‘ ' CTR 4‘ » l f Vate Ngipiaigoranafe 1* x ” 20] i, nu P Qui SILLA ni (4 ’ pa n iu ' bi Ù Ù (I #y43 1° ULI 6 e, I Y Ù LIES A di 7 Salito 7 è amo buepg gti T8b 4 .’ 0, cad i ni l DI | Si dvi argini j pare x ri l ì si SOIT @ pro Ù i , ire CENTRI INIL i bl SUI CULZLIS “ CILLII fresid + ERI Li . . ' dos set E lame shr ndi 44 fan n° gt g 49 Ae i # î , i ‘ o ' ì i ' Hi sta Le degl y vi A ° 0 VESCICA Paige n è Ù y iv. n o va nti A tai doni x Ù n I suse è Ù . , i D] I] P Ù io ATI [ar] Li ppi ;30, (I di dua'p PA l j° FAI PAPA ST) si, Pia ” "pià "4 imp sa i 1" Ni È LIA iaia] è ssi î i Cee be ì "A ” , i si dii Pure 5 v : è ds po ì 1 i { Ti chi x ù : AU SA Diipiaie stili 4 sue: tr; matpii pueforgor® i 4 IGI pet Ù Mr pio , Pi pa : DI cip nR n È i, wr dii cd n pitt Ir SIAT dl p/a PRETI 4 ‘ sedi eri «4 0) I" wregli far sebt v° Mete dh, gag de ' dpf eo PB; iena - tune agiata i pri t tig sé è »° A Mat a Hi feno lai TA vat e RI I RIRRRBZLA sE BLTO tai : A CO Faina 3 U ì l NECA 1 : MATER ACICIO ad FOR THE ‘PEOPLE FOR EDVCATION FOR SCIENCE OF THE AMERICAN MUSEUM OF NATURAL HISTORY BY GIFT OF OGDEN MILLS ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VOLUME TRENTUNESIMO 1895-96 New York Academy of Sciences Rec'a.28 vuly--12 Sapt. 1890 TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1895 29-113/S2- Ru9/7 E SIRO TE n ge ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI aL 17 NoveMBRE Mpcccxcv. PRESIDENTE CARLE (Giuseppe), Dottore aggregato e Preside della Facoltà di Leggi, Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore della Istruzione Pubblica, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, #, Comm. es. VIcE-PRESIDENTE Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino, Professore di Chimica docimastica nella medesima Scuola, e di Chimica mi- nerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Ita- liana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, e della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio ordinario non residente dell'Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Presidente della Reale Accademia di Agricoltura di Torino, e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio ef- fettivo della Società Imperiale Mineralogica di Pietroburgo, — Comm. &, €, e dell'O. d’Is. Catt. di Sp. IV TESORIERE CameRrANO (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia. comparata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricol- tura di Torino, Membro della Società Zoologica di Francia, Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Direttore D’Ovipio (Enrico), Dottore in Matematica, Professore ordi- nario di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi superiore, e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi e Praga, ecc., Uffiz. &, Comm. es. Segretario NaccarI (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Socio Cor- rispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, e della R. Accademia dei Lincei, Uffiz. &, ©. ACCADEMICI RESIDENTI SaLvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chi- rurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università "di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro Corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della So- cietà dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, Socio Straniero della British Ormithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio Straniero dell’ American Ornithologists Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordinario della So- cietà Ornitologica tedesca, Uffiz. «2, Cav. dell'O. di S. Giacomo del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). Cossa (Alfonso), predetto. Berruti (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Ita- liano e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Membro del Consiglio Su- periore delle Miniere, Gr. Uffiz. e; Comm. +, dell’O. di Francesco Giuseppe d'Austria, della L.‘d’O. di Francia, e della Repubblica di S. Marino. D'Ovipro (Enrico), predetto. Bizzozero (Giulio), Senatore del Regno, Professore e Diret- tore del Laboratorio di Patologia generale nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei e delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio Straniero dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, Socio Corrispondente del R. Istituto Lom- vil bardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, ecc. Uffiz. * e Gr. Uffiz. em. FeRrRARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Fa- coltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Uni- versità di Torino; Professore di Fisica tecnica e Direttore del Laboratorio di Elettrotecnica nel R. Museo Industriale Italiano, Prof. di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Membro del Comitato Internazionale dei pesi e delle misure e della Commissione Su- periore metrica; Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio Straniero dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, Membro onorario della Società di Fisica di Franco» forte sul Meno, e dell’Associazione degli Ingegneri elettricisti dell'Istituto Montefiore di Liegi; Uff. &; Comm. e, dell'O. di Franc. Gius. d'Austria e dell'O. reale della Corona di Prussia. Naccari (Andrea), predetto. Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Profes- sore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Medicina di Torino, Socio onorario della R. Accademia medica di Roma, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, della R. Accademia medica di Genova, Socio dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio Corrispondente del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Caro- lina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di Scienze mediche e naturali di Bruxelles, della Società fisico-medica di Erlangen, ecc. ecc., &, Comm. «s. SPEZIA (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia e Di- rettore del Museo mineralogico della Regia Università di Torino, =. VII GiseLLI (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Pro- fessore di Botanica e Direttore dell’Orto botanico della R. Uni- versità di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, &, €». Giacomini (Carlo), Dottore aggregato in Medicina e Chirurgia, Professore di Anatomia umana, descrittiva, topografica ed Isto- logia, Corrispondente dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino e Direttore dell’Istituto Anatomico della Regia Università di Torino, *, es». CameRrANO (Lorenzo), predetto. Seere (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geo- metria superiore nella R. Università di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e. Pravo (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Cal- colo infinitesimale nella R. Università di Torino, Socio della “ So- ciedad Cientifica , del Messico, Socio e Membro del Consiglio direttivo del Circolo Matematico di Palermo. VoLrerra (Vito), Dottore in Fisica, Professore di Meccanica razionale nella R. Università di Torino, e. JADANZA (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geo- metria pratica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri, Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli, e. Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Anatomia Patologica nella R. Università di Torino, Socio Na- zionale della R. Accademia dei Lincei, es. VIII ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI MenaBREA (S. E. Luigi Federigo), Marchese di Val Dora, Senatore del Regno, Professore emerito di Costruzioni nella R. Università di Torino, Tenente Generale, Primo Aiutante di campo Generale Onorario di S. M., Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze), Membro Onoraric del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Lettere e Scienze di Modena, Uffiziale della Pubblica Istruzione di Francia, ecc.; C. O. S. SS. N., Gr. Cr. e Cons. *, Cav. e Cons. ©, Gr. Cr. 8, «, dec. della Medaglia d’oro al Valor Militare e della Med. d’oro Mauriziana; Gr. Cr. dell'O. Supr. del Serafino di Svezia, dell’O. di S. Alessandro Newski di Russia, di Danebrog di Danim., Gr. Cr. dell'O. di Torre e Spada di Portogallo, dell'O. del Leone Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità di Sassonia, della Corona di Wurtemberg, e di Carlo II di Sp., Gr. Cr. dell'O. di S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo d'Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone di Zihringen di Baden, Gr. Cr. dell'Ordine del Salvatore di Grecia, Gr. Cr. del- l’Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordini del Nisham Ahid e del Nisham Jftigar di Tunisi, Gr. Cr. dell'Ordine della L. d’O. di Francia, di Cristo di Portogallo, del Merito di Sassonia, di S. Giuseppe di Toscana, Dottore in Leggi, honoris causa, delle Università di Cambridge e di Oxford, ecc., ecc. BrroscHi (Francesco), Senatore del Regno, Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Presidente della R. Acca- demia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Istituto di Bo- logna, ecc., Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, di Pietroburgo, del Belgio, di Praga, di Erlangen, ecc., Dottore ad honorem delle Università Ue 2 it I e ga tin dt Lenti TX di Heidelberg e di Dublino, Membro delle Società Matema- tiche di Parigi e di Londra e delle Filosofiche di Cambridge e di Manchester, Gr. Cord. &, della Legion d’Onore; es, =, Comm. dell'O. di Cr. di Port. Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze di Baviera e della Società Reale di Londra, Comm. «, Gr. Uffiz. ©»; =. ScnrapARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio Corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de’ Naturalisti di Mosca e della Società astrono- mica di Londra, Gr. Cord. e; Comm. %; ©. Sraccr (Francesco), Senatore del Regno, Colonnello d’Arti- glieria nella Riserva, Professore onorario della R. Università di Torino, Professore ordinario di Meccanica razionale ed Incaricato della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli; Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, e dell’Accademia Pontaniana; Corrispondente del R. Istituto Lom- bardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze del- l’Istituto di Bologna; Uff. &, Comm. i, Cav. del Merito Militare di Spagna. Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Mate- matica superiore nella R. Università di Roma, Direttore della Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, Membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, Presidente della Società x Italiana delle Scienze (detta dei XL), Socio Nazionale della R. Ac- cademia dei Lincei, Socio del R. Istituto Lombardo, del R. Isti- tuto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edim- burgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi e di Copenaghen, delle Società matematiche di Londra, di Praga e di Parigi, delle Reali Accademie di Napoli, di Amsterdam e di Monaco, Membro onorario dell’Insigne Accademia romana di Belle Arti detta di San Luca, della Società Filosofica di Cambridge e dell’ Associa- zione britannica pel progresso delle Scienze, Membro Straniero della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente delle Reali Accademie di Berlino e di Lisbona, Dottore (LL. D.) del- l’Università di Edimburgo, Dottore (D. Sc.) dell’Università di Dublino, Professore emerito nell'Università di Bologna, Gr. Uffiz. &, Gr. Cord. «2, Cav. e Cons. ©. BeLTRAMI (Eugenio), Professore di Fisica matematica nella R. Università di Roma, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio effettivo del R. Istituto Lombardo e della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio estero della R. Ac- cademia di Gottinga, Socio Corrispondente della R. Accademia. di Berlino, della Società Reale di Napoli, dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Meccanica), della Società Matematica di Londra, Comm. %; ee, =. ACCADEMICI STRANIERI Hermte (Carlo), Professore nella Facoltà di Scienze, Parigi. WeierstRass (Carlo), Professore nell'Università di Berlino. THomson (Guglielmo), Professore nell'Università di Glasgow. GecENBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg. VircHow (Rodolfo), Professore nell’ Università di Berlino. KoeLLiKER (Alberto von), Professore nell’ Università di Wirzburg. CORRISPONDENTI SEZIONE DI MATEMATICHE PURE Tarpy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova CanroRr (Maurizio), Prof. nell'Università di Scnwarz (Ermanno A.), Professore nella Università di . KLEIN (Felice), Professore nell'Università di Dini (Ulisse), Professore di Analisi supe- riore nella R. Università di Bertini (Eugenio), Professore nella Regia Università di . Darsoux (G. Gastone), dell’Istit. di Francia Porncaré (G. Enrico), dell’Istit. di Francia NoerHER (Massimiliano), Professore nell’ Uni- versità di BrancHi (Luigi), Professore nella R. Uni- versità di Lie (Sophus), Professore nella R. Univer- MR RR + PALIO ATA Mor et Firenze Heidelberg Gottinga Gottinga Pisa Pisa Parigi Parigi Erlangen Pisa Lipsia. XII SEZIONE DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA E SCIENZA DELL’INGEGNERE CIVILE E MILITARE FergoLAa (Emanuele), Professore di Analisi superiore nella R. Università di . . . . . . Napoli TaccHINI (Pietro), Direttore dell’Osserva- torio del Collegio Romano . . . . . . .. Roma FaseLLA (Felice), Direttore della Scuola na- vale Superiore di diluvio Ue: er LoiziveniGenona HoPpxInson (Giovanni), della Società Reale di Londra ZEUNER (Gustavo), Profes. nel Politecnico di Dresda Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nel- lUmwersità| di oa iii E Iene AdereniE Lorenzoni (Giuseppe), Prof. nella R. Uni- versità di Padova SEZIONE DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE BLAsERNA (Pietro), Professore di Fisica spe- rimentale nella R. Università di. . . . . . Roma ‘ KonLRAUSCH (Federico), Presidente dell’Isti- tuto Fisico-Tecnico in . . . . . . . . .. Charlottenburg Cornu (Maria Alfredo), dell’Istit. di Francia Parigi FeLici (Riccardo), Professore di Fisica spe- rimentale nella R. Università di. ViLLarI (Emilio), Professore nella R. Uni- versità di Rorri (Antonio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in WieDEMANN (Gustavo), Professore nell’Uni- versità di Rieni (Augusto), Professore di Fisica spe- rimentale nella R. Università di LrippmAnN (Gabriele), dell'Istituto di Francia BaRroLI (Adolfo), Professore di Fisica nella R. Università di . RavLEIrH (Lord Giovanni Guglielmo), Pro- fessore nella “ Royal Istitution , di SEZIONE Pisa Napoli Firenze Lipsia Bologna Parigi Pavia Londra DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA Bonsean (Giuseppe) PLanraMouR (Filippo), Prof. di Chimica WixL (Enrico), Professore di Chimica . Bunsen (Roberto Guglielmo), Professore di Chimica . BerrHELOT (Marcellino), dell’Istit. di Francia Chambéry Ginevra Giessen Heidelberg Parigi XIII XIV ParEeRNÒ (Emanuele), Professore di Chimica nella R. Università di... uo ibidtizioni ti E Palermo KorNER (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola super. d’Agricoltura in. Milano FrIepEL (Carlo), dell’Istituto di Francia . Parigi FresenIus (Carlo Remigio), Professore a . Wiesbaden BaEyER (Adolfo von), Professore nell’Uni- WISTS ARTI KekuLE (Augusto), Prof. nell'Università di Bonn Winuiamson (Alessandro Guglielmo), della TIRI SISMI ROMEO RCA RR Pa Si THomsen (Giulio), Prof. nell'Università di. Copenaghen LieBEn (Adolfo), Professore nell'Università di Vienna MenpELEJEFF (Demetrio), Professore nel- l'Tmp. Università di... 0.6. Li Rea Horr (J. H. van’t), Prof. nell'Università di Amsterdam SEZIONE DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA Striiver (Giovanni), Professore di Minera- logia nella R. Università di . . . . . . . Roma RosenBuscH (Enrico), Prof. nell'Università di Heidelberg NorpensKI6LD (Adolfo Enrico), della Reale Accademia delle Scienze di . DauBrfe (Gabriele Augusto), dell’ Istituto di Francia, Direttore della Scuola Nazionale delle Miniere a ZirkeL (Ferdinando), Professore a Des CLorzeAux (Alfredo Luigi Oliviero Le- aranD), dell'Istituto di Francia . CAPELLINI (Giovanni), Professore nella Regia Università di . TscHERMAK (Gustavo), Prof. nell'Università di ArzruNI (Andrea), Professore nell'Istituto tecnico sup. (technische Hochschule) KLern (Carlo), Professore nell'Università di Gerkie (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica . Fouqué (Ferdinando Andrea), Professore nel Collegio e membro dell'Istituto di Francia SEZIONE XV Stoccolma Parigi Lipsia Parigi Bologna Vienna Aquisgrana Berlino Londra Parigi DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE Trévisan pe Sarnt-Lfon (Conte Vittore), Corrispondente del R. Istituto Lombardo GENNARI (Patrizio), Professore di Botanica nella R. Università di Milano Cagliari XVI CarUEL (Teodoro), Professore di Botanica nell'Istituto di Studi superiori pratici e di per- fezionamento in Arpissone (Francesco), Professore di Bota- nica nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in SaccarDo (Andrea), Professore di Botanica nella R. Università di Hooxger (Giuseppe DaLton), Direttore del Giardino Reale di Kew . SacHs (Giulio von), Prof. nell'Università di DeLPINo (Federico), Professore nella R. Uni- versità di PirortA (Romualdo), Professore nella Regia Università di STRASBURGER (Edoardo), Professore nell’Uni- versità di MarTIROLO (Oreste), Professore nella R. Uni- versità di SEZIONE DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA De SeLvs LonecHamPs (Edmondo) PaiLipPI (Rodolfo Armando) GoLei (Camillo), Professore nella R. Univer- sità di Firenze Milano Padova Londra Wiireburg Napoli Roma Bonn Bologna COMPARATA Liegi Santiago (Chili) Pavia HarcKEL (Ernesto), Prof. nell'Università di ScLaTER (Filippo LurLEY), Segretario della Società Zoologica di . Faro (Vittore), Dottore KovaLewskI (Alessandro), Professore nel- l’Università di . Locarp (Arnould), dell’ Accademia delle Scienze di DEA LE LI RE DIET È CHauveAU (G. B. Augusto), Membro dell’Isti- tuto di Francia Professore alla Scuola di Medi- . cina di Foster (Michele), Profess. nell'Università di HEINDENHAIN (Rodolfo), Professore nell’Uni- versità di WALDEYER (Guglielmo), Professore nell’Uni- versità di GuenTHER (Alberto), Direttore del Diparti- mento zoologico del Museo Britannico di FLoweR (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale Epwarps (Alfonso ALI Membro del- l’Istituto di Francia. PRIULI DL i, Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. Jena Londra Ginevra Odessa Lione Parigi Cambridge Breslavia Berlino Londra Londra Parigi XVII XVIII CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE B FILOLOGICHE Direttore CLARETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti di antichità e belle arti della Provincia ecc., Comm. &, Gr. Uffiz. es. Segretario FerRERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore ag- gregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Archeo- logia nella R. Università di Torino, Professore di Storia militare nell'Accademia Militare, R. Ispettore per gli scavi e le scoperte di antichità nel Circondario di Torino, Consigliere della Giunta Superiore per la Storia e l’Archeologia, Membro della Regia De- putazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Membro e Segretario della Società di Archeo- logia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Socio Corrispon- dente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie di Romagna, dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico e della Società Nazionale degli Antiquarii di Francia, fregiato della Medaglia del merito civile di 1 cl. della Rep. di S. Marino, ess. ACCADEMICI RESIDENTI Pryron (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Socio Corrispon- dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Uffiz. &, Uffiz. &». } sai n : ; i XIX VALLAURI (l'ommaso), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Letteratura latina nella Regia Università di Torino, Membro della Regia — Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico d'onore . della Romana Accademia delle Belle Arti di San Luca, Socio . Corrispondente della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto — Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia Romana di Archeologia, del Circolo Filologico di Torino, della Società . Emulatrice per le Scienze e le Arti in Italia (Napoli), della ._R. Accademia Palermitana di Scienze, Lettere ed Arti, della Società storica di Dallas Texas (America del Nord), Presidente . onorario dell’Accademia Dante Allighieri di Catania, Gr. Cord. & . e Comm. «=, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno. CLARETTA (Barone Gaudenzio), predetto. Rossi (Francesco), Dottore in Filosofia, Professore d’Egitto- logia nella R. Università di Torino, Vice-Direttore del R. Museo di Antichità a riposo, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e della Società per gli Studi biblici in koma, ss. Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del Con- siglio degli Archivi, Commissario di S. M. presso la Consulta . araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Tibingen, Comm. &, Gr. Uffiz. «2, Cav. d’on. e devoz. del S. 0. M. di Malta. BoLLati DI SArnT-PrerRE (Barone Federigo Emanuele), Dot- tore in Leggi, Soprintendente agli Archivi Piemontesi e Diret- tore dell'Archivio di Stato in Torino, Membro del Consiglio d'Amministrazione presso il R. Economato generale delle an- tiche Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Pre- sidente della Commissione araldica per il Piemonte, Membro della . R. Deputazione sopra gli studi di storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia e della Società Accademica d'Aosta, Socio corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Acca- demia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, della Società Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria XX per le Provincie della Romagna, della nuova Società per la Storia di Sicilia e della Società di Storia e di Archeologia di Ginevra, Membro onorario della Società di Storia della Svizzera Romanza, dell’Accademia del Chablais, e della Società Savoina di Storia e di Archeologia ecc., Uffiz. &, Comm. ess. ScHIAPARELLI (Luigi), Dottore aggregato alle Facoltà di Lettere e Filosofia, Professore di Storia antica nella R. Uni- versità di Torino, Comm. &, e es, Pezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Let- tere e Filosofia, Professore di Storia comparata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università di Torino, es. FeRRERO (Ermanno), predetto. CARLE (Giuseppe), predetto. NANI (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurispru- denza, Professore di Storia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, Uff. &, e». Coenerti De MarrIs (Salvatore), Professore di Economia politica nella R. Università di Torino, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e della R. Accademia dei Geor- gofili, #, Comm. es. Grar (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella R. Università di Torino, Membro della Società romana di Storia patria, Uffiz. * e «ss. BoseLLi (S. E. Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Uni- versità di Bologna, Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente della Società di Storia patria di Savona, Socio della R. Accademia ila ci apc XXI di Agricoltura, Deputato al Parlamento nazionale, Ministro delle Finanze, Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr. Uffiz. *, Gr. Cord. «©, Gr. Cord. dell'Aquila Rossa di Prussia, dell’Ordine di Alberto di Sassonia e dell’Ord. di Bertoldo I di Zàhringen (Baden), Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. di Pr., della L. d’O. di Francia, e C. O. della Con- cezione del Portogallo. CrpoLLa (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore di Storia moderna nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione Veneta di Storia patria, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera), e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Uffiz. es». Brusa (Emilio), Dottore in Legge, Professore di Diritto e Procedura Penale nella R. Università di Torino, Socio Corri- spondente dell’Accademia di Legislazione di Tolosa (Francia), effettivo dell'Istituto di Diritto internazionale, Onorario della Società dei Giuristi Svizzeri e Corrispondente della R. Acca- demia di Giurisprudenza e Legislazione di Madrid, di quella di Barcellona, della Società Generale delle Prigioni di Francia, di quella di Spagna, della R. Accademia Peloritana, della R. Acca- demia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e di altre. Comm. dell’Ordine di San Stanislao di Russia, Officier d’ Académie della Repubblica francese, &, Uffiz. ses. PerrERo (Domenico), Dottore in Leggi, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia. ALLIEvo (Giuseppe), Dottore in Filosofia, Professore di Pe- dagogia e Antropologia nella R. Università di Torino, Socio Onorario della R. Accademia delle Scienze di Palermo e del- l'Accademia cattolica panormitana, Comm. e», +. XXI ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI CaruTTI Di CanToeno (Barone Domenico), Senatore del Regno, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e Lombardia, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Membro dell'Istituto Storico Italiano, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze Neer- landese, e della Savoia, Socio Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ecc. Gr. Uffiz. £ e ess, Cav. e Cons. =, Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e dell'O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc. Revmonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia po- litica nella Regia Università di Torino, *. Riccr (Marchese Matteo), Senatore del Regno, Socio Resi- dente della Reale Accademia della Crusca, Uffiz. %. Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Pre- sidente di Sezione della Corte di Cassazione di Roma, Socio Cor- rispondente della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accad. delle Scienze del Belgio, di quella di Palermo, della Società Generale delle Carceri di Parigi, Consigliere del Contenzioso Diplomatico, Comm. &, e Gr. Croce ee, Cav. =, Comm. dell’Ord. di Carlo III di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di Sant’Olaf di Nor- vegia, Gr. Cord. dell’O. di S. Stanislao di Russia. Tosti (D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Vice Archi- vista degli Archivi Vaticani. Berti (S. E. Domenico), Primo Segretario di S. M. pel Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano, Cancelliere dell’Ordine della Corona d’Italia, Deputato al Parlamento nazionale, Pro- fessore emerito delle RR. Università di Torino, di Bologna, e XXIII di Roma, Socio Nazionale della Regia Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente della RK. Accademia della Crusca e del ._R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro delle RR. Deputazioni di Storia patria del Piemonte e dell’ Emilia, È Gr. Cord. &, e ew; Cav. e Cons. ©, Gr. Cord. della Leg. d’O. «di Francia, dell'Ordine di Leopoldo del Belgio, dell'Ordine di San Marino, ecc. ecc. ViLLariI (Pasquale), Senatore del Regno, Professore di Storia moderna e Presidente della Sezione di Filosofia e Lettere nel- l’Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istru- zione, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, Vice-presidente della k. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, l'Umbria e le Marche, Socio di quella per le pro- vincie di Romagna, Socio Straordinario della R. Accademia di Baviera, della R. Accademia Ungherese, Dott. in Legge della Università di Edimburgo e di Halle, Professore emerito della R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. & e e, Cav. ©, Cav. del Merito di Prussia, ecc., ecc. ComparertI (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’Università di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia delle Scienze di Napoli e dell’Accademia della Crusca, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio corrispondente dell’Isti- tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e della R. Accademia delle Scienze di Monaco, Uff. *, Comm. ws, Cav. >. XXIV ACCADEMICI STRANIERI Mowmwsen (Teodoro), Professore nella Regia Università di Berlino. MiiLLer (Massimiliano), Professore nell'Università di Oxford. Meyer (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Diret- tore dell’Ecoles des Chartes a Parigi. Paris (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi. BsntLINGK (Ottone), Professore nell'Università di Lipsia. TosLer (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino. ArnETH (Alfredo von), Direttore dell'Archivio imperiale di Vienna. i Maspero (Gastone), Profess. nel Collegio di Francia, Parigi. Currius (Ernesto), Professore nell'Università di Berlino. XXV ; CORRISPONDENTI | SEZIONE DI SCIENZE FILOSOFICHE Mese (Eugenio) 200041 SIR pon 1 Brecouri BonaTELLI (Francesco), Professore nella Regia ( VK Teriseehes ee i Re (11011 SEZIONE DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI LampertIco (Fedele), Senatore del Regno . Vicenza SERAFINI (Filippo), Senatore del Regno, Pro- megeorosniella R. Università di 0... . 0. Lisa Serpa PimentEL (Antonio di), Consigliere di e e Lashona Roprieurz pe BerLaNnGA (Manuel) . . . . Malaga ScHuPFER (Francesco), Professore nella R. Uni- ST I OMO 1 Cossa (Luigi), Professore nella R. Università di Pavia Gaga (Carlo Francesco), Professore nella ee irernità di... 2... . 0. 0... . L664 XXVI Buonawmrci(Francesco), Professore nella R. Uni- versità di . DARESTE (Rodolfo), dell'Istituto di Francia . SEZIONE DI SCIENZE STORICHE ADRIANI (P. Giambattista), della R. Deputa- zione sovra gli studi di Storia Patria 4 PeRRENS (Francesco), dell'Istituto di Francia . HauLLEVILLE (Prospero de) De Leva age Professore nella R. Uni- versità di . pifi WatLON (Alessandro), Segretario perpetuo del- l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) . WicLews (Pietro), Professore nell’ Università di Brrc® (Walter de Gray), del Museo Britan- nico di Capasso (Bartolomeo), Sovrintendente degli Ar- chivi Napoletani . WATTENBACH (Guglielmo), Professore nell’Uni- versità di CHEvALIER (Canonico Ulisse) DE Simoni e Direttore del R. Archivio di Stato in. Me SR SA ERE Pisa Parigi Cherasco Parigi Bruxelles Padova Parigi Lovanio Londra Napoli Berlino Romans Genova . DucHesvne (Luigi), Direttore della Scuola Fran- cese in . SEZIONE DI ARCHEOLOGIA PaLma di CesnoLa (Conte Luigi), Direttore del Museo Metropolitano di Arti a. FroRELLI (Giuseppe), Senatore del Regno . Lattes (Elia), Membro del R. Istituto Lom- . bardo di Scienze e Lettere . Poe (Vittorio), Bibliotecario e Archivista ci- vico a PLeyvre (Guglielmo), Conservatore del Museo Egizio a Parma pi CesnoLa (Cav. Alessandro), Membro della Società degli Antiquarii di Mowar (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia ALTA e Naparrrac (Marchese I. F. Alberto de) . Brizio (Eduardo), Professore nell'Università di BarnaBEI (Felice), Direttore del Museo Na- zionale Romano . XXVII Roma New- York Napoli Milano Savona Leida Londra Parigi Parigi Bologna Roma XXVIII SEZIONE DI GEOGRAFIA ED ETNOGRAFIA NegRI (Barone Cristoforo), Console generale di I° Classe, Consultore legale del Ministero degli Affari esteri , KiepERT (Enrico), Professore nell'Università di PigorINI (Luigi), Professore nella R. Univer- sità di DeLLA Vepova (Giuseppe), Professore nella R. Università di . MarinELLI (Giovanni), Professore nel R. Isti- tuto di Studi superiori, pratici e di perfeziona- mento in SEZIONE Torino Berlino Roma Roma Firenze DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE KreHL (Ludolfo), Professore nell’ Università di SourIinDpRo MoHuNn TAGORE . Ascori (Graziadio), Senatore del Regno, Pro- fessore nella R. Accademia scientifico-letteraria di WeBER (Alberto), Professore nell'Università di KeRBAKER (Michele), Professore nella R. Uni- versità di Dresda Calcutta Milano Berlino Napoli ds Pn he È ON MARRE (Aristide) . OpperT (Giulio), Prof. nel Collegio di Francia Gurpi (Ignazio), Professore nella R. Univer- sità di AweLinaUu (Emilio), Professore nella “ Ecole des Hautes Études ORA FoerstER (Wandelin), Prof. nell'Università di SEZIONE XXIX Vaucresson (Francia) Parigi Roma Parigi Bonn DI FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA Bréar (Michele), Professore nel Collegio di Francia . Negroni (Carlo), Senatore del Regno . D'Ancona (Alessandro), Professore nella R. Uni- - versità di Nigra (S. E. Conte Costantino), Ambasciatore d'Italia a Rana (Pio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in DeL Lunco (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della Crusca . Parigi Novara Pisa Vienna Firenze Firenze XXX MUTAZIONI nel Corpo Accademico dal 18 Novembre 1894 al 17 Novembre 1895. ELEZIONI SOCI Berti (S. E. Domenico). Su dichiarazione della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche in seduta del 9 Di- cembre 1894, passato fra i Soci Nazionali non residenti (art. 22 dello Statuto). Sracci (Francesco). Su dichiarazione della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali in seduta del 16 dicembre 1894, passato dalla Categoria dei Soci Nazionali residenti in quella dei Nazionali non residenti. CarLE (Giuseppe), eletto Presidente dell’Accademia nell’a- dunanza a Classi unite del 13 Gennaio, ed fapraralp con R. De- creto del 3 Febbraio 1895. Brusa (Emilio), Professore di Diritto e Procedura penale nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell’adu- nanza del 13 Gennaio, ed approvato con R. Decreto del 3 Feb- braio 1895. PrerrERO (Domenico), Membro della R. Deputazione sopra gli Studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lom- bardia eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 13 Gennaio, ed approvato con R. Decreto del 3 Febbraio 1895. ade ii iti ri pt enni sè he XXNI ALLievo (Giuseppe), Professore di Pedagogia e Antropo- logia nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale resi- dente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 13 Gennaio, ed approvato con R. Decreto del 3 Febbraio 1895. VoLreRRA (Vito), Professore di Meccanica razionale nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 3 Febbraio, ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895. JADANZA (Nicodemo), Professore di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell’adunanza del 3 Febbraio, ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895. Foà (Pio), Professore di Anatomia patologica nella R. Uni- versità di Torino, eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 3 Febbraio ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895. D’Ovipio (Enrico), rieletto Direttore della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 8 Febbraio, ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895. Naccari (Andrea), eletto Segretario della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 3 Febbraio 1895, ed approvato con R. Decreto 17 febbraio 1895. Lie (Sophus), Professore nell'Università di Lipsia, nominato Socio Corrispondente della Classegli Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Matematiche pure) nell’ adunanza del 3 Febbraio 1895. Lorenzoni (Giuseppe), Professore nella R. Università di Padova, id. id. (Sezione di Matematiche applicate, Astronomia e Scienza dell’Ingegnere civile e militare) id. id. RayLeicHa (Lord Giovanni Guglielmo Strutt), Professore nella “ Royal Institution , e Segretario della Società Reale di Londra, id.id. (Sezione di Chimica generale e sperimentale) id. id. XXXII Fouqué (Ferdinando Andrea), dell'Istituto di Francia, no- minato Socio della Classe di Scienze fisiche, matematiche e na- turali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia) nella seduta del 3 Febbraio 1895. MartIROLO (Oreste), Professore di Botanica nella R. Uni- versità di Bologna, id. id. (Sezione di Botanica e Fisiologia ve- getale) id. id. Epwarps (Alfonso Milne), dell’Istituto di Francia, id. id. (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id. CLarETTA (Barone Gaudenzio), eletto Direttore della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 24 Feb- braio, ed approvato con R. Decreto 7 Marzo 1895. Cossa (Alfonso), eletto Vice-Presidente dell’Accademia nel- l'adunanza a Classi unite del 31 Marzo, ed approvato con R. Decreto dell’11 Aprile 1895. CamerANO (Lorenzo), eletto Tesoriere dell’Accademia nel- l'adunanza a Classi unite del 31 Marzo, ed approvato con R. Decreto dell’11 Aprile 1895. Currius (Ernesto), Professore nell'Università di Berlino, eletto Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 28 Aprile, ed approvato con R. Decreto del 16 Maggio 1895. AwmeLINEAU (Emilio), Parigi nella “ Ecole des Hautes Etudes de Paris ,, nominato Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Linguistica e Filologia orientale) nell'adunanza del 28 Aprile 1895. BarNnABEI (Felice), Direttore del Museo Nazionale romano, id. id. (Sezione di Archeologia) id. id. Dara Vepova (Giuseppe), Professore nella R. Università di Roma, id. id. (Sezione di Geografia ed Etnografia) id. id. VW Ig) Genova, nominato Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche) nel- l'adunanza del 28 Aprile 1895). È i XXXII i Destmoni (Cornelio), Direttore dell'Archivio di Stato di | i DucHesne (Direttore della Scuola Francese di Roma, id. id. (Sezione di Scienze Storiche) id. id. | ForrstER (Wandelin), Professore nell'Università di Bonn, id. id. (Sezione di Filologia) id. id. MarInELLI (Giovanni), Professore nel R. Istituto di Studii superiori pratici, e di perfezionamento in Firenze, id. id. (Sezione di Geografia ed Etnografia) id. id. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 3 IO n O Le n °° _& XXXIV MORTI 25 Gennaio 1895. CARINI (Mons. Isidoro), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche). 26 Gennaio 1895. CayLey (Arturo), Socio straniero della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 4 Marzo 1895. PertILE (Antonio), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze giuri- diche e sociali). 11 Marzo 1895. Cantù (Cesare), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 16-17 Marzo 1895. FeRrI (Luigi), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione Scienze filosofiche). 14 Aprile 1895. DANA (Giacomo), Socio straniero della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Di — eee, uo o ge pa er T ee - È ug * XXXV 24 Aprile 1895. Lupwie (Carlo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata). 22 Luglio 1895. GxeIst (Enrico Rodolfo), Socio straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 28 Luglio 1895. Basso (Giuseppe), Socio residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 1° Agosto 1895. SyBeL (Enrico Carlo Ludolfo von), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche). 17 Settembre 1895. LinatI (Conte Filippo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia). 22 Ottobre. BoncHI (Ruggero), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze filo- sofiche). erre CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 17 Novembre 1895. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: D’Ovipro, Direttore di Classe, FERRARIS, Mosso, Spezia, GiseLLI, GrAcOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO, JADANZA, Foà e Naccari Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre- cedente (23 giugno 1895). Il Socio Segretario partecipa le molte condoglianze giunte all'Accademia nella dolorosa circostanza della morte del Socio Basso. Il Presidente fa l’elogio del compianto collega, e rammenta le benemerenze di lui verso l'Accademia. Ricorda pure come durante il periodo delle ferie sia man- cato ai vivi Luigi Pasteur, illustre scienziato, membro del- l’Istituto di Francia, cui l'Accademia assegnò il premio Bressa pel quadriennio 1883-86. Indi il Socio FerRARIS legge una sua Commemorazione del Socio defunto Giuseppe Basso, che sarà inserita negli Atti. Il Socio CamerANO legge la Commemorazione del presidente Michele Lessona, il Socio GrseLLI quella del Socio DELPONTE e il Socio Spezia quella del Socio Straniero James Dwrcnt DANA. La prima sarà inserita nei volumi delle Memorie, le altre due negli Atti. Fra le pubblicazioni inviate in dono all'Accademia il Segre- tario segnala le seguenti: “ Faune des vertébrés de la Belgique ,, del sig. A. DuBors; “ Anleitung zur qualitativen chemischen Ana- lyse », del sig. C. R. FreseNIUS; “ Systematische Phylogenie der Wirbelthiere (Vertebrata) ,, del sig. E. HarcKkeL; “ Plantas nuevas Chilenas ,, del sig. R. A. Puinippi; “ Ricerche di ana- tomia e morfologia intorno allo sviluppo del fiore e del frutto della TrAPA NATANS ,, dei sigg. G. GrseLLi e F. FeRRERO; “ Zum feineren Baue des Zwischenhirns und der Regio hypotalamica ,, del sig. A. von KorLuKER; “ Vorlesungen iiber Geschichte der Mathematik ,, del sig. M. Cantor; la “ Commemorazione di Arturo Cayley ,, di M. NoETHER, e “ Mikroskopische Physiogra- phie der Mineralien und Gesteine ,, del sig. M. RosENBUCH. Vengono accolti per l’inserzione negli Atti i seguenti scritti: 1° “ Sull’inversione degli integrali definiti nel campo reale ,; nota del Dr. TuLLio Levi Civita, presentata dal Socio SEGRE per incarico del Socio VOLTERRA; 20 « Sulla compressibilità dell'ossigeno a basse pressioni ,; nota del Dr. Adolfo CampeTTI, presentata dal Socio NACCARI; 3° “ Sulla trasmissione della elettricità da un conduttore all'aria nel caso di piccole differenze di potenziale ,; nota del Socio NACCcARI. Vengono poi presentati per l’inserzione nei volumi delle Memorie gli scritti seguenti, ciascuno dei quali viene affidato per esame ad una speciale Commissione: 1° “ Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici col- l’etere cianacetico in presenza dell'ammoniaca e delle amine ,; memoria del Prof. Icilio GuaRrESscHI, presentata dal Socio Cossa; 2° « Sulle leggi del tono muscolare nell'uomo ,; memoria del Dr. A. BENEDICENTI, presentata dal Socio Mosso; 3° “ Sulle equazioni di quinto grado ,; memoria del Prof. F. GrupIcE, presentata dal Socio PEANO; 4° “« Flora della Sardegna in continuazione di quella del Moris (Orchidee) ,; memoria del sig. Ugolino MARTELLI, presen- tata dal Socio GIBELLI. GALILEO FERRARIS — COMMEMORAZIONE DI GIUSEPPE BASSO 3 LETTURE GIUSEPPE BASSO Commemorazione letta dal Socio GALILEO FERRARIS. COLLEGHI, L’ onesta e cara figura di Giuseppe Basso sta in questo momento davanti alla mente e nel cuore di tutti noi; e nessuno di noi saprebbe in questo giorno accingersi al consueto lavoro se prima non sia stato rivolto un pensiero al collega che per la prima volta manca alla nostra seduta, e che non rivedremo mai più. Ebbene, io vi domando che a me sia concesso di pren- dere la parola per dire ciò che ognuno ha nel cuore, per par- lare di Lui. Questo privilegio io vi chiedo perchè a me egli, assai prima di essere collega, fu amico affettuoso e consigliere ne’ primi passi della carriera. Prima ancora che io sapessi di essere da lui conosciuto il suo grande cuore palpitava con quello de’ miei più cari; e la prima volta che a me giovanetto egli strinse la mano, la sua parola sgorgante calma e serena da un’ anima profondamente amorosa scendeva nell’ anima mia in- dimenticabile balsamo in una grande angoscia. Giuseppe Basso nacque il 9 Novembre 1842 in Chivasso da onesti ed umili artigiani. Suo padre esercitava il mestiere del sarto, e nel modesto laboratorio di lui lavorava tutta la povera famiglia. Il piccolo Giuseppe, cresciuto fra le pareti del domestico opifizio, partecipava, naturalmente, al lavoro comune, dedicando ad apprendere il maneggio dell’ ago tutto il tempo a lui concesso dalla scuola. Ma nella scuola il suo profitto era straordinario, e fin dai primi anni egli emergeva su tutti i suoi — compagni. La tenacia del suo volere e l'affetto de’ suoi maestri indussero i genitori ad affrontare i sacrifizi necessari ed a la- sciare ch’ egli seguisse la via, a cui lo chiamava il grande it 4 GALILEO FERRARIS amore dello studio. Compiuti con straordinaria distinzione i corsi ginnasiali nel collegio della nativa Chivasso, venne a Torino, e qui, superando con vero e proprio eroismo strettezze incredibili, compiè gli studi liceali. Finalmente nel 1857, all’ età di quindici anni, vinse il concorso per un posto nel Collegio Carlo Alberto per gli studenti delle provincie, e così fu in porto: con quel posto egli ebbe il mezzo d’ intraprendere i corsi universitari. Però solo per due anni potè godere del benefizio del convitto. Questo infatti fu chiuso nell’estate del 1859, ed agli allievi fu assegnata, in luogo dell’alloggio e del vitto, 1’ attuale pensione mensile. Come con questa pensione, senz'altro sussidio, egli riuscisse non solo a campare, ma a soccorrere parenti ed amici, come l’arte appresa nell’opifizio paterno lo aiutasse a diminuire qualcuna delle sue piccole spese, come a quell’arte egli ritornasse, a sollievo del padre, durante le vacanze ch'egli passava in Chi- vasso, egli, ancora ne’ suoi ultimi giorni, amava talvolta narrare con schietta compiacenza e non senza un legittimo orgoglio. Seguì nella nostra Università i corsi della facoltà di Scienze, riportando, fra le molte distinzioni, una lode speciale nella fi- sica matematica, e conseguì la laurea di Dottore in fisica nel luglio del 1862, prima di aver compiuto i venti anni. La dis- sertazione “ Sulla luce polarizzata circolarmente e sulle sue ap- plicazioni ,, castigata nella forma, bene ordinata, nettamente inquadrata e chiarissima, preludeva mirabilmente alla direzione ed all’ indole della attività scientifica e didattica del giovane Dottore. Egli cominciava bene. La riputazione che si era conquistata fra gli studenti, l’alta stima e l’affetto che gli portavano i suoi professori, alcuni dei quali avevano insegnato, od insegnavano an- cora nella Accademia Militare, gli valsero a trovar subito la cosa per lui allora più agognata ed urgente: un posto per cominciare a guadagnarsi la vita. Poche settimane dopo del giorno della laurea egli veniva infatti nominato professore aggiunto nella R. Acca- demia Militare. Bastare a sè stesso e preparàrsi a ricompensare i parenti de’ sacrifizi per lui sopportati era il supremo obbiettivo. Quindi egli accettò e cumulò col modesto impiego, che ho no- minato, l’incarico di insegnare in vari istituti privati d’istruzione secondaria. La non comune attitudine didattica rese ben presto ricercatissima l’opera sua; ed egli ne approfittò così, che in breve : ir ù 3 4 | j | GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 5) tempo ei divenne uno dei più laboriosi insegnanti della nostra città. La sua resistenza alla fatica dell’insegnamento era, a ragione, oggetto di ammirazione. Perchè importa notare che in quel tempo la sua complessione non era quella, in apparenza così flo- rida, colla quale noi da parecchi anni ci eravamo abituati a vederlo. Al contrario, egli era gracilissimo, ed a volte aveva sofferenze, le quali davano luogo alle più serie apprensioni. Tut- tavia le numerose lezioni quotidiane non assorbivano tutta la sua attività : nel 1864, due anni dopo la laurea, trascorso appena il tempo legale, egli si presentava a quello, che qui allora si soleva ancora da molti considerare come il battesimo necessario per avere accesso alla carriera dell’insegnamento superiore, al concorso per l’Aggregazione. Vinceva la prova con uno splendido esame. La sua dissertazione era “ Sul lavoro interno prodotto dal calore nei corpi ,, verteva adunque sulla scienza che qui, appunto in quei giorni, quando il Matteucci ne discorreva nelle sue memo- rabili lezioni popolari, ed il Saint Robert si accingeva a conse- gnare alle stampe la prima edizione dei suoi principii di termo- dinamica, attraeva a sè la ‘massima attenzione degli studiosi. Coll’ aggregazione cominciava pel Basso veramente la car- riera scientifica. Entrato infatti nella Facoltà, egli ebbe presto l’ occasione di provarsi nello insegnamento universitario sup- plendo a più riprese nella scuola di fisica sperimentale il pro- fessore Gilberto Govi. E maggiore ventura egli ebbe nella ami- cizia affettuosa di quel coltissimo scienziato, mercè la quale potè essere ammesso a frequentare il gabinetto di fisica della Università, ed avere così, per alcuni anni, qualche mezzo per tentare alcune modeste ricerche sperimentali. Laboratorio pro- priamente non c’ era in quel tempo, nè il Professore Govi si occupava in quei giorni di ricerche quantitative, od aveva i mezzi per istradare altrui nella tecnica delle medesime; ma al- meno v’ erano strumenti, e v’ era un autorevole amico che po- | teva dare qualche consiglio. E intanto, proprio in quei giorni, nel 1866, un decreto del Ministro della Guerra poneva il giovane professore aggiunto dell’Accademia Militare in aspettativa per riduzione d'impiego. Questi ebbe così, per qualche mese, maggior agio per valersi dei mezzi, che erano messi a sua disposizione, e offrire un primo saggio dei suoi studi pubblicando nei volumi della nostra è 6 GALILEO FERRARIS Accademia una “ Nota intorno alla determinazione di tempera- ture molto elevate mediante un procedimento calorimetrico ana- logo a quello seguito da Bystròm ,. In tale nota erano esposti i risultati di alcuni esperimenti diretti a determinare col me- todo calorimetrico la temperatura nelle varie parti di una fiamma ad .alcool a doppia corrente, e quella dell’ acqua nello stato sfe- roidale. Ma il benefico alleggerimento di lavoro didattico prodotto dalla aspettativa nella Accademia Militare veniva tosto eliso da un incarico, che per alcuni anni occupò in misura assai mag- giore il tempo e la forza del giovane professore. Egli veniva incaricato dell’insegnamento della fisica matematica nell’Univer- sità. Quell’insegnamento, che fino allora era stato dato dal Pro- fessore Felice Chiò, presentava in quel momento, pel nuovo in- caricato, una difficoltà affatto speciale, quella di conciliare il vecchio col nuovo. Il Chiò, occupando nel 1854 l’antica cattedra dell’Avogadro, aveva da principio conservato al suo corso di fisica matematica il programma ed il carattere che al medesimo era stato dato da quell’ illustre professore. Quel corso non com- prendeva le materie che oggi si sogliono comprendere nel nome di fisica matematica; era più propriamente fisica, era un corso elementare, ma generale, di fisica teoretica come quello classico del Mossotti. Quel corso formava per gli studenti di fisica il complemento necessario di quello, allora molto modesto, di fisica sperimentale. Ma negli ultimi anni il tempo assegnato a quel- l'insegnamento, e quindi anche il programma e l’ importanza del medesimo, erano stati notevolmente ridotti. Dal 1865 il Chiò era stato nominato professore di Analisi e di Geometria superiore, ed alternava l’insegnamento di queste scienze con quello della fisica matematica. Quest’ ultimo non comprendeva ormai più che qualche arido brano di ottica geometrica. Il Basso, assumendo l’incarico di tale insegnamento, non poteva, per defe- renza al suo vecchio Maestro, tutto mutare d’ un tratto; ma voleva nel tempo stesso introdurvi qualche cosa di più vivo, ed iniziare una graduale trasformazione, per la quale il corso a lui affi- dato potesse col tempo contribuire più efficacemente alla col- tura necessaria ai giovani studiosi delle scienze fisiche. E siccome egli, per la natura del suo ingegno e de’ suoi studi prediletti, e per la tradizione della cattedra, perseverava nello intento di GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 7 completare col suo corso l'insegnamento della Fisica, così con- cretava il programma della progettata trasformazione col sosti- tuire gradatamente alla esposizione dell’ ottica geometrica, di sua natura arida e rinchiusa, quella più feconda e più larga dell’ ottica fisica. Daccanto a questa, che doveva formare il nucleo principale del corso ed essere insegnata tutti gli anni, | egli introduceva poi man mano varie monografie su altri rami della fisica, le quali si alternavano di anno in anno. Non è qui il luogo di discutere se l’ aver cercato di colmare con un corso di fisica complementare una lacuna, che nelle nostre scuole di fisica generale, per la strettezza del tempo, è inevitabile, potesse | compensare il danno derivante dalla esclusione di quelle disci- A ng pline per le quali propriamente è istituito l’insegnamento della fisica matematica. Certo è però che il lavoro per la prepara- zione del nuovo insegnamento deve aver distolto per qualche tempo il giovane professore dal frequentare coll’ antica assiduità il gabinetto di fisica e dal tentare ricerche. E ciò spiega come nel corso di alcuni anni le sue pubblicazioni si sieno limitate a tre brevissime note. La prima di queste: “ Sulla deviazione massima dell’ ago calamitato sotto l’azione della corrente elettrica , pub- blicata fra la memorie della nostra Accademia nel 1870, e la terza: “ Nuova bussola reometrica ,, pubblicata nel volume del 1871, dànno la teoria di un semplice apparecchio di misura per le correnti elettriche, sul quale il Basso ritornava poi più tardi con una speciale predilezione. La .seconda: “ Determinazione della velocità del suono nell’ aria per mezzo di un’ eco polifona, inserita nel 1870 nei nostri “ Atti ,, contiene la descrizione di alcune esperienze eseguite sull’ eco polifona del Ponte Mosca con un procedimento suggerito dal Govi e non privo di ele- ganza. Nel 1871 moriva il professore Chiò, ed alla fine dell’ anno successivo Giuseppe Basso veniva elevato al grado di professore straordinario di fisica matematica. Ma intanto, appunto nel 1872, il Govi era stato nominato membro della commissione interna- zionale dei pesi e delle misure, e dovendo per tale carica risie- dere quasi di continuo a Parigi, cessava, pur conservando il ti- tolo dell’ uffizio, di dare lezioni nella nostra università. La sup- plenza veniva allora affidata al professore Basso, il quale per tale modo ebbe a dare per una serie di anni, daccanto all’ inse- 8 GALILEO FERRARIS gnamento della fisica matematica, anche quello della fisica ge- nerale. L'incarico della supplenza, rinnovato di anno in anno,. gli era mantenuto anche quando nel 1876 Gilberto Govi abban- donava definitivamente la nostra città per passare alla direzione della biblioteca Vittorio Emanuele in Roma. Esso non cessava se non alla fine dell’anno scolastico 1877-78, quando l’univer- sità torinese faceva l’ invidiato acquisto del chiaro professore attuale, del nostro collega Naccari. Gli ultimi due anni della cennata supplenza furono pel Basso quelli della massima attività didattica. Imperocchè nel gennaio 1876 egli era stato richiamato in servizio nell’Acca- demia militare e frattanto continuava e raggiungeva il suo colmo il lavoro dell’insegnamento privato. E tuttavia, appunto in quel tempo, si iniziava anche il periodo della massima sua attività scientifica. Ciò derivava principalmente dal fatto che durante la vacanza della cattedra di fisica sperimentale egli aveva avuto più libero 1 uso del gabinetto. Veramente i mezzi dei quali egli disponeva erano di parecchio inferiori a quelli che sarebbero occorsi per intraprendere lavori sperimentali di qualche impor- tanza; perchè, come ho già detto, vero laboratorio allora non c’era, nè il Basso, come semplice supplente, poteva avere com- pleta libertà d’azione, o aiuto di assistenti. Quindi era impos- sibile che egli intraprendesse ricerche di lunga lena, complesse e coordinate, o lavori pei quali fossero necessari appositi im- pianti, od anche solo adattamenti speciali di apparecchi richie- denti l’opera od il sussidio di meccanici o di coadiutori. Erano adunque solamente brevi lavori isolati quelli che egli poteva tentare, nei quali la maggiore difficoltà consisteva il più delle volte nel trovare disposizioni acconcie per far servire a misure apparecchi fatti semplicemente per le esperienze da scuola. Ma questi lavori furono parecchi, e comparvero negli atti e nei vo- lumi della nostra Accademia nell’ intervallo tra il 1877 ed il 1880. Io qui ne ricordo principalmente tre, i quali più parti- colarmente hanno carattere di ricerca originale. Il primo è un lavoro “ Sull’ allungamento dei conduttori filiformi attraversati dalla corrente elettrica ,. Edlund dapprima, e poi Streintz, ave- vano creduto di poter dedurre da alcune loro esperienze questo fatto: che un filo percorso da una corrente elettrica subisce, oltre all’allungamento termico dovuto al calore prodotto per l’effetto I dn TL Truro GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 9 di Joule, anche un allungamento “ galvanico , dovuto diretta- mente alla corrente, indipendentemente dal riscaldamento. Exner e Blondot deducevano invece dalle loro esperienze la inesistenza del fatto. Il lavoro del Basso descrive i risultati di esperienze fatte con metodo diverso, i quali anch’ essi, dimostrano essere per lo meno improbabile l’esistenza di una dilatazione puramente galvanica. Gli altri due lavori che debbo ricordare sono: una nota inserta negli atti dell’Accademia del 1879, col titolo: “ Feno- meni che accompagnano l’elettrolisi dei composti metallici ,, ed una nota inserta nel volume delle memorie del 1880 col ti- tolo: “ Sugli effetti meccanici della elettrolisi ,. In questi due lavori il Basso mette in evidenza e studia con due diversi pro- cedimenti il fenomeno, già dimostrato dal Signor Mills, dello stringimento elettrico, consistente in questo, che, quando uno strato metallico si va deponendo per via galvanica su di un elettrodo, lo strato manifesta una notevole tensione, per la quale, se esso avviluppa completamente l’elettrodo, si esercita sulla superficie di questo una pressione considerevole. In en- trambi questi lavori, e specialmente nel secondo, si rivela l’at- titudine dello sperimentatore nell'impiego di quegli artifici in- gegnosi di ricerca qualitativa, che erano caratteristici della scuola del Govi. i I lavori dei quali ho parlato, benchè pubblicati soltanto nel 1879 e nel 1880, si riferiscono a ricerche eseguite nel gabi- netto di fisica dell’Università negli ultimi anni nei quali il Basso aveva tenuto la supplenza dell’insegnamento della fisica speri- mentale. La cessazione di questa segnò l’ inizio di un nuovo indirizzo della attività scientifica del nostro compianto collega. Ed io soggiungo subito: essa segnò l’inizio di un periodo migliore, di ricerche più omogenee, meglio coordinate e più feconde. De- dicatosi intieramente, con maggior agio e con maggiore calma, alle discipline formanti la principale materia del suo corso di fisica matematica, il Basso cominciò a dirigere nel campo di esse le sue ricerche; d’allora in poi la maggior parte dei suoi lavori ebbero per oggetto questioni di ottica fisica. Dopo di avere esordito con una breve “ Contribuzione alla teoria dei fenomeni di diffrazione ,, egli dava nello stesso anno 1880 al volume delle nostre memorie accademiche una notevole memoria intitolata: Fenomeni di polarizzazione cromatica in aggregati 10 GALILEO FERRARIS di corpi birifrangenti ,. Questo lavoro teorico e sperimentale | ha un carattere pratico che lo rende singolarmente importante. Esso tratta dei fenomeni di polarizzazione cromatica presentati da aggregati regolari di piccoli elementi birifrangenti, e pro- priamente da una classe speciale di aggregati, ai quali l’ autore dà il nome di sistemi raggiati. Aggregazioni di tale classe si. trovano in natura, e molte si possono ottenere artificialmente. La facoltà posseduta da molte sostanze di assumere, cristallizzando, la forma raggiata fu studiata, oltrechè da altri, dallo Scacchi, ed alcuni dei fenomeni ottici caratteristici di tale forma furono notati e nettamente descritti dal nostro A. Cossa in alcune concrezioni da lui avvertite nel suo studio microscopico della diorite di Cossato. Il Basso nel suo lavoro studia dapprima teo- ricamente i fenomeni di polarizzazione cromatica che si debbono presentare quando una sottile lamina di struttura raggiata è esaminata fra due Nicol con luce parallela, o con luce conver- gente. Studia questi fenomeni, non nella forma più generale, ma per una serie di numerosi casi particolari più direttamente controllabili coll’esperienza. Descrive poi le esperienze, colle quali egli ha verificato in molti aggregati cristallini le più sa- lienti proprietà ottiche previste colla teoria. Questa era la ten- denza costante del suo ingegno, la quale si manifesta in tutti i suoi lavori, questa: di far procedere sempre a lato della ri- cerca teorica il controllo sperimentale. E questa tendenza, la quale imprime a tutti i suoi lavori un carattere speciale, spiega anche e giustifica la scelta del programma dello insegnamento, della quale ho dianzi tenuto parola. La memoria che ho esaminato fu a breve intervallo seguita da una nota contenente la “ Dimostrazione di una proprietà geo- metrica (non prima conosciuta) dei raggi rifratti straordinari nei mezzi birifrangenti uniassi ,, e poi subito da una nuova memoria di considerevole mole intitolata: “ Studi sulla riflessione cristal- lina,. Questi “ Studi , furono un ardito tentativo: quello di dare una teoria generale della ripartizione della luce fra i raggi ri- fratti ed il raggio riflesso alla superficie di un cristallo birifran- gente, una teoria, la quale, meglio di quelle già tentate da Cauchy, da F. E. Neumann, da Mac-Cullagh e da Cornu, si con- ciliasse coi principii ammessi da Fresnel nella sua teoria della riflessione sui corpi isotropi. Io non so se l'ipotesi relativa alla in rt 1. i n un È nh csc Cn a I GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 11 | densità dell'etere, posta dal Basso a base della sua teoria si possa accettare senza almeno dare alla medesima una interpretazione fisica diversa da quella corrispondente all’ enunciato letterale; ma certo è che le formole, alle quali la teoria conduce, applicate ad alcuni casi speciali accessibili all’ esperienza, si accordano approssimativamente colle risultanze sperimentali. Il controllo dell'esperienza è anche qui fatto dal Basso medesimo, che alla descrizione delle esperienze dedica l’ultimo paragrafo della sua memoria. E qui il merito di aver tentato un tale controllo ap- parisce anche maggiore che nel lavoro di cui ho parlato poc'anzi, se si pensa alle difficoltà che il povero nostro collega deve aver superato per riuscire a sperimentare in casa, in una materia difficile, con pochissimi mezzi e senza aiuto di sorta. Sul problema della riflessione cristallina il Basso ritornò in seguito più volte, e nel 1885 ne tentò la trattazione colla teoria elettromagnetica della luce. In un lavoro pubblicato in quel- l’anno negli “ Atti dell’ Accademia,, col titolo: “ Fenomeni di ri- flessione cristallina interpretati secondo la teoria elettromagne- tica della luce ,, egli studiò col mezzo della teoria Maxwelliana alcuni dei casi speciali, dei quali si era anteriormente occupato nella memoria del 1881. Il nuovo metodo ha il merito di non richiedere l’ uso di alcuna ipotesi della natura di quella sulla densità dell’ etere, sulla quale io ho dovuto or ora esprimere delle riserve; perciò il confronto delle sue risultanze con quelle del lavoro precedente presentava uno speciale interesse. Il con- fronto dimostrò che l’ accordo delle dette risultanze non era generale; esso era perfetto in due dei casi trattati, ma non po- teva essere altro che approssimativo negli altri casi. Però, te- nuto conto dei valori numerici delle costanti de’ cristalli effet- tivi sperimentati, l'accordo approssimativo tra l’esperienza e la teoria constatato nel lavoro del 1881 risultava sufficientemente spiegato. Colla teoria elettromagnetica della luce, la quale si presta particolarmente bene alla trattazione dei fenomeni che si pre- sentano al passaggio della luce da un mezzo all’ altro, il Basso studiò ancora la ripartizione della luce fra i due raggi rifratti nei cristalli birifrangenti, e pubblicò su questo argomento nel 1886 e nel 1887 due note: “ Sulla legge di ripartizione dell’ in- tensità luminosa fra i raggi birifratti da lamine cristalline , 12 GALILEO FERRARIS e “ Sulla legge ottica di Malus detta del coseno quadrato ,. Colla prima di queste egli giustifica in teoria il fatto già af- fermato da Haidinger e poi trovato sperimentalmente dal Wild e riconfermato dal dottor Simmler, che la legge di Malus sul rapporto tra le intensità dei due raggi rifratti non è esatta in modo assoluto, ma è semplicemente approssimativa. Colla se- conda egli tratta più da vicino il caso pratico che si presenta nell'impiego dei prismi polarizzatori di Nicol, e pone in evidenza l’ordine di grandezza delle discrepanze tra i valori delle inten- sità luminose calcolati colla legge del coseno quadrato e quelli previsti dalla teoria elettromagnetica. E a questa teoria elettromagnetica, la quale è andata ac- quistando di giorno in giorno tanta sicurezza e tanta importanza, la mente del Basso rimase costantemente rivolta sino alla fine. L’ultimo lavoro scientifico da lui pubblicato tratta ancora di quella teoria. Essa è una nota inserta nei nostri “ Atti ,, del 1893, nella quale egli dimostra per mezzo delle formole stabi- lite ne’ suoi lavori precedenti “ un carattere di reciprocità proprio della luce riflessa dai mezzi cristallini ,, che il Potier aveva segnalato deducendolo dalla teoria di Mac Cullagh. La serie dei lavori di ottica fisica, dei quali ho fatto una rapida enumerazione, è quella che definisce ed assegna a Giu- seppe Basso il suo vero posto nella schiera dei nostri lavora- tori della scienza: un posto, la cui importanza apparirà evidente a chi pensi al deplorevole abbandono nel quale qui come altrove, nelle scuole come nei laboratori, è presentemente lasciato il bellissimo ramo della fisica che il Basso prediligeva. Importa tuttavia notare come daccanto a questi lavori, i quali assorbi- rono la parte migliore della sua attività scientifica, egli abbia continuato a produrre anche altre pubblicazioni. Ed io cito fra queste: tre nuove note presentate all’ Accademia nel 1882 e nel 1884 intorno alla teoria ed alla costruzione del suo reometro a mas- sima deviazione, un trattato elementare di meccanica ad uso dei licei pubblicato nel 1882, due monografie popolari “ Sulla polarizzazione della luce diffusa del cielo , e “ Sulle unità di misura delle grandezze elettriche , inserite nell’Annuario me- teorologico della Società meteorologica italiana, e finalmente una lunga serie di cenni biografici e di commemorazioni. Frattanto, meno eccessivo che nei primi anni, ma pur sempre e. VS VEN I ST_unyv vo tot n e i PARC po ORE EEE er a $ ded . GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 13 intenso e grave, era continuato pel professore Basso il lavoro didattico. Nel 1879, ossia nel primo anno in cui egli si trovava esonerato dalla supplenza alla cattedra universitaria di fisica sperimentale, egli era promosso nell’Accademia militare al grado di professore aggiunto di prima classe; e due anni dopo, nel 1881, vi occupava, come professore titolare di fisica, il posto lasciatovi dal professore Luvini, nel quale posto, percorsi man mano tutti i gradi, egli rimaneva poi sino alla fine. Nella uni- versità, dopo di avere occupato la cattedra di fisica matematica per dieci anni come professore straordinario, veniva promosso professore ordinario nel 1882. E fu allora, solamente allora, che egli potè cominciare a ridurre a più sopportabile misura le sue fatiche, rinunziando gradualmente ai vari insegnamenti privati che prima era stato costretto a cumulare. La sua carriera come professore sarà tutta narrata, se dopo di avere ricordato, come ho fatto, queste poche date e con esse i criteri e gli intendi- menti che determinarono la scelta dei programmi e l'indole dei suoi insegnamenti, io ricorderò ancora con quale cura onesta ed amorevole egli si adoperasse a rendere chiara ed accessibile a tutti la sua esposizione; con quale arte egli riuscisse ad ac- coppiare alla chiarezza la castigatezza, e talora anche l'eleganza del discorso; con quale zelo assiduo e scrupoloso egli adempisse il suo ministero. La bontà dell'animo, l'onestà degli intenti, l'abitudine della più assoluta obbedienza al dovere furono, del resto, gli elementi direttori di tutti gli atti della sua vita. Della quale la maggior parte trascorse fra le fatiche ed i sacrifizi, sorretta unicamente dalla coscienza del dovere compiuto. Soddisfazioni e premi egli ebbe: ne ebbe nella onorata carriera universitaria; ne ebbe nella nostra Accademia, che fin dal 1877 lo inscrisse fra i suoi Soci, che due volte, nel 1888 e nel 1892, lo elevò alla carica di Segretario della nostra classe, che a più riprese lo volle membro della giunta pel premio Bressa e che ultimamente lo annoverava fra i suoi consiglieri di am- ministrazione. Inoltre nel 1891 egli era stato eletto membro della Società degli Spettroscopisti italiani, e nel 1893 era stato aseritto come Socio nella Reale Accademia di Agricoltura di Torino. Ma il premio direttamente ambito era per lui l’intima compiacenza di chi ha fatto del bene. V’ hanno eroismi ignorati Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 4 14 GALILEO FERRARIS fuori delle pareti domestiche, i quali non hanno premio di onori, ma fruttano impareggiabili gaudii dell'anima. E tali gaudii egli aveva conseguito. Cresciuto fra le più dure strettezze, egli era riuscito a restituire ai parenti il frutto dei loro sacrifizi; il padre aveva chiuso la vita operosa coll’ onesto riposo di una vecchiaia agiata e tranquilla; la madre, contenta nella modesta sufficienza di ogni cosa, lo benediceva; i nipoti riconoscenti progredivano negli studi con mezzi e con comodi che egli giovanetto aveva ignorato. Col balsamo di questi pensieri nel cuore, poco altro egli sa- peva desiderare. A lui bastava il culto della Scienza, alla quale, come alla sua Dea, ricorreva negli intervalli di riposo per ri- temprare le forze esauste dalle fatiche del pesante lavoro quo- tidiano, e la tranquilla e serena gaiezza della consueta passeggiata e del consueto ritrovo, dove fra pochi amici egli portava nei geniali colloqui il contributo della larga e varia sua coltura. E siccome la giornata faticosa gli faceva naturalmente prediligere la forma più tranquilla del riposo, così questa si era fatta uni- forme e si alternava con immutabile costanza col lavoro ugual- mente monotono de’ suoi uffizi. Quindi la sua vita fu caratte- risticamente metodica. Sotto la calma uniformità di quella vita pareva si nascondesse l’effetto di una continua violenza volontaria, di un perseverante proposito di negare a sè stesso i conforti e gli agi non compresi in un angusto programma prestabilito. La calda giovialità della sua anima pareva che egli comprimesse schivando paurosamente i contatti col mondo; all’ elevato e puro sentimento del bello, che pure albergava in lui, egli negava i godimenti offerti dai teatri e dalle altre istituzioni artistiche cittadine; al cuore, col quale egli aveva dedicato ai suoi cari la maggior parte dei frutti del suo lavoro, egli negava il con- forto della vita in famiglia. Ma violenza non v'era, v'era solo l’ abito del sacrifizio e la modestia dei desideri. Pago delle pure gioie dell'intelletto e della coscienza, egli trascorse, sempre uguale a se stesso, sempre calmo e sereno, la vita appartata e modesta. Sempre uguale a sè stesso, sempre calmo e sereno, la sera del 27 luglio egli stringeva ancora, rincasando, la mano agli amici, e loro diceva il solito: “ a rivederci ,,1' ultimo “ a ri- vederci ,. Il giorno dopo egli ci aveva lasciati! GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 15 Da quel giorno la vecchia madre attende invano il saluto consueto. E noi, ancora attoniti e dubitosi, oh! quante volte sentiamo nel cuore un sussulto e nelle vene un brivido se di sera, alla svolta della strada, ci si presenti nell'ombra una figura che ci ricordi quella che sempre ci aspettiamo di vedere, la figura amica del nostro povero Basso! ELENCO delle pubblicazioni del Prof. GiusePPE Basso. î 5 > È ” 1862. Dissertazione sulla luce polarizzata circolarmente e sulle sue appli- . cazioni ad alcune questioni di chimica. — Dissertazione di laurea. 1864. Sul lavoro interno prodotto dal calore nei corpi. — Dissertazione pel concorso ad un posto di dottore aggregato alla facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali nell'Università di Torino. 1865. Sull’uffizio della matematica nelle scienze sperimentali. — Discorso pel solenne accoglimento nella facoltà. (Rivista italiana delle scienze, lettere ed arti, anno 6°, n. 236, 3 aprile). 1867. Nota intorno alla determinazione di temperature molto elevate me- diante un procedimento calorimetrico analogo a quello seguito da Bystròm. (Mem. Acc. Sc. di Torino, Serie II, Tom. XXII). 1870. Sulla deviazione massima dell’ago calamitato sotto l’azione della corrente elettrica. (Mem. Ace. Se. di Torino, Serie II, Tom. XXVI). — Determinazione della velocità del suono nell’aria per mezzo di un’eco polifona. (Atti Ace. delle Sc. di Torino, Vol. VI). 1871. Nuova bussola reometrica. (Mem. Ace. delle Sc. di Torino, Serie II, Tom. XXVI). 1877. Fenomeni di magnetismo osservati nel radiometro. (Atti dell’ Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XII). 1878. Parole di commemorazione di Vittorio Regnault. (Atti dell’Ace. delle Se. di Torino. Adunanza 27 gennaio 1878). — Sulle correnti elettriche d’induzione generate per mezzo di moti oscil- latori. (Atti dell'Acc. Se. di Torino, Vol. XIII). — Sulluso delle bussole reometriche per correnti elettriche di breve durata. (Atti dell’Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XIII). 16 GALILEO FERRARIS 1879. Sull’allungamento dei conduttori filiformi attraversati dalla corrente elettrica. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XIV). ) — Fenomeni che accompagnano l’elettrolisi dei composti metallici. (Atti Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XV). 1880. Silvestro Gherardi. — Cenno biografico. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XV). — Sugli effetti meccanici della elettrolisi. (Memorie dell’ Acc. delle Sc. di Torino, Serie II, Tom. XXXII). — Contribuzione alla teoria dei fenomeni di diffrazione. (Atti Ace. Se. di Torino, Vol. XV). — Fenomeni di polarizzazione cromatica in aggregati di corpi birifran- genti. (Memorie Acc. Sc. di Torino, Serie II, Tom. XXXIV). — Intorno alla vita ed agli studi di Giambattista Beccaria. Conferenza tenuta alla Filotecnica. (Atti della Filotecnica). 1881. Dimostrazione di una proprietà geometrica dei raggi rifratti straor- dinari nei mezzi birifrangenti uniassi. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XVI). — Riflessione della luce polarizzata sulla superficie dei corpi DirlrangenAl: (Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XVI). — Il Conte Amedeo Avogadro di Quaregna. Lettura alla Società Filote- cnica, 24 aprile 1881. (Atti della Filotecnica, Anno IV, Vol. IV, 121). — Studi sulla rifrazione cristallina. (Memorie Acc. Sc. di Torino, Serie II Tom. XXXIV). 1882. Sopra un caso particolare d’equilibrio per un solenoide soggetto al- l’azione magnetica terrestre ed a quella d’una corrente elettrica. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XVII). — Apparato reometrico a massima deviazione (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XVII). — Nozioni di meccanica ad uso specialmente dei licei. (Paravia, Torino). 1883. Sopra un caso particolare di riflessione cristallina. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XVIII). — Sul fenomeno ottico detto “ Nodus Rosi ,, relazione. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XVIII). 1884. Sopra un modo di misurare l'intensità delle correnti elettriche. (Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XIX). i — Appareil rhéométrique à déviation maximum. (Torino, Stamperia Reale- Paravia). 1885. Fenomeni di riflessione cristallina interpretati secondo la teoria elettromagnetica della luce. (Atti Ace. Se. di Torino, Vol. XX). — Relazione del Socio Giuseppe Basso, Segretario della Giunta per il IV premio Bressa. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXI). I | | AI — 1886. Commemorazione di Giulio Jamin. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XXI). GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 17 _ — Sulla legge di ripartizione dell'intensità luminosa fra i raggi birifratti da lamine cristalline. (Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XXI). 1887. Sulla legge ottica di Malus detta del coseno quadrato. (Atti Ace. Se. di Torino. (Vol. XXII). — In commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff. (Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XXIII). 1888. In commemorazione di Rodolfo Clausius. (Atti Ace. Se. di Torino, Vol. XXIII). 1889. Sulla polarizzazione della luce diffusa dal cielo. (Annuario meteorolo- gico pubblicato per cura del comitato direttivo della Società meteorologica italiana; anno IV). i — In commemorazione del Conte Paolo Ballada di Saint-Robert. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XXIV). — In commemorazione di Gilberto Govi. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XXV). — Giacomo Prescott Joule, parole di commemorazione. (Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XXV). 1890. Sulle unità di misura delle grandezze elettriche. (Annuario meteoro- logico della Società meteorologica italiana, anno V). 1891. In commemorazione di Guglielmo Weber. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXVII). _ — (Giuseppe Pisati. — Parole commemorative. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXVII). 1892. Parole in commemorazione di Enrico Betti. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXVIII). — Di un carattere di reciprocità proprio della luce riflessa dai mezzi cristallini. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXVIII). 1893. La ricerca delle leggi fisiche. — Discorso letto nella solenne apertura degli studi nella R. Università di Torino. 18 GIUSEPPE GIBELLI G. B. DELPONTE Commemorazione letta dal Socio GIUSEPPE GIBELLI. Nacque in Monbaruzzo (circondario d’Aqui)il 2 Agosto 1812, da G. G. Delponte, medico di vaglia, già direttore delle Terme d’Aqui, e da Giovanna Prato, figlia di Alessandro, professore di Leggi in questa Università. Dopo i soliti corsi classici ed universitarii conseguì la laurea dottorale in Medicina nel Maggio 1832. Stretto dal bisogno, malgrado l’appassionata tendenza agli studi botanici, attese per sette anni all'esercizio pratico della Medicina. Nel 1839 ottenne finalmente la carica di assistente all’Orto Botanico; il che gli permise d’abbandonare la pratica medica, e di dedicarsi tutto quanto allo studio della scienza, che fu l’unica passione della sua vita. Fino d’allora dovette attendere con fer- vore all’insegnamento, sia colle ripetizioni agli scolari, sia colle frequenti supplenze al prof. Moris. Nel 1841, in seguito alla presentazione di tre tesi (De Pol- line plantarum — Varietates humani generis — De Rhabarbaro) ottenne l'aggregazione al Collegio medico di questa Università. Nel 1848, il celebre prof. Moris, nominato senatore, occu- patissimo nei lavori dell’alta sua carica, deferiva l'insegnamento della Botanica al dott. Delponte, il quale perciò otteneva il titolo di Professore sostituto in questa disciplina. In tale occasione il Ministro della Pubblica Istruzione fece sentire al Delponte, che l’erario pubblico, in gravi distrette per la guerra dell’Indipen- denza, non poteva disporre di alcuna somma in compenso dei suoi servigi. Il Delponte rispose, che il pretendere in tali contin- genze una ricompensa sarebbe stato indizio di poco amore alla Patria. E così per ben venti anni prestò gratuitamente l’opera sua all'istruzione: il che basta a designare la nobiltà di carat- tere di questo bravo uomo. G. B. DELPONTE — COMMEMORAZIONE 19 Morto nel 1869 il prof. Moris, il Delponte ebbe il regolare incarico dell’insegnamento della Botanica nell'Università nostra e finalmente anche l'assegno, che gli competeva. Nel 1870, in seguito a regolare concorso, conseguì la cat- tedra e il titolo di Professore ordinario. Diè quindi opera alle lezioni ed alle ricerche scientifiche fino al 1878. Nel 1879, travagliato da lenta malattia dei centri nervosi, dovette desistere dal lavoro con suo grande dolore; chiese il i ben meritato riposo e si ritirò nel villaggio nativo, dove len- tamente si spense il 18 Maggio 1884. Il Delponte fu nominato Socio residente di questa KR. Ac- cademia nel 1867. Fu membro della R. Accademia d’Agricoltura, corrispondente della Cesareo-Leopoldina Naturae curiosorum, della Società dei Naturalisti di Cherbourg. Per le sue benemerenze scientifiche e didattiche fu insignito di alti gradi di più ordini cavallereschi. Della sua operosità scientifica fanno fede le numerose pub- .blicazioni, delle quali aggiungiamo l’elenco in fine. Le principali, e che gli dànno fama di vero scienziato, sono pubblicate nelle Memorie di questa R. Accademia. Aveva il Delponte un ingegno eletto: amava la scienza e le ricerche scientifiche per sè stesse, perchè erano le uniche sue | gioie intellettuali, senza la minima preoccupazione di notorietà. Non sentiva vanità di sorta: invidia, meno che mai. Lavorava sempre, deliziandosi nello studio delle forme e delle trasforma- zioni vegetali, senza darsi pensiero che le sue scoperte fossero divulgate. E infatti l’opera sua più importante Specimen Desmidiace- arum, che gli dà un titolo perenne di benemerenza scientifica, fu pubblicata soltanto per aderire alle prementi insistenze del- l'illustre De Notaris, che altamente apprezzava il Delponte. In quest'opera sono descritte e nitidamente figurate ben 175 specie, delle quali 77 nuove. Essa resterà come un capo- saldo, al quale dovranno ricorrere tutti coloro, che vorranno occuparsi di queste elegantissime alghe microscopiche. Il Delponte era estremamente coscienzioso, meticoloso, per la manìa di perfezionare il suo lavoro; non sapeva mai stac- carsene, nè dargli il tratto finale. — Ecco il perchè giacciono inedite due poderose memorie, illustrate da molte tavole, una 20 GIUSEPPE GIBELLI sulle Zygnemacee, l’altra sulle Pediastreae, e perchè di parecchie altre restano voluminosi manoscritti, o furono pubblicati soltanto frammenti. Certo è che chi volesse accingersi ad uno studio sistematico e morfologico delle Alghe d’acqua dolce del Piemonte, troverebbe una miniera ricchissima e preziosa di materiali già vagliati dal bravo Delponte. Per la sistematica delle Fanerogame sono importanti due sue memorie col titolo l’una di: Stirpium exroticarum pugillus, l’altra Un ricordo botanico del Prof. Defilippi, nelle quali si illu- strano 36 specie, e di queste 7 nuove. Notiamo anche che insieme al compianto A. Gras aveva apprestato una ingente copia di materiali per una nuova Flora Piemontese, ai quali potranno attingere con molto profitto i volonterosi, che volessero ritentare l’impresa. Oltre alla passione eminente per la Botanica, il Delponte ebbe gusto finissimo d’artista per ciò che è bello in tutte le sue forme. Conosceva a fondo il latino e lo scriveva con ele- ganza. Era versatissimo nella letteratura del rinascimento ita- liano e de’ suoi grandi poeti da Dante all’Ariosto. Apprezzava assai anche i moderni suoi coetanei, meritamente celebrati. Negli ultimi suoi anni, quando dalla mente gli svanivano a poco a poco i nomi e i fatti della Botanica, gli restò vivace il ricordo dei classici latini e italiani; sicchè, ultimo suo conforto, sapeva deliziarsi declamando a memoria i brani più commoventi del- l’Eneide, gli eroici canti del Tasso, le sonanti ballate del Prati. Delponte nel suo cuore ingenuo non ricettò astio per nessuno; non ebbe nemici; amici pochi ma amatissimi. Ai genitori fino agli ultimi suoi giorni prestò culto di pro- fondo affetto. Nella sua camera da letto aveva raccolto entro una nicchia gli oggetti che di loro serbavano più commovente ricordo. Morì serenamente contemplando quell’altare del suo nobilissimo cuore! n n afiene “ G. B. DELPONTE — COMMEMORAZIONE gl Indice cronologico delle pubblicazioni di G. B. DELPONTE. De Polline Plantarum. (Taurini, ex Typis Regiis, 1841). Elementi di botanica e fisiologia vegetale. — Trad. di Adr. Jussieu con nozioni preliminari e appendice. (Stamperia Pomba, 1846). Cenno storico sull’Orto botanico di Torino dalla sua origine sino al 1849. (Mondo IMustrato, Tom. I, pag. 811, e suppl., pag. 838, con disegni intercalati nel testo). Elogio storico di Luigi Colla. (Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Ser. II, Tom. XII, 1850). Saggio di alcuni esperimenti georgici fatti negli anni 1851-52; letto in adunanza 16 aprile 1853; stampato negli Annali della R. Accademia d’Agricoltura, vol. VI. Catalogo delle piante coltivate nel giardino e nel Parco del sig. Marchese di Breme. (Torino, 1854). Stirpium exoticarum rariorum, vel forte novarum, Pugillus. (Taurini, ex Officina Regia, 1854). L’Igname Patata coltivata nell’Orto sperimentale della R. Accademia di Agricoltura di Torino. (Adunanza del 17 novembre 1855). Sulle Muffe di Valdieri. (Torino, Tipografia Nazionale di G. Biancardi, 1857). Nuove opere e miglioramenti introdotti nella primavera del 1859. (Estr. dagli Annali d’Agricoltura. — "Torino, Stamperia dell’Unione Tip-Edi- trice, 1861). Sull’Armiscillo della Nuova Granata. (Estr. Reale Accademia di Medicina di Torino, N. 17, 1862). Cenno intorno alle principali piante economiche poste a prova nel 1862 nell’Orto sperimentale della R. Accademia d’Agricoltura di ‘Torino. (Letto nelle Adunanze 17 dicembre 1862 e 23 febbraio e 4 giugno 1868). Cenno intorno alle piante più notevoli poste ad esperimento nell’Orto Agrario della R. Accademia d’Agricoltura di Torino l’anno 1856. (Letto nell’Adunanza del 18 febbraio 1866). Studi intorno alle piante economiche. Memoria prima, sui Frumenti. (Letta ed approvata nell’Adunanza del 4 maggio 1867). Un ricordo botanico del sig. Prof. Filippo Defilippi. (Stamp. Reale, 1869). Cenno intorno ad alcuni saggi di Cereali e Legumi dell'Orto sperimentale della Crocetta presentati all'Esposizione Agraria del 1869 in Torino. (Torino, Tipografia e Litografia Foa, 1869). 22 GIORGIO SPEZIA Elementi di Botanica. Organografia e fisiologia vegetale colle applicazioni | più importanti alle Industrie, alla Medicina ed alle Arti. (Stamperia Pomba, 1871). Studi intorno alle piante economiche. Memoria seconda: Sui Formentoni. (Letta ed approvata nell’Adunanza del 16 giugno 1871). Le piante in relazione colla materia e coll’incivilimento. Discorso pel ria- primento degli studi nella R. Università di Torino. (Stamperia Reale, 1873). Guida allo studio delle piante coltivate nelle aiuole di piena terra nell’Orto botanico di Torino. (Torino, 1874). Specimen Desmidiacearum Subalpinarum. (Taurini, 1873-77). Giuseppe De Notaris — Commemorazione di G. Delponte e M. Lessona. (Torino, Stamperia Reale, 1877). NB. — Del Delponte sono tutti gli articoli botanici contenuti nella Enci- clopedia popolare italiana del Pomba. JAMES DWIGHT DANA Commemorazione letta dal Socio GIORGIO SPEZIA. James Dwight Dana, socio di questa Accademia, nacque in Utica N. Y. il 12 febbraio 1813 e morì a New Haven il 14 aprile di quest'anno. Le scienze naturali perdettero nel Dana uno di quei cultori che oggi sono rarissimi, perchè lo sviluppo scientifico, originato dalla suddivisione del lavoro, permette soltanto ad un eccezio- nale ingegno di potere estendere le sue investigazioni simulta- neamente a varii rami della scienza con vantaggio di essa. Il Dana nella sua gioventù mostrò speciale predilezione per la chimica e nel 1836 fu assistente al laboratorio del prof. Sil- liman; ma in pari tempo coltivò lo studio dei minerali e nel 1837 comparve la prima edizione del suo trattato A system of | mineralogy, il quale doveva rendere il suo nome così popolare . ed in alta stima fra i mineralogi. JAMES DWIGHT DANA — COMMEMORAZIONE 23 Nel 1838 poi il Dana ebbe l’occasione di dovere applicarsi ad altri studi; poichè, chiamato a far parte del viaggio scien- tifico di esplorazione dell'Oceano Pacifico ordinato dal governo degli Stati Uniti, non potè a meno di essere attratto dalle inte- ressantissime osservazioni che in fatto di zoologia e geologia offrono simili viaggi. E fu dopo tale viaggio, continuato per circa 4 anni, che il Dana, oltre la mineralogia, coltivò anche la zoologia e la geologia con risultati così eminenti, che quasi non si saprebbe ora dire se le scienze naturali debbano piangere la mancanza di un mineralogo o di un zoologo o di un geologo. La maggior gratitudine che ogni mineralogo deve al Dana emerge dal suo trattato A system of mineralogy col quale egli seppe mantenere la mineralogia col progresso scientifico. Ed uno dei vantaggi principali di tale opera fu di avere ottenuto che nella classificazione dei minerali fosse dato posto essenziale ai caratteri chimici, i quali non erano tenuti in gran conto dalla generalità dei precedenti mineralisti che seguivano le orme di Mohs, Però il Dana raggiunse il suo scopo col riconoscere che il progresso delle scienze ausiliarie della mineralogia doveva influire sul cambiamento d’indirizzo dello studio dei minerali; ed egli stesso che colla prima edizione ammetteva ancora in parte il sistema di Mohs, riconobbe più tardi che esso non era soddis- facente. Perciò l’ abbandonava in base ad un principio fonda- mentale per lo sviluppo di ogni scienza, e che egli esprimeva nella edizione del 1850 con queste parole: “ Il mutare ha sempre l'apparenza d’incostanza. Ma il non mutare col progresso della scienza è peggio, è una persistenza nell’errore ,. Oltre alla indicata classica opera, la mineralogia deve al Dana una serie di lavori e brevi studii, i quali, se provano l’alto valore del mineralogo, dimostrano eziandio come egli vo- lesse disporre del tempo anche per gli altri studii naturali ai quali si era pure dedicato. La zoologia infatti deve annoverare il Dana fra i suoi cul- tori per una serie di scritti, fra i quali sono dai zoologi ritenute classiche e dotate di originalità l’opera sui crostacei e quella sui zoofiti. Mà se il numero delle pubblicazioni in un dato ramo scien- tifico può esprimere il maggiore amore che uno scienziato abbia ' 24 GIORGIO SPEZIA — COMMEMORAZIONE DI JAMES DWIGHT DANA per una scienza, si deve conchiudere che la geologia fu quella che attirò la maggior simpatia del Dana. D'altronde chi da giovane era chimico e che poi passò ad essere eminente nelle scienze mineralogiche e zoologiche, non poteva a meno di possedere tutte le condizioni scientifiche ne- cessarie per trattare argomenti geologici di qualsivoglia natura e con quella sintesi scientifica alla quale difficilmente arriva uno . specialista assoluto. Per un intelletto poi come quello del Dana, in cui lo studio delle dette scienze aveva stimolato il pensiero filosofico delle origini delle cose, era ovvio che la geologia do- vesse apparirgli come il campo più attraente per l’applicazione della sua grande sagacia nell’osservare e nel dedurre, massime che il suo paese presentava ancora moltissimi problemi geologici degni del suo studio. Anche per la geologia il Dana credette utile di scrivere un Manual of geology il quale, se fra i trattati di geologia forse uon ha il primato che possiede il System of mineralogy fra quelli di mineralogia, attesta tuttavia come l’autore fosse in magistrale possesso della scienza. Di speciale importanza sono poi le opere che hanno per titolo: Corals and coral Island, Characteristies of volcanoes e The four rocks of the New Haven region. Oltre tali opere il Dana fornì la geologia di un numero grandissimo, e molto maggiore di quello degli scritti di mine- ralogia e zoologia, di studii ed osservazioni, dalle quali risulta evidente come gli fossero famigliari gli argomenti di stratigrafia, di paleontologia, dell'origine delle montagne, dei fenomeni gla- ciali, di oceanografia e del vulcanismo. Rispetto a quest’ultimo è degno di nota un breve scritto che porta il titolo di: On the condition of Vesuvius in July 1834. È un lavoro essenzialmente descrittivo, ma nel quale appare già il carattere filosofico, di coordinare gli effetti colle cause, al quale il Dana informò generalmente i suoi lavori geologici; inoltre ha il pregio, per la geologia italiana, di essere stato il primo pubblicato in quella numerosa serie di svariati scritti che onorarono la vita scientifica del grande naturalista ame- ricano. TULLIO LEVI-CIVITA —— SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI, ECC. 25 Sull’inversione degli integrali definiti nel campo reale; Nota di TULLIO LEVI-CIVITA. In alcune ricerche di analisi pura e in moltissimi problemi di fisica e di meccanica fa d’uopo invertire qualche integrale definito. Si può anzi affermare che non v'è ramo della fisica matematica, in cui non si incontrino difficoltà di questa natura. Con tutto ciò, per quanto almeno è a mia cognizione, non fu ancora dedicata a siffatto problema alcuna indagine sistematica; se ne considerarono soltanto, in causa del frequente loro appa- rire, alcuni casi particolari, per la cui trattazione furono da varii autori proposti disparati artifizii. A tacere di alcune formule di Cauchy, che pur rientrano in quest'ordine di studii, Abel, per il primo, da taluna ricerca sul moto brachistocrono venne condotto ad un teorema di in- versione, che porta il suo nome e che, come mise in chiara luce il Prof. Beltrami (1), è suscettibile di forme svariatissime, tanto che ad esso (finchè si resta nel campo reale (2)) quasi unicamente possono riportarsi i casi di inversione, che gli altri autori hanno ritrovato. Molti di questi tuttavia presentano grande interesse per la questione, che ne vien risolta e basterà ricordare tra i più notevoli il teorema di Schlomilch (sugli sviluppi in serie pro- cedenti per funzioni cilindriche di argomenti multipli) e le mol- teplici applicazioni dello stesso Prof. Beltrami. Se io non mi inganno, eccedono il teorema di.Abel soltanto una generalizzazione di esso riportata da Sonine nelle sue “ Re- (1) “ Intorno ad un teorema di Abel , (Rend. dell'Istituto Lombardo, ser. II, vol. XIII). — “ Sulla teoria della attrazione degli ellissoidi , (Mem. dell'Acc. di Bologna, ser. IV, tom. 1). (2) Nel campo complesso la questione fu già discussa sotto aspetto più generale da Abel e da Riemann; venne poi recentemente ripresa dal Prof. Pincherle, dal sig. Hj. Mellin e da me stesso. 26 TULLIO LEVI-CIVITA cherches sur les fonctions cylindriques , (1) e una breve, ma _ importantissima nota del Prof. Volterra (2), la quale costituisce forse il primo ed unico esempio di un criterio generale di in- versione; il risultato è di ricondurre la questione ad altra più semplice della stessa natura, sì che talora anche riesce di rag- giungere lo scopo definitivo. Ciò accade del pari nel presente scritto; esso si informa (salvo le necessarie modificazioni, dovute alla maggior genera- . lità delle funzioni, con cui si opera) allo stesso concetto fon- damentale, che esposi già nella nota “I gruppi di operazioni funzionali e l'inversione degli integrali definiti , (8). Il primo $ è destinato a dare il profilo generale di un metodo, che può condurre alla determinazione di v(y) dalla formula: b(2) u (1) = |f(.y) e) dy, 0(x) dove u(x) e v(y) si intendono funzioni integrabili e 7(x,y) sod- disfa ad una equazione lineare a variabili separate del tipo: quer ( qm_s 7 Vip. Sins Val Sie = 0, che chiamo equazione caratteristica; i $$ seguenti sono dedicati alle applicazioni. Io ho considerato esclusivamente il caso che la equazione caratteristica in f sia del primo ordine, nella quale ipotesi si può ridursi senza difficoltà alla forma canonica: b(x) ufe) = [fl — y) v (y) dy. a(x) Il procedimento accennato riesce completamente per due casi particolari molto interessanti, cioè: (1) Math. Annalen, B. XVI. (2) “ Sopra un problema di elettrostatica , (Ace. dei Lincei, Transunti, Ser. 3°, vol. VIII). (3) Rend. dell’Ist. Lombardo, ser. II, vol. XXVIII. SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 27 = (fly) v(Yy) dy e u(x) = [f(a—y) 0) dy (a e db costanti). Per la prima di queste relazioni, ammessa press’a poco _ soltanto l’integrabilità della v e della f, immaginando data «(x) in un intervallo qualunque (ad), assegno una espressione ana- . litica (cioè formata cogli ordinarii simboli di calcolo) atta a rap- presentare v(y) nello stesso intervallo; come casi particolari ritrovo il teorema di Abel e la generalizzazione indicata da Sonine. Per la seconda formula invece, giungo ad un risultato utile, soltanto quando la (x) è nota ed integrabile in tutto l’intervallo (— 00 00). Quanto alle equazioni caratteristiche d’ordine superiore al primo, debbo rimetterne lo studio ad altra comunicazione, per non oltrepassare i giusti limiti della presente. Spero che nel frattempo mi si offra anche occasione di ap- plicare lo stesso metodo a qualche problema di fisica. 1. — Data l'equazione: be) (1) u(1) = (f(2,y) v(y) dy, a(x) dove a(x), b(), f(x, 4), u(x) si suppongono funzioni conosciute (le prime tre finite, continue e derivabili quanto occorre e la u(x) integrabile in un intervallo pur dato), il problema di in- versione consiste nel determinare una funzione v(y) atta all’in- tegrazione, per cui la (1) riesca identicamente soddisfatta. Ogni qualvolta la funzione f(x,y), che si può chiamare ca- ratteristica, soddisfaccia ad una equazione caratteristica a deri- vate parziali e variabili separate del tipo: ©) AM + 0M}f=0 (40 f= d, », (2) TL , 0m= Va () Lose essendo forme 0 differenziali lineari qualunque in «, y dell’ordine rispettivo n, m : 28 TULLIO LEVI-CIVITA si può seguire per l’inversione della (1) un criterio direttivo, che permette in qualche caso di andare in fondo. Gioverà premettere alcune brevi osservazioni. Formiamo l’equazione: (3) {AT — x(1)} u@) = 0, dove A" è la forma aggiunta a A? e y(t) è una funzione, che si può scegliere a piacere, di un parametro t; e poniamo: (0) (4) ve(y) = |{(2,y) u-(2) de, 2(Y) essendo ur(x) una soluzione determinata della (3). Sarà: B(4) 0 + veM=f 19 + x (7,9). ur (0) de + termini (9) provenienti dalla derivazione dei limiti. Ma, in causa della (2): 0!”f(x,y) = — A?°f(x,4), e, per la definizione stessa di forma aggiunta: BI) (3(9) — | A f(,y) . ur (2) da = + | f(x,y) - A'! pu. (x). de + termini a(4) (4) ai limiti. Chiamando complessivamente 9(y,t) i termini fuori dell’in- tegrale, che sono perfettamente conosciuti, e avendo riguardo alla (3), si conclude che le funzioni v-(y) definite dalla (4) sod- disfanno, qualunque sia il valore di t, ad una equazione diffe- renziale del tipo: (5) 10 + xMiv= (43, la quale le individua completamente, purchè le costanti di in- tegrazione si determinino attribuendo ad y nella (4) valori particolari. Ciò posto, riprendiamo l’equazione (1) e integriamo rispetto ad x fra certi limiti c e d, dopo aver moltiplicato ambo i membri per una funzione F da determinarsi, dipendente da x e, ove convenga, da altre variabili ausiliarie 2,tf, ecc. Lu e I iii ia e 4 * È; « E x bb Sd Si * SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 29 Avremo: d d b(2) SF.u(de = | Fada . SF) 0) dy. e a(x) Supponendo di poter in qualche modo invertire le due in- tegrazioni rispetto ad x e ad y, la relazione precedente assu- merà l’aspetto: d d 8) (6) SF. u(de= f v(y) dy 1) Fdx. c 7 a(Y) Si tratta ora (e a ciò s1 trova ricondotta tutta la difficoltà della questione) di operare in modo che il secondo membro della (6) divenga una rappresentazione integrale della funzione ©(y); in tale ipotesi infatti, il primo membro, che potrà riguar- darsi conosciuto, fornirà l'inversione richiesta. In generale è noto (1) che: 00 di fai fYity—2i v(y) dy = v(2) (r<2 essendo v(y) generalmente finita e continua, ed integrabile nel- l'intervallo (rd) e Y funzione /luttuante. Se dunque si giunge a conoscere una funzione Y (x, 2, t) tale che: B(Y) {f(x,y) F(x,2,t) dae = Y(t(y—-2)), 4(4) (1) Hamiron, “ On fluctuating function , (Transaction of the Royal Irish Academy, vol. XIX, 1848. — Du Bors-Revmonp, “ Ueber die allge- meinen Figenschaften der Klasse von Doppelintegralen, zu welcher das Fourier'sche Doppelintegral gehért , (Crelle's Journal, B. LIX, 1868). — C. Neumann, “ Ueber die nach Kreis-Kugel- und Cylinder-Funktionen fort- schreitenden Entwickelungen ,, Leipzig, 1881; veggasi in particolare, cap. 3, $ 6. — Kronrcxer, “ Vorlesungen iber Mathematik ,, Erster Band, Leipzig, 1894, pag. 77. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 5 30 TULLIO LEVI-CIVITA basta poi integrare il primo membro della (6) fra 0 e co per avere una rappresentazione analitica della funzione v. Ciò vale qualunque sia la funzione caratteristica f(x,9); l'ipotesi restrittiva da noi introdotta, che essa soddisfaccia ad una equazione del tipo (2), permette di fare un passo più avanti e di riportare la questione, che ci occupa, ad altra, se non ri- soluta, certo più studiata e in qualche caso già nota. Infatti, dato il sistema di funzioni vr(y) (t=1,2,...,00) definite dalla (5), dico essere sufficiente per lo scopo nostro che si sappia sviluppare una funzione assegnata @(y) in serie pro- cedente per funzioni vr (y) del sistema (6), si possa cioè, per quanto con restrizioni sulla natura di @(y), porre: em=Y cv.) colle C- indipendenti da y. Per provare questo asserto, si scelga una qualunque fun- zione fluttuante, che soddisfaccia alle volute restrizioni (ve ne ha certamente, perchè anzi le forme più note sono addirittura funzioni analitiche) e si avrà per Y (t(y—2)), risguardata come funzione della sola y coi due parametri # e 2, una identità del tipo: (7) Vity—a)}=Y} Ch) ve). T Se quindi si pone nella (6): (0) F(a, <, t) Ti le (t, 2) Ur (2), I tenendo presente la (4) e la (7), si ha: _£(0) JP) fy)da = Y}ty—-d}, aly) e per conseguenza, in base a quanto si è osservato a proposito della (6) stessa: SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 81 y e (8). (2) = f dt J >. Cr (t,2) ur (2). u(e) de (1<2a) 00 00 } : h(t) cosnt(e—y) + k(9) pa mi(e—-y) 18 dt de =0 - (181) fat fu teen :=0 y d: b (a L ha vi (t) cos dicon + x(t) sen né(e—y) dei 'di-a0ei no + k(0° "0 Fa 42 TULLIO LEVI-CIVITA Come caso particolare si potrà poi fare in queste formule o nelle precedenti a= 00, o 85= — 00, o insieme a==00, b= —o. Giova osservare altresì che (quando l'intervallo (ad) è finito) entrano nella (13) valori della funzione f relativi esclusivamente all'intervallo (0,8 —a) e che quindi la f stessa potrà essere o risguardarsi data soltanto in questo intervallo; per la applica- zione del nostro teorema, basterà poi poterne assegnare una qualunque estensione fittizia, che ottemperi alle condizioni sopra enumerate. 4. — Comincio con un esempio, che, se presenta per sè scarso o punto interesse, mi sembra nondimeno utile illustra- zione delle cose dette. Sia f(M) = e> e quindi: 00 E n 1A 1 (15,) h(t) a e cos THXd\ = 1taia: 290 t DN T (16,) k(t) #4 CT sen UTANCAN = 1+ ni! 0 le quali non si annullano contemporaneamente per alcun valore finito di t. Secondo il precedente $, posto: 1) 00 (19) (9) = (dt fu (2) { cosné(e—y) + né sen nt(e—y)! de, 0 a (Aa Du > ’ t>0, T essendo, al solito, simbolo della funzione euleriana di seconda specie. In questo caso, a differenza dell'esempio precedente, la (21) è soddisfatta. Il primo membro infatti, svolta la integrazione interna, assume qui l’aspetto: mp m entt(d—y) — sen tt(c—y) rip) sep | me Jr T Soa mt(d—y) — cos tt(c—y) COSP 3. fe n dt 0 e, siccome . ti f Sen mtld—y| dip E bidet i tP eten | re 0 00 ca ( cos tt | d—y | fica Falle) | ARA SA 4) t ri O e Li i dovendo essere y Sen it ly) = (2) ne peo (e < 9) 0, (@>y) sen pr da cui, integrando rispetto a 2 fra @ e 5 ed osservando che nel primo membro si possono invertire le integrazioni: - —p i cos p Ò cos T#(2—y) — sen p = sen Tt (e—y) AN ee sen pn f 5 aa de, (a y, il coefficiente di (2) è nullo, mentre il coefficiente di v(a), essendo @ < y, si riduce sen pr (ya) 2) immediatamente a — quindi : 0 db CALI va ® E i reo] ? 3 sen p 9 cos Té (e-y) + a cos p a sen mt(e—-y) de = sen pr MOLE fa i pu de Ì. (ya Confrontando colla (20,) si ricava: (20) og = RPTI e L tar “e del, (ad. Dunque, se esiste una funzione di Fourier, atta a verificare la (14), essa è necessariamente rappresentabile sotto la forma (25); oltre a ciò debbono valere le due relazioni identiche (24) e (26). Inversamente, se queste relazioni sono soddisfatte e se la (25) definisce una funzione di Fourier, portandola nella (14), con riduzioni analoghe a quelle indicate per la (13), si ripro- duce effettivamente la funzione u(x). In questo modo non soltanto si è risoluta l’equazione fun- zionale (14), ma si è anche trovato un criterio per decidere della sua possibilità. Il procedimento presenta però il gravissimo inconveniente di esigere la conoscenza e l’integrabilità della funzione «(x) in tutto l'intervallo (— 00,00), mentre nelle applicazioni accade il più delle volte di conoscere la funzione u(x) unicamente nel- l’intervallo di integrazione (@8). Si potrebbe bensì ricondursi a questo caso, con una con- dizione addizionale, come si è fatto nell’altro problema (for- mula (21)), ma la pratica applicabilità di questo espediente sa- rebbe ora pressochè nulla. Giova dunque, rispetto alle questioni di analisi applicata, riservare il metodo per il caso che l’ in- tervallo di integrazione sia (— 00,00), nella quale ipotesi la funzione «(x) viene ad essere conosciuta, come è per noi ne- cessario, in tutto il campo reale; di più le due condizioni (24) e (26) relative alla possibilità del problema vengono a mancare e la v(y), definita dalla (25), purchè dotata delle volute pro- prietà, soddisfa certamente alla (14). SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE Bl Quantunque esca dall'ordine di idee, in cui ci siamo posti, stimo necessario di accennare ancora ad un importante risultato stabilito dal Prof. Volterra (loco citato) relativamente alla de- terminazione di v(y) da relazioni del tipo: (27) u(e) = (f(2,y) v(y)dy, (a<2<), a dove i limiti si suppongono costanti e f(x,2) è funzione simme- trica rispetto alle due variabili x ed y. Il metodo del Prof. Vol- terra non inceppa nell’inconveniente ora lamentato della necessità di conoscere «(x) fuori dell’intervallo (a 6), e consiste nel ricon- durre tutti gli infiniti problemi di inversione, che, al variare di «(x), risultano dalla (29), ad una questione unica, alla ri- cerca cioè di una funzione \(x,2) tale che, per a 23,8 i n 31,4 n È 32,0 3 Ù 24,0 F , 31,8 28 A 30,4 30 da 26,3 1 Luglio 27,6 3 } 81,9 P — 26,2 à È 25,9 È ; 32,4 5 L 27,2 , " 24,0 I 3 34,3 È di 25,8 A £ 28,2 Quando il conduttore stia in un recipiente chiuso o almeno comunicante con l’aria per una piccola apertura, le discordanze si attenuano. L’esperienze delle quali do più innanzi i risultati, vennero fatte quasi tutte con l’una o con l’altra delle due disposizioni seguenti : 1° Un cilindro di latta alte 20 cm. circa e del diametro di 25 cm., posto in comunicazione col suolo, conteneva il con- duttore da studiarsi. Il cilindro veniva chiuso superiormente con un coperchio, nel quale erano un foro circolare ed un taglio nel piano verticale di un raggio del coperchio stesso che permetteva di applicare il coperchio anche quando il conduttore stava dentro il cilindro sostenuto dal filo di seta. 2° Una campana di vetro quasi cilindrica con un foro di 5 cm. di diametro alla sommità, del diametro interno di 19 cm. nella parte cilindrica inferiore, tutta rivestita di stagnola inter- namente, veniva appoggiata sopra una lastra metallica posta in comunicazione col suolo. Nello spazio interno doveva collo- carsi il conduttore attaccato ad un grosso filo metallico, che | passava attraverso il foro della campana ed era sostenuto da un filo di seta. Per difendere con maggior sicurezza il condut- tore dall’influenza della elettrizzazione del vetro, posi entro la campana un cilindro di ottone del diametro di 17 cm. e del- l'altezza di 29 cm. aperto superiormente e chiuso al disotto. Nelle tabelle che seguono indico con C la capacità del condut- tore entro l’inviluppo, con $ la superficie esterna del conduttore, con V, il potenziale finale d’ogni esperienza, vale a dire dopo 14 ANDREA NACCARI trenta minuti dacchè il conduttore fu isolato. Il potenziale ini- ziale V, fu sempre di 47,0 Volta. Il valore di % venne sempre calcolato dai dati dell’esperienze con la formula C logV, — log Vi 80 S log C ; I valori di C sono espressi in unità elettrostatiche, quelli dei potenziali in Volta, quelli di S in cm?. Per ogni determinazione di & riferisco i valori di Vj, dei quali s’introdusse il medio aritmetico nella formula. Le prime undici esperienze furono fatte ponendo i conduttori entro il cilindro di latta testè descritto al n. 1: le altre con la cam- pana di vetro. I. 29 V 1893. Disco A di zinco: diam. 21 em.; grossezza 1 cm.; orlo arrotondato; manico cilindrico metallico del diametro di 1 cm., lungo 17,5: C= 17,56 S=825 V,= 36,0; 37,1;38,0 %&=170.1075 II. 30 V. Disco A, sospeso a lungo, filo di rame: C.19,16,1,9=842, V,. 96,2;85,b5; 99, = 2000008 III. 31 V. Disco A, senza filo di rame: C= 17,25 S=825 Vi= 35,7; 94,4; 35,5 X=197.107° IV. 31 V. Disco A più prossimo al fondo: C.—23% S.= 825 Vi,.= 988,5;..98,8 k= 190207 V. 1 VI. Disco A ancor più prossimo al fondo: 290,4 Si=825:, Va 4325 49,5:/435. | ke 103400 VI. 2 VI. Disco B di zinco; diam. 11,7; altezza 02; manico lungo 30,5; diam. 0,3: C= 11,06 S=251 V,= 37,3; 39,1;37,7:39,7 %X=293.1075 VII. 2 VI. Disco di rame €, eguale per dimensioni a B: C= 10,93 S=251 Vi=37,7; 38,8; 38,6; 39,3. X=283.10-° SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 75 VII. 3 VI. Due dischi di rame eguali a C infilati sullo stesso asse, a 1 cm. di distanza: O— 10,26 S=466: V,=34,8;35,1;87,0;36,2 X=—197.107 IX. 2 VI. Gli stessi dischi a contatto: i=10,;92 __S=258 .V,==37,5:89,0: 40,0;.39.6. 4—261.107° X. 5 VI. Disco d’ottone, eguale per dimensioni ad A: 2 920 Via 40/91 09,0: 40,4. kE 10:10" XI. 5 VI. Disco A, novamente pulito e levigato: 280825 Ve 47049) 049,9 42.074,00 E 19510 XII. 14 VI. Due dischi di rame eguali a €, a contatto, infilati sullo stesso asse: C=10,31 S=258 V, = 39,7; 39,5;39,7 k= 22410 XII. 14 VI. Gli stessi dischi alla distanza di 6,5 cent.: Gi 13/900S SSAUGHOVi=40/£43 38% 40740 "pi 15210? XIV. 15 VI. Gli stessi dischi a 3 cm. di distanza: Ge 11,8 S== 4661 Vj:=139;1;/40,43139,8, | L—013h40078 XV. 15 VI. Gli stessi dischi a 1 cm. di distanza: C= 10,2 S=466 V, = 388,6; 38,6; 38,8. X= 145.107 XVI. 16 VI. Gli stessi dischi alla distanza di 3 mill.: SANA XVII. 19 VI. Gli stessi dischi a contatto: U=12,0 S=258. V;=35,5; 38,6; 37,1; 38,0; 37,9 &=297.107° XVIII. 22 VI. Disco B: U*=210,59° S ==" 201" VI ='99,97 198,07 48,0% E = 265.107 XIX. 24 VI. Palla A di ottone; raggio 5 cm.: U=12,2 S=914" V,=43,5; 40,4; 43,9; 42,0" k =IST.10- XX. 24 VI. Due palle eguali alla A: ©21 S=638/ 007, 40,64 41/77 41/7" 00p—-149:109 76 ANDREA NACCARI XXI. 24 VI. Palla d’ottone B; raggio 4,3: C=11,1 S=252,5 V,=22:438;4330 #W= 438940000 XXII. 28 VI. Cilindro di latta, diam. 6,3, altezza 18: C—=19,59 S=569 V,=42,2; 41,5; 40,8; 42,0. &=138.107° Esaminando questi risultati si vede che sono particolar- mente grandi i valori di 4 dati dalle esperienze VI, VII, IX, XII, XVII e XVIII. In esse si adoperarono dei dischi che non avevano gli orli arrotondati ed aveano piccola grossezza. Forse è dovuto a ciò il maggior valore di %, che si ebbe tanto con l’inviluppo di latta quanto con la campana. È vero che quei dischi furono adoperati anche in altre esperienze che diedero valori di X non molto alti, ma è da osservarsi che in queste altre esperienze i due dischi non erano a contatto e che nell'intervallo fra questi lo scarso movimento dell’aria e forse anche l'andamento delle superficie equipoten- ziali dovevano contribuire a diminuire la dispersione e a com- pensare almeno in parte l'influenza degli orli. Anche il grande valore di % trovato nella II esperienza può spiegarsi con l’înfluenza del filo di rame usato per la so- spensione. Fra gli altri risultati merita attenzione quello della V esperienza ottenuta con un disco di zinco vicinissimo al fondo. Pare che la difficoltà a rinnovarsi che incontra l’aria tra la superficie inferiore del disco ed il fondo spieghi questo risultato, che fu confermato da molte altre esperienze che non ho riferite. I valori rimanenti di % variano da 115 a 197.10-% e certamente questa differenza dei limiti è molto grande, ma se si tien conto della natura del fenomeno e delle varietà delle condizioni, quella differenza apparirà forse più piccola di quanto si poteva pre- vedere. La formula può dirsi verificata entro i limiti di queste espe- rienze, benchè applicata a conduttori di diversa capacità e su- perficie. 8. Effetto del pulviscolo dell’aria. — Feci parecchie esperienze comparative determinando nel modo descritto il valore del coef- ficiente X con un conduttore circondato da aria libera, ora nelle condizioni ordinarie, ora mentre dei corpi polverosi venivano SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 77 derit e battuti in vicinanza. Non osservai alcuna influenza che si potesse attribuire alla polvere. Cercai di liberare l’aria dalla polvere per esaminare se poi avveniva egualmente la perdita di elettricità. Il conduttore stava dentro un cilindro di lamina d’ottone e sotto la campana di vetro già menzionata. Spalmai con glicerina secondo il sugge- rimento del Tyndall le pareti ed il fondo del cilindro perchè la polvere precipitandosi lentamente vi rimanesse attaccata. Posi l’uncino di rame, a cui il capo superiore del filo di seta, che sosteneva il conduttore, era appeso ad un potenziale costante eguale al potenziale iniziale del conduttore. Così per la via dei sostegni poteva forse venire qualche minima quantità di elet- tricità al conduttore, ma questo non poteva perderne. Tenendo a lungo l’apparecchio nelle condizioni descritte io non mi avvidi mai che col tempo la dispersione si rallentasse. Parrebbe quindi che si potesse concludere che il pulviscolo atmosferico non ha gran parte nella trasmissione della elettricità. 9. Influenza della temperatura del conduttore — Preso un cilindro di latta con coperchio, lo empii di acqua calda, lo so- spesi con fili di seta e determinai successivamente il valor di & con parecchie esperienze alternate quando l’ acqua aveva la media temperatura di 90° e quando aveva la temperatura ordi- naria. Non riscontrai differenza sensibile, il che è conforme a quanto trovarono il Narr (1) e il Giese (2). 10. Influenza dei prodotti della combustione. — Questi, come è noto, affrettano molto la perdita di elettricità. La sola fiamma dell’elettrometro produce grandissimo effetto, quando si opera con un conduttore posto nell’aria libera. Così mentre in tre esperienze fatte senza alcuna fiamma il potenziale di una palla sospesa nell’ aria libera da 47,9 Volta scese in 30" a 35,4, quando invece la fiamma dell’elettrometro rimase accesa, scese ‘in pari tempo a 14,5. Non si può avere regolarità nell’ esperienze fatte con la (1) Narr, Wied. Ann., XLIV, 133. (2) Grese, Wied. Ann., XVII, 529. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 8 1 2 78 ANDREA NACCARI fiamma accesa, perchè l’azione dei prodotti varia con le correnti. d’aria che li trasportano a contatto del conduttore. Ancorchè raffreddati i prodotti agiscono egualmente, purchè non sia trascorso troppo tempo dacchè la combustione è avve- nuta. Se si pone una fiamma al di sotto della bocca inferiore di un serpentino circondato da acqua fredda e si fa che l’estre- mità superiore stia sotto il conduttore elettrizzato, la perdita di elettricità viene fortemente accelerata, ancorchè il serpentino abbia la lunghezza di 2 m. e i prodotti escano affatto raffred- dati. Ma se si raccolgono in una campana i prodotti della com- bustione di una fiamma e poi si mandano contro il conduttore, non si ha effetto alcuno. L’ attitudine ad accelerare la disper- sione è dunque temporanea e pare legata allo stato particolare delle molecole e degli atomi, che accompagna la combustione o le tiene dietro. L'anidride carbonica, appositamente sviluppata, non produce effetto alcuno; del vapore acqueo si dirà poi. Fu notato da R. Helmholtz che mentre i prodotti della combustione agiscono in generale sopra un getto di vapore con- densandolo e facendone mutare l’aspetto e togliendone la tras- parenza, una fiamma d’alcool puro, non luminosa, non, produce tale effetto. Io esaminai se alcun che di simile si verificasse rispetto alla dispersione della elettricità, ma ebbi un forte au- mento di questa anche con la fiamma d’alcool, puro non. lu- minosa. Esaminai se qualche altro fenomeno chimico producesse un effetto simile a quello della combustione. Non ne ebbi alcuno da un getto di ozono e da uno di gaz ammoniaco, che s’incon- travano un po’ al di sotto del conduttore elettrizzato. Nessun effetto produce l'ozono solo, nè l'idrogeno appena sviluppato. Dell’azione del fosforo dissi già prima d’ora (1). 11. Influenza delle punte. -— Una punta metallica applicata a un conduttore nelle condizioni delle descritte esperienze non accelera la dispersione. 12. Influenza del movimento dell’aria — Una corrente d’aria, che vada a batter contro il conduttore, non accelera la disper- (1) Atti dell’Accademia di Torino, XXIV, 195; XXV, 884. \ SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 79 sione; anzi talvolta produce un aumento di carica. Che però un. movimento d’aria. continua e lento agisca accelerando la disper- sione, è cosa. che risulta. manifesto da un gran numerò delle mie esperienze, e specialmente da. quelle ch’eseguii nel modo seguente. Il disco A già menzionato sopra era sospeso entro un ci- lindro di latta. Le due basi di questo avevano un foro centrale, quello di sopra rimaneva sempre aperto, l’altro veniva ora te- nuto aperto ora chiuso con una lamina di latta. In ciaschedun caso il valore di V, è dedotto da quattro esperienze fatte nelle ‘stesse condizioni e alternate con quelle fatte nell'altra. Foro aperto C= 36,9 Vi = 37,7 k =3B2L107 s Chiuso 40,4 42,2 Eg100° Foro aperto 2228) 2,006V 90) 1 pe SERIO s Chiuso I 40,3 168.107° Porofanperio £ —,35,1° Vi. 97,6, ka 9200.107° s Chiuso ° 4259 LAL1:0;3° Quest’esperienze dimostrano come il coefficiente di disper- sione fosse notevolmente più grande nei casi in cui, essendo aperto il foro del fondo del cilindro, l’aria che toccava la .su- perficie inferiore del disco, poteva più facilmente moversi e rin- novarsi. 13. Influenza dei vapori — In una serie di esperienze in- torno all’influenza delle piccole scintille sulla dispersione (1) io avevo osservato che i vapori di trementina, di etere e di alcool attenuavano grandemente l’effetto delle scintille. Esaminai se i vapori attenuassero anche l’effetto dei prodotti della combustione e riscontrai che avviene così. Descrivo qui alcune fra l’ espe- rienze eseguite. Una piccola fiamma a gas stava al di sotto d’ un imbuto metallico capovolto, al quale era applicato un tubo verticale di 80 cm. circa. All'estremità superiore di questo era applicato me- diante un tappo un altro tubo ripiegato orizzontalmente che (1) Atti dell’Accademia di Torino, XXV, 1890. 80 { ANDREA NACCARI conduceva i prodotti della combustione ad una piccola bottiglia. In questa si poneva la sostanza liquida, con i vapori della quale si voleva che i prodotti della combustione si mescolassero. Il liquido occupava una piccola parte della bottiglia. Il tubo, di cui si è detto, entrava, attraversando il tappo, nella bottiglia, ma non s'immergeva nel liquido. Un altro tubo attraversava il tappo, diritto, verticale, aperto ai due capi; non s’immergeva nemmeno esso nel liquido. I prodotti della combustione mesco- lati con i vapori salivano per esso ed entravano nello spazio dove stava il conduttore, la cui perdita di elettricità si studiava. Quando sì voleva che i prodotti giungessero a quello spazio ‘ e non si mescolassero con vapori, si sostituiva a quella bottiglia un’ altra eguale che invece del liquido volatile conteneva un egual volume di mercurio e ciò perchè tutte le altre condizioni dell’esperienze che si confrontavano, fossero eguali. L’esperienze vennero fatte con una sfera di ottone di 10 cm. di diametro, sospesa mediante un filo di seta lungo 80 cm. ad un sostegno di vetro e congiunta stabilmente all’elettrometro. La sfera stava entro un cilindro metallico col fondo forato. Una campana di vetro rivestita internamente di stagnola circondava il cilindro. Essa aveva un foro alla sommità, per la quale pas- sava il filo di seta e il filo di rame che congiungeva la sfera all’elettrometro. Si portava il potenziale della sfera ad un va- lore corrispondente a circa 350 divisioni, poi lo si faceva di- scendere fino a 225, il che nelle condizioni in cui si trovava allora l’elettrometro corrispondeva a circa 32 Volta. Si comin- ciava a contare il tempo e dopo 15 minuti si osservava la po- sizione della striscia luminosa sulla scala dell’elettrometro. Nelle due figure son posti nella stessa colonna verticale, e nell’inter- vallo tra due linee orizzontali i numeri spettanti all’esperienze che si possono comparare direttamente fra loro. Quei numeri rappresentano il medio spostamento della striscia luminosa per un minuto. Nell'ultima colonna verticale stanno i valori medi. La lettera P indica i prodotti della combustione. Così ad esempio nella prima esperienza con i prodotti soli s'ebbe uno sposta- mento medio di 3, 4 parti, nell'esperienza successiva fatta con i prodotti misti a vapori d’alcool 2, 7: la terza fu fatta con i soli prodotti e diede 3,05, la quarta con Dod misti a vapori d'alcool diede 2,55: SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. P 3,40 3,05 P + Ale. 2,70 2,55 P 4,00 3,70 P + Etere 3,70 3,50 P 4,81 4,59 P+ Aq. 4,26 4,26 P P + Clorof. P P + Ammon.* 3,90 4,29 3,10 2,90 4,26 3,60 4,46 3,45 3,47 2,95 3,25 2,85 81 medio 3,10 4,01 4,00 Suobi 2,70 4,00 9.99 medio 3,39 3,60 AI ILA 3,33 2,87 3,20 3,45 2,93 2,70 2,60 2,38 2,83 2,40 2,46 2,87 3 medio 5:91 5,27 Iotti 5,76 5,14 5,60 4,98 r 5,31 4,87 | medio 4,47 440 4,26 Si 3,30 medio 5,46 5:53 5,09 Ea: 4,74 4,40 4,44 5,00 È da notarsi che l’acqua usata nell’esperienze aveva la temperatura di 50° circa. Con l’acqua alla temperatura ordinaria non si notò alcun effetto. Se si dispongono i medii risultati ot- tenuti in ordine decrescente, si trova che la massima attenua- zione dell’ attitudine che hanno i prodotti della combustione 82 ANDREA NACCARI d’accelerare la dispersione fu prodotta dall’etere, poi vengono il cloroformio, l'alcool, l’ammoniaca e l’acqua. Ho anche esa- minato se nell’aria imista ai vapori medesimi ‘(la dispersione avvenisse più lentamente che non nell'aria atmosferica ordi- naria. Ho determinato il valore del coefficiente '‘% alternativa- mente nelle due condizioni, ma non son riuscito a riconoscere alcun ceffetto costante e sicuro dei vapori. 14. Esperienze nell'aria rarefatta. — Tentai di studiare la dispersione nell’aria rarefatta. La necessità di chiudere lo spazio in cui sta il conduttore, rendeva molto difficile l’ottener preci- sione. Circondai il filo che doveva servire a congiungere il con- duttore con l’elettrometro e passava attraverso le pareti dello spazio chiuso, con una sostanza coibente ‘e poi con una guaina metallica che mediante una apposita pila cercavo di tenere allo stesso potenziale del conduttore. Speravo così di sopprimere le perdite di elettricità che non avvenissero per l’aria, ma la so- stanza coibente posta a contatto di quel conduttore si carica di elettricità e si comporta in modo da togliere ogni precisione. Studiai invece qual fosse nell’aria rarefatta l'influenza delle scintille elettriche. In un tubo di vetro di circa 5 cm. di dia- metro introdussi due elettrodi di ottone che terminavano in due dischi piani affacciati l’uno all’altro. Le aste che portavano i dischi passavano attraverso due tappi di sovero applicati agli estremi del tubo. Attraverso uno di questi passavano pure due elettrodi, le cui estremità nell'interno del tubo stavano alla di- stanza di pochi mill. Dei primi due elettrodi l’uno era destinato ad essere congiunto con l’elettrometro, l’altro con un polo d'una pila, l’altro polo della quale era in comunicazione col suolo. Gli altri due dovevano congiungersi ai poli d’ un piccolo roc- chetto d’induzione. Un tubo di vetro attraversava pure uno dei tappi e metteva alla macchina pneumatica. Mediante ceralacca si chiuse ogni altra comunicazione fra l'interno e l’esterno. Un disco di rete metallica congiunto al suolo stava fra i secondi elettrodi e i primi in modo da difendere questi da ogni azione elettrostatica quando le scintille scorrevano fra gli altri due. La pila che era in comunicazione con uno dei dischi era atta a produrre una deviazione di 240 parti circa. Se non scoccavano scintille, la elettricità non passava da un disco all’altro, se le SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 83 scintille scoccavano e l’aria era rarefatta, il passaggio avve- niva, tanto nel caso in cui il disco congiunto alla pila era positivo, quanto nel caso opposto. Con la distanza di 1 cm. fra i dischi occorreva ridurre la pressione a meno di 20 cm. per aver effetti considerevoli. S'aveva un massimo effetto alla pressione di circa 1 mm.; a pressioni inferiori l’effetto diminuiva. Quando vennero posti nel tubo due dischi di cartone che stessero fra le scintille e i dischi, e fossero alla distanza di 1 cem. circa l’ uno dall’ altro, il passaggio della elettricità fra i dischi nell’aria rarefatta venne grandemente attenuato, ma anche in queste condizioni l'influenza delle scintille sulla dispersione della elettricità tanto positiva quanto negativa apparve manifesta. 15. — Se esaminiamo i risultati delle esperienze descritte per trarne qualche conclusione in favore dell’ una o dell’ altra ipotesi, vediamo che in favore di quella che attribuisce la di- spersione della elettricità agli atomi dissociati sta il fatto che l’aria resa ad arte polverosa non produce effetto maggiore. Lo stesso va detto dell’altro fatto che spalmando le pareti con gli- cerina, e lasciando tranquilla l’aria non si osserva che la di- spersione si rallenti. L'azione dei prodotti della combustione, del fosforo, delle scintille elettriche e dei corpi incandescenti può spiegarsi nei due modi perchè secondo l’Aitken in tutti questi casi si pro- duce una gran quantità di pulviscolo e d’altra parte è probabile che nei casi stessi le molecole dei gas possano venir dissociati. I vapori attenuano la dispersione prodotta dalle scintille elettriche e dai prodotti della combustione. Questo fatto mi pare favorevole all'ipotesi che la dispersione sia dovuta agli atomi liberi anzichè al pulviscolo, essendo più probabile che la pre- senza dei vapori diminuisca il numero di questi atomi o li renda inattivi, anzichè faccia un consimile effetto sopra il pulviscolo. Dall’insieme di queste esperienze risulta adunque che l'ipotesi del pulviscolo ha minore verosimiglianza dell'altra. L’Accademico Segretario ANDREA NACCARI. 84 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 24 Novembre 1895. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarEeTtTA, Direttore della Classe, Peyron, Rossi, BoLLati DI SAIN-PreERRE, NANI, CrpoLLa, BRUSA, PerrERO, ALLiEvo e FERRERO Segretario. Il Presidente commemora il defunto Socio Basso, ricordan- done i servigii resi alla scienza ed all'insegnamento e le parti- colari benemerenze verso l'Accademia, della cui Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali fu Segretario. Ricorda le perdite di Socii fatte dalla Classe durante le ferie accademiche, cioè del Socio Straniero Enrico Rodolfo GweIsT, dei Socii Corrispon- denti Enrico von SyBrr, Filippo Linati. Accenna all'opera scientifica di essi ed annuncia che per suo incarico, il Socio CrpoLLa nell'adunanza stessa commemorerà il Socio Corrispon- dente SyBEL, ed affida rispettivamente ai Socii BrusA e CLARETTA l’incarico di commemorare i Socii Gwersr e Limati in prossime adunanze. Da ultimo annuncia alla Classe la morte del Socio Corrispondente Ruggero BoneHI, avvenuta il 22 ottobre scorso, e nell’impossibilità di rieordarne anche solo in parte gli scritti e le opere, si limita a commemorare con brevi parole la vasta 85 e mirabile operosità di lui dimostrata negli studii storici, poli- tici, filologici e filosofici, che di esso ha fatto una delle figure più spiccate e più geniali nella storia politica e letteraria del nostro risorgimento. Fra le pubblicazioni pervenute alla Classe durante le ferie il Socio FERRERO segnala le seguenti: “ Francesco Bacone alla Corte d'Inghilterra ,, del Socio Giuseppe ALLievo (Torino, 1896); “ La moneta ed il rapporto dell'oro all’argento ,, del Socio Cor- rispondente Cornelio DestmonI (Roma, 1895); “ Friedrich Diez ,, del Socio Corrispondente Wendelin ForRrstER (Berlin, 1895); “ La passione în Canavese ,, pubblicata e commentata dal Socio Corrispondente Costantino NierA in unione col sig. Delfino Orsi (Torino, 1895); “ Vocabulaire francais-malgache ,, del Socio Corrispondente Aristide MarRE (Paris, 1895); “ Historia e civi- lisacao ,, del Socio Corrispondente Antonio pe SERPA PIMENTEL (Lisbona, 1895); “ Pope's Universal Prayer ,, del Socio Corri- spondente Sourindro Monun Tasore (Calcutta, 1894). Il Presidente, a nome dell’autore, prof. Giuseppe ZUccAnTE, offre le opere: “ Saggi filosofici , (Torino, 1892); “ La dottrina della coscienza morale nello Spencer , (Lonigo, 1895). Il Direttore della Classe CLARETTA presenta in omaggio il volume VI degli “ Atti della Società di archeologia e belle arti - per la provincia di Torino ,. Il Socio Segretario presenta una fotografia, donata dal Prefetto della biblioteca nazionale di Torino, del busto di Gaspare GoRRESIO, riprodotto in marmo dall'originale posseduto dall’Ac- cademia e collocato in una delle sale di studio della biblioteca, riservata, fra altre persone, ai membri dell’Accademia. Presenta poi l’opera postuma di Enrico BrancH®erTI: “ / sepolereti di Ornavasso , (Torino, 1895), di cui fa dono la vedova dell’autore signora Clara BIANCHETTI-SELLA. Il Socio Segretario informa che l'Accademia è stata rap- presentata dal Socio BoseLLi al VI Congresso storico italiano, 86 riunitosi in Roma nel passato settembre, e presenta gli ordini del giorno approvati dal Congresso e mandati dalla Presidenza di esso. Comunica pure l’invito diretto all'Accademia di farsi rappresentare all'XI Congresso degli americanisti a Messico. Il Socio CreoLLa legge una commemorazione del Socio non residente Cesare Cantù e del Socio Corrispondente Enrico von SyBEL, che è pubblicata negli Attì accademici. È presentato un lavoro manoscritto inviato per la stampa dal signor Giovanni FrIGERI ed intitolato : “ La filosofia di Gio- vanni Pico della Mirandola ,. A riferire intorno ad esso in una prossima adunanza sono delegati dal Presidente i Socii PeyRoN, Brusa ed ALtLievo. Il Socio Segretario legge una nota del Socio Corrispondente prof. Elia LamttES: “ Il vino di Naxos in un'iscrizione preromana dei Leponzii in Val d’Ossola ,, ed un’altra del prof. Carlo PascaL: «“ L'iscrizione sabellica di Castignano ,. Queste note sono inse- rite negli Atti. Il Socio CipoLLa presenta un lavoro manoscritto del Dot- tore Luigi ScHIAPARELLI: “ Le origini del comune di Biella ,, di cui l’autore desidera la pubblicazione nelle Memorie acca- demiche. Il Presidente delega il Socio presentante ed i Socii BoLLATI pI Saint-Pierre e PerRERO a riferire intorno a questo lavoro. —————C—_TC_“—— ((TT---_- CARLO CIPOLLA — CENNI COMMEMORATIVI, ECC. 87 LETTURE CESARE CANTÙ ed ENRICO von SYBEL Cenni commemorativi del Socio CARLO CIPOLLA. La morte ci tolse nell'ultimo anno accademico e nelle ferie testè trascorse due dei nostri soci più illustri, Cesare Cantù ed Enrico von Sybel. Morì il primo, addì 11 marzo 1895 a Milano. Tl 1° d'agosto mancò ai vivi il secondo. L’uno e l’altro furono scrittori fecondissimi, ma solo delle principali loro pubblicazioni mi sarà dato di far cenno, commemorando oggi brevemente la memoria venerata dei due grandi storici. Il Cantù morì vecchissimo. Nato addì 8 dicembre 1804 a Brivio, nella provincia di Como, aveva celebrato pochi mesi prima di morire, il suo novantesimo anniversario; in quel dì di festa era contornato non solo dai suoi ammiratori, ma da uno stuolo di fanciulli, suoi piccoli amici. Il Cantù amò sempre la compagnia ingenua dei fanciulli, quantunque nel suo spirito ci fosse qualche cosa di sdegnoso; ma il suo sguardo si rassere- nava, quando egli lo posava sui fanciulli o sui fiori. Festeggiavasi l’ultimo suo anniversario, quando la N. An- tologia pubblicò un articolo del Cantù sul viaggio del Montes- quieu in Italia. Quel vecchio vigoroso volle morire colla penna in mano, volle eseguire fino all’ ultimo il programma di lavoro ch'egli stesso si era tracciato nel 1874, commemorando nell’ Ar- chivio Storico Lombardo il Guizot. Egli vi lodò il grande storico francese per molti rispetti, ma un encomio speciale gli tributò per la tenacità nel lavoro, continuato senza riposo sino all’ul- tima vecchiaia. E additò ai giovani nel Guizot un alto esempio da imitare. Non minore esempio lasciò a noi il Cantù in sè medesimo. Il Cantù dovette tutto a se stesso. Rimasto orfano in gio- vanissima età, assunse l’educazione dei fratelli, tra’ quali Ignazio levò di sè bella fama, come scrittore. Cesare Cantù insegnò dapprima a Sondrio, poi a Como, poi a Milano. Lasciò quindi 88 CARLO CIPOLLA i pubblici officîù per dedicarsi tutt’intero alla storia, e per con- servare integra la libertà della parola. Ai primi suoi anni risale il poemetto Algiso e la Lega Lombarda, che poi ristampò nel- l'età più tarda (1880). In quel poema, abbellì la storia colla veste della poesia, e quale letterato si schierò tra .i romantici. Non fu nemico alle rime anche nell’età inoltrata, quantunque questo non fosse il suo campo: scrisse un inno alla Croce, che recitò pur sul letto di morte. La sua vera strada la trovò peraltro assai presto e nel 1829 pubblicò il primo volume della Storia di Como, di cui il secondo vide la luce nel 1831. Con questa monografia, il Cantù tentò un metodo nuovo, svincolandosi dal legame annalistico al quale avevano obbedito gli imitatori dell’incomparabile Muratori. La tela su cui si svolge la storia, lo si capisce, è sempre la cro- nologia; nè è possibile fare diversamente, che seguirla con di- ligenza. Ma non per questo è in tutti i casi necessario di ri- durre la storia ad annali. Il Cantù raggruppa i fatti della storia Comasca secondo l’ordine logico, e alla narrazione delle battaglie e delle vicende politiche, annoda la esposizione di quello che riguarda il costume, la letteratura, le arti, il com- mercio, l'industria, la legislazione. Di tutto ciò egli si giova per costituire un complesso saggiamente ordinato, e per com- porre un libro vivo, scritto con efficacia e calore. Nella prefa- zione al secondo volume, dice che egli si era deciso a dedicarsi alla storia quando giunsero a lui le memorande parole del Foscolo: “0 Italiani, io vi esorto alla storia. , Se trasse l'ispirazione dal brano di Foscolo, che comincia con queste parole, si com- prende come per lui la storia non potesse essere una fredda narrazione di ciò che è avvenuto, ma dovesse essere uno studio psicologico e politico dell’uomo in genere, e in particolare del- l'italiano. I tempi nei quali il Cantù viveva, non chiedevano di meno. Nella Storia di Como il Cantù manifestò i più bei pregi della sua mente. Egli vi espose le vicende della sua città sopra lo sfondo della storia italiana, e questo sfondo è tutto origi- nale, e dimostra nell’autore, ancora così giovane, una erudizione incredibilmente vasta. A lui non isfuggono le più disparate questioni, ed è bello il vedere (vol. I, p. 167) com’egli additi lo studio delle lingue, quale una disciplina promettitrice di larghi risultati scientifici. Eppure correva il 1829 e Federico Diez non CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 89 aveva allora che 16 anni! Il Cantù si rivolge al popolo, e nega che la Storia debba ridursi a celebrare la gloria di chi comanda, ma vuole che essa cerchi “ quanto fossero felici i popoli, quanto ai godimenti ed alle speranze del cittadino giovasse la gloria dei capi , (vol. I, p. 18). Dichiara (I, 19): “ L’imparzialità, la verità poi furono sempre la mia mira ,. Sdegna le opinioni cor- renti, quando le trova destituite di prove; lo dice e lo fa, siccome avviene, p. e., dove (I, 296-7) combatte il Sismondi nello assegnare le cause dell'origine dei Comuni. In materia così grave, il Cantù, sottrattosi completamente alle influenze della scuola, precorre, con felice intuizione, alcune moderne ricerche, e al- l'iniziativa popolare attribuisce direttamente l’origine dei nostri Comuni. Quantunque appena pochi anni fossero passati dal trattato di Vienna, già romoreggiava la burrasca, che poneva in peri- colo il governo Austriaco in Lombardia. Il Cantù agognava l'indipendenza, e il governo Austriaco non s’ingannò del tutto sospettando di lui. Nella Storia di Como (I, p. 292) avea ac- cennato alla “ libertà d'Italia ,; i suoi scritti, che si segui- vano con foga incredibile in quegli anni, accrescevano fama alla persona e autorità alle sue parole. Il Cantù poteva essere pe- ricoloso al governo, e quindi fu chiuso in carcere, dove restò dal novembre del 1833 all’ottobre dell’anno seguente. I carce- rieri gli sottraevano i mezzi di scrivere, ma egli — si narra — usando di uno stuzzicadenti per penna, e del fumo per inchio- | stro, compose in prigione il suo celebre romanzo storico (mo- dellato quanto alla materia storica sul Marco Visconti, quanto alla individualizzazione dei caratteri, sui Promessi Sposi) Marghe- rita Pusterla. Egli si rivolgeva dunque ancora una volta al po- polo, nè a far ciò aveva uno scopo puramente letterario. Stigmatizzando le crudeli azioni dei Visconti, velatamente par- lava dello stato delle cose nei tempi suoi (1). Liberato dal car- (1) Mio fratello Francesco richiamava di questi giorni la mia atten- zione su questo passo della Conclusione. Il Cantù dopo avere accennato l’alternarsi delle dominazioni passate sopra Milano, scrive così: “ Nessuno ignora le vicende che da quel punto (da quando cioè l’imperatore donò Milano ai Visconti) corse il ducato, ora preda degl’ingordi, or rapina dei prepotenti, ora trastullo degli scaltriti, ora dote di donne, come i mobili 90 CARLO. CIPOLLA cere, si sottopose ad un lavoro così immane da spaventare ogni. cuore meno gagliardo del suo. Il Pomba, che allora dava. vita. a Torino. ad una potente propaganda letteraria, a mezzo della. tipografia da lui fondata, offerse al giovane Cantù l’incarico di scrivere una Storia Universale. Oggidì questo nome di. Storia Universale non giunge a fare sopra di noi quella impressione, che doveva produrre sessant'anni or sono. Di Storie di tal fatta abbondiamo, fatte più o meno bene. Ma allora la. preparazione era scarsa. La Storia Universale del Bianchini fu una intuizione. ge- niale, ma non fu quello che il titolo poteva far. supporre. La Storia universale scritta da una compagnia di letterati inglesi ebbe diffusione anche in Italia, mercè la versione, che se ne cominciò a Venezia sino dal 1765. È un’opera colossale, abbon- dante di erudizione, straricca di notizie. Ma è inorganica. (Gli autori cercarono piuttosto di accontentare la curiosità del lettore, che di nutrirlo di cibo sostanzioso. Troppa parte vi si dà alla storia malsicura di certi periodi vetustissimi, e di nazioni lontane. Il medioevo e il rinascimento sono periodi quasi affatto tras- curati. Nella storia moderna, predominano quelle parti che hanno interesse diretto per l'Inghilterra. Bisognava adunque che il Cantù si formasse egli un concetto nuovo, e che lo colorisse. Era un'impresa da spaventare chiunque. Eppure ‘egli non. esitò, e la pubblicazione principiata nel 1838 ebbe il suo compimento nel 1846. La Storia Universale, in prima edizione, consta di 35 volumi. In un’opera di così immensa comprensione sarebbe ingiu- stizia l’andar discutendo sopra alcuni particolari. Bisogna consi derarla nel suo insieme grandioso. Infinite questioni egli propone e discute; non tutte le scioglie. Egli nè voleva, nè poteva pro- nunciare l’ultima parola su tutte le questioni storiche. Ma volle e potè scrivere un’opera immensa, che diede una potente scossa al pensiero italiano; fu tradotta nelle lingue più dotte, e non una volta soltanto, e così lasciò profonda traccia di sè anche presso gli stranieri. Il Cantù non si limitò in questo libro alla nuda nar- e le mandre, finchè traverso a lunghi e indecorosi dolori, potè arrivare a quel riposo e a quella felicità che ciascuno vede ,. Comincia col rimpro- vero, termina coll’ironia. CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 91 razione dei fatti vincolati l’uno all’altro dalla sola ragione cro- nologica. Egli si propose di scrivere la storia dell'umanità, considerata nella sua unità e come una sola famiglia. Nè ri- guardò la storia coll’occhio di Democrito, che il mondo a caso pose, ma la considerò siccome la realizzazione del pensiero divino. Così tale Storia assunse un carattere tutto suo proprio, e risultò un’opera filosofica e letteraria ad un tempo. Quelle non furono pagine morte, pregevoli solamente per l'abbondanza dell’erudi- zione. Sono invece pagine animate sempre da un pensiero supe- riore, che mantiene sollevata in alto la mente di chi legge, e che di continuo ne conforta l’animo. Non è il nulla, ma è per contro un santo ideale, lo scopo a raggiungere il quale l'umanità lavora, e per il quale patisce. Di qui il valore morale di. quest'opera, di qui eziandio la ragione precipua della efficacia che essa esercitò. Dissi ragione precipua, non unica; perchè la Storia Universale, considerata anche soltanto sotto il rispetto dell’erudizione, ebbe una grande azione sull'indirizzo intellettuale italiano, e ridestò tra noi l’amore agli studi storici. Una sintesi, così larga, così potente, destava il desiderio di nuove analisi, apriva nuovi oriz- zonti agli studi, svelava i punti più interessanti e fino allora meno chiariti. Il Cantù associò la storia politica alla religiosa, alla lette- raria, alla scientifica, anzi non solo avvicinò queste materie tra loro, ma in certa guisa le fuse assieme, coll’intento di mostrare come una agisca sull’altra. Colla prova del fatto, egli dimostrò ingannarsi coloro i quali intendevano la storia nel puro e sem- plice significato politico o militare. Mantenne pertanto anche in questo lavoro quel sistema che aveva adottato per la Storia di Como. A ciò fare lo induceva un concetto, che gli fu diret- tivo in ogni suo libro storico, e che egli ripete di sovente con vera compiacenza. Per lui la storia non si riduce alla biografia dei grandi, ma deve tener conto anche del popolo. Educato, com’ egli scrive, ad una scuola che disprezzava, per opinione preconcetta, l’età media, egli “ si svincolò delle false opinioni che aveva imbevute nella sua giovinezza ,, poichè dinanzi al duomo di Milano, a S. Marco, a S. Maria del Fiore, comprese che degna di studio e di rispetto era stata l'epoca delle “ munici- pali libertà ,. Restituì il medioevo all’onore dovutogli, ma peraltro senza costituirlo come un punto, verso il quale l’umanità debba 92 CARLO CIPOLLA retrocedere. Anzi egli disse: “ il nostro non sarà mai un culto d’idoli quatriduani ,. L'effetto che egli si propose, l’ottenne con maggior efficacia introducendo a grandi intervalli alcuni discorsi nei quali scolpisce il carattere della storia dell'umanità in ge- nerale o quello di alcuni dei suoi periodi. Il discorso sul medioevo mi sembra il migliore, per densità di pensiero, per varietà di argomenti trattati, per schiettezza di forma. Il Cantù non abbandonò il massimo prodotto del suo in- gegno, ma andò ritoccandolo mano mano che di esso si rendevano necessarie nuove edizioni. Nel 1884 ne imprese l’ultima, alla quale attese, con giovanile perseveranza, nell’ultimo decennio della sua vita, e potè godere il compiacimento di vederla finita. Dopo di lui, Giorgio Weber pubblicò la sua Storia del mondo il cui primo volume uscì nel 1857, e l’ultimo nel 1880. La co- ordinazione della materia, non dico nei particolari, ma nel su-. premo principio direttivo, è abbastanza simile a quella del Cantù. Naturalmente il Weber fa poca parte alla storia italiana. Leopoldo Ranke ebbe un pensiero affatto diverso, e non mantenne la dovuta proporzione tra le diverse parti dell'immensa sua opera. Non posso paragonare alla Storia del Cantù le enciclo- pedie storiche di Onken, e di altri: sono monografie avvicinate l’une alle altre, non sono la storia dell’umanità. Attorno alla Storia Universale si aggirano e con essa si connettono molti fra gli altri: scritti del Cantù. La Storia dei cent'anni, e Gli ultimi trent'anni, sono da annoverarsi in questo gruppo, e così pure le storie di alcune letterature, sia dell'età antica, che della moderna. Tra il 1892 e il 1894 rifuse la sua Storia della letteratura italiana (Firenze, 1865), componendone due volumi, che aggiunse come appendice alla Storia Universale, e che intitolò Della letteratura ituliana esempi e giudizi. Nessuno dirà che tutti questi scritti siano egualmente studiati e appro- fonditi; eppure in tutti più o meno si fa palese la straordinaria potenza sintetica del loro autore. Ben maggiore importanza ha la Storia degli italiani, in quattro volumi, ch'egli forse aveva meditato prima ancora di accingersi alla Storia Universale. Infatti nella prefazione egli dice che sino da giovinetto conobbe la necessità di una storia siffatta, che fosse “ un preparare alla nazione un altro pegno d’unità e di fiducia ,. Si propone di chiarire nelle sue varie CESARE CANTU ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 93 manifestazioni il “ progresso cristiano ,, e dichiara (vol. II, p. 153, dell’ed. II): “ noi veneriamo la libertà dovunque un lampo ce n’appaia ,. Scrisse questa Storia quando vide che il Balbo, dopo avervi posto mano, se ne ritrasse sfiduciato per l’incuria del pubblico. L’epoca più recente dal 1795 al 1870, più ampiamente narrò in un’opera separata, col titolo Cronistoria dell’ indipendenza italiana, che uscì in tre grossi volumi dal 1872 al 1877. Narrando la storia nostra dalla prima spedizione italica di Bonaparte alla unione di Roma al regno d'Italia, entra nelle questioni più agitate e più scottanti dei nostri giorni. A lui non era certo abituale una forma condita col miele. Non è a meravigliare quindi che l’opera abbia susci- tato polemiche. Scrisse di cose attinenti alla politica, ma alla vita politica della nazione egli partecipò pochissimo ne’ suoi anni maturi. Fu per una legislatura deputato, quando il parlamento sedeva a Torino, e in quel breve tempo vi prese parte attiva alle discus- sioni. Poscia, volente o nolente, si ritrasse sull’Aventino. Ma l’inazione come uomo pubblico, pareggiò la sua azione quale scrittore. Visse gli ultimi vent'anni di sua vita nell’archivio di stato di Milano, romitaggio tranquillo, che lo sottraeva alla vista del mondo, e gli facilitava i suoi studi. Quantunque il suo genio sintetico lo chiamasse ai lavori d’insieme, non isfuggì anche le monografie, alcune delle quali per altro riuscirono così vaste, che quasi si possono annoverare tra i lavori sintetici, piuttosto che fra gli analitici. Tra le maggiori monografie annovero la Storia di Venezia e quella di Milano, che egli scrisse per la Grande illustrazione del Lombardo-Veneto. Sotto questo titolo si pubblicarono a Milano negli anni 1857 e se- guenti, le monografie delle provincie componenti il così detto regno Lombardo-Veneto. Il suo sentimento religioso e popolare egli scolpisce nella storia di Venezia, lè dove scrive: “ un comune e un santo; ecco gli elementi di cui gli Italiani componevano la loro libertà ,. Discorrendo della difesa dell’ultima repubblica veneziana nel 1848, egli osserva che “ diciassette mesi di resi- stenza ben redensero l’obbrobrio dell’altra caduta senza ostacolo ,. Di minore importanza è la storia compendiata della Brianza. Sta tra il lavoro storico ed il romanzo la monografia “ Eze- lino da Romano, storia d'un ghibellino esumata da un guelfo ,, che fu stampata per la prima volta a Milano nel 1854. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 9 94 CARLO CIPOLLA Contemporaneamente all’ Ezelino comparve La Lombardia nel secolo XVII, commento storico ai Promessi Sposi. Non è un libro saldamente organato, ma è una preziosa raccolta di studì, condotti su documenti nuovi, intorno ad argomenti toccati dal Manzoni. Sugli untori al tempo della peste, sui costumi, sul go- verno spagnuolo, debole e spavaldo ad un tempo, il Cantù fornisce notizie larghe, precise, documentate. Più profittevoli ancora sono le contribuzioni date dal Cantù alla storia della Lombardia durante il secolo scorso nelle due monografie, che tolgono il titolo dal Beccaria e dall’abate Parini. Nel Beccaria studiò il Cantù la società lombarda nei primi decenni della dominazione austriaca, mentre di mezzo ad essa si desta lo spirito delle riforme, non senza che vi avessero azione le teorie degli enciclopedisti fran- cesi. Il Beccaria fu tra coloro, che, pur tenendo lo sguardo fisso a Parigi, seppero guardarsi da certe esagerazioni giacobine, che potevano compromettere anche le riforme più razionali e più oneste. Il Cantù sviluppa a lungo le teorie economiche e filoso- fiche del Beccaria, e, senza tutto encomiare, assegna all’illustre statista il posto che gli spetta nella storia lombarda. D'’ altra indole è il libro sul Parini, nel quale la parte biografica è po- vera di fatti posta in confronto colla descrizione minuta e pe- netrante della società tra cui visse il poeta. Lo sfondo su cui si stacca, forse non sempre rigidamente modellata, la figura del poeta, è colorito con vera potenza di erudizione e di stile. Nel carattere del Parini, pare che il Cantù voglia disegnare il proprio ideale; poichè ce lo mette innanzi sdegnoso, inflessibile; un sor- riso, fieramente sarcastico, sfiora talvolta le sue labbra. Egli è un “ austero contradditore ,, “ tenace amatore del bene pub- blico ,, odiato dalla “ bordaglia tumultuante ,, dagli “ ambi- ziosi colleghi ,, dai “ despoti mascherati ,. Al libro sul Beccaria serve di appendice l'edizione critica dell’opuscolo Dei delitti e deile pene; l'edizione critica del Giorno chiude lo studio sul- l’abate Parini. Può considerarsi quale un seguito a questi due scritti, il libro sopra Vincenzo Monti e l'età che fu sua. La vita del prota- gonista si intreccia col racconto dei fatti politici e letterari, ch’ebbero luogo al tempo della Rivoluzione, del dominio Napo- leonico, della Restaurazione. Anche qui la storia della Lombardia è trattata più largamente, che la vita del protagonista. Nel vo- CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 95 lume Il Conciliatore ed i carbonari la storia della Lombardia è ricercata nei tentativi rivoluzionari, al tempo del primo periodo austriaco, dopo il trattato di Vienna. Anche questo libro è più che altro un complesso di quadri, non dico indipendenti l’ uno dall’ altro, ma pur tali che potrebbero in qualche modo stare da sè. Commovente è la descrizione dei casi di Federico e di Teresa Confalonieri. In quasi tutte queste monografie storiche, e in ispecie in quelle sul Monti e sul Conciliatore, che furono compilate quando gli archivi non erano più ermeticamente chiusi, il Cantù fece largo uso di fonti inedite. Non voglio significare con ciò, che egli esaurisse i sussidì archivistici; anzi debbo dire che non era questo il suo intento. Specie di codice diplomatico per lo studio dell’età francese, è il libro della Corrispondenza di diplomatici della Repubblica e del Regno d' Italia 1796-1814 (Milano, Agnelli, 1884). Ma il pubblico non favorì la pubblicazione. All’età susseguente spetta lo scritto sull’arciduca Massimiliano. Visitando nel 1856 e nel 1860 i grandi archivi di Venezia e di Firenze, notò in ambidue — in quelli di Venezia specialmente — alcune serie di documenti, che servivano per l’illustrazione della storia lombarda. Pubblicò i suoi risultati in un volume dal titolo Scorsa di un lombardo negli archivi di Venezia (Mi- lano-Verona, 1856), e in una nota, Notizie sopra Milano spigolate negli archivi di Firenze, letta il 12 luglio 1860 all’Istituto Lom- bardo. Sono appunti di viaggio, presi in fretta, ma con sagacia. Un numeroso gruppo di lavori dedicò il Cantù alla storia religiosa. Fermo nelle credenze cattoliche, volle nella esposizione di questa storia, per natura sua delicatissima, mantenersi equa- nime verso tutti, amici e nemici. La sua Storia degli eretici d’I- talia (3 vol., Torino, 1865), è fra noi il primo, e finora il solo lavoro di tal genere. Non è un libro di polemica, poichè l’au- tore mira all'esposizione oggettiva dei fatti. Ma i fatti non sono naturalmente messi innanzi così che il lettore possa sospettare nello storico l'indifferenza propria soltanto di chi non comprende la gravità degli argomenti che tratta. Comincia il racconto colle età più antiche, ma per esse è magro assai. La narrazione si allarga col secolo XIII e col seguente, quando comprende il nascere e lo scomparire dei Patareni, dei Fraticelli, ecc. Assume proporzioni maggiori, appena si tocca l’età della Riforma pro- Pi 96 CARLO CIPOLLA testante e della Controriforma cattolica. Il Cantù vi discorre non solo della religione in senso stretto, ma anche di ogni mo- vimento intellettuale, che abbia attinenza colla religione e colla morale: sicchè la sua opera dà assai più che non prometta. Prepararono e contornarono quest'opera, varie monografie: Erasmo e la Riforma in Italia, Il card. Giovanni Morone, La Guglielmina Boema e su Pietro Tamburini. Questi tre titoli denotano altret- tante comunicazioni fatte, in diversi tempi, all'Istituto Lombardo. Ai primi anni del suo lavoro intellettuale appartiene l’opuscolo Rivoluzione della Valtellina nel sec. XVII (Como, 1831), nel quale si sviluppano alcuni punti diggià toccati nel II volume della Storia di Como e a lungo si discorre delle fiere lotte religiose, che in quella piccola valle vennero allora combattute tra cat- tolici e protestanti. Alla storia letteraria contemporanea il Cantù dedicò due volumi di Reminiscenze manzoniane, che non parvero scevri di inesattezze, ma che pur furono giudicati utili ai biografi del Manzoni. Assai stimata dai filologi è la dissertazione Sull’origine della lingua italiana, colla quale il Cantù rispose ad un quesito pro- posto dall'Accademia Pontaniana di Napoli. La dissertazione fu approvata dall'Accademia, ed uscì per la stampa a Napoli nel 1865. Il Cantù, che nei giovani anni aveva fermata la sua atten- zione al problema linguistico, non ne allontanò lo sguardo nell’età provetta; e in questo libro, piccolo di mole, ma importante per condensata sostanza, egli dà un lunghissimo spoglio (pp. 79 segg.) delle forme volgari, che si incontrano in documenti italiani ante- riori al Mille, studia lo sfasciarsi del latino, il costituirsi della nuova lingua, negando che sopra di questa, pur nelle sue ori- gini, abbiano avuta gagliarda azione le parlate tedesche. Fu sdegnoso verso i potenti, fossero signori o demagoghi, e mai scevro di sospetto verso di essi, quasi sempre temesse che essi abusassero di loro forza. Quindi alle opinioni correnti si opponeva volontieri e bruscamente. Tale era il suo carat- tere. Invece si compiaceva di parlare benevolo al popolo e alla gioventù. Questa nota caratteristica della sua mente si fa palese in tutte, per così dire, le sue opere; ma non in tutte si manifesta ad un modo, nè il popolo al quale parlava il Cantù era sempre il medesimo. Talvolta è il popolo colto, Rn ee e CESARE CANTU ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 97 talvolta è il popolo che, senza esser colto, desidera di dive- nirlo. Ma anche per l'operaio egli scrive, e una lunga serie di scritti educativi egli ci ha lasciato: “ Il giovinetto drizzato alla bontà, al sapere, all'industria ,, “ Carlambrogio di Monte- vecchio ,, “ Il galantuomo, libro di morale popolare ,, “ Il buon fanciullo, racconto ,, “ Buon senso e buon cuore, confe- renze popolari ,, “ Portafoglio d’un operaio ,. Questi libri si ristamparono più e più volte, e ciò dimostra che lo scopo prefissosi dal Cantù era stato raggiunto. Egli sapeva parlare il linguaggio del cuore. Diverso fu il carattere, diverse le convinzioni religiose, non identiche le opinioni politiche, differente la vita di Enrico von Sybel. Nato il 2 dicembre 1817, morì il 1° agosto 1895, nell’età di 78 anni; era adunque di dodici anni meno vecchio del Cantù. Il Sybel visse lungamente fra le lotte politiche, e per molti anni frequentò le sale delle assemblee legislative. Sin da giovane desiderò la sua Germania rinnovata, unificata e potente; uomo provetto, vide con compiacenza realizzato il suo ideale. Nell’ultimo periodo di sua vita si trovò accanto agli uomini di Stato, che ressero il nuovo impero germanico. Siccome nei suoi libri poco si occupò dell’Italia, così di lui dirò brevemente, accontentandomi di notare quanto egli abbia contribuito, coll’opera costante di tutta la vita, a fortificare in Germania l’ardore per gli studi storici, ardore destatosi subito dopo l'espulsione dei francesi, quando si volle rialzare lo spirito nazionale dei tedeschi, ad essi ricordando il loro glorioso passato. Il giovane Sybel si recò a Berlino, dove sotto la disciplina del Ranke studiò le materie storiche fra il 1834 e il 1838. Leopoldo Ranke viene meritamente riguardato come il maestro dei moderni storici tedeschi, poichè i numerosi e valentissimi allievi, che uscirono dalla sua scuola, in ogni parte della Ger- mania portarono, insieme col nome del maestro, anche il suo severo metodo di indagine critica. Il Sybel ricopiò il Ranke anche in ciò che egli preferì l'esposizione spigliata e distesa, alla raccolta dei documenti. Nei suoi ultimi anni egli fu chia- mato a far parte della direzione dei Monumenta Germaniae Histo- rica. Meritamente senza dubbio, quantunque forse non armoniz- zasse colle disposizioni della sua mente il noioso compito della restituzione dei testi antichi, e la lenta e fredda compilazione dei codici diplomatici medioevali. 98 CARLO CIPOLLA Il Sybel si presentò ai dotti nel 1841 con un lavoro di importanza capitale, la Storia della prima crociata (2 ediz. 1881); vi dimostrò sicurezza di giudizio e ardimento, poichè non dubitò di andar contro all’opinione diffusa, diminuendo l’importanza sto- rica di Pier l’Eremita, e ponendo sotto nuova e meno splendente luce Guglielmo di Buglione. Fece invece risaltare l’opera di Rai- mondo da Taranto. Nel 1844 si recò all’università di Bonna, e vi cominciò il suo insegnamento: subito dopo (1845) pubblicò l’altra sua opera Formazione della monarchia tedesca (2% ediz., 1881), capolavoro di finissima analisi, dove non dimostrò minore sagacia critica, o erudizione men vasta. L'argomento interessa lontana- mente anche l’Italia, poichè la nostra storia si congiunge con vincoli strettissimi a quella delle antiche schiatte germaniche. Secondo il Sybel, l'origine della monarchia germanica va cercata non nella intimità dello spirito germanico, ma nell’ influenza romana, quantunque sia vero che i germani nel loro dux pos- sedevano in qualche modo un embrione del monarca. Questa è l'opinione del Sybel, cui si contrappone quella di altri dotti, se- condo i quali la monarchia fu anche presso i germani una isti- tuzione di origine indigena. Infatti Giorgio Waitz gli si oppose, ma il Sybel non mutò opinione. Tuttavia trattò con singolare cortesia di modi il suo contradditore, al quale dedicò la seconda edizione del suo libro, con una lettera squisitamente gentile. Teodoro Mommsen, non è molto, parlando di questo libro del Sybel, con una frase incisiva disse che esso è un'oasi nell’arso deserto delle pubblicazioni su tale argomento. Di qui apparisce quale distanza egli ponga tra il Sybel e gli altri critici che tentarono l’ardua questione. Da Bonna il Sybel passò poi (1845) professore a Marburgo. Ma ben presto mescolò le cure della scuola e dello studio, alle preoccupazioni politiche, ed entrò nella vita pubblica. Il nuovo indirizzo che egli diede alla sua vita, si rispecchia anche nella qualità degli studi, cui dedicossi in allora. Rivolto lo sguardo dal medioevo e dall'antichità, lo fissò sulla storia della Rivo- luzione di Francia, cioè sull’avvenimento da cui deriva, per non piccola parte, l'atteggiamento assunto dai popoli Europei nel secolo nostro. Il Sybel visitò gli archivi di Parigi, di Ber- lino, di Vienna, di Londra, di Monaco, dell’Aja, di Bruxelles, di Napoli, e nella sua Storia dell’ epoca rivoluzionaria 1789-1800 CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 99 considerò la Rivoluzione nelle sue cagioni profonde, nelle con- dizioni economiche e sociali del popolo, piuttosto che nelle este- riori apparenze. Mirò a disfare la leggenda rivoluzionaria, e richiamò l’attenzione del lettore sulla storia delle altre nazioni e sopratutto della germanica. Poichè al racconto dei fatti della Rivoluzione connesse la esposizione di quanto avveniva negli altri Stati; anzi a questa egli pose attenzione maggiore, così che per lui la nazione francese ebbe, a così dire, importanza secondaria. Il Thiers aveva fatto l'opposto, poichè egli aveva lumeggiata assai la storia della Francia, ed aveva curato molto la parte drammatica delle lotte parlamentari, non a sufficienza studiando le ragioni profonde della Rivoluzione. Oltre a questo aveva lasciato in penombra la storia degli altri Stati europei. A com- plemento della Storia di cui parliamo, il Sybel pubblicò anche una monografia speciale col titolo Austria e Germania nella querra della Rivoluzione; uscì a Diisseldorf nel 1868. Il Sybel precedette quindi le ricerche del Taine e del Sorel, che negli ultimi anni, come ognuno sa, approfondirono cotali questioni, con largo sussidio di documenti nuovi. Il Sybel cominciò la pub- blicazione di questa sua opera nel 1853. Tre anni dopo egli era a Monaco, dove lo aveva chiamato Massimiliano II, re protettore delle lettere e delle arti. A Monaco il Sybel attese con raddoppiato calore all’inse- gnamento, e vi fondò il primo seminario storico, che fu poi imitato nelle altre università tedesche ed austriache. Vi ebbe parte viva nella Commissione storica promossa da Massimiliano II. Ma dopo alcuni anni, nel 1861, lasciò quella città per ritornare a Bonna. Egli era divenuto un uomo politico di battaglia, e nella capitale della Baviera questo non poteva piacere. È ben vero che a Monaco si usava molta larghezza per tutte le opi- nioni, e al Giesebrecht, p. e., nessuno recava molestia, anzi professavano tutti stima e rispetto. Ma il Sybel era uomo di pensiero insieme e d’azione, e perciò finì per lasciare la Germania meridionale. Della sua dimora a Monaco rimane, durevole ri- cordo, la Historische Zeitschrift, che egli fondò nel 1856, con intenti scientifici ad un tempo e politici. Così adunque si trovò di nuovo ingolfato nella vita politica, anzi vi si dedicò allora di maniera da lasciare per qualche mo- mento diminuita la sua attività scientifica. All’assemblea della _ ” tal "dl ” A TAO D) né* PASTA She - Ara É - AVE T Sl DI 100 CARLO CIPOLLA Confederazione Germanica, nel 1867, combattè nelle file del par- tito denominato dei liberali-nazionali. L'unione della Germania era stato il suo voto, fino dagli anni giovanili; tant'è che ne trattò nell’opuscolo £ partiti politici nella regione Renana pubbli- cato nel 1847. Salutò con giubilo nel 1871 la realizzazione del suo ideale. Anzi dopo d’allora seguì così dappresso la politica del nuovo impero, che in certo modo ne divenne lo scrittore aulico. Fra gli uomini di lettere che circondarono il governo impe- riale, il Sybel fu senza dubbio uno dei più dotti. D’allora in poi egli mira sopra tutto a difendere coi suoi scritti la gloria della Prussia, rendendo grandi servigi al governo. Nel 1875 Ottone di Bismarck affidò a lui, siccome ad amico fedele e sicuro, la direzione dell'Archivio Regio di Prussia. Proprio intorno a quel tempo l'Accademia di Berlino, che alcuni decenni prima aveva curata la splendida edizione delle opere letterarie di Federico II il Grande, determinò di metterne in luce i dispacci e gli altri documenti di natura strettamente politica e militare. Del nuovo lavoro affidò la direzione a G. G. Droysen, a M. Duncker e al Sybel. Il primo volume della nuova opera comparve nel 1879, e comincia con una lettera del re, datata dal 3 giugno 1740. Finora uscirono venti volumi di questa raccolta, con oltre 13 mila documenti, che abbracciano un periodo di più che vent’anni. Il Sybel diresse anche un’altra collezione, della quale, sotto il titolo Pubblicazioni del r. Archivio di Stato Prussiano, uscirono ormai numerosi volumi, contenenti ciascuno una serie di docu- menti sopra un oggetto o un periodo attinente alla storia Prus- siana. Più che il Medioevo e la Rinascenza, sono naturalmente gli ultimi secoli quelli che ricevono lume da queste collezioni di documenti. i Sotto il titolo Kleine historische Schriften raccolse parecchi brevi articoli, alcuni dei quali hanno riferimento alla storia d’Italia, come sono quelli in cui si tratta di Eugenio di Savoia, di Giuseppe De Maistre, di Napoleone IH. La sua estesa biografia di Guglielmo I, considerato come fondatore del nuovo impero germanico, non ha per noi interesse diretto. A proposito di questo lavoro narrasi un aneddoto, che non è senza significato. Il principe di Bismarck gli permise l’uso delle carte più segrete della recente storia prussiana, perchè egli potesse compilare Mer e) y Tx CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 101 quest'opera; ma dopo i primi volumi non trovando che essa corrispondesse pienamente a tutte le sue viste politiche, gli tolse il permesso concessogli. Tuttavia l’opera non si interruppe. L'indirizzo nuovo che Sybel diede ai suoi studi, non lo distolse peraltro interamente dalle sue indagini sulla storia medioevale, colle quali egli si era aperta la via della gloria. Nel 1880 (Histor. Zeitschrift, vol. XLIV) e di nuovo nel 1893, in occasione di un articolo da Paolo Kehr inserto nella Historische Zeitschrift egli si occupò delle donazioni Carolingiche ai papi, e più di una volta discorse della storiografia Carolingica (Histor. Zeitschrift, vol. XLII, XLII). Quale direttore degli archivi, diresse insieme con Teodoro von Sickel la monumentale pubblicazione Kuiserurkunden in Abbildungen, la quale in numerosissime tavole, eseguite con una meravigliosa diligenza, riproduce una serie completa di diplomi imperiali, in servizio della storia, della paleografia, e della diplomatica. È un’opera arditamente concepita, e con- dotta a termine in modo ammirabile, mercè l’aiuto di dottis- simi collaboratori. In quest'opera gigantesca, ogni imperatore tedesco viene rappresentato da parecchi dei suoi diplomi o delle sue lettere, con diffuse e profonde spiegazioni paleografiche. Vuolsi avvertire che vi si pubblicano soltanto documenti usciti dalla cancelleria germanica di ciascuno di quegli antichi mo- narchi; questi ebbero, è vero, anche la loro cancelleria italiana, ma delle carte pubblicate da quest’ultima il Sybel e il Sickel non credettero di occuparsi nell'opera di cui parliamo. In ogni modo, questa riesce oltremodo utile anche per i cultori della storia italiana, giacchè tra le cancellerie non c’è distacco as- soluto. Enrico von Sybel forse era ormai l’unico superstite della scuola gloriosa del Ranke, cui la Germania deve gratitudine veramente grande per il progresso degli studi storici. Se parteci- pando vivamente alla vita politica egli non imitò il suo maestro, se pur nei suoi libri lasciò trasparire la forma assunta dal suo animo e dal suo pensiero, nel metodo storico egli fu illustre seguace del suo grande maestro, e in molte cose riuscì anche ad essere originale. La fisonomia del Cantù, come storico, si disegna diversa- mente; egli non appartiene a una scuola. Fu sotto ogni riguardo 102 ELIA LATTES figlio di sè medesimo. Non uscì da una scuola, non fondò una. scuola. Alla vita politica di rado partecipò. Preferì vivere a sè medesimo, sdegnoso di amicizie potenti, quasi facesse suo il verso foscoliano: “ avverso al mondo, avversi a me gli eventi ,. Il ‘vino di Naxos’ in un'iscrizione preromana dei Leponzii in Val d’Ossola; Nota del Socio Corrispondente ELIA LATTES. La splendida pubblicazione dei ‘sepolereti di Ornavasso ° (1), dovuta in molta parte, causa la morte immatura del tanto bene- merito scopritore e descrittore Enrico Bianchetti, alla diligenza erudita del collega Ferrero, torna di non piccolo interesse anche per l’epigrafia e le parlate dell’Italia superiore preromana, come quella che ci fa conoscere alquante nuove epigrafi, diverse nella scrittura e nella lingua dalle latine. La più lunga fra esse, graf- fita da destra a sinistra in un vaso a trottola del sepolereto (tomba n. 84) di S. Bernardo (n. 7), — vaso nel corpo del quale in tre diversi luoghi leggonsi anche altre parole staccate (n. 16) —, suona (p. 69): MOXAM i MOMIV: 2U1AXV$AA2 i IVGAMAVXAN latumarui : sapsutaipe i uinom : nas'om La lettura non fa difficoltà e non ne fece già al Bianchetti, salvo quanto all’elemento fra A e 0, da lui trascritto, qui ed altrove (n. 16), con lieve inesattezza (2), S anzichè S'. Non valse però probabilmente per l’autore dell’epigrafe a puntino nè s, (1) Alla esimia gentildonna sig. Clara Sella ved. Bianchetti, che con in- signe liberalità la regalò agli studiosi delle antichità paleoitaliche, sia lecito quia me, per la mia parte, rinnovare l’espressione della mia gratitudine. (2) Trattasi dell'elemento | o X e sue varietà, pel M, ossia s, dei testi euganeo-veneti, dei reto-etruschi, degli etruschi e dei campano-etruschi: elemento caratteristico (cfr. n. 5 con n. 8) di quello stesso alfabeto nord- IL ‘ VINO DI NAXOS” IN UN'ISCRIZIONE PREROMANA, ECC. 103 nè s': giacchè, se in winom riconosceremo, come senz'esitazione parmi doversi, il lat. vinum (3), subito forse per nas'om penseremo all’isola di Nasso (4), famosissima, come ognun sa, pel suo vino, e all’etnico Ndz10g -ov, bene rappresentato dal gall. Nas'om per Naxom, come lo sas'- di Sas'adis nell’isc. di Voltino (Fab. 13) (5) etrusco, al quale mancò il V, in esso rappresentato dall’U, come appunto accade nei cimelii letterati di Ornavasso. Fra’ documenti di quel segno, raccolti diligentemente dal PauLi (Venet. 157-160), ricordo la voce Kos, circa il quale gli sfuggì, come già nelle Iscr. paleol. 111 si fosse proposto di riconoscervi l’ebr. Xos' © bicchiere ”. (3) Per Y s'ha costantemente U, come nei cimelii testè detti (n. 2) di Ornavasso, così in tutti quelli dell’alfabeto nord-etrusco di Sondrio e di Lugano (cfr. n. 5), oltrecchè poi nelle iscrizioni falische; a quello spettano così le epigrafi preromane di Milano e Novara, come le leggende mone- tali anteromane della Provenza e della Svizzera. V. Pauri, Die Inschr. nordetr. Alphabets p. 56-59; e cfr. il Ualaunal della posteriore iscrizione di Mesocco (Boll. Stor. della Svizz. ital. XV 1893 p. 106-108), di base non diversa dal nome del re bretone Cussi-velaunus e della fortezza Vellauno- dunum. (4) V.itesti allegati dal Bursran (Geogr. II 489, n. 5), dal BLiimner (Griech. Privatalt. 231 n. 1) e dal Marquarpr (Réòm. Privatl. II 488). Fu anzi Nasso sede principale del culto di Dionysos; ed ivi anzi di solito costui, catturato da’ pirati Etruschi-Enotri, ossia dai Tirreno-Pelasgi (Due iser. prer. 117 sg.), desiderò essere condotto (MiirLer-Dercke, Etr. I 73). — Se a Nasom non precedesse uin0m, il pensiero prima che a Ndzog, trattandosi d’epigrafe, come si vedrà, gallica, si volgerebbe forse a Nasium (Naix) di Lorena, città dei Leuci, nota per copiosi trovamenti monetali appunto gallici (V. Duan e Ferrero, Mon. gall. 43 sg.). (5) Questa bilingue, ancora parzialmente indecifrata sia presso il PauLI (Nordetr. 15. 30 e 86-90), sia presso lo Srokrs (Bezzenberger’s Beitr. XI 118-120), deve leggersi (Due iscr. prer. 90 n. 51): Tetumus Seati, Du- giava Sas'adis, S'romezeclai (cfr. etr. Oufldicla Laiscla), Obalzana (cfr. etr. Caialzna e Uqalesa), S'ina (cfr. Saggi e App. isc. d. Mumm. 218-241 etr. Zina Tina, insieme col Mars Toutatis Sinatis della n. 11, Due iscr. prer. p. 75 sg. Pitiave Rupinu Velganu, e Iscr. di Narce, Riv. di filol. XXIV 1895-96, p. 83 n. 77 con Rendic. Ist. Lomb. 1894 p. 642 n. 20). Risulta quindi sempre più mani- festo, che a torto il Pauri (Nordetr. 56-58), da me non meno a torto altrove seguito (Due iscr. prer. 10), omise nell’alfabeto di Sondrio il segno |[q, e lo riservò a quello di Lugano: esso trovasi infatti non solo nella parte latino-gallica dell’epigrafe (il che già basterebbe perchè si dovesse asse- gnare all'alfabeto di questa), ma sì occorre due volte punteggiato nella parte gallica, epicoria. Sola differenza fra l’alfabeto di Sondrio e quello di Lugano resta adunque la forma del L (S. V, L. A); e così si conferma che i quattro alfabeti dell’Italia superiore preromana, anzichè di provenienza 104 - ELIA LATTES ridanno le isc. latino-galliche ora con sax-, ora con saxs-, ora con sass-, ora con sas-, in Saro Saxsio Sassius Sasius (6). Nessun dubbio pertanto che codesto nas'om sia, se mai, quanto alla base, d'origine greca, e nuovo documento de’ commerci italo-ellenici; ma di certo non è greco il suo -m, nè quello di vi20m, nè anzi questo per intero. Tutto ciò per contro bene sta, qualora si porti nel quadro delle parlate galliche, secondo che ci con- sigliano le tradizioni istoriche del luogo di origine, confortate per giunta da ciò che in esso, e precisamente nello stesso sepol- creto di S. Bernardo, ed anzi nella medesima tomba (p. 145), si rinvennero monete galliche, quali s'incontrano « anche presso Berna, Basilea, Soleure e al Gran S. Bernardo », e più raramente nell’alta Italia (7). In effetto a winom Nas'om fa riscontro per l’uscita wuseilom o usellom (8) della bilingue incisa sopra uno dei tre altari gallo- diversa, sono mere varietà locali, comunque originate, dell’unico alfabeto greco-etrusco (Due iscr. prer. 70-72 n. 48). Il segno di cui sì tratta occorre una volta anche nei testi veneti (Pa. 1. cfr. p. 182), simultaneamente con M= s; e sarà caso analogo a quello dei due S° o dei due © delle tavole di Gubbio, o dei due © nell’Hur9u0iv d’un’iser. umbro-etrusca d’Ameria (cfr. Panta, Gr. d. osk. umbr. Dial. I 47): de’ due S" umbri, uno occorre in parola (s'eritu) ivi seritta ben 81 volte con S puro e semplice. — In una fra le epigrafi d'Ornavasso (Branca. 69-19 Ues'ama, cfr. n. 15 qui appresso), la figura Pal L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 113 ben chiaro ; e che nell’as'44 neppur mi è chiara la designazione del caso. Vedi del resto sull’ Lattes, Rend. Ist. Lomb. 1871, p. 762, Mem. Ist. Lomb. 1872-73, p. 10. suas's manus. ‘suis manibus ’. L’interpretazione ‘ suas manus ° è impossibile per il doppio s's di sas's. Abbiamo qui l'esempio del dittongo lungo a = di. Cfr. le mie Tre questioni di fonologia, p. 7. — Vedi peligno Anaceta Ceria per Anacetai Ceriai, e i dativi delle iscrizioni pisauriche Feronia, Marica, ecc., e il Vesta pocolom di un poculo votivo (Notizie Scavi 1895, p. 45) e forse anche il devas Corniscas lat. arc. = divis Corniscis. — Manus è poi per manuis; giusto il raffronto del Lattes : umbro berus = beruis ° verubus °. meitimim. È ben documentato nel volsco, nell'umbro e nel peligno un fenomeno, e che cioè il gruppo -ct- perda la sua gutturale, e si riduca allo scempio t. Il medix aticus di un’epi- grafe peligna (Zv. I. I. I. 33) fu dal Deecke ricondotto ad *qgcticus (Rh. Mus. 41, 200), quasi ‘ magister ludiarius °. Il volsco atahus- corrisponde ad una formazione latina quale *actaverit. Dell’umbro petenata generalmente si ammette la rispondenza al latino ‘ pectinatam ’, e così di umbro speture, speturie al latino ‘ spectori’ (Huschke, Iguv. Taf. 346 segg., Buecheler, Umbrica, 123, 125. V. anche Lattes, Rend. Ist. Lomb. 1891, p. 359). Del pari si ha umbro fato = ‘ factum °, umbro satam, sate = ‘© sanct-” e così pel. sato (Rend. Accad. Napoli, 1894, 20 Marzo). V'ha ancora di più. Appunto in corrispondenza con tale fenomeno, vi ha quello di un « radicale che si oscuri in e, per affinità elettiva con un è che le faccia seguito. L'esempio tipico è dell’impera- tivo umbro feitu, fetu, feetu, corrispondente al latino facito, ar- caico facitud. Da facitu la prima tappa del cammino verso feitu sarà faitu, tappa documentata nell’umbro stesso da aitu ‘* agito ’; indi feitu per influenza dell’; processo fonico riprodottosi in tempi moderni sul suolo francese, come ci mostra la grafia del participio fait rispetto alla sua pronunzia (fè). Or dunque non v'ha bisogno di ricercare al feitu umbro altra radice (idg. dhe, Planta, Gramm. d. osk.-umbr. Spr. p. 359). — Poste le due os- servazioni foniche, che abbiamo fatto precedere, non parrà strano che il nostro meitim4m riserbi nella parte tematica il mact- 114 CARLO PASCAL (mac(i)t-; cfr. mac-ellum) di macte,mactare, ecc. — Circa la de- sinenza, crediamo vi si abbia il suffisso imperativo medio del- l’umbro. Abbiamo ivi: persni-mu, persnihmu, persnihimu ‘ precator ° etudstamu, eheturstahamu ‘ exterminato ’. (Buecheler, Umbrica, p. 94 e 1883) spahmu, spahamu ° graditor ‘. Porremo quindi meitimim = ° mactato ’. s'tud. — Secondo una buona intuizione del Lattes (p. 180), vi si potrà vedere il latino estod ; e l’aferesi dell'e secondo lo stesso, si potrà mettere a riscontro con quella di smil, che di poco gli segue, se è lecito raffrontare quest’ultima parola al- l’esmen di due altre iscrizioni sabelliche (Deecke, Rh. Mus. XLI, p. 191 e segg.). Cfr. del resto lat. ed osco sum = esum, lat. e fal. sunt = esunt; osco set, umbro sent = sunt (esunt), tutti dal medesimo tema es- * esse °. haps'rs'h. In questo che il Lattes giustamente chiamò “ strano cumulo di consonanti ,, noi vediamo all’incirca un la- tino *hapsarius, fatta ragione della mancanza delle lettere me- diane, secondo il modo di scrittura etrusco ed anche sabellico (vedi, ad esempio, Zvet. I. I. I. 10 Atrno = Aterno, Buecheler, presso Zvet. I. I. M. p. 14 o = A(M)(e)rno, Amiterno, Deecke, Rh. M. 41, p. 197). Hapsarius intendiamo come un sostantivo derivato di hapsum, della qual parola apportiamo le testimo- nianze seguenti : Gloss. Scal. (Corp. Gloss. Lat. ed. Goetz, V): hapsum vellus lanae. Cod. Vat. 1468 (ibid.): habsum vellus lanae. Gloss. Abavus (ibid.): apsum vellus lanae. De verb. dubiis: hapsum vellera lanae, non hapsus. Gloss. Isid. hapsum vellus lanae. Cels. 4, 6. Circumdare oportet latus hapso lanae sul- phuratae. Cels. 7, 26. Inducendus hapsus lanae mollis. L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 115. *Hapsarius, e cioè il nostro haps'rs'%h interpretiamo : ‘ vel- lere lanae indutus’, ed intendiamo ‘coperto della lana sacrifi- cale’, e cioè della pelle dell'animale sagrificato. Prezioso riscontro italico con festività latine, quale, ad esempio, quella dei Lu- percali. I Luperci, e cioè gli adoratori del Dis Lupercus e della Dea Lupa o Luperca, coppia infera di divinità originariamente etrusche (cfr. Le divinità infere e i Lupercali, Rend. Lincei, 1895) erano caprina pelle induti, e perciò Varrone li chiamò ‘umane greggi’ (L. L. VI, 34 ‘oppidum Palatinum gregibus humanis cinctum °). Hapsarius sarà dunque il sagrificante che si copre dell’hapsum dell'animale sagrificato, e cioè si copre della lana sagrificale. Sarà qui forse anche opportuno il richiamo al vilatos' di Novilara, e al capite velato del rituale latino. ars'tih. Nulla anche qui saprei dire sul valore fonetico e morfologico dell’% finale. Se in haps'rs'h, che pur termina in %, vedemmo un nominativo, non è escluso che possa esserlo anche ars'tih; nella qual parola noi vediamo una formazione col suf- fisso -t7 = lat. -tio-, di parecchi nomi proprii e comuni. Circa la parte radicale, ne torna ovvio il riscontro con l’etrusco arse verse, che in Festo, p. 18 M. viene spiegato come ‘ignem ver- tito’. Festo veramente spiega arse quale ‘vertito ? e verse quale ‘ignem’, ma lo scambio evidente dei due vocaboli fu già rico- nosciuto da lunghi anni (cfr. gli autori citati in Fabretti, Gloss. Ital. s. voce). Comunque sia, torna qui opportuno anche il ram- mentare l’arsier gen. singolare ‘sancti’ delle Tavole Eugubine (VI. b. 27; VI. a. 24); e dal raffronto delle due parole etrusca ed umbra, par che si legittimi al nostro ars'tit un significato quale di sacerdos, e cioè di colui che sta ad foculum a compiervi i sacra. smih. È la parola per noi più oscura. Pur non sapremmo rinunziare allo spiraglio apertone dal Lattes, quando sospettò (p. 180) che lo smi stesse al noto esmen come lo s't0d al- l’estod. Sol dovremmo porre scritta abbreviatamente la parola e taciutane la desinenza. Non per ipotesi dunque, ma a guisa di semplice interrogazione, chiederemo se convenga allo smi il significato che il Deecke (Rh. Mus. 41, p. 192) dette all’es-mex, di ‘ sacellum, sepulerum ’, e cioè, al locativo, ‘in sacello”. . 116 CARLO PASCAL — L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO pus'h. Umbro puze, puse, pusei, pusi; Oosco povs, puus, puz; = ut. materes'h : pateres'h : ‘matris patris’, vedi Lattes, p. 181. O © matres patres’? H. L. Che sia formola rituale ci mostra l’epigrafe di Crecchio, che pur finisce %. r. 2. Sol per additare uno dei significati pos- sibili, porremo che vi si celi un senso quale ‘ossa luantur ? o ‘ corpora luantur°, pur confessando che le rispondenze delle parole locali ci sono, anche ponendo tal senso, ignote. Ma un. senso a un dipresso simile a quello detto, ci verrebbe consigliato dal contesto dell’epigrafe intera; nè all’! puntato disconverrebbe vedervi l’inizio della parola corrispondente al latino luantur. Potrebbe forse anche nell’h. vedersi l’inizio di fal. e lat. hara ‘exta’ (cfr. harispex). Bisognerebbe allora vedere in materes'% : pateres'h due nominativi plurali, e tradurre: ‘ ut matres patres extis lustrentur°; vedendovi la lustrazione di tutti gli antenati. Riassumendo le cose discorse, direbbe l’epigrafe nostra : Pomponiorum sacrum. C. Appaeus ad foculum suis manibus mactato esto *hapsarius sacerdos . . . .. ut matres patres h. 1. (extis lustrentur ?). Si tratterebbe cioè di una prescrizione rituale ad uno della famiglia Pomponia, chiamato ad essere egli stesso il sacerdote familiare e a compiere i sacra domestica. Ciò ne conduce a un altro punto importante del diritto sacrale romano, a quello cioè dei culti domestici ereditari nelle famiglie, e dei quali ciascun paterfamilias doveva essere il sacerdote (v. il mio Culto di Apollo a Roma, p. 8 segg.). L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. 117 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 1° Luglio al 17 Novembre 1895. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. ** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F., Heft 16, Atlas. Berlin, 1895; 8° e 4°. * Abhandlangen (Wissenschaftliche) der physikalisch-technischen Reichs- anstalt. Berlin, 1895; 4°. * Abhandlangeu der k. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, 1894; 4°. * Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. I. Frankfurt a. M., 1895; 4°. * Abhandiungen der Naturhistorischen Gesellschaft zu Niirnberg. X Bd., III Heft. 1895; 8°. * Aceta Societatis scientiarum Fennicae. T. XX. Helsingforsiae, 1895; 4°. * American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana. Vol. L, n. 295-299. New-Haven, 1895; 8°. * Analele Institutului Meteorologic al Romaniei. Tomul IX, Anul 1893. Bucuresci, 1895; 4°. * Amales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega I-VI, t. XXXIX; I, III, t. XL. Buenos Aires, 1895; 8°. Anales del Museo Nacional de Montevideo, III. 1895; 4°. * Annales de la Société géologique de Belgique. T. XX, 3° livr.; XXI, 8° livr.; XXII, l'e livr. Liège, 1892-1895; 8°. * Annales de la Société belge de Microscopie. T. XVII, 2° fasc.; XIX, le fasc. Bruxelles, 1894-95; 8°. * Annales des Mines. 9"© série, t. VII, livr. 4°-6°. Paris, 1895. * Annals of the New York Academy of Science late Lyceum of Natural history. Vol. VII (Index); VIII, 5. New York, 1885; 8°. * Archives du Musée Teyler, serie II, vol. IV, fasc. 3, 4. Haarlem, 1894-95; 8°. * Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par la Société hollandaise des sciences è Harlem; tome XXIX, livr. 2, 3. Harlem, 1895; 8°. Archives (Nouvelles) du Muséum d'’histoire naturelle. III° sér., t. 6° et 7°. Paris, 1894, 1895; 4°. 118 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Astronomische Beobachtungen und Vergleichung der astronomischen und geoditischen Resultate. (Publication der Norwegischen Commission der Europiischen Gradmessung). Christiania, 1895; 8°. * Atti della fondazione scientifica Cagnola dalla sua istituzione in poi. Vol. 12°, 13°. Milano, 1894; 8° (dal R. Istituto Lombardo). Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXV, fasc. 1°-2°. Milano, 1895; 8°. Atti della R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze. 4* serie, vol. XVIII, disp. 2*, 1895; 8°. Atti della Reale Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Serie II, vol. VII. Napoli, 1895; 4°. Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX, N. s., n. II, HILL Napoli, 1895; 8% Atti del Collegio degli ingegneri e degli architetti in Palermo. Anno XVII, 1894, settembre-dicembre. 1894; 8°. * Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLVII, sess. V-VII; XLVIII, sess. I-VI. Roma, 1894; 4°. * Atti della R. Accademia dei Lincei, serie IV. Memorie della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. VII. Roma, 1894; 49. * Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. Serie IV, vol. VII, fasc. 4-6. 1895; 8°. * Atti del Museo Civico di Storia natur. di Trieste. Vol. IX. Trieste, 1895; 8°. * Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, disp. 74-9*. Venezia, 1895; 8°. Australian Museum. Report of Trustees for the year 1894. Sydney, 1895; 4°. Beobachtungen der Temperatur des Erdbodens im Tiflisser physikalischen Observatorium in den Jahren 1888 und 1889. Tiflis, 1895; 8°. Beobachtungeu des Tiflisser physikalischen Observatoriums im Jahre 18983. Tiflis, 1895; 4°. Bericht iber die Ergebnisse der Beobachtungen an den Regenstationen der Kais. livlandischen gemeinniitzigen und ékonomischen Societàt fir das Jahr 1884. Dorpat; 4°. * Bericht iber die Senckenbergische naturforschende Gesellschaft in Frankfurt am Mein, 1895; 8°. # Berichte iber die Verhandlungen der k. stess Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig. Mathem.-Physische Classe, 1895, IL-IV. Leipzig, 1895; 8°. * Bidrag till Kinnedom af Finlands Natur och Folck. Utgifina Finska Vetenskaps- Societeten, n. 54-56. Helsingfors, 1894-95; 8°. Boletin de la Academia Nacional de Ciencias en Cordoba. T. XIV, Entr. 28. Buenos-Aires, 1894; 8°. Boletin de la Comision Geolégica de México. N. 1. Mexico, 1895; 4°. Boletin del Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Tom. I, n. 22. Mexico, 1895; 4°. Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer- sità di Genova. N. 27-30. Genova, 1894; 8°. * * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 119 * Bollettino della Società di naturalisti in Napoli. Ser. I, vol. IX, fasc. I, 1895; 8°. * Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno1895, n.2. Roma, 1895; 8°. * Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 11-21. Roma, 1895; 8°. Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Università di Torino, n.i 192-207. Torino, 1894-95; 8°. * Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, v. XV, n. 1-8. Torino, 1895. * Bollettino del Club Alpino italiano per l’anno 1893. Vol. XXVIII, n. 61. Torino, 1895; 8°. * Buletinul Observatiunilor Meteorologice din Romania. Anul III, 1894. Bucuresti, 1895; 4° (dall’Istituto Meteorologico). * Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- chirurgica, ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 5-9. Bologna, 1895; 8°. * Bulletin de la Société belge de microscopie. XXI" année, 1894-95, n. VII-IX. Bruxelles, 1895; 8°. * Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XXVI, 1; XXVII, 2-5; XXVIII, 1. Cambridge, 1895; 8°. * Bulletin of the Scientific Laboratories of Denison University. Vol. VIII, 1, 2. Granville, Ohio, 1893-94; 8°. * Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1829, n. 4-11; 1880, n. 2; 1832, n. 1-3; 1894, n. 2, 3. Moscou, 1894; 8°. Balletin des séances de la Société des sciences de Nancy. N. 1-3, 6° année, 1894; 8°. Bulletin de la Société des sciences de Nancy. Ser. II, t. XII, fasc. XXIX, 1894. Nancy, 1895; 8°. Bulletin of the Agricultural Experiment Station of Nebraska. N. 6 e vol. VIII; 8°. * Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle. An. 1895, n. 4, 6. Paris, 1895; 8°. * Bulletin de la Société géologique de France. 3° série, t. XXII, n. 9 (1894); t. XXIII, n. 1-3 (1895). Paris, 1895; 8°. Balletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 1, 2; 8°. * Bulletin de la Société des Sciences naturelles de l’Quest de la France. T. V, 1° trimestre 1895. Paris; 8°. * Bulletin de l’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. V° sér., T. II, n. 3, 4. 1895; 4°. Bulletin N° 34. Washington, 1895; 8° (dall’United States Coast and Geodetie Surver). * Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1893, t. XII, n. 8-9; 1894, XIII, n. 1-3, 189; 8°. * Catalogue of the Fishes in the British Museum. Second edition. Vol. First. London, 1895; 8° (dal British Museum). Clinica Dermosifilopatica della R. Università di Roma. Prof. R. Cam- PANA, Direttore. Anno 1895, fasc. II, III. Roma, 1895; 8°. Colorado College Studies, Fifth annual publication Colorado Springs. 1894; 8°. 120 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Compte-Rendu des Travaux présentés è la 77% session de la Société Helvétique des sciences naturelles réunie à Schaffhouse. Genève, 1894; 8°. * Compte-Rendu sommaire des séances de la Société Philomatique de Paris, 22 juin, 13 et 27 juillet, 26 oct. 1895. Paris; 8°. * Comptes-rendus des séances de l’Académie des Sciences de Cracovie. Juin-juillet 1895; 8°. * Descriptive Catalogue of the Spiders of Burma based upon the Collection made by Eugene W. Oates and preserved in the British Museum. London, 1895; 8° (dal British Museum). ** Erliaterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den Thiringischen Staaten. LX, LXXII Liefer. Gradabth. 70; n. 88, 39, 44-48, 52. Berlin, 1894; 8°. ** Fortschritte der Physik im Jahre 1893, Bd. XLIX, II, III Abt. Braun- schweig, 1895; 8°. * Geological Survey of Canada; Report 1887-88; N. S., vol. 2-3. Maps. Ottawa, 1895; fol. Giornale Scientifico di Palermo. A. II, n. 6-9. Palermo, 1895; 4°. * Giornale del Genio civile. Anno XXXIII, fasc. 5°-6°. Roma, 1895. * Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n.5-10. Torino, 1895; 8°. Institute of Chemistry of Great Britain and Ireland Regulations for ad- mission to Membership and Register, 1895-1896; 8°. * Jahrbueh iber die Fortschritte der Mathematik. Bd. XXIV, Heft 2-3. Berlin, 1895; 89. * Jahrbuch der k. k. geologischen Reichsanstalt zu Wien. Jahrg. 1895. XLV Bd., 1 Heft. Wien; 8°. * Jahreshefte des Vereins fiir vaterlindische Naturkunde in Wiirttemberg. I-XXX, 51 Jahrgang. Stuttgart, 1894; 8°. * Jenaische Zeitschrift fiir Medicin und Naturwissenschaft, herausg. von der medicinisch-naturwissenschaftlichen Gesellschaft zu Jena. N. F., Bd. XXII, Heft III u. IV. Leipzig, 1895; 8°. * Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LXIII, Title page and Index. Vol. LXIV, part II, Natural Science, n. 2. Calcutta, 1895; 8°. * Journal of Comparative Neurology; Vol. V, pp. 71-138, XXVII-XLII. Cincinnati, Granville, Ohio, 1895; 8°. * Journal of Linnean Society. Botany, vol. XXX, n. 209-210. Zoology, vol. XXV, n. 158-160. London, 1894-95; 8°. * Journal of the R. Microscopical Society, 1895, part 3-5. London, 1895; 8°. * Jowrnal of the Academy of Natural sciences of Philadelphia. Second series, vol. IX, p. 4. Philadelphia, 1895; 4°. * Journal and Proceedings of the R. Society ofNew South Wales.Vol. XXVIII, 1894. Sydney, 1895; 8°. * Journal of the College of Science Imperial University Japan. Vol. VII, part V. Tokio, 1895; 4°. * Kongliga-Srenska Vetenskaps-Akademiens. Handlingar Ny Fòljd. Bd. 26. Stockholm, 1894-95; 4°. * List of Linnean Society of London, 1894-95. London, 1895; 8°. PU) BLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 121 * Mémoires de la Société de Physique et d’Histoire naturelle de (Genève. Tom. XXXII, 1° partie, 1894-95; 4°. * Mémoires de la Société Impériale des naturalistes de Moscou. T. I, 2° éd. 1811; III, IV 1812-1813, V 1817; et Nouveaux Mémoires, t. I, 1829, XV, livr. 5, 1888. Moscou, 1811-1888; 4°. * Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. VIII, n. 2, 3; IX, n. 3. St-Pétersbourg, 1894; 4°. * Memorias y Revista de la Sociedad Cientifica © Antonio Alzate ,. T. VII, (1894-95). N. 3 y 4. Mexico, 1895; 8°. * Memorie della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. Serie V, tomo III. 1892; 4°. * Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Classe di scienze matematiche e naturali. Vol. XVII, fasc. 5. Milano, 1895; 4°. * Memorie della Pontificia Accad. dei Nuovi Lincei. Vol. X. Roma, 1894; 4°. * Memorie descrittive della carta geologica d’Italia. Vol. IX. Descrizione geologica della Calabria. Roma, 1895; 8° (dal R. Ufficio Geologico). Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 6, 7. Roma, 1895; 4°. * Mitteilungen der Naturforschenden Gesellschaft in Bern aus dem Jahre 1894, n. 1385-1372. * Mitteilungen des Vereins fiir Erdkunde zu Leipzig,:1894. Leipzig, 1895; 8°. * Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel. 12 Bd., 1 Heft. Berlin, 1895; 8°. * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LV, n. 7-9. London, 1895; 8°. *«* Morphologische Arbeiten. Herausg. von D" G. Schwalbe. 5 Bd., 2 Heft. Jena, 1895; 8°. * Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 2. Gòttingen; 8°. # Nieuwe Opgaven. (Deel VII, n. 1-25); 8°. North American Fauna. N° 8. Monographie revision of the Pocket Gophers. Family Geomyidae, by Dr. C. H. Merriam. Washington, 1895 (dal! U. S. Department of Agriculture). * Notizie sui terremoti avvenuti in Italia durante l’anno 1895. Roma, 1895; 8° (dal R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica). * Nouveaux Mémoires de la Société Helvétique des Sciences naturelles. Vol. XXXIV. Genève, 1895; 4°. * Nova Acta Regiae Societatis Scientiarum Upsaliensis. Seriei tertiae, vol. XV, fas. II. 1895; 4°. * Observations made at the Magnetical and meteorological Observatory at Batavia. Vol. XVI, 1893. Batavia, 1894; f°. * Qbseryations météorologiques publiées par l’Institut météorologique central de la Société des Sciences de Finlande, 1889-90. Knopio, 1895. * Observations publiées par l’Institut météorologique central de la Société des Sciences de Finlande, vol. douzième, 1° livr. Observ. météorologiques faites è Helsingfors en 1893. Helsingfors, 1894; 4°. 122 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Ofversigt af Finska Vetenskaps-Societetens Forhandlingar, XXXVI, 1893- 1894. Helsingfors, 1894; 8°. * Ofversigt of Kongl. Vetenskaps Akademiens Fòrhandlingar. Vol. 51, 1894. Stockholm, 1895; 8°. * Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. N°IV-VI, 1895. Calcutta; 8°. * Proceedings of the Royal Society. Vol. LVII, n. 346; LVIII, n. 847-351. London, 1894; 8°. * Proceedings of the Linnean Society of London. From November 1893 to June 1894. London, 1895; 8°. * Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1895. Part II. London; 8°. * Proceedings and Transactions of the Royal Society of Canada for the year 1894. Vol. XII. Ottawa, 1895; 4°. * Proceedings of the Academy. of Natural history of Thiladelphia, 1394. Part III. Philadelphia, 1894; 8°. * Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia. Vol. XXXII, 143; XXXIII, n. 146. Philadelphia, 1893-1894; 8°. * Procès-Verbaux des séances de la Société Malacologique de Belgique. Tom. I-VII, t. XXI, pp. LXVII et suiv.; t. XXII et XXIII: 1872-1877; 1893-1894. Bruxelles; 8°. * Processi verbali delle adunanze. Anno accademico 204, n. 5 (Asian dei Fisiocritici). Siena, 1895; 8°. * Publications de l’Institut R. Grand-Ducal de Luxembourg (Sect. des sciences naturelles et mathématiques). Tome III, XIV, XXI et AE Luxembourg, 1855-1894; 8°. * Quarterly Journal of Geolog. Society. Vol. LI, n. 208-204. London, 1895; 8°. * Records of the Geological Survey of India. Vol. XXVIII, part 3. Calcutta, 1895; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII, fasc. XIV, XVI. Milano, 1895; 8°. * Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. IX, fasc. II-V. Palermo, 1895; 8°. * Rendiconto delle Sessioni della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Anno Accademico 1892-93 e 1893-94. 1894; 8°. * Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Ser. 3*, vol. I, fasc. 5°-7°. Napoli, 1895; 8°. * Rendiconto dell’Ufficio d’igiene della Città di Torino per l’anno 1895; 4°. Report of the sixty-third Meeting of the Britsh Association for the advan- cement of Science held at Oxford in august 1894. London, 1895; 8°. Report for the Year 1894-95, presented by the Board of Managers of the Observatory ofYale Univers.to the President and Fellows. New-Hawen; 8°. * Report (Eleventh; Twelfth Annual) of the Bureau of Ethnology to the Secretary of the Smithsonian Institution 1889-90; 1890-°91. Washington, 1895; 8°. Résultats des Campagnes scientifiques accomplies sur son yacht par Al- bert I, Prince de Monaco; fasc. VIII et IX. Monaco, 1895; 4° (dono di S. A. Me il Principe Alberto I di Monaco). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 423 * Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XIV, n. 6-10. Torino, 1895; 8°. * Sehriften der Physikalisch-Oekonomischen Gesellschaft zu Kénigsberg in Pr., XXXV Jahrg., 1894. Kònigsberg, 1895; 4°. * Sitzungsberichte der Kéòn. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu Berlin (10 Januar) I- (25 Juli 1895) XXXVIII. Berlin, 1895; 8°. * Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Societàt in Erlangen; 26 Heft, 1894. Erlangen, 1895; 8°. * Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der k. b. Aka- demie der Wissenschaften zu Miinchen. 1895, Heft II. Miinchen, 1895; 8°. * Smithsonian Miscellaneoas Collections; N° 854, 969, 970. Washington, 1894; 8° (dalla Smithsonian Institution). * Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVII, fasc. 5-6, XXVIII, fasc. 6-9. Modena, 1895; 8°. * Studi e ricerche istituite nel laboratorio di chimica agraria della R. Uni- versità di Pisa. Fasc. 12°, anni 1893 e 1894. Pisa, 1895; 8°. Sveriges Zoologiska hafsstation Kristineberg af hjalmar théel. Stockholm, 1895; 8°. * Thiitigkeit der Physikalisch-Technischen Reichsanstalt in der Zeit vom 1 Mirz 1894 bis 1 April 1895. Berlin, 1895; 4° (dall’Istituto Fisico- Tecnico in Charlottenburg). * Transactions of the Royal Society of South Australia. Vol. XIX, Part L Adelaide, 1895; 8°. * Transactions of the Linnean Society of London. Botany, vol. IV, p. 2; vol. V, p. 1. — Zoology, vol. VI, p. 8. London, 1895; 4°. * Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIII, p. vi-1x. Transacetions of the Connecticut Academy of Arts and Sciences. Vol. IX, part 2. New-Haven, 1895; 8°. * Travaux & Mémoires des Facultés de Lille. T. III, n. 10-14. Lille, 1893-94; 8°. #* Verhandlungen der physikalischen Gesellschaft zu Berlin. Jahrg. 14, ni2: 1895; 8°. * Verhandlungen der Schweizerischen Naturforschenden Gesellschaft bei ihrer Versammlung zu Schaffhausen 1894. 77 Jahresversammlung; 8°. * Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 8-9, 1895. Wien; 8°. Viskundige Opgaven met de Oplossingen, door de leden van het Wiskundig Genootschap, Zesde Deel. 6%e stuk. Amsterdam, 1895; 8°. * Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig, etc.; XVIII Jahrgang, n. 478-488. 1895. * KRypHaxp pyccraro ®0NI81r0o-xmMugeckaro O6mecrBa npu Hmmeparoperonb C. MIerep6ypreroms VYangepenterb; t. XXVII, n. 4-6. 1895. * * Dall Università di Basilea : Bachmann (J.). Einfluss der iiusseren Bedingungen auf die Sporenbildung von Thamnidium elegans Link. Leipzig, 1895; 4°. Boecking (0.). Zur Kenntnis des B-Diazo-Naphtalins. Zirick, 1894; 8°. 124 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Bòhm (E.). Beitràge zur Kenntnis der komplexen anorganischen Skiuren. Basel, 1895; 8°. Bòhm (G.). Ueber Derivate des Anilacetessigesters. Miinchen, 1894; 8°. Braunschweig (E.). I. Ueber das Einwirkungsproduckt von Alkali auf substituirte Hydrazine der aromatischen Reihe. II. Ueber die Bildung von Diphenylderivaten bei Einwirkung von Kupferchlortir auf o-Nitro- diazobenzolparasulfosiure. Basel, 1895; 8°. Biihler (K.). Ueber die Finwirkung von Kaliumsulfidlésung u. Schwefel- kohlenstoff auf Resorcin und a- Naphtol bei Wasserbadwarme, sowie ùber die Benzoylierung des Schall- u. Dralle’schen Oxydations—produktes des Brasilins C° H?(0H)(0H)(C3*0?H)..... Farth, 1895; 8°. Burckhardt (0.). Beitrag zur Lehre von den Grenztumoren von Conjunctiva und Cornea. Basel, 1894; 8°. Capeder (Ch. J.). Zur Casuistik der Diplacusis Binauralis. Basel, 1895; 8°. Clairmont (W. C.). Zum Studium der Ketone. Basel, 1894; 8°. Dinesmann (M.). Ueber die Ortho-Derivate des Mono- und Dialkylanilins. Karlsruhe, 1894; 8°. Gassmann (Ch.). Recherches sur la Diphényléthylènediamine et ses dérivés et sur quelques dérivés de l’Amidocamphre. Strasbourg, 1895; 8°. Gloor (A.). Pathologisch-anatomischer Beitrag zur Kentniss der Orbital- phlegmone. Jena, 1895; 8°. Goebbels (W.). Zur Kenntnis der Bleidoppelsalze mit organische Basen. Aachen, 1895; 8°. Goldbeck (P.). Die Nematoden in den Respirationsorganen und dem Schlunde des Schafes. Miilhausen i. E., 1894; 8°. Graber (Th.). Die Arten der Gattung “ Sarcina ,. Emmendingen, 1895; 8°, Hegglin (C.). Experimentelle Untersuchungen iiber die Wirkung der Douche. Solothurn, 1894; 8°. Hey (F.). Ueber Driisen, Papillen, Epithel und Blutgefaàsse der Harnblase. Tibingen, 1894; 8°. Hoffmann (B.). Zur Geschichte des Furfurylamins Neue Amidinsynthese. Berlin, 1895; 8°. Hiisler (F.). Ueber die Regelmiissigkeit des Pulsrhythmus bei gesunden und kranken Menschen. Leipzig, 1895; 8°. Jelkmann (F.). Ueber den feineren Bau von Strongylus pulmonalis apri Ebel. Leipzig, 1895; 8°. Kampmann (K.). Ueber das Vorkommen von Klappenapparaten in den Excretionsorganen der Trematoden. Genf, 1894; 8°. Kiermayer (J.). Ueber ein Furfurolderivate aus Làvulose. Miinchen, 1895; 8° Kohn (K.). Untersuchungen iber Zersetzungsprodukte Ortho-nitrirter Ben- zoldiazimide. Zirich, 1895; 8°. Kiindig (A.). Ueber die Wirkung des Ferratin bei der Behandlung der Blutarmuth. Leipzig, 1894; 8°. Kiister (W. von). Die Oelkòrper der Lebermoose und ihr Verhiltnis zu den Elaioplasten. Basel, 1894; 8°. Leent (F. H. van). Einige Untersuchungen iber Milchzucker, Galactose und Maltose und ihre Ammoniakverbindungen. Haag, 1894; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 125 Lendle (A.). Zur Kenntnis der Thiazone. Basel, 1895; 8°. Mangold (G. A.). Ueber die Infection der Ovarialkystome. Basel, 1895; 8°. Marti (A.), Ueber subconjunctivale Kochsalzinjectionen und ihre thera- peutische Wirkung bei destructiven Hornhautprocessen. Basel, 1894; 8°. Meyer (Ad. A.). Contribution è la connaissance des: 1. Dérivés homologues du Benzène; 2. Naphtylamines nitrées; 3. Diazonaphtaléneimides. Ge- nève, 1894; 8°. Meyer (C. A.). Contribution è la connaissance: I. “ Des Dérivés oxyazoiques ,; IT. “ De la Transposition de l’Hydrazobenzène ,; III “ Des Oxycétones aromatiques ,. Strassburg, 1895; 8°. Meyer (H.). Beitràge zur Frage des rheumatisch-infectiésen Ursprungs der Chorea minor. Leipzig, 1894; 8°. Minassian (M.). Untersuchungen iber den Einfluss der Kérperlage auf die Herzthitigkeit. Basel, 1895; 8°. Niebergall (E.). Ueber den Einfluss lingerer Chloroformnarcose auf Blut und Harn. Basel, 1894; 8°. Plòtze (H.). Beitrige zur Kenntnis der chronischen Bleivergiftung. Basel, 1895; 8°. Rikli (M.). Beitrige zur vergleichenden Anatomie der Cyperaceen mit be- sonderer Beriicksichtigung der inneren Parenchymscheide. Berlin, 1895; 8°. Rosenzweig (J.). Ueber die Finwirkung des Glyoxalnatriumbisulfits auf aromatische und aliphatische Aminbasen. Berlin, 1894; 8°. Sehlein (L.). Ueber das Verhalten des a-Diazo-Naphtalins gegen Alkalische Ferrid-Cyankalium-Lòsung. Leipzig, 1894; 8°. Schmidt (C.). Ueber das Phenyl-Butin-Acetophenon und das Phenyl-Butin- a-Acetopyridon. Karlsruhe, 1895; 8°. Serra (F.). Zur Kenntniss einiger Diphenylnaphtylmethanderivate. Basel, 1895; 8°. Strobel (C.). Ueber Halogenderivate des Pseudocumols. Leipzig, 1894; 8°. Suter (F.).. Ueber Schwefelhaltige abkòmmlinge der Eiweisskòrper. Strass- burg, 1895; 8°. Thumm (K.). Beitrige zur Biologie der fluorescierenden Bakterien. Emmen- dingen, 1895; 8°. Wilensky (L.). Beitrige zur Kenntnis des 1, 2, 4-Triamidonaphtalins und seiner Abkémmlinge. Berlin, 1894; 8°. Wirkner von Torda (C. G.). Studien iber Dampfspannkraftsmessungen am Benzol, an Derivaten des Benzols und am Aethylalkohol. Basel, 1894; 8°. Wormser (S.). Ueber einige Condensationsprodukte von Paratoluidin mit Acet- und Propionaldehyd. Munchen, 1895; 8°. Wurgaft (J.). Condensation von Aldehyden mit a-Naphtohydrochinon. Dresden, 1895; 8°. Zakrzewski (S. von). Ueber 2, 3 Naphtalinderivate. Posen, 1894; 8°. Zeitlin (M.). Ueber die Zersetzung einiger substituirter Diazobenzolimide. Karlsruhe, 1894; 8°. Atti della R. A ecodenia IVO LPAZINITI 11 126 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Tesi dottorati dell’ Università di Erlangen (dono della Società Fisico-Medica): Apetz (H.). Ueber die Einwirkung der Salpetersiure auf Aldehyde und Ketone, insbesondere auf Dimethylketon. Leipzig, 1894; 8°. Arai (Kobo). Ein Beitrag zur Kenntnis der Chorea gravidarum. Erlangen, 1895; 8°. Arens (C.). Ueber das Verhalten der Choleraspirillen im Wasser bei An- wesenheit fiulnisfàhiger Stoffe und hòherer Temperatur (37°). 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ACCADEMIA “i VOTE UA * Memorie dell’Accademia d'Agricoltura, Arti e Commercio di Verona. Serie III, vol. LXX, fasc. unico. Verona, 1893; 8°. * Memorie dell’Accademia di Verona. Vol. LXXI, serie III, fasc. 1. 1895; 8°. * Miscellanea di Storia italiana, terza serie, t. I e II. Torino, 1895; 8° (dalla R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria). ** Mittheilungen der k. k. geographischen Gesellschaft in Wien. 1894. XXXVII Bd.; 8°. ** Monumenta Germaniae historica. Auetorum antiquissimorum tomus XIII, pars II. Chronica minora saec. IV, V, VI, VII. Berolini, 1895; 4°. Movimento della navigazione nei porti del Regno nell’anno 1894. Roma, _ 1895; 4° (dal Ministero delle Finanze, Direz. gener. delle Gabelle). Movimento commerciale del Regno d’Italia nell’anno 1894. Roma, 1895; 4° (dal Ministero delle Finanze, Direzione generale delle Gabelle). * Nachrichten von der kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen, Philologisch-historische Klasse. 1895, n.3. 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Il Socio Segretario segnala fra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia: “ La Rivista di Topografia e Catasto ,, diretta dal Socio JApANZA, Vol. VIII, fasc. I-IV, e gli “ Atti della Società Piemontese d’Igiene ,, fasc. I. Vengono poscia accolti per essere inserti negli Atti i se- guenti scritti: “ Trasformazioni lineari dei vettori di un piano ,, nota del Socio PEANO; Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 13 156 “ Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte ,, nota del Prof. PARONA e del Dott. RoveRETO, presentata dal Socio SPEZIA; «“ Sette lettere inedite di Lagrange ,, nota del Prof. Antonio Favaro, presentata dal Socio NACCARI; « Sulle variazioni di densità di un liquido presso alla superficie ,, nota del Dott. V. Monti, presentata dal Socio NaAccarI. Dietro relazione favorevole delle apposite commissioni ven- gono accolti nei volumi delle Memorie gli scritti seguenti: « Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici coll’etere cianacetico în presenza dell'ammoniaca e delle amine ,, memoria del Prof. Icilio GUARESCHI; “ Sull’equazione di 5° grado ,, memoria del Prof. F. GIUDICE. GIUSEPPE PEANO — TRASFORMAZIONI LINEARI, ECC. Told LETTURE Trasformazioni lineari dei vettori di un piano; Nota del Socio GIUSEPPE PEANO. Le trasformazioni lineari dei vettori compaiono in più rami della matematica; sono studiate in geometria proiettiva come omografie dei punti all'infinito, ma dal solo punto di vista del loro prodotto. In geometria infinitesimale rappresentano le de- formazioni delle figure infinitesime; in fisica matematica deter- minano le forze prodotte da queste deformazioni, ecc. Nella presente nota si espongono alcune formule sulle tra- sformazioni dei vettori contenuti in un piano fisso. Dapprima sono rapidamente richiamate alcune definizioni, onde ben fissare la nomenclatura di cui ci serviremo, essendo essa ancora un po’ varia nei diversi autori. Per uno sviluppo più ampio di queste definizioni rimando al cap. IX del mio libro Calcolo geo- metrico. Il lettore può pure utilmente consultare lo scritto del sig. CarvaLLo, Sur les systèmes linétaires, le caleul des symboles différentiels et leur application à la physique mathématique (Mo- natshefte fiir Mathematik und Physik, 1891, pag. 1, 225, 311). Queste formule presentano analogia con quelle dei quater- nioni, da cui differiscono per qualche segno. $ 1. — Sistemi lineari e loro trasformazioni. Un sistema di enti dicesi lineare, se gli enti di esso si pos- sono sommare, e moltiplicare per numeri reali, e se la somma e questa moltiplicazione conservano le ordinarie proprietà. Quindi Se di, 49, ..., 4, sono enti del sistema, e #}, ..., 7, sono numeri reali, anche mj0, + my, + ... + m,a, rappresenta un ente del sistema. Gli enti 4,45 ... @, diconsi (linearmente) indipendenti, se fra essi non passa alcuna equazione lineare. Il sistema dicesi ad n 158 GIUSEPPE PEANO dimensioni, se sonvi » enti indipendenti, e non ve ne sono n+- 1. Se il sistema è ad » dimensioni, e 4}; ... @, sono » enti indi- pendenti, ogni ente del sistema si può ridurre alla forma mia, + ... + Man, OVE My mg ... Mm, sono numeri reali. Una corrispondenza fra gli enti di due sistemi lineari di- cesì una trasformazione lineare, od operazione distributiva, se, essendo ax l’ente corrispondente all'ente x del sistema dato, si ha a(e-+4+y) = 0€+ 0y, qualunque siano gli enti x e y del sistema dato; e a(mx) = max, qualunque si sia il numero reale m. $ 2. — Vettori. Useremo la lettera V invece della frase “ vettore contenuto in un piano dato ,. Essendo a, è due V, è definita la loro somma, che è pure un vettore, ed essa ha la proprietà commutativa e associativa: L a beV.h.a+beV.a+b0=5b+a. 2. a,b,ceV.g.at+(0+e=(a+3) +c=a+db+%4e. Essendo a un V, ed un m numero reale (q), ma rappresenta. pure un vettore: 3. aeV.meq.9.maevV. 4. a,beV.m,neq.9.m(a+0)= ma + mb .(m4t+na= ma + na . m(na) = (mn) a = mna. Fisseremo ad arbitrio un vettore î, la cui lunghezza assu- meremo come unità di misura; e chiameremo j un vettore eguale in lunghezza ad i, e normale ad i; l’angolo retto (î,j) si dirà positivo. Allora ogni vettore « del piano si può ridurre alla forma xi +4 yj, e ciò in un sol modo. Ne risulta che V è un sistema lineare a due dimensioni. Qualche volta useremo il prodotto esterno dei due vettori a e b, indicato con ad. Potremo in questa nota intendere con ab il numero che misura l’area del parallelogrammo costrutto sui TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 159 due vettori « e 5, essendo l’unità di misura in grandezza e in verso il quadrato ij. Si ha quindi: 5. a, beV.).abeq. 6. a,b,ceV.g.ab= — ba. (a4d)c =ac+ de. 4 - a,b,ceV.9.(b)a +- (ca) db + (ad)e=0. 8. cyeyeq.9.(it+yj)(c'i ty) = ay — cy. La condizione di parallelismo dei due vettori a e 3 è ab=0. $ 3. — Sostituzioni. Una trasformazione lineare dei V in V dicesi una sostitu- zione. Useremo la lettera S invece della parola sostituzione. Le S sono quindi definite dalle seguenti proprietà: "i aeS.aeV.gQ.aaeV. 2. aeS.a,beV.5.0(a +8) — 0a + ad. 3. aeS.aeV.meq.g.oama =maa. Ne risulta che: 4. aeb.ai=i.aj=].x,yeg.9.a(xi + yj) = + y). Quindi per conoscere la sostituzione a, basta conoscere i vettori i' e j' corrispondenti ad i e ad j. Indicheremo con ({'% la sostituzione che ad i e ad j fa corrispondere è’ e j'. Invece di dare i vettori #' e j', possiamo darne le coordinate i' = pi + g/, Î = pi + gj; indicheremo con [ p, g; p',9] la sostituzione (2% P*#4). 1 numeri p, g, p', g! diconsi i coefficienti della sostituzione. 160 GIUSEPPE PEANO $ 4. — Operazioni sulle sostituzioni. Se a, BeS.aeV, si scrive (a+ B)a invece di aa + Ba. L'operazione a + f è pure una sostituzione: I a,BeS.g.a + BeS. su nr Dt RL 04 i Le Ga 3. P%P'9P1%P'191€9-09 -[2,9;P':91+ [pn 012191] =p+ Pr 14 P4+D1hdV 44 Nelle stesse ipotesi Baa sta per indicare B(aa); l'operazione Ba è pure una sostituzione: 4. a, BeS.9.. Baes. O veglia a a (14) na e i Di La moltiplicazione delle sostituzioni ha la proprietà asso- ciativa, e la distributiva rispetto all’addizione; ma non è in generale commutativa. Quindi, p. e., si avrà ancora: (a + 8) = a? | ap + Ba +- B°, ma il secondo e terzo termine non si possono più ridurre fra loro. La moltiplicazione d’un vettore per un numero reale m è una sostituzione: m= (#7) = [m,0; 0, m]. Quindi, se a, 8, ... sono sostituzioni, m, »,... sono numeri reali, ma + n + ... rappresenta pure una sostituzione. Essendo D, 9, p',q" delle q, si ha: [og p,1=pG +0 C+ CA +9 69. TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 161 Ne risulta che le S formano un sistema lineare a quattro dimensioni. Senza difficoltà si definiscono le altre operazioni sulle S; ci limiteremo alla definizione dell’esponenziale : 6. aes ipa l'Pa to +e + LAT La dimostrazione della convergenza di questa serie, qua- lunque si sia la sostituzione a (anche in sistemi lineari a più dimensioni), trovasi, p. e., nel mio articolo Intégration par séries des équations différentielles linéaires (“ Mathematische Ann. ,, XXIII, p. 450). $ 5. — Forma canonica delle S. Essendo « un vettore, con ‘x intenderemo ciò che diventa «, dopo aver rotato dell'angolo retto positivo. Sicchè: L i=j.j=— i =.= L Quindi la sostituzione 1 ha la proprietà caratteristica del- l’unità immaginaria. Se x, yeq, allora € + w rappresenta una sostituzione ; e questa interpretazione degli immaginarii, alquanto diversa da quella comune di Gauss, è affatto elementare, e si può introdurre nell’insegnamento, utilizzando così in ricerche di geometria, la teoria algebrica dei numeri immaginarii. Essendo x un vettore, con ku intenderemo il simmetrico (o coniugato) di « rispetto al vettore è. Quindi: 2. dra Lg Mediante le due sostituzioni 1 e k si possono esprimere tutte le sostituzioni; e precisamente ogni sostituzione a si può ridurre alla forma : a=m + z1+ yk + 21, 162 GIUSEPPE PEANO ove m, x, y, 2 sono numeri determinati. Questa forma cui sì possono ridurre le S si dirà loro forma canonica. Si ha: 3 [nap9al=5(P+M+4@-ph+ +5 0-Mx +5 @+2)x 4. mt+a+yr+teax=[m+y, x+2e;a—-a,m—- y] Data una seconda sostituzione: o'= mm +ao14 y'x + sk, ove m', x', y', 2' sono q, si avrà: 5. a+o'=(m+m)+(r+2)1+(y4+#)x + (+ 21). Per moltiplicare due sostituzioni date sotto forma canonica, basta osservare le regole: ves ckbe=1a=— x, donde Kw = — K, KK=— 1, kKK= 1. Quindi: 6. a'a=(mm' — x2' + yy +22) + (m'a+e'm —y'e+ yi (m'yt+ym—-a'z+2'e)x + (me + me' + 2'y — y'a)ax. Come caso particolare: da o = mî — e + y° + e? + 2mar + 2myx + 2maxx. Si deduce l'identità: 8. a? — 2ma + (mM + a — y — 2) =0, che permette di esprimere il quadrato di a, e quindi le sue successive potenze, mediante a. TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 163 Sono ancora a notarsi le formule: 9. 5 (a + 10) = (m+ z1)1 10. + (a — 10) = (y+ 21)x E MR RE 1 ' Er , Cn) di. 9 (aa a a'a) = L Y © | | BAM $ 6. — Invariante e determinante d’una sostituzione. Sia a una S. Presi ad arbitrio due vettori è e }, il rapporto dell’area (ai) (aj) all’area ij è indipendente dalla scelta dei vettori è e j. A questo rapporto daremo il nome di determinante di a, e lo indicheremo con det a. Si ha: pit: aeS.i,jeV.9. (ai) (0) = ij det a. 2. det [p, g; 2, 9] = pa — pd. 3. det (m + 21 + yx + eu) = mM 4a — $ — 2°. 4. det (aa') = det a X det a”. Mettendo a ed a' sotto forma canonica, e applicando le formule 3 e 4 si ottiene l’identità: m? + a — y° — 2°) (m'° + a? — y°? — 22) = ( y Y = (mm' — xx 4 yy' + 2ee'YP+ (ma + om — ye + 2")? — — (n'y+t+ym—&'2 + 2'a? — (Mm + me' + 2'y — ya)? analoga a quella di Eulero, e che si può anche dedurre da quella di Lagrange. Un numero m rappresenta una sostituzione parti- colare, e si ha: 164 GIUSEPPE PEANO 5. meq.d).detm = m?. 6. det 1 = 1, detx =— 1. Se a è una $S, e # un numero, a + # è una $, ed il suo determinante si può sviluppare sotto la forma det (a 4- t) = A + 2Bt + #, ove A e B sono dei numeri. A vale evidente- mente det a; il coefficiente B di 2? lo diremo l’invariante di a, e lo indicheremo con inv a. Si ha pertanto: 7. aeS.teq.9.det(a+1) = deta + 2t inva + #?. L’invariante, espresso mediante i coefficienti della sostitu- zione, vale: . r 1 , 8. inv [pg p,d]=5 +9). Se la sostituzione è data sotto forma canonica, si ha: 9. inv (m+ 14 gx + 21K) = m. Se la sostituzione è data mediante le coppie i, j, è, j", di vettori corrispondenti, si ha: 10. inv (29) = NITRATI) TE) 2ij IL. inv (a + o') = inva + inv a. 12. aes.meq.9.inv(m0a) = minva. 13. a, a'eS.g.inv (ca) = inv (aa). 14. ces. dee. 15. aeS.g.0=inva— 1inv (wa) + x inv ke + 1x inv (1a). La formula (8) del $ 5, tenendo conto delle (3) e (9), si può leggere: 16. a? — 2(invo) a + deta= 0. TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 165 $ 7. — Sostituzioni particolari. Fra le sostituzioni alcune meritano menzione speciale. 1. Involuzione. — Si chiamano involuzioni le sostituzioni il cui invariante è nullo. Ogni involuzione è della forma x1 +4 yx + ex. La somma di due involuzioni è un’involuzione. Le involuzioni formano quindi un sistema lineare a tre dimensioni. Ogni sostituzione è la somma d’un numero reale mm, suo inva- riante, e d’una involuzione. 2. Rotazione. — Essendo « un V e t una q, eu rappre- senta il vettore che si ottiene facendo rotare « dell’angolo #. Quindi et = cost + 1sent rappresenta la rotazione dell’an- golo #. Il prodotto di due rotazioni è una rotazione. x 3. Una similitudine diretta è rappresentata dal prodotto di un numero r per una rotazione et, quindi è della forma rett; essa si può pure ridurre alla forma m + 1. Esse corrispondono ai numeri complessi dell’algebra; formano quindi un sistema lineare a due dimensioni. 4. Simmetria. — Il vettore simmetrico di « rispetto al vet- tore fisso è fu indicato con x; quindi x rappresenta una sim- metria rispetto al vettore i. Per avere il simmetrico di v rispetto ad un asse che faccia con è l’angolo #, basta far rotare « del- l'angolo —t, e si ha e—ttw, poi se ne fa il simmetrico rispetto ad è, e si ha ke-tw, e infine lo si fa rotare di nuovo dell’an- golo #, e si ha etge—i x. Dunque la simmetria rispetto all’asse che fa l'angolo # con 1 è rappresentata da et xe—w = extk = ke?U, Dunque ogni simmetria è il prodotto d’una rotazione per la simmetria particolare x. 5. Similitudine inversa. — Essa è il prodotto d’una sim- metria per un numero r; quindi ha la forma re tx; si può pure rappresentare con yk + 21x. Ogni sostituzione m + 21 + yk + au è la somma di una similitudine diretta m + z1 e d’una inversa yx + 21x. 6. Dilatazione. — Chiamasi dilatazione ogni sostituzione au bu riduttibile alla forma (© È" vo ove « è un vettore e « e d sono 166 GIUSEPPE PEANO — TRASFORMAZIONI LINEARI, ECC. numeri reali. Esso fa corrispondere ai due vettori ortogonali u e w altri due vettori aventi le stesse direzioni di essi. Questa a-blu_—-w 2 U lu il primo termine è un numero ed il secondo è una similitudine inversa. Perciò ogni dilatazione è riduttibile alla forma: dilatazione si può trasformare in E + } in cui m + yx + z1x, ovvero m + re2tx. Se a è una involuzione, 1a è una dilatazione, e se a è una dilatazione, 1a è una involuzione. Dire che a è una dilatazione equivale a dire che inv (1a) = 0. 7. Ogni sostituzione è il prodotto d’una rotazione per una dilatazione. Infatti, ridotta la sostituzione alla forma ret + r'ew' x essa sì può pure scrivere: et(r 4 r'elt'—t)k), ovvero (r + r'erlt+1) x) att, e quindi è decomposta nel prodotto d’una rotazione per una dilatazione, ovvero d’una dilatazione e d’una rotazione. 8. Sono ancora a notarsi le sostituzioni il cui determinante è nullo. Si hanno le formule: 7, r", t, t#'eq.9. det at —= 1, inv et = cosf, inv etr1 = — sent, det rat — r?, inv ret = r così det r'et'x = — #2, inv r et'x= 0. det (ret + r'et'g) = 7° — #02, C. F. PARONA E 6. ROVERETO — DIASPRI PERMIANI, ECC. 167 Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte (Liguria Occidentale); Nota di C. F. PARONA e di G. ROVERETO. Nel mezzo del massiccio arcaico ligure, lungo la storica valle di Montenotte, trovasi una zona di roccie diasprigne col- legata a quarziti, ad anageniti, a scisti sericitici di aspetto per- miano. Per avere trovato radiolarie nei diaspri, e perchè il giacimento collegasi ad altri non meno notevoli delle Alpi, abbiamo atteso alla compilazione di questa nota. Bibliografia. — La valle di Montenotte è parecchie volte ricordata dagli autori, che hanno trattato di geologia ligure. Ricordiamo precipuamente che il Taramelli (1) ha osservato, percorrendo la strada fra le due frazioni di Montenotte, scisti talcosi di colore vinato e alternati con eufotide a minuti ele- menti. L’Issel (2) cita eufotide fra Montenotte inferiore e supe- riore, a M. S. Giorgio, a M. Greppino, a M. Negino. Al Passo del Bonomo ancora l’Issel ricorda vene di calcedonio. Nella carta geologica del d’Halloy (3) è segnato nei dintorni di Montenotte il terreno emilisiano (paleozoico); in quella del Pareto (4) il verrucano. Il Sismonda (5) nota invece nella sua carta, a cominciare dal M. S. Giorgio, scisti del giura-metamorfico, e distingue in modo assai esatto il massiccio gneissico. Nelle carte più recenti. l’Issel, il Mazzuoli e lo Zaccagna (6) hanno (1) Taramerri T., Osservazioni geologiche fatte nel raccogliere alcuni cam- pioni di serpentini (Boll. Soc. Geol. Ital, pag. 123, 1882). (2) IsseL A., Liguria geologica, ecc., vol. I, pag. 428. Genova, 1872. (3) D'OxmaLius D’HarLoy, Carte Géognostique de la France et des quelques contrées voisines. Paris, 1839. (4) Parero L., Carta geologica della Liguria Marittima. Genova, 1846. (5) Sismonpa A., Carta geologica di Savoia, Piemonte e Liguria. Torino, 1862. (6) Mazzuori L., Isser A., Zaccagna D., Carta geologica delle Riviere Liguri e delle Alpi Marittime. Genova, 1887. 168 C. F. PARONA E G. ROVERETO riferito tutta la formazione arcaica al trias; il Taramelli (1) al permiano; nuovamente l’Issel con lo Squinabol (2), pubblicando maggiori dettagli di rilievo, l’hanno lasciata incerta in quanto all’età. In ultimo uno di noi (3), in una carta pubblicata dopo la scoperta dei diaspri, fra estese zone di arcaico e di miocene, ha segnato un piccolo lembo di permiano. Serie dei terreni dai gneiss ai diaspri. — Per la strada che dal Santuario di Savona sale a Cà di Ferrè, scende a Monte- notte e segue il rio omonimo sino presso Pontinvrea, dove il rivo si immette nell’Erro, si attraversa quasi normalmente la serie arcaica, col passaggio dalla parte inferiore, rappresentata da gneiss con intercalazioni di anfiboliti e di micascisti, alla superiore, costituita da scisti lucidi, da “calcescisti, da eufotide, da serpentina, con una notevole massa di granito, prossima a levante e intrusa fra le due serie. Fra tutte queste roccie sono a darsi alcuni ragguagli di quelle, che si collegano alla formazione diasprigna. Sui gneiss scistosi, quando non sia interposto il granito, che, oltre essere in grande massa, presenta affioramenti di apofisi filoniane di contorno, riposano degli scisti sericitici o lucidi di cui alcuni di colore violaceo già notati dal Chabrol (4). In questi scisti cominciansi a trovare, al disopra di Palazzo Doria, ammassi di eufotide, facilmente riconoscibili perchè bene caratterizzati e a grossi elementi. Quivi, collegate alle eufotidi, sono anfiboliti con elemento bianco albitico-quarzoso, attinoto, calcite, magnetite, con l'aggregazione delle anfiboliti della serie superiore; ossia con i cristalli bacillari che tendono a definirsi nettamente, e la pasta bianca che non presenta orientamento molto evidente. Salendo ancora, si presenta un calcare cristallino bigio- (1) Taramerri T. e G. MarcaLti, Il terremoto ligure del 23 febbr. 1887 (Ann. Uff. Centr. di Met. e Geodin., VIII, 1880). (2) IsseL A., Squinasor S., Carta geologica della Liguria e dei territori confinanti. Genova, 1890. (3) Rovereto G., Rilievo geologico del Massiccio arcaico ligure (Boll. Soc. Geol. Ital., tav. V, 1895). (4) CaasroL DE Vorvic, Statistigque des provinces de Savone, ecc., vol. I, pag. 33, 1824. è DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 169 ceruleo, con lettini di scisti argillosi, in banchi regolari, a frat- ture normali e angolari, che dividono la roccia in parallelepipedi. Dopo il calcare si ripetono gli scisti argillosi e lenti di eu- fotide, sino prima di giungere a C. Naso di Gatto. Sopra di questa riposa sugli scisti, con trasgressione non bene evidente, l'isola di calcare dolomitico triassico di M. Pra. Oltre Naso di Gatto, nei dintorni di Cà di Ferrè e di C. Le Meuje, i conglomerati miocenici tongriani coprono la serie arcaica. Dove terminano, presso €. Sorie, si ritrovano gli scisti fissili, continuantisi con nulla di notevole sino a Cravone, di poco a mezzogiorno di Montenotte superiore. Qui di nuovo la cotica miocenica impedisce osservazioni sullo svolgimento seriale del- l’arcaico, sino che al rivo prima della C. delle Isole, scendente dalla quota m. 814 della carta topografica militare, compare una grossa zona di eufotide e poi, alla C. delle Isole, la formazione diasprigna, con i seguenti rapporti in dettaglio: Zona diasprigna di C. delle Isole. — La roccia diasprigna, sita immediatamente a settentrione della cascina citata, è costi- tuita da letti diasproidi, alternanti con letti ftanitici e quarzosi; si estende orizzontalmente per oltre 150 m., sino a che viene ricoperta dal miocene. Nello sporgere come amigdala di roccia dura dalla cotica terrosa è rivestita dietro la C. delle Isole da una fascia di marmo bianco; succedono, apparentemente sottostanti, quarziti e anageniti (1), quindi, potente a 100 m., un calcare cristallino ceruleo, con scisti sericitici plumbei, identico a quello ricordato sopra a S. Bartolomeo. Gli scisti sericitici plumbei sono eguali a quelli, che si osservano alla Piazza d’Armi di Savona e alla Madonna del Monte di Zinola, alla base del verrucano e diret- tamente posanti sui gneiss. La direzione di questo calcare è la E.-O., ossia è quella della serie arcaica, come pure della serie arcaica è la sua im- mersione a N. con la forte inclinazione di 60°. (1) L’Havy disse anagenite una roccia conglomeratica a base di frammenti feldispatici; per noi, come per gli altri geologi italiani, il vocabolo ha però un significato affatto diverso, perchè si riferisce al livello conglomeratico, in gran parte quarzoso, che sta tra i calcari del trias medio e la serie del verrucano. 170 C. F. PARONA E G. ROVERETO Dove i calcari terminano succede, con rapporti non bene visibili, un ammasso di eufotide, potente oltre 250 m. Non in posto, ma con ogni probabilità collegati a queste roccie dia- sprigne, sonvi delle anfiboliti (prasiniti) in grandi massi, a lettini bianchi di quarzo granoso e di albite, con clorite e epidoto. In massi sparsi trovasi pure altra roccia verde a chiazze nere, che risulta al microscopio uno scisto glaucofanitico di contatto del- l’eufotide. Il motivo tettonico di questo complesso è una pila di strati, con l'inclinazione ricordata, che posa sull’eufotide e sorregge la roccia diasprigna. Questa non asseconda intieramente l’inclina- zione di 60°; ma tende a ripiegarsi, quasi fosse compresa in un sinclinale piuttosto ampio; sinclinale del quale mancherebbe una gamba, perchè coperta dal miocene (vedi fig.). 1. Conglomerato miocenico; 2. Roccia diasprigna ; 3. Quarzite; 4. Anagenite; 5. Calcare ceruleo con scisti plumbei; 6. Eufotide, Proseguendo verso Montenotte inferiore, dovunque il mio- cene è squarciato, appare l’eufotide; sicchè questa roccia anche da questo altro lato è presumibilmente a contatto della zona diasprigna. Zona diasprigna di Montenotte inferiore. — Lungo la salita da Montenotte inferiore alla C. Crocetta e Bric del Bonomo, esiste un altro giacimento di roccie ftanitico-diasprigne, di cui ha già fatto cenno uno di noi, ritenendolo in rapporto con l'eruzione granitica. Si osservano, senza poterne stabilire i col- legamenti, ammassi di anfibolite e di eufotide, come quelli descritti; poi, e precisamente in una piccola trincea della strada, due sottili banchi di anfibolite, che è costituita in grande parte da attinoto, il resto è alterato atmosfericamente. Fra essi è interposto uno strato di ftanite frammentaria, che è più tenera e meno silicifera delle roccie diasproidi osservate a C. delle Isole. Un vero diaspro si trova invece più in alto; ma la sua massa è isolata completamente dalla cotica terrosa e dal miocene. Le roccie più vicine sono: calcescisti e anfiboliti, decisamente DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. Pel arcaiche, del Rio Balbi; eufotide, granito e scisti di aspetto dubbio delle falde di Cima la Biscia. Petrografia dei diaspri. — Alla C. delle Isole la roccia, più che un diaspro, nei lettini che hanno tale l’aspetto, è una quar- zite a quarzo interamente rifatto in microcristalli fittamente associati, senza radiolarie e con rara sostanza pigmentare fer- ruginosa. Nella salita alla C. Crocetta si hanno invece dei veri diaspri, con quarzo di origine organica e con minerali accessori e strutture piuttosto interessanti. Nella struttura normale sul fondo ematitico di colore da rosso-vinato a rosso-bruno spiccano, salvate in gran parte dalla invasione pigmentare, le radiolarie, irregolarmente sparse, qua e là più copiose, quasi raccolte in nidi; quelle a loro volta colorate risaltano sempre sul fondo per offrire una maggiore opacità. Nei campioni con la struttura laminata i vacuoli sempre rotondeggianti delle radiolarie restano allungati ellitticamente tutti in un senso, e passano col loro guscio siliceo a quarzo rigenerato di aspetto fresco, microcristallino, alcuna volta quasi calcedonioso, e che dalle radiolarie, quasi in mesostasi, si parte ad attraversare, in minute vene reticolate, tutto il campo di sezione; gli elementi coloranti rimangono addensati tra le ra- diolarie. Abbiamo potuto anche osservare la struttura zonata, in cui secondo i livelli si ha maggiore o minore pigmentazione, e zone di quarzo rigenerato con sfeno in granuli allungati. In complesso però, a paragone dei diaspri di altre località, questi si sono mostrati poveri di minerali. Oltre lo sfeno non si sono potuti riscontrare che magnetite, oligisto e clorite. Note- voli alcune sbavature collegate alla magnetite, di un azzurro intenso a luce naturale, senza pleocroismo, estinte alla polariz- zazione, che rappresentano una particolare alterazione della ma- gnetite è con ogni probabilità vivianite amorfa; se si trattasse di una roccia vulcanica il minerale sarebbe di certo stato de- terminato per hauyna. L’oligisto in lamelle cristalline fu riscon- trato in un solo caso in aureola attorno ad una radiolaria; la clorite, questa pure rara, fu osservata in aureole o nell’interno dei fossili, che ne guadagnarono per la loro conservazione. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 14 172 C. F. PARONA E G. ROVERETO Tra le altre osservazioni generali ricorderemo, che la poro- sità della silice dei fossili favorisce l’inquinazione delle aureole sino, come in altri casi, alla completa sostituzione molecolare (1). La rigenerazione quarzosa, che avviene per cause ancora ignote, si agglutina attorno alle radiolarie dando loro, come quando il quarzo diventa calcedonioso, un aspetto straordinario di robu- stezza, finora diversamente spiegato. In fine, comunque fissino le radiolarie la silice, è certo che la grande quantità di silice endogena favorisce lo sviluppo degli organismi silicei. Studio paleontologico. — Le radiolarie sono nella massima parte indeterminabili per incertezza nei contorni e per insuffi- cienza di caratteri ornamentali; però numerose sezioni ci occor- sero per raccogliere le forme riprodotte nella unita tavola, le quali pure in gran numero non sono conservate quanto sarebbe necessario per procedere con sicurezza alla determinazione ge- nerica e specifica. Probabilmente fu per questo stato di imper- fetta conservazione, che di rado ci fu possibile di intravedere, ma in nessun caso di distinguere con sicurezza, qualche rappre- sentante di buon numero di famiglie (Cubosphaerida, Callosphaerida, Cyphinida, Panartida, Phacodiscida, Coccodiscida, Spongodiscida, Pylonida, Lithelida, Phorticida, Coronida, Tympanida, Phaeno- calpida, Tripocyrtida, Podocyrtida) sebbene già note, anche con ricchezza di forme, allo stato fossile ed i cui generi, in gran parte se non tutti, sono caratterizzati dalla particolare scoltura anzichè dal contorno. Per lo stesso motivo, solo per eccezione abbiamo creduto di poter riferire con certezza le forme riscon- trate a specie già note: nella maggior parte dei casi abbiamo dovuto limitarci a confronti ed avvicinamenti. I generi riconosciuti sono 88, dei quali soltanto 3 non furono prima d’ora riconosciuti in terreni più antichi del Giura. Le forme riferibili a questi generi sono 57: di esse 20 all’incirca si prestano a confronti più o meno vicini con specie triasiche (1) Il Riist (Palaeontographica, vol. 388, pag. 123) e il Cayeux (Bull. Soc. Géol. de France, 1894, pag. 215) hanno segnalato scheletri di radiolarie cambiati in prodotti carboniosi; così l’Hinde (Ann. and Magaz. Natur. Hist., 1890, pag. 40) in particelle ferruginose e in calcite. La conversione in opale e in calcedonio è nota per il Cayeux (l. cit.) e per il Traverso (Boll. Soc. Geol. Ital., 1893, pag. 38). DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 173 o paleozoiche, 10 con specie del Giura e della Creta, 9 si pos- sono ritenere nuove e le altre sono genericamente o specifica- mente di dubbia determinazione. I confronti più numerosi si hanno con radiolarie carbonifere e triasiche. Ora, pur tenendo calcolo delle difficoltà di una rigorosa determinazione per radio- larie fossili studiate in sezioni sottili di roccie silicee e della scarsa importanza che, per riguardo alla stratigrafia, hanno le numerose forme, che ricompaiono in tutti i depositi a radiolarie dai più antichi ai più recenti, è tuttavia significante il fatto dei rapporti, che riscontriamo fra la nostra fauna a radiolarie e quelle triasiche e carbonifere. La mancanza di rapporto con quella del permiano si spiega agevolmente colla circostanza che, secondo le monografie del dott. Riist, finora si conoscono solo 2 specie permiane. È interessante anche il confronto colle faune a radiolarie del Monte Cruzeau, fatto in base ai risultati dello studio pub- blicato da uno di noi e più ancora in base a ricerche sopra saggi più compatti di diaspri raccolti più tardi sul posto. Ne risulta una spiccata comunanza di forme a conferma del paral- lelismo, che noi siamo indotti ad ammettere fra le due forma- zioni diasproidi di Montenotte e di Cesana. Questa comunanza è ancora più evidente se il confronto si stabilisce colla fauna dei diaspri di Baldissero e di altre località del Canavese, perchè quivi trovansi facilmente delle varietà di diaspri, nei quali i rizopodi si presentano meglio conservati. Degno di nota è pure il carattere di affinità che, per parecchie forme, la nostra fauna offre con quella a radiolarie (coralli, brachiopodi e trilobiti) del culm nel Devonshire e regioni attigue, recentemente illustrata dal dott. Hinde (1). Ciò premesso, ecco l’elenco delle forme riscontrate (2). (1) G. J. Hixpe a. Howarp Fox, On a Well-Marked Horizon of Radiol. Rocks in the Lower Culm Measures of Devon, Cornwall, and West Somerset (Quart. Journ. of the Geol. Society, nov. 1895). (2) Ci siamo limitati all’ingrandimento di 100 d., quando un ingran- dimento maggiore riusciva inutile e, cioè, nel maggior numero dei casi; nei cenni descrittivi sono avvertiti i casi di ingrandimenti superiori ai 100. Le figure, ottenute colla camera lucida, sono ridotte nella tavola a poco più della metà della grandezza originaria. — Le opere consultate, non ci- 174 C. F. PARONA E G. ROVERETO SpHaEROZOUM, fig. 1, spicole molto comuni. — SpPmaEROzouw (?) (X 305), fig. 2. CenospHAaERA GREGARIA Riist, forma comune, che si ripete dal paleozoico alla creta (Riist, 1885, 1888, 1892. Parona, 1890, 1892). — C. PAcHYDERMA Riist, comune come la precedente (Rist, 1885, 1892. Parona, 1890, 1892), la fig. 3 rappresenta un esemplare di grandi dimensioni — diam. 0,200, spess. del guscio 0.030. — C. f. n., fig. 4, affine alla precedente ma picco- lissima — diam. 0.065. — C. minura Pant., fig. 5, forma finora conosciuta soltanto nella creta e nell’eocene (Pantanelli (Ethmosphaera), 1880, Riist, 1888) — diam. 0.090. ì j CarpospHaera cfr. JesUNA Rist (1892, pag. 136, Taf. VII, fig. 1), fig. 6 (X 305); differisce dalla specie carbonifera solo per le minori dimensioni — diam. 0.122, diam. della sfera interna 0.025. Raoposp®aERA (?), fig. 7 — diam. 0.146, sfera int. 0.048, spess. del guscio 0.010; presenta affinità colla specie triasica e carbonifera È. idonea Riist (1892, pag. 137, Taf. VII, fig. 9). CaryosPHAERA (?), fig. 8 — diam. 0.160, spess. del ciclo esterno 0.015; è affine alla C. groddeckii Riist (1892, pag. 139, T. IX, fig. 1) del devoniano. XipHosryLus (?), fig. 9 — diam. 0.160 (?), lungh. della spina 0.304. SrAuROSPHAERA, fig. 10 — diam. 0.075; è affine alla S. quadrangularis Riist (1892, pag. 143, Taf. X, fig. 5) del siluriano, ma più piccola. — $. f. n., fig. 11, diam. 0.224. —‘ SraurostyLUSs f. n., fig. 12 — diam. 0.134, diam. dei fori 0.016; affine allo S. tenuispinus Riist (1892, pag. 143, Taf. XI, fig. 2) del carbonifero. — S. crisrum n. f., fig. 18 (X 220), diam. del corpo e della spina 0.120. SrauroLoncHIDIUM (?) sp., fig. 14 — diam. 0.154, 0.117, spess. del guscio 0.012. tate nei lavori sulle radiolarie fossili già pubblicati da uno di noi (0. F. Parona, Rad. nei nod. sele. d. cale. giur. di Cittiglio, Boll. Soc. geol. ital., IX, 1890; Scist. silic. di Cesana, 1892) sono: RoranpLETz, Radiolarien, Dia- tomaceen und Sphirosomatiten im Silurischen Kieselschiefer von Langenstriegis in Sachsen, Zeischr. d. Deut. geol. Gesellsch., 1880. — T. WiswIowsKI, Beitrag zur Kenntn. d. Mikrofauna aus den oberjurass. Feuersteinknollen der Umgeg. von Krakau, Jahrb. d. k. k. geol. Reichs., 1888. — G. J. Hinpe, Notes an Radiol. from the Lower Palaeozoie Rochs (Llandeilo-Caradoc) of the South of Scotland, Ann. and Mag. of Nat. Hist., 1890. — J. PernER, 0 radiolariich 2 Ceského ditvaru kridového, Zitzungsb. d. Kònigl. bihm. Gesell. d. Wiss. 1891. — Riisr, Beitr. 2. Kennt. d. foss. Radiol. a. Gest. d. Trias und d. palaeozoisch. Schichten, Palaeontograph., Bd. 38, 1892. — Rist, Contributions to Canadian micropalaeontology, Geol. a. Nat.-Hist. Survey of Canada, 1892. — G J. HIDE, Note on a Radiolarian Rock from Fanny Bay, Port Darwin, Australia, Quart. Journ. Geol. Soc. 1893. — Hinpe, Note on the Radiol. in the Mullion Island Chert, ibid., 1893. — L. Caveuvx, Première note sur les Radiolaires précam- briens, Bull. d, 1. Soc. géol. d. France, XXII, 1894. STI DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 175 Doryprcrrux f. n., fig. 15 — diam. della sfera 0.134, lunghezza dell’ap- pendice 0.160; differisce, per la maggior robustezza della spina, del D. simplex, tipo del nuovo genere di Hinde (1890, pag. 54, PI. III, fig. 7). CeneLLIPsis cfr. saspipeA Rist, fig. 16 — diam. 0.197-0,134, spess. del guscio 0.015; differisce dalla forma tipica (Rist, 1885, pag. 16, Taf. 27, fig. 5. Parona, 1892, fig. 7) perchè più piccola. Le figg. 17, 18 probabil- mente rappresentano altre sezioni, della stessa forma, diversamente dirette. — C. armata n. f., figg. 19, 20, diam. dell'esemplare più grande 0.287- 0.224, spess. del guscio 0.018. — C. f. n., fig. 21, diam. minore 0.224, spes- sore del guscio 0.030; per i caratteri del margine ricorda talune C. sp. figurate da Hinde (1893, Mullion Island, PI. 4, fig. 4, 5, 6). — C. cfr. rETI- cucosa Riist, fig. 22, largh. 0.197, lungh. 0.340 (?); differisce dal tipo (Riist., 1892, pag. 152, Taf. 16, fig. 2) del carbonifero per le maggiori dimensioni. ELLipsosryLus cfr. osLiquus Riist, fig. 23 — diam. 0.144-0.074, lungh. delle spine 0.090, largh. 0.030; differisce per le minori dimensioni e per minore sviluppo della spina dal tipo triasico (Rist, 1892, pag. 153, Taf. XVI, fig. 11). Lirmapium (?) f. ind., fig. 24 — diam. mass., compresa l’appendice, 0.290, diam. min. 0.106, figg. 25 e 26, diam. del corpo 0.100 (?). LirmarRActUS f. ind., figg. 27 e 28; la forma 27 è assai vicina al L. perforatus Riist (1892, pag. 158, Taf. 18, fig. 8) del Trias. SryLatractus PRAECURSOR n. f., fig. 29 (X 305) — diam. 0.134-0.096 fig. 30 (X 305) — diam. 0.106, 0.080. Le altre specie di questo genere, finora note, non sono più antiche della creta. Spoxcurus FusirorMIs n. f., fig. 31 — diam. 0.275-0.134. . Zoxopiscus f. ind., fig. 32 — diam. 0.195, spess. del guscio 0.015; af- fine allo Z. macrozona Riist (1892, pag. 162, Taf. 19, fig. 12) del cardonifero. Taropiscus f., ind., fig. 33 — diam. 0.150; affine al T%. converus Riist (1892, pag. 163, Taf. 20, fig. 3) del carbonifero. — Tra. (vel Triactiscus) cinctus n. f., fig. 34, diam. 0.155, spess. del guscio 0.018, lungh. della spina 0.134. — Ta. (?) f. ind., fig. 35 (X 305). Poropiscus f. ind., fig. 36 (X 305) — diam. 0.096; forma intermedia fra il P. lawus Riist (1888, pag. 198, Taf. 24, fig. 9) della creta ed il P. Paronae Riist (1892, pag. 167, Taf. 23, fig. 2) del trias, ma assai più pic- colo di ambedue. — P. f. ind., fig. 37, diam. 0.190-0,160. — Poropiscus f. ind., fig. 88, diam. 0.122; ha caratteri di affinità col P. glauconitarum Perner (1891, pag. 269, Tab. X, fig. 11) della creta e col P. clathratus Hinde (1895, pag. 640, PI. 27, fig. 12) del culm. Xipwoprerya f. ind., fig. 39 — diam. del corpo 0.213-0.120, lungh. della spina 0.180; ha qualche affinità colla X. acuta Riist del giura (1885, pag. 25, Taf. 6, fig. 11). Questo genere finora non si conosceva per piani più antichi del giura. SryrLopicryAa ARANEA n. f., fig. 40 (X 220) — diam. 0.290-0.160. Rmaopmorastrum: i rappresentanti di questo genere sono abbastanza 176 C. F. PARONA E G. ROVERETO comuni, ma sempre male conservati ed incompleti; essi si possono riferire alle forme già riconosciute nei diaspri di Cesana (Parona, 1892) ed anche a quelle riscontrate da Hinde (1895, pag. 641, PI. 27) nel culm. HacrastroM AvuM n. f., fig. 41, lungh. massima delle braccia 0.224, diam. delle capocchie 0.109; appartiene al tipo del H. egregium Riist (1885, pag. 29, Taf. 9, fig. 5) del giura, ma se ne distingue per dimensioni diverse delle varie parti e per la minor grandezza. — H. f. ind., fig. 42. — Questo genere finora non fu riscontrato in terreni più antichi dei giuresi, sono del resto comuni i suoi rappresentanti anche nei diaspri di Cesana. SraurALASTRUM cfr. AcuLEATUM Riist, fig. 43, lungh. del braccio 0.275, sua. largh. 0.042; differisce dal tipo triasico (Riist, 1892, pag. 171, Taf. 24, fig. 7) per la minor grandezza. ZxGocircus simpLicissimus Riist (1892, pag. 176, Taf. X, fig. 7), fig. 44, diam. 0.090, spess. medio del cerchio 0.012. CannoBoTRYs sTRrUMOSA n. f., fig. 45 — diam. 0144-0.190; è affine, ma assai più piccola, alla C. (Lithobotrys) uva Riist (1885, pag. 31, Taf. X, fig. 2) del giura. Questo genere per la prima volta viene citato per terreni più antichi del giura. TripiLIDIVM f. ind., fig. 46, diam. mass. 0.096. — Tripopiscium (?) f. ind., fig. 47, diam. mass. 0.122. ArcHicapsa f. ind., fig. 48 — diam. 0.160-0.117; affine, ma assai più piccola, alla A. rotundata Riist (1885, pag. 34, Taf. XI, fig. 2) del giura. SerHocaPsE MIcROPORA n. f., fig. 49 — diam. 0.294-0.180. — S.(?) f. ind., fig. 50, diam. 0.290, 0.186. — S. (?) f. ind., fig. 51, diam. 0.197-0.186. CryProcarsa (?) f. ind., fig. 52 — diam. 0.074-0.053. , CecryPe. rum (?) f, ind., fig. 53 — diam. 0.144-0.134. TarosyrincioM Hinper n. f., fig. 54 — diam. 0.661-0.290, affine al TA. precox Riist (1892, pag. 184, Taf. 28, fig. 1) del zrias, ne differisce special- mente perchè assai più stretto. — Tn. f. ind., fig. 55, diam. 0.350-0.138; per la forma somiglia al 7%. proboscideum Riist (1885, pag. 39, Taf. 12, fig. 12) del giura, ma ne è più piccolo. — T4. f. ind., fig.56 — diam. 0.290- 0.144; ripete la forma del T%. Amaliae Pantan. (Rist, 1885, pag. 39, Taf. 12, fig. 13) comune nel giura, nella creta e nell’eocene, ma le dimensioni sue sono assai minori. TricoLocaPsa PHIALA n. f., figg. 57, 58 — diam. 0.290-0.140. — Tx. ArEoLATA, n. f., fig. 59 (X 220) — diam. 0.149-0.085; nei. caratteri della forma e del margine è affine alla Tr. abdominalis Riist (1892, pag. 186, Taf. 28, fig, 4) del trias. — Tr. f. ind., fig. 60 — diam. 0.076-0.053. — Tr. cfr. osesA Riist, fig. 61 — diam. trasv. 0.144, spess. del guscio 0.030; Rist riscontrò questo tipo nel devoniano, nel titonico e nel neocomiano (1885, pag. 310 (Theocapsa), Taf. 37, fig. 17 — 1892, pag. 185, Taf. 28, fig. 2). — Tr. f. ind., fig. 62 — diam. 0.094-0.042. Dicrromitra: traccie indeterminabili. Lirnocampe f. ind., fig. 63 — diam. 0.238-0.144; forma affine alla DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 177 L. exaltata Rist (1885, pag. 45, Taf. VI, fig. 1) del giura. — Lirx. f. ind., fio. 64 — diam. 0.144, 0.050. — Lirx. cf. orensurGENSIS Riist (1892, pag. 188, Taf. 29, fig. 5), fig. 65 — diam. 0.240-0.070, fig. 66, diam. 0.195-0.088; il è devoniano. SricHocapsa f. ind., fig. 67 (X 305) — diam. 0.134 (?)-0.090; affine, ma assai più piccola, alla St. citriformis Rist del trias (1892, pag. 191, Taf. 30, fig. 8). — Sr. f. ind., fig. 68 — diam. 0.088-0.050. tipo Considerazioni. — È il caso di esporre alcuni dubbi che sorgono dallo studio complessivo della regione. Innanzi tutto ci siamo chiesti parecchie volte se i diaspri non avessero rapporto coll’eruzione granitica (1); il granito è superficialmente distante poco più di 1350 m., poichè presso Cima la Biscia vi ha l’af- fioramento di una apofisi filoniana. Ma se non mancano gli indizi, mancano le prove, e non ci arrischiamo ad una conclusione, da uno di noi forse prematuramente già data (2), che, fissando l’età di eruzione del granito, sarebbe di non poco interesse. Per chi volesse continuare lo studio della regione aggiungeremo, che fanno corona al granito, certo per un qualche movente tet- tonico, numerose isole di calcare dolomitico (3), e che alcune vengono quasi a suo contatto. È interposto fra questi, come alla C. Giberto, uno scisto violaceo rossastro, visto anche dal Franchi (4), da ritenersi del verrucano, e molto somigliante a quello osservato a Palazzo Doria. Alla Madonna degli Angeli presso Savona si osserva, in mezzo al verrucano, una roccia molto alterata, che ha aspetto di granito. CRT i deli prib. (1) Se ciò fosse, si avrebbe un nuovo esempio della resistenza dei gusci delle radiolarie a cause di metamorfismo molto pronunciate. Di certo però non mancano le eccezioni. I diaspri a radiolarie dell’orizzonte di Arenig in Scozia, studiati da Peach, e che sono, secondo Horne, prodotto di meta- morfismo del granito, non presentano fossili riconoscibili se non a due miglia dalla roccia eruttiva. (Cfr. DoLrus in Ann. Géolog. Univ., pag. 931, 1892). . (2) Rovereto G., Arcaico e Paleozoico nel Savonese (Boll. Soc. Geol. Ital., pag. 55, 1895). (3) Il Chabrol accenna probabilmente a questo trias quando ricorda che ad est del Santuario, a M. Tremo (?) e a M. Cutre (?) esistono lembi di calcare compatto (1. cit., vol. I, pag. 35). (4) Francni S., Formazione gneissica e roccie granitiche del massiccio cristallino ligure (Boll. R. Comit. Geol., pag. 43, 1893). 178 C. F. PARONA E G. ROVERETO Altra roccia eruttiva, collegata ai diaspri ovunque ne sono giacimenti, è la eufotide; una eufotide di aspetto eocenico, e di deciso comportamento eruttivo, come d’altra parte lo sono le rimanenti della serie arcaica. Solo differenzierebbe per essere intrusa negli scisti e nei calcari di aspetto permo-triassico e non nelle serpentine, per includere frammenti di eufotide laminata, per alcuni sviluppi epigenici verso il contatto (contorno qglaucofanitico ai cristalli di diallagio, conversione in epidoto della labradorite e riproduzione ortosica) (1). Le anfiboliti che vi si collegano è ben vero che hanno caratteri arcaici; ma si notino gli stretti rapporti osservati fra queste e i diaspri alla salita da Montenotte inferiore alla Cl. Crocetta. Gli scisti, che con i calcari formano come lo sfondo della regione, furono da uno di noi già posti nel trias inferiore, ulti- mamente poi lasciati nell’arcaico; perchè aventi la direzione e l'immersione della serie arcaica, come d’altra parte l'hanno i diaspri; perchè nelle Alpi è già stata segnalata fra le due serie arcaiche una zona di calcari e di scisti di aspetto più recente. Però alcuni stacchi tettonici dall’ arcaico esisterebbero. A Bossarino i calcari e gli scisti di aspetto recente sono, con ogni probabilità, troncati normalmente alla loro direzione; poichè sulla costa soprastante di M. Priocco non esistono che gneiss. Il confine poi fra gneiss e scisti sarebbe nella valle del Letimbro portato molto più a sud che non in quella della Bormida; è frapposto un esteso lembo di miocene che impedisce altre osser- vazioni. A Traversine lo scisto con aspetto permiano forma una piccola piega con direzione N. 40° E. All’intorno di questa zona, che contornia il granito a po- (1) Uno di noi fu il primo a segnalare la conversione in glaucofane del diallaggio anche per le eufotidi arcaiche (Roverero, La serie degli scisti, ecc., II, pag. 28 e tav. IV, fig. 5). L’ortose in plaghe microgranulari è certamente riprodotto e non protogenitico; quindi è apparente il legame che potrebbe intravvedersi fra questa roccia e le sieniti. Non può sussistere il dubbio, avanzato da D’Achiardi (Guida al Corso, ecc., pag. 338) per altri casi, che non si tratti di eufotide; ma è una nuova accidentalità di meta- morfosi, essenzialmente acida ed alcalina, da aggiungere a quelle segnalate da uno di noi (l. cit.) e recentemente dal Franchi (Notizie sopra alcune metamorfosi, ecc. Boll. R. Comit. Geol., pag. 181, 1895). DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 179 nente, a settentrione ed alquanto a levante, con un’ estensione laterale di più di due chilometri, comparisce la serie arcaica nei suoi tipici caratteri; e già ad ovest lungo la strada da Bric Castlàs alla collina di Dego, a settentrione, lungo il rio Balbi, esistono micascisti arcaici. A levante del contatto granitico si ha la zona di eufotide di Corona, identica litologicamente a quella di Montenotte; da un lato viene a diretto contatto con il granito, dagli altri con l’arcaico. Su di questa posano i cal- cari del trias (Bric del Giogo), ed a Contrada, alla C. Figiu de Peu, esistono gessi triassici stranamente collegati a serpentina. Anche la massa granitica, di ragguardevole potenza, che trovasi tra le C. Vascellotta e Cercera, sul versante di ponente del Bric Ormè, e notata sulla carta geologica pubblicata da uno di noi, è accompagnata da eufotide. Se non ad altro, queste incertezze, valgono a far compren- dere come siano possibili tante discussioni sull’ordinamento da darsi a roccie simili a queste nostre; roccie che esistono nelle Alpi sul bordo occidentale dell’arcaico. Se seguissimo il Lory che, come è noto, voleva triassica gran parte della zona delle pietre verdi nelle Alpi Occidentali, noi avremmo di certo tanto di che da potere risolvere la questione nel senso di considerare triassiche o permiane tutte le roccie eruttive e gli scisti ri- cordati. Pare invece che esistano solo dei piccoli lembi permo-trias- sici, con roccie eruttive, in mezzo all’arcaico. Infatti lo Zac- cagna (1), che dal Lory ha preso ben poco, ha però osservato, presso M. Salza, pietre verdi con ftaniti di aspetto recente, e giustamente inclina a ritenerle tali; benchè i caratteri che ricorda dell’eufotide, compresa fra queste pietre verdi, di pre- sentarsi in masse ovoidali, di avere croste variolitiche e di essere collegata ad una serpentina con aspetto eocenico, si verifichino in Liguria anche per le roccie corrispondenti decisamente antiche. Fa più al caso nostro ciò che hanno segnalato l’Issel e il Traverso (2) a Baldissero; dove con rapporti di liquazione si (1) Zaccagna D., Sulla geologia delle Alpi Occidentali (Boll. Comit. Geol., pag. 387, 1887). (2) IsseL A., Appunti geologici sui colli di Baldissero, con Appendice Petrogr. di S. "Traverso (Boll. Soc. Geol. Ital., pag. 255, 1893). 180 C. F. PARONA E G. ROVERETO hanno peridotite, granito e tufo porfirico, a prodotto di contatto i diaspri; dove, a determinare l’ età dell’eruzione, più che le radiolarie dei diaspri, vale, a vece dell’anagenite, una arenaria con la facies del Fothliegende. A Cesana uno di noi (1) segnalava il collegamento fra i diaspri a radiolarie e zone di serpentina e di scisti verdi, e notava come non potessero considerarsi più recenti del trias inferiore (2). Degli argilloscisti rossi, sottostanti al trias, affatto simili a quelli che a Rivara Canavese fanno graduato passaggio ai diaspri , si incontrano anche nelle Alpi Marittime, a giudicare dai saggi dei dintorni di Mondovì (avuti dal prof. Bruno); della valle Vermegnana, presso il ponte sotto Vernante (collez. Sis- monda nel Museo Geologico di Torino); e della valle Gordolasca (comunicati dall’ing. Franchi). Pare quindi evidente, che gli scisti silicei a radiolarie di Baldissero, di Cesana, di Montenotte, si colleghino cronologicamente e sieno un particolare livello o una facies del permiano alpino. Così sembra che a Baldissero e a Cesana, oltre le già da tempo note eruzioni porfiriche del permiano, altre se ne siano avute di granito, di peridotite, di eufotide, di diabase. Se vi fossero riserve da esporre intorno all’età permiana di questi diaspri, ciò sarebbe per le considerazioni già da uno di noi fatte (3), relativamente alle difficoltà di ammettere Ja (1) Parona C. F., Sugli schisti silicei a radiolarie di Cesana (Atti R. Acc. d. Scienze di Torino, vol. XXVII, 1892). (2) L'ing. Zaccagna non accettò questo riferimento delle roccie dia- sprigne con radiolarie del M. Cruzeau e le ritenne invece arcaiche (Riass. di Osservaz. geolog. fatte sul versante occident. delle Alpi Graie (Boll. R. Comit. Geolog., 1893, pag. 19). Nuove ricerche fatte sul posto riconfermarono il Parona nelle sue idee, confortate anche dall'opinione dell’ing. Mattirolo, che più recentemente scrisse: “ Le ftaniti credute arcaiche che sono al M. Cruzeau a S. E. di Cesana..... credo appartengano ancora alle roccie ritenute permiane, impigliate qui nella serpentina , (Sui lavori eseguiti durante la campagna geologica del 1893 nelle Alpi Occidentali (Boll. d. R. Comit. Geolog., 1894, pag. 214). — M. Bertrand poi accennò a questa sco- perta come a nuovo argomento in sostegno delle sue idee sulla età triasica degli scisti lucidi (Éf. d. les Alpes frang., Bull. Soc. Géol., T. 22, pag. 153, 1894). (3) Parona, Nota cit., 1892, pag. 12. (CI UA de Mi PS DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 181 formazione contemporanea, sopra una stessa area, di queste roccie con radiolarie e quindi schiettamente marine, e di quelle cla- stiche littorali (anageniti, arenarie rosse, ecc.), che costituiscono in prevalenza il membro della nostra serie alpina riferita al permiano. D'altra parte dobbiamo notare, che fanno parte dello stesso membro anche le quarziti, e non è improbabile, che si arrivi a scoprirvi traccie di radiolarie, analogamente a quanto avvenne per gli scisti quarzitici triassici di Lagonegro (1). CONCLUSIONI, 1° È accertato che nei dintorni di Montenotte esistono in mezzo all’arcaico delle roccie diasprigne a radiolarie, accom- pagnate da anageniti permiane. 2° La fauna a radiolarie dei diaspri di Montenotte è quella stessa, che si riscontra nelle roccie simili di Cesana e di Bal- dissero e presenta rapporti specialmente colle faune del carbo- nifero e del trias. 3° È dubbio se siano permiane la eufotide e le anfiboliti prossime alle roccie diasprigne; se il granito, il quale di certo non è arcaico, abbia con le eufotidi contribuito metamorficamente alla genesi di tali roccie silicee. Questi dubbi non mancano di un certo fondamento, e nel caso si riuscisse a risolverli in modo positivo, una zona alquanto estesa di permiano, data da scisti sericitici, da calcari e dalle roccie eruttive citate, vorrebbe essere segnata sulle carte geologiche lungo la valle del rio Montenotte e sul versante della valle del Letimbro, dietro il Santuario. (1) Lorenzo (DE) G., Le montagne mesozoiche di Lagonegro (Mem. R. Acc. di Napoli, 1894, pag. 25). 182 ANTONIO FAVARO Sette lettere inedite di Giuseppe Luigi Lagrange al P. Paolo Frisi tratte dagli autografi nella Biblioteca Ambrosiana di Milano e pubblicate per cura di Antonio Favaro. Con così assidua e diligente cura sì sono venuti in questi ultimi tempi raccogliendo e pubblicando anche i minimi docu- menti relativi alla corrispondenza epistolare del Lagrange (1), che io reputo doveroso da parte mia il mettere alla luce alcune sue lettere fin qui rimaste inedite e che ho avuta la ventura di rinvenire fra le carte del P. Paolo Frisi, presentemente pos- sedute dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano (2). E questo io sono indotto a fare tanto più volentieri, perchè con la presente pubblicazione vengono ad aversi quattro nuove lettere del La- grange stese in lingua italiana, e nuove affermazioni della sua italianità vengono ad aggiungersi al cumulo di prove contenute negli altri documenti del suo carteggio (3) ed a quelle già rac- colte da Geminiano Riccardi e da Angelo Genocchi (4), dalle (1) Tutti gli editi documenti del carteggio del LacrancE trovansi rac- colti nei tomi XIII e XIV delle “ @uvres de Lacrance publiées par les soins de M. J. A. SerRET, sous les auspices de M. le Ministre de l’Instruction Publique; Paris, Gauthier-Villars, imprimeur-libraire, MDCCCLXXXII- MDCCCXCII ,. — Ma forse non è a cognizione di tutti gli studiosi che il compianto Principe D. BaLpassarre Boncompagni ne aveva raccolte in gran numero, sia autografe, sia facsimilate, sia in copia, e che egli di- visava di pubblicarle; e certamente si troveranno in bozze di stampa della sua privata tipografia; quando, definite le questioni relative alla sua biblioteca, il materiale scientifico da lui abbandonato sarà reso accessibile agli studiosi. (2) Cod. Y. 154. Par. Sup., car. 38-50. (3) Euvres de Lacrance, ecc. Tome quatorzième et dernier. Paris, Gauthier-Villars et fils, MDCCCXCII, pp. 256, 260, 264, 271, 282. (4) Continuazione delle Memorie di religione, di morale e di letteratura. Tomo XV. Modena, pp. 160-162. — “ Memorie della Reale Accademia di SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 183 quali risulta come, non solo egli sia italiano, cosa questa che, non ostante gli sforzi dell’ Arago (1), non può entrare in discus- sione, ma come ancora egli amasse l’Italia e la ritenesse sua patria, ripetutamente affermandola come tale e dimostrando in parecchie congiunture il suo attaccamento per essa. Sarebbe stato mio desiderio di completare tale pubbli- cazione mediante le lettere del Frisi al Lagrange; ma, fattane ricerca appresso il sig. Lodovico Lalanne, il bibliotecario del- l’Istituto che aveva curata l'edizione del carteggio del Lagrange, n’'ebbi in risposta che “ nessuna lettera del Frisi si trova fra le carte del Lagrange, il quale del resto faceva così poco conto di questo suo corrispondente da doversi credere che non avesse stimato di conservarne le lettere ,. Questo così severo giudizio, il quale, è pur mestieri confessarlo, si troverebbe giustificato dalle opinioni manifestate sul conto del Frisi nel carteggio fra il D’Alembert ed il Lagrange, si troverà singolarmente contrad- detto dalle lettere che noi ora qui pubblichiamo. E se la cosa non ci sorprende da parte del D’Alembert, distributore di “ billets de grand homme ,, come lo qualificava Federico II (2), e bene spesso soverchiamente aspro nei giudizii intorno ai cul- tori delle discipline nelle quali con così grande fortuna egli stesso sì esercitava, ci reca non poca maraviglia da parte del Lagrange, costantemente tanto equanime e sempre rifuggente dalle opinioni estreme. Che se la posterità non confermò pienamente il giudizio che intorno al Frisi avevano dato i contemporanei, è certo ad ogni modo ch'egli fu uomo di valore altissimo e meritevole del- scienze, lettere ed arti di Modena ,. Tomo I, parte III e IV, pp. xvim-x1x. — “ Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, ecc. ,. Vol. IX, 1873-74, pp. 752-753. — Cfr. anche: Sopra una lettera inedita di Giuseppe Luigi Lagrange pubblicata da D. B. Boncompagni. Comunicazione letta alla R. Ac- cademia di scienze, lettere ed arti in Padova nell’adun. del 20 luglio 1879 dal prof. Anronio Favaro. Padova, tip. G. B. Randi, 1879, pp. 10-12. (1) Chambre des Deputés, séance du 16 mai 1842. Rapport fait au nom de la Commission chargée d’eraminer le projet de loi tendant à ouvrir au Ministre de l’Instruction Publique un credit de 40,000 frs. pour la réimpression des euvres de mathématiques de Laplace; par M. Araco, ecc. Paris, 1852, p. 19. (2) Quvres de Frépéric II, t. XXIV, p. 568. 184 ANTONIO FAVARO l'amicizia e della stima di quanti al suo tempo andavano per - la maggiore nell’arringo matematico. Di famiglia alsaziana, stabilita in Italia da due generazioni, nacque Paolo Frisi in Milano addì 13 aprile 1728: quindicenne appena entrò nella Congregazione dei Chierici Regolari di San Paolo, o sia dei Barnabiti, ed allo studio delle matema- tiche veniva avviato dal P. Rampinelli, Olivetano, lo stesso che era stato maestro alla Agnesi. Il suo primo lavoro, intitolato: “ Disquisitio mathematica in causam physicam figurae et magni- tudinis telluris nostrae , dato alla luce nel 1751 gli valeva poco dopo, cioè quando egli aveva appena raggiunto il venticinquesimo anno di età, la nomina a socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Parigi e lo faceva entrare in relazione con i più dotti uomini del suo tempo. All’ineominciare della sua corrispondenza col Lagrange, dalle scuole di S. Alessandro in Milano egli era stato chiamato alla cattedra universitaria di Pisa, ed in questo stesso anno 1756 una sua dissertazione sul moto annuo della terra veniva pre- miata dall'Accademia delle Scienze di Berlino; ed il non aver osservate le discipline d’un concorso aperto dall'Accademia di Pietroburgo tolse ad un suo lavoro sull’elettricità di conseguire un altro premio: quell’insigne corpo scientifico ne lo rimeritava tuttavia aggregandolo fra i suoi corrispondenti. Un altro premio veniva nel 1758 conferito dall'Accademia delle scienze di Parigi ad un lavoro del Frisi sull’atmosfera dei corpi celesti, ed intorno al medesimo tempo veniva pur compreso fra i soci corrispon- denti dell’Accademia di Berlino; e, poichè già per lo innanzi egli era stato aggregato alla Società Reale di Londra, può dirsi che a trent'anni il suo nome fosse ormai inscritto nell’albo delle più illustri Accademie d'Europa. Questo abbiamo voluto ricordare, per temperare alquanto l'impressione che, dalla lettura dei giudizii privatamente espressi sul conto del Frisi nel carteggio fra il Lagrange ed il D'Alem- bert (1), potrebbe ritrarre chi non abbia cognizione dei rapporti che intorno ai lavori del Frisi medesimo pronunziava pubblica- (1) @uvres de Lacrance, ecc. Tome treizième. Paris, Gauthier-Villars, MDCCCLXXXII, pp. 66, 152, 239, 242, 246, 252, 291, 293, 296. SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 185 mente il D’'Alembert stesso e che trovansi consegnati in rela- zioni che si hanno alle stampe. L'ultimo lavoro del Frisi, da lui compiuto in mezzo a soffe- renze fisiche atrocissime, fu appunto l'elogio del D’Alembert. Ciò premesso, ecco senz'altro le lettere del Lagrange, nella riproduzione delle quali ci siamo scrupolosamente attenuti al- l’autografo, senza permetterci da parte nostra correzioni di sorte alcuna. E Molto Reverendo Padre, Padron mio Colendissimo. Ho ricevuto appunto questa mattina il prezioso regallo che V. R. sè degnata di farmi delle due opere contenenti, una la celebre dissertazione sopra il moto della Terra che le apportò il premio dell’Academia di Berlino (1), e l’altra le tre disser- tazioni sull’Eletricismo inviate all’Academia di S. Pietroburgo (2). Non mancherò di leggerle con tutta la più possibile attenzione, sia per la nobiltà ed eccelenza delle materie che ivi si trattano, sia anche principalmente perchè sono parto di un sì sublime ingegno, quale è quel di V. KR. , come ne hanno già fatto fede le altre Opere da lei con tanto applauso publicate. Io posso assicurare V. R. che il maggior piacere che io provi ne’ miei piccoli studi si è il trovare ed il leggere delle materie interes- santi per sè medesime e trattate con quella certa finezza e precizione, che è propria veramente delle Matematiche, ma che, per non so qual disgrazia, da pochi Autori si trova praticata. Ringrazio adunque V. R. di questo dono col più vivo cuore ch'io posso e la prego a voler accetar in contraccambio il buon desiderio che io tengo tuttavia di potermi in qualche maniera impiegare nel di lei servizio. (1) De motu diurno terrae dissertatio, quae a regia Berolinensi scien- tiarum Academia praemium philosophis ac mathematicis, primum anno 1754, tum rursus anno 1756, propositum, obtinuit. Pisis, ex typ. Jo. Paulli Giova- nelli, MDCCLVI. (2) Dissertationes selectae lo. ALserti Eureri, PauLLI Frisim et LAURENTII Beraup, quae ad imperialem scientiarum Petropolitanam Academiam an. 1755 missae sunt, cum Electricitatis caussa et theoria, praemio proposito quaereretur. Petropoli et Lucae, apud Vincentium Junctinum, MDCLVII. 186 ANTONIO FAVARO Il Sig” De Maupertuis (1) nell’ultima lettera che mi scrissi mi fece sapere che si sarebbero negl’atti della Academia di Berlino stampate alcune piccole cose da me inviatele sopra il principio della minima quantità d’azione: può essere che siano in quelli di quest'anno, ma io non li ho ancor potuto vedere: egli è già dopo l’anno passato che non ho più avuta alcuna lettera dal Sig. Euler (2) col quale io avea qualche commercio di lettere; ma non lo attribuisco ad altro che alla presente guerra, che può aver impediti i passaggi (3). Se non fossi stato s'în ora occupato in lavorare alcuni scritti di Mecanica per il mio impiego (4), avrei forze stampate già due dissertazioni che ho quasi del tutto in ordine: una sopra il metodo dei massimi e minimi applicato alle curve, sopra di cui vi è un bellissimo trattato dato fuori dal Sig. Euler, nel quale egli risolve il problema per via di un metodo quasi geo- metrico ed assai intricato, laddove io ho ridutto tutto a pura Analisi; l’altra poi consiste nell’applicazione del Principio Mau- pertuisiano a tutti i casi più complicati della dinamiqua ed Idrodinamica, ricavando da esso delle formole generalissime per cui dato un sistema qualunque di corpi, colle leggi delle forze sollecitanti si vengono a dirittura e con facilità grandissima a ritrovare tutte le equazioni necessarie per la determinazion del moto di ciascun corpo. Tosto che queste mie coserelle vedranno la luce non mancherò di adempiere il mio obbligo con V. R. Intanto mi rallegro sempre più con lei che sia di tanto onore alla nostra Italia, la quale pare quasi comunemente che in codeste scienze sia inferiore ad alcune altre Nazioni. È passato qui a Torino due giorni fa il dottissimo P. Wal- mesley (5) col quale ho avuto piacere di parlar spesso di V. R. (1) PrerLuiei Moreau pe MavpeRTUIS, Presidente dell’Accad. di Berlino. (2) Nel carteggio fra l’Eurer ed il Lagrange vi è infatti una lacuna che va dal 6 settembre 1755 al 24 aprile 1756. (3) In questi tempi appunto incominciava la guerra dei sette anni. (4) Allude qui al suo ufficio di professore alla Scuola d'artiglieria di Torino. A questi suoi Eléments de Mécanique, accenna ancora il Lacrance in una sua lettera all’Eurer sotto il dì 24 novembre 1759. Cfr. Euvres, ecc. Tome quartorzième, ecc., p. 173. (5) Era questi un vescovo inglese al quale il Frisi dedicò il 2° volume della sua Cosmographia. SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 187 e de’ suoi rarissimi pregi. Ma egli s'è appena fermato due dì, onde non ho avuto tempo di goder: più a lungo la conversazione di un sì celebre Matematico, come avrei desiderato. Mi conservi intanto ella la sua buona grazia e si accerti che io vivo Di V. R. Torino, li 4 Maggio 1756. Devotissimo ed Obbligatissimo servitore LuIci DE LA GRANGE. P. S. Non ho mancato di inviare a Berlino la lettera di V. R. per M. Formei (1). II. IMustrissimo Signor Padron Colendissimo, Il Segretario della Real Academia di Berlino M. Formei, nell’inviarmi il diploma di associazione da essa li 2 del mese passato speditomi, mi notificò eziandio che la dissertazione (2) che riportò il premio di quest'anno fu quella di V. S. Ill.®® e mi soggiunse insieme che le avrei fatto piacer sommo a farne consapevole V. S. Ill. con pregarla a volerli mandare il più presto che fosse possibile una ricevuta della medaglia d’esso premio ed indicarle anche una via sicura per cui esso possa a lei farla speditamente tenere, dicendo sè non aver mai avuto alcun riscontro della lettera che già da qualche tempo a V. S. Ill.» scrisse. Io provo un piacer sommo nell’ aver questa così bella occasione di poter trattare e dedicare la mia servitù ad una persona di così gran merito qual'è quella di V. S. Ill.®® e che per tale è stata conosciuta e distinta da una sì celebre Academia; (1) Grovanni Enrico SamueLe Former, figlio di un esule francese, nato a Berlino il 81 maggio 1711 e mortovi l’8 maggio 1797. Fin dal 1748 fu segretario dell’Accademia di Berlino. (2) È questa la dissertazione De motu terrae, il titolo della quale ab- biamo superiormente riprodotto. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 15 188 ANTONIO FAVARO e massimamente ora che ho avuto l’onore di entrar ancor io ad esserne parte, sono in obbligo di congratularmi con lei del più vivo ‘cuore che io possa, pregandola a non volermi risparmiare in cosa alcuna in cui, sia in qualità di Membro di essa, sia in qualità di suo devotissimo servitore ed amico vero, potessi esserle di qualunque utilità. Mi onori adunque V. S. Ill." de’ suoi coman- damenti, e si accerti che io avrò sempre non ordinaria ambi- zione di potermele mostrare con l’opere quale ora mi protesto DEE Torino, li 4 8.bre 1756. Devotissimo ed Obbligatissimo servitore Luier DE LA GRANGE TOURNIER Proff. nella scuola d’Artiglieria di Torino. A Monsieur Monsieur PauL FRISIUS Professeur dans l’Université de Pise. II. Molto Reverendo Padre, Padron Colendissimo, Con grandissima soddisfazione ho ricevuta la lettera di V. R. insieme coll’Operetta sul rotamento de’ corpi che le è piaciuto d’inviarmi (1). lo le rendo vive grazie primieramente per la buona memoria che ella mantiene di me, e in secondo luogo perchè mi ha dato occasione di conoscere e di ammirare le sublimi e ingegnose produzioni di cotesto Sig. Cavaliere, a cui io prego la sua gentilezza a voler presentare i miei ossequio- sissimi ringraziamenti. Egli non è impossibile che io possa ancora (1) Autore di quest'opera dal titolo: Discorso matematico sopra il rota- mento momentaneo dei corpi ecc. e data alla luce in Napoli nel 1768 coi tipi di Donato Campo, fu il cavaliere Giuro Mozzi, patrizio fiorentino, che la dedicò al Frisr. te dhe «ur _—_ ©“, > Pe SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, ECC. 189 aver l’onore di riverirla in persona prima del fine di quest’au- tunno e di profittare per qualche giorno della sua dottissima compagnia. Intanto la supplico a conservarmi nella sua buona grazia, e sono con infinita stima e rispetto Div BD Torino, 14 settembre 1763. Umilissimo, Devotissimo, Obligatissimo servitore LUIGI DE LA GRANGE. EX: à Berlin, ce 3 Avril 1767. Monsieur, Jai été bien faché de n’avoir pu avoir l’honneur de vous voir dans mon voyage (1), comme je m’en étois flatté. J'ai beaucoup entendu parler de vous è Paris et è Londres, et J'ai eu le plaisir d’étre témoin de la justice que l’on vous y rend. Comme vous étes membre de notre Académie, elle recevra tou- jours avec beaucoup de satisfaction les mémoires que vous voudrez bien lui envoyer; vous n’avez qu’'è les adresser è M. Formey qui en qualité de secrétaire regoit tous les paquets francs de port. Vous aurez peut-étre vu è Paris le 3.%° volume de la Société de Turin; n’ayant pas eu le plaisir de vous en presenter un exemplaire, je vous prie de vouloir bien vous en faire remettre un de ma part de M. Rabbi libraire de l’impri- merie Royale è Turin, et vous pouvez pour plus de sureté vous adresser pour cela a mon ami, M. le Médecin Cigna (2), è qui jen écrirai deux mots au premier jour. Vous me ferez un sen- sible plaisir de me continuer votre correspondance: jJen sens x d’autant plus le prix qu'elle me mettra à portée d’étre instruit (1) Intorno a questo viaggio contemporaneo del Lagrange e del Frisr, cfr. Euvres de Lagrange, ecc. Tome treizième, ecc., pp. 65, 85, 90, 92. (2) Granrrancesco Crema, anatomico, nato a Mondovì li 2 luglio 1734, morto a Torino nel 1790. Fu segretario della Società, che divenne poi la R. Accademia delle Scienze di Torino, e diresse la pubblicazione dei 4 volumi delle memorie di essa. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 154 190 ANTONIO FAVARO des travaux de mes anciens compatriotes parmi lesquels vous tenez le premier rang. Si je vous suis bon à quelque chose dans ce pais, vous pouvez compter sur moi; je regarderai toujours comme une marque flatteuse d’amitié de votre part de me pro- curer des occasions de vous servir. Permettez moi de vous prier d’assurer M. le Comte de Coconat (1) de mon estime et du regret que j'ai d’avoir quitté l’Italie sans avoir eu l’honneur de le connoitre. J'ai celui d’étre avec la plus parfaite consideration Monsieur, Votre très humble et très obeissant serviteur DE LA GRANGE. Monsieur, J'ai été bien charmé de regevoir une marque de votre precieux souvenir par la lettre dont vous m'avez honoré. J'ai recu l’Essai sur la théorie de la Lune (2) que M. d’Alembert m'a fait parvenir de votre part; je vous en remercie de tout mon coeur ainsi que du traité sur les canaux navigables (3) et de l’ouvrage sur l’Économie pubblique que j'ai recus depuis peu par la voie du Ministre de Vienne. Je voudrois bien pouvoir vous offrir quelque chose de mon coté, pour répondre en quelque fagon aux temoignages d’estime et d’amitié que vous voulez bien me donner et auxquels je suis très sensible, mais je ne suis pas (1) Il conte Rapicari DI Coconaro, matematico, lo stesso la cui ami- cizia col Frisi fu causa a quest’ultimo di gravissimi dissapori coi frati del suo ordine. (2) Non ci è ben chiaro se sì intenda qui d’accennare alla Memoria: De inaequalitatibus motus terrae et lunae circa axem ex astronomorum hypo- thesibus, inserita nella parte II del tomo V dei Commentarii dell’Accademia delle scienze di Bologna, oppure alla pubblicazione intitolata: DaAnreLIS MeLanpri et Pavrri Frismu alterius ad alterum de theoria lunae commentarii. Parmae, ex typ. regia, 1769. (3) Del modo di regolare î fiumi e i torrenti, principalmente del Bolognese e della Romagna, libri tre, ecc. Edizione terza accresciuta, aggiuntovi il trattato dei canali navigabili. In Firenze, per Gaetano Cambiagi, MDCCLXX. SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 191 assez riche pour cela, n’ayant jusqu'è present rien publié que ce que j'ai donné dans les Mémoires de Turin et de Berlin. Il est vrai que l’on doit imprimer à Lion une traduction de l’Al- gèbre allemande d’Euler (1), è laquelle j'ai fait des additions considérables, mais comme ces additions ne regardent que la théorie des problèmes indéterminés, je doute fort qu’elles puis- sent vous intéresser: quoiqu’il en soit, je tàcherai de vous en faire parvenir un exemplaire dès que l’ouvrage paroitra, et je vous prie d’avance de l’accepter au moins comme une faible marque du desir que j'ai de mériter les sentiments dont vous m'’honorez. Un de nos confrères, l’Abbé Pernetti (2), a refuté fort. au long les Recherches sur les Américains (3) dont vous me parlez: si vous ne connoissez pas cette refutation, et que vous ayez quelque envie de la lire, je pourrai vous la faire parvenir par la première occasion qui pourra se trouver. En général je vous offre mes services dans ce pais, si vous croyez que je puisse vous étre bon à quelque chose. Je suis sùr que si vous veniez faire un tour ici, vous n’auriez pas regret à votre voyage; vous seriez regu tant à la Cour qu’à la ville d'une manière convenable à votre mérite ; et pour mon parti- culier vous jugez bien que je ne négligerois rien pour vous donner les plus fortes preuves de la haute estime et du parfait dévouement avec lesquels j'ai l’honneur d’étre Monsieur, A Berlin, ce I Septembre 1771. Votre très-humble et très obéissant serviteur DE LA GRANGE. Au P. FriIsi. (1) Dev'essere questa l'edizione di Lione, 1774, che il Riccarpi (Biblio- teca matematica italiana, ecc., parte prima, vol. II. Modena, MDCCCLXXIII- MDCCCLXXVI, col. 2) scrive d'aver trovata citata. (2) Anronio Gruserre Pernery, nato il 18 febbraio 1716 a Roanne, morto a Valence nel 1801. (3) Ne abbiamo sott'occhio una edizione alla quale va unita la disser- tazione del Pernerty: è in tre volumi ed ha il titolo seguente: Recherches philosophiques sur les américains ou mémoires intéressants pour servir è l’istoire de l’espèce humaine, par M. de P.***, Avec une dissertation sur 192 ANTONIO FAVARO VL à Berlin, ce I Jenvier 1774. Monsieur, Je suis charmé que le libraire Bruiset se soit acquitté de la commission que je lui avois donnée de vous faire parvenir de ma part un exemplaire de la traduction de l’Algèbre d’Euler, et je suis infiniment sensible è la manière dont vous avez bien voulu regevoir cette legère marque de mon amitié et de mon estime pour vous. J'ai presenté àè l’Académie le prospectus de votre nouvel ouvrage sur la théorie des mouvemens celestes ; elle applaudit à vos travaux et vous regarde comme un des membres qui lui font le plus d’honneur. Je vous remercie de tout mon coeur de la bonté que vous avez de me promettre un exemplaire de cet ouvrage ; Je l’attends avec beaucoup d’impatience, persuadé qu'il sera également digne de son auteur et de la matière dont il traite. Lorsque je regevrai le 6° tome de Bologne je ne man- querai pas de lire les solutions (1) dont vous me parlez, et dont j'ai d’avance une grande idée. M*s Formey et Bernoulli (2) me chargent de vous faire agréer leurs compliments: différentes raisons empéchent ce dernier de continuer son recueil pour les Astronomes (3), mais l’Académie lui a permis d’employer les matériaux qu'il y des- tinoit è enrichir les ephémérides qu'elle veut faire paroitre annuellement et dont le premier volume contenant l’année 1776 vient d’étre publié. lAmérique et les Américains, par Don Pernety. A Londres, MDCC.LXX. — L’autore pe Paw, attaccato dal Pernery, gli rispose, dando motivo ad una replica. (1) Probabilissimamente allude alle due note: De rotatione corporum e De aequatione quadam differentiali, a pp. 45-74 dei De bononiensi scientiarum et artium instituto atque academia Commentarii. Tomus sextus. Bononiae, ex typographia Laelii a Vulpe, MDCCLXXXIII. (2) Grovanni BerNoULLI. (3) Il terzo tomo porta tuttavia la data dell’anno 1776. SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 193 Je ne crois pas que les circonstances me permettent si tòt d’aller en Italie, mais un des principaux motifs qui pourroient m’engager è en faire naître l’occasion seroit certainement le desir de lier une connoissance plus intime avec différentes per- sonnes de mérite que ce pais-là possède, et à la téte desquelles vous étes depuis longtems. Jai l’honneur d’étre avec la plus forte estime et la con- sidération la plus distinguée, Monsieur, Votre très-humble et très-obéissant serviteur DE LA GRANGE. Au Révérend Révérend Père FrISI, Professeur de Mathématiques à Milan, des Académies de Berlin, Peters- bourg, Londres, ete., etc., etc. à (fr. Augsburg (?) Milan. VII. Signore ed Amico stimatissimo, Io le sono da lungo tempo debitore di una risposta e in- sieme di molti ringraziamenti per il regalo da lei fattomi del suo bel Elogio di Newton accompagnato dalla erudita prefazione della sua Algebra. Desiderando renderlene in qualche parte il cambio, ho dovuto aspettare prima che uscisse dalla stampa l’opusculo qui annesso, di poi che si presentasse una buona con- giuntura per poterglielo trasmettere. Questa mi viene offerta ora dal Sig. Bernulli, ed io l'abbraccio tanto più volontieri quanto che credo potermi lusingare che queste mie ricerche sieno per meritar l’attenzione di un Geometra par suo, trattandosi in essa di un punto della teoria lunare (1), il quale non era stato ancora (1) Assai probabilmente la: TAéorie de la libration de la lune. 194 VIRGILIO MONTI bastantemente sviluppato. Vorrei che questo debol testimonio che le invio della mia stima e riconoscenza verso di lei servisse a conservar viva nella sua memoria la servitù che le professo, e a procurarmi la continuazione de’ suoi favori di cui sono am- biziosissimo. E supplicandola dell'onore de’ suoi comandi, pieno d’obli- gazioni e d’ossequio mi protesto Berlino, 25 Luglio 1782. Suo Devotissimo ed Obbligatissimo servitore ed amico DE LA (RANGE. Sulla variazione di densità di un liquido presso alla superficie; Nota del Dott. VIRGILIO MONTI. È noto come la superficie di un liquido si trovi in uno stato particolare di tensione. In virtù di questa alcune costanti fisiche possono mutare di valore, quando, invece di considerare la massa del liquido, si limitino le considerazioni ad uno strato superficiale il cui spessore è uguale al raggio di attività mo- lecolare. La misura di queste costanti, per quanto riguarda lo strato superficiale, è sottoposta a difficoltà enormi, forse insormonta- bili: il che spiega come le nostre cognizioni in questa parte della fisica siano così poco avanzate. Se però non siamo in grado di misurare una di queste costanti nella pellicola superficiale di un liquido, possiamo qualche volta e con una certa approssimazione, certamente gros- solana, farci un criterio del modo con cui quella costante varia dall'interno del liquido alla pellicola superficiale. SULLA VARIAZIONE DI DENSITÀ DI UN LIQUIDO, ECC. 195 Io citerò come uno dei tentativi più felici, in quest'ordine di idee, il bel lavoro di Reynolds e Riicker (Proc. of the Roy. Soc., 1893), dal quale si può congetturare che la conducibilità elettrolitica prova delle variazioni presso allo strato superficiale. Anche la densità nello strato superficiale è stata oggetto di congetture e di studii sperimentali dall’epoca dei lavori di Poisson sulla capillarità fino ai giorni nostri. To non farò che citare di passata gli studii di Wilhelmy, di Rontgen e di Schleiermacher che lasciarono la questione in- soluta. Intanto è certamente molto probabile che al forte cambia- mento di pressione che si ha nel liquido presso allo strato su- perficiale corrisponda un cambiamento nella densità ; ed alcuni fenomeni, come la condensazione dei gas contro la superficie di un solido o di un liquido, hanno indotto alcuni fisici a credere che questo cambiamento di densità abbia luogo effettivamente. Chi serive ha pensato che, invece di ricercare questo cam- biamento di densità nello strato di separazione fra un liquido e un solido di densità poco diverse, come si è fatto general- mente finora e senza frutto, converrebbe meglio accoppiare due corpi di densità molto diverse, come olio e mercurio. Non è assurdo supporre che, presso alla superficie di divi- sione fra olio e mercurio, la densità di quest’ultimo vada sce- mando gradatamente, in modo da accostarsi più o meno a quella dell’olio: cosicchè, aumentando l’estensione della superficie divi- dente, debba crescere il volume del mercurio. Posto che la densità media del mercurio nello strato super- ficiale abbia un valore intermedio tra quella normale del liquido stesso, e quella normale dell'olio; e partendo dal valore che, per il raggio dell’attività molecolare, forniscono le esperienze di Plateau e di Quincke, si trova, con un calcolo grossolano, che, se si scompongono due centimetri cubici di mercurio in sferule del diametro di un decimo di millimetro, si dovrebbe avere un aumento di volume sensibile. Con olio e mercurio contenuti in un recipiente chiuso è possibile fare un’emulsione, in cui si vede un pulviscolo mercu- rico grigio, formato di globuli estremamente piccoli. E questa emulsione si mantiene per un tempo sufficiente a compiere delle misure. 196 VIRGILIO MONTI L'effetto della diminuzione di volume presso alla superficie del mercurio è probabilmente contrariato da un effetto opposto relativo all'olio; e spetta all’esperienza decidere se i due effetti opposti si controbilancino, o se prevalga uno di essi, in modo che ciò che ne risulta possa, non dico essere misurato, ma per- cepito in qualche modo. È però necessario che l’atto dell’emulsione non sia accom- pagnato da cambiamenti di temperatura. Guidato dalle considerazioni esposte, ho cercato di realiz- zare, nel miglior modo possibile, questa mescolanza d’olio e mercurio. Dall’apparecchio che descriverò ho ottenuto qualche risultato positivo. A è un tubo di vetro della sezione di circa un centimetro quadrato, lungo venti centimetri. A metà della sua altezza è saldato un tubo di vetro capillare, finissimo e graduato (il can- nello d’un termometro rotto). La lunghezza di ciascuna divisione del capillare è di 3 mm. circa. La sua sezione è di mm? 0,02 circa. Si versa mercurio nel tubo A fino in a, e poi olio fino ind. Si aspira, colla macchina pneumatica, l’olio nel capillare fino a una certa divisione d. Quindi si chiude l’estre- mità del capillare con una goccia di ceralacca fusa, e poi si versa pa- raffina fusa sulla superficie dell’olio in 5. Quando la paraffina è solidifi- cata, l'apparecchio è perfettamente chiuso. Il tubo A si sospende allora per la parte capillare ad un so- stegno, e vien disposto orizzontalmente in un bagno d’acqua; mentre l'estremità del capillare ne emerge verticalmente ; si lascia immobile nel bagno per un tempo variabile da un’ora a tre. Il bagno è di forma particolare. È identico a quello usato da Louguinine e Khanikoff nel loro studio sull’assorbimento dei gas da parte dei liquidi. È una vasca parallelepipeda metallica capace di circa 120 litri. È attraversato nella parte centrale da un asse metallico girevole, munito di due grandi alette di SULLA VARIAZIONE DI DENSITÀ DI UN LIQUIDO, ECC. 197 ferro: la rotazione dell'asse si ha mediante una manovella esterna alla vasca. Così l’acqua può agitarsi molto bene. Durante il periodo in cui il tubo resta, come si è detto, immobile, si agita regolarmente l’acqua del bagno; e in fine di questo periodo, quando l’altezza dell’olio nel capillare è co- stante da molto tempo, si rileva tale altezza con un cannocchiale. Esperienze apposite mi hanno mostrato che il moto delle alette non modifica minimamente la temperatura del bagno. Letta l’altezza dell'olio nel capillare, si introduce il tubo A in un tappo di sughero fissato all’asse che porta le alette : senza che in questa operazione vi sia bisogno di toccare, colle mani sott'acqua, altro che la parte capillare. In questa nuova posi- zione il tubo partecipa al movimento di rotazione dell’asse, senza mai uscire dal bagno. L’olio e il mercurio formano in capo a un certo tempo (un quarto d’ora all’incirca) un’emulsione fina- mente divisa. Si ritira allora il tubo dal tappo, colle precauzioni con cui vi si è introdotto ; si rimette nella posizione primitiva e si ri- legge l'altezza dell'olio nel capillare. Si trova sempre, in tutti i casiì, che essa è superiore all’al- tezza primitiva di due o tre decimi di divisione. Al formarsi dell’emulsione corrisponde dunque un aumento leggerissimo di volume. Ritengo che, col metodo dell’emulsionare il mercurio nel- l’olio, si possa giungere ad altri risultati interessanti sulle pro- prietà superficiali dei liquidi; e mi riservo di proseguire un tale studio. Chiudo ringraziando il chiarissimo Professor A. Naccari, da cui ebbi a disposizione i mezzi per condurre a termine questo lavoro. 198 Relazione sulla Memoria del Prof. Iciio GuarEscHI, presentata nell'adunanza del 17 novembre 1895, e che ha per titolo: “ Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetomici coll’etere cianacetico in presenza dell’ammoniaca e delle ammine ,. L’egregio professore Guareschi, con precedenti lavori pub- blicati negli Atti di questa Accademia, ha dimostrato che l’etere cianacetico, agendo sopra le ammine chetoniche e gli ammidi chetonici, produce dei composti idropiridinici ed idrochinoleici. Nella Memoria ora presentata l’autore, proseguendo in tali ricerche, studia l’azione che l’etere cianacetico esercita anche sugli eteri chetonici quando sono in presenza di ammoniaca o di ammine alchiliche. — Così la reazione precedentemente sco- perta acquista un carattere di maggiore generalità, ottenendosi con essa una serie numerosa di nuove combinazioni che hanno uno stretto rapporto coi composti citrazinici. L’indole stessa del lavoro del prof. Guareschi non ci con- sente di darne un riassunto anche compendioso. Infatti questo lavoro consta della descrizione dei modi di preparazione, delle proprietà fisiche e chimiche e della discussione della costituzione chimica probabile delle sostanze ottenute colla reazione sovra- indicata. Il principio sul quale si fondano le ricerche accuratamente descritte dal prof. Guareschi è nuovo ed è molto importante per il carattere di grande generalità che esso può assumere. Pertanto i sottoscritti propongono che il lavoro del prof. Guareschi sia ammesso alla lettura e venga poi accolto per la pubblicazione nei volumi delle Memorie della nostra Accademia. G. SPEZIA. A. Cossa, Relatore. 199 Relazione sulla Memoria del Prof. Francesco GIUDICE, intitolata: “ Sull’equazione del 5° grado ,. L'Autore in questa Memoria, che in certo modo fa seguito ad un altro suo lavoro precedente, studia i varii metodi di ri- soluzione delle equazioni del 5° grado. Premette una rappresentazione geometrica dell’equazione generale, che, con semplici considerazioni, permette di ridurla alla forma (di Bring a. 1786) (32) y + 5ay+-B=0. In seguito si occupa delle equazioni risolubili algebrica- mente; dandone prima l’espressione generale (35'), poi casi par- ticolari, fra cui la (39), che si riferisce alla forma di Bring. Sviluppa i molti calcoli occorrenti per la risoluzione, e mette sotto varie forme l’irrazionalità trascendente (così la chiama l’A.) che, aggiunta, permette di risolvere ogni equazione di 5° grado. Questa irrazionalità è espressa dapprima mediante un’equa- zione algebrica fra due sole variabili (formula 51), poi cogli integrali ellittici, ed in seguito con un’equazione differenziale lineare del 2° ordine. L’A. ritrova alcuni risultati già noti (e che trovansi in gran parte nelle “ Vorlesungen iiber das Ikosaeder , del Klein), sotto forma più facile e piana; ed altri ne aggiunge relativamente all'importante argomento. È nostro avviso che questo lavoro del prof. Giudice possa essere ammesso alla lettura innanzi alla Classe di Scienze matematiche. Torino, 28 novembre 1895. E. D’'OvIpro. G. PrANO, Lelatore. L’ Accademico Segretario AnpRrEA NACcARrI. 200 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza dell’8 Dicembre 1895. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarEetTA, Direttore della Classe, Peyron, VALLAURI, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, SCHIAPARELLI, Pezzi, NANI, Ciporra, Brusa, PerrRERO, ALLIEvo e FERRERO Segretario. Il Presidente annuncia la morte del Socio Corrispondente Giuseppe De Leva, Professore nell’Università di Padova ed affida al Socio CrpoLra l’incarico di commemorarlo in una pros- sima adunanza. Il Socio Segretario presenta, a nome degli autori, le seguenti pubblicazioni» “ Notice sur la vie et les travaux du commandeur Jean-Baptiste De Rossi ,, del Socio Corrispondente H. WaALLON, Segretario perpetuo dell’Accademia delle iscrizioni e belle lettere dell'Istituto di Francia (Paris, 1895); “ Delle scoperte di antichità nel lago di Nemi ,, Relazione a S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione, del Socio Corrispondente Felice BernABFI. Brevemente egli ragguaglia la Classe sopra queste importanti scoperte archeologiche. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 17 Novembre al 1° Dicembre 1895. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio ; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, * Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entregas IV, tom. XL. Buenos Aires, 1895; 8°. Astronomische Arbeiten der ésterreichischen Gradmessungs-Commission. Bestimmung der Polhihe und Azimutes auf den Stationen: Spieglitzer Schneeberg, Hoher Schneeberg und Vétrnik. Wien, 1895; 4°. Atti della Società Piemontese d'Igiene; Anno I, fasc. 1. Torino, 1895; 8°. * Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2*, v. XV, n. 9-10. Torino, 1895. * Bulletin de l’Académie impériale des Sciences de St-Pétersbourg. V° Sér., RI 7 1895; 40, * Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société philomatique de Paris. N. 2, 9 novembre 1895. Paris, 1895; 8°. * Foldtani Kòzliny kiadja a Magyarhoni Fòldtani Tarsulat. Vol. XXV, n. 1-5. Budapest, 1895; 8°. * Jenaische Zeitschrift fir Medicin und Naturwissenschaft, herausg. von der medicinisch-naturwissenschaftlichen Gesellschaft zu Jena. N. F., Bd. XXIII, Heft I. Leipzig, 1895; 8°. * Johns Hopkins Univ. Circulars. Vol. XV, n. 121. Baltimore, 1895; 4°. Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 8. Roma, 1895; 4°. * Mittheilungen aus dem Jahrbuche der kòn. ungar. geologischen Anstalt. Bd. IX, n. 7. Budapest, 1895; 8°. * Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 1894. Vol. 185, A, part 1* e 2*; B, part 1* e 2*. London, 1895; 4°. * Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. VI, p. 5°, 1895. * Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Serie 3%, vol. I, fasc. 8 a 10. Napoli, 1895; 8°. Rivista di Topografia e Catasto pubblicata per cura di N. Jadanza. Vol. VIII, n. 1-4. Torino, 1895-96 (dono del socio Jadanza). * Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 10. Modena, 1895; 8°. * The Royal Society. 30th. November 1894; 4° (Elenco dei Soci). 202 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig, ete.; XVIII Jahrgang, n. 489. 1895. * 3KypHaxp pyccraro +187r0-xmMNtecgaro O6mecrBa ipa MMmnepaTopcrRoMe C. IIerep6ypreroms YHusepenrerb; t. XXVII, n. 7. 1895. Barrows (W. B.) and Schwarz (E. A.). The Common Crow of the United States. Washington, 1895; 8°. #* Lehmann (0.). Molekularphysik mit besonderer Beriicksichtigung mikro- skopischer Untersuchungen und Anleitung zu solchen sowie einem Anhang iber mikroskopische Analyse. Leipzig, 1888-89; 8°. Mullins (G. L.). Notes on Phthisis in New South Wales and other austra- lasian colonies. Sydney, 1895; 8°. Rajna (M.). Sull’apparato esaminatore di livelle costruito dal sig. Leo- nardo Milani nel 1889 per il R. Osservatorio Astronomico di Milano. Milano, 1895; 8°. Sandrucci (A.). Le teorie su l’efflusso del Gas e gli esperimenti di G. A. Hirn. Firenze, 1895; 8° (dall’A.). Valentini (C.). Sulle acque del sottosuolo a nod-est di Milano. Milano, 1895; 8° (dall'A. ** Vinci (Leonardo da). Il Codice Atlantico; fasc. VII. Milano, 1895; fe. *#* Westwood (J. O.). Catalogue of Orthopterous insects in the collection of the British Museum. Part I. Phasmidae. London, 1859; 4°. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne. Dal 24 Novembre all’8 Dicembre 1895. * Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. 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GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA —_ _ —° Sono presenti i Socii: D'Ovipro, Direttore della Classe, BerrutTI, FERRARIS, Mosso, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, VOLTERRA, JADANZA, Foà e Naccari Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre- cedente. Vengono accolti per l'inserzione negli Atti gli scritti seguenti: a) “ Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi elastici ,; nota dell’ingegnere Elia Ovazza, presentata dal Socio JADANZA; 5) “ Di alcuni corallari pliocenici del Piemonte e della Liguria ,; nota della signora Elodia Osasco, presentata dal Socio CAMERANO. Il Socio VoLterRAa presenta una Memoria del Professore Giuseppe LauriceLLa: “ Sull'equazione delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate ,. Ne viene affidato l'esame ad ap- posita commissione. MSN Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 16 206 ELIA OVAZZA LETTURE Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi elastici; Nota dell'Ing. ELIA OVAZZA. 1. Il metodo ideato dall’Eddy e perfezionato dal prof. Guidi pel calcolo degli archi elastici e delle volte considerate come archi elastici (1), metodo che può dirsi di falsa posizione, è suscettibile di più ampia applicazione al calcolo degli archi ela- stici in generale, qualunque sieno le condizioni di posa e di ca- rico. Di questa applicazione più ampia vogliamo qui occuparci, valendoci dei più recenti progressi della teoria delle travature elastiche. 2. Premettiamo un teorema di cinematica, di cui faremo uso sovente in seguito, e che già abbiamo dimostrato in una precedente nota (2). Più sistemi piani invariabili 0}, @9,... 0;,... a, muovansi nel loro piano comune t ruotando di quantità piccolissime attorno a, punti del piano m. A ciascun centro di rotazione (a, 0; 1) pel moto relativo di due successivi o; ed 0;,, di quei sistemi in- variabili si applichi, in data direzione X qualunque, nel piano.tr una forza ideale misurata dall’ampiezza w;;,, della rotazione di 0;+3 rispetto ad a;, e queste forze ideali si colleghino con un poligono funicolare i cui lati sieno rispettivamente l, 1, la,... (1) Cfr. Eppy H. T., Researches in graphical statics. New-York, Van No- strand, 1878. — C. Guipi, Lezioni di scienza delle Costruzioni — Teoria dei Ponti. Torino, Lit. Salussolia, 1894. — Sugli archi elastici (Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Anno 1884). — Sulla curva delle pressioni negli archi e nelle volte (Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Anno 1886). (2) Cfr. Ovazza, Il poligono funicolare in cinematica (Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, Anno 1890). — R. Lanp, Kinematische Theorie der statisch bestimmten Tréiger (Zeits. des dsterr Ing.-und Arch. Vereins, 1888). SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 207 l;,... I, Lo spostamento che nella direzione ) soffre un punto qualunque P di uno dei sistemi, a,, nel suo moto relativo ad un altro sistema, a,, (cioè la proiezione ortogonale nella dire- zione \ dello spostamento del punto P), è proporzionale, astra- endo da quantità piccolissime di ordine superiore al primo, al segmento intercetto sulla retta condotta per P in direzione X fra i lati /; ed 7, del poligono funicolare. Come caso speciale il segmento intercetto sulla retta condotta per P nella direzione fra i lati / ed /; misura lo spostamento di P nel suo moto re- lativo al piano m, sostegno dei sistemi mobili a. Quindi con due poligoni funicolari, colleganti quelle forze ideali applicate in di- verse direzioni, si ottengono gli spostamenti effettivi dei punti P in grandezza e direzione. 8. Ciò posto cominciamo dallo studiare la deformazione delle travi ad arco cariche da forze nel piano (che supporremo verticale e di simmetria) del loro asse se a parete piena, e da forze nel piano (che pur supporremo in seguito verticale e di simmetria) degli assi delle aste che lo costituiscono, se reti- colare. Archi a parete piena. 4. Riferiremo l’asse dell’arco AB all’orizzontale ed alla ver- ticale per l’estremo A di sinistra come assi delle x e delle y. Di un punto qualunque O dell’asse, alle coordinate x ed y, di- remo s la distanza da A misurata lungo l’asse dell’arco; di- remo ® l’angolo che la tangente in O all’asse dell’arco fa con la direzione positiva dell’asse x, contato positivamente a partire da x nel senso opposto al moto delle lancette dell’orologio. Diremo E il modulo di elasticità, F l’area, I il momento di inerzia della sezione trasversale S condotta per O rispetto al- l’asse baricentrico orizzontale di questa sezione. Trascurando la deformazione dovuta allo sforzo di taglio e la curvatura dell'elemento di trave (come con sufficiente approssimazione per la pratica si può per archi da ponti o da tettoie), considerate due sezioni S, ed $S, infinitamente prossime, i cui baricentri 0, ed O, distano di ds, ed i cui 208 ELIA OVAZZA piani fanno angolo — d@, per l’azione complessa dello sforzo normale N e del momento flettente M, la sezione S, si muo- verà rispetto alla Sj come se ruotasse attorno all’asse x, anti- polare del centro X di sollecitazione, per la sezione S media del tratto di trave S,S,, rispetto all’ellisse centrale di questa sezione medesima. 5. Detta e l’eccentricità XO dello sforzo normale, assunta positiva quando N abbia momento positivo rispetto ad O (nel verso del moto delle lancette dell’orologio), e detto p il raggio d’inerzia della sezione S rispetto al proprio asse di flessione (asse baricentrico orizzontale), si ha 2 (1) 0a, = » e l'ampiezza della rotazione di S, rispetto ad S, vale "Meet Neg (2) dda = pptesonigp. 6. Come verifica, si secomponga lo sforzo normale N ap- plicato in X nella forza equipollente N applicata in O e nella coppia flettente di momento M= Ne. Lo sforzo normale baricentrico provoca una traslazione ITIANas (3) fsde:i= EF di S, rispetto ad $S, nella direzione 0;0,; la coppia M produce una rotazione Ad@ = Me attorno all'asse di flessione della sezione media S. I due movimenti elementari insieme equival- gono ad una unica rotazione Adp attorno all'asse giacente nel piano della sezione S, parallelo a quello di flessione e da esso distante di i (4) Ads : Ado = p°:e = Oz; 7. Presi sull’asse di sollecitazione s della sezione S due punti U, ed U, equidistanti dal baricentro O di una quantità SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 209 arbitraria è, e condotte per U, ed U, le parallele v, ed wu, al- l’asse di flessione, scomponiamo la rotazione Adg attorno ad x, in due rotazioni Ad@; e Adg, attorno ad wu; ed ws. Sarà SI aggio: (6 Nda;) Alogt (5) Ado, = Ad i (è si ed analogamente ai e ao i 0 ARR (6) Ado, = Ado 7° = Sul (è +). Detti V, e V, gli antipoli di «, ed w, rispetto all’ellisse centrale della sezione S, potremo pure scrivere a Mads ll; Mds (7) Ado, sa 2EI? Ad®s = Sri indicando con M, ed M, i momenti della sollecitazione esterna della sezione S rispetto ai punti V, e V, rispettivamente. 8. Come caso speciale scelti i punti U, ed U, agli estremi del diametro del nocciolo centrale disteso sull’asse di sollecita- zione (supposta la sezione simmetrica rispetto all’asse di fles- sione), i punti V, e V, coincidono con gli estremi ? ed e all’in- tradosso ed all’estradosso della sezione S. 9. Se invece i punti U, ed U, scelgonsi, come faremo sempre in seguito, agli estremi del diametro dell’ellisse cen- trale della sezione ch'è disteso sull’asse di sollecitazione, i punti V, e V; coincidono con U, ed U, rispettivamente, onde sarà __ Mds _—_ ads (8) Ado, 251° Ad®y TRNconI indicando con pu, e yy i momenti della sollecitazione esterna per la sezione S rispetto agli assi u, ed vw, attorno a cui suppon- gonsi le due rotazioni componenti. 10. La deformazione della trave si può quindi concepire come il complesso degli spostamenti delle singole sezioni rispetto 210 ELIA OVAZZA alle infinitamente prossime rotando attorno ‘agli assi x, corri- spondenti e per le corrispondenti ampiezze Ad@; ovvero anche come il complesso degli spostamenti delle singole sezioni rispetto alle infinitamente prossime ruotando contemporaneamente at- torno agli assi u, ed «, per le ampiezze corrispondenti Adg; e Ads. Se quindi ai punti X, tracce degli assi x,, nel piano del- l’asse dell’arco, applicansi in data direzione \ forze ideali mi- surate dalle corrispondenti quantità angolari Adg, e si colle- gano queste forze ordinatamente con un poligono funicolare avente per distanza polare l’unità di lunghezza, ovvero ai punti U, ed U, nel piano dell’asse dell’arco applicansi in direzione X forze ideali misurate dalle corrispondenti quantità angolari Ad, e Ad®;, e si collegano ordinatamente con poligono funicolare avente distanza polare eguale all'unità di lunghezza, le ordinate del poligono funicolare, lette da opportuna retta fondamentale sulle rette condotte in direzione \ dai punti S dell’asse dell’arco, misurano gli spostamenti di questi stessi punti nella direzione A, cioè le proiezioni ortogonali sulla direzione X degli effettivi spo- stamenti di detti punti nel piano dell’asse. 11. Dette ed n le coordinate di X,, x ed y quelle del baricentro 0, di S., per la rotazione elementare Ad attorno ad x, le coordinate x ed y varieranno di (y— n). Adg e (E — 2). Adp, e queste variazioni coincidono con le variazioni delle proiezioni dx e dy dell'elemento ds di asse dell'arco sugli assi coordinati x ed y; onde potrà porsi (9) Ade = (y— n).Ade = (y— n) n (10) Ady.= (E — 2). Ado.=—(e- Ate 12. Analogamente se con xu,, Yu, e con Xu, ed yu, indicansi le coordinate di U, ed U,, tenendo conto d’ambo le rotazioni Adg; e Ad, sarà SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 211 (11) Ade = (Yy — Yu) Ad®, + (4 — Yu) Adog =y . Ado — M2Yu + Mi Yu sa 2EI ds (12) Ady=— (— tu) Ad®; — (Y — Yu) Ad, = — cAdo + NO Ma sati Mi Lug ds. E se i punti U, ed U, scelgonsi sull’ellisse centrale della corrispondente sezione trasversale (11’) Ada = y.Adp — MMM bye gg, (12°) Ady =— x.4d9 + ble pote de 13. Integrando le precedenti, si hanno le equazioni degli spostamenti sotto le forme seguenti, che meglio si prestano ai calcoli pratici degli archi elastici: | (13) Ax = y.A49 — CE OR (ES UAN Que ds Md d Ap = 400 + |A (A9= Am + [dî FISTDETOLO | Ar=— 89 + | bf ds nelle quali s’indica con Ag, la variazione, dovuta alle forze esterne, dell'angolo @ = © all'origine A dell'arco, e gl’integrali contenenti i momenti u s'intendono estesi simultaneamente ai punti U, ed U, di tutte le sezioni dell'arco AS. 14. Diviso l’asse dell'arco in tratti ds abbastanza piccoli perchè si possa ritenere caduno di essi di sezione costante e costante per ogni loro sezione la sollecitazione ed eguale a quella relativa alla corrispondente sezione media, detto I, un momento d’inerzia qualunque scelto come termine di paragone, e posto genericamente 212 ELIA OVAZZA dre eg LG le equazioni degli spostamenti per la sezione distante dall’ori- gine A di x tronchi ès si riducono alle seguenti: n M n Aq = Ao, + 2K,35 Ap = Ap + K3 è (15)) Ax = yAg — 2K= gn (16))/Ar = yAp — KE -$W Ay=— cAp+2K3 Ay=—xAp+K,3 sa 15. Le equazioni (13) e (15) riescono più comode pel cal- colo delle deformazioni di archi staticamente determinati, od almeno, nel caso opposto, già determinati precedentemente per riguardo alle sollecitazioni esterne delle singole sezioni; poichè in tali casi sono determinabili i punti X,. Per il calcolo delle sollecitazioni esterne per archi staticamente indeterminati, i punti X, e le relative coordinate £ ed n non sono noti a priori, chè dipendono dalle sollecitazioni medesime; tornano in tale calcolo più comode le equazioni (14) e (16). Queste medesime equazioni (14), le quali permettono di tener conto in modo semplice della deformazione dell’arco do- vuto allo sforzo normale insieme con quella prodotta dal mo- mento flettente, furono per altra via ottenute dal sig. M. Ber- trand de Fontviolant (1). Come vedremo, la considerazione dei punti U fa rientrare la teoria degli archi a parete piena in quella degli archi reti- colari, con che sintetizzando si semplifica notevolmente la teoria degli archi elastici. Archi reticolari. 16. Supporremo gli archi costituiti da sbarre rettilinee fra loro articolate agli estremi — nodi — in modo che i loro assì (1) Cfr. Bertrannp DE FonrvioLAnT, Mémoire sur la statique graphyque des arcs élastiques, 1890. — C. Guipi, 7. c., Lezioni, ecc. SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 213 # giacciano in uno stesso piano e formino tanti successivi trian- goli, ciascuno dei quali abbia comune col precedente e col se- guente una sola sbarra — sbarra di parete — costituendo la terza asta del triangolo parte del contorno dell’arco. Supporremo inoltre le forze esterne, carichi e reazioni di appoggio, applicate a nodi ed agenti nel piano degli assi delle sbarre, e faremo astrazione dalle deformazioni, trascurabili pra- ticamente, dovute alle variazioni di lunghezza delle aste di parete, ciò che può considerarsi corrisponda al trascurare la deformazione prodotta dallo sforzo di taglio per le travi a pa- rete piena. Indicheremo in generale con I° un nodo del contorno supe- riore, con I” un nodo del contorno inferiore, e con I uno qua- lunque dei nodi, con /’, /”, 2 rispettivamente l’asta di contorno inferiore opposta ad I’, quella di contorno superiore opposta ad I” e quella di contorno opposta al nodo I. 17. Fatta una sezione S' secante un’asta / e due aste con- correnti in I, che diremo polo di /', in modo da dividere in due parti distinte la trave ad arco, sia u' il momento rispetto U - lo L= ad I° della sollecitazione esterna per la sezione S'. Sarà sforzo di tensione nell’asta 7 dovuto a quella sollecitazione, se indicasi con r' la distanza di I’ da /'"; onde l'allungamento A/' della lunghezza /' sarà (17) INA indicando con l' la lunghezza, F' l’area della sezione trasversale ed E' il modulo di elasticità per la sbarra /. Per l'aumento Al della lunghezza l', la parte di trave a sinistra di S' ruota attorno ad I°, nel senso opposto a quello del moto delle lancette dell’orologio, della quantità (1) (1) Invero se « e è sono le lunghezze (qui supposte invariabili) delle aste di parete formanti triangolo con /’, si ha 7? = a? + 5° — 2ab cos a, LA . , Al' se a= ad; onde ZA = ab senaAa= /r'Aa, e perciò Ap = Aa = Pa 214 ELIA OVAZZA 7 Al (i (18) Ag=+5= + arr DO 18. Analogamente se M" è il momento rispetto al nodo I” della sollecitazione esterna per la sezione S"” segante /" e due sbarre concorrenti in I", in modo da dividere in due parti la travatura, detta 7” la distanza di I” da ?" in valore assoluto, l'allungamento di /" sarà (19) IN EESA adottando notazioni analoghe a quelle di cui a numero prece- dente. Onde una rotazione attorno ad I" della parte di trave ch'è a destra di S"”, ancora nel senso opposto a quello del moto delle lancette dell’orologio, Te ul (20) Aqui Ap 19. Le due formole (18) e (20) si possono rappresentare colla sola LETT. (21) Ap ara r: EF? toltine gli accenti ed estendendola alla rotazione attorno ad un nodo qualunque I di contorno dell’arco. 20. Adunque la deformazione d’un arco reticolare può con- cepirsi come il complesso di rotazioni Ag delle aste di parete, qui ritenute di lunghezza invariabile, attorno ai corrispondenti nodi di contorno I. Se quindi ai punti I applicansi in data di- rezione ) forze ideali misurate dalle corrispondenti quantità angolari Ag, e queste forze ideali collegansi con un poligono funicolare di distanza polare l’unità di lunghezza, le ordinate intercette sulle rette condotte in direzione \ pei punti I fra detto poligono funicolare ed una fondamentale rettilinea, da determinarsi, misurano gli spostamenti di detti nodi nella dire- SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 215 zione ), cioè le proiezioni ortogonali dei loro effettivi sposta- menti su tale direzione. Con due poligoni funicolari colleganti dette forze ideali applicate in direzione di due assi coordinati x ed y, per es. orizzontale e verticale, deduconsi gli spostamenti effettivi dei singoli nodi, onde la deformazione di tutta la travatura. 21. Dette x ed y le coordinate d’un punto qualunque ap- partenente ad un’asta di parete, £ ed n le coordinate di un punto qualunque I, per la rotazione Ag attorno ad I, le varia- zioni delle coordinate x ed y saranno: (22) Aar=—(y—n) 49, Ay=(x— È) Ap. Onde pel complesso della deformazione, detta Ag la varia- zione che subisce l'angolo @ che con l’asse x fa l’asse dell’asta di parete considerata, contato positivamente da x nel senso opposto a quello del moto delle lancette dell’orologio, sarà 1 pl Aq = Ag 1 3 GFP n a (23) Ax = yA9Q — =n TE La ul Ay = — shop ar 25 73 EF estendendo la sommatoria a partire dalla 1* asta (che conside- rasi di parete) che passa per l’estremo sinistro A. Dette %, ro Eo Fo valori fissi di 7, r, E, F, e posto lo o. 9) Polito 0 e fatto genericamente l I è —— = 3 (25) r EF ro Eo Fo le trovate equazioni degli spostamenti assumono la forma 216 ELIA OVAZZA Aq = 49 + K2 7 (26) Ax = y4qg — K= Lan Ay=—exApg+K=3 0 «| n 22. L’analogia fra le equazioni (16) e queste (26) or trovate permette appunto di trattare gli archi a parete piena a quel modo in cui trattansi gli archi reticolari, bastando sostituire i punti U, ed U, ai nodi I’ ed I”. 23. Ciò posto, passiamo al compito impostoci al principio di questa nota. Archi a cerniere d'imposta. Archi a parete piena. 24. Supporremo anzitutto di livello i centri A e B delle cerniere d’imposta, ed assumeremo il centro A d’appoggio si- nistro come origine delle coordinate, l’asse x e l’asse y coinci- denti con la orizzontale e con la verticale per A. Applicati all’arco carichi (verticali) P, il poligono funico- lare che li collega, e che ha per lati estremi le reazioni delle cerniere d’imposta, costituisce il così detto poligono delle pres- sioni e, riferito all'asse dell’arco, funziona da diagramma dei momenti flettenti per le singole sezioni dell'arco quando assu- masi a base di riduzione la componente orizzontale comune H delle reazioni di appoggio — spinta orizzontale dell’arco — e si misurino le ordinate del diagramma verticalmente. Con suf- ficiente approssimazione nei casi pratici si potrà quindi POR per uno dei punti U qualunque, (27) hb_ = HZ essendo Z la distanza verticale di U dal poligono delle pres- sioni, contata positiva per punti situati al disotto di tale po- ligono. | SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 217 25. Se l’ordinata Z considerasi qual differenza fra l’ordinata Z' del poligono delle pressioni e l’ordinata Z” del punto U a partire dall’asse x, sarà (28) u=H(@—-72") e la equazione che dà Ax, applicata al centro B della cerniera destra, di cui supponesi un cedimento A2/ sull’orizzontale (va- riazione della lunghezza 2/ della corda AB dell’arco) diventa 9) Lenna TOSI RL 1 essendo » il numero totale dei tronchi ds in cui si divise l’arco. Se ora pei centri A e B di appoggio si fa passare il po- ligono funicolare collegante i carichi P_ed avente distanza po- lare arbitraria H,, cioè si disegna il diagramma dei momenti flettenti, con base di riduzione H,, per una trave rettilinea ap- poggiata semplicemente in A e B e gravata dai medesimi ca- richi P, le ordinate Z', di questo diagramma contate dall’asse x soddisfano alla relazione (30) Hj 40 —_- ee Onde la (29) diventa nz n | GI) 40--K[Hh3%y Hi y e fornisce la vera spinta orizzontale ni 421 (82) poli sth his = ni > S Yu 1 26. Le sommatorie che compariscono in questa formola possono calcolarsi come momenti statici rispetto all'asse x delle forze ideali na e a applicate orizzontalmente ai rispettivi centri U. 218 ELIA OVAZZA Collegate le forze ideali = applicate orizzontalmente ai punti U con un poligono funicolare p', di distanza polare ), ed analo- gamente le forze ideali — con poligono funicolare p'' di uguale distanza polare, detti m', ed m'" i segmenti intercetti sull'asse x dai lati estremi dei poligoni p', e p', sarà (33) 3 gum, = yum". Quindi la formola che dà H riducesi ad 4 AB Hi Ma + XK, , m (34) H= 27. Per appoggi perfetti, A2Z = 0, onde (34') Rae: 28. Rifatto il poligono funicolare collegante i carichi P, e passante pei centri d’appoggio A e B, con distanza polare H, Hi H' l'effettivo poligono delle pressioni, in base al quale calcolasi la stabilità dell’arco. ovvero moltiplicate le ordinate Z',, pel rapporto sì ottiene 29. Una variazione di temperatura di +4#°, eguale per tutto l’arco, supposto eguale per tutto l’arco il coefficiente a di dila- tazione termica, ha lo stesso effetto d’un aumento 42! = at. 20 negativo o positivo della corda 2) dell’arco. 30. Supponiamo ora il caso più generale in cui gli appoggi non sieno di livello, e sia c l’ordinata del centro B della cer- niera destra. Supponiamo cedevole, per generalità, il punto B di A2! orizzontalmente verso le x positive e di —Ac vertical- mente verso l’alto (y positive). Detta Ag; la rotazione della tangente in B all’asse del- l'arco, le equazioni degli spostamenti applicate al punto B dànno : SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 219 (35) A2I = cAg, — Ki z L Va (36) —A=— 2149, + K; =} Du. Eliminando la rotazione Ag, che non ci occorre, ottiensi la equazione (87) 21.422—c.Ac=K,; |e=pa-3Ew] 81. Colleghiamo i carichi P_ con un poligono funicolare p' passante pei centri d'appoggio A, B, e sia H, la distanza del polo P, corrispondente dalla retta dei carichi P, letta nella direzione della corda AB dell’arco. L’effettivo poligono delle pressioni sarà poligono funicolare dei carichi P con polo un punto P da determinarsi sulla parallela per P, alla AB, di cui diremo H la distanza in direzione AB dalla retta dei carichi. Se indicansi con a l'angolo della AB con l’asse della x, con Z l’ordinata verticale compresa fra un punto U ed il poligono delle pressioni, con Z' e Z" le ordinate sulla verticale di U a partire dalla AB del poligono delle pressioni e del punto U, e finalmente con 2’, l’ordinata sulla verticale di U del poligono funicolare p' a partire dalla retta AB, sarà (38) u=:H cosa .(7 — 2") ed HZ' — H,Z',. Onde la (37) diventa __ 2 .A21 — che K, cos a (39) H= sN n Do n e dà perciò il polo P del vero poligono delle pressioni, onde questo poligono da prendersi a base del calcolo della stabilità dell'arco. 220 ELIA OVAZZA È LRETÀ DOSCA I i 82. Le sommatorie 3 "I Pa © T 3 Tu calcolansi come mo- 1 ha x 3 Td î 5 é c menti delle forze ideali = e a applicate verticalmente ai cor-. rispondenti punti U, rispetto alla verticale dell'appoggio A. Collegati questi carichi con 2 poligoni funicolari g', e g' di distanza polare \ e detti n', ed n" i segmenti intercetti dai loro lati estremi sulla verticale A, sarà (40) =-oa=M, =i n=" lo plat e ricordando quanto fu detto a n° 26, la formola che dà H riducesi alla 21.A21 — che KA cosa en' — dm Hj (cn'i — 2imi) — (41) ui 38. Per appoggi perfetti, 42 = Ac = 0. Onde sata eni 2lm'i * ($2) H oa en' — 2Im" e perc=0 (34') Hiie=Bk HA; come a n° 27. Archi reticolari. 34. Stanno per questi le cose dette per gli archi a parete piena, sostituendo ai punti U, ed U, i nodi I’ ed I” di con- torno. Ed anzi per gli archi reticolari stanno esattamente, mentre per archi a parete piena stanno per approssimazione, tanto maggiore quanto minore è la lunghezza ds dei tronchi in cui dividesi l’arco. Archi incastrati agli estremi. Archi a parete piena. 35. Anche qui cominceremo dal supporre di livello i bari- centri A e B delle sezioni d’incastro, ed assumeremo come assi 1 SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 221 delle x e delle y l’orizzontale e Ja verticale pel centro A della sezione d’incastro sinistra. Supposte invariabili le direzioni delle sezioni d’incastro ed il livello dei loro baricentri, ammettiamo un cedimento A2/ orizzontale del centro B rispetto al centro A d’appoggio. Analogamente a quanto fu detto a n. 26 per gli archi ad estremità girevoli, detta H la spinta orizzontale dell’arco, e Z la distanza verticale di uno dei punti U dal poligono delle pressioni (contata positiva per punti al disotto di tale poligono), il momento pw relativo al punto U può, con sufficiente appros- simazione, porsi (43) u==Hî e le equazioni alla superficie, che tengono conto della natura degli appoggi, coincidenti con le equazioni degli spostamenti applicate al punto B dell’asse dell’arco, riduconsi alle: (4) 3 =0 2jn=0, 4/=-— G3Hi 36. Sieno Z” e Z' le ordinate verticali del punto U e del punto del poligono delle pressioni giacente sulla verticale di U, a partire da una retta % da determinarsi. Poichè si ha t=V' e, URI se la retta % tracciasi per modo che sia (45) TL Poeta i RU» dovrà essere uo) =t=o0, =-A=0, e AN=KEHT5® Yu 37. Collegati i carichi P_con un poligono funicolare p', di distanza polare arbitraria H,, poligono che risulterà affine alla linea delle pressioni, vi si tracci su tale retta £', che sia Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 17 222 ELIA OVAZZA Zi 3 da= 0 -M= ri A (47) = e indicando con Z', l’ordinata verticale per un punto U qualunque compresa fra la %', e la funicolare p',. Ridotta la funicolare p', nel rapporto di affinità Ti e trasportatane la fondamentale #', sulla retta % già determinata, il nuovo poligono funicolare sarà la linea delle pressioni cercata. Il rapporto H, : H è dato dalla 3» delle (44), la quale, per essere H,Z', = HZ', trasformasi nella seguente: (48) 4X=—K|Hh=t%n-H35%] . a 1 già trovata a n° 25, e con le notazioni di cui a n° 26 dà A Him, + DE (49) ppuetplii ci Su m 38. Valgono anche pel caso qui considerato le osservazioni a numeri 27 e 29. 39. Supporremo ora il caso più generale in cuii centri di appoggio non sieno di livello, ed indicheremo ancora con e l’or- dinata del centro B di appoggio destro. Supporremo, per gene- ralità, il punto B cedevole orizzontalmente di A2/ nel verso delle x positive, e di —Ac nel verso delle y positive. Ammet- teremo rotazioni piccolissime note Ag, e Ag; delle tangenti all'asse dell’arco in A e B. 40. Conservate le denominazioni di cui ai numeri 35, 36 e 37, le equazioni degli spostamenti applicate alla sezione B, che funzionano da equazioni alla superficie o di elasticità, trac- ciata tale retta % che sia n ra n (50) SARE NAT riduconsi alle seguenti: SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 223 " Z, rigido Aq = Ap ba Lo: ciba Ae + 2149, (51) Da us a K,H; , 2 3 Lu o ia H, , e n n La (52) 22.422 —c.Ac=K | ci l'a UTD Yu) — 41. Tracciata quindi sul poligono funicolare p', di distanza polare H; arbitraria, collegante i carichi P, tal retta #', che soddisfi alle (51), il valore della vera spinta H e perciò il rap- porto di affinità Di fra l'effettivo poligono delle pressioni e la p', viene dato dalla (52). Le sommatorie che in quest’equazione compariscono si calcoleranno secondo che fu detto a n° 32. 42. Per la determinazione delle rette %” e %', soddisfa- centi alle condizioni imposte si può procedere come ora indi- cheremo. Vogliasi tracciare la retta £', per cui si abbia __ _A4c+ 21A4q E. Hi ni Sieno 8, 8} e B le ordinate della 7’, dall'asse « in corri- spondenza dei centri d'appoggio A e B e di uno qualunque dei punti U; ed indichisi genericamente con y', l’ordinata sulla verticale di U compresa fra l’asse x e la funicolare p',. Avremo (69) = Be =bR+Sota Onde le (51) trasformansi nelle seguenti, da cui ricavansi le ordinate Bo e B} determinanti la #',: biz —2 )—R pra ro l 1 DI) 1 3 menta. 85 E K,H (54) Ra Tu le _AcT- 249, et Matera) Spi nai pa 224 ELIA OVAZZA — SUL METODO DI FALSA POSIZIONE, ECC. Le sommatorie possono calcolarsi graficamente come mo- menti statici rispetto alla verticale A dei pesi ideali = ed LI applicati ai punti U corrispondenti. 43. In modo analogo determinasi la %"" soddisfacente alle condizioni imposte a n° 49, ovvero la &', soddisfacente alle condizioni di cui a n° 37. Archi reticolari. 44. Sta quanto fu esposto per gli archi a parete piena, sostituendo ai punti U, ed U, i nodi di contorno I' ed I”, ed anzi a tale proposito va ripetuto quanto fu detto a numero 34. 45. Vuolsi osservare che l’incastro di un arco reticolare consiste nel vincolo imposto ad un nodo A di rimanere fisso ovvero di cedere di quantità dipendenti dal sistema di appoggio, insieme col vincolo imposto ad una sbarra d’estremità di pas- sare costantemente per un punto A, che si mantiene a distanza costante da A, potendosi del resto muovere attorno a questo dipendentemente dalla cedevolezza dell'appoggio. Converrà perciò immaginare aggiunta alla travatura un'asta invariabile A A,, la cui rotazione per l’azione dei carichi e dipendente dalla im- perfezione di appoggio corrisponde alla quantità Ag, delle for- mule precedenti. Analogamente dicasi per l’altro appoggio B e per la quantità angolare Ag, che comparisce nelle precedenti formule. Atti RAccad.delle Sc.di Torino -VoLXIX/ E.OVAZZA-Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi elastici. Lit_Salussolia - Torino ELODIA OSASCO — DI ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI, ECC. 225 Di alcuni Corallari pliocenici del Piemonte e della Liguria; Nota di ELODIA OSASCO. Nel riordinare i Coralli fossili terziari del Museo geologico della R. Università di Torino ebbi campo di fare alcune osser- vazioni sopra i Coralli pliocenici del Piemonte e della Liguria, che credo non inutile di pubblicare. Alcune delle forme studiate sono nuove per la scienza; per molte altre viene ad essere notevolmente allargata l’area della loro distribuzione geografica. Risulta da questo studio anche un qualche contributo alla conoscenza del rapporto numerico delle specie plioceniche con quelle del periodo tortoniano e con quelle del mare Mediter- raneo. Cercai di distinguere colla maggior cura possibile le va- rietà propriamente dette dalle anomalie, procedendo molto cau- tamente nell’introdurre nuovi nomi specifici. Nella tavola unita a questo lavoro riprodussi colla foto- grafia alcuni esemplari di specie diverse dimostranti casi ano- mali di gemmazione calicinale e di fissiparità, perchè sempre più confermano ciò che il D’Achiardi indicò: “ Potersi incon- trare le diverse forme di riproduzione in tutte le specie di coralli, salvo a predominare l’una o l’altra in gruppi distinti ,. Eupsammia porosissima, n. sp. (fig. 3). “ Poliparium magnum, laeviter compressum et curvatum ad maiorem axem, theca subtili, laxe porosa, multis costis ver- micularibus, porosis, incerte granulatis; septis granulatis in “ quinque cyclis, quatuor aequalibus, quinto ad quartum coa- “ lescente: viginti quatuor apparentia systemata. Columella “ magna, laxe porosa, fere rhomboidalis. “ Altitudo exemplaris imperfecti 40 mm., axis maior ca- “ licis 20 mm. ,. “ “ 226 ELODIA OSASCO Astiano. — Astigiano (rara). Osserv.— Questa specie s’avvicina all’ E. contorta De Ang. (1), ma quest’ultima, come posso arguire dagli esemplari da me esaminati, presenta quattro cicli di setti con dodici apparenti sistemi, mentre la mia specie presenta cinque cicli con 24 si- stemi apparenti. Balanophyllia italica (MicHm.). 1840-47. — Michelin, Iconog. zooph., pag. 46, tav. 9, fig. 15. (Caryophyllia). B. italica (Micun.) Var. gigantea, n. (fig. 2). Distinguunt hane varietatem a specie typica so qU notae: i “ Polyparium magnum, epitheca reductissima, columella “ reducta fere ut lamina spongiosa. “ Altitudo exemplaris imperfecti 30 mm., axis maior calicis “20 mm., minor 15 mm. ,. Astiano. — Astigiano (rara). Osserv. — Le maggiori dimensioni del polipieride non alte- rano il rapporto fra i varì diametri. Il calice appare molto com- presso, ma ciò in parte dipende dal grande sviluppo dei setti che comprimono la columella. L’epiteca è ridotta a leggero strato bianchiccio sopra alcuni punti presso la base. Alcune coste si ramificano a diversa altezza irregolarmente. Dendrophyllia digitalis BLarnv. 1840-47. — Michelin, Iconog. zooph., pag. 52, tav. 10, fig. 10. D. digitalis. Var. crassa, n. (fig. 27). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium crassum, magnis polypieridibus in tribus or- «“ dinibus, axis maior calicis 20 mm., minor 15 mm. Piacenziano. — Albenga (rara). Astiano. — Valle Andona, Pavone (Alessandria) (rara). Ossero. — I grossi polipieridi sono disposti, come nella Dendrophyllia digitalis, su linee spirali brevi, non continue, ma in soli tre ordini verticali. (1) De Aneenis, Corallari terz. Ital. sett., 1894, pag. 33, tav. 1, fig. 10. ac cdi dele ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 227 Dendrophyllia ramea (Linw.) (fig. 1). 1860. — Milne Edwards, Hist. nat. Corall., t. III, pag. 115. Atlas du regne animal de Cuvier (Zoophites), pl. 83, fig. 12, 1°. Piacenziano. — Zinola (non rara). Osservo. — Questa specie, vivente nel Mediterraneo, non fu ancora rinvenuta fossile. Berkeley Cotter (1), tra i fossili ter- ziarî dell'arcipelago di Madera, nomina la Dendrophyllia ramea BLAINv., ma riporta come tale la fig. del Michelin (2), la quale deve riferirsi alla D. taurinensis E. H. (3). . Trochocyathus arenulatus Ponzi (fig. 14). 1876. — Ponzi, / fossili del monte Vaticano, pag. 28, tav. 3*, fig. 14 a, bd. Piacenziano. — Zinola (raro). Il De Angelis (Boll. Soc. geolog. it., 1893, tom. XII, pag. 5) non accettò questa specie e la riunì al 7. mitratus (GoLDpr.) (4), ma gli esemplari da me studiati non lasciano dubbio sulla bontà della specie del Ponzi, e lo stesso De Angelis, in seguito allo esame degli esemplari da me comunicatigli, giudicò la specie ben caratterizzata. In vero, il mio esemplare differisce da quello del Ponzi per avere il peduncolo più fragile, e tutte le coste prolungate sino alla base; ma tali differenze probabilmente di- pendono dalla difettosa esecuzione dei disegni e dal grado di conservazione del fossile. Differisce questo polipieride dal 7. mi- tratus (GoLDe.) per i seguenti caratteri: calice quasi circolare; peduncolo gracile con cicatrice, piegato verso il piano del grande asse; coste disuguali, carenate, che si elevano in punta al di- sopra del calice; granuli più evidenti sulla teca; teca, setti e paluli molto più sottili, questi ultimi però alquanto più larghi, con margine superiore retto e non arcato, granuli dei setti e dei paluli più grossi, senza regolare disposizione. Le ora indi- cate differenze scompaiono in parte nelle forme di passaggio, (1) Comm. da comm. dos trab. geolog. du Portug., Tom. II, fase. II, pag. 234, 1892. (2) MicrELIN, Iconog. zooph., pag. 52, tav. 10, fig. 8, 1840-47. (3) Mrirne Epwarps et J. Hare, Ann. Sc. Nat., ser. 3*, tom. 10, pag. 99. (4) GoLpruss, Petref. German., pag. 52, pl. XV, fig. 5, 1826 (Z’urbinolia mitrata). 228 ELODIA OSASCO e quindi, pur tenendo separate le due specie, credo poter con- chiudere col De Angelis essere il 7. arenulatus Ponzi ùn derivato evolutivo del 7. mitratus (GoLpr.) o del 7. crassus (Micamt.) (1). Il 7. arenulatus Ponzi si avvicina al 7. affinis Reuss (2), ma se ne distingue per il peduncolo curvato verso il piano del grande asse e per la columella serialare; per questo carattere, e per avere il quarto ciclo di setti completo si distingue pure dal 7. Sismondae E. H. (3). Trochocyathus arenulatus Ponzi Var. turbinata, n. (fig. 15). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium turbinatum, costis maioribus minus promi- nentibus, atque minus elatis super calicem, ad calicem fortiter crispatis, quinto cyclo imperfecto, granulis septorum et palu- lorum maioribus. “ Altitudo 12 mm., axis maior calicis 17 mm., minor 15 mm. ,. K “ “ Piacenziano. — Zinola (rara). Trochocyatus arenulatus Ponzi Var. laevis, n. (fig. 16). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium nonnullis costis dilatis usque ad basem valde granulatam. “ Altitudo 11 mm., axis maior calicis 12 mm., minor S 1bammnioa: “ Piacenziano. — Zinola (rara). Paracyathus pedemontanus (Micam). 1840-47. — Michelin, /conog. zooph., pag. 47, t. IX, fig. 16 (Turbinolia). (1) MicazLotTI, Specim. zonph. diluv., pag. 69, t. III, fig. 1 (Turbinolia plicata). (2) Reuss, Korallen Miocins (Akad. zu Wien, XXXI, 1872, tav. II, fio. 12, 13). (3) Mine Epwarps et J. Hare, Annales des Se. Nat., 3* ser., tom. 9°, pag. 307, pl. 10, fig. 4. ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 229 Par. pedemontanus (Mican.) Var. alternicostata, n. (fig. 12). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium costis conspicuis alternis aequalibus. “ Altitudo 6-16 mm. ,. Piacenziano. — Viale (rara). Astiano. — Astigiano (non rara). Par. pedemontanus (Mican.) Var. Michelottii, n. (fig. 13). 1838. — Michelotti, Specim. 2ooph., t. III, fig. 3 (Turbdi- nolia cyathus). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: _ « Polyparium costis conspicuis ad marginem calicis; costae “ad basem substituuntur a granis ,. Astiano. — Astigiano (non rara). Oss. — Questa varietà corrisponde alla figura del Miche- lotti attribuita con dubbio al Paracyathus pedemontanus (Micun.) da M. Edwards e J. Haime. i Ceratotrochus duodecimcostatus (GoLpr.) (fig. 4). 1826. — Goldfuss, Petref. Germ., pag. 52, t. XV, fig. 6° (Turbinolia). | Piacenziano. — Castelnuovo d’Asti, Rocca d’Arazzo, Cor- tanzone, Viale; T. Torsero (Ceriale), Zinola, Albenga (abbon- dante). Astiano. — Astigiano (non raro). Osserv. — Molti autori diedero la figura di esemplari di questa specie e li descrissero; ma la sola figura 6° del Goldfuss si deve ritenere tipica, mentre la 6°, ed in generale tutti gli esem- plari di cui i vari autori diedero la figura, formano, se non una nuova specie, almeno una buona varietà (forma tipica fig. 4 della mia tavola; var. producta fig. 5 della stessa tavola). Gli esemplari veramente tipici sono tutti piacenziani; tutti astiani quelli ben caratterizzati della var. producta. Gli esemplari astiani che ho riferiti al tipo, ed i piacen- ziani che ho riferiti alla var. producta, sono forme di passaggio. Tale passaggio è meravigliosamente illustrato da due esemplari di Valenza, che dapprima si svilupparono tipicamente, e, dopo 230 ELODIA OSASCO un arresto di sviluppo, assunsero la forma della varietà; i gio- vani adunque, si direbbe per atavismo, riprodussero la forma tipica dalla quale deviarono col successivo sviluppo, assumendo i caratteri della varietà. Questo fatto può spiegare come certi autori abbiano potuto considerare la forma tipica come forma giovane. Che l'esemplare di cui do la figura sia adulto, è provato dall'aver il quinto ciclo di setti completo, con rudimenti del sesto; mentre tutti gli esemplari della varietà hanno solo il quinto ciclo completo. C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. producta n. (fig. 5). 1826. — Goldfuss, Petref. Germ., t. XV, fig. 6°. 1841. - Michelin, Iconog. zooph., t. IX, fig. 7. Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium productum, costis non cristatis, raris et “ laevibus asperitatibus ornatis; septis laxe sed incerte granu- “ latis; calice compresso. «“ Altitudo 45-60 mm., axis maior calicis 25 mm., minor pali 6 10 110 AGO Piacenziano. — Viale, Valenza, Rivarone (Aless.) (non rara). Astiano. — Astigiano (abbondante), Chieri (non rara). Osserv. — Degno di nota è l'esemplare (fig. 6) con gemma calicinale. L'individuo gemmante è normalmente sviluppato, mentre la gemma, che per metà oblitera il calice del primo, presenta forma quasi cilindrica, calice circolare, sviluppo in- completo. I due polipieridi però non sono individualizzati che da un lato. C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. floriformis n. (fig. 7-8). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium parvum, floriforme, saepe rectum, peduncu- “ latum, vulnere basilari, calice rotundo vel tenuiter compresso, “ laevissime expanso; septis ornatis granis prominentissimis “ sine lege dispositis, septis minoribus faciem dentatam prae- “ bentibus. «“ Altitudo 11-12 mm., axis maior calicis 4 mm., minor *.12 mm. ; ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 231 Piacenziano. — Zinola, Albenga (non rara). Osservo. — Uno degli esemplari (fig. 8) ha sole nove coste principali e corrispondentemente nove setti più sviluppati. Però si possono rinvenire le tre coste ed i tre setti che si sono ar- restati nello sviluppo; essi dividono i mezzi sistemi di setti in due parti disuguali, l’una tipicamente sviluppata, l’altra con solo tre setti e tre coste. Il passaggio dalla specie alla varietà è graduale. C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. expansa, n. (fig. 9). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium parvum, pedunculatum, vulnere basilari; co- “ stis subaequalibus, non cristatis, valde conspicuis ad marginem “ calicis, paullum ad basem; calice expanso. « Altitudo 10-15 mm., axis maior calicis 14 mm., minor "Pb amm. ;. Piacenziano. — Viale, Rivarone (Alessandria) (non rara). Osservo. — La piaga basilare, la grandezza e la disposizione dei granuli sui setti avvicinano questa varietà alla varietà /lor?- formis, ma le coste subeguali ne la distinguono. Queste coste, che verso il calice formano un collare frastagliato, distinguono la varietà dal C. anceps. MrceETT. (1). Ceratotrochus multispina (MicatT.). 1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 71, t. II, fig. 6 (Turbinolia multispina). C. multispina (Micamt.) Var. laevis, n. (fig. 10). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium costis aliquantum rugosis non spinosis. “ Altitudo 10-11 mm., axis 7-8 mm. ,. Piacenziano. — Zinola (non rara). Osserv. — Questa varietà differisce dal C. typus (Sec.) (2) per (1) Siswonpa, Mat. paleont., Mem. R. Acc. delle Sc. di Torino, 1871, Serie II, tom. XXV, pag. 343, tav. VII, fig. 20-21. (2) 1864. Secuenza, Disquisiz. paleont., pag. 85, t. X, fig. 1, a, db, c, d. 232 ELODIA OSASCO aver le coste rilevate e disuguali (tra 2 maggiori alternano 3 minori), per aver sei setti maggiormente elevati sul bordo del calice, piaga basilare minore e non concava. Ceratotrochus multiserialis (Micam.). 1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 70, t. II, fig. 7 (Turbinolia). C. multiserialis (MrcamT.) Var. miopliocenica n. (fig. 11). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium costis paullum undulatis, non tuberosis ,. Piacenziano. — Bussana (rara). Osserv. — Si distingue dal C. typus (SEc.) per avere le coste più rilevate ed alternate una piccola con una grande. Si distingue poi dal C. multispina (MrcntT.) Var. laevis Osc. per avere le coste alternativamente uguali, ed i setti maggiori ‘ non elevati sul calice. Flabellum Peolae n. sp. (fig. 23 a-b, 24). “ Polyparium pedunculatum, compressum; lateribus com- “ pressionis inaequalibus, altero latere instar semicycli, convexo, altero multum minore, concavo; rugis transversis, costis nu- “ merosis, nodosis atque elatioribus in tribus cyclis prioribus, “ aliquantum in quarto ; exterioribus dispositis ad angulum 160°; “ fossula valde compressa, arcuata; septis subtilibus, auctis in “ interna parte, paullum granulatis, malthatis; sex cyclis, se- ptimo rudimentali, septis trium cyclorum priorum aequalibus, vigintis quatuor systematibus apparentibus; sine columella vel columella rudimentali ,. PS [ai ES Piacenziano. — Monte Castello (Alessandria) (non raro). Osserv. — Distinguono questo Flabellum dal F. vaticani Ponzi (1891, De Angelis, Boll. Soc. geolog. ital., vol. XII, pag. 8) la minor concavità della faccia minore, la convessità della grande faccia di compressione, il numero minore delle coste principali, la diversa direzione delle coste esterne, i setti del 4° ciclo minori, la maggior compressione, la minor ampiezza dell’arco formato dal margine del calice. ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 233 Flabellum avicula (MricamT.). 1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 58, tav. III, fig. 2 (Turbinolia). Fl. avicula (MicamT.) Var. ornata n. (fig. 19-20). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium costis planis, numerosissimis, paullum appa- “ rentibus, nonnullis maioribus; costis exterioribus cristatis, “ nullis ad calicem, formantibus angulum 70°-90°; epithecio “ multum striato; calice compressiore. “ Altitudo exemplaris imperfecti 27 mm., axis maior ca- “ licis 34 mm., minor 14 mm. ,. Piacenziano. — Albenga (non rara). Astiano. — Astigiano (rara). Osservo. — Differisce dal Fl. Hohei E. H. (1) per forma ed ornamentazione delle coste, per l’angolo formato dalle coste esterne. Si potrebbe forse identificare col Fl. australe Mosel. (2), ma non potendo osservare individui di detta specie, mi trattengo dal riferire la forma fossile alla vivente, e tendo a credere sia forma di passaggio tra l’avicula e l’australe. Fl. avicula (MicHmT.) Var. erecta n. (fig. 24). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae : “ Polyparium elatum, costis lateralibus una crista ornatis iuxta basem, formantibus angulum 70°; calice restricto, extre- “ mitatibus axis maioris rotundatis. “ Altitudo 30 mm., axis maior calicis 30 mm., minor SNO NIN... “K Piacenziano. — Torrente Pogliola (Mondovì) (rara). Osservo. — Differisce dalla var. ornata (fig. 19-20) per essere più allungata e ristretta, per aver le coste meno numerose, più spiccate e non pianeggianti, per aver le coste laterali ornate da una sola cresta verso la base. La specie e le due varietà nello stato giovanile si distinguono difficilmente. (1) 1826. GoLpruss, Petref. Germ., t. 37, fig. 17 (Turbinolia). (2) 1881. CnaLrenaer, Zoology, vol. II, part. VII; Coral., Moseley, pag. 173, pl. VII, fig. 4-5. 234 ELODIA OSASCO Flabellum avicula (Micamt.) Var. subroissyana n. (fig. 22). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae : “ Polyparium elatum, restrictum, paullum compressum ad calicem, duodecim costis tuberculatis, externis tuberculatis non alatis, extremitatibus axis maioris rotundis; fossula magna profunda, columella rudimentali. “ Altitudo 30-35 mm., axis maior calicis 35 mm., minor 20 IATA. ga Piacenziano. — Monte Castello (Alessandria), Rivarone (Alessandria) (non rara). Osserv. — Distinguono questo Fladellum dalla var. erecta la minore compressione del calice, le coste più spiccatamente tubercolate, e quelle esterne tubercolate e non alate. Lo distinguono dal Fladellum roissyanum E. H. (1) la mi- nore compressione, gli estremi del grande asse arrotondati, la columella rudimentale. Malgrado questo Flabellum sia più vicino al Y. roissyanum E.H. che all’avicula (MicatT.) e malgrado sia forse identico al- l'esemplare dal Reuss riferito al Y. roissyanum E. H. (2), persisto a considerarlo come varietà di Y. avicula (MrcHTT), perchè tendo a credere che il f. roissyanum E. H. non sia esso stesso che una varietà di F.avicula; ciò arguisco dal confronto di queste due specie (3), dalle quali risulta non trovarsi fra esse altro carat- tere distintivo che quello della ornamentazione delle coste, ca- rattere che è ben lungi dall'essere in esse costante. Però la pessima conservazione degli esemplari di /. roîssyanum E. H. che m'è dato osservare, non mi permettono di definire la que- stione. Flabellum trapezoidale n. sp. (fig. 25 a-d). “ Polyparium pedunculatum, specie trapetii, paullum com- “ pressum, epithecio laxe plicato, nonnullis rugis elatioribus; (1) Mrcne Epwarps et J. Hare, An. S. Nat., 3* ser., tom. 9, pag. 268. (2) Reuss, Koral. Miocdns, tav. IV, fig. 11 (Akad. zu Wien, XXXI, 1872). (8) Micne Epwarps et J. Hare, Ann. S. Nat., 1848-49, 3° serie, t. 9, pag. 263 e 268. | ALCUNI CORALLARI PI.IOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 235 “ costis numerosis, teriuibus, planis, exornatis; exterioribus ad “ basem cristatis; calice elissoidali, axe maiore paullum subter “ minorem, extremis rotundis; fossula magna, profunda; septis “in quinque cyclis perfectis et rudimentis sexti, tenuibus, ela- “ tioribus et spinosis in media parte, exornatis seriebus gra- “ nulorum parallelis lateri libero; viginti quatuor systematibus “ apparentibus; columella exigua. “ Altitudo 36 mm., axis maior calicis 50 mm., minor ESS Nin, ,. Piacenziano. — Monte Capriolo (raro). Osservo. — Gl’individui giovani, come si può argomentare dalla base del polipaio, devono aver forma d’un ventaglio con l'apertura eguale a mezza circonferenza, mentre l’arco formato dal margine libero del calice, non misura che un terzo di cir- conferenza. Fl. trapezoidale Osc. Var. semiovoidalis n. (fig. 26). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: “ Polyparium semi-ovoidale, costis lateralibus tuberculatis, “ fossula magna, expansa, paullum profunda; septis validis, elatis in media parte supra calicem, seriebus granulorum con- “ fusis, quinto cyclo imperfecto. “ Altitudo 36 mm., axis maior calicis 45 mm., minor Ji nm.,. Piacenziano. — Monte Capriolo (rara). 236 DD TWD . Dendrophyllia ramea (Linn) ] Cladocora Michelottii E. H. . Ulangia foecunda Michtt. . . . Astrocoenia ornata (Michtt.) (2) . Caryophyllia clavus Scacch. . Coenocyathus affinis De Ang. (3). . Trochocyathus crassus (Michtt.) to” . T. arenulatus Ponzi, Rel 7, nucopia (Michtt.) . T. obesus (Michtt.). . Stephanocyathus elegans Segu.? . Paracyathus pedemontanus (Michn.) . P. pedemontanus ( Michn.), . Ceratotrochus ELODIA OSASCO ELENCO DEI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA . Corallium rubrum Costa . Eupsammia contorta De Ang. . porosissima Osc. : Balanophyllia italica (Michn.). E » Var. gigantea Osc. . Stephanophyllia imperialis Michn. 5 elegans Michn (1) . Dendrophyllia cent Blainv. var. crassa Osc. È Michelini Michtt. . 3 cornigera (Esper.) amica (Michtt.). 5 granulosa (Goldf.) È prevostana E. H. , calix Michtt. . a cilindricus E. H. bi arenulatus Ponzi . » n var. turbinata Osc. ea, var. laevis Ose. var. al- ter sicostatia Osc. 0) ter var. Michelottii Osc. . h 3] INTE (Goldf.)..cartk (Re: duodecimeostatus (Goldf. ), var: producta Osc. ? IT ? ii .\? Tortoniano ? + ‘eg ? . C. duodecimcostatus (Goldf. ) var. floriformis Osc.. i, PIACENZIANO Viale, Zinola Zinola Viale, T. Tor- sero, Zinola \ Castelnuovo, ;Zinola, Savona, Albenga Albenga, Zinola, Valle Andona Zinola Zinola, Savona Zinola Zinola Zinola, Savona Zinola ? Zinola? Zinola \ Zinola, Alben- ! ga, R. Torsero ( Chieri, Zinola, . R. Torsero, Albenga Zinola Zinola Viale, Bussana Zinola Zinola Zinola Bussana Bussana Montecastello, Zinola. Zinola } Viale + ‘abbondante ovunque { Viale, Valenza, it Rivarone Zinola, Albenga ASTIANO Astigiana n » n » n Pavone (Aless.) Astigiana n »n n n n» n Astig., Chieri Mediterraneo + - FE LL ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 237 Ù (©) ELENCO a El DEI da a CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 8 PrAcENZIANO AstIANO 53, È » E DELLA LIGURIA i E 35. C. duodecimcostatus (Goldf.), var. expansa Ose. . . . + | |Viale, Rivarone | Rocca d’Arazzo, 36. Ceratotrochus anceps Michtt. . i giince Cornaré (Astig.) . Torsero 37. È multispina (Michtt.)+-| Zinola, Savona 38. L s var.laevis Osc.| + Zinola 39. Ceratotrochus multiserialis(Micht.)|4 Bussana 40. = ; var. mioplio- Lonica O86, EST TT, .|+ Bussana 41. Ceratotrochus typus (Seg.) . .I+ Zinola 42. Desmophyllum elatum De Ang. . Zinola | 43. Flabellum pavonium Lesson.?. . Montecastello 44, > vaticani Ponzi? e Montecastello 45. di Peolae Osc. PES. Montecastello 46. 3 extensum Michn. var. distincta B.H. . . . . ; R.Arazzo, Zinola Astigiana 47. ‘ intermedium E. H. .-+| Viale, Zinola + O, 48. È avicula (Micht.) .|-+|/Viale, Albenga, n Bussana 49. n s var ornata Osc.| + Albenga n 50. bi È , erecta Osc. .| |Torr.t® Pogliola 51. » È » Subroissyana a n A, ivarone 52. Flabellum Hohei E. H. . .|+| Viale, Albenga Rivarone, 58. È roissyanum E. H. .|t gna ontecastello Zinola, Pigna li ; majus E. H. d’Andora, | Albenga 55. £ trapezoidale Osc. Monte Capriolo 56. È È var. | semiovoidalis Osc. . Monte Capriolo Castelnuovo 57. Flabellum Woodii E. E. deg ViliAmiio; Vial, | Zinola 58. 3 siciliense E. H. ; Rivarone Aa [cachi i A acutum E. H. . .+| Mov 60. È. Michelini E. H. . Viale, Zinola (1) Alcuni esemplari raggiungono un diametro di 20 mm., la teca si presenta talora piatta od anche concava, e piccole costicine appaiono tal- volta sui setti. Onde la S. elegans Michn. qualche volta difficilmente si distingue dalla S. imperialis Michn. (2) Gli esemplari che ho esaminati hanno i setti maggiori in numero di 10. Il M. Edwards e J. Haime ed il De Angelis notano nell’A. ornata Atti dela R. Accademia — Vol. XXXI. 18 238 ELODIA OSASCO — ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI, ECC. (Micht.) soli 8 setti principali, ma essi riportano nella specie la fig. del Michn. ed in questa, come in quelle del Sismonda e del Reuss i setti principali appaiono in numero di 10. (3) In generale gli esemplari da me esaminati hanno le coste meno evidenti e le pieghe dell’epiteca più pronunciate che non quelli dei quali il De Angelis dà la figura. Do new 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. IN. 18. 19. 20. 21. 22. 23 a. 23 d. 24. DIE) 25 db. 26. 27. 4 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA . Dendrophyllia ramea (L.). . Balanophyllia italica (Michn.) var. gigantea Osc. Eupsammia porosissima Osc. . Ceratotrochus duodecimcostatus (Goldf.). * i I ù var. producta Osc. ”» ” ” ”» ” ” n (esemplare con gemmazione calicinale). . Ceratotrochus duodecimcostatus (Goldf.), var. floriformis Osc. XK 2. A n 4 = » (calice) X2. d 3 Brranais Ose. X 2. RATA (Micht. là var. laevis Osc. X 2. 4 multiserialis (Micht.), var. miopliocenica Osc. XK 2. Paracyathus pedemontanus (Michn.), var. alterni-costata Osc. XK 2. x var. Michelottii Osc. (esemplare con n gemma calicinale) X 2. Trococyathus arenulatus Ponzi (calice) X 2. È n var. turbinata Osc. X 2. s var. laevis Osc. XK 2. Cargophillia sia Scacchi (esemplare con gemmazione calicinale) X 2. Desmophyllum elatum De Ang. (esemplare con scissione) X 2. Flabellum avicula (Micht.), var. ornata Osc. n È A ; a z » (esemplare giovane). A } 4 » erecta (Osc.). Ò x » subroissyana Osc. Pelo Osc. (lato maggiore convesso). ”» A A s (interno). 2 è »s (giovane mostrante il lato minore concavo). = trapezoidale Osc. Ù A s (calice). S n var. semiovoidale Osc. Dendrophyllia digitalis Blainv., var. crassa Osc. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. MI OSASCO ELODIA z LZ 44 , o, 7 i Qui della R. Ace: delle Scienze, di Gorino. Vol XXXI. E.FORMA- FOT. CHA aotaiAsarizAiano 239 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 22 Dicembre 1895. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe, Preyron, Rossi, BoLLati pi Sarnt-PIERRE, Prezzi, NANI, GRAF, CrpoLLa, Brusa, PeRRERO, ALLIEvo e FerRERO Segretario. Il Socio Segretario presenta, da parte degli autori, i se- guenti opuscoli: “ Malais et Siamois: De l’esclavage dans la presqu'île malaise au XIX° siècle , (Paris, 1874); “ Madjapaht et Tchampa , (Paris, 1895) del Socio Corrispondente Prof. Ari- stide MarRE; “ Vittoria Colonna in Orvieto durante la guerra del Sale ,, del sig. Domenico ToRpi. Il Socio CreoLra legge un suo lavoro intitolato: “ Brevi appunti di storia movaliciense ,, di cui la Classe approva la stampa nelle Memorie accademiche. 240 LETTURE ._—_—— Sunto della Memoria: Brevi appunti di storia novaliciense; del Socio CARLO CIPOLLA. Sotto questo titolo raccolgonsi dieci paragrafi, di piccola estensione, destinati a completare in qualche modo le quattro Memorie pubblicate dall’autore nel vol. XLIV delle Memorie sul- l’antica storia letteraria dell'abbazia della Novalesa. Nel primo paragrafo, mentre si appongono le regioni per le quali i Franchi cooperarono ad accrescere la potenza dell'abbazia, si parla pure degli ultimi giorni di, essa. Della visita fatta alla medesima dal Mabillon è parola nel $ II. Nel III, che è il più lungo, si discorre del frammento Novaliciense di un diffuso Commento alla Regula monachorum di S. Benedetto, e lo si pone in correlazione con quello compilato nel sec. VIII da Paolo Diacono, e con quello di Ildemaro, monaco del IX secolo. Di quest’ultimo Commento esiste una edizione preparata dal P. Ruperto Mittelmiiller nel 1880 sopra vari codici tedeschi. Qui si prende in esame parti- colarmente il codice Parigino, già usufruito in parte dal Mabillon e dal Martène. L'Autore giunge alla conclusione che il frammento Novaliciense non si può identificare nè col Commento Paolino, nè coll’Ildemariano, ma appartiene ad un Commento, che non è rappresentato da nessun codice finora conosciuto. Nel $ IV si ricorda che parecchie istituzioni ecclesiastiche ebbero in uso di tenere un libro de computo, quale ebbe anche la Novalesa. Si discorre nel $ V di un inventario di documenti Nova- liciensi, compilato sul cadere del secolo scorso dall’abate Sineo. Nel $ VI si fa cenno di due nuovi inventari di reliquie. Fassi pa- rola nel VII di due iscrizioni dipinte nella cappella di S. Eldrado alla Novalesa. Sotto il $ VIII si raccolgono varie notizie di 241 storia Novaliciense, e particolarmente si espongono le varie opinioni emesse sulla patria di S. Eldrado. Degli studi fatti sull’abazia dall'abate Fabrizio Malaspina, al principio del secolo attuale, vien fatto breve ricordo nel $ IX. Nel $ X vengono raccolti i regesti di parecchi documenti, appartenenti all'antico archivio dei Provana di Leynì, in servizio degli studi per determinare la cronologia degli abati della Novalesa. Detto archivio trovasi attualmente in Pianezza, ed è proprietà dei signori Fontana, i quali, con squisita gentilezza, permisero che le carte di quel- l'archivio venissero compulsate in vantaggio degli studi. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. —__ ——————>»—>——_>Nnh\ PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 1° al 15 Dicembre 1895. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. * Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. S&chsischen Gesell- schaft der Wissenschaften. Bd. XXII, n.° 2, 3. Leipzig, 1895; 8°. * Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 8-9. Paris, 1895. * Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, disp. 108. Venezia, 1894-95; 8°. Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 22, 23. Roma, 1895; 8°. * Comptes-Rendus sommaires des séances de la Société philomatique de Paris, 23 novembre 1893, n. 3. Paris; 8°. ** Erlinterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den Thiiringischen Staaten. 59, 65 Liefer. Gradabth. 31, 33; n. 1-3, 7-9, 13-15; 11, 12, 17, 18. Berlin, 1895; 8° e fo. * Johns Hopkins University Circulars. Vol. XV, n. 122. Baltimore, 1895; 4°. * Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 4. Venezia, 1894; 4°. * Observations faites à l’observatoire météorologique de l’Université Impé- riale de Moscou; janvier 1894-mars 1895; 8°. * Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. N. VII, VIII, July, August 1895. Calcutta, 1895; 8°. * Proceedings of the Royal Society. Vol. LVIII, n. 352. London, 1895; 8°. * Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. IX, fasc. VI. Pa- lermo, 1895; 8°. * Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XIV, n. 11. Torino, 1895; 8°. * Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 11. Modena, 1895; 8°. * Verhandlungen Physikalisch-Medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 1895, N. F., XXIX Bd., n. 2-5. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 243 * Dall’ Università di California in Berkeley: Fairbanks (H. W.). On Analcite Diabase from San Louis Obispo Co., Ca- lifornia. Berkeley, 1895; 8°. Hesse (F. G.). Hydraulic Step. Berkeley, 1887; 8°. — An address on industrial mechanics. Berkeley, 1875; 8°. — Results of Tests for tensile strength, etc., of crucible basic, and gal- vanized basic Steel Wire Ropes, ecc.; 8°. Hilgard (E. W.). Lecture of the phylloxera or grape vine louse. S. Fran- cisco, 1875; 8°. — Alkali Lands, irrigation and drainage in their mutual relations. Sacra- mento, 1892; 8°. Holden (E.). A brief account of the Lick Observatory of the University of California (2 edit.). Sacramento, 1895; 8°. Jackson (A. W.). On the building Stones of California. Berkeley, 1888; 8°. Lawson (A. C.). The Geomorphogeny of the Coast of Northern California. Berkeley, 1894; 8°. Report of the Viticultural Work during the seasons 1887-89, with data regarding the vintage of 1890. Part I. Red-Wine Grapes. Sacramento, 1892; 8°. Report of Work of the agricultural experiment Stations of the University of California, for the year 1892-93 and part of 1894. Sacramento, 1894; 8°. Shinn (M. W.). Notes on the Development of a Child. Part II. Berkeley, 1894; 8°. Stringham (J.). Class-Room notes on uniplanar kinematics; 8°, Galilei (Galileo). Le opere. Ediz. naz.!*, vol. V. Firenze, 1895 (Dono del Ministero dell’Istr. Pubb.). Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Dall’8 al 22 Dicembre 1895. _ * Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, 1895, n. 23; 8°. * Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVII, cuad. VI. Madrid, 1895; 8°. * Bollettino delle Pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa (Bibl. Naz. Centr. di Firenze); 1895, n. 239; 8°. * Calendar (The) 2554-5 (1894-95). Tokyo, 2555 (1895); 8° (dall’Imperiale Università di Tokio). 244 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Journal of the Asiatic Society of Bengal. Vol. LXIII. Part I, History Literature, n. 2. Calcutta, 1895; 8°. * Nachrichten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòottingen. Philologisch-historische Klasse, 1895, Heft 4; Geschiftliche Mitthei- lungen, 1895, Heft 2; 8°. * Notulen van de Algemeene en Bestuurs-Vergaderingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XXXIII, Afelv. 2, 1895. Batavia; 8°. * Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., Anno IX, Aprile a Giugno 1895. Napoli, 1895; 8°. * Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen, etc.; Deel XXXVIII, Afelv. 6. Batavia, 1895; 8°. * Verhandelingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Weten- schappen. Deel L, 1 Stuck. Batavia, 1895; 8°. * Dall’ Università di California in Berkeley: Academic Senate of the University of California — Memorial of professor J. Le Conte. Berkeley, 1892; 4°. Addresses Commencement Day. May 17, 1893. Berkeley; 8°. Blue (The) and Gold hand book of the University of California. San Fran- cisco, 1886; 8°. Bulletin (Library) N° 9, 12. Berkeley, 1887, 1394; 8°. Library of the University of California. Contents-Index. Vol. I. Berkeley, 1889-90; 8°. Register of the University of California. Berkeley, 1893-94; 8°. Report (Annual) of the Secretary to the Board of Regents of the Univer- sity of California, for the year ending june 30, 1894. Sacramento, 1894; 8°. Report (Biennal) of the President of the University on behalf of the board of Regents, to his Excelleney the Governor of the State, 1893. Sacra- mento, 1894; 8°. Allievo (G.). Lo Stato educatore ed il Ministro Boselli. Torino, 1889; 8° (dall’A.). — Un educato anonimo. Torino, 1890; 8° (Id.). — Il Ministro Boselli e la legge. Torino, 1890; 8° (Zd.). Barnabei (F.). Delle scoperte di antichità nel lago di Nemi; Relazione. Roma, 1895; 4° (Id.). Meerens (Ch.). A propos de la Mélopée antique dans le chant de l’Église latine par F. A. Gevaert; Commentaires. Bruxelles, 1896; 8° (Id). Wallon (H.). Notice sur la vie et les travaux du commandeur Jean Bap- tiste De Rossi. Paris, 1895; 4° (Id.). Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. Rec°d.28 Ju:y--12 Sapt. 1896 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 29 Dicembre 1895. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, Bizzozero, FERRARIS, Mosso, GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, VoLteRRA, JADANZA, Foà e Naccari Segretario. Viene letto ed approvato l'Atto Verbale dell’Adunanza precedente. Il Socio Mosso, anche a nome del Socio Bizzozero, legge la Relazione sulla Memoria del Dott. Alberico BENEDICENTI “ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell’uomo ,. Approvata questa Relazione, che è favorevole, si ammette alla lettura e si accoglie nei volumi delle Memorie lo scritto anzidetto. Parimenti viene accolto nei volumi delle Memorie in seguito a Relazione favorevole letta dal Socio GrBELLI, anche a nome del Socio CamerANO, la Memoria del Conte Ugolino MARTELLI: «“ Flora della Sardegna in continuazione di quella del Moris (Orchidee) ,. Le note seguenti vengono poi accolte per l'inserzione negli Atti : 1° “ La pressione nell'azione dell’acqua sul quarzo ,; nota del Socio SPezIA, presentata dal Socio CAMERANO; 2° “« Sull’origine dei corpi grassi negli Anfibi ,; nota del Dott. E. GiaLio-Tos, presentata dal Socio CAMERANO. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 19 246 GIORGIO SPEZIA LETTURE La pressione nell’azione dell’acqua sul quarzo; Nota del Socio GIORGIO SPEZIA. L’osservazione se la solubilità del quarzo nell’acqua sia dipendente più dalla temperatura o più dalla pressione non può a meno d’interessare la geologia per la grande diffusione in natura e per l’importanza litologica del detto minerale. Perciò ho intrapreso alcune esperienze in proposito; ma essendo ne- cessario parecchio tempo per ultimarle, credo utile di porgere con questa prima nota i risultati di quelle esperienze, le quali ‘ si riferiscono all’influenza della pressione nella soluzione del quarzo a temperatura ordinaria. Da quanto mi consta, per ricerche bibliografiche, l’unica esperienza eseguita, sull’influenza della pressione nella solubilità del quarzo a temperatura ordinaria, fu quella di Pfaff (1), il quale avrebbe trovato che, alla temperatura di 18°, colla pres- sione di 290 atm. e col tempo di 4 giorni, 1 parte di quarzo si scioglierebbe in 4700 parti d’acqua. Ora detta solubilità alla sola temperatura di 18° è troppo grande in confronto della silice disciolta in molte acque mine- rali. Infatti per detta solubilità un’acqua dovrebbe contenere su 1000 parti 0,213 di Si O?, la quale quantità sarebbe di molto maggiore ‘a quella che le analisi assegnano alle acque minerali, anche termali assolute, sia solforose, sia ricche di carbonati alcalini o ricche di acido solforico e cloridrico liberi. Soltanto le acque prettamente geiseriane, che sono anche le più calde, conterrebbero maggior quantità di silice di quella fornita dal- l’esperienza di Pfaff. Per tale considerazione bisognerebbe conchiudere che le acque minerali, con minore quantità di silice di quella indicata (1) Allgemeine Geologie als eracte Wissenschaft, 1873, pag. 311. e e LA PRESSIONE NELL'AZIONE DELL'ACQUA SUL QUARZO 247 dall'esperienza di Pfaff, l'avessero perduta prima di giungere alla scaturigine per la diminuzione e scomparsa della forte pressione la quale, secondo l’esperienza, era causa della solu- bilità della silice. Ma tale conclusione renderebbe difficile lo spiegare come le acque geiseriane contengano maggiore quantità di silice di quella trovata nell’esperienza, sebbene anch’esse abbiano perduto alla loro scaturigine la pressione che dovrebbe essere necessaria per la solubilità della silice. D'altronde per altre mie esperienze, p. es. quelle pubblicate a riguardo dell’Apofillite, dalle quali risultava che la solubilità dipendeva essenzialmente dalla temperatura e non dalla pres- sione, io era indotto a credere che anche per la solubilità del quarzo dovesse accadere lo stesso, considerando che in natura le acque minerali più ricche di silice sono quelle che hanno maggior temperatura. Per le anzidette ragioni mi venne un dubbio sul valore dell'esperienza di Pfaff, e la descrizione del modo con cui fu eseguita l’esperienza mi persuase, che il risultato di essa po- tesse essere erroneo per cause dipendenti dal processo speri- mentale. Pfaff per la sua esperienza ridusse in polvere grossolana il quarzo, quindi pose 140 milligrammi di essa in un piccolis- simo imbuto di carta da filtro il quale fu legato e mantenuto chiuso con filo di rame inargentato. Detto imbuto fu messo nella cavità di un cilindro di ferro, contenente 20 grammi d’acqua, sospendendolo con un sottile filo appena sotto alla superficie dell’acqua. La cavità del cilindro, contenente l’acqua e l’imbuto colla polvere, fu chiusa con una lastra di ferro so- praccaricata di un peso corrispondente alla pressione di 290 atmosfere; poi l'apparecchio così combinato fu riscaldato in modo che la temperatura sua salisse da 8° che aveva, a 18°. Quindi Pfaff calcolò la pressione dovuta all'aumento di volume dell’acqua per i 10° di maggior temperatura, tenendo conto anche dell'aumento di volume del ferro; la quale pressione aveva naturalmente per limite il peso che serviva alla chiusura del cilindro. L’autore nel descrivere il modo di esperienza non indica i dettagli relativi alla pesatura dell’imbuto di carta. Ad ogni modo 248 GIORGIO SPEZIA mi parve che il procedimento dell'esperienza non fosse scevro di cause di errore, massime perchè si trattava di sostanza ri- dotta in polvere e di carta da filtro la quale rimanendo per 4 giorni, che tale fu la durata dell’esperienza, sotto forte pres- sione poteva per sola azione fisica spappolarsi leggermente ed anche diventare porosa in modo da perdere qualche grano di | polvere. i Perciò io credetti opportuno di ripetere l’esperienza, sulla solubilità del quarzo nell'acqua con grande pressione e con temperatura ordinaria, adottando un altro procedimento che escludesse le supposte cause di errore. Invece di adoperare il quarzo ridotto in polvere ho fatto uso di una lamina di quarzo; perchè se un corpo è insolubile, , la riduzione in polvere non può renderlo solubile; se per contro è solubile, la polverizzazione serve soltanto per aumentare la velocità di soluzione; ossia, aumentando la superficie di contatto del corpo col liquido solvente, la soluzione si farà in minor tempo, sempre inteso che il liquido sia in quantità tale che non venga, per saturazione, impedita la continua azione solvente. Perciò gli effetti finali di soluzione che si ottengono col trattare il corpo ridotto in polvere, si debbono anche ottenere con una lamina a larga superficie ed impiegando maggior tempo. Con tale criterio feci due esperienze, impiegando materiale tolto da un cristallo di quarzo, del Delfinato, perfettamente limpido. Nella prima esperienza la lastra di forma rettangolare fu lavorata in modo, che le superfici non fossero levigate ma ru- gose mediante una fina smerigliatura; ciò feci per rendere più facile il contatto dell’acqua col quarzo. La lastra così preparata aveva il peso di grammi 11,6641 e la superficie complessiva di 2206 millimetri quadrati; essa fu posta in un tubo d’argento contenente l’acqua distillata e con lo stesso modo di sospensione e cogli stessi apparecchi di pressione già descritti nell'esperienza sulla solubilità dell’Apo- fillite (1). La lastra fu mantenuta alla pressione di 1750 atmosfere dall’11 luglio al 14 dicembre 1894, ossia per 5 mesi e 3 giorni (1) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXX, pag. 455. LA PRESSIONE NELL’AZIONE DELL'ACQUA SUL QUARZO 249 e la temperatura massima, che era quella dell'ambiente, fu di 25°. Terminata l’esperienza e pesata nuovamente la lastra di «quarzo, non trovai assolutamente alcuna differenza di peso, questo fu ancora di gr. 11,6641. Oltre a ciò, per questa prima esperienza versai l’acqua, contenuta nel tubo d’argento e la cui quantità era di 45 grammi, in una capsula di platino pre- _viamente pesata; feci evaporare l’acqua e non ebbi residuo alcuno. Perciò da questa prima esperienza mi risultò che alla tem- peratura di 25°, alla pressione di 1750 atmosfere ed in 5 mesi e 3 giorni di tempo il quarzo rimase perfettamente insolubile nell’acqua. Una seconda analoga esperienza fu da me eseguita non più con una lastra a superfici rugose, ma perfettamente levigate; onde approfittare della proprietà che hanno i corpi, sotto l’a- zione di solventi, di presentare figure di corrosione, le quali anche minime dovevano, osservate al microscopio, palesarmi qualunque piccolissima traccia di soluzione. A ciò fui indotto dal fatto di avere osservato, facendo alcune esperienze prelimi- nari sulla solubilità del quarzo con alta temperatura, che le lastre, oltre alla perdita in peso presentavano distinte figure di corrosione. La figura annessa allo scritto rappresenta appunto, ingrandita, l'apparenza di una lastra di quarzo, la quale, previa- mente levigata, fu tenuta nell’acqua per 15 giorni alla tempe- ratura da 230° a 240° e soltanto colla pressione corrispondente alla tensione del vapore acqueo per detta temperatura. La su- perficie della lastra rappresentata è parallela all’asse principale e la maggior lunghezza delle singole figure di corrosione è normale ad esso. La lastra della seconda esperienza era parimenti tagliata parallelamente all'asse principale ed a superfici, come ho detto, levigate; essa aveva il peso di grammi 1,5545 con una super- ficie totale di 994 mill. q. La lastra fu mantenuta nell’acqua sotto la pressione di 1850 atmosfere dal 10 luglio al 14 di- cembre 1895, ossia per 5 mesi e 4 giorni e la temperatura dell'ambiente non superò i 27°. Noto poi che ebbi l'avvertenza di rendere le superfici della lastra tali, che l’acqua vi aderisse perfettamente. Perchè si sa f 250 GIORGIO SPEZIA — LA PRESSIONE NELL’AZIONE, ECC. che sovente sopra le superfici levigate l’acqua si comporta come se la superficie fosse ‘unta, ossia si contrae e non aderisce. Anche in questa seconda esperienza trovai che la lastra nè aveva perduto di peso, nè l'osservazione microscopica accen- nava menomamente a traccie di figure di corrosione. La man- canza di queste costituendo già un controllo della pesatura mi indusse a tralasciare in questa esperienza di fare evaporare l’acqua per vedere se essa lasciasse residui. Nelle mie esperienze, in paragone di quella di Pfaff, io aumentai d’intensità la causa, supponendo che la pressione fosse la causa della solubilità del quarzo nell'acqua, e procurai di raccogliere un effetto più grande colla più lunga durata del- l’esperienza, per la funzione che ha il tempo di accumulare maggiore quantità di effetto in modo, che un effetto stabile, se realmente è prodotto da una causa continua, diventa, per mi- nimo che esso sia, visibile e ponderabile per la sua quantità accumulata. Non pertanto le mie esperienze diedero un risultato contrario a quella di Pfaff; ma ritengo che il diverso risultato ottenuto da Pfaff debba attribuirsi al modo tenuto nell’espe- rienza, il quale, massime per l’impiego della carta, poteva dare luogo ad errori, che furono invece evitati col procedimento da me usato. Nè credo si possa addurre come causa di differenza di ri- sultato, fra l’esperienza di Pfaff e le mie due, il fatto d’avere io sperimentato sul quarzo in lastra invece di ridurlo in polvere. È vero che i granuli, costituenti la polvere di quarzo del peso di 140 milligrammi impiegata da Pfaff, potevano, supponendoli del volume di un cubo di 0,1 di millimetro di lato, rappresen- | tare la superficie di 3170 millimetri quadrati e perciò maggiore di quella delle lastre per le quali le superfici totali erano nelle due esperienze rispettivamente di 2206 e 994 mm.g. Ma è pure evidente, che detta minore superficie di contatto del quarzo coll’acqua fu largamente compensata col maggior tempo e colla maggior pressione, che io usai nelle mie esperienze. Del resto sono convinto, che colle altre esperienze in corso potrò confermare il risultato di quelle ora descritte, che cioè: anche per la solubilità del quarzo nell'acqua, la causa essenziale non deve essere la pressione, ma la temperatura. “i LES MT 7° gf MI. I dei 7 dl 2, LI bs "peer, 0 LA PATO di - Pon * Pra do A I ELL PR SOI ne "Viel Co ea ‘ ”" + DI PRI , el ra ra 4-9 af , Pa -" V'puago FELT MA ORA, RIE TE I nl TE AIRIS STE Gi Dia : Cer argani v 1 SENTE ge ERO 93 Lenta 1 Pine SI ‘ AE a Moi, dir ARI è DATE i) 3 at \ 7 rd. Vol.XXXAIE ua Calotte Sovessci 41 da 74, ; GOT Patio IAA O iodio Setenad do Bo Ala ? WACOPLO A ERMANNO GIGLIO-TOS — SULL'ORIGINE DEI CORPI, ECC. 25] Sull’origine dei corpi grassi negli Anfibi; Nota del Dott. ERMANNO GIGLIO-TOS. In un precedente lavoro sui corpi grassi degli Anfibi — , che ebbe l’onore di essere stampato negli Atti di questa Acca- demia (1) — io trattai puramente della struttura istologica di essi e della loro probabile funzione fisiologica, riservandomi di esporre in seguito le mie ricerche sulla loro origine. I risultamenti di queste mi propongo ora di render qui noti. Sebbene sieno solamente quattro gli anatomi che si occupa- rono di questo argomento; cioè von Wirrica, GrLes, BLES e MaRsHALL, a cui è forse da aggiungere RATHKE, che, assai prima di questi, ma affatto incidentalmente, toccò la presente que- stione, tuttavia le loro opinioni in proposito sono due e ambedue ben disparate. La prima fu emessa da WirTIcH e sostenuta più recente- mente da BLes e MARSHALL. Secondo questa i corpi grassi de- rivano dallo estremo anteriore delle creste genitali per degene- razione grassa di un certo numero di cellule germinative. La seconda invece, emessa e sostenuta dal solo GrLEs, ammette che i corpi grassi non sieno altro che derivati da tra- sformazione del pronefros o rene cefalico per degenerazione grassa delle sue cellule. Il primo che trattò questo argomento in modo speciale fu dunque il von Wrrtica. Questi, in un suo lavoro sullo sviluppo degli organi urogenitali degli Anfibi (2), dedica a questo soggetto una parte di un capitolo. Egli dice dunque chiaramente che, assai precocemente, quando le creste genitali appena si sono (1) Vol. XXX, 1895. (2) von Wirrica, Beitràge zur morpholog. und histolog. Entwickelung der Harn- und Geschlechtswerkzeuge der nakten Amphibien, in: Zeitschr. fur wis- sensch. Zool., IV Bd., 1853, p. 148. 252 ERMANNO GIGLIO-TOS formate, la parte anteriore di queste dà origine ai corpi grassi, mentre la parte posteriore si sviluppa nei veri organi genitali. Nota intanto, — cosa che anch'io ho potuto quasi in ogni caso confermare, — che lo sviluppo del corpo grasso sinistro si fa più presto del destro, così che quello presenta già le sue appendici digitiformi, quando questo appare appena. Descrive quindi il modo con cui avviene la deposizione del grasso nelle singole cellule, che presentasi d’altronde affatto identica a quella che sì osserva in qualsiasi cellula grassa. Più tardi assai, Gres (1) ritornò su questo argomento, so-- stenendo che si può seguire nei girini di rana la graduale trasformazione delle cellule che formano i glomeruli ed i tu- betti del rene cefalico e la loro degenerazione grassa. I margini di esse, dapprima ben definiti si fanno confusi, i nuclei diven- tano meno distinti, ed i granuli di grasso incominciano ad ap- parire nelle cellule, finchè queste vengono quasi totalmente occupate dal grasso. La degenerazione grassa è già quasi totalmente avvenuta, quando ancora i due pronefros, così modificati, rimangono ade- renti al rene definitivo o mesonefros nella sua parte anteriore. A poco a poco poi si stabilisce una relazione tra i corpi grassi già formati e l'estremità anteriore degli organi genitali. Così che vi sarebbe un breve periodo nella metamorfosi di questi girini, in cui il corpo grasso è aderente ai reni ed agli organi genitali. Più tardi poi, il corpo grasso si distacca dai reni per rimanere aderente solo agli organi genitali, secondo la disposi- zione che si osserva nelle rane adulte. L’anno successivo ripresero la questione MarsHALL e BLES(2), i quali ritennero giusta ed anzi confermarono l’opinione espressa già prima dal von WITTICH. Io non mi fermerò a discutere qui il parere del GrLes. Dal (1) Grces A. E., Development of the Fat-bodies in “ Rana temporaria ,. Contribution to the History of the Pronephros, in: Quarterly Journ. of Microse. Sc., vol. XXIX, new series. London, 1889, p. 133. (2) Marsmarr A. e BLes E., The development of the Kidneys and Fat- bodies in the Frog, in: Studies from the Biolog. Laboratories of the Owens College, vol. II. Manchester, 1890. 4 b | ; Ki A TITO SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 253 suo lavoro sopra citato appare troppo evidente che egli cadde in errore sulla posizione che egli attribuisce al rene cefalico. Come gli stessi MarsHALL e BLEs credono, tale errore fu cau- sato probabilmente dall'avere egli nelle manipolazioni spostato e forse asportato i reni cefalici e dall’avere scambiato con essi la parte anteriore del condotto di Wolff. È facile d’altronde vedere, come i reni cefalici, nel girino, abbiano una posizione più laterale e assai più in avanti nel corpo, di quella dell’estremità anteriore dei corpi di Wolff o reni persistenti negli Anfibi; per cui, se anche fosse vera la loro degenerazione grassa, non do- vrebbero ad ogni modo presentare, nè la posizione, nè la rela- zione coi reni che ad essi attribuisce il Gres e che figura anche nei suoi disegni. Ma se è facile spiegare, mediante un errore materiale di osservazione, l'opinione del GrLes, non è più così, quando si voglia ricercare, in qual modo abbia potuto vedere quello che egli chiaramente rappresenta nella figura 7 della tavola unita al suo lavoro: l’unione cioè dei corpi grassi coi reni e cogli organi genitali contemporaneamente. Dirò più avanti come pre- sumibilmente ciò abbia potuto avvenire. Il GrLes porta in appoggio della sua opinione altri fatti consimili di degenerazione dei reni cefalici osservati in altri animali, come nei Ganoidi e nei Teleostei. Anzitutto tali fatti non furono ancora assolutamente dimostrati veri, ma sono al contrario molto discutibili; in secondo luogo per varie ragioni non può avere importanza in questo caso un ragionamento per analogia. Messa così fuor di questione l’ipotesi del GrLes, non rimane che quella del von Wirrric®a, di BLes e MARSHALL, che ora discuterò. Le due ipotesi hanno questo di comune: che ambedue am- mettono come fatto fondamentale dell’origine di questi corpi la degenerazione grassa: l’una dei reni cefalici; l’altra della parte anteriore degli organi genitali primitivi. Ed è qui dove io non sono d’accordo con questi autori. La degenerazione grassa di una cellula è sempre un fenomeno pa- tologico: nei due casi si verrebbe dunque ad ammettere, che un fenomeno patologico abbia potuto dar origine ad un corpo, che ha certamente una funzione fisiologica, per quanto questa possa 254 ERMANNO GIGLIO-TOS essere di poca importanza. Ora questo io non posso ammettere, nè so che vi sieno altri fatti certi che lo provino indubbiamente. La degenerazione grassa è sempre un fenomeno patologico perchè, come nella parola stessa è espresso, è sempre dovuta alla perdita di funzione di una cellula, a cagione del trasfor- marsi del suo protoplasma in grasso. E se ne hanno molti esempi. Ma si sa che non tutti gli ammassi di grasso sono dovuti a degenerazione. Chè anzi la maggior parte delle cellule grasse sono cellule, in cui la vitalità si estrinseca appunto nella deposizione grassa; ed ho espresso anche nel mio precedente lavoro l’opinione, che questa formazione grassa sia dovuta ad una proprietà metabolica del protoplasma stesso delle cellule grasse, che è d'altronde anche l’opinione prevalente di quei biologi che in questi ultimi tempi si occuparono di questo ar- gomento. Che non si tratti di degenerazione grassa lo dimostra pure il fatto che il grasso viene assorbito da queste cellule per la nutrizione degli organi genitali e che, dopo l’assorbimento; di nuovo le cellule medesime ne possono produrre dell’altro. Se a questo poi ancora aggiungiamo la struttura di queste cellule, identica a quella delle cellule grasse fisiologiche e per nulla a quella delle cellule in degenerazione grassa patologica, abbiamo prove sufficienti per credere, già a priori, non trat- tarsi qui, come sostengono gli anatomi suddetti, di degenera- zione grassa, sì bene di una vera produzione di grasso. È un fatto, che nella ricerca dell’origine di questi corpi si può facilmente credere a tutta prima, che essi derivino dagli organi genitali, perchè la unione con questi si fa, appena inco- mincia la loro formazione. Ma questo non è che una apparenza. In realtà, come ho potuto vedere, le cellule germinative delle creste genitali primitive non hanno nessuna parte nella formazione dei corpi grassi. L’origine di questi corpi negli Anfibi non è assolutamente diversa da quella degli ammassi di grasso che si osservano negli altri animali in diverse parti del corpo. La loro forma- zione avviene nel seguente modo. Appena incominciata la formazione degli organi genitali, il connettivo si insinua tra le cellule germinative formando lo stroma di quegli organi. È facile vedere in sezioni trasverse x SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 255 come il connettivo fibrillare, che penetra in tal modo tra le cellule germinative, sia quel medesimo che costituisce l’avven- tizia della vena cava posteriore, dalla quale la cresta genitale rimane in diretta dipendenza e nella quale sbocca la sua rela- tiva vena. Quasi contemporaneamente, il medesimo connettivo della avventizia della vena cava posteriore, presso all'estremità an- teriore della cresta genitale, mentre per una parte si infiltra tra le sue cellule, prolifera anche all’esterno di essa, formando una specie di piccolo tubercolo. Questo è il primo rudimento del futuro corpo grasso, ed esso pertanto è già, fin dalla sua prima origine, in connessione colla vena cava e colla cresta germinativa. Ecco il perchè gli anatomi suddetti, ingannati da questa strettissima e precoce relazione, credettero che si trattasse di una degenerazione grassa dell’estremità anteriore degli organi genitali. È da notarsi pure che, se fosse vera questa ipotesi, la posizione dei corpi grassi dovrebbe essere quella medesima delle creste genitali, e non dovrebbe avvenire di trovare in una me- desima sezione trasversa gli organi genitali ed i corpi grassi. Ora così non è: di fatto in ogni sezione trasversa il corpo grasso si può vedere contemporaneamente all’organo genitale, ed ha sempre una posizione laterale esterna, intermedia tra questo ed il rene. Inoltre la connessione tra la vena ed il corpo grasso alla sua base è totale, anche nell’adulto, mentre quella tra il corpo grasso e l’ovario od il testicolo non si ha che per quel breve tratto di superficie, per cui si fece dal primo mo- mento della sua origine. Mentre per migrazione di cellule connettivali va aumen- tando lo stroma delle creste genitali, aumenta pure nello stesso modo il connettivo del primitivo rudimento del corpo grasso, ed il tubercolo va crescendo di volume. Intanto, questa prolife- razione di connettivo e la formazione di altri tubercoli consi- mili si va estendendo lungo la vena ed intorno ad essa, così che, quando questi hanno raggiunto una certa lunghezza, attor- niano la vena nella sua parte latero-ventrale esterna, compresa tra le creste genitali ed i reni. Avviene allora, specialmente in sezioni longitudinali, che anche i reni appaiano in connessione con questi corpi grassi; ed in questo modo forse si possono 256 ERMANNO GIGLIO-TOS spiegare le figure date dal GrLes nel suo citato lavoro, dove è rappresentata chiaramente la connessione contemporanea dei corpi grassi coi reni e cogli organi genitali. In sul principio della sua formazione il tubercolo non è formato che di solo connettivo fibrillare e il primitivo corpo grasso non ha nè vasi, nè cellule grasse. Ben presto però delle cellule migrano dal connettivo dell’avventizia e si vanno accu- mulando in quello del tubercolo. Sono queste le future cellule grasse. Come il von WirTIcH aveva giustamente notato, la com- parsa e lo sviluppo del corpo grasso sinistro precede quasi sempre quello del destro. Io sono d'accordo col ToLpr e col BorpEN (1) nel ritenere che tali cellule non sieno cellule comuni de] connettivo, le quali assumano la proprietà di produrre grasso; bensì speciali cel- lule con questa funzione metabolica loro propria. Per quanto abbia tentato di riconoscere in esse dei caratteri che servissero a distinguerle, in verità non potei riuscirvi. Ma mi parve di notare che, prima della produzione del grasso, il nucleo sia prevalentemente globoso .ed assai grande, colla cromatina sparsa in granulazioni minori ed accentrata anche in una massa al- quanto maggiore che quasi sempre sta nel mezzo del nucleo, e che avrei facilmente creduta un nucleolo, se non avessi sempre notato una certa irregolarità nel contorno ed un collegamento costante colle altre minori granulazioni di cromatina. Per contro i nuclei delle cellule connettivali sono prevalentemente alquanto più piccoli e più o meno deformati per allungamento e com- pressione. Il protoplasma delle cellule grasse appare anche re- lativamente più denso e più abbondante. Io non riuscii a di- stinguere in queste cellule una vera membrana prima che esse abbiano incominciato a produrre del grasso; mentre essa poi risulta ben evidente, quando la cavità cellulare contiene grasso, o quando le cellule, già avendone prodotto, lo hanno perduto. Nel mio citato lavoro rappresentai appunto in un disegno (fig. 3) l'aspetto e la struttura di alcune cellule simili, in cui il grasso è stato assorbito. Queste mie osservazioni confermano d'altronde (1) Borpen W. C., The fat Cell.: Its origin. development, and Histological Position, in: New York Medical Journal, 1894. | SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 257 le opinioni espresse già da tempo da ToLpr intorno a questo argomento. L'aumento in numero delle cellule grasse non avviene, se- condo me, per moltiplicazione di queste, perchè non ho mai potuto trovarne alcuna, in cui il nucleo fosse in via di segmen- tazione amitotica o mitotica; bensì per vera migrazione di queste cellule, le quali probabilmente provengono da uno spe- ciale centro di formazione che sta forse nell’avventizia stessa della vena. La produzione di grasso non incomincia in tutte contem- poraneamente: le cellule più interne sono già discretamente ricche di grasso, mentre quelle più periferiche e più presso al- l'apice non ne presentano ancora traccia. L'inizio del processo metabolico della cellula, non si ha che al comparire della cir- colazione; prima di questa non avviene alcuna formazione di grasso. Questo spiega perchè il tessuto adiposo sia costante- mente caratterizzato da una rete di vasi sua propria. La formazione dei capillari sanguigni e linfatici fra le cellule grasse non incomincia che quando queste sono già numerose ed il tubercolo grasso ha già poco più di un mezzo millimetro di lunghezza. Non oserei asserirlo recisamente, ma parmi di avere notato come la formazione di un sistema circolatorio arterioso non sia che secondario, mentre primo a formarsi è invece il venoso. La prima comparsa di vasi sanguigni nel corpo grasso si ha di fatto quando la vena cava posteriore, sulla quale il corpo grasso giace, emette un piccolo ramo che si insinua tra il con- nettivo e le cellule grasse e, dapprima capillare, va ingran- dendosi ed allungandosi, mentre le sue pareti si differenziano sempre più e diventano quelle di una vera vena, della vena assile del corpo grasso. Ai lati di questa, nello stesso modo, hanno poi origine a poco a poco gli altri capillari. Un po’ più tardi, formasi poi l'arteria assile del corpo grasso, i cui capil- lari si anastomosano con quelli venosi. Negli anfibi anuri, dove questi corpi grassi hanno forma di- gitata o frangiata, il tratto loro di connessione colla vena cava è assai breve: negli urodeli invece, dove hanno forma di lamine, è assai lungo e qualche volta si estende per una buona parte della vena stessa. Il che prova ancora una volta che l’origine 258 ERMANNO GIGLIO-TOS loro non è dagli organi genitali ma dalle pareti della vena cava posteriore. I corpi grassi negli Anfibi vengono dunque ricondotti ad avere un'origine analoga a quella degli ammassi di grasso nel corpo degli altri vertebrati, come analoga è d’altronde anche la loro struttura. L'origine dal mesoderma, che si attribuiva per necessaria conseguenza a questi corpi grassi, sia coll’ipotesi del Grurs, sia con quella del von WIrtIca, BLes e MARSHALL, — origine abba- stanza strana, data la loro natura istologica, — cade pertanto e colle mie osservazioni viene ricondotta puramente al connettivo del mesoderna, cioè al mesenchima. Riassumendo pertanto concludo: 1° I corpi grassi negli anfibi non derivano da degenera- zione grassa, nè del pronefros, nè della parte anteriore delle creste germinative. 2° Essi derivano invece da proliferazione del connettivo dell’avventizia della vena cava posteriore, in connessione colla parte anteriore delle creste genitali. 3° Le cellule grasse non sono dovute a degenerazione di altre cellule, ma sono invece cellule colla speciale funzione metabolica di produrre grasso. 4° L'aumento in volume del corpo grasso non proviene da moltiplicazione diretta o indiretta di cellule primitive, ma da migrazione di queste cellule da uno speciale centro di produzione. 5° L'origine di questi corpi negli anfibi è analoga a quella degli altri vertebrati. 6° L'origine dei corpi grassi è interamente mesenchimatica. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1°. — Sezione trasversa del corpo grasso e dell’ovario primitivo di Rana esculenta, nella regione in cui il corpo grasso è solo unito alla vena cava. Vi si vede il connettivo dell’avventizia (@v) proliferare ed i corpuscoli del connettivo e le cellule grasse (cm) migrare promiscua- mente dall'avventizia verso il corpo grasso (cgr). l'origine dei corpi grassi negli anfibi. Atti RAccad.delle Sc.di Torino -To/ XY Lit. Salussolia, Torino SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 259 Fig. 2°. — Id. id. nella regione in cui il corpo grasso è contemporanea- mente unito alla vena cava ed all’ovario primitivo, per mostrare il passaggio del connettivo dal corpo grasso nell’ovario primitivo per formarne lo stroma (st). Fig. 3°. — Sezione longitudinale nella regione in cui il corpo grasso è unito alla vena ed all’ovario, in un rospo comune (Bufo vulgaris). Vi si scorge bene quello che è indicato nella sezione trasversale in fig. 2. Fig. 4*. — Sezione trasversale del corpo grasso di Rana esculenta nel punto in cuì la vena assile del corpo grasso sbocca nella vena cava po- steriore. Tutte queste figure sono ingrandite 250 volte, disegnate alla camera lucida di Abbe: oculare 2, obbiet. C. Zeiss. av: avventizia — cg: cellule grasse — cgr: corpo grasso — cm: cellule ulgranti del connettivo e cellule grasse — gs: corpuscoli rossi del sangue — in: intima della vena cava — m: tunica media — o: uova primitive — st: stroma ovarico — ve: lume della vena cava posteriore. Relazione sulla Memoria del Dott. Alberico BENEDICENTI, presentata nell'adunanza del 17 novembre 1895, che ha per titolo: “ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell'uomo. ,. I sottoscritti G. Bizzozero e A. Mosso incaficati dall’ Ac- cademia delle Scienze di esaminare la Memoria del Dott. BEeNE- DICENTI “ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell'uomo , si pregiano di riferire all'Accademia stessa che il loro voto è favorevole. Le ricerche fatte dal Dott. BeNEDICENTI intorno alla tonicità dei muscoli nell'uomo sono importanti perchè trattano di un argomento il quale fino ad ora era stato pochissimo studiato. La Memoria è corredata di figure, ed i sottoscritti propon- gono che essa venga stampata nei volumi delle Memorie secondo le prescrizioni del regolamento. G. BizzozERo. A. Mosso. 260 Monocotyledones Sardoe Joseph Hyacinthi Moris “ Flore Sardo@ , per H. MARTELLI Continuatio. Relazione dei Socii Gruseppe GiseLLi e LorENZO CAMERANO. Come è noto l’illustre Prof. Moris non ha potuto condurre a termine la sua classica opera, stampata nelle Memorie di questa R. Accademia sulla Flora della Sardegna. Di essa le Dicotiledoni soltanto, costituenti circa tre quarti del lavoro, furono pubblicate tra il 1837 ed il 1859. Delle Monocotiledoni il Moris aveva però già raccolto ab- bondantissimo materiale, e pubblicato il catalogo; di più lasciava anche molte note staccate e diagnosi abbozzate. Dopo la morte del Moris parecchi botanici esplorarono la Sardegna, raccolsero messe più o meno abbondanti di specie nuove per il paese, e vi fecero osservazioni importanti. Citiamo Lisa e Masala, che già avevano raccolto per conto del Moris stesso, Ascherson, Forsita-Mayor, Arcangeli, Macchiati, Lovisato, Nicotra ed altri. Con questi materiali nuovi W. Barbey pubblicava nel 1884 un catalogo ragionato (1) delle specie vascolari spontanee del- l'Isola, già di molto arricchito in confronto di quello del Moris. Di recente il prof. 0. Mattirolo, rovistando nell’erbario Moris, trovò trenta specie, che non erano state per anco registrate nelle precedenti pubblicazioni, e alcune di queste nuove per la flora italiana, che egli illustrò in una nota (2) letta al Congresso internazionale tenuto in Genova nel settembre 1892. (1) Florae Sardoe compendium. Lausanne, 1884. (2) O. MarrIRroLo, Reliquie Morisiane (Atti del Congresso botanico internazionale). Genova, 1893, p. 374. caseina n ninni nti rit rree = . cesti AL} ve apt 26£ In questi ultimi anni il conte Ugolino Martelli di Firenze, appassionato cultore della Botanica geografica e sistematica, sez dotto dall’abbondante copia di materiali da lui raccolti nell'Isola, venne nella determinazione di completare l’opera lasciata dp sospeso dal Moris. ai A tale scopo egli erasi già preparato con lunghe e parecchie escursioni, principalmente in località poco note dell'Isola, e con speciale riguardo alle Monocotiledoni, scopo principale del- l’opera sua. Primo frutto de’ suoi studii è la monografia descrittiva delle Orchidee di Sardegna, che fu affidata al nostro esame. Nello studio di questo interessantissimo gruppo l'A. si è giovato dell’Erbario e delle note del Moris innanzi tutto; poi del grande Erbario centrale di Firenze, delle proprie raccolte speciali, di quelle degli erbarii di Cagliari e di Sassari, dei materiali avuti in comunicazione dal Gennari, dal Nicotra, dal Macchiati, dal Sommier, dal Biondi, dal Forsitz-Mayor, dal Barbey, dai Bornemann, ecc. L'A. inoltre ha tenuto conto di tutti gli studii sistematici dei più recenti autori intorno alle Orchidee europee, seguendo in generale i criterii tassinomici adoperati dal Reichendach, che era il più dotto conoscitore della materia; ma apprezzando anche quelli fatti valere dal Purlatore nella Flora italiana. L'A. consultò inoltre le opere floristiche più moderne delle regioni circummediterranee: BARLA, Iconographie des Orchidées; Bossier, Flora orientalis; WiLLkomm et LANGE, Flora hispa- nica; BALL, Spicilegium florae Maroccanae, non che tutte le piccole flore locali dell’Italia continentale ed insulare del Tirreno e delle Baleari. Senza mantenersi pedissequo di nessuno l'A. mediante nuove osservazioni e comparazioni ha saputo pesare il valore dei cri- terii sistematici di ciascun trattatista, ed applicarli con sana critica al gruppo di piante da lui studiate e descritte nella presente memoria. Le specie e varietà che l’A. ha trovato nuove per la Flora Sarda sono le seguenti: Orchis insularis; O. mascula var. Olliensis; Ophrys apifera; O. aranifera var. Morisii. Ne ha escluse invece l’Orchis ustulata, lO. sambucina, VO. pseudo-sambucina, V Ophrys lunulata, VO. muscifera e 1l°O. Bertolonii, da lui riconosciute er- Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 20 262 rate negli esemplari forniti dagli Autori stessi, che le raccolsero e le avevano registrate come indigene dell’Isola. L’A. accompagna la sua Memoria con tre tavole, nelle quali sono illustrate le seguenti specie: Gennaria diphylla, Orchis saccata, O. lactea, O. tridentata, O. mascula var. Olliensis, O. in- sularis, Loroglossum longibracteatum, Epipactis microphylla. Di queste specie qualcuna (Orchis insularis) non è mai stata prima figurata, le altre lo furono male o in opere costosissime. Tutte le parti del lavoro sono distribuite coll’economia adottata dal Moris. Le descrizioni sono accurate ed arricchite da copiosa bibliografia. Noi crediamo quindi che questa Memoria costituisca un buon principio al compimento da lungo tempo desiderato del- l’opera dell’illustre Moris, e però ve ne proponiamo l'inserzione nelle Memorie della nostra Accademia. La Commissione L. CAMERANO. G. GrseLLI, Relatore. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCcARI. 263 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 5 Gennaio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe, Peyvron, VaLLAURI, Rossi, Manno, BoLLatI DI SAINT-PIERRE, SCHIAPARELLI, Pezzi, NANI, CoeneTtI DE MARTIS, GRAF, CIPOLLA, Brusa, PerRrERO, ALLIEVO e FeRRERO Segretario. Il Socio Segretario, fra i libri pervenuti in dono alla Classe, segnala due opuscoli del Socio Corrispondente Marchese pi NA- DAILLAC: “ Foi et science; Un diplomate francais au début du siècle , (Paris, 1895). Il Socio Manno offre “ Le dict des jardiniers. Farce morale du XVI siècle ,, pubblicata ed annotata dal signor: Francesco Mugnier (Paris, 1896), che ne fa omaggio alla Classe. Il Socio CrpoLLa legge un lavoro del Prof. Giuseppe CALLI- cARIS: “ San Gregorio Magno e le paure del prossimo finimondo nel medio evo ,, che è pubblicato negli Atti accademici. Il Socio ALtievo legge un suo lavoro: “ Studii psicofisio- logici ,, di cui la Classe approva la stampa nei volumi delle Memorie. 264 GIUSEPPE CALLIGARIS LETTURE A San Gregorio Magno e le paure del prossimo finimondo nel Medio-Evo ; Nota del Prof. GIUSEPPE CALLIGARIS. È oramai notissimo che dalle pretese paure dell’anno mille (1) bisogna distinguere i terrori del finimondo, che per tutto il medio evo, e più tardi ancora, si paventava siccome evento vicino. *Non fu ancora tentata la storia di questi terrori e delle fantasie con cui l'immaginazione dei popoli volle interpretare la solenne profezia di Cristo sulla fine del mondo. È anzi difficile il dire fino a qual punto la paura del prossimo finimondo abbia avuta influenza sulla storia dell'umanità. L'argomento è grave e importante. Tentiamone la trattazione, almeno in piccola parte. È fuori di dubbio che su queste paure poterono assai gli ‘avvenimenti storici: esse, anzi, il più delle volte, non sono che l’eco di quelli. In tempi di profondo avvilimento materiale e intellettuale, gli uomini dovettero provare uno sconforto doloroso nel ripensare ad altri tempi, che si presentavano alla loro imma- ginazione come belli e felici, e certamente fu loro un sollievo lo sperare che una simile condizione di cose non sarebbe du- rata a lungo. Le offese degli uomini e della natura apparivano come segni dell’ira divina, come indizio del prossimo sfacelo del mondo (2). (1) Cfr. il dotto lavoro del prof. Pietro Orsi, L’anno mille (Riv. st. ital., IV, 1887, fasc. 1, e spec. p. 78). Vedi pure: Studi storici, I, 1892, fasc. IV, 535, dove sono citate altre opere di argomento consimile. (2) Abbiamo parecchi saggi di questi studi: cfr. G. Borssier, La fin du paganisme (Paris, Hachette, 1891, II, 448 e sg.) là dove studia la impres- sione che sui cristiani produceva il dissolversi dell’antico impero; Ges®marm E., L’état d’àme d’un moine de l’an 1000 (in Revue des deux mondes, CVII, 606 sg.), e, a proposito della Città di Dio di S. Agostino, G. Borssier, Études d’histoire religieuse — le christianisme et l’invasion des barbares — (in Revue des deux ali b F SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 265 Mi limiterò ai tempi in cui visse il pontefice Gregorio I, i quali egli illuminò col suo genio e colla sua santità, illustrò coi suoi scritti; anzi col mezzo di questi raccoglieremo le im- pressioni che le turbinose vicende alle quali dovette assistere, hanno prodotto sul suo animo. A me non tocca riassumere qui le vicende della vita di S. Gregorio e prima del suo pontificato e dopo che fu innalzato a quella dignità (1). Mi basta il dire che di queste vicende nelle opere di S. Gregorio si risente una eco profonda, e che il terrore del prossimo finimondo, che lo occupa, risponde alle dolorose vicende dei suoi tempi. Però nelle espressioni che egli adopera non manca una certa qual tinta indecisa, che ci lascia qualche volta esitanti nel darne l’interpretazione. Poichè talvolta .Il finimondo sembra che gli apparisse prossimo, talvolta rimane alquanto lontano, nell’oscurità in cui lo aveva lasciato la profezia evangelica. Cercheremo con questo studio di risolvere la difficoltà. E ben gravi furono i tempi in cui visse Gregorio. — In tutto l'Occidente erano sorti regni barbarici nelle antiche pro- vincie romane e i nuovi conquistatori avevano ovunque fatto sentire il peso delle loro vittorie, malgrado il rispetto che il nome romano imponeva loro. La loro fierezza, le loro lotte, i loro delitti atrocissimi atterrivano il molle romano, quasi sempre combattuto anche nella sua fede. Il Cattolicismo romano non era sempre vittorioso contro l’Arianesimo nazionale e ger- manico, ed anche là dove il Cattolicismo si era affermato, non poteva essere compreso nella sua alta significazione morale. In Italia la gens Gothorum che aveva brillato con Teoderico, mondes, 15 gennaio 1890, 345-72 e specialmente pp. 346 e 349); CreoLra C., Appunti storici tratti dalle epistole di S. Pier Damiani (in Atti della R. Acca- demia delle Scienze di Torino, vol. XXVII, nel cap. “ la paura del finimondo ,), dove si afferma che anche in Italia (nel sec. XI) era vivo questo terrore. (1) Per tutto ciò mi limito a rimandare il lettore al recente e dotto studio biografico del Grisar, Il pontificato di Gregorio Magno nella storia della civiltà cristiana, Roma, tip. Befani, 1894, V-X (la prima ediz. uscì nel periodico “ Civiltà Cattolica ,, serie XIV, vol. V, e ser. XV, vol. I-V). Per quel che riguarda le relazioni politiche fra Gregorio e i Longobardi, efr. CriveLLucci, Chiesa ed impero al tempo di Pelagio 1I e di Gregorio I nella politica verso î Longobardi in Studi storici, I, fasc. II e III, 266 GIUSEPPE CALLIGARIS era caduta quando l’impero con Giustiniano aveva cercato di riaffermare sull’Occidente l'antica supremazia, e l’Italia, solo dopo una guerra lunga di circa venti anni, era ritornata provincia dell'impero Orientale. Ma nuovi e più fieri travagli l’avevano colpita quando una gente germanica, non più a nome dell’impero romano, ma come libera conquistatrice l'aveva occupata, lot- tando a lungo contro il padrone di prima (1). L'antico mondo romano pareva giunto all'estrema vec- chiezza, anzi alla morte, e la nuova gente che si sedeva come vincitrice su quelle gloriose ruine, credevasi ribelle ad ogni legge divina ed umana. La gloria di Roma era caduta, i suoi (1) Le opere di Gregorio ci parlano spesso delle tristissime condizioni , di quei tempi. Lo ScauPrer (Delle istituzioni politiche longobardiche, Firenze, Le Monnier, 1863, p. 47) ha, da vari luoghi di Gregorio, messa insieme questa descrizione paurosa: “ Razza inumana codesta de’ Longobardi! La- sciati i covi natali, ci piombò addosso e le popolazioni che crescevano qui a modo di spesse biade, furono recise ed arse. Le città sono oggimai spopolate, rovesciati i castelli, bruciate le chiese, distrutti i cenobi di maschi e di femmine, vedovata di uomini la campagna, non più abbellita di nessun sorriso di coltura, nè trovi possessore che voglia abitarvi: i luoghi già lieti per una moltitudine di popolo, or fatti pascolo di armenti (Dial., II, 38; Ep., III, 29; V, 8; Hom,, VI, lib. II in Ezech.). Il barbaro non cerca di tener alta la spada (Hom., 10, lib. II in Ezech.); tutto è sangue, incendio, ruina, acerbissimo duolo (Hom., 6, lib. II in Ezech.). Poi nella ruina di tutte le cose, credeva vicino il dì del supremo giudizio , (Ep., II, 29). — Vedi pure: MarrattI B., Imperatori e papi ai tempi della Signoria dei Franchi in Italia, Milano, Hoepli, 1876, I, 262 sg.; Tamassra G., Lango- bardi, Franchi e Chiesa Romana fino ai tempi di Re Liutprando, Bologna, Zanichelli, 1888, p. 37 e sg., e in generale i capitoli II, III, IV. — In un suo recentissimo articolo il CriveLLucci vorrebbe attenuare le tradizionali crudeltà langobarde, in specie per quel che riguarda la religione dei vinti, e, a proposito delle terribili descrizioni che Gregorio fa del suo tempo, scrive: © certi lamenti, certi sfoghi, siano pure sinceri, di animi esulcerati ed offesi nel loro patriottismo e nella loro religione e nei loro interessi, hanno molto valore per conoscere la condizione degli animi di chi li fa, ne hanno poco o nessuno per determinare la verità storica e obiettiva dei fatti, (CriveLLuccI, Le chiese cattoliche e i longobardi ariani in Italia in Studi storici, vol. IV, fasc. III, 1895). Si pensi su ciò nell’una o nell’altra maniera (chè questo non è il luogo opportuno alla discussione di tale argomento) vedesi che lo stesso Crivellucci ammette che le parole di Gregorio rispec- chiano esattamente la condizione degli animi in quei tempi, e perciò sono per noi preziose. SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 267 tempi floridi erano omai lontani, e la mente che non cessava di vagheggiarli, li rimpiangeva perchè i più prosperi nel mondo, e a quella ruina annetteva la morte del mondo stesso. Si direbbe (come bene fu osservato) che S. Gregorio non prevedesse, e non lo poteva, che dalle rovine di quel mondo sarebbero sorti nuovi popoli e nuove civiltà, che quei terribili invasori delle terre romane non avrebbero tutto distrutto, ma avrebbero preparati nuovi tempi e nuove condizioni di cose, e che quella Chiesa, alla quale stava a capo, era chiamata a nuovi destini e a gloriose vittorie. Egli non vagheggiava che l’antica civiltà romana rappre- sentata dall’ Impero, perciò i suoi sguardi non cessavano dal rivolgersi a Costantinopoli, senza sospettare che l'Oriente e l'Occidente, i quali per l'avvenire non si sarebbero più confusi, si avviavano oramai a nuovi e diversi destini (1). (1) La preoccupazione per la prossima fine di ogni cosa fu già notata molte volte in S. Gregorio, dagli antichi biografi sino a noi, e le furono assegnate varie ragioni. Giovanni Diacono, antico biografo, avvertiva che “ in omnibus suis dictis vel operibus, Gregorius imminentem futurae retri- butionis diem ultimum perpendebat, tantoque cautius cuneta cunctorum negotia perpendebat, quanto propinquius finem mundi insistere, rwinis eius crebrescentibus, advertebat. (nelle Opere di Gregorio, ediz. PP. MavuRINI, IV, 162). Lo stesso notavano i Padri Maurini editori delle opere gregoriane: “ S. Gregorii sententia de die iudicii, quem proximum praenuntiavit, nunc expendenda. Sane communis fuit veterum christianorum persuasio, mundi finem imminere ,. E ricordate qui le testimonianze di Tertulliano, di Sulpizio Severo, di S. Leone, che concordano con S. Gregorio, le parole dei quali non furono che la eco della voce degli Apostoli, così spiegano questa concorde opinione: “ Fortasse ita loquentes viri sancti, et illud at- tendebat: Mille anni ante oculos tuos tamquam dies hesterna quae praeteriit (Ps., 89, 4). — Si vero, ut docet S. Gregorius (Dia?., III, 35): videnti crea- torem, qui immensitate gaudet, angusta est omnis creatura, unde non mirum orbem universum in uno solis radio S. Benedicti oculis ‘subiectum fuisse, cur non eadem ratione dicamus, contemplantibus Dei aeternitatem, breve esse omne tempus etsi multa etiam annorum millia complectantur? (Opera Gregorii, ediz. Maur., I, XIII, nella praefatio generalis). Il qual ra- gionamento, disgiungendo i terrori del finimondo dalle circostanze che li producevano, non arreca nessuna luce alla questione. — Venendo a tempi a noi più vicini, vediamo il GreGorovius (Sf. della città di Roma nel M. E., trad. it., Venezia, Antonelli, 1872, II, 46) contentarsi di accennare allo stato degli animi nel VI secolo “ nel buio profondo di quell’età, in cui Roma andava 368 GIUSEPPE CALLIGARIS * * * Emilio Gebhart nel descrivere, in uno studio su Hédolta precipitando alla sua fine , e di ricordare che mentre il mondo chiudeva insè “ tanti germi di vita nuova, l'umanità altro non vedeva che i ruderi accumulati dell'impero ,. Il Ges®mart (L’Italie Mystique, Paris, Hachette, 1890) accenna pure al triste periodo nel quale si svolse il pontificato di S. Gregorio, aggiungendo che egli “ pressentait que l’Église, jetée dans la mélée du siècle, s’éloignerait bientòt de sa mission primitive , (p. 3). — Il che mi pare non esatto. Gregorio si doleva bene spesso che uomini re- ligiosi dovessero occuparsi in negozi secolareschi, e attribuiva questa ne- cessità dolorosa a tristizia di tempi; si lagnava bene che il sacerdozio di allora non fosse più quello dei tempi primitivi, ma in ciò egli vedeva solo uno dei segni della vecchiezza del mondo. Se ai venturi profetizza tempi peggiori dei suoi, è perchè tutti i mali si aggraveranno quanto saranno più vicini a compiersi gli ultimi destini del mondo. Questa costante e forte preoccupazione di S. Gregorio per il. prossimo fine delle cose fu studiata, e assai più largamente, quantunque non in modo completo, dal GrisAr, nella sua citata monografia. Egli nota dapprima che oltre la peste famosa che spopolò Roma al fine del papato di Pelagio II, e i pericoli della guerra “ molti castighi di Dio si riversarono in quei tempi sopra l’Italia e gli altri paesi dell'Impero ,, una eco dei quali flagelli è quel senso di tristezza che occupava allora l’anino di tutti. Gli spiriti più eletti si distaccavano sempre più dal mondo “ molto più che la ferma idea della prossima fine di ogni cosa si faceva sempre più largo e guadagnava certezza ,.É qui aggiunge in breve un cenno su quelle calamità che desola- vano quei tempi, parla della famosa inondazione dell'Adige descritta da Paolo Diacono, ricorda la nota profezia di S. Benedetto su Roma, la quale, non sarebbe stata distrutta dalle genti, ma si sarebbe sfasciata “ affievolita e stanca, dalle tempeste e saette, dai turbini e terremoti, profezia che Gregorio credeva stesse per avverarsi ai suoi tempi. Ma specialmente si vale della 1* Omelia sugli Evangeli per illustrare il suo concetto, nella quale Gregorio “ conformemente all’errata opinione dei suoi contemporanei, designa senza più le calamità di quegli anni come annunzio della prossima venuta di Cristo , (p. 552). Ma, oltre che nella citata Omelia, il © pensiero della fine non lontana del mondo preoccupa la mente di Gregorio durante tutto il suo pontificato , (p. 553-4), ed il Grisar ne adduce a prova tutti gli scritti del pontefice. Ricorda che una simile idea appare di quando in quando nella storia, al succedersi di calamità straordinarie o particolari commovimenti di popoli, che l’aspettazione di una prossima fine del mondo si fè sentire con maggior forza nel periodo dal quinto al settimo secolo “ e ciò perchè, stimandosi comunemente per opinione tradizionale che l’impero romano dovesse durare sino alla fine dei secoli, e vacillando questo sotto i colpi a / SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, Ecc. 269 Glabro, la condizione dello spirito di un monaco verso il Mille (1), osserva che sebbene quegli non avesse letto la Città di Dio di S. Agostino, pure glie ne era arrivata una eco, colla divisione della storia del mondo in sei epoche, a cominciar da Adamo, colle sei giornate di lavoro della storia, mentre la settima, quella del riposo eterno, sarebbe venuta quando fosse piaciuto a Dio. “ La notion des sept époques symboliques était restée dans la tradition du moyen àge ,. Ora noi troviamo pure in S. Gregorio frequenti tentativi di dividere con simile criterio la storia dell'umanità. “ Omne prae- sentis vitae tempus septem diebus evolvitur, et ideo aeterna dies quae, expleta horum dierum vicissitudine, futura est, octava vocatur (2) ,, e più chiaramente poco dopo (loc. cit. 467) “ vel, delle immigrazioni, anzi oramai rovinando in Occidente, si teneva fermo che anche la fine del mondo fosse veramente vicina ,. Ma Gregorio non vide che “ un nuovo ordine di cose, che nessun occhio umano avrebbe potuto prevedere, andava sorgendo fra le angosce e le sventure del genere umano, quasi fossero altrettanti dolori di un nuovo parto ,. Il nostro studio ha per iscopo l'esame più minuto di questo lato del pensiero gregoriano. — Noi potremo così raccogliere le impressioni che in un animo romano, come quello del discendente di nobile famiglia del- l'impero, producevano i gravi avvenimenti del sesto secolo, noi potremo studiare quello che il vecchio elemento romano provava all'urto dei nuovi popoli, che con sè portavano una nuova vita, in quel mondo cadente. Siamo nel periodo più vivo della lotta fra romanesimo e germanesimo, e assistiamo come al grido disperato di quella vecchia civiltà che vede tutto sfasciarsi attorno a sè, senza accorgersi che essa, quando si crede più conculcata,è più viva che mai e destinata a risorgere, ma rinnovellata. È questa condizione di cose che ci spiega quel sentimento pauroso di angoscia il quale si traduce nel terrore del finimondo; ma nè Gregorio nè altri del sesto secolo potevano pensare alla caduta di quella istituzione divina che era l’impero, florido e potente in Costantinopoli. — La divisione fra occidente ed oriente che par ora così netta agli occhi nostri, non ba- lenava allora neppure alla mente di quegli uomini, gli sguardi dei quali erano rivolti tutti alla nuova Roma del Bosforo, e il passaggio dei barbari sulle terre di occidente non era che una sventura, di cui neppur potevano immaginare l’importanza. (1) Gesnart E., L’état d’àame d'un moine de Van 1000 in Revue des deux mondes, CVII, 1891, pp. 600 e sg. (2) Exposit. in VII Psalmos poenitentiales; proemium in primum psalmum poenitentialem, vol. III, parte 2*,467. L'edizione delle opere di Gregorio che citeremo sempre è la seguente: “ Sancti Gregorii papae I cognomento Magni, 270 GIUSEPPE CALLIGARIS secundum quosdam, octava dicitur quia sequitur sex aetates in hoc saeculo viventium, et septimam dormientium iustorum (1) ,. Nel concetto Gregoriano sono dunque sei le età storiche in cui sì svolgono i destini del mondo, “ sex enim diebus mundus conditus est, sex aetatibus consummatur (2) ,, la settima è quella del riposo della morte, a cui segue l’ottava cioè la ri- surrezione ed il giudizio (3). Parlando poi della parabola del padre di famiglia che invita gli operai a lavorare alla sua vigna a diverse ore del giorno, paragona le parti in cui il giorno si divide alle seguenti grandi divisioni storiche: “ Mane etenim mundi fuit ab Adam usque ad Noe. Hora vero tertia a Noe usque ad Abraham. Sexta quoque ab Abraham usque ad Moysen. Nona vero a Moyse usque ad adventum Domini. Undecima vero (e perciò l’ultima) ab adventu Domini usque ad finem mundi (4) ,. — Noi ci tro- viamo quindi nell’ultima delle età storiche, in quella che è co- minciata dalla venuta di Cristo e che finirà col mondo stesso, la cui durata è incerta, della quale ci e noto il solo principio, ma ignoto il fine (5). Opera omnia... Studio et labore Monachorum ordinis Sancti Benedicti e congregatione Saneti Mauri. Venetiis, 1744 (in 4 volumi). (1) Nell’OmiZia, VIII, lib. II, super Ezechielem, I, 1392-83, si ripete: “ Per octavum vero numerum et dies aeterni iudicii et carnis resurrectio desi- gnatur... in quo videlicet die, omne hoc tempus finitur, quod septem diebus evolvitur ,. (2) Lib. IV, c. IV in Primum Regum, III, p. 2*, 201 B-C. (3) A proposito del giorno ottavo, come simbolo della risurrezione, nota nell’Omal., IV, lib. II, sup. Ezechielem (I, 1341-2): “ praesens... vita nobis adhuc sexta est feria quia in doloribus ducitur et in angustiis cruciatur. Sed sabbato quasi in sepulchro quiescimus, quia requiem animae post corpus invenimus. Dominico vero die, videlicet a passione tertio, a conditione (del mondo) ut diximus octavo, iam corpore a morte resurgemus, et in gloria animae etiam cum carne gaudebimus ,. La nostra vita è come la sesta feria, il giorno della morte di Cristo, il sabbato rappresenta la quiete del sepolcro, l’ottavo giorno, la domenica, la risurrezione. (4) Omil. XIX, lib. I, in Evangelia, I, 1510. (5) La storia del popolo eletto e quella del cristiano era per S. Gregorio come il centro di tutta la storia dell'umanità, e l’unico criterio di par- tizione storica. Con questo criterio, troviamo nelle opere gregoriane nuova divisione storica, nella quale i Profeti, gli Apostoli, i Martiri, i - Rel E SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 271 E che siamo nell’ultima delle età del mondo Gregorio lo attesta più volte; anzi in lui ci appare spesso evidente la pre- occupazione, che anche quest’ultima volga oramai al tramonto. Spiegando la parabola evangelica dell’uomo, che aveva invitati molti a cena egli osserva con molta tristezza: “ Che cosa è mai l’ora della cena, se non la fine del mondo? Alla quale oramai noi siam giunti, secondo attesta l’apostolo Paolo: noi siam quelli i quali furono sopraggiunti dalla fine dei secoli. « Idcirco autem hoc convivium Dei non prandium sed coena vocatur, quia post prandium coena extat, post coenam vero convivium nullum restat (1) ,. Questo tristo ed angoscioso pensiero predomina in tutte le opere di Gregorio, e produce nel lettore un senso profondo di dolore e scoramento, che assai bene ci fa comprendere lo stato d’animo di un romano di quei tempi. L'uomo ha naufragato del tutto nell'’immenso mare dell’eternità, e guarda con timore quel mondo che oramai gli sfugge (2). Noi scorgiamo il cielo fosco del VI secolo, non rallegrato da luce alcuna, su cui l’alba non doveva più spuntare, e neppur la speranza faceva balenare i suoi fugaci bagliori. Vescovi e Dottori, porgono i tratti caratteristici di quattro grandi pe- riodi storici. Nel lib. IV, c. IV, in primum Regum (III, p. 2°, 206-7) a proposito del passo: “ ecce inventa est în manu mea quarta pars stateris argenti ,, ecc., così Gregorio commenta: “ Quarta vero pars stateris argenti dicitur pro qualitate temporis. Nam ut alias partes huius stateris videamus, Prophetae, Apostoli, Martyres intuendi sunt. Quia enim pro qualitate tem- poris, singulis ordinibus distributa est sonoritas praedicationis, velut sin- guli quartam partem stateris habuere. Quartam ergo partem stateris illi (i Profeti) exhibuerunt cum Synagogae adventum Redemptoris promitterent. Apostoli partem suam dederunt eum Iudaeis, Eum qui promissus fuerat, iam venisse praedicarent. Martyres vero etiam partem suam tribuerunt cum infideles ad filem Redemptoris adducerent. Quarta vero pars stateris remansisse cognoscitur, quia per episcopos et doctores sanctae ecclesiae verbum fidei usque ad mundi finem electis fidelibus exhibetur ,. (1) Omil. XXXVI, in Evang., lib. II, I, 1619-20. (2) Così lo stesso Gregorio esprime questo sentimento: “ Mens humana... quia malorum tantorum in se remedium non invenit, tristitiae intolerabilis pondere praegravata tabescit, et tanto se durius in cogitatione dilaniat, quanto terribilius esse, quod imminet, iudicium pensat , (Expos. in tertium psalmum poenit., III, parte II, 484). 272 GIUSEPPE CALLIGARIS “ Quanto più si avvicina al fine il presente secolo altrettanto il secolo futuro “ ipsa iam quasi propinquitate tangitur et signis manifestioribus aperitur ,. Siamo come in quel punto nel quale sta per ispuntare il giorno, e la luce e le tenebre sono quasi mescolate fra loro. “ Quemadmodum cum nox finiri et dies in- cipit oriri, ante solis ortum simul aliquo modo tenebrae cum luce commixtae sunt, quousque discedentis noctis reliquiae in luce diei subsequentis perfectae vertantur, ita hutus mundi finis iam cum futuri seculi exordio permiscetur, atque ipsae re- liquiarum eius tenebrae quadam iam rerum spiritualium per- mixtione translucent (1) ,. Il concetto che qui abbiamo raccolto, non solo ci appare nelle meditazioni preparate per i. fedeli, o nei devoti con- versari fra Gregorio e il diacono Pietro, ma tiene un posto notevole in documenti non privati e della più alta importanza, e diviene uno dei più validi argomenti con cui il pontefice in- calza il suo avversario. Questo conferma che per Gregorio il terrore del finimondo non era un timore retorico, che prestasse argomento a un bel ragionare, ma era invece il soggetto della meditazione di ogni giorno, verità su cui non poteva per lui cader dubbio, e do- veva essere accettata da tutti senza discussione. L'imperatore Maurizio aveva proibito ai soldati ed ai cu- riali di entrare nei monasteri, spinto dalle gravi condizioni politiche del momento. San Gregorio, sebbene in massima non rigettasse tutto il pensiero imperiale a questo riguardo, si ma- raviglia e si addolora che allora appunto si proibisse ad alcuno di abbandonare il mondo “ quo (tempore) appropinquavit finis ipse seculorum ,. Ecco che non v'è più indugio e ardendo il. cielo e la terra, fra il corruscare degli elementi, il giudice tre- mendo sta per apparire cogli angeli ed arcangeli, coi troni e le dominazioni, coi principati e le potestà (2). (1) Dial., IV, 41 (II, 445). (2) Jarrè, 1266 (903), aug. 593, ind. 11, Reg., III, 61. SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 273 Ed in altre gravi e solenni circostanze il pontefice ricorse pure a questo argomento. Sono ben note le lotte che Gregorio ebbe a sostenere coi patriarchi di Costantinopoli Giovanni e Ciriaco per il titolo di vescovo universale, al quale questi pre- tendevano. A noi, che non abbiamo il dovere di riassumerle, basterà rimandare a quanto ne ha detto il Grisar nella mono- grafia tante volte citata, dove egli sviluppa questo argomento con molta larghezza. Gregorio si opponeva a tutt'uomo a quelle pretese, diceva ravvisare in quella “ superbia , “ propinqua iam Antichristi esse tempora (1) , e scrivendo nel 597 al vescovo Ciriaco, suc- cesso a Giovanni anche nelle pretese a vescovo universale, lo esortava a deporre quel titolo poichè, fra le altre cose, essendo vicino già l’Anticristo, egli desiderava che questi nulla trovasse di sua appartenenza non solo nei costumi, ma neppur nelle parole riferentisi ai sacerdoti: “ Quia hostis omnipotentis Dei Antichri- stus iuxta est, studiose cupio ne proprium quid inveniat non solum in moribus, sed etiam nec in vocabulo sacerdotum (2) ,. Due anni più tardi, nel 599, era ancora questa riflessione che ripeteva a parecchi vescovi dell’Oriente, invitati ad una sinodo da radunarsi in Costantinopoli, esortandoli a non conce- dere in niun modo il titolo di vescovo universale a Ciriaco (3). E questo ripetersi dello stesso argomento, con tanta insi- stenza, e assegnandogli tanta importanza, in lettere scritte col- l’intervallo di anni, a personaggi altissimi, e con carattere ufficiale, ci conferma quanto abbiam detto più sopra, che il ricordo del finimondo è per Gregorio l’espressione di un senti- mento profondamente sentito. E che tale fosse basterebbe a provarlo il fatto anda è questo (1) Jarrè, 1352 (973), iun. 1, 595, ind. 13, Reg. V, 39. È in questa lettera scritta all’'imperatrice Costantina che Gregorio esprime il suo pro- fondo cordoglio per i lunghi 27 anni da cui in Roma si viveva fra le spade dei langobardi. (2) Jarrè, 1474 (1109), iun. 597, ind. 15, Reg., VII, 28. (3) Jarrè, 1683 (1222), mai. 599, ind. 2*, Reg., IX, 156. “ Sed quia hoe iam, ut vidimus, mundi huius termine propinquante, in praecursione sua apparuit humani generis inimicus, ut ipsos qui ei contradicere bene atque humiliter vivendo debuerunt, per hoc superbiae vocabulum praecursores habeat sacerdotes ,. 274 GIUSEPPE CALLIGARIS sempre l'argomento a cui Gregorio ricorre nei casi che gli oc- corrono: con questo salutare pensiero scuote l’indifferenza del peccatore, richiama al suo dovere il magistrato, distacca dalle cose del mondo quelli che vi hanno affetto, eccita gli ostinati a penitenza. Colle quali considerazioni vogliamo solo provare che il pensiero del finimondo è continuo in S. Gregorio: a suo luogo vedremo di lumeggiar meglio il pensiero gregoriano a questo proposito. Un Andrea desidera che Gregorio gli ottenga una carica dall'imperatore, ma il santo pontefice si adopera tutto per di- stoglierlo da simile pensiero e indurlo a consacrarsi alla salute dell'anima. “ Cur.... magnifice fili, non consideras quia mundus in fine est? Omnia urgentur quotidie, ad reddendas rationes aeterno et tremendo iudici ducimur ,. A che dunque dobbiamo pensare, se non alla venuta di Lui? Poi, con magnifica simili- tudine, descrive il rapido fuggir della vita, senza che possiamo arrestarlo. “ La vita nostra, egli dice, si può paragonare a colui che naviga. Infatti costui, o stia in piedi, o segga, o giaccia, cammina sempre, trasportato dall’impeto della nave. Così siam noi; o siam desti, o dormenti, tacciamo, o parliamo, o cammi- niamo, vogliamo o non vogliamo, continuamente, ogni giorno veniamo trascinati al fine ,. Il terribile pensiero, profonda- mente mesto, non poteva essere espresso con maggior forza (1). La patrizia Rusticiana è ritornata troppo presto a Costan- tinopoli dal suo viaggio al monte Sina. Ciò spiace a Gregorio, che in questa fretta scorge soverchio amore ai proprii agi, e ne fa alla nobil donna aspro rimprovero, esortandola a distac- carsi dal mondo, le cose del quale sono caduche e ‘fuggitive «“ quia, dum haec loquimur, et tempus currit, et iudex super- venit et mundum quem sponte nolumus, esse iam prope est ut inviti relinquamus (2) ,. E se altri volesse trovare in queste parole un’allusione alla morte, che ci distacca, anche contro voglia, dalle cose del mondo, legga quelle ben più chiare che rivolse ad Eusebia pa- trizia esortandola a distogliere l’anima dal tumulto della regia città e a considerare la vanità del tutto. “ Excellentia vestra.... (1) Jarrè, 1472 (1107), iun. 597, ind. 15, Reg., VII, 26. (2) Jarrè, 1316 (951), aug. 594, ind. 12, Reg., IV, 44. SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 275 venturi iudicis examen tremendum cum metu et lacrymis quo- tidie sine cessatione consideret, illumque diem, in quo pertur- banda sunt omnia, cum timore ad animum reducat, ut iram iudicis in ipso iam die non timeat (1) ,. Col ricordare il giudizio supremo egli esorta il pretore della Sicilia Giustino a concordia, giustizia e onestà (2), ammonisce Venanzio cancelliere d’Italia, ex-monacho (8), richiama al do- vere il diacono Pietro (4), dà saggi consigli al vescovo Gio- vanni della Chiesa Scillacina (5), e scrivendo a tutti i vescovi Numidi di essere solleciti dell'anima dei loro prossimi, consiglia loro a valersi di questo fortissimo argomento “ ad fidem, quos valetis, praedicatione charitatis praetenso terrore futuri iudicii suadete (6) ,. * * * Ma è possibile stabilire, dalle opere di S. Gregorio, quando avverrà questa dissoluzione di ogni cosa ? Sebbene fosse venuta l’ultima età del mondo, Gregorio sperava che la sua generazione non avrebbe assistito all’ultimo giorno delle cose. I mali, che travagliavano l'umanità, dovevano aggravarsi ancora, e allora solo il mondo, sotto sì grave peso, si sarebbe sfasciato. Questa la fosca previsione che uno dei maggiori fra i Romani traeva dagli avvenimenti dei suoi tempi. Nella 1% Omelia (lib. II) su Ezechiele, egli paragona la Chiesa ad un edifizio che si va lentamente costruendo nei secoli, il quale sarà finito solo alla consumazione di questi, e i fedeli (1) Jarrè, 1900 (1517), iun. 603, ind. 6, Reg. XIII, 35. (2) Jarrè, 1068 (705), sept. 590, ind. 9, Reg., I, 2. (3) Jarrè, 1103 (737), mart. 591, ind. 9, Reg., I, 33. (4) Jarrè, 1112 (748), mai. 591, ind. 9, Reg., I, 42. (5) Jarrè, 1191 (826), iul. 592, ind. 10, Reg., II, 37. (6) Jarrè, 1144 (781), aug. 591, ind. 11, Reg., I, 75. Sarebbe del resto troppo lungo e di scarso profitto il riferire tutti i passi nei quali Gregorio attesta l'avvicinarsi del giudizio. È un concetto che appare spessissimo, come già avvertimmo, e dal saggio dato si può comprendere qual parte abbia nelle opere di Gregorio. 276 GIUSEPPE CALLIGARIS ( che fan parte della Chiesa sono le pietre che lo compongono. Ora negli edifizi noi vediamo che le pietre si sostengono l’una coll’altra, salvo quelle poste all'estremità dell’edifizio stesso, che son portate da altre, senza che esse altre ne sostengano. Traendo a significazione allegorica e morale questo concetto osserva che anche nell’edifizio della chiesa “ vicissim se pro- ximi tolerant, ut per eos aedificium charitatis surgat...; si vos portare negligo in moribus vestris, et vos me tolerare contem- nitis in moribus meis, charitatis aedificium inter nos unde surget?.... ,. Dunque in questo mistico edifizio “ lapis qui portat, portatur ,. Ma come le pietre che si pongono sulla sommità dell’edi- fizio son portate ma non portano, così “ hi qui in fine Ecclesiae, id est in extremitate mundi nascituri sunt, tolerantur quidem a maioribus.... sed cum non eos sequuntur qui per illos per- ficiant, nullos super se fideles fabricae lapides portant , Ciò sarà alla fine dell’edifizio, ma ora “ altri sono portati da noi, e noi siamo portati da altri ,. Ora dunque l’edifizio è ancora incompiuto, nè si son poste ad esso le ultime pietre (1). Ma, anche fuori di figura, S. Gregorio attesta che non è per anco giunto il colmo dei mali, e che i dolori ben maggiori aspettano quelli che verranno. Il vescovo di Salona, Massimo, si era leoni con lui di quanto soffriva per le invasioni degli Slavi nell’Istria, e il pontefice, travagliato da mali corporali assai gravi, oppresso dalle calamità che vedeva aggravarsi sulla terra, non sa dargli altra parola di conforto se non predirgli che sarebbero venuti tempi ben peggiori. “ Ubique video quia nobis peccata nostra respondeant, ut et foris a gentibus et intus a iudicibus (greci) conturbemur. Sed nolite de talibus omnino contristari, quia qui post nos vixerint, deteriora tempora videbunt, ita ut in com- paratione sui temporis, felices nos aestiment dies habuisse (2) , Questo stesso argomento di consolazione egli porgeva ad uno dei re degli Angli venuto alla luce della fede, Etelberto, al quale, come sprone per procedere nella via intrapresa, ri- (1) Omal., I, lib. II, in Ezech., I, 1311-13. (2) Jarrè, 1784 (1320), iul. 600, ind. 3, Reg., X, 15. SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 277 cordava il terribile giudizio. “ Vogliamo che la gloria vostra sappia che il fine di questo mondo è vicino.... e sta per venire il regno dei santi che non avrà mai fine ,. Avvicinandosi questo fine del mondo, stanno per sopraggiungere molte cose che prima non accadevano cioè “ immutationes aeris, terroresque de coelo, et contra ordinem temporum tempestates, bella, fames, pesti- lentiae, terrae motus per loca. Quae tamen non omnia nostris diebus ventura sunt, sed post nostros dies omnia subsequentur ,. Voi dunque, se vedete nel vostro paese accadere alcun che di questo, non dovete turbarvi, perchè questi segni della fine del mondo sono mandati avanti per farci solleciti delle anime nostre, attenti sull’incertezza dell’ora della morte, e pronti, con buone azioni, al giudice che sta per venire (1) ,. Dalle quali parole noi apprendiamo che cosa significhino i segni del giudizio, secondo il concetto di Gregorio. Essi sono’ una prova della bontà di Dio, il quale con questo mezzo avvisa gli uomini a prepararsi ad un passo così grave. Questi terribili araldi appaiono molto prima di quel tempo nel quale comparirà lo stesso tremendo giudice, affinchè l’uomo rientri in sè stesso, e si volga tutto a Dio, lasciata ogni altra cosa; essi saranno degna punizione al malvagio che, ostinandosi nel mal fare, non solo si fa degno di queste sventure, ma di altre ben peggiori che l’attendono. Su questo concetto avremo ancora occasione di ritornare. * * * È dunque certo per S. Gregorio Magno che i segni del giudizio sono già cominciati ad apparire: non è per anco la morte, ma già vi sono i segni spaventevoli che la annunziano. Questa impressione terribile di un mondo che cammina fatalmente verso una morte prossima, è prodotta su Gregorio dalle calamità del suo tempo, diremo meglio, dall’ intera storia del suo tempo, che addolorava profondamente quell’anima di Romano. Le ingiurie del cielo, dell’aria, della terra, quelle degli uomini, sono da lui confuse insieme; per lui hanno lo stesso significato il terremoto che scuote la città, il fiume che la inonda, (1) Jarrè, 1827 (1416), iun. 22, 601, ind. 4, Reg. XI, 37. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 21 278 GIUSEPPE CALLIGARIS la bufera che la desola, ed il barbaro che la scorre e la sac- cheggia: son tutti segni di prossimi avvenimenti più terribili ancora, dei quali Dio pietoso ci avvisa; lo stesso fatto delle invasioni barbariche, per lui non rappresenta che uno dei segni dell’ira divina. . Nell'Omelia I e nella XXXV sopra gli Evangeli, parlasi dei segni che precederanno il giudizio, a proposito delle parole evangeliche che qui riferisco per maggior chiarezza: “ Cum.... audieritis praelia, et seditiones nolite terreri: oportet primum haec fieri, sed nondum statim finis.... Surget gens contra gentem, et regnum adversus regnum. Et terrae motus magni erunt per loca, et pestilentiae, et fames, terroresque de caelo, et signa magna erunt.... Et erunt signa in sole, et luna, et stellis, et in terris pressura gentium prae confusione sonitus maris, et fluctuum.... Videte ficulneam, et omnes arbores: cum producunt iam ex se fructum, scitis quoniam prope est aestas. Ita et vos cum videritis haec ferri, scitote quoniam prope est regnum Dei ,. (Luc. XXI, 9, 10, 11, 25, 29, 30, 31). S. Gregorio comincia dallo spiegarci la ragione per cui era bene che Iddio ci avvisasse di questi mali, prima che accades- sero. “ Dominus ac Redemtor noster perituri mundi praecur- rentia mala denuntiat, ut eo minus perturbent venientia, quo fuerint praescita , (1), ed ancora perchè “ paratos nos invenire desiderans, senescentem mundum quae mala sequantur denuntiat; ut nos ab elus amore compescat ,, così che “ si Deum metuere in tranquillitate non volumus, vicinum eius judicium vel percus- sionibus attriti timeamus (2). Passa quindi in rassegna questi varìî segni “ Bella..... ad hostes pertinent, seditiones ad cives ,, così che noi saremo fla- gellati e dai nemici e dai fratelli. Ma dopo le guerre o le sedi- zioni non vi sarà tosto la fine; altri segni avverranno e noi soffriremo “ alia e celo, alia e terra, alia ab elementis, alia ab hominibus ,. La frase surget gens contra gentem indica le per- turbazioni degli uomini, erunt terrae motus magni per loca, l'ira superiore; erunt pestilentiae, l’ineguaglianza dei corpi; erit fames, la sterilità della terra; terroresque de caelo et tempestates (lezione (1) Hom., XXXV, lib. II, in Evang., I, 1612. (2) Hom., I, lib. I, in Evang., I, 1436. SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 279 che Gregorio qui accetta invece della su riferita), l’ineguaglianza dell’aria (1). Ma di questi segni alcuni sono già apparsi, altri temiamo che in breve abbiano a comparire. “ Che gente sorga contro gente, e che del loro peso gravino la terra, vediamo nei nostri tempi più di quello che leggiamo nei libri. Sapete con quanta frequenza ci giunga notizia da altre parti del mondo che il terremoto sconvolge innumerevoli città, e noi soffriamo senza riposo la pestilenza. — Finora non sono per anco apparsi segni nel sole, nella luna, nelle stelle, ma dalla stessa mutazione dell’aere possiamo supporre che non sono lontani. Sebbene ab- biamo veduto in cielo delle ignee schiere, e corruscar quel sangue che poi fu sparso, prima che l’Italia fosse abbandonata “ gentili gladio ferienda ,, cioè ai Langobardi. — Neppur è sorta nuova confusione del mare e dei flutti, ma, essendosi già compiute molte delle cose annunziate, non v'è dubbio che seguiranno anche quelle poche che restano; giacchè le prime ce ne fanno fede (2). Appare quindi evidente che Gregorio considerava le cala- mità del suo tempo come segni della prossima fine delle cose: su questo concetto egli insiste assai frequentemente, e credo che non sarà inutile che noi pure ci fermiamo alquanto. Redento, vescovo Ferentino (3), parlava talora a Gregorio, ancora nel monastero, della fine del mondo e gli narrava una visione da lui avuta nella chiesa del martire Eutichio, presso la tomba del quale aveva voluto riposare la notte. Mentre il vescovo stava fra il sonno e la veglia, gli si era fermato avanti il martire stesso che per tre volte gli aveva detto: “ Finis venit universae carnis , e poi era sparito. E ben presto erano apparsi i segni che provavano vere le parole udite da Redento, e questi segni che Gregorio riferisce (1) Hom., XXXV, lib. II, in Evang., I, 1612. (2) Hom., I, lib. I, in Evang,, I, 1436. Si potrebbe aggiungere che nel- l’Om. XXXV (loc. cit., I, 1613), parlando delle tempestates, osserva doversi intendere di quelle solo che avvengono contro l'ordine dei tempi. “ Quod nos quoque nuper experti sumus, quia aestivum tempus omne conversum în pluvias hyemales vidimus ,. Ecco adempiuto altro dei segni. Nell'Om., II, lib. I, sup. Ezech., Gregorio ricorda pure i segni del giudizio colle parole di MartEo, XXIV, 29. (3) Dial., III, 38 (t. II). 280 GIUSEPPE CALLIGARIS al diacono Pietro, non sono che una paurosa descrizione di quei tempi. Tosto, egli dice, apparvero in cielo quei segni terribili (forse allora nella memoria di tutti) di aste e di schiere ignee viste dalla parte di Aquilone. Tosto la feroce gente dei Langobardi, uscita dalla vagina delle sue stanze, colpì le nostre cervici e la popolazione che prima qui abbondava come messe, giacque recisa ed inaridita. Furono saccheggiate le città, distrutti i castelli, bruciate le chiese, abbattuti i monasteri di uomini e di donne, abbandonati i campi, dove prima eranvi i cultori ora è deserto, e dove prima abbondava la moltitudine degli uomini, ora è copia di fiere. — Che cosa si faccia nelle altre parti del mondo, non lo so, ma qui dove noi siamo, il mondo non solo annunzia, ma mostra che è giunta la sua fine. La quale frase ci toglierebbe ogni dubbio se ancora fossimo incerti su quanto dicevamo: le calamità dei suoi tempi sono per Gregorio prova sicura che il mondo è ai suoi ultimi giorni, e che i mali che lo affliggono, sono i segni precursori della ruina totale. Questo stesso concetto è ripetuto tante volte che noi cor- reremo rischio di spendere parole inutili se volessimo riferire tutti i passi che trattano di questo argomento. Ne riporto alcuni più importanti. “ Ecco già rovinate tutte le cose di questo mondo, che noi avevamo sentito dalle sacre carte dover perire, scrive egli ai preti, diaconi e clero della chiesa Milanese. Distrutte le città, abbattuti i castelli, rovinate le chiese, spopolata la nostra terra. In noi stessi rimasti così pochi, coi flagelli del cielo, incrudelisce senza tregua la spada degli uomini. Ecco che noi vediamo già i mali del mondo, che sentivamo dover accadere; le piaghe che hanno colpite le terre son fatte per noi quasi pagine di libro. Pensiamo quindi, nel morire di tutte le cose, che è nulla ciò che amammo; considerate l'avvicinarsi del giorno dell’ eterno giudice, e col pentirvi, prevenitene il terrore..... (1). Che i destini umani stiano per compirsi, e che sotto gli occhi spaventati degli uomini d’allora si avveri quanto predivano le sacre carte, Gregorio lo ricorda pure al patriarca di Costantinopoli: “ omnia (1) Jarrè, 1233 (869), apr. 593, ind. 11, Reg., III, 29. SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 281 quae praedicta sunt, fiunt. Rex superbiae (l’Anticristo) prope est... La pestilenza e la spada che incrudeliscono per il mondo, le genti che insorgono contro le genti, il mondo scosso dai ter- remoti, la terra che perisce coi suoi abitatori, ne sono i segni funesti , (1). Le quali parole meglio serviranno a manifestarci l’animo di chi scriveva, se ricorderemo che poco dopo aggiungeva: “ sub tantis tribulationibus circumfusus barbarorum gladiis premor, ut non dico multa tractare, sed mihi respirare vix liceat ,. Queste sventure non sono però inaspettate per il cristiano, il quale vede in esse l’avverarsi della divina parola. “ Abbiamo sentito, scrive al vescovo di Cartagine, con qual violenza la peste sia scoppiata nella parte dell’Africa, e perchè neppur l’Italia è libera da tale flagello, si raddoppiano in noi i gemiti di dolore. Ma fra questi mali e altre calamità innumerabili, il cuor nostro verrebbe meno per disperato dolore, se la voce del Signore non avesse rafforzata la nostra fragilità, col predire questi mali che doveano accadere all’avvicinarsi della fine del mondo. Non dobbiamo dunque dolerci di ciò che soffriamo, come di cose giunte all’improvviso. Il modo della morte è spesso di conso- lazione nel pensare alla morte di alcuno! ,. Ed egli, volgendo (1) Jarrè, 1357 (970), 1 iun. 595, ind. 13, Reg., V, 44. Le parole colle quali si descrivono le calamità del mondo sono ad un di presso quelle della lezione evangelica su citata, e le calamità stesse sono raggruppate in modo che rispondano a quelle. Perciò a questo riguardo nelle lettere gregoriane vi sono molte ripetizioni. Nella lettera all'imperatore Maurizio, contrapponendo alla desolante condizione dell'Europa il brutto esempio della superbia sacerdotale (e ciò sempre a proposito delle contese col pa- triarca di Costantinopoli), scrive: “ Ecce cuncta in Europae partibus Bar- barorum iuri sunt tradita ,. Questi sono i ministri dell’ira divina, poichè aggiunge: “ destructae urbes, eversa castra, depopulatae provinciae, nullus terram cultor inhabitat: saeviunt et dominantur quotidie in necem fidelium cultores idolorum, et tamen sacerdotes, qui in pavimento et cinere flentes iacere debuerunt, vanitatis sibi nomina expetunt , (JArrè, 1360 (972), iun. 595, ind. 13, Reg., V, 37). — Rimproverando i nobiles e i possessores della Sardegna perchè lasciavano vivere nel paganesimo i rustici delle loro possessioni, rammenta loro la prossima fine del mondo, annunziata dai so- liti segni: “ Quam vicinus finis urget (il mondo) aspicitis, quod modo hu- manus in nos, modo divinus saeviat gladius videtis ,, eppur voi “ a com- missis vobis lapides adorari conspicitis et tacetis , (JArrè, 1295 (930), mai. 594, ind. 12, Reg., IV, 23). 282 GIUSEPPE CALLIGARIS attorno lo sguardo, vedeva che spesso la morte era il solo rimedio a tanti mali, e la vita un tormento (1). Queste stesse riflessioni mette avanti nel consolare Italica e Venanzio per i loro mali privati. Nelle calamità che desolano il mondo come tristo annunzio di futuro danno, si spiegano i dolori particolari. “ Son già undici mesi che assai di rado posso sorgere dal letto; sono afflitto da sì gravi dolori di podagra e da tanti altri incomodi, che la vita mi è un supplizio gravissimo. Ogni giorno vengo meno nel dolore, e sospiro la morte come un rimedio. Nel clero e nel popolo di questa città (Roma) irruppero sì gravi languori di febbri, che nessuno rimase capace a far qualcosa. Dalle vicine città mi si annunziano ogni giorno stragi e morti. Voi che siete più vicini (in Sicilia), sapete meglio di me quali stragi semini morte in Africa, e cose più gravi annunziano quelli che vengono dall’Oriente. — Voi perciò non dovete troppo acco- rarvi delle vostre molestie, fra tutti questi mali, perchè vedete che il flagello è per tutti, avvicinandosi la fine del mondo. Ma come saggi volgete tutto il cuor vostro alla salute dell’anima, e più temete lo stesso giudizio, quanto più è vicino , (2). Alla desolazione del mondo, si deve aggiungere quella di Roma, le cui miserande condizioni si rilevano tristamente dalle pagine di Gregorio. “ Noi vediamo quale sia rimasta Roma, che una volta pareva signora del mondo, per i suoi immensi dolori, per la desolazione dei cittadini, per gli assalti dei nemici, per la frequenza dei pericoli... essa ha perduto i potenti del secolo; e dove è ora il suo popolo, dove il Senato? e noi, pochi super- stiti, le spade e le tribolazioni opprimono..... Roma brucia vuota..... , (3). Le quali parole tristamente lugubri, recitate avanti agli atterriti Romani, mentre la bufera langobarda minacciava la città (4), compiono il tristo quadro delle infelicità del mondo. — (1) Jarrè, 1789 (1326), aug. 600, ind. 3, Reg., X, 20. (2) Jarrè, 1759 (1280), aug. 599, ind. 2, Reg., IX, 232. (3) Hom., VI, lib. II, in Ezech., I, 1374-5. (4) È noto che la recita di queste Omelie fu interrotta nel 593 a ca- gione dell’assedio di Roma al tempo di Agilulfo. Otto anni più tardi il papa le fè raccogliere e spedire all’arcivescovo di Ravenna, Mariniano. Siccome di ciò parla il GrIsar, così non mi soffermo a discorrerne più largamente. SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 283 E a conclusione di quanto dicemmo, si potrebbero riferire pa- recchi passi nei quali son riassunte quelle serie infinite di sven- ture (1): noi ci contenteremo di ricordarli in nota, e di osser- vare con Gregorio che il mondo stesso pieno di piaghe ora rivolgeva gli uomini a Dio (2) mentre un giorno era stato virtù il disprezzarlo quando era fiorente, quando “ erat vita longa, salus continua, opulentia in rebus, foecunditas in propagine, tranquillitas in diuturna pace ,. Il mondo ebbe esso pure i suoi giorni splendidi, la sua gio- vinezza, e la vita allora era men dura: e il Romano pensava con rammarico a quei tempi lontani, egli obbligato a vivere nella vecchiezza del mondo stesso. “ Come nella gioventù è vigoroso il corpo, forte ed incolume il petto, torosa la cervice, piene e salde le braccia, e negli anni senili si curva la statura, si piega la cervice, il petto è affan- noso, vien meno la forza, e l’anelito impedisce la parola, giacchè, anche non vi sia languore, ai vecchi è malattia la stessa salute; così il mondo, negli anni passati, ebbe quasi il vigore della gio- ventù, robusto per propagare la stirpe umana, florido per salute di corpi, ricco per opulenza di beni. Ora lo abbatte la sua (1) Cfr. Hom., VI, lib. II, super. Ezech., I, 1376; Hom., IV, lib. I, in Evang., I, 1448, dove scrive: “ Hoc (la fine delle cose)... etiam si Evangelium taceat, mundus clamat. Ruinae namque illius voces eius sunt... ,. Cadde dalla sua gloria... ed è amaro a quelli stessi da cui era amato. È facile, ora che vediamo la rovina di ogni cosa, allontanare il nostro cuore dal- l’amore del mondo; era invece difficile allora quando “ longe lateque omnes cernerent florere regna terrarum ,. Ciò era al tempo della predicazione apostolica e nei primi tempi della chiesa “ unde adiuneta sunt praedica- toribus sanctis miracula , (I, 1450); “ quando si appicca il fuoco ad una casa, il padrone prende ciò che ha più caro e fugge; ora ecco che le fiamme delle tribolazioni bruciano il mondo, e che la prossima fine, come fuoco, guasta tutto ciò che in esso sembrava bello ,. Consiglia quindi, in senso spirituale di imitare, nel fuggire, il padrone della casa incendiata. Ricordo per ultimo che fra i segnali della fine del mondo, Gregorio pone la con- versione delle genti, che si era già compiuta: “ in coelo iam sedet qui de conversione nos admonet: iam iugo fidei colla gentium subdidit, iam mundi gloriam stravit, iam, ruinis eius crebrescentibus, districti sui iudicii diem propinquantem denunciat , (Hom., V, lib. I, in Evang., I, 1450), nel quale passo, oltre all’accenno delle solite sventure e ruine del mondo, è indicato un segno che finora hon avevamo visto ricordato. (2) Hom., XXVIII, lib. II, in Evang., I, 1569. 294 GIUSEPPE CALLIGARIS stessa vecchiezza ed è spinto a morte non lontana da molestie che sempre si accrescono , (1). Alle ruine materiali del mondo è da aggiungere lo sfacelo morale. Gregorio, mentre scorgeva i dolori che sopportavano gli uomini del suo tempo, doveva pure attristarsi per la visibile decadenza della loro fede e dei loro costumi: segnale ancor questo dei terribili avvenimenti che si aspettavano. “ Prima i cuori degli uomini si sconvolgono e poi gli ele- menti (2); nella fine dei secoli lo spirito maligno col freddo del suo torpore occuperà più gravemente le menti degli uomini , (3). Abbondano i malvagi perchè giustamente siano oppressi dalle ruine del mondo (4), e già l’apostolo Paolo prediceva che “ in novissimis temporibus instabunt tempora periculosa, et erunt, homines se ipsos amantes, cupidi, elati , e Gregorio ben lo sapeva egli che, per non affliggere altrui, taceva quello che soffriva per (1) Hom. I, lib. I, in Evang., I, 1438-39. Cfr. pure: Hom. XXVIII, lib. II, in Evang., I, 1568-69. Mi sia lecito ricordare ancora un luogo assai noto dei Dialoghi (IV, 35), che può interessarci. Si parla quivi della condizione dell'anima che, mentre sta per uscire dal corpo, conosce quelli coi quali dovrà avere comune il premio o il castigo. A conferma di ciò si parla di Eu- morfio che, morente, aveva mandato il suo servo ad un conoscente, che pure era per morire, dicendogli che era giunta la nave per traghettarli in Sicilia. Il diacono Pietro chiede a Gregorio perchè a quel moribondo fosse apparsa una nave e perchè avesse predetto di dover essere trasportato in Sicilia. Gregorio, risposto alla prima delle due domande, osserva, rispetto alla seconda, che “ in eius terrae insulis eructante igne, tormentorum ollae patuerunt ,. “Quae, ut solent narrare qui noverunt, laxatis quotidie sinibus, excrescunt, ut, mundi termino appropinquante, quanto certum est illuc amplius exu- rendos collegi, tanto et eadem tormentorum loca amplius videntur aperiri ,, Il che Dio permise si mostrasse in questo mondo a correzione dei viventi, affinchè le menti degl’infedeli, che non credono ai tormenti dell’inferno vedano î luoghi dei tormenti, essi che non vogliono credere a ciò che hanno udito. Cfr., su questa leggenda, Grar, Miti, leggende e superstizioni del M. E. II, 316; e II, 86 (Torino, Loescher, 1898). (2) Hom. XXXV, lib. II, in Evang., I, 1613. (3) Hom. II, lib. I, in Ezech., I, 1187-A. (4) Hom. XXXV, lib. II, in Evang., I, 1614. SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 285 le spade dei barbari, e per la perversità dei giudici (1). E quasi a togliere ogni consolazione quaggiù, sparivano dal mondo gli uomini migliori (2) perchè non vedessero i mali di questa terra, e si compisse con essi l’edifizio celeste, all'avvicinarsi della fine del mondo (8). La fede stessa scadeva nel cuore degli uomini: “ ora è scarsezza di uomini perfetti e mentre vediamo come la religione fiorisse negli antichi tempi, ora ne piangiamo la mancanza. Addolorati dalla miseria del tempo presente, sospiriamo che siasi sfrondato il fiore del tempo che passò, colla bellezza della san- tità. Gli stessi pastori delle anime si sono corrotti e guastati; essi pure attendono alle cose della terra, cercano le cose fug- | gitive, non mostrano neppure gli indizi della vita spirituale, nè spargono luce alcuna su di noi (4) ,. Anche il clero è giunto alla sua vecchiezza; la vecchiezza e la giovinezza di Samuele, indicano per Gregorio la vecchiezza e la giovinezza del sacerdozio. Era giovane Samuele quando il ‘sacerdozio, nulla curando la terra, solo aspirava alle cose celesti, per poter più efficacemente predicarle; perciò e colle parole e cogli esempi accendeva gli animi dei sudditi all'amore di quelle. Forte e raggiante di bellezza giovanile, nello splendore della santa conversazione mostrava la forza della celeste parola, e colla sua vita confermava quanto predicava..... Ma è già gran tempo che Samuele invecchiò. È già gran tempo che molti se- guono l’amore del secolo, di quelli che colla loro virtù avreb- bero dovuto allontanare le gioie del mondo dal cuore degli altri , (5). Pur troppo, “ vespere... pastores lupi fiunt , poichè nell’oscurarsi e nel mancare di questo mondo, non si peritano di rapire i doni dei loro soggetti, cosichè, agognando alle cose temporali, all’alba dell'ultimo dei giorni, si privano di quei premi che loro sarebbero toccati (6). (1) Jarrè, 1489 (1124), sept. 597, ind. I, Reg., VIII, 2. (2) Jarrè, 1078 (713), dec. 590, ind. IX, Reg., I, 11. (3) Dial., III, 37. (4) Lib. IV, c. IV, in Primum Regum, III, pars 2°, 207-8. (5) Lib. IV, c. IV, in Primum Regum, II, pars 2°, 190. (6) Lib. I, c. I, in Primum Regum, III, pars 2°, 17 C. — Hom. XXXV, in Evang. 286 GIUSEPPE CALLIGARIS — SAN GREGORIO MAGNO, ECC. Volendo riassumere quanto abbiamo detto fin qui, noi pos- siamo concludere: è evidente nelle opere di Gregorio una vera preoccupazione incessante per la prossima fine del mondo, che sta sospesa sugli uomini come una minaccia. — Forse la genera- zione di S. Gregorio Magno non l’avrebbe veduta, ma il terribile avvenimento non poteva tardare a compiersi, perchè troppi segni lo annunziavano vicino, quei segni stessi che, secondo le sacre carte, precederanno l’ultimo dei giorni. Questi segni, araldi dell'ultima sventura, che Gregorio re- gistra con dolore, altro non sono che le calamità che allora affliggevano il mondo romano, quello sfacelo materiale e morale a cui ogni animo romano assisteva con dolore. S. Gregorio è Romano, e coll’occhio del romano considera tutte le cose. Egli ha sempre presenti i tempi floridi del mondo, che son quelli della gloria di Roma; la decadenza di questa gloria, lo squallore di quella città, una volta regina, il periodo tumultuoso successo a un periodo così profondamente pacifico, indicano per lui la fine delle cose, ed i gravi avvenimenti che in quei secoli si compivano; l’urto fra il Romanesimo ed il Germanesimo non potevano da lui considerarsi che come una sventura, un segno dell’ira divina. Ma che tramonti quell’antico ordine di cose infino a tanto che durerà il mondo, egli non crede: l'impero è saldo e forte in Costantinopoli e le aggressioni barbariche sono un accidente e nulla più. Non è la civiltà romana che crolla; è il mondo stesso che si sfascia. Egli non avrebbe mai potuto prevedere da quel disordine un nuovo ordine di cose. Perchè poi S. Gregorio credesse quelle sventure così gravi e non passeggere, perchè non mantenesse intatta la fede sul trionfo definitivo di Roma, ce lo dice in parte almeno l’opi- nione allora diffusa, che si vivesse nell’ultima delle età del mondo, e con simili convinzioni uno sconvolgimento così grave come quello a cui si assisteva nel secolo VI, non poteva che parere un segnale del termine di ogni cosa. 287 “ Sunto della Memoria: “ Studi psicofisiologici , ; del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. Nello sviluppo storico dell'umano pensiero la scienza della natura fisica esteriore ha preceduto la scienza dell’uomo, e lo spirito speculativo trapassò dall’una all'altra di queste due scienze mosso sia dalle contraddizioni delle primitive dottrine filosofiche intorno l’origine e la natura del cosmo, sia dal bisogno di rispondere al problema riguardante l'origine, la natura, il fine supremo dell’uomo, problema che s'impone da sè alla mente del filosofo. L’antropologia, malgrado la sua pressochè sterminata am- piezza, si distingue da tutte e singole le scienze particolari della natura, essendochè l’uomo possiede una natura specifica sua propria, per cui non va confuso con le specie di esseri corporei ed irragionevoli del cosmo esteriore. Essa va altresì distinta da quelle altre scienze affini, che contemplano l’uomo soltanto sotto tale o tal’altra delle sue manifestazioni particolari (quali sono ad esempio la morale, la politica, la pedagogia, la socio- logia), mentre essa medita la natura umana in tutta la sua integrità ed ampiezza. L’antropologia si trova di fronte a due sistemi, che la snaturano trascorrendo a due estremi opposti, lo scetticismo ed il razionalismo assoluto. Secondo lo scetticismo, niente si sa di vero intorno l’uomo, tutto è incerto e controverso; secondo il razionalismo assoluto tutto si può comprendere in riguardo al- l'essere umano, niente vi ha di inaccessibile alla ragione spe- culativa. Ma lo scetticismo contraddice a sè medesimo, perchè adopera la ragione per combattere la ragione, e non avverte che tra il conoscere tutto ed il conoscere nulla ci sta di mezzo quella parte di conoscenza, che si addice all’intelligenza umana. Il razionalismo assoluto poi si chiarisce insussistente sia dalla limitazione delle singole ragioni umane individuali, sia dai mi- 288 steri indicifrabili, in cui ci sì presenta una parte dell’essere umano. L’antropologia possiede il vero frammisto coll’incerto e coll’ignoto, epperò riposa sicura tra i due estremi-dello scet- ticismo e del razionalismo assoluto. i Tra il mondo esteriore della natura ed il mondo interiore dell'anima corrono analogie e corrispondenze molteplici e di- verse. Fuori di noi si riscontrano sostanze corporee coi loro fenomeni fisici e colle forze, che li producono, dentro di noi una. sostanza spirituale, l’anima, colle sue potenze, da cui derivano i fenomeni psichici. Fra i punti speciali di analogia tra il cosmo e lo spirito sono notevoli i seguenti. I primi vocaboli formati dall'uomo esprimevano l’esistenza delle sostanze corporee, le loro qualità ed azioni, poi furono adoperati metaforicamente ad espri- mere la natura e le operazioni dell'anima, e ciò appunto in virtù dell’analogia intima e profonda, che corre fra i due mondi. Similmente nel mondo animato e vivente della natura troviamo: 1° che la vita è dapprima tutta inviluppata in una unità ger- minale omogenea ed indistinta, dalla quale si svolge poi una moltiplicità di elementi, di tessuti, di organi, di funzioni; 2° che l’individuo vivente possiede una forza organogenetica o potere formatore, che plasma l'organismo, ed una virtù assimi- latrice, che lo conserva mediante il nutrimento. L’Io umano presenta sotto questo riguardo una perfetta analogia (non però identità) cogli organismi viventi della natura. Anche nell'anima del neonato la vita spirituale è originariamente chiusa in una semplicissima unità, anch'essa è fornita di un potere formatore, per cui dal suo stato rudimentale semplicissimo ed uno procede ad una moltiplicità di potenze e di operazioni, e di una virtù assimilatrice, per cui conforma al proprio stampo individuale il nutrimento proprio dello spirito. Tra l’anima ed il corpo dell’uomo corrono analogie e cor- rispondenze assai più intime e naturali, che non quelle, che abbiamo riscontrate tra il mondo corporeo esterno ed il mondo psicologico interno. Un primo e notevole punto di corrispon- denza sta nel parallelismo di sviluppo della mente e dell’orga- nismo traverso le successive età della vita; parallelismo però, che non è nè assoluto, nè continuato, tanto meno poi una iden- tità. Altra corrispondenza è quella che intercede tra la mente sana ed il corpo sano, tra le malattie dell'anima e le malattie 289 del corpo; il che ci porta a distinguere una duplice specie di igiene, di patologia e di terapeutica, corrispondenti alle due sostanze componenti l’essere umano. Anche i due stati della veglia e del sonno si corrispondono fra di loro, essendochè in ciascuno di essi le potenze dell'anima e le funzioni dell’orga- nismo si mostrano sotto forme speciali ed analoghe. Infine lo spirito ed il corpo in tutto il corso ascensivo del loro perfe- zionamento si prestano vicendevoli uffici, essendochè lo spirito deve ai sensi esterni le prime conoscenze del mondo sensibile corporeo, alla parola lo sviluppo del suo pensiero, alla mano lo strumento della sua attività artistica e morale, ed alla sua volta ricambia il corpo de’ ricevuti servizi, conferendogli virtù ed attitudini superiori alla sua costitutiva essenza. L’anima ed il corpo nei loro fenomeni presentano una cor- rispondenza, la quale per la sua grande ampiezza e somma importanza dà luogo a gravissime e serie considerazioni e for- nisce argomento di una scienza speciale, la psicofisiologia. A’ tempi nostri troviamo traccie di questa scienza nel Saggio sui principi ed i limiti della scienza dei rapporti del fisico e del morale del Cerise, e più ancora nei Principi generali di psico- logia fisiologica di Ermanno Lotze. Ricercare il supremo principio generatore di tutti i feno- meni della vita umana, tale è il problema fondamentale della scienza psicofisiologica. Il problema può ricevere due prin- cipali soluzioni, secondochè si ripone il principio generatore di tutti i fenomeni in una sostanza, o nei fenomeni stessi. Nella prima supposizione abbiamo il sistema del dinamismo, nella se- conda il fenomenismo. Ciascuna di queste due grandi categorie di sistemi psicofisiologici ha le sue suddivisioni, che sono riguardo alla prima il monodinamismo da un lato, il duodinamismo dall’altro. Il monodinamismo riconduce tutti i fenomeni umani ad una sola sostanza, come a loro principio generatore, la quale potendo essere o l’anima od il corpo, bipartisce il monodinamismo in animismo ed in materialismo. Il duodinamismo pone una essenziale diffe- renza tra i due ordini di fenomeni, mentali e fisiologici, e quindi fa derivare gli uni dalla sostanza spirituale, che è l’anima ra- zionale, gli altri dalla forza vitale intrinseca all'organismo. Il fenomenismo sta diametralmente opposto al dinamismo, e si bipartisce in dualistico ed evoluzionistico, secondochè riconosce 290 una linea di distinzione tra i due ordini di fenomeni, oppure sostiene che si trasformano gli uni negli altri. Secondo il si- stema del fenomenismo, i fenomeni hanno in sè medesimi la loro ragione spiegativa, essendochè sono tra loro congiunti dal doppio vincolo di successione e di causalità per guisa che av- vengono gli uni dopo gli altri, ed i precedenti sono causa dei susseguenti. Nel corso ascensivo della loro serie essi si mo- strano da prima più o meno semplici, e diventano sempre più composti. a mano a mano che vanno intrecciandosi e compli- candosi. L'autore della Memoria chiama ad esame critico queste diverse classi di sistemi psicofisiologici considerati nei loro rappresentanti più noti, fermandosi segnatamente sull’animismo di Stahl, di Francesco Bouillier, di Francesco Bonucci e di Antonio Rosmini. Venendo allo scioglimento del problema, vuolsi distinguere il duodinamismo esclusivo dal duodinamismo coor- dinato. Il duodinamismo esclusivo non risolve il problema, perchè separa l’uno dall’altro i due principî costitutivi dell’uomo. In- vece il duodinamismo coordinato è conciliabile coll’ unità dell’ Io umano, poichè l’anima razionale non essendo uno spirito puro, è essa che informa ed avviva il corpo. Così il principio organico corporeo produce i fenomeni della vita fisica ed animale, ma in grazia della forza vitale ricevuta dall’anima, la quale perciò produce direttamente e per sè stessa i fenomeni della vita men- tale, ed indirettamente ossia per mezzo del corpo i fenomeni della vita corporea. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. 291 CLASSI UNITE Adunanza del 29 Dicembre 1895. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Il Socio Naccari, Segretario della Giunta per l’aggiudica- zione del nono premio Bressa, legge la seguente relazione: La prima Giunta per il nono premio Bressa presentò alle Classi unite dell’Accademia nella seduta del 31 marzo 1895 la relazione degli studi da essa fatti per scegliere fra le opere inviate dai concorrenti o proposte dai Soci, quelle che meritas- sero d’essere prese in considerazione per il premio. Fra le opere di 42 autori, che vennero esaminate dalla prima Giunta, vennero scelte le seguenti, che qui nomino in ordine alfabetico: 1. Maurizio Cantor, Storia delle matematiche. 2. Teodoro Curtius, Studi sui composti idrogenati dell'azoto. 3. Adolfo Imbeaux, Studio idraulico sulla Durance. 4. Sophus Lie, Teoria dei gruppi di trasformazione ed altri scritti matematici. 5. Alessandro Macfarlane, Memorie di fisica matematica. 6. W. Ostwald, Trattato di Chimica generale e memorie di Fisico-chimica. 7. Lord Rayleigh e W. Ramsay, Scoperta dell’argon. Per proposte fatte da Soci nella detta seduta s’aggiunsero le opere seguenti: 1. T. Behring, Scoperta del siero antidifterico. 2. R. Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia. 3. H. C. Vogel, Lavori di astronomia fisica. 292 La seconda Giunta, prese in esame tutte queste opere, stimò che ciascuna di esse avesse pregi tali da renderla degna del premio. Tenuto conto però del numero notevole delle opere proposte, decise di dividerle in tre gruppi. La Giunta giudicò che le opere del primo gruppo abbiano qualche grado di pre- minenza sopra quelle degli altri due, e così quelle del secondo gruppo sopra quelle del terzo. Nel primo gruppo vennero poste le opere 1° di SopHus LIE; 2° di lord RayLeItcH e W. RAMSAY; 38° di Ermanno CaRrLO VOGEL; 4° del D" BrgRING. Rispetto a quest’ultimo va notato che la Giunta non fu così concorde come per gli altri tre autori nell’assegnargli un posto nel primo gruppo. 1. L’opera del Lie intitolata: “ Theorie der Transformations- gruppen , contiene una delle teorie più vaste e feconde della matematica moderna. Il Lie le diede completo sviluppo e ne fece importantissime applicazioni. Non tutti i volumi dell’opera del Lie vennero pubblicati nel quadriennio 1891-1894, ma a questo appartiene il terzo ed ultimo volume pubblicato nel 1893, che è il più ampio ed im- portante dell’opera. S'aggiunga che altre opere e memorie di molto valore fu- rono pubblicate in questo quadriennio dal Lie. 2. La scoperta dell’argon fatta da lord Rayleigh e da W. Ramsay, pubblicata nell'autunno del 1894, è forse il più impor- tante avvenimento scientifico degli ultimi tempi. Generalmente credevasi che la composizione dell’aria fosse perfettamente co- nosciuta, sicchè la scoperta di un nuovo gas contenuto in essa eccitò lo stupore generale. A merito singolare degli scopritori, e specialmente di lord Rayleigh, va notato che la scoperta non fu accidentale, come avvenne per la massima parte delle sostanze elementari. Lord Rayleigh avendo osservato delle minime ma costanti differenze di densità fra l’azoto tratto dall’aria e quello tennisti ni ii sint iti 293 e ottenuto da composti azotati pensò che ciò potea provenire dall'esistenza di una sostanza ancora ignota nell’aria e diresse i suoi studi a chiarire la cosa, prendendo a suo collaboratore il Ramsay, che per le indagini chimiche aveva competenza speciale. L’ottenere l’argon libero e puro richiese una lunga serie di svariate e minuziose operazioni. Gli autori accompa- gnarono la pubblicazione della loro scoperta con tutte quelle determinazioni di costanti fisiche, che nello stato presente della scienza valgono a definire un gas. Quanto alla scoperta dell’argon potendo venir fatta l’obbie- zione che questo premio non può assegnarsi a due persone, la Giunta è di parere che la votazione debba farsi sul nome del solo Lord Rayleigh, il quale nella scoperta ebbe il merito maggiore ed è uno scienziato di valore grandissimo. 3. È merito di H. C. Vogel l'aver dato un grande impulso agli studi di astronomia fisica e l’aver creato intorno a sè in Potsdam una scuola dedicata a quella scienza. In particolare è suo vanto l’aver ottenuto delle misure di precisione della velocità degli astri nel senso della visuale con l’applicazione della fotografia allo spettroscopio e l’aver tratto da tali osser- vazioni delle conclusioni di somma importanza. È noto che quando un corpo celeste si avvicina a noi le linee del suo spettro si spostano verso l’estremo più rifrangi- bile, che il fatto contrario avviene nel caso opposto e che gli spostamenti sono proporzionali alla velocità con cui l’astro si avvicina o si allontana. Da questo principio conosciuto sotto il nome di principio del Doppler venne un metodo di misurare la velocità degli astri nella direzione della visuale, metodo che fu applicato a molti astri dall’Huggins e da altri. Spetta al Vogel il merito di aver introdotto e perfezionato il sistema di misu- rare i minimi spostamenti delle linee spettrali, anzichè diretta- mente, sulle fotografie degli spettri stessi. Egli così ottenne un grado di precisione che prima non si credeva possibile. Se un astro lontanissimo si move in un’orbita chiusa, può darsi che a cagione della grandissima distanza nessuno sposta- mento di quell’astro sulla volta celeste venga avvertito. Ma lo spettroscopio usato nel modo ora detto ci dice che l’astro ora sì va avvicinando a noi, ora allontanando da noi, salvo il caso Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 22 294 (| che l'orbita giaccia in un piano perpendicolare alla visuale. Il Vogel osservò questo fatto nella stella variabile Algol e riuscì a porre fuori di dubbio ciò che prima era ipotesi, cioè che in- vece di un’unica stella Algol è un sistema di due astri, l’uno luminoso, l’altro oscuro, che si aggirano intorno al comune centro di gravità. Discutendo abilissimamente le osservazioni il Vogel riuscì a determinare i diametri, le masse, la distanza e la ve- locità di rotazione di questi astri, che non fu mai possibile distinguere con l'osservazione diretta. Per dare una prova decisiva del grado di precisione del suo metodo il Vogel osservò Venere in diverse fasi del suo moto rispetto alla terra e mostrò come le velocità calcolate col suo metodo si accordino bene con quelle date dalle tavole astro- nomiche. La memoria relativa ad Algol fu pubblicata nel 1890, quindi fuori del quadriennio, ma nella memoria intitolata: Untersuchung iiber die Eigenbewegung der Sterne im Visionsradius auf spektroscopischem Wege, pubblicata nel 1892 sono raccolte, oltre alle conclusioni definitive sul sistema di Algol altre con- simili su a Virginis, 8 Aurigae, £ Ursae minoris, 8 Orionis, ecc. Così il Vogel rivelò l’esistenza di una nuova classe di stelle doppie costituite ciascuna da due astri così vicini che i telescopi di più forte ingrandimento non ci dànno nessun indizio che la luce ci venga da due astri anzichè da un solo, o da un astro luminoso congiunto in sistema con uno oscuro. 4. Il D. Behring fu tra i primi che notarono l’azione eser- citata dal sangue nei processi d’immunizzazione acquisita. Nel 1891 egli dimostrò per primo la virtù preventiva e curativa del siero di sangue di animali resi immuni da infezioni, che originariamente erano atti a ricevere. Egli suggerì dei metodi, che vengono tuttora seguìti da tutti coloro che si dànno a tali studi. Posta fuori di dubbio con prove sperimentali la sua sco- perta, il D.r Behring si adoperò per vari anni a perfezionarla in modo da renderla applicabile all’uomo, e vi riuscì per l’infe- zione difterica, la quale, come è noto, si combatte oggidì vit- toriosamente, seguendo appunto gli ammaestramenti del D." Beh- ring, col siero di animali resi immuni da quella infezione. 295 Nel secondo gruppo la Giunta pose le opere degli autori seguenti: 1° M. CANTOR; 2° R. CAVERNI; 8° T. CurtIUSs; 4° W. OstwALD. 1. L’opera del Cantor intitolata: Vorlesungen iiber Geschichte der Mathematik, è frutto di lunghi e pazienti studi, ed è ricca di nuovi fatti. È un’opera storica di grandissimo valore. Non tutte le parti dell’opera furono pubblicate entro il quadriennio, ma il secondo volume pubblicato nel 1892 ed il terzo pubblicato nel 1894, vale a dire entro il quadriennio, abbracciano un periodo importantissimo per la storia della matematica, che va dal 1200 al 1699. 2. L’opera del Caverni intitolata: Storia del metodo speri- mentale in Italia, ebbe il premio dall'Istituto Veneto nel con- corso indetto per il lascito Tomasoni. Dell’opera, che si com- porrà di sette volumi, vennero pubblicati finora tre volumi. Il primo, pubblicato nel 1891, è occupato per metà da un di- scorso preliminare. Nel resto del volume si narra l’invenzione dei principali strumenti fisici. Il secondo volume pubblicato nel 1892 comprende le applicazioni del metodo sperimentale all’ottica geometrica e fisica, all’acustica, all’elettricità, al ma- gnetismo, alla meteorologia, alla geografia ed all’astronomia. Nel terzo volume pubblicato nel 1893 si ha la storia del metodo sperimentale applicato all’anatomia, alla meccanica dei moti animali, allo studio degli organi dei sensi, alla fisiologia vege- tale, alla medicina ed alla geologia. Il valore dell’opera fu stimato grandissimo e dai giudici del concorso dell'Istituto Veneto e da altri scienziati, fra i quali basti citare lo Schiaparelli. La varietà delle materie, l'ampiezza della orditura dell’opera richiesero un ricchissimo corredo di cognizioni e un enorme lavoro. V’è raccolto il frutto di molte pazienti letture di libri mal noti e dimenticati, e quello di ri- cerche diligentissime sui manoscritti e negli archivî. 296 3. Il prof. Curtius dell’Università di Kiel compì recente- mente degli studi di grande importanza sui composti d’azoto e d’idrogeno. Egli riuscì prima ad ottenere una nuova combina- zione d’azoto e d’idrogeno, la diammide o idrazina e poi l’acido azotidrico, composto che ha proprietà molto singolari. Le sco- perte del Curtius sono tra le più importanti che si sien fatte in Chimica negli ultimi anni. Esse, oltre all’aver arricchito di due nuovi termini la serie delle combinazioni dell’idrogeno col- l’azoto, esercitarono un'influenza grandissima sullo sviluppo di varie parti della Chimica organica. Recentemente il Curtius studiando le combinazioni dell’idrazina con le aldeidi e con gli acetoni riuscì a compire la serie dei derivati idrogenati del pirazolo con la scoperta della pirazolidina. La prima notizia delle scoperte del Curtius è anteriore al 1891, ma nel quadriennio 1891-94 l’autore pubblicò continuamente memorie, che ampliano e completano quelle scoperte prima appena accennate. Queste memorie del Curtius furono pubblicate nel Journal fiir praktische Chemie del 1891 e 1892 e nei Berichte der deutschen chemischen Gesellschaft degli anni successivi. 4. Il prof. Ostwald dell’Università di Lipsia è uno dei più illustri cultori della Fisico-Chimica. La pubblicazione del suo trattato di Chimica generale contribuì in modo eminente allo sviluppo di questo nuovo ramo delle scienze fisiche, perchè l’au- tore vi coordinò per primo e ridusse come a corpo di dottrina le varie teorie sorte in questi ultimi anni, le quali costituiscono il fondamento della Fisico-Chimica. Fra i molti suoi lavori ori- ginali, tutti pregevoli, hanno un gran valore quelli intitolati: “ Considerazioni sull’ energetica; la termochimica degli ioni; la dissociazione dell’acqua; la colorazione degli ioni ,, ecc. Le ingegnose teorie dell’autore che si appoggiano sopra numerose e faticose indagini sperimentali, hanno promosso molti lavori di capitale importanza. A questi meriti dell’Ostwald s’aggiunge quello d’aver creato nel suo laboratorio una scuola, dove si compiono svariati e numerosi studì sperimentali di Fisico-Chimica. La Giunta pose nel terzo gruppo le opere dei seguenti autori: 297 1° Ing. ApoLro IMBEAUX; 2° Prof. ALess. MACFARLANE. 1. L’opera dell'ing. Imbeaux è intitolata: “ La Durance, régime, crues et inondations », fu pubblicata negli Ammales des mines del 1892. È un pregevole studio della idrologia del bacino della Durance dedotto da sette anni d’osservazioni. Il problema complicatissimo del corso di questo fiume, che reca con le sue piene gravissimi danni, fu studiato con largo corredo di cogni- zioni scientifiche. 2. Le memorie del Macfarlane, pubblicate nel quadriennio 1891-94, riguardano specialmente l'applicazione del calcolo geo- metrico alla Fisica matematica. In questo campo di studî le memorie del dotto professore americano hanno una notevole importanza. Dopo aver sommariamente indicato i pregi delle opere che la Giunta stimò meritevoli del premio e che essa vi pone innanzi affinchè scegliate tra esse quella che credete più degna, ripeterò i nomi degli autori divisi, come ho detto, in tre gruppi. Primo gruppo: 1° Lig; 2° RAYLEIGH; 3° VOGEL; 4° BEHRING. Secondo: 1° CANTOR; 2° CAVERNI; 3° CURTIUS; 4° OsTWALD. Terzo: 1° IMBEAUX; 2° MACFARLANE. 298 Benchè la Giunta abbia creduto opportuno di fare una tale distinzione fra le opere proposte, essa stima che qualunque sia tra gli autori indicati quello che raccoglierà la maggioranza dei vostri voti, il vostro giudizio varrà ad onorare le fatiche ed i meriti d’un valoroso scienziato. Nella stessa adunanza il ff. di Presidente annunciò che con Decreto 15 settembre 1895 S. M. rr Re ha approvato il disegno di Statuto organico per la fondazione Gautieri, deliberato dal- l'Accademia nell'adunanza delle Classi Unite del 31 marzo 1895, nella quale essa approvò pure il regolamento interno per il conferimento di detto premio. UMBERTO I PER GRAZIA DI Dro E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D'ITALIA Veduto il R. Decreto 9 giugno 1892, col quale il Ministero della Pubblica Istruzione fu autorizzato ad accettare il legato di L. 4000 di rendita italiana disposto a suo favore dal cavaliere avvocato Cesare Gautieri, con testamento olografo del 31 luglio 1888, cogli oneri ivi stabiliti; Veduta la deliberazione in data 18 novembre 1894, colla quale la R. Accademia delle Scienze di Torino si dichiarò disposta ad accettare l’amministrazione del legato offertale dal Ministero ; Veduta la domanda di erezione in ente morale del legato e il relativo progetto di statuto organico presentato dall’ Accademia; Sentito il Consiglio di Stato; Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per la Pubblica Istruzione; Abbiamo decretato e decretiamo: 299 Articolo unico. La fondazione istituita dal cav. avv. Cesare Gautieri, con testamento olografo del 31 luglio 1888, è eretta in ente morale, e sarà amministrata dalla Regia Accademia delle Scienze di Torino. È approvato lo Statuto organico di detta fondazione an- nesso al presente decreto e firmato, d’ordine Nostro, dal Ministro Segretario di Stato per la pubblica Istruzione. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei de- creti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osser- varlo e di farlo osservare. Dato a Monza, addì 15 settembre 1895. UMBERTO G. BACCELLI. Visto, IZ Guardasigilli: V. CaLeNDA DI TAVANI. STATUTO ORGANICO DELLA FONDAZIONE GAUTIERI AP Ea È eretta in ente morale presso la Reale Accademia delle Scienze di Torino, col nome di Fondazione Gautieri, la rendita. legata dall’avv. cav. Cesare Gautieri al Ministero della Pubblica Istruzione in vantaggio dell’istruzione. Ark; Questa rendita sarà convertita in titoli del Consolidato ita- liano intestati alla Fondazione Gautieri amministrata dall’ Acca- demia delle Scienze di Torino. Art.9; Tre quarti di questa rendita, dedotte le tasse e le spese d’amministrazione, sono destinati a premiare la migliore pub- blicazione in filosofia, storia e letteratura. 300 Art. 4. Un quarto della rendita, depurata come sopra, sarà tenuto a disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione per com- pensi a professori, docenti od anche a studenti; e sarà, a cura dell’Accademia, erogato in conformità delle indicazioni che dallo stesso Ministero le verranno fornite. Al termine però d’ogni triennio, risultando un qualche re- siduo attivo sulle somme stanziate a tale scopo, quello sarà devoluto al fondo dei premii, e verrà ripartito nel modo indi- cato all'art. 8. Art. Il premio sarà conferito ogni anno dall'Accademia Reale delle Scienze di Torino, la quale nell’assegnarlo, seguirà in ogni triennio, il seguente ordine: 1° anno: filosofia, inclusa la storia della filosofia; 2° anno: storia politica e civile in senso lato; 3° anno: letteratura, storia letteraria, critica letteraria. Art. 6. Il premio sarà dato a soli autori italiani e per opere scritte in italiano, Sono esclusi i Membri Nazionali residenti e non re- sidenti dell’Accademia. ATDyUe Le opere, che la Commissione proporrà per il premio, de- vono essere state stampate nei tre anni antecedenti a quello, in cui il premio si conferisce. Art. 8. Nel caso in cui il premio non sia conferito, perchè niuna opera ne è stata giudicata degna, la somma destinata al premio andrà in parti uguali ad aumento dei tre premii successivi. 301 Disposizione transitoria. Per i premii che si conferiranno nel primo trennio si pren- deranno in considerazione le opere pubblicate dal 1° gennaio 1891. Visto, d'ordine di S. M. Il Ministro della Pubblica Istruzione G. BACCELLI. REGOLAMENTO INTERNO PER IL CONFERIMENTO DEL PREMIO GAUTIERI Approvato dall’ Accademia Reale delle Scienze nell'adunanza del 31 marzo 1895. Art. IL Nel primo semestre d’ogni triennio la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nomina una Commissione di sei membri con l’incarico di ricercare ed esaminare le pubblicazioni da proporre per l’aggiudicazione del premio Gautieri. Questa Commissione sarà composta di Accademici nazionali residenti, e sarà presieduta dal Presidente dell’Accademia o da chi ne farà le veci. Art:!93: La Commissione dura in ufficio sino a che non sia stato deliberato sul terzo premio del triennio. Per ciascun premio elegge, nel suo seno, un segretario relatore. Art. 8. Nel primo semestre dopo ciascun anno essa riferirà al- l'Accademia, in un’adunanza delle Classi unite, intorno all’ag- 302 giudicazione del premio, seguendo nei tre anni l’ordine enunciato nell'art. 5 dello Statuto. Ab: I Soci nazionali residenti e non residenti hanno facoltà di fare proposte di lavori da esaminare alla Commissione. Al prin- cipio d'ogni anno la Commissione li inviterà a presentare, entro il termine di un mese, proposte di opere per il premio da con- ferirsi nell’anno. Art.5. La relazione della Commissione all'Accademia potrà conte- nere la proposta di una sola pubblicazione da premiarsi ovvero presentare la proposta di più pubblicazioni, fra cui l'Accademia dovrà scegliere quella, a cui assegnare il premio. Art. 6. La Commissione, ove riconosca in due pubblicazioni merito uguale, potrà proporre che il premio sia diviso fra esse per metà. Qualora la proposta non sia accettata l'Accademia voterà sull’aggiudicazione del premio fra le due opere proposte. ATTI, L'Accademia non restituirà le opere, state inviate dagli Autori per richiamare su di esse l’attenzione della Commissione. Gli Accademici Segretarii Il Presidente FERRERO. G.. CARLE. A. NACCARI. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 15 al 29 Dicembre 1895. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. ** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F., Heft 19. Berlin, 1895; 8°. * American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana. Vol. L, n. 300. New-Haven, 1895; 8°. * Atti e Rendiconti dell’Acc. Medico-chir. di Perugia; vol. VII, f. 2-3. 1895. Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno I, fase. 2. Torino, 1895; 8°. Atti del terzo Congresso Nazionale di bacologia e sericoltura. Torino, 1895. * Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1895, n.3. Roma, 1895; 8°. * Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, vol. XV, n. 11. Torino, 1894. : Bulletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 3; 8°. * Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 10. Bologna, 1895; 8°. * Catalogo della biblioteca dell'Ufficio Geologico del R. Corpo delle Mi- niere, 1° gennaio 1894. Roma, 1895; 8°. * Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Octobre-No- vembre. Cracovie, 1895; 8°. Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société Philomatique de Paris, n. 4; 14 décembre 1895. Paris; 8°. ** Erliuterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den Thiiringischen Staaten. 71 Liefer. Gradabth. 55; n. 11, 16, 17, 22 e 23. Berlin, 1895; 8° e f°. ; ** Fortschritte der Physik. Bd. XLV,3 Abt.; Bd. L, 1 Abt. Braunschweig, 1895; 8°. * Giornale del Genio Civile. Anno XXXIII, fasc. 8-9. Roma, 1895; 8°. * Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n. 11. Torino, 1895; 8°. * John Hopkins Hospital Report. Report in Pathology, IV; vol. IV, 9. Baltimore, 1895; 8°. Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 9, 10. Roma, 1895; 4°. 304 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 1. London, 1895; 8°. * Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 3. Gòttingen, 1895; 8°. ** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes’ Geographischer Anstalt. Ergànzungsheft N. 116. Gotha, 1895; 8°. * Records of the Geological Survey of India. Vol. XXVIII, p. 4. Calcutta, 1895; 8°. ; * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII, fasc. XVII. Milano, 1895; 8°. * Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Serie 3*, vol. I, fasc. 11. Napoli, 1895; 8°. * Transactions of the Texas Academy of Science. Vol. I, n. 4, 1895. Austin, 1895; 8°. * Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, n. 1-1, 1895; 8°. * Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 10-13, 1895. Wien, 1895; 8°. * Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig. 1895, n. 491; 8°. * }RypHaxb pyCcKaro sI8HK0o-xuMMtecgaro O6mecrsa pa HmrepaToperome C. IIerep6yprerome VamBepenters; t. XXVII, n. 8. 1895. * Dall Università di Upsala : Borge (0.). Ueber die Rhizoidenbildung bei einigen fadenfòrmigen Chloro- phyceen. Upsala, 1894; 8°. Borgstròm (E.). Ueber Echinorhynchus turbinella, brevicollis und porrigens. Stockholm, 1895; 8°. Brun (F. de). Bidrag till Weierstrass' teori for algebraiska funktioner. Upsala, 1895; 4°. Carlgren (0.). Studien iiber nordische Actinien. I. Stockholm, 1894; 4°. Cassel (G.). Kritiska studier éfver teorin for de automorfa funktionerna jamte deras anvindning fér integration af linjàra differentialegvationer. Upsala, 1894; 4°. Elfstrand (M.). Studier éfver alkaloidernas lokalisation, foretràdesvis inom familjen Loganiacee. Upsala, 1895; 8°. Forsling (S. E.), Om sulfonering af R-naftylamin. Upsala, 1895; 8°. Fredrikson (T.). Anatomiskt-systematiska studier òfver lòkstammiga Oxa- lisarter. Upsala, 1895; 8°. Fries (Th. M.). Bidrag till en lefnadsteckning éfver Carl von Linné. II Upsala, 1894; 8°. — Naturalhistorien i Sverige intill medlet af 1600-talet. Upsala, 1894; 8°. Hallgren (E.). Om beraàkningen af Abelska integralers omvindning. Gote» borg, 1894; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 305 Nordenmark (N. V. E.). Sur le moyen mouvement dans l’anneau des asté- roîdes. Upsala, 1894; 4°. Palmer (K. V.). Om Iridiums ammoniakaliska fòreningar. Upsala, 1895; 8°. Sernander (R.). Studier éfver den Gotlindska vegetationens utvecklingshi- storia. Upsala, 1894; 8°. Cocco-Licciardello (F.).. Elementi di Geogenia. Catania, 1896; 8° (da47 A.). #* Dippel (L.). Das Mikroskop und seine Anwendung. Zweiter Theil. Erste Abtheilung. Braunschweig, 1896; 8°. Valenti (G.). Sopra alcune generalità che riguardano la evoluzione della cellula. Perugia, 1895; 8° (dall’A.). Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche Dal 22 Dicembre 1895 al 5 Gennaio 1896. * Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Stchsischen Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XV, n. 4. Leipzig, 1894; 8°. ** Allgemeine Deutsche Biographie. Bd. XL, Lfg. 197-198. Leipzig, 1895; 8°. ** Archivio storico italiano fondato da G. P. Virussevx e continuato a cura della R. Deputazione di Storia patria per le provincie della Toscana e dell'Umbria. Firenze, 1895. * Archivio storico pugliese. Periodico trimestrale della Società di studi storici pugliesi. An. II, vol. I, fasc. III-IV, 1895. Bari; 8°. * Archivio storico lombardo. Milano, 1895. ** Berliner philologische Wochenschrift. 1895. ** Bibliothèque de l’École des Chartes; Revue d’érudition consacrée spé- cialement è l’étude du moyen àge, etc. Paris, 1895. ** Bollettino ufficiale del Ministero dell’Istr. pubbl. Roma, 1895. _ * Bulletin de l’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. V° sér., T. III, n. l. 1895; 4°. * Bullettiuo di Archeologia e Storia dalmata. Spalato, 1895. * Consiglio Comunale di Torino; Sess. straordinaria 1895, n. XVI; Sess. ordinaria di autunno, 1895, n. XVII-XXIV. * Controversia. Vol. XVIII. Madrid, 1895; 8°. ** ’Eeuepìg dpxaroXoyix}. “Ev A0nvaîc, 1895. * Foòrelisningar och éfningar. hi. t. 1894 och v. t. 1895. Upsala, 1894-95; 8°. Gazzetta delle Campagne, ecc. Direttore Enrico Bassero. Torino, 1895. #* Giornale di Erudizione; Corrispondenza letteraria, ecc., raccolta da F. Orranpo. Firenze, 1895. 306 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Giornale scientifico di Palermo. Anno II, 1895, n. 11, 12. Palermo; 4°. ** Giornale storico della Letteratura italiana, diretto e redatto da F. NovatI e R. Renier. Torino, 1895. ** Heidelberger Jahrbiicher (Neue). Heidelberg, 1895. ** Historische Zeitschrift. Miinchen, 1895. * Indices Chronologici ad Antiquit. Ital. M. &. et ad Opera minora Lud. Ant. Muratorii. Fasc. VII-VIII. Aug. Taurinorum, 1896; 4°. *#* Journal Asiatique, ou Recueil de Mémoires, d’Extraits et de Notices relatifs è l’histoire, è la philosophie, aux langues et à la littérature des peuples orientaux. Paris, 1895. ** Journal des Savants. Paris, 1895. ** Le Moyeu Age; Bulletin mensuel d’histoire et de philologie. Paris, 1895. ** Nuova Antologia; Rivista di Scienze, Lettere ed Arti. Roma, 1895. ** Nord und Sud; eine deutsche Monatschrift. Breslau, 1895. ** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographischer Anstalt. Erginzungsheft N" 117. Gotha, 1895; 8°. * Rendiconti della R. Accademia dei Lincei — Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Serie V, vol. IV. Roma, 1895. ** Revue archéologique, publiée sous la direction de MM. A. BertRANp et G. Perror. Paris, 1895. ** Revue de Linguistique et de Philologie comparée. Paris, 1895. #* Revue des deux Mondes. Paris, 1895. * Revue géographique internationale. Paris, 1895; 4°. ** Revue numismatique. Paris, 1895. * Rivista di Sociologia. Anno II, 1895. Roma; 8°. * Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie. Anno II, vol. VII-IX. Roma, 1895; 8°. ** Rivista storica italiana; pubblicazione trimestrale diretta dal Prof. C. RinAupo. Torino, 1895. Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Anno XII, quad. XI-XII. Valle di Pompei, 1895; 8°. #* Séances et Travaux de l’Académie des Sciences morales et politiques. Compte rendu. Paris, 1895. Statistica dei Brefotrofi. Anni 1893 e 1894. Roma, 1895; 8° (dal Ministero di Agricolt., Ind. e Comm... * Upsala Universitets Arsskrift for 1894. Upsala, 1894; 8°. * Dall Università di Upsala : Ahlenius (K.). Olaus Magnus och hans framstallning af Nordens geografi. Studier i geografiens historia. Upsala, 1895; 8°. Almquist (J. A.). Riksdagen i Gefle 1792. Upsala, 1895; 8°. Beckman (N.). Bidrag till kinnedomen om 1700-talets svenska, huvudsa- kligen efter Sven Hofs arbeten. Lund, 1895; 8°. Blomgren (L.), Th. Mommsens teori om romerska principatet granskad i dess visentliga punkter. Upsala, 1895; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 307 Carlson (J. S.). Om filosofien i Amerika. Upsala, 1895; 8°. Clason (S.). Till reduktionens féòrhistoria. Gods- och rinteafsòndringarna och de férbudna orterna. Stockholm, 1895; 8°. Florén (J.). Jesu lira om Guds rike enligt de synoptiska evangelierna fràn bibelteologisk synpunkt. Goteborg, 1895; 8°. Jacobsson (A. J.). In Necyiam Virgilianam studia nonnulla. Upsala, 1895; 8°. Fries (S. A.). Den israelitiska kultens centralisation. Upsala, 1895; 8°. Nordin (H.). De ecklesiastika deputationerna under Fredrik I:s regering. Strengn., 1895; 8°. Nylander (K. U.). Inledning till Psaltaren. Isagogiskt-exegetisk afhanddling. Upsala, 1894; 8°. Wicksell (K.). Zur Lehre von der Steuerincidenz. Jena, 1895; 8°. Zetterstéen (K. V.) Ur Jahjà bin ‘Abd-el-Mu'ti ez-Zawàwî's dikt Ed-Durra el-Alfije fì ‘Ilm el-'Arabîje. Leipzig, 1895; 8°. Marre (A.). Malais et Siamois. De l’esclavage dans la presqu’'île Malaise au XIX® siècle. Paris, 1894; 8° (dall’A.). — Madjapahit & Tchampa. Louvain, 1895; 8° (Id.). *#* Sanuto (M.). I Diari. Tomo XLIV, fasc. 191, 192. Venezia, 1895; 4°. Tordi (D.). Vittoria Colonna in Orvieto durante la guerra del Sale. Perugia, 1895; 8° (dallA.). ** Wilkinson (J. G.). The manners and customs of the ancient Egyptians. London, 1878, 3 vol.; 8°. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. spedito | (odbto0tE at ord a4Ì a milaggsva saliente db dpiloa sota abs inca LA i GORI ci Tita CAR stabiaginni CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 12 Gennaio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente, D’OvipIo, Direttore di Classe, BerruTI, Bizzozero, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GracoMINnI, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA e NACCARI 2 Sapt. 1896 ei Segretario. Si legge e si approva l’atto verbale dell’adunanza pre- cedente. Il Segretario presenta una memoria stampata del Profes- sore Pietro GamBERA intitolata: “ Delle proprietà dei miscugli N di gaz perfetti ,, e una fotografia %el ritratto dell’illustre bota- o nico Arzioni, inviata in dono all'Accademia dal signor BURNAT © di Vevey. È Viene accolta nei volumi accademici una memoria del Socio 8 July-- Mosso intitolata: “ Descrizione di un miotonometro per studiare la tonicità dei muscoli dell’uomo ,. Viene pure approvata l’inserzione nei volumi accademici della memoria del Prof. LauRIcELLA: “ Sull’equazione delle vibra- zioni delle placche elastiche incastrate ,, in seguito a relazione favorevole della commissione esaminatrice. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 23 310 Viene accolta per l'inserzione negli Atti una nota del Socio VoLterRA: “ Sull’inversione degli integrali definiti ,. Viene affidato ad apposita Commissione l'esame d’una me- moria del Prof. BertAZZI, presentata dal Socio D'Ovipro e inti- tolata: “ Fondamenti per una teoria generale dei gruppi ,. In seduta privata la Classe elegge, salvo l’approvazione Sovrana, a Socio residente il Prof. Icilio GuaArEscHI, a Soci Nazionali non residenti i Signori Emanuele FeRGoLA e Riccardo FeLici, a Soci Stranieri i Signori Giacomo Giuseppe SYyLVESTER e Giuseppe Luigi BERTRAND. Elegge pure a Soci Corrispondenti nella Sezione di Mate- matiche pure i Signori Camillo JorpAN e Gustavo MirtAG-LEFFLER; nella Sezione di Matematiche applicate i Signori Giovanni Ce- LorIA e F. Roberto HeLMmERT; nella Sezione di Fisica i Signori Giuseppe Giovanni THomson e Luigi BOLTZMANN. VITO VOLTERRA — SULLA INVERSIONE, ECC. 811 LETTURE Sulla inversione degli integrali definiti; Nota I del Prof. VITO VOLTERRA. 1. Sebbene spesso accada nelle applicazioni di esser con- dotti a delle inversioni di integrali definiti nel campo reale, pure, che io sappia, non si ha alcun mezzo sistematico per ef- fettuare tali inversioni (che si sanno eseguire solo in casi par- ticolari) e nemmeno si ha un indizio per riconoscere in generale quando questioni di tale natura sono suscettibili di soluzione, e, allorchè questo avviene, se ve ne è una sola o se ve ne sono più. Sotto questo aspetto la questione appare molto meno avanzata di altre di analisi in cui esistono criterì ben definiti per giudicare sulla esistenza e sulla univocità delle soluzioni (*). In ciò che segue mi propongo di portare un piccolo con- tributo allo studio suddetto, comunicando alcuni risultati di cui sono in possesso già da qualche tempo, e limitandomi a considerare per ora il caso più semplice in cui può rispondersi in modo completo a tutte le parti sopra ricordate della questione. Sulla forma delle funzioni che compariscono nel problema non pongo alcuna restrizione: alcune condizioni pongo relative all’esser esse finite ed alla loro continuità e derivabilità. Una condizione però si aggiunge relativa al non annullarsi di certi valori, che è essenziale, e sulla discussione della quale mi trat- tengo alquanto mostrandone la ragione d’essere e l’intima sua connessione con notissime teorie elementari. (*) Il Dott. Levi-Crvirà in una Nota letta in questa Accademia nella seduta del 17 novembre u. s., prendendo occasione dalla risoluzione di al- cuni casi interessanti, lamenta egli pure la mancanza di uno studio siste- matico sulla questione. I lavori a mia cognizione sull’argomento, oltre questo ora citato, sono i seguenti: Aset, Solution de quelques problèmes à l’aide d’intégrales définies (Euvres, p.11). — Résolution d'un problème de mécanique (Ruvres, p. 97). BeLrrAMmI, Intorno ad un teorema d' Abel (Rend. Ist. Lombardo, S. II, vol. XIII). 312 VITO VOLTERRA 2. Per maggior chiarezza riassumo i risultati nel seguente TroREMA. — Se si ha (nel campo reale) la equazione fun- zionale (1) fi) — fa) = [lo Hr, y) da in cui £(y) e f' (y) si mantengono finite e continue per y compreso fra a e a + A; e H(x,y) e a = Hy (x,y), sono pure finite e continue per tutti i valori di x e y compresi entro i limiti a e a + A, mentre è maggiore di zero il limite inferiore dei valori assoluti di h(y)=H (y,y) per y compreso nello stesso intervallo, esisterà una ed una sola funzione finita e continua ® che soddisfa l'equazione funzionale per y compreso fra a e a + A, la quale sarà data da ©) oM= To. (PES (0,9) de in cui S; (e, 9) = f/80€,9) Sa (0,5) && (3) ty So (€, y) = tO . DimosTRAZIONE. — 1° Cominciamo dal dimostrare che la serie 00 (4) Zi S; (7,9) è convergente in egual grado per tutti i valori di x, y compresi fra aea + A. — Sulla teoria dell’attrazione degli ellissoidi (Mem. Acc. di Bologna, S. IV, T. I) — Sulle funzioni associate e specialmente su quelle della calotta sferica (Ibid., S. IV, T. IV). Dini, Sulla rappresentazione analitica delle funzioni di una variabile reale date arbitrariamente în certi intervalli (Cap. VII. Annali delle Università Toscane, T. XVII). Sonine, Sur la généralisation d'une formule d’ Abel (Acta Mathematica, T. IV). — Recherches sur les fonctions cylindriques (Math. Ann., Bd. XVI). VoLrerra, Sopra un problema di elettrostatica (Transunti Acc. Lincei. S. III, vol. VIII). Nel campo complesso cito fra gli altri i lavori del Prof. Pincherle. SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 313 Se M, è il limite superiore dei valori assoluti di H) (x, y) per x, y compresi fra a e a + A, e m il limite inferiore dei valori assoluti di /(y), dico che © 1SIs(e) L(1y—el)s(P)ULIAI. m Abbiamo infatti e se la (5) è soddisfatta per un valore è, lo sarà anche per î + 1. La serie è dunque convergente in egual grado. 2° Proviamo che ® (y) dato dalla (2) verifica l’equazione funzionale (1). Infatti dalla (2) segue fio Hey) de = (EA H (6,9) de — SEG AC] L de {È P@)ZS.(0,8) da e, applicando il principio di Dirichlet, avremo LA da d i È | (1) ,/P@MH (2,9) dx = ((f (2) fico vH (&y) 2 nn h (£) > È; (@ ME) do AT: Si consideri ora la funzione H (2,9) Page (9) $ 2 S, (1,8) de = G(2,7) h (2) x h (E) avremo dG __Ha(2,9) _£q __ ((Y Hal,y) ly "ko 2 $; (0,9) TNA n È S;(0,8) de = = 8, (0,9) — ÈS. (0,9) + JETS (0,6) & e a cagione della convergenza in egual grado della serie (4) 314 VITO VOLTERRA = 8) — ES (2,9) + È. iS (£,9) S: (0,3) de = 0. Ma se in G noi facciamo y= 2, otteniamo l’unità, quindi possiamo concludere che si avrà sempre = e perciò ritornando alla equazione (1’), otterremo 1”) fo@Hey)d=|[f@=fM-f@. La @(y) ricavata dalla (2) soddisfa dunque la (1). 3° Dimostriamo finalmente che non vi può essere che una sola funzione finita e continua @ che soddisfi l’equazione fun- zionale. Ammettiamo che ne esistano due @, e ®y, ciascuna delie quali sia in valore assoluto inferiore a P. Posto y (2) = 91 (2) — 92 (2) avremo 0= f.v()H (7,9) da e derivando rapporto a y 0=w(4) (9) + (24 (2) Ho(,9) da onde (6) vO=- ig JV © H(,9) de e per conseguenza H3 ( v0= GS det dx. {"4(2) Hs (20) da, H € H 1 — — n fa nia dx ci Sa) ni; f ld Ei a) e così di seguito si potrà procedere indefinitamente sostituendo SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 315 successivamente per w la espressione che resulta dalla (6). Ora Iu@)|< 2P, quindi dalle equazioni precedenti si deduce lu@|< ap(ta)” {de fran. [fe =2p(l (1A |) m in cui n può prendersi tanto grande quanto si vuole. Ne segue che | w(y) | è inferiore ad ogni valore assegnabile, perciò deve essere w(e) =0 e quindi P1 (2) = Ps(2) il che dimostra la univocità della soluzione. Il teorema resta così dimostrato. 3. Il resultato a cui siamo giunti è molto semplice ed ot- tenuto senza artifici di calcolo. Possiamo facilmente compren- derne la ragione. Se si prescinde infatti dalle condizioni di con- tinuità e derivabilità poste per le funzioni e da quella di esser finite, si trova come condizione essenziale che H (y,y) = 4(y4) non si annulli per y compreso nell'intervallo a, a + A. Ora questa condizione può paragonarsi facilmente a quella che un determinante, i cui elementi a destra della diagonale sono nulli, è diverso da zero, allorchè i termini in diagonale sono tutti diversi da zero. Infatti si consideri il sistema di equazioni di = 4% db = @,9%, + 499.49 bg = @dj3 %, + daga + 43343 bn = dint, + Gon%o + Gan t®g +... + dun %ns 316 VITO VOLTERRA il concetto di integrale ci porta facilmente a riguardare la que- stione di analisi funzionale rappresentata dalla (1) come un caso limite della risoluzione di un sistema d’equazioni analogo al precedente. In esso le a; e le a,, sarebbero le analoghe delle H(x,y) e delle H(y,7) = 4h(y). Ora il determinante dei coefficienti nelle precedenti equa- zioni ha nulli tutti gli elementi situati alla destra della diago- nale ed è quindi diverso da zero quando nessuna delle a,; si annulla, e quando ciò si verifica la soluzione del sistema è possibile ed univoca. L’analogia però si arresta qui, perchè mentre la condizione che le a; siano tutte diverse da zero non solo è sufficiente, ma è anche necessaria per la risolubilità e la univocità delle solu- zioni, lo stesso non può dirsi del non annullarsi di % (y). Si osservi infatti, per esempio, che, ammesso %(y) = 0 per tutti i valori di y compresi fra a e a + A, la equazione funzionale (1) può scriversi mediante una integrazione per parti fn) — f(a) = ("0 H; (7,9) de in cui 20; ce __dH O) =— f 9(09de, H= Quindi se H,(x,y) avrà le stesse proprietà che prima ave- vamo posto per H(x,y), e sarà f' (ad = 0, si potrà determinare univocamente la ®(x) e quindi con una derivazione successiva ®(x) quando questa derivazione può effettuarsi. 4.I termini della serie (4) godono di una notevole pro- prietà che può esprimersi col teorema seguente: Comunque si scelga j compreso fra 1 e i, avremo: (7) Si = f Si (8) S;1 E, y) de. Questa proprietà è evidente per i = 1. Mostriamo che se è vera per è vale anche per è + 1. Infatti SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 317 Sia = 780 (£,4) S; (2,7) dé = ={S (£,4) dé fi (e, E) Si (E, E) di, == = f,84; (e, E) di dba So (E, Y) Si (E, E) dE == = (8; (0,5) SE) & il teorema è quindi dimostrato. Ne possiamo concludere: La formula di inversione della f) — f (a) = fo H(2,9) de pi) =D i ff" (2) K 9) da in cui I hg) =H(y,7) % K (e, y) _= 2 Ò, (x, y) (8) | So (2,9) = ka dy S; (2, 9) = {Si (, 8) Sn E y) de 5. Come esempio consideriamo il caso in cui si abbia H (2,9) = FA@)_—-A(M)) e supponiamo F (0) = 1, al qual caso si ridurrà sempre quello in cui F (0) ha un valore finito diverso da zero. 318 VITO VOLTERRA Poniamo so (2) = F' (2) s = fu — 4) sa (0) du avremo Si (2,9) = (DT s (M@) — AM). N (4. Infatti questa relazione è vera per î = 0; se è vera per è, sarà Sa (0,9) = (1° ("ME — MM NYA MN de. Pongasi (x) — ME) = «, avremo »(Y) 8,1 (9) = (DNV) fl) — VM — 1) sd = (-1'sul@@a) — MM)) N. Perciò se 0 () = Z(-1's.(@) otterremo K (2,9) = — 0M@M_-A(M) N) da cui segue: La formula di inversione della 9) f@=f(@= flo FAM — AY))de, E0=1 10) eM=fM+NVYff @ 0A) — My) de in cui SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 319 (o) ° 0 (2) = Z(-1)'s. (2) 0 so (e) = F'(2) 8 (2) = fis; (e — ) s;-1 (u) du. 6. Le (7) ci forniscono una espressione notevole del resto della serie K (x, y). Abbiamo infatti n 00 x K (x,y) = 2;8; (2,9) +2: (/8. (2,8) 8.E,y) E — n =, 82,9) +2. f” S, (£, 7) S; (2, 3) de, I onde a cagione della convergenza in egual grado (11) Ko) =3S(y)+fSGIKLE)K= = x S. (2,9) + SR. (E, y) K (2,8) de. Perciò il resto della serie sarà (12). B.=[ mC (2,8) K (£,9) de +8 (£,9) K (2, È) de. 7. La formula di inversione della (1) può mettersi anche sotto un’altra forma diversa dalla (2), e precisamente può scri- versi __ 4D(y) in cui (14) pg = TSO L fifa © £8,6,1) de 320 VITO VOLTERRA <= SS" (£,9) S'_1 (2,8) de dH DES Si dimostra facilmente che se H, (x,y) si conserva finita e continua per x,y comprese fra a e a + A, la serie essendo H, = (15) x 8". (0,9) è al pari della serie (4) convergente in egual grado per tutti 1 valori di x, y compresi fra gli stessi limiti, e perciò ®(y) ha un significato. Se ammettiamo poi che anche Hg = Na sia finita e continua per x,y compresi fra gli stessi limiti, anche S'; dy grado, e perciò, supposto f' (x) finita e continua per x compresa fra a e a+ A, tale resulterà © (y) data dalla (13). Dimostriamo ora che questa funzione verifica la (1). Infatti dalle (13) e (14) segue, mediante una integrazione per parti (e ©) la serie delle derivate X sarà pure convergente in egual 0 Sio@) Hey) de =fM) —f@+ JA) —fZ8S: (ey) de ‘v f(x) — f(a) — f(0) H; (£, ) 34 00 ; E ole. 9) g 1(c,y) da — a To de | \fA-AZS' (eda e applicando il principio di Dirichlet, avremo fo H(w,9) de = fl) — FA + (2}f) — F(X S' (0, 9) da — fifa — ft + (PS METE de | de. Ora per la convergenza in egual grado della serie (15) abbiamo SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 321 #2 B ,9) Sila, 8) gr _ E (VEGAS) e __ Lg SE ne dn de = E 81 (9) quindi fed =fY) — fd + [1 f — fa {ES dr H — fair re ( + Fosa] 10 - rl Come dovevasi dimostrare. Anche i termini S'; della serie (15) godono di una proprietà analoga alla (7) per le S;, cioè, qualunque sia j, compreso fra 1 ei, si ha se fis (2,8) S';-1 (€, 7) de ‘e perciò: La formula di inversione della fy) — f(a) = f"o(2) H (1,9) da può scriversi (e) = TT 4A [0/09 de | in cui h(y) = H(4,9) K'(z,9) = 8 (0,9) (16) Hog x È ib. Jtan r S'. (7,9) = f'8. 9) SE) de Anche il resto della serie K'(x,y) può mettersi sotto una forma analoga a quello della (4) e cioè R=/MCILE)= (SENECA 322 v VITO VOLTERRA 8. Applicando le formule (14’) e (16) alla inversione della (9) si ottiene oM=i|fM+f1}/@M-/@{00 MM) N © de | ed è facile riconoscere che essa coincide colla (10). 9. Per la esistenza della funzione ® da cui poi dipende la @, basta che f sia finita e continua e sia finita e continua la H, (x, y), mentre il limite inferiore dei valori assoluti di 4.(y) sia maggiore di zero. Proviamo che queste condizioni sono pure sufficienti per riconoscere la univocità di ©. Infatti se esistono due funzioni finite e continue ®, e ®, che verificano la (1), posto vl) = (1) — dl), 0 = ff (da con una integrazione per parti si ha 0—= n° (€) H (2,4) de = Ù H(x,y) de = — 0(M) 7) — f"0 (2) Hi (0,9) do onde N) 0) = 7 JL0 ©) Hi (2,9) de. Con un ragionamento analogo a quello contenuto nella 3* parte del $ 2 si ricava da questa formula che 0 (y) è infe- riore a qualsiasi quantità assegnabile, quindi è nulla e per conseguenza @] = Po. 10. Passando dal campo reale a quello complesso facciamo per ultimo osservare che se f(x) è una funzione olomorfa per tutti i valori della variabile complessa x tali che | x — a | Bisviory di Son OTInmrp, @iae 10, SI 6.3 His lisi -riemenisoo: è onvissbel adluile 7.8 A TE Gal I, SIRO Abin SOUL RA LO 19903 iieggo OI9ft) Opasta Quan piauCHiog BISIa 9.6 SOrEora bi e i 9.4 UkLobre oa. re) tot cip porta ro en) Pal Noypembreskemiataza 1a ee aa 7.9 VETTA RE AE 10.0 Ma i dati raccolti in Italia a Milano per gli infortunii oc- corsi durante l’anno 1884 nella capitale lombarda, fanno coin- cidere il massimo in giugno e il minimo in febbraio, come dalla seguente tabella (2): (1) EÉtude sur les derniers résultats des assurances sociales en AUlemagne et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 147. (2) Gli infortunii del lavoro nel 1883-1884. Milano, 1885, p. VII. GLI INFORTUNII DEL LAVORO 851 too, vi : Numero Mesi in cui avvennero gli infortunii del 1884 a Milano degl’infortunii 2 L10710 E 65 enalotto rin iù ole ione 41 rivi A e NAS E 99 RO AO (DUI SIOE LO VIZEIIO 104 MpO CE n padiszeno re db sipospovziab 165 07 Tren eee PARI 145 Ip een ee dti ec 146 BERO IR pi Ponte 122 a TRA RO ARBEIT i rideod 149 L'Area Ta» rsa 142 uno ene 126 mirare ndono Mogli. Lara ca 86 Tale disparità di risultati accenna ad altre influenze ancora ignote controbilancianti o superanti quella delle stagioni: forse topografiche, forse etniche. Anche l’età ed il sesso operano il loro influsso sulla pro- duzione degli infortunii. Circa l’età è interessante il crescere della mortalità negli infortunii parallelamente all'aumento degli anni delle vittime, come provano le cifre dedotte dalle mentovate relazioni degli ispettori capi delle fabbriche e officine in Inghilterra dal 1849 al 1894. 852 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS Periodo statistico 1849-94 | Adulti | Giovani Fanciulli intorno Poi eta 171010 1 AA 21.289 Morti . 8.607 2.216 389 Morti su 100 infortunii. . | 5.01 | 1.93 | 1.82 Ma tralasciando la mortalità, cui certo è più esposto l’adulto, poichè a lui incombe lavoro più faticoso, e prendendo in esame il fenomeno infortunio nel suo complesso, si osserva il fatto che il crescere degli anni fa diminuire il rischio dell’infortunio, come traspare dai seguenti dati proporzionali su 1390 infortunii stati raccolti in Italia a Milano durante l’anno 1884 (1): Età in cui avvennero gli infortunii È “o. on Basa 10 ani e IAT 1.79 li I BI RE RE RA e Ve I o 15.92 STRO ATI) a LITTA St AO 17.91 PATRIA RIEN SMP SAMI E 12.66 ZO SRI e, TRO I TI 10.64 Dal Baia e TUT da SO RAEE AMIR DÈ 7.05 SRI: RCA STAR RE I ARI PENE E de 8.20 ME 4.74 alza ztza: eiahAa sands dibblantt 3.88 VIS SG 0A atlioù rbrdelnià li a 3.66 ela n at SA 2.08 via cri ii e ristoro cada it Li 0.57 rape iii dia, 0.50 si iaia nni ti alianti è. RO Bue 160 Sine da icrrinita atasntalo! 0.07 (1) Gli infortunii del lavoro nel 1883-1884. Milano, 1885, p. VIII e IX. GLI INFORTUNII DEL LAVORO dog Si ha una progressione crescente dai 5 ai 20 anni, e poi una progressione costantemente decrescente, interrotta solo da una lieve sosta con debole rialzo tra i 41 e 45 anni. Onde segue non potersi disconoscere nel carattere inerente ad ogni età l’esistenza di un elemento modificatore degli infortunii, nel senso che con il crescere dell’età in genere oltre la gioventù diminuisce la probabilità del disgraziato accidente sul lavoro. Circa l'influenza esercitata dal sesso, preziosi dati si pos- sono raccogliere nelle relazioni più volte mentovate degli ispet- tori capi delle fabbriche e officine in Inghilterra durante il quarantacinquennio statistico 1849-1894. Su 230.094 infortunii occorsi nei maschi si ebbero 10.420 morti, cioè 4.52 °/, e sopra 76.165 infortunii nelle femmine si deplorarono 792 morti, cioè 1.03 °/. In Germania è stata tro- vata la seguente proporzione: su 100 vittime d’infortunii 78.3 uomini, 21.7 donne (1). Ne segue più intensa la mortalità per il sesso maschile, adoperato in lavori di maggior forza e pericolo. Costanza anche si verifica nei danni degli infortunii, nel senso che le regioni del corpo umano soggette ai maltratta- menti dei traumi serbano proporzioni quasi invariabili. La se- guente tabella è improntata ai dati raccolti in Austria durante il triennio 1890-92 (2): Natura degli accidenti e proporzione ANNI centesimale delle lesioni 1890 | 1891 | 1892 Ferite. Testa e faccia. . . . 9.0 3.9 3.7 > WICCA ee get n CA 4.5 4.4 4.5 ; Braccia e mani . . . 17.3 179 EF i Dita. St a 18191 32.7 30.8 SL: " Gambe e piedi 4 SOS 22.3 23.0 23.0 Altre parti del SREDA «Lil ASL 14.4 13.8 Lesioni interne È 3 4.1 2.9 2.9 LR Ae 0.4 0.4 0.5 Annegamento . DOA 0.4 0.4 0.2 Ferite diverse 1.2 2.5 2.3 (1) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 149. (2) Idem, p. 90. 354 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS L'esame comparativo del trienno mostra una regolarità quasi matematica nel ripetersi delle lesioni traumatiche per gli infortunii del lavoro. Le dita delle mani pagano il maggior tributo; seguono poi le gambe e i piedi, le braccia e le mani, le altre parti del corpo, gli occhi, la testa e la faccia. Preziose indagini sul complesso delle cause produttrici degli infortunii sono state fatte principalmente in Germania, poten- dosi con i dati raccolti compilare la seguente tabella (1): Colpa | Colpa WI Colpa | Gaso Altre | Cause RA dei | dell’ [padronel di | forza Età delle vittime | ANSA T . | ma cause | deter padroni|operaio elio terzi | giore minate °lo °lo °lo °lo °/o °lo °lo Meno di 16 anni) 34.4 | 25.9 | 14.6 | 3.8 | 15 | 174 | 2.4 Da 16 a 20 anni) 25.8 | 27.0 | 16.3 | 3.7. | 2.1 | 23.8 | 18 Più di 20 anni] 16.7 | 24.1 | 20.8 | 2.6 | 2.2 | 314] 2.3 Totali . .| 76.4 517 PTOSP98.8° P720600) 5 Medie . | es 25.6 | 17.2 | 3.3 | 19 | 242 | 2.1 Ne segue che in genere gli infortunii avvengono prima- mente per colpa dell’operaio, e poi, in proporzione decrescente, per colpa del padrone e dell’operaio, per colpa di terzi, per cause non determinate, e in ultimo per caso e forza maggiore. Interessanti anche sono le deduzioni che si ricavano dalla stessa tabella circa l’età delle vittime. Sotto i 16 anni il mas- simo degli infortunii è prodotto dalla colpa dei padroni, il mi- nimo dal caso e forza maggiore. Dai 16 ai 20 anni massimo per colpa dell’operaio, minimo per cause non determinate. Oltre (1) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 148. GLI INFORTUNII DEL LAVORO 355 il 200° anno massimo da altre cause, minimo dal caso e forza maggiore. Dal che risulta evidente nella produzione degli in- fortunii la presenza del fattore psichico, cioè l'inesperienza del fanciullo, l’avventatezza del giovine, la distrazione dell’adulto. E si noti soprattutto come per le cause produttrici degli infor- tunii il caso e la forza maggiore occupino gli infimi gradini della scala. Quali deduzioni possono ricavarsi dai dati statistici finora raccolti sugli infortunii del lavoro, specialmente dal punto di vista dell'igiene sociale? Benchè essi dati permangano ancora frammentarii, pure ci fanno intravvedere l’esistenza di leggi regolatrici imperanti sul fenomeno doloroso; e fra le importanti deduzioni ricavate da KEeLLER (1) nel suo pregevole rapporto sulla statistica degli accidenti, presentato al 1° congresso inter- nazionale sugli accidenti del lavoro, ricordiamo le seguenti: 1° Dato un gran numero di operai dedicati allo stesso lavoro, vi ha costante regolarità annuale negli accidenti e nelle vittime (morti e feriti), ond’ è che alla parola caso bisogna dare il significato di leggi misteriose. 2° Tali leggi si lasciano modificare dai mezzi che si ado- perano per prevenire gli accidenti e proteggere i lavoranti. 3° Molte professioni non hanno rischi speciali; ma lo spostamento di masse numerose, e la lotta contro le forze ener- giche e gli elementi ribelli della natura, espongono a ferite ed anche alla morte. 4° Il maggior numero delle industrie ha un rischio d’ac- cidente professionale. 5° Il danno degli accidenti varia secondo l’industria, per frequenza di accidenti, per gravità, o per entrambe le condi- zioni riunite, come nei mestieri più pericolosi. 6° Donne e fanciulli dànno morti e feriti in proporzione minore che gli uomini, essendo addetti a lavori meno faticosi. 7° La probabilità di scampare alla morte od alla inca- pacità permanente aumenta con l’età delle vittime. 8° Le cause degli accidenti sono imputabili agli operai, ai padroni e loro impiegati, al così detto caso fortuito. (1) Congrès international des accidents du travail. Tome premier, Paris, 1889, p. 189 et suiv. 356 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS Ma quando la statistica internazionale degli accidenti sarà divenuta adulta, quando ogni fattore ancora ignoto avrà la sua cifra comparata, quando infine l’analisi dei fatti permetterà di assurgere senza trepidazione alla sintesi scientifica, allora sarà squarciato il velo misterioso che ancora avvolge le leggi degli infortunti, allora si affermerà vitale la scienza degli infortunii, cui KeLLER porse lieto augurio nel 2° congresso internazionale degli accidenti del lavoro. Alle vittime del lavoro mano pietosa porge l'igiene sociale, specialmente con i soccorsi d’urgenza. Le istituzioni filantropiche dei soccorsi immediati, sorte nel secolo primieramente per i bisogni della guerra, sonsi poi estese ai danneggiati dagli in- fortunii; e le città manifatturiere o specialmente industriali vantano oggi le compagnie di assistenza pubblica, come i grandi opifici del lavoro contano nel loro personale anche il medico, pronto a soccorrere i feriti. Oggi più che mai è veramente giusto il paragone che si fa del campo di lavoro con il campo di battaglia; ma sventuratamente i soldati del lavoro devono affrontare nemici invincibili, quali sono le forze poderose della natura. Tale il presente. Quale l'avvenire? Si è già accennato al sorgere della scienza degli infortunii, e bisogna aver fede in questa branca novella della sociologia, perchè, come osserva acutamente KeLLER (1), “ i fenomeni più capricciosi in appa- renza nelle loro prime manifestazioni presentano al contrario una regolarità notevole, come han mostrato i matematici più eminenti, quando hanno reiterate le loro osservazioni per un tempo prolungato. Le cause perturbatrici sono alternativamente favorevoli e contrarie al cammino regolare degli avvenimenti; ond’è che i loro effetti si distruggono mutualmente nell'insieme di un gran numero di prove, e questo grande numero permette alle vere leggi dei fenomeni di manifestarsi chiaramente ,. Disperato ma vero il grido dell’illustre fisiologo torinese, affermante che noi non conosceremo mai la cornice che inquadra l'universo; ma anche la psiche umana è sconfinata, e il mate- (1) Congrès international des accidents du travail. 2° session. Berne, 1891, p. 212. i GLI INFORTUNII DEL LAVORO 357 matico non si arresta ad aggiungere cifre ai suoi logaritmi per approssimarsi sempre più a quel vero, che pur sa di non poter raggiungere. E la chiave degli infortunii è nella statistica, “ scienza che illumina il mondo, che contribuirà viemmaggiormente a sta- bilire una precisione ammirabile, dove non credevasi scorgere che l’effetto del caso , (1). (1) A. QuereLET, Fisica Sociale nella Biblioteca dell’Economista. Serie 82, vol. 2°. Torino, 1878, p. 317. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 26 358 CLASSI UNITE Adunanza del 12 Gennaio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA In questa adunanza fu conferito il nono Premio Bressa a Lord Joann WiLLiam StrUTT RaAyYLEIGH, Segretario della Società Reale di Londra. Gli Accademici Segretari AnpREA NAccari. ErmANnNO FERRERO. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 29 Dicembre 1895 al 12 Gennaio 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. * Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. Sichsischen Gesell- schaft der Wissenschaften. Bd. XXII, n° 4, 5. Leipzig, 1895; 8°. * Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entregas V, t. XL. Buenos Aires, 1895; 8°. ** Annalen der Physik und Chemie. Leipzig, 1895. ** Annales de Chimie et de Physique. Paris, 1895. * Annals and Magazine of Natural History. London, 1895. ** Annals of Mathematics. Charlottesville, 1895. ** Annuaire pour l’an 1896, publié par le Bureau des Longitudes. Paris; 12°. Annuario del Observatorio astronémico nacional de Tacubaya para el aîio de 1896. Mexico, 1895; 8°. ** Archiv fiir Entwickelungsmechanik der Organismen. Leipzig, 1895. ** Archives des Sciences physiques et naturelles, etc. Genève, 1895. ** Archives italiennes de Biologie... sous la direction de A. Mosso. Turin, 1895. ** Archivio per le Scienze mediche, diretto da G. Bizzozero. Torino, 1895. * Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania. Ser. 4°, vol. VIII, 1895; 4°. Atti della R. Accademia Peloritana; anno X, 1895-96. Messina, 1895; 8°. * Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX, N. s., n. IV. Napoli, 1895; 8°. ** Beiblitter zu den Annalen der Physik und Chemie. Leipzig, 1895. ** Bibliotheca mathematica; Zeitschrift fir Geschichte der Mathematik herausg. von G. Enesrròm. Stockholm, 1895. * Balletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XXVII, n. 6. Cambridge U. S. A., 1895; 8°. * Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark. Copenhague, 1895, n. 2. Copenhague, 1895; 8°. 360. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA ** Bulletin de la Société anatomique de Paris, etc. Paris, 1895. # Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- chirurgica ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 11. Bologna, 1895; 8°. * Cimento (Il nuovo). Pisa, 1895. * Comptes-rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences. Paris, 1895. * Éclairage (L’) électrique. Revue hebdomadaire. Paris, 1895. * Électricien (L’). Revue internationale de l’électricité. Paris, 1895. * Elettricista (L’). Rivista mensile di elettrotecnica. Roma, 1895. ** Fortschritte der Physik im Jahre 1889, Bd. XLV, 2 Abt. Braunschweig, 1895; 8°. * Gazzetta chimica italiana. Roma, 1895. * Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n. 12. Torino, 1895; 8°. * Jornal de sciencias Mathematicas e Astronomicas. Publicado pelo Dr. F. Gomes Teixeira. Vol. XII, n. 2-3. Coimbra, 1894; 8°. ** Journal de Mathématiques pures et appliquées. Paris, 1895. ** Journal fiir die reine u. angewandte Mathematik. Berlin, 1895. * Journal of the R. Microscopical Society, 1895, part 6. London, 1895; 8°. * Mémoires de l’Académie des Sciences et Lettres de Danemark. 6° série, section des sciences, t. VIII, n. 1. Copenhague, 1895; 4°. * Monatshefte fiir Mathematik und Physik. Wien, 1895. * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 2. London, 1895; 8°. Morphologisches Jahrbuch. Herausg. v. C. GecensAUr. Leipzig, 1895. ** Nature, a Weekly illustrated Journal of Science. Loridon, 1895. ** Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, etc. Jahrg. 1895. Stuttgart. ** Philosophische Studien. Leipzig, 1895. * Physical (The) Review. A Journal of experimental and theorical physics. Vol. III, n. 3. New-York, 1895; 8°. * Quarterly Journal of pure and applied Mathematics. London, 1895. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII, fasc. XVIII, XIX. Milano, 1895; 8°. * Rendiconti della R. Accademia dei Lincei — Classe di Scienze fisiche, ecc. Roma, 1895. ** Revue générale des sciences pures et appliquées. Paris, 1895. * Revue sémestrielle des publications mathématiques. Amsterdam, 1895. Ritratto di Carlo Allioni. Fotografia da un dipinto (dono del sig. Emilio Burnat). * Rivista di Artiglieria e Genio. Anno 1895. Roma. Rivista di Matematica edita da G. Peano, vol. V, fasc. 1-2, Gennaio-Febbraio 1895; 8°. Rivista di Topografia e Catasto pubblicata per cura di N. Jadanza. Vol. VIII, n. 5-6. Torino, 1895-96 (dono del socio Jadanza). * Transactions of the Royal Scottish Society of Arts. Vol. XIV, p. 1*. Edinburgh, 1895; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 361 * Zeitschrift fir mathematischen und naturwissenschaftl. Unterricht. Leipzig, 1895. ** Caverni (R.). Storia del metodo sperimentale in Italia. Tomo I-III. Firenze, 1891-93; 8°. ** Kirchner (0.) u. Blochmann (F.). Die Mikroskopische Pflanzen- und Thierwelt des Siisswassers. 2 Theil: 1 Abth. Hamburg, 1895; 4°. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche Dai 5 al 19 Gennaio 1896. * Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. IX, liv. IIIL Bruxelles, 1895; 8°. * Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà di Giurisprudenza. N. S. Vol. V, fasc. 2°. Perugia, 1895; 8". * Annuaire de l’Académie des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique 1894, 1895. Bruxelles, 1894-95; 8°. * Annuario estadistico de la Repriblica Oriental del Uruguay, Aîio 1894. Montevideo, 1895; 8°. * Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Serie XX, vol. II, fasc. 7-10. Venezia, 1895; 8°. * Atti della R. Accademia della Crusca. Adunanza pubblica del 24 di no- vembre 1895. Firenze, 1895; 8°. * Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche; vol. III, p. 2*. Notizie degli Scavi. Ottobre 1895. Roma, 1895; 4°. * Biographie Nationale publiée par l’Académie Royale des Sciences, des . Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. T. XII, fasc. 2; XIII, 1° fasc. Bruxelles, 1892-94; 8°. * Bulletins de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux- Arts de Belgique. 3° série, t. XXVI à XXIX. Bruxelles, 1893-95; 8°. * Documents & Rapports de la Société Paléontologique et Archéologique de l’Arrondissement judiciaire de Charleroi. T. XX. Maline, 1894; 8°. * Mémoires de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. T. L, fasc. II, LI et LII. Bruxelles, 1893-95; 4°. * Mémoires Couronnés et mémoires des savants étrangers publiés par l’Académie Royale des Sciences, des. Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. T. LIII. Bruxelles, 1894; 4°. 362 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Mémoires Couronnés et autres mémoires publiés par l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. Collection in-8°, t. XLVII, L. Lettres, vol. I, LI, LII. Bruxelles, 1892-1895; 8°. # Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et des Lettres de Danemark. 6° sér. Section des Lettres, t. IV, n. 2. Copenhague, 1895; 4°. Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute, Woking; England, vol. XXV, n. 9-11, 1895; 8°. * Boas (F.). 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Morti, N° 490 _. 1% SFES NO 490 480 470 . 460 450 440 430 420 410 400 390 380 370 il 960 350 340 330 . 320 . 3/0 F00 290 £80 Morti N° 490 "n 480 70 " 460 u 450 « 440 » 430 =; ss = | esEs I ESESi | il; Ea = a S2a 1851 Pea EE: DIAGRAMMA RAPPRESENTANTE LA MORTALITÀ DEGLI INFORTUNI! NELLE FABBRICHE E OFFICINE INGLESI DURANTE IL PERIODO STATISTICO 1850-1894 Alti RAccad.delle Sc. di Torino -VoZXXW77 SS 1857, 1858 ite #5 1863, i 1866, ===> 1870,1871 1872.1873 o o 1877, 1878, 819) 1880,|881 MERCI LEI | q@@*T______777 pi|4A i - A J È | = ss ssaa esse SES = ss ! 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N° 490 » 480 470 Rec’d.£8 July--12 Sapt. 1896 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 26 Gennaio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: Cossa, Vice-Presidente, D’OvIpro, Direttore della Classe, BerRUTI, FERRARIS, SPEZIA, GIBELLI, Gracomini, CamerANO, SEGRE, PEANO, VOLTERRA, JADANZA e Naccarr Segretario. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza pre- cedente. Il Segretario comunica le lettere di ringraziamento di Lord RAyLEIGH, cui l'Accademia assegnò il premio Bressa, e dei Signori JorpAN, CeLoRIA, HELMERT, BoLTZMANN e TuHomson recentemente nominati Soci Corrispondenti. Il Segretario legge quindi una lettera dei Segretarii della Società Reale di Londra con cui invitasi l'Accademia a pregare il governo italiano di nominare i proprii rappresentanti per una conferenza internazionale che stabilisca le norme per la pubblicazione di un catalogo universale di bibliografia scientifica. Il governo fu già invitato alla conferenza dal governo inglese dietro sollecitazioni della Società Reale di Londra. La Classe delibera di pregare S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione di prendere in seria considerazione quell’invito. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 27 364 Il Socio GrseLLI presenta in omaggio all'Accademia, a nome dell’autore Dott. Luigi BuscALIonI, una memoria stampata intitolata: “ Studi sui cristalli di ossalato di calcio ,. Fra le pubblicazioni inviate in dono il Segretario segnala una memoria del Socio Corrispondente J. KLrin intitolata: “ Universaldrehapparat zur Untersuchung von Diinnschliffen in Fliissigkeiten ,. Vengono accolti per l'inserzione negli Atti i seguenti scritti: 1° “ Sullo sviluppo della Stropharia (Agaricus) merdaria. FrIes ,; nota del Dott. Pietro VoaLino, presentata dal Socio GIBELLI; 20 “« Influenza dell'errore di verticalità della stadia nella misura delle distanze e delle altezze ,; nota del Socio JADANZA; 3° “ Sui principî che reggono la geometria di posizione ; seconda nota del Prof. Mario Preri, presentata dal Socio PEANO; 4° “ Sull’inversione degli integrali definiti ,; seconda nota del Socio VOLTERRA. PIETRO VOGLINO — SULLO SVILUPPO, ECC. 365 LETTURE Sullo sviluppo della “ Stropharia merdaria , Frs; Ricerche del Dott. PIETRO VOGLINO. Mentre facevo fin dal 1889 alcune prove intorno alla colti- vazione artificiale dell’ Agaricus campester, notavo, sopra un mucchio di letame equino frammisto a paglia di grano (che te- nevo a mia disposizione per poter gradatamente trasportare nei letti caldi), molto abbondante la Stropharia merdaria Fries, nonchè (sulla paglia), dei filamenti bianchicci, con numerosi ciuffi bianchi che, esaminati al microscopio, riscontrai formati da numerosi organi di riproduzione o conidii di forma ellittica, lunghi 8-9u, larghi 7 pu, incolori e disposti a catenella, ch'io ritenni dapprima come una forma del genere Oospora. La presenza di questi due miceti, mi decise allo studio del loro sviluppo per sorprendere quelle relazioni che potessero esi- stere fra di essi. artificiali colle spore della Stropharia e coi conidii dell’ifomicete, le ripetei ad intervalli nel periodo di 5 anni ed i tentativi fu- rono coronati in questi ultimi tempi da lieto successo. Potei non solo stabilire il nesso genetico fra le due forme ma anche ri- produrre individui completi di Stropharia merdaria Fries. Tentai le coltivazioni nell'acqua ed in parecchi liquidi, quali decozioni di fimo equino, di erba, di paglia, di uva, in parecchie gelatine ed anche in mezzi solidi, come terra vegetale ricchis- sima di sostanze nutritizie e pezzi di fimo equino. I risul- tati migliori li ottenni colla decozione di fimo e coi pezzi di sterco equino e sopratutto quando mantenni l’ambiente delle colture molto umido e con una temperatura di 18° a 20° C. Preparai le colture col metodo di frazionamento, cioè col ridurre le spore in numero di 2, 3 o 4 al più per ciascuna pre- parazione. Molte furono le colture che fui costretto ad abbandonare e 366 i PIETRO VOGLINO ciò specialmente per l’infiltrazione di muffe; solo quando curai di sterilizzare con tutti i metodi possibili e con sterilizzatrici a secco ed a vapore e con lavature in sublimato corrosivo, i de- cotti, i mezzi solidi ed i diversi utensili adoperati, potei avere risultati ottimi. Per le colture con decotti usai le camere umide a goccia pendente e per quelle sopra mezzi solidi le camere umide formate da due vetrini copri-oggetti esilissimi, molto av- vicinati fra loro e chiusi da tre lati con lastrine di vetro e nel quarto con uno strato di bombage (1). La forma conidiale negli Agaricini è certo ormai che debba presentarsi per quasi tutti gli individui. Gli studi specialmente del Brefeld, del De-Seynes, ecc., la misero in evidenza per nu- merose specie del gen. Coprinus, Panaeolus, ecc., per la Stro- pharia semiglobata, S. stercoraria, S. melanosperma ed io stesso potei già riscontrarla nello studio dello sviluppo del Tricholoma terreum Schaeffer (2). Per nessuna delle specie studiate fin ora era però ricordata una forma conidiale che si fosse manifestata anche senza le col- tivazioni artificiali e così abbondante come riscontrai sulla paglia di alcuni letamai. Questo nuovo fatto serve così a dimostrare sempre più come molte forme imperfette classificate nel gruppo degli /fomiceti dovranno essere ritenute come stadîì di sviluppo oltrechè degli Ascomiceti anche di alcuni Basidiomiceti e spe- cialmente Agaricini. Descrizione del fungo perfetto. La Stropharia merdaria Fries (fig. 37 e 38) ha un micelio formato da filamenti esilissimi, bianchicci, che si intrecciano in vario modo, formano dei cordoni e sono dotati di numerosi organi succhiatori che si attaccano alle particelle di sterco. DS Lo stipite è cilindrico, tenace, formato di minutissimi fili (1) Queste camere umide già da me adoperate per la coltura di altri Agaricini, offrono il grande vantaggio che lo sviluppo del fungillo può essere seguito da tutti i lati senza quasi mai asportare e quindi smuovere gli organi in germinazione. (2) Morfologia e sviluppo di un fungo Agaricino (Nuovo giornale bota- nico, vol. II, n. 3, 1895). SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 367 bianchicci o di color giallo-grigiastro, leggermente cavo inter- namente e flessuoso, lungo da 2 a 3 cm. e largo 5-6 mm.; verso la parte superiore è coperto da un velo leggerissimo che forma un anello però molto fugace e bianchiccio. Il pileo è convesso-piano, ottuso, glabro, leggermente vi- schioso quando è umido, striato al margine, e di color ocraceo quando è secco, cervino quando è bagnato, largo da 3 a 5 cm.: ha la polpa interna bianchiccia, e porta inferiormente un imenio formato da lamelle adnate o decorrenti per un sottilissimo dente, orizzontali, molli, piuttosto larghe, dapprima gialliccie poi bruno-porporine e munite nella parte inferiore di una esi- lissima frangia bianchiccia. Sulle lamelle si notano basidii cilindrico-clavati, legger- mente ristretti alla base e nella parte mediana, lunghi 24-28 p., larghi 8p (fig. 34 e 36) con 4 sterigmi, dai quali hanno ori- gine spore violacee, ellittiche o amigdaliformi, lunghe in media 10. e larghe 6u. (fig. 1 a, 5, ce). L'orlo bianchiccio delle lamelle risulta costituito da un gran numero di cistidiî fusoidei, legger- mente ristretti e tondeggianti verso la parte superiore, incolori, lunghi 22-24-26, larghi nella parte mediana 5 o 6 y (fig. 35). La Stropharia merdaria Fries cresce comunemente sullo sterco equino specialmente nei letamai e nella stagione estiva, io l’ho trovata in diverse regioni del Piemonte, del Veneto e delle Marche. Sulla paglia, in vicinanza di questo fungillo, si trovano fre- quentemente dei filamenti bianchicci che dànno origine a ce- spuglietti di conidii catenulati, incolori, ellittici, lunghi 8-9. e larghi 7 u. che potrebbero essere riferiti ad una forma di Oospora. La Stropharia merdaria è già stata figurata da varii autori, le figure che più corrispondono però agli esemplari da me ri- scontrati sono quelle date dal Cooke, Illustration of british fungi, tav. 597. Sviluppo del fungo. Forma conidiale. Se si prendono le spore mature della Stropharia merdaria e si collocano col metodo di frazionamento in numero di 2 0 3 in una goccia di decotto di sterco equino, piuttosto concentrato, 368 PIETRO VOGLINO ed opportunamente sterilizzato, si noterà nello spazio di qualche ora che le spore si gonfiano leggermente. Dopo un periodo di tempo, che può variare dalle 6 alle 12 ore (1), se le spore provengono da esemplari freschi e fino alle 26 o 30 ore se gli esemplari adoperati sono già essiccati (2), si nota ad una estre- mità della spora stessa, un forellino nell’episporio. Da questo ne esce in breve una piccola protuberanza incolore (fig. 1 d), la quale o si allunga direttamente formando il primo filamento del promicelio, largo da 3 a 4y., oppure, nel maggior numero dei casi, si rigonfia, ed alcune volte tanto da formare un organo ellissoidale, rifrangente, della stessa od anche di grandezza su- periore a quella della spora (fig. 1 f e 4 a). Quest'organo, nello spazio di poche ore, o si allunga direttamente in un filamento con diametro di 3, 5 a 4, 5 p., il quale può scor- rere in senso rettilineo (fig. 2) ed anche ripiegarsi ad arco (fig. 1 d), oppure dà origine ai lati o nella parte superiore a filamenti larghi circa 2 pu. (fig. 4) che si accrescono in lun- ghezza e larghezza fino a raggiungere un diametro di 3 a 4, Sp. e formano così i primi filamenti del promicelio (fig. 5). Questo sviluppo avviene abbastanza rapidamente. Si può calcolare che ogni ora si ha un accrescimento in lunghezza di circa 10 a 15 pu. Citerò ad esempio la germinazione che ho verificato in una spora (fig. 4) che raggiunse lo sviluppo dato dalla fig. 5 dopo nove ore. Dalla spora escono anche direttamente (1) Ho potuto tenere un calcolo esatto delle ore perchè feci le osser- vazioni, nelle diverse prove, e specialmente nei primi giorni anche di notte, alle 10 di sera, alle 12, alle 5 ed alle 6 del mattino. Inoltre le medie sono dedotte dal diario di 5 tentativi, riusciti felicemente e sempre con 10 ca- mere.umide per seminagione. Avverto però che di 10 camere umide potei riuscire, la prima volta, a tenerne libera dalle muffe una sola fino a com- pleto sviluppo e nelle successive sempre due. L'ambiente nel quale tenevo le camere umide aveva una temperatura media di 20° C. Nel termostato a 18° C. ottenni buonissimi risultati. (2) Fra le diverse coltivazioni fatte nelle prime prove (giugno-luglio 1889) adoperai, in 4 camere umide, spore di esemplari da me raccolti nei dintorni di Massa nell'agosto 1887 ed osservai, dopo 30 ore, un aumento di volume in due spore e quindi la produzione del tubo germinativo. Del resto adoperai sempre o esemplari freschi oppure essiccati da quindici giorni a 2 mesi al più. SULLO SVILUPPO DELLA <« STROPHARIA MERDARIA » FRIES 369 due o tre (fig. 3), raramente quattro filamenti che si ingrossano alle estremità e da tali ingrossamenti hanno origine nuovi fili variamente ramificati. In alcune spore che avevano prodotto dapprima un rigon- fiamento molto marcato, lo sviluppo del primo ramo si mani- festò per alcuni giorni specialmente in grossezza, in modo da dare origine dopo 5 o 6 giorni ad una massa allungata con diametro da 12 a 14p. (fig. 8-9), che ad intervalli di 12 a 14 ore formava rami con disposizione quasi raggiata (fig. 8) e con diametro da 8 a 10 u. Solo dopo una diecina di giorni si era costituito una specie di promicelio (fig. 8) che misurava dal lato più lungo 500 p. circa e dal lato più breve 120 a 130. Questo stadio di quiescenza dura in media undici o dodici giorni, in seguito i rami si allungano in filamenti con diam. di 2,5 a 3 p., i quali si ramificano in vario modo e formano un vero promicelio. In altre colture invece notai dopo 22 ore (1) un filamento lungo circa 200. e con alcune ramificazioni laterali (fig. 7). La media di una ventina di colture mi diede dopo 24 ore un filamento lungo da 40-60-90 e 100pu. e con 2 o 3 ramifi- cazioni laterali, con un accrescimento successivo di 10-20-30 y. ogni 24 ore, nel ramo principale e di 4-6-10 u. nei rami secon- darii. I filamenti contengono minute granulazioni e vacuoli ma nessuna traccia di setti, e presentano in generale lo stesso dia- metro nello sviluppo, solo raramente si rigonfiano in alcuni punti (fig. 6 @) e da questi rigonfiamenti emettono nuovi rami. Dalla spora adunque sia per mezzo del rigonfiamento ini- ziale che può o protendersi direttamente in filamenti ristretti (fig. 1 e 2) o dare origine ad un ramo molto ingrossato con rami- ficazioni raggiate (fig. 8-9), oppure anche formare, o all’estre- mità od ai lati parecchi rami del promicelio, sia infine per pro- duzione diretta di uno (fig. 7) o più filamenti (fig. 3), si formano in uno spazio di tempo che può variare da 5-10 a 15 giorni dei filamenti con diametro di 2 a 3u, e variamente ramificati ma privi di setti. I filamenti mantengono per qualche tempo lo stesso dia- (1) Sempre calcolando dal principio dello sviluppo. 370 PIETRO VOGLINO metro nello sviluppo, solo in alcuni punti presentano degli in- grossamenti (fig. 6 a) dai quali partono nuove ramificazioni con alcune anastomosi (fig. 6 c); quando poi hanno rag- giunto quasi il massimo del loro sviluppo in lunghezza, e ciò in generale succede dopo 15 o 20 giorni, allora diminuisce di molto lo sviluppo in quel senso ed i rami incominciano ad ingrossarsi verso la periferia, tanto da misurare 6 o 7u. di diametro. Quindi si dividono per mezzo di setti trasversali in varie cellule, quasi tutte con nuclei ben distinti di forma ellit- tica ed addossati alle pareti (fig. 10, 11, 12, 14, 15), presen- tano ramificazioni laterali in vario modo e frequenti anastomosi fra cellule contigue dello stesso ramo (fig. 13). Nei punti ove avviene la formazione dei setti i rami pre- sentano generalmente degli ingrossamenti (fig. 10 @), dai quali poi hanno origine altri rami (fig. 10 5), che alla lor volta si ramificano ancora (fig. 10 c). In molti rami sopra e sotto al setto si osserva un piccolo nucleo (fig. 15 a, 3), il che lasce- rebbe dubitare che la formazione delle cellule sia dovuta alla divisione dei nuclei. Il promicelio ha così raggiunto il suo completo sviluppo, tanto in lunghezza che in larghezza. Da tale momento i rami terminali e laterali si portano perpendicolari alla superficie di coltura, l’apice di questi rami in 10 o 12 ore si ingrossa e presenta un primo segmento (fig. 16 @) che separa la parte ingrossata. Dopo qualche ora la parte sottostante si ingrossa ancora e presenta un nuovo setto che va gradatamente restringendosi verso la parte interna in modo da dividere la porzione apicale in varii segmenti. Nello spazio di 20 a 30 ore al più si formano all'apice dei rami da 4 a 6 setti, i quali dividono i filamenti in altrettante porzioni (fig. 17, 18, 19, 21) o conidii, di forma ellittica che dopo una ventina di ore si staccano (fig. 20) e cadono sul substrato. Tali conidii misurano da 8 a 9 pu. di lunghezza per 7 p. di larghezza, sono incolori. Giunti a completa maturità presen- tano nell'interno alcune goccioline di natura oleosa e sono ri- vestiti da una esilissima membrana. Alcune volte nel mezzo dei filamenti conidiali si notano delle porzioni maggiormente allungate (fig. 21 a). Per tali caratteri, questi conidii, devono essere ritenuti come una forma riferita dal De-Bary per altri iii pi “cdi. imc n nn SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 371 funghi al genere Oidium, ma che siccome si sviluppa anche sulle sostanze in via di decomposizione parmi sarebbe meglio riferirla al gen. Oospora. I conidii sono capaci di germinare e coltivati in camere umide con decotto di fimo emettono dopo poche ore, da un lato, un filamento (fig. 22) che in breve si ramifica e produce una forma di promicelio con rami muniti d’organi succhiatori (fig. 24 a e 8). Feci numerose colture ma non potei mai otte- nere un ulteriore sviluppo. Quando invece collocai i conidii in una goccia d’acqua con detriti di humus e pezzetti di paglia di letamaio, notai uno sviluppo di gran lunga supe- riore, cioè la formazione lungo i rami di organi succhiatori e dopo alcuni giorni la produzione di abbondanti conidii. Ottenni lo stesso risultato sostituendo i conidii ricavati direttamente dalla forma che aveva trovato nella paglia. I conidii si sviluppano prontamente, quando sieno collocati in liquidi nutritizi con particelle solide, in ambienti molto umidi e con 20° C. circa di temperatura, perdono però anche molto presto la facoltà germinativa. To potei ottenere tre generazioni di conidii, tutti della stessa forma: feci anche le coltivazioni di conidii ottenuti dalle col- ture artificiali entro a vasi contenenti terra, sterco di cavallo e paglia opportunamente sterilizzati e collocati sotto campane circondate di carta bibula inbevuta d’acqua: potei dopo varii tentativi riuscire ad avere i pezzetti di paglia coperti da ab- bondante promicelio con conidii della stessa forma e grandezza di quelli seminati. Sulle patate e sulle carote questi conidii dànno uno sviluppo incompleto. Formazione del micelio. La produzione dei conidii, nelle coltivazioni delle spore, dura 2 o 3 giorni, cessata questa, sui rami del promicelio e . specialmente in quelli che si avvicinano al margine della goccia di coltura si mostrano degli ingrossamenti dai quali nascono nuovi filamenti a raggi (fig. 25), che per quanto abbia tentato 372 PIETRO VOGLINO nei mezzi di coltura liquidi non potei farli ulteriormente svi- luppare. Asportai allora, colle dovute cautele, dette colture sopra piccole porzioni di letame equino sterilizzato e collocato nelle camere umide formate dai due vetrini copri-oggetti. Feci nu- merose prove e controprove perchè le muffe cercavano sempre di far capolino, alfine potei isolarne una diecina. Sopra queste osservai che in alcuni filamenti del promicelio si erano svilup- pati parecchi rami (fig. 25), i quali in breve si ramificavano in modo straordinario formando un vero micelio con rami fra loro riuniti in modo da costituire dei cordoni e frequenti ana- stomosi (fig. 27) con numerosi setti, nuclei (fig. 26) ed organi succhiatori (1) (fig. 28, a, b, c). Anche i conidii germinanti dopo due o tre generazioni di organi di riproduzione, dànno origine a rami maggiormente in- grossati, che si avvicinano in vario modo fra loro in modo da formare dei veri cordoni miceliari. I filamenti ed i cordoni sia nell’un caso che nell’altro sono perfettamente simili a quelli del micelio che si nota alla base di un esemplare di Stropharia merdaria. Presentano le medesime forme di anastomosi, lo stesso diametro di 4 o 5 p. e sopra- tutto organi succhiatori formati da rami ingrossati all’apice e finamente dentellati (fig. 28, a, 5, c). Servendomi dei vapori di acido osmico e quindi del piero carminio notai anche dei filamenti con alcuni nuclei in cario- cinesi della stessa forma di quelli già osservati nei filamenti della Clitocybe odora. Formazione dell'apparecchio sporifero. Continuando l’osservazione sopra le colture provenienti o dalle spore primitive o dalla germinazione dei conidii, notai che alcuni rami si ingrossavano in certi punti molto più degli (1) Questi diversi stadî potei osservarli dapprima direttamente nelle camere umide, ma poscia fui costretto a smuoverne la parte interna di modo che non potevano più essere adoperate. SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 373 altri e da questi ingrossamenti avevano poi origine i primi ru- dimenti dell'apparecchio sporifero della Stropharia. È difficilissimo il poter seguire lo sviluppo di quest’organo, il mezzo stesso in cui si deve fare l’osservazione, costituisce uno dei fattori per cui la ricerca riesce così faticosa. Bisogna disporre di un gran numero di colture per soppri- merle a tempo oppurtuno. La formazione dei filamenti dell’ap- parecchio sporifero avviene in modo quasi analogo a quello già descritto per altre specie e generi affini, per cui non ripetendo più fatti già noti e troppo ben descritti, mi limiterò ad accen- nare quanto ho potuto osservare sommariamente. L'apparecchio sporifero è formato dapprima da rami esi- lissimi che presentano anche anastomosi (fig. 29). Sono per- pendicolari al filamento dal quale hanno origine, ingrossati all’apice, ricchissimi di granuli protoplasmatici ed estremamente teneri o gelatinosi nella parte superiore, per cui ho dovuto per metalli bene in evidenza ricorrere ai metodi diversi di colora- zione, fra i quali mi diede sempre ottimi risultati l’alcool e la soluzione acquosa di eosina. I rami esilissimi si allungano, si ramificano e si dispongono parallelamente fra loro presentando sempre, all’apice, un in- grossamento (fig. 30). Verso la parte superiore tali filamenti si ripiegano ad arco, in modo da formare, contorcendosi, un reticolato molto irregolare (fig. 33), che, per mezzo di uno o due esilissimi strati ‘orizzontali di cellule ellittiche (fig. 31 a), resta gradatamente separato dalla parte inferiore. Hanno così origine lo stipite (fig. 31 2) ed il pileo (fig. 31c). Le cellule orizzontali dopo aver segnato il limite fra sti- pite e pileo, si protendono anche verso l'esterno, si allungano, si ramificano e formano l’anello molto fugace, che si nota nella parte superiore dello stipite. La massa del pileo va poi gradatamente dividendosi in parecchie parti, cioè in un pigmento colorato esterno, in una polpa interna e verso la parte inferiore si protende in filamenti perpendicolari alla superficie, i quali costituiscono lo strato imeniale che si divide poscia in linee radiali (fig. 32) dando origine alle lamelle sulle quali lo strato esterno dei filamenti si raccorcia e forma i basidii e le spore; lo strato inferiore si protende nei cistidii. PARTITA LR È n° PLATE E 374 PIETRO VOGLINO Tanto i filamenti del pileo che dello stipite si colorano verso la parte esterna, al primo loro formarsi, in giallo-bruno. Riassumendo abbiamo nel ciclo di sviluppo della Stropharia merdaria le forme seguenti : I. Le spore germinando producono promicelio con conidii (Oospora) ; II. I conidii possono germinare prontamente e produrre nuove generazioni di conidii ed infine anche rami miceliari con organi di fruttificazione della Stropharia ; III. Cessata la produzione dei conidii, da alcuni rami del promicelio partono parecchie ramificazioni, le quali si allungano in modo straordinario, vivono solo su mezzi solidi, formano austori, si riuniscono in gruppi e costituiscono quindi un vero micelio ; IV. Da alcuni rami di questo micelio hanno origine gli organi di fruttificazione con spore della Stropharia merdaria ; V. I conidii dell’Oospora che vive sulla paglia dei le- tamai germinando possono produrre nuovi conidii e micelio di Stropharia merdaria con organi di fruttificazione. Siccome ho in generale osservato che la formazione del- l’organo di fruttificazione non ha luogo che dopo molto tempo e d’altra parte si nota sempre sotto agli esemplari di Stropharia abbondante micelio, così io credo che valga a diffondere il fungo da una all’altra annata ed il micelio ed anche le spore che pos- sono germinare dopo alcuni mesi. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1, a, db, c, spore di Stropharia merdaria (Microscopio Koristka, oc. 4, ob. 9*), d, spora in germinazione, e, tubo di germinazione ripiegato ad arco, f, rigonfiamento iniziale (oc. 3, ob. 9%). » 2. Tubo di germinazione formatosi in senso rettilineo (oc. 3, ob. 9*). » 3. Spora che germinando produce tre filamenti ingrossati all'apice (oc. 3, ob. 9*). » ‘4 Spora con rigonfiamento (a) che forma rami laterali (oc. 4, ob. 9%). 4 l | | DI sviluppo ‘Atti RAccad. delle Sc. di Torino - VOLI della Stropharia merdaria. Lit.Salussolia-Torino dt pd : SULLO SVILUPPO DELLA <« STROPHARIA MERDARIA » FRIES 375 Fig. 5. Spora coi primi filamenti del promicelio formatisi dal rigonfia- pro. LN] rig 9 10 < NR a | cela. rio » 14 SII pato. DAFT 4a. se Lo. x 20, wu 21, Set 24, » 23. n 24 » 29 n 20. addi. praz8. PIRLA pi 90. a 81 » 832 1.99. mento iniziale (oc. 3, ob. 9*). Spora (a) con filamenti ramificati sui quali si notano anastomosi (e) e rigonfiamenti (0) (oc. 3, ob. 7). . Spora che forma i primi filamenti del promicelio senza alcun rigon- fimmento iniziale (oc. 3, ob. 9*). . Spora (a) che dà origine ad un filamento molto ingrossato dal quale partono rami con disposizione raggiata (oc. 3, ob. 5). . Promicelio a rami molto ingrossati che in a e d si protendono in filamenti molto più ristretti (oc. 3, ob. 5). . Filamento del promicelio diviso da setti in varie cellule, con in- grossamenti (a) nei punti ove avviene la formazione dei setti e col principio di un ramo (5) (oc. 3, ob. 9*). . Porzioni di filamento con nucleo e setto (2) col principio di una ramificazione (a) (oc. 3, ob. 9*). Filamento del promicelio con setto e ramificazioni (oc. 4, ob. 9*). L con anastomosi fra cellule contigue (ce) (oc. 4, ob. 9*). u con ramificazione e nucleo (a) (oc. 4, ob. 9*). % con due ramificazioni e nuclei a e d in vicinanze del setto. Apice di un filamento con un primo setto « (oc. 3, ob. 7). Rami terminali con anastomosi e setti trasversali che formano i conidii (oc. 3, ob. 7). Rami terminali con setti che dànno origine a conidii (oc. 3, ob. 7). Porzione di ramo apicale con 3 conidii in via di formazione (oc. 4, ob. 9*). Ramo apicale con conidii che si staccano (oc. 3, ob. 7). Porzione di ramo apicale con 7 conidii dei quali quello centrale (a) molto più sviluppato in lunghezza. Conidio in via di germinazione (oc. 3, ob. 9*). È con filamento maggiormente sviluppato (oc. 3, ob. 9*). s germinante con filamento ramificato e munito di organi succhiatori (a e 5) (oc. 3, ob. 9). . Filamento del promicelio che dà origine a filamenti miceliari (oc. 3, ob. 9*). Filamento del micelio ramificato e con nucleo (a) (oc. 3, ob. 9%). 5 pi con anastomosi (oc. 8, ob. ha si con organi succhiatori (a, d, c) (oc. 3, ob. 9*). Bani che dànno origine ad un apparecchio sporifero (oc. 3, ob. 9*). Filamenti che si dispongono parallellamente e formano poi lo sti- pite ed il pileo (oc. 3, ob. 9*). . Sezione longitudinale d’un giovane organo sporifero; d, stipite; a, cellule divisionali; c, pileo (oc. 3, ob. 9*). . Filamenti di pileo che tendono verso il basso e dànno origine all’imenio (oc. 3, ob. 9*). Tessuto interno del pileo (oc. 3, ob. 9*). 376 NICODEMO JADANZA Fig. 34. Filamenti dell’imenio che si restringono e formano i basidii (oc. 3, ob. 9*). TB, = È & s z i cistidii (oc. 3, ob. 9*). » 86. 2 basidii isolati (oc. 3, ob. 9*). » 87. Esemplari di Stropharia merdaria (grandezza naturale). » 88. Sezione longitudinale di un frutto di Stropharia. Influenza dell'errore di verticalità della stadia sulla misura delle distanze e sulle altezze ©; Nota del Socio NICODEMO JADANZA. x Sia da misurarsi la distanza orizzontale tra i punti A e B. Il punto da cui si contano le distanze sia o sulla verticale di A ed onn', occ', omm' sieno le visuali che passano pei tre fili del reticolo dei quali il medio divida in due parti eguali il segmento che unisce i punti d’intersezione degli altri due col z 5 tileno - 1 filo verticale, sicchè si abbia noc = com = 3 Wi W essendo l'angolo diastimometrico. | Sia Bmn la posizione della stadia quando essa è situata verticalmente in B e Bm'n' quella che essa occupa quando devia dalla verticale di un angolo yw. Nel primo caso la parte com- presa tra i fili estremi del reticolo è mn = S, e nel secondo caso è m'n' = S'. Se a è l’angolo di altezza dell’asse ottico occ', gli angoli onB, omB sono rispettivamente eguali a (*) Questo scritto è come un complemento dell'altro pubblicato nel volume XXIII (1888) col medesimo titolo. INFLUENZA DELL'ERRORE DI VERTICALITÀ DELLA STADIA 377 90° — (a ++ w); 90° — (a- +4 w) e gli angoli 0n'B, om'B sono eguali a: 90° — (a + + w) — y; 90° — (a mi w)— y. Dai due triangoli Bnn' e Bmm' si ottiene: Ma cos (a + ->- ») e 1 157. cos (a+ W+v) | cosw— senytg(a +-+ w) Bm _ cos (a — > w) ari 1 Bm cos (a —-2w+y) cos y — senytg(a — + è) donde si deduce: Bn' cosy — Bn = Bw'.senytg. (a Lt 5 w) Bm' cosy — Bm = Bwm'.senytg. (a — + w). Sottraendo membro a membro le due eguaglianze prece- denti, ed osservando che è Bn' = Bm' + S' si ha: S'cosyp— S= S'senytg (a++ w) A + Bm' sen y | tg (a +3 v) — tg (a - + w) |, ovvero S' cosy — S=S'senytg(a +4 w) + 2to — w uo Waldo, qa grata Jirvto inlz.i soa. gens) 378 NICODEMO JADANZA Gli angoli y ed w sono angoli piccolissimi, trascurando le terze potenze di essi negli sviluppi in serie di cos y, sen y, 1 tg > “ ece., avremo: ar , 1 S' 1 ’ S—_ S=uy.StgaLw.y. + Wes così a + wy Dee: re) così. a nella quale w e yw s'intendono espressi in parti del raggio. La formola precedente esprime l'errore che si commette in causa dell’inclinazione w della stadia. Se si moltiplica il primo membro della (2) per il rapporto diastimometrico, che può ritenersi eguale ad —, e per il fattore cos?. a, si otterrà l'errore commesso nella misura della distanza tra A e B. Indicando con è D tale errore, sarà: oD= "= cost.a= 148) sen a cos a + — 94 4 Br + 2 g' Sa CORR Il caso più sfavorevole è quando la visuale 0nn' passa per l'estremo superiore della stadia; allora Bm' diventa L — S', essendo L la lunghezza della stadia. In tal caso la (3) diventa: S' È Wug #4 2a dD:== .8' sena cosa + yL—- FS + 7-5 008°. @ w Come vedesi, l'errore nella distanza cresce coll’angolo di altezza a ed è quasi sempre trascurabile per a = 0. È quindi conveniente nella pratica evitare le misure di distanza colla stadia quando il cannocchiale è molto inclinato all’orizzonte. L’errore nella distanza cambia segno al cambiare del segno di y e di a; ciò spiega il fatto accertato da molti operatori che, cioè, si ottengono risultamenti differenti sulla misura di una distanza nei terreni a forti pendenze a seconda che l’istru- mento si trova nel basso o pure in alto rispetto alla stadia, e INFLUENZA DELL'’ERRORE DI VERTICALITÀ DELLA STADIA 379 ciò anche per distanze tali per le quali una tale differenza non può attribuirsi alla rifrazione. A verificare il fatto ora accennato abbiamo fatto delle espe- rienze su due punti A e B la cui distanza D = 64",60 e la cui differenza di livello è di circa 11 metri. In ciascuno di essi si è prima posta la stadia in posizione verticale, indi inclinata alla verticale di un angolo y = "6 = 0,0175 (in parte del raggio). Il tacheometro adoperato è di Traugton e Simms avente il reticolo composto di 5 fili orizzontali, con due rapporti dia- stimometrici di valore 50 (coppia dei fili estremi) e 100 (secondo e quarto). Ecco i risultamenti ottenuti: 1° Tacheometro nel punto più basso A — Stadia nel punto più alto B. Letture fatte ai 5 fili del reticolo: Stadia verticale Stadia inclinata alla verticale di y= 0,0175 3,896 Sn, 844 3 ,500 Angolo di elevazione 3 ,506 9,105 ASSE 8,168 2 ,830 2 ,832 2,497 2,498 —= Bw' I due valori di S' sono 1”,346 e 0,674. Calcolando i di- versi termini della (3) si ottiene per valore di èD èD = 0%,23 + 02,01 +4 02,04 ossia 05 02.28. Calcolando la distanza colle due serie di osservazioni si ottiene D = 64,60 D'Es=t042:97 essendo D' la distanza ottenuta colle letture fatte sulla stadia inclinata. 2° Tacheometro nel punto più alto B — Stadia nel punto più basso A. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 28 380 NICODEMO JADANZA — INFLUENZA DELL’ERRORE, ECC. Letture fatte ai 5 fili del reticolo: Stadia verticale Stadia inclinata alla verticale di y = 0,0175 Sn, 882 3,876 3 ,552 Angolo di depressione 3 ,548 3,223 a'i=9912 3,220 2,892 2,889 2,962 D5600, = Ba I due valori di S' sono 12,316 e 0,659. Calcolando i di- versi termini della (3) col valore più grande di S' si ottiene è9D = — 09,16 + 02,012 + 02,045 ossia De AMET: Calcolando direttamente la distanza si ha: D'=%4565; DI — bd I due valori di D' mostrano ad evidenza quali differenze si possono ottenere quando non si bada molto alla verticalità della stadia. Si è ottenuta una differenza di 0”,46 su di una distanza di circa 65 metri con angoli d’inclinazione di 12° e 9°! È facile vedere quali differenze si otterranno su distanze più grandi e con angoli d’inclinazione maggiori. Moltiplicando dèD per tg a si ha l'errore commesso nella differenza di livello tra il punto e' ed il punto o. Indicando con èH tale errore si ottiene: oH= -®.S' sen? a | ->- . S' tga + y.Bmw' .tga+ W +. È sena cosa A e questa nel caso di èD = 0,28 dà èH = 02,05. Le formole (3) e (4) indicano da sè le precauzioni che bi- sogna avere nella pratica dei rilevamenti di precisione. Esse si riducono in sostanza ad evitare, per quanto è possibile, le forti pendenze e a provvedere affinchè la stadia sia mantenuta in posizione verticale. È sempre conveniente fare in modo che uno dei fili estremi del reticolo si proietti sulla stadia in vicinanza del suolo. MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC. 881 Sui principî che reggono la Geometria di Posizione; Nota 2* di MARIO PIERI. La presente Nota e quella che le fa seguito versano in- torno alcune conseguenze dei principî logico-geometrici, proposti ed analizzati assai distesamente in altro lavoro pubblicato al- cuni mesi addietro sotto lo stesso titolo (*) — conseguenze molto importanti agli scopi della Geometria Projettiva. Gli ar- gomenti trattati in queste due Note pajono sufficienti a mo- strare come dai nostri Postulati circa gli enti primitivi punto, retta e segmento (projettivi) sia possibile svolgere tutta quanta la pura Geometria di Posizione, e quindi anche le Geometrie metriche astratte che ne derivano. Si è stimato opportuno di riprender la numerazione dei $$ al punto ove si arresta la Nota precedente. Tanto più che i risultati di quella non si potrebber riassumere in breve: sicchè non è possibil supporre che chi vorrà leggere o consultar la presente non abbia anche quella sott'occhio. Triangoli projettivi. $ 11. — Tra i vantaggi, che il segmento projettivo ($ 7) palesa come idea primitiva, va segnalato anche questo: che nel passaggio a forme di maggior dimensione il segmento projettivo (individuato dagli estremi ed un punto) conduce naturalmente al triangolo projettivo e al tetraedro (individuati mediante i vertici e un punto), per via non dissimile a quella, con cui dalla retta si giunge al piano e allo spazio. Ad una estensione consimile mal si presterebbe l’idea di successione ordinata. (*) © Sui principî che reggono la Geometria di Posizione ,: Nota di M. Pieri, negli “ Atti d. R. Acc. d. Sc. di Torino ,; vol. XXX (maggio 1895). 382 MARIO PIERI La considerazione di queste figure “ triangolo e tetraedro pro- Jjettivo , riesce utilissima in molte questioni, eziandio elementari, di Geometria projettiva; però che in esse s’imperniano i più semplici fatti inerenti alla connessione del piano e dello spazio ordinario. G. C. von SrAupT le introdusse e ne usò (v.i p. e. i nn. 172-75 e 188-91 della G. d. L.) mettendone in vista alcune proprietà, derivanti (principalmente) dai suoi postulati circa le superficie coniche d’ordine pari e d’ordine dispari; ma non sap- piamo che altri abbia trattato quest’argomento con più diffu- sione e maggior semplicità di premesse. — In questo $ e nel susseguente, previa dimostrazione di alcuni fatti che occorrono assai di frequente, si studia appunto il triangolo, quale porzione di piano atta a projettarsi in un’altra della stessa natura; mo- strandosi come le sue proprietà maggiormente intuitive e più spesso invocate discendano senz'altro dai Postulati I-VII, XI- XVII e XIX (*) P.1. a,b,ce[0].(a,d,c) -eCl.a'ebe-1b>10.b'eca-ic-ia:9: : aa', bb'eKabc n [1] - de —1ca — 1ab . aa' — = db. .[ua' n bb']e[0]n abc > bce > ca ab (**) Teor. | @ Hp . P8,5$3.P9,3852.P3$4:p:a-=b.b-=ce. ‘ea lab -=bce.be-=cq.ca--ab.a., 0 e igima di da, be [1] (8) Hp.(a).P482.P58$3:9:a0' —=bdc. bb'-=ca (*) Si osservi che, mentre i $$ 7-10 (eccezion fatta di P8 $10) corrono al tutto indipendenti dai $$ 1-6 (tanto che nell’ipotesi di ogni proposizione dei $$ 7-10 è permesso di leggere reK invece di re[1]), nelle proposizioni dei $$ 11, 12 si collegano i principî relativi a tutti e tre gli enti non definiti. — Circa alle nostre dimostrazioni simboliche è da avvertire che d’ordinario (qui, come addietro) nel corso di una singola deduzione o ca- tena di deduzioni non si cita più d’una volta una stessa proposizione, quantunque usata più volte. E col citare una catena di deduzioni si vuole soltanto allegare quella proposizione che nasce guardando al primo e al- l’ultimo membro di essa, e astraendo dagli altri. (*#*) Qui ed appresso la scrittura [un 0], dove v e ® siano classi, sta in vece di î(um è); cioè la classe um» si concepisce come l'insieme degli individui eguali ad [un v]). (to) (0) (£) (n) (1) (1) (v) SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE | 383 Hp. (Gr agriatansa ra. P782: 09 secca PLIL$2 #0 ica=c0.P582:910ca =do 519 000 Ca Mps tane di PR SIIT 706. 5.82: sii" 0 Bilbao val pole 000 IS) | ded PLL SZ, con Ud) Aa a db Hp .(a).P583.P485:n:a,a'ca(be). 6, d'eb(ca). .P14;15 85:94, 0,06,bd'eabe .P22,2185.P38219: ‘aan bb'—-= N. aa', bbd'eKabe Hp.(a).P382..9-.2,ye00 n bb'ix-=y. P1582:ey: taa=bb': (E). ir ya dd ey MM 0 . [aa' n 55']e[0] n ade Ep (0) EAT). n = di PI den. BEER! gian (0) VOTA = a (0). (2) 0.09 .. [aa' o B8']ead .(M).P582:9: REITe. gg P1182:9.a0=0':(MIe0)(0). .P6$2..09.[aa' n b9']- ad DSS O DOOR (9 ISTAT VERBA N77 Io CITATA CT API 9 OI ZIA RSI O .be=b[aa' n bb] = bd: (CIT). P682..0 . [aa' n bb']- e de - (4). (8). (7). (0). (£).(M).(0).(4).M). GICDMO : 0 - Th | a,b,ce[0].(a,b,c) -eCl:9:[0]nade-bce>-ca-ab.-=N Teor. | Hp .Pl:i:d::ra'ede—1d-1c0.d'ecanicnia:—=agh 7.9: : [aa' n bb'|e[0] n ade — de — ca- ab. > =agN.° .P1082::0. Th ] 384 MARIO PIERI P.3. a,b,ce[0].(a,d,c) »eCl.deabe>-be-ca-ab:9:de[0]. .iavibuicoideRKadennum 4.148 1ed vide viado vica-15deK[1]n KKade n num 6 Teor. In altri termini “ essendo a, è, c tre punti non collineari e d un punto del piano abc non giacente in alcuna delle rette be, ca, ab (ipotesi non assurda in virtù della prop.° prec.°) sa- ranno a, bd, c,d quattro punti distinti, e ab, cd, be, ad, ca, bd sei rette distinte, del piano abc ,. | (@) Hp. P8$8.P2,1465. P4$2:9:a-=b.b-=c. .c-=a.de|0]-1d8-1c-10 (B)° ip 0) - P5$3,,P1485. P7 8250, CEDE (Y) Hp.(a).P583.P982:9:ab-=bdc.be-=ca.ca-=ad. .bc>-=cd.ca-=ad.ab-=bd (0) Hp.(a).P12$82:09:d3e-=bdd.ca-=cd.ab-=ad (£) Hp.(a).P14$2:9:c-edd.a-ecd.b-ead.P9$2:9: :bd-=dc.cda-=da.ad-=4db n)... Hp. (o)... ab ='d P782:9)degb Pi5 Soa abe=cd'ibe-‘ad.ca-= hd () Hp(e).(8)-P3°84.P21/85.P3 82:09. ad, cd 000 ca, bde [1] n Kade Hp . (0). (8). .(0).@).P6$2.(m.@:0.Th| P. 4. HpP3.9.[bden ad], [can dd], [adoned]e[0]n abe-1a+ - 18-16-14 Teor. Cioè “ nelle stesse ipotesi della P3, le rette de e ad hanno a comune un punto ed uno solo, il quale è diverso da ciascuno dei punti a, d, c, d: e il simile è da dire circa le coppie di rette ca e bd, ab e cd. | Hp.P8.P8$2..0-.a,yedenad.P1582:0,,.0=y: :P22,21$5..09:denad -=N.[bdenad]e[0]n ade (8) (1) (è) SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 385 Hp . P3. P14,1382.P5$83:09:5,c -—ead.a,d—ebe. .P3$2:09.[benad]- ea vwWvievid Hp . (0). (8) .P1585:0. Th | HpP3.a'= [den ad].5' = [canbdd] . c'=[aboed]:9: sg-=b'. bd =. c'-=a' [adr ad], [de n d'e' |, [can nc'a']e[0]n ade - 1a > 16-16-14. (*) Teor. Hp .P4,3,1.P3,582:9:aa0'-=ca.ca=abd'.P882:0- AA Hp. P4,3.(a)..0.tab=a'8.P482:9:0' cad. P1182:9. na PELI) ga 40 ao. .P15$2..9:adna'8 —-=A.[abdea'd']e[0]o ade Hp Pars Map. [dna] =. PS92: pad. Pia nego P ELIA: 90 a 0 Pod: .aa'=ca:P1.P6$2.P15$5..09.[adbna'd']-era vid Hp.P5$3:9:cd-eab.P3$2:9.[adbna'8']- 16014 Hp . (0). (8)-().@).P1585:0 . Th | Questi teoremi posson servire d’introduzione allo studio del quadrangolo completo (o rete del Mòsrus) e delle forme armoniche. Nella proposizione che segue è già rilevato il separarsi delle coppie armoniche. Po6. HpP5.09.[adn a'd']e[0] > (ac'8) > 1a — 18 Teor. |@ Hp .P3.P488:0:(0,0,d) - 01. P15,18$5.P583. (*) Essendo A un aggregato di simboli avente senso già noto, ed « un segno, o gruppo di segni, scriveremo x = A per denotare che x è per sostituirsi ad A; ossia che A è la definizione (nominale) di x: come è si- gnificato in {x=A.=.x=A Def! ‘Def 386 MARIO PIERI b,c,d,a,c',a' . P14,1382:9:aeded- dbe-cd > db. (eta) P5 19: :bd'-=a'.[cdobd'a']e[0]-1c-1d (8) Hp.(a).P3,4.P3,782.P8,9,28,2,4$8:09:cd= (eleda nb'a']d)-1e-1d-1c.-=A (1), Hp.zecd -1c.P3,4.P3,11,5$2:9:. ze[0]- 10° — 18" (ò) Hp. zecd= 10 — ad. P3,4,1.P 6,83. P18, 1585. .P5,11,6,382:9.:(0,c,9')-—eCl.2ebeb'- bo cb'- bb. (a) P4:09.. [ben d'a]e[0] > 10-10 (E) Hp.eecd-1d=10".P3,4,1.P3$3.P3,5,11$2.P18$5:0:: : (a,b,0')- €01. ceabb'— ab — bb'-—b'a.(CAPA.M. . P4,6$2:09.:[ab on d'a]e[0] ia 18-10" (n) Hp.cecd-ic-1d> 10. (7770) (E). P6 82. P15 85. .P3:9::[cana'z]e[0])-1c-10. [adoa'2]e[0] 1a + 18-10 (2) Hp.zecd-(c[cd n d'a'|]d)-1c-1d-10".(0) . (1).(0).(2).(n). .P8,4. P7,882.P2,7$3.P8 $10:09.:[be n d'e]= -e(ca'b5) . [cana'z] — e(cd'a) . P3$10:09.:[abod'z]=- -e(c'[abna'z]d).[abna'z]-— e(c'[adb o d'a]a).P1,7,19, 3,5,16 $8:0.:[abBna':]-=[@bnBd'z]. a,be([aba nb'al[aboa'z]c'). P27$8:9:.c'e(a[lad o d'2]5) (A) Hp.zecd-(c[cdod'a']d)-1c-1d-—1c'.(a). P3.P7,3$2. .P1888: 9.: [ed n d'a']-e(c2d). P4,5. (1). P2,783. .P3 $10:9::[ad n d'a'|-e(a[ad n d'a]5) . (2). (£).P14$8: :9:. [ad e d'a']- e(ac'd) Hp . (A). (6).P5.P6$2:0.Th] Questo teorema è, in fondo, una relazione tra i quattro punti a, 5, c, d che si deduce da altre relazioni inerenti alla figura dei cinque punti a, è, c, d, 2 mediante eliminazione di 2. % Tale è il principio che informa l’ingegnosa dimostrazione do- vuta all’EnrIques (*), da noi qui parzialmente imitata. Il simbolo (abcd) leggasi “ triangolo projettivo abed ,. SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 387 P. 7. a,b,ce[0].(a,d,c) — Cl. deabe—bc>ca-ab:9 .(abed)= = [0] -1a-1d n ze) [benax]e(d[benad]c) . [can nbae]e(e[ca n bd]a)} Def. P. 8. HpP7.09.(aded)=a(b[denad]e)nb(c[canbd]a) Teor. Le P7,8 voglion dire in sostanza. che “ essendo a, bd, c tre punti non allineati e d un punto del piano ade non apparte- nente a nessuna delle rette dc, ca, ad, se con da’, d' indichiamo le projezioni del punto d dai punti «a, 6 sulle rette bc, ca, la figura (adcd) sarà l'insieme dei punti x, diversi da a e 5, che projettati come il punto d mandano le loro imagini dentro i segmenti projettivi (da'c), (cd'a) — ovvero, che è lo stesso, (*) Loc. cit., $ 8: la quale si può forse imputare di poca simmetria nelle parti e dell'uso non necessario d’una proposizione (il teor.* sui triang.! omologici) dipendente da postulati spaziali. Con le modificazioni da noi portate essa è ridotta, in sostanza, al ragionamento che segue. Sia @'d'ed un quadrangolo costruttore del gruppo armonico «dec; e per a passino i lati db'e e ad, perdilati a'c e dd, per c'ecirisp.ilati cd e a d. Detto c' il punto comune alle linee cd e ad, prendasi nella cd un punto 2 di- verso da c' e separato da c' per mezzo dei punti c e d. Allora le coppie c, b ed a', x, projezioni delle coppie e, d e ec’, 2 dal punto d' sulla retta be, dovranno eziandio separarsi a vicenda; e similmente le coppie c, a e 2, y’, projezioni dal punto @' sulla retta ca. Ne viene che anche le coppie c,b e y, x, projezioni delle c, è e a’, dal punto 2 sulla retta da, si separano; e nello stesso modo le coppie c',a e x, y, projezioni delle c, a e d',y". Da ciò segue che il punto e giace dentro il segmento axd. Ma le coppie se- parate c, d e a', x' dànno, per projezione da d su ad, le coppie a, d e ci, x: quindi il punto cy non appartiene al segmento axd. Dunque i punti c' e c1 son separati dai punti a e d. Con ciò resta altresì dimostrato che i punti c' e ci non posson coincidere. — La dimostrazione che si suol dare a questo teorema (V. p. e., Reyer, Pasca, SANNIA) è per ciò appunto in difetto, che presuppone distinti l’uno dall’altro quei punti e’ e ci. Veramente il Pasca (loc. cit., pag. 83) afferma che essi sono diversi; per altro senza addurne ragioni. 388 MARIO PIERI (P8=PY7) l'insieme dei punti comuni alle visuali di questi segmenti prese dai centri a e d, (*). Pat9: HpP7.09.(abced)g abc—bce-ca-— ab Teor. [Hp:: 9 :2e(abed). P8,3,4.P7,3 $2. P1,2,4$8.P5$3. A SPILSTI DELANO. bee nlie=aa Pa — dai barale Th | P.510. HpP7.09.de(aded) Teor. [P7,9024 2P7,9 828 ‘PA, 788: P109 ECT. HpP7.9.(ad[bdenad]) 9 (adced) Teor. | @) Hp. se(ad[bc n ad]) . P3,4.P7,3 $2. P1,288:0:: :read-ra0.P11,4$2.P5$3:9,:readbc-1b.be—-=ca. .P22 $5.P15$2:9.: ce[0]n ad -1a-18.[ca n bx]e[0] (BP) Hp. xe(ad[bcenad]). (a). P8,4. P7,3 82. P7,2 83. .P3$10.P3$8:9:.. [candx]e(c[ca n dd] a) (r) Hp.xe(ad[benad]).(a).P3.P1182:0,.[benex]= = [den ad|].P4.P7,3$2.P7$8:9..[denax]e(b[ben nad]c) Hp . (0). (8). (1). P7:0. Th | P.12. HpP7.xe[0]-1a4-15.[ben ax]e(d[benad]c).[ca n nbrje(e[ca n bd]a):9.:e-=c.[abncex]e(a[ad n cd]b) Teor. | (0) Hp . P3,4. P3,7$2 . P5$3.P1,2,4$8:0.. [ben az], [can be]e[0] > 10-18-10 (8) Hp.(a).P3,4.P3,1182..09.:a[benax]= ax. blcan nbdj= bd. (9 “5"P1..0.:[arnbd]e[0]o (*) Cfr. SrAupr, loc. cit., n. 175. SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 989 nabe-be<-ca — ab. P482.(€7 "PA. 0.0.0, = =[axnbd].9:2,e[0] 10. ax, =ax. [benax]>=2;. . [ad n cai]e [0] > 10 — 18 (r) Hp.(a). P3,11$2:0::a[denar].=ax.blcan ba] =bda. ty IPO PTER O ae 100-180, . [ax n bx]e[0] n ade — be — ca- ad. [ax n ba] =. .()P3,4:09.:are[1] -10a-10b.x -=c.[adncx]e[0] (9) Hp.x,=[axnbdd]. (a). (8). P3,4.P7,3862.P7,283. .P3.$10 : 95: z;e(0d[ca n dd]) . P3 $10: px :[adn ncexi]e(0[ad n cd]a) . P14,3°$88: 0... (b[aboca,]a) = = (a|ab o cd]d) (E) Hp.x,=[axnbd].(0).(8). (1). P3,4. P7,382. P2,7 83. .P3$10:0x5: re([de n ax] a; a) . P3 $10 :0:: [ado nex]e(b[ad o cx;]a). (0) : 9: . [ad ex]e(a[ad n cd]b) Hp (o(ED.(1) ®)npa Th | Per la prop.° ora dimostrata, che è fra le principali intorno al triangolo, si potrebbe sostituire alla definiz.® contenuta in P7 quest'altra (da aversi qui come teorema): P.13. HpP7.9.(aded)=[0]-1a-18-10n ce} [ben ar]e(b[de e nad]c).[canbx]e(e[ca n dd]a). [ad n ca]e(a[ad n cd]d)} la quale, tuttochè sovrabbondante, ha il pregio d’una maggior simmetria. Essa viene a dire in sostanza che “ essendo a, b, c, d come sopra (P3,7;...), se con a', d', c' indichiamo ordinatam® le projezioni del punto d dai punti «a, d, c sulle rette de, ca, ad, il triangolo (abcd) sarà l'insieme dei punti, che projettati da «, b, c mandano le loro immagini dentro i segmenti (da'c), (c d'a), (ac'5) ,. La P12 afferma che se le due prime immagini cadono sopra i segmenti (da'c), (cda), l’ultima cadrà per forza nel segmento (ac'8). — Conseguenza immediata della P13 è: 390... MARIO PIERI P.14. HpP7.9.(abed)= (bcad) = (cabd) = (chbad) = (acbd) = = (dacd) Teor. [P.13,3,;4. P.6;7,982. R165:S85, RIOLO Onde saranno vere altresì le propos.i che nascono dalle P7,8 permutando nei secondi membri soltanto le lettere a, 5, c fra loro; p. e.: P.15. HpP7.0.(abed) = b(e[ca o Bd]a vc e(a[abo cd] è) = = c(a[aboced]b)na(b[benad]e) = a(b[benad]c)n nbl(e[ca n bd|]a)n c(a[abdncd]d) Teor. [PS SEL] Chiamando vertici del triangolo i punti a, d, c e lati i seg- menti (da'c), (cd'a), ac'b), la P15, insieme con la P8, dice che “ ogni punto, nel quale si taglino i raggi che projettan due punti comunque presi in due lati dai vertici opposti ai mede- simi, sta sempre in un raggio projettante dal terzo vertice un punto del terzo lato — ed appartiene al triangolo ,. Si chiamerà poi contorno del triangolo (abcd) la figura (da'e) v(ed'a) v(ac'b) ù viauiduice, somma logica dei lati e dei vertici. Il segmento (P1989) ad- (ac'89) — 14-15 sarà il complemento del lato (ac'3). — I punti del contorno sono esclusi dal triangolo in virtù di P9; cioè: P.16. HpP7.xe(aded):9,.. e -e(b[benad]e)v(e[can bd]a)v v(alabocd]b) vira viduie Teor. [FRO(S, 4 By.3:82PTR6 0-16, Pitt, HpP7 . d'e(adcd) : da . (abed) = (abed') Teor. | (a) Hp.P9:9#.d'eabe>-be>-ca> ab (8) Hp.P7:94z:[benad']e(b[benad]c) . [can bdd']el(e[can n bd|ja). P3,4.P7,3$2.P14$8:09#:(0[ben ad]e)= = (b[de n ad']c).(c[canbd]a) = (e[canbdd']a) Hp . (0). (8). (@)P7:02. Th | SUI PRINCIPÌ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 891 Pertanto “ all'oggetto di determinare un triangolo projettivo (abcd) si può sempre sostituire il punto d con altro punto qualsivoglia della stessa figura ,. Come corollario si ha: P.18. a,b,ce[0]. (a,db,c) — 01. d,d'eabc—bc-ca-ab :9 .. . (abed) n (abed').-=N:9.(abed)= (abed') Teor. | Hp 2.0 +. pe(abed) a (abed') -P.17 : 0; . (abed) = (abep) = = (abed') .-.0 . Th | ossia “ due triangoli projettivi coincidono, se hanno gli stessi vertici e un punto a comune ,,. bio: HpP7.zeadb: i... 2 e(alabrncd|b) viavib. =: : [ben dz]e(b[de n ad]c) . [can dz]e(e[ca n dd]a) Teor. IC Hp . P3.. P3,4,15 82. P2285:9.:2ze[0]-1d . [de n de], [ca n da]e[0] Hp .. P3,4.. P7,3 82 Li dia 2 e(a[abocd]b) ora vw . .P13 $8:=:2ze([ad o cd]ba) n (ba[adb n cd]). (0). .P2,783.P3810:=:[candez]e(c|can dd]a) . [den n dz]e([de n ade) «. 0... Th | Atteso che il triangolo (adced) non muta per lo scambio dei vertici (P14), nè se al posto del punto d si metta un altro punto qualsivoglia del triangolo stesso (P17), la P19 potrà es- sere enunciata in questa forma: “ Se una retta contenente un punto interno al triangolo incontra il complemento di un lato, dovrà incontrare gli altri due lati — e viceversa ,. P.20. HpP7.a'=[benad].d'=[canbd].c'=[abncd].x,yeabde. .0-=y .dexy. a, b,c-€%Y: Iggy. [do axy]=- = e(ac'b). = :[denay]e(da'c) . [canxy]e(cd'a) Teor. | Hp .P8.P3,7,1582.P2285:09,y:[adoay]ead=ra- 215 .dlabney)=%y.(*7)P19%:rg: Th | 392 MARIO PIERI P.21. HpP20.9xy.. [ben ay]e(da'c). [ca n zy]e(cd'a) [ad n xy] -elac'b8):v:[benxy|e(ba'c) . [can ay] (a[abned]b)>- 1a -10:9::([ben de]d[ca n o dz])o (abcd).([be n de] [can dz]) n (abcd)=A Teor. |@ Hp.P.3,4,19 .P3,7,15 82. P3$4.P21,22 85. P2,488:0.: :26[0] n abe-1d.dze|1] o Kabe-1abB=1ca . [de n da]e[0]> -id-idb-r0-12.[ca n de]e[0]-1d — 1ec1a 12. [bem nde]-= [ca n de] (8) Hp.(a).P3,4.P3,7$82.P7,2$3.P3$810:0.:2-e([can nde)d[be n de]).P21$8:0..([cand:]d[ben de]) 9 I([ca n de] de) (7). Hp te([bcn del'alcandz]) (0) PS :P3;,,15$ 2000008 .P2285.P1$88:09,:te[0] n denabe-tre-10. [ben , SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE . 393 nat], [ad n ct] e[0] . (B). P4.P3$8.P7,2$3.P3$10: ‘Ig te[0]ic-1a>.|bdenat]e(d[de n ad]e).[ad n ct]e e(a[ab o cd]b5) . P7,14:9.:. te(aded) (5) Hp.te([bcn de]a[can de]). (0a). P3 . P3,7,1582.P5$3. .P22 85. P1$8:09,::t6[0] o denade-1c.[ab a ct]e[0]. . P7,2$3. P3$10:9.::[ad aci] e(d2a) .P4.P28,3 $8: ‘Oz: [adoct]- e(a[ad n cd]b) . P13 : 9. .t- e(aded) Hp. (1). (0):0.. Th | La P22, se si tien conto delle precedenti, dice che “ ogni retta non passante per alcun vertice del triangolo, ma conte- nente un punto interno al medesimo, resta divisa dai punti ove essa taglia il contorno in due parti, una interna e l’altra esterna al triangolo ,. Che lo stesso fatto succeda, se quella retta ap- partiene ad un vertice, s'è già parzialmente affermato in P11: il resto al lettore. $ 12. — Nel presente $ noteremo alcune proprietà del triangolo, per la dimostrazione delle quali ci occorre general- mente la P6 del preced.° $, di cui finora non s'è fatto alcun uso. P.1. a,5,ce[0].(a,b,c) —eCl. deabe — be- ca— ab . re(b[be n nad]e).ye(e[canbd]a) : Iay. [eb xy] e[0] > (a[ado ned|b)-1a-— 15 Teor. | @ Hp .P3$11.P7,3$2.P5$8. P1,2,4$8.(£H)P1811: ‘Fay: re[0]nde- 18 -ic-10.ye[0]nca-1c-1a > 18. .[ax n by] e[0|]nabe>bc-ca > ab (8) Hp.t=[axn8y].(0).P3,4811.P3,782.P5$3. P11$4. .P1$88:9xy: fea(b[de nm ad]e) n b(e[ca e bd]a) . P8$11: :Oxy te(aded) . P7,12$11:9,y:[adoct]e(a[ad o cd]d). . P14$8 :9xy: (a[ad n cd]B) = (a[ado ct]3). te(abded) (Y) Hp.t=[axndy]. (a). P3,4,1432 : Day: reat. yebt. 394 MARIO PIERI MMP£SIT:D,, 1 [bena)= 2 can] =yP.8928 (Ga #)P6$11:0xy:[a0n2y]e[0] = (a[ado ct] B) > ia 15. (8) : Day - [dd 2y]e[0] = (a[ado cd]b) — 1a — 18 HPA 9 Th | La P1 esprime che “ la retta congiungente due punti presi a piacere sopra due lati del triangolo non incontra mai il terzo lato ,. Nell’opera di StAUDT ciò risulta immediatamente da certi principî generali di analysis situs circa le superficie coniche (*): ond’è che la (nostra) P6$11, conseguenza immediata della pre- sente, vi si dimostra (**) in modo tanto più semplice. Ma non è men notevole il fatto, che i fondamenti della Geometria Pro- jettiva siano resi indipendenti da quei postulati di StAuDT sulla connessione del piano (stella). La prop.® prec.° si può a questo modo invertire: “ Se una retta incontra il complemento d’un lato ed uno qualsiasi degli altri due lati, dovrà tagliare eziandio il rimanente ,. Ciò è. significato dalla : P.2. a,b,ce[0]. (a,d,c) - 01. deabce — be -—ca- ab . zeab— - (alada cd]b) -1a-10. ce(b[bc n ad]c): ds. [canzx]e e(c[ca n dd]a) Teor. | @) Hp . P3,4 $11. P3,7,1582 . P22 $5. P1,2,488:0%: : 2,c6[0]n ade. cede - 18-10-12. [canex]e[0] n ca + -le-ia (8) Hp.y=[canez].(0).(2WM)P1$811:9,5- [arnby]e[0]o nabe be -ca— ab (r) Hp.y=[can2zx].t=[axnby]. (a). (8). P3,7,14 82. .P583:9,,: seat. yedbt.. (4) P4,5,6 SL1.PS9S20008 : [Ben at] = x. [canbt]= y.[aboci]e[0] 1a 18. .x-=yY.[abnxy|e[0] = (a|adoct]5) — 1a — 18 (*) Loc. cit., nn. 15,16, 17, 18, 20. (**) Ibidem, n. 93. » de SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 395 (9) Hp.y=[canex].t={[axnby]. (0). (1). P3,13 82 :0:s: zexy .[aboxy] = 2.ze[0] > (a[adbaci]06) > 1a — 18. .P3,4$11.P782.P18$8:9.: [ad cd], [ad eci]eab- > (1205) 1a — 18. P1889:9,5:(a[ad n cd]5) = (a[ado n ct]6). P7 $8: 0.5: [adoci]e(a[ad n ed]3). P7,14 $11: Oa: te(aded) .P13 $ 11:95. [ca nbdi]e(e[ca n dd]a) Hp . (5). (r)-(B):0- Th | Dalla P2 deriva subito quest’altra: “ Ogni retta, la quale unisca due punti situati nei complementi di due dei tre lati, taglia ancora il complemento del terzo ,; vale a dire: P.3. @a,b,ce[0].(a,b,c)-el.deabe > be-ca—ab.zeab- - (a[abocd]b) 1a — 16. rebe-(b[be n ad]c)>1b-1c: : Oz - [can 2x]e[0]- (e[ca n bBd]a) rc 1a Teor. E dall’insieme delle P1,2,3 si raccoglie che “ una retta gia- cente nel piano del triangolo, ma non contenente alcun ver- tice, o non incontra affatto il contorno, o lo taglia [in due punti ,, cioè: P.4. a,b,ce[0]. (a,b,c) >eCl. deabe — bc -ca-—ab . a' = [ben nad|.b'=[canbd].c'=[abncd].uveabe.u-=v. . a,b, c > EUO : Fu." . [ben uvn]e(da'c) . [can uv]e(cd'a) . . [abn uv] — e(ac'b): v:[de n w]e(da'c). [ca nu]- -e(cd'a).[abnuv]e(ac'd) :v:[bBenuv]- e(ba'c) . [can nuv]e(cd'a) . [abnuv]e(ac'b) :v:[denuv]- e(ba'c). . [can uv] -e(cd'a).[abn uv] = e(ac'd) Teor. La dimostrazione simbolica di queste ultime due propos. è rimessa al lettore. P. 5. HpP1.9xy. [cdnxy]e (aded) Teor. | @ Hp . P3,4811 . P8,5,7,11 82. P3 84. P1,2,3,4,14 88 :0xy: Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 29 396 MARIO PIERI :rebe-1b>1c.yeca-ra-12.xrye[1]-10b-1bc-10d. . (ced) = (c[de n ad]d) (8) (Hp (a) P83'$11..P3;7,1582° P2285 .Pl:0a: 040 nxy]e[0] > 1a . [odo xy]e[0] — (a[ad o cd]b) > 1a 18 + 10-17 ©) Hp.(p).P3,4811.P7,382. P18,5,388:0xy:[abned]e e(ab[abnxy]. (a). P2,7$3.P3$10:9xy. [ed nay]e e (y: [ad © ay) “0 (0) Hp.t=[cd 0 xy].(8). P3 $11. P3,7,15 $2 . P5 83. .P22 85: 0xy: [den at]e[0]. (1). (a). P£$11.P2,783. .P3 $10: pay: [den at]e(c[bcn ad] B) . P3 $10: Qay .[ed n xy]e(cd[ad o cd]) Hp . (è). (28%)P11811. P15$5.P14811:0s- Th | Così resta provato che “ la retta congiungente due punti, presi a piacere sopra due lati, penetra dentro il triangolo ,; e di qui tosto risulta, grazie alle P22,17$11, che “ i segmenti in cui la retta è divisa da que’ due punti sono l’uno interno e l’altro esterno al triangolo , — ossia che: P.6. HpPl.9x,y:(e[cd o ey] y)p(abced).(e[ad o xy]y) o (abced)=A Teor. Più generalmente si può anche concludere che “ penetra nel triangolo (adced) qualsivoglia retta del piano abc, la quale tagli uno dei lati ,; però che essa, in virtù di P4, dovrà ta- gliare eziandio un altro lato, o passar per un vertice: onde si ritorna alla P5, od alla P11$11. P.7. a,b,ce[0]. (a,5,c) -e01. deabe-be-ca-ab.ee[0]+ -(abed)=bc-1a.[bc n ae]e(b[de n ad]c):9:[ca o deJe[0]> = (c[ca n bBd|]a) — 16 — 1a. [abace]e [0] — (a [ad n cd]9) — -1a-1d Teor. SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 397 Cioè “ se la retta che unisce un punto esterno al triangolo con uno dei vertici taglia il lato opposto al medesimo, le rette che uniscon quel punto con gli altri due vertici taglieranno i complementi degli altri due lati ,. Deriva immediatamente dalla definizione di triangolo (P7 $11). P.8. a,b,ce[0].(a,b,c) —eC1. deabe > be-ca— ab .ee[0]- de- 1a. [ben ae]e(b[de n ad]e).[ca n de] -e(e[ca n dd]a):9. . [ade ce]e[0] = (a[ad n cd]6) — 1a — 18 Teor. [Hp .P7$11:09:e-e(aded).P7:09.Th] P.9. a,b,ce[0].(a,5,c) -eCl.dieeabe-be-ca—ab.[bcn ae] > - e(b[de n ad]c). [can de]-e(c[ca n dd]a):9.[abece]e e(a[ab n cd]d) Teor. [| @ Hp.x=[bcnae].y=|[cande].2= [adoce]. (9P3,4, 6$11.P3$2:9:2eab-14-10.[adnxy]ead > (azb)— -—1a —15.P7$2.P18$8:9:2645- (a[ado xy]9) > 1a -—18.[adnxy]eab>-1a —18 (8) Hp (a). (;)P3,4$11.P3$82:09:%rebe-1d-1c.yeca— -ie> ia .(27024)P3 . P15$5:0:[abdon2y]ead - (a[ado ncd]b) - 1a —1.P3,4$811.P782.P18$8:9:[adn ned]jeab > (a[abn xy]9) — 1a — 18. (a) . PI8 $9. P7 $8: :9.ze(a[adeced]d) Hp . (8). (a):0 . Th | ! Da queste due P8,9 e dalla P12$11 si raccoglie: P.10. a,b,ce[0].(a,b,c) e Cl. dieeabe-bc>-ca—ab.a'=|bcn o ad).b'=|[canbd].c' =[abned|. a'= [benae]. .b'=|[canbe].c'=|[abnce]:9.. ae(da'c). d'e(cd'a). .c'elac'b) : via'e(ba'e). d'-e(cd'a). c''-el(ac'8) : L: sv:ra'-e(ba'c). dD'eleb'a).c''-elac'by:v:a''- e(ba'c). . bd'-e(cb'a).c''e(ac'd) Teor. 398 MARIO PIERI Vale a dire, in somma “ Se un punto e del piano abc, non giacente in alcuna delle rette dc, ca, ab, sia projettato dai punti a, b, c su queste rette, le imagini cadranno tutte e tre sul con- torno del triangolo abed, oppure una sola di esse cadrà sul contorno (e ciò secondo che il punto è interno od esterno al triangolo) ,. P.11. a,b,ce[0].(a,b,c) —eCl. d,e,f,geabc— bc-ca— ad . e,f,g>- -e(abed).[be n ae]e(d|be n ad]c).[ca n bf]e(c[ca n bd]a). .[abeceg]le(a|ab o cd]b):p9 .abe=bcvcavabo(abed)v v(abee) (abef) + (abeg) Teor. |@ Hp.9:0'=[benad].d'=[canbd].c' =|[abocd|. a"= = [ben ae]. bd'=|[canbde|.c'= [aboce|.a'""=[bcn naf].0"=[canbf).c'=|[abocf}.a"= [ben ag]. .b"=|[can bg]. c"=[abocg] (8) Hp.(a).P7.P3,14$811.P1585:5: 0”, 0" elcb'a) el c'''=e(ac'b) . a'',a"= e(ba'c) (r) Hp.peabce-be-ca-—ab.(a).P10..9,.. [den ap]e(ba'c) . [can bp|e(cb'a) .[abancep]e(ac'd): v:[benap|e(ba'c). .[canbp|- e(cb'a) . [abncp] — e(ac'd) :v:[benap| — -— e(da'c). [can bp|e(cd'a). [abocep|]-e(ac'b):v: [ben nap|-e(ba'c).[can bp|-e(cd'a). [ab cp|e(ac'd) : (8). -P3,4811.P7,3 $2.P7,14$8.P1889 0, . [be n aple e(ba'c) .[canbp]e(edb'a). [abncep]e(ac'db): v:[benap]e e(ba'c).[canbp]|e(eb'a).[abocep|e(ac"d):v:|[ben naple(da"'c).[canbp]e(cd'"'a).[abocep]e(ac'"b):v: :v:[dbenap]e(ba"c). [can bp]e(cb'a).[abo cp|le(ac'"b): :P13$11..09,:pe(adbed) .L. pe(abcee).v. pe(abef).L. .v. pe(abeg) SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 399 (5) Hp.P9,3$11:09.(abed) v(abce) v (abef) v(abeg) v be vea vabi ade Hp. (n.@):0. Th | Pertanto: “ Le rette ad, dc, ca spezzano il piano adc nei quattro triangoli (aded), (adce), (adef), (abeg) per modo che, tolte esse rette, il piano è la somma logica dei quattro trian- goli ,. Due qualunque dei quali non hanno punti comuni: P.12. HpPl1.9.(abced)o}(abcg) v(abef) v(abeg))} =A Teor. | Hp n.9 (abed) n} (abce) è (abef) è (abeg)t "=. P18 811: :9:(aded)= (abcee).v.(abed) = (abef).v.(abed) = = (abeg) : PIOSI1 N: eelabedf. Lv. felabed) .L. .v.gelabed) . 9. Th | Nè sarà superfluo il mostrare come “ sotto le stesse ipo- tesi, una retta arbitraria » del piano abc, sempre che non passi per alcuno dei punti a, 5, c, penetra sempre in tre dei quattro triangoli (adcd), (adce), (abcf), (abcg), anzi in tre solamente ,. Invero, preso un punto p sulla r, il quale non appartenga a nessuna delle ad, dc, ca (come è lecito per le P7,8$8); questo, per la P11, giacerà in uno dei quattro triangoli, p. e. in (adcd). Allora, in forza di P21$11, la r dovrà tagliare due volte il con- torno di (adcd): p. e. nei punti «, v situati rispettiv.° sui lati (5a'e), (cd'a). Quindi (P1) il punto w=rnad giacerà fuori del segmento (ac'd), al pari dei punti c'’ e e" (P7); vale a dire (P19$9) starà nei segmenti (ac'’d) o (ac'’'8) che non differiscon tra loro. Ma neppure differiscon tra loro (P14$8) i segmenti (ba'c), (ba''c), o i segmenti (cda), (cda): cosicchè la retta 7 taglia eziandio doppiamente il contorno di ognuno dei triangoli (abce), (abcf), ossia (P5) penetra in essi. Infine, poichè nessuno dei punti «, v, w appartiene al contorno (da!Ve) v (cda) v (ac!‘d) è viaviduie del rimanente triangolo [dal momento (P14 $8) che (ac'b) = (ac!‘b), laddove (P28 $8) i segmenti (da'c) e (da!Ve), come pure (cd'a) e (cB!Va), non hanno punti comuni], la r sarà tutta esterna (P21$11) al triangolo (abcg). 400 VITO VOLTERRA Sulla inversione degli integrali definiti ; Nota II del Socio VITO VOLTERRA. 1. In una Nota presentata nella scorsa seduta esposi un teorema sulla inversione degli integrali definiti per la cui vali- dità basta soltanto che le funzioni che compariscono nel pro- blema siano continue, derivabili e finite. È da osservare ora che in alcuni casi importanti che si presentano effettivamente in pratica quest’ultima condizione non è soddisfatta. | Si ricordi l’importanza che riconoscemmo avere quella fun- zione che nella nota precedente chiamammo % (y) e che fu sup- posta finita e diversa da zero. È appunto questa quantità che nei casi a cui ora abbiamo accennato diviene infinita. Mi propongo quindi di svolgerli (come già annunziai nella nota citata) togliendo così una limitazione alle funzioni date nel problema. 2. Supponiamo perciò che nella formula da invertire (1) f(y) — f(0) = f"® (2) H (2, y) de H (x, y) divenga infinita per x = y di ordine inferiore all’unità, in modo che si possa porre Ge, y) @) E (o,g) = pet in cui \< 1. Questa ipotesi corrisponde evidentemente a quella in cui si abbia ha) = SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 401 Ammettiamo f(y) e f' (y) finite e continue per y compreso fra dea PFA(A>0); G(2,9), Go(0,9) = do pure finite e continue per tutti i valori di x,y compresi fra a e a + A, e si supponga maggiore di zero il limite inferiore dei valori as- soluti di G (x, 2). Cerchiamo di ricondurre questo caso a quello trattato nella Nota precedente. 3. A tal fine supponiamo che la funzione finita e continua ® (x) soddisfi la (1). Moltiplicando ambo i membri di questa equazione per dy nni si otterrà fifa -f@r*a=f tp fe EL a x)x in cua +- A> 2>a e integrando fra i limiti a e 2, onde applicando il principio di Dirichlet © fifa fall ie (y—2) Poniamo (4) SIf+-f@ai n= (8) APART allora l'equazione precedente diverrà (6) v(e) = f/9(1) L(a, è) de. Possiamo dunque concludere che, se la funzione finita e continua ® (x) soddisfa la (1), verificherà la (6). . 4. Dalla (4) segue, mediante una integrazione per parti, va =i JIfMe—y dy 402 VITO VOLTERRA quindi derivando r pe d (7) va=ff ge Ne segue che y'(2) si mantiene finita e continua per i va- lori di 2 compresi fra a e a + A. Inoltre dalla (4) si deduce y (a) = 0. Si ponga nella (5) y=(-oguta allora si avrà # 1 d 6 eda Lain perciò indicando con 2, un valore compreso fra x e 2 resulterà (5) L (€; oy= sl, (x, 2) fo na ='G (€, zi) —— cà ma, Se ne conchiude che L (x,) è una funzione sempre finita pei valori di x, 2 compresi fra'a e a + A. Avremo poi L'e,3) =.= \06G2) sen RT onde, posto G (2,2) = 9(2) si otterrà (5) TOSO) Dalla (5) resulta pure la continuità di L (x,). Derivando a (5') rapporto a 2 si ha dL 1 1 © LGa= 22 (Ge guta(7i) = CL: dy 2z—- x = fi G, (€, 4) (= e SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 403 È Ne segue che T(IAIT-A) sen ÀT @) La(c,2) = Gs (0,2) f. (4) =) in cui 2, è un valore compreso fra x e 2. Possiamo dunque concludere che L, (x, 2) è finita per x e 2 compresi fra a e a + A; oltre a ciò essa è anche continua. 5. La questione dunque di invertire la formula (6) rientra nella classe di problemi esaminati nella precedente Nota e si potrà concludere che vi è una ed una sola funzione finita e con- tinua ®© (x) che soddisfa la (6) la quale sarà data da nio ee eM= TI — 7) J9 W8: (0,9) de in cui mA Si (x, £) S;1 (E, y) de. Applicando dunque le (5'), (7), otterremo ant A io done tg (e) sen XT_ (0 "Y or dr Da ZIONE Pr diri 2: 5; (Y, 2) dy ovvero, mediante il principio di Dirichlet, sen La 82 Sly.) p (2) = DI MAO) ti dra fi dazi y— a)_* dy ( dx e finalmente, a cagione della convergenza in egual grado della serie, (9) o() = I ar paio + my (2) + = =:S"G ei dy { dx. 404 VITO VOLTERRA 6. Bisognerà ora provare che questa funzione verifica l'e- quazione data (1). A tal fine basterà dimostrare inversamente a quanto si è fatto nel $ 3 che, se la funzione finita e continua ® (z) soddisfa la (6) essa verificherà la (1). Infatti osserviamo che se è verificata la (6), ossia la (8) derivando rapporto a 2 ambo i membri avremo (tenendo pre- sente la (7)) NS ba —= = (fo (a) de {* ri dy e moltiplicando ambo i membri per in cuua+-A>v>@ de (o_-a)a e integrando fra a e ®, si otterrà u de °E pl dy “” (10) f (— 2) "a (4) TEEN TRS Pag ATO agi G (2,9) CL pente .90def ptc = G (x, y) pl (0-2 “i do 9 (2) de vo Di (y— 2) dy. Ora per il principio di Dirichlet Sefalir® 2ga=/f0v fra if) — f(0)f; "sen Dr "ue Age £ “e G (2, y) a E O— 2) S0 (0) da f, già ya pu: v v de 5 G (2, 9) il fd; So) da f (o — 2) n (ay) (ya dy li = (ode ° G(2,y) dy (° de y_ a Sy = = = fio: (TESI g sen Mm. y— x) | x | Y n SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 405 Quindi la (10) diventerà if@)—f()t= = — Li lol) da o Fond = sen pr © sen TR fi G (2, 0) PA pg e per la (2) FO — f(a) = f9 (2) H (2,0) da come volevasi dimostrare. #7. Avremo dunque il teorema seguente: Se si ha la equazione funzionale A f@-f@= fe el de A<1 in cui £(y) e f'(y) si mantengono finite e continue per y compreso fraaea +-A (A> 0); e G(x,y) e da = Go (x,y) sono pure finite e continue per tutti è valori di x, y compresi entro i limiti ae a-| A, mentre è maggiore di zero il limite inferiore dei va- lori assoluti dì g (y) = G(y,y) per y compreso nello stesso in- tervallo, esisterà una ed una sola funzione finita e continua ® che soddisfa l'equazione funzionale per y compreso fra a e a 4- A, la quale sarà data da \ 1 Pi (co) Bi c@a= plz id in cui Mm 1 SS sa famo (EE O Te=— Ti(o, ep= SS0 (E, 2) Ti. (e, E) de. 406 VITO VOLTERRA Infatti dalla (9) segue “e Si1(y, % Tila = SPS y=( AYA Ty quindi T; (2,2) = {To (1,9) dy fe = == Se (E, 2) d& 1° : To (2, 4) Sia (4, 8) dy I e per conseguenza T;(0,3)= Ja (E, 2) Ti; (2, © de onde facendo j = 1 Ti (e, 2) = ("81 (€,4) Ti 8) de. 8. Possiamo facilmente vedere in quale relazione sta questo risultato con la nota formula di Abel. Questa formula risolve il caso in cui si supponga costante ed eguale ad 1 la funzione G (x, y). Allora le T; (i > 0) della (B) divengono zero e la quantità sotto il segno d’integrazione si riduce al suo primo termine. Dunque la formula data da Abel corrisponde al primo termine dello sviluppo col quale abbiamo dato la soluzione del problema nel caso generale. 9. Esaminiamo il caso particolare in cui sia G(x,9) =F(y—2), e F(0) = 1. Avremo allora ùe (eg T z—_ E PR a E u 1-A = n [Po ( ) du onde, posto so(0) = SAI SE (u) | u = du, qm Vee, SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 407 sarà So (4,2) = sole — 9). Si ponga 1 tb) == dI 7) t:(0) = So80 (0 — u) ti (0) du avremo Tie, a) =(-1'tile—2) Infatti per i = 0 questa formula è vera. Supponiamola vera per i, allora Tu=(-1' (oi -da= = (1) ff _-a—- ut()du= ss i(1)f! [se —tkt_- ut(Mdu=(-1)"ttu(—- 3. Si ponga O) =Z(-1)t() ne seguirà 00 2 T, (4, 2) = Q(e— 2) e per conseguenza La formula di inversione della relazione funzionale “q F pre ‘9 (2) TESS, de (A <1, F(0) = 1) fy) — f(a = | p (2) = sii [faQe—-d da T (S in cui 408 VITO VOLTERRA — SULLA INVERSIONE, ECC. e cor fr (4) | - ne du Tv vVv_-U 1 tb) = t; ().= g. —80 (o — u) ti, (0) du di > (1) t; (0). Questo resultato è evidentemente più generale di quello di Sonine (*), giacchè lo si ottiene senza ricorrere allo sviluppo di F in serie del Taylor. (*) Acta Mathematica, T. 4, page 171. L’Accademico Segretario ANDREA NACCARI. E E e TE I better 409 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 2 Febbraio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLARETTA, Direttore della Classe, Peyron, Rossi, Pezzi, NANI, CrpoLLa, Brusa, PERRERO, ALLIEVO e FerRrERO Segretario. Egli annuncia alla Classe la morte del Socio Corrispondente il Senatore Giuseppe FroreLLI, ed affida al Socio Segretario l’incarico di commemorarlo in una prossima adunanza. Presenta poi, a nome dell'Autore, il Prof. LAnpo LAnpUCCI dell’ Università di Padova, la parte 1? del vol. I dell’opera: “ Storia del diritto romano dalle origini fino alla morte di Giu- stiniano , (Padova, 1895), e brevemente ne discorre. ‘ Il Direttore della Classe offre un opuscolo: “ Le navire de bonheur de l’avocat Bernardi, publié par Lfon-G. PéLISSIER , (Toulouse, 1896), di cui l’editore fa omaggio a tale pubblicazione. Il Socio ALLievo legge la relazione della Commissione, di cui ha fatto parte coi Socii PevrRon e Brusa per esaminare il lavoro manoscritto presentato per l'inserzione nelle pubblica- zioni accademiche dal Dottore Francesco FrieERI ed intitolato: 410 “ La filosofia e Pico della Mirandola ,. La relazione è contraria all’ammessione del lavoro alla lettura. La Classe approva la conclusione della relazione. Il Socio CrpoLLa, delegato coi Socii BOLLATI DI SAINT-PIERRE e PerRERO ad esaminare il lavoro del Dott. Luigi SCHIAPARELLI: “ Origini del Comune di Biella ,, presentato per l’inserzione nelle Memorie accademiche, legge una relazione conchiudente per la lettura del lavoro. La Classe approva tale conclusione, e dopo lettura del lavoro, ne approva la stampa nelle Memorie. Il Socio PerrERo legge un suo lavoro: “ I regali di pro- dotti nazionali invalsi nella diplomazia piemontese dei secoli XVII e XVIII ,, che è pubblicato negli Atti. nn DOMENICO PERRERO — I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 411 LETTURE I regali di prodotti nazionali invalsi nella diplomazia piemontese dei secoli XVII e XVII; Nota del Socio DOMENICO PERRERO. Chi si faccia a svolgere le corrispondenze de’nostri ministri, residenti all’estero, dei due ultimi secoli, non può non arrestare la sua attenzione sopra certi spedienti, che faranno non poco sorridere i diplomatici del nostro tempo, ma che pure, a quei giorni, erano dai nostri generalmente adottati come agevolanti il disimpegno delle commissioni loro affidate, non già perchè avessero alcunchè di comune cogli affari, ma perchè, in date circostanze, avevano per effetto di disporre favorevolmente gli animi di coloro, che avevano a trattarli, a quel modo, press’a poco, che, ne meccanismi, le sostanze oleose, pur non communi- cando ai roteggi il movimento, lo accelerano e lo accrescono, diminuendone gli attriti. Fra questi spedienti, atti a scemare gli attriti nelle rela- zioni internazionali, ed anche a prevenirli, all’uopo, fu dai vecchi nostri ministri ritenuto come il più acconcio, e quindi più spesso usitato, quello de’regali, proclamati dal Poeta gli ammansatori universali: “ Munera, crede mihi, placant hominesque Deosque ,,. Un po’ di storia a tale riguardo non mi parve fuor di proposito, non tanto per chiarire, in sul fatto, la parte, in addietro, dai nostri uomini di Stato assegnata a questo seducente interme- diario politico, quanto per rinfrescare la memoria di alcuni spe- ciali prodotti naturali e industriali, che già furono vanto e de- lizia de’nostri antenati, e che non saranno forse fuori di posto nella storia economica del Piemonte, quando piacerà a qualche benemerito studioso delle cose patrie di darcene una. I regali, di cui qui si tratta, nulla hanno di comune colla sfacciata corruzione che, colla borsa alla mano, assalta le per- sone, che si vogliono guadagnare, patteggiandone l’opera ad un determinato fine, ed il prezzo a cosa compiuta, secondo la for- Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 30 412 DOMENICO PERRERO mola usitata, corruzione, che i Latini molto acconciamente desi- gnavano colla frase appunto: “ aggredi aliquem donis ,. Di essa non mancano, certo, anche nella nostra storia diplomatica, gli esempi, specialmente sotto i regni di Carlo Emanuele I e di Vittorio Amedeo II, ma, per l'onore de’corrotti non meno de’cor- ruttori, il tacerne è bello. Il mio argomento si restringe a quei piccoli regali, i quali, giusta il noto adagio francese, mirano e servono a conservare le amicizie e, qualche volta, anche a crearle, disponendo gli animi alla simpatia e alla confidenza, senza punto: inquietare le coscienze. E di tal fatta appunto erano quelli, che, più generalmente, i nostri principi, a suggerimento de’loro ambasciatori, spedivano ad ora ad ora alle principali corti d’Eu- ropa, per esservi distribuiti ai ministri ed ai personaggi alto- locati, e talora anche offerti ai Sovrani medesimi; regali con- sistenti in alcuni prodotti speciali del suolo e della industria piemontese, che, in quegli esteri paesi, o difettavano, o non si trovavano che di qualità inferiore. Felice usanza era questa, sic- come quella, che, oltre all’ottenere, il più delle volte, lo scopo diretto, a cui come sopra mirava, produceva ancora indiretta- mente un altro non men benefico effetto, qual era quello di far conoscere ed apprezzare le nostre produzioni nelle primarie corti d'Europa, vale a dire là dove il gusto e la moda avevano il principale loro seggio, e dettavano le autorevoli loro leggi. Nè si creda, che siffatti regali si avessero in conto di troppo volgari, e che, come tali, venissero freddamente ricevuti; il fatto si è che avveniva precisamente tutto il contrario, come bentosto verrà dimostrato, e come già, d'altra parte, avvertiva un nostro ambasciatore a questo proposito appunto: “ Quelquefois (scriveva il marchese di Dogliani da Parigi al San Tomaso nel 1688) une bagatelle donnée de bonne grace, fait plus d’effet qu’un présent considerable n’en ferait... ces choses là l’on les regoit et dix mille écus on le refuse... Si V. E. sgavait le bruit qu'’a fait un peu de vin de Piémont, qui était excellent, Elle en serait étonnée: il m'a fait avoir la plus noble compagnie du monde è diner avec moi, et bien de personnes, que je ne puis nommer, m’en ont demandé et fait demander... (1687) ,. Quei regali, per- tanto, non solo ricevevano le più liete accoglienze, ma venivano anche arditamente domandati quando non giungevano così pronti e frequenti, come il gusto impaziente de’regalati avrebbe desi- i I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 4153 derato. Ond’era continuo il reclamare, non pure del Dogliani, ma anche degli altri ambasciatori generalmente, perchè da To- rino si spesseggiassero le relative spedizioni: “ Je profitterai (rescriveva quegli al San Tomaso) de tous les bons avis qu'Elle me donne, mais la supplierais de vouloir en donner un bon à S. A. R. de se resoudre à envoyer du vin et du rosoly, qu’assu- rément il ne sgait pas la bréche qu'il fait..... Je ferai des amis et des amies avec du rosoly et du vin claret du Piémont... et Elle n'y perdra rien et sera très bien employé... Ces sortes de générosité produisent quelquefois de si bons effets qu'on peut aisément par leur moyen faire des ouvertures qui ne sont pas inutiles (1687) , (1). Tal era l’attrattiva, che il vino e il rosolio del Piemonte esercitavano alla corte di Francia; tali gl’innocenti seduttori, che i nostri ministri, per agevolarsi il felice esito delle loro missioni, vi mettevano in opera. E lo stesso re Luigi XIV non isfuggì a quell’attrattiva, come dirò a suo tempo ritornando sulla sua corte, dopo aver messo in chiaro, che il nostro vino in ispecie aveva già prima ottenuto il medesimo favore anche nella corte d'Inghilterra, e presso il re Stuardo Carlo IL Nel 1675, il marchese di San Maurizio, figlio, era stato da Mad? Reale Gioanna Battista di Nemours inviato a Londra per significare a quel re la morte del duca Carlo Emanuele II. Lo Stuardo, alle condoglianze espresse per la perdita del duca, trovò modo ed ebbe il coraggio di frammettere un rimprovero alla memoria del defunto, perchè avesse, negli ultimi anni, al- quanto negletta la solita spedizione de’vini, e, ad un tempo, un eccitamento alla duchessa vedova di ripigliare l'antica buona usanza, come esso inviato le scriveva l’11 di settembre del detto anno: “... Jai encore vu le roi d’Angleterre. Il m’avait déjà dit plusieurs fois de lui faire envoyer du vin de Piémont, mais il m’en chargea encore très particulierement, me disant que feu S. A. R. avait perdu la coutume de lui en envoyer ,. Non occorre nemmeno soggiungere, che la duchessa, tutta intenta a disporre le cose per ottenere in quel regno il trat- tamento regio, non fu lenta a riparare alla passata negligenza, (1) Queste e le seguenti citazioni tutte sono estratte dall'Archivio di Stato in Torino, Categ. Lettere Ministri. 414 DOMENICO PERRERO riprendendo le solite spedizioni del vino; ed anzi, a modo di onorevole ammenda, vi aggiunse anche il rosolio, vanto speciale della città di Torino. Per amore di brevità, mi restringo a quelle fatte in dicembre del 1679 e nel gennaio successivo, come quelle, che abbracciano anche le spedizioni contemporaneamente fatte al re di Francia, agli Svizzeri ed al Governatore di Milano, riferendone, in termini precisi, la relativa menzione fattane nei conti camerali, dove si legge: “ Sotto li 21 dicembre 1679, e sotto li 24 gennajo 1680, si sono fatti partire, per comando di Madama Reale, li due regali di vini e rosolio mandati alle due corone di Francia e d'Inghilterra, insieme a quelli de’ Svizzeri al sig. marchese di Gresy (ambasciatore ducale ivi) e a Milano al sig. conte Porro (Agente ducale) per le spese de’ quali... si è pagata la somma di lire 15 mila ,. Si comprende da ciò quale estensione andassero pigliando siffatte spedizioni, e quale voga acquistando ovunque i nostri vini e rosolj. Alla corte di Francia in ispecie questa voga pi- gliava piede ogni giorno più, grazie sopratutto alle relazioni nella più alta società a grande studio coltivate dal marchese di San Maurizio, padre, ambasciatore ducale a Parigi, come pure grazie all’insistenza, colla quale ne sollecitava le spedizioni da Torino: “ Si V. A. R. (scriveva egli al duca il 5 ottobre 1668) envoyait quelques cantines de vin de Piémont, dont ils sont ici fort friands, aussi bien que du rosoly, pourvu qu'il ne sente pas l’anis, cela ferait un bon effet, particulierment auprès de M. de Lionne: on pourrait lui en donner un couple de charges, comme aussi aux autres ministres ,. E che non s’ingannasse nel giu- dicare del gusto de’signori francesi, ben lo provò l’assalto, che questi, poco tempo dopo, gli diedero riguardo al vino appunto: “Je dinai hier avec M. de Lionne chez M. de Bellefond (rescri- veva egli)... Quoiqu'il y eùt grande compagnie, M. de Beaufort, D. Francisco de Mello, M. de Pomponne, le duc de Chaulne, le comte de S'-Alban, M. de Laon et le marquis de Coeuvres, ils m'y donnerent bien des attaques pour du vin de Piémont ,. Arriva, alfine, il sospirato nettare, e l'imbarazzo dell’amba- sciatore, importunato da tante domande, tutte rispettabili, cresce a dismisura, trovandosi alle prese coll’arduo problema di dover contentare molti con poco. Pure, non si perdette d'animo, e procedè arditamente alla distribuzione, da lui specificata in let- x I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 415 . tera dell’11 febbraio 1669, e abbastanza caratteristica, perchè meriti di venir qui riprodotta, tanto più che vi figura un nuovo prodotto della Savoia, che in seguito ritornerà spesso. La distri- buzione comincia, come di ragione, dal gran Colbert: “ Je lui ai envoyé (ivi si legge) six barils de vin de Piémont, une caisse de fromage (i rinomati wacherins savoiardi) et une caisse de rosoly; il fit quelque difficulté de l’accepter ,, ma finì coll’ac- cettare. “ J'ai fait un pareil présent (continua il San Maurizio) à MM. de Lionne, Le Tellier et Bellefond, à mesdames de Chev- reuse et d’Arquien, à MM. les maréchaux d’Estrées et Duplessis, et è MM. de Laon et marquis de Coeuvres; tout ensemble j'ai fait aussi remettre les essences è madame de Laon. — Quand les barils ont été remplis, il ne s’en est trouvé que 51; j'en ai déjà fait distribuer 38: j'en ai encore 13 que je donnerai dans des bouteilles aux Nonce et ambassadeur de Venise, au Grand Prieur, au maréchal de Grancé, au marquis de Pienne, au duc de Navaille, au sieur de Bonceuil ,; e chi più ne ha, più ne metta; “ parceque (egli conchiude) j'ai toujours besoin d’eux. , Argomento non dubbio della già sperimentata virtù di que’re- gali nelle occorrenze del suo ministero. Il fatto si è che il successo e il gradimento, per parte dei regalati, non potevano essere maggiori, e non è a dire quanto l'ambasciatore se ne compiacesse: “ J'ai quasi fait tous les pré- sents (egli scriveva): on ne parle d’autre chose: le roi a bu du vin et mangé du fromage; il a trouvé excellents l’un et l’autre. , Figurarsi l'entusiasmo eccitato da quella straordinaria degna- zione per parte del Re — Sole! Il male si era, che i regali non crescessero all’avvenante delle mani, che, da tutte le parti, gli si stendevano per ottenerne: “ Il faudrait (soggiungeva) bien avoir ici de ce vin: tout le monde en demande effrontément; le chevalier de Lorraine en a envoyé prendre: monsieur le Duc, au nom de sa maîtresse, la belle vene du comte de Marey et jusqu’aux filles de la Reine: il a fallu leur donner du fromage (!). , Qual mortificazione pel povero ambasciatore nel dover rimandare tante sì belle ed influenti dame con qualche prosaica forma di cacio! Fortuna, che gli fu poi dato di meglio trattarle nelle successive distribuzioni, che continuarono di mano in mano du- rante la sua lunga ambasciata. L'esempio dato dal marchese di San Maurizio era stato 416 | —DOMENICO PERRERO tale, che doveva animare i suoi successori nella legazione di Parigi a non lasciarlo cadere; ed, infatti, le spedizioni di quei regali furono da essi continuate sin verso lo scorcio di quel se- colo, vale a dire sino alla rottura delle relazioni fra Luigi XIV ed il duca Vittorio Amedeo II. Ancora negli anni 1687-88, quando le corrispondenze fra i due paesi cominciavano già ad inasprirsi, la confidenza del marchese di Dogliani nell’efficacia dei regali in discorso, come più innanzi si è detto, perseverava viva più che mai. Infatti, il marchese di Louvois (nome uggioso al Piemonte) essendosi, col nostro ambasciatore, lasciate sfug- gire minacce tali, le quali potevano far presentire, che qualche cosa di grave si stava disponendo a danno del Piemonte, e di- ventando indi urgente di penetrarne i disegni, — mentre il Duca non vedeva altro mezzo da ciò, che il guadagnare col denaro qualche influente personaggio della corte, il Dogliani invece,, pur non osando scartare siffatto spediente, cercava, come meno ar- rischiato, e tuttavia non meno efficace, di farvi concorrere l’an- tico sistema de’ piccoli regali, come appunto spiegavasi nel suo - dispaccio del 27 settembre 1688: “ Pour découvrir (ivi si legge) les desseins que le roi pourrait avoir... il est bien certain, comme V. A. R. le remarque, que l’argent en est un bon moyen... Mais il faudrait pour cela qu'il y eùt ici un fond entre les mains de M. Planque (Agente ducale a Parigi) cu de quelque autre personne, comme d’un banquier, du quel je pusse disposer sans étre obligé d’en rendre compte qu’à V. A. R. — Quelque pré- sents aussi de bouteilles de vin ou de resoly de Piémont à des certaines personnes qui aiment fort ces bagatelles, serviraient beaucoup è les gagner, et V. A. R. ne saurait croire combien je me suis fait d’amis par ce moyen. , Ma le cose precipitarono, e ne susseguì bentosto la guerra, che obbligò le due corti a pensare a tutt’altro che a regali; e così le vecchie tradizioni a tale riguardo restarono interrotte, non sì però, che non venissero poi riprese nel secolo seguente, sebbene col mezzo di altri prodotti, come vedremo. Nel fratempo, la stessa usanza era anche passata, facendovi ottime prove, nella nostra ambasciata di Roma, dove pure mi propongo di tenerle dietro. Se non che, trovandomi, sul cam- mino, la città di Firenze, vi farò una breve sosta per prender atto dell’autorevole testimonianza dal Gran Duca, Ferdinando II, I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 417 fino conoscitore quant’altri mai, renduta alla bontà del nostro rosolio. Venutogli a notizia, che Luigi XIV faceva frequente uso di questo liquore, fu preso dal desiderio di assaggiarlo, e, per mezzo della contessa Fabroni, intrinseca colle due corti, ne fece richiesta a Mad® Reale Cristina di Francia, con lettera del 2 aprile 1654: “ J'ai recue (ivi diceva la contessa) une petite com- mission de Madame la Grande Duchesse ... LL. AA. voulurent savoir de moi si j'avais sgu, du tems que j'ai eu l’honneur de voir V. A. R., qu'elle envoyàt au roi son neveu, une chose ap- pelée Rosolie, de la quelle, on a dit au Gran Duc que le roi boit au lieu de vin... Le Grand Duc me parla aussi de certaines eaux de vie que l’on fait en Piémont, et aurait curiosité d’avoir un peu de l’un et de l’autre... , i In quegli anni le relazioni tra le due corti erano, ben più che in altri tempi, amichevoli e quasi cordiali, giacchè qualche mezza trattativa di matrimonio erasi iniziata e si andava col- tivando per mezzo appunto della Fabroni. Onde Madama Reale non fu lenta ad appagare il Gran Duca facendogli pervenire tutte le varie specie di rosolio in voga; nè Ferdinando fu meno sollecito a fargli giungere, in un co’suoi ringraziamenti, il risul- tato, al tutto soddisfacente, del fattone assaggio: “ M. le Grand Duc (rescriveva la contessa il 30 stesso aprile)... a trouvé le ro- solie excellent; il en boit quelquefois les après-dînée avec de l’eau glacée; je crois que ce n'est pas la fagon que l’on le boit en Piémont. Le Grand Duc, dans ces choses-là, invente tous les jours quelque chose de nouveau... Je ne saurais dire è V. A. R. laquelle sorte de ces rosolis a été trouvée la meilleur... je sais seulement qu’elles ont été trouvées très bonnes. , A questa autorevole sanzione data ai nostri rosolj da un giudice così competente, vedremo ora far coro l’applauso del- l’alta società Romana, che pur era, di lunga mano, assuefatta a ben altri regali e di ben altro pregio. A differenza però di quanto aveva luogo a Parigi, a Roma, il rosolio veniva sovente accompagnato colle confetture del Mondovì; perciocchè, egli è da sapere, che l’arte di manipolare lo zucchero e di candire abilmente i frutti, vantava i suoi più celebri maestri, non già nella capitale del Piemonte, ma sì bene a Mondovì, dove la stessa famiglia reale era obbligata di mandare ad istruirsi e a praticarsi le persone, che, in qualità di confettieri, chiamava 418 DOMENICO PERRERO al servizio della corte, come appunto avvenne nel 1682, a pro- posito di un giovane colà mandato a perfezionarsi in quell’arte da Madama Reale Giovanna Battista, e sul conto del quale così scriveva, il 2 ottobre, il marchese della Chiesa di Cinzano, go- vernatore del Mondovì: “ Oggi è qui giunto il giovane, che V. A. R. desidera che impari a far le confetture bianche, e da | V.A.R. mi viene imposto collocarlo con uno de’ più periti di quest'arte. Il che ho subito eseguito e con il confettiere di questa città, che è riputato il più intendente di tutti gli altri che vi siano ,. Si comprende, quindi, che trattandosi d’inviare regali di con- fetture a personaggi cospicui, quelle di Mondovì dovessero ot- tenere il posto d’onore, come, tra altre volte, ebbe luogo nel 1676, in occasione della solenne offerta fatta allo stesso ponte- fice Innocenzo XI, nelle seguenti circostanze: Madama Reale, il 23 dicembre, scriveva al conte Orazio Provana, suo ambascia- tore a Roma, come infra: “ Sono giunte dal Mondovì le confet- ture e s’invieranno costì... Voi ne farete quel miglior uso con cotesti signori cardinali e prelati, che si conviene al fine, che si ha, di dare un’annuale ricognizione a qualche numero di car- dinali e di prelati, che si procurerà da voi di rendere ben pro- pensi, per tutte le occorrenze di questa rea] Casa. , — Il 23 febbraio 1677, il Provana rispondeva, che le confetture erangli giunte ben condizionate, e che il primo regalo di esse e di ro- solio l’aveva fatto al Card. Pio; indi soggiungeva: “ Stavo pen- sando se dovevo mandarne altrettanto ad ognuno dei tre mi- nistri di palazzo, ma dubitai che forse potrebbero essere ricusati. , Chi mai avrebbe creduto, che quegli, il quale tanto dubitava dell’accettazione dei ministri, quegli stesso osasse poi ripromet- tersela dal Pontefice? Eppure così fu; ed il fondamento di tale sua presunzione stava tutto nello Scalco del papa, piemontese, che il conte Provana diceva molto suo amico. Sull’assicurazione da questo avuta, che il regalo avrebbe incontrato il gradimento del suo padrone, il Provana diede l’incarico all’Agente ducale, Paolo Negri, di farne la presentazione, che ebbe effettivamente luogo nel mattino del 23 detto febbraio, nel modo, che esso Agente ebbe a riferire il giorno stesso ne’ seguenti termini : “ Questa mattina, sono stato da S. Santità con dodici bacili di confetture, e due casse di rosolio, le quali monsignor Scalco w rà É LÌ + ide è I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 419 i (che è suddito di S. A. R.) ha fatto porre sopra di una gran . tavola nella stanza dove il papa doveva mangiare, le quali per la quantità facevano una superbissima comparsa. In questo re- galo la Santità S. ci ha fatto un grandissimo onore, mentre si è partito dalle proprie stanze dell’udienza, per venire a ricevere il regalo suddetto. E stando io nella detta camera, è venuto il papa, al quale ho fatto il complimento: la Santità Sua è rimasta attonita in rimirare così gran numero di bacili carichi di con- fetture e le due casse de’ rosolj, e mi ha domandato di che luoghi erano, e volsutele vedere, mi ha ordinato di aprirne e, scopertene di molte, ha S. Santità gustato un poco di agresto col fiore di melangolo dentro. Mi ha poi detto che il signor Residente gli aveva mandata una bottega intiera, e che era troppo generoso. Rivoltosi verso le casse de’ rosolj, mi ha chiesto a che serviva quel liquore, ed io le ho risposto, che conferisce molto alla sanità, la quale tutto il mondo cristiano desidera infinitamente alla Santità Sua, che supplicavo, in nome del signor Residente, di dargli la consolazione, che lo potessi assicurare, che S* Santità gli perdonava l’ardire, che aveva preso in man- darle queste bagattelle. Mi replicò, ch’era un superbissimo re- galo, e che ringraziava molto il signor Residente. , — E per non lasciar dubbio sulla sincerità di quel gradimento, soggiunse, in ultimo, avergli poi lo Scalco detto, che il papa ne aveva di- scorso un pezzo a tavola. Il 3 marzo seguente lo stesso Negri scriveva al marchese di San Tomaso, che si era quindi fatta la distribuzione delle confetture e de’rosolj ai cardinali e prelati specificati in una nota annessa, nella quale si leggono inscritti i cardinali Pio, Carlo Barberino, Altieri, Azzolino, Massimi, Spada, Litta, Vidone, Al- bizi, Vuard, D’Estrées, ambasciatore di Francia, monsignor Alto- viti, segretario della Congregazione dell’immunità ed altri, vale a dire quanto di più cospicuo noverava il Sacro Collegio e la prelatura romana. Ben poteva quindi dirsi, avere il Provana condotta a buon fine un’ardua impresa; onde, immaginandosi d’averne acquistato un titolo di benemerenza verso la Casa reale, stava attenden- done i complimenti per parte della duchessa. Quale pertanto fu il suo disinganno nel ricevere la lettera del ministro, nella quale, invece di rallegrarsene, faceva intendere, essere stata la 420 DOMENICO PERRERO duchessa poco meno che mortificata dello sfarzo con cui erasi fatta la presentazione al papa di un regalo in sè stesso di un pregio così poco proporzionato alla dignità del donatario, non meno che alla propria. — “ Non vedo (scriveva il desolato am- basciatore, difendendosi alla meglio), che costì si sia fatto un gran applauso all’onore, che mi fece S* Santità, di ricevere il regalo, che presi l’ardire di mandargli, anzi mi pare, che sia convenuto all’E. V. di scusare quest’atto. Eppure, è stato uno de’ maggiori vantaggi, che abbia ricevuto il mio carattere, perchè il papa non ammette alla sua presenza, se non i presenti degli ambasciatori regj e delle principesse di prima riga, ricevendosi gli altri dal maggiordomo o dallo Scalco. Onde, essendo S* San- tità partita dalla sua camera dell'udienza, e venuta in altra stanza a ricevere il regalo, ed avendolo eziandio assaggiato alla presenza del mio mastro di camera, non poteva farmi un onore più singolare. , Che il povero ambasciatore abbia o non convinto Madama Reale della convenienza del suo operato, poco importa al mio soggetto, bastandomi di aver chiarito, che i nostri confetti e ro- solj erano dai cardinali e prelati romani gustati ed apprezzati per modo da essere ritenuti come “ buon mezzo per renderli propensi a tutte le occorrenze della real Casa , giusta l’espres- sione, con cui la duchessa ne accompagnava la spedizione al Provana. E questo favore, riguardo al rosolio in ispecie, perdurò lun- gamente, come ne fanno fede le ulteriori spedizioni ogni poco fattesene. Mi arresterò ad una sola di esse, che ebbe luogo 50 anni dopo, notabile specialmente per la persona dell’ambascia- tore, che se ne servì; intendo parlare del marchese Ferrero d’Ormea. — È noto, che egli, nel 1725, risiedeva in Roma, in-. viatovi da Vittorio Amedeo II per l’aggiustamento delle intri- cate controversie ecclesiastiche da più anni vertenti fra la corte di Torino e la Santa Sede; come pure sono note le acri oppo- sizioni, che molti membri del sacro Collegio sollevavano contro le buone intenzioni verso il re, del pontefice Benedetto XIII. L’Ormea sapeva benissimo quanti e quali erano i suoi av- versari, ma sapeva pure, ad un tempo, quanta fosse, in quel paese in ispecie, la potenza dell’auri sacra fames, e perciò, prima di avviarvisi si era ampiamente fornito di tutto l'occorrente per I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 421 espugnare certe fortezze, che, per arrendersi, altro non aspet- tavano, che di venire attaccate. Fedele al mio proposito di non addentrarmi nei misteri delle corruzioni diplomatiche propria- mente dette, malgrado la tentazione, che il personaggio me ne offre, mi restringerò a dire, che, pur avendo a sue mani i grossi regali, a cui lo abilitavano le ragguardevoli somme lasciate a piena sua disposizione, non credette tuttavia di poter dispen- sarsi dal mettere in opera anche i piccoli regali soliti distribuirsi dai suoi predecessori, giacchè questi, nel suo concetto, dovevano servire come di tasto e di avviamento per quelli. Si è con questo intendimento, che egli ne faceva espressa domanda al re Vittorio con sua lettera del 14 aprile, nel modo che segue: “ Crederei opportuno, che S. M. mi facesse avere una mezza dozzina di casse di rosolio, con due di tabacco, per farne alcuni regali a misura che anderò prevedendone il buon uso; e già, sino da ieri, il signor cardinale Alessandro Albani dimostrò di gustare il tabacco di Piemonte, ed, il giorno avanti, il Merlini, e con essi feci divisione di quello, che mi ero portato meco ,. La voga del rosolio, come si vede, continuava tuttora, ed intanto un’altra cominciava a farsi strada a favore del tabacco del Piemonte, e vuolsi intendere del tabacco in polvere da an- nasare. Vittorio Amedeo II, vista la consumazione straordinaria, invalsa e sempre più crescente di detto tabacco sì in Piemonte, come negli altri paesi finitimi e massime in Francia, pensò di crearsene una rendita per le sue Finanze, rendendone indigene la produzione. e la fabbricazione. Fece, a tal effetto, a cura e per conto del governo, mettere in punto, giusta le migliori regole, diverse estese piantagioni di tabacco nei territorj di Stupinigi, di Mirafiori, della Crocetta, della Venaria ed in altri dello Stato, e chiamati da riputate fabbriche estere, i più esperti dell’arte, pervenne, mediante il segreto di squisite concie, con grandi artifizi e dispendi procuratosi, a far manipolare la pre- giata foglia in modo da incontrare il genio de’ buongustai. Se non che le guerre, che desolarono il Piemonte durante una buona parte della metà del secolo scorso, interruppero sgraziatamente in sul più bello questa industria, che prometteva non pochi nè lievi vantaggi al nostro paese. Ho accennato all’uso smodato, nel tempo, di cui si tratta, invalso del tabacco da fiuto; aggiungo ora (cosa appena credi- 422 DOMENICO PERRERO bile), che le grandi dame erano quelle, che specialmente si se- gnalavano in questa moda, venutaci dalla grande legislatrice delle mode, la Francia. La duchessa d’Orleans (la palatina) n’era indegnata: “ C'est une chose affreuse “ (scriveva essa, nel 1713, in termini che ben improntano il suo naturale); “ C'est une chose affreuse que.ce tabac... Cela me met hors de moi de voir ar- river toutes les femmes d’ici (scriveva da Parigi) avec leur nez sale, comme si elles l’avaient, sauf votre respect, frotté dans la boue, et fourrer leurs doigts dans les tabatières des hommes; il faut que je crache de dégout , (1). Questa moda non poteva a meno di passare anche in Pie- monte, ed a farvela signoreggiare bastava l’esempio di una dama, che della moda ben poteva dirsi regina nel nostro paese, voglio dire la celebre contessa di Verrua. A costo di sfrondare di qualche raggio l’aureola di questa seduttrice Sirena, devo produrre alcune cifre estratte dai conti de’ Tesorieri ducali, le quali fanno fede della sfrenata manìa di lei per la polvere Ni- coziana. Nel volume del Controllo Camerale, 1697-98, fra le molte svariate spese, inscritte a servizio della medesima, si legge anche la seguente, che trascrivo letteralmente: “ Tabacs expédiés l'année courante 1697 pour service de madame la comtesse de Verrua, livres 5822 , (!); e nell’annessavi nota, sottoscritta dalla Verrua, si portano in una sola volta, sotto il 20 9bre, livres 400 tabac supérieur à la fleur d’orange; e queste eran libbre di peso, che importarono, in un solo mese, una somma di L. 2400 in denaro. Ben so, che tutto ciò non era a solo uso della Verrua, ma anche de’ suoi amici, a cui ne faceva regalo, ma ciò, oltre alla quantità de’ suoi amici, prova pure un andazzo straordi- nario di stabaccare nella più alta e più gentile parte della so- cietà d’allora. Non è quindi a stupire se, nell'inventario del- l'eredità della Contessa si trovino registrati nientemeno che 60 vasi da tabacco, e 228 tabacchiere d’ogni forma e d’ogni ma- teria. Si comprende benissimo, ciò stante, come un regalo di ta- bacco del Piemonte, offerto da un regio ambasciatore, potesse venire gradito, come una dimostrazione di stima e di preferenza, (1) Corresp. de Mad. duchesse d'Orléans, par E. Jacglé, 1880, vol. II, p. 131. pr ET 7, PS n: Set LA STIA EVA I I TI One I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 423 da cardinali e prelati, e come l’Ormea, pur disponendo di altri mezzi d'influenza ben più potenti, abbia stimato di dover gio- varsi anche di questo. In quel mentre, un altro nostro prodotto andava acqui- stando, nelle corti straniere, riputazione e favore, minacciando di cacciare ogni altro di nido; ed era il tartufo. Questo vege- tale, quasi trascurato in addietro, aveva, verso il principio del secolo scorso, cominciato ad attirare, in particolar modo, l’at- tenzione e le cure degli agronomi e de’ gastronomi. Il Piemonte, a tale riguardo, specialmente dalla natura favorito, anzichè at- tendere dagli altri paesi l'impulso e l’esempio per trarre da questo favore di natura, tutti i vantaggi possibili, era in obbligo di precederli e di farsi loro duce e maestro, ed invero non fallì punto a tale suo obbligo. Un nostro latinista e poeta di vaglia, Bernardo Vigo, nel 1776, stampò in Torino, ad onore de’ tartufi, un poemetto in- titolato: Tubera terre, il quale, anche oggi, può leggersi con gusto dagli amatori delle elegartze virgiliane e dei tartufi. Nella prefazione, in buona prosa latina premessavi, l’A., rendendo ra- gione del prescelto argomento, dice, aver, con esso, inteso d’illu- strare una gloria ed una fonte di ricchezza specialmente propria di alcune regioni subalpine, singolarmente privilegiate di siffatta produzione. “ Ed a comprovare siffatto privilegio (egli soggiunge) ciò solo basta, che essendosi sovente, presso parecchie nazioni, eccitato il desiderio di farne ricerca nelle proprie terre, tornò sempre vana ogni diligenza usatavi dagli indigeni, vana ogni opera. Ma che dico: dagli indigeni? Mandati dai re Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III andarono altre volte in Ger- mania, in Francia ed in Inghilterra, coi più eletti cani, i nostri più esperti cacciatori... e, sebbene allettati con grandi premi, e dallo stesso loro amor proprio vivamente stimolati, nulla omet- tessero d’industria nè di fatica, tuttavia non ispuntarono mai di far paghi que’ principi forestieri (che, dicesi, avessero più d’una volta spettatori e quasi cooperatori nelle loro ricerche) nel giustissimo desiderio, pel quale erano stati ad essi mandati... non essendo mai riusciti a scoprirne di tali, che e pel colore e per la squisitezza del profumo e del sapore, non fossero di gran lunga inferiori ai nostrani ,. Non credasi, che il Vigo, trascinato dall’entusiasmo poetico, 424 DOMENICO PERRERO o dall’ambizione di accrescere importanza al proprio soggetto, abbia inventati i fatti da lui accennati, od esageratili, coloran- doli più del dovere colla sua immaginazione. Il poeta ha, in questa parte, rigorosamente adempiti i doveri di storico, inspi- randosi alla pura realtà delle cose, confermata dai più espliciti documenti. — La Francia si vanta de’ suoi tartufi del Périgord: non discuto siffatto vanto, perchè ne sarei giudice affatto in- competente, e quindi mi attengo unicamente alla questione di fatto, ed è che i loro Sovrani, nel secolo scorso, e ancora nel principio di questo, hanno, sempre quando l'occasione se ne pre- sentava, data la preferenza ai tartufi del Piemonte, come ben mostrano le spedizioni, che di questi si andavan facendo alla corte di Francia dai nostri principi, alle volte spontaneamente e spesso anche in conseguenza delle richieste della corte stessa, trasmesse dai nostri ministri colà residenti. Per non dilungarmi di soverchio in citazioni, toccherò di una sola, che le varie precedenti, in certo modo, riassume e comprova. Correva il mese di dicembre del 1814, e perciò erano ap- pena trascorsi pochi mesi dacchè il re Luigi XVIII aveva fatto il suo ingresso in Parigi dopo restaurata la monarchia. Egli è quindi facile immaginarsi da quali e quante cure dovesse tro- varsi assediato in que’ primordj di un regno ancora vacillante. Eppure (chi lo crederebbe?), in mezzo a tante e sì gravi cure, e dopo 25 anni di rivoluzione e d’esiglio, la memoria dei tar- tufi piemontesi sotto l’antica monarchia assaporati, trovò modo di farsi strada nel suo animo e di farglieli sospirare per modo, che il conte di Jaucourt, suo ministro, dovette ricorrere al mar- chese Alfieri, ambasciatore nostro a Parigi, perchè glie ne pro- curasse al più presto una spedizione, come questi appunto fece scrivendo il seguente dispaccio al conte di Vallesa: “ Le comte de Jaucourt m’avait dit, il y a quelques jours, que S. M. lui avait parlé de son désir de réavoir des truffes de Piémont, comme avant la révolution, et qu'il allait en écrire au marquis d’Osmond (ambasciatore francese a Torino). Je lui ai répondu que j'en attendai un envoi qui était en route, et que s’il voulait se charger d’offrir celles-ci, en attendant, à S. M., je me croyais trop heureux de pouvoir lui en faire hommage. Il m’a dit que, certes, il s'en ferait un plaisir et qu’elles seraient fort agrées. I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 425 Mais, malheureusement, grace au tems syrocal, et celui qu’elles restent en route, je les ai regues toutes pourries. Jugez, Monsieur le Comte, comme cela m’a contrarié, d’autant plus qu’elles vont finir... autrefois la cour en faisait d’envois considérables ici... ,. Questo desiderio di Luigi XVIII, che si rinnovassero le antiche spedizioni dei nostri tartufi alla sua corte, mentre aveva a sua disposizione quelli indigeni del Perigord, non prova certo la precellenza di questi sopra quelli, massime trattandosi di un giudice di quella competenza ch'era il re. Nè minore era il gradimento, che a Vienna incontrava il prezioso nostro vegetale. Malgrado la pace del 1736, le rela- zioni fra la nostra corte e quella di Vienna erano fredde an- zichè non: Maria Teresa era non poco amareggiata dalle cessioni, a cui aveva dovuto acconsentire a favore della Casa di Savoia; il che fastidiva non poco il conte di Canale, che doveva andarvi ambasciatore. Si fu allora, che il marchese di Breglio, il quale molto onorevolmente l’aveva preceduto in quell’ambasciata, gli suggerì, che, lasciata alquanto sbollire quella irritazione, avesse ricorso al solito rimedio de’ piccoli regali, da lui stesso già spe- rimentata efficace. Il fatto giustificò il suggerimento, chè, grazie, un poco, all'influenza del rimedio, e, molto, all’abilità di chi ebbe ad applicarlo, dopo qualche anno, le relazioni tra le due corti si fecero più cordiali, e la stessa Maria Teresa prese a ri- cambiare con prelibato vino di tokai, i regali dai nostri principi, per mezzo dell’ambasciatore, offertile. Fra questi regali, al tartufo veniva sempre attribuito il posto d’onore, velunt inter ignes — Luna minores. Qualche estratto della corrispondenza diplomatica metterà meglio sott’occhio la cosa. — “ L’Intendant de la maison du Roi (scriveva al Canale il Segretario Cav. Raiberti) vous expedie par la Poste deux caisses è votre adresse, dont l’une contient net 42 livres de truffes, et l’autre six vacherins, que S. M. fait envoyer à LL. MM. Impériales , (20 xbre 1766). Il conte di Canale accu- sando la ricevuta della spedizione, scriveva: “ S. M. l’impéra- trice de mème que l’Empereur ont été sensibles è cette attention. Les truffes étaient fort bien conservées, quoique gélées, et pourvu qu’on les garde dans une chambre froide jusqu'au moment qu'on les sert, elles ne perdent rien de leur bonté , (1° del 1767). — Ed infatti il Canale rescriveva pochi giorni dopo: “ L’Im- 426 DOMENICO PERRERO pératrice reine fait bien des remercimens è S. M. pour les truffes et les vacherins, dont elle a fait garder trois parts pour sa table ,. Il che prova, meglio delle parole, il reale suo gra- dimento. Il Canale, che aveva suggerito di aggiungere ai futuri re- gali, anche le pernici rosse denominate in Piemonte bdertavele, con lettera del 14 xbre 1769, così facevasi ad acquetare gli scrupoli del Raiberti, a cui erasi supposto, che le dette pernici fossero comuni anche a Vienna: “ J'ai regu (scrivevagli) la cas- sette avec les truffes et les 18 perdrix rouges, qui ont été pré- sentées à LL. MM. Impériales par M. le Comte de St. Julien Grand-Maitre de cuisine... Tout est arrivé bien conditionné et a été fort agrée, LL. MM. m’ayant fait recommander de beau- coup remercier le Roi de son souvenir et de son obligeante attention... Je vous assure qu'on a ici un soin particulier des truffes, qu'on les pèse è la cour et que l’impératrice en fait la distribution. — Pour ce qui est des perdrix rouges, je ne sgais pas comment on peut dire qu’elles sont communes à Vienne; il en vient très rarement du Tyrol et elles sont d’une espèce différente et très inferieures aux dertavelles. Feu le marquis de Breil, qui le sgavait bien, m’en donna douze pour le chancelier de Zinzendorf, très entendu en bonne chère, lorsque je vins à Vienne pour la première fois: le chancelier en fit grand bruit, comme d’un régal. Ainsi, ce fut là un trait d’erudition que jappris dans les premiers instants de mon séjour è Vienne ,. Si è poco dianzi accennato ai regali di vino Tokai soliti farsi dalla corte di Vienna alla nostra. Di questi regali, che, molto frequenti fin da principio, finirono col diventare quasi annuali (1). Non farò menzione che di uno solo, perchè si con- nette con un avvenimento, il quale, a que’ giorni, menò gran rumore e avrebbe forse potuto dar luogo ad importanti conse- guenze, se coi desideri di Maria Teresa e colle speranze di Carlo Emanuele III, avesse potuto andar d’accordo il genio del- (1) Il conte di Scarnafigi, succeduto al Canale nell’ambasciata di Vienna, il 3 dicembre 1774, scriveva al suo ministro a Torino: “ M. le comte de St-Julien m’a "annoncé ces jours passés, qu'il avait déjà regu les ordres pour me remettre le vin de Tokai que l’impératrice est dans l’usage d'envoyer à S. M. TOUS LES ANS ,. I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECO. 427 l’imperatore Giuseppe Il; intendo parlare della visita, che questi fece. nel 1769, alla nostra corte, visita, alla quale si annetteva generalmente il disegno di matrimonio con una delle principesse reali, nè senza fondamento. E a tale visita appunto alludeva il conte di Canale nel suo dispaccio del 9 9bre del detto anno, nell'occasione dell’invio, per parte dell’imperatore di due fusti di Tokai: “...Le comte de St. Julien, qui en avait la commission, m'a dit que c’était l’empereur et non l’impératrice, qui avait destiné le vin pour le Roi... L’Empereur (aggiungeva l’ambascia- tore) m’ayant fait l’honneur hier de m’adresser la parole m'a encore parlé beaucoup de Turin, se servant des termes les plus expressifs pour marquer le plaisir qu'il avait eu de s’entretenir avec S. M. et la famille royale, et combien il desirerait d’étre à portée de se procurer cette satisfaction et apprendre du Roi l’art de gouverner , (1). Quale assegnamento era da farsi sulla sincerità di siffatta dichiarazione? Nulla osando affermare, ritorno ai nostri tartufi, riguardo ai quali almeno si può essere certi della sincerità sì dell’imperatore come della imperatrice nella espressione del loro gradimento, autenticata, com'era, dal fatto. Perciocchè, mentre altre volte, come si è veduto, degl’inviati tuberi riservate tre parti per la famiglia imperiale, la residua quarta parte veniva da essi distribuita ai ministri e principali personaggi della corte, ultimamente, omessa ogni distribuzione, tutti se li riservavano per la sola famiglia imperiale. Ciò non metteva conto al nuovo ambasciatore conte di Scarnafigi, succeduto in quel mentre al conte di Canale, perchè avendo sempre bisogno di que’ ministri e personaggi, avrebbe voluto vederli gratificati almeno di quel poco, come per l’innanzi. Ond’è che, con dispaccio 3 8bre 1774, ricordando a Torino la solita spedizione de’ tartufi, soggiungeva: “ Si dans la susdite expédition, V. E. trouve à propos d’en faire ajouter une petite quantité pour distribuer à deux ou trois des principales personnes de cette ville, Elle me mettra è meme de continuer une attention pratiquée par le feu comte de Canal, et pour laquelle on lui ètait très reconnaissant ,. (1) Sull’eccellenza di quel Tokai così scriveva il Canale: “ Il faut que le Roi conserve ce vin pour sa bouche et sa famille, car, pour de l’argent, je ne pourrai pas en trouver de semblable , (25 ottobre 1764). Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 31 428 DOMENICO PERRERO L’avvertenza fu riconosciuta giusta, e allora e poi sempre la piccola aggiunta mai non mancò a simili spedizioni, e l’esito fu quale era previsto, come lo stesso Scarnafigi, soddisfatto, si- gnificava anche l’anno successivo 1755: “ Samedi, 23 de ce mois (décembre), j'ai recu par une estafette, quatre caisses, savoir: deux de truffes, une de vacherins, et l’autre de dertavelles. Le tout étant arrivé dans le meilleur ètat possible, je me suis em- pressé de le faire remettre tout de suite à S. M. l’imperatrice. Jai gardé è ma disposition la plus petite des caisses, conte- nant des truffes pour les distribuer aux principaux ministres de cette cour qui m’en sgavent un gré infini ,. In questo stato di cose, era naturale, che i principi delle corti estere, i quali avevano mostrato di gustare ed apprezzare, come si è veduto, i tartufi del Piemonte, sentissero il desiderio d’indagare se ne’ propri Stati allignasse l’ambito vegetale. Giusta il metodo primitivo, più generalmente allora praticato, la cerca o caccia se ne faceva col concorso di un ausiliario dall’odorato infallibile, è vero, ma dal grugnito inamabile. Gli Inglesi, in ispecie, così esigenti in fatto di pulizia, ne rifuggivano assolu- tamente, preferendo di abbandonare alla terra il prezioso suo tesoro, al doverlo all’abilità di un siffatto collaboratore. Ed essi infatti, furono a giorni nostri i creatori della miglior razza di cani per la caccia de’ tartufi. — Nel tempo, però, del quale si tratta, questo vanto spettava al Piemonte. Presso di noi, era di buon’ora invalso l’uso di tale caccia per mezzo de’ cani; ond’è che i ragguardevoli esteri viaggiatori, che, nelle loro pe- regrinazioni per l’Italia, facevano qui, d’ordinario, una prima sosta, vi pigliavano, volentieri, parte, come ad un passatempo nuovo per essi, il quale alle emozioni della caccia della selvag- gina, univa il vantaggio, prezioso agli amici degli animali, di non costare pure una goccia di sangue. Il perchè, rimpatriati, tanto que’ gentiluomini si lodavano e del vegetale e del modo di cacciarlo, che fecero più d’una volta sorgere in qualche estera corte amica la vaghezza di avere dai nostri principi e uomini e cani abili e addestrati a tale caccia per poter goderne ed ac- certarsi, ad un tempo, della esistenza o non, ne’ loro paesi, del pregiato vegetale. Due di siffatte richieste vennero a mia notizia e credo bene di qui ricordare. La prima rimonta al 1723, e venne dalla | LT O RE TA LTT a I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 429 Francia per parte del giovane re Luigi XV, come il conte An- nibale Maffei, ambasciatore Sardo a Parigi, ne informava il marchese Delborgo, ministro sopra gli affari esteri, con dispaccio del 27 7bre: “ M. le Comte Merville (ministro sopra gli affari esteri francese) m’a fait entendre que le Roi souhaitait d’avoir trois ou quatre bons chiens élevés è la chasse des truffes avec un homme entendu è celà et propre à les diriger et à les nourrir... n’osant pas les demander au Roi, son grand père (Vit- torio Amedeo Il) ,. Da Torino fu bensì, d'ordine di Vittorio Amedeo, spedito. l’uomo con quattro cani al nipote (piccato forse nei rimproveri, che spesso ne riceveva per la vita troppo molle ed oziosa che menava), ma dell’esito di quella spedizione tace la corrispon- denza del Maffei. Molto più complete e specifiche sono le notizie lasciateci sull’altra consimile spedizione fattasi ventotto anni dappoi sotto Carlo Emanuele II, in occasione di altra richiesta pervenu- tagli, per mezzo della legazione britannica in Torino, da parte del vincitore di Culloden, il duca Guglielmo di Cumberland, se- condo genito del re Giorgio II d'Inghilterra. Piacque al nostro re, in quella occasione, non solo di soddisfare il duca, ma di dare anche a tale soddisfazione una specie di solennità, affine di fare spiccare agli occhi del pubblico, non meno che della corte stessa di Londra il suo studio di coltivare l’antica ami- cizia tra la sua dinastia ed il governo britannico. Gli è in questo senso che il Cav. Ossorio, ministro sopra gli affari esteri, così scriveva, con dispaccio del 4 7mbre 1751, al conte di Per- rone, nostro ambasciatore a Londra: “ Le Roi ayant su que M. le duc de Cumberland souhaite d’avoir des chiens dressés è la chasse des truffes, et un homme entendu à les mener et à en dresser d'autres en Angleterre, S. M. a saisi avec plaisir cette occasion de satisfaire le désir de S. A. R., et en conséquence des ordres qui avaient été donnés pour trouver ces chiens, l’on en a fait partir huit, ces jours passés, sous la conduite de deux chasseurs entendus è cette sorte de chasse; lesquels sont adressés è M. le marquis de St. Germain (ambasciatore sardo a Parigi), qui est chargé de donner les dispositions pour la continuation de leur voyage Jusqu'à Londres, et pour l’envoi d’une caisse àè votre adresse, Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 31* 430 DOMENICO PERRERO contenant l’habillement dont le bureau de la maison du Roi les a fait pourvoir. — Vous les présenterez avec les chiens à S.A R en lui témoignant le plaisir que S. M. se fait de les lui pro- curer. Le nom des deux chasseurs est Vachina frères, et quant aux chiens, àges et marques se trouvent détaillés dans la note ci-jointe. — Il faudra que vous preniez le soin de faire pourvoir les deux hommes d’un chapeau bordé à l’anglaise ou d’un bonnet à l’anglaise, selon que vous jugerez plus à propos. Je suis bien- aise de vous ajouter, au sujet des susdits chasseurs, que celui qui est marié, ne doit point se laisser engager à demeurer en Angleterre; pour l’autre, qui est gargon, il y peut demeurer y trouvant ses convenances ,. Tutto andò a seconda de’ presi concerti; ad eccezione di un cane perdutosi in cammino, tutti, uomini e bestie, giunsero alla loro destinazione, ed il conte di Perrone potè, al giorno ap- puntato, che fu il 26 di ottobre, farne la solenne presentazione a Windsor, coll’esito, che, due giorni dopo, significava al re stesso ne’ seguenti termini: “ J'ai été avant hier è Windsor, et jai'eu l’honneur de présenter è Monseigneur le duc de Cum- berland les chiens qu’Elle lui a envoyés. Il en a été extréme- ment content, et m’a très fort recommandé d’en témoigner sa vive reconnaissance à V. M. et de l’assurer que l’on ne saurait étre plus sensible qu'il l’est, de la facon dont Elle a cherché à lui faire plaisir dans cette occasion. Il a voulu aller tout de suite è la chasse des truffes; j'ai eu l’honneur de l’accompagner, mais il n'a pas été possible d’en trouver, et j'ai grande peur qu'il n'y en aye aucune dans les environs. — Quoiqu'il en soit, il est certain que ce présent lui a été très agréable, surtout parce qu'il vient de la part de V. M., ce qu'il n'a cessé de me répéter ,. Ed in lettera a parte all’Ossorio, aggiugneva: “ Le tout ensemble avait bonne mine, et Monseigneur en a été extrémement content ,. Il duca però non si lasciò scoraggiare da quel primo vano tentativo, e la sua perseveranza venne ben presto coronata da felice successo, che il Perrone sollecito notificava a Torino, colla soddisfazione, quasi, con cui avrebbe annunziata una vittoria diplomatica: “ Hier, enfin (scriveva li 11 9bre) les chasseurs ont trouvé, prés de Windsor, les truffes qui ont la méme odeur que les notres. Le duc de Cumberland en a été enchanté ,. — Che I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 431 ne fu del cacciatore scapolo, che aveva la licenza di rimanere al servizio del Duca? Riuscì egli a fondare quella scuola di am- maestramento dei cani indigeni, per cui sopratutto era stato chiamato? E la prima trovata del vegetale fu ella una ecce- zione, od il principio di un raccolto continuato? Fu realtà o non piuttosto mera compiacenza pel duca l’allegata somiglianza, quanto all’odore, del tubero allora trovato, col nostrano? Le carte tacciono affatto a tale riguardo, ma la tradizione contem- poranea, trasmessa dal Vigo, affermava, come vedemmo, che i tartufi, allora trovati “ e pel colore e per la squisitezza del- l'odore e del sapore, erano di gran lunga inferiori ai nostri , a detta dei cacciatori reduci dall'Inghilterra. Quanto ai cacciatori, tutto induce a credere, che quegli dei due fratelli, il quale era autorizzato a starsene in Inghilterra, vi sia realmente rimasto più o meno lungamente sino a com- piuto raggiugnimento dello scopo, per cui eravi stato chiamato, tanto più che il primo sperimento felicemente riuscito dovette incoraggiare sempre più il duca nel suo proposito. Questo è certo, in ogni modo, che deve aversi in conto di una mera leg- genda ed anzi di favola, il racconto, che un giornale francese | spaccia a questo riguardo, riportandolo però da una Rivista in- glese, in questi termini: “ Par un curieux caprice de l’ histoire, c'est un Espagnol, qui a enseigné aux Anglais l’art de chercher les truffes... Etait-ce un matelot echappé au désastre de l’Ar- mada, qui au lieu de poursuivre une légitime vengeance, appor- tait un immense bienfait aux ennemis de sa patrie? Est-ce un aventurier? Un vagabond? Ce problème historique n'est pas en- core élucidé, mais il n’en est pas moins hors de doute que l’Angleterre doit è un Espagnol le seul progrés sérieux qu'elle ait réalisé depuis trois cent ans dans l’art culinaire , (1). Lasciando, senz’altro, agl’Inglesi, quando così stimino, la cura di difendersi dalla taccia di essere in ritardo di qualche secolo nel progresso dell’arte culinaria, ritengo, che il problema storico sopra accennato debba oramai dirsi risolto, e risolto a favore del Piemonte, a fronte dei documenti dianzi prodotti, dai quali risulta, che, prima del 1751, in Inghilterra non era (1) Figaro, Supplém., Longmans Magazine, 1895. 432 DOMENICO PERRERO — I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. ancora accertata l’esistenza dei tartufi, come prodotto indigeno, e tanto meno n’era in uso la caccia, giacchè in quell’anno ap- punto, risulta, aver avuto luogo, come spettacolo straordinario e nuovo, il primo esperimento di siffatta caccia, e questo per mezzo d’uomini e di cani fatti, a tale scopo appunto, venire dal Piemonte. Infino a che, pertanto, con documenti di eguale chiarezza ed autorità di quelli sopra addotti, non si verrà a provare, che un altro anteriore consimile esperimento siasi fatto o dal supposto marinaio Spagnuolo, o dal preteso avventuriere e vagabondo o da chiechessia altro, si può e si deve senza più affermare, che tutte le ipotesi come sopra affastellate dallo scrit- tore francese, non sono che “ sogni d’infermi e fole di romanzi , ed i piemontesi sono in diritto di rivendicare per sè l’ onore d'essere stati i primi scopritori del prezioso tubero in Inghil- terra, ed i maestri agl'Inglesi del modo di farne la caccia e di addestrarvi i cani. Ho detto: l’onore; qualcuno osserverà: Dove mai l’onore va a cacciarsi! Per rispondere a questo scrupoloso mi affido ai gastronomi, che sanno apprezzare al suo giusto va- lore questa perla del regno vegetale, e alla estensione ed im- portanza, che la sua coltivazione e il suo commercio vanno di giorno in giorno acquistando. Relazione sul lavoro del Dott. Lurei ScaraParELLI, intitolato: “ Origini del Comune di Biella ,. I sottoscritti presero in esame il lavoro del D' Luigi Schiaparelli, che si intitola: Origini del Comune di Biella. Ecco, in riassunto, gli argomenti trattati in questo lavoro. Principia l'Autore dal raccogliere le notizie riflettenti l’età classica, quando il territorio biellese faceva parte dell’ager Ver- cellensis. Le notizie per quest'epoca sono assai poche, sicchè l’A., dopo brevi pagine, entra nell’età media e discute il diploma di Lodovico il Pio dell’anno 826, nel quale per la prima volta si ricorda espressamente la villa detta Bugella. La discussione RESO CT e n A CE 1 O E e MITI, È Lea ———__— CITE: TO 433 intorno a questo diploma offre campo ad indagini sulla persona di Bosone, che in esso è menzionato, sulla geografia del sito in relazione a Biella e ad Ivrea (del cui celebre marchesato l'A. parla con qualche larghezza), e sopra questioni secondarie. Partendo dai risultati storico-geografici ottenuti dall'esame del diploma dell’anno 826, l'A. si inoltra a considerare le carte posteriori, fra le quali abbondano relativamente i diplomi impe- riali, venendo sino all’età di Federico I Barbarossa, e giunge a stabilire con piena certezza che cosa era il territorio Biellese, ossia — secondo la terminologia antica — il “ totum Bugellense ,. Fino dal secolo IX cadente i vescovi di Vercelli esercita- rono, per quanto pare, giurisdizione civile sul territorio di Biella; questo fatto che trova la sua lontana radice nella condizione territoriale dell’età romana, viene accuratamente studiato dall’A., dopo esaurita la parte geografica. Confrontando tra loro i non pochi documenti che direttamente o indirettamente riguardano questo argomento, siano essi diplomi o carte pagensi, lA. riesce a' determinare l’estensione giuridica dei diritti episcopali ver- cellesi, e neltempo stesso incontra i primi indizi della vita popo- lare e comunale. Questi primi indizi egli li trova anzitutto stu- diando la condizione della proprietà, la quale era o ecclesiastica, o della pars publica, o dei consortes, o dei vicini, o dei privati. Naturalmente per l’A. ha sopratutto importanza la proprietà dei vicini. Così la questione riflettente l’autorità episcopale si collega alla questione economica, e questa si coordina alle ri- cerche sull'origine del comune. È quasi inutile avvertire che anche per Biella, come per tante altre località, la eliminazione degli ordini pubblici carolingici, a mezzo dell’autorità episco- pale, servì indirettamente, ma efficacemente allo sviluppo del comune. Per Biella poi ci fu da parte dei vescovi vercellesi anche una prossima cooperazione alla mutazione avvenuta negli ordini antichi. Dovendo l’A. determinare esattamente le relazioni dei ve- scovi di Vercelli con Biella, espone con minutissimi particolari, in gran parte basandosi su documenti inediti, l’amministrazione della Chiesa di Biella, i diritti dei canonici e del loro prepo- sito, ecc., e studia la supremazia della Chiesa di Vercelli, spie- gandone con molta precisione i diritti e i doveri. Pare che l’assestamento definitivo dei Biellesi in forma di 434 associazione comunale si debba ad alcune concessioni fatte loro dal vescovo Uguccione, che visse ai tempi di Federico I. L'A. chiarisce questo punto per quanto gli è possibile; tuttavia, per mancanza di documenti, forse non riesce a metterlo in tutta quella luce, che la nostra curiosità desidererebbe. Ma egli fa quanto gli è possibile, senza omettere di illuminare anche le questioni di contorno, tra le quali ricordo la discussione sui boni homines; a Biella si principia a incontrarli appunto a questo tempo, ed essi accennano agli ordinamenti comunali ormai in- trodotti o prossimo ad attuarsi. I consoli compariscono soltanto più tardi. Non trascura l’A. la ricerca etnografica, basandosi sulle pro- fessioni di legge. Egli non ignora le obbiezioni che in qualche caso si possono fare sul significato di una professione di legge, ma pur sa che, nella considerazione di molte professioni, gli errori mutuamente si elidono, così che per questa via si può pur sperare di giungere ad un buon risultato. I documenti che egli esamina, sono abbastanza numerosi e vanno dal 988 al 1197, ed essi provano che l'elemento etnografico preponderante era il romano, ma erano abbastanza forti anche gli elementi longo- bardo e salico. Assai per tempo si trovano nelle carte alcune parole che accennano al volgare, che si andava costituendo e svolgendo. Così termina il nucleo del lavoro. Fa seguito una lunga nota dedicata a ricerche diplomatiche sulla composizione delle carte pagensi a Biella. Sono queste indagini importanti, in ispecie per la soluzione dei gravi quesiti che possono sorgere sull’autenticità dei documenti. Viene poi una scelta di documenti inediti (dal secolo XI alla fine del XIII), tolti e trascritti con cura dalle pergamene esistenti negli Archivi di Biella. A tutto questo segue un’Appendice, nella quale l'Autore tratta alcune questioni riflettenti i Vittimuli, la storia dei quali si collega intimamente colle origini di Biella. Quest’appendice si divide in vari paragrafi. Nel primo l’A. riassume in breve la discussione fatta intorno al passo di Strabone, dove è parola della aurifodina Vittimulense. Più importanti sono i paragrafi II, III e IV, nei quali l’A., seguendo il filo raccolto nel $ I, e facendo uso di fonti edite e inedite, nonchè dei risultati della PETE e E e —__ Co —r———m————m——————m——@—@—@ rr —_— 435 ispezione locale da lui stesso fatta, e mettendo fra loro a riscontro notizie archeologiche e diplomatiche, rifà la storia del pago e del castello dei Vittimuli tra l’età classica e l’età medioevale. A parere dei sottoscritti il lavoro del D." Schiaparelli reca veramente nuova luce sulle origini del Comune Biellese, sia per i documenti inediti da lui studiati, sia per il metodo scientifico con cui esaminò gli atti già conosciuti. Essi ritengono quindi che il lavoro del D" Schiaparelli possa venir letto alla Classe. Torino, 2 febbraio 1896. BoLLaTI DI ST-PIERRE DomENICO PERRERO C. CrpoLLa, Relatore. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. _AVINA__— PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 12 al 26 Gennaio 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. ** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F., Heft 17, Atlas. Berlin, 1895; 8° e 4°. * Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. II. Frankfurt a. M., 1895; 4°. * Almanach der k. Akademie der Wissenschaften. 1894. Wien, 1894; 8°. * American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana. 4* ser., Vol. I, n. 1. New-Haven, 1896; 8°. * Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). Tomo VII, Entr. 4%. Montevideo, 1895; 8°. * Annales de la Société Royale Malacologique de Belgique. T. XXVII, Ann. 1892. Bruxelles; 8°. Annuario publicado pelo Observatorio do Rio de Janeiro para o anno de 1895. Rio de Janeiro, 1894; 8°. * Atti della Società toscana di Scienze naturali residente in Pisa. Memorie, vol. XIV, 1895; Processi verbali, vol. IX, pp. 243-310. * Berichte der Naturforschenden Gesellschaft zu Freiburg I. B., IX Bd., 1894-95; 8°. * Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1894, n. 4. Moscou, 1895; 8°. * Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle, année 1895, n. 7. Paris, 1895; 8°. Bulletin of the United States Geological Survey, n. 118-122. Washington, 1894; 8° (dal dipartimento dell'Interno, U. S. geological survey). * Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1894, t. XII, n. 4-6; suppl. au T. XI Bibliothèque Géologique de la Russie, 1893. St-Péters- bourg, 1894; 8°. Calendario del Santuario di Pompei per l’anno 1896. Valle di Pompei; 16°. * Denkschriften der k. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-natur- wissenschaftliche Classe. Bd. 61. Wien, 1894; 4°. Geologic Atlas of the United States. Fol. 1-6, 8-12. Washington, 1894; f° (dono del Governo degli Stati Uniti d’ America). * Journal of Comparative Neurology; Vol. VI, pp. 139-214 + XLIII-CII. Cincinnati, Granville, Ohio, 1895; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 437 * List of the Members of the R. Irish Academy, 1895. Dublin; 8°. * Mémoires de l’Académie Imp. des Sciences de St.-Pétersbourg. Classe physico-mathématique. 7° série, t. XLII, n. 7-12; 8° série, t. I, n. 1-8. St.-Petersbourg, 1894; 4°. * Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. XIV, n. 1. St-Pétersbourg, 1895; 4°. * Memoirs of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XVIII. Cambridge U. S. A., 1895; 4°. * Memoirs of the California Academy of Sciences. Vol. II, n. 4. San Fran- cisco, 1895; 4°. Monographs of the United States geological Survey, vol. XXIII, XXIV. Washington, 1894; 4° (Department of Interior). * Proceedings of the Royal Irish Academy. Third series, vol. III, n° 4. Dublin, 1895; 8°. * Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 353. London, 1896; 8°. * Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1395. Part III. London; 8°. * Proceedings of the Academy of natural Science of Philadelphia. Part ], 1895; 8°. * Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia. Vol. XXXIV, n. 147. Philadelphia, 1895; 8°. * Proceedings of the California Academy of Sciences. 29 Ser., vol. IV, part 2. San Francisco, 1895; 8°. * Procès-Verbaux des séances de la Société Malacologique de Belgique. T. XXIV, 1895, pp. I-LXXXIV. Bruxelles; 8°. Report (14 Annual) of the United States Geological Survey 1892-93. Washington, 1893-94, 2 vol. in-4°. Scuola di Agricoltura presso la R. Università di Torino. A. II, 1395-96; 8° (dal Comizio Agrario di Torino). * Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-natur- wissenschaftliche Classe. CITI Bd., Abth. I, n. 4-10; II a, 6-10; II b, 4-10, III, 5-10. Wien, 1894; 8°. * Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 12. Modena. 1895; 8°. * Transactions of the R. Irish Acad. Vol. XXX, part XV-XVII. Dublin, 1895; 4°. * Transactions of the Zoological Society of London. Vol. XII, par. 11. 1895; 4°. * Transactions ofthe American Philosophical Society, held at Philadelphia. Vol. XVIII, N. 5, Part. II, 1895; 4°. * Transactions of the Wagner Free Institute of Science of Philadelphia. Vol. 3, p. III. 1895; 4°. * Transactions of the Academy of Science of St-Louis. Vol. VI, n. 18; VII, n. 1-3. 1895; 8°. Gambera (P.). Delle proprietà dei miscugli dei gas perfetti. Salerno, 1895 (dall’A.). 438 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne. Dal 19 Gennaio al 2 Febbraio 1896 * Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 1. Leipzig, 1895; 8°. * Annuario della R. Accademia dei Lincei, 1896. Roma; 16°. Annuario della R. Università degli studi di Torino per l’anno accademico 1895-96. Torino, 1896; 8°. * Archiv fir òsterreichische Geschichte. Herausg. von der zur Pflege vater- lindischer Geschichte aufgestellten Commission der k. Akad. der Wis- senschaften, B. 81, 2 Halfte. Wien, 1895; 8°. Atti dell’Accademia Pontaniana. Vol. XXV. Annuario pel 1896. Napoli, 1895; 4° e 16°. * Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, Appendice. Venezia, 1895; 8°. * Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the Asiatic Society of Bengal. New series, n. 860-865, 867; Catalogue of the Persian Books and Manuscripts. Fasc. III. Calcutta, 1895; 8° e 4°. * Boletin de la Real Academia de la Historia; t. XXVII, cuad. I. Madrid, — 1896; 8°. * Foutes rerum aastriacarum. Esterreichische Geschichts-Quellen. Herausg. von der Historischen Commission der k. Akad. der Wissenschaften in Wien. XLVII Bd., 2 Halfte 1894; 8°. Monumenta Conciliorum generalium seculi decimi quinti. Concilium Basi- leense. Scriptorum, t. III, pars III. Vindobonae, 1895; 4°. * Sitzungsherichte der k. Akademie der Wissenschaften. Philosophisch- Historische Classe. CXXXI Bd., Jahr. 1894. Register zu den Banden 121 bis 130. Wien, 1894; 8°. * Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XVI, fasc. 4°. Roma, 1895; 4° (dall’ Accademia di Conferenze Storico-giuridiche). Lilla (V.). Di un precursore sconosciuto di Antonio Rosmini. Napoli, 1895; 4°. Marre (A.). Vocabulaire des principales racines Malaises et Javanaises de la langue Malgache. Paris, 1896; 3°. Piette (Ed.). Hiatus & lacune. Vestiges de la période de transition dans la grotte du Mas-d’Azil. Beaugency, 1895; 8° (dall’A.). Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. Rec’d.£8 July--12 Sapt. 1896 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 9 Febbraio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: Berruti, FeRRARIS, Mosso, SPEZIA, Giacomini, Segre, VoLtERRA, JADANZA e NaccarI Segretario. Viene letto ed approvato il verbale della precedente adu- nanza. Il Segretario comunica la lettera di ringraziamento inviata dal Prof. MrrrA6-LEFFLER recentemente eletto Socio Corrispon- dente. Il Socio D’Ovipio presenta una nota del Socio nazionale non residente BrroscHI intitolata: “ Il risultante di due forme binarie biquadratiche e la relazione fra gli invarianti simultanei di esse ,, e ne parla. La nota ha forma di lettera diretta al Socio D’OvipIo; sarà inserita negli Atti. Il Socio SeGrE, membro della Commissione incaricata di esaminare una memoria del Prof. Rodolfo BerTAZZI intitolata: “ Fondamenti per una teoria generale dei gruppi ,, annunzia che l’autore ha ritirato quella memoria. Lo stesso Socio presenta quindi una nota del medesimo autore la quale porta il titolo: Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 32 440 «“ Sulla catena di un ente in un gruppo ,, ed è estratta dalla memoria anzidetta. Sarà inserta negli Atti. Vengono pure accolti per l'inserzione negli Atti le note seguenti: “ Sui principî che reggono la geometria di posizione », nota del Prof. Mario Pieri, presentata dal Socio NAccARI a nome del Socio Peano. “ Osservazioni meteorologiche fatte durante l’anno 1895 all'Osservatorio della R. Università di Torino , calcolate dal Dott. G. B. Rizzo, presentate dal Socio NaAccarI. FRANCESCO BRIOSCHI — IL RISULTANTE DI DUE FORME, ECC. 441 LETTURE IMrisultante di due forme binarie biquadratiche e la relazione fra gl’invarianti simultanei di esse. (Lettera di F. BRIOSCHI ad E. D’OVIDIO) (*). Preg."° Collega, Il prof. Bertini nel 1877, Ella nel 1880, si occuparono del sistema simultaneo di due forme binarie biquadratiche, e delle relazioni o sigizie esistenti fra gli invarianti ed i covarianti simultanei delle forme stesse. Nel volume XV degli Atti di codesta Accademia, Ella ha fatto conoscere la relazione esi- stente fra gli otto invarianti simultanei delle due forme, rela- zione di sesto grado rispetto ai coefficienti dell’una e dell'altra forma. Il Bertini, iniziatore di queste ricerche, aveva già dimo- strato che una sola relazione poteva esistere fra quegli inva- rianti; ma, rispetto al grado di essa, i risultati non coincidevano, mentre pel Bertini saliva al dodicesimo, per Lei, come già dissi {#) Mi tengo onorato di comunicare all'Accademia, da parte dell’autore, la seguente lettera direttami dal socio Sen. F. Brioschi, nella quale l’illustre scienziato, applicando un suo recente ed importante teorema, perviene con rapidità ed eleganza a trovare simultaneamente il risultante di due forme binarie biquadratiche, espresse mediante i loro invarianti fondamentali e la relazione esistente fra gl’'invarianti medesimi. Altre notizie circa quest’ul- tima relazione, oltre quelle accennate dall’autore, si trovano nella mia nota “ Sopra alcune classi di sigizie binarie , (Atti Acc. Torino, v. 28). Ivi os- servai che la relazione, nella forma datale dall’egregio sig. B"° v. Gall, cer- tamente conteneva un fattore superfluo, e sospettai che questo fosse D (se- condo la notazione, da lui e da me adottata); e così credette poscia anche il v. Gall. Ma qui il Prof. Brioschi trova che il fattore superfluo è D I (secondo la mia notazione), ossia D — È AA (secondo la notazione del v. Gal). E. D'0. 442 FRANCESCO BRIOSCHI al sesto, e più tardi, cioè nel 1888 (“ Mathematische Annalen ,, Bd. XXXIV, pag. 335) il sig. v. Gall la dichiarava dell’ ottavo grado. , Un teorema che ho di recente comunicato alla Società Scientifica di Erlangen, sulle soluzioni comuni a due equazioni, potendo trovare opportuna applicazione anche a ricerche di questa specie, mi indusse a ritornare sull'argomento, nello scopo altresì di chiarire con un esempio il nuovo metodo. Come si vedrà più avanti questo metodo conduce diretta- mente all’unica relazione esistente fra gli otto invarianti simul- tanei, e questa relazione è del sesto grado. Ma prima parmi opportuno dimostrare che la relazione del sig. v. Gall non è che apparentemente del grado ottavo, ma che essa riducesi al sesto, e precisamente a quella già da Lei calcolata (*). Sieno g, w le due forme binarie biquadratiche, ed a, c i due covarianti di esse: 1 1 a= (99 _e=3 (Yy: Definisco gli otto invarianti simultanei come segue: 1 1 A= > (pp), C= 9 (yy), E= (yi, K= (ac), D= (pe), A=(ya,, G=(ga,, H= (yo); e pongo: 6KT—-.AC= P, E° — 4AC=Q 2HA—D)=U DA—GH=V 2(6D—A)=W inoltre: 1=P_1Q m=—DE+CA+AH, n=4E—AD_—06 1 Ng > DX x=—10P+U, u=xEP+V, v=—gAP+W. (*) Con analoga calcolazione, ma più complicata, può ottenersi il me- desimo risultato per la relazione del prof. Bertini. IL RISULTANTE DI DUE FORME BINARIE BIQUADRATICHE, Ecc. 443 Indico infine con L e con M i due determinanti: ACHE O VER LATE EV IST, Ome, 1 MO # mi w ee ed osservo che: = 1 ma 9 mn Ro 2 m DA n VW eguale cioè al determinante M nel quale siasi posto P= 0. Ora la espressione denominata R nella citata memoria del sig. v. Gall, è la seguente: risulta quindi che nella sua relazione: 2R° —M=0 i termini indipendenti da P spariscono, e la relazione stessa divisa per P diviene del sesto grado. Essa prende così la sem- plice forma: 8P° — 3QP° — 3.4(3P — QQL'— 3°.4.(UW — V°) — — 3.4(Am° + Emn + On°)= 0. , A A questa relazione si giunge direttamente nel seguente 444 FRANCESCO BRIOSCHI modo. Supponiamo che le equazioni p(x)= 0, y(a)=0 am- mettano una soluzione comune y, e sia: pla=((e-ya), ya =e—- NB. Pel teorema che ho sopra citato un invariante simultaneo delle forme ®, w, invariante (p, 9, 0) si esprime in funzione di invarianti e covarianti simultanei delle forme a, $, funzione (2,9% Pt 9. Infatti, fra le 26 forme le quali costituiscono il sistema completo di due simultanee forme cubiche, considerando le undici: 1 a,B, h= 3 (ac), g= (a, k= (B8:, 5=(08) t=2(ch), t=2(B%), «== 2(0%), ve=2(B4), J= (08) cioè dieci covarianti ed un invariante: trovasi che i valori degli otto invarianti simultanei delle forme biquadratiche ®, yw, sono: 5) 1 1 D= E (IR8_-34), A=— <&(Jd +30) 3 b) 1 3 (c nei quali covarianti, alla x intendesi sostituita la soluzione co- mune y. Ora il sig. v. Gall ha dimostrato (“ Mathem. Annalen ,, Bd. XXXI, pag. 438) che fra quelle undici forme sussistono le quattro relazioni: tB- va — 2h3=0 ta —- uB+ 2ks=0 st= ga — ka° — hp°, ua — oB=JaB — g3 e non altre. Sostituendo nelle medesime pei sette covarianti È, g, £, u, v, t,t, i valori dedotti dalle equazioni superiori si deducono @ Mai" dele IL RISULTANTE DI DUE FORME BINARIE BIQUADRATICHE, ECC. 445 quattro relazioni fra gli otto invarianti A, E, C..... ele Ja, JB; e quindi dalla eliminazione di queste ultime, due relazioni fra gli otto invarianti. L’una di esse è del quarto grado (4, 4, 0), ed è il valore del risultante delle due forme @, w, da Lei pub- blicate negli Atti di codesta Accademia nel gennaio del 1880, risultante che nel caso attuale deve annullarsi. L'altra è la relazione (6, 6, 0) fra gli otto invarianti simultanei, della quale già dissi sopra. Posto: Ja=4p, Jg=54g, /T=pP.Q nell'ultima delle quali le P, Q, hanno i valori indicati sopra, le quattro relazioni sono: p+ 4A4p—4Gg=AT g—4Dq+4Hp=CT 3 9 il Cp° — Epg + Ag=- T°, pag = ET + 4(A4g—Dp). Sostituendo nella terza i valori di p°, pg, 9° dati dalle altre tre si ottiene la: mp + nq = — 5 TBT+ 8Q) e dalla eliminazione delle pa, p9° le altre due relazioni lineari ITm=|£U+ ro]p+[e#.v_-t TE ]q ITn=|£V-1 TE |p so) [#w+TA] q Moltiplicando la prima di queste per p, la seconda per 9, osservando essere: Up' + 2Vpg + Wg*== TL 446 RODOLFO BETTAZZI si giunge per la precedente alla: 3T?-+ 4TQ+ 2.4L= 0 o sostituendo il valore di T, alla: 5 1 3_ P Ae A sie e + 6L=0 risultante delle due forme ©®, y. La eliminazione delle p, g, riconduce alla relazione (6, 6, 0), quando si tenga conto della precedente. Aggradisca, caro Collega, i miei affettuosi saluti. Sulla catena di un ente in un gruppo; Nota di RODOLFO BETTAZZI. Per la brevità e chiarezza del linguaggio premettiamo alcuni schiarimenti e definizioni. a) In tutto quello che segue la parola gruppo indicherà un gruppo di enti di natura qualunque. Useremo in generale pei gruppi le denominazioni proposte dal Dedekind nel suo opuscolo: “ Was sind und was sollen die Zahlen ,; dove dovremo aggiungerne o modificarne qualcuna, sarà detto esplicitamente. 5) Diremo legame di più gruppi (Gemeinheit del Dede- kind (1)) il gruppo di tutti e soli gli enti ad essi comuni. c) Diremo che due gruppi G, e G, sono in corrispondenza, quando sia data una rappresentazione simile (2) di G, su una parte, propria o no, di G,, o di G, su una parte di G,. In tale rappresentazione un ente e la sua immagine si diranno corri- (1) DepekInp, Was sind und was sollen die Zahlen (Braunschweig, 1888), N. 17: (2) DepEKIND, /. c., N. 21, 26. | ; SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 447 ‘spondenti: gli enti di un gruppo che non hanno corrispondenti, si diranno isolati. Î d) Se in una corrispondenza di un gruppo G con sè stesso l’immagine di una parte G' di G (che può constare anche di un ‘solo ente) è lo stesso G', diremo che in tale corrispondenza G' è un ciclo, che sarà parziale se G' è parte propria di G. Se nessuna parte propria di un ciclo è ciclo essa stessa, | diremo semplice il ciclo. e) Diremo sviluppabile il gruppo che il Dedekind dice in- finito (unendlich (1)), cioè quello che è simile ad una sua parte propria. 1. — Sia una parte G, di un gruppo G simile ad un’altra G, dello stesso gruppo (distinta o no da essa) in una corrispon- denza a di G (o di una sua parte) con sè stesso. Se a è un ente di G,, si indichi con ca il suo corrispondente in G,, e se d è di G,, sia td il suo corrispondente in G,. Possono esistere in G enti privi di ente 0, o di ente , o di entrambi. Si indichi con (@)c ogni gruppo parte di G, che contenga un ente a di G, e che, se contiene un ente di G, contenga anche il suo ente 0 (quando questo esiste). Def. 1°. — Diremo catena di a in G rispetto al criterio 0 il legame di tutti i gruppi (a)c (2). La catena di un ente a esiste sempre, e si riduce ad « quando non esiste ca. — Essa pure è un gruppo (a)c, e nessun altro gruppo (a)c è sua parte propria. Definizione analoga può darsi rispetto al criterio q. Def. 22. — Diremo opposti i due criteri 0 e , ed opposte le due catene di un medesimo ente rispetto a due criteri opposti. 2. Trorema. — Se bh è un ente della catena di a fatta in G rispetto al criterio 0, la catena di b pure rispetto a 0 è parte di quella di a. (1) DepegINp, 2. c., N. 64. La ragione di questo cambiamento di nome sta in ciò, che, come conto di mostrare in un’altra nota, è da modificare, ampliandola, la definizione che il Dedekind dà del gruppo infinito. (2) Il Depexinp (!. c., N. 44) parla di catene anche nelle corrispondenze non simili; ma si restringe a quelle che diremo illimitate (cfr. $ 3 di questa Nota). 448 RODOLFO BETTAZZI . Altrimenti il gruppo legame delle due catene sarebbe un gruppo (0) che non conterrebbe come parte l’intera catena di 5. 3. TEOREMA. — In una catena può esistere al più un ente, del quale non vi sia in essa lente 0, ed al più uno privo in essa di ente ©. 1° Se T è catena di « rispetto al criterio 0, e d è di e non è a, qualora in T non esistesse tb, sopprimendo è in resterebbe un gruppo (a)c di cui l non sarebbe parte ($ 1). Dunque il solo ente @ può esser privo di ente rm. 2° Se b è un ente che in l è privo di ente o, si costruisca la catena l' di è in l rispetto al criterio m. Essa, se contiene un ente di F ne contiene il m, e quindi se non contiene un ente non ne contiene il 0: perciò, se non contenesse a, non conter- rebbe intera la catena f di a, e in conseguenza neppure d. Dunque l’ contiene a. Ma per la 1% parte già dimostrata nel- l’attuale teorema un solo ente di [" può esser privo di o (es- sendo t il criterio di M) e questo è 5, dunque l’ contiene « e il o di ogni ente che contiene, quando esiste, e in conseguenza ($ 1) contiene l, con cui dovrà perciò coincidere. È dunque vero per T ciò che si è detto ora per l, ossia che il solo ente privo di ente 0 è 5. Osservazione. — In una catena di « rispetto al criterio 0, il solo ente che può esser privo di t è a: nella catena rispetto a t, a è il solo ente che può essere privo di o. Def. — Una catena fatta rispetto al criterio o si dirà limi- tata od illimitata, secondochè esiste in essa o no un ente privo di ente 0; aperta o chiusa secondochè esiste in essa o no un ente privo di ente T. CoroLLaRIO. — Una catena aperta illimitata è un gruppo sviluppabile (e). 4. Trorema. — Se la catena F di un ente a presa in G ri- spetto al criterio 0 non consta di un solo ente ed è chiusa, è ca- tena chiusa anche rispetto al criterio mi, ed in entrambi gli aspetti è illimitata. | Essendo F chiusa ($ 3, Def.), essa contiene l’ente mt di ogni proprio ente. Costruendo in G la catena l” di a rispetto al criterio t, essa dovrà dunque far parte di T. ieri A dint rr e SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 449 Inversamente deve T essere parte di MT". Ed invero [” con- tiene a. Inoltre contiene l’ente o di ogni ente, eccetto al più a ($ 3. Teor.), essendo fatta rispetto al criterio t; ma contiene anche ca, altrimenti se mancasse in essa ca, mancherebbe l’ente o di 0a (di cui ca è ente T) ed in generale mancherebbe il 0 di ogni ente che in essa manca, e quindi mancherebbe tutta la catena T, eccetto a, il che è assurdo, poichè ma che è di T (es- sendo F chiusa e non constando di un solo ente a), è anche di [". Si conclude che F' contiene a e l’ente o di ogni ente che contiene, e quindi tutto T. I gruppi el’ sono ciascuno parte dell’altro, e quindi sono identici, come si doveva provare. Inoltre F', e quindi anche T, contiene l’ente o di ogni suo ente: così [, e quindi [', contiene l’ente t di ogni suo ente; perciò T el’ sono entrambi illimitate, c. d. d. Cor. 1°. — Ogni catena chiusa non di un solo ente coincide colla propria opposta. Cor. 2°. — Ogni catena limitata è aperta. Cor. 3°. — Una catena chiusa è un ciclo (d) nella corrispon- denza da cui essa nasce. 5. TroREMA. — Nella corrispondenza da cui nasce una catena, nessuna parte propria della catena è un ciclo. Invero, se T è catena di a ed è T' un suo ciclo, l” non deve contenere a, altrimenti conterrebbe l’intero T, di cui invece è parte propria. Inoltre F' non può contenere l’ente o di nessuno degli enti che esso non contiene, cioè non contiene nessun ente di T, mentre al contrario dev’essere costituito con enti di T. Un tale ciclo dunque non esiste. Cor. 1°. — Ogni catena chiusa è un ciclo semplice nella cor- rispondenza che l’ha prodotta ($ 4, Cor. 3°). Cor. 2°. — Il gruppo composto di due catene opposte di un medesimo ente a ($ 1. Def. 2?), che siano entrambe illimitate, è un ciclo semplice nella corrispondenza da cui nascono le catene. 6. Trorema. — Una catena chiusa T di un ente a in un gruppo G è in esso catena di uno qualunque dei propri enti rispetto allo stesso criterio ed all'opposto. 450 RODOLFO BETTAZZI Infatti, se è catena di a rispetto al criterio o e d è ente di F, si ha che l contiene la catena T' di 5 rispetto a o ($ 2. Teor.). Ma se l’ contiene un ente, contiene il suo ente 0, e quindi se manca di un ente, manca anche del suo ente t, dato anche che questo esista; e siccome se non contenesse a, dovrebbe per tal ragione mancare di tutta la catena di a rispetto a m, che è T stessa ($ 4. Teor.), e quindi anche di 5, il che è assurdo, così si conclude che contiene l’ente @ e quindi ($ 2. Teor.) la catena [ di a. Dunque T e l' si contengono a vicenda, cioè coincidono c. d. d. Così dicasi della catena di d rispetto a m. 7. Trorema. — Se in una corrispondenza priva di ciclì un gruppo G ha per immagine una sua parte propria, esso si può spezzare in un gruppo di catene aperte ed illimitate di enti di G. Sia G' la parte propria di G, sua immagine nella corrispon- denza a, e G, il gruppo degli enti di G, che non sono enti di G”. Diciamo o di un ente di G la sua immagine: ogni ente di G ammette l’ente 0, ogni ente di G' l’ente t, gli enti di G, sono privi di n. Si costruisca la catena, rispetto a 0, di ciascuno degli enti di Gy: tali catene sono chiaramente aperte ed illimitate. Allora 1° “Due catene F, e T, di due enti distinti a e è di Gy non possono avere enti comuni ,. Altrimenti 5 non essendo di F, nè « di T,, giacchè a e d non hanno ente ($ 3. Oss.), il legame di F, e T, se esistesse, sarebbe composto di enti aventi ciascuno l’ente t e l’ente 0, e quindi costituirebbe un ciclo nella corrispondenza contro l’ipotesi. 2° “ Ogni ente di G deve trovarsi in qualcuna delle ca- tene ora costruite ,. Infatti gli enti di G, vi si trovano per costruzione. Gli altri sono quelli che ammettono in G il proprio o ed il proprio n: talchè se un ente mancasse in tutte quelle catene, mancherebbe pure il suo 0 ed il suo m. Il gruppo degli enti mancanti in tutte quelle catene, se esistesse, costituirebbe un ciclo nella corrispon- denza, contro l'ipotesi, e quindi non esiste. Cor. 1°. — Se p è un ente di G, e G ha per immagine il gruppo degli enti di G distinti da p in una corrispondenza priva di cicli, sarà G catena aperta illimitata di p in tale corrispondenza. n POI I I n TO SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 451 Cor. 2°. — Se in una corrispondenza un gruppo ha per im- magine una sua parte propria, esso, rispetto a quella corrispon- denza, si spezza în un gruppo di catene aperte illimitate e di cieli. 8. TrorEMA. — Se in una corrispondenza a un gruppo G è un ciclo semplice (d), esso in questa corrispondenza 0 è una catena chiusa, 0 sì spezza in due catene aperte illimitate di criteri opposti. L'immagine di un ente di G si dica suo ente 0; di ogni ente di G esisterà allora l’ente o e l’ente m. Si costruisca la catena l rispetto al criterio o di un ente qualunque a di G. Se essa è chiusa, dev'essere identica all’intero gruppo G, altrimenti ($ 4. Cor. 3°) sarebbe un ciclo parziale nella corrispondenza, che non esiste per ipotesi, essendo G un ciclo semplice. Il teorema allora è provato. Se l è aperta, è anche illimitata, non essendovi ente privo di o. Essa allora non è identica a G, mancando almeno di ta ($ 3. Def.). In essa manca l’ente mr di ogni ente che vi manca, perchè se un ente vi comparisce, vi comparisce anche il suo o: dunque fra gli enti di G, che mancano in esso, vi è ta ed il t di ogni ente che manca, talchè il gruppo l’ degli enti di G man- canti in l è un gruppo (ma)z ($ 1). ET è precisamente catena di ta rispetto al criterio t, giacchè altrimenti una tale catena sarebbe illimitata e parte propria di [", ed il gruppo composto di essa e di l costituirebbe un ciclo parziale, contro l’ipotesi. Dunque l’intero gruppo è composto di T e di l', catene illimitate rispetto a criteri opposti c. d. d. Cor. — Se rispetto ad una corrispondenza in cui è ciclo sem- plice, un gruppo non è catena chiusa di nessun suo ente, il gruppo è sviluppabile ($ 3. Cor.). Passiamo ora ad occuparci della ordinabilità delle catene. f) Per le definizioni relative ai gruppi ordinati e bene ordinati prenderemo quelle del Cantor, rese complete dal prof. Burali-Forti, nella sua Nota: “ Sulle classi ordinate ed i numeri transfiniti , (1) colle leggiere modificazioni che accen- neremo. (1) Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo VIII. 452 RODOLFO BETTAZZI g) In un gruppo ordinato ammetteremo che possano esistere un ente senza precedenti ed uno senza seguenti. Cre- diamo conveniente adottare quindi la seguente distinzione: Diremo limitati i gruppi ordinati, in cui esiste un ente senza precedenti ed uno senza seguenti: illimitati gli altri. h) Per i gruppi bene ordinati renderemo un poco più generale la definizione del prof. Burali-Forti, e così: Un gruppo si dirà dene ordinato rispetto a 0 (0 a T) quando sia ordinato, e di ogni ente, che ammette seguenti, esista l’im- mediatamente seguente (o di ogni ente, che ammette precedenti, esista l’immediatamente precedente). i) I gruppi bene ordinati illimitati, in cui esiste un ente privo di precedenti, e quindi (9) nessuno privo di seguenti, ed ogni ente abbia l’immediatamente seguente, — e analogamente quelli in cui esiste un ente privo di seguenti e non ve n’è nes- suno privo di immediatamente precedente, si diranno ad un senso (risp.: rispetto a 0 od a q). Quelli in cui non vi sono enti privi di precedenti, nè enti privi di seguenti, e, perchè bene ordinati, ammettono l’immedia- tamente seguente o l’immediatamente precedente di ogni ente, si diranno @ due sensi (risp.: rispetto a 6 od a n). j) Nei gruppi bene ordinati, in cui ogni ente, tranne al più uno, ha l’immediatamente seguente, diremo (quando esi- stono) originario l’ente senza precedenti, finale quello senza seguenti: in quelli in cui al più uno è privo di immediatamente precedente, diremo invece inversamente originario l'ente senza seguenti e finale quello senza precedenti, quando esistono. 9. Lemma 1°. — Dato un gruppo G, di cui p è un ente, se G ha per immagine G-p (gruppo degli enti di G distinti da p) in una corrispondenza a priva di cieli, esso è bene ordinabile e può dare origine ad un gruppo bene ordinato illimitato ad un senso (1). Se a è un ente di G, si indichi con 0 a il suo corrispondente a' in G-p, ed allora a si indichi con ta’. Esisterà il o di ogni ente di G, ed il tr di ogni ente di G, eccetto di p. (1) Di questo lemma e del seguente non si riporta per disteso la lunga ma non difficile dimostrazione, che si troverà completa in una nostra ulte- riore pubblicazione: Fondamenti per una teoria generale dei gruppi. SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 458 Si definisca allora il gruppo dei seguenti di un ente qua- lunque a di G come il gruppo composto di tutti i gruppi pos- sibili, formati con enti di G,in modo che: 1° non contengano da; 2° contengano 0 4; 3° se contengono un ente di G, contengano anche il suo ente 0 (quando esiste). Si vede senza difficoltà che tali gruppi esistono, e che obbe- discono a quelle condizioni che sono richieste nel concetto di se- guente affinchè il gruppo si dica ordinato; inoltre che di ogni ente esiste l’immediatamente seguente e di p non esistono precedenti. Il gruppo apparisce quindi bene ordinato, illimitato ad un senso. Lemma 2°. — Dato un gruppo G, che sia ciclo semplice in una corrispondenza @, esso è bene ordinabile e dà origine sempre ad un gruppo bene ordinato limitato, ed in alcuni casi anche ad un gruppo bene ordinato, illimitato a due sensi. Sia p un ente di G e 9g l’ente di cui p è immagine, che è distinto da p in causa della mancanza di cicli parziali. Essendo G immagine di sè stesso nella corrispondenza a, per ipotesi, G-q avrà per immagine G-p. Indico, come nel caso precedente, con ca l'immagine d' di un ente di G-g, e con ta' l'ente a. Esisterà il 0 di ogni ente di G tranne di g, e il n di ogni ente di & tranne p. Il gruppo dei seguenti di un ente si definisca come nel lemma precedente: il gruppo sarà così ordinato. Inoltre, di ogni ente diverso da g esiste l’immediatamente seguente, e di ogni ente che non è p l’immediatamente precedente: il gruppo dato sarà così bene ordinato e limitato, con p ente originario e 9 ente finale. Si costruisca la catena G, di p rispetto al criterio o. Se essa non è identica all’intero gruppo, il gruppo G, degli enti restanti è catena di gq rispetto al criterio m. Dicendo tutti gli enti di G, seguenti a tutti quelli di G,, il gruppo resta ancora bene ordinato, ma illimitato ed a due sensi, tanto rispetto al criterio 0, quanto rispetto a T. Osservazione. — I casi dei due lemmi precedenti non si esclu- dono a vicenda necessariamente. 454 — RODOLFO BETTAZZI 10. TroreMmA 1°. — Una catena chiusa è bene ordinabile e dà un gruppo limitato. Infatti una catena chiusa è un ciclo semplice nella corri- spondenza che l’ha prodotta ($ 5. Cor. 1°): quindi potrà ordi- narsi producendo un gruppo bene ordinato, limitato, avente per originario un ente qualunque di essa, e per finale l’ente m di tale ente ($ 9. Lemma 29). Osservazione 1°. — Non è possibile il secondo ordinamento in gruppo illimitato, a cui si accenna nel Lemma 2° del $ 7, giacchè la catena di un ente qualunque di una catena chiusa è di nuovo la catena stessa ($ 6. Teor.) e quindi non ne è parte propria. TroreMA 2°. — Una catena aperta limitata è bene ordinabile e dà origine ad un gruppo limitato. CS Infatti se « è l’ente di cui T è catena rispetto al criterio 0 e 5 quello privo di ente 0, dicendo a immagine di 5, si ottiene una corrispondenza in cui T è immagine di sè stesso, che non ammette cicli parziali, non esistendo tali cicli in M rispetto alla corrispondenza che produce la catena ($ 5. Teor.). Allora in tale corrispondenza è un ciclo semplice, e quindi ($ 9. Lemma 2%) è bene ordinabile in un gruppo limitato, avente per originario @ e per finale d, o per originario un altro ente qualunque diverso da a e per finale l’ente tra. Osservazione 2°. — È facile vedere come neppure in questo caso è possibile l'ordinamento in gruppo illimitato, di cui parla il Lemma 2° del $ 9. TroreMA 3°. — Una catena aperta illimitata è bene ordinabile e dà un gruppo illimitato ad un senso. Infatti se T è la catena in questione ed è catena di a ri- spetto p. es.: al criterio 0, di ogni ente esiste l’ente o e l’ente , eccetto per a, che è privo di t; fra e F-a vi è quindi una corrispondenza, nella quale T-a è l’immagine di T. Tale corri- spondenza è quella che produce la catena, e quindi è priva di cicli ($ 5. Teor.). Dunque ($ 9. Lemma 1°) la catena è ordina- bile e produce un gruppo illimitato e ad un senso, avente per originario a. Osservazione 32. — Non si esclude la possibilità di altri ordinamenti in questo caso. OTO e e vati ii ite rità entro iii vi i SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 455 11. — Dato un gruppo G bene ordinato rispetto a o (cioè tale che in esso ogni ente ammette l’immediatamente seguente tranne al più uno, il finale 8), e se il o di un ente si dice sua immagine, chiaramente si stabilisce una corrispondenza fra G e sè stesso, nella quale l’immagine di G o di G-5 è quella parte propria, che è costituita dagli enti di G, i quali ammettono un ente immediatamente precedente. Rispetto a tale corrispondenza si può costruire la catena di un ente a. Le catene di cui si parlerà nei teoremi seguenti s'intenderanno prese rispetto alla corrispondenza citata. Trorema 1°. — La catena di un ente a în un gruppo bene ordinato rispetto a 0 contiene soltanto enti seguenti di a. Infatti il gruppo degli enti non precedenti di a, che sono in T, contiene a, e, se contiene un ente, contiene anche i suo immediatamente seguente, e quindi l’intera catena. Cor. 1° — La catena di un ente a in un gruppo bene ordi- nato è aperta. Trorema 2°. — Se nella catena di un ente a in un gruppo bene ordinato manca un ente b seguente di a, mancano tutti i seguenti di b. Infatti, se nella catena l vi fossero anche enti seguenti di 5, sopprimendoli, resterebbe un gruppo contenente a, l’ente 0 di ogni ente che contiene (giacchè 5, unico ente immediatamente precedente a qualcuno degli enti soppressi che non sia fra essi, non esiste in l) e quindi un gruppo contenente intera la catena di a, il che è assurdo. Cor. 2°. — Se la catena di a in un gruppo bene ordinato contiene un ente c, che dev essere seguente di a ($ 11. Teor. 19) contiene tutti gli enti compresi fra a e c (seguenti di a e prece- denti di c). Cor. 3°. — Se la catena dell'ente originario di un gruppo bene ordinato limitato contiene lente finale del gruppo, essa coincide col gruppo; e quindi se essa non coincide col gruppo intero, non contiene l'ente finale, ed è quindi illimitata. 12. Trorema 1°. — In un gruppo G bene ordinato rispetto a 0, se si dimostra una proprietà per un suo ente a, e si prova Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 33 456 RODOLFO BETTAZZI — SULA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO che se essa è vera per un ente, lo è anche per il suo ente 6, tale proprietà resta provata per tutti gli enti della catena di a. Ed invero il gruppo degli enti di g che godono la data proprietà contiene a ed il o di ogni ente che contiene, e quindi contiene tutta la catena di a. Cor. 1° — Se un gruppo bene ordinato illimitato ad un senso o limitato è catena del suo ente originario, una proprietà dimo- strata per l’ente originario e che, supposta vera per un ente, si dimostri vera per il suo ente 0, è provata per qualunque ente del gruppo. Osservazione. — Il fatto indicato nel Corollario precedente non è che il principio d’induzione matematica (1). E vero il reciproco del Corollario precedente, cioè: TrorEMA 2°. — Se in un gruppo bene ordinato, limitato od illimitato ad un senso (rispetto a 0), vale il principio d’induzione, esso è catena del suo ente originario rispetto a 0. Infatti se un gruppo contiene l’originario a del gruppo in questione & e l’ente o di ogni ente di G che contiene, per il principio d’induzione supposto conterrà tutto G, e quindi G sarà comune a tutti i gruppi (a)c dei quali sarà il legame, e sarà perciò ($ 1. Def. 1?) catena di a. Cor. 2°. — La condizione necessaria e sufficiente che deve verificarsi in un gruppo bene ordinato avente un ente originario, affinchè valga in esso il principio d’induzione, è che esso sia ca- tena del proprio ente originario. (1) DepeKIND, /. c., N: 59, 60. MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC. 457 Sui principî che reggono la Geometria di Posizione; Nota 3* di MARIO PIERI. Trasformazioni segmentarie (*). $ 13. Essendo r,r' due rette projettive, col simbolo T,,w — da leggersi “ trasformazione segmentaria di r in r', — si rap- presenta ogni trasformazione Simile di r in r', la quale muti i punti d'un segmento in punti d’un segmento; conforme alla seguente definizione: P.1. r,r'e[1].9.T.r=(r"fm)Simote} a,b,cer.a-=D. .b-=c.c-=a.de(abc): Dazga. TdE (TATb TC) | (**). Alle trasformazioni segmentarie si collegano da una parte le affinità del PrANo (***), e da un’altra le corrispondenze ordi- nate di F. EnRrIQUES (****). (*#) Ved. le Note 1% e 2* già pubblicate in questi Atti (voli XXX e XXXI) con lo stesso titolo, e contenenti i $$ 1, 2,... 12. (#*) Il simbolo #'fr denota “ rappresentazione univoca di r su + ,. Simile è detta ogni trasformazione o rappresentazione “ che conserva i diversi ,, cioè che non può subordinare due individui fra loro eguali in r' a due fra loro diversi in 7: uveK.tevfu:dD::TeSim.=..z,yeu.a-=%:Igy.TE£-=Ty Def. (Ved. Prano, Not. de Log. Math., $ 26). Una relazione siffatta è alquanto più generale di quella che suol chiamarsi corrispondenza bdi-univoca, univoca în ambi i sensi, univoca e reciproca, cioè : uveK.09..telofu)Rec.=:Tevfu.Teufo Def. (Ved. Formul. de Math., I, $5P 22, dove è usato il segno “ sim , in vece del nostro “ Rec ,). (#**) “ Sui fondamenti della Geometria , nella “ Rivista di Matematica ,, vol. IV, pag. 77. (****) Loc. cit., $ 10. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. S8r 458 MARIO PIERI P.2 rirell).tel,e a;bjcer.ia= =, be = .der- (abc) ra —16:9.Tder'-(tatbIc)-11a 176 Teor. | Hp .P10$8:9:de(bea)o(cab).P1:9:tde(tbteTA) n n (teta td) . P1188:9. Th | P. Bi r,vt'el1).telpecceTa,zip.- 10,6T,5o Teor. ossia “ Il prodotto di due trasformazioni segmentarie è una trasformazione segmentaria ,. P/4 rePip. tel, l'a;sbicer a - ==» =, 3A =ta.b'=tb.c'=te.(a'd'e')uvra' vic'O(abe).c'elaca'): :p:h=(abc)nxe}a'=tr.e'e(aca) .. cie(abe). . ce (az). x) =T%:Ia, 1 e(acx,)} . K=(abc)-h Def. In altri termini “ Essendo r una retta projettiva, t una tras- formazione segmentaria di » in sè stessa, a,d,c tre punti di- stinti su r e a',b',c' i loro trasformati per t; e supposto inoltre che il segmento (a'd'c') stia con ambo gli estremi nel segmento (abc), e il punto c' nel segmento (aca'’): allora con h indiche- remo l’insieme di tutti i punti x di (a dc) soddisfacenti a queste condizioni: 1° che l’omologo ' di x giaccia sempre in (ac); 2° che se x, è un punto di (abc) tale che « giaccia in (aczi;), sempre il suo trasformato x," appartenga ad (acx;): di poi rap- presenteremo con k l'insieme di tutti quegli (abc) che non sono h,. Da questa definizione (e dai principî svolti nei $$ 8, 9, 10) trarremo alcune conseguenze, che fanno da introduzione allo studio dei gruppi armonici e delle omografie. Ps. HpP4:py;:h-=Adk>=A Teor. | © Hp PIP1,2,489::0,0,cer ‘al = iS .cl-=a'.a',c'elabe) 1a 10 (B) Hp.xer-(aca')-1a.a'=tx.(a).P5$8:09.: ce(ca'a). O O n SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 459 .-P3,14$8:09,:re(abce).P1:09,:2'e(a'd'e’). P14$8: :Iri(a'c'e') o (abe).(2°%)P1389:09,:2'e(aca'). x,x'e (ade) (1), Hp.xer-(aca')-10'. (a). P6,3$8:0:ce(caa’). P25$8: ‘9x5. 2'e(aca) (©) Hp.xer-(aca')-1a-10'. (a) . (8). (M.(77)P989:0. . c'e (aca) (2) Hp(d). 2, =T2;. zie(abe). we(acz:) . (8). (1) .P1,2,4$8. . (00) P9 89: Mercia nic. d'e(aca:). (a). « (C9)P2 8910 ere (aca’) ra nno. (0) è Daa - . ee (acxi) (n) Hp.(B).(è).(z).P4:9:r-(aca')-1a —1u'9h.(0). PS $8: Fa LT (2) Hp.yer= (ca) ie nio. y'=ry. (ELET) )(0) . (a) . P3, 95 $8:0,:y,y'e(cba) . y'e(cay) .(Ct4)P2 $9 . P1,2,4$8: :diy = e(cay).y'er ciccia. (74) P22 88:09:49 = -— e(acy).P4:9,.ye(abe)— h (A) Hp.(2).P4:9:r-(cac')-1c-1c'ok.(a).P8$8:9.Kk-=A Hp .(n.(1):09. Th | In secondo luogo si proverà che “ sotto le stesse ipotesi della P4, un punto « di h e un punto y di k, comecchè presi ad arbitrio, soddisfano la relazione ye (ac) ,; ossia che: Pb HpP4.09..xeh.yek:09,y.ye(aca) Teor. |(@) Hp.x,,23e(abc).z,](acxo).ce(acx,) .PI SI: Or,znz - CE(ACV9) (B) Hp.1a-18.P2:9a: :2'er-(a'c'a')-12.(0)P5.(©)P17$9:09,:2'er-(acz')- e. (£#)P10S9:0,:2'7(acr'). (£-7:)P9 SI: I: Ze(aca'). .- (#7)P2 89 :09,:2'—e(acx). P4 :9..2-eh AO 1 TO _—_———— —'——_@ eni SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 461 (r) Hp(a).. ue(abe) . ze(acu): p,. eh ::9:. ver (202) — 12-12. (0) :0-. ceh (9) Hp.ze(abc). e =t2:9...rer- (02) >>. xeh.(p): :9,.8-€(acz') (£) Hp(d).'. ve(abde) . ze(acu) : 9, .veh::9... cer (202) — -izoiz.e-eh.(1):9,:-4-€e(ac2') Sommando membro a membro le deduzioni (è) e (£) dopo aver moltiplicato a sinistra l'una per la proposizione (condizionale ine)ae-=2'..ue(abc). ze(acu): 9. veh, e l’altra pere-=2/; si ottiene: (n) Hp(d).2-=2"..wve(abc).ze(acu): pu. veh 19... ger- = (2az') = 1-12". (d) (E): 0.2 -E(ace'). D'altra parte: (2) Hp(d).2-=2". P1. P1,2,88$8 : 0.: qer-(zaz’) -182- -iz'.-=,A Onde si può eliminare x dalla (n): (N) Hp(d).e-=2"..ue(abc) . ze(acu): 9, .vueh..(n).(2):: ::9:.4- €(acz) Hp.().(6):0.Th] P.9. HpP4.p9:ze(abe) .2'=t2.2-=2'..ue(abc). ze(acu) : : Ou. veh..velabe) . ve(lace) : Dv. veL ::9:. 8 — e(ace) Teor. | (0) Hp .ze(abe).e'=t2.2'e(acz) . PD1:09..'.yer-(e'az)— mad ae. (CEE (MPE: 0: yelabe) . ye (acz) . £'e (acy) (8) Hp(a). (a). PI. P1,2,4$8:9..°. yer (e'az-1z or. .y'=ty:d,iy'e(a'e'2') (a) P5.(E4)P17 $9:0,:y'e(ac2) . - (Et)P9 SI : py . Y'e(acy) 462 MARIO PIERI (r) Hp. ze(abe) : 9: ye (abe). GHPIO SI: 9,9 =2.0. .v. Ye(ace) . L. ze (AcY) (6) Hp.a'=t4. #'e(ace): 0. .y=7.Y1=TYP1:9%- -Y1 (9041) (&)* Hp) ; RI P172,488908/ yer= (az) -izciz. yo v.ye(abe) . ye(acy,).yie(acz) YI =TY:90n: Ye (08). « (0)P5. GY )P17 89: 0n i e(ac2). (0). CEL)PI SI: ‘Om : Y1 € (009) . (4)P9 89 : On - Y1'€(00Y,) (n) Hp..wue(abe).zelacu):9,.veh::9...ye(ade) .ze(acyi): = Own È y,eh . vi = TY] . P4 "i On . Yy e(acy,). Dall’insieme delle propos.i (), (è), (E), (n) si raccoglie: (Z) Hp(a).". ue(ade) . zelacu) : o, .veh . (MM. (0). (A). (me: sO. iiyero (az) -12'-12.9y.0.ye(abe) . ye(acyi) . Yi = TY: On - Y'E(00Y1). Pertanto: (N) Hp(a)..ve(abe) . ze(acu) :9,.veh .. (a) . (8). (2). P4:: sp iyero (az) -128-18.0,.yeh (u) Hp(a).'. ve(ade). ve(aca): 9, .vek::9..0. yer (d'az)- -12'<12. (0) :9y:yek.P4:09,.y-eh (v) Hp.zel(abc).2'=t2.. ue(abe). ze(acu) : 9, .vueh :: dx. ‘yer- (az =-128'-12.y-eh.()):9y.2"-e(ace) (p) Hp.ze(ade). e =tT2.. ve(abe) . velace) : Do. vek ::92 v.yer=(z'azj-az>;aiz.yeh. (4) :9y. 4 e(ace). Infine, moltiplicando rispettiv.° le ipotesi di (v), (p) per le proposiz.i (condizionali in 2): 2z- = 2'.°. ve(abdc). velace) : :D.veh, e e-= 2". ue(abc) . ze(acu) : 9. veb; indi som- mando membro a membro; SUI PRINCIPÎ CHE REGGONU LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 463 (0) Hp.zelabe) 8 =t28.2-=2'.0.ue(adc) . ze(acu) : du. .ueh .. ve(adbe) ve(acz): 9, . vek::9... yer- (2'az)— 12-12. (Vv). (P): 9. 2 — (ace). Il teorema proposto risulta di qui mediante eliminazione di y: Hp . (c).P1.P1,2,888:0. Th ] P.10. HpP4.9.}ze(a'd'e). a'=t2.2=2 .ue(ade). ze(acu). UE=TU: 9 U-=W{-=.A Teor. Ossia “ Nelle predette ipotesi, vi sarà sempre nel segmento (a'b'c') un punto 2 mutato in sè stesso da Tt, e di più tale che ogni punto « di (adc) soddisfacente alla condizione 2 € (ac) (vale a dire ($ 10) precedente 2 nell'ordine naturale abc) non può essere unito ,. |@ Hp. ze(abe) . 2'=t2 .°. ue(abe). ze(acu) : O, .vueh .°. . ve(abe) . ve(acz) : 9, . ver. P8,9 ::9... a - (ac). .8e'-e(ace):v:2-— e(ac').a=d 10:24 -elac).ae = A porse PI (E)PI0SIi 0 Bo 0.1 2e(a'd'e).a= è. La prima delle tre deduzioni rispetto a = proviene dal molti- plicare insieme le due P8 e P9 dopo avere in ognuna di esse trasferito il fattore 2--=2' dall'ipotesi nella tesi, conforme alla regola :P.Q:09.R.°.09.0.P.0:R.v.-Q.D'altra parte si ha: (B) Hp..ue(adbc). zelacu): 9,. ueh . P£:: 9... velade). .ze(acu).u'= tu: 9): v'e(acu). P1,2,488: 9, U-=. Ora moltiplicando fra loro (a) e (B): (1r), Hp.ze(abe).2'=t2.(0).(B)..ve(abe). ze(acu): Qu. ueh.. 464 MARIO PIERI .. velabe) velace) : 0 vek::p.i: ela) .e=e . ue(abe) . zelacu) .u'=TU:QL.U-=U Hp. (r).P7:0. Th | Accanto a questo teorema è da mettersi l’altro: P.11. re[i].teT, .ab.,cer.a-=b.h-_0.6- 060 =ta.b'=tb.e'=tc.(a'd'e')uvira' vie'9 (ade). a'e(acc'): :9.|ze(a'de).e'=t2.2=2' 0. ue(abc).ze(acu). u= =TIU: UU =, Teor. che si potrebbe dimostrar similmente: ma, in ciò che segue, non ci bisogna adoperarlo. Quanto al contenuto essenziale, le P10,11 sono modificazioni d’un teorema sulle corrispondenze ordinate dovuto all’EnrIQUES (*). Corrispondenze armoniche e teorema di Staudt. $ 14. — Il soggetto di questo $ sarà sviscerato altrove: qui si vuol solamente indicare una via per dedurre il teorema fondamentale di SrtAUDT da ciò che precede; onde si espongono appena i fatti più rilevanti senza dimostrazioni simboliche. P.l... re[1]...a,b,cer.a-=b.b-=t.c-=0:9. Armes —roqge}u,ve[0]-r.u-=v.(cuo)eC1. ([aua do], [av o du], Je Cl: —=u0 | Def. Il simbolo “ Arm, € , si può leggere “ armonico di e rispetto ad a,b ,; esso denota una certa classe, non illusoria, di punti esterni al segmento (acb) (P6 $ 11), vale a dire: Pas HpP1.09.Arm,,ceKr-(acb)- a-1b-N Teor. (*) Loc. cit., $ 10. dentali atriale incntinna PA » PA % ATI LTT SUI PRINCIPÎÌ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 465 Dalla P1 seguono immediatamente queste altre due: PES, HpPl.o.Arm,;c = Arm;,c Teor. Pi. HpP1.deArm,,€:9. ceArm,;d Teor. Che poi la figura Arm,;c consti di un unico punto, ossia che: Pro HpP1.09.num Arm,;e= 1 Teor. si dimostra al modo ordinario per via di triangoli omologici (*), la qual cosa implica l’uso del IX° Postulato (P5 $ 6); al con- trario dei fatti studiati ai precedenti $$ 7,8,...13, che sono indipendenti dall’esistenza di punti fuori del piano. — Dopo ciò si può altresì dimostrare che: P.6. HpPl.u,ve[0]-r.u-=%v.(c,u,0)€C2: 9». (au n do], [av e bu], Arm,,c) e 07 Teor. d'onde la permutabilità delle coppie armoniche, ossia: i. HpP1.d=Arm,,6:94.0= Arm,;a Teor. Gioverà introdurre anche la definizione seguente: . P.8. a,be[0].a-=bdb:9:Arm;;a=a. Arm,,b=b Def. e così accanto alla P3 si potrà scrivere: Pig a,be[0].a-=d:9. Arm, a= Arm, @ Teor. ecc., ecc. Con ciò il simbolo Arm,,« risulta definito per qual- sivoglia punto « della r (purchè a e d siano distinti) e rappre- senta un certo punto di r variabile con x. Il segno “ Arm,, , per sè solo ha dunque il valore di trasformazione della retta r in sè stessa — anzi, per ciò che precede, di trasformazione reci- (*) Ved. p. e. SraupT, loc. cit., n° 93. 466 MARIO PIERI proca, segmentaria e involutoria; qualmente è espresso dalle due proposizioni seguenti: P.10. re[1].a,ber.a-=b:09.Arm,;e(rfr)RecnT,, Teor. P..11.. HpPlO.zer:),: Arm,; Arm, =«. Arméa ATE Teor. La biunivocità involutoria segue specialmente dalle P5, 4,8; dalle P3 $ 10, P1,3 $ 13 e PI risulta poi che la trasforma- zione è segmentaria. Essa può costruirsi notoriamente così. Preso un punto « fuori di r e un punto a' sulla du diverso da de da «, si projetti un punto variabile x della r dal centro u sopra la aa', e dicasi v l’immagine; poi il punto v si projetti da d in d' sopra la au, e il punto d' da a' sopra la r in a': sarà x' il trasformato di x (e viceversa). — Una proprietà note- vole si è che due coppie di punti corrispondenti non possono mai separarsi; e cioè che: P.12. HpPl0.x,yer-1a-1b.x-=y.0' = Arm,t.y'= = Arm,,Y:9xy-YE(242') Teor. Invero, dal fatto che i punti a, d, €, y, x,y" sono tutti di- stinti (P4, 5) e dall'ipotesi (P2, 5) x'- e(axd) si deduce (P24 $8) b-e (xax'); onde (P19$8 9) il dilemma ye (xaz').v.ye (xbx'). Ora (P8, 10) la trasformazione segmentaria Arm, cangia ordinatamente i punti a, d, €, x,y nei punti a, d, x’, €, y'; quindi da ye (rax') si deduce y'e (2'a x) (P1813), e p. c. (P3, 1488) y'e(xya'): e il medesimo si trae dalla supposizione y € (rd 2°). P.13. re[1].a,b,cera-=b.b-=ce.c-=a.de(acb) ic: Mede. ATA, ATA, ;.X —Mo=- N Teor. o, in termini comuni, “ Se due coppie di punti distinti a, d e c, d non si separano, esiste almeno una coppia di punti che le separa entrambe armonicamente ,. Per ciò si osservi dapprima, che il prodotto Arm, Arm,; è una trasformazione segmentaria della r in sè stessa (P3$13 e P10); e che supposto: SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 467 a"= Arm, Arm,, a, 0"= Arm, Arm,; 6, c= Arm,c, c'= = Arm, e’, e quindi (P8): a'= Arm.,;a, 0"= Arm.;b, c'= Arm,; Arm,;c, i punti a, d, c,d, a", 6", c'',c' saranno tutti distinti fra loro. Se proveremo che il segmento (a"e"d') giace con ambo gli estremi nel segmento (acb) e che di più d''e (ada"), allora il teorema predetto sarà vero in virtù di P10$13. Che d''e (aba”) si ha subito dalla proposizione precedente; perocchè 5,0” ed a, a" separano armonicamente la coppia c,d. Ora, da ciò che (P2) a'-e (cad) si deduce (P11$9) a”e(acd), e nello stesso modo b''e(acb). E da a''e(acb), prendendo gli armonici rispetto a c, d, si deduce (P1 $ 13, P4, 8, 10) ae (ac d'): per conseguenza (P14$8) sarà (a”cd”)= (aa d'). Similmente da c'- e (ac d) si deduce (P2$13) c'e (ac bd”); per la qual cosa c'e (a''a 8"). Di qui si trae (P 12, 1689) c'’e(acd), c'e (ada), d''e (abc"), e però anche (P1489) (ac d")0 (acb). — Essendo r,r' due rette arbitrarie diremo “ trasformazione armonica di r in r' , — e indicheremo con'TT,,\, — ogni tra- sformazione univoca e reciproca di r in r', che a quattro punti armonici sempre coordini quattro punti armonici: P.14. r,re[1].0.T,m = (fr) Reca teta,b,cer .a-=d: :Oaze - (Arm, 0) = Arm, TC} Def. L'inversa di ogni trasformazione armonica TT,,y è una trasfor- mazione di »' in r della stessa natura, cioè: Piib. r,relllitell.w 1097 Tellé; Teor. Inoltre: È; 16. r,r'e|1] . 0 . TT, a Tre — A Teor. vale a dire “ Ogni trasformazione armonica è altresì segmen- taria ,. Invero, essendo a, d,c tre diversi punti in r, dalla ipotesi de(abce)-16 si deduce (P13) l’esistenza di almeno due punti x,y 468 MARIO PIERI conjugati armonici rispetto ad entrambe le coppie a,c e d,d. Ora, se fosse Td-e (ta tb tc), non potrebbero esistere (P12) due punti armonici tanto rispetto a ta, tc, quanto a td, td. Ma due punti sì fatti esistono al certo, e sono (P14) i trasformati di x, y: quindi è forza concludere td e (ta Td tc). P.17. #reldl. tele. 0.96.03. =0 47 elsvelf fi) = Tg: Peer vid) PNT cioè: “ Ogni trasformazione armonica la quale ammetta tre punti uniti distinti è l'identità ,. Questo il teorema di STAUDT. Invero siano a, a' due punti distinti, ed a'= ta: mostreremo che da ciò si deduce l’assurdo. I punti e, f, 9, a, a' saranno di- stinti fra loro, e gli ultimi due non potranno esser separati dai rimanenti (P16). Sarà lecito supporre a-—e (egf), e per conseg.* a'-e(egf) ed (caf)=(ea'f)(P18 $9). Ciò posto siano c e e' gli armonici di a ed a' rispetto ad e,f: onde (P14) c'= tc. I punti c e c' saranno diversi fra loro e dai precedenti: inoltre (P2, 12) si avrà c > e(eaf), c'> -elea'f), c'elaa'c); e delle ipotesi (P19$ 9) a'e(aec), a'e(afe) basterà considerarne una sola, p. e. la prima, dacchè l’altra si deduce da questa con lo scambio delle lettere e, f tra loro, che non ha influenza di sorta nè sulle ipotesi, nè sui risultati. Ora da a'e(aec) e c'e (aa'c) si deduce (P1488) (aec) = (aa'c), c'e e(aec) e p. c. (P2588) cel(eac'): e di qui, poichè c, c'— e (eaf), si deduce (P4$9) c'- e (eac), quindi (P5$8) c'e(ace). Simil- mente, poichè da a'e(aec) si deduce (P25,3$8) ae(eca'), e d'altra parte a, a'-e (ecf); ne inferiamo altresì che a'-e (eca), quindi che a'e(cae), vale a dire che ee(aca'). Da tutto ciò segue (P14$ 9) (a'ec')via' vie'9 (aec), oltre che (P9 $ 9) c'e e(aca'). Sono dunque verificate le ipotesi della P10 $ 13 in ordine alla trasformazione t ed ai punti a, e, c,a', e' (= e), c'; e pertanto sarà: zela'ec').a=Tt2..ue(aec) . ze(acu) : O, u-=tU::>=;N. Insomma esisterà nel segmento (a'ec') un punto unito 2 sì fatto, che se uer-(ac2)-t1a-12 [quindi we (cea), ve (aec), ed inoltre (P19$ 8) ze (acu)] il punto u non è unito. SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 469 Si osservi ancora che dalle relazioni c-e (eaf), c'> e (ea'f), (a'ec') 9 (aec) segue (P2488, P19$9) (afe) viaviepl(a' fe); sicchè la stessa P10$13 si può anche invocare per la trasfor- mazione 7 inversa di t (P 15) e pei punti a’, f,c',a,f(=f),c: dunque esisterà nel segmento (afc) un punto unito y sì fatto, che se uer> (a'c'7 tl des il punto « non è unito. E poichè da (afc) O (a'fce'), c'e (ac a') ; ye (afc) si deduce [(n)P 17 $ 9] che da u-e€ (acy) segue u- e (a'c'y), a fortiori non potrà essere unito alcun punto della figura r> (acy)-1ta'> 17. Questo fatto, e il somigliante già trovato per 2, ove si guardi che niuno dei punti a, a' è, per ipotesi, unito, permettono di asserire qualmente: uer> (ace) —1z.u.uer> (ay) > 1Y Qu. UE TU Non è detto che debba essere 2 diverso da e, o y daf: mai punti y, 2 sono per certo distinti fra loro e dai punti a, c, a', c'; nè può essere 2 = f, o y==e (P2888). Ora da ze(aec) si deduce zer-(afc), e d’altra parte ye (fc); dunque sarà 2 €r> (ayC), vale a dire cer-(ya2z), e p.c. ce (azy), (azy) = (acy), come pure ce(ay2), (ay2)=(ac2). Ma si sa (P11, 2,488) che: ue(yaz) . Qui uer= (ay) —wy.v.uer-(2ya)— 12; pertanto: u e(yaz) CA UU =TU. Infine dall’essere 2—e(a c e) (chè se no risulterebbe e —= te); mentre y € (a fc), quindi y>e (a ec), ye (eca), (eca)=(ey a); si deduce 2-—e(eya), per conseguenza (P23 $ 8) e-e (ya), e quindi (P21$8) (ya2 9 (yae), 0(yaz)=(yae), secondochè «== e, 0 z=e. Similmente dall’essere y-e (a'c'f) (chè se no risulterebbe f-=="tf) e però anche (P16) y-e (acf); mentre c- e (eaf), quindi ce(aef), (aef) = (acf); si deduce y-€ (a ef), per conseguenza f-e(eay) ed (eayp(caf), 0 (eay)= (eaf), secondo che y>-=f, o y=f. Ne viene che il segmento (yaz) è contenuto nel seg- mento (ea f); sicchè dall'ipotesi a—e (e gf), ossia g— € (caf), am- messa fin dal principio, si deduce g—€(ya2)viyviz, e p. c. Arm,.ge(yaz) (P2). Tale è l’assurdo a cui si perviene; che, mentre si è visto come niun punto del segmento (ya) possa es- sere unito, qui trovasi invece che l’armonico di 9 rispetto ad y, 2, il quale (P14, 5) è per certo tautologo, giace in detto segmento. 470 MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC. ERRATA CORRIGE $ 1 (Nota 1°), pag. 3, linea 9 Che poi... Se poi... $4 n » 12 , 4(dalbasso) I,$5, prop.8 I1,$5 P3e V,$1P10 x : 0° aL PRRATO) alk=1a) v'alk>10) $ 5 % Bit PRI I È yede v fg yede n fg $ 6 + it E tg Si apponga a diritta il segno: Def. $ 8 è spe o 2 be (acb) b-e(acb) $9 3 6 RS 1) y'er yer a " BR N 1a la SA La » 84 , 5(dalbasso) (Kr)fr (Kr)fr È 5 72800 A 0° 130 19 Si apponga a destra il segno: Def. Li g è lb silice 26 Lo la L’ Accademico Segretario ANDREA NACccARI. 471 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 16 Febbraio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Socii: PryRon, Rossi, BOLLATI DI SAINT- Prèrre, Pezzi, Brusa, PerRERO e FERRERO Segretario. Il Direttore della Classe annuncia la morte del Socio na- zionale non residente, già Socio residente, Marchese Matteo Ricci, ed affida al Socio PeyRron l’incarico di commemorarlo in una prossima adunanza. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 26 Gennaio al 9 Febbraio 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. * Annuario per l’anno scolastico 1895-96 della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri di Torino. Torino, 1896; 8°. Atti del Collegio degli Architetti ed Ingegneri in Firenzo Anno XX, fasc. 1°. Firenze, 1895; 8°. Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno I, fasc. 3. Torino, 1895; 8°. * Bihang till Kongl. Svenska- Vetenskaps- Akademiens Handlingar. Bd. 20. Afdelning I, II, II, IV. Stockholm, 1895; 8°. * Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, v. XV, n. 12. Torino, 1895. * Bollettino medico-statistico dell'Ufficio d’igiene della città di Torino. Anno XXIV, n. 16-36 e Rendiconto del mese di maggio a novembre 1895, n. 5-12. * Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- chirurgica, ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 12. Bologna, 1895; 8°. ** Fortschritte der Physik im Jahre 1894, Bd. L, III Abt. Braunschweig, 1895; 8°. * Giornale del Genio civile. Anno XXXIII, fasc. 10-11. Roma, 1895; 8°. * Memoirs of the Royal Astronomical Society. Vol. LI, 1892-95. London, 1895; 4°. Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 11, 12. Roma, 1895; 4°. * Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 5. Venezia, 1895; 4°. * Mitteilungen aus der medicinischen Facultàt der Kaiser.-Japanischen Univ. Bd. III, n. 2. Tokyo, Japan, 1895; 4°. * Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. New Series, vol. I e II. Boston, 1848-1852; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXVIII, fasc. XX. Milano, 1895; 8°. { n i | . FRI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 473 * Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Serie 8, vol. I, fasc. 12. Napoli, 1895; 8°. * Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 1895, n. 3-6; 8°. Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 1"° année, n. 1 à 8. Paris, 1895; 8°. * Transactions of the Royal Society of South Australia. Vol. XIX, Part II Adelaide, 1895; 8°. Transaetions of the Edinburgh Geological Society. Vol. VII, pt. II. Edin- burgh, 1895; 8°. * Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, p. 1n-1v. 1895. - Verhandlungen der ésterreichischen Gradmessungs-Commission. Protokoll tiber die am 9 April u. 18 Juni 1895 abgehaltenen Sitzungen. Wien, 1894 (Dono della Commissione). * Verhandlungen physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 1895, DUE XXIX Bd nnp6; 7,8 Buscalioni (L.). Studi sui cristalli di ossalato di calcio. Genova, 1895; 8° (dall A.). #* Cayley (A.). The collected Mathematical Papers. Vol. IX. Cambridge, 1896; 4°. Klein (C.). Ein Universaldrehapparat zur Untersuchung von Diinnschliften in Fliissigkeiten, Berlin, 1895; 8° (dall’A.). Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche Dal 2 al 16 Febbraio 1896. * American Journal of Philology. Vol. XV, 2-4; XVI, 1. Baltimore, 1894-95; 8° (dall’ Università John Hopkins di Baltimora). * Annales de l’Université de Lyon: Histoire de la compensation en droit romain par C. ApPLETON. La République des Provinces-Unies, la France & les Pays-Bas Espagnols de 1630 è 1650 par A. Wappineron. T. 1° (1630-42). Phonétique historique et comparée du Sanscrit et du Zend par P. RegnauD. Saint Ambroise et la Morale Chrétienne au IV° siècle... par R. Tram. Paris, 1895; 4 vol. 8°. Athenaeum (L’). Rivista per l'Istruzione Superiore Catanese. Vol. II, fasc. I. Catania, 1896; 8° (Omaggio della Direzione). 474 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie si Scavi: novembre 1895. Roma, 1895; 4°. * Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova. Anno CCXCVI, 1894-95, N. S., vol. XI. Padova, 1895; 8°. * Consiglio Comunale di Torino; Sessione straordinaria, 1896. N. I-IV. * Johns Hopkins University Studies in Historical and Political Science. 12* Serie, VIII-XII; 13* Serie, I-VIII. Baltimora, 1894-95; 8°. * Dall Università Cattolica ai Louvain: Anmuaire; 1896. Halleux (J.). Les principes du positivisme contemporain. Dissertation pour | doctorat en Philosophie selon Saint Thomas. Louvain, 1895; 89. Knoch (A.). De Libertate in societate civili. Dissertatio. Lovanio, 1895; 8°. Marlière (H.). Études sur l’hérédité. Dissertation pour le doctorat en Phi- losophie selon St-Thomas. Louvain, 1895; 8°. Programme des cours de l’année académique 1895-96. Thèses de la Faculté de Théologie: 671-688. Casanova (E.). Bandi piemontesi acquistati dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Firenze, 1895; 8° (dall’A.). Frigeri (F.). Giovanni Pico della Mirandola. IV*® Centenario MDCCCXCIV. Mirandola, 1894; 8° (Zd.). Landueci (L.). Storia del Diritto Romano dalle origini fino alla morte di Giustiniano. 2* ediz., vol. I, p. I. Padova, 1895; 8° (Zd.). Pélissier (L. G.). Le navire .de bonheur de l’avocat Bernardi. Toulouse, 1896; 8° (Zd.). Pico (G.). Introduzione dell’Apologia tradotta da un notaro mirandolese. Mirandola. 1894; 8° (dono del Dott. F. Frigerì). -——_——s a-&S99 ——P——__&& Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. Cn n Rec’d.£8 vuiy STO Sapt. 1896 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 23 Febbraio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, Berruti, FERRARIS, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, VOLTERRA, JADANZA, Foà e Naccari Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre- cedente. Il Presidente dà notizia che il Sig. U. MARTELLI, autore di una memoria che venne approvata per la stampa nella se- duta del 29 dicembre 1895, ritirò poi la memoria stessa. Vengono accolte per l'inserzione negli Atti le seguenti note: 1° “ Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un semplice o doppio contatto oppure sì osculano ,; nota del Profes- sore Luigi BerzoLARI, presentata dal Socio SEGRE; 2° “ Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà superiori algebriche ,; nota del Socio SEGRE; 3° “ Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie ,; nota del Dott. Alberto Levi, presentata dal Socio SEGRE; 4° “ Gruppi finiti ed infiniti di enti ,; nota del Profes- sore Rodolfo BerTAZZI, presentata dal Socio SEGRE; 50 “« Nuove ricerche intorno ai Salamandridi normalmente apneumoni e intorno alla respirazione degli anfibi urodeli ,; nota del Socio CAMERANO. ASI Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 34 476 LUIGI BERZOLARI LETTURE Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un semplice o un doppio contatto, oppure sî osculano; Nota di LUIGI BERZOLARI. Verso la fine dell'importante lavoro che ha per titolo Allgemeine Eigenschaften der algebraischen Curven (*) lo STEINER ha enunciato, senza dimostrazione, che il luogo dei punti in cui si toccano due curve appartenenti a due dati fasci di or- dini m ed m' è dell'ordine (1) 2m + 2m' — 8, e che il numero dei punti in cui due curve di tali fasci si osculano è (2) 3[(m4 m') (m + m' — 6) + 2mm' + 5). La prima di queste formole è stata in seguito dimostrata (ed anche notevolmente estesa) in più modi da vari autori (**), mentre, per quanto so, non si ha ancora una dimostrazione della seconda. In questa Nota faccio vedere come si possa pervenire a quei due teoremi, per via puramente geometrica, ricorrendo & semplici considerazioni di geometria dello spazio; collo stesso metodo trovo anche il numero (che non credo noto) delle coppie di curve che, appartenendo ai fasci proposti, hanno fra loro un (*) Giornale di CreLLe, Bd. XLVII, pag. 6; questo lavoro era stato già presentato sei anni prima (nell'agosto del 1848) all'Accademia delle Scienze di Berlino. (**) V., ad es., Scausert, Kalkiil der abzihlenden Geometrie, $ 14; e Sarmon, Courbes planes, Paris, 1884, pag. 500, dove, in nota, è riportato anche il secondo enunciato dello STEINER. Le, ope er - i ine nt i ici tinte SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 477 doppio contatto, ed assegno inoltre i rimanenti caratteri pliic- keriani del luogo sopra nominato, e quelli del luogo dei punti in cui si tagliano le curve fra loro tangenti dei due fasci. 1. — Siano ® e ®' i due dati fasci degli ordini m ed m', e per semplicità supponiamo che essi siano generali e non ab- biano punti base comuni (*); per fissar le idee, sia m > m. Nel piano TT, in cui giacciono i fasci, scelgasi in modo del tutto arbitrario una curva R' di ordine m — m', e si indichi con D' R' il fascio d’ordine wm che si ottiene da ®' aggiungendo ad ogni sua curva la curva R'. Allora i due fasci ® e ®' R' individuano un sistema lineare tre volte infinito (9) di curve @ d’ordine m, che, com'è noto (**), si possono considerare come le imagini (su TT) delle sezioni piane di una superficie algebrica F. Le curve del fascio ® sono le imagini delle curve che s’ottengono tagliando F coi piani di un determinato fascio avente per asse una retta generica L dello spazio. La superficie F è dell’ordine m?, e possiede una retta multipla R, che è rappresentata in TT dalla curva R': le sezioni residue di F coi piani passanti per R hanno per imagini le curve del fascio ®', sicchè la multiplicità di R per F è m° — mm', cioè m(m—m'). Gli m? punti base di ® sono le imagini dei punti in cui L incontra F; gli m'? punti base di ®' sono le imagini di altret- tanti punti, in cui R incontra una [m (m — m')+1]"? falda di F, oltre a quelle che passano per la R stessa: in questo senso tali punti, in quanto appartengono ad F, sono da considerarsi come non situati sopra RK. 2. — Ciò posto, per risolvere le questioni indicate in prin- cipio, occorre conoscere i caratteri plickeriani della residua intersezione di F con un piano generico passante per R, e quelli del cono residuo (come inviluppo di piani) £ circoscritto ad F da un punto generico 0 della stessa R. (#) Il metodo che indicherò si applica del resto anche ai casi che qui voglio escludere, per attenermi agli enunciati di SreINER. (**) Veggasi, ad es., CaPoraLI, Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti di curve algebriche piane (Collectanea Math. in mem. D. CaeLIni), $ 2. 478 LUIGI BERZOLARI I primi si trovano senz'altro colle formole di PLiicKER, poichè di quella sezione si conoscono l’ordine, che è m m', il genere, che è quello di una curva generica del fascio ®', cioè 3 (n — 1) (Mm — 2), e il numero delle cuspidi, che è zero. Si trova così che la classe è (3) m'(2m + m' — 3), che i flessi sono in numero di (4) 3m' (mm — 3), e che le tangenti doppie sono in numero di (5) 3 m'?(m'? — 1) + 2mm'3 + 2m?m'? — 6mm'? — 3m'3 — 6mm' 4- 15m'. E si noti che la sezione considerata non è certamente tan- gente ad R, poichè una curva generica di ®' non è tangente ad R'. Per ciò che riguarda il cono ®, osserviamo che la linea di contatto del cono totale circoscritto da 0 ad F ha per ima- gine la jacobiana della rete di curve @ imagini delle sezioni fatte in F dai piani passanti per 0 (*). Ora, se chiamiamo A una curva generica del sistema (@), e B', C' due curve gene- riche di ®', la rete precedente può ritenersi individuata dalle tre curve A, B' R', C'R'’, e si riconosce facilmente che la sua jacobiana si spezza nella curva R' ed in una curva Y' di ordine 3(m_-1) — M_—m')= 22m + m — 3, priva di punti multipli, e passante per tutti i punti comuni ad A ed R'. La curva Y di F che ha per imagine Y, ossia la curva di contatto di F col cono residuo £, è dunque dell’ordine m (2 m +m' — 3). Per vedere quale sia la sua multiplicità in 0, (*) Caporati, Z. c., n. 18. SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 479 basta cercare le sue ulteriori intersezioni con un piano generico passante per 0, ad es. con quello la cui sezione con F ha per imagine la curva A, cioè basta cercare le intersezioni di YW' e di A non appartenenti ad R', e queste sono in numero di m(2m + m' — 3) — m(m — m'). Si conclude che Y ha in 0 la multiplicità m (m — m'); il cono £ è quindi dell’ordine (6) m(m + 2m' — 3). In virtù della (3), un piano qualunque per R contiene, oltre ad R, m' (2m+m' — 3) generatrici di questo cono, epperò R è multipla per £ secondo m(m — 3) — m'(m' — 3). Il genere di 2 uguaglia quello di Y', ossia è 3 @m+m_- dm mi 5). Infine la classe di 2 equivale al numero dei punti doppi di un fascio di curve, che sia determinato da una © generica e da una @ del fascio ®' R'. Un tal fascio contiene 3 (m — 1)? curve dotate di punto doppio; ma di questi punti m'(m — m') cadono su R', quindi la classe di £ risulta 3(m —- 1° — m'(m— m). Dalle formole di PriùcgeR si trae allora che le generatrici stazionarie di Q sono in numero di (7) 3 (m? + 3mm' — 6m — 3m' 4- 5), e che le sue generatrici doppie (esclusa la R, contata tante volte quante risultano come conseguenza della sua multiplicità per £) sono in numero di 480 LUIGI BERZOLARI 3 (8) 3m?m'? — n m' (m'? — 1) + 2m3m' — 9m®m' — 3mm'? + 3m'3 — 6m? — 6m'? — 5mm' + 30m +4 15m' — 24. 3. — La deduzione dei teoremi di cui si è parlato non presenta ormai nessuna difficoltà. In primo luogo, la curva l”, luogo dei punti in cui si toccano due curve dei fasci ® e ®', è l’imagine della curva T, luogo dei punti di contatto delle tangenti di F appoggiate alle rette L, R. Per avere l’ordine di T, si osservi anzitutto che essa incontra L negli m? punti che questa ha in comune con F: basta quindi cercare le ulteriori intersezioni di T con un piano generico o passante per L, e queste sono tante, quante le tangenti condotte dal punto o KR alla sezione di F con o, cioè, per la (6), sono in numero di mm (m + 2m' — 8). La curva F è dunque dell’ordine m(m + 2m' — 3) + m° =m(2m + 2m' — 3), epperò l'ordine di l' è appunto quello dato dall'espressione (1). In secondo luogo, i punti in cui si osculano due curve di © e ®' sono le imagini dei punti di contatto delle tangenti principali di F appoggiate ad L ed R: pertanto il loro numero è la somma delle espressioni (4) e (7), cioè quello dato dalla (2). Infine le coppie di curve di ® e ®' che hanno fra loro un doppio contatto sono tante, quante le tangenti doppie di F appoggiate ad L ed R, cioè tante quant'è espresso dalla somma delle (5) e (8): il loro numero è dunque (9) mm' [2 (m + m')} + mm' — 9(m+4+m')+ 1] — 6(m+m' —1) M+m — 4). 4. — Considerando ancora Ja curva [’, si potrebbe ritenere come evidente che essa non possiede punti multipli: ma si può giungere a questa stessa conclusione determinando direttamente il genere della curva, che uguaglia quello della curva obbiettiva [. A tal fine si consideri la corrispondenza [1, m' (2.m + m' — 3)] che, per la (3), viene stabilita fra i punti di L e di l' dalle tangenti di F appoggiate alle rette L ed R. I punti di L, tali E TTT RSI it rn pnt het isso dei Dini sn rea pren. pre per SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 481 che due dei loro corrispondenti coincidano, sono .di tre specie: 1) i punti d’incontro di L colle tangenti principali di F che tagliano anche R, ed il loro numero è espresso dalla (2); 2) le m? intersezioni di L con F; 3) i punti nei quali L viene incontrata dai piani pas- santi per R e tangenti ad F in un punto non situato sopra R: questi punti sono tanti, quante le curve del fascio ®' dotate di punto doppio, cioè 3 (m' — 1)?. Se dunque diciamo p il genere di (M cioè di) [”, la nota formola di ZreuTHEN (*) dà: 2(p—1)+ 2m'(2m+m' —3)=3[(m4m')(m+m' — 6) + 2mm' +5] + m+3(m—- 1), da cui p=(m+m —2)[2(m+m)_- Sl Dalle formole di PLiicgzer si deduce allora che T' non ha punti multipli, il che permette di assegnare gli altri caratteri pluckeriani della curva. 5. — La rigata T, che ha per generatrici le tangenti di F appoggiate ad L ed R, ha in queste rette le multiplicità _m' (2m+m' —3) ed m(m+2m'— 3) risp., ed è di grado m' (2m + m' — 3) + m(m + 2m' — 3) = (m+tm') + 2mm' — 3(m+ m'). Essa tocca F lungo F, e la taglia, ulteriormente ed all’in- fuori di R, in una curva X di ordine m|3mm'(m + m') — 6mm' — 4(m+ m') + 6]. Questa ha per imagine la curva 2’, luogo dei punti dove (*) Nouvelle démonstration de théorèmes sur des séries de points corres- pondants sur deux courbes (Math. Ann., Bd. III, pag. 150). 482 LUIGI BERZOLARI si tagliano le curve fra loro tangenti dei fasci ®© e ®': l'ordine di Z' è dunque Smm'(m + m') — 6mm' — 4(m+m') + 6. Le curve [ e X passano entrambe per ciascuna delle m? intersezioni di F con L, e per ciascuno degli m'? punti di cui si è detto alla fine del n. 1: la passa semplicemente per tutti i punti nominati, mentre X, per le (3) e (6), ha in ognuno dei primi la multiplicità wm'(2.m + m' — 3) — 2, ed in ognuno degli altri la multiplicità m (m +2wm'— 3) — 2. Pertanto passa semplicemente per tutti i punti base dei fasci ® e D', mentre Z' ha in essi risp. le multiplicità ora indicate (*). Per la rigata T, le tangenti doppie e le tangenti princi- pali di F appoggiate ad L ed R sono generatrici risp. doppie e stazionarie: oltre ad esse ed alle rette L, R, la rigata non possiede altre linee multiple, com'è facile riconoscere uguagliando il genere di una sezione piana generica di T a quello della stessa T, il quale, manifestamente, è uguale a quello della curva T, che si è determinato nel n. precedente. Ne segue, passando senz'altro al piano TT, che la curva X' ha un nodo in ogni punto di secamento di due curve dei fasci dati che abbiano fra loro un doppio contatto, ed ha una cuspide in ogni punto di secamento di due curve fra loro osculatrici dei fasci stessi. — Inoltre le curve V' e X' si tagliano, oltre che nei punti base dei due fasci, nei punti in cui si toccano due curve di tali fasci che abbiano fra loro un doppio contatto, e sì toccano în ciascuno dei punti in cui si osculano due curve dei fasci stessi. Si può dimostrare rigorosamente che Z' non ha, all’infuori di quelli ora enumerati, altri punti multipli, con metodo ana- logo a quello del n. precedente: basta per questo considerare la corrispondenza [1,m'(2m + wm' — 3) (m m' — 2)] che, per la (3), viene stabilita fra i punti di L e di X dalle tangenti (*) Tutto questo si può vedere anche colla considerazione diretta dei fasci ® e ®', ricorrendo al noto teorema, che una curva d’ordine p è toc- cata da p(p+ 29 — 3) curve di un fascio d’ordine g (v. STEINER, l. c., pag. 6, e gli altri autori citati in principio). oe ——_ oe <_re . " SULLE. CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 483 di F appoggiate a L ed R, cioè dalle generatrici di T. I punti di L, tali che due dei loro corrispondenti coincidano, sono: 1) i punti d’incontro di L colle tangenti doppie di F appoggiate ad L ed R: il loro numero è espresso dalla (9), e | ciascuno di essi deve contarsi due volte; 2) i punti d'incontro di L colle tangenti principali di F appoggiate ad L ed R, ciascuno contato mm’ — 2 volte; 3) le m? intersezioni di L con F, ciascuna contata mm' — 2 volte; 4)i3(m' —1) punti d'incontro di L coi piani passanti per R e tangenti ad F in un punto esterno ad R, ciascuno con- tato m m' —2 volte. Chiamando quindi p; il genere di (X cioè di) 2’, la formola già usata di ZeuTHEN dà: 2(p, — 1) + 2w' (m' + 2m — 3) (mm' — 2) = 2{mm' [2(m+4+m') — 9m+ m') + mm' + 1] — 6(m+m —1)(m+m — 4)} + 3 [(m + 10°) (o + n° — 6) + 2o + 5] (n — 2) + m?(mm' — 2) + 3(m' — 1)° (mm' — 2), da cui si deduce: Pi 2(m + m' — 4){(m + m') (2mm' — 5) — mm' 14} + mm' (mm' + 2) — 9, come appunto si ricava dalle formole di PLiicgzeR quando si attribuiscano alla curva 2’, come luogo, i soli caratteri sopra indicati. 6. — Non è senza interesse riavvicinare i nostri risultati a quelli stabiliti in generale dallo ZEUTHEN (*) per una qualunque (*) Recherche des singularités qui ont rapport à une droite multiple d’une surface (Math. Ann., Bd. IV, pag. 1). — V. anche le osservazioni dello stesso A. nella Note sur la théorie de surfaces réciproques, a pag. 633 dello stesso volume dei Math. Ann. 484 LUIGI BERZOLARI — SULLE CURVE PIANE, ‘ECC. superficie algebrica dotata di una retta multipla. Si trova senza difficoltà (in parte direttamente, come implicitamente si è fatto nel corso di questa Nota, ed in parte adoperando le relazioni che trovansi a pag. 16 di quel lavoro) che i simboli di ZEUTHEN hanno, per la nostra superficie F, i seguenti valori: i=0, a=3m(m — 1), b=Im(m—1)(m°+m—3), B=3(m— 1) (m— 2) Gm — 3m — 11), cb, c=12(m_-1)(m—2), n=, n'=83(m 1), n=m(m—-m'), n=m' (mm), x=3(m —-1)(4m— 5), x'—= 3m(2m — 3), o= (m_—1) [(m_1) (83m? d'=3m[(m_2) (0m?13) +4], 20) POT B=0, P=m(m — 3) — m'(m' — 3), j=3m(m—-1) + m'(m' $=0, — 4m +3), tam", =3(m — 1), f=(m—-m')[mm' (m—m') — 3 (mt+m_-1)-mt+ 1]. Introducendo queste espressioni nelle formole date dallo ZeuTtHEN a pag. 15 del Il. c., si possono avere conferme di al- cune delle proprietà precedenti. CORRADO SEGRE — INTORNO AD UN CARATTERE, ECC. 485 Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà superiori algebriche ; Nota del Socio CORRADO SEGRE. 1. Fra le definizioni note del genere di una curva algebrica ve n'è una, di speciale importanza, che qui conviene ricordare (*). Sia y la curva (irriducibile), e su essa consideriamo le serie lineari (co') di gruppi di punti, chiamando così ogni serie di gruppi di punti variabili che possa esser segata su y da un fascio di superficie algebriche (se si è nello spazio ordinario; se no, da un fascio di M,_, in S,). Per una tal serie diciamo n l’or- dine, cioè il numero dei punti di un gruppo generico, e v il nu- mero dei punti doppi, cioè delle coincidenze di due punti di uno stesso gruppo (in un sol elemento o punto dell'ente algebrico rappresentato da Y). Diciamo »' e v' i caratteri analoghi per un’altra serie lineare. Si dimostra allora (applicando il principio di corrispondenza a quella corrispondenza fra i gruppi di una stessa serie, in cui si corrispondono due gruppi, quando conten- gono rispettivamente due punti di uno stesso gruppo dell’altra serie; e poi scrivendo l’equazione analoga, e confrontando) che VIRALI Il numero v glia pr; che così risulta indipendente dalla serie lineare a cui si riferisce, (*) Cfr., per l'ordine d’idee a cui essa si riferisce e per alcure appli- cazioni a cui essa si presta facilmente la mia Introduzione alla Geometria sopra un ente algebrico semplicemente infinito (Annali di matematica (2) 22, 1894). 486 CORRADO SEGRE può definirsi come genere della curva y. Chiamandolo p si avrà v= 2n+2p—- 2 pel numero dei punti doppi di una serie lineare qualunque, il cui ordine sia 7, sulla Y. Ricordiamo pure che se un punto di y è s—plo per un gruppo di una serie lineare (s>2), esso va considerato come equivalente ad s—1 punti doppi. 2. Sopra una superficie algebrica F consideriamo un fascio di curve (irriducibili), cioè l'insieme delle curve Y intersezioni variabili di F con un fascio di superficie algebriche (o di M,_, se si è in S,). Diciamo p il genere del fascio, cioè di una Y ge- nerica; c il numero dei punti dase (a tangenti variabili (*)) del fascio; è il numero dei punti doppi di curve del fascio che cadono fuori dei punti base e fuori dei luoghi (eventuali) di punti mul- tipli delle curve generiche del fascio (**). Ci proponiamo di cer- care una funzione di p, 0, è, che non muti al mutare del fascio y su F, cioè che non muti sostituendo a quei tre numeri gli analoghi p', o', è’ relativi ad un altro fascio di curve, 1', della stessa superficie. A tal fine è chiaro che, per semplificare, si può supporre che i due fasci y, y' siano indipendenti fra loro, e quindi senza punti base comuni, ecc. Inoltre si può supporre che le y e le Y' si taglino in un numero di punti m=2. Si potrà quindi considerare la curva T luogo dei punti di contatto delle y con le y. Noi determineremo il genere t di T ricorrendo alle due (*) Si vedrà dal seguito fino a qual punto questa restrizione e quella dell’irriducibilità delle curve, non che altre che supporremo relative alle superficie e varietà da considerare, sian necessarie. Non sarà forse inutile avvertire che le cose contenute in questa Nota hanno un’origine didattica (mentre d'altra parte si collegano alla mia ci- tata Introduzione): esse datano dal 1893, e furono esposte, per quel che riguarda le superficie e tolto solo qualche particolare secondario, nelle mie Lezioni del 1893-94, con speciali applicazioni alle superficie razionali ed ai sistemi lineari di curve piane. (**) È un luogo sì fatto la linea multipla di F, se il fascio di superficie che stacca le Y non l’ha per linea base. Il numero è si riferisce a punti situati fuori di quella linea (almeno in generale; cfr. il seguito). || TESO PT, SL nnn__— oo = Io ET SALTO DOD TIT TT enon pa ur e PI INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 487 serie lineari che su T sono staccate dai due fasci , {; e con- frontando le due determinazioni otterremo la relazione cercata. Su una y generica il fascio Y' sega una serie lineare d’or- dine m, che avrà (n. 1) N=2m + 2p—2 punti doppi: tanti saranno dunque i punti variabili del luogo T, che stanno sulla Y generica. Al variare della Y quel gruppo di punti descriverà su T una serie lineare, che indicherò con g, d'ordine N. Similmente su una y' generica si hanno N = 2m + 2p"— 2 punti variabili di T: e ne deriva su questa curva una seconda serie lineare, che dirò g', il cui ordine sarà N'. — Cerchiamo i punti doppi di queste serie, ad esempio della g. 8. Anzitutto se su una y coincidono due degli N punti suddetti in un punto che non sia nè singolare per la Y, nè punto base per le y', nel punto stesso dovrà (v. la fine del n. 1) es- servi un contatto tripunto della Y con una y'. Diciamo t il nu- mero dei punti di F, in cui vi è contatto tripunto fra una y ed una Y': essi daranno altrettanti punti doppi della 9. Si vede che se una Y ha un contatto s— punto con una Yy', coincidono s—1 suoi punti d'incontro con T, e quindi coincidono s — 2 punti doppi della g: il contatto s — punto influirà per s — 2 unità nel numero t dei contatti tripunti. In secondo luogo se una Y ha un punto doppio A, che non sia nè in un punto base, nè su un luogo di punti doppi del fascio, vale a dire se la r ha uno dei è punti doppi su nominati, il suo genere si ridurrà a p— 1; e quindi pel n. 1 le Y' propria- mente tangenti alla y si ridurranno a sole N — 2, cioè la Y' che passa per A assorbirà due delle N y' tangenti a v. Segue che i è punti doppi di curve y sono punti doppi per la serie lineare g di T. — Si osservi però che se A fosse in particolare una cuspide (ordinaria) per la y; allora la y' per A sarebbe da contare fra le dette N — 2 curve y' tangenti alla 1; e quindi A sarebbe non solo doppio, ma triplo per la serie 9g di T, ossia 488 CORRADO SEGRE influirebbe per 2 unità nel numero dè. — Se poi A è per la y un punto s — plo ordinario, che diminuisce il genere p di Pare 1) unità, segue ancora dal n. 1 che fuori di A cadono N — s (s— 1) punti variabili del luogo T, sicchè A equivale ad s(s — 1) in- tersezioni della y e di T. Ora poichè la y ha s rami distinti passanti per A, si può concludere che A sarà (s —1)— plo per T e con tangenti diverse da quelle della 1. Ammesso poi che i rami completi di T passanti per quel punto sian tutti distinti, essi saranno s—1 e su ognuno di essi la y sega A come punto s— plo della serie lineare g. Onde in A cadono s— 1 punti s— pli di questa serie, il che equivale ad (s—1)? punti doppi. Il punto A influisce dunque per (s—1)? unità sul numero è. In terzo luogo consideriamo un punto B' che sia punto base s'—plo (s'=1) pel fascio y'. Sulla Y che passa per esso la serie staccata dalle y' avrà solo più m —s' punti variabili, e quindi fuori di B' avrà solo N — 2s' punti doppi: in B' cadranno 25" intersezioni della Y col luogo T. Per determinare la multipli- cità di B' per questo luogo, osserviamo che nel fascio Y' vi sono in generale 2s"— 2 curve, per le quali coincidono due delle s' tangenti in B', ossia per le quali B' diventa un punto di dira- mazione (su un ciclo o ramo completo di 2° ordine). Se su una di queste particolari y' si considera la serie segata dal fascio Y, sì vede che essa avrà B' per punto doppio; sicchè quando una y' generica viene a cadere in quella, delle N’ sue intersezioni variabili con T una viene in B'. Dunque ognuna delle 2s'— 2 curve y' nominate è tangente in B' a T. L’unica curva ulteriore del fascio y' che riesca tangente a T in B' si vede similmente esser quella che tocca in B' la y passante per questo punto. Siccome poi, come dicemmo, questa Y ha con T un incontro (2s') — punto in B', così concludiamo che B' è multiplo secondo 258' — 1 per T, e che dei 2s5'— 1 rami completi di questa curva i quali passano per B' uno solo è tangente (semplicemente) alla Y. Dunque in B' cade un solo punto doppio della serie 9g segata su T dal fascio y(*#). — Da questo ragionamento risulta pure che, (*) Ciò non varrebbe più se il fascio y' avesse in B' tutte le s' tangenti fisse, cioè se nel detto fascio vi fosse una yY' che avesse in B' multiplicità s + 1. Allora facendo le necessarie modificazioni al ragionamento prece- ne n i INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 489 mentre i o’ punti base del fascio y' dànno altrettanti punti doppi della serie g su T, i punti base del fascio Y mon sono punti doppi di questa serie. 4. Applicando ora la formola del n. 1 ai punti doppi che abbiamo enumerati della serie 9g d'ordine N, sulla curva T di genere t, abbiamo tdi N + 1275-13; ossia (1) tt+tò+o=4m+2n+4+4p_- 6. Similmente dalla serie g' d’ordine N' si avrà: (2) t+d+o—=4m+2n44p— 6. Sottraendo membro a membro queste due formole si ha (3) dò - 0 — 4p=d' — — 4p, che è la relazione cercata. Essa dice che su una data superficie il numero dei punti doppi staccati di curve di un fascio diminuito del numero dei punti base di questo fascio e di 4 volte il genere di questo dà un numero che non muta se si cambia il fascio di curve, e costituisce quindi un carattere proprio della superficie (*). dente si vede che T verrebbe ad avere in generale in B' multiplicità 2 s' senza alcun contatto (proprio od improprio) con la Y passante per quel punto: sicchè B' non sarebbe più punto doppio per la serie 9 di T. (*) La proposizione si estende anche a casi che non abbiamo conside- rati. Così se il fascio Y ammette un punto base semplice B' con la tangente fissa, questo dovrebb’essere sottratto dal numero complessivo 0' nella re- lazione (1): v. la nota preced°. D'altra parte tenendo conto che B' viene ad essere punto doppio per una Y ed anche per T, si scorge tosto che esso dovrebb’esser tolto dal numero dei punti doppi della serie g' di T cioè dal 1° membro della (2), ossia da d'. Segue, passando alla (3), che questa rimane valida tal quale, purchè il punto B' non si computi nè nel numero 0' dei punti base, nè nel numero è’ dei punti doppi del fascio Y, oppure purchè si conti una volta in ciascuno di quei due numeri (od anche per 2 unità in entrambi i numeri, come da ragioni di limite si sarebbe indotti a fare). 490 CORRADO SEGRE Chiamando P questo carattere della superficie, potremo dire che un fascio di curve tracciato su questa, del genere p, con 0 punti base, ha un numero di punti doppi staccati espresso da (4) d=0+4p+P: in altre parole questo sarà il numero delle superficie tangenti alla superficie data, in un fascio di superficie la cui intersezione variabile con questa abbia il genere p ed abbia 0 punti fissi (sem- plici o multipli). Dal precedente n. 3 risulta pure che un punto il quale sia s—plo (staccato) per una curva del fascio va contato come equivalente ad (s—1)? punti doppi. — Se la superficie F ha un punto s—plo staccato A e si applicano le cose esposte nei ni 2,3 a due fasci di curve y, y' ottenuti con fasci di superficie non passanti per À, questo punto sarà s— plo tanto per una Y quanto per una y': e l’influenza che esso avrà sui numeri è, è’ delle relazioni (1), (2) scomparirà nella sottrazione, cioè nel pas- saggio alla relazione (3). Si può quindi fissarla, in questo caso, anche diversa da (s—1)?. Conviene assumere (*) che nella de- finizione del carattere P di una superficie un punto s — plo staccato ordinario di questa conti come s—1 punti di contatto ordinario con le superficie di un fascio, del quale il punto stesso non sia punto base. 5. Se della superficie F_si chiamano » l’ordine, v la classe, p il genere delle sue sezioni piane, e si applica la definizione del carattere P ad un fascio generico di sezioni piane, si ha (5) Pa=v_-n—- 4p. Se si chiama r il rango della superficie, e c l'ordine della sua linea cuspidale, sicchè r+c=2n+2p — 2, si avrà, elimi- nando p: (6) Pa=vT_- 2r + 3a — 2e — 4. Tanto in questa formola, quanto nella (5), secondo la conven- (*) Cfr., ad esempio, la nota seguente. INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 491 zione fatta, si aggiungerà (s—1) al 2° membro per ogni punto s—plo staccato ordinario che la superficie avesse (*). Nella (6) si riconosce un’espressione già incontrata dal signor ZeutHEN nella ricerca fondamentale di caratteri della superficie invariabili per trasformazioni birazionali (**). La stessa espressione fu poi considerata di nuovo dal signor NoETHER (***); indicando con p e p‘ rispettivamente quei numeri che egli chiama Flichengeschlecht e Curvengeschlecht della superficie F, quest’ultimo scienziato trova che l’espressione (6) di P equi- vale a 12p — PUT9, almeno se si fanno opportune riserve relativamente alle singo- larità di F. Su ciò, e su qualche raffronto che si potrebbe fare tra il ragionamento che ci ha condotti al carattere P ed i ra- gionamenti di quei due illustri scienziati, per brevità non mi trattengo. Osserverò invece come dalla (5) risulti che per una super- ficie generale d’ordine n è P=(n_-2)(e_-2n+2); per una rigata sghemba di qualunque ordine e di genere p è Lai lo (*) Qui si può già vedere l’opportunità della detta convenzione in ciò che essa permette di applicare la definizione del carattere P anche ricor- rendo ad un fascio di curve di cui quel punto s—plo sia punto base. Consideriamo in fatti un fascio di sezioni piane passanti per questo: il suo ; s(s_1l) . 4 z È b genere sarà p — © , il numero dei suoi punti base n — s + 1, il numero dei suoi punti doppi fuori di questi v—2s(s—1); per conseguenza l’e- spressione è — 0 —4p del n° preced.° diventa pel fascio attuale v—n—4p + (s-1) (**) V. ad esempio il n. 24 delle Etudes géométriques de quelques-unes des propriétés de deux surfaces dont les points se correspondent un-à-un. Math. Annalen, t. IV (1871). (***) Zur Theorie des eindeutigen Entsprechens algebraischer Gebilde (2° Aufsatz). Math. Ann., t. VIII (1874). Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 35 492 CORRADO SEGRE ecc., ecc. — Applicando questi risultati al problema dei con- tatti della superficie data con superficie di un fascio si ha ad esempio: in un fascio di superficie d'ordine u vi sono in generale nu° + 4(t — p) superficie tangenti ad una data rigata sghemba d’ordine n e genere p, se © è il genere della curva d’intersezione della superficie generica del fascio con la rigata; ecc., ecc. Nel caso che la superficie data sia un piano, si vede che il suo carattere sarà P=—1. Si ritrova così la nota proposi» zione: in un fascio di curve piane di genere p, con 0 punti base, vi sono în generale o-|4p— l curve dotate di punti doppi fuori dei punti base (*). 6. Quando di una superficie si sia calcolato il carattere P, introducendolo mediante la formola (4) del n. 4 nella (1), questa diventa (7) t_-2n=4m — ((+0) —6—- PD. Questa relazione permette di calcolare t, cioè il numero delle coppie di curve dei due fasci con contatto tripunto, quando si sappia determinare il genere m della curva T. — Ad esempio, se si è nel piano, e se si conoscono anche gli ordini n, n' dei due fasci di curve Y e 1", t si può avere subito. Dal ragionamento (*) Il sig. Cremona nello scritto Sopra alcune questioni nella teoria delle curve piane (Annali di mat., t. VI, 1864) determinò il numero dei punti doppi di un fascio di curve piane, fuori dei punti base, in molti casi; tra cui quello nel quale i punti base siano di multiplicità qualunque, con le tangenti variabili. Introducendo nella formola del Cremona il genere, il Caporari la mise nella forma sopra scritta: v. il n. 13 della Memoria Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti di curve algebriche piane (Collect. mathem. in mem. Caeuini, 1881). — Il sig. Guccra ha poi trattato la stessa questione nelle sue Lezioni di Geometria superiore (litogr., Palermo, 1890), e per singolarità superiori del fascio di curve piane nel $ 8 delle sue Ricerche sui sistemi lineari di curve algebriche piane, dotati di singolarità ordinarie, Mem. II (Rendiconti del Circolo mat.° di Palermo, t. IX, 1895). «” ani I RR PT, On iter ect INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 493 del n. 3 segue infatti che le sole multiplicità di T si hanno in generale nei punti base dei due fasci, e precisamente in un punto base s — plo la multiplicità 2s — 1: contando gl’incontri di T con una curva generica di un fascio si trae che l’ ordine di Tè 2n + 2x'—3; e poi basandosi su questo e sulle dette multiplicità di T si calcola subito: mq = 4nn + 6(p+tp)—- (040) — 2. Sostituendo nella (7) in cui si ponga P= —1 ed m= nw', si ha t= 12(nn' +p+p)— 3(0+0)— 9 come numero dei contatti tripunti tra curve di ordini n, n' e ge- neri p, p di due fasci di curve piane con 0, 0' punti base or- dinari (*). Si può aggiungere a queste formole un’altra relativa al numero d delle coppie di curve dei due fasci che hanno fra loro doppio contatto. Una coppia di punti di contatto fra una Y ed una v' costituisce sulla curva ausiliaria T una coppia comune alle due serie lineari d’ ordini N, N' considerate al n. 2. Però fra le coppie comuni a queste due serie vi sono anche quelle costituite da due punti coincidenti, provenienti dalle coppie di curve v, y' aventi contatto tripunto. Quindi, applicando la nota formola (#*) relativa alle coppie comuni a due serie lineari (co!) sopra un ente di genere t, avremo d+T1=(N-1)(N-1)— n, ossia (*) Nel caso di due fasci generali degli ordini n, x quella formola si riduce ad una data da Sremer alla fine della sua Nota AWgemeine Eigen- schaften der algebraischen Curven (Berliner Berichte 1848; Werke II p. 495). Cfr. anche la Nota del sig. BerzoLari Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un semplice o un doppio contatto, oppure si osculano: Nota che pre- sento all'Accademia con questa mia, e che mi ha eccitato a riprendere, per pubblicarle, le cose qui esposte, e preparate, come dissi (v. nota al n. 2), alcuni anni addietro. (**) Cfr., ad esempio, la mia citata Introduzione, n. 85. 494 CORRADO SEGRE 8) dtbrit+qa=(2m+2p—3) Qm4 2p — 3). Questa formola si può unire con la (7); e si può, ad esempio, eliminare da esse t oppure t. — Se si è nel piano si può sen- z'altro porre nella (8) per m e per t i valori dianzi calcolati, e così si ottiene pel numero dei doppi contatti tra curve di or- dini n, n' e generi p, p' di due fasci di curve piane con 0, 0' punti base ordinari l’espressione (*) d=4[n?n° | (nn — 6)(p+p)+ pp'— Inn +0+0' +5]. 7. Nel n. 5 abbiamo citato le ricerche dei sigi NoETHER e ZeurHEN relative a caratteri di una superficie invariabili per trasformazioni birazionali di questa. Considerando il carattere P da questo punto di vista facciamo alcune brevi osservazioni (**). Se fra i punti di due superficie algebriche ha luogo una corrispondenza birazionale priva di punti fondamentali su en- trambe le superficie, cioè di punti a cui corrispondano linee, allora ad un fascio di curve dell’una corrisponderà sull’altra un fascio di curve, dello stesso genere, con lo stesso numero di punti base, con lo stesso numero di punti doppi staccati. Quindi le due superficie avranno lo stesso carattere P. — Si sa che il CLeBscH (***) ha proposto di distinguere le superficie algebriche in tipi, chiamando “ di uno stesso tipo , flue superficie quando si possono riferire tra loro biunivocamente nel modo detto. Adottando quella distinzione potremo dire che: per le superficie di uno stesso tipo il carattere P_ha lo stesso valore. Abbiasi ora, più in generale, una corrispondenza birazio- (*) V. pel caso di due fasci generali di ordini n, »' la citata Nota del sig. BERZOLARI. (**) Per maggior semplicità considero superficie che non abbiano punti multipli staccati: sebbene l’esistenza di tali punti non produrrebbe difficoltà essenziali; ed inoltre, applicando le osservazioni che faremo a superficie dotate di punti multipli staccati si avrebbe una nuova prova dell’opportu- nità della convenzione fatta su quei punti alla fine del n. 4. (***) Ueber die geradlinigen Fliichen vom Geschlechte p= 0 (Math. Ann., t. V). V.il 88. INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 495 nale tra due superficie F, F,, tale che su queste vi siano ri- spettivamente è, î, punti fondamentali; sicchè su F,, F_ avremo rispettivamente i, î, linee fondamentali corrispondenti a quei punti. Consideriamo in F un fascio di curve, staccato mediante un fascio di superficie in posizione generale rispetto ai punti e linee fondamentali di F: sia p il suo genere, o il numero dei suoi punti base, è il numero dei suoi punti doppi (staccati) fuori di questi. Gli corrisponderà su F, un fascio di curve dello stesso genere p, del quale dirò 0, il numero dei punti base e è; il nu- mero dei punti doppi staccati. Al fatto che le linee del 1° fascio incontrano ogni linea fondamentale di F corrisponderà il passare di tutte le linee del 2° fascio per ciascun punto fondamentale di F,; onde 0:=0-+i,. Quanto ai è, punti doppi del 2° fascio, parte corrisponderanno ai è punti doppi del 1° fascio; e gli altri agli è punti fondamentali di F, giacchè una curva del 1° fascio che passi per uno di questi punti fondamentali ha per corrispondente su F, una curva che contiene come parte la linea fondamentale omologa, e precisamente in modo che l’altra componente incontra questa linea fondamentale, fuori dei punti fondamentali, in un sol punto, corrispondente ad una direzione uscente dal punto fonda- mentale di F (*). Si ha dunque: è, =ò + i. Chiamando ora P e P, i caratteri di F, F,, e calcolandoli (n. 4) rispettivamente coi due fasci considerati, abbiamo Li (9) PP, Be=sio=lHix Dunque: quando tra due superficie algebriche ha luogo una cor- rispondenza birazionale con soli punti fondamentali ordinari, la differenza fra il numero dei punti fondamentali che stanno sulle due superficie è uguale e opposta alla differenza tra i caratteri di queste. In particolare se la corrispondenza ha luogo tra i punti di due superficie coincidenti, il numero dei punti fondamentali sarà lo stesso per entrambe (**). (*) È facile vedere che l’esistenza, in questo caso, di curve riducibili non toglie di applicare le cose esposte prima, sebbene le curve siffatte fossero escluse. (*#*) Merita di esser ricordato che questa proposizione, pel caso di due 496 CORRADO SEGRE Possiamo enunciare queste proposizioni anche in altro modo, riferendole ai sistemi lineari di curve che sull’una superficie cor- rispondono alle sezioni piane (od iperpiane) dell’altra. Avremo: un sistema lineare di curve tracciato su una superficie F e rap- presentativo di un’altra superficie F, dà come eccesso del numero dei suoi punti fondamentali (supposti ordinari) sul numero delle sue linee fondamentali la differenza P, — P tra i caratteri delle . due superficie. Per conseguenza se la superficie F si trasforma birazionalmente in se stessa, verrà trasformato il sistema lineare di curve in un altro sistema, il quale potrà avere altri numeri di punti e di linee fondamentali, ma conserverà invariato l’ec- cesso dell’un numero sull’ altro, giacchè non muteranno i due caratteri P, P,. In particolare se si tratta di un sistema lineare di curve piane, vediamo che il detto eccesso è invariabile per trasformazioni birazionali del piano e ne troviamo una spiega- zione nel fatto che esso diminuito di 1 dà il carattere P, della superficie che è rappresentata da quel sistema lineare. — Le cose ora esposte si potevano anche derivare dalle Mem® citate, e più specialmente da quella del sig. NoeTHER (cfr. ad es° il $ 6 della detta Mem?). Si osservi, a questo riguardo, che il numero P+i, somma del carattere della superficie F col numero dei suoi punti fondamentali, è uguale al numero analogo relativo alla superficie F,. E si noti pure che l’esistenza su Fi, ad esempio, di punti fondamentali non sarà possibile se su F non esistono di quelle linee che il sig. NoETtHER medesimo ha chiamato “ ausgezeichnete ,. — D’ altra parte è ben noto che dell’ eccesso su nominato, per un sistema lineare qualunque di curve piane, si occupò molto estesamente, specialmente per la sua invariantività, il sig. June nei suoi lavori sui sistemi lineari di curve piane (*). piani, fu dimostrata dal Cremona appunto con la considerazione del numero dei punti doppi delle curve del fascio che sopra l’un piano corrisponde ad un fascio di rette dell’altro (Sulle trasformazioni geometriche delle figure piane, Mem. 2*, $ 5: Mem. Accad. Bologna (2) V, 1865). (*) Ricerche sui sistemi lineari di curve piane algebriche, ecc. (Annali di mat. (2), 15 e 16 (1888, 1889)). — Sull'eccesso degli elementi fondamentali di un sistema lineare (Rend. Ist. Lomb. (2), 21 (1888)). — V. anche: Sul numero delle curve degeneri contenute in un fascio (ibid.). arr nte —e + | a INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 497 8. Passiamo ora a fare, brevemente, in modo pienamente analogo a quello tenuto ai ni 1, 2, ecc. pei caratteri p e P delle curve e superficie, la ricerca di un analogo carattere relativo alle varietà algebriche a tre dimensioni. Sopra una M, abbiansi due fasci (tra loro indipendenti) di superficie F, F'. Diciamo P e P' i caratteri delle superficie ge- neriche dei due fasci; p il genere della curva d’ intersezione; p e p' i generi delle curve y e y' basi dei due fasci (semplici o multiple); c e 0' i numeri dei punti d’intersezione di y' con una F, e di y con una F". Consideriamo poi la curva T, di genere r, luogo dei punti di contatto delle F con le F'. Su una F gene- rica le superficie F' segano un fascio di curve di genere p, con o punti base: il numero dei punti doppi che vi saranno fuori di questi, cioè il numero N dei punti d’incontro variabili della F col luogo T sarà (n. 4) N=0+4p+P. Ciò per altro esige modificazioni, se fra i punti di y vi sono dei punti eccezionali, che influiscano in un modo speciale sul valore di P. Ci limiteremo, fra questi casi, a quello in cui Y sia una curva base semplice del fascio F, nella quale però vi sian punti base multipli ordinari. Se uno di questi punti è s — plo pel fascio F, la determinazione assunta per P è tale (v. la fine del n. 4) che il numero delle F' propriamente tangenti ad una F non è più 6 + 4p + P, ma questo numero diminuito di s — 1. Estendendo la cosa a tutti i punti base multipli del fascio F, avremo in questo caso pel numero N il valore: N=0+4p+P_ E(s-1) Così il fascio F sega su T una serie lineare semplicemente in- finita 9g il cui ordine N, a seconda dei casi detti, sarà dato dalla 1? o dalla 2* espressione. Similmente il fascio F' sega su T una serie lineare g' il cui ordine N’ sarà dato da N=0 +40 + P' in generale, cioè se sulla curva y' non vi sono punti eccezionali; 498 CORRADO SEGRE nel caso che il fascio F' abbia la curva base y' semplice, ma abbia pure su y' dei punti base multipli ordinari, la cui multi- plicità in genere indichiamo con s', sarà invece: N=o0 +4p+P_ (8-1). Cerchiamo ora i punti doppi delle due serie lineari, ad esempio di g. Anche qui, le coincidenze di due degli N punti doppi del fascio di curve che abbiam considerato sulla F potranno GONO mente avvenire in tre modi diversi. 1° Senza abbassamento del carattere P o del numero dei punti base del detto fascio, pel fatto che in questo vi è una curva dotata di cuspide, fuori dei punti base (veggasi nel n. 3 l'osservazione relativa alle cuspidi). Diremo t il numero dei con- tatti stazionari tra superficie Fed F', cioè dei punti (non base) che sono cuspidi per curve comuni ad F ed F'. 2° Perchè la superficie F ha carattere minore di quello P delle F generiche. Noi ammettiamo che ciò avvenga solo per l'acquisto che la F faccia di un punto doppio. Allora su F il fascio di curve considerato ammetterà solo N — 2 punti doppi (staccati) fuori di quello: cioè in quello vi sarà una coincidenza di due degli N punti considerati su una F generica. Diremo è il numero dei punti doppi di superficie del fascio F (staccati, cioè all'infuori dei punti base multipli e all’infuori dei luoghi di punti multipli della M;). 3° Perchè s’abbassa il numero dei punti base del fascio di curve della F. In generale ciò accadrà per quelle F che son tangenti alla curva y' base del fascio F': il loro numero è (n. 1) 20 + 2p' — 2. Se Y' non ha punti multipli — sia poi essa curva base semplice oppure multipla pel fascio F', — questo caso non potrà accadere in altro modo. Ma se y' ha punti multipli, anche le superficie F che passano per questi dovranno esser conside- rate. Non stiamo ad esaminare completamente la cosa: limitia- moci al caso di cui già abbiam tenuto conto precedentemente che le F' abbiano una linea base semplice e, su questa, dei punti base multipli; e consideriamo uno, B', di questi punti e sia s' la sua multiplicità per le F', sicchè i coni tangenti in esso a queste superficie formino un fascio generale d’ordine s'. ATA TEO INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 499 Si vede allora (analogamente al ragionamento fatto al n. 3, pel 8° caso) che la curva ‘T passa in generale per B' con 8(s'— 1)? rami tangenti alle generatrici doppie di coni del detto fascio e con altri 2s' — 2 rami tangenti alle generatrici di con- tatto di coni del fascio medesimo col piano tangente in B' alla F che vi passa. D'altronde su questa F, pel fascio di curve d’in- tersezione con le F', il numero o dei punti base sarà diminuito s(s'— 1) 2 contro variabili di T con la F il punto B' ne assorbirà (s'? — 1) + di s'? — 1 ed il genere p di ; sicchè degli N punti d’in- + 28'(s' — 1) ossia 3(s" — 1)? + 2 (2s' — 2). Segue che i rami nominati di T sono tutti lineari, e che gli ultimi 2s' — 2 sono semplicemente toccati in B' da quella F: sicchè in B' cadranno 2s' — 2 punti doppi della serie g di T. 9. Applicando ora alla curva T di genere q, ed alla sua serie lineare 9g, della quale abbiamo enumerato i punti doppi, la for- mola del n. 1, avremo, nel detto caso speciale t+òd+ (20429 — 2) +4 22/(s — 1)=2N+2n-2, formola che rimarrà valida anche nel caso generale, se vi si sopprime il simbolo sommatorio che vi compare. — Con questa convenzione, e ponendovi per N il corrispondente valore, essa diventa (10) t—-2n—-8p+òd —2P+2p'+2Z2(s—1) + 22'(s'—1)=0. Analogamente sarà: (11) t—2m—8p+d'—2P'+2p +22'(s—1)+2Z(s—1)=0. p Sottraendo membro a membro avremo, tanto nel caso ge- nerale, quanto nel detto caso speciale: (12) d — 2p—2P=d — 29 — 2P. Ossia: su una data varietà a tre dimensioni il numero dei punti doppi staccati di superficie di un fascio, diminuito del doppio ge- nere della curva base (semplice o multipla) e del doppio carattere 500 CORRADO SEGRE delle superficie generiche dà un numero che non muta se si cambia il fascio di superficie, e costituisce quindi un carattere proprio della varietà a tre dimensioni (*). Indicando con TT il carattere della M; che così abbiamo de- finito, sarà poi (13) d=2p+2P+T; questa formola determinerà il numero delle superficie dotate dî punti doppî staccati, in un fascio dato della Mz, quando si conosca il genere p della curva base ed il carattere P della superficie generica del fascio. 10. Ad esempio, per lo spazio ordinario possiamo determi- nare il carattere TT mediante un fascio di piani: si ha così TT=2. Ne segue che nello spazio ordinario un fascio di superficie, di carattere P, con la curva base del genere p, ha in generale, fuori di questa curva (14) 2P+p+1) punti doppi. — La curva base può esser semplice o multipla; e se è semplice può aver dei nodi, ed anche contenere dei punti base multipli pel fascio. — Se si tratta di un fascio generale di superficie d’ordine x, sicchè (n. 5) P=(n— 2)(n° — 2n+-2), e p=n?— 2n2+1, viene come numero di punti doppi 4 (n—1)?: com'è ben noto. Se il fascio di superficie d'ordine n ha un punto base s— plo, questo abbassa il valore di P ora scritto di (*) Oltre che nei casi esposti, questo teorema vale anche se la curva base del fascio di superficie è semplice ma possiede (oltre ai punti base mul- tipli già considerati del fascio di superficie) dei nodi suoi proprî, purchè però in tal caso si escludano dal computo dei punti doppi di superficie del fascio quelli precisamente che cadono in quei nodi della linea base. Invero se nel ragionamento fatto (n. 8) si ammette che Y e Y' possano avere punti doppi, indicando con B' un punto doppio di y', sulla F che lo contiene si avrà una coincidenza di due delle N curve con punto doppio, in quella che è intersezione di F con la F' avente punto doppio in B'. Ne viene poi che nella formola (10) si dovrà aggiungere al 1° membro il numero dei nodi di Y': e così nella (11) il numero dei nodi di y. Quindi passando alla (12) questa rimarrà vera, purchè è e è' si diminuiscano rispettivamente dei punti doppi di y e Y. ” TERE arri ” ee Ve nno. ng INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 501 s(s — 1)? — (s— 1), e quello di p di s*(s — 1) (*); quindi l’espres- sione (14) ci fa vedere che l'abbassamento nel numero 4(n — 1)8 dei punti doppi del fascio sarà di 2(s — 1)? (2s + 1): risultato pure noto (**). 11. Si può domandare quale sia per una varietà qualunque M, il carattere analogo a quelli che abbiamo introdotto per le superficie e per le varietà M;. Chiameremo TT, questo carattere: e lo supporremo definito per indici minori di ». Allora si con- sideri sulla M, un fascio di varietà M,_,, il cui carattere indi- chiamo con TT,_,, e sia TT,_s il carattere della M,_, base e è il numero dei punti doppi staccati di varietà del fascio: sarà, indipendentemente dal fascio considerato: (15) FIS = d — ANI == LI pira Conviene porre TT, uguale al numero dei punti a cui esso si ri- ferisce, diminuito di 1; poi TT, uguale al doppio del genere della curva (ossia porre TT_ ,=0). Dopo ciò risulta dalla (15) TT, uguale al carattere P della superficie aumentato di 1; e TT, uguale al carattere che avevamo chiamato TT della M, diminuito di 2. La determinazione così scelta è tale che, qualunque sia r, il carattere TT, s'annulla per la M, lineare, cioè per uno spazio S.. — Accenniamo ancora, terminando, che sarebbe utile in questo argomento considerare anche le varietà riducibdili. Per quel che riguarda le curve si sa già come la nozione del genere si possa applicare alle curve riducibili: e non vi è difficoltà a determi- nare quali modificazioni occorrano in tutte le cose esposte quando per le curve che abbiamo incontrato si tolga la restri- zione di essere irriducibili. Converrà fare la stessa determina- zione per le superficie, ecc. (*) Cremona, Grundziige einer allgem. Theorie der Oberfliichen, n. 119. (**) Preri, Sopra alcuni problemi riguardanti i fasci di curve e di super- ficie algebriche (Giornale di matem., t. 24 (1884)). — Cfr. anche, per questo e per un risultato più generale : Guccra, Sur les points doubles d’un faisceau de surfaces algébriques (Comptes rendus, avril 1895). 502 ALBERTO LEVI Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie; Nota del Dott. ALBERTO LEVI. Il prof. GerBALDI in un suo lavoro (1) ha risolto la que- stione di determinare quando la jacobiana di tre curve piane abbia in un punto dato una multiplicità maggiore di una o due unità di quella generale. Nella mia dissertazione di laurea (luglio 1895), che sarà pubblicata per esteso altrove, mi sono proposto il problema analogo per la jacobiana di quattro super- ficie, cioè, date quattro superficie F, Fo F3 Fi, è cui ordini siano n, Ny N3 Ny, e le cui multiplicità in un punto 0 siano ri rg rg Fry determinare in quali casi la jacobiana invece di avere in 0 la mul- tiplicità generale r=r1 4 ra» +r83 +r, — 3 ha ivi la multiplicità r+1odr+2(2). Rendo qui noti i principali risultati da me trovati in questa ricerca. Suppongo che si abbia Mir ia Sta LA Ty I ra r3 pri r4 e considero i numeri My = Mr — MT, P1=YaT3T4, Po =Y173T4, P9=V1T9T4, Pa=TT9Y3. (1) Sulle singolarità della jacobiana di tre curve piane. (Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, 1894). (2) La questione fu già in parte trattata, nel caso di una curva comune, dal De Paotis in un lavoro non pubblicato. I risultati, esatti, ma, a quanto pare, ottenuti con metodo non troppo sicuro, furono pubblicati dal Pro- fessore Secre nei Rendiconti Lincei, 1894, t. III, fasc. 7. SULLE SINGOLARITÀ DELLA JACOBIANA DI QUATTRO SUPERFICIE 503 Occorre distinguere poi varîì casi: se m,9 > 0 considero le superficie dello stesso ordine ed aventi in 0 la stessa multi- plicità: , M, i, Fu, M, —_ Fam Egr, My = Fas FMoms (1); se #9 = 0, ma mg4 > 0 considero invece le superficie N; = Fama, No — Frasu Fo msemu, Ns MN pit, FMsma,; Se mg = Mg4y = 0, considero le superficie P,= Faro, Po= FF, Po = FRF? infine se le m,, sono tutte nulle, considero le superficie pa BioSaia LSp=Re/e Ciò posto la jacobiana delle superficie F, F, Fs F4 avrà in 0 la multiplicità "+ 1 nei seguenti casi: 1° Se le multiplicità di 0 per le quattro superficie sono proporzionali ai loro ordini; 2° Se per 0 passano solo due delle quattro superficie ; 3° Se mig > 0, 0d m34 > 0, 0 myg=Mmg4=0, edil jaco- biano dei tre coni tangenti alle superficie M, M, M;, od N, No Ng, o P, PP, secondo i casi, è identicamente nullo. Il problema è quindi ridotto in questo caso a determinare quando si annulla identicamente il jacobiano di tre coni dello stesso ordine. Ora, valendosi di un noto teorema del prof. BERTINI sui sistemi lineari di varietà riduttibili, si dimostra che, perchè ciò avvenga, è necessario e sufficiente che i tre coni si compon- gano di una parte comune (che può anche mancare) e di coni di un fascio. Quindi nel 3° caso la condizione affinchè 0 sia (r + 1) — plo per la jacobiana potrà esprimersi più geometricamente, dicendo che i coni tangenti alle superficie M, od alle superficie N, od (1) Indico con F" la superficie F contata m volte, 504 ALBERTO LEVI alle P, secondo i casi, devono risultare di una parte comune e di coni di un fascio. Questo avverrà in particolare se i coni tangenti alle superficie F, F, F3 F, sono composti mediante coni di un fascio, ed infine anche nel caso che questo fascio sia un fascio di piani. Questo, per esempio, è il caso che 0 sia un punto generico di una curva comune alle quattro superficie; poichè allora i coni tangenti a queste si spezzano in piani pas- santi tutti per la tangente in 0 alla curva: sicchè la multiplicità di ogni punto di questa curva per la jacobiana, come già aveva trovato il De Paolis, sarà r+-1=r1+ rag. +rg + rs 2. Supposta soddisfatta una delle precedenti condizioni, vi sa- rebbe luogo a determinare quando la multiplicità di 0 per la jacobiana sia almeno r +2. Ho risolto la questione in due casi: a) Quando i coni tangenti alle superficie F, F, F; F, si spezzino in piani di un fascio (caso di una curva comune). In questo caso la multiplicità di 0 per la jacobiana è in generale r+1: se mm, > 0 sarà r+2 nei seguenti casi. 1° I gruppi di piani tangenti alla superficie M, M, M, coincidono. 2° Questi gruppi di piani fanno parte di un’involuzione semplicemente infinita, e quella superficie della rete M, M, Mg, che ha in 0 punto almeno (R+1)— plo (R essendo la mul- tiplicità comune in 0 delle M, M, M;) ha in 0 un punto (R+ 2) — plo, oppure ha in 0 un punto (R+4-1)— plo, tale che il cono tangente ad essa si spezza esso pure in piani del fascio, a cui appartengono i coni tangenti alle quattro super- ficie date. 3° I gruppi di piani tangenti alle superficie della rete M, My M; determinano un’involuzione doppiamente infinita, e l'insieme di tutte le rette passanti per 0, che incontrino in 0 almeno R + 2 volte una superficie della rete ed appartengano ad un piano doppio per il gruppo di piani tangente a questa, o diventa indeterminato, o si riduce a 3R —1 piani passanti per l’asse del fascio dei piani tangenti. Se si avesse mj> = 0, ma #34 > 0, oppure m39 = #34 = 0, basterebbe in quanto si è detto sostituire alle superficie M, M, My le superficie N, Ns N3 nel primo caso e le superficie P, Ps P3 nel secondo. e E, CET TTT OE SULLE SINGOLARITÀ DELLA JACOBIANA DI QUATTRO SUPERFICIE 505 Nel caso poi che per 0 passino solo due delle superficie, ad es. F; ed F,, perchè la multiplicità di 0 per la jacobiana sia r42=r3 +r4— 1, dovrà essere soddisfatta una di queste due condizioni. 1° La retta intersezione dei piani polari di 0 rispetto alle superficie F, ed F, incontra la retta asse dei gruppi di piani tangenti in 0 alle superficie F; ed F,. 2° I gruppi di piani tangenti alle superficie F3"' ed Fs coincidono. 5) Quando le multiplicità di 0 per le quattro superficie sono proporzionali agli ordini. In questo caso pure (che comprende sotto di sè il caso che si tratti del comportarsi della jacobiana di un sistema lineare 003 di superficie in un punto base), la multiplicità di 0 per la jacobiana è in generale r + 1; sarà r +2 nei seguenti casi. 1° Quando i coni tangenti alle superficie S, Ss S3 Sy sono composti di una parte comune e di coni di un fascio (e quindi o appartengono ad un fascio o determinano un sistema lineare di coni riduttibili): questo avviene in particolare se si tratta di una curva comune alle quattro superficie; sicchè si ha questo teorema: Una curva base s — pla di un sistema lineare 00° di superficie ha almeno la multiplicità 4s — 1 per la jacobiana. 2° Quando i coni tangenti alle superficie S, Sa S3 Sy de- terminano una rete di coni che non si spezzano in parti varia- bili, e quella superficie del sistema lineare 003 determinato da S, Sa Sg S4, che ha in 0 punto più che s — plo, ha in 0 un punto almeno s 4-2 — plo. In particolare, in un punto base semplice di un sistema lineare 0035 di superficie, in cui i piani tangenti non formano fascio, essi determinano una rete, e quindi il punto sarà triplo per la jacobiana del dato sistema solo quando in questo esiste una superficie che abbia in 0 punto triplo. 3° Quando i coni tangenti alle superficie S, Sa S3 Sy de- terminano un sistema 00° di coni che non si spezzino in parti variabili, ed ogni superficie del sistema, il cui cono tangente in 0 ammette una retta doppia, è incontrata da questa retta almeno s +2 volte. Da questi risultati si possono facilmente dedurre tutti i casi in cui la jacobiana di un sistema lineare ha punto doppio o 506 Î RODOLFO BETTAZZI © punto triplo, senza che occorra determinare in generale quando la multiplicità di 0 per la jacobiana sia r + 2, valendosi solo dei casi (a) e (2) da me considerati. Gruppi finiti ed infiniti di enti® ; Nota di RODOLFO BETTAZZI. Dell’argomento di questa Nota (1) già altri, anche recente- mente, sì sono occupati. Il Cantor ne parla nel suo opuscolo “ Zur Lehre von Trans- finiten , (Halle 1890), dove, nelle annotazioni apposte alla pag. 60, definisce il gruppo finito sostanzialmente come da noi verrà fatto al $ 1, ma non forse con tutta precisione, e dimenti- cando di richiedere la proprietà espressa dal principio d’indu- zione, sebbene poi la usi nelle dimostrazioni. Il Veronese (“ Fondamenti di Geometria , Padova 1891 — Introduzione, N. 35) nella sua serie limitata di 1° specie definisce appunto un gruppo finito simile al nostro: solo ci sembra che il concetto di ordine, al quale si appoggia, sia alquanto ristretto, fondandosi sull’idea di tempo (inclusa nel pensare gli enti prima o poi), o almeno su quella di successione di pensieri, che in ge- nerale non ci sembrano necessarie. L'ordinamento, che da noi si suppone nel nostro gruppo, è invece tutt’affatto generale ed è quello del quale si parla nella N. C., $ 9. Il Dedekind nel suo opuscolo “ Was sind und was sollen die Zahlen , (Braunschweig, 1888) dopo aver parlato dei gruppi infiniti, studia esso pure quelli finiti, indicando egli con tal nome i gruppi non infiniti; ma a causa di un’obiezione, che ci sembra potersi fare ad una sua dimostrazione (Cfr. più oltre, $ 10), resta il dubbio che veramente i suoi gruppi finiti si pos- sano tutti ricondurre a quel tipo di gruppo ordinato, nel quale in sostanza ordinariamente (ed anche nel grossolano uso comune) si suol vedere il gruppo finito. (1) Questa Nota dipende dall'altra da noi pubblicata in questi stessi “ Atti, (1896) col titolo: Su/la catena di un ente in un gruppo. Si citerà questa ultima Nota scrivendo semplicemente N. C. (cioè Nota sulla Catena). GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 507 Nella presente Nota si darà la definizione del gruppo finito basata sul suo ordinamento, e alcune proprietà fondamentali di esso. 1. Definizione. — Diremo finito un gruppo che possa rendersi bene ordinato limitato, e catena del suo ente originario (N. C., f), 9), j), SD. Un gruppo finito che sia effettivamente bene ordinato li- mitato, e catena del proprio ente originario, si dirà per brevità semplicemente ordinato. CoroLLaRrIo 1°. — Un gruppo finito semplicemente ordinato soddisfa al principio d’induzione. Cor. 2°. — Un gruppo simile ad un gruppo finito è finito esso pure. 2. Def. — In un gruppo finito semplicemente ordinato chiameremo parte Z (1) un gruppo composto di un ente del gruppo e dei precedenti di quell’ente, il quale si dirà finale della Z: indicheremo con Za la Z che ha per finale a. Cor. 1°. — Se in una Z comparisce un ente, vi comparisce anche il suo immediatamente seguente (suo ente 0), tranne per il finale. Cor. 2°. — Se b è un ente non finale di Z., la Z; è parte propria di La. Cor. 3°. — Di due distinte Z di un medesimo gruppo, l'una è parte propria dell’altra. Cor. 4°. — Ogni Z è catena del proprio ente originario nella corrispondenza che fa corrispondere ad ogni ente il proprio 6 (N. C., $ 1). Cor. 5°. — Ogni Z è un gruppo finito. 3. — Il gruppo di tutte le Z di un gruppo finito sempli- cemente ordinato è simile al gruppo stesso, e ne è immagine facendo corrispondere, p. es., ad ogni Z il proprio ente finale. Def. — Diremo gruppo ordinato delle Z il gruppo di esse, (1) La notazione è presa dal DepEKIND, che l’usa peri numeri (V. Was sind und was sollen die Zahlen, N. 98). Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 36 508 RODOLFO BETTAZZI quando di due Z qualunque si dice seguente quella il cui ente finale è seguente dell’ente finale dell’altra. Cor. — Il gruppo ordinato delle Z di un gruppo finito è un gruppo finito semplicemente ordinato. 4. TroreMma. — In un gruppo finito nessuna parte propria può essere simile all'intero gruppo (1). Sia G un gruppo finito, e si consideri il gruppo ordinato delle Z, prese in G quando esso è semplicemente ordinato. Il teo- rema è vero per l'ente originario di un tale gruppo, il quale è una Z che consta di un ente solo. — Se è vero per una Z, lo è per la immediatamente seguente; giacchè se fosse possibile che in una Z una parte fosse simile all’intero gruppo, potremmo, sop- primendo un ente in Z e nella sua parte, avere un'analoga corrispondenza per la Z immediatamente precedente, per la quale invece è supposto ciò impossibile. Dunque, per il principio di induzione, il teorema è vero anche per la Z finale, che è il gruppo stesso G. Cor. 1°. — Un gruppo sviluppabile (N. C., e)) non è finito. Cor. 2°. — Nessuna parte di un gruppo finito può essere svi- luppabile (Cor. 1°). Cor. 3°. — Non può un gruppo finito essere in una corrispon- denza l’immagine di un gruppo, ed in un’altra l’immagine 0 di una parte propria dello stesso, o di un gruppo di cui questo è parte propria. Cor. 4°. — Per giudicare la relazione di potenza che lega un gruppo finito ad un altro gruppo qualunque, basta esaminare che cosa accada in una sola corrispondenza stabilita fra i due gruppi (Cor. 3°). Cor. 5°. — Le parti proprie di un gruppo finito sono di po- tenza minore a quella del gruppo (Cor. 4°). Cor. 6°. — Di due distinte Z di un medesimo gruppo finito semplicemente ordinato, una è di potenza minore dell’ altra (S 2, Cor. 3° e Cor. 5° — $ 4, Cor. 5°). (1) Cfr. CantoR, /. cit., pag. 61. — Veronese, /. c. Introd., N. 48, f). det a GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 509 5. Teorema. — Un gruppo finito è necessariamente di po- tenza 0 maggiore, 0 uguale, 0 minore a quella di un dato gruppo qualunque. Infatti noi possiamo associare all'ente originario di un gruppo G finito e semplicemente ordinato uno arbitrario del gruppo dato K, all'ente o dell’originario di G uno qualunque di quelli restanti in K, e, in generale, se ad un ente d di G si è associato un ente di K, si può associare all’ente cd di G un ente qualunque del gruppo K', che si ottiene da K soppri- mendovi gli enti di esso già associati ai precedenti di 6 ed a b, se un tal gruppo K' esiste. Questa associazione, per il principio d’induzione valido in G, è una corrispondenza fra G e K, nella quale o G ha per immagine una parte propria di K, o K stesso, oppure una parte propria di G ha per immagine K. Lo stesso accadrà quindi in qualunque altra corrispondenza possibile fra G e K ($ 4, Cor. 3°) e sarà perciò G necessariamente di po- tenza maggiore, o uguale, o minore a quella di K. Cor. — Di due gruppi finiti qualunque che non abbiano po- tenza uguale, uno ha necessariamente potenza maggiore dell'altro (1). Osservazione. — Dalla dimostrazione del Teorema precedente si deduce che ogni gruppo di potenza minore di quella di un gruppo finito è di potenza uguale a quella di una sua conve- niente parte Z. 6. TrorEeMA. — Le parti proprie di un gruppo finito sono finite (2). Infatti essendo esse ($ 4, Cor. 5°) di potenza minore a quella del gruppo, e quindi ($ 5, Osservazione) simili ad una parte Z del gruppo, la quale ($ 2, Cor. 5°) è finita, sono finite esse pure ($ 1, Cor. 2°). (1) Di qui discendono pei gruppi finiti le seguenti proprietà che il Cantor nella sua Nota 1%: Beitrége zur Begriindung der transfiniten Menge (Math. Ann., Bd. 46) enuncia pei gruppi qualunque, sebbene nè egli ivi le dimostri, nè appariscano evidenti: — Se dei gruppi M ed N il gruppo N non è equivalente nè ad M, nè ad una sua parte propria, dovrà una parte propria di N essere equivalente ad M. — Se M ed N non sono equivalenti, ed una parte propria di N è equi- valente ad M, nessuna parte propria di M sarà equivalente ad N. (2) Cfr. VERONESE, /. c., Introd., N. 39, e). 510 RODOLFO BETTAZZI 7. TEOREMA. — Ogni gruppo che non sia di potenza maggiore a tutte quelle di qualunque gruppo finito, è finito esso pure. Ed infatti ($ 5) se il gruppo K non è di potenza maggiore a quella di un conveniente gruppo finito G, dovrà essere o di potenza uguale ad esso, o di potenza minore di esso e quindi di potenza uguale ad una sua parte propria, e perciò in ogni caso simile ad un gruppo finito ($ 6) e finito esso pure. Cor. 1°. — Un gruppo 0 è finito, 0 è di potenza maggiore a quelle di tutti è gruppi finiti. Cor. 2°. — Ogni gruppo finito è di potenza minore a quella di un gruppo sviluppabile qualunque (S 4, Cor. 1° — $ 7, Cor. 1°). 8. TrorEMA 1°. — In qualunque modo si renda bene ordinato un gruppo finito, esso dovrà sempre essere semplicemente ordi- nato ($ 1). Ed infatti, se fosse illimitato, la catena di un suo ente qua- lunque sarebbe aperta e illimitata, e quindi costituirebbe un gruppo sviluppabile (N. C., $ 3, Cor.), ed il gruppo di cui essa è parte non sarebbe finito. Se poi il gruppo non coincidesse colla catena del proprio ente originario, tale catena sarebbe anche allora illimitata, e il gruppo dato sarebbe ancora svilup- pabile. TroreMA 2°. — Un gruppo finito, se è ordinato, è sempre bene ordinato. Sia infatti il gruppo finito G, e si renda bene ordinato, il che è sempre possibile, per lo meno in quel modo per il quale si definisce finito ($ 1). Si consideri il gruppo ordinato delle sue Z: esso ($ 3, Cor., e $ 1, Cor. 1°) soddisfa al principio d’in- duzione, e di esso fa parte G come ente finale. Il teorema che ci si propone di dimostrare, è vero per l’ente Z originario di tale gruppo, che consta di un ente solo. Se si suppone vero per una delle Z, è vero, come facilmente si vede, anche per la Z immediatamente seguente. Dunque, per il prin- cipio d’induzione, è vero per tutti gli enti Z, e perciò anche per il finale, che è G. Cor. 1°. — Un gruppo finito, comunque sia ordinato, è sempre semplicemente ordinato. Cor. 2°. — Un gruppo finito semplicemente ordinato resta tale re Ape GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 5I1 anche scambiando in esso le parole precedente e seguente, e quelle finale ed originario; 0, brevemente, rovesciando il gruppo (1). Cor. 3°. — Un gruppo ordinato, nel quale qualche ente non abbia l’immediatamente seguente (fatta eccezione per il finale), non è finito. 9. TroreMa. — La condizione necessaria e sufficiente, affinchè un gruppo non sviluppabile sia finito, è che possa stabilirsi una corrispondenza priva di cicli parziali (N. C. d)), nella quale il gruppo sia immagine di sè stesso. Se in una corrispondenza priva di cicli parziali il gruppo G è immagine di sè stesso, si può rendere G bene ordinato (N. C., $ 9, Lemma 2°) dando origine ad un gruppo limitato. Se G non è sviluppabile, dev'essere esso la catena del suo ente originario, altrimenti tale catena sarebbe illimitata e perciò sviluppabile, e tale quindi sarebbe G. Reciprocamente se un gruppo è finito e si rende sempli- cemente ordinato, prendendo per immagine di ogni ente non finale il suo ente o e del finale l’originario, sì ottiene una cor- rispondenza nella quale il gruppo è immagine di sè stesso, che è priva di cicli (Cfr. N. C., $ 5, Teor.). 10. Def. — Diremo infinito ogni gruppo che non sia finito (2). Cor. 1°. — Sono infiniti tutti e soli ($ 7, Teor.) è gruppi di potenza maggiore a quella di qualunque gruppo finito. Cor. 2°. — Ogni gruppo sviluppabile è infinito ($ 7, Cor. 2°). (1) Cfr. Veronese, /. c., Introd., N. 39, c). (2) Il DepEKINnD che si occupa (!. c., N. 64) dei gruppi infiniti, dà questo nome ai gruppi che noi (N. C., e)) abbiamo detto sviluppabili. Tali gruppi sono infiniti anche nel nostro attuale concetto; ma (v. Osserv. al Cor. 2° di questo paragrafo) la reciproca non essendo stata provata, si è creduto bene di distinguere le due qualità dei gruppi con diverso nome. E si è cambiato quello già usato dal Dedekind, parendoci che il nome di infinito meglio si adattasse ai gruppi più generali (o almeno non certamente più speciali) da noi detti così, anche secondo il concetto grossolano che ci si fa, nell'uso volgare, del gruppo infinito. Il Canror, sebbene non lo defi- nisca esplicitamente, tuttavia ci pare che nel suo citato opuscolo (Zur Lehre, ecc.) mostri accostarsi al concetto di infinito qui da noi dato. 512 LORENZO CAMERANO . Osservazione. — Non è provata vera la reciproca del Co- rollario 2° (1) e quindi non si può asserire che in ogni gruppo infinito debba una parte propria essere simile all’intero gruppo. (1) Il DepekiInp (!. c., N. 159) tenta di dimostrare questa reciproca. La sua dimostrazione esige che si stabiliscano corrispondenze fra tutte le pos- sibili Z di un gruppo qualunque finito ed il gruppo X proposto (di potenza maggiore di qualunque gruppo finito) e che si costruisca un gruppo pren- dendo una corrispondenza fra ogni Z e XZ. Ma siccome di tali corrispon- denze ve n'è più di una fra ogni Z e Z, e il Dedekind non determina una speciale fra esse, così devesene prendere una qualunque ad arbitrio, e ciò fare per ciascun gruppo di corrispondenze fra ogni Z e X, cioè si deve scegliere ad arbitrio un ente (corrispondenza) in ciascuno di infiniti gruppi, il che non pare rigoroso; a meno che non si voglia ammettere per postu- lato che tale scelta possa farsi, la qual cosa peraltro ci sembrerebbe inop- portuna. Nuove ricerche intorno ai Salamandridi normalmente apneumoni e intorno alla respirazione negli Anfibì Urodeli; Nota del Socio LORENZO CAMERANO. In un lavoro che ebbe l’onore di essere stampato negli Atti di questa Accademia per l’anno 1894 (1) io dimostravo che, analogamente a quanto aveva poco prima osservato il Wilder (2) per alcune specie di Plethodontinae e di Desmognathinae dell'Ame- rica settentrionale, lo Spelerpes fuscus, specie italiana, è privo totalmente di polmoni, di trachea, di laringe e di aditus ad laringem e che la Salamandrina perspicillata, specie pure carat- (1) Ricerche anatomo-fisiologiche intorno ai Salumandridi normalmente apneumoni, vol. XXIX. (2) Anatomischer Anzeiger, vol. IX, n. 7, 1894. tnenite _S Pia i «een NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 513 teristica della fauna erpetologica italiana, ha l'apparato polmo- nare e tracheo laringeo al tutto rudimentale e non funzionante. Nello stesso lavoro io rendeva conto delle esperienze fatte sopra animali vivi delle due sopradette specie per determinare in che modo venisse sostituita la funzione respiratoria dei pol- moni assenti. La conclusione a cui giunsi fu: che la respirazione polmonare viene sostituita dalla respirazione della cavità bocco-fa- ringea, risultando essere di assai scarso aiuto la respirazione cutanea. Io non credetti di fare allora nessuna ipotesi intorno alla causa che può aver determinato l’atrofia dell'apparato polmonare o la sua totale scomparsa. Nuove ricerche fatte in proposito, che verrò ora esponendo, mi concedono di ritornare sull’argo- mento e mi inducono a fare alcune considerazioni sul fenomeno in questione. Recentemente al tutto (1) il dott. Einar Lònnberg di Upsala ha osservato pure la mancanza o la riduzione notevolissima dell'apparato polmonare nelle seguenti specie: Desmognathus auriculatus Cope. di Savannah (Georgia) e della Florida. Plethodon qglutinosus (Green) Id. Id. Manculus quadridigitatus (Holbrook) della Florida. Amblystoma opacum (Gravenh.) di Savannah (Georgia). A queste specie io posso oggi aggiungere lo Spelerpes va- riegatus (Gray) (Oedipus variegatus Gray). Questa specie, di cui ho esaminato due esemplari provenienti dal Messico, è total- mente priva di polmoni, di trachea e di aditus ad laringem. Gli Anfibi Urodeli quindi, nei quali venne fino ad ora os- servato o la mancanza totale dell'apparato tracheo-polmonare o la riduzione di esso allo stato rudimentale, sono i seguenti disposti secondo il catalogo del Boulanger (2). (1) Notes on tailed Batrachians without lungs (Zoologischer Anzeiger, vol. XIX, n. 494 — Gennaio 1896). (2) Catal. of Batrac. Graden. British Museum. Londra, 1882. 514 Subfam. Subfam. Subfam. Subfam. ' LORENZO CAMERANO Fam. I. — Salamandridae. Apparato tracheo-polmonare Salamandrinae Salamandrina perspicillata Savi — Rudimentale (Came- rano) Amblystomatinae Amblystoma opacum Gravh. — —Rudimentale (Lénn- berg) Plethodontinae ‘ Plethodon glutinosus Green — Manca (Loònnberg) Plethodon erythronotus Green — Manca (Wilder) Batrachoseps attenuatus Eschsch. — Manca(?) (Esch- scholtz-Camerano) (1) Spelerpes porphyriticus Green — Manca (Wilder) Spelerpes fuscus Bp. — Manca (Camerano) Spelerpes variegatus Gray — Manca (Camerano) Manculus quadridigitatus Holbr. — Mancano i polmoni: vi è un rudimento di aditus ad laringem — (Lonnberg) Desmognathinae Desmognatus ochrophoeus Cope — Manca (Wilder) Desmognatus fuscus Raf. — Manca (Wilder) Desmognatus fuscus var. auriculatus Cope — Manca (Lonnberg) Risulta da questo specchietto che tutte quattro le sotto- famiglie in cui si divide la famiglia dei Salamandridi (che com- prende la quasi totalità delle specie di Batraci Urodeli, vale a dire un centinaio circa, poichè le altre famiglie, Anfisbenidi, Proteidi, Sirenidi ne comprendono fra tutte solo otto) presen- tano il fatto della mancanza completa dell'apparato polmonare o della sua riduzione ad organo rudimentale non funzionante. (1) Atti Acc. Se., XXIX, 1894. NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 515 Dallo specchietto sopra riferito si può pure arguire che molto probabilmente il fatto in questione è generale per le specie delle sottofamiglie, Plethodontinae e Desmognathinae, vale a dire per la metà circa di tutte le specie fino ad oggi conosciute dell’intiera famiglia dei Salamandridi. Di fronte a questo risultato nasce spontanea la supposizione che negli Anfibi Urodeli la respirazione polmonare non assuma quella importanza funzionale che ha negli altri gruppi di Ver- tebrati respiranti per polmoni, e che per ciò essa possa venir facilmente sostituita in massima parte dalla respirazione hbocco- faringea (1) e forse in piccola parte dalla respirazione cutanea. Per chiarire ciò è necessario anzitutto studiare compara- tivamente lo sviluppo dell’ apparato polmonare in tutti gli Anfibi Urodeli, la qual cosa non è agevole per la difficoltà di procurarsi non poche delle specie di questo gruppo di Anfibi. Valendomi delle collezioni del Museo Zoologico di Torino, ho potuto fare questo studio in un certo numero di specie ap- partenenti a generi diversi e precisamente ai seguenti: Sala- mandra, Chioglossa, Molge, Tylototriton, Amblystoma che appar- tengono alla serie di quei Salamandridi che sono provvisti di polmoni. Colle precedenti osservazioni e con queste vengono ad essere esaminati tutti i generi della sottofamiglia Salamandrinae (salvo il genere Pachytriton che comprende una specie assai rara della China) e il genere più ricco di specie della sottofamiglia Amblystomatinae. Non potendosi pensare pel meccanismo stesso col quale si compie la respirazione polmonare in questi animali, come age- volmente si comprende, ad una misura diretta della capacità polmonare e dovendosi, d’ altra parte, operare per la maggior parte delle specie su materiale conservato in alcool, è bene, per avere dati comparabili, servirsi di materiale conservato nel- l’aleool comune da collezione per tutte le specie. La forma generale dei polmoni degli A. Urodeli è riduci- bile all’ ingrosso a due sacchi cilindrici per un certo tratto e più o meno bruscamente appuntiti verso la loro estremità in- feriore. Essi variano notevolmente in lunghezza da specie a (1) CameRANO, 0p. cit. 516 LORENZO CAMERANO specie: mentre il loro diametro trasversale varia in un rapporto quasi costante col diametro longitudinale, il che facilmente si comprende tenendo conto della forma generale del corpo che negli A. Urodeli tende ad allungarsi anzi che ad allargarsi. Nella Salamandra maculosa in cui il corpo è proporzionata- mente più largo i polmoni sono anche in proporzione della loro lunghezza un po’ più larghi che non nelle altre specie di A. Urodeli. Per la questione che ci occupa basta tener conto del solo diametro longitudinale del polmone poichè da esso si può arguire in modo sufficientemente approssimativo lo sviluppo generale del polmone stesso e i risultati riescono quindi comparabili fra loro. Ho misurato in tutte le specie studiate la lunghezza dei polmoni a cominciare dall’aditus ad laringem. Nei Salamandridi per lo più i due polmoni sono lunghi egualmente o la differenza fra essi è piccola. Ho misurato poi l’animale dall’estremità del muso all’a- pertura cloacale e da questa all'estremità della coda. Trattan- dosi di animali dal corpo generalmente allungato e molto simile nelle varie forme, le rispettive lunghezze del tronco e della coda possono bastare per indicare lo sviluppo generale dell’a- nimale senza ricorrere ai diametri trasversali i quali variano troppo facilmente per le condizioni temporanee in cui possono trovarsi i diversi individui (canal digerente pieno o vuoto, svi- luppo variabile degli ovarii e dei testicoli ecc.). Per le stesse ragioni non ho considerato il peso degli ani- mali poichè sopra di esso oltre alle cause sopra dette influisce pure il tempo più o meno lungo da che gli individui sono usciti dal letargo, tempo che nella maggior parte dei casi non è de- terminabile con certezza. Ho fatto in seguito il rapporto della lunghezza del polmone con quella del capo e del tronco riuniti insieme ed il rapporto della lunghezza del polmone colla lunghezza totale dell'animale. Per maggior comodità ho riferito le due serie di valori così ottenuti ad una lunghezza unica di 100 millimetri in modo da avere per ciascuna specie il rapporto centesimale fra la lun- ghezza dei polmoni e la lunghezza del capo e del tronco riuniti insieme e fra la lunghezza dei polmoni e la lunghezza totale dell'animale. NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. RISULTATI OTTENUTI disposti secondo l'ordine tassonomico delle specie esaminate. 517 Fam. SALAMANDRINAE Salamandra maculosa Laur. . atra Laur. . Chioglossa lusitanica Boc. Molge cristata Laur. s. sp. Karelinii s marmorata Latr. s @pestris Laur.: Forma A — branchiata . s B— abranchiata . Molge vulgaris Linn. . s torosa Eschsch. n viridescens Raf. s Rusconii Gené . ss aspera Dugès s Hagenmiilleri Lataste s Waltlii Michah. Tylototriton verrucosus Anders. Fam. AMBLYSTOMATIDAE Amblystoma tigrinum Green.: a) indiv. provenienti direttamente dal Messico . "SIR DI b) indiv. nati negli acquari dei Musei d'Europa e conservati a lungo vivi nel Museo di Torino . del capo e del tronco = 100, la lunghezza del polmone è egua- le al valore me- dio approssima- tivo di: 30 100 45 100 31 100 67 100 71 100 93 100 50 100 55 100 n 100 6 100 bi 100 30 100 50 100 52 100 28 100 43 100 58 100 Fatta la lunghezza |Fatta la lunghezza totale dell’ ani- male = 100, la lunghezza del polmone è eguale al valore medio (RnS L: 15 100 23 100 Tin 100 88 100 35. 100 23 100 23 100 28 100 28 100 28 100 14 100 16 100 18 100 26 100 15 100 sor 100 se 100 518 LORENZO CAMERANO Nella Salamandra perspicillata Savi i polmoni sono al tutto rudimentali e non misurano che 120 micromillimetri circa (1). Le specie studiate si possono disporre ne’ gruppi seguenti tenendo conto della lunghezza dei polmoni paragonata: Alla lunghezza del capo e del tronco fatta = 100 Alla lunghezza totale dell'animale fatta = 100 1 Molge torosa . . . .{T71 sn marmorata . .Y100 2 “istat na sn cristata 100 ua 62 3 sn viridescens 100 ; DÒ 4 sn vulgaris 100 s @lpestris branch. È ò ) Amblystoma tigrinum . n individui nati in Europa 92 6 Mol 7altlii = olge Waltlii 100 alpestris abranch.) 50 L » Hagenmilleri . (100 , 45 8 Sal dra atr === alamandra atra 100 9 Amblystoma tigrinum. 43 individ. prov. dal Messico 100 ( Chioglossa lusitanica 481 ( Molge Rusconii . 100 12 Tylototriton verrucosus —- 301 100( -@Gfaspera. bar. Salamandra maculosa. _ DD (©) S| I polmoni misurano la metà od oltre alla metà della della lunghezza del capo e del I polmoni misurano meno di 1/ tronco presi insieme lunghezza del capo e del tronco presi insieme 38 E 1 Molge cristata . —_| #55 0 100, FREE de da 2 s marmorata. 35| saez 100 E Ficje » viridescens . . \ 5) toro CA Î a rosa 100 sn vulgaris . 4 Amblystoma tigrinum 27 individui nati in Europa 100 x 26 5 Molge Waltlii . 100, Salamandra atra . Molge alpestris brane. e abranch. Amblystoma tigrinum 6 1 polmoni misurano poco meno o poco più di un quarto della lunghezza dell'animale individui prov. dal Messico. n'a idea; VI 535° nmiilleri. A E8 38 olge Hagenmii 100 RE 16 (852 8 aspera —|3 gf" ( Salamandra maculosa 15 ( Tylototriton verrucosus 100 10 Molge Rusconii 16 e Rusconii == Molg sc 100 NERE 11[FAS8 11 Chioglossa lusitanica. 1001 È SICA Eiacp> af ee Si possano riunire i gruppi ora indicati nei diagrammi seguenti in guisa che a colpo d’occhio si possa scorgere il va- (1) CamerANO, 0p. cit. NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 519 riare dello sviluppo dei polmoni in rapporto colla lunghezza del capo e del tronco, presi insieme, e colla lunghezza totale del- l’animale. 1208 r LI 100 | Ì Ja ——_+---- nt 1 “arno n_umn--- —__———-- i iui ee A — Diagramma che fa vedere il variare dello sviluppo dei polmoni negli Anfibî Urodeli delle sotto- famiglie Salamandrinae e Amblystomatinae riferito alla lunghezza del capo e del tronco, presi insieme, fatta eguale a 100 mill. — La parte nera indica il polmone. N. 1. Molge torosa, M. marmorati. — N, 2. M. cristata. — N. 3. M. viridescens. — N. 4. M. vulgaris. — N. 5. Amblystoma tigrinum, individui nati in Europa — M. alpestris branchiata. N. 6. Molge Wultlii. — N. 7. MU. alpestris abranchiata — M. Hagennvilleri. — N. 8. Sala- mandra atra. — N. 9. Amblystoma tigrinum, indiv. prov. dal Messico. — N. 10. Chioglossa lusitanica — Molge Rusconii. — N. 11. Molge aspera — Salamundra maculosa. — N. 12. Tylototriton verrucosus — A, valore medio per l'Amblystoma tigrinum. B — Diagramma che fa vedere il variare dello sviluppo dei polmoni ecc. come in A ma riferito alla lunghezza totale dell'animale fatta eguale a 100 mill. — La parte nera indica il polmone, N. 1. Molge cristata. — N. 2. MH. marmorata. — N. 3, M. viridescens, M. torosa, M. vulgaris. N. 4, Amb. tigrin,, indiv. nati in Europa. — N. 5. M. Waltllii, — N. 6. Salamandra atra, Amb. tigr., indiv. prov. dal Messico — Molge alpestris branch. e abranch. — N. 7. M. Hagen- milleri. — N. 8. M. aspera. — N. 9. Salamandra maculosa, Tylototriton verrucosus. — N. 10. M. Rusconii. — N, 11. Chioglossa lusitanica. 520 LORENZO CAMERANO Dai diagrammi precedenti risulta: 1° che nella famiglia dei Salamandridi lo sviluppo dei polmoni è molto variabile, da un terzo cioè ad un decimo circa della lunghezza dell'animale. Da questo grado di sviluppo si passa bruscamente ai rudimenti di polmoni, come nella Sala- drina perspicillata ; 2° che tenendo conto del genere di vita delle specie si osserva, in generale, uno sviluppo maggiore dei polmoni in quelle nelle quali è prevalente la vita acquatica anzichè in quelle nelle quali prevale la vita terragnola; 3° che presumibilmente nelle specie (ad es.: Molge Ha- genmiilleri, aspera, Tylototriton verrucosus, ecc.) in cui i polmoni sono meno lunghi della quinta parte dell’intero animale, il fe- nomeno di regressione nello sviluppo di questo organo si deve ritenere come già inoltrato e che a più forte ragione ciò si deve dire per quelle specie (esemp.: Molge Rusconii, Chioglossa lusitanica) in cui i polmoni giungono a misurare poco più della decima parte di tutto l’animale. In queste specie la respirazione bocco-faringea ha certamente assunto di già importanza notevole, importanza che raggiunge il suo massimo grado nella Salaman- drina perspicillata e nelle altre specie di A. Urodeli prive di polmoni (Pletodontini, Desmognatini). Esaminando ora tutto il gruppo degli Anfibi Urodeli per ciò che riguarda la mancanza, e lo sviluppo vario dei polmoni si giunge ai risultati seguenti: A — Anfibi Urodeli con branchie esterne ben sviluppate e nor- malmente persistenti nello stato adulto — Proteidi — Sirenidi — Vita esclusivamente acquatica — Polmoni re- lativamente lunghi. B — Anfibi Urodeli con branchie esterne ben sviluppate nello stato adulto in seguito a fenomeni di mneotenia che in certe località agiscono sopra numerose serie di individui dando luogo ad un vero dismorfismo nella specie (esemp. Amblystoma tigrinum, Molge alpestris ecc.) — Vita esclu- sivamente acquatica — Polmoni relativamente lunghi e ben sviluppati. C — Anfibi Urodeli senza branchie esterne nello stato adulto e dra pre NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 521 con o senza spiraculum — Anfiumidi — Vita acquatica — Polmonari sviluppati. D — Anfibi Urodeli senza branchie allo stato adulto — A. Vita prevalentemente acquatica (1) (esemp.: Molge cristata, marmorata, vulgaris, alpestris abranch., Waltlii, ecc.) — Polmoni relativamente ben sviluppati — B. Vita preva- lentemente terragnola (esemp.: Molge Hagenmiilleri, aspera, Rusconti, Chioglossa lusitanica, ecc.) — Polmoni relativa- mente poco sviluppati o al tutto rudimentali come nella Salamandrina perspicillata. E — Anfibi Urodeli senza branchie allo stato adulto con vita più o meno terragnola od acquatica con prevalenza tut- tavia della vita terragnola — Pletodontini, Desmognatini — I polmoni mancano. Ciò premesso, è ora necessario vedere in quale misura i polmoni concorrano nei varî gruppi di Anfibi Urodeli alla fun- zione generale della respirazione che in questi animali si può compiere nei modi principali seguenti: 1. Respirazione cutanea; 2. Respirazione branchiale; 3. Respirazione polmonare; 4. Respirazione bocco-faringea. Lascio in disparte qui la respirazione cutanea la quale cer- tamente si compie in tutti gli A. Urodeli ma, secondo le ultime ricerche, in misura non sufficiente a sostituire nessuna delle altre maniere di respirazione. Nel primo gruppo (A — Proteidi, Sirenidi) tenuto conto della struttura stessa dei polmoni e delle esperienze fatte già dal Configliacchi e dal Rusconi e stampate nella loro celebre “ Monografia del Proteo anguino , (2) si può credere che la respirazione polmonare sia nulla. I due autori ora citati dicono (pag. 28): “ Il Proteo anguino non campa quando sia cavato fuori dell’acqua..... Ma se il Proteo sì muore quando è in secco, nell'acqua per lo contrario vive (1) Cfr. CamerANO, 0p. cit. (2) Pavia, 1819. 522 LORENZO CAMERANO meglio dei pesci, poichè, coeteris paribus, non ha tanto bisogno del rinnovamento dell’acqua quanto ne hanno i pesci; noi ci siamo assicurati di queste verità per mezzo di varì sperimenti, l’esito dei quali verremo qui brevemente esponendo. In un vaso pieno d’acqua della tenuta di tre pinte alla temperatura di 14 gradi, il Proteo ha di bisogno non altrimenti che un pesce di venire a quando a quando alla superficie per prendere in bocca dell’aria; le rane e le salamandre fanno pure lo stesso, ma queste quando pigliano fiato, tengono la bocca chiusa, e con un loro particolare artificio, che ci fu descritto molto bene dal sig. Towson, dal sig. Cuvier, e da altri, attraggono l’aria per le narici, e poscia fanno sì che l’aria medesima si insinui entro i polmoni; il Proteo per lo contrario spalanca quanto più può la sua bocca e rigetta l’aria subito subito per i fori branchiali... “ Il suo bisogno di prendere a tempo a tempo qualche boccata d’aria è più o meno grande, secondo che l’acqua in cui si trova è più o meno stantìa ed è in ragione diretta della sua temperatura, nonchè in ragione inversa della sua quantità; se è tratto all’asciutto, questo bisogno è in lui grandissimo, quindi poco dopo d’essere stato cavato fuori dell’acqua, vedesi pren- dere in bocca dell’aria, e spesseggiare questa operazione, poscia questo suo prender fiato si rallenta, e finalmente in capo a due o tre ore cessa affatto affatto, indi il Proteo si muore. Ma se l’acqua del vaso alla temperatura come abbiamo detto di 14 gradi od anche più venga di frequente rinnovata, come sarebbe ogni mezz'ora od anche ogn’ora, il Proteo in questo caso, con- forme è stato osservato anche nei pesci, non ha punto bisogno di venire a tempo a tempo alla superficie, molto meno poi se desso trovasi in un’acqua che sia in gran copia, ovvero che corra dolcemente; noi abbiamo rinchiuso un Proteo in un’ampia sca- tola tutta traforata, ed abbiamo di poi tenuta la scatola mede- sima per lo spazio di tre mesi e mezzo sotto la superficie dell’acqua di un vasto lago; passato questo tempo, andando a riconoscere la scatola, trovammo che l’animale era vivissimo, e tanto vispo da farci comprendere chiaramente, che l’esser stato per sì gran tempo sott’acqua, non fu cosa che avesse recato il menomo danno alla sua azienda vitale ,. Il Rusconi ammette pure che nella Siren lacertina i polmoni non funzionino: come organi respiratorii. ne _ —x © NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 523 Nei Proteidi e nei Sirenidi la respirazione è essenzialmente branchiale con un accenno tuttavia alla respirazione bocco-fa- ringea. I polmoni non hanno qui probabilmente che la funzione di organi idrostatici. Il Rusconi stesso (1) paragona i polmoni dei protei alle doppie vesciche natatorie di certi pesci. Parlando poi della Siren lacertina dice espressamente (2): “ Au reste quelle que soit la cause, qui empéche la sirène de se métamorphoser, ses pou- mons doivent lui étre fort utiles; car, selon moi, ils doivent servir è balancer la ‘partie postérieure de son corps, la tenir presque suspendue, et donner ainsi à l’animal la facilité de marcher sur la vase, sans étre obligé de faire usage, dans sa progression, d'un double mécanisme, de celui, qui est propre des animaux bipèdes, et de celui des serpents ,. Nel secondo gruppo di Anfibi Urodeli (B. forme branchiate neoteniche), la respirazione è in massima parte branchiale: ma sussidiata in un certo periodo della vita dalla respirazione bocco-faringea e polmonare (3). Anche in questi A. Urodeli la funzione dei polmoni come organi idrostatici è certamente no- tevole. Configliacchi e Rusconi (4) parlando del modo col quale si muovono nell'acqua le Salamandre, dicono: “ Questi rettili in notando, sono meno agili dei protei, e noi pensiamo che ciò nasca da varie cause, ma particolarmente dalla forma della loro coda, la quale essendo men larga di quella dei protei è perciò meno opportuna al nuotare; anche le larve delle Salamandre sono nel nuoto meno agili de’ protei, esse però, in questo stato di larva, nuotano con maggiore facilità, che quando sono finite di crescere; e noi siamo di parere che ciò dipenda dall’essere la loro coda, data la proporzione, più larga e più estesa che non è quella delle Salamandre di già ridotte alla perfezione, ed anche dall'essere la loro gravità specifica molto minore di quella (1) Observations anatomiques sur la sirène, etc., pag. 32. Pavia, 1837. (2) Op. cit., pag. 31. (3) Confr. a questo proposito: L. Camerano, Nuove osservazioni intorno alla Neotenia ed allo sviluppo degli Anfibì (Atti Acc. Sc. di Torino, vol. XX, 1884). (4) Op. cit., pag. 54. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 37 524 LORENZO CAMERANO che è propria delle Salamandre adulte, quando non siano di fresco uscite dal loro torpore jemale. — Noi argomentiamo che siano specificamente men gravi, da ciò che le larve hanno i pol- moni, quantunque inattivi, sempre gonfi d’aria e più lunghi della cavità addominale: che elleno siano di fatto meno pesanti delle Salamandre perfette, ne fa prova non dubbia il vedere, che possono reggersi nell'acqua a quell’altezza che ad esse piace e tenersi sospese, e diremo quasi librate sopra le quattro zampe a guisa di un uccello librato su l’ale, e poscia percuotere ad un tratto l’acqua all'indietro, e così con questa semplice opera- zione e qualche lieve movimento della coda trasferirsi da un luogo all’altro ,. La respirazione polmonare va facendosi più intensa ed im- portante nel gruppo D. degli Anfibi Urodeli in cui i polmoni raggiungono il loro maggior sviluppo. Si è probabilmente nelle specie schiettamente acquaiuole del genere Molge che i polmoni hanno la maggior attività re- spiratoria. In queste specie è tuttavia spiccatissima la funzione di organo idrostatico dei polmoni è chiunque abbia osservato i movimenti dei comuni nostri tritoni (Molge cristata, M. vul- garis, ecc.), non potrà a meno di ritenere come esattamente applicabili a queste specie le osservazioni sopra riferite del Configliacchi e del Rusconi. Anche nelle forme acquaiole di questo gruppo è tuttavia spiccata la respirazione bocco-faringea. Nelle forme schiettamente terragnole si direbbe che il di- ventare meno importante la funzione dei polmoni come organi idrostatici induca una progressiva riduzione di sviluppo dei pol- moni stessi: mentre contemporaneamente va crescendo d’impor- tanza la respirazione bocco-faringea. È d’uopo tener conto tuttavia per parecchie specie con polmoni rudimentali o mancanti del loro genere di vita che è caratteristico; queste specie, vale a dire, vivono quasi sempre fuori dell’azione della luce viva, in ambienti umidi e a tem- peratura relativamente costante. È d’uopo pure tener conto della lentezza dei loro movimenti e in generale della loro scarsa vita di relazione. Tutto ciò tende evidentemente a rendere meno attivo ed ampio il ricambio respiratorio, e fa sì che la respirazione bocco- NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 925 faringea, aiutata in piccola misura dalla respirazione cutanea, diviene sufficiente per l’animale. L’allungarsi del tronco e il restringersi della cavità del corpo, unitamente allo: sviluppo talvolta notevole degli or- gani riproduttori interni concorrono pure certamente insieme colle cause sopra dette a favorire la riduzione progressiva dei polmoni. Nell'ultimo gruppo E. in cui i polmoni mancano, la respi- razione bocco-faringea assume importanza massima. Il fatto citato dal Lònnberg (1) che lo Spelerpes porphyriticus, privo di polmoni, ha vita precipuamente acquaiola, si può spie- gare come un adattamento secondario o cenogenetico di una forma derivata da altra a costumi prevalentemente terragnoli (come sono in genere le specie dello stesso genere Spelerpes) e priva di polmoni. D'altra parte, la mancanza di un organo idrostatico nelle forme acquatiche può essere compensata per gli effetti della locomozione da una leggera modificazione nella forma del corpo e in particolar modo della coda e delle estremità posteriori e dallo spostamento del centro di gravità dell'animale stesso. D'altra parte pure, la cavità bocca-faringea degli Spelerpes che nell’evoluzione delle forme schiettamente terragnole è andata assumendo uno speciale sviluppo, tanto da essersi notevolmente estesa allo indietro, può in una specie di questo genere che ritorni a fare vita prevalentemente acquaiola, quando l’animale la riempie d’aria, sostituire in parte anche i polmoni nella loro funzione di organi idrostatici. Risulta da quanto precede che in nessun altro gruppo di vertebrati il ricambio respiratorio può essere ottenuto con organi così diversi come negli Anfibi Urodeli nei quali si può ritenere che esso si compia nelle principali maniere seguenti allo stato adulto. 1° Il ricambio respiratorio si ottiene mediante: Pose la respirazione branchiale, la respirazione bocco-faringea, la respirazione cutanea. I polmoni funzionano da organi idrosta- tici — (Esemp.: gen. Proteus Siren). 526 2%cTdi 3 Ha: 4° Id. 5° Id. LORENZO CAMERANO — NUOVE RICERCHE, ECC. otesrenoe,® la respirazione branchiale, la respirazione bocco-faringea, la respirazione polmonare, la re- spirazione cutanea. I polmoni funzionano pure da organi idrosta- tici — (Esemp.: Amblystoma tigrinum branch., Molge alpestris branch., ecc.). la respirazione polmonare, la respirazione bocco-faringea, la respirazione cutanea. I polmoni funzionano attivamente anche da organi idrostatici — (Esemp.: Molge cristata, vulgaris, ecc.). la respirazione bocco-faringea, la respirazione polmonare, la respirazione cutanea. I polmoni perdono in gran parte la loro importanza come organi respiratori e come organi idrostatici — (Esemp.: Chioglossa lusi- tanica, ecc.). la respirazione bocco-faringea, la respirazione cutanea. I polmoni mancano intieramente — Esemp. gen.: Spelerpes, Desmognathus, ecc.). La cavità bocco-faringea può funzionare da organo idrostatico in qualche specie a costumi acquaiuoli. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. ATTI E no 927 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 1° Marzo 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLaRETTA, Direttore della Classe, Pryron, Rossi, NANI, CrpoLra, PeRRERO, Brusa, ALLIEVO e FerRERO Segretario. Il Presidente annuncia alla Classe la morte del Socio Corrispondente Barone Cristoforo NEGRI, e notifica di aver dato incarico al Socio Corrispondente il Prof. Giovanni MARINELLI di dettarne una breve commemorazione da leggersi in una prossima adunanza della Classe. Il Socio Segretario presenta alla Classe una serie di 39 vo- lumi contenenti la collezione del Tripitaka o libri sacri dei Buddisti meridionali in lingua pali, trascritti in caratteri sia- mesi, pubblicata, in occasione del 25° anniversario della sua venuta al trono, per ordine di S. M. in RE DEL Sraw, che ne fa dono all'Accademia. Presenta inoltre la “ Vita Za-Mîk@ él ’Aragàui , (Roma, 1896), testo etiopico pubblicato dal Socio Corrispondente Pro- fessore Ignazio Gurpi, e la “ Relazione statistica dei lavori com- piuti nel distretto della Corte d’ Appello di Torino nell’anno 1895 , 528 (Torino, 1896), di cui fa dono l’autore, il Comm. Tullio PINELLI, procuratore generale presso la detta Corte d’Appello. Il Socio ALLievo offre da parte dell’autore, Prof. Romualdo BoBBA, preside della Facoltà di lettere e filosofia della R. Uni- versità di Torino, l’opera: “ La dottrina dell'intelletto in Aristotile e nei suoi più illustri interpreti , (Torino, 1896). Il Socio Peyron legge una commemorazione del Socio Nazionale non residente, già Socio residente, Marchese Matteo Riccr. Il Socio NANI legge una commemorazione del Socio Corri- spondente Antonio PERTILE. Il Socio CipoLLa legge una nota del Dott. Luigi ScHIAPA- RELLI sopra un “ Diploma inedito di Berengario I (a. 888) in favore del monastero di Bobbio ,. Questa nota e le dette commemorazioni sono pubblicate negli Atti accademici. B. PEYRON — COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 529 LETTURE MATTEO RICCI Commemorazione del Socio BERNARDINO PEYRON. Quel tributo di lodi e di rimpianto, che Matteo Ricci con nobili e affettuose parole ha reso ad insigni Colleghi di questa Classe particolarmente suoi amici, se io debbo oggi, come saprò’ meglio, rendere a lui, il farò ricordando io pure le nostre rela- zioni giovanili in comunanza di studî, e le prove di stima, che mi diede poi sempre, talchè parrà a me pure di adempiere non meno un pietoso incarico della Classe, che un debito mio par- ticolare per antica conoscenza. Nacque a Macerata il dì 6 dicembre 1826 da Domenico e da Graziani Elisa; il suo titolo gentilizio fu Ricci Petrocchini marchese di Campobasso. Perduta in tenera età la madre, andò a convivere con l’ava ed uno zio paterno, direttore dell’Accademia di Belle Arti in Bologna. Ivi fece gli studî nel Collegio di San Luigi. Venne a Torino col padre, poco più che ventenne, nell’anno memorabile delle Riforme e delle aspirazioni italiane 1847. Il motivo della venuta era continuare liberamente gli studî in Lettere ed in Leggi nella Università nostra. Ma poichè egli era portato specialmente agli studì ellenici, e poichè a quei tempi mancavano nelle pubbliche scuole quei validi sussidì a cosifatti studî, che oggidì si hanno, il più forte motivo era di perfezio- narsi nel greco sotto la direzione dell'abate Amedeo Peyron. È ben poteva essere certo del suo favore, però che non è a dire, quanto quell’insigne fosse inclinato a proteggere, aiutare i gio- vani, che mostrassero volontà di studì serii. Fu allora, che potei conoscere il Ricci, non ricusando egli di farsi qualche volta mio condiscepolo. D’ingegno svegliatissimo, di modi amabili, parlatore facile 530 BERNARDINO PEYRON e modesto, colto più che l’età sua potesse far credere, il giovane letterato, come era accetto al suo maestro, così era desidera- tissimo in quelle sale, che la sera a privilegiati convegni apri- vano e Federico Sclopis, e Cesare Alfieri, e Cesare Balbo, e i Promis, e i D'Azeglio. Anzi fu il Balbo, che nell’inverno del 1851 in una di quelle serate prese il giovane a parte, e lo consigliò e lo persuase a tradurre la Politica di Aristotele, mostrandosi offeso, che mentre egli stava leggendo quell’opera con tanta sua soddisfazione nella traduzione di Barthélemy-Saint-Hilaire man- casse agli studiosi italiani una recente traduzione italiana. Col Ricotti poi confessò il Ricci d’avere contratto intima amicizia dalla prima volta, che lo vide, d’avere conosciuto Carlo Promis, e d’averlo amato come fratello; e così il Vesme. Kra allora presidente del Consiglio dei ministri Massimo D'Azeglio. Egli aveva sposato in prime nozze Luisa di Ales- sandro Manzoni, e n’ebbe una figlia, che dal nome del nonno si chiamò Alessandrina. A lei diede il Ricci la mano di sposo nel 1852, e ne ebbe due figlie. La Politica d’ Aristotele da lui tradotta con note e discorso preliminare uscì l’anno 1853, l’anno stesso, in cui mancava al Piemonte ed all’Italia chi l’aveva consigliata, Cesare Balbo; ma uscì portando in fronte il nome di Alessandro Manzoni; al qual nome fu glorioso (e si comprende) il traduttore di dedicarlo per la sua nuova parentela, potendo inscrivere: Caro Signore, e se- gnarsi Devotissimo nipote. Per decreto del Commissario Regio straordinario Gioachino Valerio, il Ricci fu nominato Professore di filosofia del diritto nell'Università di Macerata sua patria; e per un anno ne fu anche il Rettore. Il che avveniva, quando egli era eletto a rap- presentare il Collegio di Tolentino nella Camera dei Deputati. Tale elezione fu annullata per l’impiego che il Ricci aveva nel- l'insegnamento governativo. Ma, tolto l’impedimento, fu rieletto dallo stesso Collegio e sedette in Parlamento nell’ottava le- gislatura. Fu nominato socio nazionale residente dell’Accademia delle Scienze di Torino nella seduta dell’8 gennaio 1865. E ben puossi dire, che egli entrava in famiglia; chè in ogni collega trovava o un suo amico, o una conoscenza. Intraprese allora una serie di dotte letture, che stanno raccolte nei nostri Atti, e sono Ar — en COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 531 illustrazioni ad alcuni paragrafi delle Storie di Erodoto, al cui volgarizzamento stava allora lavorando. Egli trattò in più sedute delle Origini Elleniche; e quelle sue memorie formano oggi la prefazione al suo Erodoto. Le altre son note illustrative dei passi più difficili e controversi del primo e secondo libro di quelle istorie, e anch'esse furono inserte nell'edizione. Ma quell’anno della sua nomina fu per lui anche lutto do- mestico, e fu lutto nazionale; la morte di Massimo D'Azeglio! Si sa, che negli ultimi suoi giorni il D'Azeglio diede espresso incarico alla sua figlia di pubblicare lo scritto, che intitolò I miei ricordi, quello, che tanto è letto da tutti gl’'Italiani e prescritto persino negli studî delle scuole elementari, e rimarrà insigne monumento nella letteratura nostra. Adempì la figlia il mandato e I miei ricordi uscirono nel 1867. Ma il nome di Matteo Ricci non poteva disgiungersi dal nome della sua sposa in quella patria edizione. Chè egli vi aggiunse una nota bio- grafica, e una preziosa particola di testamento politico e reli- gioso, che aveva tratto da una carta autografa dell’illustre suo- cero. Poscia il Ricci fece argomento di una sua memoria: Gli scritti postumi del D’ Azeglio. Nel dicembre del 1873 il nostro socio passò nella categoria dei non residenti, avendo egli deciso di trasportare la sua sta- bile dimora a Firenze. Ma non potè dipartirsi dall'antica capi- tale senza pagare un mesto tributo ad un suo caro collega, caro a lui e non meno a noi. Carlo Promis mancava il 20 maggio di quell’anno. La bella commemorazione fu stampata coi tipi del Favale. Non passò un anno, Domenico Promis se- guiva il fratello, e due lutti accademici dopo lui successero a breve intervallo: Carlo Baudi di Vesme, e il venerato presidente Federico Sclopis. Della loro perdita il Rieci, lontano, prese la viva parte che noi tutti prendemmo, e li commemorò onorandoli come li aveva sempre onorati (v. Archivio storico), ed è mio dovere aggiungere, che all’animo suo riconoscente non mai si offerse occasione, che ei non cogliesse per ricordare o a voce 0 cogli scritti l'abate Amedeo Peyron, che soleva chiamare suo caro maestro. Intanto col tomo III, dai tipi del Bona, essendo editore il Loescher, era uscita nel 1881, la intiera opera: Delle Istorie di Erodoto, volgarizzamento con note di Matteo Ricci, che con la 532 BERNARDINO PEYRON x Politica di Aristotele è l’altra delle sue due principali opere e la più importante. Quanto alla Politica i pregi stanno nelle ragioni stesse, per cui il Balbo gliel’aveva suggerita. Chè dal cinquecento in poi, come osserva lo stesso traduttore, non ha l’Italia traduzione nè buona nè cattiva; e quelle fatte dai cinquecentisti sono po- verissime di sana critica, e spesse volte inintelligibili, laddove la Francia e l'Inghilterra ne possedono di ottime e recentissime. Ora l'Italia ha la sua. Bensì l’Italia ha traduzioni piuttosto recenti dell’ Erodoto; tuttavia tra loro è degna di ottenere un bel posto quella del Ricci per molte ragioni. Anzitutto facile e disinvolto lo stile, fiorentina la lingua, e quanto al merito della traduzione fu, se non altro, troppo severo il giudicio di qualche critico. La fedeltà non poteva venir meno al dotto Ellenista, diligentissimo nel consultare i varii testi, e i precedenti lavori e commenti, come ne fanno fede le note apposte a ciascun libro. Certo non è sempre facile assunto il mettere d’accordo alcune affermazioni dello storico greco con le deduzioni critiche della scienza moderna; il che cerca egli di far sempre. Ora venendo egli l’ultimo potè introdurre elementi nuovi, ignoti ai precedenti autori, e dare in realtà nuovo valore alla sua traduzione. Comunque è opera di lunga lena, a cui il Ricci può sperare di avere raccomandato il suo nome. Non è dunque meraviglia, se il Circolo Filologico di Firenze, appena l’esimio letterato vi si stabilì, siasi affrettato ad eleg- gerlo suo Presidente. Ei diede nuova vita a quell’ Istituto; vi introdusse le letture e le conferenze, porgendo egli il primo l'esempio di una grande operosità. Non passò anno, in cui egli non abbia o letto una Memoria o tenuta una conferenza. Le Memorie stanno nella Rassegna Nazionale, che esce dall’ufficio di quel Circolo. L'Accademia della Crusca lo nominò suo socio residente nel gennaio del 1883, ed egli l’anno dopo esordì le sue letture in una solenne adunanza recitando l’Elogio di Giovanni Prati. Fu operaio, come dicesi, del Conservatorio femminile di Ri- poli, e segretario della Società di educazione liberale, che fondò la scuola di scienze sociali. All’anno 1891 eragli serbata un’altra nomina, che doveva COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 533 coronare splendidamente le precedenti, quella di Senatore del Regno. Se ne rallegrò per l'onore di sedere accanto ad illustri conoscenti, fra cui illustre e cara gli era la conoscenza del mar- chese Carlo Alfieri. Nè però egli desistette mai dal lavoro, ed ancora l’anno scorso scrisse l’intima vita di Enrico Heine secondo nuovi documenti; e seppi, che sul principio dello scorso feb- braio ei rivedeva le bozze della sua traduzione di un libro di Tucidide. Tra le molte sue monografie non è da passare sotto silenzio il Saggio sugli ordini politici dell'antica Roma paragonati colle libere istituzioni moderne (Firenze, Le Monnier, in-8°); nè la Rac- colta di ritratti politici e letterarii con una Collezione d’iscrizioni edite ed inedite (Firenze, 1888, in-8°); nè Gino Capponi, impres- sioni e ricordi di due anni di consuetudine (Firenze, 1876, in-8°); nè per delicati pensieri il Discorso su Caterina Franceschi Ferucci; nè la Commemorazione della marchesa Alfieri di Sostegno nata Benso di Cavour, notevole per affetto ed alta venerazione. Ma il Ricci era così; era buono, era vero gentiluomo; colti- vava così gli studî, come le amicizie, e di queste serbava indelebile memoria. Aveva una vera inclinazione, e, convien dire, un'abilità singolare a ritrarre il carattere morale delle persone. Per lui l'architetto, l'archeologo, il filosofo, il poeta erano sempre l’uomo, e cercava di farli conoscere ed amare, più che dalle loro opere, nelle intime scene di lor vita, negli aneddoti, di cui per ciò sono piene le sue biografie, drammatizzandole spesso con brevi dia- loghi, talchè se le molte Vite da lui narrate si riunissero in un volume, formerebbero, credo, una raccolta originale per il modo tutto suo di rappresentare. Qualunque poi fosse il soggetto, egli seriveva signorilmente, con sprazzi d’ingegno e d’acume, che fan sempre dilettevole la lettura delle opere sue. Fra le intime amicizie era oggidì intimissima quella di Ernesto Masi, letterato e filosofo, provveditore agli studi in Firenze, il quale ad istanza e per mezzo d’una gentile e nobile signora si compiacque fornirmi di alcune notizie. Han queste il pregio adunque di essere state attinte ad ottima fonte. Alcune debbo alla cortesia del Segretario del Consiglio direttivo della Scuola di scienze sociali, egregio signor Atto Corsi. Ora, essendo collocate in matrimonio le due sue figliuole, il Ricci viveva solo in Firenze nel villino Altoviti, e per l’ami- 534 CESARE NANI cizia, che lo legava al marchese Alfieri, frequentava le sale, ove attorno a questo illustre Piemontese sogliono convenire perso- naggi illustri per scienza, politica, casato. Questo poi hassi a notare, che sin dal 1852 teneva un Diario di tutto quanto gli avvenisse di memorabile, diario non mai interrotto neppur un giorno solo finchè gli durò la vita. Fu interrotto la prima volta e per sempre il dì 10 dello scorso febbraio. Niun l’avrebbe detto in quel dì. Pareva in ottima salute; sentì un istante bisogno di riposo, e adagiatosi sul suo seggiolone spirò. A tanto uomo non mancheranno dotte biografie. Questi pochi miei cenni intanto, se non abbiano la vivezza del suo stile, mi basterà, che ritraggano un pensiero: Onorare la virtù ope- rosa, che è bella in tutti, ed è cara in quelli, che hanno avuto con noi società d’opera e d’intendimenti. ANTONIO PERTILE Cenno necrologico del Socio CESARE NANI. Chi scrive la biografia di Antonio Pertile non molti fatti degni di nota ha da narrare, perchè la sua esistenza trascorse semplice e modesta, schiva d'ogni mondan rumore. Nacque in Agordo (Provincia di Belluno) il 10 novembre del 1830, di famiglia però originaria di Gallio vicentino. Fre- quentò i corsi di diritto nelle Università di Gratz, di Vienna e di Padova e qui conseguì nel 1855 la laurea dottorale. A Vienna coprì per breve tempo l’uffizio di aggiunto di concetto presso il Ministero del culto e della pubblica istruzione; ma già nel 1857, essendo stata fondata nell'Università di Padova la cattedra di Storia del Diritto, il Pertile venne chiamato ad occuparla in qualità di professore straordinario e pochi anni dopo, nel 1861, era promosso ad ordinario. In questo modo si avviò all’insegna- mento ed alla scienza, a cui volle dedicate tutte le energie del volere e dell'ingegno. Non sì però che una parte della propria operosità non spendesse volentieri anche in pubblico servigio, giacchè fu sindaco per qualche tempo di Strà (dove soleva vil- leggiare), consigliere comunale in cinque comuni contempora- | "TIT ea ANTONIO PERTILE, CENNO NECROLOGICO 535 neamente, fondatore e presidente onorario di una cassa rurale. Questi parranno a molti troppo umili ufficii; ma egli non mirò più in alto, nè forse glielo avrebbero consentito le sue tendenze spiccatamente conservative che egli non dissimulò mai, neppure, quando se ne presentò l'occasione, nei suoi scritti. Di sè stesso egli scrisse: “ io sono contento del modesto mio ufficio , e scrisse il vero perchè egli fu sopratutto insegnante e scienziato. Insegnante tenne, infino quasi all'ultimo giorno della sua vita, la cattedra di Storia del diritto italiano ed un corso libero di Esegesi delle fonti del diritto medievale, oltre all’incarico di Enciclopedia giuridica, mutato poi nell’altro di Introduzione en- ciclopedica ed Istituzioni di Diritto civile che abbandonò in ultimo per quello di Diritto canonico. Non per l’arte del dire, nè pei lenocinii della forma rifulse il suo insegnamento; bensì attinse efficacia dalla profonda conoscenza della materia, giusta l’ora- ziano: Là cui lecta potenter erit res nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo ,. Scrittore, pubblicò varie monografie, riguardanti tutte la Storia del diritto e più o meno ampie. La maggior parte com- parvero negli Atti del I. Istituto veneto; altre negli Atti della R. Accademia di Padova, nell'Archivio veneto e nell’ Archivio giu- ridico. Nel Digesto italiano ne vide la luce una, intitolata “ Gli Statuti municipali e la loro influenza sul diritto privato ,, ed è particolarmente da ricordare il discorso “ Degli ordini politici ed amministrativi della città di Padova nel sec. XIII , pronun- ciato nel 1882, in occasione della solenne riapertura degli studi in quella Università. Ma l’opera a cui principalmente è raccomandata la fama del Pertile è la sua Storia del Diritto italiano. Incominciò a rac- coglierne, con assidua cura, i materiali fin dal giorno in cui prese ad insegnare questa disciplina, cioè dal ‘57, come si è veduto, e ne pubblicò “ non senza molta difficoltà e trepida- zione , come egli diceva nella prefazione, il 1° volume nel ‘73; la seconda parte dell'ultimo volume non uscì che nell’87. L’o- pera, composta di sei poderosi volumi, gli era dunque costata trent'anni di non interrotte fatiche. Di questo lavoro furono dati, 536 CESARE NANI mentre ancora era in corso di pubblicazione, giudizii, come so- vente accade, assai disparati. Ebbe lodi, maggiori forse fuori che in patria, ma non gli furono risparmiate nè critiche, nè acerbe censure che il Pertile respinse con linguaggio insolita- mente concitato e sdegnoso. Sarebbe ozioso il soffermarsi su queste polemiche ora che perfino l’eco se n’è dileguato, e per comune consentimento nella Storia del Diritto italiuno si ravvisa, insieme con alcuni difetti, il pregio di un altro valore scien- tifico. E per verità quei difetti sono dovuti parte alla difficoltà somma dell’impresa, parte al temperamento stesso dell’ingegno del suo autore. Lo scrivere infatti una storia completa del nostro diritto era, quando il Pertile vi si accinse (ed è tuttora, sebbene in grado minore), tale assunto da sgomentare anche i più valenti edi più audaci. Ben poco, in confronto d’altre, era stato fatto in tempo più antico per questa scienza che rimase poi, per lunghi anni, quasi del tutto negletta, dopo che l'influenza del diritto francese ebbe spezzato il filo delle nostre tradizioni giuridiche. Appena erano valse a ravvivarle alquanto le opere, benchè in diversa misura, ragguardevoli dello Sclopis e del Forti, incom- plete però, sotto l’uno o l’altro aspetto, amendue. Mancava quindi quel serio lavoro di preparazione senza cui niuna opera generale è possibile, lavoro che ha da essere necessariamente il risultato degli sforzi di molti e proseguito per un non breve periodo di tempo; troppo imperfetta era la nozione dei varii diritti, per quanto ciascuno d’essi aveva di particolare, che, nei diversi Stati in cui si divideva l’Italia, erano stati in vigore; delle stesse fonti solo una parte era stata pubblicata, nè sempre con tutti i sussidii della critica, l’altra, certo non esigua, celata ancora negli archivii, occultavasi alle indagini degli studiosi. Queste le difficoltà principali che contrastavano ogni tentativo di ricostruire per intiero la storia del nostro diritto. Nè d’altra parte aveva la natura conceduto all’ingegno del Pertile la ge- nialità dell'artista che riesce a colorire e dare vita e rilievo all'esposizione anche là dove la materia pare che sia più sorda al magistero dell’arte; nè tanta potenza di sintesi da saper sempre condensare con brevità efficace i risultati del lavoro lento e diffuso dell’analisi, e scolpire con pochi tratti vigorosi la figura di ogni istituto giuridico. ANTONIO PERTILE, CENNO NECROLOGICO 037 Insigni, per contro, furono in lui le doti di ricercatore eru- dito, accurato, indefesso, non timido nell’affrontare gli ostacoli che si affacciavano sul suo cammino; vasta la dottrina congiunta a sobrietà e temperanza somma di giudizio. Con queste qualità non brillanti ma solide egli potè scrivere un’opera che è, mal- grado ogni sua menda, per più rispetti ammirabile; un’opera di cui poche migliori può vantare, fra le congeneri, la Germania, niuna la Francia; un’opera che ha schiuso la via all’elaborazione progressiva della nostra storia giuridica. Ben a ragione nell’accingersi alla seconda edizione della sua Storia egli poteva dire: “ ho compito con molto studio e con molte fatiche, non senza la divina assistenza, l'assunto che mi era proposto, di formare il disegno e di porre le basi della storia del diritto italiano ,. E, se più altamente avesse sentito di se stesso, avrebbe potuto aggiungere, applicando a se mede- simo le parole di Goethe: “ A noi vecchi il perdono degli errori “ poichè non trovammo la via già bella e tracciata; ma da chi più tardi è venuto al mondo si pretende di più, già che egli non ha più da ricercare e da errare, ma deve giovarsi del consiglio dei vecchi e sollecitamente incamminarsi per la diritta via ,. Quella seconda edizione riveduta a cui il Pertile già aveva posto mano nel ’91, egli non ebbe la ventura di poter condurre a termine. Glielo impedì lo stato della sua salute, fatta ogni giorno più cagionevole, e la morte lo colse allorquando tre volumi e parte del quarto erano stati pubblicati. Si spense serenamente in Padova il dì 4 marzo del ‘95, nell’anno sessagesimoquinto dell’età sua, confortato dall’affetto e dalle cure della gentildonna che gli fu consorte e dei figli, confortato dalle supreme speranze di quella fede che mai l’aveva abbandonato. La dipartita del- l’uomo modesto quanto valente, insigne per la illibatezza della vita e la integrità del carattere, fu luttuosa ai discepoli, ai colleghi, agli amici, a noi che ci onorammo di averlo a socio corrispondente di quest’Accademia, a quanti coltivano la scienza dove egli stampò un’orma profonda. Questi sapranno serbare degnamente il prezioso retaggio d’opere e d’esempi che il Maestro loro ha lasciato! “ “ “K « —_r—TT"T-y>a e supponiamo che nell’intervallo (a, 8) l'equazione h()=Hy)=0 abbia un numero finito di radici a,, @; ... 0, (*) Sedute del 12 e del 26 gennaio 1896. (**) Seduta del 1° marzo 1896. 558 VITO VOLTERRA La determinazione di @(x) per a, > «= rientra nella classe di problemi che ho precedentemente risoluti. La difficoltà incomincia dal determinare @ (x) per valori a partire dalla prima radice a,. Possiamo quindi procedere ad esaminare la questione seguente : Invertire l’integrale Yy fo) = fo@MH@,g)de a>y>0 in cui } (y) = H(y,y) si annulla per y=0 e non per altri valori di y compresi fra 0 ed a. Noi tratteremo qui il caso semplice in cui H (x,y) possa svilupparsi secondo la formula del Taylor abbreviata, in modo che possa scriversi H (2,9) = ax + By + 3 (22Hy; (2,9) + 2c0y Ho (1,9) + 2 Hop (1,4) in cui le H,, sono funzioni finite e continue per x,y compresi fra 0 e a, e a e BP non sono ambedue nulli. In tale ipotesi f (y) dovrà essere infinitesima del 2° ordine per y = 0. 8. I resultati che in questo caso si hanno possono riassu- mersi nel seguente teorema: Abbiasi la equazione funzionale (A) a fo H{(#,y) ut, a>y > in cui £(y)= y°f;(y), e Il H(,9) — 0° sia BY nn 2 (x°2H,1 (4,9) iù 2y% H9 (2,9) +y°Hos(x,9)) = = ax + 84 + H'(2,9). Se f,(y), Hi e le loro derivate rapporto ad y sono finite e continue per x, y comprese fra 0 ed a, mentre h(y) = H (y,y) si annulla solo per y = 0, esisterà una ed una sola funzione finita e continua ® che soddisfa l'equazione funzionale (A) quando SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 559 (1) esi oppure $ < — 2 (2) la quale si otterrà risolvendo la equazione funzionale a+ 28 Seiya Jef (en de= Lp) + ‘y 1 dH di 4426 (Urp; ansa sie] p(a)ft Si — AL pl a! Y +68 fin (2,5) E «18 de {dx mentre se —1> È > — 2 il problema funzionale (A) non sarà determinato. 1° Cominciamo dal provare che allorquando è soddisfatta la (1) o la (2) la questione funzionale (A) rientra nella classe di questioni esaminate nella mia Nota dell’Accademia dei Lincei precedentemente citata. A tal fine basterà osservare che, per y compreso fra 0 ed a, il primo membro della (B) è finito e con- h (9) y tinuo, mentre sì conserva finita, continua e diversa da zero e finalmente (3) CI rei anali. E° aa +28 — ti y Melina fn@en: a & è una funzione continua avente il limite superiore dei suoi valori assoluti finito per tutti i valori di x, y che verificano le condizioni I USO: Se ne conclude che vi è una ed una sola funzione finita e continua @(x) che verifica la (B) per a> x=>0. 2° Dimostriamo che se la funzione finita e continua (x) soddisfa la (A), essa verifica la (B). Infatti derivando la (A) e scrivendo H) (€, y) = terremo dH (ey) 5a dy 560 (A') e perciò (4) "2 og + fre + fo (| Gy) — VITO VOLTERRA f'() = 10) + fo) Hx(7,y) de (2) G(e,9) do = 12 + na e.4) y) a Ora, ponendo si ha (5) quindi (6) G(e,9) — ImaP 6 4} — (+7 —_L_H'(ra)y- = — pa af ei at-B | 2 dy Hp (©) =B+ H', (2,9) Ha (2,4) 8) B B y y 3428 Ù 2 8 |H'GDE aci d+26 SE ai +28 Rogi. 3° Ya H' E eda Le, e ARA s +28 4 GA A! NT See a-LR H (x, 2) Y 448% 44BT da+28 EB 1 (B + H'3 (2,5) ET “o & = 8 2 hi | ae Y +8 X a+ h(x) = atp == gh “H s (5 E) sal d&. Per conseguenza tenendo presente la (A') H, (x; 4+26 Pale eni ye + 2428 a_ CE + yo ste | sea (Po He de — — pf (est di | Pr e “e SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 561 Ma pel principio di Dirichlet, osservando che E <2 1) Si |amzia (fo © 2,2) de — — (2) f/Hs (0,8) Esta de | da 20 onde y H ) ) Ber 4+28 (cy VA CIE fio | Glen hay Jola da da cui finalmente segue, in virtù della (4), "0 (+ fol Ge) de = PO _ +28 °Y a ina eil price da come volevasi dimostrare. 8° Proviamo ora inversamente che, se la funzione finita e continua @(x) soddisfa la (B), essa verifica la (A), o ciò che è lo stesso la (A’). Infatti dalla (B) segue, a cagione della (3) o) + fo Hey) de = Pf () — — fiala vena + 90) 409) — Holz,y)]} de Perciò valendosi delle identità (6) è) = 911) + fo Bag) de — PM) = = ira fiero) + + ge) (Hola, 8) Em zia de — e staf (2) } da 562 VITO VOLTERRA e applicando la (7) em= rr fe) 0) + +fe0LEMa-Mfdae= "i a SO ezia da, vale a dire O) ye — a fe de = 0; e derivando rapporto ad y L'{g=3}08 Ma pery=0 ® si annulla, dunque si avrà sempre d(y) = 0 e per conseguenza P(Y)h) + (TP) Hp (7,9) de = f"(M) come volevasi dimostrare. 4° Per provare finalmente che se —1> 4 > —2 il B problema funzionale è indeterminato, osserviamo dapprima che in questo caso sì ha — Ne > 0, onde la equazione funzionale SASSO B_H(7,2) e) @ 1=*L 0g) + fre {EE (2) RE x B __2+26 anno E, (e Ea de i dir; in cui 0(x) è la funzione incognita, si risolve applicando i me- todi dati nella mia citata Nota dell’Accademia dei Lincei. Si verifica poi che, presa (9) o.() = 0) ya, T.-1 re up gr SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 563 | questa soddisfa la relazione funzionale 0= | 9: (1)H(7,9) de ovvero l’altra equivalente (10) 0 = (9) h(y) + | ‘91 (1) Ha (7,9) de. Infatti, posto +26 28 ? (11) L(ey)= Da leg) (2)- HB i ersal, H's(c,8)E- 203 de, dalle (8) e (9) si ricava AR H'(y,4) (a + 8) 91 (4) =" re a d+28 cr Yi +6. ( o) ar: 0(x) dx e quindi (a+ 8) y01 (4) + 801 (0) do = — H'(y,9) 019) — È -138 "y 8 He, yi cpe+ Liay)| 0a B ‘v[ H'(2,2) __ 2428 (ce B Hl(Z,5) Feto, fee P1 (0) + a axg ue a4f ® Hi + L(E,2) | 0(8) de | da Ma, applicando il principio di Dirichlet, abbiamo P,(2) de + B_ (y H'(x, H' o=-y oa fia ET ode E fee +28 ped + (ia) Sa +8 da E: 564 VITO VOLTERRA perciò il secondo membro della formula precedente si sempli- cizza e diventa = — H'(4,9) 91 (4) — y7 ata {! L(0,9) 0(0) de — È sei TL(E,2) 0(£) de, ovvero, sostituendo per L (x,y) la espressione (11), = N'Yy) 0) — fo H',(0,9) do + +A raf o@fH@8) d — = CAN — ®1 (2) de + "y Aa+23 “x ” o vi ni dai da {@1€) de ({H', (En) n7 45 an | Ma pel principio di Dirichlet B Ge an "® Ri, NIE Faso (ele da P1(£) de | H 2 (E,m)nTa+a dn = (ea "I ’ BO (yo 2428 = af dn | P1(£) H'> (En) de pa ANO +8 da = B x Cc “y = — ya Jona dn f, 91 (A Ha (Em) de + 6 “» ©, (£) H'3 (E, age ff dn { i (€) = n) de. Perciò nella formula precedente tutti i termini che seguono i primi due si annullano e quindi avremo (a +8) y901() + (BO: (de = — H'(4,9) (4) — — {791 (2) H'3 (7,7) da, SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 565 cioè “Y h (4) ®1 (4) + | 1 (0) Ha (7,9) = 0 che è appunto la (10) che si trattava di dimostrare. di B zione ® (x) soddisfa la (A), anche la funzione Si avrà dunque, quando 1 — > + > — 2, che se la fun- P(2) + Co: (2) in cui C è una costante arbitraria, la verificherà pure, il che prova che la questione è indeterminata. 4. Per dimostrare la equivalenza delle due equazioni fun- zionali (A) e (B), allorchè è soddisfatta la (1) oppure la (2), si può procedere nel seguente modo, anzichè ricorrere alla verifica diretta come abbiamo fatto nel paragrafo precedente. Moltiplichiamo ambo i membri della (A') per va dy. Osservando che, così la (1) come la (2) provano che (04 pei Top potremo integrare fra 0 e 2, e avremo, applicando il principio di Dirichlet, Sy dy= {/®(y) 1 (y)y- are + fi, (y,E)E- 3a dé È Moltiplicando ambo i membri per emata sì trova ve C. BR ve a fp ST Myra ea dy = a + "5 e 6 + SH ET #48 2 #8 de | dy, ovvero, ponendo 566 VITO VOLTERRA BAER rei °y dato dl M{x,y)= Ale) <=-s8y 34 Ha (2,7) E 2+4 y “+8 di, si ha ic) » 19) fraz yz de = foP (2) My) de. Questa equazione resulta così equivalente alla (A). Abbiamo ora h (18) My) = e poichè h(x) = (1+ 8) x + H' (2,2), Hy (1,8) = BE + H'.(e, Sh sarà , 101go8 lol an M (2,9) = 0+B +H'(,9) x axay a + “y LO sei s'EPR + |.H'2 (0,5) È z+6 y #+A de, onde, con una integrazione per parti, M (eg) =o ++ OD 4 ay JE e de da cui segue dM dla dy (14) Ms (2,9) = —0e y). Si derivi la (12) rispetto ad y tenendo presenti le (13) e (14), si troverà aaa 1°Y ary Si h PO i ya faz de = gp (4) + + f 01) G(7,9) de —y E È n rc —_ e ee en nn e_N SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITì 567 cioè si otterrà la (B). Resta così dimostrata la equivalenza delle equazioni (A) e (B). Potremo anche enunciare, in virtù delle precedenti consi- derazioni, il teorema seguente: (0) ppi 1, la equazione funzionale Se x > — 1, oppure I (A) fW = fio H(0,9) de è equivalente all’altra . Ci 8 se ; n 8 (0) fera ya do = So} hem yzaxa + "y RARA. 610 + {Ha (0,8) Z 48 Y +8 di j da, la quale può risolversi con i metodi esposti nella Nota I. L'analisi svolta vale, come abbiamo veduto, quando sia soddisfatta una delle condizioni a B’ (04 B ma se si ha (04 >—1, -1>j > — 2, -25> (0) esa 1, oppure 3 = — 2, allora essa non è più applicabile, e sì riconosce facilmente che non bastano più le condizioni che abbiamo supposto conosciute per esaminare la questione in questi casi. 568 MINEO CHINI Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine. Nota di MINEO CHINI. $1 Consideriamo l’equazione a derivate parziali: dZ Pak d?Z (1) forio + b de Ud dr dy , essendo a, 5, c funzioni assegnate di x e y, fra le quali non passi la relazione: ab — cè =0. Allora è noto che se a(x,y) e 8(x,y) sono due integrali distinti (cioè tali che non risulti: da... da.) niogR mid de “© dy — dae dy (2) a(@\'+35($)= Do su dell'equazione: assumendoli come nuove variabili, la (1) si trasforma nell’altra: fidi dZ CLARA (3) è ner Pro niro con 1 da dB da dB | dB da Ja dB a ee en ata 0a d? a da stia "08 d?B dB Beda 0g 0 gi 06 207 E la (1) si ridurrà alla (83) soltanto quando a e 8 soddisfano la (2) (*). Ciò posto, cominciamo col determinare a quali condizioni debbono soddisfare i coefficienti a, 5, c affinchè risulti nullo (*) Veggasi, p. es., JorpAn, Cours d’Analyse, parte III, pag. 352. SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° orDINE 569 B o C. Intanto è chiaro che B si annullerà solamente quando a sia soluzione comune all’equazione (1) ed all’altra: dZ__ c+Ve—-ab. dZ dr a dy ” prendendo il radicale col segno superiore oppure coll’inferiore. In modo analogo, sarà nullo C quando B soddisfi nel medesimo tempo la (1) e la precedente. Occupiamoci quindi di vedere in quali casi le due equazioni: d?Z DZ =la) IZ \ Te ammettono una soluzione comune. ; x | NOA - 93% d?Z d°Z Ricavando dalla seconda di esse i valori di —;, =—-, {3} dx dx dy ” dy e sostituendoli nella prima, otterremo: d?7 dI b dI dA \ az __ na nr db Òd*Z Semplificando, col tener presente il valore di \ e quello d° 7 di dx dy tratto dalla seconda delle (4), rimarrà: SERI ARS (ada \ dy ani Segue facilmente che affinchè le (4) abbiano una soluzione comune (diversa da una costante) dovranno i coefficienti a, d, e soddisfare alla condizione: 5) ae a) de a a dy a dove il radicale deve esser preso coi segni superiori o cogli inferiori, secondo che in ) esso è preceduto dal + oppure dal —. Reciprocamente, se questa condizione è verificata, ogni so- luzione della seconda delle (4) soddisfarà pure la prima. 570 MINEO CHINI Possiamo perciò concludere che l'equazione (1) sarà tras- formabile in una della forma: dz sh À dad + B DE a oppure dell'altra: dz Da A da dh |+ € sa =.) soltanto nei casi in cui risulti verificata la (5). Se ciò avviene, per ridurla ad una di tali forme, basterà determinare gli inte- grali generali f(x, 4) = cost. @(x, y) = cost. delle due equazioni differenziali del primo ordine: a sù ici = Ut CE La ed assumere poi come nuove variabili a, Rf le funzioni f(x, y) e © («, y). Allora l'integrale generale della (1) sarà: z, = F(8) + [ie 0 (a)da, oppure: ss i da Z=F(o) + Je . D(B) dB indicando F e ®© delle funzioni arbitrarie. È interessante di vedere per quali forme di coefficienti 4, SI = 0, cioè in quali casi il suo integrale generale sia Z = F(a) + ®(f). Questo accadrà soltanto quando la (5) rimane verificata sia che si prendano pel radicale i segni superiori, come anche gli inferiori; cioè quando si abbia contemporaneamente: b, c la (1) possa ridursi all'altra: | ò (otra __ ce-l-ab d (cale da a a dy a Î ò fs _ c+V®—-ab è fre dx a a dy a SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 5II Tali condizioni equivalgono alle altre: d(e) Hellog a 24 n) CDA O NS RE ET RATTO a dy a Î LA ei MESERO (za) Ve — ab 2 (4) dx a Cale add) a A a dy\al La prima di queste ci dà subito: reirà mentre la seconda può scriversi: a a, de f a ale dela dy.t ca a a a dy SIE e sviluppando le derivate, essa viene ridotta all’altra: \ D) |< è TER \ (ec opatistarà ecu) fauads(D) imc od (d); Tenendo conto della prima uguaglianza, concludiamo che dovrà risultare contemporaneamente : Dr, asd I \ idol pb) (4) ia sd (46) De i Reciprocamente, se queste due condizioni sono soddisfatte, la (5) sussisterà prendendo i segni superiori del radicale, ed anche gli inferiori. Dunque, la condizione necessaria e sufficiente affinchè la (1) ammetta l'integrale generale: Z = F(a) + (8) co ene — (6) e glo è che siano verificate le (6); cioè che = risulti un fattore in- Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 40 572 MINEO CHINI tegrante dell’espressione differenziale: bdx + 2cdy, e da lo sia dell'altra: 2cdx + ady. $2. . Un'equazione molto notevole della forma (1) si ha nel caso in cui a, db, c sono le derivate parziali del 2° ordine di una stessa funzione 2 = 0(x, y), e precisamente quando sia: de PA LIBIA Mer gi (42 dy? ’ de? ’ Tal dx dy S ’ con s° — rt==0. Allora la (1) diviene: d?Z dlzale d? 7 (7) È de? i r dy? Ger D) dx dy ’ e si sa che ogni soluzione di questa equazione è la coordinata Z (cioè la distanza dal piano xy) espressa in funzione di x e y, dei punti (X, Y, Z) di una superficie che corrisponde alla data 2 = @(, y) con ortogonalità degli elementi lineari. Le altre coordinate X, Y dei punti corrispondenti si deducono poi dal valore di Z con sole quadrature (*). Ora è evidente che nel caso dell'equazione (7) le nuove variabili a e B non sono altro che i parametri delle linee assin- totiche della superficie 2 = 0(%, y); e poichè le proiezioni di queste sopra un piano qualunque è noto che debbono formare un sistema coniugato ad invarianti uguali (**), si deduce che le coordinate x,y dei punti di qualsivoglia superficie, quando siano espresse in funzione dei parametri delle assintotiche, dovranno soddisfare ad un'equazione di LapLAcE cogli invarianti uguali. Ma la (1) ammette evidentemente x,y come soluzioni partico- (*) DarBoux, Legons sur la Théorie générale des Surfaces, parte IV, p. 10. (**) KoenIes, Sur les réseaux plans à invariants égaua et les lignes asym- ptotiques, “ Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences ,, t. CXIV, p. 55, 1892. = 20 diet RO SE nn SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 573 lari, e perciò la (3) ammetterà come integrali le espressioni di tali coordinate in funzione di a e 8. Allora è facile dedurre che nel caso dell'equazione (7), la (3), in cui essa viene a tras- formarsi, è necessariamente ad invarianti uguali; cioè risulta: aunzrrlagle Ne segue che, in questo caso, se la (3) si riduce alla forma: d°Z A 3a |> csi — 0 od all'altra: ipa d + pe = sarà na funzione della sola a e A della sola 8; e perciò l’in- tegrale generale della (7) risulterà della forma: (8) Z = u[F(a) + ®(8)] -( 0 da È (ae essendo u = e oppure u= e 3 Applicando i resultati ottenuti nel $ 1, possiamo concludere che l'integrale generale della (7) avrà quest’ultima forma sol- tanto quando la funzione 2 = @(x,y) soddisfi alla equazione: (9) ci s-Vs=rt dò fee da t t dy t oppure all’altra: (10) — = d i de t RE t È molto facile interpretare geometricamente questa condi- zione. Infatti la (9) p. e. ci dice che dovrà risultare: EAT = vB), essendo B = cost. l’integrale generale dell'equazione: 574 MINEO CHINI dy rt it pid dx LE t set Ora se a = cost. è quello dell'equazione: dy s+ Vert Pa Sin indicando con t l’angolo che forma coll’asse delle x la tangente alla proiezione sul piano xy dell’assintotica a = cost., avremo: ve st Vert tangt = — epr nd Dunque la (9) equivale all’altra: tangt = — (8); e sotto questa forma essa ci dice che lungo ogni assintotica 8 = cost. le tangenti a tutte le a = cost. debbono risultare parallele ad uno stesso piano, che varierà a seconda della che si considera, ma che passerà costantemente per una retta fissa (scelta come asse delle 2). Concludiamo che le superficie 2 = 6(x,y) per le quali l’in- tegrale generale della (7) è della forma (8) coincidono con quelle su cui esiste un sistema di assintotiche tali che lungo ciascuna assintotica dell’altro sistema, le prime hanno le tan- genti parallele ad uno stesso piano, che passa costantemente per una retta fissa. E se per una qualunque di tali superficie si saprà integrare l'equazione complessiva delle assintotiche: rdao° + 2sdaxdy + tdj =0, la determinazione della superficie più generale, che corrisponde alla data con ortogonalità degli elementi lineari, dipenderà da sole quadrature. Una classe di superficie di siffatta specie è data evidente- mente dalle rigate a piano direttore. Scegliendo l’asse delle @ su detto piano, la loro equazione è della forma: SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 575 (11) z=f(ax + by) + (cr + 9) 9p(ax + by), essendo a, d, c,, c° delle costanti arbitrarie, ma tali che non risulti ac, = de, altrimenti queste superficie sarebbero delle sviluppabili; cioè si avrebbe s° — rt = 0, perchè: V— rt = (be, — ac) (ax + 89). Ora posto: ax + 5y = t, c1x + cy = , l'equazione com- plessiva delle assintotiche si riduce, nel caso attuale, all'altra: [fdt + uo" ()dt + 29'0)adu]dt = 0, la quale si spezza in due: t= cost. fdt +2V9'd(uVo)=0, e quest’ultima ha per integrale generale: 2uVp' + | wi dt = cost. Dunque i parametri delle assintotiche sono attualmente: da. a=ax + by, p=2(02 + cy) Ve) + [Fa Inoltre per le superficie (11) risulta: Lan 0 a 7 bal. 7 99 e quindi l’integrale generale della (7) sarà in questo caso: )+ ®(9)]. Passiamo ora a vedere per quali forme della funzione z = (x, y) l'integrale generale della (7) è: (12) Z=F(o)+®(8). 576 MINEO CHINI Affinchè questo accada sarà necessario e sufficiente che risultino verificate contemporaneamente le equazioni (9) e (10); o ciò che è lo stesso, che si abbia: ia Dalla prima di queste condizioni si deduce che dovrà essere: s°— rt = X, con X funzione della sola x; e dalla seconda: s—rt= Y, con Y funzione della sola y. Quindi bisognerà che risulti: s° — rt = cost. Reciprocamente, se 2 = 0(x,y) soddisfa a quest’ ultima equazione, risulteranno verificate le due condizioni precedenti; e perciò possiamo concludere che l’integrale generale della (7) sarà della forma (12) soltanto quando la funzione = soddisfa all’equazione: (13) sac con % costante arbitraria diversa da zero. E per le superficie che risultano integrali di questa equazione i parametri delle assintotiche sono: Appartengono evidentemente alla suddetta classe le rigate a piano direttore: az=(axr +by+0(r + cy) + f(ar + by), giacchè per tali superficie si ha: Vs — rt = ber — ac, Fra queste vi è anche il paraboloide iperbolico. Le superficie integrali della (13) sono caratterizzate dalla proprietà che lungo ciascuna assintotica, dell'uno o dell'altro sistema, le tangenti a tutte quelle del sistema rimanente risul- tano parallele ad uno stesso piano, che passa costantemente SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 577 per una retta fissa. Ora il DArBoux ha determinato le espres- sioni delle coordinate x, y, 2 dei punti di una classe completa di superficie (che può dimostrarsi essere la più generale possi- bile) le cui assintotiche a = cost., B = cost. godono della pro- prietà che lungo ogni a = cost. le tangenti a tutte le R = cost. risultano parallele ad uno stesso piano, la cui normale ha i coseni di direzione proporzionali alle derivate f'(a), ®'(a), y'(a) di tre funzioni qualunque di a; e che inoltre, lungo ogni B= cost. le tangenti a tutte le a = cost. sono parallele al piano la cui normale ha i coseni di direzione proporzionali alle derivate f:(8), ®':(8), w'(8) di tre funzioni arbitrarie di B. Tali espres- sioni sono: 4kex=(Qy — yo) + {@dy — y.d9.) — {(pdy — ydo9) 4ky=(Wf — fw) + {idf — fidy) — {(waf — fay) bke = (fo — of) + {(fido — vidf) — [(fdo — 9df) essendo % una costante qualunque (*). Quindi se vogliamo che quei piani, nelle loro varie po- sizioni, passino costantemente per la medesima retta fissa, che sceglieremo come asse delle 2, dovremo prendere y(a) = w, y,.(8) =, essendo w, » costanti arbitrarie. Dunque le equazioni: x = 01(0) + 0 (8) (14) | y = 0x(a) + 0:(8) pi = (030, — 010%) — {(e.d0,—9,40;) + {(0:d0, — 0140,) con 03, 03, 0,, 0, funzioni arbitrarie, ci dànno le coordinate dei punti di tutte le superficie che sono integrali della (13). Se le funzioni (01, 02), (0, 6,) in luogo d’essere indipendenti, sono legate dalle relazioni: 0î (a) + o;(a) = N — W 6?(8) + 05(B) = 8" — 4" (*) DarBoux, Op. cit., parte 3*, pag. 368. 578 MINEO CHINI — SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI ECC. con h', h'", h'"' costanti qualunque, ogni superficie (14) costituirà una falda dell’evoluta di una superficie W di WEINGARTEN, avente i raggi principali di curvatura legati dalla relazione: 2(R — R')= sen2(R + R'), quando però ’' sia diversa da zero. Mentre se 4%" = 0, si avrà una falda dell’evoluta di una superficie ad area minima. L’ Accademico Segretario AnpREA NACccARI. CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 15 Marzo 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarettA, Direttore della Classe, Rossi, BorLati pi SAINT-PrerRE, Pezzi, NANI, CrpoLLA, BRUSA, Perrero, ALLIEvo e FeRRERO Segretario. Il Presidente presenta, a nome dell’autore, Prof. Emilio Cosra dell’Università di Bologna, l’opera: “ Papiniano, Studio di Storia interna del diritto romano , (Bologna, 1896, 3 volumi) e brevemente ragguaglia la Classe intorno ad essa. Il Socio Segretario presenta un opuscolo del Direttore della Classe: “ Il deposito delle reliquie di S. Agostino a Pavia e il Re di Sardegna Carlo Emanuele III ,. La Classe procede alla nomina di sette Soci Corrispondenti. Riescono eletti i signori Giacomo Bryce (Londra), Prof. Fede- rico PateTtA dell’Università di Siena, Prof. Antonio PinLocHE dell’ Università di Lilla, Avvocato Giuseppe GATTI (Roma), Prof. Felice Tocco dell’Istituto di Studii superiori di Firenze, Prof. Carlo CantoNI dell’Università di Pavia, Prof. Alessandro CarappeLLI dell'Università di Napoli. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. 980 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 28 Febbraio all’8 Marzo 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio ; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, * Abhandlungen der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen, Mathematisch-Physikalische Klasse, XL, 1. Gottingen, 1895; 4°. * Account (An) of the Smithsonian Institution: its origin, history, objects and Achievements. City of Washington, 1895; 8°. Boletin de la Comision Geolégica de México. N. 2. Mexico, 1895; 4°. * Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer- sità di Genova. N. 16, 34-39. Genova, 1895; 8°. *# Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Janvier 1896; 8°. * Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 1. Torino, 1896; 8°. * Journal of the College of Science Imperial University Japan. Vol. VIII, p.. HI; “LX, p. L. Tokio, 1895;,.4°. * Mémoires présentés par divers savants è l’Académie des Sciences de l’Institut de France; t. XXXI°, 2° série. Paris, 1894; 4°. * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 4. London, 1896; 8°. * Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 4. Gòttingen, 1895; 8°. * Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. IX, p.1*, 1895. * Proceedings of the R. Society. Vol. LIX, n. 854. London, 1896; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX, fasc. 1-4. Milano, 1896; 8°. * Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Ser. 3, vol. II, fasc. 1°. Napoli, 1896; 8°. Report of the sixty-fifth Meeting of the Britsh Association for the advan- cement of Science held at Ipswich in september 1895. London, 1895; 8°. oo. , (E reo = | NT, n PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 581 Report of the Superintendent of the U. S. Coast and Geodetic Survey for the fiscal year ending, June 30, 1893; Part II. Washington, 1895; 8°. Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 1"° année, n. 4. Paris, 1895; 8°. * Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. 1°. Modena, 1896; 8°. * }RypHalb pyCcKaro ®I8HK0-xMMNJecKaro O6mecrBa npu IMnepaTopcromb C. Ierep6yprerows VYauBepenterb; t. XXVII, n. 9. 1895. Bardelli (G.). Sull’uso delle coordinate obliquangole nella meccanica ra- zionale. Milano, 1896; 8° (dall’A.). Espiro (E. F.). Memoria presentada è S. E. el sefior Presidente de la Re- publica don Juan Idiarte Borda. Montevideo, 1895; 8° (dal Governo della Repubblica dell’ Uruguay). Marini (A.). Annotazioni riassuntive sulla campagna serica italiana nel 1895. Torino, 1895; 8° (dall’A.). Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Dal 1° al 15 Marzo 1896. * Acta Borussica: Die Getreidehandelspolitit der Europiischen Staaten vom 13. bis zum 18. Jahrhundert. Berlin, 1896; 8°. Annuario Accademico 1895-96. Siena, 1896; 8° (dalla R. Università degli Studi di Siena). Annuario statistico italiano 1895. Roma, 1896; 8° (dono del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). * Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark. Copenhague, 1895, n. 3, 4. Copenhague, 1895; 8°. * Commentari dell'Ateneo di Brescia per l’anno 1895. Brescia, 1895; 8°. * Dictionarul limbei istorice si poporane a Romînilor lucrat dupà dorinta si cu cheltuiéla M. S. Regelui Carol I sub auspiciele Academiei romane. Tom. III, Fasc. III, Baz-Bal. Bucuresci, 1896; 4°. * Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova. Anno XVII, fasc. IV. Genova, 1895; 8°. ** Jahresberichte der Geschichtswissenschaft. XVII Jahrg. 1894. Berlin, 1896; 8°. * Mémoires et Documents publiés par la Société Savoisienne d’Histoire et d’Archéologie, t. XXXIV. Chambéry, 1895; 8°. 582 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et des Lettres de Danemark. 6° sér. Section des Lettres, t. III, n. 4. Copenhague, 1895; 4°. ** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. 1895, fol. 127-226; 8°. * Rozprawy Akademii Umiejetnosci wydziat Historyczno-Filozoficzny. Ser. II, t. VI. Krakowie, 1895; 8°. Tabella. indicante i valori delle merci nell’anno 1895 per le statistiche commerciali. Roma, 1896; 8° (dal Ministero delle Finanze). Pinelli (T.). Relazione statistica dei lavori compiuti nel distretto della Corte d'Appello di Torino nell’anno 1895. Torino, 1896; 8° (dall'A.). Guidi (I... Vita Za-Mîkà'él ’Aragàwî. Romae, 1896; 12°. Magnier (F.). Rapport présenté au Congrès d'Aiguebelle le 6 aoùt 1894. Chambéry, 1895; 8° (dall’A.). Bobba (R.). La dottrina dell'intelletto in Aristotele e nei suoi più illustri interpreti. Torino, 1896; 8° (Zd.). Strada (E.) e Martinetti (M.). Piazza d'Armi o Valentino ? Considerazioni sulla scelta della sede dell’Esposizione del 1898. Torino, 1896; 8° (dagli A.). ) 583 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Marzo 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, Berruti, Bizzozero, FERRARIS, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, Prano, JADANZA, GuarEscHI e NaAccaRI Segretario. Viene letto ed approvato il verbale della seduta precedente. Il Segretario segnala, fra le pubblicazioni inviate in dono, alcuni opuscoli spediti dal Socio corrispondente WALDEYER. Il Segretario comunica la lettera di ringraziamento del Prof. FeLIcI eletto recentemente Socio Nazionale e quelle dei Prof. BertrAND e SyLvester eletti Soci Stranieri. Comunica inoltre una lettera, con cui l’Università e il Municipio di Glasgow invitano l'Accademia ad eleggere un proprio rappre- sentante per le feste che si celebreranno il 15 e 16 giugno prossimo venturo in onore di Lord Kelvin, che nel prossimo autunno compie il cinquantesimo anno di insegnamento. La Classe delibera di pregare il Socio corrispondente Prof. J. J. Thomson professore a Cambridge di rappresentarla in quella solennità. Il Segretario dà notizia che sono giunti dal Ministero i decreti di nomina del Socio Nazionale residente Prof. Icilio Gua- RESCHI, dei Soci Nazionali non residenti Professori Emanuele FeR- Goa e Riccardo FeLIci e dei Soci Stranieri Professori Giuseppe Luigi BertRAND e Giacomo Giuseppe SyLvESTER. Il Socio CAMERANO anche a nome del Socio SALVADORI legge la relazione sulla memoria del Dott. Daniele Rosa intitolata: “I Linfociti degli Oligocheti ,. Conforme alle conclusioni del relatore la Classe ne approva la lettura e quindi l’inserzione nei volumi accademici. 984 È Relazione intorno alla Memoria del Dott. Daniele Rosa, intitolata : “ I Linfociti deglu Oligocheti — icerche istologiche ,. Il Dott. D. Rosa nelle sue ricerche intorno ai linfociti degli Invertebrati, oggetto della Memoria affidata al nostro esame, ha molto opportunamente scelto come materiale di studio quelle forme animali in cui il sistema circolatorio è chiuso e in cui perciò gli elementi morfologici proprii della linfa non si trovano frammisti con quelli proprii del sangue come avviene nella massima parte degli invertebrati che vennero fino ad ora stu- diati dal punto di vista dei linfociti stessi. Egli ha studiato gli Anellidi Oligocheti e più specialmente i lombrici i quali hanno la proprietà, in questo caso assai preziosa, di emettere dai pori dorsali il liquido celomico senza che per ottenerlo sia necessario incidere l’animale. L’A. ha osservato quattro differenti sorta di linfociti nei Lombrichi: gli uni ameboidi e gli altri non ameboidi e di tutti ha descritto la forma normale fino ad ora al tutto ignorata e le modificazioni che essa presenta quando i linfociti sono portati fuori dell'organismo. Il Dott. D. Rosa ha fatto uno studio minuto e diligente di tutte le singole forme di linfociti descrivendo la struttura della sostanza cellulare, del nucleo, delle centrospere, ecc. Il lavoro del Dott. Rosa è pertanto un contributo assai importante per la conoscenza non solo dei linfociti delle specie di Oligocheti particolarmente studiate, ma in genere per la conoscenza dei linfociti degli Invertebrati e per la biologia cellulare. I vostri commissari sono lieti quindi di proporre che il lavoro del Dott. D. Rosa venga ammesso alla lettura e venga stampato nelle Memorie accademiche. Torino, 18 marzo 1896. T. SALVADORI. L. CAMERANO, Relatore. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. i : | | d | 985 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 29 Marzo 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Socii: PeyRon, CrpoLLa, Brusa, PERRERO, ArLievo e-FERRERO Segretario. Il Socio Segretario fra le pubblicazioni pervenute in dono alla Classe, segnala un nuovo opuscolo di “ Vedische Beitrége , (Berlino, 1896) del Socio Corrispondente prof. Alberto WEBER, ed il volume in memoria di CesARE CANTÙ, pubblicato per cura della famiglia dell’illustre scrittore in occasione del primo anni- versario della sua morte. Offre poi, a nome dell'Autore, il professore Emilio TEZA, un opuscolo: “ I Tipitakam dei Buddiani stampato nel Siam , (Venezia, 1896), concernente la collezione di volumi stampati per ordine di S. M. il Re del Siam, che ne donò un esemplare all'Accademia (presentato nell'adunanza del 1° marzo) e ad altri Istituti scientifici del Regno. Sono comunicate le lettere, con cui i professori Tocco, GarTI, CANTONI e PatETTA ringraziano per la loro nomina a Soci Corrispondenti. Il Socio ALLievo legge un suo lavoro intitolato: “ Federico Herbart e la sua dottrina pedagogica ,, di cui la Classe approva la stampa nelle Memorie accademiche. Lo stesso Socio legge una sua nota: “ La divisione del la- voro applicato nelle Università ,, che è pubblicata negli Atti. Il Socio PeRRERO dà lettura di un suo lavoro: “ Un segreto episodio della vita ministeriale del marchese d’Ormea e del cava- liere Ossorio (1740-1750) ,, parimente stampata negli Atti. NILE n 586 GIUSEPPE ALLIEVO LETTURE La divisione del lavoro applicato alle Università; Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. L'Università è la grande Scuola, dove s’insegnano le scienze umane tutte quante in tutto il loro progressivo sviluppo, e dove si formano i cultori delle professioni liberali. Quindi essa riu- nisce in sè un duplice carattere, scientifico cioè e professionale; e la Laurea, che conferisce, fu sempre Laurea di dottore e di professionista ad un tempo. Questo duplice carattere si mani- festa nell'organismo medesimo dell’Università. Infatti essa si compone di poche Facoltà, ciascuna delle quali comprende un gruppo di scienze omogenee; ecco il carattere scientifico : queste scienze poi sono coltivate da giovani avviati all'esercizio delle professioni liberali (l’Imgegneria, la Medicina, l'Avvocatura, il Magistero educativo ecc.), ecco il carattere professionale. Questo organismo delle Facoltà incominciato coll’origine stessa della Università si mantenne attraverso i secoli, ma da qualche tempo va via via scompaginandosi in mezzo alla lotta, che ferve tra il culto puro e disinteressato della scienza e l’esercizio utili- tario della professione. Volgiamo un rapido sguardo alle vicende storiche, per cui è passata l’Università attraverso i secoli, a fine di rinvenire la cagione della lotta, che di presente la tra- vaglia. Ne’ secoli scorsi le discipline, che formavano l’oggetto del- l'insegnamento universitario, erano poche di numero, e ciascuna poco sviluppata, come pure ciascuna professione liberale era semplice nel suo organismo. Quindi ne avveniva, che la scienza poteva essere studiata tutta quanta nella sua idealità specula- 4 ; I LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 587 | tiva senza venire sacrificata in veruna sua parte, e la specu- lazione teorica poteva mantenersi in perfetta armonia coll’indi- rizzo pratico ed interessato della professione liberale. L'Università conservava l’unità de’ suoi due caratteri, scientifico e professio- nale. Ma da due secoli in qua lo scibile umano prese uno svi- luppo ed un incremento straordinario. Certi punti di studio, che prima erano compresi dentro una determinata scienza siccome parti nel loro tutto, vennero studiati in se stessi, staccati dalla disciplina, a cui appartenevano, e crebbero a poco a poco sino a pigliare forma e corpo di scienza speciale, come ce ne porge esempio la scienza filologica, la quale venne diramandosi in moltissime altre. Similmente quella, che da prima era una pro- fessione unica, si disvolse in una varietà di professioni speciali, ciascuna delle quali viene esercitata da cultori suoi proprii. Così la Medicina conta oggidì pressochè tanti rami distinti, quante sono le malattie particolari dell'umano organismo: l’In- gegneria si è bipartita in industriale e civile, e l’industriale si suddivide in Ingegneria delle miniere, delle macchine ferroviarie, delle manifatture, dei ponti e delle strade e va discorrendo. Il moltiplicarsi delle scienze e delle professioni liberali fu cagione, per cui i giovani inscritti ad una Facoltà più non po- tendo abbracciare colla loro mente le tante e nuove discipline appartenenti alla medesima, consacrarono i loro studi ad una o poche soltanto di esse, e diventarono specialisti, aspirando ad una laurea dottorale speciale: ma intanto ristringendo esclu- sivamente la loro meditazione ad un solo ramo del sapere per meglio approfondirlo, perdettero di vista l’unità della scienza. Similmente un giovane aspirante ad una professione liberale, non venendogli fatto di impratichirsi per bene in tutti i rami speciali della medesima ed esercitarli con felice successo, di- ventò specialista anch'esso; ma raccogliendo tutte le forze del suo ingegno intorno al culto di un ramo speciale professionale, diede a’ suoi studi un indirizzo esclusivamente pratico ed uti- litaristico, attingendo dalla scienza solo quel tanto, e non più, che potesse giovargli all'esercizio della sua professione speciale, ed abbandonando come inutile tutto ciò, che sa di pura teoria, di mera speculazione. Così sorsero le scuole speciali superiori fuori dell’Università, anzi contro l’Università, nelle quali la scienza non si coltiva più per se stessa, per puro e disinteres- Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 41 588 GIUSEPPE ALLIEVO sato amore della verità, ma nelle sue applicazioni pratiche ed utili alla vita (1). Di tal modo siamo giunti a La che dicesi con nuovo vocabolo Specialisno degli studi e delle professioni, ossia alla divisione del lavora applicata all’Università. Per lo passato nel seno dell’Università il culto della scienza speculativa ed il ti- rocinio dell’arte professionale facevano una cosa sola, ed i gio- vani passavano senza più dagli studi teorici alla pratica della professione. Ora la gioventù studiosa si è diviso il lavoro men- tale: da un lato i dotti col loro amore della scienza puro e di- sintéressato, dall'altro i professionisti col sapere praticamente applicato alla loro arte: ai primi rimase l’Università, pei se- condi sorsero le scuole superiori speciali isolate. Così l'antico organismo universitario venne a sfasciarsi. La grande Scuola dell’Enciclopedia universale, spostata dal suo centro di gravità, sì è sperperata in una minutaglia di scuole speciali da essa disgiunte. Noi assistiamo ad un duplice antagonismo. L'Università è in lotta con se stessa, dacchè vede la sua unità ideale cader in frantumi sotto i colpi di uno specialismo, che non riconosce più limiti nel suo processo. Essa è altresì in lotta colle scuole superiori, che disdegnando la scienza pura si chiudono ciascuna nell’idolatria della propria arte. Nel campo del pensiero il lavoro analitico ha diviso e suddiviso lo scibile in minutissime disci- pline, tantochè chi si consacra di proposito allo studio esclusivo di una sola, perde di vista i vincoli, che la consertano con tutte le altre in una potente unità ideale. Nel campo dell’azione le professioni liberali si specializzano anch'esse a dismisura, ed i loro giovani cultori trattando la scienza come la semplice an- cella della loro arte attingono dallo studio di essa quel po’ di sapere teorico, che torna assolutamente necessario al culto della loro professione e non guardano più in là. Quindi da una parte la meditazione de’ dotti si rimpicciolisce in vedute ristrette ed (1) Tale fu l'origine della nostra scuola del Valentino per gli allievi ingegneri, i quali muovon lamento, che nei due anni, che loro tocca di frequentare l’Università per essere poi licenziati a quella scuola, sono tenuti a frequentare il corso di Meccanica razionale, reputando tale inse- gnamento come affatto teorico ed inutile all'esercizio della loro professione. LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 589 esclusive, e vengono a mancare quelle larghe intuizioni, quelle sintetiche comprensioni del pensiero, che scopre nuovi orizzonti nel mondo ideale; dall’altra la pratica dei professionisti non illuminata da una compiuta teorica, non animata dallo spirito dell’idea, degenera in mestierume e travia in empirismo. È questo uno stato di cose gravissimo, che minaccia le sorti dell’alta coltura sociale e richiama a sè l’attenzione di quanti hanno a cuore l'interesse de’ pubblici studi per avvisare al modo di venire al riparo di conseguenze tanto deplorabili. Meditando intorno al gravissimo argomento, occorre anzi tutto convenire su questi tre punti: 1° Dividere il lavoro universi- tario specializzando le discipline scientifiche e le scuole supe- riori è una necessità richiesta dal crescente sviluppo dello scibile e dal progresso delle arti. 2° È altresì giuocoforza conservare all’Università l’unità del suo organismo ideale, sicchè essa ri- manga per gli alunni la Scuola universale dello scibile umano preso nella sua armonica e sintetica integrità. 3° È pur neces- sario mantenere la conveniente armonia tra gli studi speculativi e le applicazioni pratiche, tra la scienza e l’arte, sicchè l’amore disinteressato e puro della verità non sia soffocato dall’utilita- rismo della vita. Tutti e tre questi punti vanno posti fuori di ogni discussione. Ma qui appunto sorge il duplice problema. Come conciliare la necessità della divisione del lavoro coll’unità dell'organismo ideale universitario? Come mantenere la dovuta armonia tra la scienza pura e l’arte professionale nelle scuole speciali superiori? In riguardo alla prima parte di questo problema giova ri- cordare, che l’Università è il tempio della scienza universale, la Scuola dell’Enciclopedia umana, ossia delle discipline tutte quante, composte insieme a sistematica unità. Questo concetto ci porta logicamente a proporre due insegnamenti, a cui an- drebbero tenuti tutti gli alunni a qualunque facoltà apparten- gano. Il primo di essi avrebbe per oggetto la classificazione delle scienze condotta in guisa che il giovane studioso possa scorgere le intime colleganze, per cui tutte armonizzano ad unità, il posto, che spetta a ciascuna, e segnatamente alla sua, in mezzo a tutte le altre. Così egli non perderebbe di vista l'organismo ideale del sapere, pur mentre tiene raccolto il pen- siero sulla propria disciplina. Un bellissimo saggio di classi- 590 GIUSEPPE ALLIEVO ficazione enciclopedica porse Andrea Maria Ampère nel suo Essai sur la philosophie des sciences, dove tutto lo scibile umano viene distribuito in due grandi branche, l’una cosmologica ri- guardante le cose corporee, l’altra noologica relativa alle cose incorporee. Il secondo dei due proposti insegnamenti avrebbe per oggetto suo proprio la protologia, ossia lo studio dei su- premi ed universali principii di tutte le scienze. Ciascuna di esse, mentre possiede un principio suo peculiare, per cui si di- stingue da ogni altra, ha tuttavia comuni con tutte le altre alcuni principii universali, il cui studio solleva la mente del giovane al concetto del sintesismo dello scibile. Venendo alla seconda parte del problema, guidato dallo stesso concetto universitario io proporrei due altri insegnamenti, obbligatorii per gli alunni di ciascuna scuola speciale. Come vi ha la filosofia universale, che spazia per tutte le regioni del pensiero, così evvi per ciascun gruppo di scienze particolari una filosofia speciale, che le conserta e le solleva alla loro più alta idealità, ricercando le ragioni supreme del loro comune oggetto e scrutando quei problemi più elevati, a cui non s’innalza cia- scuna di esse. Così evvi la filosofia delle matematiche, la filosofia della giurisprudenza, la filosofia della medicina, delle scienze naturali, della storia e via via. Ciò posto, verrebbe opportuna la instituzione di una cattedra di filosofia speciale propria di quel gruppo di discipline, che avvia il giovane nell’esercizio di una professione liberale. Con questo provvedimento verrebbe a conciliarsi il culto speculativo della scienza coll’indirizzo pratico . professionale. A questo io aggiungerei un secondo insegnamento, cioè una cattedra di Logica, considerata come scienza sovrana legislatrice del pensiero, il quale, così avvalorato, contribuisce al culto medesimo dell’arte. Queste proposte, mentre intendono a riparare le funeste con- seguenze generate da uno smodato specialismo, non urtano per nulla col progresso continuo dell’umano sapere, il quale non ri- conosce confini, a cui debba arrestarsi. Poichè occorre far di- stinzione tra l'insegnamento della scienza universale e lo svi- luppo continuo della medesima. L'insegnamento ha la sede sua propria nell'Università, dove viene impartito entro i limiti con- sentiti da giovanili intelligenze; ma il suo crescente sviluppo varca di assai la cerchia delle aule universitarie. La scienza si E N È ST UO E e. LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 591 arricchisce del lavoro di tutte le intelligenze, che siansi con- sacrate alla ricerca della verità: non circoscrive le sue conquiste ideali ad un tempo e luogo determinato, ma le estende da per tutto, dovunque incontra una dotta accademia, che discuta qualche grave problema, od un pensatore solitario, che mediti nel silenzio della sua camera. Essa non vede limite di tempo e di spazio, che la arresti nel suo trionfale cammino, e sempre avanza per le regioni dell’infinito. I limiti invece sono segnati intorno la cattedra dell'insegnante: gli è qui che lo specialismo si arresta nel suo processo. Io riconosco adunque la necessità di specializzare gli studi con tale criterio, che i giovani alunni, pur mentre raccolgono tutta l’attività del loro pensiero sopra quel determinato ramo del sapere, a cui si sentono per natura chiamati, non perdano di vista l’unità della scienza, nè sacrifichino l’amore della ve- rità pura all’utilità della loro professione. Questo bisogno di dividere il lavoro mentale è universalmente sentito, e da per tutto si tenta di appagarlo con opportune riforme scolastiche, segnatamente negli Stati Uniti d'America, dove lo specialismo universitario è promosso con grande ardore. Ma qui in Italia si tira avanti sulla vecchia pésta come se il nostro mondo sco- lastico fosse il migliore de’ mondi possibili. Da parecchi anni in qua (nessuno il nega) non poche cattedre vennero aggiunte alle antiche anche nelle nostre Università, e specialmente in questa facoltà di filosofia e lettere: sebbene, a dire il vero, fra i nuovi insegnamenti se ne siano intrusi anche degli inutili od inopportuni, dettati più da secondi fini, che dai veri bisogni della scienza. Questo aumento di cattedre doveva ragionevol- mente portare ad una corrispondente divisione nelle materie di studio; ma così non fu. I giovani aspiranti ad una professione liberale, a conseguire la loro laurea dottorale sono pur sempre tenuti a frequentare tutte le discipline, e antiche e recenti che appartengono alla loro facoltà, salvo poche eccezioni, sicchè esse vennero ad aggravare e rendere pressochè insopportabile il far- dello dei loro studi. E bene sel sanno i giovani laureandi in lettere, forzati a frequentare dodici insegnamenti diversi, pas- sando senza posa da una lezione all’altra a farvi incetta di svariato sapere, il quale mal potendo penetrare sino al cervello, se ne rimane per lo più affastellato dentro i quaderni, ricor- 5992 DOMENICO PERRERO dando i doctores chartacei del medio evo. Il fardello riesce an- cora più incomportabile, quando si consideri che in mezzo a tale caterva di materie alcune sono affatto eterogenee nel gruppo delle discipline letterarie, quali la filosofia teoretica e la storia della filosofia. Io non dico, che queste due materie filosofiche, quando siano insegnate per bene, non abbiano la loro propria importanza; bensì intendo di sostenere, che a giovani laureandi in lettere, già sopraccarichi di materie loro proprie, non tornano del tutto necessarie, tenendo io per fermo, che il tempo im- piegato nel frequentarle assai meglio verrebbe adoperato ad approfondirsi nelle altre, che appartengono al ramo letterario. Quindi si fa manifesta la necessità di una riforma, che in- troduca negli studi della Facoltà di filosofia e lettere un nuovo ordinamento conforme alle giuste esigenze della moderna coltura. Applicando a tale intento la divisione del lavoro, pare a me, che tutti gli insegnamenti di essa facoltà abbiano a dividersi in quattro gruppi distinti, i quali mettano capo a quattro lauree speciali, e sono il filosofico, il letterario classico, il filologico, lo storico geografico. Un segreto episodio della vita ministeriale del Marchese D’Ormea e del Cav. Ossorio (1740-1750); Nota del Socio DOMENICO PERRERO. È sentenza comunemente invalsa presso i patrii storici, adottata e sostenuta dall’illustre autore della Diplomazia della Corte di Savoia, che il marchese d’Ormea fosse per modo geloso del suo ministero sopra gli affari esteri, che mai non si sarebbe volontariamente indotto ad abbandonarlo se non colla propria vita. E, per verità, a favore di siffatta sentenza parrebbe stare, come effettivamente si mette innanzi, il fatto dello avere il marchese voluto morire in possesso della carica, anzichè chie- VT n UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 593 dere la sospensione d’applicazione agli affari amichevolmente consigliatagli dal pontefice Benedetto XIV (1). i; Non è a stupire, dico, che questo fatto, in se stesso uni- | camente considerato, abbia prodotto una certa impressione sui nostri storiografi e trattili a conseguenze poco favorevoli al carat- tere del nostro grande statista. Vuolsi però notare, che a questo un ‘ altro fatto essenzialissimo già aveva preceduto, e fu che l’Ormea, nientemeno che cinque anni prima della sua morte, aveva già data la sua dimissione da ministro al re Carlo Emanuele III, e che questi, accettatala, aveva già persino designato il mini- stro chiamato a succedergli, come senza dubbio sarebbegli suc- ceduto, se, mentre se ne attendeva il consenso, per una specie di fatalità, una imprevista circostanza, sorvenuta ad un tratto, non avesse sconcertato gli adottati segreti accordi, protraendone la effettiva esecuzione a dieci anni dappoi. (1) Nella Storia della Diplomazia della Corte di Savoia, a proposito della morte del marchese Ferrero d’Ormea, occorsa il 24 maggio 1745, si legge: “ La malattia recavagli fiere doglie, l'animo aveva perturbato dal sopram- montare degli emuli; pure fuggiva il riposo, che gli era necessario ,. Bene- detto XIV gli scriveva: “ Abbiamo sempre creduto che il riposo del corpo e la quiete dell’animo dovessero essere l’unico e vero rimedio pel suo male... Una sospensione d’applicazione, accordata dal Sovrano per il ristabilimento del suo principale ministro, a prima vista, può sembrare un buon mezzo termine per vedere in appresso che cosa debba farsi; si apre il campo a ritornare alla testa degli affari; se poi non siegue, è d’uopo conformarsi alla volontà di Dio, e prendere un tenore di vita lontano dallo strepito, e dato agli affari domestici e, quello che più importa, ai pensieri dell’e- ternità. “ Il buon papa (nota qui l’illustre storico) conosceva il male e additava il rimedio; ma il farmaco era ostico all’infermo più del morbo istesso; chè volea quello “ strepito , delle faccende, e la “ sospensione d’applicazione , che il re gli dava in effetto, non era da lui richiesta, e non l'avrebbe ri- chiesta mai. Onde rispondeva: “ Sono persuasissimo che il consiglio che, V. Santità si degna darmi di non applicare, mi è necessario... La costitu- zione di questo governo (conchiudeva l’Ormea) vuole che io sacrifichi quel poco di vita che mi rimane, per far tacere gli emuli della mia carica, che non sono pochi, e per fare che nello spirito del Sovrano non nascano certe impressioni, alle quali cercherebbero poi di dar pascolo ,. Debbo però io pure qui notare, che tre soli giorni prima della surri- ferita risposta dell’Ormea, e così il 3 febbraio 1745, egli stesso già un’altra ne aveva spedita al papa, nella quale, meglio spiegando il suo concetto, 594 DOMENICO PERRERO Gli è questo episodio, rimasto sinora inavvertito, che mi propongo di trarre alla luce mediante i relativi documenti, troppo importanti perchè debbano più oltre lasciarsi nell’oblio, in cui giacciono da oltre un secolo e mezzo (1). Quando l’Ormea, il 3 febbraio 1745, scriveva a Bene- detto XIV: “ È già da qualche tempo che vo seriamente pen- sando all’eternità ,, diceva del miglior senno ed enunciava un fatto, che, per quanto enigmaticamente espresso, non lasciava di essere una verità. — Verso il 1740, dopo percorsa una lunga carriera, non meno luminosa che agitata e faticosa, il marchese, uomo essenzialmente religioso, non potendo dissimularsi, che la sua salute andava declinando, sentiva il bisogno d’interporre fra i pensieri di Stato, e l’eternità, che si approssimava, un intervallo di riposo e di raccoglimento. Tanto più che, a fronte della pace di Vienna del 1738, che accresceva il regno di due così gli scriveva: “ È già da qualche tempo che vo seriamente pensando all’eternità... Pocurerò dunque di andar trattenendomi alla meglio che potrò nella presente dura mia situazione, sino a che mi veda ridotto al segno di non poter più assolutamente applicare, o che qualche fondata speranza di prossima pace mi dia plausibile motivo di ritirarmi dagli affari... ,. Questa prima risposta, trascurata dallo storico, restringe ciò che di troppo ampio e generico parevano accennare le espressioni della seconda, isolatamente presa, in quantochè, in quella, l’Ormea prestabiliva un ter- mine, entro il quale prendeva verso il papa l’impegno di ritirarsi dagli affari, e sarebbe stato quando la pace coi Franco-ispani gli avesse pòrto un plausibile motivo di ritirarsi onoratamente a fronte de’ suoi emuli. — Nè questa era già una mera scappatoia campata in aria; giacchè, verso quei giorni appunto, qualche segreto passo per una trattativa di pace, erasi indirettamente fatto per parte del marchese d’Argenson, ministro sopra gli affari esteri di Francia. Onde non è a stupire se l’Ormea pro- vasse una estrema ripugnanza ad abbandonare la direzione degli affari, per lasciar forse a’ suoi rivali i frutti e la gloria di una pace, divenuta ormai probabile, e dovuta principalmente al senno e all’opera sua, e se, quindi, sino all’ultimo, tanto cercasse di illudersi sul vero stato della sua salute. Si alterano, adunque, scindendole, le dichiarazioni fatte dall’Ormea a Benedetto XIV, dando un senso assoluto al diniego di chiedere la sospen- sione d’applicazione agli affari, che era soltanto relativo alle circostanze, in cui il marchese versava e quindi condizionale, come già lo aveva pro- vato col fatto, secondochè viene esposto nel testo. CaruTI, vol. 4, p. 231. — Curiosità e Ricerche, vol. 3, p. 535. (1) Archivi di Stato, Lettere ministri, Inghilterra. | i | | A E a TI UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 595 province; della fine delle controversie ecclesiastiche per mezzo dei concordati di Benedetto XIV; e dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Venezia, ben poteva, senza troppo orgoglio, dire a se stesso di avere oramai abbastanza faticato ‘per la sua gloria e per il bene del paese. Se non che, lo teneva tuttavia irresoluto il pensiero di aprire, col suo ritirarsi dagli affari, l’adito agli emuli di sot- tentrargli nella carica, e di procurar loro, così, facile il mezzo di denigrarlo, con insidiose insinuazioni, presso il principe e farlo fors'anche cadere in disgrazia. Si avvisò quindi di ricor- rere ad un ripiego, e fu di far gradire al re, in anticipazione, un successore nel ministero, di sua scelta e confidenza, da no- minarsi nell’atto stesso, in cui verrebbe accettata la sua dimis- sione, per modo che i di lui emuli, venendo in cognizione di questa, trovassero, nel tempo stesso, l'ambito suo posto già irrevocabilmente preoccupato. Ho parlato di emuli in numero plurale, come faceva l’Ormea; ma sono d’avviso, che, in sostanza, la persona da lui presa di mira, se non unicamente, certo principalmente, era senza dubbio il marchese Leopoldo del Carretto di Gorzegno, come quegli, in cui concorrevano maggiori titoli per aspirare a quel mini- stero, e contro il quale più vivi e più antichi covavano nel marchese i rancori. Egli, infatti, come primo uffiziale della segreteria degli affari esteri fin dal 1732, si trovava il più prossimo, e quindi il più naturalmente chiamato al posto vacante, egli, inoltre, in detta qualità, possedeva già da lunga mano, non solo la neces- saria notizia dei più importanti affari dello Stato, ma ancora la pratica esperienza nel maneggio loro, come quegli, che già da tempo, per causa della lunga malattia dell’Ormea, riceveva le istruzioni direttamente dal re, e presentava i dispacci alla firma reale, egli, infine, posto, pel suo uffizio, a fianchi del re, e quindi in condizione di potere, meglio di ogni altro, far sor- gere ed alimentare nello spirito del Sovrano quelle insidiose impressioni tanto dall’Ormea paventate. Nè i motivi di reciproci rancori personali mancavano. L’Ormea era, notoriamente, altiero e duro ne’ suoi portamenti co’ subalterni; d’altra parte, il Gorzegno e per nascita e pel lungo servizio e per carattere, non era un subalterno ordinario 596 DOMENICO PERRERO da subire facilmente le opinioni altrui, e men che meno da tol- lerare umiliazioni. Indi ne’ consigli e ne’ maneggi degli affari del loro dicastero, non infrequenti fra essi gli urti, indi le ge- losie e le esacerbazioni tanto più ostinate, quanto più profonde. Come mai dubitarne quando si vede il Gorzegno, poco dopo la morte dell’Ormea, accusarlo a dirittura, presso il conte di Rivera, nostro ambasciatore a Roma, d’avere carpita l'eredità del cardi- nale Ferrero, suo congiunto, per mezzo dell’abate Giussano? (1). Un torto soprattutto aveva il Gorzegno agli occhi del marchese d’Ormea, ed era quello di essere stato da una voce pubblica, allora corsa, ritenuto quale autore del famoso patto provvisionale sottoscrittosi fra la Sardegna e l’Austria il 1° feb- braio 1742, patto considerato a quei giorni e anche dappoi, come un capolavoro di sagacità politica. Era quindi naturale, che l’Ormea, il quale tutta se ne attribuiva la gloria (e a buon diritto, come è generale opinione) riguardasse il suo emulo, innocente forse di quella voce, come invidioso usurpatore dei suoi meriti. Della detta voce fa fede una nota apposta all’ Elogio storico di Carlo Emanuele ITI, del conte Orsini, nella quale si dichiara alla recisa il marchese di Gorzegno, autore del patto anzidetto (2). Del resto, se incerto e discutibile è rimasto il nome del- l’emulo, contro il quale l’Ormea credette doversi premunire nel modo sopra indicato, tutt'altro è da dirsi di quello del succes- sore oppostogli, nome chiaro nella storia della nostra diplomazia quant'altro mai; intendo parlare del cav. Ossorio, in quel tempo, vale a dire nel 1740, da più anni ambasciatore a Londra, e sul quale appunto, come sull’uomo fatto secondo il cuor suo, cadde la scelta dell’Ormea. (1) Questo Abate, intimo del marchese d’Ormea, che l’aveva posto al fianco del cardinale Ferrero, specialmente nel Conclave, come l’angelo suo custode, conforme allora dicevasi, — avendo brigato a Roma, presso il conte di Rivera, per qualche benefizio, diede occasione al Gorzegno, succe- duto all’Ormea nel ministero, di farne il seguente, poco lusinghiero, ritratto, in lettera del 10 maggio 1747: “ Si l’abbé Giussan a été si protégé par feu le marquis d’Ormea, il n'y a pas de quoi s’étonner, puisque c’était celui è qui il avait confiée la garde du cardinal Ferré, et qui lui a fait faire le testament en faveur de ce ministre. Mais ne croyez pas que le roi soit entéèté d’un si mauvais sujet ,. (2) Torino, 1793, Fea, p. 17. Pelia e iii _._élo@mi ib li tti e trae UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 597 Questa scelta, in se stessa, non poteva a meno di dirsi utile per lo Stato e soprattutto opportuna per l’Ormea, che l'aveva fatta. In lui il Governo acquistava un ministro abile e probo, uno statista versatissimo in tutti i rami del diritto pub- blico e un politico formatosi di lunga mano alla scuola dei migliori centri diplomatici d'Europa. L’Ormea poi lasciava dietro di sè un successore, che, vissuto quasi sempre lontano dal Pie- monte, e senza attinenze di sorta alcuna, era al tutto estraneo ai partiti ed agli intrighi della corte e dell’alta società della capitale: un successore, inoltre, che da lui riconoscendo la sua elevazione, doveva credersi, che e per gratitudine e per lo stesso suo interesse, non avrebbe mai fatto causa comune coi di lui avversari. Come il re siasi prestato a questo giuoco dell’Ormea non è facile spiegare, salvochè vogliasi supporre, non senza buon fondamento, che esso, stanco omai del sopravvento presogli dal troppo imperante ministro, abbia colto il destro, che se gli offeriva, qualunque esso fosse, di liberarsene. Cheechè ne sia, certo è che il re vi diede il suo assenso; e l’Ormea con lettera segreta delli 8 ottobre 1740, ne dava l’inatteso annunzio al cav. Ossorio a Londra nei seguenti ter- mini: “ Sa Majesté, se trouvant dans le cas de devoir faire quelque variation dans sa secrétairerie, s'est proposé à vous des- tiner è celle d’État pour les affaires étrangères en qualité de ministre et premier secrétaire d’État, ainsi qu'elle m’a ordonné de vous instruire par la présente qui vous sera rendue par le correspondant de M. Moris. Ce ne sera pourtant qu’après que Jaurai recue votre réponse, que S. M. publiera votre destina- tion, parce que com’elle compte de se servir de vous dans le dit emploi pendant longtems, elle souhaite que vous me mar- quiez auparavant, avec toute la franchise et toute l’ingénuité dont vous avez toujours fait profession, si vous croyez que votre santé soit dans un état è pouvoir fournir aux fatigues de l’emploi, dont il s'agit, et si vous ne vous sentez pas quelque répugnance à une certaine géne qu’y est attachée, laquelle n'est pourtant pas extraordinaire; en quoi je m’'attens que vous me direz naturellement ce que vous en pensez; d’autant que, si vous eussiez quelque raison pour ne pas l’accepter, il ne man- querait point è S. M., comme vous n’en devez pas douter, 598 DOMENICU PERRERO d’autre moyen pour recompenser le zèle avec lequel vous la servez si utilement depuis un assez longtems. “ Si vous vous déterminez è l’accepter, il faudra que vous n'en disiez ni fassiez encor rien connaître, et que vous attendiez qu'on l’ait publié ici après qu'on aura eu votre réponse, mais, en attendant, vous pourriez commencer à faire dans votre maison les arrangemens que vous jugeriez convenables, pour vous mettre en état de partir au premier avis qu'on vous en ferait parvenir. «“ Kn exécutant ces ordres du roi, je ne puis me refuser de vous assurer, monsieur, que c'est du meilleur de mon coeur que je désire que vous y trouviez vos satisfactions et vos avantages auxquels je prens et prendrai toujours un intérét distingué. Je vous prie de vouloir en étre bien persuadé et de croire qu'on ne peut rien ajouter au très partait attachement avec lequel j'ai l’honneur d’étre votre très humble, très obéis- sant serviteur, etc. ,. Stando a questa lettera, il cambiamento nel ministero po- teva oramai dirsi vicino a diventare un fatto compiuto. L'ordine, a tale riguardo, del sovrano, era positivo e preciso; il consenso, anzi il gradimento, del ministro uscente era esso pure, non solo positivo, ma anche espresso in termini tali di benevolenza e persino di una specie di cordialità, che, certo, non era solita nell’Ormea co’ suoi subalterni e rara ben anche co’ suoi stessi amici. Cosicchè null'altro più mancava al perfezionamento della cosa, se non il consenso dell’Ossorio, il quale, del resto, veniva già senz'altro presupposto, dappoichè lo s’invitava già a fare nella sua casa gli apprestamenti convenienti alla nuova sua posizione. i È facile immaginarsi l'impressione dalla lettera dell’Ormea prodotta nell'animo dell’Ossorio. La seguente sua risposta al- l’Ormea del 24 ottobre 1740, colla quale gli significava la sua accettazione, ben meglio di tutti ritratti tracciatine dagli sto- rici, ci rappresenta, a mio avviso, la figura ed il carattere di questo quanto insigne altrettanto modesto ministro: “ V. E. peut aisément se figurer l’effet qu'a produit en moi, la lettre qu'elle m’a fait l’honneur de m'écrire le 8 de ce mois et de m’adresser par la voie du correspondant de M. Moris, pour m’apprendre que S. M. a daigné porter sa clémence à mon égard jusqu’au point de se proposer de me destiner à un emploi i ; i i sità a UN SEGRETO EPISODIO DELLA VILA MINISTERIALE, ECC. 599 aussi délicat et aussi important que celui dont V. E. m'a fait mention: c'est une gràce si fort au-dessus de toutes les paroles que j'en chercherais envain pour exprimer ma reconnaissance; je sens que quoique je puisse dire, ce ne serait pas seulement la moité de ce que je penserais. “ Mais, si, par cette nouvelle gràce aussi bien que par toutes celles que S. M. m’a déjà faites, j'ai la consolation de ne pouvoir pas douter qu'elle ne rende justice è mes sentimens, n’ai-je pas tout lieu de craindre en revanche que ma trop longue absence du pays pourrait m’avoir été trop favorable pour y laisser concevoir une idée plus avantageuse que je ne mérite par rapport è mes talens? Bien des défauts se rendent imperceptibles è une certaine distance; le zèle que je sens que Jai, et qui est véritablement infini pour ce qui regarde le par- faite accomplissement de mon devoir, autant qu’il est en moi, parce que j’ose dire hardiment qu'il va méme jusqu’au scrupule, — peut, è ce que j'ai sujet d’appréhender, avoir contribuer à faire juger plus prompts et plus à la main que je ne les ai, les talens qu'il faut pour le mettre en ceuvre; dans le loisir que Jai toujours eu jusqu'ici, de n’avoir, pour ainsi dire, qu’un seul et unique ordre à exécuter, mon zèle peut avoir eu toute la facilité et tout le tems de suppléer au manque de promptitude dans les talens, mais peut-étre que plus d’ordres et plus d’af- faires découvriront mon insuffisance. Je supplie V. E. d'étre persuadée que ce n’est pas pour montrer de la modestie que je parle de la sorte, comme croieraient devoir faire, en pareil cas, bien des gens, qui n’auraient ou ne penseraient pas d’avoir tant de sujet que moi, de se méfier d’eux-mémes, — mais parce que réellement je sens ce que je dis ,. Dopo questo preambolo, passando senz'altro, alla sostanza delle domande indirizzategli, così proseguiva: “ Ayant exposé naturellement toute la crainte dont je suis saisi è l’égard de ma capacité, jaurai l’honneur de répondre à présent aux deux questions de la lettre de V. E. touchant l’état de ma santé et touchant l’assujettisment è une certaine géne. «“ Ma santé qui était dans un très mauvais état il y a deux ans, s'est un peu remise depuis ce tems-là, mais elle en est restée là et n'a pu encore se rétablir entièrement; un voyage, un changement d’air pourraient me faire un grand bien et il 600 DOMENICO PERRERO pourrait aussi en arriver autrement: dans l’état où je suis maintenant, il n'y a que des abattemens de tems en tems qui m’incommodent le plus. — Quant è la répugnance pour un as- sujettisment, je n’en sens aucune; je me suis proposé, dès le premier jour que j'ai été assez heureux pour étre admis au service du roi, d’y consumer le restant de mes jours, et tant que mes forces me le permetteront et que l'on me jugerait capable d’etre employé, de ne vouloir jamais étre un serviteur inutile. “ Après avoir rendu compte avec toute la franchise et toute l’ingénuité que je dois et dont je ne me départirai jamais, de tout ce que je puis dire et penser sur mon sujet, il ne me reste qu'à attendre, avec un coeur tranquille, que S. M. daigne décider ce qu'elle jugera plus convenable è son royal service, prét è exécuter ses ordres quels qu’ils puissent étre non seulement avec toute la soummission et promptitude requises, mais aussi avec la joye la plus parfaite, ne me sentant d’autre volonté que celle d’obéir è ce qu'il lui plaira ordonner, et de lui montrer, toute ma vie, mon zèle, ma reconnaissance et l’amour avec lequelle j'ai l’honneur de la servir. “ Dans l’incertitude de la résolution que S. M. prendrà, je ne fais nul arrangement pour le départ; je ne pourrais d'ail- leurs en faire presque aucun de considérable qu'il ne donnàt d’abord occasion è bien de bruits et è m'’entendre faire mille questions, cette grande ville ayant, sur certaines choses de cette nature, le méme défaut que les plus petites; mais, de quelque manière que S. M. daigne disposer de moi, cela ne saurait apporter beaucoup de retardement à l’exécution de ses ordres ,. Se non che, anche all’Ossorio accadeva, malgrado tutta la sua modestia e delicatezza, ciò che a tutti generalmente i nostri ambasciatori residenti nelle principali capitali europee, d’aver ad incontrare più o meno debiti, per cagione soprattutto della grande sproporzione tra le spese d’ogni genere, a cui la loro qualità li obbligava, e le provvigioni loro dal governo assegnate, e, spesse volte, anche del ritardo nel farle loro pervenire. La possibilità di una improvvisa partenza da Londra doveva non poco impensierire e mettere alle strette il povero ambasciatore nella necessità, in cui era, per conservare il debito decoro al- e e -_ UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 601 l’alto posto, a cui era chiamato, di liberarsi onorevolmente dagli impegni incontrativi; ed a questo appunto mirava coll’ultima parte della sua risposta: “ Je supplie V. E. (ivi diceva), en cas qu'il s’agisse d’effectuer mon départ, de vouloir me faire la gràce de se rappeler le long séjour que j'ai fait ici, et les humbles rémontrances que j'ai pris la liberté de lui faire en plusieurs occasions, sur les dépenses auxquelles j'ai été obligé et qui ont excédé les moyens que j'ai eu d’y fournir: la bonté et la clémence de S. M. me donnent tout lieu de me flatter que jaurai sur ce sujet la consolation que je désire tant pour mon repos que pour ma réputation. “ Je ne saurais assez témoigner à V. E. combien je suis sensible et reconnaissant è la bonté avec laquelle Elle veut bien prendre intérét è ce qui me regarde; j'ambitionne rien tant que d’en mériter la continuation, ayant l’honneur d’étre avec une reconnaissance infinie et la plus parfaite vénération, Monsieur, de V. E. très humble, obéissant et très devoué ser- viteur, etc. ,. In quella che la pratica, sì bene avviata, ne faceva sperare omai prossima la definitiva conclusione, un grave avvenimento, inopinatamente sorvenuto nel breve intervallo corso fra la let- tera del marchese d’Ormea e la risposta dell’Ossorio, gettando lo scompiglio fra le principali potenze d'Europa, sconcertò, ad un tratto, le prese intelligenze e ne rimandò l’esecuzione a tempo indeterminato; voglio dire la morte, occorsa il 20 8bre 1740, dell’imperatore Carlo VI d’Austria, autore della famosa prammatica Sanzione, per mezzo della quale erasi ripromesso di conservare nella sua interezza la monarchia e farla passare sul capo a Maria Teresa, sposa a Francesco di Lorena. A que- st'opera buona parte della sua vita egli aveva dedicato, trava- gliandosi, con tutte le più fine arti della diplomazia imperiale, presso le varie corti d'Europa, per ispuntare, che da esse ve- nisse accettato e guarentito l’ordine di successione da lui sta- bilito. Ed ottenne, infatti, che quasi tutte vi prestassero il loro consentimento; ma quanta e quale ne fosse la sincerità, il fatto ben lo rese manifesto. Perciocchè, non appena egli mancò di vita, 1 pretendenti alla successione austriaca sorsero da ogni parte, e fra essi era ben naturale, che dovesse altresì figurare, per le sue ragioni sul ducato di Milano, in ispecie, Carlo Ema- 602 DOMENICO PERRERO nuele, e tanto più naturale, quantochè egli era forse il solo fra tutti que’ concorrenti, che si era sempre recisamente dichiarato contrario alla prammatica sanzione. In questo stato di cose, era inevitabile una grande pertur- bazione negl’interessi e nelle relazioni delle diverse potenze europee, e quindi anche un cambiamento più o meno radicale nelle reciproche loro alleanze. Gli è nelle previsioni di questo nuovo ordine di cose, e sotto l'impressione degl’importanti av- venimenti, che dovevano bentosto tenergli dietro, che il mar- chese d’Ormea, il 19 9bre seguente, rescriveva quest'altra let- tera, in replica a quella surriferita del cav. Ossorio: «“ Monsieur, j'ai regu par l’estaffette, qui arriva ici, il y a eu hier huit jours, votre lettre du 24 du mois passé, et, en ayant rendu compte au roi, Jai une véritable satisfaction de vous apprendre, Monsieur, que S. M. a vu avec tout l’agrément que vous sauriez vous imaginer, les sentiments pleins de zèle et l’attachement que vous avez témoigné sur ce que je vous écrivis de sa part le 8 du susdit mois. S. M. ne peut attribuer qu'à un effet de votre modestie la crainte que vous laissez entrevoir de n’avoir point les qualités requises pour l’emploi en question, et elle y envisage méme avec plaisir une nouvelle preuve de votre capacité et de votre mérite, qui la confirme de plus en plus dans sa fagon de penser à votre égard. Pour ce qui est de votre santé, S. M. est aussi persuadé que le voyage ou le changement d’air seraient tout è fait propres è la rétablir entièrement; ainsi Elle ne peut qu’avoir lieu de persister dans la résolution dont vous étes instruit, comptant toujours en effet de vous faire remplir l’emploi auquel vous a destiné. “ Cependant (soggiungeva l’Ormea), depuis le grand évène- ment qui est arrivé, S. M. croit de devoir suspendre, pour quelque tems, ses déterminations, voulant voir auparavant la nouvelle face qu'il semble que les affaires d'Europe vont prendre, et cela d’autant plus qu'il se pourrait que l’on se trouvàt dans des conjonctures que votre personne lui devint encore plus néces- saire dans le pays où vous étes: en attendant, il faudra que vous continuiez è garder le plus grand secret sur cette affaire, et si vous aurez encore quelque chose è me répliquer, vous pourrez le faire en mettant sur votre lettre l’inscription à M. Raiberti. i ì a i UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 603 “ Il me reste (conchiudeva in ultimo) è vous ajouter que le roi ayant pris en considération les représentations, que vous m’avez insinué de lui faire dans cette conjoneture, s'est déter- minée de vous accorder une gratification de quattre mille livres, ainsi que je vous en donne avis aujourdhui par la voie accou- tumée. «“ Je vous prie d’étre bien persuadé, Monsieur, que rien ne saurait égaler l’estime et la considération distinguées, avec lesquelles je serai toute ma vie, Monsieur, votre très humble, etc. ,,. Per tal modo, il povero Ossorio, scaduto, tutto ad un tratto, dall’eminente carica su cui stava per essere elevato, si trovò inopinatamente ridotto a dover starsene contento ad una magra gratificazione di lire quattro mila e ad una speranza a meta indefinita (e che doveva prolungarsi per oltre a dieci anni) di ottenere quello che gli si era per un momento fatto intravedere. La lettera dell’Ormea non esigeva, essenzialmente, una re- plica per parte dell’Ossorio, giacchè la risoluzione annunziatagli era in se stessa definitiva, e quindi all’ambasciatore non era lasciata altra parte, che quella di rassegnarvisi, e su questa rassegnazione il carattere e i precedenti del personaggio non permettevano il benchè menomo dubbio. E che così infatti in- tendesse la cosa anche lo stesso marchese, ben si vede dalla particella condizionale, con cui, prevedendo la possibilità di una replica, gli tracciava la via di fargliela pervenire, scrivendogli come sopra: “ Si vous avez encore quelque chose à me repli- quer, etc. ,. L’Ossorio, usando della libertà, a tale riguardo lasciatagli, stimò di potersi dispensare da una risposta, immaginandosi, come il segretario Raiberti ben osservava all’Ormea, che un rispettoso silenzio dal suo canto fosse ciò che meglio gli si addicesse in quella condizione di cose. Ma il marchese, che ovunque vedeva intrighi e pericoli, non si arrendeva a questa ragione, sospettando che, sotto quel silenzio non covasse per avventura qualche germe di malcontento e di dispetto, che, penetrato e abilmente coltivato da’ suoi emuli, potesse, col tempo, voltargli contro il solo ministro, sul quale faceva asse- gnamento per colorire i suoi disegni a danno del marchese di Gorzegno. Ond’era continuo ad instare presso il cav. Raiberti (unico consapevole di quella sotterranea evoluzione ministeriale), Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 42 604 DOMENICO PERRERO perchè eccitasse l’Ossorio a rispondergli, come appunto egli fece con lettera del 21 gennaio 1741, nella quale, dopo esposta la penosa impressione prodotta da quel silenzio sull’animo del marchese, così conchiudeva: “ M’étant donc apergu de l’incer- titude où M. le marquis d’Ormea se trouve là-dessus, j'ai cru que je pouvais prendre la liberté de vous en avertir et de vous prier, Monsieur, de vouloir me mettre en état de le tranquil- liser, si vous n’aimez mieux, comme il serait plus naturel, écrire à lui-méme ce qui en est dans une lettre à part ,. A tranquillare il marchese d’Ormea, giunse finalmente la risposta dell’Ossorio, poco tranquillo esso stesso, nella sua mo- destia, sul vero significato, che dovesse attribuire a quel repen- tino cambiamento. A farglielo quindi portare in pace, il cav. Raiberti stimò bene, con altra sua lettera cifrata del febbraio seguente, di rassicurarlo, che la persona di lui vi era assolu- tamente estranea: “ Il est certain (così diceva in essa) que les dispositions que l’on vous a signifiées, subsistent toujours, et que ce n'est que la mort de l’empereur qui est cause qu'on ne les a pas exécutées d’abord, le marquis d’Ormea ayant consi- déré que son honneur et son zèle qu'il a par le service du roi, ne lui permettaient point de laisser les affaires étrangères dans un tems où elles devenaient fort sérieuses et ayant cru d’étre obligé de continuer è les diriger jusqu'à ce que l’on voye un peu plus clair dans celles de l'Europe; de sorte que je ne doute point du tout que d’ici è quelque tems l’on n’y revienne. Il n°y a que moi jusqu'à présent dans la secrétairerie qui soit instruit de votre destination, et je ne crois pas qu’aucun autre en ait connaissance, quoique le public auquel votre mérite est fort bien connu, lorsqu’on parle de promotions, vous destine toujours à la direction des affaires étrangères. «“ Je sens que je ne vous devrais point écrire tout ceci... mais l’intérét que je prends à tout ce qui vous concerne, et les sentimens de considération et d’amitié que j'ai pour vous, l’em- portent sur toutes autres raisons pour me déterminer à vous donner les éclaircissemens que je sais, sur une chose qui ne peut naturellement que vous avoir fait faire bien des réflexions, eloigné comme vous étes de connaître l’intérieur de ce pays ,. Tutto ciò era esattamente vero: ad ogni modo poi, era chiaro, che, nella previsione delle prossime e gravi conseguenze, UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 605 che l'apertura della successione austriaca doveva trarre con sè rispetto al nostro paese, il marchese d’Ormea e per patriottismo, e per riguardo al suo passato e pel decoro proprio, non poteva assolutamente abbandonare ad altri, non, certo, più di lui ca- paci, il suo posto per ridursi a condizione di semplice spetta- tore degli avvenimenti. D'altra parte, il re sarebbe stato ben lontano dall’acconsentirvi, troppo apprezzando il vantaggio di conservarsi, in quelle difficili circostanze, alla testa del ministero un uomo della sua capacità ed esperienza diplomatica, che, da oltre dieci anni erane investito, colla riputazione già di lunga mano stabilita, presso i principali gabinetti d'Europa, di poli- tico e d'uomo di stato d’incontestabile merito. Non fu, ciò stante, difficile il persuadere l’Ossorio, che non già un cambiamento qualsiasi verso la sua persona, ma sì bene la sola necessità delle cose, vale a dire le più ovvie ragioni del ben pubblico rettamente inteso, erano causa, che, sospesa temporariamente la nuova sua destinazione, sì egli, come il marchese d’Ormea dovessero intanto continuare nelle rispettive loro cariche, come quelle che, nella condizione di cose allora esistente, da nessun altro ministro potevano venir disimpegnate, non che con maggiore, con eguale vantaggio dello Stato. E il fatto giustificò appieno la saviezza dell’adottate deliberazioni, essendo notori per le storie i molti eminenti servigi, che amendue hanno reso alla monarchia non meno che al paese nelle difficili circostanze che susseguirono. L’Ossorio, sopravvissuto, per molti anni, all’Ormea, ebbe la fortuna di veder coronati di felice suc- cesso i comuni loro sforzi, e di conseguire in ultimo (non però senza una nuova sosta ancora di più anni) l’alta destinazione, a cui, fin dal 1740, era stato chiamato per la dimissione dal suo ministero spontaneamente offerta dal marchese. Se non che, il rigoroso silenzio altamente convenuto fra le parti intinte nel- l’affare, avendo impedito al pubblico di penetrare ciò che avve- niva dietro le scene, l'opinione generale. invalse, che l’Ormea fosse indissolubilmente attaccato al suo ‘ministero, in modo da non risolversi mai ad abbandonarlo se non per forza. Giusta il concertato, d’ordine del re, fra il marchese d’Ormea ed il cav. Ossorio, al più tardi, la pace colla Francia e colla Spagna doveva segnare la fine del ministero del primo, ed il principio di quello del secondo, predestinatogli a successore. 606 DOMENICO PERRERO L’Ormea mancò ai vivi il 24 maggio del 1745, quando la pace era ancora ben lontana, e tuttavia l’Ossorio, che, senza la morte dell’imperatore Carlo VI, avrebbe già ben prima dovuto succedergli, non succedettegli neanche alla morte di lui. La stessa necessità delle cose, che già aveva mandato a monte i primi concerti, attraversò anche insuperabilmente i secondi, in modo da dover subire, nel suo cammino verso il ministero, una nuova sosta di cinque anni circa, durante i quali, ebbe a sottostare a quel ministro appunto, per escludere il quale l’Ormea aveva rinunziato al suo posto a favore dell’Ossorio stesso. Questa necessità veniva dal re medesimo Carlo Emanuele spiegata e inculcata al cav. Ossorio, con apposito dispaccio particolare e segreto del 30 giugno 1745, tutto rivolto a ren- derlo capace delle ragioni, per cui stimava di dovere, una volta ancora, protrarre l'adempimento della fattagli promessa, a tempo indeterminato: “ La perte (scriveva il re all’Ossorio) que nous avons faite du marquis d’Orméa, nous mettant dans le cas de devoir lui nommer un successeur dans la charge, qu'il avait, de notre premier secrétaire d’État pour les affaires étrangères, sans que nous puissions, comme vous le jugez assez, différer longtems cette nomination, nous nous sommes rappelé les dispositions que nous avons eiles et que nous vous avons fait connaître avant la présente guerre par le feu marquis d’Orméa. — Si nous eussions tant seulement considéré qu'il ne vous manque aucune des qualités nécessaires pour bien remplir la dite charge, et que vous la méritez, qui plus est, par le sincère attachement que nous vous connaissons pour notre personne, de méme, que pour le zèle dont nous vous savons animé pour l’avancement de nos intéréts, auxquels vous avez de tout tems contribué beaucoup, — nous vous aurions fait venir dès à présent et nous vous l’aurions conféré; mais nous avons dù faire attention que si la continua- tion de votre séjour è la cour d’Angleterre a jamais été très importante pour notre service, c'est dans les circonstances sé- rieuses et critiques où l’on est aujourd’hui d’une guerre fort avancée, que nous avons principalement entreprise sur l’assu- rance d’étre soutenus et secourus de toute fagon par l’Angle- terre, et d'une grande apparence qu'on peut connaître, que les puissances belligérantes et sur tout les puissances maritimes, | | | | | | | Ù) lA std UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 607 jouissent, ne peut tarder à se préter è des arrangemens pour la pacification générale. La confiance particulière que vous vous étes attirée, du roi d’Angleterre et de tous ses ministres, de méme que les connaissances et les liaisons que vous avez squ vous ménager auprès des personnes les plus accréditées de toute la nation anglaise, vous mettent dans une situation è pouvoir nous rendre des services qui ne nous seraient point rendus par quoi que se soit d’autres que nous enverrions pour vous rem- placer ,. La necessità, in cui era, di mantenere al suo posto in Londra l’Ossorio, malgrado i precedenti impegni, non poteva venir espressa in termini più onorifici e persuasivi, e, devesi anche aggiungere, più meritati, come i fatti ben posero in chiaro, avendo, durante i tre anni, che colà ancora risiedette, e in mezzo alle più sca- brose circostanze in cui mai siasi trovato il Piemonte, massime nell'occasione delle trattative segrete col ministro francese Champeaux, saputo mantener salda, efficace ed operosa l’ami- cizia del re e del gabinetto britannico a sostegno del nostro paese. Questa necessità ne traeva seco un’altra, ed era quella di costituire anche di diritto capo del ministero sopra gli affari esteri quello, che, da qualche anno, tale poteva già dirsi di fatto per la lunga malattia dell’Ormea, vale a dire il marchese di Gorzegno. Gli è a questa necessità, che il re Carlo Emanuele alludeva, continuando, nel suo dispaccio segreto, a scrivere al- l’Ossorio ne’ seguenti termini: “ D’autre part, nous avons réfléchi que les dites circons- tances fort délicates exigent que la charge de premier secré- taire d'Etat soit occupée présentement par quelqu'un qu'à la parfaite connaissance des affaires principales, joigne aussi celle de plusieurs autres particulières lesquelles ne sont pas moins essentielles pour notre service, s'agissant, entr’autres, des affaires relatives aux opérations de la campagne, qui vont commencer d’un jour è l’autre; de sorte que, comme le marquis de Gor- zegno est précisément celui qui se trouve avoir aujourd’hui cette double connaissance par le long tems depuis lequel il travaille aux affaires étrangères, qu'il a méme eu occasion de diriger pendant la longue maladie du marquis d’Ormea, nous avons cru qu'il convenait essentiellement è notre service de le 608 DOMENICO PERRERO nommer à la dite charge, ainsi que nous venons de faire (1), évitant ainsi de nous mettre dans l’embarras où nous ne pour- rions que nous trouver, si outre de la conférer è un auquel, non obstant sa grande capacité et toute l’étendue de ses lu- mières, il faudrait un tems pour prendre le fil et la routine de toutes les affaires courantes, nous dussions envoyer un nouveau ministre è la cour où vous étes, dans les conjonctures où il n’y a que vous qui puissiez conduire nos intéréts à notre plus grand avantage, et d’une manière propre è remplir notre attente. “ Cependant (soggiungeva il re), comme cette nécessité où nous sommes de vous préférer aujourd’hui le marquis de Gor- zegne dans un emploi que nous n’aurions point hésité à vous conférer dans d’autres circonstances, n'est produite principale- ment que par le plus grand bien qui doit résulter à notre ser- vice de la continuation de votre séjour à la cour d’Angleterre, où nous sommes persuadés que vous ne cesserez point de prouver votre zèle pour nos intéréts avec le méme empressement et le méme succès que vous avez fait jusqu'ici, — nous sommes bien aises de vous dire que les bonnes dispositions où nous avons toujours été à votre égard, et la sincère envie que nous avons de vous en faire ressentir les effets, n'en deviennent que beau- coup plus fortes, ayant pour cela à vous prévenir que dès aus- sitot que les affaires plus essentielles que vous avez par les mains, seront terminées ou auront prise une tournure un peu solide, nous comptons de vous faire venir d’Angleterre et de vous donner auprès de nous une destination dans laquelle vous trouverez vos convenances tant pour ce qui est de l'utile qu'à l’égard de l’honorifique, et qui en répondant è l’entière con- fiance que nous avons dans votre fidélité et vos lumières, vous mettra aussi à portée de continuer è nous donner des preuves du zèle empressé que vous avez toujours eu pour notre service ,. Lo stile troppo diffuso, contorto e un po’ pesante di questo dispaccio, accusa chiaramente, non solo la penna tuttora titu- bante del nuovo primo uffiziale, il Raiberti (2), ma ancora, e soprattutto, l'imbarazzo di chi si trova nella incresciosa neces- (1) La patente di nomina del marchese di Gorzegno, concepita in ter- mini molto per lui onorifici, porta la data del 2 luglio 1745. (2) Nominato con patente del 3 luglio 1745. en VE" — -__e__ —vmwWMi.s | UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 609 sità di ritirarsi da un impegno contratto e di dover quindi coonestare agli occhi della persona verso cui si era preso, la disdetta, e di rendergliela al più possibile tollerabile. Di qui quel troppo frequente ritornare sui meriti e sui passati servigi dell’Ossorio, che vi fa per poco la figura di una vittima, che s'incorona per essere sacrificata; di qui pure quel soverchio insistere nella fiducia espressa, che egli non avrebbe cessato dal mostrarsi sempre egualmente zelante e premuroso pel regio servizio, ecc.; insistenza, che poteva far arguire nell'animo del re un dubbio a tale riguardo, che non esisteva punto. — Quello però che preoccupava soprattutto, e a buon diritto, il re, si era, che il segreto su tutta questa pratica, fosse col maggiore scrupolo possibile mantenuto per molti rispetti e massime per un delicato riguardo, che naturalmente s’imponeva, verso il marchese di Gorzegno. Quindi è che il re così conchiudeva il suo dispaccio : “ Nous avons jugé à propos de vous faire confidemment cette dépèéche pour pouvoir vous marquer à coeur ouvert nos sentimens, et quoique nous ‘ayons lieu de nous promettre de votre prudence et de votre sagesse, que vous les garderez pour vous seul et ne les laisserez jamais transpirer, nous ne laissons point de vous le recommander, ayant plusieurs raisons que vous pouvez aisément vous imaginer, pour souhaiter qu’ils n’en soient connus par qui que se soit d’autres. Nous vous assurons vo- lontiers, à cette occasion, de l’estime particulière que nous faisons de votre personne, aussi bien que du plaisir que nous nous ferons toujours, de vous accorder notre protection la plus spé- ciale. Sur quoi nous prions Dieu qu'il vous ait en sa sainte garde. A Turin, le 30 juin 1745. OC. EMANUEL ,. Difficilmente negli annali del principato assoluto si troverà un altro esempio di un principe, che, come qui Carlo Emanuele, siasi degnato, mettendosi, per così dire, al pari con un suo suddito, di giustificare presso di lui l’elezione fatta di un fun- zionario, e di scusarsi quasi di averglielo preferito. Il certo si è che la cosa non può non tornare a grande onore del re, che non temette d’abbassarsi rendendo omaggio al merito e alla data parola, e del ministro, che. nè invanito di quella insolita dimostrazione di stima, nè irritato pel subìto disinganno, seppe mantenersi uguale e consentaneo a se stesso con una semplicità 610 DOMENICO PERRERO tutta propria del suo carattere, della quale visibilmente s’im- pronta ogni linea della seguente risposta del 21 luglio 1745, ch'egli da Londra fece al dispaccio reale anzidetto: “ Sire, ce serait envain que je chercherais des termes pour exprimer tout ce que j'ai senti à la vue d’une si grande bonté et clémence que V. M. n'a pas dédaigné de me montrer par la dépéche secrète qu’Elle m’a fait la grace de m’écrire du 80 du passé, e dont je n’aurai garde de ne laisser jamais trans- pirer une seule sillabe. Il ne me reste donc d’autre parti è prendre, en me donnant l’honneur de répondre sur le contenu d'une si gracieuse dépéche, que d’avouer naturellement toute la confusion où je suis de ce que je ne pourrai jamais étre capable, ni par mes paroles ni par mes actions, de témoigner suffisamment tout le zèle et tout l'amour que j'ai et que jJ'aurai toute ma vie pour le service de V. M. Comme je n'ai que cet objet qui me tienne au coeur, l'amour propre ne m’a point aveuglé, et j'ai toujours pensé, Sire, à l’égard de l’emploi pour lequel V. M. avait bien une fois voulu jeter les yeux sur moi, tout comme je pris la liberté de le protester lorsqu'on m'’en informa par son ordre; de sorte que la disposition que V. M. en a fait en faveur du digne ministre qui l’exerce présentement, m'a causé la joie la plus pure. : “ Toute mon ambition, tous mes voeux sont remplis, Sire, si je puis mériter que V. M. daigne continuer è agréer avec la méme clémence, qu’Elle a eu jusqu’ici, l’ardent désir que Jai, de bien faire et de lui prouver, par toutes les actions de ma vie, autant que mes faibles forces et mon peu de lumières le permetteront, que l’on ne saurait étre avec plus de zèle ni avec plus de passion que je le suis, Sire, de V. S. et R. M. très humble et très obéissant, etc. ,. Ed in conformità appunto dello stabilito in questo dispaccio, susseguirono gli effetti. Il marchese di Gorzegno ebbe il mini- stero degli affari esteri, e vi si comportò in modo, in mezzo alle più scabrose circostanze, nei cinque anni circa del suo esercizio, che ben si può dire, essere stato l'avvenuto scambio appena avvertito. E il cav. Ossorio continuò a risiedere a Londra, coadiuvando il ministro nel disbrigo degli ardui affari a lui commessi, con lo stesso zelo e la stessa attività, che per l’ad- dietro, sin dopo la sottoscrizione del trattato di pace d’ Aquisgrana; | e —_ _-——_— Vv. —_—_v un e inni cà iis ditte UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 611 nel qual tempo, cioè nel 1749, essendosi stabilito il matrimonio del duca di Savoia, principe ereditario, coll’infanta Maria Anto- nietta di Spagna, sorella del re Ferdinando VI, il cav. Ossorio fu mandato ambasciatore straordinario a Madrid per chiederne la mano ed accompagnare la sposa alla volta del Piemonte. Il 30 maggio 1750, avendo il re conferito al marchese di Gorzegno la carica di gran Ciambellano, quattro giorni dopo, nominava a suo successore in quella di primo segretario di Stato per gli affari esteri il cav. Ossorio, il quale, per tal modo, ot- tenne finalmente, dopo dieci anni d’aspettativa, il posto promes- sogli, un po’ tardi, è vero, ma colla coscienza almeno di non aver concorso, anche solo involontariamente, ad una ingiustizia e ad una vendetta, che avrebbero poco felicemente inaugurato il suo ministero. Il Gorzegno poco godette della nuova sua carica, essendo mancato ai vivi appena 25 giorni dopo ottenutala, e mancato povero al segno, che le quattro sue figlie ebbero per grazia di ricevere dal re una dote di lire sei mila caduna! 612 Sunto della Memoria: Federico Herbart e la sua dottrina pedagogica; del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. L’autore esordisce con brevi cenni intorno la vita, le opere, le idee filosofiche di Federico Herbart, poi passa a delineare il disegno generale della pedagogia herbartiana, con alcune con- siderazioni preliminari riguardanti la scienza e l’arte dell’edu- care, l’unità scientifica della pedagogia ed il fine dell'educazione, l’individualità dell'alunno e la coltura molteplice ed egualmente distribuita. La Pedagogia generale di Herbart viene divisa in tre parti, che riguardano successivamente il governo dei fanciulli, l’istru- zione e la coltura morale. Il governo dei fanciulli apparisce necessario a fine di pre- venire il male, che conseguirebbe dalla intemperanza dei loro desiderii ed impedire lo stato di conflitto e di collisione nei rapporti sociali. La minaccia e la sorveglianza, l'autorità e l’a- more, la corrispondenza degli animi dell’educatore e dell’alunno sono i precipui mezzi, coi quali vuolsi procedere nel governo dei fanciulli. La teorica dell’istruzione tiene un gran campo nella peda- gogia herbartiana, tantochè sopra di essa ha il suo fondamento la stessa coltura morale. Il filosofo tedesco ripone il supremo principio direttivo dell'istruzione nell’interesse didattico: qui sta la nota originale della sua teorica. Essa non va ideata e distesa sulle facoltà dell'anima, che secondo lui non esistono punto, nè sulle scienze, le quali sono semplici materiali bisognevoli di essere trasformati secondo l’occorrenza, bensì sulle diverse guise di interessi, che si vogliono svegliare nell’alunno ammaestran- dolo; ma la sua dottrina su questo punto non regge, sia perchè li le 613 importerebbe l’esistenza delle potenze umane da lui negata, sia perchè l’interesse non è nè la sola, nè la suprema dote della istruzione. Discendendo dall’ istruzione in generale a’ suoi particolari, si passa ad esaminare l’insegnamento nella sua materia ossia negli oggetti di studio, nel suo processo metodico, nel suo ordi- namento scolastico, nel suo risultato finale. Riguardo all’ inse- gnamento religioso in particolare, il pedagogista tedesco opina - che “ la filosofia, come tale, non è nè ortodossa, nè eterodossa , bi , , come la fede non è, nè può essere con ragione la filosofia ,; ma egli non ha avvertito che la filosofia può diventare orto- dossa od eterodossa secondochè propugna principii, che svolti nelle loro conseguenze riescono ad avvalorare od infirmare le credenze religiose, quali lo spiritualismo ed il teismo da una parte, il naturalismo, il materialismo, lo scetticismo dall’altra. L'istruzione è mezzo, che ha per fine la coltura morale, la quale viene riposta “ nell'azione immediata esercitata sull’anima del fanciullo collo scopo di formarla ,. Definizione, che non tiene conto della corrispondente attività dell'alunno e che per la sua troppa estensione porta a confondere la coltura morale con l'educazione umana tutta quanta. Formare il carattere del fan- ciullo mediante l'istruzione, tale è il còmpito della coltura mo- rale. La teorica di Herbart intorno questa rilevantissima parte dell'educazione umana non regge alla critica ed è colpita da una intrinseca contraddizione. Egli ripone il carattere morale nella volontà, che si risolve tra due cose opposte, scegliendo l’una, l’altra rigettando. Ora il carattere morale veramente in- teso importa che la risoluzione della volontà sia fatta con li- bertà, con coscienza di sè, con forza ed energia, con costanza e fermezza ed abbia per oggetto l'adempimento del giusto e del- l’onesto; e tutti questi elementi mancano nella proposta defi- nizione. Poichè Herbart avendo posto per principio psicologico che l’anima umana non ha nè attitudine, nè facoltà di ricevere o produrre alcunchè, non può più logicamente ammettere la volontà siccome facoltà attiva, per cui l’anima si risolve sce- gliendo e rigettando. Oltre di che egli esagerando l’efficacia dell'istruzione sull'educazione morale ha riposto la forza mo- trice e determinante dell'anima non già nella volontà, ma nei gruppi delle idee dominanti. 614 Alla esposizione critica della pedagogia generale di Herbart succede un esame delle sue idee intorno l'educazione propria delle differenti età ed il diverso còmpito della famiglia e dello Stato rispetto alla medesima. La Memoria si chiude ricercando se nella pedagogia her- bartiana il concetto dell’individualità personale dell’alunno tenga quel posto eminente che gli spetta nell’àmbito della scienza pedagogica. La libera attività personale dell’educando è rico- nosciuta dal pedagogista tedesco, ma non è conciliabile nè colla sua definizione della coltura morale, nè col suo concetto psico- logico, che considera l'io non come una causa realmente e so- stanzialmente sussistente, bensì come un effetto, cioè come il punto di riunione delle molteplici rappresentazioni, sicchè l’il- lusione di un io indipendente origina da che le leggi del com- posto non coincidono con le leggi delle forze componenti. Federico Herbart concepì il problema pedagogico sotto un aspetto affatto nuovo, come ha tentato una trasformazione ra- dicale della psicologia; ma la stessa sua teoria psicologica nocque non poco alla sua dottrina pedagogica. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. 615 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dall’8 al 22 Marzo 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; uelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. , * Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. Sichsischen Gesell- schaft der Wissenschaften. Bd. XXIII, n. 1. Leipzig, 1896; 8°. + Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega VI, tom. XL; I-II, tom. XLI. Buenos Aires, 1895-6; 8°. * Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 10-11. Paris, 1895. Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXV, fasc. 3°-4°, Milano, 1896; 8°. * Atti del Reale Istituto d’Incoragg. di Napoli. 4* serie, vol. VIII. 1895; 4°. * Atti e Rendiconti dell’Acce. Medico-chir. di Perugia; vol. VII, f. 4. 1895. Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno II, fase. 1°. Torino, 1896; 8°. * Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1895, n.4. Roma, 1895; 8°. Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Università di Torino, n.i 208-220 del vol. X; Indice decennale; n. 221-228 del vol. XI. Torino, 1894-95; 8°. * Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2*, v. XVI, n. 1. Torino, 1896. * Bulletin de la Société belge de microscopie. XXII° année, 1895-96, n. I-IV. Bruxelles, 1896; 8°. * Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XXVII, n. 7. Cambridge U. S. A., 1896; 8°. * Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 1-2. Bologna, 1896; 8°. Clinica Dermosifilopatica della R. Università di Roma. Prof. R. Cam- PANA, Direttore. Anno 1896, fasc. I. Roma; 8°. * Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 2. Torino, 1896; 8°. * Journal of the R. Microscopical Society, 1896, part 1. London; 8°. * Memorie dell’Accademia di Verona. Vol. LXXI, serie III, fasc. 2. 1895; 8°. ** Morphologische Arbeiten. Herausg. von D" G. Schwalbe. 5 Bd., 3 Heft. Jena, 1896; 8°. * Observations publiées par l’Institut météorologique central de la Société des Sciences de Finlande, vol. treizième, 1" livr. Observ. météorologiques faites è Helsingfors en 1894. Helsingfors, 1895; 4°. * 616 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Osservazioni meteorologiche eseguite nell’anno 1895 (dal R. Osservo. Astron. di Brera in Milano). * Pamietnik Akademii Umiejetno$ci w Krakowie. Wydziat matematyezno- przyrodniczy. T. XVIII, 3. Krakowie, 1894; 4°. * Proceedings of the Royal Physical Society. Session 1894-95. Edinburgh, 1895; 8°. * Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, Tom. X, fasc. I-II, e Annuario per l’anno 1896. Palermo, 1896; 8°. * Sitzungsberichte der Kén. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu Berlin. Jahrgang 1895; n. XXXIX (17 Oct.)-LIII (19 Dec. 1895). Berlin; 8°. * Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, 2. Modena; 1896; 8°. Arcidiacono (S.). Sul terremoto del 13 aprile 1895 avvenuto in provincia di Siracusa. Roma, 1895; 4° (dall’A.). Die XXVI. allgemeine Versammlung der deutschen Gesellschaft fir An- thropologie, Ethnologie und Urgeschichte in Cassel, 1895. Miinchen; 4° (dal sig. Waldeyer). f) Gerota(D.). Die Lymphgefàsse des Rectums und des Anus. Berlin, 1895; 8° (Z4.). Glasenapp (S. de). Mesures micrométriques d’étoiles doubles faites è St-Pétersbourg et è Domkino. St-Pétersbourg, 1895; 4° (dalla famiglia Basso). Mascari (A.). Sulla frequenza delle macchie solari osservate nel Regio Osservatorio di Catania durante l’anno 1893, 1894. — Protuberanze solari osservate nel Regio Osservatorio di Catania nel- l’anno 1893, 1894. Roma, 1894-95; 4° (dall’A.). -— Osservazioni del pianeta Venere fatte negli anni 1892-93-94-95 all’Os- servatorio di Catania e sull'Etna. Leipzig, 1896; 4° (Zd.). Riccò (A.). All’Osservatorio Etneo. Catania, 1895; 8° (I4.). — Photograph of the nebula near 42 Orionis, made at the Astrophysical Observatory of Catania. Catania, 1895; 8° (Id.). — e Mascari (A.). Eclisse di Luna del 5 settembre 1895 osservata all’Os- servatorio Etneo ed in quello di Catania. Roma, 1895; 4° (Id.). Waldeyer (W.). Ueber Bindegewebszellen, insbesondere iber Plasmazellen. Berlin, 1895; 8° (Zd.). — Bemerkungen zur Anatomie der Art. obturatoria. Jena, 1895; 8° (Z4.). — Die neueren Ansichten iber den Bau und das Wesen der Zelle. Leipzig, 1895; 8° (Zd.). Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche Dal 15 al 29 Marzo 1896. ** Allgemeine Deutsche Biographie. Lief. 199-200. Leipzig, 1896; 8°. * Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà i Giurisprudenza. N. S. Vol. V, fasc. 8° e 4°. Perugia, 1896; 8". | l | i i i PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 617 .* Annuario della R. Università di Pisa per l’anno accademico 1895-96. Pisa, 1896; 8°. | * Atti della Società Ligure di Storia patria, Vol. XXVII. Genova, 1895; 8°. * Bulletin de la Société d’Études des Hautes-Alpes. II° série, n. 15, 1895. Gap, 1895; 8°. Cause di morte. Statistica degli anni 1893 e 1894. Roma, 1896; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). * Cosmos. Vol. XII, n. 3. Torino, 1896; 8°. * Die Kongelige. Norske Frederiks Universitets Aarsberetning for Aaret 1871-1873, 1875, 1878, 1883/84-1893/94. Christiania, 1872-1895; 16 vol. 8°. Inventaire sommaire des Archives Départementales antérieures à 1790. Doubs: Archives civiles. Sér. B. Chambre des Comptes de Franche- Comté, n° 1711-3228, t. III. Nord: Archives civiles. Sér. B. Chambre des Comptes de Lille, n°* 3390 à 3665, t. VIII. Seine-et-Oise: Archives Ecclésiastiques. Sér. G. Clergé séculier. Alpes-Maritimes: Inventaire sommaire des Archives Hospitalières, anté- rieures à 1792. Série H. Supplément. Ardenne: Inventaire sommaire des Archives historiques de Charleville (Ville & Hospice). Bésangon, Lille, Versailles, Nice, Charleville, 1394-95 (dal Governo francese). * Mémoires de l’Académie de Stanislas. 5ème série, t. XII. Nancy, 1895; 8°. Mémoires publiés par les Membres de la Mission Archéologique frangaise au Caire. T. X, 3ème fasc. Paris, 1895; 4° (dal Ministero dell’Istruzione Pubblica e di Belle Arti di Francia). * Mensaje del Presidente de la Repiblica al abrir las sesiones de la hono- rable Asamblea en el tercer periodo de la XVIII legislatura. Febrero 15 de 1896. Montevideo; 8° (dal Governo della Repubblica dell’ Uruguay). * Revue de l’histoire des religions. XVI° année, t. XXXI, n. 3; XXXII, n. 1. Paris, 1895; 8°. Rosario (11) e la Nuova Pompei. Anno XII, quad. I-1II. Valle di Pompei, 1896; 8°. Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute. Woking, England, vol. XXV, n. 12, 1895; 8°. Claretta (G.). Il deposito delle reliquie di S. Agostino a Pavia e il re di Sardegna Carlo Emanuele II. Pavia, 1894; 8° (dall’A.). Costa (E.). Papiniano. Studio di storia interna del diritto romano. Bologna, 1894-96; 3 vol. 8° (Id.). *#* Sanuto (M.). Diari. Fasc. 195. Venezia, 1896; 4°. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. ù 08 botta dida VII La 4 Magi ate Bot durtat Viob) ‘its BEBE atto Jesi» RD. il. dini: ‘agno DI dina #t mai sg alert ‘pipa; imola Nb, pe Pea nt DAME ag gara (L'ala 890 Palbei sN k: sanita in i «04 > a via: “ante vsot. gabtiioriià” plodisibvimte " lio RIC ACE 99 rt (SRBI.Stol Aotigtai darà (ROROR IA BIRRA RA DASTA RUE GIP PL "ASA MOL de gi appart ini soletta orsi punti POLZIVURO NI ssh guidgnzoni 9 di» “odaati ‘dh pedeggito ind UACLICI IT: (0 RESPR A RE TOAAO TI NAZ 0I] pini Li Lacie ene e a Bee (AVI, lE da TRE QUinI Us pal quali an ) Asca arti fa nor, " sati: trio a id "Rae x evalge fi , " ; ; ad )* è E Lire yi 110) NOA; va DE 180 va SuoD fiant PI, rea t: ‘ bai vid va ii. 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PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Socii: Brzzozero, Mosso, Spezia, Graco- MINI, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GUARESCHI e Naccari Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della seduta pre- cedente. Il Presidente scusa l’assenza del Socio Cossa. Il Segretario comunica alla Classe una lettera del Socio corrispondente J. J. THowson colla quale questi accetta, ringra- ziando, l’incarico di rappresentare l'Accademia nelle feste che si faranno nel prossimo giugno a ‘Glasgow in onore di Lord Kelvin. Il Socio CAMERANO presenta una memoria del Dott. Ermanno GiLro-Tos intitolata: “ Sulle cellule del sangue della Lampreda ,,. Sarà esaminata da speciale commissione. In seguito a relazione favorevole della commissione inca- ricata dell'esame della memoria del Dott. Gino Fano intitolata: “ Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non integrabile di trasformazioni projettive in sè ,, si approva la lettura e quindi la stampa della memoria stessa. Il Socio NaccarI a nome del Socio FERRARIS presenta una nota dell’Ing. Riccardo Arnò intitolata: “ La radiazione Rontgen con tubi di Hittorf ad idrogeno rarefatto ,. Sarà inserita negli Atti. Lo stesso Socio NAccARI presenta una memoria del Profes- sore Antonio GaARrBASSO: “ Sopra alcuni fenomeni luminosi pre- sentati dalle scaglie di certi insetti ,, la quale verrà esaminata da apposita commissione. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 43 620 RICCARDO ARNÒ LETTURE La radiazione di Rointgen con tubi di Hittorf ad idrogeno rarefatto (1) ; Nota di RICCARDO ARNÒ. È noto che l'intensità della radiazione di Réntgen emanante da un tubo di Hittorf varia col variare delle condizioni in cui si produce la radiazione catodica nell'interno del tubo; ed è pure noto che le condizioni più favorevoli vengono raggiunte dopo parecchie ore di funzionamento del tubo stesso. Partendo dall'ipotesi, emessa da vari sperimentatori, che la causa di tale fatto abbia ad essere attribuita ad un assorbimento del gas rinchiuso nel tubo, per parte degli elettrodi metallici, durante la scarica, mi sono proposto di sperimentare sopra un tubo di Hittorf ad elettrodi di platino, stato riempito di gas idrogeno prima di venire sottoposto alle operazioni di rarefa- zione e di essiccazione (2). Essendo in tale tubo, per la natura del gas ivi contenuto, reso massimo l'assorbimento di questo per parte del metallo onde sono costituiti gli elettrodi, dovrà acca- dere, se effettivamente l'intensità della radiazione di Ròntgen è | funzione della rarefazione del gas, che le condizioni più favo- revoli potranno essere raggiunte in un tempo assai breve, rela- tivamente a quello che occorre per l’attivazione dei tubi ordinari. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrotecnica del R. Museo indu- striale italiano. (2) Il tubo ha la forma a pera ed una distanza fra gli elettrodi di circa 7 cm. Le operazioni di rarefazione e di essiccazione del gas idrogeno sono state eseguite dalla Società Italiana di Elettricità sistema Cruto, con un suo metodo speciale. rr e e n Pu E TT ner t% ‘ A LA RADIAZIONE DI RONTGEN CON TUBI DI HITTORF ECC. 621 Per attivazione intendo l’acquistare che fa il tubo, mediante l’uso, la proprietà di produrre con la massima intensità gli effetti di Rontgen. L'esperienza ha confermato tale previsione. Con una cor- rente dell’intensità di 5 ampère nella spirale primaria del roc- chetto di induzione e dopo pochi minuti di funzionamento del tubo ad idrogeno rarefatto, questo incominciava a rendere fluo- rescente uno schermo al platinocianuro di bario ed a impres- sionare delle lastre fotografiche. Dopo circa mezz’ora di attiva- zione ho ricavato sopra una lastra fotografica, alla distanza di 30 cm. dal tubo, coll’interposizione di una lastra di piombo dello spessore di 0,2 mm. e con la posa di trenta minuti, l’ombra delle ossa della mia mano. Dopo circa un'ora di attivazione ho ottenuto sopra un’altra lastra, alla distanza di cinque metri dal tubo e con la posa di sessanta minuti, l'ombra di una croce di piombo applicata sulla scatola di cartone nero in cui era rac- chiusa la lastra. Per contro però i tubi ad idrogeno rarefatto hanno, a pa- rità delle altre condizioni, una vita notevolmente più breve di quella dei tubi ordinari: in essi, con l’uso prolungato, la rare- fazione e quindi la resistenza del gas diviene troppo grande perchè possa ancora aver luogo, con l’ordinaria corrente nella spirale primaria del rocchetto, la scarica attraverso al gas rin- chiuso nel tubo. Ho inoltre sperimentato sopra tubi ad idrogeno rarefatto di maggiori dimensioni ed ho verificato che, col crescere delle dimensioni del tubo, aumenta in proporzione tanto il tempo ne- cessario alla sua attivazione, quanto la vita del tubo stesso. Finalmente ho sottoposto ad esperimento un tubo ad idro- geno rarefatto con elettrodi di carbone. In tal caso non ho po- tuto constatare, anche dopo parecchie ore di eccitazione, nè la generazione di raggi catodici nell'interno, nè la conseguente produzione degli effetti di Ròntgen all’esterno del tubo. Ammessa la teoria del Crookes, secondo la quale la radia- « zione catodica è una proiezione di materia elettrizzata, lanciata dal catodo sulla parete del tubo, risulta che l’intensità della radiazione di Rintgen dipende, oltre che dal grado di rarefa- zione, anche dalla natura del gas rinchiuso nel tubo. Il Lodge, prendendo a considerare un atomo di massa m 622 RICCARDO ARNÒ carico di una quantità di elettricità 9g ed attraversante con una velocità v un campo magnetico di intensità H, ha dimostrato (1) che la curvatura magnetica p della traiettoria è espressa dalla relazione ci Rim iance È Ma il fattore n è, per una data sostanza, una costante, poichè esso rappresenta il reciproco dell’equivalente elettrochimico della sostanza medesima: onde la curvatura p della traiettoria è in- versamente proporzionale alla velocità v, con cui l'atomo con- siderato attraversa il campo magnetico di intensità H. Ritenendo dunque vera l’ipotesi del Crookes, ne consegue che la velocità dei raggi catodici nell’interno del tubo è tanto maggiore quanto minore è la loro deviazione sotto l’azione di un campo magnetico di intensità data. Ora Lenard, sperimen- tando all’esterno di un tubo di Hittorf sui raggi catodici fatti uscire dal vuoto all’aria libera attraverso ad un diaframma di alluminio, ha trovato che un aumento della rarefazione del gas rinchiuso nel tubo apporta come conseguenza una diminuzione della deviazione impressa a quei raggi da un campo magnetico di intensità data. Potremo quindi dire che la velocità dei raggi catodici aumenta col grado di rarefazione del gas nell’interno del tubo. E poichè dal grado di rarefazione del gas dipende l'intensità con cui sono prodotti gli effetti di Rontgen, ne segue ancora che questa cresce col crescere della velocità dei raggi catodici, che di quegli effetti sono indirettamente la causa. Ma, continuando a basare il nostro ragionamento sull’ipo- tesi del Crookes e sulle considerazioni del Lodge, possiamo os- servare che la velocità dei raggi catodici è, per un dato grado di rarefazione del gas contenuto nel tubo generatore, inversa- mente proporzionale all’equivalente elettrochimico del gas me- desimo. Dunque sperimentando con un gas rarefatto, il cui equi- valente elettrochimico sia minore di quello dell’aria, per esempio con gas idrogeno, ne dovrebbe conseguire una velocità dei raggi (1) On the rays of Lenard amd Rbòntgen (* The Electrician ,, 31 gen- naio 1896). i no rr = ee", ra © ee oi e leo ill è dei cc R. ARNÒ — LA RADIAZIONE DI RONTGEN CON TUBI DI HITTORF ECC. 623 catodici, e quindi un’intensità della radiazione di Rontgen, mag- giore che per l’aria; e ciò in corrispondenza del medesimo grado di rarefazione. Ora se gli effetti di Rontgen fossero dovuti ad un movi- mento periodico dell’etere, generato da uno stato vibratorio della parete del tubo sottoposta agli urti degli atomi carichi, la fre- quenza della vibrazione dovrebbe dipendere dalla velocità dei raggi catodici, che producono, incontrando il vetro, la vibrazione stessa. La massima intensità della radiazione di Roòntgen sa- rebbe allora la conseguenza di quella frequenza del movimento periodico, che corrisponde alla massima velocità dei raggi ca- todici; e tale frequenza si dovrebbe poter raggiungere o por- tando il gas ad un alto grado di rarefazione, o sperimentando con un gas, per cui sia relativamente piccolo l’equivalente elettro- chimico. Relazione sulla Memoria del Dott. Gino Fawxo, intitolata: “ Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non integrabile di trasformazioni protettive in sè ,. La determinazione di tutti i possibili gruppi continui di trasformazioni projettive e delle varietà che son trasformate in sè da tali gruppi è un problema di somma importanza, non solo per se stesso e per l'immediata applicazione geometrica ed ana- litica, ma anche ad esempio per la moderna teoria delle equa- zioni differenziali lineari, nella quale è ben noto come sia fon- damentale la considerazione dei gruppi di sostituzioni lineari. L’illustre autore della teoria generale dei gruppi di trasforma- zioni, il nostro Corrispondente Prof. Lie, ha risolto quel problema pei primi casi che si presentano, facendo vedere come i suoi metodi si possano applicare ai gruppi projettivi di qualunque spazio superiore. Però se quei metodi, che già per lo spazio ordinario hanno richiesto dal Lie una ricerca un po’ minuta, si dovessero applicare agli spazi di quattro o più dimensioni, essi porterebbero a calcoli di una lunghezza eccessiva. Opportune considerazioni geometriche possono abbreviare la ricerca ed anche 624 illuminarla meglio. A questo concetto s’ispirano alcuni recenti lavori di giovani geometri italiani, e in particolare la Memoria attuale del D" Fano. Basandosi su un teorema del sig. EncEL secondo cui un gruppo continuo non integrabile è caratterizzato dal contenere un sottogruppo semplice 005, la determinazione delle varietà con gruppi continui non integrabili di trasformazioni projettive si riduce al caso che il gruppo sia 008. Ora i gruppi projettivi 00° di uno spazio qualunque S, sono suscettibili di semplici defini- zioni geometriche. Invero essi trasformano sempre in sè delle curve razionali normali di spazi subordinati, i quali sono fra loro indipendenti e formano una figura che appartiene all'S,. Ne deriva che non solo riesce facile enumerare tutti quei gruppi per un dato valore di r, ma anche si presenta in modo assai notevole la questione di determinare le varietà invariabili per quei gruppi. Se cioè sulle dette curve razionali normali si rap- presentano in modo acconcio delle forme binarie dei loro rispet- tivi ordini, ogni varietà algebrica M,_, di S, che ammetta il gruppo considerato di trasformazioni projettive sarà rappresen- tata analiticamente da un invariante simultaneo delle dette forme binarie. Applicando queste considerazioni allo spazio ordinario si ritrovano per questo le note curve e superficie con gruppi projettivi non integrabili di trasformazioni in sè. Applicandole invece all’S, si trovano le diverse curve, superficie e varietà My con gruppi siffatti di trasformazioni. A vero dire, di varietà nuove se ne incontrano poche: ma anche per le varietà note si ha così un nuovo punto di vista, da cui esse posson essere util- mente considerate. Tale è, in brevi tratti, il contenuto della Memoria del D' Faro. A nostro avviso, essa merita pienamente di esser letta e di venir pubblicata nei volumi accademici. E. D’OvrIpro. V. VOLTERRA. C. SEGRE, relatore. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. A IV Rn rr _——m————m v _—————Tr ot cat 9, n SI 625 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 19 Aprile 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarettA, Direttore della Classe, Peyron, BoLLati DI Sarnt-Prerre, Pezzi, NANI, COGNETTI DE Martns, CrporLa, Brusa, ALLIEvo e FERRERO Segretario. Il Socio Segretario offre, a nome del Socio Corrispondente Prof. Felice BArnABEI, la relazione da questo pubblicata in unione col Conte A. Cozza: “ Di un antico tempio scoperto presso le Ferriere, nella tenuta di Conca, ove si pone la sede dell'antica città di Satricum , (Roma, 1896), e a nome pure dell’autore, avv. Giovanni MiwoeLio, un opuscolo: “ Brevi cenni storici sulla chiesa di S. Domenico in Casale Monferrato , (Torino, 1896). Il Socio CrpoLLa, a nome dell'Autore, Ing. Agostino AGo- STINI, presenta l’opera: “ Castiglione delle Stiviere dalle sue ori- gini sino ai giorni nostri , (Castiglione-Stiviere, 1892; Brescia, 1895, 2 fascicoli). Sono comunicate le lettere, con cui i signori Augusto PinLocÒe, Giacomo Bryce ed Alessandro CHIAPPELLI ringraziano per la loro nomina a Socii Corrispondenti dell’Accademia. 626 Il Direttore della Classe legge una sua Commemorazione del Socio Corrispondente conte Filippo LINATI. Il Socio ALLievo legge una sua nota: “ La libera attività del- l’educando secondo Enrico Pestalozzi e Gian Giacomo Rousseau ,. Il Socio Crrorra legge una nota del Dott. Giovanni Mercati: “ Di un palimpsesto Ambrosiano contenente i Salmi esapli e di un'antica versione latina del Commentario perduto di Teodoro di Mopsuestia ,, ed una nota del Dott. Serafino Rrccer: “ Di una stele con iscrizione trilingue rinvenuta a File in Egitto ,. La commemorazione e le note anzidette sono pubblicate negli Atti. Il Socio CrpoLLa presenta pure un lavoro manoscritto del Prof. Carlo MERKEL: “ Nicolò Scillacio e le relazioni intorno al secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America ,, di cui l’au- tore desidera l’inserzione nelle Memorie. Ad esaminarlo ed a riferirne in una prossima adunanza il Presidente delega il Direttore della Classe CLARETTA, il Socio Segretario FerRERO ed il Socio presentante. G. CLARETTA — FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 627 LETTURE FILIPPO LINATI Commemorazione del socio GAUDENZIO CLARETTA. Se i casi speciali della sua vita non hanno troppo di note- vole, il complesso di essa è pur tale da non dover rimanere involto in quella ingiusta obblivione che colpisce talora molti che sarebbero invece degni di essere ricordati, e per le doti loro intellettuali, e per quell’operosità di studii serbata mode- stamente in mezzo al raccoglimento sino all’ultimo. Tanto più sono poi meritevoli di elogio coloro che seppero durarla negli studii lottando contro i seducenti svagamenti della vita signo- rile, virtù che ben di rado s'incontra in quanti non nacquero sotto l’austera disciplina del bisogno. Imperocchè costoro il più delle volte, dopo aver menato vita scioperata ed inerte, godente in bruta indifferenza, col crescer degli anni divenuti campioni emeriti dell’ozio, cadono facilmente in invettive derisorie contro ogni cosa che rimproveri la loro spenta esistenza, e specialmente contro il vivere disciplinato e lo studio assiduo di quanti sep- pero uscire dalle schiere del volgo titolato. lo qui non mi farò a ricordar troppo le glorie avite dei Linati: questo còmpito già fu raggiunto dal giornale che in- tende specialmente a tal fatta d’indagini (1). Anzi chi avesse vaghezza di saperne qualche cosa, ivi troverebbe una breve scrittura postuma dello stesso conte Filippo che s°’intertiene delle particolarità della gente sua. Ne basterà qui ricordare che la famiglia Linati o Lunati originaria di Genova, ove sul finir del secolo XV attendeva alla mercatura, stabilivasi a Parma sul principio del seguente. Alla (1) V. il N. 9 del “ Giornale araldico-genealogico diplomatico dell’Ac- cademia araldica italiana ,. Bari, 1895. 628 GAUDENZIO CLARETTA corte dei Farnesi essa non tardò a rendersi ragguardevole, co- sicchè, già nell’iniziarsi del secolo XVII, Giovanni diveniva ve- scovo di Borgo S. Donnino, poi di Piacenza, e suo fratello Orazio segretario del duca Ranuccio. Ma omettendo reminiscenze che non si possono ascrivere a merito alcuno dell’estinto, ne basta conchiudere che l’avo del conte Linati, anche Filippo di nome, seguìta la fortuna napo- leonica, fu nel 1808 deputato del dipartimento del Taro al corpo legislativo di Francia, poi nel 1831, alla partenza di Maria Luigia, fuggita di Parma per la rivoluzione ivi scoppiata, pre- sidente di quel Governo provvisorio; quindi al ristorarsi del Governo legittimo, coi due capi Barbarini e Melegari, processato, ma più tardi assolto. Claudio suo figlio trovossi avvolto in tutti i commovimenti politici che agitarono l’età sua. Fu ascritto ai carbonari, ben sapendosi come coloro che in quei tempi volevano partecipare all’azione politica passavano per le sètte. Ed i carbonari appunto, precursori della Giovine Italia, furon quelli che produssero i moti del 1821 in Piemonte ed in Napoli. Aiutò l'insurrezione spagnuola ; diè appoggio ai moti insurrezionali or citati del 1821 nel Piemonte, ed in premio ebbe per qualche tempo la relega- zione nel noto carcere di Santa Margherita di Milano; favorì una seconda volta l'insurrezione di Spagna, migrò poscia in Francia, nel Belgio e nel Messico e morì a Tampico nel 1832. Il nostro Filippo che raccolse il retaggio di questi due suoi ascendenti, i quali avevano favoreggiata la causa liberale, nacque a Barcellona, il nove gennaio del 1816, dal matrimonio dell’or nominato Claudio con Isabella dei Bacardi. Egli iniziò la sua vita sul calle dell’esiglio e temperò l'animo suo alle durezze ed ai disagi, sofferti dall’avo e dal padre. Non poteva egli essere insensibile alle nuove forme di governo che sorsero in Italia nei rivolgimenti degli anni 1847 e 1848, ed in questi ultimi appunto visitò il Piemonte. E da quell’epoca sino al fine egli serbò il più schietto affetto al nostro paese in cui veniva spesso, facen- dovi lunghe mansioni. Io il conobbi appunto un trent'anni fa incirca, in mezzo a quel geniale ritrovo della più eletta società torinese e straniera, che sapevano così bene, seguendo l’usanza paterna, accogliere nelle ore vespertine di ciascun giorno del- l’anno Federigo Sclopis e la sua degna compagna (la quale aveva FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 629 —ammirabil tatto per metter tutti in buona luce e toccar quei tasti che specialmente rispondessero alla capacità ed alle ten- denze dei conversanti), che solevano in seno ad amici provati rinfrancare le forze dello spirito dai lavori giornalieri; ed ai quali convegni per essere ammessi non si teneva conto dei quarti del blasone, sibbene dei pregi personali (1). E qui mi si conceda una parentesi per ricordare lo Sclopis, il cui nome io commosso ho il bene di pronunziare in quest'aula che fu per mezzo secolo testimone della sua dottrina profonda, delle rette e virtuose sue aspirazioni, de’ suoi ammaestramenti e degli auto- revoli consigli che uscirono dal suo labbro, facondo sempre, sino al giorno in cui, confortato dalla fede benefica che lo sostenne in tutto il lungo e laborioso cammino percorso, discese nella tomba gloriosa, sulla quale questa fortuita occasione mi con- sente di deporre un modesto fiorellino oggi, dopo sedici anni dalla sua dipartita. Ma per ritornar al Linati, l’opera sua palese in favore della redenzione della sua patria comincia nel 1859, in cui dal nuovo governatore degli Stati parmensi, il piemontese Diodato Pallieri, consigliere di Stato, fu eletto podestà di Parma. Fu allora ch’egli si offrì di recarsi a Parigi per presentare a Na- poleone III un indirizzo cittadino, in cui veniva espresso il voto della decadenza della dinastia Borbonica, e l’offerta della sovra- nità al re Vittorio Emanuele II. Ne basti questo cenno senza venire a particolari che ci (1) Il Bersezio nel suo Regno di V. Emanuele II, lib. 6, p. 8, scrisse che ‘“..... l’ospitale accoglienza di uomini illustri in conversazione abituale era in uso nella casa Sclopis fin dai tempi della gioventù e anzi dell’in- fanzia del conte Federico ..... così che era un attestato di merito, deside- rato e ricercato come un premio, il venire ammesso nelle conversazioni di casa Sclopis ..... s: Ed invero ben si può oggi rimpiangere siffatta mancanza di convegni così scelti fra noi, non potendosi tentar paragoni della Torino d'oggi a quella del 1852 al 1865, alla quale faceva capo tutta la vita pubblica italiana. Cadute le barriere che tenevano prima disgiunte le classi varie dei cittadini, i salotti dei Balbo, degli Alfieri e degli Sclopis, come prima quello più riservato della marchesa di Barolo, fornivano il più eletto ri- trovo di alcuni degli ambasciatori residenti presso la Corte, de’ ministri e de’ profughi più scelti e riservati che col gomito toccavano lo scrittore e l'artista, le cui opere avevano ben meritato presso il pubblico, amalgaman- dosi così a poco a poco vari e disparati elementi ben disgregati per l’innanzi. 630 GAUDENZIO CLARETTA farebbero uscire dai limiti che deve avere la presente notizia sommaria. Ma invece è pregio dell’opera di sapere, come il 27 luglio dello stesso anno il Cantelli, a nome del governatore, accogliesse la domanda che il Linati, in un con Leonzio Arme- longhi, Carlo Nandini, Angelo Garbarini, Enrico Pontoli, Salva- tore Riva e Clemente Asperti, aveva sporta per poter pubbli- care in Parma un giornale che si avesse a denominare la Gazzetta dell’elettore. Nel successivo agosto il Linati fece parte del primo ufficio provvisorio dell’Assemblea Costituente. Il nove.settembre veniva da questa, essendo dittatore degli Stati parmensi Luigi Farini, convalidata l'elezione di fra Filippo Linati a deputato dei col- legi V e VI di Parma e del collegio di Colorno. Nè faccia specie ai meno pratici l’appellazione di fra data al neo deputato, poichè egli apparteneva in qualità di cavalier professo di giustizia al- l'Ordine di Malta sino dal 1840. Ma non devesi celare che ap- punto in considerazione di questa qualità nasceva nel seno di quell’assemblea una controversia abbastanza vivace. Alcuni non intendevano di convalidare quella nomina, notando che il Linati, come cavaliere di Malta, era tenuto ai voti frateschi di povertà, di castità e di obbedienza. Dei due primi si teneva poco conto, sapendosi ch’erano sempre stati illusorii ed un mero sottinteso, come lo dimostravano i fasti dell'Ordine, e com'era facile d’al- tronde il supporre in gentiluomini che vivevano fra l’eletta della società europea in mezzo alle corti e con abito militare al ser- vizio dei principi. Ma in quanto al terzo voto, si temeva in forza di esso una certa dipendenza dal superior diretto, che fosse ca- pace a far vacillare la fede del deputato. Era dunque nato un dibattito abbastanza vivo in mezzo all’assembiea : si misero in campo gli statuti dell'Ordine del 1676, ed il suono loro non era favorevole ; si scartabellò il noto dizionario di erudizione eccle- siastica del Moroni, e il responso non quietava troppo. Si volle consultare persino l’Andrée nel suo Cours aiphabétique et métho- dique de droit canon, ed ivi si trovò, i cavalieri di Malta non essere religiosi se non in largo modo, perchè les v@eux des uns et des autres ne sont pas entièrement semblables. Nemmeno questa definizione si tenne appagante: ma tolse le dubbiezze e tagliò il nodo lo stesso interessato fra Filippo con questa dichiarazione: “ Io dichiaro sull’onor mio che i voti che mi legano all’Or- MI FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 631 dine Gerosolimitano non m’impediscono punto di emettere un voto libero e coscienzioso nell'assemblea nazionale al pari di qualunque altro deputato ,. Fra Firippo LINATI. A fronte di questa dichiarazione, e considerando che pa- recchi di quei cavalieri tenevano impieghi civili e militari presso varii potentati d'Europa, e tenendo conto delle esimie qualità personali del Linati, il terzo ufficio rimuovevasi dalla rigorosa decisione, e convalidava la triplice elezione di lui. Ma egli optava poi pel collegio di Colorno, siccome quello che primo avevagli offerto la deputazione. Nè quella dichiarazione punto ebbe a nuocergli nei rapporti coll’Ordine, poichè il suo nome continuò a comparire nell’albo di quei cavalieri, e, meglio ancora, egli sempre fruì dei redditi della commenda che aveva ottenuta. Ma che un vincolo l’avesse, sebbene non nocevole al fatto che aveva sollevato quella controversia, il vedremo sul finire di questa commemorazione. Il Farini offrì pure al Linati l'ufficio di provveditore degli studii di Parma, ufficio delicato, se vuoi, ma ricusato da lui. Meritamente però egli fu compreso poco dopo, nella prima ele- zione dei membri della Camera vitalizia seguìta nell’ Emilia agli 8 di marzo del 1860. D’indi in poi egli prese qualche parte alla politica militante, ma sol nella misura consentitagli dalla sua salute e dalle cure alle quali era intento (1). Del resto, a proposito della parte avuta dal Linati alle discussioni politiche, addurrò le parole stesse pronunziate da lui in Senato in un discorso del quale parleremo fra breve... «“ Di rado, egli nota, di rado io prendo la parola in quest’aula perchè ebbi sempre la coscienza che nelle ordinarie questioni amministrative e finanziarie la debole mia voce poco potesse aggiungere al vostro senno ed alla vostra prudenza... ,. (1) Vi fu un momento credo, tra il 1868 e il 1870, che il Linati ebbe qualche maggiore relazione col governo e forse può essere allora, come scrisse il suo amico ch.®° prof. Michelangelo Billia (° Gazzetta di Torino , del 28 settembre 1895), che il Linati fu una volta designato ministro della pubblica istruzione; ma non ho dati positivi che mi consentano, nè di affer- marlo, nè di negarlo. 632 GAUDENZIO CLARETTA E giacchè percorriamo quest’arringo non indugiamo, a saggio della parte presa da lui nella vita parlamentare, accennare ad una delle più importanti discussioni, nelle quali egli stimò di manifestare il suo modo di pensare. Ma per aver conoscenza esatta dell’uomo, della sua fede e de’ suoi principii non ineresca di avvertire prima, come il Linati, tuttochè non avesse dottrine profonde in un ramo piuttosto che in un altro del sapere, si dimostrò non digiuno degli studii storico-filosofici, letterarii e sociali, coltivati negli anni giovanili. Fondato sull'esperienza che potè avere dell'avviamento della cosa pubblica, e consentaneo con quanti stimano non potersi far a meno della morale e del presidio religioso, s'astenne sempre dal blandire il secolo, a cui non lasciò risparmiare gli insegnamenti che andavano contro la corrente, capace qual era del resto di resistere alle turbe, civium prava iubentium. Le sue credenze furono rigidamente cattoliche, e fermati i dubbii del pensiero in una formula di fede liberamente accet- tata, questa pose al di sopra di ogni convenienza transitoria di fatto, senz'abbassare nè impicciolire il suo ingegno. Il suo amor del vero non era come in parecchi un plato- nismo annacquato che si tien pago di fiacche affermazioni. Egli non rifuggiva dalla controversia, e difendeva la sua tesi con quella insistente fermezza che poggia sul profondo convinci- mento ; e ben dissimile da quei tali che cercano in ogni nobile atto il tarlo dei secondi fini. Di codesti principii diè prova in tutta la sua vita, e negli scritti, e nelle parole e nel tentativo fatto di promuovere una fazione conservatrice. E nel Nuovo Risorgimento, pubblicazione letterario-filosofica sorta nel 1890 grazie alle cure del memorato professore Billia, inserì pure il Linati un suo programma pei conservatori italiani. Ma è bene avvertire che i canoni fondamentali del suo programma non erano punto basati su principii retrivi ed intransigenti, dichia- rando apertamente che... “ conservare non vuol dire dietreggiare e rifare il passato, non vuol dire scemare la libertà, volere la uguaglianza col dispotismo e col privilegio. Conservare vuol dire nè più nè meno ciò che suona la parola, propugnando l'integrità della nazione, della monarchia, dello statuto, ossequio al diritto naturale, alla religione, la protezione dei veri e legittimi inte- ressi della popolazione. Io non escludo gli acquisti coloniali, ma tenia. UR a Teor veg e o FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 633 penso che prima di attendere ai medesimi convenga colonizzare la parte abbandonata del nostro territorio... ,. Dello stesso stampo sono altri suoi opuscoli e sui conser- vatori e le elezioni, e sugli astensionisti ; e come la conciliazione sia possibile, ecc. Ed ecco ora il discorso sovraccennato, pronunziato da lui in Senato nel 1876, sul quale credo bene d’intrattenermi a prova di queste mie preliminari asserzioni. Come nissuno ignora, il ministro di grazia e giustizia Pasquale Stanislao Mancini aveva in quell’ anno presentato alla Camera il disegno di legge sovra gli abusi dei ministri dei culti nell'esercizio del loro ministero, approvato dalla Camera il 24 gennaio con 150 voti favorevoli su ben cento contrari. Presentato quel disegno al Senato nella tornata del 5 feb- braio, essendone presidente Sebastiano Tecchio, la discussione cominciata il ventotto aprile veniva chiusa il quattro maggio. Fra i vari oratori che salirono la tribuna per impugnare la legge uno fu, come dicemmo, il nostro Linati, che fece sen- tire le sue osservazioni a quel Consesso nella tornata del primo maggio. Consentaneo ai suoi principii, egli combattè quel disegno di legge, giudicato da lui pernicioso, siccome quello che si allon- tanava da quei principii di giustizia, di moderazione, di prudenza e di ordine che deve professare un governo al quale stiano a cuore i retti intendimenti di equità e di imparzialità verso ogni classe di cittadini. Nè sia discaro ai leggitori che io riferisca qui alcuni brevi periodi del suo discorso, siccome quelli che meglio ci fanno conoscere com’egli la pensasse : “ Io accolsi con plauso , egli esordiva “ il programma del- l’attuale gabinetto, perchè ci vidi la promessa di un'éra di eguaglianza e libertà vera per tutti, ma appunto perchè accolsi quel programma sento il debito di essere ministeriale contro lo stesso ministero e di difendere contro la presente legge i larghi e generosi principi in quel programma racchiusi... ,. Egli oppu- gnava quella legge come eccezionale; “... e le leggi eccezionali sono sempre ingiuste, perchè puniscono in un individuo ciò che tollerano in un altro; sono sempre immorali, perchè affermano in principio che sia proibito ad un individuo, ad un ceto di fare quello che è lecito ad un altro; sono sempre impolitiche, perchè 694 GAUDENZIO CLARETTA tolgono alla giustizia quel prestigio d’imparzialità che solo può renderla autorevole e rispettata ,. Siccome talune delle colpe che s’intendevano punire con quella legge già erano represse dalla legge comune, così ne sa- rebbe venuto che essa si riduceva a colpire i fatti o positivi o negativi, e che, e nell’uno e nell’altro caso, la legge diveniva ineseguibile ed odiosa (1). Questo discorso fruttava all’autore un bravo e un bene, de’ quali echeggiò l’aula del Senato. Ma quel che qui può essere ancora avvertito si è che altro de’ nostri colleghi, Carlo Bon- compagni, prendeva egualmente la parola per sostenere, ma con ben maggior fondo ed apparato di dottrina e di erudizione, la tesi propugnata dal Linati. Nè ciò basta ancora: senza che allora se lo sapesse, si associava tacitamente a questi due nostri colleghi il già sovra memorato conte Sclopis, il quale, fautore sincero di libertà, es- (1) “I preti nascono in Italia e checchè si faccia, dovranno tardi o tosto diventare italiani, se noi con improvvide leggi non impediremo loro di sentirsi cittadini, di partecipare ai benefici della libertà. Ma se ciò non dovesse avvenire, che potete voi temere dal clero? Il clero ebbe per lunghi secoli il privilegio esclusivo di dare alla società il morale ed intellettuale indirizzo, e ciò non valse a ritardare di mezz’ ora il trionfo delle idee nuove. Noi tutti siamo nati quando il clero era arbitro delle scuole e della stampa, e non perciò riuscì a spegnere e ad indebolire le nostre aspirazioni verso l'indipendenza e la libertà nazionale. E vorreste temerlo oggi che è povero, inerme, perseguitato? Ciò sarebbe un porre in dubbio la santità e la giustizia e la forza irresistibile del nostro provvidenziale risorgimento. I preti non diverranno temibili che il giorno in cui li abbiate trasformati in martiri, il giorno in cui abbiate cambiata l'indifferenza dei più in com- passione ed interessamento ... ,. Egli conchiudeva così: “ Io deploro quanto voi che una parte del clero disconosca quanto vi ha di bello e di grande nel nostro nazionale risorgi- mento, ma siccome cattolico non voglio che la religione sia posta a ser- vigio delle passioni politiche, come liberale non voglio che i beneficii della libertà siano posti a servigio delle passioni settarie. Se vorremo un’egua- glianza solo a vantaggio dei vincitori dell’oggi; se vorremo la giustizia solo . a profitto dei nostri interessi; se vorremo la tolleranza solo per le nostre opinioni, noi scalzeremo la base del vivere libero, perchè daremo con i fatti una smentita a quanto proclamiamo in principio, perchè insegneremo al mondo una volta di più, che oggi, come sempre, chi vince, opprime, sia ‘dai gradini di un trono, sia dall’albero della libertà ,. © |A O n FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 635 sendo devotissimo alla dinastia, ma amatore del progresso ret- tamente inteso e graduato, se non prese parte a quella discus- sione, tenne da Torino commercio epistolare col suo illustre collega il senatore Fedele Lampertico, al quale scrisse alcune lettere, che questi dava poi alla luce nella Rassegna Nazionale col titolo: Le leggi sugli abusi dei ministri dei culti e il conte Sclopis. Siccome è noto, quella legge veniva poi dal Senato repulsa nella tornata del sette maggio di quell’anno con voti contrari 105 su 92 favorevoli. Anche per un’altra controversia scottante volle il Linati rompere una lancia, voglio dire pel divorzio nell’occasione che il ministro Villa avevane riproposta la legge al Parlamento nel 1881. E così egli accrebbe la lunga schiera di oppugnatori che col Passaglia (1), col domenicano Didon (2) noverava il San- tini ed il Cenni, i quali, nella stessa rassegna Nazionale del 1881, nella quale il Linati aveva pubblicato il suo scritto, manifesta- rono nello stesso senso, ma con maggior copia di dottrina, le loro idee, e ciò con buona venia del biografo del Linati che scrisse essere stata la sua memoria la più succosa comparsa (3). Certo però è che impegnatosi in quell’argomento, ne trattò altra volta, scrivendo nel citato Nuovo Risorgimento una protesta ed inneggiando all’iniziativa presa dal professor Gabba a difesa dell’indissolubilità delle nozze. Del resto, ogniqualvolta o proponevansi disegni di leggi un poco eccezionali, o l'opinione pubblica manifestava colla stampa teorie non comuni, egli non lasciava di dichiarare il suo modo di pensare. Quindi sin dal 1848 aveva pubblicato a To- rino, coi tipi del Pomba, una nuova teoria sul sistema rappre- sentativo, propugnando il principio che i municipii avessero ad essere costituiti per una metà di possidenti e per l’altra di lavo- ratori, classe questa che, secondo lui, doveva comprendere gli avvocati e i professori di arti liberali, in un cogli artigiani, coi contadini, ecc. Nel 1865 dava alla luce in Napoli un opuscolo sul diritto di associazione in Italia, minacciato dalla legge Vacca, (1) Conferenza dell’aprile 1880. (2) Conférences de S. Philippe du Roule. Paris, Dentu, 1880. (3) Il sovracitato prof. M. Billia. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. Al 636 GAUDENZIO CLARETTA e nel 1867 un’operetta di 97 pagine sul razionalismo e sulla religione, confutando i nuovi favoreggiatori della Dea Ragione. Ma omettendo di accennare a varii suoi opuscoli, ad arti- coletti sui giornali, compilati in fretta, e, come è della sorte loro, destinati a vivere breve vita, alla guisa degli apparati di una festa che il giorno dopo si buttan via, non bisogna negare ch'egli erasi applicato a varii generi di studii ; fatto non istraor- dinario, poichè nei varii rami dello scibile avvi un’affinità, un vincolo che collega le scienze figlie, dirò così, della stessa fa- miglia letteraria, rampolli dello stesso tronco. Ma è anco vero, che a pochissimi riesce di poter esser versati in più di una di esse. Comunque ne sia, il Linati prese a trattare soggetti di storia, di filosofia, di economia sociale e di politica, che se non riuscirono tutti accetti, non si può negare che alcuni di essi non sieno privi di qualche valore, per quanto alcuni non abbiano potuto sopravvivere al loro autore. Sin dagli anni giovanili fu il Linati discepolo delle Muse : ed i suoi versi, la maggior parte come dicesi di occasione, senz’avere singolarità seducente di si- militudini e di imaginose descrizioni, non si possono nemmeno dir privi di certo brio e snellezza. E poichè cade in acconcio vuolsi notare che non tutti gli autori dei versi di occasione devono essere posti in fascio con quei volgari facitori di versi che un secolo fa rigogliosamente nutriva l’Arcadia nei suoi poveri orti, e che nemmen oggi sono pienamente scomparsi, tuttochè siane cangiata la natura. Impe- rocchè se scarsi sono ai tempi che corrono i festaioli che v'im- pongano il balzello di un sonetto pel loro santo, o gli amici o i congiunti che vogliano la poesia per le sacre loro vestali, bru- licano invece i feroci tormentatori che pretendono il verso od il brindisi per l’amico o pel superiore in ufficio od in amministra- zione, neo-decorati. E sì che parecchie volte costoro sono, anche nelle città e d’ordinario ne’ villaggi, null’altro che grottesche figure di sindaci o speziali o mercantuzzi, fedeli, e talor esecu- tori inconscii di mandati che lasciano ben poca edificazione nei retti pensatori, o che non ebbero altro scopo che l’utile dei loro protettori. Ecco il perchè conviene talora vedere premiati in ogni grado persino omiciattoli, non solo privi del menomo va- lore, ma macchiati pur di atti che in tempi normali ed in paesi diversamente retti sarebbero puniti coll’ergastolo. FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 637 Ma passiamo oltre, poichè queste miserie non tangono il Linati, che non fu mai blanditore di simili turpi sconcezze, e facciamoci invece senz'altro a considerare una monografia sto- rica pubblicata da lui negli “ Atti della R. Deputazione di Storia patria per le province dell’Emilia ,, nel 1879. Essa versa intorno al parmigiano Claudio Cogorani, inge- gnere, ch'era fiorito nel secolo XVII. Questa dissertazione, sulla quale egli manifestò divergenza d’opinioni da un illustre nostro collega, serve anco a provare quanto il Linati possedesse una intelligenza storica, se forse non molto larga, sicura al certo. Egli non apparteneva a coloro, che dal condannar tutto il pas- sato vorrebbero trarre argomento della necessità di rifare a nuovo il mondo, od a quegli altri che vorrebbero trovare nel passato il solo esemplare su cui rifondere la società. E se il Linati, nè conviene dimenticarlo, si fosse applicato a minor nu- mero di materie, talora disparate, forse i suoi lavori storici avrebbero potuto avere lettori, più di coloro le cui opere mol- teplici e voluminose rimarranno piuttosto patrimonio esclusivo degli eruditi e dei dotti. Ciò premesso, vuolsi avvertire che l'ingegnere Cogorani, di cui s'intrattenne il Linati, aveva ser- vito molti padroni, l’imperatore Rodolfo II, gli Estensi, i gran- duchi di Toscana, ecc., fatto per nulla straordinario, e che va ed andrà/sempre rinovellandosi in qualunque professore di arti liberali. Nel 1614 poi aveva avuto dal marchese Incisa, gover- natore di Milano per la Spagna, mentre ferveva la guerra col duca di Savoia Carlo Emanuele I per la nota successione di quella potenza, l’incarico di costrurre in riva della Sesia il forte chiamato poi di Sandoval, demolito nel 1638 allorchè il mar- chese di Leganes ebbe ad impadronirsi di Vercelli. In quell'occasione l'ingegnere Muzio Oddi, visto il forte co- strutto dal Cogorani, aveva scritto a Pier Mattia ed al colonnello Giordani, in una lettera che si conserva nell’Oliveriana di Parma, queste parole: “ Il Cogorano sa di architettura quanto le mie scarpe : è stato aiutato et portato avanti dal signor Duca di Parma suo padrone e benchè si vedano e si conoscano da tutti manifestamente i suoi errori, l'autorità nondimeno di chi lo porta può tanto che si battezzano per cosa considerevolissima e fatta con somma prudenza... ,. Questo brano di lettera dell’emulo del Cogorani veniva riportato dal Promis nella sua importante ed 638 GAUDENZIO CLARETTA erudita biografia di ingegneri militari italiani dal secolo XV alla metà del XVIII, edita dal suo nipote avvocato Vincenzo (1), ma col rincarir la dose degli appunti del Muzio Oddi. Infatti egli avendo potuto ritrovare un autografo del Cogorani, pieno zeppo di solecismi e di madornali errori d’ortografia, volle con questo mezzo distruggere affatto la fama di quell’ingegnere, e spal- leggiare invece l’emulo nelle sue poco benevoli insinuazioni. Notisi poi ancora che il Promis faceva un appunto ancor più grave al Cogorano, come quello che veniva a ledere il suo ca- rattere, osservando essere stati insomma ingegneri italiani che ebbero a costrurre un fortilizio destinato a ribadire il servizio della patria. Il Linati adunque non seppe menar buone al Promis queste osservazioni, oppugnate da lui quali inopportune e premature ; non quella sull’incapacità poggiata sulla scorrettezza sola di una sua lettera, ben sapendosi quanto a quei giorni pochissimi fa- cevano studii letterari, e non si credevano nemmeno in debito di farli. A ragione si meraviglia il Linati che il Promis, a fronte di parecchie altre testimonianze, accettasse come buona moneta il giudizio dell’Oddi, ingegnere anco lui e che poteva aver ge- losia di altro pari suo chiamato di fuori, e per soprappiù giunto ad essersi procacciato credito nell’esercito (2). (1) “ Miscellanea di storia italiana ,, XIV. (2) Del resto è bene sapere che il Promis stesso non mantenne in mas- sima sempre lo stesso sentimento. Per convincersene basta leggere il suo carteggio col cavaliere Amadio Ronchini, di cui ora pure parleremo. Ivi sin dal 1864, a proposito dell’architetto Gerolamo Genga, egli aveva scritto : “...Delle mie noterelle accidentali sulla ignoranza degli artisti ed ingegneri nel XVI secolo, ne faccia ella quanto vuole. Chi avesse tempo a ciò le potrebbe aggrandire di molto, essendo allora il saper leggere e scrivere, da avvocati, medici, negozianti, insomma da chi ne traeva speciale vantaggio. Il Cellini che scrive così meravigliosamente bene, non lo sa, e va dal Varchi a farsi correggere. Ora gli artisti sanno leggere e scrivere, ma non sono mica più dotti di quanto lo fossero allora... ,. Memorie e lettere di Carlo Promis ecc., raccolte dal dott. Gracomo Lumsroso, Torino, 1877, pag. 247. E pochi giorni prima lo stesso Promis aveva scritto anche al Ronchini: “ Non mi fa specie che il Marchi a 32 anni non sapesse scrivere; era questo il caso di non pochi tra i suoi coetanei. Così il capitano Frate da Modena (del quale ella conosce la bella vita scritta dal marchese Campori), quantunque di nobil casato ed autore di un trattato, in età di quasi 80 anni affermava in pubblico atto di non saper nè poter scrivere. Il valente biografo cerca di coonestare la cosa, ma le pa- FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 639 In quanto poi all’aver voluto il Promis far carico al Cogo- rani di aver prestato servizio ai dominatori d’Italia, così il Linati prende a confutarlo, cominciando ad osservare che era questo un voler dimenticare affatto le idee, i costumi e il diritto pubblico del tempo nel quale egli era vissuto: “ ...Ci sono voluti secoli di oppressioni e di servitù, trasformazioni politiche straor- dinarie, slancio unanime di filosofi e di poeti, congiure fallite e soffocate nel sangue, perchè i sentimenti di un'Italia libera ed indipendente entrassero nel cuore di ogni classe di cittadini. Sul principio di questo secolo gli uomini più cospicui avevano a gloria ed a fortuna il seguire il vessillo straniero che Napoleone I spingeva sui campi della vittoria. Ed il signor Promis vorrebbe far colpa al Cogorani di non aver di tre secoli precorso i suoi tempi! Via, è uno spingere troppo oltre i blandimenti verso il nostro ,. Credo che nessuno dissentirà dal retto e spregiu- dicato ragionare del Linati, poichè ad ogni modo si potrebbe sempre dire che gli errori dei padri deggiono far rinsavire i figli, e costoro devono valersi della saviezza loro per migliorare se stessi e il loro tempo, e non per maledire i padri e rappre- sentarli anche più colpevoli di quel che furono. Nella stessa raccolta delle memorie succitate il Linati pubblicò altresì la commemorazione del socio effettivo di quella Deputazione di storia or citata, Amadio Ronchini, autore di varie pregevoli me- morie storiche e direttore dell'Archivio di Stato parmense dal 1840 al 1890, cioè per un. mezzo secolo, e che era succeduto a sua volta all’illustre Angelo Pezzana, corrispondente pure di quest’Accademia, e Nestore ai suoi dì dei letterati e dei biblio- grafi italiani. Queste notizie sommarie sembrami che saranno sufficienti per lo scopo di questa nota necrologica. Per amor del vero ci role sono troppo formali. Il grande Bramante, che era poeta e dirigeva fab- briche importantissime non meno per numero che per qualità, Bramante non sapeva scrivere per attestato di Sabba Castiglione che lo doveva sa- pere vivendo a Milano alla stessa età. Non so più dove abbia letto che il duca Cosimo, principe di svegliatissimo ingegno, aveva bisogno di veder modelli di fortezze, perchè le piante non le intendeva: chi dice questo è un contemporaneo, e non ne fa caso alcuno come di cosa frequente... ni Ib., pag. 246. Ho addotto questi periodi perchè convalidano l'opinione del Linati; forse il Promis non credeva di contraddirsi di tal guisa quando scrisse quegli accenti sul conto dell'ingegnere Cogorani. 640 GAUDENZIO CLARETTA si permetta soltanto di aggiungere, che se non tutti gli scritti del Linati potranno essere accettati dalla scienza severa, come la fisiologia trascendentale e il pensiero sulla generazione, lavori che dimostrano come molti studii furono sciupati per errore di me- todo, egli è fuori dubbio che l’operosità sua fu più che comune. Infatti ei lavorò sino all’ultimo, e cadde sull'opera sua come il lavoratore instancabile al cader del sole. Pochi giorni prima della sua morte egli pubblicò ancora nel Nuovo Risorgimento una lettera aperta sul socialismo, e un’operetta, La famiglia e lo Stato, conden- sando in un centinaio di pagine una dottrina vasta e collegata nelle sue parti, più che non appaia al considerarla superficialmente. Abbiam accennato nell’esordio all’affetto e alla predilezione che sulle altre parti d’Italia egli ebbe inverso il Piemonte. Ed allorquando scioltosi dai legami che lo tenevano vincolato all’Or- dine di Malta (1), si unì in matrimonio seguendo gli impulsi del cuore, che sebben talor inganni non ingannò lui, dal Piemonte tolse quella che doveva essergli compagna nel resto dei suoi giorni (2). E l’unigenito Pier Maria Claudio, natogli a Genova nel 1867, volle affidare al principale istituto educativo che sotto gli auspicii del magnanimo re Carlo Alberto fiorisce da mezzo secolo in una amena cittadella a poche leghe da Torino. E com- piuti egli i suoi studii, laureavasi in leggi a Genova nel 1892, sostenendo per tesi di laurea l'argomento Matrimonio e Divorzio, che pietosamente volle dedicato a sua madre, allor defunta, come nesso che congiugnesse l’estinta ai superstiti e desolati padre e figlio. Ma i giorni propizii della sua vita erano numerati; e la perdita della consorte ed i malanni inseparabili dalla vecchiaia davano da qualche tempo in lui segni di deperimento, cosichè il 17 del settembre scorso egli cedeva al comun fato nella sua patria, dove i suoi funerali ebbero numeroso concorso di amici e di estimatori. (1) Io aveva in quei tempi udito raccontare l’aneddoto, del quale non mi assumo però alcuna mallevaria, ed è che portatosi il Linati a Roma per ottenere dal sommo pontefice Pio IX l’esenzione dal voto di castità, e come losco d’occhi egli essendo, incespicò; il che fece dire a quel papa, inclinato ad arguzia di motti: “ Andate, andate pure; vedo che una compagnia vi è proprio necessaria ,. (2) Angela Chiaudano da Vercelli, colta insegnante. G. CLARETTA — FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 641 Non mancarono al Linati e dal governo e dal pubblico molti attestati di stima (1) ed onorifiche distinzioni, e senz’occuparci troppo di queste per esserne da lunga età scemato il valore a cagione della sventata profusione e della partigianeria che il più delle volte ne regola le elargizioni, diremo ch’egli appartenne alla nostra Accademia come socio corrispondente dal 26 no- vembre del 1857: e fu aggregato agli Atenei di Venezia e di Milano, alla Società ligure di Storia; e parecchi anni tenne la presidenza della Deputazione parmense di storia patria. Tale pertanto fu la vita di questo patriota che militò sempre nel campo della moderazione ; vita piena di pensiero, di azione e di studii, e che voglio lusingarmi di aver rappresentato senza sforzar nulla, nè col disegno, nè coi colori. È vero che la mode- razione, per quanto essa sia già una virtù dell’animo, oggi pare venuta in uggia; ed in grazia delle ire di parte tanto degli uni quanto degli altri militanti ne’ campi diversi, anzi opposti, ed in grazia dell’audacia delle fazioni spalleggiate dai sofismi dei giornali, la si vuol confondere colla codardia o con un freddo sentimento di patriottismo. Ma forse, e ciò affermiamo senz’es- sere vincolati da idee di un pessimismo partigiano, non sarà troppo lontana l’epoca in cui si potrà vedere dove ci avranno fatto giungere certe avventatezze, e che cosa avrà giovato esserci scostati dalla temperanza, e che cosa saranno per partorire gli eccessi. Intanto non dubitiamo di proporre ad esempio la modera- zione e la operosità del conte Linati: e sarebbe al certo ad augurarsi che in quanto a queste doti il patriziato italiano producesse uomini frequenti della sua stampa: e che molti dei moderni Sardanapali, i quali si adagiano in molli ed infingardi ozi, invece di predicar agli altri lavorate, dicessero invece una buona volta lavoriamo, e concorriamo ad apportar materiali per ricostituire su basi ben più morali l'odierno edifizio sociale. É non vi par fors’egli che in questi momenti, al retorico excelsior debba invece sostituirsi il men poetico, ma praticamente più utile laboremus ? (1) Il Sarmi, nel suo Parlamento subalpino e nazionale, lo disse Consi- gliere di Stato; ma è un errore; il Linati non appartenne mai a quel- l’illustre Consesso. 642 GIUSEPPE ALLIEVO La libera attività dell’educando secondo Enrico Pestalozzi e Gian Giacomo Rousseau; Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. L'interiore attività dello spirito e la dignità personale della natura umana, è questo, a mio avviso, il sommo principio di tutta la scienza ed arte dell’educare. Questo principio parmi di ravvisare tratteggiato sia nella persona, sia nella dottrina pe- dagogica di Enrico Pestalozzi. Il suo carattere franco, onesto, incrollabile, la sua vivace e brillante immaginazione, il suo sen- timento profondamente religioso, il suo cuore ardente di gene- roso amore verso i fanciulli ed i poveri abbandonati, la sua instancabile operosità illuminata da una splendida intelligenza, ed in mezzo a tutte queste magnifiche doti la rara modestia del suo animo fanno di lui una di quelle nature elette e pri- vilegiate, che hanno pochi pari nella storia dell'educazione. Egli concepiva il nobilissimo proposito di rigenerare le classi popo- lari mercè di una educazione elementare, che le elevasse al sen- timento della dignità umana, e vi lavorò intorno tutta la vita come chi sente la santità del magistero educativo, attingendo la forza necessaria a tanta opera dagli intimi penetrali della coscienza e dalla interiore potenza del suo spirito. Il suo ideale era certamente troppo sublime, perchè la vita di un uomo an- che fornito di validi sussidii potesse giungere fin là; ed egli stesso nella modestia e lealtà dell'animo suo ebbe a confessare candidamente, che nel corso delle sue esperienze incorse in isbagli gravi e non pochi, nè i risultati sempre risposero al suo concetto. Coll’agonia in cuore vide cadere l’un dopo l’altro gli istituti educativi da lui fondati, a cui aveva consacrato gli averi, l'ingegno, le forze, la vita, e per giunta fu colpito dalle atroci calunnie de’ suoi medesimi amici, che lavoravano a’suoi fianchi entro il medesimo recinto scolastico; ma sempre si mantenne FEE ___m_————— _ y ___ LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 643 calmo, rassegnato, fidente in Dio e nel trionfo finale della sua idea. Tale fu la persona di Enrico Pestalozzi. Alla persona fa bella corrispondenza la dottrina pedagogica. Egli esordì nel suo magistero educativo con un atto di protesta contro il meccanismo scolastico dominante, che soffocava lo svi- luppo spontaneo della mente, e che gli suggerì l’idea di fondare l'educazione elementare sull’attività interiore dello spirito e sulla dignità della persona umana. “ L’ Europa col suo sistema d’in- segnamento popolare doveva per necessità piombare nell’errore, o piuttosto nel traviamento, che la perde..... In Europa la col- tura del popolo è riuscita ad un vano cianciume, funesto del pari alla vera fede ed al vero sapere; una specie d'istruzione di mere parole... È cosa incontestabile, che la manìa delle pa- role e de’libri, la quale ha tutto assorbito nella nostra educa- zione popolare, ci ha condotti a tale punto, che riesce impossi- bile rimanere più a lungo quali siamo di presente , (1). “ Da per tutto un processo contrario a quello della natura, da per tutto la predominanza della carne sullo spirito, e l'elemento divino relegato nell'ombra; l'egoismo e le passioni prese per moventi; abitudini macchinali invece di una spontaneità intelligente , (2). Così il Pestalozzi nel primo esordire della sua carriera aveva riconosciuto che l’educazione elementare era viziata da un pro- cesso artificiato, epperò compressivo, e che occorreva sostituire il processo della natura, siccome quello, che si fonda sulla libera e spontanea attività dello spirito. Ma qual è il processo pro- prio della natura? Ecco il problema, che egli propose alla sua meditazione. È cosa per sè manifesta, che a scoprire la legge, che governa la natura nel suo procedimento, occorre prima co- noscere in che consista essenzialmente essa natura umana. Ve- diamo come l’autore abbia derivato dal concetto psicologico della natura umana la legge universale del suo sviluppo, e come su questa legge abbia fondato il suo concetto pedagogico. Il Pestalozzi non ci ha lasciato un sistema di filosofia psi- cologica, elaborato nelle sue parti ed armonicamente composto a scientifica unità, ma il suo concetto dell’uomo traspare quale (1) Come Geltrude istruisce i suoi fanciulli, lettera X. (2) IZ Canto del Cigno, V. 614 GIUSEPPE ALLIEVO là siccome una splendida intuizione sia da alcune pagine de’ suoi scritti, sia dal tutt'insieme della sua opera educativa. L'uomo, quanto alla sua origine, non è figlio del cieco caso, nè una trasfor- mazione della materia bruta, bensì una creatura di Dio fornita delle virtù necessarie per compiere la sublime destinazione, a cui lo chiama il suo Creatore. Riguardato poi nella sua essenza, è un organismo vivente: gli organi, che lo compongono, sono le tre distinte forze, fisiche, intellettuali e morali, di cui è per na- tura fornito. Queste forze da principio preesistono in lui invi- luppate sotto forma di germe, ma in quel germe giace una energia, una attività radicale, che lo trae ad uno sviluppo spon- taneo, attività, che vi fu posta da natura e come tale è indi- pendente dalle circostanze esteriori. “ Osservate un albero pian- tato in riva delle acque correnti. Donde mai è uscito colle sue radici, col suo tronco, colle sue branche, co’ suoi rami, co’ suoi frutti? Vedete! Voi deponete nella terra un piccolo nocciolo. In esso evvi lo spirito dell’albero, l'essenza dell’albero: esso è il grano dell’albero: Dio è il padre, il creatore del nocciolo e della terra feconda; Dio è grande nel nocciolo dell’albero... Come io vedo crescere l’albero, così vedo crescere l’uomo. Prima ancora che il bimbo sia nato, sonvi in lui i germi invisibili delle disposizioni, che la sua vita trarrà allo sviluppo. Le forze di- verse del suo essere e della sua vita si formano, come nell’al- bero, restando unite, ma distinte, durante tutto il corso della sua esistenza..... Tutte le facoltà del sapere, del potere e del volere, distinte ma unite dallo spirito invisibile dell'organismo umano, lavorano nell’armonia divina della fede e dell’amore, concorrono tutte insieme a formare l’essere interiore, distinte dalla carne e dal sangue, l’essere eterno di giustizia e di santità, l’uomo creato all'immagine di Dio, per divenire perfetto, come il suo Padre celeste è perfetto , (1). L'uomo è un vivente organismo fornito di potere operativo, di cuore e di intelligenza, ecco il concetto psicologico di Pesta- lozzi. L'organismo umano si svolge dal proprio germe e si va perfezionando in virtù di una energia intrinseca al germe stesso, ecco la legge suprema, che governa il processo naturale dello (1) Discorso pronunciato il 12 gennaio 1818. VEE ———__—_ LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 645 spirito umano, e che può essere appellata legge di organismo. Su questa legge posa il principio fondamentale di tutta Ia sua pedagogia. Il significato di questa legge applicata alla educa- zione ci porta a riconoscere, che: 1° lo sviluppo educativo non deve comporsi di elementi meccanicamente sovrapposti dal di fuori alla persona del fanciullo, bensì deve sgorgare dall’attività interiore del suo spirito secondata dall'opera dell’educatore; 2° che ciascuna delle tre forze supreme costitutive dell’essere umano avendo natura sua propria, che dalle altre la distingue, va educata con mezzi speciali e secondo leggi particolari con- formi alla sua natura; 3° che siccome tutte e tre stanno insieme unite tanto da formare un organismo concorde e vivente, così vanno educate l’una congiuntamente con l’altra in un perfetto ed armonico equilibrio. Così il nostro autore ha fondato sul concetto dell'organismo tutta la natura dell'essere umano e la sua educazione ed ha idoleggiato la sua idea sotto l’immagine dell’organismo, quale si osserva nelle piante e negli animali. Per certo vuolsi ricono- scere, che dovunque vi è organismo, si manifesta la vita, e che la vita importa un principio di attività insito nell'essere stesso vivente, il quale perciò ci porta ad ammettere anche nel fan- ciullo una energia interiore, suscettiva di uno sviluppo spon- taneo e libero; ma a scansare ogni equivoco fa d’uopo porre mente, che tra l'organismo fisiologico proprio delle piante e degli animali e l’organismo mentale proprio dello spirito umano vi corre non già identità di natura, ma una mera analogia, come ho cercato di chiarire nel mio opuscolo Studi psicofisiologici, pag. 13. Vero è, che egli riconosce, che l'organismo umano dif- ferisce dall'organismo vegetale e dall’organismo animale, perchè esso va fornito di libertà e coscienza; pur tuttavia io porto ferma opinione, che più razionalmente e più agevolmente si riu- scirebbe a stabilire la libera attività dello spirito, se invece di prendere le mosse dal concetto dell'organismo, si muovesse dal concetto di persona, la quale è per se stessa fornita di coscienza e di libera attività volontaria, concetto, su cui io ho posato tutta la mia dottrina antropologica e pedagogica. È la vita, che educa (Canto del cigno, V). Con questa frase felicissima e veramente scultoria il Pestalozzi formolò il con- cetto supremo, che domina ed informa tutta la sua dottrina. È 646 GIUSEPPE ALLIEVO veramente, osservo io, che è mai la vita, se non un principio intimo, un centro di attività, da cui fluisce spontaneo tutto lo sviluppo di un essere? Perchè adunque la vita sia educatrice, occorre che l’intelligenza ed il cuore del fanciullo siano com- penetrati dallo spirito della vita, e che di là questo spirito vi- tale si espanda in tutte le azioni esterne di lui, ed allora sol- tanto queste azioni saranno educative. Scoperta la legge. dell'organismo direttiva dello sviluppo naturale dello spirito umano, e quindi riposto il principio fon- damentale dell’educazione nell'attività propria del fanciullo, l’au- tore fonda su questo concetto tutto il disegno della educazione elementare. “ La mia idea dell’educazione elementare risiede nello sviluppare, secondo la legge naturale, le diverse forze del fanciullo, morali, intellettuali e fisiche, colla subordinazione ne- cessaria al loro vero equilibrio (Canto, ecc., V) ,. Ora tutte e tre queste forze, il cuore, l'intelligenza, l’arte si sviluppano mediante l’uso, la pratica, l'esercizio; e siccome questo esercizio deve pro- venire ed essere accompagnato dallo spirito interiore, così è sempre la vita, che educa il fanciullo sotto i tre grandi aspetti della natura umana. “ Ciascuna delle nostre forze, morali, intel- lettuali, industriose, non può trovare che in se stessa, e non già nelle influenze esteriori artificiali, la ragione ed il mezzo del suo aumento. Fa di mestieri, che la fede (del cuore) proceda dalla fede, e non dalla conoscenza e dalla intelligenza di ciò, che vuol essere creduto. Bisogna che il pensiero proceda dal pensiero, e non dalla conoscenza e dalla intelligenza di ciò, che vuol essere pensato o dalle leggi del pensiero. Fa d’uopo, che l’amore proceda dall'amore, e non dalla conoscenza e dal- l'intelligenza di ciò, che è l’amore, e di ciò, che merita di essere amato. Occorre che l’arte anch’essa proceda dall'arte, dal saper fare, e non da discorsi interminabili intorno l’arte ed il saper fare (Discorso del 12 gennajo 1818) ,. Queste considerazioni dell'autore sono fondate in verità, quando siano intese a chia- rire, che ciascuna delle nostre fondamentali potenze ha natura siffattamente propria e sua, che non può pigliare il suo punto di mossa dall’altra, e che da prima si crede, si ama, si pensa, si opera senza conoscenza di sorta, poi si conosce quel, che si crede, si ama, si pensa e si opera. Il credere e l’amare non origina dal conoscere, ma dalla stessa virtù del cuore. i i 4 } LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 647 Discendendo ai particolari, vediamo come ciascuna parte dell'educazione sia compenetrata ed avvivata dallo spirito in- teriore dell'alunno. Per coltivare il cuore ed informarlo alla moralità vuolsi fare assegnamento non tanto sui discorsi e sulle esortazioni al bene operare, quanto sulle azioni stesse trasformate a poco a poco in buone abitudini. Occorre avvez- zare sin dai primi anni il fanciullo alla pratica delle virtù mo- rali e cristiane cominciando da menome cose anche le più in- significanti, per guisa che egli si assimili colla sua attività, e non già col solo mezzo delle parole la moralità del costume. Rispetto all'educazione intellettuale, il maestro deve proporsi più di formare e fortificare il pensiero, che non di fornirlo di cognizioni, più di far preparare il vaso, che di riempierlo, sicchè il discente sia egli l'artefice del suo sapere ed acquisti il gusto e la facilità di imparare da sè. Quindi il fanciullo imparando sia sempre attivo; impari cioè col mezzo delle proprie impres- sioni intuendo ed osservando co’proprii sensi, e non già col mezzo delle parole. Le parole devono bensì venir compagne delle idee per fissarle e renderle stabili dentro il pensiero, ma non le dànno; e le parole senza le idee, che esse rappresen- tano, valgono un bel niente. “ L'idea dell'educazione elementare si applica altresì all'arte, come al cuore ed all'intelligenza: essa rende il fanciullo attivo sin dal cominciamento, lo abilita a pro- durre colle sue proprie forze dei risultati, che sono veramente per lui, e gli dà ad un tempo il potere e la volontà di innal- zarsi più su senza copiare servilmente gli altri. Gli è nelle con- dizioni e ne’ bisogni della vita reale, nel recinto della sua fa- miglia, che egli deve cominciare ad apprendere l’impiego ed il perfezionamento delle sue forze sotto il rapporto dell’arte e dell'industria (I! canto del cigno, V) ,. Che se il Pestalozzi tiene in altissimo pregio la libera in- dividualità dell'alunno e la vuole rispettata dall’educatore come cosa sacra, sarebbe un frantendere il suo pensiero il credere che egli propugni con ciò una indipendenza assoluta, sfrenata, fuor d’ogni modo e misura. Anzi tutto egli voleva la libera attività del fanciullo conciliata colla dignità propria della na- tura umana, subordinando la coltura della vita fisica e l’impero de’ sensi alla legge morale e spirituale. L'uomo non acquista il libero dominio di sè per altra via se non mediante la vita 648 GIUSEPPE ALLIEVO interiore dello spirito, che sente la sublimità della sua desti- nazione; epperò l'istruzione e l’arte non erano l’unico e supremo scopo, a cui egli intendeva, ma e l’una e l’altra voleva rivolte all'educazione morale, coltivando il cuore, e nel cuore la fede, l’amore, la giustizia. Nè si fermava a questo punto di una mo- rale esclusivamente umana, o come oggidì la chiamano, indi- pendente. Egli riconosceva l’esistenza originale del male nel cuore dell’uomo, e quindi la sua naturale fiacchezza e la neces- sità della grazia divina, che lo sorregga nel raggiungimento del suo ideale. Quindi è che egli additava la religiosità siccome la corona ed il compimento dell’opera educativa. “ Se l'elemento religioso non penetra l’educazione tutta quanta, esso ben poco influisce sulla vita, ma rimane isolato o ridotto a mera forma. La religione non è un effetto dell’opera dell’uomo, bensì ele- mento divino, che è nell'uomo, e della grazia di Dio. L’educa- zione elementare sviluppando tutte le forze poste da natura nell'uomo, sviluppa altresì e fin dalle prime l'elemento religioso secondo la sua vera natura: e per ciò stesso l'educazione ele- mentare è perfettamente conforme collo stato del Cristianesimo (op. cit.);;- Raffrontando fra di loro il Pestalozzi ed il Rousseau sia in riguardo alla loro individualità personale, sia rispetto alle loro dottrine pedagogiche, vi si scorgono vaghe e remote con- sonanze in mezzo a profondi e spiccati contrasti. Ancor giovane, il pedagogista di Zurigo lesse l’Emilio di Gian Giacomo, e quella lettura lo scosse nelle più intime fibre dell’anima. Lo spirito di libertà, che anima le pagine di quel libro, la straordinaria potenza dell’immaginazione, che colorisce e ritrae al vivo le idee, le attrattive incantevoli dello stile, la nobiltà e l'eccellenza dell'educazione, trovano un’eco nel suo cuore e rispondono ai sentimenti proprii dell'animo suo. Per qualche tempo egli rimase soggiogato dall'autore dell’Emilio; ma quando il sacro dovere di padre lo chiamò ad educare il proprio bimbo, allora sentì svegliarsi in lui la coscienza della sua individualità personale, e fatto accorto dalla propria esperienza, corresse gli errori enormi, che si nascondono in quell’incantevole libro, e circo- scrisse entro i confini della ragione i principii esorbitanti, che rasentano il paradosso. L'educazione debb’essere una libera espansione dello spirito LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 649 dell'alunno e non già un costringimento, una compressione, una servitù: ecco un solenne principio pedagogico profondamente vero, intorno al quale convengono i nostri due pensatori. Ma la libertà dell’educando ha essa dei limiti, che la circoscrivano? Ecco il punto, in cui stanno fra di loro in profondo dissidio. Rousseau concepisce la natura umana siccome essenzialmente libera ed assolutamente indipendente da ogni vincolo esteriore e sociale ; concepisce la società .siccome oppressione e schiavitù. La natura ci ha creati per la libertà; la società è la tiranna della natura, ci disumana: obbedire ai doveri sociali è un rinnegare la libertà, a cui abbiam diritto per natura. Per conseguente il fanciullo non può essere ad un tempo educato in parte per sè, in parte per la convivenza sociale, essendochè natura e società sono in- conciliabili, ma va educato tutto per sè, nient'altro che per sè, nella più assoluta indipendenza di se medesimo. Ecco in breve il concetto di Rousseau intorno la libertà dell’educando. Ben altrimenti la pensa il Pestalozzi. “ Maestro (egli scrive nel suo giornale, 19 febbraio 1774)! Sii persuaso dell’eccellenza della libertà!! Non ti lasciar punto trascinare dalla vanità ad otte- nere a forza delle tue cure frutti prematuri; che il tuo fanciullo sia libero quanto lo può essere. Tutto, assolutamente tutto ciò, che puoi insegnargli, mediante gli effetti della natura medesima delle cose, non glie lo insegnare colle parole! Lascia che egli stesso veda, intenda, trovi, cada, si rialzi e si inganni. Ciò, che può fare da sè, lo faccia! Che sia sempre occupato, sempre at- tivo. Ma quando vedrai la necessità di abituarlo all’obbedienza, preparalo con la massima cura a questo dovere difficile da adempiere in una educazione libera... Senza obbedienza non v'è educazione possibile. Sonvi casi urgenti, in cui la libertà del fanciullo farebbe la sua perdita... La libertà è un bene; l’oh- bedienza lo è del pari. Noi dobbiam riunire ciò, che Rousseau ha separato: colpito dai vizi di un pazzo costringimento diso- norevole per l'umanità, non ha trovato limiti alla libertà ,. Entrambi prendono le mosse dal concetto della natura umana, la quale pone il fondamento della vita e dell'educazione ; ma quanto diversamente è interpretata dall'uno e dall'altro! Rousseau non solo concepisce la natura siccome essenzialmente libera e la società siccome assolutamente oppressiva e tiranna, ma la ripone nelle ingenite tendenze a tutto ciò, che è piacevole, 650 GIUSEPPE ALLIEVO a tutto ciò, che ci torna utile, a tutto ciò, che è ragionevole ed onesto, e proclama che tutte e tre queste tendenze costitutive della natura umana sono buone per se stesse, tutte pure da qualsiasi pervertimento primordiale, sicchè non avvi punto per- versità originale nel cuore umano. Il fanciullo esce di mano della natura buono, integro, incorrotto; l’arte e la società lo corrompono. Da questo concetto della natura egli ne inferiva, che il fanciullo va educato dalla natura stessa, e non dall'uomo, il quale appartenendo ad una società corrotta, non può non cor- romperlo, che cioè l'educazione di lui debb'essere negativa per parte nostra, positiva per parte sua. “ Non date al vostro alunno veruna guisa di lezione verbale; egli non ne deve ricevere che dall'esperienza. Non infliggetegli veruna specie di castigo, perchè egli non sa quel, che significa essere in colpa. Non fategli giammai dimandare perdono, perchè non saprebbe offendervi. Sprovveduto di ogni moralità nelle sue azioni, non può far nulla, che sia moralmente male e meriti castigo o riprensione (Emilio, t. I, pag. 136, ediz. Parigi, 1831) ,. Il Pestalozzi muove anch'egli dal concetto della natura umana, che emerge da forze fisiche, intellettuali e morali insieme riunite, ma la riconosce origina- riamente infetta da un germe di male, e per conseguente egli giustamente ne argomenta, che il fanciullo abbisogna dell’opera positiva di chi corregga le sue malnate tendenze educandolo al bene, e della forza sovrannaturale divina, che rinfranchi la sua fiacchezza e gli rassicuri il trionfo nella lotta contro le passioni. L'educazione non è soltanto opera dell’intelligenza e del pensiero, ma altresì del cuore, ed il cuore sarà sempre per l’e- ducatore un saggio e sicuro consigliere segnatamente in certi casi ardui, gravissimi e singolari, in cui vien meno la parola medesima della scienza. Sotto questo riguardo l’Emilio ci porge sott'occhio pagine ben poco confortanti. Il cuore di Rousseau ha le sue simpatie e le sue antipatie verso gli alunni e sceglie tra i suoi eletti ed i reprobi. “ Io non mi incaricherò punto (scrive l’autore dell’Emilio) di un fanciullo malaticcio e tisicuzzo, dovesse egli pur vivere ottant'anni. Non voglio un alunno sempre inutile a sè ed agli altri, tutto quanto intento alla propria con- servazione, ed il cui corpo nuoce all'educazione dell'anima... Il povero non abbisogna di educazione... Scegliamo dunque un ricco; così siam sicuri di aver fatto un uomo di più ,. Il pedagogista han lodi a ione dida tt ag A LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 651 ginevrino non solo non aveva cuore educatore per tutti i fan- ciulli, ma nemmeno per i figli, a cui egli stesso aveva data la vita, essendochè i cinque bimbi, che ebbe dalla sua concubina, l’un dopo l’altro appena nati li espose alla cieca ventura disper- dendoli fra i trovatelli. Chi non ha cuore di padre, non può aver cuore di educatore. Il Pestalozzi invece fu ad un tempo una potente intelligenza, ed un grande e nobile cuore, che fece di lui un vero apostolo dell'educazione popolare. Egli raccolse intorno la sua persona uno stuolo di piccoli mendicanti, che giacevano vittima dell’indigenza e dell'ignoranza, e con essi iniziò la sua carriera educativa, aprendo una scuola ed un convito, dove prese a nutrirli col pane del corpo e dello spirito, e tutta la sua vita fu un generoso sacrificio intento ad educare con intelletto d'amore le classi popolari. Scomparso Gian Giacomo Rousseau, rimase il suo Emilio, il quale contò pur sempre buon numero di lettori entusiasti e di critici più o meno profondi, ma non giunse a creare intorno a sè una schiera di intelligenti interpreti e seguaci, che lavorassero concordi nell’intendimento di elaborarne le idee, arricchirne la scienza pedagogica, incarnarle nella privata e pubblica edu- cazione, In nessuna parte d’ Europa sorse un istituto scolastico, che portasse l'impronta del sistema educativo dell’autore; e la scienza dell’istruire e dell’educare non ne uscì rigenerata in veruna sua parte. E se ne intende agevolmente il perchè. Molte e splendide verità, nè tutte nuove ed originali, giacciono qua e là disseminate nel suo libro, ma il principio supremo, che tutto lo domina, è una enorme contraddizione, una stranissima utopia; e le contraddizioni, le utopie non discenderanno mai nel campo dei fatti. Egli volle ritrarci nel suo Emilio l’ideale tipico del- l’educando, mentre non ci porse che una figura tutta fantastica, la quale non piglierà mai corpo e vita nel mondo della realtà. Se l’idea originale di lui giungesse a dominare la pubblica edu- cazione, la società cadrebbe disfatta e l'umanità sarebbe cacciata a vivere dispersa fra le selve. Il Compayrè nella sua Histoire critique des doctrines de l’éducation en France trasmoda fuor di ragione nel giudicare l’influenza esercitata dall’ autore dell’Emilio nel dominio della scienza pedagogica. Basti il dire che egli scorge le traccie di questa influenza in tutti quegli scrittori di educazione, che ci- Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 45 652 GIUSEPPE ALLIEVO tano in qualche modo una sentenza qualsiasi di Rousseau, e giunge perfino ad annoverare fra i suoi discepoli Emanuele Kant. Che il filosofo di Koenisberg abbia letto l’Emilio con avidità ed interesse, come già lo aveva letto con certo qual entusiasmo il Pestalozzi, s'intende da sè, segnatamente se si ha riguardo al- l’attrattiva irresistibile dello stile, con cui è dettato; ma che quella lettura abbia fatto di lui un discepolo di Rousseau, è questa una asserzione insussistente, che il Compayrè invano si argomenta di confermare adducendo alcuni passi del trattatello di Pedagogia del filosofo tedesco. Se egli avesse davvero dimo- strato, che Kant ha seguito la dottrina pedagogica dello serit- tore ginevrino almeno ne’ suoi principii sostanziali, allora avrebbe avuto ragione di proclamarlo discepolo di Rousseau; ma la cosa corre ben altrimenti. Infatti insegna l’autore dell’ Emilio, che il fanciullo va educato per se stesso, e non per la società, la quale è contro natura; che va cresciuto in una libertà assoluta, sciolta da ogni vincolo di obbedienza; che si tenga in un’assoluta igno- ranza intorno a Dio ed alla religione insino a che sia uscito di puerizia: questi sono i punti sostanziali ed originali della . sua dottrina. Per lo contrario Kant insegna, che bisogna for- mare i fanciulli anche per la società, e biasima Rousseau, che proclama ed esalta la nativa rozzezza delle nazioni; che l'alunno va cresciuto libero ed obbediente ad un tempo, sicchè al carat- tere di lui appartiene sopratutto l'obbedienza; che assai per tempo e sino dagli anni primi vanno date alcune nozioni di religione, e che “ il fanciullo deve imparare a sentire una ve- nerazione davanti a Dio come davanti il Signore della vita e di tutto il mondo ,. Quanto ai pensieri, in cui ambidue conven- gono fra di loro, essi non sono originali e siffattamente proprii di Rousseau, che gli possano valere il titolo di maestro, bensì trattasi generalmente di sentenze, che o furono già professate da altri scrittori, o discendono a filo di logica dal sistema filo- sofico di Kant. Ben altra fu l’influenza esercitata da Enrico Pestalozzi nel campo dell'educazione e della sua scienza. Poichè a lui sopra- visse la sua idea pedagogica e passò ad informare di se mede- sima innumerevoli scuole, che sorsero in Svizzera, in Germania, in Francia, attestando la sua fecondità e potenza. La dottrina di lui conta numerosi e chiari ingegni, che la discussero, la in- LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 653 terpretarono, la propagarono con ardore ed illuminato intendi- mento, ed è memorabile la discussione fatta sul suo metodo intuitivo all’ Esposizione universale di Parigi del 1878. A dire il vero, il Pestalozzi aveva bensì intuito il supremo principio pedagogico, lo andava sempre meditando e ne aveva coscienza; ma quel principio rimase ne’ numerosi suoi scritti vago, indefinito e pressochè allo stato informe di germe. Occorreva una mente, che esplicandone il contenuto lo traducesse in forma di un si- stema rigoroso e logico, ne cercasse il fondamento razionale e ne mostrasse l’intrinseca fecondità applicandolo a tutte le parti dell'educazione umana. Questo còmpito venne maestrevolmente adempiuto dal suo più illustre discepolo ed ammiratore il ba- rone Roggero de Guimps, che dall'età di sei anni prese a fre- quentare l’istituto pestalozziano di Yverdun, e seguendo passo” passo col pensiero il successivo esplicarsi dell’idea pedagogica del suo maestro, ne pubblicava or son pochi anni la storia. Già nel 1860 usciva alla luce a Parigi la sua opera: La philosophie et la pratique de l’éducation, nella quale egli ricerca il principio fondamentale dell’educazione in quella legge suprema, che pre- siede allo sviluppo naturale dell’uomo; ma mentre questa legge naturale era stata pel Pestalozzi una vaga e mera intuizione, egli si studiò di dimostrarne la verità deducendola da una pa- ziente ed esatta osservazione de’fatti. Lo studio del successivo sviluppo fisico, intellettuale e morale dell’uomo lo condusse a riporre la legge suprema e quindi il principio fondamentale del- l'educazione nell’organismo de’ tre poteri, che costituiscono la natura umana, cioè il corpo, lo spirito od intelligenza, il cuore, poteri differenti l’uno dall’altro nella loro natura e nelle loro manifestazioni, ma armonicamente congiunti in un solo tutto organico. Nella prima parte della sua opera egli dimostra, che lo sviluppo dell’uomo fisico, intellettuale e morale è governato dalla legge dell'organismo; nella seconda parte applica questa legge, principio fondamentale pedagogico, a tutte le parti del- l'educazione umana, formolandola in questi termini: 1. L'organismo si appropria quel tanto e non più, che gli è stato assimilato mediante un lavoro de’ suoi organi. 2. L'organo si accresce e si fortifica mediante l'esercizio ed in ragione della sua attività, scema e si affievolisce nella inazione. 654 G. ALLIEVO — LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 8. L'azione di un organo contribuisce più o meno al pro- gresso degli altri organi ed allo sviluppo dell’intiero organismo. 4. Ogni progresso compiuto dall'organismo divien causa e mezzo di un nuovo progresso. 5. Questi progressi formano un intreccio continuato, i cui gradi sono insensibili, e che non comporta nè salto, nè lacuna. 6. Lo sviluppo dell'organismo non si arresta mai del tutto ad un tempo determinato; dove non evvi più progresso, là vi ha decadenza. I diversi articoli di questa legge costituiscono i principii universali ed immutabili più essenziali della scienza pedagogica, e sono applicabili sia all'educazione in generale, sia alle singole sue parti. | Io convengo coll’autore nel riguardare l’educazione siccome essenzialmente organica nel senso, che lo sviluppo educativo del fanciullo deve germogliare da quel principio attivo, che sta dentro di lui e che per virtù sua si espande al di fuori continuo, pro- gressivo, distinto nelle sue parti, armonico ed uno nel suo in- sieme. Ma, se io ben veggo, parmi che il concetto di organismo sia troppo astratto e generico tanto da abbracciare non l’uomo soltanto, ma tutti i viventi anche irragionevoli, e che superiore ad esso avvene un altro più elevato e più comprensivo ad un tempo, il quale esprime tutta e sola la natura umana, voglio dire il concetto di persona. Poichè chi dice organismo senza più, afferma bensì un vivente, che si svolge per sua virtù interiore, ma non distingue ancora se il suo sviluppo sia cieco o consa- pevole, fatale o libero. Per contro la persona umana possiede e comprende nell’unità del suo Io un corpo, che si muove ed opera, uno spirito, che pensa e conosce, un cuore, che sente e vuole, e tutti e tre li sviluppa scientemente e liberamente e concepisce Dio, siccome essere personale infinito, e quindi sic- come l’eterno ideale, dove va a mettere capo lo sviluppo inde- finito di tutta la sua vita. j N | I o o N N N a Aaa i © G. MERCATI — UN PALIMPSESTO AMBROSIANO ECC. 655 D'un palimpsesto Ambrosiano contenente i Salmi esapli e di un’antica versione latina del commentario perduto di Teodoro di Mopsuestia al Salterio. Nota del sac. GIOVANNI MERCATI Dottore della Biblioteca Ambrosiana. Tra le innumerevoli opere di Origene la più laboriosa, la più solida, la più opportuna ed utile fu senza dubbio la colle- zione del testo originale e delle antiche versioni greche del Vecchio Testamento conosciuta sotto il nome di Esaple. Essa rispondeva ad un bisogno reale dei dotti cristiani, che si tro- vavano nella disagiata condizione di avere la massima parte dei loro libri sacri originariamente scritta in una lingua igno- rata da quasi tutti. La versione attribuita ai LXX, di sommo valore critico senza dubbio, ma insieme non immune da difetti d’interpretazione nè pochi nè lievi, e riproduzione d’un testo alquanto diverso dall'ebraico allora corrente, non era in grado di soddisfare pienamente a tutti i bisogni dell’esegesi e della polemica specialmente contro i Giudei, i quali più d’una volta, eccependo contro i passi recati o come non esistenti nell’origi- nale o come malamente tradotti, mettevano in serio imbarazzo chi non poteva di per sè verificare in fonte ed era ridotto o ad una risposta evasiva o a sospettare alterati di proposito i testi ebraici, là dove realmente non lo erano. Origene ben vide l'inconveniente, e, per ripararvi e fornire a se stesso ed a tutti una base sicura ed un aiuto potente d’in- terpretazione, concepì ed eseguì uno dei più grandiosi ed allora specialmente difficili disegni, che non aveva precedenti nell’an- tichità. Anzi tutto per rendere accessibile alla comune il testo originale del V. T., che tra i cristiani doveva allora essere raro 656 GIOVANNI MERCATI anzi che no, lo inserì al primo luogo nella sua collezione, e ne divise e distribuì quasi in altrettante linee le sue parole, facilitando i riscontri, di cui diremo tosto, ed anche la lettura scabrosa ai meno pratici per la continuità della scrittura. Im- mediatamente appresso trascrisse le stesse parole ebraiche in lettere greche, insegnando agli antichi la lettura dell’ebraico ed ai moderni la pronuncia usata dai Giudei d’allora, alquanto di- versa dall'attuale. Affinchè poi potessero tutti agevolmente co- noscere il vero valore tanto delle singole parole quanto dell’intero costrutto, e rilevare a colpo d’occhio le aggiunte e le lacune e le inversioni del testo usitato nella Chiesa rispetto all’Ebraico, egli dispose di fronte alle singole parole ebraiche le diverse versioni in greco fattene da uomini delle più diverse confessioni religiose e pratici del testo originale. Dell’intera Bibbia ebraica quattro versioni esistevano, l’Ales- sandrina, quella d’Aquila, di Simmaco e di Teodozione: per al- cuni libri inoltre una quinta, una sesta e perfino una settima, anonime, di cui due furono scoperte da Origene stesso. Figu- rarsi la mole di queste Esaple, in cui il V. T. era costantemente ripetuto 6 volte almeno, e talvolta 7, 8 e sino 9 volte! Aggiungasi, che Origene l’aveva arricchita di prolegomeni e di scolii, per non dire degli obeli e degli asterischi, coi quali s'ingegnò di rendere anche più visibili le singole parole e par- ticelle crescenti o mancanti nei LXX rispetto all’Ebraico, se pure questa operazione non fu ristretta alle Tetraple od al testo dei LXX estratto dall'una delle due collezioni mentovate, se- condo che altri ha voluto (1). La complessa e sterminata opera, così ingegnosamente ar- chitettata e pazientemente ed abilmente eseguita, per la somma (1) E veramente distribuito il testo, come lo è nel palimpsesto Ambro- siano delle Esaple, non rimane più tanto necessaria questa aggiunta d’obeli e di asterischi. — Per quanto riguarda l’Esaple, cfr. i prolegomeni del Fietp, Origenis Hexapla quae supersunt, I (1875), 1v-ct, che sono ancora quanto di meglio è stato scritto in proposito. Avvertiamo solo, che il primo racco- glitore dei frammenti esaplari non è stato P. Morin (ib., p. iv), ma il famoso Giovanni Driesca 0 Drusius belga, in Psalmos Davidis vett. Inter- pretum Quae extant fragmenta. Antuerpiae ex officina Christophori Plantini, x M.D.LXXXI., di cui è copia nella biblioteca Ambrosiana. UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 657 utilità, anzi indispensabilità sua rimasta unica nel genere (1), e per l'immunità dagli errori, che resero odiate altre opere di Origene, avrebbe dovuto secondo ogni apparenza essere l’ultima a perire: ma purtroppo non fu così. Accolte a braccia aperte ed usitatissime perfino nel centro più ostile ad Origene, Antiochia, le Esaple erano destinate a | perire per la loro stessa mole. Si fanno salire a 50 i volumi, in cui quest'opera doveva essere distribuita, e si dubita eziandio, se sia stata ricopiata per intero anche una sola volta (2). Ori- gene stesso (o prima o poi, questo non c’interessa al presente) ne diede il meglio in una collezione più accessibile — le Tetraple, ora anch’esse perdute —, dove furono riprodotte solo le 4 ver- sioni celebri. Indi si fu paghi d’estrarre dalle Esaple o dalle Tetraple il solo testo dei LXX, detto per ciò esaplare, cogli asterischi e cogli obeli (a poco a poco naturalmente spostatisi), e di aggiungere in margine lezioni scelte dagli altri interpreti; infine si arrivò a fare altrettanto sopra testi punto esaplari come quello del Marchaliano, secondo che dimostrò il Ceriani. Così i compendii a poco a poco soppiantarono l’opera, e questa per vicende ignote finì miseramente per perdersi, e in- sieme con essa perirono 6 o 7 versioni greche anteriori al sec. III di tutto o parte del V. T., una copia di un codice ebraico del sec. III almeno, ed un vivo testimonio della pronuncia dell’ebraico in quel torno. È escluso, s'intende, il Daniele di Teodozione. Quando ciò avvenisse, non è definito. Recentemente si as- serì, che l’Esaple fino dalla metà del sec. IV erano perite colla (1) È significantissimo il passo di Leonzio Nrap., Vit. S. Symeonis, c. 40, Patrol. Gr., XCIII, 1720 A, dove riferisce di due monaci emeseni del pari convinti dell’eresia d’Origene, che disputavano, se questi avesse o no colle sole forze naturali potuto comporre tanti bei scritti, specialmente l’Esaple, accettate fino ad oggi (quindi alla 2* metà del sec. VI al- meno) come necessarie dalla Chiesa cattolica .....t0d dé ma Gvmtéfovtog, GTI où duvaTtai TIg AaXfoar èk Puoikod mieovexrtmuatog AdYoug, og ézéBero, udiIO TA TOÙG TUÙv ‘Efamribv aùtod © diò Kai puéxpt onuepov déxeTar aùTtà Wwg davarkaîa 7 xa@o0Aikm ’EkkAnoia. Il passo è da aggiungere all’Ueberlieferungsgesch. ete., p. 342, che siamo per citare. (2) FreLDp, p. xcix. 653 GIOVANNI MERCATI biblioteca di Origene e di Pamfilo (1): nè si ritrattò questo er- rore, quando si ammise poi come verisimile, che la biblioteca danneggiata alla metà del IV durasse ancora al VI secolo (2). L’asserzione avrebbe meritato una severa disamina, in quanto che veniva a ridurre a testimonii di seconda e terza mano per i frammenti esaplari tutti i commentatori e compilatori di ca- tene da Eusebio in poi, compreso Girolamo, che pure formal- mente attesta d’averle adoperate e copiate: in altre parole, veniva a presentare quali residui esaplari tutto e solo quanto ne citò Eusebio o ne apposero Pamfilo e lo stesso Eusebio al margine di qualche mss. dei LXX uscito dall’officina libraria di Cesarea. Felicemente però nel frattempo a risparmiare il penoso e lungo esame si presentavano i salmi Esapli. La biblioteca Am- brosiana, dai cui tesori negli ultimi decenni il Ceriani oltre molte altre rarità traeva per i nostri studii la Siro-Esaplare, e donde non ha guari C. Ferrini esumava non poche parti perdute dei Basilici, ora ci ridona in un palimpsesto l’unica serie con- tinua del testo delle Esaple nell'ordine e nello stato originale. Finora tutto quanto restava di esse era frammentario e disgre- gato, pigliato dal margine di qualche codice o catena biblica, oppure dal testo di qualche commentatore, che di quando in quando credette bene valersene, e nell’uno e nell’altro caso di- sposti nell'ordine e nella forma sembrata più comoda e concisa, quale certo non era l'originaria. Negli stessi più lunghi fram- menti del codice Barberiniano, che in certa maniera conserva le colonne, le lezioni comuni sono date una sola volta sotto le sigle dei singoli traduttori e non già ripetute nella rispettiva colonna, come certamente fu nell’originale (3). Nè è a soffermarsi agli esempi, che si sogliono dare delle Esaple, essendo essi una riproduzione del Barberino ovvero una restituzione più o meno (1) Harnacx-PreuscHEN, Geschichte d. altchristl. Litteratur bis Eusebius, I, 340. A (2) Harnacx, Zur Ueberlieferungsgesch. d. altchristl. Litter., p. 17 in Texte u. Untersuch., XII, 1. Sulle sorti della Biblioteca aveva già prima nel 1891 accuratamente trattato l’EnrnarDT nel Rimische Quartalschrift, V, 221-43. (3) Cfr. il facsimile d’Osea, XI, 2 in BrancHuIni, Euangeliarium Quadruplex, I, 2, p. pxxx1, tab. 1, num. 3. tica inni è e led dee lecite PE AT e e. UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 659 felice degli editori. Onde i raccoglitori di queste sparse membra, disperati di restituire l'ordine primitivo, si videro costretti a distribuirle in un altro, che è sembrato loro più conveniente ed utile (1). Del palimpsesto Ambrosiano e del suo contenuto diamo per ora solamente una notizia sommaria, riserbando il resto all’edi- zione, che colla penosa lentezza di simili lavori si va preparando. II. Il codice Ambrosiano 0,39, membranaceo 0,19 X 0,15, di fogli 110, sec. XIII-XIV, contiene nella superiore scrittura “ Zo- annis Damasceni versus in ecclesiis graecorum pro temporum va- rietate cantari solitos ,, come faceva notare a principio l’Olgiati. Il codice era già in biblioteca nel 1603: donde vi fosse portato, è ignoto. Sotto la nera e grossolana scrittura dell’Octoéehos, che con- servato in moltissimi manoscritti non ha per noi grande inte- resse, biondeggia ovunque sebbene più o meno diluita un'elegante minuscola del sec. X: è quella delle Esaple. Il volume primitivo, sciupato per dar luogo ad una delle più comuni collezioni di poesia sacra bizantina, doveva essere a dirittura splendido, come lo sono parecchi altri del sec. X. Di ciascun foglio d’esso si fe- cero quattro del nuovo manoscritto, ritagliando margini e linee di maniera, che le sue dimensioni non potevano essere inferiori di 0,38 X 0,28. I centodieci fogli pertanto dell’Octoéchos ci sal- vano appena ventisette fogli e mezzo del 1° manoscritto natu- ralmente più danneggiati, più dispersi e confusi tra loro, che negli altri palimpsesti sfuggiti a simile sezione. Dal contenuto dei pochi fogli rimasti appare, che il codice primitivo doveva essere voluminoso assai, se anche conteneva metà soltanto del Salterio, come si sa di alcune catene sui salmi divise in due tomi. A principio senza dubbio erano gl’'imman- cabili prolegomeni verisimilmente proporzionati al resto del- l’opera (2). Nel corpo poi al primo luogo davasi in altrettante (1) Frelp, p. 11. (2) Cfr. sotto $ III. 660 GIOVANNI MERCATI colonnette il testo ebraico in lettere greche, e le versioni di Aquila, Simmaco, dei LXX, e di Teodozione colle varianti delle due ultime tra le linee od al margine. Separato da un piccolo ed elegante fregio a penna seguiva ripetuto in tutta la lun- ghezza della linea il salmo intero nel testo dei LXX, secondo quale recensione non ho ancora determinato: i singoli ver- setti sono separati e distinti da uno spazio alquanto mag- giore, che non tra parola e parola. Dopo un nuovo fregio ve- niva un'abbondante catena di passi dei Padri a commento dei singoli versetti o parti di versetti ripetuti una terza volta in rosso e però svaniti più facilmente del resto. Tra i PP. sono recati più di frequente Origene, Eusebio, Didimo e Teodoreto, e poi s. Basilio, s. Giovanni Grisostomo e s. Cirillo. La mancanza del testo ebraico in lettere ebraiche nelle Esaple, dovuta certamente alla difficoltà somma di trovare uno scriba greco pratico dell’ebraico e all’impossibilità d’una lun- ghissima trascrizione per chi l’ignorava affatto, potrebbe far dubitare ad alcuno, che noi avessimo di fronte non l’Esaple, sì bene per così dire le Pentaple o un TTevtacéMidov, come è pro- priamente detto un codice simile al nostro dallo scoliaste del Marchaliano ad Esa. III, 24 (1). Ma fortunatamente tra le re- liquie altrove conservate abbiamo tanto nel conosciutissimo Bar- beriniano, quanto in altro codice Ambrosiano, di cui più avanti, frammenti di sole cinque colonne tutt’affatto come nel palim- psesto: eppure sono detti espressamente tolti dall’Esaple: èx T@èv ‘Ezam\bv (2). E naturalmente la cosa doveva finire così. La col- lezione continuò ad essere chiamata col titolo primitivo anche, quando uno dei sei elementi necessarii per verificarlo fu dovuto lasciare da canto; e fu ben tosto, come appare dal Marchaliano. Nè so se debbasi lamentare molto la mancanza della prima co- lonna, sia perchè è supplita sufficientemente dalla seconda, che per la sua facilità relativa di trascrizione era molto più sicura dagli abbagli dei copisti, sia perchè nella copia in caratteri (1) Pag. 182 della fototipia. La lezione del codice èv t® TTevtaceridòw è chiarissima, nè è a dubitare col Field della sua giustezza. Si vede benis- simo, che lo scoliaste aveva in Esaia un codice esaplare perfettamente come il nostro dei Salmi. (2) Fretp, t. II, pp. 957-8; I, p. x1, n. 2: cfr. più avanti, p. 665. UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 661 ‘ebraici fatta da uno, che li ignorava affatto, avremmo avuto un rompicapo di gran lunga maggiore, che nelle trascrizioni o piut- tosto sfiguramenti di lettere latine fatti da scribi greci igno- ranti di latino, e viceversa. Il palimpsesto non presenta alcun obelo ed asterisco, che tanto abbondano nel Salterio così detto Gallicano di s. Girolamo, riveduto poi da Floro (1). Ma, senza inculcare l'opinione ricordata di sopra ed il fatto, che la disposizione stessa dei testi li rende meno che necessarii, è da notare, che nel Salterio la stessa Siro- Esaplare li pone con troppa parsimonia, a dire del Field che ve li attendeva in maggior copia, e che s. Girolamo ha in questo abbondato di troppo, più che non fece a quanto sembra Ori- gene (2). I frammenti esaplari dei Salmi restituiti dall’Ambrosiano sono: Salm. XVII (secondo i LXX), 26-48; XXVII, 6-9; XXVIII, 1-3; XXIX intiero; XXX, 1-10, 20-25 (fine); XXXI, 6-11 (fine); XXXIV, 1-2, 13-28 (fine); XXXV, 1-5; XLV intiero; XLVII, 1-6, 11-15; LXXXVIII, 26-53 (fine). — Se quest’ultimo salmo facesse parte dello stesso tomo che i precedenti, non so dire, non avendo finora ritrovata alcuna traccia della numerazione dei quaderni. I frammenti, benchè pochi relativamente al testo perduto, sono d’un valore incalcolabile fornendoci la pietra di paragone per tutti gli espilatori delle Esaple, ai quali unicamente dove- vamo finora affidarci. Là dove avevamo appena qualche inciso, ora si hanno dei tratti continui: e si sa quanto infinitamente (1) V. la sua lettera a S. Eldrado abbate della Novalesa in Mar, Script. Vett. Nova Coll., t. III, 2, pp. 252-5, da non perdere mai di vista nella storia del Salterio Gallicano. I versi, che colla lettera accompagnavano il salterio riveduto, nel nostro correttissimo esemplare Ambrosiano F, 36 sup., sec. XV, sfuggito all’ultimo editore, MG., Poetae Latini Medii Aevi, t. II, pp. 549-50, sono detti essere scripti in fine antiquissimi Psalterii Taurini in ecclesia s. Andreae, £.° ult. r. Sarebbe questo Salterio di S. Andrea stato della Novalesa pur esso? e lo stesso inviato da Floro ovvero una copia? Dove è ora? Speriamo, che lo rintracci l’infaticabile ricercatore di tutte le cose novaliciensi, il chiar.®° Cipolla. — La corrispondenza di Floro ed Eldrado era pure nella parte perduta del Chronicon Novaliciense, 1. IV, capp. 4-6: cfr. l'indice in MG., Scriptores, t. VII, p. 407. (2) FieLp, p. Lxn. 662 GIOVANNI MERCATI più facili sono le corruzioni in frammenti staccati, che frammisti ad elementi eterogenei ci ha per molteplici rigiri portato il lan- guido corso di una tradizione indiretta. Ancora abbiamo fortu- natamente questi lunghi tratti dei singoli interpreti ben distinti tra loro in alcuni salmi, per i quali il Crisostomo ci forniva abbondanti lezioni senza sigle d’interpreti in quasi tutti i codici, oppure colle sigle (del resto facilmente alterabili) al margine, senza che risultasse chiaramente a quale delle varie lezioni si riferivano (1). Coi nuovi passi si tolgono questi dubbi nelle parti comuni, e s'impara a risolverli anche nelle parti non ‘comuni. E siamo lieti di poter assicurare fin d’ora, che la tradizione indiretta del Salterio esaplare è di gran lunga migliore, che non si credeva. Meravigliosa è l'esattezza del codice più abbon- dante di frammenti, ossia il 264 d’Holmes-Parsons, l’Ottobo- niano 398 del sec. X. Inoltre, assicurata omai la conservazione del testo fino al sec. XII almeno, a cui tutt'al più risale la seconda scrittura dell’Octoéchos, diventa probabile, che anche i più tardivi ma diligenti commentatori della S. Scrittura, come ad esempio Teofilatto ed Eutimio Zigabeno, siano testimonii di prima mano, almeno relativamente alla parte delle Esaple senza dubbio conservata ancora al loro tempo. Oramai s'impone la ricerca dell’attendibilità dei singoli te- stimonii delle lezioni esaplari, ricerca che necessariamente do- veva premettersi dagli editori delle Esaple, eppure non fu mai nemmeno cominciata sul serio. Forse che ci possono acquietare farraginose e confuse citazioni di manoscritti in minima parte e superficialmente spogliati, quando non se ne conosce non che le famiglie, nemmeno il contenuto ? in altri termini, quando signora, se gli scolii contenenti lezioni esaplari e quasi mai riprodotti nelle stampe siano o no estratti d’autori conosciuti, uniti ai quali contano per uno; e s’ignora, se questi stessi autori da ultimo si riducano direttamente all’ Esaple o solo mediante le citazioni d’Eusebio o d’Origene ? I punti oscuri non si potranno forse dilucidare tutti, nem- meno coll’aiuto dei nuovi frammenti e coll’inevitabile studio (1) Di questi codici, di cui abbiamo intrapresa una speciale ricerca, parleremo a suo tempo. UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 663 comparativo di tutte le famiglie delle catene superstiti; ma mol- tissimo senza dubbio si otterrà. E durante la ricerca, come sì presenteranno con sorpresa certi fatti finora non sospettati, — ad esempio, che certe lezioni attribuite alla quinta ed alla sesta edizione paiono dal nostro palimpsesto essere nient'altro, che lezioni di Teodozione occupanti in un TTevtacé\idov la 5* colonna o le varianti marginali (6* colonna) o interlineari dei LXX e di Teodozione —; così chi sa che non possano ritrovarsi, usando maggiore attenzione ai palimpsesti, novelle parti del codice per- duto o di altri consimili, che vedremo esistiti dopo il sec. X_? La speranza arride sempre, ma nel caso nostro non senza mo- tivo. Ancora al sec. XVI troviamo segnalati nella biblioteca di Costantino Varino a Costantinopoli i due codici certo non pa- limpsesti : SymmacHI HeBrari Interpretatio in Psalterium David. Eruspem Interpretatio in omnia volumina Veteris divinae | Scripturae (1). Forse il compilatore qui pigliava un grave abbaglio, ma forse anche leggeva e registrava giusto. Oh Dio lo volesse e ci ren- desse i preziosi manoscritti! II. Già prima che nel cod. O, 39, avevo trovato nel cod. Am- brosiano B, 106 superiore, dell’a. 966-967 (2), una testimonianza abbastanza sicura dell’esistenza di un Salterio esaplare colle 5 colonne almeno, come nel palimpsesto. La riferiamo qui, perchè prima di tutto è certo, che essa si riporta a codice esaplare formalmente detto antichissimo ùrepoarav àpyaiw, e però prezio- sissimo e diverso dal nostro; poi perchè vi si conserva il titolo perduto del Salterio esaplare, e perchè dimostra che parti proe- miali tuttora correnti hanno appartenuto ai prolegomeni delle Esaple; ed infine perchè attestano formalmente, quale larghissimo (1) Cod. Ambros. 0, 245, f. 6. M’è inaccessibile l'edizione dei cataloghi delle biblioteche constantinopolitane curata dal Fòrster. (2) V. A. Cerrani nella Palaeographical Society, t. I, plat. 52. 664 GIOVANNI MERCATI uso, per non dire plagio, siasi fatto da tutti dell’opera monumen- tale d’Origene. Le note sono d’una scrittura posteriore, fitta, compendio- sissima ed irregolare quanto mai, d’un dotto senza dubbio. È difficile determinarne più d’appresso l’età, ma oltre il sec. XII non può discendere. Una tavola pasquale, che si restringe tra gli spazii lasciati vuoti dalle note per rispettarle, e che è d'una scrittura manifestamente assai posteriore rispetto a quella d'esse, è dell'a. 1223-4 (f. 7). Il primo estratto è così introdotto: Eùpov èv BIBMw éxovti tà ‘EzamX& Qpirévoug eig toÙg YaXluoùg Tade Kato Méziv *’Eyù puèv dunv — ’Iwoiag Ovopa aùtd. È nel t. II, p.514-5 dell'edizione Maurina e nella Patrologia greca t. XII, col. 1056 B-1057. — Segue immediatamente (f. 7) il passo im- portantissimo intorno al dibyalua con simile introduzione, dove di più è per fortuna indicata la somma antichità del codice adoperato dall’anonimo: [po(getar) kai toÙTO ÈK TO btepdrav(1) àpy(aiov BI)BMIov ToÒ ‘Ezamiod imò ’LQpir(évovo Ne)Y6- uevov * TToMdkig Zntm(cag) — emomoeg= Opp. t. II, p. 515-6; P. Gr. t. XII, coll. 1057 C-1060 C. Qui, come poi, suppliamo le lettere tagliate col margine oppure rose colla pergamena. Al f. 7' succede uno scolio, più grossolanamente scritto, ma della stessa mano, sembra, divenuta più pesante e meno sicura, si direbbe d’un vecchio (2). ’Iotéov, ws (è)v ToîÎg èmò ’Qpi (1) Parola di lettura difficilissima. ùrep è nella nota tachigrafica del cod. Regio 1886, del sec. X, riprodotta dal Montfaucon e dal Lehmann, Die tachygraph. Abkirzungen d. griech. Handschriften, p. 88, e Taf.9, $ 48, n. 1. dy(av) a prima vista sembrerebbe un UuY o un a: ma a quella lettura si oppone la forma abituale del u, mentre l’a superiormente aperto ricorre altrove, ed a questa la brevità dell’asta orizzontale, che comincia esatta- mente sul prolungamento superiore della verticale (M = MM). La lettura quindi è certa, e mi si perdonerà, se per l’importanza somma della lezione e per la rarità dell’abbreviazione ho dovuto soffermarmi su di essa. Con ciò resta escluso per apx il supplemento etùmov (dapyetùtou), al quale aveva prima pensato, e diventa necessaria la lezione dpxaiov. — Nell’ edizione daremo una fotografia di questa pagina del codice. (2) Precede una croce, dal cui centro pende un cerchio, che viene ad essere attraversato per diametro dal piede d’essa. Probabilissimamente non è che una semplice croce, colla quale si trova cominciare molti atti: non e e pe CT a 1 à. UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 665 TÉvOUO (é)ktederuevors ‘EzZa(m)\oîg oùtwSg ebpo(u)ev kai éuddopev (é)myrerpapoar TV (BIBXOV) TUvV yaludv éBpai(otì) GeEMPp, Orep ÉoTì Rip\og * dvtì dè TOÒ waludòyv Èkelto Kai été parto d0eXXiu. oUTWw dÈ ÈTÉTAKTO Î) fpagùà TÙV Nerouévwy' (1) cepp —* BiBNog © BiBNog * BIBNOg * BIBX0g (2) adeMiu © woaluòv * yoaluòyv © yarXuod (3) © yaludv * TOUTEOTIV OTI oi EZEMINV(IO)AvTEG TÒò CÉpp* d0eMMu (4), mavteg oUtwS fMpunvevo(avto).....kov (5), BIBX0g waruwùv, kai oUTE TOÒ Aaveid oùTe TO Aavetò. L'anonimo parla proprio de visu, e riferendo il titolo pre- ciso dei salmi secondo tutti gli interpreti dice formalmente, che così si trovava ed era disposto nelle Esaple, e certo lo riferisce, quale appare doveva essere nel palimpsesto Ambrosiano. In quelle due linee si può avere una mostra della disposizione delle Esaple (6). È rilevante l’ultima osservazione, che nel titolo non era il nome di Davidde: la fa anche Origene in un frammento pub- blicato dal Pitra, /. c.: 6voua dè (Aaueid) èv tf èmirpagfì Toù Bi- BMiou où Keîta1 ÈvtadAa. AI f. 18' ricompare la stessa mano per dichiarare, che un passo intorno al èi&ya)pa dato nel testo sotto il nome d’Eusebio non è che un frammento dei prolegomeni di Origene all’Esaple (quale lo è diffatti: moMNdkig Znmimoao — étazav TÒ didyarpa, ripugnerebbe però, che fosse anche una sigla del nome d’Origene, benchè, a dir vero, nei manoscritti non ne abbia finora trovato un’eguale. (1) Questi punti sarebbero mai stati posti in vece delle lettere ebraiche non sapute trascrivere ? (2) 1 supplito sopra la linea. (3) Così secondo il compendio di scrittura: ma forse il segno dell’wv fu omesso per isbaglio dal copista. (4) Prrra, Analecta Sacra, t.II, p. 428, legge ceppà dereiu. (5) xov(x°) è certo: sembra preceda immediatamente un 1 e prima an- cora un u. La pergamena, già rinforzata con una striscia di pergamena incollatavi sopra, è lacera. La parola scomparsa, che sembra terminasse în uuxòv, doveva significare a un dipresso, propriamente, concordemente, 0 semplicemente. Non oso proporre una congettura, non parendomi correre yvwwikòv, vouikòv e simili. Ù (6) Più ampio esempio v.in Cerrani, “ Rendiconti dell'Istituto Lom- bardo ,, serie II, t. XXIX, pp. 406-8. 666 GIOVANNI MERCATI P. Gr. t. XII, col. 1057 C D), già dall’anonimo stesso copiato al f. 7. La nota risponde alla verità, ora da tutti riconosciuta fino al punto da accusare Eusebio di plagio (1), che Origene fu la gran miniera di quasi tutti i commentatori venuti dopo. L’anonimo, che aveva in mano non dei soli frammenti come noi, se ne potè accorgere meglio di noi. Ecco il passo: Tà évtadda, Us mapà Tod Eùcefiov Nerdueva, où Ttoò EùceRiov eioìv dii ’Lpirévouo, où Toîg currpaupaoiv émueréotata mpocéoyev EùoéBIOg TE Kai oi tpò EùceRiov kai per” Eùcépiov PoXbror Te Kai tepì TÙùg driag Pa@dg qudrtovor, kai fueîg edpovteg év TÙ ‘SEZaTtiù TO eig TOÙG Yaiuoùg metovnuéevw TÙò kai ’Adauavtiw NMeyouévw °Qpiréver pererpiyauev tg ‘Qprrévous Tod TO6° (2) oùTwWw Kai ZnTi- Gavtog Kai eitovtog Kai Ypadwavtog TOÙ ZyTnAévtog TV eUpeonv. Questo anonimo pur troppo termina i suoi estratti con quei pochi, che egli fornisce al salmo XXXX, senza indicare donde gli ha presi, in buona parte inediti, e che qui si dànno occasionalmente, affinchè si confermi ciò, di cui, tutto conside- rato, non ci pare esser dubbio; che cioè le note date sopra non sono una trascrizione di note apposte ad altro codice, ma estratti direttamente fatti dal dotto anonimo sopra un codice, antichissimo a suo dire, del Salterio esaplo. Del resto, se per improbabile questo anche non fosse, perirebbe una testimonianza or non più necessaria dell’esistenza del Salterio esaplare dopo il sec. X, ma tutto il rimanente conserva il suo sommo pregio intrinseco, che non fa d’uopo nè qui è tempo di rilevare d’av- vantaggio. f. 78 ’Qpirévoug eis TÒ ‘uakdipiog Ò GuviWww. Ò Guyviv èTTì mTIWwYXÒY Kai mévnta (3) TAvTWwO TÙùYV OXÎw1v TOÙ TTIWXOÒ Kai tévntog ijtor mV a(Ùtod ?) (4) teviav kai miwyeiav mepì tà Biw- TIKÀ. Î) Ti)V copiao kai Yyvwoewg kai dperfig kai Toò d\NBodg drago) évvowyv kai kata\auRavwyv ÈM(E0g?). uaxdpiotog ÉoTIv oÙX Ò mIWYÒg udvov TV Kovmyv TTWXEIAV (5) Èv TI TOMMd Ypagf] kai TO Cert edayteriw, kai dAlàd kai 6 è aù(tòv) Cuviv Kai dià (1) Prrra, Anal. S., III, 365 sgg. (2) Così ci pare vada letto. La scrittura però non è del tutto chiara. (3) Psalm., XL, 2. (4) Supplemento incertissimo: pare segua un f, onde si potrebbe pen- sare ad dppwotiav. i (5) Cfr. Patrol. Graec., XII, 1412, D, dove c'è appena qualche parola. —_ cm UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 667 TÒ Cuvieîv éiewy aùtòv kai katà duvauw Wpe\bv. tig è’ dv ein uGiov uaxdpios î 6 miWy(d0) di... T... 0... w... Kai ar(?)... va... OUO... TÀ EG (TTW)XOÙS Koi m(évnTAG) nivé(ueva) (1). 9 pirévovo (2) ‘“ év Nuépa movnpà , Tron wo ma Muépa oUon TOVNPA din TÀ TOÙ EVECTÒTOG aidvos n tà (3) Ts xpioews. EOTÌ Tàp aùtn OKOTOG (4) kai où gwg kata TÒv TPOPNTNV. kai è ’Atò- « oToNdg gno: “Ti ai nuépar tovnpai eio1”* kai év Ti) tpòg Ta- fg ————— ————r_r"ro—— eo . li È saint mitica di rt e’ "Ln SO I \dTag (5)° * OTWwO éEenTal nudg ÈKk TOÙ EVECTÙTOS aiùvoc Tovnpoù É kai law uikpoi Kai TOVNpPai ai nuépor Hou tì Tg YO. (6). Eis*tò ‘kai uarxapicar aùtòv Èv Ti) 1° gnoiv ’LQprrévng: Tò éTI OvTO Èv Ti) Capkì uaxapiZesdan tapdadozov xo uéfra, Otep Cvu- Baiver Toîs SUVIODOLV ÈTTÀ TTTWYXÒV Kai TEVNTA. Eis TÒ “EoTpepe Èv Ti appwotig aùtod ” Wo TAvTWwOo Èv (Ti?) dppwoTIA TOTÈ YEVOPEVOU TOÙ vùv uaxapiZopévou, TadTar \éfetar * mtavTw6g (7) Tàp Èv Kkaxia moté eiouv. Lo scolio a f° 99’, sul salm. LVII, 8, pure attribuito ad Origene nè ricorrente a detto luogo nell'edizione, ci sembra di mano affatto diversa. Per ogni riguardo lo diamo anch’ esso, come brevissimo : Lpirévovo. Ttò Beîov Yàp TÙP DITTIÙ]V éxov Tv duvapiv pu- TLOTIKTV TE Kai KAUOTIKTV, wo nov uèv KATÀ TÒ QUWTIOTIKÒV OÙK Ervwpioay, òg TÙPp dÉ KaTÀ TÒ KauoTIKOY. IV. I nuovi frammenti esaplari necessariamente ci riportarono ai commenti patristici del Salterio contenenti lezioni esaplari, e specialmente a quelli usciti alla luce dopo l'edizione ultima del Field. Accenno ai Commentarioli di s. Girolamo editi non ha guari dal chiarissimo d. Morin (8) ed al commentario contenuto (1) Essendo stato tagliato il margine, molte lettere sono scomparse. (2) fjtor wo ud — movnpoò anche il Mione, ib. colle varianti seguenti. (3) om. M. (4) toîg duaptw\oîg aggiunge M. (5) (&v — Fa.) mah M. Cfr. Amos, V, 18, 20: Ephes., V, 16: Gal., I, 4. (6) Genes., XLVII, 9, con parecchie omissioni notate altrove da Holmes, meno l’aggiunta èrì tig yÎg, che ivi non è attestata da alcuno. (7) Così nel codice: corr. màvtes? (8) Anecdota Maredsolana, INI, 1 (1895). Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 46 668 GIOVANNI MERCATI nel celebre codice Irlandese C, 301 inf. dell’Ambrosiana edito dall’Ascoli colla cura e competenza d’un maestro consummato (1). Se il confronto dei due commenti, che per essere corsi en- trambi sotto il nome di Girolamo doveva premettersi ad una franca attribuzione dei Commentarioli al Santo, esclude qualunque communione e competizione tra di loro; l’esame interno del lungo commentario ambrosiano mostra affatto erroneo il titolo Hyeronimi presbiteri expositio super Psalterium etc. prefisso sola- mente nel sec. XV da'colui, che numerò il codice e ne in- dicò il contenuto (2), e manifestamente ne svela il vero autore. In una parola: il commentario di Teodoro Mopsuesteno ai Salmi, di cui finora erano noti soltanto pochi frammenti greci (3) e siriaci, ci sta dinanzi per buona parte in un’eccellente versione latina del sec. V. Che il commentario edito dall’Ascoli non fosse punto una catena od una compilazione volgare, ma bensì l’opera originale di un autore unico e singolarissimo, di sentimenti assai liberi, anzi eterodossi, acuto ed accuratissimo nella esposizione storica e letterale del testo, aborrente non solo dall’allegorismo degli Alessandrini, ma anche da parecchie interpretazioni communi nella Chiesa, bastava a mostrarlo una semplice lettura. — Che poi questo commentatore sia Teodoro di Mospuestia, evidente- mente lo mostrano (pur tacendo dei frequenti raffronti fra i testi biblici, siro, ebraico e greco, che non tutti ricorrono nella grande miniera dei Latini, Girolamo) la dottrina ivi aperta- mente professata a) sulla persona del Cristo, 5) sulla messianità di soli pochi salmi [4], c) sui salmi Maccabaici (4) ed altrettali (1) “ Archivio Glottolog. ital. ,, t. V, pp. xvi, 649, ed anche a parte, Torino, 1878-1889. (2) Uguale al n. 89 del Catalogo dell’a. 1461 in Perron, M. 7. Cicer. Oration. (1824), pp. 26, 188-90: RerrrerscHEm, Biblioth. Lat. PP. Ital., II, 43. (3) L’errore dell’Allacci, che in un codice vaticano esistesse l’intero com- mentario greco di Teodoro, fu già corretto dal Mar, Script. Vett. Nova Collect., t.I (1* ediz.), p. xx. Nè certo esistevano se non dei frammenti all’Escuriale, come appare dall’eccellente catalogo del Colvill, invano cer- cato dal Graux, e finalmente ritrovato dal Ceriani. Ne parleremo altra volta. (4) Cfr. BarrHacen, Siebenzehn Makkabiische Psalmen, in “ Zeitschr. f. Alttest. Wiss. ,, t. VI, 261-88; VII, 1-60. I salmi sono il 43, 46, 54-59, 61, 68, 73, 78, 79, 82, 107, 108. Solo il 144 nel compendio latino, p. 599, par- ssi be UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 669 opinioni notorie di Teodoro sopra i sensi dei salmi, ma più che tutto d) il riscontrarvisi alla lettera gli stessissimi passi di lui condannati nel Costituto di Vigilio ce. 20, 23, 24, 25, e nel V Concilio ecumenico, ed altri frammenti sparsi nelle più dispa- rate catene greche usate dal Barbaro (1), dal Corderio e dal Mai, ed il fondo degli estratti siriaci pubblicati dal Bathgen (2). Diamone qualche esempio tolto anzitutto dal Costituto e dal Concilio V ecumenico, di cui citiamo la versione antica latina, "e ee perchè il confronto sia più istruttivo, e premettiamo il passo greco salvatoci da Leonzio di Bizanzio (3): rebbe riferito al ritorno dalla cattività di Babilonia, anzichè alla vittoria dei Maccabei. Sulle dottrine di Teodoro e sopra il suo sistema d’interpre- tare la Scrittura Sacra, cfr. Kiran, Theodor von Mops. u. Junilius Africanus, pp. 61-197, e Swere, Theodori ep. Mopsuest. in Epistolas b. Pauli Commen- tarii, t.I, Introduction, p. LXV-LXXI, LXXVI-LXXXVII. (1) Non mai adoperato per Teodoro di M. (2) Der Psalmencommentar d. Theodor von Mopsuestia in Syrischer Bear- beitung in “ Zeitschr. f. alttestam. Wissensch. ,, V (1895), 53-101. Questo commentario, benchè porti il nome di Teodoro, contiene solo parti di lui frammiste a molti elementi eterogenei, come bene dimostra il Bathgen p. 56-60. (3) Contra Nestor. et Eutych., 1. III, in GaLranpi, XII, 696 (omesso in Mar, Spicil. Rom., X, 2, 87, e Patrol. Graec., LKXXVI, 1, 1385). Il testo greco fu dato dal Mai (traendolo dall'opera citata di Leonzio) in Script. Vett. Nova Coll., VI, 311-2, donde passò affatto fuori di posto in Micmg, LXVI, 1004 C. GIOVANNI MERCATI 670 ‘090 0810 gse mun7seJIu -B{ ‘Qe01Iguoo osso e}orp ‘IS SUSUAI]SO stogeueq squez mb ‘nsef aurwoy ep [eruowso] eiguonbas oseA sn[o9s -ody ‘1ngoquad eigeds Ipoeo assipuaos - 813. ‘extog IuWIO eqodui ‘equeogius BUI SNIMO ‘INZIPUA]SO 1090V] OLINVAIO snigoz euejd snqmb ur ‘9e1suowap 219jeduoo Iqis ‘siquasegid guns eqorp muesd erdiourid 1equr eenb ‘orfosuena Ul SNULWIO(] WIEN “INFBOIPUI 19YLTUXIS oquewegso; anbonb oAou mero eenb ‘Inpipuagso siquosagid ruesd 0001799] ugurwo] wnydeosns 70 unquoy wna(g BIQUOTOIP SIpugIs, IQZUI INYISI ‘79 *d ‘TI09Sy ‘030 WngsoJiugui UoT Opowa ont) ‘(14 "0 ‘008-u1) apuerdiooe nsar Ur “qmuaiowr (‘4 Wanio”) vinIoYeuAq tanzue9 Imb ‘(4 Imnqunorp) guns eur -0j4 ep eenb (‘4 ègorpeidns) epunoes Wwuajne 0[ogsody ‘1199 IUUIO UL 1IB9Y “Lu 90 werqueoyiusem sofogo 10dns Q10qUu WUEjeA.[® 90 agINIRAlI asso qrotp ume we1079g; suqmb ur ‘tuesd eipiowinid equerdiooe es ur wopinb outmo] ‘(4 Ingunitedo1) InzuniueATI OFUOWIE]SOY OAOU UI 90VY] OI9A ESIA ‘Ip :snuesd gIpuojso sIqou (‘4 tUn9 -UB3) WEZUEY SIUTUTOY 1)d0001 90 IQI0 A te wepmb werguesogip 0SI9 09p] ‘(q 92 ‘64 tuodxo Ingepia suu -TEST SNARZIO Iqu) tWwTesd 1AB)90 9UO1) -ega1d10ur xo (LIOpoog],) wopsut ‘dl TIG ‘1 9L ‘XI ISNYI ‘@UOIZ8] 0]e3 oworjSdoa aYo ‘0!2nds 1909 28S1puais8n4] @ S0]909 dadns TUOISIOA 9] “IO gAMandao daun = mano daua (1) ‘91% AovUeodu no Smu ‘Solronognoy ‘aool;, go1 ‘So1139m13p 201034d3n3 Suinv0O1 Sul noL noumdg “Ap Qo0l 1031 003I103Q WI NOVOLOOLY, 32 gol ‘UA Ul Dop A3 1090MI0vHNvE -31 10% AMBIIAULOVOJIN AUL (1) mAV -daua A19X3 AUA>rdÙLI MX SMIoILA SUL 10119 AQ1LN0 31 AULUIOL 010 AI ‘gorivior go1 ndalodu 1 SoLAonpgnov nA01n03 DI norday A3N qoLr “10130 -1003 Unlgrio Uan UL A? vIQDI 3Q onanudliy Soriyorh 9 A10nA»;3Q AMU AULn000L noumdgAR Solnagolyoao QoL 10% n0k0y 0036 31 qQol aNdod -012 AQn AUL ANAI01 OLR01 IV ‘gorivor U gol Swiaaurida SUI x3, ‘O FOOT ‘TAXT ‘UNDIN Acr_—— —_ o o _ >oCcCcCAW oa go = __ -— GC a Ve 3 SP — US TT en _ e vr UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 671 Sospendo le citazioni, perchè i due passi se ne vanno così di conserva sino alla fine (1). Mansi, IX, 78 D, 213 A. AscoLI, 347. Eiusdem (Theod.) de interpre- sicut in diebus letitiae cibus et tatione sexagesimi octavi psalmi potus de tempore quodammodo (tit. om. Vig.). trachunt saporem, sie ad omnem Quoniam cibi et potus suaves amaritudinem convertitur quic- quidem fiunt in tempore gaudii, quid animus tristis acciperit. insuavia autem et amara in tri- stitia etc. Qui vien meno il commentario epitomato (come bene avvertì l'Ascoli) (2) del codice Irlandese, che poi riporta una chiusa troppo concisamente riferita, ma prettamente mopsuestina e dello stesso tono, che il passo condannato nel Concilio V: probatur ergo magis similibus aptata esse negotiis quam propria singulorum le parole Dederunt in escam meam fel ete. del salmo LXVIII, 21, applicate dall’evangelista a Cristo. Cfr. il passo intero in Mansi 78 E, 213 B: et certe diversis constitutis rebus, non quasi psalmo modo quidem pro his dicto, iterum autem de illo, et iterum de alio, etc. Or diasi un altro esempio molto istruttivo dalla parte di commentario non provvista di chiose irlandesi nel codice Am- brosiano, e però pretermessa dall’Ascoli come non attenentesi al suo scopo (f. 4-13). Anch’essa è di Teodoro, e non so se sia un supplemento o un previo estratto, e fortunatamente eziandio ricorre dove più piena e dove no e molto più corretta nel codice Bobbiese dell’Università di Torino F. IV, 1, n. 5-6 (8). In essa (1) È inesatta adunque l’asserzione di Kihn, p. 54 nota 3, e Bathgen, p. 77, che questi passi siano non già del Commentario ai Salmi, come indica il titolo, ma da quello sui Profeti minori. (2) P. XI, nota 1. L'intero commentario, secondo il catalogo delle opere di Teodoro datoci da Esepyesu, sarebbe stato compreso in 5 volumi; cfr. Kiax, ib. (3) Cfr. Perrox, op. c., pp. 191-2: ReirrerscHEm, Biblioth. Patrum Ital., II, 122-3: OrrIno, I Codici Bobb. nella Bibliot. Naz. di Torino, p. 23. La doppia serie dell'’Ambrosiano è sufficientemente segnalata dall’indice citato 672 GIOVANNI MERCATI sono conservate parecchie cose compromettenti, sostituite con altre innocue e non genuine nel corpo del Commentario edito, come ad es. nel Sal. 21, dove nell’ed. p. 154-8 ricorrono spie- gazioni contrarie a quelle di Teodoro e frammiste ad altre ge- nuine e talvolta communi tanto all’edito che all’inedito. Mansi, IX, 78 A, 212 C-D. Eiusdem in psalmo vigesimo primo (de memorato vigesimo primo psal - mo Vig.). ‘ Foderunt manus measet pedes”: et omnia perscrutabantur et quae agebam et quae conabar. Nam foderunt ex translatione dixit (di- cit V.) eorum, qui per effossionem (fossionem V.) scrutari quae in profundo sunt tentant. ‘Dinumeraverunt omnia ossa mea”: totius meae fortitudinis et totius meae substantiae detentores facti sunt..... Et evangelista quidem in Domino verba ex rebus assumens eis usus est(om. Conc.), sicut (ut sic Conc.) et in aliis diximus. Nam quod non pertineat ad Dominum psalmus, in superioribus evidenter ostendimus. Cod. Ambros. f. 5 c: Torin. f. 8 db. ‘ Foderunt manus meas ’ re- liqua. Omnia scrutati sunt opera mea, et quibus rebus confiderem vel inniterer, sollicite quaesierunt (= Ascoli 159, 2-4). Foderunt au- tem (ergo foderunt aut. A) dixit a similitudine eorum, qui fodiendo ea, quae sunt in abdito vel de- praesso (dipraehenso A) terrae loco, conantur eruere. AscoLi, p. 159. ‘ Denumeraverunt omnia’ usque ‘mea’. Pro divitiis, quae firmitates sunt possedenti, ossa possuit, qui- bus corpus solidatum est..... Euangelista autem in Deo pro rerum similitudine hoc testimonio usus est, sicut et in aliis (idest psalmis chiosa) ostendimus. E di fatto nel commento inedito al v. 2, per 24 linee intere vi si combatte l’opinione che il salmo sia messianico. Ometto di indicare i riscontri coi frammenti greci solo in del sec. XV: Expositio... non tamen a primo psalmo prius, sed quosdam alios indirecte prius exponere videtur; deinde ad psalmorum ordinem idest a primo incipiens et demum subsequenter procedens usque ad finem psalterii. UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 673 parte raccolti nella Patrologia Greca, e per i salmi Maccabaici più compitamente dal Bithgen : essi sono numerosi, e ognuno può persuadersene di per sè con un facile confronto. Amo piuttosto di recare un chiaro esempio dal nostro codice Ambro- siano H, 257 inf., del sec. XIII, contenente a principio un trat- tatello mutilo sul destino, dove di Teodoro Eracleota (così per facile e forse volontario scambio) è citata l’esposizione del salmo XXXVIII, 6. Cod. H, 257 inf., f. 4. Oeodwpouv ‘HpakXewrou eig TÒ iIdOÙ TaXoa1otàg é00u TÀàg Nuépag uou. Toùto érer oÙx We TAVTWS TOÙ Oeod uetpoùvtog TÒv Xpovov Tg Zwifg ÉxdoTov, Us TIVEG kakùg Uro\auBavouoi, GAN we EIDOTOG Ti) TPOYVWOEI ÒV ÉKAOTOG ZMoerar. dep, PNnoiv, citò pa- deîv: étioTaNal YÀP, GTI 0ÙK Eig GiIdIOV ue Zwimv KaTeoKevacag , GN WOTEP uéTpors TIOÌÙV UTE- Baréc uouv tTÒv fiov. ei Tàp Kai ÉEKGOTW TÙV GvOpwrmwv oÙk Èpé- Tpnoe TiV Zunv, dAN° oùv Ye Kovwùo kai xadoMikùòg EueTpnoe Toîg dvApwrtoIg, oiov Eiteîv OÙK émiTpemwy dvapwrw ùrtepRaiverv éTn pv’, ws Èv Ti) Yeved Kka@° fv TaUTta Aauìd épeérreto, kàv TÒv uèv érrì mieîoy TÒV dè è ÈNaTTOV Tv cvupaivn. xté. Cod. Ambros. f. 12 d: Torin. 14 a. Hoc dicit non quo omni modo Deus tempora vivendi singulis sit dimensus, sed quia virtute prae- scientiae suae novit quantum sit hominum quisque victurus. ...Scire desidero, inquit, quantum mihi tem- poris deest: siquidem novi quo- niam non me inmortalem feceris, sed vitam meam quasi quibusdam mensuris incluseris..... Nam etsi (et A) singulis viventibus non sit velut (uelud A) ad mensuram prae- finitum vitae spatium, tamen in commune omnibus certum est vi- vendi tempus impositum ; ut puta quantum ad illam generationem pertinebat, in qua haec beatus David loquebatur, non permisit ulli c (1) annos vivendo transcen- dere, etiamsi eveniret ut alius ab alio plus minusve viveret. etc. Non può adunque restare dubbio, che il Commentario ascritto falsamente a Girolamo e sospettato essere di Colombano (2), ap- partenga realmente a Teodoro di Mopsuestia. Benchè composto (1) Centum B: forse cl? (2) VaLcarsi, HereLe (Kirchenlex., III, 2% ed., 682), Zeuss e Nicra. L'argomento dell’ultimo, tratto dal Catalogo di Bobbio del sec. X (“ Revue celtique ,, I, 59-61) non prova punto, essendo incerto se il codice di Torino 674 GIOVANNI MERCATI in età giovanile e però anche più intaccato dai difetti e dalle audacie, onde Teodoro stesso ebbe a dolersi (1), pure è note- volissimo sempre per i solidi pregi esegetici, ond’è adorno, e per l’aiuto che presta nella critica delle lezioni esaplari, di cui pa- recchie solo da lui ci sono conservate. Il Commentario latino non è completo; mentre nella prima cinquantina dei Salmi è piuttosto abbondante, indi in poi gli estratti sono assai più compendiosi e talvolta divengono sem- plici scolii. Questo è chiaramente dimostrato dal contesto, ed inoltre dal confronto con taluni dei frammenti greci meglio con- servati e coi passi sopra il salmo 44 riportati da Facondo d’Ér- miana. Ciò non ostante, se ne può dire conservata assai bene l’in- tera trama colle vere parole di Teodoro; ed inoltre in non pochi salmi, combinando insieme i 2 ordini d’estratti dati dall’Am- brosiano e il terzo del codice Torinese, il testo si può ristabilire per intero. Questa triplice serie deriva direttamente da un co- dice unico integro. Una ricerca accurata delle biblioteche ne potrà forse fruttare il sussidio di qualche altro manoscritto, che ve- ramente occorrerebbe a sanare le piaghe e a colmare le lacune dell’Ambrosiano. Ora una parola sulla versione latina. Quando e da chi sia stata eseguita, non è facile divinare. Se si confronta colla ver- sione latina antica degli atti del Concilio V ecumenico fatta, sembra, in quel tempo e già usata da Pelagio II (2), e che con- e l’Ambrosiano siano indicati ai nn. 216-7 anzichè ai nn. 57, 283-8, ecc. del catalogo in G. Becker, Catalogi biblioth. antiqui, p. 67 sgg. — La somiglianza di stile notata dal Vallarsi tra il Commentario e le opere di S. Colombano, è da mettere a paio con quella notata dal Peyron tra esso e i due fogli del commentario originario latino su S. Marco, pubblicato dal Nicra, Glossae hibern. vett., pp. 2-16 e xxv, che gratuitamente si attribuisce a Girolamo. La somiglianza del testo biblico, se mai esiste, proverebbe solo un adatta- mento naturale, ed inconscio forse, al testo, che lo scriba irlandese sapeva a memoria, parendomi inverisimile, che la versione di Teodoro sia stata fatta in Irlanda nei sec. V-VI. (1) Appresso Facondo d’Ermiana, Pro defens. III Capitt., 1.3, c. 6, e 1. 10, c. 5, Patrol. Lat., LXVII, 602, 786. (2) In Mansi, IX, 433 sgg. cfr. Baruze, ib., 164 A-B. Altra versione è quella dei passi citati da Innocenzo di Maronia nell’opuscolo De his qui unum ex Trinitate ecc., tradotto nella Nova Collectio attribuita a Dionigi ” UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 675 corda con quella del Costituto di Vigilio, non v’ha dubbio, che la nostra è meno servile e d’una latinità di gran lunga migliore, tanto che forse per essa non si subodorò, che avevasi per mano una versione anzichè un originale latino. Onde credo non si vada lungi dal vero congetturando, che essa piuttosto che al tempo della lotta dei Tre Capitoli, a cui si assegna la versione del commento delle lettere di s. Paolo pubblicato dallo Swete (1), risalga al sec. V e debbasi a qualcuno di quei Pelagiani, che per affinità vera o presunta di dottrine si diedero a tradurre in latino opere di scrittori greci della scuola Antiochena spe- cialmente: come Aniano, che tradusse con assai eleganza l’ Elo- gium Pauli di s. Giovanni Grisostomo. Ma non è bene antici- pare conclusioni, che possono essere modificate. A quanto finora si sapeva (2), in certe parti almeno dell’Occidente gli scritti di Teodoro prima della lotta dei Tre Capitoli erano poco o punto conosciuti. Altra ricerca da fare è, come quel commentario sia trasmi- grato in Irlanda ed ivi sia stato replicatamente trascritto, non ostanti le eresie che esso conteneva(3), ed inoltre se e quali traccie ne siano rimase appresso ai commentatori e compilatori latini di catene. L’Ascoli, che colle sue vastissime cognizioni linguistiche ha dilucidate le difficoltà delle chiose irlandesi, terminava il suo lavoro dicendo: ‘ Avrei ancora voluto ristudiare le chiose am- brosiane alla luce delle antiche fonti di esegesi biblica, le quali concorsero di certo alla loro formazione, persuaso come io era che da tal confronto dovesse riuscire agevolata di non poco, o il Piccolo: Spicilegium Casinense, I, 148-156: qui però non v'è nulla del Commento ai Salmi. Del resto tutti questi passi latini non suppongono già una seconda versione latina preesistente, ma furono estratti e tradotti direttamente dal testo greco. Cfr. HereELE, Conciliengesch., II, 2* ed., 855 sgg., 870 sgg., 882. (1) I, pp. vi-Lvu. (2) Cfr. Swere, l. c. (3) Anche per il commentario di Teodoro s’avvera ciò, che in altro senso esagerando asseriva il Traube delle parole greche nei latini scrittori : ‘ Wo Graeca in lateinischen Schriftstellern sich erhalten haben, dies auf irischen Einfluss zuriickzufiihren ist’: O Roma nobilis, c. VII, $ 3, in ‘ Abhandl. d. philos.-philol. Classe d. k. Bayer. Akad. d. Wissensch.', t. XIX, p. 365. 676 G. MERCATI — UN PALIMPSESTO AMBROSIANO ECC. rassodata, la interpretazione di un certo numero di esse chiose. Ma questo studio non mi ha la sorte conceduto di farlo, e altri forse lo tenterà’ (p. 613). Io certo non ho la temerità di raccogliere il suggerimento nel senso indicato: ma mi sarà per- donato, se costretto a studiare per se stesso il Commentario in tutte le sue reliquie greche, latine e siriache, oserò ripigliarlo per ciò che riguarda la Bibbia e la storia letteraria cristiana e dei dogmi. Anzi tutto sarà necessario prepararne per la com- mune un testo meno difficile a leggersi e ad intendersi, che non uno diplomaticamente riprodotto con tutti gli spostamenti ed errori del codice, come si dovette per necessità fare nell’edizione principe. ‘Quanto al testo latino, il proposito di ottenere una lezione comunque castigata avrebbe importata una rimutazione continua dî quello che il codice offriva’: così giustamente l'Ascoli p. x: e il codice di Torino mi ha fatto toccare con mano le gravi corruzioni dell’Ambrosiano. La futura edizione arrecherà inoltre le 1400 linee inedite dei codici Ambrosiano e Torinese, che dànno una chiara dimo- strazione della maniera, con cui fu compendiato il testo: ed in- sieme presenterà riuniti di fronte ai passi latini i passi siriaci e greci editi ed anche inediti già riconosciuti. d S. RICCI — DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 677 Di una stele con iscrizione trilinque rinvenuta a File in Egitto; Nota del Dott. SERAFINO RICCI. - Il ch. prof. Ernesto Schiaparelli ebbe privata informazione che il capitano Lyons, incaricato dal Governo Egiziano di una ricognizione archeologica nell’isola di File, aveva rinvenuta una stele di sienite, divisa in due lastre, che serviva di pavimento ad un altare del tempio di Augusto in File, dalla parte di Nord- Est, e che recava scolpita un'iscrizione trilingue (geroglifica, greca, latina) di non comune importanza storica ed appartenente all’età romana. Mandò il Lyons una riproduzione fotografica della stele e una copia fatta a mano dell'iscrizione latina (1). Data la piccolezza dei caratteri delle altre due iscrizioni ed il cattivo stato di con- servazione della stele, la fotografia non riuscì tale da permet- tere la decifrazione delle iscrizioni geroglifica e greca, e, d’altra parte, della stele medesima sarà fatta pubblicazione completa; cosicchè io mi limito per ora, col gentile consenso del predetto prof. Schiaparelli, cui ringrazio pubblicamente, a dare breve no- tizia della parte latina. L’iscrizione manca di una sezione centrale, segata via dalla grande stele, che riuscì così divisa, come ho accennato, in due parti, quasi eguali fra loro e nel senso verticale. Ecco il testo dell’iscrizione, quale risulta dall’accurato esame della riprodu- zione fotografica: (1) La copia fu fatta su luogo l’11 febbraio scorso, la notizia fu data con lettera del 25 febbraio da File. Un breve cenno sul rinvenimento fu inserito nell’Akademy del 7 marzo scorso (n. 1244, p. 206) e da me nella Rassegna Nazionale di Firenze dell’aprile scorso (1896, p. 829-830). — Per altre iscrizioni in latino rinvenute recentemente ad Assuan, e pubblicate dal prof. Sayce, vedi Proceed. of the Soc. of bibl. Archaeology, XVIII (1896), n. 3, p. 107-109. SERAFINO RICCI 678 ‘oquauta]ddns 10 2 0puo] 2.427 ADI UL 274nd D) ‘a1Qqup 2.407)9] 2] 0JUISINTADI 0018109 0739)00SNIDW UL apUnA 0] ‘07499 07897 12 2 0LLOUIPAO 0739]008SNIWW UL 2ZANA DT — “EN -C-( [70U04] SOYENHS LU/ILVA TICO LALILSNOO VIA OIHIITVSHNYU OZOEp9 20b9e INNVUALO LATO HUNVIHLALNITO NY MOO0ITSITICAVSVIIHAAVNAdOIHLHVS/99 e0bsgeogTVIOVIASINICINYO AINADHUNA INNWOINANNOITIIVI HI VIVIOUd LD] PAS0ITI LTA AND HVSATIQUUTAD ANONYNOY OTATOT HAD INNAODO THIAONIOZIAP wesumu U7zIVHUVILIVOLTINVI LTAALIOUUXUSIL JUILNINANO [LO HI TO NA UVISAZIZOAG-A 479%////1/1///]/[O HNSOTTOASOTITASHOINVAHOILATOOSO TIOLTOLVNDATKXIWAITYA-A-YOLOIA-HIO® FPABIOdIS WA LSOHSATIADAXSHIOVILNISICIVATHI NOI LO HINHOSANIUAILA AD HVIUUVIUONYFSXV SOLO UAHVYASOLOIAHO-JH-IAITTOHIVSHVOV STO HYLSOASANVNOYUSHbo SATTVOSAITINYUOIO9-:9 Tn n Se | DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 679 Risulta dunque che l’epigrafe fu scolpita in onore di C. (1) Cornelio Gallo (2), primo governatore generale dell’Egitto (3), in memoria delle gesta militari e politiche da lui compiute durante la sua prefettura sotto Augusto. L’epigrafe fu composta certo non prima del 29 a. C., quando fu ridotto l'Egitto a provincia romana (4), e certo non dopo del 27: a. C., non avendo qui Cesare Ottaviano il titolo di Au- gusto. (1) Il prenome C(aius) finora dubbio (v. Becker-GòLL: Gallus, ediz. del 1882, I, p. 19, not. 1), viene ora per la prima volta accertato dalla nostra epigrafe, che è la prima conosciuta intorno a Cornelio Gallo. (2) Cornelio Gallo è di grado equestre (eques romanus), come era pre- scritto pel praefectus Aegypti, che non poteva essere senatore, nè di Roma, nè di Egitto (Tacir., Ann. III, 60; Histor. I, 11; Dione Cassro, LIII, 13; Arrran., Anab. III, 5, 10). (3) Il titolo della carica di praefectus Alexandriae et Aegypti non è costante sulle epigrafi e negli scrittori latini, trovandosi anche soltanto quello di praefectus Aegypti, e in tempi seriori, com’è noto, di praefectus Augusti od Augustalis Aegypti. Come ufficiale della domus augusta, di cui l'Egitto, pur essendo provincia dei Romani, ritenevasi una specie di res privata come la Gallia e la Siria, Gallo era un procurator, un Eritportog "AXezavdpeiac kai Tic XUpac, come scrivon gli autori greci (vedi C. I. G., III, p. 309; cfr. MarquarpT, Staatsverfassung, trad. francese, IX vol., p. 406, not. 1). Era stata necessaria una legge imperiale, perchè egli avesse quei poteri, che, come cavaliere, non avrebbe potuto avere (cfr. Momwmsen, Rim. Gesch., V, 554; De Rveerero, Le provincie, p. b44). Sulla nomina di Gallo dopo le calende del sestile nel 30 av. Cr., v. S. Gerolamo nel Chronicon d’ Eusebio, ediz. Schoene, Berlino, 1866, p. 141 (Syne. 569); cfr. Res Gestae, ediz. 2° (1883), p. 10; cfr. pp. 106-107. (4) Vedi Drone Cassro, LI, 4; cfr. 17, 19; Sveron., Aug., c. 66; Zonara, X, 31; Res Gestae, ediz. 2*, V, 24, p. 109 (Aegyptum imperio populi romani adiecit); cfr. le monete d'Augusto, dal 29 av. Cr. in poi, con la leggenda Aegypto capta (ved. Conn, I°, pp. 62-63, nn. 1-3). — Sulla costituzione spe- ciale dell'Egitto sotto i Romani, cfr. MarquaRDI, Staatsverwaltung, 1°, p. 438 e segg.; cfr. trad. francese, op. cit., cap. XI, p. 399 e segg.; Mommsen, Rim. Gesch., V*, p. 553 e segg. = trad. franc., l. c., pp. 158-250; Staatsrecht, III, I, pp. 751-754 = trad. frane., vol. VI, p. 891 e segg. — Cfr. Kunx, Verfassung des ròm. Reichs, II, p. 80 e segg., 454 e segg.; Momwmsen-De Rue- GIERO, Op. cit. nella trad. ital., p. 555 e segg. — Wira. Wircxken, Observa- tiones ad historiam Aegypti prov. rom. depromptae e papyris graecis beroli- nensibus ineditis. Berlin, Haack, 1885, in-8°; A. Stmarra, Essai sur la province romaine d’Egypte. Paris, Thorin, 1892. 680 SERAFINO RICCI L’epigrafe anzi deve essere stata composta probabilmente sul principio del 27 a. C., cioè sul finire del reggimento di Gallo, che terminò appunto nel 27 av. C. (1). Dione Cassio, p. es. (LIII, 23), stabilisce un confronto fra Agrippa e Gallo, mentre questi era prefetto d’Egitto ed Agrippa all’apogeo della gloria e collega di consolato con Ottaviano, e ci rappresenta Agrippa il braccio destro dell’imperatore, il donus militia e victoriae socius d’Au- gusto, come dice Tacito (Ann., I, 3), Gallo invece superbo e smodato nella lingua, fors’anco per abuso del vino, come sap- piamo da varia fonte (Drone Cassro, LIMI, 23; Ovipio, Tristium, II, 445), il quale, od ingratum et malevolum animum, come ag- giunge Svetonio (A4ug., 66), incorse nell’ira dell’imperatore. Ora, siccome si sa che Agrippa fu inalzato geminatis consulatibus (Tac., 1. c.) negli anni 28 e 27 av. C., per lo meno alla fine del 28, o in principio del 27, dobbiamo riferire il confronto di Dione, cioè al periodo medesimo o immediatamente precedente a quello della composizione dell’epigrafe nostra onoraria. Le gesta militari e politiche di Cornelio Gallo furono, come risulta dall’epigrafe, la repressione in quindici giorni della ri- bellione della Tebaide con l’espugnazione di cinque città. Di queste sono note Coptos e Diospolis (verosimilmente Magna piut- tosto che Parva, quantunque non sia espresso quale delle due). — Di Ceramices vi sarebbe indizio in un nome egizio di un papiro greco-egiziano, la cui trascrizione greca darebbe il nome Kepdpera come un quartiere di Tebe d’Egitto (2). Nell’epigrafe ne è data la traduzione latina con la forma Ceramice, es. Le iniziali delle altre due città non offrono identificazione con nomi noti di quella regione. Per una ho supplito Bore|os] secondo la forma Diospoleos, vista l’esiguità della lacuna; ma non vi faccio assegnamento, come nulla concludo per l'iniziale Meg, poichè, esclusa l’ipotesi dell'errore per M[a]gr[ae], riferibile a Diospoleos (chè in tal caso mancherebbe il nome della quinta città), non trovo altro luogo (1) Momxsen, Res Gestae, ediz. 2*, pp. 106-107. (2) Hernr. Brueasca, Die Geographie des alten Aegyptus nach den altà- gyptischen Denkmiiler. Leipzig, 1857, vol. I, p. 190. Per l’etimologia e il confronto coi monti testacci d'Alessandria, vedi LumBroso, L'Egitto dei Greci e dei Romani. Roma, Loescher, 1895, ediz. 2*, vedi cap. XXI, pp. 216-224. E A TO TI n LE DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 681 noto che vi possa corrispondere, eccetto Megatichos, o gran muro, tra Siene e File, di cui si vedono ancora le vestigia (1). Ma questo gran muro non può essere considerato centro abitato, essendovi colà, dove il muro ha origine, la sola Siene, che non mutò mai il suo nome (2). Un altro fatto rilevato dall’epigrafe è l’avanzarsi di Cor- nelio Gallo con l’esercito oltre una cateratta del Nilo, ma è lacunosa la parte che dovrebbe determinarla. Io ho supplito _minorem (quella di Assuan), poichè è inverosimile che il prefetto «non solo sia giunto alla maggiore (quella di Hannek e di — Caibar(3)), ma l'abbia anche oltrepassata. Il quartier generale delle sue truppe era Siene, ove di solito stavano tre delle nove | coorti ausiliarie, e parte delle tre alae, e Cornelio Gallo vi sarà venuto con parte della legione stanziata ad Alessandria e forse delle altre due nell’interno della provincia (4). Ora l’epigrafe ricorda un ingrandimento di territorio (v. 6: prolata Thebaide) con una specie di sottomissione dei varî reguli finitimi (v. 6-7: communi omn|i]||um regum formidine subacta) . ed un trattato di pace stipulato col re degli Etiopi, con la clau- sola dell’accettazione del protettorato imperiale e del bando ai confini del suo regno etiopico, — se però i supplementi non risul- teranno errati col confronto dell’epigrafe geroglifica e greca (v. 7-8: coque|| rege in tutelam recepto tyran[ni atque reda]cto [in fi]|nes Aethiopiae) —; per la qual cosa si sarebbe indotti a credere che il prefetto si sia inoltrato nella Nubia e spinto da Siene oltre File, per lo meno a Talmis o a Pselsis, o in altro luogo più interno. In ogni modo Gallo spostò innanzitutto il suo quartier militare da Siene a File, ove udì, a quanto pare, l’am- basceria nemica (v. 7: leg|atisque re|gis Aethiopum ad Philas (1) Vedi Lancrer in Panckovore, Description de V'Égypte, I, 1, p.4 e segg. (2) Seguo in ciò il giudizio autorevolissimo del ch. prof. Schiaparelli. (3) Sulle varie cataratte vedi GorrBERG, Des Cataractes du Nil. Paris, Ragon, 1867. La Cutaracta major è la quarta di Hannek e di Caibar, oltre quella di Uadi-Alfa, per chi considera separatamente dopo Assuan quella di Calabscheh, come mi fa notare il prelodato prof. Schiaparelli; chi invece pone la major a Uadi-Alfa comprende sotto tal nome il tratto delle tre ca- taratte Uadi-Alfa, Caibar ed Hannek. (4) Intorno l'ordinamento militare, vedi De Ruaerero, Die. epigr. alla voce Aegyptus, p.277; cfr. MarquaRDT, op. cit. in francese, p. 406, nota 5. 682 SERAFINO RICCI auditis), poi dal quartiere di File si sarebbe spinto nell’interno in un luogo non ben determinabile, ma certamente oltre i con- fini fino allora assegnati alla provincia imperiale d’ Egitto (1). Si vede pertanto che l’importanza della spedizione di Gallo sta più nella precedenza storica del fatto che non nell’estensione del territorio occupato. Chè, se Gallo intende di riferire la frase in quem locum neque populo romano neque regibus Aegypti p|ro- gredi licu]it (vers. 6), come mi pare si possa supplire, ad Augusto e ai precedenti reges a Caesare devictos (v. 2), ha ragione di cre- dersi il primo che oltrepassi File ; se invece intende di alludere anche ai predecessori Tolomei, egli cade in errore storico grave, poichè già al tempo dei Tolomei erano state compiute spedizioni in Etiopia da Siene per lo meno sino a Meroe, come citano Aga- tarchide e Marciano Capella (2). È degno di nota il titolo di rex Aethiopum citato nell’epi- grafe (v. 7), mentre finora non avevamo notizia che di regine etiopiche, ricordate col nome frequente di Candake sotto Augusto, sotto Nerone e sotto Adriano (3). A giudicar dalla forma, l’epigrafe, che non manca di pre- sentare difficoltà ed incertezza d’interpretazione (4), si direbbe inalzata per ordine dello stesso C. Cornelio Gallo, la qual cosa confermerebbe la notizia data da Dione Cassio (LIII, 23), che ce lo presenta tanto pieno di sè che eik6vag éautod èv 6h, ug eiteîv, tf) Aîrumtw EoTnoe Kai tà Epra boa Emeromzer Èg TÙùg mu- pauidag ECErpawe. Perciò sono stato cauto nel giudicare delle operazioni mi- (1) Vedi Marquarpr, op. cit., pp. 401-402. (2) Vedi LumBroso, op. cit., 2* ediz., pp. 50-5Ì. (3) Vedi WiLken in Hermes, XXVIII, p. 154; cfr. Mommsen-De RueGIeRO, op. cit. sulle Provincie romane, pp. 580-581. L'Etiopia in guerra coi Romani e sottomessa non figura nella storia dell'Impero romano che sotto il pre- fetto C. o P. Petronio, dal quale fu vinta la regina Candake. Lo Schwartz nel suo lavoro sull’Etiopia non cita nemmeno Cornelio Gallo (v. Rhein. Mus., N.F., XLIX, pp. 358-361). — Circa il titolo di rex barbaro fu contestato fino ad ieri anche per tempi seriori quello di rex Thebaceorum, come principe etiopico-meroitico della Tebaide (vedi Lumroso, op. cit., p. 50). (4) La restituzione delle linee 8 e 9 dell’epigrafe è molto dubbia e la presento con tutto il riserbo, astenendomi dal farvi assegnamento fin dopo i confronti col testo geroglifico e greco. È Cona ——_ er re, DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 683 litari di Gallo, poichè le notizie sfavorevoli dateci dagli scrit- tori intorno a lui fanno rilevare la temerità usata in faccia ad Augusto, di cui l’epigrafe sarebbe un’altra prova, nel semplice titolo di signore dato all'imperatore (ver. 8: in tutelam recepto tyranni), se pure si può legger così, nonchè nella pomposa enun- ciazione delle sue imprese guerresche e politiche. Non nego che quel suo operare era favorito dalla condizione eccezionale in cui lo stesso imperatore l'aveva posto (1), poichè in sè era un vi- cerè, rivestito del potere giudiziario con legge speciale dell’im- peratore, avente cioè un imperium ad similitudinem proconsulis, cioè coi pieni poteri d’un governatore capo di provincia, senza però le insegne esteriori del grado e senza i fasci. La sua ca- rica di praefectus Aegypti era superiore a tutte le altre, e solo in tempo più tardo fu inferiore a quella del praefectus praetorii ; inoltre Cornelio Gallo, aiutato dai prefetti di campo per la parte militare (2) e dall’idiologus ad Aegyptum per quella finanziaria, aveva giurisdizione tanto ampia da riunire in sè troppe respon- sabilità e attirarsi gli odì di molti, specie per la esazione dei tributi in tutta la regione conquistata (3). Cornelio Gallo (4) era nato a Forum Julii (Fréjus, fra To- (1) Vedi De Rueeiero, Dizionario epigraf., voce Aegyptus, p. 277; cfr. Taciro, Annali, XII, 60; cfr. Digesto, I, 17, 1; cfr. note a p. 679; MarquaRDr, op. cit., p. 406. (2) Il prof. Sayce, a proposito delle iscrizioni latine precitate, rinvenute ad Assuan (vedi p. 677, nota 1) e contenenti nomi in parte finora ignoti di prefetti militari, rileva il fatto che questi fossero tre sotto Augusto, uno per ogni legione, e da Tiberio in poi, tolta una legione, rimanesse uno solo per le altre due, col titolo di praefectus castrorum. (3) La riscossione dei tributi era il fine più diretto di simili spedizioni nel territorio egiziano, e Cornelio Gallo, per ordine d'Augusto, aveva reso tributaria tutta la regione sottomessa (Drone Cassio, LI, 17: ék dé ToùTov tiv te Alfumtov ùmoteN émoinoe). Per il che ebbero luogo defezioni prima represse (Srras., XVII, 53, OTdOv TE fevnoeîcav Èv Ti) Onfaidi did TOÙC PHpouvg èv Bpaxeî xatérvoe. — Eusesio, Chron. FdXXog KopwhMoc, dc Tèv dTooTAvTWwY Aîrumtiwv Kkageîle tdg TOXIC, ediz. Schoene (1866), p. 140), poi rinnovatesi con tale audacia sotto C. Petronio, che Augusto si rifiutò di rendere tribu- tarî i vinti, anzi, rinunziò una volta per sempre all'occupazione delle re- gioni dell'Alto Nilo, limitandosi al protettorato da Siene a Hiera Sicaminos (vedi Mowwsex-De RueGreRro, op. cit., p. 581). (4) Vedi per Cornelio Gallo gli autori Srrasone, XVII, 53; PLurarco, Anton., LXXIX, 1; Sveron., Aug., c. 66; Drone Cassro, LI, 17, 1; Zonara, Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 47 684 SERAFINO RICCI lone e Nizza) nel 69 av. C.; è identificato da Ammiano Marcel- lino e da S. Girolamo con il noto poeta lirico, amico di Properzio ed intimo di Vergilio, che lo cantò nelle Bucoliche (Egl. VI e X) e nella prima edizione delle Georgiche (lib. IV; 29/28 a.C.) (1). Combattè contro Sesto Pompeo; secondo Strabone, fece una spedizione contro Heroonpolis e Tebe, anteriormente alla spedi- zione ricordata dalla nostra epigrafe. Pare che la condotta di Gallo con l’imperatore e con le città soggette abbia dato ad Augusto occasione di biasimo (2) ; il collega Valerio Largo, già suo amico, lo accusò di estorsione (8). Caduto in disgrazia d'Augusto e allontanato dall’ufficio, Cornelio Gallo fu colpito dalla sentenza del Senato, che in questo sostituì con tanto zelo l’imperatore nella parte di giudice e di accusatore da dispiacere allo stesso Augusto (4). Cornelio Gallo fu esiliato e i suoi beni, confiscati, ingros- sarono il fisco imperiale. Egli si uccise; aveva soli quarantatre anni d’età (5). Ed ora, ritornando all’epigrafe, essa è il primo e il solo documento epigrafico contenente intorno al primo governatore X, 31; Eusesio, Chronicon, ediz. Schoene (1866), II, p. 140; S. GrroLamo, ib., p. 141; Awmrano Marcettino, XVII, 4, 5; EurroPro, VII, 7. — Confronta i lavori moderni di VoòLker, De C. Cornelii Galli vita et scriptis, I, Bonn, 1840; parte II, Elberfeld, 1844. — Wira. Becker, Gallus, 1882 (nevarbeitet von Herm. GéoLL.), I vol., p. 19, nota 11. (1) Caduto Gallo in disgrazia d'Augusto, Vergilio nella seconda edizione delle Georgiche (26 a. C.) sostituì alle lodi dell'amico l'episodio del pastore Aristeo. — Il prof. Chatelaine impugnò in un suo scritto (Revue de philologie, 1880, pp. 69-79) l'autenticità dei carmi attribuiti a Cornelio Gallo nella Anthologia latina, edita dal Riese, dei quali non parrebbe genuino che il breve frammento presso Vibius Sequester (vedi Becker, op. cit., III, p. 548). (2) Drone Cassro, LIII, 23. Già Augusto si era risentito della condotta di Cornelio Gallo col dotto QQ. Cecilio Epirota (Sveron., Gr. #4., 16; cfr. Becker, I, p. 22), e finì coll’interdirgli l’accesso alla Corte e nelle sue pro- vincie (domo et provinciis suis interdixit; Sveron., Aug., 66). (3) Awmran. MarceLtino, XVII, 4. Si dice che avesse impiegata parte dei capitali nell'industria della carta che porta il suo nome, la Corneliana (Istnoro, VI, 7; cfr. BeckER, op. cit., I, 21). (4) Vedi Sveronro, Aug., l. cit. (5) La data della morte vien fissata nel 26 av. Cr. dal seguente passo di S. Gerolamo (1. c.): XLIII aetatis suae anno propria se manu interfecit. nre a DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 685 imperiale in Egitto fatti particolari, che lumeggiano le poche notizie finora date dagli storici. Queste nuove cognizioni richia- meranno l’attenzione sopra le imprese di Gallo, finora rimaste offuscate dai fatti più clamorosi dei suoi successori, C. Petronio ed Elio Gallo, che sono i soli registrati dai dotti odierni prima delle tarde imprese in Egitto di Pescennio Nigro e di Diocle- ziano (1). (1) Vedi Vivien Saint MartIN, Le Nord de l’Afrique. Paris, 1883, p. 111 e segg., 160 e segg.; E. ScHIAPARELLI, La catena orientale dell'Egitto. To- rino, 1890 (Studî sull’antico Egitto, vol. I), p. 124 e segg.; G. LumBroso, L’Egitto dei Greci e dei Romani. Torino, 1895 (2* ediz.), p.50 e segg. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. 686 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 22 Marzo al 12 Aprile 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, * Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. III-IV. Frankfurt a. M., 1896; 4°. * Annales de la Faculté des sciences de Marseille. T. IV, fasc. 4%; T. V, fasc. 1-3. Marseille, 1895; 4°. * Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 7”. Paris, 1895. Atti del Collegio degli ingegneri e degli architetti in Palermo. Anno XVIII, 1895, gennaio-aprile; 8°. * Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. Serie IV, suppl. al fasc. X del vol. VI; vol. VII, fasc. 7-8; vol. VIII, fasc. 1. 1895; 8°. * Berichte iiber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig (Mathem.-Phys. Classe), 1895, V-VI. Leipzig; 8°. * Bollettino della Società di naturalisti in Napoli. Ser. I, vol. IX, fasc. IL, 1896; 8°. * British-Museum (Natural History) of London: Catalogue of Birds, vol. XXV, XXVII. Catalogue of Fossil Fishes, Part III Catalogue of Mesozoic Plants, Part II. Guide to the British Mycetozoa. Introduction to the Study of Rocks. — London, 1895-96; 8°. * Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark, 1896, n. 1. Copenhague, 1896; 8°. Bulletin de la Société géologique de France. 3° série, t. XXII, n. 10; t. XXIII, n. 4-7. Paris, 1894-95; 8°. * Bulletin de la Société des Sciences naturelles de l’Ouest de la France. T.V, 2° et 3° trimestre 1895. Nantes; 8°. * Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle. An. 1896, n. 1. Paris, 1896; 8°. * Communicacoes da Direcgao dos Trabalhos geologicos de Portugal. T. III, fasc. I. Lisboa, 1895-96; 8°. * il I © PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 687 * Compte-Rendu des séances de la Société géologique de France. 3° série, t. XXIII. Lille, 1895; 8°. * Foldtani Kozlòny kiadja a Magyarhoni Foldtani Tarsulat. Vol. XXV, n. 6-12. Budapest, 1895; 8°. * Jahrbuch des Norwegischen Meteorologischen Instituts fir 1892. Christiania, 1894; f° (dalla R. Università di Norvegia). * Jahresbericht der Kgl. Ung. geologischen Anstalt fiir 1893. Budapest, 1895; 8°. * Johns Hopkins Univ. Circulars. Vol. XIV, n. 123. Baltimore, 1895; 4°. * Mémoires de la Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaux. 4° série, t. V. Bordeaux, 1895; 8°. * Mémoires de la Société nationale des sciences naturelles et mathéma- tiques de Cherbourg, t. XXIX. 1892-1895; 8°. Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXV, disp. 1° e 2*. Roma, 1896; 4°. * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 5. London, 1896; 8°. * Observations pluviométriques et thermométriques faites dans le Départ. de la Gironde de Juin 1893 è Mai 1894. Bordeaux, 1894; 8° (Acad. des sciences phys. et naturelles de Bordeaux). * Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 355. London, 1896; 8°. * Processi verbali delle adunanze. Anno accademico 205, n. 1 (Accad. dei Fisiocritici). Siena, 1895; 8°. * Records of the Geological Survey of India. Vol. XXIX, part 1. Calcutta, 1896; 8°. Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX, fasc. V. Milano, 1896; 8°. * Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Serie 3*, vol. II, fasc. 2°. Napoli, 1896; 8°. * Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der k. b. Aka- demie der Wissenschaften zu Miinchen. 1895, Heft III. Miinchen, 1896; 8°. Travaux et Mémoires du Bureau International des Poids et Mesures. T. XI. Paris, 1895; 4° (dono del Governo Francese). * Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Jahrgang 1895. Wien; 8°. * 7KypHalp pyCcgaro 8 mro-xnMNTeckaro O6mectsa ipu MMmepaTopcroMme C. IIerep6ypreronxs Vangepenterb; t. XXVIII, n. 1. 1896. * Albert Ie, Prince de Monaco. Sur la deuxième campagne scientifique de la “ Princesse Alice ,. Paris, 1896; 4° (dall’A.). Cauchy (A.). Fuvres complètes. Publiées sous la direction scientifique de l’Académie des sciences et sous les auspices de M. le Ministre de l’Instruction Publique. II sér., t. X. Paris, 1895; 8° (dono del Governo francese). 688 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Deniker (J.). Bibliographie des travaux scientifiques (sciences mathéma- tiques, physiques et naturelles) publiés par les Sociétés savantes de la France dressée sous les auspices du Ministère de l’Instruction publique. Paris, 1895; 4° (Id.). Graf (H.). Ludwig Schlàfli (1814 bis 1895). Bern, 1896; 8°. ** Reichenbach (L.) et (H. G.). Icones Florae Germanicae et Helveticae simul terrarum adjacentium ergo Mediae Europae, t. XXIII, Decus I. Lipsiae, 1896; 4°. Ruffini (F. P.). Delle accelerazioni che nel moto di un sistema rigido con un punto fisso sono dirette ad uno stesso punto qualsivoglia dato. Bologna, 1896; 8° (dall’A.). Vecchi (S.). Per la diffusione dei disegni axonometrici. Parma, 1893; 8° (74.). ** Vinci (L.). Codice atlantico, Fasc. VIII Milano; fol°. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche Dal 29 Marzo al 19 Aprile 1896. * Abhandlungen der philosophisch-philologischen Classe der k. bayerischen Akademie der Wissenschaften. XX Bd., II Abth. Miinchen, 1895; 4°. Abhandlungen der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. Philologisch-historische Klasse. Neue Folge, Bd. 1, N° 1, 2. Berlin, 1896; 4°. * Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). Tomo VII, Entr. V. Montevideo, 1895; 8°. * Annales du Musée Guimet, Bibliothèque d’études, t. V®©. Paris, 1895; 8°. Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Ser. VII*, T. VII, disp. II e III. Venezia, 1895-96; 8°. ** Bibliotheca philologica classica. 1895. 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(Ad) (s "DA 19 2, see n) in cui il denominatore contiene tutte le differenze ), — ), per h=s. Per noti teoremi algebrici (*) avremo >. K, = 1 2 K sa, ni; nZigi Di ds M dg see din > Ai o +1 1 IE ORE aio (i De TS, RESA ARERIRREY(] UE TT FRASE DEL UAIOR n e # Mr ane dd 2: =g = 0) (0 =<2, 3... n). (n—1)! pag y n K,y Vita I Mtb). (i Ma) (*) Vedi Jacosi, Disquisitiones analyticae de fractionibus simplicibus. Dis- sertatio inauguralis. Berolini 1825 (“ Ges. Werke ,, Bd. III). 698 VITO VOLTERRA Moltiplichiamo ambo i membri della (4) per K, e som- miamo per tutti i valori dell'indice s da 1 ad ». Si avrà =, K, Ot (Py yy = î n—l n i H' , - [{E0 sas >. au ste = z. K, 0 — 3, K.(A,—n—1)2 | H'(Y,0)m da | 9(y) dy at: | 1 ossia, in virtù delle (5), (6) 4 K, et | P(M)ypady = n ni di in cui sì è posto (An —-1)(A — n)... (Xx — 2) (As — AM) (As — Aa)... (As — In) E. a Si scriva per semplicità ©) Ke Py Ad = ve) @ zati 2 Ed) H'yaastd= Ga) la (6) allora assumerà la forma (0) ve)= f GP: ossia potremo concludere che se (y) soddisfa la (A) dovrà ve- rificare la equazione precedente. SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 699 Abbiamo ora 1° y(2) è una funzione finita e continua in tutto l’inter- vallo (0 a), e per 2==0 si annulla. w'() è una funzione finita e continua nello stesso inter- vallo, e "n K n(n+1) Zi qa lim A = +03 = + f0. 3=0 1 s x; Mi o i+1 d G(Y, 2) Bet È 2° G(y,2) e Gr(y,2) = —;7-- sono funzioni continue ed i limiti superiori dei loro valori assoluti sono finiti per tutti i valori di x,y che verificano le condizioni (RO a le SNA 8° La funzione GGA=Za + FO è finita continua e diversa da zero per tutti i valori di 2 com- presi fra 0 ed a. La questione funzionale (C) rientra dunque in quella classe, che ho esaminata in Note precedenti, la quale non ammette che una sola soluzione @(%). Dunque non può esservi più di una funzione che soddisfi la (A). 4. Mostriamo ora che ogni funzione finita e continua @(y) che verifica la (C) deve soddisfare la (A') e per conseguenza la (A). Supponiamo infatti che @(y) soddisfi la (C); in tal caso, posto Oy) =f"Y) — PMLY) — f MH, y) de, questa funzione resulterà finita e continua per a >y>= 0 e di- verrà infinitesima d'ordine n per y="0. 700 VITO VOLTERRA Seguendo l’analisi che ci ha condotti alla (C), si riconosce facilmente che questa equazione potrà scriversi (0) SK f'OM)yi tag = 0. 250 Moltiplichiamo ambo i membri della precedente equazione per 2?*de; avremo 3, K.etlde. ( Oy) dy = 0. 1 DIA!) Ammettendo di dare a 9g uno dei valori 2,...n, potremo integrare fra 0 ed u (A >> 0), e applicando il principio di Dirichlet si otterrà: HA n w NAS, nU EE SI o== K, { ®(y)y dy. f 2 de ca n u adi ulds yI*s lea =2.K | My da a =x]= Ks q_ ds K; q_ds ud: ( dp ya ey A cagione della penultima delle (5), l’ultimo termine della espressione precedente si annullerà, onde avremo n K wu © yî>» ul gy — Ze | PM dy=0 o anche : K; —stl n \sen—1 = == 3. den Ri Soy dy=0 (g=2,3...n. Poniamo Kt fO()y*1dy=v; SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 701 le equazioni precedenti unitamente alla (0’) potranno scriversi vtwot... + o,=0 iratyzi et + =0 Pa an È Vi i oa +... + se Lo VU, = 0) e poichè il determinante 1, np igni 2 1 1 1 1 DIA, J95prL N03 RES 1 1 1 UATET di de da (4) vana dn così avremo Va, ==)0 da cui segue ® (4) = che non è altro che la (A’). Abbiamo quindi provato che dalla (0) segue la (A'’) e perciò la (A). Osserviamo ora che la questione funzionale (C) ammette sempre una soluzione, quindi se saranno verificate le condizioni poste nell’enunciato del teorema 1° esisterà sempre una funzione @ (x) che verifica l'equazione (A) e perciò il teorema stesso re sulterà dimostrato. 5. La identità riscontrata nel corso della precedente dimo- strazione fra i due problemi funzionali (A) e (C) conduce al TEOREMA 2°. — Quando sono verificate le condizioni poste nel teorema 1°, per risolvere la questione funzionale 702 VITO VOLTERRA (A) fa =fo@H,y)dr (>y>0) basterà trovare la funzione @(x) che soddisfa l'equazione (o) 3 Ke (pd = -| Sa; - SL 1 AD | H'(y,a)a*»-"-? da \o(y) dy 0 1 0 Yy la quale potrà ottenersi coì metodi esposti nella Nota I. Infatti le proprietà trovate per il primo membro della (0) e per la funzione che moltiplica @(y) nel secondo membro di essa (Cfr. le proprietà. 1°, 2*, 3° trovate nel $ 3) lo provano, quando si tenga conto dei resultati che ho stabiliti nei $$ 3, 4 della mia Nota dell’Accademia dei Lincei, Sulla inversione degli integrali definiti (*). 6. Il teorema del $ precedente mostra che la (A) si potrà risolvere determinando le radici dell'equazione algebrica (B), quindi ricorrendo ai procedimenti della suddetta Nota. Ma possiamo trasformare la (C) in modo che non vi com- pariscano più esplicitamente le radici \,. Essa potrà scriversi infatti (0) LI te ia Cora e | (Za 4 EL _ | rg d (e) atea 0 y Avremo ora se 1=>u> 00 se 3.K, we=3K, FEEL = 3.K, \.(A-1)...(A,-m-1 iti >. K'u-—3K(1+u-1) ini 31). Om E (*) Seduta del 15 Marzo 1896. SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 703 Tenendo conto che ’ KA. — ari ne SI (fi) 1 sono funzioni razionali simmetriche delle radici della (B), esse potranno esprimersi razionalmente mediante @, @ ... 4», e quindi n (esi U — Rue — Xn dz Aido, Ga. an) = Y(A0 0... dn |) 0 1 m! (u — 1)T ml! e = È Aliagal a = VW (Gad da 0) in cui A_, e A',, denotano funzioni razionali di 4, @,... n: Mediante queste formule la (C,) si trasformerà in modo che le \, resulteranno eliminate, ed avremo: TEOREMA 3°. — Quando sono soddisfatte le condizioni poste nel teorema 1° la equazione funzionale (A) fa)= fo@He,y)de (a>y>0) è equivalente all’altra (C')) f ÙA0 (4) get Y(@, A, +00 Un | L dy = -| Za; + È H'(y, a LL (0,1... 2 )dw{ p()dy. i Y 7. Esaminiamo ora il caso in cui alcune radici dell’equa- zione (B) abbiano la parte reale negativa. Sia \ quella o una di quelle per cui la detta parte reale è minima, e poniamo \= — 4; quindi si consideri l'equazione funzionale 3 ) 1="0 ey) + fem SEEL (ele (a>y>0) in cui G(x,y) è data dalla espressione (8). 704 VITO VOLTERRA E facile riconoscere che, applicando il procedimento esposto nella mia Nota dell’Accademia dei Lincei, Sulla inversione degli integrali definiti, precedentemente citata, si può trovare la fun- zione finita e continua 9 che soddisfa la precedente equazione. (4) DA È h Si . 5 5E Perciò basta verificare che i finita e non si annulla nell’in- tervallo (0, a), e il limite superiore del modulo di (9) lE Y) (£)° è finito per «> ya Si osservi che se u è un numero complesso, la (9) resulta una funzione complessa degli argomenti reali x,y; ma il pro- cedimento a cui ci siamo riferiti è evidentemente estensibile senz'altro al caso in cui si tratti di funzioni complesse di va- riabili reali, purchè le condizioni relative ai valori assoluti si trasportino ai moduli. Ciò premesso si ponga (E) Pix) = 0(2)24, avremo } “y G È ye=10 pm + fo) SEEL wa e osservando che h (4) y" G(y, y) Te ? sarà LARE ye=3; J, POE: 7) da; onde integrando "STE vo = nora pyt= | LOC, da cui segue SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 705 n SI] n SZ gen & . 121 e" Z;a; Ei iaz” ‘| y 0 n CESELÌ Vera Biagio Me Tad ns i ve 7 Ta mi comi P° il % ; = 2 Za, J P(2)G(2,2)da Zia? Ju JPG, ya. Ora, eseguendo le integrazioni, il primo membro diviene 1 3 n_A Ae ia m_X41) — 10) IA (a ROME "a ot di ire O e, applicando al secondo membro il principio di Dirichlet, esso si trasforma in o (2) o Za;G(a, 2) — Zia,z"' fa (x,y) y' dy dx #0 | LU) Lat. quindi, ponendo blia;o) = za; (1,2) = Zia; {Ga y)yTdy, otterremo l’equazione (11) l'o()L(0,2)dx = 0. Con facili calcoli si ha dalla (8) n Yy ) G(x,4) = z, (ET gala i f H;(x,z) "1 dé + H(x, 2) an quindi L(x,z) si potrà decomporre in due parti, e scrivere L(x,2)=M4+N ove n - ci M=H(%,2) 2, K,a% #12, (agata — iz f yi» 1 0 : c N=ZK. 3, (at [He Per de — 0 Jr — 1a;e"T' Sag dy {E (2, E) Dig 1g - 706 VITO VOLTERRA Semplicizzando come nella formula (10) si trova, tenendo conto delle (5), Col n n iaintiarti Ha M=:‘H(x,) 2; K, I ATI, cs K; n n = H(x,2)Zjia;e"'a ix, ——— ( , E 1 mi i-\s+1 e mediante il principio di Dirichlet N= z, K, | e (0, E) en de z, (a; gho>t1 — iq; tf ati dy) = n z n i di m_iz-nti if Ha ET 1 v/ 2 0 i-N-FI = ("H (2,E) Zia,g-iE-HX na dia 2\4%3 Fr; î di i -K-F1 == nate; Fi ke H;(x, a) de=Z,a, (H (2,2) H(0,9) ) onde L(x,2)=M4+N= Z a;H (4,2). 0 Perciò l'equazione (11) diverrà (12) fo (x) H(x,e)de =0 quando si ammetta che tutte le radici della equazione (B) di n grado n siano finite, e per conseguenza sia Za; 210) 8. Se u fosse un numero complesso e @(x) ottenuto dalla (E) resultasse complesso ed eguale a @, + î@», allora separando la parte reale @, dalla immaginaria si otterrebbero due funzioni reali diverse da zero ®; e ®, che ambedue verificherebbero la (12). SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 707 Si avrà dunque: Trorema 4°. — Se l'equazione (B) i I a | di grado n ha le radici finite e diverse fra loro, e una 0 più di esse hanno la parte reale negativa, allora l'equazione funzionale fo (2) H(x,g)de = 0 sarà soddisfatta da funzioni reali e diverse da zero. Se le condizioni di questo teorema sono soddisfatte, si avrà dunque che l’equazione (A), allorchè ammette una soluzione ne ammetterà infinite che si otterranno dalla prima aggiungendovi una soluzione della (12) moltiplicata per una costante arbitraria. Quindi Trorema VI. — Il problema di dedurre ® (x) dalla equazione funzionale (A) f(@) = | 9 (MH (7,9) da non è determinato quando la equazione (B) eee LEI) di grado n ha le radici finite diverse fra loro e una 0 più di esse hanno la parte reale negativa. 9. Se supponiamo n= 1, e chiamiamo Udo > B, a,= allora l’equazione (B) diverrà B (ig ARANCE pipi t MESS mb Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 49 708 GINO FANO d’onde ge a+ 28 a+ B quindi \ sarà finito e positivo se rai oppure Wire è e sarà finito e negativo se (04 i Voir > — 2; quindi i teoremi della Nota precedente si potranno ottenere subito come casi particolari di quelli ora stabiliti. Aggiunta alla Nota: Sulle congruenze di rette del terzo ordine prive di linea singolare; di GINO FANO. 1. Nella mia Nota: Sulle congruenze di rette del terzo ordine prive di linea singolare (“ Atti della R. Accademia di Torino ,, vol. XXIX; adunanza del 1° aprile 1894) avevo lasciato ancora in dubbio se potesse o no esistere una certa congruenza di 3° ordine, 7? classe e genere 6 (l. c., n° 7, p. 16); come pure, nel caso in cui questa congruenza esistesse effettivamente, se fosse possibile o meno di rappresentarla biunivocamente sul piano. — Poichè le congruenze di rette dello spazio ordinario si possono considerare come particolari rappresentazioni sensibili delle superficie contenute in una quadrica (Mî) non degenere dello spazio a cinque dimensioni, così la questione si può ricon- durre a quella dell’esistenza, e, eventualmente, della razionalità, à dint Dec ela SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 709 di una superficie di ordine 3 -+7=10 dello spazio S;, conte- nuta sempre in una Mj non degenere, e soddisfacente alle par- ticolari condizioni in cui si traducono le proprietà di quella certa congruenza (3, 7), supposta esistente, che già si trovano enunciate nella mia Nota citata. I nuovi risultati acquisiti in questi due anni alla teoria delle superficie algebriche, per opera specialmente dei signori CasreLNUOvo e Enriques ('), mi per- mettono di rispondere ora completamente a quella questione, e precisamente di mostrare che non esistono congruenze di rette (3,7) di genere 6 (?). 2. Ricordiamo anzitutto che la congruenza (3, 7) di genere 6, supposta esistente, non deve contenere raggi multipli, nè fasci di rette (1. c., n° 7, p. 15); ma deve invece contenere venti comi cubici di genere uno, i cui vertici sono punti singolari di essa, e tali ancora che ogni raggio di essa uscente da uno di questi punti appartiene sempre al cono corrispondente. La congruenza non ammette altri punti singolari, ed è affatto priva di piani sin- golari. Le terne di generatrici secondo cui quei vari coni cubici sono segati dai piani passanti pei rispettivi vertici sono le sole terne di rette della congruenza che appartengono ad un mede- simo fascio (n° 4, p. 8, 9). (!) CasreLnuovo, Alcuni risultati sui sistemi lineari di curve appartenenti a una superficie algebrica; Sulle superficie di genere zero; Enriques, Intro- duzione alla geometria sopra le superficie algebriche; “ Mem. della Soc. Ital. delle Scienze (detta dei XL) ,, ser. III, t. X, 1896. In questa Nota dovrò valermi soprattutto dei risultati ottenuti dal sig. CAsreLNUOovo nella seconda delle sue Mem. cit. (*) Più particolarmente, faremo vedere che da alcune proprietà della superficie immagine F'° di $;, supposta esistente, segue che questa non po- trebbe essere razionale, e che, dal non esser questa razionale, segue poi l’esistenza su di essa di alcune rette che invece non vi sono contenute; da ciò l’assurdo, e quindi l'impossibilità dell’esistenza effettiva di quella superficie, nonchè della congruenza (3, 7) di cui essa sarebbe immagine. Questa via è alquanto indiretta, e non è certo escludibile che allo stesso risultato si possa anche giungere in modo più semplice; ma, poichè alcuni caratteri della superficie F'°, che qui si ammettono per ipotesi, sono stati dedotti soltanto da equazioni indeterminate, di cui si sono trovate, e resta- vano in parte a discutersi, le soluzioni intere e positive, potrebbe anche darsi che vi sia effettivamente implicita una contraddizione, ma soltanto remota. 710 GINO FANO Questa congruenza (3, 7) si potrà rappresentare con una superficie F!° dello spazio S;, contenuta in una (sola) quadrica (M}) non degenere, che indicheremo con Q; le sezioni (iper)piane di questa superficie saranno curve non speciali (cfr. la nota ultima al n° 4, p. 9, del mio lav. cit.) di genere 6, appartenenti a spazi S,, e quindi normali; sicchè sarà normale anche la superficie P!0, Essa sarà priva di punti multipli; non conterrà rette, ma, cor- rispondentemente ai venti coni cubici della congruenza, conterrà un egual numero di curve piane di 3° ordine, poste in piani a due a due incidenti (perchè tutti appartenenti alla quadrica Q, e precisamente allo stesso sistema di piani sopra questa), benchè le curve stesse possano a due a due non incontrarsi ('). Saranno questi i soli piani della quadrica Q che contengono infiniti punti (ossia tutta una curva) della superficie F!°. L’intersezione ulte- riore di questa superficie con un S, generico passante per uno di quei 20 piani sarà una curva normale di 7° ordine e genere 3, che avrà comuni tre punti con questo piano (ossia colla rela- tiva cubica). 8. Proiettiamo la superficie F!° su di uno spazio S3 (da una sua trisecante, e quindi) da una retta generica r del piano a di una sua cubica y?. (Si può dunque supporre in particolare che r non incontri i piani delle rimanenti cubiche). Avremo una superficie F° di S,, con un punto triplo A immagine della cu- bica y8; e con una curva doppia di 9° ordine, perchè le sezioni piane della stessa F° devono essere curve di genere 6. Questa curva doppia non passerà tuttavia per A, perchè le sezioni piane per questo punto devono essere di genere 3, e quindi appunto di genere inferiore di tre unità a quello della sezione generica. — Per la retta » passerà anche un secondo piano 8 della quadrica Q, che incontrerà la superficie F!° in sette punti; di questi, tre stanno già sulla curva yY? (ossia sopra r); gli altri quattro da- ranno in proiezione un unico punto B, quadruplo per la super- ficie F° (col cono tangente spezzato in quattro piani) e sestuplo (') Si può dimostrare che ciascuna di queste cubiche dovrebbe incon- trare tutte le altre, meno una (cfr. la nota (*) a p. 711, n° 3); ma ciò non ha per noi alcuna importanza. SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 711 per la curva doppia C° (le sei tangenti a questa essendo date dalle intersezioni di quei quattro piani a due a due). La retta A B non appartiene però alla superficie F° (e non l’incontra quindi che nei due punti A e B, triplo il primo e quadruplo il secondo), perchè lo spazio Sz che la proietta da r ha la sua intersezione con F!° completamente ripartita fra i due piani a e B, dei quali A e B sono appunto le traccie sopra F°. Simil- mente si vede che quest’ultima superficie non contiene nemmeno altre rette uscenti da uno qualunque dei punti A e B. Infatti una tal retta, ove esistesse, dovrebbe esser proiettata da r se- condo un S, contenente uno dei due piani a e f, e incontrante perciò ancora Q in un secondo piano, che avrebbe certo un punto a comune con r; sicchè quella stessa retta non potrebbe esser proiezione che di una curva di F!° contenuta in quest’ul- timo piano, che (come si è detto) si appoggia ad r. E noi abbiamo già visto che le sole curve della superficie F!° che sono conte- nute in piani della quadrica Q sono le 20 cubiche, i cui piani (a escluso) si sono invece già supposti non incidenti alla retta ». La curva doppia (0°) della superficie F?, avendo in B un punto sestuplo, ne è proiettata secondo un cono cubico. Questo cono sarà privo di generatrici doppie, perchè da un lato la curva (0° non può avere punti doppi apparenti (se no si avrebbero raggi proiettanti uscenti da B e incontranti la superficie F° in otto punti, dunque contenuti in questa), e dall’altro ogni punto multiplo effettivo della stessa curva C° non potrebbe che esser proiezione di tre o più punti distinti di F!°; sicchè questi ultimi punti dovrebbero stare in un piano per r, e non sopra una retta ('); dunque in un piano di Q, e diverso da a e f, il che non è pos- sibile. La curva C°, e il cono che la proietta da B, saranno dunque di genere uno. Questo cono incontrerà ancora la super- ficie F° secondo una curva di 3° ordine d8, avente un punto a comune con ogni sua generatrice; quindi anche di genere uno, e perciò piana. Sarà questa la proiezione di un’altra delle 20 cubiche della superficie F!° (*). (') Ricordiamo che la superficie F!° non ammette altre trisecanti, all’in- fuori di quelle contenute nei piani delle sue cubiche. (*) Questa curva non passerà per A, perchè non vi°passa il cono cubico 712 GINO FANO 4. Si può verificare ora facilmente che per la superficie F°, ovvero (il che fa lo stesso) per la F!° di cui essa è proiezione, sono nulli tanto il genere geometrico, quanto il genere numerico. — Il genere geometrico infatti è certamente nullo, perchè la su- perficie F!° di S; ha le sezioni non speciali (e su di essa non esistono quindi curve canoniche) (Exnriques: Mem. cit., n° 88, p. 64-65). — D'altra parte, ogni superficie aggiunta alla F° deve contenere la curva C°, e ha quindi in B un punto (almeno) triplo (perchè le sei tangenti a quella curva in B stesso non stanno su di un cono di ordine inferiore al terzo (')). Inoltre, perchè una. superficie di ordine n avente già in B un punto triplo contenga tutta la curva C°(che è di genere uno) occorrono (al più) altre 9n — 18 condizioni (tante appunto essendo le intersezioni residue, fuori di B, di questa curva con una F" avente in B un punto triplo). A queste aggiungendo le 10 del punto triplo, e quella del passaggio per A (che è punto triplo isolato di F°), si trova che le F” aggiunte a F° e linearmente indipendenti sono in nu- mero di ("3") — 9n + 7. E poichè quest’espressione sì annulla per n=3 (ossia =7 — 4), si conclude che è nullo anche il ge- nere numerico di F°. 5. Sulla superficie F!° di S,, di genere (geom. = num.) zero, il sistema lineare 005 ( | C | ) delle sezioni iperpiane è irreducibile, semplice (*), privo di curve fondamentali proprie (8), e @ serie carat- teristica non speciale (CasteLNUOvo: Mem. cit., Sulle superficie di genere zero; n° 1, p. 8). E poichè la curva generica di questo sistema | C | non è iperellittica, e (come si vede facilmente) in i C|] stesso non è nemmeno contenuto un sistema lineare 00* dî che la proietta da B; e perciò la cubica di F'° di cui è° è proiezione non incontrerà Y?. Di qui segue appunto che î 20 coni cubici della congruenza (3, 7), supposta esistente, non dovrebbero avere, a coppie, nessuna genera- trice comune. (') Esse sono infatti le intersezioni di quattro piani di una stella a due a due; e, se la retta 7 è stata presa in modo generale, questi piani sono tutti distinti, e tre qualunque di essi non passano per una stessa retta. (2) Tale cioè che le curve di esso passanti per un punto generico della superficie non hanno a comune altri punti variabili col primo. (*) Perchè la superficie F!° non ha punti multipli. dn n Vi nn alt SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 7183 curve iperellittiche, così quelle stesse proprietà sopra enunciate spetteranno tutte anche al sistema |C"| aggiunto di | C] (CasreLnuovo: Mem. cit., n° 7, p. 183); sistema che avrà la stessa dimensione 5, perchè | C | è di genere 6 (= 5 + 1), e si com- porrà di curve di ordine 2 (6 — 1) = 10. Sulla superficie proie- zione F° il sistema | C' | verrà segato dalle aggiunte di 4° or- dine, che sono appunto in numero di 00°; di queste, 00? si spezzeranno nel cono cubico che da B proietta la curva doppia di F° e in un piano variabile per A. Per avere il grado di questo sistema, basterà cercare in quanti punti una curva ge- nerica (0"°) di esso incontra una delle curve spezzate nella cubica è? e in una sezione piana passante per A. Ora, la cu- bica d° è incontrata da una F* aggiunta generica in 12 punti, dei quali però 9 stanno sulla curva doppia di F°; ne rimangono quindi tre sulla €'° intersezione residua delle due superficie. E una sezione piana di F° passante per A incontra una tale 0"° in 10 punti, dei quali però 3 cadono sempre in A stesso (dove ogni C2° ha un punto triplo) e vanno quindi esclusi; ne riman- gono sette, che, aggiunti alle tre intersezioni con è?, dànno ancora dieci. Il sistema | C' | è dunque anch’esso di grado 10, e quindi — dovendo avere la serie caratteristica completa (') e non spe- ciale — di genere 6 (°); esso ha perciò gli stessi caratteri (ge- nere, grado, dimensione) del sistema primitivo | C | (*). Segue da ciò che non solo | C' | segherà sulla curva generica di | C | la serie canonica 9, ma, viceversa, anche | C | segherà sulla curva generica di | C' | la relativa serie canonica, che è pure una gi. Infatti questa serie segata sopra una C' generica dal sistema lineare | C | (ossia dagli iperpiani di S,) ha ancora l’ordine 10 e la dimensione 5; e di serie così fatte sopra una curva di genere 6 non vi è appunto che la sola serie canonica. Il sistema | C | deve (') Perchè si tratta di sistema normale, sopra una superficie avente il genere geometrico eguale al genere numerico (CasteLnuOvo, Alcuni risul- tati..., n° 7, p. 18). (*) D'altronde 6 è pure il genere della curva riducibile d° + Cl” testè considerata. (*) Sulla superficie F!° di S; la curva C' generica sarebbe dunque una curva canonica di genere 6 (CI° di S;). 714 GINO FANO dunque coincidere col sistema | C' | aggiunto a | C' | (CasrELNUOVO: Mem. cit., nota (') a p. 9; cfr. anche p. 18) ('), e perciò' la serie dei successivi aggiunti di | C | risulta illimitata (coincidendo questi sistemi alternativamente con | C' | e con | © | stesso). La superficie di cui si tratta non può dunque essere razionale (CasteLNUOvo: Mem. cit., n° 7, p. 14), e avrebbe anzi precisamente il bigenere P= 1. Più generalmente, per asserire che una superficie non è razionale, basta il fatto che un sistema lineare | C | avente le proprietà di cui sopra e il suo (primo) aggiunto | C’ | hanno la stessa dimensione »=r' e lo stesso genere p =p'. Si osservi infatti che ciò è possibile soltanto per r= p — 1 (come è appunto nel nostro caso); e allora il sistema | C” | aggiunto a | C' | , qua- lunque esso sia, ha ancora la stessa dimensione p—1l=r=r; sicchè le tre dimensioni r, »', r", essendo eguali fra loro, non soddisfanno a nessuna delle due diseguaglianze: r PR < r , vg — ip una almeno delle quali deve verificarsi sopra ogni superficie razionale (CAstTELNUOVO: 1. c., n° 12, p. 18). 6. Non essendo dunque razionale la superficie F!°, e quindi la F° sua proiezione in $,, quest’ultima dovrà necessariamente ammettere almeno una superficie diaggiunta di ordine (2 jan — 4| per n= 7, ossia) sei; se no appunto, avendo già il genere (geom. = num.) zero, essa sarebbe razionale (CASTELNUOVO: l. c., n° 14, p. 20). Ora, una superficie biaggiunta a F° (1. c., n° 11, p. 17) deve contenere la curva doppia C° anche come curva doppia, e avere ancora in A un punto doppio. E poichè l’intersezione . (!) Infatti, se | C"| non coincidesse con | C |, vi sarebbero, fuori di [C| stesso, altre curve subaggiunte (di rango zero) a | C'|, seganti cioè gruppi canonici sopra una C' generica (Enrrques, Mem. cit., n° 19, p. 34). Il sistema subaggiunto a | C'| sarebbe dunque almeno 00° (più ampio cioè del sistema aggiunto), e non potrebbe perciò segare sopra una C' generica una serie solo 00° senza contenere questa C', il che non può avvenire, avendo il sistema |C'| la serie caratteristica non speciale. SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 715 complessiva di una F° e di una F$ deve essere una curva di 42° ordine, così, all'infuori della €? che è doppia per entrambe e non passa per À, non vi potrà essere che una curva di 6° ordine avente in A un punto sestuplo, e che dovrà perciò spez- zarsi in sei rette uscenti da A stesso. Ma abbiamo detto fin da principio (n° 3) che F° non può contenere rette passanti per A; vi è dunque incompatibilità fra i vari caratteri che abbiamo attribuiti alla nostra superficie F!° di S;, ossia fra le proprietà di cui avevamo trovato che una congruenza (3, 7) di genere 6, supposta esistente, avrebbe dovuto godere. Non esisteranno dunque congruenze così fatte, come appunto si voleva dimostrare. Concludiamo perciò: Tutte le congruenze di rette del terzo ordine prive di linea singolare e non contenute in un complesso lineare (') sono rappresentabili sul piano; e, ad eccezione di una sola congruenza (3, 6) di genere 5, il genere di esse (ossia delle sezioni delle superficie immagini) è = 4. Ricerche sui Pesci Fossili di Paranà (Repubblica Argentina); Nota del Dottor GIULIO DE ALESSANDRI. Capitale della Provincia di Entre-Rios nell’alta Argentina, la città di Paranà è posta sul fiume omonimo quasi in faccia al suo confluente col Rio-Salado. Si trova nella parte inferiore del grande bacino paranense in mezzo alla vasta pianura limi- tata dalla Sierra del Mare e del Brasile ad Oriente e dalle ande di Bolivia a Ponente. La natura geologica dei dintorni della città è uniforme; al (') Rimane dunque esclusa la congruenza (3, 3) intersezione di un com- plesso lineare con un complesso di 3° grado (Cfr. anche la nota (?) a p. 9 del mio lavoro citato). 716 GIULIO DE ALESSANDRI disopra per tutto l'immenso piano si riscontrano le alluvioni recenti, formate in gran parte da una sabbia rossa, e solo le grandi erosioni dei fiumi, mettono in qualche posto in evidenza gli strati sottostanti più antichi. Essi sono formati da una sabbia finissima, talora leggermente cementata da calcare, di colorazione bianca, raramente gialliccia per la presenza di so- stanze organiche decomposte, la quale nelle vicinanze della città è sostituita da una marna arenacea di color verdognolo. Gli studii paleontologici e stratigrafici su questo bacino cominciarono verso la metà di questo secolo e furono quasi sempre estesi ai terreni della Repubblica Argentina. Alcide D’Orbigny nell’anno 1842 (Paléontologie du Voyage dans Vl Amérique méridionale, Paris), dallo studio dei numerosi fossili rinvenuti considerò i terreni dell’ Argentina come spettanti al periodo Terziario e Quaternario; egli riassunse questi strati in quattro formazioni. Guaranitica. — Formazione priva di fossili. — EKocene su- periore. Patagonica. — Formazione a molluschi marini. — Eocene sup. ed Oligocene. Pampeana. — Formazione continentale a mammiferi ter- restri. — Terziario sup. Diluviana. — Formazione recente. — Quaternario. Successivamente Carlo Darwin nel suo memorabile viaggio attorno al mondo, avendo avuto occasione di visitare le coste dell'Argentina, si occupò della geologia del Paranà e nella sua Memoria: Geological observation on south America, tom. III, pag. 89-133, publicata in Londra nel 1891, riferì la formazione Patagonica al piano Eocenico. Nel 1859, Augusto Bravard, direttore del Museo Nazionale di Cordova, in una sua Monografia: Terrenos marinos Tercianos de las Cercanias del Paranà, trattò a lungo la posizione geolo- gica degli strati paranensi. Egli, premessi alcuni cenni storici riguardanti gli studi geologici dell'Argentina, esaminata la costi- tuzione stratigrafica del paese, e studiati i fossili raccolti nel Museo Nazionale, stabili due formazioni: una più antica con resti di Anoploterion e Paleoterion e rieca di fossili, fra cui quattro specie di mammiferi, tre di rettili, dieci di pesci e cinque di molluschi, che corrisponderebbe al periodo Éocerico del Lyell, RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 717 l’altra più recente con resti di Balaena corrisponderebbe al pe- riodo Miocenico del Lyell. Pochi anni dopo il Dott. Burmeister (Description physique de la République Argentine. Paris, 1876) illustrò i mammiferi dell'Argentina, considerando però erroneamente la formazione Patagonica come Pliocenica, e più tardi Fiorentino Ameghino (Formazione Pampeana. Paris y Buenos-Ayres, 1881), occupan- dosi incidentalmente della formazione Patagonica, conchiuse do- versi essa ritenere almeno come Miocenica. Fu solo verso l’anno 1884 che la geologia di quel paese veniva largamente illustrata per opera del Dott. A. Doering. Egli nella sua importante Memoria: Informe oficial de la Comision cientifica al Rio Negro (Patagonia) (Newes Jahrbuch fiir Min. Geol. und Pal. Jahrg., 1884, Stuttgart), così divise i terreni Argentini. Formazioni Eogene. 18 Formazione: Geni A NI) OMOIOS IQ (PIL 1 pt, UICretaeno tape Piano Paranense (Ostrea Ferrarisi) . Eocene sup. 2* Formazione: s Mesopotamico (Megamys Ano- ) PATAGONICA plotherium) Oligocene » Patagonico (Ostrea patagonica) \ Formazioni Neogene. 1* Formazione: ARAUCANA RIA LE di IE I TRITO 1e'TMHoehe Piano Pampeano inf. (7’ypotherium) 2% Formazione: » Eolitino (Equus) PIA PAMPEANA » Pampeano lacustre (Palude strina Ameghinii) 3* Formazione: TEHUELCHE dini nia) nile nie rie Glaciale 4% Formazione: QUERANDINA D e indetti o anbrieditilareni - Ran aid) azioni 5* Formazione: ARIANA im obnevà dtvoiet) ib mond 60. Alluivam 718 GIULIO DE ALESSANDRI Un anno dopo, il Dott. Alfredo Stelner (Beitrige zur Geol. der Argentinischen Republick auf Anordnung der Argent Nat. Regierung herausgegeben. Cassel et Berlin, 1886), in uno studio stratigrafico dei terreni della Republica, divise il terziario in due orizzonti; uno inferiore (Guaranitico D’Orb.) comprendente sedimenti detritici, che nelle Cordigliere sono direttamente so- vrapposti agli schisti cristallini, paleozoici; l’altro superiore (Patagonico D’Orb.), comprendente formazioni recenti con avanzi di animali terrestri, corrispondente al Miocene e Pliocene. Più tardi il sig. Larrazet (Des pièces de la peau de quelques Sélaciens fossiles. “ Bull. Soc. Géol. de France ,. Serie III, Vol. XIV, pag. 255. Paris, 1886), descrisse fra altre tre specie di Raijdae raccolte lungo il Paranà presso Villa Unquiza, riferendo gene- ricamente al terziario i terreni in cui vennero raccolte. Recentemente in una sua importante monografia sui Mam- miferi fossili della Repubblica Argentina (“ Actas de la Aca- demia Nacional de Cencias de la Republica Argentina in Còr- doba ,, Tom. VI, 1889), Fiorentino Ameghino, riprendendo lo studio geologico e paleontologico di alcuni anni prima, divide la formazione Cenezoica in tre periodi: Eogeno con resti di mol- luschi estinti; Neogeno con resti di molluschi estinti ed altri viventi; Plionogeno con avanzi di molluschi tuttora viventi. L’Eogeno comprende il Paleoceno, l’Eoceno e l’Oligoceno; il Piano Paranense spetterebbe precisamente all’ Eoceno superiore. L’opera pregevole dell’ Ameghino mentre illustra minuta- mente i mammiferi fossili del paese, porge pure sicuri contributi alla sua conoscenza stratigrafica, ed è quanto di più completo può vantare la geologia della Republica. I vertebrati inferiori però e tutti gli invertebrati del paese furono finora assai negletti, non potendo considerarsi come scientificamente importante, il catalogo dei fossili del Museo Nazionale del Paranà, compilato dal Bravard molti anni or sono e senza l’aiuto delle più interessanti memorie fin allora publicate. Una ricca collezione di fossili paranensi determinata in parte dal Bravard e composta di resti di Mammiferi, Pesci, Cro- stacei, Gasteropodi, Lamellibranchi, Echini e Stelleredi, conser- vasi nel R. Museo Geologico di Torino, al quale fu donata nel 1861 dal sig. De Luchi di Genova. Avendo ultimamente avuto RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANA 719 occasione di esaminarla, gli avanzi di Pesci pel loro numero e pel buon stato di conservazione, m’invogliarono a farne studio speciale. Frutto di esso sono le considerazioni che qui presento. Questi Pesci appartengono a tre sotto classi: Elasmobranchi, Ganoidi, Teleostei; rappresentati, i primi da cinque generi e sette specie; i secondi da un genere ed una specie; i terzi da tre generi -e tre specie. Questa ittiofauna pare Eocenica; infatti l’Odontaspis elegans raccolta finora solo nell’eocene è una delle specie più caratteristiche delle formazioni terziarie; di più il Carcharias (Aprionodon) gibbesiù è pure una specie essenzial- mente eocenica; il genere Lepidosteus fu finora raccolto sola- mente nelle formazioni eoceniche di acqua dolce del Messico e l’Od. Hopei è specie comparsa nell’eocene e che persistette anche nel miocene. Restano i due generi Acrodus e Corax, dalla maggior parte degli ittiologi considerati come spettanti al secondario superiore. Tuttavia per lo speciale modo di fossilizzazione (1) essi evidentemente appartengono allo stesso giacimento degli altri fossili paranensi quì descritti e sarebbero così parte dei raris- simi esemplari raccolti finora nel terziario. Lo studio di questi avanzi fossili di Pesci, sembra quindi confermare il concetto del D’Orbigny, del Bravard, del Doering e dell’Ameghino, secondo il quale, il piano Paranense (ad Ostrea Ferrarisi) facente parte della formazione Patagonica d’Orb. cor- risponderebbe al nostro Eocene. (1) I fossili di Paranà sono completamente silicizzati e per la colora- zione e consistenza loro, rassomigliano agli avanzi della Foresta di marmo dell’Egitto. 720 GIULIO DE ALESSANDRI Sottoc.. ELASMOBRANCHI. Ord. SELACHII. Sottord. Asterospondyfli. Fam. LAMNIDAE. Gen. Odontaspis Agassiz. Odontaspis elegans Agass. sp. Tav. I, fig. 1, 1b. 1843. Lamna elegans. — Acassiz L., Poiss. foss., vol. III, pag. 289, tav. 35, fig. 1-5, tav. 37a, fig. 59. — 1849. Gisses R. W., A Monog. foss. Squal. U. S., pag. 196, tav. 25, fig. 98-102. — 1858. Bravarp A., Monog. terr. mar. terc. Paranà, pag. 52. 1891. Odontaspis elegans (e sinonimia). — Woopwarn, Catal. of foss. fish. in the Brit. Mus., pag. 36. L’Od. elegans per la forma slanciata dei suoi denti colla radice rigonfia e le branche sviluppatissime, colle strie sulla superficie interna del cono dentario, diritte non estese oltre la metà di esso è una delle specie più facilmente e nettamente riconoscibili. Gli esemplari raccolti a Paranà non sono molto numerosi, presentano però sempre la forma caratteristica colle strie evi- dentissime. In Europa questa specie fu riscontrata nell’ eocene della Francia, del Belgio, della Germania, d'Inghilterra e d’Italia; in America, il Gibbes la raccolse nell’eocene dell’Alabama e della Carolina del Sud. Odontaspis Hopei Agass. sp. Tav.il;ffio. 2,2 d: 1843. Lamna (Odontaspis) Hopei. — Aeassiz L., Poiss. foss., vol. III, pag. 2983, tav. 37 a, fig. 27-30. | 1858. Lamna amplibasidens. — Bravarp A., Momog. terr. mar. tere. Paranà, pag. 53. 1858. Lamna unicuspidens. — Bravarp A., Op. cit., pag. 52. 1871. Lamna (0d.) Hopei. — Le-Hox H., Prélim. Mém. Poiss. Tert. Belg., p. 12. 1885. Odontaspis Hopei. — NoerLine F., Die Fauna des Sanslinds. Tert., vol. VI, pag. 71, tav. V, fig. 1,3. RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ Ti Tuttora discordi sono i pareri dei palittiologi riguardo al- lOd. Hopei. L’Agassiz, il Le Hon, il Sauvage (1) ed il Bassani (2), ritengono essere l’Od. Hopei specie ben distinta dall’Od. cuspi- data mentre il Woodward (3) e dapprima anche il Bassani (4) non credevano potersi considerare distinte le due specie. Numerosi sono gli esemplari di Od. Hopei provenienti da Paranà i quali per la corona sottile e slanciata, in quelli ante- riori ricurva verso la parte esterna, colla radice rigonfia e le branche lunghe profondamente divaricate, coi conetti laterali, sporgenti ed acuti, talora con tubercoli e denticini secondarii, corrispondono per bene a quelli figurati dall’ Agassiz e dal Noetling. A questa specie vanno riferite la Lamna unicuspidens e la Lamna amplibasidens del Bravard, quest’ultima fu distinta dalle altre specie per la base alquanto sviluppata che talora raggiunge un terzo dell’intiera lunghezza del dente. In Europa questa specie fu rinvenuta nelle argille di Londra e nelle Bernsteinformation (Prussia) e nel miocene del Belgio; in America il Gibbes la cita erroneamente nell’ eocene della Carolina del Sud. Fam. CARCHARIDAE Gen. Carcharias Cuvier. Sottogen. Aprionodon Gill. Carcharias (Aprionodon) gibbesii Wood. Tav. I, fig. 3-3 a. 1849. Galeocerdo minor. — Gisses R. W. (non Agassiz), Monog. of the foss. Squal. of U.S., pag. 192, tav. 25, fig. 63-65. 1849. Oxyrhina minuta. — Gigses R. W. (non Agassiz), Op. cit., pag. 202, tav. 27, fig. 164. 1858. Lamna serridens. — Bravarp A., Monog. terr. mar. tere. Paranà, p. 53. 1889. Carcharias (Aprionodon) gibbesi. — Woopwarp A. S., Catal. of foss. fish. in Brit. Mus., pag. 437, 446, 452. Il Carcharias (Aprionodon) gibbesiù è una delle specie più numerose dell’ittiofauna paranense. (1) Sauvage H. E., Etude sur les poissons des faluns de Bretagne, pag. 13. (2) Bassani F., /ttioliti miocenici della Sardegna, pag. 36. (3) Woonwarp A. S., Catalog of foss. fish. Brit. Mus., pag. 368. (4) Bassani F., Ricerche sui Pesci foss. del Gahard (Miocene medio), p. 57. 722 GIULIO DE ALESSANDRI Gli esemplari raccolti hanno generalmente le piccole dimen- sioni di quelli tipici del Gibbes, la forma della loro corona è conica depressa colla superficie interna curva e quella esterna quasi piana; la radice è robusta, ha le due branche sviluppate poste quasi in linea retta fra di loro e separate da una larga scanalatura in mezzo della quale trovasi il foro del canale nu- tritivo; internamente i denti sono cavi. Questa specie ha grande analogia col Carch. (Aprionodon) basisulcatus del Sismonda (1) e coll’ Aprionodon frequens del Dames (2); si distingue però da essi per la radice più robusta e per la corona più tozza. Il Carch. (Aprionoden) gibbesii venne dal Gibbes raccolto nell’eocene della Carolina e dell’ Alabama. Gen. Corax Agassiz. Corax aff. falcatus Agass. Tav. I, fig. 4-4a. Io riferisco a Corax aff. falcatus una cinquantina di denti di perfetta conservazione i quali per la forma triangolare schiac- ciata, per la mancanza di cavità interna, per la corona larga appiattita a margini finamente seghettati, colla superficie in- terna alquanto convessa, e quella esterna piana con piccole pieghe alla base dello smalto, per la radice larga e piatta colle branche poco sviluppate e separate dalla parte interna da una larga scanalatura, corrispondono abbastanza alle descrizioni del C. falcatus dell’Agassiz (Poîss. foss., vol. III, pag. 226, tav. 26%, fig. 14, tav. 26?, fig. 1-15) del Sauvage (“ Bibl. École Hautes Etudes ,, vol. V, pag. 40, tav. 11, fig. 84-85); ne differiscono per le dimensioni minori e per la radice relativamente meno sviluppata. Il Bravard nella sua Monografia cita questa specie sotto il nome di Squalus obliquidens; in Europa il C. falcatus si trova in tutta la serie cretacea e fu raccolto in Inghilterra, in Francia, in Germania ed in Russia; nell'America del Nord il Roemer (3) (1) Sismonpa E., Pesci fossili del Piemonte, “ Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, serie 2*, vol. X, 1846, pag. 45. (2) Dames W., Ueber eine tertiùire Wirbelth. v. d. westlichen insel. des Birked-el-Qurun (Aegypten), © Sitzungsb. k. preuss. Akad. Wiss.,, 1883, p. 143. (3) Roemer F., Kreidebildungen von Texas, 1852, pag. 36. RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANA 723 sotto il nome di Corax heteroton lo cita fra i fossili cretacei del Texas ed il Leidy (1) sotto il nome di Galeocerdo falcatus lo descrive fra i fossili pure cretacei del Kansas, del Mississipi e del Texas. Fam. GESTRACIONIDAE. Gen. Acrodus Agassiz. Acrodus paranense n. sp. Tav. I, fig. 5, dc. Il genere Acrodus viene dalla maggior parte degli ittiologi considerato come unicamente secondario; lo Schafhiutl (K. E.) (2) però raccolse nell’eocene superiore di Baviera, alcuni esemplari che distinse col nome di A. fleruosus; Oronzio Gabriele Costa (3) cita fra i fossili del calcare eocenico di Gassino (Piemonte) un Acrodus (A. Gastaldi) che il prof. Bassani dalla descrizione e dalla figura crede non spettante assolutamente a tale genere, infine il prof. Emmons (4) descrive un Acrodus raccolto sul Miocene della Carolina del Nord, che il Leidy (5) dubitativa- mente distingue col nome di A. Emmonsi. Quantunque da quanto ho esposto, ancora molto dubbiosi siano gli esemplari di questo genere raccolti nel terziario, ad ogni modo, quelli provenienti dall’eocene di Paranà vanno senza dubbio riferiti ad Acrodus, e per la facies speciale, che i fossili di detta località presentano, vanno ritenuti come certamente raccolti cogli altri avanzi, descritti in questa nota. Alcuni di questi denti appartenenti alla parte centrale della mascella hanno la forma romboidale ricurva alle due estremità, colla superficie triturante rigonfia nella parte centrale e per- corsa in tutta la sua lunghezza da una costola mediana, la quale è intersecata da numerose e ben distinte strie trasversali. La parte corrispondente alla corona, ha lo spessore di circa un (1) Lemy J., Contrib. Ext. Vert. fauna West. Terr., © Report of U. S. Geol. Survey of the terr. ,, 1873, vol. I, pag. 301 e 351. (2) Scnarnaurt K. E., Stid-Bayerns Leth. Geog., 1863, pag. 224, t. 64, fig. 2. (3) Cosra 0. G., Sopra alcuni foss. di Gassino in Piemonte, © Ann. Ace. Asp. Nat. Napoli, vol. III, 1864, pag. 30, tav. V, fig. 1. (4) Emmons, North Carolina Geol. Sur., 1858, pag. 244, fig. 97. (5) Lemy J., “ Proc. Ac. Nat. Sc. ,, 1872, pag. 163. — Id., Contrid. to the eat. Vert. Fauna, 1873, pag. 801. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 50 724 GIULIO DE ALESSANDRI millimetro e mezzo, è alquanto più sviluppata nella parte cen- trale ed alle due estremità; essa ha colorazione rossiccia, la superficie radicale è quasi piana con una leggera prominenza verso la metà della sua lunghezza. | Altri esemplari più piccoli appartenenti alla parte poste- riore della mascella sono meno accuminati e meno ricurvi alle due estremità, hanno però sempre la superficie triturante per- corsa longitudinalmente da una grossa costola e trasversalmente sono solcati da numerosissime strie le quali sono più distinte nella parte mediana. Le dimensioni dei grossi pena sono: lungh. millim. 14; largh. millim. 5 quella dei piccoli esemplari è: lungh. millim. 10; largh. millim. 4. Per le piccole dimensioni l'A. paranense ha qualche ana- Togia coll’A. acutus Agassiz delle arenarie di Tubingen (Wur- temberg), per la forma e l’ornamentazione della superficie tri- ‘turante si approssima all’ A. rugosus Agassiz della Creta di Maestricht. Sottord. Tectospondyli. Fam. MYLIOBATIDAFE. Gen. Myliobates Cuvier, Myliobates americanus Brav. Tav. I, fig. 6,6. 1858. Myliobates americanus. — Bravarp A., Monog. terr. mar. tere. del Paranà, pag. 53. — 1877. IsseL A., Cenni sui Myliobates terz. ital., pag. 5. — 1889. Woonwarp A. S., Catal. of foss. fish. în the Brit. Mus., pag. 121. Il Bravard nella sua monografia sul Paranà cita senza. descrivere una ventina e più di piastre dentali di questa specie, che si trovano nel Museo Nazionale della Confederazione Ar- gentina, credo quindi utile di darne ora la descrizione. Gli avanzi di M. americanus, che si conservano nel Museo geologico di Torino, sono numerosissimi, le piastre dentali sono generalmente sempre disgiunte le une dalle altre, con dimen- sioni variabilissime, solo una placca presenta i suoi elementi al loro posto. RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 725 Consta essa di quattro denti mediani e di quattro denti laterali per parte, ha una lunghezza di 21 millim., una larghezza di 26 millim., ed uno spessore di 4 millim.; la superficie tritu- rante è alquanto convessa nella parte posteriore, è pianeggiante in quella anteriore; la superficie radicale è concava nel senso della lunghezza. La superficie triturante ha una colorazione bruno-cupa, in alcuni denti distaccati essa appare tutta coperta da numerosis- sime macchie bianche, generalmente è striata nel senso della lunghezza da grosse fenditure irregolari. La forma degli scaglioni centrali è esagonale, colla lar- ghezza circa quattro volte maggiore della lunghezza, la quale in tutti è di circa 6 millim.; essi combaciano fra loro esatta- mente, dimodochè a tuttaprima si può scorgere le suture, le quali sono alquanto curve verso la parte posteriore. I denti laterali hanno la forma irregolarmente romboidale, con una lunghezza di circa 5 millim. ed una larghezza di 3 millimetri. La faccia radicale è irta di rilievi longitudinali equidistanti, i quali misurano circa 3 millim. di lunghezza e circa 0,5 millim. di larghezza, su ciascun scaglione mediano se ne contano circa 22, in quelli laterali generalmente 3. La corona dei denti posteriori è sviluppata, essa ha la forma di un segmento sferico, la saetta del quale ha circa 3 millim. di lunghezza, quella dei denti posti nella parte anteriore si assottiglia considerevolmente con uno spessore non mai mag- giore di 1 millim. i Il M. americanus presenta grandissima analogia col M. Di- roni dell'’Agassiz (che è identico a quello da lui figurato, vol. III, tav. 47, fig. 6-7 sotto il nome di M. heteropleurus), dell’eocene di Francia e d'Inghilterra; infatti le dimensioni della placca, quelle dei denti mediani e laterali, la loro forma, e quella dei rilievi della parte radicale della piastra sono identici. Il numero di questi ultimi nella placca, che io ho disegnato, è alquanto mag- giore, noto però che in parecchi scaglioni disgiunti i rilievi sono meno numerosi e colle stesse dimensioni della specie del- l’Agassiz. Nella raccolta dei fossili di Paranà vi sono pure moltissime spine di Myliobates, talune delle quali corrispondono lontana- 726 GIULIO DE ALESSANDRI mente a quelle raccolte dal Leidy (1) nel Miocene della Virginia, le quali per essere raccolte assieme al M. americanus, e per presentare quella stessa facies tipica di questa specie, forse de- vono ad essa riferirsi. Myliobates sp. ind. Tav.I, fig. 7,70. Riferisco a Myliobates alcune grosse spine, raccolte esse pure nelle sabbie di Paranà, le quali per loro dimensioni, per la forma loro, tozza e schiacciata, corrispondono alquanto alle figure di Ptychacanthus dell’Agassiz (Poiss. foss., vol. III, pag. 67, tav. 45, fig. 1-23) ed a quelle di Myliobates sp. (GERVAIS P., Zoolog. et Paleont. frane., 1852, pag. 519, tav. 80, fig. 5); ne dif- feriscono però per l’ornamentazione alquanto più fina per la forma dei denti laterali e per la sezione, la quale negli esem- plari di Paranà ha i due lati maggiori quasi retti ed un largo foro, ovale nel centro. Altri esemplari piu piccoli presentano la stessa forma ed ornamentazione; i denti laterali però sono più rari, più accuminati e disposti irregolarmente gli uni rispetto agli altri; essi presentano grande analogia col vivente M. no- ctula del Bonaparte. | SottocL. GANOIDI. Ord. LEPIDOSTEIDAE. Fam. GINGLYMODI. Gen. Lepidosteus Lacepède. Lepidosteus sp. ind. Tav.I, fig.8,8 a. Riferisco dubitativamente a questo genere un piccolo dente, il quale, ove si eccettui le dimensioni un po’ minori, per la forma e per l’ornamentazione, corrisponde perfettamente a quelli delle ligniti eoceniche di Soissons, descritti e figurati dal Gervais (2). Altri esemplari di denti assai prossimi a quello di Paranà furono raccolti, con avanzi di vertebre e di squame, durante la (1) Lerpy J., Contributions to the extinct vertebrate fauna of the West. Terr., pag. 354. Washington, 1893. (2) Gervars P.. Zool. et Pal. frang., Paris, 1859, pag. 517, tav. 58, fig. 3-5. RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 727 spedizione del prof. Hayden nei depositi eocenici di acqua dolce del Wyoming e del Nuovo Messico e furono dal Leidy (1) de- scritti e figurati sotto il nome di Lepidosteus, più tardi però il Cope (2) riferì questi stessi esemplari al nuovo genere Clastes. La lunghezza del dente è di circa 11 millimetri, la sua larghezza presso la base è di 5 millimetri; la corona è nera lucente, di forma conica, alquanto curva presso l’apice, essa è lunga pressapoco i tre quarti dell’intiera lunghezza del dente. Inferiormente essa è solcata da grosse scanalature longitudinali, larghe circa 1 millimetro, separate fra loro da rilievi tondeg- gianti che dalla base della corona si estendono lungo il cono dentario fino ai due terzi della sua lunghezza. La radice è breve, cilindrica, tronca nella sua parte inferiore. SottocL. TELEOSTEI. Ord. ACANTHOPTERI. Fam. SPARIDAE. Gen. Chrysophrys Cuvier. Chrysophrys sp. Tavrt fp.9, 9e Riferisco al genere Chrysophrys alcuni denti laterali interni ed altri posteriori, i quali raggiungono le medie dimensioni di quelle del continente europeo. La corona dei denti laterali interni è semisferica con un diametro di circa 9 millimetri, in quelli posteriori è irregolar- mente ovale con i due diametri rispettivamente di 8 e 6 mil- limetri; tutti hanno una colorazione bruno-rossiccia, colla radice conica, pochissimo sviluppata, percorsa da numerose strie pa- rallele alla base. Il Gibbes, il Leydy ed il Bravard non annoverano questo genere fra i fossili del continente americano; in Europa è ab- bondante ovunque con numerose specie. (1) Ley J., Contrib. of the extinct. Vert. Fauna West. Terr., Washington, 1873, pag. 189. (2) Cope Epw., © Proced. Amer. Phil. Soc. ,, 1877-1883. 728 GIULIO DE ALESSANDRI Fam. SPARIDAE? Gen. ind. Tav. I, fig. 10, 10 n. Due frammenti di mascella, e molti denti da essi distaccati, appartengono senza dubbio alla famiglia degli Sparidi, quan- tunque a nessuno dei generi più conosciuti (Chrysophrys, Sargus, Pagrus e Pagellus) si possa riferire. La fig. 8 rappresenta parte di una mascella, che pare la superiore; in essa i denti sono disposti irregolarmente su più fila, quelli posteriori sono depressi, arrotondati nella parte su- periore, poligonali nella parte radicale, cavi all’interno, la corona ha colorazione olivastra, la radice è bruno-pallida, quelli ante- riori sono piccoli cilindrici a sezione ovale, inferiormente rigonfi con un piccolo foro nutritivo centrale. Le dimensioni dei grossi denti posteriori sono: diametro! in. seo PIO millimietr®* == altezza della corona . . . ; 0,8 altezza della radice . . . ; = Quelle dei denti posteriori sono: diametro maggiore . . . . millimetri 8, — " imnore 99 AAlse e 1,8 altezza della corona. . . , Da È na iadi@e:ign ino 3 1, Nell’altra mascella, forse inferiore, i denti anteriori sono più sviluppati, hanno sezione poligonale cogli angoli smussati; in entrambe si osservano (come nel famoso esemplare di Chry- sophrys del Pliocene di Volterra (LAawLEY R., Osservazioni sopra ad una mascella fossile del genere Sphaerodus, Pisa, 1875, pag. 9) alcuni denti in via di accrescimento nell’interno dell’osso man- dibolare, i quali sono destinati col crescere a spingere fuori i denti vecchi ed a sostituirli. Confrontando questi resti con quelli dei generi affini, ne consegue che le dimensioni di questi Sparidi dovevano essere rilevanti, certo pressapoco uguali a quelli delle Chrysophrys. RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 729 Fam. LABRIDAE. Gen. Protautoga Leidy. Protautoga longidens n. sp. Tavo, fe 110. Il genere Protautoga fu fondato nel 1873 dal Leidy (1) sopra alcuni esemplari poco prima (2) riferiti al genere Tautoga, i quali per molti caratteri si avvicinavano alla vivente Tautoga americana. Di esso finora si conosce una sola specie il P. conidens, delle quali il Leidy raccolse due frammenti di mascelle e molti denti, in alcuni strati a diatomee da lui riferiti al Terziario Superiore, presso la città di Richmond (Virginia). Alcuni denti riferibili a questo genere fanno parte dei fos- sili di Paranà, i quali per avere una forma più esile, più slan- ciata e più irregolare di quelli del P. coridens, io ho creduto doversi ritenere come nuova specie. La corona dei denti incisivi è circa un terzo dell’intiera lunghezza del dente, ha la forma ovalare alquanto più acumi- nata verso l'estremità libera, la sua superficie esterna è assai ricurva, quella interna leggermente concava, la sua colorazione è bruno-rossiccia; essa è separata dalla radice da una larga strozzatura. La radice è sviluppata, ha il margine esterno curvo, e quello interno, come la corona, alquanto concavo; inferiormente essa è divisa in due punte ugualmente sviluppate. I denti laterali hanno una forma più tozza, la corona è più sviluppata e più turgida, la radice è assai più ristretta della corona, ed ha la forma regolarmente tronco-conica, essa ha una lunghezza pressapoco uguale alla metà dell’intiera lunghezza del dente, inferiormente non presenta prominenze. (1) Lerpy J., Contrib. to the ext. Verteb. fauna, pag. 346, tav. 32, fig. 56-57. (2) Lemy J., “ Proc. Ac. Nat. Se. ,, 1878, pag. 15. — Id., “ Ann. Journ. Sciences ,, 1873, pag. 312. 730 Meil.La, lb Dia, 20. 8,9. 4,4a. 9,94, 9b, dc. 6, 6a, 60. 6c. T,T7a,Tb. 8, 8a. 9,9a, 95, 9c. 10, 10 a. 105, 106, 10d. 10, 109, 101. 10m, 10n. 11, 11 a, 115. G. DE ALESSANDRI — RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Odontaspis elegans Agass. — Grandezza naturale. Id. Hopei Agass. — Id. id. Carcharias (Aprionodon) gibbesiiù Wood. — (Grandezza doppia del vero). Corax aff. falcatus Agass. — Grandezza naturale. Acrodus paranense De Al. — Id. id. Myliobates americanus Brav. — Id. id. Spina (Myliobates americanus ?). — Id. id. Myliobates sp.? — Id. id. Lepidosteus sp.? — Id. id. : Chrysophrys sp.? — Id. id. Sparidae? gen. ind. Frammenti di mascella. — Id. id. Id. Dente posteriore. — Id. id. Id. Dente mediano. — Id. id. Id. Dente anteriore (capovolto). — Id. id. Protautoga longidens De Al. — Id. id. Atti RAccad. delle Sc. di Torio -VoL XA Lit. Salussolia - Torino esa E tali "nd 7 è ai» (07 9 19) pr n Ma iRet__ 731 Relazione intorno alla Memoria del Dott. Ermanno GieLio-Tos intitolata: «“ Sulle cellule del sangue della Lampreda ,. Mentre lo studio degli elementi cellulari del sangue è stato oggetto di numerosi lavori per ciò che riguarda i mammiferi, gli uccelli e gli anfibi, i pesci invece, e in particolar modo le forme più basse, vennero quasi totalmente lasciati in disparte. Così intorno alla struttura delle cellule del sangue dei Ciclostomi la scienza non possiede che le ricerche relativamente antiche del Miller, del Gulliver, del Wagner, del Renaut e del Thompson d’Arcy, ecc., ricerche poco estese, poco minute e sopratutto non condotte con tecnica istologica sufficientemente delicata. L’Autore ha ripreso lo studio della struttura delle cellule del sangue della Lampreda mettendo in opera i migliori metodi di ricerca. I risultati ottenuti costituiscono indubbiamente un notevole progresso per la conoscenza degli elementi cellulari del sangue dei Ciclostomi e forniscono pure dati importanti per spiegare la struttura di quelli che si trovano nel sangue dei Vertebrati più elevati. I vostri commissarii quindi propongono che la memoria del dottor E. Giglio-Tos venga ammessa alla lettura e venga stam- pata nei volumi delle Memorie accademiche. T. SALVADORI. L. CAMERANO, relatore. Relazione sulla Memoria del Prof. A. Garsasso intitolata: “ Sopra alcuni fenomeni luminosi presentati dalle scaglie di certi insetti ,. Le farfalle ed alcuni coleotteri presentano sulla loro super- ficie dei fenomeni luminosi degni di studio. Le indagini fatte su questo argomento erano scarsissime fino a poco tempo fa e il Prof. Garbasso ne aveva iniziato lo studio, quando una recente opera del signor B. Walter, che tratta diffusamente tali questioni, l’indusse a ristringere le sue ricerche alle scaglie di alcuni Curculionidi e in particolare a quelle dell’Entimus imperialis. La struttura di queste scaglie è diversa da quella delle farfalle ed anche la causa che produce i colori è diversa nei due casi. Premessa la descrizione delle scaglie osservate col micro- scopio, l'Autore fa notare come i colori osservati con luce riflessa o con luce trasmessa sieno complementari. A seconda dell’in- clinazione della squama ne varia il colore. Il carattere dei fe- nomeni è tale che i colori vanno attribuiti ad interferenze. Le scaglie devono aver la struttura d’un diaframma piano, formato da due pellicole sottili, trasparenti, parallele e vicinissime, le quali racchiudono uno strato d’aria. L’esperienze dell'A. confer- mano tale ipotesi. Infine l’A. riferisce le osservazioni fatte col disporre le sca- glie fra due Nicol incrociati. La luce dopo avere oltrepassato il primo Nicol cessa d’essere polarizzata in causa delle minute irregolarità della superficie delle scaglie e si osservano in tali condizioni certi fenomeni ottici che vengono studiati e spiegati dall’ Autore. A nostro parere la memoria del D" Garbasso merita d’es- sere ammessa alla lettura ed inserita nei volumi accademici. L. CAMERANO. A. NACCARI. L’ Accademico Segretario AnpREA NACCARI. 739 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 3 Maggio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Socii: Pevron, Rossi, BOLLATI DI SAINT- Pierre, Pezzi, NANI, CrporLa, Brusa, PERRERO, ALLIEVO e FERRERO Segretario. Il Socio CrroLLa legge una commemorazione del Socio cor- rispondente Giuseppe De Leva. Lo stesso Socio dà lettura di un suo lavoro intitolato: “ Nuovi appunti di storia novaliciense ,. Il Socio segretario FeRRERO legge una sua nota sopra “ Un ripostiglio di monete della repubblica romana scoperto a Roma- gnano Sesia ,. Il Direttore della Classe legge una sua nota: “ Lo stato di alcuni archivi comunali della provincia di Susa ai tempi di Re Vittorio Amedeo III ,. I detti lavori sono pubblicati negli Atti. Il Socio CrpoLLa condeputato coi Socii CLARETTA e FERRERO ad esaminare il lavoro manoscritto presentato dal prof. Carlo 734 MeRKEL ed intitolato: “ Niccolò Scillacio e le relazioni intorno al secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America , legge la Re- lazione della Commissione conchiudente per l’ammessione del lavoro alla lettura. Udita lettura del lavoro, la Classe procede alla votazione intorno ad esso, nella quale si hanno otto voti favorevoli e tre contrarii. Il lavoro, non avendo ottenuto i tre quarti dei voti, richiesti dallo Statuto accademico, non è approvato. PE O Ce 7 LETTURE GIUSEPPE DE LEVA Commemorazione del Socio CARLO CIPOLLA. Invitato dalla nostra Presidenza a ricordare in quest’aula il nome di Colui verso del quale ebbi e sempre conserverò il più rispettoso affetto, quasi di figliuolo a padre, mi sento rin- novarsi oggi quella stretta al cuore, che provai acutissima, allorchè mi giunse inattesa la notizia della sua morte. La veneranda e soave figura del mio Maestro mi ritompa- risce adesso dinanzi alla mente, quale la vidi l’ultima volta, che con lui m'incontrai pochi giorni prima che Iddio ce lo to- gliesse, quando ebbi da Lui l’ultimo bacio, che io ora considero come il sigillo e il compendio dei lunghi anni, nei quali, con affetto paterno, egli curò in varie guise la mia educazione scien- tifica. Pensando a tutto questo, le lagrime ritornano ai miei occhi, e non è certo per amore di vana retorica, che applico adesso a me medesimo il verso del poeta: “ farò come colui, che piange e dice ,,. Dalla ricordanza personale, ritorno alla nostra Accademia, la quale nell'ultimo anno vide mancarsi parecchi tra i suoi più illustri e più benemeriti degli studi. Commemorai il 25 novembre p. p. Cesare Cantù e Enrico von Sybel. Nè mentre parlava di loro, pensava che un’altra dolorosa perdita stava per avere il nostro sodalizio e con esso la letteratura storica italiana nella morte di Giuseppe De Leva. L'avevo veduto appena tre settimane innanzi, e l’avevo tro- vato stanco assai, e anzi quasi consunto. Ma non avrei creduto che le sue forze dovessero estinguersi in sì poco tempo. 736 CARLO CIPOLLA Nel prof. De Leva l’Italia perdette uno dei suoi figli più degni di rispetto e di onore; chè quanti l’hanno conosciuto dappresso, quanti hanno potuto sapere quale uomo egli era, comprendono che con lui non è scomparso solamente uno sto- rico insigne, ma un professore impareggiabile, ma un uomo ricco di virtù veramente solide e rare. Quanti gli fummo discepoli, ammiriamo in lui il Maestro più ancora che lo Scienziato. L’ansia affettuosa che egli aveva per i suoi discepoli, non era l’ultima delle sue preziose qualità didattiche. A noi, ogni particolarità del suo insegnamento sembra degna di nota. Sulla cattedra, a seconda delle circostanze, a seconda del pubblico cui rivolgeva la sua parola, egli era eloquente e vi- brato nel dire, ovvero freddo, apparentemente senz'anima e senza vita. Quando voleva, a noi suoi discepoli, insegnare la critica storica, ogni ombra di facondia sfuggiva dal suo labbro. Egli passava in esame i passi degli antichi scrittori, le testimonianze dei documenti, senza che nè la parola, nè l’intonazione della voce accennasse ad altro, che alla sua preoccupazione di rag- giungere il vero. In quei corsi (1) invece nei quali parlava ad un numero grande di ascoltatori e non più solamente a coloro che si dedicano allo studio delle lettere, egli rialzava la nota del suo ragionare; e, con parola immaginosa e calda, faceva sentire anche ai profani quante bellezze racchiude in sè la narrazione storica. In quelle lezioni, come pur anco nei discorsi che spesso e volentieri tenne dinanzi a diverse radunanze scien- tifiche, egli cercava di accattivarsi i suoi uditori, non trascu- rando nè i lenocinii della forma letteraria, nè la modulazione della voce. Non egli di certo limitava il suo insegnamento alla scuola. Quasi vorrei dire che la parte più viva della sua azione didat- tica egli la esercitava fuori della scuola; poichè egli era sempre pronto a dar consigli e incoraggiamenti. Egli era tutto per i suoi scolari, e i suoi scolari erano tutti per lui. Noi sentivamo di avere in lui un amico, veramente sincero, disinteressato e (1) Per molti anni, sia sotto il governo austriaco, sia sotto il governo nazionale, il prof. De Leva tenne un corso agli studenti di legge, ed era un corso frequentatissimo. COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA Ma leale, cui potevamo aprire con franchezza l’animo nostro. Nè questo legame si spezzava terminando il corso universitario, poichè il De Leva non perdeva mai d’occhio i suoi discepoli. Nei corsi destinati a noi, allievi della facoltà filosofica, egli era un erudito, ponderava ogni frase, usava il linguaggio della scienza. Ma in quei discorsi, nei quali, come dicemmo, aspirava ad apparire oratore eloquente, egli di sovente riusciva ad entu- siasmare l’uditorio, perchè si lasciava entusiasmare egli stesso dal proprio argomento. Tuttavia il suo valore di scienziato risplen- deva precipuamente nelle lezioni dirette al circolo ristretto dei suoi allievi consueti. Cresceva efficacia alle sue lezioni la sua tenace memoria, per la quale gli era dato di parlare senza l’aiuto di note scritte. Egli ci schierava innanzi nomi e date; egli riferiva testualmente lunghe citazioni, e tutto questo a memoria. Parte integrante del suo insegnamento era l’esame dei la- vori che i giovani facevano per suo consiglio e sotto la sua direzione. Singolare poi era la sua abilità, così nelle lodi concesse per dar coraggio ai giovani studiosi, come nell’ammonizione, fatta con dolcezza di forme, e con piena rettitudine di intenzione. Nulla di severo c’era nella sua scuola, ma l’amabilità sua conservava integra la disciplina, basata sul rispetto affettuoso che egli sapeva destare in noi. Di qui avveniva che quanti fummo discepoli del De Leva, sia pure a lunga distanza di anni, trovammo e troviamo in questa consuetudine scolastica un for- tissimo vincolo di fraternità. Dovunque uno scolaro del De Leva s'incontra con un suo condiscepolo, gli sia pure ignoto anche di nome, sente in un lui un amico; quasi a dire un membro di sua famiglia. La fisionomia del Maestro sta impressa nell’animo di quanti ebbero l’onore di essere suoi discepoli. Noi lo vediamo sempre vivo dinanzi a noi, e sempre ci ritorna alle orecchie la cara sua voce. Il prof. De Leva ebbe molto spaziosa la fronte, l'occhio mobile e vivace, dolce lo sguardo, la bocca spesso disposta al sorriso. L'aspetto era quello di uomo pensoso, cui l’abitudine della meditazione non tolse la piacevolezza del ragionare, nè diminuì l’affabilità del tratto. 738 CARLO CIPOLLA Aveva grave l’incesso, e specialmente nei suoi ultimi anni traspariva da tutta la sua persona una certa aura di bontà e di serenità, che chiedeva affetto e incuteva venerazione. Quanto volentieri ritorno oggi col pensiero agli anni della mia giovinezza! Quanto volentieri richiamo alla mia memoria quegli uomini, che mi furono maestri dotti, amorosi, indulgenti, nella compagnia dei quali così rapidamente e così dolcemente fuggirono gli anni accademici! Di quella schiera, parecchi ri- mangono ancora, e ricordo in segno di onore e in testimonianza di gratitudine, i nomi di Francesco Bonatelli, di Giuseppe Dalla Vedova, di Eugenio Ferrai, di Andrea Gloria. Tra i morti, non tacerò i nomi di Pietro Canal e di Giacomo Zanella. II. Giuseppe De Leva, di nobile famiglia, nacque a Zara da Cesare e da Angela Nachich-Woinowich il 18 aprile 1821. Morì a Padova il 29 novembre 1895. S’egli nacque in Dal- mazia, la sua famiglia proveniva peraltro da Padova; da lungi, discendeva da quella di Antonio de Leyva, grande di Spagna, e famoso condottiero di Carlo V. Questa lontana parentela suggerì poscia al giovane De Leva il concetto di quell’opera, alla quale dedicò la sua vita tutt’intera. Frequentò le università di Padova e di Vienna. Adottorato dapprima in filosofia, ottenne la laurea in leggi nel 1850 (1). Le sue prime pubblicazioni furono di argomento filosofico (2), e il primo quesito che assaggiò su questo campo, fu uno dei più gravi che presenti la filosofia, cioè la questione della conoscenza umana (2). Parlando dei fondamenti della nostra conoscenza, (1) Tesi di dottorato in leggi. Padova, 1850. Molti dei suoi opuscoli, difficili ormai a trovarsi, conservansi presso la famiglia dell’estinto, ed io debbo essere gratissimo alla Vedova ed alla Figlia, che con squisita cor- tesia mi misero sott'occhio tutte quelle sue pubblicazioni che esse possie- dono. Da esse, e dal gentilissimo prof. E. Callegari ebbi parecchie notizie biografiche, che mi mancavano. (2) Primo studio filosofico. Padova, 1848: © Sulla questione principale della filosofia ,. COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 739 egli combatte un’opinione allora molto diffusa, particolarmente in Francia; nelle quistioni filosofico-religiose non è possibile, dicevasi, la certezza individuale. A questo primo lavoro un altro (1) ne fece presto seguire, nel quale condannò il panteismo, da cui vedeva annientata non solo la morale cristiana, ma la stessa morale naturale. Dalla filosofia in generale, passò presto allo studio speciale della filosofia della storia. E in un opuscolo (2) pubblicato intorno a quegli anni, cercò il legame che congiunge “ l’istoria dell'Umanità coll’istoria della Provvidenza ,, e questo legame egli trova nel vincolo che unisce “ la libertà umana , colla “ legge suprema del perfezionamento ,. Talvolta si fermò a considerare la geografia, chiedendole aiuto alla soluzione di qualche quesito appartenente alla filosofia della storia (1855), o indagando quali effetti abbiano avuto le scoperte geografiche sui progressi della civiltà (1858). Negli anni successivi, voltosi decisamente alla storia, non abbandonò tuttavia l'abitudine del filosofare; e il tesoro di cogni- zioni che gli studi della sua giovinezza aveva deposto nel fondo del suo animo, impresse alle sue pubblicazioni storiche un carattere speciale. In parte almeno, dobbiamo a questi studi dei suoi anni fiorenti, se nella maturità della vita egli seppe poi sempre te- nersi lontano da quella falsa scuola, che fa della erudizione il fine, non il mezzo del nostro lavoro scientifico. Questo non significa che egli amasse spaziare, senza timone e senza vela, nel campo, non dirò delle meditazioni filosofiche, ma delle fan- tastiche imaginazioni, come accade a molti tra coloro che ca- dono in un eccesso, per fuggire dall’altro, per fuggire cioè dal gelo di una erudizione, senza ideali e senza scopo. Non mai; egli non amava filosofare sopra i fatti, senza che questi avesse prima assodato e studiato a dovere. Ma ben comprendeva come non ha proprio alcuna ragione di esistere quella erudizione, la quale si accontenta di studiare i fatti, senza che da questi si possa sperare alcuna conseguenza di ordine più elevato. Egli, con ragione, non sapeva che farne dell’erudizione per l’erudi- zione. Com'egli la pensasse su tale argomento, lo si può vedere (1) Il Panteismo e la Morale, senza data. (2) Idee sulla filosofia della storia. Padova, 1852, Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 51 740 CARLO CIPOLLA in qualche modo da lui stesso esposto nel discorso che ora sto per citare. Il 9 dicembre 1867 inaugurando l’anno accademico presso l’Università di Padova, egli (1) parlò della critica storica, e ne rivendicò l'origine all'Italia, piuttosto che alla Germania, affer- mando che dal Muratori e dal Vico discende la scuola storica, la quale è nient'altro che la scuola “ de’ fatti sincerati nella indagine e nello esame de’ documenti ,. Quindi assorgendo a serutare che cosa debba essere la storia d’Italia, egli molto giu- stamente osservò che essa non può essere il complesso delle storie municipali; essa è piuttosto ciò che in tutte le storie municipali trovasi fornito di carattere universale. Per affinità di argomento, collego questo discorso con un altro che egli tenne nel 1874 dinanzi all'Istituto Veneto (2). In questo discute Sulle leggi del sapere storico e sulle leggi che go- vernano la storia. Ne traggo qualche linea. “ Comparar detti e fatti, uomini e tempi; far parlare oltre ai testimoni pronti e facondi, i reticenti e restii; cercare l’occulto; decifrare ciò che a prima giunta sembra inintelligibile; mettere in luce e a suo posto lo svisato; arguire dall’avvenuto ciò che non appare, ma senza darlo per vero, finchè riscontri inaspettati, che pur non mancano, non vengano a confermarlo: ecco l’arte, e da questa la somiglianza dell’indagine storica col processo chimico ,. Belle parole sono queste, le quali contengono, dichiarato in modo chiaro e insieme conciso, uno dei canoni più sicuri della critica storica. Sotto altro rispetto, ma non meno di questo brano, è degna di nota la parte che nello scritto, di cui parliamo, viene dedicata a combattere quella scuola che pronuncia l’ostracismo contro ogni elevato sentimento nello studio dell’uomo. Egli (1) Degli uffici e degli intendimenti della storia d’Italia. Padova, 1867. Questo scritto, senza dubbio, a lungo pensato, io non vidi mai mentr’egli era in vita, e solo n’ebbi contezza il 81 dic. 1895, quando la Famiglia dell’il- lustre estinto pose a mia disposizione i libri stampati che di lui essa con- serva. Se l’avessi letto antecedentemente, non avrei tralasciato di ricordarlo nel mio discorso: Del metodo e dei fini nella esposizione della storia italiana. Torino, 1883 (riprodotto nel volume Per la Storia d’Italia, Bologna, Zani- chelli, 1895). (2) Serie IV, vol. 3. COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 741 scrive: “ Nella legge dell’Umile Figliuolo del legnaiuolo di Na- zaret, nella legge che ricrea il cuore in novità di vita, è tutta una pioggia di affetti, che versò dall’alto sulle menti a incivilire il mondo ,. Non è questo il più bello fra i risultati cui possa giun- gere la filosofia della storia? II. Nutrita la mente di studi filosofici, egli volle spendere la sua vita intorno ad un lavoro nel quale potesse trarre van- taggio dall’impressione che sopra di lui avevano lasciato le oc- cupazioni della sua giovinezza. Carlo V e i grandi avvenimenti del suo tempo, ecco un bel tema per lui. Senza dubbio, la sua lontana parentela con Antonio de Leyva deve essergli stata di stimolo nella scelta; ma la ragione precipua di questa, vuolsi trovare nella congruenza tra le sue disposizioni intellettuali, e la natura stessa dell'argomento. Come dicemmo, egli era assai giovane ancora quando formò il proposito di narrare la storia di Carlo V, considerandola specialmente in correlazione all’Italia. Dapprima raccolse i materiali che gli potevano offrire le fonti stampate, e ben presto diede alla luce qualche saggio dei suoi studi (1). Erano studi molto eruditi, che dimostravano in lui lo (1) Raccolgo qui insieme varî dei primi saggi, che sono brevi studi sopra di questo campo. Uno si intitola: L'assedio di Firenze, per le nozze Braida- Plattis, Padova, 1857; pubblicando questa monografia, egli dice che essa fa parte dei materiali per la vita di Carlo V, alla quale stava lavorando da molto tempo. Per le faustissime nozze Plattis-Cavriani, Padova, 1859, stampò una lettera, 1° ottobre 1529, di Carlo V ai suoi ambasciatori in Roma. Il saccheggio di Roma del 1527, è il titolo di un altro breve scritto (Nozze Salvadego-Plattis, Padova, 1857), nel quale egli, pur lodando per varî rispetti Carlo V, dice che la sua politica era machiavellica, ed osserva che il “ machiavellismo , è anteriore all’ “ autore, ond’ebbe il nome ,, e da cui fu elevato a “ teoria ,. Intorno a questo tempo il De Leva pubblicò anche il suo Saggio critico sulle ragioni della quarta guerra tra Carlo V e Fran- cesco I, uscito senza note tipografiche; qui fa uso di alcuni documenti da lui trovati nell'Archivio di Corte a Vienna; loda Carlo V e accusa Fran- cesco I di avere nutrito aspirazioni alla monarchia universale. 142 CARLO CIPOLLA storico futuro. Ma erano ancora splendide promesse, piuttosto . che frutti maturi. Egli comprese che senza lunghe ricerche negli archivi non avrebbe potuto fare opera veramente nuova, im- portante e duratura. Nel 1854 e nel 1855 fu a Vienna, per istudiare in quell’Archivio di Corte. Verso l’anno 1857 egli pe- regrinò a Parigi, a Madrid e a Simancas, e negli archivi di queste città raccolse a dovizia nuovi documenti sull’argomento, se altro mai vasto e intricato, che egli avevasi proposto ad oggetto dei suoi nobili studi. Dobbiamo risalire col pensiero a quegli anni, e pensare a quante difficoltà andavano allora in- contro gli studiosi. Il De Leva non era in condizione da darsi, neppure riguardo agli studi, gli agi, di cui possono essere pro- dighi verso se stessi gli uomini doviziosi. Debolissima poi era la sua fibbra. Mi ricordo di avere udito dalla sua bocca che, mentre studiava a Simancas, egli si trovava così male in sa- lute, che non potè cibarsi mai che di uva. Ma forte era in lui la volontà, invincibile il proposito di far qualche cosa di buono. Ritornato in Italia, attese ad ordinare il materiale raccolto, e a completarlo con quanto gli potevano fornire le opere a stampa che andavansi pubblicando di continuo in Europa, e sopratutto in Germania, sulla storia della Riforma in generale e di Carlo V in particolare. Nè attese a questo soltanto, ma anche all’insegnamento. Anzi, la esecuzione dei suoi doveri pro- fessionali costituiva il massimo dei suoi impegni scientifici. Abbiamo già visto con quanto studio, con quanta coscienza di scienziato, egli disimpegnasse il suo officio di professore. LV; Il 26 aprile 1848 egli era stato nominato assistente di Baldassare Poli, che allora professava filosofia all’Università di Padova. Durò in quel posto per tre anni. Più tardi, quando la sua attenzione si diresse particolarmente alla storia, egli divenne assistente dell'abate Lodovico Menin, che insegnava storia uni- versale e storia austriaca in quella università. Il De Leva as- sunse quell’officio sul cadere del 1852. Nell'ottobre del 1853 fu nominato professore al ginnasio-liceale di Padova. Ritornò all'università nell'ottobre del 1855, quale professore ordinario e COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 743 di storia universale. Succeduto al governo austriaco il governo nazionale, egli divenne ordinario di storia moderna, ed incari- cato di storia antica. Non abbandonò più la cattedra, di cui egli fu onore sino alla morte; invitato a recarsi in altre uni- versità, egli preferì la sua sede antica, dove era circondato dall’affetto e dalla reverenza dei colleghi, dei concittadini e degli studenti. Laddove aveva cominciata la sua carriera, quivi la terminò. L'ultimo suo pensiero, quello che lo preoccupava pei giorni nei quali le forze gli venivano mancando, era quello di prepararsi alle lezioni per il corrente anno scolastico. Poichè egli, indubitatamente uno dei più dotti storici de’ nostri tempi, egli fornito di memoria meravigliosamente pronta e tenace, dopo oltre a quarant’ anni d’ insegnamento universitario, sen- tiva il bisogno di prepararsi lezione per lezione, quasi fosse un professore novello. Più volte tenne il delicato officio di rettore magnifico, e lo tenne in momenti difficili. Ne patì. La sua salute, scossa già dagli studi, si risentì vivamente dal contrasto tra la forza dello spirito e la debolezza dell’organismo. Dalla fiducia ben meritata dei colleghi fu per lunghissimi anni invitato a presiedere la Facoltà cui apparteneva. In ogni officio recò il tesoro della sua coscienza sicura, del suo animo buono e mite, e del suo ingegno penetrante. V. Dalla preparazione remota alla storia di Carlo V, passò ben presto il De Leva alla preparazione prossima. Fra le pubblicazioni di questo periodo tiene senza dubbio uno dei primi posti, la monografia intitolata Delle trattative tra Carlo V e Clemente VII per la convocazione di un concilio ecumenico (1) nella quale diede bella prova delle fatiche da lui impiegate a scovare nuovi documenti dagli archivi di Simancas, di Parigi e di Vienna. Un lavoro di simil genere, basato su ricerche di (1) Padova, 1859 (Nozze Pupafava-Cittadella). Riguarda questo lavoro il periodo 1529-39. 144 "CARLO CIPOLLA tanta vastità, faceva comprendere che l’Italia acquistava in luî uno storico. Può a questo scritto accompagnarsi un discorso da lui tenuto all'Accademia di Padova, che tratta Della vita e delle opere del card. Gaspare Contarini (1). Il Contarini divenne l’ideale del De Leva; egli non fu soltanto l’oggetto della sua costante venera- zione, ma quasi a dire il simbolo del suo pensiero in ordine alle con- troversie religiose nel sec. XVI. Ammirava in lui l’uomo integro, di ingegno acuto e solido, temperato nei modi, mite nelle azioni, ricco di dottrina classica, patristica e scolastica, disdegnoso di tutto quanto fosse depravazione o slealtà. Il De Leva pensa che niuno meglio di lui avrebbe potuto impedire, se ciò fosse stato possibile, che il “ grande movimento religioso ,, il quale si deter- minava allora nella Cristianità, fosse “ falsato e condotto a mal termine da Lutero ,, poichè il Contarini voleva bensì la riforma della Chiesa, ma una riforma che la consolidasse, non che la disfacesse. Non voglio asserire che in ogni giudizio politico-religioso il De Leva siasi sempre realmente incontrato coi concetti del Con- tarini. Questo voglio significare che del cardinale veneziano, il nostro storico faceva altissima stima, che lo tolse a sua guida, e che lungamente e amorosamente ne studiò i libri. Nel 1863, quando credette di esservisi abbastanza prepa- rato, pubblicò in Padova il primo volume della sua Storia do- cumentata di Carlo V in correlazione all’Italia. Il V volume fu stampato a Bologna dai Zanichelli, nel 1894, e con esso rimane tronca l’opera. Precede al I volume una introduzione, nella quale tratteggia i caratteri dell’età media e della nuova, le quali si incontrano, e tra loro cozzano al tempo di Carlo V. Il volume narra una gran parte della storia d’Italia all’esordire dell’età nuova, poichè abbracciando esso il lungo periodo che va dalla ca- lata di Carlo VIII fino alla elezione di Carlo V ad imperatore, com- prende in sè la prima spedizione francese, la guerra di Cambray, le invasioni di Luigi XII. Il De Leva per prepararsi a narrare le origini della riforma luterana, discorre delle condizioni mo- rali della Chiesa, parla dei pontificati di Sisto IV e di Ales- (1) Padova, 1860. COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 745 sandro VI, delle prediche del Savonarola, dei filosofi del Rina- scimento. Molta era l’erudizione di cui il De Leva dava prova in questo primo volume, che rimase per altro alquanto inferiore ai successivi, in ciascuno dei quali agevolmente si scorge la sempre crescente maturità di pensiero; lo stile stesso migliora di volume in volume. Il secondo volume, uscito non molto dopo, conduce il lettore alla coronazione di Bologna, e comprende, tra l’altro, la narrazione del sacco di Roma e della impresa napoletana del Lannoy. Già in questo volume gli avvenimenti politici, sebbene trattafi con sufficiente ampiezza, abbandonano in qualche modo il campo ai fatti dello spirito. Im maggiori proporzioni, questo si verifica nel terzo volume, il quale si arresta al trattato di Crespy. Qui ormai la questione religiosa la vince, nell’animo dello storico, sulle preoccupazioni della politica. Il De Leva non parteggiò mai per la riforma protestante; poichè egli giudicò sempre che se una riforma ecclesiastica, nell'epoca del Rinascimento, era necessaria, questa dovea essere interna, non esterna alla Chiesa. Meno che mai fece suo, il pensiero dei nostri filosofi, e dei nostri politici d'allora. Anzi nel terzo volume della sua opera vediamo com’egli giudica dello scetticismo teorico del Pomponazzi e dello scetticismo pratico del Machiavalli e del Guicciardini. Il vizio che il De Leva sopra tutto combatte in costoro è la man- canza di Fede religiosa, il “ vuoto della coscienza ,. Minore relazione hanno colla storia d’Italia il volume IV e il V, dedi- cati alla narrazione delle trattative corse tra Carlo V e il Pa- pato, per l'apertura del Concilio e per la riforma della Chiesa. Il volume IV si ferma alla promulgazione dell’interim religioso in Germania, ed il V prende le mosse dalle incertezze sulla sua interpretazione e più ancora dalle difficoltà cui si andava in- contro nel dare esecuzione al medesimo. Quest’ ultimo volume adunque, dalla contestazione di Passau, conduce la narrazione fin quasi alla fine dell’impero di Carlo V. Ancora un volume ci voleva perchè l’opera fosse completa, e a scriverlo egli intendeva di consacrare gli anni della sua vecchiaia. E così pure desiderava di riscrivere i primi volumi, apportando alla materia in discorso la dovizia dei documenti ultimamente pubblicati, o da lui stesso scoperti, e la luce del suo giudizio storico meglio maturato. Ma gli anni della vecchiaia non gli furono conceduti. 746 CARLO CIPOLLA Anche la forma si era raffinata; e se forse nei primi volumi sì poteva sentire alcun che di artificiale e di men che limpido, negli ultimi volumi invece, colla larghezza degli studi, prese maggior evidenza anche lo stile, fattosi eziandio, più freddo forse, ma più pacato e più persuasivo. Bene spesso avviene dello stile storico, che quanto esso perde di calore; spesso acquista in lucidità. Egli avrebbe forse condotto innanzi con maggior celerità la sua opera, se di anno in anno non fosse cresciuta in lui la coscienza dell’altissima responsabilità dello storico. A provare quanto questa coscienza fosse viva e ben radicata nel suo animo, giovi notare che egli aveva già composto, e pronto quasi alla pubblicazione il V volume della sua opera, quando l’attuale pon- tefice volle rendersi altamente benemerito degli studiosi, loro dischiudendo gli Archivi Vaticani. Il De Leva ritornò sopra i suoi passi, annullò quanto aveva scritto, rifece completamente il suo lavoro, giovandosi delle nuove e preziose fonti, alle quali largamente attinse. La Storia di Carlo V sotto la sua penna cambia adunque di volume in volume carattere, e assume a poco a poco quasi l'aspetto di una storia ecclesiastica, per chiarire l’origine della riforma luterana e dilucidare le vicissitudini del concilio triden- tino. Colui che ha coscienza della importanza somma delle qui- stioni religiose, delle difficoltà intricatissime che esse includono, chiunque vede i molteplici aspetti che esse assumono, e i rife- rimenti che tengono con tutte le manifestazioni della vita di un popolo, quegli può apprezzare convenientemente l’opera del De Leva, la quale dovrebbe essere stimolo potente a nuove in- dagini da parte degli eruditi, a nuove meditazioni da parte dei pensatori. Il De Leva non iscrisse una storia teologica, e quindi non era còmpito suo lo addentrarsi nel profondo delle questioni, considerate in se stesse. Preferì invece di esaminarle sopratutto nelle loro relazioni colla vita civile e letteraria. A_ questo deve pensare chi legge i suoi libri, se vuol intenderne il significato. Se scrutiamo nella loro sostanza le sue opinioni su questo campo, può dirsi che egli, nel ritrarre le controversie d'allora, e nel farsi narratore delle trattazioni diplomatiche, si studiasse di seguire la via per la quale, a suo giudizio, procedettero il ser pe» COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 747 card. Contarini, il card. Polo e quanti altri si erano studiati di impedire una rottura finale, favorendo, nel modo che per cia- scuno riusciva più proprio, la riforma dei costumi nel seno stesso della Chiesa, colla speranza, che, preparato per tal modo il ter- reno, fosse possibile anche nelle controversie dommatiche esco- gitare mezzi adatti ad indurre i Protestanti al ritorno verso l’unità religiosa. Il tentativo di conciliazione fatto a Ratisbona dal Contarini, che si recò in quella città quale legato pontificio, negli anni precedenti al Concilio, attirò la particolare attenzione e la viva simpatia del De Leva, il quale poi guarda con dolore tutto quello che nell’uno e nell'altro campo accenna a precisare di più in più la delimitazione vicendevole, e quindi a segnare con maggiore rigidezza la divisione. L’animo del De Leva si trova sempre più angustiato, di mano in mano che col processo degli avvenimenti egli vede sfumare ogni possibilità di accordo tra Cattolici e Protestanti, e scorge che la scissura diventa irre- conciliabile. Quando dalle sessioni del Concilio di Trento uscì meglio precisato il dogma, ma nel tempo stesso la spezzata unità apparve ormai senza rimedio, il De Leva non si duole certamente che nuova luce siasi portata alle questioni teolo- giche, allora dibattute, ma si rattrista guardando alla effettiva divisione della Cristianità. Ben egli può avere esposto il pensiero, narrando le origini della rivoluzione luterana, che da parte dei Cattolici, per impe- dire quella divisione, non siasi allora fatto tutto quello che sa- rebbe stato del caso; ben egli può aver addebitato in larga misura anche ai Cattolici, se la conciliazione religiosa non si effettuò. Questo egli disse bensì, ma ben si astenne dal par- teggiare menomamente per gli autori dello scisma. Questo è il pensiero intimo, che, se ben veggo, domina sempre nel pensiero del De Leva, e che si rivela dovunque chiaro a chi scruta ben addentro qualsiasi tra i suoi libri. Per la morte del De Leva rimase troncata l’opera, così che ci vien tolto il compiacimento di poter assistere all'ultima età dell'impero di Carlo V. Egli morì mentre con vivo ardore rac- coglieva e vagliava il materiale, che doveva trovar posto nel- l’ultimo volume della sua opera. La salute malferma, che lo costringeva a proceder nel la- voro con relativa lentezza, e la vita troncata quando egli poteva 748 Ì CARLO CIPOLLA ancora attendersi parecchi anni di fecondo lavoro, gli contesero questa suprema aspirazione della sua età canuta. Egli non potè dar l’ultima mano all'opera cui aveva dedicata la vita. La r. Accademia dei Lincei decretò a quest'opera il mas- simo onore di cui può disporre, il premio reale. Auguro all’opera del De Leva un premio ancora più grande, e da lui ancora più vivamente desiderato. Possa sorgere fra noi una scuola storica, che, assumendo la sua eredità, e allar- gando sempre più il campo amplissimo delle ricerche erudite, dia perfezione e compimento all'opera del grande Maestro, e innalzi alla storia complessa della vita religiosa in Italia du- rante il secolo XVI, un monumento degno di essa, e del nome di colui, che presentò ai suoi connazionali un argomento troppo trascurato, eppure di tanta gravità e di tanta eccellenza. Niuno certo fu più del De Leva meritevole di tanto onore. IV. Il De Leva ebbe ingegno sintetico piuttosto che analitico; mirò alle ardue questioni che travagliavano l'umanità, e ne chiese la soluzione alla storia; studiò negli antichi tempi le cause delle nostre presenti convulsioni morali e intellettuali. Dei fatti par- ticolari, che formano oggetto alle monografie, egli di solito non sì preoccupò, se non in quanto immediatamente legansi ai grandi avvenimenti, che stavano di continuo davanti alla sua mente, e che formavano lo scopo supremo della sua vita scien- tifica. Quindi egli non disperse quasi mai le sue forze, locchè di ben pochi storici può ripetersi. Non chiese alle circostanze l’oc- casione ai propri lavori, ma dominò le circostanze coordinan- dole a un fine prestabilito. Tuttavia non si astenne totalmente dallo scrivere anche brevi saggi ed articoli. Ed amò di quando in quando trattare a parte alcuni punti riflettenti il suo argomento principale; spesso poi avveniva che queste speciali dissertazioni fossero poi da lui rifuse ed inserte nell’opera principale. Lo ve- demmo in parte parlando delle sue pubblicazioni giovanili. Come aveva fatto avanti di pubblicare il primo volume del Carlo V, così pure usò far precedere a ciascuno dei volumi suc- nie Dn i nnt citi n è COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 749 cessivi qualche monografia riflettente il campo che poi doveva percorrere. Nell’articolo sopra La concordia religiosa di Ratisbona (1), ebbe opportunità di encomiare il Contarini, lodandone i tenta- tivi fatti l’anno 1541 nel convegno di Ratisbona, per giungere ad una conciliazione tra Cattolici e Protestanti, prima che il dissidio divenisse formale e, a così dire, irreconciliabile. Preziosi documenti per la storia della introduzione della riforma lute- rana in Italia egli pubblicò nel suo libro Degli eretici di Citta- della (2), mettendo in chiaro che la piccola terra di Cittadella, situata tra Padova e Treviso, era un centro infetto di eresia luterana. Egli discoprì le teorie degli eretici di Cittadella, e mostrò quanto avessero di comune, e quanto di diverso, in con- fronto sia alle dottrine luterane, sia a quelle professate in Italia da quelle pie e dotte persone, che mentre parlavano della giu- stificazione della Fede, non intendevano tuttavia di disgiungere questa dalla obbligatorietà delle Opere. Processato per eresia fu anche Giulio da Milano, della cui vita e della cui dottrina parlò il De Leva in separato lavoro (8). In altre monografie (4) diede alla luce alcuni documenti inediti concernenti il patriarca Gio- vanni Grimani, nelle sue relazioni coi Protestanti e col concilio Tridentino. In due Memorie presentate all'Istituto Veneto (5), nel 1877 l’una, e l’altra nel 1878, affrontò l’arduo problema della storia del concilio Tridentino, di cui poscia più largamente si occupò negli ultimi volumi della sua Storia. Rientrano pure nel ciclo dei lavori preparatori ai volumi della Storia due monografie sulla guerra Smalcaldica, pubblicate in occasioni nuziali (6). A questa (1) Archivio Veneto, IV, parte 1%; a. 1872. (2) Atti dell’Istit. Veneto, serie IV, vol. 2°, p. 679, a. 1873. (3) Giulio da Romano, appendice alla storia del movimento religioso in Italia nel sec. XVI, nell’ “ Arch. Veneto ,, VII, parte I. (4) Giovanni Grimani, patriarca d’ Aquileja, in “ Atti Ist. Ven. ,, serie V, vol. 7°, p.407, a. 1881: Su due lettere del Card. di Trani al patriarca di Aquileja Giovanni Grimani, ivi, serie V, vol. 7°, p. 647, a. 1881. — Qui ricordo ancora un articolo dal De Leva inserto nella “ Rivista storica italiana , sulla politica pontificia nella controversia sull’ “ interim , di Augusta (vol. V, fasc. 2, a. 1882). (5) Le prime sessioni del Concilio Tridentino, nelle “ Memorie dell’Isti- tuto Veneto ,, XX, 227 sgg., e 367 sgg. (6) I primi fatti della guerra Smalcaldica, Padova, 1879 (nozze Trieste- 750 CARLO CIPOLLA serie di lavori può forse associarsi anche un discorso tenuto da lui nel 1880 dinanzi all'Accademia di Padova, quando egli la intrattenne sulle opere moderne che rivendicano a Michele Ser- veto la scoperta della circolazione del sangue nei polmoni (1); spiegando pure il legame che tale argomento aveva colle contro- versie teologiche del XVI secolo. né Il De Leva scrisse pochi lavori di critica storica, che ri- manessero estranei al suo tema (2). Tra questi due mi sembrano di maggior rilievo. Nell’eloquente discorso sopra il movimento intellettuale d’Italia nei primi secoli del medio evo (3), tenuto in Padova, in una solenne adunanza della r. Deputazione Veneta di storia patria, egli studia la persistenza della tradizione clas- sica durante il medioevo; di questa tradizione egli mette in evidenza i meriti, e lo fa con tinte senza dubbio molto vivaci; ma pur restando lontanissimo dal misconoscere le cattive con- seguenze, che si manifestarono nella decadenza dei costumi pa- ganeggianti. Anzi, il precipuo pregio della presente disserta- zione consiste appunto in questo, che egli volle collegare lo svolgimento intellettuale col miglioramento o col deterioramento dei costumi. Guardando addentro nel pensiero del De Leva, si vede che egli coordinava il primo al progresso del principio cristiano, e il secondo al trionfo, sia pure momentaneo, del principio pagano. i Treves); La prigionia del langravio Filippo d'Assia, Padova, 1881 (nozze Treves-Del Valle). (1) Sopra Michele Serveto, nella © Rivista periodica dei lavori della R. Accad. di Padova ,, XXX, 78 sgg.; anno 1880. (2) Nel breve articolo La chiesa abaziale di Scardona (nella “ Miscel- lanea di prose e poesie dedicata a Giovanni Zaffron vescovo di Sebenico ,,, pp. 107-110, Zara, 1868) diede alcuni cenni commemorativi sopra Nicolò De Leva, arciprete-parroco di Scardona; visse ai tempi Napoleonici, e fu amante dello studio, e tutto infocato di carità. Pubblicò per le nobiliss. nozze del conte Carlo D’Ayla con la contess. P. Giusti (Padova, 1887) alcuni documenti, 1462-83, sulla regolazione del Mincio e sulle fortificazioni di Mantova, la- vori eseguiti da Giovanni da Padova, insigne architetto del sec. XV. (3) Atti della R. Deputaz. Veneta di Storia patria, anno II, Venezia, 1877. COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 751 Se teniamo fisso la nostra mente sopra questo punto, che costituisce davvero uno dei pernii intorno a cui specialmente si aggira il discorso del prof. De Leva, possiamo comprenderne il valore, poichè a questo non mirò di certo il Giesebrecht, che, precedendo il De Leva, aperse questa strada agli studi. Il Dresdner più tardi collegò insieme la storia del costume colla storia delle lettere, ma egli non riassunse le notizie in un quadro così vivo e così colorito come il De Leva. Il Grupp, in questi ultimi anni, riuscì poco efficace e dilavato, quantunque egli co- nosca ampiamente la materia, e la tratti da un punto di vista elevatissimo. Nelle questioni particolari, in alcuni fatti e in alcune loro interpretazioni, si potrà trovare nel Dresdner e nel Grupp maggiore precisione di profili e maggiore sicurezza di coloritura; nel Giesebrecht — fatta ragione del tempo in cui comparve il suo opuscolo De litterarum studiis apud Italos — vedrà taluno una copia larga di fatti nuovi, che pescati a dovizia nei documenti inediti, vengono pòrti agli studiosi. Ma l'opuscolo del De Leva, considerato nel suo insieme, e specialmente sotto il riguardo predetto, va considerato come ben altro che un sem- plice discorso d’occasione. i È la sola monografia di qualche estensione che il De Leva abbia dedicato alla storia medioevale, e doveva quindi venire da me riguardata con speciale attenzione. Il De Leva pensò anche a scrivere una vita di S. Francesco, attratto dal grande valore morale sociale del Poveretto di Assisi; ma non so se abbia, neppure in piccola parte, realizzato questo suo disegno. Molte cose nuove e veramente di peso egli espose nella dissertazione, cui diede occasione la raccolta dei dispacci della legazione romana (1592-5, 1598) di Paolo Paruta, e che ad essa va anzi preposta (1). Con questi dispacci il nostro pensiero viene portato alla fine del secolo XVI. Il De Leva, giovandosi non solo dei dispacci e degli altri documenti stampati nella (1) I tre volumi comprendenti l’edizione di questi dispacci comparvero a Venezia nel 1887, col titolo: Paolo Paruta e la sua legazione a Roma, e a spese della R. Deputaz. Veneta di storia patria. I dispacci furono per la massima parte trascritti e annotati dall’ab. prof. RinaLno Furin. Siccome il Fulin fu colpito da morte precoce, poco prima che desse termine al suo lavoro, questo venne terminato dal comm. FepeRICO STEFANI. 152 CARLO CIPOLLA raccolta, ma ancora di altre carte da lui trovate a Firenze ed a Roma, illustra le principali questioni di politica internazio- nale trattate dal Paruta durante la sua legazione, e sopratutto mette in sodo quante abbia fatto quel famoso diplomatico e letterato veneziano per isventare i disegni di Filippo II sopra l’Italia. Anzi è in quest’ultimo punto, che consiste sopratutto il pregio del presente lavoro. Se facciamo astrazione dalla Storia, parmi che questo sia il lavoro più pensato, più solido, più ricco di novità storiche, che sia uscito dalla penna del De Leva. Favorì la pubblicazione dei Diarî di Marin Sanudo (1), e ammirò la incredibile attività di quest'uomo, il quale raccolse nei cinquanta volumi che costituiscono la sua opera principale, tanta ricchezza di materiali da restarne illustrata non solo la storia di Venezia, ma quella ancora d’Italia, anzi, a dir meglio, la storia di Europa per il mezzo secolo, che segue alla calata di Carlo VIII. Non voglio passare sotto silenzio due dotti compendî sto- rici, indirizzati alla scuola (2). Li scrisse al principio della sua carriera, e se badiamo al materiale scientifico in essi contenuto, potranno sembrare invecchiati. Ma se consideriamo in essi il pensiero dominante, e il lucidus ordo che li caratterizza, dob- biamo riconoscere che essi hanno pregi che non si perdono. VI. Alla memoria degli amici, tributò spesso il De Leva l’o- maggio di una commemorazione, dotta non meno che affettuosa. In queste sue commemorazioni riconosciamo, per l’acuta inda- gine psicologica, l’antico filosofo, e per la cura posta a mettere in bella vista il valore morale degli elogiati, l’uomo informato ad elette virtù. (1) Marin Sanudo il Giovine e le opere sue, Venezia, 1888. (2) Sommario della Storia antica, Padova, 1852; Sommario della Storia di popoli antichi, Padova, 1356. iii COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA fi Con profondo rispetto parlò di Samuel David Luzzato (1), dottissimo rabbino di Padova, che validamente promosse tra i suoi correligionari, e non fra essi soltanto, gli studi sul Vecchio Testamento. Addì 3 giugno 1874 nella grande aula dell’univer- sità di Padova parlò di Niccolò Tommaseo (2). Il Tommaseo era nato a Sebenico, e il De Leva, che sempre amò la Dalmazia, gode di dirsi suo “ compatriota ,, e “ per antica affettuosa ri- verenza quasi figlio ,. Riassume ciò che il Tommaseo fece nel 1848 per l’indipendenza della nazione, ne pone in luce i meriti come letterato, e come educatore, e ne encomia le virtù re- ligiose, morali e civili. Altro suo intimo amico fu l’abate Giuseppe Valentinelli, prefetto della biblioteca Marciana: le parole (8) che egli dedicò alla memoria di quell’esimio bibliografo, sono la manifestazione del suo cuore, sanguinante per una perdita irre- parabile. Discorrendo di Francesco Miniscalchi (4) non si ricorda soltanto dei suoi meriti come orientalista, ma anche dei suoi pregi morali, tra i quali non vuole dimenticata la cura affettuosa che il Mimiscalchi aveva avuto verso il suo “ vecchio padre ,. Quando Padova dedicò una lapide ad Andrea Cittadella, egli encomiò in lui quegli, che sotto il dominio straniero aveva spe- rato giorni migliori (5). Nel 1878 (6) dinanzi all’Istituto Veneto commemorò in Vittorio Emanuele II il restauratore della na- zione. Ricordò Lodovico Menin (7) all'Accademia di Padova, con parole ispirate a reverenza. Il Menin era stato suo professore di storia, ed egli ritrae al vivo il suo “ illustre e benemerito maestro ,, e ne delinea il metodo didattico. Le lezioni del Menin erano eloquenti, piuttosto che profonde. Il De Leva dichiara di (1) Della vita e delle opere del prof. S. D. Luzzato, Padova, 1856. (2) In morte di Niccolò Tommaseo, in “ Arch. Veneto ,, VII, parte 2*, 1874. (3) Arch. Veneto, X, parte 2°, 1875. (4) Della vita e delle opere del conte Francesco Miniscalchi Erizzo, negli ‘ Atti dell'Istituto Veneto ,, serie V, vol. 2°, p. 645 sgg., a. 1876. (5) Ricordo del VI anniversario dalla morte dell’illustre conte Andrea Cittadella Vigodarzere, Padova, 1876. A questo benemerito patrizio pado- vano, il De Leva aveva intitolato nel 1863 la sua Storia di Carlo V. (6) Negli Atti dell’Istit. Veneto, serie V, vol. 4°, p. 335 sgg. (7) Commemorazione del socio L. Menin, segretario dell’ Accademia, Pa- dova, 1875. Il Menin morì nel 1874. 754 CARLO CIPOLLA preferire il metodo “ a freddo ,, ma riconosce che, secondo le esigenze didattiche di quei tempi, in cui dovevasi nel volger di un anno esporre tutta la storia universale, il Menin non poteva fare diversamente. In Rinaldo Fulin (1) ritrae l’uomo, cui “ il lungo studio e le intense meditazioni , hanno logorata anzi tempo la vita. Loda in lui il critico acuto, che aperse nuove vie nella storia inesauribile di Venezia, ma più ancora lo segna a modello per le rarissime qualità del suo animo. Il Fulin, osserva il De Leva, fu “ largo sempre , coi suoi discepoli “ di consigli e di aiuti ,, e quindi strinse con molti tra essi “ amicizie piene, forti, dure- voli per tutta la vita ,. Amico affezionato e rispettoso a Gio- vanni Cittadella, lo storico della dinastia Carrarese, il De Leva (2) apprezzò in lui il valore nella erudizione, e l’amore alla patria. Ma anche questa volta non dimenticò le virtù private: “ e quanta la bontà dell'animo suo! Figlio devoto, marito amoroso, tenero padre, fece della sua casa un tempio per sè, un modello, per gli altri, d’ogni virtù ,. Nel commemorare Giacomo Zanella (3), istituì un esame psicologico delle sue poesie, e le pose a riscontro colla sua vita, per dimostrare che in lui il pensiero si conformava all’azione. Pose in bella vista quanto il poeta vicentino sentisse gli affetti più delicati e sapesse squisitamente esprimerli. Esaminandone le versioni poetiche, mostrò quanto abile fosse lo Zanella nello assimilarsi il pensiero altrui. La vita dello Zanella, piena di Fede e di Carità, dà occasione al De Leva di accennare ad ar- gomenti religiosi. Egli trova che nell'animo dello Zanella con- ciliavansi la Chiesa e la Patria, la Fede e la Scienza. Bellis- sime poi sono le parole che chiudono la commemorazione: “ Auguriamo alla patria nostra ch’egli rimanga l’ideale della gioventù che sorge, a persuaderla che solo il perfetto accordo (1) Della vita e delle opere del prof. ab. Rinaldo Fulin, in È Atti dell’Ist. Veneto ,, serie VI, vol. 5°, p. 71 seg., a. 1886. (2) Della vita e delle opere del co. Giov. Cittadella, Padova, 1887 (Estr. dagli “ Atti dell’Accademia di Padova ,). (3) Commemorazione di Giacomo Zanella, negli “ Atti dell’Istit. Veneto ,, serie VI, vol. 7°, p. 1235 sgg., a. 1889. COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 755 fra l’uomo e lo scrittore crea le opere veramente insigni e la vera e durevole grandezza , (1). Insistetti forse più a lungo che non si potesse credere necessario sopra gli elogi funebri del De Leva, ma lo feci per questo, ch’essi ritraggono al vivo le sue elette qualità morali. E così, dopo aver percorso, sia pure molto rapidamente, tutte le vicende della sua carriera scientifica, ritorniamo a con- siderare in lui l’uomo, ricco di virtù religiose, civili e dome- stiche, fedele nelle amicizie fino al sacrificio di sè medesimo, modesto, affabile, generosissimo. Le traversie della vita, che per lui furono gravi e dolorose, egli le sopportò con animo cri- stianamente rassegnato. Come abbiamo veduto, nelle sue commemorazioni funebri più volte ricorda gli affetti domestici delle persone, che egli (1) Cito qui alcune delle più importanti sue relazioni bibliografiche, le quali giovano a conoscere sia la vastità delle sue cognizioni, sia l’inte- resse, che egli, delicato negli affetti, portava alle opere degli amici. Del libro di Benrara su Bernardino Ochino, fece cenno nell’ È Arch. Veneto ,, vol. X, parte 2°. Lodò Il primo Rinascimento di Grusepre Guerzoni (Padova, 1878), perchè egli non pose alcun vero distacco tra il Medioevo e il Rina- scimento ; l’unico distacco sta fra l’Antichità e il Medioevo, ed è segnato dalla “ trasmigrazione dei popoli ,, e del Cristianesimo. Dell’opera di C. Gropa sul Guicciardini, parlò nell’ Arch. Veneto, vol. XX, parte 2* (1880); del lavori storici di B. Morsotin, negli Atti dell’Istit. Veneto, V, vol. 5°, p. 161, a. 1879; dei meriti della Storia del diritto italiano di A. PermiLE, nell'Arch. Veneto, XXI, parte 1°, 1881; della cronologia greca antichissima di E. BerrANzA, negli Atti Istit. Veneto, V, vol. 6°, p. 607, a. 1880; della dissertazione del DéLLINGER sopra Dante considerato qual profeta, ivi. VI, vol. 6, 1888; della Geschichte Karls V di H. Baumearten, nella Riv. st. ital., vol. VI, fase. 4, 1889; del Diario del- l’Infessura, pubblicato da O. Tommasini, negli Atti dell’ Istit. Veneto, VII, vol. 2; del libro di M. Biipracer, sui casi di Don Carlos, negli Atti del- l'Accademia dei Lincei, ottobre e nov. 1892. Negli Atti dell’Istit. Veneto (VII, vol. 4, 1893) giudicò che il volume di F. Nirri sulla politica di Leone X è “ un’opera di singolare valore ,, ma avanzò alcuni dubbi sulle opinioni dell’autore rispetto all’atteggiamento assunto da quel pontefice di fronte a Carlo V. Questo discorso riapparve, in forma di recensione, nella Riv. stor. ital., 1893, p. 448 sgg. — Ricordo di avere udito dalla bocca del prof. De Leva che nella sua giovinezza egli aveva scritto, in lingua inglese, e per un periodico inglese, alcune relazioni sopra i libri di materia storica, che | di mano in mano si pubblicavano fra noi. Sopra di ciò, null'altro mi fu dato conoscere. — Aveva piena conoscenza della lingua tedesca. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. Ur DO 756 CARLO CIPOLLA loda. Non parrà indiscrezione se chiudo i cenni presenti, ricon- ducendomi col pensiero alla Vedova e alla Figlia, che egli tanto amò e dalle quali tanto fu riamato; e se, risalendo di molti anni addietro, evoco nella mia mente il ricordo dell’ affetto grande che egli ebbe verso la vecchia sua Madre. L'ho sempre dinanzi agli occhi la vecchia madre del De Leva. Stava seduta, lavorando, accanto al tavolo su cui il figlio scri- veva i dotti volumi, intorno ai quali ci siamo intrattenuti. La madre non poteva staccarsi dal figlio, il figlio non abbandonava la madre, se non per recarsi dove i suoi doveri lo chiamassero. Ma non la lasciava mai, senza darle un bacio e riceverne un bacio. Noi suoi discepoli, frequentando la sua casa ospitale, tro- vavamo in quella famiglia una scuola di alte e delicate virtù. Nuovi appunti di storia Novaliciense ; del Socio CARLO CIPOLLA. Un Codice Novaliciense posseduto dalla biblioteca Ambrosiana. Nuove spigolature Novaliciensi aggiungo alle comunicazioni fatte oramai più volte a questa Accademia. Venga in primo posto un codice, che secondo ogni verisimiglianza fece parte della biblioteca di quella Abbazia fino al principio del sec. XVII. Ne debbo la conoscenza alla cortesia del Collegio dei dottori della biblioteca Ambrosiana, e specialmente al sac. dott. Gio- vanni Mercati, e volentieri colgo questa occasione per dimo- strare la mia gratitudine per le molte gentilezze che sempre ho trovato, quando mi recai a studiare in quella celebre biblioteca. Nella biblioteca Ambrosiana, colla segnatura A. 49. Inf. Ml. ie pen i Pia a NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE Vi] trovasi un ben manoscritto pergamenaceo, legato in epoca rela- tivamente moderna. Sul verso della copertura, di mano del se- colo XVII, si legge il contenuto del libro : “ Hec in isto codice continentur: “ Alcuinus, de virtutibus. Nota Alcuinum, quem — “ D. Prosperi Aquitanici de uita actiua et contemplatiua libri tres, qui sunt impressi. Nota hunc Prosperum fuisse — «“ Felicibus auspiciis ill. card. Federici Borrhomaei Mediol. Archiep., Olgiatus scripsit anno 1605 ,. Segue d’altra mano, presso a poco contemporanea, questa dichiarazione : “ Hunc codicem praepositus Platea Mediolanum Taurino trans- misit, eumque extraxit ex quodam coenobio, quod est Oscelae, vulgo dicitur Susa di Savoia ,. Questa notizia forse avrebbe trovato la sua spiegazione in un’altra, che, dalla prima mano, venne apposta al margine in- feriore della pagina. Pur troppo ne andò stracciata la fine. Ecco quel poco che se ne può rilevare : “ Questo codice è stato mandato d..... DN Che cosa siasi voluto significare con Oscela non è del tutto chiaro, quantunque con fondata congettura vi possiamo vedere una allusione alla Novalesa. Nel sec. XVII l’ab. Luigi Rochex (1), istoriografo della Novalesa, identifica Ocelum dell’antichità clas- sica colla Novalesa. Non importa qui vedere se tale identifica- zione sia giusta, ma basta avvertire che essa si faceva, e pre- cisamente nel secolo stesso al quale appartiene la notizia, che stiamo considerando. Della vera posizione di Ocelum discorre colla consueta sua dottrina il prof. E. Ferrero (2), il quale lo colloca a mezza via incirca tra Susa e Torino. (1) La gloire de l’abbaye et vallée de la Novalèse. Chambéry, 1670, libro I, cap. 3, p. 1-2. (2) La strada romana da Torino al Monginevro, in “È Mem. Accad. d. Scienze di Torino ,, XXXVIII, Scienze morali, p. 427. Veggasi pure la carta geografica annessa a questa Memoria. — CarLo Prom1s, Storia dell’antico To- rino. Torino, 1869, pp. 56, 129, 288, tratta della posizione dell’antica Ocelum, ma non si occupa della storia di questa quistione. Monsignor Francesco Agostino DeLLa CHiesa, che nella Descrizione del Piemonte, vol. IV, p. 473 758 CARLO CIPOLLA Interpretando alla lettera le parole surriferite, dovrebbesi credere che Ocelum fosse nient'altro che Susa. Ma non essendo probabile che egli sia caduto in tanto errore, resta adito a du- bitare che abbia fatta sua quella opinione, che più tardi venne, come certa, difesa dal Rochex. Potremmo pensare ad Oulx, ma ivi non c’è un cenobio, sib- hene una prepositura di canonici regolari. Saranno, se vuolsi, due istituzioni simili; ma pur l’una non è l’altra. Quindi, fino a prova contraria, puossi ritenere che il nostro codice provenga dalla Novalesa. Accresce la probabilità in favore della Novalesa, la consi- derazione che la terra di Oulx rimase unita al Delfinato fino al 1713. Sembra quindi supposizione poco probabile, che al prin- cipio del sec. XVII si confondesse una prevostura del Delfinato con un cenobio di Susa. Il ms. è apertamente di due mani. Alla prima appartiene l’opera di Alcuino, e ad essa mancano i primi fogli. Alla se- conda mano dobbiamo l’opera attribuita a Prospero. Il fol. 1r comincia: “ sicut |nihil proficiunt] opera bona sine [fide recta] unde & — ,, parole che spettano al cap. II dell’opera Alcuiniana (cf. Miene, Patrol. latina, vol. CI, col. 615, dove in luogo di “ sicut , leggesi “ ita ,). Termina l’opera al f.15v: “ — perpetua coronabitur gloria. | Gratias Deo agentes per omnia secula. amen. | Explicit liber alcuini ,. Le didascalie sono in rosso, e in rosso sono anche le grandi iniziali dei capitoli, grandi così da abbracciare lo spazio di due righi. Qualcuna fra queste iniziali grandi è illuminata in verde. i I Il carattere con cui fu scritto il testo dell’opera di Alcuino è il semionciale, bello, elegante, regolare, ma con alcune par- ticolarità che denotano un’epoca non molto antica. Le lettere 5, d, h, l sono cuneate. La g ha l’occhiello chiuso, ma la coda è aperta. Chiusa è la a. La ripiegatura dell’asta ultima a destra, (ms. in copia nella Biblioteca di Sua Maestà in Torino), non parla di Ocelum a proposito della Novalesa, nella Corona reale di Savoia (Cuneo, 1655, p. 372) dice che “ alcuni , identificano Ocelum con Exilles. Ma questa , identificazione non è applicabile al caso nostro, in forza del cenobio men- zionato dalla annotazione, che stiamo considerando. ill en Pip ati ni iuza } | : j | i NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 759 x nella m e nella n, se non è perfettamente carolina, denota tuttavia ancora un’età abbastanza antica. L’asta orizzontale della # non è mai oltrepassata dall’asta verticale. L’illustre abate Antonio Ceriani, prefetto della biblioteca Ambrosiana, il quale, come ognuno sa, è maestro dottissimo in questi studi, mi suggerì di attribuire al X secolo questo manoscritto. Al fol. 9 7 leggesi una postilla. di mano franco-piemontese del sec. XIV, che dice: “ nota contra auaros ,. Di altra e più tarda mano segue l’opera attribuita a San Prospero. Fol. 16 v. Didascalia, in rosso : “ Incipiunt capitula de uita actiua et contemplatiua reliosi (sic) Prosperi libri tertius (sic). | Quid inter vitam contemplatiuam & actiuam distat — ,. L’opuscolo termina al fol. 75 v in questa maniera : explicit liber tertius feliciter cum gratia . pax . fides. ca- ritas precium non habent . deum time & mandata eius cu- stodies (1). Alla voce “ tertius , un richiamo introduce nella dizione le parole, aggiunte in fine, ma non dalla stessa mano : RELIGIOSI PROSPERI. Queste parole sembrano posteriori di parecchi anni al resto. L’opuscolo, che qui viene attribuito a S. Prospero, più co- munemente corre sotto il nome di Giuliano Pomerio, prete, che insegnò ad Arles e contò tra i suoi discepoli S. Cesario (2). I suoi libri de vita contemplativa furono dal Migne inseriti nel vol. LIX della sua Patrologia latina. L’opuscolo di Prospero, o di Pomerio, che voglia dirsi, fu scritto da mano alquanto posteriore a quella cui si deve l’ope- retta di Alcuino. Il testo è in minuscolo postcarolino, a carat- tere alquanto angoloso, in cui si sente l’influenza straniera. Il Piemonte potrebbe essere benissimo la patria di questo libro, scritto in un tempo in cui il distacco tra la scrittura italiana e l’oltremontana cominciava appena a delinearsi. Il carattere è abbastanza regolare, ma non è molto ele- gante. Ogni residuo del corsivo, che spesso si mescola nell’an- (1) Im “ explicit ,,, le dune I sono rispettivamente incluse nella L e nella C. La I di “ liber , è chiusa nella L, e così la prima I di “ feliciter ,. (2) BarpennewER, Patrologie. Freiburg i/B, 1894, p. 570. 760 CARLO CIPOLLA tico minuscolo, qui si può dire scomparso. L'ultima asta della m e della n» ricorda ancora il carattere carolino, sebbene preannunci oramai il minuscolo dell'ultima maniera. L'asta verticale della # non sorpassa mai l'asta orizzontale. Rarissime sono le traccie di cuneazione nelle solite lettere, che nel sec. X presentano questa forma particolare ; tuttavia queste traccie totalmente non mancano. Le iniziali minori, interposte nel testo, sono in nero, con illuminazione in rosso. Le didascalie sono in lettere grandi, di color nero, con illuminazione in rosso. Le lettere delle didascalie sono di varie specie : alcune sono vere maiuscole, mentre altre sono soltanto lettere minuscole ingrandite. Qualche lettera è di forma capitale; alcune altre lettere sono onciali. Queste particolarità paleogra- fiche sono comuni nelle didascalie degli antichi manoscritti, ma pur non si dovevano qui passare sotto silenzio. Le iniziali maggiori, al principio dei capitoli, sono in nero, internamente colorite in rosso. Quanto alla loro forma, alcune sono in capitale ed altre in onciale. Di alcune lettere figurano qui le due forme. Così, p. e., avviene della D. Nel Messale No- valiciense del XII secolo (cf. Ricerche, tavola a p. 97) incon- triamo la Q maiuscola con due rientri laterali interni, tali, che ciascuno dà origine ad una forma somigliante ad un triangolo. Anche questa forma della Q trovasi nel Codice Ambrosiano, colla differenza per altro, che la Q del ms. Ambrosiano è chiusa, ed è aperta per contro la Q del Messale, che si vede riprodotta nel mio facsimile. Sono numerosi e di prima mano i segni di interpunzione, dei quali compariscono qui tre specie, vale a dire il punto fermo, il punto e virgola, e il punto interrogativo: / ? La g ha chiuso l’occhio, e aperta la coda. La a è sempre chiusa. Non è facile segnare l’epoca di questo ms. Non c’ingan- niamo tuttavia di molto assegnandolo alla fine del secolo X, ovvero al principio del seguente. Forse lo assegneremmo con maggiore franchezza al principio del sec. XI, se alcune notazioni o prove di penna che si leggono in fine all’opera attribuita a Prospero, non presentassero alcuni caratteri arcaici, nella forma di qualche lettera. NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 761 Vengono anzitutto due notazioni, di cui la prima passa sopra la seconda, nascondendone le ultime parole; esse sono di argomento sacro. “ Beatissimus Petrus chathenis in carcere ti ///// Deus ///{/ centies £///[I/ ». La terza notazione sta da sè, e dice così : “ celitus ennormen michael euerberat ostem ,. In queste tre notazioni la forma della m e della » richiama molto dappresso il carattere carolino. Anzi una delle m della terza notazione ha la terza asta a destra, priva affatto di apice, e l’asta stessa è concava internamente e convessa all’ esterno, così che ha proprio l’aspetto di una lettera m della età carolina. A titolo di saggio, riporto qui le varianti che trovai raf- frontando un capitolo di Alcuino, e un breve brano di Prospero, nel codice Ambrosiano, coi rispettivi testi, secondo la edizione del Migne. Per Alcuino scelsi il capitolo VI “ de pace , (fol. 2 7). Ms. Ambrosiano : relinquo nobis (Mrene: dimitto vobis) — iam me cepit (M.: iam coepit vocari) — pacem esse noluerit (M.: pacem noluerit) — contempnit (M.: contemnit) — pervenit (M.. pervenit, ma colla var.: ducit) — viciis (M.: vitiis) — habendum est (M.: habenda est) — mali sint (M.: mali sunt) — in bonis (M.: in nobis, colla variante : in bonis) — caritatem (M.: charitatem) — Pax sanctum (voce aggiunta nell’interlinea da mano del sec. X) spiritum specialius (M.: Pax spiritum Dei specialiter) — de qua dominus per (M.: de qua Deus per) — plebis (M.: plebis est) — leticia (M.: letitia) — manet (M.: Dei manet) — ammonere (M. admonere) — faciat, colla prima a di correzione e le lettere ci aggiunte interlinearmente da un correttore del sec. X (M.: fiat). Quanto a Prospero (o a Pomerio) mi accontentai di un brano del cap. V (fol. 34 v) che nel ms., come pure nella edizione del Migne (LIX, 447) si intitola: “ Obiectio quam sacerdotes sancti quorum cura est perdite uiventes arguere. simulatores religionis equanimiter ferant ,. Solo è ad avvertire che nel Migne costi- tuisce il capo IV. Qui le varianti sono assai poche, e di poco conto. Ms. re- citare (Mrene: recitari) — quid, corr. da quare (M.: et quid) — abitiunt (M.: abjiciunt) — melioris, colla s finale raschiata (M.: melioris). Giunsi col raffronto sino a: “ — pro virtute suscipiunt ,. 762 CARLO CIPOLLA II. Nuove pagine della trascrizione del codice Phillips. Nelle mie Ricerche (p. 63) sull’antica biblioteca della Nova- lesa ebbi occasione di parlare di alcuni fogli, scritti da un amanuense del XVIII secolo, i quali si trovano nella biblioteca nazionale-universitaria di Torino, busta LXXI. Essi ci danno la trascrizione di una buona parte di un codice Novaliciense, miscellaneo, già studiato sul cadere del secolo scorso da Eu- genio De Levis, ed ora esistente nella biblioteca Phillips in Inghilterra, alla quale pervenne non si sa per qual via. Ora nella biblioteca di Sua Maestà in Torino (Miscellanea patria, vol. CIX, fasc. 2) riconobbi alcuni altri fogli di quella medesima trascrizione. Ne do qui la tavola: a) Fol. 1 r. De translatione S. Benedicti abbatis, ex cod. ms. mo- nasterii Novaliciensis incerti authoris, caractere antiquis- simo in pergam. exarato. Cum diu gens Longobardorum infedelitatis suae — |cfr. Ricerche, p. 69, n° 23]. 6) Fol. 5 v. De Ceroma. Brevis incerti authoris dissertatio, ex ms. Mon. Noval. Questiunculam mihi datam — [cfr. Ri- cerche, p. 66, n° 9]. c) Fol. 6 v. Acta S. Catherinae V. et M., ex ms. Novaliciensi authore Petro monacho eiusdem, ut creditur, coenobii, qui circa annum 1400 eiusdem asceterii prior claustralis erat ex urbe Cherii et ex nobili familia. —Regnante Maxentio Cesare Maximiani Augusti filio cum Diocletiano moltos — |efr. Ricerche, p. 69, n° 21. Si noti che qui, per isvista, sì danno come iniziali dell’opuscolo alcune parole, che, a ri- gore, De Levis riferisce solamente a dimostrare che autore del libro originale greco era “ Athanasius ,, essendone Pietro il traduttore]. Vuolsi osservare, che se il nostro amanuense avesse ra- gione, si dovrebbe credere che questa vita di S. Caterina sia e I rà, —_e— NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 763 stata aggiunta in età molto tarda al volume (1). Ma di ciò è lecito dubitare, chè l'avrebbe avvertito lo Schenkl, Bibl. patr. latin, V, p. 22 (Wiener S. B., CXXVII.. d) Fol. 13 v. Aliud ms. incerti authoris de Hungris Galliam de- vastantibus ad episcopum Virdunensem. Domino beatissimo et vere apostolico —. L’opuscolo rimane tronco alle parole: “ — quae cum eis venturae dicuntur ,, mancando nel nostro ms. le pagine seguenti |cfr. Ric., p. 65, n° 4]. Colle parole aliud ms. qui non si vuol accennare ad un altro codice, diverso da quello contenente gli aneddoti sopra ricordati. Ciò sarebbe in contraddizione col vero. Intendansi adunque quelle parole nel senso, che l’ ppi de Hungris è altra cosa da quanto precede. LIE Fabrizio Malaspina. Ebbi occasione (2) di parlare dell’abate Fabrizio Malaspima e dei suoi studi eruditi, e ricordai che nel ms. Prospetto d’al- cuni lavori letterari di F. M. (biblioteca di Sua Maestà a Torino, Miscell. patria, vol. CXLVIII) si ricordano le sue Memorie sto- riche delli monasteri di S. Pietro della Novalesa e di S. Pietro di Breme, ece., donde fu estratta la breve Dissertazione sulla patria e sulla età del Cronografo Novaliciense (Tortona, 1816). Della sorte toccata a questo ms. nulla potei conoscere. Invece il dottor Eugenio Casanova (3), dell'Archivio di Stato di Firenze. mi avvertì gentilmente del destino avuto dai volumi che il Ma- laspina aveva scritto intorno alla storia di sua famiglia; negli ultimi anni pervennero all'Archivio di Stato di Firenze, per la- scito fatto dall'ultimo marchese Malaspina di Fordinovo. Quel ms. si compone oggidì di 4 volumi; il volume quinto, che do- (1) Il f. 8 è bianco al reeto ed al verso. (2) Nuovi appunti, p. 27 (@ Mem. dell’Accad. ,, XLV, Scienze morali, p. 173). (3) Cfr. Arch. st. ital., V serie, vol. XVII, 232 (anno 1896). 764 CARLO CIPOLLA veva contenere il codice diplomatico, o non fu mai terminato, o almeno non fece parte dell’eredità abbandonata dal predetto marchese. Insieme con questi volumi l'Archivio di Firenze ebbe anche un migliaio di pergamene incirca, riguardanti la storia dei Malaspina e della regione Lunense, fino al 1799. Nulla vi si trova che abbia attinenza colla Novalesa o con Breme. Non sarà estraneo al nostro scopo far seguire qui qualche notizia biografica sull’abate Fabrizio Malaspina, che deduco da una lettera indirizzata da Edoardo Odetti all’ab. G. B. Adriani, . in data 12 aprile 1863. L'originale di questa lettera viene tut- tora custodito dall’Adriani, il quale con gentilezza squisita me lo prestò, affinchè potessi servirmene. Rendo al ch. comm. Adriani le dovute grazie. La lettera dell’Odetti non serve soltanto a chiarire, con qualche dato di fatto, la vita semplicissima del Malaspina, ma ci dà qualche utile schiarimento sulla fine dell'abbazia Bremense. Tanto più volentieri la riassumo quindi in questo luogo. Nacque il march. Fabrizio Malaspina il 19 genn. 1772 in Varzì, circondario di Bobbio, nella provincia di Pavia. Il 21 gen- naio 1787 entrò nella Congregazione Olivetana di S. Benedetto, vestendone l’abito in S. Michele in Bosco di Bologna ; professò il 13 luglio 1788 nel monastero di S. Maria delle Grazie in Novara. Fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1794. Dal 1794 al 1798 insegnò logica e metafisica nel monastero di Monte Morcino di Perugia. Ma in quest'anno dovette allontanarsi da quella città, poichè il governo francese emanò un ordine, che ne escludeva i forestieri. Allora si ritirò nel monastero di S. Maria delle Grazie di Novara, del quale fu superiore dal settembre 1802 all’aprile 1803, allorchè fu dalla congregazione eletto abate. Il monastero delle Grazie presso Novara era succeduto a quello di Breme, ed è per questo motivo che il Malaspina prese amore allo studio delle antichità Novaliciensi. Riferisce poscia l’Odetti nella citata sua lettera, che nel giugno 1803, in causa dell’incameramento dei beni monastici ordinato da Napoleone per il regno d’Italia, il Malaspina, insieme coi suoi monaci, dovette trasferirsi a Milano. Venne intanto la legge del 1810, che sopprimeva gli Ordini religiosi. Il Malaspina ne restò colpito, tanto più che, in Lombardia essendo conside- NUOVI APPUNTI DI STORIA NOYALICIENSE 765 rato quale forestiere, non gli si volle dapprima neppur concedere la tenue pensione, stabilita dalla legge di soppressione. Ebbe più tardi una meschina pensione, e si recò a stabilirsi a Varzì, sua terra nativa. Nel 1816 pubblicò la sua dissertazione sul Cronografo Novaliciense, in fine alla quale aggiunse tre docu- menti (1), dei quali possedeva gli originali. Poco appresso il prefetto di Tortona lo avvertì per lettera che quei tre docu- menti erano desiderati dalla direzione degli “ Archivi di Corte ,, di Torino. Il Malaspina annuì ; anzi si recò egli stesso a Torino, e consegnò le tre pergamene al conte Galeani Napione, presi- dente capo dei predetti Archivi (2). Il Napione usò al Malaspina ogni maniera di cortesie; anzi nel 1825 al donatore fu asse- gnato, sulla cassa del R. Economato, l’annuo reddito di lire 250, fino a che egli avesse ottenuto qualche impiego. Nel 1827 il Malaspina fu nominato membro del Magistrato della Riforma. Nel 1833 fu chiamato a far parte della R. Deputazione di Storia patria, poco prima fondata da re Carlo Alberto. Stante la sua tarda età, nel dicembre 1844 venne esonerato dall’officio di Riformatore. Sopravvisse ancora lunghissimi anni, e morì in Torino il 2 aprile 1863, nell’età di oltre 91 anno. Il comm. Adriani, nella sua preziosa biblioteca, che egli tiene in Cherasco, possiede ms. il “ Catalogo delle opere, opu- scoli e documenti da’ quali in unione a moltissimi istromenti d’archivi pubblici e privati sono state estratte le memorie sto- riche diplomatiche per servire alla storia della famiglia Mala- spina raccolte d(all’) a(bate) d(on) F(abrizio) d(ei) m(archesi) M(alaspina) d(i) V(arzi) 1844 ,. (1) Bolla di Giovanni XIII, a. 972; diploma di Ottone I, 972; diploma di Ottone III, 998. Questi tre documenti riguardano tutti l’abbazia di Breme, e indubitatamente appartennero all'Archivio della medesima. (2) Si conservano anche oggidì nell'Archivio di Stato di Torino, che, mutato nome, non è altro che l’antico Archivio di Corte. 766 ERMANNO FERRERO LI, Il codice delle Omelie di S. Cesario. Il dotto benedetto p. GERMAIN Morin (L’homéliaire du Burchard de Wiirzburg, in: “ Revue bénédictine ,, (Abbaye de Maredsous, 1896, n° 3 (marzo), p. 102, nota) identificò il frammento di Omelia, che pubblicai nelle Ricerche, p. 13-4, nota. L’omelia è veramente di S. Cesario di Arles e appartiene al numero XI della raccolta delle XI/Z Admonitiones. Il Morin mi rinvia, per questo riguardo, anche al volume di C. F. ArnoLp, Caesarius von Arelate und die gallische Kirche seiner Zeit, Lipsia, 1894, pp. 485-90. Ringrazio il ch. p. Morin di questo utile comple- mento, che egli si compiacque di dare alle mie ricerche. Un ripostiglio di monete della repubblica romana scoperto a Romagnano Sesia; Nota del Socio ERMANNO FERRERO. Da qualche tempo io era informato della scoperta, av- venuta nello scorso anno presso Romagnano Sesia (1), di un (1) A circa mezzo chilometro a sud partendo dalla piazza di Romagnano e ad un centinaio di metri dal cimitero, nella regione Figàro; alla profondità di mezzo metro, nel ripiantare una vigna (informazione del dott. Donetti, medico a Romagnano, procuratami dalla cortesia del dott. G. Carbonelli)- Basta il nome ad indicare l’antica origine di Romagnano (fundus Roma- nianusì, che trovavasi, come pare, nel pago Agaminus, i cui abitanti (pagani Agamini) sono ricordati da lapide di Sizzano (C. I. L., V, n. 6587), ed il cui nome sopravvisse nella moderna Ghemme. Si osservano presso Romagnano ‘ ruderi di un ponte sopra l’antico letto della Sesia; da Romagnano furono UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 767 tesoretto di monete di argento della repubblica romana, portate poi a Torino per essere vendute. Ultimamente ho veduto anch'io queste monete: trecento denarii, non uno di più, non uno di meno. Ignoro se ve ne fosse maggior numero; so che ben di rado i ripostigli monetarii giungono intatti all’illustratore. Ho veduto pure i frantumi del vaso, che conteneva il tesoretto; rozza urnetta di terra grossolana con una rete di graffiti tracciati sul ventre: potevano starvi dentro ancora altre monete oltre alle trecento, non però molte. Do l'elenco di queste monete, riferendomi all'opera del Babelon (1) e al primo catalogo della serie repubblicana del medagliere torinese compiuto dal Fabretti (2), che tenne conto di ogni più leggera differenza, non solo di simboli e di cifre, ma anche di forme grafiche: noto le varietà, che mancano a questo catalogo, e indico quelle monete, che sono nuove di zecca o quasi, osservando che anche le altre in generale sono in buono stato di conservazione. portate a Novara le iscrizioni C. I. L., V, n. 6592 e Suppl. It., I, n. 886. Le memorie storiche di Romagnano sono state raccolte dal ch. Carlo Dionisotti, La Vallesesia ed il comune di Romagnano (Torino, 1871). (1) Descr. hist. et chron. des monn. de la rép. romaine, Paris, 1885-86, 2 vol. (2) Raccolta numismatica del R. Museo di antichità di Torino — Monete consolari, Torino, 1876. L'ho preferito, come più in mano degli studiosi, al catalogo della stessa raccolta, accresciuto dai nuovi acquisti, inserito nel vol. IV (Monete consolari e imperiali, 1881) della descrizione del museo tori- nese, che fa parte del Catalogo generale dei musei di antichità e degli oggetti d’arte raccolti nelle gallerie e biblioteche del Regno. 2 RARE Ù - I VITIONVI) I 14 TA 9 © NIMESÌ eaonu Isenb| ] “REA © CVITREDV T 295 A VIII I vv I È (14 RUI I 76 +0. OIOS9AO0I Jou| G66 I T | GF6 ‘i 2 IULIIS L OI 7] ‘A04 [op ‘SSe[ er]ou ros ur] 825 |6 'u‘9p1 d “ G LI Dita] da FUSAY n (5 00% Maio mefur Sagaze ST, uogp ad. * | © "VIN V Ea T PI 9IL Ì; "tu ‘II *’d “« . . . . 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Pre: (Pare VIUIAVA ‘ VINIA() VIOONIT VININA | VIOUVH VIINVIN VITIVIN VINVIVI VINIV]N VILIUONT VITA] * VINION] VIINTAO] nel 10 Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, I È 3 VIUNIN Z ir [®p ‘S30] [jeu eun Ur| 596GF sil fp ei VI ROMANA Z \VWod o "3 4 AO 1 | 706 ! 1Cck ii u ‘pap "d * VINOSITOG G GVS7 Ho d dr G 006 l CPSY iI lor TE MINE pis (Be 977 |g u‘sog d “ "DI UT 88 #97 (Gg u‘s0p d “ QAONU| 8 Rol” | Luogo «e 0 Avo] p SI 68% I cu ‘668 -«d “ RR I I FOTI D OI0SOAC0I [OU| FOGEF |9 'U ‘F6£ fl Fb + > vid T 149! Der SD deo | - * viag I 76 Boor |8 u‘e.g0d “ _& BAONU| T TOT 9937 {9 "u‘T,8"d “ ni QAONU | G TOI Gg |C ‘ug 0d “ Sal IL \ 14444 ari È “ > ga | 961} egzz (E ‘698% si 17 67I. 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Vargunteius, da ascrivere pure a qualcuno degli ultimi anni precedenti. UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 775 x La moneta più recente è adunque dell’82 av. Cr.: nuovi o quasi sono i nummi degli ultimi anni; il ripostiglio ha do- vuto essere sotterrato nell’82 o ben poco dopo (1). Lo stato di alcuni archivi comunali della provincia di Susa ai tempi di Re Vittorio Amedeo III; Nota del socio GAUDENZIO CLARETTA. Il progresso singolare raggiunto oggi giorno dagli studii storici, e la cura lodevole nei loro cultori di rivolgersi alle fonti originali, affine di poter meglio appurare il vero dal falso, ed essere così a poco a poco in grado di costituire su basi in- crollabili l’edifizio della nostra storia nazionale, hanno fatto sì che si sentisse ognor più il bisogno di vedere agevolati i mezzi di poter procurarsi i necessari materiali. Quindi non è a far le meraviglie, se alcuni, animati da spiriti generosi e d’imparzia- lità, abbiano in questi ultimi anni cooperato a tale scopo e (1) AI dott. S. Ricci, che diede un cenno di questo ripostiglio nella Rivista di numismatica italiana, 1895, p. 494, annunciando più ampia rela- zione per le Notizie degli scavi, fa mostrato un gran bronzo logoro, che gli fu detto essere stato trovato con le monete di argento, e che “ quantunque “ indecifrabile, non presenta alcuno dei caratteri degli assi repubblicani ,: onde egli pensò che il nascondimento potrebbe discendere anche al principio dell'impero. Io non ho più potuto vedere questa moneta, che mi sì disse andò perduta. Ammesso che non fosse un asse repubblicano, come si può spiegare nel ripostiglio la mancanza assoluta di monete dopo il principio del secolo I av. C. sino al principio dell'impero cioè per almeno sessanta anni, e l’ottima conservazione dei denarii più recenti, che hanno dovuto circolare ben poco prima di essere sepolti? Più volte mi furono fatti vedere nummi od altri oggetti antichi, che mi si assicurava essere stati trovati insieme; solo dopo paziente interrogatorio giungeva a sapere che insieme voleva dire palmi di distanza. 776 GAUDENZIO CLARETTA rotta, allorchè lo ravvisarono necessario, una lancia in favore della causa degli studiosi. Altri poi tuttochè limitatisi agli archivi dei comuni concor- sero pure nella stessa opera, procurando di additare alcune delle fonti, a cui potessero i ricercatori ricorrere con successo. E fra costoro vuol essere annoverato il professore Demetrio Marzi, che man mano venne pubblicando nell’archivio storico italiano suc- cose e particolareggiate monografie specialmente sugli archivi comunali della Toscana e della Romagna Toscana. Nel VI congresso storico italiano poi, tenutosi nello scorso autunno a Roma, veniva ampiamente discusso il tema della necessità di agevolare ognor più l’accesso agli studiosi in pa- recchi archivi di speciali associazioni e di provvedere ad un riordinamento generale degli archivi dei comuni dello Stato. E per sola informazione di coloro che non coltivando questa ra- gione di studii fossero per ignorarlo, basterà qui avvertire che questo tema proposto dalla torinese società di archeologia e belle arti trovava un’eco profonda nella società storica della Val d’Elsa, e mercè il valido concorso dell’erudito suo rappre- sentante, il professore Guido Bacci riceveva ampio svolgimento in seno a quel dotto Consesso. E frutto di quelle discussioni fu la manifestazione di un voto, che per l'avvenire, e gli archivi dei comuni, e quelli di confrerie e di altri enti morali doves- sero essere resi più accessibili agli studiosi; e con ordini severi e d’ordine dovesse venir meglio tutelato il patrimonio scienti- fico ch'essi contengono. Auguriamoci che per pubblico beneficio l’espressione di così giusti desiderii non abbia, come pel passato avvenne di altres consimili manifestazioni, non abbia, dico, a rimanere un solo voto sterile ed infecondo. Intanto non torna disacconcio il dichiarare, come in riguardo appunto di un tema che ricevette testè ampio svolgimento e che viene così ad avere un carattere di opportunità del giorno, io mi fo lecito d’intrattenermene in queste pagine, facendo co- noscere alcune prescrizioni nostre in fatto appunto di archivi comunali. Il che mi fu fornito dall’ aver dovuto fortuitamente consultare un documento che mi pone altresì in grado di ricor- dare con elogio i principi di Savoia. Infatti essi, nelle tenui proporzioni loro consentite (e se non al certo nello scopo di fa- LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. TU vorire gli studii storici e studiosi, de’quali i primi erano fra noi nell’ infanzia; e i secondi scarsi, isolati e negletti vivevano in perfetto obblio, nè mai avrebbero osato innalzare tant’ alto le loro aspirazioni), pur concorsero indirettamente a conservare intatti sino a certo punto i monumenti, di cui dovevano valersi poi coloro che la sorte benigna loro consentiva di vivere in età più propizia. Come a preludio del documento che somministrò materia a questa monografia, mi sia consentito di ricordare almeno som- mariamente (per non far troppo lunga ripetizione di cose note ai cultori delle storiche discipline fra noi) le cure ch’ebbero i nostri principi per la tutela dei documenti dei comuni. Per non ricordare età troppo remote basterà avvertire che sin dal 1584 sotto Carlo Emanuele I, fra gli ordini impartiti ai delegati per l’amministrazione del comune di Bene, o Bene-Vagienna, eravi quello che si dovesse compilare un inventario dei documenti esistenti in quell’archivio, il quale doveva essere chiuso a tre chiavi, da ritenersi dai sindaci e dal cancelliere (1). Nel 1621 il consigliere di Stato Prospero Galeani, delegato alla generale revisione dei conti pubblici, deliberava, che in quanto al comune di Lagnasco quei sindaci infra il termine di tre mesi dovessero far compilare dal segretario un libro legato in cartapecora con- tenente l’inventario di tutti 1 documenti che esistessero dentro e fuori del cosidetto cofano pubblico (2). Anche le note regie costituzioni provvedevano alla regolare amministrazione comunale. E Carlo Emanuele III nel 1767 dava pur norme certe per la tutela delle carte dei comuni. E vuolsi anco notare che all'esempio del Governo parecchie amministrazioni municipali provvidero allo stesso oggetto. Ma sarebbe un divagar di troppo ed eccedere i limiti di questa memoria il voler annoverare qui le varie disposizioni statutarie a tale proposito; e ne basti, a cagion d’onore, additare la città di Cuneo, che ne’ suoi statuti del 1555 aveva un capitolo inti- tolato De archivio communis. Chi fra noi in tempi recenti ebbe cura d’informarci dello stato degli archivi comunali e del loro contenuto sia nei tempi (1) Dusorn, Raccolta leggi, editt. e manifesti ecc. @) Ib. 778 GAUDENZIO CLARETTA antichi che nei moderni, conformemente ben inteso alle notizie trasmessegli, fu il commendatore Nicomede Bianchi, il quale sin dal 1881 pubblicava nell’utile suo libro Le carte degli archivii piemontesi una notevole parte concernente i detti archivi, la quale dalla pagina 106 a quella 480 contiene un sommario delle categorie dei documenti conservatisi in essi sino ai tempi odierni. Ma nella prefazione egli comincia a dolersi che i registri con- tenenti le inchieste su quegli archivi ai tempi di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III sieno andati smarriti in gran parte, e persino quelli delle più recenti avvenute ed ordi- nate dal Re Carlo Alberto (1). Sembra poi anco che il Bianchi oltre ciò non abbia avuto conoscenza del documento che qui pubblicheremo, e che somministrandoci lo stato degli archivi di parecchi comuni della Val di Susa, serve altresì a fornirci una idea dell’ampio ed utile lavoro che il governo aveva ordinato per tutto lo Stato. Imperocchè con tutta verosimiglianza puossi ritenere che, oltre alla relazione capitatami casualmente alle mani, altre consimili dovevano essersi compilate per le altre province, e che sembra fossero state affidate agli intendenti di queste. La relazione è dell’anno 1777; e per comprendere qual motivo abbia dato occasione alla missione di uno speciale uffi- ciale che visitò i comuni in essa ricordati, bisogna che ci rife- riamo a tre anni antecedenti ad essa. È saputo, come salito nel 1773 al trono Vittorio Amedeo III, aveva egli sul principio lasciato presagire assai bene della sua amministrazione; ed infatti avevano contribuito a creargli una aureola di gloria fra le altre, le cure poste poco dopo a met- tere in assetto le comunali amministrazioni. Frutto delle veglie e delle profonde cognizioni amministra- tive che vi dedicarono per ordine suo ragguardevoli magistrati e personaggi esperti nelle cose di finanza, si fu il celebrato editto e regolamento detto de’ pubblici, vocabolo invalso per de- signare le comunità, uscito il sei di giugno dell’anno 1775. Non devesi peraltro dissimulare ch’esso abbiasi a ritenere piuttosto il risultamento finale degli studii che il D’ Ormea e il conte (1) Opera citata, pag. 36 della prefazione. LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 779 Bogino avevano fatto sotto il regno precedente sul rimaneg- giamento generale delle amministrazioni comunali dello Stato. Comunque ne sia, e prendendo le cose pel loro verso, in omaggio al noto verso del poeta Sic vos non vobis, ecc., avvertiremo che con quell’editto erano tracciati i principii del riorganamento del- l’amministrazione dei comuni, e veniva studiato il modo di prov- vedere al più esatto ed imparziale ripartimento dei pesi, ed av- viare il pubblico al miglior sostenimento dei tributi, conciliato col minor aggravio possibile. Avendo quella legge per iscopo di promuovere coi migliori mezzi la pubblica e privata felicità dello Stato, essa insinuavasi minuziosamente nelle competenze, nelle prerogative e negli uffici delle amministrazioni comunali. Quindi venivano stabilite le regole concernenti le elezioni, i requisiti per conseguire l’uffizio di consigliere, l’esercizio della carica di segretario. E noterò che i segretari, oltre alla probità conosciuta, non dovevano essere avvinti ai privati ed ai corpi morali per causa di liti, rendimento di conti, ecc., e faceva d’uopo ch’avessero il grado di notaio. I consiglieri “ dovevano tutti possedere un competente re- gistro: essere di conosciuta probità e buon giudizio, zelanti del pubblico bene, non minori di anni 23, non aventi contabilità o lite col comune, o verso gli spedali e le congregazioni di carità locali, ecc. ». Ne veniva quindi che il capo, il quale doveva pre- siedere a quelle congreghe, essendo scelto fra persone fornite di quei requisiti, non poteva di meno, di regola generale, che presentare quella garanzia morale e materiale, delle quali con tutto l'apparato delle assicurazioni delle leggi odierne, fanno difetto oggi molti di essi, a danno del pubblico ed a disdoro del governo stesso, che per ragioni partigiane talora li favorisce. ‘Ottimo provvedimento era pur quello di chiedere il con- corso de’ cosidetti maggiori registranti per illuminare il Con- siglio col loro voto interessato, allorchè trattavasi di affari della massima rilevanza e spettanti ad imposizione di maggiori gra- vezze, che invano ebbero a desiderare nei tempi odierni quanti sui loro omeri sostengono la soma principale dei pesi comunali. Ma ne bastino queste osservazioni, non dovendo qui fare l’apologia di questa legge, nè scendere ad inutili geremiadi. Chiunque peraltro sia fornito di una certa dose di buon senso pratico, nè vincolato a passioni di parte, non potrà tacciare di 780 GAUDENZIO CLARETTA eccessivi laudatores temporis acti quanti spregiudicatamente vo- lessero ammettere, essere alquanto da rimpiangersi che i prin- cipii, sui quali poggia la società odierna, più non possano con- sentire che si abbiano a far risuscitare non tutti al certo, ma anche qualcuno dei provvedimenti, coi quali era regolata l’an- tica amministrazione nostra comunale, praticamente più utile all’avviamento della cosa pubblica tuttochè parto di un governo assoluto. E limitandoci a quanto si riferisce al nostro tema, convien sapere, che il capo quarto delle lettere patenti in di- scorso provvedeva appunto agli archivi dei comuni ed alla cu- stodia delle scritture loro. Esso adunque prescriveva che “ ogni città e comunità terrà riposte, ordinate e custodite le proprie scritture, non meno che quelle dei tenimenti aggregati nell’ar- chivio, già dalle costituzioni generali prescritto tenersi nella casa del comune quando vi sia, altrimenti in luogo sicuro, e potendosi in una camera a volta e rimota da pericolo di fuoco, con avvertenza di riporre le seconde separatamente per Hotenre all'uopo avere più facile e pronto ricorso ,. Parimente si prescriveva il modo, col quale le carte dove- vano essere disposte; come se ne, dovesse fare il catalogo, non generico, nella guisa che viene talora compilato dagli inesperti o dai fuggi-fatica, ma particolareggiato e razionale; e che una copia dovesse esserne trasmessa al segretario civile del Senato. Gli archivi comunali dovevano essere custoditi con doppia chiave, e l’una differente dall’altra, le quali si sarebbero tenute dal segretario o dall’archivista e dal sindaco. Si provvedeva anche alle cautele da osservarsi nei casi ne’ quali si dovessero comunicare altrui i documenti, il che poteva avvenire per ra- gioni di contestazioni, non al certo poi per istudio, ma comunque, si provvedeva a non lasciare disperdere quei documenti. In- somma l’ingegno dei compilatori di quelle leggi erasi aguzzato quanto era possibile per riparare i temuti inconvenienti della perdita delle carte, patrimonio dei comuni. Senonchè ancor fra noi devesi deplorare che le leggi son, ma chi pon mano ad esse; quindi, anche ad onta del buon volere del governo e dei prov- vedimenti suoi, non tutti i comuni si dimostrarono solleciti a compiere le prescrizioni determinate. E il sunto stesso che del contenuto di molte di esse, anche di città notevoli, ci ha dato il Bianchi nell’indicato lavoro, denota quanto asseriamo. LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 781 Sequela della legge dei pubblici fu la creazione d’ispezioni di visita, non affidate a giunte (che avrebbero, come d’ordinario avviene, e si vede giornalmente fra noi, complicato il lavoro, protrattone il compimento ad epoca indefinita, e creato un dispendio che in quei tempi si aveva scrupolo di evitare), ma ad ufficiali capaci, di buon volere e coscienziosi, neanco allet- tati dagli elogi di una stampa, manifestazione dell’opinione pub- blica che non esisteva, paghi di compiere nel silenzio al loro dovere. E prova di questo ce la fornisce appunto l’inedita re- lazione dell’intendente di Susa Alessandro Rossi, che verrà così resa di pubblica ragione, se non integralmente affatto, salve alcune eccezioni, nella parte più specialmente concernente gli archivi comunali. La relazione non limitata alle notizie sui soli archivi co- munati è ricca di ragguagli relativi alla statistica, e poteva avere allora considerevole utilità. E sarebbe ad augurarsi che, senza ciaramellare cotanto qua e là, vi fossero oggi uffiziali simili all’intendente di Susa del 1777, volenterosi e capaci, ed usando la parsimonia in tutto, com’egli fece, ma certo maggior correttezza nello scrivere (sola parte in cui non deve essere imitato), proseguissero pure l’opera sua, che non sarebbe men necessaria di quel che essa era stata cento e vent'anni or sono. Il lieve còmpito che mi sono proposto, sarebbe già raggiunto, ma prima di tòr congedo dai benigni lettori non potrà essere tenuto inopportuno l’osservare fatti che devono ritenersi una vera anomalia, considerando i tempi in cui avvennero, e sotto l’impero dei principii in essi professati, nè molto remoti da quelli di cui ci siamo or intrattenuti. Se adunque ai tempi del dominio assoluto dei reali di Sa- voia, per quanto, come dicemmo, non guari propensi a favorire gli studii storici e le lettere, da Vittorio Amedeo II in qua, gli archivi, sia di Stato che dei comuni, furono serbati incolumi, e sla pure in parte, in considerazione della gelosa avversione che si aveva di aprirli agli studiosi, ma anco, grazie alla coscienziosa sorveglianza di coloro, alla cui custodia erano preposti, non così avvenne in tempi retti con altre idee. E par proprio strano, che, come gli archivi di stato ebbero a soffrire il maggior detrimento all’aurora dei tempi che si vantavano propensi ai principii liberali, cioè all’apparire della rivoluzione 782 GAUDENZIO CLARETTA francese (1); così anche quei dei comuni abbiano dovuto su per giù ricevere non poche jatture ed essere tenuti nella massima (1) Quantunque, e nell’opera del BrancHI, Storia della Monarchia piemon- tese, III, pag. 134, e qua e là in altri libri si trovi qualche cenno dell’inva- sione popolare negli archivi di Corte avvenuta la sera del 15 dicembre 1798, nondimeno non sarà inutile qualche maggiore schiarimento ed aggiunta che servirà anco a ricordare nomi di ufficiali di quell’archivio che meritano un elogio per la prontezza con cui seppero eludere la turba famelica che pretendeva l’immediata distruzione degli infami titoli aristocratici. In una relazione manoscritta di quei fatti, avuta anni sono alle mani, si legge che la Segreteria di Stato per gli interni il 17 dicembre dell’anno citato aveva trasmesso ordine al presidente capo degli archivi che era il letterato conte Gian Francesco Galleani Napione, di separare prontamente le carte risguardanti la nobiltà, cioè diplomi, stemmi, infeudazioni, inve- stiture, patenti di nobiltà e rimetterle infra il termine perentorio di 24 ore al Comitato di sicurezza pubblica per abbruciarle senza riguardo ai piedi dell’albero di libertà. Ma per fortuna che il collegio degli archivisti sentendo pietà per un parto, direi così, delle proprie viscere, seppe elu- dere l’insana richiesta col mezzo di questo spediente...: lasciare a parte e ritenere li suddetti già separati documenti e surrogarvi in cambio molte altre scritture state sempre considerate di poca o nessuna conseguenza, anzi inutili, per essere le medesime minute di lettere oppure consegne di bocche umane e di granaglie, fattesi dal 1500 al 1600 nel ducato di Monfer- rato, cosicchè di questa qualità di scritture insieme ad alcune carte di affi- gliazioni agli ordini religiosi e di stemmi gentilizi spiegati e varie altre scritture in pergamena risguardanti solamente interessi fra particolari e per conseguenza non risguardanti il regio servizio se ne sono riempiute casse numero 25 le quali essendosi fra il prescritto termine di 24 ore tras- messe al Comitato di sicurezza pubblica sono state quindi nel 21 gennaio 1799 abbruciate ai piedi dell’albero della libertà... ,. I nomi degli archivisti di quei giorni, degni di essere rammentati con elogio agli studiosi odierni, sono, oltre al presidente capo come chiamavasi, conte Napione, Francesco Masino, archivista regio, Carlo Francesco Franchi, sotto archivista, ed avvocato Vincenzo Grella primo segretario. Anche nella notte del 22 dicembre (1798) alcuni, creduti sul principio democratici, col mezzo di pali di ferro avevano potuto scassinare la porta prospiciente lo scalone a levante degli archivi, e rompere alcuni armadii, ma lasciati intatti i documenti, per loro innocui, eransi contentati di ap- propriarsi arredi di poco valore. Si suppose che gli autori del furto fos- sero stati granatieri francesi stanzionati presso la paggeria e l'accademia militare. Ma l’avvocato Grella suddetto avendone recata la notizia al go- verno provvisorio, questo, colta la palla al balzo, diè ordine che per mag- giore sicurezza si dovessero presentare tutti i documenti muniti o di sigillo d’oro o di custodia d’argento o di argento dorato. Il presidente degli ar- LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 783 noncuranza sotto i governi che si vantano di professare idee più larghe. Ben è noto, come e nelle città e nei nostri comuni chivi credette di non potervisi rifiutare; e non senza rammarico, nella susseguente sera i suddetti archivisti Franchi e Grella consegnarono al Governo provvisorio cento e tre documenti muniti di suggelli d'oro e di argento, e che contenevano diplomi imperiali, bolle pontificie, ratificanze di trattati con potenze estere, contratti di matrimoni, ecc. Il governo prov- visorio dopo avere alleggerito quei documenti del loro peso inutile, cioè dei suggelli, restituilli, in numero però solamente di ottantadue, il 16 gen- naio; e i ventun documenti ritenuti consegnò al rogo presso l’albero della libertà in piazza castello a breve distanza della sede di quei poveri docu- menti rapiti, annuenti coloro che paventavano le ire civium prava iubentium. Il governo provvisorio era composto, per chi nol sapesse, dei seguenti: barone Francesco Favrat, Felice Clemente Fasella di Giaveno intendente generale delle gabelle, Gian Battista Bertolotti senatore, Giuseppe Fava intendente dell’ufficio del Controllo, Pier Gaetano Galli della Loggia (l’au- tore monarchico delle Cariche del Piemonte) reggente la Camera dei conti, Francesco Braida avvocato dei poveri, Stefano Giovanni Rocci segretario degli interni, Vincenzo Bottone di Castellamonte giureconsulto, Giuseppe Cavalli già magistrato, Innocenzo Baudisson, Agostino Bono professori al- l’Università, il primo di istituzioni canoniche, il secondo di diritto canonico, Giuseppe Sartoris chimico, Luigi Colla avvocato, Carlo Bossi conte di S. Agata, ambasciatore. A costoro che non avevano contentato molto i patrioti nelle loro aspirazioni erano stati poc'anzi dal generale Joubert aggiunti, Gian Battista Balbis medico, Pietro Avogadro di Valdengo, Carlo Botta, Guglielmo Cerise, Alessio Antonio Simian, Filippo Benedetto Bunico giureconsulti, Antoni Bellini grecista, Pietro Geymet valdese, moderatore delle Valli, Secondo Enrico Chiabrera, sostituito avvocato fiscale generale e Domenico Capriata, intendente generale di guerra. Sono nomi che con- viene rinfrescare quando ne viene l’opportunità, poichè ogni età può pre- sentare casi consimili; erano dunque nove nobili, tre medici, tre sacerdoti, un valdese, quattro rivestiti di uffizi sotto il governo regio, diciassette av- vocati, numero esorbitante. Ma non basta: per depredare l'archivio, ai Piemontesi si univano i Fran- cesi : il controllore delle entrate e delle spese della così detta commissione civile in Piemonte Pampaloni, il 80 dicembre antecedente, chiamato a sè l’archivista Franchi rimettevagli ordine del direttorio esecutivo di conse- gnargli subito il manoscritto originale del noto napoletano Pirro Ligorio, consistente in trenta volumi che trattano materia d’archeologia ed adorni di molti disegni; e che avevano costato a Carlo Emanuele I una somma che corrisponderebbe oggi ad un 393.660 lire. — Vedi Vayra, IZ Museo sto- rico della Casa di Savoia nelle curiosità e ricerche di storia subalpina, passim. — Questa collezione, che fa onore alla Casa di Savoia, la quale in mezzo ad angustie di ogni specie fu abbastanza larga protettrice delle scienze e 784 GAUDENZIO CLARETTA in quei primi giorni del mutato governo molti, per fini d’in- teresse tutto particolare e talora per soddisfare soltanto a mera delle arti, fatta rispettare dalla reggente Cristina di Francia, che aveva saputo eludere le avide mire di averla, nientemeno che del Richelieu, e fu negata con belle scuse alla famosa regina Cristina di Svezia, questa col- lezione, per la cui conservazione i nostri principi avevano persino chiesto le bolle papali di scomunica contro coloro che avessero voluto toglierla dall'ar- chivio (a), dovette essere invece consegnata ai Francesi che comandavano in quel momento a casa nostra. Peraltro, sebbene l’archivio fosse stato precet- tato di consegnare quell’Opera pel giorno seguente dopo il mezzogiorno al Commissario civile Eymar, nondimeno il presidente Bertolotti volle prima comunicare ogni cosa al governo provvisorio. Senonchè questo con lettera firmata dal presidente Bottone e dal segretario generale Gambini ordinò agli ufficiali dell'Archivio di rimettere senz'altro il Pirro Ligorio al con- trollore Pampaloni. E così il quattro gennaio l’archivista Franchi lo con- segnava al commissario Eymar. È quasi ciò non fosse sufficiente ancora, l’inesorabile Eymar il ventisette gennaio chiedeva pure il manoscritto del Gioffredo contenente la storia delle Alpi marittime, la corografia di quelle alpi, compilata dallo stesso, e un codice del Lattanzio già spettante all'abbazia di Bobbio. Devesi peraltro avvertire che il governo provvisorio il 15 febbraio faceva rimettere all'Archivio quarantanove volumi di cerimoniali della Corte, parte originali e parte copie, compresa la chiave del feretro contenente le ceneri del maresciallo Di Villars, dal 1784 giacente nei sotterranei della cattedrale! Che se trascorsa quell’infausta bufera, i manoscritti del Pirro Ligorio e del Gioffredo ripigliavano la primitiva sede, non era ancora quasi insediato grazie all’armi russe l’antico governo, che già il noto conte Cerruti, reggente la segreteria di Stato per gli interni gongolava di gioia, nell’autorizzare da parte del marchese Thaon di S' Andrea luogotenente generale regio, il pre- sidente capo degli archivi a far rimettere la collezione dei cerimoniali al corte Salmatoris, mastro in secondo delle cerimonie, che abbiam detto testè rimessa all'Archivio di Corte dal governo provvisorio. La stessa premura si ebbe di riconsegnare al padre Vincenzo Maria Carras vicario del Sant'Ufficio a Torino tutto l’incartamento relativo all’inquisi- zione, che era stato depositato la notte del quattro febbraio 1799 all’An chivio e messo alla rinfusa in varie sacca; e che fra le altre carte conte- neva i processi dell’Inquisizione di Torino dal 1300 al 1799 e tutto il carteggio con Roma e cogli altri inquisitori del Piemonte. Ma lascio altre (a) Ad onta di questo, Teodoro Mommsen potè esaminarne 18 volumi a Berlino ove li tenne non poco tempo presso di sè. Varra, p. 110, v. IV, Curiosità ecc. teatri LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 785 curiosità, ebbero mezzo di appropriarsi molti dei documenti -ivi conservati; e si fu da quell’epoca che da molti archivi comu- nali furono sottratti non pochi volumi degli ordinati delle am- ministrazioni municipali, che non più furono restituiti, e levati cimelii d’arte in qualche codice miniato posseduto, trovandosene ancor vestigia nelle iniziali che contenevano ornamenti, e peggio poi se la figura rappresentava stemmi gentilizi. Ma senza ricorrere ai tempi della libertà regalata ai nostri avoli dai Francesi, e senza voler rivelare molti e molti aned- doti abbastanza curiosi di anni non troppo remoti, ben inteso anche senza voler uscire dalla cerchia degli archivi comunali, non sappiamo noi forse che archivi di comuni, e persino di città, si trovano a questi giorni in uno stato disordinatissimo, servendo in alcuni la camera, ove stanno accatastati i documenti dei se- coli passati, di deposito di legna, ove accedono i famigli di qual- cuno degli ufficiali del comune per il servizio giornaliero, con pericolo continuo d'incendio; che in altri (se pur di ‘archivi possono aver nome i ripostigli ove si trovano accumulati i do- cumenti) i telai delle finestre sono senza vetri per dar libero passaggio a lodole, pipistrelli, ecc., a nidificare pacificamente fra le cartelle logore dei documenti, ed affinchè l’intemperie possa meglio compiere l’opera distruggitrice, che nessuno si cura d’im- pedire? In un archivio comunale, che possiede una collezione di pergamene dei secoli XIV e XV, già spettanza dei suoi an- tichi feudatari estinti, queste furono riposte in casse e confinate nella stanza del messo comunale a disposizione di sua famiglia. E che cosa dire di archivi, ne’ quali un giorno si alleva- vano allegramente i filugelli; e da quanto è palese di alcuni di essi, qual giudizio si potrà fare di quel che è ignorato? E se non. bastasse ancora: qual fatto più eloquente a conferma di questo lusinghiero quadro, di quello che fu strombazzato su pei giornali di ogni colore, ed in quella stessa Roma, dove due particolarità, perchè il darle ci farebbe uscir dal confine entro cui deve trattenersi questo scrittarello. Questi fatti avvennero all'Archivio di Corte che aveva sede ove oggi l’ha l'Archivio di Stato. Ma anche all'Archivio detto della Camera dei Conti, e che conteneva, come oggi, la serie delle investiture feudali, i conti della Casa reale e dello Stato, ecc. i demagogi fecero la loro apparizione. 786 GAUDENZIO CLARETTA mesi prima solamente erasi rotta più di una lancia per tute- lare i documenti degli archivi dei comuni! Coloro adunque che hanno interesse per queste cose, non si dimenticheranno di aver letto che nel novembre scorso ad una parte dell’archivio comunale di Roma era capitata una triste sorte... “ Un cumulo di carte che rappresentano la storia di Roma e del suo stato per un periodo di otto o nove secoli, è stato messo entro grandi cassoni: cacciato nelle cantine sotto- stanti all'archivio notarile di via del Campidoglio... Un forte acquazzone fu la causa felice di por riparo a quello sconcio, poichè chi sovrintende a quell’archivio, recatosi a visitare quel deposito di carte e ritrovate le casse che le contenevano at- torniate da 25 centimetri d’acqua, diè le disposizioni opportune, perchè fossero di là rimosse ,,. Non evochiamo per carità lo spirito del Gregorovius, che attorno a quegli archivi aveva cotanto faticato, e quelle carte cosperso de’ nobili suoi sudori! E con questi aneddoti pongo termine a questa breve mo- nografia, la quale se non avrà altro resultamento all’infuori di quello di aver segnalate e deplorate cose poco lodevoli, anche senza la menoma speranza di vederle a cessare, servirà almeno ad aggiungere su questa parte una pagina di elogio al governo del Re di Sardegna Vittorio Amedeo III, facendo dimenticare un momento errori che possono venirgli ascritti relativamente a parecchi altri fatti del travaglioso e non lungo suo regno, povero di vita pubblica e privo di quelle felici ispirazioni che sarebbero state necessarie in quei tempi procellosi. LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 787 Relazione di quanto si è osservato nelle terre della Pro- vincia di Susa, dove si è dato il causato sovra il luogo in ordine al prodotto dei terreni, censuario, diritti di vassalli e parrochi, o pedagio, con alcune provvidenze particolari, date in tale occasione (1). Archivio di Stato — Provincia di Susa — Mazzo IL. Almese. — Essendosi osservato che l’archivio, tuttochè for- mato non è gran tempo ed assai proprio per la conservazione delle scritture, manca però del necessario inventario, essendo tutte le scritture in confuso, se ne è ordinata la formazione sotto le cautele da prescriversi sulla presentazione che seguirà dell'atto consolare, con essersi anche ordinate delle indispensa- bili riparazioni attorno la camera delle congreghe, il di cui so- laro è interamente marcio..... Avigliana. — Questa comunità trovandosi sprovvista di casa per le congreghe, dimodochè era in obbligo di congregarsi a casa del signor segretaro! e così pure di tenere l’archivio colla guardarobba in una stanza o sia bottega al pian terreno, dove l’umido guasta non solo la detta guardarobba, ma anche le scritture! si è ora provveduta di una casa di comunità, che ha acquistata mediante la somma di L. 1500, in attiguità all’altra che inserve per la scuola e che già era propria della medesima comunità, con quale acquisto non solo resta in caso di avere una stanza comoda per le congreghe ed altra attigua con volto per l'archivio al primo piano, ma viene anche in caso di tirar partito dall’affittamento di tre botteghe al pian terreno esistenti sulla piazza, cosichè verrà a percevere l’interesse del suo de- naro oltre ai membri che abbisognano per l’uso della comunità... Buttigliera. — Questa comunità essendo sprovvista d’archivio colle guardarobe e scritture mal in ordine e senza inventario, vi si è opportunamente provveduto, onde abilitarla con ben poca (1) Pel limite dello spazio, in alcuni Comuni si intralasciano alcune delle descrizioni fatte dall’autore del documento. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 54 788 GAUDENZIO CLARETTA n spesa a riaddatare la casa comunitativa e procedere alla for- mazione dell’inventario. Bruino. — Questa comunità ha il suo archivio in disordine mancante d’inventaro, ed in cattivo stato si è pure la camera che inserve alle congreghe, all’archivio ed alle scuole, epperò si è ordinato la formazione dell’inventaro ed il raccomodo della guardaroba, sintantochè la comunità possa abilitarsi di una ca- mera a vuolto per l’archivio..... Coazze. — Questa comunità aveva un corpo di fabbrica stato formato per suo uso e per la scuola. Ma essendosi lasciato im- perfetto, in una parte diveniva il ricovero delle immondizie, essendo intanto priva d’archivio, onde si è indilatamente prov- veduto per l’espurgazione e compimento nell’interno di essa fab- brica per ridurla come ora si trova in buono stato con poca spesa. Si è mandato rettificarsi l'inventario vecchio ed imper- fetto, che si trovava, col raggiustamento e divisione delle guar- darobbe colle sue caselle (1), e col raggiustamento di detta casa si è anche venuto a risparmiare l’annuo fitto di L. 12, che si pagava per l’abitazione del serviente. Essendosi anni sono fatta dalla comunità costrurre una nuova casa per comodo del signor prevosto, si è osservato che la casa vecchia, che si trova tra- mediante la strada, resta ora affatto inutile e rovinosa con ag- gravio della comunità per la spesa, quando si volesse la me- desima riparare, onde si è mandato procurarsene la vendita 0 tirarsene quell’altro profitto che sarà possibile in altra guisa. Questo territorio nulla fornisce di vino, bensì quantità di fieno, quasi nulla di grano, e molta segala, avena, castagne e. barbariato, e non si coltivano moroni. Il commercio consiste in carbone e frutta, che si conduce settimanalmente alla città di Torino singolarmente nell’inverno. Vi è un battitore da canapa proprio del signor conte Trotti, e si contano fino a ducento cinquanta li telari per la fabbrica delle tele ordinarie tessute di filo di rista (2), che si vendono (1) Nell'opera del Brancni, Le carte degli Archivi Piemontesi, p. 208 si legge non essersi mai fatto il catalogo, ed essere i documenti in massima parte rosì dai topi. (2) Ciocchetta di canapa. O I E O PRO 97 LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 789 settimanalmente sul mercato di Giaveno, calcolandosene il nu- mero a cinquanta pezze per ogni mercato in tempo d’inverno, e quando li terrieri non sono distratti dai lavori della campagna. La giurisdizione di questo luogo spetta per sei punti al signor conte e comm. D. Vittorio Amedeo Trotti e degli altri due punti ne spetta uno all’abbazia di S. Michele della Chiusa e l’altro al signor vassallo Feyditi, corrispondendosi dalla co- munità a favore del primo lire settecento sessanta per le de- cime così convenute, avuto però riguardo al maggiore o minore valore delle vettovaglie in ogni anno. All’abbazia di S. Michele lire centosei annue per la quarta parte del reddito dei molini, ed al signor vassallo Feyditi di lire due annue per la decima di un capretto....... Giaveno. — Questa comurità ha la sua casa ed archivio in buon ordine, non mancandovi altro che la formazione dell’in- ventario, a cui si sta attualmente travagliando dal figlio del signor segretaro sulle direzioni e cautelle che si sono stabilite all’occasione del causato (1). E siccome si sta avanzando la mi- sura generale del territorio che si spera riuscirà assai bene, si è mandato che all’occasione seguirà la misura dei siti comuni, si abbia l’occhio ad osservare se convenga variare i loti (2) per il nuovo affittamento da farseli in luglio dell’anno venturo e si sono date le altre provvidenze interinali per accertamento del registro sino compita la misura. Si è mandato unirsi l’imposizione disgiunta dai servienti e campari, e devenirsi con essi a capitolazione con le due qua- lità unita e con obbligo di presentare ogni trimestre al consi- glio la nota delle accuse, acciò si possa poi presentare a que- st uffizio all’occasione dei causati e si sono date moltissime altre provvidenze relative al disposto del regolamento che sarebbe troppo lungo l’enumerarle, in sostanza però si è una delle co- munità della provincia, la di cui amministrazione si possa più lodare (3). (1) Nell'opera del BrancHIi Le carte degli Archivi Piemontesi, pag. 119, è invece detto che manca l'inventario generale. (2) Porzione di terreno, dal francese /ot. (3) Cfr. la mia Cronistoria del Municipio di Giaveno, ecc., passim. 790 GAUDENZIO CLARETTA La raccolta principale consiste in fieno, castagne e frutta, essendo assai mediocre quella del fromento, barbariato e segala, e molto più della meliga, contandosi a nulla i marzaschi (1). E sebbene si facciano circa mille rubi di cocchetti (2), la foglia però si leva per la maggior parte dai vicini luoghi di Avigliana, S. Ambrogio, Buttigliera, Sangano, Bruino, Orbassano e Piossasco, essendo troppo ristretto il piano del territorio e freddo per le montagne che lo circondano. Il principale commercio si fa colla città di Torino, e con- siste in ferro, corami, carbone e tele; vi sono nove affaitarie (3) per l’acconcia dei corami, dieci martinetti o sia fucine, nelle quali si fonde il ferro che si porta da Torino in ghisa e rottame e si riduce in lastre di ferro purgato per uso delle ruote dei carri, barre e bacchette per ringhiere di ferro, ferrate, chiavi da fabbrica ed in utili di campagna ed utensili di cucina. Vi sono poi anche altre manifatture di scarpe, tele e bindelli (4), opere da falegname e da serragliere, fornaci per mattoni, coppi e vasi di creta, fabriche di capelli! e simili, non però di partico- lare riguardo. Corami se ne acconciano da 25 in 28 mila, che a L. 6,5 il rubo fanno rilevare la negoziazione di questo genere a L. 155/m., e per tale acconciamento si richiedono per l’ordinario rubi due milla di rusca (5) per ogni mille rubi di corami, del valore detta rusca di lire quaranta ogni cento rubi, cosichè: supposti rubi 25/m di pelli di corami da acconciarsi, si richieggono rubi 50 mila di rusca, e così alle L. 155/m devono aggiungersi altre L. 20/m per essa e la spesa di L. 5, per cadun cento rubi di battitura, ossia riduzione in polvere di detta rusca, che si fila in quattordici edificii a ciò destinati, e detta rusca ossia scorza di rovere proviene la maggior parte da Piossasco, Sangano, (1) Marzatico, marzaiuolo chiamansi presso di noi le civaie o i legumi che si sogliono seminare generalmente in marzo, e non come dice il S. Ar- sino nel suo Dizionario Piemontese-Italiano, qualunque grano che si semina o che nasce in marzo. (2) Bozzoli. (3) Conce delle pelli. (4) Nastri. (5) Corteccia di quercia o cerro, macinata ad uso della concia. Pe A lin LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 791 Bruino, Trana, Avigliana, Valgioie e dai boschi del territorio di Giaveno. Nelle dieci fucine da ferro si lavorano, fatta una comune, rubi 160/m ferro in ghisa, che si compra in L. 1,10 per rubo dai mercanti di Torino e porta nel corso dell’anno la negozia- zione di L. 240/m oltre L. 60/m per compra carbone di castagno che si consuma in dette fucine e che si provvede parte sul luogo medesimo, e parte da Cumiana, Avigliana, Trana, Valgioie e S. Ambrogio, Chiusa, Vayes e S. Antonino. Vi sono altresì otto edificii o sieno piste da canapa, sia per quella che si consuma e lavora nel luogo, che negli altri di Coazze, Valgioie, Trana e parte di Cumiana. Per la pista della canapa si paga soldi quattro il rubo, cosichè appena sia li pro- prietari di questi edifizi, come anche quelli della macina della rusca per le affaiterie ricavano li loro giornali. Tuttochè non si raccolga canapa su questo territorio, sul mercato però si fa uno smercio di sei in sette mila rubi di detto genere infra l’anno tra li negozianti del luogo e quattro o cinque di Carignano, che settimanalmente da colà, da Carmagnola e da altre terre del Piemonte la conducono su questo mercato, e la negoziazione in questo genere rileva alla somma di L. 25 in 30/m. Ben vero però che non si smaltisce più del terzo ai locali, ed il sovrapiù ai particolari delle vicine terre, la maggior parte però a quelli di Coazze. La canapa ridotta in tela si vende nuovamente sul mer- cato di questo luogo ai negozianti di tal genere, dedotta quella quantità che può essere necessaria per i particolari del luogo ed altri delle vicine terre. Il numero delle spese che se ne ven- dono rileva a otto mila circa infra l’anno e si fabrica la mag- gior parte e fila in Coazze, dove specialmente d’inverno anche dagli uomini si fila e fabbrica detta tela, non essendovi nel ter- ritorio di Giaveno che cento circa telari, li quali non travagliano continuamente, ed alcuni solo per proprio uso, e questo com- mercio di tele può rilevare a L. 30/m circa. Vi sono anche otto filature tra tutte di cento sessanta- cinque forneletti giranti, tenute in affitto da alcuni negozianti di Torino, e si calcola la negoziazione ragguagliata a cinquanta doppie per ogni fornelletto a L. 130/m, provvedendosi però li cochetti da Cumiana, Piossasco, Piscina, Airasca, Scalenghe, Vigone ed altre terre della provincia di Torino e Pinerolo. 792 GAUDENZIO CLARETTA Vi sono anche tre negozianti in granaglie nel luogo che comprano e vendono settimanalmente, e si calcola il loro com- mercio a sacchi 400 circa caduno tra grano, segala, meliga, e ciò oltre le granaglie che si conducono sul mercato dalle terre della provincia di Pinerolo e Torino dai cavallanti. Venticinque sono i negozianti in carbone, la cui negozia- zione può rilevare tra tutti a L. 30/m. Questi lo cumulano ed accomprano d’estate dai particolari del luogo e da quelli di Perosa, Cumiana, Trana, Coazze ed Avigliana, e settimanalmente poi ne conducono a Torino, giacchè poco o nulla di questa qualità se ne consuma nel luogo. Li negozianti in calce sono sei e ne smaltiscono in comune rubi 50/m, che tirano per lo più da Valgioie e dai confini di Avigliana, calcolandosi questa negoziazione unita a quella dei mattoni e coppi a L. 15/m, che si vende detta calce e materiali nella vicina terra della provincia di Pinerolo. La negoziazione in bestie bovine, che si comprano sulle fiere di Susa, Bussoleno ed Avigliana, rileva a L. 15/m e si rivendono per lo più a credito ai particolari di Coazze, Volvera, Scalenghe, Piscina ed altre..... Vi sono in questo luogo due mercati in ogni settimana, uno il martedì e l’altro il sabato, essendo però questo di mag- gior concorso; vi sono inoltre due fiere, una li vent’otto aprile e l’altra li 30 settembre. Questo luogo è feudo dell'abbazia di S. Michele della Chiusa, che oltre al diritto di nomina degli uffiziali di giustizia ha quattro ruote da molino giranti, spet- tando la quinta al Capitolo, ma non ha la ragione di annualità. Vi è uno spedale, in cui si mantengono venticinque poveri orfani, figli e figlie, col reddito di lire mille ducento, dedotti i pesi. Le figlie si applicano a filare, ed i figlioli ad imparare le arti. Vi sono inoltre due lascite, una del reddito di L. 92, soldi 2, danari 8, l’altra di L. 100, che si convertono nel pagamento di doti a povere figlie a misura del fondo..... Reano. — L'archivio di questa comunità e sala è in pes- simo stato e pare propriamente una crotta, tenendosi le scritture in un armario nella cucina ed a canto del fornello (1) della cucina (1) Qui voleva alludere al camino, così chiamato in vernacolo, anzichè al fornello. LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 793 del maestro senz’alcun inventario! Epperò si è ordinata la ripa- razione ed alzamento del sternito (1) della camera delle congreghe, riforma delle finestre e provvista di una guardaroba da collo- carsi con successiva formazione dell’inventaro onde riparare me- glio senza grave spesa al pericolo in cui sono le scritture ed al disordine delle cose. La chiesa parrocchiale pare poco meno che una stalla! e minaccia rovina da tutte le parti e se il signor prevosto fosse stato meno restio a secondare le intenzioni di S. E. il signor Principe della Cisterna (2) feudatario di detto luogo, si sarebbe potuto avere dalla comunità un considerevole sollievo nelle spese che si va rendendo indispensabile, dacchè era detto signor Prin- cipe disposto di accordare un sito in vicinanza dell’abitato, in- vece che ora si trova la chiesa molto discosta e di concorrere nella somministranza de’ materiali, ma il signor Parroco ama di starsene in libertà più lontano, e così rimane il progetto arenato. Rivera. — L'archivio di comunità è in un colombaro! dove si ascende per una scala di bosco (3) da una brutta camera sita al pian terreno, dove si lascia per cucina ad un misuratore che si è colà stabilito! E siccome ha per altra parte la stessa co- munità una casa piuttosto civile che tutta si occupa per la scuola e per l'abitazione del maestro, si è pensato che quivi più sicu- ramente e convenientemente si potesse stabilire detto archivio e destinare la camera delle congreghe con ridurre il pian ter- reno di detta casa che ora serve a niun uso che per magaz- zeno da boscami, adattata a tenervi la scuola; come si è ordi- nato di far eseguire per poscia a suo tempo far trasportare nel luogo destinato l'archivio attiguo alla nuova camera delle con- greghe con poca spesa. Rosta. — Il catasto de’libri di mutazioni et altri di questa (1) Pavimento. (2) Giuseppe Alfonso Dalpozzo, principe della Cisterna, ece., marito 1° di Beatrice Barbiano di Belgioioso, 2° di Teodora Carlotta Bertone-Balbis di Sambuy; ma quel che non potè fare quel principe, lo compiè largamente il principe Carlo Emanuele suo figlio, padre della rimpianta duchessa d'Aosta Maria Vittoria, il quale innalzò senz’altro una nuova chiesa di stile normanno. (3) Legno. 794 GAUDENZIO CLARETTA comunità si ritenevano presso il segretario di questa comunità in Rivoli, onde si è opportunamente provvisto e fatto riporre ogni cosa nell’archivio o sia in un piccol camerino a vòlta, at- tiguo alla camera delle congreghe, con essersi provvisto per riparare la finestra e porta; si è ordinata la formazione di una guardaroba e successivamente quella dell’inventario. Rubiana. — La casa di comunità che inserve alle congreghe è molto umida per causa d’un terrapieno che si trova al di dietro, sì è ciò nonostante formato un camerino a volto assai compe- tente per la custodia delle scritture, ma resta necessaria la ri- forma e prosecuzione del vecchio inventario come si è ordinato (1). S. Ambrogio. — L’archivio trovandosi per l’addietro in una camera al disotto del campanile assai oscura (dunque in una cantina o sotterraneo!), il signor segretario era costretto di te- nere le scritture disperse e parte anche in sua casa, non avendo il comodo di poterle mettere in ordine ed applicare in un luogo fisso ai lavori di comunità; e dice aver fatto riadattare due camere e assegnatane una a volta ben sicura per l’archivio. Sangano. — Nella casa di comunità lateralmente alla ca- mera che inserve alle scuole ed alle congreghe vi sono le mu- raglie rustiche di una camera che potrebbe servire per formarsi l'archivio, il quale siccome si trova senza inventario in una cat- tivissima guardaroba, si è disposto per farlo seguire onde cau- telare la custodia delle scritture, sulla notizia avuta che dopo seguita la misura del territorio anni sono, non fosse stata pub- blicata la mappa, e che molti particolari si lamentassero di errori corsi, si è mandato verificarsi e supplire ad un così necessario incombente. Trana (2). — L'archivio di comunità consiste in una camera al disotto delle stanze del maestro di scuola collo sternito molto umido ed inserve anco alle congreghe; epperò si sono date le necessarie provvidenze per rendere la camera più ariosa e sa- lubre ed atta alla conservazione delle scritture, delle quali si è ordinata la formazione dell'inventario. (1) Mi venne assicurato possedere questo Comune una quantità di do- cumenti del basso Medioevo, de’ quali parecchi in pergamena. (2) Il BrancHI, op. cit., pag. 216, dice non averne avuto notizia alcuna. LO STATU DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 795 Valgioie (1). — L'archivio di questa comunità consiste in un’angusta vecchia guardaroba posta nella camera del maestro di scuola, senza che vi sia alcun inventaro, ed il signor segre- tario di comunità riteneva presso di sè in Giaveno il catasto, libri di mutazioni e le altre carte, delle quali gli occorre di far uso, epperò si è provvisto, affinchè tutte le suddette scrit- ture e libri si restituissero all’archivio, come prescrive il rego- lamento, con essersi ad un tal fine provveduto per la costruzione d'una più ampia guardaroba e coll’acquisto d’una camera attigua; affinchè debba servire per le congreghe e per la custodia delle scritture nel miglior modo possibile..... . Questo territorio molto alpestre abbonda specialmente di fieno e di castagne, facendosi anche un competente raccolto di segala ed avena, e pochissimo del resto; anzi quasi nulla di vino e cochetti, non essendo il territorio proprio per il piantamento dei moroni. L'unico commercio che si fa da questi abitanti, si è di calce, che da essi si conduce a vendere nei luoghi di Rivoli, Beinasco, Grugliasco, Orbassano, Piossasco, Volvera, Avigliana, Almese e S. Ambrogio, e l’altro ramo consiste nel carbone di fago (2) e rovere, che si conduce a Torino, e quello di castagno alle fucine di Giaveno. i La giurisdizione si è del signor abbate di S. Michele della Chiusa, da cui si esige la decima del pane e vino divisibile col signor parroco d’esso luogo, che fatta una comune rileva per il grano ad emine ottanta e per il vino a carre una, essendo anche tutto il territorio soggetto verso l’abbazia ai laudemi e terze vendite, pei quali si paga lire otto, soldi sei, denari 5 per 100. Il parrocho esigge dalla comunità L. 120 per supplemento di compera in seguito ad istromento di transazione delli 22 febbraio 1733 e L. 130 per la manutenzione dell’oglio come por- tato da instromento 26 ottobre 1775. Esigge inoltre li soliti diritti di sepoltura ragguagliati per li capi di casa a L. 12 e per gli altri a L. 10 e per li cadaveri di stola bianca L. 3. Fa inoltre la colletta del butiro e tome (3) ed uova all’oc- (1) Lo stesso fa qui uguale ripetizione, ib., ib. (2) Faggio. (3) Cacio fresco, disposto in forma circolare. 796 @. CLARETTA — LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. casione che porta l’acqua benedetta e raccoglie i biglietti della Pasqua, e così pure la colletta delle castagne per la benedizione del tempo e finalmente esigge come sovra la metà della decima del pane e vino col peso della manutenzione delle supelletili per la chiesa. Villar Almese (1). — L’archivio è in stato passabile mediante l'apertura della finestra con chiasile (2) che si è ordinata, come pure la formazione di una guardaroba, per essere l’attuale fuori di uso, e senza inventaro, a che si è pure provvisto convenien- temente. Villar di Basse. — Questa comunità dopo di aver impiegato anni sono riguardevole somma nella costruzione di una casa per servire alle congreghe e per l’archivio con volto lasciava tut- tora le sue scritture e catastro in un armario sopra di un solaro morto (3), che esiste sopra la scuola, e lasciava abitare il maestro di essa nella casa costrutta per la comunità ed ar- chivio, e quindi immediatamente provvisto per la translazione delle scritture e formazione del necessario inventaro nel sito per esso destinato, e così pure per la formazione di una guar- daroba, con essersi destinata altrove l'abitazione del maestro..... Susa li 26 febbraio 1777. Rossi. (1) Ora Villar Dora, ribattezzato così parecchi anni sono per mero ca- priccio, mentre più logica era la sua denominazione originaria, essendo quel villaggio intersecato dal torrente Messa, donde tolse il suo nome, lad- dove la Dora Riparia scorre a notevole distanza. Il BrancHI, op. cit., p. 217, scrisse anche qui non averne notizia alcuna. (2) Invetriata. (3) Il noto solaio morto così in uso presso i nostri vecchi notari per in- dicare l’ultimo palco immediatamente sotto il tetto. 797 Relazione sul lavoro del prof. Carlo MEerkeL: “ Niccolò Scillacio e le relazioni sul secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America ,. Fra le fonti che possono servire alla storia del quarto viaggio colombiano, non era stata finora sufficientemente apprez- zata la breve scrittura di Nicolò Scillacio, professore a Pavia, la quale porta per titolo “ de insulis nuper inventis ,. Essa non era stata accolta negli splendidi volumi della Raccolta Co- lombiana. A questo opuscolo, di cui si conoscono soltanto pochi esem- plari, volse la sua attenzione l’autore della presente Memoria, il quale giunse a dimostrare, che esso è d’assai più importante di quello che sembri a prima vista. Lo Scillacio, dedicando a Lodovico il Moro, duca di Milano, il suo lavoro, cade nel grosso errore di supporre che Colombo, dirigendosi verso l’ignoto Occidente, abbia fatta la circumnavigazione dell’Africa. Questo ed altri errori, che deturpano sia la predetta lettera dedicatoria, sia la scrittura medesima, non devono tuttavia farci credere che lo Scillacio non abbia fatto altro che accatastare errori sopra errori. Il Merkel sottopose a minutissimo e diligentissimo esame lo scritto dello Scillacio, paragonandolo colle numerose relazioni che si hanno intorno al medesimo viaggio Colombiano, e che vennero comprese nella Raccolta. Così che il suo scritto, quan- tunque rivolto particolarmente allo studio di una fonte sola, abbraccia tuttavia tutte le fonti, che ci sono pervenute intorno a quel viaggio. 798 Egli giunse a queste conseguenze: il fondo del raccolto dello Scillacio consiste in una Relazione, di carattere officiale od officioso, scritta in America, e di là inviata in Spagna. Era scritta in lingua spagnuola, e rappresentava gli avvenimenti sotto il punto di vista dal quale essi erano guardati dalla Corte di Madrid. In quella Relazione si parlava assai più degli spa- gnuoli, che non di Colombo; tuttavia neppure può dirsi che Co- lombo vi fosse giudicato sfavorevolmente. Alcuni punti della Relazione originaria sono di grande im- portanza, e tra essi annoverasi la storia delle spedizioni di esplo- razione fatta dallo Hojeda e dal Gorvolan. L’autore della Relazione spagnuola non era uomo colto, ma, trascurando la parte scientifica, si dilettava sopratutto di aned- doti. E qui il Merkel osserva come questo carattere anedottico sia quello pure di tutte le relazioni sulle scoperte americane, fatta eccezione solamente per i Giornali di bordo del grande Li- gure, e per le scritture che da esso più o meno direttamente dipendono. Dalla quale considerazione si può trarre un nuovo motivo di elogio in favore di Colombo, egli solo essendo stato capace, fra i suoi contemporanei, di raccontare ciò che aveva veduto, in modo adeguato alla sua importanza. Oltre al fondo della sua narrazione, che Scillacio desunse da questa Relazione spagnuola, egli forse usufruì ancora di qualche comunicazione proveniente da altra fonte. Ma lo Scillacio era un umanista, e non poteva acconten- tarsi di una relazione, sia pùre immaginosa, ma ispirata a concetti affatto alieni dall’antichità classica. Egli quindi volle adornare il racconto dell’ignoto viaggiatore spagnuolo, interse- cando in esso, qui molte fioriture retoriche, colà alcuni passi di Plinio, che potevano accordarsi più o meno colla Relazione, che gli stava dinanzi. Così l’opera originaria, ricca di molti pregi, ma coi difetti provenienti dalla scarsa coltura del suo autore, perdette alquanto della sua importanza, per le alterazioni introdottevi dall’uma- nista calabro, professore nello studio pavese. Tuttavia, anche nello stato attuale, questa Relazione che risorge inaspettata sotto a frasi manierate, ha molta importanza, e per alcune partico- larità del quarto viaggio Colombiano va collocata adirittura tra le fonti di maggiore entità. : 799 La critica delle fonti della storia Colombiana, a parere dei sottoscritti, si avvantaggiò per la approfondita ricerca del Merkel. Essi credono quindi che la sua monografia possa venir letta alla Classe. Torino, 29 aprile 1896. G. CLARETTA. E. FERRERO. CARLO CIPOLLA, relatore. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. 800 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 12 al 26 Aprile 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. » * Anales del Museo Publico de Buenos Aires,... Tomo IV (Ser. 22, t. I). Buenos Aires, 1895; 4°. * Auales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega III, t. XLI. Buenos Aires, 1896; 8°. * Annalen des Physikalischen Central-Observatoriums, herausg. von der k. Akad. der Wissenschaften. Jahrgang 1894, Theil I, II. St-Petersburg, 1895; 4°. * Annales des Mines. 9"® série, t. VIII, livr. 12%, t.IX, liv. 1re-2®e, Paris, 1895-96; 8°. * Annuario per l’anno scolastico 1895-96 del Regio Museo Industriale ita- liano di Torino. Torino, 1896; 8°. Astronomische Arbeiten des k. k. Gradmessungs-Bureaù. VII Bd. L'ngen- bestimmungen. Wien, 1895; 4°. * Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLIX, sess. I-II. Roma, 1896; 4°. * Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark, Copenhague, 1896, n. 2; 8°. * Bulletin mensuel de l’Observatoire météorologique de l’Université d'Upsal. Vol. XXVII, anno 1895. Upsal, 1895-96; 4°. Ballettino della Associazione scientifica ligure di Porto Maurizio: Anno I (1895); 8°. * Giornale del Genio Civile. Anno XXXIII, fasc. 12; XXXIV, fasc. 1. Roma, 1895; 8°. * Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 3. Torino, 1896; 8°. Memorie della R. Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna; t. II, III; 5* Serie, 1890-92; 4°.- * Memorie del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Vol. XXV, n. 7. Venezia, 1895-96; 4°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 801 Relazione sull’Amministrazione delle Gabelle per l’ esercizio 1895-96. Roma, 1896; 4° (dal Ministero delle Finanze). * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX, fasc. VI-VII. Milano, 1896; 8°. * Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. X, fasc. III. 1896; 8°. * Rendiconto dell’Accademia di Scienze fisiche e matematiche. Serie 3°, vol. II, fase. 3°. Napoli, 1896; 8°. Report (Annual) of the Director of the Michigan Mining School, August 16th., 1895. Houghton, Mich.; 8°. * Revue de l’Université de Bruxelles. 1" Année, 1895-1896, n. 1-4; 8°. * Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, n. 7-9, 1895; 8°, * Sperimentale (Lo), giornale medico, organo dell’Accademia medico-fisica fiorentina. An. XLIX. Firenze, 1895; 8°. Società Anonima Canavese per la strada ferrata Torino-Ciriè-Lanzo. As- semblea generale ordinaria 1896. Torino, 1896; 8°. Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. III. Modena, 1896; 8°. U. S. Department of Agriculture, Division of Ornithology and Mammology. Bulletin No 8. Washington, 1896; 8°. * Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 1-3, 1896. Wien, 1896; 8°. Caruel (T.). Indice generale dei dieci volumi della Flora Italiana. Firenze, 1896; 8° (Dall'A.). Righi (A.). Sull’influenza della pressione e natura del gas ambiente nella dispersione elettrica prodotta dai raggi di Rintgen. Bologna, 1896; 4°(I4.). Villari (E.). Di una bussola a torsione a sensibilità variabile e nuove mi- sure fatte con la medesima. Bologna, 1895; 4° (Id.). — Sui raggi Rontgen, ricerche. Napoli, 1896; 8° (I4.). — Intorno ad alcune modificazioni dell’elettrometro a quadrante del Thomson. Napoli, 1892; 4° (Id.). Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche Dal 19 Aprile al 3 Maggio 1896. * Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 2, 8. Leipzig, 1896; 8°. * Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Serie XX, vol. II, fasc. 11-12. Venezia, 1895; 8°. 802 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. IV. Madrid, 1896; 8°. * Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova. Anno XVIII, fasc. I. Genova, 1896; 8°. * Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LXIV. Part I, History Literature, n. 3. Calcutta, 1895; 8°. ** Monumenta Germaniae historica: Epistolarum T. II Pars II, Gregorii I Registri L. X-XIV. Berolini, 1895; 4°. ** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Vol. IV, pp. 8617-4416; 8°. Agostini (A.). Storia di Castiglione delle Stiviere. Castiglione delle Sti- viere, Brescia, 1892, 1895; 8° (Dall A.). Barnabei (F.) e Cozza (A.). Di un antico tempio scoperto presso le Fer- riere nella tenuta di Conca dove si pone la sede della città di Pabvsnnne Roma, 1896; 4° (Id.). Isola (I. G.). Commemorazione di Cesare Cantù nel primo anniversario della sua morte, con un’Appendice d’alcune sue lettere. Firenze, 1896; 8° (Id.). Minoglio (G.). Brevi cenni storici sulla chiesa di S. Domenico in Casale Monferrato. Torino, 1896; 8° (Id.). ** Sanuto (M.). Diari. Fasc. 196. Venezia, 1896; 4°. Sylvester (J.J.). Nullus honor sine cruce. London, 1894; 4° (Dal/’A.). Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. CLASSE ib! 04 Tito FA dl —" e e DI » FEHIE: regate SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI D+ D3 La Adunanza del 10 Maggio 1896. Ò PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Cossa Vice presidente dell’Accademia, D’Ovipio Direttore della Classe, Mosso, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, PeANO, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GUARESCHI e Naccari Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza pre- cedente. Il Socio D’Ovipro presenta una nota del Dott. Gerolamo Corpone intitolata: “ Intorno ad un gruppo di sostituzioni razio- nali e lineari ,. Il Socio VoLTERRA presenta una nota del Prof. Tullio Levi- Crvira: “ Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche ,. Le due note verranno inserite negli Atti. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 55 804 3 GIROLAMO CORDONE LETTURE Intorno al gruppo di sostituzioni razionali e lineari; Nota di GIROLAMO CORDONE. $ 1 1. È noto che la serie di composizione del gruppo G di grado p+1 e d'ordine (p 4 1) p (p — 1) formato dalle sosti- tuzioni . \202|=|2 de), | (mod. p) |p primo > 83], è costituita dal gruppo G' dell'equazione modulare per p, e dal- (Pt 1)p(p_-1) 2 Non sappiamo se sia stato osservato che non esiste alcun gruppo H di p+4-1 elementi più generale di G e permutabile alle sue sostituzioni. Ad ogni modo nelle linee che seguono se ne darà una dimostrazione fondata su considerazioni affatto semplici ed elementari; vi si troveranno dimostrate inoltre alcune nuove proprietà del gruppo in parola. l’unità; quindi i suoi fattori di composizione sono 2 e 2. Una sostituzione qualunque 082 di G equivale (*) al pro- dotto di tre determinate potenze di 3 sostituzioni lineari, di cui due, 0,2 e 0,-12, non ispostino uno stesso indice e siano d’or- dine p e p—1 rispettivamente, e la terza, 0, sia d’ordine p + 1. Si potrebbero assumere come sostituzioni generatrici del gruppo G le sostituzioni 0,2, 0,_12, 0,4.2 più semplici possibili, cioè le sostituzioni 02-21 1g dae =: (*#) Serret, Algèbre Supérieure, vol. II, Cap. IV, n. 481 e seg. INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 805 [le quali non ispostano l’indice 00, i essendo una radice primi- tiva della congruenza | 7 =1 (mod. p)]; (+1 lett i +1 zt ce Opue = [dove i indica una radice primitiva della congruenza + = 1 (mod. p) e t#? un non residuo quadratico mod. pl]. Ma poichè la nostra ricerca non ne diventa punto più dif- ficile, e d’altronde ciò ci permetterà di svolgere alcune altre considerazioni, prenderemo le sostituzioni generatrici del gruppo sotto la loro forma più generale. 8. Trovare tutte le sostituzioni permutabili col gruppo G, equivale a trovare tutte le sostituzioni la cui espressione ana- litica (2) soddisfa alla congruenza PI = 0" (mod. p), 0/= essendo una sostituzione di & simile alla sostituzione @ 2. Quest'ultimo problema può ridursi a sua volta a trovare le fun- zioni @(2) che soddisfano contemporaneamente alle 3 relazioni: (1) | pope = 0,2 | POP" 2 = Upi PI, po = 81 dove 0,2, 0,12, 0,42 rappresentano sostituzioni simili a 0,2, 0,-12, 0,41? rispettivamente. Sia 9,2 una sostituzione il cui ordine r sia uno dei numeri p,p—-1,p + 1; 0,2 una sostituzione dello stesso ordine r. Si faccia successivamente n= 01, — lar a, 0a 806 GIROLAMO CORDONE (a essendo una costante arbitraria reale, distinta dalle radici della congruenza 0,2 = 2); nella relazione: 909,2 = 8,92. Si avrà: po,a = 8a po a = 0,p0,a = diga (a) pora = 0a L’ordine r di 0,2 essendo uno dei numeri p, p — 1,p+1, facendo variare n tra 0 e r — 1, 07a assume tutti i valori pos- sibili. Si può dunque porre (3) ta=% e determinare x in modo che la (3) sia identicamente soddisfatta. Se si ha n= n(2) (mod. p), l’ultima delle (2) può scriversi P(2) = 8 pa; la costante g(a) = a non essendo assoggettata ad altra condi- zione che quella di dare per ©(2) una forma analitica atta a rappresentare effettivamente una sostituzione. Vediamo qual sia questa condizione. Se la 0,”a rappresenta effettivamente una sostituzione, la congruenza in 2 ora = 2 deve ammettere una ed una sola radice. Ora conviene distinguere due casi, secondochè a sia o no radice reale della congruenza 0,2 = 2. INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 807 Nel 1° caso si ha qualunque sia p: oa .=@ e quindi la funzione 0,"a non può rappresentare una sostitu- zione. Nel 2° caso invece, se r è l’ordine di 0,2, i termini della serie ap'050; diag.... da @ sono tutti distinti e rappresentano i valori di cui è suscettibile l’indice 2. Se dunque è p; quello dei numeri 0,1,..... rl, che fa assumere a 0fa il valore 2 = 2;, la congruenza n(2) = Pi dovrà ammettere una ed una sola radice. Se ne conclude: “ Affinchè @(2) = 60," rappresenti effettivamente una so- stituzione, è necessario e sufficiente che a sia una costante reale distinta dalle radici della congruenza 0,6 = 2. e n(2) rappresenti essa stessa una sostituzione , (*). 4. Indichiamo generalmente con 20, 21; 20; 21; le radici delle congruenze 0,2 = 2, 0,2 = 2 rispettivamente, o, se si vuole, gli indici che queste sostituzioni lasciano immobili. a) Ciò posto consideriamo dapprima le sostituzioni intere d’ord. p. Allora (*) Si osserverà che le considerazioni precedenti, con leggiere modifi- cazioni, sono applicabili a molti altri gruppi, le cui sostituzioni siano defi- nite analiticamente. 808 " GIROLAMO CORDONE Se si ha 0o2z=2+8 0e=<+7 si trova P(e) = 0/a = 0% a = get onpit + a; (a =#=.00; a = 00) sostituzione riducibile alla forma p() =f+ 92. È questo un risultato ben noto. 3) 0,2 sostituzione intera d'ordine p; 0,2 sostituzione fra- zionaria d’ordine p. — Qui si trova che le sostituzioni che soddisfano alla con- gruenza PO = 09 sono riducibili alla forma e=f+ Nel caso precedente si è ricaduti nelle sostituzioni razionali intere; in questo nelle sostituzioni razionali frazionarie; dunque si può concludere che: “Il gruppo costituito dalle sostituzioni permutabili col gruppo G delle sostituzioni razionali e lineari, è il gruppo G stesso ,. 5. Non sarà tuttavia senza interesse applicare le conside- razioni di cui all’art. 3 per determinare i gruppi costituiti dalle sostituzioni © (2) soddisfacenti alla condizione 1 POp = 0°, 0: essendo una sostituzione d’ordine r = p + 1; ed e un nu- mero primo con r. Sia dapprima r=p_1 02=iz+B; INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 809 i essendo una radice primitiva della congruenza ? = 1 (mod. p). Ne segue , e-1 0°2 ask Barca donde zs+ 8 e ind; Lin OS I (0) er e (Ra .@ e a essendo costanti arbitrarie, rimànendo però esclusi i va- iride e DP_. i—1 Dunque: “ Le sostituzioni soddisfacenti alla relazione POP ni 05-12 (0,1 = îe + P) sono della forma (4) o2=v[e+ sg fe i (T'= 192015! SV) e costituiscono quindi un gruppo semplicemente transitivo di grado p — 1 e d’ordine (p—1)g(p—1) , (*). Diciamo di grado p — 1; infatti è evidente che tutte le sostituzioni del gruppo lasciano inalterato l’indice (*) Qui il simbolo @ (t) indica generalmente, come in Aritmetica, il nu- mero degli interi minori di # e primi con t. 810 GIROLAMO CORDONE 6. Esaminiamo un po’ più minutamente le sostituzioni (4). Affinchè la sostituzione (4') pe =Y (2 + aa i) —_ i 1 lasci un elemento inalterato si deve avere: r(2+ = P. + (mod. p); Ù congruenza che può scriversi: a+ (+) —1|=0 (mod. p). Dunque essa non ammette che la radice catitrbi i-1 se peo vr #1 (mod. p), d essendo il massimo comun divisore tra p— 1 ed e— 1; ammette invece altre d radici se p-l d T° =1 (mod. p). Adunque la sostituzione (4') sposta \ = p — 1 elementi nel 1° caso; A\=p—1—d nel2°. D'altra parte si trova facilmente e-1 e” a pura e B 10. B da cui si deduce che l'ordine di @2 è il più piccolo numero # tale che sia e" = 1 (mod. p). n è dunque un divisore di p(p — 1) e la sostituzione p2 è com- posta di > cicli di n elementi ciascuno. INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 81 Da questi risultati emerge pure che i gruppi corrispondenti ai p valori di f sono tutti simili fra loro. Invero la sostituzione 1 e (Bi fo B») = ye = 2+ trasforma la sostituzione nell’altra / @,2 = Y (2+ _Ba MOSELLA qualunque siano e e Y. 7. Se la sostituzione 02 d'ordine p — 1 è frazionaria, se cioè (rt+9):+#-9 {1 Go = —' +1 i TESI b=-:@ (i essendo radice primitiva della #7! = 1 (mod. p), t uno dei nu- meri 1,2,...273, g uno dei numeri 0,1,... p — 1); alle so- stituzioni @2 si può dare la forma z+bi—g 9 Mede paio dn dt Piziopa, 0 ce li e TT ERE IVA (ati Zonp 7 1) Se, infine, 92 è d’ordine p + 1, le sostituzioni che soddis- fano alla congruenza PI = 0° hanno la stessa forma di (5); dove per i si prenda una radice primitiva della congruenza #11 = 1 (mod. p), 812 GIROLAMO CORDONE . p_l ROTTO : per t? uno dei vi non residui, per e un numero primo con p + 1; infine y essendo suscettibile dei valori 0,1 ...p —1,00. 8. Si può domandare qual sia l’ordine del gruppo minimo, derivato dalle sostituzioni az + b da Geuggo x(2) = 2°; (e primo con p— 1), gruppo che contiene le sostituzioni da noi considerate prece- dentemente. Il suo ordine è (p + 1)!; cioè coincide col gruppo simme- trico di p+ 1 elementi. Invero esso è almeno tre volte transi- tivo; inoltre contiene una trasposizione 1 lai] PESO [E (0189) dunque, ecc. (*). 82. Sulle sostituzioni d’un gruppo che soddisfano alla equazione X" = 1. 9. Siano s,, s9,....5. le sostituzioni d’un gruppo che sod- disfano all’equazione DE — di n essendo un divisore dell’ordine del gruppo. Affinchè il prodotto t = s} s$ di due qualunque di esse (*) E. Nerro, Teoria delle Sostituzioni. Trad. di G. Battaglini, pag. 74. INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 813 faccia parte della serie, basta evidentemente che s, e s, siano permutabili. Questa condizione non è tuttavia necessaria che son = 2. Separiamo dalla serie sj, 83, S3; ... st quelle sostituzioni (53) 83... 5», che sono permutabili con una qualunque delle so- stituzioni della serie, ad es. sj; dall’insieme sg, 53, ... sr,, le sostituzioni s3, 84, ... Sr, permutabili con una qualunque dell’in- sieme, ss; e così di seguito. Ripetiamo la stessa operazione par- tendo da tutte le altre sostituzioni sg, s3,...s, della 1° serie successivamente. Otterremo così un certo numero di gruppi composti di sostituzioni permutabili e aventi la proprietà di essere tutte radici dell'equazione X" = 1. È facile d’altronde riconoscere che prendendo per » suc- cessivamente tutti i divisori dell'ordine del gruppo dato, si ot- tengono nel modo suindicato tutti i sottogruppi di sostituzioni permutabili del gruppo stesso. Infatti in ogni gruppo di sostituzioni permutabili si può determinare un sistema di sostituzioni generatrici s1, 83, $3... degli ordini t,, to, tz3,... rispettivamente e tali che il prodotto SON pia elica (Or È; seat rappresenta tutte le sostituzioni del gruppo. Inoltre ciascuno dei numeri t;, ta, t3,... è divisibile pel. seguente; il numero t, è il minimo comune multiplo delle sosti- tuzioni del gruppo; e l’ordine del gruppo è t="t1 ta #3... (*). Adunque tutte le sostituzioni del gruppo soddisfano alla equazione NETTI NE dunque, ecc. 10. Consideriamo in particolare il gruppo G. Due sostituzioni permutabili che non sono potenze di una stessa sostituzione, sono, com'è noto, di 2° ordine. (*) Netto, Op. citata, n. 133. 814 GIROLAMO CORDONE Le sostituzioni dei gruppi di sostituzioni permutabili con- tenuti in G sono dunque tutte radici dell'equazione =. Sia 02 una sostituzione qualunque di 2° ordine. Se si pon- gono in evidenza gli indici reali o imaginarii, 2), 2;, ch’essa lascia immobili, avrà la forma — e(20t-2) +22 —2z+zat% ; 04. Tutte le sostituzioni permutabili con 62 si avranno dalla formola 6, (e, )) = Na — Mzo + 21) + 20% IIZIN attribuendo a \ i valori 0,1,...p — 1, 00; esclusi tuttavia i valori 20, 21, se questi sono reali. Si riconosce poi facilmente che esiste una ed una sola so- stituzione permutabile con 02 e 0,2, cioè la sostituzione 0, (2, )) pds Sla al Tan i per ogni dato valore di \. Le sostituzioni (92, 9, (2, Xo); 92(£, Xx), 1) costituiscono dunque un gruppo K di 4° ordine, composto di sostituzioni permutabili. 5 LI i gruppi di- Bisogna tuttavia osservare che sono soltanto stinti corrispondenti ai varii valori di \; perchè sono identici i gruppi corrispondenti ai valori ), e 0(A,) di X. p£EI 2 Partendo da un’altra sostituzione 0'= appartenente ai PESI 2 dine, K', di cui uno però coincide con quello dei gruppi prece- denti, che contiene 0'2. gruppi già considerati, si avranno altri gruppi di 4° or- -<3 3 4 È 4 ì INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 815 Ciascuna delle sostituzioni appartenenti ai gruppi K' darà luogo a sua volta a due — 1 gruppi K” distinti dai gruppi K e K'; e così di seguito, finchè non si siano esaurite tutte le p? sostituzioni di 2° ordine del gruppo di sostituzioni razionali e lineari. Riepilogando: “I sottogruppi di sostituzioni permutabili (*) del gruppo di sostituzioni razionali e lineari, si ottengono dalle sostituzioni, due a due permutabili, che soddisfano all’equazione Ni i, Ogni tal gruppo K è di 4° ordine, e contiene le sostituzioni pus È 2(20 + 21) — 22021 i 0,(2, \) a Me-Mzo + 2) + 204 7 2a —zo— 21 ICSÀ 0, (2, \) ssa 0(A) ne POR z4) + 202 1 02 essendo una sostituzione qualunque di 2° ordine. Ogni gruppo K' si ottiene dal precedente K, cercando tutte le sostituzioni permutabili con una delle sostituzioni 0, (2,1), 03 (2,)) ,. (*) Occorre appena avvertire che si sottintende sostituzioni permuta- bili non potenze d’una stessa sostituzione. 816 TULLIO LEVI-CIVITA aa LI ot } = ig = -«-“-- ai -&r“fÉ{{{{““”{É{i“ Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche; Nota di TULLIO LEVI-CIVITA. 1.— Alcuni anni or sono il signor Koenigs ha dimostrato (*) che, se un sistema materiale, soggetto a forze derivanti da un potenziale, ammette un integrale algebrico (rispetto alle velocità), esso ammette altresì almeno un integrale razionale. La bella nota del signor Koenigs mi ha suggerito alcune osservazioni assai semplici, che volli raccolte nel presente scritto, quantunque non abbiano carattere di novità, per potermene (del- l’ultima in particolar modo) valere con maggior sicurezza in un prossimo lavoro sulle trasformazioni delle equazioni dinamiche. Io mi propongo di mostrare in primo luogo: a) che la proposizione del signor Koenigs vale anche se le forze non provengono da un potenziale. 3) che, per un sistema materiale a legami indipendenti dal tempo e non soggetto a forze, se esiste un integrale razio- nale indipendente dal tempo, esiste anche almeno un integrale omogeneo. c) che, qualora un sistema materiale a legami indipen- denti dal tempo, ammetta, per un sistema di forze indipendenti dalle velocità, un integrale = cost, razionale rispetto alle ve- locità, il sistema materiale stesso, libero da forze, ammette come integrale - = cost; (designando A' e B' il complesso dei ter- mini di grado massimo nei polinomii A e B rispettivamente). Fatta avvertenza che le osservazioni 5) e c) discendono (*) Sur les intégrales algébriques des problèmes de la dynamique, “© Comptes Rendus ,, agosto 1886. 9 rt delicati 6. L. SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 817 come caso particolare da un notevole teorema del sig. Painlévé (*), rilevo che esse servono, insieme ad a), a riportare la classifica- zione dei problemi dinamici, dal punto di vista degli integrali | algebrici, che essi posseggono, al solo caso, in cui non agiscono forze esterne e pel solo tipo degli integrali omogenei. Il campo di ricerca si trova così naturalmente ristretto; io prescinderò tuttavia anche dagli integrali fratti, limitandomi ad esporre, nell’ultimo paragrafo, sotto forma invariantiva, la condizione ne- cessaria e sufficiente, affinchè un sistema materiale a legami indipendenti dal tempo e non soggetto a forze ammetta un in- tegrale intero, omogeneo rispetto alle velocità. La forma di co- desta condizione, che mi apparve assai importante per lo studio delle trasformazioni in meccanica, generalizza ovviamente quella assegnata dal Prof. Ricci (**), affinchè esistano integrali primi omogenei delle linee geodetiche in una varietà a due dimen- sioni: Per il caso particolare degli integrali di primo grado, essa riproduce, salvo la diversità dei simboli, un risultato sta- bilito, collo stesso nostro procedimento, dal Prof. Cerruti (***) e da lui interpretato geometricamente in modo assai elegante. 2. — Sia T la forza viva di un sistema materiale S e si ponga in coordinate lagrangiane: IS 3 Vea qs na Vu: ata te le 4,;,@, e T essendo in generale funzioni delle 9 e del tempo. Le equazioni del moto, se si dica @, (che supporremo di- pendere dalle coordinate e dal tempo in modo qualunque, e razionalmente dalle velocità) la componente della forza secondo la coordinata q,, saranno: OT d dg'h OT gere g OE PANTIO (*) Sur les intégrales de la dynamique, “ Comptes Rendus ,, maggio 1892. (*#*) Sulla teoria delle linee geodetiche, ecc. “ Atti del R. Ist. Veneto ,, 1894. (#**) Sopra una proprietà degli integrali di un problema di meccanica, che sono lineari rispetto alle componenti della velocità, È Rendiconti dei Lincei ,,1895. 818 TULLIO LEVI-CIVITA ovvero, con note riduzioni, ponendo al solito: 1 darh dans dars i al) ca ò loga Ars == — LAT da 2 d4 dgr dgr dan Rq29 (#4) er! (ne) $ dan dar __ dar Ars dai Urshy Ur da di n dgr dan È” Of= =- da ak) Qi tt = = DI (hk) E Poe: Soa $ dgn n» = U O g,=V+#- Vas Yao, @=1,2,,0) L i Se F= cost è un integrale primo delle (1), si avrà È =0 cioè: ò n A pote LE q'r the siria) d'}=0, dti da nella quale, sostituendo, al posto delle 9g", le espressioni (1), siccome i valori iniziali delle 9 e delle g' sono affatto arbi- trarii, il primo membro dovrà annullarsi identicamente. Ponendo pertanto: O =g+ Zitti Lane abbiamo che il primo membro F di ogni integrale delle (1), risguardato come funzione dei 2n + 1 argomenti %, 9" e t, sod- disfa all’equazione a derivate parziali lineare ed omogenea dd. O, VET CR AI O OTTONE LI n ___—, o SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 819 Ritenuto ciò, si supponga F funzione algebrica delle 9’ e quindi definibile mediante un’equazione del tipo: (3) ese La 0, a coefficienti razionali interi nelle g' stesse. La (3) si può sempre considerare irriducibile nel campo di razionalità delle g'. Ap- plicando ad essa l’operazione 9, siccome QF = 0, verrà: E VER RAT O i i 0 A IRR o RA e, per l’irreducibilità della (3), siccome, avuto riguardo alla forma di 9, per le ipotesi ammesse circa le @,, i coefficienti della (4) sono ancora razionali nelle 9g’, seguirà necessariamente: Q So Q SI Q Sm So Sq Sm e quindi per esempio so. 2s, — s..L2s= 0, od anche So» Ls, TRONO Lso == 0 8% 2 . . . Sq Sa Sm da cui apparisce che ciascun rapporto Bilbo: Gasovdnioz pan9YE 0 20 0 non si riduca ad una pura costante, è integrale primo delle (1). In generale questi integrali potranno non essere tutti di- stinti, nè si può escludere che alcuno sia di per sè una costante; uno almeno deve però contenere effettivamente le g' e sarà l'integrale razionale, di cui volevamo stabilire l’esistenza (*). Se mai la (4) si riduce ad una identità, il sistema possiede al- meno un integrale razionale intero. 8. — Quando i legami imposti al sistema materiale S sono (*) Come già il sig. Koenigs, pel caso di forze provenienti da un po- tenziale, notiamo che, anche nel caso generale, l’esistenza di un integrale F, algebrico rispetto ad alcune soltanto delle g' trae necessariamente l’esistenza di almeno un integrale razionale rispetto alle stesse quantità. La dimostra- zione sarebbe identica a quella sopra accennata. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 56 820 TULLIO LEVI-CIVITA indipendenti dal tempo e non agiscono forze, le equazioni (1) si riducono a: (1’) bere argine (£=1,2,..., n) l la condizione perchè F = cost (con F indipendente dal tempo) sia un integrale, è data da: \ èF IF |, DU IR — de — ad Ego = (2°) Q'EF= ) pura PA nd q | Suppongasi che F sia razionale nelle g'; si potrà porre F= Sa A e B essendo funzioni intere, di cui chiameremo A' e B' l’in- sieme dei termini di grado più elevato. Applicando ad F l’ope- razione Q', avremo: B.9'A-A.Q B oc'Pe = Si vede immediatamente che la <', applicata ad un poli- nomio omogeneo nelle 9’, dà per risultato ancora un polinomio omogeneo col grado aumentato di una unità: Perciò nel prodotto B.Q'A, itermini di grado più elevato si avranno moltiplicando B' per N'A' e analogamente A”. £'B' sarà il gruppo di termini, aventi lo stesso massimo grado in A .Q'B, talchè l’identico an- nullarsi della differenza B.Q'A —A.Q'B esigerà che sia: BOCA" eil. LB A È a ae p= cost è un integrale omogeneo delle equazioni (1'). cioè 4. — Si supponga che un sistema $ a legami indipendenti dal tempo ammetta, per date forze (, indipendenti dalle velocità, un integrale razionale (indipendente dal tempo) È = cost. La condizione (2) diviene nel caso presente: nile. -, SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 821 n nr " —z 1a”. %; k ’ Li prat (2) Q ARIE +22 (0 Lts:s.){= -2r+), dE = 0, ed avremo Q" È IL Se, come poc'anzi, si designano con A' e B'i termini di grado più elevato in A e in B, si riconosce senza difficoltà che, nella differenza B.Q'"A — A. Q"B, l'insieme dei termini di grado massimo è dato da B'. Q'A'— A'. Q'B'; dunque: B'. Q'A'— A'. Q'B'= 0, | : RI | A il che dimostra come da ogni integrale razionale E = cost,re- lativo a un sistema S e a forze Q, comunque date, purchè in- dipendenti dalle velocità, si deduce un integrale razionale ed omogeneo per lo stesso sistema libero da forze. Come caso particolare, supponendo nulle le Q,, si ritrova il contenuto del precedente $. 5..— Proponiamoci da ultimo di assegnare esplicitamente le condizioni, affinchè un polinomio del tipo: pe Vin PARC PRO RTRT 4h Ul USTEZLETT sia integrale primo per un sistema S a legami indipendenti dal tempo e non soggetto a forze. Essendo T =), Uni Polls ni rs la forza viva del sistema, pongasi ds°=2T dt = DE ds dg, dg, 1 rs e si consideri la varietà g a » dimensioni, di cui ds° rappre- senta il quadrato dell’elemento lineare: Ricordo che, dato un sistema di funzioni (delle variabili 822. TULLIO LEVI-CIVITA indipendenti g;) d’ ordine m, cioè del tipo A,,r,...r, (17. fm =1,2,..,), simmetrico o no rispetto ai suoi m indici, se- condo una denominazione introdotta nella scienza dal Prof. Ricci, il sistema d’ordine m + 1, definito da: m (6) P.° Sed, lì) Ariro..tm 5 p A tira: Tmfm41 TT dd'm4i STE Na sMejrzipi TqT]_” Tam) 1 chiamasi derivato covariante del proposto rispetto alla forma fondamentale ©. La proprietà essenziale delle derivazioni covarianti risiede nel loro carattere invariantivo, per cui, ogniqualvolta, passando dalle variabili 9g a certe nuove variabili (9), il sistema (A) tras- formato delle A,.,,,... ,,, si esprima secondo la legge: | n dqs dqgss dISm DO (Armee) = Y'Aeno t e. ( ) ( Us U) tm) Lo” d(qr) d(gqrs) AUgrm) o) sia cioè covariante al primitivo, lo stesso accade dei rispettivi derivati. In particolare, siccome evidentemente i coefficienti di un integrale primo costituiscono un sistema covariante, sarà pure covariante il sistema derivato. Ciò posto, se A = cost è integrale delle (1°), la Q'A=0, scrivendo rn. al posto di %, porge nel caso presente: n D) Ariatm r ' r dgr Lridra Irma 1 m+l 1 Ta.e-TmYm+1 Ed taet 17741" mA1 ik od anche, ove si scambino nel secondo termine gli indici r ed Tmy1; SÌ scriva r, al posto di s e poi si riuniscano le due som- matorie: r ’ r , PIE SETA 4 ) } Big) m41"41""m CAS le AR ERA ; rs dr ae 0, Re e I tt Latini SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 8293 Ò Arira.. Tm PASS. Ù , Va rad ra Drm@ Tm41 dda ddrira..taf'mi1 m n È == ) 2 A... a uil ta TI mar ta "1 Tm 1 In virtù delle (6), si ha: , ’ ‘ LU == A rsrs..ata mt q ri4 ra Yrm q ei 0 L 1 Tata. TnYmt1 la quale, avuto riguardo alla simmetria del sistema A,,,,... +, che si conserva pei primi m indici delle A,,,,...wmrm+1, esige che il sistema A,,r3.rmrnti SIA, come si dice, emisimmetrico, ‘che cioè sieno nulle le somme degli elementi, che si ottengono da ogni generico coefficiente À,,,,... rmrn41; eseguendo sopra i suoi indici m + 1 potenze consecutive della sostituzione circo- lare (1172... Tn Tm): Concludiamo pertanto: n Affinchè S Arrs.rmQridrs Lr =" COS sia integrale primo n Tala. Tm per un sistema S, su cui non agiscono forze, 0, ciò che è lo stesso, per le equazioni delle linee geodetiche in una varietà ® di ele- mento lineare ds = V2T4t?, è necessario e basta che il sistema A sia emisimmetrico. U5 UCTO Tm m41 Esprimendo così le condizioni per l’esistenza di un inte- grale omogeneo di grado m, si mette in evidenza colla massima semplicità il loro carattere invariantivo di fronte ad ogni pos- sibile trasformazione di coordinate. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. 824 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 17 Maggio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLareTTA, Direttore della Classe, Peyron, Rossi, BoLLAaTI Di SAINT-PriERRE, Pezzi, NANI, COGNETTI pe Martus, Brusa, PerRERO, ALLiEvo e FERRERO Segretario. Il Socio segretario fra le pubblicazioni pervenute in dono alla Classe segnala il vol. VIII della 1° serie delle: “ Campagne del Principe Eugenio di Savoia ,, e gli Allegati grafici dei vo- lumi VII e VIII di detta opera inviati per ordine di S. M. 1L Re. Offre poi a nome dell'Autore, il Socio corrispondente marchese di Nadaillac, un opuscolo: “ Expéditions polaires , (Parigi, 1896). Il Presidente, a nome dell’autore, il prof. Lando LANDUCCI, offre un opuscolo: “ La pubblicazione delle leggi nell'antica Roma , (Padova, 1896). Il Socio ArLievo legge due suoi lavori intitolati: “ Studio storico critico di pedagogia femminile , e “ Dell’educazione della donna secondo i pensatori francesi del secolo XVIII ,. Essi sono pubblicati negli Atti Accademici. _—_—_____—__n__——_rtnooo*°_ LETTURE Studio storico critico di pedagogia femminile; Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. Che l'educazione della donna sia necessaria siccome uno degli elementi integrali di quella civiltà perfetta, che è l’aspi- razione incessante dell’umana società, è cosa universalmente sen- tita e concordemente ammessa. Ne fanno fede le scuole fem- minili di ogni guisa, che nel nostro secolo vanno moltiplicandosi in tutte le parti della colta Europa. Educhiamo la donna! fu il grido, che or fa un mezzo secolo proruppe unanime da ogni punto della terra subalpina, ed a quel grido sorsero a centinaia le scuole elementari femminili per concorde operosità di privati cittadini e di municipî. Nè qui si arrestò quel potente impulso, ma suscitò l’istituzione di scuole superiori di perfezionamento e di istituti normali femminili; ed ora la coltura della donna non solo ha preso un incremento ancora più ampio, ma va ra- dicalmente trasformandosi in un ordine di idee affatto insolito. Noi assistiamo ad una vera rivoluzione pedagogica. Oggidì fan- ciulle di civil condizione dànno opera agli studi non più per portare in seno della famiglia una più ricca e svariata coltura, o per consacrarsi al magistero educativo, bensì per secondare nuove aspirazioni sociali e correre il pubblico arringo. Noi le vediamo disertare le scuole superiori di perfezionamento e pic- chiare alle porte dei ginnasii, dei licei, delle università per do- mandarvi quel tanto di scienza, che occorre all’esercizio di una pubblica professione liberale. Da prima le giovani studiose, che facevano timida mostra di sè in mezzo alla falange di gio- 826 GIUSEPPE ALLIEVO vani alunni, sì contavano sulle dita; ora quelle poche stanno diventando legioni. Chiuderemo noi loro in faccia le porte degli istituti scolastici consacrati all’istruzione maschile? Ricacciare entro le scaturigini della terra un'ampia fiumana, che prorompe impetuosa da ogni lato, è dissennata impresa; arginarne le rive ed inalveare la corrente sì che scorra a fecondare i campi, non a devastarli, e salutare provvedimento. Ormai non evvi più ra- gione di ripetere il grido: Educhiamo la donna. Educhiamola bene: questo è di presente il gran pensiero, che occupa quanti hanno a cuore le prospere sorti della famiglia, della patria, della società; è il nuovo problema, che s'impone alla mente dei pe- dagogisti e degli educatori di buon volere e di retto intendi- mento. La storia della rinascenza letteraria ricorda i gloriosi nomi di donne letterate e colte, quali ad esempio : Laura Ceretti di Brescia, che nel 1487 sostenne pubbliche tesi e professò filosofia per sette anni; Paola Malatesta, allieva di Vittorino da Feltre, versatissima nel latino, nella filosofia, nella rettorica e nella musica; Modesta di Pozzo Zorzi nobile veneziana, che scriveva egualmente bene nelle tre lingue di Omero, di Virgilio, di Dante, sia in verso, sia in prosa; Olimpia Fulvia Morata (1526-1555), che a quattordici anni scriveva in latino un elogio di Cicerone, in greco un elogio di Muzio Scevola, teneva pubbliche confe- renze, a sedici anni componeva poesie in greco, morta nella gio- vane età di ventinove anni. Ma tutta quella vaghissima fioritura di sapienza femminile faceva uno spiccato contrasto colla igno- ranza pressochè universale della donna di que’tempi, e quel, che è più, si coltivavan le lettere e le scienze siccome gentile or- namento dell'animo e per certo qual amor della gloria, mentre a’ giorni nostri le giovani studiose frequentano in folla gli isti- tuti scolastici ed aspirano all’esercizio delle professioni liberali. In faccia a questa condizione di cose affatto nuova e rilevante il problema dell’educazion femminile ci si presenta sotto un aspetto nuovo e grave assai. Che l'educazione della donna debba essere diffusa il più ed il meglio, che si può, non è più que- stione controversa, ma dogma indiscutibile. Però si ricerca, se . essa educazione abbia natura tutta sua propria, che la distingua da quella dell’uomo, e quindi un fine speciale, a cui sia rivolta, limiti determinati, che la circoscrivano, uno spirito peculiare, PE TO e STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 827 che la informi. In una parola, il tipo ideale, su cui va esemplata l'educazione femminile, è esso essenzialmente identico con quello dell'educazione maschile, o diverso? Ecco il punto del problema, che richiama a sè la meditazione de’ pensatori e costituisce un oggetto di gravissima discussione. Per poco che si rifletta, ben tosto si scorge, che questo problema pedagogico presuppone già risolto un problema psicologico, da cui logicamente dipende; se cioè la donna abbia dalla natura sortito la stessa tempra di corpo e di mente, le stesse attitudini, la stessa vigoria di pen- siero e di volontà dell’uomo (1); giacchè solo in tal caso essa sarebbe chiamata alla stessa missione sociale; epperciò l’edu- cazione femminile dovrebbe procedere in tutto e per tutto iden- tica con la maschile. Noi ci troviamo adunque di fronte a due problemi, uno psicologico, l’altro pedagogico, logicamente subordinati in guisa, che quello contiene in sè la ragione e la spiegazione di questo. Quale rapporto intercede tra la natura propria della donna e quella dell’uomo? Ecco il problema psicologico. In che rapporto stanno fra di loro l'educazione femminile e la maschile? Ecco il problema pedagogico. Questo duplice problema venne intra- veduto ed a più riprese discusso vagamente e con criterii non bene definiti nei passati secoli da Platone sino ai tempi nostri; ma oggidì acquista un significato del tutto speciale per cagione del profondo mutamento avvenuto nello stato sociale. Torna quindi assai conveniente uno studio storico critico intorno ai diversi pensamenti di coloro, che meditarono sul presente argo- mento: e qui ci restringiamo alle principali dottrine francesi dei secoli XVII e XVIII. Durante il periodo della rinascenza letteraria vediamo di- segnarsi due contrarie correnti. Lo spagnuolo Vives (1492-1540) (1) Cosa singolare! Nel concilio tenutosi a Màcon nel sesto secolo, sì agitò per più settimane ed assai vivamente la questione, se la donna pos- segga un’anima tale, che le valga il titolo di creatura umana. Questo fatto ci ricorda per la ragion de’ contrarii l'omaggio decretato nel 1551 a voti una- nimi dall'Accademia dei Dubbiosi di Venezia a Giovanna d'Aragona e quindi il volume pubblicato in quella città nel 1555 da Pietro Pietrasanta col titolo: “ Tempio alla divina Signora Giovanna d'Aragona fabbricato da tutti i più gentili spiriti e in tutte le lingue principali del mondo ,. 828 GIUSEPPE ALLIEVO e l'olandese Erasmo (1467-1536) caldeggiavano entrambi l’istru- zione della donna ampliando oltre ogni limite i suoi studi e giudicandola adatta quanto l’uomo alla conoscenza del greco e del latino; mentre il Rabelais (1483-1568) teneva in poco conto la sua coltura, e più tardi il Montaigne ed il suo amico Charron la giudicarono inferiore all'uomo. Il tedesco Enrico Cornelio Agrippa (1486-1535) pubblicava nel 1529 la sua Declamazione sulla nobiltà e precellenza del sesso femminile, dove sostiene che le donne sortirono da natura doti migliori di quelle dell’uomo (1), sicchè anche ignoranti vedono sovente assai più in là degli astrologi, dei filosofi e dei matematici. Poullain de la Barre. Venendo al secolo decimosettimo, la de Gournay (1556-1645), figlia adottiva di Montaigne, sostenne l'eguaglianza degli uomini e delle donne. La Bruyère (1646-1696) reputa la donna supe- riore all'uomo nel genere epistolare, ed avvisa che ad essa manca non già l’attitudine all’istruzione, ma piuttosto il buon volere. Ma nessuno finqui aveva portato la questione sul terreno della scienza, siccome fece Poullain de la Barre. La sua opera De l’égalité des deux sexes (2) pubblicata nel 1673 non è un lavoro d’indole meramente letteraria, ma porta l'impronta della medi- tazione filosofica, sebbene la critica abbia da riconoscere, che in mezzo al vero vi giace frammisto l’erroneo e l’esagerato. Egli muove dal fatto, che le donne non appartengono al mondo dei dotti, e che esse stesse credono che per natura non vi deb- bano appartenere, mentre il' vero si è che i due sessi sono as- solutamente eguali. Il ragionamento, con cui egli cercò di dimo- (1) Questo concetto fu svolto da Girolamo Ruscelli nella sua opera stampata a Venezia nel 1552, e dalla illustre veneziana Modesta di Pozzo Zorzi (1555—1592), la quale pubblicava nel 1593 la sua opera in difesa della superiorità della donna. (2) L'autore pubblicò un altro opuscolo inscritto: Dell’eccellenza degli uomini contro l'eguaglianza de’ sessi, col solo scopo di proporre e confutare le obbiezioni contrarie all’eguaglianza de’ sessi. inn nile STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 829 strare la sua tesi, posa tutto quanto su questo concetto, che il cervello, organo essenziale delle funzioni dello spirito, è affatto simile nell'uomo e nella donna. “ La più esatta anatomia non rileva differenza di sorta in questa parte: il cervello delle donne è del tutto simile al nostro, le impressioni dei sensi vi sono ricevute e raccolte ad un modo, e vi si conservano altresì per l'immaginazione e la memoria... Chi adunque le impedirà di applicarsi a considerare se stesse, ad esaminare in che dimori la natura dello spirito, quante guise vi siano di pensieri e come vengano eccitati all’occasione di certi movimenti corporei, ad avvertire dopo ciò le idee naturali, che hanno di Dio, e muo- vendo dalle cose spirituali disporre con ordine i loro pensieri e costrursi la scienza, che appellasi metafisica? Dacchè hanno anch'esse occhi e mani, perchè non potranno fare esse stesse, o veder fare da altri, la dissezione di un corpo umano, conside- rarne la simmetria e la struttura, notare la diversità, la diffe- renza, il rapporto delle sue parti, le loro figure, i movimenti, le funzioni, le alterazioni e di là inferire il mezzo di conservarli ben disposti e di ristabilirvi il turbato ordine? Basterebbe a tal uopo conoscere la natura de’ corpi esterni, che hanno rap- porto col nostro, scoprirne le proprietà e quanto li rende capaci di produrre impressioni buone o cattive. Ciò si conosce col mi- nistero de’sensi e le varie esperienze; e le donne essendo del pari idonee all'una ed all’altra cosa, possono apprendere quanto noi la fisica e la medicina (pag. 116 e seg.) ,. Osservate le scienze sia in se stesse, sia nell’organo, con cui si acquistano e vedrete che i due sessi vi sono egualmente disposti, essendochè un solo è il metodo e la via per insinuare la verità nello spirito, epperò le donne hanno attitudine a tutte le scienze, alla logica, alla meccanica, all’astronomia, alla letteratura, all’eloquenza, nella quale fanno miglior prova degli uomini, alla morale, alla giurispru- denza, alla politica, alla storia ed alla geografia. Che più? Ei vorrebbe vedere la donna insegnare dalla cattedra l’eloquenza o la medicina, arringare davanti ai giudici, rendere giustizia dal tribu- nale, condurre un’ armata, aprire battaglia, parlamentare nelle ambasciate, pontificare nelle chiese. Dall’altezza del suo ideale pedagogico egli rivolge lo sguardo sul mondo della realtà e de- plora l'educazione, che universalmente si dà alla donna, educa- zione frivola ed indegna di persone ragionevoli, tutta intesa a 830 GIUSEPPE ALLIEVO deprimere il loro coraggio, ad oscurare il loro spirito, a spegnervi ogni germe di verità e di virtù, a soffocare ogni aspirazione alle grandi cose; ma se tale è di fatto la loro educazione, tale non deve essere, tale non la vuole natura. L'autore ha dato alla proposta questione un indirizzo ve- ramente scientifico, poichè ha saputo vedere, che a fine di risol- vere il problema dell’educazione della donna e della sua mis- sione sociale occorre risalire allo studio psicologico della natura propria di essa, e quindi ha interrogato la scienza anatomica su questo punto. Però se il suo procedimento è logico e razio- nale, vuolsi tuttavia riconoscere che è affatto incompiuto, par- ziale ed esclusivo. Poichè la scienza anatomica ci saprà bensì dire, se vi corra differenza tra l'organismo corporeo dell’uomo e quello della donna, ma non già tra la mente e lo spirito del- l'uno e dell'altra: su questo secondo punto vuolsi interrogare la scienza psicologica strettamente presa. Colla sola scorta del- l'anatomia e della fisiologia non si giungerà mai, come egli pre- tende, a capire nè la natura dello spirito, nè le differenti specie di idee, nè la natura di Dio ed il mondo soprasensibile, che è oggetto della metafisica. Per altra parte non basta, come asse- risce l’autore, possedere occhi, e mani, e sensi fisici per inferirne che la donna può nella stessa misura dell’uomo raggiungere e professare la fisica e la medicina, e per sostenere che possa con ragione essere educata alla faticosa ed agitata vita della milizia, del foro o della tribuna parlamentare. Il concetto dell'anatomia confusa colla psicologia, da cui egli prese le mosse, lo condusse a quell’assoluta eguaglianza di uffici sociali e di educazione dell’uomo e della donna, che già aveva ideato e propugnato Platone nel suo dialogo La repubblica. Nicola Malebranche (1637-1715). Nell'anno medesimo 1673, in cui il Poullain faceva di pub- blica ragione la sua opera, usciva alla luce in Parigi la Ricerca della verità del padre Nicola Malebranche (1637-1715). Sebbene egli non abbia discusso il problema pedagogico dell’educazione femminile, è tuttavia meritevole di considerazione il suo raffronto Udi Da citi STUDIO SIORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 831 psicologico tra l’intelligenza della donna e quella dell’uomo. È dottrina professata da questo illustre filosofo, che il cervello è sempre segnato da alcune traccie, e che queste stanno sempre in rapporto colle idee, ossia colle cose, che noi pensiamo, sicchè ad ogni nuova idea ricevuta dall’anima s'imprime nel cervello una nuova traccia, e ad ogni nuova traccia prodotta dagli 0g- getti l’anima riceve una nuova idea, e quanto più profonde e durevoli sono le traccie, più strettamente si legano con esse le idee (Lib. 2°, parte 1%, cap. V). Ciò posto, egli pronuncia che nella donna le fibre cerebrali sono assai più delicate e molli che nell'uomo, epperò assai più mobili e cedevoli alle impres- sioni sensibili, e di qui argomenta, che generalmente parlando le donne posseggono più che gli uomini scienza, abilità, finezza, discernimento in tutto ciò, che colpisce i sensi e riguarda il buon gusto; ma per lo contrario la tanta mobilità delle loro fibre cerebrali le rende impotenti a cogliere quel, che sa di astratto, a penetrare le verità un po’ difficili a scoprirsi, a scio- gliere questioni alquanto intricate, sicchè rimangono sempre alla superficie delle cose senza mai penetrarne il fondo. Ma l’autore quasi si fosse accorto di essere trascorso troppo oltre, si affretta a temperare la severità del suo giudizio avvertendo che così non incontra generalmente in tutte le donne. “ La forza dello spirito dimora in un certo temperamento della grossezza e del- l’agitazione degli spiriti animali con le fibre del cervello, ed alle donne non manca talvolta questo giusto temperamento. Sonvi donne forti e costanti, e uomini deboli ed iIncostanti; donne dotte, coraggiose, capaci di tutto, e uomini molli, effeminati, inetti a penetrare ed eseguire alcunchè... Uomini, donne, fanciulli dif- feriscono soltanto fra di loro nel più e nel meno riguardo alla delicatezza delle loro fibre cerebrali (Lib. 2°, parte 2°, cap. 4) ,. Quest'ultima proposizione formolata in modo assoluto attenua di molto la gran differenza, che l’autore aveva interposto tra l’intelligenza femminile e la maschile, essendochè ci porta a riconoscere, che anche la donna possiede la virtù della scienza, sebbene in grado minore dell’uomo. Ma quello, che più importa di avvertire, si è, che tutto questo ragionamento dell’ autore muove da un principio da lui supposto vero, ma punto dimo- strato, che cioè il cervello è improntato di traccie, le quali stanno in rapporto colle idee, che si acquistano, e che le sue fibre sono 832 GIUSEPPE ALLIEVO agitate e percorse differentemente da spiriti animali. Queste traccie cerebrali vincolate colle idee nessuno le ha vedute, e l’esistenza degli spiriti animali è tuttora una ipotesi, che attende la sua conferma dalla ragione. Malebranche e Poullain partirono entrambi dal concetto fisiologico del cervello, eppure riuscirono a conclusioni opposte. Claudio Fleury (1640-1723). In questo medesimo secolo decimosettimo intorno l’educa- zione femminile raffrontata colla maschile scrisse poche, ma pen- sate pagine l’abate Carlo Fleury nel capitolo XXXVII, parte 1?, delsuo Trattato della scelta e del metodo degli studi pubblicato nel 1686. Censurando la frivola e scarsa educazione, che comune- mente si dà alla donna, egli avverte che anche ad essa conven- gono gli studi, essendochè ha un'anima specificamente identica con quella dell’uomo, e quindi una ragione da seguire, una vo- lontà da regolare, passioni da combattere, beni da amministrare. Così egli riconosce che l’uomo e la donna sono eguali, in quanto appartengono alla medesima specie umana, ma poi nota che differiscono l’uno dall’altra in ciò, che le donne hanno meno applicatezza e pazienza per un ragionare continuato, meno co- raggio e fermezza degli uomini, ma in compenso li sorpassano per vivacità di spirito e di penetrazione, per soavità e modestia, e non essendo chiamate alle grandi cariche. sociali dell’uomo, possono consacrare allo studio il tempo di libero svago. Guidato da questo concetto psicologico, egli si fa a segnare la cerchia degli studi, che si confanno all’indole della donna. Si educhi il cuore delle fanciulle mediante un insegnamento reli- gioso, sodo e preservativo da superstizione, dogmatico, ma non teologico, e mercè la pratica delle virtù femminili, quali la dol- cezza, la modestia, la sommessione, l’umiltà, armonizzate con l'energia, la fermezza, la pazienza. Se ne coltivi l’intelligenza, addestrandole ad un pensare continuato, a ragionar sodamente intorno argomenti alla loro portata ed ammaestrandole intorno i precetti più essenziali ed elementari della logica. Se ne rinvi- gorisca l'organismo mediante esercizi fisici convenienti, accom- STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 833 pagnati dalla conoscenza de’ più facili rimedii ai mali più or- dinarii. Quanto all’istruzione propriamente detta, di grammatica, di aritmetica, di economia domestica ne sappiano quel tanto e non più, che occorre per il buon reggimento della casa e per le esigenze della vita di famiglia. Bando agli studi del latino, delle lingue, della poesia, della storia, della matematica e di altrettali curiosità, che fomentano la vanità femminile. Invece di questi studi assai meglio è che apprendano le massime fon- damentali della giurisprudenza, perchè sappiano poi prender con- siglio nella trattazione degli affari, che le riguardano. In verità che il nostro autore ristringe a proporzioni ben meschine la col- tura della donna fino a passarsene della storia e della poesia, egli che da principio voleva rialzati i suoi studi, perchè ha un'anima ragionevole al pari dell’uomo. Fénélon (1651-1715). Il concetto scientifico dell'educazione della donna possiam dire che fece la sua prima mostra di sè nel trattatello Dell'e- ducazione delle figlie di Fénélon. Anima soavissima e generosa ad un tempo, intelligenza grande ed elevata, pensatore serio e vivace, Fénélon è una delle figure più splendide e simpatiche, che campeggino nella storia della Francia letteraria del secolo decimosettimo. Fu alla corte di Luigi XIV precettore del duca di Borgogna nipote del re, scrisse egregiamente di filosofia e di teologia, di morale e di politica, di storia e di letteratura, ed è l’autore immortale del classico e popolare poema Le avventure di Telemaco. Una mente così eletta e tanto studiosa della na- tura umana sentivasi per natura portata a meditare intorno la grand’opera dell’educare, e ben giunse l’occasione a darle l’im- pulso. Egli era stato chiamato a dirigere l’Istituto delle Nuove cattoliche, e fu là, in mezzo a quel suo oscuro ministero sacer- dotale, che prese a meditare e scrivere intorno l'educazione delle figlie. Con questo titolo egli fece poi di pubblica ragione a Pa- rigi nel 1687 il suo trattato. Fu quello il primo de’ tanti suoi lavori, che uscirono dalla sua penna, e mostra come la nobiltà 894 GIUSEPPE ALLIEVU e la delicatezza del sentire andassero in lui di pari passo colla serietà e saviezza del ragionare. “ Non havvi cosa tanto negletta quanto l’educazione delle fanciulle ,: con queste parole l’autore esordisce ed avverte che mentre all'educazione maschile si consacrano cure di ogni sorta e si provvede in tutte guise, si va dicendo che le fanciulle non è bene siano sapienti, e che la curiosità del sapere le trae a vanità e superbia. E qui egli non istituisce un raffronto tra l’uomo e la donna rispetto alla loro diversa potenza mentale, ma si sta pago di osservare, che non bisogna fare delle scien- ziate ridicole, che le donne hanno d’ordinario lo spirito ancor più debole e più curioso degli uomini, e che non essendo chia- mate a reggere lo stato, a fare la guerra, ad amministrare le cose sacre, per ciò stesso non vi è ragione che si applichino alla scienza politica, all’arte militare, alla. filosofia ed alla teo- logia. Pur tuttavia egli propugna con calore e fermezza la col- tura scientifica della donna; ed a metterne in chiaro la somma importanza egli non muove dalla fisiologia e dalla psicologia comparata, bensì dal concetto fondamentale della famiglia. Il mondo sociale posa tutto quanto sulla famiglia: in essa si rac- coglie tutta la sua realtà, da essa pendono le sue sorti; e sic- come le sorti della famiglia stanno in gran parte in mano della donna, quindi consegue la necessità della sua coltura scientifica, morale e religiosa, feconda di ogni bene per tutta la convivenza sociale. Tale è in sostanza il suo ragionamento. Se la fanciulla non è seriamente educata e nutrita di sodo sapere, crescerà leggiera, molle, sregolata, amante dell’ozio, e cercherà di riem- piere con frivoli divertimenti e sciupati romanzi quel vuoto, che sente in fondo al cuore. L'autore mostra una soda e fina conoscenza, sia dell’età infantile, sia dell'anima della donna, e sopra di essa fonda tutta la sua pedagogica dottrina; ma questa conoscenza non è deri- vata per mezzo di una serie di logici ragionamenti da un prin- cipio proprio della scienza fisiologica e psicologica, bensì è frutto di una schietta osservazione della realtà. Egli non parte, come Poullain e Malebranche, da una teoria fisiologica del cervello per inferirne l'eguaglianza o la differenza delle attitudini men- tali dell’uomo e della donna, ma ha contemplata la natura in- fantile e la femminile quali si mostrano in realtà coi loro pregi PE #05 Ce "————_r vi STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 835 e difetti, e nei dieci anni che resse l'istituto delle Nuove Cat- toliche ha potuto contemplare con occhio sicuro ed intelligente i penetrali di quelle anime giovanili. Le pagine, che egli ha scritto intorno l'educazione degli anni primi, sono ammirabili per delicatezza e ragione, ed egual- mente convengono ai fanciulli ed alle fanciulle, che nel periodo dell'infanzia non mostrano ancora gran fatto la differenza della loro indole. Le prime impressioni sono le più profonde (1) e de- terminano in gran parte il carattere del nostro essere per tutta la vita; dunque (egli ne argomenta) gli è fin dalla prima età, che vuolsi cominciare l'educazione delle fanciulle: L'infanzia os- serva molto e parla poco; non avvezziamola adunque a parlar molto, a dire tutto ciò, che si presenta alla mente, creando così l'abitudine di giudicare con precipitazione e parlar di cose non bene intese: osservazione assennata è questa dell’autore, essen- dochè il pensare ed il parlare devono mantenersi fra di loro in armonica corrispondenza. I fanciulli sono naturalmente ed oltre modo curiosi: facciamo tesoro di questa innata curiosità, foriera dell’istruzione, per ammaestrarli, secondochè se ne presenta l’oc- casione, intorno a cose, che importano a sapersi. Sono assai corrivi ad imitare le azioni altrui; facciamo adunque in guisa che abbiano presenti buoni esempi, e siccome torna impossibile impedire che anche il male cada sotto i loro occhi, adoperia- moci di premunirli contro le tristi conseguenze con opportune e caute osservazioni. Si va disputando tra i pedagogisti, se lo studio intrapreso dai fanciulli voglia piuttosto essere un diletto o qualche cosa di serio. Il nostro autore consiglia di unire l'utile col dolce, di attemperare l'istruzione col sollazzo, di non istancare lo spirito con una esattezza indiscreta, con una regolarità troppo spinta. la quale fallisce al suo scopo, di rendere gradevole lo studio (1) Fénélon avvisa che le prime imagini sono le più profonde, perchè il cervello de’ fanciulli, in cui vengono stampate, è ancora molle, e riguardi il cervello stesso siccome il serbatoio delle immagini. Questa opinione, che pure era ancora comunissima a’ suoi tempi, non regge alla critica, sin perchè le innumerevoli immagini non possono capire nel piccolo spazio cr rebrale senza distruggersi successivamente, sia perchè le immagini delle cose visibili si formano e si imprimono nell’occhio e non nel cervello. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. DIÙ LI t=1310) GIUSEPPE ALLIEVO sotto l'apparenza della libertà e del piacere, lasciando le lezioni cattedratiche, quando si possono dare ammaestramenti in forma di piacevoli conversazioni e sopportando che qualche volta in- terrompansi le lezioni con brevi motti piacevoli. Filosofo e pensatore quale egli è, Fénélon intende che nel- l’ammaestrare i fanciulli si rispetti in essi la ragione, a mano a mano che la loro intelligenza progredisce. Checchè loro in- segnate, mostratene l'utilità e l’uso relativamente alla vita pra- tica e sociale. Rendete ad essi ragione di tutto ciò, in cui li istruite: ed additate loro uno scopo vero e gradevole, che li sorregga nelle fatiche dello studio: ragionate con essi sui bi- sogni della loro educazione (1). Insieme colla ragione rispettate anche la libertà dei fanciulli. Non chiudete loro il cuore con un’ autorità rigida, austera, inflessibile; ma fatevi amare, e siano liberi con voi sicchè lascino scorgere senza timore i loro difetti. Non aggravateli di correzioni e di minaccie : esse vi to- glierebbero la loro sincerità e confidenza, che sono la prima guarentigia di una efficace educazione. Punite leggermente, il men che si può, e di tal guisa, che il fanciullo provi il senti- mento della vergogna e del rimorso e soffra paziente il castigo; e quanto ai piaceri proprii di questa età fanciullesca, siano sem- plici sì, che generino una gioia moderata, eguale e durevole, non già tali da far scattare la molla delle passioni. Le indoli infantili sono svariatissime e disparate. Sonvi nature vivaci e sensitive, e sonvene delle indolenti, apatiche, fredde e pressochè insensibili: quelle possono lasciarsi trascinare a deplorabili traviamenti, ma corrette a tempo, rinsaviscono, queste rimangono pressochè indifferenti e nulle all’opera edu- cativa. Similmente si dànno indoli, che nella prima età appa- riscono esteriormente graziose, amabili, promettenti, mentre lo spirito interiore è destituito di forza e di energia ed abbisogna perciò di essere eccitato ed educato con molta cautela ed ac- corgimento. Il nostro autore crede alla corruzione originaria della natura umana, ed avverte esservi fanciulli, che nascono (1) Cosa singolare! Fénélon teologo e credente sostiene doversi ai fan- ciulli render ragione di ciò, che loro s’insegna; Rousseau libero pensatore e miscredente sentenzia che con essi non vuolsi ragionare. lee ai nea di dn Birre aio 2 STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 837 infinti, chiusi in se stessi, indifferenti a tutto tranne al loro proprio tornaconto, verso i parenti fingono un amore, che non hanno, e con una simulata arrendevolezza ai loro voleri fanno credere di avere un animo mite e buono. Contro quest’indole dissimulatrice ed infinta l'educazione ha ben ardua prova da so- stenere. Il meglio si è lasciarle una grande libertà di manife- starsi, e non imprendere di correggerla se prima non è cono- sciuta a fondo. Un altro notevole tratto dell’indole infantile è il suo amore appassionato pei racconti ameni ed attraenti. Facciamo tesoro di questa tendenza narrando favolette istruttive e dilettevoli, avventure immaginarie e reali, in modo vivo ed animato sì da tenere sempre desta la curiosità dei fanciulli, ed avvezziamoli a raccontare essi stessi così che imparino il miglior modo di fare una narrazione. L'autore addita nella storia sacra la fonte più pura, più ampia e più svariata, da cui vanno attinti i rac- conti per la puerizia segnatamente in servizio dell'istruzione re- ligiosa, essendochè l'origine e lo sviluppo della religione giudaica e cristiana hanno il loro fondamento nei fatti storici. Venendo all’istruzione della mente, l’autore esordisce dal- l’istruzione religiosa ed afferma doversi volgere con dolcezza il primo uso della ragione infantile a conoscere Dio. Trattando questo argomento, egli si mostra ad un tempo filosofo e cre- dente, affermando che questo insegnamento deve abbracciare ad un tempo ed in bell’armonia la conoscenza di Dio e la cono- scenza dell'anima umana. È questo un concetto nuovo ed origi- nale, come ha originalità e novità il metodo da lui proposto per tale ammaestramento. Come è manifesto, è una specie di studio psicologico quello, che qui si consiglia: però non si tratta punto di una psicologia scientifica ed astratta. “ Nulla di peggio, che il lanciare una fanciulla nelle sottigliezze della filosofia: bisogna ristringersi a rendere chiaro e sensibile ciò, che ella prova e dice tutti i giorni ,. Una certa qual vaga intuizione della di- stinzione che corre tra l’anima ed il corpo ella già la possiede per natura e senza sforzo di mente: si tratta di chiarire questa confusa intuizione, di convertirla in una vera persuasione, av- vezzando la fanciulla ad attribuire al corpo quello, che gli ap- partiene, all'anima quello, che le è proprio, e giovandosi a tal uopo di imagini sensibili, di osservazioni e di raffronti fra cose 838 GIUSEPPE ALLIEVO notissime, di conversazioni semplici e piane, senza ombra di sot- tigliezze. Così essa a poco a poco giungerà a conoscere, che l’anima è assai più nobile e preziosa del corpo, in cui alberga, già find’ora intravedendo che non può finire come finisce la ma- teria, e dall'anima umana, che è spirito, s'innalzerà ad un giusto concetto di Dio, che è spirito infinito. A me sembra giustissimo questo pensiero di Fénélon, che vuole insieme accoppiata la co- noscenza di Dio colla conoscenza dell’anima umana, essendochè la religione essenzialmente dimora in un rapporto di intelligenza e di amore tra l’anima e Dio. Quindi si renderebbe alla scienza ed all'arte dell’educare un segnalato servigio, se, seguendo il concetto dell'autore, si studiasse in tutti i suoi particolari il metodo conveniente a tale scopo. In che va riposta la coltura scientifica. propria della donna? S'intende da sè, che essa va istruita corrispondentemente alla missione, che deve adempiere secondo l’intendimento della na- tura, giusta l’antico adagio: Non scholae, sed vitae discendum. Quindi l’autore scrive, che “ la scienza delle donne, come quella degli uomini, deve ristringersi a renderle istrutte di quanto richiedono i loro doveri: la differenza delle loro occupazioni deve essere pur quella del loro studi , (cap. 11). Ciò posto, egli ri- pone i doveri e la missione della donna, nell’educazione de’ suoi figli, nel governo dei domestici, nel reggimento economico della casa e nella buona amministrazione degli affari domestici: per conseguente la cerchia de’ suoi studi deve abbracciare tutte quelle conoscenze, che sono richieste all'adempimento di quel suo triplice compito. La donna è fatta per la famiglia, non per la vita pubblica; sappia adunque quanto occorre per rispondere all’ideale della famiglia. L'educazione de’ proprii figli importa, che la madre studii e conosca per bene l’indole e l'ingegno di ciascuno de’ suoi bimbi, le inclinazioni, le attitudini per prevenire e reprimere le passioncelle nascenti ed informarli al retto ed all’onesto. Stu- diare i proprii fanciulli è, per Fénélon e per ogni assennato pedagogista, sacro dovere di madre. Per me, lo studio della na- tura infantile mi è sempre parso bello, attraente, fecondo di considerazioni sempre nuove ed interessanti. Il bimbo desta in chi attentamente lo contempla una folla di care impressioni frammiste a gravi pensieri. La sna innocenza, l’amabilità, la PL POE E E II VE PE CO STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 839 grazia, l’ingenuità, il sorriso ci commuovono soavemente, mentre non possiamo reprimere un certo qual sentimento di pena e di mestizia osservando in esso certi scatti di gelosia e di iracondia, certe passioncelle, che mostrano come in fondo alla sua anima innocente stia appiattato un germe corrompitore. Nel bimbo ci sì presentano le prime traccie di una vita umana, che va via via dispiegandosi e che forse col tempo stamperà nella storia una gloriosa impronta; ma quella vita si mostra velata da una certa quale ombra di mistero. Poichè egli è ignaro della sua destinazione, inconsapevole delle miserie della vita; e quando passerà un giorno dalle angustie delle pareti domestiche nel gran mondo sociale, che ne sarà di lui? Noi non lo sappiamo; noi ignoriamo quanto lui il suo avvenire, e chi sa che la sua esi- stenza venga troncata nel suo sbocciare ! Anche nella conoscenza dell’economia domestica vuol essere ammaestrata la fanciulla, la quale assai per tempo debbe impa- rare ad essere buona massaia senza trascorrere sino all’avarizia, a mantenere la pulitezza, il buon gusto, l’ordine nell’interno della casa, a preferire la conveniente semplicità alla ricercatezza ed agli ornamenti superflui. Giova pur anco che sappia alcunchè delle principali disposizioni del codice per condurre a buon esito e secondo legalità l’amministrazione de’ proprii interessi. Quanto alle altre materie di studio, la fanciulla impari a leggere e scri- vere correttamente, conosca l’ortografia e la grammatica, ap- prenda praticamente e senza regole la lingua patria, sappia le quattro regole dell’aritmetica e le loro pratiche applicazioni. A questo punto l’autore ferma la coltura mentale essen- senzialmente necessaria alla donna. Forza è riconoscere che è ben poco, è oltre modo modesto il sapere scientifico, che egli esige -da una fanciulla educata a dovere. Sono all'incirca gli stessi confini segnati dal Fleury agli studi delle donne. Però vi corre tra i due pedagogisti un notevole divario sotto un altro punto di vista. Il Fleury ha tracciato al sapere della fanciulla un cerchio inflessibile, e non vuole che si spinga più in là: egli imperiosamente bandisce siccome vana curiosità, siccome stru- mento di superbia gli studi della letteratura e della poesia, del latino, della storia e geografia. Fénélon invece, mentre è irre- movibile nell’esigere siccome assolutamente necessario alla donna senza eccezione le poche materie di studio testè divisate, ab- 840 GIUSEPPE ALLIEVO bandona poi alla libera scelta ed al genio delle giovani, che si sentono da ciò, gli studi della letteratura, della poesia, della storia, del latino, della musica e della pittura. Però egli si af- fretta ad avvertire, che in ciò vuolsi procedere con sommo ac- corgimento e cautela. Fénélon era grande scrittore, innamorato del bello letterario, fervido cultore dell’antico classicismo, ep- però non poteva non fare buon viso al culto della letteratura e dell’arte anche per l'educazione della donna; ma ad un tempo era zelante ministro del Cristianesimo e la sua pura coscienza di sacerdote sentiva aleggiare in quell’ambiente certo qual spi- rito di profana mondanità, che offende l’anima delicata di una fanciulla, e cerca di scongiurarne i pericoli. Concede la lettura di libri profani, ma di quelli soltanto, che non hanno alcunchè di nocivo per le passioni. La storia della Grecia, di Roma, della Francia eleva l’anima a concetti sublimi, purchè si scansi la vanità e l’affettazione. Si impari il latino, perchè è lingua della Chiesa e schiude il senso delle parole dell’ufficio divino, a cui si assiste; ma bando allo studio dell’italiano e dello spagnuolo : “ queste due lingue non servono che a leggere libri pericolosi e capaci di accrescere i difetti delle donne , (cap. 12). Libri di eloquenza se ne leggano, ma con sobrietà, e tali che non per- vertano il sentimento dell'amore. Si coltivi la poesia e la mu- sica, se così piace; ma sia musica e poesia cristiana. Così da per tutto egli scorge un pericolo, e ne addita il provvedimento. Ad ogni modo è lodevole il suo intendimento, il quale mira a tutelare il sentimento morale e religioso, che egli pone in cima ad ogni coltura. Ed è pure giustissima ed assennata la distin- zione, che egli ha fatto, tra gli studi necessarii ed assoluta- mente essenziali alla coltura della donna, e gli studi liberi e geniali, rispondenti alle attitudini particolari delle fanciulle. Sempre rispettando la libertà personale, egli consiglia che la educazione di una giovinetta risponda alla sua condizione so- ciale, ai luoghi, dove le toccherà passare la vita, alla professione, che abbraccierà probabilmente, ed espone assennate riflessioni secondochè essa sarà col tempo o madre di famiglia, o religiosa, giacchè pur troppo a’ suoi tempi non era riservata alla fanciulla altra scelta, che o il matrimonio od il convento. L’autore consacra due capitoli, il nono ed il decimo, a met- tere in rilievo i molti difetti consueti al sesso femminile, quali STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 841 sono la timidità e la mollezza, le piccole gelosie e le troppo te- nere amicizie, le adulazioni e la loquacità, l’astuzia e la scaltrezza, la vanità della bellezza, degli ornamenti e delle acconciature alla moda. Egli spiega una finissima osservazione nel descriverli e molto accorgimento nel proporne i rimedii, ponendo in chiaro segnatamente le tristi conseguenze; ma si può muover que- stione, se tali difetti siano per necessità di natura insiti nel sesso femminile; poichè in tal caso ogni provvedimento rivolto. a distruggerli tornerebbe vano, e solo si dovrebbe dar opera nel rivolgerli a buon fine. Egli stesso per correggere la vanità degli ornamenti consiglia un rimedio, che rivela il suo grande amore per la classica antichità, ma che potrebbe riuscire ad uno scopo affatto opposto. “ Vorrei far conoscere alle giovinette la nobile semplicità, che scorgesi nelle statue e nelle altre imagini, che ci rimangono delle donne greche e romane. Vedrebbero come i capelli annodati semplicemente dietro la fronte e i panneg- giamenti ondeggianti a lunghe pieghe riescano belli e maestosi , (cap. 10). Una semplicità descritta e contemplata con tanta com- piacenza diventa molto pericolosa e può fomentare quel senti- mento di vanità, che si vorrebbe comprimere. L'autore chiude il suo libro muovendo a se medesimo la dimanda se il sistema educativo da lui proposto possa essere praticato dalle madri di famiglia e dalle istitutrici private, o non sia forse un ideale impossibile ad essere tradotto in atto; e giudicando egli medesimo il suo libro risponde, che la via da lui tracciata, per lunga che appaia, è la più breve, perchè con- duce diritto ove si vuole andare, e che le sue proposte non esigono un discernimento ed un ingegno straordinario per ese- guirle. Ed ha perfettamente ragione. Il suo libro non è invi- luppato in sottili astrattezze e disquisizioni scientifiche, ma porta l'impronta di una profonda saggezza naturale, di una osserva- zione verace, di una schietta naturalezza, di un ragionare serio e misurato, e quel che è più, è concepito e dettato con una squisita bontà di animo, la quale ben risponde al cuore della donna. I fatti vennero a confermare col suggello dell’esperienza il suo giudizio. La illustre educatrice Maintenon modellava sulla pedagogia di Fénélon l'istituto femminile di Saint-Cyr da essa fondato, ed il felice successo mostrò di avere scelta la giusta via; ed un’altra celebre pedagogista di quel secolo, la marchesa di 842 GIUSEPPE ALLIEVO Lambert, scriveva a Fénélon: “ Io ho trovato in Telemaco i pre- cetti, che ho dati a mio figlio; e nell’Educazione delle figlie i con- sigli, che ho dati alla mia , (Opere morali, Parigi, 1843, pag. 311). Fénélon scrisse il suo libro segnatamente in servigio delle famiglie più o meno facoltose ed agiate, giacchè in riguardo alla educazione delle figlie egli preferiva la famiglia agli istituti ed ai collegi; ma deplorava la grande difficoltà di trovare buone 'istitutrici e la trascuratezza dei parenti nell'adempimento di un compito sacrosanto. Nella maggior parte delle case egli non vede che confusione, cangiamenti, madri che trascorrono la vita in divertimenti e disdicevoli conversazioni, parenti, che fanno assaporare ai loro fanciulli il piacere delle passioni sinchè tor- nino insipidi quelli dell'innocenza. “ Quale formidabile scuola per la tenera età! ,. L'autore parlava della società de’ suoi tempi; ma oggidì, io dimando, la donna è essa universalmente e sag- giamente educata in guisa, che apparisca la vera educatrice e maestra delle sue figlie? L’opuscolo dell'autore non contiene certamente dell’educa- zione femminile una teoria ampliata e compiuta in ogni sua parte, ma egli ne sbozzò con mano maestra il disegno generale; e sebbene in alcune pagine si riscontri un colorito locale do- vuto alle condizioni sociali del suo tempo, tuttavia mostra la salda impronta della scienza, siccome quella, che posa su cono- scenze psicologiche, le quali hanno un carattere universale. Ber- nardino di Saint-Pierre lo teneva in tanta estimazione, che di- chiarò “ di avere commesso uno sbaglio nello imprendere a serivere sull'educazione della donna, dopochè Fénélon aveva dettato un buonissimo libro intorno l’educazione delle figlie ,. Degna appendice dell’opuscolo di Fénélon sono i suoi “ Avver- timenti ad una ragguardevole donna (la duchessa di Beauvilliers) per l'educazione di sua figlia ,. Essi sono informati dai mede- simi concetti e ripieni di saggi consigli. “ Non la impaurite (la figlia) della pietà mostrandola a torto troppo severa. Lasciatele una libertà onesta ed una gioia innocente: avvezzatela a star lieta eccetto che nella colpa, ed a riporre il piacere lungi dai divertimenti pericolosi. Procurate farle amar Dio. — Fatele vedere quanto sia dolce, quanto accondiscenda ai nostri bisogni, quanta pietà egli abbia delle debolezze nostre, e addimesticatela a lui siccome a Padre tenero e compassionevole ,. Di proposito STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 843 ho riferito questo passo di Fénélon per dimostrare quanto sia falso su questo punto il concetto dell’autore dell’ Emilio intorno il Cristianesimo. “ A forza di spingere all'eccesso tutti i doveri, il Cristianesimo li rende impraticabili e vani; a forza di vietare alle donne il canto, la danza e tutti i trastulli del mondo, le rende sgarbate, brontolone, insopportabili nelle loro case , (1). (1) Rousseau, Émile, Paris, 1881, tom. IV, pag. 45. L’ Accademico Segretario ErmanNoO FERRERO. 844 CLASSI UNITE Adunanza del 17 Maggio 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Il Presidente annuncia la morte del prof. Luigi Cossa, Socio corrispondente della Classe di scienze morali, storiche e filolo- giche, colle seguenti parole: Egregi Colleghi, Debbo annunziarvi la perdita gravissima fatta dalla Classe di scienze morali, storiche e filologiche per la morte del nostro Corrispondente comm. nobile Lurei Cossa, professore di Eco- nomia politica nella R. Università di Pavia. Questa volta il dolore per la perdita dell’uomo di scienza viene da noi ad essere anche più vivamente sentito, in quanto che esso trovasi associato al dolore ed al lutto di famiglia del nostro Vice-Presidente Alfonso Cossa, il quale ha perduto nel Lursi il suo fratello primogenito e lo ha perduto in modo pres- sochè improvviso, senza aver neppure la possibilità di dargli l’ultimo saluto. Il collega CoexnertI, che fu stretto al Lurer Cossa da vin- coli di amicizia e da comunanza di studii, dirà a suo tempo della vita e delle opere di lui. Io mi limiterò unicamente a ricordare che il Cossa fu senza alcun dubbio uno dei più illustri cultori degli studii eco- nomici e sociali in Italia e uno dei più benemeriti per il pro- gresso e la diffusione dei medesimi. Egli visse unicamente per la scienza e per l'insegnamento e non si lasciò distrarre da cure 845 politiche ed amministrative. Egli accoppiò due qualità, che di rado si incontrano insieme riunite. Da una parte conobbe tutta la letteratura antica e contemporanea negli studi economici e sociali ed ebbe una larghissima erudizione, come lo comprova la sua “ Introduzione allo studio dell'Economia politica ,, in cui si dimostra informato di tutti gli autori, che scrissero di cose economiche dal tempo in cui si iniziò quella scienza fino a questi ultimi anni. Dall’altra egli riuscì a sintetizzare e a coor- dinare in brevi volumi, mirabili per ordine, chiarezza, conci- sione ed esattezza, i principii fondamentali dell’ Economia po- litica e sociale e della scienza della finanza. L'importanza e il merito dei suoi lavori è dimostrato dal numero delle edizioni che se ne fecero, dalla traduzione di al- cuni di essi in pressochè tutte le lingue di Europa, e dall'alta fama a cui egli pervenne, in Italia ed all’ estero, come lo di- mostra il fatto che fu ascritto a un numero grande di Acca- demie nazionali ed estere. Egli poi non si limitò a diffondere cogli scritti la scienza da lui professata, ma ne aiutò il progresso colla istituzione di premi, ed attese con grande amore a formare e ad educare degli allievi e dei discepoli, che concorrevano per perfezionarsi negli studi economici e sociali alla Università di Pavia, dove trovavano presso il prof. Lurer Cossa il sussidio di una ricchis- sima biblioteca, e potevano da lui apprendere quel metodo ri- gorosamente scientifico, a cui egli sempre si attenne nelle pro- prie investigazioni. Infatti buon numero di professori di Economia politica delle nostre Università si considerano come allievi di Lui; ed egli ebbe anche il conforto per Lui grandissimo di la- sciare avviato allo stesso ordine di studii il suo figlio Emilio, il quale già ebbe occasione di dare buon saggio di sè e di dimo- strare attitudine a seguire e a continuare le tradizioni e l'esempio del padre. Il prof. Lurer Cossa fu nominato Socio corrispondente del- l’Accademia per la Classe di scienze morali, storiche e filolo- giche il 14 Marzo 1886 e decedette in Pavia il 10 Maggio 1896 nell'età di anni 65. La Presidenza ha pregato il prof. GoLeI, nostro Corrispon- dente, Rettore della R. Università di Pavia, di presentare a nome dell’Accademia le condoglianze alla famiglia di lui, ed ora, 846 in occasione di questa Adunanza dell’Accademia a Classi unite, propone di inviare il seguente telegramma alla famiglia Cossa: “ L'Accademia delle Scienze di Torino, riunita oggi in seduta plenaria, commemorando il Socio corrispondente nobile Lurer Cossa, mentre deplora la gravissima perdita fatta dalla scienza e dall’insegnamento, associasi al dolore ed al lutto del suo Vice-Presidente e di tutta la famiglia Cossa ,,. L'Accademia approva. Gli Accademici Segretari ANDREA NACCARI. Ermanno FERRERO. 847 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 26 Aprile al 10 Maggio 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. * Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX, N. s., n. V. Napoli, 1895; 8°. * Atti della R. Accademia dei Lincei, serie V. Memorie della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. Roma, 1896; 4°. * Beitrige zur geologischen Karte der Schweiz. N. F. 5 Lief. Bern, 1896; 4° (dalla Commiss. Geologica Svizzera). Bollettino della R. Scuola Superiore d’Agricoltura in Portici; N.1, 3-8, 10-12, 15, 17, 21, 24-27. * Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XXIX, 1. Cambridge, 1896; 8°. * Comptes-rendus des séances de l’Académie des Sciences de Cracovie. Février, Mars, 1896; 8°. * Jahrbuch iiber die Fortschritte der Mathematik. Bd. XXV, Heft 1. Berlin, 1896; 8°. * Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LIV, Part II, Natural Science, n. 5. Calcutta, 1896; 8°. * Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 356. London, 1896; 8°. * Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1895. Part IV. London, 1896; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX, fasc. VIII. Milano, 1896; 8°. Resoconto della Cassa di Risparmio di Torino per l’Esercizio 1895. Torino, 1896; 4°. * Transactions of the Zoological Society of London. Vol. XIV, par. 1. 1896;4°. * Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, p. v-vir. 1896. * #ypHaJb pyCckaro sI8mro-xnuMMuecgaro 060mecrBa npu ImmepaTopcroMB C. Ilerep6ypreroms VanBepenterb; t. XXVIII, n. 2. 1896. 848 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Caldarera (F.). Primi fondamenti della geometria del piano. Palermo- Torino, 1891; 8° (dall’A.). — Introduzione allo studio della geometria superiore. Palermo, 1892; 8° (Id.). — Trattato di trigonometria rettilinea e sferica. Palermo, 1896; 8° (Id.). Folgheraiter (G.) e Keller (F.). Frammenti concernenti la (Geofisica dei pressi di Roma, 1895-96, ni 1-3; 8° (Id.). Staggemeier (A.). Le millionième de la surface terrestre représenté comme unité convenable pour l’estimation des étendues géographiques. Co- penhague, 1896; 8° (/4.). Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche Dal 3 al 17 Maggio 1896. * Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIV, disp. 5*. Venezia, 1895-96: 8°. * Atti della R. Accademia economico-agraria dei (Georgofili. 4* serie; vol. XVIII, disp. 3-4; XIX, 1. Firenze, 1895-96; 8°. * Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the Asiatic Society of Bengal. New series, n. 866, 868-871. Calcutta, 1896; 8°. ** Biograplfie (Allgemeine deutsche). Lfg. 201. Leipzig, 1896; 8°. * Ceské Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, Slovesnost a Uméni. Almanach. Rotnik VI. Historicky Archiv. Cislo 7. Rozpravy. Trida I (Pro védy filosofické, pravni a historické). Rotnik IV. — Trida III (Filologickà). Rocnik IV. n Sbirka Pramentiv ku Ponznani literirniho Zivota v Céchach, na Mo- rave a v Slezku. e È - , Skupina I. Rada 2, Cislo 2; Skupina Druhà, Cislo 2; Skupina Treti Cislo 1. Vestnik. Roénik IV. Cislo 4-9. Celakovsky (J.). Privilegia krilovskych Mést Venkovskych z let WS O: die Winter (Z.). Zivot Cirkevni v Céchich. Kulturné-historicky obraz z XV a XVI. Stoleti svajek prvni. Praze, 1895; 8°. * Eranos. Acta philologica suecana. Vol. I, fasc. 1. Upsaliae, 1896; 8° (Dat- V Università d' Upsala). i * Nederlandsch-Indisch Plakaatboek, Deel XIV,1804-1808. Batavia, 1895; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 849 * Preisschriften gekrònt und her. von der fiirstlich Jablonowskischen Ge- sellschaft. XXX. Leipzig, 1895; 8°. ** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Vol. IV; pp. 4417-4859. Parte suppl. vol. I; 8°. * Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen, ete.; Deel XXXVIII, 6; XXXIX, 1. Batavia, 1895; 8°. * Chroust (A.). Abraham von Dohna. Minchen, 1896; 8° (dall’Accad. delle scienze). Cipolla (C.). Verona e la guerra contro Federico Barbarossa. Venezia, 1895; 8°. — Frammento di un codice perduto degli Armmnales veronenses di Parisio da Cerea. Verona, 1896; 8°. * Dagh-Register gehouden int Casteel-Batavia vant passerende daer ter plaetse als over geheel Nederlandts-India. Anno 1666-67. Batavia, 1895; 8° (dalla Società di Arti e Scienze di Batavia). * Lege statute regulamente si decisiuni ale Academiei romane. Bucuresci, 1896; 16°. Nota (A.). Giuseppe Mazzini e il risorgimento italiano. Sanremo, 1896; 16°. * Petricelcu-Hasdeu (B.). Dictionarul limbei istorice si poporane a Ro- manilor. T. III, fasc. IV. Bucuresci, 1896 (dall’Accademia Rumena). * Pirkheimers (W.). Schweizerkrieg. Miinchen, 1895; 8° (dall’Accademia di Monaco). ** Sanuto (M.). I Diarii, t. XLVI, fasc. 197. Venezia, 1896; 4°. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. fe E fn. eri pi ia N a asili T tod les ragni baciato Ve sbarul las TL apaibalizon gi 000) vseipadae anda ma gtasolis cav gedoziooaso doassivatsb Tori ia” Det De To dalla +VE.do dgilotkb orga labii su; | *iako tel vi ri semidio ;Tav "luo prega ins Î, illa sist pe i 40 #0 AT) TUvazz,e i . tendube pa paint n 1 ge LT ; Ad sibi boost Hob) *8 9081 uosfoniM .audo0 mov nisde1rdÀA LA) tes ,°8 6281 ,aisonaV see0180180 cor1sbo Londo srviorg sl a auo1o7 (.0)A eb oisina1 ib anamnorseasiniant. ifgoh otabisg aviboo an ib otasua 13081 prin) RX ini "di di eh spoosossag inav sivagsd-lastanO) dar Mmabnodog "19981 sola ì » tod 09d :5081 .nivatsi .09-2001 ottnA wibal atbastishsVi laadog 19vo ale oatorlq pieninfi 15 assalbà ». vie ib fssino@ siinh) ‘® begreond .onsaror snimobaoA sla imuiainob ir sIgÒrnma Ingo1 agoda sn 9 “dI 2081 Loororna8 Lonailati cdmbmigronis ii è iniseaM aqqersi® bre ” tei isdmil Imiaitolt9iT .(.1) nobasH. tofanirt i SL Birteshiab "i oO Pat VI ‘Seat 0 Sposo Po! bi pie K'imb) 2: GR8I codoni gosriro: iovwrfo& .( Api Lin i ono ia 1° RI Î PI i 1 .(6). s0rRA i «hd Di. SU e n > ® — 3) io 1 ts a. al ( ja lg eo Ve £ TY RI CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Pd Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente dell’Accademia, D’Ovipro, Direttore della Classe, Brzzozero, FERRARIS, SPEZIA, GrBeLLI, Giacomini, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GuarescHI e Naccari Segretario. Il Presidente partecipata alla Classe la morte del Socio Na- zionale non residente Luigi Federico MeNABREA marchese di Val Dora, pronuncia le seguenti parole: Nato a Chambéry il 4 settembre 1809, Luigi Federico MrexABREA marchese di Val Dora fu eletto Socio nazionale re- sidente di questa Accademia, per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, il 17 febbraio 1839, prima ancora di aver compiuto i trent'anni. Alla fine del 1867 chiamato fuori da Torino dalla sua carriera politica e diplomatica, passò nella ca- tegoria dei Socii non residenti e continuò sempre ad essere tale. Morì nella sua città nativa di Chambéry in età di anni 87, il 25 corrente maggio. Della vita e delle opere di lui parlerà con competenza il collega Volterra. A me basterà il ricordare che il nome del marchese Luigi Federico Menabrea ebbe una parte importante nella storia delle varie fasi del Risorgimento nazionale: che Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 58 852 egli ebbe la fiducia di tre sovrani, cioè di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II e Umberto I; che egli continuò a servire la patria sua fino a questi ultimi anni, e la servì come scienziato, come uomo di guerra, come uomo di stato e come diplomatico. Egli fu una di quelle tempre eccezionali, a cui può esser dato di es- sere uomini di scienza e di azione ad un tempo, e che conser- vano fino all’ultimo il vigore del corpo e la lucidezza della mente. L'Accademia deve chiamarsi onorata di averlo avuto a suo Socio fin dai suoi giovani anni, e vuolsi anche aggiungere che egli si ricordò sempre con riconoscenza di questa Accademia, che accogliendolo giovane ancora nel suo seno contribuì a rendere celebre il suo nome. In questi ultimi anni, allorchè cominciò a sentire bisogno di riposo, egli si recò più volte alla nostra Accademia, si informò e si interessò dello stato presente di essa, e mandò perfino un manoscritto del compianto suo fratello Leone, acciò se ne iniziasse la pubblicazione dall’altra Classe, incaricandosi egli stesso di premettervi una prefazione. La Presidenza incaricò il Presidente dell’Accademia delle Scienze di Chambéry di rappresentare l'Accademia ai funerali, ed ora si riserva di esprimere a nome della Classe i sensi della più profonda condoglianza alla vedova S. E. marchesa Menabrea e alla famiglia. Fra le pubblicazioni inviate in dono il Segretario segnala una Memoria del Socio Corrispondente J. HoPKINson scritta in collaborazione col sig. E. WiLson, “ Sulle macchine dinamo-elet- triche a correnti alternate ,. Il Segretario legge la lettera diretta dal Vice-presidente Cossa, per ringraziare la Classe delle condoglianze fattegli in occasione della morte del fratello suo Lureir Socio Corrispon- dente dell’altra Classe, e il Presidente delle parole di commemo- razione dette nella seduta delle Classi Unite del 17 maggio 1896. Vengono accolte per gli Atti le seguenti Note: 1° “ Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditolil- uree »s, nota del Socio Icilio GUARESCHI. 2° “« Intorno alla determinazione teorica della gravità alla superficie terrestre ,, nota del Prof. Paolo Pizzetti, presentata dal Socio D’Ovipro. 853 3° “ Sulla rigenerazione dell’ epitelio muciparo del tubo gastro-enterico degli anfibi ,, nota del Dott. Cesare SAcERDOTTI presentata dal Socio Brzzozero. ? 4° “ Sull’integrazione dell'equazione differenziale A*A*= 0 ,, nota dell'Ing. Emilio ArLmansI, presentata. dal Socio VoLTERRA. Viene accolta per l’inserzione nei volumi accademici la memoria del Socio Nicodemo JADANZA intitolata: “ Per la storia del cannocchiale ,. Vengono affidate all’ esame di speciali commissioni le Memorie seguenti: 1° “ Endoderma e periciclo nel genere T'rifolium in rap- porto colla teoria della Stelia di V. Thieghem e Douliot ,, memoria del Dott. Saverio BeLLI, presentata dal Socio GIBELLI. 2° “ Ricerche batometriche e fisiche sul lago d’Orta ,, me- moria del Dott. Giovanni De Agostini, presentata dal Socio SPEZIA, 3° “ Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a Soperga », memoria del Prof. Francesco Porro, presentata dal Socio NAccARI. Radunatasi in seduta privata, la Classe elegge a Soci re- sidenti, salvo l'approvazione sovrana, i professori Camillo GuipI e Michele FiLETI. —P ATER 854 ICILIO GUARESCHI LETTURE Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditoliluree; Nota del Socio ICILIO GUARESCHI. In una nota pubblicata nei “ Comptes rendus , (1) i signori Cazeneuve e Moreau descrivono la difenilurea, la diparatolilurea e la diortotolilurea, che ottengono dal cosidetto carbonato di 6TT4 3 guajacolo co p0ri ORE per l’azione, rispettivamente, dell’a- nilina, paratoluidina ed ortotoluidina. Questo metodo non è nuovo perchè, ad esempio, Ecken- roth (2) ottenne la difenilurea, la diorto e diparatolilurea e la dinaftilurea per l’azione rispettiva dell’anilina, delle toluidine e della naftilamina sul carbonato di fenile CO(0C*H?). Ma ciò, in fondo, poco importa, è sempre una reazione che se ben studiata può avere qualche interesse. Ciò che invece io credo utile far notare si è che alcuni dati sulle proprietà di questi tre corpi descritti dai signori Cazeneuve e Moreau, non sono esatti. Ma vi ha di più; reca meraviglia l’asserzione esplicita che leggesi in un’ altra nota del Sig. Cazeneuve (3) secondo la quale le uree aromatiche simmetriche che egli, insieme col Sig. Moreau, ottiene colla para ed ortotoluidina, cioè la dipara e la diorto- tolilurea, siano composti nuovi, non mai descritti da nessun chi- mico. Egli invero così si esprime: Le carbonate de gaiacol m'a (1) © Comptes rendus ,, 1896, t. 122, pag. 1130. (2) “ Berichte d. deut. chem. Gesell. ,, t. XVIII, pag. 516 e “ Bull. Soc. Chim. de Paris ,, (2) 1886, T. 45, pag. 618. (3) “ Comptes rendus ,, t. 122, pag. 999; “ Journ. de Pharm. et de Chim. ,, 1896 (6), t. III, pag. 482; e “ Bull. Soc. Chim. ,, (3) 1896, t. XV, pag. 714 (fasc. del 5 giugno). ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC. 855 permis de préparer très facilement la diphénylurée, en le chauffant avec l’aniline, puis des urées aromatiques symétriques non décrites, dérivées de l’orthotoluidine et de la paratoluidine. Da quanto rife- rirò più innanzi si vedrà invece che sono composti, conosciuti da oltre trenta anni e furono ottenuti e studiati da molti chimici. Questi tre corpi: difenilurea, diortotolilurea e diparatolil- urea si formano in un gran numero di reazioni, capitano spesso per le mani dei chimici ed è bene che le loro proprietà siano descritte con esattezza. Essendochè anch'io, come molti altri chimici, ho avuto occasione di avere sotto mano queste sostanze, credo utile ret- | tificare alcuni dati di fatto che trovansi nel lavoro sovraccen- nato dei due chimici francesi. Di tutti i numerosi lavori riguardanti queste tre sostanze, io non accennerò qui che quelli che hanno importanza pel mio scopo. La diorto e la diparatolilurea, insieme alla difenilurea, sono descritte anche nella “ Enciclopedia di Chimica , di Selmi, 1877, Nol, pp. 755. Difenilurea. — I signori Cazeneuve e Moreau trovano che la difenilurea pura fonde a 234°—235° ed a questo riguardo fanno specialmente notare che il punto di fusione da essi tro- vato è esatto e che l'antico di Hofmann, 205°, e l’altro 225° di Wilm e Wischin: Sont absolument erronées; elles doivent s'ap- pliquer à un corps impur. E a questo scopo citano il Wurtz, “ Dictionnaire ,, t. II, pp. 880, quasi che non si conoscesse sulla difenilurea altri lavori all'infuori di quelli citati in que- st'opera. Avrebbero, parmi, dovuto ricordare che già Buff (1) e Weith (2) (nel 1869 e 1874) avevano da lungo tempo trovato il punto di fusione esatto, 285°; punto di fusione confermato da (1) L. Burr, © Berichte d. deut. hem. Gesell. ,, 1869, t. 2, pag. 499 e “ Bulletin de la Soc. chim. de Paris ,, 1870, t. XIII, pag. 246. In questo lavoro Buff fa notare che il punto di fusione 205° dato da Hofmann può essere dovuto ad errore di stampa. i (2) W. Weiru, “ Berichte ,, 1874, t. VII, pag. 14; e inoltre ivi, t. IX, pag. 821. 856 ICILIO GUARESCHI tutti i chimici che hanno avuto per le mani questo composto, ed anch'io nelle mie ricerche sulle yidantoine sostituite trovai sempre 235° (1). Rotermund (2) che ottenne nel 1875 la difenil- urea dall’acido di benzidrossamico e trovò che fonde a 232°—2339, fece notare appunto che i prodotti ottenuti da Hofmann (8), e da Wilm e Wischin (4), dovevano essere impuri e cita Buff e Weith come quelli che trovarono un punto di fusione vicino a quello ch'egli aveva trovato: Nietzki nel 1877 (5) trovò 233°. Michler (6) che preparò la difenilurea non simmetrica fusibile 189° e la confrontò colla difenilurea simmetrica, osservò anche egli, per questa, 235°. Hentschel (7) trovò il punto di fusione 235°; questo lavoro di Hentschel è anch’esso riassunto in un giornale francese (8) ove è dato precisamente il punto di fusione 235°. In alcuni Trat- tati è assegnato 260° come punto di fusione dato da Hentschel, mentre invece 260° è il punto di ebollizione. A. Barr (9) confermò anch'egli il punto di fusione 235°; così pure molto prima anche G. Bender (10) che preparò la di- fenilurea dall’etere ortocarbonico coll’anilina. Nell’ “ Enciclopedia Chimica , di Selmi 1877, vol. X, p. 734, sono riportati i punti di fusione 205°, 225°, 235° e 233° e Pietro Spica viste queste numerose differenze volle anch'egli determi- nare il punto di fusione della difenilurea e trovò 233°—234°. Infine, senza volere sovrabbondare in citazioni bibliografiche, dirò che tutti i migliori trattatisti, anche elementari, quali il Richter, l’Erlenmeyer e le tre edizioni del Beilstein, dànno il punto di fusione 235°. (1) R. Accademia di Medicina di Torino, luglio 1891; “ Chem. Centralbl. ,, 1891, II e “ Berichte d. deut. chem. Gesell. ,, 1892, Ref., pag. 327. (2) “ Ann. d. Chem. ,, 1875, t. 175, pag. 261. (3) “ Ann. d. Chem. ,, t. 70, pag. 188. (4) “ Ann. d. Chem. ,, t. 147, pag. 161. (5) “ Berichte ,, X, pag. 274 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1877, t. 28, pag. 396. (6) Mrcarer, “ Berichte ,, 1876, t.IX, pag. 396 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1876, t. 26, pag. 455. (7) “ Journ. f. prakt. Chem. ,, 1883, t. 27, pag. 498. (8) “ Bull. Soc. chim. de Paris ,, 1884, t. 41, pag. 41. (9) “ Berichte ,, 1886, pag. 1766. (10) “ Berichte ,, 1880, pag. 699. ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC. 857 Diortotolilurea. — La diortotolilurea fu scoperta nel 1873 da G. Girard (1) che l’ottenne dalla ortotoluidina (allora deno- minata anche pseudotoluidina) per l’ azione dell’ossicloruro di . carbonio e per fusione con urea. I signori Cazeneuve e Moreau (2) dànno il punto di fusione 219°—220° e eredono di avere essi scoperta la dtiortotolilurea. Ma tutti i chimici che hanno studiato questa sostanza dopo il 1873, trovareno un punto di fusione più elevato. G. Lach- mann (3) trovò 250°; Berger (4) confermò 250° e Neville e Winther (5) trovarono 243°; poi A. Barr (6) 256°; E. Quenda (7), che nel mio laboratorio ottenne la diortotolilurea come pro- dotto secondario nella reazione fra la glicocolla e la ortotolilurea fusibile a 185°, trovò sempre il punto di fusione 250°. Si può notare che i lavori di Lachmann, Neville, Winther e Berger, sono riassunti anche nel “ Wurtz, Dictionnaire ,, 1e° Suppl., pag. 1632, ove appunto per la diortotolilurea (od ortodicresilurea) si dà il punto di fusione 250° e pel composto meta (o metadicresilurea) 217°. Diparatolilurea. — La diparatolilurea fu scoperta nel 1863 (8) da E. Sell che l’ottenne in due modi: dissolforando la diparatoliltiourea coll’ ossido di mercurio oppure scaldando la monoparatolilurea. I signori Cazeneuve e Moreau (9) trovarono il punto di fusione 244°—245° e considerano il loro composto come nuovo. (1) “ Berichte ,, 1873, t. VI, pag. 444. (2) Loc. cit. (3) “£ Berichte ,, 1879, XII, pag. 1350. (4) “ Berichte ,, 1879, XII, pag. 1859. (5) “ Berichte ,, 1879, XII, pag. 2325 e “ Bull. Soc. Chim. ,, 1880, t. 34, pag. 588. (6) “ Berichte ,, 1886, XIX, pag. 1766 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1887, t. 47, pag. 331. (7) E. Quenpa, Su alcune idantoine Y sostituite, “ Giorn. della R. Acc. di Medicina di Torino ,, 1891. (8) Eva. Ser, “ Ann. d. Chem. ,, t. 126, pag. 153 e “ Bull. Soc. chim. ,. 1863, pag. 416. (9) Loc. cit. 858 I. GUARESCHI — OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC. Michler (1) già nel 1876 trovò il punto di fusione 256° e Weith. (2) 255°. Il lavoro di Michler oltrechè riassunto nel “ Bull. Soc. chim. , è anche riassunto nel “ Dictionnaire , di Wurtz, t. III, pag. 569 e 571. Maly (3) avrebbe trovato un punto di fusione più ele- vato, 263°. Ma i migliori trattatisti ammettono 255°—256° come punto di fusione più esatto. Anche nel mio laboratorio, ove Quenda ottenne questa sostanza come prodotto secondario nella reazione tra la glicocolla e la monoparatolilurea, si trovò sempre il punto di fusione 255°—256° oppure 255°—257°. La monopa- ratolilurea da cui si partì fondeva a 180°. Mi sembra quindi più che probabile che il prodotto descritto da Cazeneuve e Moreau, fosse impuro. Come mi pare non meno probabile che il composto fusibile a 219°—220°, e da essi de- scritto come diortotolilurea, non sia che, o un corpo impuro 0 la dimetatolilurea fusibile, pare, a 217°. Dico pare, perchè se- condo Guttermann e Cantzler (4) la m. ditolilurea fonde a 203°. Io ho fiducia che i signori Cazeneuve e Moreau vorranno ritenere giuste queste mie osservazioni fatte in omaggio alla verità e con tutti i riguardi che si debbono a colleghi, e che ripetendo essi le esperienze riguardo la diortotolilurea e la di- paratolilurea, troveranno proprietà concordanti con quelîie am- messe da tutti i chimici sino ad ora. Tra le proprietà fisiche di queste sostanze il punto di fusione è il più importante. Vor- ranno pure riconoscere che le sostanze da essi descritte come nuove, sono invece conosciute da lungo tempo dai chimici. Torino, Laboratorio di Chimica farm. e tossicologica della R. Università, 28 maggio 1896. (1) “ Berichte ,, IX, pag. 710 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1877, t. 27, pag. 18. (2) “ Berichte ,, IX, pag. 821 e “ Jahresb. f. Chem. ,, 1876, pag. 754. (3) “ Jahresb. f. Chem. ,, 1869, p. 638. i (4) “ Berichte ,, t. 25, pag. 1089. PAOLO PIZZETTI — INTORNO ALLA DETERMINAZIONE, ECC. 859 Intorno alla determinazione teorica della gravità alla superficie terrestre; Nota del Prof. PAOLO PIZZETTI. Le formole approssimate che si riferiscono al modo di va- riare della gravità alla superficie del Geoide, supposto poco dif- ferente da una sfera, vengono di solito dimostrate, ammettendo che la funzione potenziale dell’attrazione terrestre sopra un punto qualsiasi fuori o sopra la superficie d’equilibrio che si studia, sia esprimibile con uno sviluppo procedente secondo le potenze negative del raggio vettore. Ora, la superficie non es- sendo esattamente sferica, l’uso di un tale sviluppo non è giu- stificato, epperò la legittimità delle formule che se ne deducono è soggetta a qualche dubbio. Vogliamo qui indicare come, senza ricorrere a quello svi- luppo, ma valendosi invece di una nota formola che si deduce da quella di Green, si possano dimostrare le formole sopra men- zionate. .1. — Sia S una superficie d’equilibrio, ossia una superficie la cui normale in ogni punto segni la direzione della gravità pel punto stesso; supporremo la S esteriore alla massa attraente e chiameremo V la funzione potenziale dell’attrazione di questa massa sopra un punto P, e D la distanza di questo punto dal- l’asse di rotazione diurna. Avremo, sulla S: (1) fV+ 3 ui D° = costante = w, indicando, al solito con f la costante dell’attrazione, e con w la velocità angolare. Sia poi S, una sfera di raggio @ avente il centro C sul- l’asse, e ammettiamo, come d’uso, che le distanze dei punti 860 PAOLO PIZZETTI della S, dalla S siano tanto piccole che si possano trascurare i termini contenenti i quadrati di queste distanze, ovvero i pro- dotti di esse per w°. Poniamo: (2) V= + al, dove M è la massa totale terrestre, R la distanza del punto potenziato dal centro C; U è una funzione potenziale di spazio che fuori della S soddisfa alla ed a è una costante piccolissima. Sia dn un elemento di normale interna alla S, 4S un ele- mento superficiale. Derivando la (2) rispetto ad x, moltipli- cando per 4 $, ed integrando sopra tutta la S, avremo: d0 R Tasti dS +a [ils E poichè, per noti teoremi Ia far asma, I s dS = 4n n sarà > dU (4) Ca dS$= 0. SI Il valore della gravità g nel punto Q della S sarà (5) g=— ft cos(Rm) + a fog erre i Ra Î dn dove per semplicità è indicata con @ l’espressione a DE Sia ora (6) += (1-0 INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 861 l'equazione della superficie S in coordinate polari: # è una fun- zione della latitudine e della longitudine geocentriche di Q. Le (1) (2) (6) dànno allora, per ogni punto della $: () fa cm_fagt+ofUto=0. Se la superficie S è conosciuta, questa relazione determina i valori superficiali della funzione U a meno di una costante 2 E poichè la U deve soddisfare alla (4) e, fuori della $, alla A.V=0, e a distanza infinita deve godere della nota proprietà delle funzioni potenziali, sarebbe facilissimo dimostrare che il valore della U è perfettamente determinato per ogni punto fuori e sopra la S. Così il valore della gravità resta perfettamente determinato fuori e sopra una superficie d’equilibrio, appena questa superficie sia conosciuta e purchè si conosca la massa totale (teorema dovuto a Stokes). 2. — Cerchiamo di dedurre dalle formole (5) e (7) una re- lazione approssimata fra la forma della superficie d’equilibrio e il modo di variare della gravità. Per una nota formola, che si deduce da quella di Green, il valore della funzione U nel punto Q della S può esprimersi così: 1 ; dee bi baro da Ivi Palaia 2r dar dn 2T dove i primi due integrali sono estesi alla superficie S, l’ultimo allo spazio 0 esteriore ad S; » è la distanza del punto @ dal centro dell'elemento 48, do risp.*; con un accento sono indicati i valori delle funzioni U, COR A4,U nei centri dei rispettivi elementi di integrazione. L'ultimo integrale è nullo in virtù della (3). Ora, poichè le espressioni di U e dl figurano nelle (5) (7) moltiplicate pel fattore a, è chiaro che, nel nostro ordine di ap- prossimazione, volendo dalla (8) dedurre una relazione fra U e Cui , potremo ivi supporre la superficie S confusa colla sfera $,. 862 PAOLO PIZZETTI Avremo allora: dre 1 FDL 01 OLA 4 rt CA ET SA dove 42 è un elemento angolare di spazio attorno al centro C, e quindi la (8) diverrà 0) pl enpar (d'a. (Vedremo di dimostrare, con precisione, al termine di questa Nota, come effettivamente, le quantità trascurate nel 2° membro della (8) con questo procedimento, siano piccole dell'ordine di a ew). dU Ò n di funzioni sferiche delle latit®. e long*. geocentriche, ponendo Esprimiamo i valori superficiali di U e mediante serie (10) Um sort 0 n 0 Osservando che - — 1 P,, r CHAT dove i P, sono i soliti coefficienti di Laplace, la (9) dà, ese- guendo le integrazioni mediante note formule: bi Na fia 20Z II LC deb Raccogliendo ed eguagliando le funzioni sferiche di egual grado, si ha: (RETI, = Zi La (4) dimostra che Z, dev'essere nulla; e quindi tale sarà pure Y, sicchè le (10) potranno scriversi: dU Le U=zkh ds = 7IMTt1L INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 863 3. — Sostituiamo queste espressioni nelle (5) (7), dove, nel nostro ordine d’approssimazione, possiamo anche porre, indicando con 9 la colatitudine geocentrica del punto Q: pg= — w. a. sen'0, 3, TV a. sen 8, cos(Ra) = —1 v|— 1 R® =* a (1 — 20t). Avremo: pi (1 — 2at) + af (n + 1)Y, — w°a°sen'?0 — ag = 0 Li (11) ri (1 — at) +afXY,+ + w°a° sen 0 — w = 0. 1 Sviluppiamo anche # e g in serie di funzioni sferiche ponendo (12) BEE Tir gel (WEA) dove G, è una costante (gravità media alla superficie). Osser- 2 = 1 x . . . vando che l’espressione ale sen°8 è funzione sferica di 2° grado, sarà facile in ciascuna delle (11) uguagliare a zero la somma delle fi. sfe. di egual grado. Si otterranno così, per ogni valore di n, due equazioni fra G,, Y,, T, fra le quali eliminando Y, si ottiene, per valori di » diversi da zero e da 2: (13) Ga Di Per n= 2 si ha invece: (14) aGH, = af MT, + 3 ud (4 == sen'0 ). Per n= 0 la prima della (11) dà poi: (15) G=fA (1-2aT) — + ua. 864 PAOLO PIZZETTI Posto: la (14) può anche scriversi, nel nostro ordine d’approssimazione Ho at, +-> clk sen*0). (Se, in particolare, la superficie S è un ellissoide di rivo- luzione si può, colla nostra approssimazione, porre T,=-< sen?0 (0) dove e è lo schiacciamento, e T,=0 per n>2. Allora si ha (*): g= Go(1 + aB)=051+gc—(70—e)sen'0) e da queste relazioni si deduce tosto il notissimo teorema di Clairaut). Sostituendo nella seconda delle (12) le espressioni trovate per le H abbiamo g= | 1 +7 0(1—8sen°0) | +of1Z@_1)T,; e dalle (15), colla stessa approssimazione: (16) G=f7 (1-20). Ora dalla prima delle (12) pei noti teoremi sulle fi. sf°., TI SEC [eli (*) Nel caso in cui la superficie d’equilibrio sia un ellissoide si conosce, del resto, anche l’espressione esatta di g. Vedi “ Rendiconti R. Accademia dei Lincei ,, fasc. 4° e 5° del 1° semestre 1894. INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECc. 865 Quindi MES 5 \ g=f-<|1 ALTI i ; dea fe(E@n+D@—1.P,) d9 formola la quale esprime il valore della gravità, in funzione dei valori di #. 4. — Più interessante è la operazione inversa; determi- nare cioè # data che sia 9 in ogni punto della superficie. Os- serviamo prima di tutto che nella espressione di t = T, pos- 1 siamo sempre supporre T,=0. Questo esige che sia Y, = 0, e sarebbe facile dimostrare che il porre Y\=0 equivale a far coincidere il centro della sfera S, col centro di gravità della massa. Avremo allora, tenendo conto delle (13) (14) Ri igeni BUI a 2 < 9 w'a|3 — sen 0) +a GE M M n (17) afzt=afzT,— _ 1 n e dalla seconda delle (12): 2 Leto eGiHio== sone J gP,dQ. Il valore T, si deduce dalla (15). Si ha colla solita appros- simazione (18) of=5 (1-7 f902) so 866 PAOLO PIZZETTI Questa formola risolve il problema di determinare la su- perficie di livello, dati i valori della gravità sulla superficie stessa. 5. — Si consideri ora una superficie S' prossima alla S e sia 1 D_sIE + =<+(1_-at—@.A)) l'equazione di essa; A? è una nuova funzione delle coordinate geocentriche. La distanza normale delle due superficie $, S' in un punto qualsiasi sarà, nel nostro ordine d’approssimazione: (19) n= a.a.At (positiva laddove la S' è esterna alla S). Se la superficie S' si considera come novella superficie d’equilibrio, e, in questa ipo- tesi, si chiama g + Ag il valore della gravità in un punto qua- lunque della S', la relazione (18) sarà ancora verificata, ove si mutino g et in g+ Ag e t+4+- At. Sottraendo si avrà pertanto, tenuto conto della (19), ny |-1fa9.004 [a(Eartte,] 20}, od anche colla stessa approssimazione :. BI a Ì a 241 p | C0)'N= 74 |Ag.90+ 77 fAG(x mE Tp, ) dQ. Ora si ha: ? 2Qn+1 aa Pn (21) ni p=2P, +31. Chiamiamo d la distanza di un punto A situato sopra una sfera di raggio 1 da un punto B intorno alla sfera alla distanza x dal centro, e diciamo Y l'angolo fra i raggi che vanno ai punti A e B. Avremo: INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 867 d=V1+x° — 2xcost, D=1+zcost+®s"P, a Î 1 da ala vo gel ug (ip —1— ecosv) E figli ip lt e ponendo a = 1: 9d0 i era hi —1— cost 2 2sen5- CS Tita bce f 1 \ da z “eriinga) | (a —1_-xecosy) E° Eseguita l'integrazione a destra e tenuto conto della (21) si ha 5 2n+1 2 n_-1 P, = cosec 3 +1-5cost — 6cos 2 a \ — log [sent Ren al. DI \ 2 Sostituendo nella (20), si ha la formola di Stokes per cal- colare le deviazioni lineari N del Geoide rispetto ad una super- ficie nota di riferimento (S), quando siano conosciute le anomalie (A 9g) che la gravità osservata alla superficie del Geoide presenta rispetto ai valori teorici (9) che competono alla S. Stokes dedusse la detta formola nell'ipotesi che il valore medio delle anomalie Ag fosse nullo; per modo che manca, nel risultato dato da lui, il primo termine del 2° membro della (20). Egli suppone che la su- perficie S di riferimento sia un ellissoide e fa uso dello sviluppo della funzione potenziale per potenze negative del raggio vettore. 6. Al n° 3 abbiamo, in via d’approssimazione, trasformata la relazione (8) che lega la funzione U alla sua derivata nor- male, sostituendo alla vera espressione della distanza r di due punti della superficie S, quella della distanza di due punti della sfera di raggio a. È bene dimostrare che effettivamente, come abbiamo affermato, le quantità così trascurate sono piccole del- l'ordine di a e w°. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 59 868 PAOLO PIZZETTI Osserviamo innanzi tutto che, il raggio a essendo arbitrario, possiamo supporlo tale che i valori della # siano tutti negativi, vale a dire che la sfera $, sia tutta esterna alla S. Indichiamo con Q' il punto qualunque della S, intorno al quale è preso l'elemento dS nella formola (8) e siano 9, g' i punti in cui la $, è incontrata dai raggi CQ, CQ' prolungati e chiamiamo U,, ni nie U4 ; valori della U e della sua derivata secondo il raggio ly dR vettore, nei punti 9g, 9g' rispettivamente. Indicando con r, la di- stanza gg’ ed applicando la formola (8) alla superficie S, avremo esattamente: Se gt U (22) vu=- Jo t 3) d2 poichè per la sfera si ha È = — NOI ed esternamente A, U=0. Di più, U essendo il valore della funzione nel punto Q e la distanza Qg essendo = — a at, abbiamo c dU (23) U=U, + cai (3). dove (TT). è il valore che assume la derivata ha in un punto compreso fra Q e 9g. D'altra parte, colle notazioni ora adot- tate, il 2° membro della (9) va scritto così: LALA Naet 21 òn 2a , Quindi, tenuto conto delle (22) (23), l'errore commesso col sostituire il 2° membro della (9) a quello della (18) è (24) U— U*= vai (SE). da a’ 1 dU, dU' U,—U' sm ip ge gg )42. Si ha poi, indicando con #' il valore della # punto nel Q': E Ù INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC 869 U=U+aot (7), La lai dE dU' | 1 LÀ . | DET dB + aat (S| e se dp, do sono due elementi lineari ortogonali tracciati sulla S pel punto qualunque Q, si ha (26) de = = cos (Rn) + d cos (Rp) + Mu cos(R0). In particolare supponendo, il che è sempre lecito, che l’ele- mento do sia ortogonale al raggio R cos(Ro)=0 cos (Rp) = + sen(Rn). Ora derivando rispetto a p le (6) e (7) abbiamo: VENA cos(Rp) = Ba ana M ò ) fa a +9 3 + WD cos(Dp)=0 quindi posto (Rn) = 180 — e (27) dove e è una quantità piccola dell'ordine di a, data da 2 sene= + a È dé dic di 2 Tenuto conto che le derivate VENTO dU di: )R aRI? de e quindi 870 CESARE SACERDOTTI anche la 3 hanno dovunque valori finiti, le formole (25) e (27) dimostrano che la quantità dentro parentesi sotto il segno in- tegrale del 2° membro della (24) è in ogni caso minore, in va- lore assoluto, di una quantità esprimibile con aoH + w°K, dove H e K sono quantità finite indipendenti da a e da w°. Quindi la (24) ci dà (U—-U*|<2aaH+2u?aK+aa, e( dl il che dimostra quanto volevamo provare. Sulla rigenerazione dell'epitelio muciparo del tubo gastro-enterico degli anfibi; Nota del Dott. CESARE SACERDOTTI. In un mio lavoro pubblicato nel 1894 (1) ho studiato lo sviluppo delle cellule mucipare del tubo gastro-enterico dei mam- miferi durante la vita endouterina. Ho eseguito tali ricerche nei feti di bue ed ho potuto dimostrare che la differenziazione delle cellule mucipare nella vita embrionaria ha luogo molto presto (già nel feto di bue lungo cm. 3,5 si ha un primo ac- cenno alla produzione di muco) ed inoltre ho verificato che, come Bizzozero (2) aveva dimostrato per gli animali adulti, anche nel (1) C. SacerporTI, Ueber die Entwickelung der Schleimzellen des Magen- darmkanales; “ Int. Monatschrift f. Anat. u. Phys. ,, 1894, Bd. XI, Heft 12 e “ Archives italiennes de Biologie ,, tome XXIII, f. I-II. (2) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico..... Note 1 a 7. “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, 1888, 1892 e 1893, vol. XXIV, XXVII e XXVIII e “ Arch. f. Mikr. Anat. ,, Bd. XXXIII, XL, XLII. incatenato SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 871 feto, gli elementi mucipari si presentano in via di scissione cariocinetica quando già contengono muco. Era questo un altro contributo da aggiungersi ai numerosi di Bizzozero tendenti a dimostrare la specificità delle cellule mucipare del tubo gastro- enterico. Ma appunto nelle ricerche di Bizzozero è fatto cenno ad una questione ancora non risolta, se, cioè, negli anfibî le cel- lule mucipare derivino da elementi già specificati o da cellule indifferenti. Infatti, nella descrizione che Bizzozero dà dell’ in- testino del tritone si esprime così: “ non mi venne fatto di de- “ terminare se esistessero due specie di mitosi, l'una per l’epi- “ telio protoplasmatico, l’altra per le cellule mucose. Su questo « punto, però, non mi sono gran fatto soffermato ,, (1). — Scopo delle ricerche di cui qui espongo i risultati era appunto di col- mare questa lacuna. Anche in questo lavoro, come nell’altro suaccennato, quale metodo di ricerca, mi servî della fissazione dei pezzi freschis- simi in liquido di Hermann e della colorazione con ematossi- lina e safranina, seguita da lavatura in alcool acidulato con acido cloridrico. Con questo metodo si mettono in piena evi- denza le mitosi, colorate in rosso dalla safranina e si ha co- stantemente ed esclusivamente colorata in violetto-azzurro, dalla ematossilina, la sostanza mucosa. I preparati che in tal modo si ottengono sono così chiari e dimostrativi da rendere perfetta- mente inutile il ricorrere ad altri espedienti, i quali, special- mente in questi ultimi tempi, numerosi furono suggeriti per la colorazione specifica del muco. Eseguî questo mio studio sull’esofago e sullo stomaco della rana e sull’intestino posteriore del tritone. Esofago e stomaco della rana. Nella rana la faringe conduce, senza linea di demarcazione apprezzabile, nell’esofago, che è molto breve; nè demarcazione (1) G. Brzzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico... Nota 3*, pag. 25. “ Atti della R. Acc. delle scienze di Torino ,, 1892, vol. XXVII. 872 CESARE SACERDOTTI netta esiste tra questo e il sacco stomacale. Accenna al prin- cipio dello stomaco un leggero strozzamento e una inflessione del tubo sul lato sinistro. All'esame microscopico si vede che limiti recisi tra esofago e stomaco non esistono nemmeno per quanto riguarda la disposizione ed i rapporti dei singoli elementi. È noto che nella mucosa dell’esofago esistono numerose e grosse ghiandole acinose che per struttura sono simili alle sa- livali dei vertebrati superiori. Queste ghiandole sono costituite da elementi di varia natura, cioè, in parte da cellule a proto- plasma granuloso, nel quale tra delicati granuli ne esistono di grossi che si colorano in nero con l’acido osmico, in parte da cellule che hanno un contenuto chiaro che si colora leggermente in azzurro-Violetto nei pezzi fissati in liquido di Hermann e co- lorati con ematossilina, che hanno, cioè, un contenuto mucoso. Non è mio compito addentrarmi nelle particolarità di struttura e di funzione di tali ghiandole, ho dovuto solo farne cenno perchè le cellule mucipare che contengono, come si vedrà, non sono da confondersi con gli elementi mucipari dell’ epitelio di rivestimento, dei quali ora specialmente devo interessarmi. L’epitelio di rivestimento dell’esofago appartiene alla classe degli epitelî cilindrici ed è noto che consta di due specie di cellule, le une a ciglia vibratili, le altre mucipare caliciformi;: queste ultime hanno, di regola, il prodotto di secrezione che occupa quasi tutto il corpo cellulare, di guisa che il nucleo resta schiacciato alla base dell’elemento sotto forma di ciotola o di cono. Man mano che procediamo verso lo stomaco vediamo in- tervenire graduali modificazioni tanto nelle ghiandole quanto nell’epitelio di rivestimento. Le ghiandole si fanno più numerose e contemporaneamente più piccole, pur conservando sempre le due specie di epitelio, quello muciparo occupa sempre la por- zione più vicina allo sbocco della ghiandola. Queste ghiandole, ridotte a pochi tubuli confluenti in una specie di dotto escre- tore, sono così numerose da costituire, nel limite tra stomaco ed esofago, uno strato continuo. In questa regione l’epitelio di rivestimento consta tuttavia di elementi vibratili e mucipari, ma questi ultimi, in generale, hanno aspetto differente da quello delle cellule della porzione anteriore dell'esofago, il loro secreto non distende la teca in modo da schiacciare il nucleo alla base CO - n r__— To SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 873 della cellula, per cui il nucleo in questi elementi appare ovale e queste cellule sono di tal modo simili a quelle dell’ epitelio muciparo dell'intestino delle rane e dei tritoni, ne differiscono solo perchè, di norma, tra la teca e il nucleo manca quel tratto di corpo cellulare che non contiene muco e che Bizzozero (1) chiama tratto intercalare (fig. 1a). L’epitelio di rivestimento non costituisce più uno strato così continuo come nella regione anteriore, perchè rimane interrotto molto di frequente dagli sbocchi delle ghiandole, col cui epitelio insensibilmente si continua. Procedendo ancora verso lo stomaco, vediamo che le ghian- dole si sono fatte ancora più piccole e semplici in modo da costituire dei tubuli la cui porzione profonda consta di cellule granulose e quella vicina allo sbocco di cellule mucipare. Con- temporaneamente nell’ epitelio di rivestimento è andato man mano diminuendo il numero degli elementi a ciglia vibratili, che restano rappresentati da qualche rara cellula sparsa qua e là; l’epitelio muciparo ha pure mutato aspetto e la configura- zione d'insieme di una sezione di mucosa è pure modificata in relazione alla modificazione che hanno subìto le ghiandole. Se si studiano porzioni successive, si vede, in fine, che le ghiandole diventano schiettamente tubulari semplici, di queste solo qualcuna ha, verso le sbocco, epitelio muciparo, e nell’epitelio di rivestimento non si trovano più assolutamente cellule vibratili, ma esclusivamente cellule mucipare, che costituiscono un unico strato molto regolare che riveste la superficie libera della ca- vità gastrica e le fossette entro le quali sboccano, o isolate o a gruppi di due o tre, le ghiandole. Questa disposizione, poi, si continua per tutta la cavità gastrica fino al piloro. A Veniamo ora alla descrizione della rigenerazione degli ele- menti, incominciando da quello dell’esofago. Per l’epitelio di rivestimento dell’esofago ho potuto stabi- lire che nell’animale a perfetto sviluppo, per quanto non adulto, la rigenerazione deve essere molto lenta, perchè in questa re- + (1) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico... Nota 38 e 4*. “ Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino ,, 1892, vol. XXVII. 874 CESARE SACERDOTTI gione vidi poche cellule in scissione cariocinetica anche in esem- plari che presentavano numerosissime mitosi in altre regioni del tubo gastro-enterico. Tuttavia ho potuto vedere che la rin- novazione degli elementi avviene per scissione di cellule che stanno tra elementi adulti e che non raggiungono, in generale, colla loro estremità la superficie libera; in oltre, e questo è quanto maggiormente interessa per l'argomento che mi ero pre- fisso di studiare, ho veduto che esistono due classi di mitosi, una di cellule chiare, dalle quali si svolgeranno le cellule a ciglia vi- bratili ed una di cellule contenenti muco che si svilupperanno in elementi caliciformi. A questo riguardo riuscirono specialmente interessanti dei preparati allestiti dal punto intermedio tra eso- fago e stomaco propriamente detto, nei quali rimase perfetta- mente conservata la struttura granulare del muco e i granuli di muco di qualche elemento in mitosi apparvero intimamente frammisti ai fili cromatici, come si vede nella fig. 1 d. Quanto allo stomaco, l’epitelio delle fossette e quello che con questo si continua e riveste la superficie libera assomiglia molto all’epitelio cilindrico muciparo che riveste la superficie libera dello stomaco dei mammiferi; la sostanza mucosa che contiene si colora intensamente con l’ematossilina nei pezzi fis- sati dal liquido di Hermann e non ha quell’aspetto spiccata- mente granuloso del muco delle cellule della porzione più vicina all’esofago. Le cellule in discorso hanno forma diversa a se- conda che si considerano al fondo della fossetta o sulla super- ficie libera, ma è facile persuadersi che queste modificazioni sono essenzialmente da riferirsi ad un adattamento topografico. Infatti, nel fondo delle fossette hanno forma di piramidi tronche con la base rivolta verso il connettivo, un po’ più in alto assu- mono aspetto prismatico, sulla superficie libera, infine, hanno forma di piramide con l’apice rivolto al connettivo e procedendo dal fondo della fossetta questi elementi vanno man mano facen- dosi più lunghi; per tutti gli altri caratteri devono considerarsi cellule affatto simili tra loro. Queste cellule contengono un nucleo ovale che occupa circa il centro della cellula, il corpo cellulare, poi, presenta la porzione che sta tra il nucleo e il connettivo della mucosa costituita da un protoplasma omogeneo, la por- zione che sta tra il nucleo e la superficie libera occupato dal blocco di muco di cui ho già tenuto parola; la teca che con- SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 875 tiene il muco ha forma molto regolare, presso a poco semisfe- rica ed il muco sembra faccia alquanto procidenza verso l’esterno tanto che in sezione, come appare dalla fig. 2, il profilo della serie di cellule assume aspetto regolarmente a dentello. Relativamente alla rigenerazione di questi elementi sono due i quesiti che si presentano: le cellule di ricambio sono cel- lule indifferenti o sono già funzionanti? dove si trovano le forme di sviluppo? — In risposta al primo quesito ho verificato che le cellule nuove derivano sempre da scissione cariocinetica di cel- lule che già contengono muco. Queste cellule in mitosi, in qualche esemplare si trovano numerosissime, come, per esempio, in quello del quale allestii il preparato che è fedelmente copiato nella fig. 2a. In questi casi, nei quali è possibile in un campo microscopico a medio ingrandimento vedere 6—7 e più cellule epiteliali cilindriche in mitosi, non mi avvenne mai di vedere una di tali cellule in cui non esistesse muco. — In risposta al secondo quesito, che riguarda la posizione di queste forme di sviluppo, ho potuto persuadermi, come appare già dall’ esame della fig. 2, che anche nella rana, come nel cane ha descritto Bizzozero (1), il numero maggiore di mitosi dell'epitelio cilin- drico si trova veramente nel fondo delle fossette. Per altro, spe- cialmente in quegli animali, nei quali la rigenerazione appare molto attiva, non è del tutto raro trovare elementi mucipari in via di scissione anche tra l’epitelio superficiale. Questi elementi si presentano globosi ed innicchiati tra due cellule adulte. Si deve quindi ammettere che tra l’epitelio adulto esistano anche degli elementi giovani, delle vere cellule di ricambio, che tuttavia contengono sempre muco. Nell’esemplare di rana che mi fornì i preparati più ricchi di mitosi mucipare, esistevano pure, per quanto molto più scarse, mitosi nell’epitelio granuloso delle ghiandole gastriche (fig. 2 c). Queste mitosi apparivano, di norma, verso il fondo della ghian- dola, ma alcune anche più in alto, non posso quindi dire se nella ghiandola stessa esista una posizione fissa quale centro formativo, tanto più considerando che certe ghiandole non con- (1) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari... Nota 3*. “ Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino ,, 1895, vol. XXVII. 876 CESARE SACERDOTTI stano che di pochi elementi. Nè io mi sono poi molto soffer- mato a studiare se nell’animale adulto gli elementi ghiandolari continuino a riprodursi, giacchè questo mi avrebbe trascinato in un altro campo di ricerche. Comunque ho creduto opportuno di riferire questo reperto, non essendo privo d'interesse dimo- strare come, a lato di elementi mucipari in via di scissione, esistano pure elementi non mucipari che stanno moltiplicandosi. Nella rapida descrizione che ho fatto dell’ epitelio delle ghiandole esofagee e gastriche ho accennato alla presenza di cellule contenenti una secrezione che, per la caratteristica co- lorazione che assume dalla ematossilina, previa fissazione in li- quido di Hermann, si appalesa di natura mucosa; mi preme ora far notare che credo di poter escludere che esista alcun rap- porto genetico tra questi elementi e quelli, pure mucipari, che rivestono le fossette gastriche e la superficie libera, rapporto che si potrebbe sospettare per la posizione reciproca che questi elementi hanno tra di loro. Le ragioni che mi inducono a questa esclusione sono parecchie: innanzi tutto il volume delle cellule mucipare ghiandolari è maggiore di quello delle cellule cilin- driche più superficiali e mal si comprenderebbe che forme gio- vani di sviluppo fossero più voluminose di forme adulte; inoltre, nell’epitelio ghiandolare il prodotto di secrezione occupa tutta la cellula, e nell’epitelio di rivestimento, invece, la sostanza mucosa è ridotta al solo terzo esterno del corpo cellulare; dif- feriscono ancora notevolmente tra loro per la natura di questo prodotto di secrezione, giacchè, il muco dell’epitelio di rivesti- mento assume intensamente il colore dell’ematossilina, coloran- dosi in una tinta violaceo-grigia, quello delle ghiandole, invece, assume, trattato con l'ematossilina una tinta violetta molto chiara (1). In fine mi sembra argomento decisivo il fatto che nelle cellule mucipare delle ghiandole non vidi mai mitosi e che invece trovai numerosissime le mitosi nelle cellule del fondo delle fossette, che, per la forma e per la natura del prodotto di secrezione, mi apparvero affatto simili alle cellule rivestenti la superficie libera. SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 877 Intestino del tritone. Per estendere le mie ricerche anche al tritone, ho dato la preferenza all’intestino, e più specialmente alla porzione poste- riore vicina alla cloaca, perchè nell'intestino di questo anfibio i rapporti tra le diverse specie di epitelio furono con speciale cura descritti da Bizzozero (1). Per questo motivo, appunto, io sarò molto breve nella descrizione de’ miei reperti. Ho potuto pienamente confermare le particolarità di forma e di disposizione dell’ epitelio protoplasmatico e del muciparo descritte da Bizzozero ed ho visto che precisamente nei ger- mogli di cellule epiteliali che si spingono nel connettivo della mucosa intestinale si trovano frequentissime le scissioni cario- cinetiche, così come quelle forme cellulari che, contenendo un piccolo blocco di sostanza mucosa, erano state giustamente in- terpretate da Bizzozero come forme mucipare giovani. Scopo precipuo delle mie ricerche era appunto di stabilire se questi elementi giovani si fornivano di muco dopo aver perduta la at- tività produttiva o pure se continuavano a riprodursi anche quando erano diventati elementi funzionanti. Quindi fissai la mia attenzione specialmente in questi germogli e vidi che ef- fettivamente è frequente trovare delle bellissime forme cariocine- tiche di cellule già contenenti dei granuli di muco, specialmente se si studia l'intestino di un animale giovane e che sia appena stato raccolto, di primavera. In queste condizioni le scissioni nucleari sono molto abbondanti tanto nelle cellule protoplasma- tiche come nelle mucipare. Il muco delle cellule intestinali del tritone ha struttura spiccatamente granulosa, come già descrisse Bizzozero, e in modo molto evidente nelle forme di sviluppo che si trovano nei germogli di cui è qui parola, or bene, questa struttura granulare, che si conserva molto chiara anche nei pezzi fissati in liquido di Hermann, è molto utile per assicurarsi che la cellula in scissione è realmente mucipara, potendosi in via (1) È noto che col nome di muco si descrivono delle sostanze non ben definite chimicamente e che hanno solo certi caratteri tra loro comuni. 878 CESARE SACERDOTTI assoluta escludere che il blocco di muco appartenga ad altra cellula, per ciò che, come ho già descritto anche nell’ epitelio gastro-esofageo della rana, anche qui si veggono i granuli di muco frammisti alle anse cromatiniche del nucleo (fig. 3 a). Ma dallo studio di Bizzozero sull’intestino del tritone ri- sulta che non tutte le forme di sviluppo delle cellule epiteliali si trovano raggruppate negli speciali nidi cellulari su accennati. In molte regioni dell’intestino, nei fornici che stanno tra le pliche che fa la mucosa, l’epitelio è stratificato, in modo che tra le estremità profonde delle cellule cilindriche che coll’altra estremità raggiungono la superficie libera, stanno innicchiate altre cellule che sono veri elementi di ricambio, elementi ta- lora così numerosi da costituire un vero strato continuo. Tra questi elementi Bizzozero descrive delle cellule che contengono un piccolo blocchetto di muco, che quindi sono mucipare in via di sviluppo, e descrive pure numerose le mitosi in cellule pro- toplasmatiche. Or bene, io ho riscontrato anche tra questi ele- menti parecchie figure cariocinetiche contenenti muco. La cel- lula che ho disegnato nella fig. 4a appartiene ad un preparato nel quale, avendo io fatto delle sezioni seriate dello spessore di circa 5—7 u, ho potuto seguire in tre sezioni l’elemento in scissione ed ho visto che in tutte tre le sezioni, vicino al nucleo, stava il blocchetto di muco; quindi, anche in questo caso, si aveva la certezza che il muco apparteneva alla cellula in esame. Adunque, il modo normale di sviluppo degli elementi mu- cipariì. dell’intestino del tritone è da moltiplicazione di elementi giovani che già secernono muco e che si trovano 0 tra le cellule di ricambio dello strato profondo dell'epitelio 0 in speciali germogli epiteliali che sì spingono nel connettivo della mucosa. Ma, in via eccezionale gli elementi mucipari possono avere origine anche da cellule che hanno già raggiunto l’aspetto di elementi adulti e che si sono già spostate verso il lume intestinale. Nella fig. 5 ho disegnato appunto un elemento, nel quale il nucleo si trova in mitosi e immerso in un grosso blocco di muco. Ho detto che questa è però una cosa affatto eccezionale, infatti, nei miei nu- merosissimi preparati, nei quali erano assai frequenti le cario- cinesi mucipare nei germogli e negli strati profondi dell'epitelio, una sola volta trovai mitosi mucipara dell'epitelio superficiale, ap- punto in quella cellula che ho fedelmente riprodotta. Questa, che SULLA RIGENERAZIONE DELL EPITELIO MUCIPARO, ECC. 879 potremo dire, anomalia, si spiega, a mio credere, col fatto che, trattandosi di un animale in cui l’attività proliferativa dell’epi- telio intestinale era grandissima, avessero già raggiunto la su- perficie, perchè spinte dalle altre cellule formatesi nei germogli, delle cellule che, pure avendo uno sviluppo individuale rag- guardevole, non avevano perduta ancora l’attività rigenerativa. Questa eccezione, del resto, trova riscontro nelle rare mitosi ‘di cellule superficiali protoplasmatiche descritte, pure nel tritone, da Bizzozero. Mi sembra che le ricerche di cui ho qui esposto brevemente il risultato dimostrino che anche negli anfibî, almeno nelle parti studiate (esofago e stomaco della rana, intestino del tritone), le cellule mucipare del tubo gastro-enterico si riproducono da elementi che già hanno acquistata la funzione secretoria del muco, e che il loro centro di formazione, come per l’epitelio non muciparo, è negli strati profondi, dai quali poi gli elementi neoformati subiscono uno spostamento verso la superficie libera, spostamento dovuto, da un lato, alla desquamazione dell’epitelio superficiale vecchio, dall’altro, alla spinta che agli elementi gio- vani dànno quelli ancor più giovani che man mano si produ- cono al di sotto di essi. Queste mie ricerche, adunque, sono una nuova conferma dei due principî fondamentali di Bizzozero, da me già ricono- sciuti esatti nel succitato mio lavoro sull’intestino dell'embrione, che le cellule mucipare del tubo gastro-enterico sono elementi ve- ramente specifici e che gli epitelî intestinali non si riproducono, di norma, nel luogo dove noi li troviamo quando sono a sviluppo perfetto. 880 CESARE SACERDOTTI — SULLA RIGENERAZIONE, ECC. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (I disegni furono eseguiti con la camera lucida di Abbe. Microscopio di Zeiss). Fig. Fig. Fig. Fig. 1. Epitelio di rivestimento di porzione intermedia tra esofago e sto- maco di rana — a, cellule mucipare adulte — , cellula mucipara in mitosi — c, cellula chiara il cui nucleo si presenta molto ricco in cro- matina (primo stadio di mitosi) — ob. E, oc. II, ingr. 390 diam. 2. Mucosa dello stomaco di rana molto lontano dall’esofago — a, mitosi in cellule dell’epitelio cilindrico muciparo — d, mitosi in cellula gra- nulosa di ghiandola — ob. D, oc. II, ingr. 240 diam. 3. Mucosa di intestino posteriore di tritone — a, mitosi in cellula mucipara di un germoglio epiteliale — d, cellula mucipara adulta — ob. D, oc. II, ingr. 240 diam. .-4. Mucosa di intestino posteriore di tritone — @, mitosi in cellula mucipara degli strati profondi dell’epitelio — d, cellule mucipare adulte — ob. D, oc. II, ingr, 240 diam. ò. Mucosa di intestino posteriore di tritone — a, mitosi in cellula mucipara dell'epitelio superficiale — d, germoglio epiteliale — c, mitosi in cellula chiara del germoglio — ob. D, oc. II, ingr. 240 diam. IC ERDOTTI DESARE- Sul rigenerazione dell'epitelio € — muciparo del tubo gastro-enterico degli anfibi. A tl Mili RAccad. delle Sc. di Torino - 6% XXX7 C. Sacerdotti dis Lit.Salussolia-Torino E. ALMANSI — SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE ECC. 881 Sull'integrazione dell'equazione differenziale A° A° = 0). Nota dell'Ing. EMILIO ALMANSI. 1. — Una funzione uniforme delle variabili x, y, che debba soddisfare all’equazione: (1) A = 0, ossia: d? d? dae ce dl #0, è determinata in tutti i punti di un’area piana quando ne sia dato il valore nei punti del contorno. Una funzione uniforme che debba soddisfare all’equazione: (2) AA? = 0, è invece determinata in un’area piana quando, in tutti i punti del contorno, sieno dati i valori della funzione stessa, e della sua derivata rispetto alla normale (*). Ora si può, in diversi modi, come vedremo, esprimere una (4) Il prof. G. Lauricella, nel suo lavoro “ Sull’equazione delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate ,, pubblicato quest'anno nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino (s. II, vol. XLVI), risolve la que- stione nel caso di un contorno rettilineo, valendosi di una formula ana- loga a quella di Green per l'equazione di Laplace. Il Picard, nell’ “ Intermédiaire des Mathématiciens , (Febbraio 1894), propone di studiare la questione per il rettangolo. Il Mathieu (“ Journal de Mathématiques ,, s. II, t. XIV, 1869) la risolve per il cerchio, rappre- sentando però la funzione mediante una serie. 882 EMILIO ALMANSI funzione TT», che soddisfi alla equazione (2), mediante due fun- zioni @, w,, che soddisfino all’equazione (1). E, per alcuni con- torni particolari, sui quali sieno dati i valori della funzione uniforme TT,, e della sua derivata rispetto alla normale, la de- terminazione della funzione TT,, così espressa, si riduce a cal- colare successivamente le due funzioni @,, w, conoscendosene i valori al contorno. 2. — Supponiamo da prima che l’area piana o in cui deve determinarsi TT, sia racchiusa da una circonferenza, rappresen- tata dall’equazione: CRE E SONO NI 1 sulla quale si abbia: TT, = Gi; dtt "dn A H, essendo G, H, funzioni note in tutti i punti della circonferenza stessa. Con n si è denotata la normale a questa linea diretta verso l’interno di 0. Poniamo: (3) T,= (£° sà y° pre R?) Wi + Pi essendo ®,, w, due funzioni uniformi che nell’area o soddisfano all’equazione (1). L'equazione (2) è soddisfatta. Si ha infatti: A°T, — 44, +4 X de + y DI. e quindi: A° AT —_ 0. SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 883 Nei punti del contorno sarà: T.= gp. Per conseguenza dovrà essere p = G; e questa condizione, insieme all’equazione (1), a cui la @, ab- biamo supposto che soddisfi, determina la funzione @, in tutti i punti del cerchio 0. Si ha poi al contorno, quando esiste Ra OTla _ d(e2+y°—R?) O Opi an War, Essendo la direzione positiva della normale, quella che va ò (a°-+y° — R?) ni n dall’esterno all’interno, sarà: —2 R: quindi ri- caveremo: (4) var (A). osì abbiamo, al contorno, anche il valore della funzione w,. Potremo dunque determinarlo in tutti i punti dell’area o. E so- stituendo nella formula (3) le funzioni @,, w,, così ottenute, avremo determinata la funzione TT, che soddisfa a tutte le con- dizioni richieste. Vediamo ora come viene effettivamente espressa. Quanto alla funzione @;,, si ha in un punto qualunque A interno all’area 0: DE a i re (R°— r2)G (5) bai | R?°+,°— 2Rr cosw du, 0 nella quale » rappresenta la distanza del punto A, dal centro O del cerchio, w l'angolo AOM, se con M s’indica il punto del contorno in cui 9, assume il valore G. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 60 884 EMILIO ALMANSI do dn” derivando direttamente sotto il segno. Per ovviare a questo in- conveniente, consideriamo una funzione À,, che soddisfi all’equa- zione A? 0. Assunta la retta OA, e la retta OB, ad essa normale, come assi delle coordinate X, Y, sia: Da questa formula non può ricavarsi il valore di h= Gt dey, indicando con G,, G', due costanti finite, di cui daremo dopo il valore. Al contorno si ha: i, = Go + Gsenw. In un punto qualunque del piano, sarà: Ri Da Re cos 15) 27 L= 1 | (R° — r2)(G+ G, sen w) == 0 e, in particolare, sulla retta OA: 97 G DI di (R? a r3)(Go _ Go senW) iQ R°?+,2T—2Rrcosw 0 Sottraendo questa identità dall’equazione (5) e portando G, nel secondo membro, si ottiene la formula: 27 Lot 1 (R? — r3)(G— Go Gosenw) Pi = Got 2 | R° + ,° — 2Rr cosw du. 0 Se ora deriviamo rispetto ad r, poi poniamo r=R e mu- tiamo il segno, avremo il valore della derivata di ®, rispetto alla normale, nel punto P, in cui la retta OA incontra il cerchio, SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECc. 885 ogni qual volta potremo assicurarci che la quantità sotto il segno si mantiene finita. Si ottiene così . 27 (6) 1 | GT-G— Gosenw da 2rTR 1-—- cosw 0 La quantità sotto il segno d’integrazione potrà diventare infinita soltanto per w= 0, ossia nel punto P: a meno che ivi il numeratore, e il denominatore, non diventino infinitesimi dello stesso ordine. Ora in P si annulla 1 — cosw, e la sua derivata prima. Lo stesso avverrà per G — G, — G”, senw, se supponiamo che sia: n [ÒG Atto messi, \ dw fd E per potere stabilire queste equazioni basterà supporre che la funzione G ammetta una derivata finita e atta all’inte- grazione. Attribuiti questi valori alle costanti G,, G', la formula trovata (6) sarà atta a darci il valore di a nel punto P. In un punto qualunque P' del contorno, il valore di Sui, se indichiamo con o l'angolo POP', sarà: 27 1 G— G, — Gausen(w— a) 2TR i 1— cos(w— a) dw, nel ove s'intende che G. e G'. sono i valori di G e di sa punto P'. Sostituendo nella formula (4), otterremo, al contorno: kt d sth 1 GT_-G,—Gasen(w—a) 9 MRO (14h | 1— cos(w— a) tu): e in un punto qualunque dell’area 0: 27 27 R°- 2 1 G-Ga— G'asen(0—2) A EI 2R a [ 1 — cos(@ — 2) tu) da "re ga R° | ,°.-2Rr cosa Pa 886 EMILIO ALMANSI Si aveva poi, indicando ora con a l'angolo che nella for- mula (5) è indicato con w: 9a RIRI (R° — r3)G PT ar | R° 47? — 2Rr cosa Dr 0 Dunque, sostituendo nell'equazione (3), che scriveremo: T,= (1° EI R°)w, + Pi, si avrà, per un punto qualunque del piano: 2 27 R3 —r? 1 GT Ga —G'a sen (@— 2) Rea R? —r? (pesE (14 27R | 1— cos(@ — a) au)+-6 Ta 27 : R° + ,° — 2Rr cosa da. Il problema, nel caso del cerchio, è dunque risoluto. 3. — Il problema si risolve, con metodo analogo, anche se l’area piana in cui deve determinarsi TT, è limitata da una retta. Se axr+by+e=0, è la sua equazione, porremo: T=(axr+0y+09)yw+ in cui ©, e w, verificano l’equazione A° = 0. Si ricava: 217. DIA dy, A#TII Sd [GRES e quindi: RAMA. Inoltre, nei punti della retta dovrà essere: pr = G ILA gd cp SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 887 Se consideriamo come direzione positiva della normale alla De AE È SaR retta, quella che ha per coseni di direzione i rapporti = " essendo r il valore positivo del radicale Va + 8, sarà: d(art byte) dn Ge ùt, e quindi al contorno: vet (H-%). da Così potremo calcolare prima la funzione ®,, poi la y,, come nel caso precedente. 4. — Si può risolvere il problema analogo nello spazio, quando cioè sia dato: dTT, T =, Òn = H_, in tutti i punti delle superficie di una sfera, entro la quale TT, soddisfi l'equazione A* A? — 0, essendo A° — = 5 È SR n la normale diretta verso l’interno. Sia dg ae Ri 0; l'equazione della superficie sferica. Basterà porre: M=(e+y +2 R)y+4t 9 in cui w, e @; verificano l'equazione A* =0 perchè TT., così espressa, soddisfi alla equazione A* A°= 0. Al contorno dovrà essere come nel caso precedente: quindi le due funzioni @; e w, potranno ottenersi facilmente sotto certe condizioni per i valori dati al contorno. 888 E. ALMANSI — SULL’INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE, ECC. Finalmente, se il contorno del campo in cui deve deter- minarsi TT, è il piano: axr+by+ce+4d=0, il problema si risolve ponendo analogamente mM= (ar +04y+ce2+dyvn+, in cui w;, e ©: soddisfano l'equazione A° = 0. L’ Accademico Segretario AnpREA NACCARI. 889 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 14 Giugno 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe, Pevron, Manno, Pezzi, NANI, PeRRERO e FERRERO Segretario. Il Socio Segretario, fra le pubblicazioni pervenute in dono alla Classe, segnala “ Il trattato de vulgari eloquio , di Dante pubblicato per cura del Socio corrispondente profes- sore Pio RAJNA (Firenze, 1896) in edizione critica, che fa parte della raccolta delle opere minori dell’Allighieri, edita dalla Società Dantesca italiana. Offre pure, a nome del Socio corri- spondente prof. Wendelin FoeRSsTER, l'edizione da questo curata: «“ Kristian von Troyes Erec und Enide , (Halle a S., 1896). Il Socio Manno, a nome dell'autore, prof. Antonio FAvARO dell’Università di Padova, offre le due pubblicazioni: “ Intorno alla vita ed ai lavori di Tito Livio Burattini fisico Agordino del secolo XVII , (Venezia, 1896) e “ Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. II. Ottavio Pisani , (Venezia, 1896), ed a nome pure dello stesso i fac-simili di lettere di G. L. Lagrange con- 890 servate nel carteggio di Paolo Frisi presso la biblioteca Ambro- siana di Milano. Il Socio Segretario legge una nota del Socio Rossi, assente dall’adunanza: “ Di un coccio copto del museo egizio di Torino con caratteri crittografici ,, ed una nota del prof. Luigi VALMAGGI: “ Del luogo della così detta prima battaglia di Bedriaco ,. Entrambe queste note sono pubblicate negli Atti accademici. G. ALLIEVO — DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA, ECC. 891 Dell’educazione della donna secondo i pensatori francesi del secolo AVIII. Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO (*). La Marchesa di Lambert (1647—1733). Nella storia della pedagogia femminile il nome di Fénélon si riscontra accanto a quello della Marchesa di Lambert, la quale lo venerò come suo maestro e dal libro di lui -attinse in gran parte i suoi pensieri sull'educazione della donna. Essa in- fatti in una delle sue lettere a lui dirette gli scrive: “ Se mai havvi in me alcunchè di buono, qualche destrezza di spirito, qualche sentimento in cuore, a voi lo dovrei, a voi, che mi avete mostrata amabile la virtù e mi avete insegnato ad amarla, pe- netrata delle vostre bontà e di imitazione per le vostre virtù ,. E Fénélon in una sua lettera al Sacy parla della Lambert in questi termini: “ Oggi stesso ho letto con gran piacere il ma- noscritto di M. Lambert. Tutto in esso mi parve espresso nobil- mente e con molta delicatezza. Vi si trovano ad un tempo sen- timento e principii. Io vi scorgo cuor di madre senza debolezza. L’onore, la probità più pura, la conoscenza del cuor degli uo- mini dominano in questo discorso ,. Intelligenza elevata, spirito colto e riflessivo, nobile cuore, la M. di Lambert tiene un posto luminoso nella storia delle donne letterate francesi del sec. XVII. Già Fénélon lamentava la decadenza morale delle famiglie dei tempi suoi e propugnava la necessità dell'educazione della donna. A questo pensiero si inspirò la Lambert, e vi consacrò l’opera e la penna. Della sua casa aveva fatto un convegno di sapienza, dove accoglieva due volte alla settimana accademici, letterati, personaggi cospicui, e si teneva onorato chi vi pigliava parte. Colpita dallo spettacolo della vita molle, vana, voluttuosa, che presentavano in generale le famiglie signorili, ne ricercò le ca- (*) Letta nell'adunanza del 17 maggio 1896. 892 GIUSEPPE ALLIEVO gioni e ne propose i rimedii. Le sue Fiflessioni sulla donna sono uno splendido saggio di critica psicologica e sociale, una viva e vera pittura della corruttela dominante, una robusta ed elo- quente difesa dei diritti e della dignità della donna, un nobile appello ad una educazione femminile soda ed elevata. Gli uo- mini, essa osserva, hanno sparso il ridicolo sulle donne colte, dileggiandole col titolo di pedanti, ed il ridicolo è diventato cotanto formidabile, che se ne ha paura più che dell’onta e del disonore. Dacchè le donne si videro assalite rispetto agli inno- centi diletti, che provavano nel culto degli studîì, qual mera- viglia, se dovendo scegliere fra onta ed onta si sono abbando- nate alla voluttà ed alla licenza? Le donne hanno cangiato gusto, ma la società che cosa vi ha guadagnato? Sono opera degli uomini i costumi del tempo, ed io assalirò gli uomini. Come sono tiranni gli uomini (essa prosegue nella sua critica)! Vogliono che noi non facciamo uso del nostro spirito e della nostra intelligenza. Quasi che loro non bastasse di dominare sul nostro cuore, si impadroniscono anche della nostra intelligenza. Qual diritto essi hanno di vietarci lo studio delle scienze e delle belle arti? Le donne, che vi si sono applicate, forsechè non hanno fatto buona prova? Da assai tempo si vitupera la con- dotta delle donne, le quali mai non furono tanto sregolate, come al presente; ma gli uomini hanno essi tanta purezza di costumi da acquistare il diritto di censurare quelli delle donne? E qui prende a difenderle ed a dimostrare che per virtù di mente non la cedono punto agli uomini, e ricorda la sentenza di Male- branche, che la natura ha largito ad esse le grazie dell’imma- ginazione, la quale le rende arbitre assolute del buon gusto; ed è l'immaginazione che crea i poeti e gli oratori. Ma essa va più in là di Malebranche, e sostiene che l’attenzione mentale nelle donne non è punto distratta ed affievolita dal sentimento in esse dominante, come si pretende comunemente; che anzi sotto questo riguardo la donna sovrasta all’ uomo. “ L'attenzione fa spuntare per così dire la luce, avvicina le idee allo spirito e le pone alla sua portata; ma nelle donne le idee si presentano da sè e si dispongono in ordine piuttosto per opera del sentimento, che della riflessione: è la natura, che ragiona per esse e ne porta il peso. Perciò io non sono di avviso, che il sentimento nuoccia all’intelletto, ma invece fornisce nuovi spiriti, che illu- DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 893 minano le idee per guisa che si presentino più vive, più lim- pide, più sceverate. Alla verità si giunge tanto sicuramente mediante la forza ed il calore de’ sentimenti, quanto mediante l'ampiezza e la giustezza de’ ragionamenti: essi più presto che non le conoscenze ci conducono sempre allo scopo , (op. cit.). Sono acute e belle queste riflessioni psicologiche della autrice, e non mancano di valore, siccome quelle, che chiariscono le at- tinenze tra le due facoltà del sentimento e del pensiero; e pro- seguendo nell’ argomento essa sostiene che la persuasione, la quale vien dal cuore, sopravanza quella che vien dallo spirito, e che la natura ha affidata al cuore e non alla riflessione la condotta delle nostre azioni. Anche questo punto, se la più si- cura norma direttiva della nostra vita pratica sia il cuore od il pensiero, è un grave problema, che spetta alla psicologia di risolvere (1). Ad ogni modo l’autrice mostra potenza di mente ed acutezza di spirito nel propugnare i diritti della donna di fronte all’ uomo, e nobiltà di intendimento nel richiamarla al sentimento della sua dignità personale. La M. di Lambert non si tenne paga di difendere l’eguaglianza della donna e dell’uomo rispetto alla potenza mentale, ma si adoperò a dar corpo e vita alla sua idea e scrisse il suo opu- scolo: Avvisi di una madre a sua figlia, che fa degno riscontro all’altro: iflessioni sulla donna. Questo lavoro è inspirato da nobilissimi sentimenti, condotto con vigoroso e stringato ragiona- mento, dettato con energia e limpidezza di linguaggio. Essa esordisce, come Fénélon nel suo opuscolo, col deplorare la trascu- ranza della educazione femminile. Si abbandonano le fanciulle alla mollezza, al mondo, ai pregiudizi ed alle false opinioni, e non si pensa che le donne fanno la felicità o la sventura degli uomini, che per esse le famiglie si elevano o si distruggono. Le destiniamo al piacere senza mai una lezione di virtù e di forza, ed è una follia il credere che una educazione siffatta non sì rivolga contro di esse. Sono veramente improntati da una elevata sapienza morale e fondati sopra una profonda conoscenza del cuore umano gli avvertimenti ed i consigli che essa porge per educare il cuore (1) Vedi il mio opuscolo: Le armonie del soggetto umano, pag. 16 e seg. 894 GIUSEPPE ALLIEVO di una giovane fanciulla. Ai sentimenti essa attribuisce la virtù di formare il carattere, di guidare lo spirito, di governare la volontà, ma addita la sorgente di siffatti sentimenti nella reli- gione. Il dovere non basta imporlo coll’ autorità del comando, ma bisogna farlo amare, mostrarne la ragionevolezza ed i mo- tivi. Le virtù brillanti non sono il retaggio della donna, bensì le semplici ed amabili: le virtù proprie di lei sono difficili, poichè la gloria non aiuta a praticarle, sono penose, perchè oscure. La fanciulla entrerà nel gran mondo: vi porti tutta la sua religione, sappia sostenerla nel suo spirito per via di rifles- sione e di letture convenienti; tenga per fermo, che la vera felicità sta nella pace dell'anima, nella retta ragione, nell’adem- pimento del dovere; non dimentichi, che vi sono due tribunali inevitabili, davanti ai quali deve passare, la coscienza ed il mondo; al mondo potrà sfuggire, alla coscienza non mai. È un dovere impiegare il tempo; e siccome i primi anni sono preziosi ed i caratteri si imprimono facilmente (1), così vuolsi ornare la memoria di cose preziose, non ispegnere il sentimento della curiosità, ma dargli buon nutrimento, perchè la curiosità è principio di conoscenza, e più lungi e più presto ci fa avan- zare nel cammino della verità. E qui l'autrice si fa a proporre gli studî più convenienti alle fanciulle, ed il suo disegno non si discosta gran fatto da quello di Fénélon. Poichè riguardo alla storia ed alle lingue ripete il pensiero di lui quasi colle stesse parole. Quanto alla poesia, essa va un po’ più in là sino a con- cedere la lettura delle tragedie di Corneille, sebbene sia di av- viso, che i lavori poetici anche migliori dànno lezioni di virtù, ma lasciano le impressioni del vizio. Assai più dannosa reputa la lettura dei romanzi. Un po’ di filosofia per chi ne è capace, e sovratutto la nuova, non è biasimevole, meglio ancora la scienza morale; chè a forza di leggere Cicerone, Plinio ed altri moralisti si piglia gusto per la virtù. Bando alle scienze su- blimi e straordinarie. In conclusione la Lambert allarga assai più del Fleury e di Fénélon la cerchia degli studi femminili. Proseguendo il corso delle sue riflessioni l’autrice passa ad altri avvertimenti e consigli, che a mio avviso riguardano non (1) Questo medesimo pensiero già sì riscontra nell’Educazione delle figlie di Fénélon, cap. V. DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 895 più l'educazione propriamente detta della puerizia e dell’ ado- lescenza, bensì quell’altra specie di educazione, che si continua per tutto il corso della vita ed appellasi educazione di se stesso. Sebbene nell’opuscolo non sia segnata nessuna divisione, pare a me, che di essi gli uni possano essere più propriamente rife- riti alla coltura del pensiero, gli altri alla coltura del senti- mento e del cuore. Quanto al primo di questi due punti, vi si scorge qua e là lo spirito della nuova filosofia di Cartesio, che allora dominava. Là dove parla la religione e la fede, siate docile e cedete al- l'autorità, ma in ogni altro punto serbate indipendente la vostra ragione e non ristringete le vostre idee dentro a quelle degli altri; non cedete alla forza dell’opinione, ma giudicate le cose per quel che valgono in se stesse. La verità anzi tutto: essa sta al di sopra dei tempi e delle persone. Però non attribuite alla ragione una potenza illimitata: cercate la verità, ma mi- surate prima le vostre forze fin dove vi possano condurre e formatevi un criterio, che determini la vostra persuasione. Là, dove non vedete chiaro, abbiate il coraggio di dubitare, e se alcunchè sorpassa la vostra apprensiva, dite francamente: questo io non lo so. Quando il vostro pensiero presume troppo di sè e si leva a smodata arditezza, riflettete, che la ragione ed i sensi, le due supreme sorgenti di tutto il nostro sapere, talvolta s'ingannano a vicenda. Più che la memoria, esercitiamo il pensiero. Bisogna av- vezzarsi a pensare e non riempiere la testa di idee straniere senza trar nulla dal proprio fondo. Rimpinzare la memoria di storie e di fatti non è un perfezionare la mente, un avanzare nella via del sapere. È la vostra ragione, che vi sorreggerà nelle. gravi strettezze, non la ragione stoica di Seneca e di Epitteto. Ognun vede la saggezza di questi avvertimenti della Lam- bert: sono un giusto omaggio al culto del pensiero senza essere una idolatria della ragione. Ma fra tutti i suoi consigli uno ve ne ha, che vale esso solo un tesoro, perchè a mio avviso sor- regge e rassicura tutta la coltura del nostro spirito. “ La più grande scienza, essa avverte, sta nel saper essere in sè ,. È una sentenza veramente aurea; perchè a me è sempre parso, che chi non sa raccogliersi di quando in quando nella solitu- 896 GIUSEPPE ALLIEVO dine del suo spirito e rendersi ragione di quello, che pensa. e di quanto sa od ignora, perde il sentimento della sua indivi- dualità personale e finisce col naufragare nell’ immenso mare dell'essere. Quindi giustamente essa consiglia di assicurarsi un ritiro, un asilo in noi stessi. Nella nostra solitudine il mondo, da cui ci teniamo appartati, peserà meno sopra di noi e ci sen- tiremo più liberi dalle impressioni, che fanno sopra di noi gli oggetti sensibili e dalla tirannia dell’opinione. Però essa avrebbe potuto con egual sentimento di verità consigliare di non trascor- rere nell’ estremo opposto, di non rinchiuderci nella solitudine dell'anima tanto da disconoscere e rinnegare la realtà esterna. Saper vivere in noi e fuori di noi, questa è, io penso, vera e somma sapienza. Il sapere non è tutto. “ L’anima ha ben più di che godere, che di conoscere ,. Ed anche questo mi pare profondamente vero, che non è la scienza, che possa darci la felicità. Per vi- vere felice bisogna pensar sanamente; ma abbiamo lumi proprii e necessarii al nostro buon essere, senza correre dietro a verità, che non sono fatte per noi. Gli è dal cuore, che dovete atten- dere una virtù durevole e sicura; è desso che vi caratterizza. Perfezionare il cuore ed i suoi sentimenti, ecco quel, che pri- mamente importa. Quando vi sentirete agitata da qualche viva e forte passione, domandate una tregua al vostro sentimento. L’immaginazione può molto nelle donne, ed illude coi fantasmi del piacere, ma coloro, che non la sottomettono alla verità ed alla ragione, ben sanno ciò, che essa fa soffrire. Della Lambert abbiamo un altro lavoro, che fa giusta cor- rispondenza a quello or ora ricordato, e che è inscritto: Avver- timenti di una madre a suo figlio. La madre è lei stessa, che dà consigli al proprio figlio. “ Voi non potete, gli dice, aspirare a nulla di più degno, nè di più conveniente della gloria. Ogni uomo, che non aspiri a farsi un gran nome, non opererà mai grandi cose. Ma di gloria ve ne sono varie specie: ciascuna professione ha la propria; nella vostra s'intende la gloria, che vien dal valore, la gloria degli eroi ,. E qui essa ritrae l'ideale del prode guerriero ed ammaestra suo figlio intorno le virtù e gli studi che gli occorrono per giungere alla gloria militare. L’indole della materia, che ci siamo proposti di discorrere, non ci consente di esaminare le sue idee intorno a questo argomento, DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 897 che riguarda l’educazione maschile; questo solo mi si consenta di osservare, che non è buon consiglio pedagogico proporre all’alunno come ideale l’aspirazione alla gloria, la quale invece deve venire da sè come spontanea conseguenza di un onesto e nobile operare, e che la gloria militare non è vera gloria, perchè macchiata di sangue umano. Antonio Conti (1677—1748). La Marchesa di Lambert fiorì tra il secolo decimosettimo ed il decimottavo; e nel 1721 usciva alla luce in Parigi un breve lavoro di Antonio Conti intorno il presente argomento del nostro studio, che merita di essere ricordato. Il Conti (1677—1748) nobile veneto, fu letterato e pensatore insigne, che illustrò il Parmenide di Platone e la dottrina filosofica di Cartesio. Nel lavoro, che qui ricordiamo, diretto in forma di lettera al Signor Perel (1), egli prende a discutere la questione se le donne sieno atte così come gli uomini al governo, alle scienze ed alla guerra, ed avverte che non si trova autore, il quale la abbia ridotta al suo genuino aspetto e l’abbia trattata partendo da principii, che il solo Malebranche l’ ha riguardata fisicamente, ma l’ ha toccata soltanto alla sfuggita. Il Conti pone per principio, che il governo, le scienze e la guerra sono occupazioni, che dipen- dono dal vigore dello spirito e del corpo, e che perciò il punto della questione sta nel paragonare il vigore del corpo e dello spirito nell'uomo e nella donna. Ciò posto, egli si fa a dimo- strare, che le donne non hanno lo stesso vigore di corpo degli uomini, perchè le fibre corporee sono in esse assai meno solide ed elastiche, e ne inferisce per conseguente, che i legislatori fecero ottimamente escludendole dalla guerra e dagli altri me- stieri aspri e penosi: ecco risolta la prima parte della questione; e finqui la critica non ha di che opporre al suo ragionamento. Passando alla seconda parte della questione, in cui si cerca se le donne abbiano lo stesso vigore di spirito degli uomini, parte dal principio che l’anima ha la sua sede nel centro ovale del (1) Questa Lettera trovasi nel tomo secondo e postumo delle sue Prose e Poesie alla pag. LXV. 898 GIUSEPPE ALLIEVO cervello, dove è l’origine de’ nervi, e ne inferisce che siccome le fibre degli uomini sono assai solide ed elastiche e quindi suscettibili di vibrazioni lunghe e veementi, porgono allo spi- rito ed all’immaginazione occasione di que’ grandi fenomeni, che si chiamano scienze ed arti. Per contro siccome nelle donne le fibre del cervello non sono capaci di pulsazioni forti, il loro spirito viene a mancare degli strumenti necessari per formare, meditando, idee astratte, analizzarle, precisarle, e quindi per iscoprire verità speculative, per costruire un sistema di crono- logia, di critica, di metafisica, di matematica. Per conseguente le donne non sono atte al governo ed alle scienze. Però se le vibrazioni delle fibre cerebrali sono nelle donne meno gagliarde, sono tuttavia più frequenti; quindi ne viene che esse superano gli uomini nelle grazie dell’immaginazione, nella naturalezza del discorso, nella facilità e squisitezza, con cui giudicano delle questioni riguardanti la lingua, lo stile, il buon gusto di ogni maniera, i gradi più impercettibili di una passione. L'autore nel giudicare se le donne abbiano la stessa vigoria del corpo che gli uomini, è partito dall’osservazione delle fibre dell'organismo corporeo, e bene sta; ma trattandosi di parago- nare il vigore dello spirito, poteva egli mantenersi egualmente nel campo della fisiologia e rimanersi alla sola osservazione delle vibrazioni delle fibre cerebrali? Io non credo che colla sola scorta della fisiologia si giunga mai a spiegare i fenomeni proprii dello spirito e rilevarne le differenze nell'uomo e nella donna. Egli non ha punto dimostrato, che la maggior veemenza di vibrazione delle fibre cerebrali sia proprio essa la condizione necessaria allo spirito, perchè possa lavorare le idee astratte ed elevarsi alla formazione di un sistema scientifico; come pure gli riuscirebbe impossibile il determinare qual grado di energia delle vibrazioni delle fibre cerebrali si richiegga per esercitare la facoltà dell’astrazione e della speculazione scientifica. Eppure tutto il suo ragionamento presuppone la dimostrazione di questi due punti (1). (1) Insieme col Conti va pure ricordato in quello stesso secolo Antonio Leonardo Thomas dell’Accademia francese (1732—1785), che pubblicò nel 1772 un Saggio sopra il carattere, i costumi e lo spirito delle donne. In so- stanza anch'egli conviene col Conti nel sostenere, che le donne non sono DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 899 Gian Giacomo Rousseau (1712—1778). Il Dio del Genesi disse: “ Non è bene, che l’uomo sia solo: facciamogli un aiuto simile a lui ,; e diede Eva per compagna ad Adamo. Rousseau nel quinto libro dell’Emilio così esordisce: “ Non è bene che l’uomo sia solo (1). Emilio è uomo; noi gli abbiamo promessa una compagna, conviene dargliela. Questa compagna è Sofia ,. Per conseguente “ dopo di avere procac- ciato a formare l’uomo della natura, per non lasciare imperfetta l’opera nostra, vediamo come vuolsi formare altresì la donna, che conviene a tal uomo ,. Giustamente egli piglia le mosse da una disamina compa- rativa delle conformità e delle differenze de’ due sessi, la quale riesce a questi pronunciati. In ciò, che hanno di comune, essi sono eguali, in ciò, che hanno di diverso, non possono parago- narsi, perchè la perfezione propria dell'uomo è di altra specie da quella della donna. Tutte le facoltà comuni non sono egual- mente ripartite; ma nel loro insieme si compensano. In sostanza questo concetto dell’ autore mi sembra conforme a verità, ma forse poteva essere enunciato in forma più semplice e chiara dicendo che l’uomo e la donna sono eguali in quanto apparten- gono amendue alla specie umana ossia posseggono le facoltà essenziali costitutive dell’ umanità, sono differenti, in quanto ciascuno è fornito di un'individualità sua propria, riposta nella diversa tempra delle facoltà comuni. Intanto teniamo ben fermo, che secondo l’autore, tra i due sessi non corre un rapporto nè di inferiorità nè di superiorità, ma di eguaglianza e differenza. Posto questo principio psicologico, Rousseau ne inferisce, che l’uomo e la donna non debbono avere la medesima educa- zione. Questa conseguenza è giusta solo in parte. Egli ha di- atte così come gli uomini ad una lunga e rigorosa deduzione e ad una data sublimità di idee; ma il suo lavoro è piuttosto dettato in forma letteraria, che condotta con rigore scientifico di ragionamento, è piuttosto una rapida scorsa attraverso la storia de’ diversi secoli, che una serie con- tinuata di osservazioni e di riflessioni psicologiche. (1) Rousseau, il banditore della silvestre natura, l’implacabile avver- sario della società, proclama, che non è bene che l’uomo sia solo! Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 61 900 GIUSEPPE ALLIEVO menticato, che l’uomo e la donna in quanto hanno facoltà co- muni, per cui appartengono alla medesima specie, sono eguali, e quindi sotto questo riguardo l’educazione di entrambi vuol essere la medesima: la diversità dell'educazione debbe solo ri- guardare il sesso, ossia l’individualità propria della donna. Non è intendimento della natura, che la donna sia allevata nell’ignoranza assoluta di ogni cosa e rinchiusa nelle cure do- mestiche, bensì che coltivi il suo spirito pensando, giudicando, conoscendo. Ciò posto, Rousseau deriva la forma della sua edu- cazione dalla distinzione particolare propria del suo sesso, e qui ripete il concetto di Fénélon e della Lambert, che le sorti degli uomini e della società dipendono dalla famiglia, e quindi stanno in mano della donna, la quale perciò va educata all’ adempi- mento de’ suoi doveri domestici; ma il suo grave abbaglio sta in ciò, che ei vuole educata la donna niente per sè, tutta in servizio dell’uomo e della famiglia e segnatamente per piacere al marito. Tralascio di notare, che non tutte le fanciulle sono destinate ad essere spose e madri: questo solo giova avvertire, che qui l’autore non si mantiene coerente al principio da lui stabilito intorno al rapporto tra i due sessi. Infatti egli aveva negato ogni rapporto di inferiorità della donna rispetto all’uomo, sostenendo che le facoltà comuni ad amendue sono in ciascuno differentemente distribuite, ma che nel loro insieme si compen- sano. Ora invece sentenzia che la donna va educata in servigio dell’uomo. Inoltre egli ha dimenticato l'eguaglianza di natura ossia la comunanza della specie, per cui la donna essendo anche essa rivestita della dignità propria della persona umana va edu- cata anche per sè, e non semplicemente in servigio altrui. Essa ha doveri da adempiere non solo verso la famiglia, ma anche verso di se stessa e verso Dio; ha dei diritti alla verità, alla virtù, che non sono meno sacrosanti di quelli dell’uomo. “ Sottoposta al giudizio degli uomini, la donna deve meri- tare la loro stima, e sopratutto ottenere quella del suo sposo... deve giustificare davanti al pubblico la scelta che egli ha fatto di lei, e far onorare il marito dell’ onore, che si tributa alla donna. Or come potrà fare tutto ciò, se essa ignora le nostre istituzioni, i nostri usi, la sorgente de’ giudizi umani, le pas- sioni che li determinano? Dacchè essa dipende ad un tempo dalla sua coscienza e dalle opinioni altrui, occorre che essa im- DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 901 pari a paragonare queste due norme, a conciliarle e preferire la prima soltanto allora che sono in opposizione fra di loro... Niente di tutto ciò può essere fatto a dovere senza coltivare il suo spirito, la sua ragione (1) ,. Anche qui l’autore disco- nosce il principio psicologico, da cui aveva pigliato le mosse, ed invece di collocare l’educazione della donna alla pari con quella dell’uomo, la subordina alle esigenze di lui, sostenendo che essa deve coltivare la ragione a fine di conoscere le isti- tuzioni, i costumi, le passioni dell'uomo e meritarne la stima e l’onore in faccia alla pubblica opinione ed alla propria co- scienza. À me non pare che i dettati della coscienza, per essere autorevoli e veraci, abbisognino di essere ratificati dal tribu- nale della ragione, come se la ragione fosse essa sola l’infallibil maestra della verità; io inclinerei anzi verso la proposizione contraria. Oltre di che questa sentenza di Rousseau, che qui tanto innalza la ragione, si mostra inconciliabile col sentimen- talismo, che informa la sua dottrina sull'educazione morale, e di tutto punto contraddice all’altro suo concetto, che sacrifica la ragione della figlia e della moglie all’ autorità della madre e del marito. Rousseau nega alla donna la virtù speculativa del pensiero, che ricerca le verità astratte, i principi e gli assiomi delle scienze, le ricusa la facoltà di generalizzare le idee, di compren- dere i capolavori del genio, l’attitudine alle scienze fisiche ed alle scienze esatte, perchè mancano della giustezza e dell’atten- zione sufficiente all'uopo. Egli le concede una ragione non già speculativa, ma meramente pratica, alla quale assegna per 0g- getto lo studio non già dell’uomo preso nella sua astratta ge- neralità, bensì degli uomini individui e viventi, delle persone singolari, che la circondano e con cui convive (V. Emilio, t. 4, pag. 74, 75, ediz. Parigi). Anzi tutto l’autore ha asserito, ma non ha punto dimo- strato, che la ragione della donna sia impotente a quelle gene- ralizzazioni astratte, che costituiscono il sapere scientifico, e non ha avvertito, che neanco tutti gli uomini sono forniti di tale attitudine. Il niegarle ogni virtù speculativa del pensiero, è sen- tenza troppo esclusiva, epperò insussistente. Ma egli è trascorso (1) Op. cit., t. 4, pag. 65, 66. 902 GIUSEPPE ALLIEVO più in là: non si tenne pago di concedere alla donna una ra- gione meramente pratica, ma la volle circoscritta tutta quanta allo studio degli uomini e della famiglia. Ecco un altro punto del suo esclusivismo. Non aveva forse stabilito il principio, che la donna deve pensare, coltivare il suo spirito, e che è da na- tura chiamata ad una perfezione propria del suo sesso e diversa da quella dell’uomo? Come adunque potrà essa raggiungere questa sua propria perfezione, se prima ancora e più ancora degli uomini non istudierà attentamente e profondamente se stessa ? Rousseau vuole che la coltura della ragione femminile abbia per unico oggetto lo studio degli uomini: il vero si è, che l'educazione della donna deve avere il suo primo e principal fondamento nello studio e nella conoscenza di se medesima. Fanciulla, sposa, madre, la donna attingerà sempre dalla osser- vazione interiore di se medesima un raggio di luce, che la il- lumini in mezzo alle tortuose vicende della vita, e senza la psi- cologia femminile una psicologia umana veramente compiuta non si avrà mai. Forza è confessare, che Rousseau non vede di buon occhio la donna istrutta. Non gli basta avere sentenziato che la ma- tematica, la fisica, il sapere speculativo qualunque esso sia non sono fatti per lei; ma egli non fa tampoco parola nè di lette- ratura, nè di lingua, nè di storia, nè di igiene, nè di morale teorica, come se questi studi fossero disdicevoli a fanciulla ben educata. Che anzi, non gli saprebbe male, che “ la donna fosse limitata ai soli lavori del suo sesso e venisse lasciata in una profonda ignoranza su tutto il resto, quando i pubblici costumi fossero semplicissimi, integri, o si menasse una vita ritirata , (ediz. cit., t. 4, pag. 65). Ma alla fin fine a che più applicarsi allo studio, meditare sui libri, sentire la parola del maestro ? “ Lo spirito di Sofia non si è punto formato mediante la let- tura, bensì soltanto mediante le conversazioni col suo padre, colla madre, mediante le sue proprie riflessioni e le osservazioni da essa fatte in quel po’ di mondo, che ha veduto , (ib., pag. 95). In conclusione, nessun insegnamento scientifico, un sapere ran- nicchiato dentro la meschina cerchia della vita quotidiana, ecco la coltura mentale della donna, quale ei la intende. Mentre Rousseau vuole differita sino all’età dell'adolescenza l'istruzione religiosa ai fanciulli, per le fanciulle intende che DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 903 esordisca sin dagli anni primi. “ Se i fanciulli maschi non sono in condizione di formarsi veruna idea vera di religione, tanto più essa idea trascende il concepimento delle figlie: gli è perciò, che io vorrei parlarne a queste assai per tempo; perchè se fosse giuocoforza attendere, che esse fossero in grado di discutere metodicamente queste profonde questioni, si correrebbe rischio di non parlarne loro giammai , (ibid., pag. 52). Ma se, in sen- tenza dell’autore, la ragione della donna non giunge a quelle conoscenze ideali ed astratte, a cui s'innalza la ragione del- l’uomo, vorrebbe la buona logica che l’istruzione religiosa assai più presto cominciasse per i fanciulli che per le fanciulle; per contro il nostro autore ragiona tutt’al rovescio. Inoltre insegna l'esperienza medesima che il pensiero dell’educando progredisce col progredire dell’età, sicchè va via via comprendendo sempre meglio quel, che da prima aveva imperfettamente inteso ; invece l’autore stranamente sentenzia, che se la fanciulla non viene fin dai primi anni ammaestrata nella religione, la cui idea è tuttavia superiore alla sua apprensiva, non ne capirà nulla per tutta la vita. Egli avverte, che invano ci attenderemmo che essa sia da tanto da discutere metodicamente queste profonde que- stioni. Ma la sua avvertenza è fuori di proposito, essendochè l’insegnamento della religione non esige punto che si trascini l'alunno in mezzo alle ardue ed astratte disquisizioni di scienza teologica, bensì basta che si espongano piuttosto per via di au- torità che di ragione le verità religiose; il che è riconosciuto da Rousseau medesimo, il quale scrive più sotto: “ Poichè l’auto- rità deve regolare la religione delle donne, non si tratta di spiegare loro le ragioni, che si hanno di credere, quanto di esporre ad esse chiaramente ciò, che si crede ,; e prima di lui la Marchesa di Lambert aveva consigliato che l'insegnamento religioso sia bensì dogmatico, ma non teologico. Egli ricisamente afferma, che “ siccome la condotta della donna è sottomessa alla pubblica opinione, così la sua credenza è assoggettata al- l'autorità. Ogni figlia debbe avere la religione di sua madre, ogni donna quella di suo marito... La madre e la figlia non es- sendo in grado di giudicare da sè, debbono ricevere la decisione dei padri e de’ mariti come quella della chiesa , (ibid., pag. 53). Rispettare l’autorità della madre e del marito è bella e santa cosa; ma l’autorità non deve distruggere il diritto, che ha ogni 904 GIUSEPPE ALLIEVO anima umana alla verità. Se una figlia od una moglie fossero venute nell’intimo e sincero convincimento, che esiste una reli- gione, la quale mostra l'impronta della divinità più viva e più sicura che non quella da esse professata, dovranno esse rinun- ciarvi per non venir meno al rispetto verso l’autorità della madre o del marito ? E se mai o la madre od il marito non professassero religione di sorta, o calpestassero quella, in cui sono nati, la figlia o la moglie dovranno seguirne il non auto- revole esempio ? È cosa davvero singolare, che un libero pen- satore e riciso razionalista, qual è il Rousseau, sacrifichi la ragione all’autorità in una questione cotanto delicata, quale è quella, che riguarda la coscienza religiosa! Ognuno ben sa qual potente strumento di coltura mentale sia l’arte del leggere e dello scrivere; ma anche su questo punto l’autore la pensa in modo tutt’altro che largo e compren- sivo. “ Se io non voglio che si affretti un figlio ad apprendere la lettura, per più forte ragione non voglio che vi si costrin- gano le giovanette prima che loro si faccia ben sentire a che giova la lettura... Anzi tutto dov'è la necessità che una figlia sappia leggere e scrivere così presto ? Avrà torse da reggere così presto le faccende domestiche? Ben poche ve ne sono, che di questa scienza fatale non facciano più abuso, che uso, e tutte sono un po’ troppo curiose per non apprenderla senza costringimento, quando ne avranno agio ed occasione , (id., pag. 32). Che l'insegnamento del leggere e dello scrivere debba essere alquanto ritardato, è questa un'opinione, che si può so- stenere come la sua opposta, sebbene non si possa convenire coll’autore, che la giovinetta non ne abbisogni punto per il disbrigo di faccende domestiche. Ma egli appellando fatale ad- dirittura questa scienza, pronuncia contro di essa una inesorabil condanna; tanto varrebbe chiudere senza riguardo le scuole fem- minili senza sbracciarsi più che tanto a scemare la folla degli analfabeti. Egli addita Sofia, che “ mai non ha letto verun libro se non Barrem e Telemaco, che per caso le capitò fra le mani, (pag. 128); e sentenzia che in generale le fanciulle abusano di questa scienza, adoperandola forse in corrispondenze amorose o nella lettura di libri immorali; ma e di che non si può abu- sare? Anche delle più nobili e sante cose del mondo. L’abuso non è una ragione, per cui anche l’uso debba essere condannato. DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, Ecc. 905 Certamente la coltura del pensiero non si fonda tutta quanta sui libri, ma non può farne senza: si legga bene e si leggano buone cose, ed il pensiero ne attingerà un sostanzial nutrimento. Dalle cose sinquì discorse consegue, che Rousseau non sa fare buon viso alla coltura scientifica della donna, misurando a dosi omeopatiche il sapere a Sofia. Quali ne sono le ra- gioni? Anzi tutto egli seguiva l’opinione dominante dei filo- sofi ed enciclopedisti del suo secolo, i quali avversavano in ge- nerale l'istruzione della donna, che ne aveva abusato per fare del bello spirito e calpestare i doveri della famiglia. Poi le figlie e le madri, segnatamente nelle grandi città, porgevano a’ suoi tempi il tristo spettacolo di un vivere licenzioso e dissoluto, ed a riparo di tanto male voleva che l’educazione formasse una donna onesta e buona massaia e niente più. Infine era uno dei suoi concetti dominanti questo, che le lettere e le scienze cor- rompono i costumi e pervertono la natura, sicchè per lui l’uomo, che pensa, è un animal depravato. Non è quindi da meravigliare, se non gli andava a genio la coltura scientifica della donna. Egli era partito dal giusto principio, che la donna avendo un carattere, un temperamento, una perfezione tutta sua propria, non debbe avere la medesima educazione dell’uomo. Poi sra- gionando trasse da quel principio una conseguenza, la quale rivela nell’educazione della donna l'egoismo dell’uomo. Infatti è sua teoria questa, che la donna va educata per piacere al- l’uomo ed adempiere i suoi doveri verso gli uomini, che il suo spirito va coltivato affinchè conosca le istituzioni, i costumi, i giudizii degli uomini, che la cerchia de’ suoi studi va ristretta alla conoscenza degli uomini, con cui convive. Giunto pressochè a metà del libro, l’autore non ragiona più intorno l'educazione femminile, ma lavora coll’immaginazione e scrive un grazioso romanzo. Egli ci ritrae in Sofia l'ideale della fanciulla perfettamente educata, la quale si stringe in vin- colo coniugale con Emilio, ed accompagna co’ suoi auguri e coi suoi consigli quell’imeneo, ma fu un matrimonio infelice. Ep- pure egli li aveva educati l’uno per l’altra! Decisamente Rous- sean è un grande scrittore e letterato, ma un ragionatore in- felicissimo ed un pensatore niente serio, e tale si mostra nel quinto libro della sua opera. Ad ogni piè sospinto smarrisce il filo del ragionamento: da una pagina all’altra le idee non che 906 GIUSEPPE ALLIEVO chiarirsi si intorbidano e si alterano tanto che non si sa più che cosa egli pensi in modo fermo e sicuro: scambia asserzioni gratuite per solide dimostrazioni; pone un principio e ne tira conseguenze contraddittorie. Stabilisce che i due sessi sono eguali e che le loro facoltà, sebbene diversamente compartite, sì compensano, e poi vuole la donna fatta segnatamente per piacere al marito, ed alla autorità di lui sacrifica la ragione della moglie in fatto di credenze religiose. Scaglia contro le donne i più spietati vituperi, tacciandole di frivole, incostanti, civette, grandi fanciulli, caparbie, corrive agli estremi, facili a soccombere; poi tutte queste magagne scompaiono nella sua immaginaria Sofia, come se l'educazione potesse distruggere la natura. Inveisce contro le donne del suo tempo corrotte c cor- rompitrici delle loro figlie slanciate anzi tempo in mezzo al gran mondo, poi consiglia di licenziarle nella danza, ai festini, ai giuochi, al teatro. Meglio esse vedranno questi fragorosi piaceri, più presto ne saranno disgustate , (op. cit., pag. 76). Egli ragiona sempre coll’immaginazione: ecco tutto. Di Rousseau uno scrittore suo contemporaneo ed amico, Bernardino di Saint-Pierre, pronunciava questo giudizio: “ A” dì nostri un celebre scrittore pare, che abbia, al pari di Platone, sperato dall’educazione delle donne una rivoluzione ne’ costumi; ma avendo trattato nel suo Emilio dell'educazione de’ due sessi ad un tempo, ben lontano dall'avere rivolto quella della donna all’utile pubblico, egli ha separato dalla società quella dell’uomo medesimo, la quale sembra per tanti riguardi dover essere na- zionale , (1). Nulla di più giusto di questo giudizio, il quale pone in chiaro il punto erroneo, che tocca l’intima sostanza della dottrina pedagogica di Rousseau. Egli vuole che Emilio sia educato qual uomo, che vive nella selvaggia indipendenza della solitaria natura, non qual cittadino stretto in convivenza co’ proprii simili; che Sofia sia educata quale una compagna, che piaccia e convenga a lui. Così dalla sua opera educativa sorge una famiglia umana chiusa nel proprio egoismo, isolata dal consorzio sociale. (1) Discorso sull'educazione delle donne: 1% parte. CTZ LET seni DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 907 Bernardino di Saint-Pierre (1737-1814). Ben altro è il concetto pedagogico di Bernardino Saint-Pierre. Nel suo Discorso sull'educazione delle donne da lui dettato nel 1777 per rispondere ad una questione proposta dall’ Accademia di Besanzone (1), egli pone a principio, che la donna è chiamata ad esercitare una profonda influenza sui pubblici costumi, ad adempiere una missione educatrice, la quale dal santuario della famiglia s'irraggia su tutto il gran mondo sociale, e svolge e lumeggia questo concetto col mezzo di considerazioni razionali confortate dalle testimonianze della storia. “ Non vi ha persona, cui stia più a cuore la riforma degli uomini, quanto le donne. Dovunque i popoli furono costumati, lèù hanno signoreggiato le donne; dovunque esse sono piombate nell’imo della corruzione, esse furono schiave ,. Tratteggiando l'infanzia umana con quella mano maestra, che aveva scritto Paolo e Virginia, egli rileva come fin dalla puerizia il fanciullo e la fanciulla si rivelano ciascuno sotto una forma sua propria: l’uno fa mostra di ardi- tezza, di forza, l’altra di timidità, di delicatezza; ma le anime sono eguali. Il carattere attivo proprio dell’uomo ed il carattere passivo proprio della donna sono entrambi perfetti e compon- gono la più bella delle armonie, sicchè l’uno non va anteposto all’altro nella grand’opera della vita; epperciò il confondere l'educazione de’ due sessi è un disconoscere il loro carattere distintivo. L'autore contempla l’educazione femminile, secondochè è data in casa, nei conventi, in mezzo al mondo. Conviene con Fénélon, che la fanciulla va educata entro il santuario dome- stico, dove il suo cuore può liberamente aprirsi all’amore della famiglia, della patria, dell’ umanità, di Dio, e deplora siccome una grande sventura domestica e sociale lo strapparla dal seno della famiglia per tradurla in educatorii, dove “ nessun bacio paterno, nessuna mano cara asciugherà le sue lacrime, dove costretta a cercare conforti in un’amicizia straniera, finirà per (1) La questione era così formolata: “ Come l’educazione delle donne possa contribuire a migliorare gli uomini ,. 908 GIUSEPPE ALLIEVO rompere quelle catene naturali, di cul i loro parenti hanno spez- zato le prime anella ,. Passando poi agli usi del mondo, egli riguarda la lettura dei libri e la frequenza dei teatri, siccome fonti di pervertimenti e di corruzione per le fanciulle. Libri, che loro veramente approdino, in sua sentenza sono ben pochi. I romanzi, che tratteggiano il vizio, le trascinano giù per la china delle sbrigliate passioni; quelli, che parlano di virtù, le slanciano in un mondo immaginario e loro inspirano l’odio per il mondo reale, in cui sono poste a vivere. Quanto poi ai libri scientifici e speculativi, offrono un campo di lotta fra seguaci di sistemi i più disparati ed opposti, dove tante verità sono messe in pro- blema, tanti paradossi sono scambiati per massime, sicchè la. loro lettura porta come a risultato finale alla distruzione dei principii e del carattere. La storia medesima non inspira gran benevolenza verso gli uomini, siccome quella, che tratteggia i furori dei popoli. Con questo concetto direttivo davanti al pen- siero egli passa a tratteggiare l’educazione femminile discor- rendo delle virtù speciali, a cui vuol essere informato l’animo della fanciulla e delle arti domestiche, in cui va ammaestrata, sempre intento all’epigrafe da lui posta in fronte al suo discorso: “ Per rendere buoni gli uomini, occorre renderli felici ,. La madre apprenda alla sua figlia la virtù anzi ogni cosa, e la virtù, egli scrive, è uno sforzo fatto sopra noi stesse per il bene degli uomini coll’intendimento di piacere a Dio solo, nè è punto una scienza fondata sopra un principio astratto, essen- dochè l’esistenza di un Essere supremo è di una splendida ed universale evidenza. Ma a tal uopo non basta parlare di virtù; occorre avvezzare la fanciulla alla pratica della medesima, chè di tal modo essa imparerà a commisurare il volere al potere. Compagne della virtù debbono venire le arti domestiche dai Greci appellate piccole virtù, giacchè le occupazioni di casa con- vengono alla varietà del carattere della donna, la rendono più felice, più bella, Je conciliano amore, confidenza, rispetto per il buon ordine ed il prospero assetto, che essa mantiene nella famiglia. Fra le arti gentili poi “la danza sviluppa le abitudini del corpo e dà a’ suoi movimenti un’armonia divina; la musica poi ha un potere sublime, che eleva l’anima ,. Dotato di squisito sentimento morale, l’autore teme che l’anima delicata di una fanciulla patisca offesa non solo dalle DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 909 rappresentazioni teatrali, ma ben anco dalla lettura dei libri. Io rispetto il nobile intendimento, che gli ha consigliata la sua opinione, ma non ispingerei i miei riguardi sino a vietare sic- come pericolosi i romanzi anche migliori, in cui la virtù fa bella mostra di sè ed inspira vaghezza ed amore di se medesima, parendo a me, che anche a questa forma della letteratura, quando risponda al suo fine, non si possa negare un carattere educativo. L’asserire poi, che la lettura di libri, in cui si agitano i pro- blemi della scienza, porta alla distruzione de’ principii e del ca- rattere nell'anima di chi legge, sembrami una sentenza eccessiva, che mena difilato allo scetticismo. La Contessa di Genlis (1746-1830). La Contessa di Genlis lasciò scritto di se medesima nelle sue Memorie di avere sortito da natura un istinto al magistero educativo, e si tenne bene avventarata, quando il duca e la duchessa di Chartres le affidarono l’educazione dei loro figli e figlie, il maggiore de’ quali salì poi sul trono di Francia col nome di Luigi Filippo. I principii pedagogici, che la diressero nell'adempimento di quella missione, stanno esposti nel suo libro Adele e Teodoro, o Lettere sull’educazione (1782), dove è tratteg- giata l'educazione qual si conviene ad un principe, all'uomo ed alla donna. Adele, intorno a cui si raccolgono tutti i suoi concetti ri- guardanti l’educazione femminile, non è un’alunna immaginaria, quale la Sofia di Rousseau, bensì una persona viva, la princi- pessa Adelaide d’Orléans. Di questa particolarità occorre tener conto affine di giudicare secondo verità il valore delle sue idee. Poichè la Genlis consacrò il senno e l’opera sua in servigio esclusivo di un’alunna affatto singolare,che apparteneva ad una determinata famiglia principesca, e quindi ebbe ogni agio e modo di formare intorno ad essa quell'ambiente, che era ne’ suoi desiderii; epperò gran parte de’ suoi consigli non hanno quel carattere universale, che si richiede, perchè possano valere per la coltura delle fan- ciulle in generale. Saggiamente essa avvisa, non doversi trala- sciare occasione di sorta per insegnare in via indiretta ai fan- ciulli ciò, che non sorpassa la loro facoltà apprensiva; ma in 910 GIUSEPPE ALLIEVO Adele le occasioni sono preparate e suscitate a bella posta e studiatamente coordinate ad un fine prestabilito, sicchè corrono pericolo di perdere quel carattere di naturalezza, che tien desta l’attenzione dell'alunno. Similmente essa consiglia, e con ragione, di non essere troppo corrivi nell'’ammaestrare, ma di acconciare il tenore ed il grado dell'istruzione all’età del discente; e gui- data da questo concetto, detta per la sua alunna una serie di letture scientifiche e letterarie, che vanno via via progredendo dall'età di sette anni sino oltre il ventennio, ma non tutti gli autori assegnati a ciascun periodo di età rispondono al suo con- cetto. A sussidio dell’intelletto, a rinforzo della memoria essa fece grande assegnamento sulle intuizioni sensibili. A tal uopo non solo si giovò di libri illustrati, di globi e carte geogra- fiche, di bassorilievi, di gabinetti di fisica, di collezioni natu- rali, ma perfino le pareti delle sale volle istoriate di fatti e personaggi celebri, di figure mitologiche, e da un pittore polacco fece disegnare una lanterna magica, i cui vetri portavano di- pinti i fatti della storia sacra, della romana, della chinese e della giapponese. Per quel, che riguarda l'educazione morale e la religiosa, i suoi concetti oscillano mal fermi tra la dottrina pedagogica di Fénélon e quella di Rousseau: l'autorità e la libertà, il sen- timento e la ragione ad ogni piè sospinto vi si urtano e si confondono. La Genlis fece di pubblica ragione una sterminata serie di lavori i più svariati, e fu da’suoi critici giudicata con una se- verità, che potrebbe parere eccessiva, se non fosse che anch'essa nel giudicare uomini e libri non sempre si contenne entro i confini della temperanza e della convenienza, forse per cagione delle aspre vicende, per cui è trascorsa la lunga sua vita di ottantaquattro anni. L’educazione della donna e la rivoluzione francese. Undici anni dacchè Rousseau era morto, scoppiò la rivolu- zione francese. In mezzo a quella profonda crisi sociale anche l'educazione della donna fu agitata da due opposte correnti. La donna rimanga dov'è, nell’ambito della famiglia, dove non oc- DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 911 corre gran fatto l'istruzione, ripetono da un lato Mirabeau, Danton, Robespierre, Saint-Juste, Talleyrand. La donna corra in- sieme coll’uomo il pubblico arringo della vita sociale, e sia come lui, e quanto lui educata, ripetono dall'altro lato Condorcet e Lepellettier di Saint-Fargeau. Talleyrand presentava all'Assemblea Costituente un disegno di legge sulla pubblica istruzione, preceduto da una relazione, in cui esponeva le sue idee sull’educazione femminile. Egli vuole la donna istruita in ordine alla sua destinazione, la quale risiede nella prosperità domestica e nei doveri della vita interiore. A lui pare incontestabile, che la prosperità di entrambi i sessi e segnatamente delle donne esige, che esse non aspirino punto all'esercizio dei diritti e delle funzioni politiche. La loro costi- tuzione delicata, le pacifiche inclinazioni, i numerosi doveri della maternità le allontanano costantemente dalle abitudini forti, dai doveri penosi, e le chiamano ad occupazioni dolci, a cure inte- riori. “ Non convertite le compagne della vostra vita in vostre rivali ,. Condorcet fu il ristauratore delle idee pedagogiche di Poullain de la Barre ed il precursore dei moderni promotori dell’eman- cipazione assoluta della donna. Egli proclamò arditamente da- vanti all'Assemblea francese l'eguaglianza de’ due sessi, ricono- scendo eguali in essi le attitudini intellettuali, eguali i diritti ed i doveri, e quindi comune l’istruzione dell’uomo e della donna. Essendochè l'istruzione sta tutta nell’esporre delle verità e svi- lupparne le prove, per ciò stesso egli non sapeva scorgere come la differenza de’'due sessi porti con sè altresì una differenza nella scelta di queste verità e nella maniera di provarle. Dalla co- munanza poi dell'istruzione egli ne arguiva che essa debb'essere data in comune ai fanciulli ed alle fanciulle nelle medesime scuole, e che le donne non vanno escluse dall’insegnamento. Torna necessaria alle donne quest’ eguaglianza d’ istruzione: 1° perchè esse hanno i medesimi diritti dell’uomo; 2° perchè possano sorvegliare l'istruzione dei loro fanciulli in casa; 3° perchè in seno della famiglia non incorrano in una disuguaglianza con- traria alla prosperità domestica; 4° perchè così istrutte sono in grado di conservare agli uomini le cognizioni da essi acquistate nella loro giovinezza. Forse accortosi di essere trascorso tropp’ oltre, Condorcet 912 GIUSEPPE ALLIEVO esce in una riserva. “ Se il compiuto sistema di istruzione co- mune sembrasse troppo esteso per quelle donne, che non sono chiamate a veruna funzione pubblica, si può restringere a’ suoi primi gradi senza però vietare gli altri a quelle, che avranno disposizioni più felici, ed in cui la loro famiglia vorrà coltivarle. Se vi ha qualche professione riservata esclusivamente agli uo- mini, le donne non saranno ammesse all'istruzione particolare corrispondente, ma sarebbe assurdo escluderle da quella istru- zione, che ha per oggetto le professioni, che esse devono eser- citare in concorrenza cogli uomini , (1). Questa non è punto un'eccezione, che, come suol dirsi, confermi la regola, bensì è una riserva, che contraddice al principio stabilito. Giacchè il ricono- scere professioni sociali esclusivamente proprie dell’uomo, val quanto niegare la presupposta eguaglianza de’sessi e la comu- nanza d'istruzione, che ne consegue. Questa teoria di Condorcet pecca di esclusivismo, siccome quella, che guarda soltanto alle facoltà comuni, per cui l’uomo e la donna appartengono amendue alla specie umana, eguali in ciò per natura, e non tiene conto delle doti caratteristiche di esse facoltà in ciascuno de'due sessi. Egli pronuncia, chehanno amendue eguali diritti ed eguali doveri, ma non ha avvertita la differenza grande, che intercede fra i diritti ed i doveri assoluti, i quali sono comuni all'uomo ed alla donna, perchè fondati sulla natura umana, ed i diritti e doveri relativi, i quali variano secondo il sesso, l’età, le condizioni sociali. Similmente dacchè l’istruzione sta tutta nello esporre verità e svilupparne le prove, erronea- mente egli ne arguisce che debba essere la medesima pe’ due sessi malgrado la loro differenza, poichè l'istruzione non va solo riguardata, come egli fece, oggettivamente, ossia in se stessa, bensì anche soggettivamente, ossia rispetto agli alunni, a cui viene amministrata, epperò se sotto il primo aspetto è la me- desima, sotto il secondo si differenzia. (1) Euvres de Condorcet, Paris, 1847, tom. 7, pag. 215 e seg. DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, Ecc. 913 Classificazione delle dottrine relative all'educazione femminile. A conforto di questo breve studio storico critico torna opportuno un accenno ad una classificazione razionale delle di- verse dottrine dei pedagogisti intorno l'educazione della donna, raffrontata con quella dell’uomo. L'uomo e la donna sono due individualità differenti, che appartengono alla medesima specie: su questo principio psicologico abbiamo ragione di fondare una classificazione logica di tutte le dottrine pedagogiche in due grandi categorie; alla prima appartengono tutte quelle teorie, che disconoscono il giusto rapporto psicologico tra l’uomo e la donna; la seconda comprende tutte quelle altre, che più o meno lo riconoscono. Ma il proposto principio può essere disconosciuto in due guise opposte, secondochè 1° si ammette l'eguaglianza assoluta della specie umana sino a negare le differenze indivi- duali proprie di ciascun sesso, oppure si tiene la sentenza af- fatto opposta. Di qui le dottrine della prima categoria vengono a suddividersi in due altre corrispondenti, entrambe estreme ed opposte, la prima delle quali niega alla donna ogni coltura e la rinchiude nel recinto domestico quale una schiava, non una compagna dell’uomo; la seconda la vuole educata come e quanto l’uomo senza divario di sorta. L'altra categoria abbraccia tutte le dottrine intermedie fra queste due estreme, e sebbene tutte concordi nell’ammettere una differenza tra l'educazione maschile e la femminile, non disgiunta da una ragionevole comunanza, tuttavia diversano di grado nel segnare i limiti proprii della coltura della donna. Tenendo l’occhio rivolto a questo prospetto sinottico, riesce agevole il riscontrarvi le molteplici dottrine pe- dagogiche registrate nella storia, segnando a ciascuna il posto suo proprio. Sistemare in ordine logico tutte le teorie riguar- danti l'educazione della donna non basta; occorre pur anco un criterio direttivo per giudicarle e trarne una conclusione defi- nitiva, il quale distinguesi in assoluto od universale, ed in rela- tivo o particolare. Il criterio assoluto è dato dalla scienza, la quale stabilisce che ogni teoria pedagogica è vera, se riconosce 914 FRANCESCO ROSSI tra l’uomo e la donna l'eguaglianza della specie umana, la dif- ferenza dell’individualità personale; falsa nel caso contrario (1). Il criterio relativo è ammannito dalla conoscenza storica delle condizioni sociali de’ tempi e luoghi, in cui versa l’educazione della donna, tantochè ragion vuole che si riconosca e si apprezzi convenientemente nelle teorie de’ pedagogisti di ciascun secolo il colorito rispondente alle condizioni ed alle esigenze sociali del loro tempo. Di un coccio copto del Museo Egizio di Torino con caratteri crittografici ; Nota del Socio FRANCESCO ROSSI. Errare humanum est. Fra 1 cocci copti del Museo egizio di Torino da me pub- blicati negli Atti della nostra Accademia delle Scienze dello scorso anno (2), io segnalava specialmente quello, che portava nel rovescio una breve lettera contenente varii gruppi, che mi parevano nella forma ricordare le invocazioni dei testi gnostici, e furono allora per me indecifrabili. Ma ritornando oggi su questo coccio, mi venne in mente, che i Copti, come gli antichi Egiziani, possedessero una scrit- tura enigmatica o crittografica, che adoperassero talvolta nei loro scritti, e di cui si avrebbe così un esempio nel nostro coccio. E a confermarmi in questa opinione sta anche il fatto, che questi gruppi sono nella lettera seguìti dalle parole: dpi TAUAITIH prreraceere on merupobo (3), fa, di grazia, ricordo di essi nelle tue preghiere (4). Ora dicendo di far ricordo (1) Vedi i miei Studi pedagogici, pag. 306-311. (2) Vol. XXX, pag. 799, con tavola. (3) upobo, come mostrerò più sotto, non è altro che la forma critto- grafica della radice UAHA, preces, oratio. (4) Nella mia prima pubblicazione di questo coccio credetti di dover correggere la forma (non troppo chiara nell'originale) MTETRLEETE, eorum recordatio in TIWMAXLEETE, mea recordatio, perchè io non leggeva in questo testo altro nome che ‘quello di Azaria, l’autore della lettera. DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 915 di essi, doveva l’autore naturalmente alludere alle persone, che egli menzionava nella lettera, ed i cui nomi dovevano natural- mente in essa trovarsi. Mi parve quindi giusto conchiudere, che questi gruppi contenessero i nomi di queste persone, che egli nella sua lettera ricordava al padre in caratteri critto- grafici. Un attento esame di tutti questi gruppi mi convinse, che essi non potevano rappresentare più di quattro nomi espressi coi seguenti segni: 1° gexofw (1). 2° WweHquaAw. 3° empeoez. 4 RORMAN... YAN. Ora primo lavoro a fare era di confrontare fra loro tutti questi gruppi, e segnalare i segni che in essi si ripetevano. Prendendo perciò ad esame il primo gruppo (zexWbw) com- posto di sei lettere, ho trovato, che esso ha per prima lettera un segno (3) che forma la finale del terzo gruppo; la terza x lettera è rappresentata da un segno (x) che si trova come sesta e decima lettera del quarto gruppo; il segno (w), che forma la quarta e la sesta od ultima lettera del gruppo, rap- presenta anche la lettera iniziale e la finale del secondo gruppo. Il secondo e quinto segno infine sono proprii solo a questo gruppo, e non trovansi negli altri, ma dell’ultimo abbiamo già fin d’ora il valore in modo irrefragabile nella parola usoho, con cui termina il testo del coccio, e vedemmo nella sovra citata nota essere la forma crittografica della radice ugAmA. Infatti l’autore della lettera aveva cominciato a scrivere i primi segni. di questo vocabolo con le usuali Jettere dell’alfabeto copto uA; ma tosto si corresse, e soprappose alla lettera una o, che ripetuta, com'è, dopo il segno è, dimostra che la voce ujobo è la trascrizione in caratteri crittografici della ra- (1) Il segno € del gruppo Zexwbo è nell’originale smozzato della parte superiore, onde io nella mia prima pubblicazione lo trascrissi per una dota (1). Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 62 916 FRANCESCO ROSSI dice uAmA, e perciò il segno è, identico a quello che occupa il quinto posto del nostro gruppo, deve necessariamente essere un'eta (KR). Il secondo gruppo (wWeHnAw) si compone di sette segni, che si riscontrano tutti negli altri gruppi. Omettendo il segno w che già notammo nel primo gruppo come rappresentante la quarta e sesta lettera di quel nome; abbiamo per la seconda e terza lettera due segni (@ e H), che trovansi anche nel terzo gruppo, ove la prima (©), che vi è ripetuta tre volte, occupa il primo, quarto e sesto posto; la seconda invece (H) trovasi solo nel secondo posto. Gli altri tre segni (emA) cioè il quarto, il quinto ed il sesto, sono tutti riprodotti nel quarto gruppo, ove il primo rappresenterebbe l'ottava lettera, il secondo la quarta, ed il terzo, che vi è due volte riprodotto, la quinta e nona lettera. Dei sette segni, che compongono il terzo gruppo (oHpeg ez), cinque sono già stati notati negli altri gruppi, ed i due, che ci rimangono ad esaminare, sono proprii solo di questo gruppo, in cui occupano il terzo e quinto posto, e rappresentano, nella forma, le due lettere dell’alfabeto copto ro (p) ed hori (9). Riguardo infine al quarto gruppo debbo innanzi tutto far osservare, come questo nel nostro coccio sia diviso in due parti; la prima, con cui termina la sesta linea del testo, porta ben distinti i seguenti segni: RORMAX. La seconda parte invece, che formava il principio della settima linea, è ora coperta da una larga macchia, onde a stento si distinguono le lettere Ax. Ma prima di queste doveva esservi ancora una lettera, che nello stato attuale del coccio non è più possibile scoprirne le traccie. Riunendo quindi queste due parti noi ricomponiamo il quarto gruppo con dieci segni (R@RMAX :<4AX :), i quali, ad eccezione del primo e terzo fra loro identici, e del settimo, che più non si scorge nel coccio, si riscontrano tutti negli altri gruppi. Ciò fatto e posto fuori di dubbio, che questi gruppi con- tengono nomi di persone, mi feci a ricercare fra i nomi copti quelli, che per numero e disposizione delle lettere meglio si potessero coi nostri conciliare. In questa ricerca il gruppo, che DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 917 più di tutti doveva facilitarmi la via è il terzo, perchè, come notammo, ha il carattere speciale di ripetere tre volte lo stesso segno, rappresentando esso la prima, la quarta e la sesta let- tera del gruppo; e perciò da questo cominciai i confronti. Ora fra i nomi di persona, che incontransi frequentemente nelle antiche iscrizioni copte, vi è quello di aftpagaree, che come il nostro gruppo, si compone di sette segni, ed ha per prima, quarta e sesta lettera la vocale a. Se di più si aggiunga che i due segni rappresentanti le lettere ro (p) ed hori (9), che vedemmo essere proprii solo a questo gruppo, vi occupano lo stesso posto, che queste due lettere hanno nel nome di abpaoase, possiamo senza alcuna esitanza affermare, che il nostro gruppo è la forma crittografica del nome di Abramo. La presenza poi delle lettere p e o col loro valore reale in questo gruppo dimostra, che era lecito agli scribi copti di intercalare nei testi crittografici alcune lettere del loro alfabeto senza cangiarne il valore. Dallo studio quindi del terzo gruppo noi veniamo già a stabilire con certezza il valore dei tre segni crittografici @ = a, H = f, 3 = ae, ai quali dobbiamo aggiungere il segno è = K, datoci dalla radice usAXHA, che dimostrammo essere la trascri- zione del gruppo crittografico usobo. Ora di questi segni così decifrati, due si trovano nel primo gruppo (zexwWbw), ove occupano il primo ed il quinto posto, e rappresentano quello la lettera ee, questo la lettera KH; e siccome quest’ultima è posta fra due segni perfettamente identici, ne viene, che il nome a cui ha da corrispondere il nostro gruppo, deve avere per quarto e sesto segno la stessa lettera. Ora il nome, che trovasi appunto in. queste condizioni è quello di Mosè, che nel copto componesi, come questo gruppo di sei lettere (aewrcHe), nome che comincia colla lettera so, e termina colla gw rinchiusa fra due c. Epperò, se ci siamo bene apposti, avremo pel secondo segno del gruppo la vocale w, pel terzo la vocale +, e pel quarto e sesto la consonante ec, Ma mentre il segno ec = + trovasi solamente in questo gruppo, i segni x = © W=c si riscontrano pure negli altri, e se 918 FRANCESCO ROSSI anche in questi conservano lo stesso valore, noi avremo una nuova prova per asserire che il primo gruppo è la forma crit- tografica del nome di Mosè. Venendo perciò a studiare il secondo gruppo, troviamo, che questo (WmeHquàw), composto di sette lettere, comincia e termina con lo stesso segno che identificammo testè colla lettera e. Conoscendo già dal nome afpaoase che il secondo e terzo segno rappresentano le lettere a e f, noi dobbiamo cercare il nome che gli corrisponda fra quelli, che composti di sette lettere, comincino colla sillaba caf ed abbiano per let- tera finale una c. Ora mi corse tosto alla mente il nome di Sabino (cabittoc), menzionato nei miei papiri copti (1) come autore di una Esegesi sulla nascita del nostro Divin Salvatore, e vescovo di Schmin, la Panopoli dei Greci. Dall’identificazione quindi del secondo gruppo con questo nome noi veniamo a ri- conoscere, che il quinto segno (m) non ha un valore crittogra- fico, ma rappresenta la semplice lettera dell’alfabeto w, mesco- lata qui con segni crittografici, fra i quali sono invece a porsi il quarto ed il sesto, ove il primo sta per la lettera (y) cioè tota, ed il secondo per la lettera omicron (0), e tutti e tre questi segni si trovano con lo stesso valore nel quarto gruppo. In quest’ ultimo gruppo poi (ReRmAXx...j4AXx) abbiamo veduto che sette dei suoi segni si trovavano nei precedenti gruppi, onde ne conosciamo adesso il valore; ma per gli altri, che sono proprii solamente a questo gruppo, esso ci sfugge, e solo sappiamo che il primo e terzo segno devono rappresentare la medesima lettera. Ora l’ignoranza del valore del segno, con cui cominciava il gruppo, avrebbemi resa ben difficile la ricerca del nome copto che gli corrispondesse, se non mi fosse venuta in aiuto la bella raccolta dei nomi di persone egiziani fatta dal Parthey. In questo lavoro avendo io trovato alla pag. 74 il nome copto nammorte (ò toÙ 0eod) a lato alla forma greca Ttagvoutiog, ne conchiusi tosto, che il segno, che ora manca nel coccio, doveva rappresentare la lettera tav (T) e non poter essere altro che la forma crittografica della lettera pi (m) i due segni identici, che occupano il primo e terzo posto del (1) I papiri copti del Museo Egizio di Torino, vol. II, fasc. IV ed ultimo, pag. 4. DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 919 gruppo, cosicchè avremo colla sua trascrizione il nome copto MATTMOTTIOT. Raccogliendo quindi insieme tutti i segni crittografici del testo, noi avremo la seguente tavola di paragone: Onde il nostro testo dovrà essere così trascritto: TAAC ALHAIWT YPance oImit agaprac mMeuApe, seoTcHE, cabitoc, afpaoase, MAIMOTTIO®, Api TAUANH prrerareere OM MEeRWAHA; e la sua traduzione letterale sarà: date questo (la lettera) al padre mio, Frange da parte di Azaria suo figlio. Mosè, Sabino, Abramo, Papnouzio. Fa, di grazia, ricordo di essi nelle tue preghiere. La prima parte di questo nostro testo contiene l’indirizzo della lettera scritta nel diritto del coccio, e viene in conferma dell'opinione espressa dal Prof. L. Stern (1) che la parola Taac fosse usata nelle lettere a segnarne l'indirizzo. L'autore poi della lettera aggiunse ancora nel suo indirizzo i nomi, in caratteri crittografici, di quattro persone, amiche probabilmente del padre, raccomandandole alle sue preghiere. Il testo infine è chiuso da un segno (JE), che ho più volte trovato nei miei papiri copti, ora in testa, ora al piede delle pagine, come segno di benedizione, e che io opino essere la sigla della voce greca otavpés, formata dalla riunione di tutte le sue consonanti nel seguente ordine ete. Ora questa sigla, posta dall’autore in principio del primo testo, nel diritto del coccio, e ripetuta, nel rovescio, alla fine del secondo testo, dimostra che essi devono riferirsi ad una sola e stessa lettera. (1) V. € Zeitschrift fiirr Aegyptische Sprache und Alterthumskunde ,, XVI Jahrgang, 1878, Seite 9. Sahidische Inschriften von Ludw. Stern. ——--— sore) 920 LUIGI. VALMAGGI Del luogo della così detta prima battaglia di Bedriaco; Nota del prof. LUIGI VALMAGGI. È ammesso generalmente che la grande battaglia combat- tuta nell’aprile del 69 tra gli Otoniani e i Vitelliani, ossia quella che si suol chiamare, benchè non in tutto propriamente, la prima battaglia di Bedriaco, sia seguìta a sei miglia romane a occidente di Cremona, sul confluente dell’ Adda col Po, quindi non lungi dall'attuale Castelnuovo Bocca d’Adda. Ma poi che nè in Plutarco, nè in Svetonio, nè in alcun’altra parte è accen- nato il punto preciso in cui avvenne la battaglia, siffatta opi- nione si fonda esclusivamente sull’ attestazione di Tacito, nel passo del capitolo 40 del II libro delle Historiae, che nel codice Mediceo e in tutte le edizioni (prescindendo dalla correzione Adduae per Aduae provosta dal Puteolano e accolta da parecchi editori fra i men recenti) suona così: “ Non ut ad pugnam sed ad bellandum profecti , (lo scrittore parla dell’esercito Oto- niano) “ confluentes Padi et Aduae fluminum sedecim inde milium spatio distantes petebant ,. E come con queste parole appunto è designato da Tacito il teatro del combattimento, così parve doversene desumere che la battaglia accadde, secondo dicemmo, sul confluente dei due fiumi. Qualche dubbio tuttavia il passo citato delle Historiae l’ha sollevato già in addietro (1); e invero (1) Il ManvneRT ad esempio aveva sostituito Ollii ad Aduae, leggendo Padi et Ollii, e il Nrererpey espunse addirittura l’inciso, notando che “ flumina praeter Padum sunt amnis Caneta et rivi complures prope Cremonam Orien- tem versus in Padum influentes ,. Ma non a torto osservò il Meiser nella nuova edizione Orelliana non essere probabile “ Tacitum confluentes flumi- num scripsisse neque nominasse flumina ,. Del resto le incertezze e difficoltà varie del passo, anche rispetto alla quistione delle distanze di cui noi ci occuperemo più innanzi, hanno dato luogo già a più discussioni e indagini erudite, come quelle del Krauss (De vitarum imper. Oth. fide quaestiones, DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 921 che non abbia potuto essere quello il teatro del combattimento è dimostrato irrefragabilmente da due ordini di ragioni, da ra- gioni strategiche cioè e ad un tempo da ragioni storiche e filo- logiche. Vediamo anzitutto le prime, e cominciamo a ricordare, per maggior chiarezza e per intenderci, le posizioni rispettivamente occupate dai due eserciti. Fallito il disegno di chiudere ai Vi- telliani gli sbocchi delle Alpi (1), Otone ha portato la base della difesa sulla linea del Po (2), lungo la quale nel mo- mento che immediatamente precede la battaglia (di altre mosse e dislocazioni anteriori qui non accade ci occupiamo) il suo eser- cito si trova scaglionato in una specie di semicerchio, che da Piacenza, tenuta fortemente da Vestricio Spurinna con un buon nerbo di truppe (3), si svolge sulla destra del fiume sino a Brescello (4), per risalire poi sulla sinistra a Bedriaco, ov'è con Annio Gallo, con Svetonio Paolino e con Mario Celso il grosso delle forze Otoniane (5), comandate in titolo dal fratello stesso Zweibriicken, 1880, p. 46 sgg.), del Punt (De Oth. et Vit. imper. quaestiones, Halle, 1883, p. 16 sgg.), del Lezius (De Plut. in Galba et Othone fontt., Dorpat, 1884, p. 138 sgg.), del KuntzE (Beitr. zur Gesch. des Otho-Vitellius- Krieges, Karlsruhe, 1885, p. 13 sgg.), e principalmente del Momwmsen (Die zwei Schlachten von Betriacum in I. 69 in Herm., V, 161 sgg.) e del Ger- STENECKER (Der Krieg des Otho u. Vitellius in Italien im I. 69, Miinchen, 1882, p. 30 sgg.), senza tuttavia venire a una conchiusione definitiva. (1) Tac., Hist., II, 11. Non cito, sempre quando non ci sia luogo a discrepanze che importi avvertire, i passi corrispondenti di Plutarco, poi che entrambi gli scrittori rappresentano la medesima fonte comune; e d’altra parte chi voglia i riscontri può trovarli allegati minutamente nel recente libro del Fasra su Les sources de Tac. dans les Hist. et les Ann., Parigi, 1893, pp. 49 sgg. (2) Tac., Hist., II, 11: cfr. in II, 32 il passo del discorso di Svetonio Paolino relativo appunto all'importanza strategica della linea del Po: “ obiacere flumen Padum, tutas viris murisque urbes, e quibus nullam hosti cessuram Placentiae defensione exploratum ,. (3) Tac., Hist., II, i8; 86. (4) Conforme alla decisione presa nel consiglio di guerra che precedette di poco la battaglia (Tac., Mist., II, 32-33; PLur., Otà., 5 e 8), a Brescello si ritirò Otone stesso con una “ praetoriarum cohortium et speculatorum equi- tumque valida manus , affinchè “ dubiis proeliorum exemptus summae rerum et imperii se ipsum reservaret , (Hist., II, 33). (5) Tac., Hist., II, 23; 39. 922 LUIGI VALMAGGI di Otone L. Tiziano (1), di fatto dal prefetto del pretorio Li- cinio Procolo (2). Ancora sulla destra del Po (importa avver- tirlo, perchè, come vedremo, è particolare di grande valore per ricostruire il teatro della battaglia), ancora, dico, sulla destra del Po, ad oriente di Cremona e a poca distanza da essa (3), si trovano i 2000 gladiatori Otoniani (4) agli ordini di M. Marcio Macro (5) e in seguito di T. Flavio Sabino (6). Dei Vitelliani, il corpo di Cecina, assalita senza frutto Piacenza (7), ha ripas- sato il Po occupando Cremona (8), dove è stato raggiunto dal corpo di Valente (9); e l’azione dei due corpi riuniti a Cremona s'è cominciata a spiegare con la costruzione di un ponte di barche sul Po “ adversus oppositam gladiatorum manum (10) ,, accennando a puntare sulla riva destra (11), la quale è, come dicemmo, la direttrice strategica della difesa Otoniana. Queste sono le posizioni rispettive degli eserciti nemici, al- lorchè si inizia per parte degli Otoniani l’azione risolutiva che mette capo alla battaglia di Bedriaco, o piuttosto, con mag- giore esattezza, di Cremona. Il corpo Otoniano concentrato a Bedriaco e costituito (a giudicarne almeno dalle foùze che si (1) Tac., Hist., II, 23 in fine; 39. (2) Ib., 39. (3) Tac., ‘Hist., II, 23; 34; 35. (4) TacoHist, I, 1 (5), Tao., (Hist.,_ II, 23; 35;._36. (6) Tac., Hist., II, 36. (7) Tac., Hist., II, 20-22. (8) Ib., 22. Come fu avvertito dal TruLemonr (Mist. des emper., I, 621, n. 4), dal Momwsen (Herm., V, 162) e più recentemente dal Fara (op. cit., p. 55, n. 2) non si tratta di una marcia offensiva su Cremona, secondo par- rebbe dal racconto di Plutarco (Otà., 7), ma bensì di una ritirata, perchè Cremona era già in potere dei Vitelliani. (9) Tac., Hist., II, 31. (10) Tac., Hist., II, 34. (11) “ Quieti intentique Caecina ac Valens, quando hostis imprudentia rueret, quod loco sapientiae est, alienam stultitiam opperiebantur, inchoato ponte transitum Padi simulantes , (Tac., Hist., II, 34). Questa operazione anzi provocò un combattimento sul Po tra i Vitelliani e i gladiatori, nel quale i gladiatori ebbero la peggio (MHist., II, 35); ma nè di esso nè dello scontro di Castoro (Hist., II, 24 sgg.) anteriore alla congiunzione dei due corpi di Valente e di Cecina a noi non occorre occuparci. DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 923 trovarono al combattimento) dalla legione I Adiutrix, dalla XII Gemina, da un distaccamento della XIV Gemina Martia Victrix e da una parte dei pretoriani (1), muove il campo contro il nemico (2) e per la via Postumia in due tappe (3) viene a dar battaglia, secondo il racconto tradizionale, a occidente di Cre- mona sul confluente dell'Adda col Po. Per raggiungere il qual punto all'esercito Otoniano sarebbe stato mestieri sfilare di fianco sulla sottile striscia di terra che separa Cremona dal Po; il che è strategicamente un assurdo. È un assurdo anzitutto, perchè cacciarsi tra il Po e Cremona, base d’operazione dei Vitelliani, equivaleva ad esporsi scientemente a un macello disastroso e irreparabile; è un assurdo ancora perchè in ogni caso con una mossa siffatta gli Otoniani si sarebbero chiusi da sè le retrovie, e tagliata la ritirata, che per contro si fece appunto a Be- driaco (4); è un assurdo infine perchè la stretta tra Cremona e il Po era occupata già dai Vitelliani (n'è prova a tacer d’altro la costruzione del ponte sul Po di sopra ricordata) e non si poteva tentare di oltrepassarla senza dar di cozzo nelle schiere di Cecina e di Valente, ch'è quanto dire che l’urto doveva ac- cadere davanti a Cremona e non mai alle sue spalle sul con- fluente dell'Adda col Po. Alla stessa conchiusione si giunge considerando la quistione dal lato puramente storico e filologico. E valga il vero. La di- stanza tra Bedriaco e Cremona era di 20 miglia romane se- condo Pompeo Planta (5), di 22 miglia secondo la Tavola Peu- tingeriana (6). Tra Cremona e il confluente dell’ Adda col Po (1) Tac.., Hist., II, 43. (2) È l’espressione di Plutarco, Ot4., 11: Mevouévwyv dè TodTWwY KaÌ Tv èv BnTtpiak® oTpatiwWTÒWV TOÒ "O0wyvog èk@epouévwyv ueT’ òpyfig ÈTì tùv udyxnv Tponyayev aùdtoùg 6 TTpok\og ék Tod BnTprakod. (3) Entrambe sono accennate esplicitamente da Tacrro(Hist., II, 39-40) e da PLurarco (Otà., 11), benchè, come vedremo or ora, con qualche variante rispetto alla lunghezza relativa dell’una e dell’altra. (4) Tao., Hist; IL 44: (5) Scol. di Grov., 2, 99: “ Horum bellum scripsit Cornelius, scripsit et Pompeius Planta, qui ait Bebriacum vicum esse a Cremona vicesimo lapide ,. (6) “ Cremona — M. P. xxrr — Bedriaco — M. P. xL — Hostilia , secondo la felice emendazione del Momwmsen (Herm., V, 163, n. 3). Plutarco pone 924 LUIGI VALMAGGI intercedeva a sua volta, come s'è già notato in principio, uno spazio di altre sei miglia; sicchè da Bedriaco alla foce dell'Adda gli Otoniani avrebbero dovuto percorrere in tutto 28 o 26 miglia almeno. Orbene Tacito non ne fa percorrer loro che quattro nella prima tappa (1), e sedici nella seconda (2), che dànno un totale di venti miglia: il qual percorso si accorcia ancora di qualche po’ in Plutarco (3), assegnando egli cinquanta stadi alla prima tappa e alla seconda cento, e la somma che ne risulta di cencinquanta stadì non corrisponde che a diciotto miglia ro- mane. Anche il computo delle distanze conferma adunque che il teatro della battaglia non potè essere a occidente di Cremona presso l’Adda, ma sì fu tra Bedriaco e Cremona a qualche di- stanza da questa città. A quale distanza più precisamente? Non è difficile deter- minarlo se si pon mente a un particolare, già avvertito da altri in proposito (4), pur senza trarne il partito che si poteva. Nel consiglio dei generali Otoniani che precedette immediatamente il combattimento Celso e Paolino fanno osservare non essere opportuno “ militem itinere fessum, sarcinis gravem obicere hosti non omissuro quo minus expeditus et vix quattuor milia passuum progressus aut incompositos in agmine aut dispersos et vallum molientes adgrederetur (5) ,. Gli Otoniani si arrestarono dunque a quattro miglia da Cremona, e come il combattimento s'impegnò precisamente in questo punto (ciò risulta da tutto il contesto della narrazione tanto di Tacito quanto di Plutarco), semplicemente Bedriaco mAnciov Kpeubvns (0th., 8): del resto intorno alla precisa ubicazione del luogo, a non parlare delle fantasie dell’Aporti (Mem. di st. eccles. Cremon., Cremona, 1835, p. 19), di G. B. FerrarI (Bebriaco an- tico villaggio traspadano restituito alla geografia, Brescia, 1876), di L. Lucca (Bedriaco illustrato dai suoi scavi archeologici, Casalmaggiore, 1878), e di più altri men recenti, v. le osservazioni del Momvwsen stesso in CIL. V, p. 411. (1) Hist., II, 39: “ Promoveri ad quartum a Bedriaco castra placuit ,. (2) Hist., II, 40: “ confluentes Padi et *Aduae fluminum sedecim inde milium spatio distantes petebant ,. (3) Oth., 11: èrrì TÙàv udxnv mponrarev aùtode 6 TTpokXoc èk Tod Bntpia- Koù, Kai KaTECTpatoTEdevoEv dò TmevitMmKovta oTAadiwv... Tf dÈé dotepaig Bou- Abuevov Tpodyerv èmì ToÙùs moXeuiouc édòv oùk éidTtova oTadiwv ÉKatòv oi Tepì tòv TlavXîvov oÙK elwv k. T. À. (4) Fazia, op. cit., p. 69, n. 1. (5) Tac., Hist., II, 40. DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 925 così ne segue che il terreno della battaglia fu a quattro miglia romane a levante di Cremona, le quali sommate con le diciotto che Plutarco ha fatto percorrere agli Otoniani nella loro marcia étì Ttoùg moXepioug, dànno il totale di ventidue miglia: quante n'erano appunto tra Bedriaco e Cremona secondo le indicazioni della Tavola Peutingeriana. Ciò posto vediamo se non ci riesce di venire a qualche con- chiusione definitiva rispetto al passo di Tacito allegato in prin- cipio, è più particolarmente rispetto alle parole confluentes Padi et Aduae fluminum... petebant, che sole furono la fonte, come notammo, di tutti i dubbi e di tutti gli errori relativi alla così detta prima battaglia di Bedriaco. Indizì e dati sufficienti da riconoscere e ricostruire il teatro della battaglia non mancano in Plutarco e soprattutto in Tacito. Da entrambi sappiamo intanto ‘che essa si svolse su un terreno poco propizio all’azione tat- tica, perchè disuguale e tutto intralciato qua d’alberi e vi- gneti (1), là di fossi e canali (2), sicchè venne anche a man- care il necessario contatto tra i varì reparti combattenti (3). Siffatte condizioni quadrerebbero già per loro stesse assai bene alla natura del terreno giacente tra il Po e il percorso dell’an- tica via Postumia; ma che la linea di battaglia siasi precisa- mente sviluppata tra questi due estremi è detto esplicitamente da Tacito con l’accennare alle legioni “ inter Padum viamque patenti campo congressae , (4), e d’altra parte appare mani- festo da tutti i particolari del combattimento. Importante è in proposito specialmente la descrizione di Tacito, e più piena e compiuta che quella di Plutarco (5), seguendo per ordine lo svolgersi dell’azione dall’estrema destra Otoniana sulla via Po- stumia sino all'estrema sinistra sul Po (6). Tacito infatti, ap- (1) Tac., Hist., II, 41; 42: cfr. anche 24 e 25. (2) Prur., Oth., 12: cfr. Tac., Hist., II, 41 e Fasra, op. cit., p. 71. (3) Tac., Hist., II, 42: “ Othoniani, quamquam. dispersi... proelium acriter sumpsere ,; e Prur., Oth., 12: MvarkdaZovto qupdnv kai xatà puépn mo\\àù cuumtiékeodai Toîc èvavtiore. (4) Hist., II, 43. (5) V. il raffronto particolareggiato delle due narrazioni in FABIA, op. cit., p. 70 sgg. (6) Questo contraddice alla comune opinione, che pone il centro della linea di combattimento sulla via Postumia. Ma d’altra parte se tra il Po 926 LUIGI VALMAGGI . pena finiti di discorrere gli antecedenti immediati della bat- taglia (1), comincia con esporre in breve le condizioni e vicende della mischia sulla via Postumia e intorno ad essa (2), poi passa alle legioni combattenti in campo aperto tra la via e il Po (inter Padum viamque patenti campo: son le parole testuali di Tacito, già citate dianzi), cioè di Otone la I Adiutrix che ha di fronte la XXI Rapax Vitelliana e “ a parte alia , la XIII Gemina e un distaccamento della XIV Gemina Martia Victrix Otoniane alle prese con la V Alaudae dei Vitelliani (3); e infine scende presso al Po, dove i gladiatori Otoniani, che hanno passato il fiume, sono tagliati a pezzi dai Batavi di Al- feno Varo e da altre coorti ausiliari (4). Ciascun di questi par- ticolari è confermato, benchè in breve, dal racconto di Plu- tarco (5); e tutti mostrano chiaramente che la battaglia non è avvenuta punto sulla via Postumia, secondo si crede comune- mente, ma bensì s'è sviluppata sur una linea assai estesa e per la natura del terreno frastagliata e spezzata da varî intervalli tra la via e il Po. Ora la distanza che separa questa linea da Cremona ci è nota per uno dei suoi estremi: essa è, come vedemmo, di quattro miglia romane ossia di sei chilometri circa a levante di Cre- mona sulla via Postumia. Resta perciò a determinare l’estremo opposto sul Po; e movendo verso il fiume dal punto testè detto della via Postumia ci veniamo a trovare, secondo si scorge dallo e la via erano due legioni e il distaccamento d’una terza, cioè il maggior nerbo delle forze Otoniane, non s'intende quali altre truppe avrebbero do- vuto formare oltre al supposto centro ancora l’ala destra. Dei pretoriani la forza effettiva normale era a un dipresso quella di una legione soltanto (Momxsen-GirArRD, Dr. publ. rom., p. 139), di poco accresciuta nel tempo cui si riferiscono gli avvenimenti dei quali discorriamo dall’aggiunta di tre nuove coorti instituite da Claudio o da Caligola (Mowmxsen, Herm., XIV, 34; Marquarpt-BrissauD, Organ. milit., p. 201, n. 4); e non si dimentichi che di essi una buona parte si trovava come vedemmo in riserva a Brescello con Otone. (1) II, 41-42. (2) II, 42. (3) II, 43. (4) II, 43. (5) Oth., 12. DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 927 schizzo qui unito, rimpetto alla foce dell’Arda, che è in quel tratto uno dei principali affluenti di destra del Po (1), sicchè Cremona Via Postumia di 1 a 150000 è lecito conchiudere che uno scrittore il quale avesse voluto designare il luogo della battaglia rispetto al Po, avrebbe do- (1) Veramente l’Arda non mette foce da solo nel Po, ma sì nell'ultimo brevissimo tratto confonde le sue acque con quelle del torrentello Ongina, come appar dallo schizzo. Sennonchè questo è particolare insignificante; ed è ovvio anzi che volendo indicare quel punto preciso del Po lo scrittore adducesse il nome dell’affuente maggiore, non d’un torrentello a tutti sco- nosciuto. Più grave difficoltà contro le nostre deduzioni potrebb'essere il dubbio, manifestato da parecchi (vedine l’enumerazione in A. ParazzI, Origini e vicende di Viadana e suo distretto, Viadana, 1893, p. 10), che il corso an- tico del Po fosse diverso dal presente, e propriamente più a monte di questo. Ma è dubbio infondato, come con ragioni idrauliche e storiche ha provato il Parazzi nell’opera testè citata, dimostrando che se qualche mu- tamento d’alveo ci fosse potuto essere, esso sarebbe stato in ogni caso nella direzione opposta a quella che altri hanno creduto, cioè non verso mezzogiorno ma verso settentrione. 928 LUIGI VALMAGGI vuto dire ch’'essa accadde sulla riva del fiume dinanzi o presso al confluente dell’ Arda col Po. Ed è appunto ciò che Tacito dice nel passo controverso del capitolo quarantesimo del se- condo libro, quando all’ Aduae del codice Mediceo e delle edi- zioni, che non ha senso, si sostituisca nel testo il nome Arda (1), leggendo: confluentes Padi et Ardae fluminum sedecim inde milium spatio distantes petebant. Appena occorre avvertire che l'affinità grafica delle parole Arda e Adua è tale da legittimar piena- mente pur dal lato diplomatico la correzione, 0, meglio, resti- tuzione. Giacchè escluso (come pare da escludere alla prima per il troppo grossolano errore che ne deriva) che la confusione dei due nomi possa risalire a Tacito stesso o, tanto meno, alla sua fonte, massime se questa è, come sembra, Plinio il vecchio (2), resta che nel codice Mediceo la falsa lezione è forse nata non da uno sbaglio materiale del copista, ma dal suo desiderio di emendare un nome, che nella copia che aveva dinanzi gli riusciva probabilmente incomprensibile, e di cui potrebb'essere una traccia la variante Agde (con essa siamo proprio vicinissimi al nostro Ardae) dell'edizione principe e l’Agele (corretto d’ altra mano con Adduae) del codice Vaticano allegato da Giusto Lipsio (8). Checchè sia di ciò, ancora è d’uopo notare che con la nostra correzione si spiega assai plausibilmente quella divergenza nel computo delle distanze che sopra abbiamo avvertito fra Tacito e Plutarco, e che pur per parte sua è stata cagione d’incer- tezze e controversie non poche (4). . Infatti lo ‘spazio di venti , (1) È il nome attuale dell’affluente; e non essendocene altro documento che il presente di Tacito (l'’Arda dell’Hist. Aug., Heliog. 7 è un fiume della Tracia), potrebbe sorgere il sospetto, poco ragionevole del resto, che la forma latina del nome fosse diversa. Certo, ripeto, documenti antichi non v’hanno; ma in mancanza di questi debbono pure aver qualche. valore i do- ; cumenti basso-latini e medievali, quali ci sono offerti ad esempio in cronache Piacentine del sec. XIII, contenenti in più luoghi il nome Arda (Chron. tria Placent. a I. Codagnello, ab anonymo et a Guerino conscripta, Parma, 1859, pp. 45; 104; 383; 392). (2) È la tesi appunto sostenuta dal Fabia col corredo di molte e buone prove nell'opera da noi citata più volte. (3) Anche il Lipsio s’acconciava alla lezione già divenuta tradizionale al suo tempo appunto per riuscirgli © Agela ignotum flumen ,, onde gli . pareva da conchiudere “ vulgatam esse veram ,. (4) V. principalmente il Momxsen, Herm., V, 166 sgg.; il GERSTENECKER, SUL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 929 miglia romane (quattro nella prima tappa e sedici nella seconda) che Tacito fa percorrere agli Otoniani da Bedriaco al campo di battaglia supera di due miglia quello di diciotto ch'è indi- cato da Plutarco (sei nella prima tappa e dodici nella seconda), e che sommato con le quattro miglia intercedenti sulla via Po- stumia tra Cremona e il luogo dove si fermarono gli Otoniani concorda esattamente, come s’è veduto, con la distanza posta tra Bedriaco e Cremona dalla Tavola Peutingeriana. Sulla qual distanza ancora crescerebbero le due miglia offerte in più da Tacito. Sennonchè mentre Plutarco accenna semplicemente alla marcia che si doveva compiere lungo la via Postumia verso Cremona (1), Tacito per contro dà la misura rispetto al punto ov'è il confluente dell’Arda col Po (confluentes... fluminum se- decim inde milium spatio distantes), che dista da Cremona di circa nove chilometri, ossia di sei miglia romane, ch'è quanto dire di due miglia più che il punto corrispondente della via Postumia, al quale si riferisce invece l’indicazione di Plutarco. Sicchè, prescindendo dalla lieve discrepanza relativa al luogo della prima tappa, le misure complessive offerte dai due autori tornano in sostanza ad un medesimo. - E per ridurre ai loro capisaldi le osservazioni sin qui fatte, parmi Ie conchiusioni ne debbano essere queste: 1) In Tacito Hist. II, 40 in luogo della lezione Aduae del cod. Mediceo e delle edd. è d’uopo restituire il nome Ardae. 2) La battaglia di Cremona, o prima . battaglia di Be- driaco, come comunemente si suol chiamare, seguì non a occi- dente ma a oriente di Cremona lungo una linea compresa tra la via Postumia e il Po rimpetto alla foce dell’Arda; la qual linea distava da Cremona di quattro miglia romane sulla via Postumia e di sei all'estremo opposto sul Po. 3) Nella fonte comune di Tacito e di Plutarco l’indica- zione delle varie distanze era verosimilmente più particolareg- op. cit., p. 80 sgg., e altri allegati dal Fara, l. cit., p. 68, n. 1. Dei com- mentatori di Tacito nessuno se n’è occupato; neanche il Merser nella nuova edizione Orelliana [1886], ch'è pure il più ricco d’osservazioni sulle diffi- coltà di tutto il passo di Tacito, tuttavia non tocca di questo particolare. (1) Ti dé dotepaia BovAibuevov mpodyerv Èmi ToÙg Toreuioug 6dòv oùk é\drtova oTadiwv ÉKatòv oi mepì tòv TTauXîvov oùk eiwv k. T. À. 930. L. VALMAGGI — SUL LUOGO DELLA BATTAGLIA DI BEDRIACO giata e compiuta che in entrambi questi autori, i quali non la riprodussero che parzialmente desumendone l’uno una misura e l’altro una misura diversa, se pure non vuol credersi che la fonte desse esclusivamente la distanza tra Bedriaco e il Po, e che Plutarco abbia ricavato la sua più breve sottraendo sem- plicemente lo spazio di quattro miglia accennato nel consiglio dei generali prima della battaglia da quello totale intercedente tra Bedriaco e Cremona. 4) Gli Otoniani puntarono sul Po per congiungersi even- tualmente con le forze della riva destra (1); il che in parte avvenne col passaggio dei gladiatori che formarono l’estrema sinistra della linea Otoniana di combattimento. (1) Cfr. Tac., Hist., II, 39: “ plerique copias trans Padum agentes ac- ciri postulabant ,. L’ Accademico Segretario Ermanno FERRERO. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 10 al 31 Maggio 1896. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, * Annales de l’Université de Lyon. La botanique è Lyon avant la révo- lution..... par M. Gérard. Paris, 1896; 8°. * Annales des Mines. 9° série, t. IX, livr. 8®©, Paris, 1896. * Annali della R. Accad. d’Agricoltura di Torino, vol. 38°. Torino, 1896; 8°. Annual Report of the Trustees of the Association. New York, 1896; 8°. * Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXVI, fasc. 1°. Milano, 1896; 8°. * Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLVIII, sess. VII del 23 giugno 1895. Roma, 1895; 4°. Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino. A. XXIX, 1895. Torino, 1895; 4°. * Atti e Rendiconti dell’Acc. Medico-chir. di Perugia; vol. VIII, f. 1° e 2°. 1896; 8°. * Berichte iber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig. Mathem.-Phys. Classe. 1896, I. Leipzig; 8°. * Bulletin de la Société belge de microscopie. XXII° année, 1895-96, n. V-VII. Bruxelles, 1896; 8°. * Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XXIX, n. 2. Cambridge, 1896; 8°. * Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 4. Bologna, 1896; 8°. * Ceské Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, slovesnost a Umòni. Bulletin international. Résumé des travaux présentés. Classe des sciences mathématiques et naturelles. Rozpravy. Trida II (Mathematiko-Prirodnicka). Rotnik IV. Praze, 1895; 8°. ** Fortschritte der Physik im Jahre 1894, Bd. L, 2 Abth. Braunschweig, 1896; 8°. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 63 * 932 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Journal of the R. Microscopical Society, 1896, part 2. London, 1896; 8°. Magnetische und Meteorologische Beobachtungen an der k. k. Sternwarte zu Prag im Jahre 1895. Prag, 1896; 4°. * Memorias y Revista de la Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. T. IX (1895-96). N. 1-6. Mexico, 1896; 8°. * Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. Mathematisch-physik. Klasse, 1896, Heft 1. Geschiftliche Mittheilungen, Heft 1. Gottingen, 1896; 8°. Observations méridiennes de la planète Mars pendant l’opposition de 1892. Lisbonne, 1895 (dal R. Osservatorio astronomico di Lisbona). * Ofversigt of Kongl. Vetenskaps Akademiens Fòrhandlingar. Vol. 52, 1895. Stockholm, 1896; 8°. Preisschriften gekrint und herausgegeben von der Fiirstlich Jablonow- ski’schen Gesellschaft zu Leipzig. Nr. XII der mathematisch-naturwissen- schaftlichen Section. Leipzig, 1895; 8°. * Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. IX, p. 2, 1896. * Quarterly Journal of Geolog. Society. LII, Part 2, n. 206. London, 1896; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX, fasc. IX. Milano, 1896; 8°. * Rendiconto dell’Accademia di Scienze fisiche e matematiche. Serie 32, vol. II, fasc. 4°. Napoli, 1896; 8°. * Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. IV. Modena, 1896; 8°. * Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 4, 5, 1896. Wien, 1896; 8°. ** Carraro (A.). Indice generale dei lavori pubblicati dall’anno accademico 1840-41 di fondazione, al 1893-94 nei volumi del R. Istituto Veneto di Scienze, lettere ed arti. Venezia, 1896, 2 vol.; 8°. ** Caverni (R.). Storia del metodo sperimentale in Italia. Tomo IV. Firenze, 1895; 8°. Cinelli (M.). Sopra la diffrazione della luce per aperture praticate sopra superfici curve. Pisa, 1895; 8° (dall’A.). — Sul massimo di densità di alcune soluzioni acquose e sull’azione del corpo disciolto sulle proprietà del solvente. Pisa, 1896; 8° (Id.). Hopkinson (J.) and Wilson (E.). Alternate current dynamo-electric machines. London, 1896; 4° (dall’A. sig. Hopkinson). Lassana (S.). Sul calore specifico dei gas. Pisa, 1896; 8° (dall’A.). Lussana (S.) e Cinelli (M.). Comunicazione sulla propagazione dei raggi Réontgen. Siena, 1896; 8° (Id.). Smith (C. M.). Madras Observatory daily Meteorological Means. Madras, 1896; 4° (Id.). ** Weierstrass (K.). Mathematische Werke. II Bd. Abth. II. Berlin, 1895; 4°. A _ PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 933 Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne. Dal 17 Maggio al 14 Giugno 1896. * Abhandlungen der kònigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen, Historisch.-Philologische Klasse, N. F. Bd. I, n. 3. Gottingen, 1895; 4°. * Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 4. Leipzig, 1896; 8°. *"Annales de l’Université de Lyon. XXII. Paris, 1896; 8°. * Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. IX, liv. IV; X, liv. I. Bruxelles, 1895; 8°. Atti del Consiglio Provinciale di Torino. Anno 1895. Torino, 1896; 8°. * Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIV, disp. 6. Venezia, 1895-96; 8°. * Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie degli scavi: febbraio e marzo 1896. Roma, 1896; 4°. * Bibliotheca Nacional do Rio de Janeiro: A Constituigào do Brazil. Noticia historica, texto, e commentario por A. A. Milton; 8°. Annaes da Bibliotheca Nacional. 1891-1892, vol. XVII. 1895; 8°. Balango Provisorio da receita e despeza da Republica dos Estados Unidos do Brazil no Exercicio de 1893. Catalogo da Exposigào de Trabalhos Juridicos realizada pelo Instituto da ordem dos advogados brazileiros. 1894; 8°. Direitos de Exportacào e sua Cobranga; 8°. Orgamento da receita e despeza da Republica dos Estados Unidos do Brazil para o Exercicio de 1896; 4°. Recenseamento do Distriecto Federal (Cidade do Rio de Janeiro) em 81 de Dezembre de 1890; 4°. Relatorio apresentado ao Presidente da Republica dos Estados Unidos do Brazil pelo Ministro de Estado dos Negocios da Fazenda de Paula Rodriguez Alves no anno de 1895. Rio de Janeiro, 1891. 2 vol.; 8°. Relatorio e Synopse dos Trabalhos da Camara dos SRS. Deputados relativos ao anno de 1894. 2 vol.; 4°. Relatorio da :Alfandega do Rio de Janeiro apresentado ao Exm. SR. Ministro da Fazenda pelo Inspector H. A. B. Franco; 8°. Relatorio do Presidente da Caixa economica e Monte de Soccorso em 1895; 8°. 934 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Synopse da receita e despeza da Republica dos Estados Unidos do Brazil no Exercicio de 1894; 4°. * Bollettino dell’Istituto di Diritto Romano. Anno VIII, fasc. IV-V. Roma, 1896; 8°. * Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. V. Madrid, 1896; 8°. Commission centrale de bibliographie brésilienne sous la direction de l’Institut Historique et Géographique Brésilien. 1° année, fasc. 1°. Rio de Janeiro, 1895 (dal Governo della Repubblica del Brasile). * Comptes-rendus de l’Athénée Louisianais. 5"° série. Tom. 3®©, livr. 3me, Nouvelle-Orléans, 1896; 8°. Field Columbian Museum. The authentics lettres of Columbus by W. E. Curtis. Vol. I, No 2. Archeological Studies among the ancient Cities of Mexico by W. H. Holmes. Anthropological Series. Vol. I, No 1. Chicago, 1895; 8°. Homenagen do Istituto Historico Geographico Brazileiro à Memoria de sua Magestade o Senhor D. Pedro II. Rio de Janeiro, 1894; 8°. * John Hopkins University, Baltimore Meryland: Annual Report: 1879, 1883-1885, 1887-1894. Historical and Political Science; 4* serie, n. II-III; 5* ser. I-II; 1886-87. Essays in the Constitutional history of the United States in the for- mative period 1775-1789..... edited by J. F. Jameson. 1889. The Constitution of the Empire of Japan with the speches addressed to Students of political Science in the Johns Hopkins Univer- sity, 1889. Register for 1894-95. * Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 8. Venezia, 1896; 4°. * Nachrichten von der kònigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen, Philologisch-historische Klasse. 1896, Heft 1. Gòttingen; 8°. Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia. Vol. XXXIV, 148. 1895; 8°. * Proceedings and Transactious of the Meriden Scientific Association. Vol. VI. Meriden, Conn., 1895; 8°. * Publications de l’École des Lettres d’Alger. Légendes et Contes merveil- leux de la Grande Kabylie recueillis par A. Mouliéras. Texte Kabyle, 4° fasc. Paris, 1896; 8°. * Revista trimensal do Instituto Historico e Geographico brazileiro. T. LVI, parte II, LYII, p. I-II. Rio de Janeiro, 1894-95; 8°. * Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., Anno IX. Napoli, 1895; 8°. * Report of the R. Society of Literature and List of Fellows 1896; 8°. * Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen. 1896, Heft II. * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 935 ** Angelucci (A.). Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco ita- liane. Vol. I, p. II. Torino, 1870; 8°. Campagne del Principe Eugenio di Savoia. Serie I, vol. VIII; Allegati gra- fici del vol. VII e VIII. Torino, 1895; 8° (dono di S. M. rr Re D'ITALIA). Cora (G.). Il territorio contestato tra la Venezuela e la Guiana inglese. Torino, 1896; 8° (dall’A.). Landucci (L.). La pubblicazione delle leggi nell'antica Roma. Padova, 1896; 8° (Zd.). Maltese (F.). Il problema morale. Vittoria (Sicilia). 1896; 8° (Id.). Miscellanea per le nozze Biadego-Bernardinelli. Verona, 1896; 8° (dal Prof. Biadego). Nadaillac (M" de). Expéditions polaires. Paris, 1896; 8° (dall’A.). Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. 7 vede le Fi i daga Lee Lug ra tot È ui tg dn PI idegaliA HEY. or; IL ertod: ITER "1h iicornsgi vii Ioh uri Fanart (° sf È Ma d ouot) SF nai paro JUV: a IV av fol “a 3: «seslogi. nni sio a lenagmaVi.s spetti atatesindo dii dti! ‘i fi Da Ig PASINI 1 ARIE san: od > £ Mim) D:d :d WR: n o di avons sragi; poitan' Mag: rggoliallab i aid aa djs da: pda na dating de “oe x Dito: f, NE li TRIS ‘8 10081, (ailigid) girott i. alotom (ot iapldora JE Ù AE ‘ rose Bi :A08L, a gtono? iblanibasorofiogohg it Aston SE 10q UICITI Mr: È DIV ppi ar RI ‘300 Ive Magda ona Noth "O E Ceti 4 kind) *8:-400SI arinti agsiglog: asoitibbgzi. 60: "M) sec 7 Lo e CIAOOO 4 Na n. i | ESE Ù nr SL RRILTAs9 la altri: bll ASTI AA MEA Sa © STIRO Pest A ; î) PLIE: s/(200NH” | NH— CO —CH? L’aaminoetilidensuccinimide cristallizza dall’ acqua in bei prismi aghiformi, incolori, pesanti; fonde a 274°—275° scom- ponendosi e dando un liquido quasi nero; già a 235°—240° imbrunisce alquanto. È poco solubile nell'acqua fredda, 1 p. in circa 195 p. di acqua a 15°, solubile nell’ acqua bollente; poco solubile nell’alcol, quasi insolubile nell’etere. Solubilissima nella potassa anche diluita. Per ebollizione prolungata con acqua sviluppa ammoniaca; sviluppa ammoniaca anche quando si scalda con potassa. Non sviluppa ammoniaca a freddo coll’ idrato di magnesio. Nell’ acido cloridrico si scioglie e quasi subito for- nisce del cloruro di ammonio che precipita col cloruro plati- nico. La soluzione acquosa si colora in rosso-violetto col clo- ruro ferrico, ma probabilmente questa colorazione è dovuta ad un prodotto di decomposizione perchè la soluzione appena trat- tata col cloruro ferrico si colora pochissimo e la colorazione aumenta molto lasciando al liquido a sè alcuni minuti; colla SULL’ AMINOETILIDENSUCCINIMIDE E SULL’ACETILSUCCINIMIDE 979 soluzione di acetato ferrico non si colora; inoltre il liquido pro- veniente dalla prolungata ebollizione di questo composto o le acque madri evaporate si colorano subito ed intensamente col cloruro ferrico. Col solfato di rame inverdisce ma non precipita. ( La soluzione acquosa ha reazione neutra e precipita col nitrato d’argento quando si alcalinizza lievemente il liquido con ammoniaca. Nè col nitrito potassico nè coll’acqua di bromo fornisce le reazioni colorate da me indicate pei composti cianpiridinici de- rivanti dall’etere cianacetico. Esposta ai vapori rossi che si sviluppano dal nitrito po- tassico coll’acido solforico diluito si colora in rosso-bruno. Derivato argentico. Sciogliendo a caldo 0,5 gr. di sostanza in acqua cui s’aggiunge alcune goccie di ammoniaca si ha un liquido incoloro che per aggiunta di un lieve eccesso di solu- zione al 5°/, di nitrato d’argento, dà, a poco a poco, un bel precipitato bianco cristallino di un composto argentico. Questi cristalli sono costituiti di lunghe laminette prismatiche, incolore, setacee, quasi affatto insolubili nell’acqua fredda ed anche nel- l’acqua bollente; dopo prolungata ebollizione imbruniscono. All’analisi questo derivato argentico diede i risultati se- guenti: I. Gr. 0,4525 di sostanza secca prima nel vuoto e poi a 100°—105° fornirono 0,1987 di Ag. II. Gr. 0,1822 di sale disseccato a 180°, proveniente da una seconda preparazione, e meno bene cristallizzato del pre- cedente, fornirono 0,0799 di Ag. III. Gr. 0,1737 di sale secco, fornirono 17,5 cm? di N a 25° e 745 mm! Vol. corr. = 15.1, cm. Da cui: trovato calcolato per C°H°AgN"0? I I III Ag ‘= 48.88 43.85 _ 43.72 N ese —_ 10.90 11.3 980 ICILIO GUARESCHI Ho voluto dosare in questo derivato anche l’azoto perchè per il composto argentico CH° CO CH . CO Î / NAgsicalcolerebbe CH?. CO 43.54 °/o di argento. Per 0,5 gr. di a aminoetilidensuccinimide ho ottenuto 0.9 gr. di derivato argentico che è appunto la quantità teorica. Azione dell’ acido cloridrico. — Dosamento dell’ ammoniaca prodotta. — Acetilsuccinimide. Ho già detto che la a aminoetili- densuccinimide fatta bollire con acqua sviluppa ammoniaca. Col- l’acido cloridrico la decomposizione è pronta, avviene già a freddo e si mette in libertà esattamente una molecola di am- moniaca. Infatti: I. Gr. 0.3081 di sostanza in sottile polvere furono trattati a freddo con 10 cm? di acido cloridrico di 1,06 densità; già a freddo la sostanza si scioglie ed aggiungendo del clo- ruro di platino in lieve eccesso incomincia subito a deposi- tarsi del cloroplatinato di ammonio; dopo poco tempo ag- giungo al liquido una miscela di alcol ed etere e raccolgo il precipitato. Il cloroplatinato ottenuto pesava 0.4738, corrispondente a 0.0365 di NH?. Il liquido alcolico-etereo essendo molto acido lasciò col tempo depositare ancora un poco di cloroplatinato di ammonio. II. Gr. 0.3699 di sostanza secca sul cloruro di calcio poi a 110°, sciolti in poco acido cloridrico a 1.06 e dopo mez- zora trattati con cloruro platinico, dànno un precipitato giallo di cloroplatinato di ammonio; aggiungo al liquido 4—5 vol. di alcol assoluto e un poco di etere, lascio a sè per 16 ore poi raccolgo il cloroplatinato che lavo con mi- scela alcolico-eterea. Il cloroplatinato pesava 0.5844 cor- rispondente a 0.0450 di NH?, Da cui: trovato I II NH? % 11.84 12.16 SULLO AMINOETILIDENSUCCINIMIDE FE SULL'ACETILSUCCINIMIDE 981 Per l’eliminazione di una sola molecola di ammoniaca dal composto: gu: Gio, al AH NH? CH?. CO si calcola: di laid an ra Probabilmente si è formata l’acetilsuccinimide; CH°. CO. CH. CO NH CH?, CO È noto che anche gli aminoeteri derivanti dagli eteri che- tonici si decompongono in modo simile coll’acido cloridrico. Ho trattato la a aminoetilidensuccinimide con la quantità teorica di acido cloridrico diluito, per trasformare una molecola di ammoniaca in cloruro di ammonio; evaporai la soluzione nel vuoto sopra calce viva ed il residuo bianco cristallino fu ripe- tutamente estratto con etere. Rimase insolubile nell’etere il cloruro di ammonio, in quantità teorica. La soluzione eterea filtrata, lasciata evaporare spontaneamente, fornì una sostanza in bei cristalli incolori, trasparenti, solubili nell'acqua e la cui soluzione si colora sudito in violetto intenso col cloruro ferrico; la soluzione acquosa ha reazione acida, non precipita col nitrato d’argento, ma bensì dopo reso alcalino il liquido con poca am- moniaca. A caldo riduce il nitrato d’argento ammoniacale. Il composto così ottenuto fonde a 84°—87°, e diede all’ana- lisi i risultati seguenti: I. Gr. 0.1478 di sostanza secca nel vuoto fornirono 14,3 cmî di N a 27° e 744 mm. Vol. corr. = 12.2. II. Gr. 0,1177 di sostanza secca nel vuoto fornirono 0.2208 di CO? e 0.0542 di H°O. 982 ICILIO GUARESCHI Da cui la composizione centesimale: I | (OL — uh DI | C H N 10.32 _ Numeri che concordano sufficientemente colla formola del- l’acetilsuccinimide C°H'NO?, per la quale si calcola: Cc — 51.06 aa = 4.92 INC E= 9.93 I limiti un po’ larghi nel punto di fusione, mi lasciano il dubbio che il composto ottenuto non fosse assolutamente puro, non avendo potuto, stante la piccola quantità, farlo ricristal- lizzare. L’acetilsuccinimide si sarebbe formata nel modo seguente: CH°.C=C— C0\ CH°.CO.CH.C0x\ LT ANH+E°0= | ABTNE. NH° CH°. CO CH°.CO Derivato etilico. Il composto argentico dell'a aminoetiliden- succinimide in presenza di etere e di joduro di etile reagisce assai lentamente anche scaldando a b. m. in apparecchio a ri- cadere. Dopo alcuni giorni, a temperatura ordinaria ed ag- giunto dell’alcol, il precipitato che prima era bianco si fa giallo, Evaporato l’etere e l’alcol per scacciare anche l'eccesso di joduro di etile si ha un residuo da cui non mi fu possibile avere un prodotto analizzabile. a Acetilaminoetilidensuccinimide. Scaldando l’a aminoetiliden- succinimide con circa 10 volte il suo peso di anidride acetica, si scioglie dopo alcuni minuti di ebollizione; dopo raffredda- mento la massa cristallizza. Riprendendo il tutto con acqua, rimane un poco di derivato acetilico, bruno, impuro. Il liquido SULL’ 0 AMINOETILIDENSUCCINIMIDE E SULL’ACETILSUCCINIMIDE 983 acquoso-acetico filtrato lasciato a sè deposita dei bei cristalli incolori che ricristallizzati dall'acqua si hanno purissimi. All’a- nalisi diedero il risultato seguente: Gr. 0.1221 di composto secco fornirono 17.3 cm? di N a 20° e 743 mm.; volume corr. = 15.3 cm'. Da cui: calcolato per CHIC === CO trovato | | NH NHC?H?0 CH?.C0 N:% 15.66 15.98 Questo derivato acetilico è pochissimo solubile nell’ acqua fredda, ma si scioglie bene nell’acqua bollente da cui si ha in lunghissimi aghi brillanti, pesanti; fonde a 233°—234°, im- brunendo. La sua soluzione acquosa non si colora col cloruro ferrico o solo lievemente e dopo lunghissimo tempo. La soluzione acquosa calda di questo composto trattata con alcune goccie di ammoniaca e poi con nitrato d’argento dà un precipitato bianco di un sale d’argento che fatto bollire con acqua imbrunisce; non l’ho potuto ottenere puro perchè è sempre mescolato con qualche cristallo dell’acetilderivato inalterato. In una analisi trovai più dell’1 °/, in meno di Ag. della quantità calcolata per la formola: CH C=== €. CO | | 7NA 8. NHC°H*0 CH?, C07 Queste esperienze mi pare non lascino alcun dubbio che il composto ch'io ottengo per l’azione dell’ ammoniaca sull’etere monoacetosuccinico sia veramente l’a aminoetilidensuccinimide. La sua formazione si spiega ammettendo che per l’azione del- l’ammoniaca acquosa sull’ etere monoacetosuccinico si produca prima l’a aminoetilidensuccinimide, dalla quale poi per elimi- nazione di ammoniaca trarrebbe origine il mio composto imidico : CH. CONH° CES eE=03 COL ei = NH°+ MIRO AT NH? CH°. CONH° NH? CH°. CO 984 MICHELE FILETI — GIACOMO PONZIO © Secondo Weltner (1) per l’azione dell’ ammoniaca alcolica, in tubi chiusi, sull’etere fenilacetosuccinico si formerebbe diret- tamente il lattam: CH ==0- CONE | | NH .. GOGH ; PH? Se nelle esperienze di W. O. Emery è molto probabile si sia formato il lattam indicato, non è niente affatto provato che ciò sia pel composto di Weltner; a me anzi sembra molto più probabile, benchè le condizioni dell'esperienza siano diverse, che il corpo ottenuto da Weltner sia analogo al mio, cioè debba considerarsi come a aminoetilidenfenilsuccinimide: Coi | AH NH° CH.Co cme Beilstein nel suo Hand. d. org. Chem. Ed. 3*, II, pag. 1965, descrive il composto C'*H'°N°0°, ma non ne dà la. formola di costituzione, come invece dà quella del lattam di Emery. Non avendo però esperienze mie proprie su questo argo- mento non voglio ora entrare in maggiori particolari. Sulla trasformazione dei chetoni in a-dichetoni; Nota del Socio M. FILETI e G. PONZIO. Continuando le ricerche sulla trasformazione dei chetoni in a-dichetoni, abbiamo fatto agire l’acido nitrico sopra il dietil-, dipropil-, etilpropil-, etilisopropil-, etilisobutilchetone e sul pal- mitone. (1) “ Berichte ,, t. XVIII, pag. 793. IT n n —__r ài O i REIT, TETTE SULLA TRASFORMAZIONE DEI CHETONI IN Q-DICHETONI - 985 Le nostre precedenti esperienze riguardavano chetoni della formola generale CH; . CO .CH;.R, contenenti cioè un radicale metile unito col carbonile; da tali esperienze abbiamo concluso che si ossida il gruppo metilene legato al carbonile e non il metile, che si forma quindi un a- dichetone e mai una cheto- aldeide, e che infine si produce il dinitroderivato del radicale alcoolico più ricco in carbonio. Se però col gruppo CO si trovano legati due gruppi me- tilenici, se si hanno cioè, come nel caso del quale ora ci occu- piamo, chetoni della formola R . CH, . CO. CH, . R', allora alcune volte si forma il miscuglio dei due dichetoni R.CO.CO.CH,.R' e R.CH,.CO.CO.R' e dei dinitroderivati corrispondenti ai due radicali alcoolici R.CH, e R'. CH,, ma in altri casi non abbiamo ottenuto che un dichetone ed un dinitroidrocarburo. Il dietilechetone CH; . CH, . CO. CH; . CH; dà l’acetilpropio- nile CH;. CO. CO. CH;. CH; e il dinitroetano, nè si può preve- dere la formazione di altro a-dichetone o di un diverso dini- troidrocarburo. Egualmente dal dipropilchetone CH... CO . C,H, si ottengono gli unici prodotti prevedibili, cioè propionilbutirile CH, . CH, . CO. CO. CH, . CH; . CH; e dinitropropano. Il palmi- tone non dà nè dichetoni nè dinitroidrocarburi. Dall’etilpropilchetone CH; . CH.. CO . CH, . CH, . CH, si for- mano i due dichetoni CH, . CO .CO . CH; . CH; .CH, e CH;.CH,. CO. CO .CH,. CH;, il dinitroetano e il dinitropropano. Dall’etilisopropilchetone CH;.CH; .CO.CH( GI» che con- 3 tiene un solo gruppo metilene, non si può prevedere che la for- mazione di un solo e- dichetone CH; . CO. CO. cu Ha , ep \CHz pure noi abbiamo ottenuto, assieme a dinitroetano, un miscuglio di due a- dichetoni isomeri (allo stato di diossima) senza che ci sia stato sin’ ora possibile di trovare una spiegazione di questo fatto. Finalmente l’etilisobutilechetone CH,.CH,.CO.CH,;. cu? CHs \CHy diede dinitroetano ed un a-dichetone la cui diossima si fonde a 171°—72° come quella dell’ acetilisovalerile CH;.CO.CO. /CH CH;. CH CE, 5 Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 67 986 M. FILETI E G. PONZIO — SULLA TRASFORMAZIONE DEI CHETONI ECC. Dai prodotti dell’azione dell'acido nitrico sull’etilisopropil- chetone abbiamo potuto inoltre separare una sostanza di odore canforato, fondente a 58° essa ha la formola GsHwoNs0; e per idratazione si decompone facilmente in dinitroetano ed acido isobutirrico. Egualmente dall’etilisobutilchetone si ottiene una sostanza fusibile a 64°—65° della formola CH, N; 0; che cogli alcali si decompone analogamente alla prima. Nella letteratura chimica non abbiamo trovato nessun corpo che abbia il comportamento di questi ora accennati. Probabil- mente uno dei cinque atomi di ossigeno in essi contenuti sarà allo stato di carbonile CO, ed inoltre la facilità colla quale da queste sostanze si ottengono quelle dette, forse impropriamente, dinitroidrocarburi e la cui costituzione non è ancora nota, fa pensare che nelle due serie di composti i due atomi di azoto e quattro di ossigeno si trovino legati nello stesso modo; anzi, considerata appunto la netta decomposizione per idratazione in acidi grassi e dinitroidrocarburi, non crediamo improbabile di aver per le mani acilderivati di questi ultimi, e siamo ora occupati colla preparazione sintetica di tali composti. D'altra parte il D" Ponzio ha cominciato lo studio del- l’azione dell’ ipoazotide sugli isonitrosochetoni ed ha ottenuto corpi della stessa natura di quelli sopra accennati, ai quali con molta probabilità spetteranno formole di struttura come: R' R' | | 7N0 na CCO. NO, i CENSO UNO; | ovvero | co CO | | R R ma naturalmente noi non siamo per ora in grado di pronun- ciarci in favore di una di esse o di altre possibili. EDOARDO MARTEL — NUOVA INTERPRETAZIONE, ECC. 987 Di una nuova interpretazione dell’architettonica florale delle Crocifere e generi affini; Nota del Dott. EDOARDO MARTEL. Quantunque studì numerosi e serissimi sieno, dai più va- lenti botanici, stati fatti allo scopo d’indagare le cause che rendono irregolare la simmetria florale nelle Crocifere e generi affini, pure la discussione intorno a queste cause è, ancora adesso, lontana di essere chiusa per la ragione che le varie teorie si- nora escogitate non possono reggersi se non puntellate da ipo- tesi più o meno giustificate. Le lacune che rimangono da colmarsi mi spinsero ad oc- cuparmi di quella spinosa questione, persuaso che anche i più umili cultori della scienza possono, coi loro sforzi, contribuire efficacemente alla ricerca del vero. L'intenzione mia nel presentare all'Accademia queste poche linee è quella, semplicemente, di consegnare i risultati finali sinora ottenuti. A tempo opportuno presenterò la memoria particolareggiata delle mie osservazioni. Rammento che pel massimo numero dei botanici il fiore delle Crocifere comprende 6 Verticilli con foglie così disposte: 1° verticillo 2 sepali ant. p. 2° ' 2 » trasversi. 3° 4 4 petali diagonali. 40 x 2 stami trasversi. Bo È 4, diagonali. 6° ne 2 carpelli. I due carpelli sarebbero finalmente fra loro legati da un replo ant. posto ai lati dei quali sono inseriti gli ovoli. La irregolarità, com'è facile vederlo, consiste nell’assenza di un verticillo di due stami a. p. da alternare cogli stami trasversi. Il tema da svolgersi consta non solo nello stabilire un diagramma razionale per le Crocifere, ma siccome questa fa- 988 EDOARDO MARTEL miglia è strettamente legata a quella delle Cleomacee e delle Fumariacee da molti caratteri affini, occorre ancora cercare le cause delle differenze che separano un gruppo dall’altro. La questione essendo posta in questi termini, è chiaro che gli altri quesiti, quali il significato morfologico da darsi al replo ed alla tetradimia per quello che si riferisce alle Crocifere, il significato da darsi alle falange tristaminali per quello che sì riferisce alle Fumariacee, vanno inclusi nella prima. Nel corso delle mie osservazioni passai in rassegna un gran numero di generi per le Crocifere, mi fermai specialmente sulla Cleome spinosa per le Cleomacee e per quanto riguarda le Fuma- riacee, esaminai pure varì generi ma in special modo, la Dicentra. spectabilis e l’Hypecoum procumbens. Vengo senz'altro alla esposizione dei risultati ottenuti: Crocifere. 1° L’innervazione generale del fiore ha origine da 4 tronchi vascolari di cui due posti nel piano di simmetria a. p. e due in quello trasverso. Dai primi ha origine la sola costola principale dei sepali a. p. e indi i tronchi s'incurvano ambedue verso il centro per rialzarsi dopo breve tratto e proseguire fra le due valve della siliqua sino nello stigma. Giunti a questo punto si biforcano e si ramificano. È al dissopra di questi tronchi e nel tratto di essi, compreso fra il punto in cui danno origine al sepalo a. p. e quello in cui si rialzano per disporsi fra le due valve, che spicca ge- neralmente quella ghiandola alla quale varì autori diedero il significato di organo abortito. Dai 2 tronchi vascolari trasversi ha origine l’ armatura degli altri organi florali e cioè per ciascuno dei due tronchi: 1 sepalo trasverso petali stame corto stami lunghi carpello. ai ME N Questi organi formano in conseguenza due sistemi opposti di cinque verticilli ognuno, fra loro separati dai sepali a. p. e dai tronchi vascolari corrispondenti. NUOVA INTERPRETAZIONE DELL'ARCHITETTONICA FLORALE, ECC. 989 2° Dal fatto verificato in tutti i generi da me esami- nati, che cioè l'armatura vascolare dei sepali trasversi si porta all'infuori assai prima di quella dei sepali a. p., concludo, con- :trariamente all'opinione generale, che i sepali trasversi appar- tengono ad un verticillo inferiore, a quello di cui fanno parte i sepali a. p. 3° Il fiore è collocato alla estremità di un ramo nudo raccorciato, ma però distintissimo in alcuni casi (Sysimbrium alliaria). Ramo siffatto occupa spessissimo il posto d’un ramo ordinario, all’ascella di una foglia regolarmente sviluppata. 4° Gli stami lunghi, nella loro parte libera possono fra loro venire a contatto in seguito ad una incurvatura dei fasci che le innervano, ma questi nel ricettacolo rimangono netta- mente separati l’un dall'altro dal tronco vascolare a. p. 5° Le valve sono indipendenti dal replo e ciò facilmente può mettersi in rilievo per mezzo di sezioni trasversali e lon- gitudinali. Ciò è spiccatissimo in varî generi, specialmente nel- l’ Hesperis triste e nel Nasturtium off. 6° Il replo risulta dall’ unione nel piano di simmetria trasverso di due parti distinte. Ciascuna di queste è regolar- mente innervata e l’orientazione che assumono i fasci nello spostarsi, dalla base dell’ ovario all’insù, onde prendere posi- zione definitiva è quella che si verifica in una gemma in via di formazione. Da notarsi inoltre che i fasci che concorrono a questa innervazione sono propriamente quelli del tronco a. p. 7° Il cosidetto becco che si osserva in un gran numero di Crocifere (Brassica, Sinapis, Eruca Vella, ecc.), si deve al differenziarsi delle gemme a. p. che formano il replo al dissopra delle valve. 8° La differenza in lunghezza che si nota generalmente fra gli stami laterali e quelli diagonali (tetradinamia) è di poca entità, morfologicamente parlando, e si deve alla presenza di un apparato ghiandolare sviluppatissimo in questa famiglia. 9° In tutti i rami ordinari la 1° foglia alterna sempre colla foglia ascellante e ciò induce ancora a credere che la 1 foglia del ramo florale, di posizione analoga a quella del ramo ordinario, debba presentare disposizione di foglie analoghe. Sic- come i sepali a. p. sono sovraposti alla foglia ascellante mentre i sepali trasversi alternano con essa, si deve ammettere che la 990 EDOARDO MARTEL prima foglia del ramo fiorale, ossia di tutte la più inferiore, sia rappresentata da un sepalo trasverso. Dalle osservazioni che precedono e da altre che non è il caso di presentare in una semplice nota preventiva, del genere di questa, nonchè dalle analogie indiscutibili che legano i rami ordinari ai florali, credo di dovere concludere che ogni fiore ha. nelle Crocifere il significato di ramo ascellare e ch’esso è mu- nito di 4 foglie (sepali) apparentemente disposte su due verti- cilli ma teoricamente alterne. Di queste 4 foglie, le due inferiori o trasverse (alterne colla foglia ascellante) portano alla loro ascella un ramo le cui foglie sono rappresentate dai varì or- gani florali (petali, stami, carpelli), mentre le due superiori (sovrapposte alla foglia ascellante) portano una gemma che si differenzia nei suoi elementi (2 foglie) solo dopo di avere rag- giunto il livello superiore delle valve e cioè nel becco o nello stigma. Come già ebbi a dirlo, le due gemme non ancora dif- ferenziate e fra loro a contatto, in tutta la lunghezza dell’ovario, formano il replo. La teoria del fiore delle Crocifere si troverebbe pel fatto di queste osservazioni alquanto diversa da quella professata sin qui. L'architettura del fiore quale l’ho concepita per le Crocifere differisce singolarmente da quella professata comunemente , dapoichè, secondo me, a costituire quel fiore contribuirebbero . assi di varî ordini, e non più un solo. Cleoma spinosa. Benchè il fiore di questa pianta per l'allargamento straor- dinario del ricettacolo e per la presenza del ginoforo, nei suoi caratteri superficiali, si allontani da quello delle Crocifere, pure i legami di struttura fra l’uno e l’altro rimangono strettissimi. Il piano generale del fiore infatti è esattamente quello delle Crocifere e aggiungerò anzi che l’ interpretazione che poc'anzi diedi del replo per le Crocifere, si trova convalidata dalle osservazioni fatte sulla Cleoma. Le due gemme a. p. es- sendo in questo genere relativamente enormi, è assai più fa- cile studiarne la struttura anatomica. Le due parti del replo, nelle Crocifere rimanendo a contatto in tutta la lunghezza del- l’ovario, contribuirono a indurre in errore gli autori che riten- NUOVA INTERPRETAZIONE DELL'ARCHITETTONICA FLORALE, ECC. 991 nero il replo di un pezzo solo, mentre nelle Cleome le due parti rimangono a contatto per solo un piccolo tratto e indi si se- parano nettamente. La maggior mole che le due gemme a. p. acquistano nella Cleome fa sì che maggiore debba essere lo spazio interposto ai due sistemi trasversi, epperciò maggiore lo spazio che separa le paia di stami lunghi sul piano di sim- metria a. p. A quest’allontanamento degli stami lunghi l’un dal- l’altro si deve la conformazione esagonale che nella sezione assume il tubo staminifero che avvolge il ginoforo. Osservo inoltre che se nel maggior numero delle Crocifere le valve concorrono all’ armatura vascolare dello stigma per mezzo del prolungamento della costola media delle valve; nel Cleome, lo stigma è innervato solo dalle biforcazioni vascolari delle due gemme a. p. Dicentra spectabilis. I due tronchi vascolari trasversi assumono tale direzione obliqua dall’alto in basso e dall’infuori all’indentro da stringere fortemente fra loro la gemma a. p., la quale perciò non acquista più lo sviluppo ch’essa raggiunge nelle Crocifere e nella Cleome. I due petali situati da una stessa parte del piano di simmetria trasverso in seguito a quella semiattrofizzazione delle gemme a. p. si avvicinano al punto da saldarsi fra loro nella parte li- bera. Ciò fa sì che i 4 petali delle Crocifere, nella Dicentra e nella Fumaria si riducono apparentemente a due, di posizione a. p. Questi due petali poi nella loro parte superiore, cioè al dissopra dello stigma, fra loro si saldano così da formare una specie di volta che ripara sotto di sè, androceo e gineceo. Gli stami lunghi rimangono ancora fra loro separati come nei due gruppi precedenti, ma per causa dell’ostacolo che il loro allun- gamento nel senso verticale incontra nella vòlta che risulta dalla saldatura di due petali a. p., essi s'incurvano a destra ed a sinistra e vanno adagiarsi ai lati degli stami trasversi, coi quali contraggono aderenza parziale. Da questa disposizione traggono origine le due falange tristaminali delle Fumariacee. È poi probabile che l’intoppo che gli stami lunghi incon- trano nel loro sviluppo verticale, contribuisca non poco ad affie- volirne la robustezza. Ciò spiegherebbe la gracilità della loro 992 EDOARDO MARTEL — NUOVA INTERPRETAZIONE, ECC. armatura vascolare nonchè la riduzione delle logge anteriche. Alla stessa causa bisogna poi attribuire lo sviluppo straordi- nario che il fiore acquista nel senso trasversale e la forma a cuore che va graduatamente assumendo. Hypecoum procumbens. Questo genere ci offre una semplice esagerazione di quanto abbiamo osservato nel genere precedente. I due tronchi vascolari trasversi si fanno così obliqui da trasmettere al ricettacolo fiorale la forma conica. Le due gemme a. p. abortiscono completamente, epperciò i due sistemi trasversi di organi florali vengono fra loro a contatto. Per causa di questo ravvicinamento dei due sistemi, non solo fra loro si saldano a paia i petali come ciò già si verificò nella Dicentra, ma bensì ancora gli stami lunghi, cosicchè se i petali si riducono da 4 a 2, gli stami si riducono da 6 a 4; il replo manca comple- tamente e le due valve della siliqua nella parte superiore si separano completamente. Il piano del fiore in seguito alle salda- ture di cui è parola sopra, si trova nel fatto modificato sensibil- mente ed assume una regolarità apparente assai superiore a quella che aveva nei gruppi precedenti. Si deve osservare però che la saldatura fra gli stami è lontana di essere così generale come quella che si verifica fra i petali e non mancano casi in cui gli stami lunghi conservano la loro indipendenza come mi fu dato di constatarlo per un certo numero di esemplari che il professore Gibelli si compiacque di porre a mia disposizione. Riassumerò dicendo che il fiore delle Crocifere, delle Cleo- macee e delle Fumariacee appartiene secondo me ad un tipo unico che risulta da un ramo munito di 4 gemme ascellari. Di queste, due si differenziano completamente nelle loro foglie, mentre le due altre si differenziano incompletamente come nelle Crocifere e nelle Cleomacee, o si atrofizzano come nelle Fumariacee o ancora abortiscono completamente come nell’ Hypecoum. Al vario sviluppo che le gemme a. p. acquistano, vanno, credo, attribuite le differenze essenziali che si osservano fra i generi esaminati. LUIGI COLOMBA — OSSERVAZIONI MINERALOGICHE, ECC. 995 Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della collina di Torino; Nota del Dottor LUIGI COLOMBA (Assistente presso il Museo di Mineralogia dell’Università di Torino). Un ordine di studì che, per quanto sia finora completamente o quasi lasciato in disparte dai geologi, tuttavia, a parer mio, presenta una grande importanza per la geologia stratigrafica è quello che riguarda i caratteri litologici, mineralogici e strut- turali dei depositi sedimentarî, in quanto che può sempre, in modo più o meno completo, concorrere a fornirci delle indica- zioni sulla origine e sulla provenienza dei varì depositi. Credo quindi non prive d’interesse le osservazioni da me fatte su alcune sabbie caratteristiche per la loro composizione mineralogica e per la loro struttura; tanto più che, provenendo esse dalla Collina di Torino, appartengono ad un complesso di formazioni le cui origini sono tutt'ora molto discusse. Provengono queste sabbie da Marentino e le ebbi dalla cortesia del signor Lodovico Audenino, dottore in scienze na- turali. Per quanto riguarda la loro giacitura, la loro posizione ed i loro caratteri paleontologici, riferisco qui le sue parole: “I banchi sabbiosi che si hanno sulle colline di Marentino e “ che si possono osservare fino a Montaldo ad ovest e fino a “ Moncucco ad est, al contrario di quanto ordinariamente si “ nota nelle altre formazioni del Tortoniano in cui i fossili “ sono sempre irregolarmente disposti nella roccia, sono carat- terizzati da un aspetto zonato derivante dall’ alternarsi di “ strati fossiliferi e non fossiliferi. I primi, ricchissimi in fos- “ sili, hanno un’altezza variabile da 5 a 50 centimetri, con “ inclinazione di 20 o 25 gradi, e si differenziano molto bene dal resto della formazione che è invece dotata di una tinta “ “U 994 LUIGI COLOMBA verdognola uniforme; fra queste sabbie sono intercalati alcuni strati di un’ arenaria poco compatta, di poco spessore, con lenti ghiaiose e ciottolose (porzione orientale). Talora in- vece le dette sabbie affiorano fra le consuete marne cineree. Presentano una facies litologica che molto si avvicina a quella Elveziana o di litorale o di deposizione tumultuosa, caratteristica appunto di quest’orizzonte, mentre il Tortoniano è essenzialmente costituito da marne che ci indicano un de- posito di mari più profondi. Al contrario i fossili (d’ordinario rappresentati da giovani individui di lamellibranchi o di ga- steropodi) ci dànno in complesso una fauna tortoniana per l'abbondanza delle Pleurotome, della Turritella vermicularis, del- l’Ervilia pusilla, della Mactra triangula, della Loeda minuta e specialmente poi per la presenza del Solen subfragilis, della Ringiculella auriculata e del Pectunculus nummarius ,. “ Si possono considerare, al pari delle analoghe formazioni di Varga Stazzano nel Tortonese, come rappresentanti un pe- riodo di transizione fra l’Elveziano superiore ed il Tortoniano inferiore ,. n II. Queste sabbie sono ricchissime in minerali e fra questi ve ne sono alcuni interessanti per i loro caratteri e perchè la loro presenza può servire, come cercherò di dimostrare, ad indicarne la provenienza. Per quanto riguarda la loro struttura sono queste sabbie costituite oltre che da una quantità non grande di granuli non completamente rotolati, da proporzioni variabili di grani poco o nulla arrotondati e di frammenti a spigoli vivi appartenenti a determinate specie minerali, essendo abbastanza comuni in questa porzione e specialmente nella parte più fine delle sabbie, i cristalli senza traccia di fluitazione; essi talvolta presentano delle faccie dotate ancora di una vera lucentezza speculare, spesso sono completi e terminati alle estremità; quando sono rotti non presentano vere traccie di corrosione ed al mas- simo si ha sugli spigoli una leggera smussatura che si mani- festa generalmente in una sola direzione. Altri minerali sono quasi sempre rotolati; altri infine lo sono talvolta e talvolta no. OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 995 Fra gli strati fossiliferi e quelli non fossiliferi si nota una sola differenza e si è che gli elementi a spigoli vivi ed i cri- stalli sono più abbondanti nei secondi che non nei primi. Gli interstrati di arenaria poi sono a cemento calcareo molto scarso, si rompono e si disaggregano con la massima facilità; per quanto riguarda la loro composizione mineralogica non differiscono per nulla dagli strati sabbiosi. I minerali contenuti sono i seguenti: quarzo, feldispato, talco, clorite, serpentino, pirosseno, muscovite, biotite, epidoto, gra- nato, glaucofane, anfibolo, tormalina, magnetite, pirite, cromite, spinello, zircone, rutilo, ottaedrite, baritina e menaccanite. Non tutti questi minerali hanno però, per quanto riguarda lo scopo del presente studio, uguale interesse poichè se alcuni (quarzo, feldispati, talco, clorite, serpentino, pirosseno, miche, epidoto, granato, magnetite) appartengono a specie assai comuni per modo che la loro presenza in una sabbia non può aver nulla di notevole, non così avviene per gli altri i quali sono relativamente più rari. III. Il quarzo si presenta in granuli trasparenti o bianchicci, generalmente a spigoli vivi o poco arrotondati, raramente in cristalli definiti. Il feldispato si presenta in grani fusibili, più o meno arro- tondati; sono solo degni di nota alcuni cristalli di albite in cui si mantiene ancora parzialmente la forma primitiva, poichè, pur essendo rotti secondo le direzioni di sfaldatura, per modo da presentare quasi solo più l’aspetto di frammenti a spigoli vivi, è ancora in essi visibile talvolta la geminazione secondo la legge dell’albite e talvolta la geminazione caratteristica dell’al- bite dei calcari albitiferi. Il talco, la clorite, il serpentino ed il pirosseno non presen- tano nessun carattere interessante; il primo è in piccole mas- serelle verdi o grigiastre, con colori di polarizzazione poco alti e con estinzione d’aggregato; la clorite è in rare laminette verdi con pleocroismo poco sensibile e che si comportano come unias- siche; il serpentino, in granuli gialli o verdognoli, è ricco in inclusioni di magnetite. Il pirosseno si presenta in granuli più 996 LUIGI COLOMBA o meno rotolati, appena colorati in verde od in brunastro, con evidente sfaldatura; essi presentano vivi colori di polarizzazione ed un elevato angolo di estinzione. Fra le miche la muscovite è la più comune e si presenta in laminette incolori o verdognole, sfaldabilissime, biassiche e poco ricche in inclusioni di rutilo; la biotite è più rara, è in lamine verdi brune o giallo-brune e si comporta come uniassica. L'epidoto, da giallo a giallo verdiccio, può essere sia in cristalli, sia in grani più o meno rotolati; il suo colore è più o meno intenso a seconda dei casi; ha un pleocroismo debolis- simo ed i frammenti allungati presentano vivi colori di polariz- zazione ed estinzione retta. Il granato poco comune, sebbene non scarso, si presenta per lo più in cristalli rombododecaedrici che solo talvolta hanno gli spigoli smussati; anche in granuli più o meno rotolati. Il suo colore rosso chiaro ed anche un po’ tendente al gial- liccio mi fa credere che sia da considerarsi come grossularia. La glaucofane si presenta sempre in frammenti di cristalli generalmente a spigoli vivi ed eccezionalmente a contorni, meno che rotolati, appena smussati. A luce naturale è sempre azzurra; però questa colorazione può essere più o meno intensa indipendentemente dallo spessore dei frammenti; mentre in certi frammenti essa si presenta molto marcata, in altri invece assume una tinta pallidissima. Ciò mi fa supporre che nelle dette sabbie si trovi della glaucofane di due provenienze diverse, il che è anche appoggiato dal fatto che la glaucofane a tinta intensa è sempre in fram- menti più voluminosi ed in prismi quasi completi, mentre l’altra si presenta sempre in minute scheggie, come se la separazione della prima dalle roccie che la contenevano sia stata molto più facile che non per la seconda. Mantiene la glaucofane di queste sabbie il suo caratteri- stico pleocroismo ed esso è più o meno intenso a seconda del grado della colorazione primitiva; i colori che più comunemente si osservano sono l’azzurro ed il violetto; potei però anche ve- dere nettamente in alcuni casi dei frammenti disposti in modo da presentare i colori verde-giallo ed azzurro e più raramente delle sezioni grossolanamente rombiche dicroiche sui toni del verde giallo e del violetto e dotate della caratteristica strut- tura reticolata proveniente dalle sfaldature secondo le faccie 110. OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 997 In quella a colorazione intensa che, come dissi si presenta in frammenti di cristalli più voluminosi e più definiti, notai le faccie del prisma 110, le quali sono sempre striate parallela- mente all’allungamento; più raramente quelle del pinakoide 010. Ho pure trovato, sebbene molto di rado, fra i grani delle sabbie, dei prismetti verdi, spezzati, aventi una forma determi- nata analoga a quella della glaucofane e costituiti da un finis- simo intreccio di sostanza cloritosa; riferisco questi aghetti ad una alterazione della glaucofane analoga a quella notata nei calcari glaucofanitici della Beaume (1). La presenza, nelle dette sabbie, di questa glaucofane inal- terata potrà servire, come cercherò di dimostrare, ad indicare la provenienza delle sabbie in cui è contenuta, ma ha pure, se- condo me, un’altra importanza assai grande. Nel mio già citato lavoro sulla glaucofane della Beaume, ho notato a proposito di un lavoro di Bundjiro Koto (2) in cui descriveva una glaucofane secondaria di una instabilità vera- mente eccezionale, come la sua ipotesi di considerare detta glaucofane come uno stadio effimero di equilibrio instabile in un processo di alterazione, difficilmente potesse applicarsi al solo caso speciale da lui considerato, ma piuttosto venisse ad infirmare completamente la stabilità chimica e mineralogica della glaucofane in generale. E ciò perchè come dissi allora, se si eccettuano alcuni mi- nerali che sebbene indicati dagli autori che li studiarono col nome di glaucofane, non hanno chimicamente nulla di comune con essa (3), in generale la sua composizione mineralogica è relativamente poco variabile (4) per modo che non è possibile, a parer mio, dare ad una glaucofane dei caratteri chimici straor- dinariamente differenti da quelli di un’ altra. (1) L. Coroma, Sulla glaucofane della Beaume; * Atti Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXIX, Seduta 11 marzo 1894. (2) B. Korò, A note on Glaucophane; “ Journ. of the Coll. of Scien. Imp. Univ. Japan ,, vol. 1°, parte 1° (1886), pag. 85. (3) Tali sono i minerali studiati da Barrois ed Offret, da Liversidge e da Foullon, le cui analisi ho citato nel mio lavoro sulla glaucofane della Beaume. (4) Ciò risulta dalle analisi di glaucofane riportate dal Dana (The System of Mineralogy, 1892, pag. 399) e dal Lacrorx (Minéralogie de la France et de ses colonies; Tome 1", 2° partie, 1895, pag. 699). 998 LUIGI COLOMBA Avevo pure allora indicato alcune prove dirette ad appog- giare la stabilità di detta specie mineralogica e ad esse dovevo pure aggiungere la presenza di glaucofane inalterata negli schisti, con le linee di schistosità che attraversano i cristalli, il che mentre per un lato indica che la schistosità deve considerarsi come un fenomeno posteriore alla formazione del minerale, indica pure che le azioni a cui i detti schisti debbono la loro struttura, non ebbero nessuna azione decomponente sulla glaucofane. Ma fra tutte le prove possibili questa dell’esistenza di glau- cofane inalterata in una sabbia miocenica, contenente fossili di mare profondo, è tale che dinota in essa una stabilità assai grande per modo che riesce difficile il supporre che ve ne sia di quella che possa alterarsi completamente in poche settimane come il detto autore asserisce. Escludendo però che la glaucofane sia da considerarsi come un minerale poco stabile, non voglio però escludere che in de- terminate condizioni possa alterarsi; io stesso ho allora segna- lato varì casi di alterazione ed anche in queste sabbie ho no- tato dei prodotti di alterazione proveniente da essa; credo solo sì possa ammettere che la sua stabilità non è inferiore a quella delle altre specie del gruppo dell’anfibolo. L'anfibolo, abbondantissimo, si presenta sotto vario aspetto. Di tremolite è specialmente ricca la parte minuta della sabbia; si presenta sempre sotto forma di cristalli allungati, incolori ed intatti, con le faccie lucentissime; in essi si notano le faccie del prisma 110 e quelle del pinakoide 010 per modo che assu- mono l'apparenza di prismi esagonali; quando i cristalli sono un po’ voluminosi, appaiono rotti e spezzati e le faccie del prisma presentano delle striature parallele all’allungamento, cosa co- mune nell’anfibolo. Raramente i contorni sono smussati e raris- simi sono i frammenti aventi gli spigoli un poco arrotondati, sebbene anche in questo caso si manifesti ancora la forma pri- mitiva dei cristalli. L'estinzione misurata sulle faccie 010 dà un angolo di 15°, corrispondente precisamente a quello della tremolite. Oltre a questo anfibolo incoloro sonvi pure degli altri cri- stalli, abbondanti pure nella sabbia minuta, che sono certo di anfibolo, ma che differiscono dalla sopradescritta tremolite per il colore un po’ verdognolo; credo debbansi considerare come OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU AI.CUNE SABBIE, ECC. 999 tremolite ferrifera poichè il loro angolo di estinzione sulle faccie 010 supera di poco i 15° e raramente giunge a 17° o 18°; pre- sentano un pleocroismo poco sensibile sui toni del verde e del verde gialliccio. Meno comune è una terza varietà di anfibolo che differisce dalle altre due per il colore e per l'angolo di estinzione. È essa colorata in verde erba od in verde smeraldo e la colorazione può alle volte assumere una notevole intensità ed anche avere delle sfumature azzurre avendosi in tale caso una tinta fra il verde ed il bleu; il suo pleocroismo poco marcato varia sui toni del verde più o meno intenso e raramente giunge ad un colore verde bruno. L'angolo di estinzione varia da 18° a 22° a seconda della intensità della colorazione. Credo sia da considerarsi come actinolite e si presenta in frammenti di cristalli un po' voluminosi, striati, ma raramente arrotondati. La tormalina, abbondante assai e facilmente separabile dalle sabbie con altri minerali, per l’azione dell’acido fluoridrico, si presenta sempre in cristalli od in frammenti di cristalli; quando essi sono intatti non mancano le faccie terminali e si rende manifesto il suo caratteristico emimorfismo non solo nelle faccie dei romboedri ma anche in quelle dei prismi; quando sono rotti si presentano sotto forma di prismi e solo raramente sotto forma di scheggie dotate di frattura quasi concoidale. Questa tormalina si può trovare sotto varì aspetti. La più comune è una tormalina verdognola a luce natu- rale e dicroica sui toni del giallo bruno (o giallo rossiccio) e del bruno schietto con leggere sfumature verso il verde bruno ed il bruno azzurro. È sempre in cristalli le cui faccie conservano completa- mente la loro lucentezza. Un'altra tormalina, più rara, è in cristalli minutissimi, al- lungati, costituiti dal prisma esagono e da romboedri terminali; differisce da quella sopra descritta per il suo colore e per le sue tinte di dicroismo, poichè a luce naturale è quasi incolora, con leggere sfumature sul giallo ed il suo dicroismo va dall’in- coloro al giallo bruno, mantenendosi in questo caso la tinta di una intensità media. In parte analoga a questa è una terza varietà che si pre- 1000 LUIGI COLOMBA senta in cristalli piuttosto grossi, con le faccie del prisma striate secondo l’asse di allungamento e che differisce perchè il suo dicroismo va dall’incoloro al verde bruno. Un ultimo modo di presentarsi della tormalina è in fram- menti, raramente aventi ancora la forma di cristalli, a frattura subconcoidale; quest’ultima tormalina è dicroica sui toni del bruno chiaro un po’ verdognolo e del bruno violetto intenso. È poco abbondante, e come dissi, raramente conserva la forma prisma- tica ed in tal caso le faccie sono sempre striate parallelamente all’asse d’allungamento. La magnetite si presenta in granuli per lo più a spigoli vivi, sebbene ve ne siano anche di quelli rotolati; inoltre sono pure comuni gli ottaedri completi e senza traccia alcuna di fluita- zione; spesso è inclusa nel serpentino. Trattata con acido cloridrico concentrato a caldo si scioglie incompletamente lasciando un residuo bianco quasi gelatinoso e che diviene pulverulento in seguito a disseccamento. Questo residuo volatilizza completamente quando viene trattato con acido fluoridrico; il che indica che è costituito da silice. Credo che la presenza di questa silice nella magnetite possa spiegarsi secondo quanto il Cossa disse per la magnetite del serpentino di Verrayes (1); cioè ammettendo che si tratti di olivina in- clusa nella magnetite. La pirite, rarissima, è in piccoli pentagonododecaedri su- perficialmente alterati in limonite. La cromite in granuli senza forma determinata, che col sal di fosforo dànno la perla caratteristica, si può separare me- diante la calamita, contemporaneamente alla magnetite; e si distingue facilmente da essa, poichè trattando il complesso dei grani separati con la calamita con acido cloridrico concentrato a caldo, rimane completamente inalterata. Lo spinello è assai comune e si trova in frammenti a spi- goli vivi leggermente colorati in rosa od in ottaedri piccolissimi, isotropi e quasi incolori; al pari della cromite e di altri mine- rali rimane inalterato trattando le sabbie con acido fluoridrico; così pure fondendo i suoi cristalli con carbonato sodico potas- (1) Cossa A., Ricerche chimiche e microscopiche su roccie e minerali d’Italia; Torino, 1881, pag. 114. OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, Ecc. 1001 sico. È invece facilmente decomposto per fusione con bisolfato potassico. Lo zircone è pure comunissimo e si presenta in piccoli cristalli allungati, incolori od appena colorati in bruno; questi cristalli sono terminati alle estremità e raramente sono roto- lati; credo però, visto che lo zircone è molto raro nella sabbia prima del trattamento con acido fluoridrico, che esso sia per la . massima parte incluso in qualche altro minerale e che solo in seguito alla detta azione i cristalli vengano ad essere liberati. Questo zircone è ricchissimo in inclusioni; alle volte queste assumono la forma di cristalli negativi disposti sull’asse di al- lungamento del cristallo includente; alle volte sono globulari e presentano una colorazione bruno-rossa e sono dicroiche. Non mancano, sebbene rari, dei cristalli di zircone incolori i quali hanno nel loro interno una fascia colorata in giallo, pleo- croica, coincidente perfettamente col loro asse di allungamento. Il rutilo si presenta per lo più in cristalli bacillari, allun- gati, fibrosi, colorati in giallo od in giallo rossastro; sono ab- bondantissimi i geminati e per il complesso dei caratteri questo rutilo credo si possa riferire alla sagenite, ed anzi credo inte- ressante il segnalare come nel residuo del trattamento delle sabbie con acido fluoridrico, abbia trovato alcuni finissimi ag- gregati di cristallini fibrosi di rutilo poligeminati, perfettamente paragonabili per l’aspetto agli aggregati di sagenite della Sa- voia e che io pure ho trovato ad Oulx nell’alta valle della Dora Riparia. In generale questi cristallini mancano di traccie di fluita- zione ed al massimo presentano talvolta una forma affusolata e delle striature parallele all’allungamento. Riferisco anche al rutilo dei cristalli e dei frammenti rosso- scuri, un po’ gialli, che presentano pure tutti i caratteri distin- tivi di tale minerale. Nè credo che tutto l’ossido di titanio si presenti nelle dette sabbie sotto forma di rutilo, poichè ho notato talvolta, sebbene raramente, dei piccoli frammenti a spigoli vivi, gialli, un po’ grigiastri, tabulari, mancanti completamente dell’aspetto affu- solato del rutilo e che tuttavia sono costituiti da ossido di ti- tanio, poichè sono infusibili, inattaccabili dall’acido fluoridrico e col sal di fosforo dànno la perla caratteristica. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 68 1002 LUIGI COLOMBA Credo che si possano i detti frammenti considerare come ottaedrite, sebbene il loro colore non sia quello presentato dal detto minerale; e ciò perchè ho potuto in alcuni casi consta- tare la forma dei cristalli e le caratteristiche striature sulle faccie 111; in quanto al colore esso è identico a quello d’ una ottaedrite della Valle di Susa che sto attualmente studiando. Rara è la daritina, sotto forma di minuti frammenti striati, incolori, ad estinzione retta; essi si presentano nel residuo del trattamento delle sabbie con acido fluoridrico, sotto forma cor- rosa ed arrotondata e credo che tale modificazione alla loro forma (che prima di tale trattamento è a spigoli vivi) dipenda da una parziale loro soluzione nell’acido solforico concentrato usato per scomporre i fluoruri provenienti dal sopraindicato trat- tamento. Diffatti essi presentano delle superficie ondulate e come costituite da piccole cavità disposte in serie e parallelamente alle direzioni di estinzione; fenomeno perfettamente analogo a quello osservato facendo agire l’acido solforico concentrato su frammenti di baritina. Stante la rarità del detto minerale, nelle sabbie, ho dovuto limitarmi a determinare il bario mediante l’analisi spettrale, decomponendo il residuo, inattaccabile dal- l’acido fluoridrico, mediante fusione con carbonato sodico po- tassico. Alla baritina credo pure si possano riferire delle sottilis- sime laminette incolori o bianchiccie, ad estinzione retta, che si trovano nel detto residuo, e che presentano delle caratteri- stiche figure di erosione, aventi l’aspetto di esagoni a simmetria rombica e disposti in serie e cogli assi di simmetria paralleli alle direzioni di estinzione. Queste figure di erosione si avvici- nano diffatti molto a quelle prima notate nella baritina e solo ne differiscono perchè sono più marcate e regolari. La menaccanite è anche piuttosto rara e si presenta in mi- nuti granuli, senza forma determinata, ma a spigoli vivi, poco o nulla magnetici. Essi sono in parte solubili nell’acido clori- drico concentrato a caldo lasciando un residuo bianco che dà la perla del titanio. OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1003 LV Sulla scorta delle precedenti osservazioni credo si possa indicare con grande probabilità la provenienza di un certo nu- mero di detti minerali e precisamente di quelli più caratteristici per la loro struttura e per il loro modo di presentarsi. E ciò perchè si tratta di un’associazione perfettamente ana- loga ad una che io ho osservato sulle Alpi, nell’alta valle della Dora Riparia; questa analogia non esiste solo per quanto ri- guarda la natura dei minerali che entrano a formare la detta associazione, ma anche per ciò che si riferisce ai loro caratteri esterni, il che è necessario perchè realmente si possa stabilire una corrispondenza fra due giacimenti; diffatti il solo fatto di trovare in una sabbia determinate specie minerali che pure si riscontrano, in posto, in qualche località, non è sufficiente per stabilire che i minerali delle sabbie provengono dal detto gia- cimento; è necessario anche di stabilire, mediante un accurato confronto, che i minerali delle due località presentino ugua- glianza per il complesso dei loro caratteri morfologici e strut- turali come sarebbero il colore, le dimensioni, l'aspetto, ecc. Ora questo è appunto il caso dei minerali componenti le sabbie che formano oggetto del presente studio; i minerali ca- ratteristici di cui intendo parlare specialmente, sone la glauco- fane, il rutilo, l’ottaedrite, la menaccanite, la baritina, la tor- malina ed in parte anche il feldispato; mi sarà facile anche in seguito di far vedere come altri minerali si prestino pure ad appoggiare le mie idee sulla provenienza dei materiali compo- nenti queste sabbie; ed in quanto a quelli di cui non mi occu- però sono in generale dei minerali non caratteristici e comuni a qualunque sabbia di qualsiasi provenienza. Tali sono il quarzo, il feldispato, le miche, la clorite, il talco, il serpentino, il pi- rosseno, ecc. Nel già citato mio lavoro sulla glaucofane della Beaume ho segnalato come caratteristici delle roccie glaucofanitiche di detta località, la glaucofane, la tormalina, la ematite e l’albite; di più secondo studîì che ho attualmente in corso e riguardanti dei minerali contenuti entro ad alcune litoclasi che tagliano la 1004: LUIGI COLOMBA parete quarzitica della Beaume, ho constatato la presenza di altre specie interessanti fra cui l’albite, il rutilo (sagenite), l’ot- taedrite, l’ematite titanifera, la menaccanite, la baritina, la pi- rite, accompagnati da dolomite, siderite, calcite, rodocrosite e da alcune zeoliti. Ora è facile il vedere come tutti i minerali stabili del giacimento della Beaume abbiano i loro corrispon- - denti nelle sabbie di Marentino; e non solo ciò ma con carat- teri di somiglianza perfetta. Difatti nel mio lavoro è detto che la glaucofane dei cal- cari è intensamente colorata e pure intenso è il suo pleocroismo; e la stessa cosa avviene per la massima parte della glaucofane trovata nelle sabbie; ed in quanto a quella poco colorata si potrebbe anche paragonare a quella che alla Beaume è conte- nuta negli schisti. Ma non credo che sia necessario questo, poichè qualunque e per quanto speciale sia stata la causa che determinò il trasporto dei detti minerali dall’ alta valle della Dora Riparia alla collina di Torino, non dovette certo agire solo su una zona tanto ristretta quanto è la parete della Beaume ; certo fu tale da agire per lo meno su tutta l’alta valle in cui sono abbondanti le anfiboliti glaucofanitiche e le glaucofaniti in cui la glaucofane ha un colore poco intenso. Lo stesso dicasi per la tormalina della Beaume, che risulta affatto simile a quella più comune delle sabbie in questione; anch'essa, come dissi quando ebbi occasione di studiarla, è co- lorata in verdognolo, con sfumature azzurrognole ed è dicroica sui toni del giallo bruno o rosso bruno e del bruno schietto; ed anche per le dimensioni dei cristalli e per i varì altri ca- ratteri esterni, l'analogia, anzi l'uguaglianza è completa. Ad uguali conclusioni conduce il confronto per quanto ri- guarda il rutilo (sagenite), l’ottaedrite, la baritina e la menac- canite; i caratteri che questi minerali presentano alla Beaume (e di essi mi occuperò quando avrò finito gli studî che attual- mente ho incominciato) sono perfettamente simili a quelli dei minerali corrispondenti contenuti nelle sabbie. Il rutilo è colo- rato in giallo miele od in giallo rosso ed ha struttura fibrosa tanto in un caso che nell’altro ed i gruppi di cristalli di sage- nite comuni nel feldispato delle dette litoclasi sono perfettamente simili a quelli trovati nelle sabbie; l’ottaedrite della Beaume ha lo stesso colore giallo grigiastro che ha nelle sabbie ed i OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1005 cristalli hanno pure lo stesso abito appiattito che così bene serve a distinguerla da quella del Delfinato; la menaccanite nera, a lucentezza metallica, pochissimo o punto magnetica, conserva inalterati tali caratteri nelle sabbie; la baritina in lamine striate è pure simile a quella delle sabbie. Per quanto riguarda l’albite così comune alla Beaume sia nei calcari sia nelle litoclasi e così raramente determinabile nelle sabbie, mi limiterò qui a ricordare i frammenti già segna- lati che ancora conservano traccie di geminazione; e se questi si trovano in piccolo numero, ciò dipende, credo, essenzialmente dalla facile sfaldatura del detto minerale. Tali fatti sono sufficienti a stabilire, secondo il mio modo di vedere, una intima corrispondenza fra i minerali delle due località; corrispondenza che solo si può spiegare ammettendo che i minerali delle sabbie provengano dal già indicato giaci- mento della Beaume. Nè la mancanza nelle sabbie degli altri minerali proprii del detto giacimento può contrastare a quanto ho detto poichè per lo più si tratta di minerali dotati di poca stabilità oppure facilmente asportabili; diffatti è difficile che in una sabbia marina si possano mantenere i carbonati, l’ ematite (che anche quando è titanifera, da quanto ho visto, ha pure tendenza a decomporsi dando della limonite), la pirite e le zeoliti. Posso però citare ancora fra i minerali dell’alta valle della Dora Riparia e quelli delle sabbie, altre corrispondenze, le quali servono pure a confermare quanto dissi ed indicano, fino ad un certo punto, che il fenomeno fu comune a tutta l'alta zona al- pina di detta valle. Piolti ha trovato al Monte Tabor ed alla Téte Pierre Muret dei calcari che fra gli altri minerali contengono della tormalina la quale si presenta in cristalli minutissimi, quasi incolori a luce naturale, e pleocroici dall’incoloro al giallo bruno; un altro modo di presentarsi della tormalina nei detti calcari è in cri- stalli più voluminosi e che solo differiscono da quelli piccoli, oltre che per le dimensioni, per il dicroismo che varia dall’in- coloro al verde bruno. Ora basta confrontare queste tormaline con la seconda e la terza varietà che ho segnalato nelle sabbie di Marentino per vedere la esatta rassomiglianza. In quanto alla quarta varietà 1006 LUIGI COLOMBA trovata nelle sabbie per tutti i suoi caratteri corrisponde per- fettamente alla tormalina di Borgone e Villarfocchiardo. Parimenti Piolti ha pure trovato al Truc Castelletto, sopra a Mocchie, un’anfibolite che contiene un anfibolo colorato in verde smeraldo intenso con sfumature azzurre ed il cui pleo- croismo, come il colore e gli altri caratteri, sono perfettamente uguali a quelli dell’anfibolo verde intenso trovato nelle sabbie. La magnetite è abbondantissima nella zona serpentinosa della bassa valle e nell’alta valle nei serpentini che da Oulx vanno al colle di Sestrières, formando la base del Monte Frai- teve; così pure la cromite che oltre ad essere abbondante nel distretto del G. Gimont, è pure comune in tutti i serpentini e le Iherzoliti della valle. Analogamente la tremolite e l’asbesto sono comunissimi nell’alta valle, nella già citata zona serpentinosa, dove si pre- sentano comunemente sotto forma di fibre bianche o verdognole. Anche il granato è comune specialmente nella bassa valle. Fra i minerali caratteristici soli rimangono senza che sia possibile trovare alcuna corrispondenza lo zircone e lo spinello; ciò non deve far stupire quando si pensi che moltissime fra le roccie della valle della Dora Riparia sono ancora da studiare. V. Se alle osservazioni mineralogiche da me fatte si aggiun- gono quelle che riguardano i caratteri paleontologici e di posi- zione delle sabbie studiate, credo che si possa giungere a delle conclusioni assai interessanti specialmente per quanto riguarda il loro modo di formazione. Diffatti mentre per un lato queste sabbie contengono una fauna di mare profonda, pur presentando una facies di litorale o di deposizione tumultuosa, per altro lato contengono una grande quantità di minerali che non presentano quasi traccia di fluitazione; questi minerali provengono dall’ alta valle della Dora Riparia per la massima parte e solo si può spiegare la loro presenza ammettendo che per qualche causa speciale siano stati sottratti all’ azione erodente delle acque superficiali e marine. OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, Ecc. 1007 Ora questi fatti credo siano difficili a spiegarsi mediante un fenomeno normale di sedimentazione, sia ammettendo che si tratti di formazioni che già inizialmente fossero allo stato di sabbie, sia ammettendo che esse provengano da frammenti disgregatisi in seguito. Poichè nel primo caso non si potrebbe spiegare la man- canza di fluitazione negli elementi dell’alta valle i quali invece dovrebbero essere quelli più rotolati; nel secondo caso non si potrebbe spiegare la presenza di grossi frammenti in un mare profondo; e notiamo che sarebbe necessario di ammettere che la loro disgregazione, con successiva formazione delle sabbie, sia avvenuta in fondo al mare poichè i fossili sono intimamente mescolati ad esse senza che si scorgano traccie di rimesco- lamento. Al complesso dei caratteri mineralogici, paleontologici e strutturali osservati in queste sabbie meglio corrisponderebbe un’origine derivante da un fenomeno glaciale; ammettendo che all’epoca in cui esse si depositarono, dei ghiacciai occupassero le valli alpine, giungendo fino al mare, essi dovevano avere maggior sviluppo in alto che non in basso, per modo che mentre in basso i materiali disgregatisi per azione della degradazione meteorica subivano i soliti fenomeni di fluitazione, in alto invece erano i detti fenomeni molto più limitati perchè i frammenti ed i detriti appena staccati venivano ad incorporarsi nel ghiac- ciaio e quindi ad esser per la massima parte sottratti ad ogni azione erosiva; è naturale quindi che alla base dei detti ghiac- ciai venissero a trovarsi mescolati materiali rotolati e non ro- tolati e fra questi ultimi in modo speciale quelli provenienti dall’alta zona alpina. E se dalle fronti di questi ghiacciai, sboccanti in mare, si staccavano, analogamente a quanto ora avviene nei ghiacciai nordici, delle zattere di ghiaccio, queste, cariche di detriti, ve- nendo a contatto con delle correnti calde, dovevano fondere facilmente depositando in posto tutti i materiali che tenevano sospesi. Con tale origine concorderebbero pure altri fatti osservati nelle dette sabbie; così concorderebbe il carattere tumultuoso della deposizione, proveniente dalla rapida sedimentazione; così l'alternarsi di strati fossiliferi e non fossiliferi, corrispondenti i 1008 LUIGI COLOMBA primi a dei periodi di ritiro dei ghiacciai ed i secondi a dei periodi di avanzata; il che sarebbe anche confermato dalla mi- nore quantità di elementi a spigoli vivi (cioè di elementi di origine glaciale) negli strati più ricchi in fossili. L'ipotesi di un periodo glaciale miocenico e la possibilità di spiegare con esso varî fatti attinenti alla collina di Torino fu emessa dal Gastaldi, sostenuta dal Baretti e dal Portis e combattuta da vari geologi fra cui Sacco e Virgilio (1). È però degno di nota l’osservare che il Sacco stesso (2) riconosce come sianvi sulla collina di Torino dei fenomeni che la appoggiano singolarmente, prestandosi difficilmente ad una spiegazione dif- ferente. Tali sono i massi a spigoli vivi sparsi sulla collina e che da alcuni si vorrebbero considerare come ultimi residui di con- glomerati erosi e come provenienti dalle piene dei torrenti al- pini miocenici (3). Tali sono pure a parer mio le sabbie che ho studiato; e se da sole non possono considerarsi come argo- mento decisivo, è fuori d'ogni dubbio che per lo meno ci per- mettono, unitamente agli altri fatti osservati, di stabilire come nell’Elveziano e nei terreni di transizione fra l’Elveziano ed il Tortoniano sianvi delle formazioni la cui origine richiede una causa speciale. E questa a parer mio potrebbe, con grande pro- babilità dipendere da un fenomeno glaciale; tanto più che gli (1) Un’accurata e completa bibliografia dei lavori riguardanti l’origine della collina di Torino è data dal VireiLio nel suo lavoro: La collina di Torino in rapporto alle Alpi, all’Appennino ed alla pianura del Po, Torino, 1895. (2) Sacco, Il bacino terziario del Piemonte, 1889. (8) Sebbene il SureLr (Etudes sur les torrents des Hautes Alpes, +. II, 1872) ammetta che i torrenti alpini possano trasportare dei grandi massi senza che essi perdano i loro spigoli vivi, tuttavia è lecito di dubitare che questo trasporto. possa farsi per un tragitto molto lungo, ed ammessa anche tale possibilità è dubbio che questi massi non finiscano per arro- tondarsi. Nè occorre dimenticare che secondo i detti autori questi massi derivano dalla bassa valle in cui certo era minore l’impeto dei torrenti e tanto più in quanto che la catena alpina era meno elevata. Di più, ammessa questa origine per i detti massi, come mai si spie- gherebbe che le potenti piene dei torrenti pliocenici, i quali hanno con i loro coni di dejezione determinata la formazione della pianura padana, non abbiano trasportato uno solo di tali massi? OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1009 argomenti addotti dal Sacco (1) contro all’ipotesi del Gastaldi, non sono, secondo me, tali da togliere ogni verosimiglianza all'ipotesi stessa, poichè mentre per un lato anche attualmente abbiamo delle prove di immediato contatto fra ghiacciai e terre a vegetazione tropicale (2), per altra parte solo con accurate indagini petrografiche e con un esatto studio di confronto si potrà stabilire se realmente le eufotidi, le anfiboliti ed i ser- pentini della Collina di Torino siano originarie della parte bassa della valle, oppure della parte alta dove pure abbondano tali roccie specialmente nel massiccio diabasico del Gran Gimont. E quand’anche si potesse provare la prima opinione, nessuna migliore confutazione potrebbe farsi all’obbiezione di Sacco, di quella fatta da Virgilio (3), certo non sospetto in tale questione. Per quanto riguarda l'argomento contrario che l'ipotesi gla- ciale non serve a spiegare tutti i fatti osservati sulla collina di Torino, secondo me, esso non prova nulla, poichè dall’ am- mettere che nel miocene sia esistito un periodo glaciale e che esso abbia contribuito alle tanto discusse formazioni, ad am- mettere che esso ne sia stata l’unica causa, passa una note- vole differenza. E non bisogna scordare che un fenomeno così complesso come è quello della formazione della collina di To- rino, solo può dipendere da un complesso di cause, come del resto deve accadere per tutti i fenomeni geologici, date le cir- costanze in cui si svolgono e date pure la loro natura e la loro durata. (1) Sacco, Les rapports géo-tectoniques entre les Alpes et les Apennins; “ Bull. de la Soc. Belge de Géol., Paléont. et d'Hydr. ,, t. IX, Bruxelles, 1895. (2) Il ghiacciaio di Wajau nella Nuova Zelanda scende fino a 212 m. sul livello del mare, in mezzo ad una vera vegetazione tropicale, da cui solo è separato da una stretta zona di poche centinaia di metri di lar- ghezza, occupata da una flora speciale essenzialmente costituita da conifere (De LapparenT, Traité de Géologie, 1893, pag. 270). Qui, come si vede, si tratta di un contatto immediato, cosa ben differente dal caso considerato dall'ipotesi di Gastaldi, in cui invece fra i ghiacciai e le terre a vegetazione tropicale esisteva un mare la cui funzione regolatrice in fatto di tempe- rature doveva rendere molto minore il contrasto. (3) Vireizio, Sulla origine della collina di Torino; “ Boll. Soc. Geol. Italiana ,, XV (1896), 1°, pag. 49. 1010 GIUSEPPE LAURICELLA Integrazione dell'equazione A°(A°u)=0 in un campo di forma circolare; Nota del Prof. GIUSEPPE LAURICELLA. Il MarHIEU nella sua Mémoire sur l’équation aua diffé- rences... (4) ha integrata l'equazione: (1) A°(A?u) = 0, nel caso che il campo che si considera fosse circolare e che al contorno fossero dati i valori della funzione incognita e quelli della sua derivata normale, esprimendone la soluzione mediante serie. In questa Nota io risolvo la medesima quistione, appli- cando il metodo generale che ho indicato nell’art. I della mia Memoria: Sull’equazione delle vibrazioni delle placche elastiche in- castrate (*). La soluzione che io trovo è formata di soli integrali definiti e si presta bene alla verifica delle condizioni che devono essere soddisfatte nei punti del contorno. 1. Sia 0 un campo piano circolare di raggio R, s il suo contorno, P = (x, y.) un punto nel suo interno, P' un punto preso sul prolungamento di OP e tale che, posto: OP = p, OPu—"p", sia: Se indichiamo con 7, r;, p le distanze dei punti P, P', O ad un altro punto qualsiasi M = (x, y) e se poniamo: (') “ Journal de Mathématiques pures et appliquées ,, 2° série, t. XIV, année 1869. (?) “ Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, serie II, t. XLVI. AT E Pen INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?2u)=0, Ecc. 1011 fa p T,, avremo che la funzione: H = rilogr, è regolare in tutti i punti M del campo o insieme alle sue de- rivate dei varii ordini, soddisfa in questi punti all’equazione: AMATE): =0 e nei punti di s alle altre: Hi=-#dosr, dò H dî (0 dn ni + 2logr{ (FP), dove n indica la direzione positiva della normale nei punti del contorno s. Detti 9 e 0' gli angoli che i raggi vettori p e p' fanno coll’asse x che parte dal centro O, sarà: TAR LI ZELL ELI D) R' R? r ri =N0F+9—2pp"eos6—0) = |o°+- — 29-+7 cos (0 — 0), PIT SEAN e ORFANO DC OA CUD e A Cra, en Vi al dipen LL 7 pipp'— R°cos(0 — 0)} PR) li gii) PECORE STRA) 4 PLZIRONE (ge) —— _p'ip'— Reosto —0){ dn Js : ROL ’ dH _ (1+2logr)}p"—Rp'cos(0—0)l da TT R . 2. La funzione: y — (1-+2logrs) (p'° — R3) tai 2R? 1012 GIUSEPPE LAURICELLA è regolare in tutti i punti M del campo o e soddisfa all’equa- zione indefinita: ACW = De allora, posto: K= (R° — p)Y, si avrà che la funzione K è regolare essa pure in tutto il campo 0 e soddisfa nei punti di questo campo all’equazione: A°(A°R) —:0, nei punti di s alle altre due: E 0, = ed {odi (1+2logr) (p'? — R?) i n R 8. Ciò posto, si consideri l’espressione: g=+ +6) Da quanto precede risulta che 9 è una funzione regolare in tutto il campo 0, che nei punti di questo campo soddisfa all’equazione: A°(A°g)=0 e nei punti del contorno s alle altre due: = sa r°logr, dg 1 (—(1+2logr)p?—Rp'cos(0—@)}+(1+2logr)(p*?—R9)) __ dì SIA kR j= 1 òd(re° log?) 1 Ù f = — + (14+2logr)[R— p'costo — )f= <= Secondo i risultati della mia cit. Mem. la 9 è quella fun- INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?w)=0, Ecc. 1013 zione che serve a darci l'integrale dell’equazione (1), corrispon- dente a dati valori di v e di Se nei punti di s, mediante la formola: a, Pf du d logr dA°9 ] ORTA E n LIL 4. Andiamo ora a verificare se nei punti di s la fun- zione v' e la sua derivata normale coincidono rispettivamente coi valori dati di « e di Lo ; Anzitutto osserviamo che si ha: Ag=1AH+44 AK=47 (logre +1) — v__xndt_ e pi—R? ni dlogra paga: + logr: + p onda di - ’ dA°9g __ dlogr. 21) pri ="Rz — + p p°î — R° 0d°logra dan © da R R? dn? __ dlogra p? — R? —. p' i. 1 raga on R? + p R? + 1 (R°= p?) ) T pippi 2Rpeos0= 8) — 2RRTp*_2Rp cos). sicchè nei punti di s sarà: p?+ R? — R? dlogr Ng Llogr + PE CL so. par Ripe Resp dlogre __ madonie grani Rene R? — p°? a =14 logr 2R° * R°|p" —2Rp'cosl0—60) ’ d Ag a dlogra i fi pro” dlog ra peo pi + TAGGIA 7) R? dn DR p?— R (p'? — RI? i R}Rî|p? — 2Rpcos0— 9) — 2R*{R}+ p?—2Rpcost0—0)}? — 1014 GIUSEPPE LAURICELLA MISTE dlogra dlogr MIDI (TI SIOE Oro SE = —2R8° Po (1428088 + dn — 2R*} R*4-p?— 2Rp'cos (0-0) i Si (R?— p?}R— p'cos(6—0)| R°) R*+ p' — 2Rp' cos (0—0){? ; La (2) diviene allora: Ferro: | (R? — p'?° du sr AGIRE, 2R°{R°+-p?—2Rp'cos(0—0){ dn p)°} R — p'cos(0— all det: + — 2 Rp'cos(9 —0') {? u} = (2°) R—p? 1 ( du Ri-op? TREE TA ETRO e I Ca i; (R°— p')°}R— p'cos(0—9): + agli R°}R?+-p?—2Rp'cos(0—0){? d 5. La formola precedente serve a rappresentare nel campo circolare © un qualunque integrale dell’equazione (1), regolare insieme alle sue derivate dei primi quattro ordini in tutto 0 ed s, per mezzo dei valori al contorno s di questo integrale e della sua derivata normale. In particolare la funzione: u= 1 deve potersi esprimere per mezzo della formola (2'); e poichè si ha allora: avremo dalla (2°): __1 (_(R°p?{R—pcost0—®) (3) be 2 È R?} R°-+p?—2Rp'cos(0— 6)}? ds Ciò posto, si indichi con w il valore della funzione data w in un punto @ del contorno s. La (2') e la (8) ci dànno: INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?°u)=0, Ecc. 1015 Wp, ; Rî-p%, 01 f du Rip? BR 2kc a s Òn R} R°+p"?—2Rp'cos(0—0){ ds ur TIME (R*— p'2)°} R— p'cos(0— 0)! tot i (u— 0) R°}R?{ p?—2Rp'cos@— 0){° ds, donde, supponendo continua la funzione data u, risulta con con- siderazioni note: (4) limu = w. P—Q 6. Per dimostrare ora che la derivata normale della fun- È Ae 7 Ta " Ò & zione v' coincide nei punti di s con la funzione data n sarà utile trasformare la (2'). Osserviamo anzitutto che, posto: cos(0 — 0')=#, risulta: dt do= — —— pig f (R°— p'2)}R— p'cos(0—0)! PIA fu (R°—p?)(R—p'7) di. J* RiRt+p3—2Rpcoste—9)® © — JRE 2Rpò | ie! e quindi, se si fa la sostituzione: V=-#=A1-da e si pone: abbiamo: de = } (R?— p'9°}R — p'costo — 0) 3" R}R?+-pî—2Rp'cos(6— 0) a ° (R°— p?F} R—-p)e®+(R+9) 3. =—+2Je RIR—pFe+®tpe 3 ser B(R+p") x dae B(R+p") (" da =_—_2 R fu +? da R fu si ’ 1016 GIUSEPPE LAURICELLA donde, ammesso che esista e sia sempre finita la derivata prima di u(0), segue: fu (R°— p'32}R — pcosl—0)! A R }R°+- p?— 2Rp'cos(9—0') î 2 00 10 ateneo A pasto ® 2u| R aa gg aretang 7) + (R+p'" di + affito). da (7 TE EST) + DR r arctang 7 da + | aa et Me4R + ah pg areteng 5) dej= (___—p'(R?—p’)sen(0—6) 2u ì 2R|R?+p?—2Rp' cos(0—0)| si (R—p')sen(0—68') Ì + arctang | (R+p)(1—cos(0—0')) | Sn "du —p'(R°— p°)sen(0— @) +213) è 2R}R?-|p?—2Rp' cos(0—@'){ t (R—p’)sen(0—0) + arctang | (R+p)(1—cos(0—0)) ja. Da questa formola si trae indicando con w il valore della funzione u per 0= 0": de = 27 uu _(R°—PP}R—p'cos(0 9) R) R°-|-p'? —2Rp'cos(0—0) {? 27 u —p e sen(0—0') = 2% 1-2 [4 de È 2R} R?-{-p?— 2Rp'cos(0— 0) { $i: + arctang (Eh Dn root d , (0 E 0)) {0 e quindi: INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A2u)= 0, Ecc. 1017 eno l' (du R?— p? u=ut cai «dn * R{R?+p?— 2Rp'cos(0—0) ds + 27 1 du — p'(R°— p'?)sen(9—0') n T de 2R}R°-+-p'?—2Rp'cos(0—0'){ vw 0 + arctang (1 RIp Pcot 1 (0—0))| do (1). 7. La formola ottenuta ci dà: dui du eopriSt- (Ada R? — p°? de a i) du R} R°+p?— 2Rp'cos(0—0)} ds + Re==p® NETTA O 0 Rafsna ch SR ra ue dn R}Rî4-p? dui; cosl0—0)} ds | 27 2__n2 __ e ESIR (R°— p°)sen(0 — 0’) de È d0 fo T : R Ria p'î — 2Rp cos(0—0){ > 1 (R°— p'?)°sen(0— 0") du e. , BIRI+p?— 2Rp costo—0){" * 40 d0 Ora, se la funzione u(0) ammette anche la derivata seconda sempre finita, si ha integrando per parti: ° (R°—p?)sen(0—0) du A J R}R?{-p?_ 2Rp'cos(0—0)} d0 dI + ee a) du Se i f R}R°+ — 2Rp'cos(0 — —0)} de ds — R®_p? ("dlog)R?4p®_2Rp'cost0—0){ du 79 _- p@R? d0 a d9 4 A 1 to (R2— p'3f? d R°+ p'"—2Rp'cos(0—0’) du do = p R? do ° 40 Ra (') Questa formola può servire a dedurre un’altra volta la (4). Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 69 1018 VITO VOLTERRA E -{log]R*+ p'—2Rp'cos(0—0'){ — ra ranti ue R?|p?— 2Rp'cos(0— 0) | d0 CRE i R°— p°? Ri )—log}R®{-p"—2Rp cos(6—0'){ + iisi per cui, ammessa la continuità della avremo: du da’ dep R°— p du da Ra dr li R } R°4- p'?_2Rp'cos(0—0){ * da ds + n sifii du Rip"? ua ‘ 2n da PSE ‘ R{R°H-p'"—2Rp'cos(0—0){ ds + don A f.j_lo }R°+ p''—2Rp'cos(0—0')} + 21 p R? 8Ì p p Ri pe d°u FERME a DO R?*-+ p'"— 2Rp'cos(0 — 0') | de? ds. Questa ci dà finalmente, supponendo continua la funzione Si e indicando con | di il valore di questa funzione nel punto Q: È du __ (du Lia DIP (3); Osservazioni sulla Nota precedente del Prof. Lauricella e sopra una Nota di analogo argomento dell'Ing. Almansi. Nota del Socio VITO VOLTERRA. Nella precedente seduta ho presentato una Nota dell’Inge- gnere Almansi, nella quale è trattato lo stesso problema che il Prof. Lauricella ora risolve. Questa soluzione è stata otte- nuta dal Lauricella indipendentemente dall’altra, che a lui era ignota, ed egli vi giunse applicando il procedimento da lui esposto nella prima parte della sua Memoria: Sulle vibrazioni + d°u de? di OSSERVAZIONI SULLA NOTA PRECEDENTE, ECC. 1019 delle placche elastiche incastrate. La formula definitiva che egli trova è più simmetrica di quella corrispondente a cui pervenne l’Almansi e non contiene, come questa, le derivate della fun- zione G data al contorno. Però si può trasformare quest’ultima formola riducendola a quella del Lauricella. A tal fine, valendosi di una doppia integrazione per parti, si può ridurre l’espressione: 27 = Co 1T— cos(u— a) 0 all’altra dw? =) n pa -2| 2 log sen -5 (VW — a) dw, quindi invertire la doppia integrazione che comparisce nella formula definitiva in modo da sostituire a 27 27 da GT Ga — Ga sen (W— a) R°+,?—2Rr cosa ; 1— cos(W— a) 0 la espressione 27 O) 9 d2G d log sen na (u— a)da du? e R° + 7° — 2Rr cosa 0 _-27 e trasformarla finalmente con una nuova doppia integrazione per parti. Ma si può evitare questo calcolo, e le relative derivazioni applicate alla funzione G, partendo direttamente dalla for- mula (4) dell’ing. Almansi. Essa infatti può scriversi: o anche 1020 VITO VOLTERRA Posto (a) Wi cianabi ciano SUL questa funzione, per un noto teorema, soddisferà la equazione A° =0, e poichè (0) = — 2R' avremo 27 o ea: 1 (R° — -)H ba) 4TR lagicotge dw, onde, a cagione della (a) e della (5) della Nota dell’Inge- gnere Almansi, 27 vs 1 (R? — »)H MI (aftat du — 27 i da AR Sei 54 Pei Gw R? 2 ( R°+r°— 2Rrcosw (R?-+ 72 — 2Rrcosw)? e per conseguenza 27 sea: 2__,2 Mi 1 (R*= r°) H T=_-® i Tia 4TR [at 2Rrcosw dw+ 27 da R°—, da 73 (R°— 79) ba 2r ; R°+,°—2Rrcosw R°(R°?-4+,°—2Rrcosw) (R°—r*)°r(r—Rcosw) gra © R3(R24+,*— 2Rr cosw)? i Gatto 27 2r = Ape lee 1 | R°_r}B—-rc05w) _ 4mR fr r?—2Rrcosw Hdw+t 2rR det 7°—2 Rr cos w)? Gao 0 che è la elegante formola stabilita dal Prof. Lauricella. Essa può quindi ottenersi direttamente anche senza ricor- rere alla seconda funzione di Green. Il ricavarla dallo sviluppo OSSERVAZIONI SULLA NOTA PRECEDENTE, ECC. 1021 dato da O. Venske, giovandosi delle note formule della serie di Fourier, avrebbe condotto a calcoli complicati (*). In modo analogo, valendosi del metodo dato dall’Inge- gnere Almansi nel $ 4 della sua Nota, si può risolvere il pro- blema simile nel caso dello spazio limitato da una sfera 0 di raggio R. Preso un sistema di coordinate polari coll’origine nel centro della sfera in modo che sia XxX =#YSenw cosp, y=#+7 Senw senp, 2 =7 C0SW e posto TRR0SI7, dp Mie align avremo 1 ()r:=R == 3 (0.)-=R = 5 92R H quindi nel punto A di coordinate r, wo, po, i valori di @; e 0, saranno que 1 (R°— #°) Gdo reef ont 0 tr 4TR Metri 0o,= — 1 (R° — :3)Hdo 8tR° ene essendo COST = cosw cosw, + senw senwo cos(p — po), da cui segue 1 (R° — 7°)? FT SIE ea ario) PARTPIRE Li 8rR° RUI di 3 2 me a)2 DI SEGR] pis Sh fa r®)? (2R°—r salici Gdo, (R? 4+- »° — 2Rrcosy)? che può prestarsi ad una verifica diretta, come ha fatto il Prof. Lauricella nella sua Nota. (*) Vedi Nachrichten von der K. Ges. der Wiss. zu Gòttingen aus dem Jahre 1891, S. 27. 1022 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO Per la storia della teoria delle superficie geordiche ; Nota dell'Ing. OTTAVIO ZANOTTI BIANCO. Fino ai tempi di Newton, tranne rare eccezioni, s'insegnava che la Figura della Terra era quella di una sfera perfetta: astraendo dalle irregolarità che la superficie fisica del nostro globo presenta, si assurgeva ad una superficie ideale e questa si cercava di conoscere e determinare. I lavori di Huygens e Newton fecero vedere, che la Terra animata come è da un moto di rotazione sopra se stessa, supposta omogenea e fluida, deve avere una figura ellissoidica di rivoluzione schiacciata ai poli. Le ricerche posteriori (Clairant, Laplace) dimostrarono che la Terra, non essendo nè omogenea, nè interamente fluida, non poteva avere quella forma, cui conducevano solo approssimati- vamente certe ipotesi sulla sua costituzione fisica. Si riconobbe di più che, data la Terra quale è in realtà, non era possibile ammettere sotto l’azione delle forze naturali, che avesse potuto assumere in complesso una qualsiasi figura geometrica, e che quindi non era lecito anche per astrazione, accettare per essa una superficie geometricamente definita. Fatti di ciò certi, si pensò a stabilire qual cosa si dovesse intendere per figura della Terra ed a cercare se, pur non geometricamente, essa fosse rappresentabile con simboli matematici e come definibile. Non trovando, per la forza delle cose, modo di valersi della. geometria per rappresentare matematicamente la figura della Terra, si ricorse alla meccanica dei fluidi: a ciò indotti dal- l’essere la Terra in gran parte coperta da liquido, e dalle idee cosmogoniche che le assegnano una condizione iniziale fluida. Dalla meccanica dei fluidi si prese ad imprestito la defi- nizione di superficie di livello di un liquido, e la si applicò al mare che, per occupare tanta parte dello strato superficiale del globo terracqueo, si assunse come valevole a rappresentare, con PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1028 date condizioni, il tutto: seguendo in ciò fare le idee di Gauss (1) e Bessel (2). Superficie di livello è quella secondo la quale si dispone un liquido in equilibrio sotto l’azione di date forze, la cui risul- tante è in ogni punto poi normale ad essa. Sul mare agiscono molte forze. Le attrazioni delle parti componenti tutta la massa terrestre; l’attrazione dei corpi ce- lesti; la forza centrifuga proveniente dal moto di rotazione della Terra intorno al proprio asse; poi l’azione dell’atmosfera, statica e dinamica (pressione, venti). Sulla massa d’acqua ma- rina opera poi il Sole come fattore termico, cagionando coll’e- vaporazione, col congelamento e collo squagliamento dei ghiacciai marini, moti e correnti, e variazioni di salsedine, generanti a loro volta altre correnti. Perturbano poi in vario modo la sta- bilità del mare i movimenti del suo fondo e delle sue coste, e delle isole, le eruzioni dei vulcani sottomarini; i depositi orga- nici e minerali che pei molluschi e pei fiumi vi si producono, pur astraendo da quelli irregolari ed a petto degli altri trascu- rabili, che avvengono per opera dell’ uomo. Tutte queste forze sono diversamente variabili col tempo: il mare pertanto avrà esso pure una forma variabile col tempo, e non potrà mai disporsi secondo una superficie di livello fissa corrispondente a quelle forze. Pure per arrivare a qualche cosa di concreto si è di una superficie che si ha bisogno, la quale, pur accostandosi il più che è possibile alla natura, sia almeno per una prima approssimazione fissa e determinata. Si esaminò pertanto se non fosse possibile lo scartare talune delle accennate forze, come molto piccole rispetto alle altre, e tenendo conto solo delle preponderanti, tentare di accostarsi alla figura ideale vo- luta, per poi studiare colla teoria e coll’osservazione le defor- mazioni che in quella producono le forze da prima messe in disparte, ed acquistare così qualche cognizione circa la figura vera del mare. Si suppose a tal fine nulla l'influenza di tutti i corpi ce- lesti; così si trascurarono le maree non solo, ma anche quelle (1) Gauss, Ueder den Breitenunterschied der Sternwarten Gottingen und Altona, 1828. (2) Besser und Baryer, Gradmessung in Ost Preussen, 1838. 1024 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO deformazioni che le masse da esse spostate causano, alterando nel muoversi le vicendevoli attrazioni delle parti della massa terrestre; si lasciarono poi anche da parte le azioni dell’atmo- sfera, quella termica del Sole, e delle forze molecolari. Con ciò le forze operanti sulla massa terrestre vengono ridotte a due: la mutua attrazione delle sue parti e la così detta forza cen- trifuga, originata dal suo moto di rotazione. La risultante di queste due forze è quella che può chiamarsi gravità teorica, che, naturalmente, l’uomo non potrà mai determinare coll’esperienza. La gravità pratica, che sola possiamo misurare col pendolo, e che perciò può chiamarsi pendolare, quella che si verifica in realtà, dipende a tutto rigore da tutte le forze attive. sulla Terra, è quindi variabile con queste d’intensità e direzione; però queste variazioni nel tempo sono sommamente piccole, e certo per ora non avvertibili sperimentalmente. Circa le varia- zioni della gravità in direzione, se ne hanno prove nelle con- statate oscillazioni di livelli a bolla d’aria, posti in condizioni opportune (Plantamour, D’Abbadie). Su questo argomento non debbono essere passate sotto silenzio le ricerche col pendolo orizzontale di Hengler e von Rebeur-Paschwitz e quelle di Pfaff con una specie di bilancia a molle: così van ricordati gli appa- recchi immaginati e gli esperimenti istituiti per lo studio delle variazioni della gravità da Bohnenberger, Darwin C. H., Gruit- huisen, Mascart, Perrot, Zollner. La variazione secolare delle latitudini, se, come si spera, fra una cinquantina d’anni, col- l'attuazione ora in corso del programma del Prof. Emanuele Fergola, sarà constatata oppure non; quella a corto periodo oramai confermata dalle osservazioni, ne additano pure varia- zioni della direzione della gravità. Esse dimostreranno, quando saranno ben conosciute, come ed in qual ragione varii la dire- zione della gravità col tempo. Le deviazioni della verticale fi- sica, rispetto alla geodetica di un dato ellissoide di riferimento, dipendono troppo e dalle costanti di esso, e dalle triangolazioni che ne forniscono la latitudine geodetica, per poter nello stato attuale della scienza darci mezzo di investigare le variazioni della direzione della gravità. È però ammissibile che la gravità reale e la teorica differiscono di poco sia per l’intensità che per la direzione. Bessel definisce come segue la figura matematica della Terra: e PI PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1025 “ Quella superficie, in cui verrebbe a giacere la superficie del- l’acqua di una rete di canali comunicanti col mare; cioè una delle superficie, alle quali è ovunque normale la risultante di tutte le forze d’attrazione e della forza centrifuga , (1). Listing (1872) chiamò geoide la figura matematica della Terra così definita. Taluni chiamano il geoide, forma fisica, e denotano la naturale coll’ appellativo di forma vera, e dicono forma matematica quella dedotta colle misure geodetiche. Come si vede facilmente, il geoîde non è che una delle superficie di livello della gravità teorica. Di queste, quelle che passano per punti situati così da essere accessibili all'uomo, si dicono superficie geoidiche. Bruns (2) ed Helmert (3) hanno stu- diato le proprietà delle superficie geoidiche. Poichè la Terra non è un corpo assolutamente rigido, ma soggetto, nella disposizione e distribuzione delle parti della sua massa a variazioni lente e rapide, periodiche e non, così a tutto rigore il geoide è anch'esso variabile col tempo. È ap- pena necessario avvertire, che le deformazioni del geoide col tempo possono venir trascurate per lo scopo complessivo della determinazione geodetica della forma e grandezza della Terra: esse debbono venir studiate per scopi geologici e geofisici, ed a completare le nostre cognizioni intorno a quella forma stessa. Il geoide è quello che fu sempre chiamato il livello del mare, anche quando questo non era nettamente definito: si sa ora che il geoide non molto si scosta da un’ellissoide di rivo- luzione schiacciata ai poli. In certe operazioni di geodesia (riduzioni delle basi al li- vello del mare, livellazioni) si era fino a pochi anni or sono ritenuto che la sfera potesse bastare quale forma del geoide, servendosi per le altre di un’ellissoide di rivoluzione. Helmert (1) Gradmessung in Ost Preussen, p. 427. (2) Ueber einen Sata aus der Potentialtheorie.. BorcnarDr, “ Journal fiir Mathematik ,, LXXXI, 1876, p. 349 e nella sua classica memoria, Die Figur der Erde, 1873. (3) HeLmert, Die mathematischen und physikalischen Theorieen der Hòheren Geodtisie, vol. II, 1885. — Vedasi anche Zanotti Branco OrTAVIO, Le livellazioni di precisione ed il livello del mare, nell’ “ Ingegneria civile e le arti industriali ,, Torino, 1892. 1026 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO ha introdotto anche nella livellazione i più moderni ed esatti concetti. Nello stato attuale della geodesia e delle misure della gravità, siamo lontani dal conoscere la forma del geoide quale fu definito, oggidì noi non ne conosciamo che una forma appros- simata. Per poter imparare qualche cosa di più occorre avere qualche proprietà che colleghi quella forma approssimata alla reale, e più che altro importa il conoscere i sollevamenti e le depressioni che il geoide presenta rispetto a quella forma ap- prossimata, o sferoide normale (sferoide di livello di egual po- tenziale del geoide) (1) in causa delle irregolarità della super- ficie terrestre, delle quali in quella forma approssimata non si tenne rigorosamente conto. D'altra parte ancora il geoide essendo deformabile, in di- pendenza dello spostarsi delle parti della massa terrestre, viene a rendersi necessaria la ricerca di un metodo per calcolare tali deformazioni, affine di potere, in qualche modo sia pur gros- solano, dai fatti naturali che l'osservazione e la natura ci di- mostrano, procedere verso la figura teorica che ad essi meglio s’attaglia (2). Vale a dire occorre imparare a calcolare l’effetto che può produrre un’alterazione nella disposizione delle parti della massa terrestre sopra il geoide od una superficie geoidica qualunque ben individuata, e che per corrispondere ad una data o sup- posta distribuzione di massa che si assume come regolare, di- cesì normale (sferoidi di livello, sferoidi normali di Helmert). Sulla Terra (astraendo dai bolidi e stelle cadenti) non av- vengono aggiunte di massa. I fenomeni geofisici non dànno luogo che a trasporti di massa od a cambiamenti di densità (1) Vedi HeLmert, Op. cit., vol. II, p. 89. (2) Il geoide cambia di forma anche col variare della velocità di rota- zione della Terra, velocità che l’attrito delle maree ed il raffreddamento terrestre vanno lentissimamente, ma sicuramente, alterando: pur non te- nendo conto dell’aggiunta di massa per la caduta dei meteoriti e dell’azione del mezzo cosmico (siane qualsivuole la natura e non nulla la resistenza) nel quale la Terra si muove col sistema solare. Ma di queste cause, d’al- tronde oggidì ancora mal note, ora non si tien conto, certi che esse ope- rano in modo estremamente lento e debole. PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1027 (alluvioni, frane, depositi fluviali, erosione, moto dei ghiacciai polari ed alpini, depositi organici, congelamento, squagliamento di nevi e ghiacciai, evaporazioni, fenomeni vulcanici, trasporti di sabbia, dune, ecc.). Un cambiamento di densità equivale per l’effetto mecca- nico all’ aggiunta od alla sottrazione di una certa porzione di massa. E poichè lo sferoide normale, il quale quasi intieramente coincide con una ellissoide di rivoluzione (1), non è che una superficie geoidica normale, così lo studio dei distacchi del geoide dallo sferoide normale diviene quello delle deformazioni che le irregolarità dello strato superficiale terrestre producono nello sferoide normale; il geoide venendo così ad essere per queste ricerche considerato come la superficie geoidica dalle dette irregolarità perturbata rispetto alla sua corrispondente normale, che è lo sferoide normale. Pertanto lo studio delle deformazioni delle superficie geoi- diche normali, e, coll’avvertenza fatta poc’ anzi, quella impor- tantissima per la geodesia dei distacchi del geoide dallo sferoide normale, si riduce alla ricerca dell’effetto che vien prodotto da un’aggiunta od una sottrazione di massa, la combinazione dei due effetti darà poi la deformazione totale. — Diremo defor- mata la superficie geoidica che corrisponde alla nuova distri- buzione di massa. — Per la ricerca della deformazione delle superficie geoidiche, vale il seguente teorema. In un dato punto del geoide (superficie geoidica normale), l'elevazione della superficie deformata si ottiene dividendo il potenziale della massa perturbante su quel punto per la gravità alla superficie della Terra (sferoide normale o superficie geoi- dica normale secondo i casi, gravità normale). Questo teorema si trova a pag. 20 della memoria di Ex- rIco Bruns, intitolata Die Figur der Erde, nella quale non so se più ammirare la profondità dei concetti, o l'eleganza e con- cisione dell’analisi matematica. Helmert, che chiama il prece- dente enunciato feorema di Bruns, ne dà un’altra dimostrazione a pag. 147 del volume secondo del suo magnifico trattato Die (1) HeLmert, Op. cit., vol. II, p. 244. 1028 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO Mathematischen und Physikalischen Theorieen der hoheren Geo- déisie. La dimostrazione di Helmert è riprodotta da H. Hergesell nel suo lavoro Ueber die Aenderung der Gleichgewichtsflichen der Erde durch die Bildung polarer Eismassen im die dadurch verur- sachten Schwankungen des Meeresniveaus (1). Egli dice pure che Enrico Bruns fu il primo a dare quel teorema: i brani che qui sotto riportiamo testualmente, ci sembra invece provino, se non prendiamo abbaglio, che quel teorema sia stato scoperto da Pratt, e che da questo insigne geodeta inglese debba quindi prendere il nome. Enrico Bruns ha troppo meritata fama di matematico ed astronomo valoroso, perchè l’attribuire a Pratt, come deve farsi, un teorema, del quale egli ha pur dato ele- gante dimostrazione, possa nuocergli menomamente. D'altronde Bruns non accenna neppur lontanamente a voler essere lo sco- pritore dell’ enunciato teorema, del quale per altro non indica neppure l’autore, che egli sicuramente ignorava, e giunse al teorema stesso portatovi, per felice intuito del suo ingegno, dal corso naturale della ricerca. Il primo lavoro del S" J. H. Pratt, arcidiacono di Calcutta, trovasi nel volume 149 delle “ Philosophical Transactions of the Royal Society of London ,, che è per l’anno 1859, e ne occupa le pagine 779-796. Fu comunicato alla Società Reale di Londra da Stokes, segretario allora della Società medesima, nella seduta del 6 gennaio 1859: il teorema del quale si tratta ne occupa il capo 20, pp. 794-95. Esso serve a Pratt a calco- lare, come ne dice il titolo del paragrafo 5, del quale il capo 20 fa parte, il Change of the Sea-level produced by the Mountains and the Ocean, e precisamente la sopraelevazione del mare a Karachi sopra il livello del mare al Capo Comorin (India in- glese). “ 20. The equation to the surface of a fluid mass acted “ on by forces XYZ at the point xy2 is, constant = | (Xdx+Ydy+-Zdz). (1) Beitréige zur Geophysik. Abhandlungen aus dem geographischen Seminar der Universitit Strassburg. Stuttgart, 1887. PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1029 “ In the case of the Ocean the forces are the centrifugal “ force, the attraction of the general mass of the Earth, and “ these three disturbing forces W, M, and M; which I have “ been calculating (1). “ Let w be the angular velocity of the earth round its “ axis, 0 the latitude of any point of the surface, r its distance “ from the earth's centre, a the semiaxis major of the mean “ meridian. Then w?x and w?y is the centrifugal force parallel “ to x and y, 2 beeing the earth's axis, and + w®acos®0 is the “ corresponding part of the above equation. Let V be the po- “ tential for the earth’s mass, supposed a perfect spheroid of “ equilibrium differing little from a sphere; E the earth’s mass. “ Then V differs from i only by a small variable quantity “ depending upon the ellipticity: let it equal Z(1+U). Substi- “ tuting these and the three disturbing forces the equation of “ the surface now becomes const = È (1 (1+ 0) +4 w a” cos 9 + + [Wa finds fase © - n between the several limits, as already explained, or E Et tot o const =-—— (14 U) +-+ w°a°cos°o + Lg; ‘. cons=£ (1+U+ i cre 0) LL 9. (8). %: (1) Le forze W, M,, My, calcolate in paragrafi precedenti, rappresentano l’azione del mare, e delle due parti in cui l’autore divide la regione montuosa. (2) X ed « sono quantità che valgono a determinare la posizione del punto considerato. (3) g è la gravità. 1030 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO “ But 1 ed (1 — esen*0) = (1—e-+ ecos°0) PO “ is the equation to the surface, e being the ellipticity, when “ there is no disturbing force. “ Hence the equation in the present case is 1=-=(1— esen'0) + Lf; Rs 2 a r=a(1—esen°0) + L, as g= ti Let w be the angle through which the normal to the surface “ is thrown backwards. Now the tangent of the angle between + “ and the normal pol Afedenga DE Mr @lplicag Leda = — = esen20 +7 WET » and ds = rd8 = ad@ being an element of the are of the sur- face, the Elevation of the surface of the sea in passing north- wards = f yds=L, between the limits \=0 and \X=17 , (1). Quindi, servendosi di calcoli precedenti, ottiene il valore numerico di L, e finalmente quello dell’elevazione del livello del mare a Karachi sopra quello del capo Comorin. Nel 1860 apparve la prima edizione del libro di Pratt A treatise on attractions, Laplace’s functions, and the Figure of the Earth; a pagine 108-109 troviamo il passo seguente, più generale : Pai n “ Prop. To find the effect of a small disturbing force pa- “ rallel to the meridian in changing the Level of the Sea. “ 106. Let U be the disturbing force and du an element (1) Dipendenti dalle condizioni geografiche del problema. PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1081 “ of the line « along vhich it acts. Then { Udu must be added “ to the potential in the equation of fluid equilibrium of Art. 73. Me CA af ia È dr, lore bre u°) + {Udu=-const. at the surface (1). “Putting w =. i and substituting for V from Art. 91; (A) const =-2 + ( =. (gh Dai DE ST “ Now when the small force U is neglected Uri 2 Hence, neglecting small quantities of the second order and dividing by E, and multiplying by a, «“ a 1 @ (* pe e lE (È -- n) —_ JUd: ph = = constant. + e p° — i (Udu. Comparing this with the value of S when U is neglected, “ we have —=14 ep — 4 /Udu. “ Now D2 is the tangent of the angle between r and “ the normal = tang. yw suppose. (1) w è la velocità angolare della Terra; U= così, è l'angolo che r fa coll’asse 2 di rotazione. 1032 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO “ Hence è w, or the angle through which the normal is “ thrown back by the force U, being small, iù tango = dr = “ Hence the element ds of the undisturbed meridian line “ on the surface of the sea is elevated, on the side towards “ which U acts, by the space, de.by='g UG de=-G Udu= du; *. whole elevation of the sea-level "> {Ud U, “ integrated from the point where U begins up to the point “ in question ,. Non potei consultare la seconda e la terza edizione del libro di Pratt, ma nella quarta (1871) il brano precedente è riprodotto con poca o punta alterazione, ma coll’ aggiunta : “ This will be true of any small force acting in any di- “ rection ,, ed anche coll’omissione del fattore: 7? al terzo ter- mine del secondo membro dell’equazione che abbiamo chiamata(A), che è comune alle due edizioni. Nella quarta edizione poi al denominatore del secondo termine del secondo membro vi è r? invece di r* come sta nella prima e come deve essere. Nella medesima quarta edizione a pag. 212 leggesi il brano seguente: “ Prop. To prove that the effect of a mass at the earth's « surface, whether above or below is to make the sea level rise at any place through a space V/g, vhere V is the potential of the mass for a point on the disturbed sea level which is in the “ same vertical line with the place. “ 200. Suppose a line drawn from the given place to the “ earth’s centre, and 9 the angle which a radius vector r to - ai - n PS x PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1033 any point in the curve of the disturbed sea level makes with that line. Then — + di is the tangent of the angle between the radius r and the normal to the curve. This angle is the deflection caused by the horizontal attraction of the mass; and its tangent equals the ratio of that attraction to gra- vity = — 2 di V being the potential of the mass for that point ciali pi Pod EV iuebk in desto % r + cos. “ Let r=a (1), where V=0 or the horizontal attraction of the mass first becomes appreciable, and let V be the value of V at the place in question: “ .°. rise of sea level =r—a+V:g ,. Pratt applica quindi il teorema agli Himalaya. Il passo seguente che trascriviamo da Helmert (l. c.) ci farà vedere che il precedente risultato di Pratt è precisamente quello che ivi è chiamato Teorema di Bruns. Per la spiegazione dei simboli rimandiamo il cortese lettore al libro stesso di Helmert. “ “ ABSTAND VON NIVEAUSPHAEROID UND NIVEAUFLAECHE GLEI- CHEN POTENTIALWERTES. “ Im vorigen Kapitel ist firr einen Niherungsausdruck U: des Potentials W der Schwerkraft gezeigt worden, wie sich mit Hilfe von Schweremessungen die Gestalt der zugehérigen Niveausphéroide ausserhalb der mathematischen Erdoherflziche bestimmen làisst. Wir denken uns jetzt ganz allgemein unter U eine Funktion, welche einen Niherungsausdruck von W vor- stellt. Wir denken uns ferner zu den Gleichungen W=Wo und U=W,, unter W, eine Konstante verstanden, die zu- (1) a è il raggio del livello del mare non perturbato. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 70 10834 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO «“ gehòrigen Flichen aufgesucht. Dann gilt es eine Beziehung “ zu ermitteln fiir den Abstand QP= N, um welchen sich, die «“ Niveaufliche W=W, iber das Niveausphàroid U=W, in der My “ Normalen PQ des letzteren erhebt. Diese Beziehung kann «“ dann selbstredend auch fir die besonderen Formen von U “ Anwendung finden, die im vorigen Kapitel firr Niveausphà- “ roide ausserhalb benutzt worden sind. “ Im allgemeinen wird nun in einem beliebigen Punkte “ der Wert der Funktion U von W abweichen um eine Grosse T: W=U+T. (1) “ Ist in dem Punkte insbesondere W=U=W,, so hat T den “ Wert null. Wir sehen also zunzchst, dass Niveaufliche und “ Niveausphéàroid sich da schneiden, wo T= null ist. Ist T fiùr “ einen Punkt Q der Niveaufliche W=W, nicht null, so hat U “ einerseits nach (1) den Wert W,—T. Andrerseits kann mann “ von P ausgehend U fiir Q nach Taylor's Satz herleiten und «“ zwar fiir kleine N in erster Anniherung wenn beliebige “ Hoòhen ilber P_mit % bezeichnet werden: U=W+(G),N+ R “ Da aber auch U=W,—T gefunden war, so folgt sufort “ aus der Gleichsetzung beider Ausdriicke N=— PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1035 <« oder mit Festsetzung, dass N nach aussen wie in Fig. I, «“ gezahlt wird: N=1 + TORO, 2) « worin Y die der Funktion U in P entsprechende Beschleuni- “ gung der Schwere bedeutet. «“ In den Fallen des vorigen Kapitels bezeichnet y die nor- “ male Schwerkraft. “ Die Relation (2) hat H. Bruns in seiner Figur der Erde « S. 20 angegeben und zwar in der Gestalt A=—T:Ycose. « Hierbei bedeutet % die Tiefe des Sphiroids U=W, unter der “ Niveaufliche W=W,, gemessen in der Lotrichtung von Q, “ wenn in Q die normale Schwerebeschleunigung gleich Y ist “ und die Lotrichtung, daselbst mit der Richtung der normalen “ Schwerkraft den Winkel e einschliesst. Praktisch genommen « laufen beide Formeln, die Brunssche und (2), auf dasselbe- “ hinaus. Doch ist bei Bruns die Entwiklung eine etwas andere. “ Da man die Werte von T im Niveau der Meeresfliche, “ welche einem wie in vorigen Kapitel auf grund der Schwe- “ remessungen zu bestimmenden Niveausphéroid U entsprechen, “ nicht kennt, so kann man von der Formel (2) allerdings kei- “ nen Gebrauch machen, um die Undulationen der Meeresflîiche “ gegen ein Niveausphéroid gleichen Potentialwertes zu ermit- “ teln. Nichtsdestoweniger ist die Formel von hoher Bedeutung, wie aus den zahlreichen Anwendungen derselben in diesem Kapitel hervorgehen wird. “ Wir werden sie als das Theorem von Bruns bezeichnen ,. La magnifica e feconda teoria della condensazione, esposta in seguito da Helmert, si giova continuamente del teorema di Pratt-Bruns. Di questa teoria l’astronomo francese Tisserand ha fatto una succinta esposizione nel volume secondo del suo grande trattato di meccanica celeste, nel quale, a pagine 354-355, espone egli pure il teorema che ci occupa, che anch'egli attri- buisce a Bruns. Ed ora ci si consenta di riprodurre la dimostrazione di Bruns (1. c.): anche qui per la spiegazione dei termini siamo costretti a rimandare alla memoria originale : n [AI 1036 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO n R “ Wir betrachten jetzt die Werthe der Function U als die eigentlich normalen Werthe und demgemiss die Differenzen T=W_0 als Stérungen oder Anomalien, welche durch die Unregelmissigkeiten in der Massenwertheilung der Erde her- vorgerufen werden. Die Gròssen 9U dU dU dW dW dW dT òdT èdT dae dy' de de dy de de 0 de stellen dann in jodem Punkte der Erdrinde die Componenten der theoretischen Schwere y, der wirklichen Schwere 9 und der Stòrung dar. “ Y-g ist die Stòrung der Intensitàt der Schwere; der Win- kel e zwischen 1 und 9 oder die Lothablenkung ist durch die gleichung __ QU dW | dU dIW ) du dW ALe e ce pe bestimmt. e ist ebenso wie 9 eine stetige Function des Ortes oder der Coordinaten; aher die ersten Ableitungen von e în- dern sich ebenso wie die von g sprungweise, wenn sich die Dichtigheit sprungweise fndert ,. Qui seguono alcune considerazioni non necessarie al teo- rema, la cui dimostrazione si trova nelle linee seguenti a pa- gina 20: PSI “ Die Hebungen und Senkungen eines Geoids relativ gegen ein Sphàroid ermittelt man am kiirzesten auf folgende Weise. Es sei P(xy2), auf ein beliebiges Axensystem bezogen, ein Punkt des Geoids W=U,, die Verticale in P_treffe das Sphé- roid U=U; inQ, und es sei PQ=}, positiv gerechnet wenn die Streche von P. nach Q nach aussen gerichtet ist. Die Coordinaten von Q sind dann, Hieraus folgt, da U in A gleich U, ist, unter Vernachlis- sigung der hòheren Potenzen von % PER LA STORIA DELLA TEURIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1037 u=t_-i($ +7 dW dU dla gd de cd de de “ oder da in P U=W_-T=U0,—- T ist, (1) E Y cose h=+ “ Der Werth der Function T misst also, abgesehen von den nahezu constanten Factor Y cos e, unmittelbar die Hebungen und Senkungen des Geoids, und zwar bezogen auf dasjenige Sphéroid, welches mit dem Geoids den gleichen Potential- « verth U, besitzt. Positiven Werthen von T entspricht eine Hebung, negativen eine Senkung ,. Colla scorta di questi documenti, giudichi il cortese lettore, se sia giusta ed accettabile la nostra proposta di denominare da Pratt, o per lo meno da Pratt e Bruns il teorema la cui storia forma l'oggetto della presente nota. Per la deformazione delle superficie geoidiche, di uno sfe- ‘roide di livello o della sferoide normale, sono importanti i la- vori seguenti : Sarcev, Petite Physique du globe. Raro e poco noto libretto, pieno di vedute originali e di idee profonde. In due capitoli di esso si dànno, senza dimostrazione, formole per calcolare la sopraelevazione del livello del mare prodotte da masse pertur- batrici: questi due capitoli sono il CXIX e CXX del volume secondo (1842), pp. 247 e 252; Fiscner Puiripp, Untersuchungen iiber die Gestalt der Erde (1868), che, pur tenendo conto dei giusti appunti di Bruns ed Helmert, merita ancora oggidì di essere studiato. StoKEs, On the variation of gravity at the surface of the Earth (“ Cambridge Philosophical Transactions ,, VIII, 1849, pp. 672-95; “ Philosophical Magazine ,, XXXV, 1849, p. 228, e “ Mathema- tical Papers ,, vol. II). (1) Si vedrà facilmente che l’Uy di Bruns è il W, di Helmert. 1038 0. ZANOTTI BIANCO — PER LA STORIA DELLA TEORIA, ECC. Su questa memoria di Stokes vedasi HELMERT, T'heorieen der Hoheren Geodtisie, vol. II, e Bruns, Die Figur der Erde. Sulla teoria di Stokes, ha pubblicato un lavoro il signor W. HER- ceseLL. Quel lavoro pubblicato nel 1890 a Buchsweiler in Ger- mania, come aggiunta ai programmi ginnasiali, come suolsi fare in quel dotto paese, ha per titolo: Ueder die Formel von G. G. Stokes zur Berechnung regionaler Abweichungen des Geoids vom Normalsphdiroid. Ci sembrano, circa questo lavoro, più che giustificate le osservazioni che vi fa il D'*° Bòrsch in una re- censione stampata nel “ Jahrbuch iiber die Fortschritte der Ma- thematik , pel 1890 (Berlin, 1893). Sulla formola di Stokes, ne piace qui menzionare due pregevoli scritti del chiar.®° profes- sore Pizzetti: Sulla espressione della gravità alla superficie del geoide supposto ellissoidico, Note due; “ Rendiconti R. Accademia dei Lincei ,, 1894; Intorno alla determinazione teorica della gra- vità alla superficie terrestre; “ Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino ,, 1896. Hann, Ueber gewisse betrichtliche Unregelmissigkeiten des Meeres-Niveaus, Gaea, 1876. THowson and Tarr, Natural Philosophy (1883), vol. II, p. 351 e seguenti. Il teorema di cui si trattò più sopra è dato anche da Guyx- THER, a p. 203 del volume primo del suo Lehrbuch der Geophysik und Physikalischen Geographie; nonchè a p. 444 del suo Hand- buch der Mathematischen Geographie (1890). G. B. RIZZO — LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, Ecc. 1039 La durata dello splendere del Sole sull’orizzonte di Torino; Nota del Dott. GIOVANNI BATTISTA RIZZO Assistente all’Osservatorio della R. Università di Torino. La radiazione solare è la prima cagione dei fenomeni me- teorologici, perciò questi diventano più chiari e se ne possono più razionalmente studiare le variazioni quando si studiano in relazione colla radiazione medesima. Per la conoscenza esatta della quantità di energia che il sole irradia sopra una regione, in un determinato periodo di tempo, sarebbe necessario uno strumento che di istante in istante, senza interruzione, registrasse la quantità di calore raccolto da una superficie assorbente: tuttavia si possono già ottenere dei risultati importanti per la spiegazione dei fenomeni meteorologici più comuni determinando per quanto tempo il sole risplende sull’orizzonte nelle diverse ore del giorno e nei varî periodi dell’anno. Per registrare lo splendere del sole si adopera uno stru- mento chiamato eliofanometro. Questo è formato da una lente sferica, dietro la quale si dispone, perpendicolarmente al meri- diano, una striscia di carta in tale posizione che, cadendovi sopra l’immagine del sole, la faccia annerire o la bruci nel punto colpito. Se il sole risplendesse senza interruzione, l’immagine descriverebbe un arco di circonferenza (trascurando la piccola variazione del sole in declinazione) con una velocità di 15° al- l’ora. Resta perciò molto facile determinare per quanto tempo risplende il sole esaminando la porzione di carta annerita che corrisponde alle diverse ore della giornata. I risultati contenuti in questa nota sono dedotti dalle de- terminazioni fatte dall'anno 1890 al 1895 e sono raccolti nelle tavole seguenti, che dànno per ogni decade il numero medio dei minuti in cui il sole risplende nelle diverse ore del giorno e poi la durata totale A dello splendere del sole nella giornata. A questi numeri è aggiunto il rapporto fra la durata dello splendere del sole e quella del tempo B in cui il sole rimane sull’orizzonte. GIOVANNI BATTISTA RIZZO (Tempo vero locale) 1040 | | | | ! | | A ) ì Ud Ì Gi n PILE + chi < DIO TI Or I ao 0

OO a o 0 II «co, Da SUI I I ve Wa HH deo dirlÈì VOd Hm Nn ) .9 FE © o) e) E e E i A o) pe © ì ari Si © + S = 2 N i DO 50 uni D © —' © di A 3 n Ra a) O) Si Ro >) # E > Sa (0) D R Da cd de [2] (eo) D is ©) «2 ld») I = <| = 5 mu; < N o Zi (n LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL’ORIZZONTE, ECC. 1041 Ì | Ora -13.|13-14|14-15°%)15-16%|16-175) 17.18. 18-192) 19-20) rela A B $ del Sole 1.3|14.0|14.5| 9.7) 04 162 262/12 18m|gh 59m 0,146 9.8|11.9|10.9| 5.2| 0.2 16 84 (0 54| 9 7|0.097 0.8\23.0 243/174] 5.2 16 45 |2 21 | 9 300.247 4.0 |25.3|25.8|26.7|13.3 16 57 2 47 | 9 540.281 3.8|27.5/30.8|32.8|21.9| 1.7 17 10 |3 43 [10 21|0.359 0.9|20.7|19.2/19.3|17.7| 5.2 17 25 |2 49 {10 51|0.259 5.9 | 38.0|39.0 | 36.3 | 34.1 | 10.8 17 42 |5 21 [11 23|0.470 5.7 |25.8 26.6/25.4|21.2] 8.0 17 57 {3 58 [11 53|0.3383 1.4|40.6/395|38.3/32.8|10.2| 0.1 18 13 |6 9 [12 26/0.501 7.6|41.5|40.0|38.0|27.4| 7.2] O.1 18 29 |5 42 [12 58|0.440 7.8|28.3|31.6|30.6|22.0| 9.6| 0.2 18 45 |4 45 |13 29] 0.352] 18.5 |29.7|27.3|26.3/23.2/14.9| 12 19 00 |4 58 |13 590.355 7.2|25.3|23.8|24.6|/22.2/11.0| 0.5 19 13 |4 8 |14 26|0.286 #7.1|38.8|32.7|33.3|26.3|13.2| 1.0 19 26 |6 9 [14 51|0.414 7.3 25.9|249|24.9|22.7 12.2) 1.2 19 36 |4 40 |15 11|0.307 16.8|28.7|27.1|24.9|24.6|20.0' 4.1 19 43 |5 26 [15 26|0.352 33.0 | 33.8|29.7|31.3|291|27.3| 7.1 19 46 |6 18 [15 3310.405 }7.7|844|31,3|30.2|31.5|26.3| 5.6 19 46 |6 57 |15 83|0.447 59.2 \37.4|33.9|29.7/28.1|25.3| 2.2 19 43 [6 56-|15 270.449 33.0|29.0|29.7|29.2|26.7|23.8| 5.9 19 37 |6 24 |15 14|0.420 9.3|41.0|833.:9|38.6|29.8|24.2| 2.3 19 26 |6 57 [14 53/0.466| 39.5 | 38.5|34.7|85.9|82.5|219| 3.2 19 13 [6 49 [14 28|0.471 L6.3|41.8|40.1|39.7|35.1|23.0| 2.6 18 59 |7 27 14 00.532 5.1 42.1|41.8/39.3|38.2|22.2| 10 18 45 |7 18 [13 30|0.540 13.6 |41.8|89.2|42.7|836.4|16.1 18 28 [6 54 [12 58|0.532 D.0|32.3|29.5|29.1|26.2| 7.8 18 14.|4 48 |12 29|0.390 }7.5|344|30.7|33.2|25.7| 2.2 17 58 |4 45 |11 57|0.397] D8.5 |26.4|23.8|19.6|17.7| 0.5 17 42 |3 14 11 26|0.282 30.9 |32.6|32.8/32.6|19.1| 0.9 17 26 |4 15 |10 54/0.390| 22.3 |26.2|23.2|18.8| 8.2 17 11 (2 35 [10 23| 0.248 #8.2/20.7|19.9|17.2| 3.7 16 56 /2 4 | 9 540.209] W4.717.3/15.7/10.8| 1.2 16 43 |1 26 | 9 28/0.151 Mi 147 15.6) 7.705). 16 84 115|9 80.137 20.4|23.9/20.1| 7.6) 0.5 16 26 |2 3 | 8 52/0.231 Mi (22.7 21.1|102 16 22 2 1|8 44|0.281 Me 18.6162" "72! 0.1 16 21 |1 30 | 8 42/0.172 1042 GIOVANNI BATTISTA RIZZO Di qui si vede primieramente che nel periodo di un anno le ore di Sole non sono sempre ugualmente distribuite prima e dopo il mezzogiorno vero. E siccome queste variazioni si col- legano colle più notevoli proprietà climatologiche di Torino, così, perchè riescano più evidenti, nella tavola I sono rappresentate le variazioni giornaliere dello splendere del Sole in alcuni mesi scelti ad esempio. Nell'inverno il Sole risplende poco nelle ore mattutine, sopratutto a cagione della nebbia, e poi il cielo si va rassere- nando nel pomeriggio. Nell’estate invece il cielo è più sereno nel mattino e il Sole raggiunge una massima durata di splen- dore fra le 8° e le 9°, per diminuire un poco in seguito e per raggiungere poi il massimo fra le 10° e le 11°. La durata dello splendere del Sole in un giorno dipende naturalmente dalla stagione, ossia dalla declinazione solare che determina il tempo in cui il Sole rimane sull’orizzonte (1). Ma le particolari condizioni meteorologiche di una regione, le quali mutano in modo molto vario, fanno sì che il cielo sia talora coperto di nubi e perciò la massima e la minima durata del- l'effettivo risplendere del sole non coincide con la massima e con la minima durata del sole medesimo sull’orizzonte. Anzi lo studio di queste variazioni dello splendere del Sole può servire a determinare la legge colla quale variano parecchie altre con- dizioni climatologiche, come sarebbero l'umidità dell’aria, la nebulosità, ecc. La tavola seguente riassume quella che precede e indica per ogni decade dell’anno (a) la media durata del Sole sull’oriz- zonte di Torino in un giorno; (b) il numero medio delle ore in cui il Sole risplende, secondo le osservazioni fatte dal 1890 al 1895; (c) questo numero medesimo, quale risulterebbe per ciascuna decade calcolandolo con la formola periodica di cui dirò in seguito, e per ultimo (d) il rapporto fra il tempo in cui splende il Sole in un giorno e la durata di esso sull’orizzonte, rapporto che si può chiamare durata relativa dello splendere del Sole. (1) Vi sono delle formole semplici, date dall’Astronomia sferica, che permettono di calcolare la durata giornaliera del sole sull’orizzonte ad ogni latitudine e per ogni valore della declinazione solare: i dati contenuti in questa nota sono estratti dalle Effemeridi calcolate dal Dott. V. Balbi. ut, rr Ere nr Te LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL'ORIZZONTE, ECO. DECADE Gennaio. . . Febbraio . . Marzo. ... Aprile. . .. Maggio . . . Giugno . .. Luglio Agosto . . . Settembre . via td Novembre . Dicembre . . Du HH HWHWW WWE © © 0041 Si Uta DI DMI Oo DOO DU VID DID NNIN N Dì Ut KAa_W0IN DD 09 Durata del Sole sull’orizzonte (a) gr 52m 9 DE 9 30 9 54 21 ol 11 23 11 58 26 58 29 59 26 51 folli 26 39 33 27 14 53 28 00 30 58 29 57 26 54 23 54 28 8 52 dl 42 00 00 00 DS DO Ore di Sole osservate (8) 19188 o 21 47 48 49 21 58 9 42 45 58 H NN PF_IN NbabWvo PpaPPOS9 QUNUNO SMD) DU Dr Pei PW NW NL (Od (ep) Ore calcolate (c) TOTO E AC 33.8 56.1 18.1 39.6 H> DO io o n oto ot uo OX ut o UtH> VW WIN NIN HH HY NHWr NWS pura DSAAHJ DA UWUUuWi UUuu UU Pda WIND DIN uo uu WNH Hnè> NH JP O URA Suo 05209 JO%o SSUT nodi NNO OH o DAT vuo nat dn d0 do 40 do do 00 1043 Durata relativa ello splender del Sole (d) 0.216 .241 .270 .296 .319 .397 904 .972 .399 .597 .598 .399 .377 874 .365 .362 .368 10004 .405 494 .466 494 .512 515 .500 474 .418 .360 .298 .235 .176 .149 41 144 .161 .187 1044 GIOVANNI BATTISTA RIZZO I numeri della colonna (2) che esprimono il tempo per cui splende effettivamente il Sole in un giorno sono dedotti dalle osservazioni fatte in una breve serie di anni e perciò serbano le tracce di variazioni dovute a cause puramente accidentali e non possono esprimere la vera legge colle quali varia la durata dello splendere del Sole. Tuttavia questi numeri servono a de- terminare una formola periodica che rappresenta la legge me- desima con sufficiente esattezza: e si trova così che la durata S dello splendere del Sole in un giorno determinato dall’arco e, nel periodo di un anno, si può esprimere con la formola: S= 42 219,81 — 2% 802,39 cose + 0%, 102,59 sen a — 0. 24,13co822+ 0. 51,65 sen2e — 0. 5,94cos32 — 0. 18,84sen32 oppure: S = 402]m81 + 230,77 sen (274° 01' + 2) + 0 57,01sen (334 58 + 22) + 0 19,75 sen (107 30 + 32). Con queste formole sono calcolati i numeri della colonna (c) nella tavola precedente. Per rendere più evidenti le variazioni dello splendere del Sole nel periodo annuo si sono costruiti i diagrammi della tavola II coi numeri contenuti nella tavola precedente. La durata totale dello splendere del Sole in un giorno sull’orizzonte di Torino è minima tra la fine di novembre e il principio di dicembre, e aumenta rapidamente nei mesi di feb- braio e di marzo. Sul finire di aprile e nel mese di maggio vi ha una nuova diminuzione che coincide col nostro periodo prin- cipale delle pioggie: e cresce poscia rapidamente fino a rag- giungere il suo massimo annuale nel mese di agosto. Il minimo della durata relativa dello splendere del Sole cade anch’esso fra il novembre e il dicembre in coincidenza col periodo delle maggiori nebbie; in maggio vi ha un altro minimo notevole e il massimo principale si ha sul finire di agosto. È utile di confrontare la durata relativa dello splendere del Sole a Torino con quello di alcune altre città il clima delle PE E IZ LEO TP TE TOPO PA OSIEZZRA EA G.B.RIZZ0-La durata dello splendere del sole sull’orizzonte di Torino Andamento giornaliero dello splendere del sole Febbraio Ore 4 5 6 7 8 digit. 1a 18 1645161 RISI | sssssssSàza = ss | ore 4 ò 6 7 8 9 I ERO SAS 15-10: 17 MB ! | | | | UN ORE intervallo di 073 SRI NEI PO IDO O E OOO DIS O O N A A | | | | i | | in ciascun sole di Minuti Novembre ore 4 3) 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15-16 17 18 19 20 Atti R.Accad. delle Sc. di Torino - POLAT A). Durata del sole sull'orizzonte in un giorno GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE PMI | | DUAL | | ide Ore 16 | Ei 8 i B). Media durata dello splendere del sole in un giorno 8 GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE valori osservati A valori calcolati C). Durata relativa dello splendere del sole GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SEITEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE : Î Ì il | i 0,70 0,60 i se To sla 0,50 0,40 0,30 020 ! ISROMA | I pesssss2=2== BUKARÉST RIESZIORINOE | = | | 0,00 i 1 Ì i | 044 i * i, fl SOIN, Van SL » ; ? ha i A n LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL’ORIZZONTE, ECC. 1045 quali è ben noto; e la tabella seguente contiene questi dati per Torino, Roma (1), Pietroburgo (2) e Bukarest (3). Torino Roma Pietroburgo| Bukarest Gennaio 1001, 0.242 0.40 0.16 0.26 Febbraio. .... 0.317 0.48 0.28 0.31 Marzo... 0.373 0.42 0.36 0:36%+:7) prio... n 0.396 0.47 0.45 0.45 Maserot: 0 0372 0.52 0.46 0.55 Giuonens 48 4) 0.369 0.63 0:52 0.56 Baalto: ontereo 0.435 0.75 0.49 0.69 MISOSHO 1g 0.507 0.75 0.48 0.72 DSektembre". 0.464 0.61 0.37 0.61 Oktobre-;. 34 0.298 0.52 0.23 0.48 Novembre . ... 0.155 0.46 0.11 0.35 Mirembre + 0.164 0.39 0.10 0.22 j Di qui si vede che la durata dello splendere del Sole a Torino è molto breve, specialmente nell’estate, rispetto a quella che si ha altrove. E questo fatto che è dovuto alle nubi le quali occupano con grande insistenza la valle superiore del Po, dimostra quanto sia abbondante il vapor acqueo che quivi si raccoglie e spiega una delle più notevoli particolarità del clima di Torino, che è quella di avere la massima temperatura gior- naliera notevolmente dopo l’ora ordinaria del massimo. (1) P. TaccHini, “ Rend. della R. Accademia dei Lincei ,, vol. V, fasc. 5°, pp. 139, 1896. (2) J. Scnurewrrsca, “ Rep. fiir Meteorologie ,, XVII, 1894. (3) S*-H. Hepires, “ Meteorologische Zeitschrift ,, XII, pag. 116, 1896. 1046 VITTORIO BALBI EFFEMERIDI del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l'anno 1897 calcolate dal Dott. VITTORIO BALBI Assistente all'Osservatorio della R. Università. PRINCIPALI ARTICOLI DEL CALENDARIO PER L'ANNO 1897. Anno 6610 del periodo Giuliano. Anno 2650 della fondazione di Roma (secondo Varrone). Anno 1897 del Calendario Gregoriano stabilito nell’Ottobre 1582; comincia il Venerdì 1° Gennaio. Anno 1897 del Calendario Giuliano o Russo; comincia 12 giorni più tardi, il Mercoledì 13 Gennaio. Anno 5657 dell'Era degli Ebrei; comincia il Martedì 8 Set- tembre 1895 e l’anno 5658 comincia il Lunedì 27 Settembre 1897. Anno 1314 dell’Egira, calendario Turco; comincia il Venerdì 12 Giugno 1896 e l’anno 1315 comincia il Mercoledì 2 Giugno 1897, seguendo l’uso di Costantinopoli. Computo Ecclesiastico. Quattro Tempora. Nuamero Dro N GAI Marzo e...» 10, 4260, PINA 9 IENE e O Graeno-:. 0. 9555 Giclo DE passa Z passa © ra * [nasce al E nasce al tramonta iS, Ue) DN meridiano E meridiano hm hm Ss hm h m h m h m 1 1 V |8 10|12 33 12,95 |16 56 6 42 10 44,9 14 47 2 2 S 10 38 41,06 57 745 11 48,1 15. 58 3 5) D 10 33 spo 58 8 26 12 48,8 LISTS 4 4 L 9 84 36,16 59 9 13 13 45,4 18 25 5) 5) M 9 SO LiACO) 9 43 14 36,7 19 40 6 6 M 9 89 29,51 T|l'* 404 6 15 23,4 20 52 7 t G 9 35 55,45 DO 16 6,9 220 8 8 V 9 36 20,87 3 10 45 16 48,1 29 9 909 S 9 86 49,72 4| 11 0 17 28,4 —— 10 | 10 D 8 37. 10,00 6. CLI A 18 9,0 0.9 Jil AioE L 8 dd, 33,67 || 11 896 18 51,0 114 12 |:12 M 7 87 56,71 812 0 19 35,3 2 18 13 | 13 M 7 SSLL9:110 9.227 20 22.5 sò 24 14| 14 G 6 38 40,83 10; || ©2132 21 12,9 4 29 I15ajtlo V 6 SI 1599 12) 13 47 22 6,8 5 80 16 | 16 S 5 39 22,22 13|| 14 41 23 0,7 6 27 I Er ag D 5 39 42,86 14) 15 46 23 55,4 715 18 | 18 L 4 4001077 16) 16 57 = 7 55 19 | 19 M d 40 18,95 17] 18 12 0 48,9 Be21 20.| 20 M 3 40 36,38 18|| 19 28 1 40,2 8 54 210021 G 2 40 58,05 20] 20 43 2 29,4 9 16 22 | 22 V 1 41 8,97 21 ||. 21 59 317,9 9 37 230/23 S 0 41 24,12 22] 22 25 4 4,1 9 57 24 | 24 D |7 59 41 38,50 24 == 4 53,0 10 19 25 | 25 L 58 41 52,11 25 0 33 5 48,2 10 43 26 | 26 M 57 49. 4,93 27 152 6 36,6 11:12 27| 27 M 57 42 16,95 28 3 12 7 33,5 11 50 28 | 28 G 56 42 28,19 29 4 28 8 33,7 120301 29 | 29 V 54 42 38,62 81 5 34 9 35,2 1337 580 | 30 S 58 42 48,24 82 6 28 10 35,5 14 47 sl | 81 D 52 42 57,05 84 TELO 11 32,7 16002 Età della Luna Il giorno nel mese cresce di 0% 56m 11 La Luna è in Apogeo alle 21% 25 Id. Perigeo , 15h Il Sole entra nel segno Acquario il giorno 19 alle ore 19 min. 7. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1049 Febbraio 1897. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È Mori 393 dae i E dc ll SOLE La LUNA È ARE n x» © < |a DE passa È passa E | [nasce al = nasce al tramonta | -£ o o DN meridiano £ meridiano E hm hm 8 hm hesm h m h m 32 1 Ties 2049t8 1505081735 742 12 25,6 17 18 80 33 2 M 50 AS AZ: 87 SA 13 14,2 18 S1 1 94 3 M 49 43 18,58 98 8 28 15 59,3 19 42 2 35 4 G 47 43. 24,12 39 8 47 14 41,7 20 48 DI 36 5 V 46 43 28,83 41 9 4 1512238 21 54 4 37 6 S 45 43 32,71 42 9 22 16455% 22 58 15) 38 n D 44 43 35,77 44 9 40 16 45,3 e gal 6 99 8 L 42 43 838,03 45 10 1 17 28,5 0 4 7 40 9 M 41 43 39,48 47| 10 27 18 14,3 TS) 8 41 | 10 M 39 43. 40,12 48| 10 58 19 2,8 lo 9 42 | 11 G 98 43 39,98 49| 11 37 19 54,3 sullo 10 450/012 V 87 43 89,06 51 1227 20 47,7 4 15 al 44 | 13 S 35 43‘ 37,36 52] 13 26 21 42,1 5 6 12 45 | 14 D 38 43 34,91 54|| 14 45 22,'36,2 5 49 13 46 | 15 L 32 43 31,73 55 || 15 48 23 28,8 6 25 14 47 | 16 M 80 43 27,81 DI 17 5 008. 6 54 15 48 | 17 M 29 45 23,19 58 || 18 23 0 19,8 719 16 49 | 18 G 27 43 17,86 59] 19 40 1 94 741 17 50 | 19 V 26 43 11,87 |18 1) 20 59 1 58,9 83 18 bl | 20 S 24 43: A AbiOl Zi 2 Zi9 2 47,6 8 24 19 52. 21 D 22 49 57,92 4| 23 40 9 35,6 8 47 20 59.22 L 21 42 50,01 5 dA 432,2 915 Dil 54 | 28 M 19 42 41,49 7 ilgai 5 28,9 9 50 22 55 | 24 M 17 42 32,39 8 ZAl9 6 28,2 10 35 29 56 | 25 G 15 4922,72 10 DIAZ 7 28,9 N50 24 57 | 26 V 14 49° 12,50 11 4 25 8 28,8 12 36 25 58 | 27 S 12 42€ 01/5 12 SM, 9 26,0 13 46 26 59 | 28 D 10 41 50,47 14 5 44 9 19,2 loi Zi | Fasi della Luna. 1 Luna nuova alle 21h 18m 9 Primo quarto , 20% 25m 17 Luna piena ps 1b1lm 24 Ultimo quarto , 4h 44m Il giorno nel mese cresce di 1h 22m 8 La Luna è in Apogeo alle 19% 20 Id. Perigeo , 14h Il Sole entra nel segno Pesci il giorno 18 alle ore 9 min. 37. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 71 1050 VITTORIO BALBI Marzo 1897. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È HH 2 | o È II SOLE La LUNA a sa passa = passa = licet a [nasce al s nasce al tramonta| £ 3 ro) ND meridiano pa meridiano [cal hmjhm s hm ice: h m h m 60 1 L |7 9|12 41 38,69 (1815 6 11 11 ;,8:3 16 16 28 Gl 2| M 7 41 26,41 17 6 32 11 53,9 17 26 29 62 3 M 5) 41 15,66 18 6 52 12 36,9 18 34 30 63 4 G 3 41 0,45 19 79 13 18,3 19.39 1 64| 5) V 1 40. 46,79 21 726 13 59,2 20 45 2 65!| +68 |0eS 0 40 32,70 22 745 14 40,6 21 49 3 66 7 D |6 58 40. 18,19 23 85 15 23,8 22 55 4 67 8 L 56 40. 3,29 24 8 29 16 8,0 23 59 5) 68 9: (paM D4 89. 48,01 26 8 58 16 55,2 nu 6 69 | 10 M 52 89. 32,38 27 9 33 17 448 To? 106, 7 11 G 51 39 16,40 28 || 10 18 18 36,7 22 8 pia V 49 9910:09 380| 11 12 19 29,7 2 56 D Maulvie: as 47 38. 43,50 81 12 15 20 22,8 3 4l 10 73 | 14 D 45 38 26,61 32] 13 24 Qlilo,1 4 20 ll 74 | 15 L 43 38 9,48 354| 14 39 22 6,2 4 52 12 75 | 16 M 41 87 52,10 35 || 15 55 22 56,2 5 18 13 768 0le seiM 39 87 34,52 36] 17 13 | 23 45,7 5 44 14 77048 G 37 37 16,74 38 || 18 33 _— 6 4 15 78 Y49: | 36 36 58,80 59|| 19 54 0 35,8 6 25 16 79|20| S 34 36 40,72 40.21 17 127,5 6 49 17 80 | 21 D 32 86 22,52 41| 22 42 2 21,8 TI1D 18 i 81)|22 L 30 36 4.23 43 —— 3 19,3 7 49 19 82|23| M 29 35 45,87 44 0 4 4 19,9 8 32 20 83 | 24 M 26 35 27,47 45 1 18 5 22,0 9 24 21 84 | 25 G 24 35. 9,05 46 220 6 23,0 10 29 22 85126) V 22 384 50,63 48 OT 9 1 24,9 11 40 23 86 | 27 S 21 384 32,23 49) 8 46 8 16,1 12 54 24 87 | 28 D 19 84 13,87 50] 414 900,9 14 6 29 88 | 29 L 17 83 55,96 52] 4 88 9 51,9 15 16 26 89|30| M 15 33 37,33 53) 4 58 10 35,0 16 23 27 90 | 31 M 13 38 19,18 D4 5 16 11 16,4 17 28 28 Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 37m 3 Luna nuova — alle 12h 560 8 La Luna è in Apogeo alle 14h 11 Primo quarto =, 16h 28m 20 Id. Perigeo , 13% Luna piena n 22% 280 Il Sole entra nel segno Artete il 25 Ultimo quarto , 13% 0m giorno 20 alle ore 9 min. 16. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA i 1051 Aprile 1897. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 3 Diu ll SOLE La LUNA 3 E |\S|sf "I n 3 i FL passa È passa bi: F |a | È (nasce al È nasce al tramonta| £ = S D meridiano E meridiano [cal h m hm Ss hm him h m h m 91 1 G |6.11|12.33.. 1,13 |/18 55 5 93 11 57,1 18 32 29 92 2 V 9 32. 43,21 97 5. Dl 12 38,0 19 38 1 98 3 S t 32 25,42 58 6 11 13 20,2 20 47 2 94 4 D 6 OZ I aT9 59 6 33 14 4,1 21 48 6) 95 5) L 4 sl. 50,92 [19 0 6 59 14 50,4 22 52 4 96 6 M 2 81. 83,04 2 Mit98 15 39,0 23 52 5) 97 7 M 0 S1 15,94 3 813 16 29,6 = 6 98 8 G |5 58 80. 59,07 4 9 4 17 21,4 0 48 “ 99 9 V 56 30. 42,43 6 10 1 18 13,3 1 86 8 100 | 10 S 55 80. 26,04 A GALLO 7 19 4,5 2 16 9 TORO D 93 90. 9/91 Sil BAl20 9 19 54,6 2 49 10 102 | 12 L |) bl 29 54,07 9 13 41 20 43,7 SLY 11 103 | 13 M 49 29. 88,51 11) 14 46 21 32,2 9.158 12 104 | 14 M 47 29 23,27 10) RALBe3 ZQMZIA1 4 4 18 105 | 15 G 46 29% 8996 13. 17023 23/1057 4 25 14 106 | 16 V 44 28. 58,80 14| 18 46 —— 4 48 15 HOT IT: S 42 28 39,61 16) 20 11 015,0 o 13 16 108 | 18 D 4l 28. 25,81 17/2137 1° 82/3 5 44 17 109 | 19 L 39 28 12,41 18.)| 22 59 2095 6 24 18 110 | 20 M 37 27. 59,44 19 = 97,5 14 19 REI «| 21 M 85 27 46,92 21 0 8 4 11,5 8 17 20 Jai2 (022 G 94 27 34,86 22 14 5 13,6 9 28 21 IS |-28 V 92 ZI 2827 23 146 6 10,9 10 45 22 114 | 24 S S1 ALT 24 2 18 713,0 11 57 23 LI | 25 D 29 Trie-4159 26 2 42 7 50,4 13 8 24 116 | 26 L 27 26 51,48 27 8 4 8 34,5 14 16 25 diri | 27 M 26 26 41,90 28 8 22 9) 16,2 15 21 26 118 | 28 M 24 26 32,85 29 9 39 9 56,6 16 26 27 119 | 29 G 25 26 24,33 30 3_D7 TON9732 17 30 28 120 | 30 V 21 26. 16,33 82 dl 11 18;7 18 34 29 Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 30m 2 Luna nuova alle 5% 24m 5 La Luna è in Apogeo alle 8h 10 Primo quarto , 9h 27m 17 Id. Perigeo , 22h 17 Luna piena ua Il Sole entra nel segno Toro il 23 Ultimo quarto , 22% 48m giorno 19 alle ore 21 min. 7. 1052 VITTORIO BALBI Maggio 1897. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È | e e ll SOLE La LUNA a [=| n [=| e] A |Ss3 "N e ——— | 8 Ss | |SL passa = passa ® = |a | nasce al E | nasce al tramonta| £ Dio) n=] D meridiano £ meridiano [cal hmjhm Ss hm hem h m h m 121 1 S |5 20|12 26 8,87 [198383 4 38 12 11,9 19 39 30 | 122 95 D 18 26 1,96 84 o 8 12 47,4 20 43 LR 123 3 L 17 25 55,60 35 5 94 13 35,3 21 45 2 124 | 4 M 15 25 49,79 37 6 13 14 25,4 22 42 3 | 125 5) M 14 25 44,54 88 T{eed(0) 15 16,7 23 32 4 | 126 6 G 12 25 39,82 39 750 16 8,2 a d | 127 7 V 11 25 35,67 40 8 57 16 58,9 0 15 6! 128 8 S 10 25 31,97 42 10 5 17 48,8 0 50 Vo 129 9 D 9 25. 29,02 43| 11 15 18 36,2 118 8 130 | 10| L 7 25 26,53 44 12 27 19 23,2 143 9 t51 |-10 M 6 25 24,59 45| 183 41 20 10,1 2.5 10 | 132 | 12| M 6) 25 23,22 46) 14 56 | 20 58,1 2 26 11 133.| 13 G 5) 25 21,98 48| 16 15 21 48,8 2 47 12 | 134 |14| V 2 25 22,12 49| 17 88 22 43,2 8 11 13 135 | 15 S 1 25 22,41 50|| 19 3 | 23 42,3 8 39 14 | 136 | 16| D 0 25 23,26 51| 20 29 ia 4 13 154 137 | 17 L |4 59 25 24,66 52|| 21 46 0 45,8 4 58 16 138 | 18 M 58 25 26,64 53 22 50 1 51,9 5 07 17 139 | 19 M 57 25 29,18 54|| 23 40 2 57,2 106 18 140 | 20 G 56 25 32,28 55 = 8 58,7 8 24 19 141 | 21 V 55) 25 35,93 56 0 16 4 54,9 9 41 20 | 142 | 22 S 54 25 40,13 58 0 45 5 45,6 10 55 21 143 | 23 D 58 25 44,79 59 USL 6 31,7 12 6 22 | 144 | 24| L 52 25 50,18 [20 0 127 714,7 13 13 23 | 145 | 25 M 51 25 55,90 1 145 7 55,9 14 18 24 146 | 26| M 51 26 2,31 2 2 3 8 36,5 15 22 25 | 147 | 27 G 50 26. 9,13 3 2 22 9 17,6 16 26 26 | 148| 28| V 49 26 16,43 3 2 43 10 0,2 17 31 27 149 | 29 S 49 26 24,20 4 SII 10 44,9 18 35 28 | 150 | 30| D 48 26 32,41 b) 8 96 11 32,2 19 38 29 È 151% 81 L 47 26 41,06 6 413 12 21,7 20 37 80 | Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1° 8m 1 Luna nuova alle 21% 46% 2 La Luna è in Apogeo alle 8h 9 Primo quarto , 22% 37 16 Id. Perigeo , 8 16 Luna piena n, 14 55m 29 Id. Apogeo 12h 23 Ultimo quarto , 10% 35% Il Sole entra nel segno Gemelli il 81 Luna nuova —, 18% 26 giorno 20 ad ore 21 min. 0. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Giugno 1897. 1053 GIORNO TEMPO MEDIO DELL’EUROPA CENTRALE È ER aa ai 9 |o È II SOLE La LUNA 8 ds || na © s = DEE passa 5 passa | i Cc Go 3 nasce dini i nasce INR, tramonta £ hm|hm 8 hm h m h m h m 152 1 M |447]|12 26 50,11 20 7 4 57 13 13,0 21 29 1 153 | 2|] M 46 26 59,56 8 5 50 14 4,8 22 14 2 154 | 8| G 46 20 929 9 6 5l 14 55,9 22 ol 3 155 | 4 V 45 27 19,50 9 757 15 45,5 23 21 4 debe bal-:S 45 27 30,04 10 9aL6 16 33,3 23 47 5) 157 | 6| D 44 27 40,84 11] 10 17 17 19,6 —— 6 158| 7| L 44 27 51,92 LI: DE 27 18 5,2 De49 7 159 | 8| M 44 28 3,26 12| 12 40 18 51, 0 30 8 160 | 9 M 43 23 14,84 13|| 13 54 19 38,8 0 49 9 161 | 10| G 43 28 26,64 13] 15 12 | 20 29,7 Log e 10 162 | 11 V 43 23 38,64 14] 16 34 | 21 24,8 1 36 11 163 | 12 S 43 28. 50,82 14 17 58 22 24,9 2 6 12 164 | 13| D 43 29 3,16 15| 19 19 23 29,2 2 46 13 165 | 14| L 483 29 15,63 15) 20 30 —— 8 36 14 166 | 15 | M 43 29 28,25 16 21 28 0 35,4 4 42 15 167 | 16| M 43 29 40,98 16] 22 11 1 40,0 5 57 16 168 | 17 G 43 29 58,80 17) 22 43 2 40,1 a UA 17 169.18) V 43 30 6,68 17 23 9 3 34,8 8 35 18 170 | 19 S 43 30 19,63 17| 23 81 4 24,3 9 49 19 171 | 20 D 43 80 32,61 18] 23 50 5 9,7 10 59 20 172 | 21 L 43 50 45,60 8| —- dò 52,9 12.7 21 173|22| M 44 30 58,57 18 0 8 6 33,9 13 12 22 174|23| M 44 sl 11,51 18 0 27 7 15,2 14 16 23 175|24| G 44 S1 24,39 18 0 47 7 57,9 15 21 24 176/25) V db 81 87,17 18 109 8 41,5 16 26 25 Md 268) 45 51 49,84 18 137 9 28,0 17 30 26 178.| 27x| D 45 322,87 13 211 10 16,9 18 29 27 179 | 28 L 46 32 14,74 18 2 58 1b214,9 19 25 28 180 | 29| M 46 32 26,91 18 3 44 11 59,9 20 12 29 181 |30| M 47 32 38,88 18 443 | 12 51,8 20 52 1 Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di Ob 12m 8 Primo quarto alle 8h 3m 13 La Luna è in Perigeo alle 170 14 Luna piena n 220 2m 25 Id. Apogeo , 28h 22 Ultimo quarto , Lia Sa Il Sole entra nel segno Cancro il 30 Luna nuova —, 8h 55m giorno 21 ad ore 5 min. 23. 1054 VITTORIO BALBI Luglio 1897. Fasi della Luna. 7 Primo quarto alle 14% 32m 14 Luna piena s dì 52m 21 Ultimo quarto , 16h 8m 29 Luna nuova n 162 58m GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE ° 5 a lf SOLE La LUNA Ss n =. S © | g È i "a ta; = cn passa È passa a | gd nasce al È | nasce al tramonta Ue) n=] DN meridiano £ meridiano hm hm s hm h m h m h m 182 1 G |4 47/12 32 50,59 [2018 5 49 13 42,4 21 24 183 2 V 48 33 2,05 13 6 58 14 31,3 21 52 184 Bb) S 48 33 13,21 IL7 8_ 8 15 18,2 22 17 185 4| D 49 33 24,04 17 9 19 16 3,9 22 35 186 5) L 50 33 34,54 17) 10 30 14 49,2 22 55 187 6 M 50 993 44,66 16] 1144 17 35,4 23 16 188 7 M 51 83 54,42 16| 12 58 18 23,6 23) 197 189 8 G 52 84 3,75 16| 14 16 19 15,8 == 190 9 V 52 34 12,67 15] 15 36 20 11,4 0 5 191 | 10 S 53 84 21,15 15|| 16 56 | 21 12,2 0 39 192 | 11 D 54 84 29,18 14| 18 11 22 16,0 1 24 193 | 12 L 55 84 36,75 13] 19.13 23 20,5 2 21 194 | 13 | M 56 34 43,85 13:I1-20658 LL 8 91 195 | 14| M 57 84 50,46 12) 20 40 0 22,6 4 49 196 | 15 GA 58 34 58,58 11 21 9 112041 6 9 197 | 16 V 59 35. 2,21 11) 21.33 2 12,7 ZL 198 | 17 S 59 35. 7,84 10| 21 53 3 0,8 8 40 199 | 18 D 50 85 11,95 9 22012 3 45,7 9 49 200 | 19 L 1 35 ‘16,03 8 22 30 4 28,5 10 57 201 | 20 M 2 35 19,58 7) 22 ol 5 10,6 12 4 202 | 21 M 3 35 22,58 fill ‘230È2 5 53,0 13 8 203 | 22 G 4 85 25,04 5 23-98 6 36,6 14 14 204 | 23 V 5) 85 26,95 di ee 7 22,9 15 18 205 | 24 S 6 35 28,29 8 09 8 10,4 16 20 206 | 25 D 8 85 29,06 2 0 48 9 0,6 NON 207 | 26 L 9 35 29,25 1 1 36 9 52,4 18 8 208 | 27 M 10 35 28,85 0 2 32 10 44,7 18 50 209 | 28 M 11 35 27,87 [1959 8 36 11 36,8 19 26 210 | 29 G 12 35 26,29 58 4 45 12 26,5 19 54 211 | 30 V 13 85, 24,10 57 5 56 13 14,8 20 19 212 | 31 S 14 85 21,31 55 48 14 1,6 20 41 Il giorno nel mese diminuisce di oh 50m, 11 La Luna è in Perigeo alle 19h DA Id. Apogeo , 168 Il Sole entra nel segno Leone il giorno 22 alle ore 16 min. 17. Età della Luna O 00 1 Dì Ut Ha CO DD EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Agosto 1897. 1055 GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È HI E ll SOLE La LUNA E d n d — 3|5|sî ; sE S das passa È passa x eni =] +» o mi la $ |nasce al E nasce al tramonta| =) Ue] N meridiano a meridiano E hm h m Ss hm h m h m h m 213 1 D | 515 112 35‘ ‘17,89 |19 54 8 21 14 47,6 21: È 8 214 2 L 16 85 13,86 53 9.383 15 33,9 21 22 4 215 3 M 17 35 9,22 520855 16 21,6 21 44 5 216 4 M 18 OIAN3:96 50|| 12 4 17 11,8 22:19 6 217 6) G 20 54 58,07 49) 13 23 18. 5,6 22 40 7 218 6 V 21 84 51,58 48] 14 42 196805 23 20 8 219 7 S 29 94 44,46 46| 15 57 20 4,5 n 9 220 8 D 23 84 36,74 45 MAETS AT 0 ll 10 221 9 L 25 84 28,43 43|| 17 56 22 8,7 114 del 299 10 M 26 84 19,54 42] 18 87 2306701 2 27 12 923. | IL M 27 84 10,06 40| 19 9 = 3 45 13 294 | 12 G 28 84 0,01 89|| 19 34 QU Da 14 2250 13 V 29 93 49,42 87|| 19 56 0 50,9 6 18 15 226 | 14 S 81 88 38,29 86|| 20 16 137,2 730 16 BOL iò D 82 93° 20069 54| 20 35 2 21,4 8 39 IZ; 228 | 16 L Bh 83 14,46 32| 20 54 di r4;2 9 47 18 229 | 17 M 34 De 79 ol: t2% 15 3 47,0 10 53 19 230 | 18 M 85 92 48,62 29] 21 39 4 30,3 11159 20 231 | 19 G 97 82 34,98 28)| 22 8 5 15,7 13 4 21 292, 1-20 V 38 32 20,87 26) 22 44 62,9 147 22 233 | 21 S 39 92. 6,92 24|| 23 27 6 52,2 15 6 23 254 | 22 D 40 81 51,32 22 I 7 43,2 16 0 24 235 | 28 L 41 S1 35,88 21 019 8 35,0 16 45 Ps) 236 | 24 M 43 31 20,04 19 1 20 9 26,8 (7625 26 297 | 25 M 44 31 3,80 7 DDT 10 17,5 17 55 27 258 | 26 G 45 80 47,17 16 3 38 LIO: 18 21 28 239 | 27 V 46 80 30,16 14 ZII 11 55,0 18 45 29 240 | 28 S 47 80 12,79 12 6 4 12 42,2 TEA 1 241 | 29 D 49 29 55,05 10 7 18 13 29,4 19 27 2 242 | 30 L 50 29 36,97 8 8 34 14 17,5 19 49 Di 245. | el M 51 29 18,57 6 9 51 15 8,0 20 14 4 Fasì della Luna. 5 Primo quarto alle 19% 25m 12 Luna piena ,, 150 28m 20 Ultimo quarto , 9° 29m 28 Luna nuova n, 4 29m Il giorno nel mese diminuisce di 1h 26m, 7 La Luna è in Perigeo alle 22h 20 Id. Apogeo , 10 Il Sole entra nel segno Vergine il giorno 22 alle ore 22 min. 54. 1056 VITTORIO BALBI Settembre 1897. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È = ° DI È Il SOLE La LUNA a Ss n [=] =’ d (c») E È ” n mi =" Ra passa È passa R # || [nasce al E nasce al tramonta| :£ D ® ® ChE sian + =] mu D meridiano £ meridiano [eS| hm)hm s h m nom h m h m 244 1 M |5 52|12 28. 59,83 (19 5| 11 Il 16 1,5 20 43 5 245 2 G 58 28. 40,80 Si gd2 91 16 58,4 21 20 6 246 S V BH) 28 21,48 1| 13 47 17 58,6 22 6 “ 247 4 S 56 28. 1,88 (1859) 14 55 19 0,2 23 6 8 248 5 D 57 27. 42,03 57| 15 5l 20 .1,0 = 9 249 6 L 58 27 21,94 55 || 16 36 20 59.2 0 15 10 250 7 M 59 ye 1,64 54|| 17.9 21 53,4 130 11 251 8 Mi 60401 26 41,14 52 LT 22 43,7 2 46 12 252 9 G 2 26 20,48 50] 18 0 23 30,5 4,10 13 253 | 10 V 3 Db ro9L6d 48|| 18 20 ai 5 13 14 243 CSO INI S 4 25 33,73 46| 18 39 0 15,0 6 22 15 209 || 12 D 5 25 17,68 44| 18 58 0 58,3 730 16 256 | 13 L 6 24 56,55 42|| 19 18 141,1 8 37 Di 257 | 14 M 8 24 35,42 40| 19 42 2 24,6 9 44 18 258 | 15 M 9 24 14,14 89] 20 9 Si 10 49 19 259 | 16 G 10 23. 52,90 87) 20 42 8 55,9 11 53 20 260 | 17 NV VI 23. 31,67 sb ||. 21 22 4 44,3 12 55 21 261 | 18 S 12 23 10,47 33 || 22 10 5 34,4 13 50 22 262 | 19 D 14 22 49,31 obi a2326 6 25,4 14 38 23 263 | 20 L 15 22 28,23 29 ie 7 16,5 15 18 24 264 | 21 M 16 DO TOSTI2A 27 0 10 8 0 15 58 25 265 | 22 M 17 21 46,36 25 118 8 56,4 16 21 26 266 | 23 G 19 21. 125,60 23 229 9 44,6 16 45 27 267 | 24 V 20 21 5,00 21 3 42 10 32,0 17 MS 28 268 | 25 S 21 20. 44,56 19 4 56 11 19,6 17 130 29 269 | 26 D 22 20. 24,30 18 6 12 IO FRS 17 51 30 270 | 27 L 23 20 4,24 16 7:80 12 58,9 18 15 1 271 | 28 M 25 19 44,38 14 8 52 13 52,7 18 44 2 272 | 29 M 26 19 24,77 12| 10 14 14 50,2 19 19 3 273 || 80 G 27 19 10,41 10) 11 34 15 ol,l 20 4 4 Fasi della Luna. 4 Primo quarto alle 0h 13m 11 Luna piena 19 Ultimo quarto 26 Luna nuova n n n 3h 12m 8h 51m 14h 46m Il giorno nel mese diminuisce di 1h 32m. 1 La Luna è in Perigeo alle 28% 17 Id. Apogeo , 6h 29 Id. Perigeo , 1h Il Sole entra nel segno Libra il giorno 22 alle ore 19 min. 49. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1057 Ottobre 1897. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È [ne | e a ll SOLE La LUNA - 8E| 2/8 È = © È; |a dA passa È passa È E È sà È RABOA diana E BARRE meta ea 5 hm hm Ss hm h m h m hem 274 1 V |6 28/12 18. 46,28 [18 8|| 12 46 16 53,7 210 5 275 2 S 30 18. 27,46 6 RSAATZ 17 55,6 ZA 6 276 8 D 31 18. 8,93 4| 14 835 18 54,7 23.20) 77 Ml 4 L 932 17. 50,72 2 15 ll 19 49,7 — 8 278 5 M 83 17 32,86 1| 15 40 20 40,4 0 35 9 279 6 M 85 17 15,36 |1759|| 16 4 21 27,4 150 10 280| 7) G| 36] 16 58,25| 57 1625 | 22 119 SO (ST 281 8 V 37 16 41,54 55 || 16 44 22 54,8 4 10 12 282 9 S 38 16 25,26 baile: 3 23 37,2 5 18 13 283 | 10 D 40 16 9,44 52: el29; ni 62 14 284 | 11 L 41 15. 54,09 50] 17 45 0 20,2 1030 15 285 | 12 M 42 15. 39,24 48] 18 11 1. 43 8 36 16 286 | 13 M | 44 15 24,91 46| 18 41 1 50,3 9 41 17 287 | 14 G 45 15 11,12 44| 19 19 2 28,1 10 43 18 288 | 15 V 46 14. 57,89 43] 20 4 327,5 11 40 19 289 | 16 S 47 14 45,24 41 20 57 4 17,9 12 31 20 290 | 17 D 49 14 33,19 39 || 21 56 5. 8,4 13 14 21 291 | 18 L 50 14. 21,77 38|| 23 1 5 58,3 13 50 22 292 | 19 M 52 14. 10,97 86 == 6 47,0 14 20 23 293 | 20 M 58 14. 0,83 94 09 7 34,5 14 46 24 294 | 21 G 54 13 51,36 2 120 8 21,0 15 8 25 295. | 22 V 56 13. 42,57 sl De 9 7,9 15 80 26 296 | 23 S 97 13. 34,48 29 3 45 9 54,9 15 dl 27 297 | 24 D 58 135 2511 27 52 10 44,4 16 14 28 298 | 25 Tu 7040 13. 20,04 26 6 22 11 37,2 16 41 29 299 | 26 M 1 13. 14,53 24 7 46 12 34,3 17 14 1 300 | 27 M 2 13 934 23 9 10 13 35,7 17 56 2 301 | 28 G 4 13. 4,90 21 10 29 14 40,1 18 49 3 302 | 29 Ve lg 9 l3eels20 20) eLlC37 15 44,9 19 55 4 3803 | 30 S 7 12 58,25 18|| 12 30 16 47,1 21 09 5 804 | 31:| D 8 12 56,08 17 13° 12 17 44,8 29023 6 Fasì della Luna. 3 Primo quarto alle 6h 32m 10 Luna piena » 170 49m 18 Ultimo quarto , 22h 9m 26 Luna nuova, 0h 28m Il giorno nel mese diminuisce di 1h 34m, 14 La Luna è in Apogeo alle 28% 27 Id. Perigeo , 4h Il Sole entra nel segno Scorpione il giorno 23 alle ore 4 min. 21. 1058 VITTORIO BALBI Novembre 1897. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE ° Di d Il SOLE La LUNA [e 7) d ss 3 (Si O | | _ n > i Pi co passa ta passa = |l'a|E [nasce al È nasce al tramonta L=] mu D meridiano £ meridiano hm] hm s hm h m h m h m 305 1 È |NISON T2 42568717 16 13 43 18 37,5 23 40 306 2 M dig 12 54,06 14° || 19 25,8 ni on 307 3 M 12 19 V5E24 13|| 14 30 20 10,9 0 53 308 4 G 13 12. 55,22 11 14 50 20 53,8 27% 309 5) V 15 12 SSOIZOL 10) Sdo099 21 35,8 3 39 910 6 S 16 12 59,63 Gili SISHZ9 22 VSS 4 24 811 7 D 18 13° 3,06 il 15 50 DIRO 5 20 12 8 L 19 le 92 6 16 14 23 46,6 6 26 313 9 M 20 13° 12,43 5 16 43 e TSI 314 | 10 M 22 13 18,39 417 19 0 33,8 8 34 Lo LE G 23 I3V29,19 Sl SIE 1 22,6 9.39 816 | 12 V 25 13 32,86 1 18 51 2 12,8 10 25 al || 19 S 26 13 41,38 0; 19 49 3 83,2 LABRILT 318 | 14 D 27 13. 50,76 [1659] 20 51 ROL 11 49 319 | 15 L 29 14. 1,00 10%) MRAZ BIZ 4 41,4 12 20 320 | 16 M 80 14 192,10 57 23° 4 5 28,2 12 47 DAI |AIT M el 14 24,06 56 —— 61199 13 10 3822 | 18 G 98 14 36,86 56 0 12 6 58,6 13. 4 323 | 19 V 84 14 50,51 55 123 7 43,8 13 52 324 | 20 S 35 155,00 54 2 36 8 30,1 14 13 d25 | QI D 3 Lo 231 58 8 58 9 20,5 14 38 926 | 22 L 88 15 36,44 52 a 5) 10 14,6 15.7 027 | 29 M 39 15° ‘53,86 52 6 36 11 13,7 15 44 328 | 24 M 41 16- 11,05 51 80 12 17,6 16 BZ 929 | 25 G 42 16 29,52 50 9 16 13 24,3 17 19% 330 | 26 V 43 16 48,72 50| 10 18 14 30,3 18 47 SIL 27 S 44 17. 8,64 49 DST 15 32,5 19 Ra 832 | 28 D 46 d7 29/25 49| 11 48 16 29,3 %1. 25 398 || 129 L 47 17! 50,58 48| 12 11 17 20,9 22,5 334 | 30 M 48 18. 12,48 48] 12 34 18 8,1 2359 Fasì della Luna. 1 Primo quarto alle 15° 37m 9 Luna piena s 10. 50m 17 Ultimo quarto , 15. 2m 24 Luna nuova n 10h 20m Il giorno nel mese diminuisce di 1h gn. 11 La Luna è in Apogeo alle 11h 24 Id. Perigeo , 16h Il Sole entra nel segno Sagittario il giorno 22 ad ore 1 min. 15. Età della Luna EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1059 Dicembre 189". Fasi della Luna. 1 Primo quarto alle 4h 15m 9 Luna piena ,s, Dì 54m 17 Ultimo quarto , 51 22m 23 Luna nuova s 208 55m 80 Primo quarto , 20h 27m GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È TTM ai SICA ll SOLE La LUNA P di È 2 È ® —— w0000O e i SAS passa È passa 15 fila | nasce al È nasce al tramonta | £ usi U=] N meridiano E meridiano E hm hm 8 h m h m hm h m 985 1 M |749]|12 18 835,06 [1647] 12 55 18 52,9 ca 8 336 2 G 50 18 58,25 47| 13 15 19 34,9 i basti 9 997 8 V 51 19. 22,03 47| 13 34 20:.17,1 ZANT 10 838 4 S 92 19 46,36 46| 13 54 21 0,0 3,3 11 3889 5) D 58 20 11,25 46| 14 18 21 44,2 4 18 12 840 6 L 99 20. 36,66 46| 14 45 22 30,5 5 23 13 941 7 M 96 ZI 46| 15 18 23 18,8 6 26 14 942 8 M 97 21 28,96 46| 15 59 —- 7 26 15 943 9 G 7 21 55,80 46) 16 47 ORTSN 821 16 944 | 10 V 59 92) 123/06 46| 17 42 0 59,9 CÒ NET, Sd S 59 22 50,72 46| 18 44 1 49,5 9 49 18 946 | 12 D |8 0 23 18,76 46] 19 48 2 38,5 10 23 19 947, 13 L 1 23. 47,183 46|| 20 50 8 25,6 10 50 20 348 | 14 M 2 24 15,88 46) 22 2 4 11,0 11 14 ZA 849 | 15 M 3 24 44,82 46) 23 10 4. 55,2 11.35 22 350 | 16 G 8 25. 14,05 46 —— 5.89,0 11 56 29 ST V 4 25 43,51 47 0 19 6 23,4 12 15 24 852 | 18 S ò 26 12,16 47 T 31 710,0 12 38 25 958. | 19 D 5 26 42,97 47 2 47 759,9 13 13 26 354 | 20 L 6 27. 12,90 48 4 6 8 54,5 13 35 2 355|21| M 6| 27 4291| 48| 527 | 9544 | 1416 | 28 956 | 22 M 7 28 12,98 49 6 47 10 50,0 15.9 29 357 | 28 G 7 28. 43,05 49 57 12 5,7 16 17 50 358 | 24 V 8 29 13,08 50 BADO 312 17 35 1 359 | 25 S 8 29 43,03 50 9 36 14 12,9 18_ 57 2 60 | 26 D 9 80 12,87 bl 109 15 8,9 20 18 3 861 | 27 L 9 80 42,57 51| 10 35 15 59,5 21 34 4 862 | 28 M 9 Sl 12507 52 10 58 16 46,4 22 46 5) 863 | 2943 M 9 81 31,35 99. ito 17 30,9 23 56 6 864 | 30 G 9 92 10,87 54| 11 38 18 14,1 = 7 865 | 81 V 9 32 38,09 55. 11 59 18 57,9 2 8 Il giorno nel mese diminuisce di Qh 14m, 8 La Luna è in Apogeo alle 12h 28 Id. Perigeo , 4 Il Sole entra nel segno Capricorno il giorno 21 alle ore 14 min. 13. 1060 VITTORIO BALBI — EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA ECCLISSI 1897 (Tempo medio dell'Europa centrale). Nell’ anno 1897 avverranno due Ecclissi di Sole. I. Ecclisse anulare di SoLe il 1° Febbraio; invisibile a Torino. Quest’Ecclisse è visibile nell'America centrale e meridio- nale, nella parte meridionale del Grand’Oceano e nel Sud-Est delle coste Australiane. II. Ecclisse anulare di SoLe il 29 Luglio; invisibile a Torino. Quest’Ecclisse è visibile nell’Ovest dell’Africa, nell'Oceano Atlantico, nella parte meridionale del Nord-America, nell’Ame- rica Centrale e a Nord del Sud-America. i 1061 Relazione intorno alla Memoria del Dott. Saverio BeLti, intitolata : “ Sull’Endoderma e Periciclo nel Gen. Trifolium ,. Questo lavoro è diviso in tre parti: Nella 1° si fa la storia bibliografica e critica dei lavori antecedenti intorno a questo argomento. Nella 2° viene esposta la serie delle ricerche origi- nali dell'A. sui tessuti in quistione. Nella 3? si discute la teoria sulla Stelia in generale e l'applicazione di essa al Gen. Trifolium. Dal complesso di questo lavoro emergono principalmente le seguenti conclusioni generali: 1° Non esiste nel caule delle specie del Gen. Trifolium un periciclo nel senso di Van Trecuem, DouLior, Moror, ecc., cioè una regione caratterizzata istogeneticamente e funzionalmente come tale. 2° Le produzioni da questi Autori assegnate al periciclo (sempre nel Gen. 7rifolium) appartengono invece al sistema libroso. 8° Le radici avventizie nascono nel fusto del 7. repens dagli archi cambiali interfascicolari e dal tessuto parenchima- toso esterno ai tubi cribrosi. Manca la così detta saccoccia di- gerente, che da Van TreneMm e Dourior vien detta originarsi nell’endoderma. Manca altresì un endoderma caratteristico; esiste invece una guaina parziale. 4° Nel 7. repens (e in molte altre specie di Trifolium) il fusto non può ascriversi a nessuna delle tre maniere di strut- tura, astelica, stelica o polistelica ammesse come definite da VAN Trecnem. Poichè se si vuole interpretare la guaina, che sta a ridosso dei fasci vascolari delle foglie, come un Endoderma (VurLLemx), si andrebbe incontro all’assurdo, che da una strut- tura astelica possa originarsene un’altra pure astelica, e ciò in opposizione al dogma prestabilito da VAN TregHEM, che una struttura astelica procede sempre da una stelia precedente. 5° La cosiddetta zona perimedullare di FLoT, parallela al periciclo, e che questo A. ascrive a tutte le Dicotiledoni, non è 1062 geneticamente dimostrabile in tutti i fasci vascolari iniziali delle specie del G. Trifolium. 6° I fasci caulinari interfascicolari sì originano non dal periciclo, ma dagli archi cambiali interfascicolari. 7° Il fellogeno nel Gen. Trifolium non ha origine, come vuole VAN TrecHEm, nell’endoderma, bensì nell’epidermide stessa. 8° Nello sviluppo iniziale dei fasci vascolari non si in- contra nel Gen. Trifolium uno stadio corrispondente al Verdi- ckungsring di Sanrio, o al Mesistema di Russow (inteso questo stadio come un supermeristema distinto dal cambio di NAEGELI = Cordoni procambiali). E cioè, anche allorquando gli inizii dei fasci vascolari si presentano sotto forma di anello chiuso, si deve soltanto alla vicinanza delle iniziali dei cordoni stessi, già dif- ferenziati in cellule allungate nel senso dell’asse, la illusione di un anello chiuso; mentre in realtà ogni fascio è un centro di formazione isolato, e non si dà un mesistema di secondo ordine, continuo, in sè e per sè. 9° I cristalli di ossalato calcico sono localizzati nella guaina dei fasci, e sono avvolti in una sacca di cellulosi, che ben presto si inquina di lignina. 10° I cristalli di ossalato calcico si trovano già nella guaina parziale dei fasci (endoderma di Van TrecHem, Moror, ecc.) dell’asse ipocotile, cioè al disopra del colletto anatomico esterno. 11° Nel tratto, che corre tra l’apice vegetativo ed il primo internodio evoluto del caule, non si trovano cristalli. La zona, corrispondente al cosidetto endoderma parziale degli A., contiene amido, ma non in quantità superiore agli altri strati. 12° È impossibile riconoscere una alternanza fra le cel- lule della così detta zona endodermica, o fleoterma parziale dei fasci vascolari (guaina parziale dei fasci), e le cellule della prima fila di cellule sottostanti, appartenenti al tessuto da interpre- tarsi come periciclo, come vorrebbero gli autori francesi VAN TrecHeMm, Moro, ecc. 13° A proposito di periciclo nel caule parrebbe ormai tempo, che si abbandonasse una nomenclatura dogmatica, che in molti casi non ha per sè nè il suffragio dell’osservazione diretta, nè la dimostrata funzionalità, che manca insomma del consensus omnium peritorum. L. CAMERANO. G. GiseLLI, Relatore. testi 1063 Relazione sulla Memoria del Dott. De AcostINi, avente per titolo : “ Iicerche batometriche e fisiche sul lago d'Orta ,. La Memoria presentata dal D" G. De Agostini ha per ti- tolo: Ricerche batometriche e fisiche sul lago d'Orta. Alcune ricerche sulla profondità del lago d’Orta erano già state eseguite dal Prof. Pavesi, il quale nel pubblicarle ne ag- giunse altre, che erano rimaste inedite, del Conte Morozzo della Rocca. Mancava tuttavia una conoscenza esatta del fondo del lago, ed il De Agostini potè ora determinarla con una nume- rosa serie di scandagli, ed una carta diligentemente eseguita ed unita alla memoria, rappresenta colle curve di livello la forma del fondo del lago. Anche sulla temperatura delle acque del lago il C° Morozzo aveva nel 1788 rese pubbliche, colle Memorie della nostra Ac- cademia, alcune osservazioni. Esse tuttavia, specialmente quelle degli strati profondi, potevano ritenersi difettose, perchè eseguite semplicemente con un termometro ordinario rivestito di sostanze isolanti. Il De Agostini invece eseguì molte osservazioni facendo uso di uno strumento speciale per tali ricerche, quale è il ter- mometro a rovesciamento di Negretti-Zamba. Alcune tavole ed un diagramma indicano le varie temperature a seconda delle profondità osservate in diversi mesi negli anni 1894 e 1895. Anche la trasparenza e la colorazione delle acque del lago d'Orta furono oggetto di studio adottando per le ricerche i metodi più moderni. In complesso il De Agostini presenta col suo lavoro una serie di svariate osservazioni, le quali rendono la memoria in- teressante, sia per lo studio generale dei laghi, come per un confronto con altri laghi italiani. Perciò noi riteniamo che lo scritto del De Agostini sia meritevole della pubblicazione nelle Memorie dell’Accademia. G. FERRARIS. Giorgio SPEZIA, Relatore. 1064 Relazione sulla Memoria del Prof. F. Porro, intitolata: “ Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino ed a Soperga ,. Vi è nel cielo una classe di stelle, la cui intensità lumi- nosa varia gradatamente col tempo. Si chiamano perciò varia- bili e ve ne ha di' differenti specie. Lo studio di tali stelle può dirsi del tutto moderno, poichè fino all'anno 1844 gli astronomi non fecero altro che ammirare le fasi generali di alcune di esse e notare le loro diverse gran- dezze nelle diverse epoche. Dal 1866 in poi lo spettroscopio ha aperto agli astronomi un campo più vasto di ricerche. Furono immaginate diverse teorie per poter spiegare la grande varietà di fenomeni che presentano le stelle variabili, però finora nulla intorno ad esse si è stabilito con quel rigore che è proprio delle Osservazioni astronomiche, eccetto che per le variabili del tipo di Algol. Bisogna continuare le osservazioni con metodo scientifico seguendo i classici precetti indicati dal- l’Argelander. Il Prof. Porro presenta tre serie di osservazioni di stelle variabili, due fatte all'Osservatorio di Torino, l’ultima fatta a Soperga in condizioni eccellenti. Esse sono un importante con- tributo per lo studio delle stelle variabili, ed è utile che sieno rese di pubblica ragione. I sottoscritti perciò propongono che la Memoria del Prof. Porro sia ammessa alla lettura e venga stampata nei volumi delle Memorie Accademiche. A. NACCARI. N. JADANZA, Relatore. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. 1065 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 28 Giugno 1896. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Socii: PevRon, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, NANI, Brusa, Aruievo e FERRERO Segretario. Il Direttore della Classe, a nome dell’autore, sig. Demetrio Marzi, offre le pubblicazioni: “ Notizie storiche di Monsummano e Montevettolini , (Firenze, 1896); “ Una questione libraria fra i Giunti ed Aldo Manuzio il Vecchio , (Milano, 1896). Il Socio NANI, a nome del Presidente Prof. CARLE, assente dall’adunanza, presenta la parte 2* del vol. I(2? ediz.) della Storia del diritto romano (Padova, 1896), di cui fa omaggio l’autore prof. Lando LANDUCCI. Il Socio Brusa legge una commemorazione del Socio stra- niero Adolfo GwEIST. Il Socio Segretario FerRERO legge parole commemorative sul Socio corrispondente Giuseppe FIORELLI. Queste commemorazioni sono pubblicate negli Atti. _—_ T_T << _’”rY-_ Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 72 1066 EMILIO BRUSA RODOLFO DI GNEIST Commemorazione del Socio EMILIO BRUSA. Nato a Berlino il 13 agosto 1816, peregrinò giovanetto col padre nelle varie sedi cui questo venne trasferito nella sua qualità di magistrato. Assolse gli studi classici ad Eisleben, la città di Lutero; quelli giuridici intraprese però a Berlino, quando nel 1833 vi fu restituito, e donde poi il neo giureconsulto non si dipartirà più, se non per quei viaggi scientifici, nei quali ha cercato ritrarre dal vivo la verità genuina, i pregi e difetti del diritto pubblico straniero. Ebbe a maestri i più solenni giurisperiti della scuola sto- rica allora regnante in quelle Università, fra i quali Riidorff, Dirksen, e lo stesso Savigny che ne era il capo vivente. Di Gans, unico rappresentante della scuola filosofica, Gneist, pur tanto avido di sapere, non seguì i corsi. Da due anni appena Hegel, il fondatore della filosofia politica prussiana, era sceso nel sepolcro, l’eco della sua fatidica parola vibrava ancora negli animi giovanili, ma allora Gneist si sentiva poco attratto dalle pure astrazioni speculative, per quanto capaci di esercitare alla fine un influsso potente nella pratica. Dedicatosi con tutta l'energia delle sue facoltà alle scienze giuridiche, sì grande alacrità egli vi ha adoperato, da meritarsi, un anno dopo l’altro, due premi accademici, il primo in diritto romano, il secondo in diritto penale sugli Specchi sassonico e svevico. Aveva allora appunto vent'anni, e subito dovette pen- sare a procurarsi un posto nella magistratura. Nelle nuove oc- cupazioni di ascoltante e di referendario egli non perdette però di vista nemmeno per poco i suoi amati studi, e si diede a tutt’ uomo a rifondere il primo di quegli scritti, De recentiore literarum obligatione, col quale si è poi guadagnato, il 20 no- COMMEMORAZIONE —- RODOLFO DI GNEIST 1067 vembre 1838, l’onore del dottorato, e l’anno seguente la venia docendi. Lunga, operosissima e luminosa è stata la carriera profes- sorale di Gneist: cominciata nel 1889, essa non si è chiusa che con la vita. Il 22 luglio 1895 fu l’ultimo giorno dell’eminente maestro, di questo insigne uomo di bene. Di ricco materiale, di pensieri profondi fu in ogni parte intessuto il vasto ordito delle sue lezioni al berlinese Ateneo. Egli vi ha dettato con eguale perizia diritto privato e diritto pubblico, e prima il privato prussiano, poscia il diritto e il pro- cesso penale ad una col processo civile, indi, dacchè nel 1842 Savigny venne assunto al Ministero di giustizia, precipuamente il romano diritto. Per cotal modo egli si vide anche una volta ricondotto a quel suo tema diletto dei contratti formali, che tanto ardore di critica doveva più tardi ispirare ad altri valo- rosi, ma nel quale nessuno aveva ancor saputo profondere una così grande dovizia di dottrina, di acume e di originalità. Me- ritata ricompensa a siffatto lavoro, il quale doveva assicurargli un nome duraturo fra i pandettisti alemanni, si fu la promo- zione a straordinario in Berlino e la vocazione al posto di or- dinario in Kiel: vocazione, questa, che egli, benchè conscio del lungo periodo di attesa inevitabile per poter salire a uguale grado nella capitale prussiana, rifiutava per amore del luogo natio. E quando nel 1858 gli fu alla perfine concesso di toc- care l’altissima meta, egli vi inaugurava il proprio corso con una orazione, De causae probatione stipulatoris, in difesa ancora dei concetti medesimi già sostenuti negli scritti precedenti. Dopo di allora nessun'altra sua pubblicazione è venuta fuori in diritto romano, tranne il parallelo sinottico intitolato Institu- tionum, et reqularum iuris romani syntagma, di cui nel 1880 uscì alla luce una seconda edizione. Della rinunzia al posto di Kiel Gneist non ebbe poi a pen- tirsi. In codesto centro berlinese di studi, allora come adesso incomparabilmente più frequentato, al giovane professore non poteva mancare il sorriso della propizia fortuna. Coltura eccel- lente, inesauribile energia di lavoratore, ve lo avevano egregia- mente predisposto. Ma, sopratutto, sì grande attrattiva seppe egli sin dal bel principio infondere alle proprie lezioni, che ben presto gliene venne alta fama di maestro altrettanto efficace 1068 EMILIO BRUSA quant’egli era dotto, e nella facoltà giuridica furono quelle d’ora innanzi le lezioni le più ricercate. Alle medesime accennando, un eminente biografo, il Loening, ne ricorda la giovanile fre- schezza e vivacità, l'esposizione ingegnosa, la varietà dei punti di vista, il tutto animato dallo sforzo incessante di avviare i discepoli alla pratica, preparando i magistrati e patroni futuri a ricercare e a dirigersi da sè nel vastissimo campo delle fonti. Puchta, invece, il sapiente successore di Savigny, ne continuava il riserbo inverso gli alunni, quel riserbo che a pochi eletti sol- tanto doveva offrire modo di entrare in prezioso commercio scientifico col maestro. L’espositore rigorosamente logico e pro- fondamente acuto dei dommi del giure romano, al calore e alla vita preferiva le finezze delicate, accessibili ai soli discepoli maturi. Si è veramente con Gneist e dietro la sua potente inizia- tiva, che nelle facoltà germaniche ebbero principio e salirono in fiore quegli utilissimi esercizi pratici, che ognora più si ri- conoscono ai dì nostri come il naturale e necessario comple- mento delle lezioni teoretiche. Nè giuristi soltanto erano coloro che con la loro affluenza attestavano la virtù espansiva e quasi incoercibile di quei corsi universitarii. I più vari e importanti soggetti del diritto pubblico, ch'egli prendeva a trattare nel sa- gace intento di promuovere e preparare le riforme legislative. richieste dai tempi nuovi, richiamavano l’attenzione presso ogni cerchia di persone colte e bramose di scienza praticamente effi- cace all’attuazione delle medesime. Frutto di meditazioni inde- fesse sui libri e, più ancora, sui fatti osservati da vicino nelle sue frequenti visite all’ Inghilterra, alla Francia, al Belgio, al- l’Italia, le sue lezioni pubbliche sul giurì, sulla procedura pub- blica e orale, intorno all’ istituto del pubblico accusatore, in- torno all'ordinamento giudiziario inglese e francese, segnano al pari, e più forse, di quegli esercizi, un’epoca nuova nell’in- segnamento superiore prussiano, un’epoca luminosa che fa pen- sare a quella che in questa ospitale Torino fu inaugurata con la dotta e convinta parola del Mancini, del Ferrara, dello Scia- loja e di altri che illustrarono la scienza moderna in Italia. Lucida e sicura ebbe Gneist la visione della realtà. Il latente e grave contrasto fra la libertà tedesca e il costituzio- nalismo francese non era mai stato più nettamente e profon- Cc _——_—— COMMEMORAZIONE — RODOLFO GNEIST 1069 damente dimostrato prima di lui. Un nesso indissolubile ricol- lega infatti tra di loro la libera costituzione comunale e il giurì, la giustizia e l’autoreggimento. Cresciuti uniti, essi debbono uniti del pari costituire il granitico fondamento dell’edificio co- stituzionale germanico. Così egli ragionava. E poichè le idee francesi tenevano il campo a cagione della influenza allora pre- valente dei giuristi renani, i suoi sforzi furono dapprima rivolti a combatterle adoperandovi quel vigore che nasce da profondo e saldo convincimento. La libertà non si può tradurre in atto, se non in uno Stato forte per elementi monarchici e aristocra- tici egualmente forti ed elevati su di una base democratica, costituita mercè l’autoreggimento da ottenersi nell'ordinamento per circoli e per comuni. Questo il fine, questi i mezzi. Gneist appartenne alla politica militante, però tenendosi sempre al disopra dei partiti; onde non gli accadde mai, che, per la comunanza d'idee avuta con questi, dovesse rinunziare alla propria indipendenza e libertà di azione. Compagni e av- versari poterono, così, trovarsi concordi talora nel riscontrare incoerenze nella sua condotta politica; ma nobili e pure erano sempre le sue vittorie come le sue sconfitte. Il trionfo finale de’ suoi alti disegni apparve quindi quel che doveva, il premio migliore di una incrollabile fede nella verità dei principii pro- fessati. Convinto che l’autoreggimento inglese altro in sè non fosse che un prodotto naturale delle tradizioni anglo-sassoni, un prodotto domestico anzichè straniero alla sua patria, egli si diede a tutt'uomo a dimostrarlo adatto qual è veramente alla Germania, a farsene banditore instancabile, come, più tardi, penetrato che fu nella legislazione prussiana, a prestargli, nel- l'applicazione, opera efficace e autorevole. Meravigliosa, benefica opera fu questa davvero; grazie alla medesima, la Prussia dapprima, gli altri Stati tedeschi di poi, si assicurarono un ordinamento dello Stato e dell’amministra- zione pubblica in conformità alle inviolabili norme del diritto, quell’ordinamento, dal quale esimii uomini di Stato italiani, fra i. quali primeggia Silvio Spaventa, trassero poi le loro ispira- zioni per riforme più o meno consimili nel nostro paese, dove pochi anni or sono queste vennero infatti iniziandosi sulla base d’un principio distinto, quello della separazione dell’ interesse dal diritto. Si è in cotale separazione che, com'è noto, il nuovo 1070 EMILIO BRUSA regno ha cercato la soluzione del problema fondamentale in- torno alle garanzie della giustizia nell'’amministrazione pubblica. Non è questo il luogo di indagare le affinità e le divergenze fra il modello prussiano e il sistema italico, nè tampoco sembra. che sia suonata l’ora, dopo la breve esperienza fatta, di affer- mare quale di essi meglio risponda al fine di attuare, tenuto conto delle diverse condizioni e tradizioni paesane, la giustizia. nell’esercizio del pubblico potere amministrativo. Solo mi sia concesso qui esprimere la mia ammirazione per codesto ordi- namento anglo-germanico: nel quale l’idea della legalità tocca. l'apice della perfezione pratica, escludendo persino qualsiasi di- stinzione fra “ diritto , e “ interesse legale ,, e ad ogni inte- resse protetto dalla legge riconoscendo dignità giuridica; nel quale non trova posto neppur l'ombra di quel sedicente “ po- tere politico ,, che, chiamato da noi a correggere la stessa co- stituzione dei tre poteri pubblici mediante una responsabilità ministeriale sproporzionata oltre ogni misura ai mezzi, insidia la garanzia stessa dei rimedi di legge offerti agl’interessi soggettivi meritevoli di protezione, ne fa mancare l’intervento e le virtù nei casi più gravi, e genera la sfiducia e il malcontento dei cittadini verso l’opera dei pubblici amministratori; nel quale ordinamento anglo-germanico tu trovi, infine, riconosciuta al diritto soggettivo pubblico quella posizione che veramente gli spetta in un governo costituzionale, ponendola al coperto dalle estranee e sinistre ingerenze dei partiti, delle passioni, delle clientele politiche. Oltre all’influenza assidua esercitata nella scuola e nei Par- lamenti prussiano e germanico, Gneist ne spiegò una non mi- nore con gli scritti numerosi e densi di pensiero e di realtà. Dagli studi suoi sull’autoreggimento inglese è scaturita quella sua opera grandiosa sull’odierno diritto costituzionale e ammi- strativo dell’ Inghilterra, la cui eccellenza è dovunque ricono- sciuta e celebrata. La dottrina ch'egli erasi formata sullo Stato, non è una dottrina unilaterale: storica e razionalistica a un tempo, essa fa capo alle tradizioni per orientarsi praticamente, ma si muove, si agita e addentra senza posa nei fenomeni so- ciali che la vivificano, ond’essa ben a ragione ha potuto quali- ficarsi una dottrina sociale dello Stato. Tratta com’essa è dal diritto pubblico inglese, si presenta quale un sistema di politica COMMEMORAZIONE — RODOLFO GNEIST 1071 interna intesa a dirimere, secondo leggi determinate, i conflitti dei vari interessi sociali fra di loro. È il concetto geniale svolto dallo Stein nella storia del moto sociale in Francia, e che ap- plicato da Gneist al proprio soggetto, gli ha permesso di assur- gere allo studio della missione che spetta allo Stato moderno di fronte agl’ interessi unilaterali di classe e alla ricerca dei mezzi per adempierla. Per cotale guisa Gneist si vide condotto a collocare il suo autoreggimento sul terreno di uno Stato verso il quale i citta- dini amministratori, penetrati dal sentimento del proprio dovere pubblico, si professano obbligati operando nel pubblico interesse. E quei cittadini dovevano, secondo il suo modo di vedere, ap- partenere alle classi possidenti, le sole consapevoli dei doveri civici nelle funzioni onorarie, le sole capaci di formare un nucleo di governo analogo alla gentry inglese. Che questa bella concezione umana e previdente dello Stato abbia superate tutte quante le grandi difficoltà di una conciliazione degl’interessi politici con gl’interessi sociali, sarebbe soverchio affermare. Gneist ebbe però l’alta sodisfazione di cooperare al- l'attuazione dei propri pensamenti e di parteciparvi di poi fino alla morte mercè l’illuminato suo consiglio nel supremo tribu- nale amministrativo prussiano, come ebbe quella ancor più in- tima di vedere, da un canto, sorgere e fiorire sotto i suoi auspicii quei Congressi giuridici annui, che prepararono e fecon- darono le riforme legislative della nuova Germania, e, dal- l’altro canto, le classi operaie, nel sodalizio centrale cui fu chiamato a presiedere per lunghi anni, avviarsi a quelle graduali migliorie intellettuali e morali donde più che mai deve dipendere l’accordo finale delle classi in una comune cooperazione agli uffici di pubblico interesse. La memoria di Rodolfo di Gneist rimarrà perennemente scolpita nelle menti e nei cuori di quanti in Germania e fuori amano e ameranno, professano e professeranno con alto e no- bile sentire il culto della giustizia nel diritto privato e pub- blico, nella vita sociale e individuale, nella scienza, nella le- gislazione e nella pratica giurisprudenza e amministrazione. 1072 ERMANNO FERRERO GIUSEPPE FIORELLI Parole commemorative del Socio ERMANNO FERRERO Giuseppe FroreLLI, che noi iscrivemmo fra i nostri Socii corrispondenti il 20 di marzo 1880, fu uno di quegli uomini fortunati, che hanno legato il proprio nome ad una grande im- presa della scienza. Il Fiorelli legò il suo agli scavi di Pompei. Prima che, caduta la monarchia borbonica, egli fosse assunto alla loro di- rezione, si poteva dire che in generale la sepolta città era stata rovistata: con lui principiò ad essere scavata metodicamente, accuratamente, in modo che niun avanzo scompaia e che non si perda il più piccolo insegnamento utile per la scienza. Questo è il titolo principale, che assicura al Fiorelli un posto onorato nella storia dell’ archeologia in questo secolo: non è il solo. Insieme con la direzione degli scavi pompeiani egli ebbe quella del museo di Napoli, da lui riordinato, am- pliato, dotato di cataloghi per certe collezioni, principali l’epi- grafica e la numismatica. Il Fiorelli fu pure esperto conoscitore delle antiche monete, sulle quali pubblicò negli anni giovanili (1) scritti pregiati (2). Al tempo della direzione degli scavi di Pompei spettano lavori (1) Era nato a Napoli 1’8 di giugno 1823. Nel 1846 prese parte al Congresso degli scienziati italiani a Genova, e vi fu nominato vice-presi- dente della sezione di geografia e di archeologia. (2) Osservazioni sopra talune monete rare di città greche, Napoli, 1843; Monete inedite dell’Italia antica, Napoli, 1845; Annali di numismatica, Roma, 1846-Napoli, 1851, 2 vol. COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE FIORELLI 1073 sulla storia di questi, una descrizione della morta città (1) e l'educazione di discepoli, che abilmente lo coadiuvarono, e di cui quelli, che gli succedettero negli scavi e nel museo, affet- tuosamente ne ricordarono le benemerenze dinanzi all’ Accademia napolitana di archeologia (2). Fin da giovane il Fiorelli nutrì sentimenti liberali, che, nei tristi tempi succeduti al 48, gli procurarono carcere e poi per- dita dell’ ufficio, che già allora aveva nelle escavazioni pom- peiane, e, come conseguenza, anni di povertà e di duro lavoro. Un membro della famiglia reale, il conte di Siracusa, che mo- strava amore per gli studii e le ricerche archeologiche, lo pre- pose all'esplorazione della necropoli di Cuma (3), poscia lo ebbe suo segretario. Sono celebri le due lettere calde di sentimento italiano, che nell’agosto del 1860, il conte mandava al nipote Francesco II ed a Vittorio Emanuele IL È noto che esse furono scritte dal Fiorelli, il quale allora aveva parte d’intermediario fra il conte e chi rappresentava a Napoli la politica del Pie- monte (4). Gl’'imparziali non esitano nell’apprezzare al suo vero valore l’atto di facile coraggio del principe borbonico: niuno negherà però al Fiorelli il vanto di non aver atteso, per mostrare amore per la libertà e per l'indipendenza nazionale, il momento, in cui il trono dei Borboni si sfasciava, si moltiplicavano da ogni parte le diserzioni, nelle acque di Napoli erano ancorate le navi sarde, e dalla Calabria accorreva trionfante il vincitore di Calatafimi e di Milazzo. (1) Pompeianarum antiquitatum historia, Neapoli, 1860-62, 2 vol.; Gli scavi di Pompei dal 1861 al 1872, Napoli, 1873; Descrizione di Pompei, Napoli, 1873; Guida di Pompei, Roma, 1877. Aveva già pubblicato: Monu- menta epigraphica Pompeiana, pars prima: Inscriptionum Oscarum apographa, Neapoli, 1856, ed una grande pianta della città: Tabula coloniae Veneriae Corneliae Pompeis. (2) Società reale di Napoli. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’ Ac- cademia di archeologia, lettere e belle arti. Nuova serie, anno X, pag. 14-23 (tornata del 4 febbraio 1896), discorsi dei professori Sogliano e De Petra. (3) Monumenti antichi posseduti da S. A. R. il conte di Siracusa, Napoli, 1353; Notizia dei vasi dipinti rinvenuti a Cuma nel MDCCCLVI, Napoli, 1857. (4) Cfr. Persano, Diario privato-politico-militare nella campagna navale degli anni 1860 e 1861, 2* parte, Torino, 1870, pag. 20, 40, 53; Nisco, Francesco II re, Napoli, 1887, pag. 126-129; Memor, La fine di un regno, Città di Castello, 1894, p. 423-425. 1074 E. FERRERO — COMMEMORAZIONE GIUSEPPE FIORELLI Nel 1860 il Fiorelli tornò alla sua Pompei: nel 63 ebbe anche la direzione del museo napolitano: tenne entrambi gli ufficii sino al 1875, in cui un ministro dell’istruzione pubblica, suo com- paesano, Ruggero Bonghi, lo chiamò a presedere al servizio ar- cheologico ed artistico del regno. Rimase fino al 1892 in tale im- portantissimo ufficio, del quale opere buone furono l'impulso agli scavi di Roma e di altri luoghi, l'ordinamento di collezioni, la creazione di una periodica raccolta d’informazione archeologica, le Notizie degli scavi. Nè mancò di cercare i mezzi per istabi- lire vigilanza sui monumenti venerandi del nostro passato e della nostra arte; problema gravissimo, che diede e darà ancora molto da studiare (1). Lasciato nel 92 l’ufficio di direttore generale al Ministero, sl ritrasse a vita privata: le condizioni cattive della sua salute peggiorarono ancora: cieco, infermo, trascinò vita miserabile sino al dì 29 del gennaio di quest'anno. Due giorni dopo, mentre a Napoli si tributavano solenni onoranze alla sua salma, nel Foro di Pompei s'inaugurava un busto del Fiorelli, che alle più lontane generazioni rappresenterà le sembianze dell’archeologo, la cui memoria non potrà essere mai scompagnata dalla vittima del Vesuvio. (1) Per sua cura furono raccolti i Documenti inediti per servire alla storia dei musei d’Italia, Roma, 1878-80, 4 vol. Aveva stampato prima una relazione Sulle scoverte archeologiche fatte in Italia dal 1846 al 1866, Napoli, 1867. 1075 PREMII DI FONDAZIONE GAUTIERI © L'Accademia Reale delle Scienze ha stabilito di conferire nel 1897 due premii per le opere di filosofia e di storia della filosofia pubblicate negli anni 1891-96; nel 1898 due premii per le opere di storia politica e civile in senso lato pubblicate negli anni 1891-97, nel 1899 due premii per le opere di letteratura, storia letteraria e critica letteraria pubblicate negli anni 1891-98. I premii saranno di circa L. 3000 caduno, dedotte le tasse e le spese di amministrazione. A partire poi dal 1900 si conferirà ogni anno un premio della somma indicata nel seguente ordine per ciascun triennio: 1° anno Filosofia, 2° anno Storia, 3° anno Letteratura. (1) Vedi R. decreto 15 settembre 1895 e il regolamento interno pub- blicati a pag. 298 e segg. L’ Accademico Segretario ErmanNO FERRERO. = === —=< i _ 1076 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 31 Maggio al 21 Giugno. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con “* si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, * Analele Institutului Meteorologic al RomAaniei. Tomul X, Anul 1894. Bucuresci, 1895; 4°. * Awales dela Sociedad Cientifica Argentina. Entrega IV, V, t. XLI. Buenos Aires, 1896; 8°. Anales del Museo Nacional de Montevideo, IV. 1896; 4°. * Annales de la Société belge de Microscopie. T. XIX. Bruxelles, 1895; 8°. * Annales de la Société géologique de Belgique. T. XX, 4° livr.; XXII, 2° livr. Liège, 1892-1895; 8°. * Annals of the New York Academy of Science late Lyceum of Natural history. VIII, 6-12. New York, 1885; 8°. * Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par la Société hollandaise des sciences è Harlem; tome XXX, livr. 1. Harlem, 1896; 8°. * Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLIX, sess. III. Roma, 1896; 4°. Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno II, fasc. 2-4. Torino, 1896; 8°. * Atti della Società toscana di Scienze naturali residente in Pisa. Processi verbali, vol. X, pp. 1-107; 1895-97. * Berichte der Bayer. Botanischen Gesellsch. Bd. IV. Miinchen, 1896; 8°. Boletin mensual del Observatorio Meteorolégico Central de Mexico. Enero, Febrero, 1896; 4°. Boletin mensual demografico de Montevideo. Aîio II, April 1894, n. 82, 83, 35-40. Montevideo, 1895-96. Boletin del Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Tom. I, n. 23, 24. Mexico, 1895; 4°. * Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer- sità di Genova. N. 40-48. Genova, 1896; 8°. TT. e— e Cc _—_raeer ee, ——-u PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 1077 * Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1896, n. 1; e Catalogo della Biblioteca, 1° Suppl°. Roma, 1896; 8°. Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 24; XI, n. 1-12. Roma, 1895-96; 8°. * Bollettino medico-statistico dell’Ufficio d’igiene della città di Torino. Anno XXV, n. 1-17 e Rendiconto dei mesi di gennaio, maggio 1896. * Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2, v. XVI, n. 2-6. Torino, 1896. * Buletinul Observatiunilor Meteorologice din Romania. Anul IV, 1895. Bucuresti, 1896; 4° (dall'Istituto Meteorologico). Bulletin Mensuel de Statistique Municipale de la ville de Buenos-Aires. Année IX© (1895), n. 9-12; X° (1896), 1-4. * Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1895, n. 3. Moscou, 1896; 8°. Bulletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 4; 8°. * Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1895. Supplément au T. XIV. St-Pétersbourg, 1895; 8°. * Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 3,5. Bologna, 1896; 8°. * Bullettino delle sedute dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania, fasc. XLI-XLIII. Catania, 1896; 8°. * Bullettino della Società Veneto-Trentina di scienze naturali. T. VI, n. 2. Padova, 1896; 8°. * Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société philomatique de Paris. N. 5-16 février 1896. Paris; 8°. * Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Avril. Cracovie, 1896; 8°. Comptes-Rendus des séances de la Commission permanente de l’Association Géodésique internationale. Berlin, 1895; 4°. Field Columbian Museum: Botanical series. Vol. I, n. 1. Geological series. Vol. I, n. 1. Zoolo- gical series. Vol. I, n. 1-2. Chicago, 1895; 8°. * Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n, 4. Torino, 1896; 8°. * Johns Hopkins University: American Chemical Journal. N. 1 del vol. 7. American Journal of Mathematics. Vol. III, 1880. Bulletin of the Johns Hopkins Hospital. Vol. VII, n. 58-61. Circulars. Vol. VI, n. 55; XIII, n. 108; XV, n. 124. Geological Map of Baltimore and Vicinity. * Mémoires du Comité Géologique de St-Pétersbourg. Vol. X, n. 4. 1895; 4°. * Memoirs of the Boston Society of Natural history. Vol. V, n. 1, 2. Boston, 1895; 4°. Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXV, disp. 182-152. Roma, 1896; 4°. * Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel. 12 Bd. 2 Heft. Berlin, 1896; 8°. 1078 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 6-8. London, 1896; 8°. * Ofversigt af Finska Vetenskaps-Societetens Fòrhandlingar, XXXVII, 1894- 1895. Helsingfors, 1895; 8°. * Proceedings of the Boston Society of Natural history. Vol. XXVI, part IV. Boston, 1895; 8°. * Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. New Series, vol. XXII. Boston, 1895; 8°. Proceedings and Transactions of the Nova Scotian Institute of Science. Session of 1893-94, 2° series, vol. I, part 4. Halifax N. S., 1895; 8°. Proceedings of the Royal Institution of Great Britain. Vol. XIV, Part III, n° 89. London, 1896; 8°. * Proceedings of the Academy of Natural Science of Philadelphia. Parts II, TIT, 1895; 82, * Proceedings of the Rochester Academy of Science. Broch. 3, 4, vol. II. Rochester, N. Y., 1893; 8°. * Proceedings of the California Academy of Sciences. 29 Ser., vol. V, part I. San Francisco, 1895; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX, fasc. X. Milano, 1896; 8°. * Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XV, n. 1-5. Torino, 1896; 8°. Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 17° année, n. 5. Paris, 1896; 8°. * Smithsonian Institation: The Composition of Expired Air and its Ef- fects upon Animal Life. By J. S. Billings, S. W. Mitchell, and D. H. Bergey. Washington, 1895; 4°. Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. V. Modena, 1896; 8°, * Transactions of the Wisconsin Academy of Sciences, arts, and lettres. Vol. IV, VI, IX, X. Madison, Wis., 1878-1895; 8°. * Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, Part VIII. Transactions of the New York Academy of Science. Vol. XIV. New York 1894-95; 8°. Tufts College Studies. N.1V. Tufts College, Mass., 1895; 8°, * Verhandlungen des naturhistorisch-medicinischen Vereins zu Heidelberg. N. F., Bd. V, 4. 1896; 8°. * }RypHaxp pycckaro ®I87rR0-xMMMTecKaro O6mecrBa ipa IMmneparopecroMme C. IHerep6yprerome YAamBepenterb; t. XXVIII, n. 8. 1896. * * LI Rizzardi (U.). Contributo alla fauna tripolitana. Firenze, 1896; 8° (dall’A.). Weingarteu (J.). Sur la déformation des surfaces. Stockholm, 1896; 4° (Z4.). | € ORTI, , RI TO" CITTA NI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 1079 Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne. Dal 14 al 28 Giugno 1896. Annali di Statistica. — Statistica industriale. Fasc. LVIII-LX. Roma, 1895-96; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). ** Bibliotheca philologica classica. 1896. Erstes Quartal. Berlin; 8°. * Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. IV. Madrid, 1896; 8°. * Bollettino delle Pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa (Bibl. Naz. Centr. di Firenze); 1896, n. 240-251; 8°. Bollettino di notizie sul credito e la previdenza. Anno XIII, n. 9-12 e in- dice; XIV, n. 1-4. Roma, 1895-96; 8° (Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). Bollettino di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XII, ottobre-dicembre 1895 e indice; XIII, gennaio-marzo 1896. Roma, 1895-96; 8° (Ministero delle Finanze). Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, n. 24, 1895; 1-5, 1896; 8°. * Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark. Copenhague, 1896, n. 3; 8°. * Comptes-rendus des séances de la Société de Géographie; 1895, n. 14-16; n. 1-12, 1896. Paris, 1896; 8°. * Consiglio Comunale di Torino; Sessione ordinaria di primavera 1896, n° V-XVII. * Leopoldina. Amtliches Organ der k. Leopoldino-Carolinischen Deutschen Akad. der Naturforscher. XXXI Heft, 13895. Halle; 4°. * Monumenta spectantia historiam slavorum meridionalium. Vol. XXVII. Tom. III. Zagabriae, 1895; 8°. * Rad Jugoslavenske Akademije Znanosti i Umjetnosti. Knjiga CXXIV. Zagubu, 1895; 8°. Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX, fasc. 11-12. Milano, 1896; 8°. * Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., An. X. Gen- naio a Marzo 1896; 8°. * Rjecnik hrvatskoga ili srpskoga jezika na svijet izdaje Jugoslavenska Akad. Znanosti i Umjetnosti obraduje P. Budmani. Svezak 15, 3 Cetvr- toga Dijela Zagrebu, 1895; 8°. 1080 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Anno XIII, quad. IV-V. Valle di Pompei, 1896; 8°. Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute. Woking, England, n. 3-4, 1896; 8°. * Starine na sviet izdaje Jugoslavenska Akademija Zanosti i Umjenosti. Knjiga XXVIII. Zagrebu, 1895; 8°. Statistica del Commercio speciale di importazione e di esportazione dal 1° gennaio-31 dicembre 1895; 1° gennaio-31 maggio 1896, 6 fasc. Roma, 1895-96; 8° (dal Ministero delle Finanze). * Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XVII, fasc. 1-2°. Roma, 1896; 4° (dall’Accademia di Conferenze Storico-giuridiche). Valle di Pompei; An. V, n. 1-3. 1896; fol. Colombo (G.). Ancora del Maestro Syon. Torino, 1896; 8° (dall’A.). Dante Allighieri. Il Trattato “ De vulgari eloquentia ,, per cura di Pio Rayna. Firenze, 1896; 8° (dal Prof. Pio Rajna). Favaro (A.). Intorno alla vita ed ai lavori di Tito Livio Burattini, fisico agordino del secolo XVII. Venezia, 1896; 4° (dall’A.). — Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. II. Ottavio Pisani. Venezia, 1896; 8° (Zd.). Foerster (W.). Kristian von Troyes Erec und Enide. Halle a. S., 1896; 8° (Zd.). Lagrange (G. L.). Fac-simili di lettere di G. L. Lagrange, le quali si con- servano nel carteggio di Paolo Frisi posseduto dalla Biblioteca Ambro- siana di Milano (dal prof. A. Favaro). Pagani (G.). Mario Nizzoli umanista e filosofo del secolo XVI. Roma, 1893; 8° (dall’A.). ** Sanuto (M.). Diari. Fasc. 198. Venezia, 1896; 4°. INDICE DEL VOLUME XXXl ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri e Corrispondenti ; ‘ ‘ « , x 3 SIFAG: De Erezioni di Soci della Classe di scienze fisiche, matematiche e na- turali . ; È i - E 9 5 3 3 n 910, 853. ELezioni di Soci della Classe di scienze morali, storiche e filologiche , 579 Errata-Corrige . 7 È } 2 , È ; i 7 » 1090 FonDAZIONE GAUTIERI. Regio Decreto del dì 15 di settembre 1895, col quale S. M. il Re ha approvato il disegno di Statuto organico . - . n. 496 Statuto organico della Fondazione Gautieri È non 299 Regolamento interno per il conferimento del premio ne, DA III Premi di fondazione Gautieri ; i , . È J pULOTO Premio BreEssA. Relazione sui lavori presentati per il IX premio Bressa . n :291 Conferimento del IX premio Bressa . ; È È * » 358 Sunti degli Atti verbali delle adunanze a Classi Unite . ; x (200, 358, 844. Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali . È Li 155, 205, 245, 309, 363, 439, 475, 559, 583, 619, 691, 803, 851, 937. Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche . ; 84, 200, 239, 263, 325, 409, 471, 527, 579, 585, 625, 733, 894, 889, 1065. PuesLicazioniI ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino (Classe dì Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali) . } 117, 201, 242, 303, 359, 436, 472, 551, 580, 615, 686, 800, 847, 931, 1076. Pussiicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino (Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche) . ? 143, 202, 243, 305, 361, 438, 473, 553, 581, 616, 688, 801, 848, 933, 1079. Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 73 1082 INDICE DEL VOL. XXXI Arzievo (Giuseppe) — Sunto della Memoria: Studi psicofisiologici Pag. — Peyron (Bernardino) e Brusa (Emilio) — Relazione sul lavoro manoscritto del Dott. Francesco FrieERI intitolato: La filosofia e Pico della Mirandola — La divisione del lavoro applicata alle Università . n — Sunto della Memoria: Federico Herbart e la sua dottrina pe- dagogica : 5 ; ; : s ; — La libera attività de liicando secondo Enrico Pestalozzi e Gian Giacomo Rousseau Li — Studio storico critico di pedagogia femminile >; — Della educazione della donna secondo i pensatori francesi del secolo XVIII - : ; : : : Armansi (Emilio) — Sull’ integrazione dell’ equazione differenziale AZA3—0) : È ; ; % X Arnò (Riccardo) — La radiazione di Réòntgen con tubi di Hittorf ad idrogeno rarefatto n» n Batsi (Vittorio) — Effemeridi astronomiche calcolate per Pai 1897 e per l’orizzonte di Torino z Basso (Giuseppe) — V. CarLE (Giuseppe), dh (Alfonso), e FERRARIS (Galileo). Berrranp (Giuseppe Luigi) — Eletto Socio straniero è BerzoLarI (Luigi) — Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un semplice o un doppio contatto, oppure si osculano . » Berrazzi (Rodolfo) — Sulla catena di un ente in un gruppo . È — Gruppi finiti ed infiniti di enti n Bizzozero (Giulio) — V. Mosso (Angelo) e Bizzozero (Giulio). BoLLati pi SAINT-PIERRE (Emanuele) — V. Cieorra (Carlo), BoLnati pi Sarnt-Prerre (Emanuele) e Perrero (Domenico). BoLrzmann (Luigi) — Eletto Socio Corrispondente Boncni (Ruggero) — V. Carre (Giuseppe). BrroscHi (Francesco) — Il risultante di due forme binarie biquadratiche e la relazione fra gli invarianti simultanei di esse x Brusa (Emilio) — Di una sanzione penale alla convenzione gine- vrina per i feriti in guerra . ; — V.Artrevo (Giuseppe), Peyron (Bernardino) e Brusa (Emilio). — (Commemorazione del Socio straniero Adolfo GwxeIsT Li Bryce (Giacomo) — Eletto Socio Corrispondente . 3 È S CaLLiGARIS (Giuseppe) — San Gregorio Magno e le paure del prossimo finimondo nel Medio-evo . ; E 5 à i : a 287 410 586 612 642 825 891 881 620 1046 310 476 446 506 310 INDICE DEL VOL. XXXI Camerano (Lorenzo) — Legge la commemorazione del defunto Pre- sidente Michele Lessona, che sarà stampata nei volumi delle Memorie . 2 È 3 i N : , 4 «1 Pag. — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Dott. Daniele Rosa, intitolato: I Linfociti degli Oligocheti, ricerche istologiche . > : . : i i J — Nuove ricerche intorno ai Salamandridi Tan apneu- moni e intorno alla respirazione negli Anfibi urodeli . È — e Sarvapori (Tomaso) — Relazione intorno alla Memoria del Dott. Daniele Rosa, intitolata: I Linfociti degli Oligocheti, ricerche istologiche . p x 3 " ? 5 i — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un Tavoto del Dott. Ermanno GiaLio-Tos, intitolato: Sulle cellule del sangue della Lampreda . $ ° } 3 : Î , : 2 — e Sarvapori (Tomaso) — Relazione intorno alla Memoria del Dott. Ermanno Gietio-Tos, intitolata: Sulle cellule del sangue della Lampreda . 3 è , : ; Z . È i — V.Grseni (Giuseppe) e Camerano (Lorenzo). — VV. Naccari (Andrea) e Camerano (Lorenzo). Camperti (Adolfo) — Sulla compressibilità dell’ ossigeno a basse pressioni . È ì ( : 2 3 3 : 1 a Cantoni (Carlo) — Eletto Socio Corrispondente . È L 1 È Cantù (Cesare) — V. Crporra (Carlo). Carre (Giuseppe) — Annunzia la morte del Socio residente G. Basso, dei Soci stranieri Enrico Rodolfo GwreIst, dei Soci corrispon- denti Enrico von SyBet, Filippo Linati e Ruggero BonenI , — Annunzia la morte del Socio Corrispondente Giuseppe De Leva , — Annunzia la morte del Socio Corrispondente Senatore Carlo NeGronI . o : c ; ; F È 5 È — Annunzia la morte del Socio Corrispondente barone Cristoforo NEGRI . A : A È . 3 S ì " : Li — Parole di commemorazione del Socio Corrispondente Luigi Cossa . 7 3 : i : È 3 ; ; : î — Annunzio della morte del Socio nazionale non residente Luigi Federico MenARREA, marchese di Val Dora . \ : D Catalogo Universale di bibliografia scientifica ecc. V. Naccari (Andrea). CeLorIA (Giovanni) — Eletto Socio Corrispondente . o i L CriapreLLi (Alessandro) — Eletto Socio Corrispondente . - S Cain: (Mineo) — Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine , CiroLra (Carlo) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Dott. Luigi ScniaparELLI: Le origini del Comune di Biella . 5 : ; ; } 3 È ; : ì, 1083 512 584 619 731 52 579 84 200 325 527 844 851 310 979 568 Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. TRS 1084 INDICE DEL VOL. XXXI CipoLLa (Carlo) — Cesare Cantù ed Enrico von SyseL; Cenni comme- morativi . f ; È : 4 ò : ; «SPREA — Sunto della Memoria: Brevi appunti di Storia Novaliciense , 240 — Borrarti pi Saint-Pierre (Emanuele) e Perrero (Domenico) — Relazione sul lavoro del Dott. Luigi ScarAPARELLI, intitolato: Origini del Comune di Biella n 482 — Presenta per l’inserzione nei volumi dote Monia un avan del Prof. Carlo MerkeEL, intitolato: Nicolò Scillacio e la relazione intorno al secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America , 626 — Giuseppe De Leva. Commemorazione n 735 — Nuovi appunti di storia Novaliciense ‘ 756 — Crarerta (Gaudenzio) e Ferrero (Ermanno) — han sir lavoro del Prof. Carlo MergeEL: Niccolò Scillacio e le relazioni sul secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America PA) CLarerta (Gaudenzio) — Annunzia la morte del Socio Nazionale non residente marchese Matteo Ricci ali Ad — Filippo Linari. Commemorazione io SISI — Lo stato di alcuni archivi comunali della provincia di Susa ai tempi di Re Vittorio Amedeo III : tie — V. Cirotra (Carlo), CLarerTA (Gaudenzio) e Ferrero (Ermanno). Coanerti pe Martus (Leonardo) — Gli infortunii sul lavoro, Appunti d’igiene sociale . n 845 CoLomsa (Luigi) — Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della collina di Torino n 998 Congresso Storico. V. Ferrero (Ermanno). Corpone (Girolamo) — Intorno al gruppo di sostituzioni razionali e lineari : x sn 804 Cossa (Alfonso) — Annunzia la morte del Socio Giuseppe Basso e di Luigi Pasteur avvenute durante le ferie dell’Accademia , 1 — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Prof. Icilio GuarescHI, intitolato: Sintesi di composti piri- dinici degli eteri chetonici coll’etere cianacetico in presenza del- l’ammoniaca e delle amine . . : 5 3 2 — e Spezia (Giorgio) — Relazione sulla Memoria del Prof. Icilio GuarescHI, presentata nell'adunanza del 17 Novembre 1895, intitolata: Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici coll’etere cianacetico in presenza dell’ammoniaca e delle amine , 198 — Annunzia la morte del Socio Corrispondente Gabriele Augusto DAUBREÈE . , È ; - È a È - > è < REI — Comunicazione . 3 ; £ i : ; ni 998 Cossa (Luigi) — V. CarLE i Dana (James Dwigt) — V. Spezia (Giorgio). Dausrée (Gabriele Augusto) — Vedi Cossa (Alfonso). INDICE DEL VOL. XXXI De-ArrssanpriI (Giulio) — Ricerche sui pesci fossili del Paranà, £e- pubblica Argentina . Pag. De Leva (Giuseppe) — V. Care (Giuseppe); V. TEMA (Carlo). Derponte (Giovanni Battista) — V. GrseLri (Giuseppe). D’Ovipio (Enrico) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Prof. Rodolfo BertAzzi, intitolato: Fondamenti per una teoria generale dei gruppi Fano (Gino) — Aggiunta alla Nota: “ Sulle congruenze di rette del terzo ordine prive di linea singolare , Favaro (Antonio) — Sette lettere inedite di TOI Luigi Lagrange al P. Paolo Frisi, tratte dagli autografi nella Biblioteca Ambro- siana di Milano . tu) Fetici (Riccardo) — Eletto Socio Nazionale non residente »” FergoLa (Emanuele) — Eletto Socio Nazionale non residente . Ferraris (Galileo) — Giuseppe Basso. Commemorazione . — V. Serzia (Giorgio) e FerrarIs (Galileo). Ferrero (Ermanno) — Presenta una fotografia, donata dal Prefetto ‘della biblioteca Nazionale di Torino, del busto di Gaspare GorRESIO n — Informa sulla rappresentanza dell’Accademia al VI Congresso Storico tenutosi in Roma . — Presenta un manoscritto inviato per la stampa nelle pubbli- cazioni accademiche dal sig. Giovanni FricerI, intitolato: La filosofia di Giovanni Pico della Mirandola 5 — Presenta la collezione del Tripitaka dei Buddisti meridionali, dono di S. M. il Re del Siam . — Un ripostiglio di monete della. repubblica romana scoperto a Romagnano Sesia . ” — V.Crrorza (Carlo), CLarettA (Gaudenzio) e FerRERO (Ermanno). — Parole commemorative sul Socio Corrispondente Giuseppe FIORELLI : ; ; " È ì : È Frrerr (Michele) — Eletto Socio Nazionale residente . e — e Ponzio (Giacomo) — Sulla trasformazione dei chetoni in a-dichetoni . È | A 5 FroreLLi (Giuseppe) — V. Ferrero (Ermanno). GanrrI (Giuseppe) — Eletto Socio Corrispondente s GreeLti (Giuseppe) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del sig. Ugolino MartELLI, intitolato: Flora della Sardegna in continuazione di quella del Moris (Orchidee) , — G. B. DeLponte. Commemorazione : ” — e Camrrano (Lorenzo) — Relazione sulla Menna ie signor Enrico MarreLLI, intitolata: Monocotyledones Sardoa@ Josephi Hyacinthi Moris “ Florae Sardoe. Continuatio , ” 1085 715 310 708 527 260 1086 INDICE DEL VOL. XXXI GiseLLi (Giuseppe) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Dott. Saverio BeLLi, intitolato: Endo- derma e periciclo nel genere Trifolium in rapporto colla teoria della Stelia di V. Tieghem e Douliot . x ) ; 3) “ GieLio-Tos (Ermanno) — Sull’origine dei corpi grassi negli anfibi , Gwerst (Enrico Rodolfo) — V. Carre (Giuseppe), e Brusa (Emilio). GuarescHi (Icilio) — Eletto Socio residente È 4 7 ; A — Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditoliluree . > — Sull’a-aminoetilidensuccinimide e sull’acetilsuccinimide . i Gurpi (Camillo) — Eletto Socio Nazionale residente ; È 3 HeLmert (F. Roberto) — Eletto Socio Corrispondente i ; n JApANZA (Nicodemo) — Influenza dell’errore di verticalità della stadia sulla misura delle distanze e sulle altezze s ; c a — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un suo lavoro intitolato: Per la storia del cannocchiale . ; È — e Naccari (Andrea) — Relazione sulla memoria del Prof. Fran- cesco Porro, intitolata: Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a Soperga . ; : ; ) È - s Jorpan (Camillo) — Eletto Socio Corrispondente ; 4 : s Lartes (Elia) — I1 € vino di Naxos , in un'iscrizione preromana dei Leponzii in Val d’Ossola . ò . . $ : 4 3 LauriceLLA (Giuseppe) — Integrazione dell'equazione A°(A?u)= 0 in un campo di forma circolare . : . » È : ; Lessona (Michele) — V. Camerano (Lorenzo). Levi (Alberto) — Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie , Levi-Crvira (Tullio) — Sull’inversione degli integrali definiti nel campo reale È ; : a ; ; ; 3 : 3 — Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche . » Linati (Filippo) — V. Carre (Giuseppe). MarreL (Edoardo) — Di una nuova interpretazione dell’architettonica florale delle crocifere e generi affini ‘ i é i , MarteLLI (Ugolino) — Ritira la sua Memoria: Monocotyledones Sardo Josephi Hyacinthi Moris Flora Sardo@ Continuatio È A — V. Gisetti (Giuseppe). MenaBreA marchese di Val Dora(Luigi Federico) — V. CArLE(Giuseppe). 858 987 475 INDICE DEL VOL. XXXI Mercati (Giovanni) — D'un palimpsesto Ambrosiano contenente i Salmi esapli e di un'antica versione latina del commentario perduto di Teodoro di Mopsuestia al Salterio . i . Pag. Mrirrag-LerrLErR (Gustavo) — Eletto Socio Corrispondente P L Monti (Virgilio) — Sulla variazione di densità di un liquido presso alla superficie . ; , È ; : ; ; È È Mosso (Angelo) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Dott. A. BenepIcENTI, intitolato: Sulle leggi del tono muscolare nell'uomo . . : - . i 5 ° e Brzzozero (Giulio) — Relazione sulla Memoria del Dottor Alberico BenEDICENTI, intitolata: Sulla tonicità dei muscoli stu- diata nell'uomo . È E î } : , ; ; la Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un suo la- voro intitolato: Descrizione di un miotonometro per studiare la tonicità dei muscoli dell’uomo . £ È ° 3 ) n Naccari (Andrea) — Sulla trasmissione della elettricità da un con- duttore all’aria nel caso di piccola differenza di potenziale , Relazione sui lavori presentati per il IX premio Bressa b Comunica una lettera dei Segretarii della Società Reale di Londra circa la pubblicazione di un catalogo universale di bibliografia scientifica 3 L 7 7 i A S ù Presenta per l’inserzione le Osservazioni meteorologiche fatte durante l’anno 1895 all'Osservatorio della Regia Università di Torino, calcolate dal Dott. G. B. Rizzo . : 7 i n Comunica la lettera del Ministero della Pubblica Istruzione in cui annunzia di aver proposto il delegato italiano alla Con- ferenza di Londra per un catalogo universale di bibliografia , Comunica un invito dell’Università e del Municipio di Glasgow all'Accademia perchè elegga un suo rappresentante alle feste che si celebreranno in onore di Lord KeLvin . i A # Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Prof. Antonio GarBAsso, intitolato: Sopra alcuni fenomeni luminosi presentati dalle scaglie di certi insetti È > È e Camerano (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Profes- sore Antonio Garbasso intitolata: Sopra alcuni fenomeni lumi- nosiî presentati dalle scaglie di certi insetti ; È È n Presenta per l’inserzione nelle Memorie un lavoro del Profes- sore Francesco Porro, intitolato: Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a Soperga . 3 : 5 7 2 A V. JapANzA (Nicodemo) e Naccari (Andrea). Nani (Cesare) — Antonio PerriLE. Cenno necrologico 9 . S NeerI (Cristoforo) — V. CarLe (Giuseppe). 1087 655 310 194 259 809 67 291 364 440 905 583 619 732 858 534 1088 INDICE DEL VOL. XXXI Negroni (Carlo) — V. CarLe (Giuseppe). Osasco (Elodia) — Di alcuni corallari pliocenici del Piemonte e della Liguria : { I i, : i 5 È i . Pag. 225 Ovazza (Elia) — Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi elastici. 4 x - g } 3 3 È i 206 Parona (Carlo Felice) e RovereETo (6) — Diaspri permiani a radio- larie di Montenotte, Liguria occidentale . O Pascar (Carlo) — L'iscrizione sabellica di Castignano . 3 s TOO Pasteur (Luigi) — V. Cossa (Alfonso). Parerta (Federico) — Eletto Socio Corrispondente . d 1 1 Cabuo Priano (Giuseppe) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Prof. Francesco Grupice, intitolato : Sulle equazioni di quinto grado . y 2 2 I, — e D’Ovipio (Enrico) — Relazione sulla Memoria del Profes- sore Francesco Giupice, intitolata: Sull’equazione del 5° grado , 199 n 952 Perrero (Domenico) — I regali di prodotti nazionali invalsi nella diplomazia piemontese dei secoli XVII e XVIII n —— AI — Un segreto episodio della vita ministeriale del Marchese D’Ormea e del Cav. Ossorio (1740-1750) . n CADOG — V. Crrorza (Carlo), BorLari pr Sarmr-Prerre (Emanuele) e Perrero (Domenico). — Trasformazioni lineari dei vettori di un piano — Saggio di calcolo geometrico PertILE (Antonio) — V. Nani (Cesare). Peyron (Bernardino) — Matteo Ricci. Commemorazione . : 5 “000 — V. Arzrevo (Giuseppe), Perron (Bernardino) e Brusa (Emilio). Preri (Marro) — Sui principii che reggono la geometria di posi- zione. Nota 2* e 3* . ! 3 È ‘ ; : s 9881, 457 PinLocne (Augusto) — Eletto Socio Corrispondente . 1 Pizzetti (Paolo) — Intorno alla determinazione teorica della gra- vità alla superficie terrestre . È ; ; ; x 3 BOB Ponzio (Giacomo) — V. Fireri (Michele) e Ponzio (Giacomo). RayLeica (Lord J. W. Strutt) — Gli è conferito il IX premio Bressa, 358 Ringrazia ‘ : 11825, 963 Ricci (Matteo) — V. CrLarertAa (Gaudenzio); e V. Perron (Bernardino). Ricci (Serafino) — Di una stele con iscrizione trilingue rinvenuta a File in Egitto . : : 7, Rizzo (Gio. Battista) — La durata dello TERE del Sole sul- l'orizzonte di Torino . 7 ; 9 y : : x 1039 Rossi (Francesco) — Di un coccio eopto del Museo egizio di Torino con caratteri crittografici . x . i : i } n 914 INDICE DEL VOL. XXXI Rovereto (G.) — V. Parona (Carlo Felice) e Rovereto (G.). Sacerporti (Cesare) — Sulla rigenerazione dell’ epitelio muciparo del tubo gastro-enterico degli anfibi ; 3 | si Pag: SaLvapori (Tomaso) — V. CamrrANo (Lorenzo) e SaLvapori (Tomaso). Scuapareri (Luigi) — Diploma inedito di Berengario I (a. 888) in favore del monastero di Bobbio . Secre (Corrado) — Annunzia che il Prof. Rodolfo Berrazzi ha riti- rata la Memoria intitolata: Fondamenti per una teoria generale dei gruppi, presentata per essere inserita nei volumi delle Memorie . TA, 3 . ; : $ , ; E — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Dott. Gino Fano, intitolato: Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non integrabile di trasformazioni protettive in sè , — Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà su- periori algebriche . ; È i: ? : È P E: — D’Ovipro (Enrico) e Vorrerra (Vito) — Relazione sulla Memoria del Dott. Gino Fano, intitolata: Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non integrabile di trasformazioni protettive in sè , Spezia (Giorgio) — James Dwraar Dana. Commemorazione . — La pressione nell’azione dell’acqua sul quarzo È " i — V. Cossa (Alfonso) e Spezia (Giorgio). — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Dott. Giovanni De Agostini, intitolato: Ricerche batome- triche e fisiche sul lago d'Orta . È 5 . ; 3 2 — Sul metamorfismo delle roccie . 3 È È , ; s — e Ferraris (Galileo) — Relazione sulla Memoria del Dottor Giovanni De AcostINI, intitolata: Ricerche batometriche e fisiche sul lago d’Orta . i | : È ; 3 : : tr Syrser (Enrico von) — V. Carre (Giuseppe) e CrpoLra (Carlo). SyrLvesrer (Giacomo Giuseppe) — Eletto Socio straniero . : e THomsoN (Giuseppe Giovanni) — Eletto Socio Corrispondente . si Tocco (Felice) — Eletto Socio Corrispondente . ; 3 3 à Vanmacci (Luigi) — Del luogo della così detta prima battaglia di Bedriaco . - ; È o A : 4 \ È n Voeino (Pietro) — Sullo sviluppo della “ Stropharia merdaria , Fries . i ; 3 È : ? $ 3 ; 3 7 VoLrerra (Vito) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Prof. Giuseppe LauriceLLA, intitolato: Sull’equa- zione delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate . È 1089 870 538 439 556 485 1090 INDICE DEL VOL. XXXI VoLrerra Viro — Sulla inversione degli integrali definiti; Nota I, TL gt E RS pra i; ; s : : . Pag. 311, 400, 557, 693 — e Ferraris (Galileo) — Relazione sulla Memoria del Prof. Giu- seppe LauriceLLA, intitolata: Sul!’ equazione delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate . Mi.) — Osservazioni sulla Nota precedente del Prof. LauriceLLA e sopra una nota di analogo argomento dell'Ing. ALmansI n 1018 ZanortI-Branco (Ottavio) — Per la storia della teoria delle super- ficie geoidiche n 1022 ERRATA-CORRIGE A pagina 579, invece di Antonio PinLocHE leggasi Augusto PixLocHE. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S, M. e Reali Principi. TTI RA AOOADENTA DELLE SCIENZE è D i; tr O R IN Di | DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vot. XXXI, Disp. f*, 1895-96 TORINO CARLO CLAUSEN . Libraio della R. Accademia delle Scienze 1895 AA] vee K dt SA Frans. — - Commemorazione di i Gip au n ; Tia o-* Sulla (bt da t PRIN l’ aria nel caso < tosse ii i ADUNANZA del 24 Novembre 1895. 5: è * a — IN“ vino di Naxos s in un’ iscrizione preromana dei Len n 2 POR in Val d’Ossola ; È ; ‘ È aa SOT PR Pascar —_ SAI Sabelli di Calinano CLI AE sal 17 Novembre 1895 ( Classe di Soienzo Fisiche, Matemi ti, SARE Nata rali) 3 3 i = E è È aa SER Pubblicazioni ricevute "dalla R. Accademia delle Scienze dal SD i RE SSIZIANE: Ddr Novembre 1895 ( Classe di Scienze Meran Stor iche. e logiche) dit, i i CIR x Fip Vincenzo Bona — Torino di» DEMICI SEGRETARI DELLE DUE OLASSI tr PEC sal 2*, 1895-96 » ì à CARLO CLAUSEN © a Libraio della R. Accademia dello Seienze a lat, - ‘ (Liguria setter PIE Lo a Ù ERO LI Favaro — — Sette lettere inedite di GEERD Luigi Lala: al 3 a nell’adunanza del 17 Novembre 1895, e che ba per o * Sintesi di composti piridinici dagli. ‘eteri chetonici n Priano — Relazione sulla Memoria del Prof. Gupproe, & SUCHSPRIORE del 5° grado , . . RE ADUNANZA dell’8 Dicembre 1895. x A Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Buienze: dal 7 No-. vembre al 1° Dicembre 1895 (Classe di Scienze Fisiche, Mate. matiche è Naturali) i ; È ; «DS di iaia ” Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 24 No- vembre all'8 Dicembre 1895 (Classe di Scienze Mato Storiche Filologiche) . î ; ; E 5 tei fa è x Tip. Vineenzo Bona — Torina I 248: e: DELLE SCIENZE Wi SEGRETARI DELL | Von. XXXI, Disp. 3°, 1895-96 #% OLAUSENO Aaa Ri ADUNANZA del 15 Dicembre 1895. . e o Ss — ADUNANZA del 22 Dicembre 1895 LS si E = ci — SI della Memoria: * Brevi. appunti di Storia Nor ciense , i Ù ce ne Pabbheazioni ricevute dalla ‘R. Aegis delle d 15 Dicembre 1895 (| Classe di Scienze Fisiche, Mati ma & it È 5 : la “OO TOFEGIOE VE > E si 7 x dà n 22 Dicembre 1895 (e Classe di Scienze Morali, Storiche Ch “giche) RI AE e " Ti 9 3 var e , n) Tip. Vincenzo Bona — Torine ne fa ASS GR Scienze delle 7 a WEA I Di td. Ana iell'adiicii del 17 Wiiatia 1895 che È Sulla tonicità dei muscoli studiata Regina n Sardote a Continuatio NT Classe di Scienze Morali S | ADUNANZA del 5 Gennaio 1896 — nel Medio. -evo. Esse 5 RISO DA ALtiEvo. = - Sunto della Memoria: * Classi unite. E ADUNANZA del 29 Dicembre 1895. una Naccari — Relazione sul nono premio Bressa Gavrmeni Fonts — Decreto e > Regolamento Naturali) EE s ORI II ARL IASTE na Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 2 rich e Pilologiche) . Pesante OE RISE de Tip Vincenzo Bona — Tortpo GLASS DUE N LE > Bcie DEL ERETARI Pat È & Ant = È D P 1$ RLO CLAUSE 7 Aodaemia dell DAGLI ACCADEMIC de x CI3 STRIENI, al ol ale del nono. premio. Presso a Lord Jom È n Mer RavLEIGR . E - Pubblicazioni ricevute dalla R “Accademia delle Scienze dal 29 D : = ARA Pitoiiaisioni ricevute - 19 “Gennaio 1896 | gie) dortrao ACCADEMIA DELLE SCIENZE — DI TORINO PUBBLICATI Vor. XXXI, Disp. 6*, 1895-96 TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R: Accademia delle Scienze 1896 RSS — Sullo sviluppo della * ne) JADANZA — Influenza dell’errore di E S la iene distanze n sulle altezze. s Vourerra — Sulla i inversione degli n Classe di Scienze Morali, Storiche e F ADUNANZA del 2 Febbraio 1896 Perrero — I regali di prodotti siasionali invalsi nella. dir piemontese dei secoli XVII e XVIII . a Vani ‘ Cirorra — Relazione sul lavoro del Dott. Luigi. Scnrararetti “ ) del Comune di Biella ,. . . STAI: "A naio al 2 Febbraio 1896 ( Classe di Scienze Mer dana | Filologiche) . : : ; MORINI: Tip. Vincenzo Bona — Torine IA DELLE SCIENZE J0ADEM LAUSEN © DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI PUBBLICATI ‘Libraio della R. Accademia delle Scienze | 1896 ARLO © © vie e) ® Patio ricevute dalla. R Ascea delle Sci Pubblicazioni. ricevute dalla R dai mi a delle Sonar. INETERO RENO PUBBLICATI — DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1896 ; ADUNANZA del 23 Febbraio 1896... di : È. ee o un doppio contatto oppure sì a ii Sere — Intorno ad un carattere delle superficie e delle superiori algebriche 5 i si i BertAZZI: — fn finiti ed infiniti di enti RI LI RIO CAMERANO — Sulle ricerche patorho ai Salamandridi normali ADUNANZA del 1° Marzo 1896. î Ù Di Prerron — Commemorazione di Matteo Riccr . Du — Cenno necrologico di Antonio PermLe. A del Lira di Banbioaere È n : 1a, "E, Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal | 9 È EE 38 Febbraio 1896 (Classe di Scienze sorta Matematiche e ha 100, È È È cd braio al 1° Marzo 1896 Ù Classe di Scienze Morali, Storiche al] MO LIRhe) O DE e IR E CAI RI Tip. Vincenzo Bina — Torine. i 4A ALOE PUBBLICATI Ì se Vox: XXXI, Disp. 9: r 10°, 1895-96 TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze | 1896 SAI Classe di Scienze Fisiche, Matematiche D; ADUNANZA dell’8 Mao 1896 . one Vorterra — Sulla inversione degli ATI ii Cani — Sulle equazioni a derivate (DEI del Di ordine | ADUNANZA del 15 Marzo 1896 sar ; E. TEoSoE Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle SE dal | 23 Feb braio all’8 Marzo 1896, Ia Classe di Bcicazne Five, Aoen e Saga È ; A È ; Dr se ADUNANZA del 29 Marzo 1896 Vor # : si Artievo — La divisione del lavoro applicato alle Università |. | ce Perrero — Un segreto episodio della vita ministeriale del Ma D'Ormea e del Cav. Ossorio (1740- LTS lo Le ALuevo — Sunto della Memoria: dECRODCO Herbart e la sua dote asd pedagogica , è : 3 : 5 : E K; 7 Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dall'8 ‘ 22 Marzo 1896 (Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e st Kr , MEDI Tip. Vincenzo Bona — Torine ACCADEMIA DELLE SOTENZE — “DI PORINO PUBBLICATI - DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO SL COARLO OLAUSEN e Libraio della R. Accademia delle Scienze VP 1896 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e ADUNANZA del 12 Aprile 1896 i: Arxò — La radiazione di Ròntgen con tubi di Hittorf ad rarefatto . È : é È ù È A cat: me sulla Memoria del Dott. Gino Fano, intitolata: * ADUNANZA del 19 Aprile 18960000 Ne Crarerra — Commemorazione di Filippo Limatt. _. + Arievo -— La libera attività dell’educando secondo Enrico Pe e Gian Giacomo Rousseau . 3 ; Ò pe “ 3 Mercati — ui un RARE Ambrosiano contenente i Salmi al 12 Aprile 1896 ( me di Scienze Fisiche, Matematiche €: È turali) Tip. Vincenzo Bona — Torino, PUBBLICATI “ Von. XXXI, Disp. 12*, 1895-96 (0 TORINO. | CARLO CLAUSEN |Libraiodella R. Accademia delle Scienze sin) | — ADUNANZA del 26 Aprile 1896 è : ui . VoLrerza — Sulla: inversione degli integrali definiti. Nota 1 Ciao oa tati . prsaa PYALISNE, i : Relazione sulla Memoria. del Dott. Giglio. T'os intitolata: * ho © Sulle lule del sangue della Lampreda ENTITÀ RR Relazione sulla Memoria del Prof. A Garbasso intitolata: “ ea ADUNANZA del 3 Maggio 1896... Cirorta — Commemorazione di Giuseppe De Leva È SR — Nuovi appunti di storia Novaliciense. ON NESTA perto a Romagnano Sesia. ; ; i . Carre — Commemorazione di Lurer Cossa. . |. DEF) turali) : ; ; 5 + 2 3 ; i 5 Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 8 i 17 Maggio 1896 (Classe di Scienze Moruli, Storiche e Filologiche) Tip. Vincenzo Bona — Torino VEMIA DELLE SCIENZE «DI TORINO . PUBBLICATI , (LI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI. | Von. XXXI, Disp. 14*, 1895-96 dia MORENO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze | Classe di Scienze Fisiche, Matematiche x ADUNANZA del 31 Maggio 1896. superficie terrestre . 3 : A : Sacerporri — Sulla rigenerazione litio muciparo | gastro- o degli anfibi Classe di Scienze Morali, - ADUNANZA del 14 Giugno 1896... AvLievo — Della educazione della Se secondo i rest del secolo XVHI i teri crittografici .. —. Varmaggi — Del HHoGa della così Ried prima tattaglia di B 31 Maggio 1896 (Classe di Scienze Fisiche, Matematiche ica turali) . ; 1 : . ; 3 i 7 Ren Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 171 \ Tip: Vincenzo Bona — Torino O Z fl - ©) n bn = PUBBLICATI Vor. XXXI, Disr. 15*, 1895-96 CARLO OLAUSEN Accademia delle Scienze | | Libraiodella R. icone di can © O RR RIE Greettr. — - Relazione intorno alla Memoria intitolata: tolata: “ Osservazioni di stelle’ variabili aRBETtO a: i Torin Soperga , nà £ SER s ADUNANZA del 28 Giugno 1896... —. Brusa — Commemorazione di Rodolfo Gwersr . . i Ferrero -— Parole commemorative su Giuseppe FroreLti Premii di Fondazione GaurIERI. . : . ; È i Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 31 Maggio a al 21 Giugno 1896 (Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e “Naro turali) ) : ; ; 5 7 ; Pubblicazioni ricevute dalla R. ale i delle Scienze dal pre È 28 Giugno 1896 (Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche) Indice del volume XXXI - x x ; } ; : =" "> V * x Tip. Vincenzo Bona — Torino ; 9A Ca ni. ti VOLTRI Ù rat val Bu; its ST EA TA