MUSO 1) 3 v SEPE API, PERC Mr n a st pino it it FA4LI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DE TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, Disp. 1°, 1889-90 ——__———_— Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. I TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 17 Novembre 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, SALVADORI, Bruno, BERRUTI, Basso, D’Ovipio, BizzozERo, FERRARIS, NACCARI, Mosso, GIBELLI, GIAGOMINI, CAMERANO, SEGRE. Vien letto l’atto verbale dell'adunanza del 23 giugno scorso, che è approvato. Il Presidente apre la prima seduta dell’anno accademico cor- , rente col porgere il benvenuto ai Soci, e, ricordando con parole ° di vivo rimpianto la perdita recente del Socio Prof. Luigi BEL- LARDI, commette al Socio SPEZIA l’incarico di leggerne la com- memorazione in una prossima adunanza. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia ven- - gono segnalate le seguenti : « Lavori dell’Istituto di anatomia patologica di Torino, 3 pubblicati dal Prof. Dott. Pio Foà (Jena, editore Gustavo FiscHER, = 1889); presentati dal Socio BizzozEro. Alcune monografie « Sui fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni », del Corrispondente Prof. A. RIGHI, presentate dal ° Socio Basso. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine che ì segue : > 1° « Commemorazione del Prof. Gilberto Govi, Socio S> nazionale non residente dell’Accademia » ; del Socio Basso; I 2° « Sulla resistenza elettrica di alcuni metalli fusi- b. bili »; Nota di G. VICENTINI e D. OMODEI, presentata dal Socio 5 NACCARI ; ij ast Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 1 o, 4 CAMILLO NEGRO strare nella terminazione nervosa dei dettagli di struttura deli- catissimi, e per questo mezzo egli ha con prove irrefragabili reso giustizia di propria mano alla scoperta da lui fatta ora è quasi un quarto di secolo, e ritenuta per lungo tempo da molti come una strana illusione ottica. Chi volesse peraltro confermare con ricerche proprie tutti i dettagli che W. KiiHNnE comunicò nella sua ultima opera do- vrebbe poter disporre di un materiale abbondantissimo di pre- parati, perchè la colorazione coi sali di oro non ha il vantaggio di mettere in evidenza in poche preparazioni tutti gli elementi che costituiscono la terminazione nervosa motrice. Infatti nei sin- goli preparati si trova di preferenza ben delineato ora l'uno ora l’altro elemento, e rarissimamente si è tanto fortunati di avere sotto gli occhi un oggetto, col quale si possa riprodurre il pa- radigma della terminazione nervosa in tutte le sue parti costi- tutive e in tutti i suoi dettagli di struttura. Per questa ragione, ogni volta che si desidera mettere in rilievo piuttosto l’uno che l’altro elemento della. terminazione, è necessario modificare alquanto il metodo di colorazione coll’oro, precisamente come ha fatto W. Kiihne, il quale ne ha impiegato cinque modificazioni diverse (8). Così gli sforzi degli istologi furono diretti sino ad oggi a introdurre delle variazioni nella tecnica del metodo antico di ConnHEIM, collo scopo di ottenere delle imagini di terminazione nervosa le quali si avvicinino il più possibilmente a quelle de- scritte da KinnE sui muscoli freschi. Fino al presente la congruenza delle due imagini è tuttavia un desideratum. Se infatti paragoniamo le figure ottenute per mezzo del trattamento dei muscoli coi sali di oro, con quelle fresche di KiHNE siamo tosto colpiti dalla sottigliezza della ter- minazione ipolemmale del cilindro dell’asse in quelle, tantochè si ha l'impressione d’avere davanti agli occhi poco più che lo scheletro d’una terminazione nervosa. Per dippiù il cilindro del- l’asse ipolemmale si presenta molto frequentemente discontinuo, raggrinzato e deformato. Queste alterazioni morfologiche dipen- dono dall’incompleta riduzione del sale di oro e dall’azione parti- colare degli acidi impiegati prima o dopo la riduzione di esso sale. I muscoli trattati con acidi si rigonfiano, mentre la termi- nazione nervosa si raggrinza e si deforma. Il medesimo fatto si osserva pure nei nuclei muscolari, i quali dopo l’azione ad es. TERMINAZIONE NERVOSA MOTRICE 5 dell'acido acetico si coartano, nel medesimo tempo che il pro- toplasma ricco di sostanze albuminoidi subisce un rigonfiamento. Allo scopo di impedire la deformazione della terminazione nervosa, A. Ewarp ha suggerito di abbandonare l’acidificazione avanti il trattamento coll’oro, e di fissare le fibre muscolari fresche coll’acido osmico o col cloruro di palladio. Con queste modificazioni si possono ottenere delle buone preparazioni, ma in vista della difficoltà del successo, e della poca speditezza del - l'operazione, il processo di A. EwALD non ottenne l'aggradimento generale degli istologi. In ricerche che io istituii nel laboratorio fisiologico di Hei- delberg sulla terminazione dei nervi motori nei muscoli striati, ebbi l’idea di tentare dei processi fondati non più sulla ridu- zione di sali metallici, ma sulla imbibizione con sostanze coloranti. Per ottenere lo scopo era necessario combinare con un colore adatto una sostanza, dalla quale venisse fissata la terminazione nervosa. Ogni volta che in istologia si vuol praticare la colorazione di tessuti, si fa ordinariamente ricorso a delle operazioni pre- liminari, si induriscono cioè e si fissano preventivamente i tessuti con diversi reattivi. Ora queste manipolazioni modificano sempre più o meno la forma, il volume e la struttura dei tessuti stessi, epperciò nella maggior parte dei casi si ottengono non più degli oggetti normali, sibbene degli artefatti. Ma col mio processo di colorazione la fissazione dell'oggetto ha luogo contemporaneamente alla colorazione; e se si compa- rano le figure da me ottenute con quelle fresche di W. KiHnE vi si trova una rassomiglianza ed una congruenza, che sino ad oggi non era stata ottenuta con altri metodi. Il liquido di colorazione che io scelsi dopo una lunga serie di tentativi ha la seguente costituzione: Allume ammoniacale - soluzione concentrata Tau.ee Ematossilina di Gribler (Lipsia) - soluz. alcool. concentr. 4 c.c. Si espone all’aria in vaso aperto per otto giorni la miscela. Vi si aggiunge dopo : Glicerina purissima Alcool metilico pena 6 CAMILLO NEGRO Questo liquido colorante è più efficace se rimane esposto al- l’aria, e quanto più è vecchio. I migliori risultati si ottengono sulle terminazioni nervose motrici dei rettili, tantochè posso dire che difficilmente una pre- parazione va sbagliata. Io studiai con questo processo tutte le classi di animali vertebrati, ma in questa mia prima Nota, de- stinata essenzialmente a far conoscere la tecnica di preparazione, mi limito a dire qualche parola sui rettili. Adattissimi sopra tutti sono gli ofidi (es. il Coluber wviridi- flavus, il Tropidonotus natrix) essenzialmente per ciò che in essi si trovano dei muscoli sottilissimi, corti e di facile isolamento, i quali si prestano alla colorazione in foto. 11 metodo di pre- parazione è il seguente: Amputata la testa all’animale, si pratica colla forbice sulla pelle del corpo un taglio, che decorra per alcuni centimetri di lunghezza longitudinalmente sulla linea me- diana dorsale, si rovesciano poi in basso i due lembi cutanei così ottenuti finchè appaia sotto gli occhi una serie di esili mu- scoletti, a decorso simmetrico nelle due parti laterali del corpo, i quali si inseriscono per una estremità in vicinanza della linea apofisaria della colonna vertebrale e per l’altra estremità alla cute. Tagliatene le inserzioni si porta il muscolo sopra un vetrino portoggetti, lo si distende e dilacera senz'altro diligentemente. Sulla preparazione dilacerata si lasciano cadere poche goccie della soluzione di ematossilina, in modo che questa la copra comple- tamente ; dopo 15'-20' si lava accuratamente con acqua semplice il preparato senza staccarlo dal portoggetti, lo si ricopre quindi con qualche goccia di una miscela in parti uguali di glicerina e acqua e lo si chiude col vetrino coprioggetti. Paraffinando i margini del coprioggetti, il preparato si può conservare un tempo assai lungo per lo studio. Ho nella mia collezione dei preparati fatti da oltre due anni, i quali sono ancora servibili, quantunque leggermente impalliditi. I preparati si possono anche ottenere in altri modi. Si se- parano, ad esempio, dalle loro inserzioni i muscoli e si immer- gono poi senz'altro nella soluzione di ematossilina raccolta in una piccola capsula, dove si possono lasciare da 24 a 48 ore; tolti dalla soluzione si lavano con acqua, e quindi si trasportano in un vasettino contenente la miscela di glicerina e acqua. In questa ultima miscela si possono lasciare i muscoli indefinitamente, e toglierneli mano mano che si vogliono fare dei preparati. In TERMINAZIONE NERVOSA MOTRICE 7 questo caso si dilacera il muscolo colorato, e imbevuto di gli- cerina e acqua, sopra il vetrino portoggetti e lo si ricopre poi nel modo solito col coprioggetti. Debbo osservare, che per il soggiorno troppo prolungato nella soluzione di ematossilina, i muscoli si colorano troppo intensa- mente e allora non essendo essi più trasparenti, male si prestano allo studio. In questa circostanza, prima di dilacerare sul por- toggetti il preparato io lo faccio passare per 10"-12" in una miscela acida così composta: Glicerina pura — parti 40 Acido cloridrico del commercio — parti 1 Acqua distillata — parti 20. Questa miscela scolora rapidamente i muscoli estraendo l’ec- cesso di ematossilina. Bisogna misurare esattamente la durata dell’immersione dei muscoli nella medesima (eil criterio per tale misura si acquista naturalmente con un po’ di pratica), inquan- tochè l’azione troppo prolungata dell’acido modifica la struttura e scolora anche la terminazione nervosa. Per chi volesse fare delle dimostrazioni in iscuola raccomando la seguente variante. Messi allo scoperto i muscoli, si versa fra il lembo di pelle fissato con spilli ad una tavoletta di sughero, e il corpo dell’animale, la soluzione di ematossilina in modo, che questa ricopra per bene la serie dei muscoletti tesi fra il dorso e la pelle. Dopo 15'-20' la colorazione delle terminazioni nervose è avvenuta; si lava con acqua semplice, si libera dalle sue inserzioni uno dei muscoletti, che dopo dilacerazione sul co- prioggetti si monta nella maniera sopraindicata. Con questi processi io ottenni una copiosissima serie di pre- parati, dei quali, a titolo di dimostrazione preliminare non ri- produco che una figura nella presente mia Nota. Per gli altri vertebrati, che io presi in esame, ricavai pure eccellenti risultati. Non intendo qui addentrarmi nella descrizione minuta della terminazione nervosa motrice, perchè essa sarà oggetto di una mia successiva comunicazione ; io ne esaminerò quindi brevemente soltanto un tipo, quello cioè che si osserva ordinariamente negli ofidî e nei sauri più comuni (7ropidonotus e Lacerta). Come è noto dagli studi di W. KiHnE, nel campo di in- nervazione della fibra muscolare della massima parte dei verte- brati si distinguono i seguenti elementi : 8 CAMILLO NEGRO 1) il ftelolemma co’suoi nuclei piccoli e poco rifrangenti. 2) la terminazione ipolemmale del cilindro dell’asse. 3) la suola, costituita dalla granulosa e da grossi nuclei molto trasparenti. Nei rettili l’esistenza di questi tre elementi fu dimostrata da KiHNE anzitutto in preparati fatti colle fibre muscolari fresche, e successivamente in preparati ottenuti per riduzione di sali d’oro. Le figure ricavate col metodo dell’oro per lo più dimostrano soltanto la terminazione ipolemmale del cilindro assile, ma rara- mente lasciano scorgere traccie della granulosa e de’ suoi nuclei. Per tale ragione l’esistenza di quest’ultima è stata talora messa in dubbio, e si è detto che essa era un artefatto, e che dipen- deva da una accidentale deposizione del sale d’oro in vicinanza della terminazione ipolemmale assile. Dando uno sguardo alle figure pubblicate da diversi autori fino a questi ultimi tempi, si osserva per lo più che la termina- zione ipolemmale del cilindro dell’asse (Geweih di AwAmne) (*), è molto esile in confronto di quella che appare dai preparati a fresco. Perchè questa incongruenza fra i preparati ottenuti coll’oro e quelli ottenuti con muscoli osservati col microscopio senza previo trattamento con sali d’oro? Tale incongruenza va attribuita al fatto che i sali di oro non colorano che una parte dell’arborzz- zazione. Il mio metodo di colorazione coll’ematossilina mi ha fornito invece dei preparati, nei quali è possibile riconoscere tutte le diverse parti di cui è costituita la terminazione nervosa fresca descritta da Kiihne, e nei quali si può avere la dimostrazione certa che le imagini avute coll’ impiego dell'oro non sono che una riduzione dell’imagine naturale. (*) Stando ai risultati delle numerosissime e diligentissime osservazioni di W. Kuùnne, la fibra nervosa midollata preterminale, arrivata a contatto del sarcolemma della fibra muscolare, perde la mielina, e il cilindro del- l’asse penetrando attraverso il tubo sarcolemmatico arriva a contatto della sostanza muscolare, dove si divide in rami più o meno numerosi, i quali costituiscono nel loro insieme il Geweih. Questa suddivisione ipolemmale del cilindro dell'asse venne così denominata da K&hne, in virtù della ras- somiglianza ch’essa ha colla ramificazione di un albero. D'ora in avanti io chiamerò il Geweih, l’arborizzazione, servendomi della denominazione di Ranvier, la quale ha in italiano, come pure in francese, il vantaggio di caratterizzaro la forma del cilindro assile ipolemmale con una parola che non dà luogo a confusioni nell’anatomia. C. NEGRO — Terminazione nervosa motrice. ( Tropidon Ocul. 4. 2eiss.{ Obbiett: apocromatico ad immersione omog? Lit Salussolia- Torino TERMINAZIONE' NERVOSA MOTRICE 9 È facile rendersi conto di quanto io dico esaminando il pre- parato di cui io ho annesso il disegno nella presente Nota. La piastra terminale nervosa, situata presso al margine infe- riore della fibra muscolare appare come incastonata in una so- stanza finamente granulosa, la quale non oltrepassa di molto la estensione occupata da essa; l’arborizzazione si presenta molto complicata, a forma labirintica. La colorazione poi non è omo- genea; e infatti i margini dei rami dell’arborizzazione sono più intensamente colorati in violetto, mentre la parte centrale dei medesimi è molto più pallida e di struttura granulare. Qua e là si veggono sparse due sorta di nuclei, di cui gli uni più piccoli e più ricchi in cromatina, gli altri più grossi e più scolorati. In alto la piastra terminale nervosa si continua con una fibra nervosa colorata molto pallidamente. In questo preparato non si riesce però a determinare bene i rapporti esistenti tra la piastra e la fibra nervosa. Non insisto su quest’ultimo fatto, essendo compito di una comunicazione ulteriore lo studio parti- colareggiato di tali rapporti. Ma desidero soltanto far rilevare, che coll’analisi dei miei preparati si arrivano a riconoscere nella terminazione nervosa delle particolarità, le quali non appaiono nelle figure, che ordinaria- mente si ottengono impiegando il metodo dell’ oro. Ora siccome i dettagli di struttura, resi accessibili allo studio col mio metodo, corrispondono quasi esattamente a quelli scoperti da Kthne nei preparati freschi, ho ragione per credere che il metodo dell’ematossilina possa meglio d’ogni altro finora cono- sciuto soddisfare alle esigenze dell’istologia. BIBLIOGRAFIA. 1) I. ConnnEIn, Virchow's Archiv. Bd. 34. 2) A. Ewarp, Ueb. die Endigung d. motorischen Nerven ete. Pfliiger's Archiv Bd. 12, 1876. 3) E. Fiscuer, Ueb. die Endig. d. Nerven im quergestreiften Muskel d. Wirbelthiere. Arch. f. mikroskop. Anat. Bd. Po; SL È. 4) W. Kiune, Ueb. die periph. Endorgane d. motor. Nerven. Leipzig. 1862, 10 GIUSEPPE BASSO 9) W. KiHnE, Virchow's Archiv. Bd. 27. 1863. id. Bd. 28, 29, 1864 e 65. id. Articolo: Nero und Muskelfaser -—- Stricker's ge- webelehre, Tomo I. 5) GerLacH, Verhiltniss d. Nerven zu den willhirlich. Mus- keln Leipzig, Vogel F. C. W. 1874. 6) C. GoLci, Sui nervi dei tendini. Mem. d. R. Accad. delle Scienze di Torino. Serie 2°, Tomo XXXII. 7) W. Kihne, Neue Untersuchungen eb. mot. Nervenend. Zeitschrift f. Biologie, Bd. 23, 1887. 8) id:d'eit. pag!" 9. In commemorazione di GiBERTO Govi; Parole del Socio Prof. GiusePPE Basso Nella estate scorsa ia nostra Accademia aveva da pochi giorni sospese le sue adunanze per le consuete ferie, quando giunse improvvisa la triste notizia della morte, avvenuta in Roma la notte del 29 giugno, dell’illustre suo socio prof. Gilberto Govi. ‘Mi accingo ora a parlare brevemente di lui, per ricordarvi le principali fasi della sua vita, tutta consacrata all’incremento della scienza ed al bene del paese. In tal modo io adempio ad un incarico di cui mi onorò il nostro Presidente e sciolgo ad un tempo un debito, gradito al mio cuore, verso la memoria di chi mi fu per parecchi anni maestro impareggiabile ed amico affettuoso. _ Gilberto Govi nacque in Mantova il 21 settembre 1826 da Quirino ed Anna di Alles benestanti. Compiuti gli studi elemen- tari e secondari in patria, passò alla Università di Padova, dove l’eletto ingegno e le squisite doti del suo animo non tardarono a conciliargli la stima di tutti; ed ancora oggidi parecchi suoi condiscepoli ben ricordano che, amandolo essi come compagno carissimo, ricorrevano pure a lui, come a maestro, per guida e per consiglio. COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI SAL Scoppiarono intanto i moti gloriosi del 1848 ed il Govi, deposti i libri ed impugnata la carabina, entrò volontario nei Corpi Franchi prendendo parte valorosa a tutta la campagna e segnalandosi specialmente al fatto d'armi di Sorio presso Monte- bello. Ma purtroppo le sorti della guerra volsero rapidamente a male; il Veneto ricadde sotto l'occupazione straniera ed il Govi, mal comportando la triste condizione politica del suo paese, preferì esulare e riparò in Francia. Colà seppe con maravigliosa prontezza rendersi pienamente padrone dell’idioma francese, de- dicandosi ad un tempo allo studio delle discipline fisiche. Ciò fece con tanto ardore e con esito così felice che ben presto fu in grado di scrivere articoli e monografie scientifiche sulle più accreditate effemeridi di Parigi e di tenere applauditissime con- ferenze popolari su argomenti di scienza applicata. La sua sin- golare attitudine alle indagini sperimentali trovava intanto adatto campo di azione nei più rinomati laboratori, fra cui quelli di Chevreul e di Frémy che il Govi frequentò assiduamente. Per tal modo il suo nome in breve sali a meritata rino- manza, tanto che il Governo toscano, dopo avergli affidato un onorifico incarico in occasione della Esposizione universale di Parigi nel 1855 gli offerse una cattedra nello Istituto tecno- logico di Firenze. Il desiderio di ritornare in Italia lo indusse ad accettare ed assunto il suo ufficio nel 1856, lo tenne con plauso universale fino al 1859. Combattevasi allora sui campi lombardi la guerra dell’indipendenza nazionale ed il Govi vi accorse volonteroso in qualità di ufficiale del genio dell’esercito toscano; ma, pochi giorni dopo, l’inatteso patto di Villafranca fece deporre le armi. Ritornò quindi agli studi fecondi ed ai geniali lavori; professando nello Istituto superiore di Firenze, che allora appunto erasi creato, ebbe anche parte cospicua nel- l’ordinamento della prima Esposizione italiana che nel 1860 ebbe luogo in quella città. Pochi mesi dopo si rese vacante la cattedra di fisica spe- rimentale nella Università di Torino per il trasloco chiesto ed ottenuto dall’esimio professore Silvestro Gherardi. A tale posto venne chiamato il Govi, il quale vi iniziò il suo insegnamento nei primi giorni del 1862. E qui sarebbe superfluo il ricordare a parecchi di noi come il vivace ingegno, la dottrina profonda e la gentilezza squisita dei suoi modi abbiano acquistato d’un tratto al nuovo professore l’affettuosa stima dei colleghi, il plauso 12 GIUSEPPE BASSO entusiastico dei giovani studiosi e la riverente simpatia della parte più colta della cittadinanza. Numerose prove dell’alta con- siderazione in cui il nostro nuovo ospite era tenuto, sì dal Go- verno che dai corpi locali, egli ebbe in brevissimo volgere d'anni; fu eletto socio della R. Accademia di Agricoltura il 17 dicembre 1862 e socio della nostra Accademia il primo di marzo 1863; fu nominato membro della Consulta centrale di pesi e misure e Direttore dell’ Osservatorio astronomico nel 1865; però a quest’ultimo ufficio egli rinunziò ben presto, come pure declinò l’onore del Rettorato Universitario che dal Ministero gli venne offerto con insistenza. Accettò tuttavia soventi onorifiche missioni, che lo dimostra- rono degno rappresentante della scienza italiana all’ estero e specialmente in Francia dove contava molte ed illustri amicizie. Ciò fu cagione di frequenti interruzioni nel suo insegnamento dal 1869 al 1872; in quest’ultimo anno essendo stato nominato membro della Commissione internazionale del metro a Parigi, egli cessò di far lezioni nell'Università nostra, pur conservando il titolo dell’ufficio. Più tardi aspirò a ritornare allo insegna- mento attivo e nel 1878 ottenne nella Università di Napoli la cattedra di fisica che conservò fino all'ultimo. Negli anni in cui le fatiche didattiche gli diedero tregua la sua maravigliosa operosità scientifica non subì rallentamento e, nello stesso tempo, anche fuori del campo puramente scien- tifico, acquistò speciali benemerenze adempiendo con onore in- carichi delicati, come fu quello, affidatogli nel 1872, di diret- tore della biblioteca Casanatense e poi quello, pure di direttore della biblioteca Vittorio Emanuele in Roma, al quale posto fu chiamato nel 1876. Ultimamente trovavasi a Roma per curare la pubblicazione del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci e la morte lo incolse quando l'importante lavoro era pressochè compiuto. Discorrere con brevità, e pur degnamente, delle produzioni scientifiche di Gilberto Govi non è cosa agevole. Ed invero, la grande versatilità del suo ingegno, l’indole svariatissima de’ suoi studi ed anche l’educazione intellettuale che informò la sua mente negli anni giovanili lo resero meno proclive a sviscerare quelli argomenti che conducono ad opere di gran mole; preferì invece di fare escursioni per tutto il vasto campo delle dottrine che gli erano più famigliari ; arrestandosi qua e là © per fare ri- COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI 13 cerche storiche, o per chiarire fatti poco studiati e malamente spiegati, o per escogitare procedimenti sperimentali notevoli per novità e per eleganza. A questo modo videro la luce moltissimi suoi lavori in vari periodici italiani e francesi e nei volumi di Ac- cademie e di altre Società scientifiche. In fine di questo scritto ho disposto per ordine cronologico i titoli di 196 di tali pubblicazioni colle indicazioni opportune; ho ragione di sperare di non essere incorso in ommissioni di qualche importanza. Non v’' ha quasi ramo di dottrine fisiche o di storia della fisica a cui il Govi non abbia arrecato qualche contributo di studi e di osservazioni interessanti. Per ciò che riguarda la fi- sica nelle sue attinenze colla meccanica sono notevoli un metodo per la determinazione della lunghezza del pendolo, la costruzione di un barometro ad aria dall’autore chiamato aeripsometro, uno studio sulla sensibilità acustica dei getti gazosi freddi ed un nuovo procedimento per ottenere le così dette fiamme sensibili. Appartengono alla termologia parecchi lavori sul modo di comportarsi alle diverse temperature del cautchoux valcanizzato, l'invenzione d'un nuovo termometro registratore a gaz, le ricer- che sul calore che si genera nel muoversi dei meteoriti attraverso l'atmosfera e la correzione de’ coefficienti nella formola che serve a calcolare la dilatazione assoluta del mercurio. Relativamente alla elettrologia si hanno parecchie note sulla teoria dell’elettroforo, uno studio sui condensatori forniti di ar- mature liquide, molte nuove ed eleganti esperienze che dimostrano la distribuzione dell'elettricità libera nei conduttori e chiariscono i fatti fondamentali dell’influenza elettrica. Le ricerche intorno ai fenomeni dovuti alla luce esercitavano sulla mente del compianto fisico mantovano una speciale attrat- tiva; epperciò dobbiamo a lui molti lavori concernenti l’ ottica, + così fisica come geometrica. Sono maggiormente meritevoli di at- tenzione gli studi sulla fluorescenza e sulla dipendenza di que- sta proprietà dalla costituzione fisica dei corpi, 1’ esame della luce polarizzata proveniente dalle comete, la costruzione di ca- mere lucide assai comode fondate sull’impiego di metalli disposti in strati sottilissimi. Così pure le indagini sulla dispersione anor- male operata dalle sostanze a riflesso metallico e quelle sulla legge di assorbimento delle radiazioni attraverso ai corpi e del suo impiego nell'analisi spettrale condussero l’autore a risultati da cui la scienza ottica può trarre non ispregevole sussidio. Assai 14 GIUSEPPE BASSO ingegnosa poi è la costruzione del megametro o misuratore de- gli ingrandimenti negli strumenti ottici ed infine meritan speciale menzione i due ultimi lavori di ottica, pubblicati solo pochi mesi prima della morte, dei quali uno tratta dei colori invisibili o latenti dei corpi, e l’altro svolge una teoria, che è come un'ap- pendice a quella celebre di Gauss, sull'uso dei piani centrali , dei piani centrici, dei poli, dei punti polici e dei piani corrispon- denti per determinare i fochi coniugati e le immagini date dai sistemi ottici. Indipendentemente dagli studi su argomenti di fisica pro- priamente detta, il Govi compiacevasi sommamente delle ricerche nel campo della storia della scienza impiegando intorno ad esse lungo tempo e pazienza non comune e dimostrando ognora eru- dizione vasta e profonda. Egli potè così dissipare molti errori universalmente professati, potè rivendicare ai loro veri autori scoperte ad altri ingiustamente attribuite, fra cui si possono ci- tare la scoperta della pressione atmosferica dovuta, almeno fino ad un certo punto, al ligure Balliani, la prima determinazione del numero assoluto delle vibrazioni fatte dal diapason eseguita dallo Scantari, l'invenzione del microscopio composto che devesi a Galileo. Il Govi prese parte attiva ed efficace alla discussione che nell’anno 1867 e nel successivo s'impegnò presso l'Accademia delle Scienze di Parigi a proposito di certi manoscritti apocrifi di antichi scrittori, che un abile truffatore aveva fatto accettare come autentici al celebre geometra Chasles. Promosse presso la nostra Accademia, e ne ottenne la pubblicazione di una tradu- zione inedita dell’Ottica di Tolomeo, facendola precedere da una sua dottissima prefazione. Però le sue maggiori investigazioni sto- riche ebbero per oggetto la vita e gli studi dei due immortali antesignani del metodo sperimentale in Ttalia, di Leonardo*da Vinci e di Galileo Galilei. Fin dal tempo in cui viveva a Pa- rigi, il Govi aveva iniziato su Leonardo da Vinci ricerche e studî che poi in Italia continuò senza interruzione; nel 1872 pubblicò un Saggio del Codice Atlantico premettendovi una sua monogra- fia sul genio e sulle scoperte di Leonardo e del medesimo fece conoscere a più riprese frammenti artistici, storici e geografici. In questi ultimi anni occupavasi alacremente della pubblicazione completa del Codice, portando quasi a compimento il difficile lavoro. Di Galileo scoperse e pubblicò parecchie lettere inedite ed intorno alla vita fortunosa di lui fece conoscere molti par- COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI liti ticolari importanti e mal noti consegnandoli in vari opuscoli fra cui quello intitolato: Il S. Offizio, Copernico e Galileo, e l’altro: Galileo e è matematici del Collegio Romano nel 1611. Una commemorazione di Gilberto Govi, per quanto contenuta fra stretti confini, sarebbe troppo incompleta se non vi si ricor- dassero le doti insigni che facevano di lui un insegnante insu- perabile. La singolare abilità di esposizione, la limpidezza delle idee e dei ragionamenti, la parola facile, elegante, immaginosa davano alle sue lezioni un’attraenza irresistibile. In ogni atto, ma sovratutto quando il suo dire era accompagnato da dimo- strazioni sperimentali, egli svelavasi scienziato ed artista ad un tempo. Ed ai pregi propriamente didattici davan maggior rilievo certe sue qualità esteriori: la prestanza della persona, la voce sonora ed armoniosa, la correttezza del porgere e delle movenze. I principali Istituti scientifici d’Italia avevano già da lungo tempo scritto il nome del Govi nell’ elenco dei loro soci; alte distinzioni gli furono conferite dal Governo italiano e da quello francese, e più ne avrebbe ottenute se, per carattere e per con- vinzione, non fosse stato alieno, non solo dal cercare, ma anche dal desiderare onori che non fossero di natura puramente scien- tifica. Così egli fu dal Collegio elettorale di Reggio Emilia eletto a Deputato al Parlamento nazionale nel 1882; ma dopo pochi mesi abbandonò l’alto ufficio, forsanco per tener rigorosamente fede agli ideali politici che furono il sogno della sua giovinezza, certamente per la tema che le cure parlamentari lo distogliessero troppo dallo studio e dalla scuola. Nel nostro compianto collega la scienza ha perduto un cultore dottissimo ed appassionato, la patria un cittadino che le diede splendide prove di amarla sopra ogni cosa; la memoria di lui, come soldato, scienziato e maestro, rimarrà perennemente venerata e cara. ELENCO delle pubblicazioni scientifiche di Grrpento Govi disposte per ordine cronologico 1. Lettre accompagnant un Memoire de M. Daina relatif à l’upplication de l’electricité voltaique comme force motrice. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, vol. XXXVI, pp. 544, 1853. 2. Delle Scienze nella Società. Prolusione recitata a Firenze il di 16 novembre 1857. 16 I 10. RL 15. 14. 15. 16. Lp G. BASSO . La fluorescenza è proprietà che dipende dalla costituzione fisica e non dalla natura chimica dei corpi: Diamanti oscuri. Atti Imp. e R. Accad. Toscana d’Arti e Manif., 1857. Composizione di una vernicetta per impermeabilizzare local- mente la carta senza raggrinzarla e senza darle traspa- renza. Atti Imp. e R. Accad. Toscana d’Arti e Manif., 1857. Sull’origine dello splendore delle comete. Nuovo Cimento, vol. VIII, pp. 290, 1858. . Diaphragme variable, ou Pupille artificielle pour les instru- ments d’optique. Bull. de la Soc. Francaise de Photographie, 1858. . Tavola per conoscere le variazioni nella temperatura di ebullizione dell’acqua per ogni mezzo millimetro di varia- zione nella pressione atmosferica, da 726 a 788 milli- metri. Atti Accad. Toscana d’Arti e Manif., 1859. . Di un fotometro analizzatore. Nuovo Cimento, vol. XI, pp. 38, 1860. | . Nuove ricerche sulla polarizzazione della luce nelle comete. (La Nazione 1860). Note sur un photomètre analyseur. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, vol. L, pp. 156, 1860. | De la polarisation de la lumière par diffusion. Comp,-rend. AG!%a!Sc. Paris, vol. LI) pp. 360, 1860. . De la polarisation de la lumière par diffusion pour faire suite à la precedente. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, vol. LI, pp. 669, 1860. Sur une ancienne determination du nombre absolu des vibrations du diapason. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, vol. LI, pp. 450, 1860. , Polarisation de la lumière par diffusion. Institut, Journ. . Univ. des Scienc. et des Soc. Savantes, 1860, XXVIII, pp 290. Photomètre analyseur. Institut, Journ. Univ. des Sciences et des Soc. Savantes 1860. 1°° Sect. XXVIII, pp. 18. Diapason. Ancienne deétermination du nombre absolu de ses vibrations, par SCANTARI. Institut, Journ. Univ. des Sciences et des Soc. Savantes, 1860, 1°° Sect., XXVIII, pp.° 306. Polarisation de la lumière. Institut, Journ. Univ. des Scienc. et des Soc. Savantes, 1860, 1°° Sect., XXVIII, pp. 356. 18. b9. 20. 21. 22. 23. 24. 26. 27. 28. 29 30. 31. 32. 33. COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI 17 Degli errori incorsi nelle Tavole di riduzione delle misure e dei pesi toscani pubblicate dal Governo. Monitore To- scano, 1860. Intorno alla misura degli ingrandimenti e costruzione di un Megametro. Monitore Toscano, 1861. Della proprietà e più specialmente della proprietà intellet- tuale. Atti dell’Accademia dei Georgofili, 1861. Intorno a un termometro a serbatoio invariabile. Atti Accad. Toscana d’Arti e Manif., 1862. Sui fenomeni di trascaldamento e di refrigerazione ecces- siva nei liquidi: Lettera al Prof. G. Copazza. Rivista italiana di Scienze. Lettere ed Arti, 1862. Della fosforescenza nel diamante e delle sue variazioni pel calore; rapporti di analogia tra la fosforescenza e il magnetismo. Diario del decimo Congresso degli Scienziati italiani di Siena, 1862. Della fisica e del modo di studiarla e d’insegnarla mei tempi passati e a’ dì nostri. Prelezione letta a Torino 3 di gennaio 1862. . Sulla misura della amplificazione negli stromenti ottici e sull’uso d'un Megametro per determinarla. Nuovo Cimento, vol. XVII, pp. 177, 1863. Di un nuovo termometro a gas a massima e minima, e registratore. Nuovo Cimento, vol. XVIII, pp. 288, 1863. Di un nuovo termometro a gaz a massima e minima e nuovo registratore. R. Ace. Sc. Torino - Notizia Storica, pp. 5, (1864). Intorno all’azione assorbente che i corpi diafani colorati esercitano sui raggi dello spettro luminoso. BR. Accad. Sc Torino. - N. S., pp. 43, (1864). Gli specchi magici dei Cinesi. R. Accad. Sc. Torino. - N. S., pp. 67, (1864). Presentazione di un Catetometro. R. Accad. Sc. Torino. - N. $., pp. 75, (1864). Livello del viaggiatore. R. Accad. Sc. Torino. - N. $S., pp. 86, (1864). Galileo Galilei; Discorso recitato a Torino per la festa cen- tenaria in onore di Galileo addi 21 febbraio 1864. Sull’importanza delle larghe aperture nei microscopi. R. Accad. Sc., Torino. - N. S.,.pp. 124, (1865). Atti della R. Accad. -— Parte Fisica, ecc, — Vol. XXV. w 18 di. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 45. 44, 45. 46. 47. GIUSEPPE: BASSO Esame microscopico di una polvere caduta a Tunisi il 16 marzo 1865. R. Accad. Sc. Torino. - N. S., pp. 141 (1865). Govi - SeLLa e MartEUCCI. — Rapporto sulle riforme da introdursi nell’ Osservatorio Meteorologico della R. Ac- cademia delle Scienze. R. Accad. Sc. Torino. - Memorie, Ser. 2°, vol. XXII, pp. LXxxv, (1865). Nuovo metodo sperimentale atto a dimostrare i fono dell’induzione elettrica. R. Accad. Sc. Torino. - N. S$., pp. 110, (1865). | Studi di Elettrostatica, Considerazione delle armature li- quide nei coibenti armati. Nuovo Cimento (1865-66). Ricerche di Elettrostatica. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. I, pp. 206, (1866). Nuove ricerche di Elettrostatica. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. I. pp. 221 (4866). Sulla misura dell’amplificazione degli strumenti ottici e sull'uso di un megametro per determinarla. R. Accad. Sc. Torino. - Memorie , Ser. 2°, vol. XXII, pp. LXXIHI; vol. XXIII, p. 445, (1866). Sull’efficacia delle grandi aperture nei microscopi com- posti; Considerazioni. R. Accad. Sc. Torino. - Memorie, Serie 2°, vol. XXIII, pp. 285, (1866). ‘ Di un barometro ad aria od Aeripsometro per la misurà delle piccole altezze. R. Accad. Sc. Torino - Memorie, Serie 2°, vol. XXIII, pp. 477, (1866). Presentazione d'uno strumento calcolatore degli intervalli nelle scale musicali. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. 1, pp. 587, (1866). Metodo per determinare la lunghezza del pendolo. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. I, pp. 505, (1866). Sunto di una Memoria intitolata: Sulle anomalie che pre- senta il caoutchouc vulcamizzato rispetto al calore. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. II, pp. 225, (1867). Histoire des Sciences. Collection de manuscrits relatifs à la decouverte de la gravitation universelle. Discussion sur leur authenticite. Institut, Journ. Univ. des Sc. et des Soc. Savantes, 1867, 1°° Section, tom. XXXV, pp. 395. Esposizione verbale intorno alla distribuzione dell’elettri- cità mell’Elettroforo. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. II, pp. 30, (1867). 48. 49. 07. 08. 09. 60. 61, 62. 63. COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI 19 Nuove esperienze sugli Specchi magici dei Cinesi. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. II, pp. 357, (1867). Nota intorno ad una pretesa dimostrazione matematica della recente apparizione dell’uomo sulla terra. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. II, pp. 401, (1867). . Nuove ricerche sulla gomma elastica vulcanizzata. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. II, pp. 455, 456, (1867). . Presentazione d'un prisma variabile solido. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. Il, pp. 457, (1867). . Relazione sul concorso per un premio governativo. Atti f. Accad. Sc. Torino, vol. II, pp. 490, (1867). . Nota intorno al primo scopritore della pressione atmo- sferica. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. JI, pp. 562, (1867). . Dimostrazione di una formola psicrometrica approssima- tiva. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. II, pp. 484, (1867). . Observations relatives à la reponse faite par M. CHASLES à une communication précédente. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXV, pp. 1041, 1867. . Observations concernant les Lettres signées du nom de Galilée qui ont été publiéees par M. CHasLEs. Compt.- rend. Ac. d. Sc. Paris, LXV, pp. 958, 1867. Sur une des Lettres de Galilée, publices récemment par Monsieur CHasLes. Compt-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXVII, pp. 169, 1868. Comunicazione intorno all’autenticità di alcuni documenti posseduti dal sig. CHAsLES. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. III, pp. 121 (1868). Nuova camera lucida. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. III, pp. 220, (1868). VoLta e il telegrafo elettrico; Ricerche storiche. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. III, pp. 425, (1868). Nota intorno ad un bolide iridescente. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. III, pp. 515, (1868). Remarques sur la communication recente de M. CHASLES sur la cecité de Galilée. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXVII, p. 313, 1868. Le leggi della Natura. Discorso letto il 16 novembre 1868 al riaprirsi degli studi nella R. Univ. di Torino. Torino, 1868. .20 64, 65. 66. 67. 68. 69. 70. Pf 72. 73. 74. 75. 76. to "ff GIUSEPPE BASSO Azione assorbente che è corpi diafani colorati esercitano sui raggi dello spettro luminoso (1864). Notizia sui Lav. della Classe di Scienze Fis. Mat. della R. Accad. Sc. To- rino, (1869) pp. 43-49). Applicazione dei metalli in strati sottilissimi alla costru- zione delle Camere lucide, e ad altri usi. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. IV, pp. 185, (1869). Presentazione di due Camere lucide. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. IV, pp. 185, (1869). Lettura di una Memoria intitolata: Sulluso della formola di FRESNEL nel calcolare l'intensità della luce riflessa e trasmessa dalle lamine di vetro. Atti R. Accad. Sc. To- rino, vol. IV, pp. 426, (1869). Nuovo manometro. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. IV, pp. 767, (1869). Lettre adressée à M. le Président, pour une rectification concernant trois pièces de la correspondance de Galilee, citees par M. CHasLes. Compt-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXVIII, pp. 1093, 1869. 4 Romagnosi e l’elettro magnetismo. Atti R. Accad Sc. To- rino, vol. IV, pp. 426, (1869). Anomalie del caoutchouc vulcanizzato rispetto al calore. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. IV, pp. 571 (1869). Nouveau document authentique relatif à la cecité de Galilee. Comptes-rendus Acad. d. Sciences, LXVIII, pp. 4386, 1869. Sur la correspondance de Galilée et sur sa cécité. Compt.- rend. Ac. d. Sc. Paris, LXVIII, pp. 774, 1869. Sur une lettre attribuce à Galilee, de la collection de Mon- sieur CHasLts. Lettre adressee à M. le President. Compt- rend. Ac. d. Sc. Paris, LXIX, pp. 108, 1869. Sur un bolide incandescent observé en 1868. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXIX, pp. 898, 1869. Remarques sur les experiences de M. Pierre THomas (re- latives aux propriétés physiques du caoutchoue). Les Mondes, XIX, (1869), pp. 640. Intorno a certi manoscritti apocrifi di GALILEO, Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. V, pp. 127, (1870). Intorno ad un congegno per dimostrare vari fenomeni di meccanica molecolare. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. V, vp. 193, (1870). 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. ‘88. 89. 90. 91. 92. 93. 94. COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI 21 Dell’attrito a distanza. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. V, ppael99,. (1370). Di un nuovo metodo per ottenere le fiamme sensibili. Atti R. Accad Sc. Torino, vol. V, pp. 396, (1870). Nota sulla sensibilità acustica dei getti gassosi freddi. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. V, pp. 475 (1870). Comunicazione di un lavoro intorno all'inventore del li- vello a bolla d’aria. Atti. R. Accad. Sc. Torino, vol. V, pp. 747, (1870). Nuove esperienze sulle correnti elettriche. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. V, pp. 762, (1870). L’Aurora boreale. Firenze, Eredi Botta, 1870. Intorno a tre lettere di Galileo Galilei tratte dall’ Ar- chivio dei Gonzaga. Bull. d. Bibl. e Stor. d. Sc. Mat. e Fis., tom. III, (1870), pp. 267. Recherches historiques sur l’invention du niveau à bulle d’air. Bull. d. Bibl. e Stor. d. Sc. Mat. e Fis., tom. III, (1870), pp. 282. Lettura di un lavoro intorno all’apparente attrazione delle ombre dei corpi. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VI, pp. 57, (1871). Correzione dei coefficienti nella formola per calcolare le dilatazioni assolute del mercurio. Atti R. Accad. Sc. To- rino, vol. VI, pp. 122 (1871). Revisione delle cifre del Iegnault. Atti R. Accad. Sc. To- rino, vol. VI, 198, (1871). Lettura d’una Memoria intorno alle dispersioni anormali operate dalle materie coloranti a riflesso metallico. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VI, pp. 271, (1871). Sur Vetat électrique dans l'intéricur des bons et des mau- vais conducteurs électrisés. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VI, pp. 265, (1871). Sur la date d’un travail inédit de MEUSNIER relatif è l’equilibre des machines acrostatiques, ct sur celle de l’extrait que MongeE en a laissé, et que l’Academie des Sciences de Paris vient de publier. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VI, pp. 286, (1871). Lettura d’una Memoria sul primo inventore del compasso. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VI, pp. 981, (1871). Sull’opportunità di pubblicare una traduzione inedita del- 22 95. 96. OE 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. GIUSEPPE BASSO lOttica di Tolomeo. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VI, pp. 401, (1871). Relazione intorno alle deliberazioni prese dalla Commis- stone metrica internazionale. Roma, Eredi Botta, 1871. Histoire des sciences. Sur l’invention de quelques élatons. naturels de mesure. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VII, pp. 362, (1872). Intorno alla dispersione anormale e ai fochi Homatioi delle lastre e dei prismi. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VII, (1872). Il S. Offizio, Copernico e Galileo, a proposito di un opu- scolo postumo del P. OLivieRI sullo stesso argomento Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VII, pp. 565, 808 (1872). Sul significato. della così detta Origine cosmica. delle aurore boreali. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VII, pp. 806 (1872). i Leonardo letterato e scienziato, Studio sul genio e sulle scoperte di Leonardo da Vinci. (Pubblicato nel Saggio delle opere di Leonardo da Vinci) Milano, G. Ricordi, 1872, Metodo ottico per misurare le grandezze minime (Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VIII, pp. 83, (1873). Rapport sur V’utilité des Tables des Logarithmes à plus de sept décimales, à propos d’un projet publié par M. SANG. .. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VIII, pp. 157 (1873). Comunicazione di una lettera inedita del Principe Leo- poldo de’ Medici al Padre G. B. Riccioli. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VIII, pp. 194, (1873). Di alcune nuove Camere lucide. Atti R.: Accad. Sc. To- rino, vol. VIII, pp. 253, (1873). Relazione sugli strumenti scientifici quali erano rappre- sentati all’ Esposizione universale di Vienna nel giugno 1873. 1 opusc. (senza luogo e data). Intorno alla misura delle altezze col barometro. Studi storici I. GEMINIANO MONTANARI. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. VII, pp. 260 e pp. 361 (18783). Sur l’application de la dorure du verre à la constru- ction des chambres claires. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, pp. 373, (1874). Sperienze e Considerazioni intorno alla induzione elettro- statica. (Gazzetta Ufficiale del 13 gennaio 1875). 109. 110. 12. 118. 144. 115. 116. Dev: 118. 119. 120. 121. 122. COMMEMORAZIONE: DI GILBERTO GOVI 23 Nuncius Sydereus Collegii Romani. Atti IR. Accad. d. Lincei. Serie 2°, vol. I, pp. xI, (1875). Sulla necessità della parola tensione. Atti R. Accad d. Lincei, Ser. 2° vol. II, pp. XI, (1875). . Fatti in opposizione alle dottrine esposte dal Socio VoL- PICELLI. Atti R. Accad. d. Lincei, Ser. 2°, vol. II, pp: x11, (1875). Galileo e i Matematici del Collegio Romano nel 1611. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 2°, vol. II, pp. 250, (1875). Sull’'invenzione dell’accendi-fuoco pneumatico. Atti KR. Accad. d. Lincei. Serie 2°, vol. III; Parte 2°, pp. 41, (1876). Dei metodi proposti nel 1639 da Bonaventura Cavalieri per ottenere direttamente il logaritmo della somma o della differenza di due numeri, dei quali sono dati i logaritmi e per risolvere mediante le funzioni circolari le equazioni di secondo grado. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 2°, vol. III; Parte 2°, pp. 178, (1876). Intorno a un opuscolo rarissimo della fine del secolo xv intitolato : Antiquarie prospettiche romane composte per prospettivo milanese dipintore (con una tavola). Atti R. Accad. d. Lincei, Ser. 2°, vol. III; Parte 3°, pp. 39, 1876. Sur la cuuse des mouvements dans le radiomètre de M. CrookEs. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXXXII, pp. 1410, 1876. Sur l’invention du briquet pneumatique. Compt.-rend. Ac. d. Se. Paris, LXXXIII, pp. 541, 1876. Sur le radiomètre de M. CRookEs. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXXXIII, pp. 49, 1876. Sur un moyen de faire varier la mise au foyer du mi- croscope, sans toucher ni à l’instrument, ni aux objets, et sans alterer la direction de la ligne de viste. Compt.- rend. Ac. d. Sc. Paris, LXXXIV, pp. 341, 1877. De la chaleur que peut degager le mouvement des mée- téorites à travers l’atmosphère. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris. LXXXV, pp. 451, 1877. Sur la non-transparence du fer et du platine incandescents. Compt.-rend. Ac. d. Sc Paris, LXXXV, pp. 699, 1877. De la loi d’absorption des radiations à travers les corps, et de son emploi dans l Analyse spectrale quantitative. 24 123. 124. 125. 126. 127. 128. 129. 130. 131. GIUSEPPE BASSO 1°°° et 2"° partie. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXXXY, pp. 1046 et 1100, 1877. Sur un nouveau micromètre destiné specialement aux recherches metrologiques. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXXXVII, pp. 557, 1878. De la mesure du grossissement dans les instruments d'optique. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, LXXXVII, pp. 726, 1878. Sur un nouveau phénomène d'electricité statique. Compt- rend. Ac. d. Sc. Paris, LXXXVII, pp. 857, 1878. Relazione sopra una Memoria « Intorno alla elettro- statica induzione » di G. LuviNnI. Atti R. Accad. d. Lincei. Serie 3°, Transunti, vol. II, pp. 146, (1878). In che tempo e da chi siano stati inventati i Ludioni, detti ordinariamente diavoletti Cartesiani. Rendiconti Acad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1879, pp. 291. Nouvelle methode pour determiner la longueur du pendule simple. Compt. rend. Ac. d. Sc. Paris, XCI, pp. 105, 1880. Nota (per la presentazione di un fascicolo del Bullettino di Bibliografia e storia delle scienze fisiche del Principe Baldassarre Boncompagni). Rendiconti Acad. Sc. Fis, Mat. di Napoli, 1880, pp. 78. Presentazione di cinque lettere fotolitografate di Sofia Germain a Carlo Federico Gaup pubblicate da B. Box- comPagNnI. Rendiconti Accad. Sc. Fs. Mat. di Napoli, 1880, pp. 115. Sur une nouvelle experience destinée à montrer le sens de la rotation imprimée par les corps à la lumière polarisee. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, «XCI, pp. 517, 1880. . Sur l’inventeur des lunettes binoculaires. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, XCI, pp. 547, 1880. . Nuovo documento relativo all'invenzione dei cannocchiali binocoli con illustrazioni. Bull. di Bibl. e Stor. d. Sc. Mat. e Fis., tom. XIII, 1880, pp. 471. . Govi e BERTI. Relazione sulla Memoria dell’ Henry : « Galilée, Torricelli, Cavalieri, Castelli ; documents nou- veaux tirés des Bibliothèques de Paris. » Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 3°. Transunti, vol. IV, pp. 251, (1880). . Intorno a un discorso di F. Cesi da intitolarsi: « Del natural desiderio di sapere, e instituzioni dei Lincei per 136. 137. 138. 139. 140. 141. 143. 144. 145. 146. 147. COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI 25 adempimento di esso. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie terza, Transunti, vol. IV, pp. 149, (1880). Intorno alla teoria dell’ Elettroforo. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie terza, vol. IX, pp. 72, (1881). Sull'elettroforo. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 3°, Tran- sunti, vol. V, pp. 174, (1881). Brani di manoscritti di Leonardo da Vinci. Atti R. Ac- cad. d. Lincei, Serie 3°, Transunti, vol. V, pp. 228, (1881). Presentazione di due suoi opuscoli contenenti un « Dia- logo di Cecco di Ronchitti da Bruzène ed un Manifesto di D. Chorez occhialaio di Parigi » (1625). Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 3*, Transunti, vol. V, pp. 258. Alcuni frammenti artistici, letterariù e geografici di Leo- nardo da Vinci. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 3°, Tran- sunti, vol. V, pp. 812, (1881). Alcune lettere inedite di Galileo Galilei pubblicate ed illustrate. Bull. di Bibl. e Stor. d. Scienze Mat. e Fis., tom. XIV, 1881, pp. 351. . Intorno ad un opuscolo del Prof. ANTONIO FavaRO, inti- tolato: « Galileo Galilei ed il dialogo di Cecco di Rou- chetti da Bruzene, in perpuosito della Stella Nuova. Rendiconti Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli 1881, pp. 89. Sur une très ancienne application de l’hélice comme or- gane de propulsion. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, XCIII, 400, 1881. Intorno alla trasformazione della Elettricità ordinaria in correnti voltaiche, e sulle applicazioni di queste cor- renti. Rendiconti, Acad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1882, pp. 108. Termometro a mercurio insensibile. Dimostrazione spe- rimentale del principio del telefono. Rendiconti Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1882, pp. 162. Dell’azione che la temperatura esercita sulla velocità del suono nell'aria e del valore di questa velocità, secondo le esperienze fatte a Bologna da Gian Ludovico Bian- coni nel 1740. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 3*, Transunti, vol. VII, pp. 91, (1883). Modo per ottenere la sensazione del bianco colla rotazione rapida di uno spettro circolare. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie terza, Transunti. vol. VII, pp. 164 (1883). 26 148. 155. 159. 160. GIUSEPPE BASSO Intorno allo scopritore di una singolare illusione ot- tica. Atti R. Accad. d. Lincei, Ser. 3°, Trans., vol. VII, pp. 183, (1883). . Sulla deformazione prospettica che si osserva cor can- nocchiali. Atti R. Accad. d. Lincei. Serie 3°, Transunti, vol. VII, pp. 286, (1883). . Presentazione della pubblicazione « L’ambra primaticcia o sorgo zuccherino del Minnesota » del prof. G. MONSELICE. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 3°, Transunti, vol. VII, pp. 249, (1883). . Intorno a una deformazione prospettica delle immagini vedute nei cannocchiali (con una tavola). Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 83°, vol. XVIII, pp. 403, (1883). . Nota accompagnante la presentazione di un’ opera del prof. Favaro. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 3* Tran- sunti, vol. VIII, pp. 92, (1884). . BSpettroscopio a visione diretta, senza prismi, nè Vetieoli. Rendiconti R. Acc. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1885, pp. 139. . Intorno alla trasformazione della Elettricità ordinaria in correnti Voltaiche, e sulle applicazioni di queste cor- renti. Bendiconti R, Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1885, pp. 108. Comunicazione (presenta per incarico del principe Bal- dassarre Boncompagni vari opuscoli relativi alla storia delle scienze fisiche e matematiche). Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1885, pp. 14. . Comunicazione (a proposito della presentazione di un libro del prof. G. Luvini). Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1885, pp. 28. . Documento inedito relativo al cannocchiale e TAR TT alla pubblicazione del « Sidereus Nuncius » di Galileo. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1885, pp. 61. : Relazione intorno ad una Memoria del profess. Gumo Grassi. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1889, pp. 130. Comunicazione relativa ad un documento Galileano , Atti R. Accad. di Napoli, Serie 4°, Rendiconti, vol. I, pp. 255, (1885). Relazione sull’opera dei signori Cros ed Henry: « L' En- castiques et les autres procedes de peinture chez les an- 161. 162. 163. COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI 27 ciens; Histoire et Technique. ». Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4*, Rendiconti, vol. I, (1885), pp. 256. La partenza dei Gesuiti dal Dominio Veneto; documento inedito relativo al tempo del soggiorno di Galileo in Pa- dova. Atti R. Accad. d. Lincei, Ser. 4°, vol. I, pp. 622, (1885). Prefazione « all’Ottica di Claudio Tolomeo ecc. » To- rino, Stamperia reale, 1885. Una lettera inedita di Alessandro. Volta con illustra- zioni. R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Rendic., vol. XIX, pp. 588, (1886). 164. 165. 166. 167. 168. 169. 170. 171. 172. 173. 474. Presentazioni di opere a stampa. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1886, pp. 27, Presentazione di opere a stampa. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1886, pp. 68. Su una antica determinazione del numero delle vibraziom che corrispondono ad un suono dato dalla scala musi- cale. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1886, p. 106. Presentazione di due pubblicazioni del Prof. Favaro, Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4°, Rendiconti, vol. II, (1886), pp. 109. Di una lente per cannocchiale lavorata da FvANGELISTA TORRICELLI e posseduta dal Gabinetto di Fisica della Università di Napoli. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1886, pp. 163. Uno studio del signor Faraglia su Fabio Colonna, Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4°, Rendic., vol. II, (1886, pp. 272. Sull’invenzione del barometro a sifone. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1886, pp. 286. Presentazione di un volume della Biblioteca matematica del signor G. Enestroem. Presentazione della prima parte di un lavoro intitolato : « Galileo e il cannocchiale. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1887, pp. 43 e 48. Relazione su una Nota del prof. EuceNIio SEMMOLA. Ren- diconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1887, pp. 62. Se l'elettricità contribuisca al congelamento dell’acqua che divien grandine. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1887, pp. 74. 187. 188. GIUSEPPE BASSO . Scomposizione dell’acqua colla macchina elettrica. Ren- diconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1887, pp. 137. . Relazione su un lavoro del sig. Dott. Gregorio Costa. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1887, pp. 173. . Relazione su un lavoro presentato dal Prof. Guino Grassi. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1887, pp. 100. . Relazione intorno ad un lavoro del Prof. Guino Grassi. Rendiconti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1887, pp. 147. . Il microscopio scomposto inventato da Galileo. Atti R. Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, vol. II, (2° Serie) 1888, pp. 1). . Du cercle chromatique de Newton. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, CV, pp. 733, 1887. . Lettre relative à l invention du microscope compose. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, CVII, pp. 551, 1888. . Sur les couleurs latentes des corps. Compt.-rend. Ac. d-Sc.. Parls, CVII, ppa.609, 1898. . Lettre relative à un mode de construction des images formees par les lentilles. Compt.-rend. Ac. d. Sc. Paris, CVII, pp. 586, 1888. . Comunicazione. (In occasione dell'offerta da parte del professore A. FavaRO dell’Esposizione e del Disegno del- l’edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei) Ren- diconti Accad. Sc. Fis. Mat. di Napoli, 1888, pp. 50). . Nuovi documenti relativi alla scoperta dell’ America. Atti R. Accad. d. Lincei. Serie 4°’, Rendiconti, vol. 1V, 2° Semestre (1888) pp. 347, 429. . Come veramente si chiamasse il Vespucci, e se dal nome di lui sia venuto quello del Nuovo Mondo. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4%, Rendic., vol, IV (2° Semestre 1888), pp. 297. Presentazione della sua pubblicazione: « Della invenzione del Micrometro per gli strumenti astronomici », riassumen- done il contenuto. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie quarta, Rendiconti, vol IV, (2° Semestre 1888), pp. 392. Nuovo metodo per costruire e calcolare il luogo, la si- tuazione, e la grandezza delle imagini date dalle lenti o dai sistemi ottici complessi. Atti R. Accad. d. Lincei, 189. 190% EA, 192. 193. 194. 195, 196. COMMEMORAZIONE DI GILBERTO GOVI 29 Serie quarta, Rendiconti, vol. IV, (1° Semestre) 1888, pp. 655. Dei colori invisibili 0 latenti dei corpi. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4°, Rendiconti, vol. IV, (1° Semestre 1888), pp. 572. Intorno ad una nuova camera lucida. Atti R. Acad. d. Lincei, Serie 4°, Rendic. vol. V°, (1° Semestre 1889), pp. 3. Uso dei piani centrali e ‘dei piani centrici, dei poli, dei punti polici e dei piani corrispondenti, per determinare i fochi coniugati nei sistemi ottici, e il luogo, la situa- zione e la grandezza delle imagini. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie quarta, Rendiconti, vol. V, (1° Semestre 1889), pp. 7; 105. Di un precursore italiano del Franklin. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4°, Rendic., vol. V, (1° Semestre 1889), pp. 138. Dei punti corrispondenti sui piani centrale e centrico, nel caso di due mezzi rifrangenti diversi separati da una sola superficie sferica. Significato di una costruzione pro- posta dal Newton per trovare i fuochi delle lenti. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4°, Rendic., vol. V, (1° Sem. 1889), pp. 307. Intorno all’origine della parola Calamita, usata în Italia per indicare la pietra Magnete Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4°, Rendiconti, vol. V (1° Semestre 1889), pp. 394. La ragione del Martilogio, ossia il metodo adoperato dai navigatori del secolo xvi per calcolare î loro viaggi sul mare, Atti Accad. d. Lincei, Serie 4°, Rendiconti, vol. XV, 1° semestre (1889), pp. 625. Nuovo documento relativo alla comunicazione precedente, vol. V, pp. 749. Atti R. Accad. d. Lincei, Serie 4*, Ren- diconti, (1° Semestre 1889), pp. 749. 30 VICENTINI E OMODEI Sulla resistenza elettrica di alcuni metalli facilmente fusibili; Nota preliminare di G, ViceNTINI e D. OMODEI La resistenza elettrica dei metalli liquidi alla temperatura di fusione finora è stata poco studiata. Il Matteucci ha esaminato il modo con cui varia la resistenza del bismuto all'atto della fusione; il Matthiessen ha misurato la variazione di resistenza del sodio e del potassio fra 0° e temperature superiori a quelle della loro fusione; il Werner Siemens ha sottoposto a studio analogo lo stagno; e in fine Lucien de la Rive ha esteso le ricerche ai sei metalli stagno, bismuto, zinco, piombo, cadmio, antimonio, studiandone la variazione di resistenza per il cambiamento di stato e per alcuni anche il medio coefficiente di temperatura fra 358 e 860°. Seguendo un determinato ordine di studi che ci siamo pro- posti sopra le leghe fuse è per noi interessante conoscere con precisione la resistenza specifica di diversi metalli facilmente fusi- bili, allo stato liquido e alla temperatura di fusione, nonchè la legge con cui varia la loro resistenza col variare della tempe- ratura. Per riuscire nel nostro intento siamo stati portati anzitutto allo studio della resistenza del mercurio sino a temperatura pros- sima a quella della sua ebollizione. Intrapreso poscia lo studio dei metalli fusi entro tubi capillari di vetro, abbiamo riconosciuto essere molto opportuno stabilire anche la legge con cui varia la resistenza dei singoli metalli soli- dificati nei tubi stessi, quando si riscaldano sino alla temperatura di fusione. In generale uno studio simile fu fatto per i metalli ridotti in fili per trazione o pressione. Il caso da noi considerato ha quindi uno speciale interesse, specialmente dovendo servire per studi di confronto su leghe fatte cogli stessi metalli nelle iden- tiche condizioni. SULLA RESISTENZA ELETTRICA DI ALCUNI METALLI S1 Tanto i metalli fusi, quanto il mercurio, li abbiamo studiati in tubi capillari di vetro, ripiegati ad UV, muniti di allargamento alle loro estremità, e nella misura delle resistenze abbiamo se- guìto il metodo del Kohlrausch [| Wied. Amn., Bd. 20, 1883]. L’apparecchio riscaldante è quello da noi adoperato in altre ri- cerche, eccettuata qualche modificazione [Ztend. RE. Acc. Lincei, vol. III, fasc. 10, 1887]. Le temperature corrispondono a quelle del termometro ad aria. In questa nota pubblichiamo semplicemente i risultati delle ricerche; ci riserviamo a pubblicare in esteso in una Memoria a parte, la descrizione delle numerose esperienze, il metodo seguìto e gli apparecchi adoprati, oltre alle considerazioni d’indole gene- rale che crederemo opportune. Resistenza elettrica del mercurio fra 0 e 350°. Per quanto sappiamo la resistenza elettrica del mercurio non è stata studiata al di sopra dei 225°. Avendo noi stabilito di assumere, per capacità di resistenza dei tubi destinati allo studio dei metalli, la resistenza che quelli presentano, alle varie tem- perature, riempiti di mercurio, ci siamo trovati nella necessità di fare lo studio preliminare della resistenza del mercurio in tubi di vetro fra 0 e 350° circa. Se la resistenza elettrica del mercurio si vuole rappresentare colla espressione R=14at+ bt"? + ct? ica Ra) i risultati delle nostre misure portano ai seguenti valori delle costanti: a= 898,9. 107° bi=*009;5 : 107 SSITR 8 1 Nella tabella che segue, sono raccolti i valori della resistenza del mercurio di 20 in 20 gradi. 32 VICENTINI E OMODEI Valore della resistenza elettrica del mercurio in tubi di vetro, fra 0 e 340°. Nella tabella non sono registrati i valori fra 0 e 100° perchè le nostre esperienze furono destinate precipuamente alle misure al di sopra di 100°. Per misure rigorose fra zero e 100° sa- rebbe stato opportuno operare in condizioni alquanto diverse e più confacenti allo scopo. Per fare rilevare quale grado di fiducia meritino i risultati sopra esposti richiamiamo i valori ottenuti da altri sperimentatori alle due temperature di 100° e 200°, quali si trovano raccolti in uno studio del Grimaldi [| Acc. Lincei, Memorie, vol. IV, 1887]. 100° R=1,0982 | R=1,2083 1,0989 — 1,0985 —_ 1,0860 — 1,0947 — 1,0996 1,2220 Vicentini-Omodei .. 1,0976 LIZIAT SULLA RESISTENZA ELETTRICA DI ALCUNI METALLI 33 Come è facile vedere, i risultati ai quali siamo pervenuti con- cordano colle medie di quelli degli altri. Resistenza elettrica dei metalli fusi. I metalli assoggettati alle esperienze sono: stagno, bismuto, tallio, cadmio, piombo. La tabella che diamo qui sotto contiene i valori medi (otte- nuti collo studio dei singoli metalli in parecchi tubi) delle se- guenti grandezze : 0, resistenza specifica del metallo fuso, alla temperatura di fusione 7, e cioè il rapporto fra la resistenza offerta dal metallo liquido nel tubo di vetro e la resistenza che alla medesima tem- peratura vi ha il mercurio; k, coefficiente di temperatura della resistenza del metallo liquido fra 7 e 350° circa; k', coefficiente di temperatura della resistenza specifica del metallo calcolata entro gli stessi limiti di temperatura. T o k L' me... 226,5 | 0,4044 | 0,00059 | — 0,00054 ber... QUA 010 13032 0,00041 | — 0,00067 Si ORTA 294,0 | 0,585 0,00055 | — 0,00081 Cai 181, 318,0 | 0,256 0,00013 | — 0,00104 elia. 325,0 | 0,7205 | 0,00052 | — 0,00065 Tutti i metalli liquidi studiati mostrano una resistenza spe- cifica minore di quella del mercurio, ad eccezione del bismuto. Il coefficiente di aumento di resistenza dei metalli fusi è rile- vantemente più piccolo di quello del mercurio. Per questo metallo il coefficiente medio fra 0 e 340° è 0,00 1244. Il cadmio è il metallo che allo stato di fusione possiede il più piccolo coefficiente di temperatura. Per il fatto della notevole differenza esistente fra il coeffi- ciente di temperatura del mercurio e quello dei metalli consi- Atti della R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 3 34 VICENTINI E OMODEI derati, risulta che la resistenza specifica di questi va diminuendo coll’aumentare della temperatura; da ciò il valore negativo di %/. Confrontando poi i valori della resistenza specifica dei me- talli fusi, si rende manifesta una relazione molto semplice fra essi ed i pesi atomici dei metalli, e cioè : quanto più grandi sono i pesi atomici e tanto più grandi sono le resistenze spe- cifiche. In prova di ciò nel seguente quadro sono riuniti i diversi metalli secondo l’ordine crescente dei loro pesi atomici P e di fronte ad essi le rispettive resistenze specifiche p ed il valore approssimato del rapporto Î P- Le resistenze specifiche del sodio e del potassio sono dedotte dalle esperienze del Matthiessen; quelle dello zinco e dell’anti- monio sono ricavate dalle misure del De la Rive, in base a con- siderazioni che per brevità qui ommettiamo. Na P=723 p= 0,038 Pl p.1000=4 K 39 0,133 3 Zn 65 0,265 4 CA 112 0,256 2 Sn 117 0,404 3 TI 204 0,585 3 Pb 206 0,7205 3 Sb 120 0,77 6 Bi 207 1,032 5 Farebbero eccezione alla legge i due metalli, che per la lique- fazione diminuiscono di resistenza, cioè il bismuto e l’antimonio, per i quali il rapporto Pl p ha un valore doppio che per gli altri metalli. Riassumendo, possiamo quindi dire, che per i metalli fusi studiati che aumentano di resistenza in seguito alla fusione, la resistenza elettrica specifica alla temperatura di fusione è ap- prossimativamente proporzionale al peso atomico. Richiamiamo l’attenzione sopra questa legge approssimata semplicissima, la quale benchè solo accennata dai dati anzi re- gistrati merita di essere studiata e comprovata anche per altri metalli. SULLA RESISTENZA ELETTRICA DI ALCUNI Resistenza elettrica dei metalli solidi fra 0° e la temperatura di fusione. METALLI 35 Nel quadro che segue registriamo i valori delle costanti «dc della espressione (1) destinate qui a rappresentare la resistenza dei metalli solidi, studiati in fili ottenuti colla solidificazione dei metalli nell'interno dei tubi impiegati. GODO b.10° | a e LL AAA 4951 1.1 1176 Bla, SALVO CA. 1. | 14021 Peio 4099 8544 3016 | 3500 12890 8183 947,5 | 83650 Ì 81,17] 3214 Diamo in fine il valore del rapporto esistente fra le resistenze dei metalli liquidi e solidi alla temperatura ci fusione. Bi fida [pe= 821 san 48 ai Diteasize gi) ssi oi »ifan==0l895 Le numerose esperienze che hanno condotto ai risultati esposti nella presente nota, sono state eseguite parte nel laboratorio di fisica della Università di Cagliari e parte in quello della Uni- versità di Siena. Come è avvertito in principio, la relazione par- ticolareggiata di tutto lo studio sarà pubblicata in apposita Me- moria. 36 GIUSEPPE BASSO GIACOMO PRESCOTT JOULE. Parole di commemorazione del Socio Prof. GiusePPE Basso Giacomo Joule, uno dei più eminenti fisici dell’ età nostra, che fu Corrispondente dell’Accademia fin dal 12 Marzo 1848 e poi eletto socio straniero il 26 Maggio 1878, spegnevasi dopo lunga malattia il giorno 11 dell’Ottobre seorso a Sale presso Manchester. In cotesta città egli era nato il 24 Dicembre 1818 da parenti proprietari di una grande fabbrica di birra, i quali lo destinarono, fin dai suoi primi anni, a proseguire nell’esercizio dell’industria, paterna. Ben presto però il Joule sentì il bisogno di acquistare, mercè lo studio della chimica, le cognizioni scien- tifiche che potevano giovargli ne’ suoi lavori ed a tal fine ot- tenne di frequentare il laboratorio del celebre Danton che allora appunto viveva a Manchester. In quell’ambiente di studi e di sperimenti e sotto la dire- zione di tanto maestro, nell'animo del Joule divampò vivace l’a- more alle ricerche fisiche ed egli non tardò a dar prova della sagacia del suo ingegno e della sua abilità sperimentale pubbli- cando nel 1839 sugli Annali di Elettricità, che allora sì stam- pavano in Manchester, i risultati di certi suoi studi sul potere di attrazione degli elettromagneti e sulla dipendenza di questo potere dall’intensità dell’azione magnetizzante. Ma il primo lavoro veramente magistrale del giovine Joule fu quello che la Società Reale di Londra accolse nella sua se- duta del 17 Dicembre 1840. In esso trovasi quasi completamente esposta la celebre legge che costituisce una delle assise fondamen- tali dell’elettrologia e che stabilisce essere la quantità di calore che si svolge in un conduttore attraversato dalla corrente elettrica pro- porzionale al quadrato della quantità di elettricità che lo percorre e proporzionale alla sua resistenza. In seguito, pur continuando a consacrare parte del tempo alla sua modesta professione, il COMMEMORAZIONE DI GIACOMO FRESCOTT JOULE 37 Joule eseguì un grande numero di esperienze atte a confermare ed a generalizzare la legge che porta il suo nome, estendendola anche al calore svolto dalla corrente che attraversa gli elettroliti. Si fu nel corso di questi lavori che nella sua mente sorse e si concretò il concetto dell’equivalenza fra il calore ed il la- voro meccanico; e nell'Assemblea tenuta a Cork nel 1843 dal- l'Associazione Brittanica egli presentò il suo primo lavoro di termo- dinamica esponendo un procedimento sperimentale che gli permise di determinare l’equivalente meccanico della caloria, mediante la misura della quantità di calore generata da una corrente elettrica e quella del lavoro consumato nel tenere in azione la macchina magneto-elettrica di cui servivasi per produrre la corrente. Dal 1844 in poi, in una lunga serie di comunicazioni fatte all’As- sociazione Brittanica ed alla Società Reale di Londra, egli non solo continuò a fermare su solide basi sperimentali il principio fondamentale della termodinamica, ma si occupò pure di molti altri argomenti, di cui parecchi relativi alla elettrologia ed alcuni tendenti a stabilire la teoria cinetica dei gas. A Giacomo Joule toccarono le più alte e lusinghiere distin- zioni scientifiche. Si può dire che tutte le principali Accademie del mondo si onorarono di averlo a socio ed a breve intervallo di tempo l'una dall’altra, gli furono conferite la medaglia d’oro di Copley e quella della Società Reale di Londra. Ma il maggior premio per il compianto scienziato è quello che alla sua memoria riserba la posterità riconoscente, la quale collocherà il suo nome fra quelli dei più eletti ingegni che si resero benemeriti del- l'umano progresso. 38 FRANCESCO PORRO Sulla differenza di longitudine fra gli Osservatorii astronomici di Milano e di Torino; Nota del Dott. Francesco Porro È noto all'Accademia come nel 1885 la Commissione Geo- detica Italiana abbia affidato all'Osservatorio di Brera in Milano il compito di determinare la posizione geografica della Specola Torinese sul Palazzo Madama, e come contemporaneamente, per cura dell’Istituto Geografico Militare, siasi effettuato il collega- mento del punto, così astronomicamente fissato, colla rete trigo- nometrica di primo ordine dello Stato (1), e col centro del circolo meridiano di Reichembach, al quale si riferiscono le analoghe determinazioni eseguite dal Plana. Delle operazioni geodetiche, eseguite dal dottore De Berardinis, l’Istituto ha reso conto in un allegato al processo verbale delle sedute della Commissione Geodetica Italiana tenute in Milano nei giorni 27 e 28 Set- tembre 1886 (2); qui, consenziente il prof. Schiaparelli, ho l’o- nore di esporre i risultati della determinazione della differenza di longitudine fra i due osservatorii. La relazione completa sui metodi seguìti nella osservazione e nelle successive riduzioni e sulle particolarità che si presen- tarono tanto in quella come in queste, avrà la sua naturale sede nelle pubblicazioni della Commissione Geodetica Italiana: nella presente nota mi limiterò alle cose più importanti. Il confronto degli orologi fu fatto col telegrafo, seguendo le norme prescritte per queste operazioni: la determinazione astronomica delle cor- rezioni degli orologi stessi dipende da osservazioni di passaggi di stelle al meridiano. Nell’una e nell’altra stazione si adoperarono strumenti trasportabili dei passaggi, usciti dalla celebre officina di Repsold, cronografi a cilindro di Hipp, e tavolette telegra- (4) Atti della R. Accademia deile Scienze di Torino, vol. XXI, pag. 36. (2) Firenze, Barbera, 1887. SULLA DIFFERENZA DI LONGITUDINE Ecc. 39 fiche del modello di Oppolzer (Schaltbrett) : servi a Milano il pendolo normale di Arnold, che già aveva servito circa sessan- t'anni addietro per la consimile operazione, a Torino un pendolo di Megele, pure appartenente alla Specola di Brera. I due osservatori scelti per le operazioni furono il dott. Mi- chele Rajna, Astronomo all’ Osservatorio Reale di Milano, e lo scrivente, che allora occupava un posto di assistente pure a Brera. L'eliminazione delle equazioni personali fu ottenuta con due me- todi, cioè colla determinazione diretta, nelle due stazioni, prima e dopo le operazioni di longitudine propriamente dette, e collo scambio degli osservatori verso la metà delle operazioni stesse. La concordanza dei due risultati ci dà ragione di credere che la particolare causa fisiologica di errore si sia mantenuta costante, e che il suo effetto sia quindi del tutto scomparso dalla media delle due serie di osservazioni. In ciascuna delle due stazioni si dedicarono due sere alla ricerca della legge secondo la quale varia la collimazione al variar della distanza zenitale. Coi valori. delle flessioni dell’ asse così ottenuti si ridussero le collimazioni date dalle singole stelle polari a quelle corrispondenti alle distanze zenitali delle orarie. Tralasciando altre particolarità meno importanti a notare in questo luogo, crederei mancare ad un mio dovere, se non curassi di segnalare una conclusione di estrema gravità, alla quale mi hanno condotto le osservazioni del 1885, e che osservazioni suc- cessive non banno fatto che confermare. La collocazione attuale della Specola di Torino non risponde assolutamente alle con- dizioni di stabilità richieste dal progresso della Astronomia di precisione e degli istrumenti relativi: se con particolari cure l'astronomo riesce a risultati degni di fiducia, non è a credersi che esso abbia a priori la certezza di poter operare colla pre- cisione necessaria. Giudichi l'Accademia quanto non debba riuscire ingrato un lavoro compiuto in simili condizioni, col dubbio inces- sante che tutte le precauzioni non bastino ad assicurare la riuscita! Tutti i calcoli relativi alla stazione di Milano furono eseguiti da me; ridussi pure le osservazioni di Torino, aiutato efficace- mente in questa parte del lavoro dall'ingegnere Tomaso Aschieri, assistente all’Osservatorio. I risultati di tali calcoli sono compendiati nei quadri che se- guono, dei quali i primi due riassumono le correzioni e gli anda- menti definitivi dei due pendoli, col numero di orarie e p di po- 40 FRANCESCO PORRO lari sulla osservazione delle quali ogni correzione serale riposa (1), e col peso g di ogni sera, dedotto dalla formola di Oppolzer Di 44 "dii i NERA Pendolo Arnold a Milano SÌ Rs Ss CORREZIONI ED ANDAMENTI 1 |— 1259495 +0*,0211(£—15%,15)| 16 3 | — 124,499+0 ,0246 (f— 14 ,37) 7 4 | —123,917+0,0251(#—11,18)| 18 5 |—123,316+0,0238 (£— 14,21) | 34 8 9 — 121 ,522+0,0257 (£— 13,05) | 30 — 120,879+0,0269 (£— 13,69) | 41 10 | — 120,2114+0,0252(£— 18,83) | 39 15 | — 117,4474-0,0268 (f— 15,58) | 20 16 | — 116,7724+0,0286(f— 14,17) | 39 ( ( 18 | — 115,425 +0 ,0277 (£— 15,25) | 24 19 | — 114,777+0,0284(£—14,38)| 86 20 | —114,077+0,0270(f—14,76)| 28 22 | — 112,862+0,0248 (£— 14,93) | 24 23 | —112,2694+0,0249 (£—15,20)| 26 | —111,639+0,0254(#— 16,08) | 33 25 | — 111,059-+0 ,0256 (£— 14,82) | 48 ( Cox pl UE Or SU i #00: ic. apc ea ES pa a uo 26 | — 110 ,432+0 0257 (£E— 15,21) | 43 | (1) Alle polari osservate in una sola posizione dell’istrumento sì è as- segnato peso !/,. i SULLA DIFFERENZA DI LONGITUDINE ECC. 41 Pendolo Megele a Torino 20 | 4+27,406+0,0295(#—14,06 21 | +29,834+0,,1559 (f— 13,20 | 22 | +33,623+0,0959(£-14,07) | 18|3,5| 24 | +39,546+0,1312(#—13,35) | 10 | 25 | +42,914+0,1206(f#—14,26) | 30 | 6,5 | 14 26 | +45,730+0,0163(£—15,04) | 42 | 10 | 21 3} «i CORREZIONI ED ANDAMENTI | 2 | P_| 9 | 2| +115769—05,0199(#—18%,06) | 16) 2| 5 SMINECTI 0510 .0092(6-12,88) | 21) 2 5 4| +12,350+0,0172(£-11,89) | 8 | gi: 3 5| +12,662-—0,0462(6-18,21) | 26 4|10 Re 6 1240 (082111355) |al'|os'l 14 8 |{(+17,061+0,1057(t--13,78) | 34 | 7 | 16 9 | +18,364—0,0068(£—13,56) | 32 | 9 | 18 10 | -+19,512-+0,0978(#—18,60) | 33 |9,5 | 19 15 | +20,796+0,0495(£-—13;88) | 22 |35| 9 16 | +21,984+0,0276(£—13,88) | 32 |6,5| 15 18 | +26,126+0,1882(£- 15,07) | 19 |5,5| 11 19 | +27,334—0,0270(£— 14,16) | ( ) ) Fa seguito il quadro nel quale sono riassunti i valori ottenuti in ogni sera per la differenza di longitudine 7, e per il tempo # 492 FRANCESCO PORRO di trasmissione della corrente; a proposito del quale è bene notare che esso riuscì negativo nelle sere del 18, 20 e 24, probabil- mente a causa della polarizzazione del relais di Torino. Il peso 9 di ogni sera si è calcolato colla formula Je Io ge Jet Io dove 9g, e g, indicano rispettivamente i pesi della stazione orien- tale ed occidentale. Risultati della determinazione della differenza di longitudine. PRIMA SERIE SECONDA SERIE | Porro a Milano — Rajna a Torino || Porro a Torino — Rajna a Milano | ni —_ "e ee in 3 _=.iifiifrl,.)9ry: ele" ENI Maggio Maggio | tes Peso I | t ARSA Peso I | É Bi; | 3 | 44 5% 585,584|0,0030]| 15 | 4,5 : BM 585911 | 0,0030 4 |'19 58,665 | OOO]! 16 | 75 59,039 | 0,0060 5 | 55 58,657 | 0,0030|| 18 | 5.7 59,064 | 0,0060 8 (GC 58,660 | 0,0035 19 7,9 59,010 | 0,0000 9 Toi 58,729 | 0,0030 20 5,0 58,961 | 0,0010 10 | 6,7 58,625 | 0,0095]| 22 | 4,8 59 .016 | 0.0135 i 24 LOI 58,977 | 0,0100 251 id | 58,932 | 00030 | 26 | 88 | 59,028 | 0,0025 Escludendo le sere del 18 e del 24, per le quali il valore negativo di # è troppo forte, si ha per la prima serie: 1—=5" 58,666 col peso 29,2 e coll’error probabile + 0*0125; per la seconda serie: 1=5" 58,991 col peso 46,2 e coll’error probabile # 0%,0122. SULLA DIFFERENZA DI LONGITUDINE ECC. 43 Facendo la media aritmetica dei due valori, si ottiene per valore della differenza di longitudine fra i centri dei due istru- menti di Repsold ; l=5" 58,828 + 05,0087. Facendo invece la semidifferenza, si ottiene per valore del- l'equazione personale fra i due osservatori Porro e Rajna P-R=-+0*,162 in buon accordo colla media delle due determinazioni dirette P- R=+0°,126+0°,0034. Ove si voglia tener conto di queste determinazioni, applican- done il risultato alle due serie di osservazioni, si ottiene un valore identico della differenza di longitudine, ma l'error proba- bile ne viene diminuito da 0°,0087 a 0,0063. Notando poi che la stazione di Milano è (1) più orientale del centro della torre maggiore dell’ Osservatorio per 0°,073, e che quella di Torino è di 0°,019 più occidentale del centro del circolo meridiano, come si può rilevare facilmente dal piano pubblicato negli Atti di questa Accademia (luogo citato), si conclude che il centro del circolo me- ridiano dell’Osservatorio di Torino si trova più ad occidente del centro della torre maggiore dell’Osservatorio di Milano per 5" 58° 736 +0°006. Dalla media di tre serie di determinazioni eseguite nel 1823 e 1824, osservando passaggi meridiani di stelle, e confrontando i pendoli mediante osservazioni di segnali a fuoco dati sul monte San Bernardo di Fenera (visibile da Milano e da Torino), gli astronomi Plana e Carlini hanno trovato per la differenza di longitudine fra i due medesimi punti il valore (2): ER 5g gb (4) Pubblicazioni del R. Osservatorio di Brera, n° XXIX. Milano, Hoepli, 1886. (2) Operations géodesiques et astronomiques pour la mesure d’un are du parallèle moyen. Milan, Imprimerie impériale et royale, 1827, pag. 108. 44 TOMASO ASCHIERI che differisce di soli + 0°,11 dal nostro. Se si pensa che anche per la differenza Milano-Padova i professori Lorenzoni e Celoria hanno trovato un valore quasi identico a quello di Carlini. e Santini, si deve riconoscere che nelle mani di astronomi esperi- mentati ed abili anche il metodo oggi abbandonato dei segnali a fuoco può aspirare ad una precisione non molto inferiore a quella del metodo telegrafico, il quale ha il vantaggio di essere assai più comodo ed applicabile più generalmente. Effemeridi del Sole e della Luna per l’orizzonte di Torino e per l’anno 1890. Calcolate dall’ Ing. Tomaso ASscHIERI. Questa nota fu compilata in base alla pubblicazione analoga del Dott. Francesco Porro per l’anno scorso, alla quale rimando per le tavole che vi sono calcolate. Per il bisogno della pratica si sono aggiunti i secondi ed i centesimi di secondo del passaggio del Sole al meridiano. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 45 Gennaio 1890. TEMPO MEDIO DI ROMA | E | = 11 SOLE La LUNA 3 S 9 Cr re —_ era “sr _c_—_.TTi Pr rss = 2 | | passa | = passa 3 = |_.| nasce al E nasce al tramonta | cha PE | meridiano | = meridiano = bh mjhm s hm h m h m h m IRR 7591) 12: 23, 1138] 446/] (1 052p.| 9 ipi3 480.) 41 20102 59 23 29,64 47} 2.20 | 9 48 4723 12 3'|.3 59 23 107394 481} 2 53 | 410 35 DIS20 13 4|%4 59 24 24,64 49] 3.32 | 11 24 Go25 14 DIC 59 24 54; 51 501} 4 15 | -—— 4 21 15 6 | 6 59 25 (17393 SI npaoi i 490 58 14 16 Mo TRE 59 25 43,87 53] 6 13 de: 103 8 54 17 8|8 59 26 9,31 OS 17 a63 do od 91534 18 99 58 | 26 34,22 vo|| 8° 5 238 dot va 19 10 | 10 58 26 58,60 56 9 8 dra 140: DI 20 dd 41 58 | SI. 122,99 57| 10 42 AT N ed0 55 21 12 142 57 | 27 45,60 0841 iZL| A 51 11 18 22 143 143 SA | 28 8,21 59] neo d SDA 20 23 14 |A4| 56 28 30,205 4|12 S2.| 6 19 |12 4p.| 2% 15 |15 56 28 51,54 Si 11433 Mo 26.4 ax 28 25 16 | 16 55 29, 142: 23 3 2 46 rd.) |n423 59 26 17 |17 54 | 29 32,24 4) 4.1 8- bi 1 36 7; 18 | 18 54 29 51,56 OH 517 9 5I SLZA, 28 19 |19 55 30 10,46 di 6 |A 3 19 29 20 | 20 53! | 30. 28,03 Sil Cadore | da Opi 4 27 1 pi d2i 52 30 45,13 10) 8 29 1-4 Dedo 2 B2: 22 | 5I 31 1,46 149144 Deo TO ò 9 423 50 di (17,00 12|| 9 46 rit (SI 3) 4 24 |24 49 dd 12473 141 10 416 3 53 9 40 5 25 |25 48 31 35,65 15|| 10 42 4 1 (|-10 52 6 26 |26 4T 31 LOS4IA|) | (6.11 06 o 28: — 7 27 |27| 46 32 -44)01| 48|| 11 30! 6 13 |12 2a 8 28 |28 45 33 (22441 49/44 55 GND lo 448 3|:119 29 |20] 44 32 33/05] 2112 22p.| 7 45 | 2 44 | 10 30 |30 45 32 42,81 2211-42 053 toe 1 BS 7) 411 Si. 131 42 32 51,74 24|| 1 30 9 20 4 418 12 | FASI DELLA LUNA Il giorno nel mese cresce di 0h 557 Meina lari 6 La Luna è in Apogeo 1 pom. 14 Ultimo quarto 7 22 ant. 20 Id. Perigeo 4 pom. 20 Luna nuova 12 39 pom. arri DE Il Sole entra nel segno Acquario no quatto ‘9° V6 “pom. il giorno 20 ad ore 2 m. 18 ant. 46 TOMASO ASCHIERI Febbraio 1890. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA li de 0 DV SI SI = I SOLE La LUNA _ S o fi n e I —"—=reme OOO e S z |2 passa E assa S real Mango al E nasce al tramonta | e EE: meridiano z meridiano A h m h m Ss h m h m h mn h m 32 | 4|741|12 32 59,84|/525]| 2 120.10 9p.| 5 560.| 13 do 42 40) 33 Me 09 26 a) 1 14 59 6% 07 14 34 | 3| 39 33 43753) 28] 3 56 [11 247 | 6 53 | 45 35° 4 38 BE) 19, 14 29 4 55 —- 7: 32 16 BI 36 dor 124543 31 5 €57 1P* 3ba Sdi 17 37 | 6 35 Da 127090 AZ AA: ez 834 18 981/07 33 FOT RIANO8 BONI Ono Dai 10 9210 19 39 8| 32 93° ABBIZG6 I 35 9.169 2 50 D 23020 40 9 34 DA 909, 06 STA MOMO Sà 98 9 45 21 44:10 29 dd 199790 00] 110423 VAT O 22 42 |41 28 o 135,96 39 DE Da 2 LOI 23 45 12 20 3h) 905 30 L11205 20: Eno 44 0 24 44 |13 25 33 39, 90 42 1 44 6 41 dA CSS 25 45 (44| 23 99 34/77) A44| 2/58 | 7 37 |Ub 1460055 46 |15 22 33 28, 93 46 4 10 836 4 4 27 47 |16 21 IO 2A55 47 ar 9 39 2. az 28 48 |17 19 3 21, 24 48 6414 10 42 ps 5) 29 49 | 18 117) 33 16, 20 49 708612 11 44 4 34 30 50 |19 16 di 10, 57 54 740 123 Di 4 1 5120 14 55) Us) DZ Go 1937/pi Sea 2 52 |21 12 32 97, 31 55 840 2 29 8 29 2) 53 |22 ill 3 49,70 op SO, Sale) 9 42 4 9 30 Sca 10 #53 5 955 STE —— 6 1022 5 39 12. ‘0a: 7 57 |26 312 13, 00,6 1 10 52 be 27 1 6 8 DO 27 32 2,35 ZA ASS Ti 5) 2 40 9 59 |28 34 54,45 Al 12 8p.| 8 a |a | CASCELLA LUNA, Il giorno nel mese cresce dl dh 21" 5 Luna piena 2h 3m ant. 2 La Luna è in Apogeo 3h pom. 12 Ultimo quarto 7 41 pom. 18 Id. Perigeo 3 ant. 19 Luna nuova 11 18 ant. 3 Daf Il Sole entra nel segno Pescì il 54 |23 9 det RUE 56 55 |24 y DR 133,07 58 56 |25| 6 32 23/08] 59 5 3 1 26 Primo quarto 2 56 pom. | giorno 18 ad ore 4 m. 48 pom. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 47 Marzo 1890, GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA d [=| =| Il SOLE La LUNA H z |S passa E passa $ = |__| nasce al E nasce al tramonta | MIL: meridiano È meridiano Q h m |h m Ss hm h m h m h m ein o53) 42 31 139.40 6]5:) 12 56p.)' 8 Spi] 4 (3a. 11 Gi 2 57 SA |A SCA alfo AZ) 9 13 450 12 62 || 3 55 SLM AOL Bi MZ 40 DI Sua 13 63 | 4 53 Shel Oli cotte di 7 6 47 14 64 || D 5I 90 goti EI 45d —- 63% 15 65 | 6 50 SI3n20)1 2 ann AD It 1% 16 66 | 7 48 IIS Hol Abd de 47 7 (DI 17 o7 || 6 46 90) 1IS801 on e È SI 7 50 18 68 | 9 44 29 48,50]. 16] 9 45 db 8 13 19 69 |10 42 29° 324300101 dd 100024 ato 8: (36. il "20 70 {411 UA 29! 416,190. 1488) 11*°36 a I 9 ZII di \| 42 39 R9' (440,661 120 -_ 4 37 9 32 22 72 113 37 93 IMSA Dini Cada 5) SALO 49 23 73 |14 35 B9° 290 221 59 6° (2844210 (53 24 74 |15 33 28: IAON9/ 24) O PR 49 25 75 |16 34 BI Dago db Z MG SÌ 29) VM 550. 20 1% 29 27 fasi izo)l (4059 9 29 2 Oer Mi 418 27 2 Sere ZZZ Deo 10) 27 SITA 28 78 (119 26 ZI PILA MI CN CA E LS 4 46 29 79 |20 24 20 V42462N 0. 4381142 d5pi6 13 1 80 |21 22 20: alpe Sion LEO CIR 2 81 |22 20 26 16/98" 199 7028 teca 8 31 3 82 |23 18 go (48/460 EN 752 Podi! 9 42 4 83 |24 16 25 (20:86) (35 8-20 dt (29 AISTO. 50 5 84 |25 14 go ital 36] 8 50 A AGLIAI 57 6 85 |26 12 24 5312 38|| 9 23 DE — 7 86 |27 10 24 34,70) 3910, 2 St 07 inM2 50n 8 87 |28 9 24 16,290: 40) 10 46 6 47 1 50 9 88 |29 7 25° AORe99* dll 11838 na (96 2 47 10 89 |30 4 23 (39,03 434 12 34p.] 9° 24 3 30 11 90 |3I 3 23 121237 dell DU9L 9 ‘42 da 12 i FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese cresce di 4h 38" Strana; piena Tasto pone. 2 La Luna è in Apogeo 4b ant. 14 Ultimo quarto 4 54 ant 18 Id. Perigeo 4 ant. Tag zuni, Sai pali 29 ld. Apogeo 11 pom. 28 Primo quarto 10 22 ant. Il Sole entra nel segno Ariete il giorno 20 ad ore 4 m. 32 pom. 48 TOMASO ASCHIERI Aprile 1890. 13 La Luna è in Perigeo 7h pom. 12 Ultimo quarto 41 43 ant. 26 Id. Apogeo 7 pom. 19 Luna nuova 8 55 ant. , Il Sole entra nel segno Toro il 27 Primo quarto 5 41 ant. giorno 20 ad ore 4 m. 25 ant. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA a d =) EI SOLE La LUNA HA = 9 — cp —_ | — n ie AO S # = assa = passa S = | | nasce al E nasce al tramonta | ® << S E meridiano È | meridiano iS) h m h m S hm h m h m h GINSINOLA! 12 25003,00|6 45 ]| 2,570) (9 DI 4 39n.| 13 9 | 21 5 59 Di RIST) USI Sedili. | 40% 5 o 4 9313 58 DEI 12695). 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Id SALI Led 145 |25| 4 15 49,9| 50/[10 9 do 45 [42 40 8 146 |26| 40 15° J56,07 DL 10 541 60513 1-10 9 147 |27| 40 ie a, 212 9 Za 43 3 INR: eg PELA: 148 |28| 39 dol 90 Gall 1919 7 56 2 MURA yes 149 | 29 39 10, [47219 54] 2.25 840 2 2% 12 150 |30| 38 16° 125,40 S5ll 3 34 9° 25 2 E 193 iii 37 16 |33°43] 56ll 4 44 | 10 43 gli o | LA FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese cresce di ih 8" 4 Luna piena gh 59" pom. i è 8 La Luna è in Perigeo 11% pom. 11 Ultimo quarto 5 11 pom. DIA Id. Apogeo 1 pom. 18 Luna nuova 9. 8 pom. 35 $ Il Sole entra nel segno Gemelli il ‘26 Primo quarto 11 24 pom. giorno 24 ad ore 4 m. 37 ant. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 49 Maggio 1890. Atti della R. Accad. — Parte Fisica, ecc, — Vol. \XV. 4 50 TOMASO ASCHIERI Giugno 1890. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA DS) ci 3 il SOLE | La LUNA HI olo —«a---Gi-T*T*T>-T- a È passa E assa 3 — | nasce al a pasce al tramonta | . e meridiano = meridiano S h w h m Ss hiimasii ch m h m h m ” A 437 42 416 142,47|7 57] .5 (59p.] 110 dp 3Sasi d 2 36 16 51,29 58|| 7 16 —= L 12 16 3 36 179 (0,79 595 8 33 120 004) ea 47 4 35 ITR.AG, 68 59 9 45 de 10 DA 18 5 30 17 20,89|8 0/10 46 24,3 622 19 6 35 417 31,45 L11067 SII 7 40 20 7 34 Ag AD IS4 1 —_- i 8 46 24 8 34 IX 1533604 2| 12 160.) 5. 6 10002 rie 9 33 4900 105,04 21112 49 60 149:2Z1 23 10 33 18. 16,76 Zi Aso 6 50 12 34p.| 24 414 33 18. 28,76 4| 1 39 TRI di 47 25 12 33 18 40,99 4 pia 8 24 An 26 13 32 13: 53,41 Sl “2026 Oae:9 4° rar 14 32 19 6,01 5. ZARE 9 56 5' 043 28 155 32 19:h-118227 GI 3043 10. 43 6 20 29 16 32 19. 34,65 6! 0354 11%.33 7 24 30 417 32 19 44,63 6 4 28 12. 28p. 8 24 1 18 32 107 (57,07 DI IRE 1a 44 9 16 2 19 33 20. 10,76 Z| (ORSI IA: a POUR. si 20 33 20 23,36 TI VORRSS 28 59 10 40 4 21 33 20 36,94 Sl 7a8 3.40 s Vi IRR 5 22 34 20 49,98 8. COPIO 4. 25 14 39 6 23 34 24 2 (9) Sl '1406862 dk ‘9 _- vi 24: 34 21 15,84 8|| 41 6 Dani 5 VENA 8 25 34 21 28,60 8] 12 10p 6 34 12. 25 9 26 35 RIM 31,24 SU 19535 De AT 12 46 10 27 35 21 53,68 Sii 2/23 N 1 & 411 28 36 22 5,95 8 3 84 850 132 12 29 36 22 18,01 Sil 4 9 9 43 1 59 13 30 37 22 29,86 8 6 6 10 44 VA 1! 14 [ FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese cresce di 0h 22 3 Luna piena 7h 24% ant. 5 La Luna è in Perigeo 11 ant. | 9 Ultimo quarto 10 40 pom. 21 Id, Apogeo 5 ant, 17 Luna nuova 10 48 ant. Il Sole entra nel segno Cancro il 25 Primo quarto 2 43 pom, giorno 24 ad ore 12 m. 42 pom. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Luglio 1890. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA Il SOLE La LUNA E D rss SE ee “e ANI! pn — a ® ee < |S passa = assa =D al 2 nasce al tramonta Me=- Sa meridiano & meridiano fem Ss h m h m h m h m 12.22 41,47|8 8] 7 2ip.|11 43p.| 3 12 27° 52400) 8 8 30 -— 4 4 231 35:90 VAI OZ AZZ 4GARI ROTTO ZI 4402 Pf NEO ch'e 6 24 298 (‘20:05 7110 48 ZA 7 44 Roi (ipnezi VA TINO RIDI 9g 4 23. 45,00 6411 24 4.945 I 10 22 23. 54,43 6 o Maspoci 798 24 3, 90 OASI (022 12 48p. 24 42,48 DIARIO Lari; TOT 24 20,45 4112 55 gdo DIO 24, 28,30 DIE 19022 8 41 ia 240 BOSA Dali 1 1102 q29 3 16 24 42,65 PAIA ZIO: 10 19 CE ga 24 49,12 ARTI 9 {
7 Ultimo quarto 8h 9% pom. Pa 14 La Luna è in Apogeo 5h pom. 45 Luna nuova 5 410 pom. 29 Id. Perigeo 10 ant. 23 Primo quarto 2 10 pom. Il Sole entra nel segno Vergine il 30 Luna piena 5 25 ant. giorno 23 ad ore 6 m. 16 ant. UT - n EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Settembre 1890. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA [es] [© | 3 Il SOLE La LUNA -- ci (>) Erri eegngan e ANO È > Ce een i 3 | = © < |= passa Gi assa =) = || nasce al E nasce al tramonta | = > |3 meridiano = meridiano E h mb m Ss h m b a h m h m CANE 0:42] 12 48.59.5761 55,8... 34p. | 52-30 8. 9.| 418 Q45 (2 43 18.40, 51 55) MISINTO 053 9 29 19 246 | 3 44, TS IEZIENO 51 || 9° 24 SILE 1039 20 CA 46 18 IZ 49] 9 53 AMO ia Rol 21 248 | 5 47 17. 41,84 47|{ 10 26 5oszi N 01. 22 249 | 6 48 17121395 15 AZ OA: ZI: 23 F:30 0 ari 49 AU7 1507 Z| 11° 49 TRESTRI IRA 24 20 28 50 16. 41,33 42 — TOM FADO 25 253 109 52 16 20,83 401 12 400 8 42 4 40 26 ZOSNIAO 55 1601440149 38 1995 9 891 o Dt 27 254 [11 54 151999545 36 2 36 10 48 SRO. 28 200 12 55 15 :18,57 34 SoS Iles 647 29 256 |13 56 147.61 SALONE DINZAZI 640 30 257 |14 58 1% | (20,58 SO. NAZ 12 19941 1 258 115] 59 14 45,49) 28|| 6 49 Ji Adi 00r7 | DO 2 259 [16] 6 0 13) 54,57 ZANE L6:6E SO 743 3 260 | 17 1 13| 11099429 ZII eta) ZA S VD 4 261 |18 2 131542709, 201 AN a 829 5 262 |19 4 12100597 ZA ALI ALTI 4A BAT 8 58 6 263 | 20 5 12 29,89 19112 28, 53 9 34 7 264 | 21 6 12 8,85 17% RLRSS 5 59 1049 8 265 | 22 di 11 47,88 15.1] 245 659 Jo 9 266 | 23 3 11. 27,00 TSI ASI Sies0 - 40 267 | 24 10 dl 6,22 41 4 28 dread 122 a 1 268 | 25 41 10. 45,59 9 | 9 7 9 59 di N39 12 269 | 26 12 10 eo 8 5 39 100855 SARO 13) ZIOPNZI 13 10 4,80 bi OST 11 48 DObzi 14 271 | 28 14 9° 44,70 4 0059 —- 6 41 15 72 | 29 16 9 24,83 A E (OT 12 39a 2 153 16 273 | 30 17 9 5,22 Ol aziNzo 1 29 E) DI FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese diminuisce di 4h 6 Ultimo quarto 4h 490 ant, 10 La Luna è in Apogeo 12° pom. 14 Luna nuova 843 ant, 26 Id. Perigeo 5 po) 21 Primo quarto 410 55 pom. Il Sole entra nel segno Libra il 28 Luna piena 1 50 pom. giorno 23 ad ove 3 m. 12 ant. TOMASO ASCHIERI Ottobre 1890. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA (si si 5 ll SOLE La LUNA a S = i n e, en crgliinia » | ie °° "ot — __P_y a a] ® tu DD PI = passa = passa ui = |- | nasce al E nasce al tramonta | 23 PS) meridiano E meridiano RS h m h m S h m h m h m h m 274 | /4| 6 18| 12.8. 25,89|]5 58! 7 500.| 2 19a.| 9 (3904 215 | 2 19 8° 26,897 DO. | 9028 S 10) (1093 276 | 3| 24 8849) 54ll 8 59 | 4 4 |411 51 TIA 23 7° 49,85 52) 9.42 4 53 dl 427Foagi 278 | ;5 24 7 34,88 51] 10 30 5 45 Edi 279 | 6| 25 TM 445790. |. 1.49 || AL 25 b 36 2439 280 | 7 26 6398.5743 47 cu 2 5 +48 281 | 8 Car 6 40,38 45] AZ 200 BRL 34 DE 282 |.9 28 6 24,08 5 zo n, 424 283 |10| 29 6. .8,24| 42) 2-30 9 43 4 35 284 [11 31 bi De, 88 40 || 333, 40 26 Dial 285 |12 32 54.38, 02 SI. Ao E O 51424 286 |13| © 33 SLA SS a Sol 9 287 |14 34 DE 19, 80 35 ||] 6,49 (42. 34pi esa 288 [15] - 36 406: 58-|: (89 Zed 1349 6 32 289 [16] 37 1Sf 45:86 (Bill Oa S BANG 7 | 290 [17| . 39 HAI, 72) 20) 140720 da 7:93 291 |18] 40 AAT 17, 28] 41531 3° 55 8 416 292 119]. 41 L10224 RO] 42.298. VT 6a 9.8 293 |20 43 Dt De: 88 IATA I Pet Di 53! AO 294 121 44 3 VARAZ 23 | 20 27: 6.. 52 4 11023 295 |22 45 3. 40,40 ZII RZ 750 — 296 |23| 47 Smaloni 140 Red 8 45 | 12 400 297 |24| , 48 Sr .d8,9] del 478 9 37 41 (59 298 [25 49 81 10,88 16] 4 34 10 28 3426 299 |26 DI 3 10,54 445 4.058 ALS da 4 34 300 |27 52 Da a 03 13 Dezz — 5 (50 301 |28 54 3. 0,06 11] 5-98. (42° 7egl e 302 |29 5) 2:09, 96 40 (548 | AZ 8 19 303 |30| 56 252,63 8. 6952 1 48 9133 304 131] 58 2 50,10 70 7538 241! PAGG | FASI DELLA LUNA. Il giorar nel mese diminuisce di 1h 4m, 5 Ultimo quarto 9% 13" pom. mi 8 La Luna è in Apogeo 3% pom. 13 Luna nuova 11 55 pom. Dy 14. Perigeo Alina 24 Primo quarto 6 26 ant. ———-fa ì Il Sole entra nel segno Scorpione 27 Luna piena 12 32 pom. il giorno 23 ad ore 11 m. 46 ant, EFFEMERIDI DEL 'SOLE E DELLA LUNA Novembre 11890. im 4 Ultimo quarto 5h 3" pom. pr ‘42 Luna nuova 2 27 pom. 18 Id 19 Primo quarto 41 34 pom, GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA A [>| li SOLE La LUNA a 9 o e" n 7a | —r___-_TA n i Ce z s passa E passa È 2 || Dasce al E nasce al tramonta | «e |3$ meridiano =) meridiano D hm h m SÒ h m h m h m 205 | 116. 59/12 2 48,38/|5 61/1 (8 19a.|1'3 34a. [11 400.| 20 (306 | 2/7 1 2 47,46 4 9 13 4.201 42 f93p. 21 307 | 3 2 i 47,29 Fo IE 10 Lo 1 Io de di 22 308 | 4 3 2 45,12 DATES LOMIASIZI 1 (92 ZA 309 | 5 i) Zi 40.70 0 —— (URINA: 2122 24 310 | 6 6 Aioz, 42 415042160. | 1770038 2 48 25 SIA |. 7 2) 59,40 58|| 1 20 3 21 3 40 26 312 | 8 9 2 DDA DO. !24 23 0, 31901 2 213 {9 10 Sì 452 DO Jai 9° 45 DIE 28 3414 | 10 12 3 10,37 O4 || 44% B4ccid0 (128 4 42 29 345 [11 43 3 17,09 balia 11, 43 4199 30 3416 |12 14 3 24,66 13 MALO Ri 00 e 7A TP | 1 317 | 13 16 3 33,08 olii 142 DZ D| Sé 2: 318 |14 47 3 42,34 49) 9 419 1 48 6 112 3 319 [15 19 3 52 46 481 10. 30 2 4 TA 22 4 320 | 16 20 4 3,40 4711 34 di 47 Po, 5 3241 |17 21 4 15,16 47112 27p.| 4 48 9 (415 6 322 [18 23 4 27,73 46|| 140 O, 460240 1:29 7 323 | 19 24 4 41, Al 46) 1 44 6 41 VII 146 lo) 324 {20 25 4 55,27 45 |a, 13 4153 — 9 325 [21 27 5. 10,23 440 (2, 97 di 22 ASS 040 326 | 22 28 do 29,98 49.11 19a 61 D 10 2148 di 327 [23 29 5 42.49 421 13, 24 Di 58 3132 12 328 | 24 30 5 59,76 421} 3 49 |10 47 4 46 13 329 |25 32 6 17,80 22% (INI cel i 1: ORAIES 5 | 59 14 330 | 26 33 6 36,58 40! 4 48 — I Ki 15 331 |27 34 6 56,40 99 |.1Da > | 42 20021 8121 16 332 |28 35 7 16,35 39 || (6.9 o i 926 17 333 |29 37 7 37,29 SS: ll |-45*0 pi ADreL40 | 23 18 334 |30 38 7 58,93 38|| 7 58 SSA | 41 19 [ - FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese diminuisce di 1b 5 La Luna è in Apogeo 10h ant. Perigeo 6 pom. Il Sole entra nel segno Sagittario 26 Luna piena 2 13 pom. il giorno 22 ad ore 8 m, 39 ant, || 56 TOMASO ASCHIERI Dicembre 1890. GIORNO | Li SOLE Sii Aaa è e {3 (o —- Torino - l'ip. Reale-Parari». de se si 3 È SR ISNISIIRTIZIOSIIO STO Re ALTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DE-FEORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, Disp. 2°, 1889-90 Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN ©. Libraio della R. Accademia delle Scienze È ARRANE O ul 59 ho / f CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 1° Dicembre 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Bruno, BERRUTI, Basso, D’OvipIo, B1z- zozeRo, NaccaRI, Mosso, SPEZIA, GIACOMINI, SEGRE. Si legge l’atto verbale dell’adunanza precedente che è ap- | provato. Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine che segue : « Sul modo di adoperare gli elementi geodetici dello Isti- tuto militare geografico italiano » ; Nota del Prof. Nicodemo JADANZA, presentata dal Socio NACCARI; « Sopra «il calcolo della rifrazione terrestre », Nota del Dott. P. Pizzetti dell'Università di Genova, presentata dal Socio D'OviDIO ; « Sulle equazioni differenziali alle quali soddisfanno il Modulo cd il Moltiplicatore nella trasformazione delle funzioni ellittiche »; Nota del Dott. Guido VALLE, presentata dal Socio Basso. In questa adunanza vengono eletti Soci nazionali non resi- denti i Professori Luigi CREMONA ed Eugenio BELTRAMI ora Cor- rispondenti dell’Accademia; Soci stranieri Arturo CayiEY, Prof. di Matematica all’Università di Cambridge, e Rodolfo VircHow, Prof. di Patologia generale e Anatomia patologica all’Università di Berlino; e Corrispondenti Augusto CHaveav, Prof. alla Scuola «di Medicina di Parigi, Michele ForstER, Prof. di Fisiologia alla Università di Cambridge, Rodolfo HEIDENBAIN, Prof. di F isiologia all’Università di Breslavia, e Guglielmo WaLbEYER Prof. di Ana- tomia all’Università di Berlino. Atti della R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol, XXV. 5 60 NICODEMO JADANZA LETTURE Sul modo di adoperare gli elementi geodetici dell'Istituto geografico militare italiano ; Nota del Prof. NicopEMo JADANZA Tra le pubblicazioni geodetiche che hanno una importanza capitale per coloro che si occupano di Geometria Pratica va se- gnalata quella degli elementi geodetici dei punti contenuti nei fogli della Carta d’Italia fatta per cura dell’Istituto Geografico Italiano. In codesta pubblicazione, per ogni punto geodetico sono date le coordinate geografiche (Latitudine e Longitudine), l’altezza sul livello del mare e le coordinate geodetiche polari (Di- stanza geodetica ed Azimut). Da tali elementi si possono dedurre le coordinate piane ret- tangolari che sono utili agli ingegneri catastali ed a quanti si occupano di Topografia per avere dei punti di collegamento nei rilievi planimetrici. 1. Se si prende un punto A dell’ellissoide terrestre come orz- gine, gli assi coordinati rettangolari sono le rette tra loro per- pendicolari prodotte nel piano tangente all’ellissoide in A dal me- ridiano e dal parallelo che passano per A. Le coordinate piane rettangolari di un punto 2 rispetto ad A sono: l’arco di meridiano rettificato compreso tra i pa- ralleli di B e di A e l'arco del parallelo di B rettificato compreso tra il punto B e il meridiano di A. La prima è l’ordinata Y, la seconda è l’ascissa X. Queste definizioni concordano con quelle stabilite dall’ Istituto Geografico Militare (*) nel costruire la carta topografica d'Italia (*) Cfr. Istruzioni sulla proiezione naturale applicata di forma delle carte d’Italia e collocamento dei punti geodetici nei fogli. Firenze, 1875. MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI 61 alla scala di 1 a 100 mila. Le coordinate geografiche dell’o- rigine saranno indicate con © e 9; la prima sarà la latitudine, la seconda la longitudine: quelle di un altro punto qualunque saranno indicate con g'e &'. Se si pone per brevità Av=g'— 9, AG=0"- 6, le formole che danno le coordinate rettangolari di un punto B (g', 9') rispetto all'origine 4(2,9) sono: X= A0 cosq'.N'senl" | = AD Pen bo, dove N'è la gran normale corrispondente al parallelo di B, ?, è il raggio di curvatura del meridiano corrispondente alla lati- tudine 3 PER aL. 9 È Se l’origine A è il centro di un foglio qualunque della Carta d’I- talia, e il punto Bappartiene a quel foglio, la differenza — = Ag sarà al massimo eguale a 10', per cui potremo alle (1) sostituire le seguenti (*): : i X= 46cosy' Nsen 1" | 1 (5); — KH ‘3 MIR S COS £ t3N 174 psen1l x ) sl (0) ag=_a | coso. Nsenl | In questo caso è necessario conoscere le coordinate geogra- fiche dell’origine delle coordinate. : «ua 199 51 tmo dell tità ogaritmo della quanti ON di 10' in 10' da 36° a° 47°. Il calcolo quindi delle (3) e (5) riesce facilissimo. è dato nella tabella annessa 6. Quando per mezzo delle coordinate rettangolari di B si cal- cola la distanza di esso dalla origine A, codesta distanza non sarà eguale alla geodetica s che unisce i due punti corrispon- denti dell’ellissoide. Nè l’angolo che la retta AB fa coll’asse delle Y sarà eguale all’azimut 2. 68 NICODEMO JADANZA Ponendo c—- Ab, a= YAB, queste due quantità saranno date dalle equazioni: GCcosa = Ss sen z 18 9» csena=scosg — —i s°sen?2 2N Elevando a quadrato le precedenti equazioni e sommando si otterrà, colla medesima approssimazione : tg 9 e—-sl1—- 24 scoszsen?z | È donde =s(1- 875 008 esen? :) : ovvero tg89 > 9 —c= ‘'s°.'Cosz song © a 8). s og: 5- 0088 sen'e (8) Il fattore cosz sen°z diventa massimo quando 2 soddisfa l'equazione — sen?z + 2 senz cos°z= 0 ossia tac _ cos'g= =. Codesto valore è: a = 54° 44° 10° pel quale si ha: log senz= 9. 9119571; © logcose=9. 7614393. Nell'ipotesi di © =47° (nel qual caso, per l’Italia, il coef- tg © ficiente ha il suo massimo valore) ed s=20000" si avrà tg 9 log —£ PAZIAODILZI gay cos 2 sen” 2 cioè sulio 4292". Sicchè la differenza tra s e o non raggiunge 13 metri. MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI 69 Dividendo le (7) si ottiene . donde, trascurando quantità del 2° ordine, si deduce FRESA Bali oi 2N }; Essendo piccola la differenza tra « e 2 potremo a tg(a— 2) so- stituire «—z, quindi, poichè si ha: tg (a— 2) Pre cos'zi _' sarà t pali dea È 2 ed in secondi wo Pag: 3 ' «—E&=3 n ssente IDA alianti deg (10) Il massimo valore del 2° membro della (10) si ottiene quando 2=90, sicchè per e—47° ed s=20000" esso diventa a-a=0°05 46”.2 . Adunque le quantità o ed < si determineranno per mezzo delle — formole o=st— 18.9 - s° cos 2. sen? z 2N neon l'on "o Lion Lo (11). a=2+ a ssen3z. R" ESEMPIO NUMERICO. Volendo calcolare le quantità © ed « relative a Racconigi, conoscendo le coordinate geodetiche polari s e 2 relative a Vigone si otterrebbe: o_s=+8". 25; a-2=2'56". 10, e quindi o-= 16833®. 5... a=119°55'51”.06. 70 38 39 NICODEMO JADANZA Valori di log 40° 00' 10 | 2,75774 10 20 | 2,76038 20 30 | 2,76302 30 264 40 | 2,76566 40 263 50 | 2,76829 50 263 00 | 2,77092 41 00 262 10 | 2,77354 10 262 20 | 2,77616 20 261 30 | 2,77877 30 261 40 | 2,78138 40 260 50 | 2,78398 50 261 00 | 2,78659 4200 259 10 | 2,78918 10 260 20 | 2,79178 20 259 30 | 2,79437 30 259 40 | 2,79696 40 258 50 | 2,79954 50 258 00 | 2,80212 43 00 258 10 | 2,80470 10 258 20 | 2,80727 20 257 30 | 2,80984 30 257 40 | 2,81241 40 257 50 | 2,81498 50 256 00 | 2,81754 44 00 Torino, novembre 1889. 2,83032 2,83286 2,83541 2,83796 2,84050 2,84304 2,84558 2,84811 2,85065 2,85318 2,85572 2,85825 2,86078 | 2,86331 2,86584 2,86836 2,87089 2,87341 2,87594 2,87846 rs (0{e) ses Do 2 | 44° 00" 10 | 2,88099 20 | 2,88351 30 | 2,88603 40 | 2,88856 50 | 2,89108 45 00 | 2,89360 10 | 2,89612 20 | 2,89865 30 | 2,90117 40 | 2,90369 50 | 2,90621 46 00 | 2,90874 10 | 2,91126 20 | 2,941379 30 | 2,91631 40 | 2,91884 50 | 2,92137 47 00) 2,92389 76 Sopra il calcolo della refrazione terrestre; Nota del Dott. P. PizzeTTI Professore nella R. Università di Genova $ 1° Consideriamo un mezzo trasparente (atmosfera) e sia n E, 4x9) la formola che esprime l'indice » di refrazione in un punto qua- lunque in funzione delle coordinate Cartesiane del punto stesso. Le equazioni di una linea luminosa (trajettoria luminosa) che attraversi un tale mezzo trasparente, sono, per le leggi ordinarie della refrazione (*): 1 d Ho. { (n 7)= ds ds Yy d n) dn — n_-|=1t ads ( ds dz Da queste equazioni si possono dedurre degli sviluppi in serie (analoghi a quelli di Weingarten per le geodetiche di una su- perficie) che ci sembrano di qualche interesse per i problemi pra- tici relativi alla refrazione astronomica e terrestre. Se nelle equazioni (1) si sviluppano i primi membri, sì divide per » e si pone: log.n=N, (*) Vedi: Bonnet, Thcorie de la réfraction astronomique (Nouv, annales de Math., 2° serie, 1.° VI), 72 P. PIZZETTI sì ottiene d°x _ON dxdN ds dx ds ds dy _QN _dy daN ds dy ds ds d°z __9N. da daN dst de ds ds’ ovvero dx ON da> ONdaxdy 9INdxdz 715 n) 0y ds ds dz dsds' dy ONdxdy N dy\ INdydz ds dx ds ds ap ) (RE dz ds ds’ d° £ OoNdadz dNdydz 2 ( i d s° ds° .. dx dsds .dy ds ds ds] Consideriamo un punto qualunque 2 di una trajettoria lumi- nosa L, e sia S la superficie di indice costante che passa per M. L'equazione di questa superficie può scriversi (2)... N=log f (c, y, 2). Assumiamo per origine delle coordinate il punto MM, per asse positivo delle 2 la normale alla superficie ,S, nella direzione che va dalla banda della convessità della S (che supporremo a cur- vatura positiva) e per assi x e y le tangenti principali alla ,S nel punto M. Porremo l’indice o a pieli delle derivate, che com- paiono nei calcoli seguenti, per indicare che, dopo la derivazione, deve porsi: x=0,y=0., #=0. Avremo allora : (3)... ()= 0, (2) O. Chiamando poi R,, KR, i valori assoluti dei raggi principali di curvatura della dpi S nel punto M, avremo, per le note formole sulla curvatura delle superficie, e tenuto conto delle (3): o EISLOI). (SL, (EL) dy CALCOLO DELLA REFRAZIONE TERRESTRE 1% 0° \ Infatti se si chiama DRS la derivata parziale seconda della £ x rispetto ad x, dedotta dalla (2) tenendovi N costante, si ha dg È Gir (= gePR 1 (giacchè nel punto M la superficie volge la convessità alla dire- zione positiva dell’asse delle 2, e quindi (È) è negativa). D'altra parte, derivando parzialmente rispetto ad x la (2), si ha, tenuto N costante: ON ON 08° da CESSI 0° N PN dz ca (se) ON 0g 0 = 0 EER RIEEEPI ae PI a quindi, per le (3): = 0 0° N dn ON ARE ON. era barato) Similmente si dimostrerebbero la seconda e la terza delle re- lazioni (4). Considerando le coordinate x, y, z di un punto qualunque della trajettoria L come funzioni dell’arco s, contato a partire dal punto, M potremo scrivere: ca de) 4 DS) + ei ca) + SARAI lE) casi) d MO)... y=s(P)+ ecc. ds), Î Li i ". | sa (7 Sg ecc. dove supporremo s abbastanza piccolo perchè gli sviluppi, limi- tati a un determinato numero di termini, possano esprimere, entro una determinata approssimazione, le x, y, 2 rispettivamente. Se 74 P. PIZZETTI indichiamo con Z l’angolo che la direzione positiva della. tan- gente M#f alla curva L nel punto M fa coll’asse Mz, e con l’angolo che il piano Z Mt fa col piano 2%, avremo: 1 l ‘d fols-. 7) =sen Zeosa, ne) = sen Zsena, e = BORA dsl, TR ge ds), Ponendo "o ser e sostituendo nelle (19) «= 0, y=0, 2=0, abbiamo: | (Te) —— PsenZcosZcosa, ds°)o i Sag l Di: { (2) | (7) =P@0n%4, \ o — Psen Zcos Zsenz, | Derivando la prima delle (1') rispetto ad s, abbiamo Ta=(1 de) d (3) da dy d (3) da dz È (55) ass \ as]as\ox}] dsadsads\dy) ds dsds\de da dx 0N IN .dady dy Da) ON de dîz ded’x dsds dx dy (7 dst' dsds} de (n ds? ds 18) Poniamo in questa a=0, y=0, 2=0 e facciamo 0° N 0°N 0° N (8). °° (—)=4 : (e , (57) =0 9 \ otterremo, tenuto conto delle (3), (3*), (4), (6), (7): tx P | 73)" x sen Z cos? Z cos 4 — (2 1 LA = P(7_ 7) zonasonta+ + AcosZ(1— 2 sen° Z cos) — Bsen° Z cos Zsen 2a — — Csen Zceos? Zeosz + P° sen Zcos 2 Z cos. "a CALCOLO DELLA REFRAZIONE TERRESTRE n Similmente, derivando la seconda e la terza delle (1’) rispetto ad s, si ottiene 1d Ti, È È 4) — — sen Zcos’ Zsen a + ds? k, 1 1 Mel. .< +P(7-- 7) sen" Zeon aosta + (10) din + Bcos Z(1— 2 sen° Zsen°x) — Asen°Z. cosZsen2 « — — Csen Z cos° Z sen a + P? sen Z. cos 2 Z.sena. d3z ARE RE è )= {NE sen° Z cos 4 — — (Acosz + Bsena)senZcos2Z di)... | dove PR, è il raggio di curvatura della sezione normale (nel punto M della superficie ,S) che fa l'angolo coll’asse delle x. Esso è legato ad R,, R, dalla formola di Eulero 1 costa sen’a Rigo Il Il calcolo delle derivate successive delle x, y, 2 rispetto ad s può continuarsi senza limite e non presenta alcuna difficoltà. S 2°. È interessante vedere il significato geometrico delle quantità indicate con A e B. Sopra la direzione positiva del- l’asse Mz (normale alla superficie S nel punto M) prendiamo un punto M' alla distanza infinitesima d 2 dall’origine M, e per M' conduciamo la normale M'N' alla superficie S' di indice costante, che passa per M' (supporremo questa normale diretta dalla parte della convessità della superficie 9"). Chiamiamo x. dz l'angolo che la M'N' fa colla Mz, e 6 l'angolo che la projezione della M'N' sul piano xy fa coll’asse Mx I coseni di direzione della M'N' saranno, a meno di infinitesimi d’ordine superiore al primo : mu. >-x.cosd. dz, uer.send.:dz, vl: Per evitare ambiguità di segni, ci limiteremo a considerare il caso nel quale le superficie di indice costante volgano la loro convessità a quella parte dello spazio, verso la quale » va di- Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 6 76 ° P, PIZZETTI minuendo. Allora la quantità che si è indicata con P sarà ne- gativa, e il coseno dell’angolo che la M'N' fa coll’asse Mx sarà ON dx \ ——______________________— / I ON\®_ /0N\? (Fat) +) ovvero ponendo per x, y, 2 le coordinate del punto MM', che sono (0, 0, dz) e ricordando le (3) (3) (12) 1 (N \=%xcos6.dz= (o) dz ON\z \0x09z}, ? ONE è rs i , (ON dove l’espressione | (=) indica il valore assoluto di (3) 3 CZ, (0) che è — P, essendo P negativo, come si è detto. Si avrà dunque finalmente di 1 2N Y, COS sn PE 3 donde (13) .. A=Prx così e similmente (14)... B=Pnasen9. È facile comprendere che 7 non è altro che il valor nume- rico della prima curvatura, nel punto M, della trajettoria orto- gonale, alle superficie di indice costante, e che 6 è l’angolo che il piano osculatore di questa trajettoria fa col piano zx. Se le superficie di indice costante sono fra loro parallele, le trajet- torie ortogonali sono rette e si ha in ogni punto: A=0, B=0. Se le superficie di indice costante sono di rotazione attorno ad un asse comune, allora le trajettorie ortogonali sono contenute nei piani meridiani, e quindi se l'angolo « (azimut) si conta a partire dal meridiano, si avrà 9= 0°, oppure 9—=180° a seconda che le dette trajettorie ortogonali volgono la loro concavità a quella parte del meridiano, a partire dalla quale si contano gli azimut, ovvero alla banda opposta. CALCOLO DELLA REFRAZIONE TERRESTRE TI, $ 3°. Le formole (6), (7), (9), (10), (11) ci dànno i coef- ficienti dei primi tre termini per ciascuno degli sviluppi (5). Nei problemi pratici sul calcolo della refrazione, sia astronomica che terrestre, l'arco s è abbastanza breve (*), di fronte ai raggi di curvatura degli strati atmosferici di uniforme densità e di fronte al raggio di curvatura della trajettoria luminosa, perchè possano trascurarsi nei detti sviluppi i termini in s' e quelli di ordine superiore. Gli sviluppi (5) dànno pertanto delle espressioni approssimate delle coordinate Cartesiane dei punti di una traiettoria luminosa in funzione dell'arco s e della direzione della tangente iniziale alla trajettoria stessa, e possono servire a risolvere, in via d'’ap- prossimazione, i problemi pratici relativi al calcolo della refra- zione astronomica e terrestre. Qui ci limiteremo a considerare la refrazione terrestre. Supponiamo, come d’ordinario si fa che la verticale del luogo M di osservazione coincida colla normale Mz alla superficie S di indice costante, che passa per M, e chiamiamo s la lunghezza della traiettoria luminosa che congiunge il punto /M con un altro punto MM, (x, y, 2) dello spazio. Secondo le precedenti notazioni, sarà Z la distanza zenitale apparente, e x l’azimut apparente dal punto 1, sopra l'orizzonte di M quando si assuma il piano 2Mx come origine degli azimut. Chiamiamo {8 l’angolo che il piano # M M, fa col piano :-M x, ossia l’azimut vero del punto M, sull’orizzonte di M, e cerchiamo la differenza f — «. odia d Sostituiamo, negli sviluppi (5) al posto di (7) 3 | di ,/0CC., Ù [0] (0) le espressioni date dalle formole (6), (7), (9), 10), osservando che . 13 nella espressione di (- 7 ) (formola 10) i primi due termini pos- SRNRO sono scriversi così: P 1 1 n sen Z cos? Z sen x — P le de sl sen? Z sen? a + 1 1 nio sen Zsen 2. (*) Nel caso della refrazione astronomica l’arco s è la lunghezza di quella porzione di trajettoria luminosa che è contenuta entro l'atmosfera terrestre. R, L, (15). s3 \ P stag tcp " | d pesi | ET C )cos"Z+P°00s2Z- sen \ Us i primi due sviluppi (5) diverranno 78 P. PIZZETTI Se si pone, per brevità s° ca 1 1 * L=s.sen Z— 3 Psen Zcos 4 — # P(7 ne 7) sen Zsen°a + ] \s= Lene 247 Ù, ledaizio EG RBB 1 (v= L sen iù ° Boss 24% P(7 7) sen Zena. k, $ Dividendo la seconda di queste formole per la prima e tra- scurando i termini che contengono potenze di s superiori alla terza, avremo: ! — tang@=tanga]14+ PS } a vilbafiilica s°cosZ/ B da s8P(1 cs ca n )en2! Quindi, colla stessa approssimazione, ponendo per L il valore prossimo s sen Z: senx cosa) dA (17)... B— a=> 6h: Z(Bcosa—Asena)+ — )sen2a. È, Bi È questa l’espressione approssimata della così detta refra- zione sferoidica laterale. In questa espressione si potrebbe, senza error sensibile, sostituire per s la distanza rettilinea dei due punti M, M.,. i Ricordando la formola (3’): ON 1/9n dal) An Ret ed ammettendo che, almeno per la colonna atmosferica che sta sopra al punto M, valga l'ipotesi di Bouguer che, nel caso nostro, può esprimersi colla formola : (gi CI n, \t, + i iti cntia.cntnite tnt CALCOLO DELLA REFRAZIONE TERRESTRE 79 dove #, è la distanza del punto M dal centro della terra si avrebbe n9)... Press, dove % è il così detto coefficiente di refrazione. Sostituendo nella (17) questo valore di P ed osservando che in luogo di f, si può, senza error sensibile, sostituire ,, avremo 12 k 3 1 ") (1 Dpa=_ cotg Z(Bcosa — Asenz)— aaa — mi sen2a. Se la differenza di livello fra i due punti 23, 2, è molto piccola, si può nella precedente formola trascurare il termine in cotg Z, e allora, considerando i punti M, M, come appartenenti ad una stessa superficie di livello, la (19) dimostra che « in queste condizioni, la refrazione sferoidica laterale si riduce alla differenza fra l'azimut astronomico e l’azimut gecdetico del punto M, rispetto ad M, moltiplicata per il coefficiente di refrazione ». A questo risultato era pure giunto il signor SonpERHOF nella sua memoria « Die geodctische Correctionen der auf dem Sphiroid beobachteten Horizontalwinkel » (#) considerando le superficie di indice costante come parallele, e con ragionamenti geometrici dei quali la precisione lascia molto a desiderare. Veniamo a considerare qualche caso particolare. Supponiamo dapprima che gli strati di uniforme densità siano limitati da ellis- soidi di rotazione simili e coassiali. Chiamando e l’ eccentricità comune di questi ellissoidi, in un piano meridiano qualunque la famiglia delle linee (ellissi) di indice costante sarà rappresentata dall’equazione la Vene + = costante , quando si prendano per assi Cartesiani, gli assi di queste ellissi. E la famiglia delle trajettorie ortogonali avrà per equazione (20)... (1 — e°)log&— log È = costante. (*) Vedi Archiv. der Math. u. Phys., Th. 54 (1870). — Vedi anche a pa- gine 564-565 del 2° volume del trattato del sig. Hetment: Die mathema- tischen und physikalischen theorien der Hoheren Geoddsie. * 80 P. PIZZETTI La curvatura di una linea (20) nel punto (5, È), si trova senza difficoltà espressa da ECe(1—- e) 21 e 6 e urine e ; RE) EMI — e 3*] Chiamiamo © la latitudine del punto M ($, $) e riteniamo © positiva da una banda dell’equatore (emisfero Nord) e negativa . dall’altra (emisfero Sud). Ponendo a cM—_ == V1— e sen? o dove a è il semiasse maggiore dell’ellissoide che passa pel punto (E, È) avremo (22)... &E=Mcosg, 6=M(1— e)seng; e sostituendo nella (21), risulterà # valore assoluto della cur- vatura % espresso da: e sen 2 @ + per l’emisfero Nord (23)... le =) a tidaoatdì Sud I raggi di curvatura principali R,, X, della superficie di in- dice costante nel punto M, sono in questo caso rr M(1- è) lt 1_-e*sen o , R=M. Ammettendo che gli azimut si s4contino a partire dalla di- rezione Nord del meridiano, e ricordando quanto si è detto nel $ 2, si vede che qui si dovrà porre 6— 0° nell’emisfero Nord e = 180° nell’emisfero Sud giacchè le trajettorie ortogonali rivolgono la loro convessità all’e-. quatore. Quindi le formole (13) (14) del $ 2 daranno i de-+ Ra B=0 \ + emisfero Nord , Pina w | — emisfero Sud. | | È CALCOLO DELLA REFRAZIONE TERRESTRE 81 E per la (23), si avrà in ogni caso e Psen2u =—————_;.- 05 2M(1—-e)' Sostituendo nella (17), ed esprimendo { —« in secondi " fa is 1 (f—a) =— sa Mai mas 29.senz. cotg Z+cos'o. sen2 z| ovvero, introducendo il coefficiente di refrazione %, e trascurando i termini dell’ordine di e', abbiamo finalmente pel caso degli ellissoidi simili (B-a'= - —_| sen 2 p.sen. cotg Z+ (24)... + coso. sen 9a! a A | sen 1 Supponiamo, come secondo esempio, che le superficie di indice costante siano ellissoidi di rotazione omofocali. Chiamando a il semiasse maggiore ed e l’eccentricità di uno qualunque di tali ellissoidi, il prodotto ae sarà costante e l'equazione delle trajet- torie ortogonali (iperboli omofocali) in uno qualunque dei piani meridiani sarà : E° 6° 25)... cana (25) do ale d af dove d è il semiasse reale dell’ iperbole che passa pel punto M (5, x). La curvatura della curva (25) nel punto (É, $) è in valore assoluto Wo)... n= Via Gra d)? CUPE (ae a Ora, ponendo nella (25) in luogo di &, $ le espressioni (22) e trascurando le potenze di e superiori alla terza si ha d=a° e coso. Sostituendo nella (26), si ha pertanto, a meno di termini in e', 9 È \ + per l'emisfero Nord - sen 20 i a° i — per l’emisfero Sud. 82 P. PIZZETTI Nel caso presente le trajettorie ortogonali (25) volgono la loro concavità all'equatore; dovrà quindi porsi: 9=180° nell’ emi- sfero Nord, e 6—=0° nell’ emisfero Sud. Si avrà quindi in ogni caso : GF A=Prco8=—_-.sen29, B =0% A° E la (17) darà, introducendo il coefficiente di refrazione: 22 © u e°s \ (prestenizae 12 3 (Sen 2 9.sen a. cotg Z— (MT) | k “ai ; . 2 Ur cos° 9. sen 2 a) “I Ponendo X = 0,14, s= 300%", = 45°, le (20) (21) dànno: nel caso degli ellissoidi simili : (8— 2)" =0",088 (cotg Z+cos2)sena, e nel caso degli ellissoidi omofocali (8— a)"'=0",088 (cosa —cotg Z)sena. $ 4. Dagli sviluppi (5) deduciamo ora la refrazione zeni- tale, ossia la differenza fra la distanza zenitale vera Z' del punto M, rispetto ad M, e la distanza zenitale apparente Z. Si avrà, chiamando o la lunghezza della 27 M,, e conservando le notazioni dei paragrafi 1° e 8°: c=csenZ'cost, y=osenZ'senf, 2—=0008Z' n. donde (29). cotg Z'— = Va +9? ù | D'altra parte gli sviluppi (5) e le formole (6), (7) (16) danno, a meno di termini in st: Te) p P 2=8.C0sZ+ dei sen? Z + 7 (0 pira (1) Li ar») sen*Z cos Z— (29)... 3 — = (Ac0sx + Bsenz)sen Zcos2 Z, CALCOLO DELLA REFRAZIONE TERRESTRE 83 , È *Pf1 1 Ve'+ y=L 147 cotg Z(Acose+Bsena)+ asi (z - 77 Ponendo, in quest’ultima, in luogo di L l’espressione data dalla (15), abbiamo, sempre colla stessa approssimazione : 1 ed ie Va +9° | s.senZ 22 pere 31 cos Z+ (0-7) VASS (30)... LB E, moltiplicando le (29) (30) fra loro: (1+-sen°Z)-- + (A cosa +B sen a) cotg Z cos 22. ve ; 2.) cotg Z' =cotgZ+5 3 toteZ(043 P oa spo cos 2 Z —È (4 cose + Bseno) RT4 nz * Di qui, a meno di termini in sì: 2 ip Z'-E=-3PsenZ-=(0-P*-7-)cosZsonZ+ ) a 2 += (Acosa+ Bsenz)cos2 Z, formola che esprime appunto la refrazione zenitale che si cercava. I coefficienti P, C, A, B sono dati dalle formole (3') (8) del $ 1°. Per avere P e C basterebbe conoscere il modo di va- riare della densità dell’aria lungo la verticale del punto M, nel quale si fa l’osservazione. Si avrebbe allora, indicando con f una funzione conosciuta n=f(2), dove » è l’indice di refrazione nel punto situato sulla verticale di M alla distanza 2 da M. E eni 1orof n.78). Liar ) df i (2 ) A (3 2) de ù Quanto ai coefficienti A e B che dipendono dal non parallelismo degli strati di uniforme densità, valga quanto si è detto nei pa- ragrafi 2° e 3°, 84 GUIDO VALLE Sulle equazioni differenziali alle quali soddisfanno il Modulo — ed il Moltiplicatore nella Trasformazione delle Funzioni Ellittiche ; Nota del Dott. GuIDO VALLE, ; Assistente alla Scuola di Geometria proiettiva e descrittiva b nella R. Università di Torino È 7 1. È noto che se % e ) sono i modali corrispondenti a due : integrali ellittici, tra i quali sussista la relazione : à 0) 2 am son "o e = == === = si VI -2)(1-R#2) VA-AA-RA } essi soddisfaranno all’equazione differenziale seguente: j (») \ 2)\2 To 2 2,2 5x2 J%YX2 î aa) i dk dk ak dk k_-k a —À dk} 4 La proposizione è di Jacobi (Fundamenta Nova); ma ne manca tuttora una completa dimostrazione che egli non diede; nè mi consta che altri abbia data finora. Non sarà, credo, senza inte- resse pei cultori delle funzioni ellittiche, se io ne presenterò qui in tutti i suoi particolari lo sviluppo, e se inoltre mi varrò dell’occasione per esporre vari risultati, dei quali alcuni affatto nuovi, conseguenze immediate della citata proposizione. Se con K e A si designano gli integrali completi di 1° specie pei quali sia verificata la (1), di cui siano % e ) i rispettivi moduli; con K' e A', le quantità analoghe pei moduli %' e Y, ed è n il grado della trasformazione, sono note le relazioni : e iti DI) le =>, (3) ta (di dot di 46 (*) Si conviene di prendere sempre positivamente i radicali. SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI 85 dalle quali si deduce facilmente : dAKX Li Tab (7) ET) a. Ù defi rat d 27)" 2, ? A? dalle quali segue NWI dk RZ PI VII iO)... (= DA: Inoltre si hanno le equazioni seguenti : k(1- + (1 - 31) n=0 n... d A dA so + E ) (1 x) a + (1 3) 7 NO Ricordate brevemente queste relazioni, ecco quanto si deduce da esse. Da prima le (7) si possono scrivere come segue: d (kk*?dK | fer 14) O IN? dA Eliminando tra queste equazioni e la (4) le quantità X e A, si avrà un’equazione differenziale di 2° ordine, alla quale sod- disfaranno contemporaneamente i moduli %, ) ed il moltiplica- tore p. Allo scopo si ponga nella prima delle (7') il valore di X ricavato dalla (4); indi differenziando rispetto a % e dividendo per n, si trova; slerEe+a- —38)dE lu] + 7 audi " +(1-30)p|+ d° A 12 + kk RT I 86 GUIDO VALLE Ovvero, moltiplicando per w e riducendo: du 1 iui TA (8)...pA|kE® DE + (1-38) be] + 7 Rei S| Ora coll’aiuto della (6), tenendo anche conto della relazione sim- bolica d _d di dk d) dk si trova facilmente: RatTA I d IA 1d) d (XXdA ak\ dk sitio d) mnako dl d) onde, vista la seconda delle (5), sarà: 27. 702 Mi PAZIZ NA dk dk ndk Sostituendo nella (8) e dividendo per A, si trova: 1 du 1)di _ . n|kk?+ (1-38) — È o). uk +(1-3#)22 —kp|+- = Ì ) Finalmente eliminando Ti col mezzo della (6), viene. Wan dp VI) L 9)... RE 3 Leg (9) ao i U+ 7a n pò ovvero r d dp 2)? 1 9 CRC] 2 —_ uu ce ee tfr (9) m( a) Aha la quale è l'equazione differenziale di 2° ordine più sopra an- nunziata. 2. Se ora dalla (9) coll’aiuto della (6) si elimina n si tro- verà l'equazione differenziale di 3° ordine di Jacobi. A questo scopo scritta la (9°) come segue: 14 (puodl)_ RR? (ANN? _ Kb Pv (H Sri 18 (71) == SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI 87 indi derivando rispetto a k tenendo presente la (6) e moltipli- cando per f*, viene: af dai (10)... ra (e) api Questa sviluppata mediante un calcolo alquanto prolisso ci darà l'equazione (2) cercata. Infatti si ha da prima: TRATTE Derivando rispetto a %, ricordando che ) è funzione di %, e moltiplicando per %}%'*, si trova: 1 1 i dI li ART kk'(1- O(T) a SR La SI 11)..ape df 1 dk di die - dk 2f 1p2(D i la ossia, per brevità: ’ SS a | Pie... pl — > pl 1) 1 Hi dk apt df PATITI 14 0g Pdl LA bk°L )=i GE PIAE EA tal dk 2 1 2 |f ossia i a) df df\ 14d -n°2 P dk 1 k'? AGATA en E°). az (H 7)" 2 di aa IPA 1 f \dk, Sostituendo nella (10) si trae: ve eb de - Sui Ural. a) 88 GUIDO VALLE e poichè, in causa della (11°), si ha: d f AN < 1 ie La RA pg i #3» PAS peo sì potrà scrivere: NEVFICILA da d) 2A Dx — 42%fe — 2 dl d)\} ET f (n) via tg ee rino sa. +1—- 3)°— (1— 34°) f? = (o 247, E) 1) “Al? (È dl ovvero ancora, sostituendovi l’espressione di f e riducendo: 9 PI 1d SE d) IA? EMI | RPS Ce) Bs A — OT e FAV) a 2dk| (dI è di; 7 144#°+(1- 369] (FE 7) (15). o PI 1-37? ei (2) a = it hc 9 de (418/09 "NE 2kk'? impre rd Gi Ora si ha: LV peli ld dEi .. 1 sua e\o DD 2 dk DI noi i (Fi di\ °° n (FAI 2° a faz Fa Fi : Dr 1) Laonde sostituendo e moltiplicando per 4(3) , verrà; SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI 89 dì) d 191) 19 { A) dÀ\4 dry) (0 Ta) dala (7) -® (È) 1 Xe ci; DIRE ee 41%]? e" y/0 4 ARTI | Mi ) 1— 34° dì. no A di ITA | A RE, dd le 3 hl” | o; dk° vlt n) |- )) ‘53 È Sostituendo l’espressione di P° e ponendo in evidenza il fattore 2), viene: : a di LO a (AA\° d°X st & dk si 20-99 @) die 2 3() pg 3 :(7) [4Rk?+(1—37) 2 dk kk'? LEAF og stata dI? n xe! n° pito (7) |- can {DIA FAV ne 5a 5 +0-29(77 )- (1-35)2353 |— Infine dii per X)'? e riducendo si trova: 2 \2 3 2 2\2 2 2 se (a) (A dh dkdle\dk,1\k_} i — 5] \dk che è appunto l'equazione (2) cercata. 3. Esporrò qui alcuni risultati che sono immediata conseguenza i di quello che fu detto finora. — Legendre ha dimostrato che se K ed E, sono gli integrali completi di 1° e 2° specie, si ha la relazione : esili dk: kh"? (E—-k?K). Orbene, questa si può scrivere come segue : dl A! E, dK _ % — kk®K 2K° “ER 90 GUIDO VALLE sicchè se con H e A si indicano le trasformate di peo e K re- lative al molulo ), avremo analogamente di H dA = pr 8 fi Se ora si tiene presente l’equazione (4), dalla quale si trae: dp dK dA PORRE, SC e si eguagliano i due primi membri delle precedenti, si trova: dì Hdi @pssdk Ed Visa vai Sii ossia (60)... K° A p d ) — i dI AE (go HMI A) pH dA In seguito eliminando da questa coll’aiuto della (6) Ja quan- ) tità - e ponendo E eso ped s da sì trae: 1 Hodge LO.“ n IS O »° so ui 4a od Non sarà inutile il rammentare nell'eseguire la derivata di { rispetto a ), che X è funzione di %. Se adunque s’indica con 6, ciò che diviene la costante 4 per rapporto a ); in altri termini se si pone: | ‘i H SI la (17) diviene: SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI 91 verrà : (69)... pare +9(g-M)=E-6. Rammentando ora che per questi cambiamenti rimangono inal- terate l'equazione modulare e la quantità 1; indicando inoltre con &' e $, ciò che divengono rispettivamente $ e G,, si avrà: Ma è facile verificare (ricordando una notissima relazione dovuta a Legendre) che si ba: n Sa TAX laonde sarà pure n S+S71+577 dunque: inf 140 0) eg DI (4a So teo Val e poichè la parentesi è identicamente nulla, segue: E IAA ciò che coincide con un risultato trovato da Jacobi per altra via. 4. Ecco un’altra conseguenza. i a °kk'® Se si moltiplica la (9) per si 5— , tenendo presente la (6), ue sì avrà: KR pi (20)... 2 2,2x2[._.,d È sail. 225 +(1-3#) Di — nPkk'? Poniamo ora con Jacobi: Il)... Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 1; 92 GUIDO VALLE La (6) diverrà: sa dk Eb ?dL se È e fatto U mm , sarà ,o \nkk® dL gian derivando : dp _ dp. 1 dp dk "ya db BL —AdL © gkaL ' 2° Me donde, derivando ancora una volta: dLd° p' — dp'PL __ bu dp. dhal? iL apt Sostituendo questi risultati nella (20), si trae: 2nkk® AL d° p'— dp'd°L PE n en FE È + n° kk'?— 71 =0 e poichè si ha: 2nkk° 4 pdk © pRdL segue : dba dd Oui Apr I ei So dL3 equazione data da Genocchi in una bella Memoria Sulle fun- zioni ellittiche (Mem. R. Accad., Torino, Serie II. t. 23). 5. Una terza conseguenza importante è la seguente. Dalle equazioni (6) e (21) si trae: ‘9 __NAL Pe. donde derivando 5° dp —_,@L nd n e SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI 93 segue : g Law -dpd°L _ -(idzLo, a n-dNen de | (dL\R n (d°D° dL? sù a gr) 3 (7) i ni) laonde dividendo l'equazione (22) per p'*, si ‘avrà: ] dL. n° al — (ME°AP VI° AL)+2(—--=4)- TIRA. ( LO ) TL (F ul 4 ni REN n° (dI ni (PAR) sal Se ora si ‘osserva che per le (21), si ha: (22)... | ke È da)... I=log—;; L=l (23) gi ogi3 delle quali e 1 == ; io= E e +1 onde 2 VETRE 1 Vini PR z 2 a N ni 2 2 e=e aL È de L | di 5 dL 2 (7 1.) | lai (24)... +e te ti 1-0 (*) Si trova un'equazione simile nel Traité des fonctions elliptiques par M. CayLEy. 94 GUIDO VALLE Orbene, se in questa si pongono i valori di % e ) si ritrova l’equazione (2), come si può facilmente verificare. — Ma la si può ritrovare sotto una forma alquanto differente. Se infatti si pone : di ea (25)... dI Speri considerando d come costante, avremo dL— î al a donde si trae facilmente : d3 L DN d'a (da e Sa i I gi SO “TR 3(7) al (7) Ma d’altra parte si ha pure: dee "Tag laonde &f (si # I L ui Sa DEGNI (a 2 ossia 3f 4 12 2912 (26)... 4f PIRHR+)2N®=0, pa la quale è pure un’equazione data da Jacobi con procedimento affatto differente. (Crelle's Journal, t. 36). 6. Mediante le relazioni superiormeute incontrate si può fa- cilmente verificare un’altra equazione, che Jacobi dà senza dimo- strazione. Posto k° ki) H=-—X)? si ha: (27)... 49f* (+ 4H?. dk, Infatti si ha: dH__dH dk dH k'4 dk, dk dk. dk.2k- 1 SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI 95 Ma sì ha pure: dH_dH dl e 2 ‘db (Wi dk db kE? dunque: #3 (dl\°/dH\k'4 (dH hi esi a — H®° + 4H®. mar) (7) TE, (7) Li Ed ora osservando che è: dH _ Fi _dH PR den gi di addi sì avrà identicamente : 2514 2y/2\2 (i ara 4)\/°=H°+4H?, ‘ciò che dimostra la relazione (27). 7. Se in fine nell’equazione modulare: a dI? 2 dk ib) si muta % in #'; ) si cambia, come è noto, in )'; quindi si avrà i ine È dh dk me VE dI PD IN di dee x rin di He da k3_ Torino - Tip. Reale-Paravia. 59, 74 ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE I DI TORINO Mo n; PUBBLICATI | —’DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI ‘| Vo. XXV, Disp. 8*, 1889-90 — — -— . | Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, (TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia des Scienze 97 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 15 Dicembre 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Bruno, BERRUTI, Basso, D’'OvIDIO, B1zzozERO, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE. Il Segretario legge l'atto verbale dell'adunanza precedente, che viene approvato. Si dà comunicazione di una lettera del Prof. Rodolfo HEIN- DENHAIN che ringrazia la Classe per la sua nomina a Socio Cor- rispondente. Tra le pubblicazioni presentate in dono all'Accademia vanno segnalate le opere del Corrispondente Prof. Ernesto HAECKEL, accompagnate da una lettera dell'Autore, formanti in tutto nove volumi. Di questi, tre furono pubblicati nel 1872, e trattano delle Spugne calcaree; e sei, intorno ad argomenti varii, videro la luce nel quadriennio 1887-90. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine che segue : « Influenza degli errori strumentali del teodolite sulla mi- sura delle distanze zenitali » : Nota del Prof. Nicodemo JADANZA presentata dal Socio NACCARI; « Sulle leggi di geminazione del dicromato potassico » ; Nota del Dott. Alfonso SELLA, presentata dal Socio Cossa ; « Nuove ricerche sulla struttura del midollo delle ossa negli uccelli »>; Nota del Socio Bi1zzozero. Il Socio D'Ovipio presenta un saggio storico del Prof. Gino Loria dell'Università di Genova, che ha per titolo « Il periodo aureo della Geometria greca ». Desiderando l’Autore che questo lavoro venga accolto nei volumi delle Memorie, il Presidente nomina una Commissione perchè lo esamini e ne riferisca in pro- posito in una prossima adunanza. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. AXV. 8 98 NICODEMO JADANZA LETTURE Influenza degli errori strumentali del Teodolite sulla misura delle distanze zenitali ; Nota del Prof. N. JADANZA La influenza degli errori strumentali del teodolite sulla mi- sura delle distanze zenitali può essere trattata nel seguente modo molto più semplicemente di quel che si suole nei libri di Geo- desia ed Astronomia. I. Indichiamo , come di solito (*), con v, è, € gli errori di verticalità, d’inclinazione e di collimazione e sieno codeste quantità piccole grandezze di 1° ordine. Nella figura annessa sia MN l'orizzonte vero ed M'N' il circolo orizzontale del teodolite inclinato al primo del piccolo angolo v; se CZ, CP sono la verticale passante pel centro dell’istrumento e l’asse verticale di esso, l’angolo di tali rette sarà anche eguale a %. (*) Cfr. N. Japanza: Influenza degli errori strumentali del teodolite. sulla misura degli angoli orizzontali (Atti della R, Accademia delle Scienze di To- rino, Vol. XXII). ERRORI STRUMENTALI DEL TEODOLITE 99 Se la parte dell’asse di rotazione del cannocchiale che è verso la sinistra dell’osservatore è più alta di quella che si trova a destra mentre si collima ad un punto 0, l’arco di circolo mas- simo che unisce il punto P al punto X in cui la parte sinistra dell’asse ora detto incontra la sfera celeste è 90° — 7. Se l’angolo che la linea di collimazione del cannocchiale fa colla parte si- nistra dell’asse di sua rotazione è un angolo ottuso, l’arco di circolo massimo KO sarà eguale a 90°+ c. Senza perdere in generalità possiamo immaginare l’ origine della graduazione sul cerchio verticale nel punto dove il piano condotto per l’asse ottico del cannocchiale perpendicolarmente al piano di esso cerchio incontra la graduazione. In tale ipotesi è chiaro che l’asse ottico del cannocchiale sarà diretto verso il punto P quando i circoli massimi X0, XP coincideranno. Par- tendo da questa posizione, se si collima ad un punto O fuori del circolo massimo PX, l’asse ottico del cannocchiale avrà de- scritto l'angolo PKO e tale angolo sarà dato dalla lettura sul cerchio; però esso non sarà dato dal lato PO se non nel caso che i lati KO, KP sieno ciascuno eguale a 90°. Poichè tali lati li abbiamo supposti eguali a 90°+ e e 90°— i, se indichiamo PO con S' e l’angolo PKO letto sul cerchio con $, il triangolo sferico PKO darà: cos $é'==— senisenc + cos?cose cos $. Me kb) Essendo e ed ? quantità infinitamente piccole, dalla (1) si dedurrà cosl'— ie +eost(1-3("+ 0) e quindi cost — cos =ic + 5 cost +3 e* cost. donde 1 Il ic di — i cotz + =c'cotz+ —. ta < Ceatao co + 3600 AI (2) Dal triangolo sferico OZP i cui lati 0Z, OP, PZ sono rispettivamente la distanza zenitale vera 2 dell'oggetto O, &' e l'errore di verticalità v dell’istrumento, si deduce cosé'=coszcosv+senzsenvceos 4, 100 NICODEMO JADANZA dove A è l’angolo che il piano verticale che passa per O fa col piano verticale fisso ZCP. Essendo v una quantità infinitamente piccola sarà î 1 cos È — 0082 (1-30) +vsenzc0sd - e quindi i 1 = +ocos4 — 3o°cotz. = (9) Sostituendo nella (3) il valore di $' dato dalla (2) si avrà finalmente 1 2=0+vcos A+cotz[i+e—v]+ SE 2 sen £ - (4) che è la formola che dà la distanza zenitale vera dell’oggetto mirato O in funzione di quella letta $ e degli errori v, @; c. Essa mostra che gli errori di collimazione e d’ inclinazione entrano soltanto al 2° ordine, e che la loro influenza sulla di- stanza zenitale non si elimina colle osservazioni coniugate. L'errore di verticalità v entra al primo ed al secondo ordine. Nella ipotesi di v, ?, e infinitamente piccoli, e ‘quando le distanze zenitali dei punti che si guardano sono poco differenti da 90°, come succede nella maggior parte delle stazioni geode- tiche, i termini che contengono è’, v°, c°, îc possono trascurarsi e quindi la (4) si riduce a: e=G+vcos 4. «59 Quando, come nelle osservazioni astronomiche, cot ze cosec # possono assumere valori molto grandi e per conseguenza converrà tener conto dei termini del 2° ordine, la formola per calcolare la influenza di tali termini dovrà essere scritta nel seguente modo: 1 " } " 3906211 +'0°—er]sent += sen1 ; 49) Le tabelle seguenti danno i valori di — 0*cotzsen1l' e di Ml Ò? senl", esse ci daranno un’idea del valore delle quantità (6). E, ERRORI STRUMENTALI DEL TEODOLITE 101 d° Valori di i cot zsenl”. Distanze zenitali 39° 85° 80° TAL 45° 30° 0° 1'{0".000|0”.001]|0".002|0".003| 0”01 | 0”.02 | co 5 |0.004|0.02 |0.04 |0.08 0.22 | 0.38 | 00 10'|0.014|0.08 |0.15 |0.32 SR Tall age Cass a E 3000-1361 0.76 |1.838 |:2.86 1.86 |13.60 }.c0 2 Valori di sen 1”. senz Distanze zenitali Cr enna |__| __________r_onn "__——_—=srn {o MO "0, 44°" 0 £4 (0045 | 0-62 Wi Slo Mel 7A th. 75: lb. 781 Gilde 3.49 | 00 30° [15.71 |15.77 |15.95 [16.34 [22.21 ol.4L' leo Si vede che quando le distanze zenitali degli oggetti che si guardano sono inferiori a 45° (sempre che i valori di v, i, € sono minori di 5') la (6) è trascurabile e quindi il valore della distanza zenitale 2 è dato sempre dalla (5), La correzione da fare alla distanza zenitale letta $ è dunque eguale alla proiezione di v sul circolo verticale che passa per l'oggetto mirato O. Essa varia al variare dell’ azimut; è nulla quando A=90°, nel qual caso il punto X giace sul circolo 102 NICODEMO JADANZA -— ERRORI STRUMENTALI DEL TEODOLITE massimo ZP; è massima quando A= 0°, cioè quando l’oggetto mirato si trova sul verticale ZP. Tale proiezione è, come è noto, data dalla livella fissa parallela al circolo verticale del teodolite. II. La formola (4) che rappresenta il valore della distanza ze- nitale di un oggetto mirato in funzione degli errori strumentali è più semplice ed alquanto differente da quella che si trova nei libri di Geodesia ed Astronomia (*). Quella che è data dal Briinnow (Edizione francese, pag. 105 del Vol. Il) è la seguente: ASA e) rie ei MC 2 sen £ dove si ha b=i—-vsenA. Sostituendo questo valore di d nella (7) si ottiene: 1 n 2=C+vcos A+ 3 cot 2 [1 + c° + 0° sen A]sen 1 ie_cusenA_ivsenA j (8) sen 2 che sarebbe la espressione della distanza zenitale in funzione degli errori strumentali secondo il Briinnow ed altri. Quest'ultima fa vedere che anche una parte dei termini di 2° ordine è variabile coll’azimut e che una parte di essi cambia di segno col far rotare l’alidada di 180° e riportando quindi il cannocchiale a collimare di nuovo all’oggetto. Quale delle due è la vera, la (8) oppure quella data da noi, cioè la (4)? A noi sembra che la vera sia la (4), specialmente se si os- serva che nel dedurre la (8) non si sia tenuto conto separato degli errori strumentali. (*) Cfr. Briinnow: Traîté d'astronomie sphérique et pratique. CHAUVENET: A manual of Spherical and practical Astronomy, Vol. II, pag. 326. JoRDAN: Hant&buch der vermessungskunde, Vol. Il, pag. 424 (Edizione Stuttgart, 1888). 103 Sulle leggi di geminazione del dicromato potassico ; Nota del Dott. ALFONSO SELLA Esaminando per caso dei cristalli di dicromato potassico pro- venienti dalla fabbrica Stevenson Carlile (Milburn works-Glasgow) notai alcuni geminati, che sottoposi ad esame goniometrico. Non avendo lo Schabus (*), unico cristallografo, il quale, a quanto mi consta, abbia studiato il dicromato potassico, fatto menzione alcuna di leggi di geminazione, non parrà del tutto inutile esporre brevemente le leggi da me osservate. I. Piano di geminazione (001). Piano di sovrapposizione (001). . Legge osservata in un grosso cristallo, in cui entrambi gli indi- vidui presentano le forme (001), (010), (100), (012); provo- cando la sfaldatura (100) ottenni tra le due faccie (100) dei due individui l'angolo di 12° 45' (calcolo 12° 48,5). II. Asse di geminazione [010]. Piano di sovrapposizione (001). Legge osservata nei tre seguenti geminati : 1° (001), (010), (100), (110), (012), (011), (012), (011), (101), (111), (111) e (001), (100), (110), (011), (101), (111). 2° (001), (010), (100), (012), (011), (101), (111), (111) e (001), (100), (012), (011), (101), (111), (111). 3° (001), (010), (100), (012), (011), (101), (101) e (001), (010), (012), (001), (101). (*) Scuasus, Wien, Ak. Ber, 1850. Vedi pure RammeELSBERG, Arystallo- graphische Chemie, p. 593 (1881). II WrrouBorr, che adottò l’orientazione del RammELSBERG nei suoi studi sull’ isomorfismo, ed il MaLLaRD, che nel suo Traité de Crystallographie presenta un cristallo di dicromato potassico come esempio per i calcoli nel sistema triclino, non accennano a geminati. 104 ALFONSO SELLA Mentre le forme della zona [010] dei due individui coinci- dono, le due zone [100] coincidono quasi essendo il loro angolo eguale a 1° 43°. III. Asse di geminazione [110]. Piano di sovrapposizione (001). Legge osservata nei seguenti quattro geminati: 1° (001), (010), (100), (110), (012), (011), (011), (101), (111) e (001), (010), (100), (011), (111). 2° (001), (010), (100), (011), (011), (101) e (001), (010), (011), (101). 8° (001), (010), (100), (110), (011), (021), (101), (111) e (001), (010), (100), (012), (011), (011), (101). 4° (001), (010), (110), (012), (011), (011), (101), (101), (111) e (001), (100), (011), (021), (101), (111). La zona [100] dell’un individuo e la zona [010] dell’altro e viceversa sono fra loro vicinissime, essendo il loro angolo eguale ni0° 39°, In tutte e tre le leggi la faccia (001) costituisce il piano di congiunzione dei due individui; il suo sviluppo predominante conferisce aspetto tabulare ai cristalli. Se nelle due prime leggi si nota lungo [100] maggiore sviluppo che lungo [010]; nel- l’ultima legge ciò non avviene, perchè nei due individui formanti il geminato, dall’uno all’altro il rapporto di sviluppo lungo quelle due direzioni viene precisamente invertito. Nella seguente tabella sono contenute le medie degli angoli misurati nei varii cristalli. All’ultima colonna figurano gli angoli calcolati. Le forme (012), (021), (201), (111) non furono osservate dallo Schabus. GEMINAZIONE DEL DICROMATO POTASSICO 105 Wear 0... DICROMATO POTASSICO A=81° 51' 15", B=83° 35' 45”, C=88° 15") Schabus a:b:c=1,0116 :1:1,8145 \ 001, 012 38%9,9: 9g 022) 011 54.55 54.53 010 81.49 81.51 012 45.41 45.40 011 67193 67129 021 82.15 82.12 101 55.51 55.50 100 83.36 83.36 101 65.37 65.34 201 79.30 circa 80.18 ITA 69.09 69.17 111 67.03 67.00 110 88.56 88.41 106 G. BIZZOZERO Nuove ricerche sulla struttura del midollo delle ossa negli uccelli; del Socio Prof. G. Bizzozero I. Nella ormai lunga serie dei miei studi sul sangue ebbi ri- petute volte occasione di occuparmi della struttura del midollo osseo degli uccelli, e della parte ch’esso prende nella produzione dei globuli rossi. Il midollo degli uccelli, infatti, presenta evi- denti alcune particolarità di struttura che in altre classi ani- mali sono assai difficili a studiarsi; di esso, quindi, potei ser- virmi a chiarire alcuni problemi istologici e fisiologici che non avevano potuto avere la loro soluzione nelle indagini praticate antecedentenfente nei mammiferi, nei rettili e nei batraci. In un primo lavoro pubblicato nel 1880 in collaborazione col dottor Torre (1) noi abbiamo, pei primi, dimostrato che è nel midollo rosso (e in esso soltanto) che si producono i glo- buli rossi degli uccelli. In esso, infatti, si trovano numerose delle cellule sferiche, costituite da un grosso nucleo sferico, circondato da un sottile strato di protoplasma omogeneo colorato dall’emo- globina. Da queste cellule, che si devono considerare come forme gio- vanissime, si hanno, poi, graduati stadi di passaggio ai globuli rossi adulti; le cellule, cioè, si vanno appiattendo ed allungando, ed i loro nuclei, da grossi e sferici, si fanno più piccioli ed ovali. Nel midollo degli uccelli sono numerosi i leucociti; e fra essi predomina una forma che è rappresentata largamente anche nel sangue circolante, ed è caratterizzata dalla presenza nel suo protoplasma di buon numero di bastoncini lucenti, di aspetto adiposo, ma di natura ben diversa dal grasso. (1) Bizzozero e TORRE, Archivio per le Sc. mediche, vol. IV, n. 48, e MocLescHotT’'s Unters. Bd. XII, Heft 5/6. STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 107 Nel midollo degli uccelli abbiamo visto mancare tanto quelle cellule giganti a nucleo centrale in gemmazione, quanto quelle cellule contenenti globuli rossi o pigmento ematico che io ante- cedentemente (1) aveva descritto nel midollo dei mammiferi. Simile a quella di questo, invece, trovammo la distribuzione dei vasi san- guigni; le arterie, nelle ossa lunghe, scorrono lungo l’asse del mi- dollo, e mandano scarsi e sottili tronchi secondari che si dividono in una scarsa rete capillare alla periferia del midollo stesso. Questi capillari arteriosi, alla loro volta, metton capo ad una fitta rete di larghi capillari venosi, a pareti sottilissime, che, decorrendo in direzione prevalentemente raggiata, dalla periferia si avanzano verso l’asse del midollo, ove sboccano in grossi tronchi, che ten- gono cammino parallelo a quello delle grosse arterie. Nel midollo degli uccelli, a differenza di quello dei mammiferi, si può accertare che i capillari venosi sono limitati da una sottile membrana nu- cleata, e non sono, quindi, semplici spazi scavati nel tessuto del midollo come non pochi avevano sostenuto. La dimostrazione di questa membrana noi la ottenemmo facilmente negli animali sotto- posti al digiuno; in essi (oltre ad altre alterazioni dettagliata - mente descritte nel nostro lavoro, fra cui merita menzione (2) una curiosa modificazione delle cellule adipose) si osserva la effu- sione, a sostituire il grasso scomparso, di una sostanza gela- tinosa e trasparente, che permette di studiare assai bene la distribuzione dei vasi sanguigni e la costituzione delle loro pareti. — I capillari venosi del midollo sono ordinariamente ricchi di glo- buli bianchi applicati contro le loro pareti; il che probabilmente è in rapporto colla straordinaria lentezza con cui il sangue deve scorrere nel loro lume, a cagione della grande sproporzione di calibro e numero fra le arterie e i loro capillari da una parte, e i capillari venosi in cui quelli sboccano, dall’altra. — Inoltre, nel midollo degli uccelli noi abbiamo potuto con tutta evidenza accer- tare un fatto che non si era fino ad allora constatato nei mam- miferi; abbiamo veduto, cioè, che non vi è cellula contenente emoglobina che giaccia fuori dei vasi sanguigni, sicchè è giuo- coforza ammettere che in questi ultimi (e non nel tessuto in- tervascolare) principii, si svolga e si compia lo sviluppo dei globuli rossi. (1) Bizzozero, Morgagni, 1869. (2) L. e. pag. 16 und 17, e Arch. f. Mikr. Anat.; Bd. XXXIII, 1889. 108 G. BIZZOZERO L'esistenza, nel midollo osseo degli uccelli, delle forme gio- vani di globuli rossi bastava già a dimostrare che il midollo è un organo fabbricatore di globuli rossi. Noi abbiamo, però, rin- calzata la nostra opinione per mezzo degli sperimenti, come già era stato fatto pei mammiferi. Salassando ripetutamente e. for- temente gli uccelli, trovammo che il loro midollo osseo muta nei suoi caratteri macroscopici, e che ciò è dovuto ad una no- tevole modificazione della sua struttura istologica, di cui il fatto più importante è l’ aumento grandissimo di numero dei globuli rossi in via di sviluppo. Iniettando in tali animali una solu- zione 0,75 °/, di cloruro sodico nell’arteria femorale, e racco- gliendo il sangue attenuato che, a cagione di questo lavacro artificiale, esce in copia dalla vena nutritizia della tibia, fra i globuli rossi adulti vi si posson vedere i globuli rossi giovani o giovanissimi; mentre nel resto del sangue del corpo queste forme giovani sono assai rare. — La milza, al contrario, neppure in questi animali resi fortemente anemici non presenta mai alcun elemento che possa considerarsi come stadio di sviluppo di glo- buli rossi. Nella produzione di questi, perciò, la milza degli uccelli non ha alcuna parte. Queste ricerche vennero completate da altre da me fatte un anno dopo (1), nelle quali determinai l’origine di quelle cellule sferiche, a protoplasma emoglobinico e a nucleo sferico che noi avevamo designate come le forme più giovani dei globuli rossi. Dalle mie indagini risultò, a conferma di quanto io aveva. già osservato fino dal 1869 nei mammiferi (2), che tanto questi elementi degli uccelli, quanto gli elementi corrispondenti di altre classi di vertebrati derivano da moltiplicazione per scis- sione di elementi preesistenti ed a loro simili per aspetto e costituzione ; e che questa scissione ha luogo secondo il tipo della mitosi. Il che venne poi generalizzato per tutte le classi dei vertebrati in un successivo lavoro, pubblicato da me e Torre nel 1884 (3), e fu inoltre esteso ai diversi periodi nella vita. embrionale, non solo dei mammiferi, ma anche degli uccelli e. (1) Bizzozero, Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino, 1884; MoLescHoTT’s Unters, zur Naturlehre, ecc. Bd. XIII, 2 Heft e Vorl. Mitth. im Centralbl. f. d. med. Wiss., n, 8, 1881. (2) Bizzozero, Sul midollo delle ossa. Morgagni, 1869. (3) VircHow's Arch. Bd. 95. STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 109 dei batraci, in un lavoro mio, pubblicato nello stesso volume dell'Archivio di Virchow. — Sicchè potei stabilire il principio generale, che Za produzione dei globuli rossi in tutti i vertebrati ha luogo per moltiplicazione per mitosi di una forma cellu- lare tipica, costituita da un mucleo sferico rivestito di un sot- tile strato di protoplasma contenente emoglobina. Ho detto più sopra che già nel lavoro pubblicato nel 1880 con Torre avevamo posto in sodo che la produzione dei globuli rossi ha luogo nell'interno dei vasi. Noi l’ avevamo dimostrato indirettamente negli uccelli, appoggiandoci al seguente ragiona- mento: Siccome i globuli rossi giovani (non esclusi quelli in cario- cinesi) hanno un protoplasma emoglobinico, e, d’altra parte, non v'è cellula contenente emoglobina che giaccia fuori dei vasi sanguigni, così bisogna ammettere che tutti i globuli rossi giovani giacciano nell'interno dei vasi sanguigni. Non mi pare che a questa conclusione si potessero rivolgere obbiezioni; tuttavia, stante l’importanza che ad essa poteva an- mettersi nello studio della fisiologia del midollo, pensai bene, al- cuni anni più tardi, di darne una dimostrazione diretta, ricer- cando, coi nuovi metodi introdotti nella tecnica microscopica, se i globuli rossi più giovani, quelli, cioè, che sono in via di scis- sione cariocinetica, stiano nel lume dei vasi sanguigni, o negli spazi intervascolari. Praticando delle sezioni sottilissime di midollo «di uccelli indurito in reagenti buoni fissatori delle mitosi, raggiunsi ben presto il mio scopo, come appare dalla seguente comunica- | zione che feci il 10 Giugno 1887 alla R. Accademia di Medicina i di Torino, e che venne pubblicata tanto nel giornale dell’Acca- ‘demia, quanto nel numero del 13-14 giugno della Gazzetta Pie- montese: « Il socio Bizzozero riferisce intorno ad ulteriori ri- ‘cerche che egli ha fatto sul midollo rosso delle ossa. Da esse risulta che nei larghi vasi venosi, che vi formano una fitta rete, ‘il contenuto può esser distinto in una porzione centrale costituita dai globuli rossi, ed in una porzione periferica in cui predo- minano i globuli bianchi. Ora, in quest’ultima porzione si tro- vano numerosi globuli rossi in scissione indiretta, mentre questi mancano affatto nel tessuto intervascolare. Ciò essendo, è lecito dedurne che la rete vascolare del midollo sia il focolajo di pro- duzione dei globuli rossi, o, con altre parole, che questa rete sta un vero organo endovascolare ». 110 G. BIZZOZERO II. A questo punto erano giunte le mie indagini sulla struttura istologica del midollo degli uccelli, e sulla parte che esso prende nella produzione dei globuli rossi, allorchè, più di sei mesi dopo la pubblicazione dell'ultima mia nota del 10 Giugno 1887, com- parve, sullo stesso argomento, un lavoro del prof. Denys di Lo- vanio (1). L’ Autore vi tratta con molta accuratezza tanto la parte storica riguardante la genesi dei globuli rossi in generale, quanto, fondandosi su ricerche proprie, la parte descrittiva rela- tiva al midollo degli uccelli, ma in nessun punto della sua Me- moria mostra di conoscere le tre pubblicazioni sullo stesso ar- gomento fatte da me, o da me e Torre nel 1880, nel 1881 e nel 1887. Il che deve fare tanto maggior sorpresa, in quanto che l'A. cita i nostri lavori sui globuli rossi degli altri verte- brati, nei quali ripetute volte abbiamo fatto cenno delle nostre pubblicazioni sul midollo degli uccelli (2). Da questa imperfetta conoscenza bibliografica consegue, che Denys dà come frutto delle proprie ricerche la conoscenza di pa- recchi fatti, fra i più importanti della sua Memoria, i quali erano già stati descritti anni 0 mesi prima da me, o solo o in collaborazione col dottor Torre. Fra questi credo di far menzione dei seguenti: 1° l’esistenza nel sangue e nel midollo osseo degli uccelli di numerosi leucociti contenenti corpi bastonciniformi ; 2° l’essere le vene midollari limitate da una palese membrana nucleata; 3° il grande squilibrio, per numero ed ampiezza di. lume, fra le arterie ed i capillari arteriosi da un lato, e la rete venosa dall’altro, donde la grande lentezza della circolazione venosa, così favorevole alla moltiplicazione e successiva. evoluzione. degli elementi morfologici del sangue; 4° il fatto che il midollo degli uccelli fortemente salassati acquista un colore grigio, e non rosso, come hanno sostenuto altri osservatori; 5° le modi: (1) DenYys, La structure de la moélle des 0s et la genèse du sang chez les oiseaur. La Cellule, tom. IV, fase. 4. Questo lavoro porta la data del 1% dicembre 1887 e il fascicolo in cui è contenuto venne distribuito nel 1888. (2) Della mia pubblicazione del 1887 non ebbe notizia neppure H, E. ZiecLER, il quale 1’8 Febbraio 1889 tenne sull'origine del sangue una con- ferenza alla Società di Scienze naturali di Freiburg (Berich, d. naturfors- chenden Gesell. zu Freiburg i. B., vol. IV). STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 111 ficazioni profonde che il midollo presenta negli animali digiunanti; 6° l'essere le mitosi dei globuli rossi esclusivamente contenute nel lume dei vasi sanguigni. — Egli è chiaro quindi che, per quanto riguarda questi argomenti, io non avrei potuto desiderare una conferma più completa del risultato delle mie antecedenti ricerche. In un punto importante, però, le mie conclusioni differiscono da quelle di Denys. — Secondo me l’elemento più giovane dei globuli rossi è rappresentato da una cellula il cui protoplasma è colorato dall’ emoglobina, quantunque questa colorazione sia meno intensa che non quella dei globuli rossi adulti. Denys, in- vece, si schiera con Lòwit (1), ed ammette che il termine più giovine della serie emoglobinica (ch’egli designa col nome di eri- troblasto) sia rappresentato da un elemento così incoloro come i globuli bianchi (1. c. p. 218-219), il quale gradualmente, mentre muta di forma diventando appiattito ed ovale, si carica di emoglobina. Credo opportuno di trattenermi su questo punto, perchè questa opinione che i globuli rossi originino da cellule incolori è stata svolta con svariate modificazioni da parecchi recenti osservatori, ed accolta in diversi trattati, il che ha assicurato una larga diffusione a questa che io reputo un’asserzione mon dimostrata. La ragione per la quale Denys è stato indotto a ritenere che gli eritroblasti siano incolori noi la troviamo nel metodo che egli ha adottato in tutte le sue indagini. — In parecchi miei lavori io ho insistito sulla necessità, quando si studia il midollo delle ossa, di controllare l’un coll’altro i diversi metodi d’esame, e specialmente di paragonare i preparati ottenuti con diversi metodi d’indurimento e successiva colorazione coi preparati a fresco di elementi appena tolti dall’animale vivente. Questa cau- tela è indispensabile, perchè i globuli rossi adulti, e più ancora le loro forme giovani, perdono colla massima facilità la loro emoglobina e simulano così l'aspetto di elementi incolori. Un O lavoro sullo sviluppo dei globuli rossi manca di base, se in esso non venne preso per punto di partenza l’ esame diretto degli elementi freschi fatto nel loro liquido naturale. (1) Lòwir, Sitsber, d. K. Wien. Akad. Abth, III, Bd, 88, 1883 e Bd, 92, 1885. 112 G. BIZZOZERO Or bene, di queste cautele non ha tenuto conto Denys, ed è appunto per ciò ch’egli venne condotto a conclusioni. erronee. Egli ha lavorato semplicemente su pezzi induriti, ed ha ottenuto l’indurimento col sublimato corrosivo. Dopo una permanenza di qualche ora nel sublimato i pezzi venivano lavati nell’ acqua, induriti nell’alcool e sezionati in paraffina. Le sezioni infine ve- nivano colorate successivamente colla fucsina acida e col verde di metilo ie ed esaminate glicerina od in balsamo. Con questo metodo i globuli rossi e le granulazioni eosinofile dei globuli bianchi appaiono colorate in rosso rubino edi nuclei dei diversi elementi in verde. Si dovrebbe ottenere così una doppia colora- zione assai spiccata, e favorevolissima per riconoscere la dispo- sizione delle cellule nel midollo. Operando a questo modo Denys ottenne dei preparati che appoggiano perfettamenta la sua opinione. In una sezione p. es. del midollo della tibia di un piccione normale si vedono ne’ suoi di- segni le larghe vene del midollo le quali soltanto lungo il loro asse contengono dei globuli rossi; tutto il resto del lume è occupato da eritroblasti incolori o quasi incolori. — Se il midollo poi era di un piccione salassato, gli spazi venosi appaiono riempiti quasi esclusivamente da eritroblasti incolori. Gli eritroblasti poi, ven- gono descritti da Denys (7. c. p. 211) come cellule rotonde, a nucleo pure rotondo, grosso, e attraversato da un forte reticolo con numerosi nodi, ma senza nucleoli plasmatici. Il protoplasma della cellula è omogeneo o appena granuloso; la membrana cel- lulare è molto spiccata. — Per trasformarsi in globuli rossi adulti essi diventano ovali (tanto il corpo cellulare quanto il nucleo), si appiattiscono, e si caricano d’emoglobina; acquistano, cioè, nei preparati di Denys la proprietà di colorarsi intensamente in rosso colla fucsina acida. Le conclusioni di Denys sarebbero indiscutibili se il suo me- todo di preparazione veramente fissasse l’ emoglobina tanto nei globuli quanto negli eritroblasti. Ma nel fatto non è così. ‘Già egli stesso si era accorto che il sublimato, che pure è un rea- gente così prezioso per la conservazione dei globuli rossi isolati, non lo è più tanto quando agisca su dei pezzi di tessuto. Egli, infatti, fa osservare d’aver sempre fatto uso di sublimato sciolto in una soluzione di cloruro sodico, perchè aveva notato (pag. 209) che, se si fa uso di sublimato sciolto in acqua distillata, molti . dei globuli rossi perdono la loro emoglobina, massime verso il STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI Ero centro del pezzo, e in questo caso essi non si colorano più, o non si colorano che incompletamente colla fucsina. . Ora, la mia esperienza mi ha dimostrato, che neppure l’ag- giunta di cloruro sodico vale ad evitare l'inconveniente segnalato da Denys. Nei pezzi trattati secondo le sue prescrizioni è soltanto all’estrema periferia del pezzo che i globuli rossi sono ben con- servati. Appena un po’ più all’interno si scorge che i globuli rossi contenuti negli spazi venosi, cominciando da quelli che stanno alla porzione periferica del lume delle vene, mutano notevolmente d'aspetto. Infatti, mentre nei globuli ben conservati il corpo cel- lulare non presenta una membrana distinta, ed è costituito da una sostanza omogenea abbastanza rifrangente, di colore giallo- gnolo ed avente la proprietà di colorarsi intensamente coi colori ‘acidi (fucsina acida, eosina, acido picrico), i globuli alterati ci si presentano rotondi, ovvero poliedrici per la reciproca pressione, sono limitati da una membrana spiccata e grossa, e la sostanza che sta fra la membrana e il nucleo (e che costituisce, quindi, il vero corpo cellulare) è diventata tenue, trasparente, ha perduto del tutto, o quasi, il color giallo, e proporzionalmente manca della proprietà di trattenere tenacemente le sostanze coloranti sopra menzionate. Nei globuli in cui l'alterazione non è tanto avanzata, in questa sostanza chiara si vedono ancora sparsi dei granuli o dei filamenti decorrenti dal nucleo alla membrana cellulare. Evidentemente questa alterazione dipende da ciò, che i globuli hanno perduto la loro emoglobina, e con essa la facoltà di co- lorarsi artificialmente; e questa alterazione avviene tanto più facilmente quanto più il globulo rosso è giovane. Ne consegue che la ricchezza dei singoli capillari venosi in cellule di tal modo al- terate non dipende soltanto dalla distanza in cui la vena stessa si trova dalla periferia del pezzo di midollo a cui appartiene, ma sì ancora dalla quantità degli eritroblasti che essa originaria- mente conteneva, sicchè, a seconda della posizione della vena nel pezzo di midollo, ed a seconda della ricchezza in eritroblasti del sangue ch’essa conteneva, noi possiamo avere tutte le gra- dazioni da vene che appaiono piene o quasi piene di globuli rossi fortemente colorati colla fucsina, a vene che hanno pochi globuli rossi sparsi qua e là lungo il loro asse, mentre il resto del lume è pieno di elementi incolori. Questa alterazione, lo ripeto, colpisce prevalentemente i glo- buli rossi giovani, ma non risparmia gli adulti. Non è raro, Atti R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 9 114 G. BIZZOZERO infatti, scorgere verso il centro del midollo delle piccole arterie (le quali, naturalmente, non conducono che sangue a. globuli adulti) il cui lume è occupato da globuli di tal modo alterati. Se ora si paragona uno di questi preparati colle descrizioni e coi disegni che ha dato Denys, devesi riconoscere che @ 80? eritroblasti incoloriî per la massima parte non sono altro che globuli rossi alterati dal processo di indurimento. Di ciò non si può dubitare quando si studi il progressivo accentuarsi dell’alterazione dalla periferia al centro del pezzo di midollo assoggettato all’esame;. e se ne può dubitare anche meno quando si paragonino due pezzi dello stesso midollo di animale sano trattati l’uno col metodo di Denys, l’altro con un metodo che meglio conservi l’emoglobina dei globuli, p. es. col metodo al liquido di Miiller. Come vedremo più sotto, quello stesso mi- b dollo che, trattato col metodo Denys, ci presenta i capillari venosi pieni o quasi pieni de’ suoi eritroblasti incolori, trattato col liquido : di Miller ce li presenta quasi completamente riempiti di cellule a .. protoplasma emoglobinico; le cellule incolore relativamente scarse che fra queste stanno, sono dei leucociti, i quali non mancano mai nei vasi midollari, e che sogliono, anzi, trovarvisi più nu- merosi che negli altri vasi del corpo (1). Un'ultima considerazione che contribuisce a spiegare i risul- tati ottenuti da Denys riguarda il suo metodo di colorazione. Come s'è detto, egli otteneva una doppia colorazione coll’azione successiva della fucsina acida e del verde di metile. La prima colora uniformemente in rosso tutte le parti degli elementi con- tenuti nella sezione: nuclei, protoplasmi, globuli rossi, tessuto connettivo, ecc.; ma quando la sezione sia lavata e poi immersa nel verde di metile, allora si opera il differenziamento, ed i nuclei si colorano in verde. L'Autore stessoy però, avverte che queste reazioni sono assai delicate: se il midollo è rimasto troppo tempo nel sublimato, il verde di metile non si fissa più sui nuclei, .e le sezioni conservano una colorazione rosso intenso uniforme ,:. affatto impropria all'esame; se, invece, le sezioni si lasciano troppo . nel verde di metile, perdono il color rosso non solo i nuclei, ma anche le granulazioni eosinofile dei leucociti del parenchima. del midollo, e successivamente anche i globuli rossi. -- Come si (1) Bizzozero e Torre, Archivio per le Sc. mediche, vol. IV, n. 48 e MoLescHott’s Untersuch. Bd. 12, Heft 5/6. STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI PRA vede, queste reazioni coloranti di Denys non danno una colora- zione specifica; non si tratta di una sostanza colorante che si fissi esclusivamente sui nuclei, e di un’altra che non colori che l’emoglobina. La colorazione di Denys è poggiata sulla graduata perdita del color rosso che gli elementi del midollo presentano sotto l’azione del verde di metile. Ne consegue, che in un dato preparato l’ottenere colorati o no certi elementi non dipende soltanto dalla natura di questi, ma anche dal tempo in cui si arresta l’azione di una delle sostanze coloranti, o, con altre parole, dall’arbitrio dell'osservatore; il quale considera come ben riusciti e conserva quei preparati, nei quali il verde di metile non è ancor riuscito a scacciare il color rosso fucsina da quegli elementi che egli per la loro forma, costituzione, ecc. considera come globuli rossi, La colorazione di Denys, adunque, non ha la proprietà di di- mostrare ciò che è globulo rosso; essa non può servire che a rendere più evidente ciò che l’osservatore, appoggiandosi ad altri caratteri, ha creduto di riconoscere come globulo rosso. III. Posto in sodo, così, quali siano le cause di errore contro le quali non seppe premunirsi Denys, passo ora a render conto delle mie ricerche, delle quali io ho dato, come sopra dissi, sol- tanto un cenno sommario nel 1887, e che mi hanno condotto a considerare la rete dei capillari venosi del midollo come un vero organo endovascolare. Nelle ricerche che ho istituito nel 1887 sul midollo degli uccelli, essendo allora mio scopo di determinare direttamente in qual parte di esso si trovassero i globuli rossi in via di mitosi, non mi poteva limitare per indurire i pezzi all’uso di quel me- todo che nel 1880 aveva già servito a me ed al dottor Torre: fissazione nel liquido di Miiller, indurimento nell’alcool, colora- zione con picrocarmino, conservazione in glicerina. Il liquido di Miiller, infatti, non è raccomandabile per la conservazione delle mitosi, nè queste sono messe in molta evidenza dal picrocarmino. — Io desiderava ad un tempo di dimostrare le mitosi e di con- servare l’emoglobina nei globuli, e ad ottenere questo scopo spe- rimentai diversi liquidi fissatori. Non poteva contare sulle sem- plici soluzioni di acido osmico, che mal conservano le mitosi. Tentai invece coll’acido picrico, col liquido di Kleinenberg, con 116 G. BIZZOZERO una miscela di acido cromico e di acido osmico, col liquido di Flemming e colle soluzioni di sublimato. I primi tre liquidi m'hanno dato insufficienti risultati, poichè presentano abbastanza spiccate le reti venose nel midollo, ma rendono poco evidenti le mitosi. Il liquido di Flemming è preferibile fra tutti per la di- mostrazione delle figure cariocinetiche tanto dentro quanto fuori dei vasi; ma fa perdere troppo il colore ai globuli rossi. Sotto questo punto di vista è inferiore alle soluzioni di sublimato, le quali conservano bene le mitosi, e nel tempo stesso non influi- scono tanto sfavorevolmente sui globuli rossi. Fu adunque il sublimato ch’io prevalentemente adoperai. Più sopra ho detto quali sieno le modificazioni che le so- luzioni di sublimato apportano ai globuli rossi, e come esse si possano diminuire, ma non evitare, sciogliendo il sublimato non in acqua distillata, ma in una soluzione 1% di cloruro sodico come propone Denys. I pezzi dopo l'immersione di 2-3 ore nel su- blimato venivano poi lavati non già coll’acqua, come praticava Denys, ma coll’ immersione per 48 ore in alcool del commercio allungato con egual volume di cloruro sodico 1 °/,; questo liquido naturalmente veniva parecchie volte rinnovato affinchè la lavatura riuscisse più perfetta. I pezzi lavati venivano poi induriti nel- l'alcool assoluto, passati gradatamente in cloroformio, inclusi in paraffina fondente a 52° C. e tagliati in sezioni dello spessore di 5 p. Le sezioni venivano poi saldate sul coproggetti, spogliate della paraffina colla successiva azione della trementina e dell’al- cool assoluto; poi si sottoponevano alla colorazione, e infine si passavano in olio di bergamotto e si chiudevano in damar. Quanto alla colorazione delle sezioni, ho provato diversi li- quidi ed in special modo i seguenti: 1° Il liquido di Ehrlich costituito da cinque parti di una soluzione di fucsina acida e di una parte di soluzione di azzurro di metilene. 2° L’altro liquido pure raccomandato da Ehrlich per la colorazione del sangue, costituito da fucsina acida, orange e verde di metile (1). 3° Il liquido di Biondi, formato dagli stessi costituenti ma in diverse proporzioni (2). 4° La soluzione di fucsina acida, e successiva- mente quella di verde di metile secondo il metodo di Denys. 5° Una soluzione acquosa di vesuvina, lavatura con alcool assoluto, (1) ErRLICH, Charité- Annalen; 1884, p. 107. (2) Hirolait, Arch, f. d, gesamm, Phys., vol. 43, SARANNO i 42 STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI LI e successiva azione di una soluzione acquosa di eosina. 6 Una soluzione acquosa di safranina e successiva lavatura in alcool as- soluto colorato con acido picrico. 7° L’ematossilina, con succes- siva lavatura nell’acqua e con seconda colorazione in alcool co- lorato con acido picrico. Con tutti questi metodi si ottengono delle doppie colorazioni, fra cui sono preferibili quelle ottenute coi metodi segnati coi numeri 5, 6, 7. Fra queste, poi, merita assoluta preferenza l’ultima, che è quella, quindi, che più ho adoperato nelle mie indagini. Lasciavo le sezioni (fissate sul co- proggetti) per circa 15 min. nella soluzione d’ematossilina che colora in violetto tutti i nuclei del preparato; poi le lavavo per una diecina di minuti nell’ acqua di fonte, indi le passavo in alcool assoluto colorato leggermente in giallo col farvi sciogliere alcuni cristallini di acido picrico. La durata di questa immersione, ‘che deve essere di pochi minuti, viene determinata colla espe- rienza. La concentrazione della soluzione picrica, e la durata del- l'immersione in essa delle sezioni devono essere tali, che, mentre è ancora incoloro il protoplasma dei leucociti, riesca invece colorato in giallo il corpo dei globuli rossi. E si colorano in giallo non solo tutti i globuli rossi adulti e ben conservati, ma sì ancora tanto i globuli rossi giovani quanto i globuli rossi adulti che presentano l’alterazione più sopra descritta prodotta dalla soluzione di sublimato. In essi la grossa membrana è co- lorata abbastanza intensamente in giallo, assai meno, invece, come è naturale, il corpo cellulare. La doppia colorazione ottenuta coll’ematossilina e coll’alcool picrico diede nelle mie mani ed ai miei occhi dei preparati assai più dimostrativi e costanti che quella da me ottenuta colla fuc- sina acida e col metilverde secondo Denys. Con essa non v° è pericolo che la seconda colorazione si sostituisca alla prima nella colorazione dei nuclei, nè che un colore scacci l’altro dal pro- toplasma emoglobinico dei globuli rossi. Ad onta dei vantaggi che, come credo, il mio metodo di colorazione ha su quello di Denys, tuttavia ho voluto usare dei metodi di controllo onde poter dare una base più certa ai miei risultati. È per questa ragione che ho costantemente usato anche la fissazione dei pezzi nel liquido di Miiller con successivo indu- rimento coll’alcool. i Il midollo, tolto dall’ animale appena ucciso, veniva tenuto per 8-10 giorni all’oscuro in un'abbondante quantità di liquido 118 G. BIZZOZERO di Miller, che in questo frattempo veniva rinnovato 3 o 4 volte. Poi, sempre all’oscuro, si lavava tenendolo per altrettanto tempo in alcool allungato a parti eguali con una soluzione 0,70% di cloruro sodico e di frequente rinnovato. Quando il pezzo non ce- deva più colore al liquido, si passava in alcool sempre più forte, fino all’ assoluto, poi, come al solito, si sezionava in paraffina. Le sezioni di 5 e 10 p di spessore venivano poi, saldate o no sul coproggetti, spogliate della paraffina per mezzo della tre- mentina e, colorate o no, esaminate in glicerina o in damar. IV. Vediamo ora i risultati che ho ottenuto, cominciando dallo studio del midollo del pollo giovine, sano e robusto. . Operai sempre sul midollo della metà superiore del femore, che, fra quelli delle ossa lunghe, è sempre uno dei più funzionali. La fig. 1° ci presenta porzione di una sezione trasversa, di midollo ‘ndurito in sublimato, e colorato con ematossilina ed alcool picrico. Si scorge la ricca rete di larghi capillari venosi che dalle parti periferiche del midollo converge verso una delle grosse vene (a) decorrenti nel senso dell’asse del midollo , la quale quindi, appare qui tagliata trasversalmente. In d è la sezione di un’ arteria parimente assile. Qua e là nel tessuto si vedono delle sezioni trasverse di arteriole (cc); non si vedono, invece, stante la debolezza dell’ingrandimento, gli scarsi e sottili capillari arteriosi, che, originando dalle arteriole, vanno a met- ter foce nell'ampio lume de’ capillari venosi. Quanto al parenchima interposto ai vasi, esso presenta delle differenze di costituzione, che si possono accertare anche con que- sto debole ingrandimento. Nella porzione inferiore della. figura sono in esso numerosissimi i leucociti, e solo qua e là fra i loro ammassi si vedono, isolate od a gruppi, le cellule adipose; nella superiore, invece, e specialmente nell’immediata vicinanza. della vena a, il rapporto s' inverte; i leucociti si fanno sempre più rari, e il tessuto viene costituito quasi esclusivamente dalle cel- lule adipose. Questa differenza del parenchima si accompagna con una dif- ferenza del modo di comportarsi della rete venosa, su cui desi- dero attirar l’attenzione perchè ‘è costante, e quindi non può non avere un significato nella fisiologia dell’ organo: nei punti STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 119 del parenchima ove predominano i leucociti, i capillari venosi hanno lume ampio (50-52 1); in quelli, invece, in cui prevalgono le cellule adipose, i capillari venosi sono più sottili (40-42 p), e quindi la rete da essi formata è meno appariscente. Se ora vogliamo passare all'esame a forte ingrandimento del preparato, è utile che cominciamo dalla porzione periferica della sezione, da quella, cioè, ove il sublimato ha meglio esercitato la sua azione fissatrice sui globuli. Qui vediamo che, contro quanto assevera Denys, le vene contengono una grande quantità di glo- buli rossi, la cui emoglobina è ancora ben riconoscibile pel co- lore giallo più spiccato che le ha impartito l’acido picrico (fig. 2*). È ben vero che a lato de’ globuli rossi si vedono delle cellule incolore, disposte prevalentemente alla periferia del vaso, e che sì possono dire con sicurezza giacenti nel lume del vaso, perchè il contorno di questo è nettamente segnato da una linea rego- lare interrotta tratto tratto da nuclei ovali, allungati; ma queste cellule incolore non hanno nulla che fare coi globuli rossi; sono leucociti, e di essi avremo occasione di dire più sotto. Nei punti meno periferici del preparato i globuli rossi hanno subìto l’alterazione più sopra descritta; ma ciò non impedisce di stabilire la loro natura (fig. 3°) e di accertare che riempiono quasi per intero il lume del vaso; gli scarsi spazi che lasciano liberi si vedono occupati dai leucociti. Se l’azione dell’ acido picrico sulla sezione venne sospesa a tempo, i leucociti appaiono inco- lori, mentre i globuli rossi hanno il loro contorno colorato for- temente, e il loro corpo colorato debolmente in giallo; il che fa sì che a piccolo ingrandimento tutto il contenuto vasale spicchi in giallo sul fondo appena lievemente gialliccio del parenchima. Nei vasi si scorge qualche raro globulo rosso in mitosi (fig. 3* a); nel parenchima, invece si hanno, in piccol nnmero, delle mitosi dei leucociti (fig. 2° d). In questi preparati, adunque, non si ha alcuna traccia di quegli ammassi di eritroblasti irncolori che Denys disegna nel suo lavoro. — A questo punto non mi nascondo che mi si potrebbe ob- biettare, questo mio risultato dipendere da ciò, che io col mio metodo ho colorato in giallo degli eritroblasti incolori che effet- tivamente si trovavano ne’ vasi; si ritorcerebbe, così, contro di me il ragionamento che io ho fatto contro Denys quando ho as- serito, ch’ egli ne’ suoi preparati aveva tolto il color rosso di 120 G. BIZZOZERO fucsina a degli elementi che in realtà erano globuli rossi alte- rati dal sublimato. Ma l’obbiezione non regge, perchè quanto io asserisco ottiene una chiara e facile conferma dall'esame di se- zioni sottilissime di midollo, appartenente allo stesso. animale, ma indurito nel liquido di Miller, ed esaminato senza alcuna colorazione in glicerina. Qui tutte le cellule contenenti emoglo- bina conservano un colore giallo caratteristico, che le fa distinguere a prima vista dai leucociti (fig. 4°); e qui si conferma senza. possibilità di dubbio che il contenuto dei capillari venosi nell’a-. nimale sano è quasi esclusivamente rappresentato da cellule ad emoglobina; le cellule incolore, relativamente scarse, che stanno fra esse si riconoscono agevolmente per leucociti. Il liquido di Miiller fissa anche assai meglio del sublimato la forma dei globuli rossi. Quindi nei preparati fatti con esso noi vediamo (fig. 4°) che dentro i capillari venosi i globuli stessi hanno figure diverse, a seconda del loro grado di sviluppo; sicchè dai globuli adulti, grandi, elittici, a piccolo nucleo, noi, per passaggi graduati, discendiamo ai globuli giovanissimi, sferici, a nucleo rotondo circondato da uno strato sottile di protoplasma emoglobinico. Questi ultimi sono quelli che, nella serie di forme rappresen- tanti l’evoluzione dei globuli rossi, più assomigliano ai leucociti. Nella gran maggioranza dei casi anche i più giovani di questi globuli si possono distinguere dai leucociti pel colore del loro protoplasma ; io non potrei, però, asserire che n ogni caso si possa decidere con certezza se una data cellula sia piut- tosto un globulo rosso giovane o un leucocito. Talora la diffe- renza di colore dei rispettivi protoplasmi dopo l’azione del liquido di Miiller non spicca abbastanza, neppure adoperando ottimi ob- biettivi ad immersione omogenea. In tali casi potrà esser di gio- vamento nella diagnosi la configurazione del reticolo nucleare. Nei globuli rossi quest’ultimo, quand’abbia subìta 1’ azione del liquido di Miiller, si presenta sotto la forma di poche trabecole grosse, poste nella porzione centrale del nucleo; mentre nei leu- cociti esso è costituito di trabecole sottili e numerose, formanti una rete assai fitta (così fitta che non di rado assume aspetto granulare) e che occupa una maggior porzione del corpo nu- cleare. Studiando la disposizione di questi diversi elementi nel lume vascolare, si riconosce facilmente che essa è soggetta ad una re- _ prnriechu STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 121 gola determinata: i globuli rossi adulti sono generalmente di- sposti nell’ asse del lume vasale, mentre i globuli rossi giovani ed i leucociti riempiono la parte periferica del lume. Ciò, come vedremo, è importante per la spiegazione della funzione del midollo (1). Mentre nei capillari venosi i globuli rossi hanno forme così svariate in rapporto colla loro diversa età, nelle grandi vene ed arterie assili essi sono tutti ovali, appiattiti, coi caratteri di globuli perfetti. Questo, per chi conservasse de’ dubbi, è la più bella riprova che i globuli sferici, a scarso protoplasma giallognolo, che si vedono nei capillari venosi sono realmente globuli giovani, e non globuli rossi ridotti a tal forma da un'alterazione prodotta dal liquido di Miiller. — Più sopra ho asserito che Denys ha confuso sotto la desi- gnazione di eritroblasti due specie di elementi: i globuli rossi giovani alterati dal sublimato ed i leucociti. Riguardo ai primi, abbiamo visto testè come la mia asserzione sia giustificata; ri- guardo ai secondi, lo vedremo ora. Secondo quanto Denys scrive nella sua Memoria, gli elementi del parenchima del midollo sono rappresentati (oltre che da va- riabile quantità di cellule adipose) da cellule bianche, ch’ egli appella leucoblasti, e che si distinguono per avere un nucleo al- lungato, spesso ripiegato su se stesso o contorto, e per contenere nel loro protoplasma dei granuli o dei bastoncini colorabili vi- vamente colla fucsina. Sono, con altre parole, quei leucociti che fino dal 1880 io e Torre avevamo descritti e disegnati nel mi- dollo e nel sangue degli uccelli. Questi elementi Denys ha ve- duto talora anche nei vasi sanguigni del midollo; ma, all’infuori d’essi, egli non descrive, nè disegna altra specie di leucociti nè nel parenchima midollare, nè ne’ suoi vasi. Così essendo le cose, gli torna facile dare dei caratteri differenziali fra gli eritroblasti, ed i leucoblasti, correggendo i criteri differenziali che in propo- (1) Preparati assai eleganti e dimostrativi del midollo indurito in liquido di Miller si ottengono col colorare in alcuni minuti le sezioni, fissate sul vetrino e spogliate della paraffina, con un liquido ottenuto aggiungendo ad alcuni centimetri cubi d'acqua alcure goccie del liquido Ehrlich- Biondi ; poi lavando nell’alcool e passando, per olio di garofani, in damar. Le granulazioni eosinofile dei leucociti del parenchima sono intensamente colorate in rosso: nei capillari venosi si vedono i leucociti colorati in rosa, e gli eritroblasti e i globuli rossi adulti in rosso aranciato oscuro. 122 G. BIZZOZERO sito già erano stati dati da Lòwit. Secondo Denys (l. c. p. 224) i secondi si distinguono dai primi specialmente per avere il nucleo spesso a forma di bisaccia o di salsiccia, relativamente più pic- colo e meno ricco di nucleina, il protoplasma sempre incoloro e contenente dei granuli o bastoncini colorabili colla fucsina, la membrana meno grossa e spiccata, e le manifestazioni di con- trattilità più manifeste. Secondo lui ogni elemento che sta nei vasi del midollo, e non ha questi caratteri, appartiene alla serie degli eritroblasti. E in ciò egli ha torto Questi criteri differenziali non si ap- plicano che ad una sola delle varie specie (almeno quattro) di globuli bianchi che il sangue degli uccelli contiene (1). Infatti, lasciando da parte le piastrine, noi vi troviamo: 1° Le summenzionate cellule con protoplasma a contenuto bastonciniforme (fig. 9° c). Per esse non posso che confermare la de- scrizione che io e Torre ne abbiamo dato nel 1880, aggiungendo soltanto questo, che il loro nucleo ha spesso forma di occhiali (fig. 2° e 8° c), sicchè quando le due estremità ingrossate di esso sono rivolte contro l'osservatore, e il ponte sottile che unisce (1) Lo studio dei leucociti degli uccelli si fa in diversi modi, a seconda delle particolarità che si vogliono mettere in evidenza : 1° Nel sangue fresco e puro, disteso a strato sottilissimo fra portoggetti e coproggetti. 2° Nel sangue fresco diluito con soluzione 0,70 di cloruro sodico, ovvero con questa soluzione colorata con violetto di metile, 3 Con sangue disteso a strato sot- tilissimo sul coproggetti, essiccato a dolce calore, tenuto per un paio d’ore a 110° C. (ovvero passato con cautela 4-6 volte su di una fiamma ad alcool) affine di fissare l’emoglobina nei globuli rossi, colorato tenendolo per '/, d’ora in una soluzione acquosa diluita di eosina, poi di nuovo essiccato , ed esa- minato in damar. Invece dell’eosina si potrà adoperare il liquido di Ehrlich o quello del Biondi (miscele di fucsina acida, di orange e di verde dî metile) che si lasceranno agire per alcune ore, poi lavatura nell'acqua, essicca- mento, ecc. 4° Con sangue disteso a strato sottilissimo su di un coproggetti, il quale si immerge tosto, mentre il sangue è ancora umido, in alcool as- soluto, ove si lascia per 4 ora per fissarvi gli elementi, e specialmente l’e- moglobina. À questo punto è atto alia colorazione; si lascia, p. es., per un paio d’ore in una soluzione acquosa concentrata e filtrata di vesuvina, poi si lava nell’alcool, sì rischiara coll’olio di bergamotto e si chiude in damar. — Il 1° e il 2° metodo dànno un’idea generale delle diverse specie di leu- cociti; il 3° mette in evidenza specialmente i leucociti eosinofili; il 4°, infine, è quello che più serve pei nuclei dei leucociti, e specialmente per quelli (poco visibili cogli altri metodi) dei leucociti grossi a protoplasma finamente granuloso. STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 123 l'una all'altra è dai bastoncini coperto e sottratto alla vista, sembra che la cellula abbia due nuclei (fig. 9*c). — Quanto ai bastoncini, nei preparati di sangue essiccato sui vetrini, passato 4-5 volte su di una fiamma ad alcool e trattato con un colore acido di anilina, essi si colorano intensamente, e presentano spic- cata la forma di fuso appuntato alle estremità; inoltre, verso il loro mezzo spicca un punticino circolare, incoloro, di cui non saprei dire la natura (fig. 9° e). — Se, invece, si fa un preparato di sangue fresco in cloruro sodico 0,70 È o: € da uno dei lati del coproggetti si aggiunge una soluzione in acqua distillata di eosina, si vede che, quando questa va a contatto dei leucociti, ogni bastoncino si gonfia e si trasforma in una sferula chiara, colo- rata in rosso. 2° Cellule grosse quanto le antecedenti, cioè 6,5-7,81, che parimenti contengono un nucleo spesso a forma d’occhiali, ma che nel protoplasma, invece dei bastoncini, presentano nu- merosi granuli sferici, un po’ meno lucenti dei bastoncini, e co- lorabili essi pure, ma meno intensamente, coi colori acidi d’ani- lina (fig. 9° d). 8° Piccoli leucociti, del diametro di 5,2-5,71, costituiti da un grosso nucleo sferico presentante, a fresco, uno o due nu- cleoli, e ravvolto in un sottile velamento di protoplasma d’aspetto omogeneo (fig. 8° e 9° a). 4° Grossi leucociti (fig. 8° e 9° 5) del diametro di 6,7- 8,3 p., di forma sferica o provvisti di prolungamenti lobosi, jalini, e contenenti un grosso nucleo; questo è poco visibile per l’opacità del protoplasma, ha forma rotonda o alquanto irregolare (di frequente reniforme) e presenta nel suo interno un paio di grossi nucleoli generalmente allungati. Il protoplasma di questi grossi leucociti si distingue da quello dei n. 1 e 2 per essere fi- namente granuloso. Lasciando il preparato di sangue a sè per qualche tempo nella soluzione indifferente di cloruro sodico, si vedono apparire nel protoplasma dei numerosi vacuoli che lo attraversano tutto, e gli impartiscono una struttura reticolare. Queste diverse specie di leucociti stanno nel sangue in varia quantità; preponderano quelle dei n. 1 e 3. I capillari venosi del midollo contengono tutte e quattro le specie, ed anzi, come io e Torre già abbiamo notato, esse vi stanno più abbondantemente che negli altri vasi del corpo; il che si tiene di certo in rapporto colla relativa ampiezza dei vasi 124 G. BIZZOZERO midollari e colla lentezza con cui il sangue vi circola Ciò si può accertare esaminando sezioni di pezzi induriti tanto in sublimato quanto in liquido di Miller. — Anche in dilacerazioni di pezzi fre- schi di midollo fatte in soluzione 0,70% di cloruro sodico (incoloro o colorato con violetto di metile) si vedono mescolate ai globuli rossi queste varie specie di leucociti, e si possono, anzi, studiar meglio perchè gli elementi sono isolati, e non alterati dai reagenti. Bisogna notare, però, che in questi preparati i leucociti sanguigni sono commisti agli elementi del parenchima del mi- dollo, cioè a cellule e gocciole adipose, e a gran copia di leucociti identici ai sanguigni, fra cui predominano quelli a bastoncini e a granuli eosinofili. Fra gli elementi incolori del parenchima sono da annoverare delle grosse cellule incolore del diametro di 12-13 & e più; esse hanno il protoplasma finamente granuloso o contenente grossi granuli eosinofili (fig. 10°), e il loro nucleo è rotondo, a contorno marcato, e presenta un contenuto chiaro, omogeneo in cui stanno uno o due grossi nucleoli, dai quali si diraggiano alcune grosse trabecole di cromatina (1). L’avere Denys fatta menzione, quando descrive il contenuto dei capillari venosi, solamente dei leucociti a bastoncini, dimostra ch’egli ha erroneamente interpretato gli altri leucociti a proto- plasma finamente granulare (i quali naturalmente, non contenendo emoglobina, non conservarono, col suo metodo di preparazione, la colorazione rossa della fucsina) come eritroblasti; il che gli ha dato un’occasione di più per ammettere l’esistenza di eritro- blasti incolori, e di esagerarne il numero, V. Eguali risultati, riguardo alla costituzione e alla produzione degli eritroblasti, si hanno dallo studio di quelli animali in cui si è eccitata esageratamente la produzione dei globuli rossi mediante ripetuti salassi. Già più sopra ho citato i risultati che io e Torre avevamo ottenuto fino dal 1880; qui, perciò, non farò che rife- rire quanto mi è riuscito di trovare nelle indagini istituite dopo d’allora, mettendo in raffronto i miei reperti con quelli ottenuti da altri, e specialmente da Denys. (4) Bizzozero e ToRRE, Arch. sc. med., IV; e MoLescnort’s, Unters , vol. XII. STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 125 Nel lavoro del 1880 io e Torre avevamo notato che negli animali salassati il midollo presenta delle alterazioni già visibili ad occhio nudo; diventa di color grigio opaco, e, messo nel li- quido di Miller, vi affonda, mentre il midollo di un animale sano e grasso vi galleggia. Queste due modificazioni vennero da noi attribuite al fatto, che nel midollo dei salassati il grasso viene riassorbito per buona parte, e il suo posto viene occupato non solo dai globuli rossi, ma anche dai globuli bianchi; anzi, nell'interno dei vasi questi ultimi sostituiscono anche in parte i globuli rossi, disponendosi in strati ed ammassi contro la parete vascolare. Poco dopo, e indipendentemente da noi, Korn (1) ha trovato, invece, che, col salasso, il midollo grigio degli uccelli si trasforma a poco a poco in midollo rosso, e le parti già antecedentemente rosse si colorano più intensamente. Per contro Denys, senza conoscere le osservazioni mie e di Torre, ha ottenuto risultati concordanti coi nostri; vide, cioè, il midollo degli animali salassati farsi d’un color grigio quasi puro; e ciò egli ritiene dovuto alla straordinaria moltiplicazione, che vi succede, degli eritroblasti, i quali, secondo lui, sono per la più parte incolori. Denys non dà la ragione di questa differenza di risultato. Or bene, io credo ch’essa dipende dal grado di anemia al quale vennero condotti gli animali e dalla varia energia con cui l'or- ganizzazione di questi loro concede di riparare alle perdite san- | guigne subite. Nelle mie esperienze con Torre noi solevamo pra- ticare nei polli 3-4-5 e più salassi alla distanza di 3-5 giorni l’uno dall’ altro, ed estraendo ciascuna volta una quantità di sangue corrispondente al 2-3 °/, del peso del corpo. — Denys ne’ suoi piccioni praticava parecchi salassi, a due giorni d’in- tervallo l’uno dall'altro, ed estraeva ogni volta una quantità corrispondente ad un quarto della massa totale del sangue. Orbene, considerata la rapidità con cui gli uccelli riprodu- cono il sangue, a questo modo non si ottengono i più alti gradi di anemia. Quest'anno, ripetendo le esperienze nei polli, vidi che anche praticando un salasso quotidiano per otto e fin dodici giorni di seguito, ed estraendo ciascuna volta una quantità di (1) Korn, Virchow's Arch., vol, 86, p. 406. - 1881, 126 G. BIZZOZERO sangue almeno uguale al 2°/, del peso del corpo dell’ animale, questo non mostrava gran fatto di soffrirne. — Dalle esperienze che ho fatto ricavo quelle in cui notai l’aspetto macroscopico del midollo del femore; esse sono le seguenti: 1° — Pollo del peso di g. 900. Con 3 salassi fatti in 4 giorni gli si estraggono g. 63 di sangue. — Midollo grigio chiaro ricco di adipe, ad eccezione di un sottilissimo straterello rosso corticale, Galleggia nei liquidi acquosi. 2° — Pollo del peso di g. 700. Con 3 salassi in 3 giorni gli si estraggono 50 g. di sangue. — Midollo grigio, diffluente. Galleggia nel liquido di Miller. 8° — Pollo del peso di g. 1185. Gli si fanno tre salassi in 8 giorni, estraendosi in tutto 95 g. di sangue. — Il midollo del femore è grigio leggermente rossigno; la superficie di sezione è di color grigio, con macchie rossigne. — Galleggia nel liquido di Miiller. 4° — Pollo del peso di g. 900. Con 5 salassi praticati a giorni alterni gli si estraggono g. 125 di sangue. — Il midollo del femore è rosso; soltanto verso la metà lunghezza di esso co- mincia ad apparire lungo il suo asse una zona grigia. Affonda nel liquido di Miiller. 5° — Pollo del peso di g. 730. Con 6 salassi in 7 giorni gli si levano g. 114 di sangue. — Midollo di color grigio adiposo lungo l’asse; in tutto il resto grigio rossigno. Affonda nel liquido di Miiller. 6° — Pollo del peso di g. 830. Con 10 salassi in 9 giorni gli si estraggono g. 172 di sangue. Durante questi 8 giorni man- giava pochissimo (la metà di quello che mangiava da sano) e negli ultimi giorni aveva la cresta pallidissima. — Il midollo è grigio, leggermente roseo, ben provvisto di grasso. Messo nel liquido di Miiller vi galleggia. 7° — Pollo del peso di g. 810. Con 12 salassi in 12 gierni gli si levano g. 232 di sangue. In questo periodo è vispo, mangia abbondantemente, ed ha ben rossa la cresta. — Midollo di color rosso ribes, tendente appena leggermente al grigio; affonda subito nel liquido di Miller. 8° — Pollo del peso di g. 1130. Con 8 salassi praticati in 8 giorni gli si levano g. 220 di sangue. — Il midollo del femore in tutta la sua lunghezza e in tutto il suo spessore è di colore rosso oscuro. Esaminandone a fresco una superficie di sezione con STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 127 una lente si vede un fondo rosso bruno attraversato da una rete interrotta di color bianco grigio. Queste esperienze non sono abbastanza numerose; da esse, però, parmi potersi desumere che nelle anemie più leggiere il mi- dollo è grigio puro e galleggiante nell'acqua; nelle gravi, in- vece, affonda nell’acqua, ed è grigio rosso; qualche volta, anzi (esper. N. 8), può essere rosso intenso, come l’ha osservato Korn. Nelle anemie lievi i caratteri del midollo sono dovuti alla sua ricchezza in una sostanza incolora e relativamente leggiera com'è il grasso; nelle gravi, invece, al fatto che il grasso per buona parte è stato riassorbito, e il suo posto è occupato, come vedremo, dai capillari venosi dilatati, e pieni di leucociti e glo- buli rossi. La sola eccezione a questa legge è presentata dal pollo N.6:; ma qui si trattava d’un animale che mangiava pochis- simo, denutrito, in preda a grave anemia; il suo midollo (come del resto si osserva anche nell'uomo nelle più gravi anemie) non reagiva più, ed infatti vi erano assai scarsi i globuli rossi in mitosi. Vediamo, ora, quali siano i cambiamenti che succedono nel midollo sottoposto ad una funzionalità esagerata, e cominciamo da uno in cui l’alterazione sia al suo massimo, com'è quello del- l’animale N. 8, che ebbe in 8 giorni 8 salassi e fu quello fra i nostri animali che con una buona nutrizione e un'ottimo trat- tamento meglio riparò alle perdite subite. In una sezione trasversale (fig. 5°) di questo midollo (colo- rata con ematossilina e alcool picrico) spicca anzitutto la grande dilatazione dei capillari venosi, che arrivano alla larghezza di 65-70 ©. Si vedono, bensì, ancora delle striscie di paren- chima, e sono quelle che ad occhio armato di semplice lente ap- paiono sotto forma di sottili trabecole bianchiccie ; ma lo spazio occupato dal parenchima è poca cosa di fronte a quello rappre- sentato dalla rete vasale. In molti punti i vasi vi sono così di- latati che hanno fatto del tutto scomparire il parenchima inter- posto, e così finiscono per decorrere contigui l’un all’altro per tratti più o meno lunghi del loro decorso; oppure sono separati l'uno dall’altro da un solo ed interrotto strato di cellule mi- dollari. Quanto alla struttura finà di queste parti, il parenchima è quello che ci presenta le minori variazioni dal suo stato normale. Vi si vedono ancora delle cellule adipose, ma queste sono impic- 128 G. BIZZOZERO ciolite, scarse, sparse qua e là; soltanto intorno ai grossi vasi assili del midollo esse rimangono ancora disposte l’una contro l’altra, in tre o quattro strati, costituendo così una specie di guaina peri- vascolare. Lasciando da parte le cellule adipose, il parenchima si presenta formato da grandi ammassi di leucociti, fra cui predo- minano, al solito, quelli a bastoncini e a granuli eosinofili. Ciò che importa notare, però, si è che un numero non grandissimo, ma di certo superiore al normale di leucociti sî trova in pro- cesso di scissione indiretta; si vedon nuclei rappresentanti tutti i diversi stadi del processo. Non è poi possibile di pensare che queste mitosi appartengano ad altri elementi cellulari che non siano i leucociti; poichè durante il processo di scissione il loro protoplasma si modifica assai meno che in altre forme cellulari, sicchè sia per la mancanza di colore, sia per essere grossolana- mente granuloso assomiglia assai al protoplasma dei leucociti cir- convicini che si trovano in istato di riposo. Assai più notevoli sono le modificazioni che ci presenta il contenuto dei capillari venosi. Esaminandolo a piccolo ingrandi- mento su di un vaso tagliato trasversalmente vi si può distin- guere una zona assai stretta che occupa il centro del vaso e che appare di color giallo; tutto all’intorno di questa, poi, si scorge una zona che diremo periferica, larga, estendentesi fino alla rispettiva parete vascolare, e di colore prevalentemente vio- letto; non v'è confine netto fra le zone, il colorito dell’una sfuma gradatamente in quello dell’altra. A forte ingrandimento (fig. 6°), poi, la zona gialla si mostra costituita di globuli rossi adulti; essi sono applicati strettamente l’uno contro l’altro, hanno contorno marcato, e sono di forma irregolarmente poliedrica per la reciproca pressione. Procedendo invece verso l’esterno, i globuli diventano gradatamente d’un giallo meno intenso e di forma rotondeggiante, e fra essi appaiono numerosi dei globuli a grosso nucleo e a protoplasma incoloro. A contatto della parete del vaso questi ultimi sono i più numerosi; ma non sempre tanto numerosi da formarvi uno strato continuo; talora i loro ordini sono interrotti da cellule giallognole che stanno applicate proprio entro la parete vascolare; e non mancano dei punti, in cui, anche contro la parete vascolare, queste ultime sono le predominanti. Dopo lo studio che abbiamo fatto del pollo sano non ho bi- sogno di dire come le cellule giallognole siano gli eritroblasti, e STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 129 le altre incolore interposte siano dei leucociti. — Questa dispo- sizione relativa delle diverse specie di elementi nel lume vasco- lare è caratteristica: al centro i globuli rossi adulti; alla peri- feria i globuli rossi giovani frammisti a numerosi leucociti, Riguardo ai leucociti disposti contro le pareti vascolari è da notare, che quasi mai se ne osservano fra essi che contengano bastoncini o granuli eosinofili; i leucociti eosinofili che qua e là in scarso numero si vedono nei capillari venosi giacciono nell’asse della corrente, compresi fra i globuli rossi adulti. — I leucociti parietali corrispondono alle due varietà di leucociti a protoplasma finamente granuloso che si trovano nel sangue circolante, sicchè frammezzo agli ammassi dei leucociti piccoli si trovano (e, sì noti, in gran numero) leucociti assai grossi e forniti di grosso nucleo, contenente, a sua volta, dei grossi nucleoli. Ciò, però, che più merita menzione nel contenuto vascolare sono le numerose mitosi. — Alcune di queste (e sono in scarso numero) appartengono ai leucociti, e si riconoscono facilmente ai caratteri del protoplasma. Le altre, invece, spettano ai globuli rossi, e stanno generalmente nella porzione periferica della cor- rente; alcune possono perfino giacere a contatto della parete del yaso. Sono senza paragone più numerose che nell’animale sano; non è raro di vedere delle sezioni trasverse di capillari venosi che ne presentano 2-4. — Esse si distinguono dalle mitosi dei leucociti perchè hanno, al solito, il contorno più grosso, e il corpo cellulare assai trasparente e colorato in giallognolo. Si presentano in tutti gli stadi, da quando in una cellula unica il nucleo co- mincia ad arricchirsi di cromatina, a quando la cellula si è già divisa in due cellule più piccole applicate ancor l’una contro l’altra, e provviste ciascuna d’un nucleo a forma di astro. Ge- neralmente i due gruppi di filamenti nucleari, che si vanno allon- tanando l’uno dall'altro per la formazione del diastro, rimangono alcun tempo uniti fra loro per mezzo di un fascio di filamenti paralleli ed incolori. Riassumendo , nei gradi elevati di anemia si osservano nel midollo le seguenti modificazioni: 1° i capillari venosi sono gran- demente dilatati a spese del parenchima; 2° nel parenchima si ha atrofia delle cellule adipose e iperplasia esagerata dei leuco- citi; 3° il lume dei capillari venosi è occupato prevalentemente da globuli rossi giovani e da leucociti; i globuli rossi adulti co- stituiscono una esile striscia lungo l’asse del vaso. Tanto i leu- Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 10 130 G. BIZZOZERO cociti, quanto (e in maggior misura) i globuli rossi giovani si moltiplicano vivamente per mitosi. Il midollo dell'animale N. 7 presentava press’a poco le stesse particolarità di quello testè descritto del N. 8; ne differiva però pel maggior numero di leucociti contenuti nei vasi, il che spiega come il midollo non fosse rosso, ma rosso-grigio. I leucociti (grossi e piccoli) in non pochi vasi apparivano applicati contro la parete in 2-8 ordini; all’interno di essi erano disposti gli eritroblasti, qualcuno dei quali solo eccezionalmente trovavasi vicino alla parete; finalmente lungo l’asse del vaso si scorgevano, scarsi, i globuli rossi adulti. — Nelle anemie di minor grado le modificazioni sono, natu- ralmente, minori: i vasi sono meno dilatati, e le cellule adipose vedonsi ancora in buon numero nel parenchima. Sì l’uno che l’altro fatto spiegano il color grigio che il midollo ancora con- serva, ed al quale contribuisce l’accumularsi dei leucociti alla periferia della corrente sanguigna. L’aumentare di numero degli eritroblasti in scissione che si osserva dopo il salasso ha luogo rapidamente; esso è già grande negli animali cui si sono praticati 3 salassi in 38 giorni succes- sivi. Per cogliere, però, il midollo mentre è ancora ricco di eri- troblasti in mitosi bisogna uccidere l’animale poco tempo dopo l’ultimo salasso; io soleva esaminarli dopo 12-16 ore. Aspettando di più non si ottengono buoni risultati; la perdita dei globuli rossi è per buona parte già riparata, e il numero degli eritro- blasti in mitosi è già in via di diminuzione (1). — Per ultimo ritengo non inutile di riferire, che nell’animale del N. 1 i vasi del midollo contenevano gran numero tanto di globuli rossi giovani quanto di quelli in scissione anche nei punti in cui il parenchima interposto non aveva ancora subìta la sua trasfor- mazione linfoide, e i vasi stessi, adunque, erano circondati non da ammassi di cellule linfatiche, ma sì da cellule adipose. Quan- (1) Anche in animali molto salassati Denys talora non ha trovato un aumento considerevole delle mitosi (I. c., p. 227). Egli spiega il fatto am- mettendo che le figure cariocinetiche appaiano par poussées e che.in certi momenti siano più numerose che in altri. È più probabile, invece, che ciò dipenda da che, non avendo egli tenuto conto del tempo passato dopo l'ul- timo salasso, uccise l’animale quando già era passato lo stadio più elevato della attività emopoetica midollare. STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 1h] tunque da un caso solo non sia lecito trarre deduzioni, tuttavia ciò mi fa supporre che le modificazioni prodotte dall’anemia nel contenuto dei vasi midollari siano sino ad un certo punto indi- pendenti da quelle del parenchima e si manifestino con maggior rapidità. — È una deduzione, però, che richiede ulteriore conferma. VI. Dall'esame dei pezzi induriti e convenientemente colorati ri- sulta evidente, come appare dal suesposto, e contro quanto ri- tiene Denys, che nel pollo gli eritroblasti anche giovanissimi sono cellule colorate già dall’emoglobina, quantunque in grado minore de’ globuli rossi adulti. — Questa particolarità degli eritroblasti però (come già ebbi occasione di ripetutàmente notare ne’ miei antecedenti lavori) può meglio esser messa in evidenza dall’esame degli elementi freschi, cioè tolti dall’animale subito dopo la morte, o poche ore dopo. A questo scopo si può adoperare tanto un animale giovine e sano, quanto uno che sia stato ripetutamente salassato. Tra i due è da preferire il secondo, sia perchè in esso sono assai più nu- merosi gli eritroblasti e le loro mitosi, sia perchè nell’animo del- l'osservatore ha maggior valore il fatto del vedere giallognolo per emoglobina il protoplasma di cellule appartenenti ad un animale gravemente anemico. L'esame si può fare per dilacerazione, tanto usando sempli- cemente della solita soluzione di cloruro sodico 0,70 ‘/,, quanto aggiungendo a questa un po’ di violetto di metile secondo le av- vertenze già date in altri lavori (1). In questo secondo caso i nuclei cellulari si colorano leggermente in violetto, e quindi spicca di più, per legge di contrasto, il colorito giallognolo del proto- plasma degli eritroblasti. Togliendo il midollo da un animale ucciso da qualche ora, i nuclei degli eritroblasti appaiono più spiccati che nel midollo dell’animale appena ucciso, e attorno ad essi si scorgono dei granuli che rappresentano il protoplasma in- coloro della cellula, quel protoplasma che più evidente e in mag- gior copia si può vedere nei globuli in mitosi dell'embrione (2). (1) Bizzozero e TorrE, Virchow's Arch., vol. XCGV, Heft 1. (2) Bizzozero, Ibid., fig. 7. 182 G. BIZZOZERO Nè, quando si vede il leggiero ma palese color giallo degli eritroblasti e delle loro mitosi, è lecito sospettare che esso derivi da una qualsiasi alterazione artificiale in essi indotta dalla so- luzione di cloruro sodico con cui venne addizionato il preparato, giacchè lo stesso colore si può vedere schiacciando un pezzo di midollo fra coproggetti e portoggetti, ed esaminando gli eritro- blasti direttamente nel loro liquido naturale (1). Per ben avvertire questa colorazione degli eritroblasti bisogna trovarsi in buone condizioni; avere, cioè, l’occhio sensibile ai colori e specialmente al colore giallo, ed usare d'un buon ob- biettivo, preferibilmente ad immersione omogenea. Se si adopera un apocromatico con oculari compensatori, conviene richieder per l’esame che il cielo sia ben illuminato in azzurro chiaro; poichè se il cielo è azzurro cupo, negli elementi visti al micro- scopio predomina la colorazione azzurra, e la gialla resta poco visibile tanto negli eritroblasti, quanto (in minor misura, però,) ne’ globuli rossi adulti. Io credo che ciò dipenda da questo, che, siccome l’aria atmosferica riflette prevalentemente la luce azzurra (2) e siccome i summenzionati sistemi ottici non alterano, riguardo ai colori, i raggi luminosi da cui vengono attraversati, così, quando il cielo è intensamente azzurro, si ha nel campo microscopico un predominio di raggi azzurri, che attenua l’intonazione giallognola degli eritroblasti e dei globuli rossi. — In tali condizioni, adunque, consiglio di adoperare degli obbiettivi omogenei ordinari, che colla loro sottocorrezione compensano il predominio dei raggi azzurri dell'atmosfera. Quando si usino queste cautele è impossibile che un osser- vatore imparziale non riesca ad accertare la colorazione giallo- gnola degli eritroblasti, siano essi col nucleo in riposo, o siano, invece, in cariocinesi. — Dico ciò, perchè non sono pochi quelli che ammettono bensì con Denys che i globuli rossi giovani con- tengano emoglobina, ma sostengono pure che in uno stadio più giovane ancora ne siano privi; che, adunque, gli eritroblasti co- lorati derivino da eritroblasti incolori. Ma come si può ammettere ciò quando si vedono già colorate delle cellule che stanno scin- dendosi per mitosi? Vi può essere un elemento più giovine di (1) Bizzozero e Torre, Ibid., p. 3. (2) MùLLER, Lehrbuch der Physik., 8 Auflage, ll, 2, p. 650. STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 138 una cellula che non è ancora individualizzata, perchè è ancora parte di altra cellula da cui deriva ? Del resto, io ho voluto a questo riguardo aumentare i miei argomenti di dimostrazione, e per accertare vieppiù che gli eri- troblasti giovani contengano realmente emoglobina, li ho trattati con un metodo che venne proposto da Lòwit, e modificato re- centemente da H. F. Miiller (1), e che, essendo basato sull’azione successiva dell'Aurantia e dell’azzurro di metilene, colora in giallo l’emoglobina, ed in azzurro i nuclei e il protoplasma cellulare. Ecco come lo ho posto in opera: Un pezzetto di midollo viene dilacerato su di un coproggetti in una piccola goccia di soluzione 0,70 °/, di cloruro sodico ; si esportano i pezzetti di tessuto, e il liquido rimasto carico di ele- menti cellulari si distende sul vetrino a strato sottilissimo, che si lascia poi seccare all'aria; quindi si riscalda per un’ ora e mezzo a 110°-120° C. onde fissare l’emoglobina nei globuli. A questo punto si passa alla colorazione. Si distende sullo strato di elementi secchi una goccia di una soluzione alcoolica concentrata d’Aurantia, e ve la si lascia essiccare; si ripete con un’ altra goccia; si lava rapidamente con alcool assoluto, che estrae il colore che non è fissato a determinate parti degli elementi, e si lascia seccare ; si distendono sul preparato 3-4 goccie di una soluzione acquosa concentrata d’azzurro di metilene, e vi si la- sciano per 10 minuti o più; infine si lava con acqua abbondante, sì lascia seccare, e si esamina in damar. L'esame microscopico presenta delle figure vivaci e ben deter- minate: tutti i nuclei sono colorati in azzurro. Il protoplasma finamente granulare dei leucociti è pure di colore azzurrastro ; nei leucociti a granuli e bastoncini eosinofili questi ultimi sono gialli, il che, combinato col colore azzurrastro del protoplasma che li circonda, dà al corpo di queste cellule un aspetto granu- loso e un’intonazione variabile tra il giallo e il verde; il corpo dei globuli rossi adulti è giallo ; infine quello de’ globuli rossi giovani è di una intonazione tra il verde e il giallo, differente da quella dei leucociti eosinofili, dai quali, oltre che per l’into- nazione, si distingue per la sua omogeneità. A questo modo le varie specie di elementi del midollo sono ben distinte l’una dal- l’altra. — Or bene, tutte le figure di mitosi dei globuli rossi, (4) H. F. MùLLER, Sitzgs. d. Wien. Akad., Abth. HI, Juni 1889. 134 G. BIZZOZERO anche nei primissimi loro stadi, presentano il corpo omogeneo e di color verde giallo identico a quello dei globuli rossi giovani; il che li fa distinguere a prima vista dai piccoli leucociti, con cui potrebbero altrimenti confondersi, ed accerta che il loro pro- toplasma contiene veramente dell’emoglobina. Eguali risultati si ottengono quando gli elementi del midollo si trattino con un metodo recentemente proposto da Foà (1) per di- mostrare negli elementi la presenza di emoglobina e de’pimmenti suoi derivati, e che si basa sulla colorazione verde che i pimmenti acquistano quando gli elementi vengano trattati con una soluzione diluita d’acido osmico, poi vengano essiccati e riscaldati sul co- proggetti, ed infine siano assoggettati successivamente all’azione di una soluzione di azzurro di metilene in acqua di anilina, e di una soluzione 1 %/, di acido cromico. — Con questo metodo i leu- cociti diventano azzurri ; i globuli rossi e gli eritroblasti, verdi. Orbene, anche gli eritroblasti in mitosi si vedono colorati in verde in qualunque stadio del processo essi si trovino. Di quelli che sono disegnati nella fig. 7" uno è col nucleo ancora allo stadio di piastra equatoriale, gli altri posseggono già un diastro, e uno è all'ultimo stadio del processo, sul punto di dividersi. Se si para- gona il colore che hanno assunto gli eritroblasti con quello dei globuli rossi adulti, si scorge che il color verde de’ primi tende alquanto all’azzurrognolo, mentre quello de' secondi è verde più scuro. Ciò credo dipenda, da che gli eritroblasti superano i glo- buli adulti nella quantità del protoplasma incoloro che contengono mescolato all’emoglobina, e il protoplasma assume appunto (come si vede nei leucociti) il colore azzurro. Tanto il metodo di Lòwit quanto quello di Foà forniscono preparati che si possono con- servare. Il primo, però, dà colori più vivaci, e quindi preparati più dimostrativi. Per fare questi preparati si darà la preferenza al midollo di animali parecchie volte salassati; così facendo non si dovrà penare a cercare nel preparato le mitosi; quasi ogni campo del micro- scopio ne presenterà qualcuna, sicchè vi si troveranno rappre- sentati tutti gli stadi del processo (2). La struttura dei nuclei (1) Foà, Gior. Accad. med, di Torino, 1889, pag. 130. (2) Negli uccelli fortemente salassati il numero dei globuli rossi giovani che si trovano nel midollo è relativamente enorme. Nel pollo dell’espe- rienza 8a ho fatto un preparato per dilacerazione in cloruro di sodio ed STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 135 vi è generalmente evidente, e le loro figure cariocinetiche saltano vivacemente all'occhio dell'osservatore, anche in mezzo della con- gerie degli altri nuclei in riposo, a cagione del numero e della grossezza dei filamenti cromatici onde constano, e dell’intensità di colorazione azzurra che acquistano. Quindi, le osservazioni fatte tanto sui midolli induriti in su- blimato o in liquido di Miiller, quanto sugli elementi midollari freschi, od essiccati e colorati coi metodi di Léwit o di Foa, per- mettono di concludere, che le forme più giovani dei globuli rossi (gli eritroblasti) sono elementi già colorati in giallognolo dall’e- moglobina. Queste osservazioni fatte sul pollo concordano, del resto, con quelle che ho già fatte su altri uccelli e sui mammiferi, sui rettili, sui batraci e sui pesci. — Ripassando le note manoscritte degli studi fatti con Torre nel 1880 e riassunti nel vol. 95 del- l'Archivio di Virchow, trovo che non c’è specie appartenente ad una qualsiasi di queste classi di vertebrati nell’ esame del cui midollo noi non abbiamo notato .che il protoplasma dei globuli giovani o in mitosi era palesemente giallognolo Nei pesci la co- lorazione era leggerissima, ma pur sempre accertabile. Questi fatti positivi non mi autorizzano per certo a negare che possa trovarsi qualche animale, massime se fortemente ane- mico, in cui questa colorazione sia difficilmente visibile, od anche manchi. Ammetto che ciò possa darsi, quantunque questo fatto, tanto nelle ricerche passate, quanto nelle presenti, non sia mai occorso a me. Non si avrebbe, però, da esso ragione d’inferire che ho contato i vari elementi che si trovavano in parecchi campi del micro- scopio, In media in un campo erano contenuti : 8 leucociti a bastoncini e granuli eosinofili, 6 leucociti a protoplasma finamente granulare, 2 globuli rossi adulti, 50 globuli rossi giovani. Da questa numerazione appare: 1° una relativa ricchezza in leucociti a protoplasma finamente granulare, che va d’accordo col gran numero che, come vedemmo su sezioni di pezzi induriti, se ne trova nella porzione periferica della corrente sanguigna dei capillari venosi; 2° la straordinaria moltiplicazione degli eritroblasti, dei quali uno o due in ogni campo appa- rivano in processo di cariocinesi. Nel midollo dell'esperienza 72 gli eritroblasti e le loro mitosi erano in numero grandissimo, ma i leucociti a protoplasma finamente granulare vi erano ancora più numerosi che nel midollo dell'esperienza antecedente; il che spiega il color rosso-grigio che il midollo n.7 presentava all'occhio nudo. Pi 136 G, BIZZOZERO gli eritroblasti siano cellule incolore, giacchè da una parte è as- sodato che negli animali sani queste cellule sono colorate, dal- l’altro è notorio che in molte gravi anemie anche i globuli rossi adulti sono pallidi e poveri di emoglobina, sicchè non c’è da far meraviglia se i loro eritroblasti lo siano ad un grado maggiore. VII. La natura di questo mio lavoro mi ha costretto ad interca- lare alla descrizione delle mie ricerche una quantità di ricordi bibliografici e di dettagli di tecnica istologica, che non devono render facile al lettore il riassumere in uno sguardo sintetico le particolarità di struttura e di funzione del midollo degli uccelli. Siccome il midollo degli uccelli è quello che, fra i vertebrati, meglio possiamo dire di conoscere ne’ suoi rapporti colla pro- duzione del sangue, così credo opportuno di richiamare qui bre- vemente le sue particolarità di struttura più importanti : Il midollo è un organo complesso, che produce elementi di diverse specie. In esso sono da distinguere il parenchima e la rete vascolare. Nel parenchima sta una variabile quantità di cellule adi- pose e di leucociti. Nelle prime la quantità del grasso con-. tenutovi varia a seconda delle diverse ossa dello scheletro ; in una stessa porzione di midollo, però, varia a seconda delle condizioni di nutrizione dell'organismo. Il parenchima del midollo degli uccelli, adunque, come quello dei mammiferi, è un imagaz- zino pel grasso. — Quanto ai leucociti, nel parenchima del mi- dollo predominano quelli che contengono nel loro protoplasma dei granuli o dei bastoncini eosinofili, e, anche nell’animale sano, un certo numero di questi leucociti vi si trova in via di scissione indiretta. Il che indica che il parenchima del midollo è un fo- colaio di produzione di leucociti. La rete vascolare consta, nelle ossa lunghe, di poche arterie assili, d’onde partono ad angolo acuto scarse arteriole che si di- rigono verso la periferia del midollo, ove si sciolgono in scarsi e sottili vasi capillari. Questi capillari arteriosi sboccano in una fitta rete di larghissimi capillari venosi, che attraversano centripeta- mente, e anastomizzandosi fra loro, tutto il midollo, e metton capo a grosse vene decorrenti, parallele alle grosse arterie, lungo STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI TIT l’asse del midollo. — 1 capillari venosi, ad onta della loro am- piezza, hanno una parete sottilissima, endoteliale; c’è quindi un rapporto assai stretto fra il parenchima e ciò che sta nel lume di questi vasi. — Stante, poi, la grande sproporzione di calibro e di numero, che v'è fra le arterie da una parte, e i capillari venosi dall’altra, in questi ultimi il sangue deve circolare con straordinaria lentezza. Nelle arterie midollari e nelle loro diramazioni il sangue ha la costituzione istologica d'ogni altro sangue arterioso del corpo. I globuli rossi che vi si trovano hanno tutti l'aspetto di globuli adulti. Ben diverso, invece, è il contenuto dei capillari venosi. In questi i globuli rossi adulti occupano soltanto l’asse del lume ; tutt’attorno, fin contro la parete del vaso, stanno due specie di elementi: dei /ewucociti, più copiosi che nella generalità delle altre vene del corpo, e dei globuli rossi, che alla forma rotondeg- giante o leggermente ovale, e ai caratteri del protoplasma gial- lognolo e del nucleo si riconoscono per globuli rossi giovani (eri- troblasti): Inoltre, un certo numero di eritroblasti si presenta in via di scissione indiretta. — I vasi del midollo sono l’unica parte dell'organismo degli uccelli adulti in cui si siano trovati gli eri- troblasti e le loro forme di scissione; soltanto in questi vasi, adun- que deve essere riposto il focolajo di produzione dei globuli rossi del sangue. Queste particolarità di struttura appaiono più evidenti quando, salassando ripetutamente gli animali, si renda più ‘attiva la pro- duzione degli elementi morfologici del sangue. Nel parenchima, infatti, il grasso diminuisce o scompare, e le ‘mitosi dei leucociti si osservano più numerose. Il volume del parenchima, del resto, ‘diminuisce a cagione del notevole dilatarsi dei capillari venosi, ‘che in non pochi punti giungono perfino a ‘toccarsi reciproca- mente colle loro pareti. Nel lume di questi vasi, inoltre, cresce di tal modo il numero tanto dei leucociti quanto degli eritroblasti, che i loro accumuli otturano quasi completamente il lume stesso; ai globuli ‘rossi adulti ‘è riserbato soltanto un piccolo spazio in corrispondenza dell’asse del vaso. Non pochi, poi, sono i leucociti, ‘moltissimi gli eritroblasti ‘che si trovano in mitosi. Per queste ‘particolarità di ‘costituzione la rete dei capillari venosi del midollo. si differenzia da tutte le altre reti venose del corpo. Essa ;non serve.soltanto a trasportare il sangue ;/essa serve 138 G. BIZZOZERO a produrre due de’ suoi elementi morfologici: i leucociti e i globuli rossi. Nel produrre i primi essa ha a cooperatori molti organi del corpo, fra cui lo stesso parenchima del midollo; la produzione dei secondi è, invece, suo esclusivo officio. La rete vascolare del midollo può quindi considerarsi come un vero organo endovascolare, ed. annoverarsi fra le ghiandole secernenti elementi morfologici. Fra queste ultime, quella a cui più assomiglia è il testicolo. Anche qui noi abbiamo dei tuboli ramificati entro cui si sviluppano i nemaspermi E come nel tu- bolo seminifero noi vediamo le varie generazioni di cellule che, mentre si perfezionano e si moltiplicano, dalla periferia del tu- bulo procedono gradatamente fin verso il suo asse, ove incon- trano una corrente che li trascina, sotto forma di nemaspermi, fuori della ghiandola, così nei capillari venosi del midollo noi vediamo gli eritroblasti che, mentre si perfezionano e si molti- plicano, dalla periferia del capillare arrivano fin verso il suo asse, ove incontrano la corrente sanguigna che li trascina, sotto forma di globuli rossi adulti, nelle vene longitudinali del midollo, e quindi nella circolazione generale del corpo. — Le vene longi- tudinali funzionano da condotti escretori, e in tutto il loro per- corso esse ricevono i canalicoli secretori (capillari venosi) che le incontrano ad angolo retto. — Manca, invero, attorno a questi ultimi la rete capillare che suole osservarsi nelle altre ghiandole; ma è naturale che ciò sia, perchè il sangue arterioso vien fornito direttamente ai canalicoli secretori dai capillari arteriosi che vi sboccano e che danno luogo a quella lenta corrente, la quale si muove -lungo l’asse del lume vasale e trascina i globoli neofor- mati nel lume delle vene longitudinali. Questo curioso fatto dell’esistenza, d'una ghiandola endova- scolare trova la sua spiegazione nello studio della produzione dei globuli rossi durante i primi periodi della vita. Per un non breve stadio della vita embrionale i globuli rossi si moltiplicano per scissione nel sangue circolante di tutto il corpo; un po’ più tardi la loro produzione si limita temporariamente in determinati or- gani, che pei vertebrati superiori sono ‘successivamente il fegato e la milza (mammiferi) o la milza sola (uccelli), ed infine si fissa per tutta la vita nel midollo delle ossa. La differenza, adunque, che intercede fra quel primo periodo della vita e quanto si os- serva nell’individuo adulto sta in ciò, che in quello la. moltipli- cazione dei globuli ha luogo in qualunque punto dell’albero cir- STRUTTURA NEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 139 colatorio, mentre nell’adulto essa è limitata alla rete dei capil - lari venosi del midollo. La produzione midollare dei globuli non è quindi dovuta allo svilupparsi nel midollo di un nuovo e spe- ciale organo, ma sì invece al concentrarsi ne’ suoi vasi di un processo o di una funzione che dapprima aveva luogo nei vasi del corpo tutto, e quindi all’ordinato accumularsi ne’ suoi capil- lari venosi di quelli elementi giovani ed in via di scissione che dapprima erano sparsi in tutta la massa del sangue. Questo concetto trova una ulteriore conferma quando si consi- deri: 1° che, come sopra si disse, questa funzione migra regolar- mente, nello sviluppo di uno stesso animale, da un organo all’altro, e così, per es. nei mammiferi dal fegato alla milza, e da questa al midollo; 2° che anche nell’animale adulto questa funzione può, pur permanendo nel midollo , risvegliarsi di nuovo nella milza (come accade nei cani, nelle cavie e nell’ uomo in alti gradi di anemia); 3° che questa funzione, anche nell’adulto, non ha sempre sede in uno stesso organo, giacchè mentre nei mammiferi, uccelli, rettili e anfibi anuri ha sede nel midollo osseo, negli anfibi uro- deli si compie nella milza, e nei pesci nella milza e nel tessuto linfoide del rene (1), 4° che nei vertebrati inferiori (rettili, an- fibii, pesci) pur essendovi un organo in cui specialmente si compie la produzione dei globuli rossi, questi continuano come nella vita embrionale, quantunque in misura assai più limitata, a molti- plicarsi anche nel sangue circolante d’ogni parte del corpo (1) Bizzozero e TorrE, Virchow’s Arch., Bd. XCV. 140 |. G. BIZZOZERO SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Nelle figure, salvo Ja 72, per ragioni economiche non si riprodussero le svariate eclora- zioni dei preparati. Per chiarez/a, però, si riprodusse in giallo il colore dell’emoglobina, e in violetto quello dei nuclei. Pei forti ingrandimenti si usarono gli obbiettivi apa- cromatici di 2"" e di 4,5" di Zeiss. Fic. 1. Sezione trasv. di midollo del femore (parte sup.°) di pollo sano, grasso. — Sublimato secondo Denys, co- lorazione con ematossilina ed alcool picrico. - Ingr. di 100 d. - Si scorge la rete venosa che converge in una piccola vena assile a Un’arteria assile d è pure sezionata trasversalmente e circondata da larghi ca- pillari venosi. Sparse qua e là nel tessuto veggonsi le arteriole terminali ce. Nella parte inferiore della fi- gura il parenchima è ricco di leucociti; al dintorno della vena a, invece, ne è povero, e consta prevalen- temente di cellule adipose. » 2. Porzione della sezione antecedente veduta a circa 600 d. - Si è scelta la parte periferica della sezione, dove il su- blimato ha meglio conservato gli elementi. Si scorgono due capillari venosi sezionati l'uno longit., l’altro trasversalmente ; essi contengono tanto globuli rossi quanto leucociti. aa cellule adipose il cui adipe venne disciolto dal trattamento subìto dal pezzo; alcune mo- strano ancora il nucleo, spinto alla periferia. Tra le cellule adipose stanno numerosi leucociti, alcuni pre- sentanti ancora i bastoncini eosinofili del protoplasma (5). Questi elementi stanno immersi in una sostanza chiara, attraversata da un delicato reticolo granulare, d’aspetto fibrinoso c. In d vedesi un leucocito in mitosi quasi compiuta. STRUTTURA DEL MIDOLLO DELLE OSSA NEGLI UCCELLI 141 Fia. 3. Porzione della sezione antecedente veduta a circa 500 d. Si è scelta la parte centrale della sezione, dove gli ele- menti hanno sentito meno l’azione del sublimato. - Il capillare venoso qui tagliato trasversalmente presenta nel suo lume due leucociti, e numerosi globuli rossi. Questi sono rigonfi, ed hanno acquistato un contorno assai marcato. Tra essi notasi un eritroblasto in mitosi a. » 4. Dallo stesso pollo delle figure precedenti. Capillare ve- noso da una sezione di midollo del femore, indurito prima nel liquido di Miiller per 11 giorni, poi nell’al- cool; chiusa, senza colorazione, in glicerina Ingr. di circa 600 d. a @ leucociti grossi e piccoli applicati contro la parete del vaso. bd eritroblasti. ce globuli rossi adulti. » 5. Pollo reso anemico con 8 salassi praticati in 8 giorni, Indurimento in sublimato, colorazione con ematossilina ed alcool picrico. Ingr. di 195 diam. - Le cellule adipose 4a sono in via di atrofia; il parenchima dd è assai ridotto in volume per la grande dilatazione dei capillari venosi ce. (In questi ultimi per risparmio di tempo non venne disegnato il contenuto). » 6. Dalla sezione antecedente veduta all’ingr. di circa 500 diametri. Si scorge la sezione trasversa di un capillare venoso. Nel lume si scorgono tre specie di elementi; alla periferia i leucociti; più all’interno gli eritroblasti ; al centro del lume i globuli rossi adulti. Tra i leucociti uno è in mitosi; fra gli eritroblasti quelli in mitosi sono quattro. » 7. Elementi del midollo di pollo anemico trattati col me- todo Foà (veggasi a pag. 31 del testo). Si scorgono un globulo rosso e tre mitosi di eritroblasti. Ingr. di 1000 d. 142 G. BIZZOZERO Fia. 8. Leucociti del sangue fissati coll’alcool e colorati colla vesuvina (metodo 4°, pag. 19). Ingr. 1000 diametri a leucocito piccolo: è leucociti grossi, di cui uno pre- senta al contorno piccole semisfere jaline; e leucociti a granuli e bastoncini eosinofili. Col trattamento qui ado- perato il contenuto eosinofilo è scomparso, e si vedono soltanto i nuclei a forma irregolare. » 9. Leucociti del sangue fissati col riscaldamento e colorati con soluzione acquosa di eosina (metodo 3°, pag. 19). a leucociti piccoli; 5 leucocito grosso, provvisto alla periferia di semisfere jaline; c leucociti a bastoncini eosinofili; d leucociti a granuli eosinofili; e bastoncini eosinofili isolati, presentanti il corpicciuolo incolore centrale. - In questa figura, quantunque l’ingrandi- mento sia come nella fig. precedente, i leucociti sono più grandi, perchè per l’'essiccamento si sono appiattiti sul vetro del preparato. >» 10. Grosse cellule del parenchima del midollo, a@ con pro- toplasma contenente granuli eosinofili; 0 con proto- plasma finamente granuloso. - Ingr. di 800 d. L’Accademico Segretario GIUSEPPE BASSO. ‘Torino, Tip. Reale-Paravia. ) Di A è ; 3 É d È 1 LA Ù 4 i ) dA ta; Sa 3 DE di Scienze rad Matematiche è Nati "°° «0. ADUNANZA del 15 Dicembre 1889 ezio: Si , Iaparza -_ Influenza degli. errori strumentali del Teodolito ul - Memoria del Dott. o. Neono, Ia terminazione DI TORINO PUBBLICATI Von. XXV, Disp. 4*, 1889-90 dira di Scienze: Fisiche, Matematiche e Naturali. men tà 143 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 29 Dicembre 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA d PRESIDENTE —__—__ Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, SALva- DORI, Bruno, BerRRUTI, D’Ovipio, FERRARIS, NACCARI, GIBELLI, "CameRrANO, SEGRE, GoLGI Corrispondente e Basso Segretario della Classe. Il Segretario legge l’atto verbale dell’ adunanza precedente che viene approvato. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all'Accademia vanno segnalate le seguenti del Corrispondente Arnould LocARD, presentate dal Presidente. 1° « Catalogue descriptif des mammifères sauvages ct domestiques qui vivent dans le Departement du Rhone et dans les regions avoisinantes », 1 vol. in-8°; 2° « Monographie des espèces francaises appartenant au genre Valvata » ; 1 vol. in-8°; 8° Description des Mollusques fossiles des terrains ter- tiaires inferieurs de la Tunisie, recueillis en 1885 et 1886 par M: Philippe Thomas » ; 1 vol. in-8°. Le letture e le comunicazioni si succedono' nell’ordine ché segue 7 « Relazione sopra il lavoro del Prof. Gino LoRra, intito- lato « Il periodo aureo della Geometria greca »; del Socio SEGRE) condeputato col Socio D’Ovipio. La Classe, accogliendo le favorevoli conclusioni della Relazione, ammette questo lavoro Atti R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 11 144 C. SEGRE alla lettura, e poscia ne approva la pubblicazione nei volumi delle Memorze. « Composizione chimica e minerologica di una roccia Serpentinifera di Borzanasca (Riviera ligure) » ; lavoro del Dott. Clemente MoNTEMARTINI, presentato dal Socio Cossa. In quest'adunanza viene eletto Socio Straniero il signor Gio- vanni Servais Stas di Bruxelles, già Corrispondente dell’Accademia. LETTURE RELAZIONE sul Saggio storico di Gino LORIA « Il periodo aureo della Geometria greca ». Questa Memoria ha per iscopo di mettere in evidenza i meriti insigni dei tre più grandi geometri greci: Euclide, Archimede ed Apollonio (oltre che di Eratostene, di cui però si occupa assai * meno). Essa non appartiene alla cerchia delle ricerche storiche su fatti particolari, sulle loro date, sull'importanza relativa di codici vari, ecc.; nè dà alla scienza fatti nuovi o nuove ipotesi. Ha invece un carattere piuttosto descrittivo, contiene cioè l’enu- merazione e l’analisi minuta delle produzioni matematiche, e spe- cialmente geometriche, di quei sommi. Quest’analisi è fatta con molta cura, rilevando di ogni opera lo scopo e l'indole ed addi- tandone i punti principali, sì da daresal lettore un’ idea,abba- stanza completa di tutte quelle produzioni, più completa talora di quella che vien data dalle storie già esistenti. L’A. mostra di aver studiato direttamente e con amore tutti i grandi mae- stri di cui si occupa; ma si vale pure, in ispecie per le que- stioni storiche, di tutte le innumerevoli ricerche che intorno ad esse furon pubblicate fino a questi giorni. Le note abbondan- tissime che accompagnano questa Memoria ne accresceranno assai l’utilità, appunto col mostrare al lettore la varietà di lavori sto- rici che si connettono allo studio della Geometria greca. Riguardo alle questioni non ancora risolte, ad esempio sulle opere che an- darono perdute, l’A. si limita ad esporre i dati certi e le prin- RELAZIONE SULLA MEMORIA DI GINO LORIA 145 cipali ipotesi che furon fatte, ma fra queste si tien quasi sempre neutrale. In modo simile procede nelle notizie biografiche che premette allo studio di ogni geometra. L'esposizione è accurata e mostra nell’À. un vero entusiasmo pel suo argomento (entusiasmo che lo conduce, specialmente nel confronto tra i metodi antichi ed i moderni, a qualche affer- mazione secondo noi un po’ arrischiata). Essa è certo adatta ad invogliare i giovani, come appunto desidera l’A., allo studio degli antichi scrittori. Nella mancanza quasi assoluta che ora v'è in Italia di pub- blicazioni relative alla storia delle matematiche, noi crediamo che si debbano incoraggiare tutti gli studi fatti con diligenza ed amore in quel campo. Per questa ragione, oltre che peri suoi meriti intrinseci, noi proponiamo all’Accademia l’accoglimento di questo Saggio storico del Prof. Loria nei volumi delle sue Me- morie. E. D’OvipIo. C. SEGRE, relatore. Composizione chimica e mineralogica di una roccia serpentinosa di Borzanasca (Riviera Ligure) Nota del Dott. CLEMENTE MONTEMARTINI Nella gita d'istruzione fatta dagli allievi del terzo corso della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri di Torino nell’estate del 1888, il Prof. UzieLLI raccolse sulla riviera ligure campioni di una roccia serpentinosa dotata di polarità magnetica. Grazie alla gentilezza del detto professore, potei disporre di uno di questi campioni, ed in questa breve nota riassumo gli studi fatti su tale roccia. l’er ciò che riguarda il giacimento della roccia trascrivo le indicazioni fornitemi dal Prof. UZIELLI: « La serpentina polare « magnetica fu trovata al bivio ove la strada di Borzanasca si « stacca a levante dalla via che da Sestri Levante conduce a « Varese Ligure. Il bivio dista da Sestri circa 12 chilometri, Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. D1* e 146 C. MOWTEMARTINI « e si trova poco dopo dove dai terreni eocenici si passa ai « serpentinosi. La strada accennata era destinata alla miniera « di Borzanasca da due anni chiusa. » La roccia si presenta con un colore verde scuro, con chiaz- zature di un verde più chiaro. Come la serpentina di Favaro presso Biella, ha una frattura irregolare e riesce facile ridurla in pezzi di una certa grossezza , i quali sono poi molto resi- stenti. Disseminati porfiricamente nella roccia si trovano in quan- tità grande dei cristalli di cui qualcuno raggiunge la lunghezza di un centimetro. Essi non presentano contorni geometricamente definiti, sono di un colore verde metallico in alcuni punti iride- scente, ed hanno abbastanza frequentemente una superficie on- dulata. Presentano una sfaldatura molto distinta che permette di ridurre facilmente il minerale in lamine. Questi cristalli, come dimostrerò più innanzi, sono di bastite. — Si osservano, pure macroscopicamente, nella roccia altri cristalli verdastri che si di- stinguono dai precedenti per la quasi mancanza dello splendore metallico; essi mostrano due direzioni di sfaldatura, nessuna però così marcata come quella dei cristalli di bastite. Questi cristalli più piccoli dei precedenti ed anche in numero di gran lunga inferiore sono di diopside e di diallaggio. — Finalmente si distin- guono delle vene che spiccano dalla massa pel loro colore bianco verdastro. Grossi pezzi di questa serpentina, avvicinati ad un ago ma- gnetico, mostrano distintamente i fenomeni della polarità. Para- gonando l’azione esercitata da questa roccia sui poli dell’ago colla stessa azione esercitata dalla roccia del Colle di Cassimoreno (Valle del Nure) che già descrissi in*un altro mio lavoro (1), mi pare di potere dedurre che i campioni di questa roccia li- gure, da me veduti, agiscono molto più debolmente sull’ago. Ri- ducendo la roccia in frammenti e cimentando ognuno di essi con un ago magnetico, potei pure constatare che essi in diversa misura sì comportano come corpi magnetici, ma che per presentare i fenomeni della polarità si richiedono frammenti di una grossezza molto superiore a quella dei frammenti polari magnetici della roccia del Colle di Cassimoreno. (1) Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. IV, pag. 369. oa DI UNA ROCCIA SERPENTINOSA DI BORZANASCA 147 Dall'esame microscopico di sezioni sottili di questa roccia ri- sulta che la parte compatta di colore verde scuro ha la strut- tura caratteristica delle serpentine che derivano dalla decompo- sizione della olivina e della bastite, come appare dall’aspetto suo reticolare. I residui dei cristalli di peridoto sono ridotti a pochi granuli. La massa serpentinosa è attraversata da vene di crisolito, ed in essa trovansi sparse granulazioni di magnetite, si riscon- trano pure agglomerazioni di una materia bruna amorfa che pre- senta tutti i caratteri dell’idrato ferrico. — Il minerale lamellare si riconosce anche microscopicamente per bastite, e presenta indizi appariscenti di serpentinizzazione. — L'esame microscopico fece pure riconoscere, come. minerali accessori, la presenza di pochi granuli cristallini di diopside cromica, di lamine di diallaggio, in quantità ancora minore ed infine di alcuni granuli di cromite. Il peso specifico della roccia è 2,6 alla temperatura di 15°. La sua composizione chimica complessiva secondo i risultati di due analisi concordanti è la seguente: Perdita per calcinazione.. —. cs 12,86 dicesi nrasgni fia ma esolsantigaa db. Flou 84 Ossido d’alluminio PRATI IDEE 3,08 BEERIORICrFICO so i se 5,82 Wasuo® fertogo'0 ISUTIZIORI MESE, 1,25 Ossido di magnesio . . . . . . 36,63 Ussidondi calcio, —>. Lic: Laitbaca 1,14 Bssidotide cromo: ci -j. i le + tracéie 100,62 Osservo che per l’analisi si disaggregò la roccia fondendola colla miscela dei carbonati di sodio e potassio; l’ossido ferroso fu determinato in una porzione di roccia intaccata con acido sol- forico in tubi chiusi. Approfittando della facile sfaldatura presentata dai cristalli di bastite, riuscii a separare una certa quantità di questo mi- nerale, accertandomi con lente della purezza di ogni scaglia. Mettendo il minerale così separato in una capsulina di platino sospesa al piatto di una sensibile bilancia, ne determinai il peso specifico che risultò 2,493 alla temperatura di 26°. La durezza 148 MONTEMARTINI —- DI UNA ROCCIA SERPENTINOSA ECC. del minerale è di circa 3. Da ultimo decomponendo il minerale con fusione coi carbonati di sodio e potassio potei trovare che la sua composizione è: Perdita per calcinazione . . . . . 13,283 Silieen i ali n Lodato Rit] Ossido’ ‘di alliminio* tenuta pr tifa te 3,49 Ossido ferroso BR RR e Ossido. di magnesio... . .. .... 4 Ue Ossido: discale Ae ici 1,90 Ossido. di cromo; iuéb. iran cosa) «tea 99,53 Da quanto ho esposto risulta dunque che il minerale lamel- lare che contribuisce alla roccia l'aspetto porfirico è veramente bastite. Torino. — Laboratorio chimico della R. Scuola d’applicazione per gli Ingegneri. L’Accademico Segretario GiusePPE Basso, —_ — ef ———— 149 CLASSI UNITE Adunanza del 29 Dicembre 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM, PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Il Socio NaccarI, Segretario della Giunta per l’aggiudica- zione del sesto premio BrEssa, legge la seguente relazione : EGREGI COLLEGHI ; La prima Giunta per il sesto premio BrESssA chiudeva i suoi lavori il 28 aprile di quest'anno proponendovi di considerare come meritevoli di premio le due opere seguenti : Sulle iscrizioni cretesi del Prof. DOMENICO COMPARETTI, Sull’ epopea persiana del Prof. ItALO PIZZI. Nella stessa seduta del 28 aprile due altre opere venivano proposte da alcuni Soci, ma l’autore d'una di quelle opere morì poco dopo; dell’altra si stimò di non dover tener conto perchè incompiuta, anzi appena iniziata. Rimangono pertanto le sole due opere prima indicate, che la seconda Giunta vi presenta perchè voi scegliate tra. esse quella che vi pare più degna del premio. Credo opportuno di dare qui intorno ad esse alcuni cenni, che in parte erano già contenuti nella mia relazione precedente. Il Prof. Comparetti, avendo avuto occasione di studiare due iscrizioni cretesi, fu condotto a pensare che l’isola di Creta, ri- 150 A. NACCARI masta fino a pochi anni fa inesplorata dai ricercatori di antichi monumenti, doveva probabilmente contenerne gran copia. Egli eccitò quindi un suo allievo l’ Halbherr ad andare colà e farvi ordinate indagini, che diedero frutti di molto valore. Fra le sco- perte più importanti vien posta quella delle iscrizioni che stavano sepolte laddove ebbe sede un tempo la città di Gortina, e che contenevano le leggi di quel paese. L’Halbherr illustrò e pubblicò l’epigrafi meno antiche, il Comparetti tenne per sè lo studio e la difficilissima interpretazione dell’epigrafi di origine più remota che pubblicò nel suo Museo d’'antichità classica. Il lavoro del Comparetti può essere compreso fra quelli, che secondo la volontà del D." Bressa, possono essere premiati. Difatti esso ha carattere storico oltre che filologico, in quantochè con la interpretazione dell’epigrafi scoperte e specialmente di quella che contiene tutte le leggi vigenti colà in quell’epoche remote, . ci fornisce minute e precise informazioni sulla costituzione della società qual era in Creta nella prima metà del sesto secolo in- nanzi Cristo o in tempi ancora più antichi. È questo il più an- tico monumento relativo alla legislazione che si conosca. ll Prof. Italo Pizzi nella prima parte dell’opera summenzio- nata, date le prime nozioni intorno alle origini e alle migrazioni degli Irani, tratta della leggenda epica persiana indicandone l’o- rigine, lo sviluppo e i caratteri. Le epopee persiane non sono puramente creazioni di poetica fantasia, ma hanno un’ orditura storica, che nella parte più antica s’ intreccia con la leggenda, e che fu ornata e abbellita dalla forma poetica. Per ciò que’ poemi, oltre al valore letterario, hanno quello di monumenti storici, che convenientemente interpretati e confrontati con altri possono servire a risolvere importanti problemi relativi alla storia degli antichi regni asiatici. Il libro dell’ Avesta, anteriore di parecchi secoli all’era nostra, conteneva già i germi primitivi delle leggende. Firdusi, che visse nel decimo secolo dell’era volgare, le raccolse e le ampliò for- mandone un poema di 60000 distici che abbraccia 2000 anni della storia persiana. Il Pizzi, che di questo poema fece una traduzione compiuta e molto lodata, tratta lungamente del soggetto di quel poema. Nella parte seconda dell’opera il Pizzi descrive la vita e i costumi degli eroi di Firdusi, trattando partitamente della vita RELAZIONE SUL PREMIO BRESSA 151 privata, della vita di corte, della guerra e del culto. Queste no- tizie, hanno un valore storico notevole, in quanto il poeta molto probabilmente attribuisce ai suoi eroi i costumi dei proprii tempi. La Giunta, come nei casi precedenti, vi deve presentare le sue proposte disponendole in quell’ ordine che le pare conforme al merito, senza che ciò vincoli menomamente la vostra scelta. L'ordine in cui noi vi presentiamo i nomi dei due autori è questo : Primo: DOMENICO COMPARETTI , Secondo : ITALO PIZZI, e con ciò la vostra Giunta ha compiuto l’incarico che voi le avete fatto l'onore di affidarle. A. NACCARI. — cc» e———_ F Pa p 294 MARSDEN ATA 10108348 syalolto to 000159155 9 osprafiate attoa 15-attrt KON piso 18) sito’ afetater usitosa vol rad fot need IRA TOTA: ra obras i di 7 5 iu 01 vis4 sir dopo) sodi ITTOSA CIO ia: mini: ha 83 6 rar ‘Homp 6 obi) ani fas potendo nl dirsi Hoodiw sio: 940 eri viatfe 60: itrton i At Beda ig four vi0d A ì SIT: "3 (VO /8 INA IO Tanti al Y ì - Mic Jordamol A Loi PATCI S 1001 ta Pudla:: LUPI i re D biondo» osrtonit | stria aT20® Ù riv edirabifio ib: Sono mio COM ca aL f ) 1 gela P »f ta nt Dr nil srs 0 ' A di ; ì IN VIRTA Mati rel gno 3 sita dI gareonii PONTI AI 90M vonititi’idolie \ougtie If da | VIRgdIo, Db pacs de de a opa cia eten Mogivio. "SRI È, nea (1A bip. dica SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 29 Dicembre 1889... ....... Pag. 143 SEGRE - Relazione intorno al « Periodo aureo della Geometria greca » rar. LoRia:jl. iaia e ona VE Ss +» 144 MoNTEMARTINI — Composizione chimica e mineralogica di una roccia serpentinosa di Borzanasca (Riviera Ligure) |... ...... » 4145 Classi Unite. Naccari — Relazione sul Premio BrEssa . .. LL... Re pn] += ae Torino - Tip. Reale-Paravia. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Di GEO RENO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUF CLASSI VoL. XXV, Disp. 5%, 1889-90 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 153 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 12 Gennaio 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, SALVADORI, BruNO, Basso, B1z- zozero, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE. Il Segretario legge l'atto verbale dell’adunanza precedente che viene approvato. Si dà lettura d’un telegramma del Prof. Domenico Compa- RETTI, nel quale questi ringrazia l'Accademia per il confertogli VI PrEMIO BRrESsA. Si comunicano pure lettere dei Professori Augusto CHAUVEAU, Michele FosteR e Guglielmo WALDEYER, i quali ringraziano per la loro nomina a Soci corrispondenti. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all'Accademia viene segnalata la seguente : « Sulle forze elementari elettromagnetiche ed elettrodina- miche ; Monografia del Prof. Augusto RIGHI, Corrispondente dell’Accademia, presentata dal Socio Segretario Basso. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine che segue : 1° Ricerche sul clorobibromo e bromobiclorofenolo e sulla loro trasformazione in chinoni », del Dott. L. Garzino, As- sistente al Laboratorio di Chimica farmaceutica della R. Uni- versità di Torino; 2° « Ricerche sul metabicloro e sul metabibromofenolo ; dello stesso Dott. Gakzino; presentate dal Socio Cossa; Diret- tore della Classe ; 3.° « Un nuovo campo di ricerche geometriche » è Nota del Socio SEGRE. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 12 154 L. GARZINO LETTURE Ricerche sul clorobibromo e bromobiclorofenolo e sulla loro trasformazione in chinoni; Nota del Dott. L. GanrziNo Il derivato propionilico del tricloro- e tribromofenolo, trat- tato con acido nitrico-solforico, fornisce il nitrobicloro ed il ni- trobibromochinone corrispondente (1). Lo studiare l’azione della stessa miscela acida sul derivato propionilico del bromobiclorofenolo, da me preparato e descritto tempo addietro (2) e sullo stesso etere di un clorobibromofenolo che presumibilmente avesse una costituzione analoga al precedente, mi offriva mezzo di stabilire se la presenza di alogeni di diversa natnra nella molecola del fenolo influisse ed in qual modo sulla formazione dei nitrochinoni alogenati ; inoltre, dalla identità dei clorobromonitrochinoni che si fossero eventualmente formati, avrei potuto dedurre con certezza la costituzione del bromobicloro e del clorobibromofenolo, di cui è nota solamente la posizione dei due alogeni simili. Perciò, come avevo preparato il bromobiclorofenolo impie- gando il m. biclorofenolo, così mi procurai ora un nuovo cloro- bibromofenolo, clorurando il m. bibromofenolo. I fatti sperimentali dimostrarono che, sia perchè nella mo- lecola di questi fenoli vi sono alogeni differenti, oppure sia perchè la loro costituzione è diversa, la nitrazione non fornisce gli stessi prodotti come nel caso del tricloro e del tribromofenolo, non ottenendosi da entrambi i nuovi fenoli, il rispettivo nitrochinone alogenato. Descriverò dapprima il clorobibromofenolo e quindi la ni- trazione del derivato propionilico dei due fenoli clorobromurati. (1) GuarEscHI e Daccomo, Atti della R, Accad. delle Scienze di Torino, tom. XX, e Ber. d. deutsch. chem. Gesellsch., 18. 1173. i (2) Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. III, 2° sem., p. 202, 1887. RICERCHE SUL CLOROBIBROMO E BROMOBICLOROFENOLO 155 È Clorobibromofenolo. Ottenni un monoclorobibromofenolo per azione diretta del cloro gasoso sul metabibromofenolo. Ho preparato il m. bibromofenolo secondo il metodo di Kérner (1), facendo agire a freddo la quantità calcolata di bromo su fenolo, sciolto in otto volte il suo peso di solfuro di carbonio. Il bibromofenolo , purificato, distillava senza alterarsi a 180°- 181°, sotto una pressione ridotta a 121"", rapprendendosi in una massa cristallina bianca, fondente a 39°-40°. Un dosaggio di bromo, mi diede il risultato seguente: gr. 0,2550 di sostanza fornirono 0,3795 di Ag Br, da cui: Calcolato per Trovato Cs Hz Br, .0H ra 63,29 63,49 Il composto clorobromurato si ottiene facilmente , pur di avere alcune avvertenze, di cui è cenno più innanzi. Introdotta una quantità conosciuta di metabibromofenolo in un palloncino, si riscalda a b. m. ad una temperatura non guari superiore a quella di fusione del bibromofenolo stesso; si fa quindi arrivare una corrente di cloro gasoso secco e si pro- trae sino a che la sostanza contenuta nel palloncino abbia au- mentato di peso di una quantità corrispondente a quella richiesta da un monoclorobibromofenolo. Appena che il cloro giunge a contatto del bibromofenolo fuso, si ha sviluppo di acido cloridrico. Il contenuto del pallon- cino, che dapprima verso i 50° restava fuso , va solidificandosi in una massa cristallina bianca, man mano che procede la clo- rurazione. Con una corrente regolare di cloro, in tre o quattro ore si possono clorurare una trentina di grammi di bibromofenolo ; trovai più conveniente operare a porzioni non troppo rilevanti. Quando il contenuto del palloncino ha assunto pressochè l'aumento di peso teorico, si cessa l’azione del cloro e dal pro- (1) Ann. der Chem. u. Pharm., 137, p. 205. 156 L. GARZINO dotto grezzo si ottiene il clorobibromofenolo puro senza grave difficoltà. Estratta la massa bianca cristallina si tritura in mortaio con acqua, quindi si scioglie con potassa diluita ; si filtra, se occorre, e la soluzione limpida del sale di potassio vien decom- posta con acido cloridrico diluito. La massa bianca leggiera che si precipita, raccolta su filtro, vien lavata abbondantemente con acqua, quindi cristallizzata dall’alcool diluito. Si ottiene così ben cristallizzato in lunghi aghi bianchi leg- gieri, un solo clorobibromofenolo che fonde a 76°. Il rendimento è circa del 90 °/,. Analizzato, fornì i risultati seguenti : I. Gr. 0,8685 di sostanza diedero 0,3410 di CO, e 0,0477 CO, II. Gr. 0,8112 di sostanza fornirono 0,5629 di AgCl e Ag Br e 0,5424 di questo miscuglio, per l’azione di una corrente di cloro secco diminuirono di peso di 0,0926. Da cui si deduce la composizione centesimale seguente: I II Gelo 29,289 po 1,43 sit OLTRE 12,62 Bi 20 fog ELITE 90,43 Per un clorobibromofenolo, C,H,C7 Br,.0H, si calcola la composizione centesimale : Cisti & 25,183 Vo Maino n 1,04 Ghn fi se 12:99 (Biorbrola. 50,84 Il clorobibromofenolo è in cristalli bianchi setacei leggieri quando è cristallizzato dall'alcool diluito. Dalla sua soluzione nel- l'alcool a 95°, in cui si scioglie molto, precipita per aggiunta di acqua, sotto forma di fiocchi minutamente cristallizzati. Solubi- lissimo nell’etere, nel cloroformio, nella benzina, cristallizza pur bene dall’acido acetico diluito in aghi bianchi. È quasi insolubile nell'acqua; è volatile col vapor di acqua. Fonde nettamente a 76°. Sublima alla temperatura ordi- naria lentamente, meglio alla temperatura del b. m..in sotti- RICERCHE SUL CLOROBIBROMO E BROMOBICLOROFENOLO 157 lissimi aghi. In soluzione alcoolica si colora col percloruro di ferro lievemente in rosso bruno. Ha pochissimo odore, ma per- sistente. Il cloro gasoso quindi, reagendo sul metabibromofenolo, nelle condizioni descritte, non sposta il bromo dal composto bi- bromurato, ma sostituisce un atomo di idrogeno del nucleo ben- zinico, fornendo un solo dei tre possibili clorobibromofenoli. Difatti, avendo cristallizzato frazionatamente il composto proveniente dalla clorurazione, ottenni sempre dalle varie porzioni lo stesso fenolo fondente a 76°; come pure non ebbi variazione nel punto di fusione cristallizzandolo da altri solventi e sublimandolo. Nella sua preparazione bisogna aver l’avvertenza di non elevar troppo la temperatura del b. m., specialmente quando la clorurazione è già innoltrata ; similmente non devesi eccedere nella corrente di cloro oltre quanto richieda la formazione di un monocloro; poichè altrimenti quello decompone il prodotto già formatosi, spostando parzialmente il bromo e trasformando il clorobibromofenolo in una sostanza dall’aspetto resinoso, insolubile in potassa caustica e nei solventi ordinaril. Da ciò risulta che per azione diretta del cloro sul m., bi- bromofenolo ordinario, non si può ottenere che un solo derivato fenolico clorobibromurato al quale probabilmente spetta la for- mola: i OH CI Br Br però i fatti esposti in questa memoria non mi permettono di stabilirla ‘con sicurezza. Di questo nuovo fenolo ho preparato il sale di bario e gli eteri benzoilico e propionilico. I clorobibromofenati di sodio e di potassio, cristallizzano in aghi sottili bianchi, ma sempre inqui- nati da una resina rossa insolubile nell'acqua. Essa si forma durante l’evaporazione della soluzione salina sia a leggiero calore, sia nel vuoto della macchina pneumatica e anche quando siansi prepa- rati dal clorobibromofenato di bario per doppia decomposizione colla quantità esatta dei rispettivi solfati alcalini. 158 L. GARZINO Sale di bario. C,H, Br, CI. 0H+ 2!/,H,0. Trattando il clorobibromofenolo con acqua di barite si ottiene il sale di bario cristallizzato in minuti aghetti leggieri bianco- giallastri. Evaporandone la soluzione si decompone parzialmente. Gr. 3,5652 riscaldati a 140°- 150" perdettero 0,2214 di acqua, corrispondente a 6,2°/,. Il sale di bario cristallizzato con due molecole e mezza di acqua, richiede 5,97 d'acqua per cento. Dosai il metallo nel clorobibromofenato di bario idrato, secco all'aria ed ottenni: gr, 0,4566 di sostanza fornirono 0,1426 di solfato di bario; composizione centesimale : Calcolato per Trovato (C H, Cl Brg O), Ba +2/,H30 Hi 18,35 18,10 Gr. 0,2050 di sale completamente seccato a 140° — 150° diedero 0,0656 di solfato di bario da cui: Calcolato per rovato (C; Cl Br Ha, 0), Ba Ba: 4 18,78 19,30: Il elorobibromofenato di bario è poco solubile in acqua. Benzoilelorobibromofenolo CxH;, .CO .C, H, Bri Coog Facendo direttamente reagire quantità equimolecolari di cloruro di benzoile e clorobibromofenolo. Si compie la reazione riscaldando a ricadere verso 100°- 120°. Cessato lo sviluppo di acido cloridrico, il prodotto grezzo per raffreddamento si solidifica in una massa cristallina bianca, che, lavata con soluzione alcalina diluita e quindi con acqua e cristallizzata da alcool concentrato, si ha in piccoli cristalli bianchi prismatici, che fondono a 65"-65°,5. Un dosaggio degli alogeni diede : Gr. 0,2201 di sostanza fornirono 0,2914 di Ag Cl e Ag Br. Da cui, si ha su cento parti: Calcolato per ‘Trovato C, H, Cl Br, 0. CO GH; Br+ CI 49,79 50,06 RICERCHE SUL CLOROBIBROMO E BROMOBICLOROFENOLO 159 Propiomilelorobibromofenolo. C, H, Ct Br, 0.0, H.0. Si mescolano in un palloncino quantità equimolecolari di cloro- bibromofenolo ben secco e di cloruro di propionile. Si connette il palloncino con refrigerante a ricadere e si riscalda a bagno d'olio, elevando man mano la temperatura fin verso i 140°. La reazione è terminata quando è cessato lo sviluppo di acido clo- ridrico e la cui eliminazione corrisponde pressochè alla quantità teorica. Il prodotto grezzo, che è costituito da un liquido denso, incoloro, si lava varie volte con soluzione lievemente alcalina, quindi con acqua pura. Quando il lavaggio è sufficientemente ripetuto, il propionilderivato lattiginoso, si solidifica in grumi bianchi. cristallini e si ha puro con una sola cristallizzazione dall'alcool diluito. Gr. 0,2811 di sostanza fornirono 0,4295 di Ag Cl e Ag Br e 0,4235 di questo miscuglio sottoposti a corrente di cloro secco, perdettero 0,0716 di peso. Da cui si ha la seguente percentuale: Calcolato per Trovato Ca Ha CL Br, 0. CH, CO OI 10,77 10,36 Br 46,42 46,71. Il propionilclorobibromofenolo si ottiene in cristalli bianchi dall'alcool a 80°, che fondono a 31°,b-32°. Da questo solvente si deposita però quasi sempre allo stato oleoso, specialmente poi se la sua soluzione è piuttosto concentrata; si rapprende poi in una massa cristallina. II. Nitrazione del propionilclorobibromofenolo. Clorobromonitrochinone C,H CI Br(N0,)0,. Si ottiene questo composto trattando il propionilclorobibromofenolo con mi- scela nitrico solforica. Il rendimento però è assai piccolo. Grammi 5 di propionilderivato si introdussero a porzioni in 200 grammi di miscela nitrico-solforica, costituita da due terzi di acido nitrico (dens. 1,48) ed un terzo da acido solforico 160 L. GARZINO concentrato, e raffreddata a 0". La sostanza a contatto del li- quido acido fuse dapprima in goccioline oleose, poi vi si sciolse, conferendogli un colore rosso ciliegia, che andò man mano cre- scendo fino a completa soluzione della sostanza e che si agevolò agitando di frequente il recipiente nel quale si faceva la nitra- zione. Per ottenere un liquido limpido colle. proporzioni sopra- indicate si dovettero impiegare circa venti minuti. Versai quindi il liquido rosso su 200 grammi di ghiaccio pesto, agitando ra- pidamente con bastoncino di vetro. In breve si separarono dei fiocchi giallastri di sostanza non appiccicaticcia che si depositarono in lieve strato sul fondo del vaso. Lavai con acqua varie volte per decantazione e raccolsi quindi su filtro, continuando il la- vaggio fino a che il filtrato non ebbe più reazione acida. La sostanza, di color giallastro, così ottenuta, fu seccata sull’acido solforico. Non si può essiccare col calore, poichè si decompone. Da grammi 15 di propionilclorobibromofenolo ebbi solamente gr. 2 di sifatta sostanza ben secca. Trattato questo prodotto greggio ripetutamente con etere, per separare la maggior parte di resina e quanto fosse stato so- lubile in detto solvente, restò indisciolto circa gr. 1 di sostanza. Per isvaporamento dell’etere di lavaggio non ottenni traccia di sostanza cristallizzata, ma solamente resina. La parte insolubile in etere, di color giallo pallido, fu cri- stallizzata dal cloroformio, decolorando con carbone animale, fino ad aver punto di fusione costante. La sostanza gialla, così ot- tenuta in cristalli microscopici, fonde, decomponendosi costante- mente verso 227°-228°. Sottoposta ad analisi, diede i seguenti risultati : I. Gr. 0,2120 di sostanza fornirono 0,2140 di CO, e 0,0161 di H,0. II. Gr. 0,2250 di sostanza diedero 0,2781 di Ag Cle Ag Br, di cui 0,2621 sottoposti a corrente di cloro secco, per- dettero di peso 0,0357. Da cui si ha su cento parti I II Wi cipdcn Pi Py erano I asroltà rr t.otto Dini Ri i c0i]0gg. H) i (dbijecn. so itolog- Orsi. &149 13,02 RICERCHE SUL CLOROBIBROMO E BROMOBICLOROFENOLO 161 Questi dati analitici corrispondono a quelli richiesti da un clo- robromonitrochinone C,H C7.Br(N0,) 0,, pel quale si calcola Upon L00 it H » degtlgons» KE: CI » eni e i 1 Br » ti cri DUO Il clorobromonitrochinone cristallizza dal cloroformio in aghetti prismatici microscopici, costituenti una polvere giallo-ci- trina. Fonde decomponendosi e sviluppando bollicine gasose a 227°-228°. Ha quindi una temperatura di fusione intermedia a quella del bicloronitrochinone: 219°-220° ed a quella del bibromonitrochinone: 244°-246°. Insolubile nell’acqua a freddo ed a caldo; pochissimo solubile in etere. Insolubile a ‘freddo nell’alcool a 95°, un poco di più a caldo, però imbrunendo in breve ed acquistando reazione acida. La sua soluzione alcoolica a freddo reagisce con cloridrato di idrossilamina colorandosi in rosso ranciato; con fenilidrazina, sviluppando bollicine gasose e colorandosi in rosso bruno; con anilina a freddo, assumendo color rosso ciliegia. II. Nitrazione del propionilbromobiclorofenolo. Avendo ottenuto il clorobromonitrochinone dal propionilelo- robibromofenolo, era ovvia la supposizione che si formasse un analogo composto dal propionilderivato del bromobiclorofenolo, da me descritto anteriormente (1). Inoltre se questi due clorobro- monitrochinoni coincidevano, ipotesi ammissibile, avrebbero sta- bilito. oltrechè la loro propria costituzione, anche quella del clo- robibromofenolo e del bromobiclorofenolo originarii. Perciò nitrai il propionilbromobiclorofenolo ; ma, come si vedrà in seguito, anche variando i processi di nitrazione, non mi fu dato di ottenere il bromocloronitrochinone, bensì ricavai sempre una sostanza a composizione complessa, che però non mi risolve il problema della costituzione dei fenoli sopradetti. (1) Rendic. della R. Accad. dei Lincei (loc. cit.). 162 L. GARZINO Propionilbromobiclorofenolo C,H, Br C1,0.C00,H,. Questo composto fu preparato nello stesso modo col quale si ebbe il propionilderivato del clorobibromofenolo, già accennato. È in cristalli bianchi prismatici, dall’odore intenso appiccica— ticcio, ricordaute quello del cloruro di propionile. Fonde a 31°-32° in un liquido incoloro (temperatura iden- tica a quella a cui fonde il propionilclorobibromofenolo), è quasi insolubile in acqua; solubilissimo in etere, cloroformio, facilmente solubile nell’alcool diluito a caldo, da cui si deposita per raf- freddamento quasi sempre oleoso rapprendendosi poi in minuti cristallini ammassati. Ne feci il dosaggio degli alogeni: Gr. 0,2040 di sostanza diedero 0,3263 di Ag 07 e Ag Br. Da cui si calcola la percentuale seguente : Calcolato per Trovato Cs H, Br Cl, 0. COG, H; Br+ C1 50,89 50,67 1l propionilbromobiclorofenolo fu nitrato : 1° Impiegando miscela nitrico-solforica costituita da parti due di acido nitrico a 1,48 e da una parte di acido solforico concentrato, e raffreddandola, durante la nitrazione, con acqua alla temperatura di circa 10°-12°. 2° Usando miscela della stessa concentrazione, ma raffred- dandola, durante l'operazione, a —10° circa. 8° Con acido nitrico fumante ad 1,48 di densità, senza aggiungere acido solforico e raffreddando a 0°. 4° Impiegando ancora miscela nitrico-solforica, ma con mi- nore quantità di acido solforico, cioè una parte di acido solforico per cinque di acido nitrico ad 1,48 e raffreddando a — 9° circa. In nessuno de’ quattro modi di nitrazione ottenni il bromoclo- ronitrochinone che si poteva prevedere. Ebbi invece una sostanza gialla ben cristallizzata, fondente a 217°-218° decomponendosi, la cui composizione non corrisponde però al nitrochinone sopra- detto, ed un nitroderivato del propionilbromobiclorofenolo. Col terzo processo di nitrazione, in cui impiegai acido ni- trico ad 1,48 senza acido solforico, la sostanza in massima parte non subì alterazione di sorta. RICERCHE SUL CLOROBIBROMO E BROMOBICLOROFENOLO 1683 Gr. 5 di propionilbromobiclorofenolo furono versati a por- zioni in gr. 100 di acido nitrico ad 1,48, raffreddato a 0°. Dopo un quarto d’ora circa ottenni un liquido colorato in rosso scuro non completamente limpido. Non notai sviluppo di vapori rossi. Versato il liquido in acqua e ghiaccio, precipitò una so- stanza oleosa, che solidificò dopo breve tempo. Raccolta su filtro, lavata ed essiccata, sì sciolse completamente in etere, da cui per isvaporamento, assieme a materia resinosa, si depositò una parte cristallina bianca. Purificatala, spremendola bene fra carta e poi cristallizzandola dall’alcool diluito aveva l’ aspetto, 1’ odore, il punto di fusione del propionilderivato originario, fondeva infatti a 31°-32° in un liquido incoloro. Non conteneva azoto. Cogli altri tre procedimenti di nitrazione, in cui, assieme all’acido nitrico, è usato l’acido solforico, ho sempre ottenuto la sostanza gialla fondente a 217° e che per brevità designerò con «. Col quarto metodo, in cui la proporzione di acido solforico rispetto all’acido nitrico è minore, oltre alla sostanza 4, si forma eziandio il propionilnitrobromobiclorofenolo. Il maggior rendimento in sostanza %, quantunque sempre piccolo, si ha impiegando la miscela nitrico-solforica secondo le proporzioni usate nel numero 1°. Avendo sempre operato nello stesso modo, in tutti i ten- tativi di nitrazione eseguiti, basterà che indichi brevemente l’an- damento dell’ operazione in cui, assieme alla sostanza «, ebbi «anche il propionilnitrobromobiclorofenolo. A grammi 200 di miscela nitrico-solforica, costituita da gr. 168 di acido nitrico ad 1,48 e da gr. 32 di acido solforico concentrato, raffreddati a — 9° circa, aggiunsi a porzioni gr. 5 di propionilbromobiclorofenolo ben secco. Man mano che questo veniva a contatto del liquido acido, fondeva in goccioline oleose che dissolvendosi compartirono al liquido una colorazione rossa- stra che aumentò d’intensità fino ad avere un netto color rosso ciliegia. Togliendo tratto tratto dalla miscela frigorifera, in cui era immerso, il recipiente in cui si faceva la nitrazione, ed agi- tando il liquido, si ottenne la soluzione rossa, completamente limpida, dopo pochi minuti. Versato allora il liquido su ghiaccio pesto, ebbi un precipitato molliccio rosso mattone, mentre il ri- manente liquido persistè torbidiccio anche dopo due ore di riposo. Raccolsi la sostanza semisolida su filtro, la lavai ripetutamente con acqua e la posi ad essiccare sull’acido solforico. Dopo due 164 L. GARZINO giorni era completamente secca, polverizzabile e di color giallo brunastro. Operai in questo modo su altri 25 grammi di pro- pionilderivato ed ottenni in tutto circa gr. 10 di prodotto grezzo secco che trattai ripetutamente con etere, fino a che questo eva- porato, non lasciava più che un minimo residuo. Rimase indiscioita solamente una piccola porzione. Purificai la parte insolubile in etere, costituita da una pol- vere giallognola, collo stesso metodo col quale ho ottenuto puro il clorobromonitrochinone, cristallizzandola dal cloroformio e de- colorando con un po’ di carbone animale. Dopo ripetute cristal- lizzazioni la ottenni fondente costantemente a 216°-217° con decomposizione, cristallizzata minutamente in piccoli prismi di color giallo citrino. Questa sostanza è identica a quella ottenuta in tutte le altre nitrazioni di cui ho detto più sopra e di cui per brevità non faccio parola. Sottoposta ad analisi, fornì i seguenti risultati : i I. Gr. 0,4580 di sostanza diedero 0,0247 di H,0 e 0,5038 di CO,. II. Gr. 0,3552 di sostanza fornirono 0,0351 di H,0 e 0,3972 di CO,. III. Gr. 0,3850 di sostanza diedero cc. 16,5 di azoto a 120° ed a 744"", 25. i IV. Gr. 0,3854 di sostanza fornirono cc. 19 di azoto a 17° ed a 744"", 82. V. Gr. 0,2952 di sostanza diedero 0,3892 di Ag Cl e Ag Br, di cui 0,3689 sottoposti a corrente di cloro, per— dettero di peso 0,0269. VI. Gr. 0,3117 di sostanza fornirono 0,3998 di Ag CI e Ag Br, di cui 0,89183 sottoposti a corrente di cloro, per- dettero di peso 0,0283. Da cui la seguente composizione centesimale : L II IIl. IV. V, VI. C.... 980,0 30,49 — in Re a) Hit an- 1 r03b90 Ay/09 — — _ _ IND sio —_ - 5,59 5,69 _ — Hai — — — — 22,59 22,04 di. i aL _ —_ — 17,20 16,65... PE RICERCHE SUL CLOROBIBROMO E BROMOBICLOROFENOLO 165 La composizione centesimale di questa sostanza non corri- sponde a quella di un bromocloronitrochinone, per cui si calcola la composizione centesimale : (dra SP Prc 1 ARR To N,‘ 0,37 DORSO EI eZ [CH / Arpinati latini GL BIN e ve UE OR ea, Vate ROMEO Facendo la media dei dati analitici sopra indicati, si ottiene come sua composizione centesimale : GO I detta dè. 230120 IHS O, PAL, 0,84 OE RS I? 0 IEITIEMA A II SUSO, oO I INIRAIE: SIA I DIDO ONzoratonol At 619 Da questa composizione centesimale, la formola grezza più semplice che se ne può dedurre è la seguente : CH, 01, Br N, 0 La sostanza « , si ha ben cristallizzata dal cloroformio in piccoli aghi gialli Fonde decomponendosi a 215°-217°; quan- tunque il punto di fusione non sia netto, tuttavia la sostanza cristallizzata varie volte e proveniente da operazioni diverse si decompone costantemente a questa temperatura. Insolubile nel- l’acqua a freddo ed a caldo; pochissimo solubile nell’etere; non si scioglie nell’alcool a freddo , lievemente a caldo, assumendo colorazione rosso-bruna e reazione acida. Offre le reazioni dei chinoni; difatti, sospesa in alcool con anilina si colora a freddo in rosso bruno ; con fenilidrazina reagisce attivamente, svilup- pando bollicine gasose e prendendo colorazione rosso-scura: reagisce pochissimo col cloridrato di idrossilamina. Non ho potuto accumulare un numero di fatti sufficiente per riconoscere o stabilire la natura di questa sostanza che si forma costantemente in questa reazione ; però ha probabilmente qualche analogia coi derivati chinonici che il Benedikt (1) ot- tenne dalle resorcine bromurate e clorobromurate. (1) BenEDIKT, Monatshefte fur Chemie 1. 349, 1880, 166 L. GARZINO Propionilnitrobromobiclorofenolo C, H(NO,) Br CI, . 0 CH, CO L’etere col quale si era trattato il prodotto grezzo della nitrazione, per separare la sostanza «, lasciato svaporare spon- taneamente in una capsula, abbandonò un residuo ben cristal- lizzato assieme ad una notevele quantità di resina. Sceverai la parte cristallizzata dalla maggior quantità di resina, pressandola al torchio varie volte fra carta da filtro; quindi la cristallizzai ripetutamente dall’ alcool a 80°. Ottenni in tal modo de’ bei cristalli che fondevano a 88°,5- 89°. All’analisi fornirono i risultati seguenti : I. Gr. 0,3266 di sostanza diedero 0,3754 di CO, e 0,0628 di H,0. II. Gr. 0,2720 di sostanza fornirono 0,3750 di Ag CI e Ag Br, di cui 0,3693, sottoposti a corrente di cloro secco diminuirono di peso di 0,0349. Da cui per cento: di Calcolato per Î IL C; H Br CI, (NO) 0.CO CH; ni 31,84 È 31,48 H Ci — pi Br La 23,45 93,92 CI did 20,57 20,6 Questo propionilmononitrobromobiclorofenolo, pochissimo solubile in acqua, cristallizza in romboedri, bianchi, tendenti leg- germente al verdiccio, dall’alcool bollente. Fonde a 88°,5-89° in un liquido lievemente paglierino. Torino, R. Università, dicembre 1889. Laboratorio del Prof, Guareschi. TERE Ricerche sul metabicloro e sul metabibromofenolo ; Nota del Dott. L. Garzino Le ricerche di cui è argomento la Memoria presente, furono dirette ad investigare se il derivato propionilico del bicloro e del bibromofenolo ordinario, trattati con miscela nitrico-solforica, fornissero rispettivamente un cloronitro ed un bromonitrochinone; a quel modo che si ottiene un bicloronitro ed un bibromonitro- chinone, sottoponendo ad eguale trattamento il propionilderivato del tricloro e del tribromofenolo (1). Il metabicloro ed il metabibromofenolo, quantunque abbiano uno degli atomi alogenici in posizione para, rispetto all’ossidrile, pure colla miscela nitrico-solforica si comportano diversamente dal tricloro e tribromofenolo ordinarii, poichè, invece d’ossidarsi in chinoni, si nitrano, essendo il prodotto principale della rea- zione un binitrofenolo bialogenato. sl Binitrobiclorofenolo. Il propionilbiclorofenolo, che mi occorreva per sottoporre a nitrazione, fu preparato facendo agire direttamente il metabicloro- fenolo purissimo, fondente a 43°, con cloruro di propionile in quantità equimolecolari. Già a freddo si ha abbondante sviluppo di acido cloridrico; si completa poi la reazione riscaldando a b. m. Il prodotto liquido grezzo, fu lavato con acqua, potassa diluita, seccato e rettificato. Dopo due sole distillazioni si ot- (1) GuarEscHI e Daccomo, Atti «della R. Accad. delle Scienze di Torino, tom. XX, e Bericht. d. deutsch. chem. Gesellsch., 18, 1173. 168 L. GARZINO tiene il propionilderivato incoloro bollente a temperatura costante di 255°,5-257°. Vi dosai il cloro: Gr. 0.4727 di sostanza fornirono 0.6150 di Ag CI, da cui: Calcolato per Trovato Cs H3 CI, 0. C3 HO 0 PARE PIO 32,42. Il propionilbiclorofenolo è un liquido denso, rifrangente, dal- l'odore intenso di cloruro di propionile; distilla inalterato alla temperatura di 255°-257° (non corretto). Si mantiene liquido alla temperatura di 0°. Questo propionilderivato venne sottoposto a nitrazione usando miscela nitrico-solforica costituita da due parti di acido nitrico ad 1,48 e da una parte di acido solforico concentrato. In quantità maggiore si forma sempre un binitrobiclorofenolo ; però se si eseguisce la nitrazione alla temperatura ordinaria, senza raffreddare cioè notevolmente la miscela acida, assieme al binitrobiclorofenolo si ottiene in piccolissima quantità una so- stanza gialla ben cristallizzata in scagliettine, fondente ad ele- vata temperatura, verso 210°, che però non è il nitroclorochi - none presunto, come me lo dimostrarono i dosaggi di cloro, da cui ottenni per cento 27,32 e 26,89, mentre la quantità cal- colata di cloro per un cloronitrochinone è 18,93 per cento. A cagione della piccola quantità di sostanza non ho poltio prose- guirne lo studio. Se durante la nitrazione si raffredda la miscela a circa — 9°, non si ottiene più affatto la sopradetta sostanza gialla. Feci la nitrazione nel seguente modo: A 200 grammi di miscela acida sopraindicata, alla temperatura ordinaria, aggiunsi a piccole porzioni grammi 10 di propionilbiclorofenolo. A. con- tatto del miscuglio acido si sciolse colorandolo intensamente in rosso e fornendo dopo pochi minuti una soluzione limpida. — Non si deve abbandonare a sè, neppur per poco tempo, il liquido risultante dalla reazione, specialmente quan.lo si opera nella sta- gione estiva, poichè si riscalda spontaneamente, sviluppando nu- goli di vapori nitrosi, ossidandosi ed alterandcsi completamente. Versato quindi il liquido rosso su ghiaccio pesto, dopo aver agitato brevemente il miscuglio, si separò una massa molle, ap- RICERCHE SUL METABICLORO E SUl METABIBROMOFENOLO 169 piccicaticcia, rossastra, che venne lavata accuratamente, poi seccata sull’acido solforico. Quantunque lasciata alcuni giorni in ambiente secco, non si indurì, ma si conservò molle. Così grezza, pesava circa tre grammi. Ripetei altre quattro operazioni consimili, per modo che ottenni a un dipresso 18 grammi di prodotto grezzo. Trattato con etere ne rimase indisciolta una piccola porzione, che ricristallizzata alcune volte dal cloroformio costituì appunto la sostanza gialla fondente a 210°-212° di cui è detto sopra. L'etere, che aveva sciolto la massima parte della sostanza grezza, lasciò depositare per svaporamento, immersi in una re- sina rossa, dei cristalli abbastanza voluminosi, che vennero sce- verati dalla quantità maggiore d’impurezza pressandoli parecchie volte fra carta da filtro. I cristalli, ancora impregnati di resina, furono trattati con una soluzione diluita di carbonato sodico. In questo caso tutta la sostanza si sciolse a freddo con lieve effervescenza, fornendo una soluzione colorata in rosso-cupo e che, acidulata con acido cloridrico diluito, lasciò depositare un precipitato giallo-fioccoso che raccolsi su filtro e lavai con acqua fino ad eliminazione della maggior parte dell’acido. Il nitrofenolo, così ottenuto, fu trasformato in sale di bario con carbonato baritico, ed il sale di bario fu cristallizzato varie volte dall’acqua bollente. Ricuperai il fenolo da varie porzioni di questo sale di bario proveniente da successive concentrazioni delle acque madri ed ottenni sempre lo stesso composto fondente a 105°-106°. Avendo conservato lo stesso punto di fusione anche cristallizzato alcune volte dall’alcool diluito lo sottoposi ad analisi. I. Grammi 0,3990 di sostanza fornirono 0,2219 di CO, e 0,0425 di H,0. II. Grammi 0,2456 di sostanza diedero 0,2791 di Ag CI. III. Grammi 0,36583 di sostanza fornirono ce. 36 di azoto a 22° ed a 795° 28. Da cui si ricava la composizione centesimale seguente : Trovato e I II III C 28.78 —_ - vsd },18 — a CI e 28,11 —_ N — _ 10.86 Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 1a 170 L. GARZINO Per un dinitrobiclorofenolo C;,H CI,(N0,), OH, si calcola su cento parti la composizione seguente: Gi. atte e , 28,45 H pe BE rs 0,79 Cliviorbii ager 28,06 MNoiata bat 11,06 Il binitrobiclorofenolo è una sostanza gialla ben cristallizzata, più o meno voluminosamente a seconda del solvente; fonde net- tamente a 105°-106° in un liquido giallognolo limpido. Solubi- lissimo in etere, in cloroformio, in alcool concentrato, cristallizza dall’alcool a 45° in microscopici aghetti prismatici. Solubile in acqua più a caldo che a freddo con colorazione gialla intensa, cristallizza per raffreddamento in minute scagliette. Non sublima; deflagra quando venga riscaldato rapidamente ; decompone a freddo i carbonati metallici; è volatile col vapor d’acqua. Ne ho preparato il sale di potassio, di bario e di calcio. Sale di potassio C, H CI, (NO), 0.K+!/,H,0 Trattando il. nitroderivato con soluzione di potassa caustica fino a lieve reazione alcalina, concentrando la soluzione fino a cristallizzazione. Separai i cristalli rossi del sale e li ricristallizzai dall’acqua. Si ottiene in aghetti leggieri rossi raggruppati a ciuffo, so- lubilissimi nell’acqua. Contengono mezza molecola d’acqua di cristallizzazione che perdono a 100°-110°, Grammi 0,6772 di sale, riscaldati a 110°, perdettero 0,0206 di acqua, corrispondente a 3,04 per cento. Grammi 2,0885 di sale, riscaldati fino a 130°-140°, per- dettero 0,0637 di acqua, pari a 8,05 per cento. Il sale di potassio, cristallizzato con !/, molecola di acqua, contiene su cento p. 3,00 di acqua. Dosai il potassio sul sale secco : Grammi 0,3447 di sostanza fornirono 0,1087 di K, SO; da cui per cento: Galcolato Trovato Cs H Cl, (NO;), OK K (13,3 13,4 RICERCHE SUL METABICLORO E SUL METABIBROMOFENOLO 171 Sale di bario (C, H CI, (NÒ.), 0), Ba Dal binitrobiclorofenolo e carbonato baritico. La decomposizione del carbonato, che avviene già a freddo, è agevolata dal riscaldamento Dalla soluzione, filtrata, si deposita per raffreddamento il sale, che ora cristallizza con tre molecole di acqua ora con due, as- sumendo forma e colori diversi. Se il sale cristallizza lentamente da una soluzione abbastanza concentrata, si ha in pagliette appiattite disposte a ciuffo, color bicromato d’ammonio: con questa forma il sale contiene due mo- lecole d’acqua di cristallizzazione che perde completamente a 105°-110°. Per poterlo stabilire con certezza, ho fatto varie de- terminazioni di acqua. I. Gr. 1,1617 di sale in pagliette rosse, riscaldati fino a 140°- 150°, perdettero 0,0607 di acqua. II. Gr. 1,5941 di sostanza riscaldati a 140°-150° perdet- tero 0,0885 di acqua. III. Gr. 1,5617 di sale a 130°-140° perdettero 0,0864 di acqua. IV. Gr. 3,0483 di sostanza a 130°-135° perdettero 0,1683 di acqua. Su cento parti: Trovato SE gie | N cc iù II III IV VERA) 5,22 5,61 5,58 5,52 Calcolando questa modificazione del sale di bario cristalliz- zata con 2 molecole di acqua, cioè (CH CI, (N0,), 0), Ba +2 H, 0, dovrebbe contenere acqua °,= 5,31. In una di queste porzioni, secche, dosai il bario ; Cir. 0,4298 di sostanza diedero 0,1526 di Ba SÒ, f Calcolato Trovato (Cs H Cl, (N0,), 0), Ba Da la 20,87 31.97 Se di questo sale di bario in pagliette rosse si fa una so- luzione abbastanza concentrata nell'acqua e quindi, avuta la so- 172 IL. GARZINO luzione limpida a caldo di un bel rosso ciliegia, si raffredda rapidamente ed agitando di continuo, dapprima la soluzione as- sume una tinta giallognola, quindi si deposita il sale sotto forma di minute squamette di un bel giallo d’oro. Questa modificazione gialla del sale di bario è più solubile nell'acqua della rossa e contiene tre molecole d’acqua di cri- stallizzazione, come lo provano le due determinazioni d’acqua se- guenti: I. Gr. 1,5675 di sale in isquamette gialle, riscaldate a 140°- 150°, perdettero 0,1213 di acqua. Il. Gr. 2,2277 di sale giallo a 1380°-135° perdettero 0,17483 di acqua. Da cui: Calcolato per Trovato (C, H Cl, (N03), 0), Ba+3H,0 I II BE OVITRTA 7,82 7,76 Sul sale secco proveniente dal 2° dosaggio determinai il bario : Gr. 0,4690 di sale fornirono 0,1687 di Ba SO, Calcolato Trovato (Cy H Cl, (N0,), 0), Ba Ba pi 21,12 ZISOT Il binitrobiclorofenato di bario con 3 mol. di acqua, diventa anidro a 105°-110°; lasciato all’aria umida in una notte rias- sorbe le tre molecole d’acqua. Questa modificazione gialla ridi- sciolta in acqua, fornisce di nuovo per lenta cristallizzazione il sale di bario rosso. Il fenolo, ricuperato dall’una e dall'altra forma, fonde in en- trambi i casi a 106°. Il sale di potassio, preparato dalla mo- dificazione gialla per doppia decomposizione, contiene anch’esso !/, molecola d’acqua di cristallizzazione come quello preparato di- rettamente dal binitrobiclorofenolo. Sale di calcio (C, H CI, (NO.), 0), Ca +3 H, 0 Si preparò per doppia decomposizione dal sale di bario e solfato di calcio. È in cristallini prismatici giallo citrini, abba- stanza solubili in acqua, contenenti tre molecole d’acqua di cri- stallizzazione. RICERCHE SUL METABICLORO E SUL METABIBROMOFENOLO 1783 Grammi 1,0137 di sale, riscaldati a 120°, perdettero 0,0880 di acqua, corrispondenti a 8,68 per cento. Il sale di calcio cristallizzato con tre molecole di acqua ne conterrebbe per cento 9,01, Il sale secco lasciato all’aria, riassorbe dopo alcun tempo completamente la sua acqua di cristallizzazione. Sino ad ora, ch'io mi sappia, non si conoscono dei bnztro- bielorofenoli e dalle esperienze che io ho fatto, non si può dedurre quale sia, questo, dei tre ammissibili teoricamente. Sap- piamo solo che deve contenere i due atomi di cloro nelle posi- zioni 2 e 4 rispetto all’ossidrile. Si potrà forse determinare la posizione dei gruppi nitrici in questo binitrobiclorofenolo, cloru- rando il p-binitrofenolo di Bantlin (1). LL, Binitrobibromofenolo. Ottenni questo nuovo composto in modo analogo al prece- dente, nitrando cioè il propionilderivato del metabibromofenolo. Propionilbibromofenolo. C, H, Br, O. C., H, 0. Il bibromofenolo (orto, para) fondente a 39°-40°, preparato col metodo di Kérner (2) per azione del bromo sul fenolo sciolto in solfuro di carbonio, fu direttamente trattato colla quantità cal- colata di cloruro di propionile. La reazione cominciata a freddo, ma molto meno energica- mente che nel caso del biclorofenolo, venne completata a b. m. Il propionilbiclorofenolo grezzo, liquido denso, lavato bene con potassa diluita e poi con acqua, fu seccato con cloruro di calcio, quindi rettificato a pressione diminuita. Dopo due distil- lazioni si ottenne bollente in massima parte a 220°-225° (non corr.) alla pressione ridotta a 142". Il propionilbibromofenolo è un liquido denso, incoloro, ma che l’ebbi quasi sempre un po’ colorato in giallognolo per una lieve decomposizione subìta durante la rettificazione. Distillato a pressione ordinaria si decompone in massima (1) BanTLIN, Bericht. d. deutsch. chem. Gesellsch., 8, 21 (2) KònneR, Ann. der Chem. u. Pharm., 137, 205. 174 L. GARZINO parte; è quasi insolubile nell'acqua, solubilissimo nell’etere e nel cloroformio. Un dosaggio di bromo, fatto su di una porzione un po’ gial- liccia, diede il seguente risultato : Gr. 0,3359 di sostanza fornirono 0,4156 di bromuro d’ar- gento, da cui: Calcolato per Trovato Ca Hy Br, 0..€, H. 0 Br.:°/,: 112,68 51,94 Questo propionilderivato venne trattato con la miscela nitrico- solforica, costituita da due p. di acido nitrico a 1,48 e da una di acido solforico concentrato. Qualora si impieghi questa miscela, pressochè alla tempera- tura ordinaria, come nel caso del derivato propionilico del bi- clorofenolo, si forma essenzialmente un binitrobibromofenolo, più una sostanza gialla, minutamente cristallizzata, fondente con de- cemposizione sopra 200, ma in quantità troppo esigua da poter essere studiata. Se si compie la nitrazione raffreddando il miscuglio acido a circa —9° oltre al binitrobibromofenolo si ha il propionilderivato di un mononitrobibromofenolo. Grammi 12 di propionilbibromofenolo versati in 200 grammi della miscela sopraindicata, raffreddata a —9° circa, si sciolsero dopo pochi minuti, senza sviluppo di vapori rossi, costituendo un liquido limpido rosso sangue, che, versato su ghiaccio pesto, la- sciò separare per agitazione dei fiocchetti, che si riunirono poi in una massa molliccia rosso mattone. Si lavò ripetutamente con acqua e quindi si asciugò sull’acido, solforico. Ripetute altre cinque operazioni consimili ottenni circa una trentina di grammi di prodotto grezzo, costituito in gran parte da resina. Trattatolo con etere si sciolse completamente: filtrata la soluzione eterea per separarla da impurezze, e lasciato evaporare completamente il solvente, trattai il residuo molle resinoso, molto colorato, con una soluzione diluita di carbonato sodico. Una parte si. sciolse con leggiera effervescenza, fornendo un liquido alcalino intensa- mente colorato in rosso-cupo; una porzione rimase indisciolta come una poltiglia di color giallastro. Il liquido alcalino rosso, trattato con acido cloridrico fino a lieve reazione acida, diede un precipitato molto impuro, che sciolsi RICERCHE SUL METABICLORO E SUL METABIBROMOFENOLO 175 in alcool bollente e trattai con un po’ di carbone animale. Se- parai per filtrazione la sostanza bruna resinosa, depositatasi per raffreddamento, ed il liquido alcoolico filtrato, alcalinizzato con un po’ di idrato potassico fu evaporato fino a secco a b. m. Il residuo rosso cinabro venne sciolto in acqua calda e decomposto con acido cloridrico. ll precipitato giallo rossastro ottenuto, cri stallizzato parecchie volte dall'alcool diluito diede un composto fondente costantemente a 146"-146°,5. Il corpo così puro era in circa grammi 6. All’analisi fornì i segnenti risultati : I. Gr. 0,3383 di sostanza diedero 0,2672 di CO, e 0,0464 di H,0. II Gr. 0,2803 di sostanza fornirono cc. 19,7 di azoto a 18° ed alla pressione di 742"",8. III. Gr. 0,1924 di sostanza diedero 0,2127 di Ag br. Da cui su cento parti: Trovato — = Calcolato per AND II IRA NO), OH C 21,54 — _ 21,05 H Do se sa 0,58 N EI 7,59 E 8,18 Br - — 47,05 46,78 I dati analitici corrispondono abbastanza a quelli richiesti da un bdinitrobibromofenolo HB; 3 (NO); 0.H. Il binitrobibromofenolo culo dall’alcool diluito in aghetti fondenti a 146°-146,5. (corr.) con sviluppo di bollicine gasose; solubilissimo in alcool concentrato da cui precipita minutamente cristallizzato per aggiunta di acqua. Si scioglie in alcool a 45° con color rosso ranciato. Poco solubile in acqua fredda, alquanto di più nella calda con colorazione giallo-citrina. Solubilissimo in etere, da cui si deposita in cristalli romboedrici ben definiti. È volatile col vapor d’acqua. Riscaldato rapidamente deflagra. De- compone a freddo i carbonati. Sale di potassio C, H Br,(N0O,))0K+!/,H,0 Fu preparato neutralizzando esattamente una soluzione di bi- nitrobibromofenolo con soluzione diluita di potassa, concentrando e ricristallizzando il sale depositatosi. Grammi 1,4749 di sale secco all’aria, riscaldato fino a 176 L. GARZINO 130°-140° perdette 0,0353 di acqua, corrispondente a 2,39 per cento. Il sale di potassio, cristallizzato con }4 molecola d’acqua, ne contiene 2.31 per cento. Determinato il potassio allo stato di cloruro, nel sale così secco, si ebbe: Grammi 1,0017 di sostanza formarono 0,2002 di XK C7 da cui: Calcolato per Trovato C; H Br, (N0,), 0K K % 10, 46 10,26 Questo sale di potassio cristallizza dall'acqua in begli aghi lunghi rosso cupo, aggruppati a ciuffo; non è solubilissimo nel- l’acqua. Perde l'acqua di cristallizzazione completamente a 100°; i cristalli disidratati conservano la forma primitiva. Sale di Bario (C H Br, (NO,.), 0), Ba +3 H,0 Si ottenne decomponendo il carbonato di bario con soluzione di binitrobibromofenolo. | Come osservai per il binitrobiclorofenato di bario, anche questo sale si può avere cristallizzato o in prismetti minuti, duri, fragili, rosso-cupo od in isquamette giallo-ranciate che al mi- croscopio presentano forma dendritica, a seconda che si lascia depositare da sè lentamente, oppure si affretta la separazione dei cristalli raffreddando rapidamente ed agitando una soluzione satura e calda. In questo caso la diversità delle due modificazioni non è così accentuata come per il binitrobiclorofenato di bario; entrambe le forme contengono egual quantità d’acqua di cristallizzazione. Del sale di bario cristallizzato in prismetti rosso-cupo : I. Grammi 3,8907, riscaldati a 140°-150°, perdettero 0,25083 di acqua. II. Grammi 2,5729, riscaldati a 140°-150°, perdettero 0,1616 di acqua. Del sale di bario cristallizzato in isquamette giallo-dorate : Ill. Grammi 1,9787 a 140° perdettero 0,1243 di acqua. IV. Grammi 2,2580 a 130° perdettero 0,1405 di acqua. RICERCHE SUL METABICLORO E SUL METABIBROMOFENOLO 177 Da cui la quantità di acqua perduta su cento parti. Trovato I II III IV ROSS into Aigtag 0 Tiago Tinnigiao Il binitrobibromofenato di bario, cristallizzato con 3 mol, di acqua, ne contiene in cento parti 6,18. Dosato il bario sul sale secco ottenni: Gr. 0,5065 di sostanza diedero 0,1476 BasS0,, da cui; Calcolato per Trovato (C, 7 Br, (N0,\, 0), Ba Ba ‘/, 17,05 16,72 Entrambe le forme sotto cui si presenta questo sale, perdono l’acqua completamente a 110°-120°, e la riassorbono esatta— mente stando esposte all’aria umida; la modificazione in isqua- mette più presto dell’altra. Finora non furono ancora preparati dei binitrobibromofenoli. ‘Questo, ora descritto, è il primo bdirmztrobibromofenolo che sia stato ottenuto. Per ora riguardo alla sua costituzione non posso dir altro che contiene i due atomi di bromo nella posizione 2 e 4 rispetto all’ossidrile, avendo sottoposto a nitrazione il bibro- mofenolo ordinario (orto, para). III Nitrobibromofenolo. Propionilnitrobibromofenolo C, H, Br, (NO,) 0. C,H,0 La sostanza molle giallastra, insolubile in carbonato sodico, ottenuta assieme al binitrobibromofenolo, lavata bene con acqua, in cui è insolubile e cristallizzata quindi parecchie volte dall'al- \cool a 80°, decolorando con un po’ di carbone animale, mi fornì \eirca gr. 5 di un composto ben cristallizzato, fondente costan- demente a b4°- 55°. 178 L. GARZINO All’analisi si rivelò per il propionilderivato di un nitrobibro- mofenolo : i I. Grammi 0.2918 di sostanza diedero 0,3297 di CO, e 00607. dilHo 0, II. Grammi 0,3473 di sostanza fornirono cc. 12,1 di azoto Seelerczed sa; WAS. III. Grammi 0,3316 di sostanza diedero 0,3544 di Ag br. i Da cui per cento: Calcolato per Trovato C; H, Br, N0, 0. C,Hy 0 — — . I II III 0. 9081 DI si 30,59 H 2,65 pe e: 1,98 Mies 092 3,97 peu 3,96 Br — - 45,47 45,32 Questo propionilnitrobibromofenolo cristallizza dall’alcool di- luito in bei cristallini monoclini ben definiti, che fondono a 54°- 54°,5 in un liquido trasparente paglierino; conservando questo punto di fusione nettamente anche cristallizzato alcune volte, resta quindi escluso che sia una miscela di composti isomeri, Saponificai un po’ di questo derivato propionilico in soluzione alcoolica, con idrato potassico ; precipitato con acido cloridrico il fenolo dalla soluzione dell’ottenuto sale di potassio e trasfor- mato il fenolo ben lavato in sale di bario, facendolo bollire con carbonato baritico, ebbi un sale rosso-minio polverulento, in minuti cristallini. Non contiene acqua, di cristallizzazione. Il dosaggio del bario fatto sul sale riscaldato per più ore a 130°-140° senza che variasse di peso, fornì il seguente ri- sultato : gr. 1,0589 di sale diedero 0,3364 di Ba SO, da cui: Calcolato per Trovato (Cs Hy NO, Br, 0), Ba Ba ‘ 18,67 18,79 0 Il nitrobibromofenolo, corrispondente al propionilderivato so- pradescritto ed a questo sale di bario, è di color giallo chiaro RICERCHE SUL METABICLORO E SUL METABIBROMOFENOLO 179 e fonde verso 90°-91°. La piccola quantità che ne ottenni non mi permise di farne uno studio maggiore. Tuttavia, sia per la differenza dei punti di fusione e dei ri- spettivi sali di bario, sia perchè questo non sublima, ho potuto stabilire con certezza che non è il nitrobibromofenolo ordinario, il quale si ottiene per azione diretta dell’acido nitrico fumante sul metabibromofenolo (1) che fonde a 117°,5, è facilmente su- blimabile e la cui formola di costituzione è rappresentata dallo schema : OH NO, Br Br Perciò al nitrobibromofenolo che si forma assieme al. bini- trobibromofenolo per nitrazione del propionilmetabibromofenolo con miscela nitrico solforica deve corrispondere una delle due for- «mole di costituzione seguenti : OH OH Br Br oppure : NO, NO, DE a Torino, R. Università, dicembre 1889. Laboratorio del Prof. Guareschi. (1) KorNnER, Ann. der Chem. u Pharm., 137, 205. 180 CORRADO SEGRE Un nuovo campo di ricerche geometriche ; Saggio di Corrapo SEGRE NONAST. L'estensione data all’Analisi coll’introdurvi oltre ai numeri reali quelli imaginari è, come ben si sa, immensa: basta riflet- tere alla vastità della teoria delle funzioni di una variabile com- plessa ed al campo che appena s’è cominciato ad esplorare delle funzioni di più variabili complesse. All’introduzione di quei nu- meri nell’Analisi seguì naturalmente per analogia l'introduzione in Geometria degli elementi (punti, rette, piani) imaginari (*), e così questa scienza si estese, acquistando gli enti che vi si consideravano, curve, superficie, ecc., nuovi elementi ed aggiun- gendosi inoltre nuovi enti, curve, superficie, ecc., imaginari. Ma vi è una classe assai più vasta di enti, la cui introdu- zione in Analisi ed in (Geometria scaturisce naturalmente da quella degl’ imaginari e che pur non fu ancora quasi affatto considerata. Per limitarmi alla Geometria (poichè l’una scienza si rispecchia e si confonde perfettamente nell'altra), i punti dello spazio, che prima, allorchè le considerazioni si restringevano agli elementi reali, erano 005, ora, considerando tutti i punti com- plessi (cioè reali od imaginari), sono co (**). Possono dunque (*) Alludo tanto alla loro introduzione come gruppi di numeri complessi quanto, e più ancora, a quella che SrAUDT ne fece come veri enti geometrici nei Beilrige sur Geometrie der Lage. (**) In tutto questo lavoro una cod è quella che si può mettere in corri- spondenza generalmente continua e d’indici finiti coi gruppi dei valori reali di d parametri. — Avverto pure che d’or innanzi parlando di punti, od altri elementi, come pure di proiettività, ecc., s'intenderà sempre (ove non si dica espressamente che sono real) che siano complessi, cioè reali od immaginari; similmente nelle rappresentazioni analitiche i sistemi di riferimento s’ in- tenderanno complessi. Nelle cose che ora ed in seguito vediamo nel testo si considera quasi sem- pre il punto come elemento: ciò per brevità; ma si vede subito come si pos- sano trattare similmente gli enti composti d’infinito rette o piani, ece. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 181 diventare oggetto di studio gli enti costituiti da o0!, 00°, 008, 004, 00° punti complessi dello spazio. Un esempio molto particolare di un ente co' si ha in quella clie StaUDT (Beitrige, n. 206) chiamò catena (Kette) di punti di una retta, e che nella rappresentazione da lui usata dei punti di questa (mutata prima in una retta imaginaria di 2° specie, se già non era) mediante il sistema lineare delle rette che li contengono ha per imagine una schiera rigata (Regelschaar); mentre nelle note rappresentazioni dei punti complessi della retta sui punti reali di un piano o di una sfera ha per imagine un cerchio (B.°, 245, 410) (*). Esempi di enti co! e co? danno i punti reali delle ordinarie curve e superficie reali. Finalmente sono esempi di 00° e 004 le curve e le superficie con tutti i loro punti complessi; intendo per curve e supeficie quelle va- rietà i cui punti hanno le coordinate funzioni (nel senso di RIEMANN) di uno o di due parametri complessi, al qual fatto analitico (ove si aggiungano convenienti condizioni di continuità) corrisponde geometricamente l’esistenza in ciascun punto di una sola tangente per le curve, di un fascio di tangenti per le su- perficie. Ma non ogni c0° od co' di punti è una curva od una superficie, nè gode in conseguenza di queste proprietà geome- triche (**). Ed in generale gli enti costituiti da infiniti punti complessi non hanno un legame analitico, funzionale. Pur non di meno essi sembrano ben degni di studio, e possono formare og- getto di ricerche che in parte sono analoghe a quelle relative alle curve, superficie, ecc., ma che sempre avranno un carat- tere di maggior generalità. I è (*) A proposito di queste rappresentazioni è bene osservare che il si- stema lineare di rette reali usato nella rappresentazione di STAUDT, conside- rato dal punto di vista della geometria della retta, cioè nella varietà qua- dratica che ha per punti le rette dello spazio ordinario, costituisce una qua- drica ellittica, le cui sezioni piane sono appunto le schiere rigate del sistema. Adottando dunque per brevità in luogo di queste ultime locuzioni quelle di sfera e di cerchi, si avrà l’identità fra la detta rappresentazione di STAUDT @ quella sulla sfera (da cui con proiezione stereografica si passa alla rappre- sentazione sul piano). (**) Vedremo a suo tempo che le tangenti in un punto ad una 00°, 00 od c0' di punti formano in generale delle varietà 00!, 007, od 008 (catene semplici o doppie di rette, o catene semplici di piani) che rientrano in quelle studiate nel 2° Cap. di questo scritto, 182 CORRADO SEGRE In siffatte ricerche si possono seguire due indirizzi, appunto come in quelle della geometria ordinaria. L’uno di essi riguar- derebbe quelle proprietà che son comuni a tutti gli enti di data dimensione e corrisponderebbe a quello che informa la teoria generale delle curve e superficie sì algebriche che trascendenti, specialmente la geometria infinitesimale. Seguendo quest’indirizzo si esaminerebbero i caratteri di quegli enti rispetto alle rette tangenti, ai contatti mutui, ed in particolare con curve e super- ficie, alle curvature, ecc: Molto utile per tali questioni (come pure per quelle di cui diremo poi) riescirebbe la rappresenta— zione degli enti in discorso su altri enti composti di punti tutti reali. Per avere una tal rappresentazione basta evidentemente estendere il procedimento con cui si rappresenta una variabile complessa sul piano reale, cioè rappresentare il punto complesso dello spazio mediante quel punto reale di uno spazio a 6 di- mensioni che ha per coordinate le parti reali ed i coefficienti di i(=)Y — 1) nelle tre coordinate non omogenee di quel punto com- plesso. Ma di questa rappresentazione, che facilmente si può tradurre geometricamente, non che di altre che vi si collegano e che per certi riguardi sono preferibili ad essa, tratterà un altro lavoro. L'altro indirizzo d’investigazioni corrisponderebbe per ana- logia a quello della geometria projettiva delle forme algebriche e potrebbe trovare importanti applicazioni anche in questa: il. saggio attuale rientra più specialmente in esso. Come analoghi alle curve, superficie, ecc. algebriche si posson considerare quegli enti (che per brevità chiamerò iperalgebrici) i quali nelle rappre- sentazioni accennate hanno per imagini delle varietà reali alge- briche, vale a dire quegli enti che son definiti da una o più equazioni algebriche fra le parti reali ed i coefficienti di i nelle coordinate del punto generatore. Ogni relazione di tal forma si può subito ridurre ad un'equazione algebrica fra le coordinate del punto ed i numeri complessi-conjugati, la quale anzi coll’in- troduzione di coordinate omogenee x, si può rendere omogenea rispetto alla x, ed omogenea rispetto alle loro coniugate 2, (*). (*) La locuzione « coniugato » sarà sempre usata in questo lavoro in un solo significato: quello consueto relativo agli enti complessi. Se a indica un numero complesso qualunque, @ indicherà il suo coniugato. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 183 Viceversa abbiasi un’equazione di questa natura fra le x e le x: (9) (NE iea05 e sia » il suo grado rispetto alle x ed »' il suo grado rispetto alle x. È chiaro che una trasformazione collineare qualunque non muterà nè n, nè »', sicchè questi due numeri saranno due invarianti (assoluti) corrispondenti in questa nuova teoria al noto invariante delle superficie algebriche: 1’ ordine. Si osservi però subito che fra i due ordini n, »' non vi è per l'ente geome- trico iperalgebrico da fare distinzione alcuna, perocchè, indicando con 7 quella funzione che si ottiene dalla f sostituendo a ciascun coefficiente il numero coniugato, l’equazione (1) equivale alla se- guente, sua coniugata: (2 A fw cda) In generale un’equazione (1) [o (2)] si scinde in due equa- zioni a coefficienti reali fra variabili reali, ed in conseguenza stacca dalla 005 dei punti dello spazio un ente che è al più co'. Però se le equazioni (1) e (2) non ne formano che una sola (reale), il che accade quando la forma (1) (moltiplicata all’oc- correnza per un fattor numerico) ba tutti i termini coniugati fra loro a due a due (sicchè n, » sono eguali), — laonde essa non ammette che valori reali, qualunque siano i valori delle variabili , e si dirà quindi una forma iperalgebrica reale, — il luogo dei punti soddisfacenti alla (1) potrà essere un ente oo° (**). Come (*) Ne segue che in un certo senso lo studio analitico di una forma od equazione iperalgebrica (1) non coincide più completamente (come accade per . le forme algebriche) con lo studio dell’ente geometrico che essa rappresenta: poichè questo può essere nello stesso modo rappresentato da forme od equa- zioni diverse da quella. (**) Diciamo « potrà essere un ente co», ma potrebbe anche essere di minor dimensione: a quello stesso modo che un’equazione reale in coordi- nate di punti può esser soddisfatta da co? punti reali costituenti una super ficie reale, od anche solo da 00! punti reali (di una curva), ecc. In particolare può la forma f (2, ©) (definita) non annullarsi senza l’annullarsi di tutte le variabili (tale sarebbe, ad esempio, la forma £,a,x,#, quando tutte le costanti a, fossero reali e con lo stesso segno). — Se l’equazione (1) rap- presenta effettivamente una 00° questa può servire a dividere gli oo punti 184 CORRADO SEGRE | intersezioni ( complete o parziali) di questi si otterranno tutti | gli altri enti iperalgebrici (*). Ora per fare una geometria projettiva di tali enti che sì | dello spazio in due regioni, mediante il segno che essi fanno assumere alla | forma reale f (x, x). Si può dare una semplice interpretazione geometrica dell’ equazione (4) considerando la corrispondenza algebrica fra punti x, x” (connesso) definita da file) =_:0% Supponendo per brevità che il sistema di riferimento sia reale, è chiaro che la (1) è soddisfatta da quei punti che ammettono per corrispondenti in questa corrispondenza i loro coniugati. La condizione poi perchè la (1) e la (2) coin- cidano diventa questa: che la corrispondenza algebrica considerata abbia per inversa la corrispondenza coniugata; ossia che la corrispondenza iper- algebrica (connesso) Fia, w) =0 sia involutoria. (*) È facile formare delle definizioni geometriche degli enti di cui par- liamo: ne diamo quì alcuni esempi. Si consideri una funzione razionale qualunque delle distanze di un punto x da altri punti dati, da rette e piani dati, e s’indichi con g (x) la sua espres- sione rispetto alle coordinate di x, Allora il luogo di un punto per cui quella funzione assume un valore di modulo dato p, o di data parte reale a, o di dato coefficiente d di i ecc., è rappresentato dall’equazione reale g(a).F(A=p, (0) g(aà +7(4) = 2a, oppure e(a) — 3 )=2bi. ecc. Le stesse equazioni nel piano, ove 9 (x) rappresenti il birapporto delle @ tangenti condotte da x ad una data curva di 4 classe, oppure (in partico- lare) una funzione dell’angolo delle tangenti condotte da.x ad una data co- nica, ecc., rappresentano il luogo di un punto per cui quel birapporto o quella funzione hanno un dato modulo, od una data parte reale o parte ima- ginaria, ecc. — Il luogo di tutti i punti posti sulle infinite tangenti reali di fl un inviluppo piano reale di classe n, a;” = 0, è un ente oo* rappresentato fl simbolicamente dall’equazione reale (ole) 0 e similmente nello spazio il luogo di tutti i punti posti sulle rette reali di un complesso reale di grado n, (a d ® y)”° = 0, è rappresentato dall’ equa- zione reale : (a ba a" = 0. Ecc., ecc. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 185 svolga a somiglianza di quella degli enti algebrici (*) è natu- ‘rale di cominciare dallo studio degli enti dei primi ordini, per 19) È possibile un tale sviluppo, cioè una teoria invariantiva (protettiva) degli enti iperalgebrici; ed in essa si possono usare strumenti analoghi a quelli adoperati nell’ordinaria teoria invariantiva degli enti algebrici, per ‘esempio una notazione simbolica delle forme da cui facilmente si riconoscano i caratteri invariantivi. Ne faccio qui un cenno in generale riserbando ad altre note a piè di pagina alcuni esempi particolari che ci si presenteranno naturalmente nel seguito di questo Saggio. Una forma iperalgebrica qualunque di grado n nelle 2 e di grado n' ‘nelle # si può rappresentare col simbolo n_n Rica _ \n' a" a"[=(Za,2,) (24,5) |, convenendo che negli sviluppi si dia significato di coefficienti effettivi non ai singoli simboli a, od @,; ma solo ai prodotti di n fra le a ed n' fra le a — Ciò posto, considerando un numero qualunque di tali forme (distinte, 0 co- munque coincidenti fra loro) n Un! m XL em a ji: Dez ira CIRC, x 17 SI sì vede subito che sarà un loro invariante o covariante (nel senso che ora fisseremo) ogni forma rappresentata da un prodotto di simboli &@,, d, -..; dr, be> -*-, (ed anche a, a, ; -..) non che di determinanti (ab),...,(4d),..., ‘8e si è nel campo binario, oppure (abc), ...,(7dé), ..., se si è nel campo terna- rio, ecc.; purchè nel prodotto così composto le 4 compaiano precisamente val grado n, le @ al grado n', ecc. Una trasformazione lineare (per le x, ac- compagnata dalla trasformazione coniugata per le #) delle forme date avrà per effetto di moltiplicare quella loro forma invariantiva per una potenza del determinante della trasformazione e per una potenza del suo coniugato indicate risp. dal numero di determinanti delle a, d,...e da quello di deter- minanti delle #,,5,...che compaiono in quel prodotto simbolico. — (Analo- gamente si ottengono altre specie di forme invariantive; e poche modifica- zioni alle cose dette bastano per applicarle al caso in cui fra le forme fondamentali vi siano delle corrispondenze 6 connessi iperalgebrici). Nel caso di una forma reale _— n - f(2, d=a, a_ | Len ‘alle convenzioni generali bisogna aggiungere che ogni prodotto di n fra le a ed n fra le @ prende il valore coniugato se, senza far mutamenti d’indici, le a si cambiano in & e viceversa. Nel sistema invariantivo di una tal forma UR . . . . 3 . | sì presentano subito come degne di considerazione le polari successive n-r_.n-r! r_r' i a_ i c° FE Fog "% fra cui quelle che corrispondono a valori uguali di x, #° sono reali. Sono pure notevoli quelle polari del punto @ per cui r od 7’ è nullo: esse rappre- 1 À a , Atti della RR. Accad. - Parte Fisica, ece, — Vol. \XV. 14 186 CORRADO SEGRE valersi di essi sia nelle definizioni e nelle ricerche relative a | quelli di ordini superiori, sia nella generazione geometrica di questi. Ma allora, ricordando l’ufficio che le corrispondenze pro- jettive hanno nella definizione geometrica delle curve e. super- ficie di 2° ordine e d’ordine superiore, non che nella costruzione delle curve e superficie mediante sistemi di altre d'ordine infe- riore, sorge la domanda se non vi siano delle corrispondenze che per i nuovi enti possano avere un ufficio analogo. A tale do- manda si può rispondere affermativamente. Sono ben noti quei caratteri geometrici delle corrispondenze projettive che, prima dal MòB1Ius (e dallo CHASLES), poi più completamente dallo SrAuDT furon messi in rilievo. Per le col- lineazioni, ad esempio, fra due piani, o nello spazio essi consi- stono nella univocità della corrispondenza fra i punti e nel mu- tare punti di una retta in punti di una retta. Per le projettività tra forme di 1° specie consistono (in conseguenza), oltre che nel- l’univocità , nel mutare i gruppi armonici in gruppi armonici. Finchè le considerazioni si limitano agli elementi reali di forme reali, questi caratteri bastano a definire le projettività e condu- | cono alle trasformazioni lineari delle coordinate come rappresen- | tazione analitica di queste. Ma se si tolgono quelle limitazioni, | se si considerano insieme coi reali anche gli elementi imaginari, | occorre aggiungere a quei caratteri un’altra proprietà per poter sentano, col punto variabile y, degli enti algebrici ordinari. In particolare | se il punto « (nel piano o nello spazio) sta sulla forma f; la retta od il piano | polare ossia si riducono a retta o piano tangente in x ad f: intendo generalmente per retta tangente in x ad una 008 di punti del piano rappresentata dalla forma f la retta (unica se x è semplice per f) che la sega secondo una o0' di punti | avente in x un punto doppio; per piano tangente nel punto (semplice) ® ad una oo di punti dello spazio rappresentata da f il piano che è luogo delle la cui intersezione ha in x un punto doppio. — L'ultima equazione mostra. poi che i punti di contatto di f colle rette o coi piani tangenti condotti da un | punto qualunque y sono quelli comuni ad f ed alla:polare di # di ordini #,_ n, Ecc. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 187 ‘definire le' corrispondenze projettive in modo che esse non mu- tino completamente natura, sicchè, ad esempio, si rappresentino ancora analiticamente con trasformazioni lineari, e si determi nino ancora perfettamente con lo stesso numero di coppie di elementi omologhi. Fu l’acuto ingegno di StAauDT che primo si accorse di ciò e che (B.°, 215, 226) aggiunse (per le forme di specie superiore, e sostituì per quelle di 1° specie) alle defini- zioni delle projettività la condizione che due tetradi (Wiirfe) omologhe siano della stessa specie rispetto al verso. — Che cosa egli intenda con ciò si vede subito, oltre che con una qualun- que delle rappresentazioni reali già ricordate degli elementi com- plessi di una forma di 1° specie, ricorrendo al valore della tetrade (B.°, 399) o birapporto dei quattro elementi (*): il coef- ficiente di 7 in esso determina col suo segno o col suo annul- larsi la specie della tetrade (neutra se quel cofficiente è nullo). — Sraupt osservò (B.°, 225, 226) che se ad ogni elemento di una forma si considera come corrispondente quello coniugato della forma coniugata, la corrispondenza che così si ha presenta tutti i caratteri sopra ricordati delle corrispondenze projettive , cioè di mutare i gruppi armonici e le forme fondamentali (di specie inferiore) in forme fondamentali, e pur non è una pro- jettività. Ma questo fatto si presenta anche in altre corrispondenze. Nel presente saggio vengono determinate e studiate tutte le corrispondenze che, senz’ essere projettive, hanno comuni con quelle projettive i caratteri citati. Mentre le projettività non alterano i birapporti, queste nuove corrispondenze li mutano nei coniugati, cioè mutano di specie, riguardo al verso, le tetradi non neutre. Per questa e per altre ragioni che vi si collegano e che risulteranno meglio in seguito, ho chiamate le nuove corri- spondenze antiprojettività (anticollineazioni od antireciprocità). Esse hanno fra loro e rispetto alle projettività relazioni analo- ghe a quelle che nello spazio hanno le simmetrie fra loro e rispetto alle uguaglianze. Così l'applicazione successivo (prodotto) di due antiprojettività dà una corrispondenza projettiva, mentre un’antiprojettività ed una projettività producono di nuovo un'an- (*) Questo numero (che proporrei di chiamare « birapporto » anzi che « doppio rapporto » 0 « rapporto anarmonico » ) si può, grazie a SraupT, KLEIN e DE PaoL1s, determinare senza valersi di misurazioni di lunghezze o d’angoli. 188 CORRADO SEGRE tiprojettività. Le corrispondenze antiprojettive s'individuano me- diante coppie «di elementi omologhi allo stesso modo che le pro- jettive ed in modo analogo si costruiscono. Lo studio delle antiprojettività si può far procedere in modo analogo a quello che per le corrispondenze projettive si usa nel- l’ordinaria geometria di posizione. Vi s'incontrano molte analogie con questa, ma anche molte differenze sostanziali (*). Noi ci fermeremo specialmente sulle antiprojettività 2nvolutorie, perchè esse coi loro elementi uniti (quando ne hanno) dànno quelli fra gli enti composti d’infiniti elementi complessi che sono i ‘primi da studiarsi nella trattazione generale sopra accennata. Così nelle forme di 1° specie esse dànno (da un nuovo punto di vista) le catene già menzionate di StauDT. Le anticollineazioni involu- torie del piano o dello spazio dànno certe co° ed co* di punti che per analogia ho chiamato catene di 2° o di 3° specie. In- vece le antireciprocità involutorie del piano e dello spazio dànno coi loro punti uniti (sempre, s'intende, ove ne abbiano) delle 00? ed oc°, che, per varie analogie con le coniche e le quadriche e per l'essere di una dimensione maggiore , si diranno iperco- niche ed iperquadriche; queste ultime possono essere o non rz- gate, precisamente come le quadriche. Ma, per citare qualche esempio in cui l'analogia cessa di valere, mentre una conica è anche il luogo dei punti uniti di reciprocità non polari e si ge- nera anche con fasci di rette projettivi (reciprocità piane dege- neri), il luogo dei punti uniti di un’antireciprocità piana non in- volutoria ed in particolare il luogo dei punti d'incontro dei raggi omologhi di due fasci antiprojettivi non è un’iperconica, ma bensì un ente oo° comune ad un fascio d’iperconiche ; e cose simili accadono nello spazio. — Quanto alle rappresentazioni analitiche, rilevo per ora soltanto il fatto che le catene di punti di una retta, le iperconiche nel piano e le iperquadriche nello spazio sì rappresentano con equazioni della forma (1) reali (nel senso sopra fissato) e bilzneari nelle rispettive coordinate e nelle co- niugate, cioè con equazioni del tipo (3)... Baio BEE 9), ove (4). Cage (*) Dove l’analogia potrà aiutare, l’ esposizione sarà fatta più conci- samente, par UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 189 Le varie specie di catene, le iperconiche, le iperquadriche, i sistemi che con esse si possono formare, generano fra loro e con le forme dell’ordinaria geometria, sia mediante riferimento pro- jettivo, sia mediante antiprojettività, una serie sterminata di nuovi enti iperalgebrici. Ma il presente lavoro deve limitarsi a porre le basi delle ricerche su tali enti (*). | Altre limitazioni ancora ho creduto conveniente d’impormi. Tutto ciò che qui si troverà esposto si potrebbe estendere me- diante semplici e facili generalizzazioni agli spazi di qualunque dimensione. Ma per facilitare la lettura a chi non avesse fa- migliarità coi ragionamenti relativi agli spazi superiori, m'è parso utile di restringermi (tranne che in poche note) allo spazio or- dinario. Per la stessa ragione non mi son valso delle rappresen - tazioni degli enti complessi su enti reali di spazi superiori, delle quali già feci cenno, e che in certe questioni sarebbero riuscite utili per illuminare o per facilitare la trattazione. Però, come già dissi, esse saranno studiate in un altro lavoro, nel quale serviranno anche ad introdurre un concetto nuovo che trae ori- gine dai risultati di questo Saggio. Il lettore vedrà cioè che qui s'incontrano quelle stesse distinzioni di più casi nel numero di soluzioni di ogni problema che già si avevano nell’Analisi e nella Geometria prima dell’introduzione dei numeri e degli elementi complessi. Orbene ad ottenere nel nuovo campo quella stessa generalità e semplicità d’enunciati che quelli procurarono al campo ordinario torna opportuna l’ introduzione di una nuova specie di numeri e di elementi geometrici, la quale si definisce mediante gli ordinari numeri ed elementi complessi come questi sì definiscono mediante i numeri ed elementi reali (#*). Ma di :(*) Nel fascicolo di Dicembre del Bulletim des sciences mathém., si trova una recensione di un lavoro danese del sig. JueL, intitolato: Bidrag til den imagindre Linies 0g den imaginire Plans Geometri, dalla quale appare che ivì (in vista specialmente delle applicazioni alla rappresentazione reale della retta e del piano complessi) quell’A. ha già considerato sotto il nome di simme- trali, le corrispondenze fra punteggiate e fra piani che io chiamo risp. anti- projettività ed anticollineazioni; come pure le catene piane. Lo scopo:di quello scritto sembra però affatto diverso dal mio; nè da quella recensione (su cui soltanto posso ora basarmi) appare che fra le due pubblicazioni vi sia molta affinità. (Gennaio 1890). (**) Se fra le parti reali ed i coefficienti di ? in un numero qualunque di variabili complesse si ha un sistema determinato di equazioni algebriche, 190 CORRADO SEGRE tale introduzione (che poi si può prolungare indefinitamente) basti qui questo cenno. Ho già detto fin dal principio che gli studi da farsi nel campo descritto possono avere un’ importanza tanto geometrica quanto analitica. Terminerò questa introduzione osservando come già in certe ricerche analitiche recenti si abbia un esempio par- ticolare di applicazione di cose che qui si tratteranno geometri- camente. Negli studi (specialmente in quelli particolari) sulle funzioni di una variabile complessa le catene semplici descritte da questa, cioè i circoli che le rappresentano nel piano o nella sfera su cui la variabile vien distesa, sono usati frequentemente: in particolare essi furono adoperati nelle ricerche sulle funzioni che non mutano per un gruppo di trasformazioni lineari della variabile, e specialmente in quelle sì generali e feconde del sig. Poincaré sulle funzioni Fuchsiane e Kleiniane. La ragione della loro utilità in quest’'argomento consiste principalmente, se ben sì osserva, in questi due fatti: che una catena semplice divide la forma di 1* specie, vale a dire tutto il campo dei valori complessi della variabile, in due parti, nello stesso modo che il cerchio rappresentativo divide in due regioni il piano o la sfera; e che le trasformazioni lineari della variabile mutano le catene in catene, cioè i cerchi imagini in cerchi. Ne deriva che i più semplici fra gli enti che per due o più variabili (non omogenee) corrispondono a quel che per una variabile sono le catene semplici, per modo da soddisfare pure a due condizioni analoghe alle pre- cedenti, vale a dire le iperconiche, le iperquadriche, ecc., dovranno prestare utili servigi nelle ricerche sulle funzioni di due o più va- riabili complesse, e specialmente su quelle che ammettono dei gruppi di trasformazioni lineari per lewariabili. Ed effettivamente nelle ricerche sulle funzioni di due variabili complesse fatte in questi ultimi anni dai sig.' PicARD e PoINCARE (*) e specialmente il numero delle soluzioni di questo sistema non dipenderà più soltanto dai gradi delle varie equazioni, ma potrà anzi variare col mutar dei coefficienti: e ciò in causa della realtà imposta alle attuali incognite. Si farà sparire quell’ inconveniente ammettendo che queste possano essere complesse e della forma a+ bj (con a, bd reali), indicando con j una radice quadrata di — 1 diversa da ti. Allora le variabili complesse assumeranno valori bicomplessi della forma a + bj + ci + dij. All’introduzione analitica così fatta (che del resto non è punto nuova) di tali numeri dicomplessi si può contrapporre in Geometria una definizione puramente sintetica di elementi bicomplessi. (*) V. particolarmente: Acta mathematica, té I, 1I, V,.1X. R - UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 191 in quelle del primo sulle funzioni ch'egli chiamò 7perfuchsiane, si trovano usate le iperconiche , definite in modo diverso dal nostro, cioè o analiticamente mediante le equazioni (3) e (4), oppure mediante le varietà che le rappresentano nello spazio reale a 4 dimensioni. Il sig. PicARD si trova così condotto ne- cessariamente a qualche ricerca sulla riduzione della (3) a forma, canonica, i cui risultati nella trattazione geometrica appariranno evidenti (*). Torino, autunno 1889. Proprietà generali delle corrispondenze antiprojettive. 1. Le corrispondenze tra forme semplici di cui noi dobbiamo anzitutto occuparci hanno comune, come già dicemmo , con le corrispondenze projettive la proprietà di trasformare i gruppi armonici in gruppi armonici. Se il campo geometrico si.limita agli elementi reali, questa proprietà caratterizza completamente le projettività, ed il sig. DaRBOUX potè dimostrare pel primo in modo interamente rigoroso (**) il teorema (fondamentale per la Geometria projettiva) di STAUDT, secondo cui una corrispondenza che goda di quella proprietà è pienamente individuata da tre coppie di elementi omologhi. Ma se, invece di restringerci al campo reale, consideriamo tutti gli elementi, tutte le forme, sì reali che immaginarie, questa proposizione cade e si ha invece che da tre coppie di elementi omologhi sono determinate due corrispondenze dotate di quella proprietà (con una certa limi- tazione (***)). Per dimostrare ciò basta riprendere il ragionamento analitico del sig. DARBOUX e farvi poche aggiunte. Si rappresenti analiticamente ogni elemento dell’una forma assumendo come sua coordinata il birapporto che esso determina (*) Aggiungerò che le forme del tipo (3) con le condizioni (4) e coi coef- ficienti (complessi) interi si sono pure già introdotte nella teoria dei numeri grazie ai sig. HermTE, Picarp”ed altri. (**) Sur le théorème fondamental de la geometrie projective. Mathematische Annalen XVII, p. 55. (***) V. le note seguenti. 192 CORRADO SEGRE coi tre elementi dati nella forma stessa ed analogamente si rap- presentino gli elementi dell'altra forma. Chiamando x la. coor- dinata di un elemento qualunque della 1° forma, quella del- l'elemento corrispondente si potrà indicare con (x), dove @ è una funzione (nel significato più generale di questa parola) avente un valore ben determinato per ogni valore della variabile com- plessa x. Per determinare questa funzione, e con ciò la corrispon- denza tra le due forme, abbiamo negli elementi fondamentali dei due sistemi di coordinate tre coppie di elementi omologhi, le quali dànno: [ig 0(0)=0, PI)i=1; o(00)=00 ; ed inoltre la proprietà che a gruppi armonici corrispondono gruppi armonici, la quale conduce immediatamente, come osserva il sig. DarBoux, alle due equazioni funzionali (2)... o(+y=9(2)+0 (4), (3)... o(2)=[9 (2)? - Da queste e dalle (1) si trae subito, come nota ancora il chiar.° geometra francese, che per valori reali e razionali di x si ha: (4)... dla) =. In conseguenza se ammettiamo la continuità della corrispondenza e quindi della funzione 9, almeno pei valori reali della variabile (*), la (4), varrà, al limite, per tutti i valori reali di y. Ma la (3) ci dà inoltre per 7=bdè: . [p(0d)P=9(- 2) (*) In forza della (2) basterebbe ammettere la continuità di g.(x),per. un tratto reale e finito dato ‘ad arbitrio per x, oppure anche soltanto la realtà di 9(x) per un tal tratto. Probabilmente però anche questa condizione è su- perfiua e la continuità della corrispondenza considerata e quindi di g.(%) per tutti i valori complessi di x risulta già senz’altro come conseguenza della proprietà di mutare i gruppi armonici in gruppi armonici, Ma questo fatto, che per corrispondenze e funzioni 9 reali fu dimostrato facilmente dal sig. Darpoux in base alle relazioni (1), (2), (3), non mi riuscì nel caso, attuale di provarlo in modo completo. 6°" EP UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 193 ossia, applicando nell'ipotesi che è sia reale la (4) ed estraendo la radice quadrata: (5)... c(bi==*bi. Nel 2° membro si dovrà prendere sempre il segno superiore, oppure sempre il segno inferiore: vale a dire, se e indica pure un numero reale, sicchè: © DEE de) — ct, il segno ambiguo di quest’uguaglianza sarà lo stesso che quello della precedente, perocchè dalla (2) segue: obi) +o(ci)=e[(+0)i] il che, confrontato colle (5), (5), prova appunto l’asserto. Ap- plicando finalmente la (2) per 7 =a e y= di, ove a e d sono numeri reali qualunque, e valendosi delle (4) e (5), si ha: (6)... o(a+bi)=a+bi, oppure Bel. ; o(a+bi) =a— bi. Si hanno dunque nelle (6) e (7) due diverse soluzioni del problema, poichè le corrispondenze definite risp. da quelle espres- sioni soddisfano effettivamente, come subito si vede, alle condi - zioni imposte. La corrispondenza rappresentata da (6) non è altro che la projettività fra le due forme individuata dalle tre coppie date di elementi omologhi. Invece la corrispondenza definita da. (7) è affatto diversa dalle projettività (*), e, secondo quanto (*) Ciò se si. tien conto della possibilità di passare (per via di costruzioni grafiche, movimenti, ecc.) dall’una forma all’altra. Ma non si distingue af- fatto una proiettività da un’ antiproiettività fra due forme se fra queste si considerano solo le relazioni indipendenti da ogni passaggio che effettiva- mente si possa eseguire dall'una all'altra. Invero, limitandoci per ora al caso di due forme semplici, se gli elementi di queste si determinano risp. con le coordinate a + bi, c+-dj (ove i:—=j*—=—1), non è possibile senza un pas- saggio (diretto od indiretto) dall’una all’altra forma fissare se sia j—=?, oppure j=—i; e però non si può distinguere la corrispondenza (6) dalla (7) — Questo fatto è analogo a quanto accade per le uguaglianze e le simmetrie nella geometria elementare. 194 CORRADO SEGRE già si disse nell’introduzione , verrà da noi chiamata antipro- jettività (*). (*) AI risultato di questo n° sì può anche giungere in modo più geo- metrico ricorrendo alla rappresentazione degli elementi delle due forme di 1° specie sui punti reali della sfera o del piano.»La condizione che a gruppi armonici corrispondono gruppi armonici si conserva per le imagini: quattro punti armonici della sfera o del piano rappresentativo sono quattro punti di un cerchio i quali su questo formino un gruppo armonico. Partendo da tre punti qualunque con successive costruzioni di quarti armonici sì otterrà un sistema (armonico) d’infiniti punti del cerchio congiungente quei tre, sì che, com’è noto, in ogni tratto del cerchio vi saranno infiniti di quei punti. Ai punti di un cerchio costituenti un tal sistema corrisponderà me- diante la data corrispondenza un analogo sistema di punti di un cerchio. Se quindi si ammette la continuità della corrispondenza (la quale invece, come già si disse, potrebbe essere dimostrabile) si potrà conchiudere che a tutti i punti di un cerchio corrispondono i punti di un cerchio. Quindi la corri- spondenza sulla sfera sarà una collineazione ; e quella sul piano sarà, se- condo la denominazione del M6BIUS, un’ affinità circolare (v. specialmente « Die Theorie der Kreisverwandtschaft in rein geometrischer Darstellung », MoBIus Werke, Bd. II, p. 243). Le trasformazioni collineari di una sfera ‘in se stessa, come le affinità circolari sopra un piano, sono di due specie, se- condo che conservano inalterati gli angoli ovvero li mutano di segno (al che corrisponde, ad es. per la sfera, il mutare in se stesso ciascuno dei due sistemi di generatrici rettilinee oppure lo scambiarli fra loro). Da tre coppie di punti omologhi è individuata, come si sa, una trasformazione di ogni specie. Ciò dimostra il nostro teorema. — Si possono poi considerare le trasformazioni di 1° specie come rappresentanti delle proiettività e quelle di 2* come ima- gini delle antiproiettività. Introducendo fin d’ora la locuzione « catena » di SraupT (di cui già si parlò nell’introduzione e che nei cap. seguenti sarà usata continuamente) si può (in forza di osservazioni precedenti) sostituire alla condizione della continuità una più ristretta aggiungendo alla condizione di mutare i gruppi armonici in gruppi armonici questa: che gli elementi dell’una forma costi- tuenti un tratto finito di una catena abbiano per omologhi elementi di una: catena. Ma anche questa condizione potrebb’ essere superflua. -- Lo STAUDT non incontra per le proiettività complesse questioni di tal natura perchè egli non le definisce più, come fece per quelle reali e come noi qui ancora fac- ciamo, ponendo a base la considerazione dei gruppi armonici, Egli mette in- vece nella loro definizione la proprietà di mutar le catene in catene, la quale contiene in se come conseguenza (B.°, 214) la trasformazione dei gruppi ar- monici in gruppi armonici, come pure la continuità e conduce subito nelle rappresentazioni suddette alle collineazioni della sfera ed alle affinità circo- lari piane. Quindi se si considerano tutte le corrispondenze che mutano le catene in catene, e se ne tolgono le proiettività, si avranno precisamente le nostre antiproiettività, UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 195 2. Un'antiprojettività fra due forme semplici è dunque una corrispondenza univoca e continua non projettiva tale che a gruppi armonici corrispondono gruppi armonici. (L'identità, essendo una particolare corrispondenza projettiva, non è un’an- tiprojettività). 11 risultato ottenuto al n. prec. e la forma della (7) ci danno subito le seguenti proprietà di questa corri spondenza. Essa è individuata da 3 coppie di elementi omologhi. Due tetradi omologhe in essa hanno valori (Girapporti) complessi coniugati : esse sono dunque o neutre entrambe (cioè con uno stesso valore reale), oppure di specie contraria rispetto al verso nel senso di STAUDT, Il prodotto di due corrispondenze antiprojettive è una pro- Jettività. Il prodotto di due corrispondenze, di cui una sia projettiva e l’altra antiprojettiva, è un'antiprojettività. Ne segue subito che: Il prodotto di un numero qualunque di corrispon- denze projettive ed antiprojettive è una projettività oppure una antiprojettività a seconda che il numero delle corrispondenze antiprojettive è pari od impari. Trasformando due forme anti- projettive mediante due projettività oppure mediante due anti projettività si ottengono ancora due forme antiprojettive ; così pure se le due forme erano projettive, rimarranno tali dopo quelle trasformazioni. Ecc. 8. Due forme (fondamentali) di 2° o di 3° specie sì diranno anticollineari, oppure antireciproche, quando tra i loro ele- menti è stabilita una corrispondenza univoca e continua, non projettiva (e quindi diversa dall’identità), tale che a due ele- menti non omonimi dell'una forma di cui il 1° giaccia nel 2° corrispondono rispettivamente due elementi non omonimi di cui il 1° giace el 2°, oppure passa pel 2°. Le due forme si diranno in ambi i casi antiprojettive; ed antiprojettività (anticollinea- zione oppure antireciprocità) si chiamerà la corrispondenza. Come questa effettivamente si possa costruire vedremo tosto. Perciò si osservi anzitutto che la proprietà con cui abbiamo definito siffatte corrispondenze, cioè quella stessa con cui STAUDT definisce nel campo reale quelle projettive (Geom. d. Lage, n. 121), conduce subito, come questo geometra notò, alla conseguenza che a gruppi armonici corrispondono gruppi armonici. Ne discende che due forme semplici omologhe sono o projettive od antipro- LÌ 196 CORRADO SEGRE jettive. Ma nel 1° caso è facile scorgere che la corrispondenza considerata sarebbe anch'essa projettiva, poichè dall’essere pro- jettive due particolari forme semplici omologhe si trae che sono projettive due. qualunque forme semplici omologhe (consideran- dole cioè come dedotte risp. dalle prime due mediante proje- zioni e sezioni), e su questa projettività si basa appunto la co- struzione delle collineazioni e delle reciprocità. Concludiamo che in due forme antiprojettive di 2° o di 3° specie le forme omo- loghe subordinate sono pure antiprojettive. 4. Possiamo quindi costruire un’ antiprojettività tra forme di 2° o 3° specie in modo perfettamente analogo a quello ché sì usa per costruire le projettività. — Ad esempio, per riferire due piani 7, 7' in un’ anticollineazione, si riferiscano due fasci. di rette A, B di x antiprojettivamente a due fasci A', B' di 7° per modo che in entrambe queste corrispondenze alla retta AB corrisponda A'B'; e ad ogni punto P di 7 comune a due raggi di A, B si consideri come corrispondente il punto P' comune ai due raggi omologhi di A', B'. Allora se P descrive una retta non passante nè per A nè per B, i due raggi A'P', BP' de- scriveranno due fasci antiprojettivi risp. a quelli descritti da AP, BP i quali sono projettivi fra loro col raggio unito AB; perciò anche i fasci descritti da A'P', B'P' saranno projettivi fra loro (n. 2) col raggio unito A'B' e quindi anche P' descriverà una retta. Se ne trae che la corrispondenza costruita fra 7 e 7' è veramente un'anticollineazione. Similmente volendo riferire anticollinearmente due spazi basta’ riferire due stelle A, B dell’uno a due stelle A', B' dell’altro in due anticollineazioni ie quali facciano corrispondere. fra loro i due fasci di piani aventi per assi AB, A'B' in una stessa an- tiprojettività, e poi considerare come omologo di ogni punto P. del 1° spazio il punto comune a quei raggi delle stelle A', B' i quali corrispondono ai raggi AP, BP di A, B. Allora sì vede; precisamente come nell’analoga costruzione della collineazione fra due spazi, che ai punti di un piano corrispondono i punti di un piano. -— Ecc., ecc. 5. Da queste costruzioni si trae, analogamente ancora alle projettività fra forme di 2* e 3 specie, che un’antiprojettività fra due forme di 2° oppure di 3° specie è imdividuata quando UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 197 di 4, oppure di 5 elementi omonimi indipendenti (*) dell'una forma si danno ad arbitrio gli elementi corrispondenti (pure indipendenti). Inoltre dai risultati dei n.' prec.' si deduce che ogni cor- rispondenza antiprojettiva muta le tetradi in tetradi aventi valori ( birapporti) conjugati. Ed anche quelle proprietà delle corrispondenze fra forme di 1° specie relative ai loro prodotti, che si son viste al n. 2, rimarranno valide per corrispondenze fra forme di 2° o di 3° specie. Ne segue ad esempio, che una potenza qualunque di un’antiprojettività fra due forme sovrap- poste è una projettività oppure un’ antiprojettività secondo che l'indice della potenza è pari od impari (**). E l’altro fatto a cui “così si giunge, che mediante trasformazioni projettive da forme antiprojettive si deducono ancora forme antiprojettive, conferma quanto già risultava dalla definizione delle antiprojettività, cioè che la loro teoria appartiene a quella geometria che ha per gruppo fondamentale di trasformazioni (#**) il gruppo delle tra- sformazioni projettive, vale a dire alla geometria projettiva. Si noti ancora a questo proposito che se si prende invece per gruppo fondamentale di trasformazioni quello che è deter- minato dalle antiprojettività, gruppo che abbraccia oltre a queste anche le corrispondenze projettive, si avrà una geometria che è contenuta in quella projettiva, ma che non le equivale comple- tamente (****). 6. Nell'introduzione fu già notato come allorquando ad ogni elemento di una forma si fa corrispondere il suo complesso- | Goniugato, si viene appunto a considerare una particolare anti- | projettività, che noi chiamiamo coniugio. Se la forma è reale, cioè coincide con la coniugata, il coniugio è un’ antiprojettività involutoria. (*) Per brevità chiamo indipendenti più punti dello spazio, oppure di un piano, quando fra essi non ve ne sono 4 coplanari, oppure 3 allineati: ed analogamente per le altre forme e per altri elementi. (**) Quindi un’antiproiettività ciclica è necessariamente di grado pari, poichè {| una sua potenza impari essendo antiproiettiva non può ridursi all’identità. (#**) V. KLEIN, Vergleichende Betrachtungen iber neuere geometrische For- schungen (Erlangen 1872), $ 1. Di questo importante lavoro, non abbastanza noto în Italia, si pubblicherà presto una traduzione negli Annali di matematica. T {®**) Cfr. KLEIN, loc. cit. $ 2. ( cirio 198 CORRADO SEGRE Ogni antiprojettività $ si può considerare come il prodotto del coniugio © e di una determinata projettività CS: ovvero anche come il prodotto di una projettività determinata SC e del coniugio G. Per tal modo tanto la definizione quanto le di- mostrazioni delle proprietà finora viste delle corrispondenze an- tiprojettive si potrebbero tutte dedurre da quelle note del con- iugio e delle projettività. Così si verificano subito di nuovo le proposizioni relative ai prodotti di corrispondenze projettive ed antiprojettive, non che quelle sul numero delle coppie di ele- menti omologhi con cui si determinano le antiprojettività ; numero che viene così a dedursi da quello relativo alle projettività. Ma anzi che soffermarci su ciò non sarà forse inutile (seb- bene pel seguito non occorra) l'osservazione seguente intorno agli enti geometrici reali. Diamo la denominazione di « reale » ad ogni ente, il quale per ciascun elemento complesso in esso con- tenuto contiene pure il coniugato, vale a dire ad ogni ente che sia trasformato in sè stesso dalla corrispondenza di coniugio. Se un tal ente ammette una trasformazione projettiva in sè stesso, esso ammetterà pure una trasformazione antiprojettiva, prodotto di quella e del coniugio ; e viceversa. Ne deduciamo che un ente reale con k trasformazioni projettive in se stesso (l’iden- tità inclusa) ammette pure precisamente k trasformazioni anti projettive. Per citare un solo esempio sì consideri una cubica piana reale non singolare e si vogliano quelle corrispondenze univoche fra i suoi punti le quali trasformano le terne di punti allineati in terne di punti allineati; allora oltre le 18 colli- neazioni ben note che sole si sogliono considerare vi saranno 18 anticollineazioni che pure soddisfaranno al problema. Natu- ralmente lo stesso fatto si presenterà, più in generale, per tutte le cubiche piane non singolari aventi l’invariante assoluto reale (e non per le altre). 7. Si possono considerare delle antiprojettività anche fra gli elementi di due forme semplici razionali qualunque, per es. fra i punti di due curve razionali (distinte o sovrapposte). — Data un’antiprojettività fra i punti di due coniche y, y' esiste una determinata anticollineazione dei piani dì queste, la quale de- termina appunto su 7, y quell’ antiprojettività. La dimostra- zione si fa analogamente a quelle note della proposizione cor- rispondente sulle projettività fra due coniche. Così,. chiamando UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 199 omologhe due rette dei due piani quando tagliano 7, y' in due coppie omologhe di punti, alle rette di un fascio del piano ‘di y saranno omologhe nell’altro piano le rette di un fascio, perchè 1’ involuzione che quelle determinano fra i punti di y sarà trasformata dall’antiprojettività data in un’involuzione fra i punti di y (n. 2). — Similmente si vedrebbe che un’antipro- jettività data ad arbitrio fra i punti di due cubiche sghembe “y determina nello spazio un’ anticollineazione che fa corri- spondere le due cubiche precisamente secondo quell'antiprojetti- vità. — Ecc. ecc. Così pure per determinare nello spazio un’anticollineazione che faccia corrispondere fra loro due date quadriche ,y" si pos- sono assumere ad arbitrio le due antiprojettività che essa deter- mina fra le due schiere di rette di * e risp. le due schiere (in un ordine arbitrario) di y'. Invero allora alle generatrici di che s'incontrano su un dato piano 7 e quindi si corrispondono in una projettività saranno omologhe su ‘)' nelle due date anti- projettività delle generatrici che pure si corrisponderanno in una projettività e quindi s’incontreranno su un piano 7'; e se 7 de- scrive un fascio, evidentemente anche x' descriverà un fascio; donde si conchiude che la corrispondenza stabilita è un’anti- collineazione. Se in queste proposizioni sì suppone che le due coniche, o le due cubiche sghembe, o le due quadriche, siano sovrapposte in una, si ha il modo di determinare tutte le anticollincazioni che trasformano in sè stessa una data conica 0 una data cubica sghemba, 0 una data quadrica, cioè che sono permu- tabili alla polarità che da questo ente vien determinata. Fa- cendo il prodotto di questa polarità e di quelle anticollineazioni sì avrebbero poi le antireciprocità che trasformano in sè stessa una data conica, 0 cubica sghemba, o quadrica. Come si vede tutte le determinazioni di tali antiprojettività si riducono a quelle di antiprojettività su forme semplici. Le anticollineazioni e le antireciprocità che mutano in se stesse una quadrica sarebbero poi (come le collineazioni e le reciprocità) da distinguersi in due specie, secondo che mutano ciascuna schiera di generatrici in se stesse ovvero scambiano fra loro le due schiere. 8. Occupiamoci ora brevemente, escludendo però le anti- projettività involutorie, alle quali saranno invece dedicati i cap. 200 CORRADO SEGRE seguenti, degli elementi uniti delle antiprojettività tra forme sovrapposte, ed in pari tempo delle coppie di elementi invo- lutori, chiamando ‘nvolutorio rispetto ad una corrispondenza ogni elemento a cui in questa corrisponda in doppio modo (cioè ri- spetto alla corrispondenza stessa e rispetto alla sua inversa) uno stesso altro elemento (che sarà pure involutorio). È chiaro cl.e ogni elemento il quale sia unito oppure involutorio per un’antipro- jettività sarà unito per la projettività (collineazione) quadrato di questa, e viceversa ogni elemento unito della projettività qua- drato sarà unito oppure involutorio per l’antiprojettività. Da ciò e dalle cose note sul numero e sulla posizione degli elementi uniti delle projettività nelle varie forme si traggono subito le se- guenti proposizioni. In esse si osserverà una distinzione di casi generali che non ha l’analoga nelle projettività : che ciascuno di quei casi sia possibile risulta dai modi che già conosciamo per determinare le corrispondenze antiprojettive ; che poi non conduca necessariamente a corrispondenze involutorie (come si potrebbe per alcuni casi sospettare, ricordando certe proposizioni note sulle involuzioni semplici e sulle polarità nel piano e nello spazio) risulterà da cose che si vedranno poi su queste. Un'antiprojettività su una forma semplice può in generale presentare due casi: avere cioè due elementi uniti, e nessun ele- mento involutorio; oppure non avere alcun elemento unito ed averne due involutori (*) (**). (*) Come caso intermedio, particolare, si avrebbe quello in cui vi è un solo elemento unito, corrispondentemente al caso in cui la proiettività qua- drato ha un solo elemento unito. Ma qui, ed anche in seguito, mi limiterò quasi sempre ai casi generali. (**) Alla considerazione dei due elementiwuniti nel 1° caso, e dei due ele- menti involutori nel 2° si possono collegare notevoli proprietà metriche delle antiproiettività, Come per le corrispondenze proiettive la proprietà metrica fondamentale consiste nell’uguaglianza dei birapporti omologhi, così per quelle antiproiet- tive essa consiste nel fatto (n. 1) che i birapporti omologhi sono coniugati. Da questa si derivano varie altre relazioni particolari con procedimenti si- mili in parte a quelli usati nell’ordinaria geometria. Così se M, N sono due punti uniti di due punteggiate antiproiettive so- vrapposte ed A, A’ e B, B' due coppie qualunque di punti omologhi, sarà (MNAB) coniugato a (MNA'B'), cioè questi due birapporti avranno moduli uguali ed argomenti opposti (a meno di un multiplo di 2.T). Sviluppandoli si deduce a MAMA! \iLo a (7 NE) OI Na Ming 0 NB ND UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 201 Un'anticollineazione piana generale può avere per elementi uniti i vertici ed i lati di un triangolo e non avere alcun elemento involutorio; oppure può avere solo un punto unito ed una retta unita; ma due punti involutori su questa, congiunti a quello da due rette involutorie. Fra i casi particolari che si possono pre- sentare è notevole quello in cui la collineazione, senz’essere in- volutoria, ba un'infinità di elementi uniti; il suo quadrato deve allora ridursi ad un’omologia e l’antiprojettività involutoria che sull'asse di questa (od intorno al suo centro) vien determinata ed ì sio MAMA" _ ig MB. MB' Soeva aNafior 0 NBesNBh ossia (4) mod. (MNAA') —= cost. MA . MA' (2) 28. NA NE cost., ove s'intende che A, A” sia una coppia variabile di punti omologhi. on le stesse convenzioni, se M, N anzi che punti uniti sono due punti corrispondentisi in doppio modo nelle due punteggiate proiettive, e però in- volutori, si ottiene similmente: MA . MA’ ©) moda NA (4) = arg. (MNAA') =cost. ==iGOSÌ Aggiungiamo due altre relazioni, che si ottengono considerando i punti limiti |, L’ delle due punteggiate (cioè gli omologhi dei punti all’infinito) ed esprimendo che sono coniugati i birapporti (I00 AB) e (co L'A'B'); esse sono: (5) = mod. (IA . L'A') = cost. IA (6) arg. 7 = cost. Tralasciamo per brevità i casi particolari in cui i punti all’infinito delle due punteggiate si corrispondono, ecc., e solo osserviamo che ciascuna delle tre coppie di relazioni (1), (2); (3), (4); (5), (6), ove vi si considerino ancora A, A' come mobili, può servire a definire l’antiproiettività. Del resto tali re- lazioni che corrispondono ad alcune proprietà ben note delle punteggiate | proiettive, equivalgono ad altre relative alle affinità circolari del MòB1Us; in particolare le (5) e (6) coincidono in sostanza col $ 9 della Theorie der Kreis- verwandtschaft già citata. Se anzi che di punteggiate si tratta di fasci (di rette o di piani) antipro- iettivi, le relazioni (1), (2), (3), (4) si conservano purchè i segmenti si sosti- tuiscano con seni di angoli. Si noti poi che, allo stesso modo che per due fasci proiettivi, per due fasci antiproiettivi vi son sempre due elementi ad È: È Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 15 202 CORRADO SEGRE dall’anticollineazione deve avere un'infinità di punti uniti (o rette unite); questi insieme col centro d’omologia daranno tutti i punti uniti dell’anticollineazione. Un'’anticollineazione spaziale può in generale dar luogo a 3 casi: 1° avendo per elementi uniti tutti gli elementi di un te- traedro, senz’ avere alcun elemento involutorio ; 2° avendo due punti uniti e due piani uniti passanti risp. per essi, ed inoltre due punti involutori sulla retta d’intersezione di questi piani, e due piani involutori che risp. li congiungono alla retta con- tenente i due punti uniti; 3° non avendo alcun punto o piano unito, ma due coppie di punti involutori risp. su due rette unite e due coppie di piani involutori passanti risp. per queste. — Può però l’anticollineazione, avendo per quadrato ‘una collinea- zione con una o due rette di punti uniti ovvero un’ omologia, acquistare infiniti punti uniti su una o su due rette o su un piano ; ecc. Un’antireciprocità piana generale ammette tre punti involu- tori e tre rette involutorie, vertici e lati di un triangolo. O accade che rispetto all’antireciprocità a ciascun vertice corrisponde (in doppio modo) il lato opposto, oppure questo si verifica solo per un vertice, mentre a ciascuno degli altri corrisponde un lato che lo contiene. Ma può presentarsi il caso particolare in cui tutti i punti di una retta (e tutte le rette di un fascio) sono invo- lutori, ecc. Infine un’antireciprocità spaziale ha in generale per elementi involutori quelli di un tetraedro. O a ciascun vertice di questo corrisponde la faccia opposta; o ciò accade solo per due vertici, mentre ad ognuno degli altri due corrisponde una faccia pas- sante per esso; o finalmente ogni vertice corrisponde ad una faccia che lo contiene. In casi particolari possono esservi infi- niti punti involutori su una o su due rette o su un piano, ecc. angolo retto I, L dell’uno, cui corrispondono nell’altro due elementi I’, L' pure perpendicolari fra loro. (Sono infinite siffatte coppie quando ai due ele- menti ciclici od assoluti dell’un fascio corrispondono nell’altro i due elementi ciclici: in due tali fasci antiproiettivi due angoli omologhi qualunque hanno valori che si possono assumere come coniugati) Come analoghe alle (5), (6 sì ottengono allora le relazioni (3) ic ea ‘ ig T'A' (6’) arg. (tg IA . tg l'A')= cost. = cost. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 205 9. Terminiamo queste considerazioni generali sulle antipro- jettività col darne la rappresentazione analitica. La si può de- durre subito da quella particolare che al n. 1 si trovò per le forme di 1° specie (ovvero anche dal riguardare, come al n. 6, un'antiprojettività quale prodotto del coniugio e di una projet- tività). Da questa discende in fatti che, se si chiamano ,, ', le coordinate degli elementi omologhi di due forme qualunque an- tiprojettive quando per elementi di riferimento (fondamentali ed unità) si prendano in esse elementi omologhi, si avrà: ii X,=1% . Se invece i sistemi di riferimento nelle due forme si pren- dono ad arbitrio, la nota forma analitica della trasformazione di coordinate ci conduce dalle precedenti alle seguenti formole per la corrispondenza antiprojettiva MEI Et donde risolvendo i "AA / PALATI 2 ’ t4 e prendendo i coniugati dei due membri: Îm = z di m di c 1 Si vede dunque che nel caso più generale le coordinate di un elemento dell'una forma si esprimono come forme lineari dei coniugati delle coordinate dell'elemento omologo nell'altra forma. Nello stesso modo come una projettività si rappresenta con un'equazione bilineare, così un’antiprojettività si può anche rap- presentare con un’equazione della forma d Um Li 70 _ 0 ’ che equivale alla coniugata > e xi La = 0 e Si deve allora intendere che ad es. se si tratta di un’antireci- procità fra due spazi, le x ed ' siano coordinate di due punti reciproci, cioè tali che l’uno giaccia sul piano omologo dell'altro ; ed analogamente negli altri casi. 204 CORRADO SEGRE 40 Da queste rappresentazioni analitiche risulta subito che un’antiprojettività ha per ‘nvariante il determinante dei coeffi- cienti @,,, (*): invero eseguendo sulle variabili z e sulle x' della forma X a,,, €, X',, due sostituzioni lineari, quel determinante verrà solo a moltiplicarsi pel determinante della 1° sostituzione e pel coniugato di quella della 2*. Perchè le corrispondenze definite analiticamente nei modi detti siano univoche completamente, come finora supponevamo, bisogna escludere il caso che quel determinante dei coefficienti @,, sia nullo. Però per maggior generalità si possono anche in questo caso considerare quelle corrispondenze come antiprojettività (de- generi), e si potranno distinguere in degeneri di 1°, 2°, 8°,.. specie secondo che non sono tutti nulli i primi suddeterminanti del detto determinante, oppure sono tutti nulli, o sono anche nulli i suddeterminanti secondi, ecc. ecc. Le proprietà di tali corrispondenze sono affatto analoghe a quelle delle projettività degeneri e si possono ottenere subito sia direttamente in modo simile a quello che si usa per queste, sia considerandole come prodotti di antiprojettività non degeneri (per es. del coniugio) e di projettività degeneri. Così un'antiprojettività degenere fra due forme semplici coin- cide perfettamente con una projettività degenere. — Un’anticol- lineazione degenere (di 1° specie) frae due piani determina su questi rispettivamente un fascio di rette ed una punteggiata ri- feriti antiprojettivamente fra loro (coi sostegni negli elementi singolari della corrispondenza). Analogamente un’antireciprocità degenere fra due piani riferisce antiprojettivamente tra. loro certi due fasci di rette (oppure certe due punteggiate) sicchè ad ogni punto di una retta dell’un fascio corrisponde la retta omologa dell’altro fascio, ecc. — Similmente le anticollineazioni ed antireciprocità degeneri dello spazio non conducono in so- stanza che ad antiprojettività (non degeneri) fra forme di 2° o di 1* specie. (*) Rappresentando l’equazione dell’antiproiettività simbolicamente con x quel determinante si potrà, a seconda che si è nel campo binario, o terna- rio, ... rappresentare con (ab) (ad), oppure (abc) (ade), ... UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 205 Come nella consueta trattazione della Geometria projettiva, così nella teoria attuale le corrispondenze tra forme sovrapposte che meritano prima di tutte uno studio speciale sono quelle in- volutorie. Per analogia chiameremo antinvoluzioni ed antipo- larità risp. le anticollineazioni e le antireciprocità involu- torie (*); di esse tratteranno le Note seguenti. (*) Le antinvoluzioni in forme di 1* specie appariranno come analoghe tanto alle antinvoluziori quanto alle antipolarità delle forme di 2* e 3? specie. L’Accademico Segretario GiusePPE Basso, | n 302 aetdmniro so 3 BO IE #0 DTT avitistorà e pisa niido DI al S O) nt ati 9) RO danni rece de dot 213 » erogato) of-ofaòti È 1 savio Gra Sia? viale gan sint ‘ih Sat! i » Lagitu fo tntisiota AUREA do Artt Sttaviti ffisorcitogyitste sf ole inotàa ni feto tra O DF° 2 cadi, pus iuss ao vaneisttedi orali Ù Per” “ È ® | difgolcàa Ario oedgniztà + - ius ate Sf 10% na Fu cia n . } aripinza "È 32 ila aerei gliol. Gti toga alla cd a asrpo iso ls0A 0) i WA, fa) è pla $ vs Li MT di i ° > i PMR VA Od murs pan & h 4 é «alidcati 3194 bi) able CLASSI UNITE Adunanza del 5 Gennaio 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE In questa adunanza vien conferito il Premio Bressa al sig. Comm. Domenico CompARETTI, Prof. emerito dell’ Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze. Il Segretario pel Premio Bressa ANDREA NACCARI. BE di dita LI Ri o È; L'A LU hi È Ù % Li tou SIT MBAR ALTO dfn OERI ciassbli@lilà [sb sana A AMOZBGAS AIMEE LLORERAABT0O MIDO dI TERAMO Cocoa ln seront oimrorti li otimstaoo more: asmastuba | ii otatitel'Fof otieno: dor tania) odicentl cis par asagtii gi nfretstoitàag ib. 0. iotatg vg Gg 4 * pe ì Neto orari. aq colto. # 4 DA ALMA | Classe di Scienze Fisiche, Matematiche 6 Nai | ADUNANZA del 12 Gennaio 1890 mobiclorofenolo bel ie MT Tate a br mofenolo dl L ) ni PIA NLAN age gi < S5n A dra —_ Seere - Un nuovo campo di rice SCIENZE : o ba uil AcoADRNIOI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI (XIV, Dee 6,1 x MICRO di DA Fa », 9 ALS aa Sienze Fisiche, Matematiche e Naturali. o air Pec RL : di 209 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 26 Gennaio 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, Bruno, BeRrRUTI, D’'Ovipio, FERRARIS, NAccaRI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, CAMERANO, SEGRE, e Basso Segretario. Si legge l’atto verbale dell’ adunanza precedente che viene approvato. Tra le pubblicazioni offerte in umaggio all'Accademia viene segnalata la seguente: « Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia compa- rata della R. Università di Torino; n. 53-79, presentato a «nome degli autori dal Socio Basso. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine che segue : « Sulla funzione della linea lucida nelle cellule malpi- ghiane; > Nota preventiva dei Dottori Oreste MartIROLO e Luigi BuscaALIonI presentata dal Socio GIBELLI; « I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria descritti dal Dott. Federico Sacco; parte VII: (Har- pidae e Cassididac): Continuazione dell’opera omonima del Prof. L. BELLARDI presentata dal Socio CAMERANO. Desiderando però l’autore che questo suo lavoro venga accolto nei volumi delle Memorie, il Presidente nomina una Commissione incaricata di _esaminarlo e riferirne alla Classe in una prossima adunanza. | | Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 16 210 ORESTE MATTIROLO E LUIGI BUSCALIONI LETTURE Sulla funzione della linea lucida nelle cellule malpighiane ; Nota preventiva dei Dott. OrestE MattIROLO e Luigi BUSCALIONI La superficie del tegumento seminale delle Leguminose e di moltissime altre famiglie (1) è tapezzata da uno strato di cellule lateralmente inspessite, allungate radialmente, la cui cavità piena generalmente di residui plasmici, di un nucleo e di pigmento tannico, si continua in numerosi canalicoli scavati nelle robuste pareti, i quali si portano all’esterno fin sotto la membrana di rivestimento (2) attraversando a tutto spessore le cellule. Questi elementi scoperti dal Malpighi (1675), d'onde il nome che loro fu dato dal 7argioni- Tozzetti, attirarono in ogni tempo l’attenzione degli studiosi a causa del curioso fenomeno della Linea lucida. È questa una linea fortemente rifrangente, più o meno incolora, ad onta che le cellule siano abbondantemente impregnate di pigmento, la quale sì estende su tutta la superficie del seme, decorrendo in grande vicinanza della estremità libera delle cellule, ove determina uno speciale restringimento dei ca- nalicoli che l’attraversano. (1) Tiliaceae, Sterculiaceae, Malvaceae, Cucurbitaceae, Labiatae, Mimoseae, Cesalpinieae, Convolvulaceae, Geraniaceae, Canneae, Marsiliaceae, etc. (2) Crediamo più opportuno e logico indicare col nome di membrane 0 strati di rivestimento, quelle membrane o quegli strati membranosi, i quali dagli autori vennero finora (in questi casi particolari) designati col nome di cuticola e strati cuticularizzati. I motivi che ci inducono a proporre questa modificazione nella termino- logia basano in questo caso sopra ragioni d’indole anatomica e microchimica; la evidente analogia coi rivestimenti degli spazi intercellulari, le condizioni evolutive dell’ovulo racchiuso nella cavità ovarica che si può riguardare analoga a questi spazi (condizioni che quantunque morfologicamente diffe- rentissime, motivano analoghi rapporti istologici) verranno discusse nel lavoro che stiamo apprestando. SULLA FUNZIONE DELLA LINEA LUCIDA 211 Va notato che quella parte di cellula interposta fra la su- perficie del seme e la Linea lucida, reagisce diversamente da quella che costituisce il corpo degli elementi, in quanto che, abbia essa una fronte pianeggiante, oppure termini in un cono impiantato nella membrana di rivestimento, nella sua composi - zione chimica interviene una cellulosa più o meno modificata ed assai spesso uno speciale scheletro di suberina, il quale dà una impronta affatto originale a questi elementi. Dopo che Schleiden e Vogel nel 1838 riconobbero, senza tentarne per altro la spiegazione, il fenomeno della Linea lucida, moltissimi osservatori si accinsero a scrutarne l’intima natura e la funzione, venendo a non meno numerose e disparate conclu- sioni. Il Mettenius (1846) la ritenne dovuta a pori canali che si corrisponderebbero in tutte le cellule dello stesso strato. Adolfo Targioni- Tozzetti ammise che fosse dovuta a diversa rifrazione che i raggi luminosi subiscono penetrando in questi elementi, formati nella metà esterna da molteplici fibrille e nella metà interna da una cavità a pareti sottili. Hanstein diede successivamente due spiegazioni : nel 1862 ammise che nelle Marsiliacee le cellule Malpighiane risultassero di due elementi sovrapposti e che la Linea lucida segnasse ap- punto le pareti divisorie fuse intimamente assieme. Quattro anni dopo ritenne invece che fosse dovuta ad un disco perforato for- temente rifrangente, il quale , attraversando nello stesso piano tutti gli elementi cellulari, darebbe origine al fenomeno. Russow (1872) ascrisse ad una minore quantità di acqua di costituzione lo splendore di questa linea ; spiegazione accettata più tardi anche dall’Haberlandt (1877). Dopo il Russow noi vediamo accamparsi le teorie chimiche per la spiegazione del fenomeno Il Sempolowski (1874) ammise infatti lungo il decorso della Linea lucida una particolare modificazione chimica della mem- brana, che il Zolde nello stesso anno reputò essere dovuta ad una cuticularizzazione. Il sig. G. Beck spiegò più tardi (1878) il fenomeno atte- nendosi alle idee di Russow e di Haberlandt, ma nello stesso tempo ammettendo concomitante una modificazione chimica che egli dichiara impossibile determinare coi mezzi microchimici. Il Godfrin nel 1880 così si esprimeva a questo riguardo: Aa ORESTE MATTIROLO E LUIGI BUSCALIONI Nous devons en conclure , qu'avec les moyens d’ observation dont nous disposons actuellement, nous ne pouvons que con- stater le fait de la ligne lumineuse, sans lui trouver aucune explication plausibile. Destituita d’ogni valore scientifico è la spiegazione data dal Junowicz, il quale afferma che la Linea lucida non è mai chi- micamente modificata, ma è dovuta alle fisiche proprietà della membrana nel decorso di detta Linea adattata per una forte rifrangenza. Infine uno di noi (1885) (1) sulla scorta di numerose rea- zioni microchimiche, mise in rilievo che la Linea lucida è dovuta a modificazione chimica e che in molte famiglie è formata di cellulosa più o meno modificata, avente però caratteri tali che si avvicinano a quelli conosciuti proprii alla lignina, mentre in altre è costituita da vera lignina. Abbiamo così dato un rapidissimo sguardo alla storia del- l'argomento e descritto per sommi capi i canalicoli e i rapporti che contraggono colla Linea lucida, la composizione chimica e la struttura di questa e le modificazioni che subisce la fronte libera delle cellule attraversate a tutto spessore dai canalicoli ; vediamo ora quale sia il valore fisiologico della Linea lucida, quale fanzione cioè essa compia nella biologia del seme. A) Se si immergono dei semi di Phascolus, Faba, Pisum, Tilia, ecc. in soluzioni acquose di aniline e sì esamina a diversi intervalli lo stato dei tegumenti seminali, si riesce a sorpren- dere la penetrazione graduale del liquido dalle cellule Malpi- ghiane ai tessuti profondi. La Linea lucida spicca sulla mem- brana di cui fa parte per minor capagità di colorazione. Se invece delle aniline, energicamente fissate dalle pareti cellulari, per le quali hanno una forte elettività, si adopera una soluzione acquosa di nitrato d'argento, (che si può all'occorrenza precipitare nei tessuti col cloruro di sodio) si osservano gli stessi fatti, ma la Linea lucida è assolutamente priva del precipitato (1) D. O. MartiROLO, Sullo sviluppo e sulla natura dei tegumenti seminali nel genere Tilia Linn. (1885). Nuovo giorn. bot. italiano. Firenze. Id. La linea lucida nelle cellule malpighiane degli integumenti seminali, (Vedi in questo lavoro la dettagliata rivista bibliografica delle opinioni citate 1885). Memorie R, Accademia delle Scienze di Torino, Serie IT, Tom, XXXVII. SULLA FUNZIONE DELLA LINEA LUCIDA F13 che impregna invece la membrana, tanto nella parte anteriore, quanto nella porzione retrostante a detta Linea. I granuli sono in special modo accumulati nella sostanza dell’estremità libera delle malpighiane, al di dietro della Linea lucida, nel contenuto plasmico e in minor copia nella parte basale della membrana. Inoltre se si esamina con obbiettivi ad immersione si vedrà anche il lume dei canalicoli riempito da un deposito granulare il quale segna in tal modo la via tenuta dalla soluzione. I risultati ottenuti colla ricerche fatte usando le soluzioni di nitrato di argento, potrebbero ingenerare il dubbio che in presenza del tannino, così abbondante nelle malpighiane (fatta eccezione della linea lucida), si avesse una riduzione di detto sale esclusivamente laddove si presenta il tannino e così verrebbe a mancare il fondamento delle nostre osservazioni. A queste obbiezioni rispondiamo osservando che gli stessi fatti si notano anche nei tegumenti seminali privi affatto di tan- nino (Lupinus ad es.). Per di più facendo assorbire da questi tesumenti delle soluzioni tanniche, le quali venivano quindi da noi ricercate coll’acido osmico all’1 °/, (metodo assai raccoman- dabile), coi sali ferrici ecc., si manteneva brillante la Linea lucida, la quale anche per queste sostanze si conserva imper- meabile e quindi viene così dimostrato il fatto che la presenza del tannino non può invalidare le nostre osservazioni. B) Alcuni semi di Phaseolus, Vicia Faba, Pisum, ecc. venivano posti in diversi recipienti contenenti sostanze coloranti differenti, iodio, bleu di metile, nitrato di argento ecc., sciolte in alcohol assoluto e lasciati in contatto del liquido per oltre 24-48 ore. Trascorso questo tempo i semi presentavano appena debol - mente colorata la superficie esterna, ad onta che i cotiledoni e gli strati profondi del tegumento fossero fortemente tinti a causa del naturale diffondersi del liquido attraverso il canale micro- pilare. Sezionati allo stato secco ed esaminati in alcohol assoluto od olio, si notava pressochè costantemente che la colorazione erasi fissata sul plasma e sulle membrane degli strati profondi, mentre le cellule malpighiane avevano solo colorato, e debolmente, la parte di membrana interposta fra la linea lucida ed il liquido del recipiente. Se la dimora dei semi nei differenti liquidi raggiungeva 5 214 ORESTE MATTIROLO E LUIGI BUSCALIONI a 5 giorni. allora la colorazione si portava anche sulle cellule malpighiane procedendo dalle parti profonde verso le superficiali. Per eliminare il sospetto che il risultato ottenuto dipendesse da poca affinità delle malpighiane per le dette sostanze sciolte in alcohol assoluto, noi abbiamo sezionato dei tegumenti allo stato secco e li abbiamo immersi nelle stesse soluzioni alcooliche adoperate per l'esperimento, ottenendo una colorazione abba- stanza intensa delle cellule malpighiane, fatta eccezione per la Linea lucida che assumeva una tinta molto meno carica. C) Finalmente abbiamo eseguito una ultima serie di espe- rienze per completare le precedenti. Dei semi di Vicia Faba, Phaseolus... tagliati trasversal- mente per metà, liberati dai cotiledoni, venivano riempiti di nitrato d’argento in soluzione acquosa o di altro liquido colo- rante. La soluzione rimaneva molte ore nella sacca senza riuscire alla superficie esterna. All'esame microscopico si notava una intensa colorazione di tutti i tessuti tegumentali comprese le mal- pighiane; ma il liquido si arrestava costantemente al di dietro della Linea lucida, spiccante come una benda ialina. Prolun- gando di molto la durata dello esperimento, la colorazione si diffondeva lango i canalicoli sulla fronte cellulare che riesciva in tal modo tinta. Da questi esperimenti possiamo quindi razionalmente con- chiudere : 1) La via tenuta dalle sostanze coloranti per portarsi dal- l’esterno verso l’interno del seme è segnata da quegli innume- revoli canalicoli che sboccano all’esterno. 2) La stessa via è percorsa dai liquidi nel cammino opposto. 3) La lmea lucida si oppone all'uscita dei liquidi senza intralciarne l’entrata, (1) come lo prova il fatto, che già poche ore di immersione dei semi sono sufficienti per la penetrazione del liquido dall’esterno ai tessuti profondi; mentre 24 e più ore, (1) Va notato che queste due funzioni possono compiersi con differente energia nei semi delle Papilionace@e. Ad es. nei piccoli semi, quasi sempre ricchi di albume a chilario poco sviluppato, il passaggio dei liquidi dall'esterno all’interno attraverso alle malpighiane si fa lentissimamente e ciò forse per impedire un troppo rapido rigonfiarsi degli elementi gelificati dell’albume, _ che determinerebbe una dannosa ed intempestiva rottura del tegumento se- | minale, SULLA FUNZIONE DELLA LINEA LUCIDA GIÒò come si è veduto nell’ esperimento di progressione dall’ interno verso l’esterno, non bastano perchè il liquido possa oltrepassare la barriera della Linea lucida. A questa spetta adunque la funzione di conservare una atmo- sfera di umidità attorno all’embrione e di impedire che nel de- corso dei giorni secchi avvenga una troppo rapida sottrazione di acqua al seme, specialmente dannosa quando si inizia la germi- nazione. Come si compia la funzione della Linea lucida e come possa introdursi l’acqua nel seme attraverso le malpighiane è facile a capirsi. La sostanza più o meno mucilaginosa che forma la fronte delle cellule e che rinforza la membrana di rivestimento, sotto l'influenza dell'umidità, si gonfia, i canalicoli si imbevono d’acqua che per capillarità trasportano nei tessuti profondi. La sostanza della Linea lucida, poco permeabile all'acqua e in conseguenza poco rigonfiabile, seguendo la fronte cellulare (a cui aderisce), nei suoi movimenti di espansione, determina, non. già una chiu- sura (come succederebbe ove si rigonfiasse) ma sibbene un au- mento nel diametro dei lumi canalicolari. Questa passiva distensione della linea lucida viene pure con- fermata dal fatto, che le sostanze coloranti sciolte in alcool as- soluto non possono penetrare nel tegumento per la ragione, che non essendo capaci di rigonfiare l'estremità libera delle cellule, non allargano neppure gli anelli pericanalicolari della linea lucida. Avvenuto l’immagazzinamento d'acqua, se per cause esterne la superficie del seme viene ad essiccarsi, ritorna in conseguenza la Linea lucida a restringersi, producendo una valida chiusura dei canalicoli ed a guisa di lamina impermeabile impedisce così la fuoruscita del liquido. Torino, 2 gennaio 1890. L’Accademico Segretario GIUSEPPE Basso. è ea an IS hit di "(IONE opradnat ID. aflrotaza: diaeesaott fo fisso al [ di parto 055 E SOI BILE L710) sogni fil githogi aguorrtrno | Dica odi bt i ni adore 6) Gf 100: Hr aliis Biguibw ni Beeo] du; ua. È i dito 1» BI Gi ILE. Fo, po," inni os 110129 fieno dip DAN Si dere sro 000 VIRIDATE soufliai ipo KO ATAIZ MAMTTICO I vs? MAGICO 7 vie SPINO sal CM" “yda 106 ALI ; gi DELE CI Di) è 19CLO IE gote dh Iusu devi 13 ato #1) LOTO? | o O Div caos fia SRI nidog 04 vari frane! noire sto Rendi I oso voti cre. aan ie furbi cone pesi 100 i baro BI, (00:1° GUGIUZARI (PL 000 fatina stone) etici scie oonepi at iapstio! gori: . orcssuia SAU $t tx su vafk PALA LI i fy chocrastn bi it e Agro 1 La Lada i edile ns ATTO pelo »io SHIMBMIO orto tif sai di A i rei aly suoiua I A ppi Boi srt; alititoo olo! amo after ci ibioni nonil allnb | (1064 Hi I mina BIRSPsy ya 184) be sg Le fo (REA ENNATRAOA “= ibiiogga: cone né duet pe: 101117 GI IVERESISCO VO ALATTCIOO và panigniaglo sbilgy svi obtioasiott ggsmninieoi A pis od imrcibogar afidgogrnieaizioni ! . sin ipore». 853008 o Api: rnfstarpi fe DA vee | NZIMERITT.IO i er — Metti; ‘e : Mr. su Mr ST ) TIGULLIO VZIBINATO Ù 3) di Lai Lila K mai dt: Sato \ Bini a. 100 - f* “aa acini (IGEA VOTE SI GILLI Ab gr DI MUR) val: suifiga i. pure ica (Liri Mmertii 1) pan dr. aC NE, » pi MALA 289 3 VII SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 26 Gennaio 1890... LL... MartIROLO e BuscaLioni — Sulla funzione della linea lucida nelle cellule -malpighiane: 01 SSA pe dee I gue NB. A questa dispensa va unita la Tavola II relativa alla Memoria del Prof. G. Bizzozero: Nuove ricerche sulla struttura del midollo delle ossa negli uccelli, pub- blicata nella Dispensa 3°, pag. 106. I i “TE Torino — Tip. Reale-Paravia. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Ò " DICTORINO - DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI | Vor. XXV, Disp. 7°, 1889-90 Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO. CATREOLC DERITSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 217 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 9 Febbraio 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE ‘Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, SALVADORI, Bruno, BerRUTI, D’OvipIio, Bizzozero, FERRARIS, NAccARI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Letto ed PSITOINTITTÀ l’atto verbale dell’adunanza precedente, sì dà comunicazione delle lettere dei professori Luigi CREMONA ed Eugenio BELTRAMI in cui porgono ringraziamenti per la loro nomina ‘a Soci nazionali non residenti dell’Accademia. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine seguente : v « Sulle superficie d'influenza per le reazioni d’ostacoli e molecolari nei sistemi staticamente determinati » ; Nota dell’Ing. Elia Ovazza, presentata dal Socio Cossa; d « Sulla corrispondenza algebrica fra due spazi rigati » ; Nota del Dott. Mario PIERI, presentata dal Socio SEGRE; 249 « Relazione intorno al lavoro del Dott. Federico SAcco (Sui molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Li- guria) (Harpidae o Cassididae), ecc. » ; del Socio CAMERANO con- deputato col Socio SALVADORI. __ La Classe, accogliendo le conclusioni favorevoli della Rela- one, ammette alla lettura questo lavoro, e poscia ne delibera Witiserzione ‘nei volumi delle Memorie. Ri bo Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV, 17 218 ELIA OVAZZA LETTURE Sulle superficie d’ influenza per le reazioni, d’ostacolo e molecolari, nei sistemi staticamente determinati ; Nota dell’ Ingegnere ELia Ovazza. 1. Lo studio dei sistemi staticamente indeterminati consi- derati come elastici, presupponendo lo studio delle deformazioni da questi subite per l’azione delle forze che li sollecitano, con- dusse man mano gli scrittori di statica delle costruzioni dal campo della meccanica dell’equilibrio a quello della cinematica, onde i numerosi recenti lavori trattanti cinematicamente l’ argomento della stabilità delle costruzioni. } Il nuovo metodo di trattazione applicato ai sistemi statica- mente determinati, pei quali, a dir vero, parrebbe ozioso a tutta prima il ricercare nuovi metodi di studio, mercè la diretta ap- plicazione del principio degli spostamenti virtuali, che in sè tutta comprende la statica dei sistemi materiali, conduce a proposi- zioni generali comprendenti come corollarì dei teoremi fin qui dimostrati per vie affatto diverse, epperciò riduce ad una sola teorie studiate finora indipendentemente fra di loro. A questo si aggiunga l’altro vantaggio di trasformare problemi riferentisi a grandezze astratte quali sono le forze, in problemi riguardanti movimenti, fenomeni d’ indole essenzialmente geometrica; e dai quali appunto traggiamo il concetto di forza; si aggiunga la fiducia, non delusa nel presente caso, che ogni nuova trattazione di un argomento oltre che ad importanti dilucidazioni possa approdare a soluzioni semplici di quesiti ancora considerati come pratica- mente intrattabili in causa della complicanza dei calcoli cui con- ducono i metodi preesistenti, e si avranno sufficienti ragioni perchè questo nuovo metodo di trattazione debba almeno prender posto fra quelli attualmente adottati. 2. Nella presente nota ci limitiamo allo studio della varia influenza che sulle reazioni, d'appoggio e molecolari, provocate SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 219 in un sistema staticamente determinato hanno le diverse con- dizioni di carico, studio il quale, com’è noto, è fondamentale per quella parte di scienza delle costruzioni che occupasi della stabilità dei sistemi determinati staticamente. 3. Fra le forze sollecitanti un sistema materiale in equi- librio, vincolato ad ostacoli, alcune comportansi a guisa di va- riabili indipendenti, volta per voltà supponendosi note in gran- dezza e direzione, altre variano in grandezza e direzione col variare delle prime, di cui possono considerarsi funzioni. Fra le prime vanno considerati: i pesi delle varie parti del sistema, i sovraccarichi che questo deve sopportare, ecc. ecc.; fra le se- conde annoveransi invece : le reazioni che gli ostacoli oppongono alle parti del sistema di cui limitano la mobilità, e le reazioni molecolari che attraverso ad una sezione qualunque idealmente condotta attraverso il sistema si trasmettono le due parti del sistema che trovansi da bande opposte rispetto a quella sezione. Le forze prima considerate verranno in seguito indicate col nome di azioni o di carichi (*), senza supporre per questo che sieno sempre dirette verticalmente; le altre forze, funzioni dei carichi, si diranno senz'altro reazioni. ‘4. La reazione offerta da un ostacolo contro un determi- nato membro del sistema, per la natura stessa cedevole dei materiali onde constano le due parti in contatto, è distribuita con continuità, vale a dire è costituita da un sistema di forze elementari succedentisi in modo continuo. Condotta per un punto arbitrario O una terna di assi 0x, 0y, Oz, per semplicità or- togonali, diremo che la reazione dell’ostacolo è staticamente determinata quando sieno determinate le caratteristiche, rispetto a quei tre assi, del sistema continuo di forze costituente tale reazione, e cioè allorchè sieno conosciute le somme, X, Y, Z, delle proiezioni di tutte le forze del sistema sugli assi 0, Oy ed Oz, e le somme, M,, M,, M., dei momenti di dette forze rispetto agli stessi assi 0x, 0y, Oz rispettivamente. Assunto il punto O a centro di riduzione del sistema, le (*) In meccanica generale assumono il nome di forze esterne direttamente applicate, 220 ELIA OVAZZA somme X, Y, Z misurano le componenti secondo 04, 0y, ed Oz della risultante di traslazione, mentrechè M,, M,, ed M,, misurano i momenti delle coppie componenti la coppia principale, aventi assi-momenti secondo 0Ox, 0y, ed Oz. rispettivamente. Perciò può anche dirsi che X, Y, Z sono le componenti finite, M,, M, ed M, sono i momenti delle componenti infinitamente piccole ed infinitamente lontane della reazione d’ostacolo consi- derata per riguardo all’assunta terna di assi coordinati. 5. Circa la forma dei sistemi materiali che prenderemo a considerare supporremo sempre in seguito, ciò che può farsi senza che il problema perda in generalità per riguardo alle tecniche applicazioni, che tali sistemi o sieno dei solidi a forma di trave oppure sieno costituiti da membri aventi forma di trave fra loro vincolati in diversa guisa, intendendo che un solido abbia forma di trave quand’esso possa generarsi mediante il movimento di una figura piana, di forma in generale variabile, che si mantiene normale alla traiettoria del proprio baricentro. Com'è noto, questa traiettoria prende il nome di asse o di fibra media della trave, ed ogni posizione della figura piana generatrice di sezione tra- sversale della trave. Ciò posto, condotta in un membro qualunque. d’un dato si- stema in equilibrio sotto l’azione di certi carichi una sezione trasversale ,S qualunque, attraverso i vari elementi di tale sezione una parte A della trave così sezionata reagisce sull’altra por- zione B, per modo che la reazione che la parte A offre contro la B attraverso la sezione ,S costituisce un sistema continuo di reazioni molecolari, il quale verrà da noi indicato con l'epiteto di reazione molecolare attraverso la, sezione S della parte A contro la parte BE. Come per una reazione di ostacolo, diremo che la reazione molecolare attraverso una data sezione S' è sta- ticamente determinata quando saranno tali le sue caratteristiche per rispetto ad una terna di assi convenientemente scelta. 6. Ordinariamente si pone l'origine della terna di assi coor- dinati nel baricentro G della sezione, si sceglie un asse Ga coincidente con la normale per G al piano della sezione (epperciò _ tangente in G all’asse della trave), gli altri due assi Gy e Ga ortogonali e giacenti nel piano della sezione medesima. Per tale scelta la componente finita X secondo Gx può dirsi reazione | SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 221 normale finita attraverso la sezione S, le componenti Y e Z finite secondo Gy e (Gz possono chiamarsi reazioni tangenziali finite nelle direzioni y e 2; la coppia M, reazione tangenziale infinitamente piccola e lontana, e le coppie M, ed M, reazioni normali infinitamente piccole e lontane attorno agli assi y e 2 rispettivamente. Trattandosi di trave in equilibrio, la reazione molecolare attraverso la sezione trasversale ,S' della parte B contro la parte A è direttamente contraria alla sollecitazione esterna per la sezione ,S considerata appartenente alla porzione A, cioè al sistema delle forze esterne agenti su questa porzione, com- prendendo fra queste le reazioni che sulla parte A del membro considerato esercitano gli altri membri ad essa direttamente vin- colati. Segue che in valore assoluto la reazione finita normale attraverso la sezione ,S è eguale allo sforzo mormale per tale sezione, che le reazioni finite tangenziali dànno per risultante una forza eguale in valore assoluto allo sforzo di taglio, che la reazione tangenziale infinitamente piccola e lontana è misurata dal momento di torsione, e che finalmente le due reazioni normali infinitamente piccole e lontane equivalgono ad una coppia diret- tamente opposta alla coppia momento flettente per la sezione S. 7. Determinata staticamente una reazione, d’ostacolo ovvero molecolare, la sua determinazione effettiva, cioè la determina- zione della legge con cui tale reazione si ripartisce sulla superficie attraverso cui agisce, forma argomento della Teoria dell’elasti- cità e resistenza dei materiali. 8. Quanto ai carichi facciamo osservare che nei casi pratici essi possono ordinariamente ripartirsi in pochi gruppi, ciascuno dei quali comprenda forze aventi tutte una stessa direzione (chè dette azioni sono generalmente pesi oppure pressioni dovute al vento e queste per lo più agiscono sopra superficie piane); per la qual cosa, finchè nulla avvertiremo in contrario, intenderemo d'or in avanti fra di loro paralleli tutti è carichi, limitandoci per intanto a considerare gli effetti dovuti alla variazione del- l’intensità e direzione loro. 9. Un carico concentrato P si muova senza variare di di- rezione e d’intensità per modo che il suo punto di applicazione 222 ELIA OVAZZA descriva una superficie limitante un dato sistema materiale — superficie di applicazione del carico — (superficie di coperta per una tettoia, d’estradosso per una vòlta, d'impalcato per un solajo od un ponte, ecc.), e si immagini determinato per ogni posizione del carico P il valore di una certa caratteristica È d’una determinata reazione, d’ostacolo ovvero molecolare, provo- cata da quel carico. A partire da un piano — piano fonda- mentale — normale alla direzione costante del carico, ed avendo riguardo al segno, s’imaginino disegnati sulle singole linee d’azione del carico P dei segmenti proporzionali ai corrispondenti valori della forza R. La superficie luogo degli estremi di tali segmenti ci dà la rappresentazione geometrica della legge secondo cui il valore della forza E dipende dalla posizione del carico concen- trato P, e dicesi perciò superficie d’ influenza su quella forza E per quel carico mobile P. 10. In virtù del principio della sovrapposizione degli effetti un carico d’intensità «P avente la direzione del carico P, es- sendo « un numero astratto qualunque, tende a provocare a parità di posizione su quella considerata parte del sistema una reazione d’intensità « R; quindi a carichi concentrati mobili di diversa intensità ma di eguale direzione corrispondono superficie d’influenza affini fra di loro, la qual cosa del resto risulterà dimostrata direttamente in seguito per i sistemi staticamente de- terminati. 11. Data la superficie d’influenza su di una caratteristica R per un carico concentrato P, è facile dedurne il valore di tale forza R per una condizione qualunque di carichi concentrati a, P,a,P,....;P,.... n P, valore ch'è dato dalla somma- toria 2 «; R;, indicando genericamente con È, l’ordinata, letta nella voluta scala, della superficie d'influenza intercetta sulla linea d’azione del carico «,P. Dallo studio geometrico della su- perficie d’influenza e della legge con cui varia la condizione di carico, si potranno volta per volta dedurre i valori limiti della caratteristica £. 12. Se la costruzione è sollecitata da un carico ripartito in modo; continuo , proiettisi ortogonalmente su un piano qua-. lunque normale alla direzione dei carichi - piano fondamentale = SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 225 la superficie di applicazione dei carichi. In corrispondenza di ciascun elemento A 7 della proiezione così ottenuta si elevi a partire dal piano fondamentale un’ordinata misurante il rapporto = DE intensità del carico in corrispondenza di quell’ele- mento AXx— ove AP rappresenta il carico elementare agente attraverso l’area AZ. La superficie luogo degli estremi di tali ordinate prende il nome di superficie di carico. Da questa definizione risulta immediatamente che il volume compreso fra tale superficie, il corrispondente piano fondamentale ed una superficie cilindrica chiusa qualunque avente generatrici nella direzione dei carichi, è proporzionale all’intensità della ri- sultante dei carichi agenti nell’interno di detta superficie cilin- drica, e di più ha baricentro sulla linea d’azione di tale risultante. Supposto p costante, la superficie di carico è un piano pa- rallelo al fondamentale , ed il carico dicesi uniformemente ri- partito. 13. Si consideri un elemento qualunque d Y della superficie | piana fondamentale, e sieno p ed r i valori delle corrispondenti ordinate, lette nelle rispettive scale, della superficie di carico e . della superficie d’influenza. Attraverso l’elemento d F° agisce un | carico elementare p.d4F, che provoca una reazione elementare | misurata da pr.dF, laonde il valore. della reazione totale È provocata da tutto il carico ripartito è misurato da R=({prar, quando intendasi il doppio integrale esteso a tutta la porzione F di superficie fondamentale attraverso cui agisce il carico ri- partito. Supposto il carico uniformemente ripartito d’intensità p, si ha più semplicemente li=% {] rdF, cioè la reazione È provocata da tutto il carico è misurata dal volume del solido compreso fra la superficie d'influenza, il ri- spettivo piano fondamentale ed il cilindro a generatrici normali a questo piano, entro cui agisce il carico. 2 224 ELIA OVAZZA 14. Stabilito così il modo con cui si utilizza la conoscenza della superficie d’influenza relativa ad una data reazione per la determinazione dei valori che tale forza assume in corrispon- denza delle diverse possibili condizioni di carico, passiamo alla ricerca delle singole superficie d’influenza. Ci varremo perciò del principio delle velocità virtuali (*). 15. Trattisi di costruire la superficie d'influenza per una reazione d’ostacolo. Al sistema materiale in equilibrio, soggetto a certi carichi P e svincolato dai suoi ostacoli e dalle condizioni che regolano la variabilità di forma dei suoi membri mediante l’applicazione al sistema delle reazioni d’ostacolo e delle forze interne provo- cate dai carichi, s'imprima virtualmente un moto infinitesimo qualunque. Detti rispettivamente L,, L;, ed L, i lavori totali elementari che per tale movimento fanno i carichi, le forze in- terne e le reazioni d’ostacolo, pel principio su ricordato si ha : L_3,4L/=0° © o (1). Se per tale moto virtuale un membro del sistema diretta- mente vincolato ad un ostacolo resta invariato, si scomponga il suo moto elementare in tre moti di traslazione secondo tre assi Ox, Oy, Oz ed in tre moti rotatori attorno ai medesimi assi. Se questi assi scelgonsi coincidenti con quelli cui si riferiscono le caratteristiche X, Y, Z, M,, M, ed M, della reazione del- l’ostacolo, detti x, y, 2 gli spazi elementari pei tre moti di tras- lazione nelle direzioni omonime rispettivamente, e È, n, 6 gli spazi angolari (percorsi dai punti del membro posti a distanza uno dall’asse di rotazione), il lavoro virtuale della reazione del- l'ostacolo è, com’ è noto, dato dalla somma Xx + Yy+Zez+5M,+nM,+654M, i; Se quindi lo spostamento di tutto il sistema è tale che restino — invariati tutti i membri direttamente soggetti ad ostacoli, indi- cando con p lo spostamento del punto d’applicazione d’un carico P, proiettato sulla direzione di P, la (1) riducesi alla seguente : È Pp+K,+LZXx+LYy+ZZe+25M +Z2aM,+25M,=0 (1) Five sthe- — «ie SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 225 intendendo le sommatorie estese a tutte le quantità analoghe ri- ferentisi al sistema. 16. Suppongasi ora che, tolto un ostacolo, il sistema materiale considerato insieme coi suoi ostacoli venga a costituire una ca- tena cinematica desmodromica (*) od a connessione completa (**) cioè acquisti tale mobilità che, impresso ad un suo punto uno spostamento determinato, ogni altro punto del sistema assuma un movimento ben determinato in grandezza e direzione, senza che perciò vengano a deformarsi i vari membri del sistema; e si dia uno spostamento infinitesimo compatibile con le condizioni degli ostacoli rimanenti e tale che il membro già direttamente soggetto all’ostacolo rimosso si sposti con moto progressivo nella direzione d’un asse, 0x p. es., di una quantità infinitesima %. In altre parole, sostituito a quell’ostacolo un altro che si op- ponga a tutti i moti componenti cui l’ostacolo tolto si opponeva, ad eccezione della traslazione secondo 0x, suppongasi che il sistema formi con gli ostacoli ai quali resta ancor soggetto, una catena cinematica desmodromica, e diasi a tale sistema uno spostamento infinitesimo compatibile coi suoi ostacoli, senza che perciò fac - ciano lavoro Je forze interne. Per tale spostamento è applicabile l'eguaglianza (1°), di cui svaniscono il 2° termine e gli ultimi 5 termini a primo membro, riducendosi alla 1 Xx—=-—- = E Pp È Ho Analogamente, impressi successivamente al sistema due spo- stamenti virtuali per cui essendo soddisfatte le condizioni imposte dagli altri ostacoli e non provocandosi alcuna forza interna, il membro direttamente soggetto all’ostacolo considerato scorra ri- ‘spettivamente delle quantità elementari y e 2 nelle direzioni omonime, si ottiene : 1 à vel Apa, FA Y Y (*) F. ReuLEAuXx, Teoria generale delle macchine. — Traduzione di G. Co- LomBo, Hoepli, 1876, pag. 82. (**) H. ResaL, Traité de mecanique generale. — Gauthier-Villars, 1873, vol. I, pag. 296. / / 226 ELIA OVAZZA Queste tre equazioni ultime determinano adunque le .compo- nenti finite X, Y, Z della reazione del considerato ostacolo, quando conoscansi i rapporti ad x, y, 2 degli spostamenti simul- tanei p dei punti d’applicazione dei carichi per quei tre sposta- menti virtuali del sistema. 17. Supposto i carichi ridotti ad uno solo d'intensità eguale all’unità di forza, che converremo d’indicare col segno 1, dalle tre ultime equazioni ricavasi, fatti x, v, 2 eguali all’unità lineare, che indicheremo col segno 1 : p P p = ee = — - s MAZIONE I A 1 di Y 7 4 i 4 equazioni che condenseremo nella sola : p Bi=+ 31,0 con ì POS 2 DA () indicando genericamente con R una qualunque delle caratteri- stiche X, Y, 4. L’eguaglianza (2) può enunciarsi: Il valore È d'una com- ponente finita qualunque della reazione d’un ostacolo, provocata da un solo carico concentrato d’intensità 1 agente sul sistema materiale, è misurato in valore assoluto dallo stesso numero che misura lo spostamento del punto di applicazione del carico 1 nella direzione di questo carico, quando, tolto l'ostacolo di cui trattasi, diasi, s’ è possibile, al membro già direttamente vincolato a quest'ostacolo, uno spostamento infinitesimo, assunto per unità lineare 1, nella direzione di BR, per modo che sieno soddisfatte le condizioni imposte dagli altri ostacoli ed inoltre non vengano a deformarsi î vari membri del sistema. 18. Analogamente rimosso un ostacolo e dato, s’è possibile, al sistema tale spostamento virtuale che non facciano lavoro le forze interne e le reazioni dei rimanenti ostacoli, e che infine il membro già soggetto all’ostacolo rimosso ruoti attorno ad uno degli assi, Ox per es. per uno spazio angolare infinitesimo È , dalla (1') ricavasi, supposti i carichi ridotti ad uno solo d’ in- tensità 1: SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 227 ed assunto È= 7, unità lineare, Da questa eguaglianza e dalle altre due analoghe, che otten- gonsi mediante rotazioni elementari attorno agli altri due assi Oy ed Oz, ricaviamo una proposizione riguardante le caratte- ristiche-momenti d'una reazione d’ostacolo, completamente con- sona con quella enunciata a n° 17 per le componenti di intensità finita : I valore M, del momento della reazione d'un dato ostacolo attorno ad un asse Or prestabilito, provocata da un solo carico concentrato 1, è misurato dallo stesso numero che misura lo spostamento del punto di applicazione del carico 1 nella direzione di questo carico, quando diasi al sistema, s'è possibile, tale spostamento per cui non lavorino le forze in- terne nè le reazioni degli altri ostacoli, mentre il membro direttamente soggetto alla reazione dell'ostacolo rimosso rota attorno all'asse Or di uno spazio angolare elementare assunto per unità di spostamento. 19. Siccome le proposizioni enunciate ai numeri 17 e 18 non presuppongono speciali posizioni del punto di applicazione del carico, da esse ricaviamo direttamente la seguente regola per la costruzione della superficie d'influenza di un carico 1 sul valore di una caratteristica qualunque della reazione di un ostacolo: Rimuovasi quest’ostacolo e, s'è possibile, imprimasi al si- stema materiale tale spostamento per cui essendo soddisfatte le condizioni imposte dai rimanenti ostacoli, nè provocandosi forze interne per deformazione dei membri del sistema, cioè ritenuti rigidi tali membri, il membro direttamente vincolato all’ostacolo rimosso si sposti con moto progressivo o di trasla- zione nella direzione d’un dato asse Ur d’una quantità infi- mitesima, che assumasi per unità di spostamento 1, e si de- terminino gli spostamenti nella direzione del carico 1 dei singoli punti della superficie d’applicazione del carico; ciascuno di tali spostamenti dà la corrispondente ordinata della su- perficie d'influenza per la componente finita R secondo l’asse Or della considerata reazione d’ostacolo, cioè è proporzionale all’ordinata di detta superficie, che va distesa sulla retta se- condo cui tale spostamento misurasi. 228 ELIA OVAZZA Trattandosi invece di una componente infinitamente piccola e lontana, p. es. della coppia componente avente asse-momento secondo una retta data Or, rimosso l’ostacolo cui si riferisce, diasî, s'è possibile, al sistema tale spostamento infinitesimo che, essendo soddisfatte le condizioni imposte dai rimanenti ostacoli, e rimanendo invariati i singoli membri del sistema, il membro direttamente vincolato all’ostacolo rimosso roti at- torno ad Or d’una quantità infinitesima. Assunto per unità di lunghezza lo spostamento subìto da un punto qualunque di tale membro distante dell’unità lineare dall'asse Or, si mi- surino gli spostamenti nella direzione del carico subìti dai singoli punti della superficie d'applicazione del carico : ognuno di tali spostamenti misura l’ordinata della superficie d'influenza per la caratteristica-momento considerata, che va distesa sulla retta secondo cui tale spostamento fu misurato (*). 20. Ordinariamente un ostacolo non si oppone ad ogni sorta di movimento che imprimer si voglia al membro su cui diret- tamente agisce; nella direzione dei movimenti permessi dall’osta- colo le componenti della reazione da esso opposta sono nulle, e quindi la determinazione della reazione medesima riesce notevol- mente semplificata. Va osservato però che in tali casi, invece che imprimere al membro direttamente soggetto all’ostacolo un moto nella direzione di una delle caratteristiche non nulle della reazione, basta imprimere tal movimento che risulti composto di (*) A quanto ci consta, primo ad enunciare questa regola e l’analoga a n. 28 fu il prof. Roberto Lanp di Chemnitz im notevoli lavori ch’egli stesso usò la cortesia di comunicarci. In questi lavori il Lanp si occupa più special- mente di quanto ha applicazione ai sistemi piani di cui ci occuperemo in un prossimo lavoro. Cfr. Rosert LanD: Zeitschrift des bsterr. Ingenieur - und Architekten. - Vereines, 1888. » » Schweizerische Bauzeitung, 1887. » » Wochenblatt fim Baukunde, 1887. » » Civilingenieur, 1887. » » Centralblatt der Bauverwaltung, 1887. Cfr. anche sull'argomento: MùLLER BRESLAU: Die graphische Statik der | Baukonstructionen. — Leipzig, 1887. Mosa: Beitrag 3ur Theorie des Fachwerks - Zeitschrift d. Arch - und Ing. - Vereins zu Hannover -— 1874. SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 229 uno avente quella direzione e di altri aventi le direzioni secondo cui non può reagire l'ostacolo. 21. Così se un ostacolo consiste in una superficte su cui debba scorrere senz’attrito un membro del sistema appoggiandovi per una porzione piccolissima, senza che perciò sia impedita dal- l’ostacolo alcuna rotazione intorno all'elemento di appoggio (per es. il membro appoggiasi per un’ estremità arrotondata su di una superficie piana), assunta la terna di assi cui riferire le ca- ratteristiche della reazione per modo che un asse, Ox per es., coincida con la normale all’elemento di appoggio e gli altri due sieno diretti secondo due tangenti a questa superficie, l’ostacolo impedisce soltanto movimenti aventi per componente un moto progressivo secondo 0x; dal che deducesi che la reazione del- l'ostacolo riducesi ad una forza finita secondo Oz, e la corri- spondente superficie d’influenza determinasi mediante la 1° pro- posizione a numero 19, attribuendo al membro che appoggiasi all’ostacolo uno spostamento infinitesimo qualunque proiettantesi sulla normale alla superficie d’appoggio in un segmento eguale all'unità lineare 7. 22, Se l’ostacolo è una linea su cui deve scorrere senz’at- trito un elemento del sistema materiale, assunta la terna di assi per modo che uno di essi, 0x, coincida con la tangente alla linea ostacolo nel punto di contatto del membro da essa ritenuto, e gli altri due, 0y ed 02, sieno due normali ivi condotte alla detta linea, sole non si annullano le componenti finite della reazione di appoggio secondo 0y ed Oz, e quindi la legge di variazione della reazione determinasi mercè una duplice applicazione della regola 1° a n. 19, spostando virtualmente il sistema di quantità infinitesime per modo da imprimere successivamente al membro vincolato all’ostacolo due spostamenti, ciascuno dei quali o sia di traslazione secondo una delle normali Oy ed 02, oppure abbia componente di traslazione secondo una sola di esse. 23. Se un ostacolo impedisce ogni traslazione, ma permette ogni rotazione attorno ad un punto fisso M al membro su cui agisce, la reazione corrispondente ha nulle le caratteristiche mo- menti per riguardo ad una terna d’assi con origine in M, e la 230 ELIA OVAZZA legge con cui tale reazione varia deducesi mercè una triplice ap- plicazione della regola 1% a n. 19. 24. Analogamente dicasi per le altre possibili sorta di osta- coli, che qui non crediamo di passare in rassegna, rimandando alla trattazione dei casi speciali che ci proponiamo di fare in seguito. 25. Occupiamoci ora delle superficie d'influenza per le rea- zioni molecolari. Trattisi della reazione molecolare agente attraverso una se- zione trasversale S d’un dato membro del sistema in equilibrio sotto l’azione di certi carichi P: si sciolga la continuità di tale membro attraverso la sezione S e si applichino sulle due faccie combacianti delle due parti A e B del membro, separate dalla sezione ,S, le reazioni mutue di dette parti; con ciò le condizioni statiche del sistema restano invariate. Riferite dette reazioni ad una terna di assi, Gx, Gy, Ge, se vuolsi, per semplicità disposti secondo che si disse a n. 6, dicansi X, Y} Z, M,,M,,ed M, le caratteristiche per la reazione molecolare della parte A contro la parte B; saranno — X, —Y, —-Z, —M,, —M,, — M, le ca- ratteristiche della reazione esercitata dalla parte B contro la A. Mediante l’ indicato scioglimento di continuità, il sistema acquista mobilità maggiore di quella posseduta avanti che fosse fatta le sezione. Suppongasi che a sezione fatta il sistema con- siderato costituisca, con gli ostacoli suoi, una catena cinematica desmodromica, per modo che, soddisfacendo alle condizioni im- poste dagli ostacoli e senza provocare deformazione alcuna nelle varie parti, (a meno di quella prodotta sezionando secondo ,$), per uno spostamento ben determinato di un punto del sistema sia determinato in modo univoco lo spostamento di ogni altro punto. 26. Dato uno qualunque, purchè infinitesimo, di tali spo- stamenti al sistema, scomponiamo il moto relativo d’una delle parti A e B del membro sezionato rispetto all’altra in tre moti di traslazione secondo gli assi ed in tre moti rotatorî attorno ai medesimi. Indichiamo con «, y, 2 gli spostamenti elementari per moti progressivi, con £, 7, $ gli spostamenti angolari elementari pei moti rotatorî; poichè pel moto considerato non fanno lavoro: SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 231 le reazioni degli ostacoli nè le forze interne provocate nel sistema all'infuori delle reazioni molecolari agenti attraverso la sezione S, si avrà pel principio degli spostamenti virtuali : 2 Pp+xX+yY+zZ+6M,+nM,+$M,=0...(4). 27. Supposto ora i carichi P ridotti ad un solo concentrato d’intensità 1, e dati successivamente al sistema movimenti infi- nitesimi per cui, restando soddisfatte le condizioni indicate pre- cedentemente, il moto relativo delle parti A e B del membro sezionato sia una semplice traslazione elementare secondo uno degli assi Gx, Gy e Ge, od una semplice rotazione elementare attorno ai medesimi assi (*), otteniamo dalla (4) le equazioni; | Mozart Fatte rispettivamente x, y, 2, €, , $ eguali all’unità lineare 7, le precedenti eguaglianze si possono condensare nelle seguenti; Srl i arto si bo (0) indicando genericamente con ,S una componente finita, con p. una | componente infinitamente piccola e lontana della reazione mole- colare attraverso la sezione considerata. Le eguaglianze (5) e (6) come le analoghe (2) e (3) pos- sono enunciarsi : Il valore S d’una componente finita in una data direzione s della reazione molecolare provocata attraverso una sezione da un solo carico concentrato d’'intensità 1 è misurato dallo stesso numero che misura lo spostamento infinitesimo del punto d'applicazione del carico 1 nella direzione di questo carico, (*) Questo equivale sostituire alla continuità del membro sezionato un tale vincolo fra le due parti di questo, che permetta uno solo di tali sposta- menti relativi fra le due parti, e dare uno spostamento infinitesimo alla catena einematica risultante, 232 ELIA OVAZZA quando al sistema diasi, s'è possibile, tale spostamento infini- tesimo che, essendo soddisfatte le condizioni d’ostacolo e rima- nendo invariati i membri del sistema e le due porzioni A e B del membro sezionato, queste due parti soffrano uno spostamento relativo equale ad 1 nella direzione s. Il valore pu. d'una caratteristica-momento, attorno nd un dato asse s, della reazione molecolare provocata attraverso una sezione da un solo carico concentrato d’ intensità 1 è misu- rato dallo stesso numero che misura lo spostamento infinite- simo del punto d’applicazione del carico 1 nella direzione di questo carico, quando al sistema diasi, s'è possibile, tale spo- stamento infinitesimo che, soddisfatte le condizioni d’ostacolo e rimanendo invariati i membri del sistema e le due porzioni A e B del membro sezionato, queste due parti soffrano una rotazione relativa attorno all'asse s per modo che sia eguale ad 1 lo spostamento relativo di due punti, già coincidenti, posti a distanza eguale all’unità lineare dall’asse s. 28. Come per le reazioni d’ostacolo, dalle precedenti pro- posizioni derivano immediatamente le seguenti regole per la costruzione della superficie d’influenza per una caratteristica qua- lunque d’una reazione molecolare attraverso una sezione pre- stabilita S': Fatta la sezione S, diasi, s'è possibile, al sistema materiale tale spostamento infinitesimo per cui, essendo soddisfatte le con- dizioni d’ostacolo, e restando invariati le due parti del membro sezionato ed i membri rimasti interi, quelle due parti sì muo- vano l'una rispetto all'altra con moto di traslazione nella di- rezione s della caratteristica di cuw trattasi, s'è forza finita, ovvero con moto rotatorio attorno all'asse s dei momenti se trat= tasi di caratteristica-momento rispetto all’ asse s. Assunto per unità di spostamento 1 lo scorrimento elementare nel 1° caso, lo spazio elementare angolare nel 2° caso, si misurino gli sposta- menti subiti dai punti della superficie di applicazione del carico nella direzione di questo. Ognuno di tali spostamenti dà la corrispondente ordinata della superficie d’influenza, cioè lV’ordi- nata che va distesa sulla retta su cui misurasi tale spostamento. 29. In molti casi pratici le reazioni agenti attraverso una sezione trasversale ,S d’una trave formante membro d’un sistema piero a re Miom: Foasdisoto, + bel i fe x do gii nate 9% 18 ps pu te ee mimi Empgboalo rom Ar: (so è Madonie “e gi dix afinilonino & ueoreg dba: DI È - pe A É Mimi riferire). saetta ul Y aa y a SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 233 ‘costituiscono un sistema di forze riducibile ad una forza unica, sicchè la linea d’azione della risultante delle reazioni tangenziali (o dello sforzo di taglio) coincide con l’asse di sollecitazione del momento flettente (traccia sul piano di sezione del piano della reazione totale infinitamente piccola e lontana normale a questo piano). Ed anzi nella massima parte dei casi non varia ed è noto a priori l’asse di sollecitazione; onde una notevole sempli- ficazione circa la determinazione della reazione molecolare. Se osservasi che in valore assoluto lo sforzo normale, il mo- mento flettente, lo sforzo di taglio e la coppia di torsione coin- cidono rispettivamente con le reazioni molecolari normali e tan- genziali, finita ed infinitam. piccola e lontana, dalla proposizione generale a n. 28 deduconsi i seguenti corollari d’immediata appli- cazione pratica: Le ordinate della superficie d'influenza sullo sforzo nor- male — sullo sforzo di taglio, supposto nota la sua direzione — di una data sezione S, condotta attraverso un determinato membro del sistema, pel muoversi del punto di applicazione d’um carico concentrato 1 d’intensità e direzione costanti, su di una certa superficie limitante il sistema, sono date dagli spostamenti dei punti di tale superficie misurati nella direzione costante del carico, quando il sistema si muova d'una quantità infini- tesima per modo che sieno soddisfatte le condizioni d’ostacolo e, rimanendo invariati gli altri membri, le due parti del membro sezionato rigidamente si stacchino in direzione normale alla sezione S — nella direzione nota dello sforzo di taglio — d'una quantità infimitesima assunta per umità 1 di spostamento. Le ordinate della superficie d'influenza sul momento di tor- sione — sul momento flettente, supposto noto l’asse di solleci- tazione —— di una sezione S_ sono date dagli spostamenti dei punti della superficie di applicazione del carico, misurati nella direzione di questo, quando il sistema muovasi di infinitamente poco, per modo che, soddisfatte le condizioni d’ostacolo, riman- gano invariati gli altri membri e le due parti del membro sezionato, restando pur esse invariate, subiscano uno sposta- mento relativo infinitesimo di rotazione attorno all'asse con- dotto pel baricentro normalmente al piano della coppia che considerasi ed assumasi per unità 1 di spostamento quello rela- tivo di due punti già coincidenti e distanti dell'unità lineare dall'asse di rotazione. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 18 234 ELIA OVAZZA 30. L’evidente analogia. fra le considerazioni svolte circa le reazioni d’ostacolo e quelle riguardanti le reazioni molecolari, analogia che potevasi scoprire a priori, ci porta a riassumere in una sola le proposizioni enunciate ai n.' 18, 19, 27, 28, che per facilità di esposizione credemmo bene dimostrare separata- mente ; con ciò si faciliterà vieppiù l’applicazione dell’esposto me- todo per la costruzione delle superficie d'influenza. Conveniamo di chiamare effetto statico di una componente, finita od infinitamente piccola e lontana, di una reazione, d’osta- colo ovvero molecolare, lo spostamento ch’essa tenderebbe ad im- primere da sola fra le due parti materiali fra cui esercitasi, vale a dire uno scorrimento nella propria direzione se trattasi di forza finita, una rotazione attorno al proprio asse-momento condotto pel centro di riduzione se trattasi di coppia. Conveniamo inoltre di dire che una rotazione è eguale ad 1 quando sia eguale ad 7 lo spostamento relativo di due punti già coincidenti e posti a distanza 1 dall'asse di rotazione. Con ciò le proposizioni tutte fin qui esposte circa le superficie d’influenza possono riassumersi nella seguente : Per costrurre la superficie d'influenza per una componente di una reazione diasi, s'è possibile, al sistema tale spostamento infinitesimo che non facciano lavoro le altre componenti di quella reazione nè le altre reazioni, e che la reazione di cui cercasi la superficie d’influenza produca un effetto statico in- finitesimo per tal verso che questo avvenga a seconda, (non a ritroso) della reazione stessa, supposta agente in un determi- nato verso. Assunto questo effetto statico per unità 1, sì misu- rino le proiezioni degli spostamenti dei vari punti della. su- perficie d’applicazione del carico nella direzione costante del carico, attribuendo alle misure il segno + od il segno — se- condochè lo spostamento avviene a seconda od a ritroso d’um carico applicato nel corrispondente punto che viene a subire tale spostamento. I numeri che così risultano misurano le or- dinate della superficie d'influenza da distendersi sulle rette condotte nella direzione del carico pei corrispondenti punti della superficie di applicazione del carico, e vanno cambiati di segno per determinare il verso della reazione considerata; per modo che uno spostamento negativo 0 positivo d'un punto» della superficie d'applicazione del carico indica che il corrispondente va+ SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI ECC. 235 lore della reazione considerata agisce nel verso fissato oppure nel verso opposto (*). 81. Suppongasi che sostituito ad un ostacolo O agente su di un membro M un altro che si opponga a tutti i movimenti non permessi dall’ostacolo O al membro M, eccettuato quello di traslazione secondo un asse o quello rotatorio attorno a detto asse, oppure che sostituito alla continuità d’un membro secondo una sezione trasversale S un vincolo che permetta alle due parti del membro sezionato soltanto uno scorrimento relativo in una data (*) Dalle considerazioni precedenti deducesi immediatamente la costruzione della superficie d’influenza per una data tensione unitaria 7 attraverso un determinato elemento di sezione, quando s sia proporzionale ad una caratte- ristica S della reazione molecolare agente attraverso a detta sezione. Invero posto “=, la superficie d’influenza per la tensione unitaria 7 e per la ca- ratteristica S sono affini con rapporto di affinità «, Così, per es., vogliasi la superficie d'influenza per la tensione unitaria | massima, ,, provocata in una data sezione trasversale S, per cui sia costante l’asse di sollecitazione e questo sia diretto secondo un asse di simmetria NO è Set 3 A : ART x della sezione. Si ha 7, =%% (*), ove pongasi a =— a essendo w il mo- mento della sollecitazione esterna (supposta riducibile ad una forza unica nel piano osculatore all’ asse della trave pel baricentro della sezione) rispetto all’asse v giacente nel piano di sezione, normale a quello di sollecitazione e 2 distante dal baricentro di è, —— G E 3: indicando con F l’area della sezione, e : la con p il raggio d’inerzia della sezione rispetto all’asse di flessione (baricentrico normale all’asse di sollecitazione), con v, la distanza dell’elemento della sezione più distante dall’asse di flessione da quest’asse, e con r il raggio di curva- tura dell’asse della trave in corrispondenza della sezione S (Per r=00, è, coincide col minore dei raggi del nocciolo centrale distesi sull’asse di solle- citazione). Adunque la superficie d’influenza per la tensione sg è affine a quella pel momento x, essendo rapporto di affinità il numero che misura x. Tale superficie d’influenza si otterrà quindi attribuendo al sistema tale spostamento infinitesimo che, soddisfatte le condizioni d’ ostacolo e restando invariate le parti del membro sezionato in S e gli altri membri del sistema, dette due parti subiscano una rotazione relativa attorno all’ asse v, di tale ampiezza che due punti già incidenti e distanti dall’asse v dell’unità lineare percorrano uno spazio elementare la cui misura si assuma eguale ad «. (*) Cfr. C. Gum L'arco elastico: — Lezioni date nella scuola degli Ingegneri in Torino. — Torino, 1888. 236 ELIA OVAZZA direzione od una rotazione relativa attorno ad un dato asse, il sistema risultante non venga a costituire coi suoi ostacoli una catena desmodromica, vale a dire o non possa assumere alcun spostamento compatibile con gli ostacoli senza simultanea defor- mazione di qualche sua parte, oppure possa assumere spostamenti diversi in corrispondenza d’uno stesso spostamento ben determi- nato in direzione e grandezza d’un suo punto. Nel primo caso, volendo dall’equazione generale di equilibrio eliminare le forze interne provocate dalla deformazione dei membri del sistema risultante, per determinare la caratteristica corrispon- dente allo spostamento che mediante la trasformazione si è per- messo in più al sistema, bisogna dare tale spostamento virtuale al sistema per cui oltre a tale caratteristica faccia lavoro al- meno un’altra reazione incognita. Per la qual cosa dal principio degli spostamenti virtuali si avranno sempre meno equazioni in- dipendenti fra le reazioni incognite di quante sieno queste rea- zioni; ed il sistema è staticamente indeterminato. Nel secondo caso, corrispondendo ad uno stesso effetto statico della caratteristica di cui trattasi diversi spostamenti di almeno un punto della superficie d’applicazione dei carichi, il principio dei lavori virtuali dà origine in generale ad equazioni diverse fra di loro incompatibili, dal che deducesi che il sistema dato è labile, cioè non può restare in equilibrio che per speciali condizioni di carico. Segue adunque che le condizioni di applicabilità delle regole condensate in quella esposta al numero precedente coincidono con quelle che caratterizzano i sistemi staticamente determinati. Onde una definizione cinematica di tali sistemi, la quale del resto non è che un'estensione di quella che suolsi dare per le frava- ture reticolari strettamente indeformabili (*). 382. Di qui ricaviamo una motevole proprietà geometrica delle superficie d'influenza relative ai sistemi staticamente de- terminati. Queste superficie d'influenza hanno ordinate proporzionali agli spostamenti elementari, o se vuolsi alle velocità simultanee, che assumono in una data direzione / punti appartenenti a sistemi (*) Non occorre notare che un sistema può essere parzialmente deter- minato, cioè solo rispetto ad alcune reazioni e non rispetto alle altre. . SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 237 invariabili in diversa guisa fra loro collegati. Vediamo che rela- zione passi fra gli spostamenti elementari simultanei proiettati in una data direzione / dei punti costituenti un sistema invariabile. 33. Si consideri una retta / appartenente al sistema inva- riabile; qualunque sia il movimento infinitesimo di questo sistema, | esso, com'è noto (*), può considerarsi come composto di due moti elementari rotatorî, l'uno attorno ad /, l’altro attorno ad un altro asse l', generalmente sghembo con /. (Scomposto il moto elicoi- dale attorno all’asse istantaneo ?, cui riducesi il moto elementare del sistema, in un moto rotatorio attorno all’asse ? ed in uno di ‘traslazione secondo lo stesso asse, e scomposto alla sua volta questo moto di traslazione in due moti rotatorî di eguale ampiezza at- torno a due assi giacenti in uno stesso piano normale all’asse /, ‘se, come suolsi, si individua ognuna di tali rotazioni con un se- ‘gmento disteso sull'asse corrispondente, proporzionale all’ampiezza della rotazione e diretto per verso determinato rispetto al verso della rotazione stessa, i tre segmenti individuanti le tre rotazioni | componenti determinano un sistema focale (Nullsystem) in cui led l' sono rette coniugate). Pel moto rotatorio attorno ad / gli ‘spostamenti dei punti della retta / sono nulli, sicchè le proiezioni su / degli spostamenti elementari subìti dai punti di tale retta I coincidono con le proiezioni su { degli spostamenti subìti per la ‘sola rotazione attorno ad /. Sia 7 un piano qualunque perpen- dicolare ad /' che ferisca in O ed M le rette 4 ed /' rispetti- vamente: lo spostamento elementare MM' del punto M rotante ‘attorno ad 7 è diretto secondo la retta, sj normale ad OM e ‘giacente sul piano x. Sia l' la proiezione di / sul piano 7 e pongasi: ane.(il)=a,. ang(l's) E, ang(s!)_.. Se © è lo spazio angolare per la rotazione elementare attorno lad l', si ha MM =0Mx; (*) W. ScHELL, T'heorie der Bevegung und der Krifte: pag. 286 e seg. | Lipsia, 1879. 258 ELIA OVAZZA per cui la proiezione di MM' su 7 è data da M M' cos \=0Mx% cos Ì . Dal triedro M(12"s) rettangolo secondo lo spigolo 7" deducesi per altro : così = cos @ cos f} , onde MM' cosà = Mx cose cosft , la quale relazione, condotta 0@= j 1", poichè pro O M cos (0) : può scriversi ancora M MCO). = p p'eos'a’vii» scan SEO (7). è la minima distanza delle rette 7 ed l', « è il complemento dell’angolo fatto dalle stesse rette; segue che il secondo membro della (7) è indipendente dalla scelta del punto M sulla retta /, la qual cosa può enunciarsi: Per un moto ele- mentare qualunque di un sistema invariabile le proiezioni degli spo- stamenti dei punti d'una retta 1 del sistema sulla retta 1 medesima sono eguali. i Questo teorema è diretta conseguenza della invariabilità della posizione relativa dei punti costituenti la retta /. | 84. Trattandosi adunque di scoprire la legge con cui va- riano le proiezioni su una direzione fissa / degli spostamenti ele- mentari dei punti costituenti un sistema invariabile, basterà stu- diare la legge con cui variano le proiezioni degli spostamenti dei punti giacenti in un piano y normale alla direzione 4. Ora dimo+ strasi in cinematica (*) che uno spostamento elementare di un. piano y appartenente ad un sistema invariabile può considerarsi (*) ScHELL: Theorie der Bevegung und der Kréifte, 1. c. | Si ble nc si SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA PER LE REAZIONI Ecc. 239 composto di una rotazione elementare attorno ad una retta ben determinata normale al piano 7 (condotta pel fuoco 0 — Null- punkt — del piano y nel sistema focale su indicato) e di una i rotazione elementare attorno ad una retta /, giacente nel piano y (coniugata ad ? nel detto sistema focale). Ciò posto, per la rotazione elementare attorno ad / gli spostamenti dei punti del piano y giacciono in detto piano e perciò hanno proiezioni nulle su Z; invece per la rotazione infinitesima attorno ad /, i punti del piano si spostano in direzione normale a y e perciò in direzione di Z e sono proporzionali alle distanze dei corrispon - denti punti di y dalla retta 7. Segue che gli estremi degli spostamenti elementari dei punti del piano y hanno per luogo wn piano Y, passante per l,. Tracciati i piani y, e 7 adunque, lo spostamento elementare in direzione Z di un punto qualunque MM del sistema invariabile considerato è misurato dal segmento compreso fra y e 7, della retta passante per M ed avente direzione /. Di qui si deduce che la superfice d'influenza per una caratteristica qualunque di reazione, di ostacolo ovvero molecolare, per un sistema sta- ticamente determinato è piana ovvero costituita da superficie piane, nè può essere che tale; proprietà, come si vede, interes- sante anche pel fatto che semplifica notevolmente la costruzione di tali superficie, come si vedrà in seguito. 35. Un'ultima osservazione. Un carico concentrato 1, senza variare d’intensità e di punto di applicazione M, varii di direzione, e per M secondo le varie rette d’azione del carico 1 conducansi dei segmenti MN proporzionali ai valori d’una data caratteristica S di reazione (molecolare od esterna) provocata dal carico 1 nel sistema staticamente determinato. Qual è il luogo dei punti N? Osservisi che un segmento qualunque MN è proporzionale alla proiezione sulla direzione MN dello spostamento effettivo, Mv, che il punto M soffre quando al sistema si attribuisce tale spo- stamento elementare che si produca un effetto statico infinitesimo, assunto per unità lineare 7, della reazione S. Perciò il luogo dei punti N, che può chiamarsi diagramma polare d'influenza sulla reazione S relativo al punto M, è una superficie sferica avente diametro sulla retta Mv e passante per il punto M; teorema ragguardevole per la sua eleganza, che con quelli precedentemente esposti conduce alla completa conoscenza della funzione secondo 240 ELIA OVAZZA — SULLE SUPERFICIE D'INFLUENZA ECC. Ce] cui una data caratteristica S di reazione (d’ostacolo ovvero mo- lecolare) dipende dalla grandezza, dalla direzione e dal punto di applicazione d’un carico concentrato. 36. In altra prossima nota ci proponiamo di applicare le considerazioni qui svolte a casi speciali. Torino, 9 febbraio 1890. 241 Sulla corrispondenza algebrica fra due spazi rigati ; Nota del Dott. MarIo PIERI 1. Il problema di trovare i numero degli elementi umiti nella corrispondenza algebrica fra le rette di due spazi lineari sovrapposti ad n dimensioni non è stato ancora trattato, che io sappia, all’infuori dei casi ordinarì di n=2 ed n=3. La relazione, che intercede fra quel numero e i caratteri della corrispondenza nell’ipotesi di » qualunque, non apparisce im- mediatamente all’esame dei due casi suddetti; ma è posta in chiaro mercè l’introduzione del concetto di forme fondamentali coniugate, dovuto allo SCHUBERT (*). Siano r, r due raggi corrispondenti qualunque di due spazi [a—1,%], [r1,] sovrapposti e riferiti algebricamente fra loro; e si rappresenti col simbolo : (p, g).(n-g,n—p), o3sp-2GGHH -2HH 'FF-2FF'GG) +16 (AGH'+ BHF'+CFG'+3 FGH+3 F'G'H'- ABC)D +16 (BCG'H+ CAH'F+ ABF G) — 16 (AFG*+ BGH®+ CHF°+ AF'H'°+ BG'F'°+CH'G”). Le equazioni f=0, fy=0, f,=0 rappresentano tre co- niche; la condizione perchè esse abbiano un punto comune è R=0. La condizione poi affinchè nella rete di coniche A f,+Asfg +%3fa=0 (*) V. la mia monografia: La Superficie di Steiner, pag. 22, 23. (**) V. per es. CLeBscH-Linpemann: Vorlesungen iiber Geometrie, p, 526, 264 F. GERBALDI esista una retta doppia è LPD "=0 0, csia _(l'agt,=00 e noi abbiamo per mezzo degli invarianti fondamentali (103... IT-—JT, =? E°+3E(D°-FF'- GG'— HH') +3(GG'HH'+ HH'FF'+ FF'GG') — 2(A4GH'+ BHF'+ CFG'+3 FGH+3F'G'H'— ABC)D — (BCG'H+ CAH'F+ ABF'G) + AFG*+ BGH”+ CHF?®4+ AF'H'?4 BG'F'?+ CH'G"?,. Palermo, febbraio 1890. (*) V. CLEBSCH-LINDEMANN, l.c. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso, ”; > NUO Ao ni a % » tx ; K x È La: A 4 $ ni 4 x % ro n t à x = ; p- » TA wc a: à ) % ; : n Ales ] È n (ne + 0, Matematie n dL6 465 SA | Classe di Scienze Fisich Sgr NE Pd d (| ‘|»—_°;;_;::-\: ADUNANZA del 23 Febbraio per i 7 Naccari — Sulla dispersione della CA e delle scintille elettriche .. | GersaLpi — Sui combinanti di tre ternari XITE. R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO - DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, Disp. 9", 1889-90 Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 265 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 9 Marzo 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa Direttore della Classe, BRUNO, Berruti, D'Ovipio, BizzozerRo, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, G1- BELLI, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Si legge l’atto verbale dell’adunanza precedente che viene approvato. Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ordine che segue : « Il poligono funicolare in cinematica »; Nota dell’Ing. Elia Ovazza, Assistente alla Scuola d’applicazione degli ingegneri di Torino, presentata dal Socio Cossa ; « Ancora sul modo di adoperare gli elementi geodetici dell'Istituto geografico militare »; Nota 2° del Prof. N. JADANZA presentata dal Socio NACCARI; « Un nuovo campo di ricerche geometriche », Nota 2° del Socio SEGRE; « Nuove specie di ditteri del Musco geologico di Torino »; Nota del Dott. E. GIaLIo-Tos presentata dal Socio CAMERANO: « Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle glandole gastriche »; Nota del Dott. S. SaLvioLI, Assistente al Laboratorio di Patologia generale della R. Università di Torino, presentata dal Socio BIzzozERo ; « Relazione sopra la Monografia dell’Ing. Camillo GUIDI, Professore nella Scuola d’applicazione per gl’Ingegneri in Torino « Sulla teoria della trave continua >»; del Socio FERRARIS, condeputato col Socio BERRUTI. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 20 266 ELIA OVAZZA La Classe accoglie le conclusioni favorevoli della Relazione, ammettendo alla lettura questo lavoro, e poscia ne delibera la pubblicazione nei volumi delle Memorze. LETTURE Il poligono funicolare in cinematica ; Nota dell’ Ingegnere ELIA Ovazza 1. È nota la stretta analogia che corre fra la teoria cine- matica della composizione dei movimenti e quella statica della composizione delle forze. i Se rappresentasi ciascuna rotazione componente il moto ele- mentare d’un sistema rigido con un segmento s del corrispondente asse di rotazione, proporzionale alla velocità angolare e diretto per tal verso che una persona, distesa su di esso coi piedi alla sua origine ed il capo all’ estremo, veda avvenire la rotazione per un determinato verso, e, considerati questi segmenti s come indi- viduanti altrettante forze sollecitanti un sistema materiale rigido, si determina qual si voglia sistema di forze equivalente a quello definito dai segmenti s; se in seguito i segmenti s, individuanti le forze di quest'altro sistema s’interpretano come rappresenta- zioni d’altrettante rotazioni elementari, il nuovo sistema di rota- zioni che così si ottiene equivale al sistema di quelle definite dai segmenti s. Segue che tutti i metodi che si adoperano per comporre le forze sono senz'altro applicabili alla composizione dei moti ele- mentari (che sempre si possono ridurre a rotazioni infinitesime) ; di quì la principal ragione per cui, con vantaggio in omogeneità di trattazione, in alcuni corsi di meccanica razionale alla teoria della composizione dei movimenti ed a quella della composizione delle forze si fa precedere la teoria geometrica dei segmenti, la quale appunto in quelle trasformasi quando le grandezze astratte segmenti si considerano successivamente come individuanti rota- zioni infinitesime oppure forze. IL POLIGONO FUNICOLARE IN CINEMATICA 267 2. Avendosi a comporre più forze parallele, p, non compiane, è noto che può operarsi come segue: assunti a punti d’appli- cazione delle forze (fig. 1°) i punti d’incontro P delle loro linee d’azione con un piano x, si ribaltano le forze p, conservandole parallele, attorno ai rispettivi punti di applicazione sul piano 7 in una direzione arbitraria /; si collegano le forze p,, che risul- tano dal ribaltamento, con un poligono funicolare: la retta r, con- dotta in direzione / pel punto comune ai lati estremi di questo poligono passa pel punto O d’incontro col piano 7 della risultante delle forze p. Fatto il ribaltamento in un’altra direzione mm sul piano 7, si ottiene un’altra retta r,, su cui deve giacere il punto 0, che resta così determinato. Applicata in O nella direzione delle forze p una forza r d’intensità eguale alla somma alge- brica Xp delle intensità delle componenti, r è la risultante cercata. La stessa costruzione può applicarsi per analogia alla com- posizione di più rotazioni elementari attorno ad assi paralleli. In questa nota ci proponiamo di attribuire a tale costruzione signifi- cato puramente cinematico, sicchè per spiegarla non occorra risalire a teoremi della statica con evidente giro vizioso, chè dal concetto di movimento si risale a quello astratto di forza, non viceversa. 8. Se il moto d’un sistema rigido è risultante di più rota- zioni attorno ad assi aventi tutti egual direzione p, esso avviene parallelamente ai piani la cui giacitura è normale alla direzione p, ed è quindi perfettamente determinato quando lo sia il moto d’una sezione fatta nel sistema materiale da un piano 7 avente tale giacitura, moto che avviene sul piano 7 medesimo. Perciò noi ci limiteremo a considerare per sistema materiale invariabile una figura piana mobile in un piano normale agli assi delle rotazioni elementari componende. 4. Un sistema piano invariabile x muovasi nel proprio piano x, considerato fisso, con moto elementare rotatorio attorno al punto (7), centro d’istantanea rotazione, ossia attorno all'asse normale al piano x condotto pel punto (r@); e dei singoli punti A del sistema « si proiettino ortogonalmente le velocità su di una di- rezione { giacente nel piano 7; le proiezioni che così si ottengono sì diranno in seguito velocità dei punti A in direzione l. Per tutti i punti del sistema mobile, che giacciono sopra una stessa 268 ELIA OVAZZA retta di direzione l tuli velocità in direzione l sono eguali (*), essendo tale retta invariabile al pari del sistema cui essa. appar- tiene; per la qual cosa si conoscerà il valore della velocità se- condo / di un punto qualunque del sistema % quando sì conoscano i valori di tali velocità per tutti i punti d’una retta non paral- lela ad 7, p. es. di una normale X ad 7. Condotta tal retta ) pel centro (7a) d’istantanea rotazione, le velocità effettive dei suoi punti hanno direzione / e quindi coincidono con le velocità dei medesimi punti in direzione /. Siccome per altro tali velocità effettive sono proporzionali alle distanze dei punti corrispondenti dal centro (7@), condotte pei punti A della retta ) segmenti A A° eguali alle velocità di tali punti, il luogo degli estremi A' è una retta ) incontrante la retta ) nel punto (7a). Lo spazio angolare compreso fra le due rette ) e )' prende il nome di diagramma delle simultanee velocità in direzione ll pei punti del sistema per rispetto al piano x. Noto questo dia- gramma infatti, la velocità di un punto qualunque B del sistema «, valutata in direzione 7, è data dal segmento B, B' intercetto dalle rette ) e )' sulla retta condotta per B in direzione 7. Ed anzi questo diagramma. definisce in grandezza, direzione e verso la ve- locità effettiva di ciascun punto B del sistema: la direzione è quella Bò della normale per B alla congiungente il punto B col centro (7a), la grandezza ed il verso sono quelli del segmento (*) Questa relazione può anche dimostrarsi come segue: Sia D il piede della normale abbassata su una tal retta dal centro (xa) (fig. 2), DD' la ve- locità effettiva del punto D (diretta secondo /), AA' la velocità effettiva di un altro punto A qualunque di /, ed AA, la proiezione ortogonale di AA' su L, Si ha per nota proprietà del moto rotatorio : essendo » la velocità angolare della rotazione. Ma dai triangoli (72) DA ed AA,A' simili si ha: (ta) D __(ra)A AA] \ DA A' Quindi AA, =DD'= costante qualunque sia il punto A scelto sulla retta 2, Cfr. anche W. ScHELL, Theorie der Bevegung und der Krifte. Leipzig, 1879, vol. 1, pag. 287. — BourmestER, Lehrbuch der Kinemalit, parte 1°. Leipzig, 1887. IL POLIGONO FUNICOLARE IN CINEMATICA 269 B, B, che si determina conducendo a Bd la parallela 5 B, e da B' la parallela B'B, a ) (*). 5. Condotta in direzione / (supposta verticale per semplicità di esposizione) una retta a distanza 1 dal punto (7 a), il seg- mento @_@, intercetto su di essa dalle rette ) e )' è la velocità angolare pel moto rotatorio considerato (velocità dei punti a di- stanza 1 dal centro di rotazione). Se consideransi positive le rotazioni che avvengono nel senso delle lancette dell’orologio, ed il segmento ©,%, si conviene di misurarlo sempre a destra del centro (72) con origine ©, sulla retta ), tale segmento è diretto al di sopra od al di sotto della retta ) secondochè la rotazione è negativa ovvero positiva. 6. Il diagramma )) non cessa di fornire con le sue ordinate lette in direzione li valori delle velocità dei punti del sistema « valutate in direzione { quando lo si faccia scorrere rigidamente nella direzione / medesima, sicchè il vertice ())') trovisi sempre sulla parallela ad { pel punto (724); chè anzi esso può, senza perdere tale sua proprietà, deformarsi variando le direzioni delle rette X e )' purchè il diagramma ))' nella sua primitiva posi- zione e quello deformato intercettino su ciascuna di due rette qualunque di direzione / due segmenti eguali in grandezza e verso (**). Segue che il diagramma ))', quando assumasi )' per fondamentale, è pur anco il diagramma delle simultanee velocità in direzione { pei punti del sistema piano 7 se questo rota at- torno al punto (7@), restando fisso il sistema piano 4. “. Si considerino ora più sistemi piani rigidi %,, &,,..1 4;; - Qui mobili nel piano comune 7; si disegni per ciascuno di essi il dia- gramma, relativo ad uno stesso istante, delle velocità simultanee in direzione /, e trasportinsi i diagrammi così risultanti, senza deformarli, in direzione { finchè abbiano una comune fondamen- tale ).. Otterremo un diagramma complesso costituito da tante (*) Cfr. BurMESsTER, l. c. — Lanp, Kinematische Theorie der statisch bestimmten Trdager — Zeilschrift der Osterr. Architekten- und Ingenieur- Vereins, 1888. (**) In altre parole i due diagrammi devono essere affini con asse d’affi- nità una retta di direzione / e centro di affinità all’infinito su /. 270 ELIA OVAZZA rette \',, X°,,... };,... -, quanti sono i sistemi mobili, diagramma che possiamo indicare col nome di diagramma delle velocità si- multanee in direzione l pel moto elementare considerato sul piano x del sistema variabile costituito dai sistemi invaria- ii CAV FRATI SBRSRI AMBRA CD Questo diagramma ha ordinate nulle sulle rette di direzione / passanti pei punti (7 &;), centri d’istantanea rotazione pei moti dei sistemi «, rispetto al piano 7 fisso. Di più siccome il punto (2;@,), centro d’istantanea rotazione pel moto relativo di due qua- lunque, «, ed «,, dei sistemi mobili, non cessa di appartenere ad ambo questi sistemi durante il moto elementare considerato, le rette: ), e ), devono intercettare a partire dalla fondamentale 4, segmenti eguali sulla retta di direzione / passante pel punto (2,a,); vale a dire su questa retta devono intersecarsi le rette ); e ), del diagramma. 8. Se osservasi che con ., può considerarsi coincidente la retta ),, diagramma delle velocità dei punti del piano fisso 7, questa seconda relazione, che lega la posizione del punto d’in- contro di due delle rette )°,,X,,...;,...)', qualunque con quella del centro d’istantanea rotazione pel moto relativo dei sistemi piani corrispondenti, comprende come caso speciale l’altra relazione enunciata circa la posizione dei punti d’incontro delle rette \',,',,...X;,...), con la fondamentale ),. V'ha di più: in virtù di quanto si disse a num. 6, il complesso delle rette Xig X,:++4/,...4, @ A, funziona ancora da diagramma delle velocità in direzione / pei sistemi @,, @,,...%;...Q, @ © rl spetto ad uno qualunque di tali sistemi, purchè si assuma a fon- damentale la retta )', corrispondente a quello «; dei sistemi che considerasi fisso. Per la qual cosa al complesso delle rette Y,, X,g+++X;,...X, e ), può darsi il nome di diagramma delle simultanee velocità in direzione l dei punti dei sistemi piani a,, ky 5 00. Ai 3... Un © © pei moti elementari di questi sistemi per rispetto ad uno qualunque di essi, considerato immobile. 9. Consideriamo ora un complesso di tali sistemi piani: %;, C;s43+++%p-5 %,-» Il moto elementare del sistema @&, relativo al sistema «; può considerarsi composto dei moti elementari di ciascuno di tali sistemi relativamente al precedente. S'immagini disegnato il diagramma 4; ,\;,,3.++:X,_,e 4 delle velocità in direzione 4 IL POLIGONO FUNICOLARE IN CINEMATICA 201 dei punti di tali sistemi pei moti relativi di questi per Soi ad uno qualunque di essi. Le rette ),",X',,,,...),_, €, costi- tuiscono una poligonale, di cui i punti d’incontro dei ui suc- cessivi )/ e X;,,, X;,, 6 N;42:--),_.0 2, stanno sulle rette p, in direzione 7 condotte pei centri (2; @;,,), (Zi, 242) 3 ---- (4,2, 4,) d’istantanea rotazione pei moti relativi dei sistemi considerati a due a due successivamente. Di più se a destra ed a distanza 1 da ciascuno, (),),,,), di tali punti d’incontro dei lati succes- sivi della poligonale e nella direzione / si misura la ordinata intercetta fra le rette ),' e )',,, intersecantisi in quel punto, cia- scuna di queste ordinate è la velocità angolare @,@,,, pel moto relativo dei sistemi a, ed «,,,. Condotte da un polo P le paral- on Ie e Palle rotto Abs Wa; s000, X 20,0 0, 6 secate queste parallele mediante una retta di direzione / Rito di 1 da P, il segmento w/%',,, intercetto fra due rette yu, @ |;,, Successive è sala al segmento @,%,,,; per la qualcosa la poligonale )/);,,...,_,), può dirsi un poligono funicolare collegante le velocità angolari ©,©,,, condotte in direzione / pei centri (z,@,,,) d’istantanea rotazione dei moti componenti; esso infatti si costruisce da tali velocità siccome si costruisce un poli- gono funicolare collegante un sistema di forze parallele propor- zionali a tali velocità ed agenti secondo le rette p, considerate. Il centro d’istantanea rotazione pel moto composto, cioè pel moto del sistema «, rispetto all’a;, dovendo essere un punto del sistema «,. che ha velocità nulla rispetto al sistema %;, deve trovarsi sulla parallela », ad 7 pel punto d’incontro dei lati estremi );), del poligono funicolare. Se quindi, condotte le velocità angolari ©,@,,, dei moti com- ponenti pei centri (2,&,,,) in altra direzione m sul piano x, sì collegano con un altro poligono funicolare, se cioè si costruisce il diagramma delle velocità pei moti elementari dei sistemi %;, %,x13: ++, Velocità misurate in direzione m diversa da /, ottiene un’altra retta r,, analoga alla 7, (condotta in direzione pel punto comune ai lati estremi del nuovo poligono funico- lare) che deve passare pel centro O d’istantanea rotazione pel moto composto, centro che viene in tal modo ad essere deter- minato. Condotta per O la normale al piano 7, si ha l’asse della rotazione risultante; la velocità angolare ©;@, di tal rota- zione è, come risulta dalla figura, eguale alla somma algebrica delle velocità angolari @,0,,, pei moti componenti. DIR ELIA OVAZZA 10. Resta così trovata in via puramente cinematica la costruzione che a num. 2 avevamo esposta per analogia con quella che vale per la composizione di forze parallele. Termineremo la presente Nota dimostrando ancora in via cinematica teoremi fondamentali rela- tivi ai poligoni funicolari, che si sogliono in Statica dimostrare per via geometrica e per via meccanica. 11. Se per costruire il diagramma delle velocità in direzione / pel complesso dei sistemi invariabili %;,%;4,3% + + @r_s%, Come poligono funicolare collegante le velocità angolari pei moti relativi di tali sistemi a due a due, si assume un altro polo P, sulla parallela ad / per il primo polo assunto P, si ottiene un altro poligono );")",,,...}",_,A' tale che due lati successivi ),")".,, hanno direzioni diverse da quelle dei corrispondenti lati ),',},,, del primo poligono; ma queste due coppie di rette intercettano eguali segmenti sopra ogni retta avente direzione l; quindi il nuovo poligono funicolare, per quanto si disse al num. 6, è ancora diagramma della velocità in direzione / pel sistema considerato e serve per conseguenza ancora alla composizione delle rotazioni elementari ©,©,,,; in altre parole: i polo del poligono funico- lare può senz’inconveniente spostarsi in direzione L. 12. Se ora osservasi che la scala delle lunghezze (in cui va misurata la distanza polare 0 del poligono funicolare) è indipen- dente da quella delle velocità, potendosi questa variare senza variare quell’altra solo coll’assumere una diversa unità di tempo, deducesi che ME) i 2pNsenl (2) nella quale 1 tità } i riferi al to A di u a quantità ——_, si riferisce n ‘di - Me e; 2pNsenl 4 RE latitudine ©. Il denominatore delle (1) può considerarsi eguale all’unità anche per £=60", ossia per 3=180", cioè anche nel caso che s superi cento chilometri; avremo dunque X=ssen(2— e) È a - (3) Y=scos(e—2e) o anche, tra i medesimi limiti, X=s senz —scoszsene (4) Y=scosz+ssenzsen2e i Le formole (4) contengono al 2° membro ciascuna due ter- mini, il secondo dei quali è funzione dell’eccesso sferoidico del triangolo ABC. Si può domandare in qual caso quel 2° termine è trascurabile, cioè in qual caso il triangolo si può considerare piano ? MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI ET L’eccesso sferoidico dato dalla (2) sarà di 1" nel caso più sfavorevole rispetto all’azimut, cioè quando #= 45°, se la distanza s tra i punti A e B non supera 28 chilometri. Per s—=28 chilometri e 3e=1" il massimo valore che può avere il maggiore dei secondi termini che si trovano nei secondi membri delle (4) non raggiunge 0",10, quantità che nemmeno inoBl . alla scala di 1007 è rappresentabile graficamente. Ritenendo trascurabile tale quantità, le formole (4) diventano X=ssenz ( . (5) Y= scosz | e sono identiche alle coordinate piane rettangolari di un punto avente per coordinate polari s e 2. Le formole (5) mostrano che nell’interno di una circonfe- renza geodetica avente A per centro e raggio non superiore a 28 chilometri, il calcolo dei triangoli si può fare considerando la terra piana. Le coordinate geodetiche rettangolari (5) sono quelle ado- perate nel Catasto Italiano; il loro calcolo riesce molto semplice quando sono date le coordinate polari s, z. Le chiameremo anche coordinate catastali. 3. Se un punto C (fig. 2*) non è direttamente collegato alla ori- gine A ma lo è invece ad un altro punto B di note coordinate, sarà necessario conoscere l’angolo A BC per poterne calcolare le coordinate. Indicando con X,, Y, le coordinate di B e con X,, Y, quelle di C, se immaginiamo condotte pei punti B e C le geodetiche perpendicolari al meridiano di A si avrà: xo bB- X.=000 Vr 4B, Viostd0'i 278 NICODEMO JADANZA Se sulla geodetica C0'C, a cominciare da C' si taglia il seg- mento C'H=B'B,;la. geodetica che passa. pei punti B,H si può imma- ginare coincidente colla. traiettoria ortogonale (luogo degli estremi di geodetiche della medesima C lunghezza tutte perpendi- colari ad una geodetica data) nella nostra ipotesi in cui non teniamo conto degli eccessi sferoidici. Indicando con {? l’angolo ABC, che è dato dalle osservazioni, e ponendo : AX=HC=X;-X, AY= B'C'-=BH= Y.-Y, Fig. 2? l’angolo HBC=%, sarà dato da: 2=B_4BH=[— 90° — ABB' ovvero a,=ipH4-4 —180° qibA6)i Il triangolo HBC è rettangolo in H sicchè, se BC =5, è il lato BC, sarà AX=s,seh2, LI A Y=s, cosz, Hi e quindi: I (8 Y=Y+A4Y | ) L'angolo 2, dato dalla (6) si dice azimut piano del lato s,. 4. Le formole precedenti si possono anche dedurre supponendo il seguente modo di proiezione. MODO DI ADOPERARE GLl ELEMENTI GEODETICI 279 11 S'immagini il piano tangente la superficie dell’ellissoide in A preso come piano delle X Y e come asse delle Z la normale nel punto A (fig. 3*). Supponendo il piano delle Z Y coincidente Fig. 5° Z col meridiano di A, le coordinate di un punto M della superficie dell’ellissoide saranno Z=MB VE 46 NO. Codeste coordinate si esprimono in funzione dell’arco di geo- detica AM=s e dell’azimut BAC=2 mediante le relazioni s° "senz X= — EE s senz 6 NR 3 Des coppi gp poi ut. AUDI STR # Z4A=—-4+... oR' / nelle quali X? rappresenta il raggio di curvatura della geodetica A M nel punto A. 280 NICODEMO JADANZA Il punto B piede della perpendicolare condotta da M sul Pani tangente è la proiezione ortogonale di M. Le coordinate di B sul piano diventano X=ssenz = 088 pi Dari ferenza tra l'arco AM ed AB, ossia quando sono trascurabili i secondi termini dei valori di X ed Y dati dalle (9). Ciò succede appunto quando s è all’incirca di 28 chilometri. La proiezione di M sul piano tangente in A all’ellissoide si può anche ottenere prolungando il raggio O M della sfera avente quando è trascurabile la quantità che rappresenta la dif- per raggio R,= Ve N. Si avrà così sul piano tangente un punto B', diverso da B, che è la proîezione centrale di M. La distanza B B' è evidentemente data da: BB'-=R str R sen — | o ossia Per una estensione di circa 20 chilometri intorno ad un punto A e quindi per qualunque levata topografica, i due metodi di proiezione ortogonale e centrale sono identici ed il calcolo delle coordinate di un punto qualunque si fa sempre colle for- mole (5). 5. Vediamo ora come si possano calcolare le coordinate cata- stali quando sono date le coordinate geografiche che si trovano anche nelle pubblicazioni dell’Istituto Geografico Militare. Sieno ©, ? la latitudine e la longitudine dell’origine A; g', 4' la latitudine e la longitudine di un altro punto B di cui si vo- gliono le coordinate. Immaginiamo per il punto B condotte due geodetiche, una BC perpendicolare al meridiano di A, l’altra B B' (fig. 4°) che passa per il punto B' del meridiano di A avente la stessa latitudine di B. MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI 281 Quest'ultima, nel caso da noi considerato, può ritenersi eguale all'arco del parallelo che passa per i punti B, B°. La sua lun- ghezza (ponendo AG@=0'—@, Ao=4'— 0) è BB'=A0.N'senl".coso'. 3020) L'angolo «= BB'C è facile ve- Fig, 4? dere che è dato da: E a=90° — -m' 2 essendo »m' la convergenza dei me- ridiani tra i punti B' e B che viene calcolata mediante la for- mola m=N0send'". ...(11) Il triangolo rettangolo BB'C dà BC = BB' cos ; mn ; i ni BC=BB sen 3 : E poichè si ha: X=BC, Y=AC-AB'+ B'C, sarà X=4A0.N'senl".coso'. cos 3 Mm " U 1 LU Y= Ao.p,senl 4 BB sen n. ovvero, più semplicemente; X=4A0.N'senl".coso Î Y=Ag.fnsen1"+[4,38454 — 10] XA9seng | Queste ultime sono le formole per il calcolo delle coordinate geodetiche rettangolari, o catastali quando sono note le coor- dinate geografiche. 11 valore di 0,, s'intende quello di alla geog p q È Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc — Vol. XXV. 21 282 NICODEMO JADANZA latitudine 0, = ——, quello di N° ti corrisponde alla latitu- . . 1 ”" dine g'. La quantità in parentesi è il logaritmo di guon i : ESEMPIO NUMERICO. Coordinate geografiche di A p= 42° 00" 00" i, 0.00, 00 Ag= 600"; logAg=2.7781513 logo, senl'=1.4892659 4.2674172 18510.46 30.25 y= 1854071 Coordinate geografiche di B o'=42° 10’ 90" d'—— 0° 452000 AG=— 900° log cost.° — 4.38454 —10 logX—=4.31505n logAG—=2.95424n log seng' =9.82691—10 log correz.° 1.48074 correz.° — 30"25 log A9= 2,9542425» log N' sen 1'"=1.4908724 log cos.o' = 9. 8699326 log X= 4.3150475n X=- 20656" 06, Il calcolo, come si vede è semplicissimo, e le formole (12) possono essere adoperate per valori di Aw e A non superiori a La. Il logaritmo della X calcolata colla prima delle (12) do- vrebbe essere diminuito della quantità : M ; 3 7 Sen. AL sen° © È 109” | : * Ciò a causa del fattore cos ame della piccola differenza esi- stente fra l’arco del parallelo e della geodetica BB'. MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI 283 Siccome la X verrebbe a variare al massimo di tre centi- metri nelle latitudini dei paralleli tra cui è compresa l’Italia, così abbiamo trascurato codesta correzione. 6. Quando sono date le coordinate geodetiche rettangolari di un punto 5 rispetto ad una origine A, le coordinate geodeti- che polari si otterranno mediante le formole seguenti: X i iirrio | Mec IRA) s=/x#R=-—=—- | COS £# sen #2 Il calcolo della distanza tra due punti B e C di date coor- dinate si farà, al solito, mediante le formole ui _AX ‘cv ESA TABOR ir - SA: (14) pa n | COS x sen Xx 4: Per dedurre le coordinate geo- grafiche di un punto 5, quando sono note le sue coordinate geo- detiche rettangolari rispetto ad una origine A, è necessario cono- scere le coordinate geografiche del punto A. In tale ipotesi si calcolerà dap- prima la latitudine @, del piede C della geodetica BC perpendicolare al meridiano di A mediante la formola ) ta Se diese 5 ———_;; 20; a “i 15 bPratipeni ni (det e 00 284 NICODEMO JADANZA quindi si calcolerà la latitudine 2° di B mediante l’altra MPOESTIAN CIA LO {et SUIT foca 2p,N, senl 6 Po te; La differenza di longitudine A9 sarà data da r va 08 08 N, senl coso — GX? Mat È ri Le formole (15), (16), (17) si deducono dalle note serie di Legendre supponendo una volta 2z=0, un’altra 2 = 90°. La (15) può essere sostituita dall’altra: Y MPa Roi cen i, SETT -;< «ALI I logaritmi delle quantità G, X che entrano nelle (17) e (18) sono dati nella tavola annessa e sono espressi in unità della 7° cifra decimale. ESEMPIO NUMERICO I. Coordinate geografiche di A Coordinate geodetiche di B po=838° 86' 09", 306 X= 59463", 08 o =002324 , ST Y= 6913590 log Y= 4.8397028 log Y = 4.8397 il log XK =7.5240—-10 log = 85109953 0). orto al sen ‘ 99h 2.3637 =— —_— se correz.® — 291 log (2, — e) = 2.3506.750 o, — 9 = 2242”.204 o -g= 0° 37 22".204 logX=4,77428 log X — 477425 1 o=38 36 09.306.|log3—=_3+=1.40470 o,=39° 13' 31".510 log tg 9, = 9. 91186 uu sa di" log (p — g')= 0. 86506 g= 39° 13'24%181 passo! — 7° 329 410 MODO Di log X=4.7742474 1 loore-=;8.5092013 °5 N sen] R colog. cos g, = 0.1108866 — 83 log.A9 = 3.3943270 AG= 2479".228 Na_0° 41° 19,288 0.23. 24,91] DB 1° 04 44,199 ADOPERARE GL] KLEMENTI GEODETICI LO 00 Gt log G= 2.373 log X = 4774 log X = 4,744 ESEMPIO NUMERICO II. Coordinate geografiche di A g= 50° 20' 23".63 W-25 38.361 log Y= 4.4258104.8% log. — 8.5101080.5 psenl' + 89.7 log(gp, — 9) = 2.9359275.0n g,—pg= — 862°.8345 = — 0° 14' 22".8345 o= 50 20 23.63 g,= 50° 06' 00".7955 gj=gl= 5.0390 +10 Ù] g= 50° 05' 55°.7565 Coordinate geodetiche di B X=+40782".25 Y= — 26656 .95 log Y = 4.4258n log K= 7.5270 1.9528n — 89.7 2log X=9.22101 log tg 4, = 0.07773 1 lot ——_—_-=1.40360 bi 20, N sen 1 i log(go — g') = 0.70234 q— g' =5". 0390 286 NICODEMO JADANZA log X = 4.6104031.5 2logX—= 9.2210 1 log ——_- = =8.5089270.0 log G-=274098 N,senl colog. cos gd, = 0.1928394.0 1.9261 — 84.1 + 84,1 log A8 = 8.3022611.4 AG0=2052".3959 =0894! 12:.3959 0= 25 38 29.61 = 26° 12' 42".0059 Quest’ ultimo esempio è stato preso da BéòrscH (Anleitung zur Berechnung geoditischen coordinaten, pag. 93). Il risultamento ottenuto dal sig. Béòrsch è il seguente: g'= 50° 05' 55". 7569 6 =26 12 42 .0058 Le formole precedenti (18), (16), (17) possono essere ado- perate anche quando X ed Y avessero i valori di cento chilo- metri ciascuna. In questo caso il logaritmo del 2° membro della (16) dovrebbe essere diminuito della quantità M 143tg.9, .S i ie" SM + Alla latitudine 0 = 47° si avrebbe log E = 0,59611 espresso in unità della 5 decimale. Il valore di o, — g' verrebbe dimi- unito di due millesimi di secondo. Volendo le coordinate geodetiche rettangolari per mezzo delle coordinate geografiche nel caso che A e A sieno maggiori di 15', le formole date al n° 5 saranno insufficienti. In questo caso MODO DI ADOPERARE GLI ELEMENTI GEODETICI 287 sì adopereranno le seguenti: logX=log. AG. N'senl'. cosg'—[5,23078—10] AG* sen'g | “9 Y=(e'— 9)p5en1"4[4,38454-10]XAgseno' | Il numero 5,23078—10 che si trova nella prima delle for- Sa 10 Mg, 1 mole precedenti è il logaritmo di < 3 1 espresso in unità della 7* cifra decimale. ESEMPIO NUMERICO. Coordinate geografiche date. di A; po= 38° 36’ 09". 306 G>-0°-93/-24"- SH di B; qi= 8913 24. 181 O VARZI 199 Sal" 01 97 14°. 845 AO: A1' 19° 288 Novi 2234. 845 AG=2A479". 288 o, =38° 54' 46". 743 log Ao = 3.3492532 log AQ —3.39433 log.p, senl' = 1.4890277 log sen g' — 9.80095 4.8382809 log X — 4.77425 68909.79 [| ]=4.38454 225.98 2.35407 di =.6PEso". 1 correz.® — 225". 98 log A0=3.3943270 | 2 log 40 =6.78865 log N'sen 1l'—=1.4907986 2 log sen o' —9.60190 log cos g = 9. 8891260 [1% ]=2#5.2308 — 42 1.62155 log X = 4.7742474 correz.° — 42 x = 594637. 08 | Le formole precedenti si possono adoperare anche quando Ag e A# fossero ciascuna eguale ad 1°. 288 NICODEMO JADANZA La semplicità delle formole precedenti, specialmente di quelle dei numeri 5, 7, 8, Geodesia (*). Da ciò che si è detto finora si vede chiaramente quanto sia utile la pubblicazione degli elementi geodetici dei punti contenuti in ciascun foglio della Carta d'Italia, ed il vantaggio che da essi possono ritrarre gl’Ingegneri: speriamo non sfuggirà ai cultori della È da augurarsi che, al più presto possibile, vengano pub- blicati dall’Istituto Geografico Militare tutti i fogli della Carta d’Italia. TAVOLA AUSILIARIA 36° 007 10 38 00 40 50 39 00 | 7,5132340 404 483 560 636 711 784 855 925 993 7,52059 124 2,27290A0 2,27820 228349 228877 220404 2,20930 230455 2,30979 2,31503 2,32026 2,32548 2,33069 2,33590 2,34109 2,31628 2,35146 235663 236180 | 2,36697 39° 007 44 00 42 00 7,52535—10 588 639 688 736 782 827 7,53029 065 099 132 163 193 223 249 2,3669710 2,37212 2,37727 2,38241 2,38754 2,39267 2,39780 2,40292 2,40804 2,41345 2,41826 2,42336 2,42845 243354 2,43863 2,44372 2,44880 2,45388 2,45895 (*) Nelle formole che servono al calcolo numerico bisogna avere per mas- sima di adoperare il minor numero possibile di simboli ausiliarii, MODO DI ADOPERARE GLI] ELEMENTI GEODETICI 289 Segue Tavola ausiliaria. (o) log K log G ( log A log G 429007 | 7,5324910 | 2,45895—10 || 45°007| 7,53480—10 | 2,5499210 10 274 2,46402 10 478 2,5D496 20 298 2,16909 20 476 2,56001 30 320 2,47416 30 472 2,56506 40 3A 2,47922 40 466 2,57010 50 361 2,48428 50 459 2,57515 43 00 379 2,48934 46 00 45A 2,58020 10 395 2,49440 10 4IA 258525 20 440 2,49945 20 429 2,59030 30 424 2,50450 30 416 2,59535 40 436 2,50955 40 402 2,60040 50 447 2,51460 50 386 260545 44 00 454 2,51965 47 00 | 7,5336940 | 2,6105110 10 463 2,52470 20 469 2,52975 30 474 2,53479 40 XTI 2,53984 50 479 2,54488 45 00. 480 2,54992 Mn be O nti 780029 G=7 10.3 MESS SIAM RIN ERRATA-CORRIGE, Nella nota intitolata: /nAuensa degli errori strumentali del Teodolite sulla misura delle distanze zenitali, presentata nell'adunanza del 15 dicembre 1889, sì faccia la seguente correzione. Nelle formole (3), (4), (6) sì sostituisca la quantità v? sen? A a v?. Il sig. Professore Pizzetti dell’Università di Genova si compiacque di avvertirci di un tale errore, Egli inoltre ha dimostrato che la nostra formola (4) coincide con quella data da CHauvenET e che si deduce dalla (8) quando in luogo di vcos A sì ponga /— by. Torino, febbraio 1890, 290 CORRADO SEGRE Un nuovo campo di ricerche geometriche ; Saggio di Corrapo SEGRE. Nora Il. (*) —_ Delle antinvoluzioni e delle catene. 11. Per giungere subito alla nozione, molto importante, delle catene, cominciamo a considerare un modo assai semplice (ma non generale) che serve per determinare delle antinvoluzioni in ogni forma geometrica. E un’ antinvoluzione, cioè un’ antiprojettività coincidente con la propria inversa (ossia avente per quadrato l’identità), l’anti- projettività che vien determinata (v. n' 1 e 5) in una forma di specie » dando + 2 elementi indipendenti come elementi uniti: così in una forma qualunque di 1° specie l’ antiprojettività determinata da 3 dati elementi uniti; in un piano, ovvero nello spazio, l’anticollineazione che s’individua dando 4 punti (o rette, o 3 punti ed 1 retta), ovvero 5 punti (o piani, ecc.), come elementi uniti; ecc. Similmente, e più in generale, è chiaro che riesce pure un’antinvoluzione l’antiprojettività che in una forma di specie r si determina dando % coppie di elementi che si corrispondano in doppio modo (ove 2k=r+ 2) ed r—2%+-2 altri elementi come elementi uniti (con la condizione che tutti gli elementi dati siano indipendenti). Così si determinano delle antinvoluzioni: nelle forme di 1° specie dando un elemento unito e due ele- menti omologhi; nel piano dando due punti uniti e due punti omologhi, oppure due coppie di punti omologhi; nello spazio dando 3 punti uniti e due punti omologhi, ovvero un punto unito e due coppie di punti omologhi; ecc. (*) V. la Nota I a pag. 180 del presente volume. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 291 Se in una forma reale di specie r si considera la corri- spondenza di comiugio, si ha appunto (n. 6) un’antinvoluzione della natura che in tali determinazioni è considerata: essa ha per elementi uniti tutti gli elementi reali della forma. 12. Due antinvoluzioni in forme di specie r della natura precedente, cioè tali che in. ognuna di esse esistano almeno +2 elementi uniti indipendenti (e vedremo che così sono tutte le antinvoluzioni che hanno elementi uniti), sono sempre projet- tive (ed antiprojettive) fra loro in infiniti modi. Invero la pro- jettività (e l’antiprojettività) fra le due forme in cui ad r +2 elementi uniti indipendenti di un’antinvoluzione corrispondono al- trettanti elementi uniti indipendenti dell’altra trasformerà quella in questa (n. prec.). Ne segue che una siffatta antinvoluzione è projettiva (ed antiprojettiva) alla corrispondenza di coniugio in una forma reale di specie r. Essa avrà dunque, precisamente come questa, una co” di elementi uniti e non soltanto gli r+2 da cui partimmo. Chiameremo catena di specie r o catena r-pla (fondamentale per l’antinvoluzione) l'insieme di tutti questi ele- menti uniti. E dalle cose precedenti, particolarmente dalla con- siderazione delle forme reali, le quali nelle varietà costituite dai loro elementi reali ci dànno delle particolari catene, si po- trebbero già trarre varie proprietà delle catene. Così: Una ca- tena di una forma semplice è individuata da 3 clementi. Una catena di 2° specie nel piano (0 catena piana) s’individua dandone 4 punti indipendenti, oppure 4 rette indipendenti (0 8 punti ed una retta, ecc.) Una catena di 3° specie (0 cutena spaziale) è individuata da 5 punti indipendenti, oppure da 5 piani indipendenti. — Per trasformazioni projettive (od an- tiprojettive) ed in particolare per projezioni e sezioni (univoche) le catene si mutano in catene della stessa specie. Viceversa due catene della stessa specie son sempre projettive (od anti- projettive) fra loro. — Ogni catena è una varietà continua. — Ogni catena di 2° o di 3° specie contiene infinite catene di specie inferiore. Così una catena piana contiene oo? catene di 1° specie di punti (catene rettilinee): ogni retta della ca- tena piana la sega secondo una di quelle catene rettilinee (*), (*) Non occorre avvertire che dicendo retta di una catena piana consìde- 292 CORRADO SEGRE sicchè per due punti qualunque della catena piana passa una catena rettilinea (ed una retta) di questa, mentre viceversa. due catene rettilinee (0d anche due rette) della catena piana st segano in un punto di questa. Dualmente le . rette della catena piana che passano per un suo punto formano una catena di 1° specie, ecc. ecc. Una catena spaziale ha î suoi punti situati su co! catene rettilinee e su co? catene piane: per 2 qualunque dei suoi punti passa una catena. rettilinea, per 3 punti non posti in una catena rettilinea, passa una ca- tena piana; due catene piane si tagliano secondo una catena rettilinea; una catena piana ed una rettilinea che non. vi: giaccia hanno comune un punto. Ogni piano della catena spaziale la sega secondo una catena piana; ecc., ecc. — Brevemente possiamo dire che la geometria projettiva su una catena di specie vr coincide colla geometria projettiva degli elementi reali su una forma reale di specie r. 18. Da questo fatto (che nel seguito di questo Saggio ac- cadrà più volte di applicare senza dirlo) discende subito che le tetradi composte di elementi di una catena semplice sono neutre, cioè hanno valori reali, e viceversa ogni tetrade neutra appartiene ad una catena. E più in generale gli elementi di una forma di specie r i quali hanno, rispetto ad r+ 2 di essi come elementi di riferimento, coordinate projettive reali sono appunto gli elementi della catena di specie r determinata da quegli »+.2. Queste proposizioni del resto scaturiscono anche dalle prime considerazioni di questo lavoro (n. 2), le quali mo- strano che una tetrade è antiprojettiva a se stessa solo quando essa è neutra; basta in fatti riflettere che ogni gruppo di ele - menti di una catena è, per la stessa definizione di questa, an- tiprojettivo a se stesso. La catena determinata in una forma semplice da 3 dati elementi si può anche costruire a questo modo. Essa contiene ogni elemento che con quei 3 formi un gruppo armonico ; poi ogni elemento che con 3 di quelli che già si hanno (tra i dati riamo questa come una 00° di rette e non intendiamo dire che la retta giaccia con tutti i suoi punti nella catena piana considerata come luogo di punti. Vediamo invece che su questa vi sarà solo una catena rettilinea di punti della retta. UN NUOVO CAMPU DI RICERCHE GEOMETRICHE 293 ed i costrutti) formi un gruppo armonico; e così via. Ogni ele- mento della catena si otterrà per questa via o direttamente o come limite. Similmente la catena di 2° specie determinata da 4 punti indipendenti dati su di un piano contiene anche i punti in cui si tagliano le rette che congiungono quei 4 a due a due (rette della catena, perchè unite nell'antinvoluzione determinata dai 4 punti come punti uniti); poi i punti in cui si tagliano ancora le rette che congiungono i punti che già si hanno; e così via. Ogni punto della catena si otterrà a questo modo, direttamente o come limite. Analogamente si possono ottenere le altre catene di 2° specie e quelle di 3°. 14. Le proprietà precedenti si rispecchiano tutte nella se- guente rappresentazione analitica (parametrica) delle catene, rappresentazione che deriva immediatamente da quelle proprietà. Indichino @,, d,; €,, .... le coordinate fisse dei punti «, d,c..., mentre ),{2, v, ... siano parametri reali variabili: allora, al mutar di questi, i punti di coordinate Goa... da, + pb , e a Qatpb+ve, , (2), VENDE Xa,+p.b,+ve+7d, , descrivono rispettivamente una catena semplice (rettilinea), una catena doppia (piana ) ed una tripla (spaziale ). La corrispon- denza fra i punti di queste catene ed i rapporti di quei pa- rametri è univoca, senz’eccezione. In ciò però si è supposto tacitamente che i punti a, d, c,... fossero indipendenti. Ponendo ora l’ipotesi contraria avremo dalle (1), (2), (3) le rappresentazioni di quelle stesse catene degeneri a cul si giungerebbe applicando alle antinvoluzioni quanto si disse in generale al n. 10 intorno alle antiprojettività degeneri. Anzitutto se sopra una data retta i due punti 4, d coinci- dono, la catena rettilinea che era rappresentata da (1) degenera riducendosi a quell’ unico punto; e questo punto (singolare) corrisponde, esso solo, a tutti gl’infiniti valori di ): Se poi nella (2) @,5,c son tre punti di una retta, allora è chiaro che, se fra le coordinate scelte per essi ha luogo un 294 CORRADO SEGRE legame lineare reale, cioè se per i vari valori di { le @,, ò,, €, costituiscono altrettante soluzioni di una stessa equazione lineare omogenea a coefficienti reali, od in altri termini se, nel campo binario, son reali i rapporti dei determinanti (bc), (ca), (ad), la (2) si potrà ridurre a contenere linearmente due soli para- metri omogenei reali, e però rappresenterà solo una catena ret- tilinea, ogni punto della quale corrisponderà ad infiniti valori di X:{.:v. — Ma se fra quelle coordinate di a, bd, c. non esiste un legame siffatto, allora con valori convenienti di questi rapporti la (2) potrà rappresentare le coordinate di ogni punto della retta. Im tal caso se un punto corrisponde in pari tempo a due gruppi di valori per À, {., v non proporzionali fra loro, sicchè si abbia sQa,+pb+ve)=s (Xa,+p'b+v'c), se ne trae, ponendo atia=(bc), P+iB=(cad), y+in=(0)), che si possono prendere s, s' per modo che INI . TIRI NOA - i TR0S a si-si=atia,, sp—sp'=B+ib,, sv-sv=y+éy- Ora da ciò segue subito che quello stesso punto corrisponde anche al porre nella (2) in luogo di À,{,v rispettivamente (le com- binazioni lineari di ),{.,v; X,12,v') @,f,y, oppure anche a, Bio Y,: 0 più in generale a+%a,, B+&B,, yt&k: ove % indichi un numero reale qualunque. Vi è dunque sulla retta un sol punto singolare, cioè corrispondente ad infiniti valori di ): f.: v, quando la retta si rappresenta colla (2), vale a dire si considera come una catena piana degenere. Consideriamo ora similmente i punti rappresentati dalla (83), ove a, b, c, d stiano tutti in un piano. Se fra le coordinate scelte per questi, @,, d,, €,, d,, esiste un legame lineare reale (cioè se son reali i rapporti dei determinanti del 3° ordine formati con esse), la (3) non rappresenterà che i punti di una catena piana (ognuno contato infinite volte). — Nel caso ge- nerale invece, in cui non ha luogo un tal legame, essa rappre- senta co? punti; e si vede, come si fece testè per. la (2); che UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 295 ogni punto corrisponde in generale ad un sol gruppo di valori per X:p.:v:n. Fa solo eccezione un punto singolare, che, posto a+ia,=(bcd), B+:B,=—(acd), Y+iy,=(abd), 0+:0,=— (abc), si ottiene dalla (3) mettendovi in luogo di ), &, v, x, risp. a+ka,, P+EkB,, y+%y,, d+kd,, ove % indichi un numero reale qualunque. Ora segando quella oo* con una retta qualunque del piano, cioè assogget- tando le coordinate (83) a soddisfare l’equazione della retta, si vengono a legare i parametri ),1,v,7 con due equazioni lineari a coefficienti reali, le quali possono però anche coincidere; quindi i punti dell’intersezione verranno ad avere per coordinate delle forme lineari di due, o eccezionalmente di tre, parametri reali variabili (che si posson scegliere fra ),1,v, 7), e for- meranno in conseguenza una catena. Ma se la retta passa pel punto singolare della 003, quell’ intersezione dovrà pure averlo per punto singolare, sicchè ove la retta non abbia tutti i suoi punti nella oo*, la catena rettilinea in cui la sega dovrà de- generare in quell’unico punto. Dunque il sistema dei punti rap- presentati dalla (3) si compone nel caso attuale di tutte le rette che dal punto singolare projettano una catena rettilinea, cioè degli 003 punti situati sulle oo rette di una catena semplice (di un fascio). Questo ente appare così come una catena spa- ziale degenere. (*). Valendoci di questi risultati e di ragionamenti analoghi ai precedenti possiamo similmente vedere che cosa costituiscano i co) È chiaro che l’ente rappresentato dalla (3), in cui a, db, c, d stanno in un piano, sì può considerare come proiezione (centrale) di un ente ana- logo ma non soggetto a questa condizione, cioè di una catena spaziale pro- priamente detta. Da ciò si sarebbe potuto dedurre immediatamente che esso è composto come sopra si trova, cioè di una catena semplice di rette. E analogamente si sarebbe potuto ottenere il risultato corrispondente relativo alla (2). Ma per applicare una considerazione della stessa natura agli enti dello spazio ordinario che ora passiamo a considerare, rappresentati dalle (4) e (5), bisognerebbe valersi degli spazi superiori e delle catene che ad essì appartengono (V. la nota alla pag. segu.), 296 CORRADO SEGRE punti dello spazio che hanno per coordinate delle forme lineari di 5 o di 6 parametri reali (I RSPRE Va+pb+ve+nd+ pe; (D).si da,+pb+v6+7d,+46+0f . Supposto che fra le coordinate 4,,... f,, non esista legame li- neare reale (escludendo cioè i casi in cui sì ritornerebbe agli enti già studiati), i punti rappresentati dalle (4) e (5) costi- tuiscono rispettivamente una co* ed una 00°, corrispondendo ogni punto in generale ad un sol gruppo di rapporti pei para- metri ),p,... — Fa eccezione per la (4) un punto singolare. Un piano qualunque sega la cc! secondo (un ente rappresen tabile al modo della (2), cioè) una catena piana; ma. se, il piano passa pel punto singolare, questo sarà pur tale per la sezione, la quale perciò degenererà in una retta : passante per quel punto (a meno che, per eccezione, la sezione si possa rap- presentare nel piano con la (3), nel qual caso si ridurrà ad una catena di rette uscente. dal punto stesso). Dunque l’ente rap- presentato da (4) si compone degli oc! punti posti sulle rette che da un punto projettano una catena piana, cioè: delle. rette di una stella costituenti. in. questa una catena doppia. -— Però se i punti «, d;... che compaiono nella (4) giacciono tutti in un piano, quella formola rappresenta in generale. gli c04 punti del piano stesso, ma in modo che tutti i punti di una certa retta figurano come singolari, cioè corrispondenti ad ‘in- finiti valori di ):p:..; su ogni altra retta del piano si ottiene uno di questi punti singolari sostituendo le coordinate (4) nel- l’ equazione della retta e deducendone la rappresentazione di questa mediante la (2). La oc? di punti rappresentata da (5) è segata da ogni piano che non vi giaccia secondo (um ente rappresentabile con la (3), cioè) una catena semplice di rette: essa ha dunque in- finiti punti singolari. Un piano passante per due di questi darà per sezione una catena con due punti singolari, cioè una sola retta, oppure starà tutto nell’ente considerato (ed in ambo i casi avrà una retta di punti singolari). Ne segue che quegli co? punti costituiscono 7 piani di una catena semplice di un fascio di piani. — Ecc. ecc. (*). (*) Le catene di punti dejli spazi superiori sì possono anch'esse definire I UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 297 15. I risultati del num. prec. possono trovare applicazioni molto importanti agli elementi tangenti (ed ai contatti mutui) di enti qualunque composti d’ infiniti punti. Tali applicazioni, che per la presente Nota costituiranno una piccola digressione, saranno invece utilissime per altri lavori (*). Consideriamo un ente qualsiasi, luogo dei punti le cui coor- dinate x,y, sono funzioni date dei parametri reali indipendenti u,v... Diciamo tangente a quell’ente nel punto (7,y,z) ogni retta che lo congiunga ad un punto infinitamente vicino dell’ente stesso. Come coordinate di tal retta (nella stella) si possono as- sumere i differenziali totali dx, dy, dz, i quali sono espressi da n) h) det ARE do di toni du dv ecce., purchè il punto (r,y,2) non sia singolare, cioè ammetta dei valori ben determinati e non tutti nulli per quelle prime derivate parziali di ogni coordinata. Ora essendo quelle espres- sioni forme lineari nelle variabili reali indipendenti du, dv,..., ne segue, pel num. precedente, che /e tangenti in un punto qualunque non singolare formano una catena, generale o de- genere, della stella che ha quel punto per centro. Più precisa- mente separando fra loro i vari casi, ed applicando i singoli risultati di quel num. (ove), ., ... son sostituiti da du, dv,..., i punti son sostituiti da rette della stella, ed in particolare i punti che ivi apparivano come singolari, cioè corrispondenti ad sia come luoghi di punti uniti di antinvoluzioni di quegli spazi, sia come composte dai punti le cui coordinate sono forme lineari date di un numero qualsiasi di parametri reali variabili. Ciò posto, le catene che essenzialmente appartengono ad un $, sono: quelle non degeneri composte di cod punti (punti uniti di un’antinvoluzione non degenere); poi quelle degeneri 0o9+', 00°+*, ..., co°”-' composte degli elementi che proiettano da un punto, da una retta, ...,da un S;_, risp. le catene non degeneri di Sj_,s Sg_,3 ++) S45 ed infine la 00°” composta di tuiti i punti di S» la quale pure (con un certo S;_, come luogo di punti singolari ) figura come catena degenere. — Per proiezioni o sezioni qualunque da catene si otterranno sempre catene, (*) Il lettore potrà fin d’ora vedere a che cosa si riducano per gli enti costituiti dai punti di una catena le rette ed i piani tangenti di cui tratteremo in generale. Nei Capi segu! si otterranno poi direttamente per gli elementi tangenti ad iperconiche, iperquadriche e loro intersezioni le proprietà che ora stabiliamo per enti qualunque. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 22 298 CORRADO SEGRE infiniti valori di \:p.:..., da tangenti singolari, cioè corri- spoudenti ad infiviti valori dei rapporti di differenziali du:dv:.. .) abbiamo le proposizioni seguenti. In ogni punto non singolare di un ente co tangente. Le tangenti ad un ente co° in un punto non singolare stanno tutte in un fascio e vi formano una catena semplice; il loro piano comune si può chiamare il piano tangente all’ente. — Il punto può per eccezione ammettere una sola tangente (catena semplice degenere), e quindi un fascio di piani tangenti: tale eccezione si verifica per tutti i punti dell’ente 00? se questo è una curva (cfr. la 2° pag. dell’introduzione). Per un ente co le tangenti in un punto non singolare for- ! vi è una sola mano una catena doppia della stella; gli co? piani di questa . catena sono piani tangenti all’ente in quel punto, in questo senso che, mentre ogni altro piano passante pel punto ne contiene | ana sola tangente, ciascuno di quei piani ne contiene una catena | semplice di tangenti (sicchè l’ente co! secondo cui esso può se- gare l’ente dato ha il punto considerato per punto singolare). — La catena doppia può degenerare : allora le tangenti all’ente 00? nel detto punto sono le rette di un fascio, e fra esse ve n'è una singolare, (come fra i piani tangenti, che sono allora tutti i piani passanti per questa retta, ve n'è uno singolare, che è il piano di tutte le tangenti). Questo caso si presenta sempre se l’ente 00° è piano : allora ogni retta passante per un suo punto non singolare e giacente nel suo piano è tangente ed incontra l’ente in generale secondo una col contenente quel punto; ma per la retta singolare accade che quel punto è singolare nella oo! d’in- tersezione (la quale può anche ridursi a punti isolati). È oppor- tuno in tal caso limitare la denominazione di « tangente » a questa retta singolare (*). (*) La sua equazione si trova facilmente, sia applicando le espressioni (n.14) delle conrdinate del punto singolare di una retta considerata come catena piana degenere, sia scrivendo che il punto di cui si tratta è singolare per la detta intersezione della retta coll’ente. Se questo è rappresentato in cordinate non omogenee dall’equazione reale f(2, Y; a,9)=0 , la tangente nel punto (x, y) ha per equazione: Of of X_- a) Y_-yE =0; al + m=o; UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 299 Le tangenti ad un ente coi in un punto non singolare riem- piono i piani di una catena semplice; l’asse del fascio di piani cui questa catena appartiene è una tangente singolare; gli col piani della catena sono i piani tangenti. Per ciascuno di questi l'intersezione (00° in generale) coll’ente coi ha nel punto consi- derato un punto singolare, poichè esso ha per tangenti tutte le rette del piano; laddove per un altro piano qualunque quell’ in- tersezione ha per tangenti le rette della catena semplice sezione della catena dei piani tangenti, ed ha in particolare una sola tangente nella tangente singolare dell’oo*, se il piano, senz’essere tangente, passa per questa. — In casi particolari la catena dei piani tangenti può degenerare riducendosi ad un unico piano tangente: allora si hanno solo più oo? rette tangenti, esse for- mano un fascio in quel piano e sono tutte singolari. Questa particolarità si presenta per tutti i punti della 00%, quando questa costituisce una superficie. Per un ente oo? tutte le rette uscenti da un punto sono tangenti, in quanto che lo congiungono ai punti infinitamente vicini. Esse ci appaiono come costituenti una catena oo dege- nere, e però fra esse ve ne sarà un fascio di singolari, alle quali converrà riservare la denominazione di « tangenti ». Queste rette particolari presentano fatti analoghi alle tangenti già considerate di un ente piano 003; e sono appunto le tangenti agli enti co* che si ottengono come sezioni piane dell’oo?. Il loro piano, piano tangente a questo nel punto di cui si tratta, dà una sezione piana per cui quel punto è singolare (*). — se invece l’ente 008 è dato in coordinate omogenee dall’equazione reale f(&,'%2 j%g) 1, Ca, eg) =0 l'equazione della tangente in x diventa: PIù yi=08 nd) (Cfr. una nota dell’introduzione). Il punto è singolare se quest’equazione si riduce ad un’identità, cioè se s’annullano le prime derivate parziali di rispetto alle coordinate x, (donde segue anche l’annullarsi delle prime deri- vate di f rispetto alle x,, poichè in causa della realtà della forma / queste derivate sono coniugate di quelle). (*) L'equazione di questo piano tangente si scrive subito per analogia con quella della retta tangente ad una oo* piana data nella nota precedente, e sì dimostra o in modo simile, o deducendola da quella. — Similmente si hanno analoghe condizioni analitiche perchè il punto sia singolare, 300 CORRADO SEGRE Stando alla primitiva definizione delle rette tangenti è evi- dente che se due enti di diversa dimensione sono contenuti l'uno nell’altro, le tangenti di quello son pure tangenti di questo. Ne derivano le proposizioni seguenti, iv cui degli enti di cui si parla si suppone sempre che l’uno stia nell’altro, e gli elementi tan- genti si considerano tutti per uno stesso punto. La tangente all’ co! fa parte della catena semplice delle tangenti all'ente oo°. — La catena semplice delle tangenti al- l’oo° sta nella catena doppia delle tangenti all’ oo; e però il piano tangente all’oo? sta fra i piani tangenti dell’oo3. — La catena doppia delle tangenti all’oo? sta nella catena semplice dei piani tangenti all'ente coi; vale a dire la tangente singolare di questo è pur tangente per l’ente co, e quella catena di piani tangenti all’oo' son pur tangenti per l’ c03. È facile vedere che una tangente singolare di un ente, cor- rispondendo ad infiniti valori dei differenziali du, dv,...,è pur tangente ad ogni ente di dimensione inferiore di un'unità con- tenuto in quello (ente per cui quei differenziali vengono assog- gettati ad un’equazione lineare). Possiamo quindi aggiungere: La tangente ad un ente piano co° è pur tangente all’ente co: — Il piano tangente all’ente co° è pure piano tangente per lot. Tra le numerose conseguenze che si possono trarre da tutte le precedenti proposizioni fondamentali sugli enti composti d’in- finiti punti vi hanno quelle relative alle tangenti che due o più enti hanno a comune in un loro punto d’intersezione. Così dal fatto che presto dimostreremo che due catene semplici di una stessa forma hanno in generale due elementi a comune, oppure nessuno, segue che due enti co? di uno stesso piano hanno in generale in ogni loro punto d’intersezione due tangenti co- muni, ovvero nessuna (*). In generale tutte le proprietà che ve- (*) È superfluo avvertire che una tangente comune in un punto dei due enti non significa ancora (come, stando alle nozioni comuni, potrebbe sem- brare) un contatto di questi, cioè l'aver comune anche un punto infinitamente vicino a quello. Poichè su d’una retta (completa) vi sono co' punti infinita- mente vicini ad un dato, e quindi, assegnando la retta (tangente) che con- giunge un punto dato ad un suo infinitamente vicino, questo non risulta determinato; sarebbe invece dato ove, ad esempio, si assegnasse una catena rettilinea passante pel primo punto, sulla quale anch’esso debba stare, UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 301 dremo in seguito relative alle intersezioni mutue delle catene si potranno applicare immediatamente alle dette questioni sulle tan- genti in un punto comune ad enti qualunque. Ed ora, abbandonando questa digressione generale sugli ele- menti tangenti, riprendiamo lo studio delle catene, e più gene- ralmente delle antinvoluzioni. Ma per poterlo condurre più oltre consideriamo ora separatamente le forme delle varie specie. 16. Forme di 1° specie. — È facile vedere che in una tal forma ogni antinvoluzione o non ha alcun elemento unito, oppure ne ha una catena. Invero se un’antinvoluzione ha un elemento unito P, e si chiamano A, A' due elementi omologhi qualunque, l’armonico Q di P rispetto ad A, A' avrà per omologo (in forza della definizione di « antiproiettività ») l’armonico di P rispetto ad A', A, cioè se stesso, sicchè Q sarà pure un elemento unito; al variare poi della coppia AA' di elementi omologhi, Q non rimarrà sempre fisso, poichè altrimenti l’antinvoluzione coin - ciderebbe coll’involuzione avente per elementi doppi P e Q, il che (ancora in virtù della citata definizione) non può essere. Dunque la nostra antinvoluzione ha almeno 3 elementi uniti, e però (n. 12) ne avrà infiniti costituenti appunto una catena. — Così risulta pure che, rispetto ad una coppia qualunque AA' di elementi omologhi dell’ antinvoluzione avente per elementi uniti quelli di una data catena, questi si distribuiscono in coppie (ana- loghe alla PQ) armoniche ad AA'. Lo SrauDT (B°, 212) chiama perciò gli elementi A, A' separati armonicamente dalla catena (senza definirli coll’antinvoluzione, concetto che egli non intro- duce) ed anzi osserva che ogni catena passante per essi ha co- muni con quella data due elementi (armonici rispetto ad essi): fatto che da ciascuna delle rappresentazioni reali ricordate nel- l'introduzione appare evidente. Per completare la dimostrazione del nostro primo enunciato rimane da stabilire l’esistenza di antinvoluzioni prive di elementi uniti. Essa risulterà naturalmente da alcune proprietà comuni a tutte le antinvoluzioni che ora vedremo. 17. Si consideri una catena € passante per due punti omo- loghi A,A' di un’antinvoluzione qualunque A. Il prodotto di questa e dell’antinvoluzione € (indicando con questo stesso sim- 302 CORRADO SEGRE bolo l’antinvoluzione che ha la catena fondamentale C) sarà una proiettività in cui i due elementi A, A' si corrisponderanno evi- dentemente in doppio modo, cioè sarà un’involuzione. Ne segue (*) che le due antinvoluzioni sono permutabili, sicchè la catena € sarà trasformata in se stessa da A. Dunque ogni catena pas- sante per due elementi omologhi di un’ antinvoluzione è tra- sformata in se stessa da questa, ossia è unita per questa. Ne discende subito che: due coppie qualunque di elementi omologhi di un’antinvoluzione stanno in una catena (unita). Ciò del resto risulta pure osservando che se AA' e BB' sono due coppie di elementi omologhi di un’antinvoluzione, sarà il gruppo AA'BB' antiproiettivo ad A'AB'B, e quindi anche al gruppo, proiettivo a questo, AA'BB', cioè a se stesso ; dunque quei quattro elementi stanno in una catena. 18. A determinare un’antinvoluzione non si possono dunque dare ad arbitrio due coppie di elementi omologhi, come si fa per le involuzioni; ma bisogna darle in guisa che stiano in una stessa catena. Questa condizione è anche sufficiente, sicchè date ad arbitrio in una catena C due coppie AA', BB' di elementi, esiste una determinata antinvoluzione che le contiene come coppie di elementi omologhi (in altri termini se un’ antiproiettività ammette due elementi distinti A, A' che si corrispondano in doppio modo e se inoltre — condizione che non ha l’analoga nelle proiettività — ha come omologhi altri due elementi B, B' posti in una catena con quelli, essa sarà involutoria). Invero il ragionamento prece- dente si può invertire: il gruppo AA'BB' giacendo su una catena sarà antiproiettivo a se stesso e quindi anche al gruppo (proiet- tivo) A'AB'B; ora quest’antiproiettività, coincidendo evidente- mente coll’inversa, sarà un’antinvoluzione, in cui dunque AA', BB' son coppie di elementi omologhi. Sulla catena €, unita per l’antinvoluzione, questa determina una corrispondenza che coincide con un’involuzione ordinaria e che ha quindi due elementi uniti o nessuno secondo che sulla (*) In forza della nota proposizione (che ci occorrerà ancora nel seguito) che: la condizione necessaria e sufficiente perchè due corrispondenze uni- voche involutorie siano permutabili è che il loro prodotto sia pure una cor- rispondenza involutoria (la quale poi sarà permutabile con ognuna di quelle due, dando per prodotto l’altra). UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 303 catena stessa le due coppie AA', BB' non si separano oppure si separano. D'altronde da un’ osservazione fatta alla fine del n. 16 segue che se l’antinvoluzione ha elementi uniti, ne deve certo avere due sulla catena €. Dunque l’antinvoluzione deter- minata dalle due coppie AA', BB' avrà una catena di elementi uniti o non ne avrà alcuno secondo che quelle coppie sulla catena che le contiene non sì separano oppure si separano. — Resta così provata l’esistenza delle antinvoluzioni prive di ele- menti uniti (*). (*) Sulla teoria analitica delle antinvoluzioni e delle catene nelle forme di 1% specie. — Un’antinvoluzione di una tal forma (fra elementi x ed y) è rappresentata (cfr. n. 9) da un’equazione della forma 2 arnCIm=0 > ove (come dimostreremo più in generale nel Cap° seg.) si può supporre che a, A, Siano reali, mentre @,,, 4, siano fra loro coniugati. Simbolicamente la stessa equazione diventa: o dx 7 AI) . Il determinante 1 —_ — ' Gini A 03 d9g — A49 Ag; =z(a a')(a@) (ove le a' indicano simboli equivalenti alle a) è l’invariante dell’antinvoluzione. Esso è essenzialmente reale e col suo segno negativo o positivo indica risp. che l’antinvoluzione ha o non ha una catena di elementi uniti. Invero l’equa- LI zione che esprimerebbe che l’elemento x è unito E Arm C1Em —0 sì può anche scrivere in quest'altro modo: (Gy, £ + 09, 3)(0,, &,+4-d,39%9) +Ag,g,=0 , che proverebbe (essendo positivi i due prodotti di quantità coniugate che vi compaiono) che A è negativo ; e viceversa. L’invariante 4 s’annulla (cfr. n.40 quando l’antinvoluzione degenera, cioè la catena si riduce ad un solo ele- mento. Se con quell’antinvoluzione ne consideriamo un’altra Z Din im = 0 ossia db, b,=0 È il cui determinante indichiamo con A,, avremo altre forme invariantive. Come prodotto delle due antinvoluzioni si ottiene subito la proiettività (ab) asa 0. la quale è involutoria quando s’annulla l’invariante (reale) EC b)(ab)=a, Dsa — Ag Day — Ag dia + agg da . 304 CORRADO SEGRE 19. Forme di 2* specie. — Consideriamo un’antinvoluzione fra gli elementi di un piano (poichè a questo possiamo limitarci). Dunque l’annullarsi di I esprime che le due antinvoluzioni sono permutabili. — La proiettività considerata ha gli elementi uniti rappresentati da (bla b,=0; e questi elementi costituiscono o la coppia di elementi omologhi comune alle due antinvoluzioni oppure i due elementi uniti comuni a queste, cioè i due elementi d’intersezione delle loro catene: ciò a seconda che esistono tali due elementi omologhi oppure due tali elementi uniti (cfr, n. 24) Il caso intermedio fra questi è quello in cui i due elementi coincidono in un solo elemento unito comune alle due antinvoluzioni, cioè in cui le due catene sono tangenti fra loro: si trova subito dall’equazione di quella coppia che la condizione perchè accada questo fatto è I 444,20 LS Se ora sì osserva che il 1° membro di quest’uguaglianza è un invariante di valore reale, il cui segno è pure invariante, si è condotti a pensare che appunto questo segno serva a distinguere i due casi di cui prima si parlava, Fra le varie dimostrazioni che di ciò si possono dare accenniamo la seguente (che serve ad introdurre un nuovo concetto). Si consideri il fascio dî anti- proiettività rappresentato, al variar di ):v, dall’equazione I E Aim CL Ym + E dim Cr Im =0: due elementi omologhi (ed in particolare un elemento unito) per due di queste antiproiettività saranno tali per tutte. Le antiproiettività degeneri corrispon- dono all’annullarsi del determinante di quell’equazione, cioè ai valori di ):y per cui AX+I}k+A4,#=0. Se questi valori sono reali, sicchè I* —4A44, >0, essi corrispondono a due antinvoluzioni (o catene) degeneri del fascio, e però le due primitive antin- voluzioni non possono avere alcun elemento unito comune: avranno invece a comune una coppia di elementi omologhi (gli elementi singolari delle an- tinvoluzioni degeneri). Se invece quei valori di): sono imaginari-coniugati, sicchè I? -—4AA4,<0, allora ponendo uno qualunque di essi nell’equazione dell’antiprojettività, poichè questa è degenere, il suo 1° membro dovrà scin- dersi in due fattori contenenti linearmente risp. le x e le 7 e rappresentanti risp. i due elementi singolari dell’antiproiettività. Quindi il primo di questi elementi verifica l’equazione VE lm Cm + dn tim =0, la quale, per essere reali le due somme che vi compaiono, ed immaginario il rapporto ):w , si spezza in due equazioni reali da cui segue l’annullarsi di quelle due somme, cioè l’essere l’elemento considerato elemento unito per UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 305 Ogni retta non unita conterrà un determinato punto unito, cioè il punto in cui la taglia la retta omologa. Similmente per ogni le due antinvoluzioni date. Queste hanno dunque in tal caso due elementi uniti a comune. A queste considerazioni si collegherebbero naturalmente altre, dipendenti dal carattere bilineare dell’invariante simultaneo I, sul sistema di due fasci di antinvoluzioni o di catene mutuamente permutabili: i due elementi uniti comuni all’un fascio sono i due elementi omologhi comuni all’altro. Ma ciò sarebbe affatto ovvio; in generale la rappresentazione delle catene coi cerchi del piano o della sfera è guida naturale in tali questioni: ì fasci di catene corrispondono ai fasci di cerchi, la permutabilità delle catene all’ortogonalità dei cerchi, l’ invariante assoluto 1*:A 4A, ad una funzione dell’angolo di due cerchi, ecc. Viceversa si ha col nostro procedimento un’elegante rappresenta- zione analitica, invariantiva, della geometria dei cerchi del piano o della sfera. Come abbiamo incominciato lo studio invariantivo delle antinvoluzioni, così più in generale si potrebbe avviare quello delle antiprojettività. Anche per due di queste si potrebbero considerare gl’invarianti simultanei ], IP 444,, il cui annullarsi s’interpreta subito geometricamente in modo quasi identico a quello tenuto pel caso speciale delle antinvoluzioni; si giungerebbe così ai sistemi lineari di antiproiettività, ed in particolare ai loro fasci. Queste cose, molto analoghe a cose note sulle projettività, noi tralasceremo. — Sulle proprietà metriche delle antinvoluzioni e delle catene nelle forme di 1° specie. — Una proprietà metrica importante di tali catene è quella vista al n. 13 che il birapporto di 4 loro elementi è reale: essa si applica pure (a. 47) a due coppie di elementi omologhi di qualunque antinvoluzione. Altre proprietà si possono dedurre da quelle metriche delle antiproiettività esposte in una nota al n. 8. Indichiamo con M, N due punti uniti e con A, A’ due punti omologhi di un'’antinvoluzione su d’una retta; allora avremo: mod. (MNAA') = mod. (MNA'A) , poichè l’antinvoluzione muta i birapporti nei coniugati, oppure anche in forza della relazione (1) della nota citata, Ne segue (4) mod. (MNAA')=1, ossia sviluppando : mod A Miao mod ARI MAM TT ib ASD (2) mod, AM : mod, A'M = cost. , al variare di M nella catena, mentre A, A’ stan fissi. Questa relazione equi- vale alla proprietà del cerchio di esser il luogo dei punti le cui distanze da due punti fissi (inversi rispetto al cerchio) hanno un dato rapporto, Similmente 306 CORRADO SEGRE punto, non unito passerà una retta unita ben determinata, cioè quella che lo congiunge al punto omologo. In ogni retta unita l’antinvoluzione piana determinerà un’antinvoluzione semplice la la (2) della suddetta nota (oppure la proprietà ricordata da principio) dà, indicando con P un punto variabile della catena, arg. (FP) = cost. , (3) arg. MP — arg. NP = cost. , ossia a meno di un multiplo di x : ciò equivale alla costanza dell’angolo iscritto in un dato arco di cerchio. Se il punto all’infinito della retta non è unito per l’antinvoluzione e si chiama 0 il suo omologo, il quale sarà un centro di simmetria per l’antin- voluzione o per la catena, la (1) darà: OM mod, ON =.i ’ cioè (4) mod, OM = p, essendo p costante al variare del punto M nella catena. Più in generale le relazioni (5) e (6) della nota citata dànno, indicando con A, A” due punti omologhi variabili, e con pf una costante: (5) mod. OA . mod. OA” = 3 (6) atg. Gar arg. OA”. Queste proprietà corrispondono alla nozione del raggio p di un cerchio ed alle relazioni fra due punti A, A' inversi rispetto a questo: — Se poi si ha una catena passante pel punto all’infinito, la (2) e la (3) diventano: (2) mod, AM — mod, A’M (3') arg. MP = cost. al variare di M o di P nella catena. Da quest’ultima proprietà, od anche di- rettamente, segue che NN È reale, cioè che con un’unità di misura conve- niente tutte le mutue distanze fra i punti della catena sono reali. Non stiamo a sviluppare le cose analoghe relative alla teoria metrica delle antinvoluzioni e catene nei fasci di rette. Osserviamo soltanto che in generale una tal antinvoluzione o catena può presentare due casi ben distinti secondo che esistono due raggi omologhi, ovvero due raggi uniti che siano perpen - dicolari fra loro; tali raggi sono sempre assi di simmetria per l’antinvolu- zione o catena. Se l’antinvoluzione è permutabile coll’involuzione di angoli retti del fascio si hanno due casi particolari notevoli, secondo che ciò pro- viene dall'essere i due raggi ciclici (assoluti) omologhi rispetto all’antinvolu- UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 307 quale, avendo per punti uniti quelli in cui la retta stessa è incontrata dalle altre rette unite, ne avrà una catena (n. 16). Similmente per ogni punto unito passa una catena di rette unite. Da queste considerazioni risulta subito che fra i punti uniti dell’ antinvoluzione piana se ne possono in infiniti modi pren- dere 4 in guisa che siano indipendenti fra loro; sicchè, ricordando la definizione delle catene di 2° specie (n. 12), concludiamo che ogni antinvoluzione tra gli elementi di una forma di 2° specie ha per elementi uniti gli elementi di una catena di 2° specie. 20. Le proprietà delle catene di 2° specie che già notammo (n. 12) potersi dedurre dalla considerazione degli elementi reali di una forma di 2° specie reale derivano anche subito da quelle delle antinvoluzioni nelle forme di 2° specie. Così*dal n. prec. già segue che: data in un piano una catena di 2* specie, ogni retta che non le appartenga l’incontra in un punto solo, mentre ogni retta della catena l’incontra lungo una catena rettilinea ; similmente le rette della catena passanti per uno qualunque dei suoi punti formano una catena, mentre per ogni altro punto passa una sola retta della catena. Un’ antinvoluzione piana fa dunque corrispondere ad un punto qualunque A del piano non posto nella catena fondamentale quello A’ che sulla retta passante per A ed appartenente alla catena, cioè avente comune con essa una catena rettilinea, è rispetto a quest’ultima l’armonico di A (e noi lo diremo armonico di A anche rispetto alla catena piana): e dualmente. Si vede inoltre che i punti della catena piana son proiettati da ciascuno di essi mediante una catena semplice di rette (ognuna zione, oppure uniti per questa. Nel 1° caso, se l’antinvoluzione è priva di catena fondamentale, vi sono infinite coppie di raggi omologhi perpendicolari, le quali costituiscono una catena; se invece l’antinvoluzione ha una catena fondamentale i raggi di questa sono a coppie perpendicolari fra loro. Nel 2° caso, cioè quando si ha una catena contenente i raggi ciclici (che perciò si potrebbe chiamare catena circolare di raggi), accade in pari tempo che essa è il luogo di infinite coppie di raggi perpendicolari, e che vi sono infinite coppie di rette perpendicolari armoniche rispetto ad essa costituenti pure una catena (queste due catene, circolari entrambe e permutabili fra loro, son le- gate per modo che l’angolo di ogni raggio dell’una con un raggio dell’altra ha per parte reale È ossia ha una tangente di modulo 1). 308 CORRADO SEGRE delle quali proietta non un sol punto, ma tutta una catena ret- tilinea). In conseguenza se M, N sono due punti qualunque della catena piana, la varietà oo° dei punti di questa si può conside- rare come l’intersezione delle due varietà 003 (catene triple de- generi) costituite dai punti di due catene semplici di rette aventi i centri in M, N; catene che hanno a comune una retta MN, dalla quale si deve prescindere. Viceversa due catene semplici di rette di un piano di centri distinti MN, le quali contengano entrambe la retta MN, si tagliano ancora secondo una catena piana di punti. Perocchè se due rette della 1% catena e due rette delle 2°, diverse le une e le altre dalla MN, s'incontrano rispettivamente nei punti P e Q, la catena piana passante pei 4 punti M,N,P,Q sarà proiettata da. M mediante nna catena semplice di rette contenente le tre rette, M N, MP, MQ), cioè mediante la prima catena di rette, e simil mente sarà proiettata da N mediante la 2° catena di rette. Dualmente : date su due rette che si taglino due catene semplici di punti passanti pel punto d’intersezione, le rette che si appoggiano ad entrambe queste catene formano una catena piana (contenente le due catene rettilinee). E viceversa ogni. catena piana di rette si può generare a questo modo. 21. Un'altra generazione notevole di una catena piana si ha considerando due punti (distinti) S, S' che siano armonici rispetto ad essa. Le rette che da S, S' proiettano un punto qua- lunque della catena saranno omologhe nell’antinvoluzione che ha la catena per fondamentale e quindi S, S' per punti omologhi; viceversa due rette omologhe passanti rispettivamente per S ed S' si tagliano in un punto unito, cioè in un punto della catena. Dall’antinvoluzione i fasci S, S' son riferiti fra loro antiprospet- tivamente, cioè antiprojettivamente e con la retta unita S S'. Dunque ogni catena piana è il luogo dei punti d'incontro dei raggi omologhi di due fasci antiprospettivi. Viceversa due fasci antiprospettivi di rette di un piano generano una catena piana. Invero se S, S' sono i loro centri e P, Q due punti d'incontro di due raggi dell’un fascio rispet- tivamente cogli omologhi dell’altro, l’antinvoluzione determinata (n. 11) dai punti uniti P, Q e dalla coppia di punti omologhi S $' determinerà fra i due fasci S, S' una corrispondenza antipro- spettiva coincidente colla data. — Lo stesso fatto si potrebbe UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 309 anche dedurre da ciò che se al punto comune a due raggi qualunque dei fasci S, S' si fa corrispondere il punto d'inter- sezione dei raggi omologhi rispettivamente di S', S, si avrà (v. la costruzione generale delle anticollineazioni piane al n. 4) un’antinvoluzione fra i punti del piano. Dualmente, chiamando antiprospettive due punteggiate distinte antiproiettive e con un punto unito, si ha che le rette con- giungenti i punti omologhi di due punteggiate antiprospettive sono le rette di una catena piana; e viceversa ogni catena piana sì può generare in questa guisa. — (*) (*) Dalle generazioni delle catene piane viste in questo n° e nel precedente si possono trarre delle nuove rappresentazioni analitiche di esse. A tal fine indichiamo con A, B, C delle forme lineari nelle coordinate di punti (e con A, B,C risp. le forme coniugate, nelle coniugate delle coordinate). Due fasci di rette antiprospettivi, aventi A —0 per retta unita e B—=0, C—0 per rette omologhe sì potranno rappresentare con le equazioni (1) ACENB—=0., (2) A+IC—=0. Quest'ultima equivale alla coniugata A+IC=0, ed eliminando \ fra questa e la (1) si ha (3) AC-—AB=0. L’equazione (3) rappresenta dunque la catena piana generata dai due fasci, purchè però si faccia astrazione della retta A—=0(od A—=0) i cui punti sod- disfano pure quell’equazione. Volendo invece considerare la catena piana secondo il n. 20 come inter- sezione di due catene semplici di rette aventi la retta A—0 a comune, os- serviamo che la catena semplice delle rette unite dell’antinvoluzione fra i due fasci sovrapposti A+B=0, A+\B=0 sì ha eliminando % fra queste due equazioni, cioè fra la 1* e la coniugata della 2°, ed è quindi: (4) AB—-AB—=0. Similmente un’altra catena semplice di rette contenente la retta A—=0 si può rappresentare con (5) NG AC20"! 310 CORRADO SEGRE 22. Forme di 3° specie. — Consideriamo finalmente un’an- tinvoluzione fra gli elementi dello spazio. Essa ammette sempre f un'infinità di rette unite, le quali si possono riguardare sia come le congiungenti di coppie di punti omologhi, sia come le intersezioni di coppie di piani omologhi. Per ogni punto non unito ne passa una; su ogni piano non unito ne giace una. Su ciascuna retta unita le coppie di punti omologhi formano una antinvoluzione; e così le coppie di piani omologhi passanti per essa formano un’antinvoluzione. i Se l’antinvoluzione spaziale ammette un punto unito, allora il piano che congiunge una retta unita qualunque non passante per esso a questo punto sarà pure unito; e così pure dall’esi- stenza di un piano unito segue quella di punti uniti sulle infi- nite rette unite. In tal caso adunque l’antinvoluzione ammette infiniti punti uniti formanti un sistema tale che ogni retta unita lo sega secondo una catena rettilinea ed ogni piano unito lo. sega secondo una catena piana. Ne segue subito che si possono scegliere 5 punti uniti in guisa che siano indipendenti, e però (n. 12) che i punti ed i piani uniti formano una catena spaziale. Se un’antinvoluzione dello spazio ammette un punto ovvero un piano unito, essa ammette una catena spaziale fondamentale. Segue inoltre dalle osservazioni precedenti che, data una catena spaziale qualunque, ogni retta ed ogni piano che le appartengano l’incontrano secondo una catena rettilinea 0 piana, mentre ogu retta che non le appartenga o non l’ incontra affatto o l’incontra in un punto solo, ed ogni piano che non le appartenga l incontra secondo una catena rettilinea. Da una retta qualunque della catena i punti di questa son pro- La catena piana appare così rappresentata dalle due equazioni reali (4) e (5) da cui però si tolga la retta A=0(A=0) In luogo di quelle equazioni si può scrivere: A B C (6) e E Pa, (0) A B C (Del resto, se si osserva che i valori delle A, B, C in ogni punto del piano sì posson uulliatare come coordinate del punto, queste equazioni, le quali vengono in sostanza ad esprimere che il punto ha coordinate reali, coincide- ranno con un'osservazione fatta in principio del n. 13, od anche con la rap- presentazione parametrica delle catene piane data al n, 14), UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE b1 jettati mediante una catena semplice di piani (in cui però ogni piano ne projetta una catena piana), (*) ecc., ecc. 23. L'esistenza di antinvoluzioni dello spazio prive di punti e piani uniti si può vedere facilmente ricorrendo alla co- struzione delle anticollineazioni data al n. 4. Si determini in fatti fra due stelle distinte S, S' un’anticollineazione la quale faccia corrispondere fra loro involutoriamente i fasci di piani aventi per asse SS: ciò è possibile evidentemente in infiniti modi, e si può anzi scegliere ad arbitrio l’antinvoluzione che così si viene ad avere tra i piani per SS'. Se allora di ogni punto P, intersezione di due raggi di $, S', chiamiamo omologo il punto P' in cui si taglieranno i raggi rispettivamente corrispondenti a quelli in $',S, avremo stabilito nello spazio un’anticollineazione involutoria, di cui farà parte la data antinvoluzione del fascio di piani SS': quindi a seconda che questa non ha piani uniti o ne ha una catena, segue dal num. prec. che l’antinvoluzione dello spazio non avrà alcun punto o piano unito, oppure ne avrà una catena spaziale. (**) Merita di essere rilevato il fatto che il sistema delle rette unite di un’ antinvoluzione dello spazio priva di catena fonda- mentale non ha nè punti nè piani singolari; sicchè per ciascun | punto ed in ciascun piano passa sempre una sola retta del sistema. Nei sistemi di rette algebrici è noto che questo fatto non può presentarsi; e solo se il campo geometrico si limita agli elementi reali si ha nella congruenza lineare reale priva di rette direttrici (reali) un fatto analogo. — (***). (*) Se ne trae ad esempio che la catena spaziale si può considerare come l'intersezione di tre oo costituite da catene semplici di piani aventi comune un piano (da cui si astrae) e quindi, analogamente alla nota precedente, si può rappresentare così : A B C D R#ino apri orgia i D (**) Proseguendo i ragionamenti fatti qui e al n, 19 si vede subito che: in ogni spazio di dimensione pari tutte le antinvoluzioni hanno infiniti punti uniti, civò ammettono una catena fondamentale; in uno spazio di dimensione impari vi sono invece delle antinvoluzioni con catene fondamentali e delle antinvoluzioni prive di punti uniti. (***) Per le antinvoluzioni in forme di 1° specie abbiamo già considerata Stra CORRADO SEGRE 24. Date due antinvoluzioni in una stessa forma fondamen— tale di specie r possiamo facilmente trovare il numero delle. coppie di elementi omologhi che esse hanno a comune. Ogni tal elemento sarà in fatti unito per la collineazione che è pro- dotto di quelle due antinvoluzioni ; e viceversa ciascuno degli elementi uniti (r+ 1 in generale) di questa collineazione avrà evidentemente uno stesso elemento per omologo in ambe le an- tinvoluzioni. Separando il caso di due elementi omologhi di- stinti da quello di due elementi omologhi coincidenti, abbiamo dunque che: due antinvoluzioni di una forma di specie r ‘hanno in generale a comune un certo numero k (tale che 0=2%k=r+41) di coppie di elementi omologhi distinti ed inoltre r- 2k4-1 elementi uniti. Così, ad esempio, due antinvoluzioni in una forma semplice hanno comune in generale una coppia di elementi omologhi distinti, oppure due elementi uniti. Due catene piane hanno sempre un punto a comune; in generale o ne hanno tre (e le tre rette che li congiungono a due a due), oppure ne hanno un solo, ma am- mettono innltre una coppia comune di punti armonici (sull’unica retta che esse hanno in tal caso a comune). Due antinvoluzioni dello spazio possono presentare in generale i seguenti casi: 1° quattro punti uniti comuni, 2° due punti uniti comuni ed una coppia co- mune di punti omologhi distinti, 3° due coppie di punti omologhi distinti a comune; in ciascuno di questi casi si vede poi subito quali piani e rette, congiungenti di quei punti, siano uniti op- pure siano omologhi in entrambe le antinvoluzioni (*) — Noi pre- scindiamo, come si vede, dai casi particolari che la collineazione, la relazione di permutabilità. Per due antinvoluzioni nel piano o nello spazio la condizione di permutabilità coincide (v. la nota al n. 17) con quella di dare per prodotto una collineazione involutoria del piano o dello spazio, Si avranno dunque ad esempio le antinvoluzioni spaziali permutabili ad una data facendo il prodotto di questa e di un'omologia armonica il cui centro ed il cui piano siano uniti per l’antinvoluzione, ovvero il prodotto di questa e di un’involuzione rigata i cui assi siano rette unite, oppure rette omologhe per l’antinvoluzione. (*) Occorrendoci ancora di considerarli in seguito, chiameremo di 1% o di 2° specie un triangolo unito di un’antinvoluzione piana secondo che tutti e tre i suoi vertici son punti unitì di questa, oppure uno solo è punto unito (e gli altri due son punti omologhi); e così di 1%, di 2% ovvero di 3° specie un tetraedro unito di un’antinvoluzione spaziale secondo che tutti e quattro i suoi vertici sono uniti, 0 due soli, o nessuno. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 513 prodotto delle due antinvoluzioni, può presentare sia pel coin- cidere di alcuni fra gli +1 elementi uniti, sia pel diventare infinito il loro numero; questi vari casi particolari, ben noti, darebbero subito altrettante particolarità di posizione reciproca che due antinvoluzioni (o due catene) possono avere. Collegando la proposizione generale vista dianzi con un modo di determinare le antinvoluzioni in una forma di specie che fu esposto al n. 11, noi vediamo, almeno nei casi generali, che due catene qualunque di una stessa forma di specie r in- dividuano un sistema infinito (0) di catene aventi a comune un certo numero k (tale che 0=2k=r+1) di coppie di punti armonici ed inoltre vr -2k+1 punti, e tale che per ogni altro punto (indipendente da quegli r+1) passa sempre una sola catena del sistema. 25. Tutte le proposizioni viste sulle antinvoluzioni e sulle catene di una forma di 1° specie si possono applicare senza modificazioni ad ogni forma semplice razionale, per esempio alle antinvoluzioni (e catene) fra i punti di una curva razionale o fra le generatrici di una rigata razionale. Ma conviene aggiun- gere alcune osservazioni speciali, che si collegano al n. 7, e che ci serviranno in seguito. Se si ba un’ antinvoluzione sovra una conica o sovra una cubica sghemba, segue dal n° citato che essa è contenuta in una ben determinata antinvoluzione del piano della conica ovvero dello spazio (la quale muta la conica o la cubica in se stessa ). L’antinvoluzione piana avrà una catena doppia fon- damentale, la quale, a seconda che l’antinvoluzione fra i punti della conica non ha punti uniti ovvero ne ha una catena sem- plice, non incontrerà affatto la conica, ovvero 1’ incontrerà se- condo questa catena semplice (che noi, in opposizione alle catene semplici rettilinee o di 1° ordine, chiameremo catena semplice conica o di 2° ordine). Così se 1’ antinvoluzione piana è il coniugio sovra un piano reale, sicchè la conica sarà reale, i due casi corrispondono rispettivamente all’essere questa curva priva o no di punti reali. — Se invece si tratta di una cubica sghemba, a seconda che l’antinvoluzione fra i suoi punti è priva di punti uniti o ne ha una catena semplice (cubica o del 3° ordine), l’antinvoluzione spaziale che la contiene sarà a sua volta priva o no di catena fondamentale: invero quando quest’antin- Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV, 23 314 CORRADO SEGRE voluzione ammette un ‘piano unito questo taglia la' cubica ‘in’ 8 punti, tra i quali può accadere che vi sia una coppia di parti omologhi, ma certo vi sarà un punto unito. Quanto alle antinvoluzioni (e catene) spaziali ‘permutabili ad una data quadrica, ne abbiamo due specie'(n. 7). Un'antin- voluzione ‘di 1% specie muta ciascuna schiera di generatrici della quadrica' inse’ stessa. Se l'antinvoluzione che così si ha fra' le generatrici ‘di ‘una schiera ha una catena semplice ‘di rette unite, e se l’antinvoluzione spaziale ammette una catena fondamentale, quelle rette unite contengono delle catene semplici di punti uniti, e le generatrici dell’ altra schiera passanti per questi saranno pure unite. Ne segue che. se una sola delle due antinvoluzioni entro le schiere di seneratrici ha elementi uniti, l’antinvoluzione spaziale non ammetterà una catena fondamentale.‘ Invece ‘se en- trambe quelle antinvoluzioni semplici hanno rette unite, ed anche se ‘entrambe ne sono prive, si vede facilmente chel’ antinvolu- zione dello spazio ha una catena fondamentale:/se ‘questa ‘si compone dei punti reali, sicchè la quadrica ‘è reale, essa è rigata nel 1° caso, ed è priva di' punti reali nel 2°. — ‘Un’ antinvo= luzione spaziale permutabile ‘ad una quadrica e ‘della’ 2* specie fa corrispondere le ‘due schiere di generatrici ‘l'una all'altra ‘in un'antiprojettività : gli oo? punti d'incontro di generatrici ‘omo+ loghe sono punti uniti dell’antinvoluzione, la quale ‘avrà dunque una ‘catena fondamentale. ‘Quella 60% ‘di punti equivarrà projet tivamente a quella dei punti reali di una quadrica reale ‘el littica. 26. Abbiamo già avuto” occasione di osservare ‘come ‘per projezioni le catene si mutino in catene. '—' Così sé si projet tano i punti di una catena spaziale sopra un piano 'da'un punto esterno si ottengono i punti di una’ catena semplice ‘di ‘rette uscente dalla traccia ‘della retta unita che ‘passa pel’ ceritro'di projezione. — E'se ‘in'un piano 'son date una catena ‘piana € ed una retta’ #'é da un punto qualunque P esterno ‘ad entrambe si proietta la catena sulla retta, questa viene ad apparire come catena doppia degenere, con ‘un’ punto ‘singolare A' nella ‘traccia su' 7 della retta della catena’ passante per P3 sì ‘che mentre la corrispondenza fra i punti di + e quelli di C°' è' generalmente univoca, al punto A di r'corrispondono su € erre i punti della catena rettilinea in cui questa è incontrata dalla retta PA, UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 315 Esaminiamo un po meglio questa; corrispondenza. Ogni ca- tena rettilinea (di €. incontra in un. punto la catena. rettilinea posta: su PA, è per conseguenza si proietta sur secondo una catena rettilinea passante per A. Ma una catena rettilinea qua- lunquer dir è proiettata, da P, mediante una catena semplice dirette: Ja catena semplice delle rette corrispondenti rispetto al- l’antinvoluzione C uscenti dall’armonico P' di:;P. sarà antiproiettiva, or= ciò che fa lo stesso, trattandosi di catene, = proiettiva a quella; ei perciò. genererà con, quella una catena semplice conica (v. n. 25). posta! su €. Vale a dire: alle’ catene rettilinee; o; di 1° ordine, di, 7 corrispondono su € delle, catene coniche, o di 2° ordine (poste su coniche, passanti per. P: e. P'). Se poi si pro- letta iuna catena conica di C, da P, allora, se la conica in cui sta la catena passa per, P,;le rette proiettanti formeranno evi- dentemente suna catena semplice; sicchè, si otterrà come proie- zione su x una; catena;rettilinea. In caso contrario, considerando la (catena conica su; .C. come, generata da fasci proiettivi di rette, anzi|:di, catene rettilinee, giacenti, in C,. fasci coi, centri sulla ca- tena conica medesima; sì vede. che la sua. proiezione sur. sarà unaroo' di punti; che diremo pure di 2" ordine, .e che, si. ge- nera; in infiniti. modi come luogo;dei punti d’ intersezione delle catene/omologhe di ,due fasci proiettivi di. catene rettilinee aventi un. punto base in Ae l’altro in un puntovarbitrario della co). Essa è tagliata da una catena, rettilinea di r in 4 punti al più (poichè due catene coniche di € si tagliano al più in 4 punti); ma se questa catena rettilinea passa per A, essa non può in- contr'arla che “in altri 2 punti: il punto A è doppio: Le coor- dinate dei punti della catena conica si possono rappresentare come forme quadratiche di due parametri, reali; ed in modo ‘simile si potranno rappresentare. quelle dei punti della sua pro- ‘iezione. (*). 11(*) Se la catena € si compone dei punti reali di un piano e P, P' sono ‘i punticcielici di questo; la: corrispundenza considerata, si, riduce alla rappre- sentazione nota dei punti complessi di una retta.x coi punti reali del piano; alle ‘catene semplici od-o0' di 1° ordine di x corrispondono, i cerchi (reali) del ‘piano; ma ai punti reali di una.conica reale qualunque corrispondono in ge- nerale \sùur i punti di una co di 2° ordine; .ece. A proposito) dell'ordine. di una c0' iperalgebrica di punti di una retta 7 osserviamo: ancora che «esso fu definito in: generale nella introduzione di que- sto Saggio; e che, se sì rappresenta r sulla sfera.reale, sicchè la co' ha per 316 CORRADO SEGRE Queste osservazioni ed altre che si potrebbero fare intorno alla corrispondenza fra € ed r si potrebbero anche, sopprimendo la r, riferire alla corrispondenza fra i punti di € e le rette che le proiettano da P. Trasportate allora per dualità, daranno delle proprietà della corrispondenza fra le rette di una catena piana C ed i punti di una retta » che ne sono le tracce. Questa corrispondenza è univoca, tranne pel punto d’ intersezione di , con C al quale corrispondono in © le infinite rette di una ca- tena semplice. Ad una catena semplice di r corrispondono in generale in C le rette di una co! di 2* classe, cioè le tangenti di una catena conica; ma inversamente le tangenti di una ca- tena conica segano r in generale secondo una co! di 2° ordine. Se fra due rette r, »' di un piano consideriamo la eòrrispon- denza che si ha chiamando omologhi due punti che stiano su una stessa retta della catena piana €, avremo una corrispon- denza univoca tranne che pei due punti in cui r, r' son ta- gliate da €, ognun dei quali ha per corrispondenti sull’ altra retta tutti i punti di una catena semplice. Ora dalle ultime osservazioni segue che in generale questa corrispondenza univoca sarà quudratica, cioè farà corrispondere ad ogni catena retti- linea, od co' di 1° ordine, dell’una retta una col di 2° ordine sull'altra retta (col punto singolare di questa per punto doppio). Solo quando r, r' fossero armoniche rispetto a © la corrispon- denza si ridurrebbe ad un’antiproiettività (v. n. 21). imagine una curva algebrica reale della sfera, cioè 1’ intersezione completa di questa con una superficie algebrica, l’ ordine della co! di punti di r sarà precisamente l’ordine di. quella superficie ( mentre nella rappresentazione di r sul piano reale la co' d’ordine n ha per per imagine una curva d’ordine 2n con due punti n-pli nei punti ciclici, od una degenerazione di una tal curva), Quindi una oo' di 2° ordine corrisponde all’intersezione della sfera con una quadrica, e dalle note proprietà di questa curva biquadratica, per es. dai coni quadrici che la contengono, seguono delle proprietà della co' di 2° ordine, le sue generazioni mediante fasci ‘proiettivi di catene, l’esistenza di 2 o di 4 antinvoluzioni che la trasformano in se stessa, ecc. La oo! di 2° ordine che sopra si è considerata in r è particolare avendo un punto doppio. (è razionale, mentre quella generale è ellittica); la oo! di 2° ordine generale di » non si può considerare come proiezione di una co! di 2° ordine non ret- tilinea: vedremo invece nel seguito di questo lavoro che si può ottenere come projezione di una co! piana di 3° ordine (intersezione di tre iperconiche) da un suo punto. — (Tutte queste osservazioni saranno completate da altre che si troveranno in altro scritto). UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 317 Se due catene doppie €, D di un piano si considerano come sezioni di uno stesso fascio P di rette, anche la corrispondenza univoca che così si avrà fra esse sarà in generale quadratica, in quanto che ad ogni catena rettilinea dell’ una, per esempio di €, corrisponderà nell’altra 1) una catena conica (passante pel punto singolare di D, che è il suo punto d'incontro con la retta di C uscente da P). — Se dai due punti P, P' armonici rispetto a C proiettiamo i vari punti di € sulla catena piana D, avremo in questa una corrispondenza quadratica, sezione della corrispon- denza antiprospettiva fra i fasci P, P', ed avente in conseguenza un punto unito nell’intersezione di D colla retta P P': gli altri punti uniti saranno evidentemente i punti comuni a C e D, ed essi sono in generale, com’ è noto, uno o tre; il che s’accorda col n. 24. Nuove specie di Ditteri del Museo zoologico di Torino; del Dott. E. GiaLio-Tos Diagnosi di alcune nuove specie di Ditteri. Gen. ECHINOMYIA Duw. E. magna n. sp. Totius corporis longit. mill. 18 circ. — Abdominis latit. (1) mill. 8 cire. — Mas: Facies, genae et palpi flavo -sub- aurei: genae setis non munitae. Frons nigri- cante-lutescens, vitta media flavo-rubescente. Antennarum ar- ticuli primi testacei: tertius elongatus, superne migricans. Aristae articulus secundus duplex primo brevi. Thorax miger albido-pubescens. Scutellum obscure ferrugineum. Caliptera flavescentia. Abdomen subrotundum, obscure ferrugineum, fascia media dorsuali nigra, nitida, ad anum non producta et postice (1) La larghezza dell'addome fu presa al margine posteriore del secondo segmento, dove si riscontra in generale la maggiore sua ampiezza. 318 E. GIGLIO:TOS attenuata, sefmentis primo! et: secundo imacrochetis margina— libus ‘tantum ‘praeditis: tertio et quarto albide-tessellatis. Fe- mora ‘nigra , tibiae. et tarsi ‘ferruginei;: pulvilli der Alae paulo fuscescentes basi flavida. ni Questa specie che ‘si’ avvicina molto alla 4. grossa “Dhanil perle dimensioni e le proporzioni del corpo‘ne differisce tuttavia grandemente per il colore ‘generale: del corpo, e specialmente per quello‘ delle’ calittere.» Differisce | poi ‘ancora | dall':E.iregalis Bell. (1) ‘per la fascia dorsale più. stretta ela ‘mancanza, di setole discoidali ‘sul secondo e terzo ‘segmento’ dell leso PARE colore inoltre ‘delle ‘tibie. e ‘dei tarsi! ott su Non ne ho osservato ‘che tre esemplari, tutti si Have venienti “dai dintorni di Bra e mandati dal Prof. Craveri al Prof. Bellardi che li specificò col nome di E. magna nella sua colle- zione di Ditteri piemontesi: nome che ho creduto bene conser- vare, senza che abbia potuto tuttavia rinvenire di essa alcuna descrizione prima d'ora da lui pubblicata. E. Bellardii. n. sp. — Mas: 7otius corporis longit. mill. 12 circ. — Abdominis latit. mill. 4 circ. — Facies argentea : palpi testacei: genae tribus vel duabus setis munitae. Frons nigra, duplici setarum serie praedita, quarum externa duabus setis, vitta media rufescente. Antennarum articuli primi te- stacei, secundus in’ medio 'infuscatus; tertius subrotandus, niger. Aristae articuli primi sub-aequales, breves. Thorax niger albido- pubescens, scutello rufescente, Abdomen elongatum, ferrugineum, fascia nigra dorsuali ad marginem posticum segmentorum di- latata, macrochetis marginalibus non tantum praeditum sed etiam nonnullis discoidalibus' in duplici serie latero - méliana dispositis. Anus niger. Caliptera candida. Alae ‘paulo ‘hisce> scentes, basi flavescente. Pedes nigri, tibiis vizi ferrugineis. Pulvilli albicantes. oe di di Foem distincta: Totius corporis longit. mill. 12° circ. "a Abdominis latit. mill. 5 circ. Antennarum articulo tertio mi- nore, non subrotundo. Serie PIE frontali tribus setis. Tarsis anticis dilatatis. USD DD .D ? "40 DASTLO (1) Questa specie fu descritta dal Prof. Bellardi in una lettera al Prof, Rotidani ‘è la'sua descrizione fu ‘pubblicata da quest’ultimo del suo! lddoro: Dipterologiae italicae prodromus' — Voli INI; pag! ‘50. 0301911908 NUOVE SPECIE DI DITTERI 319 Questa specie differisce dall’. argentifrons Macq. per avere le spalle ed il torace di un colore nero uniforme e per le setole poste non solo ai margini dei segmenti addominali, ma anche in sul mezzo di essi. Mentre poi per la presenza di queste setole discoidali si avvicina all’ E. regalis Bell. se. ne allontana poi principalmente per la. forma più esile del corpo; per la. fascia dorsale. meno. larga e per la presenza delle setole sulle guancie. La disposizione delle setole addominali in doppia serie laterale mediana, avvicina questa specie a quelle del gen. Micropalpus Macq. , dalle quali tuttavia si distingue principalmente, per la lunghezza del terzo articolo delle antenne minore assai di quella del secondo... Esaminai cinque esemplari. di questa specie, di cui tre fem- mine e due maschi, presi nell’agosto del 1864 e nel luglio del 1870 nei dintorni di. Valdieri (Valli di Cuneo). E. Rondanii n. sp. — Mas: Zotius corporis longit. mill. 14 circ. — Abdominis latit. mill. 5 circ. —, Facies argentea : genae argenteae, nudae. Frons nigrescente-argentea setarum serie una tantum praedita, witta media rufa. Palpi testacei. Antennae nigrae, articulo secundo subaequali tertio subtrun- cato. Aristae articulus secundus longior primo brevi. T'horax niger. Scutellum migrum. Abdomen flavido-testaceum; segmento primo macrochetis destituto, fascia nigra dorsuali in tertio et quarto segmento vel interrupta vel maxime attenuata. Anus niger. Alae fuscescentes basi flavescente. Caliptera candida. Pedes nigri. Pulvilli flavescentes. Foem. distincta: Totius corporis longit. mill. 13 cire. — Abdominis latit. mill. 5 circ. — Antennarum articulis primo ct secundo rufescentibus. Serie externa frontali duabus. setis. Humeris scutelloque ferrugineis. Femoribus:nigro-rufescentibus. Pulvillis parvis. Tarsis anticis dilatatis. I Questa. specie. che, si, distingue da. tutte le altre con guancie senza setole per la mancanza di setole sul. primo. segmento del- l'addome si avvicina sotto questo aspetto al gen. Fabricia Rob. Desv. col quale ha anche di comune l’interruzione della fascia nera dorsale dell’ addome; ma»ne differisce, poi affatto per la forma sottile e non clavata dei palpi. L'E. Strobelii. Rond., assai simile a, questa; ha la fascia dorsale dell’addome assai larga ed ha dei peli sparsi sulle guancie. 320 E. GIGLIO-TOS Dei tre esemplari esaminati due sono maschi ed uno fem- mina e provengono tutti dai dintorni di Valdieri (Valli di Cuneo ). E. autumnalis n. sp. — Mas: Totius corporis longit. mill. 16 circ. — Abdominis latit. mill. 7 circ. — Facies, genae et palpi flavo-sub-aurei: genae nudae. Frons flavida nigricans, una tantum setarum serie praedita, vitta media rufescente- testacea. Antennarum articuli primi testacei: tertius parum elongatus, niger, basi testacea. Aristae nigrae, articulo inter- medio longiore primo brevi. Thorax niger, cinereo-pubescens , scutello, humeris, pleurisque testaceis. Abdomen testaceum, se- gmentis tertio et quarto flavide-tessellutis, fascia nigra dor- suali continue postice attenuata ad anum non produeta. Abdo- minis segmentum secundum tribus, tertium octodecim saltem macrochetis marginalibus praedita. Alae paulo fuscescentes, basi flavia. Caliptera albide -flavescentia. Pedes omnino te- stacei. Pulvilli flavescentes. Foem distincta: Statura paulo minore. Antennarum arti- culo tertio breviore et obtuso. Frontis externa serie tribus setis. Tarsis anticis dilatatis. Questa specie, sebbene si avvicini assai all’ E. fera Dumer. se ne differenzia tuttavia per la mole del corpo alquanto mag- giore, per il terzo articolo delle antenne non interamente nero, per le coscie del tutto testacee, per la fascia dorsale non allar- gata ai margini anteriori di ogni segmento ed infine poi per la presenza di almeno diciotto setole sul terzo segmento dell’ ad- dome, mentre queste non arrivano mai a tal numero nell’ E. fera. Tutti questi caratteri riuniti dànno a questa nuova specie di Echinomia un aspetto assai differente da quello dell’E. fera ed ho creduto perciò dovere distinguerla da questa. Gli esemplari esaminati, maschio e femmina, provengono dalle colline di Torino e più propriamente dai dintorni del vil- laggio di Pino torinese. Gen. FABRICIA Ros. Des. F. nigripalpis n. sp. — Totius corporis longit. mill. 15 circ. — Abdominis latit. mill. 6 circ. — Mas: Facies et genae NUOVE SPECIE DI DITTERI 321 rubescente-argenteae. Frons albide-nigricans, vitta media rufa. Antennae nigrae, urticulo tertio apice truncato. Aristae arti- culus intermedius satis longior primo brevi. Palpi nigri seu migricantes. Thorax niger. Scutellum obscure ferrugineum. Ab- domen rubescente-testaccum, fascia dorsuali nigra, nitida, lata, ad basim tertii segmenti interrupta, anum circumdante. Alae paulo fuscescentes basi flavida. Caliptera candida. Pedes nigri. Pulvilli albide-flavescentes. Foem. distincta: Serie frontali cxterna duabus setis. Aristae articulo secundo minore. Abdominis maiore latitudine, fascia dorsuali latiore. Tarsis anticis dilatatis. Questa specie assai affine alla Y. ferox Meig. ne differisce per la colorazione nera dei palpi e ferruginoso-cupa dello scu- detto. In generale inoltre la fascia dorsale nera dell’ addome è in essa meno dilatata; ma può variare moltissimo sotto tale aspetto. I vari esemplari esaminati tutti provengono da regioni alpine, vale a dire da Fenestrelle (Val di Susa), Usseglio (Valle di Viù), Valdieri (Valli di Cuneo) ecc. Le cinque sopradescritte specie di Ditteri trovai nella Colle- zione di Ditteri piemontesi che il compianto Prof. Luigi Bellardi già da molti anni aveva iniziato ed arricchiva continuamente con nuove raccolte. Tale preziosa collezione è ora proprietà del Museo zoologico di Torino, al quale il Prof, Bellardi, morendo, la destinava in legato testamentario. 322 1. SALVIOLI Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle glandole gastriche;..\_.. ‘ Nota del Dott. I. SaLwioLI, Assistente, Molti sono i lavori fatti. nei tempi, passati;|;allo, scopo di, in- vestigare in qual modo si sviluppassero le glandole gastriche; nonostante ciò le nostre cognizioni sono ancora scarse, ‘giacchè i risultati ottenuti dai diversi osservatori sono assai discordi gli.uni dagli altri. ih iffeV) Protbi Il primo che si occupò di tale questione fu il Kélliker (1), che nel 1852 dall’esame dello stomaco di alcuni embrioni umani ricavò essere le glandole gastriche nel loro primo formarsi rap- presentate da germogli solidi dell'epitelio, ppotrudenti nello, strato mesodermico sottostante. Laskowsky (2) invece esaminando. embrioni di INNO ot: noi l’epitelio non aveva nella. formazione glandulare che una parte del tutto passiva, giacchè le glandole secondo lui sarebbero do- vute a rialzamenti ed infossamenti del foglietto fibro-intestinale, rivestiti da uno strato unico di cellule epiteliali cilindriche. Assai analoghi a quelli di Laskowsky, sono i risultati otte- nuti da Brand (3). Senonchè, secondo questo osservatore l’epitelio di rivestimento sarebbe sin dal bel principio stratificato. Solo più tardi diventerebbe ad un solo strato nei punti più elevati, rimanendo stratificato negli infossamenti. (1) KòLUKER, Mikroskopische Anatomie, 2 Bd., 2 Hifte, 1 Abth. 1852, S 199, (2) LasKowsky, Ueber die Entwicklung der Magenvand.— Sitzb.d k. Akad, d. Wiss. Bd, 58, Abtb. II, 1868. (3) Brann, Beitrdge sur Entwicklung der Magen-und Darmwand. — Wurzburg Verandlungen 1877. FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 323 -lonQuesta idea fu accettata ‘completamente da Kélliker (1), come risulta leggendo la seconda edizione del suo trattato di Embriologia. Sewall (2) descrive l’epitelio gastrico dell'embrione di pecora come costituito nei primi periodi di vita da ‘un unico strato di cellule, poi ‘nelle fasi ulteriori da più strati. Più tardi per un irregolare formazione cellulare ‘si formano delle sporgenze epiteliali accom- pagnate da uguale accrescimento dello strato mesodermico sotto- stanté: queste salienze assumono la forma di creste, che percor- rono la superficie dello stomaco in varie direzioni. Per una continua moltiplicazione di tali creste se ‘ne formano sempre delle. nuove, in'‘'modo' che’ gli. spazi che esse limitano. diventano così piccoli da'‘essere in ultimo ‘ridotti a fini canali che sono le prime. origini delle future glandole gastriche. In quanto alla derivazione delle cellule’ di rivestimento e'delle cellule principali, egli ritiene che le'‘prime; ‘cioè lelcellule ‘di rivestimento {delomorfe), siano nei primi giorni dello sviluppo il risultato di. una trasformazione delle cel- lule'glandolari ‘embrionali; mentre. quelle che si formano: dopo traggano la loro origine da speciali cellule dello; strato. mesobla- stico” Le cellule principali (adelomorfe) invece sarebbero il. prodotto o della ‘divisione, o di una ‘diretta trasformazione delle cellule di rivestimento, Toldt (3) nell’anno ‘1880 studiando la mucosa del. gatto, vide che‘ nell’epitelio ‘gastrico del fondo .vi sono due qualità di cellule, cellule piramidali che (hanno la loro base rivolta verso il lume ‘dello stomaco, e cellule di ricambio: (Ersatzzellen) che hanno la loro base rivolta» verso lo ‘strato fibro.— intestinale. — Secondo ‘lui tutto il processo di formazione glandolare è posto nello strato epiteliale, si formano cioè nella parte profonda di detto strato degli. ammassi di cellule, che per successive tra- sformazioni ‘danno’ origine ad un piccolo infundibolo (glandola ‘primitiva).. — Ognuna di queste glandole primitive dà luogo ad altre glandole, e ciò «avviene ‘perchè nel fondo cieco si sviluppano delle pieghe, 0 per dir meglio delle villosità, che col loro ac - crescimento riducono il lume glandolare, che dapprima era unico, : (1) KòLLIKER, Entwicklungsgeschichte, 2 Aufl. 4879, S 851. (2) SewaLL, The developement and regeneration of the gastric glandular epithelium during foetal life and after Birth. Journal of Physiology, 1878, vol. 1. (1 (3) Tonpr Die Entwicklung und Ausbildung der Driisen des Magens. — SiTzuNGB, d. Akad. d. Wiss, Bd, 82, Heft II abth 3. 3524 1. SALVIOLI in tante altre cavità. Tanto le cellule delomorfe, come le cel- lule adelomorfe hanno origine per trasformazione delle cellule glandulari preesistenti. Parlando poi della formazione delle glandole piloriche egli descrive la mucosa come formata da gruppetti di cellule cilindriche fra cui stanno speciali cellule corte chiare e finamente granulose Tale sarebbe la prima origine delle glandole mucogastriche. Per ultimo nell’anno 1888, il prof. Griffini in unione col D' Vas- sale (1), studiando nel cane il modo di riprodursi della mucosa del fondo dello stomaco, vide che l’epitelio che va a ricoprire la per- dita di sostanza, e che deriva dai tubi glandolari intaccati dei bordi, si fa da cubico ben presto cilindrico, e ad uno strato unico. Nello strato profondo di questo epitelio si notano delle cellule in scis- sione cariocinetica, che fanno protrusione verso il connettivo sot- tostante, mentre nella superficie libera in corrispondenza di tali punti si rivela un incavo imbutiforme. Questi sarebbero i primi abbozzi glandolari. Tali osservazioni concordano assai con quanto trovò Toldt: in questo solo differiscono, che Toldt, per spiegare la formazione del lume glandolare, ricorre all'ipotesi di una de- generazione delle cellule centrali del cumulo formato, mentre gli A. ammettono che le cellule proliferando verso il connettivo si infossano in esso lasciando così un incavo imbutiforme che rap- presenta il lume glandolare. — La formazione di nuovi tubuli glan - dolari poi sarebbe dovuta a parziali proliferazioni delle cellule delle pareti del tubo, allo stesso modo come si forma il primo abbozzo glandolare: Infine ritengono con Toldt che le cellule di rivestimento derivino dalle cellule principali, e che esse si formino da prima nel fondo della glandola. Ecco quanto ci fornisce la letteratura medica su questo argo- mento. Le opinioni sono ancora assai discordi, e perciò ho creduto cosa non inutile studiare lo sviluppo e l'accrescimento delle glan- dole gastriche in rapporto all’accrescimento cellulare. Gli autori che mi hanno preceduto in questo studio non po- tevano disporre di questo valido aiuto: solo il Griffini ed il Vassale studiarono la formazione delle glandole per mezzo della cario- cinesi, ma nel loro caso si trattava di riproduzione non di svi- luppo, ed essi stessi ammettono che possa darsi che questo, per (1) GrirFINI e VassaLe, Sulla riproduzione della mucosa gastrica. Tipi Società Tipografica — Modena. FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 325 qualche minuto particolare, nell’embrione possa presentarsi in modo più o meno differente dalla riproduzione. Le mie ricerche furono fatte esclusivamente sul coniglio, cominciando dall'embrione lungo appena 2 cm. per arrivare grado grado al coniglio adulto. Adoperavo animali appena uccisi e, trattandosi di embrioni, ho avuto ogni cura onde mantenere lo stomaco possibilmente nelle medesime condizioni come quando era vivente, mantenendo cioè distese le sue pareti. Questo scopo lo si può raggiungere in varie maniere. Il modo più semplice si è quello di immergere lo stomaco ripieno del liquido mucoso giallo-verdastro che normalmente con- tiene nel liquido fissativo : per essere però più certi della conser- vazione perfetta degli elementi dei tessuti, è meglio iniettare pel duodeno dentro allo stomaco o alcool o liquido del Flemming, ed immergere lo stomaco così disteso nei rispettivi liquidi fissatori. Altre volte ho aperto lo stomaco incidendolo dal cardias al piloro passando per la grande curvatura , e l'ho fissato con spilli ad una tavoletta di sughero. Questo sistema che in molti casi mi ha dato eccellenti risultati, non è però sempre racco- mandabile, perchè non potendo regolarsi la tensione delle pareti, può la mucosa alle volte alterarsi nella sua costituzione. Credo inutile descrivere qui minutamente i metodi di colo- razione, perchè essi sono i soliti: carmino, ematossilina e colori basici di anilina. Ciò premesso, ecco i risultati delle mie ricerche. Nell’embrione di coniglio lungo poco più di 20 mm., lo sto- maco, che ha dimensioni piccolissime, è costituito di due parti essenziali: uno strato mesoblastico che più tardi si trasformerà in tonaca connettiva e tonaca muscolare, ed uno strato epiteliale. Del primo non mi occuperò molto, giacchè il più importante per me è il secondo, o l’epiteliale. Questo è composto di cellule allun- gate nel senso perpendicolare alla superficie, con abbondante proto- plasma granuloso a contorni poco marcati, e fornite di un nucleo ovale vescicolare. Esse sono disposte coi loro nuclei in piani di- versi, in modo da dare l’aspetto di un epitelio stratificato dello spessore di circa 23-25 1. L'aspetto e la struttura di tale epitelio è uguale qualunque sia la porzione dello stomaco che si esamina. Tanto il suo bordo libero come quello che è a contatto col meso- derma sono lisci, cioè non presentano nè rialzi nè infossamenti. In quanto riguarda la proliferazione cellulare vi si notano numerose figure cariocinetiche, le quali sono sempre disposte nelle 326 I. SALVIOLI cellule che.stanno nella. parte più superficiale, dello, strato, epiz teliale, cioè in quelle cellule;a cui. Toldt.ha. dato il nome di pira- midali. Le fig. 1 e 2 dimostrano chiaramente questo fatto, il, quale è di molta ‘importanza ;. perchè. ci. servirà. a|.dare, la, spiegazione di quanto riscontreremo più tardi in embrioni più sviluppati.» Nell’embrione lungo ,42.;mm., noi, ,vediamo, chela, mucosa gastrica ha acquistato caratteri, molto, diversi. In fatti. dall'esame di.sezioni perpendicolari alla superficie risulta; che lo, strato mesa dermico è aumentato assai di spessore, mantenendosi però sempre; nel. bordo! che sta a contatto ‘coll’ epitelio, ; liscio. ,e (rettilineo, Invece lo strato. epiteliale. soprastante, nel. suo bordo libero; de, scrive vuna linea festonata in causa di: numerosi rialzi; di, forma conica ‘0. rotonda, più, 0, menovalti e. più 0. meno avyicinati, fra di loro. (Con forti (ingrandimenti si vede, che|/questi,.rialzi, sono formati esclusivamente da cellule epiteliali (fig. 3). le qualidiffe- riscono per alcuni caratteri dalle altre, cellule che (stanno! mello strato inferiore. La loro forma è di pera, molto allungata; giacchè colla. parte rigonfia. sporgono nel. lume dello stomaco, mentre l estremità. assottigliata si vede (impiantarsi.,.sovente nello,.strato mesodermico. Posseggono un nucleo rotondo; ovale od allargato, posto quasi sempre nella. ‘parte rigonfiata. che si colora inten samente colle diverse sostanze. coloranti; e. più. specialmente col carmino «e coll’ematossilina.; Le cellule, invece, che. stanno negli infossamenti. hanno un /aspetto più chiaro, sono fornite, di, proto+ plasma. abbondante granuloso va. contorno indeciso, €, posseggono un'grosso nucleo; rotondo vescicolare;corì maglie ; evidenti, e grossi nucleoli Nei punti ove l’infossamento è stretto esse sono (disposte in più strati: quando l’infossamento è più ampio, allora esse,tens dono a disporsi in luno strato, solo. [aC] Numerosissime sono qui. pure le mitosi: [esse (si trovano di preferenza; nelle cellule che costituiscono il rialzo epiteliale, e. più specialmente nelle cellule che stanno all’apice di esso; "più; DABAT menternell’altra. forma cellulare (Pig. 5). volar Dal semplice esame di. una «sezione | trasversale. di er: mucosa gastrica moi non possiamo! avere. un’ idea. del ‘come.sia da,vera disposizione» dei rialzi sopradescritti, se. cioè «si tratti, di, tanti ciuffetti isolati, oppure, come. vorrebbe Sewal,; dil creste longi= tudinali che percorrono tutta la superficie dello stomaco, Si art riva facilmente a decidere la questione, sia: paragonando, fra loro x molte sezioni fatte in serie). sia, e. questo. è; più, comodo, più FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE ECC. 527 istruttivo, praticando sezioni parallele alla superficie dell’ or- gano: La figura 4 è una copia fedele di uno di tali preparati. In essa vediamo in a le sezioni trasverse delle cellule costituenti il rialzo, che spiccano assai sulle altre per il loro colorito oscuro. Esse limitano delle figure circolari molto irregolari, dentro cui stanno le cellule chiare % che nelle sezioni trasverse abbiamo visto riempire gli infossamenti. T rialzi quindi costituiscono una rete continua; le cui maglie rappresentano tanti piccoli alveoli a forma d’'imbuto, i quali sono il primo abbozzo delle future glandole gastriche. ‘Volendo trarre una conclusione da quel poco che ho esposto finora, basandosi specialmente sulla presenza delle mitosi, si potrà dire, ‘che la prima ‘origine della glandola: gastrica è dovuta ad una grande proliferazione degli elementi superficiali costituenti lo ‘strato. epiteliale. Le cellule neoformate essendo in numero esu- berante rispetto all'ampiezza. dello strato mesodermico che le sostiene, fanno sporgenza nel lume dello stomaco, perchè qui trovano minore resistenza, e danno così luogo ai rialzi descritti. Non si saprebbe come spiegare in altro modo la presenza di tante’ mitosi ‘ nelle cellule superficiali; essendo escluso che esse servano a sostituire cellule cadute, giacchè questo epitelio non si‘desquama, come ha dimostrato Laskowski, il quale esaminò il contenuto mucoso degli stomaci d’ embrioni. D'altra parte non si’ saprebbe spiegare a mio avviso la presenza dei. rialzi sopradetti ; infatti non si può ammettere che essi dipendano dal fatto ‘che, contraendosi la parete ‘gastrica, esse siano state spinte fuori meccanicamente, giacchè; come dissi sopra, ebbi cura di mantenere lo stomaco disteso, poi perchè le cellule dei rialzi hanno caratteri diversi dalle cellule degli infossamenti. Alla formazione delle glandole gastriche concorre nelle prime fasi solo il tessuto epiteliale ,, giacchè il tessuto mesodermico © connettivo, ‘al contrario di quanto afferma Sewal, si mantiene estraneo a queste modificazioni. Solo più tardi, come vedremo, il connettivo prende parte importante all’accrescimento dell’ infun- dibolo glandolare. Molto simili ‘alle mie furono le conelusioni a cui arrivò Patzelt (1), studiando lo ‘sviluppo delle glandole dell’ intestino (1) DarzeLt, Ueber Entiwiklung der Dickdarmschleimhaut, Wiener Sitzungs- berichte, Bd. 84, abth. III 328 I. SALVIOLI crasso, giacchè esso pure descrive rialzi epiteliali, a forma irre- golarmente circolare, limitanti tante piccole cavità, o future glan- dole. Questo autore però non avendo conservate nel suo mate- riale di studio le figure cariocinetiche, non potè determinare in quali punti si manifestasse maggiormente la proliferazione cellulare. Prima di progredire in questo studio voglio far notare, che lo stomaco non si sviluppa ugualmente e contemporaneamente nelle diverse sue parti, ma bensì vi sono porzioni in cui l’epitelio si mantiene ancora liscio, ed altre in cui gli infossamenti glandu- lari sono bene sviluppati: in generale si può dire che la grande curvatura nella porzione più vicina al piloro presenta uno svi- luppo precoce. i Proseguiamo ora nel nostro studio prendendo ad esame la mucosa gastrica dell'embrione di 50 millimetri di lunghezza, e noi troveremo altri fatti degni di nota. Gl’infossamenti, che ora potremo già chiamare infundiboli glandolari, sono diventati più evidenti (fig. 6) perchè le cellule chiare che stanno nel loro. fondo, sia per essere cresciute di numero, sia per essersi disposte in uno strato unico, ne hanno aumentato l'ampiezza. I rialzi epiteliali sono essi pure un poco aumentati in altezza (45 p.), molto più in larghezza (30); le cellule che li costituiscono non sono più così allungate come negli stadii anteriori ma si. sono fatte un po’ più corte; sono disposte ancora fitte fitte l’una contro l’altra, ma le superiori tendono già ad acquistare una forma piramidale e a disporsi in serie; posseggono un nucleo ovale che si colora ancora assai intensamente. Ciò che è da notare, poi, è che alla base del rialzo si nota un infossamento, più o meno pronunciato a seconda dei casi, nell'interno del quale penetra una propaggine di tessuto connettivo (fig. 6 a). Negli stadii un po’ più avanzati, questa propaggine connet- tiva è molto più sviluppata, e si presenta sotto la forma di una sottile linguetta (fig. 7 a) costituita da nuclei sottili ed allun- gati molto tingibili, circondati da scarsissimo protoplasma e da sostanza intercellulare. Tale propaggine si prolunga nell’interno del rialzo per circa */, della sua lunghezza. Le cellule epiteliali, quindi, che dapprima costituivano da sole tutto il rialzo, ora ne formano solo la parte esterna; quelle poi che costituiscono l'apice hanno acquistato una più netta forma piramidale, e ten- dono sempre più a disporsi in una serie sola. Il loro nucleo non si colora più così intensamente come negli stadii anteriori, è FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 329 ovale allungato, ed ha un reticolo discretamente evidente. Le cel- lule che tappezzano il fondo mantengono quasi inalterati i loro caratteri morfologici di cellule embrionali. Molto numerose sono le cellule in scissione cariocinetica. Esse stanno di preferenza nelle cellule del rialzo, raramente nella parte alta, più frequentemente ai lati di esso: sono anche numerose nelle cellule dell’infundibolo, e nelle cellule connettive, specialmente in corrispondenza delle villosità. Tre sono dunque i fattori che concorrono all’aumento del- l’infundibolo, cioè, la proliferazione delle cellule epiteliali del rialzo, per cui aumenta la parte che potremo chiamare escretoria ‘ la proliferazione delle cellule del fondo, per cui cresce la parte se- cretoria, e l'aumento del connettivo che sta nell’interno del rialzo. Nell’embrione di 65 mm. di lunghezza (fig. 8) noi ve- diamo che la mucosa gastrica presenta i suoi infundiboli già assai ben formati Essi misurano in altezza circa 86 a 90 yu. I rialzi che lateralmente li limitano sono diventati molto larghi, poichè alcuni misurano 60 p., le sue cellule si sono disposte in uno strato solo, sostenute da un grosso cordone connettivo con belle cellule, e abbondante sostanza fondamentale fibrillare. Le cellule rivestenti il rialzo presentano aspetto diverso a seconda del punto dove si considerano. Verso l’apice esse sono assai lunghe (25—30y), e strette (5—6p), sono avvolte da protoplasma granuloso, e contengono un nucleo ovale del diametro di 133,6 p, posto vicino al loro bordo libero. Ai lati del rialzo queste cellule si fanno più corte, e gradatamente si trasformano nelle vere cellule glandolari embrionali che tappezzano il fondo. Queste hanno una forma un po’ cubica, alte circa 15 — 17 y.; il loro protoplasma è chiaro, non molto copioso, ed hanno un nucleo vescicolare che misura 10 — 12 p.. A questo punto noi possiamo dire che l’infundibolo è diven- tato un abbozzo perfetto della futura ghiandola, perchè sono già bene differenziati gli elementi che devono costituire le diverse parti di questa. Le cellule del rialzo, oltre ad essersi modificate nei loro caratteri morfologici, si sono anche cambiate molto per quanto riguarda la moltiplicazione cellulare. Infatti noi non riscon- triamo più alcuna traccia di mitosi nelle cellule che rivestono la sommità del rialzo, mentre sono assai numerose nelle cellule del fondo, od in quelle che stanno ai lati del rialzo stesso. Ciò si- gnifica che ben presto l’accrescimento cellulare si localizza in Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 24 330 I. SALVIOLI speciali punti d’elezione; il che è un fatto necessario perchè l’or- gano possa assumere una determinata forma. L’infundibolo glandolare cresce assai di lunghezza, e special- | mente la sua porzione alta; or bene, siccome le cellule cilindriehe — della sommità del rialzo sono cellule adulte che non si scindono, dobbiamo ammettere di necessità, che le nuove cellule rivestenti il rialzo, derivino da cellule del fondo dell’infundibolo. Si veri- fica quindi assai presto quanto il prof. Bizzozero e Vassale (1) riscontrarono nelle glandole gastriche, e quanto più tardi il prof. Bizzozero (2) riscontrò nelle glandole dell’intestino, che cioè le cellule che rivestono la superficie libera, derivano dalla prolife- razione rispettivamente delle cellule delle fossette gastriche, e di quelle del fondo delle glandole del Galeati. Nell’embrione lungo 9 cm. gli infundiboli sono diventati assai più lunghi, giacchè lo spessore della mucosa è in media di 120 p. Quelli della regione pilorica, si distinguono poco bene da quelli della regione cardiaca. Solo nel fondo delle future glandole pepti- che si riscontra il primo accenno delle cellule di rivestimento (Belegzellen), cioè noi vediamo in mezzo alle altre cellule che misurano 7 x8 con un nucleo del diametro di 6,5, altre cellule più grosse (13,6 x 9,6), il cui protoplasma granuloso ed opaco si colora intensamente coll’acido picrico. In questo periodo noi vediamo bene quale sia il modo con cui l’infundibolo si trasforma in una ghiandola completa costi- tuita da una fossetta e dai tubuli glandolari che in essa vanno a sboccare. Io non mi dilungherò molto a descrivere questo fatto perchè Toldt ne ha trattato assai estesamente. Dirò solo che qui si ripete quanto si verifica per la formazione dei primi infundi- boli glandolari. Nel fondo del tubo glandolare si vedono formarsi delle prominenze cellulari, nei cui elementi sono numerose le cel- lule in scissione: crescendo in altezza questo gettone epiteliale, esso si fa cavo, e nel suo asse penetra una propaggine di tes- suto connettivo, che cresce attivamente come lo dimostrano le mitosi che in esso si trovano. Generalmente queste prominenze epiteliali, una volta arrivate ad una certa distanza dallo sbocco della glandola, si arrestano, dando così luogo a glandole com- (1) Bizzozero e VassaLe, Sulla produzione e rigenerazione fisiologica degli elementi glandolari. — Arch. Scienze Mediche, vol. XI, n, 42. (2) Bizzozero, Sulle glandole tubulari del tubo gastro - enterico, ecc. — Atti della R. Accad, delle Scienze di Torino, vol. XXIV. FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 331 poste; altre volte probabilmente il gettone arriva fino alla su- perficie dello stomaco, ed allora si formano nuove individualità glandolari. In quest’ ultimo caso le cellule dell’apice del get- tone acquistano caratteri di cellule epiteliali cilindriche. L’au- mento del gettone si fa, sia per un aumento delle cellule che stanno verso il fondo, sia per l'aumento delle cellule del suo apice. Tralascio di descrivere caso per caso quanto trovai nei di- versi animali esaminati dalla nascita fino al completo sviluppo. Riassumerò invece i fatti che più possono importare pel nostro argomento. In un tempo assai corto le glandole assumono notevole sviluppo specialmente in lunghezza; aumenta di molto la parte che si co- nosce col nome di fossetta, meno la parte veramente glandolare. Tale fatto che è molto accentuato nell’ embrione di 9 cm., dove la fossetta costituisce i 74 della lunghezza totale della glan- dola, dura però un tempo assai breve. Ciò forse può trovare la sua ragione nel fatto che le cellule del fondo, che negli em- brioni più giovani contribuiscono colla loro proliferazione ad aumentare la lunghezza dell’infundibolo, qui sono specialmente utilizzate alla formazione dei gettoni epiteliali che stanno for- mando i nuovi tuboli glandolari. Quanto più l’animale cresce, tanto più cresce la parte glandolare, mentre la lunghezza della fossetta cresce assai poco. La tavola che riporto dà un'idea esatta di quanto ho detto. TABELLA A. Età del coniglio Lunghezza della fossetta| della parte secernente | Embrione 9 cm. (1) 74 pi 37 p Coniglio 4 giorni 68 1 109 p » InÌ » 125 P. 167 p. » 20 » 115 fl iva p. » 57 » 142 pi 605 102 » 83 » 136 fl 730 p » 114 » 250 670 p. » 8 mesi 270 S10 (1) Qui veramente non esiste una fossetta, lo considerai come tale la parte dell’infundibolo tappezzata da epitelio cilindrico fino al punto in cui le cellule di tale epitelio si trasformavano in cellule glandulari embrionali, Atti della R. Accad. -— Parte Fisica, ecc, — Vol. \XV. 24% 332 I. SALVIOLI Molto grandi sono le differenze che esistono in qualunque periodo di sviluppo tra la parte pilorica ed il fondo dello stomaco. Ho già detto che vicino al piloro le glandole si formano prima che nelle altre parti. Per un dato periodo di tempo anche dopo la nascita le glandole piloriche sono sempre più sviluppate, più alte che quelle del fondo; arrivati però al coniglio di circa 20 giorni di vita extrauterina, il loro accrescimento si fa più lento, la loro lunghezza diventa uguale a quella delle peptogastriche, poi minore, e così durano per tutta la vita. TaBELLA B Lunghezza delle glandole gastriche del coniglio. Età dell’ animale | Peptogastriche Mucogastriche 4 giorni po seal 168 1 206 n. 11 » 292 | 246 |. 20 » | 296 p 230 p 57 » 750 1 694 |. 89 » 866 930 p 114 » 820 22 718 pl. 8 mesi 1,080 u 706 1 Le glandole gastriche, a differenza di molti altri organi, im- piegano molto tempo prima di arrivare al loro completo sviluppo. Ciò risulta, tanto dalla tavola precedente, come anche da questa che riporto ora per dimostrare l'aumento del loro diametro trasversale. TABELLA C Larghezza delle glandole gastriche del cong ta Età dell'animale | Peptogastriche | Mucogastriche 14 peer: | 17-20 è [Pet 17-20 20 20-21 p. | 24 p. 1. 83 32 p 22 p. 114 i | 34 p 30 | 8 mesi 43 25 fl FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE ECC. 339 L'aumento in larghezza si fa più accentuato e più regolare nelle glandole peptiche. Ora è interessante il vedere in che modo queste glandole aumentano di volume, e per prima cosa esamineremo come si comportino le cellule che tappezzano il lume glandolare, per quanto riguarda la loro forma, ed il loro volume. Nelle glandole peptiche fa d’uopo misurare due sorta di cellule, le cellule principali, e quelle di rivestimento : le prime hanno diametri abbastanza uguali in qualunque porzione della glandola esse si trovino, le seconde invece presentano differenze assai spiccate. Quelle che stanno vicino al colletto sono più rotondeggianti, e più piccole di quelle che stanno nel terzo medio; quelle del terzo inferiore rassomigliano assai nella forma alle cellule principali, da cui si distinguono solo pel protoplasma più granuloso e più colorabile. Perciò i valori che do di queste rappresentano una media di molte di esse esaminate in varie porzioni del tubo. Le misurazioni furono fatte sempre su pezzi induriti e trattati allo stesso modo e possibilmente presi da animali che si trova- vano nelle stesse condizioni fisiologiche. Pigi Rielernan tt) Gela nda Se 0//0gi dr D Age gio Go | PEPTOGASTRICHE ‘MUCOGASTRICHE rr TTt—_+_+_——————_—r—@t___@lé*wrees=-="-=— 7 cellule di rivestim. | cellule principali | cellule mucip. NEREO 8,6x 7,7p 20% tore foina ROIO 00 3 ie BOE e 18. glo “Li So 3 ZOO ROSA 20,4 Yi Ala 5, Dro de aggno SEE Lio L0,0 agli. lo, LL 8 mesi | 22,9 x 18 SIAM 0. 15,4X10 si Come si vede, le cellule aumentano di volume, giacchè, per esempio, tra quelle di coniglio di 11 giorni e quelle di coniglio di 8 mesi vi passa molta differenza, essendo che queste sono quasi il triplo di quelle: perciò noi dobbiamo ammettere che questo è un fattore molto importante nell’accrescimento della glandola. Però non deve essere l’unico, perchè altrimenti si do- 394 li SALVIOLI vrebbe avere un rapporto costante e diretto fra l’aumento in volume delle cellule e l’accrescimento in lunghezza della glan- dola, cosa che non si verifica, come appare paragonando l’au- mento dei diametri cellulari nella Tabella D coll’aumento delle lunghezze ghiandolari nella Tabella B. Non ci resta quindi altro che ammettere che le cellule au- mentino di numero, e ciò potremmo ricavarlo dallo studio attento del modo di comportarsi delle mitosi in esse. Esaminando un coniglio di 11 giorni si vede che anche in esso sono numerosissime le mitosi, come erano negli animali dei periodi precedenti. In una regione di mucosa gastrica del fondo lunga mm. 8,55 ne potei contare 160, di cui moltissime nel terzo medio, che è la porzione prevalentemente occupata dalle cellule di rivestimento, poche nel terzo inferiore, pochissime nel fondo cieco, non mai nell’epitelio che riveste la superficie dello sto- maco. Quindi a questa età è evidente che le cellule aumentano di numero, e contribuiscono così ad allungare ed allargare îl tubo glandolare. La cosa riesce più difficile a capirsi nei periodi ulteriori, giacchè ben presto l’attività proliferante delle cellule si modi- fica molto, sia per quanto riguarda il numero, che la disposizione delle mitosi. Così nelle glandole peptiche di coniglio di 57 giorni noi troviamo assai rare le mitosi. La maggior quantità di esse si trova nel colletto (1) in quelle cellule che segnano il confine tra la fossetta e il tubo glandolare: nel terzo medio sono raris- sime giacchè su molti tagli ho trovato soltanto una piastra equa- toriale, e si trovava in una cellula posta a metà circa del tubo, e che aveva i caratteri di una cellula di rivestimento. Nel coniglio di 83 giorni le glandole peptiche presentano assai numerose ‘le cellule in scissione nelle fossette: due sole su 6 sezioni nel terzo medio, senza potere stabilire se fossero in cellula principale, o in una cellula di rivestimento. Nel coniglio di 114 giorni sono numerosissime le mitosi nelle cellule che tappezzano il colletto e nessuna nelle altre cellule delle glandole peptiche. Finalmente nel coniglio di 8 mesi, numerosissime nelle fossette, qualche volta ho riscontrato delle mitosi nella por- (1) Questo fatto fu già trovato da Bizzozero e VassaLe, Sulla produ- zione e rigenerazione fisiologica degli elementi ghiandolari. — Arch. scienze mediche, Vol. XI, n. 12. i FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE ECC. 335 zione del tubo glandolare che sta subito al disotto della fossetta, o dove vi sono già le cellule di rivestimento. Alcune mi è sem- brato fossero in cellule principali, altre in vere cellule di rive- stimento. Possiamo ora noi ammettere che con così poche mitosi, come noi riscontriamo nelle glandole peptogastriche del coniglio di 57-83-1114 giorni, si possano produrre cellule in numero suffi- ciente da dare l’allungamento verificatosi? A mio parere nò, poichè il tubo glandolare cresce. molto, e le cellule che si producono nel lume della glandola sono assai scarse; perciò dobbiamo ricor- rere ad un altro fattore, ammettendo p. es. l'ipotesi che le mi - tosi che si trovano in quelle cellule non bene differenziate del colletto, oltre al fornire nuovi elementi all’epitelio rivestente la, superficie dello stomaco, dieno anche cellule vere glandolari. Mi è difficile per ora portare dei fatti che appoggino indi- scutibilmente quest'idea. A ciò si arriva però per forza di ragio- namento, poichè dal momento che si è costretti a ritenere che l'accrescimento del tubo glandolare avvenga per un aumento in numero degli elementi cellulari che lo costituiscono, e dal mo- mento che noi non vediamo, se non in modo eccezionale, scin- dersi tali elementi, dobbiamo ammettere che i nuovi elementi glandolari si formino in altre parti della glandola e precisamente nel colletto Ma v'ha di più; esaminando delle sezioni di mucosa del fondo di coniglio molto avanzato nello sviluppo ad es. di 83 giorni, noi vediamo in molte ghiandole, come già dimostra- rono Bizzozero e Vassale, delle cellule di rivestimento circondate dalle cellule del colletto, e di queste ultime, alcune che si sono fatte più grandi, rotonde, con protoplasma finamente granuloso, e che si colorano discretamente in giallo coll’acido picrico. Si vedono cioè delle forme di passaggio fra le cellule del colletto e le cellule vere. glandolari. Non si può però dire con certezza se esse sieno cellule principali, o di rivestimento: alcuni caratteri farebbero propendere però per le seconde. Finalmente non è raro vedere molte di queste cellule che stanno nel colletto, o subito sotto d’esso, in attività proliferante. _ Ciò ammesso si dovrebbe pur ammettere che l’attività proli- ferante vada man mano scomparendo dal fondo della glandola verso il colletto, e che quindi le cellule tappezzanti il fondo delle glandole peptiche si possano considerare come le cellule più adulte. Per quello che riguarda le glandole muco-gastriche, resta 336 1. SALVIOLI confermato quanto già rilevarono Bizzozero e Vassale. In esse le mitosi sono sempre numerosissime. Diminuiscono però esse pure col crescere dello sviluppo della glandola: infatti se' in una se- zione di porzione pilorica di stomaco di coniglio di 11 giorni lunga ] cm., si trovano 310 cariocinesi circa, in uguale porzione di stomaco di coniglio di 83 giorni se ne trovano solamento 180 Concluderò dicendo che: Il primo abbozzo delle glandole gastriche è dovuto a rialzi 0 germogli epiteliali i quali limitano tanti piccoli infossamenti im- butiformi contenenti elementi cellulari un po’ differenziati da quelli che costituiscono i germogli. Il connettivo nei primi periodi non partecipa affatto, e solo più tardi prende una parte attiva all’accrescimento della glandola. Appena la glandola si è differenziata nelle sue varie parti, noi vediamo che le cellule all’apice del germoglio perdono la pro- prietà di scindersi; sono invece numerose le mitosi nelle cellule dell’infossamento. Ad un dato periodo dello sviluppo, dal fondo' dell’infundibolo si elevano dei gettoni epiteliali, i quali dividono 1’ infundibolo primitivo in tanti tuboli secondari, e probabilmente anche for- mano nuove individualità glandolari. Le glandole aumentano molto in lunghezza, più le’ peptoga- striche, che le mucogastriche. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il loro aumento in lar- ghezza. L’acerescimento è dovuto parte all'aumento dei vari diametri delle cellule costituenti la glandola, parte ad un aumento’ del loro numero. Quest'ultimo fatto lo si verifica sempre nelle glandole muco- gastriche: per le peptogastriche, invece, solo nei primi periodi della vita, giacchè ben presto le mitosi scompaiono dalle’ cellule del tubo glandolare. Perciò si è costretti ad ammettere, che nel colletto si formino continuamente tanto delle cellule che' sostitui- scono gli elementi mucipari della superficie dello stomaco, quanto delle cellule, che per successive trasformazioni diventano: poi, o cellule principali, o cellule di rivestimento: 11770 SITA he W SITETOIITÀ L'agi ta ra $ 4 i “o DO PI Mi Lia PET] È TERNO Me puilU ii ai < ret ITREZIONI LE @ iP DITST a è w Rail be dn f- Sala? 41! MILMi sini pori (1 a) 4 : ini4; tot dle ’ vpi BIS) 1 (1 RI TOTTI, VIN (UM) spin N Ùà # héb noi Morici red , ù "I LIA MI SRI TTTTTE : cA siga 1 oO CGIL TUORO a SOTTO U.li uf [IT I Moreno) i; 0 veli; ill oi a ila. so % RL; ù Torino, Lit. Salussolia FORMAZIONE ED ACCRESCIMENTO DELLE GLANDOLE Ecc. 337 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Figura 1. Sezione trasversale di mucosa gastrica d’embrione di coniglio lungo 2!/, cm. Le mitosi sono disposte alla superficie dello I epiteliale. Coll’ indurimento lo strato mesodermico si è retratto molto più che lo strato epiteliale, il quale per questo si è distaccato da esso, ed ha acquistato delle ripiegature come si vede nella figura. » 2. Mucosa della piccola curvatura d’embrione lungo 42 mm. Lo stato epiteliale è ancora liscio: vi si vede una cellula superficiale in scissione cariocine- tica (diam. 640). » 3. Mucosa pilorica di embrione di 42 mm. Sono mani- festi i rialzi e gli infossamenti ghe danno origine alle future glandole gastriche. Qui pure l’epitelio si è distaccato dallo strato connettivo sottostante (dia- metro 640). » 4. Sezione perpendicolare alla superficie della stessa mu- cosa; « sezione trasversa delle cellule dei rialzi ; b cellule chiare dell’infundibolo (diam. 640). » 5. Sezione trasversa di mucosa gastrica di embrione lungo 45 mm., i rialzi sono bene sviluppati, costituiti da più cellule molto allungate che sono in forte at- tività proliferante (diam. 640). » 6. Mucosa gastrica di embrione di 42 mm. L’infundibolo è assai sviluppato : le cellule del fondo si sono di- sposte in uno strato solo. In @ si vede come il connettivo cominci a penetrare nell’asse del rialzo (diam. 640). » 7. Mucosa gastrica di embrione lungo 50 mm. : il con- nettivo « fa già parte del rialzo. Le mitosi tendono a disporsi ai lati del rialzo e nelle cellule del fondo (diam. 640). » 8. Mucosa gastrica di embrione lungo 65 mm. Le mitosi sono solo nelle cellule veramente glandolari. Il con- nettivo e assai sviluppato (diam. 440). 338 G. FERRARIS RELAZIONE salla Memoria : Sulla teoria della trave continua dell’Ing. Prof. CamiLLo Guipi La Memoria Sulla teoria della trave continua dal profes- sore Guidi presentata all'Accademia ha lo scopo di mostrare per mezzo di un esempio pratico un procedimento per calcolare una trave continua da ponte con quel grado di rigore e di esattezza che è concesso dallo stato attuale della meccanica applicata alle costruzioni. È questo un procedimento per approssimazioni suc- cessive. Calcolate da prima le sollecitazioni massime (momenti flettenti e sforzi di taglie) in base all’ipotesi che la trave abbia una sezione uniforme, e trascurando le deformazioni prodotte dallo sforzo di taglio, l’Autore istituisce poi un secondo calcolo più completo tenendo: conto della variazione della sezione trasversale, le cui dimensioni furono determinate in base al primo calcolo, e non trascurando le deformazioni prodotte dallo sforzo di taglio. La piccolezza delle differenze esistenti fra i risultati dei due cal- coli può giustificare l’ommissione, che di solito si fa, del secondo calcolo, tanto più che per molte cause, che non si possono ben valutare, come è l’azione dinamica dei carichi in movimento, il materiale lavora effettivamente con sforzi sensibilmente diversi da quelli posti a base dei calcoli. Ma con ragione l’Autore osserva che il calcolo di seconda approssimazione non si dovrebbe ommet- tere nella ricerca della curva elastica corrispondente ad una data condizione di carico, e propriamente a quella del carico di prova, nella quale ricerca devesi mirare ad ottenere la massima esat- tezza concessa dallo stato attuale della scienza delle costruzioni, affinchè il giudizio sull’esecuzione dell’ opera, che si deduce dal confronto della curva osservata con quella calcolata, non riesca illusorio. E l'Autore mostra un modo di costruire tale curva con metodo grafico-analitico abbastanza spedito. RELAZIONE SULLA MEMORIA DELL'ING. C. GUIDI 339 Come introduzione alla trattazione del caso pratico, la quale forma la parte principale della Memoria, l’Autore ha riassunto brevemente alcune delle note formole relative alla flessione ed al taglio, seguendo il metodo basato sul teorema degli spostamenti virtuali, metodo tenuto dal Miiller-Breslau nel suo libro: Die neueren Methoden der Festigheitslehre, Leipzig 1886. In tale riassunto l’Autore tiene conto delle deformazioni prodotte dallo sforzo di taglio, che il Miiller-Breslau trascura. Noi riteniamo che il lavoro esaminato, pur non contenendo teoremi nuovi, possa tuttavia essere di giovamento ai cultori della scienza delle costruzioni per l'esposizione chiara, che esso offre, di un procedimento pratico di calcolo; riteniamo inoltre che nella materia, su cui verte la Memoria, anche un nudo esempio nu- merico possa tornare utile per illustrare un procedimento e per far risaltare la relativa importanza delle varie operazioni; quindi proponiamo che lo scritto del Prof. Guidi venga ammesso alla lettura. G. BERRUTI G. FERRARIS, Relatore. L’Accademico Segretario GIusEPPE Basso, __—_—T ec, Lt i We o ori Aaa L10120 1SA08 SiR siedo gi constata oe54 toh ontteattint allk ororrnbhottii 3 odiienit dr afotuf | stone alli siagiottià «tt iaifiacamotezett pil cvttatst aloe? Sion {95 sat stupita ifhgof Db siustoci J08 vi ‘ap ohotatti fi ofrstigà Iffl 3 td one DI ni ei egli tb otttast @ obi alpi; LOQBE piaginiI Sabati pini 15, 4. 19N ollab stt0hota tato Riff" stioh otnon sitott pi FRSR usati Daleotd- NM ii 95 o: st oBapiio109 Mon in .0tnttiss ciovsl fi ala varati n stile rmotino.in cinoman vi Ha atsaz3 sivattoà sg | E° ‘9tflpicosso dro caos Sie (1) VIa (N aa inorattt209, 8 smorlo atttoni omnicvatià I RIE 3 tb nottata odtrenmil in ol maga spore on a qatmato al sine 9 19 rataianota CI ; atamiagtit 194 otite sto | ing, ; Trinisaziigo citav SNbBmbirazitoatà vinto sila o#estroeo eo bite per Toh nta oa ho ‘ FRA regnato e ra d0% ra ica OI asti re LEO AE oe +63 POE sla ld SODAOZTE gu. SEA VERO] osuresbo ANG (ORME ARTE UALMRONA 0 vs (op) 1a «latta i al Mix dé VEE Arai ti sl } SM Lat 009 PA: 0. L'Ant drm: ); 40 VIE od coedicrr to nali rip ; da cnc re i. cr La ovest ca Gigio n Mita ni DIAL] vii fo | pat » j ‘ ì patito Pi ZO JapanzA — Ancora sul modo dl ‘adoperare gli . dell’ Istituto geografico militare italiano 2 da Sa Giotio-Tos - Nuove specie di i Ditteri “ del Museo 2oologico di di pecrnstizanto delle giano 8 astriche o ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, Disp. 10°, 1889-90 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 341 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 23 Marzo 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa Direttore della Classe, BRUNO, BerruTI, D’Ovipio, Bizzozzero, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Segretario dà comunicazione delle lettere dei Professori Eugenio BertINI e Gastone DARBOUX, colle quali gli scriventi ringraziano l'Accademia per la recente loro nomina a Soci Corrispondenti. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se- guente : « Sulla dilatazione termica di alcune amalgame allo stato liquido »; lavoro del Dott. Carlo CATTANEO, della R. Uni- versità di Siena, presentato dal Socio NACCARI; « Osservazioni meteorologiche fatte nell’anno 1889 al- l'Osservatorio della R. Università di Torino, calcolate dal Dott. G. B. Rizzo, Assistente all’ Osservatorio stesso, presentate dal Socio NACCARI. « Sulla stabilità delle volte caricate colla regola di Schwedler »; Nota dell’ Ing. G. G. FERRIA, Assistente nella Regia Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Torino, presentata dal Socio FERRARIS. Infine il Socio Cossa fa verbalmente una comunicazione pre- ventiva intorno alle ultime sue ricerche « Sui composti del pla- tino », le quali formeranno oggetto di una Memoria che egli si propone di presentare in una prossima seduta. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 25 342 CARLO CATTANEO LETTURE Sulla dilatazione termica di alcune amalgame allo stato liquido; Nota del Dott. Prof. CARLO CATTANEO G. Vicentini e D. Omodei nel loro lavoro sulla densità e dilatazione termica di alcuni metalli allo stato liquido (*), pel quale adottarono come migliore di tutti il metodo dilatometrico, non poterono sperimentare lo zinco e l’antimonio in causa della loro elevata temperatura di fusione; però in seguito (**) nel- l’altro lavoro sulla dilatazione termica delle leghe binarie allo stato liquido, dopo di avere studiato varie leghe (piombo-stagno stagno-bismuto, stagno-cadmio, piombo-bismuto), riferendosi ai risultati ottenuti nelle precedenti determinazioni coi metalli iso- lati mostrarono come si poteva con una certa approssimazione calcolare il coefficiente di dilatazione e la densità di un metallo allo stato liquido quando esso si possa unire in lega con un altro metallo che allo stato di fusione possiede coefficiente di di- latazione e densità note; e ciò mostrarono ammettendo che nella lega allo stato liquido i metalli conservino prossimamente il ri- spettivo coefficiente di dilatazione e che la variazione di volume accompagnante la formazione delle leghe sia relativamente pic- cola. Partendo da queste supposizioni dopo aver sperimentate le leghe piombo-antimomio e cadmio-zinco ricavarono col procedi- mento sopra accennato i valori delle densità dell’antimonio e dello zinco liquidi alla loro temperatura di fusione ed i rispettivi coefficienti di dilatazione che direttamente coi metalli isolati e col metodo dilatometrico non avevano potuto cercare. Il profess. Vicentini, che sentitamente ringrazio per i consigli di cui mi fu largo nel presente studio, mi propose : 1° di sperimentare le amalgame di alcuni metalli, per es. stagno e piombo, per riscontrare se anche in esse, allo stato di per- (*) Atti R. Accad. Torino, vol. XXII, 1886-87; vol. XXIII, 87. (**) Rend, I. Ace, Lincei, vol, III, 2° sem. 1887; vol, IV, 1° e 2° sem. 1888. SULLA DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNE AMALGAME 343 fetta liquidità, viga la legge di approssimazione che i metalli vi conservino i loro rispettivi coefficienti di dilatazione e se fosse sen- sibile la variazione di volume accompagnante la formazione loro. 2° di sperimentare poi varie amalgame di zinco allo scopo di calcolare la densità ed il coefficiente di dilatazione allo stato li- quido di questo metallo, valori dati con riserva alla fine del la- voro (**) sopracitato. Mi accinsi quindi a questo studio le cui operazioni diverse possono designarsi come segue: 1° Preparazione delle amalgame. 2° Studio della loro temperatura di fusione. 3° Preparazione e calibrazione dei dilatomettri. 4° Riempimento e pesate dei dilatometri. 5° Determinazioni delle densità alle varie temperature e dei coefficienti di dilatazione. 6° Calcoli relativi. 7° Confronti e discussione dei risultati. 1. Il mercurio che mi servi per le amalgame era stato da me chimicamente purificato in laboratorio e col metodo del bi- cromato potassico e con quello dell’acido nitrico; i metalli sta- gno, piombo, zinco, erano purissimi e provenivano dalla casa Trommsdorff. Le pesate tutte vennero fatte, mediante il metodo della tara, con una bilancia di precisione fino àl decimo di mil- ligrammo. Determinate le proporzioni opportune dell’uno e del- l’altro metallo formavo la amalgama in un piccolo crogiuolo di carbone di storta lasciando sciogliere a dolce calore il metallo solido nel mercurio affinchè minima fosse la quantità di quest’ul- timo volatilizzata e rimescolando con un piccolo agitatore di ferro. Ecco la Tabella delle amalgame preparate e studiate: u°] (A S STAGNO PIOMBO ZINCO sE Sn Hg | C. at. | Pb Hg C. at. | Zn Hg C. at. 1 |22. 727[77.273| Sn Hg, {20 80 — — |15.976|86.024| Zx Hgs 2 |37.037|62. 963] St Hg |34.065|65.935| Pb Hg (20.000|80 "= 3 |54. 05445. 946| Sr, Hg |60 40 — |20.000|80 _ 4 |70.175|29. 825| Sn, Hg |75 25 —. |23.077|76.923|. — 5| — - —_ — — — |39,387[60. 613] Zn, Hg 6| — —_ —_ —_ -- — |49.359[50, 641| Zn, Hg 344 CARLO CATTANEO 2. Lo studio della temperatura di fusione delle varie amal- game venne fatto col metodo del raffreddamento. L’amalgama fusa nel crogiuolo veniva versata in un tubo da saggi del dia- metro di circa 20 millim. chiuso superiormente da un tappo a due fori, uno pel termometro il cui bulbo veniva immerso nella parte centrale della lega, l’altro per l’agitatore; il termometro era di Geissler a pressione interna di azoto controllato da me antecedentemente con ogni cura con un altro simile già confron- tato col termometro ad aria. Fusa e riscaldata l’amalgama, entro il tubo da saggi, oltre il suo punto di fusione esso veniva di- sposto e fissato nella parte centrale di una provetta di vetro (bagno ad aria) del diametro di circa 40 mm. mediante op- portuno tappo di sughero che superiormente la chiudeva; detta provetta era già preventivamente immersa in un ambiente a tem- peratura costante ossia bagno calorimetrico ad acqua alla tem- peratura di circa 50°, apparato a vapore d’acqua simile a quello che serve per il 100° dei termometri, bagno di paraffina a tem- peratura opportunamente elevata, secondo che una prima e gros- solana ispezione al comportamento dell’amalgama faceva prevedere una bassa od alta temperatura di fusione. Appena disposto il tubo da saggi nella camera d’aria a temperatura costante si co- minciavano le letture al termometro notando di 30° in 305 con un cannocchiale le temperature in diminuzione. Nel maggior nu- mero dei casi una sosta abbastanza sensibile nel raffreddamento indicava prossimamente la temperatura di fusione della amalgama la quale poi in tutti i casi veniva con precisione determinata in base alla curva di raffreddamento; questa veniva costruita; ; per ciascuna delle varie serie di determinazioni fatte con ogni amal- gama, assumendo come ascisse i valori del tempo ed ordinate delle temperature e quindi mi poteva dare con molta approssi- mazione il vero punto di fusione cercato col punto di incontro della retta passante per tutti quelli appartenenti alla porzione di curva di raffreddamento della lega allo stato di perfetta liquidità colla retta passante per tutti quelli appartenenti all’altra porzione della curva della lega stessa allo stato di perfetta solidità. Le indicazioni termometriche venivano poi corrette come si dirà in seguito al numero 5. Devesi qui notare che le temperature di fusione trovate rappresentano il secondo punto di fusione (tem- peratura di saturazione (1) della lega chimica per l’eccesso di 1) Come la definì il VICENTINI nei suoi lavori sopraccitati. SULLA DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNE AMALGAME 345 metallo che contiene) e non il primo il quale non fu determi- nato in causi della troppo bassa temperatura di solidificazione del mercurio. Ecco la tavola delle temperature % di fusione trovate: Numero AMALGAME AMALGAME AMALGAME i di stagno di piombo di zinco d’ ordine q q q 1 103°, 5 1029, 2 152°, 0 2 131.0 125: 3 199.0 3 166.4 192.8 200,0 4 193.22 236.2 247.2 5 _ - 288.3 6 — — 316,5 Credo mio obbligo di osservare che alle 9 sopra registrate do un valore relativo dappoichè la loro conoscenza per me doveva servire soltanto a stabilire vicino a quale temperatura le amal- game erano perfettamente liquide e possedevano quindi una dila- tazione regolare. 3. I dilatometri vennero tutti preparati in Laboratorio sal- dando alla estremità superiore di un cannello capillare (diam. circa 1", 5) già graduato un imbuto cilindrico lungo circa 90 mm. ed a quella inferiore un bulbo dilatometrico fatto, per tutti i dilatometri, con tratti di una medesima canna di vetro. Come coefficiente K di dilatazione del vetro alle varie temperature ho assunto quelli dati da Vicentini ed Omodei pel vetro delle solite canne di Germania facilmente fusibili ((2), 1887, pag. 295). Lavato ed asciugato per bene il dilatometro procedevo per ognuno di essi alla calibrazione nel modo seguente: noto pre- ventivamente il suo peso vuoto, riempitolo di mercurio e dispo- stolo in un bagno ad acqua alla temperatura costante dell’ambiente in modo che il liquido giungesse sino ad una delle divisioni N più alte del cannello, ripesatolo, si ottiene il peso @ di mercurio sino ad N contenuto nel dilatometro alla temperatura sopradetta. Si toglie in seguito un tratto di mercurio dal cannello e colle stesse norme si determina il nuovo peso Q' e così via Q”, Q"... ecc. Si calcolano poi, in base a questi dati, i volumi a 0° V, V, 346 CARLO CATTANEO VV, ... ecc., del dilatometro sino alle rispettive divisioni NN'N"N”... ecc.; allora è chiaro che Valli VozVo. ecc car 000, $ NON NNT 8%: danno il valor medio nei rispettivi intervalli, del volume V, a 0° di ogni piccola divisione che fu calcolato sino ai centesimi di millimetro cubico. 4. Il riempimento dei dilatometri coll’amalgama fusa è ope- razione nella quale si esigono le maggiori cure poichè sono facili tanto il cattivo riempimento che le rotture. Disponevo preventivamente il dilatometro in un bagno ad olio che riscaldavo di circa 50° in più del punto di fusione dell’a- malgama mentre contemporaneamente nel crogiuulo portavo questa alla medesima temperatura, indi lestamente la versavo nell’imbuto del dilatometro facendola scendere attraverso il cannello capillare mediante un sottil filo di ferro, riducendo poi al livello oppor- tuno ed operando anche, quando occorreva, coll’aiuto della mac- china pneumatica. Le pesate della amalgama contenuta nel dila- tometro venivano fatte prima e dopo le determinazioni di cui si parla nel numero seguente e se ne prendeva la media p. 5. Il bagno di riscaldamento che mi ha servito per tutte le serie di determinazioni di densità e dilatazione è un bagno a paraffina identico a quello descritto da Vicentini ed Omodei (*) che ho trovato molto opportuno e che può venir portato senza inconvenienti sino alla temperatura di circa 350°. Alcune amal- game furono studiate successivamente o porzione per porzione in due dilatometri diversi, altre in uno solo, ma per tutte si fecero più serie complete di determinazioni dalla più bassa (circa 200°) alla più alta temperatura (circa 350°). Gli sposta- menti della colonnina di amalgama, che ad ogni lettura si aveva cura di riscontrare se fosse ben continua, nel cannello capillare tutto immerso nella paraffina venivano letti con cannocchiale attra - verso a questa; il termometro adoperato era il solito Geissler e se ne determinava ad ogni volta lo spostamento dello zero. Il calcolo delle densità D, delle amalgame alle varie temperature venne fatto colla formula : p (ia DETAFE) (*) Pag. 294. SULLA DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNE AMALGAME 347 ove # era antecedentemente corretta (per la parte sporgente nei vapori di paraffina, per quella sporgente nell'ambiente, per ri- guardo allo spostamento dello zero e per le differenze col termo- metro ad aria) nel modo seguente: Sia T la temperatura letta direttamente, # quella dei vapori di paraffina, #' quella dell'ambiente circostante al bagno, (7'— 7) il numero delle divisioni abbracciate dalla colonna termometrica fra il livello della paraffina e l’ambiente, 0,000157 il coeffi- ciente di dilatazione apparente del mercurio nel vetro, A la correzione per la parte sporgente nei vapori di paraffina, A' quella per l’ambiente, « quella per lo spostamento dello zero, { quella dedotta dalla curva di correzione rispetto al termometro ad aria ; nel nostro caso avremo: A=0,000157.(—:).(T-#) a=T4#+A4 A'= 0,000157.(T-7).(cr#"). y=2X + A' aEZY-@ Infine : i=azf 3 Nelle tavole seguenti che raccolgono i risultati ottenuti i simboli adottati hanno sempre i seguenti significati : I significati di V, n» V, p t D, © sono già noti. Inoltre è rappresenta il coefficiente medio di dilatazione dell’amalgama fra fra 9 e # supponendo che fra teg la dilatazione avvenga colla stessa legge che fra te #', D e D' sono le densità della amalgama rispettivamente a Let, y il coefficiente medio di dilatazione di essa allo stato di perfetta liquidità fra due temperature # e #', P e P' le quantità ponderali su cento di mercurio e di me- tallo allegato , f temperatura di fusione del metallo allegato al mercurio, d,, densità del mercurio a f, D, densità dell’amalgama a f, d, densità del metallo allegato al mercurio a f, 348 CARLO CATTANEO D, densità dell’amalgama alla sua temperatura di fusione, m coefficiente medio di dilatazione del mercurio. e coefficiente medio di dilatazione del metallo allegato allo stato liquido. Le formule adottate pei calcoli sono le seguenti : D- D' t'—9)D'-(t-9D Fr Sr, (era 47 eni) ann = / (0a i 100

= PDp 3 6. Seguono ora le tavole; i risultati numerici che vi appa- riscono sono le medie di valori concordanti ottenuti con serie diverse di determinazioni alle varie temperature ; in certi casi ho ristudiata l’amalgama prendendone un’altra porzione che ancora non era stata sottoposta all’ esperienza. La capacità del bulbo dilatometrico essendo in media molto grande rispetto a quella di ogni divisione del cannello ed avendo operato con intervalli di temperatura abbastanza estesi gli spostamenti della colonnina d’amalgama erano molto sensibili. € 0 349 SULLA DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNE AMALGAME S00 8/6 966 866° 0I/S SGg Peo 8|9'S06|918°8|9 666/998 ‘8/9 966 V96°0I/S 208 SFO "8/0 686|888 ‘8/0 °808|088"8|L'E08|/S28"6|2966|898 ‘6/8 608|8660I|6686|696 019" ScE 290 °8|6"296|898 ‘8/5 "686/606 8/6 686/568 '6/S 206/706 6/6 166/800 "TI]9 8Z6|LIO "III 666 820 °8|1'97€|968 ‘8/9 SFe|I86 8|6'99c/c76 6/6 0L6/SF6 ‘6/0 826/970 "TI|6 L7E|87O IT)9 996 060 8|8'0186|6668|0'09I6/7968|2'oG6G|L26*6/606E6|/2266|1°00F7G|980"TI|1°02I6|860"II|G 0266 "E I {08 9 "T 1 "i 7 dd 1 (d4 2 "q I colo 'p9=d c6700°0 =04|, ROS | Yen 08 “No =dZI10 gg e=% PAT =" 0g olbronna | Ton ri rg | suoi e AREE aL800°0=04 CGGI'L2=4d 9° L6=% L300°0 =04| P0800"0. 0A ner 1 08300 °»0 = 04 9091 °L=UA 9'L6=% > ‘Y6Ng L'69=% \ a 9° eg8=% | ‘Vena 01J9ULO]ETICI 90912 =ng | F708"L UA! TL69 sl ZA bHg'6z + Us <'oL 6] 9% + USS 67 94 US LE 6h g'LL+US L'33 N ‘EN ‘6 "N 3.N ‘0uSezs Ip swes]ewy "TS CARLO CATTANEO 350 0869 &F6 66% °GI| 0°968 | 686°SI)| 1868 | 699"3I | 9 106 86I°TI | LIES | FRSUÙTI | 9188 | 62831] #'S66 | FEEUSI| 1266.) 06961 | S'9L6 0zg°II | S°8I8 | TIO'TI | 9'963 | SISSI! 80925 | 99881 || n'949 1 6990 °ST | 9 LE ZII... °96% |.699°II | 1°098 | 198;6I. 8 FSE: | 0IF°SI | TP 64 GI, PO6 eQ2IT-| 6:23 | SOL'TI | S'886-| Z0F GI] 10888 | ELFI) L'oPIO |p49436G1 J 7660 'qT ? coi 2 04 2 iu 2 ‘€q ? ‘eg=d QUOIZIO] +7 c7968L=0 0298*18=d PISTA: Seal 2 ST 810% ‘1368=% GL300°0 =04 L50000 04 L300°»0 04 9° L6=% 9° L6=U ; 0° L6=% i x = 08700°0 =04 prc) 9091°4 =%4 9091°L UA g-Re=u “setta 90091 °»4 UA 0.17QUWIOFETIC 01} QUIOYETT]A TISANA 0.13QUIO7ETIC 6H S& +94 SL 6H 0% + 94 09 6H 99 + 24 78 6H 08 +24 0% N ‘GN "N EN l'oelet, i ut —___r, rr r-._T__--'- wiee-#@#“ ‘oquorg tp ewes[euwy dARI NAT 351 TERMICA DI ALCUNE AMALGAME SULLA DILATAZIONE e e ° eee. rr —_———| | ——__ _yy_—__r_——_,,,___—_—________—x*«—«<<££<4 —4sen® + sen? cos 0) —#(0—sen®cos®) az? | ( Paragonando l’espressione della spinta vera .S con quella H supposta nella teoria di Schwedler data dalla relazione 3) si vede che non possono essere uguali nel caso di una vòlta a spessore SULLA STABILITÀ DELLE VOLTE CARICATE 367 costante, tranne quando il coefficiente di r 2, nell'espressione di S divenisse uguale ad 1; per la qual cosa si richiede che sia -— senPcos® — sen P cos P ossia che si abbia ®=-0, oppure D_90°. In allora si troverebbe pure d—=0, vale a dire la spinta S coinciderebbe realmente per grandezze e linea d’azione colla H. Ma questi sono due casi puramente teorici. Infatti nel primo la volta verrebbe ad avere un'ampiezza di curvatura nulla. Nel se- condo si avrebbe a=8& sec dD—= 00; (') vale a dire l’altezza del carico all'imposta sarebbe infinita. Praticamente la regola di Schwedler può dare risultati ab- bastanza buoni quando il termine in r° che entra tanto al nume- ratore quanto al denominatore nell'espressione di S sia molto grande rispetto ai due termini in ®. Esempio. — Per una vòlta da ponte si ha y=70 metri, i 7 il carico alla chiave 2,=2 metri; lo spessore della vòlta è g 40° e l’inclinazione dei giunti d’imposta alla verticale è D = 23°, Sarà ®—- 0,401, sen®_=0,391, cosdp_0,92, a=1 è) onde si trova S_1,014.xg=1,014..H=141,96, d=0,00057.r=m 0,039, p.= 5,665 . Curva delle Pressioni. — Dalle relazioni 4) si deducono i valori di M e di N per ogni giunto mettendo per © l'angolo del giunto colla verticale. — Dividendo M per N abbiamo la di- stanza del punto d’incontro della curva delle pressioni del bari- centro del giunto, per la quale occorre la stessa avvertenza per 368 G. G. FERRIA segni che abbiamo fatto per quello di chiave. — Dicendo d questa distanza sarà: a p+(H— 6) — Htang®senD4+ Scos® Dando a © diversi valori furono trovati i risultati seguenti : angolo © 5: 10° USS 20° 33. 06 distanza 0° ‘00335. 0,0236 0,006. — 0,018 “—0;0334., dai quali si vede che la curva delle pressioni passa a m. 0,0334 al disopra del baricentro del giunto d’imposta, sale tagliando la linea dei baricentri o fibra media tra il giunto d’inclinazione 15° alla verticale e quello .d'inclinazione 20° e taglia il giunto di chiave a m. 0,0399 al disotto del suo baricentro, per ridiscen- dere simmetricamente rispetto a questo giunto. Il punto mag- giormente lontano dista meno di 4 centimetri dalla linea dei ba- 4 , d od p ricentri, vale a dire meno di n dello spessore della volta; mentre, come è noto, la vòlta sarebbe in buone condizioni di stabilità anche se la distanza massima raggiungesse G di questo spessore. Torino, febbraio 1890, L’Accademico Segretario GiusePPE Basso. | ” A | Carrano — Sulla dilatazione termit Fiat liquido LIA . RESO | | Fergia — Sulla stabilità delle vOlto caricate colla regola di f sw ATTI DELLA i R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DIE TORENO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, De 11°, 1889-90 ce —- Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze Pai rv (di) Dì Le) CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 13 Aprile 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE <——T__—_— Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, BERRUTI, D'Ovipio, Bizzozero, NAccarI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, CAME- RANO, SeGrE e Basso Segretario. Il Socio Segretario legge l’atto verbale dell'adunanza prece- dente che viene approvato. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all'Accademia vengono segnalate due monografie del Prof. Federico Sacco, delle quali una ha per titolo: Colli monregalesi (Estr. dal Bullettino del R. Comitato geologico italiano), e l’altra Le Ligurien ( Estr. ‘dal Bulletin de la Societe geologique de France), presentate ‘dal Socio CAMERANO. In seguito il Socio Bizzozero presenta e legge una Nota del Dott. Giovanni Mincazzini Intorno al decorso del pedun- culus cerebelli medius e del corpus restiforme, Atti della R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 27 370 GIOVANNI MINGAZZINI LETTURE Intorno al decorso ed ai rapporti del Pedunculus cerebelli medius e del Corpus restiforme; del Dott. GrovannI MINGAZZINI — Riferisco nel presente lavoro i risultati di osservazioni fatte intorno a un coniglio, a cui era stato estirpato il pedunculus cerebelli medius di sinistra senza lesione delle parti circostanti. — La serie completa dei tagli dell’asse cerebro-spinale di questo coniglio, operato da Gudden, si trovano nel Laboratorio dell’ Isti- tuto Psichiatrico di Monaco, ove io ebbi agio di studiarli. Il lavoro completo verrà pubblicato quanto prima nell’ Archivio delle Scienze Mediche (vol. XIV). 1. Il cervello anteriore primitivo e secondario erano com- pletamente intatti, tanto a destra che a sinistra: così pure il midollo spinale al disotto dei nuclei dei funiculus gracilis e cuneatus. Nel cervelletto si nota che la sostanza corticale del verme è perfettamente conservata in tutta la sua estensione eccetto che nelle sezioni prossimali e rispettivamente nei giri dorsali del verme, ove la sostanza midollare è leggermente atrofica. La sostanza corticale e midollare dei giri degli emisferi destro e sinistro e del flocculus destro erano affatto normali, mentre la sostanza corticale e midollare del /locculus sinistro mostrava un alto grado di atrofia. Per quanto riguardale fibrae transversace pontis queste si com- portano diversamente a seconda che trattasi delle sezioni distali o di quelle prossimali del Ponte. — Nelle prime si osserva che le fibre dello stratum superficiale appartenenti al lato sano oltre- passano appena la linea mediana; dicasi altrettanto di quelle che formano lo stratum complerum, in modo tale che nella porzione piramidale del ponte, corrispondente al lato operato, DEL PEDUNCULUS MEDIUS E DEL CORPUS RESTIFORME 371 il campo occupato dalle fibrae transversae pontis è quasi chiaro, poverissimo cioè di fibre. Ma a misura che si procede coi tagli prossimali si osserva che le fibre dello stratum superficiale , provenienti dal lato sano, sorpassano per lo più la linea me- diana, avvicinandosi verso il punto da cui si stacca l’ atrofico peduncolo cerebelloso medio (operato). Così pure nei tagli pros- simali le fibre dello stratum complexum della metà sana oltre- passano la linea mediana in numero assai maggiore che nei tagli distali, invadendo il campo della portio pyramidalis pontis, sotto- stante ai fasci piramidali. Buona parte delle fibrae transversae pontis finisce nella sostanza grigia della metà omo e controla- terale della pars pyramidalis pontis; e propriamente quelle appartenenti alle sezioni distali terminano in massima parte nella sostanza grigia della metà omolaterale: in minima parte nella sostanza grigia della metà controlaterale, mentre le fibre tran- sverse appartenenti ai tagli prossimali finiscono, in proporzioni presso a poco eguali, nella metà omolaterale e in quella contro - laterale. In verità nei tagli distali la sostanza grigia della portio pyramidalis pontis del lato operato è in quantità assai più debole che nel lato sano: mentre nei tagli prossimali questa sostanza grigia è eguale d’ambo i lati. Possiamo quindi sta- bilire che l’ incrociamento di quella porzione di fibre del pedun- culus cerebelli medius, la quale ha rapporto con la sostanza grigia della portio pyramidalis pontis è maggiore nella porzione prossimale che in quella distale. Le fibre incrociantesi non giungono mai ad alcuna delle parti appartenenti alla metà cerebellosa del lato opposto; dappoichè, come si è già notato, la metà del cer- velletto appartenente al lato non operato era completamente integra. Adunque i peduncoli cerebellosi medî non rappresentano affatto un sistema di fibre commessurali del cervelletto. Betcherew pel primo ha richiamato l’attenzione intorno al destino di un’altra parte delle fibrae transversae pontis. gli lavorando sopra cervelli fetali umani ha osservato che il sistema superiore o cerebrale di queste fibre sì riveste di mielina in una epoca posteriore che non le fibrae transversae del sistema infe- riore o spinale. Ma egli ha riconosciuto che nel sistema spinale parte delle fibrae transversae pontis s' innalza perpendicolarmente nel rafe e si perde nel nueleus reticularis tegmenti pontis sì- tuato ai lati del rafe stesso. Le osservazioni da me fatte mi permettono di aggiungere alcuni particolari a questa scoperta del 3792 GIOVANNI MINGAZZINI Betcherew. Se si osservano infatti le sezioni del sistema spinale del Ponte, si vede che nel campo del mucleus reticularis sono conservate in massima parte le fibre sollevantisi nella metà del rafe corrispondente al lato operato, e propriamente manca la porzione mediale delle medesime; mentre nella metà del rafe corrispondente al lato sano sono conservate in minima parte le fibre del rafe, e precisamente manca la porzione laterale delle medesime. Seguendo in basso queste fibre si nota come dal lato sano le fibre occupanti la porzione mediale del rafe si continuano direttamente con le fibrae transversae dello stratum profundum pontis: mentre quelle che occupano dal lato atrofico la porzione laterale del rafe discendono più in basso e si volgono verso il lato sano, penetrando nel campo della pars pyramidalis pontis, ove dopo un cammino più o meno lungo si perdono di vista fra le fibre dello stratum complerum. Possiamo adunque stabilire la seguente proposizione: « Porzione delle fibrae transversae del « sistema spinale del peduncolo cerebelloso medio s’innalza per- « pendicolarmente verso il raphe: e propriamente quelle apparte- « nenti allo strafum profundum si perdono nella porzione mediale « della metà omolaterale del rafe, quelle appartenenti allo stra- « tum complexum trapassano la linea mediana perdendosi nella « porzione laterale della metà controlaterale del rafe. » Poco posso aggiungere sull’ulteriore destino di questa porzione delle fibrae transversac. Secondo Betcherew, esse terminerebbero in parte nel mucleus reticularis e in parte nella formatio re- ticularis. Le mie osservazioni non mi permettono di confermare queste vedute; però che il peduncolo cerebelloso medio trapassi attraverso il tegmento, risulta già da altre esperienze di Gudden, il quale osservò l’atrofia del braccio pontale costantemente con- secutiva alla lesione del corpo bigemino superiore. Che una tale connessione fra queste parti possa effettuarsi per la via del lem- nisco laterale è un'ipotesi che io mi permetto soltanto di avanzare, avendo nelle osservazioni in discorso trovato atrofia del lemnisco laterale sinistro e del suo nucleo. Che al disopra del distretto del sistema spinale le fibre del rafe nulla abbiamo a che fare colle filrae transversae, come am- mette Betcherew, si riconosce non tanto dal fatto che in questo sistema le fibre del rafe sono eguali d’ambo i lati, ma anche perchè non si vedono continuare nel campo delle fibrae tran sversae. DEL PEDUNCULUS MEDIUS E DEL CORPUS RESTIFORME 373 La completa integrità delle vie piramidali nel caso presente dimostra pure la nessuna connessione diretta fra questo sistema rispettivamente fra il piede del peduncolo e il braccio pontale. 2. Nell’esperienza attuale si osserva anche l’atrofia del corpus restiforme dal lato operato e di formazioni aventi con esso rela- zioni. Questo fatto si spiega facilmente, ricordando che nel taglio del braccio pontale è quasi impossibile lasciare illesa la porzione endocerebellare del corpus restiforme, che si porta alla periferia dei giri del cervelletto. — Il corpus restiforme era più atrofico nella porzione prossimale che in quella distale. — Inoltre erano atrofici tre nuclei sui quali ha richiamato negli ultimi tempi l’attenzione Gudden, cioè il nucleo laterale ed i nuclei ventrale e dorsale del corpus restiforme. Il nueleo dorsale incomincia al livello dei piani corrispondenti alla metà dell’altezza del n. /ypo- glossi e termina prossimalmente a livello dei piani più distali del n. abducentis. Il nucleo ventrale (porzione distale del nucleo laterale degli Autori) comparisce nel coniglio distalmente, insieme all’oliva inferior, e termina prossimalmente poco dopo l’aper- tura del IY° ventricolo. Il mueleo laterale nel coniglio invece si raggruppa in quasi tutta la sua estensione in due ammassi di cellule ben distinti: l’uno dorsale più piccolo e l’altro laterale più grande. Nelle sezioni distali è costituito da un ammasso di poche cellule disposte ventralmente rispetto alla radix ascendens trigemini, ma dopo un certo numero di sezioni esso si rag- gruppa in due piccoli ammassi di cellule, uno dorsale e l’altro ventrale. Nelle sezioni prossimali rimane soltanto la porzione ventrale che scomparisce insieme con l'oliva inferior. Ora nelle mie osservazioni ho notato che mentre tanto il nucleo ventrale quanto il nucleo dorsale del corpus restiforme erano completamente atrofici dal lato operato, invece del nucleo laterale era atrofica solo la porzione dorsale, la porzione ven- trale invece era inalterata. All’atrofia del corpus restiforme adunque segue atrofia (dallo stesso lato) del nucleo dorsale, del nucleo ventrale e della porzione dorsale del nucleo laterale. Io credo quindi che questi tre nuclei sieno solamente in rapporto con il corpus restiforme, e dall’analisi delle osservazioni e delle figure riportate nei lavori di Veyas, Monakow e di Gudden sono inclinato a credere che l’atrofia dell’un nucleo piuttosto che dell’altro sia da mettersi in rapporto con l'estensione, ri- 374 GIOVANNI MINGAZZINI - DEL PEDUNCULUS MEDIUS ECC. spettivamente con l’altezza di quella porzione del corpus resti- forme colpita da atrofia. Nelle osservazioni in discorso ho notato anche l’atrofia del- l’oliva inferior (veramente con eccezione soltanto di una piccolis- sima parte), dal lato opposto a quello operato. Inoltre era in totalità atrofico il fascio cerebello-laterale del lato operato , in piccola parte il funiculus gracilis e in grado maggiore il fu- niculus cuneatus omolaterale insieme ai due gruppi di cellule (Monakow) che costituiscono il mucleus funiculi cuneati, e ve- ramente il gruppo mediale in piccola parte e il gruppo laterale quasi in totalità. Inoltre era atrofica la « sezione interna del peduncolo cere- belloso » ; sopratutto erano le fibre più laterali della rete quelle che si mostravano notevolmente atrofizzate insieme con le rispet- tive cellule del cosidetto nucleo di Deiters. Siccome nel caso pre- sente il mervus acusticus era ugualmente bene conservato da ambo i lati, così è chiaro che la nostra osservazione contribuisce sempre più a respingere il significato di nucleo dell’acusticus che fino a poco tempo fa era attribuito al nucleo del Deiters. Alla fine io debbo fare alcune osservazioni intorno alle ori- gini dei bracci congiuntivi, Essi nel nostro caso erano perfetta - mente integri da ambo i lati e altrettanto lo erano i nuclei rossi di Stilling. D'altra parte abbiamo veduto che erano perfettamente normali l'emisfero cerebelloso sinistro e quasi tutto il verme, mentre il /locculus sinistro e porzione del mucleus dentatus cere- belli di sinistra erano atrofici: ecco perchè è probabile che il braccio congiuntivo derivi, come insegnano anche le esperienze sul ratto di Veyas, piuttosto dal verme e dall'emisfero cerebelloso. L’Accademico Segretario GiusePPE Basso. enze Fisì | ADUNANZA del 13 Apri | Mincazzisi — Intorno al decors | rebelli medius e del Corpus ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUB CLASSI Vor. XXV, Disp. 12%, 1889-90 (lasso di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze SI A DU 375 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 27 Aprile 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM.. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, SALVADORI, Bruno, Bizzozrro, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Segretario dà comunicazione di documenti stampati che ven- nero inviati all'Accademia dal Comitato ordinatore del Congresso d’ Ingegneri ed Architetti da tenersi in Palermo l’anno venturo, ed altri inviati dal Comitato esecutivo per la prima Esposizione italiana di Architettura, che si aprirà nel prossimo settembre in Torino. Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo che segue: « Un nuovo campo di ricerche geometriche »; lavoro del Socio SEGRE, che fa seguito a due altre sue Note già pub- blicate precedentemente ; « Sulle determinazioni di latitudine eseguite negli anni 1888, 1889, 1890 all’Osservatorio astronomico dell’ Univer= sità di Torino; comunicazione prelimimare del Prof. Francesco Porro, incaricato della direzione dell’ Osservatorio stesso, pre- sentata dal Socio NACCARI; «Iminerali del gneiss di Borgone (Val di Susa) » ; cenni descrittivi di Giuseppe PioLtI, Assistente al Museo mineralogico della R. Università di Torino, presentati dal Socio SPEZIA; « Sopra una mandibola di Balaenoptera dell’ Astigiano »;, Nota del Dott. Federico Sacco, Prof. di Paleontologia nella R. Università di Torino, presentata dal Socio CAMERANO. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. \XV. 28 376 CORRADO SEGRE LETTURE Un nuovo campo di ricerche geometriche ; Saggio del Socio Prof. Corrapo SEGRE. Nora III. (*) Delle antipolarità e delle iperconiche ed iperquadriche (*). 27. Rispetto ad un’antipolarità, piana o spaziale, introdur- remo denominazioni affatto simili a quelle che si usano per le polarità. Due elementi omologhi si diranno polari l’un dell’altro (un punto si dirà polo del suo elemento polare). Quando di due (*) V. le Note I e lI a pag. 180 e 290 del presente volume. (**) La trattazione geometrica di questi enti si troverà analoga in vari punti a quella delle coniche e delle quadriche fatta nell’opera di Sraupr: anche certe proposizioni, che, per l’analogìa perfetta che presentano con cose note, potrebbero sembrare superflue, si dovettero esporre, sia per uniformità di metodo, sia perchè occorreranno nei Cap.! segi. — Non è forse inutile, dopo la citazione fatta di StAUDT, rilevare come appunto la sua definizione delle coniche e quadriche sia quella che, trasportata per analogìa (dalle polarità alleantipolarità), appare più importante nel nostro campo; le definizioni mediante fasci projet- tivi o stelle reciproche avrebbero invece per analoghe delle nozioni di enti il cui studio rientra come parte in quello delle iperconiche ed iperquadri- che: ciò si vedrà più tardi. — [Dopo che io avevo già rivedute le bozze della Nota II del presente Saggio comparve nel vol. 14 degli Acta mathematica un lavoro del sig. JueL: Ueber einige Grundgebilde der projectiven Geometrie, i cui risultati principali sta- vano già, secondo asserisce l’A., nella dissertazione danese che ho nominata in nota all'introduzione di questo Saggio; quel lavoro studiando per via pura- mente sintetica le catene semplici e piane, non che le antiprojettività fra forme semplici e le anticollineazioni fra due piani (sotto il nome di corrispondenze simmetrali), viene ad avere molti punti di contatto con le mie due prime Note, Il sig. JuEL non si occupa però degli enti analoghi nello spazio, nè delie anti- reciprocità, delle iperconiche, iperquadriche, ecc.; e in complesso il suo indi- rizzo ed il suo scopo sono essenzialmente diversi dai miei. Ciò malgrado mi piace rilevare i suoi diritti di priorità negli argomenti che entrambi abbiamo trattati]. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE SAVA elementi l’uno è incidente al polare dell’altro, viceversa questo sarà incidente al polare del primo, ed i due elementi si diranno reciproci. Così un punto ha infiniti punti reciproci sulla sua retta polare, oppure infiniti punti e rette reciproche sul suo piano po- lare. Una retta nel piano ba per reciproche tutte quelle che pas- sano pel suo polo, e nello spazio tutte quelle che si appoggiano alla sua polare. Ecc. Un elemento autoreciproco, cioè incidente al suo polare, si dirà pure unito; però nello spazio la denomi- nazione di unite sarà riservata alle rette autopolari. — Se una retta p è unita in un'antipolarità piana, cioè con- tiene il proprio polo P, è chiaro che nè per questo passerà al- cun’altra retta unita, nè su p starà alcun altro punto unito. Ma nel caso contrario, cioè se p e P non sono incidenti, l’antipo- larità (che sempre riferisce antiprojettivamente due forme omo- lughe qualunque) stabilirà fra la punteggiata p ed il fascio di rette P un’antiprojettività in posizione involutoria : ne deriva che i punti reciproci su p (o le rette reciproche per /) si corrispon- dono in un’antinvoluzione, e quindi che su p o non sta alcun punto unito (e per P non passa alcuna retta unita), oppure ne stanno infiniti formanti una catena (e per P passa una catena di rette unite di cui quella è sezione). La possibilità che esista una retta di cui tutti i punti siano uniti rimane, come si vede, assoluta- mente esclusa. Segue dunque che se un’antipolarità piana ammette un punto unito, essa ne ammetterà 00°, giacchè su ognuna delle 00° rette passanti per quello ve n’è una catena, eccezion fatta per la retta polare del punto, la quale non contiene altri punti uniti. Questa varietà co? di punti si dirà iperconica (fondamentale per l’an- tipolarità), e sue tangenti nei vari punti le polari di questi nel- l’antipolarità, cioè le rette unite di questa (*). Mentre la tangente in un punto all’iperconica non l’incontra altrove, ogni altra retta del piano o la sega secondo una catena rettilinea o non l’incontra affatto. Similmente per un punto dell’iperconica passa una sola tangente di questa, la tangente in esso; per ogni altro punto o non passa alcuna tangente o ne passano infinite formanti una catena: il punto si dirà allora risp. interno ovvero esterno all’iperconica. (*) Quest’applicazione del nome di tangente, come pure quella che ne fa- remo nel n. seg. alle iperquadriche sono d’accordo colle definizioni generali di tangenti alle 008 di punti di un piano ed alle oo spaziali date al n. 15. 378 CORRADO SEGRE 28. Per un’antipolarità spaziale le coppie di punti (o di piani) reciproci situate su una retta qualunque che non sia autoreci- proca formano pure un’antinvoluzione. E così pure in un piano non unito si ha sempre un’ antipolarità piana in cui si corrispon- dono i punti e le rette reciproche. Se una retta è incidente alla sua polare, pur essendone di- stinta, solo quel punto e quel piano che essa ha comuni con questa saranno uniti. Se invece una retta coincide colla propria polare è chiaro che tutti i suoi punti e piani (mutuamente polari) saranno uniti. Se infine una retta è sghemba con la sua polare, segue da un’osservazione precedente che o essa non conterrà alcun punto unito o ne conterrà una catena, ed analogamente pei piani uniti. Se un’antipolarità spaziale ammette un punto (od un piano) unito (0, ciò che fa lo stesso, una retta autoreciproca) essa ne ammetterà co°, poichè su ognuna delle oo! rette passanti per quel punto (e non giacenti nel suo piano polare) ne avrà una catena. Questa varietà di co° punti (fondamentale per l’anti- polarità) si dirà ‘perquadrica. Il piano polare di ogni suo punto si dirà tangente in esso all’iperquadrica, e così pure le rette giacenti in quel piano e passanti per quel punto si diranno tangenti. Sono dunque tangenti gli oc? piani uniti e le co” rette autoreciproche. Una retta od un piano non tangenti all’iperqua- drica non l’incontrano affatto, oppure l’incontrano, la retta se- condo una catena semplice, il piano secondo un’'iperconica. Dual- mente per un punto non posto sull’iperquadrica o non passano rette nè piani tangenti, o ne passano infiniti costituenti le gene- ratrici ed i piani tangenti del cono iperquadrico circoscritto , projettante l’iperconica d’intersezione dell’iperquadrica col piano polare del punto (e questo punto si dirà nel 1° caso interno, nel 2° esterno all’iperquadrica); per una retta non tangente al- l’iperquadrica o non passano piani tangenti o ne passa una ca- tena semplice. Una retta tangente o incontra l’iperquadrica nel solo punto di contatto (e sta in un sol piano tangente), oppure vi è tutta contenuta (e tutti i suoi piani sono piani tangenti): quest’ultimo fatto accade se la retta è unita. In un piano tangente le rette che passano pel punto di contatto e che si corrispondono nella antipolarità costituiscono un’ antinvoluzione di quel fascio: a seconda che questa non ha rette unite o ne ha una catena, quel UN NUOVO CAMPO Di RICERCHE GEOMETRICHE 379 piano non conterrà alcuna retta autopolare e quindi alcun altro punto dell’iperquadrica, oppure segherà questa secondo una ca- tena semplice di rette (autopolari). 29. Se un'iperquadrica contiene una retta x, non solo ogni piano passante per questa, ma anche ogni altro piano tangente all'iperquadrica segherà questa secondo una catena di rette, pe- rocchè oltre che nel proprio punto di contatto la incontrerà in un punto di r. Ne segue che un'iperquadrica la quale contenga una retta ne contiene 004, per modo che da ogni punto (od in ogni piano tangente) dell’iperquadrica ne esce una catena sem- plice. Essa si dirà allora iperquadrica rigata. Per una retta non tangente ad una siffatta iperquadrica accadrà simultaneamente che la seghi (in una catena di punti) e che stia in (una catena di) piani tangenti; e viceversa, se una retta che non sia tangente ad un'iperquadrica ne contiene un punto e sta in un piano tangente, l’iperquadrica sarà rigata. Se una retta taglia un’iperquadrica rigata lo stesso accadrà per la sua polare e tutte le infinite rette che si appoggiano alle due catene rettilinee d’intersezione staranno sull’iperquadrica, poichè ognuna di esse avrà per polare se stessa. Su un’iperquadrica rigata si possono evidentemente tracciare infiniti quadrangoli, pentagoni, esagoni, .... sghembi (semplici). Dato un pentagono sghembo ABCDE è individuata un’iperquadrica rigata che ne contiene i cinque lati. Invero l’antireciprocità che ai vertici A, B, C, D, E di quel pentagono fa corrispondere risp. le facce EAB, ABC, BCD, CDE, DEA, avrà i lati A B, BC, CD, DE, EA per rette autoomologhe e farà corrispondere inver- samente a quelle facce risp. quei vertici. Sarà dunque un’antipola- rità la cui iperquadrica fondamentale conterrà quelle cinque rette. 80. Resta così stabilita per incidenza l'esistenza delle iper- quadriche rigate. Ma per ottenere un modo affatto generale di costruzione di tutte le specie di antipolarità in uno con nuove proprietà di queste conviene considerare la permutabilità fra an- tinvoluzioni ed antipolarità, cercando le proposizioni che per le forme di specie superiore corrispondono a quelle sulle forme di 1° specie viste ai n.' 17 e 18. Un’antinvoluzione avente per punti uniti i vertici di un trian- golo o tetraedro polare di un’antipolarità, cioè di un triangolo o tetraedro tale che rispetto a questa corrispondenza i vertici 380 CORRADO SEGRE abbiano per polari i lati o le facce opposte, è permutabile al-. l’antipolarità. Invero il prodotto delle due corrispondenze sarà una reciprocità in cui ai vertici del triangolo o del tetraedro corri- spondono i lati o le facce opposte, cioè sarà una polarità. (V._ la nota al n. 17). Ne segue che, dato un triangolo ABC come polare per un’an- tipolarità, la polare di un punto qualunque P del piano non si potrà più assumere ad arbitrio; perocchè l’antinvoluzione che ha per punti uniti A, B, C, P, essendo permutabile all’antipolarità, avrà per retta unita la polare del punto unito P. Questa polare deve dunque appartenere alla catena piana che contiene ABC e P. (#) — Analogamente si vede che il piano polare di un punto rispetto ad un’antipolarità di cui è dato un tetraedro polare deve stare nella catena che congiunge quel tetraedro a quel punto. — Viceversa, se per determinare un’ antipolarità si dà ad ar- bitrio un triangolo o tetraedro polare e di un punto (non posto su alcun lato o -faccia) si dà come polare una retta od un piano (non passante per alcun vertice) della catena piana o spaziale che congiunge il punto al triangolo o tetraedro, l’antipolarità riesce ben determinata. In fatti, considerando ad esempio il caso dello spazio, l’antireciprocità determinata facendo corrispondere ai 4 vertici del tetraedro ed al quinto punto dato risp. le 4 facce opposte ed il quinto piano dato si può considerare come il prodotto, in qualunque ordine, della polarità determinata dalle stesse coppie di elementi omologhi e dell’antinvoluzione che ha tutti questi elementi per elementi uniti, cioè che ha la catena nomi- natà per fondamentale. Essendo dunque il prodotto di due corri- spondenze involutorie permutabili, quell’antireciprocità sarà anche essa involutoria, cioè un’antipolarità. Come poi dai dati si riconosca la specie dell’antipolarità che si determina in questa guisa vedremo fra poco. A 31. È bene avvertire che le antinvoluzioni spaziali permutabili ad un’antipolarità non sono solo quelle considerate nel n. prec.. Se un’antinvoluzione ed un’antipolarità sono permutabili, il loro prodotto sarà una polarità, e viceversa il prodotto di una pola- rità ed un’antinvoluzione permutabili è un’ antipolarità permuta- (*) Ciò sì dedurrebbe anche facilmente dalla seconda proposizione del n. 17, applicandola ai lati del triangolo. UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 381 bile con esse. Ma una polarità dello spazio può presentare due casi ben distinti, secondo che è una polarità ordinaria (rispetto ad una quadrica), ovvero un sistema nullo. Questo 2° caso, che finora non s’era considerato, è particolarmente notevole quando l’antinvoluzione spaziale ammette una catena fondamentale. Allora ogni punto di questa, essendo unito per l’antinvoluzione, avrà rispetto al sistema nullo per corrispondente un piano che gli corrisponderà pure nell’antipolarità: questa avrà dunque anche essa per punti uniti tutti i punti di quella catena, cioè ammet- terà un’iperquadrica fondamentale contenente tutta la catena. Ogni retta della catena la quale sia unita pel sistema nullo sarà pure unita per l’antipolarità, cioè giacerà sull’iperquadrica. Questa è dunque rigata. Viceversa un’iperquadrica rigata contiene infi- nite catene spaziali, ossia è permutabile con infiniti sistemi nulli: un pentagono gobbo tracciato su essa individua oltre a lei (n. 29) anche una catena spaziale ed un sistema nullo che ne hanno i cinque lati per rette unite; e le tre corrispondenze così deter- minate sono mutuamente permutabili. (*) Nel piano non esistendo altre polarità che quella rispetto ad una conica, non si hanno da fare considerazioni analoghe. Una iperconica non può contenere una catena piana, poichè altrimenti tutti i punti di questa sarebbero uniti per la reciprocità prodotto dell’antipolarità e dell’antinvoluzione ; il che è impossibile. (**) 32. Se si determina un’antipolarità, piana o spaziale, come prodotto della polarità rispetto ad una conica o quadrica e di un’antinvoluzione che le sia permutabile ed abbia una catena fon- (*) Le catene spaziali contenute in un’iperquadrica rigata si ottengono pure in quest'altro modo. Si prendano due rette polari rispetto all’iperqua- drica sì che la seghino entrambe in due catene rettilinee. Ogni catena spa- ziale contenente queste due catene rettilinee (che vien determinata dandone ancora un punto allineato con due punti di quelle), starà sull’iperquadrica, perchè per ciascun suo punto passerà una retta appoggiata a quelle due ca- tene e giacente in conseguenza (n. 29) sull’iperquadrica. (**) Solo le iperconiche degeneri che più tardi considereremo (n. 37) con- tengono delle catene piane, ed anzi una proposizione vista al n. 20 (cfr. anche la nota al n. 21) sì può enunciare dicendo che ogni catena piana è in infiniti modi l’intersezione (parziale) di due iperconiche degeneri. In generale quando un’iperquadrica appartenente ad S_, contiene una ca- tena generale di specie n, l’iperquadrica è necessariamente degenere se n è pari. 382 CORRADO SEGRE damentale, è facile riconoscerne subito la specie quando sia data la natura dell’intersezione della catena con la conica o quadrica. In fatti osserviamo anzitutto che ogni punto della catena il quale sia unito per la polarità o per l’antipolarità sarà pure unito per l’altra di queste due corrispondenze. Ne segue che se ha luogo effettivamente un’intersezione della catena con la conica o quadrica, l’antipolarità avrà un’iperconica od iperquadrica fon- damentale, che nella catena considerata darà appunto quell’in- tersezione. Viceversa se vi è un’iperconica od iperquadrica fondamentale, esisterà quell’intersezione, cioè vi saranno dei punti comuni alla catena ed all’ iperconica od iperquadrica. Invero prendasi una retta qualunque della catena, in modo che sia tagliata dall’iperconica od iperquadrica: la permutabilità fra l’antipolarità e l’antinvo- luzione avrà per conseguenza la permutabilità fra le due catene rettilinee in cui l’iperconica od iperquadrica e la catena piana o spaziale segano la retta; donde segue (v. un’osservazione verso la fine del n. 16) che queste due catene rettilinee dovranno in- contrarsi in due punti. La retta considerata contiene dunque due punti comuni alla catena piana o spaziale, all’iperconica od iper- quadrica, ed alla conica o quadrica. Fissiamo ora la conica e determiniamo la catena piana che le è permutabile seguendo il n. 25, cioè dando l’antinvoluzione semplice che essa determina fra i punti della conica: a seconda che quest’antinvoluzione ammetterà o no una catena conica fon- damentale, l’antipolarità piana che risulta come prodotto ammet- terà o no un’iperconica fondamentale. Similmente, fissata la quadrica, determiniamo secondo il n. 25 l’antinvoluzione spaziale che le è permutabile. Se essa è di 1° specie, cioè muta ogni schiera di generatrici in se stessa, allora ove essa non abbia rette unite in nessuna di queste schiere, avrà (v. n. cit.) una catena spaziale fondamentale la quale non incon- trerà la quadrica: quindi l’antipolarità prodotto non avrà iper- quadrica fondamentale. Ove invece in una schiera od in entrambe esistano delle rette unite, ciascuna di queste essendo tale sì per la polarità che per l’antinvoluzione, sarà pure unita per l’anti- polarità; laonde questa ammetterà un’iperquadrica fondamentale rigata, contenente tutte quelle rette unite (mentre solo nell’ul- timo caso l’antinvoluzione spaziale ha una catena fondamentale). — Se poi l’antinvoluzione permutabile alla quadrica è di 2° specie, UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 383 È 4 * ni ne: la sua catena fondamentale incontrerà (sempre secondo il n. 25) la quadrica in co? punti: quindi l’antipolarità avrà un’ iperqua- ‘idrica fondamentale. Ma questa non sarà rigata: invero uno qua- lungue di quegli co° punti ha uno stesso piano della catena spa- ziale per piano tangente alla quadrica ed all’iperquadrica, e nel fascio delle rette per quel punto in quel piano l’antipolarità de- termina un’antinvoluzione A che è il prodotto dell’antinvoluzione B determinatavi dall’antinvoluzione spaziale per l’involuzione I determinata dalla polarità, cioè per un’involuzione avente per rette unite due rette omologhe di B; ora poichè B ha una ca- tena fondamentale, non potrà A averne (altrimenti una retta unita di A avrebbe per omologa rispetto a B la sua coniugata armonica rispetto alle due rette unite dell’involuzione I, cioè B ammetterebbe due coppie di rette omologhe separantisi fra loro nella catena semplice che le contiene, il che, secondo la fine del n. 18, è assurdo). (*) 89. Dato un triangolo o tetraedro polare di un’ antipolarità, per riconoscere la posizione dei suoi elementi rispetto a questa sì consideri una catena piana o spaziale passante pei suoi vertici: essa sarà permutabile all’antipolarità (n. 30) e su essa, fra i suoi punti e le sue catene, rettilinee o piane, quell’antipolarità determinerà una corrispondenza polare, che in forza delle cose precedenti sarà della specie analoga a quella dell’antipolarità (cioè avrà punti uniti se questa ne ha, ecc., ecc.). Applicando (*) Seguendo la definizione generale di ente reale (v. n. 6) chiamiamo reale un’antipolarità del piano reale o dello spazio quando essa è permutabile alla corrispondenza di coniugio. Allora un’antipolarità reale si costruirà mediante una polarità reale facendo corrispondere ad ogni elemento il coniugato di quello che gli è omologo nella polarità (0, ciò che è lo stesso, l’omologo in questa del coniugato). Se la polarità che essa definisce /ra gli elementi reali del piano o dello spazio non ha punti (reali) uniti l’antipolarità reale è priva di punti uniti. In caso contrario essa ammetterà un’iperconica od iperquadrica fondamentale reale che si può costruire come il luogo delle coppie di punti complessi-coniugati che son reciproci in una polarità reale. Se si è nello spazio e se la polarità che si ha fra gli elementi reali è la polarità rispetto ad una quadrica iperbolica od ellittica, quell’iperquadrica sarà risp. rigata o no, Se invece quella polarità è un sistema nullo, l’iperquadrica sarà necessa- riamente rigata e conterrà tutti i punti reali dello spazio : essa si potrà definire come l’insieme degli co punti (reali ed imaginari) posti sulle 005 rette reali di un complesso lineare reale. 384 CORRADO SEGRE dunque le cose note sui triangoli e tetraedri polari delle pola- rità nelle catene piane e spaziali (cfr. la fine del n. 12), ed inoltre il fatto visto dianzi (n. 32) che una retta della catena considerata contiene simultaneamente dei punti uniti dell’antipo- larità e dei punti uniti della polarità nella catena avremo che: Un triangolo polare rispetto ad un’iperconica ha un lato solo che non la sega, e quindi un punto solo interno ad essa (*). Un tetraedro polare rispetto ad un’ iperquadrica rigata ha solo due spigoli opposti che non la taglino. Un tetraedro polare rispetto ad un’iperquadrica non rigata ha solo tre spigoli concorrenti in un vertice che la seghino, e quindi ha solo quel vertice interno ad essa. Da queste proposizioni si traggono subito proprietà delle iper- coniche ed iperquadriche completamente analoghe a quelle di cui godono le coniche e le quadriche rispetto ai punti interni ed esterni, ecc. Così si avrà che ogni retta passante per un punto interno di un’ iperconica o di un’ iperquadrica non rigata la sega, che ogni retta che non incontri un’ iperconica od un’ iperquadrica non rigata ha tutti i suoi punti esterni ad essa, ecc., ecc. (pro- prietà che si potrebbero far rientrare in una più generale: cfr. la fine del n. 35). Si trae inoltre immediatamente il modo con cui si devono assumere i dati nella determinazione di un’antipolarità conside- rata al n. 30 affinchè essa risulti di una data specie. Così se nel piano si determina un’antipolarità dando un triangolo polare ABC ed un punto P colla sua polare p presa nella catena piana ABCP, si chiami P' la projezione di P fatta da A su BC e P, la traccia di p su BC: saranno B, C e P',P, due coppie di punti reciproci rispetto all’antipolarità cercata, sicchè sulla catena rettilinea che le contiene esse non si separeranno (n. 18) se l’antipolarità ha un’iperconica fondamentale che in- (*) Dall’esistenza. di rette che non incontrano l’iperconica, mentre una curva algebrica è sempre incontrata da ogni retta del suo piano, segue su- bito che un’iperconica non contiene alcuna curva algebrica (in particolare nessuna conica), e quindi che un’iperquadrica non contiene alcuna superficie algebrica. Si vede come un’osservazione analoga con opportune restrizioni sì possa fare anche per enti iperalgebrici superiori (anche sostituendo alle curve e superficie algebriche degli enti trascendenti). Le curve e le superficie alge- briche si posson certo considerare come intersezioni di enti iperalgebrici: ma non tutti gli enti iperalgebrici possono servire per tale considerazione. MITA UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 385 contri la retta BC, e solo allora. Facendo per gli altri due lati del triangolo ABC la costruzione analoga si dovrà trovare o che in ciascun lato le due coppie di punti ottenute sulla catena ret- tilinea si separano, oppure che ciò accade solo per un lato: nel 1° caso l’antipolarità non ammetterà un’iperconica fondamentale, nel 2° ne avrà una per cui quel lato sarà esterno. In modo perfettamente simile si procederebbe nello spazio per la questione analoga. (*) 34. Qui ci conviene osservare, a proposito di siffatte de- terminazioni delle antipolarità e delle proposizioni sui triangoli e tetraedri polari viste al n. 30, che esse valgono, con poche modificazioni, anche quando a queste ultime locuzioni si dia un significato più ampio. Si chiami cioè autopolare ogni triangolo 0 tetraedro che sia trasformato in se stesso dall’antipolarità. Al- lora oltre ai triangoli polari finora considerati ve ne sarà una 2% specie, composta di triangoli in cui solo un vertice ha per polare il lato opposto, mentre gli altri due hanno per polari lati che li contengono e sono perciò uniti (sicchè l’ antipolarità deve aramettere un’iperconica fondamentale). Similmente oltre alla specie finora considerata di tetraedri autopolari ve ne sarà una 2°, in cui solo 2 vertici hanno per polari le facce opposte, sicchè gli altri due sono uniti per l’antipolarità (la quale deve dunque avere un’iperquadrica fondamentale); ed una 3°, in cui ciascun vertice ha per polare una faccia che lo contiene sicchè 4 spigoli del tetraedro formano un quadrilatero giacente nella iperquadrica fondamentale (la quale deve perciò essere rigata). Orbene, come s'è fatto per quelli di 1% specie al n. 30 così si può dimostrare in generale che se un’antinvoluzione ed un’anti- polarità hanno un triangolo o tetraedro per unito (v. la nota al n. 24) ed autopolare della stessa specie (con che intende remo pure che ogni vertice abbia per omologo nell’ antinvolu- LI zione quel vertice che non gli è reciproco nell’ antipolarità), le (*) Data un'iperquadrica mediante un tetraedro polare ed un suo punto P col relativo piano tangente x (della catena spaziale che congiunge P al te- traedro) si riconosce che l’iperquadrica è rigata o no secondo che, nella ca- tena semplice che le contiene, le coppie di rette del fascio P7 appoggiate risp. alle coppie di spigoli opposti del tetraedro non si separano mutuamente oppure sì separano. 356 CORRADO SEGRE due corrispondenze saranno permutabili. Così da un triangolo o tetraedro autopolare di qualunque specie di un’antipolarità resta determinato un sistema infinito di antinvoluzioni e catene per- mutabili a quella: per ogni punto passa una tal catena (n. 24); ed anche qui si vede come al n. 30 che la retta od il piano polare del punto in quell’antipolarità dovrà far parte di quella catena, piana o spaziale, e che inversamente se si dà in tal modo la retta od il piano polare del dato punto, da ciò e dal triangolo o tetraedro autopolare riesce individuata l’antipolarità. Ne segue che l’antipolarità piana è pur determinata dandone oltre al triangolo autopolare, di 1% o 2° specie, una coppia di punti reciproci distinti, purchè la catena piana che ha quel triangolo per unito della stessa specie e che contiene l’ uno di quei punti non contenga anche l’altro: poichè allora resta de- terminata la retta della catena che passa per questo secondo punto e che si dovrà assumere come polare del primo nell’an- tipolarità. 35. La rappresentazione analitica delle antipolarità e quindi delle iperconiche ed iperquadriche si fa assai semplicemente. Affinchè l’antireciprocità rappresentata (n. 9) dell’equazione dida Duri Un =: sia un’antipolarità, cioè equivalga alla sua inversa, dovranno la (1) e l'equazione sua coniugata (dilugii di e D: ENI equivalere a quella della reciprocità inversa Db; DANA le ossia, scambiando gli indici /, m: {2 pepetarsea i lA LAS Ora il confronto della (2) colla (1) conduce a: (8) e Art = Pm - h cià a rr rr yo_rU ove Amt =Um essendo le x e le y variabili (in numero qualunque) cogredienti, o a dirittura UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 389 ‘Se invece un'iperconica vien riferita ad un triangolo auto- | polare di 2° specie, la sua equazione prende la forma (9) Gjg &, Lat 4 do €, + agli = = 0a; e similmente per un’iperquadrica riferita ad un tetraedro auto- «polare di 2° specie si ha l’equazione (10) A,9%, da + 4, d3%, + 033%, 03 +0,y,%,%,=0, mentre se è rigata e si riferisce ad un tetraedro autopolare di 8° specie diventa (11) d,93 tg + 4 dd, + 43,030, +43 %,%,=0. Naturalmente anche in queste equazioni s’ intende che i coeffi- cienti verifichino la (6). (*) uguali, ha luogo un teorema d'inerzia analogo a quello ben noto per le forme algebriche quadratiche (e riducibile a questo col supporre reali tanto i coef- ficienti delle forme quanto quelli delle trasformazioni lineari che si considc- rano), che si può dimostrare con lo stesso ragionamento semplicissimo che si usa di solito per quello. Si può cioè in infiniti modi ridurre con una tra- sformazione lineare una forma siffatta alla forma canonica 2 a,%yY) ma sempre in quest’espressione, in cui i coefficienti saranno tutti reali, ve ne sarà un numero fisso di positivi (e di negativi) — Considerando l’anti- polarità che rappresenta geometricamente una tal forma si ha un’interpreta- zione geometrica di questo teorema d’inerzia (simile a quella nota relativa alle forme quadratiche). L’antipolarità non ha punti uniti se tutti i coefficienti della forma canonica sono dello stesso segno. In caso contrario, se il numero dei coefficienti di uno stesso segno è r, eil numero di quelli di segno opposto è = r, l’antipolarità ha un’iperquadrica fondamentale di quella specie che è caratterizzata dal contenere degli S,_, e non degli spazi superiori. (*) In generale per le iperquadriche di S,, oltre alla rappresentazione canonica accennata or ora nella nota precedente, se ne hanno altre corri - spondenti alle varie specie di (poligoni completi di 4+-41 vertici appartenenti ad Sg, 0) piramidi autopolari che l’iperquadrica ammette. Esse son date dall’equazione Zarm*rCag=0, ove ala) in cui 2, m indichino i numeri 4,...,d4-+1, accoppiati secondo una qua- lunque corrispondenza univoca involutoria; come si vede ad esempio nelle equazioni (8), ...(11). Allora la piramide fondamentale è autopolare: il ver. 390 CORRADO SEGRE Ì È Da queste rappresentazioni canoniche, ed in particolare dalla prima (che si trasforma subito nelle altre, ma ha il vantaggio di valere per tutte le antipolarità), segue immediatamente che due antipolarità della stessa specie (distinte o no), due iperconi= che, o due iperquadriche non rigate, od infine due iperquadriche. rigate, sono fra loro projettive (ed antiprojettive) in infiniti modi: potendosi prendere ad arbitrio due triangoli o tetraedri polari. come omologhi nella projettività (e nell’antiprojettività). (*) Sî. tice d’indice / ha per polare la faccia d’indice m, che è la sua opposta solo: per Y!=m. Se r sono le combinazioni d’indici distinti fra le coppie fm con- siderate, altrettante saranno le coppie di vertici della piramide (autopolare di specie r-+4) le quali giaceranno sull’iperquadrica, e questa dovrà (come appare da quell’equazione) contenere degli S,_,, ad esempio quelli fonda- mentali che congiungono rispettivamente i vertici delle r coppie. | (*) Delle trasformazioni lineari della forma Za}, 0%, (COM Amp = Gn) 0 se stessa. — Tali trasformazioni, vale a dire le collineazioni permutabili ad una data antipolarità, godono di proprietà analoghe (ma in certo modo più generali) di quelle delle collineazioni che mutano in sè una data quadrica, cioè delle sostituzioni ortogonali. Tanto dal punto di vista geometrico quanto. dal punto di vista algebrico esse presentano un grande interesse e meritano di essere studiate. Oltre poi all'importanza che esse hanno in sè, vi è da considerare, ad esempio, quella delle loro applicazioni alle funzioni di va- riabili complesse che ammettono delle trasformazioni lineari in se stesse. Invero le trasformazioni lineari i cui gruppi definiscono le funzioni modu- lari ellittiche, ed in generale le funzioni Fuchsiane (specialmente nelle ri- cerche dei signori KLEIN e PoincaRÉ su quelle funzioni), son rappresentate geometricamente dalle projettività che in una forma semplice mutano una catena in se stessa. Similmente, in lavori che già nell’introduzione ho ri- cordati, il sig. Prcarp si occupa delle funzioni di due variabili che am- mettono un gruppo di trasformazioni lineari a coefficienti interi, le quali corrispondono a certe collineazioni piane che mutano in sè un’iperconica fissa. E volendo generalizzare ancora si dovranno considerare quelle funzioni dei punti complessi di un S, che non mutano per convenienti gruppi discon- tinui di collineazioni, le qualirlascino fissa un’iperquadrica appartenente a quello spazio. — Appare dunque opportuno (sebbene pel seguito di questo Saggio non occorra) un cenno generale su tali trasformazioni. — Le particolarità di una collineazione di S, dipendono tutte, com’ è noto, da quelle del suo determinante caratteristico (v. Sere: Sulla teoria e sulla classi- ficazione delle omografie, ecc., Memorie della R. Acc. dei Lincei, ser. 3%, t. XIX, 1884): è dunque questo determinante che si tratta di esaminare, Supponiamo anzitutto che le sue radici siano tutte distinte, sicchè la col- lineazione abbia precisamente d-+4 punti uniti. Allora se essa è permuta- bile ad un’antipolarità, poichè i suoi punti uniti dovranno avere per polari rispetto a questa i suoi S,_ uniti, segue che quei punti saranno i vertici di una piramide autopolare per l’antipolarità. Dunque corrispondentemente UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 391 trarrebbero anche facilmente i criteri per distinguere la specie di un’antipolarità, senza ridurne l'equazione a forma canonica: così, nel caso dello spazio, vista l’invariantività del discrimi- alle varie specie di piramidi autopolari, vi saranno varie specie di collinea- zioni trasformanti in sè un’ iperquadrica. Assumendo poi quella piramide come fondamentale, la collineazione viene rappresentata da ag essendo le ps le radici del determinante caratteristico; mentre l’equazione del- l’antipolarità prende la forma indicata nella nota preeed., dipendente dalla specie della piramide autopolare. Quindi affinchè quella collineazione tra- sformi effettivamente in se stessa l’ antipolarità, o meglio la forma che la rappresenta analiticamente (il che suppone solo che sì scelga conveniente- mente un fattore per cui si moltiplicano tutte le variabili), è necessario e sufficiente che per ognuna delle coppie d’indici / m ivi considerate sia PrPm=1. Queste relazioni provano che: una collineazione qualunque non muta in ge- nerale nessun'antipolarità in se stessa, ma se per una collineazione avente precisamente d-4-1 punti uniti distinti esiste un’ antipolarità che le sia per- mutabile, saranno tali tutte le infinite antipolarità per le quali la piramide determinata da quei punti è autopolare della stessa specie che per quella (proposizioni che sono già applicabili per d =4 e quindi per le catene unite di nna proiettività sopra una forma semplice). Ma questi risultati si possono generalizzare ed estendere ai casi in cui il determinante caratteristico abbia radici multiple qualunque. Procedendo in modo simile a quello che per le collineazioni permutabili ad una quadriea io ho tenuto altrove (Ricerche sulle omografie 2 sulle correlazioni in gene- rale, ece., Memorie Acc. Torino , ser. 22, t. XXXVII, 1885; v. specialmente i n.i 2 e 3) si ottengono infatti, tra le altre, le proposizioni seguenti : Per qualunque trasformazione lineare atta a mutare in se stessa una forma iperalgebrica del tipo considerato, il determinante caratteristico ha le sue radici accoppiate per modo che ogni radice è coniugata al valor reciproco della sua associata e in particolare ogni radice autoassociata ha per modulo l’unità (sicchè nello sviluppo del determinante caratteristico secondo le po- tenze della variabile i coefficienti equidistanti dagli estremi sono coniugati, a meno di un fattore). A due radici associate distinte corrispondono divisori elementari del determinante aventi rispettivamente gli stessi gradi. Dalle note reciprocità che mutano la collineazione nella sua inversa e gli spazi fondamentali di punti uniti negli spazi fondamentali di Sj_, uniti risp. associati a quelli, facendole seguire dall’antipolarità data, si traggono delle anticollineazioni che trasformano la collineazione mella sua inversa, scambiando fra loro due spazi fondamentali di punti (0 di S,_,) che corri- spondono a radici associate e che perciò diciamo pure associati. Quindi i due spazi fondamentali di punti e di Sj_,, i quali sono associati ad uno stesso spazio fondamentale di punti saranno polari fra loro mnell’antipolarità Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. \XV. 29 392 CORRADO SEGRE nante e del suo segno, si ha che questo è negativo solo quando l’antipolarità ammette un’iperquadrica fondamentale non rigata. — Osserviamo ancora che se un’iperconica od iperquadrica è rap- presentata come luogo dall’equazione (7), se ne deduce che le sue rette od i suoi piani tangenti devono soddisfare l'equazione aggiunta (12) pa >. CER 0 ove @,,, indica il complemento algebrico di @,, nel discriminante della (7), sicchè dalle (6) risulta (Lap ns). cen ear Mile la (8) rappresenta dunque l’iperconica od iperquadrica conside- rata come inviluppo. Ecc. ecc. 3. L'equazione z Um 1 Ym 0 s OV0 Um=Um > rappresenta un’antipolarità nel senso finora dato a questa locu- zione solo quando il suo discriminante non sia nullo, il che si Ne segue che due spazi fondamentali di punti i quali non siano associati sono reciproci nell’antipolarità, cioè stanno ognuno nello spazio polare del- l’altro. In particolare ogni spazio fondamentale di punti che non sia auloas- sociato sta sull’iperquadrica. Se invece si considera uno spazio fondamentale di punti autoassociato e s’indica con r il numero dei divisori elementari di grado > 4 che gli corrispondono, esso sarà tagliato secondo un S,_, dallo spazio fondamentale di Sj_, che gli è associato e che in pari tempo gli è polare, e però toccherà l’iperquadrica lungo quell’S,_,. — Queste ultime pro- posizioni applicate successivamente alle varie specie di forme (quali furono distinte nella prima nota a questo n°) dànno risultati algebrici notevoli. Così se la forma trasformata in se stessa è definita, cioò equivalente alla somma Ze,r, delle norme delle variabili , il determinante caratteristico avrà tutte le radici (autoassociate cioè) col modulo uguale ad 1, e tutti i divisori elemen- tari di 1° grado. Ecc. Infine osserviamo che la relazione fra due radici associate del determi- nante caratteristico è rappresentata geometricamente dal fatto che sulla retta congiungente due punti omologhi qualunque della collineazione esiste un’an- tinvoluzione semplice in cui si corrispondono quei punti, come pure i due punti d’intersezione coi sostegni di due spazi fondamentali di Sj__, associati; (Quell'antinvoluzione è permutabile con quella dei punti della retta stessa re- ciproci rispetto all’antipolarità). UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 393 supponeva sempre. Però conviene considerare anche le antipo- larità degeneri, per le quali il discriminante è nullo (cfr. n. 10). (*) Si vede subito, in modo analogo a cose ben note sulle coniche e sulle quadriche, che nel piano un’antipolarità degenere di L? ‘specie fa corrispondere (come punti reciproci in essa) i punti posti su rette omologhe di un’antinvoluzione di un fascio di rette: se questa ha rette unite, l’antipolarità ha un’iperconica fonda- mentale degenerata nella catena di rette unite dell’antinvolu- zione (**); il centro del fascio di rette è il punto singolare o punto doppio dell’antipolarità e dell’iperconica ed è definito dalle | equazioni | (14) RRONGRONE Za aggi=0 5 (4 Se l’antipolarità è degenere di 2° specie, queste equazioni coin- cidono e si ha così tutta una retta di punti singolari a ciascun dei quali corrisponde ogni punto del piano: la retta stessa è (*) Definendo le antipolarità con equazioni tangenziali invece che con equa- zioni locali si avrebbero altre degenerazioni, corrispondenti per dualità a quelle che ora accenniamo. (**) Che gli oo5 punti di una catena di rette di un fascio formino un’iper- conica (e che similmente gli oo° punti di una catena semplice di piani for- mino un’iperquadrica, ecc.) risulta subito dall’equazione reale AB—AB—=0 che per la catena stessa abbiamo incontrata nella nota alla fine del n, 21; ovvero anche dalla rappresentazione parametrica che di tali oo” punti si vide al n. 14 (poichè uguagliandone le coordinate, a meno di un fattore, a quelle forme (3), ed eliminando fra queste uguaglianze e le loro eoniugate i para- metri e quel fattore col suo coniugato si ottiene un’equazione reale e lineare tanto nelle coordinate quanto nelle loro coniugate) — Valendosi della rappresentazione parametrica delle catene si vede facil- mente la natura dell’intersezione di una catena con una forma iperalgebrica rappresentata da un’equazione reale, Basta in fatti sostituire in quest’equa- zione alle coordinate (ed alle coniugate) le forme lineari dei parametri reali i, #,-.. (e le forme coniugate), che rappresentano la catena. Si avrà con ciò un’equazione a coefficienti reali fra quei parametri, la quale sarà di grado 2n se i due ordini della forma iperalgebrica sono eguali ad n. La discussione di quell’intersezione si riduce dunque all’esame di una forma algebrica a coef- ficienti reali di grado 2n, esame fatto dal punto di vista della realtà delle variabili \,,,... — Applicando ciò alle iperconiche ed iperquadriche si ha ad esempio che le loro intersezioni risp. con catene piane e spaziali che non vi giacciano sono le trasformate per projettività delle varietà dei punti reali ie, rr 3994 CORRADO SEGRE 1 allora il luogo dei punti uniti (00° anzi che 00°) dell’ antipo-. larità, e la definisce completamente (l’equazione dell’antipolarità riducendosi allora al prodotto delle due equazioni, fra loro con» iugate, della retta), ecc. Nello spazio un’antipolarità degenere di 1° specie definisce un’antipolarità non degenere fra gli elementi di una stella avente il centro nel punto singolare (dato ancora dalle equazioni (14)); ai punti di una retta della stella corrisponde il piano che è omologo della retta nell’ antipolarità della stella. Se questa ammette delle rette unite esse formeranno un cono iperqua- drico (di 1° specie), che sarà l’iperquadrica fondamentale dell’an- tipolarità parziale. Invece un’antipolarità degenere di 2° specie, cioè avente una retta di punti singolari, definisce una antinvo- luzione nel fascio di piani avente questa retta per asse, sicchè ove sia dotata d’iperquadrica fondamentale, questa sarà la va- rietà costituita dai punti di una catena semplice di piani (cono iperquadrico di 2° specie). L’antipolarità degenere di 3° specie si riduce alla corrispondenza fra i punti dello spazio e quelli di un piano fisso; i punti di questo sono i punti uniti (singo- lari). — (*) Per poter studiare meglio alcune altre proprietà delle anti- polarità che naturalmente si affacciano alla mente, per esempio di coniche 0 quadriche reali, e per conseguenza possono mancare affatto, 0 costituire catene coniche nell’un caso, e nell’altro le trasformate di quadriche ellittiche o di quadriche rigate: cose che per catene permutabili alle iperco- ‘niche ed iperquadriche sono evidenti e furono già rilevate, mentre per altre catene si potrebbero dimostrare sinteticamente considerandovi la corrispon- denza fra i punti che son reciproci rispetto all’iperconica od iperquadrica. — Così ancora se un’iperconica qualunque si sega con una catena semplice di rette del suo piano {iperconica degenere, o catena tripla degenere), dal fatto che su questa catena l’intersezione vien rappresentata da una forma quadra- tica reale quaternaria si trarrebbe che se essa contiene una catena rettilinea non posta su alcuna retta della catena nominata, ne conterrà in generale due schiere co! aventi le stesse relazioni mutue che le due schiere di generatrici di una quadrica rigata: fatto che risulterà pure dallo studio dei fasci d’iper- coniche. — Ecc., ecc. (*) Sulle proprietà metriche delle iperconiche ed iperquadriche. — Chia- mando diametri e piani diametrali le rette od i piani polari di punti e rette all’infinito rispetto ad un’antipolarità piana o spaziale, e centro il polo della | retta o del piano all’infinito, si hanno per l’antipolarità, e quindi per le iper- UN NUOVO CAMPO DI RICERCHE GEOMETRICHE 395 i legami che passano fra i vertici di due o più triangoli o te- traedri autopolari in una stessa antipolarità, ecc., convien pas- coniche ed iperquadriche, delle proprietà di simmetria rispetto al centro (se non è all’infinito), ai diametri od ai piani diametrali, completamente simili a quelle note delle polarità, delle coniche e delle quadriche, e collegantisi alla nozione del centro di una catena rettilinea che si accennò nella nota sulle proprietà metriche delle catene semplici posta alla fine del n, 18. Su esse, come sulla distinzione delle iperconiche ed iperquadriche in specie basata sul modo di comportarsi rispetto alla retta ed al piano all’infinito, non occorre fermarsi. Un’iperconica che non sia tangente alla retta all'infinito avrà per equa- zione, rispetto a due diametri reciproci come assi cartesiani, arx+byy=ec, essendo a, d,c reali. Dunque le norme delle distanze di un punto dell’ iper- conica da due diametri reciproci son legate da un’equazione lineare a coeffi- cienti reali. Viceversa, se si legano le norme delle distanze di un punto da due o più rette del piano mediante un’equazione lineare (la quale sia possi- bile), il punto descriverà in generale un’iperconica, se i coefficienti dell’equa- zione hanno rapporti reali: perocchè allora una tal equazione equivale ad un'equazione reale bilineare nelle coordinate del punto e nelle coniugate. Invece non sembra che si possa definire in modo semplice un’iperconica conside- rando le distanze da punti fissi (come si fa per le coniche quando si ricorre ai fuochi): giacchè tali distanze introdurrebbero delle funzioni quadratiche delle coordinate del punto mobile. Applicando all’antinvoluzione fra i diametri reciproci alcune osservazioni fatte alla fine della citata nota al n. 18 si hanno altri risultati. Un’iperconica la quale non incontri la retta all'infinito ammette sempre una coppia di dia- metri reciproci perpendicolari fra loro, cioè una coppia di assi, ed in gene- rale una sola: ne ammette infinite (costituenti una catena) quando i punti ci- clici sono reciproci rispetto ad essa. Un’iperconica che tagli la retta all’infi- nito e però abbia una catena di asintoti (tangenti passanti pel centro) avrà pure due assi se i punti ciclici del piano non son separati da essa (sono en - trambi interni od entrambi esterni); ma non ne avrà affatto nel caso con- trario in cui essa separi i punti ciclici, ed allora vi sarà invece una coppia di asintoti perpendicolari (e ve ne saranno infinite se si presenta la partico- larità che i punti ciclici siano reciproci rispetto all’iperconica). Se poi si ha un’iperconica circolare, cioè passante pei punti ciclici, allora vi saranno infi- nite coppie di assi (costituenti una catena) ed infinite coppie di asintoti per- - pendicolari.-- Quanto alle iperconiche tangenti alla retta all’infinito, si vede subito che ognuna di esse ammette un solo asse di simmetria. Se nessuno dei punti ciclici è interno ad un’iperconica, questa ammetterà dei fuochi, cioè dei punti d’intersezione di tangenti dell’iperconica uscenti dai due punti ciclici, ossia punti da ciascun dei quali esce una catena circolare 396 FEDERICO SACCO sare addirittura allo studio dei sistemi lineari di antipolarità, di iperconiche ed iperquadriche: è in tale studio, a cui sarà dedicato il Cap. seg., che le dette proprietà troveranno il loro posto migliore. di rette tangenti all’iperconica. Tali fuoehi saranno in generale co? ed oltre che sulle due catene di tangenti condotte dai punti ciclici staranno pure (per le proprietà che presto si vedranno dei fasci d’iperconiche) su una nuova ca- tena semplice di rette, e cioè sulla catena di diametri che contiene gli assi dell’iperconica e che separa armonicamente i punti ciclici : ognuno di questi diametri contiene una catena rettilinea di fuochi, mentre ciaseun altro non contiene alcun fuoco. Se l’iperconica è reale (v. la nota alla fine del n, 32) i suoi fuochi reali formano in generale un cerchio. Per le iperquadriche si possono dare proprietà metriche analoghe : un’a- naloga equazione riferita ad una terna di piani diametrali reciproci; l’esistenza nel caso generale di uno o di tre assi; ecc. ecc.. i Sopra una mandibola di Balaenoptera dell’Astigiana ; Nota del Dott. FEDERICO Sacco In seguito alla morte di un privato collettore di fossili del- l’Astigiana, il signor Marchioni Giacomo di Asti, diversi interes- santi residui ossei mi vennero dagli eredi portati in esame e potei acquistare pel Museo geologico di Torino, già famoso d’al- tronde per le sue ricchezze paleontologiche riguardanti il terziario piemontese. Il rinvenimento di tali ossa non è quindi affatto di data recente, ma rimonta in complesso ad una trentina d'anni or sono, allorquando più intenso e sviluppato era il dissodamento dell’Asti- giana per la viticoltura. Anzi alcune di dette ossa erano già state bensì visitate dal Sismonda, dal Gastaldi, ecc., ma non si erano potute studiare, non essendone stata concessa nè la comunicazione temporanea nè la vendita a prezzi convenienti. Appartiene appunto alla categoria di fossili aventi tale ori- gine l’esemplare stupendamente conservato di £mys Portisî che ebbi a studiare l’anno scorso, pubblicandone la descrizione nelle Memorie di questa R. Accademia. J SOPRA UNA MANDIBODA DI BALAENOPTERA 397 ‘ Qualche tempo fa mi pervenne in modo simile un osso lungo ed appiattito, comunicatomi come una costa, ma che riconobbi tosto essere una mandibola di Cetaceo; d’altronde tale errore un po’ grossolano di determinazione è ben scusabile dal momento che il famoso cetologo Brandt considerò appunto come appar- ‘tenenti al primo paio di coste due mandibole di Balaenoptera Cortesi. L'importanza che ben a ragione si dà in Paleocetologia ai caratteri forniti delle ossa mandibolari mi indusse a segnalare la ‘mandibola suaccennata, interessante eziandio per la sua buona con- ‘servazione e per diversi fatti che vedremo in seguito. Tale man- dibola, secondo quanto mi venne riferito; proviene da Val Lunga (Casabianca) presso Asti, cioè dal Pliocene superiore marino (Astiano str. s.). È noto come in diverse epoche vennero raccolti ossami di Ba- lenotteridi in svariati punti dell’Astigiana, specialmente presso Montafia, Bagnasco d’Asti, Valle Andona, Dusino, Cortandone , Ca-Lunga, Castelnuovo Calcea, ecc.: tali resti, i quali apparten- gono ad una trentina di individui diversi, sono però in massima parte rappresentati soltanto da scarsi frammenti, specialmente da vertebre, e quindi hanno solo un'importanza. relativa. Gli sche- letri meno incompleti sono specialmente tre, cioè quello di Cor- tandone, quello di Montafia e quello di Bagnasco d’Asti. Orbene mentre la massima parte di tali resti è senza dubbio ‘attribuibile alla tipica Baluenoptera (Plesiocetus) Cortesii Desm., alcuni pochi presentano invece caratteri differenziali tali che lo Strobel credette opportuno costituirne dapprima una specie a parte Cetotherium Gastaldii (1) e poscia solo più una varietà della B. Cortesiî, mentre il Van Beneden li inglobò colla specie tipica (2). Il Portis nel suo accuratissimo ed importante studio (1) P. StroBEL. Notizie preliminari sulle Balenottere fossili subappennine del Museo parmense. Boll. R. Com. geol. ital., 1875. — Iconografia compa- rata delle ossa fossili del Gabinetto di Storia Naturale dell’Università di Parma Fascicolo 1, (Balenotteridi) Parma, 1881. (2) P.S. Van BENFDEN, Le squelette de la Baleine fossile du Musée de Milan. Bull), Accad, R. Belg. 2 serie, tome XL, 1875. — Description des ossement fossiles des environs d’ Anverse. Partie IIl , Annales Musée R. Hist. Nat. Belg., tome VIII, 1882. 398 FEDERICO SACCO sui Cetacei piemontesi (1) credette invece poter conservare questa forma Gaslaldii al grado di vera specie. Ma considerando quanto forti siano nello scheletro delle Ba- | lene le differenze individuali, rese ancor più accentuate quando trattasi di differenze sessuali e di età: considerando pure come . tali differenze siano talora anche assai spiccate tra un lato e l’altro (nelle mandibole ad esempio) dello stesso individuo, come ebbi a constatare su esemplari sia fossili che dei mari attuali; conside- rando infine che, mentre la maggioranza assoluta dei resti di Ba- lenottera del pliocene italiano viene attribuita alla B. Cortesti, gli esemplari che differiscono alquanto dal tipo e che vennero studiati . da diversi paleontologi furono attribuiti a specie diverse (tanto che nel Museo di Parma evvi la tipica B. Cortesi, nel Museo di Bologna la B. Capellinii, nel Museo di Milano la B. Cuvieri e nel Museo di Torino la 5. Gastaldi) ; per tutte queste con- siderazioni parmi che - sarebbe logico riportare quasi tutte le sovraccennate forme al tipo B. Cortesti, di cui diverse fra di esse costituirebbero soltanto varietà, chè altrimenti si arrischia di costi- tuire tante specie di Balaenoptera quanti saranno gli individui ben conservati e ben studiati che si andranno ancora scoprendo in avvenire. Riservandomi di fare in seguito ulteriori considera- zioni a questo proposito passo ora senz’ altro all’ esame della mandibola che è scopo della presente Nota. Allorquando mi accinsi allo studio della mandibola in que- stione, feci naturalmente anche studi comparativi coi resti simili che sono conservati nel Museo geologico di Torino, e fui spe- cialmente colpito dalla grande rassomiglianza di mole, fossiliz- zazione, ecc. , esistente fra la mandibola dell’ Astigiana ed un frammento mandibolare già descritto dal Portis (Op. cit. p. 40 — N° 5) il quale lo classificò come B. Gastaldi e, ignorandone il punto di ritrovamento, disse che forse era stato rinvenuto nelle argille plioceniche della riviera ligure e probabilmente di Savona. Ora nel corso del presente studio avendo per caso avvicinato questo frammento osseo colla mandibola di Val Lunga m’accorsi (1) A. Ports, Catalogo descrittivo dei T'alassoteri rinvenuti nei terreni ter- ziari del Piemonte e della Liguria. Mem. R. Accad. Sc. di Torino, Serie II, tomo XXXVII, 1885. SOPRA UNA MANDIBOLA DI BALAENOPTERA 399 ‘éon grande stupore che essi si combaciavano perfettamente; per ‘cui non vi è alcun dubbio che il frammento di Balenottera in- dicato col N. 5 nella Monografia del Portis, e proveniente dalla ‘collezione Gastaldi, fu trovato nell’Astigiana : è evidente che all’epoca del rinvenimento di questi ossami (pare verso l’anno 1832) essi furono divisi fra diversi raccoglitori; un frammento ‘andò a far parte della collezione del Gastaldi e la parte più interessante venne invece ritenuta dai collettore accennato sul principio di questa Nota; ora finalmente dopo oltre mezzo secolo i due pezzi sono di nuovo riuniti: solo è da deplorare che siano andate perdute le restanti parti che certamente dovevano pure | esistere assieme a quelle in esame. — —L’osso che passiamo ora a studiare rappresenta la metà, circa, | anteriore del ramo mandibolare sinistro di una Balenottera quasi i adulta ma di dimensioni non molto ragguardevoli. Il pezzo in esame è alquanto arcuato, ha la lunghezza di | circa 46 centim., l’altezza variabile tra 75 ed 82 millim., ed il diametro trasversale pure variabile fra 35 e 40 millim. ; Esaminando l’interno dell’osso nelle sezioni di rottura, si vede " che nella parte esterna esso si presenta compattissimo per lo spes- “sore di circa 4 a 10 millimetri, nettamente spugnoso all’interno “e con un largo foro subovoidale nella parte superiore; questo foro, che rappresenta il canale dentale, è ora completamente riempito di marna calcarea grigiastra compattissima. Nella sezione posteriore del canale dentale osservasi che presso il suo margine superiore esterno esiste un altro piccolo foro pure riempito di marna calcarea; trattasi del canaletto “secondario che, staccandosi dal canale dentale, va ad immettersi nel foro mentoniero il quale appare infatti un centimetro circa sl avanti. i La faccia interna della mandibola si presenta nella parte po- ‘| steriore subplana o solo leggermente convessa ; anteriormente invece appare, lungo la sua regione mediana ad un dipresso, un rialzo che va sempre più accentuandosi verso l’avanti tanto da costi- tuire una vera gibbosità che si abbassa poi rapidamente presso | l'apice anteriore della mandibola. Questo rialzo osseo, della lun- | ghezza di circa 12 centim. e delle larghezza di circa 2 centim., | verso l’alto si confonde gradatamente colla faccia interna della mandibola; invece verso il basso è ben limitato da un largo solco camalicolare che va sempre più accentuandosi ed approfondendosi 400 ‘FEDERICO SACCO verso l’avanti, finchè presso l’apice questo canale si rivolge ra pidamente all’insù, quasi a guisa di un >. bo La faccia esterna del ramo mandibolare è assai fortemente convessa nella parte posteriore; invece tale convessità diventa sempre meno accentuata verso l’avanti, tanto che nella porzione apicale la faccia esterna in esame presentasi affatto pianeggiante. Verso il margine superiore osservansi tre fori. mentonieri bet delineati, canalicolari, allargati e poco profondi .allo avanti, più stretti e profondi allo indietro dove penetrano entro la mandibola. Il solco mentoniero posteriore è lungo circà 5 centim., al- quanto obliquo, distante circa 1 centim. e !/, dal bordo supe- riore della mandibola. d | Il solco mentoniero medio, lungo oltre 7. centim., pure al i quanto obliquo posteriormente, dista di 1 centim., e 4 ad un di presso dal bordo superiore della mandibola. Il soleo mentoniero anteriore, lungo circa 6 centim., è assai più avvicinato al bordo mandibolare superiore da cui dista sol di 4 o 5 millim, L'orlo o margine inferiore della mandibola è semplice, su- bangoloso ma a spigolo arrotondato; verso l’avanti però questo. bordo diventa alquanto più allargato e presenta alcune asperità irregolari. | Il bordo superiore della mandibola forma posteriormente un. angolo alquanto più acuto che non il bordo inferiore; esso è special-. mente caratterizzato dal fatto che lungo il suo percorso, dal lato | interno, poco sotto l'angolo superiore, esiste una specie di canaletto o solco irregolare, interrotto tratto tratto, essendo in rapporto | con diverse e successive piccole diramazioni del canale dentale. Verso la parte anteriore della mandibola questi saltuari cana= letti, che potrebbero appellarsi solchi mentonieri interni, diven- ; gono più ‘accentuati, partono posteriormente quasi. dal. bordo superiore della mandibola e si abbassano poscia gradatamente al-o largandosi verso l’avanti, sulla faccia mandibolare interna. È Infine nella parte anteriore della mandibola, per. circa, LI centim., si osserva che il bordo superiore si sdoppia per l’apparsa di un profondo canale che è la. porzione anteriore del canale dentale ; detto canale va sempre più approfondendosi verso l’avanti, finchè giunto all’apice della mandibola si incurva rapida manie in basso, allargandosi contemporaneamente. L’estremità anteriore della mandibola vista lateralmente pre- SOPRA UNA MANDIBOLA DI BALAENOPTERA 401 ‘senta un profilo ovato-subrotondo; osservata invece di fronte (fig. 3) mostrasi irregolarmente appiattita all’esterno, fortemente gibbosa all’interno e profondissimamente incavata nella parte su- pero-esterna. Tale incavo, della lunghezza di quasi un centim., e mezzo e della profondità di circa un centimetro, si continua supe- riormente col canale dentale sovraccennato, e rappresenta appunto la terminazione anteriore, virguliforme direi, di detto canale. Oltre a questi caratteri osteologici è ancora da accennarsi che in diversi punti sulla faccia esterna della mandibola studiata os- servansi intagli e strie prodotte probabilmente dai denti dei pesci- cani che abboccarono le parti molli avvolgenti questo osso; tale ipotesi è resa tanto più probabile dal fatto che detti intagli trovansi solo sul lato esterno della mandibola. Invece sulla faccia interna, osservansi impronte superficiali, ondulate (fig. 1) prodotte forse da qualche Mollusco. Passando ora a comparare la mandibola studiata con quelle finora scoperte possiamo dire che essa, pure avvicinandosi assai a quelle della Bal/aenoptera Cortesti, diversifica in diversi punti sia dalla forma tipica che dalle varietà Cuvzeri, Gastaldi, Capellinii, ecc.; l’esame delle figure che presento del fossile in questione rende inutile un minuto esame comparativo in proposito. Siccome però il Portis dopo lo studio del frammento minore della mandibola in esame non esitò punto ad attribuirlo alla Ba- laenoptera Gastaldii tipica (di Cortandone), così credo opportuno indicarne i caratteri differenziali mostrati dal frammento maggiore ora studiato. La mandibola di Balaenoptera di Val Lunga (Casa Bianca) differisce da quelle della tipica B. Gastaldii di Cortandone per i seguenti caratteri principali: 1° diversa distribuzione dei forami mentonieri, 2° canale dentale anteriore esterno molto più lungo; 3° canale dentale, all'apice della mandibola virguloide e di- ‘scendente assai meno all’ingiù ; 4° profilo dell'apice mandibolare, visto di lato, ovato-subrotondo invece di subquadrangolare o subtriangolare; 5° rilievo e canale longitudinale della faccia in- terna più accentuati; 6° compressione trasversale maggiore. Considerando gli accennati caratteri differenziali, riscontrati anche solo in un piccolissimo frammento di scheletro di Balenottera, credo poter concludere che i due esemplari non sono identifica= 402 ‘FEDERICO SACCO bili. Neppure, come sopra è accennato, il fossile esaminato è identificabile col tipo o colle varietà conosciute di B. Cortesi. D'altra parte ho già indicato, sul principio di questa Nota, com e perchè sia deplorevole l’abitudine, direi, di costituire una nuov: specie quasi per ogni esemplare ben conservato di Balenottera tante e così profonde essendo le modificazioni individuali, sessuali di età, ecc. che possono verificarsi sui resti scheletrici di un: stessa specie. Quindi, tenendo una strada di mezzo fra i due me todi seguiti dai paleontologi, credo dover attribuire il fossi esaminato alla Balaenoptera Cortesiù Desm., di cui esso costi. tuisce solo una varietà o sottovarietà, per la quale propongo il nome di Portistî, dedicandola all’amico prof. Alessandro Portis, valente illustratore dei Cetacei piemontesi. i SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA —— Balaenoptera Cortesii Desm. Var. Portisii SaAcc. Fia. 1 Mandibola sinistra vista dalla faccia interna (il bordo su- periore è in basso), (!/, della gran- dezza naturale). tao È » » in sezione di rottura (grandezza na- turale). di 3 » » vista di fronte nella parte apicale ù (grandezza naturale). » 4 » » in sezione di rottura (grandezza na- turale). » 5 » » vista dal bordo superiore (!/, della grandezza naturale). ACCO. Sopra una mandibola di Ra] o Y la mandibola di Ba dell'Astigiano Tav IV bis foronp, Sucen 403 Sulle determinazioni di latitudine eseguite negli anni 1888, 1889, 1890 all'Osservatorio di Torino Comunic'azione preliminare di Francesco PorRo Della latitudine di Torino, elemento importante non solo per l’astronomia pura, ma ancora per lo studio della figura della terra in queste regioni dove essa presenta classiche anomalie, si occuparono, con diversi metodi e strumenti, varii osservatori sin dal secolo scorso. Nell'opera Gradus Taurinensis il Beccaria dà il risultato dellé sue osservazioni, :fatte sopra una torre, ora distrutta, che si ergeva a destra entrando in via di Po da Piazza Castello. Una nuova discussione delle misure di Beccaria, intrapresa verso il 1808 del barone de Zach (1), conduce al valore della latitudine. q= 45° 4° 18" 14, così discordante dalle altre più recenti misure, da togliere ogni attendibilità alle osservazioni donde esso proviene. Una serie dovuta al medesimo de Zach (2) fissa la posi- zione dell’antico osservatorio dell’Accademia a o=45° di 99 «SRI valore che, ridotto all'Osservatorio nuovo, poco si scosta da © = 45° 410%) Da 393 osservazioni dirette e per riflessione della stella po- (1) Mémoire de Mr. le baron De ZacH « Sur le degre du meéridien mesure en Piemont par le père Beccaria », lu è la séance du 16 juin 1810 (Mémoires de l’Académie impériale de Sciences, Littérature et Beaux Arts de Turin, vol XX). (2) Luogo citato. 404 FRANCESCO PORRO lare al Circolo Meridiano di Reichembach, eseguite negli anni 1822, 18253, 1824, 1825, e pubblicate nel volume che ha per titolo: Observations Astronomiques faites à l'Observatoire Ro- yal de Turin, Plana ricava per latitudine del centro di questo strumento : q=45° 4' 8",38. Finalmente Capelli, trovando questo numero soggetto a qualche incertezza per essersi affatto trascurata la flessione del cannoc- chiale, e per effetto di possibili moti del livello nella sua in- cassatura, sottopone a calcolo più accurato le osservazioni di Plana, e trova (1) pq= 45° 4' 6,694, mentre 24 osservazioni da lui fatte al circolo moltiplicatore gli danno = 45° 4' 5,72. Le discordanze fra questi numeri eccedono di gran lunga i li- miti del tollerabile in Osservatorio Astronomico; eppure più di mezzo secolo trascorse prima che la ricerca della latitudine fosse ripresa a Torino con più perfetti strumenti e con metodi più sicuri e rigorosi! Nel giugno 1885, ultimate le operazioni di longitudine, delle quali ho reso conto all'Accademia in una precedente Nota (2), il dott. Michele Rajna, astronomo dell’Osservatorio di Milano, eseguiva per incarico della Commissione Geodetica. Italiana una serie di 37 osservazioni col metodo di Bessel in primo verticale. Occupato in altri lavori, il Rajna non ha potuto ancora ri- durre queste sue osservazioni, le quali d’altra parte non sono forse in numero sufficiente perchè se ne possa concludere una la- titudine sicura sino al limite estremo dell’approssimazione oggi domandata. Mi è sembrato adunque opportuno di non attendere la pubblicazione dei risultati di Rajna, ma di procurare che colle sole forze dell’Osservatorio l’antica questione della latitu- dine di Torino trovasse pronta e soddisfacente soluzione. A. tale (1) Effemeridi astronomiche di Milano per l’anno 1833. (2) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXV, adunanza del 417 Novembre 1889, DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 405 scopo ho eseguito una serie di 140 osservazioni al primo verti - cale, fra il 19 gennaio 1888 ed il 29 marzo 1890 : di queste, venti sole furono eseguite coll’uso del filo mobile, secondo il noto ‘metode di Struve, le altre tutte ai fili fissi, con inversione del cannocchiale in entrambe le posizioni della stella, ad Est e ad Ovest, come pure fu prescritto da Struve. Nella presente Nota preliminare comunico all'Accademia i ri - sultati delle 120 osservazioni fatte ai fili fissi, le quali sono per sè già sufficienti a dare un valore della latitudine di Torino non inferiore per grado di precisione a quelli determinati recentemente negli altri Osservatorii italiani. Della piccola serie osservata al filo mobile non posseggo ancora tutti gli elementi di riduzione; ri- mando quindi la pubblicazione dei risultati ad essa relativi ad una Memoria definitiva, che spero di presentare all'Accademia quando il mio programma di osservazioni al primo verticale sia esaurito, quando cioè ciascuna delle venti stelle che passano a meno di tre gradi dallo zenit di Torino e che sono comprese nel Catalogo fondamentale di Auwers sia stata osservata dieci volte. A questa pubblicazione di un risultato provvisorio della la- titudine non mi sarei forse indotto per il solo desiderio di far cessare an’incertezza che non ridonda certo ad onore dell’ Os- servatorio di Torino, se non fosse comparso nel numero 2963 delle Astronomische Nachrichten un invito del prof. Helmert a tutti gli astronomi, perchè rendano di pubblica ragione i risul- tati delle osservazioni di latitudine eseguite nel 1889. Da una serie di determinazioni simultanee intraprese a Berlino, Potsdam, Praga e Strasburgo, risulta evidente all’insigne geodeta prussiano una diminuzione di circa mezzo secondo nella latitudine di questi osservatorii fra il terzo ed il quarto trimestre dell’anno scorso; è quindi importante che tali ricerche possano venire confrontate sollecitamente con tutte le altre contemporanee, perchè sia le- cito concludere con certezza che realmente nell’ultimo trimestre del 1889 4! polo boreale della terra si andò allontanando dall’ Europa. Sono lieto che a questa importantissima conclusione le osser- vazioni di Torino arrechino una conferma abbastanza sicura, benchè gli scopi differenti che io mi proponeva nell’intrapren- derle fossero più di ostacolo che di aiuto al manifestarsi di una variazione effettiva dell’altezza del polo. Infatti la molte- È f a 406 FRANCESCO PORRO plicità delle stelle osservate, che, come ho mostrato altrove (1 è condizione essenziale all’attenuamento degli errori provenienti; dalle declinazioni delle stelle medesime, sarebbe invece da evi tare nella ricerca delle variazioni della latitudine, donde tali errori per differenza vengono eliminati; e veramente alcune dif ferenze che io trovo fra i risultati di diversi mesi possono essere ascritte con quasi eguale certezza agli errori delle declinazioni, o ad un reale spostamento del polo terrestre rispetto alla ver- ticale. Nè è da dimenticare che le osservazioni furono eseguite in luogo bensì molto solido, sul medesimo pilastro che servì alle operazioni del 1885, ma che tale pilastro, sorgendo a 42 metri dal suolo, è sottoposto a forti oscillazioni, che possono alterare l’azimut dell’istrumento, e quindi introdurre sensibili errori nelle latitudine, il cui calcolo è appunto basato sull’invariabilità di’ posizione dello strumento nell'intervallo fra i passaggi della stelle | ad Est e ad Ovest. Mancando l’opportunità di collocare una mir al nel primo verticale (e la mira d'altra parte non avrebbe servita 0 che a sorvegliare l'andamento dell’azimut) ho dovuto acconten: tarmi di variare più che fosse possibile gli istanti delle osservazioni nella fondata speranza che le diverse condizioni nelle diverse ore della notte e nelle diverse stagioni dell’anno aumentassero probabilità di un compenso di valori e di segni fra gli errori: dovuti alla posizione infelice dell’Osservatorio. Ed ognun vede come questo, che fu prudente accorgimento per l’eliminazione di: errori accidentali, sarebbe stato inopportuna causa di differenze capaci di sommarsi colle variazioni della latitudine, o di mè scherarle affatto: mentre, avendo mirato a queste variazioni so tanto, avrei dovuto curare principalmente che le cause perture batrici si mantenessero costanti. Ù Nella mia citata Determinazione della Latitudine della Sta zione Astronomica di Termoli ho esposto i motivi che mi fannili preferire il metodo di Struve a quello di Bessel per le osser= vazioni in primo verticale, sopratutto quando non si sia indotti da particolari necessità di tempo e di luogo ad accumulare molte osservazioni in una medesima notte. Anche per la scelta delle: stelle, l’esperienza fatta a Termoli mi consigliò a limitarmi stret- PO I (1) Determinazione della latitudine della stazione astronomica di Leve] i Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXII, adunanza del 2 febbraio 1887. DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 407 tamente al Catalogo fondamentale di Auwers, che fornisce indi- scutibilmente il materiale più esatto e più omogeneo (1). Le declinazioni apparenti furono ricavate dallle effemeridi del Ber- liner Jahrbuch, o calcolate colle costanti di questo Annuario, adoperando per controllo entrambi i sistemi di formule e di co- stanti. In questo lungo e noioso lavoro mi valsi largamente del- l’opera dell’ing. Tomaso Aschieri, assistente dell’Osservatorio, il quale lesse pure le striscie cronografiche quasi per intero, e mi fornì le correzioni dell'orologio, da lui determinate al Circolo Meridiano a partire dal 29 marzo 1889 (2). Il metodo di osservazione e di calcolo al quale mi attenni è troppo noto in tutti i particolari, perchè io abbia qui a ri- peterne l'esposizione, mi limito ad accennare che tutte le pre- cauzioni insegnate da Struve furono da me scrupolosamente cu- rate; ed in modo speciale badai alla razionale ventilazione della cupola, alla precisione delle livellazioni ed alla maggiore pos- sibile tranquillità dell’istrumento fra il passaggio della stella ad Est e quello ad Ovest. Giova qui far notare un nuovo merito del metodo di Struve, col quale è solo necessaria in ogni osser- | vazione una metà del campo, e si può quindi (come io ho fatto costantemente) rinunziare durante un intero passaggio all’uso della vite ideata da Maskeline per trasportare successivamente l’oculare innanzi alle diverse parti del reticolo, assicurando in questo modo, come ha fatto notare lo Schiaparelli (3), una maggiore costanza nella collimazione. Fra il 19 Gennaio e l’8 giugno 1888 ho eseguito una prima serie di 16 osservazioni coll'istrumento Repsold C, avuto a pre- stito della Commissione Geodetica Italiana, adottando per ri- durre le letture del livello il valore di una parte determinato da Rajna e da me a Milano nel 1885, e riferito nella citata (1) Nelle ultime adunanze generali dell'Associazione Geodetica interna- zionale si è formalmente prescritto agli osservatori l’uso delle stelle del Ber- liner Jahrbuch, o quanto meno la riduzione a questo sistema della coordi- nate stellari dedotte da cataloghi differenti (2) Tutte le osservazioni astronomiche che si fanno all’ Osservatorio di Torino sono riferite mediante opportuni confronti al tempo del pendolo nor- male di Dent, del quale la correzione e l'andamento risultano da regolari osservazioni al circolo meridiano. Prima del 29 marzo 1889 io attendeva pure a questo servizio, ora affidato all’ingegnere Aschieri. (3) Effemeridi astronomiche di Milano per l’anno 1869, pag. 95 e 103. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc, — Vol. \AXV. 30 408 FRANCESCO PORRO : hl mia Determinazione della latitudine di Termoli. Dopo un'inter= ruzione di cinque mesi, le osservazioni furono riprese, (e prose- guite poi più o meno continuamente sino al marzo 1890) me- diante un nuovo istrumento che pure esce dalla celebre officina. dei Repsold, e che l’Osservatorio deve alla illuminata munifi- cenza del Consorzio Universitario di Torino. Trattandosi dell’u- nico strumento moderno di precisione che noi abbiamo, non credo affatto inutile descriverlo brevemente. Poco si scosta dal tipo degli altri strumenti trasportabili dei passaggi, che servirono nel 1885 alle operazioni della Commissione Geodetica Italiana. Il cannocchiale è spezzato, avente l'apertura di 30 linee parigine (pari a 67,5 millimetri), la distanza focale di 80 centimetri, dei quali 41 circa fra il centro dell’obbiettivo e quello del prisma, 39 fra questo e l’oculare. Il circolo orizzontale è sostituito da un robusto basamento triangolare, che assicura una maggiore solidità all’istrumento, e consente in pari tempo uno spostamento di parecchi gradi in azimut: per mio consiglio i costruttori hanno aggiunto un piccolo quadrante che misura siffatti spostamenti. L’oculare è munito di 17 fili di ragno fissi e di tre fili mo- bili, tagliati tutti ad angolo retto da due altri; l’intero reticolo. si può far ruotare di novanta gradi, in guisa da rendere i venti fili a volontà orizzontali o verticali. Una lampada elettrica ad incandescenza, collocata dalla parte opposta all’oculare, illumina egregiamente il campo; e la sua luce si può opportunamente moderare con una valvola a portata dell’osservatore. Notevoli perfezionamenti furono pure introdotti, rispetto ai tipi più an- tichi, nei metodi di sospensione del livello all’ asse orizzontale, dove l’intervento di due molle a spirale attenua gli urti inevi- tabili che potrebbero disturbare la rettificazione, e nell’apparato d'inversione, che è reso assai più solido, maneggevole e spedito. In tre quarti di minuto l’osservatore può comodamente invertire lo strumento sui suoi appoggi e puntare alla stella nella nuova posizione. Le immagini in questo cannocchiale sono di rara per- | fezione: quasi scompaiono le deformazioni dovute alla riflessione della luce attraverso il prima, e l’appulso della stella ai fili si può stimare con singolare precisione. Finalmente è da notare che i costruttori con savio accorgimento hanno collocato nell’in- terno del cubo centrale, applicandole direttamente al prisma, le viti che correggono l’errore dell’asse ottico, ottenendo in tal modo (a scapito di una certa maggiore comodità, che si aveva DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 409 dianzi, di poter correggere tale errore spostando il reticolo) il ‘vantaggio incomparabile di una grande costanza nella direzione della linea di fiducia. Il valore di una divisione del livello fu determinato ripetu- tamente nel 1888 e nel 1889 ad un esaminatore di recente acquistato dall’Osservatorio, osservando scrupolosamente le norme indicate nella mia citata Memoria sulla latitudine di Termoli. Dalle mie determinazioni, fatte alla temperatura media di + 29,8, ebbi P'—Rew295, mentre l'ingegnere Aschieri nell’aprile 1889, trovò, alla tempe- ratura media di + 149,9, bed 0948. Queste determinazioni non sono in numero sufficiente per dare con esattezza un eventuale coefficiente termometrico ; d’altra parte, essendo il livello munito di un serbatojo che permette di allungare od accorciare a volontà la bolla, la ricerca di tale coefficiente diventava affatto superflua. In tutte le determina- zioni di latitudine ritenni adunque senz'altro il valore costante ia" 07FL curando che l'inclinazione fosse sempre piccola, e che i segni del termine che ne dipende fossero alternati. Nel quadro che segue sono esposti i risultati delle determi- nazioni di latitudine, calcolate coll’ajuto delle note tavole di Otto Struve (1), e corrette, secondo le indicazioni ivi contenute, per l'andamento dell’orologio e per l’errore d’inclinazione. Per ragioni di spazio debbo limitarmi a dare i risultati già corretti e ridotti alla media dei fili, avvertendo che tutte le osservazioni, ad eccezione di pochissime, furono fatte a otto fili, e constano quindi di 32 appulsi. (1) Tabulae auxiliares ad transitus per planum primum verticale redu- cendos inservientes. Edidit Otto Struve, Speculae Pulcovensis director, 410 FRANCESCO PORRO Latitudine di Torino. STELLA STELLA tit |_—__—————————————————— rp_______-_|I't____________________[|——TTrTT--|\-—_—- DATA 1888 Gennaio 19 pel 19 > (0.520 » ‘22 Maggio 3 » 6 » 9 » 25 wii 020) Giugno 2 » 5 » 5 » 5 » 7 » 8 » 8 Novemb.19 ve I621 » 22 pe 21123 1 Ali pra 0525 Dicembre 1 » 1 » 1 » 2 » 3 » 3 » 4 » 5 6 » M. f Aurigae . ) Ursae majoris RAurigae ... B Aurigae . .. DO UBOrist: L'A 93 Bots 0°: 33 Bootis . 39'Bootis:, . 50 e Herculis... 33 'Boolis_, N° 33 *Bootis; as e Herculis. . ò Cygoi .... DEI ae e Herculis. ,. O Oygnr ot x Andromedae x Andromedae z Andromedae x Andromedae a (ygni x Andromedae x Cygni .. : Andromedae y Persei... : Andromedae x Andromedae vPersel .. x Andromedae « Andromedae : Andromedae ‘ Andromedae 8, 176 8, 773 7, 827 8, 169 8, 265 8, 382 8, 284 7, 276 7, 736 7, 790 8, 79% 8, 335 8, 880 8, 812 8, 108 8, 906 8, 407 7, 776 7, 978 7, 649 8, 492 7, 982 8, 404 8, 093 7, 864 8, 250 7, 603 8, 266 7, 654 7, 98 7, 662 » 8| « Andromedae » 9| © Andromedae » 10} « Andromedae » | !40!)*v1Perseneanee » 13 5 Persona 1889 Gennaio 7| » Persei . .. » 8| >» Persei... . » 8| 5 Aurigae . . . » 17]. > Perseiinne » 417| 4 Aurigae ... » 18.|.: » Persei Wi019. » 18| y Aurigae ... pf 49] ©» Persei >» @24| eAurigae .. » 25] e Aurigae . » = 27| e«Aurigae .. » 31) è Aurizaetitoo Febbraio 4 | = Aurigae . . . » 5| «Aurigae .. » 6| «Aurigae . .. » 44| sAurigae .. > 131 c‘Alnpat ne » 16| eAurigae... » 19| 4 Aurigae ... » 23! v5Auriza204008 » 24| 4 Aurigae . .. Marzo 6| ww Aurigae ... » 6| # Ursae majoris » 12131 Lyneistsaae 1388 7!',730|| Dicembre 7 » Persei .... 8, 001 DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 411 Segue Latitudine di Torino. 9 DATA STELLA DATA STELLA 45° 4 50 (8) 4' 1859 1889 Marzo 42|58 Ursae majoris|9”,008||Settemb.25 | &Cygni ....|7”934 » 13/31 Lyncis....|8, 494 VU SRGNBME E volti Mer 70806 » 14/410 Ursae majoris| 7, 861 pi; IRE 612 ».16|10 Ursae majoris|7, 499|| Ottobre 3| &Cygni ....|8, 022 MAL Lyncis. +, 1841467 >. deere ht 7 672 » 17|58 Ursae majoris| 7, 786 ) “degni I 40 men Lyncis ...... (9, 242 » “beilgeni.. . (7,928 » 25] 58 Ursae majoris| 8, 034 » SSUSMOEYENI | 4, 400 » 27] x Ursae majoris| 7. 583 » 23| «Andromedae |7, 683 » 28| x Ursae majaris| 8, 310|| Novemb. 7| « Andromedae |7, 090 Maggio 34 | 33 Bootis . ...|6, 631 » Bin Eygoiboci. n!p8L48 Giugno 1|33 Bootis.... |7, 424 » 8| »Andromedae |7, 663 » 4| e Herculis... |7, 479 » Sa Cypnis: cs. + 8, 483 » Gil Bools®. .... | 6, 225 » 9| Andromedae |8, 204 » IIMST.ZIAD, .. o18 8, 076 » 15| xAndromedae |8, 028 » Gia Gyguio .0, 0173732 » 417) Aurigae...|8, 256 » BihGrt2539140hsb. 7, 996 »24| w$ Aurigae...|8,275 »- .45| cHerculis...|8, 296 » 30| 4° Aurigae...|7, 999 MuegibileoMygaii... .. 7, 700|| Dicemb. 1|34 Lyncis....|8, 303 » 17| cHerculis...|7, 680 » a Sd Lyncis.,.r. +17,,842 » 17| «Cygni 8, 500 » «20036:Lyncis. ....17, 90 Drasio nai Hereulis::*1t0*|73525 » 21/10 Ursae majoris| 6, 971 meio oiCygni . . ... 7, 739 » 2340 Ursae majoris| 6, 923 Luglio 28| èCygni ....|8, 194 > (29|Gr.2593;.... ufaiali 11590 wi, RLyrae ....|8,437|| Febbraio 931 Lyncis... | 7,973 Settemb.14| è Cygni ....|7,996|| Marzo 1|10 Ursae majoris|7, 369 ME Gygnii ik... |57, 753 » d0mabbynceis. .. .‘|8, 147 meniiSi Cygni., .../. |7, 579 » ESilisobyncis..... 17, 490 glie: i Cygni ...... È 231 » 29| > Ursae majoris| 7, 274 412 L FRANCESCO PORRO La media aritmetica di questi 120 valori è o=45 4 7",942+0",029 (E.P.) e si può ritenere che questo numero rappresenti il valore più probabile della latitudine che sì possa per ora cavare dall’ esposta serie di osservazioni. Una discussione delle declinazioni adope- rate e delle correzioni relative sarebbe ora prematura, dovendo, come sopra ho detto, prima essere osservata ciascuna stella un numero uguale di volte. D'altra parte le recenti scoperte sulle piccole variazioni di posizione dell’asse terrestre ci debbono far È andare guardinghi nell’attribuire alle stelle differenze che forse È vanno, almeno in parte, attribuite alle oscillazioni del polo ri spetto alla verticale. Ad ogni modo, perchè si possa fin d’ora giudicare dell’ac-. cordo fra latitudini provenienti da diverse stelle, presento qui il risultato medio ottenuto da ciascuna delle 19 fondamentali ado- perate in queste osservazioni. Ho disposto queste stelle in or- dine di declinazione, perchè si veda come entro i limiti da me. adottati (che eccedono di un grado quelli che ordinariamente sono scelti dagli osservatori) la maggiore o minore distanza dallo. zenit non ha influenza sulle latitudini dedotte. Pare inoltre ra-. gionevole di ammettere che le variazioni dell’azimut non abbiano influito sull’esattezza delle operazioni; altrimenti le stelle più. lontane dallo zenit, per le quali l’intervallo fra i due passaggi supera le tre ore, non avrebbero presentato risultati così con-. cordi colle altre. ‘DETERMINAZIONI DI LATITUDINE 413 Latitudini medie date dalle diverse stelle osservate. NUMERO STELLA Ò delle LATITUDINE OSSERVAZIONI BAurigae...... 44 56° 3 45% 4° 8% 10 eenonis....... 44 58 9 7, 656 mera ..... 44 58 6 8, 070 MNENEnI .......... 44 51 8 8, 092 Emir i... FSE ;. Son 58 Ursae majoris .| 43 46 3 8, 276 % Andromedae 43 43 10 8, 197 4° Aurigae .. 43 41 10 8, 144 neitis o... 43 40 2 7, 847 arniuritao.. 0. . ..i) 49 89 10 8, 142 31 Lyncis... ...| 43 33 8 8, 149 o, 4329 10 7 100 ) Ursae majoris .| 43 28 2 Tx 120 cmHerceulis:....... 42 40 7 7, 980 Andromedae ...| 42 39 10 7, 814 SMECIROR Du. L42014 10 Li Gaz 10 Ursae majoris . | 42 183 4 7, 406 REEZAd a... A2 Aud 3 8, 306 p. Ursae majoris . | 42 3- 3 13 dda 414 FRANCESCO PORRO - DETERMINAZIONI DI LATITUDINE A chiudere questa nota, non mi rimane che presentare le medie mensili, dalle quali appare manifesta la diminuzione se- gnalata contemporaneamente dagli osservatori di Berlino, di Potsdam, di Praga e di Strasburgo. NUMERO MESE delle LATITUDINE OSSERVAZIONI 1888 Gennaio........ 4 45 4 (R04S Maggio] oa 5 8, 075 Giusno:o i pe 7 8, 351 Novembre ...... 6 8, 201 Dicembre... 16 7, 885 I:889%Gernmaio n. (@x Be. 12 7, 996 Febbraio". .e «et 9 ts pine =} è Marzo i. a 13 8, 126 Giugno!.... sug. 13 7, 615 adbo @eP A. 8) 8, 392 Settembre ...... 4 7, 844 Oftabne,. 7 (e 6 7, 692 Novembre. ...... 9 8, 014 Dicembre. .4t;- + 5) 7, 98 1890 Febbraio-Marzo . . Ò 7, 5990 415 I minerali del gneiss di Borgone (Val di Susa); Cenni descrittivi del Dott. GiusePPE PiIoLTI Benchè il primo accenno, per quanto mi consta, intorno a questa zona gneissica, risalga solo al 1786, come vedremo in seguito, tuttavia è tradizione fra gli alpigiani di Vayes (località compresa nella zona di cui discorro, alla quale appartengono eziandio le cave di S. Antonino, di Villarfocchiardo, di S. Giorio sulla sponda destra della Dora Riparia e di Borgone sulla si- nistra) che le cave presso quel villaggio siano in attività da più di duecento anni. Il Barelli (1) poi osserva come « allorquando « sì costrusse il canale sotterraneo di Doragrossa in questa stessa « città, cioè nel 1830, si scopri a due metri circa di profon- « dità un’antica strada, creduta romana, che era tutta lastri- « cata di grossi e larghi cubi di un granito somigliantissimo a « quello di Vayes, e noi incliniamo a supporlo estratto da quelle « cave. » Data la poca distanza di quel villaggio da Torino (all’incirca trentatrè chilometri), parmi ammissibilissima l'ipotesi del Barelli. Per cui le cave di Vayes sarebbero quelle coltivate le più ab antiquo ed avvalora tale supposizione il fatto che mentre Borgone non è citato dal Barelli, dobbiamo venire fino alle opere del Sismonda, del Gastaldi, del Baretti e del Jervis per trovarlo menzionato. Siccome però le cave di Borgone sono situate proprio presso la stazione ferroviaria omonima e di lì a Villarfocchiardo è poca la distanza, ne derivò che le prime e quelle del detto villaggio assunsero in breve tempo un prepon- derante sviluppo sulle altre e ciò spiega come in commercio il (1) Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S, M. il Re di Sardegna. Torino, 1835, p. 66. 416 GIUSEPPE PIOLTI gneiss di Val di Susa sia più conosciuto sotto i nomi di gneiss di Villarfocchiardo (di cui già parlai in una mia Nota) (1) e_ gneiss di Borgone. Il Nicolis di Robilant (2) indica, discorrendo della zona gneissica di Val di Susa, che « les couches inférieures présen- | « tent, à leur sortie qu’ est inclinée vers l’Occident, du granit q « d’une qualité trés-dure, dont on a tiré une sorte de pierre |. « qui approche du migliarolo ou d’un granit quartzeux mélé « de tale ou mica noir et de grenat, dont on peut tirer de « gros blocs: la carrière en est à St.- Antonin. Le rocher con- « tinue à étre de la méme qualité dans les montagnes infé- « rieures jusqu'à Javen, à la Sacre de St-Michel et à Cu- « miane. Le voisinage de Turin a mis ces carrières en grande « réputation, parce qu’ on en tire tous les schistes quartzeux « appelès sarzs pour tous les usages économiques des bàtimens, « balcons, pavès, et pour la pierre de taille de toute épaisseur : « ce saris est fort mélé de mica argentin. Les fentes et les « séparations des couches des montagnes donnent de l’amiante « de toute qualité, le suber montanum, la caro (3), 1° asbeste « e l’amiante proprement dite. » Il De-Saussure (4) descrive anch'egli sommariamente il gneiss di S. Antonino, dimostrandone la schistosità; di minerali non accenna che al feldspato. Il Sismonda (5) in varie sue opere e segnatamente nelle qui sotto indicate s’'occupa estesamente della genesi e dell’ età del I gneiss di Borgone, nonchè della direzione degli strati; di minerali non cita che la tormalina a Villarfocchiardo. (1) Gneiss tormalinifero di Villarfocchiardo. Atti delia &. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXIV, adunanza del 12 maggio 1889. (2) Essai géographique suivi d'une topographie sousterraine, minéralo- gique, et d'une docimasie des États de S. M.\ en terre ferme. Mémoires de l’Aeadémie Roy. des Sciences. Turin, 1786, p. 239, (3) Varietà d’asbesto: vedi Hay, Traité de mineralogie, 2"* édit., tome 4, Paris, 1822, p. 588. ui (4) Voyage dans les Alpes. Tome 3, Neuchatel, 1796, p. 91 e 92. (5) Osservazioni geologiche sulla valle di Susa e sul Moncenisio. Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino. Serie I, vol. XXXVIII. Notizie e schiarimenti sulla costituzione delle Alpi Piemontesi. Idem, Serie II, vol, IX. Classificazione dei terreni stratificati delle Alpi fra il Monte Bianco e la contea di Nizza. Idem, vol, XII. ad I MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 417 1l Gastaldi (1) ed il Baretti (2) studiarono ampiamente an- ch’essi dal lato geologico la zona gneissica di cui discorriamo ed al primo si deve la denominazione di antico al gneiss cui ap- partiene quello di Borgone, che, secondo detto autore, si diffe- renzierebbe dal recente per essere più ricco di feldspato e quindi molto basico, per presentarsi sovente a struttura porfiroide e per non ammettere nella sua massa alternanza di pietre-verdi, mentre il recente sarebbe sempre a grana più fina, più cristallino, meno ricco di feldspato e, per contro, più ricco di quarzo. Il Gastaldi cita alcuni minerali del gneiss antico, ma essi sono fuori della zona gneissica di cui discorro; in uno poi dei suoi ultimi lavori (3) conchiude dicendo che il gneiss antico « è poverissimo di minerali e, per contro, ne è molto ricca la « sovrapposta zona delle pietre verdi. » Finalmente il Zaccagna (4) espose non è gran tempo il risultato dei suoi studî sulla geologia delle Alpi Occidentali e naturalmente nel suo studio viene anche considerata l’ elissoide gneissica Riparia-Macra cui appartiene il gneiss di Val di Susa. Appare perciò dal fin qui esposto che l’ argomento fu lar- gamente sviscerato dal lato geologico; però dal lato mineralo- gico, rispetto alla zona di Borgone, poco si fece, poichè non troviamo che dal Jervis (5) citata la formalina a Villarfoc- chiardo ed a Borgone e l’axinite a Borgone. Ciò m’indusse a ricercare minutamente per parecchi anni di seguito nelle varie cave summenzionate, a riprese, anche per farmi un’ idea della frequenza di talune specie rispetto ad altre ed espongo ora il risultato delle mie ricerche. Rinvenni la maggior parte dei minerali o nelle litoclasi op- pure là dove scorgonsi forti ripiegamenti, ben di rado dissemi- nati nella massa della roccia. Si può quindi supporre che i (1) Studi geologici sulle Alpi Occidentali. Mem. del R. Comitato Geologico d’Italia, vol. I p. 35, e vol. II, parte 2, p. 27 e 31. (2) Studi geologici sul gruppo del Gran Paradiso. Mem. della R. Accad, dei Lincei, Serie 3, vol. IL (3) Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi Piemontesi durante la cam- pagna del 1877. Idem, vol. II, p. 10. (4) Sulla geologia delle Alpi Occidentali. Bollettino del R. Comitato Geo- logico d’Italia, 1887, anno XVIII, pag. 346. (5) I tesori sotterranei dell’Italia. Parte 4, Regione delle Alpi 1873, p. 53 e 54, 418 GIUSEPPE PIOLTI movimenti avvenuti in essa (1) abbiano dato luogo a vani e permesso quindi alla sostanza mineralizzante di cristallizzare ivi. E di tali movimenti fanno fede le varie faz/les che s’' incon- | trano nella zona gneissica, particolarmente a Borgone; 1’ esame microscopico poi viene a conferma delle osservazioni geologiche, come dimostrai altrove (2). Il materiale di studio fu raccolto da me, fatta eccezione per moltissimi cristalli di quarzo che devo alla cortesia del dottor Biagio Rumiano di Villarfocchiardo, cui godo di esternare qui la mia profonda riconoscenza. I minerali finora da me trovati, comprendendovi i compo- nenti normali del gneiss allorchè essi si incontrano radunati in geodi od ammassi isolati, sono i seguenti, che dispongo per or- dine di frequenza, ben inteso relativamente agli esemplari che rinvenni io: quarzo, tormalina, clorite, ortosto, mica, albite, microclino, ematite, talco, anfibolo, cpidoto, zoisite, axintte, pirite, calcopirite, magnetite, psilomelano, calcite, menaccantte, fluorite, rutilo, galena, anatasio, grafite, brookite, ciamtte. Quarzo. — Comunissimi sono i cristalli costituiti unicamente dal prisma { Lui e dai due romboedri complementari { 100 } e {221 3; rarissima invece è la forma derivante dall’ associazione del prisma 211} col romboedro (100 }: di cristalli così co- stituiti non ne trovai che due , coperti ed in parte compene- trati da clorite, in una piccola litoclasi d’una cava prossima alla stazione di Borgone; sono circondati alla base da talco ed amianto. Di romboedri diretti (oltre al solito) non rinvenni che in un solo cristallo molto piccolo la forma {311 °, colle faccie lu- centissime I romboedri inversi sono: {334}, ‘ 557}, (1010 13}, ap- partenenti a tre cristalli differenti, tutti piccoli, il secondo ad esempio non misurando che nove millimetri in lunghezza e tre e mezzo in larghezza: le faccie di tali romboedri sono tutte fi- nissimamente striate ed alcune hanno uno sviluppo molto mag- giore delle faccie superiori, in zona, del romboedro {221}. (1) Zaccagna, Op. cit. pag. 379. (2) Op. cit. pag. 9. I MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 419 Comunissimo è l’emiscalenoedro (412), più spesso sinistrorso che destrorso; notevole è un geminato (analogo a quello figurato da G. Rose fin dal 1844) (1), in cui tale emiscalenoedro tro- vasi ripetuto su tre faccie di seguito del prisma esagonale. Meno frequente è la cosidetta faccia romba, ossia l’emiedria dell’ isosceloedro (412), che spesso è appena accennata od ha un perimetro rettangolare in causa dello sviluppo disuguale delle faccie d’altre forme fra le quali essa si trova. Le forme più ricche di faccie si rinvengono nei cristalli più piccoli e più limpidi; si direbbe quasi che le forze cristalloge- niche nei grossi individui non abbiano campo di estrinsecarsi tanto in diverse direzioni come negli individui piccolissimi. I cristalli sono quasi sempre ialini, raramente verdognoli, per inclusioni di clorite; ed altri minerali ho trovato inclusi ma- croscopicamente, cioè: menaccanite, tormalina, anfibolo (bissolite ed amianto), epidoto. I due primi si vedono spesso attorno ad un cristallo ed inoltrarsi nell’ interno, o, se si vuole, sporgere fuori dall’interno, la qual cosa non farebbe supporre una genesi simultanea, ma bensì che tanto la menaccanite come la tormalina siano state inglobate nella sostanza da cui si formava il quarzo. Nel quarzo compatto alternante colla biotite sono frequenti grossi inclusi di pirite. Non ho trovato cristalli voluminosi, poichè i più grossi hanno una larghezza massima di quattro centimetri, ma in tal caso sono molto corti, cioè sporgono poco fuori del quarzo compatto che loro fa da matrice. Frequentissime sono le corrosioni, tanto sulle faccie dei rom- boedri come su quelle del prisma: è frammezzo a quelle che incontrai qualche interessante minerale, come vedremo in seguito. Sulle faccie del prisma, molto raramente, notai una particolare cor- rosione leggiera, affatto superficiale, solo visibile sotto certe inci- denze di luce, paragonabile ai solchi che lascierebbe l’acqua scor- rendo sopra un piano pochissimo inclinato, costituito da fina argilla. Nel quarzo compatto latteo incontransi spesso inclusioni di cristalli di quarzo bipiramidato incolori, di cui taluni hanno la lunghezza di millimetri 0,037. (41) Ueber das Krystallisationssystem des Quarzes. Abhandl, der Kénigl. Akad, der Wissenschaften zu Berlin, Aus dem Jahve 1844. Berlin, 1846, pag. 270 e 271, fig. 33, 4920 GIUSEPPE PIOLTI Tanto nei cristalli come nel quarzo compatto sono frequen- tissime le inclusioni, sia a bolla fissa che a bolla mobile; fra quelle appartenenti alla seconda categoria è notevole una a forma cilindrica, in cui la bolla ha poco agio a muotersi e procede lentissimamente da un capo all’altro del cilindro per mezzo di tanti sbalzi da una parete all’altra. In talune invece il moto è rapidissimo e desse sono le più piccole; d’un’inclusione misurai il diametro massimo che trovai di millimetri 0,001842 e per la bolla semovente press’a poco la metà. Malgrado che tale fenomeno sia comunissimo e sia stato os- servato da una folla d’autori, tuttavia non cessa perciò di essere sempre altamente meraviglioso e non vale a spiegarlo il dire, come dicono taluni, che trattisi d’un’illusione ottica, poichè in tal caso non sì comprende come di due inclusioni vicine in una si veda la bolla muoversi e nell’altra rimaner ferma. E dinnanzi a quella sfericciuola che si muove viene spontanea alle labbra la domanda del Ribot: que savons-nous du fond des choses 2 (1) Tormalina. — Non è limitata al gneiss tormalinifero di Villarfocchiardo, ma incontrasi anche talora (benchè raramente) disseminata nel gneiss normale ed a preferenza però attorno a cristalli di quarzo o dentro ai medesimi. Così ad esempio in alto sopra Borgone, presso la borgata di Roccabruna, hannovi am- massi di quarzo compatto escavato per l'industria dei mattoni refrattarî: nel suo interno si rinvengono aghi finissimi di torma- lina nera perfettamente identica a quella che già altrove de- scrissi (2). Però mentre quella di Villarfocchiardo pel raggio ordinario ha un colore violaceo scuro, quella invece che s° in- contra accidentalmente disseminata nel gneiss normale (non nel quarzo) pel raggio detto ha una tinta azzurra scura. Notisi che l’accentramento tormalinifero è realmente a Villarfocchiardo , poichè se il minerale di cui discorriamo ivi è addirittura un com- ponente della roccia, attraversando la Dora e portandoci a Bor- gone diminuisce e più c’allontaniamo dalla zona tormalinifera più scema, tantochè sugli estremi confini dell’elissoide gneissica manca (1) La psichologie contemporaine. Revue scientifique. Vol. XLI, 1888, n. 15, pag. 451. (2) Op. cit. p. 10. — — 7. ———_—__ —m@ I, Te ___0, —' — ._ ——_" I MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 421 ‘completamente allo stato di disseminazione nella roccia e lo tro- ‘viamo solo là dove trovansi accentramenti di quarzo. Rinviensi pure sotto forma di microscopici aghetti nella clo- ‘rite, con colore analogo a quello del quarzo. Nella tormalina delle litoclasi, non in quella sparsa nel gneiss, ho osservato parecchie inclusioni a bolla mobile, Clorite. — Se ne incontrano frequentemente piccoli ammassi nelle geodi di quarzo, talora d’un bel verde, più spesso gialla- stra per alterazione avvenuta; pel suo modo di presentarsi al microscopio s'avvicina a quella varietà di clorite nota sotto il nome di clminte, poichè trattasi di tante pile di lamine esago- nali sovrapposte l’una all’altra. Le medesime si mantengono oscure fra i prismi di Nicol incrociati ed inoltre collo stauroscopio di Brezina si mostrano assolutamente uniassi. Nei vani su quarzo corroso spesso vedonsi impiantate laminette di clorite alterata comunicanti a talune faccie un colore giallo-dorato splendente. Mica. — Nel gneiss normale, sopratutto a Borgone, là dove sonvi forti ripiegamenti, osservansi spesso estese plaghe di biotzte ondulata, alternante unicamente col quarzo, di color verdastro, talora giallastra per alterazione. La mica bianca biasse è molto più rara e si rinviene o nelle geodi di quarzo associata al talco o disseminata nella clorite terrosa, dalla quale al microscopio facilmente distinguesi per essere incolora e pel suo modo di comportarsi alla luce polarizzata: è in lamine piane, non on- dulate come quelle della roccia, certo perchè cristallizzò libera- ‘mente in vani e non ebbe a subire pressioni. Ortosio. — Associata al quarzo non è rara la varietà adu- laria, più spesso di colore verdognolo (per clorite inclusa), in cristalli semplici, piccolissimi, talora letteralmente impastati col quarzo, talora isolati, costituiti dal prisma {110} e dai pina- koidi {001} {101}, le cui faccie sono finissimamente striate parallelamente allo spigolo prodotto dal loro incontro; spesso le striature sono ripiene d’aghi minutissimi d’amianto. Nelle litoclasi s'incontrano ammassi d’ortosio bianco o leg- giermente roseo, opaco, ma non in bei cristalli isolati come nel granito di Baveno, colla sfaldatura ben evidente. I preparati mi - croscopici lasciano scorgere larghe infiltrazioni di quarzo, indub- sti | | 422 GIUSEPPE PIOLTI biamente di seconda formazione rispetto al feldspato, contenente molte inclusioni a bolla mobile e microscopici inclusi di quarzo bipiramidato. Là dove l’ortosio trovasi a contatto colla bissolite è talmente infiltrato da essa che assume una tinta grigia speciale. Nel gneiss, in particolare a Borgone, osservansi grossi gemi- nati secondo la legge di Karlsbad, di color grigiastro, come elementi della roccia, tanto che questa assume in tal caso un vero aspetto di glhiandone: essi presentano una lunghezza mas- sima di cinque centimetri ed una larghezza di tre. Esaminati al microscopio sono torbidi, contengono molte inclusioni a bolla mobile, fatto notevole secondo i Sigg. Fouqué et Michel Lévy (les inclusions liquides sont très-rares) (1), comune secondo il Rosenbusch (2). Microclino. — Trovasi a Villarfocchiardo, compenetrato col- l’ortosio ed associato alla tormalina ed al quarzo: è bianco o quasi incoloro. È facilmente riconoscibile nei preparati microsco- pici per la nota struttura a graticcio e per l'angolo d'estinzione delle lamelle emitrope rispetto alle strie di geminazione oscillante da 15° a 16°. Fra quelle vedonsi intimamente frammiste lamelle fusiformi d’albite che danno luogo alla cosidetta struttura mi- cropertitica. Il minerale più spesso è torbido, in parte caolinizzato, ma anche fra le aree in principio di decomposizione la struttura caratteristica del microclino si mantiene visibile, come leggier- mente velata dal materiale di decomposizione che lo compenetra. Albite. — Più di frequente a Villarfocchiardo che altrove notansene aggregati di piccoli cristalli, geminati secondo la legge di Karlsbad, con grande sviluppo del pinakoide (010): nei pre- parati microscopici rinvenni parecchie inclusioni a bolla mobile. Questo minerale accompagna preferibilmente la tormalina, poichè non lo rinvenni dove mancano accentramenti di. quella. Ematite. — Presentasi raramente allo stato fibroso o d’ocra rossa in qualche litoclasi, in cui per decomposizione ha dato luogo (4) Minéralogie micrographique. Paris, 1879, p. 207. (2) Mikroskopische Physiographie. Band I, zweite Auflage, Stuttgart, 1885, pag. 514. J MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 423 a piccole masse d'’ocra gialla: nel primo caso trattasi di finis- ‘simi cristalli aciculari che spesso attraversano anche il quarzo ‘cui trovasi associata. Più comunemente mostrasi sotto forma d’e- matite micacea e rinviensi a Borgone, S. Antonino, Vayes; non la trovai nè a Villarfocchiardo, nè in altre cave della zona gneis- sica. Eziandio vedesi a mo’ di lamine minutissime nell’ interno di alcuni cristalli di quarzo, come pure nel quarzo compatto, comunicando all’ospite una tinta tra il violaceo ed il roseo. Anfibolo. — Più spesso sul quarzo compatto d’alcune lito- clasi ed anche talora fra corrosioni di cristalli di detto minerale sincontra la varietà bissolite d’un color grigio or chiaro ed ora scuro, or giallastro per clorite alterata interposta, or caffè-scuro per psilomelano frammisto e presentasi a mo’ di fiocchi o di pennelli finissimi, morbidissimi, costituiti da individui cristallini d’una piccolezza straordinaria poichè la maggior parte hanno un diametro trasversale che non supera la dimensione di millimetri 0,0015. Tali aghi sono fusibilissimi in una scoria di color ver- dastro; esaminati al microscopio presentano un dicroismo note- vole, dal grigio chiaro quasi incoloro, al grigio scuro. Poco fre- quenti sono le inclusioni a bolla fissa; nessuna ne trovai a bolla mobile, come nemmeno vi rinvenni le microliti d’ apatite fre- quenti nelle altre varietà d’anfibolo. Qua e là il colore della bissolite per gradi volge al bianco- argentino e si passa ad un vero amianto (come vedemmo già stato indicato dal Nicolis di Robilant) che in alcuni casi è ad- dirittura annidato entro a corrosioni del quarzo: sempre l’amianto fu da me rinvenuto associato al talco ed alla clorite. Epidoto. — Non lo trovai che a Villarfocchiardo nel quarzo delle litoclasi del gneiss normale (non del tormalinifero), sotto forma di minutissimi cristalli prismatici di color giallo-verdognolo della massima lunghezza di mezzo millimetro. Il Barelli (1) men- ziona l’epidoto nello steascisto porfiroideo fra Celle e Frassinere, ma Celle è nella zona delle pietre verdi contigua al gneiss, Fras- sinere poi trovasi nel morenico e le parti di roccia che spuntano dal materiale glaciale sono o micaschisti o calceschisti. Siccome (1) Op. cit. pag. 68. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XXV. SI 424 GIUSEPPE PIOLTI però il gneiss sotto al morenico passa al micaschisto, l’ epidoto potrebbesi fino ad un certo punto considerare come già stato osservato nella zona gneissica. Zoisite. —- La rinvenni sotto forma di piccoli prismetti, di color giallo-violaceo pallido disseminati nel quarzo e nel feldspato del gneiss a Borgone, disposti parallelamente alla schistosità; esaminati al microscopio presentano un forte tricroismo, secondo i colori rosa, verde-pallido, giallo. Pirite. — Poco oltre Villarfocchiardo, sulla sinistra di chi risalga la valle, esiste nel gneiss una lente della così detta calce magra, stata escavata, ossia di un calcare dolomitico a struttura saccaroide. Nei punti di contatto delle due roccie abbondano minutissimi cristalli di pirite, per la maggior parte completa- mente trasformati in limonite. In un cristallo non alterato, del diametro d’un decimillimetro e mezzo, ho potuto riconoscere le faccie d’un pentagono dodecaedro e dell’emiedria a faccie pa- rallele d’un esacisottaedro; quella però è la forma predominante. Inoltre fra gli ammassi di biotite già descritti sono relativamente frequenti cristalli tabulari di pirite, impastati colla mica, in gran parte alterati, del diametro massimo di millimetri 0,8 e minimo di millimetri 0,225. Predominano in essi le faccie dell’esaedro, secondo le quali si trovano schiacciati in un senso; poi vi si in- contrano sempre quelle dell’ottaedro e spesso quelle d’un pen- tagonododecaedro. Talco. — Trovasi quasi dappertutto dove havvi la bissolite e la clorite, come pure nelle geodi di cristalli di quarzo, sempre sotto forma di piccole laminette splendentissime, a preferenza però dove la bissolite passa ad amianto. Calcopirite. — Non la trovai che a Borgone, in alto sulla montagna, molto limitata, in granuli microscopici, che per alte- razione comunicano alla mica circostante il colore verde della malachite, colore che mi svelò la presenza del minerale di cui discorro. Dal Barelli (1) è citata una miniera di calcopirite sopra Mocchie, ma essa è fuori della zona gneissica. (1) Op. cit. pag. 68, 1 MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 425 Magnetite. — Incontransene a Borgone, fra la clorite ac- compagnante il quarzo delle geodi, perfettissimi ottaedri del dia- metro massimo di millimetri 0,2 e minimo di millimetri 0,05, come pure dove la clorite è associata all'amianto, ma in tal caso profondamente corrosi, mantenendo tuttavia il colore e lo splen- dore del minerale non decomposto. Psilomelano. — A Sant'Antonino nel quarzo compatto, a Borgone ed a Villarfocchiardo nelle geodi, rinviensi una polvere di color caffè scuro che alla perla dà le reazioni caratteristiche del manganese. La troppo scarsa quantità di materiale non mi permise di ricorrere all’ analisi onde decidere con sicurezza di qual ossido di manganese si tratti. Al microscopio offre l’aspetto d’un minerale decomposto; coll’ acido solforico ‘concentrato si scioglie completamente colorando la soluzione in roseo e quella mantenendosi limpida; uu pizzico posto sopra un piccolo sostegno di platino ed introdotto nel margine della fiamma d’un becco di Bunsen, colora quella in violaceo. E quindi parmi di poter conchiudere che si tratti d’un psilomelano potassico, poichè se il medesimo fosse baritico l'aggiunta dell’ acido solforico avrebbe dato luogo ad un intorbidamento nel liquido, per la formazione d’un precipitato insolubile di solfato di bario. Axinite. — Il Jervis (1) la menziona a Borgone entro 2 gneiss, però rarissima: io la trovai impastata coll’ortosio oltre che nella medesima località, a S. Antonino ed a Vayes, in pic- cole laminette fragilissime, nel gneiss. Questi aggregati presentano vani che dovevano essere riempiti da cristalli della stessa so- stanza, perchè sopra qualcuna delle pareti scorgonsi finissime striature che sono come la negativa di quelle appartenenti ai cristalli che alle dette pareti s’ appoggiavano. Ha un colore leggiermente violaceo, è splendentissima e su qualche faccia ve- donsi le note strie parallele all’intersezione del pinakoide O col (012); dà nettamente la reazione del boro. Pel modo con cui i cristalli sono incastrati, non ho potuto riconoscere che le faccie di due pinakoidi adiacenti (011) e {111} (secondo l’orientazione del Miller). (1) Op. cit. pag. D4. 426 GIUSEPPE PIOLTI In alcuni trattati, come ad es.: nel Phillips (1), nel Dana (2) e nel Naumann (3) trovo indicata pel minerale di cui discorro una reazione che assolutamente non ho potuto verificare, non solo col mio materiale, ma nemmeno coll’axinite tipica di Bourg d’ Oisans, cioè che colla perla al borace od al sal di fosforo’ quella diventi di color viola o viola-azzurro alla fiamma ossi- dante. La tinta che ve risulta è invece un caffè tendente al rosso, derivante dalla miscela del giallo di ferro col viola del manga- nese ; è tuttavia possibile che qualche varietà poverissima in ferro e molto ricca in manganese dia la colorazione suddetta, ma non può trattarsi d'una reazione generale caratteristica del minerale. È il caso qui di alcune reazioni indicate nei manuali come ca- ratteristiche, ripetute da un libro all’altro, e che persistono mal- grado la loro inesattezza, perchè nessuno si diede mai la pena di verificarle. Calcite. — Non la rinvenni che una sola volta a Borgone in una litoclasi, associata a clorite, sotto forma di esilissime la- melle esagonali analoghe a quelle descritte dal prof. Spezia (4). nel gneiss di Beura, bianche o leggiermente giallognole. Esse hanno l'aspetto d’esagoni allungati e sono attraversate da una serie di finissime striature dovute alla sovrapposizione di lamelle parallele alla faccia del pinakoide, poichè isolate si mantengono perfetta- mente isotrope fra i prismi incrociati; contengono grossi inclusi di cristalli di pirite. È probabile che questo minerale deva la sua origine ad acqua carica di bicarbonato calcico infiltratasi in una litoclasi del gneiss. Menaccanite. — A Villarfocchiardo, in alcune geodi di quarzo se ne incontrano piccole lamelle esagonali, di color marrone scuro per trasparenza, penetranti anche nell'interno di quello. Jl non essere magnetica ed il suo modo di comportarsi col sal di fo- sforo m’inducono a stabilire che trattasi d’una varietà molto titanifera. i 1 (1) An elementary introduction to Mineralogy. London, 1852 p. 349. (2) A system of Mineralogy. Descriptive Mineralogy. Fifth Edition. London, 1875, p. 298. (3) Elemente der Mineralogie. Zwòlfte Aufiage. Leipzig, 1885, pe 599. (4) Cenni geognostici e mineralogici sul gneiss di Beura. Atti della R Accad. delle Scienze di ‘Torino, vol. XVII, adunanza del 14 maggio 1882. i MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 427 Fluorite. — La rinvenni solo a Borgone in piccoli aggregati nella calcite; è bianca o quasi incolora: rotta manifesta netta- mente la caratteristica sfaldatura ottaedrica; vi si trovano in- clusioni di calcite. Rutilo. — Lo trovai molto di rado a Borgone sotto forma di finissimi aghetti di color giallo-miele, disseminati fra la biotite. Galena. — Trovata una sola volta nella stessa località in piccoli cubottaedri impastati nell’ortosio, del diametro di milli- metri 0,4, con grandissima predominanza delle faccie dell’esaedro. Anatasio. — A Borgone ed a Villarfocchiardo presentasi impiantato in microscopici vani sul quarzo corroso oppure fram- misto alla clorite, è perfettamente riconoscibile l’ottaedro {111} colle sue caratteristiche striature ed è anche nettamente visibile il pi- nakoide (001). Questi cristallini, il cui diametro massimo (in lunghezza) è di millimetri 0,425, rotti lasciano scorgere per tra- sparenza un colore verde-spinacci. Brookite. — Coll’ aiuto del prof. Spezia riconobbi la pre - senza di questo minerale, raro per l’Italia, sul quarzo, a Villar- focchiardo, sotto forma di minutissimi cristalli del diametro mas- simo di millimetri 0,4, presentanti un grande sviluppo del pina- ‘koide (100) (secondo l'orientazione adottata ora generalmente ) risultandone individui tabulari: per trasparenza hanno una colo- razione verdognola; la forma e le reazioni chimiche escludono che si tratti d’un altro minerale. Da quanto mi consta è questa solo la seconda volta che viene menzionato questo minerale in Italia, per la prima essendo stato riconosciuto dallo Struever (1) nel gneiss di Beura. Grafite. — Ne rinvenni microscopici granuli a Borgone in un ammasso di biotite d'una forte piega d’uno strato di gneiss ; se è nuova per la località, non lo è certamente per la zona gneissica, poichè è nota da lungo tempo nel gneiss del Mala- naggio che fa parte dell’elissoide gneissica cui appartengono le (1) Sulla brookite di Beura nell’Ossola. Atti della R. Accademia dei Lincei Rendiconti, vol. VI, fase. 3, seduta del 2 febbraio 1890, p. 77. 428 GIUSEPPE PIOLTI cave di Borgone ed il Barelli (1) cita la grafite a Porte, Vil- larperosa, S. Germano Perosa, Mentoulles, Bricherasio, Cavour, tutte località appartenenti all’elissoide Riparia-Macra ed anzi in alcune di esse era un tempo utilizzata per la confezione di cro- giuoli; qualche cava è ancora coltivata oggidì (2). Cianite. — Ne trovai poche laminette di color azzurro-ver- dognolo, appiccicate ad un cristallo di quarzo, a Villarfocchiardo ; col nitrato di cobalto danno la caratteristica reazione dell’ al- lumina; sono infusibili. Questa giacitura è abbastanza notevole, poichè la cianite in generale trovasi nelle roccie schistose sul quarzo compatto, ma non su cristalli di geodi. Appendice. Per due minerali o meglio per una pseudomorfosi ed un minerale non posso indicare la località precisa, benchè apparten- gano alla zona da me esaminata ed anzi il minerale seguente sia già stato indicato, come vedemmo, dal Nicolis di Robilant. Sovero di monte. — Nel 1883, in una delle tante mie gite a Borgone e dintorni osservai a Villarfocchiardo in un muro di cinta un grosso pezzo di sovero di monte sporgente alquanto fuori dalle pietre contigue. Pregai il proprietario di darmi qualche no- tizia al riguardo ed egli mi rispose saperne nulla, ma che cer- tamente quel muro era stato costrutto con materiali presi sul luogo: lo invitai a staccare il pezzo in questione e di portarlo a Torino al Museo di Mineralogia dell’ Università dove glielo . avrebbero comperato e dove è ora in mostra. E così risuscitò dopo 97 anni il suber montanum del Nicolis di Robilant! Ematite pseudomorfa di dolomite. — Da Borgone salendo verso la borgata di Roccabruna trovai un aggregato d’ ematite impastata col quarzo ed una sostanza terrosa bianca, in un masso di gneiss; fra quella si riesce ancora a riconoscere qualche fram- mento di cristalli di dolomite, e si scorgono inoltre romboedri (1) Op. cit. p. 47, 53, 63. (2) JERVIS, op. cit. p. 46 I MINERALI DEL GNEISS DI BORGONE 429 di un color marrone scuro che, rotti, presentano nell'interno una frattura scagliosa dovuta a lamine di ematite ben evidenti. Den- tro a tali romboedri si vede una specie di graticcio prodotto dalla intersezione delle varie lamine d’ematite disposte paralle- lamente alle faccie del romboedro; alcuni dei vani che ne risul- tano sono completamente riempiti da limonite. L’ angolo delle faccie dei romboedri corrisponde a quello del romboedro (100) della dolomite; di più le lamelle suindicate essendo parallele a quelle faccie potrebbero rappresentare le fessure di sfaldatura secondo le quali avvenne più facilmente la pseudomorfosi; per cui trat- tasi senza dubbio di ematite pseudomorfa di dolomite, specie di pseudomorfosi già descritta da lungo tempo dal Blum (1). In alcuni dei romboedri è ben nettamente visibile la faccia del pinakoide. Da questi modesti cenni descrittivi risulta come il mio la- voro siasi unicamente ristretto all’osservare e se a taluno potrà per avventura ciò parer troppo poco, risponderò coll’aurea sen- tenza del Ribot (2) che dans le domaine de la nature et de l’expérience le travail de l'homme ne se depense jamais en vain. (1) Dritter Nachtrag su den Pseudomorphosen des Mineralreichs, Erlan- gen, 1863, p. 241. (2) Giornale citato, p. 454. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. n tai F ina qauim SOA vot'{{on O x io: 104 98 i ” 9% troni. 4a ario ; soi cine bivannat £ ‘ 4 testa ti, Ii. BI! }»7. li SIDOORIADE da Ù vr de lat i ai * BUI: ib sfoisos A NE: tra s. : i a 1° ‘ DI arti sat a I LIOROTI CERTI É i } ATILA b: Be gta ne > Ì 3} pur, Losi JM a0 SrVeL “UU aee? LI) oiddi (A i C pd fi? è 3 | ra svinesd, REA i ] ) 1 i DI hood MOT . 3) ù GE ADUNANZA del 27 Aprile 180. Seone — Un nuovo campo di ricerche prio: 5 co E Sia 1888, 1889, 4890 all'Osservatorio di Torino SE DA È Piotn - _ I minerali del gneiss di i Borgone {Val di Susa). Fan” Torino — — To eterna ATEI DELLA RR. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI | © DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUB CLASSI Voi. XXV, Disp. 13°, 1889-90 —_—__— 29 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO — CARLO CLAUSEN Libraio della R, Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell'11 Maggio 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Bruno, D'OvipIo, Mosso, SPEZIA, GI- BELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Il Socio Cossa, Direttore della Classe, ed il Socio Nac- CARI, fanno scusare la loro assenza, motivata da ragioni di salute, rispettivamente per mezzo del Presidente e del Socio Basso, Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Socio Basso offre in dono all'Accademia, da parte dell’au- tore Prof. Francesco DENZA, sei opuscoli versanti su varii argo- menti di meteorologia e di fisica terrestre. Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo che segue: « Sopra alcune proprietà delle funzioni che dipendono da altre funzioni e da linee »; lavoro della signora Cornelia FaBRI di Pisa, presentato dal Socio SEGRE. « Sulla stella variabile U. Orionis (Chandler 2100) » : Nota del Dott. Francesco Porro, incaricato dalla Direzione del- l'Osservatorio della R. Università di Torino, presentata dal Socio Basso a nome del Socio NACCARI. Atti della R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. XXV. 32 432 CORNRLIA FABRI LETTURE Sopra alcune proprietà generali delle funzioni che dipendono da altre funzioni e da linee ; Nota di CornELIA FABRI $ 1. Il Prof. Volterra in una serie di note (*) inserite negli Att; della R. Accademia dei Lincei ha preso a studiare le funzioni che dipendono da tutti i valori di una funzione di variabili reali. Io mi propongo con questa nota di mostrare che si possono senza difficoltà estendere e generalizzare le suindicate ricerche. Comincierò dall’indicare le formole che danno la variazione e la espressione in serie di Taylor delle funzioni che dipendono da tutti i valori di diverse funzioni di più variabili indipendenti, ampliando e generalizzando così quelle analoghe trovate dal pro- fessore Volterra. Per la definizione delle funzioni in parola, per la loro continuità, ed ancora per ciò che deve intendersi qui per derivata, mi riporto alle sopraindicate note. Se y è un elemento che dipende dai valori di una funzione © (2; %,...%,) di n variabili indipendenti definita nel campo C; mantenendo condizioni identiche a quelle che trovansi nelle note citate si giunge facilmente a dimostrare che: ti dI infila atte cel e=o0 € ec0 € de =| d (4,0 te 6,1) y'|[0 (2, da En) t0) sw 609] | d ds di. Cc La funzione y |[9 (,...&,) t,0%...t,1]| che comparisce nella for- mola precedente si ottiene nel seguente modo. Sia $, (2, ..-@,) una funzione continua e diversa da zero solo nella parte C, del campo Ce 1,9... 5 le coordinate di un punto P del campo C,, avremo: | (*) Sopra le funzioni che dipendono da altre funzioni. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol, III, fasc. 4, 6, 7. SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 433 yo (@-%) 6 4]= =lim SLI LT fo si d, (7 n) dp dn Sottoponendo la y a "odisioni analoghe a quelle imposte alla y otterremo : 2 cat È (10 E. pr j dr (6) y [[p, (01) da (22) t,]| dt, LI cb in cui la funzione y, |[9, (2,) -.-@,(4,),t]| è ottenuta nella ma- niera seguente. Sia 4,(x,) una funzione continua e diversa da zero solo nell'intervallo 4, 8, =, contenuto nell'intervallo a, d,; 1 1 1 Ur [g, (2,) ga (2a) tr.]| rappresenta il MI pr y[2,(2,),..-0,(2,) +54 (1,), 0, (2a) ]—y|[or(e) +. 02 (22)]| EIN VAI, i tra f: d,.(x,) dx e t, è l'indice di un punto situato nell’ intervallo dn dr, SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 435 Analoghe espressioni si ottengono per le d° y d°y d’”"y del de er sottoponendo successivamente le / UL dee (de a) a condizioni identiche a quelle che sono state poste per la y, laonde considerando la y | CA (e) + ed, (2); + pn (£0) +64 (2,)]| come funzione di e potremo applicare ad essa la formola del Uli > - Y ; Taylor, ed anche la serie, se lim Gara ed ottenere in tal de m_ x modo una espressione analoga alla precedente. Qui pure può dimostrarsi che le y, %, ..... non mutano in- vertendo l'ordine dei punti in cui sono calcolate. È superfluo osservare che formole e sviluppi consimili si ottengono per «n elemento che dipende da tutti i valori di n funzioni ciascuna di più variabili indipendenti. $ 2. Queste formole generali conducono direttamente a con- siderare le funzioni di linee, di superfici e di iperspazi qualunque. Siano Mu. a=€ (S) y=y (8) &=£ (8) le equazioni che definiscono una linea chiusa L dello spazio. Se @ è una funzione di L, essa sarà un elemento che dipenderà da tutti i valori delle (1) ed in particolare la sua variazione potrà ‘essere espressa da dg|[L]1=f(0.d0+9,dy+ 2.39 ds L in cuì s rappresenta l’arco della linea Z, e denotando con e, ff, 7, ì cosenì che la tangente alla linea Z nel punto s, ove sono cal- colate le derivate g', <', g'., fa rispettivamente cogli assi delle x, Y, #, la relazione che le collega è la seguente Ù 2. Ù PMR 1 Pr +P,P,t N90 ’ 436 CORNELIA FABRI quindi può sempre porsi: (*) \ gi=yB-f,C (2). | | g,=a,C-y4 g,=f, A— a B con A, B, C funzioni di linee. Non sarà fuor di luogo osservare che le g', &', 0°, dipendono, oltre che dalla linea ZL, anche dal punto s, di questa linea in cui sono calcolate, perciò sarà: va 95 | [L s1]| PI, == 9, |[L s,]| o, = q, | [L s1] | Quando la funzione ©|[L]| permetta di scegliere le A, B, C funzioni solo delle coordinate del punto s, e @}[Z]] si annulli col- l’impiccolire indefinito di L, si ha: (**) (3)... @|[L] ={(Acos nx 4 Bcosny+ Ccosne) de ove c è una superficie semplicemente connessa che ha per con- torno la linea L, e cos na, cos ny, cos nz denotano i coseni che la normale alla superficie o fa cogli assi coordinati. Queste par- ticolari funzioni sono state denominate funzioni di 1° grado perchè considerate due linee ZL, L, aventi un tratto L comune che debba essere percorso in direzione opposta secondo che si considera ap- partenere all’una od all’altra, si ha: o|[L,+L,]|=9|[Z,]}* @|[Zs]| : Denotiamo con " ” " " " u P rr» Payo Dx: d yes Dyya CAZZI CPT O 2ys (*) VoLtERRA, Sur une géneralisation de la théorie des foncetions d'une va- riable imaginaire. Acta Mathematica, vol. XII, pag. 233. Sopra la funzioni di linee. Accademia dei Lincei, vol. ]II, fase. 40. (**) VOLTERRA, note citate. SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 437 le nove derivate seconde della funzione @![L]| cioè le derivate prime di g', dr, o', calcolate nel punto s, della linea L, ove la tangente ha per coseni di direzione «, di %,; e denotiamo al- tresì con / ' / f i > hà Bd d'a. 5 le derivate prime delle funzioni A, B, C calcolate nel punto stesso; per le (2) avremo: da) , / VOR La , r Le 01) / Par VBA, g=NB,_ BC, NB B0. ' LUPI « deste Ul > / i Ù h: / E a C',- YA NA Aaa (0: MOT I LIT! / Ul Ù " era a BO pp pA',- «a B', 0 PA a B', Potremo quindi porre : LÀ 2 3 L59 QI 3 A I dA 64,5 AU Ag fg Asl B'=J2 Bf Bs B',= dB — yy Bs! y O <% Coe — }, (IA, (do — Ug e RA Ca! Vi EE Ba ALII — dg A B', = BB£ — 4, Ba ui 8, Cs i C3° ° Le quantità 3 I 2 3 A, A, Ag Bal, BI), Ria CO (958) ), Co dipenderanno dalla linea ZL e dalle coordinate dei punti s, s per cuì sarà: Ag=M;|[Ls so]: A$9=30|[L5;52]} 40=M}[L5150] A, I Es 9 Ju i sssle pd, NIPZERSA] B,,)=N,||Ls, soll; B,®= N,|[2 5,80]; Bo0= NM |[Ls, 53] MOI Esc]; BM = Ls sl B,,°= N,|[Lsy5,] Co —P.|[Ls,so]: Co © — Pi{Ls;sdl: C,)= P.|[Ls55]| Cl 0= P.|[L s,5,]]; C,©=2;|[L505,]]: 00=P[Lss8,] 438 CORNELIA FABRI Avremo adunque AIRES A” (2) _ (I) ra (2 2 (3) [Ra JoBo V Po Bro BiYo Cie) +? Po Cho Lt 3 1 3 Pi I Py 91% Be — Wta Bo! — B 0, C+ BOSE pin Ba NB Ba 004 ito Got af Calisagite di Tita Po dali d ya j " 3 5 î a, A (4) / O ,y-%,% Si 0 Ga do Due +Y Ye 2h, ©' pa = ty Po Os 2g Ci -— 1 Bo A+ 5A ph ‘Pra CI POSSE LB Ana te Bo o apx Ara + Bota Ae" — 2% B, +44 BO) PIRA da —{,% A af. Bir 4, Za Di LT ed evidentemente le nove derivate seconde della funzione @|[L] dipenderanno, oltre che dalla linea L, anche dai punti sj; ss di questa linea nei quali esse sono calcolate. Poniamo per condizione che le nove quantità A, AO AO SB BI Bi CO siano funzioni esclusivamente delle coordinate dei punti s, s,. Per la proprietà che hanno tutte le derivate di una funzione di linee di non mutare invertendo l'ordine dei punti in cui sono calcolate dovremo avere: (1) — (1) (e (2) 1) 3 Ap =Ag Be =Ag Cz Ag 0 - t) (a) (2) PE 3 Ag = Bai Be =Ba" C,35) = Bal! SARO; (3) — (2) (3) — 3 Ag = Co By = Co 0 = 0. Poniamo : pi AMSA BA pa A 0 tap I 2 1) = (2 2 3 Pa yi 4 5,0 DIS eli ; Pi, 3 ZIO Gi =b, pe FA (9) ea (1) ue (S) e 2 ; da g)_= a Pro pr Ca, Py = Bo Cat Pi Ch pa 0, | supponendo che le p non mutino permutandone gli indici, «;, Yis #; e denotiamo con c una superficie che abbia per contorno SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 439 la linea L; per la (3) avremo, ammettendo che ABC sì an- nullino per L=0, di | (P,7, 008% +-Px,5,005N3Y + Pr, 2,005 Ng 2)do o 54= fo, x, €08 UP + Pr. COS 72, Y +Dy :, COS Ng 2) de o bW= | (P:,2,008N3X + D., 5, COSNIY+- Ps 2, C05Ng 2)de o in cui cosn,%, cos 2,Y, cos n, denotano i coseni di direzione della normale a 7. Mantenendo fisso il punto s, passiamo dalla linea ZL ad una linea chiusa L, ad essa infinitamente vicina; se indichiamo con S una superficie condotta per queste due linee e con cos, x cosn,y cosn,zi coseni di direzione della sua nor- male, avremo: (5) e|[L]l—@ [Z,]}= (cos 2+8 cos niy+ Ccosn, 2) dX; x sostituendo alle ABC i valori precedenti e passando al limite per L,=0 supponendo che per L=0 sia @|[L]|=0 si ottiene: Px,x3 005%, £ COS N LT Pa, y3 08 N X COSN YA + Pa, :, 008,7 C08N, 2 + 6) e[Z] si :ff + P,,x3 008, YCOSNL 4 P,, 7, €05, Y COS N Y+ c'e +P,,:, 008, Y COS, 2 + do ds. + P;, 2,008 # 2 COS NC + Di, y3 COS N COS Ng Y+ Z41Y2 + P:,-,005 2, 2008 Ng 2 . Se la superficie c è chiusa dovrà risultare | (Pr, 2,008 MLT PD, y, 008 NY +-Px, 1,008, 2)de= dp. n) Ò C Pars 1 Parnag TAR P n 440 CORNELIÀ FABRI J (D,, x, 005% + Py, y300893Y +.D,,:, 008,2) do= o Ò h) dp, . [| dat 4 aa 4 Pyis ds=90, Lo D) $ h) Ya CA {pa COS C+ p., ,,005%,Y+ PD, 2, 6082) do = o J Ss Persa | OParya Pars USD Ò x, Ò Yg dz, essendo ,S lo spazio racchiuso entro ©, quindi: 0 Pr, s3 Opi: Op 152 di aa E £ 15 — () dz, na dY, i ZA (7) Cie dl: Pres Pun Pao 0%, 0 Y, ZA Ò p, dp. 0p, : Re I) 51 9a 31 392 2a) d%, da 0Y, 1 d 2, e mutando s, in s, OPasn | Pan Pra _() da, dY, dz; (2 { Pron j Pran Pa 0 dx, dY, 02; Late A ra — 0 Xi dY, dz, È molto facile riconoscere che se nélla formola (6) le inte- grazioni si estendono a due superficie 7, 7, differenti, invece che due volte alla stessa superficie 7, il valore dell’integrale doppio resterà dipendente solo dalle linee ZL, L, che costituiscono il con- torno delle superficie suddette. Infatti denotiamo per brevità con f,}p{ la quantità che si trova sotto l'integrale doppio nella sud- detta formola (6) e con 9’, 7, due superficie distinte da c, c, aventi rispettivamente per contorno le linee L, L,. Se porremo : ie be oot+to=t%t: 54 og = SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 441 le X, £, risulteranno superficie chiuse e quindi avremo : | dig a IS] Rs SI a gif apifoepa) slemzathà fil atper 140,= | n f.|p{ dr de=J{f}2{024%- 7, Za 7 Tg 94 dg Ig _ {k.|p{aa,dot=- | VATACLAEZE f(f|o| da da= f {{}p(d2,dn= Jh}{d2doy- G, 59 ; c Z,-% % È, 72 -S{al tr,aat=-f {f}pliave : dd jade | ag, da,={ {£ PI dodo, , 9, 0. ossia ciò che dimostra la proposizione enunciata. Possiamo quindi porre f ff.jo|do,d2,=4 [1 La] 5 Gi Ta ed è pur facile vedere che questa funzione è di 1° grado tanto in L, quanto in L,, che si annulla per L, od L, uguali a zero e che coincide con @|[L]] per L, uguale ad L,. Da ciò segue che se L, ed L, sono due linee aventi un tratto L comune che debba essere percorso in senso opposto secondo che si suppone appartenere all’una od all'altra, denotando con o, e 9, due superfici limitate rispettivamente dalle linee L, ed L, avremo: g|L,+£,]}=:f ff}! do, de,=1{{f.|p}d0,d2,+ Gitto Ct %a ca 7 A) | f\p{d0,do,+ ad pi do,do,= Siitoa Ga Ta =9 [L,]] +2 912, L:]|+9|[2a]]. 449 CORNELIA FABRI Reciprocamente se si ha 0=%4|[ZL]|, essendo VL,; Le] una funzione di primo grado in L,e'L, la 9|[Z]| sarà espri- mibile mediante un integrale esteso due volte ad una superficie — che ha per contorno la linea L perfettamente analogo all’in- tegrale (0). Infatti le proprietà della 4|[Z,L,]| consentono che venga espressa nel seguente modo ; to IZ, L:]l=/(4, COS #, & + Bb, le de C, FESTA 2) da, ia, ta 1 = J (A, cos n, x + Bb, cos n, y + C, cos n 2) dc, . 0 Quindi dovrà essere: A, al cosne+ A, cos ny +A,"cosn,2) do, ; c. 2 / ' ! 4,=/(4, cosn, + B, cos 7, Y + C, cos n; 2)dc, 7 PI A =((B,'cos n3£+B, cosnay+ B," cosn, 2) do, ; Gg " ”" Ud 5,4; eos n,x+ B, cosny+ C, cos n, 2) da, ; 7 C, ={(0/cos n,x + C, cosn,y+C,"cos n, e) do, ; a Cy= { (4, "cos ne + B,° cosn,jy +0," cosn; e) de, Ta dalle quali si deduce v|[Z, Z,]|= 1 A, cos, #cos nyc + A,"cosn, cos NY +4, cosn, 2 cosn,e Ì f w ur = ‘+B, cosn,ycosn, zx +B, cos, ycosnyy +5, cosn,ycosnsz ide, d +0, cos n, 208,1 + C, "cos n, 208, + C,“cosn,z cosn,e ma dI[LL]|=e][Z].; SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 4453 quindi g|[L]}= | A; cosn, ccosny x + A," cosn, 2 08 n3Y + A," cosn, 4 c08 n, 2 + B,' cos n, y cos n, 7 + B,' cosn, y cosny + B,!" cos n, y cos n, 2 | do do U | + C'cosn, 2 cos na + C;" cosn, 2 cosnyy + 0" cos n, 2 008 n, 2} Denotando con 2, y;, le coordinate del punto di 7, la cui normale è n, e con 37222 quelle del punto la cui normale è n, avremo che i coefficienti LU II I U/ " (2 ' n "I n n Di; Bw, Pio ) E) CEI", saranno funzioni di %,,%;; 2, © %2» Ya, #2- Mutando nell’ inte- grale precedente «,; Y,; 2, iN %2, Ya, #2 il suo valore non cambia. Prendendo la media di queste due espressioni di g|[L]| si trova @|[L]] espresso sotto la forma (7). Per questa proprietà denomineremo funzioni di 2° grado quelle ora considerate; la quale denominazione ci sembra ancor più giustificata, perchè a questa categoria appartengono sempre le 2° potenze delle funzioni che si sono chiamate di 1° grado. S 3. I risultati fin qui ottenuti non sono che un caso par- ticolare di altri più generali che ora mi propongo di esporre. Con una derivazione eseguita sulle (2) abbiamo ottenuto le (4) e da esse derivando nuovamente possiamo ottenere le 3° de- rivate terze della funzione ©|[L]| espresse mediante le derivate delle funzioni ( 3 [ 2 5 I \ 3 (8). ° As È o A n Bo , Br 5 Bo 008 I, CA n Cho che si trovano nei secondi membri delle (4) suddette. Se ora osserviamo che alle derivate delle (8) sono applicabili le (2), otteremo evidentemente le 3? derivate terze della 0|[L]| calco- late nei punti s,,5,,5, della linea L espresse mediante i coseni di direzione delle tangenti alla linea L nei punti s,,53;83 € 9° funzioni di L e delle coordinate dei punti suddetti. Analogamente partendo dalle’ formole così stabilite per le derivate terze potremo ottenere le 3! derivate quarte della funzione ©|| L]| calcolate nei punti s,; S3; 8 s, della linea L, espresse mediante i coseni di direzioni delle tangenti alla linea L nei punti s,,53,53:54 © 34 444 CORNELIA FABRI funzioni di L e delle coordinate di questi punti. In generale le derivate n°” della @|[LZ]| calcolate nel punti 8153. + + S, della linea L potranno esprimersi mediante i coseni di direzione delle tangenti alla linea L nei punti s,, s,... s, e 3” funzioni di L e i delle coordinate dei punti 5,,s,... s,. Supponendo che queste | funzioni risultino indipendenti dalla linea LZ, vale a dire siano | solo funzioni delle coordinate dei punti S]1 59: » + Sn: @llora esse possono tutte indicarsi con espressioni analoghe alla seguente: Py x Y Y 3 z OA e ini dA uando x,...%, 1 Sdf 58 q di Di YA, Ya, Lu gruppi di » elementi che possono formarsi colle 3 quantità . é, denoti uno qualsiasi dei n Ly 4 Caf DI YE La colla sola condizione che elementi x,y, di eguale indice non figurino nello stesso gruppo, ed in oltre pongasi la condizione che le funzioni stesse non mutino valore permutando comunque si 700, Adi di. i, CE gl 101, Li Cratblizea Sp Figi In questo caso può dimostrarsi che la funzione ©|[L]| viene espressa mediante un integrale esteso n volte ad una superficie e che ha per contorno la linea L nel seguente modo: SR Ca 1 | g[L]|= e, x (9) / r h n 0 )) ; È ca ] bi Da) zi i CARO), .] | cos ni, % | | cosnyg] | C08N7E I . 14 DA A 5 GC I r+i h+1 Abbiamo già veduto che questa proprietà sussiste per x uguale ad uno od uguale a due, basterà dunque supporre vera la (9) per le funzioni di linee le di cui derivate n°, calcolate nei punti s,;s3...s, della linea Z dipendono nel modo sopra in- dicato dai coseni di direzione delle tangenti nei punti 8; So och della linea L e da 3” funzioni delle coordinate di questi n punti e dimostrare che la formola analoga si ha per quelle funzioni 9|[L]| che hanno le derivate (n+1) esprimibili in modo simile per 3"*' funzioni delle coordinate degli (n-+1) punti in cui sono calcolate. Per dimostrare ciò osserviamo che per la 9|[L]] vale la formola (5) e che, per le ipotesi fatte, le A, B,C sono esprimibili mediante la (9) ossia per un integrale SOPRA ALCUNE PROPRIETÀ GENERALI ECC. 445 esteso 1 volte alla superficie 7, laonde sostituendo nella (5) alle A, B,C queste loro espressioni e passando al limite per È = ofonendo che per L=0 sia @|{L] vu 0, risulta immediatamente, dei I Pr ses TL sese 5 sis il > COSE REI ARI AA A i cos 78, Y cos n, è dr...da LO Per n=2 abbiamo ottenuto lo equazioni differenziali (7 (I )e(7). Un sistema analogo si ottiene partendo dalle funzioni più generali che ora consideriamo. Supponendo che per le funzioni esprimibili mediante un integrale esteso » volte alla superficie o si abbiamo le n3"7' equazioni differenziali che risultano dalla p LUCI GM A sasso 5 .1005 + LE TIENE Ai sere V È ni se00 3 + SI, l SARA %, [ppstoh [PENA dY; “H RITA “tpIi lh+1 In 0 e? Fonni creo z sez se 3 0 2; sh 3 PESA AP Asi IO. ponendo #—=1,2,...» e considerando 2,... l,él5,e- Uli r e ln-i come una qualsiasi permutazione dei numeri 1,2... w; vedremo che si ottengono equazioni analoghe per le funzioni esprimibili mediante un integrale esteso (n +1) volte alla superficie o. Dalle ipotesi fatte risulta che le tre quantità ABC sono esprimibili mediante la (9), se quindi denotiamo con @,d,c le funzioni p di punti che entrano nella espressione delle suddette 4,5 ,C; queste funzioni a,b, c dovranno soddisfare alle seguenti » 3" equazioni differenziali d a) Sd Sasa ni se y. 3 coso + @ OCA cs00 Y e sesali + i 04; “n do (AT PA “dh ln41 In Ò Yi Ù tntipri tti lh+1 In, E° 0 ai dx se iso z s000 = ’ 0 2, I Ip a %, Zh+1 lix! O nie i te 2 Boi Lr cv A 5 a000 5 i Ò x; ig) BA %, Ih+1 li, 0 Y; î l,. 4 sa usi” %; Uh4+1 In-1 n) e Dr » ses0 3 ,=0 ? 0 2; 14, SII Tap “tasga Lia È 9 ex... srt 5 «222,5 —£ —_ Corali x st ,5 «03 LI “LL Sa ALe Ti galai A dY; 4 E ha n) i C .er z s=0, arco z s000 T P d 2; z eine 446 CORNELIA FABRI le quali si ridurranno a sole 3” se riterremo l’indice 7 come fisso. Denotiamo con p le funzioni di punti per le quali sono ‘espri- mibili le derivate (n +1)? della @|[L]\. Dalla (5) deducendosi e|[L]]= (Acosns + cosny + Ccosna) da dovrà aversi: s Re PERL," 2, (tot ces» TR È sl È x} Ia pe %, ai SURC Di di She PRESE "” %, Di uni 255 GA i. = gii ni CLIMA 53 %, Y; Tesi ere. ST ava "I; REATO sale %, e Liga 3; == e: LA FERITA , "E gps 3; SG SI x, Mg dA LO g/die 1. = b e “i ie “ I, sa "i P - si Dea %, * inrd SL TRSE ia = de, E, SEIorea A vi pid LS e 2? CIA ‘ rt A PRE 2 5; = db i *,, %, vi I, ij Ja da 3; Da - dr. x, ta; ni Zi Fuboti siii in: == fot AA x; riti ”, br derit Siae pi I SLI %, i lp dia PT x pe "In 4 PIPA %, Ni prio Re sima A V,. sigg Py, Py ya»? Py, sy Dy2,° Pe, % D3,%3* Pz, % Prey? , Po e, 7Pe,83° e così di seguito. I resultati che abbiamo fin qui ottenuti non sono esclusiva- mente propri alle funzioni di linee, essi appartengono anche alle funzioni di iperspazii. Infatti partendo dai resultati stabiliti nel $ 1°, si possono ottenere relativamente a queste funzioni delle proposizioni ana- loghe a quelle che abbiamo trovate per le funzioni di linee. Non starò a sviluppare qui questa ricerca che spero potrà formare il soggetto di un nuovo studio. er 453 Sulla Stella variabile U Orionis (Chandler 2100); Nota di FrancEsco Porro Da alcuni mesi ho intrapreso una serie di osservazioni sulle stelle variabili, singolarmente contrastata dal tempo sfavorevole e dalle condizioni dell’Osservatorio di Torino, dove la luce elet- trica delle vie circostanti produce permanente gravissimo disturbo alla visione degli oggetti di debole intensità luminosa, ed alla valutazione esatta di piccole differenze di splendore. Come primo saggio di tali tentativi presento in questa Nota i risultati dei confronti di U Orionis colle stelle vicine, fatti coll’aiuto di un refrattore di Fraunhofer e di un cercatore del medesimo insigne artefice, aventi rispettivamente le aperture di 117 e di 97 mil- limetri, portati entrambi da un rozzo piede equatoriale di legno. Al primo di questi due strumenti applicai costantemente un ocu- lare a doppio anello, coll’ingrandimento di 46, all’altro un oculare di 14. I confronti furono fatti assai raramente col metodo di Ar- gelander, nel fondato timore che io non avessi ancora formato un abito certo di stimare le piccole differenze, e quindi che le mie gradazioni (Stufen) non fossero costanti. D'altra parte la possibilità di adoperare per questa stella una scala fotometrica di riconosciuta esattezza, mi indusse a valutare la grandezza della stella in parti dell'intervallo (generalmente assai piccolo) fra due stelle una minore, l’altra maggiore di essa, desumendo tale in- tervallo dall’Harvard Photometry. Ritenni poi come valor nor- male di una mia gradazione la media delle frazioni di grandezza da me così stimate, e di tale valore mi servii per calcolare le poche osservazioni basate sopra una sola stella di comparazione. 454 FRANCESCO PORRO Delle stelle da me adoperate, due figurano nel Catalogo Foto- metrico di Pickering (1), dove portano i numeri 1081 e 1090; di due altre fu determinato a Cambridge lo splendore, mediante misure identiche a quelle che hanno servito di base alla forma- zione del Catalogo, e quindi possono senz’altro esse pure consi- derarsi come determinate rigorosamente nella scala di Harvard College (2). Una quinta stella fu misurata a Potsdam dal signor Miiller, con un fotometro di Zòllner (3): e poichè sopra una delle precedenti questo astronomo trovò risultati quasi coincidenti con quelli di Pickering, non ebbi ad applicare alla grandezza fornita da lui che la correzione minima —0",03, per ridurla alla scala di Harvard. Le quattro stelle misurate a Cambridge ed una quinta (%, Orionis) che si trova nella medesima regione del cielo e che figura nel Catalogo, mi hanno fornito cinque differenze Harvard Photo- metry-Durchmusterung, la media delle quali — 0",32 applicai alle grandezze date a Bonn, per ridurre ad Harvard anche le stelle per le quali non si avevano a disposizione misure foto- metriche recenti. Con siffatte correzioni empiriche, io credo aver formato la scala di grandezze meno eterogenea che mi fosse pos- sibile, riferendola al sistema più attendibile e più vasto di misure assolute del quale si possa ceggi disporre. Ecco ora le stelle di comparazione, colle lettere mediante cui le ho designate, il loro numero in DM, e la grandezza nella scala di H P. Giova notare, a chiarir meglio la nomenclatura, che alcuni autori chiamano %, Orionis la stella c (57 Flamsteed), seguendo i cataloghi di Greenwich: invece Auwers-Bradley, Pickering, Pritchard (4) e parecchi altri chiamano %, la 62 Flamsteed, che i primi designano con %,, indicando con %, la 64, che precede quest’ultima di circa, mezzo secondo. In Piazzi, primo catalogo (l’Osservatorio di Torino non possiede copia del secondo), i nomi 4, e %, sono attribuiti rispettivamente alla 62 ed alla 64. (1) Annals of the Astronomical Observatory of Harvard College. Vol. XIV Part I. (2) Astronomische Nachrichten, n. 2728. (3) Astronomische Nachrichten n. 2754. (4) Uranometria Oxoniensis, SULLA STELLA VARIABILE U. ORIONIS 455 Grandezz: i * Durchmus:erang mio spinta a 1855,0 ò 1855,0 DM HP a | + 20° 1168 8,6 812850 5hie460 74h «El20®2 6! b| +20 1171 8,2 7380, | Bo47r Or |a-den20, 26 + 19 1126 | 6, 5,85 | 5 46 22 | +19 44 MM :L9 1L10. |. 6, 6,08 43 49 + 19 49 + 20 1156 | 7,2 | 6,57 | 5 44 42 + 20 16 f|\ +20 1172 9,2 8,89 | 5 47 15 +20 5 +20 1150 9,1 8,78 +20 23 h| +19 1113 | 7,5 1,07 43 56 | + 19 23 Ur (no SS Ul uv FS n 1 DO (3) In questo quadro salta subito all’occhio una notevole diffe- renza fra i risultati di Bonn e quelli di Cambridge relativi alle due stelle c e d4, collocate così opportunamente da prestarsi con tutta facilità a confronti fra le grandezze rispettive. Mi è sembrato conveniente eseguire tali confronti ogni volta che io osservassi U Orionis, ed il risultato che ne ottenni mi dà fondata ragione di sospettare che una di queste stelle (probabilmente la seconda) sia variabile entro ristretti limiti, certo non superiori a mezza gran- dezza. Ebbi ec notevolmente superiore a d nelle sere del 21 Dicembre 1889, 13 e 21 Gennaio, 24 Febbraio, 26 e 27 Marzo 1890; c alquanto superiore a d il 20 Dicembre, 14 e 20 Gennaio, 9 Febbraio; c uguale a d il 10 Marzo ed il 28 Aprile; d poco maggiore di c il 23 Dicembre, 1°8 Gennaio, il 22 Febbraio, il 28 e 29 Marzo, il 21 Aprile; 4 notevolmente superiore a c il 24 Gennaio, il primo Marzo, il 20 ed il 24 Aprile. Da questi dati poco o punto si può ricavare circa l’am- piezza ed il periodo della variazione di una di queste stelle, mentre par dimostrata almeno l’esistenza di tale variazione, risultante anche da più antiche osservazioni, che tenderebbero a mostrare variabile eziandio la %. A proposito di questa noto che il signor von Rebeur Paschwitz la trova alquanto più brillante di d (1), (1) Astronomische Nachrichten, n. 2704, 456 FRANCESCO PORRO ed il signor Millosevich (1) la stima di grandezza 6, 8, mentre 7, 5 è la grandezza assegnata nella Durchmusterung, 7,70 e 7,85 quelle determinate fotometricamente dal signor Miiller (2). Per queste ragioni reputo importante che la regione circostante alla variabile di Gore sia esaminata attentamente ed a lungo, specialmente per accertare se e come varii lo splendore delle stelle +19° 1110, 1113 e 1126. Nel quadro che segue sono esposte le grandezze di U Orionis, coi nomi delle stelle cui la variabile fu riferita nei singoli con- fronti. La curva che rappresenta questi risultati mostra che il massimo di splendore della variabile ebbe luogo il 29 Gennaio 1890, mentre le Effemeridi di Schònfeld (3), calcolate col periodo di Dunèr (4): Massimo = 1885 Dicembre 15 + 3595, 5 Ep., lo fissavano al 22 Novembre 1889. Le mie osservazioni confer- mano . piuttosto il periodo di Schwab (5), che supera di una a due settimane la durata dell’anno, e danno per valore del massimo: 5,77 Cogli elementi di recente pubblicati da Chandler nel sup- plemento alla prima edizione dell’ottimo suo catalogo di stelle variabili (6): Massimo = 1885 Dicembre 7 +3718 E, si avrebbe per epoca del massimo 1885 Dicembre 30, e quindi una differenza Osservazione-Calcolo = 30 Giorni. Pare dunque che il periodo più probabile, dedotto dal confronto delle osser- vazioni del 1885 con quelle del 1889-90 sia dato dalla formula seguente : Massimo = 1885 Dicembre 74 3788 ) 5 E: (4) Astronomische Nachrichien, n. 2801. (2) Astronomische Nachrichten, n. 2734 e 2768. (3) Vierteljahrschrift der Astronomischen Gesellschaft, 1888. (4) Astronomische Nachrichten, n. 2755. (5) Astronomische Nachrichten, n. 2756. (6) Astronomical Journal, n. 246. SULLA STELLA VARIABILE U ORIONIS 457 Grandezze osservate di U Orionis: Stelle Stelle È | i ue) N N © © DATA di g= DaTA di = fronto| £ fronto È confronto) confronto] & 1889 Novembre 21 | 9, f 8,81 || 1890 Febbraio 9|e, e 6.35 » » SD lb 8, 15 » » 22 | e, h 7,20 » Dicembre 1|b,a 8, 08 » » 24 | e, b 7,39 » » 3|b,@a 8, 00 » Marzo de,ih AIA » » 18 | c, 5 6, 40 » » 10 | db 7, 66 » » 20 | c, d 6,30 » » 26 | b, a 8, 13 » ea» n Salati » » 25 Id, € 6, 30 » » 28 | b, a 8, 18 1890 Gennaio 8|4d,c 6, 20 » » 29 | b, a 8, 18 » » E RC 6,01 » Aprile 13 | a, 8, 40 » » ile, d 6, 20 » » 201.4, f 8, 69 » » 20.| e, d 6, 09 » » 24 {cas f 8, 69 » » eine, d 5, 80 » » dla, 8, 67 » » PA id, e 5, 90 » » 20, f 8, 80 L’Accademico Segretario GiusepPE Basso. È atta da DI tIFRATRAY ALIR DIO el Ad% n hh - tod Ù 0a I , i i * CO ibimiaotazo LA * autor mn - ce ns Ca T - ‘ a ss. 5 LI MESIA SEO LIONE 1 ISEE SG = è n Sa = n o e I A . è oa LP e . . È Ò da î = _ = GL % @ x è b 3 » “ + n Î - È - = x Ù # - PI è ” = Pi r Ùl = . - i. = = n x - Si x lo cuna È ci - - int REL STRA 2 è be | bd - n la * v CO h3 : x ? » al - - = - 0 — — - “ —_ t id i * À ot Co CURVA RAPPRESENTANTE LE VARIAZIONI OSSERVATE NELLO SPLENDORE DI U.ORIONIS Novembre Dicembre 1890 Gemmajo Febbrajo Marzo Aprile 1889 20 30 10 20 0 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA dell’11 Maggio 1890 : ............ Pag. 431 FaBRI — Sopra alcune proprietà generali delle funzioni che dipen- dono da altre funzioni e da linee... ........ Aa Porro — Sulla stella variabile U Orionis (Chandler 2100) . ...,» 453 +—— E —»>—* Torino — Tip. Reale-Paravia. ATTI DELLA _R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Do DI TORINO 1 | DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUB CLASSI Vor. XXV, Disp. 14°, 1889-90 _—__—_ dd (lasse di Scienze Fisiche, Matematiche è Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze — 459 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’ 8 Giugno 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, BRUNO, BFERRUTI, BizzozeRo, FERRARIS, NAccaRI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GracomINI, CAMERANO e Basso Segretario. Il Segretario legge l’atto verbale dell’adunanza precedente che viene approvato. Il Presidente porge al Socio Cossa, anche a nome della Classe, le sue felicitazioni per la ricuperata salute, e si congratula pure con lui per la sua recente nomina a membro del Consiglio Su- periore dell'Istruzione pubblica. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia sono segnalate le seguenti: « Le opere di Galileo GALILEI; edizione nazionale sotto gli auspizi di sua Maestà il Re d’Italia » ; vol. I, presentato dal Presidente come dono del Ministero della Istruzione Pubblica; « Due opere del Socio Straniero Giacomo DANA di New- Haven, delle quali una ha per titolo « Corals and Coral Islands », e l’altra « Characteristics of Volcanoes with contribution af facts and principles from the Hawaiian Islands », presentate dallo stesso Presidente; Due grandi volumi intitolati: « (fuvres de FouRIER publiées, par les soins de M. Gaston DaRBOUX, sous les auspices du Mi- nistère de l’Instruction publique », Paris, 1888-90; presentati “ancora dal Presidente ; Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol, XXV 34 460 LETTURE « Sulla convezione elettrica »; Nota del Socio Corrispon- dente Augusto RIGHI, presentata dal Socio Basso; ; Quattro volumi sulla « Fauna dei vertebrati della Sviz- zera », del Socio Corrispondente Dott. Victor FATIO, presentati dal Socio CAMERANO. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine seguente : « Il Socio Prof. Luigi Bellardi »; Commemorazione letta dal Socio SPEZIA; « Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere 3 »: Nota del Dottore Guido CASTELNUOvo , Assistente alla Cattedra di Algebra e Geometria analitica nella R. Uni- versità di Torino, presentata dal Presidente a nome del Socio D’OviIpIo. « Il permo-carbonifero di Valle Stretta (Alta Valle della Dora Riparia); » Nota geologica del Dottore Francesco VIRGILIO, Assistente al Museo di Geologia della R. Università di Torino, presentata dal Socio SPEZIA; « Studi sulla formazione dell'acido urico nell’organismo », del Dottore Piero Giacosa, Prof. di materia medica nella R. Università di Torino, presentati dal Socio BizzozERo; « Sulla origine della forza elettromotrice nelle coppie idro - elettriche »; Nota del Dott. S. PagLIANI, Prof. di Fisica nel R. Istituto tecnico di Torino, presentata dal Socio NACCARI; « Sulle modificazioni degli epitelii ghiandolari durante le secrezioni »; Osservazioni del Dottore V. GRANDIS, presen- tate dal Socio Mosso. Inoltre il Socio NAccARI presenta per la pubblicazione nei volumi delle Memorie la parte seconda di un lavoro del Prof. Angelo BarTELLI, dell’Università di Cagliari, « Sulle proprietà termiche de’ vapori (Temperatura, pressione e volume critico del solfuro di carbonio e dell’acqua). Vien nominata dal pre- sidente una Commissione incaricata di esaminare questo lavoro, e riferirne poscia alla Classe. Il Socio FERRARIS presenta pure per la pubblicazione nei vo- lumi delle Memorie un lavoro « Sui getti ascendenti », del- l'Ing. Scipione Cappa, Prof. nella R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri in Torino. Il Presidente incarica pure una Commissione di esaminare questo lavoro per riferirne in seguito alla Classe. Infine il Socio GIBELLI presenta e legge una sua Memoria, fatta in collaborazione col Dottore Saverio BELLI, col titolo LRTITURE 461 « Rivista critica delle specie di Trifolium ‘italiane, comparate con quelle del resto d'Europa e delle regioni circummediter- ranee, delle sezioni Galearia PrRESL, Paramesus PresL. e Mi- cranthemum PRESL. ». La Classe approva unanime la pubblicazione di questo la- voro nei volumi delle Memorie. LETTURE Commemorazione del Socio Prof. Luici BELLARDI letta dal Socio Prof, GiorGIo SPEZIA Luigi Bellardi nacque in Genova il 18 maggio dell’anno 1818; fra gli studi fatti in gioventù egli trovò di avere una inclinazione verso quelli riflettenti le scienze naturali con una speciale pro- pensione per lo studio della malacologia fossile; e la facilità di percorrere i ricchi terreni fossiliferi del Piemonte e della Liguria, sviluppò in lui quel desiderio, di raccogliere materiale d’ osser- vazione, proprio di chi simpatizza per le scienze naturali e che sovente stimola a divenire collo studio un vero cultore di esse. E tale fu il Bellardi nella sua giovanile tendenza; le sue raccolte fatte scopo di esame scientifico dimostrarono presto in lui una vera attitudine per gli studi prescelti. Infatti egli appena ventenne, pubblicava alcune osservazioni sui molluschi terziarii del Piemonte, le quali già attestavano come nell’Autore vi fossero necessarie cognizioni, pazienza ed e- sattezza nell’esaminare; le quali doti riunite, costituiscono nella scienza il valore delle osservazioni. L’affetto che egli nutriva per gli studi paleontologici fu sempre in lui costante anche se occupato da lavori di natura affatto diversa. E nei quattro anni, dal 1840 al 1843 che egli passò quale impiegato presso il Ministero della Guerra, non tra- scurò mai, nel limite di tempo permesso dall’ufficio, di continuare le sue ricerche. Amico del Michelotti, al quale la paleontologia è grata per numerosi ed importantissimi scritti, pubblicava con 462 GIORGIO SPEZIA esso il Saggio crittografico sulla classe dei Gasteropodi fossili del Piemonte, lavoro che iniziò la serie delle sue Memorie pre- sentate a questa Accademia. Ma l’epoca nella quale il Bellardi dovette certamente pro- vare una grandissima soddisfazione fu nel 1844, quando egli nominato assistente presso il Museo mineralogico e geologico dell’ Università, si trovò nella circostanza di avere tutto il ne- cessario scientifico e il tempo per proseguire in quegli studi, pei quali egli sentiva di essere attratto a consacrarvi la vita. D’allora in poi la sua attività crebbe e si mostrò con molte pubblicazioni non solamente di malacologia, ma anche di ditte- rologia nel qual ramo non fu meno valente. La maggior opera del Bellardi, la quale è tuttora conside- rata classica dai paleontologi è quella che ha per titolo: I mol- luschi dei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria, che egli cominciò a pubblicare nel 1872 e che gli valse di essere consi- derato fra i primi malacologi e di essere onorato da parecchie Accademie fra le quali la nostra che lo elesse socio nel 1877. Ma egli non potè ultimare l’esteso lavoro perchè morte lo incolse il 17 settembre 1889, quando assai malfermo in salute procurava di occuparsi per completare l’opera, al quale scopo solamente egli auguravasi un prolungo di vita. Il Bellardi fu di carattere modesto, affabile e forte nel sof- frire. Benchè da molti anni malaticcio e convinto che le continue escursioni paleontologiche fossero di aggravio ai dolori fisici che lo molestavano, tuttavia non si arrestava dal lavoro; l’amore a” suoi prediletti studi pareva gli recasse sollievo. La sua attività e diligenza non si estrinsecò solamente nei lavori scientifici, ma anche nell’insegnamento secondario dove seppe di continuo acquistarsi l’affetto e la gratitudine de’ suoi allievi. E non ultima sua dote fu la liberalità per scopo scientifico. Il Museo dove rimase per molti anni quale Assistente prima e Conservatore poi, è grato al Bellardi di varie raccolte minera- logiche e geologiche che egli portò dai suoi viaggi nell’Algeria, a Suez e nell'isola di Cipro; e più di tutto per la numerosissima collezione dei fossili terziarii del Piemonte e della Liguria che egli raccolse e ordinò, la quale costituirà un perenne ricordo della sua generosa attività ed un prezioso materiale per lo stu- dio della malacologia. Il Bellardi si limitò a lavorare in un ristrettissimo campo ta COMMEMORAZIONE DEL SOCIO LUIGI BELLARDI 463 della geologia, ma vi lavorò profondamente fornendo risultati i quali rimarranno sempre di grande valore per quei geologi che tengono in alta stima i prodotti di un’attenta osservazione, e ‘ negli annali delle scienze geologiche il ricordo del suo nome se- guirà il costante interesse scientifico che avranno i suoi scritti. SCRITTI DI L. BELLARDI. Sur le genre Borsonia. -- Bull. Soc. géol. de France, 1° S., MoloX, 1838) Saggio crittografico sulla classe dei Gasteropodi fossili dei terreni terziarii del Piemonte. -- Mem. R. Acc. Torino, Serie II, T. III, 1840. Description des Cancellaires fossiles des terrains tertiaires du Piemont. — Mem. R. Acc. Sc. Torino, Serie II, T. III, 1841. Monografia delle Pleurotome fossili del Piemonte. — Mem. R. Ace. Sc. Torino. Serie II, Tomo IX. 1847. Monografia delle Columbelle fossili del Piemonte. — Mem. R. Acc. Sc. Torino. Serie II. Tomo XI, 1848. Monografia delle Mitre fossili del Piemonte. — Mem. R. Acc. Sc. Torino. Serie II, Tomo XI, 1850. Catalogue raisonne des fossiles nummulitiques de Nice, avec la collaboration de M. E. Sismonpa (Echinodermes), de M. D’ARCHIAR (Foraminifères), et de M. HaiMme (Polypiers). — Mém. Soc. Géol. Franc., 1852. Catalogo ragionato dei fossili nummulitici di Egitto delle raccolte del R. Museo Mineralogico di Torino. — R. Acc. Sc. Torino. Serie II, Vol. XII, 1855. Saggio di Ditterologia messicana. — Mem. R. Acc. Sc. To- rino. Serie II, Vol. XIX, 1859. 464 GIORGIO SPEZIA — COMM. DEL SOCIO LUIGI BELLARDI Saggio di Ditterologia messicana. — Mem. R. Acc. Sc. To- rino. Serie II, Vol. XXI, 1861. Rapporto intorno alla Philloxera vastatrix, con ARcozzi Ma- sino. — Soc. R. Agr., 1870. Monografia delle Nuculidi trovate finora nei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria. — Annuario del R. Liceo Gioberti, Torino 1874. Novae Pleurotomidarum Pedemontii et Liguriae fossilium di- spositionis prodromus. — Boll. Soc. mal. Italiana. Pisa, 1875. Descrizione di un nuovo genere della famiglia delle Bullidi fossili del terreno pliocenico inferiore del Piemonte e della Liguria. — Boll. Soc. mal. Pisa, 1876. Descrizione di una nuova specie di Zeidora trovata nelle marne del pliocene inferiore della Liguria. — Atti R. Acc. Sc. Torino. 1878. I molluschi terziariù del Piemonte e della Liguria. — Mem. R. Acc. Sc. Torino. Parte I. — Cephalopoda, Heteropoda, Iteropoda, Gastero- poda (Muricidae tritonidae), 1872. » II — Pleurotomidae, 1877. » II. — Buccinidae, Cyclopridae, Purpuridae, Corallio- phillidae, Olividae, 1882. » IV. — Fansolaridae, Turbinellidae, 1884. » V. — Mitridae, 1887-88. » VI. — Volutidae, Marginellidae, Columbellidae, 1889. 465 Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere 3 ; Nota di Guipo CASsTELNUOvO Se per famiglia di superficie a sezioni (*) di dato genere 7 si intende l’insieme di tutte le superficie che si possono ottenere da una stessa, avente per sezioni curve di quel genere 7, mediante proiezione da punti (sia esterni, sia sulla superficie), lo scopo a cui mirano queste ricerche è di: Assegnare tutte le famiglie di superficie le cui sezioni sono curve di un dato genere n, e studiarle dal punto di vistu della loro rappresentabilità sopra enti noti 0 più semplici. Però le difficoltà inerenti al problema mi costringono a li- mitarmi per ora a quelle superficie che, avendo per sezioni curve di dato genere n, contengono un sistema (Y) almeno oo"! di curve d'ordine 27-2, le quali determinano la serie speciale cas sulla curva sezione generica; ho potuto asse- gnare tutte (cioè senza alcuna restrizione) le superficie di questo tipo in due casi: quando la curva sezione è iperellittica di ge- nere 7=2, in un lavoro recentemente pubblicato (**), quando la curva sezione è di genere 3, nella presente Memoria. Mi pro- pongo però in una Nota che seguirà questa, di occuparmi anche delle superficie a sezioni del genere 8, che non appartengono alla categoria ora nominata, delle quali possiedo già qualche esempio. (*) Qui e nel seguito per sezione di una superficie si deve intendere la curva intersezione della superficie con uno spazio $,_,, se S, è lo spazio a cuì la superficie appartiene. (**) Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche (Rendic, Circolo Matem., t. IV). Quantunque la questione non sia enunciata così esplicitamente nel lavoro qui citato, si vedrà facilmente come tutte le considerazioni in esso contenute dal n° 5 in poi (relative al caso #= 2) val- gano per ogni superficie, la quale contenga un sistema di curve (7). ‘466 GUIDO CASTELNUOVO Esposto così l’argomento di questa prima Nota, credo utile di esaminare un po’ più addentro quale ne sia la portata, vale a dire di che natura siano i limiti imposti al campo di ricerca, quando dalla questione generale enunciata in principio, si passa alla questione particolare di cui qui veraniente mi occupo. | Nella mia Nota sulle superficie a sezioni iperellittiche, al n° 1, ho fissato alcune restrizioni alle singolarità che potevano presentare le superficie colà studiate, restrizioni dipendenti (@ quanto pare) non già dalla natura della questione, ma dalle imperfette cognizioni che finora si hanno sulle singolarità stesse. Come ho mostrato, quelle restrizioni, che ora non sto qui a ri- petere, permettono di dedurre dalla nota formola di postulazione di NorHER (Annali di Matematica, serie II, t. 5°.) il teorema: Le superficie d’ordine n-3 aggiunte ad una superficie d'ordine n di genere p, a sezioni del genere n, appartenente allo spazio ordinario, formano un sistema lineare di dimensione p+m—1 quando p= 0 (*). Queste superficie aggiunte, avendo comuni 27 — 2 punti (oltre ai punti multipli fissi) con ogni sezione della superficie, determinano sulla superficie un sistema lineare (**) (Y) coP*"*" di curve d'ordine 27— 2, le quali segano sopra ogni sezione piana della superficie la serie speciale (Speczalschaar) Pi d'ordine 2r—2 e dimensione 7— 1. Dunque, riservando il caso delle superficie. con singolarità straordinarie (o singolarità ordinarie con particolari legami), posso dire che tutte le superficie di genere (*) In tutto questo lavoro il genere p di una superficie si intende deter- minato mediante la seconda definizione del sig. NÒTHER, cioò mediante quella che segue dalla formola di postulazione (Mem. citata, oppure Zur Theorie des eindeutigen Entsprechens ..., Math. Annalen, 8, pag. 526, nota). Il teo- rema sopra enunciato (il quale sembra verificarsi per qualunque valore di p) sì trova anche dato in una nota a pag. 167 del lavoro di CapPoRaLI Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti...(Collectanea Mathematica, Milano, 1881). .Il C. lo dimostra soltanto per le superficie razionali approfittando della for- mola di postulazione, il che fa ritenere che la stessa formola lo abbia gui- dato al caso generale. (**) Per sistema lineare cof di curve sopra una superficie si intenderà un : Sistema di curve i cui elementi si possono riferire univocamente ai punti di . uno spazio lineare S,, in tal guisa che alle curve passanti per un punto ‘della superficie corrispondano i punti di un S,_,. Dalla definizione segue che per & punti arbitrari della superficie passa una sola curva del sistema. SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 467 p=0 sono comprese tra quelle che riesco a classificare (nel senso dichiarato in principio). Ma va notato che dall'esistenza di un sistema (7), almeno co*7, di curve d'ordine 27 — 2 secanti -1) 7 : 1 7 ( ; i sopra ogni sezione della superficie la serie Lv , non sì può 2 conchiudere l’esistenza di un sistema di superficie aggiunte d’or- dine n — 3 avente la stessa dimensione. In altre parole: esistono superficie d’ordine n del nostro spazio, a sezioni di genere ©, le quali contengono un sistema ()) co"! di curve d’ ordine 2x7 — 2, mentre non ammettono co”! superficie aggiunte d’ordine n_-8 (aggiunte sia lungo le curve multiple, sia nei punti mul- tipli). Tutte queste superficie rientrano tra quelle che io posso studiare, quantunque il loro genere p sia (in generale) negativo (*). Così si vedrà trattata al numero 9 del presente lavoro una superficie di genere p= —1, a sezioni del genere 7=3, sulla quale esiste un sistema (7) oc° di quartiche. Un altro esempio è offerto dalle rigate d’ordine n a sezioni di genere 7 qualun- que, le quali non ammettono superficie aggiunte d'ordine n — 3, ma contengono un sistema (7) di curve (costituito da c057' gruppi di 2z—2 generatrici) che segano la serie speciale sopra ogni sezione. 1. Da ora in poi, quando si parlerà di una superficie F°” (d’or- dine n) sarà sottinteso che la sua sezione generica è una curva irriduttibile di genere 3. Sulle F" che qui considero si fa que- sta sola ipotesi, che esse contengano un sistema lineare (7) di curve 7 del quarto ordine secanti sopra ogui sezione di Y" la serie speciale g,*.Il sistema (7) ha la dimensione almeno uguale a 2. Se la dimensione supera 2, ogni sezione di 7°” deve formar parte di qualche curva 7, e poichè non può esser n<4, sarà n=4, nel qual caso la 7" è una superficie del quarto ordine, senza curva doppia, dello spazio ordinario. E. reciprocamente (*) È utile notare che (anche indipendentemente dall’esistenza di con-! | superficie aggiunte d'ordine n — 3) si può provare facilmente la presenza di i un sistema (7) co” sopra una superficie razionale, Poichè se le sezioni della superficie hanno per imagini sopra un piano curve d’ordine v, le 007! wers i i gusta. curve d'ordine » —3 aggiunte a queste sono imagini di curve della super- BEReho LA È (q_1) È à - cie che determinano la I, r-, S9pra ogni sezione della superficie stessa. 468 GUIDO CASTELNUOVO ® sezioni piane possono considerarsi come per una tale F* le co curve Y .(*). Le superficie 7” possono esser classificate secondo i caratteri del sistema (7). E precisamente diremo che F” è: di prima specie, quando in (7) è contenuto un sistema lineare oc? (Y,) di quartiche razionali; Y di seconda specie, quando in (7) è contenuto un sistema lineare co (Y,) di quartiche di genere 1 (ma non un sistema lineare oo? di curve di genere inferiore); di terza specie quando in (7) è contenuto un sistema lineare oo? (93) di quartiche di genere 2 (ma non.....); di quarta specie se in (7) non è contenuto un sistema lineare oc* di quartiche di genere inferiore a 3 (**). Resta ancora l’ ipotesi che la curva generica si scinda: come mostrerò, questo spezzamento può avvenire soltanto Se y si scinde in due coniche (caso delle superficie a sezioni iperellittiche), Se y si scinde in quattro rette (caso delle superficie rigate). Esaminerò successivamente questi vari tipi di superficie (fer- mandomi specialmente su quelli che presentano maggiore in- teresse). L Superficie di prima specie. 2. Su F" esista un sistema lineare co? (Y,) di quartiche razionali 7). Le co! curve y, che passano per un punto scelto ad arbitrio su 7” costituiscono un sistema lineare di curve razio- nali giacenti su 7”; quindi per un teorema del sig. NOTHER(***), la superficie è rappresentabile univocamente sul piano. Ad una (*) Se si nota che la sola curva di genere 3 nella quale ogni gruppo di 94° sta in una retta, è la quartica piana, si vede pure che quando la curva generica y è piana, la Y” ha l’ordine 4 ed appartiene ad $,. (**) S'intende che per le F” di specie i il sistema (7;_,) coincide con (7), se (7) è 00°. i (***) Ueber Fliichen, welche Schaaren rationaler Curven besitzen, Mathem. — Annalen, Bd, 3; qui alludo alla considerazione che si trova a pag. 175. SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE è 469 sezione generica c della superficie corrisponderà nel piano una curva c' di genere 3, la quale sarà segata nella serie speciale 9, dalla rete delle curve y, imagini delle oo* curve 7, di 7”. Due qualunque delle curve 7, si segano in un solo punto variabile (fuori dei punti base del sistema): se infatti due 7, avessero più che un punto comuné, per un noto teorema sui sistemi razionali, la rete delle y,° sarebbe contenuta in un sistema lineare almeno 003 di curve razionali, ciascuna delle quali si comporterebbe nei punti base della rete, come una 7, ; ogni curva di questo sistema 003 segherebbe su c' un gruppo della serie speciale due volte infinita, ed in conseguenza c' dovrebbe formar parte di qualche curva del sistema co* e quindi dovrebbe esser razionale, contro l’ipotesi. Dunque: Sopra una superficie di prima specie le oc® curve Y, st segano a due a due in un solo punto variabile (*). Riferendo univocamente le oo* curve % alle rette di un piano, ad ogni punto del piano corrisponde un punto della superficie F", e reciprocamente. Ad una sezione di 7” che è una curva di genere 3, segata da ogni y, in quattro punti, corrisponde nel piano una curva di genere 3 e del quarto ordine. Abbiamo quindi il teorema : Ogni superficie a sezioni del genere 3 di prima specie è razionale, e può rappresentarsi sul piano mediante un sistema lineare di curve generali del quarto ordine. 5. Il sistema lineare di quartiche nel quale la dimensione raggiunge il massimo valore 14, ed il numero delle intersezioni variabili di due curve ha il massimo valore 16, è costituito da tutte le quartiche piane. Esso ci rappresenta una superficie del o ordine di S,,, la quale in seguito sarà indicata con FO, Fra le superficie a sezioni di genere 3 di prima specie ha il massimo ordine 16 ed appartiene allo spazio più alto” la FO di S,,. Ogni altra superficie di prima specie può ot- tenersi dalla F © mediante proiezione. Quest'ultima parte de- riva dal fatto che ogni sistema lineare di quartiche generali è contenuto nel sistema di tutte le quartiche piane. (*) E evidente la reciproca : Se sopra una Y” esiste un sistema lineare 00? di curve 7 secantisi a due a due in un solo punto variabile, la superficie è della prima specie. i IG IMOINIG_ 4 470 GUIDO CASTELNUOVO Le curve di minimo ordine giacenti sulla F sono le oc? quartiche razionali %o appartenenti a spazi 8, Dopo queste ven- gono co° curve razionali dell’ottavo ordine secantisi a due a due in quattro punti, ecc. In un punto di F® si possono condurre il piano 7, tangente, lo spazio x, osculatore, lo spazio n, bi- osculatore; ogni $,, passante per 7, seca F° in quattro quartiche. 4. Le superficie di prima specie normali (tali cioè che non sì possano ottenere come proiezioni da superficie del loro ordine appartenenti a spazi superiori) si ritrovano tutte proiettando la F© da suoi punti così scelti, che lo spazio generico ,$,; che passa per essi, seghi F in una curva irriduttibile C!° (*). Ora una C'° del genere 3 non iperellitica di ,S,, (e la sezione generica di F® non è iperellittica perchè rappresentabile sulla quartica piana) è proiettata sempre da « suoi punti in una C !* di Sia: quando a<12; ma per «= 12 si possono scegliere su C' 12 punti giacenti in un S,, (anzichè in un Sy) dai quali la C'!° è proiettata in una C'* di S, (**); quindi : Le superficie normali di prima specie sono le superficie d'ordine 16 — & appartenenti ad S,,_, (dove a<12), ed inoltre la superficie del quarto ordine a punto triplo del nostro spazio. Che la F' ottenuta proiettando la F° da 12 punti scelti nel modo indi- cato, abbia un punto triplo, si vede subito badando alla rap- presentazione piana. Infatti mentre il sistema lineare che rappre- senta la 7! di S,,_, è costituito dalle quartiche che passano per « punti base indipendenti fra loro, per aver la rappresen- tazione della F* i 12 punti base devono esser tali che per essi passino co* quartiche, quindi devono costituire l’intersezione di una quartica con una cubica, la quale è imagine del punto triplo. La geometria sulla X* a punto triplo si ottiene subito pro- iettando la superficie sopra un piano dal punto triplo (***). Per la F!=* di S,,_,, badando alla rappresentazione piana, si ha che la superficie contiene in generale « rette sghembe a due a (*) Se i centri di proiezione non verificano questa condizione, la super- ficie proiezione ha per sezioni curve di genere inferiore a 3. (**) V. SeGRE, Recherches genérales sur les courbes .. $ 14, Mathem. An- nalen, Bd. 30. (*** Ruon, Ueber die Flachen vierter Ordnung... Math. Annalen, 24. SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 471 x : x DLE È duo, ( 9 coniche (ciascuna delle quali si appoggia a due rette), la cubiche piane, ecc. Ogni superficie non normale di prima specie può ottenersi come proiezione di una superficie normale dello stesso ordine, da punti esterni (*). II. Superficie di seconda specie. 5. Questa volta sulla superficie 1” di S, esista un sistema lineare co° (Y;) di quartiche ellitiche y,. Se la curva generica Y: è piana, la 7°" (per la nota al n° 1) è una superficie del quarto ordine 7 * senza curva doppia, dello spazio ordinario, alle cui sezioni piane appartengono le oc? ,. I piani di queste 7, formano una stella il cui centro deve essere un punto multiplo O di F' (chè altrimenti le 7, avrebbero il genere 8); precisa- mente in O deve avere un tacnodo ogni sezione piana contenente O, sicchè O sarà un tacnodo (punto di contatto con se stessa) per F'. Su questa F* ritornerò in seguito ; per ora passo al caso più generale in cui la 7, è una curva sghemba ; molte delle proprietà che dimostro nell'ultima ipotesi, valgono ed anzi di- vengono evidenti per la /"*. Due delle quartiche sghembe 7, non possono segarsi in un solo punto variabile (per la seconda nota al n° 2); se a e a' —__—- (*) Tra le superficie di prima specie dello spazio ordinario noto, oltre alla 4, la /° a cubica doppia senza punto triplo ( CLeBscH, Math. Ann., 1; Sturm, Math. Anp., 4; Cremona, Matb. Ann., 4), e la FS avente una curva doppia del 7° ordine di genere 3, che passa tre volte per l’unico punto triplo della superficie (Borpiga, Memorie dell’Accad. dei Lincei, 1887). In quest’ul- timo lavoro il sig. BorpIGA studia la superficie normale (di prima specie) F$ di $,, la cui generazione mediante quattro forme collineari di 2* specie (0 mediante tre forme collineari di 3* specie) era già stata data dal sig. VeRO- nesE (Math, Ann., 19). Che ogni /° rappresentabile sul piano mediante le 00! quartiche per 10 punti possa generarsi proiettivamente, non fu dimostrato dagli Autori nominati, ma può vedersi facilmente col metodo della numera- zione delle costanti; poichè tanto partendo dalla rappresentazione piana, quanto dalla generazione proiettiva, si riconosce che 00'!2 sono le F° di S$, proiettivamente distinte. 472 GUIDO CASTELNUOVO sono due punti comuni a due Y,, le oo' y, passanti per a pas- seranno anche per «'. Sopra una di queste 7; fisso un punto 5 ad arbitrio e per a, a', d conduco un piano, il quale giacendo nello spazio a tre dimensioni della ),, sega ancora questa in un quarto punto d'. Uno spazio S,_, che passi per il piano senza contener la ,, taglia F” lungo una curva Cl”, sulla quale le co' ), passanti per a, a' determinano una involuzione di coppie di punti 9g, un cui gruppo è costituito da d, d'. La C” quindi è una curva iperellittica; e poichè il sistema (7) sega su C” la serie speciale 9,9, ciascuna delle oo! curve di (1) passanti per un punto d di C", dovrà contenere anche il punto d' coniugato a d nell’involuzione g,. In altre parole se per due a, a' delle quattro intersezioni di una 7, con un piano, passano co' y,, anche per le rimanenti due intersezioni d, d' passano co'),. Da ciò segue subito che due 7, devono segarsi in due soli punti variabili (*) ; il sistema (7) determina adunque una corrispondenza univoca involutoria tra i punti di /°"; dune punti che si corrispondano si diranno coniugati. Segue pure che due qualunque coppie a, a' e d, d' di punti coniugati stanno in un piano. Le oo? rette che congiungono i punti coniugati di I" si segano quindi a due a due, e poichè non giacciono tutte in uno stesso piano, devono passar tutte per uno stesso punto 0. Sopra una superficie F" di seconda specie esiste una in- voluzione I di oo* coppie di punti; le rette congiungenti è punti coniugati nell’involuzione passano tutte per uno stesso punto ; ogni spazio S,_, condotto per questo punto sega la E" in una curva iperellittica la cui serie g,°% si compone di coppie della involuzione. Anche sopra una %, si trovano co' coppie di punti coniu- gati, le quali costituiscono una serie 9,0%. Ciascuna delle o0* Yi 1 (*) Siano infatti, se è possibile, almeno tre a, a’, a” i punti comuni a due quartiche 7,, 7°. Se d è un punto qualunquo di 7,, e con d, db, bd indico le ulteriori intersezioni della y, coi piani aa’ b, aa”, a/a”b”, ogni curva di (7,) passante per 5 deve contenere anche i punti b’, 97, b/7. Ora dalla costruzione fatta risulta (come si vede ad esempio ricorrendo alla rappresentazione parametrica) che il punto 9’ sta nel piano che proietta da b la tangente a 7, in a. Mentre «a si muove su 7, e d sta fisso, si ottengono in tal guisa infiniti punti 9” che tutti dovrebbero giacere sulle oo' quar- tiche di (),) passanti per d, il che è assurdo, La proposizione è addirittura evidente per la Y dotata di tacnodo. iis + « SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 8 473 è proiettata da O mediante un cono quadrico; (fatta eccezione, si intende, per la 7‘ con tacnodo). Su PF" esisteranno in generale co' coppie di / costituite da punti coincidenti; sopra ogni quartica *, si trovano 4 punti coin- cidenti coi loro coniugati, i quali per una nota proprietà stanno in un piano Dunque: JI punti di F" che coincidono coi loro coniugati formano una curva K la quale è segata în quattro punti di un piano da ogni y,. La curva X si dirà curva di coincidenza di F". Dalle proposizioni qui stabilite altre possono dedursi facil- mente, ma per evitare la distinzione di casi particolari preferisco passar subito allo studio della superficie più generale di seconda specie. A questa si perviene ricorrendo alla rappresentazione di F" sul piano doppio. 6. Le co° curve 7, di F” si possono riferire univocamente alle rette di un piano X; ad un fascio di rette in X, e quindi al suo centro, corrisponde allora un fascio di 7), su 7”, e quindi la coppia di punti base del fascio; in tal guisa la F" viene rappresentata sul piano doppio Y. Ad ogni coppia di I su Y" corrisponde un punto di Y, e alle col coppie di / costituite da punti coincidenti corrispondono cc! punti di YX formanti una curva ©, curva limite del piano doppio (Uebergangscurve), la quale è ri- ferita univocamente alla curva di coincidenza XK di ". Poichè la K ha comuni quattro punti con ogni y, la Q avrà quattro punti comuni con ogni retta di X, ossia sarà del quarto ordine. Ora un piano doppio con curva limite del quarto ordine può in generale rappresentarsi sul piano semplice (*); quindi n (*) CLeBscH, Ueber den Zusammenhang einer Klasse von Flachenabbil= dungen... (Math. Annalen, 3: NòrHER, Veber die ein-3weideutigen Ebenen- transformationen (Sitzungsber. d. physik. medicin. Soc. zu Erlangen, 1878); v. inoltre i lavori del sig. De PaoLis (Mem. Ace. Lincei, 1877-78). Alla rappresentazione di F” sul piano doppio £ analiticamente si giunge fissando nel sistema (7) due sistemi lineari oo! di quartiche, ed inoltre su F” un sistema lineare co! di €” ottenute con spazi $,_ di un fascio, Se indi- chiamo rispettivamente con x, y, s i parametri dei tre sistemi oo', vediamo che ad ogni punto di F” corrispondono tre valori perfettamente determi- nati di x, y, #; agli oo? punti di Y” corrispondono co? terne x, y, + che verificano una equazione algebrica f(e, y, 3)=0, 474 GUIDO CASTELNUOVO generale una superficie di seconda specie potrà riferirsi univoca- ‘mente al piano semplice. Ma sul caso generale e sulle eccezioni ritorneremo in seguito. Una sezione C” di Y” ottenuta con un S,_, passante per 0 ha comune con ogni 7, due coppie della /; dunque l’imagine di C” su X è una conica. Viceversa a ciascuna delle oc? coni- che di X corrisponde una curva di YF”, la quale contiene una serie g,° formata da coppie di I; si hanno così oo? curve iper- ellittiche di F” formanti un sistema lineare: due curve del sistema si segano in quattro coppie della I, la curva generica del sistema incontra la curva di coincidenza X in otto punti, ed è quindi di genere 3 (perchè la sua serie g,' contiene otto coincidenze). «Ad una sezione C” di F” ottenuta con un S,_, arbitrario, corrisponde su X una curva che deve segare ogni retta in quat- tro punti (corrispondenti alle quattro intersezioni di una Y; con S,._.), quindi una quartica C4, la quale è riferita univocamente a C" (ed anche alla curva di F” luogo dei punti coniugati ai punti di C*): per una nota proprietà della rappresentazione sopra un piano doppio, dovrà la C4 toccare semplicemente la Q in tutti i punti che con questa ha comuni; ossia in otto punti. Le co” curve C4 che corrispondono a tutte le sezioni C” di 7” determinano su Q una serie razionale gs di gruppi di otto punti; ma siccome co"7' tra le curve C” appartengono a spazi $,_, passanti per 0, co7' tra le curve C* si riducono a coniche doppie, ed co"7' fra i gruppi di yy devono trovarsi su coniche; dal che segue subito per il Restsatz che ogni gruppo di g; si trova sopra una conica, ossia che ogni C* appartiene al fascio determinato da £ con una conica doppia. La equazione di una C* può adunque porsi sotto la forma (dute ax U_-10=0, Questa è di secondo grado in =, perchè due sono le intersezioni delle quar- tiche x, y; risolta rispetto a 3 ci dà EAAA y)EVx, Y) essendo y, e x, funzioni razionali. Se @ e y si considerano come coordinate dei punti di un piano £, l’ultima relazione ci stabilisce la corrispondenza tra EF" e il piano doppio Z; e y3(0,y) =0 è in E l’equazione' della curva limite O, Lei Sali ee CARA TA ERETTI SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 8 475 essendo ©(Y,,%,,%,) =0 l’equazione della curva limite, e d(Y,:%»:Y3)=0 l'equazione di una conica di Y. Reciprocamente consideriamo in X una delle co5 quartiche che ha una equazione della forma (1). Poichè fra le coordinate ®, 3 3, --. Xr4, di un punto di F" e le coordinate y,, Y,, % del punto corrispondente di X passano relazioni del tipo (*) %;= fi (413 Us: Us) +9: (4,1 40:93) VQ (i=1,2...r41) (dove f e 9 sono funzioni intere, di cui la seconda ha il grado di due unità inferiore al grado della prima), ai punti di Y gia- centi sulla (1) corrispondono su £" punti delle due curve stac- cate dalle equazioni pa= VAL, ess Y3) nl 2; (YU, » Ya» Y)L(Y 3%. Ys). 6 Le co° curve che così si ottengono su 7°” corrispondono univo- camente ai gruppi dei valori di sei parametri (VI e i cinque della &=0), e formano un sistema lineare. Al sistema appar- tengono le co” sezioni di FY" cogli spazi S,_, (da cui segue y = 6), le co? curve iperellittiche rappresentate dalle coniche di Y (cor- rispondenti a )=0) e la curva di coincidenza X (corrispon- dente a ) = co). La curva generica del sistema è di genere 3 ed è segata nella serie speciale g,°° dalle curve 7, . Due delle 006 curve si segano in otto punti rappresentati su X da otto tra le sedici intersezioni delle due C4 imagini; (le altre otto intersezioni delle due C4 sono imagini dei punti comuni ad una delle due curve di F” ed alla coniugata dell’altra nell’involuzione I). Se riferiamo univocamente le co° curve di F" agli spazi S di un S,, ad ogni punto di /" considerato come appartenente ad co? curve, corrisponde un punto di S, come comune ad co? spazi S_; alla superficie /” corrisponde univocamente una. su- perficie il cui ordine è otto, perchè otto sono i punti comuni a due delle oo° curve. E poichè le sezioni di F”* con $S,_, appar- tengono al sistema 00°, segue che 7” può considerarsi come pro- iezione della superficie di ,S, da punti scelti convenientemente. Dunque: Ogni superficie a sezioni del genere 3 di seconda specie (se non è la F* di S,) può ottenersi mediante proiezione (*) V. la nota precedente, Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol, XXV 35 476 GUIDO CASTELNUOVO da una superficie dell’ottavo ordine di S,, che sarà indicata nel seguito con F‘®. Una superficie di seconda specie non può avere l’ ordine superiore ad 8, nè può appartenere ad uno spazio superiore ad Da 7. Le proprietà principali della F°© di S, seguono subito dalle cose dette. La F° contiene oc° coppie di punti formanti una involu- zione I, i cui gruppi sono allineati con un punto 0 che non sta sulla superficie (*). La sezione di F® con un S, qualunque è una curva di ottavo ordine e di genere 3; se però lo spazio S, passa per O, la curva sezione è iperellittica ed è proiettata doppiamente da 0 mediante un cono razionale del quarto ordine. Su F° si trova un sistema lineare di co? quartiche sghembe 7, di genere 1, che sono proiettate doppiamente da 0 mediante coni quadrici ; due 7, si segano in due punti e costituiscono insieme la sezione di F°% con un S, bitangente. Le quartiche %, segano sopra ogni sezione C* di F® la serie speciale g, : quindi sopra ogni sezione C* di Fi gruppi della serie spe- ciale g,° stanno su piani. Le coppie della involuzione / costituite da punti coincidenti formano una curva XK dell’ottavo ordine che è sezione di F©® con un particolare spazio 0, a cinque dimensioni. Il cono che da O proietta una y, sega O, in una conica, i cui punti sono armonicamente separati da O mediante le coppie di punti della Y, perchè in O, si trovano i quattro punti di contatto delle tangenti a 7, condotte per O. Quindi ogni coppia della involu- zione I è separata armonicamente mediante il punto O e lo spazio O,, ossia La superficie F ©) è trasformata in sè stessa da una omo- logia armonica di centro O e spazio fondamentale O, . Le co? rette che da O proiettano le coppie di punti coniugati di F © costituiscono un cono a tre dimensioni del quarto ordine ; 2 (*) Se 0 stesse sulla superficie, la sezione di F(2) con un S, per 0 sarebbe una curva Cl? di genere 3 che passerebbe per 0 e segherebbe altrove due volte (almeno) le generatrici di nn cono col vertice 0, un tal cono avrebbe quindi l’ordine inferiore a 4 e dovrebbe appartenere ad uno spazio inferiore ad S,, il che non è possibile, SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 477 quindi: La superficie F©® è proiettata doppiamente da 0 sopra un S, in una superficie del quarto ordine D' con 00° coniche. La D* è la nota superficie studiata dal signor VERONESE (*), che è rappresentata dalle oo? coniche del piano. Per una ®' di /S, passano co? quadriche (a quattro dimen- sioni) (**); altrettante quadriche (a cinque dimensioni) passano per il cono che proietta la 9' da O. Invece per la Fl) di 5, passano 005 quadriche, perchè una delle oo’ quadriche di contiene F®, quando passa per due CÌ (sezioni di F°) con SS.) e per un altro punto di F?, vale a dire quando soddisfa a 2.14-8+1=21 condizioni (***), Una quadrica che passi per F© senza contenere il cono proiettante ®' da 0, sega questo cono nella F°); dunque : Una superficie Fl) può considerarsi come intersezione di una quadrica di S, col cono proiettante una D', appartenente Vi Coni 3 ad un S,, da un punto esterno ad S.. E reciprocamente, l’in- tersezione di un tal cono con una quadrica qualunque è una F©®. Il punto O ha rispetto alle co° quadriche passanti per F lo stesso spazio polare O.. 8. Si presenta ora la ricerca delle curve degli ordini più bassi che giacciono su F°. Anzitutto poichè una ®* non contiene rette, segue subito che una E°) non possiede rette; (e in generale si vede che su F° non si trovano curve d’ordine dispari). Ad una conica di Fl? non giacente in O. corrisponde nella omologia (0,0.) una seconda conica giacente colla prima in un «cono quadrico di centro 0, e formante con essa una particolare curva 7, con due punti doppi. Nella rappresentazione di F © sul piano doppio £, alla coppia di coniche della superficie corrisponde una retta secante la curva limite Q in due coppie di punti coin- cidenti; e reciprocamente. Sicchè: (*) Memorie Accad. dei Lincei, 1883-84; cfr. pure SEGRE: Considerazioni intorno alla geometria delle coniche (Atti Accad. delle Scienze, Torino, 1885), — Srupy, Ueber die Geometrie der Kegelschnitte (Math. Ann, 27). (**) Infatti per costringere una delle 00?° quadriche di S, a passare per 94, basta assoggettarla a contenere due quartiche sezioni di ®4 ed un altro punto della superficie ; in tutto 2,9 —44+-1—=15 condizioni. (***) Una C* del genere 3 di .S, impone 2.8—2—=44 condizioni ad una quadrica che debba contenerla. 478 GUIDO CASTELNUOVO In generale (cioè quando Q è una curva del 4° ordine e genere 3, ossia quando la curva di coincidenza K di F® è una curva irriduttibile di 8° ordine e genere 3 (*)) in Fl) si tro- vano 56 coniche, costituenti 28 coppie di coniche coniugate nel- l’omologia (0, 0,). Uno spazio .S, passante per una % di queste coniche sega ulteriormente F© in una curva C,° del sesto ordine e genere 1 che ha tre punti comuni colla conica (la quale C;f è intersezione di una ®' di S. con una quadrica che contenga una conica di ®*). Su F° esistono 56 sistemi oo di tali curve 05; due curve di uno stesso sistema si segano in tre punti. Dalla conica Y la F°® è proiettata sopra uno spazio a tre dimensioni in una superficie 4 del terzo ordine; la conica X' con- iugata di X, che sta con % in un S, passante per 0, dà per proiezione un punto 0 di 9; e due punti di F° coniugati nel- l’omologia armonica, hanno per imagini due punti di 9 allineati con o. Ad una sezione 08 di F® (che ha comuni due punti con % e due con Z'), corrisponde su 4 una curva del 6° ordine avente in 0 un punto doppio, intersezione di 9 con una quadrica tan- gente a © in o. Le oc curve CO di F® sono quindi rap- presentate dalle intersezioni di d colle ooì quadriche tangenti a © in 0. In particolare la curva X di F° ha per imagine la intersezione di g colla prima polare di © rispetto ad 0; poichè questa curva deve essere (come XK) del genere 3, sarà @ una superficie generale del 3° ordine. Nella consueta rappresentazione di © sopra un piano sem- plice 7, alla intersezione di g con una quadrica tangente a @ in o corrisponde una curva piana del sesto ordine con 7 punti doppi (nei sei punti fondamentali della rappresentazione e nel punto imagine di 0): dunque: In generale una superficie F® può riferirsi univocamente ad un piano semplice, e il sistema rappresentativo si compone delle oo5 curve del sesto ordine con 7 punti doppi comuni. Questi 7 punti, le 21 rette che li congiungono a due a due, le 21 coniche che ne contengono cinque, e le 7 cubiche che pas- sano doppiamente per uno dei 7 punti e semplicemente per gli (*) A questo caso generale si riferiscono le proprietà di F(2) date nel n° 8; mentre quelle dei numeri precedenti valgono per ogni F(?). i SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 479 altri 6, sono le imagini su 7 delle 56 coniche di F°’ (*). Le co° cubiche passanti semplicemente per i 7 punti base rappre- sentano le co? curve 7). Ed ora dalla rappresentazione di F ‘© sulla superficie cubica ©, 0 sul piano semplice 7, derivano subito le proprietà della con- figurazione delle coniche e dei sistemi di curve giacenti su F®®. Così si vede che ogni conica di F® sega in due punti la pro- pria coniugata, in un punto 27 delle coniche rimanenti e in nessun punto le 27 coniche a queste coniugate. Su F©) esistono quaterne di coniche giacenti in spazi $S.; ogni conica appartiene a 45 tali quaterne. 9. Altre proprietà della F‘ potrebbero facilmente dedursi dalla rappresentazione piana; ma credo inutile di fermarmi più a lungo su questo argomento. Dei vari casi particolari che la F©) può presentare noterò solo quello che offre maggiore inte- resse; quando il genere della F° si abbassa a —- 1, e la su- perficie cessa di esser rappresentabile sul piano semplice, ma può invece riferirsi al cono cubico. Per esaminare nel modo più rapido quando ciò avvenga, ram- mento che la F? è sempre rappresentabile sul piano doppio Y con una curva limite Q del quarto ordine (per il n° 6); quindi il solo caso in cui X non può riferirsi ad un piano semplice si presenta quando £ ha un punto quadruplo, ossia si spezza in quattro rette di un fascio (**). La.curva di coincidenza K di F® si spezza allora in quattro coniche passanti per uno stesso punto O; e la F© (per l’ultimo teorema del n.° 7) può considerarsi come intersezione di una quadrica X? di 8, col cono proiettante dal punto O una ®' che appartiene allo spazio O, polare di O rispetto a X°, e sega la X? nelle quattro coniche nominate. Ogni altra conica di ®' passante per @ ha comuni quattro punti coin- cidenti in @ con X*; quindi il cono che da O proietta quella co- nica sega X° lungo due coniche che si toccano in @. Così si vede che su questa particolare F° esistono co! coniche tutte pas- santi per Q e tangenti ivi ad uno stesso piano g. Le coniche sono (*) Sulla superficie cubica 9 le 56 coniche di F (2) hanno per imagini il punto o, la sezione col piano tangente in o, le 27 rette di 9 e le 27 coniche dei piani che da o proiettano le rette. (**) NòrÒer, Memoria citata dei Sitsungsber. di Erlangen. 480 GUIDO CASTELNUOVO coniugate a coppie in una involuzione con quattro coincidenze ; il loro sistema è quindi ellittico ; ogni coppia di coniche costituisce una particolare 7,. Sulla superficie non giacciono altre coniche. Uno spazio a quattro dimensioni di 0, passante per Q seca ®4 in una curva del quarto ordine 04 che ha in comune colla X? quattro punti riuniti in @; il cono che da O proietta C* seca X° in una curva di ottavo ordine che ha due punti doppi infinitamente vicini in @, e costituisce l’intersezione di F con uno spazio (generico) ,S_ passante per @. Il punto @ è adunque un tacnodo (contatto con se stessa) per la F°?. La F°) è proiettata da @ sopra uno spazio’ $S, in una rigata ellittica del sesto ordine 1° con una retta direttrice doppia, traccia del piano tangente 9g. Alle sezioni C* di F©) corrispondono su T5® curve dell’ottavo ordine secanti due volte ogni generatrice e non aventi punti comuni colla direttrice doppia. Proiettando la 75 da una sua generatrice, o la F? da una sua conica, sopra un ,S, si ottiene in questo un cono cubico, sul quale le sezioni di F© sono rappresentate da co curve del sesto ordine aventi un punto doppio comune; queste curve sono le intersezioni del cono colle 00° quadriche tangenti al cono in quel punto. Il punto triplo del cono rappresenta il tacnodo, le generatrici sono ima- gini delle co! coniche, le sezioni piane passanti per il punto di contatto sono imagini delle oo° quartiche ),.. Riassumendo: La Fl) presenta notevoli particolarità, quando la sua curva di coincidenza K si scinde in quattro coniche passanti per uno stesso punto; allora la F') contiene un sistema co! ellittico di coniche tutte passanti per quel punto, che è un tacnodo per la superficie. In questo caso (soltanto) la F! non è razionale; ma può rappresentarsi univocamente sul cono cubico dello spazio ordinario mediante le curve del sesto ordine segate dalle qua - driche che toccano il cono in un punto fisso (*). 10. Proiettando la F° (sia generale, sia particolare) di $, negli spazi inferiori da uno o più punti scelti in modo che per (*) Confrontando questa rappresentazione con quella data per la F(2) ge- nerale, si giunge al seguente teorema, il quale (come si vede facilmente) vale per ogni caso particolare della F(2): ogni F(?) può rappresentarsi sopra una certa superficie del 3° ordine mediante il sistema delle curve segate su questa dalle quadriche che la toccano in un punto fisso. 1 PAT linee ne SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE è 481 essi passi qualche ,S. secante F°°) in una curva del genere 3, e che la proiezione sia univoca (per il che è necessario e sufficiente che mai due centri di proiezione siano allineati con O), si ot- ottengono tutte le superficie normali di seconda specie. Se si proietta la F° generale, si giunge così ad: 1) Una 7° di S, con una retta semplice e co! cubiche piane che si appoggiano alla retta e costituiscono con essa al- trettante quartiche y,; queste cubiche hanno un punto comune (il centro della involuzione I su Y°”), e i loro piani formano una serie razionale del 3° ordine (*); 2) Una 7° di S, con una retta doppia, alla quale si ap- poggiano due rette semplici, con due sistemi co! di cubiche piane passanti tutte per uno stesso punto della retta doppia; i piani dei due sistemi di cubiche costituiscono le due serie di un cono quadrico di S,, Due cubiche di uno stesso sistema non hanno che il vertice del cono in comune; due cubiche di sistemi di- versi sì segano ancora in due punti; 3) Una /° di ,, con tre rette doppie uscenti da un punto triplo, e tre rette semplici ciascuna delle quali si appoggia a due rette doppie. Le co° quartiche 9, sono segate dai coni quadrici che passano per le tre rette doppie (**); 4) (Scegliendo 4 centri di proiezione sopra una *, di F®' sì ottiene :) Una F* di S, con tacnodo e quattro rette semplici nel piano tangente alla superficie nel tacnodo (***). Le superficie 1), 2), 3), 4) si possono rappresentare sul piano semplice mediante le curve del sesto ordine che hanno 7 punti base doppi e risp. 1, 2, 3, 4 punti base semplici; nell'ultimo caso i 4 punti semplici stanno in una cubica coi 7 punti doppi (****). l (*) La F” di S; di prima specie contiene invece una sola cubica piana (v. n°<4). (**) Un cenno di questa /°? si trova al n° 42 della citata Memoria del CAPORALI. (***) Di questa superficie che in tutta la sua generalità fu fatta conoscere dal NòrHER (Gottinger Nachrichten, 1870), uno studio completo si deve al sig. CrEMONA (Collectanea Mathematica, pag. 413). (****) Ciascuno dei tipi 1) .. 4) ammette come caso singolare una super- ficie 1)... 4)" non rappresentabile sul piano, ma sul cono cubico, la quale si ottiene proiettando una Fl) con tacnodo', anzichè la F(2) generale. Di queste superficie particolari le 1)/,... 4)” oltre alle proprietà del tipo omologo 482 GUIDO CASTELNUOVO Ogni superficie non normale di seconda specie d’ordine n è proiezione di una superficie normale dello stesso ordine di S,_, (per l’ultimo teorema del num. 6). (*) III. Superficie di 3° e 4° specie. 11. Delle superficie che ancora mi rimangono da trattare (in particolare della generale e delle rigate) dirò poche cose, perchè esse vengono meglio studiate considerandole come individui di altre categorie (rispett. delle superficie del genere 1, e delle rigate generali), piuttosto che come superficie a sezioni del genere 3. Badando alla definizione (num. 1) e ripetendo un ragiona- mento fatto al principio del num. 5, si vede subito che una generale 4), ...4), ammettono un tacnodo, 1,...4, risp., rette semplici ulte- riori uscenti dal tacnodo, e co' coniche passanti per questo e formanti una serie ellittica; noto in particolare la 3)’ superficie del quinto ordine con tre rette doppie uscenti da un punto triplo, e con tacnodo ; essa contiene sei rette semplici, tre a,, 03, 43 giacenti nelle faccie del trispigolo 4, 2, 3 delle rette doppie, le altre tre d,, da, 93 uscenti dal tacnodo e secanti rispett. le coppie 1a,, 20,, 303. Le tre rette di, da, dg stanno nel piano tangente alla F? nel tacnodo, il qual piano seca ulterior- mente la F5 in una conica passante per il tacnodo, Gli co* coni quadrici che passano per le tre rette doppie 1, 2, 3 e per il tacnodo, segano la superficie lungo coppie di coniche; 4)' superficie del quarto ordine con due tacnodi e due quaterne di rette uscenti da questi e giacenti nei piani tangenti singolari; ogni piano per i due tacnodi sega la superficie lungo due coniche. Di questa superficie 4) si trova un cenno nei lavori: Kummer, Ueber Flachen vierten Grades auf welchen Schaaren von Kegelschnitten liegen (Crelle-Journal, Bd. 64); NOTHER Ueber die eindeutigen Raumtransformationen (Math. Annalen, Bd. 3). (*) Si possono quindi assegnare subito tutte le superficie non normali di seconda specie. Accennerò soltanto ad una £° del nostro spazio, la cui curva doppia si compone di una retta e di una curva del sesto ordine e genere 2 avente due punti doppi sulla retta; sulla /? giacciono due rette semplici che si appoggiano alla retta doppia. Per un punto particolare di questa pas- sano co! piani bitangenti di /° che secano la superficie lungo coppie di cu- — biche, ed inviluppano un cono del secondo ordine doppiamente circoscritto a F°. (Un cenno di questa £° si trova a pag. 42 della citata Me del CAPORALI). SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 483 superficie di terza specie deve aver l'ordine quattro, appartenere al nostro spazio e possedere un punto doppio (ma non curva doppia). Ora una tal superficie ha in generale il genere 1; ma può divenire rappresentabile sul piano semplice (acquistando il genere 0) per particolari singolarità del punto doppio. Il NòTHER (*) assegnò i due tipi di F* con punto doppio che sono razionali, ne diede la rappresentazione piana e ne dedusse le principali proprietà. Qui dirò soltanto che ura di queste /°* è rappresen- tata sul piano mediante il sistema delle curve di settimo ordine con un punto triplo e 9 punti doppi comuni, i quali 10 punti base stanno in particolare posizione sopra una cubica; l’altra 74 mediante il sistema delle curve del nono ordine, il cui gruppo base è costituito da otto punti tripli, un punto doppio e un punto semplice (dieci punti che stanno sopra una stessa cubica). Una superficie di quarta specie non potendo contenere un sistema oo? di quartiche di genere inferiore a 3, deve necessa- riamente essere la superficie generale del quarto ordine di S,. Una tal superficie ha il genere 1, e non può mai rappresentarsi sul piano. IV. Superficie sulle quali ogni curva del sistema (7) si scinde. 12. È questo l’ultimo caso che devo esaminare. Segue da una osservazione fatta più volte dal sig. NÒTHER (**) che sopra una superficie irriduttibile la curva generica y di un sistema lineare (7) può scindersi soltanto in curve tutte dello stesso ordine, formanti un tal sistema co' (0) che per ogni punto della superficie passi una sola curva di (0) (più forse qualche curva fissa comune ad ogni y). Nel nostro caso, pensando alla 9,9 segata sopra una sezione di F” da (7) si vede subito che non può da ogni curva di (7) staccarsi una stessa curva fissa; e poichè la y generica è del quarto ordine essa potrà scindersi soltanto in due coniche o in quattro rette, come avevo già af- fermato al num. 1. (*) Ueber die rationalen Flichen vierter Ordnung (Math. Annalen, Bd. 33), (**) Math. Annalen, Bd. 3, pag. 174; Bd. 8, pag. 524. 484 GUIDO CASTELNUOVO Nella prima ipotesi le oc! curve ‘ che passano per un punto di una conica formante parte di una ‘7, sì scindono tutte in quella conica e in co! altre coniche che costituiscono un sistema lineare; due qualunque tra queste formano una curva y. La #°”, adunque per un teorema già citato dal sig. NOTHER (*) è rap- presentabile sul piano. Sopra una sezione di Y” le co! coni- che determinano una involuzione razionale di coppie di punti, sicchè la F"” ha per sezioni tutte curve iperellittiche; le pro- prietà di questa Y” seguono quindi subito (ponendo 7 =3) da quelle che ho dimostrato in una mia Nota (giù nominata) per le superficie a sezioni iperellittiche di genere 7. Così si trova che: la superficie a sezioni iperellittiche di genere 3 che ha il massimo ordine ed appartiene allo spazio più elevato, è la F'° di S,,; ogni altra F” della categoria qui studiata può ottenersi dalla F!° mediante proiezione. La F'° di ,S,, contiene col coniche i cui piani formano una varietà razionale d’ordine 12. La F! può appartenere a due diversi tipi perchè: 1) o le curve d'ordine minimo secanti ciascuna conica in un sol punto sono col quartiche razionali; 2) o vi è una sola curva d'ordine mi- nimo f.=3 secante in un punto ciascuna conica. Nel primo caso la F!° si rappresenta sul piano mediante le curve del 6° ordine che hanno un punto quadruplo e un punto doppio in comune; nel secondo caso mediante le curve d'ordine 8— uu. con un punto multiplo secondo 6 — p. e 3 — p. punti doppi infinitamente vicini a questo (u=0, 1, 2, 8). Credo inutile di fermarmi sulle varie proiezioni di questa F'° negli spazi inferiori (tra le quali noterò soltanto la 7°? con retta tripla di $.). 13. Se la curva generica Y si scinde in quattro rette, la F” contiene col rette ed è quindi una rigata di genere 3. Da alcuni teoremi del sig. SEGRE (*) sulle rigate di genere n, segue subito: Una rigata di ordine qualunque n e di ge- nere 3, la quale appartenga ad uno spazio inferiore ad S,-5, è proiezione di una rigata dello stesso ordine appartenente ad S,-ss Una rigata d'ordine » e genere 3 può avere però per spazio normale un S. dove r>n— 5; il massimo valore che può (*) Math, Annalen, Bd. 3. (**) Courbes et surfaces réglées algebriques, Math. Ann. Bd. 34. ‘SUPERFICIE A SEZIONI DI GENERE 3 485 raggiungere r, dato n, è n—2 (fatta eccezione per il cono del quarto ordine di S,); una rigata d'ordine n di S,_, è sempre un cono. Si sa pure che per n=10, una rigata d’ ordine »: ha una retta direttrice doppia (ed è quindi iperellittica) quando r=%—3: ha per direttrice una retta doppia o tripla oppure una conica doppia, oppure una quartica piana semplice, quando ran 4. A queste proprietà, che si deducono subito dai teoremi ge- nerali dimostrati dal sig. SEGRE, altre potrebbero aggiungersi facilmente (relative per es. alle rigate d’ordine n<10), appli- cando al caso 7=3 considerazioni analoghe a quelle di cui il SEGRE fa continuo uso. Mi pare che l'argomento offra suffi- ciente interesse per augurare che altri lo prenda come oggetto di particolari ricerche. Torino — Maggio 1890. Il Permo-carbonifero di Valle Stretta (Alta Valle della Dora Riparia); del Dott. F. VirGILIO In parecchie escursioni compiute nella Valle della Dora Riparia ebbi occasione di osservare le formazioni rocciose affioranti nella sua parte alta, e più precisamente in Valle Stretta; e nella estate del 1887 dedicai alcuni giorni ad uno studio più particolareg- giato di quest’ultima località. La Valle Stretta, così chiamata per la ristrettezza dell’alveo nella sua metà inferiore, è diretta da nord-ovest a sud-est, e sbocca a Pian del Colle, a sud-ovest del villaggio Melezet. Essa misura una massima lunghezza dalla vetta del Tabor a Pian del Colle di oltre 11 Km. ed una massima larghezza dalla Rocca Gran Tempesta alla Cima della Gran Bagna di oltre 6 Km. e mezzo. L'ampia massa rocciosa del Tabor (m. 3177) chiude quasi il suo fondo. Il versante sinistro è formato dall’ imponente bastione calcareo, che dalla Cima della Gran Bagna (m. 3070) sul con- fine italo-francese, si dirige sinuosamente a sud-est, dando così 486 °F. VIRGILIO origine a diverse dirupate punte, quali la Bernaude (m. 3229), la Baldassarre (m. 3162), la Melchiorre (m. 2959) e la Gasparre (m. 2629), e terminando ai casolari di Melezet ed Arnauds. Questo clinale divide la Valle Stretta dalla valle vicina e paral- lela, detta della Rhò, che sbocca ad ovest di Bardonecchia. Il versante destro scende dal sinuosissimo clinale del confine con la Francia, il quale clinale, a cominciare dal Tabor, segue pel Colle Valmeinier (m. 2856), Rocca Chardonnet (m. 2946), Colle La- val, Rocca Gran Tempesta (m. 3009), Rocca Piccola Tempesta (m. 2979), Rocca Bianca (m. 2851), Colle del Vallone (m. 2626), Passo del Cavallo, Roche des Thurres (m. 2701), Col des Thurres (m. 2184), Guglia Rossa (m. 2547), Col des Echelles (m. 1760), Guglia del Mezzodì (m. 2621), Col des Acles (m. 2207). L'importanza geologica di questa parte della Valle di Susa è specialmente devoluta allo sviluppo di formazioni appartenenti alla serie delle roccie fossilifere alpine più antiche, cioè il Car- bonifero. Questa zona, in lembi distaccati, penetra in Italia dal Vallese di Svizzera per il Gran San Bernardo, taglia la Valle d’Aosta rasentando il massiccio del Monte Bianco, passa in Ta- rantasia e nella Moriana per la Thuille e per il Piccolo S. Ber- nardo, rientra in Italia per la Valle Stretta, segue per il Brian- connais, riappare a Monfieis sopra Demonte, e diventa centrale nella parte orientale ligure-piemontese delle Alpi Marittime fino a Calizzano: segna così un allineamento concentrico tra l’asse arcuato delle ellissoidi del Monte Bianco, di Belledonne, del Pelvoux e del Mercantour al di fuori, e l’altro asse arcuato delle ellissoidi del Monte Rosa, del Gran Paradiso e di Dora-Val Maira al di dentro. In via generale vi si osserva una marcata discor- danza tra le roccie cristalline arcaiche e quelle prettamente fossi- lifere delle nostre Alpi, quindi contatti diretti di queste ultime con le roccie appartenenti alla zona delle pietre verdi del Ga- staldi, e talora anche con lo gneiss centrale antico. Quasi ovunque i conglomerati, le arenarie e gli scisti carboniosi con antracite caratteristici del Carbonifero sono accompagnati dalle formazioni permiane e triasiche rappresentate in genere: le prime da ana- geniti, e scisti talcoidi, le seconde da quarziti e calcari. Le prime scoperte di giacimenti antracitiferi con piante fossili nelle Alpi occidentali avvennero sul principiar del secolo in Francia (Petit Coeur in Tarantasia), e furono illustrate da Brochant, Elie de Beaumont, Brongniart, Gras, Bunbury, Heer, Grard-Eury IL PERMO-CARBONIFERO DI VALLE STRETTA 487 e da altri. In Italia e verso il 1877 il Baretti raccolse nella Valle della Thuille varie impronte di piante fossili del Carboni- fero; ed il Portis (1), che le studiò, trovò in esse quasi tutte le specie già rinvenute a Petit Coeur. L'ingegnere Zaccagna ne scoprì nel 1885 nelle Alpi Marittime; e l’ingegnere Mattirolo ne raccolse in Valle Stretta nel 1888, appunto un anno dopo ch'io, ad escursioni finite, raccoglievo qualche studio sulle inda- gini fatte. Fossili triasici infine furono pure recentemente trovati dallo Zaccagna e dal Mattirolo a Gad d’Oulx ed al Col des Acles nella Valle della Dora Riparia. Accenno ora alle varietà petrografiche che costituiscono ed accompagnano la zona carbonifera di Valle Stretta. La strada, che da Bardonecchia conduce ai casolari di Ar- nauds e Melezet, rasenta il roccioso sperone terminale, che divide la Valle Stretta dalla Valle della Rhò. Tale sperone è formato da strati variamente contorti di calcescisto, inclinati a sud-ovest, calcescisto, cotesto, eminentemente intaccabile dalle acque, per cui, mercè gli enormi prodotti di sfacelo, vien via e di frequente flagellando i luoghi sottostanti. Di poco oltrepassato il villaggio di Melezet, i calcescisti, passano gradatamente a calcari compatti grigio-rossastri, i quali, conservando lo stesso andamento strati- grafico, si estendono sino a formare tutto il versante sinistro della Valle Stretta, non che la parte terminale del versante destro, dallo sbocco della Comba Miglia, presso le Grange di Valle Stretta, alla Guglia Rossa, alla Guglia del Mezzodì, al Col des Acles e oltre. Probabilmente la metà inferiore della valle, dalle Grange a Pian del Colle, segna una frattura di strati con spostamento (faglia) in alto della parte sud-ovest di tutta la potente massa calcarea. Oltre Pian del Colle, incontransi a’ lati del torrente, lembi morenici, che si prolungano nell’interno della valle fino al di là delle Grange Prignon. Fino a questi alpi, nulla havvi di notevole, imperocchè i due versanti della valle sono costituiti dalle masse calcaree, a picco sul versante destro per le testate infrante degli strati, e con enormi accumuli detritici sul sinistro. Dalle Grange di Valle Stretta rimontando il sentiero, che (1) In BarETTI, Studi geologici sulle Alpi Graie settentrionali; Mem. R. Ace. de’ Lincei, S. 3*, V. III, 1879, 488 F. VIRGILIO per il basso della Comba Miglia mena al Col des Thurres, s’in- contrano dapprima gl’identici calcari, di poi piccoli lembi di car- niole e gessi, da ultimo una anagenite grossolana a granuli quarzosi bianchi, grigi, rosei e violacei, impastati con talco verdiccio, la quale anagenite passa per gradazioni a quarziti bianche e ver- diccie, che varcano il confine estendendosi e a tramontana e a mezzodì. Più in alto riappaiono i calcari sovrapponentisi alle quarziti, i quali per la Roche des Thurres, Col Etrait du Vallon, Rocca Riondi, Passo del Cavallo e Colle del Vallone, formano il clinale confine con la Francia, e si sviluppano al nord fino alla Gran Testa del Cane. L'andamento stratigrafico delle quarziti è concordante con quello dei calcari sovrastanti, e di conseguenze con inclinazione in generale a sud-ovest, salvo accidentalità locali. Da ciò, tanto i calcari quanto le quarziti rappresenterebbero nel luogo accennato la parte di una gamba o fianco di anticlinale spezzata; e la venuta a giorno delle sottostanti quarziti, più che alla denudazione per l’erosione superficiale, è dovuta ad un’altra frattura di strati accompagnata da spostamento (faglia) in alto della parte occidentale, frattura e spostamento che si prolun- gano dal confine nord poco lunge dall’ovest del Colle di Valle Stretta, in direzione nord-sud con leggiera convessità rivolta ad oriente. Tutta la valle perciò con le sue diramazioni in alto, non è che una valle d’interstratificazione. Chi risalendo il sentiero. che dalle Grange Serre conduce alla Comba omonima ed al Passo del Cavallo a sud-est del Colle del Vallone, incontra dapprima le quarziti sottostanti ai calcari; di poi uno scisto talcoide feldspatico a forma gneissica grigio-verdastro passante talora a scisto talcoide micaceo a grana fina e colora- zione verdiccia omogenea. Più in alto compaiono arenarie e scisti carboniosi con antracite, su cui poggiano immediatamente ed in ordine ascendente lo stesso scisto talcoide, le quarziti ed i calcari. Questo scisto rappresenterebbe qui l’appenninite del Gastaldi, formazione indubbiamente permiana per il fatto del trovarsi essa nelle Alpi costantemente interposta tra gli strati carboniferi al di sotto e le quarziti coi calcari triasici al di sopra. Tale roccia è grandemente sviluppata nelle Alpi Marittime ; ed il Gastaldi la denominò apperninite appunto perchè credeva ch’essa piuttosto abbondasse nell'Appennino. Ma da recenti conclusioni che lo Zac- IL PERMO-CARBONIFERO DI VALLE STRETTA 489 cagna (1) dedusse dalle sue indagivi fatte dalle Alpi Marittime alle Graie, risulterebbe che questa roccia, mentre manca nel vero Appennino, perchè soltanto si estende poco oltre il Colle di Ca- dibona, si sviluppa invece ampiamente dalle Alpi Marittime per le valli della Stura e della Maira, in Francia nella Valle del l'Ubaye, per ricomparire poi, in lembi, allo Chaberton, in Valle Stretta, a Modane, in Tarantasia ed al Monte Bianco. Si presenta sotto svariatissime forme, per il che differenti sono i nomi che può pren- dere, ad esempio quelli di scisto anagenitico, scisto gneissico, ana- gemite feldspatica, gneiss verde, gneiss anagenitico. È il Suretta- gneiss dei Geologi svizzeri allo Spluga. L’ ingegnere Zaccagna propone il nome di Besimaudite, perchè essa costituisce intera- mente la Punta Besimauda a sud di Cuneo nelle Alpi Marittime. Il calcare, che trovasi in alto e al di sopra delle quarziti, è del tutto consimile ai calcari che s'incontrano al basso della Comba Miglia. Gli strati superiori però, che formano il clinale tra il Passo del Cavallo ed il Colle del Vallone, specialmente sul versante francese, sono identici ai lembi calcarei della vetta del Tabor e del Colle di Valle Stretta. È un calcare questo a struttura veramente singolare. Si presenta scistoso, grigio, rossa- stro, con venature a noduli allungati di color nero avvolti tra loro ed intricati, i quali, secondo il Portis ed il Piolti (2), sarebbero resti di Cylindrites. Dalle Grange Serre, rimontando il sentiero che guida al Colle di Valle Stretta, s’incontra subito un altro lembo di gesso ta- gliato dal torrente: seguitano tuttavia ad affiorare le quarziti sottostanti ai calcari dell'imponente bastione roccioso, il quale, con le testate inferiori de’ suoi strati, forma tutto il versante sinistro della valle, elevandosi in fantastiche vette fino oltre i 3200 metri sul mare. Sulla destra del torrente invece affiorano le testate superiori degli strati di arenaria micacea del carbo- nifero per lo spostamento già accennato. Oltrepassato il Ponte della Fonderia, il sentiero segue in alto frammezzo ai due corsi d’acqua paralleli: il Rio Tavernetta a sinistra ed il Rio Gere- brea a destra; la zona carbonifera è limitata pressocchè da questo (1) D. Zaccagna, Sulla geologia delle Alpi occidentali; Boll. d. Com. Geol. Ital., 1887, N. 11 e 12. (2) A. PortIs e G. PioLtI, Il Calcare del Monte Tabor; Atti d. R, Acc. d, Se, di Torino, V. XVIII, 1883. 490 F. VIRGILIO secondo ruscello per continuare poi nel valloncino della Donna ed estendersi fin oltre il confine e ad ovest del Colle di Valle Stretta. Le quarziti bianche e verdastre, col sottostante scisto talcoide, seguitano parallelamente l’affioramento degli strati car- boniferi. Al Colle di Valle Stretta s'incontrano anche calcari brec- ciati e micacei, non che lembi di calcare fossilifero identico a quello del Tabor e del Passo del Cavallo. Dalle Grange di Valle Stretta si scorge in direzione nord- nord-ovest la gran massa rocciosa dei Serù, che si eleva per più che 600 metri dal fondo della valle. Alla sua base, sui versanti orientale e meridionale, sono visibili le arenarie micacee, su cui poggiano le quarziti bianche, che a loro volta sopportano gli strati calcarei terminali: con le loro testate irte, scoscese e sconquassate tali strati danno alla massa un aspetto fantastico. Il tutto trovasi in stratificazione concordante, con inclinazione degli strati a sud- ovest. Sui versanti settentrionale ed occidentale invece, sono le quarziti sottostanti al calcare, che a nord-ovest si estendono fino al Tabor ed al Colle Valmeinier oltre il confine, mentre al sud si prolungano dall’una parte per la base orientale della Gran Testa del Cane, tagliando in basso la Comba Serre, la Comba Miglia, e via via oltre al Col des Thurres, — dall’altra fino al di là del Colle del Vallone e della Rocca Bianca. Per una linea poi passante per il Colle Valmeinier ed i laghi di Chardonnet, del Grande Adritto, della Gran Tempesta e di Lavora, fin oltre la base occidentale della Rocca Bianca, si ren- dono di nuovo visibili le arenarie micacee con scisti carboniosi intercalati, che, con le testate infrante dei loro strati, formano tutta quella parte del versante destro della valle. Il clinale, se- gnante il confine, passa per la Rocca Chardonnet, Colle Laval, Rocca Gran Tempesta e Rocca Piccola Tempesta. La colorazione scura della roccia e gli abbondanti prodotti di sfacelo superficiale dànno un aspetto triste e selvaggio alla località. L’inclinazione generale degli strati è sempre a sud-ovest, salvo accidentalità stratigrafiche locali. La depressione occupata dai suaccennati laghi coll’affioramento degli strati carboniferi ad ovest, segna un altro salto (faglia), il quale perciò risulta parallelo a quello, accen- nato precedentemente, di Rocca Bussort-Col des Thurres. Negli scisti ardesiaci carboniosi neri e grigiastri di questi luoghi il Mattirolo rinvenne le impronte di piante fossili, che‘ furono poi illustrate dal Portis, IL PERMO-CARBONIFERO DI VALLE STRETTA 491 Infine nell'antica miniera del Bancher o di Melezet, alla base orientale della Gran Testa del Cane, l’ematite trovasi a compe- netrare la quarzite fra lo scisto talcoide al contatto col calcare. Dall’andamento stratigrafico delle formazioni rocciose affio- ranti nella località in esame, dalla natura mineralogica di que- ste, dai fossili rinvenutivi, e dal confronto con formazioni iden- tiche di altre località delle Alpi occidentali, si potrà con sicu- rezza ottenere la determinazione cronologica dei terreni tutti, nei quali è incisa la Valle Stretta. Della composizione mineralogica e dello assetto stratigrafico di queste formazioni ho già detto precedentemente. Riguardo ai fossili vi hanno dapprima quelli del lembo di calcare della vetta del Tabor. Essi fin dal 1839 richiamarono l’attenzione del Prof. Angelo Sismonda (1), il quale perciò trovò detto calcare analogo a quello del Portlandiano, sottopiano oggidì del Titonico. I signori Portis e Piolti (2) vi riconobbero le Cylindrites; e pur ammettendo la scoperta di tali alghe fossili in tutti i terreni dal Siluriano al Flisch, vi trovarono maggiore analogia con le cilindriti di Solothurn, e vennero così alla conclusione, che il calcare del Tabor nulla ha di comune, vuoi col calcare del Chaberton, del Trias medio, vuoi col calcare del Brianconnais, del Trias superiore, e lo riferirono invece agli orizzonti inferiori del Cretaceo. Al lembo calcareo del Tabor potrebbero unirsi gli altri lembi identici, pure fossiliferi, da me accennati, del Passo del Cavallo, del Colle del Vallone e del Colle di Valle Stretta. Altri fossili scoperti a Gad d'Oulx dallo Zaccagna ed al Col des Acles dal Mattirolo furono studiati dal Portis (3). Nella prima località si rinvennero : Natica, sp. aff. N. pulla Goldf. Natica, sp. aff. N. exculpta Schaur. Myophoria sp. aff. M. elegans Dunk. Lima costata Minst. Diplopora pauciforata Gimb. (1) Mem. R. Acc. d. Sc di Torino, S. 23, T. III, pag. 39. (2) A. Portis e G. PrioLtIi, Mem. cit. (3) A. Portis, Nuove località fossilifere in val di Susa ; Boll. d. Com. Geol. d’Italia, 1885, N. 5 e 6. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. \XV 36 492 : F. VIRGILIO e nella seconda: Diplopora pauciforata Gimb. Per la presenza di questi fossili l’autore conchiude col rife- rire il calcare delle dette località al MuschelkalX inferiore (Fran- coniano). I medesimi fossili si trovano abbondantissimi in alcuni strati del calcare del Chaberton, ma per non aver potuto finora ottenerli isolati in istato riconoscibile, e per esservi in. quella località una potente pila di strati, giustamente il Portis dice non essere fattibile oggidì asserire sino a qual punto la serie dello Chaberton si elevi al di sopra del MuschelkalX inferiore. Infine le piante fossili trovate dal Mattirolo negli scisti car- boniosi al Colle Valmeinier, Colle Laval, Rocca e Colle Gran Tempesta, Lago Lavora e Comba Serre in Valle Stretta, accu- ratamente studiate dal Portis (1), sarebbero le seguenti : 1. Sphenopteris Hoeninghausii Brongt. 2. Diclksoniites Pluckenetii (Schloth sp.) Brongt. sp. 3. Lepidodendron Sternbergii Brongt. 4. Lycopodium denticulatum (Gold.) Schimper. o. Lepidophyllum trilineatum Heer. 6. Lepidophyllum majus Brongt. 7. Distrigophyllum bicarinatum (Lindl. sp.) Heer? 8. Calamites Succovii (Brongt. ex p.) Stur emend. 9. Calamites Cistii Brongt. 10. Calamites ramosus Artis. 11. Calamites sp. Calamocladus, Asterophyllites, Wolk- . manniae aut Bruckmanniae etc. 12. Cordaites (Eu-cordaites) borassifolius Sternb. 13. Cordaites (Poa-cordaites) microstachys Goldemb. L’autore, paragonando poi queste piante con quelle trovate in Francia ed in Isvizzera, deduce le seguenti conclusioni : Le specie 1, 4 e 10 furono segnalate per la prima volta nelle Alpi occidentali, l’ultima però fu incontrata dall’Haug nel 1889 a Barles nel Delfinato; la specie 13 sarebbe ignota in Savoia; la 5 fu trovata solo in Tarantasia; la 6 soltanto rin- venuta dallo stesso Portis al Colle del Piccolo S. Bernardo (2). (1) A. Portis, Mem. cit. (2) In BarettI, Mem, cit, IL PERMO-CARBONIFERO DI VALLE STRETTA 493 I punti più in alto del clinale, quali sarebbero quelli del Colle Valmeinier, del Colle Laval e della Rocca Gran Tempesta, si riferirebbero al livello del Delfinato, mentre i punti più in basso verso il fondo della valle, quelli cioè del Lago Lavora e della Comba Serre, corrisponderebbero al livello della Tarantasia, superiore questo ed inferiore quello del Delfinato in rapporto alle piante carbonifere di queste località, giusta l’opinione del Gras, dell'Heer, dello Stur e del Saporta. Finalmente la specie 10 pare corrispondere più alla flora dell’antracifero alpino, che è il livello della Tarantasia (superiore). Venendo ora ad un esame di confronto tra la Valle Stretta ed altre località delle Alpi occidentali, mi riferirò al lavoro dello Zaccagna, già citato. Alla base del Mongioje, Valle del Negrone, nelle Alpi Marit- time, s'incontrano scisti neri carboniosi, scisti arenacei, micacei e talcosi grigi e vere arenarie, che rappresentano il Carbonifero. Superiormente stanno scisti granosi talcosi verdicci, che, dive- nendo feldspatici, si trasformano in appenninite, giusta la deno- minazione del Gastaldi, come nelle Alpi Apuane ed allo Spluga. Secondo lo Zaccagna la facies più normale e diffusa di questa roccia, è lo scisto a forma gueissica di granuli di quarzo e di feldspato allungati e cementati da materia talcoide verde scura; per grana fina assume l’aspetto di una arenaria feldspatica a con- tatto specialmente con le anageniti. Queste, sovrastanti all’ap- penninite, sono costituite di granuli quarzosi bianchi e rosei in una pasta talcoide verdiccia, e passano per gradazioni a quar- ziti bianche e verdiccie. Secondo i geologi lombardi e tedeschi, le anageniti corrisponderebbero al Verrucano della Toscana, e verrebbero riferite al Permiano, mentre le sovrastanti quarziti rappresenterebbero il Trias inferiore; ma nelle Alpi Marittime queste due roccie sono così intimamente connesse da non potersi separare l'una dall’altra con netta e precisa distinzione, epperciò lo Zaccagna le riunisce nel Trias con le altre roccie triasiche, poggian- dosi anche sulla presenza del fossile trovato a Castagnabanca in Li- guria dai signori Mazzuoli ed Issel, fossile, che, mentre dapprima fu ritenuto per Estheria minuta, pare ora invece essere non altro, che Myacites Fassaensis, caratteristica del Trias. Imme- diatamente al di sopra degli scisti talcoidi e delle quarziti, pog- giano i calcari grigi subcristallini’passanti a calcescisti e calcari a lastre del Trias inferiore; superiormente stanno altri calcari 494 F. VIRGILIO dolomitici fossiliferi biancastri e grigiastri, subcristallini, duri, con fratture e vene di calcite corrispondenti ai calcari del Brian-. connais triasici di Lory, di Favre, di Gerlach e del Baretti. Lo Zaccagna chiama cotesti calcari calcari di Villanova, rappor- tandoli al. Muschelkallk (Trias medio), mentre il Portis, per la Diplepora annulata in essi contenuta, li riferisce al Keuper medio (strati di Wetterstein, di Hallstadt, di Esino). Ed infine ancora, al di sopra, stanno altri calcari compatti, suberistallini, bianchi, rosei, grigiastri, ceroidi del Trias superiore. In questa località raramente s'incontrano gessi e carniole ; sono però frequenti in altre, e più specialmente alla base del calcare di Villanova. Sul torrente Corsaglia, tra le quarziti a contatto coi calcari triasici, havvi un banco di ematite in compenetrazione nella quarzite ; fatto questo, che per lo Zaccagna costituisce un’analogia con le Alpi lombarde, dove il servino è sovente ferrifero. In Valle d'Aosta, verso il Monte Bianco; trovasi la mede- sima successione petrografica : agli scisti carboniferi succede lo scisto gneissiforme talcoide permiano, poi vengono le quarziti, i gessi, le carniole, i calcescisti, i calcari micacei grigi, bianchi, cristallini, compatti triasici. Ora. in Valle Stretta, alle arenarie micacee con gli scisti carboniosi del Carbonifero (arenarie e scisti che dalla Comba Serre si estendono per la base orientale del Serù alla Rocca Bussort sul confine, nel Valloncino del Desinare, presso il Lago Bianco, e su tutto il versante discendente dal clinale confine Colle Valmeinier-Rocca Bianca ai laghi Chardonnet, Grande Adritto e Lavora) si sovrappone dapprima lo scisto talcoide di Gerebrea, della Miniera del Bancher e della Comba Serre, pas- sante allo scisto talcoide micaceo verdastro di questa stessa loca- lità, e rappresentante il Permiano; dappoi, e più in alto, si sovrappongono l’anagenite della Comba Miglia e le quarziti bian- che e verdiccie, che dal Col des Thurres si prolungano al nord per il Vallone Tavernetta, alla base del Serù, alla Rocca Bianca fino al Tabor, riferentisi al Vosgiano (Trias inferiore). Su queste quarziti poggiano i calcari grigi subcristallini passanti a calcescisti, tra Melezet. e Bardonecchia , calcari che. si esten- dono per tutto il versante sinistro della valle fino al Colle di _ Valle Stretta, alla Guglia Rossa, Guglia del Mezzodi, Col des | Acles e oltre, alla Roche des Thurres, Passo del Cavallo, Colle | del Vallone, Gran Testa del Cane e Rocche del Serù; essi rap- | ) PT | Quaternario antico Da Cretaceo inferiore ", iroliano © Franomiano Trias {72 LI S| Vasyiano { musst 1a Permiano t | Carbonifero [I Scala di 50.000 RGerebrea Ì R° G. Tampesta fm 0008) Posrrrrea Piecolo Serù V'Tavernetta R® Bernaude A A L SO M. 1500 sul livello del mare - —_ — ——_- ui ‘iL PERMO-CARBON]FERO DI VALLE STRETTA 495 presenterebbero i calcari del Vosgiano, quello di Villanova, del Franconiano o Musckelkalk (Trias medio), e quello del Tiroliano (Trias superiore). Su questa, maggior massa di calcari stanno in ultimo i lembi accennati di calcare fossilifero a Cylindrites della vetta del Tabor, del Passo del Cavallo e del Colle di Valle Stretta, calcare che si riferirebbe al Cretaceo inferiore. Non man- cano infine le carniole ed i gessi al Tabor ed alla Comba Miglia; come pure l’ematite della Miniera del Bancher in compenetra- zione nel quarzo fra lo scisto talcoide, le quarziti ed i calcari. Dallo esame dei fatti precedentemente esposti si possono de- durre le seguenti conclusioni : 1° La Valle Stretta è una valle d’interstratificazione. Il suo alveo corrisponde a due salti: l’uno superiore, in direzione pres- sochè nord-sud, e l’altro inferiore, diretto da nord-ovest a sud- est; ambidue si uniscono poco a monte delle Grange Serre. 2° Il Carbonifero è costituito da arenarie micacee e da scisti carboniosi intercalati, e comprende entrambi i livelli della Ta- rantasia, superiore, e del Delfinato, inferiore. 5° Il Permiano è rappresentato dallo scisto talcoide gneissi- forme e dallo scisto talcoide micaceo verdastro. LI 4° Il Vosgiano. è costituito dall’anagenite , dalle quarziti bianche e verdiccie, dai calcescisti e dai calcari grigi inferiori. 5° Il Franconiano ed il Tiroliano dai calcari grigi e rossastri superiori. 6° Il Cretaceo dai calcari a Cylindrites. 496 PIERO GIACOSA Studi sulla produzione dell’ Acido urico negli organismi; di Piero GIACOSA Nel Luglio dell’anno scorso I. HorBAczEWSKI presentava al- l'Accademia delle Scienze di Vienna alcune sue ricerche sulla produzione dell’acido urico nei mammiferi (1). Il più notevole fra i risultati delle sue osservazioni era il fatto ben constatato che se si lasciano per qualche ora in contatto polpa splenica e sangue di vitelli lattanti alla temperatura dell'organismo e in presenza d’aria, si formano delle quantità sensibili di acido urico. La produzione di quest’acido è in ragione diretta della quan- tità di milza impiegata ; essa dipende dalla integrità delle con- dizioni di temperatura e di aerazione fisiologiche : l'estratto acquoso della milza fresca, contiene sciolti dei principii i quali per l’a- zione del sangue generano acido urico. La milza e il sangue esa- minati immediatamente dopo estratti dall’animale non contengono punto, o soltanto traccie di acido urico. Come si scorge, questi fatti sono abbastanza interessanti per meritare conferma; e nella prima parte di questo lavoro io ebbi appunto ad occuparmi di questo argomento e volli ripetere le esperienze di HoRBACZEWSKI. Darò più sotto i particolari di queste esperienze. Intanto è bene riassumere alquanto per sommi capi lo stato presente delle nostre cognizioni su questo argomento. Dopochè il KosseL con varii lavori dimostrò il nesso che passa fra la nucleina e i corpi xantinici venne spontanea l’idea che fosse da cercarsi nella nucleina l’origine dell’acido urico. Le formole dei corpi xantinici cioè della xantina, ipoxantina, gua- nina ed adenina si rassomigliano tanto e hanno tale affinità con (1) Sitzungsberichte d. kais. Ahademie d, Wissenschaften. Mathem-naturw, Classe } Bd. XCVIII, Abt. III, Juli 1889. PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 497 quella dell'acido urico; fra i prodotti di scomposizione di questi corpi se ne trovano tanti comuni, che il pensiero corre spontaneo ad immaginarli come composti derivanti gli uni dagli altri. Nei nostri laboratorii finora si riuscì a ottenere la ipoxantina dal- l’adenina per l’azione dell’acido nitroso (KossEL) e la xantina dalla guanina collo stesso metodo. Ma, malgrado le affermazioni di STRECKER (1) che si trovano ancora registrate nel trattato di Ro- SCOE e SCHORLEMMER (2), non si potè dall’acido urico ottenere per riduzione la xantina, nè dall’ipoxantina per ossidazione la xan- tina. Però questa trasformazione si compie non solo nell’orga- nismo degli uccelli, ma anche in quello dei mammiferi. KERNER (3) trovò che la guanina data ai conigli produce aumento di acido urico: l’ipoxantina nell'organismo dei polli si trasforma quasi intieramente in acido urico (v. MACH) (4). Se è assodato che nell’organismo sopratutto degli uccelli i corpi xantinici sì trasformano in acido urico, non si ha ancora la prova diretta che la nucleina produca nelle condizioni fisio- logiche dei corpi xantinici. Il KossEr ottenne bensì xantina della nucleina, ma per l’azione degli acidi diluiti. La inattacabilità della nucleina al succo gastrico rende diffi cile il poter fare il diretto esperimento. StADTHAGEN (5) che lo tentò somministrando nucleina non vide neli’urina aumentare i corpi xantinici o l’acido urico: probabilmente la nucleina non era stata assorbita. Altri fatti tuttavia mettono si può dire fuor di dubbio che i corpi xantinici derivino dalla nucleina degli or- gani. Anzitutto gli organi più ricchi in nucleina sono anche più ricchi in corpi xantinici (SALOMON, KossEL); se questi organi ricchi in nucleina si esaminano freschi, vi sì trovano meno corpi xan- tinici che non dopo 24 ore di riposo (6); nel sangue vivente non sì hanno corpi xantinici che in minime quantità e vi compaiono dopo la morte (SAaLomoN (7). Il SaLKkowsKI (8) trovò che il lievito sterilizzato contiene nucleina e pochissimi corpi xantinici, ma che (1) Zeitschr. f. phys. Ch., 10, p. 260. (2) Lehrb. d. Chemie. II Band, p. 918, Braunschweig, 1884. (3) Ann. der Ch. u. Pharm., CIII, 249. (4) Arch. f. exp. Path. u. Pharm., XXIV, p. 389. (5) VircHow”s, Arch., CIX, pag. 390. (6) Arch. f. Anat. u. Phys.. 1881, Phys. Abt., p. 364, (7) Zeitschr. f. phys. Chemie, II, p. 65. (8) Zeitschr. f. phys. CA., vol XIII, p. 506. 498 PIERO GIACOSA ‘la nucleina scompare e vengono le xantine quando si lascia il lievito a sè. Secondo il SaLKowsKI sarebbe un processo zimotico quello che nelle cellule darebbe luogo alla trasformazione della nucleina in xantina. La grande ricchezza della milza in elementi nucleati (leuco- citi) l’addita già a priori, in basc ai fatti che ho esposto, come uno degli organi in cui si devono formare corpi del gruppo delle xantine e dell’acido urico: fin dal 1858 il RANKE (1) emise questa ipotesi partendo dalle osservazioni confermatesi di poi, che nelle malattie in cui si ha aumento di volume della milza si ha anche aumento nella eliminazione di acido urico; ed è impor- tante a questo proposito l’osservazione spesse volte fatta (2) che la chinina fa diminuire la quantità ”d’acido urico eliminato. Le esperienze di HoRBACZEWSKI già citate confermano questa ipotesi; per controllarne l'esattezza io le ripetei nelle stesse con- dizioni in cui aveva operato lo sperimentatore austriaco. Il sangue e la milza si toglievano ai vitelli immediatamente appena uccisi; il sangue era rapidamente defibrinato e colato per un panno, poi si rinchiudeva il tutto in un recipiente a doppia parete, avviluppato al di fuori con lana. Fra le due pareti si metteva dell’acqua a temper. di 38°-40°. Gli organi così riparati per quanto si po- teva dal raffreddamento erano subito portati in laboratorio, dove giungevano con una temperatura che non scese mai al di sotto di 28°, e ciò per la grande distanza che è tra il matta- toio municipale e il mio laboratorio. Scelsi anch'io i vitelli lattanti, che a Torino si chiamano sanati, i quali hanno la milza assai ricca di corpuscoli nucleati. Giunti in laboratorio si riduceva la milza in pasta mediante una macchinetta trita-carne previamente riscaldata; si separava dalla polpa rossa il connettivo della capsula. Poi la polpa si pesava, si pesava il sangue con cui la si voleva mescolare, si impastava il miscuglio e si metteva in grande boccia di DRECHSEL, la quale si manteneva poi a bagno maria in un gran bicchiere di vetro a temperatura di 38°-40°. Mediante un aspiratore si faceva passare una corrente d’aria nel miscuglio di sangue e di milza, il quale per ciò aveva sempre un colore rosso vivo di sangue arterioso. (1) Citato in LeuBe e SaLkowski. Lehrevom Harn, p. 100, (2) Cfr. Prior, Pftigers Arch., XXXIV. p. 297 (1884). PRODUZIONE DELL'ACIDO ‘URICO NEGLI ORGANISMI 499 L'esperimento durava 6 a 7 ore: poi si lasciava raffreddare lentamente. Questo modo di operare è precisamente quello usato da HORBACZEWSKI. Feci in alcuni casi delle esperienze di controllo con sangue e milza freschi; ottenni sempre dei valori di acido urico o nulli o piccolissimi. i Quando io ritiravo dalla boccia di DRECHSEL il miscuglio di milza e di sangue per dosarvi l’acido urico esso tramandava per lo più odore di carne fresca; in alcuni pochi casi osservavo odore ammoniacale per putrefazione iniziata. Il miscuglio si estraeva con soluzione bollente di cloruro so- dico all’1 °/, con aggiunta di acido acetico. Si filtrava; il pre- cipitato col filtro si trattavano di nuovo con acqua bollente, pre- cisamente come nel lavoro di HorBaczewskI. Gli estratti riuniti si svaporavano a b. m. fino a piccolo volume, si filtravano a caldo e si trattavano col metodo di SALKowskI per la ricerca dell’acido urico quale è indicato nel suo trattato dell’urina a pag. 96, colla sola modificazione cella contemporanea aggiunta della soluzione magnesiaca ed argentica mescolate insieme. Il me- todo di Lupwie usato da HoRBACZEWSKI non è come osserva il SALKOWSKI (1) che una modificazione del suo, il quale è certo il più esatto fra i metodi di dosaggio dell'acido urico. benchè sia lunghetto e minuzioso. Raramente m’accadde nel corso di numerosi dosaggi di acido urico eseguiti in quest'anno che il filtrato dal solfuro d’argento fosse torbido; in ogni caso credo miglior consiglio filtrare il liquido tal quale appena sia presso alla ebollizione, e acidificare il fi'- trato: in tal caso si forma ùn intorbamento leggero lattiginoso di zolfo che si asporta poi coi lavaggi al solfuro di carbonio, mentre che se si fosse acidificato prima di filtrare si avrebbe avuto una filtrazione assai lenta. L'acido urico con questo metodo si ottiene per lo più in bei cristalli grandi, abbastanza scolorati. La quantità di acido urico ottenuta dalla polpa splenica e dal sangue di vitelli lattanti nelle condizioni accennate è estre- mamente variabile; ciò perchè non tutte le milze contengono le stesse quantità di nucleina o di generatori dell’acido urico, e (1) Zeitschr. f. phisiol. Chem., Vol, XIV, p. 48. 500 PIERO GIACOSA perchè anche la temperatura e la durata delle esperienze diffe- rirono alquanto dall’uno all’altro caso. Ecco i risultati delle mie esperienze; le ordino non crono- logicamente, ma secondo le quantità crescenti di milza impiegate. Esp. 1° - 4 febbraio 1890. — Si impiegano gr. 67 di san- gue e 33 di polpa splenica che .giunsero in laboratorio a tem- peratura di 28°; si mescolano e si mettono nella boccia di DrEcHSEL che contiene ancora un po’ d'acqua, per cui si scioglie un po’ di emoglobina; si lascia a 38-40” per ore 5 //,, poi si lascia sfreddare per 11 ore; nessun odore putrido all’aprire della boccia. Acido urico trovato milligr. 78. Esp. 2° - 10 febbraio 1890. -- Milza e sangue arrivano dall’ammazzatoio a temp. di 34°, si passa subito ala macchina ed al setaccio la milza, e la polpa si divide in 2 porzioni di gr. 75 l’una: una porzione si mescola con 200 gr. sangue e si mette nella boccia DRECHSEL dove rimane 5 ore e mezza a tem- peratura di 38°-40°; poi si spegne e si lascia sfreddare 12 ore; l’aria passa sempre regolarmente: nessun odore putrido: acido urico ottenuto milligr. 105,5. Esp. 3° - 26 gennaio 1890. — Milza e sangue giungono a temp. di 28°: 100 gr. di polpa splenica si mescolano con 300 di sangue, e sì lasciano 17 ore nella boccia di DREcHSEL: la temp. fu sempre da 35 a 38°. In questo dosaggio si ebbe l’inconve- niente che il solfuro d’argento passò a traverso al filtro per cui _ si dovette evaporare alquanto prima di filtrare. Acido urico ot- | tenuto milligr. 43,9. | Esp. 4° - 11 marzo 1890. — Sangue e milza giungono dal- _ l’ammazzatoio a temp. di 29°, si mescolano 150 gr. polpa splenica _ con 300 gr. sangue: rimangono circa 12 ore a 38°: acido urico ottenuto milligr. 128,1. Esp. 5° - 6 gennaio. — Sangue e milza arrivano a tem- peratura di 28°: si mescolano 325 gr. di polpa splenica con 325 di sangue, e il miscuglio si divide in due porzioni eguali, ciascuna contenente gr. 162. di polpa splenica e 162 gr. di sangue. La prima porzione si getta senz'altro in acqua bollente contenente cloruro sodico 1 ‘/,, Sì aggiunge acido acetico, e in- i somma si tratta come le altre per la ricerca dell'acido urico; l’altra porzione si mette nella boccia di DRECHSEL, vi si lascia 6 ore a 38°, sempre regolando bene la corrente d’aria: poi la sì tratta subito con acqua hollente come l’altra porzione senza "PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 501 lasciare sfreddare. Durante l’estrazione con acqua di queste due porzioni succedette uno sbaglio per cui la terza acqua di estra- zione della seconda porzione, cioè di quella che fu nella boccia per 6 ore si versa con le due prime della prima porzione che è quella trattata immediatamente, e viceversa la terza acqua di questa prima porzione si getta con quella della seconda. Forse per questa causa si trova che il sangue e la milza immediata- mente mescolati e analizzati contengono un po’ d’acido urico, 13 milligrammi; l’altra porzione ne contiene invece 111 milligr., e certamente si avrebbe avuto un numero maggiore senza l’in- conveniente accennato. Per cui in complesso, astrazione fatta dalle quantità di sangue impiegate, che come osservò già l’HoRBACZEWSKI non sembrano esercitare un’influenza grande sul fenomeno della produzione d’acido urico, si ha che con quantità di milza crescenti si hanno le se- guenti cifre per l’acido urico. E . Sangue | ,,: Acido urico! Acido urico 2/80; sperienze Milza gr. _X : x dr gr. milligr. |! milza in milligr. 1 66 | dò 78.00 | 256. 00 2° 200 | TO 105. 5 140. 00 a 300. | 100. | 43.0 | 43. 00 4° 150 150 128.1 | 85.4 { 9° hecl:0,2 L6,2 IPO, 69.5 Queste cifre dicono chiaramente che la quantità d’acido urico aumenta coll’aumentare della quantità di polpa splenica; fa ec- cezione la 3° esperienza nella quale non posso spiegare il piccolo risultato se non attribuendolo al fatto che in questo caso il mi- scuglio fu generalmente a temperatura più bassa che negli altri casi. L'aumento però non è proporzionale, poichè se si calcola in ogni caso l’acido urico ottenuto da 100 grammi di polpa sple - nica si hanno cifre assai disparate. Pare quasi che quantità cre- scenti di milza abbiano il potere di diminuire la produzione di acido urico. 502 °PÎERO GIACOSA I numeri da me ottenuti sono superiori a quelli di HoRBa- CZEWSKI, perchè egli usò sempre quantità di milza inferiori alle mie, e viceversa quantità di sangue maggiori: io impiegai di sangue o quantità uguali a quelle della milza, o il doppio o il triplo : egli invece per lo più impiega quantità di sangue 7 a 10 volte maggiori tranne che nell’ultima esp. della tabella in cui il rap- porto è di 1,4. In quest’ultimo caso da 100 di milza si otten- nero 142,7 milligr. di acido urico. La produzione dell’acido urico a spese della polpa splenica è, come già dissi, probabilmente in rapporto coi leucociti di cui questo organo è ricco; siccome però anche altri organi conten- gono elementi nucleati, e sono in grado di fornire i prodotti ca- ratteristici di scomposizione delle nucleine (1), così si può pre- vedere che la produzione di acido urico non deve essere una funzione esclusiva della milza, ma si deve verificare anche in altri organi. To riporto qui una esperienza fatta con fegato di vitello pop- pante (così detto sanato) e sangue. Esp. 6° -. Il fegato arrivò colla milza e col sangue della esperienza 4° al laboratorio a temperatura di 29°, si triturò fina- mente e si mescolarono 150 gr con 300 di sangue: si lasciò lo stesso numero di ore come la milza, solo che si perdette una parte del miscuglio nell’estrarlo dalla boccia di DRECHSEL: mal- grado ciò si ottennero milligr. 75,2 di acido urico, cioè più della metà di quanto si ottenne con eguale quantità di polpa splenica e di sangue dello stesso animale (128,1 milligr.). La partecipazione del fegato alla produzione di acido urico è dunque dimostrata; resta a decidersi quale parte prenda quan- titativamente quest’organo nella produzione di acido urico. Se anche (come si potrebbe dedurre da questa mia unica esperienza), il fegato a parità di peso produce meno acido urico, comparando il peso del fegato con quello della milza potrebbe risultare che esso avesse una parte più importante nella produzione totale. Non ho potuto intraprendere ricerche col midollo delle ossa, che certo danno dei risultati interessanti. Devo dire che avendo preso un fegato di vitello non lattante, e avendolo trattato nello stesso modo, non ottenni alcuna traccia | (1) Vedi a questo proposito il lavoro di GranpIS, Giornale della R. Acc. di Med., 1889, n. 6 e 7. PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 5053 d’acido urico; lo stesso risultato ottenni colla milza di questo stesso animale, ma non so se qui sia da ascriversi alla circo- stanza che l’apparecchio ad aspirazione per un guasto sopravve- nuto gettò dell’acqua nel miscuglio che era nella boccia di DRE- CHSEL. L'esperienza è da ripetersi. La produzione di acido urico nei mammiferi, si può facil- mente spiegare attribuendola ai processi che vediamo compiersi nella milza e nel fegato e che si compirono senza dubbio anche in altri tessuti. La piccola quantità d’acido urico eliminato dai carnivori, quella ancora minore eliminata dagli erbivori (1) sì possono interpretare come provenienti dalla metamorfosi delle sostanze nucleiniche o xantiniche. Si potrebbe forse immaginare che una parte dell’acido urico che si forma in questo modo si trasformi poi oltre in urea, poichè è noto che l’acido urico e i corpi xantinici somministrati ai mammiferi danno aumento non d’acido urico ma di urea: perfino nell'organismo del leucemico (2), l'acido urico somministrato per bocca scompare come tale, tra- sformandosi probabilmente in urea! Tuttavia a questo proposito conviene por mente che altro è il comportamento di una sostanza che penetri per le vie digerenti o che si produca nei nostri tes- suti; le esperienze di MarÈs (3) il quale vide che dopo un pasto copioso , prima che si fosse prodotto l’aumento solito nella eli- minazione di azoto, l’acido urico aumentava e raggiungeva il suo mazrimum sembrano provare che questo corpo fabbricatosi a spese del protoplasma vivente (poichè non può dopo così breve tempo, e senza il contemporaneo aumento dell’azoto ammettersi una di- struzione degli albuminoidi ingeriti) non subisca la sorte dell’altro. Sperimentando colle sostanze che il Binz prima e poi il PoxL (4) ultimamente hanno dimostrato essere in grado di pro- durre una leucocitemia passeggera si potrà forse vedere se l’acido urico formatosi nei tessuti si ossidi tutto o no. Io credo che quest’ultimo non si trasformi in urea come quello ingerito. (1) MirtELBacH, Zeitschr. f. Phys. Ch., XII, p. 463. (2) SraptHaGEN, VIRCHOW”S Archiv, CIX, p. 390. (3) Arch. slaves de Byologie, III, 207, dal Sunto in Centralbl. f. d. med, Wiss., 1882, p. 2. (4) Arch. f. exp. Path. u. Pharm., vol. XXV, p. 51. 504 PIERO GIACOSA La produzione abbondantissima di acido urico negli uccelli e nei rettili, non si può spiegare così facilmente come quella dei mammiferi, e costituisce anzi uno dei problemi più oscuri che si presentino in biologia. Essa indica un divario sostanzialissimo e così netto fra le dae categorie di animali che sarebbe forse diffi- cile trovarlo eguale nei caratteri morfologici. Tuttavia anche nel campo morfologico vi ha una differenziazione netta fra queste classi di animali, e consiste nel trovarsi il corpuscolo rosso del sangue non nucleato nel mammifero e nucleato negli altri ver- tebrati. Solo nell’epoca fetale il corpuscolo rosso del mammifero è nucleato. Questa coincidenza di due grandi caratteri differenziali mi fece già varie volte pensare che vi fosse forse un nesso fra questi due fatti: corpuscoli nucleati ed ‘eliminazioni di acido urico. Nesso che non vorrei certo interpretare nel senso che l’acido urico do- vesse provenire esclusivamente dalla nucleina dei corpuscoli, poichè non si può comprendere come questi corpuscoli si distruggano con facilità per produrre tutto l’acido urico eliminato, nè come l’azoto della alimentazione debba passare per lo stadio di nu- cleina, cioè organizzarsi, per essere eliminato. Le esperienze di MinkowsKi (1) hanno rischiarato grandemente la questione della produzione di acido urico negli uccelli; ma non l’hanno spiegata completamente. Esse ci dimostrano che espor- tando il fegato alle oche l’acido urico diminuisce grandissima- mente nelle urine, senza però scomparire affatto: in luogo di questo corpo si trova ammoniaca ed acido lattico, in proporzioni equivalenti in modo da fare nascere. naturalmente l’idea che l’acido urico si fabbrichi nel fegato per sintesi appunto dall’am- moniaca e da una molecola non azotata. Questa è la conclusione a cui giunge infatti il Minkowski e che è accettata dai più, quantunque essa abbia bisogno di ua diretto esperimento per es- sere dimostrata. Il Mixkowski crede che le tenui quantità di acido urico che rimangono nella urina delle oche dopo estirpato il fegato siano quelle prodottesi dalle xantine della nucleina, e rappresentino l'eliminazione normale dei mammiferi. i Il fatto è confermato dalle esperienze posteriori di v. MACK (2) (1) Arch. f. exp. Path. u. Pharm., XXI, p. 41. (2) Arch, f. exp. Path. u. Pharm., XXIV, p. 383, PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 505 il quale trovò infatti che la ipoxantina data ad un’ oca a cui era stato esportato il fegato diede luogo ad un aumento tale nella produzione dell’acido urico da non potersi spiegare se non attribuendolo alla trasformazione della ipoxantina in acido urico. Giova notare che la gravità dei disturbi cagionati da una | operazione così grave come l’ablazione del fegato non permette di fare delle deduzioni rigorose, sopratutto quantitative, sul pro- cesso di produzione dell’acido urico Non sappiamo se realmente durante la vita e l'integrità delle funzioni l'acido urico fabbri- catosi per sintesi nel fegato degli uccelli stia veramente a quello che proviene dalle nucleine nel rapporto che si dedurrebbe dalle esperienze di MinkOwSKI. AÀ priori, considerando la grande attività degli scambi negli uccelli (1), e l'abbondanza di elementi nu- cleati in loro, pare che dalle nucleine si dovrebbe avere un mag- gior prodotto che non si sia trovato. In ogni caso però il comportamento diverso del fegato nei mammiferi (ScroEDpER) e negli uccelli, e la incapacità in questi ultimi ad ossidare la molecola azotata al punto di portarla allo stadio d’urea, rimangono sempre a spiegarsi. E il ricondurre questo fenomeno alla presenza di corpuscoli rossi nucleati mi pare tanto più naturale, in quantochè durante la vita fetale dei mammiferi in cui essenzialmente differiscono dall’adulto per con- tenere i corpuscoli rossi nucleati noi vediamo prodursi dei corpi del gruppo dell’acido urico nelle orine e nei liquidi fetali, . ed essere più ricchi in corpi xantinici gli organi fetali (2). Allo scopo di assodare se il sangue di uccelli potesse avere una influenza sulla produzione d’acido urico, iniziai delle espe- rienze contemporanee e parallele a quelle già citate, fatte colle stesse quantità di milza ma mescolate con sangue d’uccelli. Operai con sangue d’oca, di tacchino e di pollo. Gli animali si uccidevano in laboratorio, si sbatteva il sangue mentre colava. nei bicchieri ben secchi tenuti a 40°; si passava per una garza e poi si impastava con polpa splenica. Dopo di che il miscuglio si introduceva nell’apparecchio di DRECHSEL, e lo si manteneva alla stessa temperatura che nell’esperienza con sangue di vitello poppante. (1) Bizzozero, Atti dell’Acc. delle Scienze di Torino, vol. XXV, Adunanza 15 dicembre 1889, i (2) KosseL, Zeitschr. f. Phys. Ch., VII, 7. 506 PIERO GIACOSA Ecco riassunti qui ì miei risultati. Anzi tutto determinai la quantità di acido urico che si forma nel sangue di uccelli allorchè si tratta nel modo usato per i mi- scugli di sangue e di milza. Molti autori parlano di acido urico nel sangue e nei tessuti degli uccelli, per lo più limitandosi a parlare di traccie; Hoppe-SEYLER nella Physiologische Chemie (p. 432) dice che MEISsnER ne trovò gr. 0,031 per mille nel sangue delle galline nutrite con carne. Ultimamente lo ScHROEDER (1) fece una serie di ricerche su questo argomento, da cui risulta che nel sangue di gallina e di oca nutrite di semi di cereali la quantità d’acido urico per mille oscilla fra traccie e 0.97 gr.: nelle galline nutrite con carne l’acido urico nel sangue aumenta. Esp. 7° — Io dosai l'acido urico in 194 gr. di sangue di pollo che misi nella boccia di DRECHSEL e lasciai per 5 ore e mezza a 39-40°, e per 12 ore a sfreddare, sempre facendo pas- sare aria. Non ebbi odore putrido nell’aprire la boccia : il sangue lo trattai parecchie volte col quintuplo d’acqua bollente con Na C1 1°/, ed acido acetico, per precipitare gli albuminoidi, ri- petendo l’operazione per 3 volte; i filtrati riuniti e separati con- tenevano milligr. 3,4 di acido urico cioè 17 milligr. per mille. Esp. 8° — Il 26 gennaio si uccise un’oca per dissangua- mento, e si estrassero 100 gr. di sangue defibrinato dopo che si mescolò a 50 gr. di milza di vitello (sanato) ; la temperatura rimase per 17 ore fra i 35 e i 38°; il passaggio d’aria rego- lare. Si ottennero milligr. 28,5 d’acido urico. La stessa milza, ma in quantità doppia (esp. 3°) con sangue dello stesso animale aveva dato milligr. 43,9 di acido urico. Quantunque l’acido urico ‘trovato in 50 gr. sia alquanto maggiore della metà di quello rinvenuto in 100 gr. (22 milligr.), tuttavia non credo che si possa interpretare l’esperienza nel senso che la presenza di sangue d’oca abbia potuto fare aumentare l’acido urico, poichè la dif- ferenza è troppo piccola. Esp. 9°- Parallela alla esperienza 1° — Si misero 67 gr. di sangue ottenuto da un tacchino di gr. 2000 e defibrinato, con 33 gr. di milza di sanato: anche qui come nella esp. parallela si aveva un po’ d’acqua nella boccia di DrREcHSEL; la temper. (1) Beitrage zur Physiologie C. LUDWIG, von seinem Schilern gewidmet. | Lipsia, 1887, p. 89. PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 507 rimase per 5 orea 38-40°. poi scese durante 11 ore fino a 30°. Acido urico ottenuto milligr. 45,3: la stessa quantità di milza con sangue di sanato diede milligr. 78. Esp. 9*- Parallela alla esp. 2°. — Da 15 polli si ricavano circa 500 gr. di sangue: dopo defibrinato e colato il sangue si ridusse a 394 gr. Di questi 194 si impiegarono per il dosaggio dell’acido urico (vedi esper. 7*) gli altri 200 si misero con 75 gr. di polpa splenica di sanato. L'esperienza procedette assai bene, la temperatura salì per poco tempo ai 48°, ma fu tosto ricon- dotta a 39° e vi rimase 5 ore e mezza, poi si lasciò sfreddare lentamente per 12 ore. All’apertura della boccia si sentì un leggero odore putrido. Acido urico trovato milligr. 4. La stessa quantità di polpa splenica con sangue di sanato aveva dato milligr. 105,5. | La difficoltà di potersi procurare il sangue di uccelli in quan- tità sufficiente per queste esperienze me le fece sospendere. Ri- sulta però chiaramente che la produzione di acido urico per opera della milza diminuisce allorchè vi è in presenza invece di sangue dello stesso animale, sangue di un altro animale. La piccolis- sima quantità di acido urico ottenuta nell’ultima esperienza non saprei come interpretarla se non ammettendo che la putrefazione avesse già distrutto una parte dell’acido urico formatosi. Riporto ancora qui due esperienze : Esp. 10° — Il 4 febbraio presi il fegato ad un tacchino appena ucciso, lo triturai, ne pesai 90 grammi, mescolai con gr. 335 di sangue di vitello poppante. misi nella boccia e feci passare aria, agitando ancora tratto tratto perchè il fegato in frammenti non troppo fini tendeva a precipitare al fondo. La temperatura si mantiene a 37-39° per 6 ore, poi si lascia sfreddare per 10 ore. L'acido urico formatosi è eguale a 20 milligrammi. Esp. 11° — Il 24 febbraio uccisi due tacchini in labora- torio, ne ebbi gr. 798 di sangue che dopo sfibrinato e colato sì ridussero a gr. 555. I fegati si triturarono bene: 90 grammi si mescolarono col sangue, e si misero nell’apparecchio agitando tratto tratto e facendo passar aria. La temperatura rimase dai 41° ai 42° per 6 ore, dopo di che si sfreddò per 12 ore. Acido urico trovato milligr. 165,8. Queste due esperienze hanno grande valore. La prima messa insieme alle precedenti prova che la presenza di sangue etero- geneo basta per fare cessare la capacità a fabbricare acido urico Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 37 508 PIERO GIACOSA a spese di un tessuto che in condizioni normali, cioè con sangue omogeneo ne dà moltissimo. I 20 milligrammi da me trovati erano probabilmente contenuti primitivamente nel fegato del tac- chino. La seconda dimostra come nel fegato del tacchino si fab- bricano delle quantità di acido urico grandissime, maggiori assai di quelle che si ottengono dalla milza di vitello poppante. L’espe- rienza in cui ebbi la maggior quantità di acido urico dalla milza è la 4° in cui da 150 gr. di polpa splenica con altrettanto sangue si ebbero 128,1 milligr. d’acido urico. Facendo la pro- porzione si trova che 150 gr. di fegato di tacchino darebbero milligr. 276,3. Non conosco delle cifre sulla quantità di acido urico elimi- nato normalmente dal tacchino. Trovo (1) che nelle oche questa quantità per 24 ore oscilla fra gr. 4,5 e 2,50 a seconda della nutrizione, la quale quando è completamente vegetale questa quantità oscilla fra gr. 1,5 e 2. Il tacchino più piccolo dell’oca e cibantesi di vegetali eliminerà probabilmente alquanto meno acido urico ed allora in base ai risultati da me avuti e pensando che nell’organismo degli uccelli l’acido urico non si trasforma ma è eliminato tal quale, si vedrà che a questo modo di for- mazione dell'acido urico cioè a spese delle nucleine conviene dare una maggiore importanza che non sembri risultare dalle espe- rienze di Minkowski. Allo stesso risultato conducono le ricerche di ScHROEDER (2), il quale nel fegato di polli nutriti con carne | trovò acido urico in quantità ragguardevole oscillante fra ,54 e 140 milligr. °/,, mentre negli stessi animali nutriti con ve- | getali questa quantità è assai minore. L'influenza del sangue a globuli nucleati sulla produzione di acido urico nelle mie esperienze non fu provata; ciò proba- bilmente si deve al disturbo recato alle funzioni dalla presenza di sangue eterogeneo. Converrà tornare a studiare questa que- stione da altri punti di vista. Quello che risulta dal mio lavoro - si è che non solo la milza ma ancle il fegato nel mammifero producono acido urico; e che negli uccelli la produzione di acido urico nel fegato è molto attiva. Esperienze già antiche di JoLIET (3) indicano che il sangue (1) MinKows£ri, l. c., p. 54. (2)5Loc; (3) MALY-S, Jahresb. d. Thierchem., IV, 106, PRODUZIONE DELL'ACIDO URICO NEGLI ORGANISMI 509 degli uccelli contiene meno ossigeno di quello dei mammiferi; a questo però non credo sia da attribuirsi il fatto che questi ani- mali secernono l’azoto sotto forma d’acido urico anzichè d’urea. L’essere quest’ultimo prodotto retaggio quasi esclusivo dei mam- miferi indica in loro una superiorità chimica in quanto chè sono in grado di ossidare delle molecole che negli altri organismi non sono ossidate: e questa superiorità si mantiene verso gli altri animali non vertebrati nei quali anche si rinvennero nell’urina dei corpi del gruppo dell’acido urico. Nelle piante stesse l’azoto dei materiali che servirono al ricambio si trasformano in parte in corpi xantinici, ma non in urea. Sull’ origine della forza elettromotrice nelle coppie idroelettriche. Nota deì Prof, STEFANO PAGLIANI Il principio della equivalenza fra il calore totale sviluppato da una corrente elettrica ed il lavoro delle azioni chimiche, che si compiono nella coppia, enunciato dal Joule nel 1842 (Phil. Mag. XX), venne poi teoricamente dimostrato dall’ Helmholtz nel 1847 (Die Erhaltung der Kraft.) e da William Thomson nel 1851 (Phil. Mag |[4]) colla applicazione del principio della conservazione dell’energia. Ed è generalmente conosciuto sotto il nome di teorema del Thomson il seguente enunciato: In un circuito chiuso la totale forza elettromotrice intrinseca è uguale allo equivalente dinamico della somma delle azioni chimiche che in esso si compiono per ogni unità di elettricità messa in movi- mento, diminuita dell’energia equivalente alla somma algebrica delle quantità di calore, sviluppate in processi reversibili. Questo teorema può ricevere la seguente semplicissima espressione. Se indichiamo con C la quantità di calore risultante dalle azioni chimiche, che si compiono nella coppia, per ogni grammo-equi- valente di un elemento, che vi venga svolto o messo in libertà, con 7 l’equivalente elettrochimico dell'idrogeno, con E la f. e. della coppia, con J l'equivalente meccanico della caloria si avrà: 510 STEFANO PAGLIANI E=JyC. Sostituendo ad J il valore 41,55 x 10°C.G.S., a 7 il valore gr. 0,0001038, dedotto dal medio dei valori trovati da Mascart, da Kohlrausch e da Lord Rayleigh per l’equivalente elettrochimico dell’argento, si ha: E = 43130. Il Favre (Ann. Chim. Phys. [3]. 40.1854) si propose di verificare coll’esperienza direttamente il principio di Joule e di Thomson. Egli adoperò a tale scopo il calorimetro a mercurio. Anzitutto studiò la coppia Smée determinando prima la quantità totale di calore sviluppata quando la coppia stava chiusa col circuito esterno (filo di platino) nella stessa muffola, e poi quando quest’ultimo stava fuori, riferendo poi i valori trovati ad un equivalente di zinco sciolto. Così in una prima serie di espe- rienze trovò come valore medio del calore totale 18124 calorie, in una seconda 19834°, numeri discretamente concordanti con quello che si calcola dai dati termochimici; nei due casi il ca- lore Joule si manteneva sempre minore del calore chimico. Stu- diando invece delle coppie formate da Platino e Zinco, o Platino e Cadmio in acido cloridrico trovò invece il calore Joule mag- giore del calore chimico. Il calore chimico per la coppia Cd-Pt ammontò a 7968 calorie e per la coppia Zn- Pt a 15899, quando invece la resistenza fu lasciata fuori dal calorimetro si produsse nella coppia Cd- Pt un raffreddamento di 1288°, e nella coppia Zn-Pt un raffreddamento di 1051° In altre spe- rienze Favre trovò per la coppia Daniell che il calore chimico è maggiore del calore Joule, per la Grove invece il contrario. Favre dapprincipio credeva che il calore Joule dovesse essere uguale al calore chimico. Più tardi si accostò al concetto del Bosscha (Pogg. Ann. 1858), secondo il quale la causa della differenza in questione nella coppia Smée consisterebbe in questo che l'idrogeno al polo negativo si sviluppa allo stato attivo, ossia in statu nascendi, quindi lascia la lamina di platino per diffondersi nel liquido e passare allo stato ordinario, per cui si ha sviluppo di calore dovuto alla combinazione H,H, il quale riscalda bensì il liquido, ma non concorre ad aumentare la forza elettromotrice (Compt. Rend. 67. 1868). Ma il risultato inaspet- tato ottenuto colla coppia Cd-Pt, e Zn-Pt ad acido cloridrico, rendeva insufficiente anche questa spiegazione ( Compt. Rend. 68.1869). Favre attribuiva quindi questo fatto ad altri processi chimici secondari, sulla natura dei quali non si pronunciava. Alder Whright invece, il quale da solo e con altri, special- SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 5I1 mente col Thomson, pubblicò una serie di memorie sulla deter- minazione della affinità chimica in base alle forze elettromotrici, crede che i risultati trovati dal Favre riguardo al raffreddamento in certe coppie siano conseguenza di errori sperimentali, dovuti al metodo calorimetrico impiegato. Egli determinò (Phil. Mag. [5]. XVI. 36.1883) la f. e. di coppie Zn- Pt, Cd-Pt, tanto ad HC1, quanto ad H? SO* diluito, eliminando gli effetti del- l’aria disciolta, ed ha trovato che il valore di detta f. e. sta sempre al disotto di quello che si calcola dalle sole azioni chi- miche, e la differenza cresce col crescere della densità della corrente che si produce. Da queste e da molte altre esperienze il Wright arriva alla conclusione che la causa principale di tale inferiorità della f. e. realmente sviluppata nelle coppie o nei voltametri rispetto a quella che si calcola dalle azioni chimiche starebbe nel maggior e minor grado di inefficacia (non adjuvancy) per l’elettrodo negativo, dovuta allo sviluppo di calore invece che di elettricità durante il passaggio dei prodotti della elettro- lisi dallo stato nascente allo stato permanente. In molti casi questa causa di inefficacia potrebbe superare quella all’elettrodo positivo. Il grado a cui può giungere questa inefficacia per ciascun elettrodo sembra essere una funzione complessa non solo della natura chimica degli elettrodi, delle condizioni fisiche delle loro superficie e delle proprietà dei prodotti della elettrolisi ma anche della temperatura, del grado di concentrazione della solu- zione elettrolizzata e forse anche di altre condizioni. Se fra i prodotti permanenti della elettrolisi a ciascun elettrodo si trova un gas, quanto più grande è il potere condensante superficiale della sostanza che costituisce l'elettrodo, tanto più piccolo sa- rebbe il grado di inefficacia. Chaperon pure (Journ. de Phys. 1884) in uno studio sulla polarizzazione dei metalli ossidabili accenna alla presente que- stione e le sue considerazioni tenderebbero a stabilire che la insufficienza della energia dovuta al processo chimico della solu- zione del metallo negativo si debba attribuire alla proprietà che hanno molti metalli di assorbire l'idrogeno con produzione di energia libera. Egli troverebbe la spiegazione del carattere varia- bile della f. e. a circuito aperto presentato da tutte le coppie a metallo solubile, polarizzabili, in una condizione variabile di equilibrio fra l’energia dovuta alla soluzione del metallo e quella dovuta alla condensazione dell'idrogeno nel metallo. 512 STEFANO PAGLIANI Raoult (Ann. Chim. Phys. [4.].4.1865) nello studio della Daniell e di alcune altre coppie avrebbe trovato in generale delle differenze fra il calore voltaico ed il calore chimico e quello minore di questo. Edlung (XK. Schwed. Akad., 14, 1876) spiega tali diffe- renze nel seguente modo. Quando la corrente è stabilita nel cir- cuito di una coppia non si trovano della attività di questa altri effetti che le azioni chimiche ed il calore che viene sviluppato, parte nella coppia, parte nel circuito esterno. Ora è chiaro che questa quantità di calore deve essere equivalente alla somma, algebrica dei lavori chimici, od in altre parole deve essere uguale a quella che sarebbe prodotta dalle stesse azioni chimiche, a corrente nulla. Ma la corrente deve per vincere la resistenza del circuito eseguire un certo lavoro meccanico, quindi bisogna ammettere che vi sia dispendio di calore in un qualche punto del circuito e questo non può essere che quello, dove ha sede la forza elettromotrice. Conchiude quindi che la f. e. per pro- durre la corrente deve spendere una quantità di calore che è uguale al calore galvanico, che la corrente sviluppa nel circuito, ma non è necessario che questo dispendio di calore sia uguale al calore chimico. Con questa ipotesi egli spiega i risultati delle esperienze del Favre. Così nelle coppie Zn- Pt, e Cd - Pit ad HCl il dispendio di calore della f. e. nel circuito è maggiore della quantità di calore sviluppato per i processi chimici, che av- vengono nella coppia ; il contrario succederebbe nella coppia Smée. H. F. Weber (Absolute calorimetrische und elektromagne- tische Messungen 1877) insistette nel ritenere come conseguenza necessaria del principio della conservazione dell’energia che tutto il calore chimico dovesse trasformarsi in energia elettrica, tanto | che considerò come erronei i risultati del Favre contrarii a quella | deduzione. Braun (Wied. Ann., 5. 1878) osservò invece giustamente che l’unica conseguenza necessaria del principio della conserva- | zione dell’energia si è che, quando una corrente produce una de- composizione chimica, deve la quantità di calore corrispondente a tale decomposizione essere sottratta dal circuito. Nel caso di una coppia Zn|H,.S0,|Cu, in cui circoli una corrente nel senso Zn—» Cu, sarebbe sottratta al circuito una quantità di calore: Q= W(Zn, SO) — W(H,, SO.) + W(H,, Cu), la quale invece sarebbe sensibile nel circuito, se non esistesse la coppia. Ma non i SULL ORIGINE BELLA FORZA ELETTROMOTRICE 513 è necessario che la f. e. sia misurata da quella quantità di calore. Dietro una serie di considerazioni teoriche dimostra che nè l’e- nergia meccanica nè l'energia termica possono trasformarsi total- mente in energia elettrica potenziale. E così conchiude che si devono avere delle coppie la cui f. e. è maggiore, altra le cui f. e. è minore, di quella che si calcola dalle variazioni della energia chimica. Le sue determinazioni posteriori ( Wied. Ann., 16, 1882) confermarono le sue deduzioni teoriche. Exner (Wien. Akad. Ber.80 e 82, 1879 e 1880) non ammette l’esistenza di una f. e. di contatto e ritiene che soltanto quei punti di contatto nei quali avviene un'azione chimica possono essere sede di una f. e.; che quindi senz'altro la f. e. di una coppia qualunque è misurata dalla variazione di calore corri- spondente alle azioni chimiche, che in esse avvengono. Non dirò del modo nel quale egli spiega le divergenze fra i valori teorici ed i calcolati delle coppie incostanti, poichè i risultati speri- mentali, sui quali egli fonda le sue spiegazioni, sono stati con- testati da esperienze adeguate e precise del Beetz (Wired. Ann. 10. 1880) e dei Prof. Naccari e Guglielmo (Atti KR. Acc. Scienze Torino, 16, 1881). Accennerò solo al concetto alquanto singo- golare dell’Exner, secondo il quale in una reazione chimica qua- lunque fra due corpi, quando avviene nel modo ordinario, l'energia potenziale chimica si trasforma in calore, ma quando avviene in una coppia, dalla trasformazione della energia chimica non risulta direttamente calore ma elettricità. Può aversi nello stesso tempo sviluppo di calore, ma questo secondo Exner dovrebbe considerarsi come fenomeno secondario, non primario, quindi egli spiega le f. e. di contatto fra metalli, o fra metalli e liquidi con una ossidazione superficiale dei metalli, che sono ossidabili. Secondo i prof. Naccari e Guglielmo la spiegazione delle divergenze fra la f. e. reale e la calcolata dalle azioni chimiche si deve cercare nei fenomeni secondari chimici e fisici, accom- pagnati da variazioni termiche, che avvengono nella coppia e possono, nella loro intensità, non mantenersi proporzionali alla corrente al variare di questa. Il Pellat, in un importante studio sperimentale e teorico sulla differenza di potenziale degli strati elettrici, che ricoprono due metalli in contatto (Ann. Chim. Phys. [5] 24; 1881) arrivò, alle seguenti conclusioni, fra le altre. Due metalli dif- ferenti uniti metallicamente sono coperti in.stato di equilibrio 514 STEFANO PAGLIANI da strati elettrici che non sono allo stesso potenziale. La diffe- renza di potenziale è dell’ordine di grandezza di quella fra i due elettrodi di un elemento di pila idroelettrica a circuito aperto. Essa dipende dalla natura dei due metalli, da quella della loro superficie e non da quella degli strati profondi. Una alterazione chimica anche invisibile della superficie basta per cambiarne completamente il valore. Delle modificazioni pura- mente fisiche producono lo stesso effetto, e così la temperatura. La f. e. di una coppia formata da due metalli ed un liquido a circuito aperto ha lo stesso valore che la differenza di po- tenziale degli strati elettrici, che ricoprono nell’aria questi due metalli. Pellat ha sperimentato solo coll’alcool e coll’acqua pura, come W. Thomson e M. Clifton, perchè le soluzioni acide e saline modificano subito le superficie metalliche. Quanto ad una coppia a circuito chiuso la f. e. sarebbe uguale alla somma delle differenze di potenziale dei diversi conduttori a contatto. Se l’intensità della corrente varia, variano queste differenze di potenziale in causa di una modificazione nella natura dei con- tatti, quindi varia la f. e. L'essere poi questa la stessa a cir- cuito chiuso come immediatamente dopo la apertura del circuito dimostrerebbe che la differenza di potenziale di due cegqnduttori a contatto è, quando essi rimangono identici, sensibilmente la stessa sia nel caso di movimento dell’elettricità, sia in quello di equilibrio. Quanto alla proporzionalità fra la f.e. e la quan- tità di calore sviluppato nelle azioni chimiche asseriva che fu . solo dimostrata per le pile simmetriche del tipo Daniell, nelle quali la differenza di potenziale fra i due metalli ha un valore molto prossimo a quello della f. e. della coppia, essendo le altre differenze di potenziale trascurabili in confronto della prima. Quindi esisterà una relazione. ma molto vaga e lontana, fra le differenze di potenziale apparenti di due metalli a contatto e la variazione termica che avviene nella sostituzione di uno dei me- talli all’altro in un sale. Se si dispongono i metalli in serie in modo che nel loro contatto ciascuno di essi sia negativo rispetto — ai precedenti si trova che questo ordine presenta della analogia con quello della ossidabilità. L’Helmholtz ha nel 1882 (Berl. Ber. 1882) trattato di | nuovo teoricamente la questione nella sua introduzione alla-ter- modinamica dei processi chimici. Egli applicando i principii della termodinamica ai processi elettroliticiin una coppia impolarizzabile SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 515 ne ha dedotto che e come si può dal segno e dalla grandezza della variazione della f. e. degli elementi galvanici colla tem- peratura dedurre delle conclusioni sulla grandezza della parte non convertibile in energia elettrica del calore chimico dei processi elettrolitici, che hanno luogo nella coppia al passaggio della cor- rente. Dalle considerazioni termodinamiche dell’Helmholtz si deduce che il lavoro della corrente durante il passaggio della quantità de di elettricità, può ricevere la seguente espressione : 9U dE JdQ=:pdT+T de essendo dQ la quantità di calore equivalente alla somma della variazione dell'energia interna U, e del lavoro eseguito. Il se- condo termine del secondo membro di questa equazione è l’e- quivalente meccanico della quantità di calore che bisogna som- ministrare alla coppia per compensare il dispendio positivo o negativo di calore dovuto al passaggio della quantità di elettri- cità de, ossia per mantenere la coppia a temperatura costante. Secondo che il lavoro della corrente prodotta da una coppia è maggiore o minore della variazione totale di calore delle trasfor- mazioni chimiche che avvengono durante il passaggio della corrente la coppia si raffredderà nel primo caso, si riscalderà nel secondo; e per mantenere costante la temperatura si dovrà nel primo caso aggiungere quella quantità di- calore, nel secondo sottrarla. D'altra parte siccome questa quantità di calore è uguale alla differenza fra la quantità di calore equivalente al lavoro della corrente e la variazione di calore nella coppia così si de- duce pure che per quelli elementi, nei quali non tutta l'energia chimica si trasforma in energia elettrica, la f. e. deve dimi- nuire col crescere della temperatura, e viceversa per quelli, i quali lavorano in parte a spese della propria energia termica interna, la f. e. deve aumentare colla temperatura. Si avreb- bero perciò due metodi per stabilire la relazione fra l’energia chimica e l’energia elettrica in una coppia. Il secondo soltanto fu adoperato per le coppie idroelettriche. Helmholtz stesso lo applicò alle coppie Daniell, veramente reversibili, e trovò che la variazione della f. e. può essere positiva, negativa o nulla secondo le diluizioni della soluzione di solfato di zinco, rima- nendo l’altra satura. Per le coppie a solfato mercuroso trovò 516 STEFANO TAGLIANI una diminuzione, per quella a cloruro mercuroso un au- mento della f. e. colla temperatura. In generale questa varia- zione dipende da un complesso di condizioni. Csapski (Wed. Ann. 22, 1884) applicò lo stesso metodo a coppie del tipo Warren de la Rue, ed altre a cloruro ferroso e mercuroso, a bromuro mercuroso e ferrico, a cloruro mercuroso e cadmico, e per le une trovò sufficiente concordanza fra la teoria e l’espe - rienza, per altre no. i Il principio di Joule e di Thomson riesce quindi applica- bile a certe coppie a processi reversibili quando se ne modifichi l’espressione tenendo conto delle considerazioni termodinamiche dell’Helmholtz nel seguente modo: E= 4313 C+ ren: F Anche J. J. Thomson da considerazioni teoriche sulle coppie a gas, applicabili anche a coppie a soluzioni diluite ( Appli- cations of Dinamics to Physics and Chemistry, 1888) arrivò ad equazioni mediante le quali si potrebbe determinando la va- riazione della f. e. di una coppia colla temperatura calcolare l'equivalente meccanico del calore sviluppato nella combinazione che avviene nella coppia alla temperatura dello zero assoluto. Così pure il Lippmann (Cours de Thermodynamique, 1889) tratta teoricamente la stessa questione e giunge alla conclusione interessante che per quelle coppie, nei cui processi chimici la legge di Woestyn sui calori specifici è applicabile, la f. e. è costante o funzione lineare della temperatura. Ora secondo il Berthelot tutte le volte che in una serie di azioni chimiche si ha cambiamento di stato fisico la legge di Woestyn non si ve- rifica. Ora sono pochissime quelle coppie, nelle quali, quando lavorano, non si abbia qualche cambiamento di stato fisico, quindi anche quelle per le quali la f., e. è calcolabile dalle azioni chimiche. Diffatti A. Wright e C. Thomson (PWil. Mag. [5]. 19, 1885) proseguendo le loro ricerche, a cui ho già sopra accen- nate, determinarono la f. e. di un gran numero di coppie for- mate da due metalli immersi in soluzioni dei sali corrispondenti, e trovarono che per pochissime di esse il valore della f. e. tro- vato è concordante con quello che si calcola dal calore chi- mico. Per cui, secondo essi, quel caso è solo una eccezione, ed in generale invece si deve ritenere che la f. e. prodotta real- mente deve essere dovuta ad altre cause oltre quella del calore SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE DI delle trasformazioni chimiche, e che tutti i fenomeni osservati si possono chiaramente spiegare ammettendo che la differenza di potenziale, che si osserva fra i due metalli delle combinazioni voltaiche, è dovuta alla sovrapposizione di due cause: l’una lo sviluppo di calore chimico ossia la differenza nel calore di for- mazione dei due elettroliti che circondano rispettivamente i due metalli, per la quale il metallo immerso nell’elettrolito di minor calore di formazione acquisterebbe il potenziale più alto; l’altra un’azione affine a quella che agisce in una coppia termo- elettrica. Oliver Lodge in una lunga Memoria sulla sede della f. e. nelle coppie voltaiche (/0:d. 1885) da un confronto fra le f. e. osservate e quelle che si calcolano dai calori di ossidazione dei diversi metalli crede di poter concludere che un metallo non si trova generalmente allo stesso potenziale come l’aria colla quale si trova a contatto, che tale differenza di potenziale sia cal- colabile almeno approssimativamente dai dati termochimici, che quando due metalli vengono posti a contatto i loro potenziali si uguagliano, e quindi non esisterebbe una f. e. di contatto, ma la origine vera della f. e. in un circuito qualunque, si deve ricercare nella trasformazione dell'energia di una forma qua- lunque, chimica, termica, ecc., nella forma conosciuta come cor- rente elettrica. Debbo però osservare che la concordanza fra i valori della f. e. che si calcolano dai calori di ossidazione e quelli trovati direttamente per il contatto fra metalli è assai poco evidente; per cui tale relazione è sempre ancora molto vaga, come già aveva fatto notare il Pellat. E. F. Herroun (Ibid. 1889, vol. 27) in una recente Me- moria sulla divergenza fra le f. e. ed i dati termochimici discute alcune ragioni che furono date per spiegare tale divergenza e dietro una serie di determinazioni della f. e. di coppie formate da due metalli immersi in soluzioni dei propri sali conchiude che il primo fattore nella determinazione della f. e. di una coppia voltaica è il calore relativo di formazione dei sali anidri dei due metalli polari; che la f. e. può avere la sua causa in trasfor- mazioni chimiche di senso e di carattere diverso da quello che si può dedurre dal calore di formazione dei sali sciolti. Finalmente, secondo P. Chroustchoff e A. Sitnikoff (Compt. Rend. 1889, 108, 937) la differenza fra la f. e. effettiva e quella che si calcola soltanto dalle azioni chimiche potrebbe essere spie- 518 STEFANO PAGLIANI gata mediante effett: Peltier, che come dimostrò il Bouty, sì verificano non solo alla superficie di contatto fra metalli, ma anche fra metalli e liquidi. Avendo ricalcolato delle determina- zioni di Gockel sopra coppie a sali di mercurio con dati termo- chimici di Nernst e sperimentato essi stessi sopra alcune coppie speciali avrebbero trovato che l’effetto Peltier darebbe un valore del medesimo segno e del medesimo ordine che la differenza fra la f. e. effettiva e la calcolata. Non sono molto disposti ad accet- tare il concetto di Braun e di Helmholtz che l’energia chimica sia soltanto parzialmente convertibile in energia elettrica, che cioè soltanto una parte dell’energia chimica sia libera, mentre il rimanente potrebbe solo trasformarsi in calore; perchè questo concetto tenderebbe ad assegnare una doppia origine al calore delle reazioni chimiche. Dallo studio di tutte le indagini che furono fatte sull’argo- mento, ed i cui risultati ho cercato di brevemente qui riassumere mi sembra potersi dedurre che la discussione, iniziata da circa un secolo dal Volta e dal Fabroni, sull'origine della energia vol- taica rimanga tuttora aperta, e che si possa. contribuire, alla sua soluzione con osservazioni dirette sui fenomeni termici, che avven- gono in una coppia che lavora, procurando di studiarne la ma- teria non con misure complessive fatte durante una lunga chiusura del circuito, per la quale naturalmente si producono nella com - posizione dei materiali della coppia delle variazioni tali da non potersene facilmente rendere conto, come fece il Favre, ma cer- cando di osservare tali fenomeni immediatamente dopo la chiusura del circuito ed a brevi intervalli di tempo da quell’istante. Questo studio mi parve poi specialmente interessante per quelle coppie per le quali la f. e. è variabile, e perciò ho incominciato colle coppie voltaiche polarizzabili, e scopo della presente Nota si è di far conoscere i risultati ottenuti in una prima serie di osser- vazioni. Metodo adoperato. — Il principio del metodo da me ado- perato è quello applicato nel bolometro di Langley colla modi- ficazione proposta da R. Helmholtz. I quattro lati di un ponte di Wheatsthone sono formati da fili di resistenza presso a poco uguale. Due lati opposti sono disposti entro la coppia da stu- diarsi, e gli altri due lati entro un altro recipiente in modo analogo ; in una delle diagonali è inserito un galvanometro sensibilissimo, nell’altra una pila Daniell. Quando si è raggiunta la condizione SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 519 di equilibrio fra le resistenze per cui non si ha corrente nel gal- vanometro, si chiude il circuito della coppia a studiarsi; qua- lunque sia la variazione di temperatura, che avvenga in essa, sarà accusata da una corrente nel galvanometro. Il recipiente della coppia a studiarsi è costituita da un tubo d’assaggio di vetro lungo 7 cm. e del diametro interno di 2 cm. Entro ad esso portati da un tappo sono disposti due tubi di vetro cilindrici sottili coassiali, l’uno lungo 6 cm. e del diametro interno di 1 cm,, l’altro lungo cm. 4,5 e del diametro interno di 6 mm, Attorno ad una porzione di ciascuno di questi tubi è avvolto un filo di platino del diametro di !/,, di millimetro. Le estremità di questo filo sono unite ad un filo più grosso di platino che serve &' stabilire le comunicazioni col rimanente del circuito. Questi fili di platino, che costituiscono due lati opposti del ponte, sono coperti di un sottile strato di lacca, ottenuto da una soluzione concentrata di lacca nell’alcool. In tal modo riescono isolati dai liquidi della coppia. I due tubi interni sono aperti inferiormente e sono immersi nel liquido della coppia; nel centrale si introduce uno dei metalli polari, fra il secondo e la parete del tubo esterno l’altro ‘metallo. In un altro recipiente, si hanno gli altri due lati del ponte, e le cose sono disposte nello stesso modo eccetto che esso è riem- pito di acqua, non vi sono naturalmente le lamine polari, e nel tubo centrale è introdotto un termometro a piccolo bulbo. Ho voluto accompagnare lo studio dei fenomeni termici colla determinazione della f. e. A questo scopo mi sono servito del metodo elettrometrico, e dovendo misurare f. e. piccole e per evitare la polarizzazione scelsi come strumento di misura l’elet- trometro di Lippmann. Siccome non me ne poteva provvedere uno, ho costrutto la parte in vetro ed ho interposto il recipiente colla punta «ffilata fra il porta-vetrino e l’obbiettivo di un microscopio Hartnach, coricato orizzontalmente e posto sopra un tavolo con gambo a dentiera per poter innalzare e abbassare conveniente- mente il microscopio. Il metodo è quello di compensazione. Si opponeva la f. e. da misurarsi ad una differenza di potenziale va- riabile, presa nel circuito di una o due Kittler, la quale si re- golava in modo da ricondurre allo zero l’elettrometro posto nella derivazione. L’elettrometro era sensibile ad !/,, di volt. La figura qui unita, puramente schematica, rappresenta la disposizione generale di tutto il mio apparecchio. In A e B sono 520 STEFANO PAGLIANI rappresentati i due recipienti, nell’uno dei quali, A, è contenuta la coppia; in A, e A, sono rappresentate le due spirali poste nella coppia, che fanno parte dei due bracci opposti del ponte, in B, e B, le altre due spirali poste nell’altro recipiente. I quattro nodi del circuito sono in a, W, c, db. In D si ha una pila Daniell ed in G il galvanometro. Le resistenze delle spirali in ohms erano Ai 18:40 ,,,;A;=,18663,:0B/=18..49 ,Bj= A temperatura di 16°, 3. Due bracci contigui sono formati oltre che dalle spirali A, e B, anche rispettivamente da due porzioni w, w, del filo di un ponte di Wheatsthone, costrutto dalla casa Elliott; di più in uno di questi bracci, in quello contenente B,, era inserito un reocordo a piccola resistenza per poter raggiungere prima molto approssimativamente l’equilibrio, non essendo pos- sibile costrurre le resistenze delle quattro spirali in modo da sod- disfarvi subito. Si otteneva poi definitivamente l'equilibrio spo- stando convenientemente il tasto W del ponte. Il circuito della coppia si chiudeva solo per l'istante necessario all’ osservazione, perciò si usava un interruttore, la cui posizione è indicata in I, e costituito da una spirale metallica portante un’ asticina di rame, la quale era introdotta in un recipiente contenente in fondo un po’ di mercurio, nel quale era immerso un filo di platino ; pre- mendo per un istante sulla spirale si abbassava l’ asticina sino a toccare il mercurio, e si stabiliva il circuito; la spirale stessa riportava l’asticina alla sua posizione di riposo, interrompendo il circuito. In Pe P' sono rappresentati i due poli della coppia, i quali mediante due reofori sono messi in comunicazione coi bicchierini d, e, dove fanno capo tanto il circuito esterno della coppia quanto la parte elettrometrica dell’apparecchio. Il circuito esterno è formato dal reostato £, graduato in U. S., e da un filo con un interruttore 7. Questo era fatto in modo da poter misurare bene il tempo per il quale si chiudeva il circuito. Perciò il reoforo proveniente da e era attaccato all’a- sticina dell’arresto di un contatore a secondi e colla sua estremità, quando veniva abbassata l’asticina, cioè tolto l’arresto, andava a toccare il mercurio contenuto in un tubicino posto al disotto ed al quale faceva capo il reoforo proveniente dal reostato È. La parte elettrometrica era costituita dall’ elettrometro £, dal reostato R', la cui resistenza totale era 7500 ohms, e dalla pila compensante C' costituita da una o due coppie Kittler, se- SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 521 condo la grandezza della f. e. a misurarsi. Si confrontava la coppia da studiarsi con un campione Latimer- Clark, costrutto dal Car- pentier. Si aveva poi un commutatore apposito per sostituire l'uno all’altro, il campione e la coppia. Riguardo al valore della La- timer-Clark, Lord Rayleigh ha trovato 1° 434, e più recente— mente von Ettinghausen 1"427 a 1'433; si adottò il valore 1” 434 a 15° ammettendo una variazione di 0" 008 per grado. L'introduzione del filo del ponte di Elliott con scala milli- metrica fra i due bracci contigui A, e B,, mi forniva non solo il modo di ottenere meglio l’equilibrio, ma anche quello di ve- rificare ogni volta la sensibilità del metodo di osservazione. Il galvanometro adoperato è un galvanometro a riflessione del Thomson, pure della casa Elliott. La sua resistenza interna è uguale a ohms 0,5218383 a 20°. La scala a lampada è divisa in millimetri e distava dallo specchio circa 1m. Con .una lente si poteva apprezzare anche uno spostamento dell'immagine della fiamma di !/, di mm. Per indicare la sensibilità ottenuta dirò che quando si era raggiunto l’equilibrio, per uno spostamento del tasto di 1mm. nel ponte di Elliott, si aveva una deviazione di 2 divisioni, adoperando una sola coppia Daniell. Ora la re- sistenza del filo del ponte, misurata col metodo di Thomson, risultò uguale a ohms 0, 2063 per 1m. di lunghezza, il che equivale a 0,000 2063 per millimetro, essendosi anche trovato uniforme il filo. Ora lo spostare di 1 mm. il tasto in un dato senso corrisponde ad aumentare la resistenza di A, e diminuire quella di B,, della detta quantità e trattandosi di resistenze presso a poco uguali, corrisponde ad aumentare la resistenza di A, del doppio di quella quantità, cioè di obms 0, 000 4126. D'altra parte la resistenza della spirale A, era ohms 18.4. Se adottiamo come coefficiente di variazione di resistenza colla tempe- ratura per il platino a=0,00 247, e ritenendo R,= &, (14 at) avremo che la variazione di temperatura corrispondente alla va- riazione di resistenza 0,0004126 sarà data da #—=0°9,00908. Una variazione di temperatura di meno di !/.» di grado in una sola spirale era già quindi accusata da una deviazione di due divisioni. Se questa variazione succede nelle due spirali opposte allora, trattandosi di quattro resistenze uguali, la intensità della corrente nel galvanometro riesce approssimativamente doppia e quindi si avrebbero 4 divisioni. Quindi uno spostamento di 1 div. sulla scala nelle condizioni di sensibilità che si avevano 522 STEFANO PAGLIANI corrispondeva approssimativamente ad una variazione di tempera- tura di 0°, 00 23. Ora l’equivalente in acqua della coppia comples- sivamente si calcolò che poteva essere al massimo di 15 gr. Quindi una variazione termica di 0°,034 ossia di pl di piccola caloria era già indicata da una deviazione di una divisione, con una sola Daniell. Si poteva aumentare la sensibilità, aumentando il numero delle coppie, ma si preferiva di usarne una sola per evitare le perturbazioni che avrebbero potuto provenire da effetti Joule, o da effetti Peltier, ancorchè si chiudesse solo per un istante il cir- cuito e si trattasse di resistenze presso a poco uguali in opposizione. Non è che, tenuto conto della natura del metodo, quella sia una grande sensibilità, ma per il mio scopo la ritenni sufficiente. Se noi consideriamo ora le variazioni termiche che possono avvenire in una coppia, che lavora, noi troviamo che esse pos- sono essere dovute a processi fisici e chimici diversi (compresi gli effetti Peltier), dei quali alcuni sono efficaci a produrre l’e- nergia che costituisce la forza elettromotrice della coppia a cir- cuito chiuso, altri invece non intervengono nella produzione della forza elettromotrice. Di più abbiamo il calore Joule dovuto alla resistenza interna della coppia, ed il lavoro corrispondente alle decomposizioni chimiche eseguite dalla corrente. Ora la somma del calore Joule sviluppato in tutto il circuito e di quello che equivale al detto lavoro, deve essere uguale al calore chimico risultante dalle reazioni chimiche efficaci per la produzione della forza elettromotrice, supponendo che tutta l’energia chimica si trasformi in energia elettrica. Quindi oltre al calore Joule do- vuto alla resistenza interna della coppia, si renderà sensibile al- l'apparecchio termoscopico in essa introdotto, anche quella varia- zione di calore che risulta da tutti gli altri processi non efficaci per la forza elettro-motrice, la quale variazione può essere positiva o negativa. Nel primo caso l’effetto termico accusato dal termoscopio sarà positivo, nel secondo caso può essere nullo, od anche negativo, se in valore assoluto quella variazione di calore dovuta ai processi secondari non efficaci, ri- sultasse maggiore di quella che sta in relazione colla produzione della corrente. Quest'ultimo caso può anche presentarsi quando il lavoro della corrente sia maggiore della variazione di calore delle trasformazioni chimiche, nel qual caso la coppia lavora in parte a spese della propria energia termica interna. Ora siccome il calore Joule svolto nella coppia dipende oltrechè dalla inten- SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 523 sità della corrente, anche dal rapporto fra la resistenza interna e la esterna, così si sono studiate coppie diverse non solo, ma in condizioni diverse di resistenza interna ed esterna. La resi- stenza interna non poteva riuscire relativamente molto piccola in generale, volendo tenere alquanto distanti i due elettrodi, in modo che l’un lato del ponte si trovasse vicino all’uno di essi, l’altro all’altro; e si preferì appunto l’uso di un tal metodo a quello di una coppia termoelettrica, perchè più facilmente potessero es- sere osservati gli effetti termici nelle diverse parti della coppia. Modo di operare. — Premetto che non era mio intendimento di misurare gli effetti termici nelle coppie, ma soltanto di sta- bilirne la natura ed approssimativamente l'ordine di grandezza. Per una misura sarebbe stato necessario, oltre ad altre condi- zioni non facilmente realizzabili in pratica, come la conoscenza esatta dello equivalente in acqua delle parti della coppia che prendono parte alla variazione di temperatura, l’uso di un galva- nometro aperiodico del quale io non disponeva ; sarebbe stato infatti indispensabile il poter fare una serie di letture successive a brevissimi intervalli di tempo, anche quando le deviazioni erano grandi, per poter seguire l'andamento della variazione di tem- peratura nella coppia e cogliere il massimo valore della deviazione. Il modo di operare fu presso a poco sempre il seguente. Pre- parata una coppia, se ne determinava la f. e. a piccoli intervalli di tempo per vedere se essa non variava per modificazioni che potessero prodursi alla superficie degli elettrodi o per reazioni che potessero avvenire anche a circuito aperto. Quindi muovendo opportunamente il corsoio sul ponte si cercava la posizione per la quale si aveva corrente nulla nel galvanometro, oppure più generalmente quella per la quale si aveva una costante pic- cola deviazione da una parte dello zero della scala, facendo le osservazioni di minuto in minuto. Raggiunto questo si chiudeva il circuito della coppia a studiarsi e subito dopo anche quello della coppia del punte. Il senso della deviazione, che si osservava, oppure l'aumento o la diminuzione della grandezza della devia- zione, che prima si aveva, mi indicava subito se si aveva riscal- damento o raffreddamento nella coppia. Queste osservazioni si facevano quindi possibilmente di mezzo in mezzo minuto; la gran- dezza delle deviazioni osservate andava prima crescendo e poi diminuendo, e si continuavano le osservazioni finchè la diminuzione fosse molto lenta. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 38 524 STEFANO PAGLIANI Coppie ad acido solforico. I. Coppia Smee. — Platino platinato, Zinco amalgamato, Acido solforico !/.,- Con cinque coppie diverse si ebbe per risultato una dimi- nuzione di temperatura nella coppia, appena preparata, subito dopo chiuso il circuito. Lasciando funzionare la coppia per qualche tempo si presentava poi un aumento di temperatura. Così per una coppia, la cui f. e. a circuito aperto si trovò uguale a 1.138, appena chiuso il circuito con 50 U.,S., si ebbe una de- viazione di 4 divisioni nel senso corrispondente ad una diminu- zione di temperatura. Avendo poi lasciato il circuito chiuso prima per 37 secondi poi ad intervalli di tempo, durante i quali si misurava la f. e.; per altri 136° complessivamente, cosicchè la f. e. era discesa per i valori 0.816, 0.800, 0.777 si ebbe chiudendo il circuito con 10 U.S. per 30° una deviazione di 7 divisioni nel senso di un aumento di temperatura. Per un’altra coppia, la cui f. e. a circuito aperto si trovò di 1",151, ap- pena chiusa con una resistenza di 10 U.S. si ebbe una devia- zione di 10 div. nel senso di una diminuzione di temperatura e lasciando il circuito chiuso per 30 si arrivò ad una deviazione di 17 divisioni nello stesso senso. Il massimo valore della f. e. a circuito aperto trovato per le diverse coppie fu 1.373, il minimo 1",079. Il Pellat ha trovato per la differenza di potenziale Zn| Pt 0".88 a 1.02 se- condo lo stato della superficie, Ayrton e Perry per Zn am.| Pt, 1.120; I diversi sperimentatori, e furono parecchi, che determina- rono la f. e. della coppia Smée trovarono valori assai differenti, anche a circuito aperto; e, per tener conto solo delle determi nazioni più recenti, quei valori variano fra 0",806 e 1". 64. Come abbiamo veduto una variazione termica negativa si può spiegare in due modi. Tanto l’uno che l’altro possono essere giustificati per la coppia Smée e per le altre, che come vedremo, presentarono lo stesso fatto. In vero la sola reazione chimica attiva, che possiamo ammettere avvenga nella coppia Smée nel primo momento della chiusura si è la reazione dello zinco col- l’acido solforico. In questa reazione per ogni grammo-equivalente SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 525 di zinco sciolto si sviluppano 53045 calorie, secondo i dati del Thomsen, quantità di calore che equivale ad una f. e, di 2,29. D'altra parte l'energia necessaria alla decomposizione dell’acqua è misurata dalla f. e. di polarizzazione fra idrogeno e ossigeno. Ora le determinazioni di questa f. e., a circuito chiuso, senza interruzione della corrente primaria, fra elettrodi di platino, hanno dato i seguenti valori in Daniell: 2.31 (Wheatsthone), 2.58 (Daniell), 2.256 (Buff) 2.32 (Poggendorff), 2.14 a 2.44 (Swanberg), 2.21 a 2.29 (Pirani). Il medio valore sarebbe quindi 2.36 D=2*.59; ritenendo la f. e. della Daniell uguale a 1'.097, come risulterebbe dalle misure di Wright e Thomson. Notiamo ancora che il Joule avrebbe trovato per la stessa f. e. di polarizzazione per platino e zinco amalga- mato il valore 2.81D=3".08. Già il Verdet (Theorie Meca- nique de la Chaleur IT, p. 214) facendo notare che la detta f. e. corrisponde ad un calore di combinazione fra H ed O quasi doppio di quello che fu misurato direttamente bruciando l’idrogeno nell’ossigeno, spiegò questa grande divergenza facendo l’ipotesi che il calore di combinazione dei due gas sia maggiore del calore di combustione dell’idrogeno misurato col calorimetro. La combustione ottenuta direttamente avviene fra i due gas allo stato ordinario ; la combinazione nel voltametro avviene fra due gas allo stato attivo o nascente. Ora questo è precisamente il feno- meno inverso di quello che deve avvenire quando l’acqua è decom- posta dalla corrente. In quello stesso concetto ci confermano anche i risultati, a cui giunse il Prof. Macaluso nelle sue interessanti ricerche sulla polarizzazione, e sulle quali ritornerò in seguito. Vediamo quindi che l'energia somministrata dalla reazione dello zinco non è già sufficiente per compensare il dispendio di energia necessario alla decomposizione dell’acqua (*), e quindi la differenza fra le due quantità di calore corrispondente è negativa. Tuttavia forse non sarebbe sufficiente questa differenza a spiegare l’effetto osservato, quindi si deve anche ammettere il concetto di Braun e di Helmholtz che non tutta l’energia potenziale chimica sia (*) Notiamo che il prof. BartoLI nelle sue estese ricerche sulle leggi delle polarità galvaniche, le quali formano oggetto di parecchie Memorie (Nuovo Cimento, 1877, 1878, 1879, 1880, 1881), ha stabilito che nelle decomposizioni elettrolitiche, anche con elettromotori teoricamente insufficienti, la legge di LS FaARADAY è esattamente verificata, 526 STEFANO PAGLIANI atta a trasformarsi in energia elettrica, ed una parte di questa po- trebbe provenire dalla trasformazione di energia termica sensibile. Quando poi per il diffondersi dei gas nella coppia, allora. per la condensazione di questi gas sia sugli elettrodi che nel liquido, e per le reazioni chimiche a cui danno luogo, come pure per la loro trasformazione dallo stato nascente allo stato ordinario, o di ozono per l’ossigeno, possono avvenire dei processi fisici e chimici, i quali, quantunque non diano effetto utile per la forza elettromotrice, ma anzi alcuni di essi producano una f. e. contraria a quella della coppia, e che ne diminuisce quindi il valore, tut- tavia gli effetti termici che li accompagnano possono compensare l’effetto termico negativo dovuto alle altre cause indicate sopra. Il Favre non ha potuto osservare questo raffreddamento ini- ziale della coppia Smée perchè col suo metodo doveva farla fun- zionare per un tempo lungo e quindi questo effetto rimaneva celato dagli altri. I valori diversi della f. e., che furono ottenuti a circuito aperto, o chiuso solo per un istante, si spiegano con ciò che, come l’ ha dimostrato il Pellat, la differenza di potenziale fra due metalli dipende in alto grado dallo stato della loro superficie, ed un’alterazione chimica anche invisibile può già cambiarne com- pletamente il valore, e si può ritenere che la f. e. di una coppia sia la stessa a circuito aperto e nel primo istante di chiusura. II. Coppia Platino bianco e Zinco amalgamato. — Anche le esperienze fatte con questa coppia dimostrarono che il primo effetto termico è un raffreddamento. Per una coppia la cui f. e. era uguale a 1". 101, chiuso il circuito con 10 U.S. si ebbe subito una deviazione di 13 div. nel senso di una diminuzione di tem- peratura, ed avendo lasciato il circuito chiuso per 60° si arrivò sino ad: una deviazione di 22 div. nello stesso senso. | Il maggior valore trovato per la f. e. di questa coppia a circuito aperto fu 1".167, il minimo 1.101 sopra cinque preparazioni diverse. | IIl. Coppia Volta. Rame e Zinco amalgamato. — Anche | con questa coppia il primo effetto termico prodotto colla chiusura | del circuito è un raffreddamento, susseguito poi, lavorando la coppia per qualche tempo, dall’effetto opposto. Per una coppia la cui f. e. era uguale a 1.157, appena chiuso il circuito con una resistenza di 10 U.S. si ebbe una deviazione di 5 div. | nel senso di una diminuzione di temperatura. Il massimo valore SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 50” della f. e. a circuito aperto trovato per questa coppia fu 1‘. 178, il minimo 1‘.115. Pellat ha ottenuto per la differenza di po- tenziale Zn|Cu da 0'.68 a 0.86. IV. Coppia Carbone e Zinco amalgamato. — Anche per per questa coppia si trovò come primo effetto termico un raf- freddamento. La sua f. e., anche a circuito aperto, varia col tempo, ciò che dipende specialmente da modificazioni della su- perficie del carbone. Per una coppia la cui f. e. era uguale a 1".418, appena preparata, e discese a circuito aperto a 1”.383, si ebbe, chiuso il circuito con 10.U.S. per 30°, una deviazione di 14 div. nel senso di una diminuzione di temperatura. V. Coppia Platino e Iame. — Questa coppia, come la precedente, mostrò un comportamento speciale cioè una sensibile variabilità di f. e. a circuito aperto. Il Rame si trovò positivo rispetto al Platino, funzionante cioè come metallo intaccato. In una coppia la cui f. e. iniziale a circuito aperto era 0‘,522; dopo un'ora sempre a circuito aperto discese a 0',468, dopo 4 ore a (00".432, dopo 5° a 0.401. Avendo allora chiuso il circuito per 120° con 5 U.S. la f. e. si trovò discesa a 0". 343, dal qual valore dopo 1" di circuito aperto risali a 0.396. Avendo di nuovo chiuso il circuito per 30° con 10 U.S. essa ridiscese a 0". 343. Durante la chiusura del circuito non si 0s- servarono effetti termici sensibili. Anche dalle determinazioni del Pellat risulterebbe il rame positivo rispetto al platino ed il valore della differenza di po- tenziale Cu|Pt=0"20. Se invece si calcola la f. e. dalle azioni chimiche che si possono supporre avvenire in questa coppia, nel modo consueto, si arriverebbe alla conclusione che il rame dovrebbe funzionare da polo positivo rispetto al circuito esterno. Se supponiamo la formazione del solfato di rame abbiamo: (Cu. O. SO3z Aq) — (Hg, 0)= 55960 — 68200 = — 12240 e per un grammo-equivalente di rame: — 6120 = — 07 26, Se supponiamo la formazione dell’ossido di rame: | (Cu. 0) — (H,. 0) = 87160 — 68200 = — 31040 e per un grammo-equivalente di rame: — 15520 = — 0," 669 Vediamo che qui il valore della f. e. che si deduce dalle azioni chimiche è già per il suo segno opposto a quello che ri- 528 STEFANO PAGLIANI sulta dall’esperienza. Quindi si deve venire alla conclusione che, o in questa coppia non avviene nessuna di quelle reazioni chi- miche, oppure, ciò che a me pare più probabile, il metodo in- dicato per calcolare la f. e. non può servire a stabilire il segno di essa poichè la decomposizione (H7,, 0) è un processo che av- viene nell’ interno della coppia, non sopra una delle lamine polari. Tanto più credo ciò inquantochè per l’energia termica corrispondente alla reazione (H4,, 0) si dovrebbe con maggior ragione adottare il valore 120100, corrispondente al valor medio della f. e. di polarizzazione sopra indicato. V. Coppia Stagno e Zinco amalgamato. — Per questa coppia si constatò costantemente un aumento di temperatura colla chiusura del circuito. La f. e. a circuito aperto massima trovata fu 0. 581, la minima 0. 546. Si può spiegare l’effetto termico ottenuto con ciò che in questa coppia lo stagno si copra di uno strato sottile di ossido il quale si vada lentamente scio- gliendo durante il passaggio della corrente. Quindi alla reazione dello zinco si aggiungerebbe quella dello stagno, e per gli effetti termici si sommerebbero in modo da mascherare anche l’effetto termico negativo dovuto alla decomposizione dell’acqua. Ma per l’effetto utile nella produzione di elettricità, osservo che la reazione dello stagno, producendosi sulla lamina polare positiva, l’energia ad essa corrispondente deve essere sottratta da quella corrispondente alla reazione dello zinco. Ora a questa corrisponde come si è veduto una f. e. di 2" 29. Nella reazione (Sn. O. SO, Aq) secondo le recenti determinazioni di Herroun (loc. cit.) si sviluppa una quantità di calore uguale a 75210", ‘e per grammo-equivalente di stagno: 37605°—=1° 62. Facendo la differenza fra queste due f. e., si ottiene 0,63, numero eorri- spondente a quello dato dall’esperienza. Il Pellat trovò per la differenza di potenziale Zn|Sw da 07,25 a 0"35. VI. Coppia Cadmio e Zinco amalgamato. — I risultati ottenuti colle due coppie precedenti mi portarono a studiare una coppia in cui certamente i due metalli sono intaccati. E diffatti vi si constatò sempre aumento di temperatura alla chiusura del circuito. La f. e. a circuito aperto variò fra 0.289 e 0.341. Il cadmio funziona da polo positivo. Se anche qui consideriamo come efficace la reazione del Cadmio, sottraendo la energia cor- SULL'ORIGINE DELLA ‘FORZA ELETTROMOTRICE 529 rispondente a questa da quella relativa alla reazione dello zinco, si ottiene: (Zn. 0. S0, 49) —(C4.0. SO, Ag) = 106090 — 89500 = 16590 e per 1 grammo-equivalente 8295 = 0". 857, valore prossimo a quelli ottenuti sperimentalmente. VII. Coppia Ferro e Zinco amalgamato. — Di questa coppia fu solo determinata la f. e. a circuito aperto senza studiarne gli effetti termici. Si trovò da 0", 600 a 0, 579. Pellat trovò per Zn | Fe 0" 56 a 070. Il ferro funziona nella coppia da polo positivo. Coppie ad acido cloridrico ('/.,). VIII. Coppia Platino platinato e Zinco amalgamato. — Anche in questa coppia il primo effetto termico osservato appena chiuso il circuito, è un raffreddamento della coppia, anzi esso è più intenso e persiste assai più che non per le coppie prece- denti. Così per una coppia la cui f. e. a circuito aperto era 1.581, sì trovò chiudendo il circuito per 30° con 50 U. S. una deviazione di 18 div. nel senso di un abbassamento di tempe- ratura; dopo 25 minuti, e fatta una determinazione di f. e. che non indicò variazione sensibile in essa, avendo di nuovo chiuso il circuito per 30° con 20 U. ,. si ebbe ancora una devia- zione di 38 div. nello stesso senso; dopo altri 16 minuti du- rante i quali trovai la f. e. discesa a 1.485, chiuso di nuovo il circuito per 40°, ebbi ancora una deviazione di 23 div. sempre nello stesso senso. Dopo altri 15 minuti, durante i quali trovai la f. e. discesa a 1. 447, avendo chiuso il circuito con 10 U. S. per 50° ebbi una deviazione di 25 div. nel senso di un au- mento di temperatura. Il valore massimo della f. e. trovato per questa coppia a circuito aperto fu 1.604, il minimo 1.581. Anche qui possiamo trovare analoghe spiegazioni degli effetti termici osservati come per la coppia Smée, Il prof. Macaluso (Nuovo Cimento [2] 11. 1874) ha trovato per la f. e. di polarizzazione di Pt, e Pty in opposizione a Pt non polarizzato, in acido cloridrico, rispettivamente i valori 1.08 530 STEFANO PAGLIANI e 0.94 D, la somma sarebbe 2.02 D= 2" 22. Questi valori sono stati trovati per il caso in cui le lamine erano cariche di cloro o di idrogeno elettrico o attivo; mentre quando erano ca- riche di quei gas allo stato ordinario, cioè svolti con un pro- cesso chimico qualunque, la f. e. di polarizzazione era circa la metà. Cosicchè il Macaluso conchiudeva che tanto l’idrogeno che il cloro, nel primo momento in cui escono dal composto, di cui fanno parte (H4C/) condensati su un elettrodo di platino o di carbone danno in unione con un’altra lamina priva di gas una f. e. di polarizzazione molto superiore a quella degli stessi gas nelle stesse condizioni, ma allo stato ordinario. Poggendorf aveva trovato 2.12 a 2.32 D., in media 2° 43. Ora a circuito chiuso il valore ne sarà sempre maggiore e del resto così dovrebbe essere, poichè il calore della reazione (H,, Cl, aq) è 78640, maggiore di quello della reazione (H3, 0). Qui non solo si deve tener conto del lavoro corrispondente al calore di combinazione fra H e C7, ma anche di quello cor- rispondente al calore di soluzione dell’ acido cloridrico nel- l’acqua. D'altra parte la quantità di calore sviluppata nella reazione (Z72, Cl, aq) sarebbe 112840 e per un grammo-equi- valente di zinco 56420°— 2".43. Anche qui dopo una certa durata dell’azione della corrente interverranno gli altri processi fisici e chimici, che danno effetti termici che compensano il precedente. La maggior grandezza dell'effetto termico negativo nelle coppie ad acido cloridrico spiega come il Favre abbia potuto osservarlo nelle sue esperienze calorimetriche. Dalla quantità di calore spesa nel circuito esterno 16950° nel caso della coppia Zn- Pt, si arguisce che la resistenza esterna doveva essere ab- bastanza grande, quindi la intensità della corrente piccola, per cui l’effetto termico negativo può essersi conservato anche per il tempo per il quale ha durato la sua esperienza. Quanto alle determinazioni di Wright e Thomson (loc. cit.) secondo le quali la f. e. misurata (07,633 a 0%,552, va- riando la densità della corrente da 1. 6 a 28. 1) fu sempre trovata inferiore a quella calcolata dalle azioni chimiche mi sembra che non provano nulla contro le esperienze del Favre. Questo può dipendere semplicemente dalla polarizzazione, e non esclude l’effetto termico negativo, come non lo escludeva per le coppie ad acido solforico. SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELETTROMOTRICE 531 IX. Coppia stagno e zinco. — Quantunque gli effetti ter- mici osservati in questa coppia siano molto deboli, tuttavia si osservò anche qui decisamente sul principio un effetto negativo. Per una coppia la cui f. e. a circuito aperto era 0. 527, chiudendo il circuito con 10 U.S. per 62° si arrivò ad una deviazione massima di 5 div. nel senso di una diminuzione di temperatura. Il massimo valore della f. e. a circuito aperto tro- vato fu 0.537, il minimo 0. 517. Può darsi che l’effetto ter- mico negativo sia in parte mascherato da un effetto termico positivo dovuto all’azione dell’acido cloridrico sullo stagno. La f. e. calcolata dalle reazioni chimiche risulterebbe, se si ammette che lo stagno sia intaccato: (Zn, Cl, aq) — (Sn, CI, aq) =112840° — 81140°= 31700° per 1 grammo-equivalente 15850° = 0, 683. La differenza di potenziale fra Z» e Sw secondo le determinazioni del Pellat sarebbe 0". 25 a 0". 85 secondo lo stato della superficie. X. Coppia Platino e Stagno. — Qui si ebbe anche come primo effetto termico un raffreddamento, che fu, come per la coppia Platino e Zinco, persistente. Per una coppia, la cui f. e. a circuito aperto era 1". 005, chiudendo il circuito per 60° con 10 U. S. si ebbe una deviazione di 12 div. nel senso di un abbassamento di temperatura; dopo sei minuti, avendo di nuovo chiuso il circuito con 5 U. S. per 34° si ebbe ancora una deviazione di 7 div. nel senso di un abbassamento di tem- peratura. Dalle determinazioni del Pellat risulta per la diffe - renza di potenziale Sw|Pt il valore 0°. 63 a 0" 67. Se si cal- cola dalle reazioni chimiche nel modo ordinario si otterrebbe : (Sn, C1,, aq) — (Hz, Cl, aq) =81140°— 78640°= 2500, per 1 grammo-equivalente 1250°—= 0". 054, valore assai diffe- rente da quelli trovati sperimentalmente. XI. Coppia Platino e Ferro. — Se ne determinò solo la f. e. a circuito aperto, e si trovarono valori variabili fra 0.916 e 1.028, e quindi dello stesso ordine di grandezza di quelli della Smée. Pellat trovò per la differenza di potenziale Fe| Pt da 0".32 a 0". 38. 332 STEFANO PAGLIANI Coppia ad acido bromidrico. (},;). XII. — Coppia Platino platinato e Zinco amalgamato — Anche per questa coppia il primo effetto termico è stato un raffreddamento. Il massimo valore per la f e. a circuito aperto trovato fu 1.586, il minimo 1,355. Favre pure osservò un raf- freddamento per questa coppia il quale si può spiegare colle stesse ragioni, che per le altre coppie. Considerazioni sui precedenti risultati. Dai risultamenti delle ricerche sovra esposte mi sembra pos- sansi dedurre alcune conseguenze intorno all’origine della forza elet- tromotrice nelle coppie idroelettriche ed al modo di calcolare. Anzitutto non sembra necessario nello studio delle coppie voltaiche di doversi decidere esclusivamente, come pretesero alcuni, o per la teoria del contatto, o per la teoria chimica. Si deve distinguere, come l’ha fatto bene notare il Pellat, in una sua recentissima Memoria (Amm. Chim. Phys. [6] XIX 1890) fra differenza di potenziale e forza elettromotrice. La differenza di potenziale fra due punti o due conduttori in contatto è il lavoro compiuto dalle sole forze elettro-elettriche (quelle che sono eser- citate dai diversi punti elettrizzati, secondo le leggi del Coulomb.) sopra l'unità di elettricità, che si muove da un punto all’altro, e non il lavoro sopra questa quantità di elettricità di tutte le forze che possono agire su di essa; mentre la forza elettromo- trice di un elettromotore qualunque è l'energia che questo co- munica all’unità di elettricità che lo attraversa, energia che può essere la trasformazione di una energia meccanica, o di una energia termica, o ancora di una energia potenziale chimica. Questo dispendio di energia può fornire il valore della forza elet- tromotrice. L’effetto termico negativo iniziale osservato in quais tutte le coppie considerate nel presente lavoro dimostra che il movimento di elettricità può prodursi solo per la differenza di potenziale di contatto, e che non essendo la energia della rea- zione chimica, utile per la forza elettromotrice , sufficiente al dispendio necessario per il lavoro della corrente, molto proba- bilmente una parte della energia termica sensibile si trasforma in energia elettrica. SULL'ORIGINE DELLA FORZA ELELTROMOTRICE doo Questo effetto negativo, ed altri risultati dimostrano essere forse più esatto il considerare il lavoro della decomposizione dell’elettrolito di una coppia, fatto dalla corrente, come equi- valente alla forza elettromotrice di polarizzazione, che non al calore di combinazione dei due gas allo stato ordinario. La pola- rizzazione poi della coppia stessa a circuito chiuso sarebbe dovuta soltanto alla f. e. di contatto dell’idrogeno col metallo non intaccato, e quindi ancorchè il suo valore sia minore sempre della f. e. primaria della coppia, tuttavia la prima. tende a di- minuire l’efficacia della seconda nella produzione della corrente. Talune divergenze che si riscontrano fra i valori osservati della f. e. ed i calcolati dipendono o dallo assumere per calore di decomposizione dell’elettrolito, che costituisce le coppie, un valore non esatto, o più probabilmente dallo assumere come f. e. di polarizzazione quella che corrisponde al calore di combinazione allo stato ordinario degli elementi principali, invece della f. e. di polarizzazione di contatto di uno di essi con una delle la- mine polari. Però in una coppia si possono avere trasformazioni diverse, fra le quali le principali sono processi chimici primari e secon- dari, depositarsi delle sostanze messe in libertà sulla superficie degli elettrodi (condensazione ed occlusione di gas), diffusione degli elementi e gruppi messi in libertà, e loro combinazioni reciproche, passaggio dei gas dallo stato attivo allo stato ordi- nario, variazione della concentrazione degli elettroliti in prossi- mità degli elettrodi. Or di questi processi alcuni possono essere efficaci per la f. e. primaria o per la f. e di polarizzazione, e probabilmente solo quelli che si compiono sugli elettrodi , altri possono non essere efficaci, ma ad ogni modo l’effetto risultante di tutte le variazioni termiche ad essi dovute è sensibile nella coppia alla misura calorimetrica, e può non andare d'accordo il risultato di questa con quello della misura della f. e. Quindi ab- biamo veduto come in alcuni casi la misura della f. e. dia un risul- tato concordante con quello che si calcola dalle azioni chimiche, che si possono supporre avvengano nella coppia, altre volte non. Del resto il teorema di Thomson è fondato sopra due pre- messe, l'una che non vi siano altre sorgenti di energia che l’azione chimica, l’altra che non si possa produrre che una data reazione elettrolitica in un elettrolito. Ora queste due premesse non si realizzano che in casi eccezionali per le coppie idroelettriche, ed 534 STEFANO PAGLIANI — SULL’ORIGÎNE DELLA FORZA ECC. è in questi casi, come è quello di una coppia Daniell simmetrica, che si è trovato sufficiente accordo fra la teoria e l’esperienza. Le piccole divergenze che si trovano per altre coppie, che pure soddisfanno abbastanza bene alle dette premesse, si potranno spiegare con effetti Peltier, ma in generale per le divergenze maggiori si deve ricorrere a cause assai più complicate. Infine ammettiamo col Pellat che la differenza di potenziale fra i poli di una coppia non sia altro che quella dovuta al contatto dei due metalli, modificata dalle azioni che i mezzi, coi quali i metalli si trovano a contatto, esercitano su di essi. E così mentre il Lodge aveva trovato delle relazioni di grandezza fra i valori di alcune forze elettromotrici di contatto misurate direttamente, e quelli che si calcolano dai calori di ossidazione dei metalli, abbiamo veduto pure come in alcuni casì si avesse la stessa re- lazione anche con quelli che si calcolano dalle reazioni chimiche, che si possono supporre avvenire nelle coppie. Dimodochè si vede che tanto l’azione dell’ossigeno dell’aria, quanto quella degli altri mezzi sembrano influire sulla f. e. di contatto, ma senza che questa si possa calcolare dalle azioni stesse. Anche per le f.e. di contatto fra soluzioni di sali capaci di formare dei sali doppi ho trovato (Atti R. Acc. Scienze Torino, XXI. 1886), che stavano in relazione per ordine di grandezza coi calori di for- mazione, e coi calori di soluzione dei sali doppi, ma senza che con ciò si possano calcolare quelle da questi. I diversi valori che si ottengono sperimentalmente per una stessa coppia voltaica e che spiegano i risultati differenti ai quali giunsero i diversi sperimentatori per uno stesso tipo di coppie, come la Smée, devono trovare la loro ragione in condizioni diverse delle superficie dei metalli, prodotte dai mezzi che vi si trovano a contatto. Ho detto più sopra essere probabile che solo i processi che si compiono negli elettrodi debbano influire sul valore della forza elettromotrice a circuito chiuso. Difatti abbiamo veduto che in generale se si portano in conto anche le reazioni che si com- piono nei liquidi della coppia non solo si possono avere valori discordanti per la grandezza, ma anche pel segno della forza elettromotrice, da quelli ottenuti sperimentalmente. Laboratorio di Fisica del R. Istituto tecnico di Torino, Marzo, 1890. Pn) ini ARE A Sa |) ta | DI Ù tI i Ù VII Tav Torino Lit. Salussolia 5515) Sulle modificazioni degli epitelii ghiandolari durante la secrezione; Osservazioni del Dottor V. GRANDIS Numerosi tentativi furono fatti per seguire il succedersi di quelle modificazioni di struttura, che Heidenhain pel primo di- mostrò avvenire nella maggior parte delle ghiandole, durante la secrezione. Già fin dal 1840 Ascherson (1) osservando le ghian- dole della pelle nelle rane aveva notato dei movimenti di con- trazione, che descrisse accuratamente. Però il suo lavoro non fu tenuto in alcun conto se non dopo che Engelmann (2) riprese a studiare profondamente lo stesso argomento. Quasi contempo- raneamente Kiihne e Lea riuscirono ad osservare per lungo tempo il pancreas dei conigli, ed a studiare l’azione di diverse condi- zioni fisiologiche. Più tardi Langley (3) confermò coll’esame diretto delle ghiandole sierose i risultati ottenuti da Heidenhain sulle ghiandole mucose. Ultimamente Drasch (4) osservò che le ghiandole della pelle delle rane durante la funzione non modificano la loro struttura microscopica, ma modificano notevolmente la loro forma. La grande delicatezza degli epiteli, e la difficoltà della ricerca non permisero che queste osservazioni potessero venire estese a tutte le ghiandole. Rimane ancora irresoluta la questione se anche il rene si comporti nello stesso modo. Dietro consiglio del prof. Mosso ho intrapreso due anni or sono lo studio di questa importante questione, (4) Vedi il lavoro di Engelmann. (2) EnGELMANN, P/lùger’s Archiv, vol. V, pag. 498, vol. VI, pag. 97. (3) LanGLEY, Journal of the Physiology, vol. II, pag. 260. (4) Drasc8, Archiv f. Anat. u. Physiol. Phisiolog. Abth., 1889, pag. 96. 536 V. GRANDIS In seguito a molti tentativi infruttuosi la mia attenzione fu rivolta agli organi orinari degli insetti. È oramai ammesso da tutti i zoologi, specialmente per i risultati di studi embriologici rigo- rosi, che i canalicoli malpighiani rappresentano il rene dei verte- brati. La grande semplicità di struttura di questi organi mi parve renderli molto adatti ad essere sottoposti all’osservazione diretta. A ciò si deve aggiungere la considerevole resistenza vitale di questi invertebrati, il modo in cui si compie la respirazione e la circolazione, tutte condizioni le quali fanno sì che essi debbano essere preferiti per lo studio di organi molto delicati. Estesi le mie osservazioni a rappresentanti di varie famiglie di insetti quali la Locusta viridissima, vari lepidotteri, la Me- lolonta, e V Hydrophilus, e dovetti convincermi che quest’ultima è la specie più adatta per sì fatte osservazioni, tanto per la dispo- sizione anatomica dei tubi malpighiani, quanto specialmente per la grandezza enorme dei loro epiteli, così che con piccoli ingran- dimenti si possono scorgere molti dettagli della struttura cellulare. Onde poter fare le mie osservazioni nelle condizioni più pros- sime possibili alle normali preparavo l’animale nel modo che descriverò brevemente. Dopo aver amputate le estremità ed esportate le elitre e le ali ad un Hydrophilus, aprivo colle forbici la parte dorsale del segmento addominale, secondo una linea che coincideva ad un dipresso coll’asse antero-posteriore del corpo. Quindi con due inci- sioni laterali perpendicolari alla prima rovesciavo all’infuori il tegumento e lo esportavo con un colpo di forbici. Nel fare queste incisioni è facilissimo ledere due enormi sacchi aerei che stanno nella parte anteriore dell’ addome, è quindi necessario andar molto cauti quando si desideri che l’animale duri per molto tempo in vita. Così preparato lo fissavo sopra una tavoletta di sughero, come quelle che servono per ‘osservare la circolazione nelle rane. Nella tavoletta era stata praticata un'apertura cir- colare del diametro di un centimetro circa, la quale venne ‘con- vertita in una pozzetta a fondo trasparente attaccando con ceralacca un vetro porta-oggetti sulla superficie inferiore della lamina in modo da chiudere l’apertura praticata nel sughero. L’Hydrophilus veniva fissato sulla tavoletta in posizione di ‘ fianco con due spilli di cui l’uno infisso nel torace e l’altro all’e- stremità anale del corpo, in modo che l’addome si trovasse in corrispondenza della pozzetta. Questa veniva riempita con la linfa MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 5897 perduta dall’animale, diluita con cloruro di sodio in soluzione al 0,75 °,. Dentro vi facevo cadere la matassa intestinale e poi distendevo con precauzione l'intestino sui bordi della pozzetta fissandovelo con degli spilli. In queste manipolazioni procuravo di fare movimenti deli- catissimi in modo da non rompere le trachee, le quali partendo dai sacchi aerei di cui accennai sopra si distribuiscono a tutti gli organi dell'addome. Ebbi più volte occasione di convincermi che questa è una condizione indispensabile perchè si possa pro- trarre lungamente l’osservazione, senza che avvengano alterazioni dovute alla morte delle cellule. Una delle ragioni per cui l'Hydrophilus è più adatto degli altri insetti a questo genere di osservazioni sta appunto nel fatto, che esso, riempiendo d’aria i suoi sacchi aerei, può reggere lun- gamente senza respirare, atto che è reso difficile dall’esportazione delle pareti dell’addome. Procedendo con queste cautele ho fatto le mie osservazioni sulla funzione di questi organi. Di esse riferirò in seguito. Prima credo necessario di fare un breve cenno della struttura dei tubi malpighiani dell’Hydrophilus. Così si potranno compren- dere più facilmente le osservazioni che deseriverò in seguito, poichè ho notato alcune particolarità, le quali si allontanano alquanto dallo schema generale di questi organi, come viene descritto da Schindler (1) nei coleotteri. Struttura dei canalicoli malpighiani dell’Hydrophilus piceus. Feci quasi tutte le mie osservazioni sopra pezzi freschi senza sottoporli all’azione di alcun agente indurente o fissatore. Anzi la massima parte delle osservazioni sulla struttura fu fatta sull’a- nimale vivo. Ho deciso di seguire questo. metodo, siccome quello che mi permetteva di poter più facilmente apprezzare i muta- menti dell’organo in funzione. Sono ricorso all’induramento ed ai soliti reagenti microscopici solo quando doveva mettere meglio (1) Zei'schrift f, Wissenschafts Zoolog. Kolliker u. Siebola, vol, XXX, pag. 587. 538 V. GRANDIS in evidenza qualche particolarità, di cui non fosse possibile farmi un concetto abbastanza chiaro in altro modo. Salvo nei casi che indicherò in modo speciale, s’ intenderà che tutte le osservazioni furono fatte coll’obiettivo 3 di Leitz e coll’oculare 3. Nell’Hydrophilus i tubi malpighiani sono in numero di quattro variamente attorcigliati fra di loro, avvolgono tutto l'intestino risalendo fino in corrispondenza dello stomaco, dove fanno un’ansa, ridiscendono in basso e si gettano nell’intestino retto in corri- spondenza della cloaca. In essi si distingue una parete di sostegno e le cellule epiteliari. Sopra di essi si distribuiscono numerosis- sime le trachee divise in ramificazioni molto sottili. La parete di sostegno veduta in sezione ottica appare fornita di un doppio contorno, ed in essa si distingue una parte ialina apparentemente amorfa, nella quale si vedono qua e là disse- minati dei grossi elementi ovolari, del diametro di 40-50. Come si vede nella fig. 1° essi contengono grosse granulazioni splen- denti, immerse in una sostanza finamente granulosa. Queste gra- nulazioni sono disposte ad intervalli regolari e guardate con una lente ad immersione, '/,, Leitz, dimostrano avere una struttura molto complicata. In ciascuna di esse si distingue una parte peri- ferica costituita da una linea colorabile coi colori nucleari, la quale fa l'impressione di una parete limitante il granulo. Nel- l’interno dello spazio limitato da questa linea si osserva una so- stanza amorfa incolora, nella quale stanno alla loro volta immersi altri granuli colorati piccoli in numero di due a tre variamente disposti. Dal modo di comportarsi della parete di questi corpi ovali e delle loro granulazioni rispetto ai colori di carmino e di anilina credo si debbano considerare come i nuclei di grosse cellule fatte da protoplasma apparentemente amorfo. Nello spessore della parete del canalicolo si vede una rete molto fitta e di aspetto più rinfrangente della sostanza ambiente, costituita da filamenti incrociati in vario modo. Nel punto d’in- contro di più filamenti si vede generalmente un piccolo corpic- ciuolo ovolare o circolare contenente piccole granulazioni splen- denti. Questo corpicciuolo e le sue granulazioni si colorano ra- pidamente in azzurro col bleu di metile ed in verde col verde jodio, in rosso col carmino, presentano cioè tutti i caratteri di un vero nucleo cellulare. Tanto la rete quanto i suoi nuclei sono MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 599 difficilmente visibili nei tubi, i quali hanno cellule epiteliari molto ricche in sostanza colorante; ma si vedono molto bene in quei tubi dove le cellule sono perfettamente incolore e traspa- renti. Per vedere questi particolari più distintamente nella prima varietà di tubi è necessario alterare alquanto il rapporto fra le varie parti del canalicolo, e fare in modo che alcune cellule epiteliari si stacchino. Nel campo chiaro che ne risulta spiccano molto bene i filamenti della rete per dei sottili bordi scuri do- vuti alla loro rinfrangenza più forte. Ho notato che si può ren- dere molto evidente questa reticella lasciandola per alcun tempo immersa in una soluzione al 2°/, di bleu di metile, dove i fila- menti prendono una leggera colorazione azurra, la quale permette di distinguerli dalla sostanza circostante. Cercai vari modi onde determinare la natura di questa rete, se cioè fosse nervosa od elastica, di ciò tratterò più diffusamente in altra Nota, per ora dirò solo che col metodo di Golgi al cloruro d’oro si colora una rete disposta in senso trasversale al canalicolo, la quale ha numerosissime anastomosi e finisce in fila- menti sottilissimi, la cui terminazione si sottrae ai più forti in- grandimenti. Per contro non ottenni alcuna colorazione col metodo di C. Martinotti, (1) il quale mette in evidenza le fibre ela- stiche. Dopo sottoposti i tubi alla digestione peptica non si riesce più a veder traccia della rete nei tubi a cellule epiteliari co- lorate, mentre nei tubi a cellule incolore si osserva una rete molto fitta costituita da grossi tronchi disposti trasversalmente, obliquamente e longitudinalmente al canalicolo. Qualche volta si incontrano dei tubi dove non è dato scor- gere traccia di struttura all’infuori della rete ultima descritta, la quale assume un notevole grado di sviluppo. Nella parete non ho mai riscontrato alcuna fibra muscolare nè liscia nè striata. Il componente più importante dei tubi malpighiani è costi- tuito dalle cellule epiteliari. Nell’Hydrophilus esse hanno gene- ralmente forma poliedrica o rotondeggiante con un grosso nucleo ovolare centrale. Le cellule hanno un diametro di 110 p mentre il nucleo misura 380 f. Accade spesso di vedere delle cellule con due nuclei, i quali sono avvicinati in modo da rappresentare una cifra 8 con strozzatura più o meno marcata. Il protoplasma (1) GC. MartINOTTI, Della reazione delle fibre elastiche, Torino, Annali di freniatria, vol, I. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. \XV 39 540 V. GRANDIS cellulare presenta delle particolarità degne di nota. Esso può venir diviso in tre zone, distinte fra loro per caratteri ben de- finiti. Osservate ad un piccolo ingrandimento le cellule in generale appaiono separate fra loro da uno spazio chiaro di dimensioni variabili da 10 a 20 . Con un esame molto attento si riesce qualche volta, anche con piccoli ingrandimenti, a vedere che esse sono realmente una a contatto dell’altra. e che nel punto di contatto sono divise fra loro soltanto per una sottilissima linea. L'intervallo chiaro è dato dalla grande trasparenza propria della parte marginale del protoplasma. Questa zona periferica è limi- tata dal resto del corpo cellulare per una linea molto più mar- cata di quella esistente fra due cellule contigue. Ho riprodotto nella Fig. 2° una cellula epiteliare veduta ad un forte ingrandimento, (8° Koritska). Quando si esaminino dei pezzi freschi e senza far loro subire maltrattamenti, si vede che in corrispondenza della zona trasparente il protoplasma presenta una delicatissima striatura, cosichè sembra formato da fibrille sottilissime, giustapposte, dirette secondo la direzione dei raggi del corpo cellulare. Leydig (1) aveva già riscontrato e descritto questo stesso fatto nelle cellule dei tubi malpighiani della Cetonia aurata e del Bombyx neustria, Ogni fibrilla porta, nel punto in cui si unisce al resto del protoplasma, un granulo leggermente più grande e più rifrangente di quelli che costituiscono il corpo pro- toplasmatico. La disposizione regolare di questi granuli, uno ac- canto all’altro tutto all’ingiro della cellula, fa sì che vengono a costituire una linea netta scura, la quale vista a piccolo ingran- dimento sembra segnare la periferia della cellula, non poterdosi avvertire la sottile striatura nella zona trasparente testè descritta. All’interno di questo strato si trova una zona di dimensioni variabili, la quale costituisce la più grande parte del corpo'cel- lulare e limita un’ area circolare centrale di aspetto chiaro. Essa è fornita di una struttura molto complicata. La massa ge- nerale è fatta da fini granuli e va divisa in due parti, esterna ed interna. Nella parte esterna, tra i granuli si vedono disseminate delle (1) LeypiG, Untersuchungen sur Anatomie und Histologie der Thiere, Bonn,, 1883, pag. 52. mn ev MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 541 scarse granulazioni più grandi, fortemente rifrangenti, incolore a riflessi giallo-verdastri. In oltre non di rado questo strato con- tiene delle goccie regolarmente sferiche, fortemente rifrangenti di color giallognolo, chiamate dagli autori col nome di sfere di se- creto. La parte interna contiene dei granuli grossi di colore giallo-bruno a forma allungata, essi sono in quantità variabile, per lo più fittamente addensati l’uno contro l’altro. L’accumulo di questi granuli dà al protoplasma un color giallo più o meno intenso, secondo il loro grado di addensamento, il quale, quando è notevole, impartisce un colore bruno così carico da coprire tutti gli altri particolari. Osservando a forte ingrandimento (8* Koritska '/,,. Leitz. imm. omog.) potei constatare, come: aveva già descritto Leydig, che i granuli gialli sono costantemente for- mati da cristallini prismatici a contorni ben limitati. Raramente avviene d’incontrare alcuna sfera più o meno grande di una so- stanza gialla identica per l'aspetto fisico a quella di cui sono composti i cristalli. Osservati alla luce polarizzata, tanto i cri- stalli quanto le sfere, si mostrano birifrangenti, e quando i prismi sono incrociati spiccano sul fondo oscuro come linee splen- denti d'un bel colore giallo-dorato. Immergendo i tubi malpi- ghiani in alcool scompare il loro color giallo e con esso i cri- stalli contenuti nelle cellule, mentre l’alcool prende un color giallo con una bella fluorescenza verde in tutto identica a quella della fluoresceina. Ho già intrapreso una serie di ricerche per determinare la natura di questa sostanza. Riferirò dettagliata- mente in una prossima Nota i risultati ottenuti. La terza zona è costituita da un'area centrale chiara. Negli organi freschi non si riesce a vedere alcuna struttura dei nuclei; nei pezzi induriti in alcool e colorati con carmino o con saffranina, si vede che il nucleo, il quale corrisponde al- l’area chiara centrale della cellula vivente, è formato da grosse granulazioni sferiche disposte regolarmente ‘una accanto all’altra. Queste prendono una colorazione violetto sporco col carmino al- luminato e roseo pallido colla saffranina, e fra esse spiccano talora due, talora tre corpicciuoli sferici più grandi fortemente colorati. Nei pezzi stati in alcool il protoplasma si mostra formato da grossi granuli di color grigiastro. Sopra i canalicoli malpighiani si distribuisce una quantità molto grande di trachee le quali conservano i loro caratteri fin- 542 V. GRANDIS tanto che il loro diametro non è inferiore ad 1-2 p. Allora ter- minano con un lungo ciuffo a mo’di pennello fatto da sottili ca- nalicoli perdentesi nell’interno della cellula. I canalicoli terminali sono così sottili e formano una rete così fitta che se ne possono contare parecchie decine sulla superficie di una sola cellula. Esse presentano di particolare che non si anastomizzano mai fra di loro. Per ora non farò alcun cenno dei nervi, riserbandomi di ritornarci sopra in un apposito lavoro. Azioni dei colori d’anilina sopra le cellule. Tutte le particolarità che ho descritto fin ora si possono anche osservare staccando rapidamente un pezzetto di tubo malpighiano ed esaminandolo in cloruro sodico al 0,75%, oppure nel siero stesso dell’Hydrophilus o in una miscela di siero o cloruro s0- dico al 0,75°/,. Se in un preparato così fatto, si fa arrivare una goccia di una soluzione di verde jodio al 2°/, in una solu- zione fisiologica di cloruro sodico, si osserva comparire immediata- mente una colorazione verde pallida nelle fibrille e nei nuclei della rete che si trova nella parete dei tubi. Contemporanea- “mente si colorano pure in verde quei grossi nuclei della parete, i quali hanno granulazioni splendenti, mentre le cellule epiteliari si comportano diversamente. Come si vede dalle fig. 3 e 4, sì deve distinguere il modo di comportarsi del nucleo da quello del protoplasma. Nelle cellule situate alla estremità del moncone, le quali hanno subìto il trauma della sezione, il nucleo assorbe ra- pidamente il colore tingendosi in verde smeraldo, mentre nelle altre cellule il nucleo si mantiene incoloro anche dopo parec- chie ore. Dopo un tempo variabile da 5' a 15' minuti il pro- toplasma delle cellule, il cui nucleo si era già colorato in verde, incomincia a prendere una colorazione grigiastra, la quale va man mano diventando d’un grigio azzurro, e persiste in questo stato, mentre si accentua sempre più la colorazione verde del nucleo, se continua l’azione della sostanza colorante. Il protoplasma di quelle cellule, di cui il nucleo si è mantenuto incoloro, dopo un tempo variabile da 30' a 40’ minuti incomincia a colorarsi in violetto intenso alla periferia. La zona colorata si allarga sempre più finchè si estende a tutta la cellula, all’infuori di uno spazio MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 543 chiaro centrale, limitato da contorni sfumati, il quale può talora essere duplice e corrisponde perfettamente all’area coloratasi in verde nelle cellule dell’estremità del moncone. L'intensità della colorazione del protoplasma diventa così grande da eguagliare quella dello stesso colore nello spettro solare. In questo stadio le cellule si conservano per parecchie ore ed anche per tutto un giorno, quindi il nucleo incomincia a colorarsi in verde, e la co- lorazione violetta del protoplasma passa poco a poco in un colore grigio azzurrognolo, uguale a quello assunto rapidamente dalle cellule dell’estremità del moncone. Sugli organi in sito avviene ad un dipresso la stessa cosa. Aggiungendo alcune goccie della stessa soluzione di verde jodio nella pozzettaà sulla quale stanno distesi i canalicoli malpighiani di recente preparati, si vede che il protoplasma cellulare inco- mirfcia a prendere una tinta violacea, la quale va sempre più accentuandosi. A differenza di quanto si osserva nel canalicolo staccato il colore violetto non cede il posto alla colorazione grigia azzurrastra, ma dopo un lasso di tempo, che varia secondo le condizioni di temperatura e di vivacità dell’ Hydrophilus, scom- ‘pare senza lasciar traccia. In queste condizioni non accade mai di vedere il nucleo a colorarsi nè in verde nè in altro colore. Ciò avviene però quasi istantaneamente in alcuni punti quando con una pinzetta si stringa il canalicolo in modo da alterare più o meno profondamente le cellule. Quando la colorazione violetta è scomparsa, la si può far ricomparire aggiungendo del nuovo verde jodio che viene alla sua volta eliminato. Dopo tre giorni per lo più le cellule prendono un aspetto torbido fortemente granuloso per granuli meno rifran- genti di quelli normali, nel centro non si scorge più spazio chiaro nè alcun altro dettaglio cellulare. Aggiungendo una goccia di soluzione di verde jodio al preparato, in cui i canalicoli sono ridotti in questo stato, il nucleo si colora immediatamente in verde ed il protoplasma in grigio azzurro. Per acquistare mag- gior certezza che questa differenza di reazione delle cellule col verde jodio dipende dalle condizioni di vita della cellula, prima di sottoporre un Hydrophilus all’osservazione esportai un tratto di tubo malpighiano, che divisi in due parti. Immersi una parte in acqua distillata e ve la lasciai per 5 minuti dopo i quali la trattai con verde jodio e la esaminai rapidamente Tutti i nu- clei erano colorati in verde e dopo alcuni minuti si colorò in 544 V. GRANDÎS grigio il protoplasma. Lasciai l’altra parte a bagno in una so- luzione fisiologica di cloruro di sodio al 0,75 °/, per un'ora, dopo la quale, trattato il pezzo con verde jodio, vidi che i nuclei sì erano mantenuti incolori e che il protoplasma prese una tinta violetta. I tubi che erano rimasti attaccati all'animale si man- tennero per tre giorni col nucleo non colorabile. Si trattava ora di determinare se il cambiamento di colore dipendesse da una differente reazione chimica del protoplasma e del nucleo allo stato normale e dopo morte o da qualche processo speciale che avesse luogo in queste parti. Ho provato ad acidificare leggermente la soluzione di verde jodio ed immediatamente la colorazione verde-cupa cessò per far luogo ad un color verde-erba chiaro. Alcalinizzando il verde jodio con alcune goccie di una soluzione diluita di idrato di po- tassio compare un’ intensa colorazione violetta la quale è distrutta da un eccesso del reattivo, Trattando la soluzione di verde jodio con polvere di zinco si scolorò per cui dovetti conchiudere che la colorazione violetta acquistata dalle cellule è dovuta alla loro reazione alcalina e non a processi di riduzione. Provai a sostituire il verde jodio col verde di metile il quale, come fu dimostrato dal prof. Mosso (1), si comporta in modo analogo colle cellule viventi. Con questo reattivo in pochi mi- nuti vengono colorate in verde tutte le cellule e riuscii solo a scorgere delle differenze di tonalità poco marcate tra le cellule normali, e quelle che hanno subito un’alterazione qualunque. Quando si fa agire il Licthgriin tutte le cellule si colorano diffusamente in verde smeraldo. Sotto l’azione del liquido Erlich- Biondi i nuclei delle cellule epiteliari si colorano in verde e se il liquido agisce per molto tempo il protoplasma si colora in aranciato. Il bleu di metilene si comporta in un modo tutto partico- lare colle cellule epiteliari, quindi merita di essere trattato più diffusamente. Injettai nell’addome di un Hydrophilus un centimetro cubico di una soluzione di dlex di metilene all’uno per cento. Dopo due ore aprii l'addome ed esportai un pezzetto di tubo malpighiano che osservai in cloruro di sodio al 0,75 ‘| serven- o a (4) A. Mosso; Rendiconti della IR, Accademia dei Lincei, vol. IV, pag. 449. MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 545 domi di forti ingrandimenti. Come si vede dalla fig. 5 le cellule epiteliari si mostrano del tutto normali, però nella zona mediana del protoplasma si vede un buon numero di granuli sferici colo- rati in azzurro ed alcuni colorati in rosso porpora o in violetto. Quando la preparazione è fatta da un po’ di tempo aumenta il numero dei granuli violetti e diminuisce quello degli azzurri. Con delle esperienze di confronto potei assicurarmi che i granuli coloratisi col d/ew di metilene corrispondono alle granulazioni più grosse e più rifrangenti, la quali si trovano nella zona me- diana del protoplasma. Esaminate con un obiettivo ad immersione !/,, Leitz queste granulazioni colorate non si presentano tutte colla stessa strut- tura. Le più piccole appaiono come semplici sfere e queste sono quasi tutte colorate in azzurro. Le più grandi hanno talora forma irregolare e sono fornite di una struttura più complicata. In esse si distingue una parte periferica rappresentata da una sot- tile linea colorata più intensamente, la quale limita uno spazio più chiaro, amorfo, dentro cui sono comprese due o tre granula- zioni colorate colla stessa intensità della linea periferica. Sono specialmente queste le granulazioni che prendono un colore rosso porpora. Due interpretazioni possono darsi a questo fatto: cioè che si tratti qui di vere terminazioni nervose le quali secondo Erlich (1) hanno la proprietà di fissare il dlex di metilene injettato nel- l’organismo quando si trovino fornite di reazione alcalina e siano saturate di ossigeno; oppure che siano granulazioni incaricate di una speciale funzione nel lavorìo chimico della cellula. Erlich nel suo lavoro sopra il bisogno che l'organismo ha dell'ossigeno (2) emette l'ipotesi che nelle cellule ghiandolari il tramite per cui vengono eliminate le sostanze sia il paraplasma di Kupffer mentre che il protoplasma propriamente detto rappresenti solo la parte vivente della cellula. Io non credo di poter per ora decidere quale delle due in- terpretazioni sia qui da ‘applicarsi. Volendo avere un numero maggiore di dati ho cercato come queste granulazioni si com- portassero con altre sostanze e trovai, che, trattando i canalicoli (1) ErLIcH, Deutsche Medicinishe Wochenschrift, 4886, N. 4. (2) ErLica, Das Sauerstoff Bedùrfniss des Organismus, Berlin, 1885, pag. 151. 546 V. GRANDIS secondo il metodo di Golgi per mettere in evidenza le termi- nazioni nervose col cloruro d’oro e di sodio, quelle stesse gra- nulazioni si colorano in nero. Trattando le cellule con una soluzione di acido osmico all'1 °|, si ha un annerimento più forte nelle granulazioni che nelle parti circostanti. L’ematossilina le colora fortemente in violetto cupo. Osservazioni sui tubi malpighiani allo stato normale. Quando si osservano i tubi malpighiani di un Hydrophilus preparati nel modo e colle cautele sopra descritte, adoprando un ingrandimento di 100 diametri (3 Leitz ocul. 3) l’attenzione viene principalmente attirata dalla notevole differenza esistente non solo fra due tubi vicini ma anche fra due parti dello stesso tubo. Questa differenza consiste specialmente nel diametro delle cellule e del tubo, nella forma dei contorni dei tubi e delle cellule, nell’intensità e nella distribuzione della sostanza colorante, nello spessore della parete del tubo stesso e nella larghezza degli spazi intercellulari. Fu necessaria una serie numerosa di osservazioni prolungate per lungo tempo onde riuscire a classificare queste differenze. Esse si possono raggruppare in due ordini: differenze dipendenti dalla diversa forma della parete del canalicolo, e differenze dipendenti dalla forma delle cellule. Combinandosi in diverso grado questi due fattori possono dare ai canalicoli degli aspetti assai differenti. Io mi limiterò a descrivere l’aspetto preso negli strati estremi di ciascuno dei due gruppi. Considerando il canalicolo nel suo insieme, astrazion fatta dalle cellule epiteliari, si vede che al- cuni hanno un diametro di 180—200 w ®, mentre gli altri misurano solo 100—110 w °,. In questi ultimi la parete ha uno spessore di 1— 2 L. ®/, mentre nei primi è ridotto ad una sottile linea. I canalicoli più piccoli hanno contorno irregolare frastagliato da sporgenze ed avallamenti, la parete è fortemente rifrangente limitata da un doppio contorno netto e scuro. Nello spessore della parete vista in sezione ottica si vedono dei granuli più rifrangenti. In questo stadio la parete ha una trasparenza al- quanto minore. Nei canalicoli che hanno il diametro maggiore la parete è MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 547 molto trasparente, e limitata da un contorno morbido e regolare con andamento per lo più rettilineo, o di curva a grande raggio. Il suo spessore è molto minore, i suoi contorni sono segnati da linee sottili ed indecise, nel suo spessore si vedono dei sottili filamenti variamente intrecciati a formare una rete più rifran- gente della sostanza che li circonda. Non esiste alcuna regola per la distribuzione di queste due forme di canalicoli. In gene- rale non esiste un passaggio brusco dall’una all’altra forma, ma sì incontrano tra questi due numerosi stadi intermedi, nei quali predominano i caratteri dell'uno o dell’altro stadio. Per quanto riguarda le cellule si hanno delle differenze anche più marcate. In alcuni tubi esse si presentano con l’aspetto tipico descritto nel primo paragrafo, esse sono assai trasparenti a con- torni poligonali. I loro margini striati sì toccano per tutta la loro estensione, non lasciando spazio intercellulare. In questo stato i granuli contenuti nell’ interno dei tubuli si vedono come attraverso ad un velo molto trasparente. Le cellule misurano 100-- 110 w °%, hanno un’area nucleare molto ampia, un aspetto più pallido e sono molto trasparenti. A questa si contrappone un’altra forma. In essa le cellule sono rotonde od ovali, hanno rifrangenza molto considerevole con riflessi verdognoli. Le cellule non hanno fra loro che pochissimi punti di contatto anzi per lo più sono separate l’una dall’altra da larghi spazi intercellulari. È sparita la zona esterna frangiata, le cellule hanno acquistato uno spessore maggiore, e guardando attentamente, si vede che il contorno cellulare non è una linea continua, ma ha delle sporgenze ed avallamenti paragonabili alle rugosità della buccia degli aranci. Le rugosità sono determinate da granuli sporgenti sulla superficie della cellula. L'area nucleare è molto più stretta, tutta la cellula ha co- lore più scuro, i granuli protoplasmatici sono più addensati. In questa forma le cellule misurano generalmente 50-60 =. Tra queste forme estreme si notano qui pure numerose forme di passaggio. S'intende che queste differenze riguardano solo le cel- lule epiteliari; non ho notato alcuna differenza in quei nuclei ovali a grosse granulazioni regolari che stanno nello stesso piano della parete del canalicolo. Le due forme descritte per la parete si possono trovare as- sociate indifferentemente con ciascuna delle forme descritte per le cellule. Da questo ne deriva una serie numerosa di aspetti 548 V. GRANDIS diversi secondo che nelle combinazioni predomina l’una o l’altra delle quattro forme. Quando nel canalicolo ristretto si hanno cellule nella forma a dimensioni maggiori ne viene, che le cel- lule trovandosi fortemente compresse l’una contro l’altra sono obligate ad assumere delle forme irregolarissime, e premendo contro la parete del canalicolo dànno luogo a delle sporgenze e a degli avallamenti, i quali concorrono a renderlo più irregolare. Viceversa, quando si hanno delle cellule nella forma piccola in canalicoli larghi, sì hanno dei larghi spazi intercellulari, dai quali si può vedere molto distintamente nell’interno del canali- colo. Nei casi in cui le cellule piccole si trovano in canalicoli piccoli, esse appaiono fortemente rotondeggianti di colorazione molto scura, per cui si vede assai male nell’interno del canali- colo stesso. Se la preparazione fu eseguita con tutte le cautele indicate non si tarda a scorgere la ragione di questo differente aspetto delle parti di uno stesso organo. Prolungando l’osservazione, dopo i primi dieci minuti, quando è passata l’azione del trauma si vede generalmente che i canalicoli eseguiscono dei movimenti con forza e ritmo variabile. Cercherò di descrivere il più chiaramente che mi sarà pos- sibile tutte le modificazioni che si possono seguire coll’occhio, e per rendermi più facile il còmpito dividerò la descrizione in due parti; modificazione della forma e modificazione dell’aspetto. Ri- guardo alla forma si osserva che questi movimenti possono rag- giungere il numero di 8-10 in un minuto, ma si può anche avere una sola contrazione ogni uno o due minuti e talora anche meno. Questi movimenti si possono paragonare a contrazioni per cui tanto il tubulo quanto i singoli elementi di cui è composto diminuiscono di volume. Non raramente.però accade di vedere che una sola o poche cellule facciano questi movimenti mentre le altre parti si conservano inalterate. In tali casi i movimenti sono molto più deboli. Durante la contrazione i canalicoli pas- sano per tutti gli stadi descritti sopra. Ho riprodotto colla ca- mera lucida nella Fig. 6 un’ansa di tubo malpighiano in cui la metà destra fu disegnata allo stato di contrazione e la sinistra allo stato di massima dilatazione. Non ho mai potuto determinare quale fosse lo stadio di ri- poso perchè il movimento si può arrestare mentre il canalicolo sì trova in uno qualunque degli stadi sopra detti, e rimaner. “MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 549 fisso lungamente in tale posizione. Perciò differenzierò gli stadi coll’epiteto di dilatato, medio e contratto. Da quanto ho detto sopra si deduce che i cambiamenti di forma delle cellule pos- sono essere indipendenti da quelli della parete, però questi hanno grande influenza sui primi, per cui generalmente avviene che nello stadio dilatato le cellule hanno l’aspetto descritto nel primo pa- ragrafo. Nello stadio intermedio la parete del canalicolo è al- quanto più marcata ed ha uno spessore un po’ maggiore sebbene sia sempre limitata da linee molto sottili e pallide ed abbia dei contorni regolari. Le cellule prendono un colore giallo più carico, si fanno più spesse e l’area nucleare diventa alquanto più pic- cola. Il cambiamento di colore è dovuto all'avvicinarsi dei cri- stallini gialli sopra descritti. Delle tre zone in cui si distingue il corpo protoplasmatico, la più esterna è quella che si riduce maggiormente, tutta la cellula acquista maggior rifrangenza per- dendo in trasparenza, fatto che rende meno chiari tutti i dettagli. Nello stadio contratto il color giallo-bruno si estende a tutto il corpo cellulare e scompare completamente l’area nucleare, tutta la cellula può prendere delle dimensioni minori di quelle che ha il nucleo nello stato dilatato. Le cellule sono diventate for- temente convesse, sono compresse le une contro le altre, si mo- strano completamente prive della zona esterna frangiata, ed hanno i granuli cristallini talmente avvicinati che non riesce possibile alcuna osservazione nell’interno del tubo. Spesso queste modificazioni si succedono così rapidamente che riesce impossibile riprodurne le fasi col disegno. Non esiste regola fissa riguardo al modo di contrarsi dei canalicoli, ora il movimento si propaga in modo peristaltico, altre volte invece la contrazione è contemporanea in tutto un lungo tratto di canalicolo. Mentre un tratto di tubo rimane immobile, la sua continuazione a destra si dilata, e quella di sinistra può anche restringersi. È pure molto variabile il ciclo del movimento il quale ta- lora consiste in una semplice contrazione seguìta da una suc- cessiva dilatazione, o da una pausa, altre volte avviene il fatto opposto. Altre volte ancora si direbbe che la dilatazione avviene per elasticità tendente a ristabilire l’equilibrio turbato da una contrazione avvenuta; e viceversa alcune volte, tenuto conto della rapidità e della violenza del movimento, pare attiva la dilata- zione e passivo il restringimento. Quest'ultimo caso avviene spe- 550 V. GRANDÎS cialmente, quando il canalicolo si riposa nello stato intermedio, ed il movimento avviene nel senso della dilatazione. Credo inutile soggiungere che mi sono ripetutamente assicurato in tutti i modi possibili che questo movimento non fosse trasmesso, cosa la quale viene esclusa dalla forma stessa del movimento, che non è mai movimento di traslazione, ma soltanto un cambiamento di forma. Per studiare i mutamenti delle cellule, ho seguìto per tre giorni di seguito le trasformazioni di un gruppo di canalicoli. A vari intervalli ne ho riprodotta l’immagine colla camera lucida ed ottenni tra le altre le Fig. 7, 8, 9, 10. Se la preparazione fu eseguita accuratamente è molto facile tenere in vita un Hy- drophilus per tre giorni. Gli organi sottoposti alla osservazione non si alterano quando si abbia cura di mantenere sempre la pozzetta piena di soluzione di cloruro di sodio e difenderla dal- l’essiccamento durante la notte coprendola con una piccola cam- panella. La fig. 7 rappresenta il gruppo di canalicoli in questione appena fatta la preparazione. Dei tre canalicoli disegnati, uno è allo stato di massima contrazione, uno nello stato medio e l’altro nel dilatato. L'esame della figura serve meglio di qua- lunque descrizione per dare un’ idea delle differenze che si pos- sono osservare nelle condizioni normali. La Fig. 8 rappresenta gli stessi canalicoli 5 ore dopo. In essa si vede che il tubo @ ha modificato radicalmente l’aspetto delle sue cellule, la sostanza gialla si è raggruppata in una stretta zona attorno al nucleo, le cellule si sono riempite di sfericciuole , le quali, secondo gli autori rappresentano gocciole di secreto, la parte fondamentale del protoplasma si è fatta più granulosa. Gli altri due tubi si mantennero invariati. Dopo 24 ore dacchè la preparazione era stata fatta, riprodussi nella Fig. 9 l’aspetto dei tre tubuli. Come si vede, tutti e tre son passati nello stadio dilatato, nel tubo a alcune cellule contengono ancora delle sfere di secreto la so- stanza gialla si è raccolta attorno al nucleo. Mettendo nella poz- zetta alcune goccie della solita soluzione di verde jodio, il proto- plasma cellulare si colora in violetto ed il nucleo si mantiene incoloro. Dopo 48 ore le cellule si presentano come nella Fig. 10. Vedendo che si son fatte torbide e fortemente granulose provo la reazione col verde jodio, il protoplasma si colora in un violetto grigiastro ed il nucleo prende una tinta leggermente verdognola, per cui sospendo l’osservazione essendo questo uno stadio di morte incipiente. MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI d591 Tutte queste osservazioni fatte sopra l’organo attaccato all’a- nimale vivente non permettono di adoprare dei forti ingrandi- menti. Per veder meglio che cosa si passi nell'interno delle cellule durante questi cambiamenti facevo rapidamente un preparato con un pezzo di tubo esportato all’animale vivo e lo osservavo in una miscela di siero e di cloruro sodico al 0,75 °/, sostenendo il vetrino copri-oggetti con delle striscie di carta spessa in modo da non comprimere l'organo. Necessariamente l'osservazione deve essere fatta in modo rapido, perchè dopo pochi minuti si vede che le cellule rigonfiano, il protoplasma cellulare ed il nucleo di- molte cellule escono dal canalicolo in massa conservando tutti i dettagli che si osservano nelle cellule in sito. In questi preparati si possono facilmente vedere a scorrere tra una cellula e l’altra delle piccole goccie di una sostanza jalina giallognola. Esse sono in tutto identiche a quelle più grosse che si vedono scorrere nel lume del canalicolo osservando l’organo in sito con piccolo in- grandimento. Il movimento di queste goccie è lentissimo e fa l'impressione come se fosse impresso da una vis a tergo la quale, obligandole a passare per dei canalicoli stretti, fa sì che la loro forma sferica si allunghi. La consistenza di queste goccie è ad un dipresso eguale a quella della zona esterna frangiata del pro- toplasma cellulare: poichè questo cede anch'esso visibilmente per dar passaggio alla goccia e riprende tosto la primitiva posizione quando essa è passata. Oltre a queste goccie si può spesso incon- trare dei punti, in cui la sostanza striata del protoplasma è rico- perta all’esterno da frammenti irregolari, a margini più o meno rotondeggianti, di una sostanza analoga a quella delle goccie. Questi frammenti vanno continuamente ingrossando e prendendo una forma che si avvicina alla sferica. Engelmann (1) dimostrò che i movimenti delle ghiandole cu- tanee delle rane descritti da Ascherson dipendono da fibre mu- scolari liscie della membrana di sostegno delle ghiandole. Queste fibre muscolari però erano già state messe in evidenza da altri e fra cui il prof. Ciaccio. Stricker e Spina (2) confermarono in gran perte le osservazioni di Ascherson ed Engelmann, essi emisero l'ipotesi, che, durante un eccitamento nervoso la ghiandola si svuoti per ricaricarsi al periodo di dilatazione. Questo modo di vedere (1) Loco citato. (2 Wiener, Sitzungsberichte, 1879, vol. 80, parte III, pag. 95. 552 V. GRANDIS non fu condiviso da Heidenhain (1) il quale lo confutò con buoni argomenti. Biedermann (2) poi mise in dubbio l’attività dei mo- vimenti delle cellule ghiandolari. Drasch (3), osservando diretta- mente le ghiandole della membrana nittitante nelle rane viventi, potè dimostrare con misure esatte che nelle cellule vi sono dei movimenti passivi e dei movimenti attivi, e che questi movimenti sono sotto la dipendenza di speciali fibre nervose. Schindler (4); studiando sotto il punto di vista anatomico e fisiologico i canali- coli malpighiani di tutte le famiglie di insetti, trovò che, quantun- que in molte famiglie i tubi malpighiani possano essere forniti di fibre muscolari ed elastiche, non si potè mai osservare alcun movi- mento. Soggiunge però che nei coleotteri mancano le fibre musco- lari, e non dice in quali condizioni abbia fatto le sue osservazioni. Durante i movimenti descritti quei granuli che si trovano nel- l’interno dei tubi, e che secondo gli autori rappresentano i pro- dotti di secrezione delle cellule, sono spinti in una determinata direzione. Siccome però molto spesso i movimenti delle cellule e dei tubi sono molto irregolari, ne avviene che invece di seguire costantemente una determinata direzione procedono a sbalzi e non di rado ritornano indietro con movimento di andirivieni, però, siccome predomina il movimento in un determinato senso, dopo una lunga serie di contrazioni finiscono per essersi spostati di un tratto più o meno grande. Nelle osservazioni fatte durante la seconda metà dello scorso ottobre e nel mese di novembre, non potei mai osservare dei movimenti spontanei. Dirò in seguito quale ne sia la causa probabile. Azione del solfoindigotato di sodio sui canalicoli malpighiani. Quando si lascia cadere una goccia di una soluzione concen- trata di solfoindigotato di sodio nella soluzione fisiologica di cloruro di sodio dove stanno distesi i tubi malpighiani, il campo (1) HerManN"s, Handbuch der Physiologie. vol. 5, pag. 414. (2) WienER, Sitzungsberichte, 1886, vol. 94, parte III. (3) Loco citato. (4) Zeitscrift f. Wissenschaftliche Zoologie Kòlliker und Siebold, vol, 30, pag. 587, MODIFICAZIONI DEGLI EPITELIl GHIANDOLARI 555 del microscopio nei primi istanti sì colora intensamente in azzurro, poi la colorazione va man mano scomparendo, senza che si possa vedere traccia di colorazione nelle cellule. I tubi che prima si contraevano stanno immobili e le cellule passano nello stadio della massima dilatazione. Dopo un lasso di tempo che può oscil- lare da due minuti ad un'ora si ripristina il movimento, spe- cialmente se si lava il preparato con la solita soluzione di cloruro di sodio, e nell’interno dei tubi si vedono comparire dei grossi granuli, irregolarmente sferici o poliedrici intensamente colorati, in azzurro. Essi seguono il movimento che avevano i granuli di cui sepra si è parlato, prima dell’ aggiunta del solfoindigotato di sodio. Non ho mai potuto stabilire che cosa avvenga del solfo- indigotato dal momento in cui scompare la colorazione del liquido contenuto nella pozzetta, a quello in cui compaiono queste gra- nulazioni colorate nell’interno dei canalicoli. Quando la quantità di solfoindigotato aggiunta è alquanto considerevole , la colora- zione viene bensì distrutta completamente, ma la quantità di granuli azzurri che compaiono nel lume del canalicolo diventa così grande, che essi formano delle lunghe colonne difficilmente spostate dalla debole forza di contrazione. Allora si formano come dei trombi i quali si localizzano di preferenza in quei punti, dove i tubi sono in riposo. In questi casi dopo un intervallo di due o tre ore il nucleo delle cellule comincia ad essere limitato da contorni netti e le cellule si alterano. Alcune volte però il fenomeno non segue questo decorso, e questo l’osservai spe- cialmente negli idrofili digiuni da lungo tempo. In questi casi l’aggiunta di solfoindigotato non arresta i movimenti, anzi pare che li acceleri, le cellule si modificano, scompare l’area chiara nucleare la quale viene occupata dalle granulazioni gialle, e tutto ciò senza che le cellule prendano gli altri caratteri dello stadio contratto. Schindler aveva ripetuto sopra il grillotalpa le esperienze di Heidenhain col solfoindigotato ed aveva trovato che le cellule si colorano intensamente tanto nel protoplasma quanto nel nucleo. Dal modo, con cui aveva veduto scomparire la colorazione dagli elementi epiteliari osservando i tubi malpighiani a diversi intervalli dall’injezione, si era creduto autorizzato di stabilire una dottrina speciale del processo di secrezione. Egli dice che le cellule sono solamente permeabili secondo una direzione dall’ esterno all’in - terno, per cui le sostanze sono assorbite dalla parte della cellula 554 V. GRANDIS che è in contatto colla parete del canalicolo, questa le cede al nucleo il quale le lascia passare alla parte rivolta verso il lume del tubo. Nelle ghiandole della membrana nittitante delle rane Drasch osservò che in seguito all’injezione di solfoindigotato nel sangue compare quasi immediatamente un precipitato granuloso di solfo- indigotato nel nucleo, quindi si colora il protoplasma cellulare, e dopo un breve tempo la colorazione scompare. Per quanto io mi sia sforzato di osservare attentamente e senza interruzione non sono mai riuscito a vedere alcuna traccia di colorazione nell’interno delle cellule, nè mi fu dato di stabi- lire quale via seguisse il solfo indigotato per passare dal liquido ambiente nell’interno del canalicolo, dove lo ritrovai costante- mente. ]l trovarsi esso imprigionato in ammassi di forma più o meno regolarmente sferica, di consistenza solida molto simile ai granuli che si trovano normalmente nell'interno del tubo, costringe ad ammettere che esso venga ridotto in quello stato dall’attività propria delle cellule. Senza di ciò non si arriverebbe neppure a capire, come esso passi tutto nell’interno dei tubi e non ne passi solo quel tanto necessario per stabilire l'equilibrio secondo la legge della diffusione, e come una volta che è passato tutto nell'interno, non segua la via opposta per diffondersi nel liquido ambiente. Non credo che le mie esperienze fossero fatte in con- dizioni troppo lontane dalle normali, perchè siccome gli insetti, all'infuori del grande vaso dorsale, hanno semplicemente una circolazione lacunare , anche nelle condizioni normali le cellule ghiandolari devono prendere i materiali per il loro lavoro dal liquido che le circonda. Tenuto conto della rapidità relativamente grande, con cui le cellule epiteliari imprigionano il solfoindigo- tato scolorandolo, e lo cacciano nell’interno del tubo da loro limitato, non mi posso spiegare il fatto constatato da Schindler, il quale trovò le cellule epiteliari ancora colorate 15 ore dopo fatta l'injezione di solfoindigotato, se non ammettendo che la quantità injettata fosse straordinariamente grande e quindi avesse alterato le cellule. Fui confermato in questa opinione dal fatto, che egli osservò non solo colorazione del protoplasma, ma anche del nucleo, il quale non si colora se non quando la cellula ha sofferto in qualche modo. Le proprietà chimiche del. solfoindigotato di soda sono le sole, che riescano a spiegare come possa avvenire il suo passaggio MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 555 attraverso alla cellula, senza lasciar traccie della via seguìta. È noto che l'acido solfoindigotico ha la proprietà di venir assorbito rapidamente dalle sostanze animali, anzi, su questo si fonda il processo della sua preparaziore. Si sa pure che gli agenti ridut- tori e Ja fermentazione non solo, ma anche il glucosio in pre- senza di un alcali possono trasformare l'azzurro d’indaco nell’in- daco solubile bianco, e che questo riacquista il primitivo colore quando venga ossidato. Date le condizioni delle mie esperienze si deve ammettere, che nelle cellule epiteliari dei tubi malpi- ghiani avvenga anche un processo riduttore, il quale accompagna l'assorbimento e l'eliminazione del sale, e che questo venga poi ossidato nell’interno Cel tubo, dove soltanto ci è permesso di poterlo constatare otticamente. Nelle cellule si trovano tutte le condi- zioni perchè ciò possa avvenire, si è visto che esse hanno rea- zione distintamente alcalina, si sa cre il glucosio tanto allo stato libero quanto legato nella molecola complessa dell’albumina si si trova piessochè in tutti i tessuti animali, mi pare quindi pro- babile che questa sia realmente la ragione per cui le cellule epiteliari si comportano nel modo descritto. Già Erlich (4) nelle sue ricerche colla injezione di sostanze coloranti sensibili agli agenti riduttori aveva osservato, che il fegato ed i reni, malgrado la loro grande potenza riduttrice, pro- ducono un secreto colorato, mantenendosi essi stessi incolori. Influenza esercitata dagli agenti chimici e fisici sopra i tubi malpighiani. Ho già accennato che nelle osservazioni fatte durante la seconda metà del mese di ottobre, e nel mese di novembre non riuscii mai a percepire alcun movimento nei canalicoli malpi- ghiani. In quelle osservazioni si vedevano bensì tutte le fasi descritte, ma non era dato osservare il passaggio dall’una all’altra anche prolungando l’osservazione per parecchie ore di seguito. I granuli che normalmente scorrono nell’interno dei canalicoli erano (1) ErLicH, Das Sauerstoff Bedùrfniss des Organismus, Berlin, 1885, pag. 156. Atti della R. Accad. = Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 40 556 V. GRANDIS più scarsi e perfettamente immobili. Ricercando quale ne potesse essere la causa non tardai ad accorgermi che risiedeva. nella bassa temperatura. Accennerò alcuni dei modi con cui potei convincermi di questo fatto e come potei riprodurre a volontà il movimento. Osservando durante la sera un preparato di Hydro- philus i cui tubi erano rimasti immobili per tutto il giorno, vidi comparire dei movimenti, e constatai che i raggi calorifici della lampada, concentrati dalla sfera a solfato di rame ammoniacale, dallo specchio e dall’apparecchio di Abbé avevano rialzato al- quanto la temperatura della pozzetta. Bastò questo leggero au- mento per ridestare i movimenti nei canalicoli assopiti, difatti, sospendendo per alcun tempo l’azione del calore in modo che ‘il liquido si raffreddasse, il movimento scomparve e fu necessario che il calore agisse di nuovo per un certo tempo affinchè ricom- parisse. Allora modificai alquanto la costruzione della pozzetta a cloruro di sodio circondandola da uno spazio vuoto, entro il quale facevo circolare a volontà dell’acqua fredda o dell’acqua riscaldata a 20°, — 25° C. Con questo apparecchio potevo a pia- cimento far comparire o scomparire i movimenti. Notai che in genere quando la temperatura discende verso gli 8° — 10° C. i movimenti sono lentissimi e limitati, o sono scomparsi del tutto. A questa temperatura anche gli idrofili si mostrano meno vivaci e non mangiano più. Però prolungando l’osservazione per parecchi giorni si vede che i canalicoli vanno modificandosi in modo graduale e continuo passando dallo stato contratto al ri- lassato e viceversa; e dopo un certo intervallo di tempo possono essere così mutati da diventare irreconoscibili. Ho cercato se l’elettricità esercitasse qualche azione sopra i canalicoli. Mi servivo di correnti indotte o continue, alle quali facevo attraversare la pozzetta piena di soluzione fisiologica di cloruro di sodio dove si trovavano i tubuli, però tutte le prove riuscirono negative. Fra gli agenti chimici ho provato l’atropina, la policarpina l’urea, il curare e le soluzioni concentrate di cloruro di sodio. Riassumerò brevemente i risultati ottenuti. Per l’azione di alcune goccie di una soluzione satura di cloruro di sodio fatte cadere nella pozzetta si arresta immediatamente ogni movimento, i tubi prendono le diverse posizioni che possono avere nello stato di riposo, i cristallini gialli si distribuiscono regolarmente per tutta la cellula, molto marcati appaiono i contorni del nucleo e della MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 557 cellula. Può ricomparire lo stato normale in alcuni tubi lavando con abbondante acqua, però la maggior parte dei canalicoli persiste alterata. Per l’azione del cloridrato di pilocarpina in soluzione all’1 °/, si arrestano immediatamente i movimenti in tutti i tubi, i quali prendono la posizione di massima dilatazione. Dopo 20 minuti od un’ora ricomincia il movimento, che ritorna normale dopo due ore. Coll’aggiunta di solfato di atropina all’1 % cessa il movi- mento ma i tubi si presentano per lo più contratti. Il curare al 0,5 ‘4 fa cessare ogni movimento, le cellule ed i tubi si dilatano. Si vede dalla fig. 10 che la loro colorazione diventa pallida, i cristalli gialli si raccolgono in un punto della cellula aderente al nucleo, senza circondarlo in tutta la sua pe- riferia come avviene nello stato normale. Questa specie di paralisi dura circa dieci minuti e dopo ricompare l’aspetto normale. Si ripetono ad un dipresso gli stessi fenomeni per azione dell’urea al 2 °/,. Tanto nell’un caso quanto nell’altro l’area nu- cleare diventa più chiara. L'azione dell’urea è più duratura, dopo lo stato, direi quasi di rilassatezza, ha luogo uno stato di con- trazione esagerata, la quale dura una ventina di minuti, in seguito ai quali ricompare lo stato normale. Nei primi momenti dopo l'aggiunta dell’ urea si nota un’ esagerazione nel movimento dei granuli che scorrono nell'interno dei tubi. L’urea ha un azione molto potente per cui difficilmente le cellule resistono ad una nuova aggiunta di questa sostanza, ma per lo più si fanno tor- bide ed il loro nucleo diventa colorabile col verde jodio. Conclusioni. 1° Il protoplasma delle cellule viventi si colora in violetto porpora col verde jodio. Dopo morte il nucleo di queste cellule ha reazione acida, ed il protoplasma si colora in grigio azzurrastro. 2° Nel protoplasma cellulare si trovano dei granuli di strut- tura complessa i quali hanno potere di fissare il bleu di meti- lene e di ridurre i sali d’oro. 3° I tubi malpighiani eseguiscono dei movimenti senza che si possa constatare la presenza di elementi contrattili. Questi 558 V. GRANDIS movimenti sono arrestati dalle temperature basse, non sono in- fluenzati dall’elettricità e possono essere sospesi da vari agenti chimici. 4° La parte periferica delle cellule ha una struttura striata molto delicata che si altera rapidamente. 5° Le cellule epiteliari dei tubi malpighiani eseguiscono anche esse dei movimenti indipendenti da quelli dei canalicoli. Tra le parti della cellula che più si modificano durante questi movi- menti vanno messi in ordine decrescente la parte periferica l’area nucleare e la parte intermedia. 6° La sostanza, che fornisce il colore particolare alle cellule, vi si trova sotto forma di cristalli, che si sciolgono nell’alcool dandogli una fluorescenza verde. 7° Il solfoindigotato di sodio viene ridotto dalle cellule epiteliari, per cui dentro di esse si trova allo stato di indaco bianco. Riprende il primitivo colore quando viene secreto. 8° Durante la funzione si formano nell'interno delle cellule delle sfericciuole di una sostanza solida, la quale viene poi eli- minata dalla cellula e ne costituisce il secreto. 9° Non tutte le cellule funzionano contemporaneamente 10° La struttura delle cellule varia sotto l’azione di sostanze estranee che debbono venire eliminate. Laboratorio di Fisiologia della R. Università. Torino, Giugno 41890. File. (da è e MODIFICAZIONI DEGLI EPITELII GHIANDOLARI 559 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE . Nucleo ovale della parete del canalicolo con grosse granulazioni di struttura complicata !/,, Leitz. Ca- mera lucida. . Cellula epiteliare dei canalicoli malpighiani /, Leitz. . Cellula epiteliare viva trattata con verde jodio 8* Koritska. Cellula epiteliar. morta trattata con verde jodio. Cellula epiteliave. dei canalicoli malpighiani di un Hydrophilus cui. era stato injettato del bleu di me- tilene. 4, immer. omog. Leitz. Ansa di un ca licolo malpighiano contraentesi. A stadio contratto. B stadio dilatato. 3 Leitz. camera lucida. . Gruppo di canalicoli malpighiani appena fatta la pre- paraziore. 3 Leitz camera lucida « Lo stesso lopo 5 ore. Lo stesso dopo 24 ore. >» 8 Leitz camera lucida. . Lo stesso dopo 48 ore. \ LT. Canalicolo sotto l’azione del curare e dell’urea. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso, n— dx Cegl Gia 0. rustoggano ii tito: Mor AUDI (RUI SMOTNADA LE + azzo 0) ‘ofosilanso lol “ata: allob Was Fit -) .stiod..\ atnoifgrrosetiatania dh incolta blog gliod x inatriziglsm té; ailenao toh anita sf ‘8. vîboj sbist n00 sishtlat cati aniiiatiga sf ni 3 I i ca dabito dibo| sb19v n09 stabili atia attosns. ali mu ib tnsifgiglem itovifenza ci) Testato ariana -Sur ib nold fab odstitojni cinta 09 PRO vin pino agi BEE ol A di ue cibate hu .iestaostinoo oveiattfam dior ; e Li * t ) 2900 n La phi! atsisso- adiod £ piatalibo bi ae at bai stq el atizì snogge insifgiglemeifooifanny natali da abivafi aIOOIEI sito EDS: Wigo vu a È 1910 8 dq0hozate l sbhiopi asororo stiod & 72 hi sà «de 00% bi bro. td Fidobo 06 ii | soip'ilb s. otetzo do sivisa Pratt cat olo CASA i APE abissi È Mps A «dear siTs201) RR : SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e i Sei ADUNANZA dell'8 Giugno 1890. . ..... IE SPEZIA — Commemorazione del RE Prof. LuiGi BeLtARDI ; 3 peri CasteLnuovo — Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono ‘cur di goadro di i SR RIA SLA I GR VirGiLio — Il Permo-carbonifero di Valle Stretta (alta valle Dora Riparia) ae i da RIA LA DE SI aree o J »; i 6 ° ta Ò x . % x +e ) è algo. NV se > D A x 2A NE x Ù pt È PI E i vd peo Torino — Tip. Reale-Paravia, su ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE EE TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXV, Disp. 15*, 1889-90 ——_—__ Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R, Accademia delle Scienze CLASSE ic & ; ; ata V/g gd DI tie el AA } % o i segrate SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Giugno 1890. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: SALVADORI, Bruno, BERRUTI, D'OwDI0, Bizzozero, FERRARIS, NACcARI, Mosso, GIBELLI, CAMERANO e Basso Segretario. _ Il Segretario legge l’atto verbale dell'adunanza precedente, che viene approvato. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine che segue : « Ricerche sopra un nuovo isomero del sale verde del Magnus », del Socio Prof. Alfonso Cossa, Direttore della Classe, presentata dal Presidente a nome dell’autore assente per ragioni d'ufficio. L'autore desidera che questo lavoro venga pubblicato nei volumi delle Memorie; la Classe, previa lettura di esso, ne delibera a voti unanimi la richiesta pubblicazione ; Intorno alla Memoria « Sulle proprietà termiche dei va- pori (Parte 2° - Temperatura, pressione e volume critico del solfuro di carbonio e dell'acqua », del Dott. Angelo BATTELLI dell’Università di Cagliari; Relazione del Socio NaAccARI, conde- putato col Socio FERRARIS. La Classe, sulle conclusioni favorevoli della Relazione am- mette prima alla lettura questo lavoro, e poscia ne delibera al- l’unanimità l’inserzione nei volumi delle Memorie. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc, — Vol. \XV . 4A 562 ANDREA NACCARI Intorno alla Memoria « Sui getti ascendenti » , dell’ In- segnere Scipione Cappa, Professore alla Scuola d’Applicazione ‘per gli Ingegueri in Torino; Relazione del Socio FERRARIS, con- deputato col Socio BERRUTI. La Classe, accogliendo le conclusioni favorevoli della Relazione, ammette questo lavoro alla lettura, e quindi ne delibera la pub- blicazione nei volumi delle Memorze. Sul calore specifico dell'acqua al disotto di 0° »; Ri cerche sperimentali di Mattia MARTINETTI, eseguite nel Labora- torio di Fisica della R. Università di Torino, presentate dal Socio NACCAKI; « Sulle terminazioni nervose nella mucosa e nelle ghian- dole sierose della lingua nei mammiferi » ; Ricerche del Dott. R. FusarI e di A. Panascì, settori nell’ Istituto anatomico della R. Università di Messina, presentate dal Socio BizzozEro. « Intorno all’azione della veratrina cristallizzata sui muscoli »; Ricerche del Dott. Pio MaRFORI, eseguite nel La- boratorio di Fisiologia della R. Università di Torino, presentate dal Socio Mosso. LETTURE RELAZIONE intorno alla Memoria « Sulle proprietà termiche dei vapori » del Dott. AngELO BATTELLI La memoria, che la Classe ci incaricò di esaminare, è la continuazione di un’ altra del medesimo autore, sulla quale avemmo a riferire l’anno scorso. In quella il BATTELLI aveva studiato le proprietà termiche dei vapori di etere. Proseguendo i suoi studi egli sperimentò sopra il solfuro di carbonio e sopra RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. A BATTELLI 063 l’acqua. L'A. si riserva di pubblicare fra breve lo studio com- pleto dei vapori di solfuro di carbonio, avendone già condotto a termine le esperienze. In questa memoria egli si occupa del punto critico del solfuro di carbonio e dell’ acqua, avendo cre. duto necessario di farne uno studio sperimentale a parte. Nelle prime pagine della memoria sono ricordati brevemente i lavori anteriori sullo stesso argomento. Intorno a questi è da, notare che per il solfuro di carbonio si banno alcune determi- nazioni abbastanza concordanti, per l’acqua invece non si hanno che tre determinazioni incerte e discordanti. Di poi l'A. descrive l'apparecchio da lui usato per l’espe- rienze sul solfuro di carbonio, apparecchio, la cui costruzione richiese cure speciali tanto per poter mantenere costanti e mi- surare le alte temperature che si dovevano raggiungere, quanto per produrre e misurare le forti pressioni (fino a circa 86 atmo- sfere), cui si assoggettava successivamente il vapore mantenendo costante la temperatura. Per determinare la temperatura critica del solfuro di carbonio l’A., come già aveva fatto per l’ etere, mantenne successivamente a temperature diverse e prese entro opportuni limiti il vapore, e fece lentamente crescere la pressione. Al di sotto della temperatura critica, giunto un certo punto, si vedeva condensarsi il vapore sopra una laminetta di acciaio che stava nella campanella occupata dal vapcre. Sparì ogni traccia di condensazione alla temperatura di 273°, La pressione spettante al punto critico fu trovata eguale a 73 atm. : il volume di 1 gr, del vapore in quelle condizioni era di 2,651 cm°. Per lo studio dell’acqua le difficoltà furono molto maggiori. Fu necessario che la campanella di vetro adoperata per il sol- furo di carbonio venisse sostituita da una canna di acciaio, la quale fosse atta a resistere a fortissime pressioni. Ciò costrinse l’A. a variare anche il metodo precedentemente seguìto per determinare il punto critico e per misurare il vo- lume del vapore. L'A. tracciò le isotermiche a varie temperature comprese fra i limiti 311 e 375° e dall’ andamento di quelle curve dedusse il valore della temperatura critica. L'A. ha dovuto affrontare in queste esperienze, e particolar- mente nello studio sull’acqua, grandissime difficoltà, vincendo le quali egli riuscì ad ottenere il grado desiderabile di esattezza. Il lavoro fornisce delle cognizioni importanti non solo perchè 564 GG. FERRARIS — RELAZIONE SULLA MEMORIA DI S. CAPPA contiene una nuova determinazione del punto critico delle due sostanze studiate, ma anche perchè al di sotto e al di sopra della temperatura critica l'A. fece uno studio esteso delle isoter- miche di quei vapori. Per tali ragioni noi proponiamo alla Classe la lettura della Memoria del Dr. Battelli. GALILEO FERRARIS. ANDREA NACCARI, Relatore. RELAZIONE sulla Memoria: « Su? getti ascendenti » presentata dall’Ingegnere Scipione CAPPA Nel suo scritto « Sui getti ascendenti » l’Ingegnere Sci- pione CAPPA espone i risultati di 483 esperienze da lui eseguite sui zampilli d'acqua verticali, coll’ intendimento di confrontare l’altezza di carico, misurata in prossimità dell’orifizio, colla cor- rispondente altezza del getto. L’autore non arriva ad alcuna legge generale: si accontenta invece di esprimere i risultati sperimentali con formole pura- mente empiriche, analoghe ad altre già conosciute. Tuttavia i risultati delle misure, per se stessi, costituiscono un materiale sperimentale meritevole di essere conservato, perchè raramente si può avere l'opportunità di sperimentare colle grandi altezze di carico e coi mezzi che l’ autore ha avuto a disposi- zione. E per questo motivo noi crediamo che lo scritto dell’in- gegnere Cappa possa essere ammesso alla lettura. Torino, il 22 giugno 1890. G. BERRUTI. G. FERRARIS, Relatore. Ut D Ut Sul calore specifico dell'acqua al di sotto di 0°; Osservazioni sperimentali di MatTIA MARTINETTi x È notissimo che intorno all'argomento importante della in- fluenza della temperatura sul calore specifico dell’acqua, sono molto discordanti le conclusioni dei vari sperimentatori. Quanto al calore specifico dell’acqua mantenuta liquida al disotto di 0°, non conosco che uno studio fatto dal Cardani in collaborazione con Tommasini (*). Gli Autori usarono un termometro a peso riempito in parte con acqua e in parte con mercurio, che sì poteva porre in un bagno d’aria a 0° e successivamente in uno a temperature inferiori. Per effetto del raffreddamento l’acqua si dilatava ed usciva una parte del mercurio, che veniva raccolto e pesato. Giunti al limite estremo del raffreddamento, gli Autori fa- cevano sì che l’acqua incominciasse a solidificare e la riportavano in pari tempo nel bagno a 0°. | L'acqua, solidificandosi in parte, si dilatava ancora, e usciva altro mercurio, che, pesato, dava la quantità di ghiaccio formatasi. Ora questa quantità di ghiaccio nel formarsi metteva in li- bertà una quantità di calore atta a riscaldare fino a 0° il resto dell’acqua. Da tale quantità di calore si deduceva il calore specifico medio. Il peso dell’acqua solidificata e quindi il calore sviluppato nella solidificazione venivano misurati dal mercurio eftluito. Il metodo usato, è, come si vede, molto ingegnoso ‘ed. ele- gante, ma -— per confessione stessa degli autori — soggetto a molte e diverse cause di errore, di cui una parte è stata eli- minata, l’altra sottoposta al calcolo. È noto quanto difficile sia (*) CarpanI e Tommasini, Sul calor specifico dell’acqua soprafusa. Nuovo Cimento, serie IIl, vol. XXI. 566 ‘MATTIA ‘MARTINETTI lo studiare il valore delle correzioni da farsi ai risultati speri- mentali. Particolarraente difficile nel caso delle esperienze del Car- dani era lo stabilire quanto calore venisse comunicato al mer- curio ed al vetro. Ma secondo il mio giudizio vi è ancora una causa di errore sulla quale il Cardani è sorvolato leggermente. Egli ripete parecchie volte nel corso della sua memoria, che si faceva solidificare l’acqua quando il mercurio aveva completa- mente cessato di uscire dal bulbo, anzi < tendeva a rientrare ». Ora una tale tendenza del mercurio a « rientrare » significa un'indeterminazione nella temperatura estrema a cui si porta la soprafusione, dato che pure è così essenziale. : I dubbi che provengono dall’esame del metodo, sono confer- mati dall'esame dei risultati numerici, a cui il Cardani è arri- vato nel suo lavoro. Le esperienze vennero divise in quattro gruppi spettanti a temperature medie diverse. Per una stessa temperatura media si hanno fra i valori riferentisi ad essa differenze che salgono fino al 2,3 per cento. Per la temperatura — 8°,09 i due valori che si ottengono Cor, : REA Per +» cioè per la quantità di calore messa in libertà nella so- lidificazione, divisa per l'intervallo di temperatura, sono l’uno affatto superiore a tutti i valori che si ottengono a — 6°,52, e — 9°, 47, l’altro inferiore a due dei tre valori che si ottengono C $ 4 per 7 a — 6°,52. E soltanto arrivando alla temperatura di — 10°,67 che si osserva un aumento sicuro del valore medio di 7 aumento che richiederebbe altre esperienze a temperature più basse per essere reso completamente certo; tanto più che il valor C medio di T fra — 6°,52 e — 9°,47 varia di pochissimo, e in- vece si presenta un brusco aumento nella variazione di tempe- ratura fra — 9°,47 e — 10°,67, che è un terzo della prima. |! È matite 613 In conclusione a me pare che dai valori di T risultati al Cardani non si possa trarre alcuna sicura conseguenza e che quindi si debba mettere in dubbio la conclusione del Cardani, vale a dire l’esistenza di un minimo del calore specifico dell’acqua so- prafusa, da — 6°,a 0°. SUL CALORE SPECIFICO DELL'ACQUA 567 Per ciò mi provai a studiare, con un metodo molto più sem- ‘plice, soggetto ad un numero molto minore di cause di errore il calore specifico dell’acqua mantenuta liquida al di sotto di 0°, a varie temperature. Il metodo che io seguii fu quello di riscaldamento, analogo completamente a quello di raffreddamento; Indicando con e, c, i calori specifici di due sostanze, delle quali si osserva successivamente il raffreddamento , con p, p, i loro pesi, con A l’equivalente in acqua del termometro e del recipiente, con x, x, i tempi impiegati dalle due sostanze a raf- freddarsi di un egual numero di gradi, giungiamo alla nota formola Bru} BOSA x pit da cui: Do tYA 4 p_ spad p p Come corpo da paragonare all’acqua io scelsi il mercurio come quello che potevo senza grave pericolo ammettere, nei limiti delle mie esperienze, di calor specifico costante. Per esso scelsi il va- lore che ottenne assai recentemente il prof. Naccari in un suo studio (*). L'acqua che adoperai era stata accuratamente distillata e disaerata. Essa era contenuta in un tubo da saggio a pareti sottili, rivestito di un’esilissima foglia di stagnola, lucente. Un tappo che portava il termometro chiudeva perfettamente il tubo da saggio, el era attraversato da un tubettino di vetro facilmente fusibile. Siccome il termometro non andava che fino a + 50° e non era fornito di sufficiente camera, così mentre scaldavo l’acqua sino a circa 40°, univo il tubettino ad una campana, in cui con una buona macchina pneumatica, facevasi e susseguen- temente mantenevasi una certa rarefazione. Quando ero ben si- curo che nel tubo non vi poteva più essere che acqua e vapor acqueo, chiudevo alla fiamma il tubettino. Il tubo da saggio così preparato veniva inserito in un foro di un tappo che chiudeva un tubo A di sottilissima lamina di ottone. (*) Naccar!, Variazioni del calor specifico del mercurio al crescere della temperatura. Atti della R. Accad. Scienze Torino, XXIII. 568 MATTIA. MARTINETTI Questo tubo A era poi mediante due aste di vetro, verticali, unito ad un sostegno. Un grosso bicchiere B in cui pescava un tubo metallico €, un po’ più grande di A, conteneva il miscuglio frigorifero, ed una apposita e spessa camicia di felpa riparava il miscuglio dall’a- zione esterna. I miscugli frigoriferi erano formati con ghiaccio ben pesto e sale comune, e si preparavano in separato recipiente agitandoli . molto perchè riuscissero ben omogenei. Quando il tubo A era circondato da C, e così dal miscuglio posto in B, chiudevo l’apertura anulare fra A e C con bam- bagia leggermente compressa. Giunto il momento in cui la temperatura del termometro era costante per 15 o 20 minuti, rapidamente toglievo il bicchiere B abbassando un apposito tavolino a piede mobile e sollevavo un recipiente bucherellato in cui già si era posto da lungo tempo ghiaccio ben pesto e fondente. Entro questo recipiente pescava un tubo metallico delle precise dimensioni di C ed in esso era contenuto del petrolio in tale quantità che quando il recipiente era sollevato, ed il tubo A era tutto immerso nel tubo centrale, il petrolio giungeva all’orlo di A. L'operazione di togliere il miscuglio frigorifero e sostituirvi il ghiaccio era molto difficile bastando il più piccolo urto che si fosse dato al tubo A perchè tosto l’acqua nel tubo da saggio solidificasse. Perciò il sostegno cui era unito A posava su una so: lida mensola infissa nel muro, la quale non aveva nulla a che fare col rimanente dell’apparecchio. Perchè poi i pesi, abbastanza grandi, del miscuglio o del ghiaccio nell'atto del cambiamento dei recipienti, non mi costrin- gessero a qualche brusca scossa, li equilibrai mediante contrap- pesi; avendo poi il tavolino a piede mobile un’asta metallica ben levigata, la discesa del miscuglio, come la salita del ghiaccio erano regolarissime. Dopo molte prove in questa operazione ero giunto a non im- piegarvi più di mezzo minuto. Il petrolio contenuto nel tubo immerso nel ghiaccio trovan- dosi in esso da molto tempo, era certamente a 0° ed aveva per ufficio di portare rapidamente e mantenere a 0°, vista la loro sottigliezza, le pareti del tubo A. SUL CALORE SPECIFICO DELL'ACQUA 569 Con tale artifizio l’acqua collocata nel tubo da saggio doveva riscaldarsi in un ambiente sicuramente a 0°, Provai più volte a tenere immerso nel petrolio durante il ri- scaldamento dell’acqua, un termometro, e verificai che, stante la grande superficie a contatto del ghiaccio fondente, il petrolio con- tinuava a rimanere a 0°. Il termometro che usai andava da — 22° a + 50°, era di- 1 viso in nasa di grado, ed aveva il bulbo assai piccolo. Dopo portato il recipiente del ghiaccio al posto del miscu glio, lasciavo passare alcuni minuti per essere sicuro che le pa- reti del tubo A fossero a 0°, e poi incominciavo a leggere le temperature segnate dal termometro, di minuto in minuto. Nelle esperienze coll’acqua raggiunsi le temperature Ri TSI OO MOI SOL) Da SILVI TO Mini DATA: bi ae 80 Tutte poi da — 6°.20 concordano molto bene Partendo appunto da questa temperatura raccolsi in una ta- bella le temperature dell’acqua di minuto in minuto quali risul- tavano in media dalle 5 esperienze. Collo stesso apparecchio feci anche tre esperienze sull’anda- mento del mercurio e riunii in una tabella la media di tali espe- rienze, sommamente concordanti, partendo dalla temperatura — 6°,20. Con queste medie costruii due curve e col mezzo di queste dedussi che, se chiamiamo, come nella formola, x, «, i tempi che rispettivamente l’acqua ed il mercurio impiegano a percor- rere l'intervallo di temperatura #° ...0°, abbiamo: 1 x Wi — 6°..20 | 109' SA pù — 5° 100'. 8 | 50' — 4° SD, 040,03 — 3° sonori 1 18 — 2° 66' opiatta 570 ‘MATTIA MARTINETTI Giova qui però fare un'osservazione. La legge da cui si ricava la formola e RA vi Pior+tA” è quella che spetta al caso di riscaldamento per sola irradiazione. Perciò nel metodo di raffreddamento suolsi rarefare grande- mente l’aria che è nel recipiente in cui si raffredda il corpo. Ora nel caso nio non è stata operata alcuna rarefazione nel tubo A, onde potrebbesi muovere al metodo seguito la grave ob- biezione che il riscaldamento fosse dovuto non unicamente alla irradiazione, ma ancora alla conduzione ed alle correnti d’aria. Per prevenire tale obbiezione io mi accertai che i risultati delle esperienze da me eseguite si scostavano così poco da quelli che avrei potuto ottenere rarefacendo al massimo grado l’aria in A, da ritenere che la quantità d’aria esistente in A non abbia portato alcun errore sensibile. Se p è il peso del corpo che si riscalda, c il suo calore spe- cifico, # un coefficiente di proporzionalità, X il tempo, # la dif- ferenza di temperatura fra il corpo e l’ambiente, per piccoli va- lori di # sarà: pe.dt=—kt.dX, e quindi se H è un coefficiente di proporzionalità e # la tem. peratura del corpo all’origine del tempo: t, log 7=HX , che ci dice che il logaritmo del rapporto fra la temperatura ini- ziale {, ed una qualunque temperatura # è proporzionale al tempo che il corpo impiega nel passare dalla temperatura iniziale alla temperatura #. Nel caso dell’acqua calcolai per H il valor medio 0,01172 e trovai che si aveva SUL CALORE SPECIFICO DELL'ACQUA DT1 Per 1, = — 6920 X x et calcolato ‘| ricavato dalle esperienze ti 8.0 82 20 16,24 16'. 8 _ 30 26". 8 26/. 8 9° 49.8 43'.0 231 67.61 68.0 Conclusi quindi che l’influenza dell’aria non alterava la legge da cui è dedotta la formula adoperata. I dati pel calcolo delle esperienze, da sostituire nella formola pe pio +t4 A 241 Pp p sono p, peso dell’acqua gr. 11.424 P; peso del mercurio gr. 155.150 A equivalente in acqua del tubo e del termometro (spe- rimentalmente determinato) 1.1093 c; calore specifico del mercurio 0.0333 , X, X; si ricavano da una tabella precedente. Sostituendo questi valori ottenni per calori specifici medii dell’acqua soprafusa : fra (esso lle TO Van Maavavan 190140016 eni, gPrti STE, PPRRA ORE 1.0012 eg i DO ai re 1.0010 »i 49 dira 1.0008 di RE » 1.0005 $, SCE plalo green Lun 1.00083 Valori assai bene rappresentati dalla equazione Co = 1.00004 — 0.000255.t. 342 MATTIA MARTINETTI Ricorrendo poi alla relazione ' ' Citra. (rbt oo È calcolai i calori specifici dell’acqua soprafusa fra temperature molto vicine ed ottenni: frac 00 QULiIe RE galdo 1.0032 s ESUsp; ERA AU 1.0020 Ta De A 3 1.0016 n Va: POLO Yale 1.0014 3 SR peome dove). 1.0007 3ie_mt0j9, Qgspontini 1 319 1140008 Dai risultati delle mie esperienze verrebbe dunque escluso il minimo del calore specifico dell’acqua soprafusa, che il Cardani annunciò per aver egli trovato dei valori molto minori dell’unità, e rimarrebbe stabilito che il calore specifico cresce in modo con- tinuo col diminuire della temperatura, il che risultava anche dalle esperienze del Cardani. Secondo le mie esperienze però l'aumento sarebbe grandemente più lento. Se si ammette col Rowland (*) che il calor specifico del- l’acqua abbia un minimo verso 30°, le mie esperienze dimostre- rebbero che lo stesso andamento nelle variazioni del calor spe- cifico prosegue al disotto di 0°. Torino, Laboratorio di Fisica della R. Università. Giugno, 1890 L (*) RowLanp, Proc. of the Amer. Acad., 4879, e BeiBLATTER, 4, 743, 1880. 573 Sulle terminazioni nervose nella mucosa e nelle ghiandole sierose della lingua dei mammiferi ; Ricerche del Dott. R. Fusari e di A. Panascì. Incoraggiati dal buon esito che ebbe l’applicazione della colorazione nera del Gori nello studio d’alcuni organi nervosi periferici (retina, mucosa olfattiva) fatta da TARTUFERI, da Ra- Mon Y CayaL, da Grassi e CastRONUOVO, noi risolvemmo di applicare a nostra volta la detta reazione per seguire le ter- minazioni nervose nella lingua dei mammiferi. I risultati più importanti ottenuti, sui quali abbiamo già pubblicato una breve nota (1), riguardano specialmente il modo di terminare dei nervi - nella mucosa e nelle glandole sierose. Le terminazioni nervose nella mucosa della lingua dei mam- miferi vennero già fatte oggetto di numerose e diligenti ricerche. Di queste ci limiteremo ad accennare alle più importanti. KRAUSE (2, 3, 4) in una serie di lavori descrisse nelle papille i bulbi terminali che da lui si denominano, e KoLLIKER (5) ne confermò l’esistenza. Terminazioni speciali gustative nel connettivo della mucosa linguale vennero descritte da SzaBaDFOLDY (6), reperto che poi non fu da altri confermato. AxEL KEY (7) nel 1861 (1) Fusari e Panascì, Sulla terminazione dei nervi nella mucosa della lingua dei mammiferi, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Vol. VI, 1° Sem., Serie 4*, Seduta 13 aprile 1890 — Monitore Zoologico, 1890, N. 4. (2) Krause, Die terminale Kòrperchen, Hannover 1860. (3) Krause, Uber die Nervendigungen in den Papillae circumvallatae der menschlichen Zunge, Gottinger Nachrichten 1863. (4) Krause, Die Nervendigungen in der Zunge des Menschen, Gòttinger Nachrichten 1870. (5) KòLLIKER, Gewebelehre, 1867. (6) SzaBaprOLDY, Beitrdage zur Histologie der Zungenschleimhaut, Arch. f, path. Anat., Bd 38, 1867. (7) E. Axer Key, Ueber die Endigungsiveise des Geschmacksnerven in der Zumge des Frosches, Reichert's und Du Bois Reymond Archiv, 1861. 574 R. FUSARI E A. PANASCÌ fece avvertire un probabile rapporto tra i nervi e certe cellule epiteliali speciali nella lingua di rana. In seguito LowkN (1) e SCHWALBE (2), contemporaneamente scoprirono le ampolle gusta- tive nel vallo delle papille circonvallate e nelle papille fungi- formi dei mammiferi, v. Wyrss (8) attirò l’attenzione sulla pa- pilla fogliata, la quale trovò provveduta di una gran quantità di calici gustativi, e TopAaRO trovò ripetuti questi organi nella mu- cosa boccale dei selacidi (4) e nella lingua dei sauri (5). Studi importanti vennero fatti successivamente da SERTOLI (6), il quale dopo avere confermata l’ esistenza del reticolo nervoso sottoepiteliale già descritto da ScHwAaLBE e da DITLEVYSEN (7) seguì Je fibre nervose nell’epitelio della papilla fogliata del cavallo dove esse formerebbero un reticolo tra i bulbi situato al di sotto del sottile strato corneo. Vide inoltre fibre nervose penetrare nell'interno dei calici gustativi senza per altro potere constatare in qual modo tali fibre si uniscono alle cellule gustative. Rin- venne nell’epitelio della mucosa boccale i corpi stellati di LAN- GERHANS che ritenne pella maggior parte di natura connettiva, in piccol numero, in relazione colle fibre nervose, di natura ner- vosa. SeRTOLI da altimo cita anche un lavoro di HòxIesMED il quale avrebbe veduto nel gatto fibre nervose penetrare nei ca- lici gustativi. RAnvIER (8) trovò che le fibre nervose intraepiteliali nella regione dei calici della papilla fogliata hanno la stessa disposi- zione che nell’epidermide, e le fa terminare in rigonfiamenti che stanno più o meno in vicinanza alla superficie. (1) C. Lovèn, Beitrdige zur Kenntniss vom Bau der Geschmackwirzchen der Zunge. Archiv. f. mikrosk, Anat. Bd. IV, 1868. (2) G. ScuwaLBE, Ueber die Geschmacksorgane der Siugethiere und des Menschen. Arch. f. Mikrosk Anat. Bd. IV 1868. (3) Haus v. Wyrss. Die becherformigen Organe der Zunge. Archi f. Mikr. Anat., Bd VI, 1870. O) Toparo, Gli organi del gusto e la mucosa bocco-branchiale dei Selaci. Roma, 1873. (5) Toparo, Nota sopra la presenza degli organi del gusto mella lingua dei Sauriani. R. Accademia dei Lincei, Classe I di scienze mat,, fis. e nat., Tornata 6 febbraio, 1876 (6) E. SerroLI, Osservazioni sulle lerminazioni dei nervi del gusto. Gaz- getta medico-veterinaria, Milano 1874, Anno IV, pag. 134. (7) Notizia ricavata dal lavoro di BoseMBERG a pag. 165. (8) Ranvier, Traité tecnique d’istologie, Paris, 1889, a pag. 730. | | | TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 50 Tralasciando altri studi di minore importanza diremo di GEBER (1) che trovò nella punta della lingua dell’uomo i cor- puscoli di MEISsnER, e di DRASCH (2-3) che in due successive pubblicazioni descrisse minutamente il modo di contenersi del | plesso nervoso nella papilla fogliata del coniglio e della lepre. L'A. conferma quanto già descrisse SERTOLI che una parte delle fibre del nervo glosso-faringeo non va a terminare nei calici, ma forma tra i medesimi nell’epitelio un reticolo, oppure termina libera- mente nello stroma dei foglietti. Riguardo ai calici egli non riesce a trovare una diretta connessione delle fibre nervose colle cellule gustative, ma fa rilevare una nuova particolarità, cioè che le nicchie in cui stanno i calici sono rivestite internamente da un reticolo di fibre nervose. Jede Knospennische, egli dice a pagina 246 (3), ist von einen Nervennetze tiberzogen, in welches das unter der Basalmembran des Nischengrundes be- findliche Geflecht ibergeht. DRASCH però disegna questi reticoli solo alla base delle nicchie a guisa di piccoli corbelli, e sente il bisogno di aggiungere: Bei neuen Untersuchungen wird man auf dieses Netz cin besonderes Augenmerk richten miis- sen (pag. 245) Nel ricco plesso nervoso esistente nello stroma dei foglietti sotto ai calici l'A. nota un gran numero di cellule gangliari che coi loro prolungamenti servono ad aumentare il numero delle fibre nervose. Oltre le cellule gangliari descrive nel detto plesso anche delle masse gangliformi che dovrebbero for- nire il materiale per il processo di rigenerazione. SEVERIN (4) trovò nell’epitelio linguale le cellule terminali di MERKEL sia isolate che a gruppi. Esclude la possibilità di confon- dere questi elementi colle figure di mitosi. Di questi elementi non dà nessuna figura, e delle terminazioni nervose nell’epitelio dice .solo che potè seguire i filamenti nervosi nello strato malpighiano. (1) GeBER, Uber das Vorkommen von Meissnerschen Tasthòrperchen in der Menchenzunge. Centralblatt. filtr med, Wiss, 1879. (2) O. DrascH. Istologische und Physiologische Studien ber das Gesch- macksorgan, Sitzungsb. der K. Wiener Akad. der Wiss, Bd. 88 III, Abth. 1883. (3) O. DrascH. Untersuchungen iber die Papillae foliatae et circumval- latae des Kaninchen und Feldhasen. Abhandl. der math. phys. Kiasse der Ko- nigl. Sàchsischen Geschellschaft der Wiss., Bd, XIV, N. 5, 1887. (4) SeveRIN, Untersuchungen tiber das Mundepithel bei Saugethieren mit Bezug auf Verhornung, Regeneration und Art der Nervendigung. Arch. fi mikr, Anat, Bd, 26, 1885, 576 R. FUSARI E A. PANASCÌ RosEMBERG (1) seguì con grande diligenza le fibre nervose terminali nelle diverse forme di papille della lingua di vari ani- mali. Nelle papille filiformi le fibre dopo aver formato un plesso nello stroma connettivale, il quale plesso presenta molti rigon- fiamenti gangliformi, formano una rete nervosa sottoepiteliale dalla quale entrano numerosissime fibre varicose nell’epitelio. Quivi le fibre congiungendosi tra loro danno luogo ad un’altra rete interepiteliale. Le cellule di MERKEL stanno nell’asse delle papille, i bulbi terminali di KRAUSE si trovano solo nelle papille del cavallo. Nelle papille fungiformi esiste nello stroma un plesso nervoso complicatissimo ed una rete nervosa sottoepiteliale ed interepiteliale ricchissima. Trovò in queste papille calici gusta- tivi assai approfondati nell’epitelio, per modo che il loro apice si prolungava in un canale (poro-canale) per poter raggiungere la superficie libera. In ogni papilla circonvallata vi ha un fascio nervoso midollato centrale che mette in un grande ganglio ed altri fasci laterali più piccoli che si anastomizzano col fascio cen- trale. In tutto lo stroma esiste un plesso nervoso, e nella regione dei calici le fibre del plesso sono fine ed amieliniche. L'’epitelio intorno ai calici è ricchissimo di fibre nervose e nell’interno stesso dei calici salgono fine fibrille varicose le quali si portano fino al loro apice. Nella regione della papilla al di fuori dei calici le fibre nervose nell’epitelio sono pur numerosissime e formano speciali accumuli nei sollevamenti epiteliali papilliformi della superficie libera della papilla. Enormemente ricco in nervi è pure l’epitelio della papilla fogliata, come pure quello di alcune altre regioni, ad esempio quello dell’orlo dei solchi che si trovano sul fondo della lingua nel cavallo, e quello del cercine che si trova alle parti laterali della lingua di bue. In questi ultimi tempi si tentò di risolvere la quistione che - riguarda il rapporto tra le fibre nervose e le cellule gustative col metodo della reazione vitale di EnRLIcH al bleu di metilene, ma anche dopo questi studi si rimane nell’incertezza, essendochè, secondo lo stesso EnRLICH (2) tra le cellule gustative di AxEL (4) L. Rosempera, Uber Nervenendigungen in der Schleimhaut und im Epithel der Saugethierzunge. Sitz. der Keis. Akad, der. Wiss. III, Abth. Bd XCIII, Iahrg. 1886. (2) EurLicH, Uber die Methilenbiaureaktion der lebender Nervensubstanz. Deutschen medizinischen Wochenschrift, 1886, TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. DT-1 Key e le fibre nervose vi sarebbe solo relazione di contiguità, non di continuità, mentre d’altro lato ARnstEIN (1) avrebbe trovato evidentissimo il passaggio diretto dalle cellule gustative anzidette alle fine fibre nervose. Non meno interessante è la letteratura che riguarda le ter- minazioni nervose nelle ghiandole sierose. Secondo KrauSE (2) le ghiandole salivari e lagrimali sono da considerarsi fra gli organi più riccamente provveduti di nervi. Questi hanno due origini diverse, cioè dal trigemino e dal sim- patico, e formano plessi nel connettivo interstiziale delle ghian- dole provveduti di cellule gangliari isolate e di gangli nervosi. Le fibre pallide terminerebbero sulla membrana propria degli acini, le fibre midollate andrebbero a far capo, almeno in parte, a bulbi terminali od a piccoli corpuscoli VATER-PACINI. ReicH (3) nelle ghiandole salivari della talpa, oltre al plesso ed ai gangli descritti da Krause, avrebbe trovato che fini fila- menti nervosi, dopo avere attraversata la membrana propria delle ghiandole, si mettono in rapporto col prolungamento delle cellule salivali. ScHLUTER (4), senza far attraversare dalle fibre nervose la membrana propria, ammette tuttavia una contiguità tra il plesso nervoso infralobulare e le cellule ghiandolari, perchè egli crede che la propria sia costituita o da connettivo areolare oppure dai prolungamenti delle cellule ghiandolari stesse variamente in- trecciati. Successivamente vengono i classici lavori di PFLUGER i cui dati trovansi ripetuti in quasi tutti i libri di istologia. Esso am- mise da prima (5) la terminazione dei nervi nel modo seguente: le fibre nervose ancora provvedute di guaina midollare attraver- serebbero la propria, e nell'interno degli alveoli decorrerebbero tra le cellule epiteliali sino a terminare ancora midollate nel nucleo (4) C. ARNSTEIN, Die Methilenblaufàrbung als Histologische Methode, Anat. Anzeiger Il Iahrg. 1887. (2) Krause, Handbuch der Menschlichen Anatomie. 1876, Bd, I. (3) B. REIcH, Disquisitiones inicroscopicae de finibus nervorum in glan- -dulis salivaribus. Dissert. inaug. Vratislaviae, 1864. (4) ScaLuTER, De glandulis salivaribus. 1865. (5) PrLùGER, Die endigungen der Absonderungsnerven in den Speichel- driisen. Bonn, 1866. i Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 4 w 578 R. FUSARI E A. PANASCÌ delle cellule epiteliali. Successivamente (1) lo stesso autore non fa più menzione di connessione delle fibre midollate coi nuclei delle cellule epiteliali; secondo la nuova versione le fibre nervose mi- dollate attraversata la propria degli acini andrebbero ad aderire al protoplasma delle cellule salivari, e nel luogo d’inserzione il cilindrasse si risolverebbe in un fascio di fibrille finissime che si prolungherebbe nelle fibrille del protoplasma cellulare senza un determinato limite. Oltre a ciò PrLiGER descrive un altro modo di terminazione, cioè alcune fibre nervose metterebbero capo a cellule solitarie moltipolari, le quali cellule mediante i loro pro- lungamenti sarebbero a loro volta in connessione colle cellule ghiandolari. In vista di questa doppia terminazione l'A. fa que- stione se essa corrisponda alla doppia derivazione delle fibre in- nervanti la ghiandola (cerebrale e simpatica). Per lA. poi è tanto stretto il rapporto tra le fibre nervose e le cellule dei condotti salivali, che queste ripeterebbero da quelle la loro ori- gine, mediante lo sviluppo di piccoli globetti ipolemmali in cui finiscono le fibre nervose. MAvYER (2) combattè le vedute di PrLiGER osservando che il maggior numero delle figure considerate da questi come fibre nervose non sono che vasi. Secondo MayER le fibre nervose de- corrono a fascetti già amidollati intorno agli acini mostrando qua e là gangli nervosi e cellule gangliari isolate. È solo di rado che trovasi in tali fascetti qualche fibra midollata, come ciò av- viene in tutti i nervi amidollati. Quanto al rapporto delle fibre nervose colle cellule ghian- dolari, MAYER mostrasi incerto. Vede che i nuclei di queste cel- lule sono uniti per filamenti, ma non sa dire se i filamenti siano di natura nervosa. PALADINO (3) in una sua nota scrive. che in un caso wide fibre amidollate che, dopo avere attraversata la propria degli (1) PrLùGer, Die Endigungen der Absonderungsnerven in den Speichel- driisen und die Entwickelung der Epitelien. Arch, f. mikr, Anat. Bd. V, 1869 (2) S. Mayer, Zinige Bemerkungen iber die Nerven der Speicheldrùsen. Arch. f. mikr. Anat. Bd, VI, 1870. (3) PaLapino, Della terminazione dei nervi nelle cellule glandolari, e del- l’esistenza di gangli non ancora descritti nella glandola e nel plesso sotto- mascellare delluomo e di alcuni animali. Bollettino della Associazione dei naturalisti e medici di Napoli. Anno III, 1872. TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 579 acini della ghiandola sottomascellare, si metteva in diretta con- nessione col protoplasma delle cellule secernenti. Asp in due lavori riassunti esattamente da RerzIUS (1) si occupa della struttura delle ghiandole parotide, sottomascellare, sublinguale ed infraorbitale. Circa ai nervi dice di non avere mai potuto constatare niente di quanto è asserito da PFLIÙGER, ed al pari di MAYER sostiene che le grandi fibre viste da quest’ul- timo non sono altro che capilari. Il plesso nervoso consta special- mente di fibre amieliniche con cellule gangliari bipolari. I nervi seguono il decorso dei vasi e scompaiono in vicinanza agli al- veoli. Vide alcune volte dei filamenti penetrare nelle cellule ghian- dolari ma non potè decidere della loro natura. Nemmeno RovcET (2) potè confermare nei vertebrati supe- riori i dati di PFLùGER; egli avrebbe però trovato che nelle ghian- dole cutanee di certe larve di batraci alcuni filamenti nervosi penetrano fino al centro degli elementi ghiandolari. Volendo scendere più in giù dei vertebrati noi troviamo in due lavori di Kuprrer altri dati sulla terminazione dei filamenti nervosi nelle ghiandole salivari. Nel primo lavoro (3) l'A. pre- metle che nei mammiferi non ha mai potuto vedere una con- nessione indubbia tra fibrille nervose e cellule epiteliali, e tanto meno vide fibre amidollate attraversare la membrana propria degli acini come vorrebbe PriiùGEeR. Poi egli aggiunge che nelle larve di certi insetti (muscidi) i nervi decorrono nelle ghiandole salivali seguendo le guaine delle trachee, colle quali trapassano la membrana propria e penetrano nelle cellule stesse. Da queste trachee intracellulari si staccherebbero finissimi filamenti che ri- tiene nervosi. Anche le ghiandole salivari della Blatta orienta- lis sarebbero provvedute di uno speciale apparato nervoso che dovrebbe le sue origini da due centri, cioè dal ganglio soprae- sofageo e dal cordone ventrale. La ghiandola sarebbe inoltre provveduta di un sistema ganglionare proprio in connessione coi suddetti gangli ed in istretto rapporto colle trachee. Esiste una rete infraacinosa dalla quale, attraversando la propria, penetrano (1) Iahresberichte di HorrmanNn e ScHwacge, Vol. II, 1875, (2) Ca. RougeT, Terminaison des nerfs dans les glandes. Gazette médi- cale de Paris, pag. 217, 1874. (3) C. Kuprrer, Das Verhaltniss von Driisennerven 3ur Drisenzellen, Arch. f, mikr. Anat, Bd, IX, 1873. 580 R. FUSARI E A. PANASCÌ numerose fibre nervose nell’interno delle cellule ghiandolari sper- dendosi nel loro protoplama. Nel secondo lavoro (1) l'A. circa le ghiandole salivari della Blatta entra in altre particolarità di cui questa è importante, che i nervi provenienti dal ganglio sopraesofageo si comportano diversamente da quelli originati dai gangli infraesofagei. LeypIG (2) in altri artropodi trova pure nervi che vanno a terminare nel protoplasma, e ciò sia in quello di alcune ghian- dole cutanee unicellulari, sia in quello delle grandi cellule se- cernenti dei vasi malpighiani. Malgrado questi risultati KRAUSE (3) ritiene ancora dubbio il modo di terminare dei nervi nelle cellule ghiandolari e non si mostra alieno dall’ammettere alla superficie delle cellule ghian- dolari delle piastre nervose terminali. Ed appunto delle spcie di piastre nervose terminali chiamate dagli autori corolie trovarono NAVALICHIN e KITMANOFF (4), nelle cellule della ghiandola sublinguale del gatto trattando sempli- cemente questo organo con una soluzione allungatissima di acido cromo. Noi troviamo finalmente RETZzIUS (5), il quale ottenne la rea- zione vitale di EnrLIcH nelle ghiandole sierose del dorso della lingua del coniglio. Egli, colla detta reazione, riuscì a vedere un gran numero di fibrille nervose varicose le quali circondavano in ogni direzione gli alveoli, e fu indotto a sospettare che alcune fibrille penetrassero anche negli alveoli stessi. Riassumendo, dalla breve esposizione fatta appare che ri- guardo alle terminazioni nella mucosa linguale in mezzo a molti dati constatati ripetutamente da varî autori, regnano incertezze rispetto a parecchi punti, tra cui alcuni importanti, quali ad (1) C. KuprreR, Die Speicheldriisen von Periplaneta orientalis und ihr Nervenapparate, Beitrige zur Anat. und Phys. C. Ludwig gewidnet von sei- nen Schulern. Leipzig, 1875 (2) Levpia, Bemerkungen tiiber Farben der Hautdecke und Nerven der Driisen bei Insecten. Arch. fiùr mikr. Anat. Bd, XII, 1876. (3) Krause, Nachtrége sum ersten Bande des Bandbuches der menschlichen Anatomie, Hannover, 1881. (4) I G. Navacicnin e P. I. Kyrmanorr, Terminaison des nerfs dans les glandes salivaires. Archives slaves de biologie, Tome I, 1886. (5) G. Rerzius, Veber Drusennerven. — Biologiska Foreningens Fòrhand- lingar, Bd. I, Heft. 1-3, 1888. TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 581 esempio quello del rapporto tra cellule gustative e cellule ner- vose e quello dell’esistenza o meno di un reticolo involgente i calici gustativi. Riguardo poi alle terminazioni nelle ghiandole sierose le incertezze e le disparità delle vedute sono assai più grandi, sebbene da tutti gli autori si tenda ad ammettere una intima relazione tra le fibre nervose terminali ed il protoplasma delle cellule secernenti. In vista di tutto ciò noi crediamo di avere fatta opera non inutile, attesochè i nostri studi condotti con un nuovo metodo ci condussero al punto da poter chiarire parecchie delle accennate quistioni, e da aggiungere alle già co- nosciute alcune particolarità. Metodo di ricerca. Come è ormai a tutti noto, la reazione nera di GoLci si ottiene nel far agire una soluzione di nitrato d’argento su un pezzo di tessuto che venne convenientemente indurito in una so- luzione di bicromato di potassio od in una miscela di questa solu- zione con un’altra di acido osmico, oppure successivamente nel soluto bicromico e nella miscela osmio-bicromica. Il difficile nel- l’ottenere tale reazione sta tutto nel saper determinare il tempo in cui deve agire la soluzione bicromica o la osmio-bicromica prima di mettere il pezzo nel soluto argentico. Questo tempo varia tanto a seconda della grossezza del pezzo, che a seconda della natura del tessuto, e dicendo ciò ci riferiamo ed alla varia struttura ed alla varia compattezza dovuta sì allo spessore degli strati che alla diversa età degli animali. Noi dietro numerose prove abbiamo eliminato per la mucosa linguale il passaggio della soluzione bicromica alla osmio-bicro- mica; deponevamo invece le lingue, ridotte alla mucosa con alquanto tessuto .muscolare sottostante, direttamente in un’ab- bondante soluzione osmio-bicromica (acido osmico 1 °/,, 1 parte, bicromato di potassio 2°/,, 5 parti), e le lasciavamo nella me- desima per un tempo variabile da 5 a 9 giorni. Variando il tempo d’immersione negli accennati liquidi, noi ottenevamo anche risultati diversi, cioè avevamo la colorazione nera talora di certi elementi nervosi, talora di certi altri. Talora ottenemmo anche colorati i vasi e gli &lementi elastici dello stroma delle papille e del connettivo intermuscolare. 582 R. FUSARI E A. PANASCÌ Dalla miscela osmio - bicromica i pezzi venivano passati in un soluto di nitrato di argento all’ 1%, dove venivano abban- donati per parecchi giorni, finchè ci tornava comodo di eseguire le sezioni sia a mano che al microtomo. Un materiale abbondante e molto adatto per la reazione lo trovammo nel sorcio, ma ottenemmo però anche buone colora- zioni nelle lingue di gatto (neonato), di capretto e di coniglio. L Le terminazioni nervose nella mucosa. Come è già noto, la maggior parte dei nervi che si diramano nella mucosa linguale possiedono la particolarità di offrire nel loro decorso gangli nervosi o cellule gangliari isolate. Colla rea- zione nera noi ottenemmo colorate solo queste ultime. Esse si trovano in numero tanto maggiore quanto più i fasci nervosi suddividendosi si fanno piccoli. 1 fasci sono misti, cioè composti di fibre pallide e di fibre midollate. La reazione si ottiene più facilmente sulle prime, ma tuttavia anche le ultime si fanno quasi sempre palesi mercè la colorazione bruna che acquista la mielina col trattamento del liquido osmio-bicromico. Circa a queste fibre midollate dobbiamo far notare una par- ticolarità, cioè che esse non si comportano sempre ugualmente colla reazione nera, vale a dire talora appaiono grosse con un dia- metro di 4-5 ., talora invece sottili con un diametro ridotto alla metà o quasi. Similmente si comporterebbero le fibre nervose mi- dollate colla reazione vitale di EHRLICH; FEIST infatti in un recen- tissimo lavoro (1) riferisce che col blea di metilene alcuni cilindrassi si colorano solo nella loro parte assile, altri invece in totalità. Perciò egli distingue come costituente normale del cilindrasse una porzione assile (Centralfaden) ed una porzione periferica (periphere Axencylinder substanz oder peripheren Axencylinder). Le fibre di ReMax dei citati fasci nervosi si allacciano e (4) B. Feist, Beitràge sur Kenntniss der vitalen Mehtylenblaufirbung des Nervengewebes. Arch, fur Anat, und Phys. Anat, Abth 4-2 Heft, 1890. TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 583 si anastomizzano variamente tra loro formando reticoli a maglie allungate in mezzo alle quali decorrono le fibre mieliniche. Le cellule nervose isolate dei fascetti nervosi presentansi di forma varia. Per lo più sono fusate o triangolari con due, tre o più prolungamenti. Nelle cellule fusate i prolungamenti sono due, partenti dai due apici del fuso, uno centripeto ed uno centri- fugo ; nelle altre sono in numero di tre o più, di cui un solo è centripeto, gli altri sono rivolti alla periferia e servono ad aumentare il numero delie fibre costituenti il fascio, oppure si perdono subito anastomizzandosi con fibre vicine o con pari prolun- gamenti di cellule nervose vicine. Oltre i fasci indicati vi sono altri cordoni di fibre pallide che si recano alla mucosa seguendo i vasi. Queste decorrouo sull’avventizia delle arterie in grande prevalenza longitudinalmente con molte tortuosità. Molte di esse presentano diramazioni per le quali il vaso viene allacciato in ogni senso. Alcuni filamenti terminano liberamente, altri con un bottone, altri invece si allontanano dal vaso per entrare tra i fasci muscolari accom- pagnando probabilmente i capillari, dacchè di questi hanno il modo di contenersi, formano cioè reticoli allaccianti le fibre mu- scolari striate. I fasci nervosi salendo dalle parti profonde verso la mucosa sì dividono e sì anastomizzano variamente tra loro incrociando in ogni senso le fibre muscolari. Quando pervengono alla parte profonda della mucosa in generale sono assai ridotti di fibre, e qui molti finiscono di risolversi interamente mandando le fibre nelle più diverse direzioni. Per tal modo si forma un ricco in- treccio di fibre midollate per la maggior parte, tra le quali sono interposte cellule nervose della stessa natura di quelle descritte nei fasci. Questo plesso fu molto bene descritto da RosEMBERG, e noi ci dispensiamo perciò dal venire ad altre particolarità. L’indicato plesso nervoso profondo serve a provveiere le fibre per un altro plesso superficiale o plesso sottoepiteliale. Sono fibre o diramazioni di fibre del plesso profondo che si portano più o meno obliquamente in su, perdono la guaina midollare, e formano un secondo intreccio con molte anastomosi immediata- mente sotto all’epitelio. Quivi si trovano piccole formazioni ton- deggianti, che non sappiamo se sono cellule nervose o rigonfia- menti gangliformi, le quali trovansi provvedute di un gran numero di prolungamenti. Uno di questi di solito si trova in rapporto 584 R. FUSARI E A. PANASCÌ diretto con un prolungamento di una cellula nervosa profonda, gli altri o vanno a confondersi colle fibre del plesso superficiale oppure penetrano senz'altro nell’epitelio. RosemBeRG nella lingua di cavallo pone in questo plesso piccoli gruppi di grandi cellule rotonde che negli animali da noi osservati non abbiamo rilevate, a meno che esse non corrispon- dano alle formazioni suddescritte provvedute di prolungamenti, Dalla rete nervosa sottoepiteliale entrano nei zaffi epiteliali interpapillari oltre gli accennati prolungamenti delle cellule ner- vose anche fine fibre varicose isolate ed a piccoli gruppi, che però presto si separano, e salgono più o meno in alto raggiun- gendo alcune lo strato corneo. Nel loro decorso tortuoso emet- tono rami finissimi che dopo un breve tratto cessano. Talora, ma di rado, li abbiamo visti ramificati una seconda volta. Entreremo ora a parlare del contegno degli elementi nervosi nelle varie forme di papille, A) Papille coniche. Nello stroma connettivo delle più piccole papille coniche del sorcio arrivano solo filamenti nervosi isolati che si portano. fino all’estremità appuntata, dove terminano, oppure penetrano per un tratto più o meno lungo nello strato epiteliale soprastante. Nelle papille filiformi più grandi dello stesso animale (fig. 1, db. Tavola). ed in quelle di capretto o di gatto vi ha alla base un rilievo conico del plesso nervoso profondo della mucosa, nel quale sono interposte un certo numero di cellule nervose soli- tarie o aggruppate a piccoli gangli. Un piccolo fascetto nervoso proveniente dalle parti profonde rinforza il nominato plesso nelle papille di maggior dimensione. Sotto all’ epitelio. poi si continua l’ intreccio di fibre amidollate sottoepiteliale. I fila- menti che penetrano nello strato epiteliale sono più numerosi nell’asse che nelle parti laterali; essi si dividono e si suddividono. senza presentare mai anastomosi fra loro, e quindi senza che abbia luogo una formazione di reticoli come descrisse RosEMBERG. Nemmeno abbiamo ottenuto in queste papille quella ricchezza di filamenti nervosi che il citato autore disegna nelle papille filiformi del cavallo. Oltre che alla diversità del materiale usato, la diversità dei risultati nostri rispetto a quelli di RosemBERG e di altri potrebbe, TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 585 forse dipendere dacchè colla reazione nera è assai difficile ottenere colorati contemporaneamente tutti gli elementi nervosi di una località. Così può spiegarsi anche come noi non ottenemmo mai figure che ricordassero nè i bulbi terminali di KrauUSE, nè le cellule di MERKEL, nè i corpuscoli di MEISSNER. Invece delle citate terminazioni speciali noi abbiamo spesso notato nelle papille filiformi della parte anteriore della lingua del sorcio delle figure fusate che ricordavano quella delle cellule gustative, e che stavano nell’apice dello stroma connettivale lungo l’asse della papilla in modo che la metà periferica era circon- data dall’epitelio, la metà profonda da connettivo. Dei due apici, il periferico si avanzava nell’epitelio per buon tratto, il profondo si continuava con una fibra nervosa. Nel disegno I f della Tavola abbiamo indicato una di tali figure di cui non sappiamo dire se rappresentino vere cellule nervose oppure semplici rigonfiamenti terminali di una fibra nervosa. Una speciale ricchezza di elementi nervosi trovammo in quelle papille filiformi che si trovano ai lati del terzo posteriore della lingua di gatto e che secondo V. Ayra1 terrebbero il posto della papilla fogliata. Quivi nello stroma vi ha un complicatis- simo intreccio di fibre, e l’epitelio è attraversato da una grande quantità di filamenti nervosi che si portano fin presso alla super- ficie terminando in un bottone. Da una sola fibra nervosa de- corrente sotto l’epitelio parallelamente all’asse della papilla abbiamo visto staccarsi ad angolo retto un gran numero di detti filamenti. Anche qui nessun accenno di reticolo interepiteliale. B) Papille fungiformi e circonvallate. Lo stroma delle papille fungiformi e delle papille circonval- late è così ricco di elementi nervosi che coll’ azione dell’ acido osmico appare tinto in bruno. Entrano in esso un numero varia- bile di fascetti nervosi che formano un plesso esteso a tutto lo stroma composto di fibre midollate, di fibre pallide e di cellule nervose. I Nelle papille fungiformi i fascetti di fibre stanno per lo più nell’asse della papilla ; nelle circonvallate oltre i fascetti centrali vi sono molti altri fasci periferici. Nelle piccole papille del sorcio le fibre midollate dopo breve distanza dal fascio cessano presto per trasformarsi in fibre pal- 586 R. FUSARI E A. PANASCÌ lide: nelle papille più grandi di capra e di coniglio gli elementi midollati sono più numerosi e si seguono più a lungo. Le fibre nervose pallide del plesso presentano numerosi esempi di anastomosi tra loro, e dividonsi in varie forme, tra cui prevale la forma dicotomica ad angolo retto. Questa passa gradatamente nella divisione a ciuffo in cui la fibra in un brevissimo tratto si risolve in un gran numero di filamenti per mezzo di una rapi- dissima divisione e suddivisione dicotomica. (V. fig. 13, 9). Le cellule nervose del plesso presentansi in due forme: le une stanno alla base e in mezzo della papilla; le altre stanno in vicinanza all’epitelio ed alla sommità della papilla sotto alle papille secondarie. Le prime sono uguali alle cellule che abbiamo incontrate nei fasci nervosi con forma alquanto più irregolare e della dimensione di 6-12; le seconde sono più grandi rag- giungendo i 15-20, ed hanno forma e modo di contenersi per cui si avvicinano alle cellule del sistema nervoso centrale. Nella Tavola noi abbiamo disegnato alcune di queste cel- lule della lingua di capretto (fig. 2-3-4). La forma loro varia: se ne trovano di triangolari, di quadrate, di poligonali più o meno regolari. Esse hanno un prolungamento più sottile degli altri per il quale stanno in rapporto col plesso della papilla, ed un numero vario di altri prolungamenti più grossi i quali si por- tano verso l’epitelio diramandosi dicotomicamente. Talora due cellule vicine rimangono unite per mezzo di uno di questi grossi prolungamenti (fig. 13, 0). Le ultime ramificazioni dei processi divenute assai sottili seguendo un cammino spirale attraversano gli strati epiteliali giungendo talora a toccare le lamine cornee. Un gran numero delle fibre nervose del plesso dopo essersi divise e suddivise cessano nello stroma avanti di giungere nell’epi- telio; le rimanenti dopo aver formato un plesso sotto epiteliale entrano nell epitelio. L’epitelio delle papille fungiformi e quello delle papille cir- convallate situato fuori della regione del vallo sono largamente provveduti di fibrille nervose. Queste presentano un aspetto va- ricoso., un decorso ondulato ed un numero vario di ramifica- zioni; terminano liberamente o con un piccolo rigonfiamento ; non le vedemmo mai entrare in anastomosi tra loro. Anche in queste papille si vedono entrare nell’epitelio, massime agli angoli, quei corpi fusiformi terminali ricordati nelle papille coniche. Caratteristico è il contegno degli elementi nervosi nella regione TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 587 del vallo delle papille circonvallate e nelle lamelle della papilla fogliata. Nell’una e nell’altra località convengono rami nervosi da diverse parti, alcuni dai fascetti centrali della papilla, altri dai fasci decorrenti nello strato profondo della mucosa, altri, più grossi, direttamente dai tronchi che si trovano più profondamente tra le fibre muscolari. Tutti questi diversi rami formano da prima un plesso gros- solano, contenente molte fibre midollate e cellule nervose di varia forma, attorno alla regione dei granuli; il qual plesso passa a formare un altro intreccio più fino, ricco di anastomosi di fibre tutte amidollate (fig. 13, f, fig. 7), alcune varicose, altre liscie con decorso in prevalenza parallelo alla direzione dello strato epiteliale. Nella regione propria dei granuli poi il fino plesso suin - dicato trasformasi gradatamente in un finissimo reticolo a maglie assai strette in mezzo alle quali sta un gran numero di picco- lissimi elementi, i granuli, che colla colorazione nera mostransi angolosi e provveduti di prolungamenti. Quando questi granuli riescono colorati in buon numero , il reticolo nervoso rimane nascosto (fig. 15, e). Dai due plessi suddetti e dallo strato dai granuli si stacca una grande quantità di filamenti nervosi che penetrano sia nel- l’epitelio, sia nei calici gustativi, come diremo qui sotto. Calici gustativi (fig. 13). Nei calici gustativi mercè la co- lorazione nera si possono distinguere benissimo le due forme di cellule gustative descritte da ScHwALBE, cioè quelle terminanti perifericamente a punta, e quelle terminanti a bastoncino. Esse o restano interamente tinte in nero, oppure il nucleo appare in bianco (A). L’estremità profonda di tali cellule appare spesso divisa, ma vi ha sempre un filamento principale che si continua dopo un decorso spesso capriccioso colle fibre del plesso, mentre altri filamenti laterali più sottili vanno a perdersi nel reticolo nervoso dei granuli. Ottenemmo colorate le cellule gustative anche in gattini di sei giorni; esse erano tutte a bastoncino coll’estremità profonda piuttosto grossa, alla quale metteva capo un filamento nervoso sottile, provveduto di diramazioni laterali (fig. 5). RANVIER (1) ed altri hanno già fatto notare che, oltre le cellule gustative, anche le rivestenti hanno per i sali d’oro una certa affinità, che è molto maggiore di quella delle cellule epi- : (4) Ranvier, l, c., pag. 730. 588 R. FUSARI E A. PANASCÌ' teliali comuni. Ora questa affinità esiste in certo grado anche per l'argento, essendochè assai facilmente colla reazione di GoLeI le indicate cellule si colorano in rosso-bruno. In questo caso si può studiarne la forma e la disposizione molto meglio che coll’isola- mento. La forma varia da quella di una mezza luna a quella d'un petalo di rosa più o meno arrotolato su se stesso. Nella figura 5 abbiamo disegnato una di tali cellule, la quale racchiude nella sua concavità una cellula gustativa. Il corpo delle cellule rivestenti sempre sottile, non ha un colorito omogeneo, ma presenta qua e là linee irregolari nere come le nervature di una foglia (4, <). I margini appaiono rara- mente lisci, spesso presentano dentellature cui talora appaiono’ aderenti dei fili o dei bottoncini peduncolati colorati in nero, che per la forma assomigliano a quelli che SERTOLI disegnò ade- renti ad una cellula gustativa. L’estremità periferica di tali cel- lule finisce appuntata; l'estremità profonda è smussata e provve- duta di molte dentellature, alcune delle quali sembrano talora continuarsi con una fibrilla nervosa. Un attento esame fatto coi migliori ingrandimenti ci condusse a rilevare una particolarità sfuggita fin qui agli altri osservatori, cioè abbiamo veduto che le linee irregolari, che avevamo notato prima sul corpo delle cellule rivestenti, erano espressione di una complicata ramificazione di fibrille nervose addossate alla su- perficie concava delle stesse cellule. Queste fibrille si continua- vano coi filamenti nervosi che fanno capo alla base delle cellule’ e si mettevano pure in rapporto coi bottoni peduncolati aderenti al margine. Una di queste arborizzazioni abbiamo disegnato nella figura 6. Oltre a ciò, come fece rilevare RosEMBERG, entrano tra le cellule dei calici altri filamenti nervosi varicosi che terminano in buon numero verso l’estremità libera dei calici con un piccolo bottone. Tra questi filamenti alcuni si ramificano (n), altri nel loro tragitto attraverso il calice presentano un rigonfiamento fusi- forme, per cui ricordano la forma delle cellule gustative. Colla reazione nera noi potemmo anche mettere in evidenza un altro apparato nervoso situato immediatamente all’esterno dei calici gustativi ed in istretto rapporto coi medesimi. È questo’ rappresentato da un reticolo nervoso che cinge intieramente al- l’ingiro il calice disegnandone perfetta mente la forma (I, m). Tale reticolo, come abbiamo già ricordato nel cenno storico, venne TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. (589 menzionato da DRaAscHu, e da lui anche disegnato sebbene in modo incompleto. Le fibre che vanno a comporre detto reticolo, che potrebbe chiamarsi peridbulbare, non costituiscono grossi fasci, come quelli disegnati da DrascH per i bulbi gustativi della papilla fogliata del coniglio, ma sono pochissime in numero: due, tre, quattro al più. Queste arrivate al calice si dividono e si sud- dividono e molti punti nodali allacciano tra loro le divisioni dei diversi rami. Nel disegno del citato autore non appare evidente il rapporto del fascio di fibre nervose colla rete da queste formata. Epitelio (fig. 18, B). Ricchissimo di fibre nervose è l’epitelio che occupa lo spazio esistente tra calice e calice nella regione del vallo, come fu già notato da SERTOLI nella lingua di cavallo e da DRAscH in quella di coniglio. Questi due autori, ed anche RosEMBERG, ammettono nell’epitelio un reticolo, i nostri reperti invece ci conducono a mettere in dubbio l’esistenza di un yero reticolo nervoso. Se esistono anastomosi tra i filamenti nervosi, queste sono rarissimè e non sempre bene dimostrabili. Dal plesso della regione dei granuli entrano nell’epitelio un gran numero di fibre varicose le quali subiscono diverse sorti. Un buon numero dopo avere descritte parecchie tortuosità ter- minano più o meno in vicinanza della superficie libera dell’epi- telio con un bottone. Altre si ramificano in modo svariato ma sempre dicotomicamente, ed i singoli rami terminano pure in vici nanza alla superficie libera. Una terza categoria poi avvicinan- dosi alla superficie libera ingrossano o presentano un grosso punto nodale da cui partono rami che fanno un cammino a ri- troso, oppure decorrono orizzontalmente, ed in questo decorso sì dividono di nuovo. Per mezzo di queste ramificazioni viene riempito di filamenti nervosi tutto lo spazio che sta verso la superficie libera tra bulbo e bulbo. Nell’epitelio che sta attorno al porocanale, cui mettono capo i bulbi gustativi che si rinvengono isolati nelle papille fungiformi, non abbiamo notato una speciale ricchezza in fibre nervose; ma è probabile che anche qui si ripetano gli stessi fatti, almeno come si può desumere dalla quantità di fibrille nervose che con- tornano i bulbi stessi, i quali si affondano per buona parte nello stroma connettivale della papilla (sorcio) (fig. 1, O). Una particolarità interessante e che ci venne fatto di rile- vare parecchie volte, è che dal plesso nervoso della regione dei granuli si stacca un sottile cordone plessiforme (fig. 13, c), di 590 R. FUSARI EF A. PANASCI fibre pallide, il quale si porta profondamente verso le ghiandole sierose del dorso della lingua, ed ivi si mette in rapporto col plesso nervoso proprio di queste glandule. È importante aggiun- gere che il citato cordone nervoso decorre affatto indipendente- mente dal dotto escretore delle medesime ghiandole. lI. Le terminazioni nervose nelle ghiandole sierose, All’innervazione delle ghiandole sierose del dorso della lingua concorrono nervi di diversa provenienza: Oltre ai sottili cordoni provenienti dalla regione gustativa, dianzi ricordati, vi giungono piccoli fasci in gran parte composti di fibre midollate decorrenti tra i muscoli sotto la mucosa, e gran quantità di fibre del sim- patico che accompagnano le arterie. Tutti questi fasci nervosi formano un ricchissimo plesso tra i bulbi ghiandolari. Nel plesso si distinguono grandi fibre ner- vose presentanti frequenti rigonfiamenti gangliformi o cellule gan- gliari, e fibre sottili numerosissime provvedute di piccoli rigon- fiamenti sferici o fusati; le prime derivano verosimilmente dai fasci di fibre midollate, le altre dal simpatico. Le fibre dell’una e dell'altra specie probabilmente si tengono tra loro in una certa indipendenza perchè la reazione nera talora si verifica su una serie di fibre, talora sull’altra. Quando tutte le fibre sono colorate, il plesso. nervoso riesce così complicato che non abbiamo potuto verificare se esistano | vere anastomosi tra le fibre grosse e le sottili. Quando è colorato il sistema delle fibre sottili (fig. 8), queste vedonsi decorrere tra i singoli acini fuori della membrana propria a fasci, o meglio a larghi nastri composti di tante fibrille parallele ma presentanti molte anastomosi tra loro. Vedesi talvolta frapposta qualche cellula gangliare scolorata (fig. 8, d). Molto caratteristico è il plesso formato dalle grosse fibre (figura 9). Queste compongono una vera rete nelle cui maglie stanno gli acini glandolari, ed i cui punti nodali sono rap- presentati la maggior parte delle volte da un rigonfiamento se- milunare o fusiforme addossato immediatamente alla membrana propria degli acini e che molto verosimilmente corrisponde ad TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 591 una cellula nervosa. In corrispondenza di questi rigonfiamenti la fibra si divide ed oltre i rami principali che servono a formare la rete del plesso altri più sottili se ne staccano, i quali o attra- versano senz’ altro la propria e si mettono in diretto contatto colle cellule degli acini, oppure decorrono per un tratto più o meno lungo tra i lobuli per metter capo ad un acino più lon- tano. Non è raro che in questo tragitto i rami spicchino delle divisioni secondarie e che cambino subitamente direzione formando un’ansa. In ogni acino o rigonfiamento terminale dei tuboli ghiando- lari entrano per tal modo da diversi lati più fibre nervose. Queste, dividendosi ripetute volte, formano una stretta rete ipolemmale con punti nodali di varia grandezza, talora grossis- simi a forma di piastrine. Da quanto abbiamo potuto rilevare in casi in cui sì era colorata alquanto la sostanza interstiziale tra le cellule ghiandolari, ci è parso che la rete nervosa si estenda non solo su quella superficie delle cellule ghiandolari che guarda la propria, ma che entri anche negli interstizi tra cellula e cel- lula, e si costituisca così un’impalcatura nervosa in ciascun’area della quale resta chiusa una sola cellula ghiandolare. L’impalcatura suddetta mostrasi, a quanto ci è parso, in istretto rapporto col protoplasma delle cellule salivari. A forte ingrandimento rilevasi che i dischetti o punti nodali non sono nettamente delimitati, perchè attorno ai medesimi sono sparse . molte punteggiature nere o brune che vanno sperdendosi nella sostanza della cellula. I dischetti nodali poi non restano colorati tutte le volte in cui la reazione si avvera sul reticolo nervoso, e ciò ci fa sospettare che i medesimi non si trovino sulla conti- nuità dei filamenti nervosi del reticolo, ma siano interposti tra questi e il protoplasma cellulare. Stando così le cose, se tali di- schetti non sono paragonabili a vere piastrine terminali, si rav- vicinerebbero tuttavia a queste per molti lati. Il fascetto nervoso proveniente dalla regione dei granuli si mette in rapporto, come abbiamo detto, colle fibre del plesso ghiandolare, e probabilmente tra queste col solo reticolo delle grosse fibre, mediante filamenti che vanno a metter capo ai ri- gonfiamenti presentati dalle grandi fibre. Nella fig. 9 abbiamo segnato in C' uno di tali rapporti. 592 R. FUSARI E A. PANASCÌ Nella figura 10 abbiamo ritratta la fisonomia che acquistano le glandole sierose del dorso della lingua del sorcio quando si ottengono colorati in nero mediante la reazione di GoLei i soli lumi dei dotti e dei tuboli ghiandolari. Pare a noi che queste preparazioni così eleganti e che si ottengono con una certa fa- cilità possano sostituirsi, anche con vantaggio della verità, a quelle ottenute per iniezione nelle dimostrazioni scolastiche, onde dare una giusta idea delle diramazioni dei dotti ghiandolari. Nella stessa lingua la reazione nera ci diede colorate anche le arborizzazioni nervose terminali sui muscoli striati. Anche que- ste terminazioni riescono molto più nitide mediante il nitrato d’argento che col cloruro d’oro, perchè i nuclei e la sostanza granulosa della placca rimangono assolutamente scolorati. Nella tavola (fig. 11-12) abbiamo disegnato due esempi di queste .ter- minazioni nervose ottenute su una lingua di gatto neonato. Tra le particolarità da noi esposte circa alle terminazioni nervose nella lingua e nelle ghiandole sierose, le più interessanti sono certamente quelle che riguardano la struttura dei calici gu- stativi, la quale risulta assai più complicata di quello che prima si credeva. Alle cellule gustative di varia forma si aggiungono una quantità di fibrille nervose terminanti a bottoncino, una finissima arborizzazione nervosa situata sulle cellule rivestenti, ed un reticolo nervoso peribulbare. È certamente difficile determinare il significato fisiologico di ciascuna di queste parti dei bulbi gustativi, ma questa difficoltà non ci toglie di credere che ogni parte abbia pure un valore fisiologico speciale. Noi non siamo in ciò dell’avviso di SERTOLI (1), il quale asserisce che la diversa funzione delle fibre nervose di senso debbasi ripetere non dalla diversità della loro terminazione periferica, ma sibbene da quella della loro terminazione cen- trale; noi invece crediamo che l’una parte e l’altra debba avere (1) SERTOLI, |. c., pag, 139, TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 593 il suo valore nel determinare la forma della sensazione. Se poi guardiamo alle varie forme di terminazioni sì centrali che pe- riferiche, noi dovremo dare maggior valore a queste che a quelle, perchè, stando alle attuali conoscenze, mentre per le terminazioni centrali di senso si ha una forma fondamentale invariata per tutte, cioè quella a reticolo diffuso, invece per le terminazioni periferi- che si presentano forme svariatissime, ed ogni forma, per quanto ripetasi in regioni ed organi diversi e sia in rapporto coi nervi di provenienza diversa, pure possiede dappertutto un valore fisio- logico costante. GoLGI a questo riguardo mostrasi più esplicito ; egli, parlando delle varie differenze funzionali inerenti alle varie circonvoluzioni cerebrali, così si esprime: « La specificità della « funzione delle varie zone cerebrali sarebbe in rapporto non già « colle particolarità di anatomica organizzazione delle zone me- « desime, bensi colla specificità degli organi ai quali periferi- «camente vanno a metter capo le fibre che dalle stesse zone « hanno origine » (1). Non riteniamo che ogni particolare forma di terminazione negli organi periferici debba corrispondere a par- ticolari modi di agire dei diversi stimoli e che perciò sia appunto la peculiarità della terminazione periferica quella che ha la mas- sima importanza nel determinare la funzione della fibra nervosa. Se dalla forma dell’apparato nervoso terminale si può trarre qualche induzione circa la modalità della sua funzione, a noi sembra che si possa, riguardo al reticolo peribulbare, fare questa ipotesi, cioè che tale apparecchio nervoso così strettamente ad- dossato ai calici debba servire a rilevare lo stato di distensione di questi organi, dacchè appare molto verosimile che questi pos- sano variare, sia pure in lievissimo grado, o il loro volume o la loro forma, a seconda della natura chimica o delle condizioni fisiche delle sostanze sapide che vengono loro in contatto. Nè di minore importanza ci sembra il fatto rilevato dall’esi- genza di un fascetto nervoso che mette in rapporto i nervi della regione gustativa col plesso delle ghiandole sierose, perchè per esso si ha una facile spiegazione di un fatto già noto alla fi- siologia. EBNER (2) già nel 1873 osservò che il liquido sieroso (1) GoLat, Sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. Milano, Hoepli, 1885. (2) EsnER, Die acinosen Driisen und ihre Beziehungen zu den Gesch- machsorganen. Graz, 1873. Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. XXV 43 904 R. FUSARI E A. PANASCÌ delle ghiandole è prodotto in grande abbondanza al : momento del gusto e serve a pulire il vallo in modo da levare le so- stanze sapide che vi sono penetrate ed assicurare così la purezza della sensazione prossima, e le osservazioni di EBNER furono avva- lorate da moltissime esperienze successive. Ora questa azione riflessa rapidissima sulla glandola dovuta alla presenza sui bulbi gustativi o nella loro vicinanza di sostanze sapide, si spiega assai facil- mente colla presenza del summentovato fascetto nervoso. Per le ghiandole sierose abbiamo fatto rilevare la. presenza di una doppiu innervazione, di cui l’una è forse affatto indipen- dente dall’altra. Ciò interessa e per l’analogia che vi ha coll’in- nervazione delle ghiandole sierose degli insetti, e perchè serve a spiegare altri fatti rilevati dalla fisiologia. Circa all’innervazione delle ghiandole salivari degli insetti abbiamo già ricordato che KuPFrFER trovò che tali organi sono provveduti di due specie di nervi, gli uni provenienti dal ganglio sopraesofageo, gli altri dagli infraesofagei ; ora queste due specie di nervi avrebbero un loro modo speciale di contenersi, limitandosi i sopraesofagei a formar parte del plesso infraacinoso, mentre gli infraesofagei avrebbero un rapporto diretto colle cellule epiteliali. Circa poi all’ azione dei nervi sulle ghiandole sierose, l’esperienza fisiologica ci insegna che i caratteri e la quantità della saliva sono molto diversi a seconda che si irrita la glandola per mezzo dei suoi nervi d’ori- gine cerebrale, oppure per mezzo del simpatico ; ora il doppio ap- parecchio d'innervazione spiega facilmente la grande diversità dei | risultati dell’esperienza fisiologica. _ SPIEGAZIONE DELLE FIGURE i) 1. Sezione di una papilla fungiforme (a) e di alcune papille coniche (6) della lingua di sorcio. - (c) Calice gustativo ; (4) fibra del plesso profondo; (e) gruppo di cellule nervose; (f) corpo fusiforme terminale (KoristKA, Oc. 2, Obb. 7*). 2. 3. 4. Cellule nervose delle papille circonvallate di capretto (Zeiss, Oc. 3, Ob. E). 5. Cellula gustativa di una papilla fungiforme di gatto circon- data da una cellula rivestente (LEITz, Immers., omog. ua Oc. 3). Lit. Salussolia, Torino ' i — 5! ' ci . è È x Ù n Eee “u Ue: # “ PI * d vr x È i b di : \ x Ù x Ù . 10. ig o, -— ‘TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 595 . Cellula involgente di un calice gustativo di gatto rivestita in- ternamente da un’arborizzazione nervosa (LEITZ, Immers. omog. !/, Oc. 3). . Reticolo nervoso della regione dei granuli nel gatto (LEITZ, Immers. omog. !/, Oc. 3). . Plesso nervoso infraacinoso delle glandole sierose di sorcio. - (a) Grossa fibra d’origine cerebrale con rigonfiamento fu- siforme; (b) fibre simpatiche; (c) ramo formante il reticolo ipolemmale; (4) cellula nervosa scolorata (KoRISTKA, Oc. 3, Ob. 7%). . Plesso nervoso epi ed ipolemmale delle glandole sierose di sorcio. - (a) Reticolo delle grandi fibre; (0) reticolo delle fibre fine; (c) connessione del plesso col cordone nervoso de- rivante dalla regione dei granuli ( KoristKA, Oc. 3, Ob: <*). Lume dei dotti e dei tuboli ghiandolari nelle glandole sie- rose del sorcio (KorIstKA, Oc. 2, Ob. 7*), 12. Terminazioni nervose motrici nella lingua di gatto (Ko- MISERA Und, OD. ). Disegno semischematico della papilla circonvallata del topo. Attorno alla parte A del vallo furono disegnati calici con cellule gustative di varia forma e cellule rivestenti; attorno alla parte B vennero disegnate le altre terminazioni ner- vose nei calici e nell’epitelio. (a) fascio centrale; (0) plesso della papilla; (c) cordone nervoso plessiforme recantesi alle glandole sierose; (d) fascio la- terale sezionato trasversalmente; (e) granuli; (7) plesso nervoso dei granuli; (9g) cellula nervosa; (4) (2) cellule rivestenti: (1) (m) reticoli nervosi peribulbari; (n) fibra dei calici dividentesi; (0) terminazioni interepiteliali; (p) corpo fusiforme terminale ; (9) diramazione a pennello. OsseRvAazIOnE. — Le figure 1, 10, 13 furono alquanto ri- dotte nella composizione della Tavola. 596 ‘PIO MARFORÌ Intorno all’influenza che la veratrina ceristallizzata esercita sulle contrazioni dei muscoli. Ricerche del Dott. Pio Ma&rFoRrI 1 Farmacologi hanno già studiato in che modo la veratrina agisca sulle singole contrazioni dei muscoli, ma non si è ancora ricercata, con sufficiente esattezza di metodi, la sua influenza sulla curva della fatica. Le esperienze sulle quali sono basate le varie ipotesi fatte intorno al meccanismo d'azione della veratrina si riferiscono poi ai muscoli di rane studiati in condizioni poco favorevoli, cioè staccati dal corpo e privi di circolazione. Soltanto Rossbach, Clostermeyer e Harteneck sì sono occupati con metodi sperimentali esatti dell’azione della veratrina sui muscoli degli animali a sangue caldo. Tuttavia anche dopo le esperienze di questi autori resta da risolversi il quesito, come la veratrina agisca sul lavoro dei muscoli. Nessuna delle precedenti ricerche venne eseguita con veratrina pura, ma con veratrina commerciale, che è una miscela di diversi alcaloidi. Intorno alla veratrina cristallizzata abbiamo soltanto uno studio di Lissauer (1), il quale però non si occupa quasi affatto della sua azione sui muscoli. Nelle mie esperienze ho usato la veratrina cristallizzata che preparai dalla veratrina commerciale di Trommsdorf, secondo il metodo indicato dallo Schmidt (2); ed ho studiato l’influenza di questa sostanza sui muscoli in condizioni molto vicine alle nor- mali, tanto negli animali a sangue freddo quanto nei mammiferi. Kòolliker fu il primo ad osservare la curva caratteristica dei muscoli veratrinizzati e dimostrò la sua indipendenza dal sistema (4) Lissaver, Untersuchungen uber die Wirchung der Veratrumalcaloide (Arch. f. exper. Path. u. Pharm., vol. 23, pag. 36, 1887). (2) Scamipr, Organische Chemie, pag. 952, 1882. INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 597 nervoso. Bezold (1), in seguito, ritenne tale curva di natura te- tanica; ma Fick e Bòhm (2) non poterono confermare sperimen- talmente l'ipotesi di Bezold e dimostrarono che la contrazione del muscolo veratrinizzato produce maggior calore che quella del muscolo normale. Questi autori perciò ammisero che la veratrina aumenti i processi chimici della contrazione muscolare. Anche l’Overend (3), il quale si è recentemente occupato dell’azione della veratrina sui muscoli viene alla stessa conclusione. CAPITOLO I. Azione della veratrina sui muscoli striati delle rane. Apparecchi e metodi di ricerca. — Gli apparecchi di cui ho fatto uso sono: il miografo di Marey, l'apparecchio di Pfliiger e Kronecker allo scopo di eliminare la corrente di chiusura di un circuito indotto, la slitta di Du Bois Reymond, l’orologio in- terruttore di Baltzar, alcuni elementi Leclanché, il chimografio di Ludwig, modello Baltzar, e un interruttore. La lunghezza del braccio di leva del miografo rimase co- stante in tutte le esperienze. Mi servii generalmente di un peso di 8 gr., che tendeva continuamente il muscolo. Ho fatto tutte le esperienze in rane temporarie dal marzo al maggio. La rana dopo distrutto il midollo, veniva fissata sopra un sostegno orizzontale. Un filo legato al tendine di Achille staccato dalle sue inserzioni poteva applicarsi coll’altra estremità alla leva del miografo di Marey, che era sullo stesso piano della rana. Uno degli elettrodi era applicato attorno alla articolazione del ginocchio fissata con uno spillo: l’altro elettrodo era unito ad uno spillo infisso alla parte inferiore della gamba. I movi- menti del muscolo gastrocnemio erano così perfettamente liberi. (1) BezoLp, Untersuchungen aus den Phys. Lab. in Wiirzburg, fase. 1, 1867. (2) Fick e Bònm, Verh. d. Phys. med. Gesellschaft in Wikraburg, III, 198. (3) OverenD W.. Ueber den Einfluss des Curare und Veratrins auf die quergestreifte Muskulatur (Arch. f. exp. Path. u. Pharm., vol. 26, fase. I, 1889). 598 PIO MARFORI ESPERIENZA I. In una rana temporaria, disposta nel modo descritto e dopo aver distrutto il midollo, si eccita direttamente il muscolo ga- strocnemio con l’eccitamento uguale a 5 e col ritmo di 1". La temperatura ambiente è di 13°. Si ottiene il tracciato della fisura 1°, riprodotto nella tavola annessa, che rappresenta una serie di contrazioni normali. Esiste qui un leggero grado di contrattura che si vede dalla differenza di livello fra la base delle prime e delle ultime con- trazioni, ma l’altezza delle contrazioni è modificata in modo poco notevole. Dopo aver scritto questo primo tracciato si inietta alla rana sotto la pelle del dorso grm. 0,0001 di veratrina sciolta in mezzo c.c di acqua con acido tartarico. Dopo 10 minuti si scrive il stracciato della figura 2° colla medesima intensità di eccitamento. Dopo la prima contrazione il museolo non si rila- scia completamente, ma quando è giunto poco sotto a metà del- l’altezza, lo sorprende il secondo eccitamento e fa una contra- zione minore della prima. La 3°, la 4° e la 5° contrazione sono esse pure più piccole. Siccome però la base di queste contrazioni andò successivamente elevandosi, appare evidente l’effetto della contrattura. Alla 6° eccitazione il muscolo torna a rilasciarsi e la base delle successive contrazioni discende avvicinandosi all’ascissa. A questo punto si vede che l'altezza delle contrazioni va lentamente crescendo da A fino verso il punto B, e dopo le contrazioni diminuiscono di altezza quasi in linea retta fino al punto C. È questa la curva della fatica che vedremo presen- tarsi con dei caratteri assai più spiccati nei tracciati seguenti. La linea che passa per la base di tutte le contrazioni rappre- senta in questa esperienza press’'a poco una linea retta che va lentamente sollevandosi. Questa forma postuma della contrattura sì osserva pure nei muscoli normali. ESPERIENZA Il. Il tracciato della fig. 3° rappresenta una serie di contra- zioni ottenute eccitando direttamente il gastrocnemio di una rana temporaria la quale aveva ricevuto per iniezione sottocutanea INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 599 gr. 0.0002 di veratrina. Anche qui le contrazioni si succedono col ritmo di 1" e l'intensità dell’eccitamento è uguale a 5. Il muscolo risponde al primo eccitamento con una forte con- trazione e rimane contratto per 2°, per cui la curva segna un breve tratto orizzontale, poi discende; il 3°, il 4° eccitamento non producono alcun effetto e solo al 5° succede una debole contrazione. Quindi le contrazioni vanno man mano acquistando maggiore altezza sebbene irregolarmente e in ultimo sono molto alte e più regolari. La base delle contrazioni forma qui una curva la quale non è così regolare come nell’esempio precedente. I periodi di una contrattura più o meno forte che in questo tracciato appaiono poco distinti, vedremo in seguito che possono diventare più ma- nifesti accennando ad una variazione nello stato del muscolo. ESPERIENZA IIl. I tracciati delle figure 4% e 5° rappresentano l’azione della veratrina sui muscoli al suo massimo grado d'intensità. Il tracciato della fig. 4°, si ottenne dal gastrocnemio di una rana avvelenata da 30 minuti con gr. 0,0002 di veratrina per iniezione sottocutanea. Eccitamento = 6. Temperatura 15. Dopo una prima forte contrazione il muscolo si rilascia fino ad un certo punto, poi sì arresta in contrattura e rimane inec- citabile durante 7 eccitamenti. A11’8° fa una piccola contra- zione; la 9°, la 10° e le 20 contrazioni successive vanno gra- datamente aumentando di altezza in modo da costituire una curva che rappresenta quasi un quadrante di cerchio e poi le contrazioni decrescono successivamente in altezza formando come una S allungata. Invece la base delle contrazioni descrive prima una curva colla concavità rivolta in alto e poi non decorre come una linea retta, ma forma una leggera concavità rivolta verso il basso. In questo tracciato si ripete in tutta la serie delle contra- zioni da A fino in B un fatto che si osserva molto distinto nella prima contrazione, cioè, a poca distanza dall’apice nella discesa succede un leggero arresto del muscolo e subito dopo continua il rilasciamento. La supposizione che questo sia un fenomeno dipendente dalla inerzia dell'apparecchio non può accettarsi, perchè vediamo ché 600 PIO MARFORÌ nel principio della curva l’altezza dove succede questo arresto rimane costante quantunque l’altezza delle contrazioni vada cre- scendo e poi, malgrado che la loro altezza diminuisca, la linea d’arresto si conserva press’a poco orizzontale. Non sappiamo da che cosa dipenda questo fenomeno, il quale è la ripetizione di quanto si osserva esagerato nella prima con- trazione. Il tracciato della fig. 5° rappresenta un analogo esperimento dove si verificano gli stessi fatti ora descritti. Nella curva in- feriore della contrattura esistono delle ondulazioni caratteristiche dovute ad un cambiamento di stato del muscolo. A questo fe- nomeno do il nome di oscillazioni successive della contrattura. In molti tracciati queste oscillazioni sono anche più evidenti. CAPITOLO II. A) Influenza della veratrina sull’altezza delle contrazioni, sulla eccitabilità e sulla fatica dei muscoli. x E generalmente ammesso che la veratrina aumenti la forza del muscolo. Dalle mie esperienze risulta il fatto contrario. Nei tracciati delle figure 1° e 2°, si osserva già una diminuzione del- l'altezza delle contrazioni dopo l'iniezione di veratrina a piccola dose. Ma questo fatto appare più evidente in altri tracciati. EsPERIENZA IV. La figura 6* l’ottenni dal gastrocnemio di una rana normale del peso di gr. 60 con l’eccitamento = 8 e la temperatura = 14°. La figura 7° appartiene al muscolo omonimo dell’altro arto dopo iniezione sottocutanea di gr. 0,0002 di veratrina, nelle stesse con- dizioni di eccitamento e di temperatura. Nel tracciato della fig. 7° è ben distinto il fenomeno delle oscillazioni successive nella curva della contrattura. Dopo un certo numero di eccitamenti l'altezza delle contrazioni aumenta e raggiunge quella delle contrazioni normali (fig. 6*). La contrat- tura diminuisce e scompare quasi completamente. Ma in seguito la base delle contrazioni si solleva nuovamente come si è visto in altre esperienze. INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 601 ESPERIENZA V. Rana temporaria di gr 60 — Eccitamento 8, col ritmo di 1° -—- Temperatura 14°. Alle ore 3.10 p. eccito il gastrocnemio con una lunga serie di eccitamenti come si osserva nel tracciato della fig. 8%. Dopo la prima contrazione che, come in altri casi, è più bassa delle successive, si ha una lunga serie di contrazioni la cui base si solleva dall’ascissa per avvicinarsele poi di nuovo in modo da descrivere una linea a lieve concavità in basso. In seguito la linea della base delle contrazioni si solleva e più fortemente di prima senza più ridiscendere e costituisce ciò che dicesi contrat- tura dei muscoli normali. La linea che passa per l'estremità su- periore di tutte le contrazioni non è una retta, ma in principio descrive una curva a concavità in alto, poi un’altra curva a con- cavità in basso a circa metà della quale si osservano due con- trazioni più brevi, e finalmente discende gradatamente formando una lieve curva a concavità superiore. Le contrazioni si fanno sempre più brevi, ma sì mantengono abbastanza regolari. Il tracciato della fig. 9° ottenuto dal gastrocnemio dell’altro arto della stessa rana dopo 20 minuti dall’iniezione di 0,00025 di veratrina, presenta alcune particolarità degne di nota. Al primo eccitamento si ha una breve contrazione dopo la quale il muscolo non sì rilascia completamente, ma a metà della sua discesa è sorpreso dal secondo eccitamento e s’inalza poco al disopra del punto raggiunto colla prima contrazione. Questa volta il rilascia- mento è anche minore e al terzo eccitamento il muscolo fa una contrazione pressochè uguale alla seconda. Poi non si rilascia af- fatto, cosicchè la terza contrazione si vede distinta dalla quarta da un tratto orizzontale. Dopo la 4° contrazione il muscolo de- scrive una curva non uniforme dove esiste una sola piccola con- trazione. Finalmente Ia serie delle contrazioni successive segue un decorso che non differisce molto da quello descritto per il mu- scolo normale. Parlando della influenza della fatica sui muscoli veratrinizzati ritornerò ad accennare a questo tracciato, ma in- tanto è da notare che subito dopo la prima contrazione si pre- senta molto spiccatamente il fenomeno della contrattura la quale giunge a sorpassare di molto in altezza la contrazione primaria senza però essere confusa con questa, come talvolta accade. 602 PIO ‘MARFORI Lauder Brunton e Cash videro pure essi nei muscoli vera- trinizzati ‘che la contrattura appare talvolta distinta dalla con- trazione primaria e talvolta no, e che la contrattura può oltre- passare in altezza la contrazione primaria. Non riporto per brevità i tracciati ottenuti dal gastrocnemio di grosse rane temporarie mantenuto durante ciascuna serie di eccitamenti in forte grado di tensione da un peso di 1000 a 1500 grammi. Nonostante questo forte peso si osserva ancora nel muscolo veratrinizzato la curva caratteristica. Le contrazioni sono sempre più brevi che nel muscolo normale. Alla diminuzione dell'altezza delle contrazioni nel muscolo veratrinizzato si accompagna pure la diminuzione della eccitabilità muscolare. Accenno solo questo fatto, il quale è del resto am- messo da tutti gli autori. Dirò pure brevemente della influenza che la fatica esercita sui muscoli veratrinizzati. Basta soltanto osservare i tracciati, già descritti, delle figure 8° e 9*, per convincersi che i segni della stanchezza si manifestano più rapidamente sotto l’azione della veratrina che nelle condizioni normali. Infatti le contrazioni si impiccoliscono più rapidamente e diventano più irregolari, e la contrattura è molto più forte. Io ho pure osservato ripetutamente che la veratrina iniettata sotto la cute delle rane, non è capace di togliere dal muscolo gli effetti della stanchezza allorchè sono comparsi, nè di rialzare l’altezza delle contrazioni impiccolite dalla fatica, come, entro certi limiti, succederebbe secondo Rossbach nei cani. B) Influenza della durata e della intensità degli eccitamenti. Si è già notato che continuando per um certo tempo a far contrarre mediante eccitamenti ripetuti il muscolo veratrinizzato, allorchè l’avvelenamento non è molto grave, la curva caratteri- stica scompare e il muscolo si comporta quasi come uno nor- male. Però se si cessa per un certo tempo di eccitare il muscolo e poi di nuovo si ripete l’eccitamento, torna a presentarsi la curva caratteristica. Adunque i ripetuti eccitamenti non distruggono, ma sospendono l’azione della veratrina sul muscolo. Se l’avvelenamento è molto intenso la contrattura si mantiene alta anche per mol- tissimi eccitamenti, e le contrazioni sono sempre molto più pic- cole delle corrispondenti normali. ‘INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 605 Maggiore in principio è l'intensità degli eccitamenti e più spic- cati appaiono gli effetti della veratrina. In un muscolo in cui l’azione della veratrina è scomparsa per prolungati eccitamenti può riapparire se si aumenta l’intensità degli stessi. Ma ciò sol- tanto entro certi limiti, cioè, se l'eccitamento primitivo non fu molto forte nè troppo prolungato. CAPITOLO III. Contrattura spontanea nei muscoli della rana simile a quella per la veratrina e diversa da quella per il freddo. ESPERIENZA VI. La figura 10° rappresenta il tracciato del muscolo gastrocnemio di una rana normale con contrattura spontanea simile a quella da veratrina. L’eccitamento è uguale a 6 col ritmo di 1°. La tem- peratura è di 10°. Ho osservato questo fenomeno nello scorso marzo due volte su circa 200 rane sacrificate per queste espe- rienze. Le rane che presentarono la contrattura spontanea erano rimaste durante tutto l’inverno nelle vasche del Laboratorio. Ranvier (1) aveva già notato che in certe circostanze i mu- scoli della rana entrano in tetano dopo un solo eccitamento. Il tracciato che egli riporta è simile a quello della figura 10?. Frey (2) ha trovato che basta tenere una rana per un tempo più o meno lungo ad una temperatura inferiore a 10°, perchè l’ec- citamento dei nervi con una corrente costante produca il tetano. Secondo le mie esperienze la contrattura che si ha per il raf- freddamento dei muscoli è affatto diversa da quella normale o per azione della veratrina, come dimostrerò nel seguente capitolo. Tiegel e Frey osservarono pure che talvolta la contrattura normale nei muscoli delle rane manca completamente. Io ho po- tuto constatare questo fatto specialmente nelle rane acquistate in primavera. Le rane in cui la contrattura normale manca del tutto, risentono molto meno l’azione della veratrina. Altre sostanze sono capaci di agire sui muscoli come la ve- ratrina. Mediante la digitalina potei ottenere tracciati simili a (1) RanvieR, Archives de physiologie, pag. 1, 1874. (2) FREY, Archiv f. Anat. u. Phys., psg 44, 1883. 604 PIO MARFORI quelli descritti per la veratrina. Analogamente agiscono l’upas anthiar, la sabadillina, la delfinina, l’emetina e l’aconitina (Be- zold, Wejland). Dalle esperienze riportate fin qui risulta che: 1° Il fenomeno normale della contrattura si esagera per effetto della veratrina. 2° Per piccole dosi (0,0001) di veratrina la contrattura aumenta gradatamente col ripetersi dei primi eccitamenti, ma i muscoli rispondono ancora ad ogni eccitamento. In seguito la curva di contrazione del muscolo non differisce da quella normale. 3° Per dosi maggiori (0,00015-0,0002) il muscolo en- tra rapidamente in contrattura e diventa ineccitabile per un certo tempo. Quindi l’ effetto della veratrina va lentamente scom- parendo. 4° Per dosi forti (0,00025 0,0003) l’effetto della vera- trina è più intenso e duraturo.La linea che passa per la base di tutte le contrazioni va lentamente avvicinandosi all’ascissa, Poi si produce una contrattura successiva per cui la base va sollevandosi come nel tracciato normale. 5° La veratrina diminuisce l’altezza delle contrazioni e la eccitabilità del muscolo. La stanchezza si presenta prima nei mu- scoli veratrinizzati che non nei muscoli normali. 6° La diminuzione in altezza delle contrazioni che si pro- duce nella fatica non è un fenomeno che stia in stretto rapporto colla contrattura normale 7° Il ripetersi di un certo numero di eccitamenti fa scom- parire temporaneamente l’azione della veratrina sulla curva di contrazione del muscolo. Col riposo si ripresentano gli effetti della veratrina. 8° In certe circostanze i muscoli delle rane presentano spon- tancamente la curva di contrazione uguale a quella dei muscoli veratrinizzati. 9° Altre sostanze hanno la stessa proprietà della veratrina sui muscoli. 10° La contrattura da veratrina e quella che si presenta talvolta nel muscolo normale, non sono uguali alla contrattura da freddo. INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA, ECC. 605 CAPITOLO IV. Influenza del caldo e del freddo sui muscoli normali e veratrinizzati. Intorno a questo argomento pochi anni or sono hanno pub - blicato un importante lavoro Lauder Brunton e Cash (1). Io ho nuovamente studiata l'influenza del caldo e del freddo sui mu- scoli sani e veratrinizzati usando un metodo sperimentale diverso. Per eccitare il muscolo mi sono servito dell’apparecchio che ho già succintamente descritto nel primo capitolo, cioè, di una serie di eccitamenti uniformi di una corrente indotta di apertura. La rana veniva riscaldata o raffreddata alla temperatura voluta mediante immersione in una soluzione fisiologica di cloruro di sodio ad alta o a bassa temperatura. Il liquido, posto in mo- vimento da un motore ad elica, attraversava ora un serpentino circondato da acqua calda, ora un altro serpentino circondato di ghiaccio. Dopo pochi minuti di rapida circolazione, la solu- zione di cloruro di sodio assumeva la temperatura con cui si voleva sperimentare. L’immersione si eseguiva mediante una cas- settina di zinco che poteva mettersi in comunicazione con l’uno o con l’altro serpentino, e disposta in modo che, innalzandola, la rana vi rimanesse immersa senza subire alcun spostamento. Era soltanto necessario staccare durante l’immersione il filo che univa il muscolo alla leva del miografo; cosa che si faceva rapidamente. In generale la rana era tenuta nel bagno per 10 minuti, poi si abbassava la cassettina, si univa il muscolo alla leva del miografo, e si faceva l’eccitamento. Durante l’eccitamento si poteva esser certi che la temperatura del muscolo assunta nel bagno non era che di poco modificata. A) Azione della temperatura sui muscoli sani. ESPERIENZA VII. La figura 11° rappresenta il tracciato di un muscolo normale alla temperatura ambiente di 13° coll’eccitamento uguale a 6 (1) Lauder Brunton, Theodore Casa, Influence of hot and cold upon muscles poisoned by Veratria (The Journal of Physiology, Foster, vol. IV, pag. 1, 1883). 606 PIO MARFORI e il ritmo di 1°. Si vede in questo tracciato la contrattura che esiste quasi sempre in condizioni fisiologiche. Il tracciato della fig. 12° si è ottenuto dallo stesso mu- scolo dopo raffreddamento a 7°C. per 10 minuti. Dopo la prima contrazione si manifesta una contrattura la quale aumenta colle successive contrazioni e queste diventano molto piccole. Se lo stesso muscolo viene portato di nuovo alla tempera- tura di 13°C. presenta un tracciato simile a quello della fi- sura 11 che per brevità tralascio. La figura 13° rappresenta il tracciato di questo stesso mu- scolo dopo essere stato riscaldato per 10 minuti a 22°C. ed eccitato nelle stesse condizioni. Qui è molto aumentata l’altezza delle contrazioni e non esiste più contrattura; vi è anzi un certo grado di rilasciamento muscolare. Vediamo adunque che il freddo produce una forte contrattura, e diminuisce l'altezza delle con- trazioni. Il caldo invece fa scomparire la contrattura, aumenta l’altezza delle contrazioni e produce rilasciamento del muscolo. A temperature più alte (36°C.) e più basse (5°C.) gli effetti descritti sono anche più evidenti, e se si ritorna alla temperatura ambiente il muscolo funziona ancora regolarmente. Oltre un certo limite però, tanto per il caldo come per il freddo, la fun- zionalità del muscolo viene distrutta. Nel precedente capitolo ho fatto notare come la contrattura che si osserva eccezionalmente nei muscoli di rana e la con- trattura prodotta dalla veratrina sieno diverse da quella per il freddo. Questa differenza consiste in ciò che: 1° La contrattura per il freddo è lieve in principio, au- menta col numero degli eccitamenti e non scompare nè dimi- nuisce col lungo ripetersi degli stessi. Le altre due forme di contrattura al contrario sono forti in principio, poi diminuiscono e scompaiono ; 2° Durante la contrattura per il freddo le contrazioni di- minuiscono uniformemente di altezza dalla prima delle ultime. Durante la contrattura per veratrina o nella contrattura nor- male succede il fenomeno inverso ; 3° In queste ultime forme di contrattura vi è in prin- cipio un periodo in cui il muscolo è ineccitabile; invece in quella per il freddo il muscolo risponde sempre agli eccitamenti finchè. non sia esaurito dalla stanchezza. INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA, ECC. 607 B) Azione del caldo e del freddo sui muscoli veratrinizzati. Lauder Brunton e Cash hanno trovato che il caldo aumenta l’azione della veratrina e il freddo la diminuisce; che gli estremi del caldo e del freddo distruggono permanentemente gli effetti della veratrina. Molte altre sostanze agiscono analogamente alla veratrina in riguardo alle diverse temperature (1). EsPERIENZA VIII. In una rana temporaria di 55 gr. ho iniettato 0.0002 di veratrina sotto la cute e dopo 20 minuti ho ottenuto un trac- ciato che presentava tutte le caratteristiche dell’azione della veratrina. Ho immersa la rana per 10 minuti nel bagno alla temperatura di 5°, 5 C. e quindi collo stesso eccitamento usato prima (Eccit. = 6) ottenni il tracciato della figura 14° In questo tracciato non si riscontrano più gli effetti della veratrina e possiamo considerarlo identico a quelli ottenuti dai muscoli normali alla stessa temperatura. EsPERIENZA |X. L'alta temperatura favorisce l’azione della veratrina. Le ft- gure 15°, 16* e 17° rappresentano i tracciati di uno stesso mu- scolo dopo l'iniezione sottocutanea di 0,00015 di veratrina con l’eccitamento uguale a 5. Il tracciato della figura 15° si ottenne alla temperatura di 153°, 5 (temp. del, bagno). Dopo 10 minuti di raffreddamento a 6° C. si ebbe il tracciato della fig. 16°, dove non sì osserva più la forma caratteristica della contrattura da veratrina. La' figura 17° rappresenta il tracciato dello stesso mu- scolo dopo 10 minuti di riscaldamento a 25° C. ed è caratteristico per la veratina. Talvolta ho osservato che il gastrocnemio di una rana avve- lenata con veratrina e lasciata a sè per alcune ore (12-24), finchè sieno scomparsi i segni generali dell’ avvelenamento, non presenta la curva caratteristica alla temperatura ambiente, ma compaiono gli effetti veratrinici se si innalza la temperatura. (1) LucHsinGER, Thermisch towicologische Untersuchungen Physiologische studien von D, P. GrbTzwER v. D. LucasinaRR, 1882. 608 PIO MARFORI Il freddo e il caldo molto intensi agiscono come nei muscoli normali, cioè ne spengono la eccitabilità. I risultati delle mie esperienze sulla influenza della tempe- ratura sui muscoli veratrinizzati, concordano adunque con quelli di Lauder Brunton e Cash, CAPITOLO V. Azione della veratrina sui muscoli lisci delle rane. Ho scelto per queste esperienze la vescica orinaria, la quale veniva estirpata da rane normali e veratrinizzate dello stesso peso e tenute in identiche condizioni. Si faceva l’eccitamento con una corrente indotta della slitta di Du Bois Reymond, e la grafica era scritta per mezzo di una leva sollevata dalla vescica disposta in senso verticale. La durata dell’eccitamento era di 3" a 5°, e si cominciava con eccitamenti minimi. I muscoli lisci per la lentezza delle loro contrazioni sì pre- stano poco allo studio della veratrina. Ho tuttavia potuto osser- vare che la eccitabilità ne è diminuita e che l’altezza e la du- rata della contrazione appaiono molto aumentate. La contrazione raggiunge il suo massimo d’altezza con un certo ritardo, perchè la leva seguita ad innalzarsi per un certo tempo dopo finito l’eccita- mento. Poi il muscolo discende assai lentamente all’ascissa. Questa curva adunque è simile a quella che viene generalmente descritta anche per i muscoli striati e che ho potuto ottenere dal gastrocne- mio collo stesso metodo di eccitamento (eccitamento tetanizzante). Per quanto si è detto intorno ai muscoli striati questo au- mento nell’altezza della curva di contrazione dei muscoli lisci deve considerarsi, a mio avviso, come un fatto di contrattura e non può essere attribuito ad aumento della forza delle contrazioni (1). (1) | Yriloni sono assai sensibili all’ azione della veratrina, e presentano dei movimenti che richiamano alla mente molto bene quelli delle rane vera- trinizzate. Meno sensibili invece all’azione sui muscoli sono le tinche e le anguille, in cui però la veratrina riesce mortale anche in dosi piccole relativamente a quelle tollerate dalle rane, senza che si manifesti una speciale rigidità nei movimenti. Nell’anguilla e nella tinca ho notato in un primo periodo dell’ avvelenamento un acceleramento dei movimenti respiratorii. Dopo un tempo variabile a seconda della dose si ha paralisi generale, INFLULNZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 609 CAPITOLO VI. Azione della veratrina sui muscoli dei cani. Il metodo usato è lo stesso che nelle precedenti ricerche nelle rane. Però al miografo di Marey era sostituito l’ergografo di Mosso (1). L'animale cui veniva fatta la tracheotomia e ta- gliato il midollo lombare, era solidamente fissato all’apparecchio di contenzione. Veniva isolato lo sciatico e vi si applicavano gli elettrodi della corrente indotta di apertura. Il tendine di Achille staccato in basso dalle sue inserzioni era unito con un grosso filo all’ergografo. ESPERIENZA X. Cane di Kgr. 15. Peso attaccato all’ergografo gr. 500, Ec- citamento uguale a 7 col ritmo di 1". La fig. 18° rappresenta il tracciato normale del muscolo ga- strocnemio prima della iniezione della veratrina. Si osserva in principio una lieve contrattura. Si inietta quindi sotto la cute del cane 0,015 di veratrina (soluzione tartarica) e dopo 10 minuti si ottiene il tracciato della fig. 19* nel quale non si vede alcuna di quelle modificazioni nella curva di contrazione che sono state descritte per le rane. Si fa una seconda iniezione sottocutanea di 0,01 di vera- trina e dopo 15 minuti si ottiene il tracciato della fig. 20°, nel quale, come nel tracciato normale, si nota che la prima con- trazione è più bassa delle successive. La contrattura non è quasi affatto modificata. Le contrazioni dapprima sono più basse di quelle ottenute in condizioni normali, poi vanno aumentando col numero degli eccitamenti e raggiungono infine l’altezza delle con- trazioni normali. Questo fatto potrebbe essere attribuito all’azione della veratrina e sarebbe in analogia con ciò che avviene nelle rane. Tuttavia è da ricordare che un aumento sull’altezza delle contrazioni col progredire degli eccitamenti, è stato osservato nei muscoli dei cani anche in condizioni fisiologiche. (1) Mosso A., Le leggi della fatica studiate nei muscoli dell’uomo (R. Acc. dei Lincei, serie 4, vol. V, 1888). Atti della R. Accad. - Parte Fisica. ecc. — Vol. \XV 44 610 PIO MARFORI ESPERIENZA XI. Cane di Kgr. 18. Peso attaccato all’ergografo gr. 200. Ec- citamento ad ogni secondo. I tracciati delle fig, 21° e 22° sono stati ottenuti dal muscolo gastrocnemio prima -di somministrare la veratrina. Nel primo tracciato l’eccitamento è uguale a 6,5; nel secondo è uguale 5. Si inietta nella giugulare del cane 0,003 di veratrina e appena finita l’iniezione si ottiene il tracciato della fig. 24°, con l’eccita- mento uguale a 6,5, in cui nulla è cambiato dal tracciato nornfale se si eccettua una certa diminuzione dell’altezza delle contrazioni. Il tracciato della fig. 24* è preso dopo tre minuti dalla stessa iniezione di veratrina con l’eccitamento di 5. L'altezza delle con- trazioni è un po’ maggiore che nel tracciato precedente, ma in- feriore che nel tracciato normale. Dopo dieci minuti si inietta nella giugulare un’altra dose di veratrina uguale alla prima (0,003). Il tracciato della fig. 25° è preso 1 minuto dopo l’iniezione, con l’eccitamento di 5. Vi si osserva una maggiore diminuzione nell’altezza delle contrazioni e una lieve contrattura che si presenta dopo la prima contrazione e si ripete nelle quattro successive. Evidentemente questo non è che un lieve accenno alla curva caratteristica descritta per i muscoli delle rane. Una terza iniezione di 0,006 nella giugulare non ha pro- dotti altri cambiamenti notevoli nella curva delle contrazioni, ma l’animale è morto dopo alcuni minuti. Sui muscoli dei cani la veratrina non ha adunque quella notevole influenza che esercita sui muscoli delle rane. Tuttavia si osserva sempre, anche per le piccole dosi e non tossiche, la di- minuzione dell’altezza delle contrazioni e talvolta una leggera contrattura. Non ho eseguite esperienze in altri animali a sangue caldo non parendomi necessario dopo i risultati ottenuti nei cani, i quali confermano ciò che si era visto nelle rane intorno all’azione della veratrina. Nei conigli Rossbach e Clostermeyer (1) avrebbero osservato (4) RossBacH, Muskelversuche an Warmblitermuskels durch Curare, Gua- nidin, Veratrin (Pflùger’s Archiv, vol. 13, pag. 607, 1876). INFLUENZA DELLA VERATRINA CRISTALLIZZATA ECC. 611 aumento dell’altezza delle contrazioni e la curva caratteristica dopo iniezione di 0,01 di veratrina nella giugulare. Tuttavia questo aumento sarebbe di breve durata e dopo pochi ecci- tamenti si manifesterebbero i segni della stanchezza. Per dosi di 0,02 si ha, secondo i suddetti autori, rapida diminuzione nell’altezza delle contrazioni senza che si presenti la curva ca- ratteristica. L'aumento, quantunque di breve durata, nell’altezza delle contrazioni, osservato da Rossbach nei conigli, non è in accordo colle mie esperienze nelle rane e nei cani. Ciò che fino ad ora ho esposto dimostra che l’azione della veratrina è caratteristica principalmente per 1 muscoli delle rane. Il fatto più importante di questa azione è la contrattura, ma anche la eccitabilità muscolare è diminuita e può mancare com- pletamente per alcuni eccitamenti. Le contrazioni sono più piccole e i segni della stanchezza compaiono più rapidamente che nei muscoli normali. Tutto ciò indica che la veratrina non favorisce, come è ge- neralmente ammesso, la funzione fisiologica della contrazione, ma è al contrario un potente veleno dei muscoli, perchè ne disturba o sopprime le proprietà fisiologiche e vi richiama fenomeni di natura morbosa. Gli effetti della veratrina sui muscoli però scompaiono o di- minuiscono dopo un certo numero di contrazioni. Eccezionalmente in alcune rane normali può presentarsi una contrattura del tutto simile a quella della veratrina. Questa con- trattura fu descritta da Ranvier e non è che l’esagerazione della contrattura che si trova quasi costantememente nelle rane in condizioni fisiologiche e che recentemente fu dimostrata da Mosso anche nei muscoli dell’uomo. Altre sostanze sono capaci di portare una contrattura simile a quella da veratrina. La contrattura da veratrina non può attribuirsi ad un au- mento della eccitabilità del muscolo che è invece diminuita. Nemmeno pare ammissibile si tratti di una speciale forma di stanchezza del muscolo perchè col ripetersi degli eccitamenti 612 PIO MARFORI la contrattura diminuisce e scompare, mentre aumenta l'altezza delle contrazioni. Le mie esperienze non permettono di trarre alcuna conclusione sull’intimo modo di agire della veratrina sui muscoli. È tuttavia da tenersi conto dell'identità della contrattura per la veratrina con quella che in speciali condizioni si osserva nelle rane nor- mali. Questo fatto dimostra che nell'organismo delle rané pos- sono trovarsi talvolta tali condizioni per le quali i muscoli con- traendosi subiscono le stesse modificazioni che per l’azione della veratrina. i Eseguii questo lavoro per consiglio del sig. prof. A. Mosso, al quale sento il dovere di esprimere la mia più viva gratitudine. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. | | laici int. Pe Vas l'a RE I e nd TETI NODI I I n O O e, e È | ig di; | pt AM mr _ ni “" vin — | Di buo II È Neg “dame 1 v "=== == ==“ === === | n EE= . pai N = === È 4 III {NIETO Siti Ì I (il KE HINIUTARI EFEEIMIAONIETe VII I (FIAATUNT ii I Mj | N I | | ij | | it il == | i T la ll dai Pa Ù tia i Ni Li Ù i _ | = | == Mb no to Min Lutti Saia 618 INDICE DEL VOLUME XXV MEER CTASSI UDITO: ritiri bce - 101 vPago@149, 207 Apunanze della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali . » 1, 59, 97, 143, 153, 209, 217, 251, 265, 341, 369, 275, 431, 459, 561. CONFERIMENTO del VI premio BRESSA ...... ..............0.. 0 » (207 AscHIERI (Tommaso — Effemeridi del Sole e della Luna per l’oriz- zonte di Torino e per l’anno 1890. ... ................ sea di Basso (Giuseppe) — Commemorazione di Gilberto GovI...... cet para ei —— Commemorazione di Giacomo PRESCOTT JOULE ........ vate D - IO BELTRAMI (Eugenio) — Eletto Socio nazionale non residente ....... DI Bizzozero (Giulio) — Nuove ricerche sulla struttura del midollo delle CISTI VA] RR SE RA . » 106 BuscaLIONI, vedi MATTIROLO. CameRANO (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Prof, F. Sacco, intitolata « / Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria; Parte VII, Harpidae e Cassididae ................ » 248 CasteLNUOvo (Guido) — Sulle superficie algebriche le cui sezioni sero cure di: genere ‘30,310. VILNRON tr ib ft » 465 Cattaneo (Carlo) — Sulla dilatazione termica di alcune amalgame allo'stato"ifquido” 2007 SQ, CUDIAA SR rtl 00M .. » 342 CayLEY (Arturo) — Eletto Socio Straniero .............. Sine Rai RE CHaveau (Augusto) — Eletto Corrispondente ........ AGERIE bio e GR 614 INDICE DEL VOL. XXV Cossa (Alfonso) — Comunicazione preventiva « Sui composti del pla- ZE ST OI IRR II AI Pag. 341 CREMONA (Luigi) — Eletto Socio nazionale non residente ..... RE FaBRI (Cornelia) — Sopra alcune proprietà generali delle funzioni che dipendono da altre funzioni e da linee..................... » 432 FERRARIS (Galileo) — Relazione intorno alla Memoria « Sulla teoria della trave continua » dell’ Ing. Prof. C. GUIDI. ............ » 338 --— Relazione intorno alla Memoria del Prof. Scipione Cappa « Sui gelli ascendenti di A Senta nie SO » 564 FERRIA (G. G.) — Sulla stabilità delle volte caricate colla regola di Schafedler.i: cu Ri Rata edo TRE E » 360 FostER (Michele) — Eletto Corrispondente ................... 2 siva A E FUSARI (R.) e Panascì (A.) — Sulle terminazioni nervose nella mucosa e nelle ghiandole sierose della lingua dei mammiferi ....... » 573 GaRzino (L.) — Ricerche sul Clorobibromo e Bromobiclorofenolo e sulla loro trasformazione in chinoni ........ I. »v 154 -—— Ricerche sul Metabicloro e sul Metabibromofenolo .......... » 167 GERBALDI (Francesco) — Sui combinanti di tre forme ternarie qua- | dratiche ..... E AI GI RA » 1258/08 Giacosa (Piero) — Studi suila produzione dell’acido urico negli or- BAMISOAN: a IA e AI » 496 GiGLIO-Tos (E.) — Nuove specie di Ditteri del Museo zoologico di Torino ® 0. 006 è 60 » 0 0. © 0 e 0 0 00 «e ® s 000060000600 00 000 » 317 GRraNDIS (V.) — Sulle modificazioni degli epitelii ghiandolari durante fa ‘sberezione 10101 I NICALELI TI RA SO 0. » 4535 HEIDENKHAIN (Rodolfo) eletto Corrispondente ...... dp... » 59 JADANZA (Nicodemo) -- Sul modo di adoperare gli elementi geodetici dell'Istituto geografico militare italiano ............. .. » 60, 274 -— Influenza degli errori strumentali del teodolite sulla misura delle distanze zenitali .......... ERI OTTO ». 98% MARFORI (Pio) — Intoruo all’azione della veratrina cristallizzata sui muscoli Ricerche"). ipa A »o 596. MARTINETTI (Maltia) — Sul calore specifico dell’acqua al disotto di 0°. Ricerche sperimentali 4.0.0; ./00.0, (dor LORO » 565 INDICE DEL VOL. XXV MatTIROLO (Oreste) e BuscaLioni (Luigi) — Sulla funzione della linea lucida nelle cellule malpighiane ......................»-. Pag. Mingazzini (Giovanni) — Intorno al decorso ed ai rapporti del Pedun- culus cerebelli medius e del Corpus restiforme ............. sia MONTEMARTINI (Clemente) — Composizione chimica e mineralogica di una roccia serpentinosa di Borzanasca (Riviera Ligure) ,. > Naccari (Andrea) — Relazione sul VI premio Bressa .............. — Sulla dispersione della elettricità per effetto del fosforo e delle scintille elettriche ...... PIA RARCI DINO tane Li Sa ia —— Relazione intorno alla Memoria BatTELLI « Sulle proprietà ter- miche dei vapori », Parte Il ........-...........0.. sata NEGRO (Camillo — La terminazione nervosa motrice nei muscoli striati ; Nota prima (Nuovo metodo di colorazione) .......... TO. OMODEI, vedi VICENTINI. Ovazza (Elia — Sulle superficie d’inflnenza per le reazioni d’ osta- colo e molecolari nei sistemi staticamente determinati ...... -— Il poligono funicolare in cinematica ........ SE Oto » PAGLIANI (S.) — Sull’origine della forza elettromotrice nelle coppie Nipneleitrighe ................ . Panascì, vedi FUSARI. PiERI (Mario) — Sulla corrispondenza algebrica fra due spazi rigati » ProLTI (Giuseppe) — I minerali del gneiss di Borgone (Val di Susa) » PizzETTI (P.) — Sopra il calcolo della refrazione terrestre ........ Porro (Francesco) — Sulla differenza di longitudine fra gli Osserva- torii astronomici di Milano e di Torino . -—- Sulle determinazioni di latitudine eseguite negli anni 1888, 1889, 1890 all’ Osservatorio di Torino —— Sulla stella variabile U Orionis ( Chandler 2100) ) Sacco (Federico) — Sopra una mandibola di Ba/aenoptera dell’Astigiana » SALVIOLI (1.) —- Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle glandole gastriche ..... 0000000 000 SEGRE (Corrado) — Relazione intorno alla Memoria di Gino Loria intitolata: « Periodo aureo della Geometria greca » —— Ba-nuovo campo di ricerche geometriche . oe” RT IN KIEL) SELLA (Alfonso) — Sulle leggi di geminazione del dicromato potassico » SPEZIA (G.) — Commemorazione del Socio Prof. Luigi BELLARDI .... » < 615 210 370 145 29 322 144 376 103 461 616 INDICE DEL VOL. XXV Vactre (Guido) — Sulle equazioni differenziali alle quali soddisfanno il modulo ed il moltiplicatore nella trasformazione delle fun- zioni ellittiche li ia ia Pag. VICENTINI (G.) e OmopEI (D) — Sulla resistenza elettrica di alcuni matalli facilmente: fusibili. oc ia E » VircHow (Rodolfo) — Eletto Socio Straniero .............-/ 00...» » VirGiLio (Francesco) — Il permo-carbonifero di Valle Stretta (alta Valle "della: Dora ‘fuparias: sat tr Loro 700 dale SORIA » WaLDEYER (Guglielmo) — Eletto Corrispondente .................. CRE Torino, Stamperia keale della Ditta G. B. Paravia e €, E, n LL n 0! ADUNANZA det: e Giugno 1890. Nacossi — Relazione a alla Momà « Sulle proprietà. dr. miche dei vapori. », del Dott. ‘Angelo BATTELLI oi agi È ARL I FERRARIS — Relazione sulla Memoria. c Sui getti ascendenti » »; pre sentata dell'Tngegnere Scipione Cappa. 2g ° e Di ka MartiNETTI _ Sul calore ig dico, al ‘distto a ad NB. È pere foi va dina: la Tavola tiva alla Memoria del Sea Dal: Rec o nella Dispensa 12%. ca d Po . do x la C. È ’ na ‘ MILLI 5185 00297 484