(P,9).(n-g, n —p), 0 =PS94=% 7 che può tradursi nell’enunciato seguente : « Il numero degli elementi uniti di due spazi rigati s0- vrapposti in corrispondenza algebrica (sotto la restrizione in- 1 dicata poc'anzi (*)) è dato dalla somma degli (af numeri , ciascuno dei quali esprime quanti sono gli elementi di una forma fondamentale di rette (nel significato di SCHUBERT) che hanno i loro corrispondenti in una forma fondamentale co- niugata alla prima. » (**). Per n—=2 ed n=3 si hanno rispettivamente le formule : N,ay=(0;1)-(1,2)'+ (0,2) (0,2) +(1,2).(0,1)', N..y= (0,1) . (2,3)'+ (0,2). (1,3)'+ (0,3). (0,3) +(1;2) .(1,2)' + (1,8). (0,2)'+ (2,8). (0,1)', la prima delle quali è dovuta al SALMON (***) e la seconda (credo) allo Scnusert (****). Quest'ultima si ottiene nel modo più sem- plice con la proiezione stereografica della quadrica di rette sopra uno spazio lineare di punti a quattro dimensioni (*****). (*) Cioè che non esistano coincidenze imperfette. Del resto non è neces- sario che le due serie di rette corrispondenti occupino ciascuna un [n-4, n], ma basta che esse formino insieme un sistema 00°!) di coppie di rette. (**) Numeri siffatti potrebbero chiamarsi opportunamente gradi della cor- rispondenza algebrica; onde il numero degli elementi uniti di questa werrebbe espresso dalla somma di tutti i suoi gradi. — La stessa legge si riscontra com’ è noto, nella corrispondenza fra i punti di due [m] sovrapposti, e in altri casi particolari: il che fa presumere che essa abbia luogo anche in or- dine alla corrispondenza fra gli elementi di due forme fondamentali sovtap- poste qualunque, i (***) Geom. of three dim., sec. ed., pag. Dil. (*9*) Kalkiil der abzcéhlenden Geometrie. Leipzig, 1879, pag. 61. form.? 34. (#*##**) (on lo stesso metodo, cioè rappresentando sopra un [2(n-41)]la varietà (razionale) che ha per punti le rette di [n], si potrà forse dimostrare anche la formola (I). SULLA CORRISPONDENZA ALGEBRICA FRA DUE SPAZI RIGATI 248 x . 2. All’oggetto -di dimostrare la formula (I) è indifferente considerare lo spazio rigato [n— 1, x], o la forma ad esso cor- relativa [2, 3, 4,...n—1, n]. Potremo quindi ragionare sugli [2-2] di [n] e dimostrare la formula : (II) Sura» Nozio. = DI (4; A,,3 dg 0003 An39 An23) ° Li - (M-A,L, N_-U3 0. NU N_- A W_-A) , È di; VZ Bhe Riz» lacca = che si deduce dalla (I) per legge di dualità; e nella quale il prodotto simbolico " ' WIEN, Gr-2r Un) Gg, NG RG, nd), esprime il numero degli elementi di un [@,,4,,..,4,-3; 4ns] che hanno i loro omologhi in una forma fondamentale coniugata [ha ,M_-d,3, MU M-4] (luna e l’altra forma essendo prese in posizione arbitraria) (*). Per n=2 la formula suddetta ci dà l’ordinario principio di corrispondenza nel piano, e per n=3 la formula di Schubert precedentemente citata (n. 1). Basterà dunque far vedere che, se la legge espressa dalla formula (II) vale per i due spazi con- secutivi [2,3,4,...r—3,n—2] e [2,3,4,...n—2,n—1], essa deve altresì valere nello spazio [ 2,3,4,...n —1,#] immediata- mente superiore. 3. Per ciò siano S, S' i due spazi di [n — 2] sovrapposti in [2,3,4,...n-1,r], ed s,,_»); 5 (n-2) due elementi corrispon- denti qualunque dei medesimi. Prendasi a piacere un [n — 1] fisso La)» e sì cerchi dapprima # numero x degli S-.), che passano per un punto dato O (non situato in Q) ed incontrano i corrispondenti sab, secondo [n-3] di Q. Il numero « sarà evidentemente uguale al numero degli elementi uniti nella cor- rispondenza esistente sullo spazio ©,,_,) fra le tracce pPq_3) » Pn) degli sm.) passanti per O e degli s(,_,,) corrispondenti ai medesimi. (*) Per il principio di dualità relativo ad [n], due forme fondamentali conjugate in [n] si mutano sempre in due forme analoghe. 244 MARIO PIERI Ora, se lo spazio Pn) descrive in Q una forma fondamentale : O=[b; dj il dar ata] Ob-2GGHH -2HH 'FF-2FF'GG) +16 (AGH'+ BHF'+CFG'+3 FGH+3 F'G'H'- ABC)D +16 (BCG'H+ CAH'F+ ABF G) — 16 (AFG*+ BGH®+ CHF°+ AF'H'°+ BG'F'°+CH'G”). Le equazioni f=0, fy=0, f,=0 rappresentano tre co- niche; la condizione perchè esse abbiano un punto comune è R=0. La condizione poi affinchè nella rete di coniche A f,+Asfg +%3fa=0 (*) V. la mia monografia: La Superficie di Steiner, pag. 22, 23. (**) V. per es. CLeBscH-Linpemann: Vorlesungen iiber Geometrie, p, 526, 264 F. GERBALDI esista una retta doppia è LPD "=0 0, csia _(l'agt,=00 e noi abbiamo per mezzo degli invarianti fondamentali (103... IT-—JT, =? E°+3E(D°-FF'- GG'— HH') +3(GG'HH'+ HH'FF'+ FF'GG') — 2(A4GH'+ BHF'+ CFG'+3 FGH+3F'G'H'— ABC)D — (BCG'H+ CAH'F+ ABF'G) + AFG*+ BGH”+ CHF?®4+ AF'H'?4 BG'F'?+ CH'G"?,. Palermo, febbraio 1890. (*) V. CLEBSCH-LINDEMANN, l.c. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso, ”; > NUO Ao ni a % » tx ; K x È La: A 4 $ ni 4 x % ro n t à x = ; p- » TA wc a: à ) % ; : n Ales ] È n (ne + 0, Matematie n dL6 465 SA | Classe di Scienze Fisich Sgr NE Pd d (| ‘|»—_°;;_;::-\: ADUNANZA del 23 Febbraio per i 7 Naccari — Sulla dispersione della CA e delle scintille elettriche .. | GersaLpi — Sui combinanti di tre ternari XITE. R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO - DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, Disp. 9", 1889-90 Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 265 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 9 Marzo 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa Direttore della Classe, BRUNO, Berruti, D'Ovipio, BizzozerRo, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, G1- BELLI, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Si legge l’atto verbale dell’adunanza precedente che viene approvato. Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ordine che segue : « Il poligono funicolare in cinematica »; Nota dell’Ing. Elia Ovazza, Assistente alla Scuola d’applicazione degli ingegneri di Torino, presentata dal Socio Cossa ; « Ancora sul modo di adoperare gli elementi geodetici dell'Istituto geografico militare »; Nota 2° del Prof. N. JADANZA presentata dal Socio NACCARI; « Un nuovo campo di ricerche geometriche », Nota 2° del Socio SEGRE; « Nuove specie di ditteri del Musco geologico di Torino »; Nota del Dott. E. GIaLIo-Tos presentata dal Socio CAMERANO: « Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle glandole gastriche »; Nota del Dott. S. SaLvioLI, Assistente al Laboratorio di Patologia generale della R. Università di Torino, presentata dal Socio BIzzozERo ; « Relazione sopra la Monografia dell’Ing. Camillo GUIDI, Professore nella Scuola d’applicazione per gl’Ingegneri in Torino « Sulla teoria della trave continua >»; del Socio FERRARIS, condeputato col Socio BERRUTI. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 20 266 ELIA OVAZZA La Classe accoglie le conclusioni favorevoli della Relazione, ammettendo alla lettura questo lavoro, e poscia ne delibera la pubblicazione nei volumi delle Memorze. LETTURE Il poligono funicolare in cinematica ; Nota dell’ Ingegnere ELIA Ovazza 1. È nota la stretta analogia che corre fra la teoria cine- matica della composizione dei movimenti e quella statica della composizione delle forze. i Se rappresentasi ciascuna rotazione componente il moto ele- mentare d’un sistema rigido con un segmento s del corrispondente asse di rotazione, proporzionale alla velocità angolare e diretto per tal verso che una persona, distesa su di esso coi piedi alla sua origine ed il capo all’ estremo, veda avvenire la rotazione per un determinato verso, e, considerati questi segmenti s come indi- viduanti altrettante forze sollecitanti un sistema materiale rigido, si determina qual si voglia sistema di forze equivalente a quello definito dai segmenti s; se in seguito i segmenti s, individuanti le forze di quest'altro sistema s’interpretano come rappresenta- zioni d’altrettante rotazioni elementari, il nuovo sistema di rota- zioni che così si ottiene equivale al sistema di quelle definite dai segmenti s. Segue che tutti i metodi che si adoperano per comporre le forze sono senz'altro applicabili alla composizione dei moti ele- mentari (che sempre si possono ridurre a rotazioni infinitesime) ; di quì la principal ragione per cui, con vantaggio in omogeneità di trattazione, in alcuni corsi di meccanica razionale alla teoria della composizione dei movimenti ed a quella della composizione delle forze si fa precedere la teoria geometrica dei segmenti, la quale appunto in quelle trasformasi quando le grandezze astratte segmenti si considerano successivamente come individuanti rota- zioni infinitesime oppure forze. IL POLIGONO FUNICOLARE IN CINEMATICA 267 2. Avendosi a comporre più forze parallele, p, non compiane, è noto che può operarsi come segue: assunti a punti d’appli- cazione delle forze (fig. 1°) i punti d’incontro P delle loro linee d’azione con un piano x, si ribaltano le forze p, conservandole parallele, attorno ai rispettivi punti di applicazione sul piano 7 in una direzione arbitraria /; si collegano le forze p,, che risul- tano dal ribaltamento, con un poligono funicolare: la retta r, con- dotta in direzione / pel punto comune ai lati estremi di questo poligono passa pel punto O d’incontro col piano 7 della risultante delle forze p. Fatto il ribaltamento in un’altra direzione mm sul piano 7, si ottiene un’altra retta r,, su cui deve giacere il punto 0, che resta così determinato. Applicata in O nella direzione delle forze p una forza r d’intensità eguale alla somma alge- brica Xp delle intensità delle componenti, r è la risultante cercata. La stessa costruzione può applicarsi per analogia alla com- posizione di più rotazioni elementari attorno ad assi paralleli. In questa nota ci proponiamo di attribuire a tale costruzione signifi- cato puramente cinematico, sicchè per spiegarla non occorra risalire a teoremi della statica con evidente giro vizioso, chè dal concetto di movimento si risale a quello astratto di forza, non viceversa. 8. Se il moto d’un sistema rigido è risultante di più rota- zioni attorno ad assi aventi tutti egual direzione p, esso avviene parallelamente ai piani la cui giacitura è normale alla direzione p, ed è quindi perfettamente determinato quando lo sia il moto d’una sezione fatta nel sistema materiale da un piano 7 avente tale giacitura, moto che avviene sul piano 7 medesimo. Perciò noi ci limiteremo a considerare per sistema materiale invariabile una figura piana mobile in un piano normale agli assi delle rotazioni elementari componende. 4. Un sistema piano invariabile x muovasi nel proprio piano x, considerato fisso, con moto elementare rotatorio attorno al punto (7), centro d’istantanea rotazione, ossia attorno all'asse normale al piano x condotto pel punto (r@); e dei singoli punti A del sistema « si proiettino ortogonalmente le velocità su di una di- rezione { giacente nel piano 7; le proiezioni che così si ottengono sì diranno in seguito velocità dei punti A in direzione l. Per tutti i punti del sistema mobile, che giacciono sopra una stessa 268 ELIA OVAZZA retta di direzione l tuli velocità in direzione l sono eguali (*), essendo tale retta invariabile al pari del sistema cui essa. appar- tiene; per la qual cosa si conoscerà il valore della velocità se- condo / di un punto qualunque del sistema % quando sì conoscano i valori di tali velocità per tutti i punti d’una retta non paral- lela ad 7, p. es. di una normale X ad 7. Condotta tal retta ) pel centro (7a) d’istantanea rotazione, le velocità effettive dei suoi punti hanno direzione / e quindi coincidono con le velocità dei medesimi punti in direzione /. Siccome per altro tali velocità effettive sono proporzionali alle distanze dei punti corrispondenti dal centro (7@), condotte pei punti A della retta ) segmenti A A° eguali alle velocità di tali punti, il luogo degli estremi A' è una retta ) incontrante la retta ) nel punto (7a). Lo spazio angolare compreso fra le due rette ) e )' prende il nome di diagramma delle simultanee velocità in direzione ll pei punti del sistema per rispetto al piano x. Noto questo dia- gramma infatti, la velocità di un punto qualunque B del sistema «, valutata in direzione 7, è data dal segmento B, B' intercetto dalle rette ) e )' sulla retta condotta per B in direzione 7. Ed anzi questo diagramma. definisce in grandezza, direzione e verso la ve- locità effettiva di ciascun punto B del sistema: la direzione è quella Bò della normale per B alla congiungente il punto B col centro (7a), la grandezza ed il verso sono quelli del segmento (*) Questa relazione può anche dimostrarsi come segue: Sia D il piede della normale abbassata su una tal retta dal centro (xa) (fig. 2), DD' la ve- locità effettiva del punto D (diretta secondo /), AA' la velocità effettiva di un altro punto A qualunque di /, ed AA, la proiezione ortogonale di AA' su L, Si ha per nota proprietà del moto rotatorio : essendo » la velocità angolare della rotazione. Ma dai triangoli (72) DA ed AA,A' simili si ha: (ta) D __(ra)A AA] \ DA A' Quindi AA, =DD'= costante qualunque sia il punto A scelto sulla retta 2, Cfr. anche W. ScHELL, Theorie der Bevegung und der Krifte. Leipzig, 1879, vol. 1, pag. 287. — BourmestER, Lehrbuch der Kinemalit, parte 1°. Leipzig, 1887. IL POLIGONO FUNICOLARE IN CINEMATICA 269 B, B, che si determina conducendo a Bd la parallela 5 B, e da B' la parallela B'B, a ) (*). 5. Condotta in direzione / (supposta verticale per semplicità di esposizione) una retta a distanza 1 dal punto (7 a), il seg- mento @_@, intercetto su di essa dalle rette ) e )' è la velocità angolare pel moto rotatorio considerato (velocità dei punti a di- stanza 1 dal centro di rotazione). Se consideransi positive le rotazioni che avvengono nel senso delle lancette dell’orologio, ed il segmento ©,%, si conviene di misurarlo sempre a destra del centro (72) con origine ©, sulla retta ), tale segmento è diretto al di sopra od al di sotto della retta ) secondochè la rotazione è negativa ovvero positiva. 6. Il diagramma )) non cessa di fornire con le sue ordinate lette in direzione li valori delle velocità dei punti del sistema « valutate in direzione { quando lo si faccia scorrere rigidamente nella direzione / medesima, sicchè il vertice ())') trovisi sempre sulla parallela ad { pel punto (724); chè anzi esso può, senza perdere tale sua proprietà, deformarsi variando le direzioni delle rette X e )' purchè il diagramma ))' nella sua primitiva posi- zione e quello deformato intercettino su ciascuna di due rette qualunque di direzione / due segmenti eguali in grandezza e verso (**). Segue che il diagramma ))', quando assumasi )' per fondamentale, è pur anco il diagramma delle simultanee velocità in direzione { pei punti del sistema piano 7 se questo rota at- torno al punto (7@), restando fisso il sistema piano 4. “. Si considerino ora più sistemi piani rigidi %,, &,,..1 4;; - Qui mobili nel piano comune 7; si disegni per ciascuno di essi il dia- gramma, relativo ad uno stesso istante, delle velocità simultanee in direzione /, e trasportinsi i diagrammi così risultanti, senza deformarli, in direzione { finchè abbiano una comune fondamen- tale ).. Otterremo un diagramma complesso costituito da tante (*) Cfr. BurMESsTER, l. c. — Lanp, Kinematische Theorie der statisch bestimmten Trdager — Zeilschrift der Osterr. Architekten- und Ingenieur- Vereins, 1888. (**) In altre parole i due diagrammi devono essere affini con asse d’affi- nità una retta di direzione / e centro di affinità all’infinito su /. 270 ELIA OVAZZA rette \',, X°,,... };,... -, quanti sono i sistemi mobili, diagramma che possiamo indicare col nome di diagramma delle velocità si- multanee in direzione l pel moto elementare considerato sul piano x del sistema variabile costituito dai sistemi invaria- ii CAV FRATI SBRSRI AMBRA CD Questo diagramma ha ordinate nulle sulle rette di direzione / passanti pei punti (7 &;), centri d’istantanea rotazione pei moti dei sistemi «, rispetto al piano 7 fisso. Di più siccome il punto (2;@,), centro d’istantanea rotazione pel moto relativo di due qua- lunque, «, ed «,, dei sistemi mobili, non cessa di appartenere ad ambo questi sistemi durante il moto elementare considerato, le rette: ), e ), devono intercettare a partire dalla fondamentale 4, segmenti eguali sulla retta di direzione / passante pel punto (2,a,); vale a dire su questa retta devono intersecarsi le rette ); e ), del diagramma. 8. Se osservasi che con ., può considerarsi coincidente la retta ),, diagramma delle velocità dei punti del piano fisso 7, questa seconda relazione, che lega la posizione del punto d’in- contro di due delle rette )°,,X,,...;,...)', qualunque con quella del centro d’istantanea rotazione pel moto relativo dei sistemi piani corrispondenti, comprende come caso speciale l’altra relazione enunciata circa la posizione dei punti d’incontro delle rette \',,',,...X;,...), con la fondamentale ),. V'ha di più: in virtù di quanto si disse a num. 6, il complesso delle rette Xig X,:++4/,...4, @ A, funziona ancora da diagramma delle velocità in direzione / pei sistemi @,, @,,...%;...Q, @ © rl spetto ad uno qualunque di tali sistemi, purchè si assuma a fon- damentale la retta )', corrispondente a quello «; dei sistemi che considerasi fisso. Per la qual cosa al complesso delle rette Y,, X,g+++X;,...X, e ), può darsi il nome di diagramma delle simultanee velocità in direzione l dei punti dei sistemi piani a,, ky 5 00. Ai 3... Un © © pei moti elementari di questi sistemi per rispetto ad uno qualunque di essi, considerato immobile. 9. Consideriamo ora un complesso di tali sistemi piani: %;, C;s43+++%p-5 %,-» Il moto elementare del sistema @&, relativo al sistema «; può considerarsi composto dei moti elementari di ciascuno di tali sistemi relativamente al precedente. S'immagini disegnato il diagramma 4; ,\;,,3.++:X,_,e 4 delle velocità in direzione 4 IL POLIGONO FUNICOLARE IN CINEMATICA 201 dei punti di tali sistemi pei moti relativi di questi per Soi ad uno qualunque di essi. Le rette ),",X',,,,...),_, €, costi- tuiscono una poligonale, di cui i punti d’incontro dei ui suc- cessivi )/ e X;,,, X;,, 6 N;42:--),_.0 2, stanno sulle rette p, in direzione 7 condotte pei centri (2; @;,,), (Zi, 242) 3 ---- (4,2, 4,) d’istantanea rotazione pei moti relativi dei sistemi considerati a due a due successivamente. Di più se a destra ed a distanza 1 da ciascuno, (),),,,), di tali punti d’incontro dei lati succes- sivi della poligonale e nella direzione / si misura la ordinata intercetta fra le rette ),' e )',,, intersecantisi in quel punto, cia- scuna di queste ordinate è la velocità angolare @,@,,, pel moto relativo dei sistemi a, ed «,,,. Condotte da un polo P le paral- on Ie e Palle rotto Abs Wa; s000, X 20,0 0, 6 secate queste parallele mediante una retta di direzione / Rito di 1 da P, il segmento w/%',,, intercetto fra due rette yu, @ |;,, Successive è sala al segmento @,%,,,; per la qualcosa la poligonale )/);,,...,_,), può dirsi un poligono funicolare collegante le velocità angolari ©,©,,, condotte in direzione / pei centri (z,@,,,) d’istantanea rotazione dei moti componenti; esso infatti si costruisce da tali velocità siccome si costruisce un poli- gono funicolare collegante un sistema di forze parallele propor- zionali a tali velocità ed agenti secondo le rette p, considerate. Il centro d’istantanea rotazione pel moto composto, cioè pel moto del sistema «, rispetto all’a;, dovendo essere un punto del sistema «,. che ha velocità nulla rispetto al sistema %;, deve trovarsi sulla parallela », ad 7 pel punto d’incontro dei lati estremi );), del poligono funicolare. Se quindi, condotte le velocità angolari ©,@,,, dei moti com- ponenti pei centri (2,&,,,) in altra direzione m sul piano x, sì collegano con un altro poligono funicolare, se cioè si costruisce il diagramma delle velocità pei moti elementari dei sistemi %;, %,x13: ++, Velocità misurate in direzione m diversa da /, ottiene un’altra retta r,, analoga alla 7, (condotta in direzione pel punto comune ai lati estremi del nuovo poligono funico- lare) che deve passare pel centro O d’istantanea rotazione pel moto composto, centro che viene in tal modo ad essere deter- minato. Condotta per O la normale al piano 7, si ha l’asse della rotazione risultante; la velocità angolare ©;@, di tal rota- zione è, come risulta dalla figura, eguale alla somma algebrica delle velocità angolari @,0,,, pei moti componenti. DIR ELIA OVAZZA 10. Resta così trovata in via puramente cinematica la costruzione che a num. 2 avevamo esposta per analogia con quella che vale per la composizione di forze parallele. Termineremo la presente Nota dimostrando ancora in via cinematica teoremi fondamentali rela- tivi ai poligoni funicolari, che si sogliono in Statica dimostrare per via geometrica e per via meccanica. 11. Se per costruire il diagramma delle velocità in direzione / pel complesso dei sistemi invariabili %;,%;4,3% + + @r_s%, Come poligono funicolare collegante le velocità angolari pei moti relativi di tali sistemi a due a due, si assume un altro polo P, sulla parallela ad / per il primo polo assunto P, si ottiene un altro poligono );")",,,...}",_,A' tale che due lati successivi ),")".,, hanno direzioni diverse da quelle dei corrispondenti lati ),',},,, del primo poligono; ma queste due coppie di rette intercettano eguali segmenti sopra ogni retta avente direzione l; quindi il nuovo poligono funicolare, per quanto si disse al num. 6, è ancora diagramma della velocità in direzione / pel sistema considerato e serve per conseguenza ancora alla composizione delle rotazioni elementari ©,©,,,; in altre parole: i polo del poligono funico- lare può senz’inconveniente spostarsi in direzione L. 12. Se ora osservasi che la scala delle lunghezze (in cui va misurata la distanza polare 0 del poligono funicolare) è indipen- dente da quella delle velocità, potendosi questa variare senza variare quell’altra solo coll’assumere una diversa unità di tempo, deducesi che ME) i 2pNsenl (2) nella quale 1 tità } i riferi al to A di u a quantità ——_, si riferisce n ‘di - Me e; 2pNsenl 4 RE latitudine ©. Il denominatore delle (1) può considerarsi eguale all’unità anche per £=60", ossia per 3=180", cioè anche nel caso che s superi cento chilometri; avremo dunque X=ssen(2— e) È a - (3) Y=scos(e—2e) o anche, tra i medesimi limiti, X=s senz —scoszsene (4) Y=scosz+ssenzsen2e i Le formole (4) contengono al 2° membro ciascuna due ter- mini, il secondo dei quali è funzione dell’eccesso sferoidico del triangolo ABC. Si può domandare in qual caso quel 2° termine è trascurabile, cioè in qual caso il triangolo si può considerare piano ? MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI ET L’eccesso sferoidico dato dalla (2) sarà di 1" nel caso più sfavorevole rispetto all’azimut, cioè quando #= 45°, se la distanza s tra i punti A e B non supera 28 chilometri. Per s—=28 chilometri e 3e=1" il massimo valore che può avere il maggiore dei secondi termini che si trovano nei secondi membri delle (4) non raggiunge 0",10, quantità che nemmeno inoBl . alla scala di 1007 è rappresentabile graficamente. Ritenendo trascurabile tale quantità, le formole (4) diventano X=ssenz ( . (5) Y= scosz | e sono identiche alle coordinate piane rettangolari di un punto avente per coordinate polari s e 2. Le formole (5) mostrano che nell’interno di una circonfe- renza geodetica avente A per centro e raggio non superiore a 28 chilometri, il calcolo dei triangoli si può fare considerando la terra piana. Le coordinate geodetiche rettangolari (5) sono quelle ado- perate nel Catasto Italiano; il loro calcolo riesce molto semplice quando sono date le coordinate polari s, z. Le chiameremo anche coordinate catastali. 3. Se un punto C (fig. 2*) non è direttamente collegato alla ori- gine A ma lo è invece ad un altro punto B di note coordinate, sarà necessario conoscere l’angolo A BC per poterne calcolare le coordinate. Indicando con X,, Y, le coordinate di B e con X,, Y, quelle di C, se immaginiamo condotte pei punti B e C le geodetiche perpendicolari al meridiano di A si avrà: xo bB- X.=000 Vr 4B, Viostd0'i 278 NICODEMO JADANZA Se sulla geodetica C0'C, a cominciare da C' si taglia il seg- mento C'H=B'B,;la. geodetica che passa. pei punti B,H si può imma- ginare coincidente colla. traiettoria ortogonale (luogo degli estremi di geodetiche della medesima C lunghezza tutte perpendi- colari ad una geodetica data) nella nostra ipotesi in cui non teniamo conto degli eccessi sferoidici. Indicando con {? l’angolo ABC, che è dato dalle osservazioni, e ponendo : AX=HC=X;-X, AY= B'C'-=BH= Y.-Y, Fig. 2? l’angolo HBC=%, sarà dato da: 2=B_4BH=[— 90° — ABB' ovvero a,=ipH4-4 —180° qibA6)i Il triangolo HBC è rettangolo in H sicchè, se BC =5, è il lato BC, sarà AX=s,seh2, LI A Y=s, cosz, Hi e quindi: I (8 Y=Y+A4Y | ) L'angolo 2, dato dalla (6) si dice azimut piano del lato s,. 4. Le formole precedenti si possono anche dedurre supponendo il seguente modo di proiezione. MODO DI ADOPERARE GLl ELEMENTI GEODETICI 279 11 S'immagini il piano tangente la superficie dell’ellissoide in A preso come piano delle X Y e come asse delle Z la normale nel punto A (fig. 3*). Supponendo il piano delle Z Y coincidente Fig. 5° Z col meridiano di A, le coordinate di un punto M della superficie dell’ellissoide saranno Z=MB VE 46 NO. Codeste coordinate si esprimono in funzione dell’arco di geo- detica AM=s e dell’azimut BAC=2 mediante le relazioni s° "senz X= — EE s senz 6 NR 3 Des coppi gp poi ut. AUDI STR # Z4A=—-4+... oR' / nelle quali X? rappresenta il raggio di curvatura della geodetica A M nel punto A. 280 NICODEMO JADANZA Il punto B piede della perpendicolare condotta da M sul Pani tangente è la proiezione ortogonale di M. Le coordinate di B sul piano diventano X=ssenz = 088 pi Dari ferenza tra l'arco AM ed AB, ossia quando sono trascurabili i secondi termini dei valori di X ed Y dati dalle (9). Ciò succede appunto quando s è all’incirca di 28 chilometri. La proiezione di M sul piano tangente in A all’ellissoide si può anche ottenere prolungando il raggio O M della sfera avente quando è trascurabile la quantità che rappresenta la dif- per raggio R,= Ve N. Si avrà così sul piano tangente un punto B', diverso da B, che è la proîezione centrale di M. La distanza B B' è evidentemente data da: BB'-=R str R sen — | o ossia Per una estensione di circa 20 chilometri intorno ad un punto A e quindi per qualunque levata topografica, i due metodi di proiezione ortogonale e centrale sono identici ed il calcolo delle coordinate di un punto qualunque si fa sempre colle for- mole (5). 5. Vediamo ora come si possano calcolare le coordinate cata- stali quando sono date le coordinate geografiche che si trovano anche nelle pubblicazioni dell’Istituto Geografico Militare. Sieno ©, ? la latitudine e la longitudine dell’origine A; g', 4' la latitudine e la longitudine di un altro punto B di cui si vo- gliono le coordinate. Immaginiamo per il punto B condotte due geodetiche, una BC perpendicolare al meridiano di A, l’altra B B' (fig. 4°) che passa per il punto B' del meridiano di A avente la stessa latitudine di B. MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI 281 Quest'ultima, nel caso da noi considerato, può ritenersi eguale all'arco del parallelo che passa per i punti B, B°. La sua lun- ghezza (ponendo AG@=0'—@, Ao=4'— 0) è BB'=A0.N'senl".coso'. 3020) L'angolo «= BB'C è facile ve- Fig, 4? dere che è dato da: E a=90° — -m' 2 essendo »m' la convergenza dei me- ridiani tra i punti B' e B che viene calcolata mediante la for- mola m=N0send'". ...(11) Il triangolo rettangolo BB'C dà BC = BB' cos ; mn ; i ni BC=BB sen 3 : E poichè si ha: X=BC, Y=AC-AB'+ B'C, sarà X=4A0.N'senl".coso'. cos 3 Mm " U 1 LU Y= Ao.p,senl 4 BB sen n. ovvero, più semplicemente; X=4A0.N'senl".coso Î Y=Ag.fnsen1"+[4,38454 — 10] XA9seng | Queste ultime sono le formole per il calcolo delle coordinate geodetiche rettangolari, o catastali quando sono note le coor- dinate geografiche. 11 valore di 0,, s'intende quello di alla geog p q È Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc — Vol. XXV. 21 282 NICODEMO JADANZA latitudine 0, = ——, quello di N° ti corrisponde alla latitu- . . 1 ”" dine g'. La quantità in parentesi è il logaritmo di guon i : ESEMPIO NUMERICO. Coordinate geografiche di A p= 42° 00" 00" i, 0.00, 00 Ag= 600"; logAg=2.7781513 logo, senl'=1.4892659 4.2674172 18510.46 30.25 y= 1854071 Coordinate geografiche di B o'=42° 10’ 90" d'—— 0° 452000 AG=— 900° log cost.° — 4.38454 —10 logX—=4.31505n logAG—=2.95424n log seng' =9.82691—10 log correz.° 1.48074 correz.° — 30"25 log A9= 2,9542425» log N' sen 1'"=1.4908724 log cos.o' = 9. 8699326 log X= 4.3150475n X=- 20656" 06, Il calcolo, come si vede è semplicissimo, e le formole (12) possono essere adoperate per valori di Aw e A non superiori a La. Il logaritmo della X calcolata colla prima delle (12) do- vrebbe essere diminuito della quantità : M ; 3 7 Sen. AL sen° © È 109” | : * Ciò a causa del fattore cos ame della piccola differenza esi- stente fra l’arco del parallelo e della geodetica BB'. MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI 283 Siccome la X verrebbe a variare al massimo di tre centi- metri nelle latitudini dei paralleli tra cui è compresa l’Italia, così abbiamo trascurato codesta correzione. 6. Quando sono date le coordinate geodetiche rettangolari di un punto 5 rispetto ad una origine A, le coordinate geodeti- che polari si otterranno mediante le formole seguenti: X i iirrio | Mec IRA) s=/x#R=-—=—- | COS £# sen #2 Il calcolo della distanza tra due punti B e C di date coor- dinate si farà, al solito, mediante le formole ui _AX ‘cv ESA TABOR ir - SA: (14) pa n | COS x sen Xx 4: Per dedurre le coordinate geo- grafiche di un punto 5, quando sono note le sue coordinate geo- detiche rettangolari rispetto ad una origine A, è necessario cono- scere le coordinate geografiche del punto A. In tale ipotesi si calcolerà dap- prima la latitudine @, del piede C della geodetica BC perpendicolare al meridiano di A mediante la formola ) ta Se diese 5 ———_;; 20; a “i 15 bPratipeni ni (det e 00 284 NICODEMO JADANZA quindi si calcolerà la latitudine 2° di B mediante l’altra MPOESTIAN CIA LO {et SUIT foca 2p,N, senl 6 Po te; La differenza di longitudine A9 sarà data da r va 08 08 N, senl coso — GX? Mat È ri Le formole (15), (16), (17) si deducono dalle note serie di Legendre supponendo una volta 2z=0, un’altra 2 = 90°. La (15) può essere sostituita dall’altra: Y MPa Roi cen i, SETT -;< «ALI I logaritmi delle quantità G, X che entrano nelle (17) e (18) sono dati nella tavola annessa e sono espressi in unità della 7° cifra decimale. ESEMPIO NUMERICO I. Coordinate geografiche di A Coordinate geodetiche di B po=838° 86' 09", 306 X= 59463", 08 o =002324 , ST Y= 6913590 log Y= 4.8397028 log Y = 4.8397 il log XK =7.5240—-10 log = 85109953 0). orto al sen ‘ 99h 2.3637 =— —_— se correz.® — 291 log (2, — e) = 2.3506.750 o, — 9 = 2242”.204 o -g= 0° 37 22".204 logX=4,77428 log X — 477425 1 o=38 36 09.306.|log3—=_3+=1.40470 o,=39° 13' 31".510 log tg 9, = 9. 91186 uu sa di" log (p — g')= 0. 86506 g= 39° 13'24%181 passo! — 7° 329 410 MODO Di log X=4.7742474 1 loore-=;8.5092013 °5 N sen] R colog. cos g, = 0.1108866 — 83 log.A9 = 3.3943270 AG= 2479".228 Na_0° 41° 19,288 0.23. 24,91] DB 1° 04 44,199 ADOPERARE GL] KLEMENTI GEODETICI LO 00 Gt log G= 2.373 log X = 4774 log X = 4,744 ESEMPIO NUMERICO II. Coordinate geografiche di A g= 50° 20' 23".63 W-25 38.361 log Y= 4.4258104.8% log. — 8.5101080.5 psenl' + 89.7 log(gp, — 9) = 2.9359275.0n g,—pg= — 862°.8345 = — 0° 14' 22".8345 o= 50 20 23.63 g,= 50° 06' 00".7955 gj=gl= 5.0390 +10 Ù] g= 50° 05' 55°.7565 Coordinate geodetiche di B X=+40782".25 Y= — 26656 .95 log Y = 4.4258n log K= 7.5270 1.9528n — 89.7 2log X=9.22101 log tg 4, = 0.07773 1 lot ——_—_-=1.40360 bi 20, N sen 1 i log(go — g') = 0.70234 q— g' =5". 0390 286 NICODEMO JADANZA log X = 4.6104031.5 2logX—= 9.2210 1 log ——_- = =8.5089270.0 log G-=274098 N,senl colog. cos gd, = 0.1928394.0 1.9261 — 84.1 + 84,1 log A8 = 8.3022611.4 AG0=2052".3959 =0894! 12:.3959 0= 25 38 29.61 = 26° 12' 42".0059 Quest’ ultimo esempio è stato preso da BéòrscH (Anleitung zur Berechnung geoditischen coordinaten, pag. 93). Il risultamento ottenuto dal sig. Béòrsch è il seguente: g'= 50° 05' 55". 7569 6 =26 12 42 .0058 Le formole precedenti (18), (16), (17) possono essere ado- perate anche quando X ed Y avessero i valori di cento chilo- metri ciascuna. In questo caso il logaritmo del 2° membro della (16) dovrebbe essere diminuito della quantità M 143tg.9, .S i ie" SM + Alla latitudine 0 = 47° si avrebbe log E = 0,59611 espresso in unità della 5 decimale. Il valore di o, — g' verrebbe dimi- unito di due millesimi di secondo. Volendo le coordinate geodetiche rettangolari per mezzo delle coordinate geografiche nel caso che A e A sieno maggiori di 15', le formole date al n° 5 saranno insufficienti. In questo caso MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI 287 sì adopereranno le seguenti: logX=log. AG. N'senl'. cosg'—[5,23078—10] AG* sen'g | “9 Y=(e'— 9)p5en1"4[4,38454-10]XAgseno' | Il numero 5,23078—10 che si trova nella prima delle for- Sa 10 Mg, 1 mole precedenti è il logaritmo di < 3 1 espresso in unità della 7* cifra decimale. ESEMPIO NUMERICO. Coordinate geografiche date. di A; po= 38° 36’ 09". 306 G>-0°-93/-24"- SH di B; qi= 8913 24. 181 O VARZI 199 Sal" 01 97 14°. 845 AO: A1' 19° 288 Novi 2234. 845 AG=2A479". 288 o, =38° 54' 46". 743 log Ao = 3.3492532 log AQ —3.39433 log.p, senl' = 1.4890277 log sen g' — 9.80095 4.8382809 log X — 4.77425 68909.79 [| ]=4.38454 225.98 2.35407 di =.6PEso". 1 correz.® — 225". 98 log A0=3.3943270 | 2 log 40 =6.78865 log N'sen 1l'—=1.4907986 2 log sen o' —9.60190 log cos g = 9. 8891260 [1% ]=2#5.2308 — 42 1.62155 log X = 4.7742474 correz.° — 42 x = 594637. 08 | Le formole precedenti si possono adoperare anche quando Ag e A# fossero ciascuna eguale ad 1°. 288 NICODEMO JADANZA La semplicità delle formole precedenti, specialmente di quelle dei numeri 5, 7, 8, Geodesia (*). Da ciò che si è detto finora si vede chiaramente quanto sia utile la pubblicazione degli elementi geodetici dei punti contenuti in ciascun foglio della Carta d'Italia, ed il vantaggio che da essi possono ritrarre gl’Ingegneri: speriamo non sfuggirà ai cultori della È da augurarsi che, al più presto possibile, vengano pub- blicati dall’Istituto Geografico Militare tutti i fogli della Carta d’Italia. TAVOLA AUSILIARIA 36° 007 10 38 00 40 50 39 00 | 7,5132340 404 483 560 636 711 784 855 925 993 7,52059 124 2,27290A0 2,27820 228349 228877 220404 2,20930 230455 2,30979 2,31503 2,32026 2,32548 2,33069 2,33590 2,34109 2,31628 2,35146 235663 236180 | 2,36697 39° 007 44 00 42 00 7,52535—10 588 639 688 736 782 827 7,53029 065 099 132 163 193 223 249 2,3669710 2,37212 2,37727 2,38241 2,38754 2,39267 2,39780 2,40292 2,40804 2,41345 2,41826 2,42336 2,42845 243354 2,43863 2,44372 2,44880 2,45388 2,45895 (*) Nelle formole che servono al calcolo numerico bisogna avere per mas- sima di adoperare il minor numero possibile di simboli ausiliarii, MODO DI ADOPERARE GLI] ELEMENTI GEODETICI 289 Segue Tavola ausiliaria. (o) log K log G ( log A log G 429007 | 7,5324910 | 2,45895—10 || 45°007| 7,53480—10 | 2,5499210 10 274 2,46402 10 478 2,5D496 20 298 2,16909 20 476 2,56001 30 320 2,47416 30 472 2,56506 40 3A 2,47922 40 466 2,57010 50 361 2,48428 50 459 2,57515 43 00 379 2,48934 46 00 45A 2,58020 10 395 2,49440 10 4IA 258525 20 440 2,49945 20 429 2,59030 30 424 2,50450 30 416 2,59535 40 436 2,50955 40 402 2,60040 50 447 2,51460 50 386 260545 44 00 454 2,51965 47 00 | 7,5336940 | 2,6105110 10 463 2,52470 20 469 2,52975 30 474 2,53479 40 XTI 2,53984 50 479 2,54488 45 00. 480 2,54992 Mn be O nti 780029 G=7 10.3 MESS SIAM RIN ERRATA-CORRIGE, Nella nota intitolata: /nAuensa degli errori strumentali del Teodolite sulla misura delle distanze zenitali, presentata nell'adunanza del 15 dicembre 1889, sì faccia la seguente correzione. Nelle formole (3), (4), (6) sì sostituisca la quantità v? sen? A a v?. Il sig. Professore Pizzetti dell’Università di Genova si compiacque di avvertirci di un tale errore, Egli inoltre ha dimostrato che la nostra formola (4) coincide con quella data da CHauvenET e che si deduce dalla (8) quando in luogo di vcos A sì ponga /— by. Torino, febbraio 1890, 290 CORRADO SEGRE Un nuovo campo di ricerche geometriche ; Saggio di Corrapo SEGRE. Nora Il. (*) —_ Delle antinvoluzioni e delle catene. 11. Per giungere subito alla nozione, molto importante, delle catene, cominciamo a considerare un modo assai semplice (ma non generale) che serve per determinare delle antinvoluzioni in ogni forma geometrica. E un’ antinvoluzione, cioè un’ antiprojettività coincidente con la propria inversa (ossia avente per quadrato l’identità), l’anti- projettività che vien determinata (v. n' 1 e 5) in una forma di specie » dando + 2 elementi indipendenti come elementi uniti: così in una forma qualunque di 1° specie l’ antiprojettività determinata da 3 dati elementi uniti; in un piano, ovvero nello spazio, l’anticollineazione che s’individua dando 4 punti (o rette, o 3 punti ed 1 retta), ovvero 5 punti (o piani, ecc.), come elementi uniti; ecc. Similmente, e più in generale, è chiaro che riesce pure un’antinvoluzione l’antiprojettività che in una forma di specie r si determina dando % coppie di elementi che si corrispondano in doppio modo (ove 2k=r+ 2) ed r—2%+-2 altri elementi come elementi uniti (con la condizione che tutti gli elementi dati siano indipendenti). Così si determinano delle antinvoluzioni: nelle forme di 1° specie dando un elemento unito e due ele- menti omologhi; nel piano dando due punti uniti e due punti omologhi, oppure due coppie di punti omologhi; nello spazio dando 3 punti uniti e due punti omologhi, ovvero un punto unito e due coppie di punti omologhi; ecc. (*) V. la Nota I a pag. 180 del presente volume. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 291 Se in una forma reale di specie r si considera la corri- spondenza di comiugio, si ha appunto (n. 6) un’antinvoluzione della natura che in tali determinazioni è considerata: essa ha per elementi uniti tutti gli elementi reali della forma. 12. Due antinvoluzioni in forme di specie r della natura precedente, cioè tali che in. ognuna di esse esistano almeno +2 elementi uniti indipendenti (e vedremo che così sono tutte le antinvoluzioni che hanno elementi uniti), sono sempre projet- tive (ed antiprojettive) fra loro in infiniti modi. Invero la pro- jettività (e l’antiprojettività) fra le due forme in cui ad r +2 elementi uniti indipendenti di un’antinvoluzione corrispondono al- trettanti elementi uniti indipendenti dell’altra trasformerà quella in questa (n. prec.). Ne segue che una siffatta antinvoluzione è projettiva (ed antiprojettiva) alla corrispondenza di coniugio in una forma reale di specie r. Essa avrà dunque, precisamente come questa, una co” di elementi uniti e non soltanto gli r+2 da cui partimmo. Chiameremo catena di specie r o catena r-pla (fondamentale per l’antinvoluzione) l'insieme di tutti questi ele- menti uniti. E dalle cose precedenti, particolarmente dalla con- siderazione delle forme reali, le quali nelle varietà costituite dai loro elementi reali ci dànno delle particolari catene, si po- trebbero già trarre varie proprietà delle catene. Così: Una ca- tena di una forma semplice è individuata da 3 clementi. Una catena di 2° specie nel piano (0 catena piana) s’individua dandone 4 punti indipendenti, oppure 4 rette indipendenti (0 8 punti ed una retta, ecc.) Una catena di 3° specie (0 cutena spaziale) è individuata da 5 punti indipendenti, oppure da 5 piani indipendenti. — Per trasformazioni projettive (od an- tiprojettive) ed in particolare per projezioni e sezioni (univoche) le catene si mutano in catene della stessa specie. Viceversa due catene della stessa specie son sempre projettive (od anti- projettive) fra loro. — Ogni catena è una varietà continua. — Ogni catena di 2° o di 3° specie contiene infinite catene di specie inferiore. Così una catena piana contiene oo? catene di 1° specie di punti (catene rettilinee): ogni retta della ca- tena piana la sega secondo una di quelle catene rettilinee (*), (*) Non occorre avvertire che dicendo retta di una catena piana consìde- 292 CORRADO SEGRE sicchè per due punti qualunque della catena piana passa una catena rettilinea (ed una retta) di questa, mentre viceversa. due catene rettilinee (0d anche due rette) della catena piana st segano in un punto di questa. Dualmente le . rette della catena piana che passano per un suo punto formano una catena di 1° specie, ecc. ecc. Una catena spaziale ha î suoi punti situati su co! catene rettilinee e su co? catene piane: per 2 qualunque dei suoi punti passa una catena. rettilinea, per 3 punti non posti in una catena rettilinea, passa una ca- tena piana; due catene piane si tagliano secondo una catena rettilinea; una catena piana ed una rettilinea che non. vi: giaccia hanno comune un punto. Ogni piano della catena spaziale la sega secondo una catena piana; ecc., ecc. — Brevemente possiamo dire che la geometria projettiva su una catena di specie vr coincide colla geometria projettiva degli elementi reali su una forma reale di specie r. 18. Da questo fatto (che nel seguito di questo Saggio ac- cadrà più volte di applicare senza dirlo) discende subito che le tetradi composte di elementi di una catena semplice sono neutre, cioè hanno valori reali, e viceversa ogni tetrade neutra appartiene ad una catena. E più in generale gli elementi di una forma di specie r i quali hanno, rispetto ad r+ 2 di essi come elementi di riferimento, coordinate projettive reali sono appunto gli elementi della catena di specie r determinata da quegli »+.2. Queste proposizioni del resto scaturiscono anche dalle prime considerazioni di questo lavoro (n. 2), le quali mo- strano che una tetrade è antiprojettiva a se stessa solo quando essa è neutra; basta in fatti riflettere che ogni gruppo di ele - menti di una catena è, per la stessa definizione di questa, an- tiprojettivo a se stesso. La catena determinata in una forma semplice da 3 dati elementi si può anche costruire a questo modo. Essa contiene ogni elemento che con quei 3 formi un gruppo armonico ; poi ogni elemento che con 3 di quelli che già si hanno (tra i dati riamo questa come una 00° di rette e non intendiamo dire che la retta giaccia con tutti i suoi punti nella catena piana considerata come luogo di punti. Vediamo invece che su questa vi sarà solo una catena rettilinea di punti della retta. UN NUOVO CAMPU DI RICERCHE GEOMETRICHE 293 ed i costrutti) formi un gruppo armonico; e così via. Ogni ele- mento della catena si otterrà per questa via o direttamente o come limite. Similmente la catena di 2° specie determinata da 4 punti indipendenti dati su di un piano contiene anche i punti in cui si tagliano le rette che congiungono quei 4 a due a due (rette della catena, perchè unite nell'antinvoluzione determinata dai 4 punti come punti uniti); poi i punti in cui si tagliano ancora le rette che congiungono i punti che già si hanno; e così via. Ogni punto della catena si otterrà a questo modo, direttamente o come limite. Analogamente si possono ottenere le altre catene di 2° specie e quelle di 3°. 14. Le proprietà precedenti si rispecchiano tutte nella se- guente rappresentazione analitica (parametrica) delle catene, rappresentazione che deriva immediatamente da quelle proprietà. Indichino @,, d,; €,, .... le coordinate fisse dei punti «, d,c..., mentre ),{2, v, ... siano parametri reali variabili: allora, al mutar di questi, i punti di coordinate Goa... da, + pb , e a Qatpb+ve, , (2), VENDE Xa,+p.b,+ve+7d, , descrivono rispettivamente una catena semplice (rettilinea), una catena doppia (piana ) ed una tripla (spaziale ). La corrispon- denza fra i punti di queste catene ed i rapporti di quei pa- rametri è univoca, senz’eccezione. In ciò però si è supposto tacitamente che i punti a, d, c,... fossero indipendenti. Ponendo ora l’ipotesi contraria avremo dalle (1), (2), (3) le rappresentazioni di quelle stesse catene degeneri a cul si giungerebbe applicando alle antinvoluzioni quanto si disse in generale al n. 10 intorno alle antiprojettività degeneri. Anzitutto se sopra una data retta i due punti 4, d coinci- dono, la catena rettilinea che era rappresentata da (1) degenera riducendosi a quell’ unico punto; e questo punto (singolare) corrisponde, esso solo, a tutti gl’infiniti valori di ): Se poi nella (2) @,5,c son tre punti di una retta, allora è chiaro che, se fra le coordinate scelte per essi ha luogo un 294 CORRADO SEGRE legame lineare reale, cioè se per i vari valori di { le @,, ò,, €, costituiscono altrettante soluzioni di una stessa equazione lineare omogenea a coefficienti reali, od in altri termini se, nel campo binario, son reali i rapporti dei determinanti (bc), (ca), (ad), la (2) si potrà ridurre a contenere linearmente due soli para- metri omogenei reali, e però rappresenterà solo una catena ret- tilinea, ogni punto della quale corrisponderà ad infiniti valori di X:{.:v. — Ma se fra quelle coordinate di a, bd, c. non esiste un legame siffatto, allora con valori convenienti di questi rapporti la (2) potrà rappresentare le coordinate di ogni punto della retta. Im tal caso se un punto corrisponde in pari tempo a due gruppi di valori per À, {., v non proporzionali fra loro, sicchè si abbia sQa,+pb+ve)=s (Xa,+p'b+v'c), se ne trae, ponendo atia=(bc), P+iB=(cad), y+in=(0)), che si possono prendere s, s' per modo che INI . TIRI NOA - i TR0S a si-si=atia,, sp—sp'=B+ib,, sv-sv=y+éy- Ora da ciò segue subito che quello stesso punto corrisponde anche al porre nella (2) in luogo di À,{,v rispettivamente (le com- binazioni lineari di ),{.,v; X,12,v') @,f,y, oppure anche a, Bio Y,: 0 più in generale a+%a,, B+&B,, yt&k: ove % indichi un numero reale qualunque. Vi è dunque sulla retta un sol punto singolare, cioè corrispondente ad infiniti valori di ): f.: v, quando la retta si rappresenta colla (2), vale a dire si considera come una catena piana degenere. Consideriamo ora similmente i punti rappresentati dalla (83), ove a, b, c, d stiano tutti in un piano. Se fra le coordinate scelte per questi, @,, d,, €,, d,, esiste un legame lineare reale (cioè se son reali i rapporti dei determinanti del 3° ordine formati con esse), la (3) non rappresenterà che i punti di una catena piana (ognuno contato infinite volte). — Nel caso ge- nerale invece, in cui non ha luogo un tal legame, essa rappre- senta co? punti; e si vede, come si fece testè per. la (2); che UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 295 ogni punto corrisponde in generale ad un sol gruppo di valori per X:p.:v:n. Fa solo eccezione un punto singolare, che, posto a+ia,=(bcd), B+:B,=—(acd), Y+iy,=(abd), 0+:0,=— (abc), si ottiene dalla (3) mettendovi in luogo di ), &, v, x, risp. a+ka,, P+EkB,, y+%y,, d+kd,, ove % indichi un numero reale qualunque. Ora segando quella oo* con una retta qualunque del piano, cioè assogget- tando le coordinate (83) a soddisfare l’equazione della retta, si vengono a legare i parametri ),1,v,7 con due equazioni lineari a coefficienti reali, le quali possono però anche coincidere; quindi i punti dell’intersezione verranno ad avere per coordinate delle forme lineari di due, o eccezionalmente di tre, parametri reali variabili (che si posson scegliere fra ),1,v, 7), e for- meranno in conseguenza una catena. Ma se la retta passa pel punto singolare della 003, quell’ intersezione dovrà pure averlo per punto singolare, sicchè ove la retta non abbia tutti i suoi punti nella oo*, la catena rettilinea in cui la sega dovrà de- generare in quell’unico punto. Dunque il sistema dei punti rap- presentati dalla (3) si compone nel caso attuale di tutte le rette che dal punto singolare projettano una catena rettilinea, cioè degli 003 punti situati sulle oo rette di una catena semplice (di un fascio). Questo ente appare così come una catena spa- ziale degenere. (*). Valendoci di questi risultati e di ragionamenti analoghi ai precedenti possiamo similmente vedere che cosa costituiscano i co) È chiaro che l’ente rappresentato dalla (3), in cui a, db, c, d stanno in un piano, sì può considerare come proiezione (centrale) di un ente ana- logo ma non soggetto a questa condizione, cioè di una catena spaziale pro- priamente detta. Da ciò si sarebbe potuto dedurre immediatamente che esso è composto come sopra si trova, cioè di una catena semplice di rette. E analogamente si sarebbe potuto ottenere il risultato corrispondente relativo alla (2). Ma per applicare una considerazione della stessa natura agli enti dello spazio ordinario che ora passiamo a considerare, rappresentati dalle (4) e (5), bisognerebbe valersi degli spazi superiori e delle catene che ad essì appartengono (V. la nota alla pag. segu.), 296 CORRADO SEGRE punti dello spazio che hanno per coordinate delle forme lineari di 5 o di 6 parametri reali (I RSPRE Va+pb+ve+nd+ pe; (D).si da,+pb+v6+7d,+46+0f . Supposto che fra le coordinate 4,,... f,, non esista legame li- neare reale (escludendo cioè i casi in cui sì ritornerebbe agli enti già studiati), i punti rappresentati dalle (4) e (5) costi- tuiscono rispettivamente una co* ed una 00°, corrispondendo ogni punto in generale ad un sol gruppo di rapporti pei para- metri ),p,... — Fa eccezione per la (4) un punto singolare. Un piano qualunque sega la cc! secondo (un ente rappresen tabile al modo della (2), cioè) una catena piana; ma. se, il piano passa pel punto singolare, questo sarà pur tale per la sezione, la quale perciò degenererà in una retta : passante per quel punto (a meno che, per eccezione, la sezione si possa rap- presentare nel piano con la (3), nel qual caso si ridurrà ad una catena di rette uscente. dal punto stesso). Dunque l’ente rap- presentato da (4) si compone degli oc! punti posti sulle rette che da un punto projettano una catena piana, cioè: delle. rette di una stella costituenti. in. questa una catena doppia. -— Però se i punti «, d;... che compaiono nella (4) giacciono tutti in un piano, quella formola rappresenta in generale. gli c04 punti del piano stesso, ma in modo che tutti i punti di una certa retta figurano come singolari, cioè corrispondenti ad ‘in- finiti valori di ):p:..; su ogni altra retta del piano si ottiene uno di questi punti singolari sostituendo le coordinate (4) nel- l’ equazione della retta e deducendone la rappresentazione di questa mediante la (2). La oc? di punti rappresentata da (5) è segata da ogni piano che non vi giaccia secondo (um ente rappresentabile con la (3), cioè) una catena semplice di rette: essa ha dunque in- finiti punti singolari. Un piano passante per due di questi darà per sezione una catena con due punti singolari, cioè una sola retta, oppure starà tutto nell’ente considerato (ed in ambo i casi avrà una retta di punti singolari). Ne segue che quegli co? punti costituiscono 7 piani di una catena semplice di un fascio di piani. — Ecc. ecc. (*). (*) Le catene di punti dejli spazi superiori sì possono anch'esse definire I UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 297 15. I risultati del num. prec. possono trovare applicazioni molto importanti agli elementi tangenti (ed ai contatti mutui) di enti qualunque composti d’ infiniti punti. Tali applicazioni, che per la presente Nota costituiranno una piccola digressione, saranno invece utilissime per altri lavori (*). Consideriamo un ente qualsiasi, luogo dei punti le cui coor- dinate x,y, sono funzioni date dei parametri reali indipendenti u,v... Diciamo tangente a quell’ente nel punto (7,y,z) ogni retta che lo congiunga ad un punto infinitamente vicino dell’ente stesso. Come coordinate di tal retta (nella stella) si possono as- sumere i differenziali totali dx, dy, dz, i quali sono espressi da n) h) det ARE do di toni du dv ecce., purchè il punto (r,y,2) non sia singolare, cioè ammetta dei valori ben determinati e non tutti nulli per quelle prime derivate parziali di ogni coordinata. Ora essendo quelle espres- sioni forme lineari nelle variabili reali indipendenti du, dv,..., ne segue, pel num. precedente, che /e tangenti in un punto qualunque non singolare formano una catena, generale o de- genere, della stella che ha quel punto per centro. Più precisa- mente separando fra loro i vari casi, ed applicando i singoli risultati di quel num. (ove), ., ... son sostituiti da du, dv,..., i punti son sostituiti da rette della stella, ed in particolare i punti che ivi apparivano come singolari, cioè corrispondenti ad sia come luoghi di punti uniti di antinvoluzioni di quegli spazi, sia come composte dai punti le cui coordinate sono forme lineari date di un numero qualsiasi di parametri reali variabili. Ciò posto, le catene che essenzialmente appartengono ad un $, sono: quelle non degeneri composte di cod punti (punti uniti di un’antinvoluzione non degenere); poi quelle degeneri 0o9+', 00°+*, ..., co°”-' composte degli elementi che proiettano da un punto, da una retta, ...,da un S;_, risp. le catene non degeneri di Sj_,s Sg_,3 ++) S45 ed infine la 00°” composta di tuiti i punti di S» la quale pure (con un certo S;_, come luogo di punti singolari ) figura come catena degenere. — Per proiezioni o sezioni qualunque da catene si otterranno sempre catene, (*) Il lettore potrà fin d’ora vedere a che cosa si riducano per gli enti costituiti dai punti di una catena le rette ed i piani tangenti di cui tratteremo in generale. Nei Capi segu! si otterranno poi direttamente per gli elementi tangenti ad iperconiche, iperquadriche e loro intersezioni le proprietà che ora stabiliamo per enti qualunque. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 22 298 CORRADO SEGRE infiniti valori di \:p.:..., da tangenti singolari, cioè corri- spoudenti ad infiviti valori dei rapporti di differenziali du:dv:.. .) abbiamo le proposizioni seguenti. In ogni punto non singolare di un ente co tangente. Le tangenti ad un ente co° in un punto non singolare stanno tutte in un fascio e vi formano una catena semplice; il loro piano comune si può chiamare il piano tangente all’ente. — Il punto può per eccezione ammettere una sola tangente (catena semplice degenere), e quindi un fascio di piani tangenti: tale eccezione si verifica per tutti i punti dell’ente 00? se questo è una curva (cfr. la 2° pag. dell’introduzione). Per un ente co le tangenti in un punto non singolare for- ! vi è una sola mano una catena doppia della stella; gli co? piani di questa . catena sono piani tangenti all’ente in quel punto, in questo senso che, mentre ogni altro piano passante pel punto ne contiene | ana sola tangente, ciascuno di quei piani ne contiene una catena | semplice di tangenti (sicchè l’ente co! secondo cui esso può se- gare l’ente dato ha il punto considerato per punto singolare). — La catena doppia può degenerare : allora le tangenti all’ente 00? nel detto punto sono le rette di un fascio, e fra esse ve n'è una singolare, (come fra i piani tangenti, che sono allora tutti i piani passanti per questa retta, ve n'è uno singolare, che è il piano di tutte le tangenti). Questo caso si presenta sempre se l’ente 00° è piano : allora ogni retta passante per un suo punto non singolare e giacente nel suo piano è tangente ed incontra l’ente in generale secondo una col contenente quel punto; ma per la retta singolare accade che quel punto è singolare nella oo! d’in- tersezione (la quale può anche ridursi a punti isolati). È oppor- tuno in tal caso limitare la denominazione di « tangente » a questa retta singolare (*). (*) La sua equazione si trova facilmente, sia applicando le espressioni (n.14) delle conrdinate del punto singolare di una retta considerata come catena piana degenere, sia scrivendo che il punto di cui si tratta è singolare per la detta intersezione della retta coll’ente. Se questo è rappresentato in cordinate non omogenee dall’equazione reale f(2, Y; a,9)=0 , la tangente nel punto (x, y) ha per equazione: Of of X_- a) Y_-yE =0; al + m=o; UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 299 Le tangenti ad un ente coi in un punto non singolare riem- piono i piani di una catena semplice; l’asse del fascio di piani cui questa catena appartiene è una tangente singolare; gli col piani della catena sono i piani tangenti. Per ciascuno di questi l'intersezione (00° in generale) coll’ente coi ha nel punto consi- derato un punto singolare, poichè esso ha per tangenti tutte le rette del piano; laddove per un altro piano qualunque quell’ in- tersezione ha per tangenti le rette della catena semplice sezione della catena dei piani tangenti, ed ha in particolare una sola tangente nella tangente singolare dell’oo*, se il piano, senz’essere tangente, passa per questa. — In casi particolari la catena dei piani tangenti può degenerare riducendosi ad un unico piano tangente: allora si hanno solo più oo? rette tangenti, esse for- mano un fascio in quel piano e sono tutte singolari. Questa particolarità si presenta per tutti i punti della 00%, quando questa costituisce una superficie. Per un ente oo? tutte le rette uscenti da un punto sono tangenti, in quanto che lo congiungono ai punti infinitamente vicini. Esse ci appaiono come costituenti una catena oo dege- nere, e però fra esse ve ne sarà un fascio di singolari, alle quali converrà riservare la denominazione di « tangenti ». Queste rette particolari presentano fatti analoghi alle tangenti già considerate di un ente piano 003; e sono appunto le tangenti agli enti co* che si ottengono come sezioni piane dell’oo?. Il loro piano, piano tangente a questo nel punto di cui si tratta, dà una sezione piana per cui quel punto è singolare (*). — se invece l’ente 008 è dato in coordinate omogenee dall’equazione reale f(&,'%2 j%g) 1, Ca, eg) =0 l'equazione della tangente in x diventa: PIù yi=08 nd) (Cfr. una nota dell’introduzione). Il punto è singolare se quest’equazione si riduce ad un’identità, cioè se s’annullano le prime derivate parziali di rispetto alle coordinate x, (donde segue anche l’annullarsi delle prime deri- vate di f rispetto alle x,, poichè in causa della realtà della forma / queste derivate sono coniugate di quelle). (*) L'equazione di questo piano tangente si scrive subito per analogia con quella della retta tangente ad una oo* piana data nella nota precedente, e sì dimostra o in modo simile, o deducendola da quella. — Similmente si hanno analoghe condizioni analitiche perchè il punto sia singolare, 300 CORRADO SEGRE Stando alla primitiva definizione delle rette tangenti è evi- dente che se due enti di diversa dimensione sono contenuti l'uno nell’altro, le tangenti di quello son pure tangenti di questo. Ne derivano le proposizioni seguenti, iv cui degli enti di cui si parla si suppone sempre che l’uno stia nell’altro, e gli elementi tan- genti si considerano tutti per uno stesso punto. La tangente all’ co! fa parte della catena semplice delle tangenti all'ente oo°. — La catena semplice delle tangenti al- l’oo° sta nella catena doppia delle tangenti all’ oo; e però il piano tangente all’oo? sta fra i piani tangenti dell’oo3. — La catena doppia delle tangenti all’oo? sta nella catena semplice dei piani tangenti all'ente coi; vale a dire la tangente singolare di questo è pur tangente per l’ente co, e quella catena di piani tangenti all’oo' son pur tangenti per l’ c03. È facile vedere che una tangente singolare di un ente, cor- rispondendo ad infiniti valori dei differenziali du, dv,...,è pur tangente ad ogni ente di dimensione inferiore di un'unità con- tenuto in quello (ente per cui quei differenziali vengono assog- gettati ad un’equazione lineare). Possiamo quindi aggiungere: La tangente ad un ente piano co° è pur tangente all’ente co: — Il piano tangente all’ente co° è pure piano tangente per lot. Tra le numerose conseguenze che si possono trarre da tutte le precedenti proposizioni fondamentali sugli enti composti d’in- finiti punti vi hanno quelle relative alle tangenti che due o più enti hanno a comune in un loro punto d’intersezione. Così dal fatto che presto dimostreremo che due catene semplici di una stessa forma hanno in generale due elementi a comune, oppure nessuno, segue che due enti co? di uno stesso piano hanno in generale in ogni loro punto d’intersezione due tangenti co- muni, ovvero nessuna (*). In generale tutte le proprietà che ve- (*) È superfluo avvertire che una tangente comune in un punto dei due enti non significa ancora (come, stando alle nozioni comuni, potrebbe sem- brare) un contatto di questi, cioè l'aver comune anche un punto infinitamente vicino a quello. Poichè su d’una retta (completa) vi sono co' punti infinita- mente vicini ad un dato, e quindi, assegnando la retta (tangente) che con- giunge un punto dato ad un suo infinitamente vicino, questo non risulta determinato; sarebbe invece dato ove, ad esempio, si assegnasse una catena rettilinea passante pel primo punto, sulla quale anch’esso debba stare, UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 301 dremo in seguito relative alle intersezioni mutue delle catene si potranno applicare immediatamente alle dette questioni sulle tan- genti in un punto comune ad enti qualunque. Ed ora, abbandonando questa digressione generale sugli ele- menti tangenti, riprendiamo lo studio delle catene, e più gene- ralmente delle antinvoluzioni. Ma per poterlo condurre più oltre consideriamo ora separatamente le forme delle varie specie. 16. Forme di 1° specie. — È facile vedere che in una tal forma ogni antinvoluzione o non ha alcun elemento unito, oppure ne ha una catena. Invero se un’antinvoluzione ha un elemento unito P, e si chiamano A, A' due elementi omologhi qualunque, l’armonico Q di P rispetto ad A, A' avrà per omologo (in forza della definizione di « antiproiettività ») l’armonico di P rispetto ad A', A, cioè se stesso, sicchè Q sarà pure un elemento unito; al variare poi della coppia AA' di elementi omologhi, Q non rimarrà sempre fisso, poichè altrimenti l’antinvoluzione coin - ciderebbe coll’involuzione avente per elementi doppi P e Q, il che (ancora in virtù della citata definizione) non può essere. Dunque la nostra antinvoluzione ha almeno 3 elementi uniti, e però (n. 12) ne avrà infiniti costituenti appunto una catena. — Così risulta pure che, rispetto ad una coppia qualunque AA' di elementi omologhi dell’ antinvoluzione avente per elementi uniti quelli di una data catena, questi si distribuiscono in coppie (ana- loghe alla PQ) armoniche ad AA'. Lo SrauDT (B°, 212) chiama perciò gli elementi A, A' separati armonicamente dalla catena (senza definirli coll’antinvoluzione, concetto che egli non intro- duce) ed anzi osserva che ogni catena passante per essi ha co- muni con quella data due elementi (armonici rispetto ad essi): fatto che da ciascuna delle rappresentazioni reali ricordate nel- l'introduzione appare evidente. Per completare la dimostrazione del nostro primo enunciato rimane da stabilire l’esistenza di antinvoluzioni prive di elementi uniti. Essa risulterà naturalmente da alcune proprietà comuni a tutte le antinvoluzioni che ora vedremo. 17. Si consideri una catena € passante per due punti omo- loghi A,A' di un’antinvoluzione qualunque A. Il prodotto di questa e dell’antinvoluzione € (indicando con questo stesso sim- 302 CORRADO SEGRE bolo l’antinvoluzione che ha la catena fondamentale C) sarà una proiettività in cui i due elementi A, A' si corrisponderanno evi- dentemente in doppio modo, cioè sarà un’involuzione. Ne segue (*) che le due antinvoluzioni sono permutabili, sicchè la catena € sarà trasformata in se stessa da A. Dunque ogni catena pas- sante per due elementi omologhi di un’ antinvoluzione è tra- sformata in se stessa da questa, ossia è unita per questa. Ne discende subito che: due coppie qualunque di elementi omologhi di un’antinvoluzione stanno in una catena (unita). Ciò del resto risulta pure osservando che se AA' e BB' sono due coppie di elementi omologhi di un’antinvoluzione, sarà il gruppo AA'BB' antiproiettivo ad A'AB'B, e quindi anche al gruppo, proiettivo a questo, AA'BB', cioè a se stesso ; dunque quei quattro elementi stanno in una catena. 18. A determinare un’antinvoluzione non si possono dunque dare ad arbitrio due coppie di elementi omologhi, come si fa per le involuzioni; ma bisogna darle in guisa che stiano in una stessa catena. Questa condizione è anche sufficiente, sicchè date ad arbitrio in una catena C due coppie AA', BB' di elementi, esiste una determinata antinvoluzione che le contiene come coppie di elementi omologhi (in altri termini se un’ antiproiettività ammette due elementi distinti A, A' che si corrispondano in doppio modo e se inoltre — condizione che non ha l’analoga nelle proiettività — ha come omologhi altri due elementi B, B' posti in una catena con quelli, essa sarà involutoria). Invero il ragionamento prece- dente si può invertire: il gruppo AA'BB' giacendo su una catena sarà antiproiettivo a se stesso e quindi anche al gruppo (proiet- tivo) A'AB'B; ora quest’antiproiettività, coincidendo evidente- mente coll’inversa, sarà un’antinvoluzione, in cui dunque AA', BB' son coppie di elementi omologhi. Sulla catena €, unita per l’antinvoluzione, questa determina una corrispondenza che coincide con un’involuzione ordinaria e che ha quindi due elementi uniti o nessuno secondo che sulla (*) In forza della nota proposizione (che ci occorrerà ancora nel seguito) che: la condizione necessaria e sufficiente perchè due corrispondenze uni- voche involutorie siano permutabili è che il loro prodotto sia pure una cor- rispondenza involutoria (la quale poi sarà permutabile con ognuna di quelle due, dando per prodotto l’altra). UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 303 catena stessa le due coppie AA', BB' non si separano oppure si separano. D'altronde da un’ osservazione fatta alla fine del n. 16 segue che se l’antinvoluzione ha elementi uniti, ne deve certo avere due sulla catena €. Dunque l’antinvoluzione deter- minata dalle due coppie AA', BB' avrà una catena di elementi uniti o non ne avrà alcuno secondo che quelle coppie sulla catena che le contiene non sì separano oppure si separano. — Resta così provata l’esistenza delle antinvoluzioni prive di ele- menti uniti (*). (*) Sulla teoria analitica delle antinvoluzioni e delle catene nelle forme di 1% specie. — Un’antinvoluzione di una tal forma (fra elementi x ed y) è rappresentata (cfr. n. 9) da un’equazione della forma 2 arnCIm=0 > ove (come dimostreremo più in generale nel Cap° seg.) si può supporre che a, A, Siano reali, mentre @,,, 4, siano fra loro coniugati. Simbolicamente la stessa equazione diventa: o dx 7 AI) . Il determinante 1 —_ — ' Gini A 03 d9g — A49 Ag; =z(a a')(a@) (ove le a' indicano simboli equivalenti alle a) è l’invariante dell’antinvoluzione. Esso è essenzialmente reale e col suo segno negativo o positivo indica risp. che l’antinvoluzione ha o non ha una catena di elementi uniti. Invero l’equa- LI zione che esprimerebbe che l’elemento x è unito E Arm C1Em —0 sì può anche scrivere in quest'altro modo: (Gy, £ + 09, 3)(0,, &,+4-d,39%9) +Ag,g,=0 , che proverebbe (essendo positivi i due prodotti di quantità coniugate che vi compaiono) che A è negativo ; e viceversa. L’invariante 4 s’annulla (cfr. n.40 quando l’antinvoluzione degenera, cioè la catena si riduce ad un solo ele- mento. Se con quell’antinvoluzione ne consideriamo un’altra Z Din im = 0 ossia db, b,=0 È il cui determinante indichiamo con A,, avremo altre forme invariantive. Come prodotto delle due antinvoluzioni si ottiene subito la proiettività (ab) asa 0. la quale è involutoria quando s’annulla l’invariante (reale) EC b)(ab)=a, Dsa — Ag Day — Ag dia + agg da . 304 CORRADO SEGRE 19. Forme di 2* specie. — Consideriamo un’antinvoluzione fra gli elementi di un piano (poichè a questo possiamo limitarci). Dunque l’annullarsi di I esprime che le due antinvoluzioni sono permutabili. — La proiettività considerata ha gli elementi uniti rappresentati da (bla b,=0; e questi elementi costituiscono o la coppia di elementi omologhi comune alle due antinvoluzioni oppure i due elementi uniti comuni a queste, cioè i due elementi d’intersezione delle loro catene: ciò a seconda che esistono tali due elementi omologhi oppure due tali elementi uniti (cfr, n. 24) Il caso intermedio fra questi è quello in cui i due elementi coincidono in un solo elemento unito comune alle due antinvoluzioni, cioè in cui le due catene sono tangenti fra loro: si trova subito dall’equazione di quella coppia che la condizione perchè accada questo fatto è I 444,20 LS Se ora sì osserva che il 1° membro di quest’uguaglianza è un invariante di valore reale, il cui segno è pure invariante, si è condotti a pensare che appunto questo segno serva a distinguere i due casi di cui prima si parlava, Fra le varie dimostrazioni che di ciò si possono dare accenniamo la seguente (che serve ad introdurre un nuovo concetto). Si consideri il fascio dî anti- proiettività rappresentato, al variar di ):v, dall’equazione I E Aim CL Ym + E dim Cr Im =0: due elementi omologhi (ed in particolare un elemento unito) per due di queste antiproiettività saranno tali per tutte. Le antiproiettività degeneri corrispon- dono all’annullarsi del determinante di quell’equazione, cioè ai valori di ):y per cui AX+I}k+A4,#=0. Se questi valori sono reali, sicchè I* —4A44, >0, essi corrispondono a due antinvoluzioni (o catene) degeneri del fascio, e però le due primitive antin- voluzioni non possono avere alcun elemento unito comune: avranno invece a comune una coppia di elementi omologhi (gli elementi singolari delle an- tinvoluzioni degeneri). Se invece quei valori di): sono imaginari-coniugati, sicchè I? -—4AA4,<0, allora ponendo uno qualunque di essi nell’equazione dell’antiprojettività, poichè questa è degenere, il suo 1° membro dovrà scin- dersi in due fattori contenenti linearmente risp. le x e le 7 e rappresentanti risp. i due elementi singolari dell’antiproiettività. Quindi il primo di questi elementi verifica l’equazione VE lm Cm + dn tim =0, la quale, per essere reali le due somme che vi compaiono, ed immaginario il rapporto ):w , si spezza in due equazioni reali da cui segue l’annullarsi di quelle due somme, cioè l’essere l’elemento considerato elemento unito per UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 305 Ogni retta non unita conterrà un determinato punto unito, cioè il punto in cui la taglia la retta omologa. Similmente per ogni le due antinvoluzioni date. Queste hanno dunque in tal caso due elementi uniti a comune. A queste considerazioni si collegherebbero naturalmente altre, dipendenti dal carattere bilineare dell’invariante simultaneo I, sul sistema di due fasci di antinvoluzioni o di catene mutuamente permutabili: i due elementi uniti comuni all’un fascio sono i due elementi omologhi comuni all’altro. Ma ciò sarebbe affatto ovvio; in generale la rappresentazione delle catene coi cerchi del piano o della sfera è guida naturale in tali questioni: ì fasci di catene corrispondono ai fasci di cerchi, la permutabilità delle catene all’ortogonalità dei cerchi, l’ invariante assoluto 1*:A 4A, ad una funzione dell’angolo di due cerchi, ecc. Viceversa si ha col nostro procedimento un’elegante rappresenta- zione analitica, invariantiva, della geometria dei cerchi del piano o della sfera. Come abbiamo incominciato lo studio invariantivo delle antinvoluzioni, così più in generale si potrebbe avviare quello delle antiprojettività. Anche per due di queste si potrebbero considerare gl’invarianti simultanei ], IP 444,, il cui annullarsi s’interpreta subito geometricamente in modo quasi identico a quello tenuto pel caso speciale delle antinvoluzioni; si giungerebbe così ai sistemi lineari di antiproiettività, ed in particolare ai loro fasci. Queste cose, molto analoghe a cose note sulle projettività, noi tralasceremo. — Sulle proprietà metriche delle antinvoluzioni e delle catene nelle forme di 1° specie. — Una proprietà metrica importante di tali catene è quella vista al n. 13 che il birapporto di 4 loro elementi è reale: essa si applica pure (a. 47) a due coppie di elementi omologhi di qualunque antinvoluzione. Altre proprietà si possono dedurre da quelle metriche delle antiproiettività esposte in una nota al n. 8. Indichiamo con M, N due punti uniti e con A, A’ due punti omologhi di un'’antinvoluzione su d’una retta; allora avremo: mod. (MNAA') = mod. (MNA'A) , poichè l’antinvoluzione muta i birapporti nei coniugati, oppure anche in forza della relazione (1) della nota citata, Ne segue (4) mod. (MNAA')=1, ossia sviluppando : mod A Miao mod ARI MAM TT ib ASD (2) mod, AM : mod, A'M = cost. , al variare di M nella catena, mentre A, A’ stan fissi. Questa relazione equi- vale alla proprietà del cerchio di esser il luogo dei punti le cui distanze da due punti fissi (inversi rispetto al cerchio) hanno un dato rapporto, Similmente 306 CORRADO SEGRE punto, non unito passerà una retta unita ben determinata, cioè quella che lo congiunge al punto omologo. In ogni retta unita l’antinvoluzione piana determinerà un’antinvoluzione semplice la la (2) della suddetta nota (oppure la proprietà ricordata da principio) dà, indicando con P un punto variabile della catena, arg. (FP) = cost. , (3) arg. MP — arg. NP = cost. , ossia a meno di un multiplo di x : ciò equivale alla costanza dell’angolo iscritto in un dato arco di cerchio. Se il punto all’infinito della retta non è unito per l’antinvoluzione e si chiama 0 il suo omologo, il quale sarà un centro di simmetria per l’antin- voluzione o per la catena, la (1) darà: OM mod, ON =.i ’ cioè (4) mod, OM = p, essendo p costante al variare del punto M nella catena. Più in generale le relazioni (5) e (6) della nota citata dànno, indicando con A, A” due punti omologhi variabili, e con pf una costante: (5) mod. OA . mod. OA” = 3 (6) atg. Gar arg. OA”. Queste proprietà corrispondono alla nozione del raggio p di un cerchio ed alle relazioni fra due punti A, A' inversi rispetto a questo: — Se poi si ha una catena passante pel punto all’infinito, la (2) e la (3) diventano: (2) mod, AM — mod, A’M (3') arg. MP = cost. al variare di M o di P nella catena. Da quest’ultima proprietà, od anche di- rettamente, segue che NN È reale, cioè che con un’unità di misura conve- niente tutte le mutue distanze fra i punti della catena sono reali. Non stiamo a sviluppare le cose analoghe relative alla teoria metrica delle antinvoluzioni e catene nei fasci di rette. Osserviamo soltanto che in generale una tal antinvoluzione o catena può presentare due casi ben distinti secondo che esistono due raggi omologhi, ovvero due raggi uniti che siano perpen - dicolari fra loro; tali raggi sono sempre assi di simmetria per l’antinvolu- zione o catena. Se l’antinvoluzione è permutabile coll’involuzione di angoli retti del fascio si hanno due casi particolari notevoli, secondo che ciò pro- viene dall'essere i due raggi ciclici (assoluti) omologhi rispetto all’antinvolu- UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 307 quale, avendo per punti uniti quelli in cui la retta stessa è incontrata dalle altre rette unite, ne avrà una catena (n. 16). Similmente per ogni punto unito passa una catena di rette unite. Da queste considerazioni risulta subito che fra i punti uniti dell’ antinvoluzione piana se ne possono in infiniti modi pren- dere 4 in guisa che siano indipendenti fra loro; sicchè, ricordando la definizione delle catene di 2° specie (n. 12), concludiamo che ogni antinvoluzione tra gli elementi di una forma di 2° specie ha per elementi uniti gli elementi di una catena di 2° specie. 20. Le proprietà delle catene di 2° specie che già notammo (n. 12) potersi dedurre dalla considerazione degli elementi reali di una forma di 2° specie reale derivano anche subito da quelle delle antinvoluzioni nelle forme di 2° specie. Così*dal n. prec. già segue che: data in un piano una catena di 2* specie, ogni retta che non le appartenga l’incontra in un punto solo, mentre ogni retta della catena l’incontra lungo una catena rettilinea ; similmente le rette della catena passanti per uno qualunque dei suoi punti formano una catena, mentre per ogni altro punto passa una sola retta della catena. Un’ antinvoluzione piana fa dunque corrispondere ad un punto qualunque A del piano non posto nella catena fondamentale quello A’ che sulla retta passante per A ed appartenente alla catena, cioè avente comune con essa una catena rettilinea, è rispetto a quest’ultima l’armonico di A (e noi lo diremo armonico di A anche rispetto alla catena piana): e dualmente. Si vede inoltre che i punti della catena piana son proiettati da ciascuno di essi mediante una catena semplice di rette (ognuna zione, oppure uniti per questa. Nel 1° caso, se l’antinvoluzione è priva di catena fondamentale, vi sono infinite coppie di raggi omologhi perpendicolari, le quali costituiscono una catena; se invece l’antinvoluzione ha una catena fondamentale i raggi di questa sono a coppie perpendicolari fra loro. Nel 2° caso, cioè quando si ha una catena contenente i raggi ciclici (che perciò si potrebbe chiamare catena circolare di raggi), accade in pari tempo che essa è il luogo di infinite coppie di raggi perpendicolari, e che vi sono infinite coppie di rette perpendicolari armoniche rispetto ad essa costituenti pure una catena (queste due catene, circolari entrambe e permutabili fra loro, son le- gate per modo che l’angolo di ogni raggio dell’una con un raggio dell’altra ha per parte reale È ossia ha una tangente di modulo 1). 308 CORRADO SEGRE delle quali proietta non un sol punto, ma tutta una catena ret- tilinea). In conseguenza se M, N sono due punti qualunque della catena piana, la varietà oo° dei punti di questa si può conside- rare come l’intersezione delle due varietà 003 (catene triple de- generi) costituite dai punti di due catene semplici di rette aventi i centri in M, N; catene che hanno a comune una retta MN, dalla quale si deve prescindere. Viceversa due catene semplici di rette di un piano di centri distinti MN, le quali contengano entrambe la retta MN, si tagliano ancora secondo una catena piana di punti. Perocchè se due rette della 1% catena e due rette delle 2°, diverse le une e le altre dalla MN, s'incontrano rispettivamente nei punti P e Q, la catena piana passante pei 4 punti M,N,P,Q sarà proiettata da. M mediante nna catena semplice di rette contenente le tre rette, M N, MP, MQ), cioè mediante la prima catena di rette, e simil mente sarà proiettata da N mediante la 2° catena di rette. Dualmente : date su due rette che si taglino due catene semplici di punti passanti pel punto d’intersezione, le rette che si appoggiano ad entrambe queste catene formano una catena piana (contenente le due catene rettilinee). E viceversa ogni. catena piana di rette si può generare a questo modo. 21. Un'altra generazione notevole di una catena piana si ha considerando due punti (distinti) S, S' che siano armonici rispetto ad essa. Le rette che da S, S' proiettano un punto qua- lunque della catena saranno omologhe nell’antinvoluzione che ha la catena per fondamentale e quindi S, S' per punti omologhi; viceversa due rette omologhe passanti rispettivamente per S ed S' si tagliano in un punto unito, cioè in un punto della catena. Dall’antinvoluzione i fasci S, S' son riferiti fra loro antiprospet- tivamente, cioè antiprojettivamente e con la retta unita S S'. Dunque ogni catena piana è il luogo dei punti d'incontro dei raggi omologhi di due fasci antiprospettivi. Viceversa due fasci antiprospettivi di rette di un piano generano una catena piana. Invero se S, S' sono i loro centri e P, Q due punti d'incontro di due raggi dell’un fascio rispet- tivamente cogli omologhi dell’altro, l’antinvoluzione determinata (n. 11) dai punti uniti P, Q e dalla coppia di punti omologhi S $' determinerà fra i due fasci S, S' una corrispondenza antipro- spettiva coincidente colla data. — Lo stesso fatto si potrebbe UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 309 anche dedurre da ciò che se al punto comune a due raggi qualunque dei fasci S, S' si fa corrispondere il punto d'inter- sezione dei raggi omologhi rispettivamente di S', S, si avrà (v. la costruzione generale delle anticollineazioni piane al n. 4) un’antinvoluzione fra i punti del piano. Dualmente, chiamando antiprospettive due punteggiate distinte antiproiettive e con un punto unito, si ha che le rette con- giungenti i punti omologhi di due punteggiate antiprospettive sono le rette di una catena piana; e viceversa ogni catena piana sì può generare in questa guisa. — (*) (*) Dalle generazioni delle catene piane viste in questo n° e nel precedente si possono trarre delle nuove rappresentazioni analitiche di esse. A tal fine indichiamo con A, B, C delle forme lineari nelle coordinate di punti (e con A, B,C risp. le forme coniugate, nelle coniugate delle coordinate). Due fasci di rette antiprospettivi, aventi A —0 per retta unita e B—=0, C—0 per rette omologhe sì potranno rappresentare con le equazioni (1) ACENB—=0., (2) A+IC—=0. Quest'ultima equivale alla coniugata A+IC=0, ed eliminando \ fra questa e la (1) si ha (3) AC-—AB=0. L’equazione (3) rappresenta dunque la catena piana generata dai due fasci, purchè però si faccia astrazione della retta A—=0(od A—=0) i cui punti sod- disfano pure quell’equazione. Volendo invece considerare la catena piana secondo il n. 20 come inter- sezione di due catene semplici di rette aventi la retta A—0 a comune, os- serviamo che la catena semplice delle rette unite dell’antinvoluzione fra i due fasci sovrapposti A+B=0, A+\B=0 sì ha eliminando % fra queste due equazioni, cioè fra la 1* e la coniugata della 2°, ed è quindi: (4) AB—-AB—=0. Similmente un’altra catena semplice di rette contenente la retta A—=0 si può rappresentare con (5) NG AC20"! 310 CORRADO SEGRE 22. Forme di 3° specie. — Consideriamo finalmente un’an- tinvoluzione fra gli elementi dello spazio. Essa ammette sempre f un'infinità di rette unite, le quali si possono riguardare sia come le congiungenti di coppie di punti omologhi, sia come le intersezioni di coppie di piani omologhi. Per ogni punto non unito ne passa una; su ogni piano non unito ne giace una. Su ciascuna retta unita le coppie di punti omologhi formano una antinvoluzione; e così le coppie di piani omologhi passanti per essa formano un’antinvoluzione. i Se l’antinvoluzione spaziale ammette un punto unito, allora il piano che congiunge una retta unita qualunque non passante per esso a questo punto sarà pure unito; e così pure dall’esi- stenza di un piano unito segue quella di punti uniti sulle infi- nite rette unite. In tal caso adunque l’antinvoluzione ammette infiniti punti uniti formanti un sistema tale che ogni retta unita lo sega secondo una catena rettilinea ed ogni piano unito lo. sega secondo una catena piana. Ne segue subito che si possono scegliere 5 punti uniti in guisa che siano indipendenti, e però (n. 12) che i punti ed i piani uniti formano una catena spaziale. Se un’antinvoluzione dello spazio ammette un punto ovvero un piano unito, essa ammette una catena spaziale fondamentale. Segue inoltre dalle osservazioni precedenti che, data una catena spaziale qualunque, ogni retta ed ogni piano che le appartengano l’incontrano secondo una catena rettilinea 0 piana, mentre ogu retta che non le appartenga o non l’ incontra affatto o l’incontra in un punto solo, ed ogni piano che non le appartenga l incontra secondo una catena rettilinea. Da una retta qualunque della catena i punti di questa son pro- La catena piana appare così rappresentata dalle due equazioni reali (4) e (5) da cui però si tolga la retta A=0(A=0) In luogo di quelle equazioni si può scrivere: A B C (6) e E Pa, (0) A B C (Del resto, se si osserva che i valori delle A, B, C in ogni punto del piano sì posson uulliatare come coordinate del punto, queste equazioni, le quali vengono in sostanza ad esprimere che il punto ha coordinate reali, coincide- ranno con un'osservazione fatta in principio del n. 13, od anche con la rap- presentazione parametrica delle catene piane data al n, 14), UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE b1 jettati mediante una catena semplice di piani (in cui però ogni piano ne projetta una catena piana), (*) ecc., ecc. 23. L'esistenza di antinvoluzioni dello spazio prive di punti e piani uniti si può vedere facilmente ricorrendo alla co- struzione delle anticollineazioni data al n. 4. Si determini in fatti fra due stelle distinte S, S' un’anticollineazione la quale faccia corrispondere fra loro involutoriamente i fasci di piani aventi per asse SS: ciò è possibile evidentemente in infiniti modi, e si può anzi scegliere ad arbitrio l’antinvoluzione che così si viene ad avere tra i piani per SS'. Se allora di ogni punto P, intersezione di due raggi di $, S', chiamiamo omologo il punto P' in cui si taglieranno i raggi rispettivamente corrispondenti a quelli in $',S, avremo stabilito nello spazio un’anticollineazione involutoria, di cui farà parte la data antinvoluzione del fascio di piani SS': quindi a seconda che questa non ha piani uniti o ne ha una catena, segue dal num. prec. che l’antinvoluzione dello spazio non avrà alcun punto o piano unito, oppure ne avrà una catena spaziale. (**) Merita di essere rilevato il fatto che il sistema delle rette unite di un’ antinvoluzione dello spazio priva di catena fonda- mentale non ha nè punti nè piani singolari; sicchè per ciascun | punto ed in ciascun piano passa sempre una sola retta del sistema. Nei sistemi di rette algebrici è noto che questo fatto non può presentarsi; e solo se il campo geometrico si limita agli elementi reali si ha nella congruenza lineare reale priva di rette direttrici (reali) un fatto analogo. — (***). (*) Se ne trae ad esempio che la catena spaziale si può considerare come l'intersezione di tre oo costituite da catene semplici di piani aventi comune un piano (da cui si astrae) e quindi, analogamente alla nota precedente, si può rappresentare così : A B C D R#ino apri orgia i D (**) Proseguendo i ragionamenti fatti qui e al n, 19 si vede subito che: in ogni spazio di dimensione pari tutte le antinvoluzioni hanno infiniti punti uniti, civò ammettono una catena fondamentale; in uno spazio di dimensione impari vi sono invece delle antinvoluzioni con catene fondamentali e delle antinvoluzioni prive di punti uniti. (***) Per le antinvoluzioni in forme di 1° specie abbiamo già considerata Stra CORRADO SEGRE 24. Date due antinvoluzioni in una stessa forma fondamen— tale di specie r possiamo facilmente trovare il numero delle. coppie di elementi omologhi che esse hanno a comune. Ogni tal elemento sarà in fatti unito per la collineazione che è pro- dotto di quelle due antinvoluzioni ; e viceversa ciascuno degli elementi uniti (r+ 1 in generale) di questa collineazione avrà evidentemente uno stesso elemento per omologo in ambe le an- tinvoluzioni. Separando il caso di due elementi omologhi di- stinti da quello di due elementi omologhi coincidenti, abbiamo dunque che: due antinvoluzioni di una forma di specie r ‘hanno in generale a comune un certo numero k (tale che 0=2%k=r+41) di coppie di elementi omologhi distinti ed inoltre r- 2k4-1 elementi uniti. Così, ad esempio, due antinvoluzioni in una forma semplice hanno comune in generale una coppia di elementi omologhi distinti, oppure due elementi uniti. Due catene piane hanno sempre un punto a comune; in generale o ne hanno tre (e le tre rette che li congiungono a due a due), oppure ne hanno un solo, ma am- mettono innltre una coppia comune di punti armonici (sull’unica retta che esse hanno in tal caso a comune). Due antinvoluzioni dello spazio possono presentare in generale i seguenti casi: 1° quattro punti uniti comuni, 2° due punti uniti comuni ed una coppia co- mune di punti omologhi distinti, 3° due coppie di punti omologhi distinti a comune; in ciascuno di questi casi si vede poi subito quali piani e rette, congiungenti di quei punti, siano uniti op- pure siano omologhi in entrambe le antinvoluzioni (*) — Noi pre- scindiamo, come si vede, dai casi particolari che la collineazione, la relazione di permutabilità. Per due antinvoluzioni nel piano o nello spazio la condizione di permutabilità coincide (v. la nota al n. 17) con quella di dare per prodotto una collineazione involutoria del piano o dello spazio, Si avranno dunque ad esempio le antinvoluzioni spaziali permutabili ad una data facendo il prodotto di questa e di un'omologia armonica il cui centro ed il cui piano siano uniti per l’antinvoluzione, ovvero il prodotto di questa e di un’involuzione rigata i cui assi siano rette unite, oppure rette omologhe per l’antinvoluzione. (*) Occorrendoci ancora di considerarli in seguito, chiameremo di 1% o di 2° specie un triangolo unito di un’antinvoluzione piana secondo che tutti e tre i suoi vertici son punti unitì di questa, oppure uno solo è punto unito (e gli altri due son punti omologhi); e così di 1%, di 2% ovvero di 3° specie un tetraedro unito di un’antinvoluzione spaziale secondo che tutti e quattro i suoi vertici sono uniti, 0 due soli, o nessuno. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 513 prodotto delle due antinvoluzioni, può presentare sia pel coin- cidere di alcuni fra gli +1 elementi uniti, sia pel diventare infinito il loro numero; questi vari casi particolari, ben noti, darebbero subito altrettante particolarità di posizione reciproca che due antinvoluzioni (o due catene) possono avere. Collegando la proposizione generale vista dianzi con un modo di determinare le antinvoluzioni in una forma di specie che fu esposto al n. 11, noi vediamo, almeno nei casi generali, che due catene qualunque di una stessa forma di specie r in- dividuano un sistema infinito (0) di catene aventi a comune un certo numero k (tale che 0=2k=r+1) di coppie di punti armonici ed inoltre vr -2k+1 punti, e tale che per ogni altro punto (indipendente da quegli r+1) passa sempre una sola catena del sistema. 25. Tutte le proposizioni viste sulle antinvoluzioni e sulle catene di una forma di 1° specie si possono applicare senza modificazioni ad ogni forma semplice razionale, per esempio alle antinvoluzioni (e catene) fra i punti di una curva razionale o fra le generatrici di una rigata razionale. Ma conviene aggiun- gere alcune osservazioni speciali, che si collegano al n. 7, e che ci serviranno in seguito. Se si ba un’ antinvoluzione sovra una conica o sovra una cubica sghemba, segue dal n° citato che essa è contenuta in una ben determinata antinvoluzione del piano della conica ovvero dello spazio (la quale muta la conica o la cubica in se stessa ). L’antinvoluzione piana avrà una catena doppia fon- damentale, la quale, a seconda che l’antinvoluzione fra i punti della conica non ha punti uniti ovvero ne ha una catena sem- plice, non incontrerà affatto la conica, ovvero 1’ incontrerà se- condo questa catena semplice (che noi, in opposizione alle catene semplici rettilinee o di 1° ordine, chiameremo catena semplice conica o di 2° ordine). Così se 1’ antinvoluzione piana è il coniugio sovra un piano reale, sicchè la conica sarà reale, i due casi corrispondono rispettivamente all’essere questa curva priva o no di punti reali. — Se invece si tratta di una cubica sghemba, a seconda che l’antinvoluzione fra i suoi punti è priva di punti uniti o ne ha una catena semplice (cubica o del 3° ordine), l’antinvoluzione spaziale che la contiene sarà a sua volta priva o no di catena fondamentale: invero quando quest’antin- Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV, 23 314 CORRADO SEGRE voluzione ammette un ‘piano unito questo taglia la' cubica ‘in’ 8 punti, tra i quali può accadere che vi sia una coppia di parti omologhi, ma certo vi sarà un punto unito. Quanto alle antinvoluzioni (e catene) spaziali ‘permutabili ad una data quadrica, ne abbiamo due specie'(n. 7). Un'antin- voluzione ‘di 1% specie muta ciascuna schiera di generatrici della quadrica' inse’ stessa. Se l'antinvoluzione che così si ha fra' le generatrici ‘di ‘una schiera ha una catena semplice ‘di rette unite, e se l’antinvoluzione spaziale ammette una catena fondamentale, quelle rette unite contengono delle catene semplici di punti uniti, e le generatrici dell’ altra schiera passanti per questi saranno pure unite. Ne segue che. se una sola delle due antinvoluzioni entro le schiere di seneratrici ha elementi uniti, l’antinvoluzione spaziale non ammetterà una catena fondamentale.‘ Invece ‘se en- trambe quelle antinvoluzioni semplici hanno rette unite, ed anche se ‘entrambe ne sono prive, si vede facilmente chel’ antinvolu- zione dello spazio ha una catena fondamentale:/se ‘questa ‘si compone dei punti reali, sicchè la quadrica ‘è reale, essa è rigata nel 1° caso, ed è priva di' punti reali nel 2°. — ‘Un’ antinvo= luzione spaziale permutabile ‘ad una quadrica e ‘della’ 2* specie fa corrispondere le ‘due schiere di generatrici ‘l'una all'altra ‘in un'antiprojettività : gli oo? punti d'incontro di generatrici ‘omo+ loghe sono punti uniti dell’antinvoluzione, la quale ‘avrà dunque una ‘catena fondamentale. ‘Quella 60% ‘di punti equivarrà projet tivamente a quella dei punti reali di una quadrica reale ‘el littica. 26. Abbiamo già avuto” occasione di osservare ‘come ‘per projezioni le catene si mutino in catene. '—' Così sé si projet tano i punti di una catena spaziale sopra un piano 'da'un punto esterno si ottengono i punti di una’ catena semplice ‘di ‘rette uscente dalla traccia ‘della retta unita che ‘passa pel’ ceritro'di projezione. — E'se ‘in'un piano 'son date una catena ‘piana € ed una retta’ #'é da un punto qualunque P esterno ‘ad entrambe si proietta la catena sulla retta, questa viene ad apparire come catena doppia degenere, con ‘un’ punto ‘singolare A' nella ‘traccia su' 7 della retta della catena’ passante per P3 sì ‘che mentre la corrispondenza fra i punti di + e quelli di C°' è' generalmente univoca, al punto A di r'corrispondono su € erre i punti della catena rettilinea in cui questa è incontrata dalla retta PA, UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 315 Esaminiamo un po meglio questa; corrispondenza. Ogni ca- tena rettilinea (di €. incontra in un. punto la catena. rettilinea posta: su PA, è per conseguenza si proietta sur secondo una catena rettilinea passante per A. Ma una catena rettilinea qua- lunquer dir è proiettata, da P, mediante una catena semplice dirette: Ja catena semplice delle rette corrispondenti rispetto al- l’antinvoluzione C uscenti dall’armonico P' di:;P. sarà antiproiettiva, or= ciò che fa lo stesso, trattandosi di catene, = proiettiva a quella; ei perciò. genererà con, quella una catena semplice conica (v. n. 25). posta! su €. Vale a dire: alle’ catene rettilinee; o; di 1° ordine, di, 7 corrispondono su € delle, catene coniche, o di 2° ordine (poste su coniche, passanti per. P: e. P'). Se poi si pro- letta iuna catena conica di C, da P, allora, se la conica in cui sta la catena passa per, P,;le rette proiettanti formeranno evi- dentemente suna catena semplice; sicchè, si otterrà come proie- zione su x una; catena;rettilinea. In caso contrario, considerando la (catena conica su; .C. come, generata da fasci proiettivi di rette, anzi|:di, catene rettilinee, giacenti, in C,. fasci coi, centri sulla ca- tena conica medesima; sì vede. che la sua. proiezione sur. sarà unaroo' di punti; che diremo pure di 2" ordine, .e che, si. ge- nera; in infiniti. modi come luogo;dei punti d’ intersezione delle catene/omologhe di ,due fasci proiettivi di. catene rettilinee aventi un. punto base in Ae l’altro in un puntovarbitrario della co). Essa è tagliata da una catena, rettilinea di r in 4 punti al più (poichè due catene coniche di € si tagliano al più in 4 punti); ma se questa catena rettilinea passa per A, essa non può in- contr'arla che “in altri 2 punti: il punto A è doppio: Le coor- dinate dei punti della catena conica si possono rappresentare come forme quadratiche di due parametri, reali; ed in modo ‘simile si potranno rappresentare. quelle dei punti della sua pro- ‘iezione. (*). 11(*) Se la catena € si compone dei punti reali di un piano e P, P' sono ‘i punticcielici di questo; la: corrispundenza considerata, si, riduce alla rappre- sentazione nota dei punti complessi di una retta.x coi punti reali del piano; alle ‘catene semplici od-o0' di 1° ordine di x corrispondono, i cerchi (reali) del ‘piano; ma ai punti reali di una.conica reale qualunque corrispondono in ge- nerale \sùur i punti di una co di 2° ordine; .ece. A proposito) dell'ordine. di una c0' iperalgebrica di punti di una retta 7 osserviamo: ancora che «esso fu definito in: generale nella introduzione di que- sto Saggio; e che, se sì rappresenta r sulla sfera.reale, sicchè la co' ha per 316 CORRADO SEGRE Queste osservazioni ed altre che si potrebbero fare intorno alla corrispondenza fra € ed r si potrebbero anche, sopprimendo la r, riferire alla corrispondenza fra i punti di € e le rette che le proiettano da P. Trasportate allora per dualità, daranno delle proprietà della corrispondenza fra le rette di una catena piana C ed i punti di una retta » che ne sono le tracce. Questa corrispondenza è univoca, tranne pel punto d’ intersezione di , con C al quale corrispondono in © le infinite rette di una ca- tena semplice. Ad una catena semplice di r corrispondono in generale in C le rette di una co! di 2* classe, cioè le tangenti di una catena conica; ma inversamente le tangenti di una ca- tena conica segano r in generale secondo una co! di 2° ordine. Se fra due rette r, »' di un piano consideriamo la eòrrispon- denza che si ha chiamando omologhi due punti che stiano su una stessa retta della catena piana €, avremo una corrispon- denza univoca tranne che pei due punti in cui r, r' son ta- gliate da €, ognun dei quali ha per corrispondenti sull’ altra retta tutti i punti di una catena semplice. Ora dalle ultime osservazioni segue che in generale questa corrispondenza univoca sarà quudratica, cioè farà corrispondere ad ogni catena retti- linea, od co' di 1° ordine, dell’una retta una col di 2° ordine sull'altra retta (col punto singolare di questa per punto doppio). Solo quando r, r' fossero armoniche rispetto a © la corrispon- denza si ridurrebbe ad un’antiproiettività (v. n. 21). imagine una curva algebrica reale della sfera, cioè 1’ intersezione completa di questa con una superficie algebrica, l’ ordine della co! di punti di r sarà precisamente l’ordine di. quella superficie ( mentre nella rappresentazione di r sul piano reale la co' d’ordine n ha per per imagine una curva d’ordine 2n con due punti n-pli nei punti ciclici, od una degenerazione di una tal curva), Quindi una oo' di 2° ordine corrisponde all’intersezione della sfera con una quadrica, e dalle note proprietà di questa curva biquadratica, per es. dai coni quadrici che la contengono, seguono delle proprietà della co' di 2° ordine, le sue generazioni mediante fasci ‘proiettivi di catene, l’esistenza di 2 o di 4 antinvoluzioni che la trasformano in se stessa, ecc. La oo! di 2° ordine che sopra si è considerata in r è particolare avendo un punto doppio. (è razionale, mentre quella generale è ellittica); la oo! di 2° ordine generale di » non si può considerare come proiezione di una co! di 2° ordine non ret- tilinea: vedremo invece nel seguito di questo lavoro che si può ottenere come projezione di una co! piana di 3° ordine (intersezione di tre iperconiche) da un suo punto. — (Tutte queste osservazioni saranno completate da altre che si troveranno in altro scritto). UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 317 Se due catene doppie €, D di un piano si considerano come sezioni di uno stesso fascio P di rette, anche la corrispondenza univoca che così si avrà fra esse sarà in generale quadratica, in quanto che ad ogni catena rettilinea dell’ una, per esempio di €, corrisponderà nell’altra 1) una catena conica (passante pel punto singolare di D, che è il suo punto d'incontro con la retta di C uscente da P). — Se dai due punti P, P' armonici rispetto a C proiettiamo i vari punti di € sulla catena piana D, avremo in questa una corrispondenza quadratica, sezione della corrispon- denza antiprospettiva fra i fasci P, P', ed avente in conseguenza un punto unito nell’intersezione di D colla retta P P': gli altri punti uniti saranno evidentemente i punti comuni a C e D, ed essi sono in generale, com’ è noto, uno o tre; il che s’accorda col n. 24. Nuove specie di Ditteri del Museo zoologico di Torino; del Dott. E. GiaLio-Tos Diagnosi di alcune nuove specie di Ditteri. Gen. ECHINOMYIA Duw. E. magna n. sp. Totius corporis longit. mill. 18 circ. — Abdominis latit. (1) mill. 8 cire. — Mas: Facies, genae et palpi flavo -sub- aurei: genae setis non munitae. Frons nigri- cante-lutescens, vitta media flavo-rubescente. Antennarum ar- ticuli primi testacei: tertius elongatus, superne migricans. Aristae articulus secundus duplex primo brevi. Thorax miger albido-pubescens. Scutellum obscure ferrugineum. Caliptera flavescentia. Abdomen subrotundum, obscure ferrugineum, fascia media dorsuali nigra, nitida, ad anum non producta et postice (1) La larghezza dell'addome fu presa al margine posteriore del secondo segmento, dove si riscontra in generale la maggiore sua ampiezza. 318 E. GIGLIO:TOS attenuata, sefmentis primo! et: secundo imacrochetis margina— libus ‘tantum ‘praeditis: tertio et quarto albide-tessellatis. Fe- mora ‘nigra , tibiae. et tarsi ‘ferruginei;: pulvilli der Alae paulo fuscescentes basi flavida. ni Questa specie che ‘si’ avvicina molto alla 4. grossa “Dhanil perle dimensioni e le proporzioni del corpo‘ne differisce tuttavia grandemente per il colore ‘generale: del corpo, e specialmente per quello‘ delle’ calittere.» Differisce | poi ‘ancora | dall':E.iregalis Bell. (1) ‘per la fascia dorsale più. stretta ela ‘mancanza, di setole discoidali ‘sul secondo e terzo ‘segmento’ dell leso PARE colore inoltre ‘delle ‘tibie. e ‘dei tarsi! ott su Non ne ho osservato ‘che tre esemplari, tutti si Have venienti “dai dintorni di Bra e mandati dal Prof. Craveri al Prof. Bellardi che li specificò col nome di E. magna nella sua colle- zione di Ditteri piemontesi: nome che ho creduto bene conser- vare, senza che abbia potuto tuttavia rinvenire di essa alcuna descrizione prima d'ora da lui pubblicata. E. Bellardii. n. sp. — Mas: 7otius corporis longit. mill. 12 circ. — Abdominis latit. mill. 4 circ. — Facies argentea : palpi testacei: genae tribus vel duabus setis munitae. Frons nigra, duplici setarum serie praedita, quarum externa duabus setis, vitta media rufescente. Antennarum articuli primi te- stacei, secundus in’ medio 'infuscatus; tertius subrotandus, niger. Aristae articuli primi sub-aequales, breves. Thorax niger albido- pubescens, scutello rufescente, Abdomen elongatum, ferrugineum, fascia nigra dorsuali ad marginem posticum segmentorum di- latata, macrochetis marginalibus non tantum praeditum sed etiam nonnullis discoidalibus' in duplici serie latero - méliana dispositis. Anus niger. Caliptera candida. Alae ‘paulo ‘hisce> scentes, basi flavescente. Pedes nigri, tibiis vizi ferrugineis. Pulvilli albicantes. oe di di Foem distincta: Totius corporis longit. mill. 12° circ. "a Abdominis latit. mill. 5 circ. Antennarum articulo tertio mi- nore, non subrotundo. Serie PIE frontali tribus setis. Tarsis anticis dilatatis. USD DD .D ? "40 DASTLO (1) Questa specie fu descritta dal Prof. Bellardi in una lettera al Prof, Rotidani ‘è la'sua descrizione fu ‘pubblicata da quest’ultimo del suo! lddoro: Dipterologiae italicae prodromus' — Voli INI; pag! ‘50. 0301911908 NUOVE SPECIE DI DITTERI 319 Questa specie differisce dall’. argentifrons Macq. per avere le spalle ed il torace di un colore nero uniforme e per le setole poste non solo ai margini dei segmenti addominali, ma anche in sul mezzo di essi. Mentre poi per la presenza di queste setole discoidali si avvicina all’ E. regalis Bell. se. ne allontana poi principalmente per la. forma più esile del corpo; per la. fascia dorsale. meno. larga e per la presenza delle setole sulle guancie. La disposizione delle setole addominali in doppia serie laterale mediana, avvicina questa specie a quelle del gen. Micropalpus Macq. , dalle quali tuttavia si distingue principalmente, per la lunghezza del terzo articolo delle antenne minore assai di quella del secondo... Esaminai cinque esemplari. di questa specie, di cui tre fem- mine e due maschi, presi nell’agosto del 1864 e nel luglio del 1870 nei dintorni di. Valdieri (Valli di Cuneo). E. Rondanii n. sp. — Mas: Zotius corporis longit. mill. 14 circ. — Abdominis latit. mill. 5 circ. —, Facies argentea : genae argenteae, nudae. Frons nigrescente-argentea setarum serie una tantum praedita, witta media rufa. Palpi testacei. Antennae nigrae, articulo secundo subaequali tertio subtrun- cato. Aristae articulus secundus longior primo brevi. T'horax niger. Scutellum migrum. Abdomen flavido-testaceum; segmento primo macrochetis destituto, fascia nigra dorsuali in tertio et quarto segmento vel interrupta vel maxime attenuata. Anus niger. Alae fuscescentes basi flavescente. Caliptera candida. Pedes nigri. Pulvilli flavescentes. Foem. distincta: Totius corporis longit. mill. 13 cire. — Abdominis latit. mill. 5 circ. — Antennarum articulis primo ct secundo rufescentibus. Serie externa frontali duabus. setis. Humeris scutelloque ferrugineis. Femoribus:nigro-rufescentibus. Pulvillis parvis. Tarsis anticis dilatatis. I Questa. specie. che, si, distingue da. tutte le altre con guancie senza setole per la mancanza di setole sul. primo. segmento del- l'addome si avvicina sotto questo aspetto al gen. Fabricia Rob. Desv. col quale ha anche di comune l’interruzione della fascia nera dorsale dell’ addome; ma»ne differisce, poi affatto per la forma sottile e non clavata dei palpi. L'E. Strobelii. Rond., assai simile a, questa; ha la fascia dorsale dell’addome assai larga ed ha dei peli sparsi sulle guancie. 320 E. GIGLIO-TOS Dei tre esemplari esaminati due sono maschi ed uno fem- mina e provengono tutti dai dintorni di Valdieri (Valli di Cuneo ). E. autumnalis n. sp. — Mas: Totius corporis longit. mill. 16 circ. — Abdominis latit. mill. 7 circ. — Facies, genae et palpi flavo-sub-aurei: genae nudae. Frons flavida nigricans, una tantum setarum serie praedita, vitta media rufescente- testacea. Antennarum articuli primi testacei: tertius parum elongatus, niger, basi testacea. Aristae nigrae, articulo inter- medio longiore primo brevi. Thorax niger, cinereo-pubescens , scutello, humeris, pleurisque testaceis. Abdomen testaceum, se- gmentis tertio et quarto flavide-tessellutis, fascia nigra dor- suali continue postice attenuata ad anum non produeta. Abdo- minis segmentum secundum tribus, tertium octodecim saltem macrochetis marginalibus praedita. Alae paulo fuscescentes, basi flavia. Caliptera albide -flavescentia. Pedes omnino te- stacei. Pulvilli flavescentes. Foem distincta: Statura paulo minore. Antennarum arti- culo tertio breviore et obtuso. Frontis externa serie tribus setis. Tarsis anticis dilatatis. Questa specie, sebbene si avvicini assai all’ E. fera Dumer. se ne differenzia tuttavia per la mole del corpo alquanto mag- giore, per il terzo articolo delle antenne non interamente nero, per le coscie del tutto testacee, per la fascia dorsale non allar- gata ai margini anteriori di ogni segmento ed infine poi per la presenza di almeno diciotto setole sul terzo segmento dell’ ad- dome, mentre queste non arrivano mai a tal numero nell’ E. fera. Tutti questi caratteri riuniti dànno a questa nuova specie di Echinomia un aspetto assai differente da quello dell’E. fera ed ho creduto perciò dovere distinguerla da questa. Gli esemplari esaminati, maschio e femmina, provengono dalle colline di Torino e più propriamente dai dintorni del vil- laggio di Pino torinese. Gen. FABRICIA Ros. Des. F. nigripalpis n. sp. — Totius corporis longit. mill. 15 circ. — Abdominis latit. mill. 6 circ. — Mas: Facies et genae NUOVE SPECIE DI DITTERI 321 rubescente-argenteae. Frons albide-nigricans, vitta media rufa. Antennae nigrae, urticulo tertio apice truncato. Aristae arti- culus intermedius satis longior primo brevi. Palpi nigri seu migricantes. Thorax niger. Scutellum obscure ferrugineum. Ab- domen rubescente-testaccum, fascia dorsuali nigra, nitida, lata, ad basim tertii segmenti interrupta, anum circumdante. Alae paulo fuscescentes basi flavida. Caliptera candida. Pedes nigri. Pulvilli albide-flavescentes. Foem. distincta: Serie frontali cxterna duabus setis. Aristae articulo secundo minore. Abdominis maiore latitudine, fascia dorsuali latiore. Tarsis anticis dilatatis. Questa specie assai affine alla Y. ferox Meig. ne differisce per la colorazione nera dei palpi e ferruginoso-cupa dello scu- detto. In generale inoltre la fascia dorsale nera dell’ addome è in essa meno dilatata; ma può variare moltissimo sotto tale aspetto. I vari esemplari esaminati tutti provengono da regioni alpine, vale a dire da Fenestrelle (Val di Susa), Usseglio (Valle di Viù), Valdieri (Valli di Cuneo) ecc. Le cinque sopradescritte specie di Ditteri trovai nella Colle- zione di Ditteri piemontesi che il compianto Prof. Luigi Bellardi già da molti anni aveva iniziato ed arricchiva continuamente con nuove raccolte. Tale preziosa collezione è ora proprietà del Museo zoologico di Torino, al quale il Prof, Bellardi, morendo, la destinava in legato testamentario. 322 1. SALVIOLI Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle glandole gastriche;..\_.. ‘ Nota del Dott. I. SaLwioLI, Assistente, Molti sono i lavori fatti. nei tempi, passati;|;allo, scopo di, in- vestigare in qual modo si sviluppassero le glandole gastriche; nonostante ciò le nostre cognizioni sono ancora scarse, ‘giacchè i risultati ottenuti dai diversi osservatori sono assai discordi gli.uni dagli altri. ih iffeV) Protbi Il primo che si occupò di tale questione fu il Kélliker (1), che nel 1852 dall’esame dello stomaco di alcuni embrioni umani ricavò essere le glandole gastriche nel loro primo formarsi rap- presentate da germogli solidi dell'epitelio, ppotrudenti nello, strato mesodermico sottostante. Laskowsky (2) invece esaminando. embrioni di INNO ot: noi l’epitelio non aveva nella. formazione glandulare che una parte del tutto passiva, giacchè le glandole secondo lui sarebbero do- vute a rialzamenti ed infossamenti del foglietto fibro-intestinale, rivestiti da uno strato unico di cellule epiteliali cilindriche. Assai analoghi a quelli di Laskowsky, sono i risultati otte- nuti da Brand (3). Senonchè, secondo questo osservatore l’epitelio di rivestimento sarebbe sin dal bel principio stratificato. Solo più tardi diventerebbe ad un solo strato nei punti più elevati, rimanendo stratificato negli infossamenti. (1) KòLUKER, Mikroskopische Anatomie, 2 Bd., 2 Hifte, 1 Abth. 1852, S 199, (2) LasKowsky, Ueber die Entwicklung der Magenvand.— Sitzb.d k. Akad, d. Wiss. Bd, 58, Abtb. II, 1868. (3) Brann, Beitrdge sur Entwicklung der Magen-und Darmwand. — Wurzburg Verandlungen 1877. FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 323 -lonQuesta idea fu accettata ‘completamente da Kélliker (1), come risulta leggendo la seconda edizione del suo trattato di Embriologia. Sewall (2) descrive l’epitelio gastrico dell'embrione di pecora come costituito nei primi periodi di vita da ‘un unico strato di cellule, poi ‘nelle fasi ulteriori da più strati. Più tardi per un irregolare formazione cellulare ‘si formano delle sporgenze epiteliali accom- pagnate da uguale accrescimento dello strato mesodermico sotto- stanté: queste salienze assumono la forma di creste, che percor- rono la superficie dello stomaco in varie direzioni. Per una continua moltiplicazione di tali creste se ‘ne formano sempre delle. nuove, in'‘'modo' che’ gli. spazi che esse limitano. diventano così piccoli da'‘essere in ultimo ‘ridotti a fini canali che sono le prime. origini delle future glandole gastriche. In quanto alla derivazione delle cellule’ di rivestimento e'delle cellule principali, egli ritiene che le'‘prime; ‘cioè lelcellule ‘di rivestimento {delomorfe), siano nei primi giorni dello sviluppo il risultato di. una trasformazione delle cel- lule'glandolari ‘embrionali; mentre. quelle che si formano: dopo traggano la loro origine da speciali cellule dello; strato. mesobla- stico” Le cellule principali (adelomorfe) invece sarebbero il. prodotto o della ‘divisione, o di una ‘diretta trasformazione delle cellule di rivestimento, Toldt (3) nell’anno ‘1880 studiando la mucosa del. gatto, vide che‘ nell’epitelio ‘gastrico del fondo .vi sono due qualità di cellule, cellule piramidali che (hanno la loro base rivolta verso il lume ‘dello stomaco, e cellule di ricambio: (Ersatzzellen) che hanno la loro base rivolta» verso lo ‘strato fibro.— intestinale. — Secondo ‘lui tutto il processo di formazione glandolare è posto nello strato epiteliale, si formano cioè nella parte profonda di detto strato degli. ammassi di cellule, che per successive tra- sformazioni ‘danno’ origine ad un piccolo infundibolo (glandola ‘primitiva).. — Ognuna di queste glandole primitive dà luogo ad altre glandole, e ciò «avviene ‘perchè nel fondo cieco si sviluppano delle pieghe, 0 per dir meglio delle villosità, che col loro ac - crescimento riducono il lume glandolare, che dapprima era unico, : (1) KòLLIKER, Entwicklungsgeschichte, 2 Aufl. 4879, S 851. (2) SewaLL, The developement and regeneration of the gastric glandular epithelium during foetal life and after Birth. Journal of Physiology, 1878, vol. 1. (1 (3) Tonpr Die Entwicklung und Ausbildung der Driisen des Magens. — SiTzuNGB, d. Akad. d. Wiss, Bd, 82, Heft II abth 3. 3524 1. SALVIOLI in tante altre cavità. Tanto le cellule delomorfe, come le cel- lule adelomorfe hanno origine per trasformazione delle cellule glandulari preesistenti. Parlando poi della formazione delle glandole piloriche egli descrive la mucosa come formata da gruppetti di cellule cilindriche fra cui stanno speciali cellule corte chiare e finamente granulose Tale sarebbe la prima origine delle glandole mucogastriche. Per ultimo nell’anno 1888, il prof. Griffini in unione col D' Vas- sale (1), studiando nel cane il modo di riprodursi della mucosa del fondo dello stomaco, vide che l’epitelio che va a ricoprire la per- dita di sostanza, e che deriva dai tubi glandolari intaccati dei bordi, si fa da cubico ben presto cilindrico, e ad uno strato unico. Nello strato profondo di questo epitelio si notano delle cellule in scis- sione cariocinetica, che fanno protrusione verso il connettivo sot- tostante, mentre nella superficie libera in corrispondenza di tali punti si rivela un incavo imbutiforme. Questi sarebbero i primi abbozzi glandolari. Tali osservazioni concordano assai con quanto trovò Toldt: in questo solo differiscono, che Toldt, per spiegare la formazione del lume glandolare, ricorre all'ipotesi di una de- generazione delle cellule centrali del cumulo formato, mentre gli A. ammettono che le cellule proliferando verso il connettivo si infossano in esso lasciando così un incavo imbutiforme che rap- presenta il lume glandolare. — La formazione di nuovi tubuli glan - dolari poi sarebbe dovuta a parziali proliferazioni delle cellule delle pareti del tubo, allo stesso modo come si forma il primo abbozzo glandolare: Infine ritengono con Toldt che le cellule di rivestimento derivino dalle cellule principali, e che esse si formino da prima nel fondo della glandola. Ecco quanto ci fornisce la letteratura medica su questo argo- mento. Le opinioni sono ancora assai discordi, e perciò ho creduto cosa non inutile studiare lo sviluppo e l'accrescimento delle glan- dole gastriche in rapporto all’accrescimento cellulare. Gli autori che mi hanno preceduto in questo studio non po- tevano disporre di questo valido aiuto: solo il Griffini ed il Vassale studiarono la formazione delle glandole per mezzo della cario- cinesi, ma nel loro caso si trattava di riproduzione non di svi- luppo, ed essi stessi ammettono che possa darsi che questo, per (1) GrirFINI e VassaLe, Sulla riproduzione della mucosa gastrica. Tipi Società Tipografica — Modena. FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 325 qualche minuto particolare, nell’embrione possa presentarsi in modo più o meno differente dalla riproduzione. Le mie ricerche furono fatte esclusivamente sul coniglio, cominciando dall'embrione lungo appena 2 cm. per arrivare grado grado al coniglio adulto. Adoperavo animali appena uccisi e, trattandosi di embrioni, ho avuto ogni cura onde mantenere lo stomaco possibilmente nelle medesime condizioni come quando era vivente, mantenendo cioè distese le sue pareti. Questo scopo lo si può raggiungere in varie maniere. Il modo più semplice si è quello di immergere lo stomaco ripieno del liquido mucoso giallo-verdastro che normalmente con- tiene nel liquido fissativo : per essere però più certi della conser- vazione perfetta degli elementi dei tessuti, è meglio iniettare pel duodeno dentro allo stomaco o alcool o liquido del Flemming, ed immergere lo stomaco così disteso nei rispettivi liquidi fissatori. Altre volte ho aperto lo stomaco incidendolo dal cardias al piloro passando per la grande curvatura , e l'ho fissato con spilli ad una tavoletta di sughero. Questo sistema che in molti casi mi ha dato eccellenti risultati, non è però sempre racco- mandabile, perchè non potendo regolarsi la tensione delle pareti, può la mucosa alle volte alterarsi nella sua costituzione. Credo inutile descrivere qui minutamente i metodi di colo- razione, perchè essi sono i soliti: carmino, ematossilina e colori basici di anilina. Ciò premesso, ecco i risultati delle mie ricerche. Nell’embrione di coniglio lungo poco più di 20 mm., lo sto- maco, che ha dimensioni piccolissime, è costituito di due parti essenziali: uno strato mesoblastico che più tardi si trasformerà in tonaca connettiva e tonaca muscolare, ed uno strato epiteliale. Del primo non mi occuperò molto, giacchè il più importante per me è il secondo, o l’epiteliale. Questo è composto di cellule allun- gate nel senso perpendicolare alla superficie, con abbondante proto- plasma granuloso a contorni poco marcati, e fornite di un nucleo ovale vescicolare. Esse sono disposte coi loro nuclei in piani di- versi, in modo da dare l’aspetto di un epitelio stratificato dello spessore di circa 23-25 1. L'aspetto e la struttura di tale epitelio è uguale qualunque sia la porzione dello stomaco che si esamina. Tanto il suo bordo libero come quello che è a contatto col meso- derma sono lisci, cioè non presentano nè rialzi nè infossamenti. In quanto riguarda la proliferazione cellulare vi si notano numerose figure cariocinetiche, le quali sono sempre disposte nelle 326 I. SALVIOLI cellule che.stanno nella. parte più superficiale, dello, strato, epiz teliale, cioè in quelle cellule;a cui. Toldt.ha. dato il nome di pira- midali. Le fig. 1 e 2 dimostrano chiaramente questo fatto, il, quale è di molta ‘importanza ;. perchè. ci. servirà. a|.dare, la, spiegazione di quanto riscontreremo più tardi in embrioni più sviluppati.» Nell’embrione lungo ,42.;mm., noi, ,vediamo, chela, mucosa gastrica ha acquistato caratteri, molto, diversi. In fatti. dall'esame di.sezioni perpendicolari alla superficie risulta; che lo, strato mesa dermico è aumentato assai di spessore, mantenendosi però sempre; nel. bordo! che sta a contatto ‘coll’ epitelio, ; liscio. ,e (rettilineo, Invece lo strato. epiteliale. soprastante, nel. suo bordo libero; de, scrive vuna linea festonata in causa di: numerosi rialzi; di, forma conica ‘0. rotonda, più, 0, menovalti e. più 0. meno avyicinati, fra di loro. (Con forti (ingrandimenti si vede, che|/questi,.rialzi, sono formati esclusivamente da cellule epiteliali (fig. 3). le qualidiffe- riscono per alcuni caratteri dalle altre, cellule che (stanno! mello strato inferiore. La loro forma è di pera, molto allungata; giacchè colla. parte rigonfia. sporgono nel. lume dello stomaco, mentre l estremità. assottigliata si vede (impiantarsi.,.sovente nello,.strato mesodermico. Posseggono un nucleo rotondo; ovale od allargato, posto quasi sempre nella. ‘parte rigonfiata. che si colora inten samente colle diverse sostanze. coloranti; e. più. specialmente col carmino «e coll’ematossilina.; Le cellule, invece, che. stanno negli infossamenti. hanno un /aspetto più chiaro, sono fornite, di, proto+ plasma. abbondante granuloso va. contorno indeciso, €, posseggono un'grosso nucleo; rotondo vescicolare;corì maglie ; evidenti, e grossi nucleoli Nei punti ove l’infossamento è stretto esse sono (disposte in più strati: quando l’infossamento è più ampio, allora esse,tens dono a disporsi in luno strato, solo. [aC] Numerosissime sono qui. pure le mitosi: [esse (si trovano di preferenza; nelle cellule che costituiscono il rialzo epiteliale, e. più specialmente nelle cellule che stanno all’apice di esso; "più; DABAT menternell’altra. forma cellulare (Pig. 5). volar Dal semplice esame di. una «sezione | trasversale. di er: mucosa gastrica moi non possiamo! avere. un’ idea. del ‘come.sia da,vera disposizione» dei rialzi sopradescritti, se. cioè «si tratti, di, tanti ciuffetti isolati, oppure, come. vorrebbe Sewal,; dil creste longi= tudinali che percorrono tutta la superficie dello stomaco, Si art riva facilmente a decidere la questione, sia: paragonando, fra loro x molte sezioni fatte in serie). sia, e. questo. è; più, comodo, più FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE ECC. 527 istruttivo, praticando sezioni parallele alla superficie dell’ or- gano: La figura 4 è una copia fedele di uno di tali preparati. In essa vediamo in a le sezioni trasverse delle cellule costituenti il rialzo, che spiccano assai sulle altre per il loro colorito oscuro. Esse limitano delle figure circolari molto irregolari, dentro cui stanno le cellule chiare % che nelle sezioni trasverse abbiamo visto riempire gli infossamenti. T rialzi quindi costituiscono una rete continua; le cui maglie rappresentano tanti piccoli alveoli a forma d’'imbuto, i quali sono il primo abbozzo delle future glandole gastriche. ‘Volendo trarre una conclusione da quel poco che ho esposto finora, basandosi specialmente sulla presenza delle mitosi, si potrà dire, ‘che la prima ‘origine della glandola: gastrica è dovuta ad una grande proliferazione degli elementi superficiali costituenti lo ‘strato. epiteliale. Le cellule neoformate essendo in numero esu- berante rispetto all'ampiezza. dello strato mesodermico che le sostiene, fanno sporgenza nel lume dello stomaco, perchè qui trovano minore resistenza, e danno così luogo ai rialzi descritti. Non si saprebbe come spiegare in altro modo la presenza di tante’ mitosi ‘ nelle cellule superficiali; essendo escluso che esse servano a sostituire cellule cadute, giacchè questo epitelio non si‘desquama, come ha dimostrato Laskowski, il quale esaminò il contenuto mucoso degli stomaci d’ embrioni. D'altra parte non si’ saprebbe spiegare a mio avviso la presenza dei. rialzi sopradetti ; infatti non si può ammettere che essi dipendano dal fatto ‘che, contraendosi la parete ‘gastrica, esse siano state spinte fuori meccanicamente, giacchè; come dissi sopra, ebbi cura di mantenere lo stomaco disteso, poi perchè le cellule dei rialzi hanno caratteri diversi dalle cellule degli infossamenti. Alla formazione delle glandole gastriche concorre nelle prime fasi solo il tessuto epiteliale ,, giacchè il tessuto mesodermico © connettivo, ‘al contrario di quanto afferma Sewal, si mantiene estraneo a queste modificazioni. Solo più tardi, come vedremo, il connettivo prende parte importante all’accrescimento dell’ infun- dibolo glandolare. Molto simili ‘alle mie furono le conelusioni a cui arrivò Patzelt (1), studiando lo ‘sviluppo delle glandole dell’ intestino (1) DarzeLt, Ueber Entiwiklung der Dickdarmschleimhaut, Wiener Sitzungs- berichte, Bd. 84, abth. III 328 I. SALVIOLI crasso, giacchè esso pure descrive rialzi epiteliali, a forma irre- golarmente circolare, limitanti tante piccole cavità, o future glan- dole. Questo autore però non avendo conservate nel suo mate- riale di studio le figure cariocinetiche, non potè determinare in quali punti si manifestasse maggiormente la proliferazione cellulare. Prima di progredire in questo studio voglio far notare, che lo stomaco non si sviluppa ugualmente e contemporaneamente nelle diverse sue parti, ma bensì vi sono porzioni in cui l’epitelio si mantiene ancora liscio, ed altre in cui gli infossamenti glandu- lari sono bene sviluppati: in generale si può dire che la grande curvatura nella porzione più vicina al piloro presenta uno svi- luppo precoce. i Proseguiamo ora nel nostro studio prendendo ad esame la mucosa gastrica dell'embrione di 50 millimetri di lunghezza, e noi troveremo altri fatti degni di nota. Gl’infossamenti, che ora potremo già chiamare infundiboli glandolari, sono diventati più evidenti (fig. 6) perchè le cellule chiare che stanno nel loro. fondo, sia per essere cresciute di numero, sia per essersi disposte in uno strato unico, ne hanno aumentato l'ampiezza. I rialzi epiteliali sono essi pure un poco aumentati in altezza (45 p.), molto più in larghezza (30); le cellule che li costituiscono non sono più così allungate come negli stadii anteriori ma si. sono fatte un po’ più corte; sono disposte ancora fitte fitte l’una contro l’altra, ma le superiori tendono già ad acquistare una forma piramidale e a disporsi in serie; posseggono un nucleo ovale che si colora ancora assai intensamente. Ciò che è da notare, poi, è che alla base del rialzo si nota un infossamento, più o meno pronunciato a seconda dei casi, nell'interno del quale penetra una propaggine di tessuto connettivo (fig. 6 a). Negli stadii un po’ più avanzati, questa propaggine connet- tiva è molto più sviluppata, e si presenta sotto la forma di una sottile linguetta (fig. 7 a) costituita da nuclei sottili ed allun- gati molto tingibili, circondati da scarsissimo protoplasma e da sostanza intercellulare. Tale propaggine si prolunga nell’interno del rialzo per circa */, della sua lunghezza. Le cellule epiteliali, quindi, che dapprima costituivano da sole tutto il rialzo, ora ne formano solo la parte esterna; quelle poi che costituiscono l'apice hanno acquistato una più netta forma piramidale, e ten- dono sempre più a disporsi in una serie sola. Il loro nucleo non si colora più così intensamente come negli stadii anteriori, è FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 329 ovale allungato, ed ha un reticolo discretamente evidente. Le cel- lule che tappezzano il fondo mantengono quasi inalterati i loro caratteri morfologici di cellule embrionali. Molto numerose sono le cellule in scissione cariocinetica. Esse stanno di preferenza nelle cellule del rialzo, raramente nella parte alta, più frequentemente ai lati di esso: sono anche numerose nelle cellule dell’infundibolo, e nelle cellule connettive, specialmente in corrispondenza delle villosità. Tre sono dunque i fattori che concorrono all’aumento del- l’infundibolo, cioè, la proliferazione delle cellule epiteliali del rialzo, per cui aumenta la parte che potremo chiamare escretoria ‘ la proliferazione delle cellule del fondo, per cui cresce la parte se- cretoria, e l'aumento del connettivo che sta nell’interno del rialzo. Nell’embrione di 65 mm. di lunghezza (fig. 8) noi ve- diamo che la mucosa gastrica presenta i suoi infundiboli già assai ben formati Essi misurano in altezza circa 86 a 90 yu. I rialzi che lateralmente li limitano sono diventati molto larghi, poichè alcuni misurano 60 p., le sue cellule si sono disposte in uno strato solo, sostenute da un grosso cordone connettivo con belle cellule, e abbondante sostanza fondamentale fibrillare. Le cellule rivestenti il rialzo presentano aspetto diverso a seconda del punto dove si considerano. Verso l’apice esse sono assai lunghe (25—30y), e strette (5—6p), sono avvolte da protoplasma granuloso, e contengono un nucleo ovale del diametro di 133,6 p, posto vicino al loro bordo libero. Ai lati del rialzo queste cellule si fanno più corte, e gradatamente si trasformano nelle vere cellule glandolari embrionali che tappezzano il fondo. Queste hanno una forma un po’ cubica, alte circa 15 — 17 y.; il loro protoplasma è chiaro, non molto copioso, ed hanno un nucleo vescicolare che misura 10 — 12 p.. A questo punto noi possiamo dire che l’infundibolo è diven- tato un abbozzo perfetto della futura ghiandola, perchè sono già bene differenziati gli elementi che devono costituire le diverse parti di questa. Le cellule del rialzo, oltre ad essersi modificate nei loro caratteri morfologici, si sono anche cambiate molto per quanto riguarda la moltiplicazione cellulare. Infatti noi non riscon- triamo più alcuna traccia di mitosi nelle cellule che rivestono la sommità del rialzo, mentre sono assai numerose nelle cellule del fondo, od in quelle che stanno ai lati del rialzo stesso. Ciò si- gnifica che ben presto l’accrescimento cellulare si localizza in Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 24 330 I. SALVIOLI speciali punti d’elezione; il che è un fatto necessario perchè l’or- gano possa assumere una determinata forma. L’infundibolo glandolare cresce assai di lunghezza, e special- | mente la sua porzione alta; or bene, siccome le cellule cilindriehe — della sommità del rialzo sono cellule adulte che non si scindono, dobbiamo ammettere di necessità, che le nuove cellule rivestenti il rialzo, derivino da cellule del fondo dell’infundibolo. Si veri- fica quindi assai presto quanto il prof. Bizzozero e Vassale (1) riscontrarono nelle glandole gastriche, e quanto più tardi il prof. Bizzozero (2) riscontrò nelle glandole dell’intestino, che cioè le cellule che rivestono la superficie libera, derivano dalla prolife- razione rispettivamente delle cellule delle fossette gastriche, e di quelle del fondo delle glandole del Galeati. Nell’embrione lungo 9 cm. gli infundiboli sono diventati assai più lunghi, giacchè lo spessore della mucosa è in media di 120 p. Quelli della regione pilorica, si distinguono poco bene da quelli della regione cardiaca. Solo nel fondo delle future glandole pepti- che si riscontra il primo accenno delle cellule di rivestimento (Belegzellen), cioè noi vediamo in mezzo alle altre cellule che misurano 7 x8 con un nucleo del diametro di 6,5, altre cellule più grosse (13,6 x 9,6), il cui protoplasma granuloso ed opaco si colora intensamente coll’acido picrico. In questo periodo noi vediamo bene quale sia il modo con cui l’infundibolo si trasforma in una ghiandola completa costi- tuita da una fossetta e dai tubuli glandolari che in essa vanno a sboccare. Io non mi dilungherò molto a descrivere questo fatto perchè Toldt ne ha trattato assai estesamente. Dirò solo che qui si ripete quanto si verifica per la formazione dei primi infundi- boli glandolari. Nel fondo del tubo glandolare si vedono formarsi delle prominenze cellulari, nei cui elementi sono numerose le cel- lule in scissione: crescendo in altezza questo gettone epiteliale, esso si fa cavo, e nel suo asse penetra una propaggine di tes- suto connettivo, che cresce attivamente come lo dimostrano le mitosi che in esso si trovano. Generalmente queste prominenze epiteliali, una volta arrivate ad una certa distanza dallo sbocco della glandola, si arrestano, dando così luogo a glandole com- (1) Bizzozero e VassaLe, Sulla produzione e rigenerazione fisiologica degli elementi glandolari. — Arch. Scienze Mediche, vol. XI, n, 42. (2) Bizzozero, Sulle glandole tubulari del tubo gastro - enterico, ecc. — Atti della R. Accad, delle Scienze di Torino, vol. XXIV. FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 331 poste; altre volte probabilmente il gettone arriva fino alla su- perficie dello stomaco, ed allora si formano nuove individualità glandolari. In quest’ ultimo caso le cellule dell’apice del get- tone acquistano caratteri di cellule epiteliali cilindriche. L’au- mento del gettone si fa, sia per un aumento delle cellule che stanno verso il fondo, sia per l'aumento delle cellule del suo apice. Tralascio di descrivere caso per caso quanto trovai nei di- versi animali esaminati dalla nascita fino al completo sviluppo. Riassumerò invece i fatti che più possono importare pel nostro argomento. In un tempo assai corto le glandole assumono notevole sviluppo specialmente in lunghezza; aumenta di molto la parte che si co- nosce col nome di fossetta, meno la parte veramente glandolare. Tale fatto che è molto accentuato nell’ embrione di 9 cm., dove la fossetta costituisce i 74 della lunghezza totale della glan- dola, dura però un tempo assai breve. Ciò forse può trovare la sua ragione nel fatto che le cellule del fondo, che negli em- brioni più giovani contribuiscono colla loro proliferazione ad aumentare la lunghezza dell’infundibolo, qui sono specialmente utilizzate alla formazione dei gettoni epiteliali che stanno for- mando i nuovi tuboli glandolari. Quanto più l’animale cresce, tanto più cresce la parte glandolare, mentre la lunghezza della fossetta cresce assai poco. La tavola che riporto dà un'idea esatta di quanto ho detto. TABELLA A. Età del coniglio Lunghezza della fossetta| della parte secernente | Embrione 9 cm. (1) 74 pi 37 p Coniglio 4 giorni 68 1 109 p » InÌ » 125 P. 167 p. » 20 » 115 fl iva p. » 57 » 142 pi 605 102 » 83 » 136 fl 730 p » 114 » 250 670 p. » 8 mesi 270 S10 (1) Qui veramente non esiste una fossetta, lo considerai come tale la parte dell’infundibolo tappezzata da epitelio cilindrico fino al punto in cui le cellule di tale epitelio si trasformavano in cellule glandulari embrionali, Atti della R. Accad. -— Parte Fisica, ecc, — Vol. \XV. 24% 332 I. SALVIOLI Molto grandi sono le differenze che esistono in qualunque periodo di sviluppo tra la parte pilorica ed il fondo dello stomaco. Ho già detto che vicino al piloro le glandole si formano prima che nelle altre parti. Per un dato periodo di tempo anche dopo la nascita le glandole piloriche sono sempre più sviluppate, più alte che quelle del fondo; arrivati però al coniglio di circa 20 giorni di vita extrauterina, il loro accrescimento si fa più lento, la loro lunghezza diventa uguale a quella delle peptogastriche, poi minore, e così durano per tutta la vita. TaBELLA B Lunghezza delle glandole gastriche del coniglio. Età dell’ animale | Peptogastriche Mucogastriche 4 giorni po seal 168 1 206 n. 11 » 292 | 246 |. 20 » | 296 p 230 p 57 » 750 1 694 |. 89 » 866 930 p 114 » 820 22 718 pl. 8 mesi 1,080 u 706 1 Le glandole gastriche, a differenza di molti altri organi, im- piegano molto tempo prima di arrivare al loro completo sviluppo. Ciò risulta, tanto dalla tavola precedente, come anche da questa che riporto ora per dimostrare l'aumento del loro diametro trasversale. TABELLA C Larghezza delle glandole gastriche del cong ta Età dell'animale | Peptogastriche | Mucogastriche 14 peer: | 17-20 è [Pet 17-20 20 20-21 p. | 24 p. 1. 83 32 p 22 p. 114 i | 34 p 30 | 8 mesi 43 25 fl FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE ECC. 339 L'aumento in larghezza si fa più accentuato e più regolare nelle glandole peptiche. Ora è interessante il vedere in che modo queste glandole aumentano di volume, e per prima cosa esamineremo come si comportino le cellule che tappezzano il lume glandolare, per quanto riguarda la loro forma, ed il loro volume. Nelle glandole peptiche fa d’uopo misurare due sorta di cellule, le cellule principali, e quelle di rivestimento : le prime hanno diametri abbastanza uguali in qualunque porzione della glandola esse si trovino, le seconde invece presentano differenze assai spiccate. Quelle che stanno vicino al colletto sono più rotondeggianti, e più piccole di quelle che stanno nel terzo medio; quelle del terzo inferiore rassomigliano assai nella forma alle cellule principali, da cui si distinguono solo pel protoplasma più granuloso e più colorabile. Perciò i valori che do di queste rappresentano una media di molte di esse esaminate in varie porzioni del tubo. Le misurazioni furono fatte sempre su pezzi induriti e trattati allo stesso modo e possibilmente presi da animali che si trova- vano nelle stesse condizioni fisiologiche. Pigi Rielernan tt) Gela nda Se 0//0gi dr D Age gio Go | PEPTOGASTRICHE ‘MUCOGASTRICHE rr TTt—_+_+_——————_—r—@t___@lé*wrees=-="-=— 7 cellule di rivestim. | cellule principali | cellule mucip. NEREO 8,6x 7,7p 20% tore foina ROIO 00 3 ie BOE e 18. glo “Li So 3 ZOO ROSA 20,4 Yi Ala 5, Dro de aggno SEE Lio L0,0 agli. lo, LL 8 mesi | 22,9 x 18 SIAM 0. 15,4X10 si Come si vede, le cellule aumentano di volume, giacchè, per esempio, tra quelle di coniglio di 11 giorni e quelle di coniglio di 8 mesi vi passa molta differenza, essendo che queste sono quasi il triplo di quelle: perciò noi dobbiamo ammettere che questo è un fattore molto importante nell’accrescimento della glandola. Però non deve essere l’unico, perchè altrimenti si do- 394 li SALVIOLI vrebbe avere un rapporto costante e diretto fra l’aumento in volume delle cellule e l’accrescimento in lunghezza della glan- dola, cosa che non si verifica, come appare paragonando l’au- mento dei diametri cellulari nella Tabella D coll’aumento delle lunghezze ghiandolari nella Tabella B. Non ci resta quindi altro che ammettere che le cellule au- mentino di numero, e ciò potremmo ricavarlo dallo studio attento del modo di comportarsi delle mitosi in esse. Esaminando un coniglio di 11 giorni si vede che anche in esso sono numerosissime le mitosi, come erano negli animali dei periodi precedenti. In una regione di mucosa gastrica del fondo lunga mm. 8,55 ne potei contare 160, di cui moltissime nel terzo medio, che è la porzione prevalentemente occupata dalle cellule di rivestimento, poche nel terzo inferiore, pochissime nel fondo cieco, non mai nell’epitelio che riveste la superficie dello sto- maco. Quindi a questa età è evidente che le cellule aumentano di numero, e contribuiscono così ad allungare ed allargare îl tubo glandolare. La cosa riesce più difficile a capirsi nei periodi ulteriori, giacchè ben presto l’attività proliferante delle cellule si modi- fica molto, sia per quanto riguarda il numero, che la disposizione delle mitosi. Così nelle glandole peptiche di coniglio di 57 giorni noi troviamo assai rare le mitosi. La maggior quantità di esse si trova nel colletto (1) in quelle cellule che segnano il confine tra la fossetta e il tubo glandolare: nel terzo medio sono raris- sime giacchè su molti tagli ho trovato soltanto una piastra equa- toriale, e si trovava in una cellula posta a metà circa del tubo, e che aveva i caratteri di una cellula di rivestimento. Nel coniglio di 83 giorni le glandole peptiche presentano assai numerose ‘le cellule in scissione nelle fossette: due sole su 6 sezioni nel terzo medio, senza potere stabilire se fossero in cellula principale, o in una cellula di rivestimento. Nel coniglio di 114 giorni sono numerosissime le mitosi nelle cellule che tappezzano il colletto e nessuna nelle altre cellule delle glandole peptiche. Finalmente nel coniglio di 8 mesi, numerosissime nelle fossette, qualche volta ho riscontrato delle mitosi nella por- (1) Questo fatto fu già trovato da Bizzozero e VassaLe, Sulla produ- zione e rigenerazione fisiologica degli elementi ghiandolari. — Arch. scienze mediche, Vol. XI, n. 12. i FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE ECC. 335 zione del tubo glandolare che sta subito al disotto della fossetta, o dove vi sono già le cellule di rivestimento. Alcune mi è sem- brato fossero in cellule principali, altre in vere cellule di rive- stimento. Possiamo ora noi ammettere che con così poche mitosi, come noi riscontriamo nelle glandole peptogastriche del coniglio di 57-83-1114 giorni, si possano produrre cellule in numero suffi- ciente da dare l’allungamento verificatosi? A mio parere nò, poichè il tubo glandolare cresce. molto, e le cellule che si producono nel lume della glandola sono assai scarse; perciò dobbiamo ricor- rere ad un altro fattore, ammettendo p. es. l'ipotesi che le mi - tosi che si trovano in quelle cellule non bene differenziate del colletto, oltre al fornire nuovi elementi all’epitelio rivestente la, superficie dello stomaco, dieno anche cellule vere glandolari. Mi è difficile per ora portare dei fatti che appoggino indi- scutibilmente quest'idea. A ciò si arriva però per forza di ragio- namento, poichè dal momento che si è costretti a ritenere che l'accrescimento del tubo glandolare avvenga per un aumento in numero degli elementi cellulari che lo costituiscono, e dal mo- mento che noi non vediamo, se non in modo eccezionale, scin- dersi tali elementi, dobbiamo ammettere che i nuovi elementi glandolari si formino in altre parti della glandola e precisamente nel colletto Ma v'ha di più; esaminando delle sezioni di mucosa del fondo di coniglio molto avanzato nello sviluppo ad es. di 83 giorni, noi vediamo in molte ghiandole, come già dimostra- rono Bizzozero e Vassale, delle cellule di rivestimento circondate dalle cellule del colletto, e di queste ultime, alcune che si sono fatte più grandi, rotonde, con protoplasma finamente granuloso, e che si colorano discretamente in giallo coll’acido picrico. Si vedono cioè delle forme di passaggio fra le cellule del colletto e le cellule vere. glandolari. Non si può però dire con certezza se esse sieno cellule principali, o di rivestimento: alcuni caratteri farebbero propendere però per le seconde. Finalmente non è raro vedere molte di queste cellule che stanno nel colletto, o subito sotto d’esso, in attività proliferante. _ Ciò ammesso si dovrebbe pur ammettere che l’attività proli- ferante vada man mano scomparendo dal fondo della glandola verso il colletto, e che quindi le cellule tappezzanti il fondo delle glandole peptiche si possano considerare come le cellule più adulte. Per quello che riguarda le glandole muco-gastriche, resta 336 1. SALVIOLI confermato quanto già rilevarono Bizzozero e Vassale. In esse le mitosi sono sempre numerosissime. Diminuiscono però esse pure col crescere dello sviluppo della glandola: infatti se' in una se- zione di porzione pilorica di stomaco di coniglio di 11 giorni lunga ] cm., si trovano 310 cariocinesi circa, in uguale porzione di stomaco di coniglio di 83 giorni se ne trovano solamento 180 Concluderò dicendo che: Il primo abbozzo delle glandole gastriche è dovuto a rialzi 0 germogli epiteliali i quali limitano tanti piccoli infossamenti im- butiformi contenenti elementi cellulari un po’ differenziati da quelli che costituiscono i germogli. Il connettivo nei primi periodi non partecipa affatto, e solo più tardi prende una parte attiva all’accrescimento della glandola. Appena la glandola si è differenziata nelle sue varie parti, noi vediamo che le cellule all’apice del germoglio perdono la pro- prietà di scindersi; sono invece numerose le mitosi nelle cellule dell’infossamento. Ad un dato periodo dello sviluppo, dal fondo' dell’infundibolo si elevano dei gettoni epiteliali, i quali dividono 1’ infundibolo primitivo in tanti tuboli secondari, e probabilmente anche for- mano nuove individualità glandolari. Le glandole aumentano molto in lunghezza, più le’ peptoga- striche, che le mucogastriche. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il loro aumento in lar- ghezza. L’acerescimento è dovuto parte all'aumento dei vari diametri delle cellule costituenti la glandola, parte ad un aumento’ del loro numero. Quest'ultimo fatto lo si verifica sempre nelle glandole muco- gastriche: per le peptogastriche, invece, solo nei primi periodi della vita, giacchè ben presto le mitosi scompaiono dalle’ cellule del tubo glandolare. Perciò si è costretti ad ammettere, che nel colletto si formino continuamente tanto delle cellule che' sostitui- scono gli elementi mucipari della superficie dello stomaco, quanto delle cellule, che per successive trasformazioni diventano: poi, o cellule principali, o cellule di rivestimento: 11770 SITA he W SITETOIITÀ L'agi ta ra $ 4 i “o DO PI Mi Lia PET] È TERNO Me puilU ii ai < ret ITREZIONI LE @ iP DITST a è w Rail be dn f- Sala? 41! MILMi sini pori (1 a) 4 : ini4; tot dle ’ vpi BIS) 1 (1 RI TOTTI, VIN (UM) spin N Ùà # héb noi Morici red , ù "I LIA MI SRI TTTTTE : cA siga 1 oO CGIL TUORO a SOTTO U.li uf [IT I Moreno) i; 0 veli; ill oi a ila. so % RL; ù Torino, Lit. Salussolia FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 337 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Figura 1. Sezione trasversale di mucosa gastrica d’embrione di coniglio lungo 2!/, cm. Le mitosi sono disposte alla superficie dello I epiteliale. Coll’ indurimento lo strato mesodermico si è retratto molto più che lo strato epiteliale, il quale per questo si è distaccato da esso, ed ha acquistato delle ripiegature come si vede nella figura. » 2. Mucosa della piccola curvatura d’embrione lungo 42 mm. Lo stato epiteliale è ancora liscio: vi si vede una cellula superficiale in scissione cariocine- tica (diam. 640). » 3. Mucosa pilorica di embrione di 42 mm. Sono mani- festi i rialzi e gli infossamenti ghe danno origine alle future glandole gastriche. Qui pure l’epitelio si è distaccato dallo strato connettivo sottostante (dia- metro 640). » 4. Sezione perpendicolare alla superficie della stessa mu- cosa; « sezione trasversa delle cellule dei rialzi ; b cellule chiare dell’infundibolo (diam. 640). » 5. Sezione trasversa di mucosa gastrica di embrione lungo 45 mm., i rialzi sono bene sviluppati, costituiti da più cellule molto allungate che sono in forte at- tività proliferante (diam. 640). » 6. Mucosa gastrica di embrione di 42 mm. L’infundibolo è assai sviluppato : le cellule del fondo si sono di- sposte in uno strato solo. In @ si vede come il connettivo cominci a penetrare nell’asse del rialzo (diam. 640). » 7. Mucosa gastrica di embrione lungo 50 mm. : il con- nettivo « fa già parte del rialzo. Le mitosi tendono a disporsi ai lati del rialzo e nelle cellule del fondo (diam. 640). » 8. Mucosa gastrica di embrione lungo 65 mm. Le mitosi sono solo nelle cellule veramente glandolari. Il con- nettivo e assai sviluppato (diam. 440). 338 G. FERRARIS RELAZIONE salla Memoria : Sulla teoria della trave continua dell’Ing. Prof. CamiLLo Guipi La Memoria Sulla teoria della trave continua dal profes- sore Guidi presentata all'Accademia ha lo scopo di mostrare per mezzo di un esempio pratico un procedimento per calcolare una trave continua da ponte con quel grado di rigore e di esattezza che è concesso dallo stato attuale della meccanica applicata alle costruzioni. È questo un procedimento per approssimazioni suc- cessive. Calcolate da prima le sollecitazioni massime (momenti flettenti e sforzi di taglie) in base all’ipotesi che la trave abbia una sezione uniforme, e trascurando le deformazioni prodotte dallo sforzo di taglio, l’Autore istituisce poi un secondo calcolo più completo tenendo: conto della variazione della sezione trasversale, le cui dimensioni furono determinate in base al primo calcolo, e non trascurando le deformazioni prodotte dallo sforzo di taglio. La piccolezza delle differenze esistenti fra i risultati dei due cal- coli può giustificare l’ommissione, che di solito si fa, del secondo calcolo, tanto più che per molte cause, che non si possono ben valutare, come è l’azione dinamica dei carichi in movimento, il materiale lavora effettivamente con sforzi sensibilmente diversi da quelli posti a base dei calcoli. Ma con ragione l’Autore osserva che il calcolo di seconda approssimazione non si dovrebbe ommet- tere nella ricerca della curva elastica corrispondente ad una data condizione di carico, e propriamente a quella del carico di prova, nella quale ricerca devesi mirare ad ottenere la massima esat- tezza concessa dallo stato attuale della scienza delle costruzioni, affinchè il giudizio sull’esecuzione dell’ opera, che si deduce dal confronto della curva osservata con quella calcolata, non riesca illusorio. E l'Autore mostra un modo di costruire tale curva con metodo grafico-analitico abbastanza spedito. RELAZIONE SULLA MEMORIA DELL'ING. C. GUIDI 339 Come introduzione alla trattazione del caso pratico, la quale forma la parte principale della Memoria, l’Autore ha riassunto brevemente alcune delle note formole relative alla flessione ed al taglio, seguendo il metodo basato sul teorema degli spostamenti virtuali, metodo tenuto dal Miiller-Breslau nel suo libro: Die neueren Methoden der Festigheitslehre, Leipzig 1886. In tale riassunto l’Autore tiene conto delle deformazioni prodotte dallo sforzo di taglio, che il Miiller-Breslau trascura. Noi riteniamo che il lavoro esaminato, pur non contenendo teoremi nuovi, possa tuttavia essere di giovamento ai cultori della scienza delle costruzioni per l'esposizione chiara, che esso offre, di un procedimento pratico di calcolo; riteniamo inoltre che nella materia, su cui verte la Memoria, anche un nudo esempio nu- merico possa tornare utile per illustrare un procedimento e per far risaltare la relativa importanza delle varie operazioni; quindi proponiamo che lo scritto del Prof. Guidi venga ammesso alla lettura. G. BERRUTI G. FERRARIS, Relatore. L’Accademico Segretario GIusEPPE Basso, __—_—T ec, Lt i We o ori Aaa L10120 1SA08 SiR siedo gi constata oe54 toh ontteattint allk ororrnbhottii 3 odiienit dr afotuf | stone alli siagiottià «tt iaifiacamotezett pil cvttatst aloe? Sion {95 sat stupita ifhgof Db siustoci J08 vi ‘ap ohotatti fi ofrstigà Iffl 3 td one DI ni ei egli tb otttast @ obi alpi; LOQBE piaginiI Sabati pini 15, 4. 19N ollab stt0hota tato Riff" stioh otnon sitott pi FRSR usati Daleotd- NM ii 95 o: st oBapiio109 Mon in .0tnttiss ciovsl fi ala varati n stile rmotino.in cinoman vi Ha atsaz3 sivattoà sg | E° ‘9tflpicosso dro caos Sie (1) VIa (N aa inorattt209, 8 smorlo atttoni omnicvatià I RIE 3 tb nottata odtrenmil in ol maga spore on a qatmato al sine 9 19 rataianota CI ; atamiagtit 194 otite sto | ing, ; Trinisaziigo citav SNbBmbirazitoatà vinto sila o#estroeo eo bite per Toh nta oa ho ‘ FRA regnato e ra d0% ra ica OI asti re LEO AE oe +63 POE sla ld SODAOZTE gu. SEA VERO] osuresbo ANG (ORME ARTE UALMRONA 0 vs (op) 1a «latta i al Mix dé VEE Arai ti sl } SM Lat 009 PA: 0. L'Ant drm: ); 40 VIE od coedicrr to nali rip ; da cnc re i. cr La ovest ca Gigio n Mita ni DIAL] vii fo | pat » j ‘ ì patito Pi ZO JapanzA — Ancora sul modo dl ‘adoperare gli . dell’ Istituto geografico militare italiano 2 da Sa Giotio-Tos - Nuove specie di i Ditteri “ del Museo 2oologico di di pecrnstizanto delle giano 8 astriche o ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, Disp. 10°, 1889-90 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 341 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 23 Marzo 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa Direttore della Classe, BRUNO, BerruTI, D’Ovipio, Bizzozzero, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Segretario dà comunicazione delle lettere dei Professori Eugenio BertINI e Gastone DARBOUX, colle quali gli scriventi ringraziano l'Accademia per la recente loro nomina a Soci Corrispondenti. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se- guente : « Sulla dilatazione termica di alcune amalgame allo stato liquido »; lavoro del Dott. Carlo CATTANEO, della R. Uni- versità di Siena, presentato dal Socio NACCARI; « Osservazioni meteorologiche fatte nell’anno 1889 al- l'Osservatorio della R. Università di Torino, calcolate dal Dott. G. B. Rizzo, Assistente all’ Osservatorio stesso, presentate dal Socio NACCARI. « Sulla stabilità delle volte caricate colla regola di Schwedler »; Nota dell’ Ing. G. G. FERRIA, Assistente nella Regia Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Torino, presentata dal Socio FERRARIS. Infine il Socio Cossa fa verbalmente una comunicazione pre- ventiva intorno alle ultime sue ricerche « Sui composti del pla- tino », le quali formeranno oggetto di una Memoria che egli si propone di presentare in una prossima seduta. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 25 342 CARLO CATTANEO LETTURE Sulla dilatazione termica di alcune amalgame allo stato liquido; Nota del Dott. Prof. CARLO CATTANEO G. Vicentini e D. Omodei nel loro lavoro sulla densità e dilatazione termica di alcuni metalli allo stato liquido (*), pel quale adottarono come migliore di tutti il metodo dilatometrico, non poterono sperimentare lo zinco e l’antimonio in causa della loro elevata temperatura di fusione; però in seguito (**) nel- l’altro lavoro sulla dilatazione termica delle leghe binarie allo stato liquido, dopo di avere studiato varie leghe (piombo-stagno stagno-bismuto, stagno-cadmio, piombo-bismuto), riferendosi ai risultati ottenuti nelle precedenti determinazioni coi metalli iso- lati mostrarono come si poteva con una certa approssimazione calcolare il coefficiente di dilatazione e la densità di un metallo allo stato liquido quando esso si possa unire in lega con un altro metallo che allo stato di fusione possiede coefficiente di di- latazione e densità note; e ciò mostrarono ammettendo che nella lega allo stato liquido i metalli conservino prossimamente il ri- spettivo coefficiente di dilatazione e che la variazione di volume accompagnante la formazione delle leghe sia relativamente pic- cola. Partendo da queste supposizioni dopo aver sperimentate le leghe piombo-antimomio e cadmio-zinco ricavarono col procedi- mento sopra accennato i valori delle densità dell’antimonio e dello zinco liquidi alla loro temperatura di fusione ed i rispettivi coefficienti di dilatazione che direttamente coi metalli isolati e col metodo dilatometrico non avevano potuto cercare. Il profess. Vicentini, che sentitamente ringrazio per i consigli di cui mi fu largo nel presente studio, mi propose : 1° di sperimentare le amalgame di alcuni metalli, per es. stagno e piombo, per riscontrare se anche in esse, allo stato di per- (*) Atti R. Accad. Torino, vol. XXII, 1886-87; vol. XXIII, 87. (**) Rend, I. Ace, Lincei, vol, III, 2° sem. 1887; vol, IV, 1° e 2° sem. 1888. SULLA DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNE AMALGAME 343 fetta liquidità, viga la legge di approssimazione che i metalli vi conservino i loro rispettivi coefficienti di dilatazione e se fosse sen- sibile la variazione di volume accompagnante la formazione loro. 2° di sperimentare poi varie amalgame di zinco allo scopo di calcolare la densità ed il coefficiente di dilatazione allo stato li- quido di questo metallo, valori dati con riserva alla fine del la- voro (**) sopracitato. Mi accinsi quindi a questo studio le cui operazioni diverse possono designarsi come segue: 1° Preparazione delle amalgame. 2° Studio della loro temperatura di fusione. 3° Preparazione e calibrazione dei dilatomettri. 4° Riempimento e pesate dei dilatometri. 5° Determinazioni delle densità alle varie temperature e dei coefficienti di dilatazione. 6° Calcoli relativi. 7° Confronti e discussione dei risultati. 1. Il mercurio che mi servi per le amalgame era stato da me chimicamente purificato in laboratorio e col metodo del bi- cromato potassico e con quello dell’acido nitrico; i metalli sta- gno, piombo, zinco, erano purissimi e provenivano dalla casa Trommsdorff. Le pesate tutte vennero fatte, mediante il metodo della tara, con una bilancia di precisione fino àl decimo di mil- ligrammo. Determinate le proporzioni opportune dell’uno e del- l’altro metallo formavo la amalgama in un piccolo crogiuolo di carbone di storta lasciando sciogliere a dolce calore il metallo solido nel mercurio affinchè minima fosse la quantità di quest’ul- timo volatilizzata e rimescolando con un piccolo agitatore di ferro. Ecco la Tabella delle amalgame preparate e studiate: u°] (A S STAGNO PIOMBO ZINCO sE Sn Hg | C. at. | Pb Hg C. at. | Zn Hg C. at. 1 |22. 727[77.273| Sn Hg, {20 80 — — |15.976|86.024| Zx Hgs 2 |37.037|62. 963] St Hg |34.065|65.935| Pb Hg (20.000|80 "= 3 |54. 05445. 946| Sr, Hg |60 40 — |20.000|80 _ 4 |70.175|29. 825| Sn, Hg |75 25 —. |23.077|76.923|. — 5| — - —_ — — — |39,387[60. 613] Zn, Hg 6| — —_ —_ —_ -- — |49.359[50, 641| Zn, Hg 344 CARLO CATTANEO 2. Lo studio della temperatura di fusione delle varie amal- game venne fatto col metodo del raffreddamento. L’amalgama fusa nel crogiuolo veniva versata in un tubo da saggi del dia- metro di circa 20 millim. chiuso superiormente da un tappo a due fori, uno pel termometro il cui bulbo veniva immerso nella parte centrale della lega, l’altro per l’agitatore; il termometro era di Geissler a pressione interna di azoto controllato da me antecedentemente con ogni cura con un altro simile già confron- tato col termometro ad aria. Fusa e riscaldata l’amalgama, entro il tubo da saggi, oltre il suo punto di fusione esso veniva di- sposto e fissato nella parte centrale di una provetta di vetro (bagno ad aria) del diametro di circa 40 mm. mediante op- portuno tappo di sughero che superiormente la chiudeva; detta provetta era già preventivamente immersa in un ambiente a tem- peratura costante ossia bagno calorimetrico ad acqua alla tem- peratura di circa 50°, apparato a vapore d’acqua simile a quello che serve per il 100° dei termometri, bagno di paraffina a tem- peratura opportunamente elevata, secondo che una prima e gros- solana ispezione al comportamento dell’amalgama faceva prevedere una bassa od alta temperatura di fusione. Appena disposto il tubo da saggi nella camera d’aria a temperatura costante si co- minciavano le letture al termometro notando di 30° in 305 con un cannocchiale le temperature in diminuzione. Nel maggior nu- mero dei casi una sosta abbastanza sensibile nel raffreddamento indicava prossimamente la temperatura di fusione della amalgama la quale poi in tutti i casi veniva con precisione determinata in base alla curva di raffreddamento; questa veniva costruita; ; per ciascuna delle varie serie di determinazioni fatte con ogni amal- gama, assumendo come ascisse i valori del tempo ed ordinate delle temperature e quindi mi poteva dare con molta approssi- mazione il vero punto di fusione cercato col punto di incontro della retta passante per tutti quelli appartenenti alla porzione di curva di raffreddamento della lega allo stato di perfetta liquidità colla retta passante per tutti quelli appartenenti all’altra porzione della curva della lega stessa allo stato di perfetta solidità. Le indicazioni termometriche venivano poi corrette come si dirà in seguito al numero 5. Devesi qui notare che le temperature di fusione trovate rappresentano il secondo punto di fusione (tem- peratura di saturazione (1) della lega chimica per l’eccesso di 1) Come la definì il VICENTINI nei suoi lavori sopraccitati. SULLA DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNE AMALGAME 345 metallo che contiene) e non il primo il quale non fu determi- nato in causi della troppo bassa temperatura di solidificazione del mercurio. Ecco la tavola delle temperature % di fusione trovate: Numero AMALGAME AMALGAME AMALGAME i di stagno di piombo di zinco d’ ordine q q q 1 103°, 5 1029, 2 152°, 0 2 131.0 125: 3 199.0 3 166.4 192.8 200,0 4 193.22 236.2 247.2 5 _ - 288.3 6 — — 316,5 Credo mio obbligo di osservare che alle 9 sopra registrate do un valore relativo dappoichè la loro conoscenza per me doveva servire soltanto a stabilire vicino a quale temperatura le amal- game erano perfettamente liquide e possedevano quindi una dila- tazione regolare. 3. I dilatometri vennero tutti preparati in Laboratorio sal- dando alla estremità superiore di un cannello capillare (diam. circa 1", 5) già graduato un imbuto cilindrico lungo circa 90 mm. ed a quella inferiore un bulbo dilatometrico fatto, per tutti i dilatometri, con tratti di una medesima canna di vetro. Come coefficiente K di dilatazione del vetro alle varie temperature ho assunto quelli dati da Vicentini ed Omodei pel vetro delle solite canne di Germania facilmente fusibili ((2), 1887, pag. 295). Lavato ed asciugato per bene il dilatometro procedevo per ognuno di essi alla calibrazione nel modo seguente: noto pre- ventivamente il suo peso vuoto, riempitolo di mercurio e dispo- stolo in un bagno ad acqua alla temperatura costante dell’ambiente in modo che il liquido giungesse sino ad una delle divisioni N più alte del cannello, ripesatolo, si ottiene il peso @ di mercurio sino ad N contenuto nel dilatometro alla temperatura sopradetta. Si toglie in seguito un tratto di mercurio dal cannello e colle stesse norme si determina il nuovo peso Q' e così via Q”, Q"... ecc. Si calcolano poi, in base a questi dati, i volumi a 0° V, V, 346 CARLO CATTANEO VV, ... ecc., del dilatometro sino alle rispettive divisioni NN'N"N”... ecc.; allora è chiaro che Valli VozVo. ecc car 000, $ NON NNT 8%: danno il valor medio nei rispettivi intervalli, del volume V, a 0° di ogni piccola divisione che fu calcolato sino ai centesimi di millimetro cubico. 4. Il riempimento dei dilatometri coll’amalgama fusa è ope- razione nella quale si esigono le maggiori cure poichè sono facili tanto il cattivo riempimento che le rotture. Disponevo preventivamente il dilatometro in un bagno ad olio che riscaldavo di circa 50° in più del punto di fusione dell’a- malgama mentre contemporaneamente nel crogiuulo portavo questa alla medesima temperatura, indi lestamente la versavo nell’imbuto del dilatometro facendola scendere attraverso il cannello capillare mediante un sottil filo di ferro, riducendo poi al livello oppor- tuno ed operando anche, quando occorreva, coll’aiuto della mac- china pneumatica. Le pesate della amalgama contenuta nel dila- tometro venivano fatte prima e dopo le determinazioni di cui si parla nel numero seguente e se ne prendeva la media p. 5. Il bagno di riscaldamento che mi ha servito per tutte le serie di determinazioni di densità e dilatazione è un bagno a paraffina identico a quello descritto da Vicentini ed Omodei (*) che ho trovato molto opportuno e che può venir portato senza inconvenienti sino alla temperatura di circa 350°. Alcune amal- game furono studiate successivamente o porzione per porzione in due dilatometri diversi, altre in uno solo, ma per tutte si fecero più serie complete di determinazioni dalla più bassa (circa 200°) alla più alta temperatura (circa 350°). Gli sposta- menti della colonnina di amalgama, che ad ogni lettura si aveva cura di riscontrare se fosse ben continua, nel cannello capillare tutto immerso nella paraffina venivano letti con cannocchiale attra - verso a questa; il termometro adoperato era il solito Geissler e se ne determinava ad ogni volta lo spostamento dello zero. Il calcolo delle densità D, delle amalgame alle varie temperature venne fatto colla formula : p (ia DETAFE) (*) Pag. 294. SULLA DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNE AMALGAME 347 ove # era antecedentemente corretta (per la parte sporgente nei vapori di paraffina, per quella sporgente nell'ambiente, per ri- guardo allo spostamento dello zero e per le differenze col termo- metro ad aria) nel modo seguente: Sia T la temperatura letta direttamente, # quella dei vapori di paraffina, #' quella dell'ambiente circostante al bagno, (7'— 7) il numero delle divisioni abbracciate dalla colonna termometrica fra il livello della paraffina e l’ambiente, 0,000157 il coeffi- ciente di dilatazione apparente del mercurio nel vetro, A la correzione per la parte sporgente nei vapori di paraffina, A' quella per l’ambiente, « quella per lo spostamento dello zero, { quella dedotta dalla curva di correzione rispetto al termometro ad aria ; nel nostro caso avremo: A=0,000157.(—:).(T-#) a=T4#+A4 A'= 0,000157.(T-7).(cr#"). y=2X + A' aEZY-@ Infine : i=azf 3 Nelle tavole seguenti che raccolgono i risultati ottenuti i simboli adottati hanno sempre i seguenti significati : I significati di V, n» V, p t D, © sono già noti. Inoltre è rappresenta il coefficiente medio di dilatazione dell’amalgama fra fra 9 e # supponendo che fra teg la dilatazione avvenga colla stessa legge che fra te #', D e D' sono le densità della amalgama rispettivamente a Let, y il coefficiente medio di dilatazione di essa allo stato di perfetta liquidità fra due temperature # e #', P e P' le quantità ponderali su cento di mercurio e di me- tallo allegato , f temperatura di fusione del metallo allegato al mercurio, d,, densità del mercurio a f, D, densità dell’amalgama a f, d, densità del metallo allegato al mercurio a f, 348 CARLO CATTANEO D, densità dell’amalgama alla sua temperatura di fusione, m coefficiente medio di dilatazione del mercurio. e coefficiente medio di dilatazione del metallo allegato allo stato liquido. Le formule adottate pei calcoli sono le seguenti : D- D' t'—9)D'-(t-9D Fr Sr, (era 47 eni) ann = / (0a i 100 = PDp 3 6. Seguono ora le tavole; i risultati numerici che vi appa- riscono sono le medie di valori concordanti ottenuti con serie diverse di determinazioni alle varie temperature ; in certi casi ho ristudiata l’amalgama prendendone un’altra porzione che ancora non era stata sottoposta all’ esperienza. La capacità del bulbo dilatometrico essendo in media molto grande rispetto a quella di ogni divisione del cannello ed avendo operato con intervalli di temperatura abbastanza estesi gli spostamenti della colonnina d’amalgama erano molto sensibili. € 0 349 SULLA DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNE AMALGAME S00 8/6 966 866° 0I/S SGg Peo 8|9'S06|918°8|9 666/998 ‘8/9 966 V96°0I/S 208 SFO "8/0 686|888 ‘8/0 °808|088"8|L'E08|/S28"6|2966|898 ‘6/8 608|8660I|6686|696 019" ScE 290 °8|6"296|898 ‘8/5 "686/606 8/6 686/568 '6/S 206/706 6/6 166/800 "TI]9 8Z6|LIO "III 666 820 °8|1'97€|968 ‘8/9 SFe|I86 8|6'99c/c76 6/6 0L6/SF6 ‘6/0 826/970 "TI|6 L7E|87O IT)9 996 060 8|8'0186|6668|0'09I6/7968|2'oG6G|L26*6/606E6|/2266|1°00F7G|980"TI|1°02I6|860"II|G 0266 "E I {08 9 "T 1 "i 7 dd 1 (d4 2 "q I colo 'p9=d c6700°0 =04|, ROS | Yen 08 “No =dZI10 gg e=% PAT =" 0g olbronna | Ton ri rg | suoi e AREE aL800°0=04 CGGI'L2=4d 9° L6=% L300°0 =04| P0800"0. 0A ner 1 08300 °»0 = 04 9091 °L=UA 9'L6=% > ‘Y6Ng L'69=% \ a 9° eg8=% | ‘Vena 01J9ULO]ETICI 90912 =ng | F708"L UA! TL69 sl ZA bHg'6z + Us <'oL 6] 9% + USS 67 94 US LE 6h g'LL+US L'33 N ‘EN ‘6 "N 3.N ‘0uSezs Ip swes]ewy "TS CARLO CATTANEO 350 0869 &F6 66% °GI| 0°968 | 686°SI)| 1868 | 699"3I | 9 106 86I°TI | LIES | FRSUÙTI | 9188 | 62831] #'S66 | FEEUSI| 1266.) 06961 | S'9L6 0zg°II | S°8I8 | TIO'TI | 9'963 | SISSI! 80925 | 99881 || n'949 1 6990 °ST | 9 LE ZII... °96% |.699°II | 1°098 | 198;6I. 8 FSE: | 0IF°SI | TP 64 GI, PO6 eQ2IT-| 6:23 | SOL'TI | S'886-| Z0F GI] 10888 | ELFI) L'oPIO |p49436G1 J 7660 'qT ? coi 2 04 2 iu 2 ‘€q ? ‘eg=d QUOIZIO] +7 c7968L=0 0298*18=d PISTA: Seal 2 ST 810% ‘1368=% GL300°0 =04 L50000 04 L300°»0 04 9° L6=% 9° L6=U ; 0° L6=% i x = 08700°0 =04 prc) 9091°4 =%4 9091°L UA g-Re=u “setta 90091 °»4 UA 0.17QUWIOFETIC 01} QUIOYETT]A TISANA 0.13QUIO7ETIC 6H S& +94 SL 6H 0% + 94 09 6H 99 + 24 78 6H 08 +24 0% N ‘GN "N EN l'oelet, i ut —___r, rr r-._T__--'- wiee-#@#“ ‘oquorg tp ewes[euwy dARI NAT 351 TERMICA DI ALCUNE AMALGAME SULLA DILATAZIONE e e ° eee. rr —_———| | ——__ _yy_—__r_——_,,,___—_—________—x*«—«<<££<4
—4sen® + sen? cos 0) —#(0—sen®cos®) az? | ( Paragonando l’espressione della spinta vera .S con quella H supposta nella teoria di Schwedler data dalla relazione 3) si vede che non possono essere uguali nel caso di una vòlta a spessore SULLA STABILITÀ DELLE VOLTE CARICATE 367 costante, tranne quando il coefficiente di r 2, nell'espressione di S divenisse uguale ad 1; per la qual cosa si richiede che sia -— senPcos® — sen P cos P ossia che si abbia ®=-0, oppure D_90°. In allora si troverebbe pure d—=0, vale a dire la spinta S coinciderebbe realmente per grandezze e linea d’azione colla H. Ma questi sono due casi puramente teorici. Infatti nel primo la volta verrebbe ad avere un'ampiezza di curvatura nulla. Nel se- condo si avrebbe a=8& sec dD—= 00; (') vale a dire l’altezza del carico all'imposta sarebbe infinita. Praticamente la regola di Schwedler può dare risultati ab- bastanza buoni quando il termine in r° che entra tanto al nume- ratore quanto al denominatore nell'espressione di S sia molto grande rispetto ai due termini in ®. Esempio. — Per una vòlta da ponte si ha y=70 metri, i 7 il carico alla chiave 2,=2 metri; lo spessore della vòlta è g 40° e l’inclinazione dei giunti d’imposta alla verticale è D = 23°, Sarà ®—- 0,401, sen®_=0,391, cosdp_0,92, a=1 è) onde si trova S_1,014.xg=1,014..H=141,96, d=0,00057.r=m 0,039, p.= 5,665 . Curva delle Pressioni. — Dalle relazioni 4) si deducono i valori di M e di N per ogni giunto mettendo per © l'angolo del giunto colla verticale. — Dividendo M per N abbiamo la di- stanza del punto d’incontro della curva delle pressioni del bari- centro del giunto, per la quale occorre la stessa avvertenza per 368 G. G. FERRIA segni che abbiamo fatto per quello di chiave. — Dicendo d questa distanza sarà: a p+(H— 6) — Htang®senD4+ Scos® Dando a © diversi valori furono trovati i risultati seguenti : angolo © 5: 10° USS 20° 33. 06 distanza 0° ‘00335. 0,0236 0,006. — 0,018 “—0;0334., dai quali si vede che la curva delle pressioni passa a m. 0,0334 al disopra del baricentro del giunto d’imposta, sale tagliando la linea dei baricentri o fibra media tra il giunto d’inclinazione 15° alla verticale e quello .d'inclinazione 20° e taglia il giunto di chiave a m. 0,0399 al disotto del suo baricentro, per ridiscen- dere simmetricamente rispetto a questo giunto. Il punto mag- giormente lontano dista meno di 4 centimetri dalla linea dei ba- 4 , d od p ricentri, vale a dire meno di n dello spessore della volta; mentre, come è noto, la vòlta sarebbe in buone condizioni di stabilità anche se la distanza massima raggiungesse G di questo spessore. Torino, febbraio 1890, L’Accademico Segretario GiusePPE Basso. | ” A | Carrano — Sulla dilatazione termit Fiat liquido LIA . RESO | | Fergia — Sulla stabilità delle vOlto caricate colla regola di f sw ATTI DELLA i R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DIE TORENO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, De 11°, 1889-90 ce —- Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze Pai rv (di) Dì Le) CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 13 Aprile 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE <——T__—_— Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, BERRUTI, D'Ovipio, Bizzozero, NAccarI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, CAME- RANO, SeGrE e Basso Segretario. Il Socio Segretario legge l’atto verbale dell'adunanza prece- dente che viene approvato. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all'Accademia vengono segnalate due monografie del Prof. Federico Sacco, delle quali una ha per titolo: Colli monregalesi (Estr. dal Bullettino del R. Comitato geologico italiano), e l’altra Le Ligurien ( Estr. ‘dal Bulletin de la Societe geologique de France), presentate ‘dal Socio CAMERANO. In seguito il Socio Bizzozero presenta e legge una Nota del Dott. Giovanni Mincazzini Intorno al decorso del pedun- culus cerebelli medius e del corpus restiforme, Atti della R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 27 370 GIOVANNI MINGAZZINI LETTURE Intorno al decorso ed ai rapporti del Pedunculus cerebelli medius e del Corpus restiforme; del Dott. GrovannI MINGAZZINI — Riferisco nel presente lavoro i risultati di osservazioni fatte intorno a un coniglio, a cui era stato estirpato il pedunculus cerebelli medius di sinistra senza lesione delle parti circostanti. — La serie completa dei tagli dell’asse cerebro-spinale di questo coniglio, operato da Gudden, si trovano nel Laboratorio dell’ Isti- tuto Psichiatrico di Monaco, ove io ebbi agio di studiarli. Il lavoro completo verrà pubblicato quanto prima nell’ Archivio delle Scienze Mediche (vol. XIV). 1. Il cervello anteriore primitivo e secondario erano com- pletamente intatti, tanto a destra che a sinistra: così pure il midollo spinale al disotto dei nuclei dei funiculus gracilis e cuneatus. Nel cervelletto si nota che la sostanza corticale del verme è perfettamente conservata in tutta la sua estensione eccetto che nelle sezioni prossimali e rispettivamente nei giri dorsali del verme, ove la sostanza midollare è leggermente atrofica. La sostanza corticale e midollare dei giri degli emisferi destro e sinistro e del flocculus destro erano affatto normali, mentre la sostanza corticale e midollare del /locculus sinistro mostrava un alto grado di atrofia. Per quanto riguardale fibrae transversace pontis queste si com- portano diversamente a seconda che trattasi delle sezioni distali o di quelle prossimali del Ponte. — Nelle prime si osserva che le fibre dello stratum superficiale appartenenti al lato sano oltre- passano appena la linea mediana; dicasi altrettanto di quelle che formano lo stratum complerum, in modo tale che nella porzione piramidale del ponte, corrispondente al lato operato, DEL PEDUNCULUS MEDIUS E DEL CORPUS RESTIFORME 371 il campo occupato dalle fibrae transversae pontis è quasi chiaro, poverissimo cioè di fibre. Ma a misura che si procede coi tagli prossimali si osserva che le fibre dello stratum superficiale , provenienti dal lato sano, sorpassano per lo più la linea me- diana, avvicinandosi verso il punto da cui si stacca l’ atrofico peduncolo cerebelloso medio (operato). Così pure nei tagli pros- simali le fibre dello stratum complexum della metà sana oltre- passano la linea mediana in numero assai maggiore che nei tagli distali, invadendo il campo della portio pyramidalis pontis, sotto- stante ai fasci piramidali. Buona parte delle fibrae transversae pontis finisce nella sostanza grigia della metà omo e controla- terale della pars pyramidalis pontis; e propriamente quelle appartenenti alle sezioni distali terminano in massima parte nella sostanza grigia della metà omolaterale: in minima parte nella sostanza grigia della metà controlaterale, mentre le fibre tran- sverse appartenenti ai tagli prossimali finiscono, in proporzioni presso a poco eguali, nella metà omolaterale e in quella contro - laterale. In verità nei tagli distali la sostanza grigia della portio pyramidalis pontis del lato operato è in quantità assai più debole che nel lato sano: mentre nei tagli prossimali questa sostanza grigia è eguale d’ambo i lati. Possiamo quindi sta- bilire che l’ incrociamento di quella porzione di fibre del pedun- culus cerebelli medius, la quale ha rapporto con la sostanza grigia della portio pyramidalis pontis è maggiore nella porzione prossimale che in quella distale. Le fibre incrociantesi non giungono mai ad alcuna delle parti appartenenti alla metà cerebellosa del lato opposto; dappoichè, come si è già notato, la metà del cer- velletto appartenente al lato non operato era completamente integra. Adunque i peduncoli cerebellosi medî non rappresentano affatto un sistema di fibre commessurali del cervelletto. Betcherew pel primo ha richiamato l’attenzione intorno al destino di un’altra parte delle fibrae transversae pontis. gli lavorando sopra cervelli fetali umani ha osservato che il sistema superiore o cerebrale di queste fibre sì riveste di mielina in una epoca posteriore che non le fibrae transversae del sistema infe- riore o spinale. Ma egli ha riconosciuto che nel sistema spinale parte delle fibrae transversae pontis s' innalza perpendicolarmente nel rafe e si perde nel nueleus reticularis tegmenti pontis sì- tuato ai lati del rafe stesso. Le osservazioni da me fatte mi permettono di aggiungere alcuni particolari a questa scoperta del 3792 GIOVANNI MINGAZZINI Betcherew. Se si osservano infatti le sezioni del sistema spinale del Ponte, si vede che nel campo del mucleus reticularis sono conservate in massima parte le fibre sollevantisi nella metà del rafe corrispondente al lato operato, e propriamente manca la porzione mediale delle medesime; mentre nella metà del rafe corrispondente al lato sano sono conservate in minima parte le fibre del rafe, e precisamente manca la porzione laterale delle medesime. Seguendo in basso queste fibre si nota come dal lato sano le fibre occupanti la porzione mediale del rafe si continuano direttamente con le fibrae transversae dello stratum profundum pontis: mentre quelle che occupano dal lato atrofico la porzione laterale del rafe discendono più in basso e si volgono verso il lato sano, penetrando nel campo della pars pyramidalis pontis, ove dopo un cammino più o meno lungo si perdono di vista fra le fibre dello stratum complerum. Possiamo adunque stabilire la seguente proposizione: « Porzione delle fibrae transversae del « sistema spinale del peduncolo cerebelloso medio s’innalza per- « pendicolarmente verso il raphe: e propriamente quelle apparte- « nenti allo strafum profundum si perdono nella porzione mediale « della metà omolaterale del rafe, quelle appartenenti allo stra- « tum complexum trapassano la linea mediana perdendosi nella « porzione laterale della metà controlaterale del rafe. » Poco posso aggiungere sull’ulteriore destino di questa porzione delle fibrae transversac. Secondo Betcherew, esse terminerebbero in parte nel mucleus reticularis e in parte nella formatio re- ticularis. Le mie osservazioni non mi permettono di confermare queste vedute; però che il peduncolo cerebelloso medio trapassi attraverso il tegmento, risulta già da altre esperienze di Gudden, il quale osservò l’atrofia del braccio pontale costantemente con- secutiva alla lesione del corpo bigemino superiore. Che una tale connessione fra queste parti possa effettuarsi per la via del lem- nisco laterale è un'ipotesi che io mi permetto soltanto di avanzare, avendo nelle osservazioni in discorso trovato atrofia del lemnisco laterale sinistro e del suo nucleo. Che al disopra del distretto del sistema spinale le fibre del rafe nulla abbiamo a che fare colle filrae transversae, come am- mette Betcherew, si riconosce non tanto dal fatto che in questo sistema le fibre del rafe sono eguali d’ambo i lati, ma anche perchè non si vedono continuare nel campo delle fibrae tran sversae. DEL PEDUNCULUS MEDIUS E DEL CORPUS RESTIFORME 373 La completa integrità delle vie piramidali nel caso presente dimostra pure la nessuna connessione diretta fra questo sistema rispettivamente fra il piede del peduncolo e il braccio pontale. 2. Nell’esperienza attuale si osserva anche l’atrofia del corpus restiforme dal lato operato e di formazioni aventi con esso rela- zioni. Questo fatto si spiega facilmente, ricordando che nel taglio del braccio pontale è quasi impossibile lasciare illesa la porzione endocerebellare del corpus restiforme, che si porta alla periferia dei giri del cervelletto. — Il corpus restiforme era più atrofico nella porzione prossimale che in quella distale. — Inoltre erano atrofici tre nuclei sui quali ha richiamato negli ultimi tempi l’attenzione Gudden, cioè il nucleo laterale ed i nuclei ventrale e dorsale del corpus restiforme. Il nueleo dorsale incomincia al livello dei piani corrispondenti alla metà dell’altezza del n. /ypo- glossi e termina prossimalmente a livello dei piani più distali del n. abducentis. Il nucleo ventrale (porzione distale del nucleo laterale degli Autori) comparisce nel coniglio distalmente, insieme all’oliva inferior, e termina prossimalmente poco dopo l’aper- tura del IY° ventricolo. Il mueleo laterale nel coniglio invece si raggruppa in quasi tutta la sua estensione in due ammassi di cellule ben distinti: l’uno dorsale più piccolo e l’altro laterale più grande. Nelle sezioni distali è costituito da un ammasso di poche cellule disposte ventralmente rispetto alla radix ascendens trigemini, ma dopo un certo numero di sezioni esso si rag- gruppa in due piccoli ammassi di cellule, uno dorsale e l’altro ventrale. Nelle sezioni prossimali rimane soltanto la porzione ventrale che scomparisce insieme con l'oliva inferior. Ora nelle mie osservazioni ho notato che mentre tanto il nucleo ventrale quanto il nucleo dorsale del corpus restiforme erano completamente atrofici dal lato operato, invece del nucleo laterale era atrofica solo la porzione dorsale, la porzione ven- trale invece era inalterata. All’atrofia del corpus restiforme adunque segue atrofia (dallo stesso lato) del nucleo dorsale, del nucleo ventrale e della porzione dorsale del nucleo laterale. Io credo quindi che questi tre nuclei sieno solamente in rapporto con il corpus restiforme, e dall’analisi delle osservazioni e delle figure riportate nei lavori di Veyas, Monakow e di Gudden sono inclinato a credere che l’atrofia dell’un nucleo piuttosto che dell’altro sia da mettersi in rapporto con l'estensione, ri- 374 GIOVANNI MINGAZZINI - DEL PEDUNCULUS MEDIUS ECC. spettivamente con l’altezza di quella porzione del corpus resti- forme colpita da atrofia. Nelle osservazioni in discorso ho notato anche l’atrofia del- l’oliva inferior (veramente con eccezione soltanto di una piccolis- sima parte), dal lato opposto a quello operato. Inoltre era in totalità atrofico il fascio cerebello-laterale del lato operato , in piccola parte il funiculus gracilis e in grado maggiore il fu- niculus cuneatus omolaterale insieme ai due gruppi di cellule (Monakow) che costituiscono il mucleus funiculi cuneati, e ve- ramente il gruppo mediale in piccola parte e il gruppo laterale quasi in totalità. Inoltre era atrofica la « sezione interna del peduncolo cere- belloso » ; sopratutto erano le fibre più laterali della rete quelle che si mostravano notevolmente atrofizzate insieme con le rispet- tive cellule del cosidetto nucleo di Deiters. Siccome nel caso pre- sente il mervus acusticus era ugualmente bene conservato da ambo i lati, così è chiaro che la nostra osservazione contribuisce sempre più a respingere il significato di nucleo dell’acusticus che fino a poco tempo fa era attribuito al nucleo del Deiters. Alla fine io debbo fare alcune osservazioni intorno alle ori- gini dei bracci congiuntivi, Essi nel nostro caso erano perfetta - mente integri da ambo i lati e altrettanto lo erano i nuclei rossi di Stilling. D'altra parte abbiamo veduto che erano perfettamente normali l'emisfero cerebelloso sinistro e quasi tutto il verme, mentre il /locculus sinistro e porzione del mucleus dentatus cere- belli di sinistra erano atrofici: ecco perchè è probabile che il braccio congiuntivo derivi, come insegnano anche le esperienze sul ratto di Veyas, piuttosto dal verme e dall'emisfero cerebelloso. L’Accademico Segretario GiusePPE Basso. enze Fisì | ADUNANZA del 13 Apri | Mincazzisi — Intorno al decors | rebelli medius e del Corpus ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUB CLASSI Vor. XXV, Disp. 12%, 1889-90 (lasso di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze SI A DU 375 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 27 Aprile 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM.. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, SALVADORI, Bruno, Bizzozrro, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Segretario dà comunicazione di documenti stampati che ven- nero inviati all'Accademia dal Comitato ordinatore del Congresso d’ Ingegneri ed Architetti da tenersi in Palermo l’anno venturo, ed altri inviati dal Comitato esecutivo per la prima Esposizione italiana di Architettura, che si aprirà nel prossimo settembre in Torino. Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo che segue: « Un nuovo campo di ricerche geometriche »; lavoro del Socio SEGRE, che fa seguito a due altre sue Note già pub- blicate precedentemente ; « Sulle determinazioni di latitudine eseguite negli anni 1888, 1889, 1890 all’Osservatorio astronomico dell’ Univer= sità di Torino; comunicazione prelimimare del Prof. Francesco Porro, incaricato della direzione dell’ Osservatorio stesso, pre- sentata dal Socio NACCARI; «Iminerali del gneiss di Borgone (Val di Susa) » ; cenni descrittivi di Giuseppe PioLtI, Assistente al Museo mineralogico della R. Università di Torino, presentati dal Socio SPEZIA; « Sopra una mandibola di Balaenoptera dell’ Astigiano »;, Nota del Dott. Federico Sacco, Prof. di Paleontologia nella R. Università di Torino, presentata dal Socio CAMERANO. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. \XV. 28 376 CORRADO SEGRE LETTURE Un nuovo campo di ricerche geometriche ; Saggio del Socio Prof. Corrapo SEGRE. Nora III. (*) Delle antipolarità e delle iperconiche ed iperquadriche (*). 27. Rispetto ad un’antipolarità, piana o spaziale, introdur- remo denominazioni affatto simili a quelle che si usano per le polarità. Due elementi omologhi si diranno polari l’un dell’altro (un punto si dirà polo del suo elemento polare). Quando di due (*) V. le Note I e lI a pag. 180 e 290 del presente volume. (**) La trattazione geometrica di questi enti si troverà analoga in vari punti a quella delle coniche e delle quadriche fatta nell’opera di Sraupr: anche certe proposizioni, che, per l’analogìa perfetta che presentano con cose note, potrebbero sembrare superflue, si dovettero esporre, sia per uniformità di metodo, sia perchè occorreranno nei Cap.! segi. — Non è forse inutile, dopo la citazione fatta di StAUDT, rilevare come appunto la sua definizione delle coniche e quadriche sia quella che, trasportata per analogìa (dalle polarità alleantipolarità), appare più importante nel nostro campo; le definizioni mediante fasci projet- tivi o stelle reciproche avrebbero invece per analoghe delle nozioni di enti il cui studio rientra come parte in quello delle iperconiche ed iperquadri- che: ciò si vedrà più tardi. — [Dopo che io avevo già rivedute le bozze della Nota II del presente Saggio comparve nel vol. 14 degli Acta mathematica un lavoro del sig. JueL: Ueber einige Grundgebilde der projectiven Geometrie, i cui risultati principali sta- vano già, secondo asserisce l’A., nella dissertazione danese che ho nominata in nota all'introduzione di questo Saggio; quel lavoro studiando per via pura- mente sintetica le catene semplici e piane, non che le antiprojettività fra forme semplici e le anticollineazioni fra due piani (sotto il nome di corrispondenze simmetrali), viene ad avere molti punti di contatto con le mie due prime Note, Il sig. JuEL non si occupa però degli enti analoghi nello spazio, nè delie anti- reciprocità, delle iperconiche, iperquadriche, ecc.; e in complesso il suo indi- rizzo ed il suo scopo sono essenzialmente diversi dai miei. Ciò malgrado mi piace rilevare i suoi diritti di priorità negli argomenti che entrambi abbiamo trattati]. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE SAVA elementi l’uno è incidente al polare dell’altro, viceversa questo sarà incidente al polare del primo, ed i due elementi si diranno reciproci. Così un punto ha infiniti punti reciproci sulla sua retta polare, oppure infiniti punti e rette reciproche sul suo piano po- lare. Una retta nel piano ba per reciproche tutte quelle che pas- sano pel suo polo, e nello spazio tutte quelle che si appoggiano alla sua polare. Ecc. Un elemento autoreciproco, cioè incidente al suo polare, si dirà pure unito; però nello spazio la denomi- nazione di unite sarà riservata alle rette autopolari. — Se una retta p è unita in un'antipolarità piana, cioè con- tiene il proprio polo P, è chiaro che nè per questo passerà al- cun’altra retta unita, nè su p starà alcun altro punto unito. Ma nel caso contrario, cioè se p e P non sono incidenti, l’antipo- larità (che sempre riferisce antiprojettivamente due forme omo- lughe qualunque) stabilirà fra la punteggiata p ed il fascio di rette P un’antiprojettività in posizione involutoria : ne deriva che i punti reciproci su p (o le rette reciproche per /) si corrispon- dono in un’antinvoluzione, e quindi che su p o non sta alcun punto unito (e per P non passa alcuna retta unita), oppure ne stanno infiniti formanti una catena (e per P passa una catena di rette unite di cui quella è sezione). La possibilità che esista una retta di cui tutti i punti siano uniti rimane, come si vede, assoluta- mente esclusa. Segue dunque che se un’antipolarità piana ammette un punto unito, essa ne ammetterà 00°, giacchè su ognuna delle 00° rette passanti per quello ve n’è una catena, eccezion fatta per la retta polare del punto, la quale non contiene altri punti uniti. Questa varietà co? di punti si dirà iperconica (fondamentale per l’an- tipolarità), e sue tangenti nei vari punti le polari di questi nel- l’antipolarità, cioè le rette unite di questa (*). Mentre la tangente in un punto all’iperconica non l’incontra altrove, ogni altra retta del piano o la sega secondo una catena rettilinea o non l’incontra affatto. Similmente per un punto dell’iperconica passa una sola tangente di questa, la tangente in esso; per ogni altro punto o non passa alcuna tangente o ne passano infinite formanti una catena: il punto si dirà allora risp. interno ovvero esterno all’iperconica. (*) Quest’applicazione del nome di tangente, come pure quella che ne fa- remo nel n. seg. alle iperquadriche sono d’accordo colle definizioni generali di tangenti alle 008 di punti di un piano ed alle oo spaziali date al n. 15. 378 CORRADO SEGRE 28. Per un’antipolarità spaziale le coppie di punti (o di piani) reciproci situate su una retta qualunque che non sia autoreci- proca formano pure un’antinvoluzione. E così pure in un piano non unito si ha sempre un’ antipolarità piana in cui si corrispon- dono i punti e le rette reciproche. Se una retta è incidente alla sua polare, pur essendone di- stinta, solo quel punto e quel piano che essa ha comuni con questa saranno uniti. Se invece una retta coincide colla propria polare è chiaro che tutti i suoi punti e piani (mutuamente polari) saranno uniti. Se infine una retta è sghemba con la sua polare, segue da un’osservazione precedente che o essa non conterrà alcun punto unito o ne conterrà una catena, ed analogamente pei piani uniti. Se un’antipolarità spaziale ammette un punto (od un piano) unito (0, ciò che fa lo stesso, una retta autoreciproca) essa ne ammetterà co°, poichè su ognuna delle oo! rette passanti per quel punto (e non giacenti nel suo piano polare) ne avrà una catena. Questa varietà di co° punti (fondamentale per l’anti- polarità) si dirà ‘perquadrica. Il piano polare di ogni suo punto si dirà tangente in esso all’iperquadrica, e così pure le rette giacenti in quel piano e passanti per quel punto si diranno tangenti. Sono dunque tangenti gli oc? piani uniti e le co” rette autoreciproche. Una retta od un piano non tangenti all’iperqua- drica non l’incontrano affatto, oppure l’incontrano, la retta se- condo una catena semplice, il piano secondo un’'iperconica. Dual- mente per un punto non posto sull’iperquadrica o non passano rette nè piani tangenti, o ne passano infiniti costituenti le gene- ratrici ed i piani tangenti del cono iperquadrico circoscritto , projettante l’iperconica d’intersezione dell’iperquadrica col piano polare del punto (e questo punto si dirà nel 1° caso interno, nel 2° esterno all’iperquadrica); per una retta non tangente al- l’iperquadrica o non passano piani tangenti o ne passa una ca- tena semplice. Una retta tangente o incontra l’iperquadrica nel solo punto di contatto (e sta in un sol piano tangente), oppure vi è tutta contenuta (e tutti i suoi piani sono piani tangenti): quest’ultimo fatto accade se la retta è unita. In un piano tangente le rette che passano pel punto di contatto e che si corrispondono nella antipolarità costituiscono un’ antinvoluzione di quel fascio: a seconda che questa non ha rette unite o ne ha una catena, quel UN NUOVO CAMPO Di RICERCHE GEOMETRICHE 379 piano non conterrà alcuna retta autopolare e quindi alcun altro punto dell’iperquadrica, oppure segherà questa secondo una ca- tena semplice di rette (autopolari). 29. Se un'iperquadrica contiene una retta x, non solo ogni piano passante per questa, ma anche ogni altro piano tangente all'iperquadrica segherà questa secondo una catena di rette, pe- rocchè oltre che nel proprio punto di contatto la incontrerà in un punto di r. Ne segue che un'iperquadrica la quale contenga una retta ne contiene 004, per modo che da ogni punto (od in ogni piano tangente) dell’iperquadrica ne esce una catena sem- plice. Essa si dirà allora iperquadrica rigata. Per una retta non tangente ad una siffatta iperquadrica accadrà simultaneamente che la seghi (in una catena di punti) e che stia in (una catena di) piani tangenti; e viceversa, se una retta che non sia tangente ad un'iperquadrica ne contiene un punto e sta in un piano tangente, l’iperquadrica sarà rigata. Se una retta taglia un’iperquadrica rigata lo stesso accadrà per la sua polare e tutte le infinite rette che si appoggiano alle due catene rettilinee d’intersezione staranno sull’iperquadrica, poichè ognuna di esse avrà per polare se stessa. Su un’iperquadrica rigata si possono evidentemente tracciare infiniti quadrangoli, pentagoni, esagoni, .... sghembi (semplici). Dato un pentagono sghembo ABCDE è individuata un’iperquadrica rigata che ne contiene i cinque lati. Invero l’antireciprocità che ai vertici A, B, C, D, E di quel pentagono fa corrispondere risp. le facce EAB, ABC, BCD, CDE, DEA, avrà i lati A B, BC, CD, DE, EA per rette autoomologhe e farà corrispondere inver- samente a quelle facce risp. quei vertici. Sarà dunque un’antipola- rità la cui iperquadrica fondamentale conterrà quelle cinque rette. 80. Resta così stabilita per incidenza l'esistenza delle iper- quadriche rigate. Ma per ottenere un modo affatto generale di costruzione di tutte le specie di antipolarità in uno con nuove proprietà di queste conviene considerare la permutabilità fra an- tinvoluzioni ed antipolarità, cercando le proposizioni che per le forme di specie superiore corrispondono a quelle sulle forme di 1° specie viste ai n.' 17 e 18. Un’antinvoluzione avente per punti uniti i vertici di un trian- golo o tetraedro polare di un’antipolarità, cioè di un triangolo o tetraedro tale che rispetto a questa corrispondenza i vertici 380 CORRADO SEGRE abbiano per polari i lati o le facce opposte, è permutabile al-. l’antipolarità. Invero il prodotto delle due corrispondenze sarà una reciprocità in cui ai vertici del triangolo o del tetraedro corri- spondono i lati o le facce opposte, cioè sarà una polarità. (V._ la nota al n. 17). Ne segue che, dato un triangolo ABC come polare per un’an- tipolarità, la polare di un punto qualunque P del piano non si potrà più assumere ad arbitrio; perocchè l’antinvoluzione che ha per punti uniti A, B, C, P, essendo permutabile all’antipolarità, avrà per retta unita la polare del punto unito P. Questa polare deve dunque appartenere alla catena piana che contiene ABC e P. (#) — Analogamente si vede che il piano polare di un punto rispetto ad un’antipolarità di cui è dato un tetraedro polare deve stare nella catena che congiunge quel tetraedro a quel punto. — Viceversa, se per determinare un’ antipolarità si dà ad ar- bitrio un triangolo o tetraedro polare e di un punto (non posto su alcun lato o -faccia) si dà come polare una retta od un piano (non passante per alcun vertice) della catena piana o spaziale che congiunge il punto al triangolo o tetraedro, l’antipolarità riesce ben determinata. In fatti, considerando ad esempio il caso dello spazio, l’antireciprocità determinata facendo corrispondere ai 4 vertici del tetraedro ed al quinto punto dato risp. le 4 facce opposte ed il quinto piano dato si può considerare come il prodotto, in qualunque ordine, della polarità determinata dalle stesse coppie di elementi omologhi e dell’antinvoluzione che ha tutti questi elementi per elementi uniti, cioè che ha la catena nomi- natà per fondamentale. Essendo dunque il prodotto di due corri- spondenze involutorie permutabili, quell’antireciprocità sarà anche essa involutoria, cioè un’antipolarità. Come poi dai dati si riconosca la specie dell’antipolarità che si determina in questa guisa vedremo fra poco. A 31. È bene avvertire che le antinvoluzioni spaziali permutabili ad un’antipolarità non sono solo quelle considerate nel n. prec.. Se un’antinvoluzione ed un’antipolarità sono permutabili, il loro prodotto sarà una polarità, e viceversa il prodotto di una pola- rità ed un’antinvoluzione permutabili è un’ antipolarità permuta- (*) Ciò sì dedurrebbe anche facilmente dalla seconda proposizione del n. 17, applicandola ai lati del triangolo. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 381 bile con esse. Ma una polarità dello spazio può presentare due casi ben distinti, secondo che è una polarità ordinaria (rispetto ad una quadrica), ovvero un sistema nullo. Questo 2° caso, che finora non s’era considerato, è particolarmente notevole quando l’antinvoluzione spaziale ammette una catena fondamentale. Allora ogni punto di questa, essendo unito per l’antinvoluzione, avrà rispetto al sistema nullo per corrispondente un piano che gli corrisponderà pure nell’antipolarità: questa avrà dunque anche essa per punti uniti tutti i punti di quella catena, cioè ammet- terà un’iperquadrica fondamentale contenente tutta la catena. Ogni retta della catena la quale sia unita pel sistema nullo sarà pure unita per l’antipolarità, cioè giacerà sull’iperquadrica. Questa è dunque rigata. Viceversa un’iperquadrica rigata contiene infi- nite catene spaziali, ossia è permutabile con infiniti sistemi nulli: un pentagono gobbo tracciato su essa individua oltre a lei (n. 29) anche una catena spaziale ed un sistema nullo che ne hanno i cinque lati per rette unite; e le tre corrispondenze così deter- minate sono mutuamente permutabili. (*) Nel piano non esistendo altre polarità che quella rispetto ad una conica, non si hanno da fare considerazioni analoghe. Una iperconica non può contenere una catena piana, poichè altrimenti tutti i punti di questa sarebbero uniti per la reciprocità prodotto dell’antipolarità e dell’antinvoluzione ; il che è impossibile. (**) 32. Se si determina un’antipolarità, piana o spaziale, come prodotto della polarità rispetto ad una conica o quadrica e di un’antinvoluzione che le sia permutabile ed abbia una catena fon- (*) Le catene spaziali contenute in un’iperquadrica rigata si ottengono pure in quest'altro modo. Si prendano due rette polari rispetto all’iperqua- drica sì che la seghino entrambe in due catene rettilinee. Ogni catena spa- ziale contenente queste due catene rettilinee (che vien determinata dandone ancora un punto allineato con due punti di quelle), starà sull’iperquadrica, perchè per ciascun suo punto passerà una retta appoggiata a quelle due ca- tene e giacente in conseguenza (n. 29) sull’iperquadrica. (**) Solo le iperconiche degeneri che più tardi considereremo (n. 37) con- tengono delle catene piane, ed anzi una proposizione vista al n. 20 (cfr. anche la nota al n. 21) sì può enunciare dicendo che ogni catena piana è in infiniti modi l’intersezione (parziale) di due iperconiche degeneri. In generale quando un’iperquadrica appartenente ad S_, contiene una ca- tena generale di specie n, l’iperquadrica è necessariamente degenere se n è pari. 382 CORRADO SEGRE damentale, è facile riconoscerne subito la specie quando sia data la natura dell’intersezione della catena con la conica o quadrica. In fatti osserviamo anzitutto che ogni punto della catena il quale sia unito per la polarità o per l’antipolarità sarà pure unito per l’altra di queste due corrispondenze. Ne segue che se ha luogo effettivamente un’intersezione della catena con la conica o quadrica, l’antipolarità avrà un’iperconica od iperquadrica fon- damentale, che nella catena considerata darà appunto quell’in- tersezione. Viceversa se vi è un’iperconica od iperquadrica fondamentale, esisterà quell’intersezione, cioè vi saranno dei punti comuni alla catena ed all’ iperconica od iperquadrica. Invero prendasi una retta qualunque della catena, in modo che sia tagliata dall’iperconica od iperquadrica: la permutabilità fra l’antipolarità e l’antinvo- luzione avrà per conseguenza la permutabilità fra le due catene rettilinee in cui l’iperconica od iperquadrica e la catena piana o spaziale segano la retta; donde segue (v. un’osservazione verso la fine del n. 16) che queste due catene rettilinee dovranno in- contrarsi in due punti. La retta considerata contiene dunque due punti comuni alla catena piana o spaziale, all’iperconica od iper- quadrica, ed alla conica o quadrica. Fissiamo ora la conica e determiniamo la catena piana che le è permutabile seguendo il n. 25, cioè dando l’antinvoluzione semplice che essa determina fra i punti della conica: a seconda che quest’antinvoluzione ammetterà o no una catena conica fon- damentale, l’antipolarità piana che risulta come prodotto ammet- terà o no un’iperconica fondamentale. Similmente, fissata la quadrica, determiniamo secondo il n. 25 l’antinvoluzione spaziale che le è permutabile. Se essa è di 1° specie, cioè muta ogni schiera di generatrici in se stessa, allora ove essa non abbia rette unite in nessuna di queste schiere, avrà (v. n. cit.) una catena spaziale fondamentale la quale non incon- trerà la quadrica: quindi l’antipolarità prodotto non avrà iper- quadrica fondamentale. Ove invece in una schiera od in entrambe esistano delle rette unite, ciascuna di queste essendo tale sì per la polarità che per l’antinvoluzione, sarà pure unita per l’anti- polarità; laonde questa ammetterà un’iperquadrica fondamentale rigata, contenente tutte quelle rette unite (mentre solo nell’ul- timo caso l’antinvoluzione spaziale ha una catena fondamentale). — Se poi l’antinvoluzione permutabile alla quadrica è di 2° specie, UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 383 È 4 * ni ne: la sua catena fondamentale incontrerà (sempre secondo il n. 25) la quadrica in co? punti: quindi l’antipolarità avrà un’ iperqua- ‘idrica fondamentale. Ma questa non sarà rigata: invero uno qua- lungue di quegli co° punti ha uno stesso piano della catena spa- ziale per piano tangente alla quadrica ed all’iperquadrica, e nel fascio delle rette per quel punto in quel piano l’antipolarità de- termina un’antinvoluzione A che è il prodotto dell’antinvoluzione B determinatavi dall’antinvoluzione spaziale per l’involuzione I determinata dalla polarità, cioè per un’involuzione avente per rette unite due rette omologhe di B; ora poichè B ha una ca- tena fondamentale, non potrà A averne (altrimenti una retta unita di A avrebbe per omologa rispetto a B la sua coniugata armonica rispetto alle due rette unite dell’involuzione I, cioè B ammetterebbe due coppie di rette omologhe separantisi fra loro nella catena semplice che le contiene, il che, secondo la fine del n. 18, è assurdo). (*) 89. Dato un triangolo o tetraedro polare di un’ antipolarità, per riconoscere la posizione dei suoi elementi rispetto a questa sì consideri una catena piana o spaziale passante pei suoi vertici: essa sarà permutabile all’antipolarità (n. 30) e su essa, fra i suoi punti e le sue catene, rettilinee o piane, quell’antipolarità determinerà una corrispondenza polare, che in forza delle cose precedenti sarà della specie analoga a quella dell’antipolarità (cioè avrà punti uniti se questa ne ha, ecc., ecc.). Applicando (*) Seguendo la definizione generale di ente reale (v. n. 6) chiamiamo reale un’antipolarità del piano reale o dello spazio quando essa è permutabile alla corrispondenza di coniugio. Allora un’antipolarità reale si costruirà mediante una polarità reale facendo corrispondere ad ogni elemento il coniugato di quello che gli è omologo nella polarità (0, ciò che è lo stesso, l’omologo in questa del coniugato). Se la polarità che essa definisce /ra gli elementi reali del piano o dello spazio non ha punti (reali) uniti l’antipolarità reale è priva di punti uniti. In caso contrario essa ammetterà un’iperconica od iperquadrica fondamentale reale che si può costruire come il luogo delle coppie di punti complessi-coniugati che son reciproci in una polarità reale. Se si è nello spazio e se la polarità che si ha fra gli elementi reali è la polarità rispetto ad una quadrica iperbolica od ellittica, quell’iperquadrica sarà risp. rigata o no, Se invece quella polarità è un sistema nullo, l’iperquadrica sarà necessa- riamente rigata e conterrà tutti i punti reali dello spazio : essa si potrà definire come l’insieme degli co punti (reali ed imaginari) posti sulle 005 rette reali di un complesso lineare reale. 384 CORRADO SEGRE dunque le cose note sui triangoli e tetraedri polari delle pola- rità nelle catene piane e spaziali (cfr. la fine del n. 12), ed inoltre il fatto visto dianzi (n. 32) che una retta della catena considerata contiene simultaneamente dei punti uniti dell’antipo- larità e dei punti uniti della polarità nella catena avremo che: Un triangolo polare rispetto ad un’iperconica ha un lato solo che non la sega, e quindi un punto solo interno ad essa (*). Un tetraedro polare rispetto ad un’ iperquadrica rigata ha solo due spigoli opposti che non la taglino. Un tetraedro polare rispetto ad un’iperquadrica non rigata ha solo tre spigoli concorrenti in un vertice che la seghino, e quindi ha solo quel vertice interno ad essa. Da queste proposizioni si traggono subito proprietà delle iper- coniche ed iperquadriche completamente analoghe a quelle di cui godono le coniche e le quadriche rispetto ai punti interni ed esterni, ecc. Così si avrà che ogni retta passante per un punto interno di un’ iperconica o di un’ iperquadrica non rigata la sega, che ogni retta che non incontri un’ iperconica od un’ iperquadrica non rigata ha tutti i suoi punti esterni ad essa, ecc., ecc. (pro- prietà che si potrebbero far rientrare in una più generale: cfr. la fine del n. 35). Si trae inoltre immediatamente il modo con cui si devono assumere i dati nella determinazione di un’antipolarità conside- rata al n. 30 affinchè essa risulti di una data specie. Così se nel piano si determina un’antipolarità dando un triangolo polare ABC ed un punto P colla sua polare p presa nella catena piana ABCP, si chiami P' la projezione di P fatta da A su BC e P, la traccia di p su BC: saranno B, C e P',P, due coppie di punti reciproci rispetto all’antipolarità cercata, sicchè sulla catena rettilinea che le contiene esse non si separeranno (n. 18) se l’antipolarità ha un’iperconica fondamentale che in- (*) Dall’esistenza. di rette che non incontrano l’iperconica, mentre una curva algebrica è sempre incontrata da ogni retta del suo piano, segue su- bito che un’iperconica non contiene alcuna curva algebrica (in particolare nessuna conica), e quindi che un’iperquadrica non contiene alcuna superficie algebrica. Si vede come un’osservazione analoga con opportune restrizioni sì possa fare anche per enti iperalgebrici superiori (anche sostituendo alle curve e superficie algebriche degli enti trascendenti). Le curve e le superficie alge- briche si posson certo considerare come intersezioni di enti iperalgebrici: ma non tutti gli enti iperalgebrici possono servire per tale considerazione. MITA UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 385 contri la retta BC, e solo allora. Facendo per gli altri due lati del triangolo ABC la costruzione analoga si dovrà trovare o che in ciascun lato le due coppie di punti ottenute sulla catena ret- tilinea si separano, oppure che ciò accade solo per un lato: nel 1° caso l’antipolarità non ammetterà un’iperconica fondamentale, nel 2° ne avrà una per cui quel lato sarà esterno. In modo perfettamente simile si procederebbe nello spazio per la questione analoga. (*) 34. Qui ci conviene osservare, a proposito di siffatte de- terminazioni delle antipolarità e delle proposizioni sui triangoli e tetraedri polari viste al n. 30, che esse valgono, con poche modificazioni, anche quando a queste ultime locuzioni si dia un significato più ampio. Si chiami cioè autopolare ogni triangolo 0 tetraedro che sia trasformato in se stesso dall’antipolarità. Al- lora oltre ai triangoli polari finora considerati ve ne sarà una 2% specie, composta di triangoli in cui solo un vertice ha per polare il lato opposto, mentre gli altri due hanno per polari lati che li contengono e sono perciò uniti (sicchè l’ antipolarità deve aramettere un’iperconica fondamentale). Similmente oltre alla specie finora considerata di tetraedri autopolari ve ne sarà una 2°, in cui solo 2 vertici hanno per polari le facce opposte, sicchè gli altri due sono uniti per l’antipolarità (la quale deve dunque avere un’iperquadrica fondamentale); ed una 3°, in cui ciascun vertice ha per polare una faccia che lo contiene sicchè 4 spigoli del tetraedro formano un quadrilatero giacente nella iperquadrica fondamentale (la quale deve perciò essere rigata). Orbene, come s'è fatto per quelli di 1% specie al n. 30 così si può dimostrare in generale che se un’antinvoluzione ed un’anti- polarità hanno un triangolo o tetraedro per unito (v. la nota al n. 24) ed autopolare della stessa specie (con che intende remo pure che ogni vertice abbia per omologo nell’ antinvolu- LI zione quel vertice che non gli è reciproco nell’ antipolarità), le (*) Data un'iperquadrica mediante un tetraedro polare ed un suo punto P col relativo piano tangente x (della catena spaziale che congiunge P al te- traedro) si riconosce che l’iperquadrica è rigata o no secondo che, nella ca- tena semplice che le contiene, le coppie di rette del fascio P7 appoggiate risp. alle coppie di spigoli opposti del tetraedro non si separano mutuamente oppure sì separano. 356 CORRADO SEGRE due corrispondenze saranno permutabili. Così da un triangolo o tetraedro autopolare di qualunque specie di un’antipolarità resta determinato un sistema infinito di antinvoluzioni e catene per- mutabili a quella: per ogni punto passa una tal catena (n. 24); ed anche qui si vede come al n. 30 che la retta od il piano polare del punto in quell’antipolarità dovrà far parte di quella catena, piana o spaziale, e che inversamente se si dà in tal modo la retta od il piano polare del dato punto, da ciò e dal triangolo o tetraedro autopolare riesce individuata l’antipolarità. Ne segue che l’antipolarità piana è pur determinata dandone oltre al triangolo autopolare, di 1% o 2° specie, una coppia di punti reciproci distinti, purchè la catena piana che ha quel triangolo per unito della stessa specie e che contiene l’ uno di quei punti non contenga anche l’altro: poichè allora resta de- terminata la retta della catena che passa per questo secondo punto e che si dovrà assumere come polare del primo nell’an- tipolarità. 35. La rappresentazione analitica delle antipolarità e quindi delle iperconiche ed iperquadriche si fa assai semplicemente. Affinchè l’antireciprocità rappresentata (n. 9) dell’equazione dida Duri Un =: sia un’antipolarità, cioè equivalga alla sua inversa, dovranno la (1) e l'equazione sua coniugata (dilugii di e D: ENI equivalere a quella della reciprocità inversa Db; DANA le ossia, scambiando gli indici /, m: {2 pepetarsea i lA LAS Ora il confronto della (2) colla (1) conduce a: (8) e Art = Pm - h cià a rr rr yo_rU ove Amt =Um essendo le x e le y variabili (in numero qualunque) cogredienti, o a dirittura UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 389 ‘Se invece un'iperconica vien riferita ad un triangolo auto- | polare di 2° specie, la sua equazione prende la forma (9) Gjg &, Lat 4 do €, + agli = = 0a; e similmente per un’iperquadrica riferita ad un tetraedro auto- «polare di 2° specie si ha l’equazione (10) A,9%, da + 4, d3%, + 033%, 03 +0,y,%,%,=0, mentre se è rigata e si riferisce ad un tetraedro autopolare di 8° specie diventa (11) d,93 tg + 4 dd, + 43,030, +43 %,%,=0. Naturalmente anche in queste equazioni s’ intende che i coeffi- cienti verifichino la (6). (*) uguali, ha luogo un teorema d'inerzia analogo a quello ben noto per le forme algebriche quadratiche (e riducibile a questo col supporre reali tanto i coef- ficienti delle forme quanto quelli delle trasformazioni lineari che si considc- rano), che si può dimostrare con lo stesso ragionamento semplicissimo che si usa di solito per quello. Si può cioè in infiniti modi ridurre con una tra- sformazione lineare una forma siffatta alla forma canonica 2 a,%yY) ma sempre in quest’espressione, in cui i coefficienti saranno tutti reali, ve ne sarà un numero fisso di positivi (e di negativi) — Considerando l’anti- polarità che rappresenta geometricamente una tal forma si ha un’interpreta- zione geometrica di questo teorema d’inerzia (simile a quella nota relativa alle forme quadratiche). L’antipolarità non ha punti uniti se tutti i coefficienti della forma canonica sono dello stesso segno. In caso contrario, se il numero dei coefficienti di uno stesso segno è r, eil numero di quelli di segno opposto è = r, l’antipolarità ha un’iperquadrica fondamentale di quella specie che è caratterizzata dal contenere degli S,_, e non degli spazi superiori. (*) In generale per le iperquadriche di S,, oltre alla rappresentazione canonica accennata or ora nella nota precedente, se ne hanno altre corri - spondenti alle varie specie di (poligoni completi di 4+-41 vertici appartenenti ad Sg, 0) piramidi autopolari che l’iperquadrica ammette. Esse son date dall’equazione Zarm*rCag=0, ove ala) in cui 2, m indichino i numeri 4,...,d4-+1, accoppiati secondo una qua- lunque corrispondenza univoca involutoria; come si vede ad esempio nelle equazioni (8), ...(11). Allora la piramide fondamentale è autopolare: il ver. 390 CORRADO SEGRE Ì È Da queste rappresentazioni canoniche, ed in particolare dalla prima (che si trasforma subito nelle altre, ma ha il vantaggio di valere per tutte le antipolarità), segue immediatamente che due antipolarità della stessa specie (distinte o no), due iperconi= che, o due iperquadriche non rigate, od infine due iperquadriche. rigate, sono fra loro projettive (ed antiprojettive) in infiniti modi: potendosi prendere ad arbitrio due triangoli o tetraedri polari. come omologhi nella projettività (e nell’antiprojettività). (*) Sî. tice d’indice / ha per polare la faccia d’indice m, che è la sua opposta solo: per Y!=m. Se r sono le combinazioni d’indici distinti fra le coppie fm con- siderate, altrettante saranno le coppie di vertici della piramide (autopolare di specie r-+4) le quali giaceranno sull’iperquadrica, e questa dovrà (come appare da quell’equazione) contenere degli S,_,, ad esempio quelli fonda- mentali che congiungono rispettivamente i vertici delle r coppie. | (*) Delle trasformazioni lineari della forma Za}, 0%, (COM Amp = Gn) 0 se stessa. — Tali trasformazioni, vale a dire le collineazioni permutabili ad una data antipolarità, godono di proprietà analoghe (ma in certo modo più generali) di quelle delle collineazioni che mutano in sè una data quadrica, cioè delle sostituzioni ortogonali. Tanto dal punto di vista geometrico quanto. dal punto di vista algebrico esse presentano un grande interesse e meritano di essere studiate. Oltre poi all'importanza che esse hanno in sè, vi è da considerare, ad esempio, quella delle loro applicazioni alle funzioni di va- riabili complesse che ammettono delle trasformazioni lineari in se stesse. Invero le trasformazioni lineari i cui gruppi definiscono le funzioni modu- lari ellittiche, ed in generale le funzioni Fuchsiane (specialmente nelle ri- cerche dei signori KLEIN e PoincaRÉ su quelle funzioni), son rappresentate geometricamente dalle projettività che in una forma semplice mutano una catena in se stessa. Similmente, in lavori che già nell’introduzione ho ri- cordati, il sig. Prcarp si occupa delle funzioni di due variabili che am- mettono un gruppo di trasformazioni lineari a coefficienti interi, le quali corrispondono a certe collineazioni piane che mutano in sè un’iperconica fissa. E volendo generalizzare ancora si dovranno considerare quelle funzioni dei punti complessi di un S, che non mutano per convenienti gruppi discon- tinui di collineazioni, le qualirlascino fissa un’iperquadrica appartenente a quello spazio. — Appare dunque opportuno (sebbene pel seguito di questo Saggio non occorra) un cenno generale su tali trasformazioni. — Le particolarità di una collineazione di S, dipendono tutte, com’ è noto, da quelle del suo determinante caratteristico (v. Sere: Sulla teoria e sulla classi- ficazione delle omografie, ecc., Memorie della R. Acc. dei Lincei, ser. 3%, t. XIX, 1884): è dunque questo determinante che si tratta di esaminare, Supponiamo anzitutto che le sue radici siano tutte distinte, sicchè la col- lineazione abbia precisamente d-+4 punti uniti. Allora se essa è permuta- bile ad un’antipolarità, poichè i suoi punti uniti dovranno avere per polari rispetto a questa i suoi S,_ uniti, segue che quei punti saranno i vertici di una piramide autopolare per l’antipolarità. Dunque corrispondentemente UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 391 trarrebbero anche facilmente i criteri per distinguere la specie di un’antipolarità, senza ridurne l'equazione a forma canonica: così, nel caso dello spazio, vista l’invariantività del discrimi- alle varie specie di piramidi autopolari, vi saranno varie specie di collinea- zioni trasformanti in sè un’ iperquadrica. Assumendo poi quella piramide come fondamentale, la collineazione viene rappresentata da ag essendo le ps le radici del determinante caratteristico; mentre l’equazione del- l’antipolarità prende la forma indicata nella nota preeed., dipendente dalla specie della piramide autopolare. Quindi affinchè quella collineazione tra- sformi effettivamente in se stessa l’ antipolarità, o meglio la forma che la rappresenta analiticamente (il che suppone solo che sì scelga conveniente- mente un fattore per cui si moltiplicano tutte le variabili), è necessario e sufficiente che per ognuna delle coppie d’indici / m ivi considerate sia PrPm=1. Queste relazioni provano che: una collineazione qualunque non muta in ge- nerale nessun'antipolarità in se stessa, ma se per una collineazione avente precisamente d-4-1 punti uniti distinti esiste un’ antipolarità che le sia per- mutabile, saranno tali tutte le infinite antipolarità per le quali la piramide determinata da quei punti è autopolare della stessa specie che per quella (proposizioni che sono già applicabili per d =4 e quindi per le catene unite di nna proiettività sopra una forma semplice). Ma questi risultati si possono generalizzare ed estendere ai casi in cui il determinante caratteristico abbia radici multiple qualunque. Procedendo in modo simile a quello che per le collineazioni permutabili ad una quadriea io ho tenuto altrove (Ricerche sulle omografie 2 sulle correlazioni in gene- rale, ece., Memorie Acc. Torino , ser. 22, t. XXXVII, 1885; v. specialmente i n.i 2 e 3) si ottengono infatti, tra le altre, le proposizioni seguenti : Per qualunque trasformazione lineare atta a mutare in se stessa una forma iperalgebrica del tipo considerato, il determinante caratteristico ha le sue radici accoppiate per modo che ogni radice è coniugata al valor reciproco della sua associata e in particolare ogni radice autoassociata ha per modulo l’unità (sicchè nello sviluppo del determinante caratteristico secondo le po- tenze della variabile i coefficienti equidistanti dagli estremi sono coniugati, a meno di un fattore). A due radici associate distinte corrispondono divisori elementari del determinante aventi rispettivamente gli stessi gradi. Dalle note reciprocità che mutano la collineazione nella sua inversa e gli spazi fondamentali di punti uniti negli spazi fondamentali di Sj_, uniti risp. associati a quelli, facendole seguire dall’antipolarità data, si traggono delle anticollineazioni che trasformano la collineazione mella sua inversa, scambiando fra loro due spazi fondamentali di punti (0 di S,_,) che corri- spondono a radici associate e che perciò diciamo pure associati. Quindi i due spazi fondamentali di punti e di Sj_,, i quali sono associati ad uno stesso spazio fondamentale di punti saranno polari fra loro mnell’antipolarità Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. \XV. 29 392 CORRADO SEGRE nante e del suo segno, si ha che questo è negativo solo quando l’antipolarità ammette un’iperquadrica fondamentale non rigata. — Osserviamo ancora che se un’iperconica od iperquadrica è rap- presentata come luogo dall’equazione (7), se ne deduce che le sue rette od i suoi piani tangenti devono soddisfare l'equazione aggiunta (12) pa >. CER 0 ove @,,, indica il complemento algebrico di @,, nel discriminante della (7), sicchè dalle (6) risulta (Lap ns). cen ear Mile la (8) rappresenta dunque l’iperconica od iperquadrica conside- rata come inviluppo. Ecc. ecc. 3. L'equazione z Um 1 Ym 0 s OV0 Um=Um > rappresenta un’antipolarità nel senso finora dato a questa locu- zione solo quando il suo discriminante non sia nullo, il che si Ne segue che due spazi fondamentali di punti i quali non siano associati sono reciproci nell’antipolarità, cioè stanno ognuno nello spazio polare del- l’altro. In particolare ogni spazio fondamentale di punti che non sia auloas- sociato sta sull’iperquadrica. Se invece si considera uno spazio fondamentale di punti autoassociato e s’indica con r il numero dei divisori elementari di grado > 4 che gli corrispondono, esso sarà tagliato secondo un S,_, dallo spazio fondamentale di Sj_, che gli è associato e che in pari tempo gli è polare, e però toccherà l’iperquadrica lungo quell’S,_,. — Queste ultime pro- posizioni applicate successivamente alle varie specie di forme (quali furono distinte nella prima nota a questo n°) dànno risultati algebrici notevoli. Così se la forma trasformata in se stessa è definita, cioò equivalente alla somma Ze,r, delle norme delle variabili , il determinante caratteristico avrà tutte le radici (autoassociate cioè) col modulo uguale ad 1, e tutti i divisori elemen- tari di 1° grado. Ecc. Infine osserviamo che la relazione fra due radici associate del determi- nante caratteristico è rappresentata geometricamente dal fatto che sulla retta congiungente due punti omologhi qualunque della collineazione esiste un’an- tinvoluzione semplice in cui si corrispondono quei punti, come pure i due punti d’intersezione coi sostegni di due spazi fondamentali di Sj__, associati; (Quell'antinvoluzione è permutabile con quella dei punti della retta stessa re- ciproci rispetto all’antipolarità). UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 393 supponeva sempre. Però conviene considerare anche le antipo- larità degeneri, per le quali il discriminante è nullo (cfr. n. 10). (*) Si vede subito, in modo analogo a cose ben note sulle coniche e sulle quadriche, che nel piano un’antipolarità degenere di L? ‘specie fa corrispondere (come punti reciproci in essa) i punti posti su rette omologhe di un’antinvoluzione di un fascio di rette: se questa ha rette unite, l’antipolarità ha un’iperconica fonda- mentale degenerata nella catena di rette unite dell’antinvolu- zione (**); il centro del fascio di rette è il punto singolare o punto doppio dell’antipolarità e dell’iperconica ed è definito dalle | equazioni | (14) RRONGRONE Za aggi=0 5 (4 Se l’antipolarità è degenere di 2° specie, queste equazioni coin- cidono e si ha così tutta una retta di punti singolari a ciascun dei quali corrisponde ogni punto del piano: la retta stessa è (*) Definendo le antipolarità con equazioni tangenziali invece che con equa- zioni locali si avrebbero altre degenerazioni, corrispondenti per dualità a quelle che ora accenniamo. (**) Che gli oo5 punti di una catena di rette di un fascio formino un’iper- conica (e che similmente gli oo° punti di una catena semplice di piani for- mino un’iperquadrica, ecc.) risulta subito dall’equazione reale AB—AB—=0 che per la catena stessa abbiamo incontrata nella nota alla fine del n, 21; ovvero anche dalla rappresentazione parametrica che di tali oo” punti si vide al n. 14 (poichè uguagliandone le coordinate, a meno di un fattore, a quelle forme (3), ed eliminando fra queste uguaglianze e le loro eoniugate i para- metri e quel fattore col suo coniugato si ottiene un’equazione reale e lineare tanto nelle coordinate quanto nelle loro coniugate) — Valendosi della rappresentazione parametrica delle catene si vede facil- mente la natura dell’intersezione di una catena con una forma iperalgebrica rappresentata da un’equazione reale, Basta in fatti sostituire in quest’equa- zione alle coordinate (ed alle coniugate) le forme lineari dei parametri reali i, #,-.. (e le forme coniugate), che rappresentano la catena. Si avrà con ciò un’equazione a coefficienti reali fra quei parametri, la quale sarà di grado 2n se i due ordini della forma iperalgebrica sono eguali ad n. La discussione di quell’intersezione si riduce dunque all’esame di una forma algebrica a coef- ficienti reali di grado 2n, esame fatto dal punto di vista della realtà delle variabili \,,,... — Applicando ciò alle iperconiche ed iperquadriche si ha ad esempio che le loro intersezioni risp. con catene piane e spaziali che non vi giacciano sono le trasformate per projettività delle varietà dei punti reali ie, rr 3994 CORRADO SEGRE 1 allora il luogo dei punti uniti (00° anzi che 00°) dell’ antipo-. larità, e la definisce completamente (l’equazione dell’antipolarità riducendosi allora al prodotto delle due equazioni, fra loro con» iugate, della retta), ecc. Nello spazio un’antipolarità degenere di 1° specie definisce un’antipolarità non degenere fra gli elementi di una stella avente il centro nel punto singolare (dato ancora dalle equazioni (14)); ai punti di una retta della stella corrisponde il piano che è omologo della retta nell’ antipolarità della stella. Se questa ammette delle rette unite esse formeranno un cono iperqua- drico (di 1° specie), che sarà l’iperquadrica fondamentale dell’an- tipolarità parziale. Invece un’antipolarità degenere di 2° specie, cioè avente una retta di punti singolari, definisce una antinvo- luzione nel fascio di piani avente questa retta per asse, sicchè ove sia dotata d’iperquadrica fondamentale, questa sarà la va- rietà costituita dai punti di una catena semplice di piani (cono iperquadrico di 2° specie). L’antipolarità degenere di 3° specie si riduce alla corrispondenza fra i punti dello spazio e quelli di un piano fisso; i punti di questo sono i punti uniti (singo- lari). — (*) Per poter studiare meglio alcune altre proprietà delle anti- polarità che naturalmente si affacciano alla mente, per esempio di coniche 0 quadriche reali, e per conseguenza possono mancare affatto, 0 costituire catene coniche nell’un caso, e nell’altro le trasformate di quadriche ellittiche o di quadriche rigate: cose che per catene permutabili alle iperco- ‘niche ed iperquadriche sono evidenti e furono già rilevate, mentre per altre catene si potrebbero dimostrare sinteticamente considerandovi la corrispon- denza fra i punti che son reciproci rispetto all’iperconica od iperquadrica. — Così ancora se un’iperconica qualunque si sega con una catena semplice di rette del suo piano {iperconica degenere, o catena tripla degenere), dal fatto che su questa catena l’intersezione vien rappresentata da una forma quadra- tica reale quaternaria si trarrebbe che se essa contiene una catena rettilinea non posta su alcuna retta della catena nominata, ne conterrà in generale due schiere co! aventi le stesse relazioni mutue che le due schiere di generatrici di una quadrica rigata: fatto che risulterà pure dallo studio dei fasci d’iper- coniche. — Ecc., ecc. (*) Sulle proprietà metriche delle iperconiche ed iperquadriche. — Chia- mando diametri e piani diametrali le rette od i piani polari di punti e rette all’infinito rispetto ad un’antipolarità piana o spaziale, e centro il polo della | retta o del piano all’infinito, si hanno per l’antipolarità, e quindi per le iper- UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 395 i legami che passano fra i vertici di due o più triangoli o te- traedri autopolari in una stessa antipolarità, ecc., convien pas- coniche ed iperquadriche, delle proprietà di simmetria rispetto al centro (se non è all’infinito), ai diametri od ai piani diametrali, completamente simili a quelle note delle polarità, delle coniche e delle quadriche, e collegantisi alla nozione del centro di una catena rettilinea che si accennò nella nota sulle proprietà metriche delle catene semplici posta alla fine del n, 18. Su esse, come sulla distinzione delle iperconiche ed iperquadriche in specie basata sul modo di comportarsi rispetto alla retta ed al piano all’infinito, non occorre fermarsi. Un’iperconica che non sia tangente alla retta all'infinito avrà per equa- zione, rispetto a due diametri reciproci come assi cartesiani, arx+byy=ec, essendo a, d,c reali. Dunque le norme delle distanze di un punto dell’ iper- conica da due diametri reciproci son legate da un’equazione lineare a coeffi- cienti reali. Viceversa, se si legano le norme delle distanze di un punto da due o più rette del piano mediante un’equazione lineare (la quale sia possi- bile), il punto descriverà in generale un’iperconica, se i coefficienti dell’equa- zione hanno rapporti reali: perocchè allora una tal equazione equivale ad un'equazione reale bilineare nelle coordinate del punto e nelle coniugate. Invece non sembra che si possa definire in modo semplice un’iperconica conside- rando le distanze da punti fissi (come si fa per le coniche quando si ricorre ai fuochi): giacchè tali distanze introdurrebbero delle funzioni quadratiche delle coordinate del punto mobile. Applicando all’antinvoluzione fra i diametri reciproci alcune osservazioni fatte alla fine della citata nota al n. 18 si hanno altri risultati. Un’iperconica la quale non incontri la retta all'infinito ammette sempre una coppia di dia- metri reciproci perpendicolari fra loro, cioè una coppia di assi, ed in gene- rale una sola: ne ammette infinite (costituenti una catena) quando i punti ci- clici sono reciproci rispetto ad essa. Un’iperconica che tagli la retta all’infi- nito e però abbia una catena di asintoti (tangenti passanti pel centro) avrà pure due assi se i punti ciclici del piano non son separati da essa (sono en - trambi interni od entrambi esterni); ma non ne avrà affatto nel caso con- trario in cui essa separi i punti ciclici, ed allora vi sarà invece una coppia di asintoti perpendicolari (e ve ne saranno infinite se si presenta la partico- larità che i punti ciclici siano reciproci rispetto all’iperconica). Se poi si ha un’iperconica circolare, cioè passante pei punti ciclici, allora vi saranno infi- nite coppie di assi (costituenti una catena) ed infinite coppie di asintoti per- - pendicolari.-- Quanto alle iperconiche tangenti alla retta all’infinito, si vede subito che ognuna di esse ammette un solo asse di simmetria. Se nessuno dei punti ciclici è interno ad un’iperconica, questa ammetterà dei fuochi, cioè dei punti d’intersezione di tangenti dell’iperconica uscenti dai due punti ciclici, ossia punti da ciascun dei quali esce una catena circolare 396 FEDERICO SACCO sare addirittura allo studio dei sistemi lineari di antipolarità, di iperconiche ed iperquadriche: è in tale studio, a cui sarà dedicato il Cap. seg., che le dette proprietà troveranno il loro posto migliore. di rette tangenti all’iperconica. Tali fuoehi saranno in generale co? ed oltre che sulle due catene di tangenti condotte dai punti ciclici staranno pure (per le proprietà che presto si vedranno dei fasci d’iperconiche) su una nuova ca- tena semplice di rette, e cioè sulla catena di diametri che contiene gli assi dell’iperconica e che separa armonicamente i punti ciclici : ognuno di questi diametri contiene una catena rettilinea di fuochi, mentre ciaseun altro non contiene alcun fuoco. Se l’iperconica è reale (v. la nota alla fine del n, 32) i suoi fuochi reali formano in generale un cerchio. Per le iperquadriche si possono dare proprietà metriche analoghe : un’a- naloga equazione riferita ad una terna di piani diametrali reciproci; l’esistenza nel caso generale di uno o di tre assi; ecc. ecc.. i Sopra una mandibola di Balaenoptera dell’Astigiana ; Nota del Dott. FEDERICO Sacco In seguito alla morte di un privato collettore di fossili del- l’Astigiana, il signor Marchioni Giacomo di Asti, diversi interes- santi residui ossei mi vennero dagli eredi portati in esame e potei acquistare pel Museo geologico di Torino, già famoso d’al- tronde per le sue ricchezze paleontologiche riguardanti il terziario piemontese. Il rinvenimento di tali ossa non è quindi affatto di data recente, ma rimonta in complesso ad una trentina d'anni or sono, allorquando più intenso e sviluppato era il dissodamento dell’Asti- giana per la viticoltura. Anzi alcune di dette ossa erano già state bensì visitate dal Sismonda, dal Gastaldi, ecc., ma non si erano potute studiare, non essendone stata concessa nè la comunicazione temporanea nè la vendita a prezzi convenienti. Appartiene appunto alla categoria di fossili aventi tale ori- gine l’esemplare stupendamente conservato di £mys Portisî che ebbi a studiare l’anno scorso, pubblicandone la descrizione nelle Memorie di questa R. Accademia. J SOPRA UNA MANDIBODA DI BALAENOPTERA 397 ‘ Qualche tempo fa mi pervenne in modo simile un osso lungo ed appiattito, comunicatomi come una costa, ma che riconobbi tosto essere una mandibola di Cetaceo; d’altronde tale errore un po’ grossolano di determinazione è ben scusabile dal momento che il famoso cetologo Brandt considerò appunto come appar- ‘tenenti al primo paio di coste due mandibole di Balaenoptera Cortesi. L'importanza che ben a ragione si dà in Paleocetologia ai caratteri forniti delle ossa mandibolari mi indusse a segnalare la ‘mandibola suaccennata, interessante eziandio per la sua buona con- ‘servazione e per diversi fatti che vedremo in seguito. Tale man- dibola, secondo quanto mi venne riferito; proviene da Val Lunga (Casabianca) presso Asti, cioè dal Pliocene superiore marino (Astiano str. s.). È noto come in diverse epoche vennero raccolti ossami di Ba- lenotteridi in svariati punti dell’Astigiana, specialmente presso Montafia, Bagnasco d’Asti, Valle Andona, Dusino, Cortandone , Ca-Lunga, Castelnuovo Calcea, ecc.: tali resti, i quali apparten- gono ad una trentina di individui diversi, sono però in massima parte rappresentati soltanto da scarsi frammenti, specialmente da vertebre, e quindi hanno solo un'importanza. relativa. Gli sche- letri meno incompleti sono specialmente tre, cioè quello di Cor- tandone, quello di Montafia e quello di Bagnasco d’Asti. Orbene mentre la massima parte di tali resti è senza dubbio ‘attribuibile alla tipica Baluenoptera (Plesiocetus) Cortesii Desm., alcuni pochi presentano invece caratteri differenziali tali che lo Strobel credette opportuno costituirne dapprima una specie a parte Cetotherium Gastaldii (1) e poscia solo più una varietà della B. Cortesiî, mentre il Van Beneden li inglobò colla specie tipica (2). Il Portis nel suo accuratissimo ed importante studio (1) P. StroBEL. Notizie preliminari sulle Balenottere fossili subappennine del Museo parmense. Boll. R. Com. geol. ital., 1875. — Iconografia compa- rata delle ossa fossili del Gabinetto di Storia Naturale dell’Università di Parma Fascicolo 1, (Balenotteridi) Parma, 1881. (2) P.S. Van BENFDEN, Le squelette de la Baleine fossile du Musée de Milan. Bull), Accad, R. Belg. 2 serie, tome XL, 1875. — Description des ossement fossiles des environs d’ Anverse. Partie IIl , Annales Musée R. Hist. Nat. Belg., tome VIII, 1882. 398 FEDERICO SACCO sui Cetacei piemontesi (1) credette invece poter conservare questa forma Gaslaldii al grado di vera specie. Ma considerando quanto forti siano nello scheletro delle Ba- | lene le differenze individuali, rese ancor più accentuate quando trattasi di differenze sessuali e di età: considerando pure come . tali differenze siano talora anche assai spiccate tra un lato e l’altro (nelle mandibole ad esempio) dello stesso individuo, come ebbi a constatare su esemplari sia fossili che dei mari attuali; conside- rando infine che, mentre la maggioranza assoluta dei resti di Ba- lenottera del pliocene italiano viene attribuita alla B. Cortesti, gli esemplari che differiscono alquanto dal tipo e che vennero studiati . da diversi paleontologi furono attribuiti a specie diverse (tanto che nel Museo di Parma evvi la tipica B. Cortesi, nel Museo di Bologna la B. Capellinii, nel Museo di Milano la B. Cuvieri e nel Museo di Torino la 5. Gastaldi) ; per tutte queste con- siderazioni parmi che - sarebbe logico riportare quasi tutte le sovraccennate forme al tipo B. Cortesti, di cui diverse fra di esse costituirebbero soltanto varietà, chè altrimenti si arrischia di costi- tuire tante specie di Balaenoptera quanti saranno gli individui ben conservati e ben studiati che si andranno ancora scoprendo in avvenire. Riservandomi di fare in seguito ulteriori considera- zioni a questo proposito passo ora senz’ altro all’ esame della mandibola che è scopo della presente Nota. Allorquando mi accinsi allo studio della mandibola in que- stione, feci naturalmente anche studi comparativi coi resti simili che sono conservati nel Museo geologico di Torino, e fui spe- cialmente colpito dalla grande rassomiglianza di mole, fossiliz- zazione, ecc. , esistente fra la mandibola dell’ Astigiana ed un frammento mandibolare già descritto dal Portis (Op. cit. p. 40 — N° 5) il quale lo classificò come B. Gastaldi e, ignorandone il punto di ritrovamento, disse che forse era stato rinvenuto nelle argille plioceniche della riviera ligure e probabilmente di Savona. Ora nel corso del presente studio avendo per caso avvicinato questo frammento osseo colla mandibola di Val Lunga m’accorsi (1) A. Ports, Catalogo descrittivo dei T'alassoteri rinvenuti nei terreni ter- ziari del Piemonte e della Liguria. Mem. R. Accad. Sc. di Torino, Serie II, tomo XXXVII, 1885. SOPRA UNA MANDIBOLA DI BALAENOPTERA 399 ‘éon grande stupore che essi si combaciavano perfettamente; per ‘cui non vi è alcun dubbio che il frammento di Balenottera in- dicato col N. 5 nella Monografia del Portis, e proveniente dalla ‘collezione Gastaldi, fu trovato nell’Astigiana : è evidente che all’epoca del rinvenimento di questi ossami (pare verso l’anno 1832) essi furono divisi fra diversi raccoglitori; un frammento ‘andò a far parte della collezione del Gastaldi e la parte più interessante venne invece ritenuta dai collettore accennato sul principio di questa Nota; ora finalmente dopo oltre mezzo secolo i due pezzi sono di nuovo riuniti: solo è da deplorare che siano andate perdute le restanti parti che certamente dovevano pure | esistere assieme a quelle in esame. — —L’osso che passiamo ora a studiare rappresenta la metà, circa, | anteriore del ramo mandibolare sinistro di una Balenottera quasi i adulta ma di dimensioni non molto ragguardevoli. Il pezzo in esame è alquanto arcuato, ha la lunghezza di | circa 46 centim., l’altezza variabile tra 75 ed 82 millim., ed il diametro trasversale pure variabile fra 35 e 40 millim. ; Esaminando l’interno dell’osso nelle sezioni di rottura, si vede " che nella parte esterna esso si presenta compattissimo per lo spes- “sore di circa 4 a 10 millimetri, nettamente spugnoso all’interno “e con un largo foro subovoidale nella parte superiore; questo foro, che rappresenta il canale dentale, è ora completamente riempito di marna calcarea grigiastra compattissima. Nella sezione posteriore del canale dentale osservasi che presso il suo margine superiore esterno esiste un altro piccolo foro pure riempito di marna calcarea; trattasi del canaletto “secondario che, staccandosi dal canale dentale, va ad immettersi nel foro mentoniero il quale appare infatti un centimetro circa sl avanti. i La faccia interna della mandibola si presenta nella parte po- ‘| steriore subplana o solo leggermente convessa ; anteriormente invece appare, lungo la sua regione mediana ad un dipresso, un rialzo che va sempre più accentuandosi verso l’avanti tanto da costi- tuire una vera gibbosità che si abbassa poi rapidamente presso | l'apice anteriore della mandibola. Questo rialzo osseo, della lun- | ghezza di circa 12 centim. e delle larghezza di circa 2 centim., | verso l’alto si confonde gradatamente colla faccia interna della mandibola; invece verso il basso è ben limitato da un largo solco camalicolare che va sempre più accentuandosi ed approfondendosi 400 ‘FEDERICO SACCO verso l’avanti, finchè presso l’apice questo canale si rivolge ra pidamente all’insù, quasi a guisa di un >. bo La faccia esterna del ramo mandibolare è assai fortemente convessa nella parte posteriore; invece tale convessità diventa sempre meno accentuata verso l’avanti, tanto che nella porzione apicale la faccia esterna in esame presentasi affatto pianeggiante. Verso il margine superiore osservansi tre fori. mentonieri bet delineati, canalicolari, allargati e poco profondi .allo avanti, più stretti e profondi allo indietro dove penetrano entro la mandibola. Il solco mentoniero posteriore è lungo circà 5 centim., al- quanto obliquo, distante circa 1 centim. e !/, dal bordo supe- riore della mandibola. d | Il solco mentoniero medio, lungo oltre 7. centim., pure al i quanto obliquo posteriormente, dista di 1 centim., e 4 ad un di presso dal bordo superiore della mandibola. Il soleo mentoniero anteriore, lungo circa 6 centim., è assai più avvicinato al bordo mandibolare superiore da cui dista sol di 4 o 5 millim, L'orlo o margine inferiore della mandibola è semplice, su- bangoloso ma a spigolo arrotondato; verso l’avanti però questo. bordo diventa alquanto più allargato e presenta alcune asperità irregolari. | Il bordo superiore della mandibola forma posteriormente un. angolo alquanto più acuto che non il bordo inferiore; esso è special-. mente caratterizzato dal fatto che lungo il suo percorso, dal lato | interno, poco sotto l'angolo superiore, esiste una specie di canaletto o solco irregolare, interrotto tratto tratto, essendo in rapporto | con diverse e successive piccole diramazioni del canale dentale. Verso la parte anteriore della mandibola questi saltuari cana= letti, che potrebbero appellarsi solchi mentonieri interni, diven- ; gono più ‘accentuati, partono posteriormente quasi. dal. bordo superiore della mandibola e si abbassano poscia gradatamente al-o largandosi verso l’avanti, sulla faccia mandibolare interna. È Infine nella parte anteriore della mandibola, per. circa, LI centim., si osserva che il bordo superiore si sdoppia per l’apparsa di un profondo canale che è la. porzione anteriore del canale dentale ; detto canale va sempre più approfondendosi verso l’avanti, finchè giunto all’apice della mandibola si incurva rapida manie in basso, allargandosi contemporaneamente. L’estremità anteriore della mandibola vista lateralmente pre- SOPRA UNA MANDIBOLA DI BALAENOPTERA 401 ‘senta un profilo ovato-subrotondo; osservata invece di fronte (fig. 3) mostrasi irregolarmente appiattita all’esterno, fortemente gibbosa all’interno e profondissimamente incavata nella parte su- pero-esterna. Tale incavo, della lunghezza di quasi un centim., e mezzo e della profondità di circa un centimetro, si continua supe- riormente col canale dentale sovraccennato, e rappresenta appunto la terminazione anteriore, virguliforme direi, di detto canale. Oltre a questi caratteri osteologici è ancora da accennarsi che in diversi punti sulla faccia esterna della mandibola studiata os- servansi intagli e strie prodotte probabilmente dai denti dei pesci- cani che abboccarono le parti molli avvolgenti questo osso; tale ipotesi è resa tanto più probabile dal fatto che detti intagli trovansi solo sul lato esterno della mandibola. Invece sulla faccia interna, osservansi impronte superficiali, ondulate (fig. 1) prodotte forse da qualche Mollusco. Passando ora a comparare la mandibola studiata con quelle finora scoperte possiamo dire che essa, pure avvicinandosi assai a quelle della Bal/aenoptera Cortesti, diversifica in diversi punti sia dalla forma tipica che dalle varietà Cuvzeri, Gastaldi, Capellinii, ecc.; l’esame delle figure che presento del fossile in questione rende inutile un minuto esame comparativo in proposito. Siccome però il Portis dopo lo studio del frammento minore della mandibola in esame non esitò punto ad attribuirlo alla Ba- laenoptera Gastaldii tipica (di Cortandone), così credo opportuno indicarne i caratteri differenziali mostrati dal frammento maggiore ora studiato. La mandibola di Balaenoptera di Val Lunga (Casa Bianca) differisce da quelle della tipica B. Gastaldii di Cortandone per i seguenti caratteri principali: 1° diversa distribuzione dei forami mentonieri, 2° canale dentale anteriore esterno molto più lungo; 3° canale dentale, all'apice della mandibola virguloide e di- ‘scendente assai meno all’ingiù ; 4° profilo dell'apice mandibolare, visto di lato, ovato-subrotondo invece di subquadrangolare o subtriangolare; 5° rilievo e canale longitudinale della faccia in- terna più accentuati; 6° compressione trasversale maggiore. Considerando gli accennati caratteri differenziali, riscontrati anche solo in un piccolissimo frammento di scheletro di Balenottera, credo poter concludere che i due esemplari non sono identifica= 402 ‘FEDERICO SACCO bili. Neppure, come sopra è accennato, il fossile esaminato è identificabile col tipo o colle varietà conosciute di B. Cortesi. D'altra parte ho già indicato, sul principio di questa Nota, com e perchè sia deplorevole l’abitudine, direi, di costituire una nuov: specie quasi per ogni esemplare ben conservato di Balenottera tante e così profonde essendo le modificazioni individuali, sessuali di età, ecc. che possono verificarsi sui resti scheletrici di un: stessa specie. Quindi, tenendo una strada di mezzo fra i due me todi seguiti dai paleontologi, credo dover attribuire il fossi esaminato alla Balaenoptera Cortesiù Desm., di cui esso costi. tuisce solo una varietà o sottovarietà, per la quale propongo il nome di Portistî, dedicandola all’amico prof. Alessandro Portis, valente illustratore dei Cetacei piemontesi. i SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA —— Balaenoptera Cortesii Desm. Var. Portisii SaAcc. Fia. 1 Mandibola sinistra vista dalla faccia interna (il bordo su- periore è in basso), (!/, della gran- dezza naturale). tao È » » in sezione di rottura (grandezza na- turale). di 3 » » vista di fronte nella parte apicale ù (grandezza naturale). » 4 » » in sezione di rottura (grandezza na- turale). » 5 » » vista dal bordo superiore (!/, della grandezza naturale). ACCO. Sopra una mandibola di Ra] o Y la mandibola di Ba dell'Astigiano Tav IV bis foronp, Sucen 403 Sulle determinazioni di latitudine eseguite negli anni 1888, 1889, 1890 all'Osservatorio di Torino Comunic'azione preliminare di Francesco PorRo Della latitudine di Torino, elemento importante non solo per l’astronomia pura, ma ancora per lo studio della figura della terra in queste regioni dove essa presenta classiche anomalie, si occuparono, con diversi metodi e strumenti, varii osservatori sin dal secolo scorso. Nell'opera Gradus Taurinensis il Beccaria dà il risultato dellé sue osservazioni, :fatte sopra una torre, ora distrutta, che si ergeva a destra entrando in via di Po da Piazza Castello. Una nuova discussione delle misure di Beccaria, intrapresa verso il 1808 del barone de Zach (1), conduce al valore della latitudine. q= 45° 4° 18" 14, così discordante dalle altre più recenti misure, da togliere ogni attendibilità alle osservazioni donde esso proviene. Una serie dovuta al medesimo de Zach (2) fissa la posi- zione dell’antico osservatorio dell’Accademia a o=45° di 99 «SRI valore che, ridotto all'Osservatorio nuovo, poco si scosta da © = 45° 410%) Da 393 osservazioni dirette e per riflessione della stella po- (1) Mémoire de Mr. le baron De ZacH « Sur le degre du meéridien mesure en Piemont par le père Beccaria », lu è la séance du 16 juin 1810 (Mémoires de l’Académie impériale de Sciences, Littérature et Beaux Arts de Turin, vol XX). (2) Luogo citato. 404 FRANCESCO PORRO lare al Circolo Meridiano di Reichembach, eseguite negli anni 1822, 18253, 1824, 1825, e pubblicate nel volume che ha per titolo: Observations Astronomiques faites à l'Observatoire Ro- yal de Turin, Plana ricava per latitudine del centro di questo strumento : q=45° 4' 8",38. Finalmente Capelli, trovando questo numero soggetto a qualche incertezza per essersi affatto trascurata la flessione del cannoc- chiale, e per effetto di possibili moti del livello nella sua in- cassatura, sottopone a calcolo più accurato le osservazioni di Plana, e trova (1) pq= 45° 4' 6,694, mentre 24 osservazioni da lui fatte al circolo moltiplicatore gli danno = 45° 4' 5,72. Le discordanze fra questi numeri eccedono di gran lunga i li- miti del tollerabile in Osservatorio Astronomico; eppure più di mezzo secolo trascorse prima che la ricerca della latitudine fosse ripresa a Torino con più perfetti strumenti e con metodi più sicuri e rigorosi! Nel giugno 1885, ultimate le operazioni di longitudine, delle quali ho reso conto all'Accademia in una precedente Nota (2), il dott. Michele Rajna, astronomo dell’Osservatorio di Milano, eseguiva per incarico della Commissione Geodetica. Italiana una serie di 37 osservazioni col metodo di Bessel in primo verticale. Occupato in altri lavori, il Rajna non ha potuto ancora ri- durre queste sue osservazioni, le quali d’altra parte non sono forse in numero sufficiente perchè se ne possa concludere una la- titudine sicura sino al limite estremo dell’approssimazione oggi domandata. Mi è sembrato adunque opportuno di non attendere la pubblicazione dei risultati di Rajna, ma di procurare che colle sole forze dell’Osservatorio l’antica questione della latitu- dine di Torino trovasse pronta e soddisfacente soluzione. A. tale (1) Effemeridi astronomiche di Milano per l’anno 1833. (2) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXV, adunanza del 417 Novembre 1889, DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 405 scopo ho eseguito una serie di 140 osservazioni al primo verti - cale, fra il 19 gennaio 1888 ed il 29 marzo 1890 : di queste, venti sole furono eseguite coll’uso del filo mobile, secondo il noto ‘metode di Struve, le altre tutte ai fili fissi, con inversione del cannocchiale in entrambe le posizioni della stella, ad Est e ad Ovest, come pure fu prescritto da Struve. Nella presente Nota preliminare comunico all'Accademia i ri - sultati delle 120 osservazioni fatte ai fili fissi, le quali sono per sè già sufficienti a dare un valore della latitudine di Torino non inferiore per grado di precisione a quelli determinati recentemente negli altri Osservatorii italiani. Della piccola serie osservata al filo mobile non posseggo ancora tutti gli elementi di riduzione; ri- mando quindi la pubblicazione dei risultati ad essa relativi ad una Memoria definitiva, che spero di presentare all'Accademia quando il mio programma di osservazioni al primo verticale sia esaurito, quando cioè ciascuna delle venti stelle che passano a meno di tre gradi dallo zenit di Torino e che sono comprese nel Catalogo fondamentale di Auwers sia stata osservata dieci volte. A questa pubblicazione di un risultato provvisorio della la- titudine non mi sarei forse indotto per il solo desiderio di far cessare an’incertezza che non ridonda certo ad onore dell’ Os- servatorio di Torino, se non fosse comparso nel numero 2963 delle Astronomische Nachrichten un invito del prof. Helmert a tutti gli astronomi, perchè rendano di pubblica ragione i risul- tati delle osservazioni di latitudine eseguite nel 1889. Da una serie di determinazioni simultanee intraprese a Berlino, Potsdam, Praga e Strasburgo, risulta evidente all’insigne geodeta prussiano una diminuzione di circa mezzo secondo nella latitudine di questi osservatorii fra il terzo ed il quarto trimestre dell’anno scorso; è quindi importante che tali ricerche possano venire confrontate sollecitamente con tutte le altre contemporanee, perchè sia le- cito concludere con certezza che realmente nell’ultimo trimestre del 1889 4! polo boreale della terra si andò allontanando dall’ Europa. Sono lieto che a questa importantissima conclusione le osser- vazioni di Torino arrechino una conferma abbastanza sicura, benchè gli scopi differenti che io mi proponeva nell’intrapren- derle fossero più di ostacolo che di aiuto al manifestarsi di una variazione effettiva dell’altezza del polo. Infatti la molte- È f a 406 FRANCESCO PORRO plicità delle stelle osservate, che, come ho mostrato altrove (1 è condizione essenziale all’attenuamento degli errori provenienti; dalle declinazioni delle stelle medesime, sarebbe invece da evi tare nella ricerca delle variazioni della latitudine, donde tali errori per differenza vengono eliminati; e veramente alcune dif ferenze che io trovo fra i risultati di diversi mesi possono essere ascritte con quasi eguale certezza agli errori delle declinazioni, o ad un reale spostamento del polo terrestre rispetto alla ver- ticale. Nè è da dimenticare che le osservazioni furono eseguite in luogo bensì molto solido, sul medesimo pilastro che servì alle operazioni del 1885, ma che tale pilastro, sorgendo a 42 metri dal suolo, è sottoposto a forti oscillazioni, che possono alterare l’azimut dell’istrumento, e quindi introdurre sensibili errori nelle latitudine, il cui calcolo è appunto basato sull’invariabilità di’ posizione dello strumento nell'intervallo fra i passaggi della stelle | ad Est e ad Ovest. Mancando l’opportunità di collocare una mir al nel primo verticale (e la mira d'altra parte non avrebbe servita 0 che a sorvegliare l'andamento dell’azimut) ho dovuto acconten: tarmi di variare più che fosse possibile gli istanti delle osservazioni nella fondata speranza che le diverse condizioni nelle diverse ore della notte e nelle diverse stagioni dell’anno aumentassero probabilità di un compenso di valori e di segni fra gli errori: dovuti alla posizione infelice dell’Osservatorio. Ed ognun vede come questo, che fu prudente accorgimento per l’eliminazione di: errori accidentali, sarebbe stato inopportuna causa di differenze capaci di sommarsi colle variazioni della latitudine, o di mè scherarle affatto: mentre, avendo mirato a queste variazioni so tanto, avrei dovuto curare principalmente che le cause perture batrici si mantenessero costanti. Ù Nella mia citata Determinazione della Latitudine della Sta zione Astronomica di Termoli ho esposto i motivi che mi fannili preferire il metodo di Struve a quello di Bessel per le osser= vazioni in primo verticale, sopratutto quando non si sia indotti da particolari necessità di tempo e di luogo ad accumulare molte osservazioni in una medesima notte. Anche per la scelta delle: stelle, l’esperienza fatta a Termoli mi consigliò a limitarmi stret- PO I (1) Determinazione della latitudine della stazione astronomica di Leve] i Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXII, adunanza del 2 febbraio 1887. DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 407 tamente al Catalogo fondamentale di Auwers, che fornisce indi- scutibilmente il materiale più esatto e più omogeneo (1). Le declinazioni apparenti furono ricavate dallle effemeridi del Ber- liner Jahrbuch, o calcolate colle costanti di questo Annuario, adoperando per controllo entrambi i sistemi di formule e di co- stanti. In questo lungo e noioso lavoro mi valsi largamente del- l’opera dell’ing. Tomaso Aschieri, assistente dell’Osservatorio, il quale lesse pure le striscie cronografiche quasi per intero, e mi fornì le correzioni dell'orologio, da lui determinate al Circolo Meridiano a partire dal 29 marzo 1889 (2). Il metodo di osservazione e di calcolo al quale mi attenni è troppo noto in tutti i particolari, perchè io abbia qui a ri- peterne l'esposizione, mi limito ad accennare che tutte le pre- cauzioni insegnate da Struve furono da me scrupolosamente cu- rate; ed in modo speciale badai alla razionale ventilazione della cupola, alla precisione delle livellazioni ed alla maggiore pos- sibile tranquillità dell’istrumento fra il passaggio della stella ad Est e quello ad Ovest. Giova qui far notare un nuovo merito del metodo di Struve, col quale è solo necessaria in ogni osser- | vazione una metà del campo, e si può quindi (come io ho fatto costantemente) rinunziare durante un intero passaggio all’uso della vite ideata da Maskeline per trasportare successivamente l’oculare innanzi alle diverse parti del reticolo, assicurando in questo modo, come ha fatto notare lo Schiaparelli (3), una maggiore costanza nella collimazione. Fra il 19 Gennaio e l’8 giugno 1888 ho eseguito una prima serie di 16 osservazioni coll'istrumento Repsold C, avuto a pre- stito della Commissione Geodetica Italiana, adottando per ri- durre le letture del livello il valore di una parte determinato da Rajna e da me a Milano nel 1885, e riferito nella citata (1) Nelle ultime adunanze generali dell'Associazione Geodetica interna- zionale si è formalmente prescritto agli osservatori l’uso delle stelle del Ber- liner Jahrbuch, o quanto meno la riduzione a questo sistema della coordi- nate stellari dedotte da cataloghi differenti (2) Tutte le osservazioni astronomiche che si fanno all’ Osservatorio di Torino sono riferite mediante opportuni confronti al tempo del pendolo nor- male di Dent, del quale la correzione e l'andamento risultano da regolari osservazioni al circolo meridiano. Prima del 29 marzo 1889 io attendeva pure a questo servizio, ora affidato all’ingegnere Aschieri. (3) Effemeridi astronomiche di Milano per l’anno 1869, pag. 95 e 103. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc, — Vol. \AXV. 30 408 FRANCESCO PORRO : hl mia Determinazione della latitudine di Termoli. Dopo un'inter= ruzione di cinque mesi, le osservazioni furono riprese, (e prose- guite poi più o meno continuamente sino al marzo 1890) me- diante un nuovo istrumento che pure esce dalla celebre officina. dei Repsold, e che l’Osservatorio deve alla illuminata munifi- cenza del Consorzio Universitario di Torino. Trattandosi dell’u- nico strumento moderno di precisione che noi abbiamo, non credo affatto inutile descriverlo brevemente. Poco si scosta dal tipo degli altri strumenti trasportabili dei passaggi, che servirono nel 1885 alle operazioni della Commissione Geodetica Italiana. Il cannocchiale è spezzato, avente l'apertura di 30 linee parigine (pari a 67,5 millimetri), la distanza focale di 80 centimetri, dei quali 41 circa fra il centro dell’obbiettivo e quello del prisma, 39 fra questo e l’oculare. Il circolo orizzontale è sostituito da un robusto basamento triangolare, che assicura una maggiore solidità all’istrumento, e consente in pari tempo uno spostamento di parecchi gradi in azimut: per mio consiglio i costruttori hanno aggiunto un piccolo quadrante che misura siffatti spostamenti. L’oculare è munito di 17 fili di ragno fissi e di tre fili mo- bili, tagliati tutti ad angolo retto da due altri; l’intero reticolo. si può far ruotare di novanta gradi, in guisa da rendere i venti fili a volontà orizzontali o verticali. Una lampada elettrica ad incandescenza, collocata dalla parte opposta all’oculare, illumina egregiamente il campo; e la sua luce si può opportunamente moderare con una valvola a portata dell’osservatore. Notevoli perfezionamenti furono pure introdotti, rispetto ai tipi più an- tichi, nei metodi di sospensione del livello all’ asse orizzontale, dove l’intervento di due molle a spirale attenua gli urti inevi- tabili che potrebbero disturbare la rettificazione, e nell’apparato d'inversione, che è reso assai più solido, maneggevole e spedito. In tre quarti di minuto l’osservatore può comodamente invertire lo strumento sui suoi appoggi e puntare alla stella nella nuova posizione. Le immagini in questo cannocchiale sono di rara per- | fezione: quasi scompaiono le deformazioni dovute alla riflessione della luce attraverso il prima, e l’appulso della stella ai fili si può stimare con singolare precisione. Finalmente è da notare che i costruttori con savio accorgimento hanno collocato nell’in- terno del cubo centrale, applicandole direttamente al prisma, le viti che correggono l’errore dell’asse ottico, ottenendo in tal modo (a scapito di una certa maggiore comodità, che si aveva DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 409 dianzi, di poter correggere tale errore spostando il reticolo) il ‘vantaggio incomparabile di una grande costanza nella direzione della linea di fiducia. Il valore di una divisione del livello fu determinato ripetu- tamente nel 1888 e nel 1889 ad un esaminatore di recente acquistato dall’Osservatorio, osservando scrupolosamente le norme indicate nella mia citata Memoria sulla latitudine di Termoli. Dalle mie determinazioni, fatte alla temperatura media di + 29,8, ebbi P'—Rew295, mentre l'ingegnere Aschieri nell’aprile 1889, trovò, alla tempe- ratura media di + 149,9, bed 0948. Queste determinazioni non sono in numero sufficiente per dare con esattezza un eventuale coefficiente termometrico ; d’altra parte, essendo il livello munito di un serbatojo che permette di allungare od accorciare a volontà la bolla, la ricerca di tale coefficiente diventava affatto superflua. In tutte le determina- zioni di latitudine ritenni adunque senz'altro il valore costante ia" 07FL curando che l'inclinazione fosse sempre piccola, e che i segni del termine che ne dipende fossero alternati. Nel quadro che segue sono esposti i risultati delle determi- nazioni di latitudine, calcolate coll’ajuto delle note tavole di Otto Struve (1), e corrette, secondo le indicazioni ivi contenute, per l'andamento dell’orologio e per l’errore d’inclinazione. Per ragioni di spazio debbo limitarmi a dare i risultati già corretti e ridotti alla media dei fili, avvertendo che tutte le osservazioni, ad eccezione di pochissime, furono fatte a otto fili, e constano quindi di 32 appulsi. (1) Tabulae auxiliares ad transitus per planum primum verticale redu- cendos inservientes. Edidit Otto Struve, Speculae Pulcovensis director, 410 FRANCESCO PORRO Latitudine di Torino. STELLA STELLA tit |_—__—————————————————— rp_______-_|I't____________________[|——TTrTT--|\-—_—- DATA 1888 Gennaio 19 pel 19 > (0.520 » ‘22 Maggio 3 » 6 » 9 » 25 wii 020) Giugno 2 » 5 » 5 » 5 » 7 » 8 » 8 Novemb.19 ve I621 » 22 pe 21123 1 Ali pra 0525 Dicembre 1 » 1 » 1 » 2 » 3 » 3 » 4 » 5 6 » M. f Aurigae . ) Ursae majoris RAurigae ... B Aurigae . .. DO UBOrist: L'A 93 Bots 0°: 33 Bootis . 39'Bootis:, . 50 e Herculis... 33 'Boolis_, N° 33 *Bootis; as e Herculis. . ò Cygoi .... DEI ae e Herculis. ,. O Oygnr ot x Andromedae x Andromedae z Andromedae x Andromedae a (ygni x Andromedae x Cygni .. : Andromedae y Persei... : Andromedae x Andromedae vPersel .. x Andromedae « Andromedae : Andromedae ‘ Andromedae 8, 176 8, 773 7, 827 8, 169 8, 265 8, 382 8, 284 7, 276 7, 736 7, 790 8, 79% 8, 335 8, 880 8, 812 8, 108 8, 906 8, 407 7, 776 7, 978 7, 649 8, 492 7, 982 8, 404 8, 093 7, 864 8, 250 7, 603 8, 266 7, 654 7, 98 7, 662 » 8| « Andromedae » 9| © Andromedae » 10} « Andromedae » | !40!)*v1Perseneanee » 13 5 Persona 1889 Gennaio 7| » Persei . .. » 8| >» Persei... . » 8| 5 Aurigae . . . » 17]. > Perseiinne » 417| 4 Aurigae ... » 18.|.: » Persei Wi019. » 18| y Aurigae ... pf 49] ©» Persei >» @24| eAurigae .. » 25] e Aurigae . » = 27| e«Aurigae .. » 31) è Aurizaetitoo Febbraio 4 | = Aurigae . . . » 5| «Aurigae .. » 6| «Aurigae . .. » 44| sAurigae .. > 131 c‘Alnpat ne » 16| eAurigae... » 19| 4 Aurigae ... » 23! v5Auriza204008 » 24| 4 Aurigae . .. Marzo 6| ww Aurigae ... » 6| # Ursae majoris » 12131 Lyneistsaae 1388 7!',730|| Dicembre 7 » Persei .... 8, 001 DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 411 Segue Latitudine di Torino. 9 DATA STELLA DATA STELLA 45° 4 50 (8) 4' 1859 1889 Marzo 42|58 Ursae majoris|9”,008||Settemb.25 | &Cygni ....|7”934 » 13/31 Lyncis....|8, 494 VU SRGNBME E volti Mer 70806 » 14/410 Ursae majoris| 7, 861 pi; IRE 612 ».16|10 Ursae majoris|7, 499|| Ottobre 3| &Cygni ....|8, 022 MAL Lyncis. +, 1841467 >. deere ht 7 672 » 17|58 Ursae majoris| 7, 786 ) “degni I 40 men Lyncis ...... (9, 242 » “beilgeni.. . (7,928 » 25] 58 Ursae majoris| 8, 034 » SSUSMOEYENI | 4, 400 » 27] x Ursae majoris| 7. 583 » 23| «Andromedae |7, 683 » 28| x Ursae majaris| 8, 310|| Novemb. 7| « Andromedae |7, 090 Maggio 34 | 33 Bootis . ...|6, 631 » Bin Eygoiboci. n!p8L48 Giugno 1|33 Bootis.... |7, 424 » 8| »Andromedae |7, 663 » 4| e Herculis... |7, 479 » Sa Cypnis: cs. + 8, 483 » Gil Bools®. .... | 6, 225 » 9| Andromedae |8, 204 » IIMST.ZIAD, .. o18 8, 076 » 15| xAndromedae |8, 028 » Gia Gyguio .0, 0173732 » 417) Aurigae...|8, 256 » BihGrt2539140hsb. 7, 996 »24| w$ Aurigae...|8,275 »- .45| cHerculis...|8, 296 » 30| 4° Aurigae...|7, 999 MuegibileoMygaii... .. 7, 700|| Dicemb. 1|34 Lyncis....|8, 303 » 17| cHerculis...|7, 680 » a Sd Lyncis.,.r. +17,,842 » 17| «Cygni 8, 500 » «20036:Lyncis. ....17, 90 Drasio nai Hereulis::*1t0*|73525 » 21/10 Ursae majoris| 6, 971 meio oiCygni . . ... 7, 739 » 2340 Ursae majoris| 6, 923 Luglio 28| èCygni ....|8, 194 > (29|Gr.2593;.... ufaiali 11590 wi, RLyrae ....|8,437|| Febbraio 931 Lyncis... | 7,973 Settemb.14| è Cygni ....|7,996|| Marzo 1|10 Ursae majoris|7, 369 ME Gygnii ik... |57, 753 » d0mabbynceis. .. .‘|8, 147 meniiSi Cygni., .../. |7, 579 » ESilisobyncis..... 17, 490 glie: i Cygni ...... È 231 » 29| > Ursae majoris| 7, 274 412 L FRANCESCO PORRO La media aritmetica di questi 120 valori è o=45 4 7",942+0",029 (E.P.) e si può ritenere che questo numero rappresenti il valore più probabile della latitudine che sì possa per ora cavare dall’ esposta serie di osservazioni. Una discussione delle declinazioni adope- rate e delle correzioni relative sarebbe ora prematura, dovendo, come sopra ho detto, prima essere osservata ciascuna stella un numero uguale di volte. D'altra parte le recenti scoperte sulle piccole variazioni di posizione dell’asse terrestre ci debbono far È andare guardinghi nell’attribuire alle stelle differenze che forse È vanno, almeno in parte, attribuite alle oscillazioni del polo ri spetto alla verticale. Ad ogni modo, perchè si possa fin d’ora giudicare dell’ac-. cordo fra latitudini provenienti da diverse stelle, presento qui il risultato medio ottenuto da ciascuna delle 19 fondamentali ado- perate in queste osservazioni. Ho disposto queste stelle in or- dine di declinazione, perchè si veda come entro i limiti da me. adottati (che eccedono di un grado quelli che ordinariamente sono scelti dagli osservatori) la maggiore o minore distanza dallo. zenit non ha influenza sulle latitudini dedotte. Pare inoltre ra-. gionevole di ammettere che le variazioni dell’azimut non abbiano influito sull’esattezza delle operazioni; altrimenti le stelle più. lontane dallo zenit, per le quali l’intervallo fra i due passaggi supera le tre ore, non avrebbero presentato risultati così con-. cordi colle altre. ‘DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 413 Latitudini medie date dalle diverse stelle osservate. NUMERO STELLA Ò delle LATITUDINE OSSERVAZIONI BAurigae...... 44 56° 3 45% 4° 8% 10 eenonis....... 44 58 9 7, 656 mera ..... 44 58 6 8, 070 MNENEnI .......... 44 51 8 8, 092 Emir i... FSE ;. Son 58 Ursae majoris .| 43 46 3 8, 276 % Andromedae 43 43 10 8, 197 4° Aurigae .. 43 41 10 8, 144 neitis o... 43 40 2 7, 847 arniuritao.. 0. . ..i) 49 89 10 8, 142 31 Lyncis... ...| 43 33 8 8, 149 o, 4329 10 7 100 ) Ursae majoris .| 43 28 2 Tx 120 cmHerceulis:....... 42 40 7 7, 980 Andromedae ...| 42 39 10 7, 814 SMECIROR Du. L42014 10 Li Gaz 10 Ursae majoris . | 42 183 4 7, 406 REEZAd a... A2 Aud 3 8, 306 p. Ursae majoris . | 42 3- 3 13 dda 414 FRANCESCO PORRO - DETERMINAZIONI DI LATITUDINE A chiudere questa nota, non mi rimane che presentare le medie mensili, dalle quali appare manifesta la diminuzione se- gnalata contemporaneamente dagli osservatori di Berlino, di Potsdam, di Praga e di Strasburgo. NUMERO MESE delle LATITUDINE OSSERVAZIONI 1888 Gennaio........ 4 45 4 (R04S Maggio] oa 5 8, 075 Giusno:o i pe 7 8, 351 Novembre ...... 6 8, 201 Dicembre... 16 7, 885 I:889%Gernmaio n. (@x Be. 12 7, 996 Febbraio". .e «et 9 ts pine =} è Marzo i. a 13 8, 126 Giugno!.... sug. 13 7, 615 adbo @eP A. 8) 8, 392 Settembre ...... 4 7, 844 Oftabne,. 7 (e 6 7, 692 Novembre. ...... 9 8, 014 Dicembre. .4t;- + 5) 7, 98 1890 Febbraio-Marzo . . Ò 7, 5990 415 I minerali del gneiss di Borgone (Val di Susa); Cenni descrittivi del Dott. GiusePPE PiIoLTI Benchè il primo accenno, per quanto mi consta, intorno a questa zona gneissica, risalga solo al 1786, come vedremo in seguito, tuttavia è tradizione fra gli alpigiani di Vayes (località compresa nella zona di cui discorro, alla quale appartengono eziandio le cave di S. Antonino, di Villarfocchiardo, di S. Giorio sulla sponda destra della Dora Riparia e di Borgone sulla si- nistra) che le cave presso quel villaggio siano in attività da più di duecento anni. Il Barelli (1) poi osserva come « allorquando « sì costrusse il canale sotterraneo di Doragrossa in questa stessa « città, cioè nel 1830, si scopri a due metri circa di profon- « dità un’antica strada, creduta romana, che era tutta lastri- « cata di grossi e larghi cubi di un granito somigliantissimo a « quello di Vayes, e noi incliniamo a supporlo estratto da quelle « cave. » Data la poca distanza di quel villaggio da Torino (all’incirca trentatrè chilometri), parmi ammissibilissima l'ipotesi del Barelli. Per cui le cave di Vayes sarebbero quelle coltivate le più ab antiquo ed avvalora tale supposizione il fatto che mentre Borgone non è citato dal Barelli, dobbiamo venire fino alle opere del Sismonda, del Gastaldi, del Baretti e del Jervis per trovarlo menzionato. Siccome però le cave di Borgone sono situate proprio presso la stazione ferroviaria omonima e di lì a Villarfocchiardo è poca la distanza, ne derivò che le prime e quelle del detto villaggio assunsero in breve tempo un prepon- derante sviluppo sulle altre e ciò spiega come in commercio il (1) Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S, M. il Re di Sardegna. Torino, 1835, p. 66. 416 GIUSEPPE PIOLTI gneiss di Val di Susa sia più conosciuto sotto i nomi di gneiss di Villarfocchiardo (di cui già parlai in una mia Nota) (1) e_ gneiss di Borgone. Il Nicolis di Robilant (2) indica, discorrendo della zona gneissica di Val di Susa, che « les couches inférieures présen- | « tent, à leur sortie qu’ est inclinée vers l’Occident, du granit q « d’une qualité trés-dure, dont on a tiré une sorte de pierre |. « qui approche du migliarolo ou d’un granit quartzeux mélé « de tale ou mica noir et de grenat, dont on peut tirer de « gros blocs: la carrière en est à St.- Antonin. Le rocher con- « tinue à étre de la méme qualité dans les montagnes infé- « rieures jusqu'à Javen, à la Sacre de St-Michel et à Cu- « miane. Le voisinage de Turin a mis ces carrières en grande « réputation, parce qu’ on en tire tous les schistes quartzeux « appelès sarzs pour tous les usages économiques des bàtimens, « balcons, pavès, et pour la pierre de taille de toute épaisseur : « ce saris est fort mélé de mica argentin. Les fentes et les « séparations des couches des montagnes donnent de l’amiante « de toute qualité, le suber montanum, la caro (3), 1° asbeste « e l’amiante proprement dite. » Il De-Saussure (4) descrive anch'egli sommariamente il gneiss di S. Antonino, dimostrandone la schistosità; di minerali non accenna che al feldspato. Il Sismonda (5) in varie sue opere e segnatamente nelle qui sotto indicate s’'occupa estesamente della genesi e dell’ età del I gneiss di Borgone, nonchè della direzione degli strati; di minerali non cita che la tormalina a Villarfocchiardo. (1) Gneiss tormalinifero di Villarfocchiardo. Atti delia &. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXIV, adunanza del 12 maggio 1889. (2) Essai géographique suivi d'une topographie sousterraine, minéralo- gique, et d'une docimasie des États de S. M.\ en terre ferme. Mémoires de l’Aeadémie Roy. des Sciences. Turin, 1786, p. 239, (3) Varietà d’asbesto: vedi Hay, Traité de mineralogie, 2"* édit., tome 4, Paris, 1822, p. 588. ui (4) Voyage dans les Alpes. Tome 3, Neuchatel, 1796, p. 91 e 92. (5) Osservazioni geologiche sulla valle di Susa e sul Moncenisio. Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino. Serie I, vol. XXXVIII. Notizie e schiarimenti sulla costituzione delle Alpi Piemontesi. Idem, Serie II, vol, IX. Classificazione dei terreni stratificati delle Alpi fra il Monte Bianco e la contea di Nizza. Idem, vol, XII. ad I MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 417 1l Gastaldi (1) ed il Baretti (2) studiarono ampiamente an- ch’essi dal lato geologico la zona gneissica di cui discorriamo ed al primo si deve la denominazione di antico al gneiss cui ap- partiene quello di Borgone, che, secondo detto autore, si diffe- renzierebbe dal recente per essere più ricco di feldspato e quindi molto basico, per presentarsi sovente a struttura porfiroide e per non ammettere nella sua massa alternanza di pietre-verdi, mentre il recente sarebbe sempre a grana più fina, più cristallino, meno ricco di feldspato e, per contro, più ricco di quarzo. Il Gastaldi cita alcuni minerali del gneiss antico, ma essi sono fuori della zona gneissica di cui discorro; in uno poi dei suoi ultimi lavori (3) conchiude dicendo che il gneiss antico « è poverissimo di minerali e, per contro, ne è molto ricca la « sovrapposta zona delle pietre verdi. » Finalmente il Zaccagna (4) espose non è gran tempo il risultato dei suoi studî sulla geologia delle Alpi Occidentali e naturalmente nel suo studio viene anche considerata l’ elissoide gneissica Riparia-Macra cui appartiene il gneiss di Val di Susa. Appare perciò dal fin qui esposto che l’ argomento fu lar- gamente sviscerato dal lato geologico; però dal lato mineralo- gico, rispetto alla zona di Borgone, poco si fece, poichè non troviamo che dal Jervis (5) citata la formalina a Villarfoc- chiardo ed a Borgone e l’axinite a Borgone. Ciò m’indusse a ricercare minutamente per parecchi anni di seguito nelle varie cave summenzionate, a riprese, anche per farmi un’ idea della frequenza di talune specie rispetto ad altre ed espongo ora il risultato delle mie ricerche. Rinvenni la maggior parte dei minerali o nelle litoclasi op- pure là dove scorgonsi forti ripiegamenti, ben di rado dissemi- nati nella massa della roccia. Si può quindi supporre che i (1) Studi geologici sulle Alpi Occidentali. Mem. del R. Comitato Geologico d’Italia, vol. I p. 35, e vol. II, parte 2, p. 27 e 31. (2) Studi geologici sul gruppo del Gran Paradiso. Mem. della R. Accad, dei Lincei, Serie 3, vol. IL (3) Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi Piemontesi durante la cam- pagna del 1877. Idem, vol. II, p. 10. (4) Sulla geologia delle Alpi Occidentali. Bollettino del R. Comitato Geo- logico d’Italia, 1887, anno XVIII, pag. 346. (5) I tesori sotterranei dell’Italia. Parte 4, Regione delle Alpi 1873, p. 53 e 54, 418 GIUSEPPE PIOLTI movimenti avvenuti in essa (1) abbiano dato luogo a vani e permesso quindi alla sostanza mineralizzante di cristallizzare ivi. E di tali movimenti fanno fede le varie faz/les che s’' incon- | trano nella zona gneissica, particolarmente a Borgone; 1’ esame microscopico poi viene a conferma delle osservazioni geologiche, come dimostrai altrove (2). Il materiale di studio fu raccolto da me, fatta eccezione per moltissimi cristalli di quarzo che devo alla cortesia del dottor Biagio Rumiano di Villarfocchiardo, cui godo di esternare qui la mia profonda riconoscenza. I minerali finora da me trovati, comprendendovi i compo- nenti normali del gneiss allorchè essi si incontrano radunati in geodi od ammassi isolati, sono i seguenti, che dispongo per or- dine di frequenza, ben inteso relativamente agli esemplari che rinvenni io: quarzo, tormalina, clorite, ortosto, mica, albite, microclino, ematite, talco, anfibolo, cpidoto, zoisite, axintte, pirite, calcopirite, magnetite, psilomelano, calcite, menaccantte, fluorite, rutilo, galena, anatasio, grafite, brookite, ciamtte. Quarzo. — Comunissimi sono i cristalli costituiti unicamente dal prisma { Lui e dai due romboedri complementari { 100 } e {221 3; rarissima invece è la forma derivante dall’ associazione del prisma 211} col romboedro (100 }: di cristalli così co- stituiti non ne trovai che due , coperti ed in parte compene- trati da clorite, in una piccola litoclasi d’una cava prossima alla stazione di Borgone; sono circondati alla base da talco ed amianto. Di romboedri diretti (oltre al solito) non rinvenni che in un solo cristallo molto piccolo la forma {311 °, colle faccie lu- centissime I romboedri inversi sono: {334}, ‘ 557}, (1010 13}, ap- partenenti a tre cristalli differenti, tutti piccoli, il secondo ad esempio non misurando che nove millimetri in lunghezza e tre e mezzo in larghezza: le faccie di tali romboedri sono tutte fi- nissimamente striate ed alcune hanno uno sviluppo molto mag- giore delle faccie superiori, in zona, del romboedro {221}. (1) Zaccagna, Op. cit. pag. 379. (2) Op. cit. pag. 9. I MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 419 Comunissimo è l’emiscalenoedro (412), più spesso sinistrorso che destrorso; notevole è un geminato (analogo a quello figurato da G. Rose fin dal 1844) (1), in cui tale emiscalenoedro tro- vasi ripetuto su tre faccie di seguito del prisma esagonale. Meno frequente è la cosidetta faccia romba, ossia l’emiedria dell’ isosceloedro (412), che spesso è appena accennata od ha un perimetro rettangolare in causa dello sviluppo disuguale delle faccie d’altre forme fra le quali essa si trova. Le forme più ricche di faccie si rinvengono nei cristalli più piccoli e più limpidi; si direbbe quasi che le forze cristalloge- niche nei grossi individui non abbiano campo di estrinsecarsi tanto in diverse direzioni come negli individui piccolissimi. I cristalli sono quasi sempre ialini, raramente verdognoli, per inclusioni di clorite; ed altri minerali ho trovato inclusi ma- croscopicamente, cioè: menaccanite, tormalina, anfibolo (bissolite ed amianto), epidoto. I due primi si vedono spesso attorno ad un cristallo ed inoltrarsi nell’ interno, o, se si vuole, sporgere fuori dall’interno, la qual cosa non farebbe supporre una genesi simultanea, ma bensì che tanto la menaccanite come la tormalina siano state inglobate nella sostanza da cui si formava il quarzo. Nel quarzo compatto alternante colla biotite sono frequenti grossi inclusi di pirite. Non ho trovato cristalli voluminosi, poichè i più grossi hanno una larghezza massima di quattro centimetri, ma in tal caso sono molto corti, cioè sporgono poco fuori del quarzo compatto che loro fa da matrice. Frequentissime sono le corrosioni, tanto sulle faccie dei rom- boedri come su quelle del prisma: è frammezzo a quelle che incontrai qualche interessante minerale, come vedremo in seguito. Sulle faccie del prisma, molto raramente, notai una particolare cor- rosione leggiera, affatto superficiale, solo visibile sotto certe inci- denze di luce, paragonabile ai solchi che lascierebbe l’acqua scor- rendo sopra un piano pochissimo inclinato, costituito da fina argilla. Nel quarzo compatto latteo incontransi spesso inclusioni di cristalli di quarzo bipiramidato incolori, di cui taluni hanno la lunghezza di millimetri 0,037. (41) Ueber das Krystallisationssystem des Quarzes. Abhandl, der Kénigl. Akad, der Wissenschaften zu Berlin, Aus dem Jahve 1844. Berlin, 1846, pag. 270 e 271, fig. 33, 4920 GIUSEPPE PIOLTI Tanto nei cristalli come nel quarzo compatto sono frequen- tissime le inclusioni, sia a bolla fissa che a bolla mobile; fra quelle appartenenti alla seconda categoria è notevole una a forma cilindrica, in cui la bolla ha poco agio a muotersi e procede lentissimamente da un capo all’altro del cilindro per mezzo di tanti sbalzi da una parete all’altra. In talune invece il moto è rapidissimo e desse sono le più piccole; d’un’inclusione misurai il diametro massimo che trovai di millimetri 0,001842 e per la bolla semovente press’a poco la metà. Malgrado che tale fenomeno sia comunissimo e sia stato os- servato da una folla d’autori, tuttavia non cessa perciò di essere sempre altamente meraviglioso e non vale a spiegarlo il dire, come dicono taluni, che trattisi d’un’illusione ottica, poichè in tal caso non sì comprende come di due inclusioni vicine in una si veda la bolla muoversi e nell’altra rimaner ferma. E dinnanzi a quella sfericciuola che si muove viene spontanea alle labbra la domanda del Ribot: que savons-nous du fond des choses 2 (1) Tormalina. — Non è limitata al gneiss tormalinifero di Villarfocchiardo, ma incontrasi anche talora (benchè raramente) disseminata nel gneiss normale ed a preferenza però attorno a cristalli di quarzo o dentro ai medesimi. Così ad esempio in alto sopra Borgone, presso la borgata di Roccabruna, hannovi am- massi di quarzo compatto escavato per l'industria dei mattoni refrattarî: nel suo interno si rinvengono aghi finissimi di torma- lina nera perfettamente identica a quella che già altrove de- scrissi (2). Però mentre quella di Villarfocchiardo pel raggio ordinario ha un colore violaceo scuro, quella invece che s° in- contra accidentalmente disseminata nel gneiss normale (non nel quarzo) pel raggio detto ha una tinta azzurra scura. Notisi che l’accentramento tormalinifero è realmente a Villarfocchiardo , poichè se il minerale di cui discorriamo ivi è addirittura un com- ponente della roccia, attraversando la Dora e portandoci a Bor- gone diminuisce e più c’allontaniamo dalla zona tormalinifera più scema, tantochè sugli estremi confini dell’elissoide gneissica manca (1) La psichologie contemporaine. Revue scientifique. Vol. XLI, 1888, n. 15, pag. 451. (2) Op. cit. p. 10. — — 7. ———_—__ —m@ I, Te ___0, —' — ._ ——_" I MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 421 ‘completamente allo stato di disseminazione nella roccia e lo tro- ‘viamo solo là dove trovansi accentramenti di quarzo. Rinviensi pure sotto forma di microscopici aghetti nella clo- ‘rite, con colore analogo a quello del quarzo. Nella tormalina delle litoclasi, non in quella sparsa nel gneiss, ho osservato parecchie inclusioni a bolla mobile, Clorite. — Se ne incontrano frequentemente piccoli ammassi nelle geodi di quarzo, talora d’un bel verde, più spesso gialla- stra per alterazione avvenuta; pel suo modo di presentarsi al microscopio s'avvicina a quella varietà di clorite nota sotto il nome di clminte, poichè trattasi di tante pile di lamine esago- nali sovrapposte l’una all’altra. Le medesime si mantengono oscure fra i prismi di Nicol incrociati ed inoltre collo stauroscopio di Brezina si mostrano assolutamente uniassi. Nei vani su quarzo corroso spesso vedonsi impiantate laminette di clorite alterata comunicanti a talune faccie un colore giallo-dorato splendente. Mica. — Nel gneiss normale, sopratutto a Borgone, là dove sonvi forti ripiegamenti, osservansi spesso estese plaghe di biotzte ondulata, alternante unicamente col quarzo, di color verdastro, talora giallastra per alterazione. La mica bianca biasse è molto più rara e si rinviene o nelle geodi di quarzo associata al talco o disseminata nella clorite terrosa, dalla quale al microscopio facilmente distinguesi per essere incolora e pel suo modo di comportarsi alla luce polarizzata: è in lamine piane, non on- dulate come quelle della roccia, certo perchè cristallizzò libera- ‘mente in vani e non ebbe a subire pressioni. Ortosio. — Associata al quarzo non è rara la varietà adu- laria, più spesso di colore verdognolo (per clorite inclusa), in cristalli semplici, piccolissimi, talora letteralmente impastati col quarzo, talora isolati, costituiti dal prisma {110} e dai pina- koidi {001} {101}, le cui faccie sono finissimamente striate parallelamente allo spigolo prodotto dal loro incontro; spesso le striature sono ripiene d’aghi minutissimi d’amianto. Nelle litoclasi s'incontrano ammassi d’ortosio bianco o leg- giermente roseo, opaco, ma non in bei cristalli isolati come nel granito di Baveno, colla sfaldatura ben evidente. I preparati mi - croscopici lasciano scorgere larghe infiltrazioni di quarzo, indub- sti | | 422 GIUSEPPE PIOLTI biamente di seconda formazione rispetto al feldspato, contenente molte inclusioni a bolla mobile e microscopici inclusi di quarzo bipiramidato. Là dove l’ortosio trovasi a contatto colla bissolite è talmente infiltrato da essa che assume una tinta grigia speciale. Nel gneiss, in particolare a Borgone, osservansi grossi gemi- nati secondo la legge di Karlsbad, di color grigiastro, come elementi della roccia, tanto che questa assume in tal caso un vero aspetto di glhiandone: essi presentano una lunghezza mas- sima di cinque centimetri ed una larghezza di tre. Esaminati al microscopio sono torbidi, contengono molte inclusioni a bolla mobile, fatto notevole secondo i Sigg. Fouqué et Michel Lévy (les inclusions liquides sont très-rares) (1), comune secondo il Rosenbusch (2). Microclino. — Trovasi a Villarfocchiardo, compenetrato col- l’ortosio ed associato alla tormalina ed al quarzo: è bianco o quasi incoloro. È facilmente riconoscibile nei preparati microsco- pici per la nota struttura a graticcio e per l'angolo d'estinzione delle lamelle emitrope rispetto alle strie di geminazione oscillante da 15° a 16°. Fra quelle vedonsi intimamente frammiste lamelle fusiformi d’albite che danno luogo alla cosidetta struttura mi- cropertitica. Il minerale più spesso è torbido, in parte caolinizzato, ma anche fra le aree in principio di decomposizione la struttura caratteristica del microclino si mantiene visibile, come leggier- mente velata dal materiale di decomposizione che lo compenetra. Albite. — Più di frequente a Villarfocchiardo che altrove notansene aggregati di piccoli cristalli, geminati secondo la legge di Karlsbad, con grande sviluppo del pinakoide (010): nei pre- parati microscopici rinvenni parecchie inclusioni a bolla mobile. Questo minerale accompagna preferibilmente la tormalina, poichè non lo rinvenni dove mancano accentramenti di. quella. Ematite. — Presentasi raramente allo stato fibroso o d’ocra rossa in qualche litoclasi, in cui per decomposizione ha dato luogo (4) Minéralogie micrographique. Paris, 1879, p. 207. (2) Mikroskopische Physiographie. Band I, zweite Auflage, Stuttgart, 1885, pag. 514. J MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 423 a piccole masse d'’ocra gialla: nel primo caso trattasi di finis- ‘simi cristalli aciculari che spesso attraversano anche il quarzo ‘cui trovasi associata. Più comunemente mostrasi sotto forma d’e- matite micacea e rinviensi a Borgone, S. Antonino, Vayes; non la trovai nè a Villarfocchiardo, nè in altre cave della zona gneis- sica. Eziandio vedesi a mo’ di lamine minutissime nell’ interno di alcuni cristalli di quarzo, come pure nel quarzo compatto, comunicando all’ospite una tinta tra il violaceo ed il roseo. Anfibolo. — Più spesso sul quarzo compatto d’alcune lito- clasi ed anche talora fra corrosioni di cristalli di detto minerale sincontra la varietà bissolite d’un color grigio or chiaro ed ora scuro, or giallastro per clorite alterata interposta, or caffè-scuro per psilomelano frammisto e presentasi a mo’ di fiocchi o di pennelli finissimi, morbidissimi, costituiti da individui cristallini d’una piccolezza straordinaria poichè la maggior parte hanno un diametro trasversale che non supera la dimensione di millimetri 0,0015. Tali aghi sono fusibilissimi in una scoria di color ver- dastro; esaminati al microscopio presentano un dicroismo note- vole, dal grigio chiaro quasi incoloro, al grigio scuro. Poco fre- quenti sono le inclusioni a bolla fissa; nessuna ne trovai a bolla mobile, come nemmeno vi rinvenni le microliti d’ apatite fre- quenti nelle altre varietà d’anfibolo. Qua e là il colore della bissolite per gradi volge al bianco- argentino e si passa ad un vero amianto (come vedemmo già stato indicato dal Nicolis di Robilant) che in alcuni casi è ad- dirittura annidato entro a corrosioni del quarzo: sempre l’amianto fu da me rinvenuto associato al talco ed alla clorite. Epidoto. — Non lo trovai che a Villarfocchiardo nel quarzo delle litoclasi del gneiss normale (non del tormalinifero), sotto forma di minutissimi cristalli prismatici di color giallo-verdognolo della massima lunghezza di mezzo millimetro. Il Barelli (1) men- ziona l’epidoto nello steascisto porfiroideo fra Celle e Frassinere, ma Celle è nella zona delle pietre verdi contigua al gneiss, Fras- sinere poi trovasi nel morenico e le parti di roccia che spuntano dal materiale glaciale sono o micaschisti o calceschisti. Siccome (1) Op. cit. pag. 68. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XXV. SI 424 GIUSEPPE PIOLTI però il gneiss sotto al morenico passa al micaschisto, l’ epidoto potrebbesi fino ad un certo punto considerare come già stato osservato nella zona gneissica. Zoisite. —- La rinvenni sotto forma di piccoli prismetti, di color giallo-violaceo pallido disseminati nel quarzo e nel feldspato del gneiss a Borgone, disposti parallelamente alla schistosità; esaminati al microscopio presentano un forte tricroismo, secondo i colori rosa, verde-pallido, giallo. Pirite. — Poco oltre Villarfocchiardo, sulla sinistra di chi risalga la valle, esiste nel gneiss una lente della così detta calce magra, stata escavata, ossia di un calcare dolomitico a struttura saccaroide. Nei punti di contatto delle due roccie abbondano minutissimi cristalli di pirite, per la maggior parte completa- mente trasformati in limonite. In un cristallo non alterato, del diametro d’un decimillimetro e mezzo, ho potuto riconoscere le faccie d’un pentagono dodecaedro e dell’emiedria a faccie pa- rallele d’un esacisottaedro; quella però è la forma predominante. Inoltre fra gli ammassi di biotite già descritti sono relativamente frequenti cristalli tabulari di pirite, impastati colla mica, in gran parte alterati, del diametro massimo di millimetri 0,8 e minimo di millimetri 0,225. Predominano in essi le faccie dell’esaedro, secondo le quali si trovano schiacciati in un senso; poi vi si in- contrano sempre quelle dell’ottaedro e spesso quelle d’un pen- tagonododecaedro. Talco. — Trovasi quasi dappertutto dove havvi la bissolite e la clorite, come pure nelle geodi di cristalli di quarzo, sempre sotto forma di piccole laminette splendentissime, a preferenza però dove la bissolite passa ad amianto. Calcopirite. — Non la trovai che a Borgone, in alto sulla montagna, molto limitata, in granuli microscopici, che per alte- razione comunicano alla mica circostante il colore verde della malachite, colore che mi svelò la presenza del minerale di cui discorro. Dal Barelli (1) è citata una miniera di calcopirite sopra Mocchie, ma essa è fuori della zona gneissica. (1) Op. cit. pag. 68, 1 MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 425 Magnetite. — Incontransene a Borgone, fra la clorite ac- compagnante il quarzo delle geodi, perfettissimi ottaedri del dia- metro massimo di millimetri 0,2 e minimo di millimetri 0,05, come pure dove la clorite è associata all'amianto, ma in tal caso profondamente corrosi, mantenendo tuttavia il colore e lo splen- dore del minerale non decomposto. Psilomelano. — A Sant'Antonino nel quarzo compatto, a Borgone ed a Villarfocchiardo nelle geodi, rinviensi una polvere di color caffè scuro che alla perla dà le reazioni caratteristiche del manganese. La troppo scarsa quantità di materiale non mi permise di ricorrere all’ analisi onde decidere con sicurezza di qual ossido di manganese si tratti. Al microscopio offre l’aspetto d’un minerale decomposto; coll’ acido solforico ‘concentrato si scioglie completamente colorando la soluzione in roseo e quella mantenendosi limpida; uu pizzico posto sopra un piccolo sostegno di platino ed introdotto nel margine della fiamma d’un becco di Bunsen, colora quella in violaceo. E quindi parmi di poter conchiudere che si tratti d’un psilomelano potassico, poichè se il medesimo fosse baritico l'aggiunta dell’ acido solforico avrebbe dato luogo ad un intorbidamento nel liquido, per la formazione d’un precipitato insolubile di solfato di bario. Axinite. — Il Jervis (1) la menziona a Borgone entro 2 gneiss, però rarissima: io la trovai impastata coll’ortosio oltre che nella medesima località, a S. Antonino ed a Vayes, in pic- cole laminette fragilissime, nel gneiss. Questi aggregati presentano vani che dovevano essere riempiti da cristalli della stessa so- stanza, perchè sopra qualcuna delle pareti scorgonsi finissime striature che sono come la negativa di quelle appartenenti ai cristalli che alle dette pareti s’ appoggiavano. Ha un colore leggiermente violaceo, è splendentissima e su qualche faccia ve- donsi le note strie parallele all’intersezione del pinakoide O col (012); dà nettamente la reazione del boro. Pel modo con cui i cristalli sono incastrati, non ho potuto riconoscere che le faccie di due pinakoidi adiacenti (011) e {111} (secondo l’orientazione del Miller). (1) Op. cit. pag. D4. 426 GIUSEPPE PIOLTI In alcuni trattati, come ad es.: nel Phillips (1), nel Dana (2) e nel Naumann (3) trovo indicata pel minerale di cui discorro una reazione che assolutamente non ho potuto verificare, non solo col mio materiale, ma nemmeno coll’axinite tipica di Bourg d’ Oisans, cioè che colla perla al borace od al sal di fosforo’ quella diventi di color viola o viola-azzurro alla fiamma ossi- dante. La tinta che ve risulta è invece un caffè tendente al rosso, derivante dalla miscela del giallo di ferro col viola del manga- nese ; è tuttavia possibile che qualche varietà poverissima in ferro e molto ricca in manganese dia la colorazione suddetta, ma non può trattarsi d'una reazione generale caratteristica del minerale. È il caso qui di alcune reazioni indicate nei manuali come ca- ratteristiche, ripetute da un libro all’altro, e che persistono mal- grado la loro inesattezza, perchè nessuno si diede mai la pena di verificarle. Calcite. — Non la rinvenni che una sola volta a Borgone in una litoclasi, associata a clorite, sotto forma di esilissime la- melle esagonali analoghe a quelle descritte dal prof. Spezia (4). nel gneiss di Beura, bianche o leggiermente giallognole. Esse hanno l'aspetto d’esagoni allungati e sono attraversate da una serie di finissime striature dovute alla sovrapposizione di lamelle parallele alla faccia del pinakoide, poichè isolate si mantengono perfetta- mente isotrope fra i prismi incrociati; contengono grossi inclusi di cristalli di pirite. È probabile che questo minerale deva la sua origine ad acqua carica di bicarbonato calcico infiltratasi in una litoclasi del gneiss. Menaccanite. — A Villarfocchiardo, in alcune geodi di quarzo se ne incontrano piccole lamelle esagonali, di color marrone scuro per trasparenza, penetranti anche nell'interno di quello. Jl non essere magnetica ed il suo modo di comportarsi col sal di fo- sforo m’inducono a stabilire che trattasi d’una varietà molto titanifera. i 1 (1) An elementary introduction to Mineralogy. London, 1852 p. 349. (2) A system of Mineralogy. Descriptive Mineralogy. Fifth Edition. London, 1875, p. 298. (3) Elemente der Mineralogie. Zwòlfte Aufiage. Leipzig, 1885, pe 599. (4) Cenni geognostici e mineralogici sul gneiss di Beura. Atti della R Accad. delle Scienze di ‘Torino, vol. XVII, adunanza del 14 maggio 1882. i MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 427 Fluorite. — La rinvenni solo a Borgone in piccoli aggregati nella calcite; è bianca o quasi incolora: rotta manifesta netta- mente la caratteristica sfaldatura ottaedrica; vi si trovano in- clusioni di calcite. Rutilo. — Lo trovai molto di rado a Borgone sotto forma di finissimi aghetti di color giallo-miele, disseminati fra la biotite. Galena. — Trovata una sola volta nella stessa località in piccoli cubottaedri impastati nell’ortosio, del diametro di milli- metri 0,4, con grandissima predominanza delle faccie dell’esaedro. Anatasio. — A Borgone ed a Villarfocchiardo presentasi impiantato in microscopici vani sul quarzo corroso oppure fram- misto alla clorite, è perfettamente riconoscibile l’ottaedro {111} colle sue caratteristiche striature ed è anche nettamente visibile il pi- nakoide (001). Questi cristallini, il cui diametro massimo (in lunghezza) è di millimetri 0,425, rotti lasciano scorgere per tra- sparenza un colore verde-spinacci. Brookite. — Coll’ aiuto del prof. Spezia riconobbi la pre - senza di questo minerale, raro per l’Italia, sul quarzo, a Villar- focchiardo, sotto forma di minutissimi cristalli del diametro mas- simo di millimetri 0,4, presentanti un grande sviluppo del pina- ‘koide (100) (secondo l'orientazione adottata ora generalmente ) risultandone individui tabulari: per trasparenza hanno una colo- razione verdognola; la forma e le reazioni chimiche escludono che si tratti d’un altro minerale. Da quanto mi consta è questa solo la seconda volta che viene menzionato questo minerale in Italia, per la prima essendo stato riconosciuto dallo Struever (1) nel gneiss di Beura. Grafite. — Ne rinvenni microscopici granuli a Borgone in un ammasso di biotite d'una forte piega d’uno strato di gneiss ; se è nuova per la località, non lo è certamente per la zona gneissica, poichè è nota da lungo tempo nel gneiss del Mala- naggio che fa parte dell’elissoide gneissica cui appartengono le (1) Sulla brookite di Beura nell’Ossola. Atti della R. Accademia dei Lincei Rendiconti, vol. VI, fase. 3, seduta del 2 febbraio 1890, p. 77. 428 GIUSEPPE PIOLTI cave di Borgone ed il Barelli (1) cita la grafite a Porte, Vil- larperosa, S. Germano Perosa, Mentoulles, Bricherasio, Cavour, tutte località appartenenti all’elissoide Riparia-Macra ed anzi in alcune di esse era un tempo utilizzata per la confezione di cro- giuoli; qualche cava è ancora coltivata oggidì (2). Cianite. — Ne trovai poche laminette di color azzurro-ver- dognolo, appiccicate ad un cristallo di quarzo, a Villarfocchiardo ; col nitrato di cobalto danno la caratteristica reazione dell’ al- lumina; sono infusibili. Questa giacitura è abbastanza notevole, poichè la cianite in generale trovasi nelle roccie schistose sul quarzo compatto, ma non su cristalli di geodi. Appendice. Per due minerali o meglio per una pseudomorfosi ed un minerale non posso indicare la località precisa, benchè apparten- gano alla zona da me esaminata ed anzi il minerale seguente sia già stato indicato, come vedemmo, dal Nicolis di Robilant. Sovero di monte. — Nel 1883, in una delle tante mie gite a Borgone e dintorni osservai a Villarfocchiardo in un muro di cinta un grosso pezzo di sovero di monte sporgente alquanto fuori dalle pietre contigue. Pregai il proprietario di darmi qualche no- tizia al riguardo ed egli mi rispose saperne nulla, ma che cer- tamente quel muro era stato costrutto con materiali presi sul luogo: lo invitai a staccare il pezzo in questione e di portarlo a Torino al Museo di Mineralogia dell’ Università dove glielo . avrebbero comperato e dove è ora in mostra. E così risuscitò dopo 97 anni il suber montanum del Nicolis di Robilant! Ematite pseudomorfa di dolomite. — Da Borgone salendo verso la borgata di Roccabruna trovai un aggregato d’ ematite impastata col quarzo ed una sostanza terrosa bianca, in un masso di gneiss; fra quella si riesce ancora a riconoscere qualche fram- mento di cristalli di dolomite, e si scorgono inoltre romboedri (1) Op. cit. p. 47, 53, 63. (2) JERVIS, op. cit. p. 46 I MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 429 di un color marrone scuro che, rotti, presentano nell'interno una frattura scagliosa dovuta a lamine di ematite ben evidenti. Den- tro a tali romboedri si vede una specie di graticcio prodotto dalla intersezione delle varie lamine d’ematite disposte paralle- lamente alle faccie del romboedro; alcuni dei vani che ne risul- tano sono completamente riempiti da limonite. L’ angolo delle faccie dei romboedri corrisponde a quello del romboedro (100) della dolomite; di più le lamelle suindicate essendo parallele a quelle faccie potrebbero rappresentare le fessure di sfaldatura secondo le quali avvenne più facilmente la pseudomorfosi; per cui trat- tasi senza dubbio di ematite pseudomorfa di dolomite, specie di pseudomorfosi già descritta da lungo tempo dal Blum (1). In alcuni dei romboedri è ben nettamente visibile la faccia del pinakoide. Da questi modesti cenni descrittivi risulta come il mio la- voro siasi unicamente ristretto all’osservare e se a taluno potrà per avventura ciò parer troppo poco, risponderò coll’aurea sen- tenza del Ribot (2) che dans le domaine de la nature et de l’expérience le travail de l'homme ne se depense jamais en vain. (1) Dritter Nachtrag su den Pseudomorphosen des Mineralreichs, Erlan- gen, 1863, p. 241. (2) Giornale citato, p. 454. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. n tai F ina qauim SOA vot'{{on O x io: 104 98 i ” 9% troni. 4a ario ; soi cine bivannat £ ‘ 4 testa ti, Ii. BI! }»7. li SIDOORIADE da Ù vr de lat i ai * BUI: ib sfoisos A NE: tra s. : i a 1° ‘ DI arti sat a I LIOROTI CERTI É i } ATILA b: Be gta ne > Ì 3} pur, Losi JM a0 SrVeL “UU aee? LI) oiddi (A i C pd fi? è 3 | ra svinesd, REA i ] ) 1 i DI hood MOT . 3) ù GE ADUNANZA del 27 Aprile 180. Seone — Un nuovo campo di ricerche prio: 5 co E Sia 1888, 1889, 4890 all'Osservatorio di Torino SE DA È Piotn - _ I minerali del gneiss di i Borgone {Val di Susa). Fan” Torino — — To eterna ATEI DELLA RR. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI | © DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUB CLASSI Voi. XXV, Disp. 13°, 1889-90 —_—__— 29 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO — CARLO CLAUSEN Libraio della R, Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell'11 Maggio 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Bruno, D'OvipIo, Mosso, SPEZIA, GI- BELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Il Socio Cossa, Direttore della Classe, ed il Socio Nac- CARI, fanno scusare la loro assenza, motivata da ragioni di salute, rispettivamente per mezzo del Presidente e del Socio Basso, Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Socio Basso offre in dono all'Accademia, da parte dell’au- tore Prof. Francesco DENZA, sei opuscoli versanti su varii argo- menti di meteorologia e di fisica terrestre. Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo che segue: « Sopra alcune proprietà delle funzioni che dipendono da altre funzioni e da linee »; lavoro della signora Cornelia FaBRI di Pisa, presentato dal Socio SEGRE. « Sulla stella variabile U. Orionis (Chandler 2100) » : Nota del Dott. Francesco Porro, incaricato dalla Direzione del- l'Osservatorio della R. Università di Torino, presentata dal Socio Basso a nome del Socio NACCARI. Atti della R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 32 432 CORNRLIA FABRI LETTURE Sopra alcune proprietà generali delle funzioni che dipendono da altre funzioni e da linee ; Nota di CornELIA FABRI $ 1. Il Prof. Volterra in una serie di note (*) inserite negli Att; della R. Accademia dei Lincei ha preso a studiare le funzioni che dipendono da tutti i valori di una funzione di variabili reali. Io mi propongo con questa nota di mostrare che si possono senza difficoltà estendere e generalizzare le suindicate ricerche. Comincierò dall’indicare le formole che danno la variazione e la espressione in serie di Taylor delle funzioni che dipendono da tutti i valori di diverse funzioni di più variabili indipendenti, ampliando e generalizzando così quelle analoghe trovate dal pro- fessore Volterra. Per la definizione delle funzioni in parola, per la loro continuità, ed ancora per ciò che deve intendersi qui per derivata, mi riporto alle sopraindicate note. Se y è un elemento che dipende dai valori di una funzione © (2; %,...%,) di n variabili indipendenti definita nel campo C; mantenendo condizioni identiche a quelle che trovansi nelle note citate si giunge facilmente a dimostrare che: ti dI infila atte cel e=o0 € ec0 € de =| d (4,0 te 6,1) y'|[0 (2, da En) t0) sw 609] | d ds di. Cc La funzione y |[9 (,...&,) t,0%...t,1]| che comparisce nella for- mola precedente si ottiene nel seguente modo. Sia $, (2, ..-@,) una funzione continua e diversa da zero solo nella parte C, del campo Ce 1,9... 5 le coordinate di un punto P del campo C,, avremo: | (*) Sopra le funzioni che dipendono da altre funzioni. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol, III, fasc. 4, 6, 7. SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 433 yo (@-%) 6 4]= =lim SLI LT fo si d, (7 n) dp dn Sottoponendo la y a "odisioni analoghe a quelle imposte alla y otterremo : 2 cat È (10 E. pr j dr (6) y [[p, (01) da (22) t,]| dt, LI cb in cui la funzione y, |[9, (2,) -.-@,(4,),t]| è ottenuta nella ma- niera seguente. Sia 4,(x,) una funzione continua e diversa da zero solo nell'intervallo 4, 8, =, contenuto nell'intervallo a, d,; 1 1 1 Ur [g, (2,) ga (2a) tr.]| rappresenta il MI pr y[2,(2,),..-0,(2,) +54 (1,), 0, (2a) ]—y|[or(e) +. 02 (22)]| EIN VAI, i tra f: d,.(x,) dx e t, è l'indice di un punto situato nell’ intervallo dn dr, SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 435 Analoghe espressioni si ottengono per le d° y d°y d’”"y del de er sottoponendo successivamente le / UL dee (de a) a condizioni identiche a quelle che sono state poste per la y, laonde considerando la y | CA (e) + ed, (2); + pn (£0) +64 (2,)]| come funzione di e potremo applicare ad essa la formola del Uli > - Y ; Taylor, ed anche la serie, se lim Gara ed ottenere in tal de m_ x modo una espressione analoga alla precedente. Qui pure può dimostrarsi che le y, %, ..... non mutano in- vertendo l'ordine dei punti in cui sono calcolate. È superfluo osservare che formole e sviluppi consimili si ottengono per «n elemento che dipende da tutti i valori di n funzioni ciascuna di più variabili indipendenti. $ 2. Queste formole generali conducono direttamente a con- siderare le funzioni di linee, di superfici e di iperspazi qualunque. Siano Mu. a=€ (S) y=y (8) &=£ (8) le equazioni che definiscono una linea chiusa L dello spazio. Se @ è una funzione di L, essa sarà un elemento che dipenderà da tutti i valori delle (1) ed in particolare la sua variazione potrà ‘essere espressa da dg|[L]1=f(0.d0+9,dy+ 2.39 ds L in cuì s rappresenta l’arco della linea Z, e denotando con e, ff, 7, ì cosenì che la tangente alla linea Z nel punto s, ove sono cal- colate le derivate g', <', g'., fa rispettivamente cogli assi delle x, Y, #, la relazione che le collega è la seguente Ù 2. Ù PMR 1 Pr +P,P,t N90 ’ 436 CORNELIA FABRI quindi può sempre porsi: (*) \ gi=yB-f,C (2). | | g,=a,C-y4 g,=f, A— a B con A, B, C funzioni di linee. Non sarà fuor di luogo osservare che le g', &', 0°, dipendono, oltre che dalla linea ZL, anche dal punto s, di questa linea in cui sono calcolate, perciò sarà: va 95 | [L s1]| PI, == 9, |[L s,]| o, = q, | [L s1] | Quando la funzione ©|[L]| permetta di scegliere le A, B, C funzioni solo delle coordinate del punto s, e @}[Z]] si annulli col- l’impiccolire indefinito di L, si ha: (**) (3)... @|[L] ={(Acos nx 4 Bcosny+ Ccosne) de ove c è una superficie semplicemente connessa che ha per con- torno la linea L, e cos na, cos ny, cos nz denotano i coseni che la normale alla superficie o fa cogli assi coordinati. Queste par- ticolari funzioni sono state denominate funzioni di 1° grado perchè considerate due linee ZL, L, aventi un tratto L comune che debba essere percorso in direzione opposta secondo che si considera ap- partenere all’una od all’altra, si ha: o|[L,+L,]|=9|[Z,]}* @|[Zs]| : Denotiamo con " ” " " " u P rr» Payo Dx: d yes Dyya CAZZI CPT O 2ys (*) VoLtERRA, Sur une géneralisation de la théorie des foncetions d'une va- riable imaginaire. Acta Mathematica, vol. XII, pag. 233. Sopra la funzioni di linee. Accademia dei Lincei, vol. ]II, fase. 40. (**) VOLTERRA, note citate. SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 437 le nove derivate seconde della funzione @![L]| cioè le derivate prime di g', dr, o', calcolate nel punto s, della linea L, ove la tangente ha per coseni di direzione «, di %,; e denotiamo al- tresì con / ' / f i > hà Bd d'a. 5 le derivate prime delle funzioni A, B, C calcolate nel punto stesso; per le (2) avremo: da) , / VOR La , r Le 01) / Par VBA, g=NB,_ BC, NB B0. ' LUPI « deste Ul > / i Ù h: / E a C',- YA NA Aaa (0: MOT I LIT! / Ul Ù " era a BO pp pA',- «a B', 0 PA a B', Potremo quindi porre : LÀ 2 3 L59 QI 3 A I dA 64,5 AU Ag fg Asl B'=J2 Bf Bs B',= dB — yy Bs! y O <% Coe — }, (IA, (do — Ug e RA Ca! Vi EE Ba ALII — dg A B', = BB£ — 4, Ba ui 8, Cs i C3° ° Le quantità 3 I 2 3 A, A, Ag Bal, BI), Ria CO (958) ), Co dipenderanno dalla linea ZL e dalle coordinate dei punti s, s per cuì sarà: Ag=M;|[Ls so]: A$9=30|[L5;52]} 40=M}[L5150] A, I Es 9 Ju i sssle pd, NIPZERSA] B,,)=N,||Ls, soll; B,®= N,|[2 5,80]; Bo0= NM |[Ls, 53] MOI Esc]; BM = Ls sl B,,°= N,|[Lsy5,] Co —P.|[Ls,so]: Co © — Pi{Ls;sdl: C,)= P.|[Ls55]| Cl 0= P.|[L s,5,]]; C,©=2;|[L505,]]: 00=P[Lss8,] 438 CORNELIA FABRI Avremo adunque AIRES A” (2) _ (I) ra (2 2 (3) [Ra JoBo V Po Bro BiYo Cie) +? Po Cho Lt 3 1 3 Pi I Py 91% Be — Wta Bo! — B 0, C+ BOSE pin Ba NB Ba 004 ito Got af Calisagite di Tita Po dali d ya j " 3 5 î a, A (4) / O ,y-%,% Si 0 Ga do Due +Y Ye 2h, ©' pa = ty Po Os 2g Ci -— 1 Bo A+ 5A ph ‘Pra CI POSSE LB Ana te Bo o apx Ara + Bota Ae" — 2% B, +44 BO) PIRA da —{,% A af. Bir 4, Za Di LT ed evidentemente le nove derivate seconde della funzione @|[L] dipenderanno, oltre che dalla linea L, anche dai punti sj; ss di questa linea nei quali esse sono calcolate. Poniamo per condizione che le nove quantità A, AO AO SB BI Bi CO siano funzioni esclusivamente delle coordinate dei punti s, s,. Per la proprietà che hanno tutte le derivate di una funzione di linee di non mutare invertendo l'ordine dei punti in cui sono calcolate dovremo avere: (1) — (1) (e (2) 1) 3 Ap =Ag Be =Ag Cz Ag 0 - t) (a) (2) PE 3 Ag = Bai Be =Ba" C,35) = Bal! SARO; (3) — (2) (3) — 3 Ag = Co By = Co 0 = 0. Poniamo : pi AMSA BA pa A 0 tap I 2 1) = (2 2 3 Pa yi 4 5,0 DIS eli ; Pi, 3 ZIO Gi =b, pe FA (9) ea (1) ue (S) e 2 ; da g)_= a Pro pr Ca, Py = Bo Cat Pi Ch pa 0, | supponendo che le p non mutino permutandone gli indici, «;, Yis #; e denotiamo con c una superficie che abbia per contorno SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 439 la linea L; per la (3) avremo, ammettendo che ABC sì an- nullino per L=0, di | (P,7, 008% +-Px,5,005N3Y + Pr, 2,005 Ng 2)do o 54= fo, x, €08 UP + Pr. COS 72, Y +Dy :, COS Ng 2) de o bW= | (P:,2,008N3X + D., 5, COSNIY+- Ps 2, C05Ng 2)de o in cui cosn,%, cos 2,Y, cos n, denotano i coseni di direzione della normale a 7. Mantenendo fisso il punto s, passiamo dalla linea ZL ad una linea chiusa L, ad essa infinitamente vicina; se indichiamo con S una superficie condotta per queste due linee e con cos, x cosn,y cosn,zi coseni di direzione della sua nor- male, avremo: (5) e|[L]l—@ [Z,]}= (cos 2+8 cos niy+ Ccosn, 2) dX; x sostituendo alle ABC i valori precedenti e passando al limite per L,=0 supponendo che per L=0 sia @|[L]|=0 si ottiene: Px,x3 005%, £ COS N LT Pa, y3 08 N X COSN YA + Pa, :, 008,7 C08N, 2 + 6) e[Z] si :ff + P,,x3 008, YCOSNL 4 P,, 7, €05, Y COS N Y+ c'e +P,,:, 008, Y COS, 2 + do ds. + P;, 2,008 # 2 COS NC + Di, y3 COS N COS Ng Y+ Z41Y2 + P:,-,005 2, 2008 Ng 2 . Se la superficie c è chiusa dovrà risultare | (Pr, 2,008 MLT PD, y, 008 NY +-Px, 1,008, 2)de= dp. n) Ò C Pars 1 Parnag TAR P n 440 CORNELIÀ FABRI J (D,, x, 005% + Py, y300893Y +.D,,:, 008,2) do= o Ò h) dp, . [| dat 4 aa 4 Pyis ds=90, Lo D) $ h) Ya CA {pa COS C+ p., ,,005%,Y+ PD, 2, 6082) do = o J Ss Persa | OParya Pars USD Ò x, Ò Yg dz, essendo ,S lo spazio racchiuso entro ©, quindi: 0 Pr, s3 Opi: Op 152 di aa E £ 15 — () dz, na dY, i ZA (7) Cie dl: Pres Pun Pao 0%, 0 Y, ZA Ò p, dp. 0p, : Re I) 51 9a 31 392 2a) d%, da 0Y, 1 d 2, e mutando s, in s, OPasn | Pan Pra _() da, dY, dz; (2 { Pron j Pran Pa 0 dx, dY, 02; Late A ra — 0 Xi dY, dz, È molto facile riconoscere che se nélla formola (6) le inte- grazioni si estendono a due superficie 7, 7, differenti, invece che due volte alla stessa superficie 7, il valore dell’integrale doppio resterà dipendente solo dalle linee ZL, L, che costituiscono il con- torno delle superficie suddette. Infatti denotiamo per brevità con f,}p{ la quantità che si trova sotto l'integrale doppio nella sud- detta formola (6) e con 9’, 7, due superficie distinte da c, c, aventi rispettivamente per contorno le linee L, L,. Se porremo : ie be oot+to=t%t: 54 og = SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 441 le X, £, risulteranno superficie chiuse e quindi avremo : | dig a IS] Rs SI a gif apifoepa) slemzathà fil atper 140,= | n f.|p{ dr de=J{f}2{024%- 7, Za 7 Tg 94 dg Ig _ {k.|p{aa,dot=- | VATACLAEZE f(f|o| da da= f {{}p(d2,dn= Jh}{d2doy- G, 59 ; c Z,-% % È, 72 -S{al tr,aat=-f {f}pliave : dd jade | ag, da,={ {£ PI dodo, , 9, 0. ossia ciò che dimostra la proposizione enunciata. Possiamo quindi porre f ff.jo|do,d2,=4 [1 La] 5 Gi Ta ed è pur facile vedere che questa funzione è di 1° grado tanto in L, quanto in L,, che si annulla per L, od L, uguali a zero e che coincide con @|[L]] per L, uguale ad L,. Da ciò segue che se L, ed L, sono due linee aventi un tratto L comune che debba essere percorso in senso opposto secondo che si suppone appartenere all’una od all'altra, denotando con o, e 9, due superfici limitate rispettivamente dalle linee L, ed L, avremo: g|L,+£,]}=:f ff}! do, de,=1{{f.|p}d0,d2,+ Gitto Ct %a ca 7 A) | f\p{d0,do,+ ad pi do,do,= Siitoa Ga Ta =9 [L,]] +2 912, L:]|+9|[2a]]. 449 CORNELIA FABRI Reciprocamente se si ha 0=%4|[ZL]|, essendo VL,; Le] una funzione di primo grado in L,e'L, la 9|[Z]| sarà espri- mibile mediante un integrale esteso due volte ad una superficie — che ha per contorno la linea L perfettamente analogo all’in- tegrale (0). Infatti le proprietà della 4|[Z,L,]| consentono che venga espressa nel seguente modo ; to IZ, L:]l=/(4, COS #, & + Bb, le de C, FESTA 2) da, ia, ta 1 = J (A, cos n, x + Bb, cos n, y + C, cos n 2) dc, . 0 Quindi dovrà essere: A, al cosne+ A, cos ny +A,"cosn,2) do, ; c. 2 / ' ! 4,=/(4, cosn, + B, cos 7, Y + C, cos n; 2)dc, 7 PI A =((B,'cos n3£+B, cosnay+ B," cosn, 2) do, ; Gg " ”" Ud 5,4; eos n,x+ B, cosny+ C, cos n, 2) da, ; 7 C, ={(0/cos n,x + C, cosn,y+C,"cos n, e) do, ; a Cy= { (4, "cos ne + B,° cosn,jy +0," cosn; e) de, Ta dalle quali si deduce v|[Z, Z,]|= 1 A, cos, #cos nyc + A,"cosn, cos NY +4, cosn, 2 cosn,e Ì f w ur = ‘+B, cosn,ycosn, zx +B, cos, ycosnyy +5, cosn,ycosnsz ide, d +0, cos n, 208,1 + C, "cos n, 208, + C,“cosn,z cosn,e ma dI[LL]|=e][Z].; SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 4453 quindi g|[L]}= | A; cosn, ccosny x + A," cosn, 2 08 n3Y + A," cosn, 4 c08 n, 2 + B,' cos n, y cos n, 7 + B,' cosn, y cosny + B,!" cos n, y cos n, 2 | do do U | + C'cosn, 2 cos na + C;" cosn, 2 cosnyy + 0" cos n, 2 008 n, 2} Denotando con 2, y;, le coordinate del punto di 7, la cui normale è n, e con 37222 quelle del punto la cui normale è n, avremo che i coefficienti LU II I U/ " (2 ' n "I n n Di; Bw, Pio ) E) CEI", saranno funzioni di %,,%;; 2, © %2» Ya, #2- Mutando nell’ inte- grale precedente «,; Y,; 2, iN %2, Ya, #2 il suo valore non cambia. Prendendo la media di queste due espressioni di g|[L]| si trova @|[L]] espresso sotto la forma (7). Per questa proprietà denomineremo funzioni di 2° grado quelle ora considerate; la quale denominazione ci sembra ancor più giustificata, perchè a questa categoria appartengono sempre le 2° potenze delle funzioni che si sono chiamate di 1° grado. S 3. I risultati fin qui ottenuti non sono che un caso par- ticolare di altri più generali che ora mi propongo di esporre. Con una derivazione eseguita sulle (2) abbiamo ottenuto le (4) e da esse derivando nuovamente possiamo ottenere le 3° de- rivate terze della funzione ©|[L]| espresse mediante le derivate delle funzioni ( 3 [ 2 5 I \ 3 (8). ° As È o A n Bo , Br 5 Bo 008 I, CA n Cho che si trovano nei secondi membri delle (4) suddette. Se ora osserviamo che alle derivate delle (8) sono applicabili le (2), otteremo evidentemente le 3? derivate terze della 0|[L]| calco- late nei punti s,,5,,5, della linea L espresse mediante i coseni di direzione delle tangenti alla linea L nei punti s,,53;83 € 9° funzioni di L e delle coordinate dei punti suddetti. Analogamente partendo dalle’ formole così stabilite per le derivate terze potremo ottenere le 3! derivate quarte della funzione ©|| L]| calcolate nei punti s,; S3; 8 s, della linea L, espresse mediante i coseni di direzioni delle tangenti alla linea L nei punti s,,53,53:54 © 34 444 CORNELIA FABRI funzioni di L e delle coordinate di questi punti. In generale le derivate n°” della @|[LZ]| calcolate nel punti 8153. + + S, della linea L potranno esprimersi mediante i coseni di direzione delle tangenti alla linea L nei punti s,, s,... s, e 3” funzioni di L e i delle coordinate dei punti 5,,s,... s,. Supponendo che queste | funzioni risultino indipendenti dalla linea LZ, vale a dire siano | solo funzioni delle coordinate dei punti S]1 59: » + Sn: @llora esse possono tutte indicarsi con espressioni analoghe alla seguente: Py x Y Y 3 z OA e ini dA uando x,...%, 1 Sdf 58 q di Di YA, Ya, Lu gruppi di » elementi che possono formarsi colle 3 quantità . é, denoti uno qualsiasi dei n Ly 4 Caf DI YE La colla sola condizione che elementi x,y, di eguale indice non figurino nello stesso gruppo, ed in oltre pongasi la condizione che le funzioni stesse non mutino valore permutando comunque si 700, Adi di. i, CE gl 101, Li Cratblizea Sp Figi In questo caso può dimostrarsi che la funzione ©|[L]| viene espressa mediante un integrale esteso n volte ad una superficie e che ha per contorno la linea L nel seguente modo: SR Ca 1 | g[L]|= e, x (9) / r h n 0 )) ; È ca ] bi Da) zi i CARO), .] | cos ni, % | | cosnyg] | C08N7E I . 14 DA A 5 GC I r+i h+1 Abbiamo già veduto che questa proprietà sussiste per x uguale ad uno od uguale a due, basterà dunque supporre vera la (9) per le funzioni di linee le di cui derivate n°, calcolate nei punti s,;s3...s, della linea Z dipendono nel modo sopra in- dicato dai coseni di direzione delle tangenti nei punti 8; So och della linea L e da 3” funzioni delle coordinate di questi n punti e dimostrare che la formola analoga si ha per quelle funzioni 9|[L]| che hanno le derivate (n+1) esprimibili in modo simile per 3"*' funzioni delle coordinate degli (n-+1) punti in cui sono calcolate. Per dimostrare ciò osserviamo che per la 9|[L]] vale la formola (5) e che, per le ipotesi fatte, le A, B,C sono esprimibili mediante la (9) ossia per un integrale SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 445 esteso 1 volte alla superficie 7, laonde sostituendo nella (5) alle A, B,C queste loro espressioni e passando al limite per È = ofonendo che per L=0 sia @|{L] vu 0, risulta immediatamente, dei I Pr ses TL sese 5 sis il > COSE REI ARI AA A i cos 78, Y cos n, è dr...da LO Per n=2 abbiamo ottenuto lo equazioni differenziali (7 (I )e(7). Un sistema analogo si ottiene partendo dalle funzioni più generali che ora consideriamo. Supponendo che per le funzioni esprimibili mediante un integrale esteso » volte alla superficie o si abbiamo le n3"7' equazioni differenziali che risultano dalla p LUCI GM A sasso 5 .1005 + LE TIENE Ai sere V È ni se00 3 + SI, l SARA %, [ppstoh [PENA dY; “H RITA “tpIi lh+1 In 0 e? Fonni creo z sez se 3 0 2; sh 3 PESA AP Asi IO. ponendo #—=1,2,...» e considerando 2,... l,él5,e- Uli r e ln-i come una qualsiasi permutazione dei numeri 1,2... w; vedremo che si ottengono equazioni analoghe per le funzioni esprimibili mediante un integrale esteso (n +1) volte alla superficie o. Dalle ipotesi fatte risulta che le tre quantità ABC sono esprimibili mediante la (9), se quindi denotiamo con @,d,c le funzioni p di punti che entrano nella espressione delle suddette 4,5 ,C; queste funzioni a,b, c dovranno soddisfare alle seguenti » 3" equazioni differenziali d a) Sd Sasa ni se y. 3 coso + @ OCA cs00 Y e sesali + i 04; “n do (AT PA “dh ln41 In Ò Yi Ù tntipri tti lh+1 In, E° 0 ai dx se iso z s000 = ’ 0 2, I Ip a %, Zh+1 lix! O nie i te 2 Boi Lr cv A 5 a000 5 i Ò x; ig) BA %, Ih+1 li, 0 Y; î l,. 4 sa usi” %; Uh4+1 In-1 n) e Dr » ses0 3 ,=0 ? 0 2; 14, SII Tap “tasga Lia È 9 ex... srt 5 «222,5 —£ —_ Corali x st ,5 «03 LI “LL Sa ALe Ti galai A dY; 4 E ha n) i C .er z s=0, arco z s000 T P d 2; z eine 446 CORNELIA FABRI le quali si ridurranno a sole 3” se riterremo l’indice 7 come fisso. Denotiamo con p le funzioni di punti per le quali sono ‘espri- mibili le derivate (n +1)? della @|[L]\. Dalla (5) deducendosi e|[L]]= (Acosns + cosny + Ccosna) da dovrà aversi: s Re PERL," 2, (tot ces» TR È sl È x} Ia pe %, ai SURC Di di She PRESE "” %, Di uni 255 GA i. = gii ni CLIMA 53 %, Y; Tesi ere. ST ava "I; REATO sale %, e Liga 3; == e: LA FERITA , "E gps 3; SG SI x, Mg dA LO g/die 1. = b e “i ie “ I, sa "i P - si Dea %, * inrd SL TRSE ia = de, E, SEIorea A vi pid LS e 2? CIA ‘ rt A PRE 2 5; = db i *,, %, vi I, ij Ja da 3; Da - dr. x, ta; ni Zi Fuboti siii in: == fot AA x; riti ”, br derit Siae pi I SLI %, i lp dia PT x pe "In 4 PIPA %, Ni prio Re sima A V,. sigg Py, Py ya»? Py, sy Dy2,° Pe, % D3,%3* Pz, % Prey? , Po e, 7Pe,83° e così di seguito. I resultati che abbiamo fin qui ottenuti non sono esclusiva- mente propri alle funzioni di linee, essi appartengono anche alle funzioni di iperspazii. Infatti partendo dai resultati stabiliti nel $ 1°, si possono ottenere relativamente a queste funzioni delle proposizioni ana- loghe a quelle che abbiamo trovate per le funzioni di linee. Non starò a sviluppare qui questa ricerca che spero potrà formare il soggetto di un nuovo studio. er 453 Sulla Stella variabile U Orionis (Chandler 2100); Nota di FrancEsco Porro Da alcuni mesi ho intrapreso una serie di osservazioni sulle stelle variabili, singolarmente contrastata dal tempo sfavorevole e dalle condizioni dell’Osservatorio di Torino, dove la luce elet- trica delle vie circostanti produce permanente gravissimo disturbo alla visione degli oggetti di debole intensità luminosa, ed alla valutazione esatta di piccole differenze di splendore. Come primo saggio di tali tentativi presento in questa Nota i risultati dei confronti di U Orionis colle stelle vicine, fatti coll’aiuto di un refrattore di Fraunhofer e di un cercatore del medesimo insigne artefice, aventi rispettivamente le aperture di 117 e di 97 mil- limetri, portati entrambi da un rozzo piede equatoriale di legno. Al primo di questi due strumenti applicai costantemente un ocu- lare a doppio anello, coll’ingrandimento di 46, all’altro un oculare di 14. I confronti furono fatti assai raramente col metodo di Ar- gelander, nel fondato timore che io non avessi ancora formato un abito certo di stimare le piccole differenze, e quindi che le mie gradazioni (Stufen) non fossero costanti. D'altra parte la possibilità di adoperare per questa stella una scala fotometrica di riconosciuta esattezza, mi indusse a valutare la grandezza della stella in parti dell'intervallo (generalmente assai piccolo) fra due stelle una minore, l’altra maggiore di essa, desumendo tale in- tervallo dall’Harvard Photometry. Ritenni poi come valor nor- male di una mia gradazione la media delle frazioni di grandezza da me così stimate, e di tale valore mi servii per calcolare le poche osservazioni basate sopra una sola stella di comparazione. 454 FRANCESCO PORRO Delle stelle da me adoperate, due figurano nel Catalogo Foto- metrico di Pickering (1), dove portano i numeri 1081 e 1090; di due altre fu determinato a Cambridge lo splendore, mediante misure identiche a quelle che hanno servito di base alla forma- zione del Catalogo, e quindi possono senz’altro esse pure consi- derarsi come determinate rigorosamente nella scala di Harvard College (2). Una quinta stella fu misurata a Potsdam dal signor Miiller, con un fotometro di Zòllner (3): e poichè sopra una delle precedenti questo astronomo trovò risultati quasi coincidenti con quelli di Pickering, non ebbi ad applicare alla grandezza fornita da lui che la correzione minima —0",03, per ridurla alla scala di Harvard. Le quattro stelle misurate a Cambridge ed una quinta (%, Orionis) che si trova nella medesima regione del cielo e che figura nel Catalogo, mi hanno fornito cinque differenze Harvard Photo- metry-Durchmusterung, la media delle quali — 0",32 applicai alle grandezze date a Bonn, per ridurre ad Harvard anche le stelle per le quali non si avevano a disposizione misure foto- metriche recenti. Con siffatte correzioni empiriche, io credo aver formato la scala di grandezze meno eterogenea che mi fosse pos- sibile, riferendola al sistema più attendibile e più vasto di misure assolute del quale si possa ceggi disporre. Ecco ora le stelle di comparazione, colle lettere mediante cui le ho designate, il loro numero in DM, e la grandezza nella scala di H P. Giova notare, a chiarir meglio la nomenclatura, che alcuni autori chiamano %, Orionis la stella c (57 Flamsteed), seguendo i cataloghi di Greenwich: invece Auwers-Bradley, Pickering, Pritchard (4) e parecchi altri chiamano %, la 62 Flamsteed, che i primi designano con %,, indicando con %, la 64, che precede quest’ultima di circa, mezzo secondo. In Piazzi, primo catalogo (l’Osservatorio di Torino non possiede copia del secondo), i nomi 4, e %, sono attribuiti rispettivamente alla 62 ed alla 64. (1) Annals of the Astronomical Observatory of Harvard College. Vol. XIV Part I. (2) Astronomische Nachrichten, n. 2728. (3) Astronomische Nachrichten n. 2754. (4) Uranometria Oxoniensis, SULLA STELLA VARIABILE U. ORIONIS 455 Grandezz: i * Durchmus:erang mio spinta a 1855,0 ò 1855,0 DM HP a | + 20° 1168 8,6 812850 5hie460 74h «El20®2 6! b| +20 1171 8,2 7380, | Bo47r Or |a-den20, 26 + 19 1126 | 6, 5,85 | 5 46 22 | +19 44 MM :L9 1L10. |. 6, 6,08 43 49 + 19 49 + 20 1156 | 7,2 | 6,57 | 5 44 42 + 20 16 f|\ +20 1172 9,2 8,89 | 5 47 15 +20 5 +20 1150 9,1 8,78 +20 23 h| +19 1113 | 7,5 1,07 43 56 | + 19 23 Ur (no SS Ul uv FS n 1 DO (3) In questo quadro salta subito all’occhio una notevole diffe- renza fra i risultati di Bonn e quelli di Cambridge relativi alle due stelle c e d4, collocate così opportunamente da prestarsi con tutta facilità a confronti fra le grandezze rispettive. Mi è sembrato conveniente eseguire tali confronti ogni volta che io osservassi U Orionis, ed il risultato che ne ottenni mi dà fondata ragione di sospettare che una di queste stelle (probabilmente la seconda) sia variabile entro ristretti limiti, certo non superiori a mezza gran- dezza. Ebbi ec notevolmente superiore a d nelle sere del 21 Dicembre 1889, 13 e 21 Gennaio, 24 Febbraio, 26 e 27 Marzo 1890; c alquanto superiore a d il 20 Dicembre, 14 e 20 Gennaio, 9 Febbraio; c uguale a d il 10 Marzo ed il 28 Aprile; d poco maggiore di c il 23 Dicembre, 1°8 Gennaio, il 22 Febbraio, il 28 e 29 Marzo, il 21 Aprile; 4 notevolmente superiore a c il 24 Gennaio, il primo Marzo, il 20 ed il 24 Aprile. Da questi dati poco o punto si può ricavare circa l’am- piezza ed il periodo della variazione di una di queste stelle, mentre par dimostrata almeno l’esistenza di tale variazione, risultante anche da più antiche osservazioni, che tenderebbero a mostrare variabile eziandio la %. A proposito di questa noto che il signor von Rebeur Paschwitz la trova alquanto più brillante di d (1), (1) Astronomische Nachrichten, n. 2704, 456 FRANCESCO PORRO ed il signor Millosevich (1) la stima di grandezza 6, 8, mentre 7, 5 è la grandezza assegnata nella Durchmusterung, 7,70 e 7,85 quelle determinate fotometricamente dal signor Miiller (2). Per queste ragioni reputo importante che la regione circostante alla variabile di Gore sia esaminata attentamente ed a lungo, specialmente per accertare se e come varii lo splendore delle stelle +19° 1110, 1113 e 1126. Nel quadro che segue sono esposte le grandezze di U Orionis, coi nomi delle stelle cui la variabile fu riferita nei singoli con- fronti. La curva che rappresenta questi risultati mostra che il massimo di splendore della variabile ebbe luogo il 29 Gennaio 1890, mentre le Effemeridi di Schònfeld (3), calcolate col periodo di Dunèr (4): Massimo = 1885 Dicembre 15 + 3595, 5 Ep., lo fissavano al 22 Novembre 1889. Le mie osservazioni confer- mano . piuttosto il periodo di Schwab (5), che supera di una a due settimane la durata dell’anno, e danno per valore del massimo: 5,77 Cogli elementi di recente pubblicati da Chandler nel sup- plemento alla prima edizione dell’ottimo suo catalogo di stelle variabili (6): Massimo = 1885 Dicembre 7 +3718 E, si avrebbe per epoca del massimo 1885 Dicembre 30, e quindi una differenza Osservazione-Calcolo = 30 Giorni. Pare dunque che il periodo più probabile, dedotto dal confronto delle osser- vazioni del 1885 con quelle del 1889-90 sia dato dalla formula seguente : Massimo = 1885 Dicembre 74 3788 ) 5 E: (4) Astronomische Nachrichien, n. 2801. (2) Astronomische Nachrichten, n. 2734 e 2768. (3) Vierteljahrschrift der Astronomischen Gesellschaft, 1888. (4) Astronomische Nachrichten, n. 2755. (5) Astronomische Nachrichten, n. 2756. (6) Astronomical Journal, n. 246. SULLA STELLA VARIABILE U ORIONIS 457 Grandezze osservate di U Orionis: Stelle Stelle È | i ue) N N © © DATA di g= DaTA di = fronto| £ fronto È confronto) confronto] & 1889 Novembre 21 | 9, f 8,81 || 1890 Febbraio 9|e, e 6.35 » » SD lb 8, 15 » » 22 | e, h 7,20 » Dicembre 1|b,a 8, 08 » » 24 | e, b 7,39 » » 3|b,@a 8, 00 » Marzo de,ih AIA » » 18 | c, 5 6, 40 » » 10 | db 7, 66 » » 20 | c, d 6,30 » » 26 | b, a 8, 13 » ea» n Salati » » 25 Id, € 6, 30 » » 28 | b, a 8, 18 1890 Gennaio 8|4d,c 6, 20 » » 29 | b, a 8, 18 » » E RC 6,01 » Aprile 13 | a, 8, 40 » » ile, d 6, 20 » » 201.4, f 8, 69 » » 20.| e, d 6, 09 » » 24 {cas f 8, 69 » » eine, d 5, 80 » » dla, 8, 67 » » PA id, e 5, 90 » » 20, f 8, 80 L’Accademico Segretario GiusepPE Basso. È atta da DI tIFRATRAY ALIR DIO el Ad% n hh - tod Ù 0a I , i i * CO ibimiaotazo LA * autor mn - ce ns Ca T - ‘ a ss. 5 LI MESIA SEO LIONE 1 ISEE SG = è n Sa = n o e I A . è oa LP e . . È Ò da î = _ = GL % @ x è b 3 » “ + n Î - È - = x Ù # - PI è ” = Pi r Ùl = . - i. = = n x - Si x lo cuna È ci - - int REL STRA 2 è be | bd - n la * v CO h3 : x ? » al - - = - 0 — — - “ —_ t id i * À ot Co CURVA RAPPRESENTANTE LE VARIAZIONI OSSERVATE NELLO SPLENDORE DI U.ORIONIS Novembre Dicembre 1890 Gemmajo Febbrajo Marzo Aprile 1889 20 30 10 20 0 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA dell’11 Maggio 1890 : ............ Pag. 431 FaBRI — Sopra alcune proprietà generali delle funzioni che dipen- dono da altre funzioni e da linee... ........ Aa Porro — Sulla stella variabile U Orionis (Chandler 2100) . ...,» 453 +—— E —»>—* Torino — Tip. Reale-Paravia. ATTI DELLA _R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Do DI TORINO 1 | DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUB CLASSI Vor. XXV, Disp. 14°, 1889-90 _—__—_ dd (lasse di Scienze Fisiche, Matematiche è Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze — 459 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’ 8 Giugno 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, BRUNO, BFERRUTI, BizzozeRo, FERRARIS, NAccaRI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GracomINI, CAMERANO e Basso Segretario. Il Segretario legge l’atto verbale dell’adunanza precedente che viene approvato. Il Presidente porge al Socio Cossa, anche a nome della Classe, le sue felicitazioni per la ricuperata salute, e si congratula pure con lui per la sua recente nomina a membro del Consiglio Su- periore dell'Istruzione pubblica. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia sono segnalate le seguenti: « Le opere di Galileo GALILEI; edizione nazionale sotto gli auspizi di sua Maestà il Re d’Italia » ; vol. I, presentato dal Presidente come dono del Ministero della Istruzione Pubblica; « Due opere del Socio Straniero Giacomo DANA di New- Haven, delle quali una ha per titolo « Corals and Coral Islands », e l’altra « Characteristics of Volcanoes with contribution af facts and principles from the Hawaiian Islands », presentate dallo stesso Presidente; Due grandi volumi intitolati: « (fuvres de FouRIER publiées, par les soins de M. Gaston DaRBOUX, sous les auspices du Mi- nistère de l’Instruction publique », Paris, 1888-90; presentati “ancora dal Presidente ; Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol, XXV 34 460 LETTURE « Sulla convezione elettrica »; Nota del Socio Corrispon- dente Augusto RIGHI, presentata dal Socio Basso; ; Quattro volumi sulla « Fauna dei vertebrati della Sviz- zera », del Socio Corrispondente Dott. Victor FATIO, presentati dal Socio CAMERANO. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine seguente : « Il Socio Prof. Luigi Bellardi »; Commemorazione letta dal Socio SPEZIA; « Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere 3 »: Nota del Dottore Guido CASTELNUOvo , Assistente alla Cattedra di Algebra e Geometria analitica nella R. Uni- versità di Torino, presentata dal Presidente a nome del Socio D’OviIpIo. « Il permo-carbonifero di Valle Stretta (Alta Valle della Dora Riparia); » Nota geologica del Dottore Francesco VIRGILIO, Assistente al Museo di Geologia della R. Università di Torino, presentata dal Socio SPEZIA; « Studi sulla formazione dell'acido urico nell’organismo », del Dottore Piero Giacosa, Prof. di materia medica nella R. Università di Torino, presentati dal Socio BizzozERo; « Sulla origine della forza elettromotrice nelle coppie idro - elettriche »; Nota del Dott. S. PagLIANI, Prof. di Fisica nel R. Istituto tecnico di Torino, presentata dal Socio NACCARI; « Sulle modificazioni degli epitelii ghiandolari durante le secrezioni »; Osservazioni del Dottore V. GRANDIS, presen- tate dal Socio Mosso. Inoltre il Socio NAccARI presenta per la pubblicazione nei volumi delle Memorie la parte seconda di un lavoro del Prof. Angelo BarTELLI, dell’Università di Cagliari, « Sulle proprietà termiche de’ vapori (Temperatura, pressione e volume critico del solfuro di carbonio e dell’acqua). Vien nominata dal pre- sidente una Commissione incaricata di esaminare questo lavoro, e riferirne poscia alla Classe. Il Socio FERRARIS presenta pure per la pubblicazione nei vo- lumi delle Memorie un lavoro « Sui getti ascendenti », del- l'Ing. Scipione Cappa, Prof. nella R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri in Torino. Il Presidente incarica pure una Commissione di esaminare questo lavoro per riferirne in seguito alla Classe. Infine il Socio GIBELLI presenta e legge una sua Memoria, fatta in collaborazione col Dottore Saverio BELLI, col titolo LRTITURE 461 « Rivista critica delle specie di Trifolium ‘italiane, comparate con quelle del resto d'Europa e delle regioni circummediter- ranee, delle sezioni Galearia PrRESL, Paramesus PresL. e Mi- cranthemum PRESL. ». La Classe approva unanime la pubblicazione di questo la- voro nei volumi delle Memorie. LETTURE Commemorazione del Socio Prof. Luici BELLARDI letta dal Socio Prof, GiorGIo SPEZIA Luigi Bellardi nacque in Genova il 18 maggio dell’anno 1818; fra gli studi fatti in gioventù egli trovò di avere una inclinazione verso quelli riflettenti le scienze naturali con una speciale pro- pensione per lo studio della malacologia fossile; e la facilità di percorrere i ricchi terreni fossiliferi del Piemonte e della Liguria, sviluppò in lui quel desiderio, di raccogliere materiale d’ osser- vazione, proprio di chi simpatizza per le scienze naturali e che sovente stimola a divenire collo studio un vero cultore di esse. E tale fu il Bellardi nella sua giovanile tendenza; le sue raccolte fatte scopo di esame scientifico dimostrarono presto in lui una vera attitudine per gli studi prescelti. Infatti egli appena ventenne, pubblicava alcune osservazioni sui molluschi terziarii del Piemonte, le quali già attestavano come nell’Autore vi fossero necessarie cognizioni, pazienza ed e- sattezza nell’esaminare; le quali doti riunite, costituiscono nella scienza il valore delle osservazioni. L’affetto che egli nutriva per gli studi paleontologici fu sempre in lui costante anche se occupato da lavori di natura affatto diversa. E nei quattro anni, dal 1840 al 1843 che egli passò quale impiegato presso il Ministero della Guerra, non tra- scurò mai, nel limite di tempo permesso dall’ufficio, di continuare le sue ricerche. Amico del Michelotti, al quale la paleontologia è grata per numerosi ed importantissimi scritti, pubblicava con 462 GIORGIO SPEZIA esso il Saggio crittografico sulla classe dei Gasteropodi fossili del Piemonte, lavoro che iniziò la serie delle sue Memorie pre- sentate a questa Accademia. Ma l’epoca nella quale il Bellardi dovette certamente pro- vare una grandissima soddisfazione fu nel 1844, quando egli nominato assistente presso il Museo mineralogico e geologico dell’ Università, si trovò nella circostanza di avere tutto il ne- cessario scientifico e il tempo per proseguire in quegli studi, pei quali egli sentiva di essere attratto a consacrarvi la vita. D’allora in poi la sua attività crebbe e si mostrò con molte pubblicazioni non solamente di malacologia, ma anche di ditte- rologia nel qual ramo non fu meno valente. La maggior opera del Bellardi, la quale è tuttora conside- rata classica dai paleontologi è quella che ha per titolo: I mol- luschi dei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria, che egli cominciò a pubblicare nel 1872 e che gli valse di essere consi- derato fra i primi malacologi e di essere onorato da parecchie Accademie fra le quali la nostra che lo elesse socio nel 1877. Ma egli non potè ultimare l’esteso lavoro perchè morte lo incolse il 17 settembre 1889, quando assai malfermo in salute procurava di occuparsi per completare l’opera, al quale scopo solamente egli auguravasi un prolungo di vita. Il Bellardi fu di carattere modesto, affabile e forte nel sof- frire. Benchè da molti anni malaticcio e convinto che le continue escursioni paleontologiche fossero di aggravio ai dolori fisici che lo molestavano, tuttavia non si arrestava dal lavoro; l’amore a” suoi prediletti studi pareva gli recasse sollievo. La sua attività e diligenza non si estrinsecò solamente nei lavori scientifici, ma anche nell’insegnamento secondario dove seppe di continuo acquistarsi l’affetto e la gratitudine de’ suoi allievi. E non ultima sua dote fu la liberalità per scopo scientifico. Il Museo dove rimase per molti anni quale Assistente prima e Conservatore poi, è grato al Bellardi di varie raccolte minera- logiche e geologiche che egli portò dai suoi viaggi nell’Algeria, a Suez e nell'isola di Cipro; e più di tutto per la numerosissima collezione dei fossili terziarii del Piemonte e della Liguria che egli raccolse e ordinò, la quale costituirà un perenne ricordo della sua generosa attività ed un prezioso materiale per lo stu- dio della malacologia. Il Bellardi si limitò a lavorare in un ristrettissimo campo ta COMMEMORAZIONE DEL SOCIO LUIGI BELLARDI 463 della geologia, ma vi lavorò profondamente fornendo risultati i quali rimarranno sempre di grande valore per quei geologi che tengono in alta stima i prodotti di un’attenta osservazione, e ‘ negli annali delle scienze geologiche il ricordo del suo nome se- guirà il costante interesse scientifico che avranno i suoi scritti. SCRITTI DI L. BELLARDI. Sur le genre Borsonia. -- Bull. Soc. géol. de France, 1° S., MoloX, 1838) Saggio crittografico sulla classe dei Gasteropodi fossili dei terreni terziarii del Piemonte. -- Mem. R. Acc. Torino, Serie II, T. III, 1840. Description des Cancellaires fossiles des terrains tertiaires du Piemont. — Mem. R. Acc. Sc. Torino, Serie II, T. III, 1841. Monografia delle Pleurotome fossili del Piemonte. — Mem. R. Ace. Sc. Torino. Serie II, Tomo IX. 1847. Monografia delle Columbelle fossili del Piemonte. — Mem. R. Acc. Sc. Torino. Serie II. Tomo XI, 1848. Monografia delle Mitre fossili del Piemonte. — Mem. R. Acc. Sc. Torino. Serie II, Tomo XI, 1850. Catalogue raisonne des fossiles nummulitiques de Nice, avec la collaboration de M. E. Sismonpa (Echinodermes), de M. D’ARCHIAR (Foraminifères), et de M. HaiMme (Polypiers). — Mém. Soc. Géol. Franc., 1852. Catalogo ragionato dei fossili nummulitici di Egitto delle raccolte del R. Museo Mineralogico di Torino. — R. Acc. Sc. Torino. Serie II, Vol. XII, 1855. Saggio di Ditterologia messicana. — Mem. R. Acc. Sc. To- rino. Serie II, Vol. XIX, 1859. 464 GIORGIO SPEZIA — COMM. DEL SOCIO LUIGI BELLARDI Saggio di Ditterologia messicana. — Mem. R. Acc. Sc. To- rino. Serie II, Vol. XXI, 1861. Rapporto intorno alla Philloxera vastatrix, con ARcozzi Ma- sino. — Soc. R. Agr., 1870. Monografia delle Nuculidi trovate finora nei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria. — Annuario del R. Liceo Gioberti, Torino 1874. Novae Pleurotomidarum Pedemontii et Liguriae fossilium di- spositionis prodromus. — Boll. Soc. mal. Italiana. Pisa, 1875. Descrizione di un nuovo genere della famiglia delle Bullidi fossili del terreno pliocenico inferiore del Piemonte e della Liguria. — Boll. Soc. mal. Pisa, 1876. Descrizione di una nuova specie di Zeidora trovata nelle marne del pliocene inferiore della Liguria. — Atti R. Acc. Sc. Torino. 1878. I molluschi terziariù del Piemonte e della Liguria. — Mem. R. Acc. Sc. Torino. Parte I. — Cephalopoda, Heteropoda, Iteropoda, Gastero- poda (Muricidae tritonidae), 1872. » II — Pleurotomidae, 1877. » II. — Buccinidae, Cyclopridae, Purpuridae, Corallio- phillidae, Olividae, 1882. » IV. — Fansolaridae, Turbinellidae, 1884. » V. — Mitridae, 1887-88. » VI. — Volutidae, Marginellidae, Columbellidae, 1889. 465 Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere 3 ; Nota di Guipo CASsTELNUOvO Se per famiglia di superficie a sezioni (*) di dato genere 7 si intende l’insieme di tutte le superficie che si possono ottenere da una stessa, avente per sezioni curve di quel genere 7, mediante proiezione da punti (sia esterni, sia sulla superficie), lo scopo a cui mirano queste ricerche è di: Assegnare tutte le famiglie di superficie le cui sezioni sono curve di un dato genere n, e studiarle dal punto di vistu della loro rappresentabilità sopra enti noti 0 più semplici. Però le difficoltà inerenti al problema mi costringono a li- mitarmi per ora a quelle superficie che, avendo per sezioni curve di dato genere n, contengono un sistema (Y) almeno oo"! di curve d'ordine 27-2, le quali determinano la serie speciale cas sulla curva sezione generica; ho potuto asse- gnare tutte (cioè senza alcuna restrizione) le superficie di questo tipo in due casi: quando la curva sezione è iperellittica di ge- nere 7=2, in un lavoro recentemente pubblicato (**), quando la curva sezione è di genere 3, nella presente Memoria. Mi pro- pongo però in una Nota che seguirà questa, di occuparmi anche delle superficie a sezioni del genere 8, che non appartengono alla categoria ora nominata, delle quali possiedo già qualche esempio. (*) Qui e nel seguito per sezione di una superficie si deve intendere la curva intersezione della superficie con uno spazio $,_,, se S, è lo spazio a cuì la superficie appartiene. (**) Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche (Rendic, Circolo Matem., t. IV). Quantunque la questione non sia enunciata così esplicitamente nel lavoro qui citato, si vedrà facilmente come tutte le considerazioni in esso contenute dal n° 5 in poi (relative al caso #= 2) val- gano per ogni superficie, la quale contenga un sistema di curve (7). ‘466 GUIDO CASTELNUOVO Esposto così l’argomento di questa prima Nota, credo utile di esaminare un po’ più addentro quale ne sia la portata, vale a dire di che natura siano i limiti imposti al campo di ricerca, quando dalla questione generale enunciata in principio, si passa alla questione particolare di cui qui veraniente mi occupo. | Nella mia Nota sulle superficie a sezioni iperellittiche, al n° 1, ho fissato alcune restrizioni alle singolarità che potevano presentare le superficie colà studiate, restrizioni dipendenti (@ quanto pare) non già dalla natura della questione, ma dalle imperfette cognizioni che finora si hanno sulle singolarità stesse. Come ho mostrato, quelle restrizioni, che ora non sto qui a ri- petere, permettono di dedurre dalla nota formola di postulazione di NorHER (Annali di Matematica, serie II, t. 5°.) il teorema: Le superficie d’ordine n-3 aggiunte ad una superficie d'ordine n di genere p, a sezioni del genere n, appartenente allo spazio ordinario, formano un sistema lineare di dimensione p+m—1 quando p= 0 (*). Queste superficie aggiunte, avendo comuni 27 — 2 punti (oltre ai punti multipli fissi) con ogni sezione della superficie, determinano sulla superficie un sistema lineare (**) (Y) coP*"*" di curve d'ordine 27— 2, le quali segano sopra ogni sezione piana della superficie la serie speciale (Speczalschaar) Pi d'ordine 2r—2 e dimensione 7— 1. Dunque, riservando il caso delle superficie. con singolarità straordinarie (o singolarità ordinarie con particolari legami), posso dire che tutte le superficie di genere (*) In tutto questo lavoro il genere p di una superficie si intende deter- minato mediante la seconda definizione del sig. NÒTHER, cioò mediante quella che segue dalla formola di postulazione (Mem. citata, oppure Zur Theorie des eindeutigen Entsprechens ..., Math. Annalen, 8, pag. 526, nota). Il teo- rema sopra enunciato (il quale sembra verificarsi per qualunque valore di p) sì trova anche dato in una nota a pag. 167 del lavoro di CapPoRaLI Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti...(Collectanea Mathematica, Milano, 1881). .Il C. lo dimostra soltanto per le superficie razionali approfittando della for- mola di postulazione, il che fa ritenere che la stessa formola lo abbia gui- dato al caso generale. (**) Per sistema lineare cof di curve sopra una superficie si intenderà un : Sistema di curve i cui elementi si possono riferire univocamente ai punti di . uno spazio lineare S,, in tal guisa che alle curve passanti per un punto ‘della superficie corrispondano i punti di un S,_,. Dalla definizione segue che per & punti arbitrari della superficie passa una sola curva del sistema. SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 467 p=0 sono comprese tra quelle che riesco a classificare (nel senso dichiarato in principio). Ma va notato che dall'esistenza di un sistema (7), almeno co*7, di curve d'ordine 27 — 2 secanti -1) 7 : 1 7 ( ; i sopra ogni sezione della superficie la serie Lv , non sì può 2 conchiudere l’esistenza di un sistema di superficie aggiunte d’or- dine n — 3 avente la stessa dimensione. In altre parole: esistono superficie d’ordine n del nostro spazio, a sezioni di genere ©, le quali contengono un sistema ()) co"! di curve d’ ordine 2x7 — 2, mentre non ammettono co”! superficie aggiunte d’ordine n_-8 (aggiunte sia lungo le curve multiple, sia nei punti mul- tipli). Tutte queste superficie rientrano tra quelle che io posso studiare, quantunque il loro genere p sia (in generale) negativo (*). Così si vedrà trattata al numero 9 del presente lavoro una superficie di genere p= —1, a sezioni del genere 7=3, sulla quale esiste un sistema (7) oc° di quartiche. Un altro esempio è offerto dalle rigate d’ordine n a sezioni di genere 7 qualun- que, le quali non ammettono superficie aggiunte d'ordine n — 3, ma contengono un sistema (7) di curve (costituito da c057' gruppi di 2z—2 generatrici) che segano la serie speciale sopra ogni sezione. 1. Da ora in poi, quando si parlerà di una superficie F°” (d’or- dine n) sarà sottinteso che la sua sezione generica è una curva irriduttibile di genere 3. Sulle F" che qui considero si fa que- sta sola ipotesi, che esse contengano un sistema lineare (7) di curve 7 del quarto ordine secanti sopra ogui sezione di Y" la serie speciale g,*.Il sistema (7) ha la dimensione almeno uguale a 2. Se la dimensione supera 2, ogni sezione di 7°” deve formar parte di qualche curva 7, e poichè non può esser n<4, sarà n=4, nel qual caso la 7" è una superficie del quarto ordine, senza curva doppia, dello spazio ordinario. E. reciprocamente (*) È utile notare che (anche indipendentemente dall’esistenza di con-! | superficie aggiunte d'ordine n — 3) si può provare facilmente la presenza di i un sistema (7) co” sopra una superficie razionale, Poichè se le sezioni della superficie hanno per imagini sopra un piano curve d’ordine v, le 007! wers i i gusta. curve d'ordine » —3 aggiunte a queste sono imagini di curve della super- BEReho LA È (q_1) È à - cie che determinano la I, r-, S9pra ogni sezione della superficie stessa. 468 GUIDO CASTELNUOVO ® sezioni piane possono considerarsi come per una tale F* le co curve Y .(*). Le superficie 7” possono esser classificate secondo i caratteri del sistema (7). E precisamente diremo che F” è: di prima specie, quando in (7) è contenuto un sistema lineare oc? (Y,) di quartiche razionali; Y di seconda specie, quando in (7) è contenuto un sistema lineare co (Y,) di quartiche di genere 1 (ma non un sistema lineare oo? di curve di genere inferiore); di terza specie quando in (7) è contenuto un sistema lineare oo? (93) di quartiche di genere 2 (ma non.....); di quarta specie se in (7) non è contenuto un sistema lineare oc* di quartiche di genere inferiore a 3 (**). Resta ancora l’ ipotesi che la curva generica si scinda: come mostrerò, questo spezzamento può avvenire soltanto Se y si scinde in due coniche (caso delle superficie a sezioni iperellittiche), Se y si scinde in quattro rette (caso delle superficie rigate). Esaminerò successivamente questi vari tipi di superficie (fer- mandomi specialmente su quelli che presentano maggiore in- teresse). L Superficie di prima specie. 2. Su F" esista un sistema lineare co? (Y,) di quartiche razionali 7). Le co! curve y, che passano per un punto scelto ad arbitrio su 7” costituiscono un sistema lineare di curve razio- nali giacenti su 7”; quindi per un teorema del sig. NOTHER(***), la superficie è rappresentabile univocamente sul piano. Ad una (*) Se si nota che la sola curva di genere 3 nella quale ogni gruppo di 94° sta in una retta, è la quartica piana, si vede pure che quando la curva generica y è piana, la Y” ha l’ordine 4 ed appartiene ad $,. (**) S'intende che per le F” di specie i il sistema (7;_,) coincide con (7), se (7) è 00°. i (***) Ueber Fliichen, welche Schaaren rationaler Curven besitzen, Mathem. — Annalen, Bd, 3; qui alludo alla considerazione che si trova a pag. 175. SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE è 469 sezione generica c della superficie corrisponderà nel piano una curva c' di genere 3, la quale sarà segata nella serie speciale 9, dalla rete delle curve y, imagini delle oo* curve 7, di 7”. Due qualunque delle curve 7, si segano in un solo punto variabile (fuori dei punti base del sistema): se infatti due 7, avessero più che un punto comuné, per un noto teorema sui sistemi razionali, la rete delle y,° sarebbe contenuta in un sistema lineare almeno 003 di curve razionali, ciascuna delle quali si comporterebbe nei punti base della rete, come una 7, ; ogni curva di questo sistema 003 segherebbe su c' un gruppo della serie speciale due volte infinita, ed in conseguenza c' dovrebbe formar parte di qualche curva del sistema co* e quindi dovrebbe esser razionale, contro l’ipotesi. Dunque: Sopra una superficie di prima specie le oc® curve Y, st segano a due a due in un solo punto variabile (*). Riferendo univocamente le oo* curve % alle rette di un piano, ad ogni punto del piano corrisponde un punto della superficie F", e reciprocamente. Ad una sezione di 7” che è una curva di genere 3, segata da ogni y, in quattro punti, corrisponde nel piano una curva di genere 3 e del quarto ordine. Abbiamo quindi il teorema : Ogni superficie a sezioni del genere 3 di prima specie è razionale, e può rappresentarsi sul piano mediante un sistema lineare di curve generali del quarto ordine. 5. Il sistema lineare di quartiche nel quale la dimensione raggiunge il massimo valore 14, ed il numero delle intersezioni variabili di due curve ha il massimo valore 16, è costituito da tutte le quartiche piane. Esso ci rappresenta una superficie del o ordine di S,,, la quale in seguito sarà indicata con FO, Fra le superficie a sezioni di genere 3 di prima specie ha il massimo ordine 16 ed appartiene allo spazio più alto” la FO di S,,. Ogni altra superficie di prima specie può ot- tenersi dalla F © mediante proiezione. Quest'ultima parte de- riva dal fatto che ogni sistema lineare di quartiche generali è contenuto nel sistema di tutte le quartiche piane. (*) E evidente la reciproca : Se sopra una Y” esiste un sistema lineare 00? di curve 7 secantisi a due a due in un solo punto variabile, la superficie è della prima specie. i IG IMOINIG_ 4 470 GUIDO CASTELNUOVO Le curve di minimo ordine giacenti sulla F sono le oc? quartiche razionali %o appartenenti a spazi 8, Dopo queste ven- gono co° curve razionali dell’ottavo ordine secantisi a due a due in quattro punti, ecc. In un punto di F® si possono condurre il piano 7, tangente, lo spazio x, osculatore, lo spazio n, bi- osculatore; ogni $,, passante per 7, seca F° in quattro quartiche. 4. Le superficie di prima specie normali (tali cioè che non sì possano ottenere come proiezioni da superficie del loro ordine appartenenti a spazi superiori) si ritrovano tutte proiettando la F© da suoi punti così scelti, che lo spazio generico ,$,; che passa per essi, seghi F in una curva irriduttibile C!° (*). Ora una C'° del genere 3 non iperellitica di ,S,, (e la sezione generica di F® non è iperellittica perchè rappresentabile sulla quartica piana) è proiettata sempre da « suoi punti in una C !* di Sia: quando a<12; ma per «= 12 si possono scegliere su C' 12 punti giacenti in un S,, (anzichè in un Sy) dai quali la C'!° è proiettata in una C'* di S, (**); quindi : Le superficie normali di prima specie sono le superficie d'ordine 16 — & appartenenti ad S,,_, (dove a<12), ed inoltre la superficie del quarto ordine a punto triplo del nostro spazio. Che la F' ottenuta proiettando la F° da 12 punti scelti nel modo indi- cato, abbia un punto triplo, si vede subito badando alla rap- presentazione piana. Infatti mentre il sistema lineare che rappre- senta la 7! di S,,_, è costituito dalle quartiche che passano per « punti base indipendenti fra loro, per aver la rappresen- tazione della F* i 12 punti base devono esser tali che per essi passino co* quartiche, quindi devono costituire l’intersezione di una quartica con una cubica, la quale è imagine del punto triplo. La geometria sulla X* a punto triplo si ottiene subito pro- iettando la superficie sopra un piano dal punto triplo (***). Per la F!=* di S,,_,, badando alla rappresentazione piana, si ha che la superficie contiene in generale « rette sghembe a due a (*) Se i centri di proiezione non verificano questa condizione, la super- ficie proiezione ha per sezioni curve di genere inferiore a 3. (**) V. SeGRE, Recherches genérales sur les courbes .. $ 14, Mathem. An- nalen, Bd. 30. (*** Ruon, Ueber die Flachen vierter Ordnung... Math. Annalen, 24. SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 471 x : x DLE È duo, ( 9 coniche (ciascuna delle quali si appoggia a due rette), la cubiche piane, ecc. Ogni superficie non normale di prima specie può ottenersi come proiezione di una superficie normale dello stesso ordine, da punti esterni (*). II. Superficie di seconda specie. 5. Questa volta sulla superficie 1” di S, esista un sistema lineare co° (Y;) di quartiche ellitiche y,. Se la curva generica Y: è piana, la 7°" (per la nota al n° 1) è una superficie del quarto ordine 7 * senza curva doppia, dello spazio ordinario, alle cui sezioni piane appartengono le oc? ,. I piani di queste 7, formano una stella il cui centro deve essere un punto multiplo O di F' (chè altrimenti le 7, avrebbero il genere 8); precisa- mente in O deve avere un tacnodo ogni sezione piana contenente O, sicchè O sarà un tacnodo (punto di contatto con se stessa) per F'. Su questa F* ritornerò in seguito ; per ora passo al caso più generale in cui la 7, è una curva sghemba ; molte delle proprietà che dimostro nell'ultima ipotesi, valgono ed anzi di- vengono evidenti per la /"*. Due delle quartiche sghembe 7, non possono segarsi in un solo punto variabile (per la seconda nota al n° 2); se a e a' —__—- (*) Tra le superficie di prima specie dello spazio ordinario noto, oltre alla 4, la /° a cubica doppia senza punto triplo ( CLeBscH, Math. Ann., 1; Sturm, Math. Anp., 4; Cremona, Matb. Ann., 4), e la FS avente una curva doppia del 7° ordine di genere 3, che passa tre volte per l’unico punto triplo della superficie (Borpiga, Memorie dell’Accad. dei Lincei, 1887). In quest’ul- timo lavoro il sig. BorpIGA studia la superficie normale (di prima specie) F$ di $,, la cui generazione mediante quattro forme collineari di 2* specie (0 mediante tre forme collineari di 3* specie) era già stata data dal sig. VeRO- nesE (Math, Ann., 19). Che ogni /° rappresentabile sul piano mediante le 00! quartiche per 10 punti possa generarsi proiettivamente, non fu dimostrato dagli Autori nominati, ma può vedersi facilmente col metodo della numera- zione delle costanti; poichè tanto partendo dalla rappresentazione piana, quanto dalla generazione proiettiva, si riconosce che 00'!2 sono le F° di S$, proiettivamente distinte. 472 GUIDO CASTELNUOVO sono due punti comuni a due Y,, le oo' y, passanti per a pas- seranno anche per «'. Sopra una di queste 7; fisso un punto 5 ad arbitrio e per a, a', d conduco un piano, il quale giacendo nello spazio a tre dimensioni della ),, sega ancora questa in un quarto punto d'. Uno spazio S,_, che passi per il piano senza contener la ,, taglia F” lungo una curva Cl”, sulla quale le co' ), passanti per a, a' determinano una involuzione di coppie di punti 9g, un cui gruppo è costituito da d, d'. La C” quindi è una curva iperellittica; e poichè il sistema (7) sega su C” la serie speciale 9,9, ciascuna delle oo! curve di (1) passanti per un punto d di C", dovrà contenere anche il punto d' coniugato a d nell’involuzione g,. In altre parole se per due a, a' delle quattro intersezioni di una 7, con un piano, passano co' y,, anche per le rimanenti due intersezioni d, d' passano co'),. Da ciò segue subito che due 7, devono segarsi in due soli punti variabili (*) ; il sistema (7) determina adunque una corrispondenza univoca involutoria tra i punti di /°"; dune punti che si corrispondano si diranno coniugati. Segue pure che due qualunque coppie a, a' e d, d' di punti coniugati stanno in un piano. Le oo? rette che congiungono i punti coniugati di I" si segano quindi a due a due, e poichè non giacciono tutte in uno stesso piano, devono passar tutte per uno stesso punto 0. Sopra una superficie F" di seconda specie esiste una in- voluzione I di oo* coppie di punti; le rette congiungenti è punti coniugati nell’involuzione passano tutte per uno stesso punto ; ogni spazio S,_, condotto per questo punto sega la E" in una curva iperellittica la cui serie g,°% si compone di coppie della involuzione. Anche sopra una %, si trovano co' coppie di punti coniu- gati, le quali costituiscono una serie 9,0%. Ciascuna delle o0* Yi 1 (*) Siano infatti, se è possibile, almeno tre a, a’, a” i punti comuni a due quartiche 7,, 7°. Se d è un punto qualunquo di 7,, e con d, db, bd indico le ulteriori intersezioni della y, coi piani aa’ b, aa”, a/a”b”, ogni curva di (7,) passante per 5 deve contenere anche i punti b’, 97, b/7. Ora dalla costruzione fatta risulta (come si vede ad esempio ricorrendo alla rappresentazione parametrica) che il punto 9’ sta nel piano che proietta da b la tangente a 7, in a. Mentre «a si muove su 7, e d sta fisso, si ottengono in tal guisa infiniti punti 9” che tutti dovrebbero giacere sulle oo' quar- tiche di (),) passanti per d, il che è assurdo, La proposizione è addirittura evidente per la Y dotata di tacnodo. iis + « SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 8 473 è proiettata da O mediante un cono quadrico; (fatta eccezione, si intende, per la 7‘ con tacnodo). Su PF" esisteranno in generale co' coppie di / costituite da punti coincidenti; sopra ogni quartica *, si trovano 4 punti coin- cidenti coi loro coniugati, i quali per una nota proprietà stanno in un piano Dunque: JI punti di F" che coincidono coi loro coniugati formano una curva K la quale è segata în quattro punti di un piano da ogni y,. La curva X si dirà curva di coincidenza di F". Dalle proposizioni qui stabilite altre possono dedursi facil- mente, ma per evitare la distinzione di casi particolari preferisco passar subito allo studio della superficie più generale di seconda specie. A questa si perviene ricorrendo alla rappresentazione di F" sul piano doppio. 6. Le co° curve 7, di F” si possono riferire univocamente alle rette di un piano X; ad un fascio di rette in X, e quindi al suo centro, corrisponde allora un fascio di 7), su 7”, e quindi la coppia di punti base del fascio; in tal guisa la F" viene rappresentata sul piano doppio Y. Ad ogni coppia di I su Y" corrisponde un punto di Y, e alle col coppie di / costituite da punti coincidenti corrispondono cc! punti di YX formanti una curva ©, curva limite del piano doppio (Uebergangscurve), la quale è ri- ferita univocamente alla curva di coincidenza XK di ". Poichè la K ha comuni quattro punti con ogni y, la Q avrà quattro punti comuni con ogni retta di X, ossia sarà del quarto ordine. Ora un piano doppio con curva limite del quarto ordine può in generale rappresentarsi sul piano semplice (*); quindi n (*) CLeBscH, Ueber den Zusammenhang einer Klasse von Flachenabbil= dungen... (Math. Annalen, 3: NòrHER, Veber die ein-3weideutigen Ebenen- transformationen (Sitzungsber. d. physik. medicin. Soc. zu Erlangen, 1878); v. inoltre i lavori del sig. De PaoLis (Mem. Ace. Lincei, 1877-78). Alla rappresentazione di F” sul piano doppio £ analiticamente si giunge fissando nel sistema (7) due sistemi lineari oo! di quartiche, ed inoltre su F” un sistema lineare co! di €” ottenute con spazi $,_ di un fascio, Se indi- chiamo rispettivamente con x, y, s i parametri dei tre sistemi oo', vediamo che ad ogni punto di F” corrispondono tre valori perfettamente determi- nati di x, y, #; agli oo? punti di Y” corrispondono co? terne x, y, + che verificano una equazione algebrica f(e, y, 3)=0, 474 GUIDO CASTELNUOVO generale una superficie di seconda specie potrà riferirsi univoca- ‘mente al piano semplice. Ma sul caso generale e sulle eccezioni ritorneremo in seguito. Una sezione C” di Y” ottenuta con un S,_, passante per 0 ha comune con ogni 7, due coppie della /; dunque l’imagine di C” su X è una conica. Viceversa a ciascuna delle oc? coni- che di X corrisponde una curva di YF”, la quale contiene una serie g,° formata da coppie di I; si hanno così oo? curve iper- ellittiche di F” formanti un sistema lineare: due curve del sistema si segano in quattro coppie della I, la curva generica del sistema incontra la curva di coincidenza X in otto punti, ed è quindi di genere 3 (perchè la sua serie g,' contiene otto coincidenze). «Ad una sezione C” di F” ottenuta con un S,_, arbitrario, corrisponde su X una curva che deve segare ogni retta in quat- tro punti (corrispondenti alle quattro intersezioni di una Y; con S,._.), quindi una quartica C4, la quale è riferita univocamente a C" (ed anche alla curva di F” luogo dei punti coniugati ai punti di C*): per una nota proprietà della rappresentazione sopra un piano doppio, dovrà la C4 toccare semplicemente la Q in tutti i punti che con questa ha comuni; ossia in otto punti. Le co” curve C4 che corrispondono a tutte le sezioni C” di 7” determinano su Q una serie razionale gs di gruppi di otto punti; ma siccome co"7' tra le curve C” appartengono a spazi $,_, passanti per 0, co7' tra le curve C* si riducono a coniche doppie, ed co"7' fra i gruppi di yy devono trovarsi su coniche; dal che segue subito per il Restsatz che ogni gruppo di g; si trova sopra una conica, ossia che ogni C* appartiene al fascio determinato da £ con una conica doppia. La equazione di una C* può adunque porsi sotto la forma (dute ax U_-10=0, Questa è di secondo grado in =, perchè due sono le intersezioni delle quar- tiche x, y; risolta rispetto a 3 ci dà EAAA y)EVx, Y) essendo y, e x, funzioni razionali. Se @ e y si considerano come coordinate dei punti di un piano £, l’ultima relazione ci stabilisce la corrispondenza tra EF" e il piano doppio Z; e y3(0,y) =0 è in E l’equazione' della curva limite O, Lei Sali ee CARA TA ERETTI SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 8 475 essendo ©(Y,,%,,%,) =0 l’equazione della curva limite, e d(Y,:%»:Y3)=0 l'equazione di una conica di Y. Reciprocamente consideriamo in X una delle co5 quartiche che ha una equazione della forma (1). Poichè fra le coordinate ®, 3 3, --. Xr4, di un punto di F" e le coordinate y,, Y,, % del punto corrispondente di X passano relazioni del tipo (*) %;= fi (413 Us: Us) +9: (4,1 40:93) VQ (i=1,2...r41) (dove f e 9 sono funzioni intere, di cui la seconda ha il grado di due unità inferiore al grado della prima), ai punti di Y gia- centi sulla (1) corrispondono su £" punti delle due curve stac- cate dalle equazioni pa= VAL, ess Y3) nl 2; (YU, » Ya» Y)L(Y 3%. Ys). 6 Le co° curve che così si ottengono su 7°” corrispondono univo- camente ai gruppi dei valori di sei parametri (VI e i cinque della &=0), e formano un sistema lineare. Al sistema appar- tengono le co” sezioni di FY" cogli spazi S,_, (da cui segue y = 6), le co? curve iperellittiche rappresentate dalle coniche di Y (cor- rispondenti a )=0) e la curva di coincidenza X (corrispon- dente a ) = co). La curva generica del sistema è di genere 3 ed è segata nella serie speciale g,°° dalle curve 7, . Due delle 006 curve si segano in otto punti rappresentati su X da otto tra le sedici intersezioni delle due C4 imagini; (le altre otto intersezioni delle due C4 sono imagini dei punti comuni ad una delle due curve di F” ed alla coniugata dell’altra nell’involuzione I). Se riferiamo univocamente le co° curve di F" agli spazi S di un S,, ad ogni punto di /" considerato come appartenente ad co? curve, corrisponde un punto di S, come comune ad co? spazi S_; alla superficie /” corrisponde univocamente una. su- perficie il cui ordine è otto, perchè otto sono i punti comuni a due delle oo° curve. E poichè le sezioni di F”* con $S,_, appar- tengono al sistema 00°, segue che 7” può considerarsi come pro- iezione della superficie di ,S, da punti scelti convenientemente. Dunque: Ogni superficie a sezioni del genere 3 di seconda specie (se non è la F* di S,) può ottenersi mediante proiezione (*) V. la nota precedente, Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol, XXV 35 476 GUIDO CASTELNUOVO da una superficie dell’ottavo ordine di S,, che sarà indicata nel seguito con F‘®. Una superficie di seconda specie non può avere l’ ordine superiore ad 8, nè può appartenere ad uno spazio superiore ad Da 7. Le proprietà principali della F°© di S, seguono subito dalle cose dette. La F° contiene oc° coppie di punti formanti una involu- zione I, i cui gruppi sono allineati con un punto 0 che non sta sulla superficie (*). La sezione di F® con un S, qualunque è una curva di ottavo ordine e di genere 3; se però lo spazio S, passa per O, la curva sezione è iperellittica ed è proiettata doppiamente da 0 mediante un cono razionale del quarto ordine. Su F° si trova un sistema lineare di co? quartiche sghembe 7, di genere 1, che sono proiettate doppiamente da 0 mediante coni quadrici ; due 7, si segano in due punti e costituiscono insieme la sezione di F°% con un S, bitangente. Le quartiche %, segano sopra ogni sezione C* di F® la serie speciale g, : quindi sopra ogni sezione C* di Fi gruppi della serie spe- ciale g,° stanno su piani. Le coppie della involuzione / costituite da punti coincidenti formano una curva XK dell’ottavo ordine che è sezione di F©® con un particolare spazio 0, a cinque dimensioni. Il cono che da O proietta una y, sega O, in una conica, i cui punti sono armonicamente separati da O mediante le coppie di punti della Y, perchè in O, si trovano i quattro punti di contatto delle tangenti a 7, condotte per O. Quindi ogni coppia della involu- zione I è separata armonicamente mediante il punto O e lo spazio O,, ossia La superficie F ©) è trasformata in sè stessa da una omo- logia armonica di centro O e spazio fondamentale O, . Le co? rette che da O proiettano le coppie di punti coniugati di F © costituiscono un cono a tre dimensioni del quarto ordine ; 2 (*) Se 0 stesse sulla superficie, la sezione di F(2) con un S, per 0 sarebbe una curva Cl? di genere 3 che passerebbe per 0 e segherebbe altrove due volte (almeno) le generatrici di nn cono col vertice 0, un tal cono avrebbe quindi l’ordine inferiore a 4 e dovrebbe appartenere ad uno spazio inferiore ad S,, il che non è possibile, SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 477 quindi: La superficie F©® è proiettata doppiamente da 0 sopra un S, in una superficie del quarto ordine D' con 00° coniche. La D* è la nota superficie studiata dal signor VERONESE (*), che è rappresentata dalle oo? coniche del piano. Per una ®' di /S, passano co? quadriche (a quattro dimen- sioni) (**); altrettante quadriche (a cinque dimensioni) passano per il cono che proietta la 9' da O. Invece per la Fl) di 5, passano 005 quadriche, perchè una delle oo’ quadriche di contiene F®, quando passa per due CÌ (sezioni di F°) con SS.) e per un altro punto di F?, vale a dire quando soddisfa a 2.14-8+1=21 condizioni (***), Una quadrica che passi per F© senza contenere il cono proiettante ®' da 0, sega questo cono nella F°); dunque : Una superficie Fl) può considerarsi come intersezione di una quadrica di S, col cono proiettante una D', appartenente Vi Coni 3 ad un S,, da un punto esterno ad S.. E reciprocamente, l’in- tersezione di un tal cono con una quadrica qualunque è una F©®. Il punto O ha rispetto alle co° quadriche passanti per F lo stesso spazio polare O.. 8. Si presenta ora la ricerca delle curve degli ordini più bassi che giacciono su F°. Anzitutto poichè una ®* non contiene rette, segue subito che una E°) non possiede rette; (e in generale si vede che su F° non si trovano curve d’ordine dispari). Ad una conica di Fl? non giacente in O. corrisponde nella omologia (0,0.) una seconda conica giacente colla prima in un «cono quadrico di centro 0, e formante con essa una particolare curva 7, con due punti doppi. Nella rappresentazione di F © sul piano doppio £, alla coppia di coniche della superficie corrisponde una retta secante la curva limite Q in due coppie di punti coin- cidenti; e reciprocamente. Sicchè: (*) Memorie Accad. dei Lincei, 1883-84; cfr. pure SEGRE: Considerazioni intorno alla geometria delle coniche (Atti Accad. delle Scienze, Torino, 1885), — Srupy, Ueber die Geometrie der Kegelschnitte (Math. Ann, 27). (**) Infatti per costringere una delle 00?° quadriche di S, a passare per 94, basta assoggettarla a contenere due quartiche sezioni di ®4 ed un altro punto della superficie ; in tutto 2,9 —44+-1—=15 condizioni. (***) Una C* del genere 3 di .S, impone 2.8—2—=44 condizioni ad una quadrica che debba contenerla. 478 GUIDO CASTELNUOVO In generale (cioè quando Q è una curva del 4° ordine e genere 3, ossia quando la curva di coincidenza K di F® è una curva irriduttibile di 8° ordine e genere 3 (*)) in Fl) si tro- vano 56 coniche, costituenti 28 coppie di coniche coniugate nel- l’omologia (0, 0,). Uno spazio .S, passante per una % di queste coniche sega ulteriormente F© in una curva C,° del sesto ordine e genere 1 che ha tre punti comuni colla conica (la quale C;f è intersezione di una ®' di S. con una quadrica che contenga una conica di ®*). Su F° esistono 56 sistemi oo di tali curve 05; due curve di uno stesso sistema si segano in tre punti. Dalla conica Y la F°® è proiettata sopra uno spazio a tre dimensioni in una superficie 4 del terzo ordine; la conica X' con- iugata di X, che sta con % in un S, passante per 0, dà per proiezione un punto 0 di 9; e due punti di F° coniugati nel- l’omologia armonica, hanno per imagini due punti di 9 allineati con o. Ad una sezione 08 di F® (che ha comuni due punti con % e due con Z'), corrisponde su 4 una curva del 6° ordine avente in 0 un punto doppio, intersezione di 9 con una quadrica tan- gente a © in o. Le oc curve CO di F® sono quindi rap- presentate dalle intersezioni di d colle ooì quadriche tangenti a © in 0. In particolare la curva X di F° ha per imagine la intersezione di g colla prima polare di © rispetto ad 0; poichè questa curva deve essere (come XK) del genere 3, sarà @ una superficie generale del 3° ordine. Nella consueta rappresentazione di © sopra un piano sem- plice 7, alla intersezione di g con una quadrica tangente a @ in o corrisponde una curva piana del sesto ordine con 7 punti doppi (nei sei punti fondamentali della rappresentazione e nel punto imagine di 0): dunque: In generale una superficie F® può riferirsi univocamente ad un piano semplice, e il sistema rappresentativo si compone delle oo5 curve del sesto ordine con 7 punti doppi comuni. Questi 7 punti, le 21 rette che li congiungono a due a due, le 21 coniche che ne contengono cinque, e le 7 cubiche che pas- sano doppiamente per uno dei 7 punti e semplicemente per gli (*) A questo caso generale si riferiscono le proprietà di F(2) date nel n° 8; mentre quelle dei numeri precedenti valgono per ogni F(?). i SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 479 altri 6, sono le imagini su 7 delle 56 coniche di F°’ (*). Le co° cubiche passanti semplicemente per i 7 punti base rappre- sentano le co? curve 7). Ed ora dalla rappresentazione di F ‘© sulla superficie cubica ©, 0 sul piano semplice 7, derivano subito le proprietà della con- figurazione delle coniche e dei sistemi di curve giacenti su F®®. Così si vede che ogni conica di F® sega in due punti la pro- pria coniugata, in un punto 27 delle coniche rimanenti e in nessun punto le 27 coniche a queste coniugate. Su F©) esistono quaterne di coniche giacenti in spazi $S.; ogni conica appartiene a 45 tali quaterne. 9. Altre proprietà della F‘ potrebbero facilmente dedursi dalla rappresentazione piana; ma credo inutile di fermarmi più a lungo su questo argomento. Dei vari casi particolari che la F©) può presentare noterò solo quello che offre maggiore inte- resse; quando il genere della F° si abbassa a —- 1, e la su- perficie cessa di esser rappresentabile sul piano semplice, ma può invece riferirsi al cono cubico. Per esaminare nel modo più rapido quando ciò avvenga, ram- mento che la F? è sempre rappresentabile sul piano doppio Y con una curva limite Q del quarto ordine (per il n° 6); quindi il solo caso in cui X non può riferirsi ad un piano semplice si presenta quando £ ha un punto quadruplo, ossia si spezza in quattro rette di un fascio (**). La.curva di coincidenza K di F® si spezza allora in quattro coniche passanti per uno stesso punto O; e la F© (per l’ultimo teorema del n.° 7) può considerarsi come intersezione di una quadrica X? di 8, col cono proiettante dal punto O una ®' che appartiene allo spazio O, polare di O rispetto a X°, e sega la X? nelle quattro coniche nominate. Ogni altra conica di ®' passante per @ ha comuni quattro punti coin- cidenti in @ con X*; quindi il cono che da O proietta quella co- nica sega X° lungo due coniche che si toccano in @. Così si vede che su questa particolare F° esistono co! coniche tutte pas- santi per Q e tangenti ivi ad uno stesso piano g. Le coniche sono (*) Sulla superficie cubica 9 le 56 coniche di F (2) hanno per imagini il punto o, la sezione col piano tangente in o, le 27 rette di 9 e le 27 coniche dei piani che da o proiettano le rette. (**) NòrÒer, Memoria citata dei Sitsungsber. di Erlangen. 480 GUIDO CASTELNUOVO coniugate a coppie in una involuzione con quattro coincidenze ; il loro sistema è quindi ellittico ; ogni coppia di coniche costituisce una particolare 7,. Sulla superficie non giacciono altre coniche. Uno spazio a quattro dimensioni di 0, passante per Q seca ®4 in una curva del quarto ordine 04 che ha in comune colla X? quattro punti riuniti in @; il cono che da O proietta C* seca X° in una curva di ottavo ordine che ha due punti doppi infinitamente vicini in @, e costituisce l’intersezione di F con uno spazio (generico) ,S_ passante per @. Il punto @ è adunque un tacnodo (contatto con se stessa) per la F°?. La F°) è proiettata da @ sopra uno spazio’ $S, in una rigata ellittica del sesto ordine 1° con una retta direttrice doppia, traccia del piano tangente 9g. Alle sezioni C* di F©) corrispondono su T5® curve dell’ottavo ordine secanti due volte ogni generatrice e non aventi punti comuni colla direttrice doppia. Proiettando la 75 da una sua generatrice, o la F? da una sua conica, sopra un ,S, si ottiene in questo un cono cubico, sul quale le sezioni di F© sono rappresentate da co curve del sesto ordine aventi un punto doppio comune; queste curve sono le intersezioni del cono colle 00° quadriche tangenti al cono in quel punto. Il punto triplo del cono rappresenta il tacnodo, le generatrici sono ima- gini delle co! coniche, le sezioni piane passanti per il punto di contatto sono imagini delle oo° quartiche ),.. Riassumendo: La Fl) presenta notevoli particolarità, quando la sua curva di coincidenza K si scinde in quattro coniche passanti per uno stesso punto; allora la F') contiene un sistema co! ellittico di coniche tutte passanti per quel punto, che è un tacnodo per la superficie. In questo caso (soltanto) la F! non è razionale; ma può rappresentarsi univocamente sul cono cubico dello spazio ordinario mediante le curve del sesto ordine segate dalle qua - driche che toccano il cono in un punto fisso (*). 10. Proiettando la F° (sia generale, sia particolare) di $, negli spazi inferiori da uno o più punti scelti in modo che per (*) Confrontando questa rappresentazione con quella data per la F(2) ge- nerale, si giunge al seguente teorema, il quale (come si vede facilmente) vale per ogni caso particolare della F(2): ogni F(?) può rappresentarsi sopra una certa superficie del 3° ordine mediante il sistema delle curve segate su questa dalle quadriche che la toccano in un punto fisso. 1 PAT linee ne SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE è 481 essi passi qualche ,S. secante F°°) in una curva del genere 3, e che la proiezione sia univoca (per il che è necessario e sufficiente che mai due centri di proiezione siano allineati con O), si ot- ottengono tutte le superficie normali di seconda specie. Se si proietta la F° generale, si giunge così ad: 1) Una 7° di S, con una retta semplice e co! cubiche piane che si appoggiano alla retta e costituiscono con essa al- trettante quartiche y,; queste cubiche hanno un punto comune (il centro della involuzione I su Y°”), e i loro piani formano una serie razionale del 3° ordine (*); 2) Una 7° di S, con una retta doppia, alla quale si ap- poggiano due rette semplici, con due sistemi co! di cubiche piane passanti tutte per uno stesso punto della retta doppia; i piani dei due sistemi di cubiche costituiscono le due serie di un cono quadrico di S,, Due cubiche di uno stesso sistema non hanno che il vertice del cono in comune; due cubiche di sistemi di- versi sì segano ancora in due punti; 3) Una /° di ,, con tre rette doppie uscenti da un punto triplo, e tre rette semplici ciascuna delle quali si appoggia a due rette doppie. Le co° quartiche 9, sono segate dai coni quadrici che passano per le tre rette doppie (**); 4) (Scegliendo 4 centri di proiezione sopra una *, di F®' sì ottiene :) Una F* di S, con tacnodo e quattro rette semplici nel piano tangente alla superficie nel tacnodo (***). Le superficie 1), 2), 3), 4) si possono rappresentare sul piano semplice mediante le curve del sesto ordine che hanno 7 punti base doppi e risp. 1, 2, 3, 4 punti base semplici; nell'ultimo caso i 4 punti semplici stanno in una cubica coi 7 punti doppi (****). l (*) La F” di S; di prima specie contiene invece una sola cubica piana (v. n°<4). (**) Un cenno di questa /°? si trova al n° 42 della citata Memoria del CAPORALI. (***) Di questa superficie che in tutta la sua generalità fu fatta conoscere dal NòrHER (Gottinger Nachrichten, 1870), uno studio completo si deve al sig. CrEMONA (Collectanea Mathematica, pag. 413). (****) Ciascuno dei tipi 1) .. 4) ammette come caso singolare una super- ficie 1)... 4)" non rappresentabile sul piano, ma sul cono cubico, la quale si ottiene proiettando una Fl) con tacnodo', anzichè la F(2) generale. Di queste superficie particolari le 1)/,... 4)” oltre alle proprietà del tipo omologo 482 GUIDO CASTELNUOVO Ogni superficie non normale di seconda specie d’ordine n è proiezione di una superficie normale dello stesso ordine di S,_, (per l’ultimo teorema del num. 6). (*) III. Superficie di 3° e 4° specie. 11. Delle superficie che ancora mi rimangono da trattare (in particolare della generale e delle rigate) dirò poche cose, perchè esse vengono meglio studiate considerandole come individui di altre categorie (rispett. delle superficie del genere 1, e delle rigate generali), piuttosto che come superficie a sezioni del genere 3. Badando alla definizione (num. 1) e ripetendo un ragiona- mento fatto al principio del num. 5, si vede subito che una generale 4), ...4), ammettono un tacnodo, 1,...4, risp., rette semplici ulte- riori uscenti dal tacnodo, e co' coniche passanti per questo e formanti una serie ellittica; noto in particolare la 3)’ superficie del quinto ordine con tre rette doppie uscenti da un punto triplo, e con tacnodo ; essa contiene sei rette semplici, tre a,, 03, 43 giacenti nelle faccie del trispigolo 4, 2, 3 delle rette doppie, le altre tre d,, da, 93 uscenti dal tacnodo e secanti rispett. le coppie 1a,, 20,, 303. Le tre rette di, da, dg stanno nel piano tangente alla F? nel tacnodo, il qual piano seca ulterior- mente la F5 in una conica passante per il tacnodo, Gli co* coni quadrici che passano per le tre rette doppie 1, 2, 3 e per il tacnodo, segano la superficie lungo coppie di coniche; 4)' superficie del quarto ordine con due tacnodi e due quaterne di rette uscenti da questi e giacenti nei piani tangenti singolari; ogni piano per i due tacnodi sega la superficie lungo due coniche. Di questa superficie 4) si trova un cenno nei lavori: Kummer, Ueber Flachen vierten Grades auf welchen Schaaren von Kegelschnitten liegen (Crelle-Journal, Bd. 64); NOTHER Ueber die eindeutigen Raumtransformationen (Math. Annalen, Bd. 3). (*) Si possono quindi assegnare subito tutte le superficie non normali di seconda specie. Accennerò soltanto ad una £° del nostro spazio, la cui curva doppia si compone di una retta e di una curva del sesto ordine e genere 2 avente due punti doppi sulla retta; sulla /? giacciono due rette semplici che si appoggiano alla retta doppia. Per un punto particolare di questa pas- sano co! piani bitangenti di /° che secano la superficie lungo coppie di cu- — biche, ed inviluppano un cono del secondo ordine doppiamente circoscritto a F°. (Un cenno di questa £° si trova a pag. 42 della citata Me del CAPORALI). SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 483 superficie di terza specie deve aver l'ordine quattro, appartenere al nostro spazio e possedere un punto doppio (ma non curva doppia). Ora una tal superficie ha in generale il genere 1; ma può divenire rappresentabile sul piano semplice (acquistando il genere 0) per particolari singolarità del punto doppio. Il NòTHER (*) assegnò i due tipi di F* con punto doppio che sono razionali, ne diede la rappresentazione piana e ne dedusse le principali proprietà. Qui dirò soltanto che ura di queste /°* è rappresen- tata sul piano mediante il sistema delle curve di settimo ordine con un punto triplo e 9 punti doppi comuni, i quali 10 punti base stanno in particolare posizione sopra una cubica; l’altra 74 mediante il sistema delle curve del nono ordine, il cui gruppo base è costituito da otto punti tripli, un punto doppio e un punto semplice (dieci punti che stanno sopra una stessa cubica). Una superficie di quarta specie non potendo contenere un sistema oo? di quartiche di genere inferiore a 3, deve necessa- riamente essere la superficie generale del quarto ordine di S,. Una tal superficie ha il genere 1, e non può mai rappresentarsi sul piano. IV. Superficie sulle quali ogni curva del sistema (7) si scinde. 12. È questo l’ultimo caso che devo esaminare. Segue da una osservazione fatta più volte dal sig. NÒTHER (**) che sopra una superficie irriduttibile la curva generica y di un sistema lineare (7) può scindersi soltanto in curve tutte dello stesso ordine, formanti un tal sistema co' (0) che per ogni punto della superficie passi una sola curva di (0) (più forse qualche curva fissa comune ad ogni y). Nel nostro caso, pensando alla 9,9 segata sopra una sezione di F” da (7) si vede subito che non può da ogni curva di (7) staccarsi una stessa curva fissa; e poichè la y generica è del quarto ordine essa potrà scindersi soltanto in due coniche o in quattro rette, come avevo già af- fermato al num. 1. (*) Ueber die rationalen Flichen vierter Ordnung (Math. Annalen, Bd. 33), (**) Math. Annalen, Bd. 3, pag. 174; Bd. 8, pag. 524. 484 GUIDO CASTELNUOVO Nella prima ipotesi le oc! curve ‘ che passano per un punto di una conica formante parte di una ‘7, sì scindono tutte in quella conica e in co! altre coniche che costituiscono un sistema lineare; due qualunque tra queste formano una curva y. La #°”, adunque per un teorema già citato dal sig. NOTHER (*) è rap- presentabile sul piano. Sopra una sezione di Y” le co! coni- che determinano una involuzione razionale di coppie di punti, sicchè la F"” ha per sezioni tutte curve iperellittiche; le pro- prietà di questa Y” seguono quindi subito (ponendo 7 =3) da quelle che ho dimostrato in una mia Nota (giù nominata) per le superficie a sezioni iperellittiche di genere 7. Così si trova che: la superficie a sezioni iperellittiche di genere 3 che ha il massimo ordine ed appartiene allo spazio più elevato, è la F'° di S,,; ogni altra F” della categoria qui studiata può ottenersi dalla F!° mediante proiezione. La F'° di ,S,, contiene col coniche i cui piani formano una varietà razionale d’ordine 12. La F! può appartenere a due diversi tipi perchè: 1) o le curve d'ordine minimo secanti ciascuna conica in un sol punto sono col quartiche razionali; 2) o vi è una sola curva d'ordine mi- nimo f.=3 secante in un punto ciascuna conica. Nel primo caso la F!° si rappresenta sul piano mediante le curve del 6° ordine che hanno un punto quadruplo e un punto doppio in comune; nel secondo caso mediante le curve d'ordine 8— uu. con un punto multiplo secondo 6 — p. e 3 — p. punti doppi infinitamente vicini a questo (u=0, 1, 2, 8). Credo inutile di fermarmi sulle varie proiezioni di questa F'° negli spazi inferiori (tra le quali noterò soltanto la 7°? con retta tripla di $.). 13. Se la curva generica Y si scinde in quattro rette, la F” contiene col rette ed è quindi una rigata di genere 3. Da alcuni teoremi del sig. SEGRE (*) sulle rigate di genere n, segue subito: Una rigata di ordine qualunque n e di ge- nere 3, la quale appartenga ad uno spazio inferiore ad S,-5, è proiezione di una rigata dello stesso ordine appartenente ad S,-ss Una rigata d'ordine » e genere 3 può avere però per spazio normale un S. dove r>n— 5; il massimo valore che può (*) Math, Annalen, Bd. 3. (**) Courbes et surfaces réglées algebriques, Math. Ann. Bd. 34. ‘SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 485 raggiungere r, dato n, è n—2 (fatta eccezione per il cono del quarto ordine di S,); una rigata d'ordine n di S,_, è sempre un cono. Si sa pure che per n=10, una rigata d’ ordine »: ha una retta direttrice doppia (ed è quindi iperellittica) quando r=%—3: ha per direttrice una retta doppia o tripla oppure una conica doppia, oppure una quartica piana semplice, quando ran 4. A queste proprietà, che si deducono subito dai teoremi ge- nerali dimostrati dal sig. SEGRE, altre potrebbero aggiungersi facilmente (relative per es. alle rigate d’ordine n<10), appli- cando al caso 7=3 considerazioni analoghe a quelle di cui il SEGRE fa continuo uso. Mi pare che l'argomento offra suffi- ciente interesse per augurare che altri lo prenda come oggetto di particolari ricerche. Torino — Maggio 1890. Il Permo-carbonifero di Valle Stretta (Alta Valle della Dora Riparia); del Dott. F. VirGILIO In parecchie escursioni compiute nella Valle della Dora Riparia ebbi occasione di osservare le formazioni rocciose affioranti nella sua parte alta, e più precisamente in Valle Stretta; e nella estate del 1887 dedicai alcuni giorni ad uno studio più particolareg- giato di quest’ultima località. La Valle Stretta, così chiamata per la ristrettezza dell’alveo nella sua metà inferiore, è diretta da nord-ovest a sud-est, e sbocca a Pian del Colle, a sud-ovest del villaggio Melezet. Essa misura una massima lunghezza dalla vetta del Tabor a Pian del Colle di oltre 11 Km. ed una massima larghezza dalla Rocca Gran Tempesta alla Cima della Gran Bagna di oltre 6 Km. e mezzo. L'ampia massa rocciosa del Tabor (m. 3177) chiude quasi il suo fondo. Il versante sinistro è formato dall’ imponente bastione calcareo, che dalla Cima della Gran Bagna (m. 3070) sul con- fine italo-francese, si dirige sinuosamente a sud-est, dando così 486 °F. VIRGILIO origine a diverse dirupate punte, quali la Bernaude (m. 3229), la Baldassarre (m. 3162), la Melchiorre (m. 2959) e la Gasparre (m. 2629), e terminando ai casolari di Melezet ed Arnauds. Questo clinale divide la Valle Stretta dalla valle vicina e paral- lela, detta della Rhò, che sbocca ad ovest di Bardonecchia. Il versante destro scende dal sinuosissimo clinale del confine con la Francia, il quale clinale, a cominciare dal Tabor, segue pel Colle Valmeinier (m. 2856), Rocca Chardonnet (m. 2946), Colle La- val, Rocca Gran Tempesta (m. 3009), Rocca Piccola Tempesta (m. 2979), Rocca Bianca (m. 2851), Colle del Vallone (m. 2626), Passo del Cavallo, Roche des Thurres (m. 2701), Col des Thurres (m. 2184), Guglia Rossa (m. 2547), Col des Echelles (m. 1760), Guglia del Mezzodì (m. 2621), Col des Acles (m. 2207). L'importanza geologica di questa parte della Valle di Susa è specialmente devoluta allo sviluppo di formazioni appartenenti alla serie delle roccie fossilifere alpine più antiche, cioè il Car- bonifero. Questa zona, in lembi distaccati, penetra in Italia dal Vallese di Svizzera per il Gran San Bernardo, taglia la Valle d’Aosta rasentando il massiccio del Monte Bianco, passa in Ta- rantasia e nella Moriana per la Thuille e per il Piccolo S. Ber- nardo, rientra in Italia per la Valle Stretta, segue per il Brian- connais, riappare a Monfieis sopra Demonte, e diventa centrale nella parte orientale ligure-piemontese delle Alpi Marittime fino a Calizzano: segna così un allineamento concentrico tra l’asse arcuato delle ellissoidi del Monte Bianco, di Belledonne, del Pelvoux e del Mercantour al di fuori, e l’altro asse arcuato delle ellissoidi del Monte Rosa, del Gran Paradiso e di Dora-Val Maira al di dentro. In via generale vi si osserva una marcata discor- danza tra le roccie cristalline arcaiche e quelle prettamente fossi- lifere delle nostre Alpi, quindi contatti diretti di queste ultime con le roccie appartenenti alla zona delle pietre verdi del Ga- staldi, e talora anche con lo gneiss centrale antico. Quasi ovunque i conglomerati, le arenarie e gli scisti carboniosi con antracite caratteristici del Carbonifero sono accompagnati dalle formazioni permiane e triasiche rappresentate in genere: le prime da ana- geniti, e scisti talcoidi, le seconde da quarziti e calcari. Le prime scoperte di giacimenti antracitiferi con piante fossili nelle Alpi occidentali avvennero sul principiar del secolo in Francia (Petit Coeur in Tarantasia), e furono illustrate da Brochant, Elie de Beaumont, Brongniart, Gras, Bunbury, Heer, Grard-Eury IL PERMO-CARBONIFERO DI VALLE STRETTA 487 e da altri. In Italia e verso il 1877 il Baretti raccolse nella Valle della Thuille varie impronte di piante fossili del Carboni- fero; ed il Portis (1), che le studiò, trovò in esse quasi tutte le specie già rinvenute a Petit Coeur. L'ingegnere Zaccagna ne scoprì nel 1885 nelle Alpi Marittime; e l’ingegnere Mattirolo ne raccolse in Valle Stretta nel 1888, appunto un anno dopo ch'io, ad escursioni finite, raccoglievo qualche studio sulle inda- gini fatte. Fossili triasici infine furono pure recentemente trovati dallo Zaccagna e dal Mattirolo a Gad d’Oulx ed al Col des Acles nella Valle della Dora Riparia. Accenno ora alle varietà petrografiche che costituiscono ed accompagnano la zona carbonifera di Valle Stretta. La strada, che da Bardonecchia conduce ai casolari di Ar- nauds e Melezet, rasenta il roccioso sperone terminale, che divide la Valle Stretta dalla Valle della Rhò. Tale sperone è formato da strati variamente contorti di calcescisto, inclinati a sud-ovest, calcescisto, cotesto, eminentemente intaccabile dalle acque, per cui, mercè gli enormi prodotti di sfacelo, vien via e di frequente flagellando i luoghi sottostanti. Di poco oltrepassato il villaggio di Melezet, i calcescisti, passano gradatamente a calcari compatti grigio-rossastri, i quali, conservando lo stesso andamento strati- grafico, si estendono sino a formare tutto il versante sinistro della Valle Stretta, non che la parte terminale del versante destro, dallo sbocco della Comba Miglia, presso le Grange di Valle Stretta, alla Guglia Rossa, alla Guglia del Mezzodì, al Col des Acles e oltre. Probabilmente la metà inferiore della valle, dalle Grange a Pian del Colle, segna una frattura di strati con spostamento (faglia) in alto della parte sud-ovest di tutta la potente massa calcarea. Oltre Pian del Colle, incontransi a’ lati del torrente, lembi morenici, che si prolungano nell’interno della valle fino al di là delle Grange Prignon. Fino a questi alpi, nulla havvi di notevole, imperocchè i due versanti della valle sono costituiti dalle masse calcaree, a picco sul versante destro per le testate infrante degli strati, e con enormi accumuli detritici sul sinistro. Dalle Grange di Valle Stretta rimontando il sentiero, che (1) In BarETTI, Studi geologici sulle Alpi Graie settentrionali; Mem. R. Ace. de’ Lincei, S. 3*, V. III, 1879, 488 F. VIRGILIO per il basso della Comba Miglia mena al Col des Thurres, s’in- contrano dapprima gl’identici calcari, di poi piccoli lembi di car- niole e gessi, da ultimo una anagenite grossolana a granuli quarzosi bianchi, grigi, rosei e violacei, impastati con talco verdiccio, la quale anagenite passa per gradazioni a quarziti bianche e ver- diccie, che varcano il confine estendendosi e a tramontana e a mezzodì. Più in alto riappaiono i calcari sovrapponentisi alle quarziti, i quali per la Roche des Thurres, Col Etrait du Vallon, Rocca Riondi, Passo del Cavallo e Colle del Vallone, formano il clinale confine con la Francia, e si sviluppano al nord fino alla Gran Testa del Cane. L'andamento stratigrafico delle quarziti è concordante con quello dei calcari sovrastanti, e di conseguenze con inclinazione in generale a sud-ovest, salvo accidentalità locali. Da ciò, tanto i calcari quanto le quarziti rappresenterebbero nel luogo accennato la parte di una gamba o fianco di anticlinale spezzata; e la venuta a giorno delle sottostanti quarziti, più che alla denudazione per l’erosione superficiale, è dovuta ad un’altra frattura di strati accompagnata da spostamento (faglia) in alto della parte occidentale, frattura e spostamento che si prolun- gano dal confine nord poco lunge dall’ovest del Colle di Valle Stretta, in direzione nord-sud con leggiera convessità rivolta ad oriente. Tutta la valle perciò con le sue diramazioni in alto, non è che una valle d’interstratificazione. Chi risalendo il sentiero. che dalle Grange Serre conduce alla Comba omonima ed al Passo del Cavallo a sud-est del Colle del Vallone, incontra dapprima le quarziti sottostanti ai calcari; di poi uno scisto talcoide feldspatico a forma gneissica grigio-verdastro passante talora a scisto talcoide micaceo a grana fina e colora- zione verdiccia omogenea. Più in alto compaiono arenarie e scisti carboniosi con antracite, su cui poggiano immediatamente ed in ordine ascendente lo stesso scisto talcoide, le quarziti ed i calcari. Questo scisto rappresenterebbe qui l’appenninite del Gastaldi, formazione indubbiamente permiana per il fatto del trovarsi essa nelle Alpi costantemente interposta tra gli strati carboniferi al di sotto e le quarziti coi calcari triasici al di sopra. Tale roccia è grandemente sviluppata nelle Alpi Marittime ; ed il Gastaldi la denominò apperninite appunto perchè credeva ch’essa piuttosto abbondasse nell'Appennino. Ma da recenti conclusioni che lo Zac- IL PERMO-CARBONIFERO DI VALLE STRETTA 489 cagna (1) dedusse dalle sue indagivi fatte dalle Alpi Marittime alle Graie, risulterebbe che questa roccia, mentre manca nel vero Appennino, perchè soltanto si estende poco oltre il Colle di Ca- dibona, si sviluppa invece ampiamente dalle Alpi Marittime per le valli della Stura e della Maira, in Francia nella Valle del l'Ubaye, per ricomparire poi, in lembi, allo Chaberton, in Valle Stretta, a Modane, in Tarantasia ed al Monte Bianco. Si presenta sotto svariatissime forme, per il che differenti sono i nomi che può pren- dere, ad esempio quelli di scisto anagenitico, scisto gneissico, ana- gemite feldspatica, gneiss verde, gneiss anagenitico. È il Suretta- gneiss dei Geologi svizzeri allo Spluga. L’ ingegnere Zaccagna propone il nome di Besimaudite, perchè essa costituisce intera- mente la Punta Besimauda a sud di Cuneo nelle Alpi Marittime. Il calcare, che trovasi in alto e al di sopra delle quarziti, è del tutto consimile ai calcari che s'incontrano al basso della Comba Miglia. Gli strati superiori però, che formano il clinale tra il Passo del Cavallo ed il Colle del Vallone, specialmente sul versante francese, sono identici ai lembi calcarei della vetta del Tabor e del Colle di Valle Stretta. È un calcare questo a struttura veramente singolare. Si presenta scistoso, grigio, rossa- stro, con venature a noduli allungati di color nero avvolti tra loro ed intricati, i quali, secondo il Portis ed il Piolti (2), sarebbero resti di Cylindrites. Dalle Grange Serre, rimontando il sentiero che guida al Colle di Valle Stretta, s’incontra subito un altro lembo di gesso ta- gliato dal torrente: seguitano tuttavia ad affiorare le quarziti sottostanti ai calcari dell'imponente bastione roccioso, il quale, con le testate inferiori de’ suoi strati, forma tutto il versante sinistro della valle, elevandosi in fantastiche vette fino oltre i 3200 metri sul mare. Sulla destra del torrente invece affiorano le testate superiori degli strati di arenaria micacea del carbo- nifero per lo spostamento già accennato. Oltrepassato il Ponte della Fonderia, il sentiero segue in alto frammezzo ai due corsi d’acqua paralleli: il Rio Tavernetta a sinistra ed il Rio Gere- brea a destra; la zona carbonifera è limitata pressocchè da questo (1) D. Zaccagna, Sulla geologia delle Alpi occidentali; Boll. d. Com. Geol. Ital., 1887, N. 11 e 12. (2) A. PortIs e G. PioLtI, Il Calcare del Monte Tabor; Atti d. R, Acc. d, Se, di Torino, V. XVIII, 1883. 490 F. VIRGILIO secondo ruscello per continuare poi nel valloncino della Donna ed estendersi fin oltre il confine e ad ovest del Colle di Valle Stretta. Le quarziti bianche e verdastre, col sottostante scisto talcoide, seguitano parallelamente l’affioramento degli strati car- boniferi. Al Colle di Valle Stretta s'incontrano anche calcari brec- ciati e micacei, non che lembi di calcare fossilifero identico a quello del Tabor e del Passo del Cavallo. Dalle Grange di Valle Stretta si scorge in direzione nord- nord-ovest la gran massa rocciosa dei Serù, che si eleva per più che 600 metri dal fondo della valle. Alla sua base, sui versanti orientale e meridionale, sono visibili le arenarie micacee, su cui poggiano le quarziti bianche, che a loro volta sopportano gli strati calcarei terminali: con le loro testate irte, scoscese e sconquassate tali strati danno alla massa un aspetto fantastico. Il tutto trovasi in stratificazione concordante, con inclinazione degli strati a sud- ovest. Sui versanti settentrionale ed occidentale invece, sono le quarziti sottostanti al calcare, che a nord-ovest si estendono fino al Tabor ed al Colle Valmeinier oltre il confine, mentre al sud si prolungano dall’una parte per la base orientale della Gran Testa del Cane, tagliando in basso la Comba Serre, la Comba Miglia, e via via oltre al Col des Thurres, — dall’altra fino al di là del Colle del Vallone e della Rocca Bianca. Per una linea poi passante per il Colle Valmeinier ed i laghi di Chardonnet, del Grande Adritto, della Gran Tempesta e di Lavora, fin oltre la base occidentale della Rocca Bianca, si ren- dono di nuovo visibili le arenarie micacee con scisti carboniosi intercalati, che, con le testate infrante dei loro strati, formano tutta quella parte del versante destro della valle. Il clinale, se- gnante il confine, passa per la Rocca Chardonnet, Colle Laval, Rocca Gran Tempesta e Rocca Piccola Tempesta. La colorazione scura della roccia e gli abbondanti prodotti di sfacelo superficiale dànno un aspetto triste e selvaggio alla località. L’inclinazione generale degli strati è sempre a sud-ovest, salvo accidentalità stratigrafiche locali. La depressione occupata dai suaccennati laghi coll’affioramento degli strati carboniferi ad ovest, segna un altro salto (faglia), il quale perciò risulta parallelo a quello, accen- nato precedentemente, di Rocca Bussort-Col des Thurres. Negli scisti ardesiaci carboniosi neri e grigiastri di questi luoghi il Mattirolo rinvenne le impronte di piante fossili, che‘ furono poi illustrate dal Portis, IL PERMO-CARBONIFERO DI VALLE STRETTA 491 Infine nell'antica miniera del Bancher o di Melezet, alla base orientale della Gran Testa del Cane, l’ematite trovasi a compe- netrare la quarzite fra lo scisto talcoide al contatto col calcare. Dall’andamento stratigrafico delle formazioni rocciose affio- ranti nella località in esame, dalla natura mineralogica di que- ste, dai fossili rinvenutivi, e dal confronto con formazioni iden- tiche di altre località delle Alpi occidentali, si potrà con sicu- rezza ottenere la determinazione cronologica dei terreni tutti, nei quali è incisa la Valle Stretta. Della composizione mineralogica e dello assetto stratigrafico di queste formazioni ho già detto precedentemente. Riguardo ai fossili vi hanno dapprima quelli del lembo di calcare della vetta del Tabor. Essi fin dal 1839 richiamarono l’attenzione del Prof. Angelo Sismonda (1), il quale perciò trovò detto calcare analogo a quello del Portlandiano, sottopiano oggidì del Titonico. I signori Portis e Piolti (2) vi riconobbero le Cylindrites; e pur ammettendo la scoperta di tali alghe fossili in tutti i terreni dal Siluriano al Flisch, vi trovarono maggiore analogia con le cilindriti di Solothurn, e vennero così alla conclusione, che il calcare del Tabor nulla ha di comune, vuoi col calcare del Chaberton, del Trias medio, vuoi col calcare del Brianconnais, del Trias superiore, e lo riferirono invece agli orizzonti inferiori del Cretaceo. Al lembo calcareo del Tabor potrebbero unirsi gli altri lembi identici, pure fossiliferi, da me accennati, del Passo del Cavallo, del Colle del Vallone e del Colle di Valle Stretta. Altri fossili scoperti a Gad d'Oulx dallo Zaccagna ed al Col des Acles dal Mattirolo furono studiati dal Portis (3). Nella prima località si rinvennero : Natica, sp. aff. N. pulla Goldf. Natica, sp. aff. N. exculpta Schaur. Myophoria sp. aff. M. elegans Dunk. Lima costata Minst. Diplopora pauciforata Gimb. (1) Mem. R. Acc. d. Sc di Torino, S. 23, T. III, pag. 39. (2) A. Portis e G. PrioLtIi, Mem. cit. (3) A. Portis, Nuove località fossilifere in val di Susa ; Boll. d. Com. Geol. d’Italia, 1885, N. 5 e 6. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. \XV 36 492 : F. VIRGILIO e nella seconda: Diplopora pauciforata Gimb. Per la presenza di questi fossili l’autore conchiude col rife- rire il calcare delle dette località al MuschelkalX inferiore (Fran- coniano). I medesimi fossili si trovano abbondantissimi in alcuni strati del calcare del Chaberton, ma per non aver potuto finora ottenerli isolati in istato riconoscibile, e per esservi in. quella località una potente pila di strati, giustamente il Portis dice non essere fattibile oggidì asserire sino a qual punto la serie dello Chaberton si elevi al di sopra del MuschelkalX inferiore. Infine le piante fossili trovate dal Mattirolo negli scisti car- boniosi al Colle Valmeinier, Colle Laval, Rocca e Colle Gran Tempesta, Lago Lavora e Comba Serre in Valle Stretta, accu- ratamente studiate dal Portis (1), sarebbero le seguenti : 1. Sphenopteris Hoeninghausii Brongt. 2. Diclksoniites Pluckenetii (Schloth sp.) Brongt. sp. 3. Lepidodendron Sternbergii Brongt. 4. Lycopodium denticulatum (Gold.) Schimper. o. Lepidophyllum trilineatum Heer. 6. Lepidophyllum majus Brongt. 7. Distrigophyllum bicarinatum (Lindl. sp.) Heer? 8. Calamites Succovii (Brongt. ex p.) Stur emend. 9. Calamites Cistii Brongt. 10. Calamites ramosus Artis. 11. Calamites sp. Calamocladus, Asterophyllites, Wolk- . manniae aut Bruckmanniae etc. 12. Cordaites (Eu-cordaites) borassifolius Sternb. 13. Cordaites (Poa-cordaites) microstachys Goldemb. L’autore, paragonando poi queste piante con quelle trovate in Francia ed in Isvizzera, deduce le seguenti conclusioni : Le specie 1, 4 e 10 furono segnalate per la prima volta nelle Alpi occidentali, l’ultima però fu incontrata dall’Haug nel 1889 a Barles nel Delfinato; la specie 13 sarebbe ignota in Savoia; la 5 fu trovata solo in Tarantasia; la 6 soltanto rin- venuta dallo stesso Portis al Colle del Piccolo S. Bernardo (2). (1) A. Portis, Mem. cit. (2) In BarettI, Mem, cit, IL PERMO-CARBONIFERO DI VALLE STRETTA 493 I punti più in alto del clinale, quali sarebbero quelli del Colle Valmeinier, del Colle Laval e della Rocca Gran Tempesta, si riferirebbero al livello del Delfinato, mentre i punti più in basso verso il fondo della valle, quelli cioè del Lago Lavora e della Comba Serre, corrisponderebbero al livello della Tarantasia, superiore questo ed inferiore quello del Delfinato in rapporto alle piante carbonifere di queste località, giusta l’opinione del Gras, dell'Heer, dello Stur e del Saporta. Finalmente la specie 10 pare corrispondere più alla flora dell’antracifero alpino, che è il livello della Tarantasia (superiore). Venendo ora ad un esame di confronto tra la Valle Stretta ed altre località delle Alpi occidentali, mi riferirò al lavoro dello Zaccagna, già citato. Alla base del Mongioje, Valle del Negrone, nelle Alpi Marit- time, s'incontrano scisti neri carboniosi, scisti arenacei, micacei e talcosi grigi e vere arenarie, che rappresentano il Carbonifero. Superiormente stanno scisti granosi talcosi verdicci, che, dive- nendo feldspatici, si trasformano in appenninite, giusta la deno- minazione del Gastaldi, come nelle Alpi Apuane ed allo Spluga. Secondo lo Zaccagna la facies più normale e diffusa di questa roccia, è lo scisto a forma gueissica di granuli di quarzo e di feldspato allungati e cementati da materia talcoide verde scura; per grana fina assume l’aspetto di una arenaria feldspatica a con- tatto specialmente con le anageniti. Queste, sovrastanti all’ap- penninite, sono costituite di granuli quarzosi bianchi e rosei in una pasta talcoide verdiccia, e passano per gradazioni a quar- ziti bianche e verdiccie. Secondo i geologi lombardi e tedeschi, le anageniti corrisponderebbero al Verrucano della Toscana, e verrebbero riferite al Permiano, mentre le sovrastanti quarziti rappresenterebbero il Trias inferiore; ma nelle Alpi Marittime queste due roccie sono così intimamente connesse da non potersi separare l'una dall’altra con netta e precisa distinzione, epperciò lo Zaccagna le riunisce nel Trias con le altre roccie triasiche, poggian- dosi anche sulla presenza del fossile trovato a Castagnabanca in Li- guria dai signori Mazzuoli ed Issel, fossile, che, mentre dapprima fu ritenuto per Estheria minuta, pare ora invece essere non altro, che Myacites Fassaensis, caratteristica del Trias. Imme- diatamente al di sopra degli scisti talcoidi e delle quarziti, pog- giano i calcari grigi subcristallini’passanti a calcescisti e calcari a lastre del Trias inferiore; superiormente stanno altri calcari 494 F. VIRGILIO dolomitici fossiliferi biancastri e grigiastri, subcristallini, duri, con fratture e vene di calcite corrispondenti ai calcari del Brian-. connais triasici di Lory, di Favre, di Gerlach e del Baretti. Lo Zaccagna chiama cotesti calcari calcari di Villanova, rappor- tandoli al. Muschelkallk (Trias medio), mentre il Portis, per la Diplepora annulata in essi contenuta, li riferisce al Keuper medio (strati di Wetterstein, di Hallstadt, di Esino). Ed infine ancora, al di sopra, stanno altri calcari compatti, suberistallini, bianchi, rosei, grigiastri, ceroidi del Trias superiore. In questa località raramente s'incontrano gessi e carniole ; sono però frequenti in altre, e più specialmente alla base del calcare di Villanova. Sul torrente Corsaglia, tra le quarziti a contatto coi calcari triasici, havvi un banco di ematite in compenetrazione nella quarzite ; fatto questo, che per lo Zaccagna costituisce un’analogia con le Alpi lombarde, dove il servino è sovente ferrifero. In Valle d'Aosta, verso il Monte Bianco; trovasi la mede- sima successione petrografica : agli scisti carboniferi succede lo scisto gneissiforme talcoide permiano, poi vengono le quarziti, i gessi, le carniole, i calcescisti, i calcari micacei grigi, bianchi, cristallini, compatti triasici. Ora. in Valle Stretta, alle arenarie micacee con gli scisti carboniosi del Carbonifero (arenarie e scisti che dalla Comba Serre si estendono per la base orientale del Serù alla Rocca Bussort sul confine, nel Valloncino del Desinare, presso il Lago Bianco, e su tutto il versante discendente dal clinale confine Colle Valmeinier-Rocca Bianca ai laghi Chardonnet, Grande Adritto e Lavora) si sovrappone dapprima lo scisto talcoide di Gerebrea, della Miniera del Bancher e della Comba Serre, pas- sante allo scisto talcoide micaceo verdastro di questa stessa loca- lità, e rappresentante il Permiano; dappoi, e più in alto, si sovrappongono l’anagenite della Comba Miglia e le quarziti bian- che e verdiccie, che dal Col des Thurres si prolungano al nord per il Vallone Tavernetta, alla base del Serù, alla Rocca Bianca fino al Tabor, riferentisi al Vosgiano (Trias inferiore). Su queste quarziti poggiano i calcari grigi subcristallini passanti a calcescisti, tra Melezet. e Bardonecchia , calcari che. si esten- dono per tutto il versante sinistro della valle fino al Colle di _ Valle Stretta, alla Guglia Rossa, Guglia del Mezzodi, Col des | Acles e oltre, alla Roche des Thurres, Passo del Cavallo, Colle | del Vallone, Gran Testa del Cane e Rocche del Serù; essi rap- | ) PT | Quaternario antico Da Cretaceo inferiore ", iroliano © Franomiano Trias {72 LI S| Vasyiano { musst 1a Permiano t | Carbonifero [I Scala di 50.000 RGerebrea Ì R° G. Tampesta fm 0008) Posrrrrea Piecolo Serù V'Tavernetta R® Bernaude A A L SO M. 1500 sul livello del mare - —_ — ——_- ui ‘iL PERMO-CARBON]FERO DI VALLE STRETTA 495 presenterebbero i calcari del Vosgiano, quello di Villanova, del Franconiano o Musckelkalk (Trias medio), e quello del Tiroliano (Trias superiore). Su questa, maggior massa di calcari stanno in ultimo i lembi accennati di calcare fossilifero a Cylindrites della vetta del Tabor, del Passo del Cavallo e del Colle di Valle Stretta, calcare che si riferirebbe al Cretaceo inferiore. Non man- cano infine le carniole ed i gessi al Tabor ed alla Comba Miglia; come pure l’ematite della Miniera del Bancher in compenetra- zione nel quarzo fra lo scisto talcoide, le quarziti ed i calcari. Dallo esame dei fatti precedentemente esposti si possono de- durre le seguenti conclusioni : 1° La Valle Stretta è una valle d’interstratificazione. Il suo alveo corrisponde a due salti: l’uno superiore, in direzione pres- sochè nord-sud, e l’altro inferiore, diretto da nord-ovest a sud- est; ambidue si uniscono poco a monte delle Grange Serre. 2° Il Carbonifero è costituito da arenarie micacee e da scisti carboniosi intercalati, e comprende entrambi i livelli della Ta- rantasia, superiore, e del Delfinato, inferiore. 5° Il Permiano è rappresentato dallo scisto talcoide gneissi- forme e dallo scisto talcoide micaceo verdastro. LI 4° Il Vosgiano. è costituito dall’anagenite , dalle quarziti bianche e verdiccie, dai calcescisti e dai calcari grigi inferiori. 5° Il Franconiano ed il Tiroliano dai calcari grigi e rossastri superiori. 6° Il Cretaceo dai calcari a Cylindrites. 496 PIERO GIACOSA Studi sulla produzione dell’ Acido urico negli organismi; di Piero GIACOSA Nel Luglio dell’anno scorso I. HorBAczEWSKI presentava al- l'Accademia delle Scienze di Vienna alcune sue ricerche sulla produzione dell’acido urico nei mammiferi (1). Il più notevole fra i risultati delle sue osservazioni era il fatto ben constatato che se si lasciano per qualche ora in contatto polpa splenica e sangue di vitelli lattanti alla temperatura dell'organismo e in presenza d’aria, si formano delle quantità sensibili di acido urico. La produzione di quest’acido è in ragione diretta della quan- tità di milza impiegata ; essa dipende dalla integrità delle con- dizioni di temperatura e di aerazione fisiologiche : l'estratto acquoso della milza fresca, contiene sciolti dei principii i quali per l’a- zione del sangue generano acido urico. La milza e il sangue esa- minati immediatamente dopo estratti dall’animale non contengono punto, o soltanto traccie di acido urico. Come si scorge, questi fatti sono abbastanza interessanti per meritare conferma; e nella prima parte di questo lavoro io ebbi appunto ad occuparmi di questo argomento e volli ripetere le esperienze di HoRBACZEWSKI. Darò più sotto i particolari di queste esperienze. Intanto è bene riassumere alquanto per sommi capi lo stato presente delle nostre cognizioni su questo argomento. Dopochè il KosseL con varii lavori dimostrò il nesso che passa fra la nucleina e i corpi xantinici venne spontanea l’idea che fosse da cercarsi nella nucleina l’origine dell’acido urico. Le formole dei corpi xantinici cioè della xantina, ipoxantina, gua- nina ed adenina si rassomigliano tanto e hanno tale affinità con (1) Sitzungsberichte d. kais. Ahademie d, Wissenschaften. Mathem-naturw, Classe } Bd. XCVIII, Abt. III, Juli 1889. PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 497 quella dell'acido urico; fra i prodotti di scomposizione di questi corpi se ne trovano tanti comuni, che il pensiero corre spontaneo ad immaginarli come composti derivanti gli uni dagli altri. Nei nostri laboratorii finora si riuscì a ottenere la ipoxantina dal- l’adenina per l’azione dell’acido nitroso (KossEL) e la xantina dalla guanina collo stesso metodo. Ma, malgrado le affermazioni di STRECKER (1) che si trovano ancora registrate nel trattato di Ro- SCOE e SCHORLEMMER (2), non si potè dall’acido urico ottenere per riduzione la xantina, nè dall’ipoxantina per ossidazione la xan- tina. Però questa trasformazione si compie non solo nell’orga- nismo degli uccelli, ma anche in quello dei mammiferi. KERNER (3) trovò che la guanina data ai conigli produce aumento di acido urico: l’ipoxantina nell'organismo dei polli si trasforma quasi intieramente in acido urico (v. MACH) (4). Se è assodato che nell’organismo sopratutto degli uccelli i corpi xantinici sì trasformano in acido urico, non si ha ancora la prova diretta che la nucleina produca nelle condizioni fisio- logiche dei corpi xantinici. Il KossEr ottenne bensì xantina della nucleina, ma per l’azione degli acidi diluiti. La inattacabilità della nucleina al succo gastrico rende diffi cile il poter fare il diretto esperimento. StADTHAGEN (5) che lo tentò somministrando nucleina non vide neli’urina aumentare i corpi xantinici o l’acido urico: probabilmente la nucleina non era stata assorbita. Altri fatti tuttavia mettono si può dire fuor di dubbio che i corpi xantinici derivino dalla nucleina degli or- gani. Anzitutto gli organi più ricchi in nucleina sono anche più ricchi in corpi xantinici (SALOMON, KossEL); se questi organi ricchi in nucleina si esaminano freschi, vi sì trovano meno corpi xan- tinici che non dopo 24 ore di riposo (6); nel sangue vivente non sì hanno corpi xantinici che in minime quantità e vi compaiono dopo la morte (SAaLomoN (7). Il SaLKkowsKI (8) trovò che il lievito sterilizzato contiene nucleina e pochissimi corpi xantinici, ma che (1) Zeitschr. f. phys. Ch., 10, p. 260. (2) Lehrb. d. Chemie. II Band, p. 918, Braunschweig, 1884. (3) Ann. der Ch. u. Pharm., CIII, 249. (4) Arch. f. exp. Path. u. Pharm., XXIV, p. 389. (5) VircHow”s, Arch., CIX, pag. 390. (6) Arch. f. Anat. u. Phys.. 1881, Phys. Abt., p. 364, (7) Zeitschr. f. phys. Chemie, II, p. 65. (8) Zeitschr. f. phys. CA., vol XIII, p. 506. 498 PIERO GIACOSA ‘la nucleina scompare e vengono le xantine quando si lascia il lievito a sè. Secondo il SaLKowsKI sarebbe un processo zimotico quello che nelle cellule darebbe luogo alla trasformazione della nucleina in xantina. La grande ricchezza della milza in elementi nucleati (leuco- citi) l’addita già a priori, in basc ai fatti che ho esposto, come uno degli organi in cui si devono formare corpi del gruppo delle xantine e dell’acido urico: fin dal 1858 il RANKE (1) emise questa ipotesi partendo dalle osservazioni confermatesi di poi, che nelle malattie in cui si ha aumento di volume della milza si ha anche aumento nella eliminazione di acido urico; ed è impor- tante a questo proposito l’osservazione spesse volte fatta (2) che la chinina fa diminuire la quantità ”d’acido urico eliminato. Le esperienze di HoRBACZEWSKI già citate confermano questa ipotesi; per controllarne l'esattezza io le ripetei nelle stesse con- dizioni in cui aveva operato lo sperimentatore austriaco. Il sangue e la milza si toglievano ai vitelli immediatamente appena uccisi; il sangue era rapidamente defibrinato e colato per un panno, poi si rinchiudeva il tutto in un recipiente a doppia parete, avviluppato al di fuori con lana. Fra le due pareti si metteva dell’acqua a temper. di 38°-40°. Gli organi così riparati per quanto si po- teva dal raffreddamento erano subito portati in laboratorio, dove giungevano con una temperatura che non scese mai al di sotto di 28°, e ciò per la grande distanza che è tra il matta- toio municipale e il mio laboratorio. Scelsi anch'io i vitelli lattanti, che a Torino si chiamano sanati, i quali hanno la milza assai ricca di corpuscoli nucleati. Giunti in laboratorio si riduceva la milza in pasta mediante una macchinetta trita-carne previamente riscaldata; si separava dalla polpa rossa il connettivo della capsula. Poi la polpa si pesava, si pesava il sangue con cui la si voleva mescolare, si impastava il miscuglio e si metteva in grande boccia di DRECHSEL, la quale si manteneva poi a bagno maria in un gran bicchiere di vetro a temperatura di 38°-40°. Mediante un aspiratore si faceva passare una corrente d’aria nel miscuglio di sangue e di milza, il quale per ciò aveva sempre un colore rosso vivo di sangue arterioso. (1) Citato in LeuBe e SaLkowski. Lehrevom Harn, p. 100, (2) Cfr. Prior, Pftigers Arch., XXXIV. p. 297 (1884). PRODUZIONE DELL'ACIDO ‘URICO NEGLI ORGANISMI 499 L'esperimento durava 6 a 7 ore: poi si lasciava raffreddare lentamente. Questo modo di operare è precisamente quello usato da HORBACZEWSKI. Feci in alcuni casi delle esperienze di controllo con sangue e milza freschi; ottenni sempre dei valori di acido urico o nulli o piccolissimi. i Quando io ritiravo dalla boccia di DRECHSEL il miscuglio di milza e di sangue per dosarvi l’acido urico esso tramandava per lo più odore di carne fresca; in alcuni pochi casi osservavo odore ammoniacale per putrefazione iniziata. Il miscuglio si estraeva con soluzione bollente di cloruro so- dico all’1 °/, con aggiunta di acido acetico. Si filtrava; il pre- cipitato col filtro si trattavano di nuovo con acqua bollente, pre- cisamente come nel lavoro di HorBaczewskI. Gli estratti riuniti si svaporavano a b. m. fino a piccolo volume, si filtravano a caldo e si trattavano col metodo di SALKowskI per la ricerca dell’acido urico quale è indicato nel suo trattato dell’urina a pag. 96, colla sola modificazione cella contemporanea aggiunta della soluzione magnesiaca ed argentica mescolate insieme. Il me- todo di Lupwie usato da HoRBACZEWSKI non è come osserva il SALKOWSKI (1) che una modificazione del suo, il quale è certo il più esatto fra i metodi di dosaggio dell'acido urico. benchè sia lunghetto e minuzioso. Raramente m’accadde nel corso di numerosi dosaggi di acido urico eseguiti in quest'anno che il filtrato dal solfuro d’argento fosse torbido; in ogni caso credo miglior consiglio filtrare il liquido tal quale appena sia presso alla ebollizione, e acidificare il fi'- trato: in tal caso si forma ùn intorbamento leggero lattiginoso di zolfo che si asporta poi coi lavaggi al solfuro di carbonio, mentre che se si fosse acidificato prima di filtrare si avrebbe avuto una filtrazione assai lenta. L'acido urico con questo metodo si ottiene per lo più in bei cristalli grandi, abbastanza scolorati. La quantità di acido urico ottenuta dalla polpa splenica e dal sangue di vitelli lattanti nelle condizioni accennate è estre- mamente variabile; ciò perchè non tutte le milze contengono le stesse quantità di nucleina o di generatori dell’acido urico, e (1) Zeitschr. f. phisiol. Chem., Vol, XIV, p. 48. 500 PIERO GIACOSA perchè anche la temperatura e la durata delle esperienze diffe- rirono alquanto dall’uno all’altro caso. Ecco i risultati delle mie esperienze; le ordino non crono- logicamente, ma secondo le quantità crescenti di milza impiegate. Esp. 1° - 4 febbraio 1890. — Si impiegano gr. 67 di san- gue e 33 di polpa splenica che .giunsero in laboratorio a tem- peratura di 28°; si mescolano e si mettono nella boccia di DrEcHSEL che contiene ancora un po’ d'acqua, per cui si scioglie un po’ di emoglobina; si lascia a 38-40” per ore 5 //,, poi si lascia sfreddare per 11 ore; nessun odore putrido all’aprire della boccia. Acido urico trovato milligr. 78. Esp. 2° - 10 febbraio 1890. -- Milza e sangue arrivano dall’ammazzatoio a temp. di 34°, si passa subito ala macchina ed al setaccio la milza, e la polpa si divide in 2 porzioni di gr. 75 l’una: una porzione si mescola con 200 gr. sangue e si mette nella boccia DRECHSEL dove rimane 5 ore e mezza a tem- peratura di 38°-40°; poi si spegne e si lascia sfreddare 12 ore; l’aria passa sempre regolarmente: nessun odore putrido: acido urico ottenuto milligr. 105,5. Esp. 3° - 26 gennaio 1890. — Milza e sangue giungono a temp. di 28°: 100 gr. di polpa splenica si mescolano con 300 di sangue, e sì lasciano 17 ore nella boccia di DREcHSEL: la temp. fu sempre da 35 a 38°. In questo dosaggio si ebbe l’inconve- niente che il solfuro d’argento passò a traverso al filtro per cui _ si dovette evaporare alquanto prima di filtrare. Acido urico ot- | tenuto milligr. 43,9. | Esp. 4° - 11 marzo 1890. — Sangue e milza giungono dal- _ l’ammazzatoio a temp. di 29°, si mescolano 150 gr. polpa splenica _ con 300 gr. sangue: rimangono circa 12 ore a 38°: acido urico ottenuto milligr. 128,1. Esp. 5° - 6 gennaio. — Sangue e milza arrivano a tem- peratura di 28°: si mescolano 325 gr. di polpa splenica con 325 di sangue, e il miscuglio si divide in due porzioni eguali, ciascuna contenente gr. 162. di polpa splenica e 162 gr. di sangue. La prima porzione si getta senz'altro in acqua bollente contenente cloruro sodico 1 ‘/,, Sì aggiunge acido acetico, e in- i somma si tratta come le altre per la ricerca dell'acido urico; l’altra porzione si mette nella boccia di DRECHSEL, vi si lascia 6 ore a 38°, sempre regolando bene la corrente d’aria: poi la sì tratta subito con acqua hollente come l’altra porzione senza "PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 501 lasciare sfreddare. Durante l’estrazione con acqua di queste due porzioni succedette uno sbaglio per cui la terza acqua di estra- zione della seconda porzione, cioè di quella che fu nella boccia per 6 ore si versa con le due prime della prima porzione che è quella trattata immediatamente, e viceversa la terza acqua di questa prima porzione si getta con quella della seconda. Forse per questa causa si trova che il sangue e la milza immediata- mente mescolati e analizzati contengono un po’ d’acido urico, 13 milligrammi; l’altra porzione ne contiene invece 111 milligr., e certamente si avrebbe avuto un numero maggiore senza l’in- conveniente accennato. Per cui in complesso, astrazione fatta dalle quantità di sangue impiegate, che come osservò già l’HoRBACZEWSKI non sembrano esercitare un’influenza grande sul fenomeno della produzione d’acido urico, si ha che con quantità di milza crescenti si hanno le se- guenti cifre per l’acido urico. E . Sangue | ,,: Acido urico! Acido urico 2/80; sperienze Milza gr. _X : x dr gr. milligr. |! milza in milligr. 1 66 | dò 78.00 | 256. 00 2° 200 | TO 105. 5 140. 00 a 300. | 100. | 43.0 | 43. 00 4° 150 150 128.1 | 85.4 { 9° hecl:0,2 L6,2 IPO, 69.5 Queste cifre dicono chiaramente che la quantità d’acido urico aumenta coll’aumentare della quantità di polpa splenica; fa ec- cezione la 3° esperienza nella quale non posso spiegare il piccolo risultato se non attribuendolo al fatto che in questo caso il mi- scuglio fu generalmente a temperatura più bassa che negli altri casi. L'aumento però non è proporzionale, poichè se si calcola in ogni caso l’acido urico ottenuto da 100 grammi di polpa sple - nica si hanno cifre assai disparate. Pare quasi che quantità cre- scenti di milza abbiano il potere di diminuire la produzione di acido urico. 502 °PÎERO GIACOSA I numeri da me ottenuti sono superiori a quelli di HoRBa- CZEWSKI, perchè egli usò sempre quantità di milza inferiori alle mie, e viceversa quantità di sangue maggiori: io impiegai di sangue o quantità uguali a quelle della milza, o il doppio o il triplo : egli invece per lo più impiega quantità di sangue 7 a 10 volte maggiori tranne che nell’ultima esp. della tabella in cui il rap- porto è di 1,4. In quest’ultimo caso da 100 di milza si otten- nero 142,7 milligr. di acido urico. La produzione dell’acido urico a spese della polpa splenica è, come già dissi, probabilmente in rapporto coi leucociti di cui questo organo è ricco; siccome però anche altri organi conten- gono elementi nucleati, e sono in grado di fornire i prodotti ca- ratteristici di scomposizione delle nucleine (1), così si può pre- vedere che la produzione di acido urico non deve essere una funzione esclusiva della milza, ma si deve verificare anche in altri organi. To riporto qui una esperienza fatta con fegato di vitello pop- pante (così detto sanato) e sangue. Esp. 6° -. Il fegato arrivò colla milza e col sangue della esperienza 4° al laboratorio a temperatura di 29°, si triturò fina- mente e si mescolarono 150 gr con 300 di sangue: si lasciò lo stesso numero di ore come la milza, solo che si perdette una parte del miscuglio nell’estrarlo dalla boccia di DRECHSEL: mal- grado ciò si ottennero milligr. 75,2 di acido urico, cioè più della metà di quanto si ottenne con eguale quantità di polpa splenica e di sangue dello stesso animale (128,1 milligr.). La partecipazione del fegato alla produzione di acido urico è dunque dimostrata; resta a decidersi quale parte prenda quan- titativamente quest’organo nella produzione di acido urico. Se anche (come si potrebbe dedurre da questa mia unica esperienza), il fegato a parità di peso produce meno acido urico, comparando il peso del fegato con quello della milza potrebbe risultare che esso avesse una parte più importante nella produzione totale. Non ho potuto intraprendere ricerche col midollo delle ossa, che certo danno dei risultati interessanti. Devo dire che avendo preso un fegato di vitello non lattante, e avendolo trattato nello stesso modo, non ottenni alcuna traccia | (1) Vedi a questo proposito il lavoro di GranpIS, Giornale della R. Acc. di Med., 1889, n. 6 e 7. PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 5053 d’acido urico; lo stesso risultato ottenni colla milza di questo stesso animale, ma non so se qui sia da ascriversi alla circo- stanza che l’apparecchio ad aspirazione per un guasto sopravve- nuto gettò dell’acqua nel miscuglio che era nella boccia di DRE- CHSEL. L'esperienza è da ripetersi. La produzione di acido urico nei mammiferi, si può facil- mente spiegare attribuendola ai processi che vediamo compiersi nella milza e nel fegato e che si compirono senza dubbio anche in altri tessuti. La piccola quantità d’acido urico eliminato dai carnivori, quella ancora minore eliminata dagli erbivori (1) sì possono interpretare come provenienti dalla metamorfosi delle sostanze nucleiniche o xantiniche. Si potrebbe forse immaginare che una parte dell’acido urico che si forma in questo modo si trasformi poi oltre in urea, poichè è noto che l’acido urico e i corpi xantinici somministrati ai mammiferi danno aumento non d’acido urico ma di urea: perfino nell'organismo del leucemico (2), l'acido urico somministrato per bocca scompare come tale, tra- sformandosi probabilmente in urea! Tuttavia a questo proposito conviene por mente che altro è il comportamento di una sostanza che penetri per le vie digerenti o che si produca nei nostri tes- suti; le esperienze di MarÈs (3) il quale vide che dopo un pasto copioso , prima che si fosse prodotto l’aumento solito nella eli- minazione di azoto, l’acido urico aumentava e raggiungeva il suo mazrimum sembrano provare che questo corpo fabbricatosi a spese del protoplasma vivente (poichè non può dopo così breve tempo, e senza il contemporaneo aumento dell’azoto ammettersi una di- struzione degli albuminoidi ingeriti) non subisca la sorte dell’altro. Sperimentando colle sostanze che il Binz prima e poi il PoxL (4) ultimamente hanno dimostrato essere in grado di pro- durre una leucocitemia passeggera si potrà forse vedere se l’acido urico formatosi nei tessuti si ossidi tutto o no. Io credo che quest’ultimo non si trasformi in urea come quello ingerito. (1) MirtELBacH, Zeitschr. f. Phys. Ch., XII, p. 463. (2) SraptHaGEN, VIRCHOW”S Archiv, CIX, p. 390. (3) Arch. slaves de Byologie, III, 207, dal Sunto in Centralbl. f. d. med, Wiss., 1882, p. 2. (4) Arch. f. exp. Path. u. Pharm., vol. XXV, p. 51. 504 PIERO GIACOSA La produzione abbondantissima di acido urico negli uccelli e nei rettili, non si può spiegare così facilmente come quella dei mammiferi, e costituisce anzi uno dei problemi più oscuri che si presentino in biologia. Essa indica un divario sostanzialissimo e così netto fra le dae categorie di animali che sarebbe forse diffi- cile trovarlo eguale nei caratteri morfologici. Tuttavia anche nel campo morfologico vi ha una differenziazione netta fra queste classi di animali, e consiste nel trovarsi il corpuscolo rosso del sangue non nucleato nel mammifero e nucleato negli altri ver- tebrati. Solo nell’epoca fetale il corpuscolo rosso del mammifero è nucleato. Questa coincidenza di due grandi caratteri differenziali mi fece già varie volte pensare che vi fosse forse un nesso fra questi due fatti: corpuscoli nucleati ed ‘eliminazioni di acido urico. Nesso che non vorrei certo interpretare nel senso che l’acido urico do- vesse provenire esclusivamente dalla nucleina dei corpuscoli, poichè non si può comprendere come questi corpuscoli si distruggano con facilità per produrre tutto l’acido urico eliminato, nè come l’azoto della alimentazione debba passare per lo stadio di nu- cleina, cioè organizzarsi, per essere eliminato. Le esperienze di MinkowsKi (1) hanno rischiarato grandemente la questione della produzione di acido urico negli uccelli; ma non l’hanno spiegata completamente. Esse ci dimostrano che espor- tando il fegato alle oche l’acido urico diminuisce grandissima- mente nelle urine, senza però scomparire affatto: in luogo di questo corpo si trova ammoniaca ed acido lattico, in proporzioni equivalenti in modo da fare nascere. naturalmente l’idea che l’acido urico si fabbrichi nel fegato per sintesi appunto dall’am- moniaca e da una molecola non azotata. Questa è la conclusione a cui giunge infatti il Minkowski e che è accettata dai più, quantunque essa abbia bisogno di ua diretto esperimento per es- sere dimostrata. Il Mixkowski crede che le tenui quantità di acido urico che rimangono nella urina delle oche dopo estirpato il fegato siano quelle prodottesi dalle xantine della nucleina, e rappresentino l'eliminazione normale dei mammiferi. i Il fatto è confermato dalle esperienze posteriori di v. MACK (2) (1) Arch. f. exp. Path. u. Pharm., XXI, p. 41. (2) Arch, f. exp. Path. u. Pharm., XXIV, p. 383, PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 505 il quale trovò infatti che la ipoxantina data ad un’ oca a cui era stato esportato il fegato diede luogo ad un aumento tale nella produzione dell’acido urico da non potersi spiegare se non attribuendolo alla trasformazione della ipoxantina in acido urico. Giova notare che la gravità dei disturbi cagionati da una | operazione così grave come l’ablazione del fegato non permette di fare delle deduzioni rigorose, sopratutto quantitative, sul pro- cesso di produzione dell’acido urico Non sappiamo se realmente durante la vita e l'integrità delle funzioni l'acido urico fabbri- catosi per sintesi nel fegato degli uccelli stia veramente a quello che proviene dalle nucleine nel rapporto che si dedurrebbe dalle esperienze di MinkOwSKI. AÀ priori, considerando la grande attività degli scambi negli uccelli (1), e l'abbondanza di elementi nu- cleati in loro, pare che dalle nucleine si dovrebbe avere un mag- gior prodotto che non si sia trovato. In ogni caso però il comportamento diverso del fegato nei mammiferi (ScroEDpER) e negli uccelli, e la incapacità in questi ultimi ad ossidare la molecola azotata al punto di portarla allo stadio d’urea, rimangono sempre a spiegarsi. E il ricondurre questo fenomeno alla presenza di corpuscoli rossi nucleati mi pare tanto più naturale, in quantochè durante la vita fetale dei mammiferi in cui essenzialmente differiscono dall’adulto per con- tenere i corpuscoli rossi nucleati noi vediamo prodursi dei corpi del gruppo dell’acido urico nelle orine e nei liquidi fetali, . ed essere più ricchi in corpi xantinici gli organi fetali (2). Allo scopo di assodare se il sangue di uccelli potesse avere una influenza sulla produzione d’acido urico, iniziai delle espe- rienze contemporanee e parallele a quelle già citate, fatte colle stesse quantità di milza ma mescolate con sangue d’uccelli. Operai con sangue d’oca, di tacchino e di pollo. Gli animali si uccidevano in laboratorio, si sbatteva il sangue mentre colava. nei bicchieri ben secchi tenuti a 40°; si passava per una garza e poi si impastava con polpa splenica. Dopo di che il miscuglio si introduceva nell’apparecchio di DRECHSEL, e lo si manteneva alla stessa temperatura che nell’esperienza con sangue di vitello poppante. (1) Bizzozero, Atti dell’Acc. delle Scienze di Torino, vol. XXV, Adunanza 15 dicembre 1889, i (2) KosseL, Zeitschr. f. Phys. Ch., VII, 7. 506 PIERO GIACOSA Ecco riassunti qui ì miei risultati. Anzi tutto determinai la quantità di acido urico che si forma nel sangue di uccelli allorchè si tratta nel modo usato per i mi- scugli di sangue e di milza. Molti autori parlano di acido urico nel sangue e nei tessuti degli uccelli, per lo più limitandosi a parlare di traccie; Hoppe-SEYLER nella Physiologische Chemie (p. 432) dice che MEISsnER ne trovò gr. 0,031 per mille nel sangue delle galline nutrite con carne. Ultimamente lo ScHROEDER (1) fece una serie di ricerche su questo argomento, da cui risulta che nel sangue di gallina e di oca nutrite di semi di cereali la quantità d’acido urico per mille oscilla fra traccie e 0.97 gr.: nelle galline nutrite con carne l’acido urico nel sangue aumenta. Esp. 7° — Io dosai l'acido urico in 194 gr. di sangue di pollo che misi nella boccia di DRECHSEL e lasciai per 5 ore e mezza a 39-40°, e per 12 ore a sfreddare, sempre facendo pas- sare aria. Non ebbi odore putrido nell’aprire la boccia : il sangue lo trattai parecchie volte col quintuplo d’acqua bollente con Na C1 1°/, ed acido acetico, per precipitare gli albuminoidi, ri- petendo l’operazione per 3 volte; i filtrati riuniti e separati con- tenevano milligr. 3,4 di acido urico cioè 17 milligr. per mille. Esp. 8° — Il 26 gennaio si uccise un’oca per dissangua- mento, e si estrassero 100 gr. di sangue defibrinato dopo che si mescolò a 50 gr. di milza di vitello (sanato) ; la temperatura rimase per 17 ore fra i 35 e i 38°; il passaggio d’aria rego- lare. Si ottennero milligr. 28,5 d’acido urico. La stessa milza, ma in quantità doppia (esp. 3°) con sangue dello stesso animale aveva dato milligr. 43,9 di acido urico. Quantunque l’acido urico ‘trovato in 50 gr. sia alquanto maggiore della metà di quello rinvenuto in 100 gr. (22 milligr.), tuttavia non credo che si possa interpretare l’esperienza nel senso che la presenza di sangue d’oca abbia potuto fare aumentare l’acido urico, poichè la dif- ferenza è troppo piccola. Esp. 9°- Parallela alla esperienza 1° — Si misero 67 gr. di sangue ottenuto da un tacchino di gr. 2000 e defibrinato, con 33 gr. di milza di sanato: anche qui come nella esp. parallela si aveva un po’ d’acqua nella boccia di DrREcHSEL; la temper. (1) Beitrage zur Physiologie C. LUDWIG, von seinem Schilern gewidmet. | Lipsia, 1887, p. 89. PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 507 rimase per 5 orea 38-40°. poi scese durante 11 ore fino a 30°. Acido urico ottenuto milligr. 45,3: la stessa quantità di milza con sangue di sanato diede milligr. 78. Esp. 9*- Parallela alla esp. 2°. — Da 15 polli si ricavano circa 500 gr. di sangue: dopo defibrinato e colato il sangue si ridusse a 394 gr. Di questi 194 si impiegarono per il dosaggio dell’acido urico (vedi esper. 7*) gli altri 200 si misero con 75 gr. di polpa splenica di sanato. L'esperienza procedette assai bene, la temperatura salì per poco tempo ai 48°, ma fu tosto ricon- dotta a 39° e vi rimase 5 ore e mezza, poi si lasciò sfreddare lentamente per 12 ore. All’apertura della boccia si sentì un leggero odore putrido. Acido urico trovato milligr. 4. La stessa quantità di polpa splenica con sangue di sanato aveva dato milligr. 105,5. | La difficoltà di potersi procurare il sangue di uccelli in quan- tità sufficiente per queste esperienze me le fece sospendere. Ri- sulta però chiaramente che la produzione di acido urico per opera della milza diminuisce allorchè vi è in presenza invece di sangue dello stesso animale, sangue di un altro animale. La piccolis- sima quantità di acido urico ottenuta nell’ultima esperienza non saprei come interpretarla se non ammettendo che la putrefazione avesse già distrutto una parte dell’acido urico formatosi. Riporto ancora qui due esperienze : Esp. 10° — Il 4 febbraio presi il fegato ad un tacchino appena ucciso, lo triturai, ne pesai 90 grammi, mescolai con gr. 335 di sangue di vitello poppante. misi nella boccia e feci passare aria, agitando ancora tratto tratto perchè il fegato in frammenti non troppo fini tendeva a precipitare al fondo. La temperatura si mantiene a 37-39° per 6 ore, poi si lascia sfreddare per 10 ore. L'acido urico formatosi è eguale a 20 milligrammi. Esp. 11° — Il 24 febbraio uccisi due tacchini in labora- torio, ne ebbi gr. 798 di sangue che dopo sfibrinato e colato sì ridussero a gr. 555. I fegati si triturarono bene: 90 grammi si mescolarono col sangue, e si misero nell’apparecchio agitando tratto tratto e facendo passar aria. La temperatura rimase dai 41° ai 42° per 6 ore, dopo di che si sfreddò per 12 ore. Acido urico trovato milligr. 165,8. Queste due esperienze hanno grande valore. La prima messa insieme alle precedenti prova che la presenza di sangue etero- geneo basta per fare cessare la capacità a fabbricare acido urico Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 37 508 PIERO GIACOSA a spese di un tessuto che in condizioni normali, cioè con sangue omogeneo ne dà moltissimo. I 20 milligrammi da me trovati erano probabilmente contenuti primitivamente nel fegato del tac- chino. La seconda dimostra come nel fegato del tacchino si fab- bricano delle quantità di acido urico grandissime, maggiori assai di quelle che si ottengono dalla milza di vitello poppante. L’espe- rienza in cui ebbi la maggior quantità di acido urico dalla milza è la 4° in cui da 150 gr. di polpa splenica con altrettanto sangue si ebbero 128,1 milligr. d’acido urico. Facendo la pro- porzione si trova che 150 gr. di fegato di tacchino darebbero milligr. 276,3. Non conosco delle cifre sulla quantità di acido urico elimi- nato normalmente dal tacchino. Trovo (1) che nelle oche questa quantità per 24 ore oscilla fra gr. 4,5 e 2,50 a seconda della nutrizione, la quale quando è completamente vegetale questa quantità oscilla fra gr. 1,5 e 2. Il tacchino più piccolo dell’oca e cibantesi di vegetali eliminerà probabilmente alquanto meno acido urico ed allora in base ai risultati da me avuti e pensando che nell’organismo degli uccelli l’acido urico non si trasforma ma è eliminato tal quale, si vedrà che a questo modo di for- mazione dell'acido urico cioè a spese delle nucleine conviene dare una maggiore importanza che non sembri risultare dalle espe- rienze di Minkowski. Allo stesso risultato conducono le ricerche di ScHROEDER (2), il quale nel fegato di polli nutriti con carne | trovò acido urico in quantità ragguardevole oscillante fra ,54 e 140 milligr. °/,, mentre negli stessi animali nutriti con ve- | getali questa quantità è assai minore. L'influenza del sangue a globuli nucleati sulla produzione di acido urico nelle mie esperienze non fu provata; ciò proba- bilmente si deve al disturbo recato alle funzioni dalla presenza di sangue eterogeneo. Converrà tornare a studiare questa que- stione da altri punti di vista. Quello che risulta dal mio lavoro - si è che non solo la milza ma ancle il fegato nel mammifero producono acido urico; e che negli uccelli la produzione di acido urico nel fegato è molto attiva. Esperienze già antiche di JoLIET (3) indicano che il sangue (1) MinKows£ri, l. c., p. 54. (2)5Loc; (3) MALY-S, Jahresb. d. Thierchem., IV, 106, PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 509 degli uccelli contiene meno ossigeno di quello dei mammiferi; a questo però non credo sia da attribuirsi il fatto che questi ani- mali secernono l’azoto sotto forma d’acido urico anzichè d’urea. L’essere quest’ultimo prodotto retaggio quasi esclusivo dei mam- miferi indica in loro una superiorità chimica in quanto chè sono in grado di ossidare delle molecole che negli altri organismi non sono ossidate: e questa superiorità si mantiene verso gli altri animali non vertebrati nei quali anche si rinvennero nell’urina dei corpi del gruppo dell’acido urico. Nelle piante stesse l’azoto dei materiali che servirono al ricambio si trasformano in parte in corpi xantinici, ma non in urea. Sull’ origine della forza elettromotrice nelle coppie idroelettriche. Nota deì Prof, STEFANO PAGLIANI Il principio della equivalenza fra il calore totale sviluppato da una corrente elettrica ed il lavoro delle azioni chimiche, che si compiono nella coppia, enunciato dal Joule nel 1842 (Phil. Mag. XX), venne poi teoricamente dimostrato dall’ Helmholtz nel 1847 (Die Erhaltung der Kraft.) e da William Thomson nel 1851 (Phil. Mag |[4]) colla applicazione del principio della conservazione dell’energia. Ed è generalmente conosciuto sotto il nome di teorema del Thomson il seguente enunciato: In un circuito chiuso la totale forza elettromotrice intrinseca è uguale allo equivalente dinamico della somma delle azioni chimiche che in esso si compiono per ogni unità di elettricità messa in movi- mento, diminuita dell’energia equivalente alla somma algebrica delle quantità di calore, sviluppate in processi reversibili. Questo teorema può ricevere la seguente semplicissima espressione. Se indichiamo con C la quantità di calore risultante dalle azioni chimiche, che si compiono nella coppia, per ogni grammo-equi- valente di un elemento, che vi venga svolto o messo in libertà, con 7 l’equivalente elettrochimico dell'idrogeno, con E la f. e. della coppia, con J l'equivalente meccanico della caloria si avrà: 510 STEFANO PAGLIANI E=JyC. Sostituendo ad J il valore 41,55 x 10°C.G.S., a 7 il valore gr. 0,0001038, dedotto dal medio dei valori trovati da Mascart, da Kohlrausch e da Lord Rayleigh per l’equivalente elettrochimico dell’argento, si ha: E = 43130. Il Favre (Ann. Chim. Phys. [3]. 40.1854) si propose di verificare coll’esperienza direttamente il principio di Joule e di Thomson. Egli adoperò a tale scopo il calorimetro a mercurio. Anzitutto studiò la coppia Smée determinando prima la quantità totale di calore sviluppata quando la coppia stava chiusa col circuito esterno (filo di platino) nella stessa muffola, e poi quando quest’ultimo stava fuori, riferendo poi i valori trovati ad un equivalente di zinco sciolto. Così in una prima serie di espe- rienze trovò come valore medio del calore totale 18124 calorie, in una seconda 19834°, numeri discretamente concordanti con quello che si calcola dai dati termochimici; nei due casi il ca- lore Joule si manteneva sempre minore del calore chimico. Stu- diando invece delle coppie formate da Platino e Zinco, o Platino e Cadmio in acido cloridrico trovò invece il calore Joule mag- giore del calore chimico. Il calore chimico per la coppia Cd-Pt ammontò a 7968 calorie e per la coppia Zn- Pt a 15899, quando invece la resistenza fu lasciata fuori dal calorimetro si produsse nella coppia Cd- Pt un raffreddamento di 1288°, e nella coppia Zn-Pt un raffreddamento di 1051° In altre spe- rienze Favre trovò per la coppia Daniell che il calore chimico è maggiore del calore Joule, per la Grove invece il contrario. Favre dapprincipio credeva che il calore Joule dovesse essere uguale al calore chimico. Più tardi si accostò al concetto del Bosscha (Pogg. Ann. 1858), secondo il quale la causa della differenza in questione nella coppia Smée consisterebbe in questo che l'idrogeno al polo negativo si sviluppa allo stato attivo, ossia in statu nascendi, quindi lascia la lamina di platino per diffondersi nel liquido e passare allo stato ordinario, per cui si ha sviluppo di calore dovuto alla combinazione H,H, il quale riscalda bensì il liquido, ma non concorre ad aumentare la forza elettromotrice (Compt. Rend. 67. 1868). Ma il risultato inaspet- tato ottenuto colla coppia Cd-Pt, e Zn-Pt ad acido cloridrico, rendeva insufficiente anche questa spiegazione ( Compt. Rend. 68.1869). Favre attribuiva quindi questo fatto ad altri processi chimici secondari, sulla natura dei quali non si pronunciava. Alder Whright invece, il quale da solo e con altri, special- SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 5I1 mente col Thomson, pubblicò una serie di memorie sulla deter- minazione della affinità chimica in base alle forze elettromotrici, crede che i risultati trovati dal Favre riguardo al raffreddamento in certe coppie siano conseguenza di errori sperimentali, dovuti al metodo calorimetrico impiegato. Egli determinò (Phil. Mag. [5]. XVI. 36.1883) la f. e. di coppie Zn- Pt, Cd-Pt, tanto ad HC1, quanto ad H? SO* diluito, eliminando gli effetti del- l’aria disciolta, ed ha trovato che il valore di detta f. e. sta sempre al disotto di quello che si calcola dalle sole azioni chi- miche, e la differenza cresce col crescere della densità della corrente che si produce. Da queste e da molte altre esperienze il Wright arriva alla conclusione che la causa principale di tale inferiorità della f. e. realmente sviluppata nelle coppie o nei voltametri rispetto a quella che si calcola dalle azioni chimiche starebbe nel maggior e minor grado di inefficacia (non adjuvancy) per l’elettrodo negativo, dovuta allo sviluppo di calore invece che di elettricità durante il passaggio dei prodotti della elettro- lisi dallo stato nascente allo stato permanente. In molti casi questa causa di inefficacia potrebbe superare quella all’elettrodo positivo. Il grado a cui può giungere questa inefficacia per ciascun elettrodo sembra essere una funzione complessa non solo della natura chimica degli elettrodi, delle condizioni fisiche delle loro superficie e delle proprietà dei prodotti della elettrolisi ma anche della temperatura, del grado di concentrazione della solu- zione elettrolizzata e forse anche di altre condizioni. Se fra i prodotti permanenti della elettrolisi a ciascun elettrodo si trova un gas, quanto più grande è il potere condensante superficiale della sostanza che costituisce l'elettrodo, tanto più piccolo sa- rebbe il grado di inefficacia. Chaperon pure (Journ. de Phys. 1884) in uno studio sulla polarizzazione dei metalli ossidabili accenna alla presente que- stione e le sue considerazioni tenderebbero a stabilire che la insufficienza della energia dovuta al processo chimico della solu- zione del metallo negativo si debba attribuire alla proprietà che hanno molti metalli di assorbire l'idrogeno con produzione di energia libera. Egli troverebbe la spiegazione del carattere varia- bile della f. e. a circuito aperto presentato da tutte le coppie a metallo solubile, polarizzabili, in una condizione variabile di equilibrio fra l’energia dovuta alla soluzione del metallo e quella dovuta alla condensazione dell'idrogeno nel metallo. 512 STEFANO PAGLIANI Raoult (Ann. Chim. Phys. [4.].4.1865) nello studio della Daniell e di alcune altre coppie avrebbe trovato in generale delle differenze fra il calore voltaico ed il calore chimico e quello minore di questo. Edlung (XK. Schwed. Akad., 14, 1876) spiega tali diffe- renze nel seguente modo. Quando la corrente è stabilita nel cir- cuito di una coppia non si trovano della attività di questa altri effetti che le azioni chimiche ed il calore che viene sviluppato, parte nella coppia, parte nel circuito esterno. Ora è chiaro che questa quantità di calore deve essere equivalente alla somma, algebrica dei lavori chimici, od in altre parole deve essere uguale a quella che sarebbe prodotta dalle stesse azioni chimiche, a corrente nulla. Ma la corrente deve per vincere la resistenza del circuito eseguire un certo lavoro meccanico, quindi bisogna ammettere che vi sia dispendio di calore in un qualche punto del circuito e questo non può essere che quello, dove ha sede la forza elettromotrice. Conchiude quindi che la f. e. per pro- durre la corrente deve spendere una quantità di calore che è uguale al calore galvanico, che la corrente sviluppa nel circuito, ma non è necessario che questo dispendio di calore sia uguale al calore chimico. Con questa ipotesi egli spiega i risultati delle esperienze del Favre. Così nelle coppie Zn- Pt, e Cd - Pit ad HCl il dispendio di calore della f. e. nel circuito è maggiore della quantità di calore sviluppato per i processi chimici, che av- vengono nella coppia ; il contrario succederebbe nella coppia Smée. H. F. Weber (Absolute calorimetrische und elektromagne- tische Messungen 1877) insistette nel ritenere come conseguenza necessaria del principio della conservazione dell’energia che tutto il calore chimico dovesse trasformarsi in energia elettrica, tanto | che considerò come erronei i risultati del Favre contrarii a quella | deduzione. Braun (Wied. Ann., 5. 1878) osservò invece giustamente che l’unica conseguenza necessaria del principio della conserva- | zione dell’energia si è che, quando una corrente produce una de- composizione chimica, deve la quantità di calore corrispondente a tale decomposizione essere sottratta dal circuito. Nel caso di una coppia Zn|H,.S0,|Cu, in cui circoli una corrente nel senso Zn—» Cu, sarebbe sottratta al circuito una quantità di calore: Q= W(Zn, SO) — W(H,, SO.) + W(H,, Cu), la quale invece sarebbe sensibile nel circuito, se non esistesse la coppia. Ma non i SULL ORIGINE BELLA FORZA ELETTROMOTRICE 513 è necessario che la f. e. sia misurata da quella quantità di calore. Dietro una serie di considerazioni teoriche dimostra che nè l’e- nergia meccanica nè l'energia termica possono trasformarsi total- mente in energia elettrica potenziale. E così conchiude che si devono avere delle coppie la cui f. e. è maggiore, altra le cui f. e. è minore, di quella che si calcola dalle variazioni della energia chimica. Le sue determinazioni posteriori ( Wied. Ann., 16, 1882) confermarono le sue deduzioni teoriche. Exner (Wien. Akad. Ber.80 e 82, 1879 e 1880) non ammette l’esistenza di una f. e. di contatto e ritiene che soltanto quei punti di contatto nei quali avviene un'azione chimica possono essere sede di una f. e.; che quindi senz'altro la f. e. di una coppia qualunque è misurata dalla variazione di calore corri- spondente alle azioni chimiche, che in esse avvengono. Non dirò del modo nel quale egli spiega le divergenze fra i valori teorici ed i calcolati delle coppie incostanti, poichè i risultati speri- mentali, sui quali egli fonda le sue spiegazioni, sono stati con- testati da esperienze adeguate e precise del Beetz (Wired. Ann. 10. 1880) e dei Prof. Naccari e Guglielmo (Atti KR. Acc. Scienze Torino, 16, 1881). Accennerò solo al concetto alquanto singo- golare dell’Exner, secondo il quale in una reazione chimica qua- lunque fra due corpi, quando avviene nel modo ordinario, l'energia potenziale chimica si trasforma in calore, ma quando avviene in una coppia, dalla trasformazione della energia chimica non risulta direttamente calore ma elettricità. Può aversi nello stesso tempo sviluppo di calore, ma questo secondo Exner dovrebbe considerarsi come fenomeno secondario, non primario, quindi egli spiega le f. e. di contatto fra metalli, o fra metalli e liquidi con una ossidazione superficiale dei metalli, che sono ossidabili. Secondo i prof. Naccari e Guglielmo la spiegazione delle divergenze fra la f. e. reale e la calcolata dalle azioni chimiche si deve cercare nei fenomeni secondari chimici e fisici, accom- pagnati da variazioni termiche, che avvengono nella coppia e possono, nella loro intensità, non mantenersi proporzionali alla corrente al variare di questa. Il Pellat, in un importante studio sperimentale e teorico sulla differenza di potenziale degli strati elettrici, che ricoprono due metalli in contatto (Ann. Chim. Phys. [5] 24; 1881) arrivò, alle seguenti conclusioni, fra le altre. Due metalli dif- ferenti uniti metallicamente sono coperti in.stato di equilibrio 514 STEFANO PAGLIANI da strati elettrici che non sono allo stesso potenziale. La diffe- renza di potenziale è dell’ordine di grandezza di quella fra i due elettrodi di un elemento di pila idroelettrica a circuito aperto. Essa dipende dalla natura dei due metalli, da quella della loro superficie e non da quella degli strati profondi. Una alterazione chimica anche invisibile della superficie basta per cambiarne completamente il valore. Delle modificazioni pura- mente fisiche producono lo stesso effetto, e così la temperatura. La f. e. di una coppia formata da due metalli ed un liquido a circuito aperto ha lo stesso valore che la differenza di po- tenziale degli strati elettrici, che ricoprono nell’aria questi due metalli. Pellat ha sperimentato solo coll’alcool e coll’acqua pura, come W. Thomson e M. Clifton, perchè le soluzioni acide e saline modificano subito le superficie metalliche. Quanto ad una coppia a circuito chiuso la f. e. sarebbe uguale alla somma delle differenze di potenziale dei diversi conduttori a contatto. Se l’intensità della corrente varia, variano queste differenze di potenziale in causa di una modificazione nella natura dei con- tatti, quindi varia la f. e. L'essere poi questa la stessa a cir- cuito chiuso come immediatamente dopo la apertura del circuito dimostrerebbe che la differenza di potenziale di due cegqnduttori a contatto è, quando essi rimangono identici, sensibilmente la stessa sia nel caso di movimento dell’elettricità, sia in quello di equilibrio. Quanto alla proporzionalità fra la f.e. e la quan- tità di calore sviluppato nelle azioni chimiche asseriva che fu . solo dimostrata per le pile simmetriche del tipo Daniell, nelle quali la differenza di potenziale fra i due metalli ha un valore molto prossimo a quello della f. e. della coppia, essendo le altre differenze di potenziale trascurabili in confronto della prima. Quindi esisterà una relazione. ma molto vaga e lontana, fra le differenze di potenziale apparenti di due metalli a contatto e la variazione termica che avviene nella sostituzione di uno dei me- talli all’altro in un sale. Se si dispongono i metalli in serie in modo che nel loro contatto ciascuno di essi sia negativo rispetto — ai precedenti si trova che questo ordine presenta della analogia con quello della ossidabilità. L’Helmholtz ha nel 1882 (Berl. Ber. 1882) trattato di | nuovo teoricamente la questione nella sua introduzione alla-ter- modinamica dei processi chimici. Egli applicando i principii della termodinamica ai processi elettroliticiin una coppia impolarizzabile SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 515 ne ha dedotto che e come si può dal segno e dalla grandezza della variazione della f. e. degli elementi galvanici colla tem- peratura dedurre delle conclusioni sulla grandezza della parte non convertibile in energia elettrica del calore chimico dei processi elettrolitici, che hanno luogo nella coppia al passaggio della cor- rente. Dalle considerazioni termodinamiche dell’Helmholtz si deduce che il lavoro della corrente durante il passaggio della quantità de di elettricità, può ricevere la seguente espressione : 9U dE JdQ=:pdT+T de essendo dQ la quantità di calore equivalente alla somma della variazione dell'energia interna U, e del lavoro eseguito. Il se- condo termine del secondo membro di questa equazione è l’e- quivalente meccanico della quantità di calore che bisogna som- ministrare alla coppia per compensare il dispendio positivo o negativo di calore dovuto al passaggio della quantità di elettri- cità de, ossia per mantenere la coppia a temperatura costante. Secondo che il lavoro della corrente prodotta da una coppia è maggiore o minore della variazione totale di calore delle trasfor- mazioni chimiche che avvengono durante il passaggio della corrente la coppia si raffredderà nel primo caso, si riscalderà nel secondo; e per mantenere costante la temperatura si dovrà nel primo caso aggiungere quella quantità di- calore, nel secondo sottrarla. D'altra parte siccome questa quantità di calore è uguale alla differenza fra la quantità di calore equivalente al lavoro della corrente e la variazione di calore nella coppia così si de- duce pure che per quelli elementi, nei quali non tutta l'energia chimica si trasforma in energia elettrica, la f. e. deve dimi- nuire col crescere della temperatura, e viceversa per quelli, i quali lavorano in parte a spese della propria energia termica interna, la f. e. deve aumentare colla temperatura. Si avreb- bero perciò due metodi per stabilire la relazione fra l’energia chimica e l’energia elettrica in una coppia. Il secondo soltanto fu adoperato per le coppie idroelettriche. Helmholtz stesso lo applicò alle coppie Daniell, veramente reversibili, e trovò che la variazione della f. e. può essere positiva, negativa o nulla secondo le diluizioni della soluzione di solfato di zinco, rima- nendo l’altra satura. Per le coppie a solfato mercuroso trovò 516 STEFANO TAGLIANI una diminuzione, per quella a cloruro mercuroso un au- mento della f. e. colla temperatura. In generale questa varia- zione dipende da un complesso di condizioni. Csapski (Wed. Ann. 22, 1884) applicò lo stesso metodo a coppie del tipo Warren de la Rue, ed altre a cloruro ferroso e mercuroso, a bromuro mercuroso e ferrico, a cloruro mercuroso e cadmico, e per le une trovò sufficiente concordanza fra la teoria e l’espe - rienza, per altre no. i Il principio di Joule e di Thomson riesce quindi applica- bile a certe coppie a processi reversibili quando se ne modifichi l’espressione tenendo conto delle considerazioni termodinamiche dell’Helmholtz nel seguente modo: E= 4313 C+ ren: F Anche J. J. Thomson da considerazioni teoriche sulle coppie a gas, applicabili anche a coppie a soluzioni diluite ( Appli- cations of Dinamics to Physics and Chemistry, 1888) arrivò ad equazioni mediante le quali si potrebbe determinando la va- riazione della f. e. di una coppia colla temperatura calcolare l'equivalente meccanico del calore sviluppato nella combinazione che avviene nella coppia alla temperatura dello zero assoluto. Così pure il Lippmann (Cours de Thermodynamique, 1889) tratta teoricamente la stessa questione e giunge alla conclusione interessante che per quelle coppie, nei cui processi chimici la legge di Woestyn sui calori specifici è applicabile, la f. e. è costante o funzione lineare della temperatura. Ora secondo il Berthelot tutte le volte che in una serie di azioni chimiche si ha cambiamento di stato fisico la legge di Woestyn non si ve- rifica. Ora sono pochissime quelle coppie, nelle quali, quando lavorano, non si abbia qualche cambiamento di stato fisico, quindi anche quelle per le quali la f., e. è calcolabile dalle azioni chimiche. Diffatti A. Wright e C. Thomson (PWil. Mag. [5]. 19, 1885) proseguendo le loro ricerche, a cui ho già sopra accen- nate, determinarono la f. e. di un gran numero di coppie for- mate da due metalli immersi in soluzioni dei sali corrispondenti, e trovarono che per pochissime di esse il valore della f. e. tro- vato è concordante con quello che si calcola dal calore chi- mico. Per cui, secondo essi, quel caso è solo una eccezione, ed in generale invece si deve ritenere che la f. e. prodotta real- mente deve essere dovuta ad altre cause oltre quella del calore SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE DI delle trasformazioni chimiche, e che tutti i fenomeni osservati si possono chiaramente spiegare ammettendo che la differenza di potenziale, che si osserva fra i due metalli delle combinazioni voltaiche, è dovuta alla sovrapposizione di due cause: l’una lo sviluppo di calore chimico ossia la differenza nel calore di for- mazione dei due elettroliti che circondano rispettivamente i due metalli, per la quale il metallo immerso nell’elettrolito di minor calore di formazione acquisterebbe il potenziale più alto; l’altra un’azione affine a quella che agisce in una coppia termo- elettrica. Oliver Lodge in una lunga Memoria sulla sede della f. e. nelle coppie voltaiche (/0:d. 1885) da un confronto fra le f. e. osservate e quelle che si calcolano dai calori di ossidazione dei diversi metalli crede di poter concludere che un metallo non si trova generalmente allo stesso potenziale come l’aria colla quale si trova a contatto, che tale differenza di potenziale sia cal- colabile almeno approssimativamente dai dati termochimici, che quando due metalli vengono posti a contatto i loro potenziali si uguagliano, e quindi non esisterebbe una f. e. di contatto, ma la origine vera della f. e. in un circuito qualunque, si deve ricercare nella trasformazione dell'energia di una forma qua- lunque, chimica, termica, ecc., nella forma conosciuta come cor- rente elettrica. Debbo però osservare che la concordanza fra i valori della f. e. che si calcolano dai calori di ossidazione e quelli trovati direttamente per il contatto fra metalli è assai poco evidente; per cui tale relazione è sempre ancora molto vaga, come già aveva fatto notare il Pellat. E. F. Herroun (Ibid. 1889, vol. 27) in una recente Me- moria sulla divergenza fra le f. e. ed i dati termochimici discute alcune ragioni che furono date per spiegare tale divergenza e dietro una serie di determinazioni della f. e. di coppie formate da due metalli immersi in soluzioni dei propri sali conchiude che il primo fattore nella determinazione della f. e. di una coppia voltaica è il calore relativo di formazione dei sali anidri dei due metalli polari; che la f. e. può avere la sua causa in trasfor- mazioni chimiche di senso e di carattere diverso da quello che si può dedurre dal calore di formazione dei sali sciolti. Finalmente, secondo P. Chroustchoff e A. Sitnikoff (Compt. Rend. 1889, 108, 937) la differenza fra la f. e. effettiva e quella che si calcola soltanto dalle azioni chimiche potrebbe essere spie- 518 STEFANO PAGLIANI gata mediante effett: Peltier, che come dimostrò il Bouty, sì verificano non solo alla superficie di contatto fra metalli, ma anche fra metalli e liquidi. Avendo ricalcolato delle determina- zioni di Gockel sopra coppie a sali di mercurio con dati termo- chimici di Nernst e sperimentato essi stessi sopra alcune coppie speciali avrebbero trovato che l’effetto Peltier darebbe un valore del medesimo segno e del medesimo ordine che la differenza fra la f. e. effettiva e la calcolata. Non sono molto disposti ad accet- tare il concetto di Braun e di Helmholtz che l’energia chimica sia soltanto parzialmente convertibile in energia elettrica, che cioè soltanto una parte dell’energia chimica sia libera, mentre il rimanente potrebbe solo trasformarsi in calore; perchè questo concetto tenderebbe ad assegnare una doppia origine al calore delle reazioni chimiche. Dallo studio di tutte le indagini che furono fatte sull’argo- mento, ed i cui risultati ho cercato di brevemente qui riassumere mi sembra potersi dedurre che la discussione, iniziata da circa un secolo dal Volta e dal Fabroni, sull'origine della energia vol- taica rimanga tuttora aperta, e che si possa. contribuire, alla sua soluzione con osservazioni dirette sui fenomeni termici, che avven- gono in una coppia che lavora, procurando di studiarne la ma- teria non con misure complessive fatte durante una lunga chiusura del circuito, per la quale naturalmente si producono nella com - posizione dei materiali della coppia delle variazioni tali da non potersene facilmente rendere conto, come fece il Favre, ma cer- cando di osservare tali fenomeni immediatamente dopo la chiusura del circuito ed a brevi intervalli di tempo da quell’istante. Questo studio mi parve poi specialmente interessante per quelle coppie per le quali la f. e. è variabile, e perciò ho incominciato colle coppie voltaiche polarizzabili, e scopo della presente Nota si è di far conoscere i risultati ottenuti in una prima serie di osser- vazioni. Metodo adoperato. — Il principio del metodo da me ado- perato è quello applicato nel bolometro di Langley colla modi- ficazione proposta da R. Helmholtz. I quattro lati di un ponte di Wheatsthone sono formati da fili di resistenza presso a poco uguale. Due lati opposti sono disposti entro la coppia da stu- diarsi, e gli altri due lati entro un altro recipiente in modo analogo ; in una delle diagonali è inserito un galvanometro sensibilissimo, nell’altra una pila Daniell. Quando si è raggiunta la condizione SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 519 di equilibrio fra le resistenze per cui non si ha corrente nel gal- vanometro, si chiude il circuito della coppia a studiarsi; qua- lunque sia la variazione di temperatura, che avvenga in essa, sarà accusata da una corrente nel galvanometro. Il recipiente della coppia a studiarsi è costituita da un tubo d’assaggio di vetro lungo 7 cm. e del diametro interno di 2 cm. Entro ad esso portati da un tappo sono disposti due tubi di vetro cilindrici sottili coassiali, l’uno lungo 6 cm. e del diametro interno di 1 cm,, l’altro lungo cm. 4,5 e del diametro interno di 6 mm, Attorno ad una porzione di ciascuno di questi tubi è avvolto un filo di platino del diametro di !/,, di millimetro. Le estremità di questo filo sono unite ad un filo più grosso di platino che serve &' stabilire le comunicazioni col rimanente del circuito. Questi fili di platino, che costituiscono due lati opposti del ponte, sono coperti di un sottile strato di lacca, ottenuto da una soluzione concentrata di lacca nell’alcool. In tal modo riescono isolati dai liquidi della coppia. I due tubi interni sono aperti inferiormente e sono immersi nel liquido della coppia; nel centrale si introduce uno dei metalli polari, fra il secondo e la parete del tubo esterno l’altro ‘metallo. In un altro recipiente, si hanno gli altri due lati del ponte, e le cose sono disposte nello stesso modo eccetto che esso è riem- pito di acqua, non vi sono naturalmente le lamine polari, e nel tubo centrale è introdotto un termometro a piccolo bulbo. Ho voluto accompagnare lo studio dei fenomeni termici colla determinazione della f. e. A questo scopo mi sono servito del metodo elettrometrico, e dovendo misurare f. e. piccole e per evitare la polarizzazione scelsi come strumento di misura l’elet- trometro di Lippmann. Siccome non me ne poteva provvedere uno, ho costrutto la parte in vetro ed ho interposto il recipiente colla punta «ffilata fra il porta-vetrino e l’obbiettivo di un microscopio Hartnach, coricato orizzontalmente e posto sopra un tavolo con gambo a dentiera per poter innalzare e abbassare conveniente- mente il microscopio. Il metodo è quello di compensazione. Si opponeva la f. e. da misurarsi ad una differenza di potenziale va- riabile, presa nel circuito di una o due Kittler, la quale si re- golava in modo da ricondurre allo zero l’elettrometro posto nella derivazione. L’elettrometro era sensibile ad !/,, di volt. La figura qui unita, puramente schematica, rappresenta la disposizione generale di tutto il mio apparecchio. In A e B sono 520 STEFANO PAGLIANI rappresentati i due recipienti, nell’uno dei quali, A, è contenuta la coppia; in A, e A, sono rappresentate le due spirali poste nella coppia, che fanno parte dei due bracci opposti del ponte, in B, e B, le altre due spirali poste nell’altro recipiente. I quattro nodi del circuito sono in a, W, c, db. In D si ha una pila Daniell ed in G il galvanometro. Le resistenze delle spirali in ohms erano Ai 18:40 ,,,;A;=,18663,:0B/=18..49 ,Bj= A temperatura di 16°, 3. Due bracci contigui sono formati oltre che dalle spirali A, e B, anche rispettivamente da due porzioni w, w, del filo di un ponte di Wheatsthone, costrutto dalla casa Elliott; di più in uno di questi bracci, in quello contenente B,, era inserito un reocordo a piccola resistenza per poter raggiungere prima molto approssimativamente l’equilibrio, non essendo pos- sibile costrurre le resistenze delle quattro spirali in modo da sod- disfarvi subito. Si otteneva poi definitivamente l'equilibrio spo- stando convenientemente il tasto W del ponte. Il circuito della coppia si chiudeva solo per l'istante necessario all’ osservazione, perciò si usava un interruttore, la cui posizione è indicata in I, e costituito da una spirale metallica portante un’ asticina di rame, la quale era introdotta in un recipiente contenente in fondo un po’ di mercurio, nel quale era immerso un filo di platino ; pre- mendo per un istante sulla spirale si abbassava l’ asticina sino a toccare il mercurio, e si stabiliva il circuito; la spirale stessa riportava l’asticina alla sua posizione di riposo, interrompendo il circuito. In Pe P' sono rappresentati i due poli della coppia, i quali mediante due reofori sono messi in comunicazione coi bicchierini d, e, dove fanno capo tanto il circuito esterno della coppia quanto la parte elettrometrica dell’apparecchio. Il circuito esterno è formato dal reostato £, graduato in U. S., e da un filo con un interruttore 7. Questo era fatto in modo da poter misurare bene il tempo per il quale si chiudeva il circuito. Perciò il reoforo proveniente da e era attaccato all’a- sticina dell’arresto di un contatore a secondi e colla sua estremità, quando veniva abbassata l’asticina, cioè tolto l’arresto, andava a toccare il mercurio contenuto in un tubicino posto al disotto ed al quale faceva capo il reoforo proveniente dal reostato È. La parte elettrometrica era costituita dall’ elettrometro £, dal reostato R', la cui resistenza totale era 7500 ohms, e dalla pila compensante C' costituita da una o due coppie Kittler, se- SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 521 condo la grandezza della f. e. a misurarsi. Si confrontava la coppia da studiarsi con un campione Latimer- Clark, costrutto dal Car- pentier. Si aveva poi un commutatore apposito per sostituire l'uno all’altro, il campione e la coppia. Riguardo al valore della La- timer-Clark, Lord Rayleigh ha trovato 1° 434, e più recente— mente von Ettinghausen 1"427 a 1'433; si adottò il valore 1” 434 a 15° ammettendo una variazione di 0" 008 per grado. L'introduzione del filo del ponte di Elliott con scala milli- metrica fra i due bracci contigui A, e B,, mi forniva non solo il modo di ottenere meglio l’equilibrio, ma anche quello di ve- rificare ogni volta la sensibilità del metodo di osservazione. Il galvanometro adoperato è un galvanometro a riflessione del Thomson, pure della casa Elliott. La sua resistenza interna è uguale a ohms 0,5218383 a 20°. La scala a lampada è divisa in millimetri e distava dallo specchio circa 1m. Con .una lente si poteva apprezzare anche uno spostamento dell'immagine della fiamma di !/, di mm. Per indicare la sensibilità ottenuta dirò che quando si era raggiunto l’equilibrio, per uno spostamento del tasto di 1mm. nel ponte di Elliott, si aveva una deviazione di 2 divisioni, adoperando una sola coppia Daniell. Ora la re- sistenza del filo del ponte, misurata col metodo di Thomson, risultò uguale a ohms 0, 2063 per 1m. di lunghezza, il che equivale a 0,000 2063 per millimetro, essendosi anche trovato uniforme il filo. Ora lo spostare di 1 mm. il tasto in un dato senso corrisponde ad aumentare la resistenza di A, e diminuire quella di B,, della detta quantità e trattandosi di resistenze presso a poco uguali, corrisponde ad aumentare la resistenza di A, del doppio di quella quantità, cioè di obms 0, 000 4126. D'altra parte la resistenza della spirale A, era ohms 18.4. Se adottiamo come coefficiente di variazione di resistenza colla tempe- ratura per il platino a=0,00 247, e ritenendo R,= &, (14 at) avremo che la variazione di temperatura corrispondente alla va- riazione di resistenza 0,0004126 sarà data da #—=0°9,00908. Una variazione di temperatura di meno di !/.» di grado in una sola spirale era già quindi accusata da una deviazione di due divisioni. Se questa variazione succede nelle due spirali opposte allora, trattandosi di quattro resistenze uguali, la intensità della corrente nel galvanometro riesce approssimativamente doppia e quindi si avrebbero 4 divisioni. Quindi uno spostamento di 1 div. sulla scala nelle condizioni di sensibilità che si avevano 522 STEFANO PAGLIANI corrispondeva approssimativamente ad una variazione di tempera- tura di 0°, 00 23. Ora l’equivalente in acqua della coppia comples- sivamente si calcolò che poteva essere al massimo di 15 gr. Quindi una variazione termica di 0°,034 ossia di pl di piccola caloria era già indicata da una deviazione di una divisione, con una sola Daniell. Si poteva aumentare la sensibilità, aumentando il numero delle coppie, ma si preferiva di usarne una sola per evitare le perturbazioni che avrebbero potuto provenire da effetti Joule, o da effetti Peltier, ancorchè si chiudesse solo per un istante il cir- cuito e si trattasse di resistenze presso a poco uguali in opposizione. Non è che, tenuto conto della natura del metodo, quella sia una grande sensibilità, ma per il mio scopo la ritenni sufficiente. Se noi consideriamo ora le variazioni termiche che possono avvenire in una coppia, che lavora, noi troviamo che esse pos- sono essere dovute a processi fisici e chimici diversi (compresi gli effetti Peltier), dei quali alcuni sono efficaci a produrre l’e- nergia che costituisce la forza elettromotrice della coppia a cir- cuito chiuso, altri invece non intervengono nella produzione della forza elettromotrice. Di più abbiamo il calore Joule dovuto alla resistenza interna della coppia, ed il lavoro corrispondente alle decomposizioni chimiche eseguite dalla corrente. Ora la somma del calore Joule sviluppato in tutto il circuito e di quello che equivale al detto lavoro, deve essere uguale al calore chimico risultante dalle reazioni chimiche efficaci per la produzione della forza elettromotrice, supponendo che tutta l’energia chimica si trasformi in energia elettrica. Quindi oltre al calore Joule do- vuto alla resistenza interna della coppia, si renderà sensibile al- l'apparecchio termoscopico in essa introdotto, anche quella varia- zione di calore che risulta da tutti gli altri processi non efficaci per la forza elettro-motrice, la quale variazione può essere positiva o negativa. Nel primo caso l’effetto termico accusato dal termoscopio sarà positivo, nel secondo caso può essere nullo, od anche negativo, se in valore assoluto quella variazione di calore dovuta ai processi secondari non efficaci, ri- sultasse maggiore di quella che sta in relazione colla produzione della corrente. Quest'ultimo caso può anche presentarsi quando il lavoro della corrente sia maggiore della variazione di calore delle trasformazioni chimiche, nel qual caso la coppia lavora in parte a spese della propria energia termica interna. Ora siccome il calore Joule svolto nella coppia dipende oltrechè dalla inten- SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 523 sità della corrente, anche dal rapporto fra la resistenza interna e la esterna, così si sono studiate coppie diverse non solo, ma in condizioni diverse di resistenza interna ed esterna. La resi- stenza interna non poteva riuscire relativamente molto piccola in generale, volendo tenere alquanto distanti i due elettrodi, in modo che l’un lato del ponte si trovasse vicino all’uno di essi, l’altro all’altro; e si preferì appunto l’uso di un tal metodo a quello di una coppia termoelettrica, perchè più facilmente potessero es- sere osservati gli effetti termici nelle diverse parti della coppia. Modo di operare. — Premetto che non era mio intendimento di misurare gli effetti termici nelle coppie, ma soltanto di sta- bilirne la natura ed approssimativamente l'ordine di grandezza. Per una misura sarebbe stato necessario, oltre ad altre condi- zioni non facilmente realizzabili in pratica, come la conoscenza esatta dello equivalente in acqua delle parti della coppia che prendono parte alla variazione di temperatura, l’uso di un galva- nometro aperiodico del quale io non disponeva ; sarebbe stato infatti indispensabile il poter fare una serie di letture successive a brevissimi intervalli di tempo, anche quando le deviazioni erano grandi, per poter seguire l'andamento della variazione di tem- peratura nella coppia e cogliere il massimo valore della deviazione. Il modo di operare fu presso a poco sempre il seguente. Pre- parata una coppia, se ne determinava la f. e. a piccoli intervalli di tempo per vedere se essa non variava per modificazioni che potessero prodursi alla superficie degli elettrodi o per reazioni che potessero avvenire anche a circuito aperto. Quindi muovendo opportunamente il corsoio sul ponte si cercava la posizione per la quale si aveva corrente nulla nel galvanometro, oppure più generalmente quella per la quale si aveva una costante pic- cola deviazione da una parte dello zero della scala, facendo le osservazioni di minuto in minuto. Raggiunto questo si chiudeva il circuito della coppia a studiarsi e subito dopo anche quello della coppia del punte. Il senso della deviazione, che si osservava, oppure l'aumento o la diminuzione della grandezza della devia- zione, che prima si aveva, mi indicava subito se si aveva riscal- damento o raffreddamento nella coppia. Queste osservazioni si facevano quindi possibilmente di mezzo in mezzo minuto; la gran- dezza delle deviazioni osservate andava prima crescendo e poi diminuendo, e si continuavano le osservazioni finchè la diminuzione fosse molto lenta. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 38 524 STEFANO PAGLIANI Coppie ad acido solforico. I. Coppia Smee. — Platino platinato, Zinco amalgamato, Acido solforico !/.,- Con cinque coppie diverse si ebbe per risultato una dimi- nuzione di temperatura nella coppia, appena preparata, subito dopo chiuso il circuito. Lasciando funzionare la coppia per qualche tempo si presentava poi un aumento di temperatura. Così per una coppia, la cui f. e. a circuito aperto si trovò uguale a 1.138, appena chiuso il circuito con 50 U.,S., si ebbe una de- viazione di 4 divisioni nel senso corrispondente ad una diminu- zione di temperatura. Avendo poi lasciato il circuito chiuso prima per 37 secondi poi ad intervalli di tempo, durante i quali si misurava la f. e.; per altri 136° complessivamente, cosicchè la f. e. era discesa per i valori 0.816, 0.800, 0.777 si ebbe chiudendo il circuito con 10 U.S. per 30° una deviazione di 7 divisioni nel senso di un aumento di temperatura. Per un’altra coppia, la cui f. e. a circuito aperto si trovò di 1",151, ap- pena chiusa con una resistenza di 10 U.S. si ebbe una devia- zione di 10 div. nel senso di una diminuzione di temperatura e lasciando il circuito chiuso per 30 si arrivò ad una deviazione di 17 divisioni nello stesso senso. Il massimo valore della f. e. a circuito aperto trovato per le diverse coppie fu 1.373, il minimo 1",079. Il Pellat ha trovato per la differenza di potenziale Zn| Pt 0".88 a 1.02 se- condo lo stato della superficie, Ayrton e Perry per Zn am.| Pt, 1.120; I diversi sperimentatori, e furono parecchi, che determina- rono la f. e. della coppia Smée trovarono valori assai differenti, anche a circuito aperto; e, per tener conto solo delle determi nazioni più recenti, quei valori variano fra 0",806 e 1". 64. Come abbiamo veduto una variazione termica negativa si può spiegare in due modi. Tanto l’uno che l’altro possono essere giustificati per la coppia Smée e per le altre, che come vedremo, presentarono lo stesso fatto. In vero la sola reazione chimica attiva, che possiamo ammettere avvenga nella coppia Smée nel primo momento della chiusura si è la reazione dello zinco col- l’acido solforico. In questa reazione per ogni grammo-equivalente SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 525 di zinco sciolto si sviluppano 53045 calorie, secondo i dati del Thomsen, quantità di calore che equivale ad una f. e, di 2,29. D'altra parte l'energia necessaria alla decomposizione dell’acqua è misurata dalla f. e. di polarizzazione fra idrogeno e ossigeno. Ora le determinazioni di questa f. e., a circuito chiuso, senza interruzione della corrente primaria, fra elettrodi di platino, hanno dato i seguenti valori in Daniell: 2.31 (Wheatsthone), 2.58 (Daniell), 2.256 (Buff) 2.32 (Poggendorff), 2.14 a 2.44 (Swanberg), 2.21 a 2.29 (Pirani). Il medio valore sarebbe quindi 2.36 D=2*.59; ritenendo la f. e. della Daniell uguale a 1'.097, come risulterebbe dalle misure di Wright e Thomson. Notiamo ancora che il Joule avrebbe trovato per la stessa f. e. di polarizzazione per platino e zinco amalga- mato il valore 2.81D=3".08. Già il Verdet (Theorie Meca- nique de la Chaleur IT, p. 214) facendo notare che la detta f. e. corrisponde ad un calore di combinazione fra H ed O quasi doppio di quello che fu misurato direttamente bruciando l’idrogeno nell’ossigeno, spiegò questa grande divergenza facendo l’ipotesi che il calore di combinazione dei due gas sia maggiore del calore di combustione dell’idrogeno misurato col calorimetro. La combustione ottenuta direttamente avviene fra i due gas allo stato ordinario ; la combinazione nel voltametro avviene fra due gas allo stato attivo o nascente. Ora questo è precisamente il feno- meno inverso di quello che deve avvenire quando l’acqua è decom- posta dalla corrente. In quello stesso concetto ci confermano anche i risultati, a cui giunse il Prof. Macaluso nelle sue interessanti ricerche sulla polarizzazione, e sulle quali ritornerò in seguito. Vediamo quindi che l'energia somministrata dalla reazione dello zinco non è già sufficiente per compensare il dispendio di energia necessario alla decomposizione dell’acqua (*), e quindi la differenza fra le due quantità di calore corrispondente è negativa. Tuttavia forse non sarebbe sufficiente questa differenza a spiegare l’effetto osservato, quindi si deve anche ammettere il concetto di Braun e di Helmholtz che non tutta l’energia potenziale chimica sia (*) Notiamo che il prof. BartoLI nelle sue estese ricerche sulle leggi delle polarità galvaniche, le quali formano oggetto di parecchie Memorie (Nuovo Cimento, 1877, 1878, 1879, 1880, 1881), ha stabilito che nelle decomposizioni elettrolitiche, anche con elettromotori teoricamente insufficienti, la legge di LS FaARADAY è esattamente verificata, 526 STEFANO PAGLIANI atta a trasformarsi in energia elettrica, ed una parte di questa po- trebbe provenire dalla trasformazione di energia termica sensibile. Quando poi per il diffondersi dei gas nella coppia, allora. per la condensazione di questi gas sia sugli elettrodi che nel liquido, e per le reazioni chimiche a cui danno luogo, come pure per la loro trasformazione dallo stato nascente allo stato ordinario, o di ozono per l’ossigeno, possono avvenire dei processi fisici e chimici, i quali, quantunque non diano effetto utile per la forza elettromotrice, ma anzi alcuni di essi producano una f. e. contraria a quella della coppia, e che ne diminuisce quindi il valore, tut- tavia gli effetti termici che li accompagnano possono compensare l’effetto termico negativo dovuto alle altre cause indicate sopra. Il Favre non ha potuto osservare questo raffreddamento ini- ziale della coppia Smée perchè col suo metodo doveva farla fun- zionare per un tempo lungo e quindi questo effetto rimaneva celato dagli altri. I valori diversi della f. e., che furono ottenuti a circuito aperto, o chiuso solo per un istante, si spiegano con ciò che, come l’ ha dimostrato il Pellat, la differenza di potenziale fra due metalli dipende in alto grado dallo stato della loro superficie, ed un’alterazione chimica anche invisibile può già cambiarne com- pletamente il valore, e si può ritenere che la f. e. di una coppia sia la stessa a circuito aperto e nel primo istante di chiusura. II. Coppia Platino bianco e Zinco amalgamato. — Anche le esperienze fatte con questa coppia dimostrarono che il primo effetto termico è un raffreddamento. Per una coppia la cui f. e. era uguale a 1". 101, chiuso il circuito con 10 U.S. si ebbe subito una deviazione di 13 div. nel senso di una diminuzione di tem- peratura, ed avendo lasciato il circuito chiuso per 60° si arrivò sino ad: una deviazione di 22 div. nello stesso senso. | Il maggior valore trovato per la f. e. di questa coppia a circuito aperto fu 1".167, il minimo 1.101 sopra cinque preparazioni diverse. | IIl. Coppia Volta. Rame e Zinco amalgamato. — Anche | con questa coppia il primo effetto termico prodotto colla chiusura | del circuito è un raffreddamento, susseguito poi, lavorando la coppia per qualche tempo, dall’effetto opposto. Per una coppia la cui f. e. era uguale a 1.157, appena chiuso il circuito con una resistenza di 10 U.S. si ebbe una deviazione di 5 div. | nel senso di una diminuzione di temperatura. Il massimo valore SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 50” della f. e. a circuito aperto trovato per questa coppia fu 1‘. 178, il minimo 1‘.115. Pellat ha ottenuto per la differenza di po- tenziale Zn|Cu da 0'.68 a 0.86. IV. Coppia Carbone e Zinco amalgamato. — Anche per per questa coppia si trovò come primo effetto termico un raf- freddamento. La sua f. e., anche a circuito aperto, varia col tempo, ciò che dipende specialmente da modificazioni della su- perficie del carbone. Per una coppia la cui f. e. era uguale a 1".418, appena preparata, e discese a circuito aperto a 1”.383, si ebbe, chiuso il circuito con 10.U.S. per 30°, una deviazione di 14 div. nel senso di una diminuzione di temperatura. V. Coppia Platino e Iame. — Questa coppia, come la precedente, mostrò un comportamento speciale cioè una sensibile variabilità di f. e. a circuito aperto. Il Rame si trovò positivo rispetto al Platino, funzionante cioè come metallo intaccato. In una coppia la cui f. e. iniziale a circuito aperto era 0‘,522; dopo un'ora sempre a circuito aperto discese a 0',468, dopo 4 ore a (00".432, dopo 5° a 0.401. Avendo allora chiuso il circuito per 120° con 5 U.S. la f. e. si trovò discesa a 0". 343, dal qual valore dopo 1" di circuito aperto risali a 0.396. Avendo di nuovo chiuso il circuito per 30° con 10 U.S. essa ridiscese a 0". 343. Durante la chiusura del circuito non si 0s- servarono effetti termici sensibili. Anche dalle determinazioni del Pellat risulterebbe il rame positivo rispetto al platino ed il valore della differenza di po- tenziale Cu|Pt=0"20. Se invece si calcola la f. e. dalle azioni chimiche che si possono supporre avvenire in questa coppia, nel modo consueto, si arriverebbe alla conclusione che il rame dovrebbe funzionare da polo positivo rispetto al circuito esterno. Se supponiamo la formazione del solfato di rame abbiamo: (Cu. O. SO3z Aq) — (Hg, 0)= 55960 — 68200 = — 12240 e per un grammo-equivalente di rame: — 6120 = — 07 26, Se supponiamo la formazione dell’ossido di rame: | (Cu. 0) — (H,. 0) = 87160 — 68200 = — 31040 e per un grammo-equivalente di rame: — 15520 = — 0," 669 Vediamo che qui il valore della f. e. che si deduce dalle azioni chimiche è già per il suo segno opposto a quello che ri- 528 STEFANO PAGLIANI sulta dall’esperienza. Quindi si deve venire alla conclusione che, o in questa coppia non avviene nessuna di quelle reazioni chi- miche, oppure, ciò che a me pare più probabile, il metodo in- dicato per calcolare la f. e. non può servire a stabilire il segno di essa poichè la decomposizione (H7,, 0) è un processo che av- viene nell’ interno della coppia, non sopra una delle lamine polari. Tanto più credo ciò inquantochè per l’energia termica corrispondente alla reazione (H4,, 0) si dovrebbe con maggior ragione adottare il valore 120100, corrispondente al valor medio della f. e. di polarizzazione sopra indicato. V. Coppia Stagno e Zinco amalgamato. — Per questa coppia si constatò costantemente un aumento di temperatura colla chiusura del circuito. La f. e. a circuito aperto massima trovata fu 0. 581, la minima 0. 546. Si può spiegare l’effetto termico ottenuto con ciò che in questa coppia lo stagno si copra di uno strato sottile di ossido il quale si vada lentamente scio- gliendo durante il passaggio della corrente. Quindi alla reazione dello zinco si aggiungerebbe quella dello stagno, e per gli effetti termici si sommerebbero in modo da mascherare anche l’effetto termico negativo dovuto alla decomposizione dell’acqua. Ma per l’effetto utile nella produzione di elettricità, osservo che la reazione dello stagno, producendosi sulla lamina polare positiva, l’energia ad essa corrispondente deve essere sottratta da quella corrispondente alla reazione dello zinco. Ora a questa corrisponde come si è veduto una f. e. di 2" 29. Nella reazione (Sn. O. SO, Aq) secondo le recenti determinazioni di Herroun (loc. cit.) si sviluppa una quantità di calore uguale a 75210", ‘e per grammo-equivalente di stagno: 37605°—=1° 62. Facendo la differenza fra queste due f. e., si ottiene 0,63, numero eorri- spondente a quello dato dall’esperienza. Il Pellat trovò per la differenza di potenziale Zn|Sw da 07,25 a 0"35. VI. Coppia Cadmio e Zinco amalgamato. — I risultati ottenuti colle due coppie precedenti mi portarono a studiare una coppia in cui certamente i due metalli sono intaccati. E diffatti vi si constatò sempre aumento di temperatura alla chiusura del circuito. La f. e. a circuito aperto variò fra 0.289 e 0.341. Il cadmio funziona da polo positivo. Se anche qui consideriamo come efficace la reazione del Cadmio, sottraendo la energia cor- SULL'ORIGINE DELLA ‘FORZA ELETTROMOTRICE 529 rispondente a questa da quella relativa alla reazione dello zinco, si ottiene: (Zn. 0. S0, 49) —(C4.0. SO, Ag) = 106090 — 89500 = 16590 e per 1 grammo-equivalente 8295 = 0". 857, valore prossimo a quelli ottenuti sperimentalmente. VII. Coppia Ferro e Zinco amalgamato. — Di questa coppia fu solo determinata la f. e. a circuito aperto senza studiarne gli effetti termici. Si trovò da 0", 600 a 0, 579. Pellat trovò per Zn | Fe 0" 56 a 070. Il ferro funziona nella coppia da polo positivo. Coppie ad acido cloridrico ('/.,). VIII. Coppia Platino platinato e Zinco amalgamato. — Anche in questa coppia il primo effetto termico osservato appena chiuso il circuito, è un raffreddamento della coppia, anzi esso è più intenso e persiste assai più che non per le coppie prece- denti. Così per una coppia la cui f. e. a circuito aperto era 1.581, sì trovò chiudendo il circuito per 30° con 50 U. S. una deviazione di 18 div. nel senso di un abbassamento di tempe- ratura; dopo 25 minuti, e fatta una determinazione di f. e. che non indicò variazione sensibile in essa, avendo di nuovo chiuso il circuito per 30° con 20 U. ,. si ebbe ancora una devia- zione di 38 div. nello stesso senso; dopo altri 16 minuti du- rante i quali trovai la f. e. discesa a 1.485, chiuso di nuovo il circuito per 40°, ebbi ancora una deviazione di 23 div. sempre nello stesso senso. Dopo altri 15 minuti, durante i quali trovai la f. e. discesa a 1. 447, avendo chiuso il circuito con 10 U. S. per 50° ebbi una deviazione di 25 div. nel senso di un au- mento di temperatura. Il valore massimo della f. e. trovato per questa coppia a circuito aperto fu 1.604, il minimo 1.581. Anche qui possiamo trovare analoghe spiegazioni degli effetti termici osservati come per la coppia Smée, Il prof. Macaluso (Nuovo Cimento [2] 11. 1874) ha trovato per la f. e. di polarizzazione di Pt, e Pty in opposizione a Pt non polarizzato, in acido cloridrico, rispettivamente i valori 1.08 530 STEFANO PAGLIANI e 0.94 D, la somma sarebbe 2.02 D= 2" 22. Questi valori sono stati trovati per il caso in cui le lamine erano cariche di cloro o di idrogeno elettrico o attivo; mentre quando erano ca- riche di quei gas allo stato ordinario, cioè svolti con un pro- cesso chimico qualunque, la f. e. di polarizzazione era circa la metà. Cosicchè il Macaluso conchiudeva che tanto l’idrogeno che il cloro, nel primo momento in cui escono dal composto, di cui fanno parte (H4C/) condensati su un elettrodo di platino o di carbone danno in unione con un’altra lamina priva di gas una f. e. di polarizzazione molto superiore a quella degli stessi gas nelle stesse condizioni, ma allo stato ordinario. Poggendorf aveva trovato 2.12 a 2.32 D., in media 2° 43. Ora a circuito chiuso il valore ne sarà sempre maggiore e del resto così dovrebbe essere, poichè il calore della reazione (H,, Cl, aq) è 78640, maggiore di quello della reazione (H3, 0). Qui non solo si deve tener conto del lavoro corrispondente al calore di combinazione fra H e C7, ma anche di quello cor- rispondente al calore di soluzione dell’ acido cloridrico nel- l’acqua. D'altra parte la quantità di calore sviluppata nella reazione (Z72, Cl, aq) sarebbe 112840 e per un grammo-equi- valente di zinco 56420°— 2".43. Anche qui dopo una certa durata dell’azione della corrente interverranno gli altri processi fisici e chimici, che danno effetti termici che compensano il precedente. La maggior grandezza dell'effetto termico negativo nelle coppie ad acido cloridrico spiega come il Favre abbia potuto osservarlo nelle sue esperienze calorimetriche. Dalla quantità di calore spesa nel circuito esterno 16950° nel caso della coppia Zn- Pt, si arguisce che la resistenza esterna doveva essere ab- bastanza grande, quindi la intensità della corrente piccola, per cui l’effetto termico negativo può essersi conservato anche per il tempo per il quale ha durato la sua esperienza. Quanto alle determinazioni di Wright e Thomson (loc. cit.) secondo le quali la f. e. misurata (07,633 a 0%,552, va- riando la densità della corrente da 1. 6 a 28. 1) fu sempre trovata inferiore a quella calcolata dalle azioni chimiche mi sembra che non provano nulla contro le esperienze del Favre. Questo può dipendere semplicemente dalla polarizzazione, e non esclude l’effetto termico negativo, come non lo escludeva per le coppie ad acido solforico. SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 531 IX. Coppia stagno e zinco. — Quantunque gli effetti ter- mici osservati in questa coppia siano molto deboli, tuttavia si osservò anche qui decisamente sul principio un effetto negativo. Per una coppia la cui f. e. a circuito aperto era 0. 527, chiudendo il circuito con 10 U.S. per 62° si arrivò ad una deviazione massima di 5 div. nel senso di una diminuzione di temperatura. Il massimo valore della f. e. a circuito aperto tro- vato fu 0.537, il minimo 0. 517. Può darsi che l’effetto ter- mico negativo sia in parte mascherato da un effetto termico positivo dovuto all’azione dell’acido cloridrico sullo stagno. La f. e. calcolata dalle reazioni chimiche risulterebbe, se si ammette che lo stagno sia intaccato: (Zn, Cl, aq) — (Sn, CI, aq) =112840° — 81140°= 31700° per 1 grammo-equivalente 15850° = 0, 683. La differenza di potenziale fra Z» e Sw secondo le determinazioni del Pellat sarebbe 0". 25 a 0". 85 secondo lo stato della superficie. X. Coppia Platino e Stagno. — Qui si ebbe anche come primo effetto termico un raffreddamento, che fu, come per la coppia Platino e Zinco, persistente. Per una coppia, la cui f. e. a circuito aperto era 1". 005, chiudendo il circuito per 60° con 10 U. S. si ebbe una deviazione di 12 div. nel senso di un abbassamento di temperatura; dopo sei minuti, avendo di nuovo chiuso il circuito con 5 U. S. per 34° si ebbe ancora una deviazione di 7 div. nel senso di un abbassamento di tem- peratura. Dalle determinazioni del Pellat risulta per la diffe - renza di potenziale Sw|Pt il valore 0°. 63 a 0" 67. Se si cal- cola dalle reazioni chimiche nel modo ordinario si otterrebbe : (Sn, C1,, aq) — (Hz, Cl, aq) =81140°— 78640°= 2500, per 1 grammo-equivalente 1250°—= 0". 054, valore assai diffe- rente da quelli trovati sperimentalmente. XI. Coppia Platino e Ferro. — Se ne determinò solo la f. e. a circuito aperto, e si trovarono valori variabili fra 0.916 e 1.028, e quindi dello stesso ordine di grandezza di quelli della Smée. Pellat trovò per la differenza di potenziale Fe| Pt da 0".32 a 0". 38. 332 STEFANO PAGLIANI Coppia ad acido bromidrico. (},;). XII. — Coppia Platino platinato e Zinco amalgamato — Anche per questa coppia il primo effetto termico è stato un raffreddamento. Il massimo valore per la f e. a circuito aperto trovato fu 1.586, il minimo 1,355. Favre pure osservò un raf- freddamento per questa coppia il quale si può spiegare colle stesse ragioni, che per le altre coppie. Considerazioni sui precedenti risultati. Dai risultamenti delle ricerche sovra esposte mi sembra pos- sansi dedurre alcune conseguenze intorno all’origine della forza elet- tromotrice nelle coppie idroelettriche ed al modo di calcolare. Anzitutto non sembra necessario nello studio delle coppie voltaiche di doversi decidere esclusivamente, come pretesero alcuni, o per la teoria del contatto, o per la teoria chimica. Si deve distinguere, come l’ha fatto bene notare il Pellat, in una sua recentissima Memoria (Amm. Chim. Phys. [6] XIX 1890) fra differenza di potenziale e forza elettromotrice. La differenza di potenziale fra due punti o due conduttori in contatto è il lavoro compiuto dalle sole forze elettro-elettriche (quelle che sono eser- citate dai diversi punti elettrizzati, secondo le leggi del Coulomb.) sopra l'unità di elettricità, che si muove da un punto all’altro, e non il lavoro sopra questa quantità di elettricità di tutte le forze che possono agire su di essa; mentre la forza elettromo- trice di un elettromotore qualunque è l'energia che questo co- munica all’unità di elettricità che lo attraversa, energia che può essere la trasformazione di una energia meccanica, o di una energia termica, o ancora di una energia potenziale chimica. Questo dispendio di energia può fornire il valore della forza elet- tromotrice. L’effetto termico negativo iniziale osservato in quais tutte le coppie considerate nel presente lavoro dimostra che il movimento di elettricità può prodursi solo per la differenza di potenziale di contatto, e che non essendo la energia della rea- zione chimica, utile per la forza elettromotrice , sufficiente al dispendio necessario per il lavoro della corrente, molto proba- bilmente una parte della energia termica sensibile si trasforma in energia elettrica. SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELELTROMOTRICE doo Questo effetto negativo, ed altri risultati dimostrano essere forse più esatto il considerare il lavoro della decomposizione dell’elettrolito di una coppia, fatto dalla corrente, come equi- valente alla forza elettromotrice di polarizzazione, che non al calore di combinazione dei due gas allo stato ordinario. La pola- rizzazione poi della coppia stessa a circuito chiuso sarebbe dovuta soltanto alla f. e. di contatto dell’idrogeno col metallo non intaccato, e quindi ancorchè il suo valore sia minore sempre della f. e. primaria della coppia, tuttavia la prima. tende a di- minuire l’efficacia della seconda nella produzione della corrente. Talune divergenze che si riscontrano fra i valori osservati della f. e. ed i calcolati dipendono o dallo assumere per calore di decomposizione dell’elettrolito, che costituisce le coppie, un valore non esatto, o più probabilmente dallo assumere come f. e. di polarizzazione quella che corrisponde al calore di combinazione allo stato ordinario degli elementi principali, invece della f. e. di polarizzazione di contatto di uno di essi con una delle la- mine polari. Però in una coppia si possono avere trasformazioni diverse, fra le quali le principali sono processi chimici primari e secon- dari, depositarsi delle sostanze messe in libertà sulla superficie degli elettrodi (condensazione ed occlusione di gas), diffusione degli elementi e gruppi messi in libertà, e loro combinazioni reciproche, passaggio dei gas dallo stato attivo allo stato ordi- nario, variazione della concentrazione degli elettroliti in prossi- mità degli elettrodi. Or di questi processi alcuni possono essere efficaci per la f. e. primaria o per la f. e di polarizzazione, e probabilmente solo quelli che si compiono sugli elettrodi , altri possono non essere efficaci, ma ad ogni modo l’effetto risultante di tutte le variazioni termiche ad essi dovute è sensibile nella coppia alla misura calorimetrica, e può non andare d'accordo il risultato di questa con quello della misura della f. e. Quindi ab- biamo veduto come in alcuni casi la misura della f. e. dia un risul- tato concordante con quello che si calcola dalle azioni chimiche, che si possono supporre avvengano nella coppia, altre volte non. Del resto il teorema di Thomson è fondato sopra due pre- messe, l'una che non vi siano altre sorgenti di energia che l’azione chimica, l’altra che non si possa produrre che una data reazione elettrolitica in un elettrolito. Ora queste due premesse non si realizzano che in casi eccezionali per le coppie idroelettriche, ed 534 STEFANO PAGLIANI — SULL’ORIGÎNE DELLA FORZA ECC. è in questi casi, come è quello di una coppia Daniell simmetrica, che si è trovato sufficiente accordo fra la teoria e l’esperienza. Le piccole divergenze che si trovano per altre coppie, che pure soddisfanno abbastanza bene alle dette premesse, si potranno spiegare con effetti Peltier, ma in generale per le divergenze maggiori si deve ricorrere a cause assai più complicate. Infine ammettiamo col Pellat che la differenza di potenziale fra i poli di una coppia non sia altro che quella dovuta al contatto dei due metalli, modificata dalle azioni che i mezzi, coi quali i metalli si trovano a contatto, esercitano su di essi. E così mentre il Lodge aveva trovato delle relazioni di grandezza fra i valori di alcune forze elettromotrici di contatto misurate direttamente, e quelli che si calcolano dai calori di ossidazione dei metalli, abbiamo veduto pure come in alcuni casì si avesse la stessa re- lazione anche con quelli che si calcolano dalle reazioni chimiche, che si possono supporre avvenire nelle coppie. Dimodochè si vede che tanto l’azione dell’ossigeno dell’aria, quanto quella degli altri mezzi sembrano influire sulla f. e. di contatto, ma senza che questa si possa calcolare dalle azioni stesse. Anche per le f.e. di contatto fra soluzioni di sali capaci di formare dei sali doppi ho trovato (Atti R. Acc. Scienze Torino, XXI. 1886), che stavano in relazione per ordine di grandezza coi calori di for- mazione, e coi calori di soluzione dei sali doppi, ma senza che con ciò si possano calcolare quelle da questi. I diversi valori che si ottengono sperimentalmente per una stessa coppia voltaica e che spiegano i risultati differenti ai quali giunsero i diversi sperimentatori per uno stesso tipo di coppie, come la Smée, devono trovare la loro ragione in condizioni diverse delle superficie dei metalli, prodotte dai mezzi che vi si trovano a contatto. Ho detto più sopra essere probabile che solo i processi che si compiono negli elettrodi debbano influire sul valore della forza elettromotrice a circuito chiuso. Difatti abbiamo veduto che in generale se si portano in conto anche le reazioni che si com- piono nei liquidi della coppia non solo si possono avere valori discordanti per la grandezza, ma anche pel segno della forza elettromotrice, da quelli ottenuti sperimentalmente. Laboratorio di Fisica del R. Istituto tecnico di Torino, Marzo, 1890. Pn) ini ARE A Sa |) ta | DI Ù tI i Ù VII Tav Torino Lit. Salussolia 5515) Sulle modificazioni degli epitelii ghiandolari durante la secrezione; Osservazioni del Dottor V. GRANDIS Numerosi tentativi furono fatti per seguire il succedersi di quelle modificazioni di struttura, che Heidenhain pel primo di- mostrò avvenire nella maggior parte delle ghiandole, durante la secrezione. Già fin dal 1840 Ascherson (1) osservando le ghian- dole della pelle nelle rane aveva notato dei movimenti di con- trazione, che descrisse accuratamente. Però il suo lavoro non fu tenuto in alcun conto se non dopo che Engelmann (2) riprese a studiare profondamente lo stesso argomento. Quasi contempo- raneamente Kiihne e Lea riuscirono ad osservare per lungo tempo il pancreas dei conigli, ed a studiare l’azione di diverse condi- zioni fisiologiche. Più tardi Langley (3) confermò coll’esame diretto delle ghiandole sierose i risultati ottenuti da Heidenhain sulle ghiandole mucose. Ultimamente Drasch (4) osservò che le ghiandole della pelle delle rane durante la funzione non modificano la loro struttura microscopica, ma modificano notevolmente la loro forma. La grande delicatezza degli epiteli, e la difficoltà della ricerca non permisero che queste osservazioni potessero venire estese a tutte le ghiandole. Rimane ancora irresoluta la questione se anche il rene si comporti nello stesso modo. Dietro consiglio del prof. Mosso ho intrapreso due anni or sono lo studio di questa importante questione, (4) Vedi il lavoro di Engelmann. (2) EnGELMANN, P/lùger’s Archiv, vol. V, pag. 498, vol. VI, pag. 97. (3) LanGLEY, Journal of the Physiology, vol. II, pag. 260. (4) Drasc8, Archiv f. Anat. u. Physiol. Phisiolog. Abth., 1889, pag. 96. 536 V. GRANDIS In seguito a molti tentativi infruttuosi la mia attenzione fu rivolta agli organi orinari degli insetti. È oramai ammesso da tutti i zoologi, specialmente per i risultati di studi embriologici rigo- rosi, che i canalicoli malpighiani rappresentano il rene dei verte- brati. La grande semplicità di struttura di questi organi mi parve renderli molto adatti ad essere sottoposti all’osservazione diretta. A ciò si deve aggiungere la considerevole resistenza vitale di questi invertebrati, il modo in cui si compie la respirazione e la circolazione, tutte condizioni le quali fanno sì che essi debbano essere preferiti per lo studio di organi molto delicati. Estesi le mie osservazioni a rappresentanti di varie famiglie di insetti quali la Locusta viridissima, vari lepidotteri, la Me- lolonta, e V Hydrophilus, e dovetti convincermi che quest’ultima è la specie più adatta per sì fatte osservazioni, tanto per la dispo- sizione anatomica dei tubi malpighiani, quanto specialmente per la grandezza enorme dei loro epiteli, così che con piccoli ingran- dimenti si possono scorgere molti dettagli della struttura cellulare. Onde poter fare le mie osservazioni nelle condizioni più pros- sime possibili alle normali preparavo l’animale nel modo che descriverò brevemente. Dopo aver amputate le estremità ed esportate le elitre e le ali ad un Hydrophilus, aprivo colle forbici la parte dorsale del segmento addominale, secondo una linea che coincideva ad un dipresso coll’asse antero-posteriore del corpo. Quindi con due inci- sioni laterali perpendicolari alla prima rovesciavo all’infuori il tegumento e lo esportavo con un colpo di forbici. Nel fare queste incisioni è facilissimo ledere due enormi sacchi aerei che stanno nella parte anteriore dell’ addome, è quindi necessario andar molto cauti quando si desideri che l’animale duri per molto tempo in vita. Così preparato lo fissavo sopra una tavoletta di sughero, come quelle che servono per ‘osservare la circolazione nelle rane. Nella tavoletta era stata praticata un'apertura cir- colare del diametro di un centimetro circa, la quale venne ‘con- vertita in una pozzetta a fondo trasparente attaccando con ceralacca un vetro porta-oggetti sulla superficie inferiore della lamina in modo da chiudere l’apertura praticata nel sughero. L’Hydrophilus veniva fissato sulla tavoletta in posizione di ‘ fianco con due spilli di cui l’uno infisso nel torace e l’altro all’e- stremità anale del corpo, in modo che l’addome si trovasse in corrispondenza della pozzetta. Questa veniva riempita con la linfa MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 5897 perduta dall’animale, diluita con cloruro di sodio in soluzione al 0,75 °,. Dentro vi facevo cadere la matassa intestinale e poi distendevo con precauzione l'intestino sui bordi della pozzetta fissandovelo con degli spilli. In queste manipolazioni procuravo di fare movimenti deli- catissimi in modo da non rompere le trachee, le quali partendo dai sacchi aerei di cui accennai sopra si distribuiscono a tutti gli organi dell'addome. Ebbi più volte occasione di convincermi che questa è una condizione indispensabile perchè si possa pro- trarre lungamente l’osservazione, senza che avvengano alterazioni dovute alla morte delle cellule. Una delle ragioni per cui l'Hydrophilus è più adatto degli altri insetti a questo genere di osservazioni sta appunto nel fatto, che esso, riempiendo d’aria i suoi sacchi aerei, può reggere lun- gamente senza respirare, atto che è reso difficile dall’esportazione delle pareti dell’addome. Procedendo con queste cautele ho fatto le mie osservazioni sulla funzione di questi organi. Di esse riferirò in seguito. Prima credo necessario di fare un breve cenno della struttura dei tubi malpighiani dell’Hydrophilus. Così si potranno compren- dere più facilmente le osservazioni che deseriverò in seguito, poichè ho notato alcune particolarità, le quali si allontanano alquanto dallo schema generale di questi organi, come viene descritto da Schindler (1) nei coleotteri. Struttura dei canalicoli malpighiani dell’Hydrophilus piceus. Feci quasi tutte le mie osservazioni sopra pezzi freschi senza sottoporli all’azione di alcun agente indurente o fissatore. Anzi la massima parte delle osservazioni sulla struttura fu fatta sull’a- nimale vivo. Ho deciso di seguire questo. metodo, siccome quello che mi permetteva di poter più facilmente apprezzare i muta- menti dell’organo in funzione. Sono ricorso all’induramento ed ai soliti reagenti microscopici solo quando doveva mettere meglio (1) Zei'schrift f, Wissenschafts Zoolog. Kolliker u. Siebola, vol, XXX, pag. 587. 538 V. GRANDIS in evidenza qualche particolarità, di cui non fosse possibile farmi un concetto abbastanza chiaro in altro modo. Salvo nei casi che indicherò in modo speciale, s’ intenderà che tutte le osservazioni furono fatte coll’obiettivo 3 di Leitz e coll’oculare 3. Nell’Hydrophilus i tubi malpighiani sono in numero di quattro variamente attorcigliati fra di loro, avvolgono tutto l'intestino risalendo fino in corrispondenza dello stomaco, dove fanno un’ansa, ridiscendono in basso e si gettano nell’intestino retto in corri- spondenza della cloaca. In essi si distingue una parete di sostegno e le cellule epiteliari. Sopra di essi si distribuiscono numerosis- sime le trachee divise in ramificazioni molto sottili. La parete di sostegno veduta in sezione ottica appare fornita di un doppio contorno, ed in essa si distingue una parte ialina apparentemente amorfa, nella quale si vedono qua e là disse- minati dei grossi elementi ovolari, del diametro di 40-50. Come si vede nella fig. 1° essi contengono grosse granulazioni splen- denti, immerse in una sostanza finamente granulosa. Queste gra- nulazioni sono disposte ad intervalli regolari e guardate con una lente ad immersione, '/,, Leitz, dimostrano avere una struttura molto complicata. In ciascuna di esse si distingue una parte peri- ferica costituita da una linea colorabile coi colori nucleari, la quale fa l'impressione di una parete limitante il granulo. Nel- l’interno dello spazio limitato da questa linea si osserva una so- stanza amorfa incolora, nella quale stanno alla loro volta immersi altri granuli colorati piccoli in numero di due a tre variamente disposti. Dal modo di comportarsi della parete di questi corpi ovali e delle loro granulazioni rispetto ai colori di carmino e di anilina credo si debbano considerare come i nuclei di grosse cellule fatte da protoplasma apparentemente amorfo. Nello spessore della parete del canalicolo si vede una rete molto fitta e di aspetto più rinfrangente della sostanza ambiente, costituita da filamenti incrociati in vario modo. Nel punto d’in- contro di più filamenti si vede generalmente un piccolo corpic- ciuolo ovolare o circolare contenente piccole granulazioni splen- denti. Questo corpicciuolo e le sue granulazioni si colorano ra- pidamente in azzurro col bleu di metile ed in verde col verde jodio, in rosso col carmino, presentano cioè tutti i caratteri di un vero nucleo cellulare. Tanto la rete quanto i suoi nuclei sono MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 599 difficilmente visibili nei tubi, i quali hanno cellule epiteliari molto ricche in sostanza colorante; ma si vedono molto bene in quei tubi dove le cellule sono perfettamente incolore e traspa- renti. Per vedere questi particolari più distintamente nella prima varietà di tubi è necessario alterare alquanto il rapporto fra le varie parti del canalicolo, e fare in modo che alcune cellule epiteliari si stacchino. Nel campo chiaro che ne risulta spiccano molto bene i filamenti della rete per dei sottili bordi scuri do- vuti alla loro rinfrangenza più forte. Ho notato che si può ren- dere molto evidente questa reticella lasciandola per alcun tempo immersa in una soluzione al 2°/, di bleu di metile, dove i fila- menti prendono una leggera colorazione azurra, la quale permette di distinguerli dalla sostanza circostante. Cercai vari modi onde determinare la natura di questa rete, se cioè fosse nervosa od elastica, di ciò tratterò più diffusamente in altra Nota, per ora dirò solo che col metodo di Golgi al cloruro d’oro si colora una rete disposta in senso trasversale al canalicolo, la quale ha numerosissime anastomosi e finisce in fila- menti sottilissimi, la cui terminazione si sottrae ai più forti in- grandimenti. Per contro non ottenni alcuna colorazione col metodo di C. Martinotti, (1) il quale mette in evidenza le fibre ela- stiche. Dopo sottoposti i tubi alla digestione peptica non si riesce più a veder traccia della rete nei tubi a cellule epiteliari co- lorate, mentre nei tubi a cellule incolore si osserva una rete molto fitta costituita da grossi tronchi disposti trasversalmente, obliquamente e longitudinalmente al canalicolo. Qualche volta si incontrano dei tubi dove non è dato scor- gere traccia di struttura all’infuori della rete ultima descritta, la quale assume un notevole grado di sviluppo. Nella parete non ho mai riscontrato alcuna fibra muscolare nè liscia nè striata. Il componente più importante dei tubi malpighiani è costi- tuito dalle cellule epiteliari. Nell’Hydrophilus esse hanno gene- ralmente forma poliedrica o rotondeggiante con un grosso nucleo ovolare centrale. Le cellule hanno un diametro di 110 p mentre il nucleo misura 380 f. Accade spesso di vedere delle cellule con due nuclei, i quali sono avvicinati in modo da rappresentare una cifra 8 con strozzatura più o meno marcata. Il protoplasma (1) GC. MartINOTTI, Della reazione delle fibre elastiche, Torino, Annali di freniatria, vol, I. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. \XV 39 540 V. GRANDIS cellulare presenta delle particolarità degne di nota. Esso può venir diviso in tre zone, distinte fra loro per caratteri ben de- finiti. Osservate ad un piccolo ingrandimento le cellule in generale appaiono separate fra loro da uno spazio chiaro di dimensioni variabili da 10 a 20 . Con un esame molto attento si riesce qualche volta, anche con piccoli ingrandimenti, a vedere che esse sono realmente una a contatto dell’altra. e che nel punto di contatto sono divise fra loro soltanto per una sottilissima linea. L'intervallo chiaro è dato dalla grande trasparenza propria della parte marginale del protoplasma. Questa zona periferica è limi- tata dal resto del corpo cellulare per una linea molto più mar- cata di quella esistente fra due cellule contigue. Ho riprodotto nella Fig. 2° una cellula epiteliare veduta ad un forte ingrandimento, (8° Koritska). Quando si esaminino dei pezzi freschi e senza far loro subire maltrattamenti, si vede che in corrispondenza della zona trasparente il protoplasma presenta una delicatissima striatura, cosichè sembra formato da fibrille sottilissime, giustapposte, dirette secondo la direzione dei raggi del corpo cellulare. Leydig (1) aveva già riscontrato e descritto questo stesso fatto nelle cellule dei tubi malpighiani della Cetonia aurata e del Bombyx neustria, Ogni fibrilla porta, nel punto in cui si unisce al resto del protoplasma, un granulo leggermente più grande e più rifrangente di quelli che costituiscono il corpo pro- toplasmatico. La disposizione regolare di questi granuli, uno ac- canto all’altro tutto all’ingiro della cellula, fa sì che vengono a costituire una linea netta scura, la quale vista a piccolo ingran- dimento sembra segnare la periferia della cellula, non poterdosi avvertire la sottile striatura nella zona trasparente testè descritta. All’interno di questo strato si trova una zona di dimensioni variabili, la quale costituisce la più grande parte del corpo'cel- lulare e limita un’ area circolare centrale di aspetto chiaro. Essa è fornita di una struttura molto complicata. La massa ge- nerale è fatta da fini granuli e va divisa in due parti, esterna ed interna. Nella parte esterna, tra i granuli si vedono disseminate delle (1) LeypiG, Untersuchungen sur Anatomie und Histologie der Thiere, Bonn,, 1883, pag. 52. mn ev MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 541 scarse granulazioni più grandi, fortemente rifrangenti, incolore a riflessi giallo-verdastri. In oltre non di rado questo strato con- tiene delle goccie regolarmente sferiche, fortemente rifrangenti di color giallognolo, chiamate dagli autori col nome di sfere di se- creto. La parte interna contiene dei granuli grossi di colore giallo-bruno a forma allungata, essi sono in quantità variabile, per lo più fittamente addensati l’uno contro l’altro. L’accumulo di questi granuli dà al protoplasma un color giallo più o meno intenso, secondo il loro grado di addensamento, il quale, quando è notevole, impartisce un colore bruno così carico da coprire tutti gli altri particolari. Osservando a forte ingrandimento (8* Koritska '/,,. Leitz. imm. omog.) potei constatare, come: aveva già descritto Leydig, che i granuli gialli sono costantemente for- mati da cristallini prismatici a contorni ben limitati. Raramente avviene d’incontrare alcuna sfera più o meno grande di una so- stanza gialla identica per l'aspetto fisico a quella di cui sono composti i cristalli. Osservati alla luce polarizzata, tanto i cri- stalli quanto le sfere, si mostrano birifrangenti, e quando i prismi sono incrociati spiccano sul fondo oscuro come linee splen- denti d'un bel colore giallo-dorato. Immergendo i tubi malpi- ghiani in alcool scompare il loro color giallo e con esso i cri- stalli contenuti nelle cellule, mentre l’alcool prende un color giallo con una bella fluorescenza verde in tutto identica a quella della fluoresceina. Ho già intrapreso una serie di ricerche per determinare la natura di questa sostanza. Riferirò dettagliata- mente in una prossima Nota i risultati ottenuti. La terza zona è costituita da un'area centrale chiara. Negli organi freschi non si riesce a vedere alcuna struttura dei nuclei; nei pezzi induriti in alcool e colorati con carmino o con saffranina, si vede che il nucleo, il quale corrisponde al- l’area chiara centrale della cellula vivente, è formato da grosse granulazioni sferiche disposte regolarmente ‘una accanto all’altra. Queste prendono una colorazione violetto sporco col carmino al- luminato e roseo pallido colla saffranina, e fra esse spiccano talora due, talora tre corpicciuoli sferici più grandi fortemente colorati. Nei pezzi stati in alcool il protoplasma si mostra formato da grossi granuli di color grigiastro. Sopra i canalicoli malpighiani si distribuisce una quantità molto grande di trachee le quali conservano i loro caratteri fin- 542 V. GRANDIS tanto che il loro diametro non è inferiore ad 1-2 p. Allora ter- minano con un lungo ciuffo a mo’di pennello fatto da sottili ca- nalicoli perdentesi nell’interno della cellula. I canalicoli terminali sono così sottili e formano una rete così fitta che se ne possono contare parecchie decine sulla superficie di una sola cellula. Esse presentano di particolare che non si anastomizzano mai fra di loro. Per ora non farò alcun cenno dei nervi, riserbandomi di ritornarci sopra in un apposito lavoro. Azioni dei colori d’anilina sopra le cellule. Tutte le particolarità che ho descritto fin ora si possono anche osservare staccando rapidamente un pezzetto di tubo malpighiano ed esaminandolo in cloruro sodico al 0,75%, oppure nel siero stesso dell’Hydrophilus o in una miscela di siero o cloruro s0- dico al 0,75°/,. Se in un preparato così fatto, si fa arrivare una goccia di una soluzione di verde jodio al 2°/, in una solu- zione fisiologica di cloruro sodico, si osserva comparire immediata- mente una colorazione verde pallida nelle fibrille e nei nuclei della rete che si trova nella parete dei tubi. Contemporanea- “mente si colorano pure in verde quei grossi nuclei della parete, i quali hanno granulazioni splendenti, mentre le cellule epiteliari si comportano diversamente. Come si vede dalle fig. 3 e 4, sì deve distinguere il modo di comportarsi del nucleo da quello del protoplasma. Nelle cellule situate alla estremità del moncone, le quali hanno subìto il trauma della sezione, il nucleo assorbe ra- pidamente il colore tingendosi in verde smeraldo, mentre nelle altre cellule il nucleo si mantiene incoloro anche dopo parec- chie ore. Dopo un tempo variabile da 5' a 15' minuti il pro- toplasma delle cellule, il cui nucleo si era già colorato in verde, incomincia a prendere una colorazione grigiastra, la quale va man mano diventando d’un grigio azzurro, e persiste in questo stato, mentre si accentua sempre più la colorazione verde del nucleo, se continua l’azione della sostanza colorante. Il protoplasma di quelle cellule, di cui il nucleo si è mantenuto incoloro, dopo un tempo variabile da 30' a 40’ minuti incomincia a colorarsi in violetto intenso alla periferia. La zona colorata si allarga sempre più finchè si estende a tutta la cellula, all’infuori di uno spazio MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 543 chiaro centrale, limitato da contorni sfumati, il quale può talora essere duplice e corrisponde perfettamente all’area coloratasi in verde nelle cellule dell’estremità del moncone. L'intensità della colorazione del protoplasma diventa così grande da eguagliare quella dello stesso colore nello spettro solare. In questo stadio le cellule si conservano per parecchie ore ed anche per tutto un giorno, quindi il nucleo incomincia a colorarsi in verde, e la co- lorazione violetta del protoplasma passa poco a poco in un colore grigio azzurrognolo, uguale a quello assunto rapidamente dalle cellule dell’estremità del moncone. Sugli organi in sito avviene ad un dipresso la stessa cosa. Aggiungendo alcune goccie della stessa soluzione di verde jodio nella pozzettaà sulla quale stanno distesi i canalicoli malpighiani di recente preparati, si vede che il protoplasma cellulare inco- mirfcia a prendere una tinta violacea, la quale va sempre più accentuandosi. A differenza di quanto si osserva nel canalicolo staccato il colore violetto non cede il posto alla colorazione grigia azzurrastra, ma dopo un lasso di tempo, che varia secondo le condizioni di temperatura e di vivacità dell’ Hydrophilus, scom- ‘pare senza lasciar traccia. In queste condizioni non accade mai di vedere il nucleo a colorarsi nè in verde nè in altro colore. Ciò avviene però quasi istantaneamente in alcuni punti quando con una pinzetta si stringa il canalicolo in modo da alterare più o meno profondamente le cellule. Quando la colorazione violetta è scomparsa, la si può far ricomparire aggiungendo del nuovo verde jodio che viene alla sua volta eliminato. Dopo tre giorni per lo più le cellule prendono un aspetto torbido fortemente granuloso per granuli meno rifran- genti di quelli normali, nel centro non si scorge più spazio chiaro nè alcun altro dettaglio cellulare. Aggiungendo una goccia di soluzione di verde jodio al preparato, in cui i canalicoli sono ridotti in questo stato, il nucleo si colora immediatamente in verde ed il protoplasma in grigio azzurro. Per acquistare mag- gior certezza che questa differenza di reazione delle cellule col verde jodio dipende dalle condizioni di vita della cellula, prima di sottoporre un Hydrophilus all’osservazione esportai un tratto di tubo malpighiano, che divisi in due parti. Immersi una parte in acqua distillata e ve la lasciai per 5 minuti dopo i quali la trattai con verde jodio e la esaminai rapidamente Tutti i nu- clei erano colorati in verde e dopo alcuni minuti si colorò in 544 V. GRANDÎS grigio il protoplasma. Lasciai l’altra parte a bagno in una so- luzione fisiologica di cloruro di sodio al 0,75 °/, per un'ora, dopo la quale, trattato il pezzo con verde jodio, vidi che i nuclei sì erano mantenuti incolori e che il protoplasma prese una tinta violetta. I tubi che erano rimasti attaccati all'animale si man- tennero per tre giorni col nucleo non colorabile. Si trattava ora di determinare se il cambiamento di colore dipendesse da una differente reazione chimica del protoplasma e del nucleo allo stato normale e dopo morte o da qualche processo speciale che avesse luogo in queste parti. Ho provato ad acidificare leggermente la soluzione di verde jodio ed immediatamente la colorazione verde-cupa cessò per far luogo ad un color verde-erba chiaro. Alcalinizzando il verde jodio con alcune goccie di una soluzione diluita di idrato di po- tassio compare un’ intensa colorazione violetta la quale è distrutta da un eccesso del reattivo, Trattando la soluzione di verde jodio con polvere di zinco si scolorò per cui dovetti conchiudere che la colorazione violetta acquistata dalle cellule è dovuta alla loro reazione alcalina e non a processi di riduzione. Provai a sostituire il verde jodio col verde di metile il quale, come fu dimostrato dal prof. Mosso (1), si comporta in modo analogo colle cellule viventi. Con questo reattivo in pochi mi- nuti vengono colorate in verde tutte le cellule e riuscii solo a scorgere delle differenze di tonalità poco marcate tra le cellule normali, e quelle che hanno subito un’alterazione qualunque. Quando si fa agire il Licthgriin tutte le cellule si colorano diffusamente in verde smeraldo. Sotto l’azione del liquido Erlich- Biondi i nuclei delle cellule epiteliari si colorano in verde e se il liquido agisce per molto tempo il protoplasma si colora in aranciato. Il bleu di metilene si comporta in un modo tutto partico- lare colle cellule epiteliari, quindi merita di essere trattato più diffusamente. Injettai nell’addome di un Hydrophilus un centimetro cubico di una soluzione di dlex di metilene all’uno per cento. Dopo due ore aprii l'addome ed esportai un pezzetto di tubo malpighiano che osservai in cloruro di sodio al 0,75 ‘| serven- o a (4) A. Mosso; Rendiconti della IR, Accademia dei Lincei, vol. IV, pag. 449. MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 545 domi di forti ingrandimenti. Come si vede dalla fig. 5 le cellule epiteliari si mostrano del tutto normali, però nella zona mediana del protoplasma si vede un buon numero di granuli sferici colo- rati in azzurro ed alcuni colorati in rosso porpora o in violetto. Quando la preparazione è fatta da un po’ di tempo aumenta il numero dei granuli violetti e diminuisce quello degli azzurri. Con delle esperienze di confronto potei assicurarmi che i granuli coloratisi col d/ew di metilene corrispondono alle granulazioni più grosse e più rifrangenti, la quali si trovano nella zona me- diana del protoplasma. Esaminate con un obiettivo ad immersione !/,, Leitz queste granulazioni colorate non si presentano tutte colla stessa strut- tura. Le più piccole appaiono come semplici sfere e queste sono quasi tutte colorate in azzurro. Le più grandi hanno talora forma irregolare e sono fornite di una struttura più complicata. In esse si distingue una parte periferica rappresentata da una sot- tile linea colorata più intensamente, la quale limita uno spazio più chiaro, amorfo, dentro cui sono comprese due o tre granula- zioni colorate colla stessa intensità della linea periferica. Sono specialmente queste le granulazioni che prendono un colore rosso porpora. Due interpretazioni possono darsi a questo fatto: cioè che si tratti qui di vere terminazioni nervose le quali secondo Erlich (1) hanno la proprietà di fissare il dlex di metilene injettato nel- l’organismo quando si trovino fornite di reazione alcalina e siano saturate di ossigeno; oppure che siano granulazioni incaricate di una speciale funzione nel lavorìo chimico della cellula. Erlich nel suo lavoro sopra il bisogno che l'organismo ha dell'ossigeno (2) emette l'ipotesi che nelle cellule ghiandolari il tramite per cui vengono eliminate le sostanze sia il paraplasma di Kupffer mentre che il protoplasma propriamente detto rappresenti solo la parte vivente della cellula. Io non credo di poter per ora decidere quale delle due in- terpretazioni sia qui da ‘applicarsi. Volendo avere un numero maggiore di dati ho cercato come queste granulazioni si com- portassero con altre sostanze e trovai, che, trattando i canalicoli (1) ErLIcH, Deutsche Medicinishe Wochenschrift, 4886, N. 4. (2) ErLica, Das Sauerstoff Bedùrfniss des Organismus, Berlin, 1885, pag. 151. 546 V. GRANDIS secondo il metodo di Golgi per mettere in evidenza le termi- nazioni nervose col cloruro d’oro e di sodio, quelle stesse gra- nulazioni si colorano in nero. Trattando le cellule con una soluzione di acido osmico all'1 °|, si ha un annerimento più forte nelle granulazioni che nelle parti circostanti. L’ematossilina le colora fortemente in violetto cupo. Osservazioni sui tubi malpighiani allo stato normale. Quando si osservano i tubi malpighiani di un Hydrophilus preparati nel modo e colle cautele sopra descritte, adoprando un ingrandimento di 100 diametri (3 Leitz ocul. 3) l’attenzione viene principalmente attirata dalla notevole differenza esistente non solo fra due tubi vicini ma anche fra due parti dello stesso tubo. Questa differenza consiste specialmente nel diametro delle cellule e del tubo, nella forma dei contorni dei tubi e delle cellule, nell’intensità e nella distribuzione della sostanza colorante, nello spessore della parete del tubo stesso e nella larghezza degli spazi intercellulari. Fu necessaria una serie numerosa di osservazioni prolungate per lungo tempo onde riuscire a classificare queste differenze. Esse si possono raggruppare in due ordini: differenze dipendenti dalla diversa forma della parete del canalicolo, e differenze dipendenti dalla forma delle cellule. Combinandosi in diverso grado questi due fattori possono dare ai canalicoli degli aspetti assai differenti. Io mi limiterò a descrivere l’aspetto preso negli strati estremi di ciascuno dei due gruppi. Considerando il canalicolo nel suo insieme, astrazion fatta dalle cellule epiteliari, si vede che al- cuni hanno un diametro di 180—200 w ®, mentre gli altri misurano solo 100—110 w °,. In questi ultimi la parete ha uno spessore di 1— 2 L. ®/, mentre nei primi è ridotto ad una sottile linea. I canalicoli più piccoli hanno contorno irregolare frastagliato da sporgenze ed avallamenti, la parete è fortemente rifrangente limitata da un doppio contorno netto e scuro. Nello spessore della parete vista in sezione ottica si vedono dei granuli più rifrangenti. In questo stadio la parete ha una trasparenza al- quanto minore. Nei canalicoli che hanno il diametro maggiore la parete è MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 547 molto trasparente, e limitata da un contorno morbido e regolare con andamento per lo più rettilineo, o di curva a grande raggio. Il suo spessore è molto minore, i suoi contorni sono segnati da linee sottili ed indecise, nel suo spessore si vedono dei sottili filamenti variamente intrecciati a formare una rete più rifran- gente della sostanza che li circonda. Non esiste alcuna regola per la distribuzione di queste due forme di canalicoli. In gene- rale non esiste un passaggio brusco dall’una all’altra forma, ma sì incontrano tra questi due numerosi stadi intermedi, nei quali predominano i caratteri dell'uno o dell’altro stadio. Per quanto riguarda le cellule si hanno delle differenze anche più marcate. In alcuni tubi esse si presentano con l’aspetto tipico descritto nel primo paragrafo, esse sono assai trasparenti a con- torni poligonali. I loro margini striati sì toccano per tutta la loro estensione, non lasciando spazio intercellulare. In questo stato i granuli contenuti nell’ interno dei tubuli si vedono come attraverso ad un velo molto trasparente. Le cellule misurano 100-- 110 w °%, hanno un’area nucleare molto ampia, un aspetto più pallido e sono molto trasparenti. A questa si contrappone un’altra forma. In essa le cellule sono rotonde od ovali, hanno rifrangenza molto considerevole con riflessi verdognoli. Le cellule non hanno fra loro che pochissimi punti di contatto anzi per lo più sono separate l’una dall’altra da larghi spazi intercellulari. È sparita la zona esterna frangiata, le cellule hanno acquistato uno spessore maggiore, e guardando attentamente, si vede che il contorno cellulare non è una linea continua, ma ha delle sporgenze ed avallamenti paragonabili alle rugosità della buccia degli aranci. Le rugosità sono determinate da granuli sporgenti sulla superficie della cellula. L'area nucleare è molto più stretta, tutta la cellula ha co- lore più scuro, i granuli protoplasmatici sono più addensati. In questa forma le cellule misurano generalmente 50-60 =. Tra queste forme estreme si notano qui pure numerose forme di passaggio. S'intende che queste differenze riguardano solo le cel- lule epiteliari; non ho notato alcuna differenza in quei nuclei ovali a grosse granulazioni regolari che stanno nello stesso piano della parete del canalicolo. Le due forme descritte per la parete si possono trovare as- sociate indifferentemente con ciascuna delle forme descritte per le cellule. Da questo ne deriva una serie numerosa di aspetti 548 V. GRANDIS diversi secondo che nelle combinazioni predomina l’una o l’altra delle quattro forme. Quando nel canalicolo ristretto si hanno cellule nella forma a dimensioni maggiori ne viene, che le cel- lule trovandosi fortemente compresse l’una contro l’altra sono obligate ad assumere delle forme irregolarissime, e premendo contro la parete del canalicolo dànno luogo a delle sporgenze e a degli avallamenti, i quali concorrono a renderlo più irregolare. Viceversa, quando si hanno delle cellule nella forma piccola in canalicoli larghi, sì hanno dei larghi spazi intercellulari, dai quali si può vedere molto distintamente nell’interno del canali- colo. Nei casi in cui le cellule piccole si trovano in canalicoli piccoli, esse appaiono fortemente rotondeggianti di colorazione molto scura, per cui si vede assai male nell’interno del canali- colo stesso. Se la preparazione fu eseguita con tutte le cautele indicate non si tarda a scorgere la ragione di questo differente aspetto delle parti di uno stesso organo. Prolungando l’osservazione, dopo i primi dieci minuti, quando è passata l’azione del trauma si vede generalmente che i canalicoli eseguiscono dei movimenti con forza e ritmo variabile. Cercherò di descrivere il più chiaramente che mi sarà pos- sibile tutte le modificazioni che si possono seguire coll’occhio, e per rendermi più facile il còmpito dividerò la descrizione in due parti; modificazione della forma e modificazione dell’aspetto. Ri- guardo alla forma si osserva che questi movimenti possono rag- giungere il numero di 8-10 in un minuto, ma si può anche avere una sola contrazione ogni uno o due minuti e talora anche meno. Questi movimenti si possono paragonare a contrazioni per cui tanto il tubulo quanto i singoli elementi di cui è composto diminuiscono di volume. Non raramente.però accade di vedere che una sola o poche cellule facciano questi movimenti mentre le altre parti si conservano inalterate. In tali casi i movimenti sono molto più deboli. Durante la contrazione i canalicoli pas- sano per tutti gli stadi descritti sopra. Ho riprodotto colla ca- mera lucida nella Fig. 6 un’ansa di tubo malpighiano in cui la metà destra fu disegnata allo stato di contrazione e la sinistra allo stato di massima dilatazione. Non ho mai potuto determinare quale fosse lo stadio di ri- poso perchè il movimento si può arrestare mentre il canalicolo sì trova in uno qualunque degli stadi sopra detti, e rimaner. “MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 549 fisso lungamente in tale posizione. Perciò differenzierò gli stadi coll’epiteto di dilatato, medio e contratto. Da quanto ho detto sopra si deduce che i cambiamenti di forma delle cellule pos- sono essere indipendenti da quelli della parete, però questi hanno grande influenza sui primi, per cui generalmente avviene che nello stadio dilatato le cellule hanno l’aspetto descritto nel primo pa- ragrafo. Nello stadio intermedio la parete del canalicolo è al- quanto più marcata ed ha uno spessore un po’ maggiore sebbene sia sempre limitata da linee molto sottili e pallide ed abbia dei contorni regolari. Le cellule prendono un colore giallo più carico, si fanno più spesse e l’area nucleare diventa alquanto più pic- cola. Il cambiamento di colore è dovuto all'avvicinarsi dei cri- stallini gialli sopra descritti. Delle tre zone in cui si distingue il corpo protoplasmatico, la più esterna è quella che si riduce maggiormente, tutta la cellula acquista maggior rifrangenza per- dendo in trasparenza, fatto che rende meno chiari tutti i dettagli. Nello stadio contratto il color giallo-bruno si estende a tutto il corpo cellulare e scompare completamente l’area nucleare, tutta la cellula può prendere delle dimensioni minori di quelle che ha il nucleo nello stato dilatato. Le cellule sono diventate for- temente convesse, sono compresse le une contro le altre, si mo- strano completamente prive della zona esterna frangiata, ed hanno i granuli cristallini talmente avvicinati che non riesce possibile alcuna osservazione nell’interno del tubo. Spesso queste modificazioni si succedono così rapidamente che riesce impossibile riprodurne le fasi col disegno. Non esiste regola fissa riguardo al modo di contrarsi dei canalicoli, ora il movimento si propaga in modo peristaltico, altre volte invece la contrazione è contemporanea in tutto un lungo tratto di canalicolo. Mentre un tratto di tubo rimane immobile, la sua continuazione a destra si dilata, e quella di sinistra può anche restringersi. È pure molto variabile il ciclo del movimento il quale ta- lora consiste in una semplice contrazione seguìta da una suc- cessiva dilatazione, o da una pausa, altre volte avviene il fatto opposto. Altre volte ancora si direbbe che la dilatazione avviene per elasticità tendente a ristabilire l’equilibrio turbato da una contrazione avvenuta; e viceversa alcune volte, tenuto conto della rapidità e della violenza del movimento, pare attiva la dilata- zione e passivo il restringimento. Quest'ultimo caso avviene spe- 550 V. GRANDÎS cialmente, quando il canalicolo si riposa nello stato intermedio, ed il movimento avviene nel senso della dilatazione. Credo inutile soggiungere che mi sono ripetutamente assicurato in tutti i modi possibili che questo movimento non fosse trasmesso, cosa la quale viene esclusa dalla forma stessa del movimento, che non è mai movimento di traslazione, ma soltanto un cambiamento di forma. Per studiare i mutamenti delle cellule, ho seguìto per tre giorni di seguito le trasformazioni di un gruppo di canalicoli. A vari intervalli ne ho riprodotta l’immagine colla camera lucida ed ottenni tra le altre le Fig. 7, 8, 9, 10. Se la preparazione fu eseguita accuratamente è molto facile tenere in vita un Hy- drophilus per tre giorni. Gli organi sottoposti alla osservazione non si alterano quando si abbia cura di mantenere sempre la pozzetta piena di soluzione di cloruro di sodio e difenderla dal- l’essiccamento durante la notte coprendola con una piccola cam- panella. La fig. 7 rappresenta il gruppo di canalicoli in questione appena fatta la preparazione. Dei tre canalicoli disegnati, uno è allo stato di massima contrazione, uno nello stato medio e l’altro nel dilatato. L'esame della figura serve meglio di qua- lunque descrizione per dare un’ idea delle differenze che si pos- sono osservare nelle condizioni normali. La Fig. 8 rappresenta gli stessi canalicoli 5 ore dopo. In essa si vede che il tubo @ ha modificato radicalmente l’aspetto delle sue cellule, la sostanza gialla si è raggruppata in una stretta zona attorno al nucleo, le cellule si sono riempite di sfericciuole , le quali, secondo gli autori rappresentano gocciole di secreto, la parte fondamentale del protoplasma si è fatta più granulosa. Gli altri due tubi si mantennero invariati. Dopo 24 ore dacchè la preparazione era stata fatta, riprodussi nella Fig. 9 l’aspetto dei tre tubuli. Come si vede, tutti e tre son passati nello stadio dilatato, nel tubo a alcune cellule contengono ancora delle sfere di secreto la so- stanza gialla si è raccolta attorno al nucleo. Mettendo nella poz- zetta alcune goccie della solita soluzione di verde jodio, il proto- plasma cellulare si colora in violetto ed il nucleo si mantiene incoloro. Dopo 48 ore le cellule si presentano come nella Fig. 10. Vedendo che si son fatte torbide e fortemente granulose provo la reazione col verde jodio, il protoplasma si colora in un violetto grigiastro ed il nucleo prende una tinta leggermente verdognola, per cui sospendo l’osservazione essendo questo uno stadio di morte incipiente. MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI d591 Tutte queste osservazioni fatte sopra l’organo attaccato all’a- nimale vivente non permettono di adoprare dei forti ingrandi- menti. Per veder meglio che cosa si passi nell'interno delle cellule durante questi cambiamenti facevo rapidamente un preparato con un pezzo di tubo esportato all’animale vivo e lo osservavo in una miscela di siero e di cloruro sodico al 0,75 °/, sostenendo il vetrino copri-oggetti con delle striscie di carta spessa in modo da non comprimere l'organo. Necessariamente l'osservazione deve essere fatta in modo rapido, perchè dopo pochi minuti si vede che le cellule rigonfiano, il protoplasma cellulare ed il nucleo di- molte cellule escono dal canalicolo in massa conservando tutti i dettagli che si osservano nelle cellule in sito. In questi preparati si possono facilmente vedere a scorrere tra una cellula e l’altra delle piccole goccie di una sostanza jalina giallognola. Esse sono in tutto identiche a quelle più grosse che si vedono scorrere nel lume del canalicolo osservando l’organo in sito con piccolo in- grandimento. Il movimento di queste goccie è lentissimo e fa l'impressione come se fosse impresso da una vis a tergo la quale, obligandole a passare per dei canalicoli stretti, fa sì che la loro forma sferica si allunghi. La consistenza di queste goccie è ad un dipresso eguale a quella della zona esterna frangiata del pro- toplasma cellulare: poichè questo cede anch'esso visibilmente per dar passaggio alla goccia e riprende tosto la primitiva posizione quando essa è passata. Oltre a queste goccie si può spesso incon- trare dei punti, in cui la sostanza striata del protoplasma è rico- perta all’esterno da frammenti irregolari, a margini più o meno rotondeggianti, di una sostanza analoga a quella delle goccie. Questi frammenti vanno continuamente ingrossando e prendendo una forma che si avvicina alla sferica. Engelmann (1) dimostrò che i movimenti delle ghiandole cu- tanee delle rane descritti da Ascherson dipendono da fibre mu- scolari liscie della membrana di sostegno delle ghiandole. Queste fibre muscolari però erano già state messe in evidenza da altri e fra cui il prof. Ciaccio. Stricker e Spina (2) confermarono in gran perte le osservazioni di Ascherson ed Engelmann, essi emisero l'ipotesi, che, durante un eccitamento nervoso la ghiandola si svuoti per ricaricarsi al periodo di dilatazione. Questo modo di vedere (1) Loco citato. (2 Wiener, Sitzungsberichte, 1879, vol. 80, parte III, pag. 95. 552 V. GRANDIS non fu condiviso da Heidenhain (1) il quale lo confutò con buoni argomenti. Biedermann (2) poi mise in dubbio l’attività dei mo- vimenti delle cellule ghiandolari. Drasch (3), osservando diretta- mente le ghiandole della membrana nittitante nelle rane viventi, potè dimostrare con misure esatte che nelle cellule vi sono dei movimenti passivi e dei movimenti attivi, e che questi movimenti sono sotto la dipendenza di speciali fibre nervose. Schindler (4); studiando sotto il punto di vista anatomico e fisiologico i canali- coli malpighiani di tutte le famiglie di insetti, trovò che, quantun- que in molte famiglie i tubi malpighiani possano essere forniti di fibre muscolari ed elastiche, non si potè mai osservare alcun movi- mento. Soggiunge però che nei coleotteri mancano le fibre musco- lari, e non dice in quali condizioni abbia fatto le sue osservazioni. Durante i movimenti descritti quei granuli che si trovano nel- l’interno dei tubi, e che secondo gli autori rappresentano i pro- dotti di secrezione delle cellule, sono spinti in una determinata direzione. Siccome però molto spesso i movimenti delle cellule e dei tubi sono molto irregolari, ne avviene che invece di seguire costantemente una determinata direzione procedono a sbalzi e non di rado ritornano indietro con movimento di andirivieni, però, siccome predomina il movimento in un determinato senso, dopo una lunga serie di contrazioni finiscono per essersi spostati di un tratto più o meno grande. Nelle osservazioni fatte durante la seconda metà dello scorso ottobre e nel mese di novembre, non potei mai osservare dei movimenti spontanei. Dirò in seguito quale ne sia la causa probabile. Azione del solfoindigotato di sodio sui canalicoli malpighiani. Quando si lascia cadere una goccia di una soluzione concen- trata di solfoindigotato di sodio nella soluzione fisiologica di cloruro di sodio dove stanno distesi i tubi malpighiani, il campo (1) HerManN"s, Handbuch der Physiologie. vol. 5, pag. 414. (2) WienER, Sitzungsberichte, 1886, vol. 94, parte III. (3) Loco citato. (4) Zeitscrift f. Wissenschaftliche Zoologie Kòlliker und Siebold, vol, 30, pag. 587, MODIFICAZIONI DEGLI EPITELIl GHIANDOLARI 555 del microscopio nei primi istanti sì colora intensamente in azzurro, poi la colorazione va man mano scomparendo, senza che si possa vedere traccia di colorazione nelle cellule. I tubi che prima si contraevano stanno immobili e le cellule passano nello stadio della massima dilatazione. Dopo un lasso di tempo che può oscil- lare da due minuti ad un'ora si ripristina il movimento, spe- cialmente se si lava il preparato con la solita soluzione di cloruro di sodio, e nell’interno dei tubi si vedono comparire dei grossi granuli, irregolarmente sferici o poliedrici intensamente colorati, in azzurro. Essi seguono il movimento che avevano i granuli di cui sepra si è parlato, prima dell’ aggiunta del solfoindigotato di sodio. Non ho mai potuto stabilire che cosa avvenga del solfo- indigotato dal momento in cui scompare la colorazione del liquido contenuto nella pozzetta, a quello in cui compaiono queste gra- nulazioni colorate nell’interno dei canalicoli. Quando la quantità di solfoindigotato aggiunta è alquanto considerevole , la colora- zione viene bensì distrutta completamente, ma la quantità di granuli azzurri che compaiono nel lume del canalicolo diventa così grande, che essi formano delle lunghe colonne difficilmente spostate dalla debole forza di contrazione. Allora si formano come dei trombi i quali si localizzano di preferenza in quei punti, dove i tubi sono in riposo. In questi casi dopo un intervallo di due o tre ore il nucleo delle cellule comincia ad essere limitato da contorni netti e le cellule si alterano. Alcune volte però il fenomeno non segue questo decorso, e questo l’osservai spe- cialmente negli idrofili digiuni da lungo tempo. In questi casi l’aggiunta di solfoindigotato non arresta i movimenti, anzi pare che li acceleri, le cellule si modificano, scompare l’area chiara nucleare la quale viene occupata dalle granulazioni gialle, e tutto ciò senza che le cellule prendano gli altri caratteri dello stadio contratto. Schindler aveva ripetuto sopra il grillotalpa le esperienze di Heidenhain col solfoindigotato ed aveva trovato che le cellule si colorano intensamente tanto nel protoplasma quanto nel nucleo. Dal modo, con cui aveva veduto scomparire la colorazione dagli elementi epiteliari osservando i tubi malpighiani a diversi intervalli dall’injezione, si era creduto autorizzato di stabilire una dottrina speciale del processo di secrezione. Egli dice che le cellule sono solamente permeabili secondo una direzione dall’ esterno all’in - terno, per cui le sostanze sono assorbite dalla parte della cellula 554 V. GRANDIS che è in contatto colla parete del canalicolo, questa le cede al nucleo il quale le lascia passare alla parte rivolta verso il lume del tubo. Nelle ghiandole della membrana nittitante delle rane Drasch osservò che in seguito all’injezione di solfoindigotato nel sangue compare quasi immediatamente un precipitato granuloso di solfo- indigotato nel nucleo, quindi si colora il protoplasma cellulare, e dopo un breve tempo la colorazione scompare. Per quanto io mi sia sforzato di osservare attentamente e senza interruzione non sono mai riuscito a vedere alcuna traccia di colorazione nell’interno delle cellule, nè mi fu dato di stabi- lire quale via seguisse il solfo indigotato per passare dal liquido ambiente nell’interno del canalicolo, dove lo ritrovai costante- mente. ]l trovarsi esso imprigionato in ammassi di forma più o meno regolarmente sferica, di consistenza solida molto simile ai granuli che si trovano normalmente nell'interno del tubo, costringe ad ammettere che esso venga ridotto in quello stato dall’attività propria delle cellule. Senza di ciò non si arriverebbe neppure a capire, come esso passi tutto nell’interno dei tubi e non ne passi solo quel tanto necessario per stabilire l'equilibrio secondo la legge della diffusione, e come una volta che è passato tutto nell'interno, non segua la via opposta per diffondersi nel liquido ambiente. Non credo che le mie esperienze fossero fatte in con- dizioni troppo lontane dalle normali, perchè siccome gli insetti, all'infuori del grande vaso dorsale, hanno semplicemente una circolazione lacunare , anche nelle condizioni normali le cellule ghiandolari devono prendere i materiali per il loro lavoro dal liquido che le circonda. Tenuto conto della rapidità relativamente grande, con cui le cellule epiteliari imprigionano il solfoindigo- tato scolorandolo, e lo cacciano nell’interno del tubo da loro limitato, non mi posso spiegare il fatto constatato da Schindler, il quale trovò le cellule epiteliari ancora colorate 15 ore dopo fatta l'injezione di solfoindigotato, se non ammettendo che la quantità injettata fosse straordinariamente grande e quindi avesse alterato le cellule. Fui confermato in questa opinione dal fatto, che egli osservò non solo colorazione del protoplasma, ma anche del nucleo, il quale non si colora se non quando la cellula ha sofferto in qualche modo. Le proprietà chimiche del. solfoindigotato di soda sono le sole, che riescano a spiegare come possa avvenire il suo passaggio MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 555 attraverso alla cellula, senza lasciar traccie della via seguìta. È noto che l'acido solfoindigotico ha la proprietà di venir assorbito rapidamente dalle sostanze animali, anzi, su questo si fonda il processo della sua preparaziore. Si sa pure che gli agenti ridut- tori e Ja fermentazione non solo, ma anche il glucosio in pre- senza di un alcali possono trasformare l'azzurro d’indaco nell’in- daco solubile bianco, e che questo riacquista il primitivo colore quando venga ossidato. Date le condizioni delle mie esperienze si deve ammettere, che nelle cellule epiteliari dei tubi malpi- ghiani avvenga anche un processo riduttore, il quale accompagna l'assorbimento e l'eliminazione del sale, e che questo venga poi ossidato nell’interno Cel tubo, dove soltanto ci è permesso di poterlo constatare otticamente. Nelle cellule si trovano tutte le condi- zioni perchè ciò possa avvenire, si è visto che esse hanno rea- zione distintamente alcalina, si sa cre il glucosio tanto allo stato libero quanto legato nella molecola complessa dell’albumina si si trova piessochè in tutti i tessuti animali, mi pare quindi pro- babile che questa sia realmente la ragione per cui le cellule epiteliari si comportano nel modo descritto. Già Erlich (4) nelle sue ricerche colla injezione di sostanze coloranti sensibili agli agenti riduttori aveva osservato, che il fegato ed i reni, malgrado la loro grande potenza riduttrice, pro- ducono un secreto colorato, mantenendosi essi stessi incolori. Influenza esercitata dagli agenti chimici e fisici sopra i tubi malpighiani. Ho già accennato che nelle osservazioni fatte durante la seconda metà del mese di ottobre, e nel mese di novembre non riuscii mai a percepire alcun movimento nei canalicoli malpi- ghiani. In quelle osservazioni si vedevano bensì tutte le fasi descritte, ma non era dato osservare il passaggio dall’una all’altra anche prolungando l’osservazione per parecchie ore di seguito. I granuli che normalmente scorrono nell’interno dei canalicoli erano (1) ErLicH, Das Sauerstoff Bedùrfniss des Organismus, Berlin, 1885, pag. 156. Atti della R. Accad. = Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 40 556 V. GRANDIS più scarsi e perfettamente immobili. Ricercando quale ne potesse essere la causa non tardai ad accorgermi che risiedeva. nella bassa temperatura. Accennerò alcuni dei modi con cui potei convincermi di questo fatto e come potei riprodurre a volontà il movimento. Osservando durante la sera un preparato di Hydro- philus i cui tubi erano rimasti immobili per tutto il giorno, vidi comparire dei movimenti, e constatai che i raggi calorifici della lampada, concentrati dalla sfera a solfato di rame ammoniacale, dallo specchio e dall’apparecchio di Abbé avevano rialzato al- quanto la temperatura della pozzetta. Bastò questo leggero au- mento per ridestare i movimenti nei canalicoli assopiti, difatti, sospendendo per alcun tempo l’azione del calore in modo che ‘il liquido si raffreddasse, il movimento scomparve e fu necessario che il calore agisse di nuovo per un certo tempo affinchè ricom- parisse. Allora modificai alquanto la costruzione della pozzetta a cloruro di sodio circondandola da uno spazio vuoto, entro il quale facevo circolare a volontà dell’acqua fredda o dell’acqua riscaldata a 20°, — 25° C. Con questo apparecchio potevo a pia- cimento far comparire o scomparire i movimenti. Notai che in genere quando la temperatura discende verso gli 8° — 10° C. i movimenti sono lentissimi e limitati, o sono scomparsi del tutto. A questa temperatura anche gli idrofili si mostrano meno vivaci e non mangiano più. Però prolungando l’osservazione per parecchi giorni si vede che i canalicoli vanno modificandosi in modo graduale e continuo passando dallo stato contratto al ri- lassato e viceversa; e dopo un certo intervallo di tempo possono essere così mutati da diventare irreconoscibili. Ho cercato se l’elettricità esercitasse qualche azione sopra i canalicoli. Mi servivo di correnti indotte o continue, alle quali facevo attraversare la pozzetta piena di soluzione fisiologica di cloruro di sodio dove si trovavano i tubuli, però tutte le prove riuscirono negative. Fra gli agenti chimici ho provato l’atropina, la policarpina l’urea, il curare e le soluzioni concentrate di cloruro di sodio. Riassumerò brevemente i risultati ottenuti. Per l’azione di alcune goccie di una soluzione satura di cloruro di sodio fatte cadere nella pozzetta si arresta immediatamente ogni movimento, i tubi prendono le diverse posizioni che possono avere nello stato di riposo, i cristallini gialli si distribuiscono regolarmente per tutta la cellula, molto marcati appaiono i contorni del nucleo e della MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 557 cellula. Può ricomparire lo stato normale in alcuni tubi lavando con abbondante acqua, però la maggior parte dei canalicoli persiste alterata. Per l’azione del cloridrato di pilocarpina in soluzione all’1 °/, si arrestano immediatamente i movimenti in tutti i tubi, i quali prendono la posizione di massima dilatazione. Dopo 20 minuti od un’ora ricomincia il movimento, che ritorna normale dopo due ore. Coll’aggiunta di solfato di atropina all’1 % cessa il movi- mento ma i tubi si presentano per lo più contratti. Il curare al 0,5 ‘4 fa cessare ogni movimento, le cellule ed i tubi si dilatano. Si vede dalla fig. 10 che la loro colorazione diventa pallida, i cristalli gialli si raccolgono in un punto della cellula aderente al nucleo, senza circondarlo in tutta la sua pe- riferia come avviene nello stato normale. Questa specie di paralisi dura circa dieci minuti e dopo ricompare l’aspetto normale. Si ripetono ad un dipresso gli stessi fenomeni per azione dell’urea al 2 °/,. Tanto nell’un caso quanto nell’altro l’area nu- cleare diventa più chiara. L'azione dell’urea è più duratura, dopo lo stato, direi quasi di rilassatezza, ha luogo uno stato di con- trazione esagerata, la quale dura una ventina di minuti, in seguito ai quali ricompare lo stato normale. Nei primi momenti dopo l'aggiunta dell’ urea si nota un’ esagerazione nel movimento dei granuli che scorrono nell'interno dei tubi. L’urea ha un azione molto potente per cui difficilmente le cellule resistono ad una nuova aggiunta di questa sostanza, ma per lo più si fanno tor- bide ed il loro nucleo diventa colorabile col verde jodio. Conclusioni. 1° Il protoplasma delle cellule viventi si colora in violetto porpora col verde jodio. Dopo morte il nucleo di queste cellule ha reazione acida, ed il protoplasma si colora in grigio azzurrastro. 2° Nel protoplasma cellulare si trovano dei granuli di strut- tura complessa i quali hanno potere di fissare il bleu di meti- lene e di ridurre i sali d’oro. 3° I tubi malpighiani eseguiscono dei movimenti senza che si possa constatare la presenza di elementi contrattili. Questi 558 V. GRANDIS movimenti sono arrestati dalle temperature basse, non sono in- fluenzati dall’elettricità e possono essere sospesi da vari agenti chimici. 4° La parte periferica delle cellule ha una struttura striata molto delicata che si altera rapidamente. 5° Le cellule epiteliari dei tubi malpighiani eseguiscono anche esse dei movimenti indipendenti da quelli dei canalicoli. Tra le parti della cellula che più si modificano durante questi movi- menti vanno messi in ordine decrescente la parte periferica l’area nucleare e la parte intermedia. 6° La sostanza, che fornisce il colore particolare alle cellule, vi si trova sotto forma di cristalli, che si sciolgono nell’alcool dandogli una fluorescenza verde. 7° Il solfoindigotato di sodio viene ridotto dalle cellule epiteliari, per cui dentro di esse si trova allo stato di indaco bianco. Riprende il primitivo colore quando viene secreto. 8° Durante la funzione si formano nell'interno delle cellule delle sfericciuole di una sostanza solida, la quale viene poi eli- minata dalla cellula e ne costituisce il secreto. 9° Non tutte le cellule funzionano contemporaneamente 10° La struttura delle cellule varia sotto l’azione di sostanze estranee che debbono venire eliminate. Laboratorio di Fisiologia della R. Università. Torino, Giugno 41890. File. (da è e MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 559 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE . Nucleo ovale della parete del canalicolo con grosse granulazioni di struttura complicata !/,, Leitz. Ca- mera lucida. . Cellula epiteliare dei canalicoli malpighiani /, Leitz. . Cellula epiteliare viva trattata con verde jodio 8* Koritska. Cellula epiteliar. morta trattata con verde jodio. Cellula epiteliave. dei canalicoli malpighiani di un Hydrophilus cui. era stato injettato del bleu di me- tilene. 4, immer. omog. Leitz. Ansa di un ca licolo malpighiano contraentesi. A stadio contratto. B stadio dilatato. 3 Leitz. camera lucida. . Gruppo di canalicoli malpighiani appena fatta la pre- paraziore. 3 Leitz camera lucida « Lo stesso lopo 5 ore. Lo stesso dopo 24 ore. >» 8 Leitz camera lucida. . Lo stesso dopo 48 ore. \ LT. Canalicolo sotto l’azione del curare e dell’urea. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso, n— dx Cegl Gia 0. rustoggano ii tito: Mor AUDI (RUI SMOTNADA LE + azzo 0) ‘ofosilanso lol “ata: allob Was Fit -) .stiod..\ atnoifgrrosetiatania dh incolta blog gliod x inatriziglsm té; ailenao toh anita sf ‘8. vîboj sbist n00 sishtlat cati aniiiatiga sf ni 3 I i ca dabito dibo| sb19v n09 stabili atia attosns. ali mu ib tnsifgiglem itovifenza ci) Testato ariana -Sur ib nold fab odstitojni cinta 09 PRO vin pino agi BEE ol A di ue cibate hu .iestaostinoo oveiattfam dior ; e Li * t ) 2900 n La phi! atsisso- adiod £ piatalibo bi ae at bai stq el atizì snogge insifgiglemeifooifanny natali da abivafi aIOOIEI sito EDS: Wigo vu a È 1910 8 dq0hozate l sbhiopi asororo stiod & 72 hi sà «de 00% bi bro. td Fidobo 06 ii | soip'ilb s. otetzo do sivisa Pratt cat olo CASA i APE abissi È Mps A «dear siTs201) RR : SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e i Sei ADUNANZA dell'8 Giugno 1890. . ..... IE SPEZIA — Commemorazione del RE Prof. LuiGi BeLtARDI ; 3 peri CasteLnuovo — Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono ‘cur di goadro di i SR RIA SLA I GR VirGiLio — Il Permo-carbonifero di Valle Stretta (alta valle Dora Riparia) ae i da RIA LA DE SI aree o J »; i 6 ° ta Ò x . % x +e ) è algo. NV se > D A x 2A NE x Ù pt È PI E i vd peo Torino — Tip. Reale-Paravia, su ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE EE TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, Disp. 15*, 1889-90 ——_—__ Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R, Accademia delle Scienze CLASSE ic & ; ; ata V/g gd DI tie el AA } % o i segrate SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Giugno 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: SALVADORI, Bruno, BERRUTI, D'OwDI0, Bizzozero, FERRARIS, NACcARI, Mosso, GIBELLI, CAMERANO e Basso Segretario. _ Il Segretario legge l’atto verbale dell'adunanza precedente, che viene approvato. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine che segue : « Ricerche sopra un nuovo isomero del sale verde del Magnus », del Socio Prof. Alfonso Cossa, Direttore della Classe, presentata dal Presidente a nome dell’autore assente per ragioni d'ufficio. L'autore desidera che questo lavoro venga pubblicato nei volumi delle Memorie; la Classe, previa lettura di esso, ne delibera a voti unanimi la richiesta pubblicazione ; Intorno alla Memoria « Sulle proprietà termiche dei va- pori (Parte 2° - Temperatura, pressione e volume critico del solfuro di carbonio e dell'acqua », del Dott. Angelo BATTELLI dell’Università di Cagliari; Relazione del Socio NaAccARI, conde- putato col Socio FERRARIS. La Classe, sulle conclusioni favorevoli della Relazione am- mette prima alla lettura questo lavoro, e poscia ne delibera al- l’unanimità l’inserzione nei volumi delle Memorie. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc, — Vol. \XV . 4A 562 ANDREA NACCARI Intorno alla Memoria « Sui getti ascendenti » , dell’ In- segnere Scipione Cappa, Professore alla Scuola d’Applicazione ‘per gli Ingegueri in Torino; Relazione del Socio FERRARIS, con- deputato col Socio BERRUTI. La Classe, accogliendo le conclusioni favorevoli della Relazione, ammette questo lavoro alla lettura, e quindi ne delibera la pub- blicazione nei volumi delle Memorze. Sul calore specifico dell'acqua al disotto di 0° »; Ri cerche sperimentali di Mattia MARTINETTI, eseguite nel Labora- torio di Fisica della R. Università di Torino, presentate dal Socio NACCAKI; « Sulle terminazioni nervose nella mucosa e nelle ghian- dole sierose della lingua nei mammiferi » ; Ricerche del Dott. R. FusarI e di A. Panascì, settori nell’ Istituto anatomico della R. Università di Messina, presentate dal Socio BizzozEro. « Intorno all’azione della veratrina cristallizzata sui muscoli »; Ricerche del Dott. Pio MaRFORI, eseguite nel La- boratorio di Fisiologia della R. Università di Torino, presentate dal Socio Mosso. LETTURE RELAZIONE intorno alla Memoria « Sulle proprietà termiche dei vapori » del Dott. AngELO BATTELLI La memoria, che la Classe ci incaricò di esaminare, è la continuazione di un’ altra del medesimo autore, sulla quale avemmo a riferire l’anno scorso. In quella il BATTELLI aveva studiato le proprietà termiche dei vapori di etere. Proseguendo i suoi studi egli sperimentò sopra il solfuro di carbonio e sopra RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. A BATTELLI 063 l’acqua. L'A. si riserva di pubblicare fra breve lo studio com- pleto dei vapori di solfuro di carbonio, avendone già condotto a termine le esperienze. In questa memoria egli si occupa del punto critico del solfuro di carbonio e dell’ acqua, avendo cre. duto necessario di farne uno studio sperimentale a parte. Nelle prime pagine della memoria sono ricordati brevemente i lavori anteriori sullo stesso argomento. Intorno a questi è da, notare che per il solfuro di carbonio si banno alcune determi- nazioni abbastanza concordanti, per l’acqua invece non si hanno che tre determinazioni incerte e discordanti. Di poi l'A. descrive l'apparecchio da lui usato per l’espe- rienze sul solfuro di carbonio, apparecchio, la cui costruzione richiese cure speciali tanto per poter mantenere costanti e mi- surare le alte temperature che si dovevano raggiungere, quanto per produrre e misurare le forti pressioni (fino a circa 86 atmo- sfere), cui si assoggettava successivamente il vapore mantenendo costante la temperatura. Per determinare la temperatura critica del solfuro di carbonio l’A., come già aveva fatto per l’ etere, mantenne successivamente a temperature diverse e prese entro opportuni limiti il vapore, e fece lentamente crescere la pressione. Al di sotto della temperatura critica, giunto un certo punto, si vedeva condensarsi il vapore sopra una laminetta di acciaio che stava nella campanella occupata dal vapcre. Sparì ogni traccia di condensazione alla temperatura di 273°, La pressione spettante al punto critico fu trovata eguale a 73 atm. : il volume di 1 gr, del vapore in quelle condizioni era di 2,651 cm°. Per lo studio dell’acqua le difficoltà furono molto maggiori. Fu necessario che la campanella di vetro adoperata per il sol- furo di carbonio venisse sostituita da una canna di acciaio, la quale fosse atta a resistere a fortissime pressioni. Ciò costrinse l’A. a variare anche il metodo precedentemente seguìto per determinare il punto critico e per misurare il vo- lume del vapore. L'A. tracciò le isotermiche a varie temperature comprese fra i limiti 311 e 375° e dall’ andamento di quelle curve dedusse il valore della temperatura critica. L'A. ha dovuto affrontare in queste esperienze, e particolar- mente nello studio sull’acqua, grandissime difficoltà, vincendo le quali egli riuscì ad ottenere il grado desiderabile di esattezza. Il lavoro fornisce delle cognizioni importanti non solo perchè 564 GG. FERRARIS — RELAZIONE SULLA MEMORIA DI S. CAPPA contiene una nuova determinazione del punto critico delle due sostanze studiate, ma anche perchè al di sotto e al di sopra della temperatura critica l'A. fece uno studio esteso delle isoter- miche di quei vapori. Per tali ragioni noi proponiamo alla Classe la lettura della Memoria del Dr. Battelli. GALILEO FERRARIS. ANDREA NACCARI, Relatore. RELAZIONE sulla Memoria: « Su? getti ascendenti » presentata dall’Ingegnere Scipione CAPPA Nel suo scritto « Sui getti ascendenti » l’Ingegnere Sci- pione CAPPA espone i risultati di 483 esperienze da lui eseguite sui zampilli d'acqua verticali, coll’ intendimento di confrontare l’altezza di carico, misurata in prossimità dell’orifizio, colla cor- rispondente altezza del getto. L’autore non arriva ad alcuna legge generale: si accontenta invece di esprimere i risultati sperimentali con formole pura- mente empiriche, analoghe ad altre già conosciute. Tuttavia i risultati delle misure, per se stessi, costituiscono un materiale sperimentale meritevole di essere conservato, perchè raramente si può avere l'opportunità di sperimentare colle grandi altezze di carico e coi mezzi che l’ autore ha avuto a disposi- zione. E per questo motivo noi crediamo che lo scritto dell’in- gegnere Cappa possa essere ammesso alla lettura. Torino, il 22 giugno 1890. G. BERRUTI. G. FERRARIS, Relatore. Ut D Ut Sul calore specifico dell'acqua al di sotto di 0°; Osservazioni sperimentali di MatTIA MARTINETTi x È notissimo che intorno all'argomento importante della in- fluenza della temperatura sul calore specifico dell’acqua, sono molto discordanti le conclusioni dei vari sperimentatori. Quanto al calore specifico dell’acqua mantenuta liquida al disotto di 0°, non conosco che uno studio fatto dal Cardani in collaborazione con Tommasini (*). Gli Autori usarono un termometro a peso riempito in parte con acqua e in parte con mercurio, che sì poteva porre in un bagno d’aria a 0° e successivamente in uno a temperature inferiori. Per effetto del raffreddamento l’acqua si dilatava ed usciva una parte del mercurio, che veniva raccolto e pesato. Giunti al limite estremo del raffreddamento, gli Autori fa- cevano sì che l’acqua incominciasse a solidificare e la riportavano in pari tempo nel bagno a 0°. | L'acqua, solidificandosi in parte, si dilatava ancora, e usciva altro mercurio, che, pesato, dava la quantità di ghiaccio formatasi. Ora questa quantità di ghiaccio nel formarsi metteva in li- bertà una quantità di calore atta a riscaldare fino a 0° il resto dell’acqua. Da tale quantità di calore si deduceva il calore specifico medio. Il peso dell’acqua solidificata e quindi il calore sviluppato nella solidificazione venivano misurati dal mercurio eftluito. Il metodo usato, è, come si vede, molto ingegnoso ‘ed. ele- gante, ma -— per confessione stessa degli autori — soggetto a molte e diverse cause di errore, di cui una parte è stata eli- minata, l’altra sottoposta al calcolo. È noto quanto difficile sia (*) CarpanI e Tommasini, Sul calor specifico dell’acqua soprafusa. Nuovo Cimento, serie IIl, vol. XXI. 566 ‘MATTIA ‘MARTINETTI lo studiare il valore delle correzioni da farsi ai risultati speri- mentali. Particolarraente difficile nel caso delle esperienze del Car- dani era lo stabilire quanto calore venisse comunicato al mer- curio ed al vetro. Ma secondo il mio giudizio vi è ancora una causa di errore sulla quale il Cardani è sorvolato leggermente. Egli ripete parecchie volte nel corso della sua memoria, che si faceva solidificare l’acqua quando il mercurio aveva completa- mente cessato di uscire dal bulbo, anzi < tendeva a rientrare ». Ora una tale tendenza del mercurio a « rientrare » significa un'indeterminazione nella temperatura estrema a cui si porta la soprafusione, dato che pure è così essenziale. : I dubbi che provengono dall’esame del metodo, sono confer- mati dall'esame dei risultati numerici, a cui il Cardani è arri- vato nel suo lavoro. Le esperienze vennero divise in quattro gruppi spettanti a temperature medie diverse. Per una stessa temperatura media si hanno fra i valori riferentisi ad essa differenze che salgono fino al 2,3 per cento. Per la temperatura — 8°,09 i due valori che si ottengono Cor, : REA Per +» cioè per la quantità di calore messa in libertà nella so- lidificazione, divisa per l'intervallo di temperatura, sono l’uno affatto superiore a tutti i valori che si ottengono a — 6°,52, e — 9°, 47, l’altro inferiore a due dei tre valori che si ottengono C $ 4 per 7 a — 6°,52. E soltanto arrivando alla temperatura di — 10°,67 che si osserva un aumento sicuro del valore medio di 7 aumento che richiederebbe altre esperienze a temperature più basse per essere reso completamente certo; tanto più che il valor C medio di T fra — 6°,52 e — 9°,47 varia di pochissimo, e in- vece si presenta un brusco aumento nella variazione di tempe- ratura fra — 9°,47 e — 10°,67, che è un terzo della prima. |! È matite 613 In conclusione a me pare che dai valori di T risultati al Cardani non si possa trarre alcuna sicura conseguenza e che quindi si debba mettere in dubbio la conclusione del Cardani, vale a dire l’esistenza di un minimo del calore specifico dell’acqua so- prafusa, da — 6°,a 0°. SUL CALORE SPECIFICO DELL'ACQUA 567 Per ciò mi provai a studiare, con un metodo molto più sem- ‘plice, soggetto ad un numero molto minore di cause di errore il calore specifico dell’acqua mantenuta liquida al di sotto di 0°, a varie temperature. Il metodo che io seguii fu quello di riscaldamento, analogo completamente a quello di raffreddamento; Indicando con e, c, i calori specifici di due sostanze, delle quali si osserva successivamente il raffreddamento , con p, p, i loro pesi, con A l’equivalente in acqua del termometro e del recipiente, con x, x, i tempi impiegati dalle due sostanze a raf- freddarsi di un egual numero di gradi, giungiamo alla nota formola Bru} BOSA x pit da cui: Do tYA 4 p_ spad p p Come corpo da paragonare all’acqua io scelsi il mercurio come quello che potevo senza grave pericolo ammettere, nei limiti delle mie esperienze, di calor specifico costante. Per esso scelsi il va- lore che ottenne assai recentemente il prof. Naccari in un suo studio (*). L'acqua che adoperai era stata accuratamente distillata e disaerata. Essa era contenuta in un tubo da saggio a pareti sottili, rivestito di un’esilissima foglia di stagnola, lucente. Un tappo che portava il termometro chiudeva perfettamente il tubo da saggio, el era attraversato da un tubettino di vetro facilmente fusibile. Siccome il termometro non andava che fino a + 50° e non era fornito di sufficiente camera, così mentre scaldavo l’acqua sino a circa 40°, univo il tubettino ad una campana, in cui con una buona macchina pneumatica, facevasi e susseguen- temente mantenevasi una certa rarefazione. Quando ero ben si- curo che nel tubo non vi poteva più essere che acqua e vapor acqueo, chiudevo alla fiamma il tubettino. Il tubo da saggio così preparato veniva inserito in un foro di un tappo che chiudeva un tubo A di sottilissima lamina di ottone. (*) Naccar!, Variazioni del calor specifico del mercurio al crescere della temperatura. Atti della R. Accad. Scienze Torino, XXIII. 568 MATTIA. MARTINETTI Questo tubo A era poi mediante due aste di vetro, verticali, unito ad un sostegno. Un grosso bicchiere B in cui pescava un tubo metallico €, un po’ più grande di A, conteneva il miscuglio frigorifero, ed una apposita e spessa camicia di felpa riparava il miscuglio dall’a- zione esterna. I miscugli frigoriferi erano formati con ghiaccio ben pesto e sale comune, e si preparavano in separato recipiente agitandoli . molto perchè riuscissero ben omogenei. Quando il tubo A era circondato da C, e così dal miscuglio posto in B, chiudevo l’apertura anulare fra A e C con bam- bagia leggermente compressa. Giunto il momento in cui la temperatura del termometro era costante per 15 o 20 minuti, rapidamente toglievo il bicchiere B abbassando un apposito tavolino a piede mobile e sollevavo un recipiente bucherellato in cui già si era posto da lungo tempo ghiaccio ben pesto e fondente. Entro questo recipiente pescava un tubo metallico delle precise dimensioni di C ed in esso era contenuto del petrolio in tale quantità che quando il recipiente era sollevato, ed il tubo A era tutto immerso nel tubo centrale, il petrolio giungeva all’orlo di A. L'operazione di togliere il miscuglio frigorifero e sostituirvi il ghiaccio era molto difficile bastando il più piccolo urto che si fosse dato al tubo A perchè tosto l’acqua nel tubo da saggio solidificasse. Perciò il sostegno cui era unito A posava su una so: lida mensola infissa nel muro, la quale non aveva nulla a che fare col rimanente dell’apparecchio. Perchè poi i pesi, abbastanza grandi, del miscuglio o del ghiaccio nell'atto del cambiamento dei recipienti, non mi costrin- gessero a qualche brusca scossa, li equilibrai mediante contrap- pesi; avendo poi il tavolino a piede mobile un’asta metallica ben levigata, la discesa del miscuglio, come la salita del ghiaccio erano regolarissime. Dopo molte prove in questa operazione ero giunto a non im- piegarvi più di mezzo minuto. Il petrolio contenuto nel tubo immerso nel ghiaccio trovan- dosi in esso da molto tempo, era certamente a 0° ed aveva per ufficio di portare rapidamente e mantenere a 0°, vista la loro sottigliezza, le pareti del tubo A. SUL CALORE SPECIFICO DELL'ACQUA 569 Con tale artifizio l’acqua collocata nel tubo da saggio doveva riscaldarsi in un ambiente sicuramente a 0°, Provai più volte a tenere immerso nel petrolio durante il ri- scaldamento dell’acqua, un termometro, e verificai che, stante la grande superficie a contatto del ghiaccio fondente, il petrolio con- tinuava a rimanere a 0°. Il termometro che usai andava da — 22° a + 50°, era di- 1 viso in nasa di grado, ed aveva il bulbo assai piccolo. Dopo portato il recipiente del ghiaccio al posto del miscu glio, lasciavo passare alcuni minuti per essere sicuro che le pa- reti del tubo A fossero a 0°, e poi incominciavo a leggere le temperature segnate dal termometro, di minuto in minuto. Nelle esperienze coll’acqua raggiunsi le temperature Ri TSI OO MOI SOL) Da SILVI TO Mini DATA: bi ae 80 Tutte poi da — 6°.20 concordano molto bene Partendo appunto da questa temperatura raccolsi in una ta- bella le temperature dell’acqua di minuto in minuto quali risul- tavano in media dalle 5 esperienze. Collo stesso apparecchio feci anche tre esperienze sull’anda- mento del mercurio e riunii in una tabella la media di tali espe- rienze, sommamente concordanti, partendo dalla temperatura — 6°,20. Con queste medie costruii due curve e col mezzo di queste dedussi che, se chiamiamo, come nella formola, x, «, i tempi che rispettivamente l’acqua ed il mercurio impiegano a percor- rere l'intervallo di temperatura #° ...0°, abbiamo: 1 x Wi — 6°..20 | 109' SA pù — 5° 100'. 8 | 50' — 4° SD, 040,03 — 3° sonori 1 18 — 2° 66' opiatta 570 ‘MATTIA MARTINETTI Giova qui però fare un'osservazione. La legge da cui si ricava la formola e RA vi Pior+tA” è quella che spetta al caso di riscaldamento per sola irradiazione. Perciò nel metodo di raffreddamento suolsi rarefare grande- mente l’aria che è nel recipiente in cui si raffredda il corpo. Ora nel caso nio non è stata operata alcuna rarefazione nel tubo A, onde potrebbesi muovere al metodo seguito la grave ob- biezione che il riscaldamento fosse dovuto non unicamente alla irradiazione, ma ancora alla conduzione ed alle correnti d’aria. Per prevenire tale obbiezione io mi accertai che i risultati delle esperienze da me eseguite si scostavano così poco da quelli che avrei potuto ottenere rarefacendo al massimo grado l’aria in A, da ritenere che la quantità d’aria esistente in A non abbia portato alcun errore sensibile. Se p è il peso del corpo che si riscalda, c il suo calore spe- cifico, # un coefficiente di proporzionalità, X il tempo, # la dif- ferenza di temperatura fra il corpo e l’ambiente, per piccoli va- lori di # sarà: pe.dt=—kt.dX, e quindi se H è un coefficiente di proporzionalità e # la tem. peratura del corpo all’origine del tempo: t, log 7=HX , che ci dice che il logaritmo del rapporto fra la temperatura ini- ziale {, ed una qualunque temperatura # è proporzionale al tempo che il corpo impiega nel passare dalla temperatura iniziale alla temperatura #. Nel caso dell’acqua calcolai per H il valor medio 0,01172 e trovai che si aveva SUL CALORE SPECIFICO DELL'ACQUA DT1 Per 1, = — 6920 X x et calcolato ‘| ricavato dalle esperienze ti 8.0 82 20 16,24 16'. 8 _ 30 26". 8 26/. 8 9° 49.8 43'.0 231 67.61 68.0 Conclusi quindi che l’influenza dell’aria non alterava la legge da cui è dedotta la formula adoperata. I dati pel calcolo delle esperienze, da sostituire nella formola pe pio +t4 A 241 Pp p sono p, peso dell’acqua gr. 11.424 P; peso del mercurio gr. 155.150 A equivalente in acqua del tubo e del termometro (spe- rimentalmente determinato) 1.1093 c; calore specifico del mercurio 0.0333 , X, X; si ricavano da una tabella precedente. Sostituendo questi valori ottenni per calori specifici medii dell’acqua soprafusa : fra (esso lle TO Van Maavavan 190140016 eni, gPrti STE, PPRRA ORE 1.0012 eg i DO ai re 1.0010 »i 49 dira 1.0008 di RE » 1.0005 $, SCE plalo green Lun 1.00083 Valori assai bene rappresentati dalla equazione Co = 1.00004 — 0.000255.t. 342 MATTIA MARTINETTI Ricorrendo poi alla relazione ' ' Citra. (rbt oo È calcolai i calori specifici dell’acqua soprafusa fra temperature molto vicine ed ottenni: frac 00 QULiIe RE galdo 1.0032 s ESUsp; ERA AU 1.0020 Ta De A 3 1.0016 n Va: POLO Yale 1.0014 3 SR peome dove). 1.0007 3ie_mt0j9, Qgspontini 1 319 1140008 Dai risultati delle mie esperienze verrebbe dunque escluso il minimo del calore specifico dell’acqua soprafusa, che il Cardani annunciò per aver egli trovato dei valori molto minori dell’unità, e rimarrebbe stabilito che il calore specifico cresce in modo con- tinuo col diminuire della temperatura, il che risultava anche dalle esperienze del Cardani. Secondo le mie esperienze però l'aumento sarebbe grandemente più lento. Se si ammette col Rowland (*) che il calor specifico del- l’acqua abbia un minimo verso 30°, le mie esperienze dimostre- rebbero che lo stesso andamento nelle variazioni del calor spe- cifico prosegue al disotto di 0°. Torino, Laboratorio di Fisica della R. Università. Giugno, 1890 L (*) RowLanp, Proc. of the Amer. Acad., 4879, e BeiBLATTER, 4, 743, 1880. 573 Sulle terminazioni nervose nella mucosa e nelle ghiandole sierose della lingua dei mammiferi ; Ricerche del Dott. R. Fusari e di A. Panascì. Incoraggiati dal buon esito che ebbe l’applicazione della colorazione nera del Gori nello studio d’alcuni organi nervosi periferici (retina, mucosa olfattiva) fatta da TARTUFERI, da Ra- Mon Y CayaL, da Grassi e CastRONUOVO, noi risolvemmo di applicare a nostra volta la detta reazione per seguire le ter- minazioni nervose nella lingua dei mammiferi. I risultati più importanti ottenuti, sui quali abbiamo già pubblicato una breve nota (1), riguardano specialmente il modo di terminare dei nervi - nella mucosa e nelle glandole sierose. Le terminazioni nervose nella mucosa della lingua dei mam- miferi vennero già fatte oggetto di numerose e diligenti ricerche. Di queste ci limiteremo ad accennare alle più importanti. KRAUSE (2, 3, 4) in una serie di lavori descrisse nelle papille i bulbi terminali che da lui si denominano, e KoLLIKER (5) ne confermò l’esistenza. Terminazioni speciali gustative nel connettivo della mucosa linguale vennero descritte da SzaBaDFOLDY (6), reperto che poi non fu da altri confermato. AxEL KEY (7) nel 1861 (1) Fusari e Panascì, Sulla terminazione dei nervi nella mucosa della lingua dei mammiferi, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Vol. VI, 1° Sem., Serie 4*, Seduta 13 aprile 1890 — Monitore Zoologico, 1890, N. 4. (2) Krause, Die terminale Kòrperchen, Hannover 1860. (3) Krause, Uber die Nervendigungen in den Papillae circumvallatae der menschlichen Zunge, Gottinger Nachrichten 1863. (4) Krause, Die Nervendigungen in der Zunge des Menschen, Gòttinger Nachrichten 1870. (5) KòLLIKER, Gewebelehre, 1867. (6) SzaBaprOLDY, Beitrdage zur Histologie der Zungenschleimhaut, Arch. f, path. Anat., Bd 38, 1867. (7) E. Axer Key, Ueber die Endigungsiveise des Geschmacksnerven in der Zumge des Frosches, Reichert's und Du Bois Reymond Archiv, 1861. 574 R. FUSARI E A. PANASCÌ fece avvertire un probabile rapporto tra i nervi e certe cellule epiteliali speciali nella lingua di rana. In seguito LowkN (1) e SCHWALBE (2), contemporaneamente scoprirono le ampolle gusta- tive nel vallo delle papille circonvallate e nelle papille fungi- formi dei mammiferi, v. Wyrss (8) attirò l’attenzione sulla pa- pilla fogliata, la quale trovò provveduta di una gran quantità di calici gustativi, e TopAaRO trovò ripetuti questi organi nella mu- cosa boccale dei selacidi (4) e nella lingua dei sauri (5). Studi importanti vennero fatti successivamente da SERTOLI (6), il quale dopo avere confermata l’ esistenza del reticolo nervoso sottoepiteliale già descritto da ScHwAaLBE e da DITLEVYSEN (7) seguì Je fibre nervose nell’epitelio della papilla fogliata del cavallo dove esse formerebbero un reticolo tra i bulbi situato al di sotto del sottile strato corneo. Vide inoltre fibre nervose penetrare nell'interno dei calici gustativi senza per altro potere constatare in qual modo tali fibre si uniscono alle cellule gustative. Rin- venne nell’epitelio della mucosa boccale i corpi stellati di LAN- GERHANS che ritenne pella maggior parte di natura connettiva, in piccol numero, in relazione colle fibre nervose, di natura ner- vosa. SeRTOLI da altimo cita anche un lavoro di HòxIesMED il quale avrebbe veduto nel gatto fibre nervose penetrare nei ca- lici gustativi. RAnvIER (8) trovò che le fibre nervose intraepiteliali nella regione dei calici della papilla fogliata hanno la stessa disposi- zione che nell’epidermide, e le fa terminare in rigonfiamenti che stanno più o meno in vicinanza alla superficie. (1) C. Lovèn, Beitrdige zur Kenntniss vom Bau der Geschmackwirzchen der Zunge. Archiv. f. mikrosk, Anat. Bd. IV, 1868. (2) G. ScuwaLBE, Ueber die Geschmacksorgane der Siugethiere und des Menschen. Arch. f. Mikrosk Anat. Bd. IV 1868. (3) Haus v. Wyrss. Die becherformigen Organe der Zunge. Archi f. Mikr. Anat., Bd VI, 1870. O) Toparo, Gli organi del gusto e la mucosa bocco-branchiale dei Selaci. Roma, 1873. (5) Toparo, Nota sopra la presenza degli organi del gusto mella lingua dei Sauriani. R. Accademia dei Lincei, Classe I di scienze mat,, fis. e nat., Tornata 6 febbraio, 1876 (6) E. SerroLI, Osservazioni sulle lerminazioni dei nervi del gusto. Gaz- getta medico-veterinaria, Milano 1874, Anno IV, pag. 134. (7) Notizia ricavata dal lavoro di BoseMBERG a pag. 165. (8) Ranvier, Traité tecnique d’istologie, Paris, 1889, a pag. 730. | | | TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 50 Tralasciando altri studi di minore importanza diremo di GEBER (1) che trovò nella punta della lingua dell’uomo i cor- puscoli di MEISsnER, e di DRASCH (2-3) che in due successive pubblicazioni descrisse minutamente il modo di contenersi del | plesso nervoso nella papilla fogliata del coniglio e della lepre. L'A. conferma quanto già descrisse SERTOLI che una parte delle fibre del nervo glosso-faringeo non va a terminare nei calici, ma forma tra i medesimi nell’epitelio un reticolo, oppure termina libera- mente nello stroma dei foglietti. Riguardo ai calici egli non riesce a trovare una diretta connessione delle fibre nervose colle cellule gustative, ma fa rilevare una nuova particolarità, cioè che le nicchie in cui stanno i calici sono rivestite internamente da un reticolo di fibre nervose. Jede Knospennische, egli dice a pagina 246 (3), ist von einen Nervennetze tiberzogen, in welches das unter der Basalmembran des Nischengrundes be- findliche Geflecht ibergeht. DRASCH però disegna questi reticoli solo alla base delle nicchie a guisa di piccoli corbelli, e sente il bisogno di aggiungere: Bei neuen Untersuchungen wird man auf dieses Netz cin besonderes Augenmerk richten miis- sen (pag. 245) Nel ricco plesso nervoso esistente nello stroma dei foglietti sotto ai calici l'A. nota un gran numero di cellule gangliari che coi loro prolungamenti servono ad aumentare il numero delle fibre nervose. Oltre le cellule gangliari descrive nel detto plesso anche delle masse gangliformi che dovrebbero for- nire il materiale per il processo di rigenerazione. SEVERIN (4) trovò nell’epitelio linguale le cellule terminali di MERKEL sia isolate che a gruppi. Esclude la possibilità di confon- dere questi elementi colle figure di mitosi. Di questi elementi non dà nessuna figura, e delle terminazioni nervose nell’epitelio dice .solo che potè seguire i filamenti nervosi nello strato malpighiano. (1) GeBER, Uber das Vorkommen von Meissnerschen Tasthòrperchen in der Menchenzunge. Centralblatt. filtr med, Wiss, 1879. (2) O. DrascH. Istologische und Physiologische Studien ber das Gesch- macksorgan, Sitzungsb. der K. Wiener Akad. der Wiss, Bd. 88 III, Abth. 1883. (3) O. DrascH. Untersuchungen iber die Papillae foliatae et circumval- latae des Kaninchen und Feldhasen. Abhandl. der math. phys. Kiasse der Ko- nigl. Sàchsischen Geschellschaft der Wiss., Bd, XIV, N. 5, 1887. (4) SeveRIN, Untersuchungen tiber das Mundepithel bei Saugethieren mit Bezug auf Verhornung, Regeneration und Art der Nervendigung. Arch. fi mikr, Anat, Bd, 26, 1885, 576 R. FUSARI E A. PANASCÌ RosEMBERG (1) seguì con grande diligenza le fibre nervose terminali nelle diverse forme di papille della lingua di vari ani- mali. Nelle papille filiformi le fibre dopo aver formato un plesso nello stroma connettivale, il quale plesso presenta molti rigon- fiamenti gangliformi, formano una rete nervosa sottoepiteliale dalla quale entrano numerosissime fibre varicose nell’epitelio. Quivi le fibre congiungendosi tra loro danno luogo ad un’altra rete interepiteliale. Le cellule di MERKEL stanno nell’asse delle papille, i bulbi terminali di KRAUSE si trovano solo nelle papille del cavallo. Nelle papille fungiformi esiste nello stroma un plesso nervoso complicatissimo ed una rete nervosa sottoepiteliale ed interepiteliale ricchissima. Trovò in queste papille calici gusta- tivi assai approfondati nell’epitelio, per modo che il loro apice si prolungava in un canale (poro-canale) per poter raggiungere la superficie libera. In ogni papilla circonvallata vi ha un fascio nervoso midollato centrale che mette in un grande ganglio ed altri fasci laterali più piccoli che si anastomizzano col fascio cen- trale. In tutto lo stroma esiste un plesso nervoso, e nella regione dei calici le fibre del plesso sono fine ed amieliniche. L'’epitelio intorno ai calici è ricchissimo di fibre nervose e nell’interno stesso dei calici salgono fine fibrille varicose le quali si portano fino al loro apice. Nella regione della papilla al di fuori dei calici le fibre nervose nell’epitelio sono pur numerosissime e formano speciali accumuli nei sollevamenti epiteliali papilliformi della superficie libera della papilla. Enormemente ricco in nervi è pure l’epitelio della papilla fogliata, come pure quello di alcune altre regioni, ad esempio quello dell’orlo dei solchi che si trovano sul fondo della lingua nel cavallo, e quello del cercine che si trova alle parti laterali della lingua di bue. In questi ultimi tempi si tentò di risolvere la quistione che - riguarda il rapporto tra le fibre nervose e le cellule gustative col metodo della reazione vitale di EnRLIcH al bleu di metilene, ma anche dopo questi studi si rimane nell’incertezza, essendochè, secondo lo stesso EnRLICH (2) tra le cellule gustative di AxEL (4) L. Rosempera, Uber Nervenendigungen in der Schleimhaut und im Epithel der Saugethierzunge. Sitz. der Keis. Akad, der. Wiss. III, Abth. Bd XCIII, Iahrg. 1886. (2) EurLicH, Uber die Methilenbiaureaktion der lebender Nervensubstanz. Deutschen medizinischen Wochenschrift, 1886, TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. DT-1 Key e le fibre nervose vi sarebbe solo relazione di contiguità, non di continuità, mentre d’altro lato ARnstEIN (1) avrebbe trovato evidentissimo il passaggio diretto dalle cellule gustative anzidette alle fine fibre nervose. Non meno interessante è la letteratura che riguarda le ter- minazioni nervose nelle ghiandole sierose. Secondo KrauSE (2) le ghiandole salivari e lagrimali sono da considerarsi fra gli organi più riccamente provveduti di nervi. Questi hanno due origini diverse, cioè dal trigemino e dal sim- patico, e formano plessi nel connettivo interstiziale delle ghian- dole provveduti di cellule gangliari isolate e di gangli nervosi. Le fibre pallide terminerebbero sulla membrana propria degli acini, le fibre midollate andrebbero a far capo, almeno in parte, a bulbi terminali od a piccoli corpuscoli VATER-PACINI. ReicH (3) nelle ghiandole salivari della talpa, oltre al plesso ed ai gangli descritti da Krause, avrebbe trovato che fini fila- menti nervosi, dopo avere attraversata la membrana propria delle ghiandole, si mettono in rapporto col prolungamento delle cellule salivali. ScHLUTER (4), senza far attraversare dalle fibre nervose la membrana propria, ammette tuttavia una contiguità tra il plesso nervoso infralobulare e le cellule ghiandolari, perchè egli crede che la propria sia costituita o da connettivo areolare oppure dai prolungamenti delle cellule ghiandolari stesse variamente in- trecciati. Successivamente vengono i classici lavori di PFLUGER i cui dati trovansi ripetuti in quasi tutti i libri di istologia. Esso am- mise da prima (5) la terminazione dei nervi nel modo seguente: le fibre nervose ancora provvedute di guaina midollare attraver- serebbero la propria, e nell'interno degli alveoli decorrerebbero tra le cellule epiteliali sino a terminare ancora midollate nel nucleo (4) C. ARNSTEIN, Die Methilenblaufàrbung als Histologische Methode, Anat. Anzeiger Il Iahrg. 1887. (2) Krause, Handbuch der Menschlichen Anatomie. 1876, Bd, I. (3) B. REIcH, Disquisitiones inicroscopicae de finibus nervorum in glan- -dulis salivaribus. Dissert. inaug. Vratislaviae, 1864. (4) ScaLuTER, De glandulis salivaribus. 1865. (5) PrLùGER, Die endigungen der Absonderungsnerven in den Speichel- driisen. Bonn, 1866. i Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 4 w 578 R. FUSARI E A. PANASCÌ delle cellule epiteliali. Successivamente (1) lo stesso autore non fa più menzione di connessione delle fibre midollate coi nuclei delle cellule epiteliali; secondo la nuova versione le fibre nervose mi- dollate attraversata la propria degli acini andrebbero ad aderire al protoplasma delle cellule salivari, e nel luogo d’inserzione il cilindrasse si risolverebbe in un fascio di fibrille finissime che si prolungherebbe nelle fibrille del protoplasma cellulare senza un determinato limite. Oltre a ciò PrLiGER descrive un altro modo di terminazione, cioè alcune fibre nervose metterebbero capo a cellule solitarie moltipolari, le quali cellule mediante i loro pro- lungamenti sarebbero a loro volta in connessione colle cellule ghiandolari. In vista di questa doppia terminazione l'A. fa que- stione se essa corrisponda alla doppia derivazione delle fibre in- nervanti la ghiandola (cerebrale e simpatica). Per lA. poi è tanto stretto il rapporto tra le fibre nervose e le cellule dei condotti salivali, che queste ripeterebbero da quelle la loro ori- gine, mediante lo sviluppo di piccoli globetti ipolemmali in cui finiscono le fibre nervose. MAvYER (2) combattè le vedute di PrLiGER osservando che il maggior numero delle figure considerate da questi come fibre nervose non sono che vasi. Secondo MayER le fibre nervose de- corrono a fascetti già amidollati intorno agli acini mostrando qua e là gangli nervosi e cellule gangliari isolate. È solo di rado che trovasi in tali fascetti qualche fibra midollata, come ciò av- viene in tutti i nervi amidollati. Quanto al rapporto delle fibre nervose colle cellule ghian- dolari, MAYER mostrasi incerto. Vede che i nuclei di queste cel- lule sono uniti per filamenti, ma non sa dire se i filamenti siano di natura nervosa. PALADINO (3) in una sua nota scrive. che in un caso wide fibre amidollate che, dopo avere attraversata la propria degli (1) PrLùGer, Die Endigungen der Absonderungsnerven in den Speichel- driisen und die Entwickelung der Epitelien. Arch, f. mikr, Anat. Bd. V, 1869 (2) S. Mayer, Zinige Bemerkungen iber die Nerven der Speicheldrùsen. Arch. f. mikr. Anat. Bd, VI, 1870. (3) PaLapino, Della terminazione dei nervi nelle cellule glandolari, e del- l’esistenza di gangli non ancora descritti nella glandola e nel plesso sotto- mascellare delluomo e di alcuni animali. Bollettino della Associazione dei naturalisti e medici di Napoli. Anno III, 1872. TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 579 acini della ghiandola sottomascellare, si metteva in diretta con- nessione col protoplasma delle cellule secernenti. Asp in due lavori riassunti esattamente da RerzIUS (1) si occupa della struttura delle ghiandole parotide, sottomascellare, sublinguale ed infraorbitale. Circa ai nervi dice di non avere mai potuto constatare niente di quanto è asserito da PFLIÙGER, ed al pari di MAYER sostiene che le grandi fibre viste da quest’ul- timo non sono altro che capilari. Il plesso nervoso consta special- mente di fibre amieliniche con cellule gangliari bipolari. I nervi seguono il decorso dei vasi e scompaiono in vicinanza agli al- veoli. Vide alcune volte dei filamenti penetrare nelle cellule ghian- dolari ma non potè decidere della loro natura. Nemmeno RovcET (2) potè confermare nei vertebrati supe- riori i dati di PFLùGER; egli avrebbe però trovato che nelle ghian- dole cutanee di certe larve di batraci alcuni filamenti nervosi penetrano fino al centro degli elementi ghiandolari. Volendo scendere più in giù dei vertebrati noi troviamo in due lavori di Kuprrer altri dati sulla terminazione dei filamenti nervosi nelle ghiandole salivari. Nel primo lavoro (3) l'A. pre- metle che nei mammiferi non ha mai potuto vedere una con- nessione indubbia tra fibrille nervose e cellule epiteliali, e tanto meno vide fibre amidollate attraversare la membrana propria degli acini come vorrebbe PriiùGEeR. Poi egli aggiunge che nelle larve di certi insetti (muscidi) i nervi decorrono nelle ghiandole salivali seguendo le guaine delle trachee, colle quali trapassano la membrana propria e penetrano nelle cellule stesse. Da queste trachee intracellulari si staccherebbero finissimi filamenti che ri- tiene nervosi. Anche le ghiandole salivari della Blatta orienta- lis sarebbero provvedute di uno speciale apparato nervoso che dovrebbe le sue origini da due centri, cioè dal ganglio soprae- sofageo e dal cordone ventrale. La ghiandola sarebbe inoltre provveduta di un sistema ganglionare proprio in connessione coi suddetti gangli ed in istretto rapporto colle trachee. Esiste una rete infraacinosa dalla quale, attraversando la propria, penetrano (1) Iahresberichte di HorrmanNn e ScHwacge, Vol. II, 1875, (2) Ca. RougeT, Terminaison des nerfs dans les glandes. Gazette médi- cale de Paris, pag. 217, 1874. (3) C. Kuprrer, Das Verhaltniss von Driisennerven 3ur Drisenzellen, Arch. f, mikr. Anat, Bd, IX, 1873. 580 R. FUSARI E A. PANASCÌ numerose fibre nervose nell’interno delle cellule ghiandolari sper- dendosi nel loro protoplama. Nel secondo lavoro (1) l'A. circa le ghiandole salivari della Blatta entra in altre particolarità di cui questa è importante, che i nervi provenienti dal ganglio sopraesofageo si comportano diversamente da quelli originati dai gangli infraesofagei. LeypIG (2) in altri artropodi trova pure nervi che vanno a terminare nel protoplasma, e ciò sia in quello di alcune ghian- dole cutanee unicellulari, sia in quello delle grandi cellule se- cernenti dei vasi malpighiani. Malgrado questi risultati KRAUSE (3) ritiene ancora dubbio il modo di terminare dei nervi nelle cellule ghiandolari e non si mostra alieno dall’ammettere alla superficie delle cellule ghian- dolari delle piastre nervose terminali. Ed appunto delle spcie di piastre nervose terminali chiamate dagli autori corolie trovarono NAVALICHIN e KITMANOFF (4), nelle cellule della ghiandola sublinguale del gatto trattando sempli- cemente questo organo con una soluzione allungatissima di acido cromo. Noi troviamo finalmente RETZzIUS (5), il quale ottenne la rea- zione vitale di EnrLIcH nelle ghiandole sierose del dorso della lingua del coniglio. Egli, colla detta reazione, riuscì a vedere un gran numero di fibrille nervose varicose le quali circondavano in ogni direzione gli alveoli, e fu indotto a sospettare che alcune fibrille penetrassero anche negli alveoli stessi. Riassumendo, dalla breve esposizione fatta appare che ri- guardo alle terminazioni nella mucosa linguale in mezzo a molti dati constatati ripetutamente da varî autori, regnano incertezze rispetto a parecchi punti, tra cui alcuni importanti, quali ad (1) C. KuprreR, Die Speicheldriisen von Periplaneta orientalis und ihr Nervenapparate, Beitrige zur Anat. und Phys. C. Ludwig gewidnet von sei- nen Schulern. Leipzig, 1875 (2) Levpia, Bemerkungen tiiber Farben der Hautdecke und Nerven der Driisen bei Insecten. Arch. fiùr mikr. Anat. Bd, XII, 1876. (3) Krause, Nachtrége sum ersten Bande des Bandbuches der menschlichen Anatomie, Hannover, 1881. (4) I G. Navacicnin e P. I. Kyrmanorr, Terminaison des nerfs dans les glandes salivaires. Archives slaves de biologie, Tome I, 1886. (5) G. Rerzius, Veber Drusennerven. — Biologiska Foreningens Fòrhand- lingar, Bd. I, Heft. 1-3, 1888. TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 581 esempio quello del rapporto tra cellule gustative e cellule ner- vose e quello dell’esistenza o meno di un reticolo involgente i calici gustativi. Riguardo poi alle terminazioni nelle ghiandole sierose le incertezze e le disparità delle vedute sono assai più grandi, sebbene da tutti gli autori si tenda ad ammettere una intima relazione tra le fibre nervose terminali ed il protoplasma delle cellule secernenti. In vista di tutto ciò noi crediamo di avere fatta opera non inutile, attesochè i nostri studi condotti con un nuovo metodo ci condussero al punto da poter chiarire parecchie delle accennate quistioni, e da aggiungere alle già co- nosciute alcune particolarità. Metodo di ricerca. Come è ormai a tutti noto, la reazione nera di GoLci si ottiene nel far agire una soluzione di nitrato d’argento su un pezzo di tessuto che venne convenientemente indurito in una so- luzione di bicromato di potassio od in una miscela di questa solu- zione con un’altra di acido osmico, oppure successivamente nel soluto bicromico e nella miscela osmio-bicromica. Il difficile nel- l’ottenere tale reazione sta tutto nel saper determinare il tempo in cui deve agire la soluzione bicromica o la osmio-bicromica prima di mettere il pezzo nel soluto argentico. Questo tempo varia tanto a seconda della grossezza del pezzo, che a seconda della natura del tessuto, e dicendo ciò ci riferiamo ed alla varia struttura ed alla varia compattezza dovuta sì allo spessore degli strati che alla diversa età degli animali. Noi dietro numerose prove abbiamo eliminato per la mucosa linguale il passaggio della soluzione bicromica alla osmio-bicro- mica; deponevamo invece le lingue, ridotte alla mucosa con alquanto tessuto .muscolare sottostante, direttamente in un’ab- bondante soluzione osmio-bicromica (acido osmico 1 °/,, 1 parte, bicromato di potassio 2°/,, 5 parti), e le lasciavamo nella me- desima per un tempo variabile da 5 a 9 giorni. Variando il tempo d’immersione negli accennati liquidi, noi ottenevamo anche risultati diversi, cioè avevamo la colorazione nera talora di certi elementi nervosi, talora di certi altri. Talora ottenemmo anche colorati i vasi e gli &lementi elastici dello stroma delle papille e del connettivo intermuscolare. 582 R. FUSARI E A. PANASCÌ Dalla miscela osmio - bicromica i pezzi venivano passati in un soluto di nitrato di argento all’ 1%, dove venivano abban- donati per parecchi giorni, finchè ci tornava comodo di eseguire le sezioni sia a mano che al microtomo. Un materiale abbondante e molto adatto per la reazione lo trovammo nel sorcio, ma ottenemmo però anche buone colora- zioni nelle lingue di gatto (neonato), di capretto e di coniglio. L Le terminazioni nervose nella mucosa. Come è già noto, la maggior parte dei nervi che si diramano nella mucosa linguale possiedono la particolarità di offrire nel loro decorso gangli nervosi o cellule gangliari isolate. Colla rea- zione nera noi ottenemmo colorate solo queste ultime. Esse si trovano in numero tanto maggiore quanto più i fasci nervosi suddividendosi si fanno piccoli. 1 fasci sono misti, cioè composti di fibre pallide e di fibre midollate. La reazione si ottiene più facilmente sulle prime, ma tuttavia anche le ultime si fanno quasi sempre palesi mercè la colorazione bruna che acquista la mielina col trattamento del liquido osmio-bicromico. Circa a queste fibre midollate dobbiamo far notare una par- ticolarità, cioè che esse non si comportano sempre ugualmente colla reazione nera, vale a dire talora appaiono grosse con un dia- metro di 4-5 ., talora invece sottili con un diametro ridotto alla metà o quasi. Similmente si comporterebbero le fibre nervose mi- dollate colla reazione vitale di EHRLICH; FEIST infatti in un recen- tissimo lavoro (1) riferisce che col blea di metilene alcuni cilindrassi si colorano solo nella loro parte assile, altri invece in totalità. Perciò egli distingue come costituente normale del cilindrasse una porzione assile (Centralfaden) ed una porzione periferica (periphere Axencylinder substanz oder peripheren Axencylinder). Le fibre di ReMax dei citati fasci nervosi si allacciano e (4) B. Feist, Beitràge sur Kenntniss der vitalen Mehtylenblaufirbung des Nervengewebes. Arch, fur Anat, und Phys. Anat, Abth 4-2 Heft, 1890. TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 583 si anastomizzano variamente tra loro formando reticoli a maglie allungate in mezzo alle quali decorrono le fibre mieliniche. Le cellule nervose isolate dei fascetti nervosi presentansi di forma varia. Per lo più sono fusate o triangolari con due, tre o più prolungamenti. Nelle cellule fusate i prolungamenti sono due, partenti dai due apici del fuso, uno centripeto ed uno centri- fugo ; nelle altre sono in numero di tre o più, di cui un solo è centripeto, gli altri sono rivolti alla periferia e servono ad aumentare il numero delie fibre costituenti il fascio, oppure si perdono subito anastomizzandosi con fibre vicine o con pari prolun- gamenti di cellule nervose vicine. Oltre i fasci indicati vi sono altri cordoni di fibre pallide che si recano alla mucosa seguendo i vasi. Queste decorrouo sull’avventizia delle arterie in grande prevalenza longitudinalmente con molte tortuosità. Molte di esse presentano diramazioni per le quali il vaso viene allacciato in ogni senso. Alcuni filamenti terminano liberamente, altri con un bottone, altri invece si allontanano dal vaso per entrare tra i fasci muscolari accom- pagnando probabilmente i capillari, dacchè di questi hanno il modo di contenersi, formano cioè reticoli allaccianti le fibre mu- scolari striate. I fasci nervosi salendo dalle parti profonde verso la mucosa sì dividono e sì anastomizzano variamente tra loro incrociando in ogni senso le fibre muscolari. Quando pervengono alla parte profonda della mucosa in generale sono assai ridotti di fibre, e qui molti finiscono di risolversi interamente mandando le fibre nelle più diverse direzioni. Per tal modo si forma un ricco in- treccio di fibre midollate per la maggior parte, tra le quali sono interposte cellule nervose della stessa natura di quelle descritte nei fasci. Questo plesso fu molto bene descritto da RosEMBERG, e noi ci dispensiamo perciò dal venire ad altre particolarità. L’indicato plesso nervoso profondo serve a provveiere le fibre per un altro plesso superficiale o plesso sottoepiteliale. Sono fibre o diramazioni di fibre del plesso profondo che si portano più o meno obliquamente in su, perdono la guaina midollare, e formano un secondo intreccio con molte anastomosi immediata- mente sotto all’epitelio. Quivi si trovano piccole formazioni ton- deggianti, che non sappiamo se sono cellule nervose o rigonfia- menti gangliformi, le quali trovansi provvedute di un gran numero di prolungamenti. Uno di questi di solito si trova in rapporto 584 R. FUSARI E A. PANASCÌ diretto con un prolungamento di una cellula nervosa profonda, gli altri o vanno a confondersi colle fibre del plesso superficiale oppure penetrano senz'altro nell’epitelio. RosemBeRG nella lingua di cavallo pone in questo plesso piccoli gruppi di grandi cellule rotonde che negli animali da noi osservati non abbiamo rilevate, a meno che esse non corrispon- dano alle formazioni suddescritte provvedute di prolungamenti, Dalla rete nervosa sottoepiteliale entrano nei zaffi epiteliali interpapillari oltre gli accennati prolungamenti delle cellule ner- vose anche fine fibre varicose isolate ed a piccoli gruppi, che però presto si separano, e salgono più o meno in alto raggiun- gendo alcune lo strato corneo. Nel loro decorso tortuoso emet- tono rami finissimi che dopo un breve tratto cessano. Talora, ma di rado, li abbiamo visti ramificati una seconda volta. Entreremo ora a parlare del contegno degli elementi nervosi nelle varie forme di papille, A) Papille coniche. Nello stroma connettivo delle più piccole papille coniche del sorcio arrivano solo filamenti nervosi isolati che si portano. fino all’estremità appuntata, dove terminano, oppure penetrano per un tratto più o meno lungo nello strato epiteliale soprastante. Nelle papille filiformi più grandi dello stesso animale (fig. 1, db. Tavola). ed in quelle di capretto o di gatto vi ha alla base un rilievo conico del plesso nervoso profondo della mucosa, nel quale sono interposte un certo numero di cellule nervose soli- tarie o aggruppate a piccoli gangli. Un piccolo fascetto nervoso proveniente dalle parti profonde rinforza il nominato plesso nelle papille di maggior dimensione. Sotto all’ epitelio. poi si continua l’ intreccio di fibre amidollate sottoepiteliale. I fila- menti che penetrano nello strato epiteliale sono più numerosi nell’asse che nelle parti laterali; essi si dividono e si suddividono. senza presentare mai anastomosi fra loro, e quindi senza che abbia luogo una formazione di reticoli come descrisse RosEMBERG. Nemmeno abbiamo ottenuto in queste papille quella ricchezza di filamenti nervosi che il citato autore disegna nelle papille filiformi del cavallo. Oltre che alla diversità del materiale usato, la diversità dei risultati nostri rispetto a quelli di RosemBERG e di altri potrebbe, TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 585 forse dipendere dacchè colla reazione nera è assai difficile ottenere colorati contemporaneamente tutti gli elementi nervosi di una località. Così può spiegarsi anche come noi non ottenemmo mai figure che ricordassero nè i bulbi terminali di KrauUSE, nè le cellule di MERKEL, nè i corpuscoli di MEISSNER. Invece delle citate terminazioni speciali noi abbiamo spesso notato nelle papille filiformi della parte anteriore della lingua del sorcio delle figure fusate che ricordavano quella delle cellule gustative, e che stavano nell’apice dello stroma connettivale lungo l’asse della papilla in modo che la metà periferica era circon- data dall’epitelio, la metà profonda da connettivo. Dei due apici, il periferico si avanzava nell’epitelio per buon tratto, il profondo si continuava con una fibra nervosa. Nel disegno I f della Tavola abbiamo indicato una di tali figure di cui non sappiamo dire se rappresentino vere cellule nervose oppure semplici rigonfiamenti terminali di una fibra nervosa. Una speciale ricchezza di elementi nervosi trovammo in quelle papille filiformi che si trovano ai lati del terzo posteriore della lingua di gatto e che secondo V. Ayra1 terrebbero il posto della papilla fogliata. Quivi nello stroma vi ha un complicatis- simo intreccio di fibre, e l’epitelio è attraversato da una grande quantità di filamenti nervosi che si portano fin presso alla super- ficie terminando in un bottone. Da una sola fibra nervosa de- corrente sotto l’epitelio parallelamente all’asse della papilla abbiamo visto staccarsi ad angolo retto un gran numero di detti filamenti. Anche qui nessun accenno di reticolo interepiteliale. B) Papille fungiformi e circonvallate. Lo stroma delle papille fungiformi e delle papille circonval- late è così ricco di elementi nervosi che coll’ azione dell’ acido osmico appare tinto in bruno. Entrano in esso un numero varia- bile di fascetti nervosi che formano un plesso esteso a tutto lo stroma composto di fibre midollate, di fibre pallide e di cellule nervose. I Nelle papille fungiformi i fascetti di fibre stanno per lo più nell’asse della papilla ; nelle circonvallate oltre i fascetti centrali vi sono molti altri fasci periferici. Nelle piccole papille del sorcio le fibre midollate dopo breve distanza dal fascio cessano presto per trasformarsi in fibre pal- 586 R. FUSARI E A. PANASCÌ lide: nelle papille più grandi di capra e di coniglio gli elementi midollati sono più numerosi e si seguono più a lungo. Le fibre nervose pallide del plesso presentano numerosi esempi di anastomosi tra loro, e dividonsi in varie forme, tra cui prevale la forma dicotomica ad angolo retto. Questa passa gradatamente nella divisione a ciuffo in cui la fibra in un brevissimo tratto si risolve in un gran numero di filamenti per mezzo di una rapi- dissima divisione e suddivisione dicotomica. (V. fig. 13, 9). Le cellule nervose del plesso presentansi in due forme: le une stanno alla base e in mezzo della papilla; le altre stanno in vicinanza all’epitelio ed alla sommità della papilla sotto alle papille secondarie. Le prime sono uguali alle cellule che abbiamo incontrate nei fasci nervosi con forma alquanto più irregolare e della dimensione di 6-12; le seconde sono più grandi rag- giungendo i 15-20, ed hanno forma e modo di contenersi per cui si avvicinano alle cellule del sistema nervoso centrale. Nella Tavola noi abbiamo disegnato alcune di queste cel- lule della lingua di capretto (fig. 2-3-4). La forma loro varia: se ne trovano di triangolari, di quadrate, di poligonali più o meno regolari. Esse hanno un prolungamento più sottile degli altri per il quale stanno in rapporto col plesso della papilla, ed un numero vario di altri prolungamenti più grossi i quali si por- tano verso l’epitelio diramandosi dicotomicamente. Talora due cellule vicine rimangono unite per mezzo di uno di questi grossi prolungamenti (fig. 13, 0). Le ultime ramificazioni dei processi divenute assai sottili seguendo un cammino spirale attraversano gli strati epiteliali giungendo talora a toccare le lamine cornee. Un gran numero delle fibre nervose del plesso dopo essersi divise e suddivise cessano nello stroma avanti di giungere nell’epi- telio; le rimanenti dopo aver formato un plesso sotto epiteliale entrano nell epitelio. L’epitelio delle papille fungiformi e quello delle papille cir- convallate situato fuori della regione del vallo sono largamente provveduti di fibrille nervose. Queste presentano un aspetto va- ricoso., un decorso ondulato ed un numero vario di ramifica- zioni; terminano liberamente o con un piccolo rigonfiamento ; non le vedemmo mai entrare in anastomosi tra loro. Anche in queste papille si vedono entrare nell’epitelio, massime agli angoli, quei corpi fusiformi terminali ricordati nelle papille coniche. Caratteristico è il contegno degli elementi nervosi nella regione TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 587 del vallo delle papille circonvallate e nelle lamelle della papilla fogliata. Nell’una e nell’altra località convengono rami nervosi da diverse parti, alcuni dai fascetti centrali della papilla, altri dai fasci decorrenti nello strato profondo della mucosa, altri, più grossi, direttamente dai tronchi che si trovano più profondamente tra le fibre muscolari. Tutti questi diversi rami formano da prima un plesso gros- solano, contenente molte fibre midollate e cellule nervose di varia forma, attorno alla regione dei granuli; il qual plesso passa a formare un altro intreccio più fino, ricco di anastomosi di fibre tutte amidollate (fig. 13, f, fig. 7), alcune varicose, altre liscie con decorso in prevalenza parallelo alla direzione dello strato epiteliale. Nella regione propria dei granuli poi il fino plesso suin - dicato trasformasi gradatamente in un finissimo reticolo a maglie assai strette in mezzo alle quali sta un gran numero di picco- lissimi elementi, i granuli, che colla colorazione nera mostransi angolosi e provveduti di prolungamenti. Quando questi granuli riescono colorati in buon numero , il reticolo nervoso rimane nascosto (fig. 15, e). Dai due plessi suddetti e dallo strato dai granuli si stacca una grande quantità di filamenti nervosi che penetrano sia nel- l’epitelio, sia nei calici gustativi, come diremo qui sotto. Calici gustativi (fig. 13). Nei calici gustativi mercè la co- lorazione nera si possono distinguere benissimo le due forme di cellule gustative descritte da ScHwALBE, cioè quelle terminanti perifericamente a punta, e quelle terminanti a bastoncino. Esse o restano interamente tinte in nero, oppure il nucleo appare in bianco (A). L’estremità profonda di tali cellule appare spesso divisa, ma vi ha sempre un filamento principale che si continua dopo un decorso spesso capriccioso colle fibre del plesso, mentre altri filamenti laterali più sottili vanno a perdersi nel reticolo nervoso dei granuli. Ottenemmo colorate le cellule gustative anche in gattini di sei giorni; esse erano tutte a bastoncino coll’estremità profonda piuttosto grossa, alla quale metteva capo un filamento nervoso sottile, provveduto di diramazioni laterali (fig. 5). RANVIER (1) ed altri hanno già fatto notare che, oltre le cellule gustative, anche le rivestenti hanno per i sali d’oro una certa affinità, che è molto maggiore di quella delle cellule epi- : (4) Ranvier, l, c., pag. 730. 588 R. FUSARI E A. PANASCÌ' teliali comuni. Ora questa affinità esiste in certo grado anche per l'argento, essendochè assai facilmente colla reazione di GoLeI le indicate cellule si colorano in rosso-bruno. In questo caso si può studiarne la forma e la disposizione molto meglio che coll’isola- mento. La forma varia da quella di una mezza luna a quella d'un petalo di rosa più o meno arrotolato su se stesso. Nella figura 5 abbiamo disegnato una di tali cellule, la quale racchiude nella sua concavità una cellula gustativa. Il corpo delle cellule rivestenti sempre sottile, non ha un colorito omogeneo, ma presenta qua e là linee irregolari nere come le nervature di una foglia (4, <). I margini appaiono rara- mente lisci, spesso presentano dentellature cui talora appaiono’ aderenti dei fili o dei bottoncini peduncolati colorati in nero, che per la forma assomigliano a quelli che SERTOLI disegnò ade- renti ad una cellula gustativa. L’estremità periferica di tali cel- lule finisce appuntata; l'estremità profonda è smussata e provve- duta di molte dentellature, alcune delle quali sembrano talora continuarsi con una fibrilla nervosa. Un attento esame fatto coi migliori ingrandimenti ci condusse a rilevare una particolarità sfuggita fin qui agli altri osservatori, cioè abbiamo veduto che le linee irregolari, che avevamo notato prima sul corpo delle cellule rivestenti, erano espressione di una complicata ramificazione di fibrille nervose addossate alla su- perficie concava delle stesse cellule. Queste fibrille si continua- vano coi filamenti nervosi che fanno capo alla base delle cellule’ e si mettevano pure in rapporto coi bottoni peduncolati aderenti al margine. Una di queste arborizzazioni abbiamo disegnato nella figura 6. Oltre a ciò, come fece rilevare RosEMBERG, entrano tra le cellule dei calici altri filamenti nervosi varicosi che terminano in buon numero verso l’estremità libera dei calici con un piccolo bottone. Tra questi filamenti alcuni si ramificano (n), altri nel loro tragitto attraverso il calice presentano un rigonfiamento fusi- forme, per cui ricordano la forma delle cellule gustative. Colla reazione nera noi potemmo anche mettere in evidenza un altro apparato nervoso situato immediatamente all’esterno dei calici gustativi ed in istretto rapporto coi medesimi. È questo’ rappresentato da un reticolo nervoso che cinge intieramente al- l’ingiro il calice disegnandone perfetta mente la forma (I, m). Tale reticolo, come abbiamo già ricordato nel cenno storico, venne TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. (589 menzionato da DRaAscHu, e da lui anche disegnato sebbene in modo incompleto. Le fibre che vanno a comporre detto reticolo, che potrebbe chiamarsi peridbulbare, non costituiscono grossi fasci, come quelli disegnati da DrascH per i bulbi gustativi della papilla fogliata del coniglio, ma sono pochissime in numero: due, tre, quattro al più. Queste arrivate al calice si dividono e si sud- dividono e molti punti nodali allacciano tra loro le divisioni dei diversi rami. Nel disegno del citato autore non appare evidente il rapporto del fascio di fibre nervose colla rete da queste formata. Epitelio (fig. 18, B). Ricchissimo di fibre nervose è l’epitelio che occupa lo spazio esistente tra calice e calice nella regione del vallo, come fu già notato da SERTOLI nella lingua di cavallo e da DRAscH in quella di coniglio. Questi due autori, ed anche RosEMBERG, ammettono nell’epitelio un reticolo, i nostri reperti invece ci conducono a mettere in dubbio l’esistenza di un yero reticolo nervoso. Se esistono anastomosi tra i filamenti nervosi, queste sono rarissimè e non sempre bene dimostrabili. Dal plesso della regione dei granuli entrano nell’epitelio un gran numero di fibre varicose le quali subiscono diverse sorti. Un buon numero dopo avere descritte parecchie tortuosità ter- minano più o meno in vicinanza della superficie libera dell’epi- telio con un bottone. Altre si ramificano in modo svariato ma sempre dicotomicamente, ed i singoli rami terminano pure in vici nanza alla superficie libera. Una terza categoria poi avvicinan- dosi alla superficie libera ingrossano o presentano un grosso punto nodale da cui partono rami che fanno un cammino a ri- troso, oppure decorrono orizzontalmente, ed in questo decorso sì dividono di nuovo. Per mezzo di queste ramificazioni viene riempito di filamenti nervosi tutto lo spazio che sta verso la superficie libera tra bulbo e bulbo. Nell’epitelio che sta attorno al porocanale, cui mettono capo i bulbi gustativi che si rinvengono isolati nelle papille fungiformi, non abbiamo notato una speciale ricchezza in fibre nervose; ma è probabile che anche qui si ripetano gli stessi fatti, almeno come si può desumere dalla quantità di fibrille nervose che con- tornano i bulbi stessi, i quali si affondano per buona parte nello stroma connettivale della papilla (sorcio) (fig. 1, O). Una particolarità interessante e che ci venne fatto di rile- vare parecchie volte, è che dal plesso nervoso della regione dei granuli si stacca un sottile cordone plessiforme (fig. 13, c), di 590 R. FUSARI EF A. PANASCI fibre pallide, il quale si porta profondamente verso le ghiandole sierose del dorso della lingua, ed ivi si mette in rapporto col plesso nervoso proprio di queste glandule. È importante aggiun- gere che il citato cordone nervoso decorre affatto indipendente- mente dal dotto escretore delle medesime ghiandole. lI. Le terminazioni nervose nelle ghiandole sierose, All’innervazione delle ghiandole sierose del dorso della lingua concorrono nervi di diversa provenienza: Oltre ai sottili cordoni provenienti dalla regione gustativa, dianzi ricordati, vi giungono piccoli fasci in gran parte composti di fibre midollate decorrenti tra i muscoli sotto la mucosa, e gran quantità di fibre del sim- patico che accompagnano le arterie. Tutti questi fasci nervosi formano un ricchissimo plesso tra i bulbi ghiandolari. Nel plesso si distinguono grandi fibre ner- vose presentanti frequenti rigonfiamenti gangliformi o cellule gan- gliari, e fibre sottili numerosissime provvedute di piccoli rigon- fiamenti sferici o fusati; le prime derivano verosimilmente dai fasci di fibre midollate, le altre dal simpatico. Le fibre dell’una e dell'altra specie probabilmente si tengono tra loro in una certa indipendenza perchè la reazione nera talora si verifica su una serie di fibre, talora sull’altra. Quando tutte le fibre sono colorate, il plesso. nervoso riesce così complicato che non abbiamo potuto verificare se esistano | vere anastomosi tra le fibre grosse e le sottili. Quando è colorato il sistema delle fibre sottili (fig. 8), queste vedonsi decorrere tra i singoli acini fuori della membrana propria a fasci, o meglio a larghi nastri composti di tante fibrille parallele ma presentanti molte anastomosi tra loro. Vedesi talvolta frapposta qualche cellula gangliare scolorata (fig. 8, d). Molto caratteristico è il plesso formato dalle grosse fibre (figura 9). Queste compongono una vera rete nelle cui maglie stanno gli acini glandolari, ed i cui punti nodali sono rap- presentati la maggior parte delle volte da un rigonfiamento se- milunare o fusiforme addossato immediatamente alla membrana propria degli acini e che molto verosimilmente corrisponde ad TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 591 una cellula nervosa. In corrispondenza di questi rigonfiamenti la fibra si divide ed oltre i rami principali che servono a formare la rete del plesso altri più sottili se ne staccano, i quali o attra- versano senz’ altro la propria e si mettono in diretto contatto colle cellule degli acini, oppure decorrono per un tratto più o meno lungo tra i lobuli per metter capo ad un acino più lon- tano. Non è raro che in questo tragitto i rami spicchino delle divisioni secondarie e che cambino subitamente direzione formando un’ansa. In ogni acino o rigonfiamento terminale dei tuboli ghiando- lari entrano per tal modo da diversi lati più fibre nervose. Queste, dividendosi ripetute volte, formano una stretta rete ipolemmale con punti nodali di varia grandezza, talora grossis- simi a forma di piastrine. Da quanto abbiamo potuto rilevare in casi in cui sì era colorata alquanto la sostanza interstiziale tra le cellule ghiandolari, ci è parso che la rete nervosa si estenda non solo su quella superficie delle cellule ghiandolari che guarda la propria, ma che entri anche negli interstizi tra cellula e cel- lula, e si costituisca così un’impalcatura nervosa in ciascun’area della quale resta chiusa una sola cellula ghiandolare. L’impalcatura suddetta mostrasi, a quanto ci è parso, in istretto rapporto col protoplasma delle cellule salivari. A forte ingrandimento rilevasi che i dischetti o punti nodali non sono nettamente delimitati, perchè attorno ai medesimi sono sparse . molte punteggiature nere o brune che vanno sperdendosi nella sostanza della cellula. I dischetti nodali poi non restano colorati tutte le volte in cui la reazione si avvera sul reticolo nervoso, e ciò ci fa sospettare che i medesimi non si trovino sulla conti- nuità dei filamenti nervosi del reticolo, ma siano interposti tra questi e il protoplasma cellulare. Stando così le cose, se tali di- schetti non sono paragonabili a vere piastrine terminali, si rav- vicinerebbero tuttavia a queste per molti lati. Il fascetto nervoso proveniente dalla regione dei granuli si mette in rapporto, come abbiamo detto, colle fibre del plesso ghiandolare, e probabilmente tra queste col solo reticolo delle grosse fibre, mediante filamenti che vanno a metter capo ai ri- gonfiamenti presentati dalle grandi fibre. Nella fig. 9 abbiamo segnato in C' uno di tali rapporti. 592 R. FUSARI E A. PANASCÌ Nella figura 10 abbiamo ritratta la fisonomia che acquistano le glandole sierose del dorso della lingua del sorcio quando si ottengono colorati in nero mediante la reazione di GoLei i soli lumi dei dotti e dei tuboli ghiandolari. Pare a noi che queste preparazioni così eleganti e che si ottengono con una certa fa- cilità possano sostituirsi, anche con vantaggio della verità, a quelle ottenute per iniezione nelle dimostrazioni scolastiche, onde dare una giusta idea delle diramazioni dei dotti ghiandolari. Nella stessa lingua la reazione nera ci diede colorate anche le arborizzazioni nervose terminali sui muscoli striati. Anche que- ste terminazioni riescono molto più nitide mediante il nitrato d’argento che col cloruro d’oro, perchè i nuclei e la sostanza granulosa della placca rimangono assolutamente scolorati. Nella tavola (fig. 11-12) abbiamo disegnato due esempi di queste .ter- minazioni nervose ottenute su una lingua di gatto neonato. Tra le particolarità da noi esposte circa alle terminazioni nervose nella lingua e nelle ghiandole sierose, le più interessanti sono certamente quelle che riguardano la struttura dei calici gu- stativi, la quale risulta assai più complicata di quello che prima si credeva. Alle cellule gustative di varia forma si aggiungono una quantità di fibrille nervose terminanti a bottoncino, una finissima arborizzazione nervosa situata sulle cellule rivestenti, ed un reticolo nervoso peribulbare. È certamente difficile determinare il significato fisiologico di ciascuna di queste parti dei bulbi gustativi, ma questa difficoltà non ci toglie di credere che ogni parte abbia pure un valore fisiologico speciale. Noi non siamo in ciò dell’avviso di SERTOLI (1), il quale asserisce che la diversa funzione delle fibre nervose di senso debbasi ripetere non dalla diversità della loro terminazione periferica, ma sibbene da quella della loro terminazione cen- trale; noi invece crediamo che l’una parte e l’altra debba avere (1) SERTOLI, |. c., pag, 139, TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 593 il suo valore nel determinare la forma della sensazione. Se poi guardiamo alle varie forme di terminazioni sì centrali che pe- riferiche, noi dovremo dare maggior valore a queste che a quelle, perchè, stando alle attuali conoscenze, mentre per le terminazioni centrali di senso si ha una forma fondamentale invariata per tutte, cioè quella a reticolo diffuso, invece per le terminazioni periferi- che si presentano forme svariatissime, ed ogni forma, per quanto ripetasi in regioni ed organi diversi e sia in rapporto coi nervi di provenienza diversa, pure possiede dappertutto un valore fisio- logico costante. GoLGI a questo riguardo mostrasi più esplicito ; egli, parlando delle varie differenze funzionali inerenti alle varie circonvoluzioni cerebrali, così si esprime: « La specificità della « funzione delle varie zone cerebrali sarebbe in rapporto non già « colle particolarità di anatomica organizzazione delle zone me- « desime, bensi colla specificità degli organi ai quali periferi- «camente vanno a metter capo le fibre che dalle stesse zone « hanno origine » (1). Non riteniamo che ogni particolare forma di terminazione negli organi periferici debba corrispondere a par- ticolari modi di agire dei diversi stimoli e che perciò sia appunto la peculiarità della terminazione periferica quella che ha la mas- sima importanza nel determinare la funzione della fibra nervosa. Se dalla forma dell’apparato nervoso terminale si può trarre qualche induzione circa la modalità della sua funzione, a noi sembra che si possa, riguardo al reticolo peribulbare, fare questa ipotesi, cioè che tale apparecchio nervoso così strettamente ad- dossato ai calici debba servire a rilevare lo stato di distensione di questi organi, dacchè appare molto verosimile che questi pos- sano variare, sia pure in lievissimo grado, o il loro volume o la loro forma, a seconda della natura chimica o delle condizioni fisiche delle sostanze sapide che vengono loro in contatto. Nè di minore importanza ci sembra il fatto rilevato dall’esi- genza di un fascetto nervoso che mette in rapporto i nervi della regione gustativa col plesso delle ghiandole sierose, perchè per esso si ha una facile spiegazione di un fatto già noto alla fi- siologia. EBNER (2) già nel 1873 osservò che il liquido sieroso (1) GoLat, Sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. Milano, Hoepli, 1885. (2) EsnER, Die acinosen Driisen und ihre Beziehungen zu den Gesch- machsorganen. Graz, 1873. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 43 904 R. FUSARI E A. PANASCÌ delle ghiandole è prodotto in grande abbondanza al : momento del gusto e serve a pulire il vallo in modo da levare le so- stanze sapide che vi sono penetrate ed assicurare così la purezza della sensazione prossima, e le osservazioni di EBNER furono avva- lorate da moltissime esperienze successive. Ora questa azione riflessa rapidissima sulla glandola dovuta alla presenza sui bulbi gustativi o nella loro vicinanza di sostanze sapide, si spiega assai facil- mente colla presenza del summentovato fascetto nervoso. Per le ghiandole sierose abbiamo fatto rilevare la. presenza di una doppiu innervazione, di cui l’una è forse affatto indipen- dente dall’altra. Ciò interessa e per l’analogia che vi ha coll’in- nervazione delle ghiandole sierose degli insetti, e perchè serve a spiegare altri fatti rilevati dalla fisiologia. Circa all’innervazione delle ghiandole salivari degli insetti abbiamo già ricordato che KuPFrFER trovò che tali organi sono provveduti di due specie di nervi, gli uni provenienti dal ganglio sopraesofageo, gli altri dagli infraesofagei ; ora queste due specie di nervi avrebbero un loro modo speciale di contenersi, limitandosi i sopraesofagei a formar parte del plesso infraacinoso, mentre gli infraesofagei avrebbero un rapporto diretto colle cellule epiteliali. Circa poi all’ azione dei nervi sulle ghiandole sierose, l’esperienza fisiologica ci insegna che i caratteri e la quantità della saliva sono molto diversi a seconda che si irrita la glandola per mezzo dei suoi nervi d’ori- gine cerebrale, oppure per mezzo del simpatico ; ora il doppio ap- parecchio d'innervazione spiega facilmente la grande diversità dei | risultati dell’esperienza fisiologica. _ SPIEGAZIONE DELLE FIGURE i) 1. Sezione di una papilla fungiforme (a) e di alcune papille coniche (6) della lingua di sorcio. - (c) Calice gustativo ; (4) fibra del plesso profondo; (e) gruppo di cellule nervose; (f) corpo fusiforme terminale (KoristKA, Oc. 2, Obb. 7*). 2. 3. 4. Cellule nervose delle papille circonvallate di capretto (Zeiss, Oc. 3, Ob. E). 5. Cellula gustativa di una papilla fungiforme di gatto circon- data da una cellula rivestente (LEITz, Immers., omog. ua Oc. 3). Lit. Salussolia, Torino ' i — 5! ' ci . è È x Ù n Eee “u Ue: # “ PI * d vr x È i b di : \ x Ù x Ù . 10. ig o, -— ‘TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 595 . Cellula involgente di un calice gustativo di gatto rivestita in- ternamente da un’arborizzazione nervosa (LEITZ, Immers. omog. !/, Oc. 3). . Reticolo nervoso della regione dei granuli nel gatto (LEITZ, Immers. omog. !/, Oc. 3). . Plesso nervoso infraacinoso delle glandole sierose di sorcio. - (a) Grossa fibra d’origine cerebrale con rigonfiamento fu- siforme; (b) fibre simpatiche; (c) ramo formante il reticolo ipolemmale; (4) cellula nervosa scolorata (KoRISTKA, Oc. 3, Ob. 7%). . Plesso nervoso epi ed ipolemmale delle glandole sierose di sorcio. - (a) Reticolo delle grandi fibre; (0) reticolo delle fibre fine; (c) connessione del plesso col cordone nervoso de- rivante dalla regione dei granuli ( KoristKA, Oc. 3, Ob: <*). Lume dei dotti e dei tuboli ghiandolari nelle glandole sie- rose del sorcio (KorIstKA, Oc. 2, Ob. 7*), 12. Terminazioni nervose motrici nella lingua di gatto (Ko- MISERA Und, OD. ). Disegno semischematico della papilla circonvallata del topo. Attorno alla parte A del vallo furono disegnati calici con cellule gustative di varia forma e cellule rivestenti; attorno alla parte B vennero disegnate le altre terminazioni ner- vose nei calici e nell’epitelio. (a) fascio centrale; (0) plesso della papilla; (c) cordone nervoso plessiforme recantesi alle glandole sierose; (d) fascio la- terale sezionato trasversalmente; (e) granuli; (7) plesso nervoso dei granuli; (9g) cellula nervosa; (4) (2) cellule rivestenti: (1) (m) reticoli nervosi peribulbari; (n) fibra dei calici dividentesi; (0) terminazioni interepiteliali; (p) corpo fusiforme terminale ; (9) diramazione a pennello. OsseRvAazIOnE. — Le figure 1, 10, 13 furono alquanto ri- dotte nella composizione della Tavola. 596 ‘PIO MARFORÌ Intorno all’influenza che la veratrina ceristallizzata esercita sulle contrazioni dei muscoli. Ricerche del Dott. Pio Ma&rFoRrI 1 Farmacologi hanno già studiato in che modo la veratrina agisca sulle singole contrazioni dei muscoli, ma non si è ancora ricercata, con sufficiente esattezza di metodi, la sua influenza sulla curva della fatica. Le esperienze sulle quali sono basate le varie ipotesi fatte intorno al meccanismo d'azione della veratrina si riferiscono poi ai muscoli di rane studiati in condizioni poco favorevoli, cioè staccati dal corpo e privi di circolazione. Soltanto Rossbach, Clostermeyer e Harteneck sì sono occupati con metodi sperimentali esatti dell’azione della veratrina sui muscoli degli animali a sangue caldo. Tuttavia anche dopo le esperienze di questi autori resta da risolversi il quesito, come la veratrina agisca sul lavoro dei muscoli. Nessuna delle precedenti ricerche venne eseguita con veratrina pura, ma con veratrina commerciale, che è una miscela di diversi alcaloidi. Intorno alla veratrina cristallizzata abbiamo soltanto uno studio di Lissauer (1), il quale però non si occupa quasi affatto della sua azione sui muscoli. Nelle mie esperienze ho usato la veratrina cristallizzata che preparai dalla veratrina commerciale di Trommsdorf, secondo il metodo indicato dallo Schmidt (2); ed ho studiato l’influenza di questa sostanza sui muscoli in condizioni molto vicine alle nor- mali, tanto negli animali a sangue freddo quanto nei mammiferi. Kòolliker fu il primo ad osservare la curva caratteristica dei muscoli veratrinizzati e dimostrò la sua indipendenza dal sistema (4) Lissaver, Untersuchungen uber die Wirchung der Veratrumalcaloide (Arch. f. exper. Path. u. Pharm., vol. 23, pag. 36, 1887). (2) Scamipr, Organische Chemie, pag. 952, 1882. INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 597 nervoso. Bezold (1), in seguito, ritenne tale curva di natura te- tanica; ma Fick e Bòhm (2) non poterono confermare sperimen- talmente l'ipotesi di Bezold e dimostrarono che la contrazione del muscolo veratrinizzato produce maggior calore che quella del muscolo normale. Questi autori perciò ammisero che la veratrina aumenti i processi chimici della contrazione muscolare. Anche l’Overend (3), il quale si è recentemente occupato dell’azione della veratrina sui muscoli viene alla stessa conclusione. CAPITOLO I. Azione della veratrina sui muscoli striati delle rane. Apparecchi e metodi di ricerca. — Gli apparecchi di cui ho fatto uso sono: il miografo di Marey, l'apparecchio di Pfliiger e Kronecker allo scopo di eliminare la corrente di chiusura di un circuito indotto, la slitta di Du Bois Reymond, l’orologio in- terruttore di Baltzar, alcuni elementi Leclanché, il chimografio di Ludwig, modello Baltzar, e un interruttore. La lunghezza del braccio di leva del miografo rimase co- stante in tutte le esperienze. Mi servii generalmente di un peso di 8 gr., che tendeva continuamente il muscolo. Ho fatto tutte le esperienze in rane temporarie dal marzo al maggio. La rana dopo distrutto il midollo, veniva fissata sopra un sostegno orizzontale. Un filo legato al tendine di Achille staccato dalle sue inserzioni poteva applicarsi coll’altra estremità alla leva del miografo di Marey, che era sullo stesso piano della rana. Uno degli elettrodi era applicato attorno alla articolazione del ginocchio fissata con uno spillo: l’altro elettrodo era unito ad uno spillo infisso alla parte inferiore della gamba. I movi- menti del muscolo gastrocnemio erano così perfettamente liberi. (1) BezoLp, Untersuchungen aus den Phys. Lab. in Wiirzburg, fase. 1, 1867. (2) Fick e Bònm, Verh. d. Phys. med. Gesellschaft in Wikraburg, III, 198. (3) OverenD W.. Ueber den Einfluss des Curare und Veratrins auf die quergestreifte Muskulatur (Arch. f. exp. Path. u. Pharm., vol. 26, fase. I, 1889). 598 PIO MARFORI ESPERIENZA I. In una rana temporaria, disposta nel modo descritto e dopo aver distrutto il midollo, si eccita direttamente il muscolo ga- strocnemio con l’eccitamento uguale a 5 e col ritmo di 1". La temperatura ambiente è di 13°. Si ottiene il tracciato della fisura 1°, riprodotto nella tavola annessa, che rappresenta una serie di contrazioni normali. Esiste qui un leggero grado di contrattura che si vede dalla differenza di livello fra la base delle prime e delle ultime con- trazioni, ma l’altezza delle contrazioni è modificata in modo poco notevole. Dopo aver scritto questo primo tracciato si inietta alla rana sotto la pelle del dorso grm. 0,0001 di veratrina sciolta in mezzo c.c di acqua con acido tartarico. Dopo 10 minuti si scrive il stracciato della figura 2° colla medesima intensità di eccitamento. Dopo la prima contrazione il museolo non si rila- scia completamente, ma quando è giunto poco sotto a metà del- l’altezza, lo sorprende il secondo eccitamento e fa una contra- zione minore della prima. La 3°, la 4° e la 5° contrazione sono esse pure più piccole. Siccome però la base di queste contrazioni andò successivamente elevandosi, appare evidente l’effetto della contrattura. Alla 6° eccitazione il muscolo torna a rilasciarsi e la base delle successive contrazioni discende avvicinandosi all’ascissa. A questo punto si vede che l'altezza delle contrazioni va lentamente crescendo da A fino verso il punto B, e dopo le contrazioni diminuiscono di altezza quasi in linea retta fino al punto C. È questa la curva della fatica che vedremo presen- tarsi con dei caratteri assai più spiccati nei tracciati seguenti. La linea che passa per la base di tutte le contrazioni rappre- senta in questa esperienza press’'a poco una linea retta che va lentamente sollevandosi. Questa forma postuma della contrattura sì osserva pure nei muscoli normali. ESPERIENZA Il. Il tracciato della fig. 3° rappresenta una serie di contra- zioni ottenute eccitando direttamente il gastrocnemio di una rana temporaria la quale aveva ricevuto per iniezione sottocutanea INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 599 gr. 0.0002 di veratrina. Anche qui le contrazioni si succedono col ritmo di 1" e l'intensità dell’eccitamento è uguale a 5. Il muscolo risponde al primo eccitamento con una forte con- trazione e rimane contratto per 2°, per cui la curva segna un breve tratto orizzontale, poi discende; il 3°, il 4° eccitamento non producono alcun effetto e solo al 5° succede una debole contrazione. Quindi le contrazioni vanno man mano acquistando maggiore altezza sebbene irregolarmente e in ultimo sono molto alte e più regolari. La base delle contrazioni forma qui una curva la quale non è così regolare come nell’esempio precedente. I periodi di una contrattura più o meno forte che in questo tracciato appaiono poco distinti, vedremo in seguito che possono diventare più ma- nifesti accennando ad una variazione nello stato del muscolo. ESPERIENZA IIl. I tracciati delle figure 4% e 5° rappresentano l’azione della veratrina sui muscoli al suo massimo grado d'intensità. Il tracciato della fig. 4°, si ottenne dal gastrocnemio di una rana avvelenata da 30 minuti con gr. 0,0002 di veratrina per iniezione sottocutanea. Eccitamento = 6. Temperatura 15. Dopo una prima forte contrazione il muscolo si rilascia fino ad un certo punto, poi sì arresta in contrattura e rimane inec- citabile durante 7 eccitamenti. A11’8° fa una piccola contra- zione; la 9°, la 10° e le 20 contrazioni successive vanno gra- datamente aumentando di altezza in modo da costituire una curva che rappresenta quasi un quadrante di cerchio e poi le contrazioni decrescono successivamente in altezza formando come una S allungata. Invece la base delle contrazioni descrive prima una curva colla concavità rivolta in alto e poi non decorre come una linea retta, ma forma una leggera concavità rivolta verso il basso. In questo tracciato si ripete in tutta la serie delle contra- zioni da A fino in B un fatto che si osserva molto distinto nella prima contrazione, cioè, a poca distanza dall’apice nella discesa succede un leggero arresto del muscolo e subito dopo continua il rilasciamento. La supposizione che questo sia un fenomeno dipendente dalla inerzia dell'apparecchio non può accettarsi, perchè vediamo ché 600 PIO MARFORÌ nel principio della curva l’altezza dove succede questo arresto rimane costante quantunque l’altezza delle contrazioni vada cre- scendo e poi, malgrado che la loro altezza diminuisca, la linea d’arresto si conserva press’a poco orizzontale. Non sappiamo da che cosa dipenda questo fenomeno, il quale è la ripetizione di quanto si osserva esagerato nella prima con- trazione. Il tracciato della fig. 5° rappresenta un analogo esperimento dove si verificano gli stessi fatti ora descritti. Nella curva in- feriore della contrattura esistono delle ondulazioni caratteristiche dovute ad un cambiamento di stato del muscolo. A questo fe- nomeno do il nome di oscillazioni successive della contrattura. In molti tracciati queste oscillazioni sono anche più evidenti. CAPITOLO II. A) Influenza della veratrina sull’altezza delle contrazioni, sulla eccitabilità e sulla fatica dei muscoli. x E generalmente ammesso che la veratrina aumenti la forza del muscolo. Dalle mie esperienze risulta il fatto contrario. Nei tracciati delle figure 1° e 2°, si osserva già una diminuzione del- l'altezza delle contrazioni dopo l'iniezione di veratrina a piccola dose. Ma questo fatto appare più evidente in altri tracciati. EsPERIENZA IV. La figura 6* l’ottenni dal gastrocnemio di una rana normale del peso di gr. 60 con l’eccitamento = 8 e la temperatura = 14°. La figura 7° appartiene al muscolo omonimo dell’altro arto dopo iniezione sottocutanea di gr. 0,0002 di veratrina, nelle stesse con- dizioni di eccitamento e di temperatura. Nel tracciato della fig. 7° è ben distinto il fenomeno delle oscillazioni successive nella curva della contrattura. Dopo un certo numero di eccitamenti l'altezza delle contrazioni aumenta e raggiunge quella delle contrazioni normali (fig. 6*). La contrat- tura diminuisce e scompare quasi completamente. Ma in seguito la base delle contrazioni si solleva nuovamente come si è visto in altre esperienze. INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 601 ESPERIENZA V. Rana temporaria di gr 60 — Eccitamento 8, col ritmo di 1° -—- Temperatura 14°. Alle ore 3.10 p. eccito il gastrocnemio con una lunga serie di eccitamenti come si osserva nel tracciato della fig. 8%. Dopo la prima contrazione che, come in altri casi, è più bassa delle successive, si ha una lunga serie di contrazioni la cui base si solleva dall’ascissa per avvicinarsele poi di nuovo in modo da descrivere una linea a lieve concavità in basso. In seguito la linea della base delle contrazioni si solleva e più fortemente di prima senza più ridiscendere e costituisce ciò che dicesi contrat- tura dei muscoli normali. La linea che passa per l'estremità su- periore di tutte le contrazioni non è una retta, ma in principio descrive una curva a concavità in alto, poi un’altra curva a con- cavità in basso a circa metà della quale si osservano due con- trazioni più brevi, e finalmente discende gradatamente formando una lieve curva a concavità superiore. Le contrazioni si fanno sempre più brevi, ma sì mantengono abbastanza regolari. Il tracciato della fig. 9° ottenuto dal gastrocnemio dell’altro arto della stessa rana dopo 20 minuti dall’iniezione di 0,00025 di veratrina, presenta alcune particolarità degne di nota. Al primo eccitamento si ha una breve contrazione dopo la quale il muscolo non sì rilascia completamente, ma a metà della sua discesa è sorpreso dal secondo eccitamento e s’inalza poco al disopra del punto raggiunto colla prima contrazione. Questa volta il rilascia- mento è anche minore e al terzo eccitamento il muscolo fa una contrazione pressochè uguale alla seconda. Poi non si rilascia af- fatto, cosicchè la terza contrazione si vede distinta dalla quarta da un tratto orizzontale. Dopo la 4° contrazione il muscolo de- scrive una curva non uniforme dove esiste una sola piccola con- trazione. Finalmente Ia serie delle contrazioni successive segue un decorso che non differisce molto da quello descritto per il mu- scolo normale. Parlando della influenza della fatica sui muscoli veratrinizzati ritornerò ad accennare a questo tracciato, ma in- tanto è da notare che subito dopo la prima contrazione si pre- senta molto spiccatamente il fenomeno della contrattura la quale giunge a sorpassare di molto in altezza la contrazione primaria senza però essere confusa con questa, come talvolta accade. 602 PIO ‘MARFORI Lauder Brunton e Cash videro pure essi nei muscoli vera- trinizzati ‘che la contrattura appare talvolta distinta dalla con- trazione primaria e talvolta no, e che la contrattura può oltre- passare in altezza la contrazione primaria. Non riporto per brevità i tracciati ottenuti dal gastrocnemio di grosse rane temporarie mantenuto durante ciascuna serie di eccitamenti in forte grado di tensione da un peso di 1000 a 1500 grammi. Nonostante questo forte peso si osserva ancora nel muscolo veratrinizzato la curva caratteristica. Le contrazioni sono sempre più brevi che nel muscolo normale. Alla diminuzione dell'altezza delle contrazioni nel muscolo veratrinizzato si accompagna pure la diminuzione della eccitabilità muscolare. Accenno solo questo fatto, il quale è del resto am- messo da tutti gli autori. Dirò pure brevemente della influenza che la fatica esercita sui muscoli veratrinizzati. Basta soltanto osservare i tracciati, già descritti, delle figure 8° e 9*, per convincersi che i segni della stanchezza si manifestano più rapidamente sotto l’azione della veratrina che nelle condizioni normali. Infatti le contrazioni si impiccoliscono più rapidamente e diventano più irregolari, e la contrattura è molto più forte. Io ho pure osservato ripetutamente che la veratrina iniettata sotto la cute delle rane, non è capace di togliere dal muscolo gli effetti della stanchezza allorchè sono comparsi, nè di rialzare l’altezza delle contrazioni impiccolite dalla fatica, come, entro certi limiti, succederebbe secondo Rossbach nei cani. B) Influenza della durata e della intensità degli eccitamenti. Si è già notato che continuando per um certo tempo a far contrarre mediante eccitamenti ripetuti il muscolo veratrinizzato, allorchè l’avvelenamento non è molto grave, la curva caratteri- stica scompare e il muscolo si comporta quasi come uno nor- male. Però se si cessa per un certo tempo di eccitare il muscolo e poi di nuovo si ripete l’eccitamento, torna a presentarsi la curva caratteristica. Adunque i ripetuti eccitamenti non distruggono, ma sospendono l’azione della veratrina sul muscolo. Se l’avvelenamento è molto intenso la contrattura si mantiene alta anche per mol- tissimi eccitamenti, e le contrazioni sono sempre molto più pic- cole delle corrispondenti normali. ‘INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 605 Maggiore in principio è l'intensità degli eccitamenti e più spic- cati appaiono gli effetti della veratrina. In un muscolo in cui l’azione della veratrina è scomparsa per prolungati eccitamenti può riapparire se si aumenta l’intensità degli stessi. Ma ciò sol- tanto entro certi limiti, cioè, se l'eccitamento primitivo non fu molto forte nè troppo prolungato. CAPITOLO III. Contrattura spontanea nei muscoli della rana simile a quella per la veratrina e diversa da quella per il freddo. ESPERIENZA VI. La figura 10° rappresenta il tracciato del muscolo gastrocnemio di una rana normale con contrattura spontanea simile a quella da veratrina. L’eccitamento è uguale a 6 col ritmo di 1°. La tem- peratura è di 10°. Ho osservato questo fenomeno nello scorso marzo due volte su circa 200 rane sacrificate per queste espe- rienze. Le rane che presentarono la contrattura spontanea erano rimaste durante tutto l’inverno nelle vasche del Laboratorio. Ranvier (1) aveva già notato che in certe circostanze i mu- scoli della rana entrano in tetano dopo un solo eccitamento. Il tracciato che egli riporta è simile a quello della figura 10?. Frey (2) ha trovato che basta tenere una rana per un tempo più o meno lungo ad una temperatura inferiore a 10°, perchè l’ec- citamento dei nervi con una corrente costante produca il tetano. Secondo le mie esperienze la contrattura che si ha per il raf- freddamento dei muscoli è affatto diversa da quella normale o per azione della veratrina, come dimostrerò nel seguente capitolo. Tiegel e Frey osservarono pure che talvolta la contrattura normale nei muscoli delle rane manca completamente. Io ho po- tuto constatare questo fatto specialmente nelle rane acquistate in primavera. Le rane in cui la contrattura normale manca del tutto, risentono molto meno l’azione della veratrina. Altre sostanze sono capaci di agire sui muscoli come la ve- ratrina. Mediante la digitalina potei ottenere tracciati simili a (1) RanvieR, Archives de physiologie, pag. 1, 1874. (2) FREY, Archiv f. Anat. u. Phys., psg 44, 1883. 604 PIO MARFORI quelli descritti per la veratrina. Analogamente agiscono l’upas anthiar, la sabadillina, la delfinina, l’emetina e l’aconitina (Be- zold, Wejland). Dalle esperienze riportate fin qui risulta che: 1° Il fenomeno normale della contrattura si esagera per effetto della veratrina. 2° Per piccole dosi (0,0001) di veratrina la contrattura aumenta gradatamente col ripetersi dei primi eccitamenti, ma i muscoli rispondono ancora ad ogni eccitamento. In seguito la curva di contrazione del muscolo non differisce da quella normale. 3° Per dosi maggiori (0,00015-0,0002) il muscolo en- tra rapidamente in contrattura e diventa ineccitabile per un certo tempo. Quindi l’ effetto della veratrina va lentamente scom- parendo. 4° Per dosi forti (0,00025 0,0003) l’effetto della vera- trina è più intenso e duraturo.La linea che passa per la base di tutte le contrazioni va lentamente avvicinandosi all’ascissa, Poi si produce una contrattura successiva per cui la base va sollevandosi come nel tracciato normale. 5° La veratrina diminuisce l’altezza delle contrazioni e la eccitabilità del muscolo. La stanchezza si presenta prima nei mu- scoli veratrinizzati che non nei muscoli normali. 6° La diminuzione in altezza delle contrazioni che si pro- duce nella fatica non è un fenomeno che stia in stretto rapporto colla contrattura normale 7° Il ripetersi di un certo numero di eccitamenti fa scom- parire temporaneamente l’azione della veratrina sulla curva di contrazione del muscolo. Col riposo si ripresentano gli effetti della veratrina. 8° In certe circostanze i muscoli delle rane presentano spon- tancamente la curva di contrazione uguale a quella dei muscoli veratrinizzati. 9° Altre sostanze hanno la stessa proprietà della veratrina sui muscoli. 10° La contrattura da veratrina e quella che si presenta talvolta nel muscolo normale, non sono uguali alla contrattura da freddo. INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA, ECC. 605 CAPITOLO IV. Influenza del caldo e del freddo sui muscoli normali e veratrinizzati. Intorno a questo argomento pochi anni or sono hanno pub - blicato un importante lavoro Lauder Brunton e Cash (1). Io ho nuovamente studiata l'influenza del caldo e del freddo sui mu- scoli sani e veratrinizzati usando un metodo sperimentale diverso. Per eccitare il muscolo mi sono servito dell’apparecchio che ho già succintamente descritto nel primo capitolo, cioè, di una serie di eccitamenti uniformi di una corrente indotta di apertura. La rana veniva riscaldata o raffreddata alla temperatura voluta mediante immersione in una soluzione fisiologica di cloruro di sodio ad alta o a bassa temperatura. Il liquido, posto in mo- vimento da un motore ad elica, attraversava ora un serpentino circondato da acqua calda, ora un altro serpentino circondato di ghiaccio. Dopo pochi minuti di rapida circolazione, la solu- zione di cloruro di sodio assumeva la temperatura con cui si voleva sperimentare. L’immersione si eseguiva mediante una cas- settina di zinco che poteva mettersi in comunicazione con l’uno o con l’altro serpentino, e disposta in modo che, innalzandola, la rana vi rimanesse immersa senza subire alcun spostamento. Era soltanto necessario staccare durante l’immersione il filo che univa il muscolo alla leva del miografo; cosa che si faceva rapidamente. In generale la rana era tenuta nel bagno per 10 minuti, poi si abbassava la cassettina, si univa il muscolo alla leva del miografo, e si faceva l’eccitamento. Durante l’eccitamento si poteva esser certi che la temperatura del muscolo assunta nel bagno non era che di poco modificata. A) Azione della temperatura sui muscoli sani. ESPERIENZA VII. La figura 11° rappresenta il tracciato di un muscolo normale alla temperatura ambiente di 13° coll’eccitamento uguale a 6 (1) Lauder Brunton, Theodore Casa, Influence of hot and cold upon muscles poisoned by Veratria (The Journal of Physiology, Foster, vol. IV, pag. 1, 1883). 606 PIO MARFORI e il ritmo di 1°. Si vede in questo tracciato la contrattura che esiste quasi sempre in condizioni fisiologiche. Il tracciato della fig. 12° si è ottenuto dallo stesso mu- scolo dopo raffreddamento a 7°C. per 10 minuti. Dopo la prima contrazione si manifesta una contrattura la quale aumenta colle successive contrazioni e queste diventano molto piccole. Se lo stesso muscolo viene portato di nuovo alla tempera- tura di 13°C. presenta un tracciato simile a quello della fi- sura 11 che per brevità tralascio. La figura 13° rappresenta il tracciato di questo stesso mu- scolo dopo essere stato riscaldato per 10 minuti a 22°C. ed eccitato nelle stesse condizioni. Qui è molto aumentata l’altezza delle contrazioni e non esiste più contrattura; vi è anzi un certo grado di rilasciamento muscolare. Vediamo adunque che il freddo produce una forte contrattura, e diminuisce l'altezza delle con- trazioni. Il caldo invece fa scomparire la contrattura, aumenta l’altezza delle contrazioni e produce rilasciamento del muscolo. A temperature più alte (36°C.) e più basse (5°C.) gli effetti descritti sono anche più evidenti, e se si ritorna alla temperatura ambiente il muscolo funziona ancora regolarmente. Oltre un certo limite però, tanto per il caldo come per il freddo, la fun- zionalità del muscolo viene distrutta. Nel precedente capitolo ho fatto notare come la contrattura che si osserva eccezionalmente nei muscoli di rana e la con- trattura prodotta dalla veratrina sieno diverse da quella per il freddo. Questa differenza consiste in ciò che: 1° La contrattura per il freddo è lieve in principio, au- menta col numero degli eccitamenti e non scompare nè dimi- nuisce col lungo ripetersi degli stessi. Le altre due forme di contrattura al contrario sono forti in principio, poi diminuiscono e scompaiono ; 2° Durante la contrattura per il freddo le contrazioni di- minuiscono uniformemente di altezza dalla prima delle ultime. Durante la contrattura per veratrina o nella contrattura nor- male succede il fenomeno inverso ; 3° In queste ultime forme di contrattura vi è in prin- cipio un periodo in cui il muscolo è ineccitabile; invece in quella per il freddo il muscolo risponde sempre agli eccitamenti finchè. non sia esaurito dalla stanchezza. INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA, ECC. 607 B) Azione del caldo e del freddo sui muscoli veratrinizzati. Lauder Brunton e Cash hanno trovato che il caldo aumenta l’azione della veratrina e il freddo la diminuisce; che gli estremi del caldo e del freddo distruggono permanentemente gli effetti della veratrina. Molte altre sostanze agiscono analogamente alla veratrina in riguardo alle diverse temperature (1). EsPERIENZA VIII. In una rana temporaria di 55 gr. ho iniettato 0.0002 di veratrina sotto la cute e dopo 20 minuti ho ottenuto un trac- ciato che presentava tutte le caratteristiche dell’azione della veratrina. Ho immersa la rana per 10 minuti nel bagno alla temperatura di 5°, 5 C. e quindi collo stesso eccitamento usato prima (Eccit. = 6) ottenni il tracciato della figura 14° In questo tracciato non si riscontrano più gli effetti della veratrina e possiamo considerarlo identico a quelli ottenuti dai muscoli normali alla stessa temperatura. EsPERIENZA |X. L'alta temperatura favorisce l’azione della veratrina. Le ft- gure 15°, 16* e 17° rappresentano i tracciati di uno stesso mu- scolo dopo l'iniezione sottocutanea di 0,00015 di veratrina con l’eccitamento uguale a 5. Il tracciato della figura 15° si ottenne alla temperatura di 153°, 5 (temp. del, bagno). Dopo 10 minuti di raffreddamento a 6° C. si ebbe il tracciato della fig. 16°, dove non sì osserva più la forma caratteristica della contrattura da veratrina. La' figura 17° rappresenta il tracciato dello stesso mu- scolo dopo 10 minuti di riscaldamento a 25° C. ed è caratteristico per la veratina. Talvolta ho osservato che il gastrocnemio di una rana avve- lenata con veratrina e lasciata a sè per alcune ore (12-24), finchè sieno scomparsi i segni generali dell’ avvelenamento, non presenta la curva caratteristica alla temperatura ambiente, ma compaiono gli effetti veratrinici se si innalza la temperatura. (1) LucHsinGER, Thermisch towicologische Untersuchungen Physiologische studien von D, P. GrbTzwER v. D. LucasinaRR, 1882. 608 PIO MARFORI Il freddo e il caldo molto intensi agiscono come nei muscoli normali, cioè ne spengono la eccitabilità. I risultati delle mie esperienze sulla influenza della tempe- ratura sui muscoli veratrinizzati, concordano adunque con quelli di Lauder Brunton e Cash, CAPITOLO V. Azione della veratrina sui muscoli lisci delle rane. Ho scelto per queste esperienze la vescica orinaria, la quale veniva estirpata da rane normali e veratrinizzate dello stesso peso e tenute in identiche condizioni. Si faceva l’eccitamento con una corrente indotta della slitta di Du Bois Reymond, e la grafica era scritta per mezzo di una leva sollevata dalla vescica disposta in senso verticale. La durata dell’eccitamento era di 3" a 5°, e si cominciava con eccitamenti minimi. I muscoli lisci per la lentezza delle loro contrazioni sì pre- stano poco allo studio della veratrina. Ho tuttavia potuto osser- vare che la eccitabilità ne è diminuita e che l’altezza e la du- rata della contrazione appaiono molto aumentate. La contrazione raggiunge il suo massimo d’altezza con un certo ritardo, perchè la leva seguita ad innalzarsi per un certo tempo dopo finito l’eccita- mento. Poi il muscolo discende assai lentamente all’ascissa. Questa curva adunque è simile a quella che viene generalmente descritta anche per i muscoli striati e che ho potuto ottenere dal gastrocne- mio collo stesso metodo di eccitamento (eccitamento tetanizzante). Per quanto si è detto intorno ai muscoli striati questo au- mento nell’altezza della curva di contrazione dei muscoli lisci deve considerarsi, a mio avviso, come un fatto di contrattura e non può essere attribuito ad aumento della forza delle contrazioni (1). (1) | Yriloni sono assai sensibili all’ azione della veratrina, e presentano dei movimenti che richiamano alla mente molto bene quelli delle rane vera- trinizzate. Meno sensibili invece all’azione sui muscoli sono le tinche e le anguille, in cui però la veratrina riesce mortale anche in dosi piccole relativamente a quelle tollerate dalle rane, senza che si manifesti una speciale rigidità nei movimenti. Nell’anguilla e nella tinca ho notato in un primo periodo dell’ avvelenamento un acceleramento dei movimenti respiratorii. Dopo un tempo variabile a seconda della dose si ha paralisi generale, INFLULNZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 609 CAPITOLO VI. Azione della veratrina sui muscoli dei cani. Il metodo usato è lo stesso che nelle precedenti ricerche nelle rane. Però al miografo di Marey era sostituito l’ergografo di Mosso (1). L'animale cui veniva fatta la tracheotomia e ta- gliato il midollo lombare, era solidamente fissato all’apparecchio di contenzione. Veniva isolato lo sciatico e vi si applicavano gli elettrodi della corrente indotta di apertura. Il tendine di Achille staccato in basso dalle sue inserzioni era unito con un grosso filo all’ergografo. ESPERIENZA X. Cane di Kgr. 15. Peso attaccato all’ergografo gr. 500, Ec- citamento uguale a 7 col ritmo di 1". La fig. 18° rappresenta il tracciato normale del muscolo ga- strocnemio prima della iniezione della veratrina. Si osserva in principio una lieve contrattura. Si inietta quindi sotto la cute del cane 0,015 di veratrina (soluzione tartarica) e dopo 10 minuti si ottiene il tracciato della fig. 19* nel quale non si vede alcuna di quelle modificazioni nella curva di contrazione che sono state descritte per le rane. Si fa una seconda iniezione sottocutanea di 0,01 di vera- trina e dopo 15 minuti si ottiene il tracciato della fig. 20°, nel quale, come nel tracciato normale, si nota che la prima con- trazione è più bassa delle successive. La contrattura non è quasi affatto modificata. Le contrazioni dapprima sono più basse di quelle ottenute in condizioni normali, poi vanno aumentando col numero degli eccitamenti e raggiungono infine l’altezza delle con- trazioni normali. Questo fatto potrebbe essere attribuito all’azione della veratrina e sarebbe in analogia con ciò che avviene nelle rane. Tuttavia è da ricordare che un aumento sull’altezza delle contrazioni col progredire degli eccitamenti, è stato osservato nei muscoli dei cani anche in condizioni fisiologiche. (1) Mosso A., Le leggi della fatica studiate nei muscoli dell’uomo (R. Acc. dei Lincei, serie 4, vol. V, 1888). Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. \XV 44 610 PIO MARFORI ESPERIENZA XI. Cane di Kgr. 18. Peso attaccato all’ergografo gr. 200. Ec- citamento ad ogni secondo. I tracciati delle fig, 21° e 22° sono stati ottenuti dal muscolo gastrocnemio prima -di somministrare la veratrina. Nel primo tracciato l’eccitamento è uguale a 6,5; nel secondo è uguale 5. Si inietta nella giugulare del cane 0,003 di veratrina e appena finita l’iniezione si ottiene il tracciato della fig. 24°, con l’eccita- mento uguale a 6,5, in cui nulla è cambiato dal tracciato nornfale se si eccettua una certa diminuzione dell’altezza delle contrazioni. Il tracciato della fig. 24* è preso dopo tre minuti dalla stessa iniezione di veratrina con l’eccitamento di 5. L'altezza delle con- trazioni è un po’ maggiore che nel tracciato precedente, ma in- feriore che nel tracciato normale. Dopo dieci minuti si inietta nella giugulare un’altra dose di veratrina uguale alla prima (0,003). Il tracciato della fig. 25° è preso 1 minuto dopo l’iniezione, con l’eccitamento di 5. Vi si osserva una maggiore diminuzione nell’altezza delle contrazioni e una lieve contrattura che si presenta dopo la prima contrazione e si ripete nelle quattro successive. Evidentemente questo non è che un lieve accenno alla curva caratteristica descritta per i muscoli delle rane. Una terza iniezione di 0,006 nella giugulare non ha pro- dotti altri cambiamenti notevoli nella curva delle contrazioni, ma l’animale è morto dopo alcuni minuti. Sui muscoli dei cani la veratrina non ha adunque quella notevole influenza che esercita sui muscoli delle rane. Tuttavia si osserva sempre, anche per le piccole dosi e non tossiche, la di- minuzione dell’altezza delle contrazioni e talvolta una leggera contrattura. Non ho eseguite esperienze in altri animali a sangue caldo non parendomi necessario dopo i risultati ottenuti nei cani, i quali confermano ciò che si era visto nelle rane intorno all’azione della veratrina. Nei conigli Rossbach e Clostermeyer (1) avrebbero osservato (4) RossBacH, Muskelversuche an Warmblitermuskels durch Curare, Gua- nidin, Veratrin (Pflùger’s Archiv, vol. 13, pag. 607, 1876). INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 611 aumento dell’altezza delle contrazioni e la curva caratteristica dopo iniezione di 0,01 di veratrina nella giugulare. Tuttavia questo aumento sarebbe di breve durata e dopo pochi ecci- tamenti si manifesterebbero i segni della stanchezza. Per dosi di 0,02 si ha, secondo i suddetti autori, rapida diminuzione nell’altezza delle contrazioni senza che si presenti la curva ca- ratteristica. L'aumento, quantunque di breve durata, nell’altezza delle contrazioni, osservato da Rossbach nei conigli, non è in accordo colle mie esperienze nelle rane e nei cani. Ciò che fino ad ora ho esposto dimostra che l’azione della veratrina è caratteristica principalmente per 1 muscoli delle rane. Il fatto più importante di questa azione è la contrattura, ma anche la eccitabilità muscolare è diminuita e può mancare com- pletamente per alcuni eccitamenti. Le contrazioni sono più piccole e i segni della stanchezza compaiono più rapidamente che nei muscoli normali. Tutto ciò indica che la veratrina non favorisce, come è ge- neralmente ammesso, la funzione fisiologica della contrazione, ma è al contrario un potente veleno dei muscoli, perchè ne disturba o sopprime le proprietà fisiologiche e vi richiama fenomeni di natura morbosa. Gli effetti della veratrina sui muscoli però scompaiono o di- minuiscono dopo un certo numero di contrazioni. Eccezionalmente in alcune rane normali può presentarsi una contrattura del tutto simile a quella della veratrina. Questa con- trattura fu descritta da Ranvier e non è che l’esagerazione della contrattura che si trova quasi costantememente nelle rane in condizioni fisiologiche e che recentemente fu dimostrata da Mosso anche nei muscoli dell’uomo. Altre sostanze sono capaci di portare una contrattura simile a quella da veratrina. La contrattura da veratrina non può attribuirsi ad un au- mento della eccitabilità del muscolo che è invece diminuita. Nemmeno pare ammissibile si tratti di una speciale forma di stanchezza del muscolo perchè col ripetersi degli eccitamenti 612 PIO MARFORI la contrattura diminuisce e scompare, mentre aumenta l'altezza delle contrazioni. Le mie esperienze non permettono di trarre alcuna conclusione sull’intimo modo di agire della veratrina sui muscoli. È tuttavia da tenersi conto dell'identità della contrattura per la veratrina con quella che in speciali condizioni si osserva nelle rane nor- mali. Questo fatto dimostra che nell'organismo delle rané pos- sono trovarsi talvolta tali condizioni per le quali i muscoli con- traendosi subiscono le stesse modificazioni che per l’azione della veratrina. i Eseguii questo lavoro per consiglio del sig. prof. A. Mosso, al quale sento il dovere di esprimere la mia più viva gratitudine. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. | | laici int. Pe Vas l'a RE I e nd TETI NODI I I n O O e, e È | ig di; | pt AM mr _ ni “" vin — | Di buo II È Neg “dame 1 v "=== == ==“ === === | n EE= . pai N = === È 4 III {NIETO Siti Ì I (il KE HINIUTARI EFEEIMIAONIETe VII I (FIAATUNT ii I Mj | N I | | ij | | it il == | i T la ll dai Pa Ù tia i Ni Li Ù i _ | = | == Mb no to Min Lutti Saia 618 INDICE DEL VOLUME XXV MEER CTASSI UDITO: ritiri bce - 101 vPago@149, 207 Apunanze della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali . » 1, 59, 97, 143, 153, 209, 217, 251, 265, 341, 369, 275, 431, 459, 561. CONFERIMENTO del VI premio BRESSA ...... ..............0.. 0 » (207 AscHIERI (Tommaso — Effemeridi del Sole e della Luna per l’oriz- zonte di Torino e per l’anno 1890. ... ................ sea di Basso (Giuseppe) — Commemorazione di Gilberto GovI...... cet para ei —— Commemorazione di Giacomo PRESCOTT JOULE ........ vate D - IO BELTRAMI (Eugenio) — Eletto Socio nazionale non residente ....... DI Bizzozero (Giulio) — Nuove ricerche sulla struttura del midollo delle CISTI VA] RR SE RA . » 106 BuscaLIONI, vedi MATTIROLO. CameRANO (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Prof, F. Sacco, intitolata « / Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria; Parte VII, Harpidae e Cassididae ................ » 248 CasteLNUOvo (Guido) — Sulle superficie algebriche le cui sezioni sero cure di: genere ‘30,310. VILNRON tr ib ft » 465 Cattaneo (Carlo) — Sulla dilatazione termica di alcune amalgame allo'stato"ifquido” 2007 SQ, CUDIAA SR rtl 00M .. » 342 CayLEY (Arturo) — Eletto Socio Straniero .............. Sine Rai RE CHaveau (Augusto) — Eletto Corrispondente ........ AGERIE bio e GR 614 INDICE DEL VOL. XXV Cossa (Alfonso) — Comunicazione preventiva « Sui composti del pla- ZE ST OI IRR II AI Pag. 341 CREMONA (Luigi) — Eletto Socio nazionale non residente ..... RE FaBRI (Cornelia) — Sopra alcune proprietà generali delle funzioni che dipendono da altre funzioni e da linee..................... » 432 FERRARIS (Galileo) — Relazione intorno alla Memoria « Sulla teoria della trave continua » dell’ Ing. Prof. C. GUIDI. ............ » 338 --— Relazione intorno alla Memoria del Prof. Scipione Cappa « Sui gelli ascendenti di A Senta nie SO » 564 FERRIA (G. G.) — Sulla stabilità delle volte caricate colla regola di Schafedler.i: cu Ri Rata edo TRE E » 360 FostER (Michele) — Eletto Corrispondente ................... 2 siva A E FUSARI (R.) e Panascì (A.) — Sulle terminazioni nervose nella mucosa e nelle ghiandole sierose della lingua dei mammiferi ....... » 573 GaRzino (L.) — Ricerche sul Clorobibromo e Bromobiclorofenolo e sulla loro trasformazione in chinoni ........ I. »v 154 -—— Ricerche sul Metabicloro e sul Metabibromofenolo .......... » 167 GERBALDI (Francesco) — Sui combinanti di tre forme ternarie qua- | dratiche ..... E AI GI RA » 1258/08 Giacosa (Piero) — Studi suila produzione dell’acido urico negli or- BAMISOAN: a IA e AI » 496 GiGLIO-Tos (E.) — Nuove specie di Ditteri del Museo zoologico di Torino ® 0. 006 è 60 » 0 0. © 0 e 0 0 00 «e ® s 000060000600 00 000 » 317 GRraNDIS (V.) — Sulle modificazioni degli epitelii ghiandolari durante fa ‘sberezione 10101 I NICALELI TI RA SO 0. » 4535 HEIDENKHAIN (Rodolfo) eletto Corrispondente ...... dp... » 59 JADANZA (Nicodemo) -- Sul modo di adoperare gli elementi geodetici dell'Istituto geografico militare italiano ............. .. » 60, 274 -— Influenza degli errori strumentali del teodolite sulla misura delle distanze zenitali .......... ERI OTTO ». 98% MARFORI (Pio) — Intoruo all’azione della veratrina cristallizzata sui muscoli Ricerche"). ipa A »o 596. MARTINETTI (Maltia) — Sul calore specifico dell’acqua al disotto di 0°. Ricerche sperimentali 4.0.0; ./00.0, (dor LORO » 565 INDICE DEL VOL. XXV MatTIROLO (Oreste) e BuscaLioni (Luigi) — Sulla funzione della linea lucida nelle cellule malpighiane ......................»-. Pag. Mingazzini (Giovanni) — Intorno al decorso ed ai rapporti del Pedun- culus cerebelli medius e del Corpus restiforme ............. sia MONTEMARTINI (Clemente) — Composizione chimica e mineralogica di una roccia serpentinosa di Borzanasca (Riviera Ligure) ,. > Naccari (Andrea) — Relazione sul VI premio Bressa .............. — Sulla dispersione della elettricità per effetto del fosforo e delle scintille elettriche ...... PIA RARCI DINO tane Li Sa ia —— Relazione intorno alla Memoria BatTELLI « Sulle proprietà ter- miche dei vapori », Parte Il ........-...........0.. sata NEGRO (Camillo — La terminazione nervosa motrice nei muscoli striati ; Nota prima (Nuovo metodo di colorazione) .......... TO. OMODEI, vedi VICENTINI. Ovazza (Elia — Sulle superficie d’inflnenza per le reazioni d’ osta- colo e molecolari nei sistemi staticamente determinati ...... -— Il poligono funicolare in cinematica ........ SE Oto » PAGLIANI (S.) — Sull’origine della forza elettromotrice nelle coppie Nipneleitrighe ................ . Panascì, vedi FUSARI. PiERI (Mario) — Sulla corrispondenza algebrica fra due spazi rigati » ProLTI (Giuseppe) — I minerali del gneiss di Borgone (Val di Susa) » PizzETTI (P.) — Sopra il calcolo della refrazione terrestre ........ Porro (Francesco) — Sulla differenza di longitudine fra gli Osserva- torii astronomici di Milano e di Torino . -—- Sulle determinazioni di latitudine eseguite negli anni 1888, 1889, 1890 all’ Osservatorio di Torino —— Sulla stella variabile U Orionis ( Chandler 2100) ) Sacco (Federico) — Sopra una mandibola di Ba/aenoptera dell’Astigiana » SALVIOLI (1.) —- Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle glandole gastriche ..... 0000000 000 SEGRE (Corrado) — Relazione intorno alla Memoria di Gino Loria intitolata: « Periodo aureo della Geometria greca » —— Ba-nuovo campo di ricerche geometriche . oe” RT IN KIEL) SELLA (Alfonso) — Sulle leggi di geminazione del dicromato potassico » SPEZIA (G.) — Commemorazione del Socio Prof. Luigi BELLARDI .... » < 615 210 370 145 29 322 144 376 103 461 616 INDICE DEL VOL. XXV Vactre (Guido) — Sulle equazioni differenziali alle quali soddisfanno il modulo ed il moltiplicatore nella trasformazione delle fun- zioni ellittiche li ia ia Pag. VICENTINI (G.) e OmopEI (D) — Sulla resistenza elettrica di alcuni matalli facilmente: fusibili. oc ia E » VircHow (Rodolfo) — Eletto Socio Straniero .............-/ 00...» » VirGiLio (Francesco) — Il permo-carbonifero di Valle Stretta (alta Valle "della: Dora ‘fuparias: sat tr Loro 700 dale SORIA » WaLDEYER (Guglielmo) — Eletto Corrispondente .................. CRE Torino, Stamperia keale della Ditta G. B. Paravia e €, E, n LL n 0! ADUNANZA det: e Giugno 1890. Nacossi — Relazione a alla Momà « Sulle proprietà. dr. miche dei vapori. », del Dott. ‘Angelo BATTELLI oi agi È ARL I FERRARIS — Relazione sulla Memoria. c Sui getti ascendenti » »; pre sentata dell'Tngegnere Scipione Cappa. 2g ° e Di ka MartiNETTI _ Sul calore ig dico, al ‘distto a ad NB. È pere foi va dina: la Tavola tiva alla Memoria del Sea Dal: Rec o nella Dispensa 12%. ca d Po . do x la C. È ’ na ‘ MILLI 5185 00297 484