cui invece del granato caratteristico , trovasi la tormalina, fatto noto e già accennato dal Zirkel, là dove dice: « mentre la tormalina in generale è un elemento « accessorio raro della granulite, tuttavia in alcune varietà essa « sì presenta così frequente sotto forma di aghi neri o di ag- « gruppamenti cristallini, da sostituire il granato e piglia com- « pletamente il suo posto » (1). La mica bianca di questo gneiss esaminata isolatamente collo stauroscopio di Brezina mostrasi nettamente biasse. I componenti normali della roccia sono il quarzo, l’ortosio, la mica bianca e la tormalina; come elementi accessorî incon- transi la mica scura (però molto raramente) ed il microclino. Il quarzo presentasi quasi sempre sotto forma di grandi plaghe di prima formazione e di piccoli grani di seconda formazione, ben di rado con contorni distintamente poligonali. Spesso notansi ag- gregati di cristalli tangenti gli uni agli altri per le faccie del prisma e non essendo quelli ugualmente orientati, ne risulta come un irregolare mosaico costituito da tanti esagoni più o meno al- lungati; in uno, fra i prismi di Nicol incrociati, facendo girare il porta-oggetti, mantiensi quasi completamente l’oscurità, per cui la sezione deve aver tagliato il cristallo quasi normalmente al maggior asse di simmetria. Sono frequenti le inclusioni a bolla fissa nei grandi cristalli di prima consolidazione, mancano o sono rarissime nel quarzo secondario. Degna di nota è una sezione di un cristallo di quarzo rotto e spostato come vedesi nella figura 1: dalle due parti della linea di rottura scorgonsi i due pezzi, ma non esattamente di fronte, per lo spostamento avvenuto. Non in un solo preparato, ma in varî, incontrai sezioni allungate di quarzo spesso rotte e spostate, in modo però da poter ricostrurre col- l'occhio il cristallo intiero. Esempi analoghi e molto belli di tali rotture e spostamenti sono indicati dal Cohen nelle fig. 3 e 4 (1) Lehrbuch der Petrographie, Il Band, p. 44. GNEISS TORMALINIFERO DI VILLAR FOCCHIARDO 445 della tav. XIII della sua opera intitolata: Sammlung von Mi- krophotographien zur Veranschaulichung der mikroskopischen Structur von Mineralien und Gesteine — Lief. ILL Simili rotture provano ad evidenza come nella massa della roccia abbiano dovuto avvenire dei movimenti, probabilmente quei medesimi che fecero passare la roccia in alcuni punti limitati del giacimento dalla struttura affatto schistosa a quella granitica. Il Rosenbusch parlando di simili spostamenti dice: « un altro « gruppo di deformazioni dei componenti d'una roccia dovute ad « azioni meccaniche s'incontra principalmente là dove vedonsi le « roccie molto ripiegate e state sollevate, ed è chiaro che trat- « tasi di cause dinamiche le quali hanno agito mentre si for- « mava la montagna » (1), come è precisamente il caso qui. Poichè il gneiss inglobante la roccia di cui discorro vedesi for- temente più e più volte ripiegato, tantochè in alcuni punti, prima a Villar Focchiardo, poi a Borgone sul versante sinistro della Dora Riparia, gli strati sono addirittura verticali. E tali fatti vanno anche d’accordo coll’osservazione già ci- tata del Zaccagna, che cioè %l granito si presenta specialmente nelle località ove l’elissoide per la sua minore potenza mostra di essere stata soggetta a più energiche pressioni laterali. L'ortosio incontrasi non raramente in cristalli non geminati, spesso corrosi, alcuni con molte inclusioni di quarzo. Sovente ac- cade di rinvenire grossi individui di prima consolidazione rotti e le fenditure sono in tal caso riempite completamente da quarzo secondario. Di più oltre alla rottura osservasi uno spostamento che deve di certo essere accaduto dopo che il quarzo aveva già riempito i vani, perchè la linea di scorrimento è finissima e d’al- tronde si vede molto bene il quarzo trovantesi nella fenditura superiore non essere che la continuazione di quello che si vede nella inferiore. Non trovai altra geminazione che quella secondo la legge di Carlsbad. Rinvenni in qualche preparato quel singolare aspetto di reticolazioni rettangolari « déterminées par des lamelles fusi- « formes disposées les unes derrière les autres. Ces anomalies dans « les propriétés optiques sont peut-ètre produites par des pres- « sions dans la roche. A cela, correspond aussi l’extinction dite (1) H. RosenBuscH, Mikroskopische Physiographie der Mineralien und Gesteine, Band I, Zweite Auflage. Stuttgart, 1885, p. 36. 446 GIUSEPPE PIOLTI « ondulée (1): une section mince ne devient pas claire et ob- « scure tout d’une pièce, mais par parties, successivement, de « sorte que l’obscurité parcourt la préparation comme un nuage, « quand on la fait tourner avec la table du microscope » (2). Eziandio in questo minerale si osservano oltre alle rotture suac- cennate, veri piegamenti e nei geminati è di preziosa guida al loro riconoscimento la linea di geminazione. Anche tali fatti vengono in appoggio all’ipotesi più sopra ac- cennata, che il gneiss di cui discorro abbia subito delle pressioni. La mica bianca presentasi a contorni irregolari e come av- viluppante il quarzo ed il feldspato: nelle sezioni perpendicolari alla schistosità appare sotto forma di bastoncini allungati, con vivissimi colori. Non rare sono le lamelle geminate ; l'estinzione avviene sempre parallelamente alle linee di sfaldatura. La tormalina vedesi in aggregati cristallini acuminati alle estremità, come sfilacciati, spesso risolventisi in cima in minuti aghetti limitati da linee che indicano le faccie dei romboedri terminali; il colore è violaceo-scuro alla luce naturale. Frequen- tissime sono in questo minerale le rotture, le distorsioni e gli spostamenti, di cui dà un’idea la fig. 2 della tavola. Nei prepa- rati larghi è facile riconoscere ciò che vedesi all'esame macro- scopico, cioè l’allineamento del minerale parallelamente alle la- mine di mica. Esaminando la tormalina isolata in sezioni fatte parallela- mente all'asse ottico, per lo studio esatto del dicroismo, si vede che per il raggio straordinario il colore è d'un bruno-chiaro, per l’ordinario invece il colore è d’un violaceo-scuro intensissimo quasi nero. Con forti ingrandimenti si riconosce che il minerale è come solcato da un’infinità di strie incrociantisi ad angolo retto, strie che furono molto probabilmente causate da pressioni, come è noto dopo le classiche esperienze del Daubrée (3). (1) Che si verifica qui molto bene su certi grandi cristalli geminati, i quali presentano proprio un aspetto ondulato (moîré) quando si fa girare il preparato fra i prismi di Nicol incrociati. (2) A. De LasauLx, Précis de petrographie; introduction è l’étude des roches, traduit de l’allemand par H. Forir. Paris, 1877, p. 62. (3) A. DauBRÉE, Etudes synithetiques de Geologie experimentale, première partie. Paris, 1879, p. 3416. GNEISS TORMALINIFERO DI VILLAR FOCCHIARDO 447 Di plagioclasii non ho trovato in questo gneiss che il mi- croclino e l’albite, ma non frequentemente. Il microclino è riconoscibile per la nota struttura a gra- ticcio e pel modo d'estinzione d’alcune delle lamelle emitrope da una parte e dall’altra della linea di geminazione, estinguendosi cioè con un angolo di 15°. Riconobbi l’albite pel fatto che le lamelle emitrope si estin- guono rispetto alle strie di geminazione secondo un angolo di 19°. Non credo però che questo feldspato si possa considerare nem- meno come elemento accessorio della roccia, perchè lo si incontra troppo raramente. Per altra parte, siccome in qualche punto del giacimento trovansi ammassi di cristalli d’albite letteralmente schiacciati gli uni contro gli altri e solo riconoscibili per la loro caratteristica geminazione, è naturale che in qualche frammento del gneiss si possano rinvenire qua e là traccie visibili di tale feldspato. Spero con questi brevi cenni d’aver fornito un modesto ap- poggio petrografico ai dati geologici che hanno condotto l’inge- gnere Zaccagna a stabilire : la causa delle modificazioni che hanno fatto passare in certi punti l’elissoide gneissica di Dora Varaita dalla struttura schistosa alla granitica doversi attribuire a pres- sioni. 448 G. PIOLTI - GNEISS TORMALINIFERO DI VILLAR FOCCHIARDO SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fic. 1. — Cristallo di quarzo rotto e spostato; prismi di Nicol incrociati; ingrandimento 40 diametri. » 2. — Cristalli di tormalina rotti e distorti ; luce naturale ; ingrandimento 18 diametri. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. Torino Tip. REALB-PARAVIA. Tav.XI fiaseo Min. Univ. di Torino. Fotot.D over. Torino. Ci RIMMARIO: I o del 12 deesi Ro A u i Gneiss ferma o di HE) r Focchiardo sauna i Su ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DIECTORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 14°, 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze pa 0 Sp Pak tl 449 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 26 Maggio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BERRUTI, Basso, Bizzozero, FERRARIS, NaccaRI, Mosso, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE. Il Segretario legge l’atto verbale dell'adunanza precedente, che viene approvato. Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine che segue : _« Sulla derivazione dell'epitelio dell'intestino dall’epitelio delle sue ghiandole tubolari », del Prof. G. BizzozeERo; « Ricerche intorno alla struttura della colonna vertebrale del genere Bombinator >» , del Dott. Alberto SASSERNÒ, presen- tate dal Socio CAMERANO; Sulle proprietà termiche dei vapori » ; Monografia del Dott. Angelo BarTtELLI, presentata dal Socio NaAccaRI. Desiderando l’autore che essa venga pubblicata nei volumi delle Memorie; viene affidata ad una Commissione perchè la esamini e ne ri- ferisca nella prossima adunanza; « I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, parte IV (Volutidee, Margellinidee, Columbellidee) » ; lavoro presentato dal Socio LEssonA in nome dell'Autore, Socio BeLLARDI assente, e approvato per la pubblicazione nei volumi delle Memorie; « Aggiunte alla Ornitologia della Papuasia e delle Mo- lucche, p. I (Accipitres, Psittaci, Picariae) » ; lavoro del Socio SALVADORI, approvato per la stampa nei volumi delle Memore. Atti della R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. \XIV. 33 450 LETTURE Sulla derivazione dell'epitelio dell’ intestino dall’epitelio delle sue ghiandole tubulari ; del Prof. G. BizzozEro Nell’ ultima Memoria che presentai all'Accademia emisi e so- stenni l'opinione, che l’epitelio dell'intestino derivi per una gra- duata trasformazione da quello delle sue ghiandole tubulari, ed ho esposto le osservazioni fatte sul retto e sul colon del coniglio che confortavano la mia tesi. Più tardi nelle mie ricerche m’imbattei in un animale il cui intestino presenta tali fatti, che elevano la mia opinione al grado di certezza. L’idrofilo piceo ha l'intestino rivestito d'uno strato di epitelio cilindrico, sopportato da una membrana anista d'aspetto chitinoso, la quale è attraversata da numerosi fori corrispondenti allo sbocco di altrettante ghiandole piriformi. L’epitelio intestinale non presenta mai delle mitosi, mentre queste sono numerose nell’epi- telio delle ghiandole. Ciò potrebbe a prima giunta far supporre, che l’epitelio dell’intestino si moltiplichi per scissione diretta, e che le mitosi delle ghiandole servano a sostituire degli elementi andati distrutti durante la funzione ghiandolare. Invece, nulla di tutto ciò. L'’idrofilo ogni 2-5 giorni elimina tutto l’epitelio dell'intestino medio e la membrana anista che lo sopporta (1). E mentre questo stato epiteliare si distacca dalla parete dell’intestino, un nuovo strato epiteliare si forma al di- sotto di esso per uno spostamento ed una trasformazione del- l’epitelio delle ghiandole intestinali. Le particolarità di questo curioso processo mi riserbo di co- municare in altra mia Nota. (1) L’epitelio viene digerito nell’intestino prima di venir emesso, mentre la membrana anista esce per lano in uno o in pochi pezzi, sotto la forma di un budello bianchiccio ripieno di materie fecali. 451 Ricerche intorno alla struttura della colonna vertebrale del Genere Bombinator (*) ; Nota del Dott. ALBERTO SASSERNÒ I. Le singolari anomalie di sviluppo osservate dal Dott. L. Ca- merano (1) nelle apofisi trasverse della vertebra sacrale e del coccige dei Bombinator, mi spinsero a trar profitto del copioso materiale esistente nelle raccolte del R° Museo di Zoologia di Torino, onde ricercare fino a qual grado di importanza e di fre- quenza si riscontravano le dette anomalie, in quelle parti che per la loro variabilità furono oggetto di non poche discussioni. Infatti oltre al Dott. Camerano anche il Dott. I. V. Be- driaga (2), Leydig (3) e Gotte (4) avevano rivolto la loro atten- zione alle anomalie del sacro e del coccige del Bombinator, sia in occasione della tanto dibattuta questione sull’esistenza in Eu- ropa di due specie di Bombinator, sia in occasione della figura data da Gené di un rachide di £. igneus. Era perciò interessante di investigare se esisteva qualche fatto, che, collegato alle anomalie, ne potesse spiegare la loro frequenza, (*) Non intendo qui parlare delle questioni relative alle denominazioni da darsi alle due specie di Bombinator europee. — Le denominazioni adoperste in questo lavoro sono conformi a quelle stabilite da Boulanger (Proc. zool. Soc. di Londra, 1886, pag. 499). Ho seguito una tale nota poichè le conelu- sioni alle quali è giunto il Boulanger nella sua ultima pubblicazione a questo riguardo (Bull. Soc zool. de France, 1888, p. 173) non mi paiono accettabili senza discussione, (1) Nota intorno allo scheletro del Bombinator igneus (Laur.), di Lorenzo Camerano (Atti della R. Acc. Scienze di Torino, vol. XV, 8 febbraio 1880). (2) BepRIAGA, Zoolog. Anszeiger, di V. CaRuUS, n. 45, pag. 664, dicembre 1879. (3) LevpiG, Die Anuren Batrachien der deutschen Fauna, 1877. (4) GOTTE, Entwichelungsgeschichte der Unke. Leipzig 1875. 452 ALBERTO SASSERNÒ e ricercare inoltre se anche altre parti dello scheletro del Bom- binator presentavano delle anormalità. Però a quest'ultimo riguardo le mie ricerche furono comple- tamente negative, avendo anzi trovato in una quarantina di esem- plari da me accuratamente esaminati una notevole costanza di forme nelle singole parti dello scheletro. Debbo tuttavia accen- nare di aver trovato un B. :‘gneus coll’ atlante provvisto di apofisi trasverse, per essersi saldate la prima colla seconda ver- tebra del rachide; ma tale anomalia deve essere classificata fra quelle mostruosità accidentali che sì riscontrano ovunque e non può essere certo paragonata alle frequenti anormalità di strut- tura che presentano la 8°, 9° e 10° ver:ebra della colonna ver- tebrale del Bombinator. Prima di passare a descrivere le principali anomalie da me trovate, non sarà inutile che io accenni alla forma che abitual- mente presenta la colonna vertebrale, ed ai limiti entro i quali possono variare quelle parti che vanno soggette a frequenti irre- golarità di forma. All’atlante bene sviluppato, ed i cui due condili sono talora così divaricati dal corpo della vertebra da sembrare dei processi trasversi, succedono tre vertebre, alle diapofisi delle quali si arti- colano delle brevissime coste. Quelle del primo paio hanno una direzione prima leggermente in avanti e poscia sì incurvano ancor più leggermente all’indietro: quelle del secondo e terzo paio invece si incurvano subito all’ indietro però con direzione poco accentuata. La quinta vertebra contando anche l’atlante, non ha più che delle apofisi trasverse piuttosto esili e dirette all'infuori ed in avanti lievemente; qualche volta invece con direzione normale all’asse della colonna vertebrale. La sesta e la settima vertebra hanno eziandio solo delle apo- fisi trasverse dirette molto all'innanzi, talvolta fino ad appressarsi così al corpo della vertebra precedente da essere poco visibili. Un po’ meno adpressi, ma sempre diretti all’innanzi, sono i processi trasversi della 8° vertebra che, come la nona ed il coc- cige, sono le parti che variano notevolmente. I processi trasversi della vertebra sacrale, come è conosciuto, sono fortemente dilatati e sempre muniti nel loro contorno esterno di un orlo cartilaginoso , mentre il corpo della vertebra è presso a poco uguale a quello delle altre, Giova notare che, malgrado STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 453 la loro estensione, si scorge tuttavia nell'’andamento generale del contorno che i processi trasversi hanno sempre una direzione al- l’indietro. Infine i prolungamenti laterali del coccige, o, come io li chiamerei, i processi trasversi del coccige hanno pure sempre una direzione incurvantesi all’indietro, cioè una direzione concordante sempre con quella dei processi trasversi della vertebra sacrale. Il coccige presenta generalmente molta regolarità nella sua lunghezza e diametro. La sua lunghezza varia nei maschi del Bombinator bombinus da 10 a 12 mm. e da mm. 183 a mm. 15 nelle femmine: nei maschi del 5. igneus da 12 a 14/4, tali differenze essendo in relazione colla lunghezza del corpo. Il diametro varia poi da 5 a 7 decimillimetri, mantenendo sensibilmente una forma cilindroide, salvo l'estremità, ove si articola il condilo della vertebra sacrale, che assume una forma conica, ingrossandosi alquanto. Si è dalla parte ingrossata che partono i processi trasversi del coccige ed a cominciare dal loro punto d’inserzione si sviluppano pure delle creste sottili, che con- tinuano lungo ambo i lati del coccige stesso per un tratto più o meno lungo e che sono talora molto sviluppate e talora appena visibili. Passo ora brevemente in rassegna tutte le principali anomalie da me scoperte, alle quali, aggiungendo quella trovata da Gòtte (1) e quella trovata dal Dott. Camerano (2), ho tutti i casi possibili di anomalia che possono presentare la vertebra antisacrale, la sacrale ed il coccige. Avverto che, dicendo lunghezza delle apofisi sacrali, intendo la lunghezza del loro margine esterno massimo che varia da um minimum di 6 mm. ad un marimum di 9 mm. e per lunghezza delle apofisi trasverse del coccige intendo la distanza intercedente tra la loro origine sul coccige stesso e la loro estremità, lun- ghezza che varia al punto da essere talora rudimentale e talora da arrivare fino a 4 mm. di lunghezza. 1° Caso. — La vertebra antisacrale è regolarmente confor- mata: le apofisi della vertebra sacrale sono corte, presentando il (i) GòTTE, opera citata, tav. XIX, fig. 346. (2) CAMERANO, nota citata, pag. 6, fig. 3*. 454 ALBERTO SASSERNÒ minimum di 6 mm.; le apofisi del coccige sono invece lunghe molto, cioè 22 decimillimetri. Vedasi la fig. 1° raffigurante l’ ultima parte della colonna vertebrale di un individuo maschio il cui corpo (dalla punta del muso all'estremità posteriore del coccige) misurava m. 0,0388. 2° Caso. — La vertebra antisacrale è regolarmente confor- mata. Le apofisi della vertebra sacrale sono lunghe e quelle del coccige sono rudimentali. La fig. 2° e la 3° rappresentano le dette parti di due indi- vidui maschi il cui corpo misurava in amendue m. 0,0383. Nel primo le apofisi sacrali sono lunghe 7 mm. e quelle del coccige sono ridotte a delle creste dentellate; nel secondo le apofisi sa- crali sono lunghe 7,5 mm. mentre quelle del coccige sono affatto rudimentali. 3° Caso. — La forma della vertebra antisacrale è sempre regolare; ma le apofisi tanto della vertebra sacrale, quanto quelle del coccige sono asimmetriche ed allora si possono verificare i tre seguenti sottocasi corrispondenti a tre distinti modi di con- formazione : a) L’apofisi sacrale sinistra è più lunga di quella di destra, mentre invece l’apofisi sinistra del coccige è più corta della destra. La fig. 4° rappresenta le tre ultime vertebre di un maschio il cui corpo misurava m. 0,0385. L’apofisi di sinistra del sacro è lunga 6 mm. e quella corrispondente del coccige si allarga alquanto; ma non arriva ad 1 mm. di lunghezza; l’apofisi di destra del sacro è lunga invece 5,5 mm. e quella del coccige arriva fino a 8,8 mm. b) Caso inverso del precedente. Nella figura 5* è rap- presentata l’ultima parte della colonna vertebrale di un maschio che misurava m. 0,0385. In essa l’apofisi sinistra della vertebra sacrale è invece più corta della destra, misurando esse rispetti- vamente mm. 6,5 e 7, mentre l’apofisi sinistra del coccige è di mm. 1,2 e quella destra è allargata, ma appena di 0,5 mm. di lunghezza. c) Tanto l’apofisi sacrale sinistra quanto la corrispondente del coccige, sono più lunghe rispettivamente dell’ apofisi della vertebra sacrale e del coccige di destra. STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 455 Ne abbiamo un esempio nella fig. 6% ove l’ apofisi sacrale sinistra è lunga 7 mm. e la destra mm. 6,5 ed ove l’ apofisi sinistra del coccige è di mm. 2,4 e quella di destra solo 1,5 mm. Tali vertebre appartenevano ad un maschio il cui corpo misu- rava m., 0,0398. È importante notare che sia nella fig. 4°, sia nella fig. 6° le apofisi della vertebra sacrale oltre all’ essere inegualmente lunghe, sono anche dissimmetricamente situate rispetto alla linea che congiunge i punti di mezzo dei loro margini esterni, linea che nel caso presente è obbliqua mentre dovrebbe essere normale all’asse della colonna vertebrale. 4° Caso. — La vertebra antisacrale ha una conforma- zione anormale; mentre una sua apofisi è regolare, l’altra, più o meno espansa, tende ad unirsi colla corrispondente apofisi della vertebra sacrale per concorrere con essa a formare quelle parti del sacro che servono di appoggio alle ossa iliache. In tal caso l’ apofisi sacrale omologa a quella antisacrale più sviluppata è più corta dell’apofisi sacrale dell’ altra parte e così dicasi delle apofisi del coccige, in cui la più corta è sempre dalla parte ove si è sviluppata maggiormente l’apofisi della vertebra anti- sacrale. Secondo che, ciò che si è detto, avviene dalla parte destra o dalla sinistra, abbiamo due modi diversi di conformazione e_ quindi altri due sottocasi: a) Nella fig. 7° abbiamo dalla parte sinistra il caso su- esposto appena accennato. Essa rappresenta l’ultima parte della co- lonna vertebrale di un maschio il cui corpo misurava m. 0,0390 : l’apofisi antisacrale di sinistra è alquanto più sviluppata della destra; l’apofisi sacrale sinistra è lunga mm. 6,2 e la destra mm. 7: ed infine l’apofisi sinistra del coccige è lunga 1 mm. mentre la destra è di mm. 1,5. b) Nella fig. 8° abbiamo dalla parte destra il medesimo fatto più accentuato. Infatti l’apofisi sinistra della vertebra anti- sacrale è regolare, mentre la destra è espansa arrivando ad 1 mm. di larghezza ed 1,8 di lunghezza. La sua corrispondente apofisi sacrale è lunga solo mm. 4,2 e quella del coccige è rudimen- tale, mentre invece l’apofisi sacrale di sinistra è lunga mm. 6 e la corrispondente del coccige mm. 1,6. In queste parti ap- 456 ALBERTO SASSERNÒ partenenti ad un maschio, il cui corpo misurava m. 0,0392 si riscontra pure l’assimmetria di posizione delle apofisi sacrali già accennate nella fig. 4° e 6°. 5° Caso. — Una delle apofisi della vertebra antisacrale è regolare: 1’ altra è invece più sviluppata come nel caso prece- dente, ma è inoltre unita alla omologa apofisi sacrale per mezzo dell’orlo cartilaginoso, che forma così un margine esterno continuo per amendue. ll resto è come nel caso precedente, e qui pure abbiamo ancora due sotto casi secondochè tale conformazione si riscontra dalla parte destra o dalla sinistra. a) La fig. 9° rappresenta le tre ultime vertebre in que- stione, di un maschio che aveva il corpo lungo m. 0,0382. L’apofisi destra della vertebra antisacrale è regolarmente con- formata ; la sinistra invece, leggermente espansa, misura lungo il margine esterno della sua estremità mm. 1,8 e tocca l’apofisi della vertebra sacrale corrispondente lunga mm. 6: un orlo car- tilaginoso poi le congiunge amendue facendone come una sola apofisi. L’apofisi destra della vertebra sacrale è invece regolare ed è lunga mm. 7, come pure sono quasi regolari le apofisi del coccige accennando però ad un maggior sviluppo quella di destra. b) La suddetta anomalia colle parti invertite 1° abbiamo nella fig. 10* rappresentante l’ ultima parte della colonna ver- tebrale di un maschio non ancora adulto. L’apofisi sinistra della vertebra antisacrale è regolare : quella di destra è invece alquanto espansa e forma un tutto coll’apofisi sacrale destra per mezzo di un orlo cartilaginoso che a quella la unisce. Questo comune orlo cartilaginoso è lungo mm. 6, due dei quali spettano al- l’apofisi antisacrale e 4 alla sacrale. L’apofisi sacrale sinistra è invece più lunga della destra misurando 5 mm., e sono eziandio diseguali in lunghezza le apofisi del coccige ; la più lunga di esse, di mm. 1,4 è dalla parte sinistra, ove cioè si trova la sa- crale più lunga, e quella più corta misura mm. 0,5. 6° Caso. — Nella seguente anomalia stata trovata dal prof. Camerano è irregolare non solo una, ma amendue le apo- fisi della vertebra antisacrale ed amendue le apofisi sviluppan- dosi fortemente concorrono colla vertebra sacrale a formare il sacro. In tal caso le apofisi del coccige sono rudimentali. A pa STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALR 457 La fig. 11°, copiata dal vero, rappresenta tale anomalia in un maschio il cui corpo misurava mm. 0,040. Le apofisi della vertebra antisacrale dilatate ed ossificate sì sovrappongono a quelle pure espanse della vertebra sacrale: epperciò, mentre le apofisi corrispondenti di sinistra sono lunghe rispettivamente mm. 2,4 e 5 e quelle di destra sono lunghe pure rispettivamente mm. 3 e 4,1, pur tuttavia, in causa della loro sovrapposizione formano come un’unica apofisi lunga mm. 6,5, tanto da una parte come dall’altra. Il coccige ha apofisi rudimentali. 7° Caso. — La vertebra antisacrale è regolare: le apofisi della vertebra sacrale sono inegualmente lunghe: la più corta di esse è unita per mezzo di un orlo cartilaginoso alla corri- spondente apofisi del coccige che è anormalmente dilatata e concorre quindi colla vertebra sacrale a formare il sacro. Amendue formano come una sola apofisi lunga quanto l’ apofisi opposta della vertebra sacrale, che è regolarmente conformata. A que- st’ultima corrisponde l’altra apofisi del coccige che è regolare e poco sviluppata. Un tale stato di cose è rappresentato dalla fig. 12°, tolta dall'opera del Gòtte (1) e quindi non posso dare le misure pre- cise che non esistono nel suddetto disegno. 8° Caso. — La vertebra antisacrale è regolare : invece le apofisi tanto del coccige, quanto della vertebra sacrale, sono as- simmetriche ed assai irregolarmente sviluppate, in modo che da una parte l’apofisi sacrale e quella del coccige presentano una regolare conformazione, mentre dall'altra l’apofisi coccigea tende a sostituirsi a quella sacrale, sviluppandosi pochissimo questa ultima e moltissimo la prima. Un tale caso è rappresentato dalla fig. 13°: le tre vertebre provengono da una femmina, il cui corpo misurava m. 0,0437. Infatti si scorge che l’apofisi sacrale destra misura 7 mm. di lunghezza, mentre quella di sinistra è lunga solo 4 mm.: questa sì sovrappone in parte all’apofisi sinistra del coccige che è svi- luppatissima e supera anzi in ampiezza quella sacrale, misurando (1) GorTE, Entwickelungsgeschichte ecc., opera citata, tav. XIX, fig. 346. 458 ALBERTO SASSERNÒ il suo margine esterno mm. 4, 5. La forma di questa apofisi del coccige è simile a quella che assumono normalmente le apofisi sacrali e la sostituisce in parte nelle sue funzioni formando eosì le due apofisi sacrale e coccigea quasi una sola apofisi, lunga 7 mm. come quella regolare di destra. L’apofisi sinistra del coccige non è poi espansa, ma piuttosto lunga, misurando mm. 2,7: noto ancora che nel punto dove essa si inserisce sul coccige, questo ha una piccola cresta che manca dalla parte opposta. 9° Caso. — Anche qui la vertebra antisacrale è regolare, e questo caso si potrebbe ricondurre al precedente, non essendo che l’esagerazione dell’anomalia descritta or ora; ma credo con- veniente descriverlo a parte, perchè molto interessante. Invero l’apofisi destra della vertebra sacrale è regolarmente conformata, mentre invece la sinistra sì riduce al punto da assumere l'aspetto delle apofisi normali della 6°, 7° ed 8° vertebra. A sostituire poi l’apofisi sinistra della vertebra sacrale nel suo ufficio, si svi- luppa straordinariamente l’apofisi sinistra del coccige, in modo da assumere perfettamente l'aspetto delle normali apofisi sa- crali, mentre invece la coccigea apofisi di destra è regolare ed assai ridotta. Una così notevole anomalia è rappresentata nella fig. 14°, ove è raffisurata l’ultima parte della colonna vertebrale di un individuo femmina il cui corpo misurava m. 0,0406. L'’apofisi destra della vertebra sacrale è espansa ed il suo margine esterno misura mm. 5, mentre quella di sinistra è ridotta ad un esile prolungamento cilindriforme. In suo luogo l’apofisi sinistra del coccige è dilatata al punto da superare in ampiezza la stessa apofisi sacrale di destra, misurando il suo margine esterno mm. 6,5; mentre l’apofisi coccigea di destra è regolare, ed ha appena la lunghezza di mm. 0, 8. Le anomalie rappresentate dalle fig. 12°, 13° e 14° si pos- sono ancora verificare dalla parte opposta a quella che nelle fi- gure stesse sono disegnate; ma evidentemente sarebbero della medesima natura di quelle considerate nei casi 7°, 8° e 9°, dei quali si dovrebbero ritenere come sottocasi, epperciò credo inu- tile di ripeterne qui la descrizione. Come dissi più sopra, ho con. ciò descritto tutti i casì ti- pici possibili di anomalia, che possono presentare nel loro irre- golare sviluppo le apofisi trasverse delle tre vertebre antisacrale, STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 459 sacrale e coccigea tra loro combinate. Mi si potrebbe però ob- biettare che non ho considerato il caso, ove amendue le apofisi del coccige si sostituiscono in tutto od in parte alle apofisi della vertebra sacrale, epperciò debbo dichiarare che una anomalia di siffatto genere non mi fu dato di trovarla, nè credo sia molto probabile che essa esista, a meno che si voglia considerare come tale l’anomalia descritta nel 1° caso, ove le apofisi sacrali sono più corte della media e quelle del coccige sono invece più lunghe della media. Dalla considerazione delle interessanti anomalie or ora de- scritte, e riflettendo al numero veramente notevole di esse in rapporto al numero degli esemplari stati esaminati, credo si possa trarne le seguenti conclusioni : I. Il genere Bombinator presenta il fatto singolare di una grande variabilità di forma nelle tre ultime vertebre della co- lonna vertebrale. II. Tale variabilità non permette assolutamente che dalle dette parti si desumano dei caratteri specifici atti a differen- ziare le due specie di Bombinator come si era da molti creduto. III. L’instabilità di forma, varia però entro limiti tali, da non potersi confondere le parti in questione del genere Bombinator colle parti medesime, sia degli altri generi della famiglia dei Discoglossidi, sia di quei generi delle famiglie dei Bufonidi, Pelobatidi ed Hylidi che presentano una consimile con- formazione. IV. La conformazione normale che tendono ad assumere le apofisi trasverse delle tre ultime vertebre è: per le apofisi della vertebra antisacrale la conformazione della 6° e 7? vertebra; per le apofisi della vertebra sacrale una conformazione perfettamente simmetrica, molto espansa più all'indietro che in avanti ed in modo che la punta posteriore del margine delle stesse arriva ad un terzo circa della lunghezza del coccige; per le apofisi del coccige le quali, contrariamente a quanto dice il Leydig (1), non sono il più spesso rudimentali, si veri- fica come conformazione più frequente, un andamento curvilineo (4) Leroia, Die Anuren Butrachien der Diutschen Pauna, 1877. pag.63. 460 ALBERTO SASSERNÒ all'infuori e marcatamente all’indietro con una lunghezza va- riante più comunemente da 1 a 2 mm. V. Alla grande variabilità di sviluppo delle apofisi tras- verse del coccige e delle creste che le accompagnano, corrisponde una notevole costanza nel diametro e lunghezza del coccige stesso. VI. Le tre ultime vertebre colle loro apofisi trasverse ta- lora concorrono e talora tendono a sostituirsi l’una all'altra nell'ufficio di formare il sacro e sostenere le ossa iliache. VII. Le anomalie descritte verificano la seguente legge: ad un accrescimento anormale di una o di amendue le apofisi trasverse di una delle tre vertebre considerate, corrisponde una riduzione dei processi trasversi delle altre due vertebre, in modo che esiste sempre un costante equilibrio nello sviluppo com- plessivo delle apofisi delle tre vertebre stesse. VIII. Finalmente la grande frequenza delle anomalie nella colonna vertebrale del genere Bombinator fa pensare che esso possa essere una forma di passaggîo tra gli Anfibi anuri e gli Urodeli, ai quali si avvicina per avere delle piccole coste ar- ticolate ai processi trasversi della 2°, 3° e 4° vertebra, e per avere le vertebre opistocele. Questi due caratteri sono veramente comuni a tutta la famiglia dei Discoglossidi; ma il genere Bombinator ottre ancora la particolarità che il coccige è unito al sacro per mezzo di un solo condilo, mentre gli altri l'hanno unito con due, presentando così il coccige del Bombi- nator un minor grado di differenzazione. STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 461 II. Ho stimato conveniente il descrivere separatamente altre due anomalie da me trovate in due 5. igneus, sia perchè esse sono di natura differente da quelle or ora prese in esame, sia perchè ho voluto metterle a confronto con forme di Batraci fossili. Le dette anomalie riguardano solamente il coccige e descri- verò brevemente in che consistano: I° In un individuo maschio il cui corpo misurava m. 0,0390 osservo essere regolare tanto la vertebra antisacrale quanto la sacrale. Le apofisi trasverse di quest'ultima sono lunghe mm. 8,5 ed il coccige misura mm. 11,5; esso offre l’ interessante fatto che in luogo di un paio di apofisi trasverse ne possiede due pala. Il primo paio è situato normalmente, cioè le apofisi hanno origine in quella parte del coccige ingrossata, posta immediata- mente sotto alla cavità articolare che deve ricevere il condilo del sacro: queste apofisi aventi forma cilindrica si incurvano fortemente all'infuori ed all'indietro dando all'osso coccigeo la forma di un’Ancora; l’apofisi destra è lunga mm. 2,6 e la si- nistra solo mm. 1,5. Esse sono piuttosto grosse e robuste rela- tivamente al secondo paio, ed alla loro radice sono più grosse ancora, in modo da essere solidamente attaccate al coccige. Questo poi contrariamente al modo normale di presentarsi, in luogo di restringersi sotto all’inserzione delle apofisi, continua a rimanere alquanto ingrossato per un terzo circa della sua lun- ghezza e quasi immediatamente sotto al primo paio di apofisi se ne origina un altro paio, più corte, più piccole e più esili delle prime, aventi una eguale direzione e sviluppantesi nello spazio lasciato tra il coccige ed il primo paio di apofisi. Veramente come sì scorge dalla fig. 15°, mancherebbe l’apofisi destra del 2° paio; ma ne è evidente l'origine, per cui credo che essa sia andata perduta in causa della sua estrema fragilità, nel preparare lo scheletro, come pure si è forse rotta parte del- l’apofisi sinistra del primo paio. L’apofisi sinistra del 2° paio è lunga mm. 1,8 e la sua 462 ALBERTO SASSERNÒ curvatura all’ indietro è talmente accentuata da assumere quasi una direzione parallela al coccige. Ad un terzo della sua lun- ghezza questo si restringe ed il suo diametro misura appena m. 0,0005, quindi si ingrossa nuovamente . conservando per un certo tratto il diametro di m. 0,0008 e termina con due lievi ingrossamenti da ricordare quasi i nodi vertebrali. II° In un altro maschio di B. igneus, il cui corpo misurava m. 0,042, ho trovato la medesima anomalia della precedente. Anche qui la vertebra antisacrale e quella sacrale sono regolari, ed anche qui il coccige presenta lo strano fatto di avere due paia di apofisi trasverse (Vedi fig. 16°). Le apofisi del primo paio sono pure più robuste, più grosse che quelle del secondo paio ed hanno pure una forma cilindroide. L’apofisi destra è lunga mm. 3,4 e quella sinistra solo mm. 1,6 presentando così il fatto come nel caso precedente di una note- vole sproporzione di lunghezza fra quella destra e quella sinistra. Messo sull’ avviso dalla scoperta della precedente anomalia, lo qui potuto osservare amendue le apofisi trasverse del. se- condo paio che sono esilissime in ispecie quella di destra. Questa è lunga mm. 1,6 e presenta la particolarità che a metà della sua lunghezza cambia la primitiva direzione decisamente all’in- dietro , incurvandosi all’infuori, quasi per appressarsi a toccare l’apofisi di destra del primo paio. L’apofisi sinistra del secondo paio è lunga mm. 1,9, ed assume una direzione accentuatamente all’ indietro in modo da diventare quasi parallela alla direzione del coccige, come ab- biamo già visto nel caso precedente, ove però il parallelismo era meno evidente. Il coccige è qui lungo m. 0,0135 e partendo dal punto ove si attacca al sacro, fino ad un quarto della sua lunghezza, è ancora ingrossato come quello della fig. 15°; ma qui l’ingros- samento ha una forma elissoide appiattita, in modo che sui mar- gini laterali e specialmente su quello di destra termina con una cresta. Il suo diametro fra l'inserzione delle due paia di apofisi misura mm. 0,8, diametro che si riduce ad un minimum di mm. 0,5 ad un quarto della sua lunghezza. Da questo punto fin verso la metà mantiene un tal minimum, poscia si ingrossa nuovamente e verso la fine presenta anche due ingrossamenti e restringimenti da ricordare in modo molto più evidente che nel caso già considerato, dei nodi vertebrali. STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 463 Le due suesposte anomalie sono a mio parere assai impor- tanti. Le doppie apofisi del coccige e la sua conformazione mi fanno persuaso che ho in presenza un coccige divertebrale, in modo che i primi processi trasversi mi rappresenterebbero una vertebra postsacrale che si è saldata al vero stilo coccigeo al quale apparterrebbero le altre due apofisi trasverse. Nè sembri troppo avventata una tale supposizione, poichè è già stato più volte osservato il fatto di vertebre saldantesi col loro corpo e rimanenti invece libere coi loro processi trasversi. Ora non si può far a meno che dare molta importanza ad una novità anatomica, quale è quella di nn coccige divertebrale, se si riflette che una tale anormalità non ha riscontro assolu- tamente in alcuno dei Batraci viventi, nei quali, contando il coccige, non abbiamo mai più di 10 vertebre a comporre la colonna vertebrale, mentre qui invece se ne avrebbero undici. Quest'ultimo caso si presenta invece nei Batraci fossili, ove i numerosi esemplari che si conoscono del genere « Palaeobatra- chus » hanno costantemente undici vertebre, il coccige compreso. In questo genere però la 7°, 8°, 9° e 10* vertebra concor- rono tutte e quattro coi loro processi trasversi dilatati a for- mare il sacro, e quindi malgrado che il numero delle vertebre sia superiore a quello dei Batraci viventi, tuttavia il coccige è monovertebrale e senza apofisi trasverse, e perciò si allontana notevolmente dai coccigi che qui io considero. Il Dott. A. Portis (1) ha invece descritto due altri Batraci fossili, cioè, un Ranavus ed un Bufavus, ai quali mi sia con- cesso paragonare questi anomali « B. igneus ». Il Ranavus Scarabelliù ba 12 vertebre, contando il coc- cige, a cui sembra non appartenga l’ultimo paio dei processi trasversi, che, come i tre precedenti paia, sporgono liberamente fra le ossa iliache, essendo la 7° vertebra che ha funzione di sacrale. Il Portis veramente, osservando che i Batraci viventi hanno il coccige univertebrale e tutt'al più, come nei Discoglossidi, con un paio di apofisi trasverse, suppone che le ossa iliache sieno state portate in avanti nel Ranavus, e ne deduce che probabil- mente la vera posizione di esse sia in contatto dei tre ultimi (1) A. PortIs, Resti di Batraci fossili italiani. Atti R. Ace. Scienze di Torino, vol. XX, giugno 1885. 464 ALBERTO SASSERNÒ processi trasversi i quali avrebbero formato il sacro. Io però, quantunque l’ autorità del Portis mi renda esitante, non con- divido tuttavia una tale opinione per le seguenti ragioni: |. 1° I processi trasversi della 7° vertebra non sarebbero più sviluppati di quelli della 6° e 5° vertebra se non avessero la fanzione di unire le ossa iliache. In tutti i Batraci viventi e fossili, si osserva infatti che i processi trasversi della 3° e 4° vertebra sono i più robusti e lunghi e vanno quindi decrescendo, eccetto quelli della vertebra sacrale che sono di nuovo più svi- luppati per la loro speciale funzione. 2° Ove si portassero gli apici degli ilei, in contatto col - l'ottavo paio di apofisi trasverse come vuole il Portis, allora mi sembra, che il coccige sarebbe troppo lontano dalla sinfisi del pube, ed inoltre bisognerebbe avvicinare di troppo fra di loro le due branche del bacino, le quali, ove si ponga mente alla loro robustezza, mi paiono ad una giusta distanza. Gli è perciò che, senza nulla affermare io credo che in questo Ranavus il bacino sia in posto, e che forse il 6°, 7° ed 8° paio di processi trasversi, i quali hanno una direzione sensi- bilmente fra loro parallela e normale all’asse della colonna ver- tebrale, avessero funzioni di sacrali, essendo scomparsa la carti- lagine che probabilmente le univa, come avviene talora nel vivente Bombinator quando più di un paio di apofisi trasverse formano il sacro. Se io ben mi appongo, ne risulterebbe che le vertebre por- tanti i due ultimi processi trasversi del Ranavus i quali assu- mono, giova notarlo, una direzione marcata all'indietro avreb- bero formato col coccige, una parte coccigea trivertebrale, od anche solo divertebrale, se l’ultimo paio dei processi trasversi era saldato al coccige stesso, coccige che avrebbe presentato una grande somiglianza con quello dei viventi Bombinator ano- mali, che io ho qui descritto. Il chiaro Dottor Portis, come già dissi, ha pure descritto (1) un Bufavus Meneghinii nel quale osservo che la colonna ver- tebrale è composta di 12 articoli, lasciando in disparte la que- stione sollevata dal Portis nella sua nota: se cioè la vertebra sacrale sia composta di una o due vertebre saldatesi completa- (1) A. Portis, Resti di Batraci ecc., opera citata. STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 465 mente, questione che qui non è il caso di considerare, non pre- giudicando i confronti che ho in animo di fare. Il Bufavus adunque ha 12 vertebre; di cui otto presa- crali e la 9° piuttosto espansa forma il sacro, come avviene precisamente negli odierni Bombinator, anzi in tutta la famiglia dei Discoglossidi ed in molti altri generi di Batraci viventi. La parte coccigea di questo Bufavus è composta di una prima vertebra con processi trasversi rivolti all’indietro, di una seconda senza processi trasversi, ed infine del coccige: ossia in totale tre vertebre. Ora una tale disposizione rammenta in modo ancor più evidente del Ranavus i coccigi anomali di Bombina- tor da me trovati. Infatti, se si considera che la seconda vertebra coccigea dei Bufavus aveva probabilmente anche dei processi trasversi, i quali ben facilmente possono essere scomparsi, se, come av- viene nel Bombinator, tali processi erano di una grande esi- lità; e qualora si rifletta che nei coccigi di questi Bombinator havvi un brusco e forte restringimento subito dopo la parte ingrossata che porta i due paia di apofisi, quasi a segnare il punto ove il coccige si è saldato alla vertebra precedente; al- lora la somiglianza della parte coccigea dei Bombinator da me presi in esame colla parte coccigea del Bufavus, è perfetta. Riflettendo pertanto ad una tale rassomiglianza, e rammen- tando quanto ebbi ad osservare nel Capo 1° di questa mia nota, mi sia concesso di terminare queste mie osservazioni, coll’emet- tere l'ipotesi che: il genere Bombinator sia una fra le più antiche forme di Batraci viventi, e che forse sotto l’ aspetto di anomalie si manifestano ancora in esso dei caratteri atavici di Batraci estinti. _T—--_°r°< Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 34 466 ALBERTO SASSERNÒ - STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Regione sacrale di Bombinator bombinus ingrandito tre volte dal vero. Nelle figure da 1 a 14 non è disegnata l’estremità posteriore del coccige. La fig. 12 è riportata da Gòtte. Le fig. 15 e 16 sono di Bombinator igneus e in esse è intie- ramente disegnato il coccige. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. TorINo Tip. REALE-PARAVIA. Te | Lit. Salussolia, Torino. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DE:TORENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 15°, 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 467 CLASSE 193 SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 23 Giugno 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, SALvapoRI, BRUNO, BERRUTI, Basso, D'Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE. i Il Segretario legge l’atto verbale dell’ adunanza precedente che viene approvato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all’ Accademia vengono segnalate le seguenti: 1° Un opuscolo « Sulle macchie Soluri e le variazioni del magnetismo terrestre », del Prof. Giovanni LUVvINI, presen- tato dal Socio Basso. 2° Cinque opuscoli su vari argomenti di fisica terrestre del P. Francesco DENZA, presentati dallo stesso Socio Basso. Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo seguente: 1° Relazione sopra una monografia del Dott. Angelo BAaT- TELLI « Sulle proprietà termiche dei vapori (parte prima) : Studio del vapore d’ etere rispetto alle leggi di Boyle e di Gay-Lussac ». La Classe accoglie le conclusioni favorevoli della Re- lazione, ammettendo alla lettura questo lavoro, e poscia delibera che il medesimo venga pubblicato nei volumi delle Memorie. 2° « Le corrispondenze univoche sulle curve ellittiche; » Nota del Socio SEGRE. 3° « La terminazione nervosa motrice nei muscoli striati (Nuovo metodo di colorazione) »; lavoro del Dott. Camillo NEGRO presentato dal Socio CAMERANO, 4° Osservazioni intorno alla struttura dell’integumento di alcuni Nematelminti »; del Socio CAMERANO. Atti della R. Accad. — Parte Fisica, ecc, — Vol. \XIV. 35 468 A. NACCARI 5° « L'azione del freddo e del caldo sui vasi sangui- gni >; Nota 1° del Dott. Ugolino Mosso presentata dal Socio Angelo Mosso. 6° « Sul cervello di un Chimpansè »; Comunicazione del Socio GIACOMINI. 7° « L’inclinazione magnetica a Torino e nei dintorni » ; lavoro del P. Francesco DENZA, presentato dal Socio Basso. RELAZIONE sulla Memoria del Dott. AnGELO BATTELLI; intitolata: Sulle proprietà termiche dei vapori. Quando un corpo aeriforme da uno stato, in cui esso sia molto lontano dal punto di saturazione, vada accostandosi a questo punto, segue delle leggi complesse, intorno alle quali non abbiamo che cognizioni molto imperfette. Il determinare quelle leggi è problema molto importante sia per la conoscenza del detto fenomeno in sè, sia per le pratiche applicazioni, sia per le conseguenze che possiamo sperar di dedurne intorno alla costi- tuzione intima dei corpi. ; Parecchi fisici se ne occuparono, ma, conforme a ciò che s'è detto or ora, molto lavoro si richiede ancora perchè quel problema possa dirsi risolto. Il D." Battelli imprese un tale studio, e la Memoria, che la Classe affidò al nostro esame, contiene la descrizione dell’ e- sperienze ch'egli fece sul vapor d’etere. L’etere venne introdotto in una campanella graduata, ch'era stata dapprima empita di mercurio, poi capovolta sopra una vaschetta piena anch’ essa di mercurio. Con opportuna disposi- zione la campanella venne messa in comunicazione con un ma- nometro ad aria libera formato con più tubi verticali insieme congiunti. La parte della campanella che nell’esperienze doveva venir occupata dall’ etere era circondata con un inviluppo a doppie pareti. Ponendo una mescolanza frigorifera o facendo circolare i vapori d’ un liquido bollente nell’ intervallo fra le due pareti si portava lo spazio centrale, in cui stava la cam- panella, a temperature diverse che si mantenevano costanti du- rante una serie di osservazioni. Gli intervalli di temperatura vennero opportunamente scelti fra i limiti — 28 e 206°. RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. A. BATTELLI 469 — Per ciascuna delle temperature scelte venne fatta una serie di esperienze. La pressione, che dapprincipio aveva piccolo va- lore, veniva a poco a poco aumentata, e per ogni valore di essa si osservava anche quello del volume del vapore. Si procedeva così fino a che il vapore raggiungesse lo stato di saturazione ed anche più in là. La quantità di etere introdotta nella campanella era stata accuratamente determinata affine di conoscere il valore assoluto della densità del vapore. Quella quantità veniva anche mediante apposito congegno opportunamente aumentata per rendere più favorevoli le condizioni dell’esperienze nei vari periodi di esse. L’ istante in cui cominciava la condensazione, venne osservato guardando col cannocchiale una laminetta levigata d’acciaio che stava nella campanella, ch’ era opportunamente illuminata e che appariva nel campo del cannocchiale insieme con la superficie d'un’ altra simile laminetta che stava fuori della campanella. Eseguito in tal modo un gran numero di misure del volume, della pressione e della temperatura del vapor d’ etere in con- dizioni molto diverse, l’A. le discusse ampiamente e accura- tamente e le pose a confronto con le esperienze fatte da altri e con le formole empiriche o teoriche proposte da vari Fisici. Fra le conclusioni, che lA. pone in fine della sua memoria, notiamo come particolarmente importante questa, che risulta confermato dall’esperienza dell’ A. il fatto singolare osservato dall’ Herwig, che dopo il primo istante, in cui si manifesta la condensazione del vapore, la tensione, anzichè mantenersi co- stante, va lentamente crescendo fino ad un valor massimo. Certe relazioni poste innanzi dall’ Herwig e che aveano bisogno di conferma, non l’ebbero da queste esperienze. Fra le formole proposte per rappresentare i fenomeni studiati in questa Memoria, quella del Clausius è quella che meglio si presta. Le esperienze, molto difficili e in parte anche non senza pericolo, vennero eseguite con opportuni apparecchi e con gli accorgimenti necessari per ottenere esattezza. La discussione del- l’esperienze è ben fatta e parecchie delle conclusioni a cui giunse l'A. hanno non poca importanza. Per ciò proponiamo alla Classe che la Memoria del D." Battelli venga inserta nei volumi delle memorie. G. FERRARIS A. NACCARI, relatore, 470 CORRADO SEGRE LETTURE Le corrispondenze univoche sulle curve ellittiche ; Nota del Socio CorrApU SEGRE Se si rappresenta ogni punto di una curva ellittica col va- lore che l’integrale_w di 1° specie, di periodi @,@,; disteso sulla curva medesima, prende quando si estenda fino a quel punto, le relazioni (RET* u=tu+C, (mod. %,%,) ove C è una costante qualunque, rappresentano due sistemi di col corrispondenze univoche algebriche fra i punti della curva. L’ algebricità di queste corrispondenze è una notissima conse- guenza di un celebre teorema di EuLERO. Ma queste non sono le sole corrispondenze univoche alge- briche che si possano avere sulle curve ellittiche. Si sa in fatti che ABFL nelle sue immortali ricerche sulle funzioni ellittiche (*) osservò che affinchè la relazione w =aw esprima una dipendenza algebrica fra i limiti corrispondenti agli integrali u,u' è necessario e sufficiente: o che la costante a sia reale e razionale, oppure che 4 sia un numero complesso della forma mt in, dove m ed » sono razionali e #=Y-1; ma mentre nel 1° caso il modulo degl’integrali può esser qualunque, nel 2° esso deve avere valori particolari (esprimibili per radicali). È noto inoltre che lo studio di quest’ultimo caso, ripreso molti anni dopo da KRonEcKER, HERMITE, JOUBERT e vari altri, diede origine alla vasta teoria, che ora si possiede, della moltiplica- zione complessa delle funzioni ellittiche. (**) — Di più le ricor- (*) V. specialmente a pag. 377 e 426 del vol. I delle uvres complòtes (nouvelle édition), (**) Si possono trovare indicazioni di vari lavori relativi a questa teoria in due di essi testè comparsi, l’uno del signor GREENHILL nei Proceedings Lond. Mathem. Society, 1888, p. 301), l’altro del tanto rimpianto HALPHEN (nel Journal de mathem., ser. 4, vol. V, 1889, p. 1). LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE SULLE CURVE ELLITTICHE 471 date proposizioni si sono poi estese alle funzioni abeliane ed alle corrispondenze su curve di genere qualunque: citerò principal- mente a questo riguardo due recenti lavori del sig. HurwIrz (*) nei quali dalle espressioni dellle corrispondenze algebriche su una curva di genere p mediante i p integrali finiti distesi su questa si trae una distinzione di quelle corrispondenze in ordinarie (do- tate di « Werthigkeit »>) — che hanno luogo qualunque siano i valori dei moduli, — e singolari — che esistono solo in curve di moduli singolari; e per le due specie di corrispondenze, ed in particolare per quelle univoche, vengono risolte alcune que- stioni di somma importanza. Se si applicano i risultati menzionati al caso particolare delle corrispondenze (**) univoche sulle curve ellittiche, si deduce tosto che, mentre le corrispondenze ordinarie sono appunto quelle che dicemmo esser rappresentate dalle relazioni (1), quelle singolari son tutte date (***) da: (Eri... a=+%U EC, u=tau+C ato uve (*) Ueber algebraische Correspondenzen und das verallgemeinerte Cor- respondenzprincip (Sitz. Ber. d. k. sichs, Ges. d. W., Januar 1886; oppure Math. Ann. XXVIII); e Ueber diejenigen algebraischen Gebilde, welche ein- deutige Transformationen in sich 3ulassen ( Gotting. Nachrichten, Februar 1887; oppure Math. Ann, XXXII). (**) D’or innanzi parlando di « corrispondenze » si sottintenderà sempre « algebriche » e più tardi anche « univoche ». (***) Quest’osservazione si trova anche fatta, per incidenza, da F. KLEIN (Math. Ann. XV, p. 279). — Del resto, la condizione perchè la corrispondenza u' = au (mod, ©, 6) x sia univoca è evidentemente questa: che moltiplicando un periodo per a, (e oppure per >» si abbia ancora un periodo. Dal primo fatto segue: (4) |a zMa|+ Mpa, | anjzno+ N60, ove m, m,, n, n, sono interi; e dal secondo che, divise queste due equazioni . . (0) 0) x . . . per a e risolte rispetto ad =" A (che così compariranno nei secondi mem- bri), queste dovranno risultare forme in è, w, a coefficienti interi, donde sì trae: (0) mnn=t1. 472 CORRADO SEGRE ove « è una radice cubica imaginaria dell’ unità; si hanno risp. le (2) e le (3) quando il rapporto dei periodi (per una scelta conveniente di questi) è 7, oppure «, il che significa in so- stanza che la curva è risp. armonica, oppure equianarmonica. Ora, quantunque siano già abbastanza numerosi gli scritti geometrici in cui si sono, o semplicemente incontrate, od anche studiate di proposito per via sintetica, le corrispondenze uni- voche sulle curve ellittiche (*), pure tutti, se non erro, si li- mitano alle corrispondenze ordinarie, e mostrano di non conoscere la possibilità dell’ esistenza delle corrispondenze singolari; sicchè talvolta i loro risultati esigerebbero delle modificazioni, quando si dovessero applicare alle curve armoniche od equianarmoniche. (**) Eliminando ed ©, dalle (4) sì avrà: (ma) (n—a)—nm=0, ossia (6) a-—(m4+n)a ti=0; Ora, se nelle (4) si tien conto del fatto che il rapporto dei periodi w, ®y è necessariamente complesso, si vede che se a è reale dovrà essere (nien=0 ge =, il che rientra nelle (1). Se poi a è complesso, in forza della (6) sarà: (m4 n F4ZO, ‘il che esige anzitutto che valga il segno superiore e poi che sia: m+n,j=0; oppure n+n,j=31. Nel primo caso Ia (6) darà: a=4*+i; nel secondo invece: at-ta+1=0 donde ata, oppure a+, essendo « una radice cubica immaginaria dell’unità. Si è così condotti alle corrispondenze (2) e (3). (*) Oltre a quelli che si troveranno nominati in seguito, citerò le mie Remarques sur les transformations uniformes des courbes elliptiques en elles-mémes (Math. Ann. XXVII, p. 296), in cui ne sono anche indicati al- cuni altri. (**) Ad esempio asseriscono che non vi possono essere altre corrispon- denze univoche sulle curve ellittiche che quelle ordinarie HaRrNAcK (Math. Ann, IX, p. 42 e 43; e Math. Ann. XII, p. 81) ed Em. WeyR nei suoi due lavori Ueber eindeulige Besiehungen auf einer allgemeinen ebenen Curve dritter Ordnung (Wien. Sitzb. 1883) e Ein Beitrag zur Gruppentheorie auf den Curven vom Geschlechte Eins (ibid.), il primo dei quali contiene il più completo studio che finora si sia fatto delle corrispondenze univoche su una cubica. Per determinarle tutte serve in esso di base il teorema (n. 2) che una tal corrispondenza , proiettata da un punto qualunque della cubica, dà nel fascio di rette proiettante una corrispondenza simmetrica. Ora questo LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE SULLE CURVE ELLITTICHE 473 In conseguenza ho creduto di fare cosa non del tutto inutile riprendendo qui da capo (*) lo studio geometrico delle corri- spondenze univoche sulle curve ellittiche in modo da non esclu- dere quelle singolari, ed anzi fermandomi particolarmente su queste e sulle varie e notevoli relazioni che esse hanno fra loro e con quelle ordinarie. Mi varrò a questo fine (almeno per stabilire le proposizioni fondamentali) delle curve di 3° ordine (sottint. ellittiche); ma i risultati così ottenuti s’intenderanno estesi senz’ altro a curve ellittiche qualunque. 1. La proposizione da cui partiremo e che può servire utilmente di base ad una trattazione geometrica delle corrispon- denze univoche fra cubiche piane ed in generale fra curve el- littiche è la seguente: (**) Data fra due cubiche, distinte 0 sovrapposte, una corri- spondenza univoca qualunque, alle coppie di punti dell’ una allineate con un punto fissato ad arbitrio sovr’'essa corrispon- dono nell’ altra delle coppie di punti allineate con uno stesso punto di questa. teorema vale solo per le corrispondenze ordinarie ed esclude quelle singo- lari, Il ragionamento con cui vi giunge il sig. WeyR si basa sulla propo- sizione che: se in una corrispondenza (2, 2) fra due forme razionali sem- plici sovrapposte i quattro elementi di diramazione dell’una sono pure ele- menti di diramazione dell’altra, la corrispondenza è simmetrica: proposi- zione che non è completamente vera, poichè cade quando quella quaterna di elementi di diramazione è armonica oppure equianarmonica (le due di- verse dimostrazioni datene dallo stesso autore nella Nota Ueber einen Cor- respondenzsatz del volume citato presentano entrambe una lacuna) — Del resto, tutti i risultati di quel lavoro rimangono validi, purchè s’intendano limitati alle corrispondenze ordinarie. (*) Avverto espressamente che quasi tutte le proprietà delle corrispon- denze univoche ordinarie che qui si troveranno (ni 5, 7 e 8) sono già con- tenute in lavori precedenti e specialmente nel primo di quelli citati del sig. Werr. Ma esse si ottengono sì rapidamente, che ho creduto meglio, anche per uniformità di metodo e di esposizione, di non sopprimerle. (**) Questa proposizione (dimostrata in modo diverso e meno generale) non che le conseguenze che ne trarremo nei due ni successivi, sì trovano già nello Studio sull’omografia di seconda specie del sig. CastELNuOVO (Atti Ist. Veneto, t. V, ser. 6; cfr. ni 29 e seg.). Ma prima ancora esse erano state da me esposte in pubbliche lezioni nell’anno 1886-87. Le ripeto qui, sia per la ragione già addotta nella nota precedente, cioè per rendere l’espo- sizione della ricerca più metodica, sia perchè nel lavoro del sig. CAsTELNUOYO non sì considerano le corrispondenze univoche singolari. 474 CORRADO SEGRE Per dimostrarla, dette 7, y le due cubiche ed mm, me, due loro punti qualunque, si considerino come corrispondenti nel fascio di rette di centro m, due rette che projettino risp. due punti di y i cui omologhi su y nella data corrispondenza fra y e y' siano allineati con m. È chiaro che questa corrispon- denza nel fascio m, sarà (2,2) ed avrà per rette unite le 4 rette che projettano gli omologhi su y dei 4 punti di contatto di y con le tangenti condottele da m. Se dunque oltre a quelle vi è un’ altra retta unita, se cioè, preso ad arbitrio uno dei due punti », #,, l’ altro si è preso per modo che vi siano su 7 due punti distinti a, d allineati con m i cui omologhi n; b' su y' siano allineati con w,, ogni retta del fascio #m, sarà unita, cioè projetterà da mm, due punti di yi cui omologhi su y saranno allineati con mm. I due punti w, m, si troveranno dunque nelle condizioni della proposizione enunciata. (*) Essi si diranno (col sig. CastELNUOvOo) centri omologhi di projezione per la data corrispondenza fra Y, Y'- È evidente come dato l’ uno di essi ad arbitrio si costruisca l’altro. Considerando come corrispondenti quelle rette passanti per mm, wm, le quali projettano coppie omologhe di punti di y,y", si ha fra i due fasci di rette di centri 72, m, una corrispondenza univoca , vale a dire una projettività. 2. Se due punti di y allineati con #1 s’avvicinano inde- finitamente, lo stesso fatto accadrà per i due punti omologhi di y. Ne segue che due centri omologhi di projezione per una data corrispondenza non sono altro che i tangenziali di due punti omologhi di questa. Ed ‘inoltre che nella projettività dianzi considerata fra i fasci di rette m, m, alle 4 tangenti condotte a y da m corrispondono le 4 tangenti condotte a y' da m,; sicchè queste due quaterne di tangenti sono projettive fra loro. Due punti qualunque di una cubica si posson sempre ri- guardare come centri omologhi di projezione per una corrispon- (*) Da questa si deduce subito come corollario il noto teorema di STEINER suì poligoni iscritti in una cubica; il quale, del resto, fu dimostrato dal sig. HurwiTz (Ueber unendlich-vieldeutige geometrische Aufgaben, u. s. w,, Math. Ann. XV) con un ragionamento di cui quello che sopra si è fatto non è che un’estensione. LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE SULLE CURVE ELLITTICHE 475 denza sulla curva: basta considerare una corrispondenza univoca, per esempio una projezione della cubica su se stessa da un suo punto, nella quale siano omologhi due punti aventi i due dati per tangenziali. Quindi l’ultima proposizione ci dà il noto teorema: le due quaterne di tangenti condotte ad una cubica da due suoi punti qualunque sono projettive. Ed in conseguenza di questo la proposizione citata si completa nel seguente modo: se fra due cubiche si può stabilire una corrispondenza univoca, le due qua- terne di tangenti condotte ad esse risp. da due loro punti qua- lunque sono projettive. 8. Dalle considerazioni del n. 1 possiamo trarre altri risultati. Per una corrispondenza univoca qualunque data fra le due cubiche Y,y siano m, mm, ed n, n, due coppie di centri omologhi di projezione. Si avranno allora, sia tra i fasci di rette m, m,, sia tra i fasci di rette n, »,, due determinate projettività per guisa che di ogni punto a di y l’omologo a' su y' è nel punto d’incontro di quei raggi dei fasci m,, », che nelle dette pro- jettività corrispondono ai raggi ma, na dei fasci m, n. Ciò mostra che 2n generale la corrispondenza univoca data fra le due cubiche è contenuta in co* corrispondenze univoche quadra- tiche fra è piani di queste, per es. in quella definita in modo noto mediante le due coppie m, m, e n, », di fasci projettivi. Perchè questa corrispondenza fra i due piani si riduca ad una collineazione è necessario e sufficiente che in entrambe quelle projettività alla retta mn corrisponda la retta m,%,, donde segue che al 3° punto d’incontro della m » con Y è omologo il 8° punto d’incontro della m,», con y, e ad m, n risp. mM; %;- D'altronde se di tre punti di yin linea retta sono omologhi su y' tre punti pure allineati, è chiaro (n. 1) che ciascuno di quelli insieme coll’omologo costituisce una coppia di centri omologhi di projezione per la data corrispondenza. Dunque: una corri- spondenza univoca fra due cubiche tale che ad una terna di punti in linea retta dell’una corrisponda sull’altra una simile terna di punti è collineare (*). (In altri termini due centri omologhi (*) Cfr. Kipper (Math. Ann. XXIV, p. 32), la cui dimostrazione vale però soltanto per le corrispondenze univoche ordinarie. La stessa proposi- zione sì dimostra semplicemente con la considerazione della rigata generata 476 CORRADO SEGRE di projezione per una corrispondenza univoca non sono mai punti omologhi, oppure sono sempre). In particolare una corrispondenza univoca fra due cubiche tale che ad un flesso dell'una corrisponda un flesso sull'altra è collineare (*). (Quindi la projezione di una cubica su se stessa da un suo flesso dovrà dare un’omologia armonica; donde le proprietà della retta armonica del flesso, gli allineamenti dei flessi a tre a tre, ecc. ecc.) 4. L'ultima proposizione del n. 2 si può invertire: se cioè due cubiche y, y sono tali che le due quaterne di tangenti ad esse condotte risp. da due loro punti siano projettive, si potranno sta- bilire infinite corrispondenze univoche fra le due curve. Per de- terminare una di queste corrispondenze si suppongano dati due punti s, s' risp. di y, y come punti omologhi: allora se essi non sono già punti d’inflessione risp. per le due cubiche, e se s'indicano con 4, a' risp. due flessi di queste e con p, p' le nuove intersezioni delle curve con le rette sa, s'a', basterà sostituire alle corrispondenze cercate quelle che se ne deducono accompagnandole con le projezioni di ‘ e y' su se stesse risp. dai centri p, p', per essere ridotti alla ricerca delle corrispondenze univoche fra Y e y' in cui i flessi a, @' sono punti omologhi. Queste corrispondenze saranno collineari (n. 3); e detti d, ec, d i punti di contatto di colle tangenti condottele da @, punti d'incontro di y con la retta armonica del flesso @, e bV',ec,d gli analoghi punti di y' rispetto al flesse a', è chiaro che in ciascuna di quelle collineazioni dovranno corrispondersi fra loro le tangenti a 7, Y in a, a' (rette che indicheremo risp. con aa ed a'a' ), ed inoltre i punti 6, c, d in un certo ordine dalle congiungenti i punti omologhi delle due curve, concetto che si estende subito (v. Math. Ann. XXX, p. 209) alle corrispondenze univoche fra due curve non speciali di genere p e d'ordine » appartenenti ad S,_,, cioè nor- mali. Applicando il teorema generale così ottenuto alle proiezioni di due curve normali non speciali d’ordini », »' riferite fra loro univocamente (fatte risp. da —n e v—n loro punti) si giunge ad un risultato che com- prende come caso molto particolare il n. 4 del presente scritto. (*) Similmente da una proposizione citata dianzi in nota (per p=4) si ha come corollario: una corrispondenza univoca fra due curve ellittiche normali d'ordine n tale che ad un punto singolare dell'una (cioè punto con spazio iperosculatore) corrisponda sull'altra un punto singolare è una col- lineazione. LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE SULLE CURVE ELLITTICHE 477 coi punti d', c',d. Per ipotesi le quaterne di tangenti a, ab, ac, ad, e a'a', ab', a'c', a'd' sono projettive: suppon- gasi che ciò accada in quest'ordine: Mri.. a(abed)Kna'(abed), e che appunto si vogliano quelle collineazioni in cui d, d'; e, c'; d,d' sono coppie di punti omologhi. Preso su Y un nuovo punto e, alla retta ae in quella projettività fra i due fasci di rette a, a", e quindi anche in quelle collineazioni, corrisponderà una determinata retta del fascio @', la quale segherà ancora y' in due punti, ciascuno dei quali si potrà assumere come omologo di e. Sia e l’tino qualunque di essi: allora la collineazione in cui ai punti a, d, c, e corrispondono risp. a', d', e’, e farà cor- rispondere i due fasci di rette a, a' nella projettività suddetta e quindi le rette aa, ad alle a'a', a'd', il punto d della retta de a d' di d'e', e la cubica y ad una cubica avente in a' un flesso colla tangente a'a', tangente in d', c', d' alle rette ab, a'c, ad', e passante inoltre per e, vale a dire alla cubica y . (*#) Dunque da ogni modo di ordinare d', c', d' sì da soddisfare la (1) risultano (in causa dell’ambiguità nella scelta di e) due corrispondenze univoche fra 7 e y' in cui @ ed a' sono punti corrispondenti (ed a 5, c, d corrispondono 2', c', d' appunto in quell’ordine) (**). Risalendo ora all’ipotesi primitiva, in cui i due punti dati come omologhi sulle due cubiche potevano anche non essere flessi per queste, abbiamo la seguente proposizione : Dati su due cubiche ‘), SA distinte 0 sovrapposte, due punti qualunque a , a', si costruiscano i loro tangenziali m, m, ed (*) Così risulta la nota proposizione che l’invariante assoluto della qua- terna di tangenti condotte ad una cubica da un suo punto è l’unico inva- riante assoluto di questa; poichè se esso ha lo stesso valore per due cubiche queste sono collineari. (**) Un ragionamento geometrico simile al precedente si può applicare alle curve iperellittiche di genere p >4, dopo di averle ridotte alla forma normale dovuta al sig. CreMoNA (Rendic. Ist. Lomb., 1869, p. 566). Si trova così che: considerando due tali curve con le loro involuzioni razionali di coppie di punti ed i 2p-+2 punti doppi di queste, ogni projettività che esista fra questi due gruppi di elementi di quelle involuzioni fa parte di due corrispondenze univoche fra le curve. Del resto Io stesso fatto (e l’analogo per p—= 1) risulta pure immediatamente dalla rappresentazione algebrica pa- rametrica delle curve iperellittiche. 478 CORRADO SEGRE i punti b,c,ddiyeb',c',d' di y i quali hanno risp. con a e con a quegli stessi tangenziali. Supposto allora che sia (OMR £ m(abed){m,(a'b'ed'), esisteranno due corrispondenze univoche perfettamente determi- nate fra y e y in cui a, a' (eb, b'; ce, c'; d, d') saranno punti corrispondenti e che saranno projettate da m, m, mediante due fasci riferiti appunto in quella projettività. Perchè la relazione (2) continui a valere quando (senza fare altri mutamenti) si faccia uno scambio d'ordine fra d, c, d bisogna che sia ad esempio m(abed)Xm(abde), cioè armonico, oppure m(abed)7m(acdW)7m(adbc), cioè equianarmonico. Dunque le curve ellittiche armoniche ed equianarmoniche ap- paiono come singolari nella questione delle corrispondenze univoche : dati su due curve ellittiche protettive, distinte o sovrapposte , due punti qualunque come omologhi in corrispondenze univoche fra le due curve, il numero delle corrispondenze così determi- nate è 2 se le curve non sono singolari, 4 se sono armo- miche, 6 se sono equianarmoniche. Vedremo che le co! corrispondenze univoche che così si ge- nerano fra le due curve formano appunto, corrispondentemente a quei numeri 2, 4, 6, altrettanti sistemi infiniti, sì che due punti dati come omologhi individuano una corrispondenza di ciascun si- stema. Per dimostrare ciò e in generale per lo studio di quei sistemi di corrispondenze basterà che consideriamo il caso di due curve sovrapposte, cioè delle corrispondenze su d’una curva: dai nostri risultati si potrà subito, volendo, passare al caso generale di due curve distinte. 5. Un primo sistema infinito di corrispondenze univoche che naturalmente si presenta su ogni cubica y è dato dalle projezioni di ‘) su se stessa dai suoi punti. Siccome le coppie di punti omologhi di una tal corrispon- denza formano evidentemente una co! razionale e d’altra parte questa proprietà è caratteristica (v. la nota al n. 8) per queste LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE SULLE CURVE ELLITTICHE 479 corrispondenze, noi le distingueremo col nome di razionali. È chiaro che una corrispondenza di questo sistema è individuata da une coppia di punti omologhi; che essa è sempre involutoria e che ha 4 punti uniti. L'ultima proprietà s’inverte subito: una corrispondenza con 4 punti uniti diversa dall’ identità è sempre razionale. Sia in fatti a un punto unito di una corrispondenza sulla cubica Y ed m il suo tangenziale: esso sarà (n. 2) un centro di projezione omologo a se stesso per quella corrispondenza, sicchè questa projettata da esso darà nel fascio m di rette una projettività, la quale oltre ad ma avrà per raggi uniti quelli che congiungono agli altri punti uniti della corrispondenza. Se dunque questa ha 4 punti uniti, quella projettività avrà almeno 3 raggi uniti di- stinti e sarà quindi un'identità, sicchè la corrispondenza su %, se non è l’identità, sarà data dalla projezione di centro m. 6. Questa proposizione ci conduce a considerare nelle cor- rispondenze univoche su una curva ellittica il numero dei punti uniti: in questo numero si ha, come vedremo, un criterio di clas- sificazione per quelle corrispondenze. Se Q e X sono due corrispondenze univoche qualunque, i punti uniti della corrispondenza 0x7! sono i punti ciascuno dei quali ha lo stesso omologo in Q ed in X (e questi omologhi sono i punti uniti di XY! Q). Applichiamo ciò anzitutto al caso in cui O sia una corrispon- denza univoca sulla cubica 7 con % (=0) punti uniti e ® sia la projezione di ) su se stessa da un suo punto m. Se da questo si projetta O si avrà nel fascio di rette di centro mm una corri- spondenza (2, 2) con 4 raggi uniti, di cui % vanno ai punti uniti di O, ed i rimanenti 4—% sono le rette che tagliano secondo m e due punti omologhi in Q. Dunque le coppie di punti omologhi comuni ad una corrispondenza univoca con k punti uniti e ad una corrispondenza razionale sono 4— k. E quindi : se una corrispondenza univoca con k punti uniti si moltiplica (in qualunque ordine) per una razionale (che non mne sia l’ in- versa) la corrispondenza univoca prodotto avrà 4—k punti uniti. 7. Dai n' 5 e 6 segue immediatamente che il prodotto di più corrispondenze univoche razionali, quando esse siano in numero dispari, ha 4 punti uniti ed è quindi ancora una corrispondenza 480 CORRADO SEGRE razionale. Invece se quelle corrispondenze sono in numero pari, il loro prodotto sarà una corrispondenza univoca priva di punti uniti, oppure sarà l'identità. Siamo così condotti ad un nuovo sistema di corrispondenze univoche: quello composto dell'identità e delle corrispondenze prive di punti uniti. Indicando con P una corrispondenza qualunque di questo 2° sistema e con A una corrispondenza razionale qua- lunque sarà anche A P = B una corrispondenza razionale (n. 6) (*), e quindi la relazione P = 45 prova che ogni corrispondenza del 2° sistema è il prodotto di due corrispondenze razionali (una delle quali si può prendere ad arbitrio). Da ciò sì trae su- bito, mediante le osservazioni fatte sui prodotti delle corrispon- denze razionali, che: #/ prodotto di due 0 più corrispondenze prese nei due sistemi considerati è del 1° o del 2° sistema se- condo che il numero delle corrispondenze del 1° sistema è impari o pari (sicchè le corrispondenze del 2° sistema formano un gruppo). Dalla relazione P = AB segue poi: APA=BA= P*, cioè: una corrispondenza del 2° sistema è trasformata mella propria inversa da qualunque corrispondenza razionale. Ne ri- sulta che, dati ad arbitrio due punti @, a' di una cubica y come omologhi in una corrispondenza del 2° sistema, e detto Z un punto mobile di y, i punti 2, d' in cui questa curva è ancor incontrata risp. dalle rette a'l, «7 saranno pure omologhi in quella corri- spondenza: questa è dunque ben determinata e costruita. Se poi si applicano simultaneamente le ultime proposizioni segue che: una corrispondenza del 2° sistema è trasformata in se stessa da qualunque corrispondenza dello stesso sistema. In altri termini le corrispondenze del 2° sistema sono fra loro per- mutabili; il prodotto di un numero qualunque di esse è una cor- rispondenza dello stesso sistema che non dipende dall’ordine di quel prodotto. -- Considerando la potenza r-esima di una cor- rispondenza del 2° sistema, si vede subito che se questa ammette un ciclo di grado r, essa sarà ciclica di grado r; da una pro- posizione precedente di questo n° seguirebbero poi notevolissime proprietà dei cicli di una tal corrispondenza (**). (*) In seguito si rappresenteranno sempre con A, B,... delle corrispon- denze razionali, con P, Q,... corrispondenze del secondo sistema, con Q, £,... corrispondenze univoche qualunque. (#) V. WeyR, lc. (U. e. Bez...), n. 19 e seg. LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE SULLE CURVE ELLITTICHE 481 8. In particolare consideriamo le corrispondenze del 2° sistema involutorie. Una tal corrispondenza è (n. 7) trasformata (nella sua inversa, cioè) in se stessa da qualunque corrispondenza ra- zionale. Indicando dunque con a, a due punti della cubica y omo- loghi in quella corrispondenza ed applicando la projezione dal tan- genziale m di a si vede che, come a, così a' deve avere per projezione se stesso, cioè deve avere m per tangenziale. Viceversa la corrispondenza del 2° sistema determinata da due punti omologhi a, a' aventi lo stesso tangenziale mm, quando venga projettata da m sì trasforma evidentemente in se stessa; essa coincide dunque con la propria inversa, ossia è involutoria. Si giunge così alle tre corrispondenze involutorie del 2° sistema od 2mnvoluzioni principali; e si vede pure subito che il prodotto di due qualunque di esse dà precisamente la terza; ecc. ecc. È poi facile dimostrare che, all'infuori di queste e delle cor- rispondenze del 1° sistema, non vi possono essere altre corrispon- denze involutorie (*). Invero se sulla cubica esiste una corri- spondenza involutoria con un numero 4 > 0 di punti uniti, la si trasformi mediante una corrispondenza univoca (p. e. una pro- jezione) in guisa che un flesso sia il trasformato di un punto unito: la corrispondenza trasformata avrà ancora % punti uniti e sarà ancora involutoria, ma avendo un flesso per punto unito sarà (n. 3) collineare, e quindi data da un’omologia armonica. Ne segue che k= 4, cioè che la corrispondenza primitiva era del 1° sistema. 9. I due sistemi di corrispondenze considerati negli ultimi n' si possono costruire su tutte indistintamente le curve ellittiche : si diranno perciò corrispondenze ordinarie. E poichè s’ è visto che due punti qualunque di una tal curva sono omologhi in una corrispondenza di ciascuno di quei sistemi, segue dal n. 4 che \(*) Ne segue che, se si fa astrazione dalle corrispondenze del primo si- stema e dalle tre involuzioni principali, Ia serie co! delle coppie di punti omologhi di ogni altra corrispondenza univoca è riferita univocamente alla serie dei punti della curva (per es. alla serie dei primi punti delle dette coppie) ed è quindi ellittica e con lo stesso modulo della curva. Ma anche le tre involuzioni principali sono ellittiche (ciò risulta, ad es., osservando che per una cubica le rette congiungenti le coppie di una tal involuzione formano un inviluppo di terza classe senza rette doppie). Quindi si conclude che solo le corrispondenze del primo sistema sono razionali; tutte le altre corrispondenze univoche sono ellittiche. 482 CORRADO SEGRE sulle curve non singolari non esistono altre corrispondenze uni- voche. Invece nelle curve armoniche ed equianarmoniche esistono altre corrispondenze, singolari, che ora esamineremo. Esse hanno tutte dei punti uniti (n. 7). Detto 4 un punto unito di una corrispondenza singolare Q sulla cubica Y e d, €, d i punti di questa aventi comune con a il tangenziale m, dalla corrispondenza O risulterà nel fascio di rette di centro wm una projettività determinata ad esempio, se y è armonica da 7 (a bed)m(abdc), se è equianarmonica da m(abcd)Am(acdb). Nel 1° caso oltre ad « sarà % punto unito della corrispon- denza Q; la projettività del fascio # sarà un'involuzione e quindi il quadrato di 2 produrrà nel fascio m l’identità e non potendo essere esso stesso l’identità, perchè £ non può essere involutoria (n. 8), sarà invece la projezione di centro m. Dunque le cor- rispondenze singolari sulle curve armoniche hanno due punti umiti, coniugati in un’involuzione principale, e sono cicliche di 4° grado, avendo per quadrato corrispondenze razionali. — Il quadrato di una corrispondenza ha per punti uniti i punti uniti e le coppie involutorie di questa. In particolare si vede che Q avrà per unica coppia involutoria cd. Ogni corrispon- denza singolare su una curva armonica ha una coppia invo- lutoria che è coppia di punti. uniti per un’ altra corrispon- denza singolare avente lo stesso quadrato di quella. Ogni corrispondenza razionale è il quadrato di 4 corrispondenze singolari le quali sono a coppie inverse luna dell’altra. Ecc., ecc. 10. Consideriamo ora il caso della curva equianarmonica. La proiettività determinata da O nel fascio m sarà ciclica di 3° grado ed avrà oltre ad ma un raggio unito che incontrerà an- cora y in due punti distinti e, 7, i quali dovranno corrispon- dersi fra loro in Q (ciascuno a se stesso, oppure all’altro). Quindi O5 determinerà nel fascio mm l'identità e sarà perciò o l’identità o la proiezione di centro m; sicchè O è ciclica di 3° oppure di 6° grado. Nel 1° caso © non potrebbe evidentemente scambiar fra loro i punti e, f e però li avrà per punti uniti; nel 2° caso invece non potrebbe averli come punti uniti (chè altrimenti essi sarebbero pur tali per 0°). Dunque Ze corrispondenze singolari sulle curve equianarmoniche sono cicliche di 3° oppure di 6° grado ; nel 1° caso hanno 3 punti uniti; nel 2° ne hanno un solo, ma hanno inoltre una coppia involutoria. Moltipli- LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE SULLE CURVE ELLITTICHE 483 cando una di esse per una corrispondenza razionale essa muta grado di periodicità (n. 6). Il quadrato di una corrispondenza singolare è pure singolare (di 3° grado); il cubo di una cor- x rispondenza singolare di 6° grado è una corrispondenza ra- zionale. Ogni corrispondenza razionale è il cubo di 8 corri- spondenze singolari, a coppie inverse fra loro. Ecc., ecc. 11. Per poter dividere nettamente le corrispondenze singolari in sistemi conviene che premettiamo un’osservazione. Una corri- spondenza qualunque X essendo evidentemente trasformata da ogni corrispondenza © in una corrispondenza avente lo stesso numero di punti uniti che X, ne segue che se X è una corrispondenza ordinaria la sua trasformata OO =D sarà pure una corrispondenza ordinaria e dello stesso sistema (*). Si avrà: x 0 dl ig VA e però: moltiplicando una corrispondenza qualunque £ successi- vamente per tutte le corrispondenze ordinarie di uno stesso si- stema sì ottiene uno stesso sistema di corrispondenze, sia che la moltiplicazione sì faccia in un ordine sia che si faccia in quello opposto. S'indichi ora con Q una corrispondenza singolare fissata ad arbitrio, e si considerino i due sistemi di corrispondenze rap- presentati risp. da Q P ed OA, ove P ed A descrivono suc- cessivamente tutte le corrispondenze ordinarie risp. ellittiche e razionali: essi si potranno anche rappresentare risp. con PQ ed A0. Nel sistema Q P sarà contenuta Q (che si avrà quando P si riduce all’identità). Questi due sistemi saranno ben distinti fra loro (non potendo essere Q0P—=0 A, cioè P—= A) e si compor- ranno di corrispondenze singolari (non potendo essere O U—=YV ove U e V son corrispondenze ordinarie, giacchè ne seguirebbe QO=VU7', vale a dire Q sarebbe ordinaria). In ognuno di essi (*) Il teorema del n. 1 non è altro che questa proposizione stessa ri- stretta al caso in cui la corrispondenza ordinaria è razionale. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. \XXIV. 36 484 CORRADO SEGRE sarà individuata una corrispondenza dando sulla curva una coppia di punti omologhi: così se nella corrispondenza OP ad a deve corrispondere a, chiamando a, l’omologo di « in Q, si dovrà prendere P in guisa che muti a, in a', il che la individua. Se poi si moltiplica in ogni ordine una qualunque corrispondenza singolare di uno fra quei due sistemi per una corrispondenza ordinaria si ottiene evidentemente una corrispondenza singolare dell’altro sistema oppure dello stesso sistema secondo che quella corrispondenza ordinaria è razionale o no : così O P.A=04,, P.QQ=P,©, ecc. Questo prova che nello stesso modo con cui quei due sistemi di corrispondenze singolari si sono ottenuti par- tendo da Q, essi medesimi si otterrebbero partendo da un’altra corrispondenza qualunque presa in essi. 12. Consideriamo anzitutto il caso in cui la curva è armo- nica: allora su essa non esisteranno altre corrispondenze singo- lari (n. 4). Si avrà, indicando con UV, V delle corrispondenze ordinarie (di cui 0, 1, 2 razionali) e valendosi dell’osservazione premessa al n.° prec. : OVVIE TONE ANO donde si trae che : 0) punti uniti son “trasformate luna nell'altra (in un dato ordine) da k corri- spondenze di ciascun sistema. In particolare prendendo £ e 2, coincidenti: Una corri- spondenza qualunque con k(>0) punti uniti è trasformata in se stessa da (vale a dire è permutabile con) k corrispondenze di ciascun sistema, cioè quelle determinate dal far corrispondere risp. i k punti nominati ad uno di essi fissato ad arbitrio. Queste proposizioni si son dimostrate per corrispondenze ®, 2, dotate di punti uniti: però esse valgono pure 2 generale nel- l'ipotesi contraria, cioè se quelle corrispondenze sono corrispon- denze ordinarie ellittiche. Poichè in tal caso ogni corrispondenza di questo stesso sistema muta Y in X stessa; ogni corrispondenza razionale muta X in X7'; infine se una corrispondenza singolare 490 CORRADO SEGRE Q muta X in X,, ogni altra corrispondenza singolare dello stesso sistema, essendo il prodotto di Q e di una corrispondenza ordi- naria ellittica (la quale ultima non altera %,), muterà pure £ in X,. Dunque due corrispondenze ordinarie ellittiche son tra- sformate Vuna nell'altra da ognuna delle corrispondenze di un dato sistema, oppure da nessuna (*). In particolare una corrispondenza ordinaria ellittica permu- tabile con un’altra corrispondenza è permutabile con ogni corri- spondenza appartenente al sistema di questa. Ora se una corri- spondenza singolare è trasformata in se stessa da una corrispondenza ordinaria ellittica, poichè questa deve mutarne i punti uniti in punti uniti, accadrà che se vi è un sol punto unito quella cor- rispondenza ordinaria non potrà esistere (astrazion fatta, anche pel seguito, dall’identità), se ve ne sono 2 sarà involutoria, se ve ne sono 8 sarà ciclica di 3° grado. Concludiamo dunque che: Nelle curve armoniche esiste una sola corrispondenza ordinaria ellittica la quale sia permutabile ad una corrispondenza sin- golare: essa è un'involuzione principale, permutabile a qua- lunque corrispondenza (**) ed in cui sono coniugati i punti uniti di ogni corrispondenza singolare. Nelle curve equianarmoniche non esistono altre corrispondenze ordinarie ellittiche permutabili a ‘corrispondenze singolari che due corrispondenze cicliche di 3° grado inverse luna dell'altra e permutabili a tutte le corri- spondenze singolari cicliche di 3° grado (e non a quelle di 6° grado): le terne di punti uniti di queste formano i cicli di quelle. 16. Le relazioni studiate fra le varie corrispondenze si rife- riscono alla geometria sulle curve ellittiche , qualunque queste (*) In altri termini nel sistema co' delle corrispondenze ordinarie ellit= tiche ciascuno degli altri sistemi genera una corrispondenza ben determi- nata fra le corrispondenze stesse. È chiaro che gli elementi uniti di questa saranno le corrispondenze ordinarie ellittiche (fra cui l’identità) permutabili alle corrispondenze dell’altro sistema nominato. Se questo è singolare, sarà singolare la corrispondenza da lui determinata fra le corrispondenze ordi- narie ellittiche, (**) I quattro sistemi di corrispondenze sulla curva armonica generano dunque quattro sistemi di corrispondenze fra le coppie di questa particolare involuzione : se ne trae che la forma ellittica costituita da quelle co' coppie è anch’essa armonica. LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE SULLE CURVE ELLITTICHE 491 siano; ma applicate a curve ellittiche particolari possono fornire risultati notevoli d’altra natura. Come esempio vediamone un’ap- plicazione alle cubiche. Sulla cubica 7 si abbiano due corrispondenze qualunque di uno stesso sistema, X, e X,; siano a, a, due punti qualunque omologhi in X,, e sia 3, la MAE di X, mediante combi- nazione (n. 14) delle due projezioni di centri a, a, , sicchè pro- Jettando risp. da a, a, due serie di punti corrispondentisi in 3, si abbiano due serie x punti corrispondentisi in X,: in forza del n. 14 sarà >, dello stesso sistema di £, e quindi anche di £,. Dicendo 5,0, due punti omologhi Ace de DI le loro Bipegioni da a, a,, le quali saranno due punti omologhi qualunque di X,, è chiaro che, in causa ancora del numero citato (e poichè l’unica corrispondenza del sistema di X, e X, in cui siano omologhi a, a, è X,), X, sarà la trasformata di pr mediante com- binazione dello at di centri d, d, ed anche la trasformata di X, mediante combinazione delle projezioni di centri c, c,. Ne segue subito che il legame fra X, e X,. 2, non dipende dalla coppia 4, a, di punti omologhi in X, con cui prima fu definito. Date su una cubica due corrispondenze qualunque di uno stesso sistema ne resta individuata una terza dello stesso sistema sì che due qualunque delle tre si trasformano l'una nell’altra mediante combinazione delle projezioni aventi i centri in due punti omologhi qualunque della rimanente (*). (*) Se di due punti qualunque a, è della cubica si prendono gli omo- loghi a,, db, rispettivamente in due corrispondenze di uno stesso sistema, le rette ab, a,b, incontreranno ancora la curva rispettivamente in due punti c, c3 che saranno omologhi in una corrispondenza dello stesso sistema delle due date e pienamente determinata da queste. — Se di tre punti a, d, c in linea retta si chiamano a;, b;, c; gli omologhi in %, e le tre corrispondenze Z,, Za; £3 sono nelle relazioni suddette, saranno in linea retta le sei terne di punti a; d, c,, dove î l m indichi ogni permutazione di 1, 2, 3. Aggiungiamo che il ragionamento fatto per una cubica si estende subito ad ottenere la proposizione seguente: Su una curva ellittica normale d’or- dine n, date n —A corrispondenze di uno stesso sistema ne resta individuata in questo una n-esima, sì che presi ad arbitrio sulla curva n —2 punti ed i loro omologhi risp. in n —2 fra quelle n corrispondenze, le rimanenti due si trasformano l’una nell'altra mediante combinazione delle proiezioni dai due spazi S,_3 Congiungenti rispettivamente quei due gruppi di n —2 punti. 492 CORRADO SEGRE — LE CORRISPONDENZE UNIVOCHE ECC. I punti uniti di ciascuna delle tre corrispondenze sono i centri delle sole projezioni che trasformino le due rimanenti l’una nel- l’altra. La retta congiungente un punto unito di una corrispon- denza ad un punto unito di un’altra taglia ancora la cubica in un punto unito della corrispondenza rimanente. Se due delle tre corrispondenze, p. e. 2, e X,, coincidono, due punti omologhi nella terza, cioè i centri di due projezioni dalla cui combinazione £, riesca trasformata in se stessa, non sono altro che i centri omologhi di projezione per 2, considerati al principio di questo scritto. Si vede dunque che i centri omologhi di pro- Jezione per una data corrispondenza si corrispondono in una cor- rispondenza dello stesso sistema (*). I punti uniti di questa se- conda (che sono dunque tanti quanti quelli della data) saranno i centri delle projezioni permutabili alla prima corrispondenza. Torino, Giugno 1889. In altri termini, se degli n punti d’ intersezione della curva con un S,_ qualunque si determinano gli omologhi risp. nelle n corrispondenze (coordinate arbitrariamenle a quei punti), questi saranno ancora n punti di un Sn_s. (*) Ciò risulterebbe pure dall’osservazione fatta al n. 3, che la corri- spondenza data e quella dei centri omologhi di proiezione per essa non hanno alcuna coppia comune oppure coincidono. 493 Osservazioni intorno alla struttura dell’ integumento di alcuni Nematelminti ; del Socio LORENZO CAMERANO L’integumento dei Nematelminti, malgrado i lavori numerosi stati fatti intorno ad esso, non è completamente noto in tutte le sue parti e i vari Autori sono assai discordi fra di loro. L’Eisig (1) nella sua estesa monografia dei Capitellidi ha recentemente trattato a lungo dell’origine e della struttura delle formazioni cuticulari non solo nei vermi, ma in generale in tutti gli animali. Egli tuttavia ha quasi totalmente lasciato in disparte i Nematelminti a cui non consacra che poche parole a pag. 371. « Viel entwickeltere Fibrillen finden sich aber an den wie es scheint Hiutungen unterliegenden Nematoden; und unter ihnen zeichnen sich insbesondere die Gordiiden durch die Zahl und Deutlichkeit der Faserschichten aus. » L’integumento dei Nematelminti ha per lo più uno spesso strato cuticulare esterno il quale a primo aspetto si presenta come assai complicato e come tale viene descritto dagli Autori, i quali tuttavia sono ben lungi dall’ essere d’accordo nemmeno sulla struttura dell’integumento delle specie più comuni, tanto che il Leydig stesso disse: « Es vesriente gar wohl die Haut- decke der Rundwiimer eine besondere vergleichend durchgefiihrte Untersuchung » (2). L’integumento dei Nematelminti si può ritenere costituito da due parti principali : 1° Da uno strato di natura cellulare che eiata al- l'epidermide propriamente detta (suductanen Schicht di Schnei- der (3), enderon di Bastian (4), ipodermide di vari Autori). (1) Monographie der Capitelliden des Golfes von Neapel. — Fauna und Flora des Golfes von Neapel, XVI, 1887. (2) Zelle und Gewebe. p. 68. (3) Monographie der Nematoden, p. 206. (4) On the Anat. and Phys. of the Nematoids parasitic and Free. Philos. Trans. of Royal Soc., vol. 156, p. 548. 494 LORENZO CAMERANO 2° Di uno strato esterno al primo costituito alla sua volta di altri con struttura più o meno complessa e che è da conside- rarsi come uno strato cuticolare (cuticular Schicht di Schneider, enderon di Bastian, epidermide di vari Autori). Lo strato epidermico propriamente detto nello stadio adulto dell’ animale spesso manca totalmente (Mermis, Hedruris, ad esempio) spesso è rappresentato da uno strato granuloso con nuclei più o meno numerosi sparsi qua e là; spesso la sua strut- tura cellulare non è più visibile che alle estremità del corpo (Ascaris ad esempio). In altri casi la struttura cellulare è evi- dentissima e i margini delle cellule sono sinuosi e come inca- strati gli uni agli altri (Gord:us ad esempio). Lo strato cuticolare è ben sviluppato sopratutto in quelle forme nelle quali manca lo strato epidermico propriamente detto. Le questioni principali relative allo strato cuticulare riguar- dano principalmente: 1° la natura chimica; 2° la struttura istologica ; 3° lo sviluppo. Rispetto alla natura chimica dello strato cuticulare gli Autori dicono solamente che si tratta di chitina analoga a quella del dermascheletro degli Artropodi. Il Leydig tuttavia in vari lavori sull’integumento dei vermi e degli animali in genere, ritiene che le formazioni cuticulari abbiano una qualche affinità coi tessuti connettivi dei vertebrati. Il Villot (1) considera gli strati fibril- lari della cuticula come formati da fibres elastiques simili a quelle: « qu'on observe chez les animaux vertébrés, et il me semble impossible de le ranger parmi les formations de nature chitineuse. »> Il Dujardin (2) ritiene di natura cartilaginea una parte degli strati cuticulari dei Mermis. È indubitato che oggi giorno si indicano come di natura chitinosa tessuti molto diversi fra loro e diversi dal tessuto chi- tinoso degli insetti che si suole considerare come tipico. Io ho studiato l’azione di alcune sostanze coloranti e di alcuni reagenti comparativamente sugli strati cuticulari dell’ Ascaris (1) Monographie des Dragonneaux. — Archiv. de Zool, Expér., vol. III, 1874, p. 183. (2) Sur les Mermis et les Gordius. — Ann, Sc. Nat., série II, vol. XVIII, 1842, p. 137. STRUTTURA DELL’INTEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI 495 lombricoides, dell'A. mystax, del Mermis albicans, del Mermis migrescens, dell’Hedruris androphora e di parecchie specie di Gordius (1) G. gratianopolensis, G. Villoti, G. tolosanus ed ho ottenuto i risultati seguenti : Sostanze coloranti. — I colori di anilina in soluzioni al- cooliche danno ai vari strati cuticulari una colorazione diffusa più o meno intensa, ma instabile assai. La colorazione è più intensa negli strati divisi in fibrille: ma è facile osservare che il più delle volte le fibrille rimangcno intieramente scolorite e che la sostanza colorante si deposita meccanicamente fra gli spazi interfibrillari. Lo strato esterno non si colora affatto negli Ascaris e nell’Hedruris: nei Mermis mi presentò talvolta (safranina) una colorazione spiccata, ma instabile. Coll’uzzurro di Metile o col verde malachite in soluzione acquosa e oprando sopra esemplari freschi si ottiene una vera colorazione degli strati fibrillari osservabile anche nelle fibrille isolate. Queste si colorano pure colla picronigrisina: ma in questo caso è d’uopo tener conto dell’azione dell’acido picrico. Dei vari carmini provati il carmino alcoolico di Mayer e il picrocarmio di Weigert sono quelli che danno migliori risultati sopratutto per le fibrille dell’Ascaris lombricoides. Nei Gordius le colorazioni sono incerte: in alcuni esemplari si ottengono, in altri no. Dirò anzi a questo riguardo che vi sono differenze indivi- duali spiccatissime dovute forse all’età dell'animale. Buone co- lorazioni delle fibrille dell’Ascaris lombricoides si possono otte- nere colla cocciniglia di Mayer. Anche questo colorante è meno sicuro pei Gordius. Io credo di poter conchiudere: 1° che gli strati cuticulari dei Nematelminti sopra detti non sono totalmente refrattari alle sostanze coloranti: 2° che presentano differenze individuali no- tevoli a tale riguardo: 3° che gli strati più esterni si colorano in generale più difficilmente degli strati sottostanti. Azione degli alcali. — La potassa caustica in soluzioni non molto concentrate agisce più rapidamente che in soluzioni concentratissime. (1) Per la struttura dell’integumento si consulti il mio precedente la- voro : Ricerche intorno all'anatomia ed istologia dei Gordii. — Torino, Er- manno Loescher, 1888. 496 LORENZO CAMERANO La potassa caustica comincia ad intaccare gli strati cuticu- lari più interni e poi a mano a mano gli altri dividendoli in strisce o in placche a margine più o meno evidentemente sfilac- ciati e spesso in forma di romboedri. Lo strato esterno ha mag- giore resistenza degli altri e negli Ascaris, nei Mermis nel- l’Hedruris nei quali è pieghettato trasversalmente, esso si divide in strisce corrispondentemente ai solchi delle piegature dove la resistenza è minore. I margini delle strisce appaiono sfilacciati finissimamente, il che è dovuto alla struttura fibrillare dello strato stesso. Nei Gordius invece di strisce si isolano delle for- mazioni rotondeggianti (areole) le quali pure hanno margini den- tati o sfilacciati. Anche le strisce e le areole dopo un soggiorno più o meno lungo finiscono per sciogliersi totalmente. Acqua di Javelle. — Questo reagente scioglie rapidamente gli strati cuticulari dell’ Hedrurîs androphora: solo lo strato esterno resiste un po’ più. Nei Gordzus in sei o sette ore ven- gono sciolti quasi tutti gli strati, meno i più esterni i quali richiedono talvolta per sciogliersi più di ventiquattro ore. Nel- l’Ascaris lombricoides dopo cinque o sei ore di immersione nell’acqua di Javelle si osserva un rigonfiamento notevolissimo dello strato cuticulare. Colla dilacerazione è facile riconoscere la presenza di molti strati sovrapposti con struttura fibrillare. Lo strato più esterno è molto resistente a questo reagente. Acido solforico, acido nitrico, acido cloridrico in solu zioni concentrate a freddo. — Alcuni pezzi di integumento di Gordius tolosanus, di Gordius Villoti, di Mermis albicans e di Ascaris lombricoides messi per 12 ore circa negli acidi sopra- detti danno i risultati seguenti: l’acido nitrico scioglie tutto. L'acido cloridrico scioglie tutti gli strati della cuticula, meno lo strato esterno il quale richiede un tempo più lungo. L'acido sol- forico scioglie nei Gordius gli strati fibrillari più interni mentre lascia intatto lo strato esterno e gli strati fibrillari più vicini a questo. Queste parti non vennero disciolte nemmeno dopo un’azione prolungata per parecchi giorni. Nell’acido solforico bollente si sciolgono invece in pochi minuti. Nell’ Ascaris lombricoides e nei Mermis l'acido solforico sciolse tutto. Nei Gordius gli acidi sopradetti, ed anche gli acidi acetico e formico, fanno rigonfiare le fibrille degli strati tegumentali , le quali poi si staccano qua e là e si riuniscono a fasci irregolari, STRUTTURA DELL'INITEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI 497 contorcendosi in varie guise e attorcigliandosi fra loro a spirale in modo assai curioso, come mostrano le figure qui unite, poscia a poco a poco si sciolgono. Facendo agire soluzioni diluite degli acidi sopradetti, si osserva che la resistenza è minore negli strati cuticulari più profondi. Fanno tuttavia eccezione quegli individui, sopratutto di Gordius Villoti, i quali si trovano spesso nelle acque, che hanno un colore bruno nero, e che hanno di già deposto quasi totalmente i prodotti sessuali. In questi esemplari, certamente vecchi, lo strato tegumentale si è notevolmente indurito e pre- senta una molto maggior resistenza ai reagenti. In conclusione si può dire che nelle formazioni cuticulari dell’integumento dei Nematelminti sopra menzionati gli strati più esterni resistono più lungamente all'azione degli alcali e degli acidi che non gli strati interni. Si può dire, a mio avviso, che non esiste differenza fondamentale pel modo di comportarsi cogli alcali e cogli acidi fra gli strati cuticulari esterni e gli strati cuticulari interni. Da quanto precede risulta una certa rassomiglianza, sopra- tutto per gli strati fibrillari della cuticula dei Gordius, fra le formazioni fibrillari delle cuticule ed il tessuto connettivo e specialmente col tessuto connettivo elastico. Debbo dire tuttavia che la colorazione data dal G. Martinotti (1) come specifica per le fibre elastiche dei vertebrati non mi ha dato alcun risultato nei vermi che ci occupano. Si riesce solamente a colorire in giallo le fibrille colla soluzione picrocarminata, come indica il Ranvier pel tessuto elastico (2). Certamente poi si osserva un progressivo modificarsi delle proprietà degli strati cuticulari, sia procedendo dall’interno verso l'esterno, sia in complesso in tutta la cuticula col progredire dell’età dell’animale. Struttura istologica. — La struttura intima delle formazioni cuticulari nei Nematelminti, da quanto risulta dalle mie osser- vazioni e da ciò che si può arguire dalle descrizioni degli Au- tori appare essere fondamentalmente la stessa in tutte le forme (1) Un metodo semplice per la colorazione delle fibre elastiche, — Zeit. fùr wis. Mikroscop., vol. IV, 1887, p 51. (2) Technique histologique, p. 388. 498 LORENZO CAMERANO sebbene esse a primo aspetto si presentino molto complesse e differenti fra loro. Io debbo qui anzitutto far osservare che le formazioni cuti- culari presentano molte apparenze dovute a fenomeni ottici, le quali possono facilmente trarre in inganno gli osservatori e far credere ad una complicatezza di struttura che non esiste meno- mamente. A mio avviso nei Nematelminti la formazione cuticulare dell’integumento è costituita da una serie numerosa di strati sottilissimi ed originariamente omogenei. Questi strati, per una proprietà fisica comune ai sottili strati membranosi di natura organica tendono ad assumere una struttura fibrillare finissima. Gli strati cuticulari si saldano frequentemente fra loro for- mando degli strati più o meno spessi. Ciò si osserva sopratutto verso la parte esterna della formazione cuticulare. Questi strati possono dividersi alla loro volta in fibrille, le quali sono sempre di mole maggiore delle prime sopra menzionate e che debbono considerarsi come formazioni secondarie; forse nella costituzione e nella direzione di queste fibrille si deve tener conto dei mo- vimenti dell'intiero involucro muscolo cutaneo dell'animale. Gli strati più esterni si induriscono più presto degli altri, o meglio si può dire che si fanno più resistenti e costituiscono ciò che gli Autori denominano strato esterno della cuticula. Nella formazione di questo strato è d’uopo forse tener conto della necessità che ha l’animale di proteggersi dall’ azione dei succhi digerenti dell’ ospite in cui vive, se si tratta, com’è il caso più frequente per gli animali che ci occupano, di endo- parassiti. In questi infatti gli strati cuticulari esterni presentano uno sviluppo notevole ed una notevole resistenza all’azione dei reagenti acidi ed alcalini. Gli strati cuticulari in vari casi sono attraversati perpen- dicolarmente da prolungamenti i quali, facendo divaricare le fibrille dei vari strati, danno luogo alle così dette formazioni a croce. Questi prolungamenti mancano nell’Ascaris lombricoides, nell’A. mystax, nell’Hedruris e nei Mermis, vale a dire nei casi in cui lo strato epidermico propriamente detto è degenerato od è al tutto scomparso. Essi sono al contrario ben spiccati nei Gordius dove è pure ben sviluppato lo strato epidermico. Forse si tratta di residui di prolungamenti proprii dello strato epider- mico ; forse, e ciò mi pare più probabile , essi sono residui di STRUTTURA DELL'INTEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI 499 tubi escretori delle ghiandole unicellulari dello strato epidermico, le quali non funzionano più dopo che la cuticula si è notevol- mente inspessita. È d’uopo tuttavia fare nuove ricerche in pro- posito. Gli strati cuticulari esterni degli Ascarzs, dell’Hedruris, dei Mermis, dell'Eustrongylus gigas e di altri Nematodi presentano delle apparenti strisce più o meno sottili, disposte trasversalmente le quali vennero dagli Autori descritte come formazioni parti- colari, autonome della cuticula. Come si vede dalle descrizioni che seguono non si tratta d’altro che di raggrinzature trasversali della cuticula stessa, le quali combinandosi con alcune raggrin- zature longitudinali che si producono nei movimenti dell’animale danno luogo ad apparenti suture. Le strisce in discorso non devono essere considerate come parti autonome costituenti lo strato esterno cuticulare. Nei Gordii l'origine delle areole dello strato esterno è, tenuto conto della forma che esse assumono nelle varie specie, meno chiara. Il Michel (1) dice: « lorsque elles affectent la forme de boutons distincts, elles correspondent aux cellules sous-jacentes. » Nel Gordius tolosanus © sì osserva realmente in molti pre- parati di integumento una notevole corrispondenza fra le cellule epidermiche e le areole cuticulari esterne: e non è impossibile che in questa specie lo strato cuticulare esterno conservi traccia della primitiva origine: ma tenuto conto delle forme che lo strato cuticulare esterno presenta nelle numerose specie di Gordii oggi conosciute, non mi pare che ciò si possa dire in modo ge- nerale. Nella maggior parte dei casi, a mio avviso, anzichè una forma originaria si ha una modificazione secondaria dovuta a spe- ciali raggrinzamenti degli strati cuticulari esterni, raggrinzamenti degli strati che sono resi più complicati dalla presenza dei pro- lungamenti perpendicolari sopra menzionati che attraversano la cuticula, e dallo sviluppo e dalla relativamente notevole mobilità degli strati fibrillari sottostanti. Per maggior chiarezza si possono riunire le varie parti for- manti gli strati cuticulari dei Nematelminti nello specchietto seguente: (1) Comptes-rendus, N. 27, 1888, p. 1175. Atti della R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. \ XIV. 37 500 LORENZO CAMERANO A. Formazioni primarie. — 1° Strati membranosi sottilis- simi, omogenei. 2° Strati membranosi sottilissimi con struttura fibrillare finissima, da considerarsi come una modificazione degli strati membranosi di cui al N. 1. B. Formazioni secondarie. — 1° Strati membranosi più o meno spessi con o senza aspetto fibrillare provenienti dalla sal- datura di varii strati membranosi di cui al N. 1 o al N. 2 A (sono in questo caso i così detti strati cuticulari esterni). 2° Strati membranosi più o meno spessi e costituiti di strati membranosi di cui al N. 1 e 2 A, divisi più o meno nettamente in fibre, più o meno grosse (sono in questo caso gli strati fibrillari e gli strati sottostanti delle cuticule). C. Strutture della cuticula dovute o ad apparenze ottiche o a raggrinzature o a divaricazione degli strati. 1° Formazioni a croce dovute al passaggio dei prolunga- menti perpendicolari. 2° Linee incrociate delimitanti dei rombi: dovute al pie- garsi in date direzioni delle fibrille degli strati fibrillari (Gordius). 3° Areolature rialzate, grossolanamente rotondeggianti do- vute a raggrinzature di tutto l'involucro cuticulare (Gordius Villoti in special modo). 4° Pieghettature trasversali o leggermente oblique degli strati cuticulari esterni, le quali danno luogo a strisce cuticu- lari più spesse separate da solchi in cui lo strato è più sottile (strato esterno cuticulare degli Ascaris, dell’ Hedruris, dei Mermis, dell’ Eustrongylus. 5° Areolature persistenti dello strato cuticulare esterno di varie specie di (Gordius. Formazione della cuticula. — Nei Nematelminti si può dire che la cuticula si forma alle spese degli elementi cellulari co- stituenti lo strato epidermico propriamente detto e non per se- creti filiformi prodotti da elementi ghiandolosi speciali. In vari casi l’intiero strato cellulare si trasforma in cuticula. Il Galeb (1) dice a questo proposito parlando degli Ossiuridi : « Les téguments dérivent directement de la région esterne du (1) Organisation el developpement des Oxyurides. — Archives de Zool. Expér., vol. 7, 1878, p. 307. STRUTTURA DELL'INTEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI 501 blastoderme. Au début, l’embryon est dépourvu de cuticule: la couche cellulaire externe est donc nue; mais bientòt, à mesure qu'il s’allonge on voit une masse transparente, émise probable- ment par les cellules de cette couche, envahir légèrement le pourtour du jeune animal, et en se solidifiant, constituer la première cuticule..... » Lo stesso Galeb descrive così il costituirsi della cuticula dell’appendice caudale: « Le premier élément de l’appendice caudal est une cellule donnant naissance par proli- feration à une autre cellule qui lui fait suite dans les sens de l’axe du corps; puis on en voit apparaître une troisième et ainsi de suite un plus grand nombre, suivant la longueur que doit atteindre l’appendice. Le contenu granuleux de ces diverses cel- lules se recondense alors vers leur centre et l’on voit ainsi appa- raître autour de chacune d’elles une zone transparente. Ces zones claires des diverses cellules qui forment alors la queue, se fu- sionnent les unes avec les autres et en se solidifiant, constituent la cuticule, pendant que les masses granuleuses en se confondant suivant l’axe du corps, donnent naissance au tissu intérieur de l’appendice caudal. » Mermis albicans Siebold, e Mermis migrescens Dujardin. L'integumento di queste due specie venne studiato in parti- colar modo dal Dujardin (1) dal Meissner (2) dal Balsamo Cri- velli (3). Il Dujardin ritiene la pelle del Mermis nigrescens costituita di 3 involucri concentrici: vale a dire: 1° Uno strato esterno « une couche épidermique homogène. » (1) Memoire sur la structure anatomique des Gordius el d'un avtre Rel- minthe, le Mermis, qu'on a c.mfondu avec eur. — Ann. Sc. Nat., série II, vol, XVIII, 1842 — Hist, nat. des Helminthes, 1845. 2) Beitrdge 3ur Anatomie und Physiologie von Mermis albicans. — Zeit. fur wiss, Zool, vol. 5, 1854. Beitrdge zur Anatomie und Physiologie der Gordiaccen. — Zeit fiir wiss. Zool,, vol. 7, 1856. (3) Storia del genere Gordius e di un nuovo Elminto. — Mem. Istituto Lombardo, vol. II, 1845. — L’ Autoplectus protognostus descritto dal Balsamo in questo lavoro non è altro che un Mermis albicans Siebold, come già hanno ritenuto il Diesing (Revision der Nematoden. — Sitz. Akad, Wiss. Wien., XLII, 1861) ed altri e come io stesso potei convincermi coll’esame dei tipi conservati nel Museo Zoologico di Pavia, i quali mi vennero corte- semente comunicati dal Prof. Pietro Pavesi, 502 LORENZO CAMERANO « 2° Une double couche de fibres obliques, croisées, parfai- tement égales et continues, formant ainsi comme un double sy- stème de fibres qui s’enroulent en hélice autour du corps, depuis une extrémité jusqu’à l’autre. Les fibres de la couche supérieure sont tournées de gauche à droite; vues en place, elles sont épaisses de 0,0017; vue à plat, quand elles sont isolées, elles sont larges de deux milliémes de millimètres; celles de la couche inférieure sont tournées en sens invers, et d’un tiers moins épaisses. » 8° Sotto agli strati precedenti si trova: « un tube carti- lagineux formé de quinze, vingt et junsqu'à trente couches homo- gènes, concentriques, épaisses de 0,0015 à 0,003 en allant de dehors en dedans. » Il Meissner divide l’integumento nel Mermis albicans, in: a) Epidermide : b) Strato fibroso; c) Corium. Questa divisione corrisponde a quella del Dujardin. Il Balsamo Crivelli dice solamente: « La superficie esterna o l’integumento dei Gringli, allorchè sono vivi, compare intera- mente liscia; quando però sono morti, o tagliati in piccoli pezzi per assoggettarli ad esame, si corruga simulando degli anelli. L'in- volucro del Gringo è formato da due strati di fibre le une tras- versali oblique, le altre longitudinali. » L'integumento dei Mermis secondo l'esame da me fatto sopra esemplari appartenenti alle due specie sopra indicate costituito nel modo seguente : 1° Uno strato esterno molto sottile, difficilmente isolabile dagli strati sottostanti che si può chiamare: strato esterno della cuticola e che corrisponde: alla « couche épidermique homogène » di Dujardin e all’Epidermide di Meissner. Il Meissner considera nel Mermis albicans questo strato come diviso in sei campi che dal capo vanno longitudinalmente fino alla coda: ciascuno di questi sarebbe diviso trasversalmente in molte striscie cosichè lo strato esterno, o l'epidermide di Meissner sarebbe diviso in molti poligoni esagonali allungati in senso tra- sversale (1). Nello strato esterno corrispondente nel Mermis ni- grescens egli non riconobbe questa struttura (2). (1) Opera citata. — Zeit. fiir wiss. Zcol., V, tav. XI, fig. 2,3. (2) Opera citata. — Zeit. filr wiss, Zool., VII, p. 13, STRUTTURA DELL’INTEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI 503 Io non sono riuscito in alcun modo a vedere nel Mermis albicans le strutture descritte dal Meissner. Lo stato cuticulare esterno appare, esaminato anche con forti ingrandimenti, omogeneo. Ciò che forse ha condotto in errore il Meissner sono le raggrin- zature trasversali, che simulano una segmentazione molto fina che si osservano in alcuni individui: ma che scompaiono se sì lascia l’integumento in macerazione per qualche tempo. Se osservasi lo strato cuticulare esterno, sul quale si sia fatto agire per qualche minuto una soluzione allungata di potassa, con ingrandimenti fortissimi (ob. imm. omog. Zeiss. ocul. 4) fa- Il cendo variare opportunamente l'inclinazione della luce si scorge in esso una struttura fibrillare finissima incrociata, il che indica trat- tarsi qui non di uno strato solo, ma di parecchi strati fortis- simamente uniti insieme e aventi ciascuno una struttura fibrillare con fibrille disposte in una data direzione. La sostanza che costituisce lo strato cuticulare esterno è molto trasparente, e nei pezzi isolati appare pure abbastanza rifrangente la luce. 2° Le dilacerazioni e le sezioni dell’integumento dei Mermis mostrano al disotto dello strato cuticulare esterno uno strato con fibre rifraugenti molto spiccate, ed incrociate fra loro in modo da disegnare dei rombi. Questo strato appare formato da due, uno esterno in cui le fibrille sono più sottili e l’altro che è sotto a questo in cui le fibre sono più grosse. Il Meissner (1) considera le fibre come divise in sei campi longitudinali, corrispondenti a quelli che egli credeva esistes- sero nello strato esterno che egli chiamava epidermide. Le fibre secondo il Meissner in corrispondenza delle suture longitudinali dei campi si ripiegano su loro stesse. Io non ho mai potuto trovare in nessun esemplare di Mer- mis albicans nè di M. nigrescens nulla che potesse far credere all'esistenza delle disposizioni di struttura indicate dal Meissner. Siccome tuttavia anche il Dujardin (2) menziona qualcosa di ana- logo per l’estremità posteriore del Mermis nigrescens, volli esa- minare la cosa colla maggior cura possibile, il risultato fu, come DO (1) Opera citata, vol. V, tav. XI, fig. 2. (2) Opera citata, tav. 6, fig. 7, p. 137. 504 LORENZO CAMERANO già dissi sopra negativo. Credo che il Meissner ed il Dujardin siano stati tratti tutti in errore dal fatto che non raramente l’integumento presenta delle raggrinzature longitudinali che inducono nella dire- zione delle fibre un’apparenza analoga a quella indicata dai due Autori: è facile, o colla compressione del vetrino copri-oggetto o coll'isolare lo strato cutaneo, convincersi della cosa. Usando pal ingrandimenti molto forti ET imm omog. Zeiss ocul. 2, e 3) si scorge che le fibrille non costituiscono un filo a spirale con- tinuo: ma hanno un decorso più o meno lungo e poi si uniscono fra loro in modo variabile: le suture delle fibre si fanno senza regola in qualunque punto dell'animale. Le fibre che costituiscono i due strati in discorso sono rela- tivamente grandi e nello stesso strato non eguali fra loro in gros- sezza: negli esemplari da me esaminati lo strato esterno mi pre- sentò fibre più piccole di quello dello strato interno. Queste fibre 1 esaminate con ob. 79 ad immersione omog. e ocul. 3,4 Zeiss rei appaiono costituite da fasci di fibrille sottilissime. Questa struttura sì può rendere più evidente con una goccia di soluzione allun- gata di potassa. Il preparato deve essere esaminato dopo pochi minuti da che si è messo il reagente. Le fibrille si possono scorgere in questo modo così anche coll’ocul. F. Zeiss e coll’ocul. 3,4. si può dire adunque che le grosse fibre dello strato tegu- mentale dei Mermis sono formate da fasci di fibrille finissime. 3° Il tubo cartilagineo di Dujardin, Corium di Meissner, costituisce lo strato più spesso dell’integumento dei Mermzs. Il suo spessore varia nelle diverse parti dell’animale, come i due Autori ora nominati hanno già descritto. Questo strato risulta fatto dalla sopra posizione di molti strati concentrici. Il Dujardin crede possano essere anche trenta. Non è facile contare esattamente questi strati sia perchè essi sono molto sottili, sia sopratutto perchè si trovano intimamente fusi insieme. Nelle dilacerazioni dell’integumento si riesce a far di- staccare irregolarmente dei brani dello strato in discorso. I mar- gini di questi brani si presentano scalariformi e mostrano chia- ramente la loro struttura stratificata. Coll’azione della potassa, sì riesce dapprima a far apparire in esse delle linee spiccatamente parallele e molto ravvicinate che accennano ad una divisione ana- STRUTTURA DELL’'INTEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI 505 loga ai fasci che sono stati osservati nello strato fibrillare pre- cedentemente descritto, poscia appaiono strie molto più sottili che in alcuni tratti si mostrano incrociate. Io credo quindi che anche il Corium di Meissner sia da ri- tenersi costituito da una serie di strati con struttura fibrillare in cui, le fibrille fondamentali, se così possiamo chiamarle sono simili a quelle che formano gli strati più esterni dell’integumento. 4° Al disotto degli strati sopra enumerati se ne trova uno il quale nelle dilacerazioni rimane quasi sempre intimamente ade- rente allo strato muscolare. Si tratta di una membrana sottilis- sima la quale appare striata in direzione normale a quella che hanno le fibre muscolari. A primo aspetto si potrebbero consi- derare come fibre muscolari circolari: ma è facile convincersi che si tratta di una formazione cuticolare, Nei Mermis fra gli strati cuticolari ora descritti ed i mu- scoli non esiste alcun altro strato tegumentale: quindi manca intieramente lo strato cellulare, l’epidermide propriamente detta. I più giovani esemplari di Mermis albicans (lunghi un cen- timetro circa) che io ho potuto esaminare mi mostrarono l’inte- gumento già costituito nel modo sopra indicato. È indubitato tut- tavia che potendo esaminare individui sufficientemente giovani si riuscirebbe a vedervi uno strato cellulare epidermico. Nell’individuo adulto il residuo dello strato epidermico pro- priamente detto è d’uopo cercarlo nelle linee laterali le quali sono nei Mermis, come è noto, formate da cellule relativamente grandi, con grosso nucleo e che si colorano intensamente con tutti i coloranti in uso (Carmino alcoolico, boracico, picrico, col bruno di Bismark, ecc.). Negli strati cuticolari dei Mermis mancano totalmente le for- mazioni a croce che si trovano nei Gordii, e in moltissimi altri vermi, e quindi mancano pure i prolungamenti che attraversano gli strati stessi. L'integumento dei Mermis adulti è così costituito: 1° Manca lo strato cellulare epidermico o non si ha più che la parte cuticolare la quale da solo costituisce l’integumento. 2° La cuticula è molto spessa e può dividersi in vari strati i quali hanno strutture apparentemente diverse fra loro e si com- portano colla luce e coi reagenti un po’ diversamente fra loro. Tutta la cuticola a mio avviso deve essere considerata come co- stituita da straterelli molto sottili i quali possono dividersi in 506 LORENZO CAMERANO fibrille finissime. Questi strati si saldano intimamente insieme verso la parte esterna e costituiscono lo strato esterno della cuticola. Gli strati che seguono si uniscono pure insieme: ma i più esterni si dividono ai fasci e costituiscono gli strati fibrillari degli Autori. Nei Mermis le fibrille relativamente grosse degli strati fibril- lari non ci rappresentano una divisione fibrillare primaria; di uno strato solo cuticolare ma bensì una divisione secondaria di un certo numero di strati cuticolari a struttura fibrillare saldati, più o meno intimamente insieme. In qual modo si può spiegare la formazione della cuticola dei Mermis® Il quesito non è di facile soluzione. Qui non è ap- plicabile la spiegazione data dai Eisig (1) per la cuticola dei capitellidi poichè non solo non vi sono ghiandole cutanee, nè come tali si possono considerare le cellule delle linee laterali, ma le cellule epidermiche scompaiono totalmente risolvendosi nella cuti- cola stessa. Lo struttura dell’integumento dei Merm:?s viene a confermare quanto sostiene il Leydig intorno all'origine delle formazioni cu- ticulari (2) « Ueber die Art und Weise, wie ein Cuticularsaum in erster Anlage zu Stande Kommt, bemihte ich mich im Laufe der Zeit eine immer mehr bestimmnte Einsicht zu erhalten. So lange noch die Zellsubstanz als gleichartige, Kòrnchen einschlies- sende Masse galt, konnte ein Cuticularsaum auch nur einfach als Abscheidung der Matrixzellen genommen werden. Nachdem aber die Zellsubstanz eine morphologische Zusammenzetzung aus Spon- gioplasma und Hyaloplasma hatte erkennen lassen, erhob sich die Frage; geht die Cuticula bloss aus dem Hyaloplasma hervor, oder ist auch das Spongioplasma hieran betheiligt ? Ueber diesen schwie- rigen Punkt glaube ich so viel ermitteln zu kénnen, dass beide Substanzen des Zelleibes in Anspruch genommen werden, also so- wohl das protoplasmatische Schwammwerk, als auch die homogene Zwischensubstanz. Der Kopftteil der Matrixzellen kann im Ganzen zur Cuticula werden und in diesem Fall wiire zu folgern, dass man besagte Schicht nicht als Abscheidung schlechthlin auffassen diirfe, da ja ein Abschnitt des Zellkérpers in ihre Bildung ein- gegangen ist. Und es sei zur Wiirdigung des Vorstehenden noch (1) Opera citata. (2) Altes und Neues tiber Zellen und Gewebe. — Zool. Anzeig., vol. XI, N, 280, 1887, p. 276. STRUTTURA DELL’INTEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI 507 einmal an die Vorkommnisse erinnert, in denen selbst der ganze Zellkòrper zu cuticularisiren vermag. » Ascaris lombricoides. — La descrizione dell’integumento di questa specie o di specie affini venne fatta da parecchi Autori (1) e si trova in tutti i trattati di Zoologia e di Anatomia compa- rata (2). Confrontando queste descrizioni si vede che gli Autori sono tutt'altro che d’accordo fra loro. Io quindi ho ristudiato la strut- tura dell’Ascaris lombricoides e sono venuto alle conclusioni se- guenti : Procedendo dall’esterno verso l'interno si può isolare facil- mente mediante la macerazione più o meno prolungata nell’acido cromico allungatissimo o nell’alcool diluito ; un primo strato il quale esaminato, con ingrandimenti mediocri (oc. E. Zeiss. ob. 2), presenta delle striature trasversali limitanti come degli annelli. Questi non sono continui tutto intorno al corpo: ma qua e là si uniscono fra loro come nelle figure qui unite e come lo CUser- mak (3) e vari altri dopo di lui già indicarono. Se esaminiamo lo stesso strato con ingrandimenti fortissimi 1 (ob. Ta im. ocul. 8 Zeiss) dopo aver fatto agire su di esso per qualche tempo una soluzione allungata di potassa, allora si scor- gono delle finissime strie che indicano una struttura fibrillare : i margini degli anelli appaiono dentellati e rifrangenti: le strie si continuano pure negli spazi interannulari. Si vede chiaramente che la struttura annulare dello strato cuticulare esterno è dovuta puramente a pieghettature dello strato stesso. Ciò spiega le cosidette suture fra gli annelli: esse sareb- bero pieghe oblique dovute in gran parte a raggrinzature longi- tudinali della pelle. Non credo in conclusione che si possa parlare, nello strato cuticulare esterno dell’Ascaris lombricoides di strisce, o di an- {1) Per non citare che i principali ricordiamo: ScHNEIDER, Monographie der Nemaloden; CospoLp, Entozoa, Londra 1866; Bastian, Philos. Trans., Royal Society, vol 156, p. 545, 1865. (2) Nel recente Traité d’Anatomie comparée pratique, di Vogt e Yung, la descrizione dell’integumento di questa specie non è esatta. (3) Ueber den Bau und das optische Verhalten der Haut von Ascaris — lombricoides. Sitzungsb. Kais. Akad. Wiss, Wien. 4852, p. 756, fig. 1. 508 LORENZO CAMERANO nelli, di rubdans, come di elementi costitutivi. Il fatto citato da vari Autori, e facile a verificarsi, che cioè questi annelli si pos- sono isolare colla macerazione, si spiega facilmente dicendo che lo strato cuticulare esterno è meno resistente al fondo delle ri- piegature che non nelle parti sporgenti; la qual cosa, come noto, si verifica in qualsiasi integumento. Lo strato esterno cuticulare dell’ Ascaris lombrico:des risulta formato da strati sottili assai, avente struttura fibrillare finissima che si saldano fortemente insieme. Le numerose ripiegature della pelle gli dànno un aspetto annellato. Gli annelli hanno i mar- gini dentellati e rifrangenti per lo sporgere dei fasci di fibrille; il che è causato dallo stesso ripiegarsi degli strati. Fra le ripiegature si osservano spesso dei granuli più o meno voluminosi rifrangenti: essi resistono all’azione degli acidi e degli alcali e mi paiono di natura analoga agli strati cuticulari; essi sono simili a quelli che in molto maggior numero si incontrano sugli strati cuticulari esterni dei Gordius e di altri vermi. Al disotto dello strato cuticolare esterno si osserva uno strato formato da fibre incrociate in modo da costituire dei rombi. Colla dilacerazione è facile vedere che questo strato è costituito da due, ciascuno dei quali ha fibre disposte in una sola direzione. Con in- grandimenti mediocri (ob. £. ocul 3, Zeiss) le fibre appaiono rela- tivamente grosse e di diametro variabile. Nelle dilacerazioni esse si separano le une dalle altre in fasci irregolari e si presentano come ondulate. Colorando il preparato con carmino alcoolico di Mayer l’aspetto ondulato viene reso spiccatissimo. Le ondulazioni corrispondono agli annelli o per meglio dire alle ripiegature tras- versali dello strato cuticolare esterno come fa vedere la figura qui unita. Le ondulazioni sono prodotte da ripiegature trasver- sali dell’integumento. Con ingrandimenti forti (ob. im. ocul, 4 Zeiss.) in pre- 2 parati sottoposti all’azione della potassa, sì scorge che le fibre sopra indicate sono esse pure costituite da fasci di fibrille sottilissime. A] disotto degli strati con fibre più grosse viene uno strato di spessore variabile nei vari punti dell'animale, che si presenta appa- rentemente omogeneo. Esaminato in preparati ben macerati e con ingrandimenti convenientemente forti, è facile convincersi che esso pure è formato da una serie di strati sottilissimi sovrapposti e sal- dati insieme i quali hanno la solita struttura fibrillare incrociata, STRUTTURA DELL'INTEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI ,509 Negli strati cuticolari dell’Ascaris lombricoides non esistono le così dette formazioni a croce, nè prolungamenti che li attra- versino. Sotto agli strati cuticolari ora descritti sì trova l'epidermide propriamente detta che venne già descritta minutamente da vari Autori (1). Negli esemplari di Ascaris lombricoides, da me esaminati, non ho trovato traccia di cellule a contorni netti, ma solo una sostanza granulosa con granuli di varie dimensioni, alcuni molto rifrangenti e che non si coloriscono coi carmini, e qua e là alcuni corpiciuoli di dimensioni pure variabili, ora rotondeggianti, ora allungati che si coloriscono intensamente coi carmini e cogli altri coloranti nucleari. Si tratta qui di nuclei residui di uno strato cellulare epider- mico. Nella massa granulosa circondante i nuclei ora indicati si osserva anche una struttura fibrosa, ma irregolare, come una sorta di trabecole intrecciate: colorando le sezioni colla soluzione di Cocciniglia di Mayer sono riuscito a mettere ripetutamente in evidenza questa struttura. Nei rigonfiamenti delle linee laterali nelle quali troviamo come un infossamento dell’epidermide e di una parte delle formazioni cuticolari è facile osservare le stesse cose. Hedruris androphora Nitzsch. L’anatomia di questa specie curiosissima e rara (2) venne studiata dal Molin (3). Questo autore non si occupò tuttavia che dell’anatomia macroscopica. Più tardi E. Perrier (4) studiò l’anatomia dell’ Hedruris armata occu- pandosi anche in parte della struttura istologica. Per quanto riguarda la struttura intima della cuticola il Perrier dice: « Dans les deux sexes, la cuticule d’un bout à l’autre du corps présente des stries fines très-distinctes. » Dujardin n'a (1) Vedasi anche a questo riguardo: Lewpia, Zelle und Gewebe. Bonn 1905 p. 67. (2) Debbo gli esemplari che mi servirono per questo studio al Profes- sore Frizzi di Perugia, il quale li trovò parassiti nel canale digerente di Triton cristatus. (3) Prodromus Faunae Helminihologicae Venetae — Denksch. d. ma- them. naturw. Wien. 1861, p. 292, tav. X, fig. 3, 5, 6, 7,8, 19. (4) Recherches sur l’orgonisation d'un Nematoide nouveau du genre Hedruris. — Nouvelles Archives du Muséum d’Hist. Nat. de Paris, vol. 7, 1871, p. 5 e seg., tav. le IL 510 LORENZO CAMERANO pas vu de stries sur la cuticule de l’H. androphora, et le dit formellement : le docteur Molin et Schneider n’en font pas mention non plus dans leur description de cette espèce, la plus petite du genre celle par conséquent où elles peuvent le plus facilement échapper à l’attention: dans son MH. siredonis Baird mentionne au contraire des stries très-distinctes. Il est probable qu’ elles existent chez les trois espèces. Chez le màle dans toute la lon- gueur du corps ces stries présentent le mème caractère; il n’en est pas ainsi chez la femelle. Là, en effet, la bourse caudale est couverte de stries beaucoup plus fines que celles du corps, et la cuticole est parsemée de petites taches irrégulières, opaques. » Negli esemplari di Hedruris androphora da me studiati l’inte- gumento si presenta così costituito. Lo stato cuticulare è spesso ed ha la sua superficie esterna spiccatamente striata traversalmente (per essere più esatti le strie sono un po’ oblique rispetto all'asse longitudinale del corpo). Queste strie corrispondono a quelle che si osservano nell’Ascaris lombricoides e di cui già si è detto. Esse si biforcano in alcuni punti, in altri si intrecciano: ma tuttociò senza regolarità. Esaminando queste strie con un ingrandimento molto forte (ob. 1, Zeiss oc. 4) dopo che su di esse si è fatto agire una goccia di soluzione concentrata di Potassa, sì vede che nei solchi e precisamente sui margini delle strie appaiono dei granelli molto rifrangenti e si vede pure apparire una sorta di finissima stria- tura longitudinale simile a quella che ho già descritto per l’ Ascarzs lombricoides. Dilacerando lo strato cuticulare si può riconoscere che esso è formato da straterelli sovrapposti, sottilissimi e fortemente uniti insieme. Nei preparati con soluzione di potassa si possono scor- gere sui pezzi dilacerati traccie di divisione in fibrille le quali hanno la solita direzione inclinata rispetto all'asse del corpo che si suole osservare in altri Nematodi. In complesso la cuticola dell’Hedruris androphora è costi- tuita da una serie numerosa di straterelli sopra posti e fusi più o meno intimamente insieme. Gli strati più esterni si raggrin- zano trasversalmente e danno luogo alla striatura esterna del- l’integumento, facilmente osservabile. Gli strati più interni formano una massa più o meno omogenea nei quali è appena accennata la divisione in fasci di fibrille. Al disotto dello strato cuticulare prima dei muscoli, non ho STRUTTURA DELL'INTEGUMENTO DI ALCUNI NEMATELMINTI 511 trovato, anche nei preparati in cui la colorazione con carmino alcoolico, o boracico, o picrico, era meglio riuscita, nessuna traccia di epidermide propriamente detta. A questo riguardo l' He- druris androphora sì avvicina ai Mermis. Mancano anche le formazioni a croce. L’acido solforico in soluzione concentrata a freddo non intacca nè lo strato esterno nè gli interni della cuticula: mentre scioglie abbastanza rapidamente l'involucro spesso e bruniccio delle uova. Nell’Hedruris androphora V involucro cuticolare sebbene non molto spesso è tuttavia molto resistente all’azione degli acidi e degli alcali, forse per protezione contro i succhi digestivi del canal digerente dell’ospite in cui si sviluppa. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Ascaris lombricoides. Fia. 1. Due piegature dello strato cuticulare esterno le quali mostrano la loro struttura fibrillare — trattate con soluzione allungata di Potassa — ob. }, imm. omog. Zeiss. ocul. 8). » 2. Strato cuticolare esterno (a) e strati cuticulari fibrillari sottostanti (0) i quali sono disposti colle fibre incro- ciate e sono nello stesso tempo pieghettati trasver- salmente (c) (macerazione in acido cromico allunga- tissimo ob. C. — Zeiss, ocul. 2). » 8. Porzione di strato fibrillare (0) della figura precedente in cui le fibre sono riunite a fasci irregolari e ondu- late (preparazione come nella fig. precedente ob. /. Zeiss. ocul. 3). » 4e 5. Pieghettature dello strato cuticulare esterno con suture apparenti (a). Mermis albicans. Fic. 6. Strato cuticulare esterno costituito di vari straterelli finissimemente striati (trattato con soluzione allungata di potassa — ob. }, imm. omog. ocul. 3. Zeiss). » 7. 8. Strati cuticulari sottostanti allo strato esterno (a) i quali appaiono divisi in grosse fibre di varia dimen- sione (0) (preparazione come nella figura precedente ob. F. Zeiss. ocul. 2). 012 tre LORENZO CAMERANO ©) . Una fibra dello strato d fig. 7 e 8 molto ingrandita per mostrare la sua costituzione fibrillare (ob. !/,, imm. omog. Zeiss. ocul. 4). 10. a — Strato cuticulare interno che si trova sopra i mu- scoli colle sue raggrinzature disposte trasversalmente alla direzione delle fibre muscolari d (ob. !/,, imm. omog. Zeiss. ocul.. 4). 11. Hedruris androphora. Strato cuticolare esterno pie- ghettato e colle apparenti suture (ob. }4, imm. omog. Zeiss. oc. 4). 12. Eustrongylus gigas. Strato esterno cuticolare con piegature trasversali e con struttura a fibre tra- sversali (a). Questo strato è costituito da vari stra- terelli sovrapposti (0). Strato di fibrille finissime sottostanti (preparazioni con soluzione allungata di potassa ob. F. ocul. 2. Zeiss). Gordius Villoti. 183. Strati fibrillari tenuti per alcuni minuti nell’acqua di Javelle — La strato «a è più interno: le fibrille di questo si contorcono sotto l’azione del reagente, mentre sono ancora inalterate quelle dello strato più esterno D. 14 e 15. Le fibrille sotto l’azione più prolungata dell’acqua di Javelle si contorcono avvolgendosi fra loro a fasci. 16 e 17. Strati fibrillari trattati con acido solforico a freddo in soluzione concentrata. L'azione del reagente comincia negli strati più interni a; in questi le fibrille si riuniscono irregolarmente a fasci e in parte si rompono. 18. Due fibrille che sotto l’azione dell’acido solforico si avvolgono l’una sull'altra a spirale (ob. F, Zeiss. ocul. 3). 19 e 20. Fibrille avvolte l’una sull’altra a spirale e rigon- fiate per l’azione dell’acido solforico ('/, imm. ocul. 3 Zeiss). 21. Strati fibrillari tenuti in macerazione nell’ acqua per oltre un anno e trattati per qualche minuto con acido acetico concentrato: le fibrille sotto l’azione del rea- gente sì contorcono rapidamente e si spezzano. id L.Camerano dis. dal vero. e L'azione del caldo e del freddo sui vasi sanquigni ; Nota prima del Dott. UcoLIino Mosso La temperatura degli animali omeotermi si mantiene costante con differenti meccanismi, che funzionano in modo automatico. Per lottare contro il freddo i nervi sensibili della pelle avvertono i centri nervosi, perchè aumentino l’intensità dei processi chimici nei tessuti, oppure fanno costringere i vasi alla superficie del corpo in modo da diminuire la perdita di calore. Quando si tratta di lottare contro il caldo, gli apparecchi regolatori sono più com- plessi, aumenta la frequenza dei movimenti respiratori, cresce l’escrezione del sudore e si dilatano i vasi alla superficie del corpo. L'esperienza dimostra che tutti questi congegni della regolazione automatica funzionano assai incompletamente, e nella febbre non funzionano punto. Gli studi più recenti sul processo della febbre tendono, se - condo la dottrina di Traube, a dare un’ influenza sempre mag- giore alla scemata dispersione del calorico. Sono note a questo riguardo le ricerche di E. Maragliano (1) il quale trovò che nella invasione della febbre la temperatura cresce quanto più i vasi si costringono e che nell’acme della temperatura i vasi sanguigni sono contratti al loro massimo. Queste osservazioni hanno una grande importanza, anche per la terapeutica , poichè ora è generale la tendenza di attribuire l’azione antipiretica di molti farmaci unicamente all’azione che esercitano sui vasi. Il che a parer mio è una esagerazione. Anche per coloro che ammettono consistere la febbre in un disturbo del centro vasomotorio, tornerà interessante di veder studiato con esattezza il modo di comportarsi dei vasi sanguigni sotto l’ in- fluenza del caldo e del freddo, di conoscere con precisione i li- (1) E. MaragLiIano, Archives italiennes de Biologie, XI, p. 195, 54 UGOLINO MOSSO miti nei quali può funzionare questo apparecchio regolatore e vedere separata la regolazione che dipende dai centri nervosi, da quella prodotta dai vasi per l’azione locale del freddo e del caldo indipendentemente dai centri nervosi. In questa prima Memoria esporrò il metodo che seguii nelle ricerche e le esperienze che feci sull'uomo sano per conoscere l’azione locale del freddo e del caldo. Parlerò in altra Nota delle esperienze che sto facendo sull'uomo durante gli accessi febbrili, e studierò in ultimo i riflessi vasali, ossia l’azione regolatrice di origine centrale. Che il freddo e il caldo applicati sulla pelle producano en- trambi una dilatazione dei vasi sanguigni, è un fatto noto, che si vede ad occhio nudo ; ma è la misura di questo fenomeno che ci manca, cioè il valore del cambiamento del calibro dei vasi per differenti gradi di temperatura, la durata e l'intensità della contrazione o della dilatazione; ed è la natura di questi feno- meni che ci preme di conoscere per sapere se dobbiamo attri- buirli ad una paralisi, o ad una dilatazione attiva prodotta dai centri nervosi. Per risolvere graficamente questi problemi mi sono servito di un apparecchio costrutto da mio fratello: esso consta di un cilindro di vetro A. C. D. (fig. 1) come quelli del pletismo- grafo. Si introduce dentro l’antibraccio e si chiude bene con mastice da vetrai rammollito, oppure con un manicotto di gomma elastica, che non comprima troppo la pelle in modo da recare disturbo alla circolazione venosa. Riempito tutto l’ apparecchio di acqua tiepida si tratta di cambiare a volontà la temperatura dell’acqua nella quale sta immerso l’antibraccio senza essere ob- bligati di levarla, di muovere o di svotare l'apparecchio. I tentativi fatti ripetutamente per riscaldare, o raffreddare dall’esterno l’acqua nella quale è immerso il braccio, fallirono. L'acqua è così cattiva conduttrice del calore, che la tempera- tura non si distribuisce con abbastanza uniformità e bisogna per- dere un tempo lunghissimo per raffreddarla. Per riscaldarla le difficoltà sono anche maggiori, perchè l’antibraccio tocca in varii punti il tubo di vetro, e quando si tratta di raggiungere le tem - perature elevate di 45° o 50°, non è possibile evitare il dolore; ciò che disturba l’esperienza. Per eliminare questi inconvenienti, e cambiare rapidamente la temperatura dell’acqua nella quale è immerso l'antibraccio , L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI olo e che deve pure servire (essendo in comunicazione col pletismo- grafo) a scrivere e misurare ìl cambiamento di stato dei vasi, mio fratello mi suggerì di servirmi di un'elica come quella che è rappresentata in H nella figura. Un asse centrale di ottone porta un'elica, che fa poco più di un giro intorno ad esso. Il coperchio si chiude a vite ed è lavorato in modo che l’asse gira nel suo centro senza che possa uscire l’acqua dall’interno del tubo. Una puleggia messa in moto serve per mezzo di una fune ad imprimere un rapido movimento all’asse centrale dell’elica. Generalmente mi servivo del motore a gas Langen e Wolf che esiste nel laboratorio di Fisiologia per Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. 38 516 UGOLINO MOSSO far girare quest’elica, ma può servire anche una ruota a mano con scanalatura e trasmissione. La rimanente parte dell'apparecchio è costituita da un ser- pentino fatto con un tubo di ottone, ed un recipiente di rame che si riempie con ghiaccio, o che può riscaldarsi con una lam- pada secondo che si vuol raffreddare o riscaldare l’acqua nel tubo del pletismografo. Guardando la figura si comprende facil- mente come funzioni l’ apparecchio. Quando l’elica gira l’acqua passa dallo spazio che circonda il braccio nel serpentino. Cir- colando in questo si riscalda o si raffredda, poi attraversa l'elica ed entra nel cilindro dall'apertura anteriore D. Un piccolo termometro che non ho disegnato e che mettevo nel cilindro vicino alla mano indica la temperatura dell’acqua. L'apertura C mette in comunicazione l’acqua in cui sta immerso l’antibraccio col cilindretto galleggiante N del pletismografo. Il contrappeso @ scrive sopra un cilindro rotante, il qual fa un giro ad ogni ora. Se si riempie bene l’apparecchio in modo che sia scacciata tutta l’aria e se l’acqua che deve avere la tem- peratura di circa 30° venne preventivamente bollita, l’apparec- chio funziona con tale esattezza, che anche facendo girare rapi- dissimamente l’elica in modo da produrre una rapida corrente nel cilindro, non si muove il livello del liquido nel cilindretto galleggiante N del pletismografo. Nel dare i risultati delle mie esperienze non ho creduto utile correggere l’errore dovuto alle variazioni di volume per l'aumento che subisce l’acqua dell’ap- parecchio portato a diverse temperature, perchè l’errore che si commette è trascurabile di fronte alle variazioni che presenta il volume dell’ antibraccio , e la correzione per la dilatazione dell’acqua può facilmente correggersi quando si voglia (1). Per distinguere in questi esperimenti la parte dei fenomeni vasali che era dovuta ad un’ azione riflessa da quella locale, (1) Nella seguente esperienza che riferisco, l'apparecchio conteneva 1350 centimetri cubici d’acqua. Facendo il calcolo si vede che raffreddando l’acqua da 32° a 4° il volume diminuisce di 6 c. c.; di 4 c. c. se solo a 20°: invece il volume aumenta di 4 c. c. se si riscalda fino a 40°, di 7 c. c. se a 45°, di 10 c. c. se a 50°, Siccome le variazioni che noi verremo studiando sono assai grandi, tanto che hanno raggiunto 112 c. c. non può nascere dubbio che siano dovute alla dilatazione dell’acqua. L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI 517 ebbi l'avvertenza di scrivere contemporaneamente le variazioni di volume che presentava il braccio che non era sottoposto al- l’azione locale del freddo e del caldo. I. G. PassERINI studente in medicina, di anni 22, introdotto il braccio sinistro nel cilindro, si chiude con mastice e si riempie con acqua a 30°. Osservo per 4 minuti e vedo che il volume dell’antibraccio rimane costante alla divisione 56 del cilindretto graduato del pletismografo. Alle 2,57 messa in movimento l’elica per far agire il freddo sull’antibraccio, succede subito una forte contrazione dei vasi sanguigni come si vede nella tabella prima (pag. seg.). Giudicando da altre esperienze in cui misurai il cambia- mento di volume del braccio sul quale non agiva il freddo, posso dire che la vera contrazione dei vasi, dovuta all’azione lo- cale del freddo sulla pelle, comincia quando la temperatura rag- giunge circa 10°. In questo caso vediamo che per un grado da 11° a 10° l’antibraccio diminuisce di circa 16 cent. cubici. La prima diminuzione che si osserva in questa esperienza, appena viene messa in movimento l’elica e penetra una corrente di acqua che aveva attraversato il serpentino immerso nel ghiaccio, è dovuta ad una costrizione vasale di origine riflessa, perchè lo si vede sempre anche nel braccio opposto quantunque meno forte. Prolungando l’azione locale del freddo che si fa scendere fino a 6°,8, il restringimento dei vasi diviene più lento, e poi il braccio si arrossa e dopo 3 o 4 minuti succede la dilatazione dei vasi che segna la paralisi da freddo. Guardando attentamente il colore della pelle ho confermato spesse volte questo fatto che si vede prima il cambiamento di colore e dopo l’ aumento di volume dell’antibraccio. Questo fenomeno lo spiego ammettendo che succeda una paralisi delle piccole vene e delle piccole ar- terie più superficiali mentre continua il restringimento dei vasi negli strati profondi. Vi sarebbe così un momento nel quale la pelle è già rossa alla superficie, mentre il volume continua a diminuire o rimane stazionario: e dopo 3 o 4 minuti la paralisi prevale e la dilatazione fa aumentare il volume del braccio. 518 Tempo ore UGOLINO MOSSO EsPERIENZA I. — (G. PAssERINI. — 11 Gennaso. Temperatura dell’acqua diviso in c. c. Tubo del Pletismografo Temperatura ambiente 16°. ini = fi 553 Tempo| # 3 OSSERVAZIONI Di ai ore E 5 Sap Azione del freddo. Si mettein movimento l’ee lica che fa passare l'a- qua del serpentino im- merso nel ghiaccio. 33 | 29 94 35 | 345 | 36 | 43 | 44 38 | 45 45 4 3951 46 | L'avambraccio è divenuto 46 2 | Dopoinia da paralisi 40 | 466) 47 2 | 4 |474° Si arresta il movimento | 47 cia subite' dopo la cico=||: 1 42.| 458 lazione di acqua calda | La pelle è livida con pic- || 44 cole chiazze ISO 4 | 43 45 | 48 4 410 Tubo del Pletismografo diviso in c. c. OSSERVAZIONI Formicolìo dell’arto. L’avambraccio è divenuto meno rosso. L’avambraccio ha ripreso il suo colore nalurale. La mano diventa rossa. Forte formicolio. La mano ed il braccio sono più rossi di prima. Cessa la circolazione di acqua calda. | Facendo alcune profotde inspirazioni il volume dell’ antibraccio non cambia che di 1 c. c., Il braccio ha ricuperato il volume primitivo, L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI 519 Se in questo momento (ore 3,21) si fa cessare l’azione del- l’acqua fredda e si fa cominciare l’azione del caldo, i vasi si contraggono nuovamente. In 5'ilvolume si riduce di 8 a 9 c. c. Continuando a crescere la temperatura da 9° a 25° il vo- lume dell’antibraccio presenta appena un aumento di 3 o 4 c.c. A 26° succede improvvisamente una dilatazione dei vasi di 12 c.c. in 4. Da 34° a 44° vi fu un aumento del volume di 30 c. c. in 3'. La temperatura rimase 4' fra 45° e 47° ed ha pro- dotto un aumento di 31 c.c. Poi il volume continuò ad au- mentare di 10 c.c. malgrado la temperatura diminuisse. L’essere il volume ritornato allo stato di prima alle ore 4,10 prova che in questa esperienza i disturbi vasali furono passeg- geri, ed è sorprendente la rapidità della dilatazione dei vasi; in 1l' il braccio aumentò di 83 c. c. II. Se invece di raffreddare prima l’antibraccio e poi riscaldarlo, facciamo l'inverso e non sono molto intense le temperature estreme, i fatti che abbiamo osservato nella esperienza precedente si ri- producono con leggere variazioni, come si vede nel tracciato della Tavola I. Questa esperienza venne fatta sopra il signor dottore C. Negro, d'anni 25. Il caldo e il freddo agirono sul braccio sinistro e l’esperienza ebbe il decorso indicato dalle freccie. Il tempo è segnato sulla curva pletismografica. Temperatura ambiente 18°, In questa esperienza il primo effetto del caldo produce una contrazione dei vasi per azione riflessa. Infatti dalle ore 4,5' che cominciò l’osservazione, alle 4,10 si ebbe il restringimento di solo 1 c.c., ma appena si mette in moto l’elica, subito suc- cede una diminuzione di volume maggiore di 10 c.c. Dopo questo primo effetto riflesso e psichico compare la dilatazione per azione locale del caldo mentre il termometro segna 32°. Per un aumento di 13° succede in meno d’un quarto d’ora un aumento di 28 c.c. Alle ore 4,32 per provare lo stato di elasticità dei vasi sanguigni si prega il dott. Negro di fare tre profonde inspira- zioni e si osserva una diminuzione nel volume. Alle ore 4,36 quando la temperatura ha raggiunto il suo massimo di 49° cessa la circolazione, e dopo 4' la temperatura si era abbassata di 3°, ma il volume era ancora aumentato di altri 5 c. c. Alle ore 4,40, dopo 4 minuti di riposo comincia la circola- 520 UGOLINO MOSSO zione di acqua fredda e si osserva che i vasi sono bene eccitabili perchè il volume del braccio diminuisce subito. Il raffreddamento dell’acqua e la diminuzione del volume succedono rapidamente (47 c.c. in 22). Alle ore 5,5 la temperatura ha raggiunto il suo massimo di 5°,6. Ma il volume non crebbe continuamente, esso restò stazionario per gli ultimi cinque minuti malgrado la temperatura diminuisse ancora di due gradi nello stesso tempo. Il contatto dell’acqua fredda riuscendo doloroso si sospende il movimento dell’elica. In questo momento compare la paralisi dei vasi pel freddo. Il termometro segna 6°,5. Circa due gradi meno dell’ esperienza precedente fatta nello studente Passerini. Alle” 5,9' si fa circolare acqua calda. Il passaggio della temperatura da 10° a 34° fa aumentare di solo 4 c.c. in 6'. È interessante che a 33° cioè presso a poco alla stessa temperatura di prima succede una paralisi notevole dei vasi. Questa coincidenza non è accidentale; ripetendo un grande numero di volte queste espe- rienze si trova che una determinata temperatura produce sempre la paralisi dei vasi nella medesima persona. Ma il grado di temperatura che produce la paralisi, e il tempo che è necessario per produrla varia fra una persona e l’altra. E questo non di- pende solo dalle differenti abitudini e dallo stato diverso della pelle; ma anche persone in apparenza molto simili per costituzione , età e genere di vita come, per esempio il dott. Passerini e il dott. Negro presentarono delle variazioni sensibili. A 48° mentre vi è un rapido aumento di volume cessa la circolazione di acqua calda perchè produce dolore. L'arrivo di acqua fredda fa diminuire il volume del braccio, ed alle 5,36, pochi minuti dopo, aveva ricuperato pressa poco il volume pri- mitivo. La differenza di pochi centimetri cubici rappresenta la paralisi dei vasi. III. Se invece di una moderata azione del calore noi produ- ciamo un’azione più intensa, i fenomeni di paralisi dei vasi riescono assai più spiccati. Non tutti riescono a sopportare una temperatura dell’acqua di 48°-50° per 10 o 15 minuti, e neppure un’azione prolungata del freddo a 5°-6°. A questo scopo ho fatto sopra di me la seguente esperienza nelle stesse condizioni delle precedenti (vedi Tavola II), dopo di aver introdotto il braccio destro nell’apparecchio. In questa esperienza il volume dell’antibraccio rimane inva- L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI 521 riato fino verso i 84 ; da questo punto il volume cresce rapi- damente col crescere della temperatura. L'arrivo di acqua calda nel cilindro cessa quando questa aveva toccato i 50°,2 (mas- simo raggiunto in queste esperienze) ed il volume del braccio continua ad aumentare di 4 c.c. Il successivo raffreddamento dell’acqua rimane senza effetto sull’avambraccio, questo conserva quasi invariato il suo volume per 12 minuti malgrado un no- tevole abbassamento della temperatura (17°). Il colore della pelle era divenuto rosso vivo. È solamente verso i 31° alle ore 4,53 che l’avambraccio comincia a subire l’azione del freddo ed in 29' ha raggiunto il suo volume minimo, con una diminuzione di 31 c.c. Da questo momento agisce sul braccio per 32' (ore 5,20-5,52) un freddo da 7° a 4°,8; il minimo delle tempera- ture raggiunte ed il massimo della durata del freddo: e non si è osservata alcuna diminuzione nel volume del braccio. Si ebbe invece un rapido aumento di 10 c. c. per una subitanea paralisi dei vasi; in seguito compaiono successivi aumenti e diminuzioni fra limiti ristretti (7 c.c.) ed il primitivo restringimento non si è più osservato, malgrado il freddo molto intenso. Queste oscilla- zioni nel volume potrebbero spiegarsi ammettendo l’avvicendarsi di paralisi venose e costrizioni arteriose negli strati più profondi. Dopo questa notevole paralisi da freddo l’azione di una cor- rente di acqua calda non ha modificato che leggermente il vo- lume del braccio. Ma i vasi erano già così indeboliti per le due paralisi antecedenti che avevano perduto la resistenza all’azione del caldo: infatti basta già una temperatura di 30°-40° per produrre un forte aumento nel volume del braccio, un aumento più grande di quello che nello stato normale avesse prodotto una temperatura di 40°-50°. La paralisi dei vasi fu tanto con- siderevole che il braccio continuò a dolermi per due ore; ed alle 10 di sera il braccio non aveva ancora ricuperato il colore na- turale. L'aumento di volume nella prima paralisi fu di 35 c.c. per il raffreddamento diminuì di 38 c. c. e per l’azione del caldo aumentò nuovamente di 55 c.c., che rappresenta un aumento corrispondente ad '/,, del volume del mio braccio (1200 c.c.). IV. Abbiamo studiato come si comportano i vasi san- guigni quando passano gradatamente per diverse temperature, dobbiamo ora studiare ciò che succede quando per determinate temperature si prolunga l’azione per una mezz'ora, cioè dobbiamo 522 UGOLINO MOSSO cercare di quanto una data temperatura è capace di aumentare il volume dell’antibraccio. Vedremo che il tempo è uno dei fat- tori più importanti, e che quanto più a lungo dura l’azione del caldo, altrettanto maggiore diventa la paralisi e l’accumulo del sangue nell’antibraccio. Il che è assai importante per la fisio- logia dei vasi sanguigni. Di questa esperienza invece della curva riferisco i dati numerici (vedi la tabella a pag. seg.). Essa venne fatta sul braccio sinistro del dott. V. Grandis, nelle stesse con- dizioni delle altre esperienze. L'esperienza è incominciata alle ore 2.36 e noi vediamo subito ripetersi il fatto che una temperatura inferiore ai 34° non fa aumentare, ma fa diminuire il volume dell’ antibraccio per una azione riflessa. 1. Una temperatura di 25°-27° che agisca sul braccio per mezz'ora produce un restringimento dei vasi di 16 c.c. È notevole il fatto di una grande variazione per un fatto psichico il che di- mostra una squisita sensibilità dei vasi e che l'apparecchio fun- ziona bene. 2. In cinque minuti (ore 3,6) si porta la temperatura a 35°-36°: nei primi quattro minuti non si osserva alcuna varia- zione notevole nel volume, a 34° il volume comincia coll’aumentare ed in tempi successivi di 5' si ebbero le seguenti variazioni nel volume dell’antibraccio 14 c.c., 9c.c., 7c.c., 4c.c., 1ce.c.: cioè 35 c.c. in 26'. 3. In un minuto (ore 3,36) la temperatura ha raggiunto i 45° e per 5 minuti successivi il volume è aumentato di 18 c.c. 13... , (Ll-c,c.., LO C.0.,. 9 C.C. 0.0.6, €100. 6070. a È notevole il fatto che a 3.38'la mano era divenuta rossa e l’aumento di volume non compare che poco dopo. 4. Alle ore 4,8' si incomincia a raffreddare l’acqua e dopo 8 minuti la temperatura è diminuita di 10°; ma non si os- serva assolutamente alcuna variazione nel volume in causa della paralisi. Si diminuisce ancora di due gradi la temperatura ed il volume rimane quasi invariato fino alla temp. di 34°. Durante questa mezz’ora si osservano le variazioni seguenti nel volume ogni. 5 minuti successivi: 0.c.c.,: 0.c..c.,,:0.c.c.,.7,—. dl biceae — 3,5 c.c. — 7 c.c. Cioè una diminuzione del volume di 12 c.c. in. 30" L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI EsPERIENZA IV. — V. GRANDIS. — Temperatura ambiente 15°. = "Si E 26° | 45 %6 125 25 10 % 10 2 | 8 26 7 26 5 26 65 dr 8 26 0 26 1 25 1 25 0 sis 254 | 1 256|—-2 6-2 2 MM E olii ZU 3 85 9 35 TT 37 45 36 47 358| 45 36 18 362| 21 36 | 23 36. | 56 36 28 36 | 30 358| 32 36 | 34 OSSERVAZIONI 1° Circola acqua tiepida. Questa forte diminuzione è prodotta da emozione avendogli il professore fallo una domanda. 2° Si fa circolare acqua più calda. Accusa un senso di pres- sione alla mano. 11 12 Temperatura dell’ acqua 46 8 45 6 45 4 | 45 8 45 8 46 2 45 6 45 4 43 8 Acqua nel cilindretto inc. c. VI DI Sì a dI Ù vo È © 5289 16 Gennaso. OSSERVAZIONI 30 Si fa circolare acqua più calda. La mano in breve tempo è divenuta rossa. Tutto il braccio è arros- sato. Crampo incipiente, vene gonfie. Si vede il polso rinforzato nel pletismografo. Dolore alle dita. Il braccio è rosso, pare tumefatto. Cessato ogni dolore. Senso di calore per tutto il corpo e specialmente alla faccia. Mano destra umida, orec- chie arrossate. 4° Si eomincia a raffred- dare. 524 UGOLINO MOSSO Segue EspERIENZA IV. SE tea | Sed dl hl RUEo It Ore RI de Ts Ss OSSERVAZIONI Ore SALI S=° OSSERVAZIONI es SULIE le ce PE) rai = SASA] JU 4h13/| 380 105 5h17/| 16° 48 Comincia la pelle d'oca. 14 | 36 105 18 | 15 48 17|85 | 106 | 19| 15 |50 18! 34 | 105 | 21 |46. | 28 19135 | 106 |Lbras: |MS a 24 | 36 2 | 105 26 | 16 47 Pelle d'oca evidente. 26 | 34 6 104 27 14 48 Cianotico il pugnetto e cd | l’avambraccio nel terzo 98. 95 103 5 | 98 | 15 47 inferiore, rosso nei due | terzi superiori. 20635 102 {2046 47 32 enna] a100 30 | 14 46 34 | 35 96 32 411.5 47 3a 95 33 | 15. | 46 7.| 350 |1.93 | 34|16 | 46 5° Si raffredda di più. 36 16 46 38 | 31 89 38 | 145 |45 441 | 30 85 7° Si raffredda di altri 42 30 84 40 46 4 10 gradi. 43 | 29 80 MA |Ak |45 45 | 28 76 43 | 130% 43 49 | 25 74 Leggiera cianosi allamano 46 | 12 40 52 | 26 69 ERRO è sempre | 49 | 12 4A 84 | 24 65 | 50/41 |44 55 | 26 63 54 10 40 5 SEnRRONE di freddo in- 77 26 60 | 5 56 10 12 tenso alla mano. 5 —- | 25 60 59 98/43 Non ni aa di più 2| 26 97 gio oil tensa 1a Seca Anni 4|25. | 54 olona Dr 5| 24 D4 4 95% 42050 fu una 1a giera Media 726 55 prob A RO 6° Si raffredda di altri 5 98/44 10 gradi. 10 | 21 54 6 | 10 46 124] 21 49 Ga 10 45 1320 49° 9 | 10 45 Il braccio è molto rosso | e dolente. L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI 525 5. La temperatura fu portata a 25° e dopo 30 minuti si os- servarono i seguenti cambiamenti di volume per ogni 5' successivi. iuciele — Ie.e, — 6e:e—b 00 —3.0.04 2,00 lo una diminuzione del volume di 38 c.c. in 30°. 6. Ore 5,7. Si continua ancora a raffreddare e dopo 11 minuti la temperatura è già a 15°. Per questa variazione di tem- peratura si osservano i seguenti cambiamenti di volume Eamieie. = Vici —1 esci. c0-L06-— tei gd: 10 e, e: in meno. 7. Un ulteriore abbassamento della temperatura di 10° non modifica più il volume del braccio: succede bensì una dimi- nuzione ma la temperatura di 9° a 10° produce già una paralisi da freddo ed il volume del braccio comincia ad aumentare. Questa esperienza ci dimostra: che il massimo aumento (67 c. c.) venne prodotto da una temperatura di 45°. Che una temperatura di 45° a 46° (che ha agito per una mezz’ ora) ha prodotto gli stessi effetti che io avevo provato per l’azione di una temperatura fugace di 50°, 2; anzi nel mio caso la paralisi fu anche maggiore. | Che per l’azione del caldo il volume aumentò di 107 c.c. e per quella del freddo diminuì di 66 c.c. I 41 c.c. di differenza rappresentano la grandezza della paralisi finale dei vasi. V. Per eliminare il dubbio che la dilatazione dei vasi la quale comparisce fra 5° e 6° e verso i 34° fosse un fenomeno do- vuto all’azione dei nervi vaso-dilatatori, ho provato a ripetere queste esperienze sui reni di cane appena estirpati, e trovai per mezzo della circolazione artificiale che anche negli organi separati dai centri nervosi succede una paralisi dei vasi sanguigni, quando la temperatura ambiente supera quella fisiologica, come lo di- mostra l’esperienza, che segue fatta col rene e col sangue di maiale poco dopo la morte. Per la circolazione artificiale mi sono ser- vito di una boccia coll’apertura superiore in comunicazione con un gazometro, che dà una pressione costante per tutta la durata dell’esperienza , e coll’apertura inferiore colla cannula dell’arteria renale. La boccia è messa in una cassa metallica piena di acqua che si può riscaldare e raffreddare. Una seconda boccia colla stessa pressione è lasciata alla temperatura ambiente e comunica pure coll’arteria renale. 526 UGOLINO MOSSO In questa esperienza ed in quella che segue io ho notato la quantità di sangue che usciva dalla vena renale ad ogni minuto e per brevità non riferisco che una sopra cinque osservazioni successive, essendo ciò sufficiente per dare un'idea esatta del de- corso dell'esperienza. EspERIENZA V. — Circolazione artificiale nel rene isolato. Azione del caldo. Sagre TEMPERATURA uscito I del sangue Ore |dalla vena | dell’acqua |‘ “venoto OSSERVAZIONI in un minuto |nella cassa {del cilindro graduato 44h 41' 17 c.c. Incomincia la circolazione con sangue apnoico alla temperatura ambiente di 25%; pressione 45 415 150 mm. di mercurio. 50 14 DO 42. 12 — 14 5) 16 9 17 Incomincia il passaggio di sangue riscaldato. 10 | 47 43° 15 18 4h d20 20 17 32 25 20 44 5 34 30 20 45 35 35 20 45 35) Riempita la boccia di sangue (12h, 35’). 40 26 45 34 45 29 46 37 50 30 47 39 55 34 47 39 dis 32 48 39 Ò 40 50 39 Riempita la boccia di sangue (1h, 2°). 10 45 50 38 15 43 50 40 18 43 50 HI Passa sangue normale della boccia a tempera- 49 35 25 tura ambiente 20 38 21 37 25 34 25 33 25 28 30 36 PA 27 35 32 25 27 L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI 527 Per le temperature basse i risultati furono abbastanza evi- denti, malgrado la diminuzione grande che subisce la velocità del sangue quando la temperatura si avvicina ai 10°. Per osservare la paralisi da freddo occorre servirsi di reni, staccati subito dopo la morte dell’animale, e non si deve interrompere la circolazione : perciò mi sono servito di una sola boccia tenuta alla tempera- tura ambiente, all’apertura inferiore della quale ho aggiunto un piccolo serpentino di vetro che si poteva riscaldare o raffreddare. Al serpentino è annessa una cannula che ha un rigonfiamento destinato al bulbo di un piccolo termometro. Così ho potuto mi- surare esattamente la temperatura del sangue due o tre centi- metri prima della sua entrata nell’arteria renale, essendo il bulbo immerso nella corrente sanguigna. Con questo apparecchio ho potuto cambiare la temperatura del sangue rimanendo invariate tutte le altre condizioni dell’esperienza. Alcune volte ho trovato più conveniente di riscaldare il rene anche dalla periferia; a questo scopo ho messo il rene in una cassa a doppia parete il cui ambiente interno .si può riscaldare come nelle comuni incu- batrici. Ecco i risultati di una esperienza fatta sul rene di un cane del peso di 16000 gr. appena finito il dissanguamento. EspERIENZA VI. — Circolazione artificiale nel rene isolato. Azione del freddo. Sangue TEMPERATURA uscito n ME e Ore dalla vena OSSERVAZIONI sn del sangue della un minuto| arterioso cassa. 40b 33’ | 27 nai 280 — — | Incomincia la circolazione con sangue apnoico alla temperatura ambiente di 28° colla pres- 50 13 28 sione di 100 mm. di mercurio. | 54 | 12 28 | Metto del ghiaccio nel recipiente del serpentino 5 42 13 FI 56 11 13 58 10 if 5 10 | i1—- | 9.5 7 5 9 0.5 10 11 0,5 15 10 6 528 UGOLINO MOSSO Segue ESPERIENZA VI. Sangue TEMPERATURA | uscito LR ipo S Ore dalla vena OSSERVAZIONI Ss del sangue) della un minuto| arterioso cassa 44b 20” 40 c.c. 60 Aggiungo del sangue nella boccia (11h 21’). 9295 47 65 Malgrado il passaggio del sangne freddo il volume n aumenta. 30 | 13 65 35 13 65 Tolgo il ghiaccio e metto acqua calda nel reci- piente (11h 36'). Malgrado passi sangue caldo 40 13 30 si manifesta una diminuzione di quasi la metà, ciò indica che prima vi era una paralisi dei DI 12 vasi. 42 10 43 e) 30 45 7 50 7 30 Metto acqua calda nella cassa e riscaldo lenta- meute l’apparecchio (11h 51’), c lo copro con 52 lo) una lastra di vetro. 53 10 36 45) 14 36 38° 12 — 12 36 33 5 12 36 38 10 13 37 38 15 13 39 20) 14 37 44 Riempio di sangue la boccia (12h 221). 25 14 30 15 | 35 15 37 42 40 | 20 453 45 23 375 44 50 24 Si b 44 Si scuopre la cassa (12h 50'). 50 29 35 34 56: |, 28 57 29 59 28 35 30 Cessa l’esperimento perchè il deflusso si man- tiene costante. Bastano questi due esempi di paralisi che si produce negli organi estirpati dal corpo a rendere sicuro, od almeno molto probabile, che anche nel braccio la dilatazione dei vasi sia pro- L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI 529 dotta da una paralisi delle fibre muscolari liscie e non da un’a- zione dilatatrice dei nervi vasomotori. La ristrettezza dello spazio concesso ad una semplice Nota, non mi permette di prendere in esame la dottrina della dilata- zione attiva dei vasi. Nessuno dei fatti da me osservati potrebbe spiegarsi colla ipotesi di un allungamento attivo delle fibre mu- scolari dei vasi. I fenomeni registrati col pletismografo in queste mie ricerche dimostrano che la ditazione dei vasi per azione del caldo e del freddo ha tutti i caratteri di una paralisi e manca ogni indizio di attività muscolare nervosa. VI. Per decidere se la dilatazione dei vasi prodotta dal caldo fosse dovuta ad un’ azione centrale dei nervi vaso-dilatatori, ho fatto la seguente esperienza su me stesso. Applicai un pletismo- grafo a ciascun antibraccio : riscaldando l’acqua da un lato, vidi che in questo i vasi si dilatarono e perdettero la proprietà di reagire, mentre che nel lato opposto i vasi mantennero i loro moti riflessi dovuti al dolore e ad altre cause, e si mostravano assai eccitabili per le azioni nervose. EspeRIENZA VII. — 23 Gennaio. Temperatura ambiente 16° DESTRO SINISTRO nt —[___e ___—————_t_ 7 Acqua nel cilin- dretto in c.c. Acqua OSSERVAZIONI nel cilin- dretto in cc. Tempera- tura dell’acqua Tempera- dell’acqua 2h 43’ | 30° 18 31°3 | 14°5 | Pulsazioni 32 al minuto. 45 | 30 20 31 13 47 | 30 24 31.3 | 15.5 50 | 29.8 | 22 34 15 541» |:29.5..|.20.5 +31 10.5 55 29 2005 34 LZ08) Incomincia il riscaldamento del eco 58 % 25 3 10.5 destro col far circolare acqua più calda. 3 — | 38 23 34 .5 (9), 530 UGOLINO MOSSO Segue EsperIENZzA VII. DESTRO SINISTRO Î —— 1 oo | ——_—_ Tm | del'acgpa pet dell'acqua Leo | 3h6 | 440. | 43 du 7.5 7|444 | 4% 30b2/| 40 10 | 448 | 46.5 | 30 10.5 11 |45 49 30 {1 413 | 46 50 30 7 15 | 47 5A 30 5 16 | 46.8 | 56 30 9,5 | 17 |4T.A |56.5 | 298| 4.5) 18 | 47.6 | 60 30 13. | 20 | 47 | 61 30.2.| 45 22 | 48 61.5 | 305| 45 25 | 47.4 | 60 30 15.5 26 | 47 59 30 14 29 | 47 61 34 16 34 | 48 64.5 | 34 10 33 | 49 62 34 5 34 | 47.4 | 64 3I 12 36 | 47.8 | 64 34 9 37 | 47 65 34 9.5 39 | 48 66 34 6 40 | 47.2 | 67 34 I 343 |48 |67 34 I w | 162 | 6 31.2| 40 48 | 47.8 | 63 34 7 49 | 47.6 | 63 31 6 50.| 47.4 | 63 34 5 5a |45 |63 34 0 56 | 46.2 | 63 34 2 57 |46 |61 34 7 OSSERVAZIONI Sensazione di pienezza alla mano destra, pare gonfia ed è molto rossa, nella si- nistra nulla di notevole. Sento pulsare le dita della mano destra. Avambraccio destro intorpidito. Pulsazioni 92 al min. Mano assai arrossala. Pulsazioni 92. Pulsazioni 88. Sento forte dolore; il braccio sinistro dimi- nuisce di 9g c. c. Pulsazioni go ma più forti, Tremito muscolare nel braccio destro, colla volontà mon riesco a frenarlo che per pochi secondi. Sento vivi dolori al braccio destro ed il braccio sinistro diminuisce di volume, il destro rimane invariato. | Una profonda inspirazione ha ancora pro- Ì dotto una diminuzione di 1 c.c., nel destro di 2 nel sinistro, ma questo è un fatto che dipende dall’accumularsi del sangue nei polmoni, e dalla seguente diminu- zione della pressione sanguigna. L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI 531 Da questa esperienza risultano due fatti contrari all’ipotesi che sia attiva e di origine centrale la dilatazione dei vasi pro- dotta dal caldo: 1° perchè mancò qualunque tendenza alla di - latazione dei vasi nel lato normale ; 2° perchè le azioni riflesse centrali che producevano una contrazione dei vasi nel lato normale non avevano alcun effetto sui vasi del lato caldo. VII. Ammesso che i fenomeni osservati nelle precedenti espe- rienze dipendano da un’azione locale del caldo e del freddo sulle fibre muscolari dei vasi sanguigni e non sulle terminazioni dei nervi yasomotori ne verrebbe la conclusione che le fibre muscolari liscie di altri organi si comportano in modo diverso di quelle dei vasi per l’azione del caldo e del freddo. Samkowy (1) avrebbe infatti osservato che le fibre muscolari liscie dei mammiferi si accorciano riscaldandole e si allungano raffreddandole, Sertoli sperimentando nel muscolo retrattore del pene del cavallo o del bue trovò che succede una contrazione dei muscoli lisci tutte le volte che suc- cede un cambiamento della temperatura ambiente (2). Boudet de Paris (3) avrebbe trovato che nei muscoli striati delle rane vi esiste un rapporto inverso tra la loro estensibilità e l’elevazione della temperatura, così che passando la tempera- tura da 20° a 42° si lasciano distendere meno per un peso di 30 grammi. Riconosciuto che i vasi sanguigni hanno due punti della tem- peratura nella quale si dilatano e si lasciano distendere dalla pressione sanguigna, cerchiamo di conoscere meglio la natura di questi fenomeni. I sostenitori della regolazione automatica trovano provviden- ziale che sia così e non in altro modo: perchè dicono essi, se la temperatura ambiente supera la norma, i vasi si dilatano e il sangue può raffreddarsi più facilmente alla superficie del corpo ; quando invece la temperatura esterna si abbassa molto, compare il tremito, perchè questo lavoro dei muscoli non faccia crescere troppo la temperatura succede una dilatazione attiva dei vasi, che compensa colla perdita maggiore di calorico, l'eccessiva produzione del medesimo dovuta al tremito. I fatti però non vanno d’accordo con questa teoria e sarebbe (1) Archiv. f. d. gesam. Physiologie, IX, p. 399. (2) Archives italiennes de Biologie, tom. II, p. 93. (3) Travaua du Laboratoire de M. MarEy. Tome IV, 1878-79, pag. 166. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. \XIV. 39 532 UGOLINO MOSSO certo una grande imperfezione dell’organismo animale se il me- desimo agente il freddo producesse il tremito per distruggerne poi l’effetto con una dilatazione dei vasi. Questa compensazione non esiste perchè il tremito dobbiamo considerarlo come un sintomo tanto della diminuita vitalità dei muscoli e dei nervi quanto della loro aumentata eccitabilità. Esso appare infatti in molte circo- stanze diverse. Fontana l'aveva osservato nei gatti durante la digestione, nei cani sì produce pure nel sonno durante l’ inspirazione: nel periodo di invasione della febbre esiste forte mentre cresce la temperatura del sangue, nell’anemia, nella stanchezza, nella debolezza, nei patemi d’animo deprimenti, dopo la compressione, o dopo il taglio dei nervi e in altre circostanze diverse appare il tremito senza che mai si manifesti nel nostro organismo la più piccola tendenza a compensarne gli effetti ipertermici con una dilatazione dei vasi sanguigni. La dilatazione dei vasi per azione del freddo non è un fe- nomeno dovuto alla regolazione automatica, ma una semplice paralisi che dipende probabilmente dalla disturbata nutrizione delle fibre muscolari liscie. Questo appare evidente dalla III esperienza. Guardando infatti la Tavola II vediamo dalle 5,50 alle 5,55 benchè si passi dalla temperatura di 5° alla temperatura normale e a quella del sangue la paralisi si continua senza che si pro- duca un restringimento, dalla paralisi per freddo si passa alla paralisi per caldo senza che i vasi sanguigni reagiscano in alcun modo, il che non si capirebbe qualora il fenomeno anzichè dipen- dere da una paralisi per alterata nutrizione delle fibre liscie dipendesse da una dilatazione attiva delle medesime come pre - tendono alcuni fisiologi. La dilatazione dei vasi per gli aumenti di Gneo alla superficie della pelle, e il loro restringimento, quando questa si abbassa non è proporzionale ai cambiamenti della temperatura e perciò non serve ad una compensazione esatta, e neppure ap- prossimativa. La dilatazione dei vasi che succede per azione intensa del caldo e del freddo fra 4° e 6° e fra 33° e 86° non è prodotta da un’azione dilatatrice dei nervi o dal potere che abbiano le fibre dei muscoli di allungarsi attivamente, ma è un fenomeno di pa- ralisi che si manifesta quando la temperatura oltrepassa i limiti delle condizioni naturali della nutrizione dei muscoli lisci e delle cellule che costituiscono i vasi. Tola XIV _U. Mosso CAMBIAMENTI DI VOLUME DELL'ANTIBRACCIO PER AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO "Oneri; eb Pe da Bets E) SD RE SR i ERI | er î al Li I | | | Il ca | Il { | f | } dtd di il LL AA L44- |A cate | | i ame DEE EEN E Palicgizesrt» tt P4H+} il il | PupP++4 1 ADR SIR PORRÀ ini |» --+ i li da to LR alia L i ah Temperatura dell'acqua nella quale era immerso l'antibraccio Torino Lit Salussolia Tavola XV U. Mosso CAMBIAMENTI DI VOLUME DELL ANTIBRACCIO PER AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO 14|--5-22: (Ti lineare 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 19 19 20 21 22 23 24 25 26 27 20 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 49 49 50 S1 Temperatura dell'acqua nella quale era immerso l'antibraccio Torino Lit. Salussolia L'AZIONE DEL CALDO E DEL FREDDO SUI VASI SANGUIGNI 533 Questo rilasciamento dei vasi cresce quanto più dura a lungo l’azione paralizzante del caldo e del freddo. Gli effetti che si ottengono passando rapidamente dalla paralisi per freddo a quella per caldo, dimostrano che si tratta della sospensione dell'attività muscolare, e non di un congegno fisiologico fatto per regolare le perdite della temperatura del corpo. Il fatto che vi sono due punti estremi verso i 5° ei 33° o 40° della temperatura esterna in cui succede improvvisamente una paralisi, prova che non sì tratta di un apparecchio di compensa- zione bene regolato, perchè esso non funziona nelle temperature intermedie e reagisce tutto d’un colpo in modo non proporzionato al bisogno dell’organismo e corrispondente alle variazioni intermedie della temperatura. Questa mancanza di un rapporto adeguato tra le variazioni della temperatura ambiente e il cambiamento di to- nicità dei vasi fra 5° e 40°, che sono i limiti delle variazioni ordinarie della temperatura, dimostra che i vasi sanguigni non funzionano come apparecchio regolatore. Esporrò in una prossima Nota le ricerche che ho fatto per conoscere se colla partecipazione dei centri nervosi quando si riscalda l’organismo intero possa ot- tenersi una compensazione più regolare per mezzo dei vasi sanguigni. Riferirò pure le esperienze che ho già fatto sull’azione locale del caldo e del freddo sui muscoli striati dell’uomo e dimostrerò che questi si comportano in modo affatto diverso da quello dei muscoli lisci dei vasi. Intanto rimane dimostrato da queste mie ricerche fatte col pletismografo sull'uomo e colla circolazione artificiale negli or- gani estirpati dal corpo, che la dilatazione dei vasi per azione locale del caldo o del freddo, è un fenomeno di paralisi. Che non vi esiste un potere regolatore per l’azione locale del caldo e del freddo perchè i vasi sanguigni reagiscono in modo sicuro solo per due temperature estreme tra 4° e 5°, 33° e 40°. Vi sono cioè due limiti per la funzione dei vasi sanguigni, oltre- passati i quali le fibre muscolari e le pareti dei vasi perdono la loro tonicità, essendo paralizzati dalle condizioni anormali del- l’ambiente. 534 CARLO GIACOMINI Sul cervello di un Chimpansè; Comunicazione del Socio CARLO (GIACOMINI Il cervello del Chimpansè fu già oggetto di descrizioni ac- curate e minute da parte di diversi autori. La sua conformazione esterna, mercè i lavori di Schroder van der Kolke Vrolik, Gra- tiolet, Turner, Chapman, Bischoff, Io. Miller, per citar i più recenti, oggidi è ben conosciuta ed è anche bene stabilito il valore morfologico delle singole parti. Però l'accordo non è completo; esistono alcuni punti della superficie cerebrale sui quali verte ancora la discussione, e che solo nuovo ed abbondante materiale potrà definitivamente rischiarare. Per questo mi credo autorizzato di dare qui una breve descri - zione dell’encefalo di un giovane Chimpansè, mettendola a con- fronto con quelle già note e pubblicate dagli autori sopra citati. L'animale proveniva dal serraglio Bach, era di sesso femmi- nile, aveva presso a poco l’età di 2 anni. Era morto per bronchio- polmonite acuta, dopo pochi giorni di malattia, il 18 dicembre 1888. Esso fu oggetto di un’attenta dissezione. Tutti i sistemi furono diligentemente studiati dal mio assistente dott. Sperino; il risultato di questo studio sarà pubblicato più tardi. In questa Nota io mi occupo solo del contenuto della cavità craniana. La sola cosa che desidero notare, perchè interessa una que- stione che io ho lungamente studiata nell'uomo e nelle scimie, si è che nello spessore della piega semilunare si trovava una cartilagine molto robusta, come quella che fu da me descritta nell’ Orang. Anche nel Chimpansè questo carattere fu disconosciuto, perchè questa regione non fu forse mai esaminata; basta difatti la più grossolana dissezione per metterla in evidenza. L'esame microscopico ci indicherà se in rapporto colla cartilagine si trovino ghiandole o fibre muscolari siccome ho dimostrato esistere nella plica se- milunaris del suo prossimo parente l’Orang. SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSE bon L’encefalo fu estratto dalla sua cavità nelle migliori condi- zioni di conservazione. Presentava un manifesto becco etmoidale. Gli emisferi cerebrali coprivano interamente il cervelletto. La cir- colazione della superficie cerebrale era normale. Pesato subito dopo la sua estrazione dal cranio, si otteneva la cifra di 310 gr. Per il suo peso il cervello del nostro Chimpansè occuperebbe il posto medio fra tutti i cervelli descritti. Il massimo peso dell'encefalo del Chimpansè sarebbe ene irovato dal Marshall'im. ca. e fis 40 Pl 09 dallbaSpitàka.i. print neo iva allatta nti » 389, 86 Il minimo si avrebbe avuto: nelsecrvello: ida ;Parken.}b ix 010340! bt: 44209 » ed’ quelo di Chapolan Muovi #euie8 » 285 >» Però è d’uopo avvertire che non tutti i cervelli studiati furon pesati allo stato fresco, una gran parte era da tempo più o meno lungo conservata in alcool, ed il loro peso fu dedotto aggiungendo dal 25 al 30 % del peso totale, che rappresenterebbe la perdita cagionata dall’ indurimento in alcool. Dopo il suo indurimento in cloruro di zinco ed in alcool fu- rono divisi gli emisferi cerebrali l’ uno dall’altro e dal ponte e cervelletto, onde poter studiare tutti i punti della sua confor- mazione esterna. Più avanti saranno indicate le principali misure che presentavano le diverse parti. Occorre solo dire che per il suo aspetto esterno, esso concordava perfettamente con le figure riferite dai diversi Autori. Non in tutti però il cervelletto era completamente coperto dagli emisferi cerebrali; per cui troviamo già qui una prima differenza ottenuta confrontando i risultati fra loro. Questa dif- ferenza alcuni hanno cercato di spiegarla, riferendola all’età del- l’animale esaminato. Nel nostro caso malgrado si trattasse di un Chimpansè molto giovane, tuttavia il cervello copriva intiera- mente il cervelletto: ciò dimostra che l’età non è la sola causa atta a produrre la differenza sopraccennata; forse dovrà essere considerata come variazione individuale. 530 CARLO GIACOMINI Descrizione delle Scissure e Circonvoluzioni Seissure primarie. ScIssurA DI Silvio. — La porzione basilare si allarga verso l’interno, vale a dire verso lo spazio perforato anteriore , per essere rimasta indietro l’estremità anteriore della circonvo- luzione dell’Hippocampo. Il ramo posteriore della porzione esterna non molto esteso si porta in alto ed all’indietro, più vicino alla linea oriz- zontale e si biforca alla sua estremità. Le circonvoluzioni limi- trofe di questo solco sono semplici, regolari e non intaccate da solchi secondari. Il ramo anteriore si dirige quasi orizzontalmente in avanti a sinistra; a destra invece colla sua estremità piega leggermente in alto (Fig. 1° K). Nel punto in cui i due rami sì congiungono per continuarsi colla parte basilare, si trova un piccolo spazio triangolare, al fondo del quale si scorge una piega dell’insula. Con ciò però non sì può dire che l’insula sia scoperta. È quindi la Scissura di Silvio nel nostro esemplare ri- dotta al massimo grado di semplicità. In altri cervelli essa fu trovata un po’ più complicata. Si è principalmente il ramo anteriore che dividendosi nella parte terminale ricorda la di- sposizione così caratteristica della specie nostra. Qui conviene che io descriva un solco abbastanza esteso che si trova subito al davanti del ramo anteriore della Scissura di Silvio e che sembra comunicare colla parte basilare di questa. La disposizione con poche varianti è ben pronunciata in ambedue gli emisferi. È interessante di ben fissare l’attenzione su questo solco perchè esso fu da alcuni autori considerato come il ramo anteriore della scissura di Silvio (Fig. 1° £). Se si esamina la faccia orbitaria si vede dalla estremità esterna della porzione basilare partire un solco che si dirige in avanti ed all’esterno, si porta sulla superficie esterna del lobo frontale e quindi termina circondato da una circonvoluzione che vedremo più tardi essere la seconda frontale o media (7"°). A sinistra questa estremità si divide in due piccoli rami, a destra invece meno estesa, accenna a contrarre una anastomosi, per mezzo di un tratto molto superficiale, con uno dei solchi frontali. SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSÈ 597 L'estremità interna di questo solco sembra sorgere dalla por- zione basilare della S. Silviana perchè essa è coperta dalla estre- mità anteriore del lobo sfenoidale. Ma sollevando leggermente la punta di questo lobo si scorge come i due solchi siano divisi per mezzo di una piega molto sottile che può considerarsi come la terminazione della Circonvoluzione frontale inferiore. Quindi questo solco appartiene alla parte orbitaria del lobo frontale è il così detto Sulcus orbitalis externus. Bischoff in prin- cipal modo ha giustamente interpretato questo solco, assegnando ad esso il posto che gli compete. Nei cervelli della specie nostra profondamente colpiti nella loro evoluzione sì riscontra questo solco coi medesimi caratteri or ora descritti; esso è quindi l’espressione del mancato sviluppo del ramo anteriore della Scis. Silviana e della parte laterale del lobo frontale. Scissura PaRIETO-OccIPITALE. — Le due porzioni di questa scissura comunicano fra loro in corrispondenza del margine inter- emisferico. Però la porzione interna si presenta un po’ com- plessa nella sua costituzione. Se noi seguiamo dal margine inter- emisferico la scissura che si continua con la perpendicolare esterna, noi vediamo che essa dopo il decorso di 1 !/, centim. viene interrotta da una piega, la quale partendo dalla parte superiore ed anteriore del Cuneus si spinge in basso ed in avanti, e dopo aver formato un angolo acuto in basso, cambia direzione, risale in alto ed in avanti per terminare nella parte superiore o po- steriore del lobulo quadrilatero. La disposizione è perfettamente simmetrica nei due emisferi. Questa piega è ben limitata in tutto il suo margine inferiore da un solco profondo, il quale nel suo complesso assume la figura di V; il ramo posteriore di questo, a sinistra, sì spinge colla sua estremità superiore fino alla faccia esterna del lobo occipitale, facendosi molto superficiale, e va a con- trarre rapporto colla scissura perpendicolare esterna (Fig. 2°, 1°). Dall’angolo del V parte un breve ma profondo solco che sa- rebbe la continuazione della perpendicolare interna, meglio ma- nifesto e più regolare a destra, il quale dopo il decorso di 8 mm. resta interrotto da una nuova piega superficiale in tutta la sua estensione, che dall’apice del Cuneo si porta all'angolo posteriore e inferiore del lobulo quadrilatero. Al dissotto di questa seconda piega si trova la scissura calcarina della quale diremo più tardi ilo. 2a, 2°). » 538 CARLO GIACOMINI Adunque noi troviamo qui ben sviluppate e superficiali le due pieghe di passaggio interne nel modo stesso come esistono negli emisferi di scimie più inferiori (Cinocefali). Questa disposizione è interessante per il nostro cervello essendochè lo distingue da tutti i cervelli di Chimpansè fino ad ora descritti, in alcuni dei quali non solo la piega di passaggio superiore in- terna è profonda, ma anche la inferiore, e perciò la perpendi- colare interna contrae anastomosi con la scissura calcarina, sic- come si osserva costantemente nella specie nostra (cervello A di Turner). Questa regione si presenterebbe molto diversamente nel Chimpansè, e le variazioni raggiungerebbero i limiti più estremi, per cui mentre da una parte ricorda il cervello umano, dall'altra invece si mette a livello delle scimie più basse. È notevole la perfetta simmetria della disposizione, ed il grande sviluppo che assume la piega di passaggio interna superiore (1°). Per questo suo sviluppo la piega interna ed inferiore (2°) è spinta alla faccia inferiore del lobo temporale, e quasi l’intero decorso della Scis. calcarina si trova corrispondere a questa su- perficie, per modo da rimanere in dubbio se essa non debba essere compresa e descritta fra i solchi della superficie temporo- occipitale. In complesso però la piega che forma il Cuneus acquista maggiore estensione. Il Bischoff nella descrizione del suo cervello di Chimpansè insiste sull'idea che la Circonvoluzione di passaggio in- terna superiore sia omologa della prima piega di passaggio esterna di Gratiolet, ed in altre parole che esse siano una sola circonvoluzione. Ciò però non può essere accettato in modo as- soluto. Che queste due circonvoluzioni di passaggio per la loro vicinanza si influenzino vicendevolmente quando l’una o l’altra assumono grande sviluppo e divengono così superficiali, è cosa che non può essere messa in dubbio e si comprende anche facil- mente; ma intanto queste due pieghe esistono indipendentemente luna dall’altra; e ciò è tanto vero che nei due emisferi del nostro cervello sollevando l’Opercolo si scorge alla parte pro- fonda una piccola piega tortuosa che ci rappresenta la prima piega di passaggio esterna. Ciò del resto può essere anche di- mostrato nei vari cervelli umani nei quali le pieghe di passaggio interne si fanno contemporaneamente superficiali, si vede decor- rere nella profondità della scissura perpendicolare esterna la prima piega di passaggio esterna. SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSE 539 La porzione esterna della scissura occipito-pa- rietale o perpendicolare esterna è molto estesa, la sua estremità esterna giungendo fino al limite più esterno dell’emi- sfero. Il decorso è leggermente sinuoso, vale a dire che nella sua metà interna descrive una curva colla concavità rivolta in avanti, nel suo tratto esterno una curva colla concavità all’in- dietro. Disposizione questa la quale ricorda quella descritta da Bischoff e da Miiller nei loro cervelli di Chimpansè. La lun- ghezza assoluta della scissura presa con filo era di 56 mm. a destra 55 mm. a sinistra. L’estremità interna della scissura è resa un po’irregolare dalla esistenza di una piega che sembra sorgere dalla profondità, di- retta trasversalmente, più pronunciata a destra che non a sinistra (Fig. 3° A), la quale sembra dividerla in due rami, l’uno anteriore la continuazione vera della scissura e l’altra posteriore che si porta fino alla faccia interna del lobo occipitale e che potrebbe con- siderarsi come un rudimento della scissura trasversa. Alla parte posteriore la scissura è perfettamente chiusa, non ha rapporti con altri solchi. Anteriormente e da ambo i lati essa sì continua con la scissura interparietale che percorre tutta la lunghezza del lobo parietale. Così disposta la scissura perpendicolare esterna, il lobo occipitale è ben distinto dal parietale non solo, ma esso assume in modo evidente la forma di opercolo. Ciò è conforme a quanto venne descritto in altri cervelli. Il nostro cervello per rispetto al modo con cui si presenta la porzione esterna della scissura parieto-occipitale, occuperebbe una posizione intermedia tra quelli osservati da Bischoff, Gra- tiolet ed altri nei quali mancava ogni traccia superficiale della prima piega di passaggio e gli altri descritti da Turner, Miiller, dove questa piega era superficialmente posta. Gratiolet scrisse a pag. 51 del suo lavoro sulle pieghe ce- rebrali che le cerveau du Chimpanzè est un cerveau de macaque perfectionne. Ciò è principalmente per il modo di presentarsi della scissura occipito-parietale. Scissura di Rolando. Essa è ben evidente, molto estesa e con decorso sinuoso e non tanto obliqua in alto ed all'indietro. Chiusa completamente alle sue due estremità; all’ unione del suo terzo inferiore con i due terzi superiori essa in avanti co- 540 CARLO GIACOMINI munica con un solco del lobo frontale; ed alla sua estremità superiore, all’interno di una sporgenza angolare formata dalla circonvoluzione parietale ascendente, si trova un tratto depresso di detta circonvoluzione, il quale permette alla scissura di Ro- lando di congiungersi in modo superficiale con un solco che si trova situato nello spessore della circonf. parietale superiore. L'estremità superiore non corrisponde alla faccia interna degli emisferi, essa si trova però subito al davanti della scissura cal- loso-marginale, che appare manifesta alla superficie esterna, come si riscontra nel cervello umano. È anche qui notevole la perfetta simmetria del decorso e dei rapporti più minuti che assume la Scissura di Rolando nei due lati. La lunghezza assoluta della scissura di Rolando presa con un filo era a sinistra 68 mm. a destra 65 » La distanza fra le due estremità misurata col compasso di spes- sore era di 47 mm. in ambi i lati. La distanza fra l’estremità superiore della Scis. di Rolando ed il polo frontale misurato con un filo era a destra 67 mm. a sinistra 68. » La distanza fra l'estremità superiore della Scis. di Rolando ed il polo occipitale 50 mm. in ambo i lati. Lobo frontale. Nella interpretazione delle parti che costi- tuiscono il lobo frontale non vi ha accordo completo fra i di - versi Autori. Tutti però ammettono nel Chimpansè l’esistenza di tre circonvoluzioni frontali longitudinali e di una ascendente, come si trovano nella specie nostra. Ciò che è soggetto a di- scussione sì è il limite e l’estensione della Circonvoluzione frontale inferiore. Questa circonvoluzione è quella che ci esprime un maggiore perfezionamento della superficie del lobo frontale; manca nelle scimie inferiori e raggiunge il massimo sviluppo nell'uomo. Ma ciò che caratterizza questa circonvolu- zione dal momento in cui essa compare fino alla sua completa evoluzione, si è il rapporto intimo che essa mantiene con il ramo anteriore della Scissura di Silvio, e la stretta dipen- denza nel loro sviluppo. Ora quegli anatomici che interpretavano come ramo anteriore della S. di Silvio, quel Solco orbitario SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSE 541 esterno già descritto (Fig. 1° E) (che talora raggiungendo pro- porzioni considerevoli sia in estensione che in profondità, come ad es. nell’emisfero destro del Chimpansè descritto da Schroder v. d. Kolk e Vrolik, dimostra meglio la sua indipendenza dalla scissura silviana), descrivono una Circonvoluzionre frontale inferiore molto grande e proporzionatamente superiore a quanto si osserva nell’uomo. « Le pli frontal inférieur, scrive Gratiolet a pag. 50 del cervello del suo Chimpansè (fig. 2, tav. VI) ou surcilier est très-grand, largement dessiné, en telle sorte que le lobule frontal est bien développé dans toutes ses parties ». Ma avendo già dimostrato come questo solco non debba considerarsi come dipendenza della Scissura di Silvio, la circonvoluzione che lo circonda deve essere riferita alla media anzichè alla Circ. frontale inferiore. Questo punto della superficie cerebrale è uno dei più inte- ressanti per le modificazioni che presenta nella serie animale e nella specie nostra, in special modo quando si esamina su cer- velli altamente degradati, siccome spero di poter presto dimo - strare nello studio dei miei cervelli Microcefalici. Venendo ora al nostro Chimpansè noi troviamo che la Circonv. frontale ascendente è bene sviluppata, solo è interrotta in ambo i lati al terzo inferiore da un solco, più evidente a destra che non a sinistra, il quale lascia comunicare la Scissura di Rolando con i solchi frontali. Come nei cervelli di Bischoff e di Miiller la Circe. frontale superiore è molto pronunciata alla sua origine posteriore, si restringe grandemente in avanti mentre passa alla superficie or- bitale del lobo. Essa nasce con due radici dalla C. frontale ascendente; la radice interna si distacca dalla estremità supe- riore di questa circonvoluzione, la esterna dalla sua parte inferiore. La prima è rettilinea, l’altra è diretta in modo tor- tuoso in avanti ed in alto per andare a congiungersi con la in- terna. Fra le due pieghe si trova un solco, che per la sua dis- posizione e decorso rappresenterebbe una Scissura prerolan- dica superiore. È questo solco che è in comunicazione con la Scissura di Rolando nel punto già accennato (Fig 83°). Questo solco nell’emisfero sinistro è limitato dalla congiun- zione delle due radici della circ. frontale superiore, che avviene presto; a destra invece la congiunzione non avvenendo che alla parte anteriore del lobo frontale, il solco prerolandico superiore 542 CARLO GIACOMINI si prolunga in avanti per l’estensione di 5 centim., per cui la circ. frontale superiore appare realmente doppia. A sinistra la duplicità è anche ricordata per l’esistenza di un solco secondario longitudinalmente diretto, rappresentando la parte anteriore del solco di destra. La circ. frontale superiore si restringe fortemente in avanti, concorrendo questa disposizione a dare l'aspetto acuto ai lobi frontali, e poi si continua con il becco etmoidale assai pronunciato. All’esterno della descritta circonvoluzione si trova il Solco frontale superiore esteso per tutta la lunghezza del lobo, con disposizione fortemente arcuata in basso, più complicato a destra, colla sua estremità anteriore giunge fino alla faccia orbitaria. Alla sua origine posteriore si dispone un po’ trasversalmente, ri- cordando un solco prerolandico inferiore. Ciò è meglio evidente nell'emisfero destro che fu disegnato nella figura 1°. La Circonvoluzione frontale media costituisce il margine esterno del lobo. È formata da una semplice piega che all'indietro si origina dalla estremità inferiore della circ. frontale ascendente, insieme alla circ. frontale inferiore. Di qui si porta in alto ed in avanti gira attorno alla estremità superiore del solco orbitario esterno, chiudendolo completamente a sinistra , lasciando invece a destra una superficialissima comunicazione di questo solco con quello descritto precedentemente; e con questo decorso riesce alla parte anteriore ed esterna della superficie orbi - taria, dove termina continuandosi con le circonvoluzioni omonime. La Circonvoluzione frontale inferiore nel nostro cervello è grandemente ridotta, più di quanto si trova descritto in altri cervelli di Chimpansè. Originatasi dalla radice della circ. media, essa gira attorno al rudimentario ramo anteriore della Scissura silviana, poi si continua con una gracile ma ben indi- vidualizzata piega, la quale forma il limite più posteriore ed esterno della porzione orbitaria del lobo frontale, colla superficie della quale si confonde in corrispondenza della parte basilare della Scis. di Silvio. Questo ultimo tratto della circonvoluzione o se vogliamo la sua porzione orbitaria è ben distinto perchè all'indietro corrisponde alla S. di Silvio, ed in avanti è limitato dal solco orbitario esterno più volte nominato. La porzione or- bitaria della circ. frontale inferiore è la prima a comparire nello sviluppo e negli animali, essa può esistere malgrado manchi il ramo anteriore della S. silviana. SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSÈ 543 Sulla Porzione orbitaria del lobo frontale abbiamo poco da aggiungere. Oltre l’esistenza del becco etmoidale o della disposizione del solco orbitario esterno già descritto, noi troviamo il vero Solco orbitario il quale ha forma di tre raggi a destra e ben evidente; a sinistra è meno manifesto e più sem- plicemente disposto. In ambo i lati si trova una comunicazione profonda tra questo solco e l’orbitario esterno. Si notano ancora piccole e superficiali depressioni sulla circonvoluzione orbitaria. Lobo parietale. Questo lobo è ben distinto in tutte le sue parti. Esiste una Scissura interparietale, la quale si ori- gina in avanti ed in basso subito dietro l’ estremità inferiore della circonvoluzione parietale ascendente, si porta in alto paral- lela alla Scissura di Rolando, poi piega più fortemente all’indietro ed in alto per finire nella scissura perpendicolare esterna. Tro- viamo quindi ben individualizzate le tre circonvoluzioni parietali. La Circ. parietale ascendente (P) tortuosa, in alto si continua con la Circ. parietale superiore. Questa presenta sulla sua super- ficie un solco secondario abbastanza profondo diretto all’indietro ed egualmente conformato nei due emisferi, il quale in avanti contrae rapporti con la Scissura di Rolando, nel modo che ab- biamo già indicato parlando di questa scissura. Con poche varia- zioni questo solco lo troviamo presente in quasi tutti i cervelli descritti di Chimpansè. Per l’obliquità che presenta il decorso della scissura interpa- rietale, la Circ. parietale superiore (P.") non ha la figura quadrilatera, come si osserva in principal modo nel cervello di Bischoff, ma si va restringendo all’indietro siccome occorre di osservare costantemente nell’uomo. Quindi la C. parietale supe- riore sì origina dalla C. parietale ascendente per mezzo di due radici, l’una interna che corrisponde alla scissura interemisferica e gira attorno all’estremità della scissura calloso-marginale, che nel nostro cervello appare molto estesa alla superficie esterna degli emisferi. Dalla scissura interparietale nel mentre sta per cam- biare direzione e portarsi all’indietro, si distacca un ramo breve della lunghezza di 1 cm. il quale si dirige in alto ed un po’ in avanti, essendo arrestato dalla radice esterna della C. parietale superiore. (Questo breve solco può esser considerato come rappre- sentante della parte superiore della Scissura postrolandica. Le due radici della C. parietale superiore si congiungono fra loro, 544 CARLO GIACOMINI per continuarsi colla prima piega di passaggio esterna nascosta in gran parte nella profondità della scissura perpendicolare esterna. La Circonvoluzione parietale inferiore è tipica- mente costituita; la porzione anteriore gira attorno all’estre- mità biforcata del ramo posteriore della scissura di Silvio, è cospicua, arcuata e semplicemente disposta; la porzione poste- riore situata più in alto, più sottile abbraccia tutta l’estremità posteriore della scissura parallela. Non è disposta ad arco, ma si presenta piuttosto sotto forme di spigolo acuto (gyrus angu- laris) che si insinua fra la S. perpendicolare esterna da una parte e la S. interparietale dall'altra. Posteriormente essa limita il decorso della estesa Scis. perpendicolare esterna, per venire a con- giungersi con la Circ. temporale media. In altri cervelli di Chimpansè le cose si presentavano un po’ più complicate, e queste complicazioni provenivano anche qui come nel cervello umano da anastomosi fra le due circonvoluzioni pa- rietali superiore ed inferiore , le quali perciò interrompevano il decorso della scissura interparietale. Anche nel Chimpansè questa regione della superficie cerebrale va soggetta a quelle grandi variazioni che sono così caratteristiche del cervello umano. Lobo occipitale. — Per la grande estensione della scissura perpendicolare esterna, la faccia esterna del lobo occipitale è li- mitata in tutta l’estensione dal lobo parietale e temporale. Solo sul limite più esterno una piega arcuata circonda l’estremità di detta scissura e si continua in avanti colla Circ. temporale media. Sulla detta superficie, piuttosto estesa non si trovano parti- colarità le quali sì possono riportare a ciò che si osserva nor- malmente nell’uomo. Quasi dal centro di essa partono due solchi, l’uno diretto all’interno e l’altro all’esterno. Questi due solchi ter- minano completamente nella superficie esterna del lobo. Quando l’obliquità in avanti dei due solchi esterno ed interno è poco evidente, in allora essi formano un tutto continuo che decorre parallelamente alla Scis. perpendicolare esterna, divisi da questa da una robusta piega che costituisce essenzialmente 1’ opercolo occipitale. Il terzo solco rivolto all’indietro ed all’interno va a finire quasi all'apice del lobo occipitale (Fig. 1° e 8° 0). E notevole anche qui la perfetta simmetria della disposizione sui due emisferi, come pure il trovarsi ripetuta su la massima SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSÈE 545 parte dei cervelli di Chimpansè stati descritti (cervello di Bi- schoff in ambo i lati, di Turner sul lato sinistro, di Miiller, ecc.). Sulla parte interna del lobo si può scorgere la terminazione della S. Calcarina (Fig. 2 Cal.). Lobo temporale. — La Circonvoluzione temporale superiore limitrofa del ramo posteriore della Scissura di Silvio è mediocremente sviluppata, liscia, regolare, in avanti concorre a formare l’apice sfenoidale; all’indietro si continua con la porzione anteriore della Circonvoluzione parietale inferiore (Fig. 1* T!). Al dissotto di essa si trova la Scissura temporale su- periore o parallela: essa forma uno dei solchi più estesi della superficie del nostro cervello. Comincia all'apice del lobo sfenoi- dale e decorre all’indietro parallelamente al ramo posteriore della Silviana ; alla estremità posteriore di questa cambia direzione per portarsi più direttamente in alto, ed in questo punto si distacca da esso un breve ramo diretto in basso, che non raggiunge un centimetro di lunghezza essendo tosto arrestato da una piega della circonvoluzione sottostante. Alla sua estremità parietale la scissura parallela si divide in due rami, dei quali il posteriore segue la sua direzione primitiva e deve per ciò essere considerato come la vera continuazione di essa; l'anteriore invece si porta orizzontal- mente in avanti fino alla origine della piega curva dalla parte superiore del lobulo sopramarginale. La piega curva quindi si presenta distinta ed abbastanza estesa disponendosi attorno ai due detti rami, È inutile che anche qui ripeta che la disposi- zione è perfettamente simmetrica nei due emisferi. Il cervello del Chimpansè A descritto da Turner presentava una disposizione che merita di essere notata. La circonvoluzione temporale superiore alla sua parte posteriore si faceva più sot- tile e quindi si nascondeva nella profondità della scissura di Silvio, lasciando così comunicare il ramo posteriore della Scissura Silviana con la parallela. Si aveva vale a dire la stessa disposizione che sì riscontra in alcune scimie inferiori (vedi fig. 24 a pag. 82-83, della mia Guida allo studio delle Circonvoluzioni) e che talora compare anche come varietà nel cervello umano. In basso la scissura parallela è limitata dalla Circonvolu- zione temporale media. Essa è ben sviluppata ma tortuosa molto nel suo decorso. Si origina anch'essa dall'apice del lobo temporale. A sinistra questa origine è molto voluminosa e per- 546 CARLO GIACOMINI corsa per l’estensione di 1 !/, cm. da un solco terziario. Nella parte posteriore questa circonvoluzione, senza subire alcuna inter- ruzione, descrive due pronunciate curve, l’una anteriore colla con- cavità rivolta in basso attorno ad un ramo della scissura sotto- stante, l’altra posteriore e colla concavità rivolta in alto attorno al ramo già notato della scissura parallela soprastante. Queste due curve così avvicinate danno l’aspetto di un S molto abbreviato. (Pie 1315), Descritta la 2° curva la Circ. temporale media si continua all'indietro e si divide tosto in due pieghe, delle quali una ascen- dente e questa va a continuarsi con la porzione posteriore della Circ. parietale inferiore o piega curva, l’altra diretta all'indietro, ed è quella che chiude l’estremità della Scis. perpendicolare esterna e si continua con il lobo occipitale o se vogliamo con la cir- convoluzione occipitale inferiore. La Scissura temporale inferiore forma il limite infe- riore della faccia esterna del lobo temporale, malgrado l’irrego- larità del suo decorso può essere seguìta fino al lobo occipitale. La sua parte anteriore è visibile ancora quando si esaminano gli emisferi di profilo; il tratto suo posteriore od occipitale decorre sulla faccia inferiore di essi. Originatasi dall’apice del lobo sfe- noidale, seguendo le sinuosità della circonvoluzione soprastante si porta all’indietro, somministra in alto quel ramo attorno al quale abbiamo veduto descrivere la prima curva la sopradetta circon- voluzione, poi come spinta in basso dal grande estendersi della scissura perpendicolare esterna, si dirige all’indietro sulla faccia inferiore e può essere seguìta fino in molta vicinanza dell’apice del lobo occipitale, dando un breve ramo in alto ed un altro all’interno, per mezzo del quale a sinistra essa contrae anasto- mosi con la scissura occipito-temporale interna. Come si scorge adunque questa Scis. costituisce la vera linea limitrofa esterna della faccia inferiore dei lobi temporo-occipi- tali, ed essa nella sua parte anteriore può essere considerata come il risultato della fusione della scissura temporale inferiore e della occipito-temporale esterna, le quali scissure sono talora anche mal individualizzate in cervelli umani riccamente circonvoluzionati, Manca quindi la Circonvoluzione temporale inferiore. Ciò è perfettamente d'accordo con quanto fu osservato da Miller nel suo cervello, mentre in quello di Bischoff ed altri le cose sono un po’ più complesse e ricordano meglio una disposizione umana. SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSÈE 547 Faccia inferiore dei lobi temporali ed occipitali. — Questa faccia si presenta convessa nella porzione temporale, concava nella parte occipitale. In essa si distinguono le due circonvolu- zioni tipiche divise dalla scissura Occipito-temporale in- terna, la quale si presenta meglio sviluppata e disposta nor- malmente a destra. A sinistra invece il detto solco è interrotto nella sua parte media, e da questo punto con un suo ramo devia all’esterno e un po’ all’indietro per andare a congiungersi con la scissura descritta sotto il nome di temporale inferiore. Per questo fatto ne viene che la Circ. occipito-temporale esterna o lobulo fusiforme è meglio costituita a destra, grossa e sinuosa va dall’apice del lobo occipitale allo sfenoidale. A sinistra invece è divisa in due parti corrispondenti ai due lobi. La circonvoluzione occipito-temporale interna si di- stingue da quanto fu fino ad ora osservato. Per mezzo di un ‘solco obliquo il quale mette in rapporto la parte anteriore della scissura calcarina con la scissura precedentemente descritta, questa circonvoluzione è divisa nelle sue due parti costitutive vale a dire nella Circonvoluzione dell’Hippocampo enella Circ. linguiforme, La prima va ingrossando alla sua estremità anteriore per continuarsi poi in un Uncus molto ben pronunciato. L'altra (lobulus linguiformis) è formata da una semplice circonvoluzione che mantiene il medesimo volume fino all’apice occipitale dove si continua con la Circ. esterna. La divisione della Circ. Occipito - temporale interna in due parti è una particolarità molto rara ad osservarsi nel cervello umano e rarissima nei cervelli di Antropoidi, solo il cervello del Chimpansè descritto da Miiller avrebbe presentato una disposi- zione identica a quella ora riferita. Siccome però l'Autore disegna la faccia inferiore degli emisferi nel loro rapporto con il cervel- letto, nelle figure non si può scorgere il modo con cui si pre- sentava questa varietà. Venendo verso la parte anteriore noi troviamo che l'apice del lobo sfenoidale è ben distinto dalla estremità anteriore ingros- sata dalla circonvoluzione dell’Hippocampo, per mezzo di un solco che colla sua estremità anteriore si nasconde nella profondità della porzione basilare della Scissura di Silvio, ma che può essere se- guìto, volgendo esso un po’ all’esterno, fino al suo termine; l’altra estremità diretta all’indietro e appena divisa dalla estremità an- Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XXIV. 140) 548 CARLO GIACOMINI teriore della scissura occipito-temporale interna da una gracile piega, la quale a sinistra avrebbe tendenza a farsi profonda, questo solco così ben distinto per profondità ed estensione del- l'apice del lobo sfenoidale deve essere considerato come un re- siduo dell’arco inferiore della Scissura limbica di Broca e compare come eccezione nei cervelli umani, osservandosi però più frequentemente in quelli di razze colorate (Fig. 2° Le). Non trovo fatto cenno di questo solco, malgrado dai disegni di cervelli di Chimpansè che tengo sott'occhio esso appaia distinto e molto esteso. Così nel cervello di Bischoff (fig. II) avrebbe a sinistra comunicazione con la Scis, occipito-temporale interna. Nei cervelli di Schroeder van der Kolk e Wrolik, di Gratiolet, di Rohon, di Miiller questo solco si presenta nel medesimo modo come nel nostro cervello. Faccia interna degli emisferi. — La Circonvoluzione del corpo calloso ha disposizioni normali, essa è mas- siccia e percorsa solo da solchi vascolari. Posteriormente si spinge fin sotto lo splenio del corpo calloso, terminando nel punto dove viene ad inserirsi la piega di passaggio interna inferiore. Al disotto di questo attacco si trova un solco piuttosto ampio il quale mette in rapporto la scissura calcarina con quella dell’ Hippo- campo. Per questo fatto la circonvoluzione del corpo calloso è bene distinta dalla circonvoluzione dell’Hippocampo (Fig. 2°). La Scissura fronto-parietale interna lo calloso-marginale non subisce alcuna interruzione nel suo lungo decorso; colla sua estremità posteriore piega diretta- mente in alto e compare sulla superficie esterna degli emisferi per l'estensione di 1 centim. subito all'indietro della estremità superiore della Scissura di Rolando. Essa da alcuni brevi e su- perficiali ramoscelli nello spessore della circonvoluzione frontale interna e nessuno al lobulo quadrilatero (Fig. 3° M). La Circonvoluzione frontale intermnanè semplice e regolare. — Posteriormente nel punto in cui essa cor- risponde alla estremità della Scissura di Rolando, potrebbe essere distinto un lobulo pararolandico (P a), principalmente nell’ emi- sfero destro. Il lobulo quadrilatero è reso alquanto irre- solare nel suo margine posteriore per il modo con cui si com- porta la piega di passaggio interna superiore ed il solco che la limita inferiormente; si notano scarsi solchi nel suo spessore. SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSE 549 Il Cuneus (Cw) è ridotto ad una sottile e tortuosa piega, della quale già conosciamo le connessioni. La Scissura cal- carina è molto estesa e profonda. Essa si origina dall’apice del lobo occipitale per mezzo di un tratto verticalmente disposto che ricorda la biforcazione, che si osserva di frequente anche nel Chimpensè ; poi con decorso un po’ arcuato si porta in avanti ed all’esterno, essendo per la sua maggiore estensione situata alla faccia inferiore degli emisferi, per andare infine a mettersi in comunicazione con la scissura dell’Hippocampo. Non merita quindi il nome di scissura occipitale orizzontale. Lo spostamento al- l'esterno è evidentemente dovuto, siccome abbiamo già detto, alla esistenza superficiale delle pieghe di passaggio interne. Si è dalla sua estremità anteriore che parte un ramo che si dirige all’esterno per andare ad unirsi colla Scis. occipito temporale interna, divi- dendo la circonvoluzione dello stesso nome nelle sue due parti costitutive, siccome abbiamo già detto. Perciò l’estremità ante- riore della Scis. calcarina sembra biforcata, e fra le due divisioni sorge la Circonvoluzione dell’Hippocampo. Questa in complesso non si presenta molto sviluppata e regolare ; va però ingrossando nel portarsi in avanti. l’ Uncus invece è ben evidente e proporzionato allo sviluppo del cervello. Nella convessità che descrive la Circ. dell’Hippocampo troviamo la Fascia dentata. Essa nel nostro cervello è profondamente situata, per cui non può ben scorgersi se non quando si è messo allo scoperto il corno sfenoidale dei ventricoli laterali. Essa però è ben distinta nelle sue tre porzioni. La porzione anteriore o Benderella dell’ Uncus si com- porta come nel cervello umano, proporzionatamente più voluminosa, gira attorno all’apice dell’Uncus, nascondendolo completamente. Per il suo volume e per il suo colore è quindi molto distinta. La Fascia dentata propriamente detta non merita questo nome, presentando il suo margine libero abbastanza regolare, senza profonde intaccature. La fascia dentata appare più volu- minosa perchè ha meno intimi rapporti con la Fimbria che resta spinta un po’ all’esterno e lascia così in gran parte allo scoperto la Fascia dentata. Posteriormente si continua con la Fasciola cinerea, la quale invece è meno manifesta, non ha decorso ondulato come nel cervello umano ma si spinge direttamente in alto e tosto si nasconde al di sotto dell’angolo inferiore del lobulo quadrilatero, gira attorno 550 CARLO GIACOMINI al margine posteriore del corpo calloso, e per la sua esiguità non può più essere ulteriormente seguita. Questa parte della superficie cerebrale è ancora caratteristica nel nostro cervello, mancando ogni traccia di Circonvoluzioni sotto-callose, le quali, per quanto rudimentarie, sono però ben manifeste nell’uomo (vedi il mio lavoro Fascia dentata dell’ Hippocampo nel cervello umano 1885). Nessuno degli Autori che hanno descritto il cervello del Chimpansè parla di questa particolarità ; non possiamo quindi dire se questa mancanza sia costante. Però Zuckerkand (Uber das Reichcentrum 1887 pag. 30) ha trovato pure nessuna traccia di queste circonvoluzioni in un cervello di Chimpansè da lui esaminato. Ciò sarebbe d’accordo con quanto si osserva nelle scimie inferiori. La Fimbria poco pronunciata in avanti là dove si origina dall’apice dell’ Uncus, si rende meglio evidente in alto ed all’in- dietro alla sua continuazione coi pilastri della vòlta. Il Grande piede d’ Hippocampo è pure ben distinto in tutta la sua estensione, non molto ingrossato in avanti, manca completamente di digitazioni. Esso riempie quasi completamente l’appendice sfenoidale dei ventricoli laterali. Resta a dire poche parole dell’Insula. Stando alle descri- zioni date dagli Autori, l’insula nel Chimpansè presenta grandi variazioni, le quali, anche qui come in altri punti della superficie cerebrale, raggiungono i limiti estremi. Essa infatti può mani- festarsi quasi completamente liscia, essendo appena indicata qualche orma di circonvoluzione come fu osservato da Bischoff nel suo cervello, ed allora ricorda l’insula delle scimie inferiori Cerco- piteci e Cinocefali: oppure può essere formata da 4 o 5 brevi circonvoluzioni sicccome fu descritta da Turner nel suo cervello segnato con A, ed in questo caso si avvicina alla disposizione che si riscontra generalmente nella specie nostra. Fra questi due punti estremi esistono gli stadi intermedi che costituiscono la maggio- ranza, e ci esprimono perciò la condizione normale di sviluppo del lobo centrale. Nel mio esemplare l’insula fu esaminata solo nell’emisfero sini- stro e risultava formata da due brevi e poco elevate circonvo- luzioni le quali costituiscono i due lati dell’area triangolare, divise fra loro non da un solco, ma da una vera depressione abba- stanza pronunciata. Esaminando poi la faccia della circonvoluzione temporale su- periore che guarda la scissura silviana, si trovano accennati alla SUT, CERVELLO DI UN CHIMPANSE poni parte posteriore di essa due piccoli rilievi diretti verso la profondità, i quali potrebbero essere considerati come i primi accenni delle Circonvoluzioni temporo-parietali che sono così distinte e costanti nella specie nostra. Quel piccolissimo tratto dell’'insula che rimaneva visibile al punto di congiunzione del ramo poste- riore coll’anteriore della scissura di Silvio, corrispondeva all’apice insulare, che in alto dava origine al giro insulare anteriore, ed in basso ed in avanti si congiungeva con l’estremità della por- zione orbitaria della circonvoluzione frontale inferiore. Corpo calloso. -- Relativamente allo sviluppo degli emisferi cerebrali il corpo calloso si presenta più breve e meno robusto. Le principali misure prese dopo indurimento danno le seguenti cifre: Lunghezza del corpo calloso dal ginocchio allo splenium 38 mill. La distanza fra lo splenium e l’apice del lobo occipitale è di 34 mill. Quella tra il ginocchio è l’estremità frontale e di 19 mill. La profondità della Scissura interemisfera presa in corrispon- denza dell’estremità della Scissura calloso- marginale è di 20 millimetri. Queste misure dimostrano come il corpo calloso abbia subìto un minore sviluppo alla sua parte posteriore. Ciò è reso anche evidente dal fatto che il lobulo quadrilatero si è spinto al- l’indietro ed in basso al di sotto dello splenio. Per questo il massimo spessore del corpo calloso è in corrispondenza dello splenio dove misura 7 mill.; si restringe subito in avanti misu- rando solo 3 mill.; poi va leggermente aumentando fino al suo ginocchio, per finire nel becco. Il così detto ventricolo del corpo calloso è poco evidente. I nervi longitudinali di Lancisi per nulla ‘distinguibili. La massima lunghezza degli emisferi dall’apice frontale al- l’occipitale è di 9,1 cm. L'altezza in corrispondenza del lobo temporale di 5,1 cm. La massima larghezza 7,4 em. Sotto il corpo calloso sta il trigono, il quale piegando in basso ed in avanti circoscrive il foro di Monrò non molto ampio. Le lamine del setto lucido sono robuste. Le commessure ben distinte. I ventricoli laterali non sono molto ampi, ma ben svi. luppati in tutte le loro parti. o2 CARLO GIACOMINI Ur In quanto ai nervi cerebrali non ho che a confermare quanto fu osservato da altri Autori. Si presentano con proporzioni un po’ maggiori rispetto a quanto si osserva nell’ uomo i nervi ol- fattorio, oculo-motore comune, ed oculo-motore esterno. Il bulbo olfattorio si presenta un po’ più voluminoso e più allungato che non nell'uomo. Il tratto olfattorio è invece più breve. Il nervo ottico è appiattito e la sua sezione ovale. Posso con- fermare pienamente quanto fu osservato da Miiller nel suo Chim- pansè, che cioè alla superficie ventrale di esso si trova un rilievo il quale proviene dal lato esterno del tratto ottico, decorre obli- quamente in avanti verso il lato interno del nervo ottico dello stesso lato. Rappresenta questo rilievo un cordone o fascio di fibre, che situato al lato esterno del chiasma congiunge il tratto ottico col nervo ottico dello stesso lato senza subire alcun in- crociamento nel chiasma. Che questa disposizione corrisponda al fascio riscontrato da Gudden nell'uomo, come sostiene Miiller, è ancora cosa da dimostrarsi. Il 3° paio è realmente notevole per il suo volume. Miiller ha osservato che questo nervo oltre alla sua radice principale interna grossa, aveva una seconda radice esterna piccola, che usciva tra le fibre dei peduncoli cerebrali. La così detta radice anormale laterale che non raramente si riscontra anche nella nostra specie. Siccome questo fatto si verificava in ambo i lati del suo cervello, così il Miiller crede che esso sia costante nel Chimpansè. Invece deve considerarsi come varietà, essendochè nel mio esemplare mancava. Però è d’uopo notare che il punto di emergenza delle fibre del 3° paio, atteso il suo volume, mi sembra più esteso in senso trasversale. Sugli altri nervi abbiamo nulla a dire, essi si comportano come nella specie nostra, e si possono ben scorgere nella figura che rappresenta il cervello posteriore. Solo il 6° paio merita per la sua origine apparente una menzione speciale. Infatti invece di nascere in corrispondenza del margine inferiore del ponte, al lato esterno della base delle piramidi, sorge in mezzo alle fibre che formano il margine inferiore del ponte, per cui anche per la sua origine apparente come per la reale, esso appartiene in- teramente alla regione della protuberanza. Mentre la superficie del cervello è stata minutamente ed estesamente studiata da tutti gli Autori che hanno trattato del cervello del Chimpansè , le altre parti dell’encefalo furono un ei ce Le. SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSE 559 po’ troppo dimenticate. Solo il Miiller e in specie lo Spitzka hanno parlato di esse, mettendo in rapporto i loro trovati con quanto si osserva nell'uomo. Nel nostro esemplare i Peduncoli cerebrali erano ben distinti, avevano però minore larghezza e si presentavano più convessi che non nella specie nostra. La sezione dei peduncoli non dimostrò all'esame macroscopico l’esistenza del locus niger di Soemmering. Il Ponte di Varolio era in rapporto di sviluppo con gli emisferi cerebellari; distintissimo era il solco basilare. La sua lunghezza era di 15 mm., la distanza fra i due punti d’emer- genza del 5° paio 2 centim. Le Piramidi del bulbo avevano 4 mm. di larghezza in corrispondenza della base. L'incrociamento loro era superficiale ed esteso. Le olive molto sporgenti, regolari, nella loro superficie, misuravano in lunghezza 9 mm., la loro estremità superiore giungeva in molta vicinanza del margine inferiore del ponte; dalla metà inferiore del solco tra le olive e le piramidi, uscivano le radici del XII. Non si scorgevano fibre arciformi. Il cervelletto ben distinto nei suoi lobi e nelle sue lamelle , Molto pronunciato e sporgente si presenta il verme superiore, poco manifesto invece l’inferiore. Fatta una incisione longitudinale sulla linea mediana del lobo medio del cervelletto, si mise allo scoperto il pavimento del 4° ventricolo, il quale non presenta nessuna di quelle par- ticolarità così caratteristiche e così importanti a conoscersi in specie per i loro rapporti topografici del cervello umano. Nes- suna traccia delle ale bianche e cinerea, nella porzione bulbare del ventricolo. Nessuna stria uditiva, nessuna colorazione che indichi l’esistenza di un locus coeruleus, nella porzione superiore del pavimento. Però in corrispondenza dell’apice del calamus, là dove il canale centrale si apre nel 4° ventricolo, a destra ed a sinistra della linea mediana, simmetricamente disposti, si notano due leggeri rilievi per lato, disposti obliquamente, subito al disopra della clava del funiculus gracilis. Questi rilievi evidentissimi sembrano sorgere dal solco mediano e portarsi sul corpo resti- forme, il quale si presenta ben sviluppato. Non possiamo dire che cosa essi ci rappresentino. Solo sezioni microscopiche potranno indicare il loro significato. 554 CARLO GIACOMINI Non volendo portar guasti allo scheletro e ai muscoli dorsali, non fu aperto lo speco vertebrale per esaminare il midollo spi- nale. Questa parte del sistema nervoso centrale, per quanto a me risulta, fino ad ora non fu ancora molto studiata nè nella sua conformazione nè nei suoi rapporti. Da tutti gli studi fatti sul cervello del Chimpansè ne risulta come conclusione, che esso presenta grandi variazioni nella sua conformazione, le quali oscillano tra il cervello dell’uomo e quello meno perfezionato delle scimie inferiori. In tutti i punti della superficie cerebrale riscontriamo siffatte variazioni. Cominciando dal modo con cui si comportano gli emisferi del cervello per ri- spetto al cervelletto, dal modo di presentarsi delle scissure sil- viana ed occipito-parietale, e venendo fino alla costituzione del- l’insula e del lobo parietale, noi troviamo un insieme così diverso di caratteri, che non possiamo a meno di considerare questo cervello come rappresentante uno stadio di transizione. Se Gra- tiolet nel 1854 (Loc. cit., p. 62) scriveva: « les plis cérébraux (du Chimpanzé) offrant, dans les différentes individus de cette espèce, une uniformité plus grande », e considerava questo fatto come un segno d’inferiorità per rispetto al cervello dell'Orang; oggidi dopo le osservazioni di Turner, Bischoff, Chapman, Miller ed altri, possiamo dire che le pieghe cerebrali offrono invece le maggiori varietà. Tutte le variazioni che si osservano nel cervello del Chim- pansè corrispondono in modo preciso a quelle che si riscontrano nel cervello umano, se non che qui si presentano molto più di rado e ben sovente quando esse esistono non sono conciliabili con una normale funzione dell'organo (cervelli microcefalici). Da questa grande variabilità ne risulta, che se ogni cervello di Chimpansè concorda con gli altri nel piano generale di co- stituzione, è però sempre distinto per caratteri individuali. È questa una delle ragioni che mi ha indotto a comunicare al- l'Accademia la presente descrizione. ara aaa asa vara ava ava aaa a TR ut (da ct SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSE LETTERATURA. ScHRoEDER van der KoLK en W. VRoLIK, Ort/eedkundige Na- sporingen over de Nersenen van den Chimpansè. Verhandelingen der Eerste Klasse van het koninkliik — Nederlandsche Instituut. — Amsterdam, 1849 (con due tavole). GratIoLET, Memoire sur le Plis cerebraua de V Homme ct des Primates, 1854 (con atlante). MarsHaLL, On the brain of a Joung Chimpanzee. Natural History, Review, 1861, pag. 309. TURNER, Notes more especially on the Bridging convolutions in the brain of the Chimpanzee. Proceedings of the Royal So- ciety of Edinburg, novembre 1862 all'aprile 1866, pag. 578 (con due figure intercalate nel testo). BiscHorr, Ueber das Gehirn eines Chimpansè, Sitzungbe- richte der math. phys. Classe der K. Akademie der Wissenschaften zu Minchen, 1871 (con due tavole). CHAPMAN, On the structure of the Chimpanzce. — Procee- dings of the Academy of natural sciences of Philadelphia, 1879, pag. 52 (con 4 tavole). SPITZKA, The Peduncular Traits of the Anthropoid Apes, 1879. PARKER, On the brain of a Chimpanzee. Med. Rev., 1880. RoHon Victor, Zur Anatomie der Hirnwindungen bei den Primaten. Miinchen, 1884 (con 2 tavole). JoHANNES MiLLER, Zur Anatomie des Chimpansegehirns. Archiv. fiir Antropologie, Band XVII, 1888 (con due tavole). SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Fic. 1. Emisfero destro visto di profilo. S. Scissura del Silvio. OP. Scissura occipito-parietale. E. Scissura di Rolando. E. Solco orbitale esterno. K. Ramo anteriore della Scissura di Silvio. 550 CARLO GIACOMINI — SUL CERVELLO DI UN CHIMPANSE (I Ce A F?. F?, F*. Circonvoluzioni frontali superiore -media ed inferiore. F. Circonvoluzione frontale ascendente P Id. parietale ascendente. B' Id. id. superiore. B£ Id. id. inferiore. T*, T? Circonvoluzione temporale superiore e media. O. Lobo occipitale. Fig. 2. Faccia interna dell’emisfero destro. Fio. 2. C. Corpo calloso. Cal. Scissura calcarna. Ma. Scissura calloso-marginale alla sua estremità po- steriore. X. Comunicazione della scissura calcarina colla scis- sura occipito-temporale interna. Li. Resto della scissura limbica. Ca. Ma. Circonvoluzione del corpo-calloso. H. Circonvoluzione dell’ Hippocampo. u. Uncus colla sua benderella che copre l’apice. F.in. Circonvoluzione frontale interna. Qu. Lobulo quadrilatero. Cu. Cuneus. 1° e 2*, Pieghe di passaggio interne superiore ed in- feriore. Pa. Lobulo pararolandico. Fic. 3. Emisferi cerebrali visti dalla faccia superiore. M. Estremità posteriore della scissura calloso-margi- nale. Le altre lettere come nella fig. 1°. A. Piega che si intromette nella estremità interna della scissura occipito-parietale. Fic. 4. Cervelletto, Ponte di Varolio e midollo allungato con l'origine dei nervi. VI. Origine del 6’ paio che sorge in mezzo le fibre del margine posteriore del ponte. SA = _ —=- GIACOMINI — Cervello di Chimpansé i Tav. XVI __ Cal Lit. Salussolia, Torino L’inclinazione magnetica a Torino e nei dintorni ; Nota del P. F. Denza. I. Appena tornato dalla spedizione dell’ecclisse totale di sole del 22 dicembre 1870, nella quale ebbi la ventura di essere compagno all’illustre P. Angelo Secchi, intrapresi a Moncalieri una prima serie di misure delle costanti magnetiche cogli stru- menti lasciatimi ad imprestito dallo stesso P. Secchi per grande parte dell’anno 1871, e che poi ripresi per breve tempo nel 1872 e nel 1873. Più tardi, cioè nell’agosto del 1875, incominciai una nuova serie di determinazioni cogli istrumenti acquistati in quell’anno per la campagna magnetica, che feci per più anni di seguito in tutte le contrade italiane. Codesta serie di misure io continuai tutte le volte che mi fu possibile fino al cominciare del 1884. Per cause da me indipendenti, il calcolo del grosso lavoro andò molto a rilento. Essendo ora interamente compiuto e di- scusso quello che riguarda la inclinazione, credo mio debito comunicarne, in brevi cenni, all'Accademia i risultati che si ri- feriscono a queste nostre regioni, di cui sinora poco si cono- sceva a questo riguardo. Darò appresso contezza degli altri elementi, a misura che ne sarà ultimato il calcolo e la di- scussione, L’istrumento adoperato per la misura dell’inclinazione dal 1871 al 1878 era un inclinometro di Barrow, costrutto a Londra e di proprietà dell’ Osservatorio del Collegio Romano; quello di cui mi servii di poi fu pure un inclinometro del medesimo si- stema e perfezionato, costrutto anch'esso a Londra da Dower e controllato all'Osservatorio di Kew. La descrizione di questo istru- mento e dei metodi di osservazione sarà pubblicata nell’opera, di cui ho l'onore di presentare la prima parte all'Accademia. 558 P. F. DENZA Qui accenno solamente, che l'inclinazione fu sempre deter- minata almeno con due aghi, i cui risultati hanno dimostrato il più soddisfacente accordo, non avendo la loro differenza ol- trepassato mai i 5 minuti d'arco, ed essendo rimasta nella mag- gior parte dei casi tra 0' e 2. Le prime osservazioni furono fatte in diversi luoghi dell’ampio bosco annesso al Real Castello di Moncalieri, il quale trovasi a NNE della città, in luogo del tutto appartato e lontano da qualsiasi abitazione e da altre cause disturbatrici. Però fin dalle prime misure mi ebbi ad accorgere che i valori trovati pei diversi elementi magnetici si allontanavano non poco da quelli che avrebbero dovuto corrispondere a questa località; cercai quindi altri luoghi per esplorare se si avessero risultati migliori. Ripetei dapprima le misure nell’ampio parco attiguo al Castello medesimo, in posizione che apparentemente sembra delle più opportune; tuttavia anche qui i risultati non furono soddisfacenti. Pensai quindi rifarle in piena pianura sulla sponda sinistra del Po, opposta a quella su cui si erge la collina di Monca- lieri; ripetendo anche da questa parte le osservazioni in due luoghi diversi. I valori ottenuti in queste due ultime stazioni si avvicinano di più al vero; ma siccome mi tornava troppo incomodo por- tarmi ogni volta in quei luoghi discosti, così dal 1875 in poi osservai sempre nel parco del Castello Reale, facendo stazione nell’accennata località, la cui posizione geografica si è: Lat. N. ASI, 0-1 Long. E. Greenwich 7° 40°.6. Per brevità indicherò con: Stazione I. — Bosco del R. Castello. » II. — Parco annesso al Castello. » III. — Prati presso la sponda sinistra del Po. IV. — Prati della Filanda Gariglio. Riporto qui appresso i risultati delle osservazioni fatte in queste stazioni dal 1871 al 1878, soggiungendovi poi i medî delle misure fatte dal :1875 al 1884 mella stazione II. INCLINAZIONI MAGNETICHE 059 Valori dell’inclinazione dal 1871 al 1873. STAZIONE DATA INCLINAZIONE I 1871 26 febbraio 63%:31 34 » » 2 marzo 63. 20 .2 » » 12 marzo 60 13.74 » » 16 marzo 632,4 » » 30 giugno Lo ali LS II » 80 marzo | Gladio » 1872 7 novembre 02-90-77 III 1871 5 marzo 62 46.8 » » 4 aprile 62 46.9 IV » 3 luglio 62 44.9 i | 62 38 .9 » | 1873. 28 aprile Medi dell’inclinazione dal 1875 al 1884. 1875 “ra rade pet druabio ‘presti 62°.53% 8 PER Soolie Atechute i Ureliberase; i 62 52.8 1877 “satana e dai ntatri. 62 49 .9 1878 ‘a Geriae Dit la" sluotottt. 62 50.3 1879 4a 120 csosbizifivabio | Ezidnd 62 45 .83 1880 sat hr- if auibroras sognato 62 43.5 1881 adi bagliori cho. dae 62 43 .8 1882 tesine quasi gublo-stea 62 41.6 1883 piridegio. ls. socondatàd. ori: 62 43.8 1884 ate -igiVanetia 20n- frase . 62 45.2 Da questo prospetto risulta chiaro, come le cause perturba- trici del magnetismo terrestre in questa nostra regione hanno un influsso assai variabile sui valori assoluti del medesimo. Invero, per ciò che riguarda l’inclinazione, il valore di questo elemento non solo è costantemente più elevato di quello che 560 P. F. DENZA richiede la posizione geografica della stazione, ma cangia eziandio a seconda dei luoghi di osservazione. Raccogliendo insieme i valori ottenuti in ciascuno dei quattro diversi punti scelti per le misure dal 1871 al 1878, si hanno i seguenti risultati: i STRO Perdona ce ite 63° 9:05 II. gt o onnape 62 51.0 (UE 10 | IIUURO deb tatto. 4Pp 62 46.9 e ep Us hrs Mb» distri 62 “4108 È da avvertire che nella stazione I, cioè nel bosco del R. Castello, osservai in due luoghi diversi a non più di 100 metri l'uno dall’altro, cioè nel viale posto sul culmine del bosco ed in un prato alquanto più basso del bosco medesimo. Nel primo luogo feci stazione il 26 febbraio ed il 2 marzo 1871, e nel secondo il 12 e 16 marzo ed il 30 giugno dell’anno medesimo. I medî dei valori trovati in ciascuna località sono rispet- tivamente : la. batte freni ta ; 632008 Ib. anea da Cabala Cisa" 68. Si Di modo che disponendo per ordine decrescente tutti i valori ottenuti, risulta lo specchio che segue: Ia. 5 I GV SO SPARTITI DIE 68” *20". 8 Ib. DIOR EDT Apa ge 63 2-20 Il. e eri banana de 62° 5ie0 III. PIE Prali PA pre o bi 62 46 .9 IV. scie Ma ì lag 62 4lk29 Questi cinque punti di osservazione, per singolare coinci- denza, restano distribuiti anche per ordine di altezza come segue: la. rità dog" *alitudine STE Ib. "PR e peli dA » 303 » i e e AT Suda » 285 » III. RE IT Re dI » 218 » IRE O, EI (E » 217 » Oltre a ciò, i primi tre punti trovansi alla destra del Po, in collina, il primo più distante, il terzo più vicino; gli ultimi due trovansi alla sinistra, per ordine di distanza altresì, ed in pianura. INCLINAZIONI MAGNETICHE 561 Risulta quindi che nelle stazioni della collina, alla destra del Po, l'inclinazione magnetica è maggiore che in quelle della pianura che trovansi alla sinistra; e che l’aumento cresce col- l'altezza del punto di osservazione e colla distanza del medesimo dal fiume. Dal che può inferirsi che, probabilmente, la causa perturbatrice dalla pianura si estenda e si aumenti sull’intero poggio su cui trovasi Moncalieri. Tre altre misure furono fatte in questo frattempo alla sta- zione II; la prima nel 1875 dall’inglese Padre P. Perry nel suo ritorno dall’isola di Kerguelen, dove si era recato per le osservazioni sul passaggio di Venere; la seconda nel 1886 dal Dottor Ciro Chistoni, dell'Ufficio centrale di meteorologia; la terza l’anno scorso dal Prof. Angelo Battelli, dopo mia richiesta. Ecco i risultati : ono 0 o a 0225507 li5S6*_20-2l' agosto”... ci è. bara 1888 25 novembre ran sat Da LIT rn I quali valori offrono soddisfacente accordo coi miei, te- nendo conto della variazione annuale. II Affine di compiere, per quanto possibile, l’incominciato la- voro, e per meglio studiare il problema, intrapresi alcune serie di osservazioni a Torino e nei dintorni. Nella prima serie, oltre la stazione di Torino, ne scelsi altre tre, cioè: la Veneria Reale (Regia Mandria), che trovasi a nord di questa città, presso a poco sullo stesso meridiano, dal lato opposto di Moncalieri che è al sud; Rivoli e Montaldo Torinese, disposte ambedue quasi sullo stesso parallelo di Torino, la prima ad occidente, la seconda ad oriente, e l'una e l’altra in collina, mentre la Veneria non rimane di troppo più elevata di Torino. Feci anche osservazioni sul vicino Colle di Soperga, a circa 400 metri più alto di Torino, ed a poca differenza sia di lati- tudine come di longitudine; ed altre alla Sacra di San Michele, che si eleva di oltre 700 metri sul piano di Torino, e la cui latitudine non differisce guari da quella della stessa città, seb- 562 P. F. DENZA bene la longitudine se ne allontani alquanto, cioè di circa 20 minuti di arco. Questa prima serie fu eseguita nel 1871 nel lasso di poco più di due mesi, cioè dal 13 aprile al 22 giugno. La seconda serie di misure la feci nel 1877 e la terza nel 1880, scegliendo ciascuna volta, per quanto fu possibile, epoche poco diverse, e non tenendo più conto delle stazioni di Soperga e della Sacra di S. Michele. Nella serie del 1877, non avendo potuto osservare alla Veneria per cause da me indipendenti, mi posi ad Altessano, sulla sponda della Stara, a quella assai vicina; e nell’ultima serie del 1880 omisi del tutto questa stazione. A Rivoli le osservazioni furono fatte sempre nello stesso luogo, cioè nella spianata NW del Castello. A Montaldo, invece, nelle ultime due serie si osservò in luogo poco discosto da quello del 1871, per evitare il sospet- tato influsso di un rialzo di terreno prossimo a quest’ultimo. La stazione era nella tenuta del Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri. A Torino cambiai ogni volta stazione, ed anzi feci altre osservazioni pure in luogo diverso nel gennaio del 1872, per esplorare sempre meglio l'influenza delle diverse località. Ecco la posizione dei suddetti punti di osservazione : I. Sulla collina di Santa Margherita ad Est della città; II. Prati annessi all’antica villa dei Conti Rignon a SW; III. Viale presso l’antica Piazza d'Armi, di rincontro alla chiesa della Crocetta; IV. Presso la punta nord dell’isola Armida sul Po, a SSW. Soggiungo le altitudini approssimate dei luoghi di osserva- zione innanzi accennati : Sacra di San Michele . . . . 920 metri Sapergaft1s] .osesìe o7/ua gsaup anpednma 6640» Rivoli 5 a 5 5 . b 3 " 415 » Montaldo î È È, è È È ò 396 » Nenenata 160.2" li REI Atesina 15 000.) opiniv 17% Irannv30e 25006 Totinoisaprup e40g e Do ongdot ti 04981 ba Toso 05 È ; ; - L Ò 244 Ma Tormao.idit o bngap dz poi OD #Ma2£3 76 Patio allo aUsstp #0 I8Dp, 0000121001 + INCLINAZIONI MAGNETICHE 5653 Ecco pertanto i risultati avuti in ciascuna stazione nel tempo anzidetto : Valore dell’inclinazione a Torino e nei dintorni. ==", STAZIONE DATA INCLINAZIONE" | Hull'onino IMipyr3!9, 0% 1871 13 aprile 62° 10'.6 ESTR A » 11 maggio 62 20.4 i Montaldo........ » 14 maggio nel E | Sacra di S. Michele. » 21 maggio 62.35 .6 I Veneria Reale .... » 1 giugno 62 ‘13 p9iGa DONoESac est » 22 giugno 61. 08,1 | ifMontaldo:n. sun 1872. 21; luglio 62 Brad Wonmno IL. ;...... 1873 18 gennaio 61-49, GA Montaldo. ....... 1877 26 aprile bare 48 Te » 15 maggio Od: LA | Altessano...... Ùù » 17 maggio 62 18.4 Honnm@obb.a sn » 24 giugno 62 12.8 | | Montaldo........ 1880 30 maggio 61-:59.4 (| Boll: ici. » 13 giugno Uda sibi Moro .IVrp.on.. » 11 luglio 623 1 .0 Dal precedente prospetto si fa manifesto che: 1° Nei piani di Torino e sulle colline limitrofe la per- Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. A XIV. 19 564 P. F. DENZA turbazione è, in generale, minore che a Moncalieri; però i valori ottenuti, salvo quelli di Torino III, rimangono sempre maggiori del normale. 2° I risultati avuti nella stessa pianura di Torino variano a seconda dei luoghi di osservazione, comechè a non grande distanza l’uno dall’altro. 3° Nelle due stazioni di Torino II e III, poste alla si- nistra del Po, l'anomalia è minore che in quella di Santa Mar- gherita (I), posta alla destra ed in luogo più elevato, come av- viene a Moncalieri. La perturbazione è maggiore, avuto riguardo all’epoca, nella stazione sita sullo stesso fiume (IV). 4° Le due stazioni della Veneria e di Altessano, poste anch'esse alla sinistra del Po, danno valori variabili, e nella prima si ha un risultato minore, nella seconda maggiore di quello avuto alla destra del fiume medesimo. 5° Nella stazione elevata di Soperga, pure alla destra del Po, l'inclinazione è minore che in tutte le altre stazioni studiate all’epoca medesima, contro ciò che avviene a Moncalieri; invece alla Sacra di San Michele, che è la stazione più alta di tutte, si ha il massimo valore. Però il medio di queste due stazioni elevate, cioè O2T L77813 è poco diverso da quello delle quattro rimanenti stazioni, stu- diate nell’anno medesimo 1871, il quale si è: orlo 0, Questo valore è di 44'.1 inferiore al medio di Moncalieri del 1871, e di 28'.0 più piccolo del medio delle due deter- minazioni fatte in questa stessa stazione, prima e dopo la serie delle esperienze suddette, cioè il 4 aprile e il 80 giugno 1871. Pigliando pertanto i medî delle tre serie di misure eseguite a Torino e nei dintorni, ed escludendo dalla prima serie la Sacra di San Michele e Soperga, si ha: ISTISAE Faneco (alia 62°°15. 60 ISS e ta nn GILL, clic: eee ele o e i” 60200 De Volendo rendere più omogenei questi risultati, fa d’uopo escludere le stazioni della Veneria e di Altessano, sia perchè INCLINAZIONI MAGNETICHE 565 ciascuna non fa parte che di una sola serie, sia perchè non sono punto in accordo fra loro. Ritenendo quindi le sole tre stazioni di Torino, Rivoli e Montaldo, si ottiene: LS pepEne AI Mp0 RE a; 62 1602, LT: VREPRZA Lr. pra red 2 Lion PRO. 6 Motore 116 kol Glion. Finalmente, calcolando i soli valori di Montaldo e di Rivoli, siccome i meno influenzati da cause perturbatrici, ed assumendo per Montaldo il valore del 1872 invece di quello del 1871, perchè più prossimo al vero, risulta : elica corsi dazio nia 6e'ldidii Bano ria otiibunbibni 6: 62 ib bia Laion ticantiiotiate 62 è deg Questi risultati offrono notevole accordo, come dirò più appresso. Il Dottor Chistoni, nei giorni 23-25 agosto 1886, osservò all'Istituto Bonafous a Lucento, al NW di Torino dal lato stesso di Altessano e della Veneria, ed ebbe: Go 34: > risultato inferiore a quelli da me ottenuti nelle due suddette stazioni; esso si avvicinerebbe di più a quello di Soperga 1871 e di Torino III del 18783, tenendo sempre conto dell’epoca Nel gennaio di quest'anno 1889, il Prof. Battelli, da me pregato, ripetè le misure all'isola di Armida ed a Rivoli. Al- l'isola di Armida osservò il 19 gennaio nello stesso luogo. da me studiato, ed ottenne: a Rivoli osservò il 24 gennaio, in posizione alquanto più a SE della mia, e trovò: i © 19! BA ppi E qui importa notare che gli inclinometri del P. Perry, di Chistoni e di Battelli erano tutti inglesi, della stessa costruzione del mio. Atti R. Accad. -— Parte Fisica, ecc. — Vol. XXIV. IS 566 i P. F. DENZA In ultimo, il 2 luglio 1883 feci misure magnetiche nel parco di S. A. R. il Duca di Genova ad Agliè, a circa 20 km, da Torino, e per l'inclinazione mi risultò: Lina E E valore anch'esso maggiore del normale. III. La variabilità dei valori dell’inclinazione magnetica sulle due sponde opposte del Po fu rilevata fin dal 1861 dal Prof. Sil- vestro Gherardi, il quale, il giorno 8 settembre di tale anno, fece tre serie di misure dell’inclinazione con un inclinometro di Gambey: una a sinistra del Po, tra il borgo San Salvario ed il fiume; un'altra a destra, all'imbocco della Valle dei Salici; ed una terza sulla sponda stessa del fiume presso il ponte del Valentino. 1 risultati furono: Sponda, sinistra u;:/ fx. ninson « avvisi Abe Sponda destrato Sa simone) «alla 6-oneS241 2/08 Sul:Por Sl PE, COL La maggiore inclinazione si ebbe quindi sullo stesso fiume , come l’avemmo anche noi: però gli altri due valori sono inversi dei nostri, giacchè sulla sinistra sono maggiori che sulla destra del fiume stesso. È da notare peraltro che le mie osservazioni alla destra del Po sono tutte fatte sulla collina, che da questa parte lambisce il fiume; e solamente Soperga, che è la più alta da questo lato, dà valori minori di quelli della riva sinistra. IV. Le anomalie del magnetismo terrestre a Torino furono già molto tempo prima rilevate da Humboldt e da Gay-Lussac, i quali, trattando delle misure da essi fatte a Torino per deter- minare i valori assoluti delle costanti magnetiche, ebbero ad INCLINAZIONI MAGNETICHE 567 affermare che questi furono senza dubbio influenzati da qualche causa specialissima (1). Per avere un qualche schiarimento su codeste singolari di- screpanze mi rivolsi al compianto ed illustre collega Bartolomeo Gastaldi, il quale mi ripetè ciò che altra volta avea scritto al ricordato Prof. Gherardi, rimandandomi alla lettera da questi inserita nella sua Memoria III sul Magnetismo dei mattoni. Egli attribuisce un tal fatto alla notevole quantità di ciot- toli di serpentino, di eufotide. di amfibolite e di dioriti che sì trovano diversamente disseminati nell’ampio strato diluviale che sì distende sulla pianura torinese sino ai piedi delle Alpi. Idee, nel complesso, non diverse da quelle del Gastaldi, espose alla R. Accademia de’ Lincei dal Prof. Torquato Taramelli, il quale, a proposito delle perturbazioni notate dal Chistoni nei valori magnetici nella Liguria occidentale, affermò che esse « possono es- sere in rapporto o colla forte discordanza delle formazioni presso le dette località, oppure alla vicinanza delle serpentine, svilup- patissime al ponente di Arenzano, e certamente esistenti sotto la coltre dei terreni eocenici e miocenici dei colli di Torino. » Le stesse cose mi vennero in questi ultimi tempi confermate dal Prof. Federico Sacco, della R. Università di Torino, a cui mi rivolsi per maggiori schiarimenti sulla costituzione geologica dei singoli luoghi da me studiati. Ora, è nota l'azione che le masse serpentinose e le eufoti- diche, e, in generale, le così dette pietre verdi, nelle molteplici loro varietà, si hanno sugli strumenti magnetici, influendo sui medesimi o come ferro dolce o come ferro dotato di polarità magnetica, per causa degli ossidi ferrici © ferrosi che conten- gono in diverse proporzioni, come fu dimostrato da molti, e tra i più recenti citiamo i lavori del Cossa, del Keller e l’ultimo del Montemartini. Ciò vale a spiegare, almeno in parte, la diversità delle per- turbazioni da me trovate nel magnetismo terrestre col cangiare del luogo d’osservazione. Vi potranno avere influenza altre cause, le quali forse si riveleranno coll’estendersi e col moltiplicarsi di questi studi nelle (1) Observations sur l’intensite et l’inclinaison de la force magnetique faites en France, en Suisse, en Italie et en Allemagne, ecc. — Mémoires de Phy- sique et de Chimie de la Societé d’ Arcueil, tom. 1, pag. 22. 568 Fa. F. DENZA diverse contrade italiane, giacchè ormai è dimostrato che il ma- gnetismo della terra, del pari che la gravità, non procedono in modo così regolare come si pensava un tempo, stante le scarse osservazioni che si avevano; ma l’uno e l’altra addimostrano ano- malie non rare e non lievi, anche in contrade vicine ed apparen- temente non influenzate da cause disturbatrici, per causa della diversa costituzione e discontinuità della massa interna del globo. Parmi poi doversi accogliere con grandi cautele la ipotesi emessa da qualcuno, che cioè le alterazioni magnetiche avvertite soprattutto in queste nostre regioni possano aver relazione coi fenomeni sismici; perochè, com’ è noto, questo tratto della valle del Po che circonda Torino è quasi del tutto immune dall’azione dei terremoti. V. Prima del 1871 le determinazioni delle costanti magnetiche a Torino furono scarse anzi che no. Quelle dell’inclinazione, che ho potuto trovare dopo le molte ricerche fatte, sono le seguenti: LR ey 1 Boi dl bot Humboldt 1838. 17-18 giugno . 63 52.2 Bache 1839 1 settembre . 63 55 .5 Quetelet 1842 14 agosto... . 63 56.1 Plana 1848 «gii *4 (0:04 0Callae addi 64 11.1 » NERIIGtAntE, Mn ne: Mart”. ea 62 57.9 Gherardi PROTEO, RI MOTO, 62 25.0 » 1861 8 settembre . 62 28.0 » 1867 1 settembre . 62 27.7 Kaémtz Questi valori, com’è naturale, non sono paragonabili tra loro, perchè fatti in luoghi e con metodi diversi, e per la mag- gior parte con istrumenti che non potevano offrire la precisione che ora richiedesi per queste indagini. VI. Per valutare la variazione annua, 0, come suol dirsi, la variazione secolare dell’ inclinazione in questa nostra contrada, ho messo a calcolo tutte le misure prese da me a Moncalieri INCLINAZIONI MAGNETICHE 569 dal 1871 al 1884, e quindi anche le altre eseguite dal Chistoni nel 1886 e dal Battelli nel 1888. I risultati avuti sono: I neuen i aio n La tsrlas = 858. dala canale abbina ibotl Per Torino ho calcolato le sole osservazioni eseguite a Rivoli ed a Montaldo, perchè, com'è stato detto, sono, fra tutte, le più omogenee e fatte sempre nello” stesso luogo; ed ho pure messo a confronto le mie osservazioni all'isola di Armida con quelle di Battelli fatte nel punto medesimo. Ecco i valori ottenuti, non guari diversi dai precedenti : E IO e ne n 9 elet =19890 Poe ene th 2 Tutti questi risultati vanno interamente d’accordo con gli altri molti che ho avuti dal calcolo delle misure prese in tutta Italia, dalle quali risulta che, al presente, la variazione secolare della inclinazione è, nell’Alta Italia, di Te e che, come già conoscevasi, essa va diminuendo lentamente d’anno in anno. Le mie determinazioni fatte a Rivoli, poste a confronto colle ultime del Battelli, di cui innanzi ho detto, darebbero —1'.9, il qual valore è troppo grande; e ciò perchè, come pur si è accennato, le osservazioni furono eseguite in due luoghi diversi e troppo soggetti all’influenza tellurica. Paragonando le mie osservazioni di "Torino rispettivamente con quelle di Humboldt, di Bache, di Quetelet e di Kaémtz, si hanno i seguenti valori per la variazione secolare dell’inclina- zione magnetica nel secolo che corre: 1805,:—184604n cn scoisenilo=#3 430gdAumiboldt 1838.187040, ami 6wq s321070 Bache 1839.7—1876.4.. . ..0 2.9 Quetelet 1367.7-—1870.4 . .. +, —2,ti}aoRagmia 570 PARIS DENZA Da ultimo, se si mettono a confronto le osservazioni suc- cessive, cioè quelle di Humboldt colle altre di Bache e Quetelet, e queste colle ultime di Kaémtz, si ha; ERESSE n ee egg DA IBISTA L00440, L.A RARI = DES Da tutti i suddetti risultamenti, che corrispondono a quelli ottenuti altrove in Italia, risulta chiaro la diminuzione della variazione annua della inclinazione magnetica, la quale al prin- cipio del secolo era di circa 4', ed ora si è ridotta a poco più di 1’. Ne rincresce che la scarsezza delle osservazioni antiche di Torino non permettono di fare calcoli e discussioni più ac- curati su questo riguardo. VII. In ultimo, adoperando i valori trovati colle mie osservazioni per la variazione annuale, ho calcolato i risultati delle misure da me fatte a Torino e nei dintorni in diversi tempi, riducen- doli all’epoca 1890.0, ed ho avuto: Veneria Reale, . 19. &nBIi pill Uol 9 geo Altessanie;, iL. - fel eat SENIO Sacra di San-Michele . . . . 61 29 .6 Rivoli GOSUTINID TO RESO ISBIODERNOO., GiacEo) Montaldo: è... porto el er Soperpà..8, 91206 DUTMI & NI, XI0 Oi 2 o Tenitig:9181 0095 Ol IRIBOCI LUO I Ubi Aee Moficalieri 980 0 9° BOOT VON 623-928 Il valore della variazione secolare nel 1890, come si è visto, si è di —1'.1; in seguito essa continuerà a diminuire di circa 0.05 all’anno, prescindendo da perturbazioni e da alterazioni accidentali facili ad avverarsi. Quindi, se nulla avvenisse d'’insolito, il minimo di tale valore accadrebbe intorno al 1910; cioè in quest'anno od in quelli non lontani la variazione dell’inclinazione sarebbe nulla, epperò l'inclinazione magnetica toccherebbe il mi- nimo suo valore. È questa però una conclusione che merita ogni riserva, se si pon mente alla variabilità di tutti gli elementi del magnetismo terrestre. INCLINAZIONI MAGNETICHE 57/1 Pertanto, dal fin qui detto si può comprendere di leggeri quanto sia difficile poter determinare, per questa nostra regione, il genuino valore dell’inclinazione magnetica; il che vale eziandio per gli altri elementi, come avrò occasione di far rilevare in seguito. Questa stessa difficoltà peraltro s'incontra in molti altri punti d'Italia, le cui condizioni fisiche e geologiche sono così complesse e diverse; e con rammarico la troviamo maggiore là dove le osservazioni recenti sono più numerose e più precise, cioè a Torino, a Roma ed a Napoli. Tutto ciò, mentre rende assai difficile la costruzione di una buona carta magnetica del nostro paese, addimostra quanto sia poco rigoroso il metodo seguito da alcuni, di tracciare cioè le curve magnetiche di una regione appoggiandosi solo ad un numero limitato di misure in questa eseguite. L’Accademico Segretario GIUSEPPE Basso. e_——__—__tM/\/ke:---—P—T x INDICE DEL VOLUME XXIEWV Apunanze della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali . . Pag. 59, 93, 139, 140, 177, 195, 241, 253, 254, 309, 351, 391, 449, 467. CONDOGLIANZE a S. M.il Re per la morte di S. A.R il Principe Eugenio di°Savera* Carignano MOSS, 0, Mo ot arte Dee ai chala 0a a ee E » 234. ProGraMMA pel VII premio BRESSAISITS,. [s (ST) - 574 INDICE DEL VOL. XXIV PagGLIANI (Stefano) — Sopra alcune deduzioni della teoria di van’ Hoff sull'equilibrio chimico coi sistemi disciolti allo stato diluito; Nota liti e ie E ALMAL (SIA CATA 2-5 Nota see. driaii to ditte TOMAS RR I Pieri (Mario) — Sulle tangenti triple di alcune superficie del sesto Ur dinG ai asia nativi iti PioLtI (Giuseppe) — Gneiss tormalinifero di Villar Focchiardo (Val di. Susa):.-